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Yoga Roma Parioli Pony Express Raccomandate Roma

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Yoga Roma Parioli Pony Express Raccomandate Roma
LA TEBAIDE

DI STAZIO

di CORNELIO BENTIVOGLIO



















LIBRO PRIMO

LA DISCORDIA

L'armi fraterne e con profani sdegni
l'empia Tebe contesa e 'l regno alterno
furor sacro a cantare il sen m'accende.
Ma qual daremoo Deeprincipio al canto?
Canterem forse la feroce Gente?
Forse i ratti sidoniio d'Agenorre
la dura leggeo per lo mar profondo
canteremo di Cadmo i lunghi errori?
Ma da troppo remota ed alta fonte
origin prenderebbe il nostro canto
se ridicesse del cultor che sparse
il guerrier seme negl'infami solchi
onde poi nacque fratricida messe
d'uomini armati; o se ridir volesse
Tebe di sette porte e d'ampie mura
ornata al suon de l'anfionia cetra;
o l'ira di Giunone e l'ingannata
Semele accesa dal celeste foco
del suo divino non creduto amante;
o d'Atamante il reo furorche scempio
feo di Learcoonde ne' flutti amari
Ino fuggì con Melicerta in braccio.
I vari casi e le tue gestao Cadmo
restin per or da parte; e sol di Edippo
l'infame casa e mal concorde al nostro
canto porga il principio e porga il fine.
La cetra accordoe già le aonie schiere
e lo scettro fatale a i due Tiranni
a cantar prendo: e de l'immonde Erinni
gli odii immortali: e la discorde fiamma
de i due Fratelli e 'l biforcuto rogo:
e i Regi estinti agli avoltoi lasciati
in preda: e le città di popol vuote;
allor che Dirce di color sanguigno
tinse l'onde ceruleee stupì Teti
e orror la prese nel veder l'Ismeno
correre al mar di tante stragi onusto
non più contento di sue anguste sponde.
Ma qual fra tanti eroiMusaprimiero
a me presenti? Forse il gran Tideo
d'implacabile sdegno? Forse il Vate
di sacra fronda il crin canuto cinto
e l'immensa vorago ove fu assorto?
Ma dove lascio Ippomedontesolo
del fiume irato contro l'onde ultrici?
Dove il giovin d'Arcadia a guerra esposto
per lui funesta? E Capaneo ben degno
di più guerriera e più feroce tromba?
Edippo già sè di sua man punendo
gli occhi svelti dal capoe condannata
la sua vergogna ad una eterna notte
moría vivendo d'una lunga morte.
Ei nei più ascosie al sole stesso ignoti
cupi recessi de l'infame ostello
chiuso volgea ne l'agitata mente
l'orrendo incesto e 'l miserabil giorno;
e co i flagelli del rimorso al fianco
gli eran le Furie; onde mostrando al cielo
le vuote cave de la cieca fronte
perpetua pena a l'infelice vita
e con le man sanguigne il suol battendo
l'orribil voce in cotai detti ei sciolse:
- O crudi numi de l'eterna notte
che i neri abissi e l'alme scelerate
co' supplicii reggete; e voistagnanti
laghi di Stigeche senz'occhi ancora
io veggo pure; e tu da me sovente
Tesifoneinvocataa i fieri detti
porgi l'orecchio e il voto reo seconda.
Se teco meritaise di te degno
sono; se ne l'uscir dal matern'alvo
mi raccogliesti; se l'infermo piede
mi risanasti; se al bicorne giogo
ed a l'onda Cirrea mi fosti scorta;
(quantunque meglio io mi vivea contento
di Focide nel trivio e ne la rocca
di Polibo da me creduto padre);
se per te sola con quest'empia mano
lo sconosciuto vecchio padre uccisi
e spiegai de la Sfinge i sensi oscuri;
se dolci furie nel materno letto
per te gustai e più nefande notti
e a te i miei figli generai; se gli occhi
svelsi di fronte e a l'infelice madre
gittai d'avanti: or le mie preci ascolta
e accorda a me quel che per te faresti.
Gli empi miei figli (e che rileva il modo?)
ch'io generainon che del padre afflitto
de l'alma luce privo e del suo regno
pietà li prenda o curae il suo dolore
temprin co i detti: essi già Re nel nostro
trono sedendo dispettosi a scherno
han le tenebre nostreed hanno a sdegno
le paterne querele. A questi ancora
io sono in odio? E pur sel vede Giove?
E pur lo soffre? Ma se a lui non cale
fanne tu almeno aspra vendettae passi
anche a i figli de i figli il rio flagello.
Cingi la chioma de l'infausto serto
che di putrido sangue ancora intriso
rapito un tempo fu da la mia mano;
ed istigata da' paterni voti
va' tra gli empii fratelli: il ferro ostile
tronchi del sangue i sacri nodi; e sia
tal l'eccesso che ordiscio dea d'Averno
ch'io sospiri d'aver lume che il vegga.
Vieni tu quale a te conviensie pronti
per ogni via ti seguiran gl'iniqui
nè potrai dubitar che sien miei figli.-
Alzò la testa a quel parlaree il voto
gradì l'orrida Erinne. Ella sedea
sul nero margo di Cocitoe agli angui
del crin lambir lasciava il flutto immondo.
Non sì veloce il fulmine di Giove
scendeo vapor ne l'aria accesocome
lasciò le infauste ripe. A lei davante
fuggono i neri spirtie l'ombre vane
de la tiranna lor temon l'aspetto.
Essa pel folto innumerabil vulgo
de l'anime dolenti il passo affretta
e le tartaree porte a l'uscir chiuse
passa veloceed esce all'aria pura.
Sentilla il giornoe si coprì d'orrore;
Febo celò fra dense nubi il volto;
Eto e Piroo fur per tornare addietro;
tremonne Atlanteed il celeste incarco
fu per cadere ne temero i numi.
Da l'ima valle di Mallea l'Erinne
alzossi a voloe vêr l'iniqua Tebe
diritto il cammin prese: a lei men note
son le strade d'Abisso; a lei men grato
del Tartaro natio sembra il soggiorno:
cento cerastede l'orrendo crine
parte minorele fann'ombra al volto:
gli occhi incavati ne la frontee accesi
d'una luce ferrignaappunto quale
Cintia rosseggia al suon de' tracii carmi:
putrida tutta e di veleno infetta
che peste e sete e fame e stragi sparge
ne' popolie più mortied ella sola
a tutti è morte; si strascina a tergo
lacero il mantoe se l'allaccia al petto
con due serpenti: Atropo questee queste
fogge Proserpina usa: ambe le mani
scuote; con l'una feral teda innalza
d'idre vibra con l'altra orribil sferza.
Giunta che fu di Citerone in cima
e scoprì Tebeun sì grand'urlo mise
e fischiar feo l'anguicrinita fronte
che ne suonâr per molte miglia i lidi
ed i regni di Pelope: Parnaso
ed Eurota tremâr: Eta al fragore
si curvò in fianco e fu a cader vicino:
e l'Istmo ancora da i propinqui mari
ch'egli divideebbe a restar sommerso.
Vide la madre Palemon per l'onde
sovra un delfin gire a diporto e ratta
gli diè di piglio e se lo strinse al seno.
La Dea di Cadmo appena entrò nel tetto
che de l'usato suo vapor maligno
tutti infettò i Penati; allor s'accese
ne gli ancor dubbi cor de' rei germani
il natural furor: l'invidia sorse
e l'odio dal sospettoe la potente
brama d'impero; e del secondo regno
gl'infidi pattie del secondo Rege
impazïente d'aspettar desio;
e gelosia di restar solo in trono
e la sanguigna alfin Discordia pazza.
Come talor fuor de la mandra tratti
l'agricoltore ad un medesmo aratro
tenta accoppiar due fervidi giovenchi
cui non per anche da l'altero collo
e non calloso la giogaia pende:
essi vanno discordie in varie parti
traggono il peso indomiti e feroci
e confondono l'un con l'altro solco;
non altrimenti la Discordia inaspra
il cuor de i due germani: un solo patto
resta ancora fra lorche per un anno
tenga un lo scettroe l'altro esule vada
per poi salir l'anno novello al trono;
questa sola pietà fra lor rimase
questa fu del pugnar sola dimora
da non durar sino al secondo Rege.
Non era allor di lucido metallo
il regio tetto adorno: ancor dagli alti
monti di Paro i prezïosi marmi
non formavan colonne a l'ampie logge
ove s'accoglie adulatrice turba;
nè ancor la guardia de i guerrieri armati
con alterne vigilie a l'alte porte
custodivano i sonni del Tiranno;
nè a le tazze gemmate il vinnè a l'oro
commettevasi il cibo: angusto regno
cagione fu de la crudel contesa.
Or mentre ancor la dubbia sorte pende
chi lasciar debba le ristrette zolle
di Dircee chi regnar nel trono infausto
de l'esule di Tiroandaro in bando
OnestadeRagionGiustizia e Fede
e di vita e di morte egual vergogna.
Ah miseri fratei! Dove vi tragge
cieco furor a scelerate guerre?
Perfidiforse che da voi s'aspira
a conquistar quanto da i lidi Eoi
trascorre il sole a la marina Ibera?
E ciò che obliquo mira? E fin là dove
spira Borea gelato? E dove scalda
con i tepidi fiati il torrid'Austro?
E che farestese raccolti in uno
di Frigia e Tiro fossero i tesori?
Un luogo infaustouna città crudele
fur seme d'odio: de l'infame Edippo
con sì ree furie fu comprato il trono.
Già Polinice da la sorte escluso
ad Eteocle il primo onor cedea.
Quale per tecrudelfu mai quel giorno
che solo a te senza rivale al fianco
ligio vedesti il regnoe di già tua
tutta la cortee dal tuo solo cenno
pender le leggi e ognun di te minore?
Ma già comincia l'Echionia plebe
a mormorar; e qual del volgo è stile
odia il Rege presenteama il futuro.
Uno fra lorocui serpeggia in seno
venen d'invidiae impazïente soffre
l'esser soggetto: - Ahi queste dunque (grida)
aspre vicende i crudi Fati ordiro
contro l'ogigia gente? A i gioghi alterni
e sempre formidabili supporre
il colloognor di nostra sorte incerti?
Diviso hanno fra loro il destin nostro
e ne le mani lor la nostra sorte
instabile divenne: ahi dunque ogni ora
un esule servir sarem costretti?
E tu de i numi padre e de' mortali
Gioveinspirasti lor sì fiera mente?
Forse tal legge prescrivesti a Tebe
fin da quel dì che per lo mare indarno
il Toro rapitor Cadmo seguendo
fondò ramingo in questi campi il regno?
O le da i solchi nate empie fraterne
schiere mandaro a gli ultimi nipoti
l'infausto augurio? Or vedi come insulta
costui che in sè tutto il poter raccolse
come torvo ne guata e ne minaccia?
Con quanto fasto ne conculca e preme?
E costui soffrirà scender dal trono?
Certo più umano e più gentil sembrava
l'altro fratelloe più del giusto amante.
Ma che però? Egli non era solo.
E noi turba minor de' vari regi
a i rei servigi sarem sempre esposti
siccome nave in procelloso mare
al diverso soffiar di Borea e d'Euro.
O troppo incerta e intollerabil sorte
de i popoli soggetti a due tiranni
che ne minaccia l'unl'altro comanda! -
Di Giove intanto al riverito impero
il senato de' numi era raccolto
nel centro interno del girevol Polo.
Sorge quivi una reggia alta lucente
ch'è posta in mezzoed egualmente siede
tra 'l dì e la serae l'Aquilone e l'Ostro
donde quanto è quaggiù tutto si scopre
e di terre e di mari. Egli sublime
ma placidoin sembiantein lo stellato
trono si posae i riverenti Dei
che stangli intornodolcemente mira
e lor con mano di seder fa cenno.
Empion le logge poi la minor turba
de' Semideie delle nebbie affini
i fiumie per timor placidi e cheti
i venti impetuosi: al grave pondo
di tanti Numi vacillâr le sfere;
e lo splendor de le divine fronti
tutte d'intorno feo l'auree pareti
folgoreggiare di più chiara luce.
Ma dopo ch'egli di tacer fe' cenno
e s'ammutì lo sbigottito mondo
parlò da l'alto (Li tremendi detti
forza han di legge e gli ubbidisce il Fato.)
- A voinumide' perfidi mortali
l'opre nefande accusoe l'empie menti
non spaventate da le furie o vinte:
cotanto osan tentar lo sdegno nostro?
Io sazio son di fulminar; già stanchi
sono i Ciclopi nel lavoro; e manca
a l'eolie fucine il ferro e il fuoco.
Perciò vidie 'l permisiil falso auriga
a traverso guidar Eto e Piroo
e da l'ardenti ruote il cielo acceso
e il mondo andar in cenere e in faville.
Ma tutto invano: invan col gran tridente
fratelloapristi inusitate strade
a l'onde tue ne li vietati campi.
Or io stesso le due di Tebe e d'Argo
inique stirpi a castigar discendo
sebben ambe da me l'origin hanno:
tutti han d'errori l'empie menti infette.
Chi di Cadmo non sa le trasformate
forme e l'acerbo Fato? E dagli abissi
le uscite Furie a perturbare il mondo?
Chi de le madri barbare i piaceri
ignora? E de le selve i crudi errori?
E quei (che pur sotto silenzio premo)
delitti de gli dei? Non è bastante
del dì la luce e della notte l'ombra
tutti a narrar de la profana gente
gl'indegni eccessi; anzi che l'empio Erede
rivoltoquasi brutoal ventreond'ebbe
vital respirosul paterno letto
macchiò d'incesto l'innocente madre
non meritevol di cotanto oltraggio:
pur ei pagò del fallo suo le pene
a i Numi iratie si privò del giorno
nè più vagheggia l'aere sereno.
Ma i figlii figli (oh sceleraggin nuova
e non intesa più!) del cieco padre
calpestan gli occhi. Ah non andranno inulti!
Sono esauditi i voti tuoi crudeli;
han meritato alfin le tue tenébre
Giove vendicatorvecchio infelice.
Involverò li due profani regni
in nuove guerre: svellerò da l'imo
la scelerata stirpe; il vecchio Adrasto
e 'l genero ramingo e le malvage
nozze contratte sotto infausti auspici
de la Discordia innalzino la face.
Anche a costor dovute son le pene.
Nè di mente m'uscío l'ingiuria atroce
de la tantalea sanguinosa mensa. -
Egli qui tacque; e dentro il cuor profondo
d'improvviso dolor percossa e punta
così Giuno rispose: - A me tu dunque
o ingiusto Numefai di guerra invito?
E ben sai tu di qual favore onori
le rocche da i Ciclopi al cielo alzate
e qual io porga aita al nobil regno
cui d'Inaco il figliuolo illustre rese.
Tacciasi da me puree si perdoni
de l'adultera vacca il buon custode
prima sopito in ingannevol sonno
e poscia ucciso; e la mentita pioggia
con cui di Danae ne la torre entrasti.
Non ti rinfaccio le mentite forme
e gl'incogniti stupri. Io quella abborro
cittade ove tu vai col proprio aspetto
cinto di raggi e fulmini stridenti
e con la maestà che meco giaci.
Sconti Tebe i suoi falli: Argo è innocente.
Ma che mai dico? Or via: Sparta e Micene
e la mia Samo atterrae non sia luogo
ove a la Diva tua germana e moglie
s'offran vittime e incensi e s'ergan are.
Sian più felici d'Io gli augusti tempii
e gli adori tranquillo il vasto Egitto
e di più sistri il risonante Nilo.
Ma se pur vuoi de gli avi più remoti
ne i nipoti punir le colpe antiche;
se riandando i secoli vetusti
ti si risveglia in cuor tarda vendetta;
e quando porrai modo a i tuoi flagelli?
Quando potrai purgare tutto il mondo?
E qual sì pura e non colpevol gente
troverai tu che fra li padri e gli avi
un reo non conti? Ma se pur desio
hai di punirmira làdove Alfeo
per occulto cammin segue Aretusa:
ivi gli Arcadi tuoi t'ergon altari
in luoghi infausti; ivi si vede il carro
d'Enomao e gli suoi crudi destrieri
degni servire a i fieri Geti e a i Traci.
Ivi si miran biancheggiar pe' campi
l'ossa insepolte de' rivali uccisi.
E pur ivi gradisci incensi e voti;
e pur Ida nocente e la vinosa
Creta ti piacee 'l tuo mentito avello.
Perchè d'Argo a me invidii il bel soggiorno?
Volgi altrove la guerrae del tuo sangue
pietà ti prenda: altri più iniqui regni
degni vi son del Genero fatale. -
Così tra supplichevole e sdegnosa
parlò Giunone. Impertubabilmente
udilla Giovee tal le diè risposta:
- Che d'Argo tua tu la difesa prenda
già non m'è nuovoe rivoltar altrove
quantunque giustal'ira mia procuri.
E Bacco ancora e Citerea per Tebe
mi farian voti; ma timor li frena
e riverenza al mio divin volere.
Io per l'onda fraterna e spaventosa
giuro di Stige: terrò fermo il detto
e sarà irrevocabile il Destino.
Or tumessaggio mioCillenia prole
fendi l'aere leggero e i venti passa
e giù scendendo al tenebroso regno
al tuo gran zio la mia ambasciata esponi:
Laio di sangue ancor bagnato e lordo
dal figlio uccisoe per la dura legge
de l'Erebo profondo ancor vagante
lungo il margo di Leteal giorno mandi
e li miei cenni al reo nipote ei porti:
l'esule suo fratel fatto superbo
e da gli ospizi e da le nozze argive
(com'è già suo desire) ei tenga escluso
da Tebee neghi del paterno regno
il vicendevol pattuito onore:
quinci a l'ire principio: il resto poi
condurrò con cert'ordine di cose. -
Ubbidì pronto il messagger celeste
a i comandi del padree già calzati
i talari e adombrati i rai del volto
con l'alato cappelloin mano ei prese
il caduceo fatal di serpi cinto:
egli con questo a suo piacer discaccia
da gli occhi il sonnoe a suo piacer l'infonde:
con questo aprir può le tartaree porte
e vita dare e spirto a l'ombre esangui.
Gittossi poscia nel freddo aer puro
e in un momento con girevol volo
a l'ime parti si calò da l'alto.
Ramingo intanto e de la patria in bando
gía Polinice per l'aonie selve
volgendo ognor ne l'agitata mente
il pattuito regno e l'anno alterno
che lento a lui più de l'usato sembra.
Questo pensiero il dìquesto la notte
gli sta fisso nel cuoree già si finge
esule il fier germanoumíleabietto
e sè potente dominare in trono.
E tanto brama un sì felice giorno
che torria seco a patteggiar la vita.
Ora si duol de l'intricate strade
che ritardan sua fuga; ora i reali
spirti riprendee su 'l fratel depresso
salir gli sembra su l'avito soglio.
L'alma agitata in dubbia speme ondeggia
e in lunghi voti il suo desio consuma.
Or sin che Febo tutto compia intero
suo vasto giroei di ritrarsi agogna
a' Danai campid'Inaco a le rocche
od a Miceneonde già il sol fuggio;
Nè so ben dir se lo traesse il Fato
o 'l sospingesse pur l'immonda Erinne.
Lascia gli urlisonanti antri di Ogige
e dal furor de le Baccanti sparsi
di sangue i montie scende ove Citero
in lieti colli verso il mar s'appiana.
Passa oltree di Sciron l'infame scoglio
vedee scorre a Megarae la salubre
Corinto a tergo lasciaove si sente
mugghiare il mar da due contrarie sponde.
Ma di già Febo il suo diurno corso
finito avevae la triforme Dea
col rugiadoso carro iva vagando
per l'alto cieloe ne piovea vapore
che l'aer denso fa freddo e sottile.
Già su i rami gli augeile belve in tane
prendon riposoe di già il dolce sonno
molce le cure e infonde oblio de' mali.
Ma il Sol caduto infra le nubi involto
e il non purpureo rosseggiante cielo
non promettean sereno il nuovo giorno.
S'alzan da terra atri vapori e densi
ch'alto salendo son mutati in nebbia:
una tetra caligine profonda
copre di Cintia il vacillante lume:
già già s'odon sonar l'Eolie chiostre
e un fremer rauco di spezzate nubi
la tempesta minaccia. I venti in guerra
mentre il campo del cielo ognun pretende
e l'uno e l'altro incalzae nessun cede
sembran schiantare dal suo centro il mondo.
Ma l'Austro più potente in maggior notte
la notte involvee turbini e procelle
mescee la pioggia in giù versa a torrenti
che al soffiar poscia d'Aquilon gelato
in grandin si condensa e i campi inonda.
Serpeggian per lo ciel fulmini ardenti
e spezzan l'aria spessi tuoni e lampi:
scorron per tutto l'acquee la Nemea
valle n'è pienae già ne sono molli
d'Arcadia i monti a le Tenarie selve
vicinie per più rivi Inaco altero
già soverchia le spondee il suo veleno
Lerna ripiglia e ne gorgoglia e freme.
Argine più non v'ènon v'è riparo
che de i poc'anzi polverosi fiumi
possan frenar l'impetuoso corso.
Volano infranti i tronchie del Liceo
i cupi boschiove non entra il sole
penetra il turbo impetuoso e rio.
Il miser Polinice intorno mira
e vede giù precipitar da' monti
rupi infrante e torrenti: ode il fracasso
de la procellache rapisce seco
svelte le case e gli uomini e gli armenti.
Egli tremante e del cammino ignaro
per l'ombre cieche de la buia notte
il passo affrettae lo spaventa e turba
quinci il tempo crudelquindi il germano.
Così nocchierche in procelloso mare
privo di Cinosurae senza lume
non vede più dove drizzar la prora
sta fra vari timor dubbio ed incerto:
teme le sirti ascose ed i palesi
scoglie ad ognora d'affondar paventa.
Il giovane infelice afflitto e lasso
per lo più folto de le oscure selve
le siepi apre col petto e le boscaglie
e col pesante scudo urta e percuote
di quadi là arboritronchi e massi
ove albergan talor feroci belve;
e lo stesso timor dà lena al piede.
Pur finalmente de l'eccelsa rocca
di Larissa ne i tetti alti e sublimi
che d'Inaco già furvede una face
che l'ombre scaccia e lungi spande il lume.
Ei colà s'incamminae la speranza
gli mette l'ali al piede: a tergo lassa
Prosina a Giuno sacrae la palude
di Lerna insigne per l'erculeo foco
ed entra d'Argo ne le schiuse porte.
Vede le logge del real palagio
ed ei di pioggia ancor stillante e molle
vi si ricovrae sopra il duro suolo
stende le membrae invita gli occhi al sonno.
Qui il buon Adrasto i popoli reggea
con dolce freno ed in tranquilla pace
uomo d'anni maturoe più di senno
per avi illustree che il suo sangue tragge
per ambo i rivi dal supremo Giove.
A sua felicità mancavan solo
del miglior sesso i figlie solo a lato
due figlie leggiadrissime tenea.
A queste Febo con occulte ambagi
strani sposi promette e fiere nozze.
Un setoso cinghiale a l'una e un biondo
leone a l'altra; ed avverossi il detto.
Questo enimma funesto il vecchio padre
e del futuro Anfiarao presago
invan tentan svelare: Apollo il vieta;
e un sì tristo pensier nel padre invecchia.
Ed ecco intanto il gran Tideo scacciato
di Calidonia per crudel destino
e conscio a sè de la fraterna morte
per le stesse procelle e per le stesse
folte selve passandoe de la pioggia
tutto grondante il cringrondante il manto
giunge ove Polinice ha preso albergo.
Tosto Fortuna a i due guerrieri appresta
nuovi furorie l'uno a l'altro nega
sotto un tetto comun prender riposo.
Brevi fur le minacce; e tosto accesi
d'ira steser le bracciae disarmati
a nuda guerra s'accozzaro insieme.
Era grande il Tebanoe in ferma etade;
ma Tideo di coraggio a lui non cede
e il suo vigor per tutt'i membri sparso
dentro il piccolo corpo era maggiore.
Qual su i monti Rifei cadon frequenti
e grandini e saette: i due rivali
spesseggian le percossee fanno al volto
od a le cave tempia ingiuria e danno;
incurvan le ginocchiae a lotta stretti
si premono a vicenda il petto e 'l fianco.
Siccome allor che terminato il lustro
rinnova Olimpo i sacri giuochi a Giove
di nobile sudor sparsa è l'arena
e i vari applausi a i giovanetti eroi
accrescon forza ne l'amico agone
e aspettan fuori il vincitor le madri;
così ne l'ira prontie non già mossi
da bel desio d'onorguastansi 'l viso
con mani adunchee non rispettan gli occhi;
e forse il ferro avriano presoe forse
tuPolinicecon men ampio fato
cadevie t'avria pianto anche il fratello:
se non che Adrastoa cui la molta etade
e più le cure fanno lieve il sonno
ode il fragor de le percossee i gridi
tratti da l'imo pettoe non usati
ne i taciti silenzi de la notte:
e ratto corre; esce da l'alte porte
e lo precedon cento faci accese;
ma poi che giunge ov'è il conflittoe vede
orribil vista! i lacerati volti
di sangue intrisi: - E qual furor vi mena
o giovani stranieria fiera pugna?
(dice) perchè so ben che nel mio regno
uom sì ardito non fora. E qual sì atroce
d'odio cagion de la tranquilla notte
turba i riposi? È forse angusto il giorno?
Di placida quïete un sol momento
invidiate a voi stessie un breve sonno?
Ditechi siete? Onde venite? Quali
son vostre risse? Le magnanim'ire
e le ferite che in voi scorgo impresse
segno mi son di chiaro alto lignaggio. -
Ed essi allora con turbate voci
ed occhi biechi l'un l'altro mirando
così dissero a gara: - O degli Argivi
buon retu stesso vedi il sangue sparso;
a che ce 'l chiedi? - Indi Tideo ripiglia:
- Io per sollievo d'infelice colpa
lasciata ho Calidoniae le superbe
ricchezze avitee i campi d'Acheloo:
ne i confin vostri tenebrosa notte
e procellosa mi sorprende; or quale
ha diritto costui nel real tetto
onde mi vieti il necessario albergo?
Forse perchè vi giunse egli primiero?
I biformi Centauri un sol soggiorno
accoglieed Etna gli orridi Ciclopi.
Hanno le loro leggi anco le fiere:
noi non avrem comune il duro suolo?
Ma che più tardo? Or tuchiunque sei
o te n'andrai de le mie spoglie altero
o se il valore antico in me non langue
per novello dolorvedrai ben tosto
ch'io son del grand'Eneo degno rampollo
e merto aver fra gli avi miei Gradivo. -
- Nè a noi manca valore e chiaro sangue -
replica l'altro: ma vergogna il frena
e non ardisce nominare il padre.
Allor Adrasto: - La crudel contesa
che l'errore notturno e un improvviso
siasi sdegno o valor in voi destaro
deh cessi omaie ne' miei tetti entrando
datevi d'amistà le destre in pegno.
Forse non senza de gli dei mistero
questo n'avvennee del vicino amore
forieri sono gli odii vostri: grato
forse vi fia ciò rammentare un giorno. -
Sì disse Adrastoe fu del ver presago;
perocchè dopo la crudel tenzone
tale nacque tra lor santa amistade
quanta fra Teseo audace e Piritoo
quanta fu mai fra Pilade ed Oreste.
Essi allor tranquillando a poco a poco
l'alma commossa al suon de' regii detti
entrâr nel gran palagio. In cotal guisa
dopo l'aspra procella il mare accheta
l'onde sconvoltee non però del tutto
si tace il vento ne le aperte vele.
Or quivi Adrasto attentamente osserva
degli ospiti l'aspettoe l'armi e i manti:
vede il tebano entro la spoglia involto
di fier leonea cui dal collo pende
l'incolta giubada l'erculeo braccio
ucciso già ne la Teumessia Tempe:
di questo Alcide era vestitoquando
il Cleoneo maggior leone estinse.
Ma Tideo intorno avea del setoloso
aspro cinghialdi Calidonia onore
l'irsuto pelo e le ritorte zanne.
Stupisce il vecchioe nel pensier rivolge
il grande augurioe intende già gli oscuri
oracoli di Feboe de le grotte
le risposte fatidiche e veraci.
Tien gli occhi a terra fissie gli ricerca
un lieto orrore le midolla e l'ossa.
Conosce ei ben ch'ivi guidollo il Nume
e che son questi i generi promessi
sotto il velame de' ferini volti:
allora al cielo alza le manie dice:
- Notteche de' mortali e de' Celesti
le cure abbraccie teco in giro meni
per diverso cammin gli astri splendenti;
che dài ristoro a gli animali lassi
fino che il nuovo Sol li desti a l'opre;
tusacra Nottevolontaria sciogli
gli occulti enimmie da la dubbia mente
mi discacci il timorriveli il fato;
tu a l'opra assistie il lieto auspicio avvera.
Quantunque volte si rinnovi l'anno
avrai ne le mie case altari e voti:
noi t'offriremo nere agnelle e tori
scelti dal miglior greggee le lustrali
viscere avrà Vulcan di latte asperse.
Salveo de' sacri tripodi e del cieco
antro d'Apollo non fallace fede;
e tu salveo Fortunache de' Numi
ci discopristi l'infallibil mente. -
Tace; e i guerrieri per la man prendendo
con lor s'inoltra nel più interno albergo.
Fumavan ivi ancora in su gli altari
da le tepide ceneri coperti
il sacro fuoco e i libamenti sacri.
Ordina il re che nuova fiamma splenda
e si preparin nuove cene: pronti
accorrono i ministrie ne rimbomba
di vario suono la sublime reggia.
Altri portan purpurei aurei tappeti
e n'adornano i letti: altri le mense
copron co' bianchi lini: altri le faci
accendon su le pendole lumiere:
chi de le uccise vittime le carni
ne lo spiedo rivolgee chi sul desco
la macerata cerere dispensa.
Ferve ne l'opra la real famiglia.
Sel mira Adrastoe nel suo cuor ne gode;
ed egli intanto in su l'eburneo scanno
di ricchi strati adornoalto s'assise:
i giovani stranierlavate e monde
pria le lor piaghegli sedeano a fronte:
si rimirano in visoe de le impresse
ferite han duoloe l'un perdona a l'altro.
Allora il Re la vecchia e fida Aceste
de le figlie nutricea cui la cura
n'era commessa e le serbava intatte
a i maturi e legittimi imenei
fatta chiamarene l'attenta orecchia
basso le parla: ella ubbidisce a i detti:
ed ecco uscir da le segrete celle
le due vergini eccelseappunto quali
(se ne togli il terror) l'egidarmata
Palla e la faretrata alta Diana.
Ma come vider de i garzon stranieri
i nuovi aspetticon alterni moti
di pallordi rossor tinser le gote;
poi gli occhi vergognosi al padre alzando
ivi li tenner sempre immoti e fissi.
Intanto vari e prezïosi cibi
scacciata avean la fame; allor di Jaso
il successore l'aureo nappo chiede
tutto d'istorie variato e sculto
con cui solean libare a' sacri Dei
e Danao e Foroneo; da un lato v'era
un cavalier sopra destriero alato
che tenea in man le serpentine chiome
e il teschio di Medusa: alto ei rassembra
levarsi a voloe ch'essa gli occhi gravi
per morte e il volto ancor spirante muova
e il suo pallore anche ne l'oro serba.
Da l'altro il Frigio cacciator si vede
da l'aquila rapitoe sotto lui
Ida s'abbassae s'allontana Troia:
restan mesti gli amicie i fidi cani
invan latrangli dietro e mordon l'ombra.
Ei questo nappo ridondante e colmo
di vino in parte versai numi invoca;
ma Febo in prima; e FeboFebo intuona
la famiglia regal: ciascuno in mano
tien la pudica fronda amata tanto
dal Numea cui sacro è quel giornoe a cui
fuman l'are e gl'incensi. Adrasto allora:
- Forse in voi sorge natural desio
giovanidi saper del sacro rito
gli alti misterie qual cagion ne muova
a fare in questo giorno a Febo onore?
Non sono a caso i sacrifizi: un tempo
il popol d'Argo da gran strage oppresso
or questi voti sciogliee udite come.
Poich'ebbe Apollo il gran Pitone ucciso
orribil mostro de la Terra figlio
che co' suoi tortuosi ampli volumi
Delfo tenea ben sette volte cinta
e le piante seccava e i verdi campi
col pestifero fiato e con le squamme
tutta vuotando in lui la sua faretra;
mentr'ei stendeva nel Castalio rivo
il lungo collo e la trisulca lingua
per rinnovar con l'onda il suo veleno
e dopo morto infin de la gran mole
stesi gl'immensi avviticchiati giri
di Cirra ricoprì ben cento campi:
pria di tornare infra i celesti numi
volle espiar quaggiù l'uccisa fiera
e ne i poveri tetti ebbe l'asilo
del re Crotopo. Avea questi una figlia
giovane e bella di natia bellezza
de i Penati custodee riserbata
a legittime nozze intatta e pura.
Felice leise del Signor di Delo
fuggiva i furti e i clandestini amori!
Ma poi che il nume ebbe soffertoerrante
lungo il fiume Nemeo (già Cintia avendo
ben dieci volte rinnovato il corno)
un vezzoso bambino in luce diede;
e perchè teme l'implacabil ira
del genitorche il vïolato letto
non lascerebbe invendicatoascosi
luoghi ricercae in villereccio albergo
il caro parto ad un pastore affida.
Sventurato fanciul! già non son queste
degne del sangue tuo cune reali:
tu su l'erba t'adagie te ricetta
di virgulti e di canne un tetto umíle:
tu fra cortecce d'arbori rivolto
scaldi le membra: rustica zampogna
a te concilia il sonnoe con gli armenti
hai comune il soggiorno ed il terreno:
e questo ancora t'invidiaro i fati!
Perchèmentr'egli abbandonato e solo
sopra verde cespuglio un dì giacea
vivo e tremante il divoraro i cani.
Ma non sì tostò a l'infelice madre
giunse l'avviso reoche da sè scaccia
ogni vergogna e 'l genitor non teme
e scinta il seno e lacerata il crine
d'urli e di strida i regii tetti empiendo
corree il suo fallo al crudo padre accusa:
ei da pietà non mossoa fiera morte
e bramata da leitosto l'invia.
Ma sebben tardia te tornaro in mente
i dolci amplessi e la trafitta amante
Febo: però non gli lasciasti inulti.
Un mostro orrendo d'Acheronte in fondo
da le Furie concetto a noi mandasti.
Aveva di donzella il volto e 'l petto
ma bieco il guardoe le partiva il crine
una rabbiosa e sibilante serpe.
Or questa peste fra i notturni orrori
penetrava le casee da le culle
e dal sen de le vigili nudrici
tutti traeva i teneri bambini;
e pascendo di lor l'ingorda fame
si satollava de i paterni pianti.
Ma il prode in armi e di gran cuor Corebo
fatta di scelti giovani una schiera
vie più d'onore che di vita amanti
più non volle soffrir l'iniquo mostro.
Andonne in tracciae ritrovollo appunto
infra due porte d'infelici case
dond'era uscito: gli pendean dal fianco
due pargolettie già le adunche mani
ne le viscere d'unoe i crudi artigli
immersi avevae ne strappava il cuore.
Lo vedevibra l'asta e gli dà morte;
e la piaga allargando e le interiora
squarciandoil mostro suo rende a l'inferno.
Stupiscon gli altri: e poichè un colpo solo
finì l'impresaprendonsi diletto
di rimirar le impallidite luci
e l'immonda pinguedine del ventre
e le viscere orrende e già nudrite
de' nostri figli: già l'Argiva plebe
accorrela rimirae ancor ne teme
e il nuovo gaudio di pallore è misto.
Alfin fatta sicuraaltri ne squarcia
le scelerate membra a brano a brano:
chi l'orribile ceffo e le mascelle
chi l'ampie zanne con i sassi infrange;
nè può vendetta sazïar lo sdegno.
Da quel sozzo cadavere insepolto
fuggîr notturni augelli; e i cani e i lupi
s'allontanâr dal velenoso pasto.
Ma quando credevam de i lunghi pianti
rasciugar gli occhi: ecco che Febo a sdegno
presa la morte de la Furia ultrice
dal bicorne Parnaso in noi saetta
col crudel arco avvelenati strali.
Sorge un vapor malignoe i campi adugge:
una nebbia ferale in cieca notte
tutt'Argo involvee la ritien coperta.
Mancan l'alme infelicie a Stige scendono.
Non sì veloce il mietitor recide
le spichee non sì presto il foco stende
in secca stoppia la vorace fiamma
com'empia Morte miete a centoa mille
le vitee insegne vincitrici spiega.
Già scorre la cittade; e vinta e doma
tutta la manda in sacrificio a Pluto.
Infin l'afflitto re ricorre al tempio
e da l'Autor de' nostri mali chiede
del male la cagion; perchè n'offenda
l'aere infettoe perchè Sirio in cielo
oltre l'usato tiranneggi l'anno?
Ma il crudo nume una crudel risposta
ne dà: che tosto sien mandati a morte
quei che la sozza bestia aveano uccisa.
O di Corebo invitto animo altero
d'eterno onord'immortal fama degno!
Non già l'armi nascondie non t'infingi
nè ricusi per noi l'estremo fato.
Vittima volontaria egli sen corre
e del gran tempio in su la soglia giunto
osa il nume irritar co' detti acerbi:
Nè da altrui mosso, nè a cercar perdono
io vengo, o Febo, a i tuoi tremendi altari:
me la mia coscïenza, me il valore,
me la pietà qui manda: io son colui
che la tua Furia uccisi; quella, iniquo,
che con l'atre nubi e con gli oscuri
giorni, e con l'aria infetta e colla peste,
e col lutto comun vendicar tenti:
che se lassù fra gl'immortali Numi
in tanto pregio son le belve e i mostri,
che la morte de gli uomini rassembri
recare al mondo minor danno; e quale
Argo v'ha colpa? Me, me, giusto Nume,
questo mio capo tue vendette adempia.
Che giova a te de le deserte case
mirare i tetti e le campagne inculte?
e gli estinti cultori arder su i roghi?
Ma perchè tardo più col parlar mio
la tua vendetta? Aspettan già le madri,
e già m'onoran degli estremi pianti.
Su dunque il dardo scocca, e a Lete manda
quest'alma eccelsa che morir non pave;
ma da le rocche d'Inaco discaccia,
benigno Febo, il velenoso influsso.
Sempre arrise fortuna a gran valore.
Placossi Febo; serenossi il cielo;
cessò l'acerba strageed ei tornossi
tra gli applausi comuni e i lieti gridi
qual vincitor ne le paterne case.
Quindi è che noidopo il girare intero
de l'annoa Febo in questo dì solenne
rinnoviam queste cene e i nostri voti.
E forse ancor qui voi guidò la fama
per star con noi del sacrifizio a parte;
sebben tu mi dicestie mi sovviene
ch'eri figliuol del Calidonio Eneo
e successor del Partaonio regno.
Ma tu donde a noi vieni? (Il tempo e il luogo
agio ne dan di favellar.) Rivela
qual sia la patriail genitoreil nome.
Arrossì Polinicee il volto a terra
chinandoriguardò come di furto
l'emulo generosoed a la fine
dopo molto pensarcosì rispose:
- Non chiedermio buon Refra tanti onori
sacri a' superni Deiquale il mio nome
qual sia la patria o il genitorchè ponno
del santo rito funestar la pompa.
Ma se pur vuoi che l'onte mie palesi
io nato son ne la guerriera Tebe:
da Cadmo ho il sanguee madre m'è Giocasta.
Allora il re de l'ospite a pietade
mosso: - A che celi a noi le cose note?
(disse) dunque in Micene e in Argo solo
non si sapranno del Tebano regno
gli errorle furie e le accecate fronti?
Già ne vola la famaovunque splende
il Solee dov'ei nasce e dove more
e sotto i sette gelidi Trioni
e là di Libia ne le aduste arene.
Cessin le tue querelee l'opre inique
de' tuoi maggiori non recarti a scorno.
Anche tra i nostri alcun peccònè a noi
nè al sangue nostro il fallir lor s'ascrive.
Cancella tu con generose geste
le colpe altruie te di gloria adorna.
Ma già il timon abbassae langue e manca
il pigro auriga de la gelid'Orsa:
Su suministririnnovate i fuochi
e il vin su vi spargetee i nostri canti
lodino 'l biondo dioche a gli avi nostri
(sua gran mercè) diede salute e vita.
Febo, o sia che di Licia ora pe' i monti
cacci le fiere, e Patareo t'appelli;
o che Timbreo ne li Troiani campi
abbi soggiorno, ove li Frigi ingrati
la promessa mercede a te negaro;
o che in Castalia lungo il dolce rivo
ti sieda a l'ombra de' tuoi sacri allori;
o più ti piaccia la materna Cinto,
che il vasto Egeo co' suoi gran monti adombra,
l'angusta Delo tua posta in oblio:
tu l'arco porti, e contro gli empi scocchi
le divine infallibili saette:
a te diè Giove aver fresche e vermiglie
ognor le gote e sempre biondo il crine:
a te fu dato antiveder quai stami
sia per troncar l'inesorabil Parca,
del futuro presago; a te di Giove
nota è la mente e l'immutabil fato;
tu qual anno fia sterile o fecondo;
tu sai qual ne sovrasti o pace o guerra;
tu quai regni minaccin le comete;
tu vinci con la tua sonora cetra
Marsia nel canto; e tu lo leghi e scuoi;
Tizio per te di Stige ingombra i campi;
e de la madre tua vendichi l'onta;
tu il fier Pitone uccidi, e la tremante
Niobe de i parti suoi orbata rendi:
per te Megera inesorabil tiene
Flegia digiuno a sozze mense assiso:
tu benigno ci guarda, e tu difendi
questo a te già sì caro ospite albergo,
e questo di Giunon divoto regno,
o che tu Osiri esser chiamato brami,
o di Titano più ti piaccia il nome,
quali sul Nilo e in Achemenia prendi,
o quel di Mitra (c'hai ne' Persi regni)
che il bue restio per le gran corna afferra. -
LIBRO SECONDO

ETEOCLE RICUSA DI OSSERVAR I PATTI

Il veloce di Maia alato figlio
tornava intanto da le gelid'ombre
eseguito di Giove il gran decreto.
Fangli ritardo al pièritardo al volo
le dense nubi e 'l torbid'aer fosco;
nè lo portano i Zeffiri volanti
ma di quel muto ciel l'aura maligna:
gli attraversan le strade i fiumi ardenti
e Stige reache nove campi cinge.
Lo siegue con infermo e tardo passo
la pallida di Laio ombra tremante:
dal ferro parricida egli ancor porta
trafitto il pettoed altamente impresso
lo primo sdegno de le Furie ultrici;
pur vaed appoggia a debil legno il fianco.
Ne stupiscono l'ombree i boschi e i campi
d'Inferno; e il suolche s'apre e fuor li manda
d'essersi aperto meraviglia prende.
Ma il livorche in se stesso i denti volge
turba gli spirti ancor privi di luce
e del suo rio velen tutti gl'infetta:
ed un fra gli altricui vivendo increbbe
de l'altrui bene e s'allegrò ne' mali
nè può patir che Laio ora sen torni
a vagheggiar la lucei sensi amari
del cuor palesa con maligni accenti.
- Oh te felicea qualunque opra eletta
almache torni al chiaro aer sereno!
O così Giove il vogliao te rimeni
Tesifone crudele infra i mortali
o te richiami da l'oscuro avello
Tessala maga con la bocca immonda.
Tu pur vedrai del sole e de le stelle
la vaga lucee i verdeggianti campi
e i puri fonti e i cristallini fiumi:
tanto misera piùquanto fra noi
hai da tornar ne le ciec'ombre eterne. -
Sentilli intanto Cerberoe rizzossi
e le tre bocche aprendo e le tre gole
orrendemandò fuori urli e latrati.
Già prima ancora minacciando stava
l'alme scendenti a le tartaree porte;
ma con la fatal verga in Lete immersa
toccollo il Numee de le orrende fronti
in grave sonno le sei luci chiuse.
È un monte ne l'Inachiaove s'estolle
il capo di MaleaTenaro detto
sublime sì che non vi giunge il guardo:
alza la fronte al cieloe ognor sereno
mira sotto di sè le nebbiee sprezza
e la grandine e i turbini sonori.
Le risplendenti stelle e i venti lassi
su lui prendon riposo e fan soggiorno:
giunger ben ponno a la metà del monte
le oscure nubima a l'eccelso giogo
salir non può presto volar di penne
nè i rauchi tuoni o le saette ardenti:
ma làdove l'Egeo gli bagna il piede
curva in arco gli scoglie un porto forma.
Ivi quando a la sera il dì s'appressa
e del monte nel mar l'ombra è maggiore
scende Nettun dal carroe i destrier scioglie.
Hanno i destrier la fronte e il largo petto
qual hanno i nostrie il deretano è pesce.
In cotal luogo antica fama suona
che s'apra obliqua e tenebrosa via
per cui le pallid'ombre e il vulgo esangue
scendon dolenti a le tartaree porte
il regno a popolar del nero Giove.
E se diam fede agli arcadi coloni
suonan per molte miglia i campi intorno
d'urli e di pianti e di stridor di denti.
Sovente udite fur nel pieno giorno
le voci de l'Eumenidi spietate
e le sferze e i flagellied i latrati
del Can trifauce; onde lasciaro inculti
gli sbigottiti agricoltori i solchi.
Per questa strada il messaggero alato
tra la densa caligine ritorna
al chiaro giornoe giù dal crin scotendo
l'infernal nebbiail puro aer respira.
Indi alto va su le cittadi e i campi
verso l'Arturoed in quell'ora appunto
che a mezzo del cammin Cintia risplende.
Il Sonno intanto de la Notte il carro
guidava e i destrier foschi; e com'ei vide
il numealzossi ed onorolloe torse
dal cammin drittoa lui cedendo il passo.
Vola più sotto del Tebano l'ombra
e rivagheggia le perdute stelle
il patrio cielo e il suo terren natio.
E già di Cirra trapassati i gioghi
e Focida di Laio ancor aspersa
del fresco sangueerano giunti a Tebe.
Fremè l'ombra superba in su le soglie
de' patrii Larie fu a l'entrar restia:
ma poich'entratole sue spoglie vide
pender da le colonnee il carroov'egli
ucciso fututto sanguigno e lordo
poco mancò che non volgesse il piede
non curato di Giove il sommo impero
e 'l gran poter del caduceo fatale.
Ricorreva in quel tempo il dì festivo
segnato già dal fulmine di Giove
allor che Bacco non maturo ancora
fu dal materno incenerito seno
trattoe riposto nel paterno fianco
a terminar di nove lune il corso.
Perciò passata avean l'intera notte
senza dormire i popoli feroci
che vennero da Tiroe in feste e in giuochi
sparsi pe' i tetti e per li verdi campi
cinti d'edera il crinee di già vuote
le tazze e i vasi del miglior Lieo
gían esalando su la nuova luce
da l'anelante petto il Dio giocondo.
S'udian per tutto rimbombare i vuoti
bossie di bronzo i timpani sonanti:
e il Numeil Nume stesso iva cacciando
le non feroci donne in su 'l Citero
le mani armate d'innocenti tirsi.
Siccome là sul Rodope gelato
i crudi Traci a fier convito uniti
di semivive carni e de le prede
tratte di bocca de' leoni ingordi
pascon la dura fame; e il puro latte
condisce in parte il sanguinoso pasto
e di lor mense è sol delizia e lusso;
se del teban liquor senton a caso
l'odore e il gustodi furor accesi
lanciansi e tazze e vasie alfin le pietre
e poi di sangue ancor stillanti e molli
tornano a desco a rinnovar le feste:
Tal fu la notte ch'entro Tebe giunse
l'ombra sdegnosa e 'l messaggero alato.
Invisibili entrâr per l'aria cheta
ove il signor de l'echionia plebe
alto giacea sovra i tappeti assiri
d'oro e porpora intesti. Oh de' mortali
de l'avvenir non consapevol mente!
Ei le mense ha dinanzie dorme e posa
e 'l suo destino ignora. Allora l'Ombra
s'accinge a l'opra; e per celar le larve
l'oscuro volto di Tiresia finge
e 'l parlar noto; ma il canuto crine
e la sua lunga barba e il suo pallore
veri ritiene: l'infulale bende
d'oliva intorte son sembianze vane
ed è vana la voce; e pur ei sembra
che la man stendae con la sacra verga
gli tocchi 'l pettoe il suo destin gli scopra.
- Tu dormio Re? Ma non è questo il tempo
di riposar su l'ozïose piume
senza sospetto aver del tuo germano.
Gran nembo ti sovrastae gravi cure
te richiaman dal sonno; e neghittoso
ten staicome nocchier che 'n mar turbato
commosso intorno da rabbiosi venti
lasci 'l timonee s'addormenti e posi?
Ma già non dorme il tuo fratelsuperbo
per nuove nozze; e (come fama suona)
genti accoglie e soccorsied a te il regno
per non renderlo poiritoglier pensa
ed invecchiar ne la natia sua corte.
La dote d'Argo e 'l suocero fatale
gli aggiungon forza; e seco unito è in lega
Tideo macchiato del fraterno sangue.
Giovedi te mosso a pietàda l'alto
a te mi manda: Egli per me t'impone
che 'l germano crudelche te dal regno
escluder tentatu dal regno escluda
e renda vani i suoi pensier funesti
e 'l desio c'ha de la fraterna morte.
Tu non soffrir che ad Argo ed a Micene
serva divenga la guerriera Tebe. -
Disse; e perchè già la novella luce
a l'Inferno il respingeil finto aspetto
lasciae del crin le simulate bende
spogliae al nipote manifesta l'avo:
poi sovra il letto se gli stendee aperta
mostra l'immensa piagae luiche dorme
del sangueche non hatutto ricopre.
Quegli allor lascia il sonnoe in terra sbalza
da l'alto letto pien di larve e mostri
e 'l vano sangue da sè scuotee sente
orror de l'avoe già 'l fratel ricerca.
Come de' cacciatori al corso e al grido
la tigre arruffa la macchiata pelle
apre le irate faucie l'unghie spiega
e a battaglia s'appresta: indi si lancia
nel folto stuoloe vivo uno ne prende
ed alto il porta a satollar la fame
de' crudi figli: in cotal guisa acceso
d'ira Eteócle incrudelisce e sbuffa
e col fratello in suo pensier guerreggia.
Ma già lasciando di Titone il letto
sorgea l'Aurorae dileguava intorno
l'umid'ombre notturnee da le chiome
giù stillava rugiadee rosseggiante
eraed accesa dal vicino Sole.
Dinanzi a lei Lucifero il destriero
in tarda fuga volgee tardi spegne
la vaga facee 'l ciel non suo le cede
perfin che Feboil gran signor de' lumi
rischiari il mondo e la germana oscuri.
A lo spuntar del dì lascian le piume
il vecchio Adrasto ed il teban guerriero
e 'l calidonio eroe. Dopo la pugna
e l'orrida procella aveva il sonno
da tutto il corno su gli eroi stranieri
versata a piena man l'onda letea.
Ma l'Inachio signorche in mente ha fissi
gli augurii e i Numi e 'l nuovo ospizioe pensa
qual sia il destin de' generi fatali
breve goduta avea pace e riposo.
Giunti che furo del real palagio
ne la gran salasi toccâr le destre.
Allora Adrasto in più rimota parte
ove soleva i più segreti e gravi
affar del regno consultarguidolli
e assisi in cerchioagli ospiti sospesi
e che pendean da luitai detti sciolse:
- Certo non senza de gli Dei mistero
giovani eccelsivi guidò la notte
entro a' miei regnie 'l procelloso nembo
e i fulmini di Giove. Apollo istesso
Apollo a i tetti miei drizzovvi il passo.
A voicred'iocome a la greca gente
è noto già con quanti studi e voti
stuolo d'illustri Proci a me le nozze
chiedano de le figlie. (A me due figlie
crescon sotto felice ed ugual stella
de' futuri nipoti unica speme).
Quale modestia in lorqual sia beltade
voi vel vedeste; non si creda al padre.
Queste cercano a prova i Regi invitti
grandi per armi e per impero. Io taccio
i Proceri Laconi e i Foronei
e quante madri le bramâr per nuore:
non il tuo Eneo tanti sprezzò mariti
a la sua figlianè il pisan crudele
tanti ne uccise co i cavai veloci.
Ma d'Elide o di Sparta il Fato nega
che i generi io mi scelga; e a voi destina
con lung'ordin di cose il sangue mio
le dolci figliee questo trono e il regno.
Sien grazie a i Numi: io pur vi veggio quali
per stirpe e per valore a me conviene
e fur lieti gli augurii: a tanto onore
i procellosi nembi vi guidaro
e questa è al sangue vostro alta mercede. -
Qui tacque Adrasto; e si miraro in viso
i guerrierquasi l'uno a l'altro voglia
ceder de la risposta il primo onore.
Ma Tideo impazïente alfin proruppe:
- O quanto parcamente a noi favelli
buon rede le tue lodi! O quanto vinci
con la virtù la tua fortuna! Adrasto
a chi cede d'impero? Ed a chi ignoto
è omai che tu dal tuo primiero soglio
di Sicïon fosti chiamatoi rozzi
costumi a raddolcir de' fieri Argivi?
Ed oh così in tua man Giove ponesse
quanto l'Istmo riserrae quanto abbraccia
di quadi là con due diversi mari!
Non fuggirebbe da Micene il sole
per non veder le scelerate mense;
nè gemerebbe la campagna elea
sotto i sanguigni carri; e l'empie Dire
non turberian più regni: e ben lo prova
or Polinicee a gran ragion sen duole.
Noi accettiamo il donoe tu disponi
buon Redi noichè ne fia legge il cenno.
Così diss'egli; ed il Teban soggiunse:
- E chi può ricusar suocero Adrasto?
Noiquantunque l'esilio a noi men grata
Venere rendain te posiam le cure
e le sgombriamo da gli afflitti petti
il dolor nostro convertendo in gioia.
Così nocchier respira e si rallegra
che scopre il lido amico e il vicin porto.
Or giovi a noi sotto i tuoi fausti auspicii
in tua corte passar quanto ne avanza
di vitae in te ripor le nostre sorti. -
Sorsero allorae s'abbracciaro: Adrasto
rinnovò i giuramenti e le promesse
di ricondurli ne i paterni regni.
Tutt'Argo è in festae da per tutto il grido
si sparge de i due generi novelli;
che a l'uno Argiaa l'altro il Re destina
Deifile non men vaga e vezzosa
già mature a i legitimi imenei.
La Fama intanto ne divulga il suono
per le cittadi amichee per li regni
e prossimi e rimotioltre le selve
di Licia e di Parteniae là ne i campi
de l'ondosa Corintoe infin penétra
la Dea maligna ne l'Ogigia Tebe
e di sè tutta la riempie intorno.
Narra gli ospizii giuramentii patti
le nuove nozzee ciò che vide in sogno
il Re confermae la commuove e turba.
Chi tanta libertàtanto furore
concesse a questo mostro? Ei già la guerra
minacciae di discordia alza la face.
Ma già risplende in Argo il dì festivo
destinato a le nozze: i regii tetti
s'empion di lieta e festeggiante turba.
Bello è il veder le immagini de gli avi
spirar ne i bronzi tanto al ver simíli
che l'arte reca a la natura oltraggio.
Inaco re con le due corna in fronte
mirasi in fianco riposar su l'urna;
seguono appresso lui Jaso canuto
e Foroneo legislatoree il forte
guerriero Abante; e Acrisio ancor sdegnoso
d'aver genero Giove; e 'l buon Corebo
col ferro in pugnode la fiera uccisa
alto portando il formidabil teschio;
e la torva di Danao austera immago
che sta pensosa ancor sul gran delitto;
poscia mill'altri Regi. Intanto accorre
il vulgoe tutto il gran palagio inonda.
Ma i senator ne i gradi lor distinti
chi presso e chi lontano al Re fan cerchio.
Dentro risuonan le più interne celle
di femminil tumultoe a' sacri altari
ardon gl'incensie porgon voti a i Numi.
Fanno d'intorno a le reali spose
casta corona le matrone argive;
e alcuna de le vergini pudiche
rassicura il timoree le dispone
a le leggi e a i dover de l'imeneo.
Esse sen vanno e d'abito e d'aspetto
ragguardevoli in vista e maestose
di modesto rossor tinte le gote
con gli occhi a terra chini; e sol le turba
di lor verginità l'ultimo amore
e del loro pudor la prima colpa.
Scendon da' vaghi lumi alcune stille
quasi rugiada ad irrigarne i seni.
Il genitor sel vedee sen compiace.
Tali scendon talor Palla e Diana
dal cielo insieme ambe di dardi armate
ambe in volto ferocii biondi crini
dietro del capo in vago nodo attorti:
l'una da Cintod'Aracinto l'altra
guida le vaghe sue leggiadre Ninfe;
se tu le miri (se mirarle lice)
non sai quale più onorio quale appaia
più vagao qual sia più di grazie adorna;
e se tra lor con egual cambio l'armi
volessero mutarben converrebbe
a Palla la faretraa Cintia l'elmo.
Intanto il popol d'Argo in ogni tempio
ciascun secondo il suo poterea i Numi
fan sacrifici: altri di grassi tori
altri d'agnellealtri di puro incenso;
nè son graditi mens'è il cor divoto.
Quand'ecco strano e subito spavento
(così volea la Parca) il lieto giorno
turbae tutto d'orror riempie il padre.
Givan al tempio le due vaghe spose
fra lieta turba e mille faci ardenti
de la casta Minervaa cui Larissa
più grata è assai de' suoi Munichii colli.
Ivi solean le verginelle argive
destinate a le nozzea la gran Dea
le primizie libar de i vaghi crini
e scusa far de' talami novelli.
Ora mentre salian lieti e festivi
per gli alti gradi al tempioil grave scudo
de l'arcadico Evippo al tetto appeso
giù d'improvviso rovinando cadde
e le faci e le tede e il sacro fuoco
del tutto spense; e rauco suon di tromba
da i sotterranei uscìche di spavento
d'empier finì gli sbigottiti Argivi.
Tutti guardano il Reche non dà segno
di tema; allor l'adulatrice turba
nega d'avere il tristo augurio udito
ma lo riserba in mentee sen discorre
per tuttoed il terror cresce parlando.
Ma che stupor? Se dal tuo collo pende
il fatale d'Harmonia empio monile
dono del tuo consorteo bella Argia?
Lungoma noto è l'ordine de' mali
de l'infausto monilee pur mi giova
tutta narrarne la dolente istoria.
Dacchè Vulcan ne la nascosa rete
prese l'infida sposa e 'l fiero drudo
nè però vide a sè cessar lo scorno
nè le insidie di Marte; ei si dispose
in sembianza di dono a far vendetta
ne l'innocente lor misera figlia.
Impiegò tosto nel feral lavoro
i suoi Ciclopi e i tre Telchini infami
ed ei più d'altri faticò ne l'opra:
ei v'inserì molti smeraldi ardenti
d'occulta lucee più diamanti impressi
d'immagini funestee del Gorgone
gli occhi malignie il cener su l'incude
avanzato de i fulmini celesti
e de i dragon le squammee l'oro infausto
de i pomi de l'Esperidi e del vello
del reo monton di Frissoe varie pesti
e del crin di Megera il maggior serpe
e del venereo cinto il reo potere;
e con l'umide spume a Cintia prese
temprò il fatal monilee lo cosperse
tutto d'allegro micidial veneno.
Non fur presenti Pasitea gentile
nè le minor sorellenè il diletto
nè l'Idalio fanciullo: il luttol'ira
il dolorla discordia a l'opra infame
porsero aiutoe n'affrettaro il fine.
Prima fu Harmonia a risentirne il danno
chè il serpeggiante suo vecchio marito
per gl'Illirici campi or va seguendo
mutata in bisciae sibilando duolsi.
Semele poi se n'era ornata appena
che venne a lei l'insidïosa Giuno.
Questa in sembianza d'ôr lucida peste
te pur fregiòGiocasta: ed a qual letto
misera! A quali nozze? Indi molt'altre
ne provaro il veleno: ora nel petto
splende d'Argiache col monile infausto
de la germana il parco culto eccede.
Ma del Vateda' Fati omai richiesto
l'avara moglie il videe in lei destossi
tosto l'invidiaed un'ardente brama
di possedere l'esecrabil oro.
Che giova a lei l'aver comune il letto
con l'argivo indovino? Oh quante stragi!
Oh quanti lutti a sè prepara! Degni
inver di lei; ma l'innocente sposo
in che peccò? Qual v'hanno colpa i figli?
Poichè dodici volte ebbe fugate
dal ciel le stelle la vermiglia Aurora
a le reali feste ed a i conviti
fu posto fine. Polinice allora
volse il pensiero a l'anfionie mura
e al patrio regno. A lui ritorna in mente
il dì che la Fortuna alzò il fratello
a l'echionio tronoed ei rimase
privato e in odio a' Numie con la sorte
vide fuggirsi i poco fidi amici.
Sol la minor sorella in su l'estreme
soglie seguillo ed abbracciollo; ed egli
per soverchio furor rattenne il pianto.
Or l'infelice in suo pensier rivolge
o spunti in cielo il soleo 'l dì s'imbruni
quali del suo partir restâr giulivi
e quai dolentie l'alterigia e il fasto
del superbo germano: il cuor gli rode
vendetta e sdegnoe de' più rei tormenti
il maggiorla speranza e lunga e incerta.
Da tai cure agitatoegli risolve
tornar (segua che puote) a la natia
Dirce e a i Beozi campie su l'avito
trono di Cadmoche il fratel gli nega.
Siccome toroche guidò l'armento
gran tempodal rival vinto e fugato
lungi dal natio pasco e da l'amata
giovencamugge dal profondo petto
e disdegnoso sprezza il fonte e l'erba;
se le piaghe risanae il muscoloso
petto rinfrancae il vigor nuovo acquista
torna superbo a miglior pugna accinto
al prato antico ed al primiero amore;
sparge col piè l'arenaarruota il corno;
lo teme il vincitor; restan confusi
e 'l riconoscon i bifolchi appena:
non altrimenti il giovane tebano
medita nel suo cuor l'alta vendetta.
Ma ben s'avvide la pudica moglie
qual ei volgesse in sè consiglio occulto;
e in mezzo a i casti mattutini amplessi
tra mille bacia lui piangendo disse:
- Quali motiSignor? Che fuga è questa
che ordisci? Non s'inganna accorta amante:
i sospirii lamenti e gl'inquïeti
sonni i disegni tuoi mi fan palesi.
O quante volteo quante io le man stendo
e sento il cuore palpitarti in petto
ed il viso talor di pianto molle!
A me non preme l'ancor fresca fede
di nostre nozzenè che tu mi lasci
vedova e sola in giovanetta etade;
quantunque è in me d'Amor viva la face
e 'l nostro letto non ben caldo ancora;
a medolce mio sposoa me sol preme
la tua salvezza. E disarmato e solo
tu dunque andrai ne' tuoi paterni regni?
E se 'l fratel li nega? ed in qual modo
fuggirai tu da la tua Ogigia Tebe?
Ahi che la Famache più i Regi osserva
narra di lui quant'è superbo e altiero
per l'usurpato soglioe (non ancora
finito l'anno) contro te crudele.
Io temo e tremoe accrescono il terrore
le fatidiche vocie le interiora
de le vittime infauste e i Numi irati
e il volo de gli augelli e i tristi sogni;
ah che giammai non m'ingannaro i sogni
qualor Giuno m'apparve! E dove corri
misero? Se pur te segreto amore
e un suocero miglior non chiama a Tebe! -
Sorrise allora il giovane Tebano
del van sospetto de la cara moglie
e se la strinse al senoe con più baci
tempronne il duolo e rasciugonne il pianto.
- Deh sgombraanima miasgombra il timore
(disse)e confida: a' giusti voti i Numi
saran propizie a le dolenti notti
succederà più d'una lieta aurora.
L'alte cure di Stato a la tua etade
non convengono ancora: il sommo Giove
sa qual fine si debba a giusta impresa
se Astrea pur è lassusoe s'ei riguarda
quaggiù le cose e vuol che 'l dritto vinca.
Verrà (o ch'io spero) il fortunato giorno
che salirai col tuo consorte in trono
e andrai di due città donna e regina. -
Qui tacquee abbandonò le amiche piume:
poi con Tideo s'unìde le sue pene
e de le cure sue fido compagno:
(cotanto amor dopo la pugna e 'l sangue
era nato fra lor)e al vecchio Adrasto
chiese dolente il già promesso aiuto.
Ei raduna il senatoe dopo molti
e diversi parerialfine sembra
il partito miglior che alcun si mandi
che 'l pattuito vicendevol regno
ad Eteocle chiedae tenti prima
le pacifiche vie del suo ritorno.
Così conchiusoil Calidonio audace
sè stesso offrì: ma quanto duoloahi quanto
Etolo eroela tua fedel consorte
Deifile gentildel tuo partire
risente! E che non fecee che non disse?
Quanto pianse e pregò per ritenerti?
Ma del padre il volerma la pietade
de la germana e 'l dritto de le genti
che i messaggi assicuraalfin la vinse.
Part'egli intantoe già passato avea
aspri cammin per cupe selve e colli
là dove ferve la lernea palude
co' venefici fluttiancor fumante
per gli arsi capi da l'erculeo braccio;
e dove in la nemea valle non s'ode
de' timidi pastor vocenè canto;
indi era giunto a le corintie spiagge
esposte al soffio orïental de' venti;
ed al porto di Sisifo; e là dove
il Lecheo palemonio il mare affrena.
Poscia a Niso si volgee alla sinistra
lasciando Eleusi a Cerere diletta
ei calca infine di Teumesia i campi
e pone il piè ne l'Agenorea rocca.
Vede Eteócle in alto trono assiso
dar legge a Tebe oltre il confin de l'anno
e del regno non suoma del fratello:
torvo d'aspettoche ben mostra fuori
l'animo aver ad ogni colpa pronto.
E appunto ei si ridea che così tardi
se gli chiedesse il patto. Allor fermossi
Tideo nel mezzo: il ramuscel d'oliva
ch'ei porta in manomessagger lo scopre.
Chiesto poscia del nome e qual cagione
ivi lo meniil tutto fa palese;
e come rozzo nel parlar e a l'ira
pronto e dispostola sua giusta inchiesta
mischiò in tal guisa con parole amare.
- Se in te regnasse fedee se de' patti
cura prendessial tuo fratel ramingo
tu dovevi mandarfinito l'anno
ambasciatori e richiamarlo al trono
e con pronto volercon cuore invitto
lasciar la tua fortuna e 'l non tuo regno
tanto che anch'egli da' suoi lunghi errori
per ignote cittadi e da' disastri
ne la promessa sua corte respiri.
Ma già che tanto in te può amor d'impero
e di comandoche l'altrui ritieni
noi te 'l chiediamo: ha già trascorso il Sole
per tutti i segnida che i duri casi
del tristo esilio il tuo fratel sopporta.
Or tempo è bene che tu ancora impari
andartene ramingo al caldoal gelo
ne l'altrui case a mendicar l'albergo.
Pon modoponi a la tua sorte: assai
ricco d'oro e di gemme e d'ostro adorno
del tuo fratel la povertà schernisti.
Il piacer di regnar scordati alquanto;
soffri l'esilioe sofferendo degno
ti renderai di ritornar sul trono. -
Sì disse: e 'l Re già torbido inquïeto
ardea nel cuore di furore e sdegno.
Siccome serpecui per lunga sete
crebbe il velen ne le natie latebre
da tutti i membri lo raccoglie al collo
e a la trisulca lingua; indi si lancia
contro il pastorche lo ferì col sasso.
Così Eteócle tumido ed altiero
diede a i feroci detti aspra risposta:
- Certo se l'odiose 'l furorse l'ira
dubbi fossero a me del mio germano
e non ne avessi manifesti segni
l'altiero tuo parlar ne faria fede.
Così al vivo l'esprimi e ne minacci
con rabbia talcome se fosser svelte
da' fondamenti le anfionie mura
e tutta andasse Tebe a ferro e a fuoco.
Se a' feroci Bistonii ed a' gelati
Sciti lontani dal cammin del Sole
messaggero tu fostiin più discreti
modi so ben che parlerestie fiero
non calcheresti de le genti il dritto.
Ma perchè te accusar? Tu del fratello
porti le furie e 'l reo mandato esponi.
Or perchè tutto hai di minacce pieno
nè con modi pacifici richiedi
il regno e i pattial mio fratello argivo
tale in mio nome porterai risposta:
Quello scettro, che a me la sorte e gli anni
hanno concesso, giustamente io tengo,
nè lascerollo. Te l'inachia dote,
te di Danao i tesor rendan contento;
(già non invidio la tua gloria e 'l fasto)
tu reggi pure con felici auspicii
ed Argo e Lerna: a me l'orride zolle
bastan di Dirce, e di Beozia i campi
pochi e ristretti da l'euboico mare,
nè mi vergogno Edippo aver per padre.
Te Tantalo, te Pelope, te Giove,
cui più t'accosti, fanno illustre e chiaro.
Come potrà la tua Regina, avvezza
a lo splendor paterno, a queste case
povere e anguste accostumare il guardo,
cui le nostre germane umili e abiette
già fatte ancelle fileran le lane?
Come soffrir potrà la sconsolata
suocera antica? E da le sue caverne
se urlar sentirà il padre, ahi quale orrore,
quale dispetto non ne avrà? Già il vulgo,
già i nobili e 'l senato al giogo nostro
avvezzi sono, e ne son paghi. Io dunque,
io non ne avrò pietà? Soffrir degg'io
che mutino ad ognor principe e leggi?
Troppo a i popoli è duro un breve regno,
e offrir gli omaggi a incognito tiranno.
Mira tu stesso qual li prende orrore,
e sdegno e tema del periglio nostro:
e questi io darò a te, per farne scempio?
Or fa' ch'io 'l voglia: nol vorranno i Padri,
(se la lor fede, se l'onor m'è noto),
la plebe nol vorrà. - Qui impazïente
Tideo interruppe: - Il renderai malgrado
il renderai; non se di ferreo vallo
tu ti circondio l'anfionia cetra
formi triplice muro a Tebe intorno;
non le facinon l'armi il tuo castigo
impediranno; e moribondo e vinto
al suol percuoterai la regia fronte.
E tu a ragion... Ma di costorcrudele
mi duolche a guisa di giumenti e schiavi
tratti dal sen de le consorti afflitte
lungi da' figlia certa morte mandi.
O quante stragi porterà il Citero!
Di quanto sangue correrà l'Ismeno!
Questa è la tua pietà? Questa è la fede?
Ma che stuporse de l'iniqua schiatta
fu crudele l'autoree incestuoso
il padre? Benchè il sangue in Polinice
fallae tu solo de l'infame Edippo
sei degno figlio; e patirai le pene
tu solo ancor. Noi ti chiediamo il patto
e l'anno nostro. Ma che bado? - Allora
fin da l'estreme soglie minacciando
urtaed apre la turbae irato parte.
Così 'l fiero cinghialche da l'irata
Diana offesa a desolar fu spinto
d'Oeneo i campial suon de l'armi greche
arruffò il peloe con l'acute zanne
rivoltò i sassi e lacerò le piante
che su le ripe a l'Acheloo fann'ombra;
indi Piritoo e Telamon ferio
poscia pugnò con Meleagroa cui
restò la gloria de l'uccisa belva:
talee più fiero il calidonio eroe
lascia il concilioe furibondo freme
come se a sènon al cognatoil regno
negato fosse; e 'l ramuscel d'oliva
segno di paceda sè lungi scaglia.
Miranlo d'alto le dolenti spose
e le pallide madrie contro lui
fanno orribili voti e contro il rege
che negò 'l giusto e se lo fe' nemico.
Ma il malvagio tirannoa cui non manca
arte e sapere in ordir frodi e inganni
de' più forti guerrieri e a lui più fidi
scelta una schieracon promesse e doni
al tradimento li dispone e compra
e prepara a Tideo notturno assalto;
nè al sacro nome d'oratornè al sacro
diritto de le genti omai pon mente.
Empio furor di regnoe che non osi?
O se dato a costui fosse il fratello
qual ne farebbe scempio? O de l'inique
menti ciechi consigli! O da' delitti
non mai disgiunte diffidenza e tema!
Ecco come costui contro d'un solo
non altrimenti tanta gente aduna
che se ad un campo egli movesse assalto
o col frequente urtar degli arïeti
d'assediata città battesse il muro.
Escon costoroe son cinquanta insieme
fuor de le porte: o gloriosoo prode
guerriercontro cui sol muovon tant'armi!
E vanno per angusta e breve via
di spine cinta attraversando il bosco
per assalire al passo il gran campione.
Sonvi due colli a la città vicini
cui li monti maggior fann'ombra eterna
cinti d'intorno da un'opaca selva
da' quali s'esce per angusto calle.
È naturale il sito; e pur ei sembra
da l'arte fatto ad occultar gli agguati.
S'apre per mezzo a' sassi un piccol varco
e disastrosoche conduce a l'erto
e periglioso passo: indi i soggetti
campi miransi intornoe valli e fiumi.
Sorge a l'incontro la tremenda rupe
albergo de la Sfinge: in su quel sasso
stava già un tempo la terribil belva
pallida il volto e macilentee gli occhi
lividi e torvicon le immonde penne
di sangue intrisee con le fiere labbia
iva lambendo i lacerati avanzi
de' passaggeri uccisi; intanto il guardo
girava intorno ad ispiar se alcuno
colà salissee temerario osasse
contender seco a sviluppar gli enimmi:
tosto aguzzava i fieri dentie l'ugne
spiegavae dibattendo i pigri vanni
gli si lanciava al visoe de la rupe
col capo in giù lo fea cader da l'alto.
Fur felici gl'inganniinsin ch'Edippo
giunsee spiegò l'ambagi: allora il mostro
tristo e confusosenza batter ali
precipitò se stesso; e 'l fiero ventre
e le viscere infami infrante e sparse
andaro per le rocce e pe' i burroni.
Conserva ancor contaminato il bosco
l'orror del mostroe da que' paschi infami
vanno lungi le gregge: a la nocente
ombra non vengon mai Fauni o Silvani
nè le Driadi vezzose; ed i rapaci
augelli e i fieri lupi il volo e il passo
(tal li prende terror) volgono altrove.
In questo luogo l'insidiosa turba
riserbata a morir s'appiattae cinge
di guardie il boscoed appoggiata a l'aste
l'etolo eroe stassi attendendo al varco.
Di già Febo è sparitoe già la notte
stende l'umido velo e il mondo adombra.
Ed ecco ei s'avvicinae da eminente
luogo e di Cintia al vacillante raggio
scorge da lungi balenar gli scudi
tra ramo e ramo de le turme ostili
e su i cimieri tremolar le piume.
Vedestupiscee non però s'arretra;
ma colla mano il brando tentae poi
due dardi impugnae minaccioso grida:
- Chi siete voiguerrierchè vi celate? -
Nissun risponde: ond'ei vie più sospetta
che avrà dura al passaggio aspra contesa.
Quand'ecco intanto dal robusto braccio
di Cromiocondottier de la masnada
vibrata un'asta fende l'aria a volo;
ma i Numi e 'l Fato fur contrari al colpo:
fora però la setolosa pelle
de l'olenio cinghialeond'ei si copre
e l'omero sinistro a lui radendo
gli striscia il collo e passa il ferro asciutto.
Arruffò il crine allor l'etolo eroe
e tutto se gli strinse il sangue al core:
rivolge intorno il guardo e 'l fer sembiante
pallido per lo sdegno; e appena crede
che contro un sol stieno tant'armi ascose.
- Uscite (grida) a campo apertouscite
appiattati guerrierch'io non m'ascondo.
A mea me vi rivolgete: e quale
timore vi raffrena? Oh che viltade!
Io soloio sol tutti vi sfido a guerra. -
Rupper gl'indugi al suon de' detti audaci
i tebani guerrierie d'ogni parte
uscîr d'agguato in numeroso stuolo
maggior di quello ch'ei pensòda l'alto
correndo a lui e da la bassa valle.
Così cingon talor di reti e d'aste
i cacciatori le feroci belve;
e par che al peso di tant'armi e al lume
tutt'arda e tremi quella selva antica.
Vede Tideo che a sua difesa giova
guardar le spallee de la Sfinge al sasso
sen corree benchè sia scosceso ed erto
tanto s'appiglia con le adunche mani
a scaglie e a greppiche a la fin v'ascende.
Giunto ch'egli è de l'alta rupe in cima
ne svelse un rozzo e smisurato sasso
pesante sìche strascinarlo appena
due affannati giovenchi a collo steso
potrian d'un edifizio al gran lavoro.
Poi tutte le sue forze in un raccolte
l'alza da terrae lo sospende e libra;
indi lo scaglia. Così Folo appunto
contro i Lapiti rei lanciò il gran vaso.
Mira in aria il gran montee ne stupisce
l'iniqua turbache va incontro a morte
e oppressa ne rimane: i visii petti
le forti bracciae in un l'armi e gli armati
restano infrantistritolati e misti.
Quattro fur quei che da la grave mole
distrutti furoe non d'ignobil gente;
onde gli altri smarriti andaro in fuga.
Dorila il primo fu che per valore
si pareggiava a' Regi; indi Terone
fiero per gli avi suoich'egli traeva
da' denti del dragon già sacro a Marte;
il terzo domatore de' destrieri
bench'or pedestre muoiaAlì feroce.
Tu pur da Penteo discendentein ira
e in odio a Baccoo Fedimocadesti.
Poichè li vede in fugaegli i due dardi
che tiene in manlor dietro vibrae poi
balza dal monte a più vicina guerra.
Vede lo scudo di Teronche 'l sasso
avea lungi da lui fatto cadere
e l'imbraccia e 'l sollevae contro i dardi
e contro l'aste si ricopreed usa
de l'ostile riparo in sua difesa;
indi fermossi: i masnadieri allora
che lo scorsero al pianvoltâr la fronte
e contro lui mosser serrati insieme.
Egli trae fuori il formidabil brando
dono di Marte al suo gran padre Eneo
e d'ogni parte mirae questi assale
e quei respingee col fulmineo ferro
l'aste recide e le saette ostili.
La densa turba s'impediscee s'ode
elmo con elmo urtarscudo con scudo:
sono vani i loro sforzie ben sovente
per troppa fretta l'un l'altro ferisce
e l'un su l'altro cade. Egli sta immoto
angusto segno a cotant'armie sembra
inespugnabil rocca o quercia alpestre.
Quale il gran Briareo di tutto il cielo
sostenne in Flegra la potenza e l'armi
quando Febo con stralie col Gorgone
Palladee Marte col bistonio cerro
gli stavan controe Sterope era stanco
in apprestar tante saette a Giove;
da tante forze combattuto e cinto
ei si dolea che fosser pigri i Numi:
con non minor furor Tideo combatte
ed or s'avanzaor si ritirae sempre
con lo scudo si copree i tremolanti
dardi ne svellee contro chi lanciolli
irato li rimandae di già il sangue
gli esce da non mortali e lievi piaghe.
Deiloco e Fegeache con la scure
già l'assalivauccide e a Lete manda;
e appresso a questi d'Echion disceso
Licofroontee il fiero Gía dirceo.
Rimirano i fellon la loro schiera
scema de' miglior capie in essi il fiero
desio di pugna già languisce e manca.
Ma Cromioche da Cadmo il sangue tragge
avanza il passo: (Driope fenice
a lui fu madree n'avea l'alvo grave
quando ne' giuochi sacri a Bacco avendo
per l'ardue corna un fiero toro preso
nel gran contrasto il partorì immaturo).
Fiero ei pe' dardie per la spoglia altero
d'un leonch'egli avea poc'anzi ucciso
ruotando in giro una nodosa clava
alto gli altri rampogna: - Adunque un solo
uom da tant'armi e tanti armati cinto
tornerà in Argo vincitore? Appena
si troverà chi 'l creda. Ah miei compagni
ove sono le destreove il valore?
ove le spade e l'aste? È questo quello
Lampo e Cidonche promettemmo al Rege? -
Mentr'ei così minacciaecco uno strale
che ne le fauci 'l cogliee per la gola
gorgoglia il suonoe gl'impedisce il sangue
che di fuor esca. Egli tardò a cadere
sinchèla morte in tutt'i membri sparsa
vie più l'asta mordendoei cadde al suolo.
Ma già non lascio voidi Tespio figli
senza il dovuto onor. Perifa il primo
mentre con man pietosa il moribondo
fratel sostiene (mai pietà maggiore
nè un'indole miglior de' due germani
fu vista al mondo) e 'l già languente collo;
e mentre co' sospir preme l'usbergo
e l'elmo inonda col dirotto pianto
ecco al fianco gli giunge il crudo cerro
de l'etolo campionee lo conficca
al fratel moribondo: ambi cadéro
e l'ultimo ferito al di già estinto
germano affissa gli occhie con la fioca
voce che ancor gli avanzaa Tideo dice:
- Tali a te diano abbracciamenti e baci
o barbaro guerrieroi figli tuoi. -
Così giacquero entrambi: o dura sorte!
Nacquervissermoriro uniti insieme.
Non bada sopra lor Tideoma l'asta
ricovrae con la stessa e con lo scudo
Menete fuggitivo incalza e preme:
fugg'eglima fuggendo inciampa e cade.
Allor le mani stendee mercè grida
e l'asta impugnae quanto puòdal collo
la tien lontanae in cotai detti prega:
- Dehper queste stellate ombreper questa
tua glorïosa notte e per i Numi
perdona a metanto che a Tebe vada
a predicare del tuo invitto braccio
l'eccelse provedel tiranno ad onta.
Così sian sempre rintuzzate e vane
contro te le nostr'armied il tuo petto
impenetrabil resti a' colpi nostri
e al fido amico trionfante rieda. -
Tacque; e Tideosenza mutar sembiante:
- Che piangi? (disse) e perchè preghi invano?
Tu pur giurasti al fier tirannoiniquo
questo mio capo: or lascia l'armie muori.
A che mercare con viltà la vita?
Restan stragi maggiori. - E così detto
il ferro immerge a lui nel colloe passa
e insulta a' vinti con acerbi motti:
- Questa non è la sacra al vostro Nume
triennal notte; nè guidate in giro
gli Orgii di Cadmonè 'l furor materno
profana quivi i sacrifici a Bacco.
Forse vi credevateebbri e festosi
cinti d'edera il crine e 'l petto armato
del vile cuoio de le belve imbelli
al molle suon di cornamuse e flauti
guidar le vostre fanciullesche guerre
d'uomini forti indegne? Altr'armialtr'ire
fan d'uopo qui. Gite a portar sotterra
o pochio viliil vostro scorno e l'onta. -
Così minaccia; ma le forze intanto
mancando vannoe l'agitato sangue
affanna il core; e 'n vani colpi il braccio
s'aggirae sotto gli vacilla il piede:
lo scudo grave per tant'armi e rotto
più non può sostener: da l'anelante
petto distilla un gelido sudore;
e tutto è intriso il crinle mani e 'l volto
del tetro sangue de' nemici uccisi.
Qual massile leonche posti in fuga
i guardïani de l'imbelle armento
a quel s'avventa furibondo e altero
e se n'empie le fauci e 'l ventre ingordo:
saziata infine la sua ingorda fame
l'ira deponee le mascelle invano
battendofra i cadaveri passeggia
e la strage contempla e lambe il sangue:
così ancora Tideo di stragi carco
ito sarebbe a Tebee al fier tiranno
e a l'atterrita plebe il suo trionfo
mostrato avrebbe; ma frenò l'ardire
e 'l fiero core del gran fatto gonfio
la sempre amica a lui Tritonia Dea.
- O del grand'Eneo generoso figlio
(diss'ella) a cui già promettiamo in Tebe
maggior trionfoa le felici imprese
pon modo omainè più tentare i Numi
fin qui propizi: a la grand'opra manca
sol questoche tu in Argo ora ritorni
sicuro e pago di tua lieta sorte. -
Restava vivo sol tra tanti estinti
l'emonide Meone: egli del cielo
conoscea i moti e degli augelli il volo
e 'l fiero caso avea predetto al Rege
da lui schernito e non creduto: il Fato
gli fe' negar la fede. A l'infelice
dona l'odiata vita il gran Tideo
e un crudel patto a lui tremante impone:
- O qualunque tu siache fra costoro
tolto di mano agl'Infernali Dei
rivedrai pure la vicina luce
al tuo spergiuro Re questo dirai:
Rinforza omai le porte, e rinnovella
l'armi e raddoppia gli ordini e le schiere,
e Tebe cingi di più forte vallo.
Questo campo fumar mira nel sangue
de' tuoi guerrieri da un sol brando uccisi:
tali in battaglia ti verrem noi sopra.
Ciò dettoa tesacra Tritonia Dea
de le acquistate spoglie alto sublime
trofeo preparae le raccoglie e lieto
le portae va contando i suoi trionfi.
Sovra eminente bicaa' campi in mezzo
posta un'antica annosa quercia sorge
di dura scorza e di frondosi rami
che stende l'ombra largamente intorno.
A questa appende l'etolo guerriero
gli elmi leggeri ed i forati arnesi
e l'aste e i brandi tronchi; indi su quelle
alto si ferma e su i nemici uccisi
ed apre il varco a la preghiera; al voto
eco fanno la notte e i boschi e i monti.
- Guerriera DeaGenio ed onor del padre
cui di terror leggiadro adorna il volto
l'elmo lucentee 'l fier Gorgone impugni;
di cui Bellona e 'l furibondo Marte
spingon men fieri a guerreggiar le schiere;
tu grata accogli il sacrificio e 'l voto.
O ch'or tu venga a rimirar la nostra
pugna da la città di Pandïone;
o ne l'aonia Itome ora tu meni
danze e carole con le ninfe amiche;
o che tu lungo il libico Tritone
le sterili giumente al corso affretti:
noi a te i busti de' guerrieri uccisi
sacriamoe l'armi e le sanguigne spoglie.
Ma se avverrà che dal mio duro esilio
ritorni un giorno al partaonio regno
e a Pleurone guerrieraio ti prometto
nel mezzo a la cittade alzarti un tempio
ricco di scelti marmi e di molt'oro.
Quindi grato fia mirar da l'alto
L'Ionio procellosoe l'Acheloo
fender il maree con la rapid'onda
de l'Echinadi opposte urtar ne' lidi.
Ivi saran degli avi miei le imprese
scolpitee i venerabili sembianti
de' magnanimi Regi: a l'alto tetto
staranno appese l'armie aggiungerovvi
le spoglie opime che col sangue sparso
ho conquistatee quelle che di Tebe
tu mi promettio tutelar mio Nume.
Ivi a te serviran ben cento e cento
d'attico culto vergini pudiche
che t'arderan le caste faci e 'l puro
liquore de la pianta a te diletta.
Una sacerdotessa antica e grave
conserverà perpetuo il sacro fuoco
e terrà occulti i tuoi pudichi arcani.
A te sia in guerraa te sia in pacesempre
le primizie offrirò d'ogni mio fatto;
nè i voti nostri invidierà Diana. -
Dissee ad Argo tornò su l'orme prime.
LIBRO TERZO

