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Franz Kafka
IL CACCIATORE GRACCO
3Ricordando la ferrovia di Kalda
[Diariquaderno 7fine agosto 1914:]
Per un certo tempo nella mia vita - sono ormai passati molti anni - ho
lavorato in una piccola stazione nell’interno della Russia. Non sono mai
stato così abbandonato come laggiù. Per diverse ragioni che ora non vale la
pena ricordarein quel tempo ero alla ricerca proprio di un posto delgenere
e quanto più ero assediato dalla solitudine tanto più ero contentoedunque
non voglio neppure ora lamentarmene. Nei primi tempil’unica cosa che mi
mancava era il da fare. Originariamentela piccola ferrovia era stata
costruita per qualche ragione commercialeil capitale però non era bastato
la costruzione si era interrotta e invece di portare a Kaldail centro più
grandedistante da noi cinque giorni di viaggio in carrozzala ferrovia si
fermava in un piccolo insediamento nel mezzo di un desertodal qualeper
arrivare fino a Kaldaci voleva ancora un intero giorno di viaggio.
1Oraanche se fosse arrivata fino a Kaldala linea sarebbe stata non redditiziaper
un tempo imprevedibileperché tutto il suo progetto era sbagliatoil paese
aveva bisogno di strade e non di ferrovie; ma nello stato in cui la linea si
trovava attualmente non poteva in generale neppure esisterei due treni che
passavano ogni giorno portavano un carico che avrebbe potuto viaggiare su
una carrozza leggerae i passeggeri erano soltantod’estateun paio di
contadini. Tuttavia non si voleva abbandonare del tutto la linea perché si
speravamantenendola in attivitàdi attirare capitali per finire la
costruzione. Anche questa speranzaa mio parerenon era una vera
speranzama piuttosto disperazione e pigrizia. Si faceva viaggiare il treno
finché fossero durati materiale e carbonesi pagava a un paio di operai uno
stipendio irregolare e decurtatocome se si trattasse di una gratificazionee
per il resto si aspettava che il tutto cadesse in rovina.
In questa ferrovia dunque ero impiegatoe abitavo in una catapecchia di
legno che era rimasta là dai tempi della messa in opera della lineae che
contemporaneamente serviva da costruzione di servizio. Aveva un’unica
stanzanella quale si trovava una panca per me e un leggio per il caso che
1
viaggio.] viaggio. [Perciò la ferrovia non potevasussistereera un’impresa del tutto priva diprospettivesenza contare il fatto cheanche se fosse arrivata fino a Kaldaancora per un
imprevedibile]
4
dovessi scrivere qualcosae su di esso era collocato l’apparecchio del
telegrafo. Quando arrivaiin primaveral’unico treno passava nellastazione
molto presto la mattina - più tardi questo fu modificato - e a volte
succedeva che qualche passeggero scendesse mentre ancora dormivo.
Naturalmente non rimaneva allora all’aperto - le notti erano laggiù molto
fredde fino a metà dell’estate - ma bussavaio aprivoe passavamo spesso
ore intere a chiacchierare. Io me ne stavo sulla mia pancail mio ospite si
accoccolava sul pavimento o su mia indicazione bolliva il tèche poi si
beveva insieme d’amore e d’accordo. Tutta questa gente di campagna è
tipicamente molto socievole. Io d’altra parte mi ero accorto di non essere
tagliato per una completa solitudineanche se dovevo confessare a me
stesso che questa solitudine che mi ero scelto cominciavagià dopo poco
tempoa disperdere le mie preoccupazioni di un tempo. In linea generale
ho accertato che una infelicità dimostra grande forzase riesce a mantenere
il suo potere su un uomo in solitudine. La solitudine è più potente di ogni
altra cosae spinge di nuovo verso gli uomini. Naturalmente allora si tenta
di trovare nuove stradein apparenza meno dolorosein realtà solo
sconosciute.
Laggiù mi unii alla gente più di quel che avevo pensato. Naturalmente
non si trattava di un rapporto regolare. Dei cinque villaggi che potevo
considerareciascuno era lontano diverse ore sia dalla mia stazionesia
dagli altri villaggi. Io non potevo allontanarmi troppo dalla stazionesenon
volevo perdere il posto; e questoalmeno nei primi tempinon lo volevo
affatto. Dunque non potevo andare io stesso nei villaggi e dovevo fare
affidamento sui passeggeri in transito o su persone che non esitavano ad
affrontare la lunga strada per farmi una visita. Già nel primo mese avevo
trovato persone del generema per quanto fossero amichevoli era facile
capire che venivano solo per fare affari con me; e d’altronde non
nascondevano neppure questa intenzione. Portavano diverse merci
2e neiprimi tempiquando avevo denarocompravo di solito tutto quasi alla cieca
tanto mi erano gradite le personespecialmente alcune. Più tardi però
limitai gli acquistifra l’altro anche perché credetti di notare che ilmio
modo di comprare risvegliava il loro disprezzo.
3 Oltrea ciòattraverso laferrovia mi arrivavano mezzi di sostentamentoche però erano di scarsa
qualità e persino molto più cari di quelli che mi portavano i contadini.
All’inizio avevo anche pensato di allestire un piccolo orto per la verduradi
comprare una mucca e rendermi cosìper quanto possibileindipendente da
2
diverse merci] [burrocarnemais] diverse merci 3disprezzo.] disprezzo. [Una volta osservai dall’oblòdella mia capanna un contadino che mi vendevamais]
5
tutti. Avevo anche portato con me attrezzi da giardino e sementiterreno ce
n’era a volontà e si estendeva intorno alla mia capannaprivo diqualsiasi
costruzionein singole superfici senza la minima rilevatezza fin dove
l’occhio poteva arrivare. Ma io ero troppo debole per vincere questo
terrenoun terreno riluttante duro e ghiacciato in primavera e che si
opponeva anche alla mia zappa nuova e tagliente. La semente che vi
spargevo andava perduta. In questo lavoro ebbi degli attacchi di
disperazione. Allora me ne stavo giorni interi sulla mia pancae non uscivo
neppure all’arrivo dei treni. Mi sporgevo con la testa dall’oblò che era
proprio sopra la pancae annunciavo di essere malato. Il personale del treno
allorache consisteva di tre personeentrava da me per riscaldarsima non
trovava molto caloreperché per quanto possibile evitavo di usare la
vecchia stufa di ferroche avrebbe potuto esplodere facilmente. Piuttosto
rimanevo avvolto in un vecchio mantello caldocoperto da diverse pelli che
avevo via via acquistato dai contadini. «Ti ammali spesso» mi dicevano
«sei un uomo malaticcio. Non te ne andrai mai più da qui.» Non lo
dicevano per rattristarmima perché si sforzavano per quanto possibile di
dire la verità nuda e cruda. Per lo più dicevano questo spalancando gliocchi
in un modo del tutto particolare.
Una volta al mesema sempre in momenti diversiveniva un ispettore
per controllare il mio registroritirare i soldi incassati e - questo perònon
sempre - pagarmi lo stipendio. Il suo arrivo mi era sempre annunciato il
giorno prima dalle persone che lo avevano fatto scendere alla stazione
precedente. Ritenevano che questo annuncio fosse il più grande beneficio
che mi potessero fareanche se naturalmente avevo tutto in ordine ogni
giorno. Inoltrenon c’era
[DiariConvoluti:]
bisognoper questodel minimo sforzo. Ma anche l’ispettore ogni volta
entrava in stazione con l’aria di dover scoprirestavoltatutte le mie
manchevolezze. Spalancava sempre la porta con un colpo del ginocchio e
mi guardava. Non faceva in tempo ad aprire il mio registro che vi trovava
un errore. Ci voleva molto tempo perchéripetendo il calcolo diverse volte
davanti ai suoi occhilo convincessi che non ioma lui aveva sbagliato. Era
sempre insoddisfatto delle mie entrateinfine chiudeva il registro con un
colpo e mi guardava di nuovo con severità. «Dovremo chiudere la ferrovia»
diceva ogni volta. «Andrà a finire così» rispondevo io di solito.
Finito il controlloil nostro rapporto cambiava. Io preparavo sempre
qualcosa da beree se possibile qualche dolciume. Si beveva insiemelui
6
cantava con voce discretasempre però le stesse due canzoniuna era triste
e cominciava: Dove vai fanciul nella foresta?l’altra era allegra einiziava
così: «Lieta compagniasono uno di voi!» A seconda dell’umore in cui mi
riusciva di metterloricevevo in parte il mio stipendio. Ma solo all’iniziodi
questi rapporti lo consideravo con un certo rispettopiù tardi diventammo
del tutto solidaliinsultavamo senza ritegno l’amministrazionemi
sussurrava all’orecchio segrete promesse circa la carriera che voleva farmi
otteneree alla fine ci gettavamo insieme sulla panca in un abbraccio che
spesso non scioglievamo per dieci ore. Il mattino dopo se ne andavaed era
di nuovo il mio superiore. Io stavo davanti al treno e lo salutavoluisalendo
si voltava di solito ancora una volta verso di me e diceva: «Allora amico
mioci rivediamo fra un mese. Tu sai cosa è in gioco per te.» Vedo ancora
adesso il suo volto gonfiogirato a fatica verso di metutto era sporgentein
questo voltole guanceil nasole labbra.
Questa erain tutto il mesel’unica variazione importante durante la
quale mi lasciavo un po’ andare; se per caso era rimasta un po’ digrappala
mandavo giù subito dopo la partenza dell’ispettoreper lo più sentivo
ancora il segnale di partenza del treno mentre il liquido mi scivolava in
gola. La sete di una notte simile era terribile; era come se in me ci fosseun
secondo uomo che sporgeva testa e collo dalla mia bocca per chiedere
urlando qualcosa da bere. L’ispettore era ben fornitosi portava dietro in
treno sempre una buona provvista da bereio invece dovevo adattarmi a
quel che restava.
Per tutto il mese però non bevevo nulla e non fumavofacevo il mio
lavoro e non desideravo altro. Come ho dettonon era un gran lavoroe lo
eseguivo con scrupolo. Per esempio avevo il compito di pulire e controllare
ogni giorno i binari un chilometro a destra e uno a sinistra dalla stazione.Io
però non mi limitavo a questa disposizione e andavo spesso molto più
lontanotanto lontano che potevo a malapena vedere ancora la stazione.
Quando l’aria era limpida questa era visibile fino a cinque chilometri
perché il terreno era perfettamente pianeggiante. Quando ero tanto lontano
che la capanna mi scintillava in lontananza davanti agli occhi
4mi sembravaper miraggio che tanti puntini neri si muovessero su e giù davanti ad essa.
Erano intere compagnieintere truppe.
5 Avolte però veniva davveroqualcunoe alloraagitando la zapparifacevo di corsa tutta la lungastrada a
ritroso.
4
occhi] occhi[ridevo a volte dei molti puntinineri] 5 truppe.] truppe. [Una voltauno di questi puntini mi sembrò qualcosa di realeforse mi confusi conqualche alberonon so più cosa fossein casi simili si pensa]
7
Verso sera il mio lavoro era finito e mi ritiravo definitivamente dentro la
capanna. Di solito a quest’ora non avevo visiteperché il ritorno neipaesi
di nottenon era del tutto sicuro. Nei dintorni si aggirava della gentaglia
non di residenti però; ogni tanto cambiavanoma tornavano sempre. La
maggior parte li avevo vistila stazione solitaria li attiravanon erano
propriamente pericolosi ma bisognava essere severi con loro.