ARGO CONTRO TEBE

Ma 'l fier tiranno de l'aonia corte
de l'inquïeta notte entro gli orrori
sebben ancor molto di spazio avanzi
infra l'umide stelle e la vermiglia
Auroragli occhi suoi non chiude al sonno.
Gli tengon l'alma perturbata e desta
l'ordite frodie le noiose cure
gli anticipan la pena; indi 'l timore
augure infausto de' vicini danni
gli sconvolge la mente. - E donde mai
(dice) tanta dimora? - Egli si crede
a tant'armi Tideo facile impresa
nè col valore il numero compensa.
- Forse mutò cammin? Forse a lui venne
soccorso d'Argo? O le vicine genti
mosse la fama del crudel mio fatto?
O furon pochio padre Martee imbelli
queich'io scelsiguerrieri? E pur fra loro
v'eran Dorila e Cromioe i due robusti
figli di Tespio a torri eccelse eguali
che basterebber soli a sveller Argo.
Già non mi sembra che di bronzo il petto
o le braccia di ferro avessequando
altiero a me sen venneond'egli possa
essere impenetrabile a tant'armi.
O miei vili guerrierse non valete
con tante forze ad atterrare un solo! -
Così torbido ondeggia in gran tempesta
di contrari pensieried or si duole
che di sua man non gli trafisse il petto
a la scoperta in mezzo a' suoi baroni
quando orator gli richiedeva il regno;
ed or si pentee n'ha rimorsoe brama
de l'orribil misfatto esser digiuno.
Qual calabro nocchierche 'l mar tranquillo
mirandoe balenar d'olenia stella
sciolse dal lidoe ne l'Ionio mare
volse la prorase improvviso sente
fremere in alto la procellae il mondo
quasi schiantarsi da' suoi Polie 'l cielo
dal torbido Orïon scosso e tremante;
esser vorrebbe a terrae forza ed arte
usa per ritornar onde partio;
ma gliel contende impetuoso Noto;
ond'egli allora s'abbandona e geme
e si dà in preda a' ciechi flutti insani:
tal l'agenoreo Re rinfaccia e sgrida
Lucifero di pigro e l'alma Aurora.
Ed ecco intanto a lo sparir de l'ombre
e al tramontar de gli astriallora quando
Teti affretta ad uscir dal mare Eoo
Febo ancor sonnacchioso: ecco dal centro
predire i malie vacillare il suolo.
Scosso Citero mandò giù le nevi:
parvero alzarsi i tettie i monti e 'l piano
tutto intorno scoprir da sette porte.
Nè lungi è la cagion: sul mattutino
gelo torna Meon sdegnoso e mesto
che gl'invidiasse il fato orrevol morte.
Non bene ancor si riconosce al volto
ma sospirando e percuotendo il petto
d'immense stragi dà sicuri pegni.
Già pianto aveama 'l suo dolore estremo
gli avea su gli occhi rasciugati i pianti.
Così pastor esce dal bosco afflitto
ove la pioggia e 'l procelloso nembo
disperse il greggee 'l lasciò in preda a' lupi:
scopre il giorno la strage: al suo signore
non osa egli portar l'annunzio infausto;
e 'l crin sparge d'arenae di lamenti
tutta intorno suonar fa la foresta:
odia 'l silenzio de le vuote stalle
e stridei tori suoi chiamando a nome.
Le madri intanto e le dolenti spose
che su le porte aspettano il ritorno
de' mariti e de' figlie 'l vedon mesto
solo tornarsenza i compagni al fianco
e i magnanimi ducialzano il grido:
siccome avvienquand'entran vincitrici
in ostile città le armate schiere;
o come suol la disperata ciurma
nel punto che la nave in mar s'affonda.
Ma come prima ei giunge al fier cospetto
del tiranno odïato: - Ecco ti dona
(grida) il fiero Tideo questa infelice
anima sola di cotanta schiera;
o ciò disposto abbiano i numi o il caso
o che 'l valor (benchè malgrado il dico)
de l'invitto campion potuto ha tanto.
Io 'l vidiio 'l narroe pur lo credo appena:
tutti per la sua man giacciono estinti.
Voi che girate in cielastri notturni
voi pallid'ombre de' compagni uccisi
e tu che mi conduciaugurio infausto
voi chiamo in testimonche 'l mio crudele
perdono non mercai con un vil pianto;
nè con la fugao con la frode ottenni
di prolungare senza onore i giorni.
Ma tal de' Numi era il decretoe tale
era il voler de l'immutabil Parca
nè 'l mio fatal momento era ancor giunto.
E perchè veda ognun che de la vita
a me non calee non pavento morte
tirannoascolta i miei veraci detti:
tuiniquotuper conculcar le leggi
ed usurpar de l'esule fratello
l'alterno tronoi tuoi guerrier mandasti
sotto auspici infelici a guerra infame:
te assorderan continuo e gli urli e i pianti
de le vedove afflitte e de' pupilli
di tante case per tua colpa estinte;
a te s'aggireran con tetre larve
cinquant'ombre sdegnose ognor d'intorno
ch'io già le seguo e il lor numero adempio. -
Mentr'ei ragionain Eteócle ferve
l'irae 'l dimostra fuor l'acceso volto;
e già Labdaco e Flegiaa cui commessa
è la cura de l'armiimpetuosi
contro 'l saggio indovin stringevan l'aste:
ma quegli il brando trattoora il tiranno
ed ora il ferro minaccioso guarda;
e- Addietro(grida) in me ragione alcuna
non haicrudele; e questo sangue e questo
pettoche Tideo rispettònon mai
a te fia dato di ferir. Io vado
a morte lietoil mio destin seguendo
e de' compagni miei m'unisco a l'ombre.
Tu resta a' numi irati e al tuo fratello. -
Tal parlava Meonquando gettossi
sulla spada di fianco insino a l'elsa
e morío con la voce infra le labbia
contrastando al doloreed a vicenda
versando or da la boccaor da la piaga
l'irato sangue ne' singulti estremi.
A sì fiero spettacolo ed atroce
tutti intorno restâr stupidi e muti.
Ei benchè morto ancor in volto serba
le feroci minacce e le giust'ire.
Intanto lui la sua consorte e i cari
parentilieti invan del suo ritorno
riportano dolenti in su 'l ferétro.
Ma 'l reo tiranno ne la mente volge
nuovo furore al busto esangue nega
l'onor del rogoe imperïoso vieta
a l'ombra non curante il freddo avello.
Saggio indovinche co' tuoi fatti egregi
e con la tua virtude hai vinto e domo
il cieco oblioche del crudel tiranno
sprezzasti l'iree francheggiasti al vero
e libero parlar sì larga strada;
quali potrò trovar voci ne' carmi
che adeguin la tua gloria e le tue lodi?
Non a te invano i suoi celesti arcani
Febo dischiusee 'l crin cinse d'allori.
Per lo tuo fato resteranno mute
le fatidiche piante di Dodona
e alla vergin cirrea negherà Apollo
presagir del futuro i vari casi.
Vanne felice puranima grande
lungi dal nero Averno a' fortunati
Elisii campiove ognor splende il sole
ove non entrò mai ombra tebana
nè giunge d'Eteócle il crudo impero.
Ei giace intanto sovra 'l duro suolo
a cielo apertoe non v'è augello o fiera
rapace sìche di toccarlo ardisca:
tanta esce maestà dal morto aspetto!
Ma le vedove afflitte e gli orbi figli
e i padri e gli avi da l'ogigie porte
escono a garae per cammini alpestri
e disastrosi forsennati vanno
ciascuno a ricercare il proprio pianto
e li segue d'amici immensa turba.
Molti han desio di rimirar l'impresa
d'un braccio soloe d'una notte l'opra.
Bagnan la via di lagrimee di strida
suonan d'intorno le campagne e i monti.
Ma come giunti furo afflitti e lassi
al sasso infame e a la crudel foresta
rinforzâr gli urli e 'l batter palma a palma
e da più larga vena usciro i pianti.
Alzano tutti a un tempo un fiero strido
ed a l'aspetto de l'orribil strage
la turba di furor smania e s'accende.
Assiste a gl'infelici il Lutto atroce
squallido il volto e lacerato il manto
e 'l petto percuotendosia le madri
di far lo stesso orribilmente ispira.
Ricercan gli elmi e i pallidi sembianti
rivolgono i cadaveri confusi
e si lascian cader dal dolor vinte
su i corpi or de' congiuntior degli estrani:
altre nel sangue putrido e gelato
lordan le chiome: de' guerrieri estinti
altre chiudon le lucie di pietose
lagrime lavan le profonde piaghe;
altre ne svellon l'aste e i fieri dardi:
chi raccogliendo va le sparse membra
chi braccia e teste a' tronchi busti adatta.
Ma Ida intantogià felice madre
de' due gemellior di due corpi esangui
corre baccante per roveti e dumi
e cercando ne va per tutto il campo.
Porta ella il crine rabbuffato e sciolto
ed il pallido viso e semivivo
squarcia con l'ugne; nè più sembra oggetto
di pietà 'l suo dolorma di spavento.
Già per disperazion fatta sicura
passa su l'armi e su i guerrieri uccisi
e nel terren volgendosid'arena
si copre il volto ed il canuto crine:
chiama i suoi figli a nome; ed urla e geme
sovra ogni corpomentre i suoi ricerca.
Così tessala magaa cui son note
l'arti native e i spaventosi carmi
per richiamare dal profondo Averno
l'alme già spente a rivedere il giorno
fuor se n'esce notturna e scapigliata
dopo la strage di crudel battaglia
con face in man di fesso cedro accesa
e rivolge i cadaverie spiando
va di quale lo spirto al mondo torni.
Freme intanto laggiù de l'ombre il vulgo
e Pluton se ne sdegnae d'ira avvampa
che se gli sforzi mal suo grado il regno.
Non lungi i due fratei giaceano insieme
a piè del montein questo almen felici
che un giorno stesso ed una stessa mano
una stess'asta li congiunse in morte.
Ma come prima a lei diè triegua il pianto
e li scoperse: - Ahi tali (grida) ahi tali
sonoo miei figlii vostri amplessi e i baci?
Dunque la cruda ed ingegnosa morte
così v'ha uniti ne' sospiri estremi?
Deh quali prima tratterò ferite?
Qual prima bacerò de' cari volti?
Voi mia fortezza un tempo e mio decoro
per cui credea d'esser eguale a' numi
e tutte superar le ogigie madri:
qualio figlior vi veggio? Oh mille volte
fortunata colei che in maritale
nodo sterile gode eterna pace
nè Lucina chiamò mai nel suo parto!
Ah che da mia fecondità penosa
a me vien la cagion d'ogni dolore!
Aveste almeno in onorata impresa
degna d'eterna fama il sangue sparso
e potesse le nobili ferite
con gloria numerar l'afflitta madre.
Ma voi cadeste in tenebroso assalto
ed in opra furtivaed or giacete
miseri senza vita e senza onore.
Io già non scioglierò questo che veggio
del vostro amore indissolubil nodo:
itefigliconcordiite sotterra
lungamente indivisie un solo avello
confonda insieme le vostr'ombre e l'ossa. -
Intanto l'altre avean trovato i cari
congiunti loroe ne facean lamenti.
Chiama il suo Cromio la consortee chiama
Penteo il figliuolo Astioche dolente:
e teFedimoancor bagnan di pianto
gli orfani figli e le tue figlie afflitte:
sovra Filleo a lei promesso duolsi
Marpissae d'Acamante le ferite
lavan le sconsolate e pie sorelle.
Altri intanto col ferro e con le scuri
recidon la gran selvae 'l faggio e l'olmo
che fean chioma e corona al vicin colle
al colle che del gran fatto notturno
fu testimonioed i singulti estremi
accolse de' guerrieri moribondi.
Già son disposti i roghie già la fiamma
ratto in essi s'appigliae già ciascuna
dal proprio funerale immota pende:
quando per consolar la turba mesta
il vecchio Alete favellò in tal guisa:
- Sin da quel dì che ne l'aonie zolle
giunse il fenice pellegrinoe i campi
sparse di guerrier semee inusitati
parti fuori ne uscîronde tremendi
a gli stessi cultor fur resi i solchi
ha il popol nostro del destino avverso
provate aspre vicende e duri casi.
Ma non già quando il folgore celeste
Semele incenerìcredula troppo
a la mentita vecchiae vinse Giuno;
nè quando furibondo ebbro Atamante
sparse per sassi e macchie il suo Learco
fu tanto danno in Tebe e sì gran lutto;
nè di tanti clamor le tirie case
suonaro allor che l'infelice Agave
al pianto altrui del suo furor s'accorse.
Ma ben al nostro fu quel duolo eguale
allor che osò con temerari detti
l'orgogliosa di Tantalo figliuola
muovere i numi ad iraonde si vide
di quadi là di differente sesso
spenta la proleper cui gía superba
e andar tanti cadaveri sotterra
e tanti roghi fiammeggiar d'intorno.
Tale anche allor era la nostra plebe:
così lasciate in abbandon le mura
gli uomini più maturi e le dolenti
donneaccusando i troppo fieri Numi
due feretri seguian per l'ampie porte.
Io era ancora (e men rimembra) in quella
età che di dolor non è capace;
e perchè il padre mio struggeasi in pianto
senza saper perchèpiangeva anch'io.
Così vollero i Dei; nè più mi duole
Cintiache il miserabile Atteone
perchè spiò del tuo pudico fonte
i sacri arcanifu mutato in fiera
e i suoi stessi molossi il laceraro;
nè perchè Dirce già regina nostra
divenne fontee cangiò il sangue in onda:
cotal destin filato avean le Parche
e tal era il voler del sommo Giove.
Or noi per colpa del crudel tiranno
siam di tanti guerrier vedovi e privi
ch'eran difesa de la patria e scudo.
La fama ancora non n'è giunta in Argo
e già provato abbiamo i danni estremi
del bellico furore. Oh quanto io veggio
sparger sudor in militare arena
a gli uomini e a' destrieri! Oh di qual sangue
correran tinti i nostri patrii fiumi!
Veggano pure i giovani feroci
cotanta guerra: me canuto e bianco
arda il mio rogoe la mia terra copra. -
Così ragionae al Re debite pene
predicee 'l chiama scelerato ed empio.
Ma donde nasce in lui tanta baldanza?
Già de l'etade sua passato ha il meglio;
poco a viver gli restae poco teme
e d'onor brama coronar sua morte.
Da l'alto intanto il sommo Re del mondo
mirato avea la prima pugnae ad ira
di già disposte l'emule nazioni;
e fa tosto chiamar l'orribil Marte.
Appunto da l'aver di stragi sparse
le città e i campi de' Biston feroci
e de' Geti crudeliei furibondo
tornav'al cielo in su 'l sanguigno carro:
sembra folgore accesa il gran cimiero
e porta l'armi orribilmente sculte
d'immagini funeste in pallid'oro.
Al fragor de le ruote e de' destrieri
rimbomba il Polo; ed il rotondo scudo
fiammeggia sìche par che avvampi ed arda
e con l'emulo globo al Sol fa scorno.
Gioveche 'l vede ancor ansante e caldo
di sarmatiche stragie che nel petto
del bellico furor dura il tumulto
- Talfiglio(dice)tal discendi in Argo
terribile in sembianza e minaccioso
col ferro in man di sangue ancor stillante.
Rompan gl'indugie d'ozio impazïenti
te chiamin tuttie al tuo guerriero nume
consacrin l'armi e l'alme: a guerra muovi
i più ferocie 'l tuo furor rapisca
i vili e i lenti; e quella tregua rompi
ch'abbiam sin or concessa: i Dei del cielo
tu sai turbaree la mia stessa pace.
De la discordia ho di già sparso il seme.
Tideo scritte a caratteri di sangue
riporta in Argo del crudel tiranno
primizie de la guerrail fier delitto
e le notturne insidie e l'empie frodi
e 'l tradimento infameche con l'armi
ei vendicò: tu aggiungi fede al vero.
E voiprogenie miaNumi superni
state fra voi concordie nissun tenti
il mio volere di mutar pregando.
Cotal ordin di cose a me le dure
Parche filaroe le prescrive il Fato.
Fin da quel dì che da l'informe nulla
io trassi 'l mondoa' popoli feroci
fu questo giorno a guerreggiar prefisso.
Che se v'ha alcun che d'impedirmi ardisca
il gastigar ne gli ultimi nipoti
le colpe e sceleraggini de gli avi
giuro per queste stelle e questo Polo
e per i sacri a me fiumi d'Inferno
io colle proprie man spianterò Tebe
da le radicie spargerò le torri
d'Inaco su la reggiae le cittadi
cangerò in laghiaprendo il corso a l'acque;
nè se Giunone mia stesse abbracciata
al tempio suosi placherà il mio sdegno. -
Così diss'egli; e timidi e tremanti
stettero i Numi riverenti e cheti.
Non altrimenti avvienquando riposa
tranquillo il mared ha co' venti pace
e dormon ozïosi i lidi intorno
e de le selve i rami; e senza moto
stansi le nubi al calor lento estivo:
scemano allor gli stagni ed i sonori
laghie dal Sole rasciugati i fiumi
giaccion nel letto loro umili e bassi.
S'allegra Marte al fier comando; e tosto
gli anelanti cavalli e 'l ferreo carro
e le fervide ruote ad Argo volge.
E già era giunto in su' confini estremi
del Poloonde convien scender volando
quando Venere apparvee coraggiosa
fermossi a fronte de' destrier: la Dea
conobber essie soffermaro il corso
e 'l svolazzante crin steser sul collo.
Essa al carro appoggiatae le vermiglie
gote di belle lagrime rigando
così parlò: gli adamantini freni
rodeano intanto gli accoppiati cigni.
- Tu dunque ancora Tebe mia dal fondo
suocero ingratod'atterrare hai cuore?
Tu muovi guerra a Tebe? E i tuoi nipoti
colle tue proprie man di spegner tenti?
Nè ti ritarda (e pur è nostro sangue)
Harmonia tuanè le festive nozze
che ne fur fatte in cielnè il pianto mio?
Tal dài mercede a gli amorosi falli?
La mia famal'onorche vilipesi
e le catene fabbricate in Lenno
tale mertan da te premio crudele?
Vanne barbaro pure: il mio Vulcano
quantunque offesoa me più facil riede;
e s'io vorrò che fra' camini ardenti
sudi per farmi nuovi fregie intere
vegli le notti nel lavoroei pronto
tutto farà per compiacermi; e tanto
ho poter sovra luich'anche a te stesso
l'armi fabbricherà: ma tu... ahimè lassa
ch'io prego un duro scoglioun cor di bronzo!
Deh questo almenpria di partireascolta:
perchè mi festi a genero tebano
sotto infausto imeneo sposar la figlia?
Tu mi dicevi pur che i Tirii scesi
dal serpentino seme invitti e forti
saranno in guerrae che d'Harmonia nostra
nasceria di nipoti al sommo Giove
una progenie bellicosa e grande.
Ah ch'io vorrei sotto il gelato Arturo
dove Borea mantien perpetue nevi
fra i Traci tuoila sfortunata prole
congiunta aver a barbaro marito.
Forse poco ti par che di Ciprigna
solchi la figliatramutata in serpe
d'Illiria i campivomitando il tosco?
Ed or la gente mia... - Ma 'l dio guerriero
più non sofferse di vederne il pianto.
Passa ne la sinistra il cerro acuto
balza dal carroe fra lo scudo e 'l seno
l'accogliee così dolce a lei favella:
- Oh amabil mio piaceree da le pugne
caro riposo e mia gradita pace
e sola a cui impunemente lice
mirar quest'armie nel maggior conflitto
frenar a mezzo il corso i miei destrieri
e far a me cader di mano il brando.
Non a me Cadmo e la tua cara fede
di mente uscîr: perchè mi accusi a torto?
Ah pria del zio nel tenebroso regno
Giove mi caccie disarmato e imbelle
mi condanni fra l'ombre. Ora mi sforza
il paterno voler e 'l Fato avverso;
(nè al tuo Vulcan tal converrebbe impresa)
e come ripugnare al suo decreto?
Tu pur vedesti di sue voci al tuono
tremar le sfere e 'l suoloe fin dal fondo
turbarsi l'Oceànoe sbigottiti
velar le facce gl'immortali Numi.
Tu pon modo al timore a quel t'accheta
che mutar non si può; ma quando a Tebe
verranno a pugna i popoli feroci
aiuterò le nostre amiche schiere
e mi vedrai ne la feroce pugna
di cadaveri argivi empiere i campi.
Questo è in mia mannè può vietarlo il Fato. -
Sì disse; e i suoi destrier giù spinse a volo.
Non così presto il fulmine trisulco
scaglia da nubi accese irato Giove
qualor ferma le piante in su 'l nevoso
Otrio su 'l gelid'Ossa in mezzo a' nembi:
vola l'ardente folgore fendendo
con lunga striscia il cieloe seco porta
i decreti del Numee già minaccia
le feconde campagne e i naviganti.
Ma di già Tideo ritornando in Argo
di Danao i campi e di Prosinna i colli
passati aveva orribile in sembianza:
il crin sparso ha di polve; e un sudor misto
al sangue a lui da tutto il corpo scorre
per le illustri ferite infino al piede:
ha per troppo vegliar gli occhi sanguigni
e per soverchia sete i labbri asciutti
onde anelante può trar fiato appena;
ma lo spirito invitto e l'alta impresa
d'onor lo cingee gli dà forza al passo.
Siccome toro nel crudel conflitto
dal nemico squarciato il petto e 'l fianco
a la sua mandra vincitor ritorna
altero sìche le sue piaghe sprezza;
mugge vilmente il suo rival su l'erba
e men gravi a lui fa le sue ferite:
tale Tideo ritornae ovunque passa
dal fiume Asopo a la città d'Argia
muove i popoli a sdegnoe sparge e narra
ch'ito era a Tebe messagger; che 'l regno
per Polinice avea richiesto; e quindi
le occulte insidie ed il notturno assalto
le frodiil tradimento e 'l fier delitto:
tal essere la fe' del reo tiranno:
ch'ei nega il patto a l'esule fratello:
che non si de' soffrir. Marte a' suoi detti
dà forzaed il terror la fama accresce.
Ma poi che giunge in Argo (Adrasto appunto
stava a consiglio co' maggiori duci)
- A l'armi (grida da le porte)a l'armi
generosi guerrieri; e tudi Lerna
buon Rese ferve in te de gli avi il sangue
l'armi prepara. Non v'è fede in terra
non riverenza de le genti al dritto
non v'è tema di Giove. Io più sicuro
ito sarei a' Saurómati crudeli
o del bebrizio bosco a l'inumano
Amico difensor: nè già mi duole
l'essere andatoanzi mi piacee godo
del tebano valor fatta aver prova.
Io non aggiungo al ver; come s'espugna
munita torreo di ripari cinta
forte cittàme disarmato e solo
e del cammino ignaro insidïosi
e di tutt'arme cintie ne l'oscuro
di buia notte i perfidi assaliro.
Cinquanta furo: or su l'infami porte
de l'orfana città giacciono estinti.
Andiamo: il tempo è questoora che sono
timidiesangui e nel dolore immersi
in bruna veste a' lor ferétri intorno.
Io sebben de l'aver donato a Pluto
tant'ombretorni sanguinoso e lasso
e col sangue gelato in su le piaghe
io vi precorrerò. - Ma di già sorti
da' scanni stavan tutti a Tideo intorno;
e primier Polinice il volto a terra
fisso tenendo: - Ah dunque (grida) io sono
colpevol tantoe tanto in ira a' Numi
che te veggioTideoda le ferite
versar il sanguee me pur anco illeso?
Tal dunque preparavi a me il ritorno
fratello iniquo? Eran per me tant'armi?
Ah vile amor di vita! Io qui rimasi
misero! E tolsi a te sì gran delitto!
Restino omai le vostre mura in pace
Argivinè per me straniero afflitto
turbisi l'ozio vostro: a me non tanto
fortuna arridech'io non senta e provi
qual sia dolor esser da' dolci letti
e da gli amati figli a forza tolto
e la patria lasciar. Cessino pure
le private querele; e con oscuro
guardo non mirin me le afflitte madri.
Io vado volontario a certa morte;
nè riterrammi la diletta sposa
nè col suo impero il suocero temuto.
Io deggio a Tebe questo capoe 'l deggio
a tefratelloe a tegran Tideoil deggio. -
Così con arte varïando i detti
tenta gli animi e i cuori; e già commossi
gli ha tuttie lor cade dagli occhi 'l pianto
pianto di sdegno più che di pietade.
Non i giovani solma i vecchi infermi
e con membra tremanti un stesso ardore
infiamma tutti; e corron tutti a l'armi.
Vogliono unire le vicine schiere
romper tutti gl'indugi e andar a Tebe.
Ma Adrastoa cui la molta etade il senno
accrebbee tutte del regnar sa l'arti
frena gli animi ardenti: e- A' Numi (dice)
lasciate questa impresae a la mia cura;
nè il regno tuo ti riterrà il fratello
senza vendetta; e voi non così pronti
a la guerra correte. Il gran Tideo
di nobil sangue sparso e trionfante
lieto intanto s'accolga; e a lui ristoro
dal lungo faticar diasi e riposo.
Noi tempreremo col consiglio l'ira. -
Ma la pallida moglie e i fidi amici
erano accorsi intantoe lui già lasso
da la lunga battaglia e dal cammino
riconducevan mesti. Egli in sembiante
magnanimo e sereno il dorso appoggia
ad eccelsa colonna; e mentre Imone
d'Epidauro natio le sue ferite
or asterge coll'ondaora col ferro
trattaor con erbe n'ammollisce il duolo:
comecch'ei nulla sentaardito narra
de le risse il principioe quel che disse
ad Eteóclee qual crudel risposta
ne riportò; quale a l'insidie il loco
quale fu il tempo: quali e quanti duci
gli furon contro; ove maggior contrasto
trovò; come Meon serbato avea
per testimon del memorabil fatto.
Pendon da lui il suocero e la corte.
E d'ira avvampa l'esule di Tiro.
Già il Sol avendo negli esperii lidi
i focosi destrier sciolti dal giogo
tuffava il biondo crin ne l'Oceàno:
lo accolgon le Nereidie le veloci
Ore corrono pronte: altra le briglie
di man gli toglie; lo splendente cerchio
dal capo altra gli leva; il rosso manto
altra dal petto di sudor stillante
discioglie ratta; chi ripone il carro
chi de' destrieri cura prendee il fieno
ad essi appresta e le celesti biade.
Sopraggiunge la nottee de' mortali
le cure e de le belve i vari moti
tutti ripone in calmae il cielo adombra.
Non però trovan nel comun riposo
Adrasto e Polinice ora quïeta;
ma Tideo sìdi cui lusinga il sonno
con fantasmi di onor la sua virtude.
Intanto Marte infra i notturni orrori
di guerriero rimbombo empie d'intorno
i confini d'Arcadia e le nemee
campagneed i tenarii eccelsi gioghi
e la sacra Terapni al biondo Nume;
e gli attoniti cuor di sè rïempie.
Gli assettano le piume in su 'l cimiero
l'Ira e 'l Furoree il bellico Spavento
conduce il carro. Lo precorre alata
la Famaintenta ad ogni suono e piena
di torbide novellee perchè a tergo
ha l'anelar de' rapidi destrieri
timida affretta al volo i tardi vanni
e ognor l'incalza con flagel sanguigno
il fiero aurigae vuol che intorno spanda
il falso e il vere con la scitic'asta
le batte il capo e le scompiglia il crine.
Così Nettun gli scatenati venti
da l'eolia prigion si caccia innanzi
tal voltae a tutto volo entro l'Egeo
gli spinge e mesce: stanno a lui d'intorno
e nubi e nembi e grandini gelate
e la sozza tempestache dal fondo
solleva al cielo i procellosi flutti.
Al grande urtar le Cicladi vaganti
stan salde appenae Delo istessa teme
da Giano e da Micone esser divisa
e de l'allievo suo la fede invoca.
Già sette volte la vermiglia Aurora
di chiarissima luce avea d'intorno
acceso il cielo e serenato il mondo
dal dì che in Argo ritornò Tideo:
quando di Perseo il successor canuto
lasciò le interne stanze al primo albore.
Molto pensa alla guerrae molto il turba
de' generi novelli il troppo ardire.
Sta irresoluto ancorse ceda a l'armi
libero il freno e a' popoli feroci
stimoli aggiunga; o se rattempri l'ire
e scinga lor con miglior senno i brandi.
Quinci amore di pacee quindi il turba
lo scornoe 'l non saper por modo a questo
nuovo e primier di guerreggiar furore.
Risolve alfin che si ricorra a' vati
per ispiar da' sacrifici il vero.
Anfiarao de l'avvenir presago
fu scelto a l'oprae seco iva Melampo
d'Anfitaone già canuto figlio
ma di mente vivace e pien del Nume.
Dubbio è fra lor chi più de la cirrea
onda bevessee a chi più de' suoi doni
Febo dispensi. Ne l'uccise fiere
ricercan pria de' sommi Dei la mente.
Ma i cuor macchiati e le corrotte fibre
dan funesti presagi. A cielo aperto
risolvono tentar novelli auspici.
Sorge confine al cielo eccelso monte
sacro a gli Argiviche i lernei bifolchi
Afesanto chiamâr: quindi si narra
che il gran Perseo giù si calasse a volo
a l'alte impresee la dolente madre
del figlio in rimirar l'orribil salto
appena di seguirlo si ritenne.
Quivi gli auguri il crin cinto d'olivo
e di candide bende ambe le tempie
giunseroallor che in Orïente il Sole
con i tepidi raggi i molli campi
rasciuga intorno e le notturne brine.
E prima d'Ocleo il figlio amico rende
a l'opra il Nume coll'usate preci.
- Noi ben sappiamsommo e possente Giove
che virtù desti a li veloci augelli
di mostrarci 'l futuroe co' lor voli
svelar a noi l'alto voler de' fati.
Non più sicuro a noi Febo da l'antro
parla di Cirranè i loquaci abeti
dal fatidico bosco di Dodona;
benchè l'arido Hamon d'invidia avvampi
ed osin contrastar le licie sorti;
e il bue del Niloe l'apollineo Branco
pari al padre d'onoree il Licaone
bifolcoche da Pan sente il futuro.
Quegli più scorge il verNume Ditteo
cui tu felici augei mandi da l'alto.
Ma donde in lor tanta virtù scendesse
di maraviglia è oggetto e di contesa.
Forse che allorche da l'informe Caos
fur tratti i semie fur distinti in forme
lor toccò in sorte aver menti presaghe:
o che fur pria di nostra speciee poi
vestendo piume e sorvolando i venti
serbano ancor de la ragione il lume:
o che il loro volar vicini al cielo
e 'l respirar aura più puralungi
dal nostro fangoe il posar raro in terra
de gli arcani de' Dei degni li renda.
Come ciò siatuche 'l facestiil sai
primo Autor de' celesti e de' mortali.
Ora il principio e 'l fin de l'aspra guerra
deh per lor mezzo a noi mostrar ti piaccia.
E se la Parca l'echionia Tebe
concede in preda a le lernee falangi
daccene il segnoe da sinistra tuona;
e i fausti augei con misteriosi canti
ci annuncino quel ben che a noi destini:
ma s'altrimenti hai pur dispostotardi
vengan gli auguriie da la destra il cielo
adombrino co' vanni i tristi augelli.
Così dic'eglie sovra un sasso siede
ed altri invoca sconosciuti Numi;
e sgombra di caligine la mente
discopre il verper quanto è vasto il mondo.
Parton fra loro il campo; e 'l ciel diviso
tengon la mentee con la mente il guardo
attenti ad osservar ne l'aria i segni.
Stetter così gran pezza: alfin Melampo
parlò primiero: - Anfiaraonon vedi
com'ogni augelche spiega a l'aura i vanni
dà tristi indizi con l'infausto volo?
Ve' com'altri si libra in su le penne?
Ve' com'altri sen fuggee co' lamenti
un infelice augurio a noi ne lascia?
Nè v'è fra lor de' tripodi seguace
il nero corvonè il reale e grande
portatore de' fulmini di Giove
nè quel sacro a Minerva: alcun migliore
del falcon non vegg'ioe questi ancora
da superiori augei spiumato e vinto.
Io non scorgo volar ch'orridi mostri
nè sento altri gracchiar che gufi e strigi
e darne segno di futuri danni.
E con tali portenti andremo a Tebe?
A tali mostri si concede il Polo?
Mira come con l'ugne i petti e i rostri
squarciansi insiemee dibattendo i vanni
mandan fuori un fragor simile a pianto. -
Così diss'eglie Anfiarao rispose:
- Molti ho già intesi oracoli febei
padrefin da quel dì che in fresca etade
da' semidei guerrieri io fui raccolto
su la tessala nave: essi m'udiro
spesse volte predir co' sacri carmi
quello che in terra e in mar lor poscia avvenne;
e ben sovente ne le dubbie cose
più che a Mopsoa me fede ebbe Giasone.
Ma non mai tanto di futuri mali
ebbi timornè più maligne stelle
vidi giammaie peggio ancor m'aspetto.
Or volgi gli occhi attento: immenso stuolo
mira venir da la serena parte
de l'etere profondo a noi di cigni;
o dal tracio Strimon Borea gelato
li caccio cerchin più benigno clima
de l'ubertoso Nilo in su le sponde:
eccoli fermieccoli accolti in giro
taciti star come rinchiusi in vallo;
or questo a noi finga il tebano campo.
Ma venir veggio da l'opposto lato
maggior schiera d'alatie a lei davanti
sette d'immensi vanni aquile invitte;
or queste a noi sieno gl'inachii duci.
Già dan l'assalto al bianco greggee i rostri
spalancan a le predee con gli artigli
già stan lor sopra. Ahi quanto sangue piove!
Quante cadon dal ciel divelte penne!
Ma qual d'avverso Giove ira improvvisa
distrugge i vincitori e manda a morte?
Ecco il primier come dal Sole acceso
cadee l'alma e l'orgoglio a un tempo spira.
L'altroche ardisce de' maggiori augelli
tentar le impresea mezzo il volo manca
e lo lascian cader le imbelli piume.
Questi insiem col nemico a terra cade.
Il quarto in rimirar de' suoi compagni
l'immensa stragespaventato fugge.
Quegli fra' nembi soffocato more;
questi morendo del nemico vivo
fiero si pasce: le volanti nubi
tutte in sangue son tinte. E perchè il pianto
tenti celarMelampo? Anch'io conosco
colui che cade ne la gran vorago. -
Così de l'avvenir sotto il gran peso
gemono i vatie già soffrono i danni
veduti in ombracome fosser veri.
Dolgonsi de' volanti il moto e i voli
spiato avered i vietati arcani
del cielo; ed esauditiodiano i Numi.
Ma donde mai questo sì folle amore
d'antiveder le cose entro le menti
de' miseri mortali origin ebbe?
Forse è dono de' numi? O pur noi stessi
non siam di ciòche possediamcontenti?
Noi vogliamo saper qual ne sovrasti
dal nascer nostro sino al giorno estremo
lieto o infausto destinoe ciò che Giove
benigno o l'empia Cloto a noi prepari.
Quindi è che si ricercano le fibre
e 'l garrir degli augelli entro le nubi
e i moti de le stellee de la luna
i vari girie alfin le magic'arti.
Ma non mai tanto osâr ne l'aurea etade
gli avoli nostri e quelle dure genti
uscite fuor da roveri e macigni.
Era lor sola ed innocente cura
amar le selve e coltivare i campi:
il cercar oggi quel che 'l dì venturo
promettaera fra lor non picciol fallo.
Noigente iniqua e vanai sacri arcani
osiam cercar de' Numi: e quindi poi
nascon la tema e l'ira e 'l reo delitto
e le insidie e le frodi; e i nostri voti
son privi di modestia e di pietade.
Ma Anfiarao scinte dal crin le bende
con dispettosa manoe il sacro serto
gettando lungi inonorato e vile
scendea dal monte. Egli ha sì fissi in mente
gl'infausti auguriiche già sente e vede
le trombe e l'armi e la lontana Tebe.
Dolente e mesto entro segreta cella
si chiudee nega rivelare i fati:
fugge il vulgo importunoe del Re amico
schiva le inchieste e de' maggior guerrieri.
Melampo anch'ei si celae per le ville
esercitando va la medic'arte.
E già sei volte e sei de l'Orïente
schiuse aveva le porte al dì l'Aurora
dacchè stavan sospesi e duci e plebe.
Di Giove intanto il gran comando preme
e corron tutti a l'armie lascian vuoti
i vasti campi e le cittadi antiche.
Dietro si tragge il bellicoso Dio
mille squadre d'armati: in abbandono
si lasciano le case e i dolci figli
e le consorti misere e piangenti:
tanto nel petto lor s'infonde il Nume!
Spiccan l'armi da' tettie fuor de' tempii
traggono i carri sacri un tempo a' Dei.
Chi a lo girar de la volubil cote
affila i dardie i rugginosi brandi
aguzza e terge e luminosi rende:
chi tratta gli elmi lievie le corazze
a' petti adatta e le ferrate maglie.
Già i vomerigli aratri e gli altri arnesi
sì cari un tempo a la sicana Dea
miransi rosseggiar dentro le ardenti
fornaci; e a l'alternar di più martelli
mutar l'uso pacifico in guerriero.
Tagliano i sacri boschie ne fann'aste
e al bue già vecchio non si ha più pietade
per coprir col suo cuoio e targhe e scudi.
Corrono in Argoe su le regie soglie
gridano guerra; e 'l ciel rimbomba intorno.
Non con tanto fragore il procelloso
Tirreno fremenè sì forte scuote
Encelado il gran monteallor che il fianco
tenta mutar sotto l'immenso peso:
da le profonde sue caverne mugge
Etnae vomita fiamme; in sè ritira
Peloro i fluttie la Sicilia unirsi
teme al terren onde fu pria divisa.
Ma Capaneo del bellicoso Nume
più d'altri accesodi superbo cuore
e d'ozio impazïente e di riposo
s'era qui tratto al suon di tanta impresa.
Scendeva egli per lung'ordine e certo
d'avi realima le illustri imprese
de' suoi maggiori avea oscurate e vinte
col braccio invitto e col terribil brando
sprezzator d'ogni Nume e d'ogni dritto
e prodigo di vitaov'ira il muova.
Un de' biformi abitator de' boschi
di Foloe sembrae con gli etnei Ciclopi
gareggiar può di mole e di fierezza.
Ora costui su le rinchiuse soglie
d'Anfiaraoove fremendo stanno
la plebe e i duciminacciando grida:
- Che viltà è questaArgivie voi di sangue
congiunti Achei? Oh nostra infamia e scorno!
Dunque su 'l limitar d'un uom del vulgo
ozïosi staran tanti guerrieri?
Tant'alme pronte a generose imprese?
Non iose Apollo (e siasi pur qual finge
l'altrui timore) sotto il cirreo giogo
muggir udissi dal profondo speco
tanto aspettar potreiche le tremende
ambagi sue la Vergine scoprisse:
a me la spada e 'l mio valor è Dio.
Esca omai fuor con le mentite frodi
figlie del suo timoreil sacerdote
o ch'io farò veder quanto sia vano
il volar degli augelli. - Ei così parla
e il volgo militar con gridi applaude.
Ma d'Ocleo il figlio d'altre cure pieno
esce costretto alfin dal chiuso ostello.
- Me non muove (dic'ei) l'alto clamore
del giovane profanoo i fieri detti
benchè minaccin morte. Il mio fatale
giorno ancor non è giuntoe questo petto
scopo non sarà mai d'armi mortali.
Ma l'amore di voima il troppo Nume
mi spinge e sforzae vuol ch'io sveli i fati.
Io le cose futuree s'oltre ancora
scoprir si puòdolente a voi paleso;
nè teco parloo giovane feroce
chè per te solo è muto il nostro Apollo.
Dovemiseriandate? A che rapite
l'armi in onta de' Numi e del Destino?
Qual Furia vi flagella? In sì vil pregio
l'alme vi sono? Argo v'è dunque a schivo?
Nè vi son dolci le paterne case?
Nè degli augurii alcun pensier vi prende?
A che mandarmi a l'inaccesso giogo
de l'alato guerrierl'eterne menti
ad ispiar de' Numi entro il concilio?
Ed or che giova che a me sieno noti
gli acerbi casi ed il funesto giorno?
Qual crudel fato a voi sovrasti? e quale
me stesso aspetti? In testimonio io chiamo
de l'ampio suol le investigate cose
le voci de gli augellie teo Timbreo
che mai sì fiero a me parlasti: unquanco
vidi sì tristi segni e sì palesi
indizi di certissima ruina.
Vidi le sceleraggini fatali
de gli uomini e de' Numie festeggiante
vidi Megerae l'inflessibil Parca
vuotare interi i secoli dal fuso.
Lungi scagliate l'armi. Ah forsennati!
Ecco il Numeecco il Nume a voi lo vieta.
Miseri! Che follia del vostro sangue
gir a impinguar de la Beozia i campi
e del reo Cadmo le profane zolle.
Ma perchè parlo indarnoe 'l già prefisso
momento io tardo? Noi pur troppo andremo. -
Qui troncò i dettie sospirando tacque.
Ma Capaneo: - Questo furor sia teco
augure infausto; e giovi a tua viltade
sicchè tu in Argo inonorato resti
nè turbi i sonni tuoi guerriera tromba.
Ma non tardar con queste ciance e fole
l'impeto de' magnanimi guerrieri.
Certoperchè ozïoso i canti e i voli
tu osservi de gli augellie in molli piume
ti goda la consortee i cari figli
ti scherzino d'intornoil gran Tideo
noi lasceremo inultoe de le genti
le sacre leggi vïolate e infrante.
Ma se non vuoi che muovan l'armi i Greci
vanne tu stesso a Tebee questo serto
t'assicuri le strade; a te del Cielo
noti son dunque i più segreti arcani
e le prime cagioni? O qual mi prende
pietà de' Numise le preci e i carmi
di noi ponno turbare il lor riposo!
Perch'empi di terror l'anime sciocche?
La viltade e il timor fecero i Numi.
Pur per or ti si passie senza tema
sfoga il vano furor; ma ben t'avviso
che al primo suon de' concavi oricalchi
quando noi beverem dentro gli elmetti
Dirce e l'Ismenoe ch'io correrò a l'armi
e a la battaglianon venirmi innanzi
co' tuoi augelli a ritardar la pugna;
non questo Febo tuonon queste bende
ti gioveriano allor: tutte in quel loco
io vo' predir le sortie saran meco
auguri e vati li più audaci e forti. -
Suonan d'intorno nuovi applausi e gridi
e l'immenso rumor giunge a le stelle.
Qual rapido torrentea cui più rivi
portan tributoe le disciolte nevi
rendon gonfio e superbo; ogni riparo
soverchiae inonda i campie seco tragge
ne' vortici spumosi a un tempo stesso
e le zolle e le case ed i pastori
e le mandre e le greggiinsin che rompe
l'impeto a un collee 'l suo furor raffrena:
così garrían fra lor; ma l'ombre stese
la buia nottee separò le risse.
Intanto Argiache del consorte amato
in sè risente il duoloe le querele
non ne può piú soffrir con cuor tranquillo;
come si trovaco' capelli sparsi
e gli occhi pregni di pietoso pianto
tra 'l confin de la notte e de l'aurora
quando scendendo in mar le vaghe stelle
si duol Boote di restar addietro
sen va notturna al padree al bianco seno
appeso il suo Tersandro a l'avo porta.
Ma poi ch'entròfermossi al lettoe disse:
- Perchè piangenteintempestiva e sola
senza 'l mesto consorte a te ne venga
padretu 'l saibenchè io me 'l taccia: io chiamo
in testimon de' genïali letti
i tutelari numie per te stesso
io giuroo padreei non mi manda. Io sono
mossa dal mio dolorche di riposo
mi priva da quel dì che infausta Giuno
con la sinistra man le nuzïali
tede m'accese: i vicini pianti
non mi lascian godere ora di sonno.
Non se di tigre avessi 'l pettoo il core
duro al par d'uno scoglioi suoi lamenti
senza pietà soffrir potrei. Tu solo
puoi consolarneed è in tua man riposta
l'unica medicina a' nostri mali.
Dacci la guerrao padree de l'abbietto
genero tuo mira lo statoe mira
questo d'un infelice esule figlio.
Non patir tanto scorno al proprio sangue.
Deh ti sovvenga il giuramento dato
nel primo ospizioe gl'invocati Numi
e le congiunte destre. Il mio consorte
è quello pure che indicaro i Fati
e che Apollo prescrisse: io già non arsi
d'amor furtivo e di colpevol face.
Tu me lo destie al tuo volere ancella
io fuie ubbidïente: or con qual cuore
ne soffrirò i lamenti? Ah tu non sai
quanto accresca l'amor misero sposo!
Ahi lassa! Io veggio ben ch'ora ti chiedo
dono odïoso e infaustoe che di pianto
cagion mi fia. Ma quando il fatal giorno
romperà i nostri bacie che le trombe
daranno il segno di partiree i cari
visi chiudrete ne' dorati elmetti
padreallor ti farò contrari voti. -
Così diss'ella; e il genitor co' baci
libonne i piantie placido rispose:
- Giàfiglianon temer che i tuoi lamenti
biasmi o condanni: cose giuste chiedi
e negarle io non so. Ma ancor sospeso
tengonmi i Numie ragionevol tema
e del mio regno le diverse cure.
Non diffidar peròfiglia; anche a questo
si darà fin; nè ti dorrai che 'nvano
pregato m'abbi. Tu 'l consorte afflitto
consola intanto; e non gl'incresca il nostro
maturo differir. Le grand'imprese
chieggon grandi apparati; e la tardanza
giova a la guerra. - Così dicee lascia
le molli piume a lo spuntar del giorno
da' suoi gravi pensier chiamato a l'opre.
LIBRO QUARTO