Erano gli unici che mi disturbassero durante i lunghi crepuscoli.
Altrimenti rimanevo sulla pancanon pensavo al passatonon pensavo alla
ferroviail prossimo treno sarebbe passato solo fra le dieci e le undici di
serainsomma non pensavo proprio a niente.
6 Ognitanto leggevo qualchevecchia rivista che mi avevano lanciato dal treno e che conteneva storie
scandalistiche di Kalda che mi avrebbero interessato ma che non riuscivo a
ricostruire dai numeri così isolati. Oltre a ciòin ogni numero c’era la
continuazione di un romanzo che si intitolava «la vendetta del
comandante». Questo comandanteche portava sempre un pugnale al
fianco
7 e in una particolareoccasione lo teneva persino fra i dentiuna voltal’ho anche sognato. D’altronde non potevo leggere moltoperché scendeva
presto il buio e il petrolio e le candele di sego avevano un prezzo
esorbitante. Dalla ferrovia ricevevo ogni mese soltanto mezzo litro di
petrolio che finivo di usare ben prima che finisse il mese solo per accendere
il segnale per il treno una mezz’ora la sera. Ma nemmeno questa luce era
necessariae più tardialmeno nelle notti di lunanon la accesi neppurepiù.
Assai giustamente prevedevo chepassata l’estateavrei avuto ben più
grande necessità di petrolio
8 .Perciò scavai un buco in un angolo dellacapannavi posi un vecchio barilotto di birra e ogni mese vi versavo il
petrolio risparmiato. Il tutto era coperto di paglia e nessuno lo notò.Quanto
più la capanna puzzava di petroliotanto più ero contento; l’odore eracosì
forte perché il barilotto era di legno marcitoe si era completamente
impregnato di petrolio
9 . Piùtardi per prudenza seppellii il barilotto fuoridella capannaperché una volta l’ispettore aveva fatto lo spacconedavanti a
me con una scatola di cerini esiccome li volevoli gettava accesi nell’aria
uno dopo l’altro.
10 Tutti eduee soprattutto il petroliocorrevamo un reale6
niente.] niente. [E neppure leggevo. Libri non neavevo] 7 al fianco] [in mano] alfianco 8 petrolio] petrolio [e cosìscavai un buco in un angolo della capanna e là conservai il petrolio] 9petrolio] petrolio [e questo causava la perdita diparecchio combustibile. Ma io lo sostituivoampiamentein quanto io]
10 dopol’altro.] dopo l’altro. [Eravamo realmente in pericoloio salvai noi e ilmio petrolio in questomodo]8
pericoloio salvai la situazione
11 stringendoloal collo finché ebbe lasciatocadere tutti i cerini.
Nelle ore libere pensavo spesso a come organizzarmi per l’inverno. Se
già oranella stagione caldami sentivo gelare - e la gente diceva che da
molti anni non faceva così caldo - quando fosse giunto l’inverno me lasarei
cavata molto male. Che avessi accumulato il petrolio era stata solo una
bizzarriaavrei dovuto ragionevolmente mettere da parte per l’inverno
parecchie cose; non c’era dubbio alcuno che la società non si sarebbe data
particolare cura di mema io ero troppo incoscienteo per dir meglio non
ero incosciente ma mi curavo troppo poco di me stesso per darmi molto da
fare in questo senso. Ora nella stagione calda le cose andavano
passabilmentelasciai tutto com’era e non intrapresi nulla.
Una delle possibilità
12 che miavevano attirato in questa stazione era laprospettiva di praticare la caccia. Mi avevano detto che i dintorni erano
straordinariamente ricchi di cacciagionee avevo già prenotato un’armache
volevo farmi mandare appena avessi risparmiato un po’ di soldi. Ma ora era
risultato che di selvaggina da cacciare non c’era l’ombraqui sipotevano
incontrare solo lupi e orsibenché nei primi mesi non ne vedessi neppure
unoe inoltre c’erano qui dei ratti veramente enormi che potei osservare
subito mentrecome spinti dal ventocorrevano in massa sopra la steppa.
Invece la selvaggina in cui speravo non c’era affatto. Non si trattava diuna
indicazione sbagliatai dintorni ricchi di selvaggina c’erano veramentesolo
si trovavano a tre di giorni di viaggio-
13 nonavevo riflettuto che in questeregioniche si estendono disabitate per centinaia di chilometrile
indicazioni dei luoghi devono per forza essere imprecise. In ogni caso ora
non avevo bisogno dell’arma e potevo usare il denaro per qualcos’altro;per
l’inverno però dovevo comunque procurarmi un’arma e a questo scopo
mettevo regolarmente una somma da parte. Per i rattiche di tanto in tanto
attaccavano il mio cibobastava il mio lungo coltello. Nei primi tempi
quando ancora consideravo tutto con curiositàinfilzai una volta uno di
questi ratti e lo tenni davanti a me sul muro all’altezza degli occhi. Gli
animali più piccoli si possono vedere bene solo avendoli all’altezza degli
occhi; quando ci si piega a terra verso di loro e li si osserva laggiùsene
ottiene un’immagine falsa e incompleta. La cosa più curiosa in questiratti
erano gli artigligrandiun po’ incavati ma appuntiti in cimaeranomolto
adatti per scavare. Nel suo ultimo spasimoil ratto sul muro davanti a me
allargò e irrigidì gli artiglisi sarebbe detto contro la loro naturaviventeed
11
situazione] situazione [scaraventandolo sulla pancacon un colpoal quale iose fossi stato al suopostodifficilmente sarei sopravvissuto.]
12 Unadelle possibilità] [Prima del mio arrivo in questa stazione] Una dellepossibilità 13 viaggio-] viaggio- [laggiù c’erano addirittura due laghi]9erano simili a una piccola mano che si allunga verso qualcuno. In generale
questi animali mi davano poco fastidiosolo di notte ogni tanto mi
svegliavano quandocorrendo rumorosamente sul pavimento durofilavano
via oltre la capanna.
14 Se allorami mettevo a sedere e accedevo unacandelain qualche buco sotto le assi degli stipiti potevo vedere il lavoro
febbrile degli artigli di un rattoche si infilavano nel buco dal di fuori.Era
un lavoro del tutto inutileperché per procurarsi un buco sufficienteavrebbe
dovuto lavorare per giorni interimentre fuggiva già alle prime luci del
giornoe tuttavia lavorava come un lavoratore che conosce il suo obiettivo.
E il lavoro era buonosotto il suo scavare volavano via pezzetti di terra
magari microscopicima l’artiglio non si allungava mai senza risultato.
Spesso nella notte stavo a guardare a lungofinché la regolarità e la
tranquillità dello spettacolo mi cullavano nel sonno. Allora non avevo piùla
forza di spegnere la candelache ancora per un po’ illuminava il ratto al
lavoro. Una voltain una notte caldasentendo di nuovo lavorare gliartigli
mi avvicinai con prudenza senza accendere luciper vedere proprio
l’animale. Questi aveva piegato molto in basso la testa dal muso aguzzo
quasi spingendola fra le zampette anteriori per avvicinarsi il più possibileal
legno e spingere il più profondamente possibile gli artigli sotto il legno.Si
sarebbe potuto credere che qualcuno nella capanna tenesse saldi gli artigli
per tirare dentro tutto l’animaletanta era la tensione. Eppuretutto eragià
finito dopo un calciocon il quale stesi morto l’animale. Del tuttosveglio
non potevo permettere che si attaccasse la capannache era il mio unico
possesso.
Per assicurare la capanna contro i rattitappai tutti i buchi con paglia e
stoppae ogni mattino controllavo il terreno intorno. Avevo in mente poi di
coprire il pavimento della capannafino ad allora di semplice terra battuta
con delle assi di legnocosa che sarebbe anche stata utile per l’inverno.Un
contadino di nome Jekozdal villaggio più vicinomi aveva promesso da
tempo che avrebbe portato a questo scopo delle belle assi asciutteper
questa promessa lo avevo anche ospitato diverse voltenon restava mai via
lungo tempoma veniva ogni due settimanee a volte faceva anche
spedizioni attraverso la ferroviama non mi portò le assi. Si scusava di
questo in molti modiper lo più affermando di essere troppo vecchio per
trascinare un simile peso e che suo figlioche avrebbe portato le assiera
occupato nei campi. Jekoz diceva di essere molto oltre la settantinae anche
il suo aspetto lo confermavaperò era un uomo alto e ancora molto forte.
Inoltre cambiava le sue giustificazionie un’altra volta parlò delladifficoltà
di procurarsi assi così lunghe come io avevo bisogno. Io non insisteileassi
1
10non mi erano indispensabiliJekoz stesso mi aveva dato l’idea di ricoprire
il pavimentoforse una simile copertura non era neppure vantaggiosa
insommapotevo stare a sentire tranquillo le bugie del vecchio. Tutte le
volte il mio saluto era: «Le assiJekoz!»
15 Subitocominciavano allorainun linguaggio mezzo balbettantele giustificazionimi sentivo chiamare
ispettore o capitanoo anche solo telegrafista
16 miprometteva non solo diportare le assi la prossima voltama di demolire con l’aiuto del figlio edi
alcuni vicini tutta la mia capanna per costruire una abitazione solida al suo
posto. Io lo stavo a sentirefinché mi stancavo e lo spingevo fuori. Ancora
sulla porta tuttavia alzava per chiedere scusa le braccia apparentementecosì
debolicon le quali in realtà avrebbe potuto schiacciare un adulto. Iosapevo
perché non portava le assipensava cheavvicinandosi l’invernone avrei
avuto un bisogno più urgente e le avrei pagate meglioinoltre lui stesso
finché non mi forniva le assiaveva un maggior valore ai miei occhi.
Naturalmente non era uno stupido e sapeva che intuivo i suoi pensierima
vedeva per sé un vantaggio nel fatto che io non sfruttavo quel che intuivoe
quel vantaggio voleva conservarlo.
Ma tutti i preparativi che facevo per proteggermi dagli animali e
premunirmi per l’inverno dovettero interrompersi perché - già siavvicinava
la fine del mio primo trimestre di lavoro - mi ammalai gravemente. Fino ad
alloraper anniero rimasto indenne da ogni malattia e anche dal più
leggero malesserequesta volta però mi ammalai. Cominciò con una forte
tosse. A circa due ore dalla stazioneverso l’internoc’era un piccolo
torrente dove ero solito prendere la mia riserva d’acquamettendola in un
barile sopra una carriola. Laggiù facevo spesso anche il bagnoe la tossene
fu una conseguenza. Gli attacchi di tosse erano talmente forti che tossendo
dovevo piegarmi in duecredevo di non poter resistere alla tosse se non mi
piegavo raccogliendo così tutte le forze. Pensavo che il personale del treno
si sarebbe spaventato di quella tossema loro la conoscevano e la
chiamavano la tosse del lupo. Da allora cominciai a sentirenella tosse
l’ululato. Sedevo sulla panchina nella capanna e ululando salutavo l’arrivo
del trenoululando ne accompagnavo la partenza. Di notte mi inginocchiavo
sulla panca anziché stare sdraiatoe premevo il viso
17nelle pelli perrisparmiarmi almeno di udire l’ululato.
18 Aspettavoteso che la rottura diqualche vaso più importante ponesse fine a tutto. Ma non successe niente
15
Jekoz!»] Jekoz!» [E a questo lui rispondeva: «Nonancorasignor ispettorenon ancora»] 16 telegrafista]telegrafista[titolo che gli sembrava particolarmente alto] 17viso] viso [sul nudo legno] 18 l’ululato.]l’ululato. [Durante tutto ciò non mi abbandonava mai la paura che]4capanna.] capanna. [Che entrassero animali nella capannacosa a me assai sgraditaio dovevo]11
del genere e in alcuni giorni la tosse era addirittura sparita.