L'ESERCITO DEI SETTE RE.
IL VATICINIO DI TIRESIA A TEBE
LA SICCITÀ NELLA VALLE NEMEA

E già il terz'anno sciolte avea da' monti
col tepido spirar le bianche nevi
zeffiro portator di primavera
e Febo a' giorni iva aggiungendo l'ore
quando ruppero i Fati ogni consiglio
e a' miseri fu data alfin la guerra.
Dal giogo larisseo con la sinistra
Bellona alzò la facee a tutta forza
colla destra scagliò l'asta tremenda
che per lo vano ciel stridendo cadde
e andò a ferir ne gli argini dircei;
scend'essa poi nel campoe fra i guerrieri
d'oro e ferro splendenti ella si mesce
e freme in suon di militar tumulto.
Porge l'armi a chi partee applaudee ispira
lena a' destrierie da la porta affretta
i pigri e i lenti; e non che muova i forti
breve virtude ispira anche a' codardi.
Giunto era il dì prefisso: a Giove e a Marte
cadon vittime scelte: il sacerdote
teme l'infauste fibre e nol dimostra
e finge spemee ne' guerrier l'infonde.
Ma già i padrii fanciulli e le innocenti
verginie le dolenti e caste spose
stan su le sogliee a' lor congiunti fanno
con gli amplessi al partir dolce ritegno.
Non ha più freno il pianto; e di chi resta
e di chi va molli son l'armi e i manti:
pende da ciascun elmo una famiglia;
e a le chiuse visiere i dolci baci
rinnovar giovae a gli amorosi amplessi
inchinano i guerrier gli alti cimieri.
Già quel primo furor d'armi e di morte
scemando vassi in ogni petto e langue
e nel partir si raddolciscon l'ire.
Non altrimenti avvienquando s'accinge
a solcar lungo e periglioso mare
stuolo di navigantie già le vele
spiegansi al ventoe l'àncora ritorta
dal fondo si ritira: a lor d'intorno
stassi turba d'amicie a lor le braccia
stendon al colloe non han gli occhi asciutti;
ma poi che alfin sciolta è la prorastanno
immobili sul lidoe la volante
nave seguon con gli occhie in odio il vento
han che lungi la portae da lo scoglio
salutano co' cenni i naviganti.
Famao tuche conservi a' giorni estremi
la rimembranza de' famosi eroi
e vivere li fai dopo la morte;
e tuRegina de' sonori boschi
Calliopea me con più sublime canto
Narraquali movesse invitte schiere
quai ducie quai città vuote lasciasse
d'abitatori il formidabil Marte.
Chi più di te bevve al Castalio fonte
sacro furoree n'ha la mente piena?
Primo ne viene Adrastoe nel sembiante
molto palesa le sue interne cure;
rotto da gli anni e in quell'età che pende
inver l'occasotrattoanzi rapito
da le preghiere altruisi cinge il brando.
Portangli l'armi dietro i suoi scudieri:
cento destrier l'attendono a le porte
ed Arïon fra gli altri e freme e sbuffa
batte con l'unghia il suolnè trova loco.
Seguono armate la reale insegna
e Prosinna e Larissa; e la d'armenti
Midea nutrice; e d'ampie greggi ricca
Fillo; e Neriche teme il suo Caradro
gonfio e spumante; e Cleone turrita;
e Tireche vedrà l'atro trïonfo
scritto col sangue de' Spartani uccisi;
e quelli ancor che diero il rege ad Argo
abitator di Drépanoe con loro
Sicïone fruttifera d'olive
mandan le loro schieree quei che stanno
de la pigra Langía lungo le sponde
ed i vicini al tortuoso Elisso.
Immondo è il fiume e infamee ne' suoi flutti
sozzi soglion lavar le Furie inferne
i ceffie dissetar gli angui del crine
lasciando illeso Flegetonte; o sia
che da tracie stragio che da' tetti
empii tornin di Cadmo o da Micene
fuggon l'onde sdegnose al fiero nuoto
e corron tinte di mortal veneno.
Poi viene Effirache i solenni giochi
fa a Palemonee le cencree falangi
ove al ferir del Pegaseo cavallo
nacque Ippocrene a' sacri ingegni amica;
e quei ch'abitan l'Istmoche raffrena
gli opposti mari e ne difende il suolo.
Tremila in tutto son quelli che Adrasto
seguono in guerra baldanzosie sono
di varie genti e di varie armi instrutti.
Altri impugnano i dardi; altri le aduste
aguzze travi; altri le lievi fionde
ruotan per l'aria con robusti giri.
Per anni e per impero ei venerando
tutta precede la feroce schiera.
Toro cosìbenchè per molta etade
alta non porti più la frontee muova
per le campagne sue più tardi i passi
guida però l'armento: i più feroci
giovenchi a lui non osan muover guerra
e rispettan le vaste cicatrici
nel largo petto impressee le robuste
per molti colpi rintuzzate corna.
Il genero dirceoper cui la guerra
si muove e per cui sol milita il campo
la propria insegna dopo il Re dispiega.
Molti da Tebe a lui venner guerrieri
chi del suo esiglio per pietà; chi mosso
da fe'che spesso ne' disastri cresce;
chi per mutar signore; ed altri infine
a cui più giusta la sua causa sembra.
A questi aggiunge il suocero le schiere
d'Arenad'Egïone e di Trezene
superba per Teséo: così provvede
ch'egli non resti senza pompae senta
meno il dolor degli usurpati onori.
Altiero ei va con le stess'armi e 'l manto
con cui già venne in Argo; e 'l tergo copre
del teumessio leone; e al fianco appende
il fiero brandoch'ha nel pomo impressa
l'orrenda Sfingee porta in man due dardi.
Già il regnogià la madre e già le suore
possiede con la speme; e pur lo frena
d'Argia l'amoree gli occhi in lei volgendo
soventela rimira afflitta e mesta
che tutta infuori da una torre pende
e con gli occhi lo siegue: egli a tal vista
s'inteneriscee quasi Tebe oblia.
Ecco il fiero Tideo le olenie genti
armate guida risanato e franco
al primo suon de la guerriera tromba.
Qual angue che sotterra ha già lasciata
l'antica spogliae rinnovati gli anni
fuor se n'esce al tepor de' nuovi Soli
di primaverae si rabbella e striscia
e minaccioso per l'erbetta serpe:
misero quel pastor che a lui vicino
passae 'l primier veleno in sè riceve!
Appena divulgò la fama il grido
de l'alta impresache d'Etolia tutta
la gioventù feroce a lui sen corse.
Vengono da Pilene e da Pleurone
per lo suo Meleagro ancor dolente;
manda i suoi Calidone; e la di Giove
nutrice Olenoche nol cede a l'Ida;
e Calcideche il mare in sè ricetta;
e l'Acheloo scornatoe che non osa
erger la fronte offesae mesto giace
ne l'umide cavernee le sue sponde
restano asciutte e squallide d'arena.
Tutti sen van di ferro armati i petti
co' pili in manoe sopra gli elmi splende
de' loro Re progenitor Gradivo.
I più robusti e audaci al duce intorno
forman coronaed ei va lieto e noto
per le belle feritee già non cede
di sdegno a Polinicee dubbio pende
in favore di cui si muova il campo.
Le doriche falangi in maggior stuolo
spiegan l'insegnee queiLirceoche i tuoi
campi soglion solcar con molti aratri;
ed i cultori de' tuoi vasti campi
Inaco Rege degli achivi fiumi:
nè già di te più procelloso alcuno
scorre il greco terrenoallor che 'l Tauro
gonfio ti rende e l'Iadi piovose
e di sè t'empie il genero Tonante.
Poi vengon quei che Asterïon veloce
cinge co' fluttie quei cui l'Erasino
inonda i prati e le mature spiche;
e quei che d'Epidauro arano i campi:
Bacco a' suoi colli è amicoma la Dea
Sicana a lui è de' suoi doni avara.
E Dimo ancor manda soccorsi; e Pilo
di cavalieri grosse squadre invia.
Non era allor Pilo famosae 'l suo
Nestore ancor de la seconda etade
era sul fioree gir non volle a Tebe.
Quindi le genti guida il grande e forte
Ippomedontee con l'esempio accende
di gloria e di virtude in lor l'amore.
Sul rilucente elmetto alto egli porta
tripartito cimier di bianche penne:
veste d'acciaio il duro usbergoe copre
col fiammeggiante scudo il largo petto
in cui di Danao la terribil notte
ne l'oro è impressa: le crudeli Erinni
fan con le nere lor funeste faci
splender cinquanta talami nuziali;
su le sanguigne porte il fiero padre
si fermae tenta i brandied al delitto
le incerte figlie minacciando esorta.
Lo porta giù dalla Palladia rocca
destrier Nemeo precipitoso e lieve
e non avvezzo a l'armie in mezzo a un nembo
di polvere commossae quasi a volo
per lo gran campo un'ombra immensa stende.
Non altrimenti a precipizio cala
da le montane cave Illeo biforme
squarciando con due petti e doppie spalle
al rapido suo piè quanto s'oppone:
Ossa il paventae per timore a terra
si piegano le fiere e si nascondono
e i Centauri minor n'hanno spavento:
finchè d'un salto nel Peneo si lancia
e solo opponsie spinge indietro il fiume.
Ma qual potria ridir lingua mortale
il numero de' fanti e de' cavalli
che lui sieguono in guerra? Alcide i suoi
de l'antica Tirintia abitatori
eccita a l'armi; e non è scarso il luogo
d'uomini fortie del feroce Alunno
vive in essi la fama ed il valore.
Ma al volgersi de gli anni il prisco aspetto
de la patria mutossie non ritiene
più la prima fortuna e le ricchezze.
Raro è l'agricoltor che al passaggero
le rocche additiche i Ciclopi alzaro.
Pur trecento guerrieri in guerra manda
prodi cosìche nel valor dell'armi
rassembrano essi soli un campo intero:
nè già di ferro armano il pettoo al fianco
cingon l'orribil brando; il capo e il dorso
copron col cuoio de' leonie in giro
ruotan nodosa clavae ne' turcassi
portan cento infallibili saette.
Cantan inni ad Alcidee le da' mostri
purgate terre; ed ei dall'alta cima
d'Eta li sentee ne gradisce i canti.
Manda Nemea soccorsie da le sacre
del cleoneo Molorco ospiti vigne
vengon gli agresti abitatori. È noto
come Molorco ne l'angusto albergo
accolse Alcide: e ne le rozze porte
scolpite sono ancor l'armi del Nume;
e nel picciolo campo al pellegrino
s'addita ov'ei posava l'arcoe dove
la mazzae 'l sito ov'ei talor giacea
che ne conserva le grand'orme impresse.
Siegue poi Capaneo di sì gran mole
che quantunque pedonquasi da colle
tutto sotto di sè rimira il campo.
A quattro doppi a lui cingon lo scudo
di fuor coperto di ferrata piastra
di quattro buoi le diseccate cuoia.
L'Idra in esso si vede in tre gran giri
ravviluppatae già vicina a morte:
tre de' suoi capi semivivi ancora
splendono ne l'argentoe gli altri cela
con maestrevol arte il fulgid'oro
imitante la fiamma; e Lerna intorno
ristagna l'acquee le ritira indietro
livide e infette dal crudel veleno.
Poi s'arma i fianchi e lo spazioso petto
di ferree squammeorribile lavoro
e non già de la madre; in cima a l'elmo
porta un gigante; e de le frondi nudo
un gran cipresso in vece d'asta impugna.
Sieguon sì fiero duce Anfigenía;
e la piana Messenee la scoscesa
Itome; e posta sovra un alto monte
Epie Trione e Pteleone ed Hello;
e Dorionche 'l suo poeta piange.
Tamiro fu costuiche osò nel canto
contender colle Muse. Oh sempre folle
temerario garrir co' numi eterni!
E ne fu in pena de la vista privo
e condannato a viver muti gli anni.
Misero! A lui erano forse ignote
le vittorie d'Apolloe lo scuoiato
Marsiaper cui famosa è ancor Cellene?
Ma di già vinta e ottenebrata in parte
d'Anfiarao la menteegli pur viene;
e ben sapea quali funesti segni
veduti avesse; ma la fiera Parca
in lui soffoca il Numee l'armi in mano
gli ponee dietro se 'l rapisce a forza:
nè senza colpa è l'infedel consorte
che d'Harmonia il monile empio possiede.
All'indovino esser fatal quest'oro
prescritto aveano i Fati; e l'empia frode
non gli era occulta; ma la moglie avara
cambiò il marito ne l'infame dono
e de le spoglie altrui n'andò pomposa.
Argiache vede star incerti ancora
i consigli de' ducie che dal vate
tutta la mole de la guerra pende
volentieri lo cedee al caro sposo
lieta lo rendee a lui così ragiona:
- Di vani fregi non è questo il tempo
per meo signorenè da te lontana
far pompa d'una misera bellezza.
Poco non mi parrà fra amiche ancelle
temprare il mio doloree i sacri altari
sovente circondar col crin disciolto.
Deh cessi Dioche mentre tu di ferro
suonerai cintoe che la bionda chioma
ti premerà l'elmettoal collo io porti
il dotale d'Harmonia aureo monile.
Forse daranci più felici giorni
placati i Numie di pompose vesti
tutte allor vincerò le argive spose
chè di Re mogliee baldanzosa e lieta
di tua salutefra festivi cori
andrò divota a scioglier voti al tempio.
Abbiasi l'oro pur colei che 'l brama
e può mirare con sereno volto
di Marte infra i perigli il suo marito. -
Così passò d'Erifile ne' tetti
il monile fatalee iniqui semi
vi sparse d'odio; e l'avvenir scorgendo
Tesifone ne rise. Anfiarao
dunque sen viene sovra eccelso carro
da' tenarei destrier tiratoe figli
di Cillaro immortale e di mortali
giumente: e il furto a Castore fu ignoto.
Le sacre bende e l'apollineo culto
lo palesan per vate; e su l'elmetto
porta i rami d'olivae intesse e fregia
l'infula bianca di purpuree penne.
Ei sostiene lo scudoin cui risplende
il fier Pitone uccisoe regge il freno
de' focosi destrieri. Al carro intorno
vengon squadre d'arcierie sotto il peso
trema la selva. Egli sta in alto assiso
terribile in sembiantee l'asta impugna.
Sieguon il carro in numerose schiere
Pilo e Amicle apollineae per naufragii
Mallea famosa; e Cariache risuona
d'inni a Cintia festivi; e Fari e Messe
di colombe nudricee di Taigeto
vien la falange; e turb'alpestre manda
l'Eurotafiera ed instancabil gente.
Mercurio stesso a nude guerre e a risse
finte l'indura in militar palestra:
quinci in lor spirti generosi infonde
e bel desio d'una onorata morte:
esortano a morir le madri i figli;
e mentre piange a' funerali intorno
la turbagodon le feroci madri
in veder coronati i lor ferétri.
San stringereallentargirare i freni;
insiem legati portano due dardi;
coprono il dorso di ferine pelli
e portan tremolanti in su l'elmetto
le bianche penne dell'augel di Leda.
Nè già son questi sol che il tuo stendardo
sieguonoAnfiarao; ma la declive
Eli manda guerrieri; e la depressa
Pisa; e color che ne' sicani campi
beon dell'ospite Alfeo: d'Alfeoche l'onde
intatte porta per sì lungo mare.
Guerreggiano su i carrie tutti a Marte
doman i loro armenti: un cotal uso
dura fra lor fin da quel dì che infranse
Enomao il cocchioe cadde su l'arena:
mordono il freno i fervidi destrieri
e di spuma e sudor bagnano il campo.
Tu purPartenopeodietro ti meni
(nè 'l sa la madre) le parrasie schiere
troppo tenero ancora e mal esperto
per soverchio desio di nuova lode.
Ah se Atalanta il risapeatu certo
tu non andavi; ma la forte donna
a suon di corno da le crude fiere
de l'opposto Liceo purgava i boschi.
Fra tanti eroi di più leggiadro aspetto
alcun non v'ha; nè già gli manca ardire
purchè l'età più forte in lui maturi.
Arsero al balenar del vago ciglio
le Driadil'Amadriadi e le Napee.
Dicesi che Dïana un dì che 'l vide
di Menalo fra l'ombre in su l'erbetta
pargoleggiare girsen sì leggiero
che nel terreno appena l'orme imprime
se n'invaghissee l'amoroso fallo
perdonasse a la madree di sua mano
gli desse i dardie la real faretra
gli appendesse a le spalle. Egli sen viene
ripieno il cuor di marzïal desio;
e anela l'armi; e i bellici oricalchi
brama sentir; e in militare arena
lordare il biondo crin di molta polve;
scavalcare un nemico; ed in trionfo
riportarne un destrier: già in odio ha i boschi
e si vergogna che d'umano sangue
ne la faretra ancor asciutti ha i dardi.
Ei risplende ne l'oroe d'ostro il manto
scende ondeggiantee si restringe al collo
con nodi iberi in vaghe crespe accolto.
Nel rilucente scudo impresse porta
de la madre l'impresee di sua mano
il fier cinghial di Calidonia estinto.
Pende al sinistro fianco il nobil arco
ed il turcasso di lucente elettro
di gemme adorno gli risuona a tergo
tutto ripien di cretiche saette;
e di minute maglie il petto copre.
Regge un corsier che vince i cervi al corso
coperto il dorso e l'uno e l'altro fianco
di doppia pelle di macchiata lince
e che in sentir del suo signore armato
più grave il pesomaraviglia prende.
Egli dolce rosseggiaed innamora
col leggiadro sembiante e co' freschi anni.
Gli Arcadiche fur pria che fosse in cielo
la luna e gli astria lui danno le schiere.
Di lor si dice che da dure piante
fosser prodottie che stupì la Terra
al primo calpestio de' piedi umani.
Non s'aravano ancora i campi: ancora
non v'erano cittàprincipi e leggi;
nè v'eran maritaggi. Il faggio e il lauro
concepivano i figlie dagli ombrosi
frassini nacquer popoli; e i fanciulli
verdi uscian fuor dal rovere e da l'olmo.
Costoro il primo dì che usciro in luce
a l'alternar del giorno e della notte
stupiroe nel veder cadere il Sole
gli corser dietro per fermarlo; e tema
ebbero di restar sempre fra l'ombre.
Già di Menalo i colli e le partenie
selve d'abitator rimangon vuote;
e Strazia e Rife e la ventosa Enispe
mandâr schiere feroci al gran cimento.
Non Tegea si rimanee non Cillene
de l'aligero Dio madre felice;
nè il rapido Clitone; o quel che Apollo
bramò suocero averchiaro Ladone;
e non Lampía nevosa; o il Feneo lago
ond'è fama che Stige origin abbia.
Vengon gli agresti abitator dell'Azza
Azza ch'è in ulular emulo all'Ida;
ed i parrasii ducie di Nonacri
la genteche si rise de gli amori
del faretrato Giove; ed Orcomene
ricca di greggi; e Cinosura albergo
di molte fiere; ed Epito; e la celsa
Psofida; e noto per l'erculee imprese
l'Erimanto; e lo Stinfalo sonoro.
Arcadi tutti sontutti una gente
ma di culto diversa e di costume.
Altri de' Pafii mirti a sè fan clave:
altri s'arman di rustici bastoni:
altri tendono gli archi e avventan dardi.
Chi copre il crin d'arcadico cappello;
e chi de' Licaon l'uso seguendo
porta vuoto d'un'orsa il capo in fronte.
Queste le schiere fur che seguîr Marte.
Non armossi Micene ancor turbata
per le nefande mensee per la fuga
dell'attonito Solee per le guerre
di due altri non meno empii fratelli.
Ma non sì tosto ad Atalanta giunse
il tristo avviso che partiva il figlio
e dietro si traea l'Arcadia in guerra
che sotto si sentì tremar le piante
e i dardi si lasciò cader di mano.
Abbandona le selvee al par del vento
qual si ritrova con il crin disciolto
in abito succinto il corso affretta;
nè le arrestano il piè rupi o torrenti;
e sembra lieve e inferocita tigre
che corra dietro al predator de' figli.
Giunge infine e l'arrestae sovra il petto
al rapido destrier respinge il freno.
Impallidisce il giovane: essa allora:
- E qual nuovo furorfigliot'accende?
Qual non matura ancor virtù ti muove?
Tu le schiere ordinar? Tu fra i perigli
correr di Marte tra le spade e l'aste?
Deh fosse in te vigor pari al desio!
Non ti vid'io testè pallido in viso
mentre un fiero cinghial coll'asta premi
le ginocchia piegare resupino
quasi cader? E se men pronto allora
era questo mio dardo: ove le guerre?
Ove saresti or tu? Nelle battaglie
non gioveranti questi strali; e invano
ne' tuoi confidie in questo tuo di nere
macchie segnato fervido destriero.
Tu tenti imprese oltre l'etadee sei
acerbo ancora a' talami e a gli amori
de le leggiadre Ninfe d'Erimanto.
Ahi fur veri i presagi! Io vidi il tempio
tremar di Cintiae mesta esser la Dea
e le spoglie cader da' sacri altari;
quindi più lento l'arcoe meno pronte
mie mani al saettare incerti i colpi.
Aspetta almeno di acquistar maggiore
forza con gli anni più maturi; aspetta
che 'l vago viso il nuovo pel t'adombri
e meno a me somigli; allora il brando
e le bramate guerre a te fien date;
nè riterratti de la madre il pianto.
E voiArcadidunque il signor vostro
ir lascerete? O veramente dura
gente nata da roveri e macigni! -
Volea più dir; ma sono a lei d'intorno
confortandola tutti a non temere
il figlio e i duci; e già le trombe il segno
dan di partir: ella non sa disciorsi
dal figlio; e al buon Adrasto alfin l'affida.
Ma la plebe cadmea da l'altra parte
mestanon già per lo vicin periglio
ma per le furie del crudel tiranno
(poi ch'ode esser già mosso il campo argivo)
vergognosa del Rege e dell'ingiusta
guerralenta e restia l'armi ripiglia;
ma pur si muove mal suo grado alfine.
Non han piacerqual de' guerrieri è stile
in rapir aste e brandi: a nissun giova
vestir l'armi paterneo de' destrieri
prendersi cura; ma senz'ira e pigri
sol promettono al Re le mani imbelli.
Chi si duol di lasciare il padre infermo;
chi la consorte giovanetta e i figli
che lieti a lui scherzavano d'intorno.
In ogni petto intiepidisce Marte.
Le mura istesse da l'età corrose
e l'anfionie rocche il lato aperto
mostrano rovinosee un lavor muto
quelle riparache già furo al cielo
alzate al suon dell'armoniosa cetra.
Ma 'l guerriero furorche in essi langue
le città di Beozia all'armi accende
sol per soccorrer la cittade amica
non già per favorir l'empio tiranno.
Ei sembra un lupo distruttor del pingue
vicino armentoallor checarco il ventre
del crudo pastocoll'irsute aperte
fauci ancor lorde di sanguigna lana
da l'ovil si discostae i biechi sguardi
memore di sua strage intorno gira
mirando se de' ruvidi pastori
gli sovrasti lo sdegno; indi tra l'anche
la coda ascondee timido s'inselva.
Cresce il terror la fama. Altri rapporta
che già i lernei corsier bevon l'Asopo:
altriche sono sul Citero; ed altri
che accampan sul Teumesso; ed altri infine
vide gli ostili fuochi entro Platea.
Ognun portenti accresce; e i Tirii Lari
chi sudar giura; e correr sangue Dirce;
ed esser nati mostruosi parti;
la Sfinge urlar di nuovo; e quel che appena
saper certo si puòdice che il vide.
Ma novello timor turba la plebe.
La conduttrice de' Baccanti Cori
disciolti i crini e dal suo nume invasa
furiosa scende dall'Ogigio monte
e la di pino tripartita face
ruotando in giroe rosseggianti i lumi
l'attonita cittade empie di strida.
- Oh gran padre Niseoche dell'avita
gente il primiero amor doni all'obblio
tu sotto il pigro Arturo a guerra muovi
con ferreo tirso l'Ismaro feroce
e le tue viti di Licurgo in onta
pianti ov'ei proibille; o lungo il Gange
tu scorri furibondo e trionfante
per la purpurea Teti a' regni Eoi;
od esci fuor per gli aurei fonti d'Ermo.
Ma la progenie tual'armi deposte
sacre al tuo cultoor qual può farti onore
fuor che di guerradi timordi pianto
di domestiche risse empie e nefande
premii d'ingiusto Re? Portamio Bacco
portami sotto ad un perpetuo gelo
e fin là dove il Caucaso risuona
dell'armi femminilianzi ch'io scopra
gli error de' duci e della stirpe infame.
Ma tu mi sforzi: io cedo; altri furori
a teBaccogiurai. Io veggioio veggio
due fieri tori d'uno stesso sangue
e d'onor pari insieme urtarsie quindi
unir le frontie le ritorte corna
scambievolmente avviticchiar fra loro
e feroci morire in mezzo all'ira.
Tu pria cedio peggiortu che contendi
il comun pasco al tuo compagnoe vuoi
solo tiranneggiar la piaggia e il monte.
Oh infelici costumi! Ambi nel vostro
sangue cadretee sarà d'altri il regno. -
Tacqueciò detto; e abbandonolla il Nume
e fredda cadde e tramortita al suolo.
Ma da cotanti mostri il Re commosso
si dà per vintoe (come suol chi teme)
a Tiresia ricorree le sagaci
tenebre ne consulta; e quegli afferma
che non sì certo il gran voler de' Numi
dall'ostie si ritraggeo dall'incise
viscereo dagli augellio dagli oscuri
tripodio dal fumar de' sacri altari
o da' moti numerici degli astri:
come da' spirti del profondo Averno
richiamati alla luce. E già i letei
sacrifici prepara innanzi al Rege
colàdove l'Ismeno entra nel mare.
Ma prima colle viscere lo purga
di nere agnellee col sulfureo fumo
e con fresca verbenae con un lungo
magico mormorar d'ignoti carmi.
In questo luogo antica selva sorge
di robusta vecchiezzaa cui mai ramo
tronco non funè vi penétra il Sole:
nulla in lei puote il ventoe di sue frondi
Noto non la privònè Borea spinto
co' freddi fiati dalla getic'Orsa:
un opaco riposo entro vi regna
e il placido silenzio un ozïoso
orror vi serbae dell'esclusa luce
appena v'entra un tremolo barlume.
Nè senza Nume è il bosco: e di Latona
sacro è alla figliae la celeste immago
in ogni pinoin ogni cedro è impressa
e in ogni pianta; e la nasconde e cela
tra le sant'ombre sue la selva annosa.
Spesso suonare non veduti strali
de la gran Dea s'udiroed i notturni
latrati de' molossi; allor che fugge
le oscure case del gran zioe risplende
tra noi serena e con più vago volto.
Ma quando stanca di cacciar le fiere
il più fitto meriggio a dolce sonno
l'invitai dardi intorno intorno appende
e 'l capo appoggia a la faretra e dorme
s'apre fuori del bosco immenso campo
a Marte sacroove il cultor fenice
sparse guerriero seme. Oh troppo audace
colui che dopo le fraterne schiere
osò d'aprire nel terreno infame
novelli solchie rivoltar le zolle
d'atro sangue cosperse! Il suolo infausto
spira tumulto a mezzo giornoe freme
della notte fra l'ombreallor che i figli
della Terra risorgonoe fra loro
rinnovar sembran le passate stragi.
Lascian gli agricoltori i campi inculti
ed a le stalle lor fuggon gli armenti
spaventati e confusi. In questo luogo
proprio a gl'inferni sacrificie grato
a li tartarei Numia cui più in grado
son quei terren che pingui son di sangue
il vecchio sacerdote ordina e vuole
che le pecore oscure e i neri armenti
si raduninoe scelgansi fra loro
le cervici più elette e più superbe.
Mesta Dirce restò vuota d'armenti
ed il Citero; e si stupîr le valli
che risuonavan pria d'alti muggiti
del silenzio improvviso. Ei pria le corna
dell'ostie adorna di ceruleo serto
e di sua man le palpa; indi il terreno
nove volte scavatoentro vi versa
attico melee 'l buon liquor di Bacco
e fresco latteed in gran copia il sangue
delle vittime uccisea cui più pronte
sogliono correr l'ombree non rifina
per fin che il suol non è imbevuto appieno.
Poi fa troncar la selvae tre gran pire
erge ad Ecate infernaed altrettante
a l'orribili figlie d'Acheronte.
A tegran Re del tenebroso regno
s'erge di pino un sotterraneo altare
che però colla cima all'aria sorge;
ed un altro minore alla profonda
Proserpina; e li cinge intorno intorno
l'ombra funesta del feral cipresso.
E già segnate l'ardue frontie 'l farro
sparsovi soprain su l'opposto ferro
cadon tremanti le scannate greggi.
Allor la vergin Manto in tazze accoglie
il fresco sangue; e come il padre insegna
prima ne libaindi circonda i roghi
tre volte intorno con veloci passi;
e a lui descrive quali sien le fibre
e gl'intestini palpitanti ancora:
nè più ritarda il sottopor le faci
a l'alte piree in esse il fuoco accende.
Ma poi che il Cieco udì strider la fiamma
nell'ardenti catasteonde al suo volto
giunse il caloreed aggirossi il fumo
per entro i vani della vuota fronte
alto esclamò; della gran voce al suono
tremaro i roghie preser forza e lena
gli oscuri fuochi: - O voitartaree sedi
o fiero regno d'insaziabil morte;
e tude' tuoi fratelli il più crudele
a cui fu dato di regnar su l'ombre
e a' colpevoli impor eterne pene
e comandare al sotterraneo mondo:
aprite al batter mio le porte inferne
e i luoghi oscuri e mutie 'l vano regno
di Persefonee 'l vulgo a me mandate
laggiù sepolto in un profondo orrore;
e l'infernal nocchiero a me 'l riporti
di qua da Stige in su la nera barca.
Ombre insieme venite al gridar nostro
ma del vostro venir sien vari i modi.
Ecatequelletuche negli Elisi
godono eterne pacialme innocenti
da' rei dividi; indi Mercurio ombroso
colla potente verga a noi le meni.
Quelle che stan fra le perdute genti
in numero maggiore la più parte
scese da Cadmopria tre volte scosso
un anguea noi Tesifone conduca
e lor mostri il cammin col tasso ardente;
nè Cerbero crudel le spinga indietro. -
Posto fine a' scongiuriegli e la figlia
attenti stannoe pieni già del Nume
non conoscon timor; ma 'l Re tremante
e sbigottito al suon de' detti orrendi
gli si accosta alle spallee per la mano
ora lo pigliaora le sacre bende
afferrae 'l premee non vorria l'incanto
tentato avereo tralasciarlo a mezzo.
Qual ne' getuli boschi un fier leone
attende al varco il cacciator dubbioso
che sè stesso confortae 'l grave dardo
sostien con man sudantee al suo periglio
in ripensare quale e quanto attenda
nemicoimpallidiscee gli vacilla
il passoe lungi il gran ruggito udendo
ne misura le forze e n'ha terrore.
Ma poi che tardi a lui vengono l'ombre
grida Tiresia con più fiera voce:
- Io vi protestoorride Erinnia cui
arsi le pire e con sinistra mano
versai sanguigne tazze; io vi protesto
che del vostro indugiar ira mi prende.
Inutil dunque sacerdote e vano
a voi rassembro? Ma se infami carmi
udrete susurrar tessala Maga
andrete pronte; o se possente Circe
vi sforzerà con scitici veleni
vedrem tremante impallidir l'Inferno.
Forse a scherno io vi son perchè dall'urne
non traggo a vita i corpie non rivolgo
l'ossa già stritolatee riverente
non turbo i Dei dell'Erebo e del Cielo?
O perchè non vogl'io con empio ferro
tagliar gli esangui voltie da gli estinti
strappar le meste fibre? Ah non sprezzate
questa cadente etade e dell'opaca
fronte le oscure tenebre: anche a noi
lice l'incrudelir. Sappiamsappiamo
ciò ch'è orribile a dirciò che temete
ed Ecate turbarse per teo Apollo
la gran germana tua prezzassi meno.
So del triplice mondo il maggior Nume
anch'io invocarcui proferir non lice:
ma in questa mia cadente età lo taccio.
Ben vi farò... - Ma l'interruppe allora
la fatidica Manto; e: - O padre(grida)
t'udîr gli abissie s'avvicinan l'ombre:
s'apre l'infernal Caose si dilegua
la caligin che copre il basso mondo.
Veggio l'orride selve e i neri fiumi
e d'Acheronte vomitar le arene
livide su le sponde; e Flegetonte
versar onde di fiamme; e Stige oscura
che il popolo dell'ombre in due diparte.
Lo stesso Re veggio sedere in trono
squallido in voltoe a lui le Furie intorno
stanno di sceleraggini ministre:
e le funeste stanze e dell'inferna
Giunone io scorgo i talami severi.
Veggio a un verone pallida la Morte
che numera al tiranno il popol muto
e la parte maggiore a contar resta.
Il cretense Minosse indi li pone
nella terribil urnae con minacce
n'esprime il veroe li costringe e sforza
a palesar fin da' più teneri anni
l'opre buone o nefandee qual si deggia
a' lor merti o al fallir pena o mercede.
Dell'Erebo degg'io dir tutti i mostri?
E le Scille e i Centauri invan frementi?
E i ceppi adamantini de' Giganti?
O del gran Briareo la picciol'ombra? -
- Vano è (dic'egli)o della mia vecchiezza
solo sostegnoil perder tempo in questo.
E chi non sa l'irrevocabil sasso?
E l'ingannevol lago? E Tizio in cibo
dato a' rapaci augelli? E d'Issione
la volubile ruota e i giri eterni?
Ecate a me la regïon profonda
tutta mostrò negli anni miei più verdi
prima che il nume a me il veder togliesse
da gli occhie 'l respingesse entro la mente.
Piuttosto i Grechi Spirti ed i Tebani
invita e chiama; e gli altri indietro spingi
di bianco latte quattro volte aspersi
e via li manda dal funesto bosco.
Poi di ciascuno e l'abito e l'aspetto
qual più beva del sanguee qual più altiero
de' due popoli venga a me fedele
descrivie le mie tenebre rischiara. -
Essa allor mormorò magico carme
con cui l'alme disperge a suo talento
e a suo talento le disperse aduna.
Tali fur già (se l'empietà ne togli)
Medea crudele e l'ingannevol Circe;
e al sacerdote genitor ragiona:
- Il primo a bere nel sanguigno lago
è Cadmo; e Harmonia il suo marito siegue
e l'uno e l'altro porta un serpe in fronte.
Intorno a loro sta la fiera gente
popol di Marte della Terra figlio
a cui fu vita un giorno: ognun la mano
tiene su l'elsaognuno l'armi impugna:
si assalgonsi respingonsi feriscono
come se fosser vivi; a lor non cale
ber del sanguigno gorgoed a quel solo
aspiran de' fratelli. Ecco appo loro
le cadmee figlie e l'infelice seme
de' compianti nipoti: Autonoe viene
orba ed afflitta; ed Ino ansiaanelante
che gli archi mirae si restringe al petto
il caro pegno; e Semeleche copre
dal fatal fuoco con le braccia il ventre;
e Agave ancorche libera dal Nume
infranti i tirsi e lacerata il seno
sè stessa accusae Penteo siegue e plora:
quei per l'inferne vie sdegnoso fugge
e per gli stigii e pe' superni laghi
ove Echïon lo piange e ne raccoglie
le lacerate membra. Io ben conosco
Lico infelicee d'Eolo la prole
che 'l figlio ucciso su le spalle porta.
Ecco Atteonche va cangiando aspetto
per lo suo falloe non però del tutto
mutato è ancor: aspra ha la fronte e dura
per l'ardue cornae tuttavia la mano
ritiene i dardie de' rabbiosi cani
ripugna a' morsie li respinge indietro.
Dagl'invidiati figli accompagnata
di Tantalo la prole ecco sen viene
e con altiero lutto i funerali
va numerandoe nelle sue sciagure
anch'è superba; e poi ch'a lei non resta
più che temer de' Deipiù audace parla. -
Mentre così la vergine favella
ecco arricciarsi le canute chiome
al genitortremar le sacre bende
e leggermente rosseggiare il volto.
Scaglia lungi il bastonnè più s'appoggia
alla verginee s'alza e- Tacio figlia
(dice) assai da me veggioe le mie pigre
squamme cadder dagli occhi e la mia lunga
notte si dileguò. Ma donde viene
lo spirto che di sè tutto m'ingombra?
Mi viene ei dall'Infernoo pur da Apollo?
Ecco già scorgo il tutto; e l'Ombre Argive
meste abbassare i lumi; e il torvo Abante
e 'l colpevole Pretoe Foroneo
placido e mitee Pelope squarciato
e nella sozza polve Enomao intriso
avidamente ber lo sparso sangue:
quindi la miglior sorte auguro a Tebe.
Ma chi sono costoro insieme uniti?
A l'armia le ferite a me rassembra
che sieno alme guerriere. E perchè mai
ci minaccian col voltoe con il sangue
e con le mani e con la vana voce?
M'ingannoo Re? O quei cinquanta sono
che tu mandasti? Vedi Cromio e Cromi
e 'l gran Fegeae della nostra fronda
il buon Meone ornato. Ahduci invitti
deponete lo sdegno: il morir vostro
opra non fu d'uman consiglio: a voi
questo fine la Parca avea prefisso:
voi siete fuor d'ogni vicenda; a noi
restano guerre orribilie Tideo. -
Sì dice; e indietro colla sacra fronda
di bende cinta le respingee addita
a loro il sangueove saziar la sete.
Sovra le sponde di Cocito solo
stavasi Laio e abbandonato. Il Nume
già l'avea ricondotto al nero Averno.
Mirava torvo il reo nipote (e il volto
ben ne conosce): egli non corre al sangue
col vulgo in follae non apprezza il latte
e sta ritroso e immortal odio spira.
Ma l'aonio Indovin con dolci note
a sè l'invita: - O della tiria plebe
inclito duceal cui morir spariro
i giorni lieti dell'Ogigie mura:
è la tua morte vendicata assai;
e di pena minordi minor scempio
la tua grand'ombra esser potea contenta.
Da chi misero fuggi? In lungo duolo
giace colui che abborrie già i confini
tocca di morte squallido ed asciutto
pien di lordure il viso e senza lume;
credilo a me: è della stessa morte
la sua vita peggior. Ma del nipote
perchè schivi l'aspetto? A noi rivolgi
placato il guardoe ti disseta in questo
sanguigno umor già consacrato a Dite;
indi a noi scopri dell'orribil guerra
le future vicendeo sia che infausto
a' tuoi ti mostrio che pietà ten prenda.
Ti farò allor co' sacrifici miei
passar l'onda vietatae 'l tuo insepolto
busto ricoprirò di sacra terra;
e ti farò propizi i Dei d'Inferno. -
Placossi Laio alle promessee il labbro
nel sangue immerse; indi così rispose:
- Deh perchèmentre co' possenti carmi
turbi l'Infernome fra cotant'alme
buon sacerdoteal vaticinio scegli?
Forse il migliore le future cose
a discoprir ti sembro? A me bastante
è il rimembrarmi le passate. E voi
degni nipotia che cercar da l'avo
le risposte e gli oracoli? Colui
colui s'impieghi ne' misteri orrendi
che lieto uccise il padree l'innocente
madre compressee fratei n'ebbe e figli.
Ed or costui fatiga i Numie invoca
de le Furie il concilioe le nostr'ombre
eccita a l'armi; ma se pur vi piace
che in tempi sì funesti augure io parli
quello dirò che a me sarà permesso
da Lachesi e da l'orrida Megera:
Guerragran guerra; innumerabil gente
veggio venir da Lerna; e Marte a tergo
con sanguigno flagel l'istiga e spinge.
Aspettano costor oneste morti:
il suol vacilla: fulmina il Tonante;
e a' cadaveri lor tardansi i roghi.
Vincerà Tebenon temer; nè il regno
per questo riterrà l'empio germano;
ma regneran le Furie e il doppio eccesso;
e per le vostre infami spade (ahi lasso!)
resterà vincitor l'iniquo padre. -
Ciò detto sparvee li lasciò confusi
nel dubbio senso de le oscure ambagi.
Erano intanto le pelasghe schiere
sparse e attendate nell'ombrosa valle
di Nemenota per l'erculee prove.
Tutti aspirano a Tebeed a far preda
de' sidonii tesoriarder le case
e l'alte roccheed appianar le mura.
Ma chi frenògli a mezzo il corsoe l'ire
ne fe' più mitie in vani error gl'involse?
Tu che lo saiFeboce 'l narra: a noi
ne giunge incerta e non concorde fama.
Domato l'Emo e i bellicosi Geti
avvezzi al suon degli orgii suoi festivi
per ben due vernie il Rodope nevoso
e l'Otri fatto verdeggiar di viti
tornava Baccoe 'l pampinoso carro
indirizzava a le materne case.
Nel vino intinti van lambendo i freni
le tigrie molte maculate linci
seguono il Nume; le Baccanti in schiera
portan le spoglie de gli armenti uccisi
di lupi semivivi e d'orse lacere.
L'Irail furorela virtùla tema
gli fan corteggioe 'l non mai sobrio ardore
e capi vacillanti e incerti passi
di cotal duce esercito ben degno.
Ei poi che vede polverosa nube
da Neme alzarsie Febo trar da l'armi
lampi e fiammellee Tebe ancor non pronta
a le difeseattonito nel volto
e nel cuor tristo fa cessar le tibie
e i cembali ed i timpanie lo strepito
vario e discordeche rimbomba intorno;
e così parla: - Contro me si muove
quest'oste immensa e contro il popol mio.
Vien d'antica radice il furor nuovo:
il crudel Argo è che mi muove guerra
e l'ira dell'indomita matrigna.
Forse non basta l'infelice madre
in cenere ridotta? E 'l nascer mio
tratto da' roghi? E che lambîr me ancora
le folgori paterne? Anche l'avello
de l'accesa rival l'empia persegue
e stragi porta a la tranquilla Tebe?
Ma so ben io come fermarli: al campo
ite a quel campoo miei compagni: Euhoè! -
Al noto cenno le accoppiate tigri
scuoton le giubee in un balen vel portano.
Era ne l'ora che 'n meriggio il Sole
rende il dì più affannosoe gli arsi campi
bramano i nembied i più folti boschi
più non fan schermo a' penetranti raggi.
Ei chiama allor le Dee de l'acquee attente
poi che le vede starcosì favella:
- Agresti Ninfe de le limpid'onde
parte miglior del mio seguace stuolo
deh non v'incresca per me far quell'opra
ch'io vi commetto; dehcortesi Dee
per poco tempo ritraete a' fonti
l'acque vostre da' laghie i gonfi fiumi
scoprano il fondo polveroso e asciutto.
Ma più d'ogn'altro d'ogn'umor sia privo
Nemeper cui l'ostile campo or passa.
Pur che 'l vogliatea voi da mezzo il cielo
il Sole arridee vi secondan gli astri
e d'Erigone mia l'estivo Cane.
IteNinfe gentiliite sotterra.
Io stesso poi vi chiamerò di sopra
e ricche vi farò di maggior onda:
voi de le offerte e de' miei doni a parte
sarete sempre; ed i notturni furti
de' semicapri Numi e le rapine
de' Fauni ognor da voi terrò lontane. -
Sì dissee tosto impallidîr le Dee
e su l'umide fronti inaridiro
le frondi e le ghirlandee i campi d'Argo
privi del natio umor arser di sete:
fuggono l'acquee più non stilla il fonte;
nè ondeggia il lagoe vergognoso il fiume
mostra del fondo l'indurato letto;
arido è il suoloe gli arbori e l'erbette
in pallido color mutano il verde;
stassi il gregge deluso in su le sponde
e cerca l'acque ove pria giva a nuoto.
Non altrimenti avvien qualora il Nilo
chiude ne gli antri l'acque sue feconde
che da l'umido verno ei già raccolse;
fuman d'intorno le seccate valli
e del suo padre e Dio l'arida Egitto
aspetta e brama il corso strepitoso;
finch'egli a' voti arridee i Farii campi
rende ubertosi e carichi di messe.
Lirceo seccossie la nocente Lerna
e l'Inacoche dianzi era sì grande
e 'l sassoso Caradroed il tranquillo
Asterïone; e l'Erasino audace
che non soffre le spondee col fragore
rompe da lunge a li pastori il sonno.
Sola fra tanti (per voler de' Numi)
Langía ritien tacite l'onde all'ombra
di recondita selva. Ancor famosa
Langía non era per l'acerbo fato
d'Archemoronè fama avea di Dea:
ma purqual eraconservava intatte
e l'onde e 'l bosco; in guiderdon s'appresta
grande alla Ninfa e memorando onore
quando li giuochiche li duci achei
d'Isifile dolente in rimembranza
celebrâr ivi e dell'estinto Ofelte
rinnoveransi poscia ogni terz'anno.
Da sì cocente ardor vinto ed oppresso
non può il soldato sostener lo scudo
e i lacci scioglie del lucente usbergo.
Nè sol l'aride fauci arde la sete
ma 'l sangue asciuga entro le venee 'l cuore
con aspro palpitare anela e langue.
S'alza da terra un vapor tetro e denso
di polve e di caligine; i destrieri
non bagnano di spuma i freni aurati
ma portan le cervici a terra chine
e mostran fuori l'assetata lingua:
più non temon lo spronnè de la mano
senton la leggema furiosi e insani
scorron pe' campi e van cercando l'acque.
Adrasto manda ad ispiar d'intorno
se qualche umore l'Amimon conservi
o pur Licinniaod altro fonte o fiume;
ma fonti e fiumi altro non dan che arena;
nè di piogge o di nembi a gl'infelici
riman speranza: quasi i campi adusti
calchin di Libiao l'Affrica arenosa
o la sempre serena aspra Sïene.
Pur mentre vanno per le selve errando
(così Bacco volea) bella nel pianto
e nel suo duolo Isifile trovaro.
A lei pendea dal seno il non suo figlio
Ofeltedi Licurgo infausta prole:
scompigliata le chiome e in rozze spoglie
ritiene ancor nel nobile sembiante
la maestà regale e 'l primo onore.
Adrasto allora attonito e conquiso
supplichevole a lei così ragiona:
- O de' boschi possente o Ninfa o Dea
(chè non somigli tu cosa terrena)
che siedi lietae sotto il Sirio ardente
l'onde non cerchi: a queste genti amiche
aita porgi; o te la faretrata
Dïana scelta dal suo casto coro
abbia ella stessa in imeneo congiunta;
o te feconda di sì vaga prole
Giove abbia resa (e non è nuovo a lui
scendere in Argo agli amorosi furti)
pietà ti prenda dell'afflitte schiere.
A Tebe andiamoa la colpevol Tebe;
ma l'aspra sete ogni vigor ne frange
ritienci in ozio e gli animi deprime.
Tu ci soccorri; e a noi addita o fiume
o torbida palude: a' casi estremi
ogni rimedio giovae nulla a schivo
aver si de': noi t'invochiamo invece
e de' nembi e di Giove; e tu rinfranca
in noi le forzee gli arsi petti inonda:
così questo gentil tuo caro pegno
cresca felice. Ed ohse a noi fia dato
vincitori tornardi quanti doni
ti renderem mercede! A te svenati
tanti capi cadran del vinto gregge
che di costoro il numero compensi
che tu salvasti; ed ergerò un altare
in questo bosco in rimembranza eterna
del tuo gran donoo mia propizia Dea. -
Così parlò; ma l'affannata lena
più volte gl'interruppe i mesti accenti
e senza spirto titubò sovente
tra l'arse fauci l'assetata lingua.
Uno stesso pallor si scopre in tutti
e uno stesso anelar. Ma gli occhi abbassa
la gran donna di Lennoe sì risponde:
- Quale scorgete in me segno di Dea?
Mortal son iobenchè da' Numi scenda
il sangue mio: ed oh così non fossi
d'ogni mortal la più infelice ancora!
Io d'altri figli madrea l'altrui figlio
il latte porgo; e sallo Diose i nostri
altre poppe allattârod altro seno
accolse. E pur Regina io sonoe un Nume
è l'avo mio; ma che ragiono invano
e dal torvi la sete io vi trattengo?
Andiam; forse Langía daravvi l'acque.
Ella suol conservarle ognor perenni
e sotto il Cancro e sotto il Sirio ardente. -
Disse; e per farsi più spedita e pronta
guida de' Greciil misero bambino
adagiò sovra tenero cespuglio
(così volean le Parche) e lui piangente
rasserenò con dolce mormorio
e gli fe' letto di fioretti ed erbe.
Così già intorno al pargoletto Giove
Cibele pose i Coribanti suoi:
fan co' strumenti lor vari frastuoni
ma del Nume al vagire Ida rimbomba.
L'innocente bambinche riman solo
or va carpone per la molle erbetta
or piange e chiama la nudrice e 'l latte
or s'allegra e sorridee balbettante
cerca voci formar cui nega il labbro;
ora i rumori e 'l mormorar del bosco
attento ascolta; or con l'aperta bocca
le dolci aure respirae de le selve
non conosce i periglie di sua vita.
Marte così sovra le Odrisie nevi;
del Menalo così sovra la cima
Mercurio; e su gli Ortigii lidi Apollo
pargoleggiaro un tempo. I Greci intanto
per selve ascose e per ignote vie
colla fedele lor scorta sen vanno
ed altri la precedealtri la segue.
Ella per mezzo a l'assetato stuolo
va nobilmente accelerando il passo:
e già si sente risuonar la valle
per lo fiume vicinoe di sue linfe
rotto fra' picciol sassi un correr lento.
Prima l'alfier de' cavalieri argivi
l'acque scopersee da le prime file
lieto gridò: - Compagnieccovi l'acque: -
ed acque ed acque replicar si sente
da' primieri a' sezzai di voce in voce.
Alza così tutto ad un tempo il grido
la ciurma allor che il capitan dà il segno
e tempio eccelso su la spiaggia addita:
salutan essi il Numee ne rimbomba
il lidoe l'eco ne rimanda il suono.
Lanciansi a gara negli ondosi vadi
e duci e plebe: la rabbiosa sete
nulla distingue: li cavalli e i carri
co' lor signorie di tutt'arme carchi
saltan nell'onde; altri ne porta il fiume
altri inciampa ne' sassie vanne al fondo.
Non s'ha rispetto a' Regi; e sovra loro
passa la turbaed il caduto amico
l'amico calca: ne gorgoglia il fiume
e l'assetate squadre insino al fonte
l'han quasi asciutto; e n'è corrotta e lorda
l'acquache pria correa limpida e pura
tra verdi sponde; e benchè fatta un lezzo
e già spenta la seteancor si bee.
Diresti quivi imperversar le schiere
in aspra guerrao saccheggiar già vinta
ed afflitta città per ogni parte.
Ma grato uno de' Re di mezzo al fiume
alzò le manie così orando disse:
- O Nemeo de le verdi ombrose selve
Reginao grata sede al sommo Giove
non faticosa tanto al forte Alcide
quant'ora a noiquand'egli al fiero mostro
colle robuste braccia il collo strinse
e lo spirto gli chiuse entro le fauci:
bastiti aver sin qui de' Greci tuoi
ritardate le imprese e i giusti sdegni.
E tu corteseavventuroso fiume
dator d'acque perennie non mai domo
dal più cocente Solcorri felice.
Tuper qualunque de' celesti segni
Febo s'aggirisempre hai colmo il seno:
a te non danno le brumali nevi
soccorso d'acqueo l'Iride piovosa
o i nembi pregni di tempeste e tuoni;
ma di te stesso ricco eterno corri.
L'apollineo Ladone a te d'onore
non si pareggia; o l'uno o l'altro Xanto;
o Sperchio minaccevole; o Licormo
guardato un tempo dal biforme Nesso.
Te dopo Giovee in mezzo all'armi e in pace
e a liete mense invocherò qual Nume;
pur che fastosi e vincitor ne accolga
anche al ritornoe le ospitali linfe
lieto ci porgae riconosca e accetti
queste da te salvate amiche schiere. -
LIBRO QUINTO

LA MORTE DEL BAMBINO OFELTE

Spenta la setee saccheggiato e scemo
il fiume d'onden'escon fuor le schiere:
più vivace il destrier trita l'arena;
più lieti van per la campagna i fanti;
ogni guerrier l'usato ardir riprende
e le prime minacce e i primi voti:
sembra che nuovo fuoco abbian con l'onde
bevutoe accese a guerreggiar le menti:
torna ciascuno alle sue insegnea' duci
all'ordin primo; e già schierato il campo
si muove e marcia: alzasi immensa polve
e al balenar di cotant'armi e a' lampi
par ne sfavilli la gran selva ed arda.
Sì dal tepido Egittoove le nevi
fuggîr dell'aspro vernoa noi sen viene
stormo di grù dal Paretonio Nilo
allor che scioglie primavera il ghiaccio:
esse volan gracchiandoed al rumore
l'aria risuonae tutte accolte insieme
fann'ombra colle penne a' campi e a' mari:
già piaccion loro i freddi venti e i nembi
ed han diletto di nuotar pe' fiumi
sciolti dal geloe l'importuna estate
passar su' monti scarichi di neve.
Il figlio allor di TalaoneAdrasto
d'un orno all'ombrae d'ogn'intorno cinto
da' maggior ducied appoggiato a l'asta
di Polinicea Isifile favella:
- O tuchiunque seich'hai gloria e vanto
d'aver data salute a tante schiere
(onor di cui si pregierebbe Giove)
deh ci raccontaora che stiam d'intorno
tua gran mercedealle benefich'onde
qual la tua patria siaqual la tua stirpe
da qual astro discenda e da qual padre.
Certosebben te la fortuna prema
il tuo sangue è da' numie lo palesi
al nobil voltoe da l'afflitto aspetto
esce splendor che riverenza induce. -
Sospira allor la donnae 'l viso bagna
d'alquante lagrimucce; indi risponde:
- Tu mi comandio Rech'io rinnovelli
l'acerbe piaghe ed il furor di Lenno
l'orrido tradimentoe 'l viril sesso
spento da infame ferro. Ah che di nuovo
parmi veder l'abbominata impresa
e sento al cuor della gelosa Erinni
il velen freddo. Oh sfortunate donne
da Furie invase! Oh scelerata notte!
Io quellao duci (acciocchè a voi sì vile
non sembri il mio soccorso) io quella sono
cheil genitor celandoa morte tolsi.
A che tutti riandar sì lunghi affanni?
Voi chiaman l'armi e i bellici apparati:
basti saper che Isifile son io
figlia di Toantee di Licurgo or serva. -
Stupiro; e parve lor più grande e degna
d'onoree a cui debban salute e vita;
e di saper suoi casi in lor s'accese
maggior la brama; onde di nuovo Adrasto:
- Anzi noi ti preghiammentre che 'l calle
sgombran le prime schieree non sì tosto
saran l'altre spedite in tanta selva
intralciata di rami e d'ombre eterne;
narra gli altrui misfatti e le tue lodi
e di Regina chi ti fece ancella.
Giova il dolore mitigar parlando
a' miserie trovar chi li compianga. -
Ed essa allor: - Lenno dall'onde è cinta
del procelloso Egeo: sovente in essa
Vulcan riposa dagli etnei sudori;
l'Ato sublime tutta intorno intorno
l'isola adombrae di sue molte selve
stende l'opaca immagine nel mare:
stanno i Traci a rimpetto a noi fatali
e d'ogni nostro mal prima cagione.
Di popoli fioriva e di ricchezze
l'isoletta felice; e a Samoe a Delo
cotanto per gli Oracoli famosa
e a quant'altre ne abbraccia il vasto Egeo
non cedeva di fama e di valore.
Ma piacque a' Dei turbar le nostre case
nè senza nostra colpa. I tempii e i fuochi
non fur fra noi a Venere concessi.
Anche ne' Dei sdegno si desta; e a noi
giungon con tardo piè le giuste pene.
Fama è che accesa di furor la dea
lasciò l'antica Pafo e i cento altari
e mutata d'aspetto e d'ornamenti
si sciolse il cinto coniugal da' fianchi
e degl'Idalii augei più non le calse.
Molte vi fur che nella buia notte
la vider penetrar ne' chiusi alberghi
di maggior face e maggior dardi armata
in mezzo a le tre figlie d'Acheronte.
Ma non sì tosto le più interne stanze
infestò colle serpie sparse intorno
oditimorigelosie e sospetti
sparîr da Lenno i lusinghieri amori:
Imeneo sen fuggìle nuzïali
tede rimaser spente; e fur incolti
i legittimi letti: alcun piacere
non ha seco la notte; e in dolci e casti
amplessi più non dorme alcun marito.
Sorgon risse per tuttoire e rancori
e in ogni letto la Discordia giace.
Era solo piacer del viril sesso
pugnar co' Traci negli opposti lidi
e col ferro domar la fiera gente;
e benchè in faccia abbian le case e i figli
aman piuttosto le bistonie nevi
e gli Aquiloni; e di riposo invece
dopo il pugnarcon subite ruine
torrenti udir precipitar da' monti.
Io era allor in giovinetta etade
vergine ancora e d'ogni cura scarca.
Ma le donne di Lenno afflitte e immerse
in un continuo luttoora con gli occhi
pendon da' tracii lidiora il dolore
cercano insieme mitigar parlando.
Tenea sospeso in su 'l meriggio il carro
Febocome se stesse e i suoi destrieri
riprendessero lena; e d'ogn'intorno
era sereno e senza nubi il cielo:
quando ben quattro volte orribil tuono
udissie quattro volte il mar turbossi
senza venti e procelle; ed altrettante
gli antri del nostro Dio vomitâr fiamme.
Ed ecco uscir contro l'usato fuori
del chiuso albergo dalle Furie invasa
la canuta Polisso: appunto come
suol Menade Baccanteallor che il Nume
l'eccita e chiama alle sue feste insane
al suon de' bossionde rimbomba il monte.
Costei torve le luci e sanguinose
orribile in sembianza e furibonda
la deserta città confonde e turba:
batte le portee un reo concilio aduna.
Dietro le vanno gl'infelici figli.
Ella insta e preme; e già lasciati i tetti
tutte corriamo alla Palladia rocca:
senz'ordine e confuse empiamo il tempio.
Ma la crudele impon silenzioe 'l ferro
nudo tenendo in manferoce parla:
- Vedove donneal memorabil fatto
che ispirata da' Numi io vi propongo
gli animi ergeteed obblïate il sesso.
Se in odio è a voi nelle deserte case
viver solinghee dell'etade il fiore
veder marcir neglettoe menar gli anni
sempre infecondi in su le fredde piume:
il modo io so (nè mancheranne il Cielo)
di trovar nuove nozze e nuovi amori
pur ch'eguale all'affanno in voi si desti
valored or da l'opra io 'l riconosca.
E chi di voi (e già la terza neve
veduta abbiam) ne' maritali letti
gustò piaceri occulti? E chi nel seno
si scaldò del marito in casti amplessi?
Chi Lucina invocò? Chi portò il ventre
gonfioco' voti accelerando i mesi?
Giungonsi insieme pur e fere e augelli;
e noi sole staremo? O vili! O pigre!
Potè di ferro alle donzelle greche
le mani armare il padre e i dolci sonni
de' generi mirar sparsi di sangue.
E noi imbelle vulgo inulte stiamo?
Che s'uopo è ancor di più vicini esempi:
la gran donna di Tracia a far vendetta
v'insegni ultrice dell'offeso letto
che diè al marito i propri figli in cibo.
Nè innocente tra voi sola e sicura
essere io voglio: io mostrerò il cammino.
Molti scherzano a me nelle paterne
case miei figli e miei sudori insieme:
quattro n'ho mecocura e amor del padre:
vo' recarmeli in gremboe questo ferro
(nè riterranmi i loro amplessi e i pianti)
loro immerger nel cuoree de' fratelli
mischiarvi insieme il sanguee 'l genitore
trucidar su' cadaveri spiranti.
Ma chi di voi s'offre compagna all'opra?".
Più volea dirquando da l'alto mare
lungi fur viste biancheggiar più vele:
l'armata era di Lenno; allor l'offerta
occasïon Polisso abbracciae segue:
Ecco, dio ce li manda: a tanto invito
sarem noi sorde? Ei ce li pone in mano,
e a le nostr'ire gli abbandona e guida,
e l'impresa giustissima seconda.
Non fur vani i miei sogni: a me nel sonno
Venere armata apparve, e così disse:
A che perder l'etade? Ite, e purgate
da' perfidi mariti i vostri letti.
Io poi v'accenderò novelle faci,
e darò nuove nozze. E questo ferro,
partendo, mi lasciò cader sul letto.
A che più consultar, se 'l tempo è questo
d'eseguire il gran fatto? Ecco già spuma
percosso il mar da' remi, e in ogni nave
forse vien qualche barbara consorte.
Questa fu l'esca ch'ogni petto accese
di rabbia e di furor; e orribil grido
tutte ad un tempo alzâr fino alle stelle.
Con eguale rumor scendon da' monti
le Amazzoni feroci in curva schiera
qualora il padre lor pon l'armi in mano
ed apre della guerra il chiuso tempio.
Nè già fra lorcome del vulgo è stile
son diversi i pareri: un sol furore
in tutte è fermo: desolar le case;
e la canuta e l'ancor fresca etade
mandar a morte; e i teneri bambini
soffocar tra le tumide mammelle;
e col ferro passar per tutti gli anni.
Vicino al tempio di Minerva siede
un sempre verde boscoe a tergo s'alza
sublime un montee nella gemin'ombra
rimane oscuro e quasi spento il Sole.
Quivi si dier la fedee fur presenti
Proserpina e Bellona; e non chiamate
venner le Furie; e non veduta serpe
Venere in ogni petto; e 'l ferro in mano
essa ci pone; essa ne istiga e accende.
Fu d'uman sangue il sacrificioe l'empia
di Caropo consorte il proprio figlio
vittima offerse nel concilio orrendo.
S'accinsero all'impresae 'l molle petto
degno di maravigliaanzi d'amore
squarciâr co' ferri; e colle destre unite
e sul sangue fumante e vivo ancora
giurâr la sceleraggine gradita.
Volò intorno alla madre l'ombra esangue.
Ahi qual mi feci allor! Quale mi scorse
orror per l'ossa! Qual mi tinsi in viso!
Così cervetta intimorita e cinta
da sanguinosi lupie che sol una
speranza ha nella fugail corso affretta
e la salute sua fidando al piede
teme ognor d'esser presae a tergo sente
suonar a vuoto l'avide mascelle.
Giunt'erano le navie ne le prime
spiagge molte arenârsi; i padri e i sposi
saltano da le poppe e da le sponde
precipitosi e impazïenti a terra.
Misericui non spense il tracio ferro
in valorosa impresao il mar crudele
non affondò ne' vortici spumosi!
Traggon l'ostie votive a' sacri tempii:
fuman gli altarie nera fiamma sorge
e in ogni fibra è difettoso il Nume.
Giove mosso a pietàfinchè 'l permise
l'immutabil Destinoin ciel sospese
l'umida nottee con paterna cura
tardò il corso degli astrie sovra noi
(già spento il Sol) venner più lente l'ombre.
Sorsero alfin le stelle; e Paroe Taso
per molti boschi ombrosae le frequenti
Cicladi ne splendean di chiara luce.
Tra le tenebre sola ascosa giace
Lenno e da nebbie involtae sopra lei
per non mirars'ammantò 'l ciel di nubi;
nè la vider da l'alto i naviganti.
Già gli uomini infelicie per le case
sparsi e pe' sacri boschia laute mense
siedon festosie tracannando il vino
vuotano gli aurei nappi insin al fondo;
e raccontando van l'aspre battaglie
del Rodopedi Strimone e dell'Emo.
Stanno fra lor cinte di serti il crine
e de' più vaghi fregi adorne e belle
le crudeli consorti. In quell'estreme
ore Venere avea degl'infelici
sposi placati i cuorie breve fiamma
in loro accesae momentanea pace.
Posto fine a' convitia poco a poco
cessano i salti e i giuochi e de la prima
notte il tumulto. E di già il Sonno asperso
d'infernale vapore de la Morte
fratelloversa sopra il viril sesso
grave e mortal sopor da tutto il corno.
Ma le spose e le vergini al delitto
vegliano attente: ognuna il ferro arruota
ognuna ha in petto la sua propria Erinne.
Non altrimenti le leonze ircane
da fame spinte a lo spuntar del giorno
per gli scitici campi i vili armenti
cingon d'intornoe gli avidi lor parti
aspettan desïosi il nuovo latte.
In dubbio stobuon Requal priaqual poi
di tanti casia te parlandoesponga.
Alto dormia sopra tappeti assirii
Edimo il crin cinto di frondie 'l vino
iva esalando: allor l'iniqua Gorge
il sen gli scopree cerca ove più certa
faccia la piaga; e 'l sen gli fere: ei muore
e nel morir si svegliae gli occhi gira
e l'inimica sua d'amplessi cinge:
ella senza pietade il crudo ferro
nuovamente gl'immerge infra le coste
a dentro sìche fuor del petto uscendo
a piagar giunge di se stessa il seno.
Ei langue e mancae con tremante sguardo
in lei rimirae singhiozzando dice:
- Gorgeo mia Gorge- e da l'indegno collo
non sa staccar l'innamorate braccia.
Taccio le stragi de l'ignobil vulgo
benchè crudeli; e sol del regio sangue
scegliendo narroe di mia stirpei lutti.
Dirò di voi (che meco aveste il latte)
figli del padre mioma d'altra donna;
di tebiondo Cidondi teCremea
cui le non tronche chiome in su le spalle
ondeggiavan lascive; e del feroce
Gía mio vicino sposoe da me al pari
e temuto e bramato; che per mano
de la fiera Mirmidona cadéro.
Stava Opopeo cinto di serto il crine
tra le mense scherzando e i lieti cori;
e la madre crudel da tergo il passa.
Geme su Cidimone a lei fratello
ed eguale d'etàfatta pietosa
Licaste disarmata: il volto mira
già vicino al morirche a lei somiglia
e le fiorite guance e i biondi crini
ch'essa ornò di sua mano; e geme e plora:
giunge la fiera madre che 'l consorte
svenato avevae la minaccia e spinge
al fratricidioe in man le pone il ferro.
Come fieracui placido custode
tolto abbia l'uso del natio furore
lenta si mostra a l'irae ancor che punta
sia da' colpi talor di sferza cruda
non però torna a la fierezza antica:
così Licaste s'abbandona e cade
sovra 'l fratelloe nel cader lo fere
e in sen ne accoglie lo stillante sangue
e col lacero crin la piaga preme.
Ma quando vidi Alcidame spietata
portar in man del venerabil padre
il capo tronco e mormorante ancora
mi s'arricciâr le chiomee per le vene
mi scorse un freddo orrore: il mio Toante
allor mi venne in mente; e la mia destra
di ferro armata abominandoio corsi
turbata e mesta a le paterne case.
Desto ei giaceva: e chi può gli occhi al sonno
chiuder tra mille cure? Ancor che lungi
da la città l'albergo avessea lui
era giunto il susurro: - E donde mai
(tra sè dicea) il gran tumulto nasce?
Qual rumor ne la notte? E perchè i sonni
turbati son da fremiti e lamenti?
Tutto per ordin narro: qual dolore
le donne instighi; quel c'han fisso in mente:
chè nulla puote a la lor rabbia opporsi.
Vieni mecoinfelice: in su le porte
già ci son quelle Furie: e se più tardi
forse insieme cadremo. - Egli commosso
balza dal letto. Per rimote vie
la deserta città passiam scorgendo
(cinti d'intorno di mirabil nube)
accatastati in ogni parte i morti
ne gli atti stessi e in quella stessa guisa
che la notte crudel pe' sacri boschi
gli avea sparsi e distesi: altri del letto
alle morbide piume affissa tiene
la morta facciaaltri supino in seno
immerso ha il brando insino all'elsa; i tronchi
miransi qui de l'aste infranteed ivi
su' freddi corpi le squarciate vesti;
qua rovesciati i vasie là disperse
le vivande nuotar ne l'empia strage
e a le tazze tornar quasi torrente
da le fauci trafitte il vin col sangue.
Giaccion confusi i giovani feroci
e i venerandi vecchiche da l'armi
esser dovean sicurie sovra i padri
languidi e moribondii semivivi
figliche a lo spuntar de la prim'alba
trovâr del viver lor l'ultima sera.
Non con tanto furor su 'l gelid'Ossa
turban le mense i Lapiti feroci
se i Centauri biformi e della nube
figli muovongli a sdegno: appena i volti
veggons'impallidirdar segno d'ira
che sossopra le tavole volgendo
corrono a l'armi minacciosi e insani.
Trepidi fuggivamquando fra l'ombre
Bacco n'apparvee d'improvvisa luce
ne rischiarò il cammingli estremi aiuti
mesto portando al figlio suo Toante.
Il riconobbi: ei non avea le tempie
cinte di frondie non il crine adorno
di pampinosi fregi: il volto a terra
mesto teneva; e benchè Numein pianto
gli occhi stillandoa lui pietoso parla:
Fin tanto, o figlio, che a te diede il Fato
di Lenno possedere il nobil regno,
e farlo formidabile e temuto
a le straniere genti, ogni paterna
e giusta cura in tuo favore oprai.
Ma le crudeli Parche il primo stame
han già troncato; nè le preci e i pianti,
che vanamente io sparsi, hanno potuto
Giove mutar, nè disturbar la strage.
Egli quest'empio onor diede a la figlia.
Affrettate la fuga. E tu ben degna
d'uscir dal sangue mio, vergine illustre,
colà conduci il padre, ove in due braccia
diviso il muro si distende al lido:
là da quell'altra porta, ov'è maggiore
lo strepito e 'l tumulto, armata stassi
Venere infesta, e le furiose donne
instiga e accende. E donde mai cotanto
sdegno e furor nell'amorosa Dea?
Chi guerra le ispirò nel molle petto?
Tu vanne, e 'l padre affida al mar profondo.
Così parlandoin aria si disciolse
e 'l calle tenebroso a noi segnato
lasciò con striscia di mirabil luce.
Seguo il celeste segno; e 'l genitore
a cavo legno affidoe a quanti Numi
regnano in mare il raccomandoe a' venti
e a l'Egeo che le Cicladi circonda.
Mai non avremmo posto fine a' pianti
nè a gli amplessi reciprochise in cielo
non vedevam Lucifero cacciarsi
le stelle innanzie già spuntar l'aurora.
Ci dividiamo alfine: io mi divello
da luidal lidorivolgendo in mente
molti funesti e timidi pensieri;
e de lo stesso Dio mi fido appena.
Io vadoe col pensiero indietro torno
e non ho pace. Febo sorge intanto;
e da ogni colle io vo guardando il mare.
Ma già risplende il vergognoso giorno
e Febo nel varcar gli usati segni
torce il lume da Lennoe tra 'l suo carro
e i nostri monti una dens'ombra stende.
Scopriro allor gli empii furor notturni
le insane donnee benchè ree del pari
guardârsi in visoe n'ebber onta e scorno.
Altre celan sotterra il reo misfatto
e l'empia strage; altre con presti fuochi
i cadaveri tronchi ardono in fretta.
Da l'afflitta città partono intanto
l'Eumenidi spietatee di vendetta
Venere già satolla. Allor potero
riconoscer le misere il lor fallo
e strapparsene i crini e pianger tardi.
Un'isola di campi e di molt'oro
riccae famosa per mirabil sito
d'armi e d'eroi possentee via più chiara
fatta pur or dal getico trïonfo;
non da l'aria nocivanon dal mare
non da' nemici vintaorba rimase
del viril sessoe svelta fu dal mondo:
non resta alcun che con gli aratri solchi
i campie colle navi il mar sonante:
tutte le case alto silenzio ingombra;
scorre a torrenti per le strade il sangue
tutto è lordo di strage; e in così vasta
città sole noi siamoe sole intorno
gemon l'ombre sdegnose a' nostri tetti.
Anch'io frattanto del mio regio albergo
ne' più segreti chiostri alzo una pira
di vasta fiammae l'armi e l'aureo scettro
del padree 'l manto e le reali insegne
sopra vi gitto; indi col ferro in pugno
tinto di sangue assisto al rogo e a' fuochi
e pianger fingo sovra il corpo vano
per timor de le femmine omicide;
ma prego i Dei che sia l'augurio vano
e cessi ogni timor de la sua morte.
Tal merto m'acquistò l'ordito inganno
che lo scettro paterno a me le donne
ne diero in premioe fu supplicio e pena.
Come negar da le lor forze cinta?
A lor voler m'arresi; ma co' Numi
protestai la mia fedee le mie mani
de lo scettro del padre essere indegne.
Prendo l'imbelle imperoe senza forze
Lenno deserta. O infame gloria! O regno!
Già fra noi cresce il pentimentoe deste
ci tien le mentie le flagella ed ange.
Non son più occulti i pianti; e 'l lor delitto
detestan tutteed han Polisso in ira.
Già si permette alzar altari a l'ombre
e chieder pace al cenere sepolto.
Così qualor le attonite giovenche
vider squarciato da leon Massile
il lor duce e maritoe delle selve
gloriae decoro dell'adulto gregge;
meste van senza guida; e 'l Rege estinto
piangon i campi e i fiumi e i muti armenti.
Ed ecco intanto con ferrata prora
fender l'intatto mar tessala nave
vêr noi prendendo il rombo. I Minii audaci
ne son duci e nocchieri: e d'ambo i lati
l'Egeo diviso ne biancheggia e freme.
Diresti qui dalle radici svelta
nuotar Ortigiao sopra l'acque un monte.
Ma poi ch'in alto fur sospesi i remi
e tacque il mareda l'eccelsa poppa
voce n'uscì più dolce e più soave
de' moribondi cigni e della cetra
del gran nume di Delo; ed al concento
corse Nettunoe avvicinossi al legno.
Era il cantor (come fu poscia noto)
d'Eagro il figliol'immortale Orfeo
che in mezzo a tanti eroi sedendo in alto
coll'aureo plettro a lor rendea soavi
le magnanime imprese e le fatiche.
Essi il lor corso verso il freddo Scita
avean drizzatoe a' perigliosi vadi
delle Ciani sassose: e noi credemmo
che fosse un legno trace a noi nemico.
Corriamo per le strade e per le case
timide a guisa di smarrite agnelle
o di fugaci augelli. Ahi dove allora
eran le Furie? Indi ascendiamo al porto
e sovra il muro che circonda i lidi
e su l'eccelse torri; e sassi e travi
quivi portiamoe de' consorti estinti
trepide prendiam l'armi e i lordi ferri
dell'ancor fresca strage: i petti imbelli
copriam d'usberghie i delicati visi
chiudiam negli elmi; e non n'abbiam vergogna.
Mirocci Pallaed arrossissi in volto;
e il Dio guerriero rimirocci e rise.
Da le attonite menti allor si scosse
il passato furor; e quella nave
più che nave ci parvee che de' Numi
la vendetta portasse a noi su l'onde.
Già fatta era vicina un tirar d'arco:
quando sovra di lei ceruleo nembo
di pioggia colmo condensò il Tonante;
più non riluce il Sole; e un denso velo
il Cielo ammantae se n'oscuran l'acque;
spezzan le cave nubi i venti in guerra
e sconvolgono il maree gli spumosi
vortici turban l'arenoso lido;
su le penne de' venti insino al cielo
il mar s'inalzaindi ricade al centro.
Non ha più certo corso il legno afflitto
ma gemendo si scuoteed ora in alto
lo solleva Tritoneor il deprime.
De' Semidei guerrieri è vana ogni opra.
L'albero ondeggiae pria l'eccelsa poppa
flagella; indi si spezzae in giù ruina
e piombando nel mare il fende e solca.
Cade su' banchi resupinae suda
la ciurmae i remi tornan vuoti al petto.
Mentr'essi in pugna stan col marco' venti
noi pure da gli scogli e da le torri
lanciamo (o folle ardire!) imbelli dardi
contro il gran Talamoncontro Peleo
e gli archi nostri osan sfidare Alcide.
Al novello periglio i generosi
raddoppiano i riparie con gli scudi
altri copron la naveed altri al mare
rendono il mare; altri al pugnar s'accingono
ma non stan fermie vanno i colpi a vuoto.
Noi lanciam aste e dardie 'l ferreo nembo
col turbine gareggia e colle nubi:
volano e sassi e travie faci ardenti
cadon or su la naveor dentro l'onde.
Scrosciano i tavolati; ed apre i fianchi
il tormentato pino. In cotal guisa
di grandine iperborea i verdi campi
Giove copre talor: armenti e fere
cadon oppressie non v'ha augel che scampi:
s'atterrano le spiche: i fiumi inondano;
e d'orribil fragor suonano i monti.
Ma poi che Giove fulminò da l'alto
e squarciò il nemboe rischiaronne il cielo
e chiaro ci mostrò de' grandi eroi
la terribil sembianzaa noi di mano
cadder l'armi non nostre e 'l folle ardire
e ripigliammo la viltà del sesso.
V'erano i figli d'Eaco e d'Anceo
che minacciavan crudelmente i muri;
ed Ifitoneche spezzava i scogli
con asta noderosa; e sbigottite
fra lor vedemmo torreggiare il grande
figlio d'Anfitrionee col suo peso
far inclinar or l'unaor l'altra sponda
e ad or ad or star per lanciarsi in mare.
Ma veloce Giason (Giasoneahi lassa!
non a me noto ancor) sen va scorrendo
per li banchi e pe' remi e sovra 'l dorso
de' naviganti afflittie chiama e spinge
or Talaoneor Idaora d'Eneo
il magnanimo figlioed ora i figli
di Tindarodi spuma aspersi e molli
e con la voce e con i cenni esorta
i figli d'Aquilonch'erano ascesi
nelle paterne nubie che all'antenna
gían raccogliendo le squarciate vele.
Sferzan costoro or con i remi il mare
ora coll'aste fanno a' muri offesa;
ma il mar non cedee l'aste e l'armi indietro
ricadono nell'onde o sopra il legno.
Lo stesso Tifi impallidito e lasso
siede al timonee lo governa appena.
Muta spesso comandied or rivolge
la prora a destraor a sinistrae i flutti
secondae schiva i perigliosi scogli.
Quando dal bordo dell'estrema nave
il figliuolo d'Eson sospese in alto
a Mopso toltoun ramuscel d'oliva
e (fremendone gli altri) a noi richiede
accordo e pace. Le procelle e i venti
cen portaron la voce. Allor cessaro
le nostre offesee quasi a un tempo stesso
si calmò la tempestae 'l Sole apparve
pallido ancora e con incerta luce.
Gittano il pontee baldanzosi a terra
deposte l'iree placidi in sembiante
que' cinquanta guerrier scendono insieme
gloria e splendor de' padri; e ci fur noti
a le divise lor famose e conte.
In cotal guisa scendon giù dall'etra
(se il ver narra la fama) i Numi eterni
qualor piacer li prende a parche mense
dentro i tugurii de gli Etiopi adusti
abitatori del purpureo mare
seder gustando il villereccio pasto:
dan luogo i monti e i fiumie sotto l'orme
del divin piede si rallegra il suolo
e si riposa dal suo peso Atlante.
Era fra questi il gran Teseo superbo
del maratonio onore; e li due figli
de l'ismaro Aquilonch'ambe le tempie
aveano armate di purpuree penne;
e Admetoa cui degnò servire Apollo;
e Orfeoche nulla in sè ritien di Trace;
e 'l calidonio Meleagro; e 'l prode
genero di Nereo; li due simíli
di Tindaro gemelli ivan del pari
de gli occhi inganno: ambi uno stesso manto
adorna e copre; ambi hanno un'asta in pugno;
ambi nude le spallee liscio il volto;
e portan ambi un'egual stella in fronte.
Colle tenere piante Hila fanciullo
osa l'orme seguir del grande Alcide;
e benchè tardo il generoso muova
i lenti passieglicorrendo appena
è che l'aggiunga; e di scudiero in vece
dietro l'armi gli porta; e sudar gode
de la faretra sotto il grave peso.
Ecco di nuovo ne' feroci petti
de le donne di Lenno occulta serpe
Veneree seco il lusinghiero Amore;
e le tenta e le infiamma; e Giuno istessa
più vaghi a noi dimostra i nuovi visi
gli abiti nuovi e le famose imprese
de gli estrani guerrieri. Apriamo a gara
i chiusi alberghie gli ospiti novelli
allegre riceviamo; ardon le fiamme
di nuovo in su gli altaried i nefandi
passati errori ricopriam d'oblio:
allor lieti convitiallor felici
sonni godiamoallor tranquille notti.
Nè certo fu senza voler de' Numi
che confessando noi le colpe nostre
piacemmo a' Semidei: ma forseo duci
qual trovi scusa al fallo mio amoroso
saper vi giova. In testimonio io chiamo
de gli antenati miei le Furie e l'Ombre:
non da lascivo amornon di mio grado
corsi a straniere nozze (e ben lo sanno
l'eterne Menti); il lusinghier Giasone
pur troppo avvezzo ad ingannar donzelle
me pur deluse: de' suoi finti amori
fede può farne il crudel Fasi e Colco.
Ma già in sè stesso rientrando l'anno
sciolte le nevi con più lunghi Soli
rendea tepidi il cieloe gli astri e 'l mondo;
e Lenno già di non sperata prole
era ripienae già s'udian per tutto
il gemito e 'l vagir de' nuovi Alunni.
Io pur dal nostro non spontaneo letto
ebbi due figli ad un medesmo parto;
e benchè sposa a barbaro marito
a l'un del mio Toante il nome imposi.
Dal dì che li lasciaiqual sia lor sorte
dir non saprei; ma se Licaste mia
(qual mi promise) ha di lor cura preso
il quarto lustro avran compiuto appena.
Ma già calmati i burrascosi venti
invita l'Austro i naviganti al mare:
la stessa nave par che aborra il porto
e spezzar brami il canape dal lido.
Dispongono la fuga i Minii ingrati
e Giasone i compagni affretta e guida.
Deh così 'l vento in più remote spiagge
sospinto avesse il traditorcui nulla
de' figli calse e de la data fede!
Dicesi ch'egli del Monton di Frisso
in Grecia abbia portato il vello d'oro.
Ma poi che Tifi da le note stelle
conobbee dal rossor de l'Occidente
sereno il nuovo giorno e la stagione
di già fatta sicura: al nuovo albore
intimò la partita. Allor fra noi
si rinnovaro i piantie l'aspra notte
fu di nuovo per noi la notte estrema.
Appena spuntò il dìche da la poppa
diede Giasone il segno e fe' dal lido
scioglier la naveed ei primier la fune
tagliò d'un colpo. Noi da gli alti scogli
e dal monte miriam veloce il pino
fender con lungo solco il mar spumante
fin che fur stanchi gli occhie la distanza
ci fe' parer che 'l mar s'unisse al cielo.
Giunge intanto novella che Toante
de la fraterna Chio regna sul trono
che fur vani i miei roghi e che innocente
sola fra tante fui. Freme l'iniqua
turba; e 'l rimorso suo vie più l'inaspra
e del mio non peccar ragion mi chiede
e già fra 'l vulgo il mormorar ne cresce.
Costei sola pietosae noi crudeli
de la strage godemmo? Ah non lo soffra
il nume e 'l Fato che su noi presiede!
Da cotai voci spaventata io veggio
già certa la mia mortee che non giova
a mia salute il regno. Occulta e sola
m'involoe scendo al lido ove già 'l padre
fuggì poc'anzie in abbandono io lascio
la funesta città; ma non già allora
Bacco a me venne: una crudel masnada
di corsari rapimmie in questi regni
al re Licurgo mi vendè per serva. -
Mentre in tal guisa con gli argivi duci
Isifile rinnova i propri affanni
ed inganna il dolor con lungo pianto
posto in obblio (così volendo i Fati)
l'Alunnoche lasciò tra' fiori e l'erba:
ei dopo aver pargoleggiato assai
sul fiorito terren posa le membra
e gli occhi gravi in dolce sonno chiude:
ha una man sotto 'l capoe l'altrastesa
sul pratocarpe leggermente l'erba.
Quand'ecco che sen viene orribil angue
nato dal suolosacro orror del bosco
che dispiegando le ritorte squamme
del corpo enorme parte innanzi spinge
parte addietro ne lasciaed in se stesso
ora rientra e si raccoglieor n'esce:
ha di livida fiamma i lumi accesi
e di verde velen spuman le fauci:
ha tre schiere di dentie vibrar sembra
tre linguee d'aurea cresta ha 'l capo adorno.
Disser gli agricoltor che al loro Giove
sacro era il dragoe ne guardava il luogo
e i boscherecci altari e 'l parco culto.
Ei con lubrici giri or ne circonda
il tempioor nel passar la selva scuote
or co' suoi nodi i pini atterra e gli olmi.
Sovente avvien che nel varcare i fiumi
posa col capo su una spondae l'altra
colla coda ancor premee da le squamme
l'onda divisa ne gorgoglia e bolle.
Ma poi che per voler del Dio Tebano
seccârsi l'acquee l'assetate Ninfe
si nascoser negli antriei più feroce
di quadi là con tortuosi giri
si tragge e volgee si dibatte e smania
per lo calor de l'arido suo tosco:
serpe per stagni e laghie cerca i fonti
e gli arsi letti de gli asciutti fiumi;
e di sè incerto colle fauci aperte
or l'umid'aria attraggeora solcando
lo squallido terrencerca fra l'erbe
se di segreto umor fossero pregne;
ma da qualunque parte il capo ei volga
il pestifero fiato ogni erba strugge;
e al sibilar muoion d'intorno i campi.
Tale divide il ciel con dritta riga
da l'Artico gelato al Mezzogiorno
il celeste Dragon da polo a polo:
taleo Febofu quel che 'l tuo Parnaso
attorcigliandofe' crollar più volte
finchè da cento e più piaghe trafitto
portò una selva de' tuoi strali addosso.
Qual Diopicciol fanciulti diede in sorte
morir oppresso da sì grave fato?
E perchè mai ne gli anni tuoi primieri
da sì grande avversario estinto giaci?
Forse per far alle pelasghe genti
sacro il tuo nome? E la tua picciol'ombra
render più degna di sì illustre avello?
Passa il serpentee coll'estrema coda
senza mirareil tocca e sì l'uccide.
Si risente il meschinoe gli occhi aprendo
l'ultima voltali riserra in morte:
qual uom che sogna e parla in tronchi accenti
ma non può intera proferir parola
mise un vagitoed in eterno tacque.
Isifile sentilloe semiviva
e tremante se stessa al corso affretta:
già del suo mal presaga il guardo gira
per tutto e 'l cercae coll'usate voci
invan lo chiama. Il reo velen consunto
l'avea così che non ne appar vestigio.
Vede il serpenteche gran tratto ingombra
il prato intornoancor che in sè ristretto
e in mille giri avvoltoe sotto il ventre
tenga celato il capo: inorridisce
la miserae d'un lungo acuto strido
tutta fa risuonar l'ampia foresta.
Eicome nulla fosseimmoto giace.
L'udiro i Grecie l'arcade garzone
al comandar del Re volae ritorna
e 'l caso espone; e muovon tutti insieme.
Al balenar de l'armie de' guerrieri
al fremito e al rumor la sozza belva
si scuotespiega il dorso e gonfia il collo.
Corre il feroce Ippomedontee un sasso
svelle (meta de' campi)e l'alza e 'l vibra
contro il dragon crudel con quella forza
che macchina mural l'avria sospinto;
ma torce il collo la volubil fera
e cade il colpo a vuoto: il suol ne trema
e vanno in schegge della selva i rami.
Ma Capaneo colla ferrata trave
innanzi passae se gli ferma a fronte
e- Tu non fuggirai (grida) i miei colpi
immane belvao che del sacro bosco
tu sia custodeo che agli Dei sii caro.
Ed oh fossi tu pur diletto a' Numi?
Non se sul dorso tuo stesse un gigante
a tua difesa. - Vola l'astaed entra
per l'anelante boccae la trisulca
lingua recidee l'arruffate squamme
penetra sìche tra l'altera cresta
del rilucente capo il ferro uscendo
s'immerge entro il terreno infra le immonde
cervella e l'atro sangue; in sì gran mole
tardi si sparse della piaga il duolo.
Ei l'asta annoda co' suoi giri e svelle;
e corre al tempioe a piè de' sacri altari
vendetta chiedee spira l'alma e 'l tosco.
Voi lo piangesteperchè forse trasse
laghi Lerneidalla vostr'Idra il sangue;
voi che di fior l'incoronasteo Ninfe;
e tucampo Nemeoper cui strisciando
sen giva; e infrante le sonore canne
lo pianser vosco i Fauni e i Dei Silvani.
E Giove stesso il fulmine avea chiesto;
e già correano e turbini e procelle;
pur per allor frenò lo sdegnoe l'ira
ritennee riserbollo a maggior dardo.
Ma dal fulmine scosso un lampo scese
che le creste lambìgli in su l'elmetto.
Poi che il mostro fuggissiallor di Lenno
fatta sicura l'infelice Donna
pallida cerca il caro pegnoe giunta
a quel cespuglio ove lasciolloil vede
porporeggiar di sanguinose stille:
corre trafitta dal doloree certa
scopre la sua sciagura. Ella sen cade
qual da fulmin percossa in su l'infame
terrenoe della strage al primo aspetto
resta senza aver voce e senza pianto;
sol bacia i mesti avanzie par che voglia
l'anima intorno errante in sè raccorre:
più non si scorge in lui d'uomo sembianza;
il viso 'l petto deformatil'ossa
di carni ignudele compagi e i nervi
sudan di nuovo inusitato sangue
e fatto è il corpo suo tutta una piaga.
Così poichè sovra d'un'elce ombrosa
salì un serpentee gli augelletti e 'l nido
desertòdivorò: torna la madre
e in non sentir del suo loquace albergo
il solito garrir sospesa resta
e si libra in su l'alie 'l cibo lascia
cader di bocca; e fuor che sangue e piume
da che null'altro scorgee geme e plora.
Ma quando l'infelice in grembo accolse
le misere reliquiee le coperse
col biondo crin discioltoalfin concesse
libero il varco a' gemiti e a' lamenti:
- O dolce immago de' lasciati figli
Archemoroe del mio perduto regno
e di mia povertà solo conforto
gioia ed onor del mio servile stato
unica mia delizia e mio contento;
qual crudel Nume mi ti ha tolto? Ahi lassa!
Io pur qui ti lasciai ridente e lieto
brancolante su l'erba: or qual ti trovo?
Ove il bel volto? Ove la dolce voce
e i tronchi accenti? Ov'è il vezzoso riso
e 'l balbettare da me sola inteso?
O quante volte a te di Lenno e d'Argo
cantando i casi in placido riposo
ti chiusi gli occhi! In guisa tal sovente
consolava i miei danni; e già qual madre
ti porgeva le poppe. Or a chi serbo
questo mio latteche ridonda e stilla
su le ferite tue misto al mio pianto?
Conosco i Numi infestie i duri sogni
del ver presaghi: non apparve indarno
a l'attonita mente in mezzo all'ombre
Venere minaccevole e sdegnosa.
Ma perchè i Numi incolpo? E già sicura
della vicina morte il vero adombro?
Qual follia mi sedusse? E qual mi prese
oblio di tanto prezïoso pegno?
Io mentre troppo ambizïosa narro
l'origin nostra e i femminil furori
io quella fui che allor t'esposi a morte.
Quest'è la mia pietà? quest'è l'amore?
Or sei pur pagao Lenno: o ducio Regi
se a voi fu caro il beneficio mio
ch'or sovra me ricade; e s'a' miei detti
fede prestaste e onore: ah mi guidate
al crudel dragoo colle vostre spade
qui m'uccideteanzi che 'l mesto aspetto
de' miei signori io veggiae la dolente
per mia sola cagion orba Euridice
quantunque il suo dolor sia pari al mio.
Quest'empio dono io recherò alla madre?
Ah pria s'apra la terrae nel suo centro
viva m'ingoi. - Così dicendo il volto
lorda d'arena e sanguee a' mesti duci
co' suoi sospir par che rinfacci l'onde.
Ma già più nunzi col funesto avviso
erano giunti in cortee in grave lutto
l'aveano immersae 'l buon Licurgo in pianto:
ei pure allor scendea dal sacro giogo
d'Afasanto sublime: ivi su l'are
aveva offerti sacrifici a Giove
mal graditi dal Nume; e in sè volgendo
le minacciose visceretornava
turbato e mesto e dimenando il capo.
Ei sol fra cotant'armi inerme e queto
stavanon già perchè gli manchi ardire
ma 'l ritengon gli oracoli e gli altari:
le risposte de' Numi e le minacce
de le profonde grotte ha fisse in mente:
Farà Licurgo alla tebana guerra
le prime esequie. Ei per fuggire il fato
sen sta guardingoma 'l vicino Marte
e de le trombe il suono il turba e l'ange
e songl'in odio le infelici schiere.
Ma chi fugge 'l destino? Ecco sen viene
la figlia di Toante in mezzo a' Greci
mesta portando del bambino estinto
i lacerati avanzi: e furibonda
le va incontro la madree accompagnata
da la femminea schiera ed urla e geme.
Ma la pietà non è ozïosa e vile
nel generoso padreanzi più forte
vien ne' disastrie in lui lo sdegno ardente
ristagna il pianto. Egli 'l cammin divora
a lunghi passi alto gridando: - E dove
dov'è la scelerataa cui non cale
del nostro sangue e del mio mal s'allegra?
Viv'ella ancora? Ite veloci e pronti
o miei seguacie la guidate presa.
Io farò sì che le usciran di mente
le favole di Lennoe di sua stirpe
l'origin menzognera e i finti Numi. -
Dice; e già tratto il ferroirato corre
per darle morte; ma Tideo feroce
col grave scudo lo respingee grida:
- O tuchiunque seiferma o t'uccido. -
E Capaneo v'accorree Ippomedonte
non resta addietroe l'Arcade garzone
tien alto il brando; onde riman conquiso
quel Re infelice di tant'armi al lampo.
Ma d'altre parti in sua difesa viene
stuol di villani: il buon Adrasto allora
e Anfiaraoche le sacrate bende
del Re rispetta e di sua vita teme
vengon gridando: - Ah non si faccia: il ferro
riponeteo guerrieri: un sangue siamo
siamo tutti una gente; ah cessin l'ire;
e tu cedi primiero: - Allor Tideo
sdegnoso ancorcosì a Licurgo parla:
- E pensi tu che soffrirem che cada
per vendicare d'un fanciul la morte
su gli occhi nostri e di cotante schiere
la nostra duce e redentrice nostra
vittima indegna su l'altrui sepolcro?
La figlia di Toantee di Niseo
la gran nipote? Anima vileforse
poco ti par che mentre corre all'armi
la Grecia tuttafra cotante trombe
stai neghittoso in ozio infame e lento?
Goditi pur la pacee le vittrici
squadre trovinti ancor al lor ritorno
piangente stare a le tue esequie accanto. -
Dissee quel Re fatto più mite e l'ira
pur raffrenandoa lui così rispose:
- Io già non mi credea che mentre a Tebe
ven gite a vendicar le giuste offese
veniste a me nemici. Orsù finite
la vostra impresae me compagno vostro
me qui svenate; e se cotanta sete
è in voi di sanguesu versate il nostro
e de la nostra gente; e questi tempii
di Giove a me nemico abbian le fiamme.
Tutto lice al furor: io mi pensai
come Rege e signor nella mia serva
per sì giusta cagione aver impero;
ma Dio se 'l vedee benchè tardi giunga
pur vien la pena a' gran misfatti eguale. -
Così dicendoode rumore 'l guardo
alla sua reggia volgee nuovo scopre
tumulto d'armi. La veloce Fama
era arrivata a' cavalieri argivi
col periglio d'Isifile: altri narra
che la menano a morte; altrich'è morta
colei che a loro fu cagion di vita.
Tosto si credee 'l fren si lascia a l'ira.
Corron con faci e dardie la cittade
sveller dal fondoincatenar Licurgo
e trasportare altrove il Nume e 'l culto
minacciano in vendetta: i regii tetti
di femminili gemiti rimbombano
e 'l primiero dolor fatto è spavento.
Ma il buon Adrasto i suoi destrieri al corso
in giro affretta; ed ei sul carro in alto
tien Isifile in braccioe dove bolle
più la tenzonla mostra a' cuor feroci.
ed- Oh cessate (grida)ecco colei
che v'additò le salutifer'onde;
nulla di mal è occorsoe 'l buon Licurgo
non merita da voi cotanto scempio. -
Così qualora in varie parti è tratto
fra contrarie procelle il mar commosso
quinci da l'Euro e da Aquilone quindi
dal torbid'Austroil chiaro dì s'imbruna
e 'l fiero verno in grandine si scioglie:
se sublime sen vien su regia conca
co' squammosi destrieri il gran Nettuno
e 'l gemino Triton precede il carro
e pace intíma d'ogn'intorno a l'onde;
tosto spianansi i fluttie di già i scogli
scopron la cimae già veggonsi i lidi.
Ma qual propizio Nume i lunghi pianti
d'Isifile pagò d'immenso bene
e la colmò di non sperata gioia?
Tu de la stirpe sua principio e fonte
tu fostio Baccoche da Lenno a Neme
guidasti i due gemellie di tua mano
disponesti il mirabile destino.
Givano in traccia de la madree giunti
eran pur or negli ospitali tetti
del buon Licurgoquando a lui pervenne
de l'estinta sua prole il duro avviso;
e lo seguiano a la vendetta: (o sorte!
o de' mortali mal presaghe menti!)
favorivano il Re; ma quando intorno
sentiron risuonar Lenno e Toante
tra l'inimiche e tra l'amiche schiere
e tra le faci e i dardi apronsi il varco;
e giunti ov'è la madrea lei d'amplessi
cingon il collo e i fianchied a vicenda
piangendo di piacerle porgon baci.
Essa di sasso in guisa immobil resta
nè sa fidarsi de gli avversi Numi.
Ma poi che riconobbe entro i lor volti
l'immagine del padree ne' lor brandi
l'impresa d'Argo incisae su' lor manti
le cifre di Giason da lei conteste
cessaro i lutti; e 'l subito contento
l'oppresse sì che semiviva cadde
e di pianto miglior rigò le gote.
Applaudì 'l Cielo; e fra le nubi udîrsi
i timpani del Numei bossii cimbali
percossi risuonar di lieto strepito.
Allor d'Ocleo il venerabil figlio
poichè d'intorno a sè tacite e attente
vide le schieree già placati i sdegni:
- Udite (dice)o re di Nemeae voi
gran duci Argiviciò che Apollo impone
e a me 'l rivela. Questo a l'armi nostre
dolor già da gran tempo era dovuto
e cel guidâr per ordine le Parche:
i fiumi asciuttil'aspra setee 'l fiero
serpenteed il fanciul poc'anzi ucciso
detto Archémoro (ohimè)da' nostri fati
tutto su noi da le superne menti
de' Numi scese. Deponete l'ire
e l'aste e i dardi; e di perpetui onori
coroniamo il fanciulche n'è ben degno;
e la nostra virtude a la sant'Ombra
porga doni leggiadri ed immortali.
Ed oh così Febo sovente intessa
nuove tardanze; e nuovi casi ognora
differiscan le pugne; e da noi sempre
più s'allontani la funesta Tebe.
E voi felicigenitoria cui
fu dato superar d'ogni altro padre
la gloria e 'l fato; e 'l di cui nome eterno
fia sin che duri la Lernea palude
e che l'Inaco corrae la Nemea
selva con tremol'ombra i campi fera;
non turbate co' lutti i sacrifici;
nè piangete gli Deichè questi è un Dio
nè cambiería con la nestorea etade
o di Titon con gli anni il suo destino. -
Disse; e stese la notte il fosco velo.
LIBRO SESTO