19Restò però unafebbreche non passò.
Questa febbre mi rese molto stancopersi ogni capacità di resistenza
succedeva a volte che del tutto inaspettatamente la fronte mi si coprisse di
sudoreallora tremavo in tutto il corpo
20 eovunque mi trovassi dovevomettermi sdraiato e aspettarefinché mi ritornassero i sensi.
2119
sparita.] sparita. [Esiste un tè che può guarirlae che un conducente di locomotiva mi promise diportarmispiegandomi però che bisognava berlo solo all’ottavo giorno dopol’inizio della tosse
altrimenti non recava alcun giovamento. All’ottavo giorno me lo portòveramentee mi ricordo come
oltre il personale del trenoanche due passeggerigiovani contadinientrarono nella mia capanna
perché udire il primo colpo di tosse dopo il tè è segno di buon augurio.Lo bevvitossii ancora il primo
sorso sulla faccia degli astantima poi sentii davvero subito unmiglioramentoanche se per la verità la
tosse era già divenuta più debole negli ultimi due giorni.]
20corpo] corpo [come un ottantenne] 21sensi.] sensi. [Mi rendevo ben conto che non andavomigliorandobensì peggiorandoe che eraassolutamente indispensabile per me andare a Kalda e rimanere là un paio digiorni finché il mio stato
migliorasse.]12
[Dalla serie «Jeder Mensch ist eigentümlich»agosto 1916:]
La capanna del cacciatore non era lontana dalla capanna dei legnaioli. I
legnaiolidodiciabitavano làora che c’era buona neveper preparare i
tronchi che di giorno venivano trasportati nella valle dalle slitte. C’era
molto da farema ai lavoratori non sarebbe sembrato troppo se solo
avessero dato loro birra a sufficienza. Invece avevano solo un barilotto di
medie dimensioni che dovevano suddividere fra loro per una settimanaun
compito impossibile. Di questo si lamentavano sempre con il cacciatore
quando questi la sera li andava a trovare. «Avete una vita dura»diceva il
cacciatore annuendo e loro versavano nel suo cuore i loro lamenti.
La capanna del cacciatore giace abbandonata nel bosco di montagna. Là
egli vive durante l’inverno con i suoi cinque cani. Come è lungo l’inverno
in questo paese! Si potrebbe quasi dire che dura una vita intera.
Il cacciatore è di buon umorenon gli manca niente di essenzialedelle
privazioni non si lamentapensa anzi di essere fin troppo ben attrezzato.
«Se venisse da me un cacciatore»pensa«e vedesse il mio arredamento e
le mie provvistesarebbe la fine di ogni caccia. Ma non è ugualmente la
fine? Non ci sono cacciatori.»
Va in un angolo dai caniche dormono su copertecoperti da coperte. Il
sonno dei cani da caccia. Non dormonosolo aspettano la caccia e questo ha
l’aspetto di un sonno.
13In soffitta
[Quaderno in ottavo Ametà dicembre 1916:]
I bambini avevano un segreto. In un angolo nascosto della soffittain
mezzo al ciarpame di un intero secolodove
22 nessunadulto avrebbe piùpotuto farsi stradaHansil figlio dell’avvocatoaveva scoperto un
estraneo.
23 Stava seduto su unbaule che era appoggiato per lungo allaparete. Quando vide Hansil suo viso non mostrò paura o stuporema solo
apatiacon sguardo limpido
24 ricambiòlo sguardo di Hans. In testa avevaben calcato un grande berretto rotondo di agnello. Dei folti baffi si
estendevano rigidi da un lato e dall’altro del volto. Era avvolto in unampio
mantello brunotenuto stretto da una cinghia robusta che ricordava il
finimento di un cavallo. Sul petto portava una corta sciabola curva in una
guaina che riluceva debolmente. I piedi erano infilati in stivali a gambale
muniti di speroniun piede era posato su una bottiglia di vino rovesciata
l’altro era ritto sul pavimentoil calcagno e lo sperone conficcati nellegno.
«Via»gridò Hans quando l’uomo allungò lentamente la mano per
afferrarlocorse lontano nelle parti di soffitta costruite più di recente esi
fermò solo quando la biancheria stesa là ad asciugare lo colpìumidain
viso. Subito dopoperòtornò indietro. Con il labbro inferiore piegato
nell’espressione di un certo disprezzol’estraneo era seduto là e nonsi
muoveva. Strisciando guardingo in avantiHans verificò che una tale
immobilità non fosse un’astuzia. Ma l’estraneo sembrava non avesse
davvero nessuna cattiva intenzionestava lì seduto tutto fiaccoe per pura
fiacchezza la sua testa sembrava appena muoversi. CosìHans trovò il
coraggio di spostare un vecchio e bucherellato coperchio di stufa che ancora
lo separava dall’estraneodi avvicinarsi e infine addirittura di toccarlo.
«Come sei polveroso!» disse con stupore ritraendo la mano che si era
sporcata di nero. «Sìpolveroso»disse l’estraneoe nient’altro.Aveva uno
strano accentoHans capiva le parole solo nell’eco. «Io mi chiamo Hans»
disse«il figlio dell’avvocato e ora dimmi come ti chiami tu.» «Ecco»
22
dove] dove [nessuna donna delle pulizie siavventurava più] 23 estraneo.]estraneo. [Come già altre voltequando Hans da suo padre] 24limpido] limpido [che si voltava lentamente]14disse l’estraneo«anch’io mi chiamo HansHans Schlagsono uncacciatore
del Baden e vengo da Ko ßgarten sul Neckar. Storie vecchie.»
25Il dissidioche c’era sempre stato fra Hans e suo padredopo la morte
della madre era diventato così asproche Hans abbandonò il negozio del
padrese ne andò all’esteroaccettò quasi alla cieca un piccolo impiegoche
laggiù gli avevano offerto e cancellò ogni legame con il padresiaepistolare
che attraverso conoscenticon un tale successoche venne a sapere della
sua morteavvenuta per un attacco cardiaco circa due anni dopo la sua
partenzasolo attraverso la lettera dell’avvocato
26il quale lo si informavadell’eredità. Hans era designato erede universalema l’eredità eratanto
appesantita da debiti e lasciti checome poté osservare già a unavalutazione
superficialenon gli sarebbe rimasto molto di più della abitazione paterna.
Non era molto: una vecchia e semplice costruzione a un pianoma Hans
teneva molto alla casainoltre dopo la morte del padre non c’era piùnulla
che lo trattenesse all’esteroma anzi il disbrigo delle pratiche dieredità
richiedeva urgentemente la sua presenzaperciò sciolse subito i suoi
impegnicosa che non gli fu difficilee tornò a casa. Era una serainoltrata
di dicembretutto era immerso nella nevequando Hans arrivò davanti alla
casa paterna. L’amministratoreche lo aveva aspettatouscì dal portone
appoggiandosi alla figliaera un fragile vecchio che già aveva servito il
nonno di Hans. Si salutaronobenché senza grande cordialitàperché Hans
aveva sempre visto nell’amministratore lo stupido tiranno della propria
infanziae l’umiltà con cui ora costui gli si avvicinava gli risultavapenosa.
Disse alla figliache portava il suo bagaglio seguendolo sulla scala ripidae
strettache non sarebbe cambiato nulla nella situazione e nello stipendio di
suo padreindipendentemente dal lascito che gli era stato accordato. Fra le
25
Storie vecchie.»] Storie vecchie.» [«Sei uncacciatore? Vai a caccia?» chiese Hans. «Ahsei ancoraun ragazzino» disse l’estraneo «e poi perché spalanchi tanto la boccaquando parli» Questo difetto lo
notava sempre anche l’avvocatoma da parte del cacciatoreche parlava inmodo appena comprensibile
e al quale lo spalancare la bocca poteva semmai essere raccomandatoun talerimprovero era certo
inopportuno.]
26 dell’avvocato]dell’avvocato [che suo padre aveva nominato esecutore testamentario. Hans eraproprio dietro la vetrina del negozio di tessuti dove lavorava come aiutantee contemplava la pioggia
sulla piazza circolare della piccola cittadina di campagnaquando dallachiesa arrivò il portalettere.
Alla padronache sedeva nel retro del {negoziocancellato e nonsostituit
o} su una sedia imbottitapesante nei movimenti e sempre scontentail portalettere consegnò lalettera e se ne andò. {Per qualche
motivo il suono debole e usuale del campanello colpì Hansche alzò losguardo e vide che la padrona
avvicinava alla busta il suo volto peloso e fasciato di panni neri. In casidel genere Hans aveva
l’impressione che la lingua le si sarebbe srotolata fuori della bocca eanziché leggere avrebbe
cominciato a leccare come un cane
.} Il campanello dellaporta suonò debolmente e la padrona disse:C’è una lettera per lei. «No» disse H. e non si mosse dalla vetrina.«Hanslei è un uomo strano» disse
la donna «qui c’è scritto chiaramente il suo nome.»]
15
lacrimela figlia lo ringraziòconfessando che con ciò Hans eliminava la
principale preoccupazione chedalla morte del povero signorequasi non
consentiva a suo padre di dormire la notte. Un tale ringraziamento fece
prendere coscienza a Hans di quali fastidi nascevano per lui dall’ereditàe
quanti ne sarebbero ancora nati.
27 Tantopiù si rallegrò al pensiero dirimanere solo nella sua vecchia stanzettae pregustando questo piacere
accarezzò leggermente il gatto checome primo ricordo sereno dei tempi
andatigli scivolò vicino in tutta la sua lunghezza. Hans però non fu
condotto alla sua stanzache in base alle sue disposizioni epistolariavrebbe
dovuto essere preparata per lui al suo arrivoma nella vecchia camera da
letto di suo padre. Chiese perché accadesse questo. La ragazzaancora con
il fiatone per aver portato il bagagliogli stava di frontein quei dueanni era
diventata alta e fortee il suo sguardo era straordinariamente limpido.
Chiese scusa. Spiegò che nella stanza di Hans si era stabilito suo zio
Theodore che non si era voluto disturbare il vecchio signoreanche perché
questa stanza era pur sempre più grande e anche più comoda. Che zio
Theodor abitasse in casa era per Hans una novità.
27
nati.] nati. [Per il resto era una conseguenzanaturale]16Il cacciatore Gracco
[Quaderno in ottavo Bfine dicembre 1916:]
Due ragazzi sedevano sul muretto del molo e giocavano a dadi. Un uomo
leggeva una rivista sui gradini di un monumento all’ombra dell’eroe che
brandiva la sciabola. Una ragazza alla fontana riempiva d’acqua il suo
mastello. Un fruttivendolo stava accanto alla sua merce guardando verso il
lago. In fondo a una bettolaattraverso porte e finestre vuotesi vedevano
due uomini con del vino. L’oste sonnecchiava davantiseduto a un tavolo.
Un battello scivolò silenziosocome se fosse trainatodentro il piccolo
porto. Un uomo vestito di una casacca blu saltò a terra e tirò le funi
attraverso gli anelli. Altri due uominiin giacca scura con bottoni d’argento
portavano dietro al capitano una bara su cui evidentemente giaceva un
uomosotto un grande telo di seta ornato di fiori e di frange. Sul molo
nessuno si curò dei nuovi arrivatineppure quando posarono la bara per
aspettare il capitanoche era ancora affaccendato con le funinessuno si
avvicinònessuno rivolse loro domandenessuno li osservò più
attentamente. Il capitano fu trattenuto ancora un poco da una donna checon
un bambino al seno e i capelli scioltiappariva ora sul ponte. Infinegiunse
accennò a una casa giallastra a due piani che lì vicinoa sinistrasialzava
verticale non lontano dall’acquai portatori sollevarono il peso e lo
trasportarono attraverso il portale basso ma formato da sottili colonne. Un
ragazzino aprì una finestrafece in tempo a notare come il gruppo
scomparisse nella casa e richiuse in fretta. Anche il portale ora venne
chiusoera ben costruito con pesante legno di quercia. Uno stormo di
colombe che finora aveva volato intorno al campanile si posò sulla piazza
davanti alla casa. Una di esse volò fino al primo piano e picchiettò sulvetro
della finestra. Erano uccelli di colore chiarovivaci e ben nutriti. Con
grande slanciola donna dalla barca gettò loro del granogli uccelli lo
raccolsero e volarono verso di lei. Un uomo anziano con cilindro e fasciato
a lutto scese lungo una delle stradine sottili in forte pendenza che
conducevano al porto. Si guardava intorno con attenzionetutto lo turbava
la vista di immondizia in un angolo gli piegò il viso in una smorfiasui
gradini del monumento c’erano bucce di fruttaegli le spinse giùpassando
con il bastone. Giunto al portale con colonnebussòtogliendosi al
17contempo il cilindro con la destra guantata di nero. Il portone si aprì
immediatamentealmeno cinquanta ragazzini formavano una fila nel lungo
corridoioinchinandosi. Il capitano scese le scalesalutò il signorelo
condusse di sopraal primo piano fece con lui il giro del cortile circondato
da logge slanciateed entrambi entraronomentre i ragazzi si affollavano a
rispettosa distanzain un grande ambiente fresco nel retro della casadi
fronte al quale si ergeva non un’altra casama solo una nuda parete diroccia
nerastra. I portatori erano impegnati ad alzare e accendere alcune lunghe
candele alla testa della bara; non per questo si ottenne lucema solo furono
snidate le ombre che prima riposavanoe ora ondeggiavano sulle pareti. Il
telo era stato rimosso dalla bara. Giaceva là un uomo con barba e capelli
cresciuti disordinatamente insiemepelle abbronzatadi aspetto simile a un
cacciatore. Giaceva immobileapparentemente senza respirarecon gli
occhi chiusituttavia solo le circostanze inducevano a pensare che potesse
trattarsi di un morto.
Il signore si avvicinò alla barapose una mano sulla fronte dell’uomo
distesoquindi si inginocchiò e pregò. Il capitano fece un cenno aiportatori
perché lasciassero la stanzaquelli uscironocacciarono i ragazzi che si
erano affollati là fuori e chiusero la porta. Ma al signore questa quiete
sembrò ancora insufficienteguardò il capitanoquesti capì e attraversouna
porta laterale passò nella stanza adiacente. Subito l’uomo nella baraaprì gli
occhicon un sorriso doloroso volse il capo al signore e disse: «Chi sei?»Il
signoresenza stupore apparentesi alzò dalla sua posizione inginocchiatae
rispose: «Il sindaco di Riva.» L’uomo nella bara fece un cennoindicòuna
sedia con il braccio debolmente alzato e dissedopo che il sindaco aveva
accolto il suo invito: «Naturalmentesignor sindacolo sapevo giàma nel
primo momento dimentico sempre tuttotutto mi gira intorno ed è meglio
che io chiedaanche quando so già tutto. Probabilmente anche lei sa che io
sono il cacciatore Gracco.» «Certo»disse il sindaco«lei mi è stato
annunciato stanotte. Dormivamo da parecchioquando verso mezzanotte
mia moglie esclama: “Salvatore” - così mi chiamo - “guarda la colomba
alla finestra”. C’era in effetti una colombama grande come un gallo. Miè
volata all’orecchio e ha detto: “Domani verrà il morto cacciatoreGracco
accoglilo in nome della città.”» Il cacciatore fece un cenno e passò lapunta
della lingua fra le labbra: «Sìle colombe mi precedono in volo. Ma lei
signor sindacocrede che io debba fermarmi a Riva?» «Questo non posso
ancora dirlo»rispose il sindaco. «Lei è morto?» «Sì»disse ilcacciatore
«come lei può notare. Molti anni faora devono proprio essere moltissimi
anninella Foresta Nerache è in Germaniaprecipitai da una roccia mentre
inseguivo un camoscio. Da allora sono morto.» «Eppure lei è anche vivo?»
18disse il sindaco. «In un certo senso»disse il cacciatore«in un certosenso
sono anche vivo. La mia barca funebre ha sbagliato stradaun falso
movimento del timoneun attimo di disattenzione del conducenteuna
deviazione nella mia meravigliosa patrianon so che cosa fusolo questo so
che sono rimasto sulla terra e da allora la mia barca viaggia sulle acque
terrene. Così ioche avrei voluto vivere solo sui miei montiviaggio dopo
la mia morte in tutti i paesi della terra.»
28 «Enon ha parte alcunadell’aldilà?» domandò il sindaco con la fronte aggrottata. «Sono sempre
sulla grande scala che porta lassù» rispose il cacciatore«su questa
gradinata infinitamente ampia io mi aggiroora su ora giùora a destra oraa
sinistrasempre in movimento.
29 Mase prendo uno slancio decisivo versol’altoe già la porta mi risplende lassùallora mi risveglio nella miavecchia
barcache ristagna desolata in qualche acqua terrestre. L’errore di fondo
della mia morte di un tempo mi deride nella mia cabinaJuliala moglie del
capitanomi porta alla mia bara la bevanda mattutina del paese la cui costa
stiamo attraversando.» «Un brutto destino»disse il sindaco con la mano
alzata come per difendersi. «E lei non ne ha colpa?» «Nessuna»disse il
cacciatore«ero un cacciatore
30 forse è una colpa questa? Praticavo lacaccia nella Foresta Neradove a quei tempi c’erano anche i lupi. Tendevo
agguatitiravocolpivoscuoiavoè forse una colpa? Il mio lavoro era
benedetto. Mi chiamavano il grande cacciatore della Foresta Nera. E’ forse
una colpa?
31 » «Non è compitomio deciderlo»disse il sindaco«ma 32neppure a me tutto questo sembra una colpa. Ma allora di chi è la colpa?»
«Del barcaiolo»disse il cacciatore
«E ora
33 lei pensa di rimanereda noi a Riva?» chiese il sindaco. «Io nonpenso»disse il cacciatore sorridendoe per attenuare lo scherzo pose la
mano sul ginocchio del sindaco. «Io sono quialtro non soaltro non posso
fare. La mia barca è senza timoneviaggia con il vento che soffia nelle
regioni più basse della morte.»
Io sono il cacciatore Graccola mia patria è la Foresta Nera in Germania.
Nessuno leggerà ciò che io scrivo qui; nessuno verrà ad aiutarmi; se fosse
stabilito come compito di aiutarmiallora tutte le porte di tutte le case
28
terra».] terra». [«E’ un grande onore per noi»disse il sindaco] 29 in movimento.]in movimento[il cacciatore è diventato una farfalla. Non rida.» «Non storidendo»protestò il sindaco. «Molto prudente» disse il cacciatore «molti ridono].
30 ero un cacciatore] [dev’essereavvenuto come ho detto] ero un cacciatore 31 colpa?]colpa? [A Sant’Ubaldo ho costruito una cappella.] 32 ma][tuttavia posso chiederlo al parrocone abbiamo uno anche qui] ma 33E ora] [«Straordinario» disse il sindaco«straordinario] E ora19rimarrebbero chiusetutte le finestre chiusetutti sarebbero nei loroletti
con le coperte gettate sulla testatutta la terra sarebbe un dormitorio.Ciò è
ben comprensibileperché nessuno sa di mee se qualcuno sapesse non
saprebbe però dove abitoe se sapesse dove abito non saprebbe però
trattenermi làe se sapesse trattenermi là non saprebbe però come venirmi
in aiuto. Il pensiero di volermi aiutare è una malattia e deve essere curataa
letto.
Questo io lo so e dunque non scrivo per procurarmi un aiutosebbene in
certi momenti in cui non mi controllocome per esempio proprio orami
viene da pensarci con forza. Ma per cacciare simili pensieri basta che io mi
guardi intorno e mi rammenti dove sono e dove abito - posso ben dirlo - da
secoli. Mentre scrivo tutto questo sono sdraiato su una panca di legno
indosso - non è un piacere vedermi - una camicia funebre sporcacapelli e
barbagrigi e nericrescono insieme inestricabilile mie gambe sono
coperte da un telo da donna di setaornato di fiori e frange. Alla mia testasi
trova una candela da chiesa che mi fa luce. Sul muro davanti a me c’è un
piccolo quadroevidentemente un boscimanoche con una lancia prende la
mira su di me e per quanto può si copre dietro uno scudo grandiosamente
decorato. Sulle navi si trovano spesso quadri stupidima questo è uno dei
più stupidi. Per il resto la mia gabbia di legno è completamente vuota.
Attraverso un oblò della parete laterale arriva l’aria calda della notte
meridionale e ascolto l’acqua che batte contro la vecchia barca.
Qui io giaccio da alloraquandomentre ero ancora il vivo cacciatore
Graccoprecipitai inseguendo un camoscio nella patria Foresta Nera. Tutto
andava secondo l’ordine delle cose. Io inseguivoprecipitaimi dissanguai
in una scarpatamorii e questa barca doveva trasportarmi nell’aldilà.
Ricordo ancora con quanta felicità mi sono sdraiato per la prima volta su
questa pancai monti non avevano ancora mai udito da me un canto come
quello che udivano queste quattro paretiallora ancora al crepuscolo
34.Volentieri ero vissuto e volentieri ero mortoprima di salire a bordo lieto
gettai via da me l’impiccio del fuciledella borsa e della veste da cacciache
sempre avevo portato con orgoglioed entrai nella camicia funebre come
una fanciulla nella veste nuziale
35 .Giacevo qui e aspettavo.Allora avvenne
[Quaderno in ottavo Dmarzo-aprile 1917:]
34
crepuscolo.] crepuscolo. [Ero un buon cacciatorebenedetto dalla fortunafelice nelle foreste] 35 nuziale][per la danza] nuziale20«Come sarebbecacciatore Graccotu viaggi da secoli in questa vecchia
barca?»
«Già da cinquecento anni.»
«E sempre in questa nave?»
«Sempre in questa barca. Barca è il nome giusto. Non ti intendi di navi
vero?»
«Noè solo da oggi che me ne occupoda quando so di teda quando
sono salito sulla tua nave.»
«Non devi scusarti. Anch’io vengo dall’interno. Non ero un marinaioné
volevo diventarlomonti e foreste erano la mia felicitàe ora - il piùanziano
viaggiatore sul mareil cacciatore Gracco protettore dei marinaiil
cacciatore Gracco implorato dal mozzo che si torce le mani sulla coffa
angosciato nella notte di tempesta. Non ridere.»
«Ridere io? No davvero. Con il cuore in tumulto stavo davanti alla porta
della tua cabinacon il cuore in tumulto sono entrato. I tuoi modi
amichevoli mi tranquillizzano un pocoma non dimenticherò mai di chi
sono ospite.»