I GIUOCHI NEMEI

De le greche cittadi era trascorsa
per le parti vicine e per l'estreme
la Fama intantodivulgando il grido
de' sacri onori che al novello rogo
si preparavan del fanciullo estinto
e de' bellici giuochiove virtude
di sè potea far prova e i cuori eccelsi
tutti infiammar a generose imprese.
Tale de' Greci era il costume: Alcide
pugnò primiero ne' pisani campi
di Pelope in onorein finto agone
e 'l polveroso crin cinse d'oliva.
Focide poi del giovanetto Apollo
il valor celebrò co' Pizi giuochi
in rimembranza del serpente ucciso.
Questa superstizione atra e funesta
serbasi ancor dalla sidonia gente
di Palemone intorno a' sacri altari
quando nel giorno a lei solenne i pianti
rinnovella Leucotoee sulle amiche
spiagge ritorna: d'urli e d'alte strida
da ambedue i corni ne rimbomba l'Istmo
ed urli e strida a lui rimanda Tebe.
Ed ora i Regi ed i signori Argivi
che discendon da' Numi ed al cui nome
trema d'Aonia il regnoe dal profondo
petto sospiran le sidonie madri
corrono alla palestrae in finte pugne
voglion provar le disarmate forze.
Così qualor s'affida al procelloso
Tirreno o al vasto Egeo novella nave
destinata a solcar il mar profondo:
pria lungo il lidoov'è tranquilla l'onda
a volgere il timon la ciurma impara
e a maneggiar i remi ed a raccorre
le sparse vele; indi poi fatta esperta
scioglie dal lidoe tanto in alto vola
ch'altro non scorge più che cielo e mare.
Ma già l'Aurora a' miseri mortali
riconduceva sul dorato carro
le spente cure; e timida la Notte
e 'l pigro Sonno con l'esausto corno
fuggian dinanzi a' lucidi destrieri:
quando per tutto cominciaro i pianti;
d'aspri lamenti l'infelice reggia
mugge e rimbomba: la vicina selva
riceve il suonoe 'l frangeed in più suoni
moltiplicato lo rimanda indietro.
Senza l'onor delle sacrate bende
siede l'afflitto genitordi polve
tutto cosperso il crinla barba e 'l volto.
Ma un più fiero dolor la madre inaspra:
stassi all'incontro e piangee a pianger seco
invita e spinge le seguaci donne.
Si lancia sopra i lacerati avanzi
del morto figlioe quindi svelta torna
ed arder brama su lo stesso rogo.
Licurgo stesso la ritien; ma quando
entraro i Re delle Pelasghe genti
mesti nel viso e al gran dolor conformi
come se nuova strage e nuova morte
con essi entrasse ed un novello serpe
con maggior forza da' già stanchi petti
usciron gli urli e 'l batter palma a palma
ed al nuovo fragor suona la reggia.
Sentiro i Greci che de' nuovi gridi
eran cagionee si scusâr co' pianti.
Ma se talor la stupefatta gente
cessava gli urliallor il saggio Adrasto
gía consolando il genitor dolente
con saggi dettie gli mettea davanti
l'aspre vicende de la vita umana
l'inevitabil fato e l'empia Parca.
Poi di novella e più felice prole
dava speranza; ma finir nol lascia
la turbae ricomincia il gran lamento.
Lo stesso Re così l'ascolta o cura
com'ode il mar de' naviganti i voti
o la folgore ardente il picciol nembo.
Intanto il letto e 'l pueril ferétro
destinato alle fiamme è intorno cinto
di meste frondi e di feral cipresso.
Con umil culto la primiera base
fondan su agresti strami; indi s'inalza
l'ordin secondo di gramigna intesto
e di bei serti di dipinti fiori.
Stan sopra il terzo gli odorati incensi
i cinamomi e gli arabi profumi
e i tesor d'Orïente. Adorna splende
d'oro l'eccelsa cimaed è coperta
di porpora finissima di Tiro
fregiata intorno di topazi e perle.
Tessuto è in mezzo fra li fiori e l'erbe
Lino e i suoi cani e la sua acerba morte
mirabil opra e di gentil lavoro.
Ma come fosse del suo mal presaga
sempre in orror l'ebbe la madree volse
dal tristo augurio in altra parte il guardo.
V'aggiunse poscia de' passati Regi
l'armi e le spogliequasi grave peso
al picciolo sepolcro e che sul rogo
si ponesse un gran corpoe in mezzo al lutto
gir trionfante l'ambizione e 'l fasto.
Ma un vano grido e un'infeconda fama
giova a gli afflitti; e si consola il padre
che accresca il funeral la picciol'ombra;
e per dar maggior lustro al suo gran pianto
e un misero conforto al suo dolore
vuol che quei doni gettinsi alle fiamme
che per l'età maggior gli eran serbati:
perocchè 'l padreprevenendo gli anni
già gli avea preparati e dardi ed archi
e innocenti saette; ed in suo nome
nudria i destrier dal maggior gregge scelti;
e 'l cinto militar era già pronto
e l'armiche attendean membra maggiori.
La madre ancor con immatura speme
avea affrettato all'innocente figlio
le regie insegne ed il purpureo manto
e 'l picciol scettro. Tutto dassi al fuoco;
e 'l genitor v'aggiunge i prezïosi
suoi propri arredie in cotal guisa rende
minor il duolquant'è più grave il danno.
Da un'altra parterimembrando i detti
del saggio Anfiaraosudan le schiere
ad atterrare il vicin boscoe quindi
ergon qual monte co' recisi tronchi
un'alta pirache de l'angue ucciso
purghi 'l delittoe de l'infausta guerra
dilegui la paura e i tristi auspicii.
Pongon ogni opra in far cadere al piano
e Neme e Tempe ombrosae nel più chiuso
de' boschi al Sol van disserrando il varco.
Cade la selvaa cui mai foglia o ramo
non fu recisodi larghissim'ombra
che fra' boschi Lirceifra' boschi d'Argo
alzò 'l capo superbo oltre le stelle:
sacra per anni immensi era già fatta
e d'uomini non sol diverse etadi
avea vedute; ma più volte ancora
mutate avea le Ninfe e i Dei Silvani.
Ma il giorno irreparabile è omai giunto:
fuggon le fieree per timor dal nido
volan gli augelli; cade il faggio eccelso
e la caonia querciaed il ferale
contro il verno sicuro alto cipresso
e l'orno e l'elce e 'l velenoso tasso
e 'l frassino che in guerra il sangue beve
ed il rovere annosoe quel che sprezza
il mar sonante temerario abete
e l'odoroso pinoe l'alno amica
de l'ondee l'olmo de le sacre viti.
Non con tanto fragor le ismarie selve
cadono a terras'Aquilon le abbatte
rotti i ritegni dell'eolio claustro;
nè sì veloce la notturna fiamma
arde l'aride stoppieallor che Noto
la spande intorno ed il vigor le accresce.
Lasciano mesti gli ozi a lor sì cari
l'antica Palee de le selve amico
il Dio Silvanoe i Semidei minori:
ne piange il boscoe le dolenti Ninfe
svellere non si san dalle lor piante.
Così qualor il capitano in preda
lascia vinta cittade a le sue schiere;
appena è dato il segnoin lei non resta
orma più di città: baccanti scorrono
uccidonorespingonorapiscono
ardon le casee i sacri tempii abbattono:
non con tanto rumor pugnano in campo.
Già due pire e due altari eran costrutti
del pari a' Numi ed al fanciullo estinto:
quando con grave suon ritorto corno
qual è de' Frigi lagrimevol uso
nell'esequie de' teneri bambini
diè segno al pianto. Pelope primiero
insegnò 'l sacro rito e 'l mesto carme
che giova e piace alle più picciol'ombre
quando mirò da gemina saetta
Niobe distrutti i figlie sette e sette
in Sipilo condusse urne lugubri.
Portano i doni prezïosi e rari
destinati a l'esequie e al pio Vulcano
i duci argivie sotto i lor stendardi
gareggian tutti ne' pietosi uffizi:
vien alfin il ferétro in su le spalle
di quattro scelti giovani robusti
con gran rumor di gemiti e di strida.
Stanno d'intorno i Proceri Lernei
al gran Licurgo; e dal più molle sesso
è la misera madre accompagnata.
Nè già vien sola Isifile dolente:
fanno le grate schiere a lei corona;
la sostengono i figlied han piacere
ch'essa piangendo il suo dolor consoli.
Ma poi che uscì da l'infelice tetto
l'orba Euridiceil bianco sen discinto
pria di gemiti e d'urli il cielo assorda;
e infin prorompe in cotai note amare:
- Io già non mi credea seguirtio figlio
con sì lugubre e sì funesta pompa
fra' mesti cori de le greche madri;
nè un tal destino a la tua nuova etade
presagivan miei voti. E chi poteva
per te giammai temer che sul primiero
confin del viver tuo la guerra e Tebe
fossero a te fatali? Ahi qual crudele
Numequal Fato con il sangue nostro
ebbe il piacer di cominciar le pugne?
e chi fu mai che diè funesti auspicii
con sì atroce delitto alle nostr'armi?
Son pur fin ora di mestizia privi
di Cadmo i tettie la tebana plebe
non piange ancora alcun fanciullo estinto.
Io solaahi lassa! le primizie pago
di lagrime e di stragi a l'altrui risse
pria de le trombe e del rumor de l'armi;
mentre credula troppo a l'altrui fede
e a l'altrui seno il dolce pegno affido.
Ma chi creduto non le avria? Da morte
liberò il padre con pietoso inganno
e dal sangue serbò monde le mani.
Ecco colei che 'l sacrificio infame
ebbe sola in orror; colei che sola
non fu fra l'altre da le Furie invasa.
Dopo un tanto delitto ancor si crede
insigne per pietade? In abbandono
lasciò non il suo renè 'l suo signore
che pur sarebbe inescusabil colpa
ma l'altrui figlio a la sua fe' commesso:
basti sol tanto: de l'infame selva
ella gittò nel periglioso varco
un tenero fanciulcui l'aura sola
e le commosse frondi e un van timore
non che 'l crudel serpenteeran bastanti
a recar morte. Ah che cotanta mole
di fato uopo non era al picciol corpo!
Nè già di voi mi dolgoo duci Achei.
Già da gran tempo con sì rea nutrice
questo acerbo destin m'era prefisso.
E forse che non facea vezzi a lei
più che a me stessae conoscea lei sola
me non curando? Ah che nessun piacere
ebbe di te la madre! Essa raccolse
le tue querelee misti al pianto i risi
videe ascoltò le tue primiere voci.
Essafin che vivestia te fu madre;
or la madre son io; nè m'è concesso
misera! di punir sì gran delitto?
A che gittar sul rogoo duci Achei
cotanti doni e sacrifici in vano?
Lei lei l'ombra vi chiedeed è contenta.
Deh la rendeteo ducia l'orba madre
e al cenere innocente; io ve ne prego
per questo auspicio della vostra guerra
ch'io stessa partorii: così felici
sian vostre spade; e a' lor ferétri intorno
gemano al par di me le Tirie donne. -
Qui straccia i crinie pur di nuovo grida:
- Deh la rendete; nè di sangue ingorda
o crudel mi chiamate. Iopur che appaghi
gli occhi col di lei scempioio non ricuso
di morir secoe ch'una stessa fiamma
arda la madre e l'infedel nutrice. -
Mentre così la misera si duole
rivolge gli occhi e Isifile rimira
che al par di lei si straccia i crini e 'l petto;
e sdegna averla nel dolor compagna.
E- Questo (grida)questo almenoo duci
e tubuon regea cui dal sangue nostro
vien tanto onorsi tolga empio delitto:
tolgasi l'odïosa a' mesti roghi.
E che ha che far il suo col mio dolore?
Perchè sta meco nelle mie sciagure?
Ed a che piangese i suoi figli abbraccia? -
Sì dissee cadde; e su l'esangue labbro
tronche a mezzo restâr l'aspre querele.
Qual vaccacui sia da le poppe tolto
il tenero vitelche sol dal latte
traeva il sangue e si reggeva appena
lacerato dal lupoo dal pastore
svenato in su gli altari; essa commuove
or le vallior i fiumiora gli armenti
co' suoi muggitie del suo figlio chiede
a' muti campi: ultima al prato viene;
ultima torna a l'odïate stalle
bassa la frontea passo tardo e lento;
e 'l puro fonte le dispiace e l'erba.
Ma 'l genitore l'onorato scettro
e l'infula e le bende al rogo dona;
e parte taglia del suo lungo crine
e sul fanciul lo spargee piange e dice:
- Io con patto migliorperfido Giove
t'avea votato il crinse a' tempii tuoi
la lanugin libar m'era concesso
de l'infelice figlio; ma non furo
le preci intese e 'l sacerdote accetto:
abbiasel or l'Ombrache n'è più degna. -
Già stride il fuoco nelle prime frondi
de l'alte pire acceso. Alzasi un grido;
ma 'l ritenere i genitor furenti
questa è l'opra maggior: stendonsi i Greci
tra essi e 'l rogoqual pria furo istrutti
alto tenendo i scudie a la lor vista
van celando in tal guisa il mesto oggetto.
Cresce la fiammae in alcun tempo mai
non fu più ricco e prezïoso fuoco.
Stilla l'argentostridono le gemme
e l'oro piove da' ricami ardenti:
fuman le travi d'odorato cedro
umide e asperse de gli assirii succhi
ed ardon seco il dolce mele e 'l croco
e 'l vino e l'atro sangue e 'l puro latte.
Poi sette squadre di guerrieri eletti
cento per squadrai sette Regi in giro
da la sinistra man guidan del rogo
coll'alte insegne rovesciate al piano;
e 'l calpestio de' fervidi destrieri
fa colla polve declinar la fiamma.
Tre volte il circondaroe i dardi e l'aste
suonâr tre volte ripercossi insieme;
e quattro volte uscì da l'armi un suono
orrendoe quattro volte i molli petti
si percosser con man le meste ancelle.
Ma l'altra pira ha le svenate agnelle
e i semivivi armenti. Il vate allora
(benchè sia certo del destin nemico)
vuole che il lutto si cancellie torni
il tristo augurio in lietoe fa le schiere
volger in giro a destraalte vibrando
l'astee gittando nell'ardenti fiamme
tolti dall'armi proprie i vari doni:
chi gitta al fuoco li dorati freni
chi 'l cinto militarchi gitta il dardo
chi del cimier le tremolanti penne;
e in tanto un rauco suono i campi assorda
di mesti canti e strepitose trombe.
Con eguale rumor svelgon le insegne
al noto suon de' bellici oricalchi
le schiere accinte a la campal tenzone:
non ancor ardon l'ireancor le spade
non son tinte nel sanguee de la guerra
bello in sì bella vista anch'è l'orrore;
e Marte da le nubi in giù mirando
in dubbio tiene il suo favor sospeso.
Ma va mancando il rogoe già la fiamma
in cenere si sciogliee con molt'onda
spengon del busto l'ultime faville;
nè da l'opra cessârche 'l dì fu spento
ed appena coll'ombre ebber riposo.
Già nove volte avea dal ciel fugate
Lucifero le stelleed altrettante
lo splendore di Cintia avea precorso
destrier mutando; e non inganna gli astri
che lo mirano alterno in su le porte
de la chiar'alba e de l'oscura sera;
quando si vide alto sublime tempio
mirabil opra e non credibil quasi
eretto a l'Ombrae v'era sculto in marmo
l'acerbo caso e del fanciul la morte.
Qui mostra il fiume a gli assetati Argivi
Isifilee colà il fanciul per l'erba
sen va carponee qui s'adagia e dorme.
Circonda l'orlo de l'eccelsa tomba
lo squammoso serpentee l'asta annoda
co' suoi lubrici girie par sì vero
che tu n'aspetti i velenosi fischi.
Concorsa intanto era infinita gente
da le greche cittadi e da le ville
a mirar gli spettacoli novelli:
vengono i vecchi infermi ed i fanciulli
cui suol tener dentro i paterni lari
la troppo antica e troppo fresca etade;
e quelli ancor a cui non giunse unquanco
lo strepito e l'orror del fiero Marte:
non tante turbe mai de l'Istmo i giuochi
furo a miraro pur d'Enomao il corso.
Siede nel mezzo d'un'antica selva
cinta di colli di boschetti adorni
quasi teatrodeliziosa valle;
s'alzan più addietro alti scoscesi monti
e 'l doppio varco de l'uscita è chiuso
da rilevati tumuli d'arena:
piana è nel mezzo per gran trattoe adorna
di bei cespugli e di ridenti erbette
e dolcemente nell'estremo giro
sen va salendo e si congiunge a' colli.
Qui poi che 'l Sol ebbe indorati i campi
si radunâr gli alti guerrieri eletti
a l'amichevol pugna e al finto agone.
Siedon le turbe in un confuse e miste
di varie gentied han piacer mirando
il numerogli aspetti e le divise
de' combattentie le innocenti pugne
lieto presagio a la vicina impresa.
Fur pria condotti del più forte armento
cento gran tori più che pece neri
e cento nere madri e cento figli.
Seguivan poi le immagini de gli avi
che parevano spirar ne' sculti bronzi.
Ercole è il primoche al suo petto stringe
il fier leonee lo soffoca e ancide.
Lo miran con timor le greche squadre
benchè sia loro onorbenchè sia finto.
Inaco segue: ei sul sinistro lato
stassi appoggiato a la palustre sponda
e versa l'urna e ne diffonde un fiume
e guarda mesto l'infelice figlia
mutata in vaccae 'l vigile custode
che dorme e veglia con cent'occhi in fronte;
ma Giove alfin mosso a pietà le rende
il primo aspettoe di già fatta è Dea
e l'adorano i regni de l'Aurora.
Tantalo segue poinon già quell'empio
da cui fuggon del pari i pomi e l'acque
ma 'l pio che siede col Tonante a mensa.
Da l'altra parte Pelope si vede
co' destrier di Nettun vincer nel corso
le false ruote e l'infedel Mirtillo.
Indi Acrisio severoe 'l gran Corebo
e Danae che nel sen l'oro riceve
e la mesta Amimone intorno al fonte
e Alcmena del suo Ercole superba
che di triplice luna il crin circonda.
Dansi le destre d'amistade in segno
di Belo i figli; Egisto mostra il volto
sereno e lietoma nel torvo aspetto
di Danao vedi la mentita pace
e l'empietà de la vicina notte:
poscia mill'altri simulacri eccelsi.
Saziati alfin di sì leggiadra vista
a li premi d'onor chiama virtude
i greci eroi. Primi a sudar nel campo
furo i destrieri fervidi e spumanti.
Or tu de' duci e de' cavalli i nomi
mi narrao Febo; in nessun tempo mai
più pronti corridor mossero al corso.
Men veloci gli augei batton le penne
se contendon nel voloe andrian più tardi
i ventise il lor Re tutti da un lido
gli sciogliesse ad un tempo. Ecco primiero
viene Arïonnoto al purpureo pelo.
Ei nacque di Nettun (se il ver ci narra
l'antica fama); e fu Nettun che al freno
prima avvezzolloe lo sospinse al corso
per l'arenoso lidoe tenne ascosa
la sferza: chè il destriero avea tal lena
che gareggiar potea col mar fremente.
Dicesi che fra quei che in mar son nati
guidasse il carro del ceruleo padre
per l'immenso Oceàno in varie spiagge:
stupîr le nubii nembi e le procelle
ed Euro e Notoche restaro indietro:
poscia imprimendo co' gran piè l'arena
portò sul dorso il valoroso Alcide
che gía spegnendo della terra i mostri
per comando del rigido Euristeo
mal ubbidiente ancor a sì gran mano.
Ma poi che domo fu l'ardor degli anni
ebbelo Adrasto in donoe lo reggea
con dolce frenocon destrezza ed arte
ed or lo presta al genero tebano.
Gli addita i modi onde il destrier s'inaspra
e quelli ancora onde si molce e placa:
- Nol batter (dice)e sii del freno avaro;
pungi pur gli altri e sferza: egli è nel corso
veloce sìche tu 'l vorresti meno. -
In cotal guisa lagrimando Apollo
prima che desse al troppo audace figlio
la sferza e i freni e 'l risplendente carro
gl'insegnò quali stelle egli dovea
schivare quali zonee 'l luminoso
sentiero gli additòche fende il cielo
con spazio egual fra l'uno e l'altro polo:
ma 'l Fato già maturo e l'empie Parche
quel superbo garzon fatto avean sordo.
Appo Arïon Anfiarao conduce
i laconi destrierprossima speme
di vincere nel corso; e son tuoi figli
Cillaronati di furtivo amore
mentre Castor solcando il tracio mare
cambiò i freni amiclei co' remi d'Argo.
Bianchi erano i destrierbianch'era il manto
del sommo vatee bianch'eran le penne
del gran cimiero e l'infula e le bende.
Poi da' tessali campi il buon Admeto
sue sterili giumente al corso mena
seme de' fier Centaurie son rubelle
al sessoe in loro l'amoroso caldo
vinto e represso si converte in forza:
son d'un color simíle al dì e a la notte
di macchie tinte biancheggianti e nere.
Tal era forse il pegaseo cavallo
che d'Apollo in sentire il dolce suono
tutto allegrossie sprezzò il fieno e l'erba.
Ed ecco i figli di Giasonnovella
gioia e onor della madreentro l'arringo
su' lor carri mostrarsi. Il primo avea
de l'avo il nomee detto era Toante
e l'altro Euneo con più felice auspicio.
Simili in tutto son; simili i volti
i carrili cavalli e gli ornamenti:
ognun di vincer bramae se pur vinto
ha da restarche 'l suo fratel lo vinca.
Viene Ippodamo poi d'Enomao figlio
e Cromi nato del famoso Alcide;
nè sai ben dir qual con più destra mano
i freni regga de' destrier feroci.
Guida il secondo quei che 'l padre tolse
a Dïomedeed il primiero affrena
quelli che fur del genitor crudele:
ed hanno ancora l'uno e l'altro i carri
di putrefatto sangue aspersi e tinti.
Stava di meta in guisa a l'un de' lati
d'annosa arida quercia un nudo tronco:
da l'altra un sassotermine de' campi;
ed eran fra di lor tanto distanti
quanto tre volte può tirar un arco
o quattro volte da robusta mano
lanciarsi un dardo: or questo spazio assegna
Adrasto al corso de' destrier veloci.
Ma Febo intanto su l'eccelsa cima
del suo Parnaso fra le caste Muse
dolce cantava al suon de l'aureo plettro
l'opre dei Numie risguardava il mondo.
Già Flegra e Giovee 'l fier Pitone ucciso
e de' fratelli suoi le glorie e i vanti
narrato aveae allor seguia spiegando
come il fulmin si formie quale avvivi
spirito gli astri e li conduca in giro:
ond'abbian vita i fiumie d'onde i venti
ricevan motoe come il mar profondo
immenso si mantenga e mai non scemi;
qual sia il cammin del solqual de la notte:
se stia la terra nel suo proprio centro
librata in mezzoo pur nell'ima parte:
se diansi ignoti mondi e terre ignote.
Finito avevae de le Muse pronte
e desïose di cantare a prova
per allor differendo i bei concenti
appesi aveva ad un vicino alloro
la cetrail serto e 'l ricamato cinto.
Quando al rumor che del famoso Alcide
nella valle sentìgli occhi rivolse
e vide i corridor starsi a le mosse:
li riconoscee vede a caso giunti
Admeto e Anfiarao starsi del pari
e così seco stesso egli ragiona:
- Qual nume avverso a la tenzone adduce
due Regi a me sì cari ambi e sì pii?
Nè so ben dir cui del mio amor più onori.
Il primoallor che per voler di Giove
e de le Parche ne' Peliaci campi
a lui fui servom'onorò qual Nume
nè mai soffrì ch'io fossi a lui minore:
è de' tripodi miei l'altro compagno
ed ha di mia virtù ricolmo il petto.
Ha maggior merto il primoma 'l secondo
tende al suo fine ed ha ripieno il fuso.
Giungerà quegli a la canuta etade;
ma per te nulla gioiae ben lo sai
misero! E tel mostraro i nostri augelli:
Tebe è vicinae la fatal vorago. -
Sì disse; e 'l volto ognor sereno e lieto
quasi rigò di piantoe in un baleno
in Neme scese più veloce e presto
del fulmine di Giove e de' suoi dardi
lasciando l'aria e 'l ciel col lungo solco
dove passòdi suo splendore impressi.
E di già Proto tratte avea da un elmo
le sorti de' guerrierie già ciascuno
stava al suo luogo per diritta riga.
Bello il veder gli eroibello i destrieri
tutti scesi da' Numionor del mondo
impazïenti ad aspettar le mosse.
Spemeaudaciatimor ne' forti petti
fanno battaglia e pallida fidanza:
incerte hanno le mentie 'l segno or bramano
de la partenzaor di partir paventano
e scorre loro un freddo ardir per l'ossa.
Nè più tranquilli o desïosi meno
stanno i destrierspiran dagli occhi fuoco
mordono i frengli smaltano di spume
non trovan locourtan co' larghi petti
le sbarre e i claustrie da le nari fumano
sdegno e furor; fanno e disfan mill'orme
in sul terrenoe la ferrata zampa
minacciar sembra di lontano il campo.
Son lor d'intorno i fidi amicie i crini
sviluppan de' cavallie gli altri arnesi
che far potriano intoppo; e a' combattenti
inspirano coraggio e dan consigli.
Quando odesi la tromba: e tutti a un tempo
da le mosse partîr. Qual vela in mare?
qual nube in ciel? quale mai dardo in guerra
va sì veloce? Con minor ruina
scendon da' monti i rapidi torrenti;
non tanta forza ha il fuocoe non sì preste
cadon le stellee l'orrida tempesta
più lenta piombae 'l fulmine è più tardo.
Quando partîrfur noti i carrii duci;
ma tale alzossi un turbine di polve
che quasi nube in sè gli ascosee appena
a le vocial rumor in quel tumulto
si conoscon fra lor: van prima uniti
e poi ciascun o meno o più veloce
avanza o restae già si son divisi.
L'orme dal primo impresse annulla e strugge
chi vien secondo: ora con tutto il petto
s'inchinano sul giogoe i freni allentano;
or fermi su' ginocchi a sè ritirano
le redinie i cavalli e i carri volgono:
gonfiano questi il colloe a l'aria scherzano
gli svolazzanti crinie 'l campo rigano
di nobile sudor. Rimbomba il suolo
al grave calpestar de' gran corsieri
ed al molle girar de l'alte ruote.
Non stan ferme le manie stride e fischia
in spessi colpi l'agitata sferza.
Non più frequente esce dal gelid'Arto
la grandin procellosae in minor copia
versa il corno amalteo le piogge e i nembi.
Già presago Arïon conosce e sente
a le mal rette briglie il signor nuovo
ed ha in orror de l'empio Edippo il figlio:
vien furïando e abominando il peso
più dell'usato indomito e feroce;
credono i Greci ch'al trionfo aspiri;
ma l'auriga egli fuggee lo minaccia
e l'antico signor con gli occhi cerca:
pur tuttavia gli altri gran tratto avanza.
Vienbenchè lungiAnfiarao secondo
e seco al par va gareggiando Admeto.
Seguono i due Gemellied or Toante
è innanzied or Euneo: or l'uno vince
or l'altro cedee ambizïon d'onore
non mai giunge a turbar l'alme concordi.
Veggonsi estremi Ippodamo feroce
ed il feroce Cromi: ambo nell'arte
esperti; ma i destrieri han gravi e lenti.
Ippodamo è primierma di sì poco
che de' destrier di Cromi a tergo sente
le testee l'anelare e 'l caldo fiato.
Sperò l'augure argivo (allor che vide
Arïone vagar con vari giri
e fuor di mano) i suoi destrier volgendo
su la sinistraov'è la metail corso
anticipared essere primiero.
Admeto anch'ei s'affrettaed ha gran speme
d'esserse non primieroalmen secondo.
E di già le lor brame eran contente:
quando Arïon stanco da' lunghi errori
si fu rivoltoe più leggier del vento
si mossegli arrivòlasciolli addietro.
Vanno i gridi alle stellee 'l ciel rimbomba
e da le sedie lor s'alza la turba.
Ma Polinice omai pallido e lasso
più il fren non regge o lo scudiscio adopra
come nocchierche già confuso e stanco
precipita ne' flutti e contro i scogli;
nè più guarda a le stellee di già vinta
l'artela nave lascia in preda a' venti.
Avean già data la primiera volta
e ricorrean lo stadio in vari solchi.
Qui s'accozzan di nuovoe qui si sente
asse con asse urtarruota con ruota.
Nulla pace è fra lornullo riguardo:
sarian men fieri in guerrae ben rassembra
questa esser pugna fra nemiche schiere.
Dassi lode al furor; han tema e speme;
minaccian mortee l'uno all'altro il calle
tronca e ritardae tal desio gl'infiamma
che non bastano lor stimoli e sferze
ma incitan con la voce i lor corsieri.
Admeto chiama a nome or Foloeor Joi
or lo scapolo Toe; nè Anfiarao
sgrida Ascherone menoo il bianco Cigno
di cotal nome degno. I gridi sente
Strimòne Erculeo del feroce Cromi;
e quei d'Euneo sente Etïon focoso;
Ippodamo minaccia il suo Cidone
e 'l suo Podarce maculoso e lento
prega Toante ad affrettar il corso.
Sol Polinice sbigottito e mesto
se ne va errandoe non ardisce il labbro
aprire quanto può si tien segreto.
Appena da le mosse eran partiti
che già la quarta polve alzan sul campo
e già ne' corridor manca la lena
e vengon men veloci ed anelanti.
Sta la Fortuna in mezzo incerta ancora
a cui doni l'onor d'esser primiero.
Mentre Toante a pareggiare aspira
il re d'Anfrisosi rovescia e cade;
nè il buon fratello può recargli aiuto
perchè mentr'ei v'accorrea lui s'oppone
Ippodamo col carroe l'attraversa.
Ma Cromi giungee con erculeo braccio
e col vigor del padre il carro piglia
d'Ippodamoe lo ferma: invano i colli
stendono e i petti i buon cavallie invano
il crudele signor li punge e sferza.
Così talor fra la corrente e 'l vento
stan nel siculo mar ferme le navi.
Già rotto il carro e 'l cavalier caduto
passava Cromi vincitore innanzi:
quando i tracii destrierche 'l vider steso
rinnovandosi in lor l'antica fame
gli si avventâr co' morsi; allora Cromi
i freni torseed oblïò la palma
e vinto si partì colmo di lode.
Mentre sta ancora la vittoria in forse
e già vicini sono al fin del corso
per te scende nel circoAnfiarao
Feboper darti il già promesso onore.
Anguicrinito mostro in campo adduce
che minaccia spaventoorrore e morte
(o lo trasse d'Infernoo in un momento
d'aria lo finse): senza tema e gelo
nol mireria d'Inferno il fier custode
nè l'empie Furie; torneriano indietro
i cavalli del Sole e quei di Marte
non che Arïonche a sì tremendo oggetto
arruffò il crinee su due piè rizzossi
e seco in alto i suoi compagni trasse.
Cadde rovescio l'esule tebano
e strascinato per l'arenaalfine
sviluppò il braccio da le brigliee 'l carro
senza rettor sen gì vagando intorno.
Mentr'ei giacea sul putrido terreno
passaro a volo le tenaree ruote
ed il tessalo giogo e 'l forte Euneo
vicini sìche lo schivaro appena.
Corser gli amicie attonito e confuso
l'alzâr da terraed ei tremante e lasso
ritornò non sperato al vecchio Adrasto.
Che nobil morte ti negò Megera
misero Polinice! A quante stragi
a quante guerre avresti posto il fine!
Tebe e 'l fratello stessoed Argo e Neme
t'avrebber pianto. Quanti onori e voti
Lerna e Larissa t'avrian fatti! fora
d'Archemoro maggiore il tuo sepolcro.
Ma Anfiaraoche ha la vittoria certa
benchè secondo e che Arïon preceda
senza rettorpur di passarlo agogna:
Febo l'assistee gli dà forza e lena.
Men presto è il ventoe pur allora sembra
che da le mosse ei parta; or pregaor sferza
Ascherïon veloce e il bianco Cigno:
- E adesso almeno (ei grida)or che Arïone
sen va ramingo. - Vola il carroe fuoco
gittan le ruotee fa la polve un nembo:
rimbomba il suoloed ei minaccia e punge:
e forse Cigno avria lasciato indietro
il rapido Arïon; ma nol concesse
Nettuno; onde restâr con lance eguale
al destriero l'onorla palma al vate.
Della vittoria in prezzo a lui portaro
due giovanetti una ben sculta tazza
che d'Ercole fu un tempo. Il forte eroe
con una sola man l'ergeva in alto
e ridondante di spumoso vino
dopo aver vinti i mostri e le battaglie
la solea tracannar tutta in un fiato.
Sonvi scolpiti i fier Centaurie l'oro
risplende di terribili figure:
è de' Lapiti qui la strage espressa;
volano e faci e dardi ed altre tazze
e si scorgon per tutto orridi aspetti
di morti e di feriti: Alcide prende
Alcide istesso il furibondo Hileo
per la deforme barbae a sè lo tragge.
In ricompensa de' secondi onori
ebbe Admeto un bel manto adorno e pinto
di meonio ricamoe rosseggiante
di porpora di Tiro: ivi si scorge
Leandro sprezzator del mar d'Abido
girsene a nuoto e trasparir per l'onda;
sembra muover le manied or le braccia
a sè ritrarreora allargarle: e tanto
l'arte poteo! par ch'abbia molle il crine.
Sul lido opposto da un'eccelsa torre
Hero dolente mira il mar turbato
e 'l lume amico a' suoi furtivi amori
con funesto presagio ecco si spegne.
Ebbero i vincitor sì ricchi doni;
ma per conforto al genero tebano
Adrasto diede una leggiadra ancella.
Poscia la gioventù veloce e lieve
al corso invitafacile virtude
e di pace esercizioallor che 'l chiede
o sacrificio o festae non affatto
vana in battagliase contrario è Marte.
De l'olimpica fronda il capo cinto
Ida primo comparvee gli applaudiro
l'elee falangi e i giovani Pisani.
Venne secondo il sicionio Alcone
e vincitore ne' Corintî giuochi
per ben due volte Fedimo leggero
e Dima un tempo di sì lievi piante
che lasciò indietro i corridori in corso
ed or più tardo per l'età li siegue.
Quindi molt'altri di diverse genti
che lungo fora annoverar; ma il circo
mormorae chiama l'arcade garzone
cui la rapida madre accresce fama.
Chi d'Atalanta il sommo pregio ignora
che tanti Proci superò nel corso?
Il valor de la madre è al figlio impegno
ed è sprone ed esempioe già famoso
era per molte prove: i cervi avea
raggiunti in corso; indi scoccando l'arco
avea 'l dardo ripreso a mezzo il volo.
Questo sol chiama il comun grido e aspetta
desïando la turbaed ei d'un salto
s'erge sopra le schiere e sbalza in campo.
Scioglie l'aurate fibbie e 'l manto spoglia
e nuda mostra la leggiadra e vaga
armonia delle membrae l'ampie spalle
e 'l bianco petto molle al par del viso
che quasi perde in paragon del corpo.
Egli non cura la natia beltade
nè chi l'ammira e adorator la loda;
ma nell'arte di Pallade maestro
di pingue oliva le sue membra infosca.
Lo stesso fêro Ida e Dimantee quanti
erano accinti al corso. In cotal guisa
quando è sereno il cieltranquillo il mare
l'immagine degli astri in mar riflette
lucida e pura; ma di maggior lume
Espero irradiae quale e quanto è in cielo
tutto risplende ne' cerulei flutti.
Prossimo di bellezza e di speranza
Ida si scorgema d'età maggiore:
il primo pelo gli spuntava appena;
ma 'l frequente liquor de la palestra
e 'l lungo crine lo nasconde e cela.
Così posti a le mosseognun le membra
snoda con vari moti al vicin corso
e prova fa delle veloci piante.
Or piegan le ginocchiaor con le palme
fan risuonare i pettior breve fuga
tentan correndo e al posto lor ritornano.
Ma come pria rimossa fu da i stalli
l'invidïosa corda e 'l campo aperto:
tutti a un tempo partiroe per l'arena
splendeano ai rai del sole i corpi ignudi.
Non sì veloci da le mosse usciro
pur ora i velocissimi destrieri.
Sembran da cretic'arco o pur da parto
da tergo uscite rapide saette.
Così qualor senton ruggir da lungi
(o sembra loro) aspro leon feroce
fuggono i cervi timidi e confusi
e insiem ristrettichè 'l timor gli aduna;
e fan miste le corna alto fragore.
Fugge da gli occhi più legger del vento
il menalio garzon: Ida lo segue
e lo scalda col fiatoe già coll'ombra
gli preme il tergo. Fedimo e Dimante
van gareggiando insiemeed il veloce
Alcon gl'incalzae di passarli ha speme.
Al bel Partenopeo scendea sul dorso
il non tosato crinch'egli serbava
fin da' più teneri anni a Trivia in dono;
e s'ei tornava vincitor da Tebe
avea promesso con inutil voto
reciso offrirlo sovra i patrii altari.
Ed or sciolto da' nodi al vento ondeggia
che seco scherza e lo respinge indietro
e fa ritardo al corsoe svolazzante
l'offre al nemico che l'incalza e segue;
Ida l'offerta occasïon di frode
abbraccia tostoe ne conosce il tempo.
Già già Partenopeo giunge a la meta:
ei per lo crine il prende e indietro il tira
e innanzi passae pria di lui la tocca.
Fremon gli Arcadi irati armi e vendetta
e coll'armi punir voglion la frode
o che si renda al loro Re la palma
e 'l meritato onoree furibondi
s'eran già mossi per uscir dal circo.
E d'Ida a molti ancor piace l'inganno.
Ma 'l leggiadro garzon lorda di polve
il crine e 'l voltoe si querela e piange
e grazia accresce a sua beltade il pianto
e l'innocente petto e 'l dolce viso
squarcia coll'unghie e la colpevol chioma.
Freme discorde e in sè diviso il vulgo;
e sta sospeso in suo giudizio Adrasto.
Alfin risolvee dice: - Ogni contesa
giovanifra voi cessie di virtude
accingetevi a far novella prova
ma per sentier diverso: Ida da questa
Partenopeo da quella parte muova;
lungi sieno da voi frodi ed inganni. -
Quelli ubbidîr; ma l'arcade garzone
tacito prega la triforme Dea
con voci supplichevolie l'adora:
- O Divao de le selve alma Regina
a te questo mio crine era promesso
e tua l'ingiuria fu; s'a te pur grata
è la mia genitricee se pur degno
di te mi resi in seguitar le fiere;
deh non voler che con augurio infausto
io vada a Tebee di sì grave scorno
me stesso macchi e la mia gente invitta. -
Il favor della Dea mostrossi aperto:
corre leggero sì che appena il sente
il campoe fra 'l terreno e fra le piante
l'aria trapassae su l'intatta polve
rare si veggon le vestigie impresse.
Partìcorsetornò fra liete grida
e vincitore lo raccolse Adrasto.
Ed ecco i premii: un fervido destriere
ebb'egli in donoe l'ingannevol Ida
un grave scudoe gli altri una faretra.
Fa quinci il Re quelli invitare al disco
che de le forze lor voglion far prova.
Pterelaa cui fu impostoin campo porta
lo sferico metalloe benchè tutto
incurvi il fiancopoco lungi il gitta.
Attonite ammiraro il grave peso
le greche turbe di sì vasta mole
e pur molti s'offriro al gran cimento;
tre Corintiidue Acheiuno Pisano
un d'Acarnania e molti più di Nisa.
Ma il grido universale applaude e chiama
Ippomedonteed ei sen viene altero
sotto il braccio portando un altro disco
del primiero maggiore: - Questo (grida)
giovani fortio voi che a Tebe andate
per atterrar co' sassi argini e mura
questo s'adopri: e qual sì frale mano
l'altro non lancerebbe? - Allor lo prende
quasi scherzandoindi lontan lo scaglia.
Attoniti restaro i più gagliardi
e si trasser indietroe al grave pondo
si confessâr minori; e Flegia solo
e Menesteoda gran vergogna punti
e da' natali illustria l'ardua impresa
offrîr le mani e dimostrâr la fronte.
Partiron gli altri inonorati e vili.
Tale si mostra ne' bistonii campi
il gran scudo di Marteallor che fere
Pangeo di mesta luce e 'l sol spaventa;
e se coll'asta il dio guerrier lo batte
fuor n'esce un suono di muggito in guisa.
Flegia il giuoco cominciae tutti in lui
sono de' spettator rivolti gli occhi
e a le nodose esercitate membra.
Prima il disco e la man di polve inaspra;
poi la polve ne scuote; e l'alzae prova
ove meglio a le ditaove a la palma
via più s'adatti: esperïenza ed arte
in lui si scorgee quanto ei sia maestro
in cotal giocoonde sua patria è illustre.
Spesso il lanciòdov'ha più largo il corso
il vasto Alfeoda l'una a l'altra sponda
e lo passònè mai cadeo nell'acque.
Ed or pien di fidanza ei non agogna
a misurare il campoe verso il cielo
la mira prendee le ginocchia inarca
e le forze raccogliee sovra 'l capo
lo ruota in giroindi lo scaglia in alto.
Sale il disco a le nubi; e quando incurva
il volo e par che di cader minacci
più d'aria acquista e si solleva: alfine
tratto dal peso lento in giù ritorna
e cade su 'l terreno e vi s'immerge.
Tal la germana del lucente Dio
svelta da gli astri attoniti e tremanti
cade dal ciel de' tracii carmi al suono:
fanno co' bronzi strepito le genti;
ma vincitrice la possente Maga
ride in vederne vacillare il carro.
Fer plauso i Grecie Ippomedonte solo
vedendo il colpodi pallor si tinse.
Pur di ruotar per fianco il grave disco
Flegia sperò con più robusta mano;
ma la Fortunache i disegni nostri
tronca nel mezzo e lo sperar soverchio
nol secondò: che puote umana forza
contro il voler de' Numi? Ei già misura
cogli occhi immenso spazioe indietro tira
il collo e 'l braccioe tutto piega il fianco:
quando il disco gli fugge e a piè gli cade
e fa suonar la cava palma a vuoto.
Dispiacque a' Greci tutti il caso acerbo
e pochi lo mirâr con lieto ciglio.
Ma Menesteoche a l'altrui spese impara
sen vien più cautoe pria di Maia il figlio
co' preghi invoca; indi di molt'arena
il disco irruvidiscee si assicura
che non gli cada. Esce da tutto il braccio
la grave sferae con più lieta sorte
gran tratto varca de l'immenso campo
e ruinando alfin cade e si posa.
Suonâr gli applausi e i gridie con un dardo
corsero a porreove fermossiil segno.
Ippomedonte al gran cimento viene
a passo grave e lentoin sè volgendo
di Flegia la sciagura e del secondo
l'avventuroso colpo. Il disco ei prende
ben noto a la sua manoe l'alza e 'l libra
e 'l tien sospesoed il robusto braccio
consulta e provae 'l muscoloso tergo:
indi da sè con tutto il nerbo il lancia
e col corpo lo segue: il globo a volo
s'inalzae benchè lungiancor rimembra
la destra e tutta ne ritien la forza.
Nè già di poco o con incerta meta
del vinto Menesteo trapassa il segno
ma di gran tratto il varcae i verdi colli
che fan cerchio al teatrourta e flagella
e fa tremarli: qual se giù cadesse
d'immensa mole altissima ruina.
Tale d'Etna fumante un sasso svelse
Polifemo con man di luce priva
e sebben ciecoove sentì 'l rumore
de la nave de' Greciivi lanciollo
e vicin cadde all'inimico Ulisse.
Il figlio allor di Talaone in dono
fe' dare al vincitor fregiata pelle
di maculosa tigrea cui l'estreme
unghie da l'oro eran coperte intorno.
Di cretic'arco e cretiche saette
fu Menesteo contento. A Flegia poi
compassionando si rivolse Adrasto:
ed - A te (disse)cui lasciò la sorte
deluso; in dono ecco ti porgo un brando
che del nostro Pelasgo un tempo fue
ornamento e difesae non dispiaccia
l'atto cortese a Ippomedonte invitto.
Ma tempo è omai che gli animi feroci
scendan de' cesti a la crudel contesa
c'hanno più d'armi e di tenzon sembianza
che di giuoco e di scherzo. - Ed ecco in campo
Capaneo sorgee mentre intorno cinge
d'aspro e ruvido cuoioe per lo piombo
livido e nerola robusta mano
ed il braccio non men ruvidi e duri:
- Datemi (grida) fra cotante schiere
un uomo sol che possa starmi a fronte:
ed oh foss'egli de l'aonia gente
onde il mandassi a mortee monda e pura
fosse del civil sangue oggi mia destra. -
Attoniti restaroed il timore
silenzio imposee ognun si trasse indietro:
quando repente appresentossi in campo
Alcidamante; e ne stupiro i Regi.
Ma i suoi Lacon son di fidanza pieni
a' quali è noto com'ei l'arte apprese
dal gran Polluceed indurò le membra
nelle sacre palestre. Il nume istesso
(invaghito di lui) la mano e 'l braccio
gli addestrò a' cestie se lo pose a fronte
e vedendolo star con pari sdegno
se ne compiacquee se lo strinse al petto.
Ma Capaneo lo sdegna e se ne ride
(mentre quegli lo sfida)e n'ha pietade
e un altro chiede. Alfin dal fier Lacone
provocato si fermae gonfia il collo
per molto sdegno. Ambo su' piedi eretti
tengon sospese di ferir in atto
le fulminanti destree i capi indietro
sottraggono a l'offesee con i cesti
si fan riparo contro i colpi e schermo.
L'uno a Tizio è simílse pur tal volta
l'augel lo lasciae da' soggetti campi
le immense membra e le grand'ossa estolle.
L'altro è quasi fanciul; ma in lui la forza
gli anni prevennee molto più promette
nell'età più matura: il circo a prova
in suo favore inclinae vincitore
il bramae teme che 'l crudel nol fera.
Pria si squadrâr cogli occhie stero alquanto
l'un de l'altro aspettando il primo assalto
nè s'affrettaro a le percosse e a l'ira:
ciascuno e spera e temee col consiglio
tempra il furor: solo le braccia in giro
ruotan al vento e fan de' cesti prova.
Alcidamante nel giuocar maestro
non profonde le forzee le conserva
al maggior uopoe l'avvenir paventa.
Ma Capaneo solo a ferire aspira
nulla di sè curantee s'abbandona
tutto col corpoe senza legge od arte
stanca le manie su due piè' si leva
e freme e infuria e fa a se stesso impaccio.
Va guardingo il Laconche tutti apprese
de la sua patria i modied ora i colpi
ribatte ed or gli sfugge; or la cervice
volubil piegae con la man respinge
gli ostili cesti: spesso il passo avanza
e ritira la facciae spesso ancora
(cotanto ha in sè d'esperïenza e d'arte)
a lui sottentra e l'abbarbaglia; ed alto
con forza disugual l'assale e tenta.
Siccome sale impetuoso il flutto
sovr'erto scoglioe rotto indietro torna;
così 'l Lacon quel furibondo espugna.
Alza la destrae dar gli accenna a' fianchi
or lo minaccia a gli occhie mentre accorre
confuso a le difeseei fra le mani
gli passa il cesto e lo percuote in fronte:
n'esce tepido il sangue e riga il volto;
e Capaneo nol senteed ha stupore
del repentino mormorar del circo.
Ma poi che a caso la già stanca mano
si pone al voltoe tinta esser la vede
d'alquante stille e rosseggiarne il cesto
non Massile leone o tigre Ircana
ferita in caccia in maggior rabbia monta.
Segue 'l giovinche cedee 'l preme e 'l caccia
per tutto 'l campoe l'urta e lo sospinge
con tal furorche 'l fa piegar supino:
freme co' denti orribilmentee ruota
ambe le manie 'l vento e l'aria fere
e vanno i colpi a vuoto o sopra i cesti.
Ma con agili moti e col veloce
piede schiva il Lacon ben mille morti
che si vede piombar sovra del capo;
e benchè si ritiriei non oblia
di schermir l'artee non rivolge il tergo
e ribatte fuggendo i colpi ostili.
Eran ambo già stanchie già più lenti
l'un segue e l'altro fuggeed anelanti
non han più fiatoe lor vacilla il piede
ed ambo si fermaro e preser lena.
Così dopo solcato immenso mare
posa la ciurmae tien sospesi i remi:
ma poco sta chè 'l capitan la chiama
col fischio noto a flagellare i flutti.
Tornano a le contesee pur di nuovo
il provido Lacone il tempo aspetta
e pur di nuovo il gran nemico inganna;
e mentre quegli sovra lui si scaglia
colle gran bracciaegli s'inchinae 'l capo
nelle spalle restringee fugge e passa;
quel dal suo peso tratto in giù ruina;
ei tornae mentre si rialzail fere
e del felice colpo ei stesso teme.
Non da' venti percossi o lidi o selve
fanno tanto fragorcome risuona
d'applausi il circo e di festose grida.
Ma quando Adrasto il fier gigante vide
sorgere furibondoalzar le mani
ed aspri minacciar colpi mortali:
- Ite (disse)o compagniiteopponete
le destre al suo furor: ei smania e freme:
affrettateviamicie gli portate
la palma e i premii: ei non avrà mai posa
per fin che 'l capole cervella e l'ossa
non ne franga e confonda: itene pronti
e l'infelice sottraete a morte. -
Rupper gl'indugie Ippomedonte corre
e Tideo secoed ambo insieme uniti
possono appena a lui frenar le mani.
- Hai vinto: basta (or l'unoor l'altro dice):
tua maggior gloria è dar la vita al vinto:
questi è pur nostroed è compagno in guerra. -
Ma non si placa il cuor ferocee sdegna
gli offerti donie colla man respinge
il militare arnesee infuria e grida:
- Io dunque non potrò macchiar di sangue
e di polvere immonda il vago viso
de l'imbelle mezz'uomche piace tanto
e merita il favor del vulgo sciocco?
non deformarne il corpo? ed al sepolcro
mandarlo? o (perchè 'l pianga) al suo Polluce? -
Sì dicee sbuffae d'aver vinto nega;
ma tanto fero i duo guerrierche al fine
pur lo placaro e lo tirâr da parte.
Ma gli Spartan del Nume lor l'alunno
colman d'applausie sorridendoa scherno
prendon del fiero le minacce e i vanti.
Già buona pezza il suon dell'altrui lodi
e la propria virtù stimola e accende
il magnanimo cuor del gran Tideo.
Agil era nel corso e al disco esperto
nè meno forte a guerreggiar co' cesti;
ma nel lottar non avea pari al mondo.
Quest'era il suo piacer: così di Marte
gli ozi ingannavae trattenea lottando
gli spirti bellicosie contro i forti
esercitava l'ire in su le sponde
dell'Achelooond'ei già l'arte apprese
d'essere vincitor nella palestra.
Dunque or che in campo i lottatori adduce
desio di gloriaegli dal tergo spoglia
l'orrido manto e 'l calidonio vello.
Gli vien contro Agileoche va superbo
del sangue Cleoneodi quel d'Alcide;
nè per grandezza egli è minor del padre.
Erge l'ardua cervice e l'ampie spalle
e 'l largo pettoe 'l suo nemico adombra;
ma non è pari a la paterna forza:
ha languide le membrae in tanta mole
diffuso il sangue intorpidisce e manca.
Quindi nasce in Tideo fidanza e speme
di vincerlo al cimentoe bench'ei sia
picciol di moleha muscolose spalle
e forti membra ed indurate in guerra:
non tant'animo maitanto vigore
chiuse natura entro sì picciol corpo.
Poichè fur untis'incontrâr nel mezzo
ambi del circoe si coprîr d'arena
e per fermar le mansu l'altrui membra
gittâr pugni di polvee fermi a fronte
si restrinsero i colli entro le spalle
ed allargaro ed incurvâr le braccia.
Il sagace Tideo chinando il tergo
e le ginocchia a terrail suo nemico
sforza a piegarsie se lo rende eguale.
Come su monte eccelso alto cipresso
re de le pianteflagellato e scosso
dal torbid'Austrola cervice a terra
inclina e piegae da le sue radici
sembra che svelto in giù ruini e cada;
ma più superbo poi risorge in alto:
volontario così le immense membra
piega Agileo gemendoe si raddoppia
sovra il picciol nemicoe l'urta e 'l preme:
e già sono alle preseed a vicenda
premonsi il colloil pettoil dorsoi fianchi
e l'uno a l'altro fa col piede inciampo:
avviticchian le bracciaed or sospesi
tengonsi in altoor sciolgonsi da' nodi.
Non con tanto furor cozzano insieme
due fieri tori conduttor del gregge:
la candida giovenca in mezzo al prato
timida stassi e 'l vincitore aspetta;
squarciansi il petto: amor li sferza e punge;
e amor fa le feriteamor le salda:
pugnan così colle ritorte zanne
due fier cinghialie con i rozzi amplessi
fan ispide battaglie orsi feroci.
Ma tutte ancor mantien le forze intere
l'invincibil Tideocui solnè polve
reser mai stanco; e ruvida ha la pelle
e le membra indurate a la fatica.
Non è l'altro sì forteed anelante
già batte i fianchi e può trar fiato appena:
corre il sudoreed il gran corpo spoglia
de la vestita arenaed ei di furto
dal campo la riprende e sen riveste.
Tideo nol lascia riposare finge
ghermirlo al colloe per le cosce il prende;
ma le picciole mani al gran disegno
non furo egualie suonâr vuote al vento.
Quegli allor su Tideo colla gran mole
tutto s'appoggiae sotto sè l'asconde.
Come colui che là ne' monti Iberi
per sotterranee vie l'oro cercando
penetrae indietro lascia l'aria e 'l giorno;
se sopra lui vacilla il suolo e cade
con gran fragor di subita ruina
oppresso resta deformato e infranto
e rende non al Ciel l'alma sdegnosa.
Ma se cede di corpoa lui sovrasta
Tideo di forza e di valornè teme;
anzi 'l vigor rinfrancae da' suoi nodi
e dal suo peso si sottraggee passa
ed improvviso l'assalisce a tergo
e gli avviticchia e stringe i lombi e 'l petto;
indi 'l ginocchio col ginocchio preme
e mentre quegli si dibatte e tenta
prender Tideo nel fianco (oh meraviglia!)
questi l'alza da terrae tien sospeso
orribile a vederl'immane pondo.
Tale il libico Anteo fra le robuste
braccia sudò d'Alcide; allor che 'l forte
di sua frode s'accorsee 'l tenne in alto
sospesoe di cader tolta ogni speme
non gli lasciò co' piè toccar la madre.
Applaudì 'l campo e rimbombaro i monti.
Allor Tideo lo tien un pezzo in alto
poscia in fianco lo piegae colla mano
lo spingee a terra il fa cader disteso
e sovra luiche giaceegli si gitta
e colla destra la cervicee 'l ventre
colle ginocchia a lui conculca e preme.
Oppresso ei languee se resiste ancora
per vergogna resiste: alfin confitto
colla faccia e col ventre in sul terreno
tardo e dolente indi risorgee lascia
l'impronta vergognosa in su l'arena.
Con una man la vincitrice palma
l'armatura coll'altra alto sostiene
premii del suo valoreil gran Tideo.
Ed- Oh che fora (dice)e ben v'è noto
se l'ostile terren del nostro sangue
tanto in sè non avesseonde nel petto
porto impressa la fe' del rio tiranno? -
Cotal si vantae a' suoi compagni porge
le conquistate spoglie: ebbe Agileo
di negletta lorica un umil dono.
Coll'armi ignude l'epidaurio Agreo
discende in campo e l'esule tebano
al suo destino non maturo ancora
e si sfidan fra loro a far battaglia;
ma lo scettro interpone Adrastoe 'l vieta:
- Non mancherannoo giovani feroci
(dice)l'occasïon d'oneste morti.
A miglior tempo riserbate l'ire
ed il desio dell'inimico sangue.
E tuper cui lasciammo in abbandono
i patrii campie desolate e vuote
le dilette cittadianzi le pugne
non provocar la sortee gli empii voti
(così li rendan vani i numi eterni)
non prevenir del tuo fratello iniquo. -
Dicee un elmo dorato ad ambi dona.
Indi per far che senza onor non resti
il genero tebanoil crin gli cinge
di regal sertoe a tutto il campo in faccia
il fa gridare vincitor di Tebe.
Ma gli augurii deluse il crudel Fato.
Finiti i giuochii principi lernei
stanno intorno ad Adrastoacciò che degni
di qualche colpo le festive pugne
e quest'onore al funerale aggiunga.
E perchè un sol trionfo a un sol de' duci
non manchiil pregan che le nubi fenda
lanciando l'asta in altoo che da l'arco
scocchi gli strali ad un prefisso segno.
Lieto ei consentee dal suo verde trono
scende cinto da' proceri e da' Regi
e da la scelta gioventù del campo:
portagli dietro l'arco e la faretra
il suo fido scudieroed ei bersaglio
sceglie a le sue saette un orno antico
che in fondo sorge de l'opposto circo.
Chi negherà che da cagioni occulte
vengan gli augurii? Manifesti e chiari
mostransi i fati. Sia pigrezza o sonno
l'uom non gli osservae quindi avvien che pera
de l'avvenir la fede e i certi segni:
tutto si dona al casoe la fortuna
maggior possanza a' danni nostri acquista.
Il campo varca la fatal saetta
e l'orno toccae ripercossa indietro
(orribil vista) per le stesse vie
per l'aure stessein cui passòrivola
e a la faretra sua cade vicina.
Lo strano caso in molti errori involse
i Greci duci: altri a le nebbieed altri
n'assegnâr la cagione a' venti opposti;
altri a la dura scorzaonde quell'orno
fu al colpo impenetrabile e 'l respinse.
Nessuno accertae resta a tutti ignoto
il grand'evento e il mostrüoso arcano
che volea dir: che di cotanti duci
Adrasto solo tornerebbe in Argo
con infelice e tragico ritorno.

































LIBRO SETTIMO

L'ASSEDIO DI TEBE.
LA MORTE DI ANFIARAO.