«Certohai ragione. Ad ogni modoio sono il cacciatore Gracco. Perché
non assaggi un po’ di vinonon conosco la marcama è dolce e forteilcapo
mi tratta bene.»
«Ora noti pregosono troppo agitato. Forse più tardise mi sopporterai
ancora qui
36 . Chi è il capo?»«Il proprietario della barca. Questi capi a dire il vero sono persone
eccellenti. Io però non li capisco. Non mi riferisco alla loro linguaanchese
naturalmente spesso non capisco neppure quella. Ma questo è collaterale.
Ho imparato abbastanza lingue nel corso dei secolie potrei fare da
interprete fra gli antenati e i contemporanei. Quello che non capisco dei
capi è il loro modo di pensare. Forse tu puoi spiegarmelo.»
«Non ho molta speranza. Come potrei spiegare qualcosa a tedavanti a te
sono solo un bambino che balbetta.»
«Non fare cosìte lo dico una volta per tutte. Mi farai un piacere se ti
comporterai in modo un po’ più virileun po’ più sicuro di te. Che mene
faccio di avere per ospite un’ombra. Piuttosto lo soffio via sul mare
attraverso l’oblò. Ho bisogno di diverse spiegazioni. Tu che te ne vai in
giro là fuori puoi darmele. Ma se ciondoli qui intorno al mio tavolo e
ingannandoti dimentichi quel poco che saiallora puoi anche levarti subito
di torno. Io non ho peli sulla lingua.»
«C’è qualcosa di giusto in quel che dici. In effetti per certi versi ioti
sono superiore. Cercherò di dominarmi. Fammi la domanda.»
36
qui.] qui. [D’altrondenon ho neppure il coraggiodi bere dal tuo bicchiere.]21«Megliomolto meglio se esageri in questa direzione e ti immagini una
qualche superiorità. Devi solo capirmi per bene. Io sono un uomo come te
solo più impaziente di quel paio di secoli di cui sono più anziano. Allora
volevamo parlare dei capi. Fai attenzione. E bevi un po’ di vino per
aguzzarti il cervello. Senza paura. Forza. Ne abbiamo ancora una nave
intera.»
«Graccoè un vino eccellente. Viva il capo.»
«Peccato che sia morto proprio oggi. Era un brav’uomo e se n’è andato
in pace. Giudiziosi ragazzi ormai cresciuti stavano al suo letto di morteai
suoi piedi la moglie ha perso i sensima il suo ultimo pensiero lo ha
dedicato a me. Era un brav’uomodi Amburgo.»
«Santo cielodi Amburgoe tu qui al sud sai che è morto oggi.»
«Comenon dovrei sapere quando muore il mio capo? Sei proprio un
sempliciotto.»
«Vuoi offendermi?»
«Noniente affattonon lo faccio apposta. Tu però devi stupirti di meno
e bere di più. Con i capi la cosa sta nei seguenti termini: in originelabarca
non apparteneva a nessuno.»
«Graccouna preghiera. Prima di tutto dimmi in modo succinto ma
coerente come stanno le cose riguardo a te. Ti confesso la verità: non ne so
niente. Per te naturalmente si tratta di cose evidentie come fai di solitone
presupponi la conoscenza nel mondo intero. Ora però in una breve vita
umana - perché la vita è breveGraccocerca di capirlo - in questa breve
vita dunque si è già fin troppo impegnati a innalzare se stessi e lapropria
famiglia. E per quanto il cacciatore Gracco sia interessante - e questa è
convinzionenon piaggeria - non si ha tempo per pensare a luiinformarsi di
lui e neppure per preoccuparsi di lui. Forse sul letto di mortecome il tuo
amburghesequesto non lo so. Forse in quel momento un uomo diligente ha
per la prima volta il tempo di distendersi e allora il verde cacciatoreGracco
sfiora finalmente i suoi pensieri oziosi. Ma altrimenticome ho detto: io
non sapevo niente di tesono qui nel porto a motivo dei miei affarihovisto
la barcala passerella era lì davantisono salito - ma ora vorrei sapere
qualcosa che ti riguardi.»
«Ahche mi riguardi. Storie vecchievecchie. Tutti i libri ne sono pieni
in tutte le scuole gli insegnanti le disegnano alla lavagnala madre nesogna
mentre il bambino si nutre al seno - e
37 tustai qui seduto e mi chiediqualcosa che mi riguardi. Devi aver proprio bruciato la tua gioventù.»
37
al seno - e] al seno[si bisbigliano durante gliabbraccii commercianti le dicono ai loro clientiisoldati le cantano durante la marciail predicatore le proclama in chiesagli storici nelle loro stanzette
contemplano a bocca aperta ciò che è avvenuto da lungo tempo e lodescrivono senza sostasono
stampate sulle riviste e il popolo se le passa di mano in manoil telefonoè stato inventato perché girino22
«Può esseresuccede a tutte le gioventù. Però credo che ti sarebbe assai
utile se tu per una volta ti guardassi un po’ intorno nel mondo. Per quanto
possa sembrarti comicoe io stesso in questo luogo quasi me ne stupiscotu
non sei l’oggetto delle chiacchiere cittadinedi quante cose si possaparlare
tu non sei fra quelleil mondo va per il suo corso e tu per il tuo viaggioma
mai finora mi sono accorto che vi siate incrociati.»
«Questecaro miosono osservazioni tuealtri ne avranno fatte di
diverse. Qui ci sono solo due possibilità. O tu stai tacendo quel che sai di
me per qualche tua definita intenzionee allora ti dico francamente: sei su
una strada sbagliata. Oppure davvero credi di non ricordarti di me perché
confondi la mia storia con un’altra. E allora ti dico: io sono - nononposso
tutti lo sanno e proprio io dovrei raccontartelo! E’ passato tanto tempo.
Chiedilo agli storici! Nella loro stanzetta guardano a bocca aperta ciò cheè
accaduto da tanto tempo e lo descrivono senza sosta. Vai da loro e poi
ritorna. E’ passato tanto tempo. Come posso conservarlo in questo cervello
così stracolmo.»
38«AspettaGraccovoglio aiutartiti farò delle domande. Da dove vieni?»
«Dalla Foresta Neracome tutti sanno.»
«Naturalmentedalla Foresta Nera. E così hai cacciato laggiù nel quarto
secolo.»
«Senticonosci la Foresta Nera?»
«No.»
«Ma non conosci proprio niente. Il bambino del timoniere sa più di te
ma davveromolto di più. Ma chi ti ha fatto entrare. E’ proprio undestino.
La tua modestia iniziale era davvero fin troppo ben fondata. Sei un nulla
che io sto riempiendo di vino. Ora viene fuori che non conosci neppure la
Foresta Nera.
39 Io ho cacciatolaggiù fino all’età di venticinque anni. Se ilcamoscio non mi avesse attirato - eccoora lo sai - avrei avuto una lunga e
bella vita di cacciatorema il camoscio mi ha attiratosono precipitato emi
sono sfracellato sui sassi. Non farmi più domande. Qui io stomortomorto
morto. Non so perché sono qui. Fui caricato sulla barca funebrecome si
il mondo più velocile si estrae dalle città sepolte e con loro l’ascensorecorre alla vetta dei grattacielii
viaggiatori sui treni le annunciano dai finestrini ai paesi che attraversanoma ancor prima le foreste
gliele urlano controsi possono leggere nelle stelle e i mari lerispecchianoi torrenti le trasportano giù
dalle montagne e la neve le riporta sulle vette. - E]
38stracolmo.».] stracolmo». [«Fai come vuoi. Ora avrestiavuto una buona opportunità di dirmelo. Indue parole. Siamo sedutida amicicon del vino. Sarebbe un’opportunità.Ma se me ne andrònon
tornerò più. Quest’ora sola era dedicata a te.»]
39Foresta Nera.] Foresta Nera. [E tu da dove vieni?»«Dalla Boemia. E tu a tua volta non conosci laBoemia.» «E’ verola Boemia non la conosco. Tu però hai proprio ilcervello di una scimmiase ti
permetti di confrontare la Boemia con la Foresta Nera. Nella Foresta Nera iosono natolà ho cacciato
fino a venticinque anni. L’ho percorsa tutta in lungo e in largo. Potreicondurti a occhi chiusi in tutta la
Foresta Nera da sud a nord su strade che nessuno conosce. E là io sononato]23
convieneun povero mortofurono fatte con me quelle tre o quattro
manovre come con tuttiperché fare eccezioni con il cacciatore Gracco
tutto era in ordineio giacevo disteso nella barca
[Diariquaderno 11nota del 6.4.1917:]
6.4.17. Nel piccolo portodove di solito si fermanooltre alle navi da
pescasolo due vaporetti per trasporto passeggeri che coprono i
collegamenti del lagoc’era oggi una barca straniera. Una vecchia barca
pesanterelativamente bassa e molto panciutasporca e come inzaccherata
di acqua fangosasembrava che ancora ne gocciolasse la fiancata giallastra
gli alberi incomprensibilmente altil’albero maestro spezzato nel terzopiù
altole vele spiegazzategrezzecolor marrone giallastro tese di traversofra
gli alberirammendateinadeguate a qualsiasi soffio di vento.
Rimasi a guardare a lungo stupitoaspettai che qualcuno si mostrasse sul
pontenon venne nessuno. Vicino a mesul muretto del molosi sedette un
operaio. «Di chi è la nave?» chiesi«la vedo oggi per la prima volta.»
«Viene ogni due o tre anni» disse l’uomo «e appartiene al cacciatore
Gracco»
24Il cavaliere del secchio
[Prima versione: quaderno in ottavo Bfine dicembre 1916. Traduzione
secondo l’edizione definitiva curata da Kafka e pubblicata sulla rivista
Prager Presse anno 1n. 270edizione del mattino del 25 dicembre1921
supplemento nataliziop. 22:]
Consumato tutto il carbone; vuoto il secchio; inutile la pala; la stufa che
respira aria gelida; la stanza gonfia di gelo; davanti alla finestraglialberi
rigidi nella brina; il cielouno scudo d’argento contro chi cerca da luiun
aiuto. Devo procurarmi del carbone; non posso certo morire congelato;
dietro di me la stufa impietosaimpietoso il cielo davanti a me; perciòdevo
andare al trotto in mezzo a loroe nel frattempocercare aiuto dal
carbonaio. Questi però è ormai indurito contro le mie solite preghiere;devo
dimostrargli con chiarezza che non ho più neppure la più piccola particella
di carbonee che dunque lui rappresenta per me il sole nel firmamento.
Devo arrivare come il mendicante intenzionato a morire sulla soglia
rantolando di famee al quale perciò la cuoca si decide a lasciare i fondi
dell’ultimo caffè; similmente il carbonaiopur schiumante di rabbiama
sotto il raggio del comandamento «Non uccidere!»dovrà scaraventarmi nel
secchio un’intera badilata.
Già il mio decollo sarà decisivo; e dunque mi metto a cavalcare sul
secchio. Da cavaliere del secchiola mano in alto sull’impugnaturache èla
briglia più semplicescendo con difficoltà le curve della scala; quandoperò
sono giùil mio secchio allora sale splendidosplendido; i cammellisdraiati
bassi per terraquando il bastone del padrone li incitanon si sollevanocon
maggiore eleganza. Trottando a velocità adeguata percorro le strade
congelate; spesso mi sollevo fino all’altezza del primo piano; non scendo
mai fino alle porte d’ingresso. E a straordinaria altezza mi libro sullearcate
della cantina del carbonaiodove questi sta rannicchiato laggiù al suo
tavolino scrivendo; per lasciar defluire l’eccessivo calore ha aperto laporta.