Mentre in tal guisa a vani giuochi intenti
tardano i Greci a cominciar la guerra
mirolli Giove con turbato ciglio
e crollò il capo: al di cui moto scosse
treman le sferee si querela Atlante
che sovra 'l dorso suo s'aggravi il pondo.
Mercurio chiamae: - Fendi (dice) e vola
per mezzo l'Aquilone a' tracii lidi
e de l'Astro nevoso al freddo Polo
là dove l'Orsaa cui vietato e tolto
è l'Oceànola sua stella pasce
de le invernali piogge e de' miei nembi:
ivio deposta l'asta e il fiero brando
Marte riposa (ancor ch'ei l'ozio aborra)
oqual io pensofra le trombe e l'armi
insazïabil gode e lussureggia
del popolo diletto in mezzo al sangue:
tu pronto il trovae l'ammonisci e l'ira
del genitor gli fa palesee nulla
a lui tacer de' miei sovrani imperii.
Io gli commisi pur che a guerre e a risse
tutte accendesse le falangi argive
e quanto l'Istmo parte e quanto abbraccia
Malea latrando co' suoi rauchi flutti
ed or usciti da la patria appena
si stanno i Greci a' sacrifici intorno:
sembra che riedan vincitori in Argo
in tanti applausi van perdutie offesi
l'aspra ingiuria crudel posta in oblio
fan lieti giuochi d'un fanciullo all'ombra.
Tal dunqueMarteè il tuo furor? I dischi
stridon per l'aria e cogli ebalii cesti
si fan le pugne; ma se in lui s'accenda
l'innata rabbia ed il crudel diletto
di stragi e mortionde si pasce: al piano
farà cader in ceneri e faville
le innocenti cittadie furibondo
ferro e fuoco portandointere intere
struggerà le nazioniallor che a noi
più fanno votie desolato e vano
renderà il mondo. Ed or che 'l nostro sdegno
lo chiama a l'armiè mansueto e lento.
Che s'egli non s'affrettae se non spinge
tosto le greche schiere a' tirii muri
(non minaccio rigori) egli pur sia
placido Numee 'l genio suo crudele
nell'ozio illanguidisca: il brando scinga
e i cavalli mi rendae nelle guerre
più non abbia ragion. Con lieto aspetto
guarderò il mondoe spanderò la pace
sopra la terrae la tebana impresa
condurrà a fine la Tritonia Dea. -
Tacquee Cillenio a' traci campi scese;
ma nell'entrar de l'Iperboree porte
procelle eterne e di quel polo algente
i folti nembi e d'Aquilone i fiati
lo rivolsero in giro: il manto suona
da grandine percossoe 'l capo appena
gli difende l'arcadico cimiero.
Mirae non senza orrorl'erme foreste
che son del fiero Nume albergo e tempio
u' da mille furori intorno cinta
incontro a l'Emo la feroce reggia
al ciel s'inalza: son di ferro armati
gli angoli de le murae son d'acciaio
le porte e le colonne che sostengono
del tetto di metallo il grave incarco:
la gran lampa Febeache vi riflette
offesa restae spaventata fugge
la lucee lo splendor pallido e tristo
che n'escein ciel fa impallidir le stelle.
Stanza degna del luogo: in su le soglie
scherza l'Impeto insano e 'l reo Delitto
e l'Ire rubicondeed il Timore
pallidoesangue; e con occulte spade
vi son le Insidiee la Discordia pazza
che tiene armata l'una e l'altra mano.
Suona la reggia di minaccee stassi
nel mezzo la Virtù mesta e dolente
ed il Furor allegroe armata siede
fra lor la Morte con sanguigno volto.
Null'altro sangue su gli altari fuma
che sangue in guerra sparsoe non s'adopra
altro fuoco che quel che vien rapito
dalle cittadi in cenere consunte.
Pendon spoglie e trofei del mondo vinto
tutti a l'intornoe ne' sublimi palchi
stanno i cattivi; orribilmente sculte
stridon le ferree portee vi si scorgono
navi guerriere e vuoti carri e i volti
sotto le ruote deformati e infranti
e poco men che i gemiti e i lamenti:
cotanto al vivo le ferite e gli atti
vi sono espressi. In ogni luogo vedi
Martema non mai placido in sembianza:
tal lo fece Vulcanche non ancora
l'adultero scoperto a' rai del sole
incatenato avea nel letto impuro.
Non avea appena a ricercar del Nume
dato principio il messaggero alato:
ed ecco il suol tremaree muggir l'Ebro
frangendo i fluttie 'l bellicoso armento
che le valli pasceadi nuove spume
tutte smaltar le tremolanti erbette
(segno che il Nume giunge)e spalancarsi
le porte d'infrangibile adamante.
Egli sen vien sul ferreo carro adorno
d'ircano sangueche grondando a' campi
muta l'aspettoed ha le spoglie a tergo
e de' cattivi le piangenti turme.
S'aprono l'alte nevie le boscaglie
dan luogoovunque passae con sanguigna
mano Bellona i destrier regge e 'l carro
e con lung'asta li flagella e punge.
Inorridissi a sì terribil vista
di Cillenio la prolee chinò 'l volto:
lo stesso padrese in sì fier sembiante
scorto l'avesseriverenza e tema
n'avria sentitoe le minacce e l'ire
avria frenate e 'l suo crudel comando.
Marte parlò primiero: - Or qual mi porti
di Giove impero o di lassù novella
fratel? Perch'io so ben che tu non scendi
di tuo voler in questo Polo algente
e fra gli orrori de le nostre nevi:
a te i Menali ombrosi umidi boschi
giovanoe del Liceo l'aura più mite. -
Quegli di Giove il gran comando espone.
Nè Marte indugia; ma i destrier rivolge
ansanti e mollied egli stesso ha in ira
le dimore de' Greci. Il vide Giove
da l'alto soglioe mitigò lo sdegno
e gravemente torse altrove il guardo.
Così qualor Affrico cessae 'l mare
in pace lasciaprocellosa e incerta
sorge la calmae l'ondache si spiana
la tempesta mancante agita ancora:
ancor tutti non son del legno afflitto
raddrizzati gli arnesie non respira
l'affannato nocchier da tutto il petto.
Dato avean fine a le battaglie inermi
e a' funeralie al busto spento intorno
stavano i Greci: e già ciascun tacendo
versava Adrasto il vinoe 'l cener freddo
d'Archemoro placava in questi sensi:
- Dannesacro fanciulle triennali
tue feste rinnovar per molti lustri:
che più non pregherà gli arcadi altari
Pelope tronconè con mano eburna
batterà i tempî eleinè il fier Pitone
curerà i pizii giuochie non più a nuoto
verrà l'ombra al pinifero Lecheo.
Noi frettolosa turba al mesto Averno
or t'involiamoe ti doniamo a gli astri
co' sacrifici. Ma se abbatter Tebe
per te ne sarà datoallor sublime
t'ergerem tempioallor ci sarai Nume;
nè sol t'adoreran d'Inaco i regni
ma la pingue Beozia e Tebe vinta. -
Così per tutti Adrastoe nell'interno
approvava ciascuno il regio voto.
Ma già scendea co' rapidi destrieri
Marte a' lidi efireilà dove estolle
Acrocorinto il capo e tutti adombra
i due mari divisie di sua schiera
sceglie il Terrore e lo spedisce al campo.
Non v'è 'l più destro a insinuar ne' petti
la sollecita temao chi più 'l falso
col vero adombri: innumerabil mani
ha 'l fiero mostroinnumerabil voci
e qual più gli convienprende sembianza;
a lui tutto si credee pon sossopra
e in furia le cittadie s'egli afferma
il terreno ondeggiarsplender due Soli
le stelle ruinareandar le selve
il fantastico vulgo e gl'infelici
giureran di vederlo. Ed or che 'l Nume
a tant'uopo lo sceglieegli raddoppia
l'arte e l'ingegno. Da l'erculea valle
alza turbo di polvee sbigottiti
lo mirano da l'alto i duci argivi.
Indi accresce il terrore un rumor vano
imita e finge di cavalli e d'armi
e d'urli orrendi l'aria intorno assorda.
Restan sospesi i Grecie mormorando
fremon le turme: - Qual fragor? Qual suono?
Noi pur l'udiamo. Quale immensa nube
il cielo involve? Sarian mai le schiere
de l'oste ismena? Ah certo sono. E tanto
Tebe presume? e non paventa? Or stiamo
stiamo a perdere il tempo intorno a' roghi. -
Tai sensi ispira alle confuse menti
il fallace Timoreed or l'aspetto
d'un guerriero pisanor d'un eleo
or d'un lacon ei prendee giura e afferma
che 'l nemico è vicinoe un van terrore
sparge per tutto il campoe lo perturba.
Ma poi che all'alme inferocite il Nume
il Nume istesso sopraggiunse involto
in un turbin di polvee che tre volte
l'asta crollòtre volte al corso spinse
i feroci cavallied altrettante
percosso al petto fe' suonar lo scudo:
- A l'armia l'armi - furïosi e insani
gridan per tutto: ognun l'armi rapisce
chi le suechi le ignotee chi 'l cimiero
cambiachi l'astae chi i non suoi destrieri
al carro accoppia; in ogni petto bolle
desio di stragi e mortie nulla frena
più il lor furor: precipitosi vanno
e compensan gl'indugi. In cotal guisa
al cominciar del vento il lido suona
di strepito e tumultoallor che 'l porto
lascia la navee dà le vele al vento
e accomoda le sarte. I salsi flutti
già flagellano i remie di già a galla
vengon l'ancore curvee già l'amata
spiaggia d'alto si mirae quei che a tergo
cari pegni restârconsorti e figli.
Vide Bacco partir le squadre argive
rapidamente accelerando il corso
e lagrimando a la materna Tebe
gli occhi rivolse e al suo natale albergo
e ricordossi il fulmine paterno.
Turbato abbassa il rubicondo viso
ed il crine scomponmentre ne strappa
il sertoe mentre da le corna l'uve
e 'l tirso da le man cader si lascia.
Indi 'l manto discinto e lagrimoso
sen corre a Gioveche in rimota parte
stava del cieloin tal sembiante e mesto
che tale unquanco non fu pria veduto
(e ben sa 'l padre a che ne venga): allora
supplichevole a lui così favella:
- Dunqueo buon genitor de' sommi Dei
la tua Tebe distruggi? A cotant'ira
giunge la tua consorte? E non ti muove
la terra a te sì carae l'ingannata
casae de' miei il cenere sepolto?
Siasi che già tu involontario fuoco
da le nubi scagliasti: ed or di nuovo
perchè la terra accendi? Il giuramento
già non ti sforza dell'inferna gora
nè de l'amata le preghiere e l'arti.
E quando avran mai fine i tuoi rigori?
Dunque a noi soli il fulmine riserbi
irato padre? ma non già sì fiero
scendi di Danae a' tettie a' boschi amici
d'Arcadiae al letto dell'amata Leda.
Dunque fra tanti figli abietto e vile
io sol ti sembro? E pur gradito peso
ti fui già un tempoe pur a me rendesti
la vita e l'alvo ed i materni mesi.
Arroge a ciòche i miei Teban non sanno
altr'armi maneggiar che l'armi nostre:
cinger di frondi il crinee al suon de' bossi
invasati danzare de le spose
temere i tirsi e de le fiere madri.
Come potran le trombe e 'l suon de l'armi
timidi sostener? Ecco rimira
con qual furor vien Martee forse adduce
i tuoi Cureti in guerra? O ci propone
pugne innocenti di quadrati scudi?
Ahi che incontro ne spingi Argo odïosa.
Forse mancan nemici? O duro impero
più de' perigli ancor! Alla matrigna
darem le nostre spoglie ed a Micene.
Che se pur tale è 'l tuo volereio cedo.
Ma dove poi de la mia gente estinta
porterò 'l culto e (se vi son) gli avanzi
de l'infelice mal feconda madre?
Forse fra' Traci? O di Licurgo a' boschi?
O a gl'Indi soggiogati andrò cattivo?
Se profugo mi vuoidammi una sede.
Poteo fermar (nè già l'invidio) Apollo
Delo materna ne l'Egeo profondo:
potè Minerva da l'amata rocca
respinger l'acque; e con quest'occhi io vidi
Epafo dominar ne' regni Eoi;
e Mercurio e Minosse in dolce pace
godon Cillene e Creta. I nostri altari
hai solo in odio. Ma se noi men grati
ti siamTebe rimira: ivi godesti
l'erculee nottie di Nitteo la figlia
ivi t'accese di soave fiamma:
quivi è il seme di Tiroe del mio fuoco
il toro più felice. Almen ti prenda
del sangue d'Agenor qualche pietade. -
Sorrise Giove a quel parlare 'l figlio
che già prostrato a lui tendea le mani
sollevò al bacioe placido rispose:
- Non è Giunoncome tu pensio figlio
che dia impulso al furor; negar saprei
le atroci imprese a la consorte ancora
qualor le richiedesse: il giro eterno
mi trasporta de' Fatie antiche sono
le cause de la guerra. In ciel qual mai
trovi di me più mansüeto Nume?
Chi ha più in orror l'umano sangue? Il vede
pur questo Polo e questa immobil reggia
che sarà meco eterna. O quanteo quante
volte ho deposto il fulmine già pronto!
Come di rado su la terra il vibro!
Nè già di mio voler io diedi in preda
a Dïana ed a Marte a torto offesi
e gravementei Lapiti feroci
e i Calidonii antichi. È mia fatica
tanti corpi formarmutar tant'alme.
Ma di Labdaco e Pelope i nipoti
troppo ho tardato a svellere dal mondo.
Quanto sien pronti ad oltraggiare i Numi
i tuoi Tebani (restin or da parte
i Dorici delitti) è a te ben noto
che anche offeser te stessoe pur si taccia
giacchè placossi in noi l'antico sdegno.
Penteo però le scelerate mani
non avea tinte del paterno sangue
nè compressa la madree a sè i fratelli
procreato nel talamo nefando
e pur fra gli orgii tuoi lacero cadde.
Ove i tuoi pianti allor? Ove le preci?
Nè già destino al mio privato sdegno
l'empia stirpe d'Edippo: a me la chiede
la terrail cielola pietàla fede
offesala naturae 'l fier costume
de l'empie Furie. Tu per or la tema
deponio figlio: il fatal giorno ancora
non è giunto per Tebe; a più funesta
età la serbo e a vindice maggiore:
or tutto di Giunon sarà l'affanno. -
Bacco a tal dire il manto e 'l cor riprese.
Così talora in bel giardin le rose
se 'l fosco Sol le adugge e 'l torbid'Austro
pallide stanno; ma se i dolci fiati
spira Favonio e rasserena il cielo
ritornan bellee i lor novelli germi
ridon d'intornoe si fan verdi i rami.
Ma del tiranno a l'atterrite orecchie
gli esploratori aveano esposto intanto
che vien l'oste nemica a lunghe schiere
e ch'è già su' confin: che ovunque passa
treman le gentied han pietà di Tebe:
narran le nazïonii duci e l'armi.
Il Re cela il timoree più ricerca
ed ha in odio chi 'l narra: alfin risolve
d'animar le sue squadre e farne mostra.
Tutta l'Aonia avea commossa a l'armi
Martee l'Eubea e Focide vicina.
Tal di Giove è 'l piacer: scorre per tutto
il segno militare in un momento
armate escon le squadree vanno al campo
alla città soggettoa cui serbate
son le battaglie e i gran furori aspetta.
Non hanno ancora gl'inimici intorno:
e purtimida turbail sesso imbelle
su' muri corree a' pargoletti figli
mostran l'armi lucentie sotto gli elmi
additan loro i genitori ascosi.
Stavasi sola sovra eccelsa torre
di nero vel coperto il molle viso
Antigonenon anco a l'altrui sguardo
concessae seco solo iva Forbante
già scudiero di Laio: il venerando
vecchio onora la vergine reale
e prima a lui favella: - Abbiam noi speme
padreche queste insegne abbian possanza
per resistere a' Greci? A noi la fama
porta che contro noi vengono in guerra
tutti i regni di Pelope. Or ti prego
mostrami i duci e le straniere squadre
chè i nostri ben ravvisoe quali insegne
Meneceo portie di qual armi adorno
splenda Creontee per la ferrea Sfinge
superbo Emoncome se n'esca altero
per l'Emoloida porta. - Ella sì dice
semplicementee a lei risponde il veglio:
- Mille Driante sagittari in guerra
da' freddi colli di Tanagra adduce:
egli ha il tridente in bianco scudo impresso
ed aspro d'oro il fulmine trisulco;
del gigante Orïon degno nipote
per sua virtù: deh stia da lui pur lungi
il destino del padree l'ira antica
la vergine Dïana in tutto oblii.
Seguono le sue insegne e fangli omaggio
Medeone ed Occaleae la selvosa
Nisae Tisbeche al suon delle colombe
care a Ciprignamormora d'intorno.
Questiche porta in man le rusticali
armi paterneè detto Eurimedonte
figlio di Faunoed ha su l'elmo un pino
che di destrier cadendo imita il crine:
quanto ardito fin qui fu nelle selve
tanto sarà nelle sanguigne pugne:
lo segue Eritre d'ampie greggi ricca
e de l'arduo Scolon gli abitatori
e quelli d'Eteonon cinti d'intorno
d'alte scoscese rupie quei che d'Ile
stan fra gli angusti lidie quei che in Scheno
superbi van per Atalantae i campi
onoran dove ella più volte corse:
armati di macedoni zagaglie
vengono in guerra e di quadrati scudi
che mal ponno coprir da' colpi il petto.
Quelli d'Onchestoche a Nettun son cari
ecco scendon nel campo a gran fracasso
e i Micalessi fertili di pini
e quei che 'l Mela ed il Gargafio rio
irroraa Palla sacri ed a Dïana
e gli Aliartiche le nuove messi
invidian de' vicinie con dolore
miran le loro dal rigoglio oppresse:
portan tronchi per astee per cimiero
i capi de' leonie son le targhe
di sovero leggeree di costoro
duce è 'l nostro Anfïon: ben lo ravvisi
vergineal plettro che su l'elmo porta
e al toro avito nello scudo impresso.
Generoso garzon! ei si prepara
gir per mezzo le spadee 'l petto ignudo
esporre in guardia de l'amate mura.
Voi d'Elicona pur turbe venite
a soccorrer nostr'armi; e tuo Permesso
e tu felice pe i canori flutti
Ormionon usi a le battaglie i vostri
popoli armate: or tu li sentio figlia
venir cantando i patrii carmiappunto
di cigniin guisache al partir del verno
del sereno Strimon lascian le sponde.
Itene pur felici: i vostri fasti
vivranno sempree saran fatti eterni
dal dolce canto de le caste Muse. -
Eglicosì dicea; ma l'interruppe
la vergine: - E chi son quei due fratelli
che van sì uniti? di qual stirpe? Oh come
sono simili all'armioh come eguali
svolazzano le creste in cima agli elmi!
Deh fosse tal concordia anche fra' nostri! -
Cui sorridendo il veglio: - In questo errore
tu la primieraAntigonenon sei:
altri ingannati da l'età germani
gli hanno credutie pur son padre e figlio;
ma confusero gli anni; or tu m'ascolta:
Lapitonia Dircea ninfa lasciva
del primo s'invaghìche giovinetto
era e inesperto e a' talami immaturo;
e tanto fece con lusinghe e vezzi
che seco si congiunse e n'ebbe un figlio
il vezzoso Alatreoche 'l genitore
nella primiera gioventù somiglia
al voltoe insieme hanno l'età confusa.
Or del nome fraternoancor che finto
hanno piacere del comune inganno;
ma vie più gode il genitorcui giova
sperar compagno in sua vecchiezza il figlio.
Trecento in guerra cavalieri eletti
il figlio menaed altrettanti il padre;
se il ver narra la famaa noi li manda
Glisanta angusta e Coronea ferace:
è ricca l'una d'ubertose viti
e l'altra pingue di copiose messi.
Ma qua rivolgi il guardoe Ipseo rimira
che i suoi quattro corsieri e 'l carro adombra.
Colla sinistra man di sette cuoia
di toro cinto alto sostien lo scudo.
Copre il gran petto d'interzata maglia
e da tergo non teme. Un'asta impugna
che fu onor de le selvee che vibrata
penetra l'armie va per l'armi a' petti
nè mai lanciolla il cavaliere in fallo:
generollo il rapace Asopoe degno
padre d'un tanto figlio allor si mostra
cherotti i ponti e gli arginisonoro
sen corre al maree le campagne inonda;
o quando a vendicar l'offesa figlia
turgidi alzò contro le stelle i flutti
e sdegnò aver per genero il Tonante.
Poichè rapita al patrio fiume Egina
fra gli amplessi di Giove ascosa giacque
sdegnossi il fiumee mosse guerra al cielo.
(Non era in quell'età lecito a' numi
contaminar le vergini innocenti).
S'alza sovra se stesso a la vendetta
e spinge l'onde in altoe benchè privo
d'ogni soccorsopur combatte solo;
ma dal fulmin percosso oppresso giacque;
gode il fiume orgoglioso in su le sponde
vedere ancor le ceneri celesti
e va superbo de l'avuta pena
contra il cielo esalando etnei vapori.
Tale vedremo Ipseo ne' cadmei campi
se pur Egina a lui placò il Tonante.
Seguono il suo stendardo Itonee a Palla
Alalcomene sacrae Mide ed Arne:
quei che in Aulida e in Grea spargono i semi
e la verde Platea doman co' solchi;
e Peteonee quei che 'l nostro Euripo
con eterne tempeste intorno scorre
e tuAntedone estrema: ove dal lido
umiderboso ne' bramosi flutti
si lanciò Glaucoe già ceruleo il crine
fatto e le goteinorridì in mirarsi
dal mezzo in giuso trasformato in pesce.
Ruotan le frombee con piombati globi
fendon i ventie lancian le zagaglie
veloci più di cretiche saette.
Tu purCefisso a noi mandato avresti
il tuo Narciso; ma ne' tespii campi
langue il giovin ferocee con sue linfe
lo sconsolato padre il fior ne irrora.
Chi le schiere di Febo e de l'antica
Focida potrà mai narrarti a pieno?
DaulidaCiparisso e Panopea
e Lambadia vallosae sopra un scoglio
Hiampoli fondatae quei che manda
l'uno e l'altro Parnassoe quei che Cirra
hanno per stanzae Anemoro pendente
e di Coricia i boschie di Cefisso
Lilea che preme la gelata fonte;
là 've solea Piton l'immensa sete
portandoil fiume divertir dal mare.
Mira come ciascun su l'elmo ha il lauro
e portan nello scudo o Tizio o Delo
o le faretre che votò sovente
Febofacendo innumerabil strage.
Ifito è il duce loroa cui poc'anzi
Naubolo padred'Hipaso disceso
rapì la morte. Nauboloo buon Laio
un tempo tuo fedel ospite e auriga
che guidava il tuo carro il giorno acerbo
in cui cadesti indegnamente esangue
de' tuoi destrier tra le ferrate zampe.
Deh foss'io pur teco rimaso estinto! -
Qui impallidì Forbantee da' singulti
gli fur tronchi gli accenti. Il freddo veglio
si stringe allor la verginella al seno
e lo consola. Ei con tremante voce
ripigliae segue: - O Antigoneo mia sola
illustre cura ed ultimo piacere
per cui di gire alle ciech'ombre io tardo
e mi serbo a veder forse le avite
stragi e le stesse sceleranze antiche
tanto che te consegni intatta e pura
a legittime nozze: ah presto sia!
ed Atropo il mio fil tronchi dal fuso.
Ma mentre il tempo io perdoo quanti veggio
duci trascorsi! e Ctonio tacqui e i figli
d'Abantea cui scendon le chiome a tergo;
non Caristo pietrosa a te mostrai
non Ega umíle e Cafarea sublime;
e già stanca la vista agli occhi nega
discerner gli altrie già son tutti fermi
e 'l tuo fratello a lor silenzio indice. -
Avea finito il suo parlare appena
da la torre Forbanteallor che d'alto
in cotal guisa favellò il tiranno:
- O magnanimi Regial cui comando
io duce vostro d'ubbidir non sdegno
e privato guerrier difender Tebe;
già non imprendo a' generosi cuori
aggiunger sproni: volontari a l'armi
correstee volontari a me giuraste
i giusti sdegni e le magnanim'ire.
Nè men poss'io rendervi grazie o lodi
al benefizio eguali: a voi mercede
daranno i Numi e vostre destre invitte
debellati i nemici. Una vicina
ed amica città voi difendete
contro di cui non da lontani climi
viene il nemicoo in altra terra nato;
ma un nostro cittadino a' nostri danni
muove e conduce esercito straniero:
e pure ha qui fra noi ne' nostri muri
la madreil padre e le sorelle afflitte.
Anche un fratel tu avevi: or mirainiquo
tu che a gli avi minacci e stragi e morte
tutta l'Aonia in mio favor s'è mossa
nè sono al tuo furor lasciato solo.
Sai tu che voglion queste squadre? Il regno
vogliono ch'io ti neghi; - e qui si tacque.
Indi gli ordin disponee chi le mura
difender debbae chi pugnare in campo
quai schiere in fronte e quali por nel centro.
Così qualor nel rusticale albergo
l'alba penétra e ancor son l'erbe molli
apre le chiuse stalle il buon pastore
e fuor ne tragge il gregge: escono i primi
i robusti montonie insiem ristrette
seguon le pecorelle; egli con mano
sostien le pregne e le pendenti poppe
e pone al latte le cadenti agnelle.
Vengono intanto senz'aver mai posa
nè dìnè notte furibondi i Greci
spinti da l'ira: appena il cibo o il sonno
li tarda alquantoe van con quella fretta
l'inimico a cercar ch'altri lo fugge;
nè li arrestan gli augurii e i tristi segni
che la sorte presaga a lor dimostra
molti e funesti messagger di morte.
Perchè di lor sciagura annunzio certo
diedero augelli e fiereed astrie fiumi
indietro volti; tuonò Giove irato
strisciaro infesti lampi; orribil voci
da' sotterranei usciroe i chiusi tempii
volontari s'aprîr de' numi eterni;
or piovve sangueor pietreed improvvise
apparver ombreed a' nipoti e a' figli
flebili si mostraro i padri e gli avi;
gli oracoli febei Cirra allor tacque
e la notturna Eleusi in non usati
tempi urlar si sentì; Sparta presaga
aprendo il tempiogli amiclei fratelli
(o sceleranza!) pugnar vide insieme:
gli Arcadi udiro infra gli orror notturni
Licaone latrarcorrer di nuovo
Enomao vider nell'infame campo
attoniti i Pisanie quei d'Acarne
scorsero l'Acheloo dell'altro corno
scemo e deforme; di Perseo l'immago
mesta vide Micenee di Giunone
turbato il simulacroe mercè chiese:
udîr gli agricoltori il procelloso
Inaco dar muggiti: ambedue i mari
udîr suonar di Palemone a' pianti
gli sbigottiti abitator dell'Istmo.
Tali avvisi de' Numi ode e non cura
la pelasga falangee 'l furor cieco
di timore la spoglia e di consiglio.
Erano giunti di Beozia a' fiumi
e dell'altero Asopo in su le sponde
e non ardiano il periglioso guado
tentar le schiere del nemico flutto.
Perocchè allor con ridondante piena
facea terrore a' campio la piovosa
Iride a lui le forze accrebbe o i nembi
alpestrio che pur tal fosse sua mente
del terreno natio chiudere il varco
al campo ostile. Ippomedonte allora
il destriero restio spinse d'un salto
nel fiumee dietro si tirò la sponda
e in mezzo a' gorghi alto tenendo il freno
e l'armivolto a gli altri duci grida:
- Or me seguiteo valorosi; io scorta
primo sarovvi a le nemiche mura
io primo a Tebe spezzerò le porte. -
Tutti lanciârsi allor nell'onde a gara
vergognando gli estremi. In cotal guisa
se dal pastor guidato a fiume ignoto
giunge l'armentotimido s'arretra:
lontana pargli la contraria ripa
ed in mezzo ha 'l terror; ma se precede
il toro condottiero e 'l guado tenta
allor facile il saltoallor vicino
il lidoallor più mite l'onda appare.
Vider non lungi un rilevato colle
cinto da' campiove spiegar le tende
potean sicuri i capitani argivi
e donde si scoprian le torri ostili
tutte d'intorno e le tebane mura.
Piacque la sede ed il fedel ricetto
perocchè il monte dolcemente sale
e signoreggia il pianoe non lo copre
altro monte vicinoe non fa d'uopo
di gran sudore a metterlo in difesa;
forte natura il fe': le rupi in vallo
ergeansie in fossi era cavato il piano
e quattro sassi gli cingeano i fianchi
fatti dal caso di bastioni in guisa;
il rimanente terminâr le schiere
finchè il sol cadde e diè riposo all'opre.
Ma chi 'l terror può mai ridir di Tebe
città che attende gli ultimi perigli
cui turba l'atra notte e 'l dì vicino!
Corrono per le murae in quel terrore
nulla lor sembra esser sicuro assai;
nè fidan più nelle anfionie rocche.
Ferve il tumultoed il timore accresce
degl'inimici il numero e il valore:
veggonsi a fronte i padiglioni ostili
e splender su' lor monti estrani fuochi:
chi a' tempii corre e a' Numie chi le spade
e i dardi affinae de' destrier fa prova:
altri si stringe al sen la moglie e i figli
e chiede lor l'estreme esequie e 'l rogo:
se alcun le luci in momentaneo sonno
chiudein sogno guerreggia; or la dimora
lor sembra avanzoor han la vita a schivo
ed odian l'ombre ed han timor del giorno.
Scorre per ambo i campi ebbra e baccante
Tesifoneed ha in man gemino serpe:
mostra un fratello all'altroe ad ambi il padre.
E questi urlando da sue oscure grotte
le Furie invoca e ridomanda il lume.
Di già ecclissato avea l'umido corno
l'algente lunae già sparian le stelle
a lo spuntar della novella luce
e bollia l'Oceàno al nuovo fuoco
del vicin Solee quanto vasto è il mare
a' rai cedendo de' destrieri ardenti
spianava i flutti e rosseggiava intorno:
ed ecco uscir da le tebane porte
Giocastail guardo torvae 'l bianco crine
sparsa e incompostae pallida le gote
e livida di colpi i bracci e 'l petto
quasi Furia antichissima d'inferno
portando in man cinto di nera benda
un ramuscel d'olivae accompagnata
da la gran maestà di sue sciagure.
Le due figliepiù quieto e miglior sesso
le fan di quadi là debil sostegno
mentr'ella sforza le senili membra
e sopra il suo potere i passi affretta.
Giunta a' nemiciurta col petto ignuda
le sbarree chiede con tremante voce
interrotta da gli urli essere ammessa;
e- Aprite (grida) il varcoio quella sono
dal cui ventre tanta guerra uscío:
io son quell'empiaed ho nel vostro campo
anch'io ragione ed esecrabil parte. -
Inorridîr le guardie al solo aspetto
molto più a le parolee di già un messo
tornache fu spedito al Rege Adrasto
con ordine che venga: apron le porte
e la fanno passar tra l'armi ignude.
Ma come pria de' principi lernei
giunse al cospettoin suo dolor feroce
furïosa gridò: - Deh chi mi mostra
quel ch'io mi partorii fiero nemico?
Qual elmo il celao principi? - A tal voce
corre di Cadmo il figlioe fra le braccia
l'accogliee 'l seno di gioioso pianto
le bagnae la consolae- O madreo madre-
tra' singulti ripete; e le sorelle
alternamente or si restringe al seno
or alla madre torna. Allor fra' pianti
la fiera vecchia vie più l'ira inaspra.
- Che lagrimeo crudel? Quai nomi fingi
Argivo Re? Perchè m'abbraccie offendi
col ferreo petto l'odïosa madre?
Tu quell'esule sei? Tu quel meschino
che mendicava albergo? E chi pietade
non avrebbe di te? Lassa! ma quante
schiere da' cenni tuoi pender vegg'io?
Da quante guardie ti rimiro cinto?
Misere madri! or qual ti veggio? E pure
io piangeva il tuo esilio i dì e le notti.
Ma se de' tuoi la voce udir ti degni
se ne ascolti i consiglior che le trombe
taccion ancorae la pietà sospesa
sta in mezzo a l'armi e l'empia guerra aborre
iogenitrice tua prego e comando:
vien mecoe i Dei paterni e i patrii tetti
mira pria che gl'incendae col fratello
(chetorci il guardo?)col fratel ragiona
ed il regno gli chiedied io fra voi
giudice sederò: che se lo nega
potrai con più ragione usare il brando.
Temi tu forse che la madre ancora
a le frodi consenta e che t'inganni?
Non uscì già da l'infelice casa
ogni pietade: il tuo sospetto appena
giusto saria se ti guidasse Edippo.
Sposa fuilo confessoe le mie nozze
ahimè fur empiee fu nefando il parto;
pur tali io v'amoe i furor vostri io scuso;
che se ancor tu resistiecco io t'appresto
volontario trionfo: a tergo lega
le pie sorelleed incatena e stringi
la genitrice afflitta; e se non basta
da le sue grotte ti si meni il padre.
Or i miei pianti e le querele io volgo
a voiprincipi achivi. In abbandono
lasciaste pur le dolci spose e i figli
e i vecchi padrie questi stessi pianti
ch'io spargoallor versaste. A me rendete
principile mie viscere e 'l mio sangue.
Se tanto caro nel suo breve esilio
a voi si rese (e siavi prego ancora)
quale a me sarà poscia e a questo seno?
Non dagli Odrisii regi o dagl'Ircani
sariano escluse mie preghiere oneste;
o s'altri v'hache vinca i furor nostri:
o 'l concedeteo ducio fra le braccia
spirar io voglio de l'ingrato figlio
pria di veder le scelerate guerre. -
Il flebile parlar mosse a pietade
avea le irate schieree già d'intorno
si vedean vacillar elmi e cimieri
e di lagrime pie l'armi cosperse.
Quai feroci leon che con il petto
hanno atterrati i cacciatori e l'aste:
placano l'irae sopra i corpi vinti
van passeggiandoe certi già del cibo
godon di prolungar l'ingorda fame:
Così ne' Greci s'ammolliano i cuori
e l'insano furor d'armi e di morte
e Polinice stesso ora fra i baci
de la canuta madreor fra gli amplessi
de la semplice Ismeneed or nel seno
d'Antigone piangente e che lo prega
sta in sè dubbio e confusoe 'l regno oblia.
Già già d'andar non negae non gliel vieta
placido Adrasto; ma s'oppon Tideo
che si rimembra il ricevuto scorno.
- Me (grida)me piuttosto al fier tiranno
che sì fido provaiprenciopponete
(e non gli era fratello)ancor ne porto
la finta pace e l'empia fe' nel petto.
Arbitra della fede e della pace
ov'erimadre allor ch'una sol notte
mi diè fra voi così benigno albergo?
Ad un sì reo commercio il figlio meni?
Menalo prima a quell'infame campo
che fuma ancor del vostro sangue e mio.
E tu indur vi ti lasci? O troppo mite!
Qual sia il furor de' tuoi più non rimembri?
Quando sarai da mille spade cinto
basterà forse che la madre pianga
e cesseranno l'armi? Una sol volta
ch'ei t'abbia in suo potere che ti chiuda
in quelle mura a le sue furie esposto
puoi tu sperar che ti rimandi al campo?
Prima vedrai quest'astail ferro scosso
rifiorire di frondi e di verdura;
l'Inaco prima e l'Acheloo vedremo
retrogradi tornare a' loro fonti.
Ma sol si cerca d'abboccarli insieme
ese possibil fiacompor le risse:
questo campo gli è aperto ed è sicuro.
Forse di me si teme? Ecco mi parto
e dono al comun ben le mie ferite.
Venga egli pure a le sorelle in mezzo
e 'l riconduca qui la stessa madre.
Quindi che speri? Fa che 'l regno ei ceda
vinto da' patti: il renderai tu poi? -
Dal feroce parlar mosse le schiere
mutan consigliqual se d'improvviso
turbasi il cieloe l'Austro procelloso
toglie a Borea del mar tutto l'impero.
Si risvegliano l'iree pur di nuovo
piacciono l'armi ed i furor primieri.
Vede Megera il tempoe pronta il coglie
e sparge a le battaglie il primo seme.
Su la sponda dircea givano errando
due mansuete tigried eran quelle
che 'l carro trionfal da' lidi Eoi
trasser di Baccoed ei le avea dal giogo
libere fatte negli aonii campi
A queste ancor spiranti arabi odori
e che oblïata han la natia fierezza
solevan le Baccanti e la più antica
sacerdotessa ornare il collo e 'l petto
di pampinosi sertie 'l maculoso
vello intrecciar di fiori e fregiar d'ostro;
e di già care erano a' campi e a' colli
e care ancor (chi 'l crederia!) a l'armento;
e le giovenche intorno a lor muggendo
ardian pascere i prati: ingorda fame
non le spinse a le predee di chi 'l cibo
porgeva lorlambivano le destre
e aprian le fauci e distendeano i colli
a l'infusion del dolce umor di Bacco.
Per le selve dormian; ma se talora
con pacifico passo entrano in Tebe
fumano in ogni casain ogni tempio
i sacrificie par che Bacco torni.
Queste tre volte con viperea sferza
batte la Furiae le rivolge in ira
e al furor primoe dietro sè le mena
contro gli Argiviche non san che sacre
sieno ad un Nume: da diverse parti
scendon così due folgori dal cielo
solcando l'aria con il crine ardente;
non altrimenti rapide e veloci
fremendo orribilmente a corsoa salti
passano i campie l'infelice auriga
sbranan d'Anfiarao (presagio infausto
al suo signordi cui guidava al fiume
i candidi destrieri)ed Ida appresso
di Tenaroe Acamanta il forte Etólo.
Fuggon pei campi e gli uomini e i cavalli;
ma Aconteo nel veder cotanta strage
(er'Arcade costui e cacciatore)
acceso d'ira collo strale in cocca
le seguee scagliae replicando i colpi
le impiaga nella schiena e nelle coste.
Quelle fuggendoe di sanguigna riga
segnando il suolsu le tebane soglie
portano le saettee moribonde
gemono in suon di piantoe a cader vanno
dell'amata città sotto le mura.
Sembra che i tempii e la cittade a sacco
Vadae sossoprae le sidonie case
ardan le fiamme: tanto e tal s'inalza
rumor per tutto: avrian minor dolore
se le cune d'Alcideo di Semele
il talamo fumanteo d'Ermione
fossero i tetti in cenere disciolti.
Ma del nume ministro il buon Tegeo
col brando ignudo Aconteo inerme assale
ch'era già senza dardie che godea
de la doppia vittoria: il suo periglio
miran gli Arcadie corrono al soccorso;
ma giungon tardi: su le uccise fiere
giace a Bacco il meschin pronta vendetta.
Dassi a l'armi nel campoed il concilio
resta disciolto: fra le armate schiere
fugge Giocastae più non pregae seco
fuggon le figliee chi le udì pietoso
or le respinge irato e le discaccia.
Coglie Tideo l'occasïonee grida:
- Or ite dunquee fe' sperate e pace;
forse ha potuto il perfido tiranno
differire il misfatto in fin che torni
da noi partendo la canuta madre? -
Sì dicee tratto il brandoi suoi compagni
eccita a l'armi. Un rumor fiero e orrendo
s'alza d'urli e di stridae crescon l'ire.
Senz'ordin ferve aspra tenzonee 'l vulgo
va insiem co' ducie non ne cura i cenni
e corron misti i cavalieri e i fanti
ed i rapidi carri armati in guerra.
Infelice colui che inciampa e cade
chè la turba indistinta il calca e preme:
non di sè pon far mostrao del nemico
riconoscer le forze; un furor cieco
una rabbia improvvisa ha di già spinte
la greca gioventude e la tebana
a meschiarsi co' brandi: insegne e trombe
restaro a tergoe quando diero il segno
di guerreggiargià la battaglia ardea.
Da poco sangue tanta guerra uscío?
Così 'l vento da prima infra le nubi
sue forze accogliee lievemente scuote
le frondi e i rami; indi robusto e fiero
svelle le selvee d'ombre spoglia i monti.
Alme Pierie Deele vostre schiere
a noi cantate con più gravi carmi
e di Beozia vostra i casi atroci.
Non vi chieggiam cose straniere e ignote.
Voi le miraste d'Eliconae mute
restâr le vostre cetree inorridiro
al rimbombo di Marte e delle trombe.
Venía Pterelaun giovane tebano
rapito dal destrierche sprezza il freno
e di sè donno fra le schiere e l'armi
a suo talento il porta: ecco Tideo
l'astra gli vibra nel sinistro arcione
e 'l cavalierch'è per cader di sella
nell'anguinaglia al palafreno inchioda:
fugge il caval col suo signor sul dorso
che non più ritien l'armi o regge il freno
come Centauroche d'un'alma privo
sulla schiena abbandona il busto umano.
Ferve la crudel pugnaed a vicenda
Ippomedonte Sibari distende;
e Perifanto è da Meneceo ucciso
e da Partenopeo Iti trafitto:
un di colpo di spadaun di saetta.
Dell'inachio Ceneo l'alta cervice
tronca Emone feroce: il capo cade
e ad occhi aperti il tronco busto cerca
e cerca il capo l'alma intorno errante.
Abante corre ad ispogliarloe un dardo
vien d'arco grecoe glie lo stende a canto
e 'l suo gli fa lasciare e l'altrui scudo.
Qual consiglio fu il tuosemplice Euneo
lasciar di Bacco il culto e i sacri boschi
onde uscir è vietato al sacerdote?
Chi di Lieo 'l furore in quel di Marte
ti fe' cangiar? Chi d'atterrir presumi?
Porta lo scudo fral d'edera intesto
e di frondi di vite: il pampinoso
tirso candida fascia intorno cinge;
ondeggia il crin sul tergoe 'l primo pelo
adombra il visoe la lorica imbelle
copre un manto di porpora di Tiro.
Fra le maniche i braccied i calzari
fregiati e pintie sottil velo il seno
copree s'allaccia la tenaria veste
con fibbie aurate e con smeraldi ardenti:
suonangli a tergo l'arco e cento strali
dentro lo spoglio di dorata lince.
Costui dal Nume invaso infra le schiere
venía gridando: - Omai cessate l'armi:
con lieti auspici queste nostre mura
col misterioso Bue mostronne Apollo.
Cessatedico; volontari i marmi
ne cinsero d'intorno. E noi siam gente
a' Numi sacrae della nostra Tebe
genero è Giove e suocero Gradivo
ed esser nostro cittadin si degna
il gran Libero padre e il grande Alcide. -
Mentr'ei così ragionaa lui s'oppone
crollando l'asta Capaneo feroce.
Qual digiuno leon cui sul mattino
sveglia la famese da l'antro scorge
timida cerva o tenero giovenco
mal atto ancor a guerreggiar col corno
lieto corre fremendoe non curante
lo stuol de' cacciatori e l'aste e i dardi
vede la predae le ferite sprezza
tal Capaneo nell'inegual cimento
vien baldanzoso alta brandendo l'asta.
Ma pria lo sgrida: - O tu che a morte corri
perchè vuoi spaventar l'alme guerriere
con femminili strida? Oh qui pur fosse
teco quel Dio del cui furor sei pieno!
Or varacconta a le tebane madri
coteste fole: - dicee l'asta scaglia
chequasi nulla la ritengaappena
tocca lo scudoche gli passa a tergo.
Cadongli di man l'armie 'l manto d'oro
che 'l sen gli cinge; ne' singulti estremi
ondeggia e gemee fuor ne sbocca il sangue.
Tu cadiaudace giovanettoun tempo
dolce cura di Baccoora dolore:
te l'Ismaro ognor ebbroinfranti i tirsi
e te pianse il Timòloe la ferace
Nisae cara a Teseo l'ondosa Nasso
e 'l Gangeche per tema a gli orgii sacri
di Bacco sottopose i flutti altieri.
Non men feroce le lernee falangi
Eteocle distrugge; assai più lento
vien Polinicee 'l civil sangue abborre.
Ma sopra gli altri Anfiarao si mostra
sul carro eccelsoe a tutto corso spinge
i suoi destrier presaghi e paurosi
per l'infame terrench'omai ricusa
portarlo in mezzo a un turbine di polve.
L'assiste Apolloe al suo fedele appresta
un vano gridoe a la vicina morte
intesse fregi di caduco onore.
Ei risplender gli fe' lo scudo e l'elmo
di nuova lucedi cometa in guisa.
Nè tuGradivoal tuo fratel contendi
che da mani terrene il suo ministro
illeso resti. Venerabil ombra
ed ostia intatta si riserba a Dite:
ed eiche certo il suo morir prevede
va più feroce infra le squadre ostili
e la disperazion forza gli accresce.
Già più che d'uom son le sue membra e 'l volto;
nè mai più lieto giorno a lui rifulse
nè mai più certa ebbe del Ciel contezza:
se la virtùche già s'appressa al fine
tutto a sè nol chiamasse. Avvampa ed arde
tutto di Martee del suo braccio gode
e va de' colpi suoi l'alma superba.
Questiche a raddolcir le umane cure
era dianzi sì prontoe che sovente
solea scemar di lor ragione i Fati
quanto or diverso appar da quel che i lauri
seguia d'Apollo e i tripodi loquaci
e cheinvocato il Numein ogni nube
de' volanti intendea volo e favella.
Non tanta strage apporta il Sirio ardente
ed il pestifer anno e l'aria grave
quante vite egli miete e manda all'Orco
vittime uccise alla sua nobil ombra.
Col dardo Flegiae con il dardo uccide
il superbo Fileo; quinci col carro
di falci armato a le ginocchia tronca
Cromie Cremetaon fermo e vicino;
indi coll'asta uccide Ifinoo e Sage
e Gía chiomatoe Licoréoche a Febo
è sacerdote; e con dolor mirollo
il buon augure argivoallor che l'asta
vibrata contro lui gli spinse a terra
il cimieroe la sacra infula apparve.
Indi Alcatoo d'un sasso in capo fere
che lungo i stagni di Caristo avea
la moglieil patrio albergo e i dolci figli
usi a scherzar su le palustri sponde.
Povero pescator visse contento;
ma l'ingannò la terra: egli morendo
s'augura i flutti e l'onde ed i perigli
delle tempesteche provò men fiere.
Vede d'Asòpo il figlioil grande Ipseo
cotanta strage e fugaed in sè brama
con generoso ardir volger la pugna.
Non men feroce anch'ei venía sul carro
strage facendo delle squadre greche;
ma visto il paragon d'Anfiarao
sdegna ignobil trofeo di sangue umíle.
A lui coll'armi e colla mente aspira
lui solo cerca; ma s'oppon la turba
e l'impedisce: ond'ei sdegnoso allora
un'asta svelta dal paterno fiume
impugnae prega: - O delle aonie linfe
copioso donatorche ancor superbo
vai de' fulmini stessi e delle fiamme
che uccisero i Giganti; o Asopoo padre
tuo nume ispira a questa destra: il figlio
è che ten pregae l'asta istessa un tempo
germe delle tue sponde; e se tu osasti
pugnar con Gioveal figlio almen concedi
svenar il vate e non temer d'Apollo
e le vedove bende e l'armi vuote
giuro dar in tributo al tuo gran fiume. -
Udillo il padree consentì; ma Febo
s'opposee torse il colpoe l'asta il petto
d'Herse trafisse condottier del carro.
Cade morto il meschin; ma il Nume stesso
sotto sembianza di Aliamoneil freno
prende e succede a l'infelice auriga.
Al vivo sfolgorar del Nume ardente
fuggon confusi i cavalieri e i fanti;
il sol timor li cacciae senza piaghe
muoion d'imbelle morte i fuggitivi.
Dubbio rimane se più aggravi il carro
il divin pesoo a' corridor dia lena.
Come qualor precipitosa cade
svelta da gli annio da rio nembo scossa
d'alpestre monte discoscesa parte;
per diversi sentier uominialberghi
selve ed armenti in sua ruina involge
sinchè cessando l'impetosi spiana
in cupa valleo il corso arresta a' fiumi:
non altrimenti il formidabil carro
che porta il grand'eroeporta il gran Nume
ferve nel sangue. Delio stesso i dardi
vibrae guida i destrieried egli al vate
dirizza i colpie in altra parte volge
e rende vane l'aste e i dardi ostili.
Cadono a terra Menala pedone
e dal gran corsier coperto invano
Antifoed Etïonche d'una ninfa
d'Elicona era nato: e per l'ucciso
fratel Polite infamee Lampo audace
ch'osò tentar la purità di Manto
diletta a Febo e di sue bende cinta.
Contro il profano le saette sante
scoccò egli stessoe vendicò l'oltraggio.
Ma già su' corpi estinti e su' mal vivi
gli anelanti destrier cercano indarno
il coperto terrenoe duro solco
s'apron su membra lacerate e infrante
e ne rosseggian le girevol ruote.
Calca il carro crudel gli esangui busti
e già di senso privi; e chi ferito
languendo giacesul suo capo il vede
ratto venirnè di schivarlo ha speme.
E già lordo il timonlubrici i freni
son di putrido sangue; un denso limo
di teschi infranti e di midolle invischia
le ruote sìche le fa lente al moto
e l'ossa de' cadaveri insepolti
a' già stanchi destrier servon d'inciampo.
Il vate ognor più fiero i dardi svelle
nelle ferite infissie li rilancia
e fa nuove ferite e nuove morti
e gemon l'alme sciolte al carro intorno.
Alfine il Nume al servo suo fedele
si scopree dice: - Usa tua forzae lascia
d'immortal fama il tuo gran nome eterno
or ch'io son tecoe l'implacabil Morte
sospende ancor l'irrevocabil punto.
Omai siam vintie la severa Parca
sai ben che a nullo unqua ritorse il filo.
Vanneo promessoed aspettato un tempo
gioia ed onore degli Elisii campi;
vanne senza temer del reo Creonte
le dure leggie di mancar d'avello. -
Egli da l'armi respirandoal Nume
così risponde: - O gran Padre Cirreo
io te dianzi conobbie men diè segno
l'asse sotto il maggior peso tremante;
ma perchè tant'onore a un infelice
che tu ne regga il periglioso carro
destinato a l'Inferno? E sino a quando
terrai sospeso il mio destin maturo?
Già sento l'onda rapida di Stige
e i neri fiumi dell'orrenda Dite
e l'orrido latrar delle tre gole
del tartareo custode; omai ripiglia
l'a me commesso onor delle tue bende
e 'l sacro allòrcui profanar non lice
portandolo nell'Erebo profondo.
Ma se pur del tuo vate udir l'estreme
voci non sdegnie i giusti voti suoi;
io ti ricordo l'ingannata casa
ed il castigo dell'infame moglie
e del mio figlio il nobile furore. -
Mesto allor scese Apolloe celò il pianto
e restò afflitto il carroe i buon destrieri
si dolser privi del celeste auriga.
Così vede sicuro il suo naufragio
nave agitata da notturno Coro
cui lo splendor della maligna stella
d'Elena infesta minaccioso guarda
posti già in fuga Castore e Polluce.
Il suolche tosto s'aprirà in vorago
a vacillar cominciae scuote il dorso
e s'alza maggior turbine di polve:
mugge sotto l'Inferno; i combattenti
credon che sia il rumor della battaglia
e si spingono innanzi: il tremor cresce
e fa l'armi ondeggiare ed i guerrieri
e i trepidi cavalli. I colli intorno
piegan le cime ombrosee l'alte mura
già crollano di Tebe. Inalza i flutti
gonfio l'Ismenoe le campagne inonda.
Cessano l'ire: ogni guerriero i dardi
in terra affiggee a l'aste vacillanti
il corpo appoggiae nel pallore alterno
conoscendo il reciproco timore
confuso si ritira a le sue insegne.
Qual se talor sprezzando il mar profondo
a stretta pugna le gran navi accozza
Bellona iratafervon l'ire e l'armi;
ma se opportuna alta tempesta sorge
ciascun pensa al suo scampoe nuovo aspetto
di nuova morte fa deporre i brandi
ed il timor fa germogliar la pace:
tal l'ondeggiante guerra era in quel campo.
O che la terraun turbine concetto
affaticata sprigionò de' venti
la chiusa rabbia e 'l prigionier furore:
o che dall'onde sotterranee rôsa
in quella parte ruinando cadde;
o quivi in suo girar con l'ampia mole
si posò il cieloo col fatal tridente
Nettun la scossee con più gravi flutti
appoggiò il mar sovra l'estreme sponde:
o il suolo istesso minacciò i fratelli;
ecco aprirsi voragine profonda.
Vider l'ombre la lucee gli astri l'ombre
ed ebber vicendevole timore.
L'immane speco nell'immenso vôto
assorbì l'Indovino e i suoi corsieri
che per passarlo avean già preso il salto.
Non lasciò il sacerdote o l'armi o i freni
ma qual era sul carro al cupo fondo
ritto discese riguardando il cielo.
E gemè quando riserrarsi il suolo
sopra si videe un più legger tremore
rimarginar i fessi campie 'l giorno
celar di nuovo al tenebroso Averno.







LIBRO OTTAVO

LA MORTE DI ATI
PROMESSO SPOSO A ISMENE.
FINE EFFERATA DI TIDEO

Poichè fra l'ombre pallide repente
discese il vatee penetrò di Morte
l'oscure casee del sepolto mondo
scoprì gli occulti arcanie diè spavento
ombra armata e guerrieraall'alme ignude
maravigliando inorridîr d'Inferno
gli abitatori in rimirar intatte
l'armi e i vivi destrieri e 'l sacerdote
spettacol nuovo! d'ossa e di carne cinto:
perchè non arso da funerea pira
scendea a gli abissi e fuor di nero avello;
ma di guerrier sudor grondante e caldo
collo scudo sanguigno e polveroso
di militare arenae non ancora
l'avea l'Erinni con il tasso ardente
purgato e mondonè su l'atra porta
Persefone notato infra gli estinti:
ma prevenendo il suo destinle Parche
sel videro vicinoe sbigottite
lo stame in fretta ne troncâr dal fuso.
Spaventò quel rumore i lieti Elisi
e s'oltre il primo baratro profondo
sono altre bolgealtri paesi oscuri.
Turbârsi i laghi inferni e i neri stagni
e il nocchier della livida palude
fremè mirando inusitate strade
aprire il suolo al Tartaro profondo
e fuor del legno suo dar varco a l'Ombre.
Stava per sorte il Re del basso Mondo
assiso in mezzo del funesto regno
del popol morto esaminando i falli
e la trascorsa vita. In lui pietade
non trova luogoe a tutte l'Ombre è irato.
Stangli intorno le Furie e varie Morti;
e in varie guise fa suonar la Pena
catene e ceppi. Le spietate Parche
traggono i stami delle umane vite
e gli troncan sovente; e pur dell'opra
è maggior la fatica ed il lavoro.
Ma il placido Minosse e 'l venerando
fratello ispira al barbaro tiranno
più giuste leggie ne rattempra l'ire.
Vi assistono Cocito e Flegetonte
e Stigech'al giurar de' Numi eterni
il freno impon d'invïolabil legge;
ed ei quantunque a non temere avvezzo
pure all'aprirsi della terrea mole
temè le stelle ignotee 'l torvo ciglio
dal dolce offeso balenar del sole
crollò il gran capoe minacciando disse:
- Qual superior ruina al cieco Inferno
mostra il nemico Cielo? E chi rischiara
queste tenebre nostre? E chi la morte
quasi richiama a vitae ne minaccia?
Qual de' fratelli miei guerra m'indice?
Eccomi pronto. Il mal diviso mondo
omai si turbie chi di noi più 'l brama?
La terza sorte me dal Polo escluse
e del colpevol mondo a me diè 'l regno
e questo ancor mi si contende: or ecco
com'egli è aperto alle nemiche stelle.
Esplora forse il tumido germano
che regna in cielole mie forze ascose?
Stansi qui meco gli orridi Giganti
che han quasi rotte le catenee i figli
di Titanoche uscir bramano in guerra
contro de' Numie l'infelice Padre.
Perchè gli ozi miei tristi l'inamena
pace mi turbae fa bramarmi il giorno?
Solo ch'il vogliaaprirò i regni oscuri
e involgerò fra l'ombre inferne il Sole;
io non rimanderò l'Arcade alato
a' Dei superni (a che a me viene e parte
messagger fra le tenebre e la luce?):
io tirerò quaggiuso ambo i gemelli
di Tindaro: e perchè gli eterni giri
d'Issione io non fermo? e perchè l'onda
dell'assetato Tantalo ancor fugge?
Degg'io soffrir che tante volte e tante
vengano i vivi a profanar l'Inferno?
Di Piritoo l'impresa e di Teseo
troppo fedele al temerario amico
ho ancor in mentee quando il fiero Alcide
Cerbero seco trassee restâr prive
del triplice latrar le ferree porte.
Sento sdegno e rossor che 'l tracio Orfeo
penetrasse quaggiù co' dolci accenti:
io vidiio vidi al lusinghiero canto
pianger le Furiee rannodar lo stame
già tronco al fuso le crudeli Parche.
Io stesso... Ma l'irrevocabil legge
fu in me più forte; ed ioche una sol volta
nè già di furtoal ciel sereno ascesi
e d'amor punto ne' sicani campi
rapii la sposae al letto mio la trassi
lecito disser che non m'erae Giove
tosto fe' leggi iniquee colla madre
barbaramente mi divise l'anno.
Ma perchè parlo indarno? Escie vendetta
faTesifoneomai del nostro Inferno;
e s'ognor fosti d'esecrandi mostri
fecondaor trova inusitata e grande
sceleraggin funestae da le stelle
non più veduta in alcun tempoe degna
che l'invidin tue suore e ch'io l'ammiri:
cadan l'un sovra l'altro in lieto Marte
con alterne ferite ambo i fratelli
(sian questi esordi a le vendette nostre);
altri di fiera in guisa il capo ostile
roda feroce con rabbiosa fame:
altri gli estremi roghi a' corpi esangui
contenda e neghie l'aere puro infetti
co' cadaveri putridi e insepolti.
Veggalo il crudo Giovee sen compiaccia.
E perchè i regni nostri a gli altrui sdegni
soli non sieno espostialcun ritrova
che muova guerra a' Numie del Tonante
la folgore respinga e al ciel contrasti.
Io farò sì che non più facil sembri
del Tartaro turbar l'oscure sedi
che monti imporre a monti e Pelio ad Ossa. -
Dissee al suo dir tremò l'orrenda reggia
e 'l suolcui premee 'l superior terreno.
Non con forza maggior scuote il Tonante
le stelle e i Polise 'l gran capo muove;
e- A te (soggiunse) che quaggiù scendesti
per illecite viequai pene appresto? -
Il sacerdote allor fatt'ombra lieve
ed invisibil quasi a gli occhi altrui
di già consunte l'armi e già pedone
ma conservando (ancor che spirto ignudo)
l'onor del sacerdozioe sulla fronte
le oscure bendee 'l ramuscel d'oliva
pallida in manoal crudo Re rispose:
- Se lecee s'è permesso alle sacr'Ombre
scioglier la vocee in questi luoghio estremo
ricetto e fine delle cose al vulgo
che poco intendema principio e fonte
a mecui le cagioni e gli elementi
fur sempre noti; le minacce affrena
e placa il cuor turbatoe non far degno
dell'ira tua chi le tue leggi apprezza.
A l'erculee rapine io non discendo.
Donde in me tanto ardir? Nè impuro amore
(credilo a queste bende) è che mi guida.
Non si nasconda nelle oscure grotte
il can trifaucenè del nostro carro
Proserpina paventi: io fui poc'anzi
augure e caro a gli apollinei altari.
Giuro per lo tuo Caos (e vano fora
giurar quaggiù per Febo)alcun mio fallo
reo non mi fe' di così nuova morte
nè meritai per così strane vie
esser tolto a la luce. Il sa ben l'urna
del giudice cretensee può Minosse
scoprirne il vero: da l'infida moglie
traditoe a prezzo d'esecrabil oro
vendutoe del mio mal certo indovino
m'ascrissi a l'armi argiveonde tant'alme
scesero a te poc'anzie di mia mano
certo non poca e non ignobil parte.
Con subita vertigine dal mondo
(inorridisco!) me fra mille schiere
la tua gran notte nel suo abisso immerse.
Quale mi feci allor che per lo vano
della terra pendente e per l'opaco
aere discesi? Ahi che di me non resta
nulla agli amicia la mia patriao almeno
spoglia e trionfo a la nemica Tebe.
Io non più rivedrò le argive mura
nè 'l mio mortale in cenere raccolto
tornerà al mesto padre; e senza tomba
senza l'onor del rogo e senza pianti
coll'esequie mie intere e co' destrieri
(ma per nulla tentare) a te ne vengo.
Nè già ricuso convertirmi in ombra
ed i tripodi miei porre in oblio.
C'hai tu che far de' vaticini nostri
se a tuo voler filan le Parche i fati?
Deh placa l'irae mansueto e pio
ti mostra a me più de' superni Numi.
Ma quando a te verrà la moglie infame
a lei serba i supplicii e l'aspre pene:
essao buon Redell'ira tua è più degna. -
Pluto esaudì le precie n'ebbe scorno.
Così leon del cacciator massile
se vede incontra balenarsi il ferro
si muove a l'irae l'unghie arruota e 'l dente;
ma se cade il nemico e a terra giace
sol gli va soprae dà la vita al vinto.
Cercano intanto sbigottiti i Greci
ove sia il carro sì temuto in guerra
e insigne per le bende e per l'alloro
nè da forza mortal vinto o fugato.
Si ritiran le schieree ognun paventa
l'infelice terrenoe al luogo infausto
giran da lungi timidi i guerrieri:
e ciò ch'è intorno a l'avida vorago
cessa da l'armie s'ha rispetto e tema
alla tomba infernal del vate assorto.
Ma Palemonche da vicin lo scorse
precipitar nel cupo fondoe appena
agli occhi propri il credeal vecchio Adrasto
ch'eccitava le schiere a la battaglia
in altra partespaventato corre
pallido ancora per l'immane speco
che dinanzi si vede; e: - Fuggi (grida)
fuggio buon res'ove fuggir ci resta
s'è ancora il suol natios'ancora stanno
le mura d'Argo e le paterne case.
A che l'armi adoprarspargere il sangue?
Che giova il ferro contro Tebe? Il suolo
per lei combattee i guerrier nostri ingoia
e l'armi e i carri: ahi che fuggir mi sembra
sotto i piedi il terren che ora calchiamo.
Vidi il cieco sentier dell'ombra eterna
io stessoe vidi nell'aperto piano
precipitar colui che mentre visse
fu così caro a le presaghe stelle
il diletto d'Apollo Anfïarao;
e in van gridaila mano invan gli stesi.
Maraviglie io racconto: ancor fumante
resta il terrenoe son di spuma aspersi
gl'infami campie vi son l'orme impresse
del carro e de' destrieri. Il suol crudele
non è con tutti; i figli suoi risparmia
e stan sicure le tebane schiere. -
Stupisce Adrastoe non sa ben se 'l creda;
ma Mopso e Attor narran le stesse cose
e la Fama le accrescee forza acquista
dal novello terroree narra e finge
più d'un guerriero assorto. Al fiero annunzio
senz'aspettar che delle trombe il suono
chiami a raccoltadi spavento piene
fuggon le schiere; ma la fuga è lenta
ed a la brama non consente il piede.
Par che i destrieri stessi abbiano mente
così sen van dubbiosiincerti e lenti
nè temono gli spronnè mutan passo;
ma timidi adombrando e a capo chino
non osan sollevar da terra il guardo.
Gl'incalzano i Teban: ma fuor conduce
i cavalli di Cintia Espero oscuro;
breve quïete e momentanea pace
ebbero allora i Grecie l'atra notte
più di tema arrecò che di riposo.
Qual fu la faccia allor del campo afflitto
poichè il dolersi fu permesso? Quante
lagrime uscîrpoichè fur sciolti gli elmi?
Nulla a' miseri giovaed in non cale
pongon gli usi guerrierie l'armi e l'aste
scagliano lungied i sanguigni scudi
quali di guerra uscîrnè alcun li terge.
Non v'ha chi cura de' destrier si prenda
o chi su gli elmi le gran piume assetti.
Fasciano appena le ferite aperte
e le più gravi; tal per tutto è doglia!
Nè permette il timore a' corpi lassi
porger ristoro cogli usati cibi
e rinnovar le forze a nuova pugna.
Solo delle tue lodi in mezzo a' pianti
Anfïaraosi parlae del profondo
sapercon cui tu discoprivi il vero.
- Teco (dicean) partîr dal campo i Numi.
Ov'è il carro laurigeroe le insigni
armie di bende l'intrecciato elmetto?
Son questi gli antri ed i castalii fonti?
Questa de' sacri tripodi è la fede?
Così Apollo t'è grato? E chi degli astri
fia che sveli gl'influssi; e ciò che voglia
la folgore sinistra; e nelle fibre
qual Dio si mostri; e del partir il tempo
qual siaqual di fermarsie della pace
e della guerra ne distingua l'ore?
A chi prediran più gli augelli il fato?
La pugna a noi funesta e 'l tuo destino
tu prevedestie pur dell'armi infauste
(tant'era in te virtù) fosti compagno.
E quando instava già l'ora fatale
e l'aperto terrenoera tua cura
far de' Tebani strage: ancor tremendo
a gl'inimici in mortee ti vedemmo
scender coll'asta d'ostil sangue aspersa.
Or qual è la tua sorte? A te permesso
fia mai l'uscir dal tenebroso Inferno
e ritornar di sopra? O pur contento
stai con le Parche amicheed il futuro
con vicenda concorde insegni e impari?
O forse impietosito il Re dell'Ombre
te mandò a' boschi del felice Eliso
i voli ad osservar de' fausti augelli?
Ovunque seitu sarai sempre a Febo
rinnovato doloreeterna pena.
Tacerà Delfoe piangerà gran tempo
tua morte acerba: questo dì funesto
chiusi terrà di Tenedo gli altari
e Cirra e Delocui nascendo Apollo
stabile resee le presaghe grotte
di Branco; nè fia più chi su le soglie
di Claro preghio chi consulti il tempio
di Didimeo le sorti in Licia cerchi:
del cornigero Amon fian muti i boschi;
e la quercia fatidica e ripiena
del molosso Tonanteed i timbrei
oracoli ch'Apollo in Troia rende;
anzi gli stessi fiumi e i sacri allori
inaridirsi brameran per doglia.
Non predirà con i presaghi canti
il Ciel più il veroe non vedrem gli augelli
l'aria solcar con misteriosi voli:
ma ben tempo verrà che altari e tempii
ti fieno erettie a le divote turbe
renderan tue risposte i sacerdoti. -
Questi gli onor fur ch'al duce e vate
rese concordemente il campo argivo
di pira invece e di funereo rogo
e dell'esequie e della tomba lieve.
Quindi cade l'ardire in ogni petto
e s'ha in odio la guerra: in cotal guisa
morto Tifi repentei Minii audaci
restâr conquisie men sicuro il pino
lor parvee i remi debili e fallaci
e al lor cammin soffiar più fiacco il vento.
Ma negli animi lassi il parlar lungo
e 'l molto sospirare a poco a poco
scemo aveva il doloree l'atra notte
sopìa le curee fra' singulti e i pianti
facil l'entrata avea trovata il sonno.
Simile già non fu la notte in Tebe
e nelle piazze e ne' paterni alberghi
la consumaro in giuochi. In su le mura
ebre stanno le guardie e sonnacchiose.
I timpani ed i cembali risuonano
per tutto a garae le forate tibie:
allor fra le carole i Numi lodano
e cantanoe raccontano per ordine
i cittadini Dei; le fronti e i calici
fregian di vaghi sertie le incoronano:
ora d'Anfïarao la tomba irridono;
or fin al cielo il lor Tiresia inalzano
ora degli avi lor tesson catalogo
e della lor città dicon l'origine.
Cantano questi di Sidone i flutti
e la fanciulla che al divino amante
palpa le cornae 'l bue che solca il mare:
quelli rammentan Cadmoe la già stanca
vaccad'uomini armati il suol fecondo:
chi di Semele il partoe chi racconta
della figlia di Venere le nozze
al letto nuzïal fra mille faci
accompagnata da' fratelli amori.
Cantasi alcun bel fatto in ogni mensa
come se allora il loro nume Bacco
col tirso domi i regni dell'Aurora
e l'Idaspe gemmatoil popol nero
in trionfo traesse e gl'Indi ignoti.
Fam'è che allor per la primiera volta
Edippo uscisse di sue grotte oscure
ove giacea sepolto agli occhi altrui
nè schivasse seder fra liete mense
e che allegro nel volto il suo canuto
squallido crin ricomponessee i detti
degli amici accogliesseed i conforti
ed i piaceri fino allora esclusi.
Anzi gustò de' cibie terse il sangue
su le guance rappreso: ed ei che avvezzo
era solo a trattar co' Numi inferni
con Plutoncon le Furiee di querele
Antigone pagar che lo reggea
fatto repente affabile e cortese
parla e risponde: ognun stupiscee alcuno
la ragion non ne intende. A lui non cale
il trionfo de' suoi: la stessa guerra
è che gli piace e giovae 'l figlio loda
e l'esorta a seguir; nè però brama
ch'ei resti vincitor. Con voti iniqui
ei già contempla le fraterne spade
e d'ogni sceleranza il primo seme
quindi il piacer de' cibi e i gaudi nuovi.
Così Fineodopo una lunga fame
sofferta in penanel reale albergo
da che più non sentì strider le Arpie
(non ben sicuro ancor)le mensei letti
e i calici trattò non più turbati
da' sozzi ventri e dall'immonde penne.
Dormiva intanto la falange argiva
stanca da l'armi e da' pensier funesti:
ma da la tenda suach'è in alto posta
vegliava Adrastoed i tripudii udiva
della nemica Tebeancor ch'ei fosse
per la senile etade infermo e lasso.
Ma il supremo comando (o di chi regna
misera legge!) su le altrui sciagure
a vegliare lo forza. I bronzi cavi
e le forate tibie a lui del sonno
turban la paceed i clamori insani.
Vede mancar le facie delle scorte
quasi i fuochi sopiti e moribondi.
Così fra l'onde d'un egual sopore
la nave oppressa taceed in profondo
sonno la gioventù del mar sicura
giace sopita. Il nocchier solo è desto
e seco il Nume che presiede al legno.
Era già 'l tempo che i febei destrieri
sente accoppiarsi al luminoso carro
Cintiae muggire l'Oceàn profondo
a lo spuntar della novella luce
e se stessa raccoglie e si ritira
e con lieve flagel scaccia le stelle.
Adrasto allor mesto concilio aduna
e ricercan gemendo i Greci afflitti
chi a' tripodi succeda e al sacro alloro
e a le vedove bendee di concorde
voler scelgon fra lor Tiodamante
per fama insigne e di Melampo figlio.
Seco soleva Anfiarao de' Numi
partir gli arcani e degli augelli il volo;
(nè invidïando a sua virtù) godea
di vederselo eguale o almen secondo.
Quegli per il novello onor confuso
l'alta gloria improvvisa e 'l lauro offerto
umile adorae a sì sublime incarco
inegual si confessa e lo ricusa
e in ricusando più sen mostra degno.
Così di perso Re tenero figlio
per cui meglio era che vivesse il padre
timido siede su l'avito soglio
e 'l nuovo onor colla paura libra:
se i proceri sian fidie ubbidïente
a le sue leggi il vulgo; a chi commetta
le caspie portea chi l'Eufrate in guardia:
l'arco e 'l destrier paterno ardisce appena
trattare: e troppo grave a la sua mano
lo scettro sembraed il suo capo angusto
del serto imperïal non ben capace.
Poichè l'infule sacre al capo attorse
il nuovo vateed ebbe fausti i Numi
tra lieti applausi e tra festive grida
girò pel campoed a placar la Terra
tosto s'accinsee l'approvaro i Greci.
Dunque comanda che di vive piante
e di verdi cespugli insieme intesti
s'ergan due altaried a la madre antica
dona i suoi doni: innumerabil fiori
e cumuli di fruttae ciò che l'anno
in sè tornando rinnovella; e 'l latte
sopra vi spargeindi così ragiona:
- O madre eterna degli eterni numi
e de' mortaliche produci e crei
e fiumi e selvee innumerabil'alme
e del mondo ogni semee che animasti
a Prometeo le mania Pirra i sassi;
che all'uomo desti gli alimenti primi
e che 'l rinnovi ognor col sen fecondo;
che l'Oceàn circondi e lo sostenti:
tu le innocenti gregge e le iraconde
fiere porti sul dorsoe dài riposo
a gli augelli volantie dell'eterno
mondo sei ferma e invïolabil sede;
intorno a teche pendi in l'aer vano
ruotan del cielo le veloci sfere
e de' maggior pianeti ambedue i carri
o mezzo infra le cosee non diviso
fra' celesti fratelli e comun regno.
Dunque eguale nutrice a tante genti
tu sola basti a sostenere il pondo
de' popoli che a te premono in giro
soprasotto e da' lati il globo immenso
di tante nazïonie di tant'alme
cittadi eccelse; e 'l mauritano Atlante
che folce gli astri sul tuo dorsoporti
quasi leggero pesoe noi ricusi?
Noi soli ti siam gravi? E qual ignoto
delitto ne fa rei di tanta pena?
Forse perchè venghiam gente straniera
da le contrade d'Argo? Ogni terreno
è patria all'uomo. Ottima madrea noi
non voler assegnar confini angusti
quasi ad ignobil vulgo: a l'armi nostre
egual ti mostra e a le tebanee lascia
che spiriam l'alme forti in giusta guerra
e le rendiamo al Cieloe non rapirci
con improvvise tombe i corpi vivi.
Non ci affrettare: per diverse vie
qual prescritto è a ciascuntutti verremo.
Noi ti preghiam; sta fermae le pelasghe
schiere sostentae la veloce Parca
non prevenire. E tudiletto a' Numi
cui non sidonio ferro o mortal destra
estinsema Naturail duro seno
apertonelle viscere t'accolse
quasi entro il meritato antro cirreo;
deh in noipregatoil tuo saper infondi
ed il Ciel ne concilia e i sacri altari
e i fati a te già noti a me rivela.
Io t'offrirò votive ostie presaghe
e interpetre fedel del tuo gran Nume
te invocheròquandunque taccia Apollo.
Più di Cirra a me sacro e più di Delo
questo luogo saràdove cadesti. -
Ciò dettoe nere gregge e neri armenti
vivi sotterrae sopra di essi inalza
gran tumulto d'arenae in cotal forma
d'immaginario avello il vate onora.
Ciò si facea tra' Greciallor che udiro
di Tebe uscir tale un rumor di guerra
di timpani e di trombe un tale invito
che in fretta li costrinse a prender l'armi.
Su la cima di Teumeso Megera
scuote la chioma serpentinae i fischi
mesce a le trombee fa più acuto il suono.
L'ebbro Citero e l'alte torriavvezze
a seguir miglior cantoinorridiro
al non usato strepito di Marte.
Bellona stessa le ferrate porte
urta e spalancae tutta Tebe è aperta.
Quasi per sette bocche escon al campo
confusi e misti e cavalieri e fanti
e carrie fansi l'un a l'altro impaccio.
Sembra che i Greci abbiano a tergo; tanto
s'affollano a le porte: esce Creonte
per l'Ogigiae sen vien per la Neíta
Eteocle feroce; il forte Emone
sgorga per l'Emoloidae la Pretida
fuor manda Ipseo; quindi l'Elettra ingombra
il gran Driante; con robusta mano
l'Ipsista scuote Eurimedonte altero
e la Dircea sta di Meneceo in guardia.
Così talora il Nilo in sè nascoso
sugge a gran tratti orïentali nembi
e dell'opposto ciel gli umidi influssi;
poscia il tesoro dell'ignoto fonte
dividee porta in abbondanza le acque
per sette foci all'Oceàn profondo:
fuggono le Nereidie i dolci flutti
non pon soffrir di quei novelli umori.
Escon dal vallo a passi tardi e lenti
i Greci afflittie più d'ogn'altro stuolo
vengono meste le falangi elee
quelle di Lacedemone e di Pilo
vedove e prive del lor duce e vate
seguendo il nuovo lor Rege improvviso
non bene avvezze ancora al suo comando.
Nè solo te cercan tue fide genti
primo fra' vati; ma ciascuna schiera
crede che a lei tu manchie men sublime
il settimo cimier sorge nel campo.
Qual se in l'umido Polo invida nube
un astro invola alle parrasie stelle
tronco ne resta il carroe d'una luce
scemo risplende il cieloe i naviganti
in numerar le stelle incerti stanno.
Ma già mi chiaman l'armi: in me rinforza
Calliopei carmie più sonora cetra
mi doni Apollo: il feral giorno adduce
a' popoli vogliosi e furibondi
su facil'ali l'ultimo momento.
Uscita fuori della stigia gora
la Morte a cielo aperto il campo ingombra
co' tetri vannie col suo nero ammanto
eccita all'armi le nemiche squadre;
nè vuole alme plebeema quelle sceglie
che per etade e per valor più degne
di vita sonoe con sanguigno serpe
le nota e le distingue. I fusi interi
tolti a le Parchedelle Parche invece
troncan le Furie agl'infelicie Marte
con l'asta ancor non sanguinosa stassi
nel mezzo al campoe 'l risplendente scudo
or volge a questi ed or a quellie a l'armi
tutti gli instigaed oblïar lor face
i cari alberghile consorti e i figli.
Scordansi ancor le patriee quelch'estremo
parte da noidolce di vita amore.
Tiene il furor pronte le mani a' brandi
bolle l'ardir ne' pettie par che voglia
uscir fuor degli usberghie orribilmente
tremano sovra gli elmi i gran cimieri.
Ma che stupor se cotant'ira accende
l'alme guerriere? Ogni destrier rassembra
che spiri fuoco e che la pugna agogni:
smalta il molle terren di bianche spume
e quasi al corpo del signore unito
par che de' sdegni suoi tutto s'informi;
tutti rodono i frenie la battaglia
col feroce nitrir chiedono a prova:
s'ergono in altoe i cavalier sul dorso
scuotono impazïentied ecco il segno
e già spingonsi al corso: immensa polve
s'alza per tuttoe l'uno e l'altro stuolo
vassi a incontrar con frettolosi passi
e lo spazio di mezzo ognor decresce.
Urta scudo con scudoelmo con elmo
brando con brandopiè con piedeed urta
asta con astae in sanguinosa pugna
si mischiano le schiereed a vicenda
si riscaldan co' fiatie son confuse
insiem le penne de' nemici elmetti.
Pur vago della guerra è ancor l'aspetto.
Ogni cavallo ha il cavalier sul dorso;
ogni carro il suo aurigae sovra ogn'elmo
svolazzano le cresteed a lor luogo
stanno ancor l'armied ogni scudo splende
a' rai del solee sono ancor adorne
e le faretre e i militari cinti;
nè il sangue ancor toglie splendor a l'oro.
Ma poi che crudel rabbiaempia virtude
prodiga delle vite i cuori accese:
non con impeto tal piomban dall'Arto
il Rodope a ferir nevi gelate:
non con tanto rumor l'Ausonia turba
Giovequalor tuona da tutto il cielo;
nè di grandin maggior le Sirti inonda
Boreaqualor da le latine spiagge
in Libia porta turbini e procelle.
Velano il dì co' dardie per lo cielo
volan nubi di ferroe l'aria immensa
appena par che a cotant'armi baste.
Altri i dardi avventatialtri i respinti
mandan tornando a morte. A mezzo il calle
scontransi spesso le ferrate travi
e cadon vane a terra; asta con asta
concorre a pugna: grandine di sassi
scaglian le frombee le veloci palle
van del fulmin più prestee le saette
volan per l'aria con diverse morti.
Nè più v'è luogo ove un sol colpo a terra
cada; ma van tutti a ferir ne' corpi.
L'un l'altro uccidee l'uno l'altro abbatte
spesso senza saperloe di virtude
sostien le veci il caso; or questa turma
s'avanza e incalzaor si ritira e cede
ed or acquistaor va perdendo il campo.
Siccome allor che minaccioso Giove
scatena i venti e le procelle irate
e con alterno turbine flagella
il basso mondo: nel celeste campo
stan due contrarie schiereed or più forte
è il nembo d'Austroor d'Aquilon la forza
finchè pugnando i turbinio quel vince
colle sue pioggeo questo col sereno.
Eccofiglio d'Asopoil grande Ipseo
dà principio a la pugnae le spartane
squadre respinge (avea la fiera gente
per lo natio valor gonfia e feroce
co' scudi aperte le tebane schiere)
e primo uccide il duce lor Menalca.
Costui per alma e per virtù lacone
e dell'Eurota alunnoe che disnore
non fece a gli avisi strappò dal petto
per l'ossa e per le viscere squarciate
l'asta ch'entravaacciò che a tergo uscendo
non lo macchiasse di vergogna e scorno
e con debile man del proprio sangue
tinta al fiero nemico la rimanda.
Ei nel morire il suo natio Taigeto
Rimembrae le sue impresee quei flagelli
cui da fanciullo l'avvezzò la madre.
Tende Aminta teban l'arcoe di mira
Fedimo prende. O troppo pronta morte!
Fedimo sul terren già moribondo
langue: nè tace ancor l'arco d'Aminta.
Il calidonio Agreo di Fegea tronca
la destra mano: essa ancor guizzae 'l ferro
impugna e muove. Tra l'altr'ami sparsa
sopra del suolo paventolla Aceste
e benchè tronca la ferì di nuovo.
Ifi Atamanteed il feroce Ipseo
Argo distendee Abante Fereo uccide
ma con diverse morti: è cavaliero
Ified Argo pedoneAbante auriga;
uno in golaun nel fianco e 'l terzo in fronte
cadon feriti: due gemelli argivi
di Cadmo ucciser due gemelli ascosi
sotto gli elmetti chiusi.Oh della guerra
ignoranza crudel! Ma poi che scesi
li dispogliaro e 'l lor misfatto apparve
mestidolentiafflitti e quasi immoti
si miraro i fratellie n'ebber doglia.
Iön di Pisa abitatore atterra
Dafni di Cirrai suoi destrieri avendo
pria spaventati: gli applaudì dall'alto
Giove: del suo cirreo sentì pietade
quantunque tardi e inutilmenteApollo.
Ma la fortuna quinci e quindi illustra
due forti eroi nel sangue ostil feroci.
Emon tebano i Greci urta e flagella
e Tideo preme le dircee falangi.
A questo Pallaa quello assiste Alcide.
Come scendon da' monti a un tempo istesso
due rapidi torrentie 'l piano inondano
con subita ruinae par che a gara
faccian tra lor chi più rapisca i campi
o più soverchi i ponti: ecco una valle
lor dà ricettoe ne confonde l'acque:
ma superbo ciascun del proprio corso
negano al mar portar unite l'onde.
De' combattenti in mezzo Ida d'Enchesto
giva scorrendo con accesa face
e colla fiamma disgombrando il calle
e scompigliava e ponea in rotta i Greci:
allor che da vicin del gran Tideo
l'asta gli spezzò l'elmo e lo trafisse.
Cad'ei supinoe molto spazio ingombra;
tien l'asta in frontee la caduta fiamma
gli circonda le tempie; allor l'insulta
il vincitore: - Non chiamar crudeli
gli Argivino; noi ti doniamo il rogo
colle tue faci e col tuo fuoco: or ardi. -
Indi qual tigre che nel primo sangue
la rabbia accese e a tutto il gregge anela
Aone con un sassoe colla spada
Folo e Cromi ferisce; indi coll'asta
i due fratelli Elicaoni uccide
che già da Meradell'egea Ciprigna
sacerdotessadella diva in onta
fur generati di furtivo amplesso.
Miserivoi giacete! E i fieri altari
circonda ancor la supplichevol madre.
Con non minor furor l'erculeo Emone
sitibondo è di sanguee mille schiere
col brando insazïabile trascorre.
I fieri Calidonii urta e fracassa;
turba quei di Pelenee della mesta
Pleurone abbatte i giovani feroci;
finchè già rintuzzato il brando e l'asta
l'ollenio Butiche le schiere affrena
e lor vieta la fugaaggiunge e assalta.
Era giovine Butie 'l fean palese
le intatte guance e 'l non tosato crine
quando improvvisa a lui su l'elmo scese
la tebana bipenne. Ambe le tempie
cadon partitee la divisa chioma
di quadi là sovra le spalle pende
e a luiche non attende e non sen guarda
innanzi tempo il vital filo tronca.
Poscia il biondo PoliteIpari il biondo
(l'uno a Febo nudriva il molle viso
e l'altro a Bacco la lasciva chioma)
del pari uccide. O troppo ingrati Numi!
Appresso a questi Iperion distende
e Damasoche in fuga era rivolto
ma l'asta del guerrier lo coglie a tergo
e per l'usbergo passae nello scudo
si cacciae lungi su la punta il porta.
Strage maggior nelle lernee falangi
farebbe Emon: perocchè Alcide i dardi
gli drizzae a lui dà forza; ma Tideo
Palla gli opponee già si stanno a fronte
co' tutelari Numi; allora Alcide
parlò primierma placido in sembianza:
- Fida germanaqual error di guerra
qual sorte insieme a battagliar ne guida?
Forse un sì reo misfatto ordisce Giuno?
Pria mi vedrà (benchè nefanda ed empia
impresa fora) al fulmine trisulco
opporre il pettoe contrastar feroce
col mio gran padre. Dal mio ceppo scende
Emon; ma se tu l'odiiio lo ricuso:
nè se contro Ila e contro Anfitrione
(qualor tornasse in vita) il tuo Tideo
vibrasse l'astaa lor farei riparo.
Ben mi sovviennè fia ch'unqua l'obblii
quanto per me questa tua destra invitta
sudassee questo tuo gorgoneo scudo
allor che tutto andai vagando il mondo
servo infelice in duri casi involto:
ita saresti meco anche a gli abissi;
ma i Dei superni non ammette Averno.
Tu il cieltu il padre a me donasti. A tante
grazie qual mai potrò donar mercede?
Se vuoi Tebe appianario l'abbandono
e cedo al tuo volere e perdon chieggio. -
Sì dissee già partia: l'altera Dea
placossi al suono del parlar gentile
e serenò 'l sembiantee su 'l Gorgone
sgonfiando i collisi posâr le serpi.
Sente partirsi il numee già più lenti
i dardi vibra l'infelice Emone
e ne' languidi colpi il vigor primo
non riconoscenè l'usata destra.
In lui manca l'ardiree 'l timor cresce
nè si vergogna ritirarsi: allora
più feroce Tideo l'incalza e preme
e maneggevol solo alla sua mano
libra un'asta ferratae a certo segno
la drizzae al sommo dello scudo mira
ove confina la goletta e 'l colpo
è più mortale; nè ingannollo il braccio.
Già portava la morte il crudo cerro
ma nol permettee l'omero sinistro
sol gli lascia lambir con lieve piaga
grata al fratello la tritonia Dea:
più non sta fermo Emonnè più s'appressa
al gran nemicoe non ne soffre il volto
e virtude e speranza in lui vien meno.
Qual setoso cinghialcui nella fronte
con non felice man confisse il ferro
il cacciatornè al cerebro pervenne:
l'ire esercita in fiancoe più non osa
gir contro l'asta che provò sì fiera.
Ecco vede Tideo Proteo tebano
condottier d'una squadrai Greci suoi
mandar con certi colpi a certa morte.
S'accende ad ira; vibra il pinoe lui
d'un colpo solo e 'l suo caval trafigge.
Cade il destrier sul cavalieroe mentre
cerca ei la brigliasu la faccia l'elmo
gli calcae sopra il sen preme lo scudo
sin che col sangue il fren gli esce di bocca
e morto cade al suo signore accanto.
Così talora avviticchiati insieme
cadon dal monte Gauroe a doppio danno
del povero cultorl'olmo e la vite
miseri al par; ma più scontento l'olmo
che i tronchi rami suoi non piange tanto
quanto della compagna i tralci amati
e l'uve amichesuo mal grado infrante.
Prese avea l'armi contro il campo greco
Corebo d'Eliconaamico un tempo
e compagno a le Muse. Il dì fatale
conscia de' stami infernie dalle stelle
pria conosciutoa lui predetto aveva
Uraniae pur l'armi e le guerre agogna
(e forse per cantarle) il garzon folle.
Ei cadee nel cader degno si rende
ch'altri lo canti; ma le afflitte Muse
mute restaroe l'onorâr co' pianti.
Fin da' più teneri anni era promessa
ad Ati Ismenee non venía straniero
benchè di Cirrail giovane gentile
a questa guerrae non avea in orrore
in suo favor de' suoceri le colpe:
la fa il casto pallor a lui più grata
e le accresce beltà l'indegno lutto.
Era anch'egli leggiadroe non nudria
la vergine da lui diverse voglie;
e l'un dell'altrose fortuna a mezzo
non troncava i disegnierano amanti.
Ma la guerra crudel vieta le nozze;
quinci di maggior ira acceso il seno
vien furïandoe le lernee falangi
ora pedon col ferro urta e scompiglia
ora sovra un corsierquasi dall'alto
il rimirasse Ismenei Greci assalta.
Di triplicata porpora coperte
le spalle ancor crescenti e 'l molle petto
gli avea la madree del destrier gli arnesi
e l'elmo e le saette erano d'oro
e le maniche e 'l cintoe su 'l cimiero
(perch'ei non gisse men d'Ismene adorno)
l'oro increspato svolazzava al vento.
Misero! ei vano de' pomposi fregi
osa i Greci sfidaree fatta strage
nelle men forti squadrea' suoi sen riede
colle acquistate spoglieed or uccide
un guerrieror ritorna al suo drappello.
Qual giovane leon ne' boschi ircani
nudo ancora di peloe non tremendo
per l'onor delle giubee non ancora
avvezzo a ber de' generosi il sangue
poco lungi a le stalle il vile armento
quando è il pastor lontanoardito assalta
e d'un tenero agnel pasce la fame.
Tale Atia cui noto non è il valore
nè l'armi di Tideo; ma lo misura
solo dal corponol paventae ardisce
con debil dardomentre quei minaccia
gli altri e gl'incalzadi tentarlo. Al fine
gli occhi il fiero rivolge a' colpi frali
e amaramente ride: e- Ben m'avveggio
temerario garzon(dice) che aspiri
a glorïosa morte. - Indi sdegnando
usar contro un fanciul la spada e l'asta
apre appena le ditae lieve strale
sfuggir ne lasciache qual fosse un grave
acuto cerro e con vigor scagliato
gli passa l'anguinaglia e 'l fere a morte.
Sdegna Tideo spogliarlo: e- Non fia mai
(grida) che sì vil dono abbia la Madre
o che a tePallatali spoglie appenda.
Me lo vieta il rossore; e se nel campo
qui Deifile fosseappena a lei
per suo trastullo le porrei davanti. -
Dicee a gloria maggior pugnando aspira.
Così leon per molte stragi altero
sdegna i molli vitelli e 'l vile armento
e sol de' generosi il sangue anela
e al toro condottier del gregge agogna
star su l'alta cervice e farne scempio.
Dal flebile clamor Meneceo accorto
del caso d'Atii suoi destrieri e 'l carro
là volge a tutto corsoe in terra sbalza.
Già del Taigeto i giovani feroci
stavan su luiche giace: in abbandono
lo lasciavano i Tirii. Alto rampogna
Meneceo i vili: - O voi da Cadmo scesi
che da' solchi guerrier vantate i padri
e 'l valor ne mentite; ove ne andate
ove fuggite? Oh eterna infamia! Oh scorno!
Dunque meglio per noi Ati sen giace?
Ati stranierche non aveva in Tebe
cui vendicar che la diletta sposa
e questa ancor non sua? Noi tanti nostri
pegnile moglii figlii tempiii tetti
tradirem dunque? - Da vergogna punte
fermârsi allor le schieree 'l patrio amore
tornò ne' pettie rivoltâr la fronte.
Stavano intanto in solitaria cella
del regio albergo le innocenti figlie
di Edippo amabil coppia e di costumi
dal genitor diversa e da' germani
rammentando tra lor gli acerbi casi
e de' vicini e de' primieri tempi;
della madre le nozze unae del padre
l'altra gli occhi rammenta; or questa piange
il fratello che regna; or il ramingo
quella mesta deplora: ambe le guerre.
Quindi più grave a loro è la tardanza
degl'infelici e non ben certi voti.
Sospese stan qual vincitorqual vinto
bramin veder nel barbaro duello
ma nell'interno l'esule prevale.
Così il garrulo augel di Pandïone
qualor ritorna al suo fidato albergo
onde cacciollo il vernoe sovra il nido
va svolazzandole sciagure antiche
a' tetti narra e al ventoed il confuso
flebile mormorio crede parole
e ben rassembra a le parole il canto.
Dopo un lungo silenzio e dopo i pianti
parlò di nuovo alla sorella Ismene:
- Qual error turba i miseri mortali?
Qual ingannevol fede? In mezzo al sonno
veglian le curee alla sopita mente
tornan distinti e simulacri e larve?
Ecco ioche appenase profonda pace
godesse il regnoi talami e le nozze
volgerei nella mente (io mi vergogno
sorellaa dirlo)nella buia notte
vidi le tede nuzïali: ahi come
questo folle sopor mostrommi in sogno
lo sposo appena visto! Una sol volta
e involontaria in questa reggia il vidi
mentre non so quai patti alle mie nozze
stabilivan fra loro. A me parea
tutto turbarsi d'improvvisoe spente
mancar le facie la rabbiosa madre
con urli e strida seguitarmied Ati
ridomandarmi. E quale annunzio infausto
è mai questo di strage? E pur non temo
se staran queste murae se lontane
andran le greche schieree tra' fratelli
s'avremo tempo di compor la pace. -
Così dicean tra lor: quand'improvviso
mesto clamor la taciturna reggia
turba e spaventaed ecco Atiritolto
con gran fatica a le nemiche genti
mal vivo si riporta e senza sangue;
ha la man su la piagae dallo scudo
pende languido il capoe su la fronte
scomposto ha il crin; prima Giocasta il vede
e pallida e tremante Ismene chiama.
Questa sol chiede con languente voce
il moribondo genero; sol questo
nome sta ancor su le gelate labbia.
Alzan le ancelle i gridie l'infelice
vergin portava già le mani al crine
ma vergogna l'affrena: al fin costretta
colà si porta: questo estremo dono
Giocasta accorda al genero che spira
e a lui la mostra e l'offre. Al dolce nome
ben quattro volte su' confin di morte
girò gli occhi ecclissatie a è fe' forza
e alzò il volto cadentee ne' suoi lumi
mirando soldel ciel la luce ha a schivo;
nè può saziarsi dell'amata vista.
Ma poi che lungi era la madree morto
con miglior sorte era poc'anzi il padre
di chiudergli le luci il mesto uffizio
dassi a l'afflitta ed infelice sposa
che quando restò solaallentò il freno
a' gemitia' singultie gli cosperse
di pie lagrime amare il morto viso.
Mentre ciò fassi in TebeEnío crudele
di nuove serpi e nuove faci armata
la battaglia rinforza. Ognuno l'armi
bramacome se allora il primo assalto
fosse della tenzonee ch'ogni brando
splendesse ancor al sol lucido e terso.
Ma sopra tutti il gran figliuol d'Eneo
si distingue quel giornoancor che molto
Partenopeo da l'infallibil arco
scocchi dardi sicurie Ippomedonte
col feroce destrier calpesti i volti
de' nemici abbattuti e moribondi
e Capaneo vibri l'acuto pino
pur troppo noto a le sidonie squadre.
Di Tideo solo è quell'orribil giorno
lui sol si teme e da lui sol si fugge
e vien egli gridando: - Ove fuggite?
Perchè il tergo volgete? Oraora è il tempo
di vendicar vostri compagni uccisi
e compensar quell'infelice notte.
Io son colui che cinquant'alme spinsi
con brando ancor non sazio in grembo a Dite.
Vengan cinquantae cinquant'altri insieme
che io qui gli attendo. Quei che dianzi uccisi
non han dunque fra voi padri o fratelli
vindici di lor morte? Onde proviene
questo sì vile oblio de' vostri lutti?
Io mi vergogno riveder Micene
e star contento della prima strage.
Tali guerrier restano a Tebe? Queste
son le forze del Re? Ma dove mai
dove s'asconde questo invitto duce? -
Ed ecco il vede nel sinistro corno
animando le schieree lo distingue
a lo splendor della superba fronte.
Non sì veloce piomba il grande augello
portatore de' fulmini di Giove
su bianco cignoe cogl'immensi vanni
tutto l'adombra; come allor Tideo
contro del Re si scaglia e lo rampogna:
- O giusto Re della sidonia gente
vuoi tu venir a manifesta guerra
e meco alfin provar del pari il brando?
O sol ti fidi nell'amica notte
e le tenebre aspetti? - Ei non risponde
ma di risposta invece a lui rimanda
stridente dardo. L'etolo campione
con leggera percossa il colpo torse
quando a lui fu vicino e al fin del volo.
Indi con tutto il braccioe dell'usato
con maggior forza avidamente vibra
contro il crudel tiranno asta maggiore.
Giva la ferrea travee ponea fine
al fier düelloe l'applaudian dall'alto
de' Greci e de' Sidonii i Numi amici;
ma vi si oppone la spietata Erinni
ed Eteòcle al reo fratel riserba.
Andò il ferro a piagar Flegia scudiero
ove più ardea la pugna. Allor Tideo
il brando stringee più feroce corre
contro il Reche già cede e si ritira
e lo copron co' scudi i suoi Tebani.
Come vorace lupo in buia notte
ch'abbia assalito tenero giovenco
s'è de' pastor da folto stuol respinto
in rabbia montae disprezzando i dardi
a lor rivolge l'affamato dente
e in quelper cui già venneil torvo sguardo
fiso tenendocontro lui s'avventa
sempre fermo in desio di farne preda.
Così Tideo sdegna le opposte schiere
e la turba minoree i colpi affrena.
Pure a Toante nel passare il viso
a Deiloco il pettoa Ctonio il fianco
e ad Ippodamo truce il tergo fere.
Sovente a' corpi le lor membra rende
e manda a l'aria le celate piene.
E già fatto a se stesso argine e cerchio
ha di corpi e di spoglieed in lui solo
si consuma la guerrae contro lui
drizzansi tutti i dardi. Altri a la pelle
giungono a vuotocadon altri a terra:
altri Palla ne svellee già lo scudo
sostien d'aste e di dardi orrida selva.
Ei d'ogni parte è cintoe già da tergo
squarciato pende il calidonio vello
e con funesto augurio a terra cade
Martegloria ed onor del suo cimiero:
già d'ogni fregio nudo in su le tempie
posa l'elmo infiammatoe ripercosso
da sassi e travi orribilmente suona.
Gli scorre per la fronte e per lo petto
di sangue e di sudor tepido rio.
Ode i suoi che l'esortano a ritrarsi
e lungi vede la sua fida duce
collo scudo coprirsi il mesto volto.
Essa prendendo verso il cielo il volo
giva a placar col pianto il genitore.
Ed ecco fende il vento immensa trave
che gran destino e gran vendetta porta
e l'autor non è notoe non si scopre.
Menalippo uom vulgar d'Astaco figlio
fu colui che fe' il colpoe non sen vanta
e quanto può cerca occultar la mano
ma il clamor delle turme il fa palese;
poichè al colpo mortal si piegò in dorso
Tideo feritoed allentò lo scudo
e tutto il fianco gli restò scoperto.
Alzan le grida allor le aonie schiere
e piangono i Pelasghie co' lor petti
a luiche fremefan riparo e schermo.
Egli a traverso le dircee falangi
cerca coll'occhio il suo nemicoe tutte
le reliquie dell'anima raccoglie
e un'astache a lui porse Opleo vicino
contro gli scagliae per lo sforzo estremo
l'ultimo sangue dalle vene uscío.
Allor gli Etoli mesti il lor signore
che ancor combatter brama e l'aste chiede
(ahi qual furor?) e della morte in braccio
di morir negariportaro indietro
e le languide membra e 'l corpo frale
adagiâr su uno scudoe lo posaro
su 'l margine del campoe fra' singulti
gli fer sperar di rimandarlo in guerra.
Ed eiche al fin vede mancarsi il giorno
e nel gelo mortal sente le membra
sciogliersi e già fuggir l'alma superba
s'alza qual può su 'l debil braccioe dice:
- Pietà vi prenda del mio caso acerbo
Greci; non già che questa inutil salma
in Argo si riporti od a Pleurone
chè l'esequie io non curoe sempre odiai
queste caduche membrae 'l debil uso
del corpo fralee peregrina spoglia
che presto manca ed abbandona l'alma;
ma se fia che 'l tuo capo alcun mi porti
solo il tuo capoo Menalippo! e certo
so che tu mordi il suoloe che gli estremi
sforzi non m'ingannâr di mia virtude.
VaIppomedontese in te ferve il sangue
d'Atreo; vannegarzond'Arcadia onore
e già famoso nelle prime guerre;
e tu fra tutti i Greci il più sublime
muovitio Capaneo. - Corsero a gara;
ma Capaneo giunge primieroe trova
Menalippo spirantee se lo getta
su la sinistra spallaancor che il sangue
che dall'aperta piaga esce a torrenti
gli lordi il largo tergo e 'l ferreo arnese.
Dall'arcadico speco in cotal guisa
il predato cinghial riportò Alcide
a' desiosi ed acclamanti Argivi.
Tideo s'alza di nuovoe al suo nemico
corre incontro col guardoe poi che 'l vede
gir boccheggiando ne' singulti estremi
e colle luci languide ed erranti
e la sua morte riconosce in lui:
d'allegrezza e di sdegno ebbro e furente
vuol che 'l capo sen tronchi e se gli porga.
Il prendee torvo il guardae si compiace
in rimirarloancor che troncoin giro
rivolger gli occhi torbidi e tremanti.
Tanto bastava al misero: ma chiede
maggior misfatto l'empia Furia ultrice.
E già scendea dal ciel (placato il padre)
Pallade non più mestae a l'infelice
dell'immortalità portava il dono.
Ma quando il vide di cervella e sangue
ancor fumante satollar le labbra
nè poterlo staccar dal fiero pasto
inorriditi i Greci: in su 'l Gorgone
si drizzaro le serpie della Dea
velâr la facciaed essa abbominando
il capo torsee pria di gire a gli astri
purgò la vista con il sacro fuoco
e dell'Eliso si purgò nell'onda.
LIBRO NONO

MORTE DI IPPOMEDONTE
E DI PARTENOPEO

L'atroce rabbia di Tideo crudele
inasprì i Tiriie mitigò ne' Greci
il dolor di sua mortee l'atto indegno
tutti biasmârche di vendetta ruppe
ogni leggeogni dritto. E tu de' Numi
Marteil più fieroancor che la gran pugna
tua mercèfosse nel maggior calore
fam'è tra noi che non il volto solo
torcesti altrove; ma i destrieri e 'l carro.
Dunque la gioventù da Cadmo scesa
non altrimenti a vendicar si muove
di Menalippo la spietata morte
l'esequie profanate e 'l fiero scempio
che se l'ossa e le ceneri degli avi
fossero sparse al ventoe l'urne aperte
e date in preda ad esecrandi mostri.
Il Re vie più gli accende: e- Chi pietoso
(grida) fia più co' Greci? E chi da loro
spera nulla d'umano? O non più inteso
e ferino furore! han dunque in noi
tutte vuotate le faretre e gli archi
che d'uopo sia che colle adunche zanne
squarcino a brano a bran le membra tronche?
Con tigri ircane e co' leon feroci
non vi sembra pugnar di Libia adusta?
Ed or colui sen giace (o della morte
nobil conforto!) e con i denti afferra
il teschio ostilee le dure ossa e 'l sangue
rode e sugge l'infamee muor contento.
Adopriamo noi pure il ferro e 'l fuoco
che basta lor la ferità natia
e gli odii soli senz'usare altr'armi.
Ma sieno pur crudelie questa luce
godano lieti; pur che 'l sommo Giove
rivolga in lor gli occhi dall'alto e 'l veggia.
E si stupiscon poi che s'apra il suolo
e fugga lor di sotto a' piedi? Io sento
maraviglia maggior che anche li porti
il lor terren natio. - Così ragiona
e fremendo e scorrendo innanzi spinge
le schiere. Tutti un sol furore infiamma
a rapir di Tideo le spoglie e 'l corpo.
Così veggiam stuolo d'ingordi augelli
velar co' vanni il cielqualor da lungi
senton l'aria spirar corrotta e guasta
da' cadaveri putridi e insepolti:
vengon gracchiandoe l'etere rimbomba
e gli augelli minor cedono il campo.
La Fama intantopiù veloce e pronta
nelle infauste novelleera trascorsa
di schiera in schiera per lo campo argivo
e giunta a Polinicea cui maggiore
era per recar doglia. Al duro avviso
inorridissi il giovanee su gli occhi
già pronti a uscirgli si arrestaro i pianti.
Ei sta in dubbio se 'l credae di Tideo
la virtù conosciuta alla sua morte
il prestar fede persuade e vieta.
Poichè certo ne fule luci e 'l senso
gli si adombraroe ristagnato il sangue
languîr le membra e l'armie già di pianto
asperso è 'l lucid'elmoed a' suoi piedi
lo scudo cade. Con tremanti passi
se ne va mesto strascinando l'asta
qual se di mille piaghe il sen trafitto
ed ogni membro lacerato avesse.
Giunge ove Tideo giace intorno cinto
da' fidi amiciche 'l mostrâr piangenti
a lui che 'l chiede. Allor l'armiche appena
seco avea trattelungi scagliae nudo
sul cadavere esangue s'abbandona
e a le lagrime il fren scioglie e a la voce:
- Dunqueo caro Tideodelle mie guerre
unica spemetal mercè ti rendo?
Son questi i premii a tua virtù dovuti?
Che tume salvosul terreno infame
di Cadmo giaccia? Or sì che vinto io sono:
or sempr'esule andròor che m'è tolto
un fratel d'Eteócle assai migliore.
Io più l'antiche sortie più non chieggio
la vïolata mia corona e 'l regno.
Qual cosa esser mai può che a tanto prezzo
lieta mi sembri? O qual gradito scettro
che non mi porga la tua forte mano?
Itene pureamicie me qui solo
al reo fratel lasciate. A che più giova
l'armi tentaree invan perder tant'alme?
che più dar mi potete? Ecco ch'io stesso
Tideo condussi a morte: or con qual morte
purgar giammai potrò tanto delitto?
Oh suocero! Oh Pelasghi! Oh della prima
notte risse gradite e pugne alterne!
Oh brevi sdegni d'un sì lungo amore
forieri e pegno! Ah perchè mai 'l tuo ferro
(e ben tu lo potevi) in su le soglie
non mi svenò d'Adrastoo gran Tideo?
Anzi per mequal se i tuoi propri onori
e 'l tuo regno chiedessia' tetti infidi
onde tu sol tornar potevi illeso
del reo fratello volontario andasti.
Taccia il pio Telamontaccia Teseo
l'antica fama. Ed or ohimè qual giaci!
Ahi quali prima ammirerò ferite?
E qual è il tuoqual l'inimico sangue?
Qual folta schiera di guerrieri eletti
fu che t'oppresse? Il padreil padre stesso
invidïando tua virtùla morte
ti diede: Marte fu quel che t'uccise. -
Così dicee co' pianti il morto viso
di sozzo sangue deformato e lordo
lavae sul petto gli compon le braccia.
Indi ripiglia: - Adunque tu cotanto
i miei nemici odiastied io ancor vivo? -
E di già tratto il ferroin sè crudele
sel rivolgeva al sen per darsi morte;
ma il ritengon gli amicie lo riprende
Adrastoe delle guerre i vari casi
a lui narrando e del destin la forza
l'accheta e lo consolae a poco a poco
dal corpo amatoonde s'avviva il duolo
e in lui s'accresce di morir la brama
lungi lo guidae destramente il ferro
tra' discorsi di man gli toglie e il cela.
Ei partecome toro afflitto e lasso
cui venne meno il suo fedel compagno
e lasciò il solco non finito ancora:
mezzo il giogo sostien sopra il suo collo
mezzo ne regge il villanel piangente.
Ed ecco d'Eteócle i detti e l'armi
seguendovien di giovani feroci
eletto stuolocui Bellona e Marte
non sprezzerieno in guerra. Ippomedonte
fermo su' piedicollo scudo al petto
abbassa l'astae a quanti son si oppone.
Qual rupe incontro a' fluttie che del cielo
l'ire non temee 'l mar respinge e frange
sta immota a le minaccee la paventa
l'Oceàn procellosoe d'alto mare
la conoscon da lungi i naviganti.
Vien Eteòclee l'asta scuote e grida:
- E non vi vergognate in faccia a' Numi
del cielo a vista e della pura luce
difender queste scelerate membra
che fur della milizia obbrobrio eterno?
O nobile sudorrara virtude
per dar tomba ad una fera! Adunque in Argo
porterassi costui con mesta pompa
e del rio sangue lorderà il ferétro?
Si tralasci tal cura: augelli e mostri
nol toccherannoe dello stesso rogo
(se gliel darem) l'abborriran le fiamme. -
Tacquee scagliò sì smisurato dardo
che ritardato ancor dal primo cerchio
del forte scudopenetrò al secondo.
Indi l'aste vibrâr Ferete e Lica;
ma il colpo di Ferete indarno cadde
e con sorte miglior l'asta di Lica
lambìgli l'elmo orribile chiomato.
Svelte dal ferro le superbe piume
volaron lungie inonorata apparve
e de' suoi pregi la celata priva.
Non si arretra il guerriernè contro l'armi
provocato si lancia; in giro volge
su l'orme istesse la terribil fronte
e a' nemici resistee 'l suo valore
tien che lungi non scorra. In ogni moto
guarda l'amato corpoe lo difende
e al cadavere intorno si raggira.
Non con tanto valorcon tanta cura
l'ardita vacca il suo vitel difende
dal lupo assalitorruotando intorno
le dubbïose corna; essa non teme
ma del sesso scordatae freme e sbuffa
e i forti tori generosa imita.
Ma pure al fine a Ippomedonte è dato
poichè cessaro le saette ostili
di rilanciar suoi dardi e far vendetta.
Già il sicïonio Alcone e già i veloci
Pisani erano accorsi in sua difesa
e fatto gruppo di guerrieri e d'aste
affidato in costortrave lernea
ei scagliae quella va non men veloce
di cretica saettaed a Polite
il petto passae a Mopso a lui congiunto
fora e varca lo scudo; indi Cidone
di Focidae Falante di Tanagro
ed Erice trafigge: Erice addietro
s'era rivoltoe mentre sta sicuro
e la morte non teme e chiede l'aste
nella nuca lo cogliee i denti spezza
e per la boccau' non entròsen esce.
Leuconteo intanto dietro l'armi ascoso
e dietro i combattentiavea di furto
stesa la manoe per lo crin prendendo
Tideoseco il traeva. Ippomedonte
quantunque cinto di minacce e d'armi
il videe a terra con un colpo solo
gli fa cader la temeraria mano
e grida: - Questa a te Tideo rapisce
Tideo stesso l'ha troncae quindi apprendi
de' magnanimi eroibenchè consunti
a rispettare i fatie le grand'ombre
in avvenire a non tentare impara. -
Tre volte i Tirii avean l'orribil corpo
rapitoed altrettante i Greci audaci
loro l'avean ritolto. In cotal guisa
sta del siculo mar fra le procelle
nave agitatae del nocchiero in onta
a gonfie vele e con in poppa il vento
s'aggirae torna ne' medesmi flutti.
Nè di Sidonia avrian tutte le schiere
respinto Ippomedonte; nè di loco
smosso l'avrian le macchine murali
ed a le torri eccelse anche tremendi
nel forte scudo foran vani e cassi
caduti gli urtie ritornati indietro:
ma la Furia crudelche ha fermo in mente
di Plutone il comando e di Tideo
le colpe in sè rivolgein mezzo al campo
ingannevol si mostra e in finto aspetto.
La sentiron le schieree un sudor freddo
scorse per l'ossa a gli uomini e a' destrieri
ancor ch'ella d'Alì prendesse il volto
e il ceffo suo coprissenascondendo
le sferze ed i flagelli: in cotal forma
vestita d'armie in placido sembiante
con dolce vocea Ippomedonte a canto
fermossie pur mentr'ella parlaei teme
e del nuovo timore ha maraviglia;
ed essa allor piangendo: - Ed a che invano
generoso guerrieroadopri l'armi
a difender i morti? Adunque solo
degl'insepolti corpi e delle tombe
avrem noi cura? Ma si mena intanto
da l'altra parte prigioniero Adrasto
e pur te solo ei chiamae colla mano
e colla voce il tuo soccorso implora.
Ahi quale il vidi sdrucciolar nel sangue
privo di serto la canuta chioma!
Nè quinci è lungi. In quella parte volgi
gli occhiove s'alza un turbine di polve
u' più folto è lo stuol. - Fra due timori
sta il dubbio cavalier mesto e sospeso;
ma la Furia lo preme: - A che più tardi?
Chè non andiamo? Queste morte spoglie
ti ritengono forsee non ti cale
di chi ancor vive? - Al fin vincer si lascia
Ippomedontee a' forti suoi compagni
il corpo raccomanda e le sue pugne.
Partee abbandona il suo fedele amico:
pur indietro si volgee attento ascolta
pronto a tornarse a sorte altri 'l richiami.
Del finto Alì l'orme seguendo intanto
di quadi là per travïate strade
si aggira indarno: fin che l'empio mostro
gettò lo scudo e sparvee le ceraste
spezzaron l'elmoe sibilando usciro.
Sciolta l'infernal nubeegli rimira
starsi sul carro suo sicuro Adrasto
e intorno a lui le guardie sue tranquille.
Ma i Tirii intanto han preso il corpoe lungi
il palesâr colle festive voci;
e a lui ferîr gli orecchie di segreta
doglia strinsero il core e gli urli e i gridi
de' vincitor superbi. O del destino
tiranna forza! Ecco Tideo si tragge
per l'ostil campo: quel Tideo che dianzi
quando i Tirii incalzavao sul destriero
o pedon combattessea lui davanti
s'aprian di quadi là tutte le schiere.
Non stan l'armi in riposoe non le destre;
nè li ritienora che 'l ponno impuni
da l'oltraggiar le già temute membra
quella ferocità che pur conserva
nel terribil sembianteancor ch'estinto.
Una sol brama i vili e i forti accende
nobilitar le manie i dardi tinti
serbar nel costui sangueed in trionfo
mostrarli poscia alle consorti e a' figli.
Così terror de' mauritani campi
leon feroceper cui stieron chiuse
le greggee in armi i buon custodi e desti;
se cade al fine da' pastori oppresso
il prato se ne allegrae d'ogni parte
con liete grida accorrono i bifolchi
e gli strappan le giubbee l'ampia gola
spalancanrammentando i propri danni.
Ei su l'ovile o da una pianta pende
trionfo e gloria dell'antico bosco.
Ma il fiero Ippomedonteancor che vano
vegga il soccorsoe per la tolta spoglia
tarda la pugnapur ruotando il ferro
irrevocabilmente il passo avanza;
nè l'inimico da l'amico scerne
se lo ritarda; ma la fresca strage
lubrico fa il terrenoe i semivivi
e i carri al suolo rovesciati e infranti
gl'impediscono il passoe 'l fianco aperto
da lo stral d'Eteòcle (o della pugna
nel calor non sentilloo di vendetta
per troppo amor dissimulò la piaga).
Vede Opleo al finche fu nelle battaglie
al gran Tideo compagnoed or ne porta
inutilmente l'armie per lo crine
tiene il destrier del cavaliero estinto:
il buon destrierche del signore amato
il caso ignorae co' nitriti il chiama
e si duol che di sè lo lasci vuoto
e che più goda di pugnare a piedi.
Ippomedonte (ancor che il nuovo peso
portar ricusi su l'altero dorso
siccome avvezzo a quella sola mano
che lo domò nella primiera etade)
il prendelo corregge e gli flavella:
- Infelice corsierperchè ripugni
al nuovo impero? Il dolce peso amato
del tuo primiero eroe più non avrai
tu più non pascerai d'Etolia i campi
e più non scuoterai le altere chiome
nell'acque d'Acheloo; quel che ci resta
eseguiscasi almen: le care spoglie
vien meco a vendicareo pur mi segui
perchè tu ancor l'ombra raminga errante
prigionier non offendae dopo lui
altro superbo cavalier non porti. -
Parve ch'egl'intendessee d'ira acceso
si mosse al corsoe 'l cavalier sostenne
meno sdegnando un condottier simíle.
Tal se da l'Ossa a precipizio cala
un biforme Centauro a l'ime valli;
temono i boschi l'uomla belva i campi.
Fuggono stretti insieme ed anelanti
spaventati i Tebani. Ei sta lor sopra
ed improvviso i capi troncae a tergo
lascia i tronchi cadaveri cadenti.
Eran giunti a l'Ismenooltre l'usato
(funesto augurio!) per gran mole d'acque
gonfio e spumante. Ivi pigliâr respiro
per breve tempo i miseri Tebani
e timorosi ivi fermâr la fuga.
Stupì l'onda non usa a le battaglie
in mirar tante schieree ripercossa
tutta s'accese di tant'armi a' lampi.
Al fin cacciati dal timorne' gorghi
si lanciarono a garae dal gran peso
l'argine rottoun turbine di polve
involò a gli occhi la contraria sponda.
Ma con salto maggior ne' flutti ostili
così com'eraIppomedonte allora
balzò (nè già ritenne il frenchè troppo
avria tardato)e a l'atterrite turbe
terribil sopraggiunseavendo prima
i dardi appesi d'un gran pioppo antico
al verde troncoe a quel lasciati in cura.
Trepidi allora i miseri Tebani
al flutto rapitor cedono l'armi.
Molti vi fur che pria l'elmo deposto
per quanto il fiato ritener potero
stetter sott'acqua infamemente ascosi;
altri il fiume passar tentaro a nuoto;
ma gl'impediscon l'armie lor dà impaccio
il cinto al fianco e la corazza al petto.
Qual si desta terror ne' pesci allora
che per le vie del marsotto dell'onde
il fallace delfin stare a la preda
mirano inteso; la squammosa turba
al fondo fuggee per timor s'unisce
nell'alghe verdie vi si addensa e asconde;
e non ardisce uscirnein fin che sorto
nol veggion sopra i fluttie colle navi
da lungi viste gareggiar nel nuoto.
Tale il guerrier caccia i Tebanie in mezzo
del fiume alto sostiene il frenoe l'armi
reggee sostenta il suo destrier su' piedi
di remi invece: la ferrata zampa
avvezza al suoloondeggiae al fiume in fondo
cerca indarno toccar l'usata arena.
Iön da Cromi è ucciso; uccide Cromi
Antifo; Antifo Ipseo: quindi del pari
Astiage a morte mandae seco Lino
che già dal fiume usciama vieta il Fato
e la Parca crudel ch'in terra ei muoia.
Preme i Tebani Ippomedontee i Greci
turba figlio d'Asopo il grand'Ipseo.
Ambi teme l'Ismenoed ambi i flutti
macchian dell'ostil sanguee ad ambi il Fato
nega l'uscir dal profanato fiume.
E già su l'onde volteggiando vanno
membra e capi recisie spesso a' busti
riporta il flutto le già tronche destre.
Si vedon galleggiare e dardi e scudi
e gli archi lievied il calare al fondo
tolgon le piume eccelse a gli elmi vuoti.
Vanno intorno a fior d'acqua armi vaganti
e i miseri guerrier giacciono al fondo:
ivi lottando stan coll'empia morte
i corpi offesie l'anime spiranti
il fiume incontrae le respinge indietro.
Da la corrente in giù rapitoaveva
Agrio fanciul della vicina sponda
afferrata una pianta: a lui da tergo
Meneceo sopraggiungee da le spalle
gli recide le braccia. Egli l'impresa
imperfetta abbandonae in giù cadendo
mira le braccia sue pender dal tronco.
L'asta d'Ipseo d'immensa piaga uccide
Sagoe al fondo lo cacciae sol di lui
resta l'orma sanguigna in cima a l'onde.
Per dar soccorso al suo fratel discese
Agenor da la spondaed afferrollo
misero! chè il ferito a lui le braccia
al collo stendee col suo peso il grava.
Potea Agenor da gl'importuni amplessi
sciogliersie uscir dal periglioso guado;
ma arrossì di tornar senza il fratello.
Alza Calete di ferire in atto
minaccevole il braccio. Il rio crudele
ne' girevoli gorghi ecco l'involge:
già la facciagià il crinla man si cela:
ultimo il ferro fu che si sommerse.
In varie guise una sol morte affligge
i miseri. Ad Argite il tergo passa
de' Micalesi un'asta: ei si rivolta
e cerca il feritor; ma non appare.
Il fiume stesso col veloce corso
portò quell'asta micidial sull'onde
ch'a ber sen gì dell'infelice il sangue.
Ma l'etolo destrier riman ferito
nella spalla: a l'ambasciaal vïolento
dolor di morte su due piedi s'alza
e sospeso così l'aria flagella
colle ferrate zampee versa il sangue.
Già non paventa i procellosi gorghi
il cavalier; ma del caval pietade
sentee di propria man l'asta ne svelle
dolentee lascia in libertade il freno;
indi sbalza di sellae più sicuro
e di mano e di piè pugna di nuovo
e Nomio vile e Mimanto feroce
e Antedonio LiceoLica di Tisbe
l'un dopo l'altro uccideed il minore
de' due figli di Tespio. A Panemone
che chiede anch'ei la morteinsulta: e- Vivi
(dice) e ritorna alla profana Tebe
solo senza il fratelche non sarai
più dolce inganno a' genitori afflitti:
sien grazie a' Deiche nel rapace fiume
Bellona mi guidò con man sanguigna
u' da l'onda natia tratti n'andrete
timidiin pasto de' marini mostri;
nè l'ombra ignuda di Tideo insepolto
a' vostri fuochi striderà d'intorno:
ei giace in terrae al suo principio torna. -
Così gl'incalzae con i detti acerbi
inaspra le feriteed or col brando
infuriaor scaglia li nuotanti dardi.
Terone amico della casta Dea
e Gía di ville abitator; Ergino
per li flutti vaganteErse chiomato
a morte mandaindi Cretea v'aggiunge
sprezzatore del maree che sovente
lo scoglio Cafareo su picciol legno
e l'euboiche procelle ardito vinse.
Ma che non puote il Fato? Il sen trafitto
dal ferro micidial naufrago cade
ed oh in qual flutto! della doric'asta
tu purFarsalo fosti al primo colpo
da l'alto carro rovesciatoin cui
a soccorso de' tuoivarcavi il fiume
e rimasti i destrier senza governo
da' vortici rapitiinsiem congiunti
la funesta unïone ambi sommerse.
Ma quanta ebber fatica i flutti insani
ad atterrar Ippomedontee quale
l'Ismeno ebbe cagion di prender l'armi
fate a me notoalme Castalie Dee.
Vostr'opra è il rïandar gli scorsi tempi
e da l'oscuro oblio sottrar la fama.
Godea di guerreggiar per le materne
onde il giovin Creneod'un Fauno nato
e d'una Ninfa dell'Ismeno figlia.
Egli aprì gli occhi al giorno in queste ripe:
a lui fur patria il fiume e cuna l'alghe.
Ei dunque non credea ch'entro quell'acque
ragion avesser le crudeli Parche
e lieto gía da l'una a l'altra sponda
passando l'avo lusinghieroe l'onda
o ne seguisse il corsoo pur col nuoto
obliquo la fendessealto il sostenta;
e s'a ritroso vanon lo ritarda
ma lo secondae seco torna indietro.
Non più placido il mar bagna co' flutti
dell'Antedonio Glauco il ventre e i fianchi;
nè più legger su la marina estiva
Triton galleggia; nè più pronto torna
fra' dolci amplessi della cara madre
Palemoneaffrettando il suo delfino
che troppo lento su le spalle il porta.
Ben l'adornano l'armie per molt'oro
fulgido e insigne il grave scudo porta
in cui sta sculta dell'aonia gente
l'origin prima: ne' sidonii flutti
del toro mansueto il dorso preme
la fanciulla di Tiroe già sicura
fatta del marnon più le corna afferra
colle tenere manie lussureggia
l'onda baciando a lei le molli piante.
Sembra veracemente entro lo scudo
nuotare il divin toro e fender l'acque;
e l'acque sono tanto al ver simíli
che acquistan fede ed han di mar sembianza.
Quindi Crenèo fatto più audacesfida
con orgogliosi detti Ippomedonte:
- QuestaLerna non è d'atro veleno
infetta e tintanè l'erculee serpi
vengono a dissetarsi entro quest'onde.
È sacro il fiumeè sacroe 'l proverai
tuche 'l profani e sanguinoso scorri
per l'acque ultrici de' superni Dei. -
Quel non rispondee s'avvicina: opponsi
il fiume a lui con maggior forza d'acque
e gli tarda la manma non in guisa
ch'essa il colpo non vibrie nel più interno
non giunga a penetrare u' l'alma ha sede.
Inorridissi il fiumee voi piangeste
de l'una e l'altra sponda o afflitte selve
e d'ululati rimbombâr le ripe.
Egli morendo profferì l'estremo
suonoe chiamò la madre. I flutti intanto
gli passâr sopra e soffocâr la voce;
ma la madre infeliceintorno cinta
da le cerulee sue meste sorelle
d'improvviso dolore il cor trafitta
lascia le grotte cristallinee i crini
sparsi e confusie percuotendo il petto
e lacerando il volto e 'l verde crine
accorre furibondae poi che fuori
uscì da l'acquecon tremante voce
- Creneoo Creneo - ripetee indarno il chiama.
Ma ben lo scudo galleggiar su l'onde
ne vedea lei troppo sicuro segno
di sue sciagure. Egli ben lungi giace
ove l'Ismeno con il mar si mesce.
Così Alcïone desolata geme
qualora vede per lo mar vagante
il caro nido co' suoi figlie vede
ch'Austro piovoso ognor l'urta e l'incalza
e finalmente dentro il mar gli asconde:
ella al fondo si calae sotto i flutti
ricerca i figliovunque l'onda splende
e in ricercarli si lamenta e piagne.
Tal la madre dolente si querela
nè però si ritiene; a' dardi e a l'aste
intrepida va incontroe colla mano
gli elmi ricercae i tronchi busti esplora;
ma respinta dal marne' flutti amari
gli è tolto entrarfin che a pietà commosse
le Ninfe di Nereo nelle sue braccia
meste portaro il già rapito figlio;
ed essa allorcome s'ei fosse vivo
al sen lo stringee sel riporta indietro
e sulle spondequal su lettoil posa:
indi col molle crin l'umido volto
gli asciuga e tergee singhiozzando esclama:
- Sì fiero dono i Semidei parenti
e l'avo tuo immortal ti dieroo figlio?
Così tu regni nel materno fiume?
Più mite a te fu la straniera terra
e discorde da noi: più miti l'onde
del marche te fino a l'estrema foce
portâr del fiume ed aspettâr la madre.
Ahi questo è dunque il volto a me simíle?
Questo del torvo genitore il guardo?
Son questi i crini del grand'avo ondoso?
Tu di quest'acque e delle selve un tempo
gloria fosti e decoro; io delle Ninfe
mentre vivestifui Regina e Dea.
Or dove andrà l'ambizïoso e folto
stuolo che stava alle mie porte intorno?
E di servirti le Napee bramose?
Ed ioche teco dentro il mar profondo
meglio poteva rimaner estinta
con infelici amplessior ti riporto
non a mema a la tomba; e tucrudele
padrenon hai rossor di tanta strage
e pietà non ne senti? E qual t'asconde
nell'imo centro torbida palude
ove non giunga a le tue sorde orecchie
del nipote la morte ed il mio pianto?
Ecco ne' gorghi tuoi va furibondo
Ippomedontee omai di te maggiore
nel tuo letto trionfae l'acque e i lidi
n'hanno spaventoe le nostr'onde tinte
sono per lui di sangue; e tu codardo
non ricusi servire a' fieri Greci?
A' roghi almenoed a l'esequie estreme
vienio crudelde' tuoi: non sarà solo
il tuo nipoteche arderan le fiamme. -
E qui rinforza il pianto e squarcia il seno
e l'altre Ninfe a' pianti suoi fann'eco.
Così dell'Istmo in su l'estrema spiaggia
(s'ha fede il ver)non ancor fatta Dea
Leucotoe pianse in rimirare il figlio
freddo versar da l'affannato petto
il già bevuto mar nel sen materno.
Ma il padre Ismenoch'entro gelid'antro
onde s'imbevon l'aure e l'atre nubi
e si nudrisce l'Iride piovosa
e più fansi fecondi i tirii campi
giacendo stava: poi che lungi intese
(bench'egli stesso strepitando corra)
della figlia i clamori e i nuovi pianti
alzò il muscoso collo e la di gelo
gravosa chiomae da le man gli cadde
l'eccelso pinoe l'urna a terra sparse.
Stupir le selve in su le ripee i fiumi
minori inorridîrquando da l'onde
tutta smaltata dell'antico loto
la faccia eresse. Tanto e tale inalza
spumoso il crinee per lo sen gli corrono
giù da la barba risuonanti rivi.
Della figlia il doloree del nipote
la morte a lui tutto per ordin narra
Ninfache lo rincontraed il feroce
uccisor gli dimostrae colla mano
la man gli preme. Egli su l'onde allora
tutto si mostrae colla man tergendo
l'umido voltoe di verdi alghe cinte
l'ardue corna scuotendoirato e gonfio
così forte esclamò dal sen profondo:
- Questo dunque è l'onor che a me tu rendi
rettor de' Numi? A meche tante volte
ospite a te divennie de' tuoi fatti
consapevole fui? (nè già pavento
di rammentarli). Tu d'inique corna
vestisti pur la simulata fronte;
tu gli umidi destrier scioglier dal carro
vietasti a Cintiae i nuzïali roghi
e l'ingannevol folgore io mirai
e i tuoi più cari figli io ti nudrii.
Così sprezzar miei doni? E pur fu visto
pargoleggiare in questo seno Alcide
e spense l'onda mia di Bacco il fuoco.
Mira con quante stragi al mar sen corra
quai cadaveri porti il nostro fiume
tutto d'armi coperto e di cataste
di morti e di malvivi: entro il suo seno
tutta la guerra è accolta; ogni onda spira
sceleraggini e lutto; e in cima e al fondo
vagando vanno alme novellee meste
adombrano spirando ambe le sponde.
Pur quel son io che i sacri gridi accolgo
delle Baccanti; e i tirsi imbelli e i corni
mondar ne soglio con mie pure linfe.
Ed or ristretto da cotante stragi
angusta strada mi procaccio al mare.
Non dell'empio Strimon corrono i fiumi
di maggior sanguenè rosseggia tanto
qualor Marte combatteEbro spumoso.
Nè te muove a pietà l'onda nudrice
nè le tue mani a l'armi irritao Bacco?
Così gli avi ti scordi? O in orïente
meglio Idaspe si doma? E tuo crudele
che vai altiero delle imbelli spoglie
e d'un fanciul nell'innocente sangue
trionfi e godi; non farai ritorno
da questo fiume a la crudel Micene
nè vincitore a l'Inaco potente
onde partistis'io mortal non sono
o uno tu degl'immortali Numi. -
Così sdegnoso parlae in un istante
dà il segno a l'onde: Citerone alpestre
manda gli aiutie le sue antiche nevi
alimenti del vernoin giù discioglie.
Tacite forze per occulte vie
manda a l'Ismeno il suo germano Asopo
e somministra l'ondeed egli stesso
della terra le viscere ricerca
e fuor ne caccia i stagni e i tardi laghi
e le pigre paludi; indi a le stelle
avidamente il volto inalzae i nembi
umidi in seno attragge e l'aria sugge
e tumido soverchia ambe le sponde.
Ippomedonteche già mezzo il fiume
varcato avea solo coll'acqua a' fianchi
si maraviglia come tanto cresca
la torbid'ondae che le braccia e 'l petto
omai gli coprae sè minor conosce:
gonfiansi i flutti d'ogni partee sorge
animosa tempesta al mar simíle
quando assorbe le Pleiadie Orïone
torbido oppone a' timidi nocchieri.
Non altrimenti del marino assalto
scuote il fiume tebano Ippomedonte
e più s'estolle nello scudo urtando
e in quello infranto si dilata e spande
e con onda maggiore indi ritorna;
nè contento di ciò svelle ed atterra
gli arbuscei da le ripe e i vecchi tronchi
e solleva dal fondo arena e sassi.
Sta inegual la tenzon fra l'uomo e 'l Fiume
e la Divinità n'ha sdegno e scorno;
perchè non cede il fiernon si ritira
nè paventa minaccee a' flutti irati
va incontroe a' fiumi torbidi e sonori
oppon lo scudo e li respinge indietro.
Sotto il terren gli sfuggeed ei sta immoto
sovra i lubrici sassie le ginocchia
tendee si ferma sul fallace limo
ed oltraggiando parla: - E donde Ismeno
questo nuovo furor? E da qual vena
servo d'imbelle Diotraesti l'acque?
O sol avvezzo a rimirare il sangue
tra' femminili coriallor che i bossi
suonan di Bacco e le furenti madri
svenan negli orgi trïennali i figli? -
Disse: ed a lui tutto mostrossi il Fiume
torbido il viso di stillanti rivi
ed offuscato di nuotante arena;
nè co' detti infierì: ma dell'opposto
guerrier tre volte e quattro il petto audace
quanto il suo Nume e l'ira sua valea
alzandosi percosse. Allora il passo
ritrasse Ippomedontee da la mano
cadde lo scudoe tardi volse il tergo.
L'incalzan l'ondee trionfante il Fiume
mentr'ei vacillail preme. I Tirii d'alto
scaglian d'aste e di sassi orrido nembo
e gli vietano irati ambe le sponde.
Or che farà d'acque assediato e d'armi?
Non può fuggire il miseroe gli è tolto
morir di grande e memorabil morte.
Stava frassino eccelso in su l'erbose
ripe pendente fra la terra e l'acque
ma più a l'acque proclivee di grand'ombra
copriva il fiume. A questo Ippomedonte
stende l'adunca manoe vi si appiglia
(qual rimangli altra via per gire a terra?)
ma nol sostien la piantaed in giù tratta
dal maggior pesoche l'aggrava in cima
da le radicicon cui parte al fiume
s'attiene e parte a l'arido terreno
divelta cadee seco trae la ripa
e 'l trepido guerriercome se un ponte
su lui cadessecol suo peso opprime.
Vi accorron l'ondeed un tenace limo
nel fondo siedee i vortici profondi
fan maggior la vorago: e già le spalle
già il collo del guerrier co' tortuosi
gorghi circonda. Allor si dà per vinto
il lasso Ippomedontee così parla:
- Non ti vergogniinclito Martein questo
fiume sommerger mia grand'alma? Io dunque
quasi vile pastorcui d'improvviso
la piena oppresseandrò cibo de' pesci
dentro i torbidi laghi e i pigri stagni?
Degno dunque non fui morir di ferro? -
Da queste preci al fin mossa a pietade
Giuno parlò al Tonante: - E sino a quando
gran genitor de' Numii mesti Argivi
opprimerai? Già Pallade ha in orrore
il suo Tideo; già per lo vate assorto
tacciono in Delfo i tripodi d'Apollo:
or ecco Ippomedontea cui Micene
fu culla ed Argo è patria ed io son Nume
(così a' miei son fedele?)andrà de' mostri
marini in preda? Tu l'esequie estreme
tu pur le tombe promettesti a' vinti.
Che gioveranno a lui l'attiche fiamme
e i roghi di Teseo? - Non sprezzò Giove
della consorte i giusti votie a Tebe
volse placido il guardoe al primo cenno
calmârsi l'onde e si abbassaro i fiumi.
Scoprîrsi allor del cavalier ferito
l'esangui spalle e il traforato petto;
siccome avvien se le procelle scosse
dallo spirar d'impetuosi venti
cessano in marsorgon gli scogli in alto
e la terra cercata a' naviganti
si mostrae l'onda da i sbattuti sassi
al fondo cala. E già preme il terreno:
ma che prose di strali un folto nembo
d'ogni parte il circondaed a le membra
non ha riparoe tutto esposto è a morte?
Gli si apron le feritee 'l congelato
sangueche istupidì sotto dell'onde
a l'aria aperta espostoogni meato
scioglie a le vene e giù piove a torrenti
e sotto gli vacilla istupidito
dal gel del fiume il mal sicuro piede.
Al fin ei cade; quale in giù ruina
nell'Emo traciod'Aquilone a' fiati
o perchè le radici il tempo edace
le abbia corrosealtera quercia e grande
ch'alzò il capo a le stellee di sua mole
molt'aria sgombra: mentr'essa vacilla
il pian la teme e il montee da qual parte
cada non sannoe quali selve opprima.
Non v'ha però chi di toccarne ardisca
l'elmola spada; e a gli occhi propri appena
prestano fedeed han terror mirando
quel cadavere immensoe insiem ristretti
coll'armi in pugno a lui si fan vicini.
Ma giunge al fine Ipseoche da la mano
(che morta ancor l'impugna) il ferro tragge
e l'elmo scioglie da la torva faccia:
indi in cima dell'asta a' suoi Tebani
alto lo mostrae così fiero esclama:
- Questi è il feroce Ippomedontee questi
dell'immane Tideo l'ultor temuto
e il domator del nostro sacro fiume. -
Il fiero Capaneo da lungi il vede
e il dolor reprimendoimmensa trave
libra col braccioe la sua destra invoca:
- Siimi propiziao destraa me sol una
presente in guerrae inevitabil Nume;
te sola adoroe ogni altro Nume sprezzo. -
Dice: ed ei stesso il proprio voto adempie.
Vola l'asta tremendae per lo scudo
passa l'usbergoe mortalmente giunge
là dove l'alma nel gran petto ha sede.
Allor sen cade Ipseo con quel fragore
ch'eccelsa torre da più colpi scossa
in giù ruina e al vincitor superbo
lascia della cittade aperto il varco.
Capaneo gli sta sopra; e- Della morte
non ti fraudo l'onor (dice): rimira
quello che ti ferìquello son io.
Or va contentoche riporti il vanto
sopra l'altr'ombre. - Indi la spada e l'elmo
ripigliae a questi il vinto scudo aggiunge
e su l'esangue Ippomedonte in alto
le tien sospese; e- Queste prendi (grida)
spoglie tuespoglie ostiliinclito duce;
ben si daranno al cenere famoso
gli onor dovutie tua magnanim'ombra
non se n'andrà raminga e senz'avello:
ma intanto che tu aspetti e fiamme e rogo
te con quest'armidi sepolcro invece
vendicatore Capaneo ricopre. -
Così a vicenda fra i Tebani e i Greci
dubbioso Marte dividea le stragi.
Piangono questi Ippomedonte fiero
e quelli Ipseo non men feroce e pronto
e dal dolore altrui traggon conforto.
Dell'arcade garzon la fiera madre
turbata intanto da funeste larve
de' notturni riposi in mezzo a' sonni
col crin disciolto e colle piante ignude
(secondo il rito) e prevenendo l'alba
se ne gía del Ladone a l'onde algenti
per purgar dentro il fiume il sonno infausto.
Perocchè fra i sopor dell'atre notti
fatte inquïete da' pensier molesti
vedute avea cader da' sacri altari
quelle che di sua man spoglie vi appese
e sè da' boschi esclusa e dalle Ninfe
cacciata in bando andar raminga e sola
ad ignoti sepolcri errando intorno.
Spesso nuovi trofei tornar dal campo
e l'armi e 'l destrier noto ed i compagni
del figlio videe mai non vide il figlio:
talor le parve la faretra a terra
da le spalle caderlee la sua immago
e i suoi simulacri arder nel fuoco.
Ma presagio più certo e più funesto
recò a la madre quella stessa notte
che tutta a lei mise in tumulto l'alma.
Sorgea d'Arcadia negli ameni boschi
quercia famosa e di felici rami
che scelta fuor da le minori piante
aveva di sua man sacra a Dïana
e col suo culto l'avea fatta Dea.
A questa essa appendea sovente l'arco
e i rintuzzati dardie de' cinghiali
le adunche zannee de' leoni uccisi
le vuote spogliee de' fugaci cervi
pari a le selve le ramose corna.
Appena a' rami luogo restatante
la circondan per tutto agresti spoglie
e 'l balenar di ferri e d'armi appese
toglie della verd'ombra il grato orrore.
A lei parea che dal cacciar le fiere
scendea da' monti faticata e lassa
d'orsa feroce alto portando il teschio
terror dell'Erimanto: e quivi giunta
vedea la pianta da reo ferro tronca
giacerscosse le chiomeed ogni ramo
stillar di vivo sangue. E a leiche il chiede
Ninfa racconta che il nemico Bacco
e le sanguigne Menadi l'han svelta.
Mentr'ella piange e si percuote il seno
si scioglie il sonno; essa abbandona il letto
e il falso pianto invan da gli occhi asciuga.
Dunque poichè attuffòpurgando il sogno
tre volte il crin nel fiumee detti aggiunse
delle madri a purgare atti le cure
dell'amata Dïana al tempio corse
a lo spuntar del giornoe lieta vide
starsi la selva e la sua quercia intatta.
Fermossi allor sul limitar del tempio
e in cotai voci pregò il nume invano:
- Vergine Deac'hai sovra i boschi impero
di cui le forti insegne e gli aspri studi
sdegnando il sessooltre il costume greco
sovente seguonè di me più fidi
sono al tuo culto i popoli di Colco
nè delle scite Amazzoni le schiere;
non a me i balli ed i profani giuochi
piacquer dell'empie nottie benchè io giacqui
contaminata in odïoso letto
trattare i tirsi e la conocchia imbelle
ebbi in orroree nelle selve ancora
restai dopo le nozzee dopo il parto
vergine colla mente e cacciatrice.
Nè già mi piacque entro remoti spechi
celar il fallo; ma il fanciul tremante
a' piè ti posie confessai l'errore.
Ei non mentì il mio sanguee nelle selve
pargoleggiò fra gli archie con i pianti
e con le prime voci i dardi chiese.
Deh questo a me (che mai la spaventosa
notte minaccia e l'inquïeto sonno?)
questoche in te fidato a le battaglie
con audace desio pur or sen corse
dammio gran Deache vincitore io miri
tornar dal campo: e se pur troppo io chieggio
dammi almen che io lo veggiae te seguendo
sudi dell'armi tue sotto l'incarco.
Fa vanio Deadi mie sciagure i segni.
E quale han mai ragion delle tue selve
le Menadi inimiche e i Dei tebani?
Misera! (ahi sian fallaci i tristi augurii)
perchè la quercia tuaperchè il mio sogno
in così fiero e infausto senso io spiego?
Ma se i presagi miei veri pur sono;
per lo dolor materno e per quel lume
che dal fratel riceviio ti scongiuro
co' dardi tuoi quest'infelice seno
trafiggio Divae pria ch'io la sua morte
permetti ch'egli la mia morte intenda. -
Così diss'ellae lasciò il freno al pianto
e sudar vide il simulacro algente.
Lascia Trivia feroce entro il suo tempio
l'afflitta madreche i suoi freddi altari
terge col crin discioltoe addietro lassa
velocemente Menalo sublime
ch'alza fra gli astri la frondosa fronte;
e per quella del ciel strada più interna
che sol risplende a' Numiil volo drizza
a le mura di Cadmoe d'alto scorge
sotto a' suoi piedi quanto è vasto il mondo.
E di già mezzo il suo cammin varcato
tra i verdi colli di Parnasso avea
quando incontrò il fratel mesto in sembiante
da risplendenti nubi intorno cinto.
Facea ritorno da' tebani campi
piangendo invano il suo gran vate assorto;
all'unïon de' due maggior pianeti
rosseggiò il cieloe a quel divino incontro
splendette accesa di più viva luce
d'ambo la chiomae negli alterni amplessi
ripercossi suonâr faretre ed archi.
Febo parlò primier: - So bengermana
che all'arcade garzonche troppo audace
le tirie schiere e le feroci pugne
tentare osòbrami recar salute:
la fida genitrice è che ten prega.
Deh così nol vietasse il fato avverso!
Ecco che io stesso del fedel mio vate
senza riparo (oh mia vergogna eterna!)
l'armi e le sacre bende al vuoto Inferno
discender vidie lui l'avide luci
(precipitando) in me tenere immote;
nè il carro io gli ritennie non gli chiusi
la gran vorago. O veramente fiero
e d'esser adorato indegno Nume!
Non vedio suoracome stanno mesti
i nostri spechi e taciturni i tempii?
Questo sol dono al mio fedele io rendo.
Cessa tu ancor da la tua vana aita
sorellae non pigliar fatica indarno.
Immutabile è il Fatoe già al suo fine
tende Partenopeonè sono oscuri
gli oracoli fraternie non t'inganno. -
- Ma di gloria colmar quell'infelice
(rispose allor la vergine turbata)
e dar alcun sollievo alla sua morte
mi fia permesso. Le dovute pene
non fuggirà il crudel che l'empia mano
profanerà nell'innocente sangue.
Anche a' miei dardi incrudelire è dato. -
Parteciò dettoed al fratel le gote
più scarsa porgee a Tebe irata vola.
Intanto più crudel ferve la pugna
per li due regi estintie la vendetta
maggior furor d'ambe le parti accende.
Piangono Ipseo i Tebani; e maggior duolo
a' Greci apporta Ippomedonte estinto;
vengono a stretta pugna; un solo ardore
i cuori accende: uccidere o morire
e trar l'ostile o dare il proprio sangue.
Non si arretran d'un passoe corpo a corpo
s'azzuffano rabbiosied a la fuga
antepongon la morte. In su la cima
del gran monte Dirceo fermossi allora
Cintia discesa per la via de' venti.
La sentirono i collie tremò il bosco
in riveder la conosciuta Dea
che in mezzo a le sue pianteignuda il petto
con saette crudeli a la feconda
Niobe spense la prolee stancò l'arco.
Scorreva intanto per le schiere ostili
Partenopeo per poche stragi altero
su cacciator destrieroa le battaglie
non uso e appena a' primi freni avvezzo
cui ricopriva il maculoso vello
di tigre ircana e colle zampe aurate
flagellava le spalle: il collo in arco
curvo e sottilee la superba chioma
ristretta in nodie gli pendean sul petto
bianchi monili di ritorti denti
(trofeo de' boschi) dell'uccise fiere.
Ei con nodo legger succinto il fianco
del manto d'ostro doppiamente tinto
e della ricca d'ôr lucida veste
(unico della madre almo lavoro)
pender lasciava dal sinistro arcione
il forte scudoe del suo grave brando
con aurea fibbia alleggeriva il peso.
Che grato udir lo strepito con cui
la vaginail pendaglio e la faretra
eco fanno al fragor delle catene
chedel collo a difesain su le spalle
gli cadon da la cima dell'elmetto!
Baldanzoso scuoteva egli talora
le piume del cimier di gemme adorno.
Ma quandostanco di pugnardal volto
di sudor molle la celata scioglie
e fa vedersi col bel capo ignudo
dolce allora il veder scherzar col vento
la bionda chiomae di più viva luce
sfolgoreggiare le pupille accese
e le guance di rosein cui non spunta
(bench'ei sen dolga) il primo pelo ancora.
Egli di sua beltà sprezza le lodi
e il volto inaspra; ma nel vago aspetto
leggiadra è l'irae venustà gli accresce.
Cedongli volontarie altrove i dardi
in lui drizzati volgono i Tebani
rimembrando i lor figlied egli ingrato
li tentae l'aste vibrae ognor più fiero
contro chi gli perdona incrudelisce.
Mentr'ei combatte e più leggiadro appare
tra la polve e il sudorda' vicin colli
lui vagheggiando le sidonie Ninfe
lodanlo a provae co' sospiri interni
van traendo del cor le occulte brame.
Mentre Cintia ciò vedee in sen le serpe
pietoso duolole virginee gote
contamina di piantoe così dice:
- E qual poss'io da la vicina morte
tuo fido Numeritrovarti scampo?
Oh troppo audace e misero fanciullo!
Tu pur volesti della madre in onta
gire a sì crude guerre? In te cotanto
poteo virtù immatura e ardente brama
di glorïoso e memorabil fine?
A te i menali dunque ombrosi boschi
d'anni tenero ancor parvero angusti?
Tuche senza la madre infra i covili
delle fiere sicuro andavi appena
nè forza avevi a maneggiarne l'arco
e le agresti saette; or che si lagna
la miserae rinfaccia i sordi Numi
e stanca i nostri tempii e i muti altari:
tu godi altero infra le trombe e i gridi
delle battagliee mentre te non curi
tu morrai solo a l'infelice madre. -
Ciò dettocinta di purpurea nube
(per non essere almen discesa indarno
ad onorar del giovane la morte)
ov'è lo stuol più folto ella si mesce;
ma pria da la faretra i lievi dardi
toglie al folle garzonee la rïempie
di celesti infallibili saette.
Quindi il cavallo e 'l cavaliero asperge
d'ambrosiae vuol che sino al punto estremo
a' colpi ostili impenetrabil resti
e i sacri carmi e i mormorii vi aggiunge
ben noti a leiche ne' notturni tempi
entro le grotte a le profane Maghe
gl'insegnae addita lor l'erbe nocive.
Allor Partenopeotendendo l'arco
scorre per tuttonè ragion l'affrena:
già la patriala madree già se stesso
posto ha in oblio; ma più feroce e ardito
usa soverchio de' celesti dardi.
Qual tenero leoncui nella grotta
la madre arreca il sanguinoso pasto
appena sente svolazzar la giubba
su l'altera cervice e torvo mira
di novell'unghia il fiero piede armato
sdegna d'esser nudritoe per li campi
libero scorree gli antri angusti oblia.
Chi potrà raccontargiovine ardito
color che da' tuoi strali ebbero morte?
Corebo tanagreo cadde primiero
passando il dardo per angusta via
tra l'orlo dello scudo e 'l fin dell'elmo;
gli sgorga da la gola a rivi il sangue
e il volto acceso ha del divin veleno.
Più crudelmente ad Etion trafigge
tripartita saetta il manco ciglio:
ei fuor la tragge insiem coll'occhioe corre
contro del feritore a far vendetta.
Ma che non pon l'armi celesti? Un nuovo
strale vola per l'auree l'altra luce
colpiscee tutto se gli oscura il giorno;
egli pur segue furïosodove
il nemico rimembrainfin che d'Ida
nel cadavere urtandoinciampa e cade.
Qui fra le stragi il misero si giace
palpitando e fremendoe a dargli morte
e i suoi Tebani e gl'inimici invoca.
D'Abante i figli a questi aggiunge; il biondo
Argo chiomatoe di lascivo amor
il bel Cidon dalla sorella amato.
Ferì del primo il ventree del secondo
con colpo obliquo penetrò le tempie.
Là passò il ferroe qua restâr le penne
e da due parti il caldo sangue uscío.
Chi da quei dardi può fuggir la morte?
Non Lamo la beltàLigdo le bende
nè l'età giovanile Eolo difese:
nell'anguinaglia Ligdoin volto Lamo
Eolo è ferito nella bianca fronte.
Un la scoscesa Eubeal'altro produsse
Tisbe nudrice di colombe; e il terzo
voi più non rivedreteo verdi Amicle.
Colpo in fallo non vibrae senza piaga
strale non partenè la man si stanca;
ma il primo fischio d'un volante dardo
segue il secondo. E chi mai creder puote
che tanto faccia una sol destraun arco?
Or per lo dritto fereora inquïeto
a destra ed a sinistra i colpi alterna.
Fugge talorma chi l'incalza mira
solo coll'arcoe i dardi a tergo scocca:
e già maravigliando e mossi a sdegno
s'univano i Tebanied Anfione
che il sangue tragge dal Rettor de' Numi
cui fino allora erano state ignote
le stragi onde il garzon rïempie i campi
primo a lui si fa incontroe lo minaccia:
- E fino a quando differir la morte
sperio fanciulche déi lasciare in pianto
e di te privi i genitori afflitti?
Tanto l'ardire in te cresce e l'orgoglio
quanto fra tanti un sol guerrier non degna
teco (perchè minor) provarsi in guerra
e sei dell'ire nostre indegno oggetto.
Torna in Arcadiae in fanciullesche guerre
scherza co' tuoi compagni: in questa arena
Marte ferve davveroe non da giuoco.
Che se pur brami di funesta fama
ornare il tuo sepolcro e il cener freddo
ti fia concesso. Morirai da forte. -
Da stimoli più gravi il sen trafitto
già buona pezza d'Atalanta il figlio
ardea di maggior iraed al Tebano
che non taceva ancorfiero rispose:
- Troppo anche tardi a Tebe l'armi io porto
contro sì vili schiere. E chi è cotanto
fanciulche contro voi pugnar non possa?
Non i Tebani tuoima in noi tu vedi
la gran stirpe d'Arcadia e il fiero seme
di valorosa infatigabil gente.
Ne i taciti silenzi della notte
me già non partorì ministra a Bacco
madre profana: di lascive mitre
noi non orniamo il crin; nè con infame
destra vibriamo i pampinosi tirsi.
Io pe' fiumi gelati a gir carpone
fanciullo appresie delle immani belve
osai entrar negli orridi covili.
Che più? La madre mia di ferro e d'arco
va sempre armata. I genitor fra voi
solo sanno suonar timpani e bossi. -
Più non soffrì Anfionma grave dardo
vibrògli al viso: al balenar del ferro
spaventato il destrier lanciossi in fianco
e sè da morte e il suo signor sottrasse
e cadde a vuoto il sitibondo colpo.
Quindi Anfion vie più sdegnoso il ferro
ignudo stringeed al garzon si avventa;
ma Cintia allor svelatamente in campo
si fe' vederee al suo furor s'oppose.
Tra i seguaci dell'arcade garzone
stava Dorcèo menalioe n'era amante
ma di pudico amorea cui la madre
le guerrei suoi timori e gli anni audaci
dati avea in cura dell'amato figlio.
Sotto sembianza di costui la Dea
così parlò: - Partenopeoti basti
turbate aver sin qui le tirie schiere;
assai per te si è fatto: a la dolente
madre perdona e a' tutelari numi. -
Non piegossi il garzonee a lei rispose:
- Lasciafido Dorceo (nè più ti chieggio)
deh lascia almen che costui solo abbatta
ch'emula co' suoi dardi i dardi miei
che come me s'adornae sul destriero
alto s'asside e scuote il fren suonante.
Mie fien le brigliee le acquistate spoglie
saranno appese di Dïana al tempio
e la faretra donerò alla madre. -
Malgrado del suo duol Cintia sorrise
al semplice parlar del giovanetto.
La vide Citereache allor del cielo
in parte più remota e più segreta
tenea fra le sue braccia il Dio guerriero
e rammentava al suo feroce amante
i nipoti d'Harmonia e Cadmo e Tebe.
Prende scaltra il suo tempoed opportuna
l'interno duolche dentro il cuor si cela
in cotai detti fra gli amplessi esprime:
- VediMartecostei fatta orgogliosa
per sua verginitàche ne' tuoi campi
tra i guerrieri si mesce; osserva come
e le schiere e le insegne ordina e regge.
Nè contenta di ciòdi nostra gente
ve' quanti manda innanzi tempo a morte.
A costei la virtù dunque è concessa?
A costei è il furor? A te sol resta
ferir co' dardi le silvestri damme. -
Da sì giusti lamenti il fiero Nume
mosso a l'armi sen corree mentr'ei scende
per lo vano del cieloha sola al fianco
l'Ira: gli altri Furor sudano in guerra.
Appena giuntominaccioso sgrida
la sconsolata Dea: - Non a te Giove
diede le guerretemeraria; e tosto
se tu non parti dal sanguigno campo
vedrai che a questo braccio e a questa destra
Bellona stessa non può dirsi eguale. -
Or che farà? Quinci di Marte il brando
quindi già colmo del fanciul lo stame
la premee il volto del Tonante irato.
Cede essa al fin da la vergogna vinta
e Marte allora infra le schiere sceglie
l'orribile Driante a la vendetta.
Dal torbido Orion nacque costui
e del gran genitor l'innato sdegno
contro i seguaci di Dïana serba:
questo è del suo furor prima cagione;
quinci gli Arcadi turbae i loro duci
dell'armi spoglia: cade a lunghe file
il popol di Cilenee dell'opaca
Tegea gli abitatori; e i capitani
fuggon d'Epiro e le fenee falangi.
Spera Partenopeo mandare a morte
anche costuie pur la destra ha stanca
nè più le forze intere; e benchè lasso
or questa turmaora quell'altra infesta.
Mille presagi del vicino fato
e una tetra caligine di morte
gli si presenta. Già più raro e scemo
scorge suo stuoloe il vero Dorceo vede.
Sente che a poco a poco il vigor manca
e la faretra omai di dardi ha vuota;
può l'armi appena sosteneree tardi
si conosce fanciul: ma quando a lui
l'orribile Driante appresentossi
col risplendente scudoun tremor freddo
pel volto e per le viscere gli scorse.
Qual bianco cignoche venir si vede
sovra del capo il grande augel che a Giove
le folgori ministra; entro le sponde
vorria celarsi di Strimon sotterra
ed i timidi vanni al petto stringe.
Tal di Driante in rimirar la mole
l'Arcade d'ira non s'accendee sente
un insolito orror nunzio di morte.
Pur l'armi appresta pallidoed invano
i Numi e Cintia invocae l'arco tende
sordo e impotentee la saetta appresta:
tira indietro la destrae la sinistra
innanzi spingee le due corna unisce
e colla corda a sè già tocca il petto.
Ma più veloce del Tebano il dardo
vola contro il nemicoe del sonoro
nervo recide l'incurvato nodo
e rende vano il colpo; e indebolite
le manie l'arco rilassatoa terra
cadono inutilmente le saette.
Lascia quell'infelice e il freno e l'armi
impazïente dell'acerba piaga
che nell'omero destro lo trafisse.
Ed ecco nuovo stral giungee trapassa
la delicata pellee le ginocchia
tronca al destrieroed il fuggir gli toglie.
Ma nello stesso tempo (oh maraviglia!)
cade Driantee l'uccisore è ignoto;
ma son note le causee gli odii antichi.
Riportan mesti il lor signor ferito
fra le braccia i compagnied ei si duole
(oh semplicetta età!) più del destriero
che di se stesso: sciolto l'elmocade
qual fior recisoil suo leggiadro volto
e ne' languidi lumi e moribondi
spira la venustade e manca il riso.
Tre volte e quattro sollevargli il capo
tentâr gli amicied altrettante il collo
ricusò sostenerlo. Il bianco petto
sgorga purpureo sangueanche a' Tebani
lagrimevol spettacolo e funesto.
Tai voci infine dall'esangui labbra
mandò interrotte da' singulti estremi:
- Noi già manchiam; vanneDorceoe l'afflitta
madre consola. Certo io so (se il vero
predicono le cure) essa nel sonno
già la mia morteo fra gli augurii intese.
Ma vanne cautoe con pietoso inganno
la tien sospesanè affrettartie tosto
non darle il tristo annunzioe quando parli
guarda che l'armi essa non tenga in mano.
Ma quando al fine vi sarai costretto
così parla in mio nome a l'infelice:
Madre, del mio fallir pago le pene,
chè rapii l'armi ancor fanciullo, e sordo
a' tuoi consigli fui, nè mi ritenni;
nè a mia salute ebbi per te riguardo,
nè perdonai al tuo dolor. Tu vivi,
vivi, e piuttosto il nostro ardire a sdegno
muovati che a pietade, e omai deponi
il superfluo timore. Invan da i colli
di Liceo miri se da lungi scorga
il mio drappello alzar la polve, o il suono
se senta almen delle guerriere trombe.
Io giaccio freddo al terren nudo in braccio;
nè tu chiudermi i lumi, e almen gli estremi
spirti raccor colle tue labbra puoi.
Pur questo crine (ed a tagliar l'offerse),
questo mio crine che tu ornar solevi
contro mia voglia, o genitrice, avrai
del corpo invece. A questo dona il rogo.
Ma nell'esequie mie deh ti ricorda
che con mano inesperta altri non osi
spuntar le mie saette, ed i diletti
miei cani alcun più non adopri in caccia.
Quest'armi infauste nella prima guerra
abbian le fiamme, o, se ti piace, in dono
dell'ingrata Dïana appendi al tempio. -
LIBRO DECIMO

LE INSIDIE NOTTURNE.
OPLEO E DIAMANTE.
CAPANEO FULMINATO.