«Carbonaio!» grido con voce arsa e arrochita dal freddoavvolto dalle
nuvole di vapore del mio respiro«per favore carbonaiodammi un po’ di
25carbone. Il mio secchio ormai è tanto vuoto che ci posso cavalcare sopra.Sii
buono. Appena posso te lo pago.»
Il carbonaio mette la mano all’orecchio. «Ho sentito bene?» chiede da
sopra la spalla a sua moglieche lavora a maglia vicino alla stufa«ho
sentito bene? Ci sono clienti.»
«Io non sento proprio niente»dice la donnarespirando tranquilla sopra
i ferripiacevolmente riscaldata sulla schiena.
«Oh sì»grido io«sono un clienteun vecchio clienteun clientefedele
solamenteper il momento impossibilitato a pagare.»
«Moglie»dice il carbonaio«è cosìc’è proprio qualcuno; non posso
ingannarmi fino a questo punto; dev’essere un vecchioun vecchissimo
cliente se sa toccarmi così profondamente il cuore.»
«Che ti prendemarito?» chiede la donnae riposandosi un attimo preme
sul petto il suo lavoro a maglia«non c’è proprio nessuno; il vicolo èvuoto;
tutti i nostri clienti sono stati riforniti; potremmo anche chiudere ilnegozio
per giorni interi e riposarci.»
«Ma io sono quiseduto sul secchio» gridoe lacrime insensibili di
freddo mi velano lo sguardo«per favoreguardate in su; mi troverete
subito; vi pregodatemi una palata di carbone; e se me ne darete duemi
farete felice oltre misura. In fondotutti gli altri clienti sono riforniti.Ahse
lo sentissi già risuonare nel secchio!»
«Vengo»dice il carbonaio e con le sue gambe corte vorrebbe già salire
le scale della cantinama la moglie gli è già vicinalo fermaprendendogli il
braccio e dice: «Resta qui. Se non la finisci con questa ideasalirò iostessa.
Ricordati che tosse hai avuto stanotte. Per un affaree per di più
immaginariodimentichi moglie e figli e metti in pericolo i tuoi polmoni.
Vado io.» «Allora però digli tutti i tipi di carbone che abbiamo in
magazzino; io da sotto ti dirò i prezzi.» «Va bene»dice la moglieesale
nel vicolo. Naturalmente mi vede subito.
«Signora carbonaia»grido«i miei saluti più devoti; solo una palata di
carbone; subito qui nel secchio; me la porto a casa da solo; una palata del
peggiore. Naturalmente la pago a prezzo interonon subito perònon
subito.» Che suono di campanenelle due parole «non subito»e come
disorienta il loro mescolarsi con le campane serali che proprio ora
cominciano a suonare dal vicino campanile.
«Alloracosa vuole?» grida il carbonaio. «Niente»gli risponde la
moglie«non c’è nessuno; non vedo nessunonon sento nessuno; solo
hanno suonato le sei e noi chiudiamo il negozio. Il freddo è terribile; c’èda
prevedere che domani avremo molto lavoro.»
26Non vede niente e non sente niente; però scioglie il grembiule e
agitandolo cerca di soffiarmi via. Purtroppo ci riesce. Il mio secchio hatutti
i vantaggi di qualsiasi buon animale da cavalcare; ma non ha capacità di
resistenza; è troppo leggero; basta il grembiule di una donna per cacciarloa
gambe levate.
«Cattiva!» le grido dietromentre leivoltandosi verso il negozioagitala
mano in aria un po’ sprezzanteun po’ soddisfatta di se stessa«cattiva! Ti
ho chiesto una palata di carbone del peggiore e tu non me l’hai data.» E
dicendo così salgo nelle regioni delle montagne di ghiaccio e mi perdo per
non tornare mai più.
4040
Nel manoscritto del quaderno in ottavoseparatoda una lineail testo prosegue con: Forse chequi è più caldo che sulla terra invernale? Tutto intorno il bianco èaccecantel’unica cosa scura è il mio
secchio. Se prima ero in altoora sono profondamente in bassomi si slogail collo a guardare verso le
montagne. Il cielo una distesa bianca e ghiacciataattraversata a striscedal passaggio di pattinatori
scomparsi. Sulla neve altache sprofonda per un pollice appenaseguo leorme dei piccoli cani artici.
La mia cavalcata non ha più sensosono sceso e porto il secchio inspalla.27
[Quaderno in ottavo Daprile 1917:]
Frammenti «Rotpeter»
Tutti conosciamo Rotpetercosì come lo conosce mezzo mondo. Ma
quando giunse nella nostra città per una esibizionedecisi di conoscerlopiù
da vicinopersonalmente. Non è difficile essere ammessi alla sua presenza.
Nelle grandi cittàdove tutti sono uomini di mondo e cercano solo di vedere
dal più vicino possibile il respiro delle persone famosepotevano sorgere
delle difficoltàma nella nostra città ci si accontenta di contemplare le
meraviglie dal parterree perciòcome mi disse il portiere dell’albergoio
ero fino ad allora l’unico che avesse annunciato la propria visita. Ilsignor
Busenaul’impresariomi accolse con straordinaria cordialità. Non mi ero
aspettato di trovare in lui un uomo così modestoe quasi meschino. Sedeva
nell’anticamera dell’abitazione di Rotpeter e mangiava una minestra di
uova. Benché fosse mattinaindossava già il frac serale con cui apparivaalle
rappresentazioni. Appena mi videbenché fossi un ospite estraneo e
insignificantesaltò su
41 lui che era titolato degli ordini più altire deidomatoridottore honoris causa delle grandi università- saltò sumistrinse
la manomi obbligò a sedermipulì il suo cucchiaio sulla tovaglia e me lo
offrì con la massima amiciziaperché finissi di mangiare la sua minestradi
uova. Non accettò il mio rifiuto pieno di gratitudinee voleva imboccarmi
di persona. Feci fatica a calmarloe a respingerlo insieme con piatto e
cucchiaio. «Lei è stato molto gentile a venire»disse allora con forte
accento straniero«molto gentile. Inoltre lei arriva al momento giustonon
semprepurtroppo non sempre Rotpeter può ricevere visitespesso ha
orrore di vedere esseri umani; in tal caso nessunochiunque siaviene
ammessoe io stessoio stesso posso trattare con lui in un certo senso solo
professionalmentesul palcoscenico. Ma subito dopo la rappresentazione
devo sparirese ne va a casa da solosi rinchiude nella sua stanza e per lo
più se ne resta così fino alla sera dopo. Nella sua camera da letto tiene
sempre un grosso cestino di fruttache gli serve per nutrirsi in questicasi.
Naturalmente però io non posso lasciarlo incustoditoe così affitto sempre
la casa di fronte per sorvegliarlo da dietro le tende.»
41
saltò su] saltò su [come un omino di gomma]28«Quando le sto seduto di fronte cosìRotpeterla sento parlarebrindo
alla sua saluteallora davvero - che lei consideri questo un complimento
oppure noè invece la pura verità - allora mi dimentico del tutto che leiè
uno scimpanzé. Solo a poco a pocoquando mi costringo a tornare dai miei
pensieri alla realtài miei occhi mi lasciano vedere di chi sono ospite.»
«Sì.»
«E’ diventato tutto silenziosoma perché? Solo poco fa mi ha espresso
giudizi così sorprendentemente giusti sulla nostra cittàe ora è così
silenzioso.»
«Silenzioso?»
«Le manca forse qualcosa? Devo chiamare il domatore? Forse a
quest’ora lei è abituato a mangiare?»
«Nono. Va tutto bene. Posso anche dirle che cosa è stato. Ogni tanto mi
invade un tale orrore degli uomini che a malapena posso reprimere un
conato di vomito. Ciò naturalmente non ha nulla a che fare con le singole
personeniente a che fare con la sua gentile presenza qui. E’ una cosa
rivolta contro tutti gli uomini. Non c’è neppure da stupirsenese per
esempio lei dovesse vivere sempre con delle scimmieanche leipur con
tutto l’autocontrolloavrebbe di certo simili attacchi. Del resto non è
neppure l’odore degli uomini che mi circondano a destarmi tanto orrorema
piuttosto l’odore umano che io stesso ho assuntoe che si fonde con l’odore
della mia patria di un tempo. Pregoannusi lei stesso! Qui sul petto! Metta
il naso più a fondo nella pelliccia! Più a fondole dico.»
«Purtroppo non sento nessun odore particolare. L’odore solito di un
corpo ben curatonient’altro. D’altrondeil naso della gente di cittànon fa
testo in questo caso. Ovviamente lei riesce a fiutare mille cose che a noi
sfuggono.»
«Questo un temposignore mioun tempo. Cose passate.»
«Dato che ha iniziato lei il discorsomi permetto di farle una domanda:
da quanto tempo è fra noi?»
«Cinque anniil cinque di agosto sono cinque anni.»
«Un risultato eccezionale. Nel giro di cinque anni scrollare da sé la
natura di scimmia e percorrere al galoppo tutta l’evoluzione dell’umanità.
Questo davvero non l’ha mai fatto nessuno. In questa corsa lei èsolitario.»
«So che è moltoe talvolta va anche al di là della mia comprensione. In
certe ore tranquille però il mio giudizio non è tanto esaltante. Lei sacome
sono stato catturato?»
«Ho letto tutto ciò che è stato stampato su di lei. Le hanno sparatoepoi
l’hanno catturata.»
29«Sìmi hanno sparato due colpiuno qui nella guanciala ferita era
naturalmente molto più grande di quel che è ora la cicatricee uno sotto
l’anca. Mi toglierò i pantaloniperché lei possa vedere anche questa
cicatrice. Questo è stato il preludioquesta fu la ferita grave e decisiva
caddi dall’albero e quando mi risvegliai ero in una gabbia sul ponte di
mezzo di una nave.
42 »«In una gabbia! Sul ponte! A sentirne parlare lei in persona si intende la
cosa in modo assai diverso che a leggerne sui giornali.»
«E in modo ancor più diverso la si intende se la si è vissutacarosignore.
Fino a quel momento non sapevo cosa significasse non avere vie di uscita.
Non era una gabbia con le grate alle quattro paretierano direi tre pareti
appoggiate a un bauleche costituiva la quarta parete. Il tutto era cosìbasso
che non potevo stare in piedie così stretto che non potevo sedermi. Così
potevo soltanto stare accoccolato con le ginocchia piegate. Nella mia collera
non volevo vedere nessunoe così me ne stavo voltato verso il baulein
attesa con le ginocchia tremanti per giorni e nottimentre le sbarre della
gabbia mi affondavano nella carne. Custodire nei primi tempi in questo
modo gli animali selvatici è considerato vantaggiosoe dopo la mia
esperienza non posso negare chein un senso umanoè proprio così. Ma
del senso umano non me ne importavaa quei tempiancora niente. Avevo
davanti a me il baule. Apri la parete di assiscava a morsi un bucoinfilati a
forza attraverso un’apertura che in realtà consente appena di sbirciarefuori
e cheappena scopertatu saluti con l’urlo felice di chi non capisce.Dove
vuoi andare? Dietro le assi comincia la foresta
[Brief-Anfang in B327:]
Egregio signor Rotpeter
ho letto con grande interessee direi persino con batticuorela relazione
da Lei scritta per l’Accademia delle Scienze. Non c’è da stupirsiperché io
sono stato il suo primo insegnanteper il quale lei nel ricordo ha trovato
parole così amichevoli. Forsepensandoci un po’Lei poteva evitare di
rammentare il mio soggiorno in sanatorioma riconosco che tutta la sua
relazionenella franchezza che la caratterizzanon poteva sopprimere ilpiù
piccolo dettaglioanche se per me un po’ compromettenteuna volta che Le
fosse venuto in mente durante la stesura. Ma ora non volevo parlare di
questociò che mi sta a cuore è altro.
42
di una nave.] di una nave. [Signore miolei non maistato una scimmia e non si è mai trovato in unagabbiae quindi non posso farle capire cosa intendo.]30
[Prima versione nel quaderno in ottavo Daprile 1917; traduzione
secondo l’edizione definitiva curata da Kafka in Ein Landarzt KurtWolff
Verlag 1919uscito in realtà il 12 maggio 1920]
Una relazione per un’accademia
Eccellenti signori dell’accademia!
Voi mi fate l’onore di chiedermi per la vostra accademia una relazione
sulla mia precedente vita di scimmia.
In questo senso purtroppo non posso adempiere all’invito. Quasi cinque
anni mi dividono dalla condizione di scimmiaun tempo forse breve se
misurato sul calendarioma infinitamente lungo da attraversare al galoppo
come ho fatto ioa tratti accompagnato da uomini eccellentida consigli
consensi e musica d’orchestraeppure fondamentalmente soloperché tutto
l’accompagnamento si mantenevaper rimanere nell’immaginelontano
dalla barriera. Questo risultato sarebbe stato impossibile se mi fossiostinato
a voler rimanere attaccato alla mia origine e ai miei ricordi di gioventù.Una
piena rinuncia a ogni ostinazione è stato il primo comandamento che mi
sono imposto; ioche ero una scimmia liberami sono adattata a questo
giogo. A loro voltaperòi ricordi in questo modo mi si rifiutavano sempre
di più. Se in un primo momento il ritornoquando fosse stato consentito
dagli uominimi era aperto attraverso un portale alto quanto il cielo sulla
terrain seguitoparallelamente alla mia evoluzione che proseguiva a colpi
di frustaesso divenne sempre più basso e più stretto; nel mondo degli
uomini mi sentivo sempre più a mio agiosempre più compreso; la
tempesta che soffiava dal mio passato si calmò; oggi è solo una corrente
d’aria che mi rinfresca i calcagni; e quel buco lontano da cui questacorrente
viene e attraverso il quale sono passato un tempo è diventato così piccolo
cheanche se avessi forza e volontà sufficienti per correre a ritroso fin
laggiùdovrei scorticarmi tutta la pelliccia per passarci attraverso.Parlando
chiaramentebenché io preferisca usare delle immagini per simili discorsi
tuttavia parlando chiaramente: la vostra natura di scimmiasignoriper
quanto possiate averne una dietro di voinon può esservi più lontana di
quanto la mia lo è da me stesso. Tuttaviaun prurito al calcagno lo sente
chiunque cammini sulla terra: il piccolo scimpanzé come il grande Achille.
Nel senso più limitato tuttavia posso rispondere alla vostra domandae lo
faccio persino con gioia. La prima cosa che ho imparato è stata la strettadi
mano; una stretta di mano dimostra franchezza; ora che sono al vertice della
mia carrierapossa anche una parola franca raggiungere quella prima stretta
31di mano. Una tale parola non aggiungerà novità essenziali per l’Accademia
e rimarrà molto al di sotto di ciò che mi si richiedevama deve mostrare
quale sia la linea di sviluppo di chiun tempo scimmiaè riuscito aentrare e
a stabilirsi saldamente nella comunità umana. Non potrei tuttavia dire io
stesso quel poco che seguirà se non fossi pienamente sicuro di me stesso e
se la mia posizione su tutti i palcoscenici di varietà del mondo civilizzato
non fosse ormai incrollabile.
Sono nato nella Costa d’Oro. Di questo sono stato informato da estranei
dopo la mia cattura. Una spedizione di caccia della ditta Hagenbeck - con la
sua guida fra l’altro ho poi vuotato diverse bottiglie di buon vino rosso -si
era appostata nei cespugli sulla rivaquando la sera insieme al branco mi
avvicinai di corsa per bere. Spararono; io fui l’unico a essere colpito; mi
raggiunsero due colpi.
Uno nella guancia; questo era lieve; mi lasciò però una grossa cicatrice
rossa spelacchiatache mi è valsa il nome di Rotpeterun nome che odio
del tutto inappropriatoche sembra proprio inventato da una scimmiacome
se solo questa macchia rossa sulla guancia mi distinguesse da quella
scimmia addomesticata che chiamano Petercrepata di recentefamosa
soltanto qua e là. Ma questosia detto di sfuggita.
Il secondo colpo mi raggiunse sotto l’anca. Questo era graveè colpa sua
se ancor oggi zoppico un poco. Ultimamentenel lavoro di uno dei
diecimila fanfaroni che straparlano di me sui giornaliho letto che la mia
natura di scimmia non sarebbe ancora del tutto soppressae lo
dimostrerebbe il fatto che provo piacere a togliermi i pantaloni davanti ai
visitatori per mostrare il foro d’entrata di quel colpo. A questo bel tomo
bisognerebbe far saltare ogni singolo ditino della mano con cui scrive. Ioio
posso togliermi i pantaloni davanti a chi mi pare; là sotto non troveranno
altro che una pelliccia ben curata e una cicatrice dovuta a un - scegliamoqui
per uno scopo definito una parola definitache però non vuol essere
equivocata - la cicatrice dovuta a un colpo scellerato. Tutto è alla lucedel
sole; non c’è niente da nascondere; quando un uomo di alti principi si
avvicina alla verità mette da parte i modi raffinati. Se invece fosse quel
giornalista a calare i pantaloni davanti ai visitatorila cosa avrebbe un
aspetto diverso e ammetterò che sarebbe ragionevole se non lo facesse. Ma
allora che non rompa le scatole a me con le sue delicatezze!
Dopo quei colpi mi risvegliai - e qui cominciano pian piano i miei ricordi
personali - in una gabbiasul ponte mediano del vaporetto Hagenbeck. Non
era una gabbia a quattro pareti; piuttosto si trattava di solo tre pareti
saldamente appoggiate a un baule; il baule formava così la quarta parete. Il
tutto era troppo basso per stare in piedi e troppo stretto per stare seduti.
32Perciò mi accoccolai sulle ginocchia piegate e un po’ tremanti epoiché
probabilmente in un primo tempo non volevo vedere nessuno ma preferire
rimanermene al buiomi voltai verso il baulementre dietro di me le sbarre
della gabbia mi entravano nella carne. Custodire nei primi tempi in questo
modo gli animali selvatici è considerato vantaggiosoe dopo la mia
esperienza non posso negare chein un senso umanoè proprio così.
Ma allora non ci pensavo. Per la prima volta nella mia vita non avevo vie
d’uscita; per lo meno non ne avevo davanti a me; davanti a me c’era il
bauleun’asse stretta contro l’altra. Fra le assi c’era sì un’aperturache le
attraversavae quando la scoprii la prima volta la salutai con l’urlofelice di
chi non comprendema questa apertura era di gran lunga insufficiente anche
per infilarci la codae tutta la forza di una scimmia non era sufficiente ad
allargarla.
Come poi mi hanno dettoero insolitamente poco rumorosoe da questo
se ne concluse che o sarei crepato presto oppurese superavo il primo
periodo criticosarei stato molto adatto a essere addomesticato. Superai
questo periodo. Un sordo singhiozzoun doloroso spulciarsilo stanco
leccare una noce di coccobattere con la testa la parete del baulemostrare
la lingua all’avvicinarsi di qualcuno - ecco le prime occupazioni della mia
nuova vita. Ma in tutto ciò un solo sentimento: nessuna via d’uscita.
Naturalmente ciò che allora sentivo come scimmia posso descriverlo oggi
solo con parole umane e perciò manco il bersaglioma anche se non posso
più raggiungere l’antica verità di scimmia questa è per lo meno sullalinea
della mia descrizionesu questo non ho dubbi.
Fino ad allora avevo avuto tante via d’uscitae ora neppure una. Ero
saldamente in trappola. Se mi avessero inchiodatola mia libertà di
movimento non sarebbe stata minore. E questo perché? Puoi anche grattarti
la pelle fra le dita dei piedima non troverai il perché. Non avevo vie
d’uscitadovevo però procurarmelealtrimenti non avrei potuto vivere.
Sempre attaccato a questa parete di baule - sarei senza dubbio crepato. Ma
da Hagenbeck le scimmie devono stare contro la parete del baule - e così
smisi di essere una scimmia. Una linea di pensiero chiara e bellache devo
avere in qualche modo covato in panciadato che le scimmie pensano con la
pancia.
Temo di non essere capito quando parlo di via d’uscita. Uso questo
termine nel suo senso più completo e abituale. E’ con intenzione che non
dico libertà. Non alludo a questo grande sentimento della libertà in tuttele
direzioni. Come scimmia forse la conoscevoe ho incontrato uomini che
ambiscono ad essa. Ma per quanto mi riguardanon desideravo la libertà
allora come non la desidero oggi. Fra parentesi: parlando di libertà gli
33uomini si ingannano un po’ troppo spesso. E come la libertà va annoverata
fra i sentimenti più sublimicosì anche il corrispondente inganno è deipiù
sublimi. Spesso nei varietàprima del mio numeroho visto qualche coppia
di artisti darsi da fare lassù sotto il tendone sul trapezio. Si lanciavanosi
altalenavanosaltavanosi libravano abbracciatiuno teneva l’altro per i
capelli con i denti. «Anche questa è libertà umana»pensavo«un
movimento padrone di sé.» O derisione della sacra natura! Non c’è
costruzione che resterebbe in piedi per le risate delle scimmie di fronte aun
tale spettacolo.
Nonon era la libertà che volevo. Solo una via d’uscita; a destraa
sinistraera lo stesso; non avevo altre pretese; la via d’uscita potevaanche
essere un inganno; la pretesa era piccolal’inganno non poteva essere più
grande. Avantiavanti! Pur di non restare fermo a braccia sollevate
schiacciato contro la parete di un baule.
43Oggi
44 vedo con chiarezza; senzala più grande tranquillità interiore nonavrei mai potuto venirne fuori. E in effetti forse devo tutto ciò che sono
diventato alla tranquillità che mi invaselà nella navedopo i primigiorni.
Ma la tranquillità a sua volta la devo all’equipaggio della nave.
Sono brave personenonostante tutto. Ancora oggi ricordo volentieri il
suono dei loro passi pesantiche risuonavano allora nel mio dormiveglia.
Avevano l’abitudine di prendere tutto con estrema lentezza. Se qualcuno
voleva stropicciarsi gli occhialzava la mano come sollevando un peso. I
loro scherzi erano grossolanima cordiali. Le loro risate erano sempre miste
a una tosse che suonava pericolosae invece era insignificante. Avevano
sempre in bocca qualcosa da sputaree dove sputassero era per loro
indifferente. Si lamentavano sempre di trovarsi addosso le mie pulci; ma
non ce l’avevano mai seriamente con me; sapevano bene che nella mia
pelliccia le pulci prosperavano e anche che le pulci sono buone saltatrici; e
perciò si mettevano l’animo in pace. Quando non erano in servizioa volte
alcuni di loro si sedevano in semicerchio intorno a me; parlavano appena
ma si limitavano a tubare l’uno in direzione dell’altro; fumavanosdraiati
sul baulela pipa; si davano botte sulle ginocchia appena facevo il più
43
Nel manoscrittosi legge a questo punto ilseguente passonon cancellato ma non accolto nellaversione stampata:
Gli uomini hanno piùpossibilità di una scimmia. Se un uomo viene imprigionatonon lo percepisce nemmeno come un cambiamento inauditoperché già tutte lenotti della sua vita si è
imprigionato nella propria abitazionee soprattutto poi ha le vie di scampodello spiritoattraverso una
via spirituale può svignarsela dalla sua cella. La scimmia ha solo l’uscitache passa attraverso la grata;
la sua via d’uscita è perciò semplicepiù significativa della fugacorporea dell’uomomolto più di lui
la scimmia è posta di fronte a un sì o a un nose le riesce di scappare èsalvadeve farlo però ad ogni
costosbattendo in avanti con la testa sanguinantei castelli in aria deisogni beati non le sono
consentiti.