Sorse l'umida nottee il Sole ascose
innanzi tempo nell'esperie porte
per comando di Giove. Ei già non sente
delle tebane o delle argive schiere
pietà; ma ben gli duol di tante genti
senza colpa e straniereil grave scempio.
Per molto sangue apparve allor del campo
orribil la sembianzae l'armi sparse
giaceano e i buon destriersu cui superbi
andâr poc'anzie senza rogo e tomba
abbandonati i corpi e i membri incisi.
Colle lacere insegne e senza pompa
si dividon le schieree son le porte
che fur strette a l'uscirlarghe al ritorno.
D'ambe le parti è luttoe pure in Tebe
senton conforto in rimirar fra i Greci
gir quattro squadre erranti e senza duci
di navi in guisa in burrascoso mare
prive de' lor nocchierie abbandonate
a' Numia la fortunaa le tempeste.
Quindi di non tornar entro le mura
prendon consiglioed osservar che i Greci
contenti solo di salvar le vite
non fuggano notturni entro Micene.
Si dà il nome pel campoe son le scolte
per ordine disposte ed a vicenda.
Fu tratto a sorte in quella oscura notte
per capitan Megetee a lui s'aggiunse
spontaneo Lico; al comandar de' duci
tosto s'apprestan l'armi e i cibi e i fuochi;
e il Rementr'essi vanvie più gl'infiamma:
- Vincitori de' Greci (il nuovo giorno
non è lontanoe non saranno eterne
questeche li salvârcieche tenébre)
accrescete l'ardiree i forti petti
mostrate eguali al gran favor de' Numi.
Già la gloria di Lerna è in tutto spenta
e caddero i migliori: entro l'Inferno
della sua immanità porta le pene
il barbaro Tideo: del greco vate
l'ombra improvvisa fe' stupir la morte:
gonfio è l'Ismeno delle spoglie opime
d'Ippomedontee l'arcade garzone
degno non è che fra i trofei si conti.
Stan nelle destre i premi: il campo ostile
più non apparirà fiero e temuto
per sette aurei cimieri e sette duci.
Forse d'Adrasto la cadente etade
può ritenercio il mio fratel peggiore
nella sua giovanezzao pur l'insano
sconsigliato furor di Capaneo?
Che più dunque si tarda? Itecingete
di vigilie e di fuochi i vinti Argivi;
nullo di essi timor: voi custodite
le vostre prede e le ricchezze vostre.
Con tali detti i cuor feroci accende
e le fatiche a rinnovar gli spinge.
Di polve aspersidi sudordi sangue
molli e deformi ancortornano indietro.
Degli amici gl'incontri e le parole
soffrono appenae le consorti e i figli
respingono da i baci e da gli amplessi.
Divisi in turmed'inimici fuochi
cingon per ogni parte il greco vallo
a frontea tergoa l'uno e a l'altro fianco.
Così rabbiosi ed affamati lupi
che invan le prede ricercâr ne' boschi
dal digiun spinti a le rinchiuse stalle
vengon fra l'ombre in isquadron ristretti.
Il belar degli agnelli e il pingue odore
che fuori n'escele narici pasce
di vana speme; e poi ch'altro non ponno
provan contro le porte e l'unghia e il dente.
Ma d'altra parte delle donne d'Argo
la supplichevol turba a i patrii altari
prostrata implora da Giunone aita
ed il ritorno de' consorti amati.
Tergon le pinte soglie e i freddi marmi
col crin discioltoed adorare i Numi
insegnano a' lor figli. Il dì si spense
ma non cessaro i votie nella notte
vegliâr nel tempio e rinnovaro i fuochi.
A la pudica Diva offriro in dono
degno di leiregio purpureo manto
di cui mano infecondao dal marito
donna disgiunta non tessè il lavoro:
in varie guise ricamato e pinto
l'ostro risplendee folgoreggia l'oro.
Ivi ella stessa non sposata ancora
ma promessa al Tonanteed inesperta
di talami e di nozzee che ben tosto
sta per deporre di sorella il nome
cogli occhi bassi semplicetta e schiva
liba di Giove pargoletto i baci
da' suoi furtivi amor non anche offesa.
Di cotal veste il simulacro santo
ornâr le donnee fra i singulti e i pianti
dal profondo del cor così pregaro:
- Miradel ciel Reginai tettie mira
della tebana meretrice il nido.
Struggi l'infame tombae contro Tebe
scaglia (chè ben lo puoi) fulmin novello. -
Or che farà? Sa ben che a' Greci suoi
sono i fati contrari e Giove irato
nè vorrebbe però mostrarsi ingrata
a tante precia così ricchi doni.
Ma il tempo a lei l'occasïone appresta
di memorabil fatto: essa da l'alto
vede le chiuse murae il vallo argivo
di vigilie e di fuochi intorno cinto.
Punta da sdegno inorridì il sembiante
e scosse il crine e il venerabil serto.
Non di tant'ira ardèquando d'Alcide
Alcmena vide avere il sen fecondo;
nè quandosuo malgradoi due gemelli
innalzò Giove a popolar le stelle.
Dunque risolve di mandare a morte
da intempestivo sonno i Tirii oppressi.
Iride chiamae degli usati raggi
fa che si cingae quanto occor le impone.
Ubbidì a' cenni la leggiadra Dea
e giù dal cielo sì strisciò per l'arco.
Colà dove la notte alberga e giace
fra caligini eterneove han soggiorno
gli orïentali Etiopis'innalza
un pigro e a gli astri impenetrabil bosco.
Sotto fra cave rupi un antro s'apre
nel vuoto monte. All'ozïoso Sonno
ivi la reggia ed il sicuro albergo
diè la stanca natura; in su le soglie
stan la Quïete opacae il lento Oblio
e la languida Ignavia e non mai desta:
gli Ozi e i Silenzi senza batter penne
siedon muti nell'atrioe lungi scacciano
i rumorosi Ventie foglia in ramo
non lascian che si scuota o che augel canti.
Ivi del marbenchè per tutti i lidi
romoreggi d'intorno; ivi del cielo
non si sente il fragor: lo stesso fiume
che va scorrendo le vicine valli
vicino all'antroinfra gli scogli e i sassi
il mormorio sospende: i neri armenti
a terra stesied ogni gregge giace;
languiscono d'intorno i nuovi fiori
ed un terreo vapor l'erbette aggrava.
Egli riposa sopra molli coltri
scarco di curenel muscoso speco
di sonnacchiosi fior tutto coperto:
gli trasudan le vestie il corpo pigro
scalda le piume; un vapor nero esala
da l'anelante bocca; il crin sostenta
da la sinistra tempia in giù cadente
con una mano; abbandonato il corno
cade da l'altra; misti a' falsi i veri
a' tristi i lieti stangli intorno i Sogni
di varie innumerabili sembianze
tenebroso corteggio della Notte:
sono a guisa di pecchie a' travi affissi
o su le porteo stanno al suol distesi.
Pallida incerta luce intorno a l'antro
moribonda s'aggirae moribonde
son le lucerneche al primiero sonno
con tremolante luce invitan gli occhi.
Da le cerulee sfere in questa grotta
scese la vaga Dea fregiata e pinta
di ben mille colori: al suo passaggio
si rischiarano i boschie si rallegra
l'ombrosa Tempe: il sonnacchioso albergo
da' rai percosso de' lucenti globi
dal sopor si risveglia e si riscuote.
Non però si risente il pigro Sonno
a la luceal rumore ed a la voce
ma nello stesso modo e russa e giace:
finchè con tutti i rai nelle pupille
oppresse e gravi lo ferì la Dea:
indi in tal guisa a favellar gli prese:
- O Sonnoo placidissimo fra i Numi
la de' nembi regina e produttrice
Giunone a te mi mandae vuol che gli occhi
delli sidonii duci e della fiera
gente di Cadmo in gran letargo opprima:
dell'empia gente chesuperba e gonfia
dell'esterno trionfoil vallo argivo
osserva e cingee le tue leggi infrange;
non ricusar di tanta Diva i preghi:
rari son questi onorie ben tu puoi
per lei sperar renderti amico Giove. -
Così dicee lo sgridae perch'ei senta
tre volte e quattro gli percuote il petto.
Egli a' comandisonnacchioso e ottuso
solo col capo d'ubbidir fa cenno.
Iride allor da quell'oscura grotta
esce aggravata da' vaporie i rai
umidi e quasi spenti accende al giorno.
Il Sonno intanto accelerando i passi
e delle tempie dibattendo i vanni
fatto del manto un senoentro v'accoglie
le fredde nebbie dell'ombroso cielo;
poi taciturno va per l'aria a volo
e già tutto sovrasta a i tirii campi.
Al grave respirareal pigro fiato
cadono al suol distesi augelli e fere
e greggi e armentie ovunque ei gira il volo
languido nel suo fondo si ritira
il mar da scoglied ha co' venti pace:
van più lente le nubie le alte cime
piegan le selvee fur veduti a terra
cader molti astri dal sopito cielo.
A l'improvviso orror si accorse il campo
dell'arrivo del Numee i gridi e i fremiti
del vulgo militare a poco a poco
andâr cessandoe si abbassâr le voci.
Ma poi che tutto si posò su loro
coll'umid'alee che distese l'ombre
non mai più dense nelle aonie tende
si aggravâr gli occhie s'inchinaro i colli
e restâr tronche le parole a mezzo;
indi gli scudi rilucenti e i pili
cadder di manoe sovra il petto i capi:
e già tutto è silenzioe il campo tace:
più non veggonsi in piedi i buon destrieri
e un cenere improvviso i fuochi estingue.
Ma sovra i mesti e timorosi Greci
tanta quïete non diffuse il Sonno;
e la forza piacevole del Nume
per la notte vagantei nembi oscuri
allontanò da' padiglioni afflitti.
Stan d'ogni parte in armeed hanno a sdegno
l'indegna notte e i vincitor superbi.
Quando Tiodamanteil petto invaso
e da' Numi agitatoecco repente
s'accende d'un furor che il preme e sforza
con orribile strepito e tremendo
a rivelare i fati; o in lui Giunone
tai sensi infondao al vate suo novello
benigno i detti ispiri e arrida Apollo.
Terribil nella voce e nell'aspetto
se ne va in mezzo al campo impazïente
del Numeche l'invade e che 'l rïempie
di cui non è capace il petto angusto.
Stimolato dal Dio suda ed anela
e l'interno furor nel volto appare:
talora impallidiscee talor tinge
d'incerto sangue le tremanti gote;
travolge gli occhie l'agitato crine
misto a le bende gli flagella il capo.
Tal dagli aditi orribili e tremendi
Cibele tragge il sanguinoso frige
e delle braccia lacerate e incise
le ferite nasconde: egli col pino
percuote il pettoe la sanguigna chioma
agita e scuotee delle piaghe il duolo
disacerba col corso; i prati intorno
n'hanno terrore e il pino stesso asperso
di sangueed i leon traggono il carro
con maggior fretta attoniti e confusi.
Giunge egli intanto al venerando ostello
ove stanno le insegnee del concilio
nella sala più internaove dolente
per tante stragied i perigli estremi
esaminandoinvan consulta Adrasto.
Siedono a lui d'intorno i nuovi duci
più congiunti a gli estintie gli alti scanni
vedovi fatti di sì grandi eroi
occupan mestied han dolor che a tanto
onor gli abbia innalzati un tanto danno.
In cotal guisa se interrompe il corso
morto il primo nocchiervedova nave
tosto prende il timon colui che in cura
avea la prora o il fiancoe ne stupisce
lo stesso legno abbandonatoe tardi
ubbidiscono velearbori e sarte;
e il Nume tutelar non siede al fianco
dell'inesperto condottier novello.
Ma il vate intanto i dubbïosi Achivi
in questi detti a miglior spene accende:
- Gli ordini venerabili de' Numi
e i lor consigli vi portiamoo duci:
nostre non son le voci: a voi favella
quegli a cui mi donastee le cui bende
vostra mercèlui consentendoio cingo.
Questa mandano a noi notte opportuna
a le grand'opre ed a le insidie i Numi;
la virtude c'invitae da noi chiede
la Fortuna le destre: in grave sonno
posa l'oste tebana; or vendicate
gli estinti regi e l'infelice giorno.
Su via l'armi rapitee delle porte
i ritegni spezzate; in questa guisa
appresterem degni sepolcri e roghi
a i corpi esangui de' compagni uccisi.
Io certo vidi nell'esterna pugna
quando più afflitte eran le cose e il tergo
davamo a' vincitoriio vidi (e il giuro
per i tripodi sacrie per l'onore
del nuovo sacerdozio) a me d'intorno
volar con lieti vanni augei felici.
Ma certo ora ne son. Quale discese
sotterra Anfiaraotale mi apparve
fra 'l notturno silenzio. I destrier soli
eran tinti dall'ombre: io non vi narro
notturne larve e non racconto sogni.
Egli così mi disse: "Adunque invano
lascerai tu che i pigri Greci (rendi
a me le bende e gli affidati Dei)
perdan cotanta notte? o di me indegno
degenerante successore! I voli
così apprendesti degli erranti augelli
e gli arcani degli astri? A che più tardi?
Su vannee almen di me prendi vendetta".
Sì dissee mi sembrò che a queste soglie
m'incalzasse coll'asta e con il carro.
Ubbidiscasi dunque a i Numie intanto
non fia d'uopo pugnar: nel sonno immersa
giace la guerrae incrudelir n'è dato:
ma chi vien meco? E chi sarà che sprezzi
invitato da i Fatiin sì grand'opra
fregiare il nome suo d'eterna fama?
Ecco di nuovo i fausti augelli: io seguo
il lieto augurioancor che ogni altro cessi
e vado solo; ecco il suonar de' freni
di nuovo sentoe il gran profeta io veggio. -
Così gridando in gran tumulto mette
la notte e il campoe già son tutti accesi
(qual se un medesmo Dio tutti rïempia)
i maggior ducie già son tutti mossi.
Voglion seguirlo e accomunar le sorti.
Trenta ei ne sceglie i più robusti e audaci
nerbo e vigor del campo. A lui d'intorno
fremono gli altrie di restar negletti
recansi ad onta in ozio vile e lento:
altri la stirpe illustrealtri de' suoi
rammenta i gesti; altri le proprie imprese.
Altri voglion che i nomi insiem confusi
si commettano al casoe chiedon l'urna.
Quale il signor del generoso armento
colà di Foloe su l'eccelse cime
a cui son nati al rifiorir dell'anno
i nuovi partie rinnovato il gregge
gode in mirarlialtri per ardue coste
gir saltellandoaltri nuotar ne' fiumi
altri emulare i genitor correndo:
indi tranquillo in suo pensier rivolge
quale al giogo destinie qual sul dorso
vaglia a portare il cavalieroe a l'armi
qual sia nato e a le trombee qual prometta
nell'arena acquistar le palme elee:
tal era allor fra i Greci il vecchio Adrasto
nè già manca all'impresae così esclama:
- E donde in noi sì tardi e sì improvvisi
scendono questi Numi? E quali siete
o Deiche a riveder le afflitte cose
d'Argo tornate? È forse il nuovo ardire
una virtù infelice? O pure in noi
ferve l'antico sanguee ce l'ispira
degli avi nostri il generoso seme?
Io certo approvoo giovani feroci
vostro nobil tumulto e men compiaccio:
ma noi tentiam notturna insidïosa
guerrae convien che stiano i moti ascosi
e può la turba discoprir l'inganno.
Conservate l'ardire: il nuovo giorno
vendicator si appressa; allor palesi
saranno l'armiallora tutti andremo. -
Con tali detti li raffrena e molce.
Non altrimenti avvienquando il gran padre
Eolo incatena imperïoso i venti
ch'eran già pronti a por sossopra il mare
nell'antro notoe con il sasso chiude
la porta e lor divieta ogn'altra strada.
Sceglie allor per compagni a l'alta impresa
Tiodamante il gran figliuol di Alcide
Agilleoe il saggio Attorre: è questi esperto
nel facondo parlar; quegli presume
essere per vigor eguale al padre.
Ciascun di lor dieci guerrieri ha seco
turba a i Tebani orribile e fatale
quando ancor stesser desti. Il vate intanto
che di furtivo Marte al nuovo assalto
sen va inespertole adorate frondi
di Apollo scioglie e le depone in grembo
del Re canutoe il sacro onor gli affida
della sua frontee la corazza e l'elmo
dono di Poliniceintorno cinge.
Ma il fiero Capaneoche prende a sdegno
usar le frodi ed ubbidire i Numi
del pesante suo brando il fianco aggrava
al condottiero Attorre; ed Agilleo
l'armi cambiò con il feroce Nomi.
Ed a che prò fra l'ombre incerte gli archi
e l'armi usar dell'immortale Alcide?
Ma perchè lo stridor dell'alte porte
lungi non si odada i ripari a salti
precipitaroond'era il campo cinto;
nè molto andârche ritrovâr distesa
immensa preda. Ivi di morti in guisa
o come prima da più brandi uccisi
giacevano i Tebani. Il vate allora
fatto sicuroad alta voce esclama:
- Iteo compagnid'inesausta strage
ove il piacer vi alletta; itevi prego
e siate eguali al gran favor de i numi:
eccovi tutte oppresse in vil letargo
le inimiche coorti. Oh nostro scorno!
E questi osâr cinger l'argivo campo
d'assedio intorno? Essi tenere a freno
tanti invitti guerrieri? - Ei così dice
e il ferro tragge fulminantee il passa
sul moribondo stuol con man veloce.
Chi può le stragi annoverar? Chi i nomi
rimembrar degli estinti? I terghi e i petti
senz'ordine trafiggee dentro gli elmi
lascia rinchiusi i gemitie nel sangue
l'anime intorno erranti insiem confonde.
Quegliche giace sopra molle strato;
questi che tardi cedè al sonnoe cadde
sovra lo scudoe male i dardi impugna;
altri distesi fra le tazze e l'armi
altri inclinati su le targhe: come
ciascuno aveva in feral sonno oppresso
l'infelice soporl'estrema notte;
tutti senza pietade ei manda a morte:
nè lungi è il Nume: Giunoignuda il braccio
curva face sospendeed il sentiero
rischiarae i cuori accendee i corpi addita.
Tacito sente che la Dea gli assiste
il sacerdotee il suo piacere occulta.
Ma già lenta è la mangià il ferro ottuso
e vacillanti in tante stragi l'ire.
In cotal guisa fiera tigre ircana
che ha fatto scempio de' maggiori armenti
poichè d'immenso sangue il ventre immane
ha già satolloe le mascelle stanche
e le macchie del vello immonde e guaste
da la putrida strage; il suo trïonfo
contemplae duolsi che mancò la fame.
Tal nell'aonio strazio il sacerdote
intorpidiscee cento braccia e cento
mani di aver desia; già già gl'incresce
perdere l'ire invanoe di già brama
che sorga l'inimico a giusta guerra.
Da l'altra parte li Tebani uccide
d'Ercole il figlioe da quell'altra Attorre.
Ciascuna turba per sentier sanguigno
segue il suo duce: son di sangue infette
l'erbee di sangue un rapido torrente
scuote le tende. Fuma il suolo intorno
e l'anelar del sonno e della morte
si confondono insieme. Un sol tebano
non v'ha che il volto innalzio ch'apra gli occhi
cotanto il Sonno gli avea oppressie solo
loro apre in morte l'ecclissate luci.
Vedute avea cader l'estreme stelle
per non vedere il dìfra i giuochi e i suoni
inni cantando in su la cetra a Bacco
Alcmenoallor che il collo alto sopore
gli fe' cader su la sinistra spalla
e su la cetra il capo; Agilleo il fere
al pettoe la man punge unita al plettro:
tremâr le ditae fer suonar le corde.
Turba le mense un liquor tetroe un rio
scorre di sanguee misto al sangue il vino
torna a le prime tazzea i primi vasi.
Giace abbracciato col fratel Tamiro
e il fiero Attor l'uccide. Il tergo fora
d'Eteclo coronato il crin di serti
Tago; Danao d'un colpo il capo tronca
d'Ebroche il fato non prevede: lieta
fugge la vita sotto l'ombree il duolo
della morte non sente; in sul terreno
umido e freddo infra le ruote e il carro
giacea Palpetoe i corridori suoi
che dell'erbe natie si facean pasto
spaventava russando: esala il volto
un sucido sudore ferve e anela
suffocato nel vino il grave sonno:
ecco di luiche giaceentro la gola
Tiodamante il ferro immerge; il sangue
il vino espelleed il russar gli tronca:
forse presaga la quïete a lui
e Tebe e il vate avea mostrato in sogno.
La quarta parte del notturno corso
restava ancoraallor che di rugiade
il cielo i campi irrorae molte stelle
perdono il lumee da più ardente carro
il carro di Boote in fuga è posto.
Nè più che far lor rimaneva; quando
il saggio Attorre al sacerdote vôlto:
- Deh basti (disse) l'insperata gioia
al greco campo; nè pur un da morte
scampòcred'iofra tanta gente; solo
se alcuno fra i cadaveri e fra 'l sangue
non si celòper conservar la vita.
Pon modo a la fortuna; i rei Tebani
hanno anch'essi i lor Numie forse i nostri
omai stanchida noi prendon congedo. -
Ubbidì il sacerdotee al cielo alzando
le sanguinose maniorò in tal guisa:
- Questeche tu additastieccelse spoglie
premi della tua notteimmondo e tinto
di sangue ancora (perocchè al tuo Nume
fei sacrifizio)io sacerdote fido
e de' tripodi tuoi guerrier feroce
a tegran Feboora consacro in dono.
Se a' tuoi cenni ubbidiise il tuo furore
sostennideh sovente in me ritorna
e la mente m'infiamma. Or noi ti diamo
crudele onor di sangue e d'armi tronche;
ma se avverrà che le paterne case
noi rivediamo e i sacri tempii tuoi
memore allor del votoo licio Apollo
da noi chieder potrai cotanti doni
a le tue sacre sogliee tanti tori
quanti per nostra man giacciono estinti. -
Tacque ciò detto: e i forti suoi compagni
ei richiamò da la felice impresa.
Eran fra questi il calidonio Opleo
e l'arcade Dimanteambi a' lor Regi
gratied ambi compagnied ambi a sdegno
dopo la morte loroavean la vita.
Opleo a Dimante favellò primiero:
- Dunqueo caro Dimantea te non cale
dell'Ombra errante del tuo Rege estinto?
Del tuo signorche forse è fatto preda
delli cani di Tebe e degli augelli?
E che di lui riporterete indietro
a i patrii Lari? Ecco la fiera madre
vi viene incontroe vi domanda il figlio.
Ma privo di sepolcro il mio Tideo
mi tien l'alma agitatae pur le membra
ha del tuo più robustee come il tuo
degno tanto non è de' nostri pianti
come reciso nel bel fior degli anni.
Ma gire io voglioe dell'infame campo
cercarlo in ogni parteentrare in Tebe
qualor altrove ritrovar nol possa. -
Ascoltollo Dimanteindi rispose:
- Per queste vaghe stellee per l'erranti
ombre del mio signorche a me son Nume
ti giuroahi lassoch'uno stesso ardore
me ancora accende; ma lo spirto oppresso
dal grave lutto richiedea compagno
ed or andrò primiero. - E così detto
ponsi in camminoe verso il cielo alzando
l'afflitto voltoin cotal guisa prega:
- O Deache reggi il cheto orror notturno
s'egli è pur ver che in triplicate forme
il Nume mutie nelle selve scendi
sotto altro volto; quel già tuo seguace
e de' tuoi boschi alunnoil tuo fanciullo
(or lo riguarda almen)quello si cerca. -
Abbassò il carro allor la Divae i corni
di maggior lume accesee con un raggio
additò lor de' regi i busti esangui:
scoprirsi Citeronei campi e Tebe.
Così qualor tuonando irato Giove
spezza l'aria notturnae l'atre nubi
sen vanno in fugaed al baleno e al lampo
chiari veggonsi gli astrie di repente
a gli occhi appare l'oscurato mondo.
Seguì di Cintia il raggio il buon Dimante
ed Opleo ancora ravvisò Tideo.
Lieti da lungi de' trovati corpi
si diero il segnoe l'uno e l'altro al dolce
peso del suo signorcome se in vita
tornato fosse o a fiera morte tolto
sottopongono il dorsoe non ardiscono
di piangere o parlare. Il crudel giorno
già s'avvicinae lo minaccia il primo
albór che spunta. Essi sen vanno cheti
a lunghi passi fra i silenzi mesti
e dolgonsi in veder pallide farsi
l'ombre notturne. Oh fati invidïosi
a le pietose imprese! Oh rare volte
fortuna amica a le magnanim'opre!
Già vagheggiano il campoed il desio
più vicin lor l'additae più leggero
lor sembra il peso. Quando polve e nembo
vidersi a tergoe udîr fremito e suono.
Il feroce Anfione avea la notte
per comando del Re menato in giro
stuolo di cavalieri. A lui fu dato
de' Greci l'osservar le guardie e il vallo.
Ved'eglio pargli di veder da lungi
errar pel campo (e non avea la luce
ancor del tutto dileguate l'ombre)
un non so che d'incertoe che rassembra
aver motoaver vita: alfin discerne
ch'uomini sono. Allor l'insidie scopre;
e- Olà fermate il passo (altiero grida)
chïunque siete. - Alcun non parlae certi
si palesan nemici. Il lor cammino
seguonnè per se stessi hanno timore.
Ei la morte minacciae l'asta vibra:
ma con tal arte che a ferir non vada
e d'errar finge. Iva Dimante il primo
e il balenar del ferro innanzi a gli occhi
gli passòl'abbagliòfermògli il passo.
Ma non già invano lanciar volle Epito
e ferì ad Opleo il tergoe di Tideo
che ne pendevatrapassò le spalle.
Cade il misero Opleonè del suo duce
si scordanè morendo l'abbandona.
Felice luiche nel morir non vede
il cadavere toltoe in questa spene
scende contento infra le pallid'ombre.
Si rivolge Dimantee il mirae sente
stargli già sopra le nemiche schiere;
dubbioso stase preghio se combatta.
L'ira l'armi proponma la presente
fortuna vuol ch'ei preghie che non osi.
D'ogni parte è periglio. Alfin lo sdegno
differì le preghiere. Innanzi a i piedi
depon l'amato corpoe d'una tigre
ond'avea ornato il tergoil vello avvolge
al manco braccioe ignudo ferro stringe
e la fronte rivolge a l'astea i dardi
a uccidere e a morir pronto egualmente.
Qual leonessa in cavernoso monte
cui cinse il cacciator numida
sta sopra i figli con incerto core
e freme in suono di pietà e di rabbia:
a saltar nello stuoloa franger dardi
furor la spingeamor l'arresta e sforza
a riguardare i figli in mezzo a l'ira.
E quantunque Anfion divieti a' suoi
l'incrudelirgià la sinistra mano
è tronca a l'infelicee per la chioma
si trae Partenopeo supino il volto.
Tardi allor supplichevole Dimante
abbassa l'armie in cotal detti prega:
- Deh più miti il traete. Io ve ne prego
per le cune dal fulmine percosse
del vostro Bacco; per la fuga d'Ino
e del vostro Palémone per gli anni.
Se v'è tra voi cui scherzin figli intorno
s'evvi tra voi un padreal giovanetto
poca terra donate e poca fiamma.
Deh il rimirate; il volto suo giacente
il bel volto ven prega. Ah me piuttosto
me lasciate a le fiere ed a gli augelli.
Io sono il reo che a guerreggiar l'indussi. -
- Anzi (disse Anfion)s'hai tanto a cuore
il dar tomba al tuo Retosto ci narra
quali di guerra volgano consigli
i timidi tuoi Grecie vinti e rotti
che preparino ancorae a te la vita
diasie la tomba al tuo signoree parti. -
Dimante inorridissie sino a l'elsa
s'immerse il ferro in sen: - Questo (gridando)
sol manca a mie sciagure e a tante stragi
ch'io traditore Argo infelice infami;
nulla compro a tal prezzoe a cotal prezzo
lo stesso duce mio non cura i roghi. -
E di gran piaga già squarciato il petto
sopra l'amato corpo si abbandona
e fra i singulti estremi mormorando
- Me (dice) almeno avrai di tomba invece. -
Così de' loro Re fra i grati amplessi
questa del pari generosa coppia
l'Etolo forte e l'Arcade pietoso
spiraron l'almee sen morîr contenti.
Or voi nomi già sacriancor che sorga
con minor plettro il nostro cantoandrete
vincitori degli anni e dell'oblio;
nè forse sdegneranvi ombre compagne
Eurialo e il troian Nisoe di lor gloria
ammetteranvi degli Elisî a parte.
Ma superbo Anfion del suo trionfo
ad Eteòcle più d'un messo invia
che novella del fatto e della frode
scopertae i corpi de' già vinti Regi
racquistati pur oraa lui riporti;
ed egli segue ad insultar gli Argivi
assediati nel valloalto portando
a l'aste affisse le recise teste.
Ma da' ripari aveano i Greci intanto
scorto Tiodamante e la sua schiera;
e in vederli tornar co' brandi ignudi
di fresco sangue aspersiil gaudio nuovo
ridonda sìche contener nol sanno.
Alzano d'improvviso al cielo i gridi
pendon dal valloe ognuno i suoi ricerca.
Stuolo d'augelli non pennuti ancora
così in vedendo ritornar la madre
bramano andarle incontroe da l'estremo
nido sporgonsi infuorie già in periglio
stan di cadere; ma vi oppone il petto
la madre amantee co' pietosi vanni
addietro li respinge e li riprende.
Or mentre il fatto occultoe del notturno
Marte narran l'impresae in dolci amplessi
stan cogli amicie d'Opleo e di Dimante
van ricercando il ritornar sì tardi:
collo stuolo tebano ecco Anfione;
ma non andò di sua vittoria lieto
gran tempo: vede d'infinito sangue
fumar la terrae ch'una sol ruina
ha la sua gente in vasta strage oppressa.
Quello stesso terror ch'uomo sorprende
del fulmine al caderquello del duce
commosse il pettoed in un sol orrore
mancârgli e voce e vistae gelò il sangue;
e mentre ei pianger vuollo volse in fuga
volontario il destrieroe lui seguendo
alzaro nuova polve i suoi Tebani.
Appena eran costor giunti alle porte
di Tebequando dal trofeo notturno
fatti audaci gli Argivi usciro in campo
su l'armi e su le membra a terra sparse.
Per cataste di mortie di mal vivi
in mezzo al sanguee cavalieri e fanti
vengon correndoe con le ferree zampe
tritan l'ossa i destrieried alle ruote
ritarda il corso il sanguinoso umore.
Ma piace a i Greci l'orrido sentiero
e già lor sembra le sidonie case
calcar co' piedi e incenerita Tebe;
e Capaneo gl'instiga: - Assai (dic'egli)
fuo miei compagniil valor nostro occulto
ora a me vincer giova: ora che il giorno
testimonio è dell'opra. In campo aperto
colle grida e coll'armi alla scoperta
voi mi seguiteo giovani feroci.
Stanno gli augurii anche in man nostrae il brando
qualor lo stringoha i suoi furori anch'egli. -
Sì dice: e lieto Adrasto e Polinice
vie più gl'infiamman. Privo già del Nume
men baldanzoso vien Tiodamante.
E già sono alle mura; ed Anfione
narrava ancor la nuova strage; quando
poco mancò che non entraron seco
nella infelice e desolata terra.
Ma Megareoch'alla vedetta stava
- Chiudi (gridò)chiudiguardianle porte;
il nemico c'è sopra. - Anche talora
è padre di virtude un gran timore.
Tosto tutte son chiusee mentre solo
Echione a serrar l'Ogigia è lento
v'entra lo stuol di Sparta. In su le prime
soglie Panopeo cade: ei sul Taigeto
avea il soggiorno; e seco Ebalo forte
notator dell'Eurota. E tu cadesti
delle palestre onore e maraviglia
Alcidamantevincitor felice
nell'arena di Neme. A te Polluce
adattò i primi cesti; or tu morendo
del luminoso tuo maestro miri
la risplendente stellaed ei per doglia
la volge altrovee si nasconde e spegne.
Te piangeran l'ebalie selvee il lido
grato tanto alle vergini spartane
e il Fiume ove cantò cigno fallace
e le Ninfe amiclee grate a Dïana
e coleiche a te diè le prime leggi
di guerreggiarche tu poste in oblio
l'abbia cotantosi dorrà la madre.
Marte così sul limitar di Tebe
incrudelisce; ma il robusto Acrone
e Alimenide in unquei colle spalle
questi col petto le ferrate porte
sforzando a garale serraro in fine
non senza pena; in quella guisa appunto
che fendon del Pangeo gl'inculti un tempo
campi due buoi co' colli bassi e ansanti.
L'util fu pari al danno. Entro le mura
chiuser molti nemicie fuor lasciaro
molti de' loro; e di già il greco Ormeno
in su le porte è uccisoe mentre stende
Amintore le manie parla e prega
recisa la cervice a terra cade
e cadon seco le parole e il capo
ed il monileonde fregiava il collo
lungi balzò su l'inimica arena.
E già abbattuto il valloe le dimore
prendendo a sdegnode i pedon le schiere
erano giunte alle anfionie rocche;
ma del fosso in mirare il salto immenso
e il precipizio orribile e scosceso
s'arretrano i destrierie paventando
hanno stupor ch'altri li spinga innanzi.
Talor per gir fann'impetoe talora
rivolti contro il frengiransi addietro.
Altri intanto i steccatialtri i rastrelli
e i ferrei claustri dell'eccelse porte
tentan spezzare; - altri coll'ariéte
muovon di luogo gl'incantati marmi
e squarciano le mura. Altri han piacere
in rimirar le fiamme a i tetti accese
ch'essi avventaroed altri a l'ime parti
muovono guerrae ricoperti e ascosi
sotto densa testugginea le torri
scavano di sotterra i fondamenti.
Ma d'altra parte le sidonie genti
fanno a i muri corona (unica spene
che loro avanza di salute)e aduste
travie lucidi dardie le piombate
pallech'ardon nell'ariae i sassi stessi
svelti da i murisovra i Greci a piombo
fanno cadere: orrido e fiero nembo
piove da l'altoe da' forami armati
volano mille stridule saette.
Come talor pigre procelle mosse
da i vicin colli su gl'infami scogli
d'Acrocerauno e di Malea sospese
fermansi accolte in nembo; indi repente
spezzansie vanno a flagellar le navi:
tal da l'armi tebane eran gli Argivi
da ogni parte percossie pesti e infranti.
Ma l'orribile grandine non piega
gli audaci pettied i feroci volti
sol mirano i riparie sol cogli occhi
seguono i loro dardie della morte
non prendon cura. Iva osservando i muri
Anteo correndo sul falcato carro
quando d'asta tebana impetuoso
e grave colpo lo rovescia al piano.
Le redini abbandonae con un piede
(orribile spettacolo di guerra!)
pende dal carroe le due ruote e l'asta
forman triplice solco in sul terreno.
Va per la polve il capoe resupini
pendon del crin disciolti i lunghi giri.
Con strepito feral la tromba intanto
Tebe perturbae con un suono amaro
dentro penétra a le rinchiuse porte.
Si dividono in schiera i Grecie ognuna
una porta assaliscee il suo stendardo
minaccioso precedee seco adduce
le sue proprie speranze e gli altrui danni.
Dell'afflitta città l'orrido aspetto
di Marte stesso avria ammollito il cuore.
Dolorrabbiatimore e fuga infame
in luoghi oscuri e ciechiin varie forme
la sbigottita Tebe empie d'orrori.
Par che sian dentro gl'inimici: ferve
di tumulto ogni roccae per le strade
s'odon grida confusee già davanti
veggonsi 'l ferro e 'l fuocoe nella mente
già si figuran servitù e catene.
Quanto può mai accadercome presente
lor dipinge il timore. E già le case
son piene e i tempiie le piangenti turme
circondano gli altari e i Numi ingrati.
Questo stesso timor per tutti gli anni
passa veloce: i vecchi omai cadenti
braman la morte; impallidisce e suda
la gioventù robustaed ogni albergo
s'ode suonar di femminili pianti;
e gl'innocenti e teneri bambini
piangono anch'essie lo perchè non sanno
ma delle madri lor seguon l'esempio.
Queste instiga l'amoree negli estremi
casi freno non han più di vergogna.
Esse l'armi a i guerrieriesse il valore
somministrano e l'ireesse con loro
van mischiatee gli esortanoe non cessano
d'additar lor le patrie soglie e i figli.
Così qualor va per rapire il mele
pastore ingordoe muove l'api a sdegno
ferve l'armata nubee col stridore
s'esortano a feriree tutte al viso
del rapitor si avventano: ma stanche
l'ali nel volosu le bionde case
posansi alfinee il dolce mel rapito
piangonoe al sen stringon le amate cere.
Son divisi i parer del dubbio volgo;
sorgon moti discordie già in palese
(non con segreto e tacito susurro)
gridan che torni l'esule fratello
che gli si renda il regno. Ogni rispetto
che si aveva del Remanca e si estingue
ne' solleciti petti. - Oramai venga
gridan tumultuandoe l'anno alterno
godae di Cadmo il naturale albergo
e le paterne tenebre saluti. -
Altri a l'incontro: - Questa nostra fede
è intempestiva e tarda. Eglipiuttosto
che patteggiarvincer vorrà coll'armi. -
Altri piangenti e in supplichevol schiera
pregan Tiresia che il futuro sveli
unico in tanti mali a lor conforto.
Ma sta ritrosoe tien rinchiusi in seno
gli oracoli de' Numi. - È certo (dice)
certo che dianzi i miei consigli attese
il Requand'io vietai l'enorme guerra;
ma purTebe infelicee s'io non parlo
già vicina a perirnon fia ch'io senta
la tua cadutae colla vuota fronte
sorba le fiamme dell'incendio greco.
Vinca in noi la pietà. Vergineponi
poni gli altarie consultiamo i Dei. -
Essa eseguiscee con sagace sguardo
mira le punte della fiamma tinte
di sanguigno coloree in due diviso
ergersi 'l fuoco su gli altarie in mezzo
chiara e serena sfavillar la fiamma;
indi per l'aria raggirarsi in guisa
di tortuosa serpe in vari modi
e mancare il rossore: il vede e il narra
al genitor dubbiosoe le paterne
tenebre illustra. Ed ei già buona pezza
tiene abbracciati i coronati altari
e con la faccia rosseggiante e accesa
va bevendo il fatidico vapore.
Le sue dimesse e scompigliate chiome
s'ergono in altoe l'agitato e insano
crine solleva le tremanti bende.
Par che gli occhi rïaprae che sul volto
di giovanezza il primo fior ritorni.
Alfin lo strabocchevole furore
così esalò da l'infiammato petto:
- Quale tremendo sacrifizio estremo
chiedano i Numiempii Tebaniudite:
verrà per aspra via l'alma salute.
Ma di Marte il Dragon da noi richiede
vittima umanaumano sangue: cada
chi l'ultimo fra noi scese da l'angue.
Solo a tal patto Tebe avrà vittoria.
Oh lui feliceche darà la vita
a sì gran prezzo d'immortale onore! -
Del fatidico vate al fiero altare
era vicin Creonte ansio e dolente
del patrio suol per lo comun periglio.
Quandocome da fulmine percosso
o da ritorto dardo il sen trafitto
semivivo sentì chiedersi a morte
Meneceo il figlioe glielo fa palese
e gliel mostra il timor; stupido resta
e intorno al cuor se gli restringe il sangue.
Così percossi di Trinacria i lidi
sono dal marse contro d'essi il spinge
Austro talor da l'affricana arena.
Del crudel vateche di Febo ha colmo
il vasto senole ginocchia abbraccia
supplichevole in attoe lo scongiura
a por silenzio al vaticinio orrendo;
ma invan lo pregae già la fama vola
con le sacrate vocie tutta Tebe
risuona già della febea risposta.
Or chi aggiungesse generosi sproni
e d'onorata morte almo desio
nel giovane feroce (un cotal dono
non scende a noi senza favor de' Numi)
or tu rimembrao Clio. Tuche conservi
ognor vivaci le memorie antiche
e i secoli vetustie del Tonante
assisti al tronoonde sì raro in terra
scender suol la Virtudeo sia che Giove
la doni a i suoi più cario ch'ella scelga
anime generose e di sè degne:
siccome allor da le celesti piagge
lieta e bella discese! Al suo passaggio
dier luogo gli astri e quelle stesse faci
che di sua mano ella innalzò fra loro.
E di già è in terrae pur l'eccelsa fronte
s'avvicina a le sfere. Il grande aspetto
però mutar le piacee la sembianza
di Manto prende; onde più presto a i detti
Meneceo porga e a i vaticini fede.
Così mutata per celar l'inganno
sparver da gli occhi l'orridezza e il fuoco;
ma il primiero decoro e più soave
la maestà ritien; deposto il ferro
l'augural verga impugna; a terra il manto
lascia caderee le confuse chiome
attorciglia di bendee lascia il lauro
ch'era suo fregio; ma il feroce aspetto
la palesa per Numee il passo altiero.
Tale già si ridea del fiero Alcide
Onfaleallor che in femminili spoglie
deposto del leon l'ispido vello
squarciava e manti e gonne; e colla mano
troppo grave rompea cembali e fusi.
Te forte Meneceo trovò la Dea
non di lascive fogge adorno e molle;
ma qual conviensi al sacrifizioe degno
del grande onor dell'immortal comando.
Della torre dircea schiuse le porte
facea strage de' Grecie seco Emone;
ma quantunque d'un sangue ambi e fratelli
Meneceo lo precede: a lui d'intorno
stan cumoli di morti e di malvivi.
Ogni dardo colpisceed ogni colpo
seco porta la mortee non ancora
presente è la virtù. La manoil cuore
non trovan posae il sitibondo brando
non cessa: sembra che la Sfinge stessa
che sta in guardia dell'elmoin rabbia monti
e visto il sanguel'animata immago
fiammeggi e splendaed ei n'ha l'armi asperse.
Quando a luiche combatteil braccio arresta
la Diva e il brandoindi così favella:
- Generoso garzondi cui maggiore
Marte non vide fra il guerriero seme
di Cadmolascia queste pugne umíli:
non son degne di te vulgari imprese.
Te chiaman gli astri (a maggior cose aspira)
e renderai al Ciel l'anima grande.
Questo sol gridaa i lieti altari intorno
il genitor; questo le fibre e i fuochi
mostrano; questo sol richiede Apollo:
ch'uno de i figli della Terra il sangue
dia per la patria. Vola intorno il grido;
Tebe n'esultae in tuo valor si affida.
Rapisci i Numi colla mente; afferra
il gran Destinovacorrit'affretta
pria che t'involi un tanto onore Emone. -
Disse; e di luiche tarda e sta sospeso
il petto molce colla destrae tutta
in lui s'infondee di sè gli empie il cuore.
Non così ratta la celeste fiamma
serpe da le radici a l'alte cime
di cipresso dal fulmine percosso;
come il garzonpieno del Numei sensi
a gloria eressee s'invaghì di morte.
Ma poi che vide della finta Manto
le vesti e il portamentoe che da terra
s'alza sovra le nubiinorridissi.
- O chiunque tu siaDeache mi chiami
(disse)io ti seguoe ad ubbidir non tardo. -
Partee partendo Agrio di Pilo uccide
che ardito l'incalzava: in su le braccia
lo riportaro estinto i suoi scudieri.
Dovunque passala festosa turba
lieta gli applaudee autor di pace il chiama;
liberatore e Numee sproni aggiunge
e di fiamma d'onor tutto l'accende.
Già con ansante corso a l'alte mura
era egli giuntoed in suo cuor godea
d'aver schivato i genitori afflitti;
quando ecco il padre (ambi restaro immoti
ed ambi mutied abbassâr le fronti);
ma il padre in fine lo prevennee disse:
- Qual nuovo caso le difese soglie
fa che tu lasci? E qual impresa tenti
della guerra peggior? Ondeti prego
nasce il turbato ciglio? Onde il pallore?
Perchè non alzi al genitore il guardo?
Ah veggio ben che la fatal risposta
figlioa te giunse; il veggio certo: ah figlio!
Per gli anni mieipe' tuoifiglioti prego
e per lo sen dell'infelice madre
non prestar fede al vate. Adunque i Numi
si degneranno nel profano petto
scender d'un veglio che nel vuoto viso
mostra il furoree delle luci privo
a l'empio Edippo è nella pena eguale?
Forse chi sa? Queste son frodi ordite
dal crudo Reche nell'estrema sorte
teme di noidel nostro sanguee teme
il tuo valorche sovra ogni altro duce
ti distingue e t'innalza. E questi detti
non son de' Numi (qual Tiresia vanta)
ma del tiranno. Deh ritieni a freno
l'animo ardentee breve indugio accorda
breve dimora al genitor che prega.
Ogni bel fatto l'impeto corrompe:
così tu ancora a la canizie arrivi;
tu pur sii padree questa stessa tema
proviche per te provo. I miei Penati
non far orbi di te. Dunque cotanto
de' genitori altruidegli altrui pegni
senti pietà? Se te vergogna muove
sentila pria de' tuoi. Questa è pietade
questo è onor vero. Ivi è sol gloria vana
e un inutile nomee nella morte
un vano fregio che si asconde e cela:
nè già codardo padre è che ti prega.
Vapugna misto fra le argive schiere
il petto opponi a l'aste e a l'armi ignude
io non tel vieto: a l'infelice padre
almen si dia le glorïose e belle
piaghe lavartio figlioe con i pianti
tergerne il sanguee rimandarti in guerra.
Questo è quel che da te la patria chiede. -
Così dicendodell'amato figlio
tien colle braccia e mani e collo avvinti;
ma il giovaneche a i Dei s'è offerto in voto
non cede a i pianti e a le querelee un nuovo
ispirato da i Numi ordisce inganno
con cui dal suo timore il padre affida.
- In error seibuon padree di mia tema
la verace cagione ancor t'è ignota.
Me non muovon gli Oracolio i clamori
de i furibondi vatio l'ombre vane.
Canti le fole sue Tiresia astuto
a sè e a la figlia: non se Apollo istesso
le fatidiche grotte disserrando
col suo furore m'agitasse il petto;
ma dentro la città mi riconduce
dell'amato fratello il caso acerbo.
Langue ferito Emon da strale greco;
a fatica l'abbiam pur or ritolto
fra l'uno e l'altro esercitodal campo
ov'ei giacevae da le mani ostili:
ma il tempo io perdo. Vanneo padree prendi
di lui tu curae di' che mollemente
la turba de i sergenti addietro il porti.
Io corro in traccia d'Etïone esperto
le piaghe a risanarstagnare il sangue. -
Qui tronca i dettie fugge. Un altro orrore
ingombra allor la mentee i sensi turba
dell'incerto Creonte: errando a caso
va la pietà fra i due timor discordi.
Ma la Parca lo sforzae fa che il creda.
Intanto Capaneo torbido e audace
i Tirii assale da le porte usciti
in campo aperto a guerreggiar co' Greci.
Ora le corna de' cavallied ora
le squadre de i pedoni urta e scompiglia:
gli aurighi abbattee mette in fuga i carri
che passan sopra i condottier giacenti:
or l'alte torri indebolisce e scuote
lanciando spessa grandine di sassi:
fuma nel sanguee gli ordini perturba:
lancia piombi volantie nuove piaghe
piove sopra i Tebani; or vibra in alto
con tutto il braccio fulminando i dardi.
A la cima de i muri asta non giunge
ch'uom non abbattae non ricada al suolo
di fresca strage sanguinosa e tinta.
Nè già più sembra a la falange argiva
che Tideo manchi loroo Ippomedonte
o il prisco vate o l'arcade garzone.
Ma par che in lui tutte sien l'alme accolte
di tanti eroi: così per tutti adempie.
Non etànon splendornon vago aspetto
muovono il fiero cuor: del pari ei fere
chi combatte e chi prega. Alcun non osa
di stargli a fronte e di tentar la sorte;
ma temon di lontan del furibondo
l'armile creste e l'orrido cimiero.
In parte eletta delle patrie mura
fermossi intanto Meneceo pietoso
già sacro nell'aspetto e venerando
ed in sembianzaoltre l'usatoaugusto;
qual se da gli astri pur allor scendesse.
E già deposto l'elmo e a tutti noto
d'alto mirando le guerriere squadre
mise uno stridoe in sè rivolse il campo
e tregua impose a la battagliae disse:
- Numi dell'armie tuche a me concedi
cader di sì gran morteamico Apollo
quelle che patteggiaigioia e riposo
e che comprai con tutto il sangue mio
donate a Tebe. Rivolgete indietro
l'orrida guerrae le reliquie infami.
Lerna vinta ne accolgaed il superbo
Inaco abborra i figli indegniil tergo
impressi di bruttissime ferite.
Ma casecampitempiie moglie e figli
date a i Tebani di mia morte in prezzo.
Se ubbidïente vittima a voi piacqui
se del gran vate le risposte accolsi
con intrepido orecchioe l'eseguii
Tebe non lo credendo; al patrio suolo
per me rendete la mercè ch'io chieggio
e mi placate il genitor deluso. -
Sì dissee l'alma generosae schiva
già di sua spoglia e di più star rinchiusa
impazïente in libertà ripose
con il lucido acciaro al primo colpo.
Di sangue asperse i muri e l'alte torri
e si lanciò fra i combattenti in guisa
che andò a cader su gli odïati Argivi:
ma pietàma virtude alto su l'ali
portaro il corpoe lo posaro in terra;
e già lo spirto sta di Giove al trono
ed ha fra gli astri la primiera sede.
Senza contesa si riporta in Tebe
il magnanimo eroe: cedero i Greci
venerando il gran fatto. A lunghe file
vien ricondotto su gli altieri colli
de i giovani più scelti. Il vulgo applaude
e fra gl'inni e fra i canti e i lieti gridi
maggior di Cadmo e d'Anfion l'appella.
Altri l'ornan di sertialtri di fiori
spargon le membra; e l'onorato corpo
ripongono degli avi entro la tomba.
Dato fine a le lodiin guerra riedono.
Ma il miserabil genitorche l'ira
conversa ha in luttopiangeed a la madre
è dato al fine il piangere e il dolersi:
- Io dunque ti nudriigarzone invitto
quasi madre vulgarvittima a Tebe
e capo sacro a la comun salute?
E che mai feci? E perchè i Numi in ira
m'hanno cotanto? Io già d'impure fiamme
non arsio al figlio partorii nepoti.
Ma che mi giovase Giocasta i suoi
parti ancor mira e capitani e Regi?
Noi diam l'ostie a la guerra (e tu l'approvi
crudo Tonante)perchè i rei fratelli
seme d'Edippo cangin serto e regno.
Ma perchè i Numi incolpo? Ah che a la madre
tu affrettasti il morirfiglio crudele.
E d'onde in te questo desio di morte?
QualMeneceodiro furor t'invase?
Qual io mi partorii per mia sciagura
figli da me diversie appunto scesi
dal Dragone di Marte e da la Terra
onde uscì l'avo di nuov'armi adorno!
Quinci l'alma feroce e il troppo ardire
che racchiudevi in sen: tu da la madre
nulla traesti. A volontaria morte
ecco tu corrie delle Parche in onta
scendi immaturo infra le pallid'Ombre.
Io per te ben temea gli Argivie l'armi
di Capaneo; ma questa stessa mano
lo stesso ferro che a tefolleio diedi
questi eran da temer: misera! come
l'hai fino a l'elsa nella gola immerso!
Non t'avrebbe il più barbaro tra i Greci
di più profonda piaga il seno aperto. -
Non dava fine a le querelea i pianti
quell'infeliceonde assordava il cielo.
Ma le amiche e le ancelle il suo dolore
van consolandoe suo malgrado al fine
la riconducon nel rinchiuso ostello.
A terra siedelacerando il volto
nè ascolta i dettie non riguarda il giorno
ma i lumi tiene affissi al suolo e immoti.
Tale in scitica grotta immane tigre
cui furò i figli il cacciatore alpestre
giace lambendo il tepido covile
e l'ire scorda e il natural furore
e la rabbia e la fame; armenti e greggi
passan sicuri: essa sel vedee stassi.
E a chi colmar di nuovo latte il seno?
A chi portar la conquistata preda?
D'armid'astedi trombe e di ferite
basti fin qui: di Capaneo il valore
or conviensi innalzar sino a le stelle:
non basta a tanta impresa il plettro usato.
Uopo è di maggior suonoe che in me spiri
nuov'auranuovo spirto e maggior fuoco
da le selve d'Aoniae il sen m'accenda.
Sututteo voi caste canore Dee
sututtemeco osatee al gran soggetto
uniam le trombee solleviamo il canto.
O quel furor dal cupo centro uscío
del baratro profondoe contro Giove
di Capaneo seguendo il gran vessillo
rapiron l'armi le tartaree suore;
o la virtù trapassò il segnoo il spinse
gloria precipitosao colla morte
prezzo mercò d'immortal fama e grande:
o che lieti principii hanno i disastri;
o lusinghiere son l'ire de i Numi.
Sdegna il feroce omai terrene imprese
nausea l'immensa strage: e già consunte
l'aste greche e le suelo sguardo innalza
torvoe con stanca mano il Ciel minaccia.
Indi aereo cammin di cento e cento
gradi fra due gran piante affissi e immoti
alto sostentaonde varcar de i venti
osa gli spazi e penetrare in Tebe.
Squadra con gli occhi da la cima al fondo
l'eccelse torrie orribile in sembianza
di secca quercia accesa face scuote.
Ne rosseggiano l'armie nello scudo
ripercossa la fiammaacquista lume.
- Questo ègridail sentier per cui mi sforza
la virtude a salir: là've del sangue
di Meneceo son l'alte mura sparse;
ora vedrem se a lor salute giovi
il sacrifizioo sia fallace Apollo. -
Sì dicee salee su i ripari vinti
trionfante passeggia. In cotal guisa
gl'immani figli d'Aloo tremendo
Giove miròquando a far guerra a i Numi
sovra sè stessa s'innalzò la Terra:
nè Pelia era ancor giuntoe già toccava
le timorose sfere Ossa sublime.
Nell'estremo periglio delle cose
attoniti i Tebani e timorosi
qual se l'ultimo eccidioe se Bellona
la man di face armataentrasse in Tebe
abbattendo e struggendo altari e tempii;
piovon sopra di lui da i tetti a gara
immense travi e smisurate pietre
e ferrei globi da le frombe usciti.
(Perocchèquale nel vicin conflitto
puot'esser luogo a le saette e a i dardi?)
Impazïenti d'atterrarloin giuso
versan l'intere moli e le guerriere
macchine istesse. Egli sicuro vassi
e di colpi percosso il tergo e il petto
ei non s'arresta; ma per l'aere ascende
sicuro sìqual se posasse in terra
ed entra al fine con ruina estrema.
Tal con assidui flutti a ponte antico
assalto muove impetuoso fiume;
treman le travie svelti i sassi cadono
ed ei con maggior impeto l'incalza
e preme e scuote: alfin l'inferma mole
svellee seco la traggee vincitore
respirae corre più spedito al mare.
Ma poi che torreggiò sull'alte mura
e sotto i piedi rimirossi Tebe
e tutta oppresse la città dolente
coll'ombra immensa del feroce corpo
così rampogna gli atterriti cuori:
- Son dunquesono le anfionie rocche
deboli tanto? Oh vostra infamia eterna!
Son dunque queste le incantate pietre
che menâr danze al suon d'imbelle canto?
Son questi i vostri favolosi muri?
Che grande impresa è l'atterrar ripari
di fragil lira a l'armonia contesti! -
Così insultando il passo avanzae abbatte
e moli e tavolati e pontie scioglie
le compagi de' tettie i tetti atterra;
i macigni ne prendee li rilancia
contro i sublimi tempii e l'alte torri
e Tebe pur con Tebe appiana e strugge.
Fremon fra lor discordi intorno a Giove
intanto i Dei Tebani e i Numi d'Argo.
Già son vicini a l'ire; a tutti eguale
li mira il sommo Padreed egli solo
li tiene a freno. Geme Bacco e duolsi.
La madrigna l'osservae torva guata
il tonante marito. - Ov'è (dic'egli)
tua mano onnipotente? Ove le fiamme
delle mie cune e il fulmine ritorto?
Il fulmine dov'è? - Si lagna Apollo
che cadan da sè eretti e tempii e case;
stassi coll'arco teso incerto Alcide
tra Lerna e Tebe da qual parte scocchi;
l'alato cavalier d'Argo materna
sente pietade; Venere deplora
d'Harmonia il sanguee sta in disparte e teme
il geloso consortee l'ira ascosa
palesa a Marte con furtivi sguardi:
sgrida gli Aonii Dei Tritonia audace:
Giunon sta cheta; ma il silenzio amaro
scopre il furore che nel sen racchiude.
Gli sdegni lorle lor contese a Giove
non giungono a turbar l'eterna pace;
e già tacean le risseallor ch'al cielo
giunse di Capaneo l'orribil voce:
- Nume (dicea) non v'ha che la difesa
della città tremante in cura prenda?
E dove sietedell'infame Terra
Bacco ed Alcidecittadin codardi?
Ma perchè i Dei minori a guerra sfido?
Vieni tu stessoo Giove: e chi più degno
è di pugnar con noi? Vediio già premo
di Semele le ceneri e l'avello.
Or ti risentie contro me fa pruova
delle tue fiamme. O in atterrir donzelle
solo sei fortee in penetrar di Cadmo
suocero indegnoil vïolato albergo? -
Avvampâr d'ira i Numi; udillo Giove
e sorridendo crollò il capoe disse:
- Dopo lo scempio de' Giganti in Flegra
cotanto orgoglio in mortal petto vive?
È dunque d'uopo fulminar te ancora? -
Stangli d'intorno i Dei sdegnosie lento
lo chiaman tuttie le saette ultrici
chiedono a prova: non ardisce Giuno
confusa e mesta al crudel fato opporsi.
Senza il segno aspettareil ciel turbato
lampeggia e tuonae già le nubi insieme
vanno a trovarsie non le spinge il vento;
e già i nembi s'addensano. Diresti
le tartaree catene avere infrante
Iäpetoed alzar contro le stelle
Inarime già vinta il capo altero
ed Etna vomitar turbini ardenti.
Si vergognano i Dei del lor timore.
Ma in cotanta vertigine del mondo
vedendo un uom pieno d'orgoglio e d'ira
star contro loro e disfidarli a guerra
maravigliando stan taciti e mesti
nè dello stesso fulmine han fidanza.
Già sordamente su l'Ogigia torre
muggiva il cieloe stava involto il Sole
entro cieca caligine profonda;
ma non teme il ferocee afferra e scuote
le mura che non vedee quando i lampi
squarcian le nubi e il fulmine discende;
- Questi (grida) son ben fuochi più degni
per arder Tebee di mia stanca face
per rinforzar la furibonda fiamma: -
Giove allora tuonò da tutto il cielo
e scagliò il fatal fulmine trisulco.
Primo lungi volò l'alto cimiero;
poi lo scudo abbronzato a terra cadde
e l'indomito corpo è tutto fuoco.
Ritiransi i guerrierie da qual parte
cadanon sannoe con le ardenti membra
quai schiere opprima. La celeste fiamma
sent'ei che gli arde il pettoe l'elmo e il crine.
Con disdegnosa man sveller l'usbergo
tentae sol trova cenere e faville;
e pur sta ancorae il viso ergendo in alto
spira contro del Ciel l'alma sdegnosa:
per non caderea l'odïate mura
appoggia il petto e le fumanti membra;
ma queste membra alfin disciolte in polve
lasciano in libertà lo spirto immane.
Poco più che a cader tardato avesse,
meritato avria il fulmine secondo.
LIBRO UNDECIMO