44 Oggi] Nelmanoscritto: [Non è contraddizione con quanto ho detto il fatto che unascimmia abbiapiù bisogno di un uomo di calma interiore] Oggi34
piccolo movimento; e ogni tanto uno prendeva un bastone e mi grattava là
dove preferivo. Se oggi mi invitassero a fare un viaggio su una tale nave
certo declinerei l’invitoma è altrettanto certo che quando penso a quel
ponte mediano non ho soltanto brutti ricordi.
La tranquillità che mi ero guadagnata fra questa gente mi trattenne
innanzitutto da ogni tentativo di fuga. Ripensandoci oggi mi sembra che
avevo almeno il presentimento che avrei dovuto prima o poi trovare una via
d’uscitase volevo viverema che tale via d’uscita non si raggiungevacon
la fuga. Non so più se una fuga era possibileanche se credo di sì; a una
scimmia la fuga dovrebbe sempre essere possibile. Con i miei denti di oggi
devo stare attento anche quando rompo una semplice nocema allora con il
tempo mi sarebbe certo riuscito di rompere a morsi la chiusura della gabbia.
Non lo feci. Che cosa ci avrei guadagnato? Appena messa fuori la testa mi
avrebbero subito ripreso e rinchiuso in una gabbia ancor peggiore; oppure
senza rendermene conto sarei fuggito fra altri animalimagari in mezzo ai
boae sarei soffocato nel loro abbraccio; o magari mi sarebbe riuscito di
raggiungere il ponte e saltare fuoricosì mi sarei dondolato per un poco
sull’oceano e poi sarei affogato. Gesti disperati. Non calcolavo come un
uomoma sotto l’influsso di chi mi circondava mi comportavo come se
avessi calcolato.
Non calcolavoma osservavo in tutta tranquillità. Guardavo questi
uomini andare su e giùsempre le stesse faccegli stessi movimentiavolte
mi sembrava che fosse sempre lo stesso uomo. Quest’uomo o questi uomini
camminavano dunque indisturbati. Intravidicome per ispirazioneun
superiore obiettivo. Nessuno mi prometteva che la gabbia sarebbe stata
aperta se fossi diventato come loro. Non si fanno simili promesse per
imprese apparentemente irrealizzabili. Ma se le imprese vengono portate a
termineallora in seguito anche le promesse compaiono proprio là dove
prima le si era cercate invano. Orain questi uomini di per sé non c’era
nulla che mi attirasse molto. Se fossi un adepto di quella libertà di cui
parlavo primaavrei certo preferito l’oceano alla via d’uscita che mi si
mostrava nel torbido sguardo di costoro. In ogni caso però io li osservavo
già da molto tempo prima di pensare a queste cosefurono anzi solo le
osservazioni accumulate a spingermi in quella definita direzione.
Era così facile imitare la gente. A sputareimparai fin dai primi giorni.
Ci sputavamo in faccia a vicenda; l’unica differenza era che dopo io mi
leccavo la faccia per pulirlaloro no. Presto fumavo la pipa come un
vecchio; se premevo il suo fornello con il pollicetutto il ponte ne rideva;
solo la differenza fra una pipa vuota e una carica mi rimase a lungo oscura.
35La fatica maggiore me la procurò la bottiglia di grappa. L’odore mi
ripugnava; mi costrinsi con tutte le forze; ma ci vollero settimane perché
riuscissi a vincermi. Queste lotte interiorisorprendentementefurono
dall’equipaggio prese sul serio più di ogni altra cosa. Ora non riescopiù
nemmeno nel ricordoa distinguere le personema uno di loro tornava
sempresolo o in compagniadi giorno o di nottealle ore più diverse; misi
metteva davanti con la bottiglia e mi dava lezioni. Non mi capivavoleva
sciogliere l’enigma del mio essere. Stappava la bottiglia lentamente e mi
guardavacome per vedere se avevo capito; confesso che lo osservavo
sempre con un’attenzione selvatica e precipitosa; nessun insegnante umano
troverebbe in tutto il mondo un allievo umano altrettanto diligente; stappata
la bottigliala portava alla bocca; io lo seguivo con lo sguardo fino allagola;
contento di memi fa un cenno e porta la bottiglia alle labbra; ioaffascinato
dalla progressiva conoscenzastridendo mi gratto per lungo e per largo dove
capita; lui se ne rallegraalza la bottiglia e beve un sorso; ioimpazientee
disperato per la voglia di imitarlomi imbratto nella mia gabbiacosa chedi
nuovo lo riempie di soddisfazione; ora allontana ampiamente da sé la
bottiglia e di slancio la riavvicinaepiegato esageratamente indietro per
insegnarmila vuota in un sorso. Iostanco per l’eccessivo desiderionon
posso più seguirlo e pendo debolmente dalle sbarrementre lui conclude la
sua lezione di teoria grattandosi la pancia con un ghigno.
Solo ora comincia l’esercizio pratico. Non sono già esaurito dalla teoria?
Sìdel tutto esaurito. Ciò fa parte del mio destino. Ciononostanteafferro
meglio che posso la bottiglia che mi viene tesa; tremando la stappo; con
questo successo ecco che pian piano acquisisco nuove forze; alzo la
bottigliae in questo gesto sono ormai quasi indistinguibile dal mio
modello; la porto alla bocca e - e la scaglio lontano con orrorecon orrore
benché sia vuota e piena solo dell’odorela scaglio con orrore per terra.
Questo è uno sconforto per il mio insegnantee ancor maggiore per me; e
non posso riconciliare né lui né me per il fatto chegettata via labottiglia
non dimentico di grattarmi la pancia e ghignare.
Fin troppe volte la lezione andava così. Esia detto a onore del mio
insegnante: non era cattivo con me; certoogni tanto mi appoggiava la pipa
accesa sulla pellicciafinché questadove arrivavo con difficoltà
cominciava a bruciarema allora lui stesso me la spegneva con la sua
gigantesca mano piena di bontà; non era cattivo con mecapiva che
entrambi lottavamo dalla stessa parte contro la natura di scimmiae che a
me toccava il compito più difficile.
Che vittoria fu allora per lui come per mequando una seradavanti a un
grande pubblico - forse era una festaun grammofono suonavaun ufficiale
36passeggiava fra la gente - quando in quella seraa tutti inosservatoafferrai
una bottiglia di grappa dimenticata per caso davanti alla mia gabbiala
stappai secondo i dettami della scuola sotto l’attenzione crescente degli
astantila portai alla bocca e senza esitaresenza storcer la boccacomeun
esperto bevitorecon gli occhi sbarratila gola traboccantela vuotai
letteralmente fino all’ultimo goccio; scagliai lontano la bottiglia nonpiù
con disperazionema da vero artista; certodimenticai di grattarmi la
pancia; in compenso peròforse perché non potevo più trattenermi operché
i miei sensi erano preda dell’ebbrezzaesclamai un «Ehilà!» con timbro
umanocon questo grido saltai nella comunità degli umani e percepii la loro
eco: «Sentitesta parlando!» come un bacio su tutto il mio corpo
gocciolante di sudore.
Ripeto: non mi attirava imitare gli uomini; li imitavo solo perché cercavo
una via d’uscitanient’altro. Inoltrecon quella vittoria ancora avevo
ottenuto poco. La voce mi sparì di nuovo subito dopo; solo dopo mesi
riuscii a ritrovarla; la ripugnanza contro la bottiglia di grappa siripresentò
moltiplicata. Ma la strada era tracciata davanti a me una volta per sempre.
Quando fui consegnata ad Amburgo al primo domatorecompresi subito
l’alternativa che mi si poneva: zoo o varietà. Non ebbi esitazioni. Midissi:
cerca con tutte le tue forze di arrivare al varietà; questa è la via d’uscita;lo
zoo è soltanto una nuova gabbia; se ci entri sei perduto.
E cosìsignoriho imparato. Ahsi impara bene quando si è obbligati; si
imparaquando si vuol trovare una via d’uscita; si impara senza riguardiper
nessuno. Ci si sorveglia da soli con la frusta; e alla minima resistenza cisi
strazia le carni. Come sparata fuorila natura di scimmia uscì da me e
sparìtanto che il mio primo istruttore finì per diventare lui stessosimile a
una scimmiae presto dovette abbandonare la mia istruzione e ricoverarsi in
clinica. Fortunatamente presto ne uscì.
Ma io dovevo logorare molti istruttorispesso diversi istruttori allo
stesso tempo. Quando fui più sicuro delle mie capacitàquando il pubblico
cominciò a seguire i miei progressi e il futuro a farsi più luminosoiostesso
mi prendevo degli istruttorili mettevo in cinque stanze consecutive e
imparavo da tutti contemporaneamente saltando senza posa da una stanza
all’altra.
Quali progressi! Come penetravano i raggi della scienza da ogni parte nel
cervello che si risvegliava! Non lo nego: ciò mi rendeva felice. Ma confesso
anche che allora come ora non sopravvalutavo tutto ciò. Con uno sforzo
quale finora non si è ripresentato sulla terraho raggiunto il grado di
istruzione medio di un europeo. Questo in sé sarebbe un nullama è pur
sempre qualcosa dato che mi ha liberato dalla gabbia e mi ha offerto questa
37particolare via d’uscitaquesta via d’uscita umana. Nella vostra lingua
esiste la bellissima espressione: «imboscarsi»; è proprio quello che hofatto
iomi sono imboscato. Non c’erano altre viese si premette che non si
poteva scegliere la libertà.
Se ora riconsidero la mia evoluzione e ciò che ho ottenuto finoranon
posso lamentarmi né dichiararmi soddisfatto. Con le mani nei pantalonila
bottiglia di vino sul tavoloun po’ sto sdraiatoun po’ mi metto nellasedia
a dondolo e guardo dalla finestra. Se viene una visita la ricevo come si
conviene. Il mio impresario sta nell’anticamera; se suonoviene e ascolta
cosa ho da dire. La sera c’è quasi sempre lo spettacoloe ormai nonpotrei
avere più successo di così. Se torno tardi dai banchettidalle società
scientifiche o da una piacevole compagniami aspetta a casa una piccola
scimpanzé semiaddomesticatae presso di lei me la spasso alla maniera
delle scimmie. Di giorno però non la voglio vedere; ha negli occhi la follia
dell’animale addestrato e confuso; solo io lo vedo e non riesco a
sopportarlo.
Nel complessoad ogni modoho raggiunto quel che volevo raggiungere.
Non si dica che non ne valeva la pena. Del resto non mi interessano i
giudizi umaniio voglio solo diffondere la conoscenzafare relazionie
anche questa che ho presentato davanti a voieccellenti signori
dell’Accademiaera soltanto una relazione.