IL DUELLO A MORTE
DI ETEOCLE E POLINICE

Poichè tutto il furor d'empia virtude
consumò il fiero Capaneospirando
il ricevuto fulminee del fuoco
vendicatore lungo orribil solco
segnâr nel suolo le cadute membra;
il turbamento delle sfere e i moti
placò Giove col cennoe con un guardo
serenò il cieloe rese il lume al Sole.
Se n'allegraro i Dei seco non meno
che s'ei da Flegra ritornasse ansante
e vincitor con tutto l'Etna il fiero
e fulminato Encelado premesse.
Orrido in volto ei giace al sen stringendo
un grave masso di caduta torre;
ma lascia dopo sè di grandi imprese
memoria eternae degna ben che Giove
d'averlo vinto si compiaccia e vanti.
Quale e quanto si stende il fiero drudo
vïolator dell'apollinea madre;
se dal petto talor sospesi in alto
stanno gli augellihanno terror mirando
le immense membramentre al crudo pasto
riproduce le viscere infelici:
tale e cotanto Capaneo prostrato
l'inimico terreno ingombra e adugge
col sulfureo vapor del divin lampo.
Tebe respirae il supplichevol vulgo
sorge da i tempii: dassi fine a i pianti;
cessano i votie fatte già sicure
depongono le madri i dolci figli.
Van per il campo dissipati e sparsi
i Greci intanto: non le turme ostili
non mortal ferro è che li caccia. Irato
veggonsi Giove innanzi: a ciascun sembra
sentir su l'elmo o dentro il ferreo arnese
la fiammail lampola saettail tuono.
Gl'incalzano i Tebanl'ira e il tumulto
del Cielo irato in lor favore usando.
Così talor fiero leon massile
se fatto scempio de' più forti tori
sazio sen parte; da i lor antri in frotta
corrono gli orsi ed i voraci lupi
sicuri a divorar la preda altrui.
Da una parte li preme Eurimedonte
di rustic'armi adorno. Agresti dardi
impugnae mesce rustical tumulto
del padre a guisaed il gran Pan è il padre.
Da l'altra partesuperando gli anni
il leggiadro Alatreo gli Argivi incalza
e del giovane padre egli fanciullo
eguaglia la virtude; ambi felici
ma più felice il genitorche tale
sel vede a latoe non sai ben nell'armi
chi più risuonio con più forte braccio
chi l'aste vibri ed i volanti dardi.
Fuggono i Greci in un raccolti e stretti
e fassi angusto a tanta fuga il vallo.
Quali mai volgio Marteaspre vicende!
Ecco costor che le anfionie mura
salian poc'anzi; spaventati e rotti
difender ponno i lor ripari appena.
Così riedon le nubie così i venti
piegan di qua di là le bionde ariste
e così copre il mar d'onde l'arena
così la scoprein sè volgendo i flutti.
I giovani Tirintii imitatori
del cittadin lor Numearmati il tergo
di pelli di leoncadon fuggendo:
Alcide freme in rimirar dall'alto
della belva nemea squarciato il dorso
di brutte piaghee per lo campo sparse
pari a le sue giacer faretre e clave.
Stava d'argiva torre in su le soglie
Enipeoavvezzo con guerriera tromba
a concitare a le vittorie i Greci;
ora con più util suono a la raccolta
gl'invitae chiama nel munito campo.
Ecco uno strale il cogliee la sinistra
mano a l'orecchio inchioda. In aura sciolto
lo spirto fuggema il rinchiuso fiato
nel ritorto oricalco il suono adempie.
Ma nelle sceleraggini potente
Tesifone crudelche già nel sangue
delle due genti esercitate ha l'ire
colla tromba fraterna e col duello
finir risolve la spietata guerra;
nè crede bastar sola al gran delitto
se da l'inferna sede a sè non chiama
in soccorso Megerae d'ambi i crini
non sian congiunte le propinque serpi.
Dunque in rimota valle il passo arresta
e scava il suolo col tartareo brando
ed a nome la chiamae il maggior angue
in alto ergendo del vipereo crine
sibila e stride; orribil segno e certo
a cui mai sordo non mostrossi Averno.
Al subito fragor tremâr le sfere
la terra e il mare; e pur di nuovo Giove
a la fucina etnea rivolse il guardo.
Udì Megera il suono. Ella si stava
del suo padre Acheronte in su la sponda
mentre di Capaneo le furie e l'ire
colmavano d'applauso i Numi inferni
e spegnea l'ombra spaventosa il fuoco
nell'onda stigia del celeste dardo.
Squarcia l'oscuro chiostroe fuor si mostra:
respiran l'almee quanto al suo partire
scema d'orrore al tenebroso Inferno
tanto manca quassù di luce al giorno.
Tesifone l'accolsee l'empia destra
a lei porgendofavellò in tal guisa:
- Potei fin qui del sommo padre inferno
Germanasostenere il grande impero
e gl'imposti furori io sola in terra
del mondo esposta all'odïato lume
mentre voi neghittose i muti Elisi
reggete e l'ombre facili e ubbidienti.
Mira di quante stragi è pingue il suolo
di quanto sangue fervon fiumi e laghi
quante vanno alme erranti a Lete intorno:
tutte son opre mie. Ma che mi vanto
di sì volgari imprese? Abbiale Marte
abbiale Eníoche importa? Un fiero duce
(certo so ben che nell'Inferno suona
di ciò la fama) tu pur or vedesti
in torvo aspettoda l'immane bocca
stillar putrido sangue: io quella fui
che il tronco teschio a manicar gli porsi.
Lo strepito e il furor del cielo irato
guari non hafin negli abissi è giunto.
Un capo a me già sacro il fiero nembo
minacciava in quel punto. Ed io fra l'armi
del furibondo eroe schernia gli sdegni
e le guerre de i Numie mi ridea
del fulmine di Giove e de' suoi lampi:
ma ti confessoo suoraal lungo affanno
langue l'ardiree già la destra ho stanca:
scema l'infernal face al cielo aperto
e il troppo lume ha di sopore oppresse
mie serpi avvezze nell'eterna notte.
Tuche ancor serbi i tuoi furori interi
le cui ceraste di Cocito a l'onda
si dissetaro e rinnovaro il tosco
tu mie forze ristora e a me t'unisci.
Non le solite schiere e non di Marte
le usate pugne prepariam: le spade
(invan pietadeinvan la fe' si oppone)
concitar ne convien de i due fratelli;
spingerli al reo duello. Enormegrande
malagevole impresa! E pur non temo:
gli odii loroi furor daranci aiuto.
Perchè sospesa stai? Su via ti scegli
qual de i due più t'aggrada: ambi son nostri
ambi facili e pronti a i nostri cenni.
Ben ne potrian tardar gli empii consigli
il vulgo incerto e la piangente madre
e d'Antigone i preghi e il parlar blando.
Lo stesso Edippoche invocar solea
le nostre Furie a vendicar suoi lumi
or si ricorda d'esser padree piange
le sue sciagure in solitario luogo.
Ma perchè tardo io stessa a l'empia Tebe
precipitarmi ed a le note case?
Tu prendi cura del ramingoe sprona
l'argolico delittoe attenta osserva
che la plebe lerneache il mite Adrasto
non ti facciano intoppo. Or partivola
e torna a me nemica al gran duello. -
Gli empi uffizi tra lor così divisi
per diverso cammin presero il volo.
Tal da li due del mondo estremi Poli
muovono Borea e Noto aspre procelle
l'un da i monti Rifeil'altro da l'arse
libiche arene: e fiumi e mari e selve
fremono al gran fragoree nubi e nembi.
Piange dell'anno la matura spene
l'agricoltoree il conosciuto danno:
e pur nel suo dolor vie più gli duole
mirar le navi ed i nocchier sommersi.
Ma poi che Giove rimirò da l'alto
l'enormi Dire funestare il giorno
e di sanguigne macchie il sole asperso
con turbato sembiante a i Numi disse:
- Mirammoo Deifin che ci fu permesso
le usate pugne ed i furor di Marte
quantunque un empio osò contro me stesso
di muover guerra e per mia man sen giacque.
Or si prepara fra due rei fratelli
infame coppiascelerata pugna
nè pria veduta su la terra unquanco.
Volgete altrove il guardoe senza i Numi
osin tentar l'iniqua impresae resti
l'orrido fratricidio ignoto a Giove.
Pur troppo vidi le funeste mense
di Tantaloe mirai gl'iniqui altari
di Licaonee da Micene il carro
volgere in fuga spaventato il Sole.
Ed or di nuovo ha da ecclissarsi il giorno.
La caligine inferna abbiasi il suolo;
ma ne sian mondi il cielo e i Numi eterni
nè cotanta empietà mirin d'Astrea
le pure stellenè i ledei gemelli. -
Così parlò l'onnipotente Padre
e volse gli occhi da l'infame campo
privando il mondo del suo dolce lume.
Già per lo campo e per le tende argive
la vergine crudel d'Erebo figlia
in traccia va dell'esule fratello.
Il ritrovò lungo le porteincerto
se con la morte o con la fuga a i mali
il fine impongae pien d'augurii infausti.
Poichèmentre pel campo errando giva
povero di consiglioe i casi estremi
volgendo in mentedella moglie Argia
veduta avea la sconsolata immago
con tronca face a lui mostrarsi innanzi;
(tali de i Numi sono i segnie tale
gire al marito ella doveva in questa
misera pompae con sì mesta fiamma)
e mentr'ei le chiedeva ove sen gisse
ed a qual uopo in sì funesta guisa
sol rispose col piantoe in altra parte
volse la mano e i moribondi fuochi.
Conosce ei ben che sono larve e sogni;
perchè come così sola e improvvisa
partirsi d'Argo e penetrar nel vallo?
Ma del Fato la voce e la vicina
morte egli sente; e perchè temeil crede.
Ma poi che l'empia figlia d'Acheronte
tre volte a lui colla viperea sferza
la corazza percossein tutto privo
di consiglio e di sennoavvampa d'ira;
nè tanto pensa a racquistare il regno
quanto a le sceleragginia le stragi
ed a lavarsi nel fraterno sangue
e a cader sopra lui. Corre ad Adrasto
e in cotai sensi torbido favella:
- Tardie de' miei compagni unico avanzo
e della greca genteamato padre
prendo consiglio a i disperati casi.
Ben io doveaprima che il sangue argivo
fosse ancor sparsoa volontaria pugna
offrirmi soloe non esporre a morte
tanti invitti guerrierie di tai Regi
l'anime grandiper ornarmi il crine
di corona funesta a tante genti.
Ma poi ch'aspra virtù mi spinge e sforza
siami or permesso le dovute pene
pagare almen. Quell'infelice io fui
(e ben lo saima per pietà mi celi
le tue feriteil tuo dolore interno)
io quello fui chementre tu reggevi
con dolce freno di giustizia e pace
i popoli soggettite dal regno
te da la patria feci andare in bando.
Deh perchè almeno il mio crudel destino
ospite non mi spinse ad altre terre!
Or prendine il castigo. Il mio fratello
(cheinorridisci? il mio voler è fermo)
chiamo a mortal düello. Invan mi tieni;
lasciami; nol potrai. Non se la madre
squallida e mesta e le infelice suore
opponessero il petto in mezzo a l'armi;
non se frenarmi il cieco padre ardisse
e mi fissasse in fronte i lumi spenti
non cesserò: forse degg'io l'estremo
bever del sangue greco? E a mio profitto
usar le vostre stragi? Io vidi aperto
il suolnè mi lanciai nella vorago:
io colpevole feci il gran Tideo
e il vidi estinto. A me il suo Re domanda
sconsolato il Tegeo; per me negli antri
parrasii urlando va l'afflitta madre:
io non seppi cader ne i procellosi
gorghi d'Ismenoallor che Ippomedonte
del suo sangue lo tinsee non osai
salir fra i tuoni l'alte torrie i miei
furori unir di Capaneo a i furori;
e perchè mai tanto timor di morte?
Or si compensin le passate colpe.
Vengan tutte a veder le greche madri
e le vedove spose e i padri antichi
cui tolsi ogni piaceree per me spente
restâr le case: io col fratel combatto.
E che più resta? Mirinoe coi voti
preghin vittoria a l'emulo germano.
Addio dunque consorteaddio Micene
sì cara un tempoe tu diletto padre:
(s'egli è pur ver che di cotanti danni
solo in colpa non fuima peccâr meco
le Parche e i Numi): del mio cener freddo
abbi pietadee la mia esangue spoglia
tolta a i rapaci augelli ed al fratello
riporta indietro e la rinchiudi in urna.
Questo sol chieggioe la tua figlia poi
ad altri dona con miglior destino. -
Già tutti intorno si scioglieano in pianto;
siccome allor che le bistonie nevi
sciolgonsi a i lunghi SoliEmo rassembra
liquefatto scemarsied in più rivi
scendere al piano Rodope diviso.
Già con placidi detti il Re canuto
cominciava a placar l'alma superba
ma con nuovo terror la sanguinosa
Furia ruppe i discorsied in sembianza
di Perinto scudier l'armi fatali
e il veloce corsier tosto gli offerse
e chiuse l'elmoed il parlar n'escluse:
indi soggiunse: - A che più far dimora?
su via t'affretta: in su le porte stassi
il tuo fratelloe te disfida e chiama; -
cosìvinto ogn'intoppoin sul destriero
lo sbalza. Ei corre per l'aperto piano
pallidoe a tergo si rimira l'ombra
della Deache l'incalza e che lo preme.
Intanto il Re della sidonia gente
vane grazie rendeva al gran Tonante
per la dovuta folgorecredendo
dal fatal colpo disarmati i Greci:
non Giove al sacrifizioe non i Numi
furon presenti. A i trepidi ministri
mista la Furia profanò gli altari
usurpò i votie li rivolse a Dite.
- O supremo de i Numi (il Re dicea)
da cui Tebe deriva (ancor che avvampi
Argo d'invidia e la crudel Giunone)
fin da quel dì che rapitor turbasti
le sidonie carolee a la fanciulla
di nostra gente sopponesti il dorso
dando finti muggiti in mar tranquillo;
nè contento di ciòne' cadmei tetti
nuova moglie scegliestie fulminante
pur troppo entrasti nelle tirie case;
benigno al fine il suocero e le mura
a te dilette rimirastie tuoni
di Tebe difensor con tutto il braccio
come se al cielo tuo si desse assalto.
Tu fulmini poc'anzi e nubi e nembi
per noi salvarmovesti: e le tue fiamme
gli stessi fuochi riconobbe Tebe
che con terrore i nostri padri udiro.
Or prendi in sacrifizio il gregge e il toro
a te svenatoe gli odorosi incensi;
ma non è già però mortale impresa
renderti grazie al benefizio eguali.
Te le rendan per noi Bacco ed Alcide
e ad essio Giovequeste mura serba. -
Mentr'ei ragionaesce dal fuoco un vampo
orrido e neroche gli fere il viso
e atterra il regal serto e lo consuma:
prima del colpodi rabbiose spume
il fiero toro sporca il tempioe fugge
rompendo il cerchioe con l'insano corno
l'altar percuotee il sacrifizio turba:
fuggono i servie il sacerdote solo
il Re consolaed ostinato impone
che si rinnovi il sacrifizioe cela
sotto forte sembianza il cor dubbioso.
Tale sull'Eta il glorïoso Alcide
benchè sentisse in sen l'occulto fuoco
e stargli a l'ossa affisso il reo veleno
della biforme spogliainvitto e forte
diè fine al voto ed offerì gl'incensi.
Ma poi che Nesso vincitore al fine
serpendo al cuor gli giunseun alto strido
misee fe' tutto rimbombare il monte.
Ma lasciata la porta a lui commessa
Epito corre ansante sìche appena
può avere il fiatoe in male intesi accenti
a l'attonito Re così favella:
- I voti lascia e il sacrifizio rompi
che fuor di tempo a i sordi Numi fai.
Gira a le mura intorno il tuo fratello
su feroce destrieroe l'alte porte
con l'asta insultae te chiamando a nome
te ad alta voce a mortal pugna appella.
Piangongli dietro i suoi seguacied ambi
gemono i campie fan rimbombo e suono
d'armi percosse. Ahi qual orrore! adunque
un fratel l'altro sfida? Adesso è il tempo
ora il fulmine tuo fora opportuno
sommo rettor de i Numi. E qual delitto
fe' Capaneo più orribile di questo? -
A cotant'odio inorridissi ed arse
il Re di sdegnoe parte in mezzo all'ira
sentì piacere del furor fraterno.
Tale il giovenco vincitorse ascolta
dopo lungo riposoil fier rivale
muggir da lungi e minacciar vendetta
sta innanzi al greggee sbuffa d'ira e freme
e versa ardenti spumee il suol percuote
col biforcuto piedee l'aria vana
col corno fere. N'han terrore i campi
e le giovenche timide si stanno
ad aspettar della battaglia il fine.
Molti dicono al Re: - Lascia che insulti
invan le murae disperato e vinto
osi cotanto; a i miseri sol giova
gire incontro a i periglie con la speme
non librare la temaed i sicuri
consigli odiareed abbracciar gli estremi:
sta fermoe fida nel tuo trono: a noi
l'armi commettie fugherem gli Argivi. -
Così dicean: ma pien di lutto e d'ira
ed a parlar con libertà di guerra
del tutto accintoecco sen vien Creonte.
Gli rode il fiero cuor la rimembranza
di Meneceo: nulla del padre afflitto
può sedare la pena: a lui sol pensa
lui colla mente abbracciae ognor gli sembra
vederlo tutto del suo sangue asperso
dalla torre lanciarsi. Onde sdegnoso
ad Eteòcleche sta ancor sospeso:
- Tu pure andrai (diss'egli) o del fratello
e de i duci il peggior: senza vendetta
non soffrirem che tu di nostre stragi
godae de i nostri piantiunica e infame
delle furie cagione e della guerra.
Assai per te pagate abbiam le pene
a i spergiurati Numi. Una cittade
d'armi potente e di ricchezzee piena
poc'anzi pur di cittadine turbe
tu distruggestid'atra peste in guisa
dal ciel discesa e di nemica fame;
e così vôta ancor l'adombri e premi?
Manca la plebe al giogo: altri insepolti
giaccion privi di fuocoaltri nel mare
portò l'Ismenoaltri le membra tronche
van ricercando; le profonde piaghe
altri curando van laceri e infermi.
Rendicrudelei figli a i padri; rendi
il fratello al fratello; a i tettia i campi
rendi gli abitatorrendi i bifolchi.
E dove è il grande Ipseo? Dove Driante?
Dove l'armi di Focida sonora
e l'euboiche falangi? In giusto Marte
quelli caddero almen: ma tumio figlio
vittima giaci dell'infame regno
d'agnello in guisa. Oh mia vergogna e scorno!
Tu con rito crudele a i Numi offerto
qual primizia a la guerrae dato a morte
(misero!) fostie costui tarda ancora?
e v'è chi 'l chiama? e di pugnar ricusa?
Forse l'empio Tiresia altri per lui
vorrà che vada? E i vaticini infami
cercan forse di nuovo i pianti miei?
Fuori d'Emone e ch'altro a me più resta?
Manda questo in tua vecee tu sicuro
mira da un'alta torre il suo periglio.
E perchè fremi? E perchè guardi in volto
la servil turba c'hai d'intorno? Chiede
ella che tu scenda alla pugnae paghi
le meritate pene: anche la madre
anche le tue sorelle in odio t'hanno:
e d'ira acceso l'esule germano
armi minaccia e morte e delle soglie
spezza i ritegnie tu sei sordo e lento? -
Così Creontee d'infelice sdegno
smaniava furibondo. A i fieri detti
così rispose il Re: - Tu non m'inganni:
non il gran fato dell'estinto figlio
è che ti muove: un generoso padre
dovria vantar la glorïosa impresa.
Ma sotto il tuo dolor speme si cela
occulta speme e cupidigia infame.
D'infinto lutto infidi voti copri;
e già vicino al regno invan mi premi.
Ma non sia mai che la fortuna avara
tanto abbandoni le sidonie mura
che tu non degno di cotanto figlio
re ne divenga. Il vendicarmi fora
facile impresa: ma recate l'armi
l'armi recateo servi: al gran duello
discendano i fratelli; il nostro sangue
può solo mitigare il costui pianto.
Godi del tuo furor; ma al mio ritorno
me ne darai le meritate pene. -
E qui diè fine alle contesee l'ira
repressee ritirò la man dal brando.
Qual lievemente dal villan percosso
sviluppa l'angue i girie da le membra
tutto accoglie a le fauci il fiero tosco;
se dal cammin si leva e cede il passo
il percussorcessano l'iree il collo
gonfiato indarno s'assottiglia e stende
ed egli stesso il suo velen ribeve.
Ma il primo avviso del furor fraterno
appena giunge alla furente madre
che gli dà fedee n'ha spaventoe corre
lacera il crine e il voltoe sanguinosa
e ignuda il petto di Baccante in guisa
dimenticando la vergogna e il sesso.
Tal di Penteo la madre a l'arduo monte
salia portando il pattuito capo
del figlio ucciso al crudel Bacco in dono.
Non le giovani figlie e non le ancelle
ponno seguirne i frettolosi passi;
tanto il dolor le accresce forzae tanto
nel lutto estremo si rinforzan gli anni.
E di già il Re del rilucente elmetto
gravava il capoed impugnava i dardi
e mirava l'intrepido destriero
delle trombe al fragor farsi più lieto;
quando l'antica madre a lui dinanzi
fermossi: impallidissi eglie per tema
impallidiro i servie lo scudiero
l'astache gli porgearitrasse indietro.
- Qual furor? (disse) e come mai più forte
sorge la Furia a flagellare il regno?
Voi dunque al fin dopo cotanti mali
voi pugnerete insieme? E non vi basta
le schiere avverse aver condotto a morte
comandato il delitto? E dove poi
tornerà il vincitore? In questo seno?
O fortunate del crudel consorte
cieche palpébre! Di veder la luce
voi pagate la penaocchi miei lassi
costretti a rimirar sì infame giorno.
Dove rivolgi il minaccevol volto?
Perchè ora impallidisciora t'arrossi?
E perchè teco mormorando fremi?
Misera me! So ben che a mio dispetto
tu pure andrai: ma prima in questi tetti
forz'è che provi l'ire. In su la soglia
starò funesto augurioorrida immago
di vostre sceleranze. A tecrudele
premer fia d'uopo questo crin canuto
questo seno infelicee della madre
spinger feroce il tuo destrier sul ventre.
Abbi pietà di me: che mi respingi
coll'elsa e collo scudo? A i danni tuoi
io non chiamai con scelerati voti
i Numi inferninè con cieca fronte
invocai l'empie Dire. Odispietato
questa infelice. Non ti prega il padre
la madre è che ti prega; al gran delitto
frappon dimorae a ciò che ardisci pensa.
Ma tu dirai che il tuo fratello insulta
le porte e i murie te alla pugna appella.
È ver: ma non si oppone al suo furore
la madre e le sorelle; in questo luogo
ogni cosa ti pregae piangiam tutti:
là Adrasto appena lo sconsiglia e tiene
o fors'anche lo spinge; i patrii Lari
tu lascie fuggi da le nostre braccia
precipitoso incontro al tuo fratello. -
Ma Antigone dolente in quel tumulto
furtiva si sottraggee non l'arresta
il verginal pudor: quasi Baccante
vola e non corree l'alte mura ascende.
La segue il vecchio suo compagno Attorre.
Ma per l'età non può eguagliarne i passi
nè giunger de i ripari a l'alte cime.
Fermossi ella pensosa; e pria d'intorno
rivolse il guardoe ricercò fra l'armi
il nemico fratelloe poi ch'al fine
lo riconobbe (oh sceleranza!) e il vide
batter coll'asta i muri e colla voce
minacciar morteil ciel di pianti assorda
e di querele; indi da l'alte mura
par che voglia gettarsie così parla:
- Raffrena l'armie a questa torre alquanto
mirao germanoe il minaccioso elmetto
nel mio volto rivolgi: i tuoi nemici
conosci tu? La fede e l'anno alterno
così domandie i pattie ti quereli?
Così la causa del modesto esilio
miglior tu rendi? Per gli Argivi Numi
(giacchè i Tirii non curi) io ti scongiuro
e per quel che amise pur amiin Argo
fratell'ira deponi: ecco ten prega
l'un campo e l'altro e le nemiche schiere.
Antigone ten prega a i vostri errori
vittima destinatae per tuo amore
al Re sospettae sol di te sorella.
Mostrami almeno il voltoe l'elmo sciogli.
Fa ch'io vagheggi almen l'amata faccia
forse l'ultima voltae fa' ch'io veggia
se piangi a i miei lamenti: il tuo fratello
già placato ha la madree già depone
il crudel brandoe tu resisti ancora?
A me resistiche il tuo esilio piango
la notte e il giornoe i tuoi raminghi errori?
Se tu nol saiio t'avea fatto amico
il fiero padre. E perchè purghi e lavi
d'ogni colpa il germano? Egli la fede
egli corruppe i patti; egli è nocente;
egli crudele a i suoi: sì; ma non scende
da te chiamato a scelerata pugna. -
Malgrado di Tesifonegià l'ira
in lui languiscee già la mano abbassa
l'astae più lento il destrier muovee tace.
Già il pianto sgorgae più nol cela l'elmo.
Torpe lo sdegnoe sente egual vergogna
d'esser venuto e di partirsi reo.
Ma respinta la madree da l'Erinni
cacciatoesce di Tebe il Re crudele
e grida: - Io vengoe questo sol mi duole
che primier mi chiamasti; e s'io tardai
non m'accusar: mi ritenea la madre.
O Patriao fra due Regi incerto regno
oggi il tuo Re nel vincitore avrai. -
Nè più placido l'altro: - Alfin (rispose)
la fe' conoscial fin consenti al giusto.
O da gran tempo ricercato invano
or fratel mi ti mostri: a l'armi dunque;
meco combatti: questa sola legge
questo è il sol patto che riman fra noi. -
Sì dicee in lui volge nemico il guardo
e invidia il rode in rimirarlo cinto
da turba di seguacie su la fronte
portar elmo regalee il gran destriero
d'ostro copertoe fiammeggiar lo scudo
di fulgid'oro: ancor ch'ei pur non vile
splenda nell'armie se ne vada adorno
di nobil mantoche con frigi modi
gli avea tessuto di sua mano Argia
fregiando il bisso con aurate fila.
Ma già son scesi al militare arringo
sospinti dalle Furie: al suo campione
ciascuna assistee l'ire desta e il guida.
Esse reggono i freniesse con mano
ne tergon l'armie de i destrieri i crini
rendon più folti d'intrecciate serpi.
Vedesi con orrore in mezzo al campo
consanguineo delittoenorme guerra
d'un solo ventre uscitae sotto gli elmi
pugnar due pari e somiglianti aspetti.
Negâr le trombe il segnoe restâr muti
del fiero Marte i bellici strumenti.
Ma ben d'Abisso l'avido tiranno
tuonò tre voltee ben tre volte scosse
da l'imo centro il vacillante suolo.
Fuggîr dell'armi i Numie la Virtude
non fu presente; le sue faci spense
Bellonae Marte spaventato volse
altrove il carroe del crudel Gorgone
Palla coperse il formidabil teschio
e si arrossîr le stesse Furie in volto.
Sta lagrimoso il miserabil vulgo
sparso su i tettied ogni rocca suona
di querele e di pianti: i vecchi han doglia
che visser tanto: stan le madri afflitte
ignude il senoe di mirare a i figli
vietan la sceleraggine fraterna.
Lo stesso Re del Tartaro profondo
apre le porte infernee vuol che l'Ombre
Tebane a rimirar l'empio duello
e l'opre de i nipotiescano al giorno.
Siedon su i patrii colli in mesto giro
e turbano la luceed han piacere
in veder superati i lor furori.
Ma poi che intese il venerando Adrasto
che con odii palesi erano a fronte
nè dal delitto gli ritien vergogna;
volae col carro si frappon tra loro.
Per etàper impero egli è ben degno
di riverenza: ma che attender puote
da due cuor sì feroci e sì superbi
che al proprio sangue lor non han riguardo?
E pur li prega: - Mirerem noi dunque
o Tiriio Greciun sì nefando errore?
E dov'è il dritto? Dove sono i Dei?
Dove ragion di guerra? I cuor feroci
non indurate: te nemico io prego
(benchèse l'ira non t'accecateco
son pur congiunto); a te l'impongoe il voglio
genero; e se pur hai tanta vaghezza
d'impero e scettroecco che il regio manto
mi spoglioe ten fo dono; or vannee solo
e Lerna ed Argo a tuo piacer governa. -
Ma nulla più muove il parlar soave
negli odii lor quell'anime ostinate
che lo scitico mar con tutte l'onde
a i monti Cïanei vieti l'urtarsi.
E poi che invano le preghiere sparse
e vide i corridor già mossi al corso
e i furibondi aver già l'aste in mano
fuggetutto lasciando in abbandono
il generole schieree Tebe e il campo
e colla sferza stimola Arïone
che addietro guardae che il destin prevede.
Tale il rettor dell'Ombre e del diviso
mondo l'ultimo erede impallidio
per la contraria sortee il nero carro
spinse sdegnoso nel tartareo centro
dal cielo escluso e da le pure stelle.
Non così presto consentì Fortuna
a l'empie vogliema sospese alquanto
lo scelerato barbaro delitto.
Mancâr due volte d'incontrarsi in corso:
due volte i buon destrieri uscîr d'arringo
con lodevole erroreed altrettante
senza ferireandâr le lance a vôto.
Volgono i frenie cogli acuti sproni
danno a i destrier non meritata pena.
Il prodigio de i Numi ambe le schiere
commossee sorse un mormorare alterno
un bisbigliarche si riprendan l'armi
che si muovano i campie al lor furore
tutto s'opponga della guerra il nerbo.
Sprezzata da i mortali e da i Celesti
stava del cielo in solitaria parte
dolente la Pietà; non con quel manto
onde pria giva adornao col sembiante
sereno e lietoma discinta il seno
e senza sertoscapigliata i crini
e pure allorcome sorella e madre
piangea le pugne ed i furor fraterni;
e il crudel Giove e l'inumane Parche
accusandominaccia ir negli abissi
e preferire al ciel le stigie case.
- Ed a che mi creasti (essa dicea)
o delle cose madrealma Natura
perchè degli animali io l'ire affreni
e sovente de i Numi? Omai di noi
non v'ha chi prenda cura e ne rispetti.
Oh seme umano! Oh furor empii! Oh Dire!
Oh di Prometeo inique opre nefande!
Quanto era meglio che lasciasse vôto
Pirra d'abitatori il mondo infame!
Ecco quai genti da le pietre usciro. -
Tacquee il tempo osservando- Andiamo (disse)
tentiamoancor che invanturbar la pugna. -
Scese dal cieloe benchè mesta scenda
segna il sentier di luminosa riga.
Al giunger suonuovo di pace amore
nelle schiere s'accesee del delitto
quant'eraallor tutto l'orrore apparve.
D'ogni parte si piangeed un occulto
ribrezzo al cuor de i due germani serpe:
prende d'uomo sembianzae d'armi cinta
or questoor quel rampogna: - E che tardate?
Su v'opponete a le lor furieo voi
a cui fratelli diè natura e figli.
Non veggiam noi che n'han pietade i Numi? -
Lor cadon l'aste: stan ritrosi e fermi
i corridorie vi si oppon Fortuna.
E già i sospesi cuori avea commossi
la Dea; ma se ne avvidee il nuovo inganno
Tesifone conobbee vi si oppose
più del fulmine prestae così disse:
- C'hai tu che far nelle guerriere imprese
codardo Numee sol di pace amica?
Cedi: è mio questo campo e questo giorno.
Tardi di Tebe la difesa prendi.
Dov'eri tu quando ne i sacri riti
Bacco a l'armi movea le madri insane?
Dov'allor che bevea l'iniquo stagno
il serpente di Marte? Allor che i solchi
apriva Cadmo? Allor che Sfinge cadde?
Dove quando d'Edippo a i piè chiedea
la vita il padre? O quando al letto infame
Giocasta andò di nostre faci al lume? -
In tai detti la sgrida; e leiche abborre
l'orrido aspetto e ne ritira il volto
incalza con i serpi e colla face.
Coprissi allor la mesta Dea col manto
e andò a farne querele innanzi a Giove.
Al suo partir sorgon più ardenti l'ire
e piaccion l'armie le nemiche schiere
si fermano a mirar l'empio duello.
E già i fratelli a rinnovar la pugna
si sono accintie primo il Re crudele
appresta i dardie primier l'asta vibra.
Vola la feral travee per lo scudo
cerca al petto varcar: ma si ritiene
nell'oro e nell'acciaioe asciutta cade.
L'esule allor sottentra alto gridando
con funesta preghiera: - O non indarno
Numi invocati dal mio cieco padre
approvate il delitto! Io non vi faccio
ingiusti voti: purgherò la mano
nel proprio sanguee questo ferro istesso
m'immergerò nel sen: sol ch'ei morendo
collo scettro mi veggiae questo duolo
porti seco a l'inferno Ombra minore.
Vola l'asta velocee tra l'arcione
Passae la coscia del nemicoe al fianco
(per dar due morti a un colpo) il destrier fere.
Ma il cavaliero le ginocchia stende
e schiva la ferita. Il ferro acuto
resta a le coste del cavallo infisso.
Fugge questoe non prezza il frenoe in giro
segna il suo mal col sangue in su l'arena:
n'esulta Polinicee del fratello
lo stimaed Eteòcle anch'ei sel crede
per soverchio timor; l'esule allora
tutto il freno rallentae forsennato
corre ad urtare il corridor ferito.
Meschiansi insieme e freni e braccia e dardi
e s'implican co' piedionde in un fascio
precipitaro avviluppati a terra.
Come due navicui confuse il vento
nel fosco orror di procellosa notte
spezzano i remie mutan vele e sarte
e dopo lungo e disugual contrasto
co i tenebrosi nembi e con se stesse
nel profondo del mar cadon sommerse:
tal della pugna enorme era l'aspetto.
Va in bando ogni arteogni avvertenzae invece
l'ira e il furor combattee fuor degli elmi
fiammeggian gli odii accesi; e i visi irati
ricercando si van con bieco sguardo.
Spazio non resta in mezzoe insiem ristrette
sono mano con manbrando con brando;
s'ode un fremer di dentiun mormorio
fieroche serve lor per segno e tromba.
Quali da sdegno e da grand'odio mossi
due gran cinghiali ad azzuffar si vanno
con torti grifi e rabbuffato pelo:
treman gli occhi sanguignie i curvi denti
suonan fremendo: il cacciator da l'alto
li mirae accenna al fido can che taccia:
tali pugnano insieme. Ancor mortali
non son le piaghe: ma già il sangue è sparso
il delitto è compiutoe delle Furie
più non han d'uopo. Attonite e lodando
quelle si stannoed hanno invidia e scorno
che vinca i lor furori odio mortale.
Ciascun di loro del fratello al sangue
aspira furïosoe il suo non sente.
L'esule in finein cui più forte è l'ira
e più giusto il misfattoil passo avanza
la sua destra animando; e il ferro spinge
laddove mal difende il basso ventre
l'estremo usbergo e la pendente maglia
ed Eteocle impiaga. Egli 'l dolore
sì tosto non sentì; ma della spada
inorridillo il geloe si restrinse
e tutto si coprì sotto lo scudo.
Vie più s'accorge Polinicee gode
che il fratello è feritoe impazïente
vie più l'incalzail premee lo rampogna:
- Doveo fratelloil piè ritiri e cedi?
Oh fra i sonni avvilito in molli piume
fra gli agi e gli ozii e dell'impero all'ombra!
Tu vedi un corpo a duro esilio avvezzo
ed a i disastri: a soffrir l'armi impara
e non fidarti nelle cose liete. -
Tale fra gl'infelici era la pugna.
Restava ancor qualche di vita avanzo
al duce infamee star poteva ancora:
ma volontario caddee nella morte
ordì l'estremo inganno. I gridi in alto
salgonoe Citeron rimbomba intorno.
Crede aver vinto Polinicee al cielo
le mani innalzaed esclamando dice:
- Bene stache non spesi i voti indarno:
veggio gli occhi ecclissatie il volto esangue
tutto dipinto di color di morte.
Su tosto alcun lo scettro e il regal serto
fin ch'ei vedem'arrechi. - In questi detti
il passo avanzae appender pensa in voto
e quasi opime spogliea i patrii tempii
l'armi fraterneed a rapirle aspira;
ma il crudelche ancor vivee che ritiene
l'anima fuggitiva a la vendetta
quando sopra gli fututto nel petto
gl'immerse il ferroe le reliquie estreme
supplì coll'ira della vitae lieto
sotto il cuor del fratel lasciò il coltello.
- Oh - disse Polinice - ancor tu vivi?
Ancora dopo te dura il furore
perfido e indegno di tranquilla sede?
Meco scendi a l'Inferno: il regno e il patto
ivi ti chiederòse pur Minosse
più muove l'urnae gli empii Re castiga. -
Caddeciò dettoed il germano estinto
con tutto il peso del suo corpo oppresse.
Andatealme feroci. Il morir vostro
contamini l'Infernoe tutte in voi
si consumin dell'Erebo le pene.
E voiTartaree Deecessate omai
dal tormentare i miseri mortali.
Un'età solaun solo giorno vegga
dovunque è Mondoun sì crudel delitto.
La memoria sen perdae per esempio
sen rammentino solo i Re tiranni.
Ma poi che il fine del crudel misfatto
e degli empii suoi figli intese Edippo
da le profonde tenebre sorgendo
fuori portò la sua imperfetta morte.
D'un antico squallore infetta e lorda
la canizie del capo e della barba
mostrae nel sangue l'indurata chioma
il volto spaventevole gli adombra;
scarme ha le guancee della vôta fronte
appaion brutti i sanguinosi fori.
Antigone il sostenta al lato manco
ed al baston la destra mano appoggia.
Qual se il nocchier dell'infernal palude
abbandonando il legnoed omai stanco
di varcar Ombreesce a l'aperto giorno
e turba il Sole e gli astri; anch'egli offeso
e impazïente del soverchio lume
mentr'ei sta lunge da la barcae cresce
il popolo de i mortie su le ripe
stanno aspettando i secoli già spenti:
tal Edippo si mostrae a la sua duce
che seco piange: - Mi conduci (esclama)
dove giacciono i figlie sovra loro
tepidi ancora il fiero padre getta. -
Sta la giovin sospesae dubbia teme
di ciò ch'ei volga in mente: e l'armi e i carri
e i cadaveri insiem confusi e misti
attraversan le stradee il senil passo
lubrico va su tanta stragee suda
la miserabil vergine che il guida.
Ma poi ch'al di lei pianto egli s'accorse
dove giaceano i figliabbandonossi
con tutto il corpo su le fredde membra.
Senza voci rimanee giace e mugge
su le profonde piaghee parlar tenta;
ma per dolor non può formar parola.
Mentr'egli tratta gli elmied i nascosi
visi ricercafuribondo il varco
apre a i chiusi sospirie così dice:
- Tardapietàtu pur tormenti e muovi
dopo tant'annila mia fiera mente!
Può dunque in questo cuore avere albergo
pietade umana? Hai vintoalma Natura
hai vinto alfin quest'infelice padre.
Ecco ch'io pur sospiroe per le secche
piaghe degli occhi miei scorre già il pianto
e la manche mi squarcia il viso e il seno
lo segue e lo seconda. Or ricevete
oh miei crudeli figlioh troppo miei!
l'estreme esequie d'esecrabil morte.
Misero! di vederli ancor mi è tolto
e favellar con essi. E quale abbraccio?
Dimmiverginti prego? A le vostr'ombre
qual renderò funerea pompao figli?
Oh tornassero in me le spente luci
e svellerle di nuovoe un'altra volta
contro il mio capo incrudelir potessi!
Oh duolo! Oh inique preci! Oh più del giusto
voti esauditi d'un feroce padre!
Qual Nume fu che al mio pregar presente
mi rapì i dettie li diè in guardia a i Fati?
Ah che a me li dettò l'immonda Erinni
la madreil genitoreil regnoe gli occhi
svelti di frontee non fur miei quei detti:
per Diteper le a me grate tenébre
per questa mia duce innocente il giuro
così con degna morte a l'Orco io scenda
nè Laio da me fugga ombra sdegnosa.
Ahi che ferite! Che fraterni amplessi
misero io tratto! Le inimiche mani
allentateo miei figlie gl'importuni
nodi scioglietee questa volta almeno
date tra voi al genitore un luogo. -
Così mentr'ei si lagnaa poco a poco
desio di morte in lui si destae il ferro
occultamente ricercando giva.
Ma lo vietò la verginee le spade
con casta man sottrasse. Il vecchio allora
furibondo esclamò: - Dove spariro
l'armi e i ferri omicidi? O Furieo Dire!
Son dunque tutti in questi corpi ascosi? -
Mentr'ei così ragionaindi 'l rimuove
la sconsolata verginee il suo duolo
reprime e tacee si consola in parte
in rimirar che il fiero padre pianga.
Ma quando giunse alla regina il grido
dell'impreso duelloil brando trasse
che riserbava nel più interno albergo
brando di Laio lagrimevol spoglia:
e poi che molto si lagnò co i Numi
col talamo nefandoe colle Furie
degli empii figlie del primier consorte
con l'ombra: contrastò col debil braccio
e inclinata sul ferro appenain petto
al fin l'immersee sotto il cuor l'ascose;
e lacerate le senili vene
purgò col proprio sangue il letto impuro.
Su la feritache gorgoglia e stride
sen cadde Ismenee la lavò co i pianti
e la terse col crine. In cotal guisa
Erigone dolente entro le selve
di Maratone al padre ucciso intorno
dopo aver tutti consumati i pianti
disciolse il cintoed a morir disposta
giva scegliendo i più robusti rami.
Ma già lieto il Destin d'aver delusa
de' miseri fratelli la speranza
avea con empia man dato ad un terzo
il regno d'Anfione; e già di Cadmo
sedea sul trono tumido Creonte.
Misero fin di scelerata guerra!
Per lui pugnaro i miseri fratelli;
e Re l'acclama il bellicoso seme
del serpente di Marte; e il sangue sparso
da Meneceo per le tebane mura
de' popoli l'affetto in lui rivolge:
sovra il soglio fatal sale il tiranno
dell'Aonia infelice. Oh di comando
lusinghevol potere! Oh mal sicuro
e infido consiglieroamor di regno!
Quando sarà che da i passati esempi
prendan norma i nipoti? Al fier Creonte
ecco già piace star sul trono assiso
ed impugnare il sanguinoso scettro.
E che non puote in noi lieta fortuna?
Di già il padre ammolliscee il nuovo impero
gli fa scordar di Meneceo la morte.
Gonfio e corrotto dal crudel costume
dell'empia corteun fier presagio diede
un'aspra prova del superbo cuore.
Vietò le fiamme a i Greci e i roghi estremi
e al cielo aperto abbandonò gli avanzi
della guerra infelice; e l'Ombre meste
sen gîr prive di sede intorno erranti.
Quinci tornando vêr l'Ogigia porta
in Edippo scontrossi: a prima vista
restò sospesoe nel suo sè minore
si riconobbee raffrenò lo sdegno;
poi ripigliando il regio fastoil cieco
suo nemico sgridò con detti acerbi:
- Partivattene lungia i vincitori
funesto augurioe le tue Furie porta
crudelealtrovee le anfionie mura
purga col tuo partir. Tuoi lunghi voti
già s'adempiêr; su via partit'invola.
Son morti i figlie che bramar ti resta? -
Per subito furore inorridissi
il fiero veglioe la tremante faccia
quasi il mirassegli fissò nel volto:
ed oblïando la vecchiezza e gli anni
lascia il bastone a cui s'appoggiae lascia
la fida scortaed appoggiato a l'ira
queste voci esalò dal gonfio petto:
- E puoi sì presto incrudelirCreonte?
Appena usurpi scelerato regno
(misero!) e prendi il nostro luogocalchi
già le ruine de i passati Regi?
Di rogo i vintie delle mura privi
i cittadini? Or seguio veramente
degno di Tebe sostener lo scettro.
Questo del tuo regnare è il dì primiero.
Perchè freni il poteree il regio onore
perchè in sì angusti limiti rinserri?
tu m'intími l'esilio? Oh troppo vile
crudeltà di chi regna! E che non stringi
piuttosto il ferro del mio sangue ingordo?
A me dà fede: il puoi. Su fa che venga
il carnefice prontoe mi recida
senza timorl'impavida cervice.
Ardisci: speri tu che supplicante
tenda le manie tue ginocchia abbracci?
Fingi ch'io il voglia: il soffrirai? Qual pena
puoi minacciarmi? E che temer m'avanza?
Tu vuoi ch'io lasci il patrio suolo? Io prima
volontario lasciai la terra e il cielo
e questa man vendicatrice volsi
e nissun mi spingeacontro il mio volto.
Or quale impor mi puoi pena maggiore
inimico tiranno? Io partoio fuggo
da queste sedi infami. E che rileva
dovunque io tragga la mia lunga morte
e le infelici tenebre? A mie preci
qual gente negherà tanto di terra
quant'io n'occupo in Tebeove riposi?
Ma dolce è il suol natio: certo più chiaro
per me qui sorge il Solee più sereni
mi splendono sul volto il cielo e gli astri;
ed ho qui ancor la genitrice e i figli.
Tua sia pur Tebee la governa e reggi
con quegli auspicii con cui Cadmo e Laio
ed io stesso la ressi; abbi tu ancora
eguali nozze e sì pietosi figli;
ma non abbia virtù che di tua mano
sottrarti ardisca di fortuna a l'onte
ma misero e depresso ami la luce.
Questi sono i miei voti. Or tu mi guida
altroveo figlia. Ma perchè compagna
te scelgo al lutto ed a l'esilio? Dammi
dammio gran Rechi mi conduca altrove. -
Antigone temè che la lasciasse
il padre solae si rivolse a i preghi:
- Per lo novello tuo felice regno
e del tuo Meneceo per la sant'Ombra
venerabil Creonteio ti scongiuro
perdona ad un afflitto i detti altieri.
Tale lo fêr le lunghe sue querele.
Nè teco solma col Destinco i Numi
così ragionae ben sovente meco
non è più mite: tanto il duol l'inaspra.
Questa infelice libertà gli ferve
già buona pezzanel feroce petto
e insaziabil desio di cruda morte.
Non vedi con quant'arte egli procura
muoverti a sdegno e provocar le pene?
Ma tu (così fortuna ognor t'accresca
impero e onor) non conculcar chi giace
e de i passati Re l'urne rispetta.
Anche costui sublime in trono e cinto
d'armi e d'armatiun tempoa gl'infelici
aita porsee a tutti egualeil giusto
diede a chi 'l chiese; e pur di tanto stuolo
una sola compagna a lui rimase
e non ancora era cacciato in bando.
E questi può turbar la tua fortuna?
Dunque contro costui tutti gli sdegni
tutte le forze del tuo regno impieghi?
Costui mandi in esilio? Forse temi
che strida alle tue portee a te d'intorno
con augurio funesto ognor s'aggiri?
Non dubitare: il menerò lontano
dalle tue soglie a lamentarsie il fiero
animo ammolliròtanto che impari
ad ubbidirti. Io lo terrò diviso
da ogni commercio in chiusa cella ascoso.
Questo sarà il suo esilio: e quale estrana
terra vuoi tu che l'infelice accetti?
Vuoi tu che vada in Argoo alla nemica
Micene errando squallido ed afflitto?
O del già vinto Adrasto in su le porte
canti le Furie dell'aonio regno?
Vuoi tu che dal Re d'Argo un Re di Tebe
mendichi il vitto? Dell'afflitta gente
e che mai giova divulgar gli errori
e le nostre vergogne e i nostri scorni?
Deh celati li tieniio te ne prego
nè già molto ti chieggio: abbi pietade
di questo vecchio ed infelice padre.
Permetti sol che poca terra il copra
che qui deponga il mortal velo: lice
seppellire i Tebani. - In cotal guisa
pregandosul terren si volgee piange.
Ma il fiero padre indi la svellee sdegna
chieder perdonoe minaccioso freme.
Come leon che nella verde etade
fu de i monti terrore e delle selve
rotto dagli annie di già pigro e lento
sen sta giacendo sotto eccelsa rupe
ma pur conserva l'orrido sembiante
e terribile è ancor nella vecchiezza:
se lungi ode mugghiar giovenche e tori
alza le inferme orecchiee di se stesso
e del primo vigor ei si rammenta
e geme e duolsi che più forti belve
de i campi suoitengano allor l'impero.
Si piega a i pianti il Re crudelee parte
concedee parte nega: - Al natio suolo
non andrai lungi (dice); a me sol basta
che non profani coll'infausto aspetto
i sacri tempii e i cittadini alberghi.
Delle fiere i covili e il tuo Citero
stanza degna saran de la tua notte
e i campi ove già fur l'aspre battaglie
ove nel comun sangue involta giace
e l'una e l'altra gente. - Ei così parla
e tumido ritorna al regio albergo
fra i finti applausi e il simulato assenso
de i cortigiani e de l'afflitto vulgo.
Lasciano intanto l'infelice campo
furtivamente gli avviliti Greci.
Nissun segue le insegne o il proprio duce
ma fuggon sparsi; e d'un'indegna vita
prendon più cura e d'un ritorno infame
che d'una illustre e glorïosa morte.
Li seconda la nottee li ricopre
col grato orror di sue benefich'ombre.
LIBRO DUODECIMO

ANTIGONE E ARGIA DEPONGONO LA SALMA
DI POLINICE SUL ROGO DI ETEOCLE.
TESEO CONTRO TEBE - MORTE di CREONTE.

Non tutte ancor avea del ciel fugate
il mattutin Lucifero le stelle
e con più tenue corno il dì vicino
mirava Cintia: al fin l'Aurora sorge
e le nubi dileguae al Sol nascente
prepara il callee il vago cielo indora.
Errando vanno a i vôti alberghi intorno
le tebane falangie troppo lenta
loro sembra la notte; e ancor che quelli
siandopo l'armii primi sonnie i primi
ozii concessi; pur la pace ancora
debile e inferma il lor riposo turba;
e li fa ricordar de l'aspra guerra
la sanguigna vittoria. Osano appena
muovere il passoabbandonare il vallo
e tutte intere disserrar le porte.
Il primiero timore ancor li turba
e miran con orrore il vôto campo;
e come il peregrin che in terra scese
dopo che l'agitâr procelle infeste
crede che il suol vacilliin simil guisa
stupisce Tebe che guerrier non muova
a rinnovar gli assaltie ognor paventa
che sorga a nuova guerra il campo estinto.
Così qualor veggon gl'idalii augelli
salir su la lor torre aureo serpente
fan ritirare i figlie de i fecondi
nidi apprestano l'unghie a la difesa
e dibattendo van le imbelli piume:
e bench'ei cadal'aer vôto teme
ancor la bianca turbae al fin se vola
mira da l'alto con orrore il nido.
Vanno fra 'l vulgo esangue e le giacenti
reliquie della guerraove li mena
ciascuno il comun luttoo i propri pianti.
Altri l'armialtri i corpialcuni i visi
miran sol degli estinti agli altrui busti
giacere appresso; parte i vôti carri
bagnan di piantoe co' destrieri privi
del lor signorpoichè null'altro avanza
fanno querele: altri le immense piaghe
baciae si duol del militare ardire.
L'avviluppata strage al fin si stende
e i cadaveri freddi: allor fur viste
stringer le man recise ancora i ferri
e nella fronte le saette infisse.
Moltiche la cagion del loro lutto
trovar non sansovr'ogni corpo estinto
cadono incertie stan disposti al pianto.
Ma su i deformi e non ben noti tronchi
nasce flebil contesaa chi dell'urne
spetti la cura e dell'esequie estreme.
E spesso ancor (tanto scherzò Fortuna)
pianser sovra i nemicie stiero incerti
qual sangue calpestar lor sia permesso
qual si convenga rispettar: ma quelli
cui le famiglie non restâr deserte
nè cagione hanno di privato lutto
scorrendo van le abbandonate tende
de i fuggitivi Grecie colle faci
vi destano le fiamme; in varie parti
altri dispersi ricercando vanno
(con quel piacer ch'alle battaglie segue)
ove giaccia Tideose alcun vestigio
appaia ancor dell'orrida vorago
ove fu il vate assortoove de i Numi
sia l'inimicoe nelle membra enormi
se resti segno del celeste fuoco.
Già tutto il giorno avean passato in pianti
nè cessaro coll'ombre: agl'infelici
giovano le quereleed han piacere
in trattenersi su le lor sciagure.
Nè riedono alle case: a i morti intorno
veglia la mesta turbaed a vicenda
scaccia le fiere ed i rapaci augelli
co i gridi e colle fiamme; al dolce sonno
non cedee non aggrava i stanchi lumi
il piantoch'esce d'inesausta vena.
Ma già tre volte precorrea l'aurora
il mattutin Lucifero nel cielo
quando del loro onor spogliati i monti
scendeva dal Teumesso e dal Citero
gran salmeria di roveri e di pini.
S'alzan le piree i lacerati corpi
ardono de i Tebani in mezzo a i roghi.
Godon gli onori dell'esequie estreme
l'ombre d'Ogige: ma la turba mesta
delle greche infelici ombre insepolte
gemee s'aggira intorno a i fuochi errante.
Arde Eteòcle anch'egli in volgar fiamma
non con pompa regal: ma Polinice
come Grecos'escludee va raminga
dopo la morte ancoresule l'Ombra.
Formaro a Meneceo sublime rogo
il padre e Tebee non di legna vili
ma di carridi scudi e d'armi greche
gli alzâr superba e bellicosa pira.
Di pacifico alloro il capo adorno
e delle sacre bendealto ei sen giace
qual vincitorsu le cataste ostili.
Tale arse lieto sovra l'Eta Alcide
quando fra gli astri lo chiamaro i Numi.
Vittime ancor spirantiin cima al rogo
il padre uccise i prigionieri argivi
per suo confortoe i bellici destrieri.
Stride la fiammae li consuma. In fine
le paterne querele uscîr dal petto.
- O se di troppa lode in te il desio
e un magnanimo ardor non s'accendea
forte garzondell'echionia gente
tu mecoe dopo me terresti il regno.
Ed or le nuove gioie e il dono ingrato
mi rendi amaro del novello scettro.
Tu (chè certo io ne son)benchè su gli astri
ove t'alzò virtùsieda fra i Dei
flebile sempre e lamentevol Nume
a me sarai: ergati altari e tempii
ricordevole Tebee sia permesso
onorarti co i pianti al padre solo.
Ed or quai sacrifizi (ahi lasso!) e quali
esequie di te degne offrir ti posso?
Non se dato mi fosse Argo e Micene
ridotte in polve di mandar confuse
colle ceneri tue; non se sopra esse
me stesso anche gettassia cui la vita
(oh crudel fatto!) conservò del figlio
il sanguee fu cagion del regio onore.
Dunque una stessa guerraun tempo istesso
tefigliouccisee i barbari fratelli?
E il mio dolore a quel d'Edippo è uguale?
Forseo Giovepiangiam ombre simíli?
Ma tu ricevio figlioi primi doni
del tuo trionfoe questo scettro accetta
peso della mia destrae queste bende
di cui circondo la superba fronte
che troppoahi troppotu acquistasti al padre.
Te vegga Re nel Tartaro profondo
e se ne roda d'Eteòcle l'ombra. -
Così dicendo la man spoglia e il crine
e con ira maggiore indi ripiglia:
- Me chiamin pur crudel; non vo' che teco
i cadaveri argivi ardan su i roghi.
Così dato mi fosse e vita e senso
rendere a i corpie discacciar dal Cielo
e dall'Inferno l'anime nemiche;
e dietro me condur fiere ed augelli
e a le lor fauci ed a i lor rostri i membri
additar degli estinti empii Regnanti.
Ahi lassoche la terra li ricetta
e li consuma il tempo! Onde di nuovo
comando e voglio ch'a li greci estinti
non sia chi doni l'urnao il rogo accenda.
E chi 'l faràdel tolto corpo il luogo
ed il numero adempiae per lui mora.
Così di Meneceo per la grand'Ombra
e per lo Cielo e per li Numi il giuro. -
Dissee i servi il portâr nel regio tetto.
Ma le vedove greche in mesta schiera
lascian Argo desertae da la fama
guidate van qual prigioniere e serve.
Ha ciascuna il suo lutto; a tutte uguali
sono gli abiti e i pianti: i crini sparsi
ed i seni succintie dalle gote
lacerate dall'unghie il sangue piove
a le lagrime mistoe le percosse
livide fanno lor le braccia e il petto.
Regina e duce della bruna turba
ora cadendo delle serve in grembo
or risorgendoe per gran doglia insana
prima sen vien la desolata Argia.
Non la patria rammentae non il padre;
ma la fe' coniugalee fra i singulti
solo di Polinice ha in bocca il nome
e preferisce ad Argo ed a Micene
Dirce e del fiero Cadmo i tetti infami.
Seconda vien Deifile dolente
non men che la germanae seco adduce
di calidonie sconsolate donne
miste a le greche numeroso stuolo
al suo Tideo per dar gli estremi onori.
Ben sapev'ella l'esecrabil fame
del consorte crudel; ma a luiche giace
tutto perdona amor. Segue Nealce
acerba in viso e di pietà ben degna;
piangee piangendo Ippomedonte chiama.
Va dopo lei la crudel moglie avara
dell'Augure a innalzargli un rogo vano:
chiudon la schiera la parrasia madre
di Dïana seguaceorba del figlio
e la feroce Evadne: il troppo ardire
quella deplora del garzone audace;
questa del gran marito si ricorda
e fiera piagnee contro il Ciel s'adira.
Dal frondoso Liceo mirolle e pianse
Ecatee pianse la tebana madre
dal sepolcro dell'Istmoallor che i passi
volsero al doppio lidoe benchè Eleusi
per sè si dolgaaccompagnò co i pianti
la nottivaga turbae rese chiaro
con le mistiche faci il lor cammino.
Giunone istessa per occulte strade
le guidaa fin che il popol d'Argo accorso
non le trattenga o le ritardie loro
tolga l'onor d'un memorabil fatto.
Commette ad Iri il conservare intatti
gl'insepolti cadaveri de i Regi.
Essa d'ignoti succhi e del divino
nettare gli cospergeacciò che interi
e incorrotti così serbinsi a i roghi
nè si consumin pria d'aver le fiamme.
Ed ecco Onito: avean costui lasciato
in abbandono i fuggitivi Greci;
ed ei pallido in viso il piè movea
per occulto sentierdebole e infermo
per fresca piagaed appoggiava il fianco
di rotta lancia al tronco. Egli nel bosco
poichè sentì il tumultoe il femminile
stuolo scoprì di già vicino a Lerna
non chiese lor qual del cammin la meta
fossequal la cagion; chè ben si appose
quell'infelicee favellò primiero:
- Dovemisereandate? A i morti duci
sperate voi di dar l'esequie e i roghi?
Veglia un custode a l'Ombree gl'insepolti
corpi va numerando al reo tiranno.
Sono inutili i piantie da quel luogo
ogni uomo si discaccia: augelli e fiere
sol v'han l'ingresso: il perfido Creonte
credete voi ch'a pietà pieghie onori
il vostro lutto? I sanguinosi altari
di Busiride primae l'empia fame
de i cavalli di Traciae i Dei Sicani
placar potrete. Il suo furor mi è noto:
voi prenderà; nè su gli amati sposi
v'immoleràma lungi a l'Ombre amiche.
Chè non fuggiteor che il fuggir v'è dato?
E ritornando in Argoa i nomi vani
(ciò che solo vi avanza) alzate l'urne;
e l'alme richiamate a i vôti roghi.
O che non gite alla famosa Atene
(dicon che vincitor dal Termodonte
Teseo ritorni) ad implorare aita?
D'uopo è d'armi e di forza a far che rieda
l'empio Creonte ne' costumi umani. -
Così diss'eglie per orrore i pianti
si ristagnaro a le infelicie in esse
stupido restò il motoe fur nel viso
tutte dipinte d'un egual pallore.
Così se lungi fremere si sente
digiuna ircana tigree ne rimbomba
e se ne turba il campo; alto spavento
occupa le giovenchee stanno incerte
su qual si lancie quali membra sbrani.
Son divisi i pareri: alcuna a Tebe
vuol che si vada a supplicar Creonte
l'altre ad Atene ad implorar pietade
e vendetta e soccorso: a tutte sembra
il ritornar ultima cura e infame.
Ma non aspira a femminil virtude
Argia dolentee superando il sesso
orribil tenta e generosa impresa.
Del periglio la speme il cor le alletta
e vuole andaree disprezzar le leggi
del fiero regnoe provocar la morte.
Non l'oserian del Rodope le nuore
nè del Fasi nevoso aspra Regina
seguíta da le vergini guerriere.
Accorto inganno ordisceonde abbandoni
l'amica schierae prodiga di vita
e per gran fatto audacea la vendetta
provochi il Re tiranno e i Numi irati;
e ve l'esorta la pietàla fede
l'amor pudico: Polinice istesso
l'è sempre avanti in tutti gli atti e modi
ch'essa lo videor ospiteora sposo
a i sacri altarior facile marito
ed or già ascoso nel feroce elmetto
mesto abbracciarlae da l'estreme soglie
rivolgere amoroso in essa il guardo.
Ma niuna immago a lei più torna in mente
che di luiche sen giace in mezzo al campo
nel sangue involto e nudoe chiede il rogo.
Da tai cure agitataessa nel core
sente tormento e penaequel ch'è puro
e castissimo amoreama il suo lutto;
onde a l'altre si volgee così dice:
- Gite voi puree l'attiche falangi
e l'armi vincitrici in Maratone
a favor vostro usatee a i vostri voti
fortuna arrida; e mesola cagione
di tanto scempiogir lasciate a Tebe
penetrar nelle casee prima l'ire
e le furie soffrir dell'empio regno.
Non fieno al batter mie sorde le porte
della città crudele: entro quei muri
ho suoceriho cognatee non straniera
giungerò a Tebee sconosciuta donna.
Non m'arrestate i passi: occulta forza
colà mi traggee nel mio petto io chiudo
un grande augurio. - Così dicee sceglie
per compagno Meneteun tempo a lei
del verginal pudor custode e mastro;
e benchè ignara delle stradeil passo
precipitosa a quella parte muove
onde pria venne Onito; e quando lungi
da le compagne fuparlò in tal guisa:
- Io dunque aspetteròmentre tu giaci
sul nemico terrenqual sia la mente
e l'incerto consiglio di Teseo?
Se i duci (ahi lassa!) e il sacerdote approvi
la nuova guerra? E tumio sposointanto
mi vai mancando al rogo. E tardo ancora
d'espor per te queste mie membra a i morsi
delle rapaci fiere e degli augelli?
Ed or (s'hai senso)o mio fedelcoll'Ombre
di me ti lagni e con i numi inferni
e me di lenta e d'inumana accusi.
Ah che o tu sia insepoltoo che di terra
altri t'abbia copertoè mio delitto
se l'uno e l'altro il mio tardar condanna.
Temerà dunque il mio dolor la morte
e la forza e il furor del reo Creonte?
Onitoa l'andar mio tu aggiungi sprone. -
Così dicendo di Megara i campi
a gran passi divora; e chi l'incontra
il sentiero le additae con orrore
ne ammira il mantoe ne rispetta il duolo.
Feroce in vista ella sen corree nulla
o che veda o che sentail cuor le turba:
ne i gran mali sicuraappar più degna
d'esser temutache temere altrui.
Siccome avvien nelle troiane notti
quando a gli urli e al fragore Ida risponde;
la conduttrice dell'insano Coro
cui Cibele diè il ferroe il sangue accolse
e il crin le cinse delle sacre bende
rapida va del Simoenta a l'acque.
Già nell'onde d'Esperia avea tuffato
il luminoso Dio l'ardente carro
per sorger poscia da l'opposto mare.
Ma tanto può in Argia l'estremo lutto
che non sente fatica o non l'apprezza
e non s'avvede che già spento è il giorno.
Nulla teme l'orror che i campi adombra
nè interrompe il cammin; ma va sicura
per sassi aspri e scoscesie ferma il passo
sovra tronchi cadutie varca i boschi
anche di giorno oscuri e i campi sparsi
di cieche fossee varca i fiumie nulla
teme de' guadie intrepida sen passa
a le fiere vicina ed a i covili:
tanto il dolore in lei puote e l'ardire!
Duolsi Menete di seguir più lento
e dell'imbelle Alunna ammira il corso.
Di quali case non battè a le porte
modesta nel doloreove pastori
soggiornasseroo greggi? Oh quante volte
errò dolente nel camminooh quante
l'abbandonò per via spenta la face
guida e conforto de' suoi lunghi errori
e dal notturno gel fu vinto il lume!
Ma già di Penteo superato il giogo
verso Tebe scendean; quando Menete
stanco e anelante favellò in tal guisa:
- Se del finito nostro aspro cammino
non m'inganna la speneArgianon lungi
siamo a Tebe e a i cadaveri insepolti.
Il lezzo sentoe l'aer atro e grave
ed intorno volar rapaci augelli.
Questo è il suolo crudelee son vicine
le mura infami: dell'eccelse rocche
non vedi tucome si stende l'ombra
vasta pe i campi? Come da i veroni
scorgonsi scintillar languide faci?
Certo siam giunti. Poco fa la notte
era più chetae non splendean che gli astri. -
Argia fermossie di pietade in atto
la man tendendo verso Tebedisse:
- O desïata un tempo e a me diletta
cittadeor ostil sedee purse rendi
illesa a me del buon consorte l'ombra
ancor grato terreno. Or mira come
e di quai fregi adornae da qual corte
seguíta io tua Reginae al grand'Edippo
nuorala prima volta a te ne vengo.
Cose inique non bramo. Ospite io chieggio
che tu m'accolgae mi permetta i roghi
e al caro sposo dar l'esequie e i pianti.
Quello esule dal regnoe da la guerra
vintoe cacciato dal paterno soglio
deh quello solo per pietà mi rendi.
E tuo consortes'è pur ver che resti
qualche immagine a l'Ombree dopo morte
s'aggirin l'alme intorno a i corpi errando;
a me vieniti pregoe mi conduci
e a i funerali tuoi tu mi fa scorta
se giammai ne fui degna. - E qui si tacque:
e in un vicino albergo di pastori
ravvivò i fuochi moribondie corse
precipitosa nel funesto campo.
Cerer cosìpoichè l'inferno amante
rapì la figliacon gran face accesa
negli etnei fuochi splendere facea
di diversi color l'itala spiaggia
e la sicanaseguitando l'orme
del nero rapitoree per la polve
mirando i solchi del tartareo carro:
a gli urli insani Encelado rimugge
e vomitando fiammea lei le strade
vie più rischiara; e fiumi e selve e mari
e nembi e cielo suonano d'intorno
ProserpinaProserpina. Sol tace
del tartareo consorte il regno oscuro
e il dolce nome ascondee il furto cela.
Ma Menete fedel dell'infelice
compagnoa leiche disperata corre
rammenta di Creonte il fiero editto
e la consiglia ad occultare il lume.
Una Regina riverita innanzi
da le greche cittadiimmensa cura
di mille e mille prociaugusta spene
della paterna stirpeor senza duce
in buia notte fra nemiche genti
sola sen va sull'armie calca l'erbe
lubriche di putredine e di sangue.
Non le tenebre temee non dell'ombre
la mesta turbae intorno a le lor membra
l'anime che s'aggirano gemendo.
Spesso ferita da i giacenti ferri
dissimula la piagae sol le cale
ogni corpo schivarmentre ogni corpo
crede che sia il consorte; e attenta osserva
i distesi cadaverie li volge
supinie li riguardae si lamenta
che poco in ciel risplendano le stelle.
Giunone intanto del suo gran marito
toltasi al letto occultamentegiva
per l'ombre sonnacchiose a l'alte mura
del vincitor magnanimo Teseo
a pregar Palla che in Atene accolga
delle supplici greche il mesto volgo.
Ma quando vide per lo campo invano
volgersi Argiada gran pietà commossa
verso il carro di Cintia il carro volse
e sì le disse in placida favella:
- Deh mi concedio Cintiaun picciol dono
se Giuno è degna pur di qualche onore.
Tu certo un tempo concedesti a Giove
triplice notte a procreare Alcide.
Ma pongansi in oblio le andate cose.
Or luogo è a compensar le offese antiche.
Non vedi tu per qual oscura notte
Argiafedele al nostro cultoindarno
per quel campo s'aggirie le tenébre
le tolgano il trovar l'amato sposo?
E tu pallida splendi infra le nubi?
Rischiara i corniio te ne pregoe inchina
più verso terra il luminoso carro;
e questo tuo soporche prono il guida
e che ne regge i rugiadosi freni
negli aonii custodio Deadiffondi. -
Appena disseche squarciò le nubi
Cintiae il gran disco tutto intero apparve.
Temeron l'Ombreimpallidiro gli astri
e Giuno appena ne sostenne il lume.
A lo schiararsi i campiArgia conobbe
del buon consorte la pomposa veste
opera di sua man; benchè il ricamo
sia coperto di sanguee scolorita
la porpora ne resti: e mentre grida
- Oh numi! - e che di lui null'altro resti
teme quell'infeliceecco lo scopre:
mancârle a un tempo e spirto e vista e voce
e il gran dolor le lagrime respinse.
Con tutto il corpo su l'amato viso
cadee co i baci l'anima raminga
par che ne cerchi: e con il crincol manto
per conservarlo ne raccoglie il sangue.
Al fin la voce le ritornae dice:
- Tal dunque ora ti veggioo caro sposo
ch'a racquistar l'a te dovuto regno
gisti poc'anzi del potente Adrasto
genero e capitan di tanta impresa?
E tale io stessa a i tuoi trionfi or vegno?
Innalza il voltoe me riguarda: a Tebe
ecco Argia che sen vien. Su via le porgi
la destrae dentro la città la guida:
mostrale i patrii tettie grato rendi
a me l'ospizio; ma che parlo? ahi lassa!
Nudo tu giaci sul terrenoe questo
solo di tanto regno è che ti resta.
Oh guerre! Oh risse! Il tuo fratel non regna.
Dunque de' tuoi nissun ti pianse? Dove
dov'è la madree la famosa tanto
Antigone sorella? Ahich'a me sola
tu giacie solo a me sei morto e vinto.
Quante volte ti dissi: E dove corri
sconsigliato? A che cerchi il regno alterno
che ti si niega? Argo ti basti: impera
nella corte del suocero: più lunghi
tu qui godrai gli onorie non diviso
avrai qui il regno. Ma di chi mi dolgo?
Io la guerra affrettai; io fui che il mesto
padre pregaimisera! Ed a qual fine?
Per abbracciarti in sì crudele stato.
Ma pur sian grazie a i Numie a teo Fortuna:
del mio lungo cammin non fu delusa
la speme: il corpo ho ritrovato intero.
Ahi quanto immensa è mai questa ferita!
E la fece il fratello? E dove giace
quell'infame ladrone? Ah pur ch'il trovi
vincerò gli avvoltoi; caccerò lungi
per lacerarlo io solae cani e lupi.
Ma forse l'empio ebbe già rogo e tomba?
Tu pur l'avrainè il tuo natio terreno
ti vedrà senza fiamme e senza onori.
Arderai; sarai pianto; onor che a' Regi
raro si donae la mia fede eterna
serberò al tuo sepolcroe il picciol figlio
fia testimonio al mio doloree a lui
riscalderò le vedovili piume. -
Ed ecco nuovo pianto e nuova face
portandoa i roghi Antigone sen viene
appena uscita da le chiuse soglie;
perocchè a lei stavan le guardie intorno
e il Re vuol che s'osservionde a vicenda
si cambiavan tra loro e più frequenti
rinnovavano i fuochi: essa co i Numi
e col fratel la sua tardanza scusa.
Ma non sì tosto abbandonârsi al sonno
stanchi i custodidalle mura uscío;
come leonzache la prima volta
senza la madree libera correndo
sfoga l'innata rabbiae freme e rugge
e di terror empie le selve e i campi.
Nè tardò moltochè l'è noto il campo
e dove il corpo del fratel sen giace.
In vederla venir Menete ha tema
e fa cessar da le querele Argia.
Ma quando de i suoi pianti il suono estremo
giunse a ferir d'Antigone l'orecchie
e a lo splendor degli astri e al doppio lume
d'ambe le faci squallida la vide
e la mirò starsi col crin disciolto
infetto di putredine e di sangue:
- Quali Ombre (disse) temeraria cerchi
in questa notte mia? - Nulla risponde
quell'infelicema col manto copre
il marito e se stessail suo dolore
per timor sospendendo. Allor di frode
più Antigone sospettae minacciando
la donna a un tempo e il suo compagno incalza.
Ma l'uno e l'altra sta confusa e tace.
Al fine Argia sempre tenendo al seno
stretto il consortescoprì il visoe disse:
- Se tu qui meco a ricercar pur vieni
un qualche estintoe se tu pur paventi
l'iniqua legge del crudel Creonte
ben sicura scoprirmi a te poss'io.
E se infelice seiqual ti palesa
il tuo pianto e il lamentoamica dammi
dammi la fede: io son d'Adrasto figlia.
Del caro Polinice alcun non viene
ahi lassa! al rogobenchè il Re lo vieti? -
Stupì a quel dir la vergine tebana
e inorridissie l'interruppe: - Adunque
da me ti guardi? (oh troppo cieca sorte!)
Da me compagna delle tue sciagure?
tu le mie membra abbraccie tu previeni
l'esequie mie? Ti cedo. Oh di sorella
troppo lenta pietade! Oh mia vergogna!
Costei prima sen venne? - E qui sul corpo
caddero a un tempoe l'abbracciaro insieme
e confusero insieme i crini e i pianti.
Sel dividon fra loroed a vicenda
godonsi il volto con alterni baci.
E mentre una il fratell'altra il marito
e questa Tebee quella Argo rimembra
più da lontan così comincia Argia:
- Per questo sacro e lagrimoso furto
del comune dolore per quest'Ombra
ad ambe gratae per le pure stelle
che dal ciel ne rimiranoti giuro:
costui non tanto del perduto regno
benchè esule e ramingoo del terreno
a lui nativoo de la cara madre
si ricordò; quanto di te bramoso
sol d'Antigone aveva in bocca il nome
e te sola chiamava il dì e la notte.
Minor cura io gli fuie in abbandono
più facile a lasciar. Ma tu il vedesti
almeno da una torre anzi 'l delitto
guidar le squadre grecheed ei te vide
dal campoe con la spada a te i saluti
mandò da lungied inchinò il cimiero.
Noi misere e lontane! ahi qual crudele
Nume li spinse a così estremi sdegni?
Fur vane le tue preci? A te poteo
cos'alcuna negar? - Già cominciava
Antigone a narrare i fatti antichi
dal lor principio; ma il fedel compagno
ambo ammonisce: - La proposta impresa
prima finite: impallidiscon gli astri
e s'avvicina il dì; l'opra avanzate
e a lagrimar fia tempo: abbia le fiamme
il rogo primae piangerete poi. -
Un roco mormorio senton vicino
che addita lor non lungi esser l'Ismeno
che brutto ancor di sangue al mar correa.
Quivi il lacero corpo ambe portaro
congiungendo le destree non più forte
il veglio anch'egli vi prestò la mano.
Così fumante ancorlavâr Fetonte
dell'Eridano tepido nell'onde
le pie sorelle. Ei fu sepolto appena
ch'esseforma cangiando in un momento
flebili selve fecer ombra al fiume.
Mondo che fu di sanguee che sul viso
tornò di morte il natural pallore
gli dier gli ultimi bacie d'ogni parte
cercâr le fiamme; ma gelati e spenti
nelle putride fosse erano i fuochi
ed ogni rogo in cenere consunto.
O fosse casoo pur voler de i Numi
un solo ne restavaove le membra
d'Eteocle crudele arser poc'anzi:
o nuovi mostri disponea Fortuna
o l'empia Furia lo mantenne acceso
perchè si dividessero le fiamme.
Splendere fra i carboni un picciol lume
con flebile piacer mirâr le donne
nè san qual busto su quel rogo ardesse.
Ma qualunque egli siapregando il vanno
che mite al cener suo compagno accolga
quell'infelicee insiem confondan l'Ombre.
Ecco di nuovo in campo i rei fratelli:
caddero appena sul vorace fuoco
quei nuovi membriche tremaro i roghi
e da l'esequie l'ospite è respinto;
scoppian le fiammee s'alzano divise
tinte le corna di funerea luce.
Così se il torvo regnator d'Averno
unì le fiamme di due Furie ultrici
sorgon discordied infra lor disgiunte
l'una lungi dall'altra ardere agogna.
Gli stessi legniquasi sentan l'ira
l'un da l'altro si spartee il peso scuote.
- Ahi! (gridò allor la vergine tebana)
Misere! Gli odi antichi e l'ire spente
noi rinnovammo. Era il fratel costui.
Chi altro che il fratel l'Ombra straniera
respinto avria? Del semiadusto cinto
mira gli avanzie dell'infranto scudo;
vedi come la fiamma si divide
e poi di nuovo si raccozza e pugna!
Vivono gli odii ancor: non fu bastante
la guerra a terminarli. Ah sfortunati!
Voi contrastastee il fier Creonte ha vinto.
Per voi più non v'è regno. Ahi qual furore!
E di che contendete? Omai cessate
da le minacce: e tu primiero cedi
esule sempree ognor dal giusto escluso.
La consorte ven prega e la sorella;
o in mezzo a voi ci getterem su i fuochi. -
Sì disse appenae dal profondo centro
tremò la terrae vacillâr le mura
e dier muggiti le discordi fiamme
del biforcuto rogo. A quel rumore
si destaro i custodia i quali il sonno
pingea l'immago de i vicini mali.
Tosto corrono armati e minacciosi
e ricercando van per tutto il campo.
Temè in vederli il solo veglio: al rogo
stanno le donne intrepide e sicure;
e poi che il corpo è in cenere disciolto
palesano co i pianti e colle strida
la disprezzata legge di Creonte
e il pietoso lor furto: insiem contesa
hanno di mortee di morir la spene
ambe infuria ed accende. - Io del fratello
io del marito (or l'unaor l'altra grida)
arse ho le membra. Io tolsi 'l corpo: i fuochi
io fui che accesi: me pietàme amore
a ciò sospinse; - e provocando a gara
offrono l'innocenti invitte destre:
quella che dianzi ne i lor detti apparve
riverenza ed amoreora rassembra
furore ed ira; tanto ferve e cresce
d'ambe il contrasto e il grido. Intanto i servi
le conducon legate al Re crudele.
Ma da altra parte avea Giunon condotto
(consentendol Minerva) entro le mura
d'Atene il mesto attonito drappello
delle vedove argive: essa l'affetto
lor del popolo acquista. Essa a i lor pianti
pietà concilia e onore; essa lor porge
di supplichevol benda i rami cinti
e insegna loro a ricoprir col manto
il volto e gli occhied a mostrar dolenti
delle ceneri vôte in mano l'urne.
Fuor dell'attiche case escono a prova
d'ogni etàd'ogni sessoe già le strade
sono ripienee son coperti i tetti.
Onde vien questa turba? E da qual parte
tante misere insieme? Ancor non sanno
la cagion che le mena e i lor disastri
e già tutti ne piangono. La Dea
tra i drappelli si mescee il tutto narra:
la patriala cagion de i loro pianti;
che bramino in Atene; ed esse ancora
in varie parti accusanofremendo
l'empia legge di Tebe e il fier Creonte.
Non con tanto rumor le rondinelle
narran con tronchi accenti a i tetti amici
del lascivo Tereo lo stupro infame
il doppio letto e la crudel vendetta.
Nel mezzo a la città sorgeva un tempio
non dedicato a i più possenti Numi
ma eretto in sede a la Clemenzae sacro
fatto l'aveva miserabil gente.
Ognor supplici nuovie ognor le preci
sono esaudite. Ognun s'ascolta: aperto
è il dì e la nottee a mitigar la Dea
bastano solo le querele e i pianti.
Parco n'è il culto: non l'incensoo il sangue
delle vittime pingui ivi s'adopra.
Son di lagrime aspersi i miti altari
pendono in voto le recise chiome
e le vesti da i miseri lasciate
che a fortuna miglior condusse il Nume.
Placida selva il cingein cui verdeggia
il sacro lauro e il supplicante olivo.
Ma non v'è simulacroe della Dea
nessuna immago in vivo bronzo espressa:
le menti e i cori d'abitar sol gode.
Sempre di meste turbe e bisognose
e supplicanti è pieno il luogoe solo
a i fortunati è quell'altare ignoto.
Fam'è che i figli dell'invitto Alcide
poi ch'arse in Eta e al cielo ascese il padre
cangiato in Diodall'attiche falangi
contro Euristeo difesialla Pietade
ergesser l'ara; ma minor del vero
è questa fama; e più credibil sembra
che i Numi stessia cui diè albergo e sede
ospite Atenecome a quella diero
leggi e costumisacrifizi e l'arte
di coltivare e seminar la terra
che fu poi sparsa in peregrine piagge:
così sacrasser quivi a gl'infelici
un asilo sicuro; onde lontane
fosser ire e minaccee i regni iniqui
e dal quel giusto altare andasse in bando
la malvagia Fortuna e i Fati avversi.
Ad ogni gente è di già noto il tempio;
e i vinti in guerra e gli esulie dal trono
i Re scacciatie quei che per errore
non per rea volontà commiser fallo
vi concorreano a garae chiedean pace.
L'ospital sede avea poc'anzi accolto
Edippoe sciolto da sue furie antiche;
e dall'eccidio preservata Olinto;
e dalla madre liberato Oreste.
Iviadditando lor l'attica plebe
il tempioentrâr le sconsolate Argive
e dieron luogo le primiere turbe
degl'infelici. Appena entrate furo
che ne i lor petti si calmâr gli affanni.
Così cacciate dal natio Aquilone
dal freddo Polo a più soave clima
in discoprir le gru l'amata Faro
stendon per l'aria la volante nube
e di lieti clamori empiono il cielo.
Dolce è loro sprezzar nel caldo Egitto
le fredde nevie l'importuno gelo
scior del tepido Nilo in su le sponde.
Ma gli applausi festivie della plebe
le gridache feriscono le stelle
e il lieto suon delle guerriere trombe
annunzio dàn che di già vinte e dome
le fiere Scitevincitor ritorni
sul carro trionfale il gran Teseo.
Precedono le spogliee pria l'immago
del fiero Marte; indi i falcati carri
e i destrier privi delle lor guerriere
e le bipenni infranteonde le donne
troncar le selve ed ispezzare il ghiaccio
solean della meotica palude;
e salmerie d'elmidi piume e d'archi
e le lievi faretre; e risplendenti
di varie gemme i militari cinti
e scudi aspersi del femmineo sangue.
Seguono poi le Amazzoni sicure
ancorchè vinte; nè si mostran donne
nè quai donne si lagnano; e a le preci
sdegnano di piegarsie cercan solo
della vergine Palla il culto e il tempio.
Ma il più gradito oggetto era Teseo
su carro eccelsocui traean superbi
quattro destrier vie più che neve bianchi:
nè Ippolita è minor vaghezza e spene
del popologià placida in sembiante
e al dolce nodo maritale avvezza.
Ne mormoran fra lor l'attiche donne
e torve la rimirano fremendo
ch'essa i patrii costumi in abbandono
lascie le chiome adornii membri copra
con lungo mantoe nella grande Atene
entri vinta in trionfoe al vincitore
consorte a partorir d'Egeo nel letto.
S'allontanaro allor dal sacro altare
alcuni passi le dolenti greche
e in ammirare e l'ordine e le spoglie
del superbo trionfoi vinti sposi
(crudele oggetto!) a lor tornaro in mente.
Ma poi che il carro soffermossied alto
richiese la cagion di lor querele
il vincitoree a le preghiere porse
favorevole orecchioa parlar prese
di Capaneo la valorosa moglie:
- Magnanimo figliuol del grande Egeo
cui da le nostre stragi esce improvvisa
occasïon d'eterna lode e fama;
noi non venghiamo a te turba straniera
nè rea d'alcun misfatto: Argo la culla
ci diedee furon Regi i nostri sposi;
così non fosser stati audaci tanto!
Perchèa qual pro muover ben sette campi
per castigar d'Agenore i nipoti?
Nè però ci dogliam della lor morte:
queste di guerra son leggi e vicende.
Ma quelli che cadêrnon fur Ciclopi
mostri prodotti nell'etnee caverne
e non biformi abitator dell'Ossa:
taccio la stirpe e i generosi padri.
Uomini furmagnanimo Teseo
(basti sol tanto)e d'uman seme nati
ed ebbero con voi comune il cielo
la patria e l'alme e gli alimenti stessi
color che esclude da gli estremi fuochi
l'empio Creonte e da le stigie porte;
(come s'ei fosse il torbido Acheronte
onde nacquer l'Eumenidi spietate
o il reo nocchier dell'infernal palude)
e fa gir l'Ombre vagabonde e incerte
tra l'Erebo e le stelle. O delle cose
produttrice Naturae tu il consenti?
E dove sono i Numi? E dell'ingiusto
fulmine vibrator l'iniquo Giove?
Atenee dove sei? Già sette volte
sorgendo in cielovolse altrove il carro
spaventata l'Aurorae oscurò il lume
e con orror li rimirâr le stelle:
e già il putrido cibo odian le fiere
e gli avoltoie quell'infame campo
che lezzo spira e l'aer puro aggrava.
Siane permesso almeno arderne l'ossa
e il putridume: e che di lor più resta?
SuCecropiiaffrettatevi; a voi tocca
questa vendetta: pria che mossi a sdegno
vengan gli Emazi ed i feroci Traci
e quanti son ch'usan d'esequie e fiamme
dopo la morte aver gli estremi onori.
Perchè a l'incrudelir qual fia prescritto
termine o meta? Noi pugnammoè vero;
ma morîr colla morte e gli odii e l'ire.
Tu pur (chè ancor a noi delle tue imprese
la fama giunse) non lasciasti a i mostri
Sini e Cercionee con dolor mirasti
il barbaro Sciron privo di rogo;
e ancor la Tanaonde cotante spoglie
ora riporticerta son che vide
delle Amazzoni sue fumar le pire.
Deh questo ancora a i tuoi trïonfi aggiungi
sol questa impresa al mondoal cieloa Dite
questa sol opra intrepido concedi.
Se d'ogni tema Maraton sciogliesti
se del Mostro biforme il Laberinto
tu superastise non pianse invano
l'ospite vecchia; così teco ognora
sia Minerva in battagliae non invidii
già fatto Diol'emule imprese Alcide:
e sempre in carro trionfal ti veggia
la genitricee sempre invitta Atene
mai non senta un dolor simile al nostro. -
Disse; e l'altre approvaree fra le strida
supplichevoli a lui teser le mani.
Prima arrossì Teseo mosso da i pianti;
indi di giusto sdegno il cuore acceso
così esclamò: - Qual nuova Furia a i regni
insegnò tai costumi? Io non lasciai
così barbari i Greciallor ch'a i Sciti
varcando il freddo Eusinoil cammin volsi.
D'onde il nuovo furor? ForseCreonte
credevi tu che più Teseo non fosse?
Eccomie non ancor sazio di sangue.
Del sangue de i tiranni è sitibonda
ognor quest'asta. Ma che indugio? Sprona
a quella parteo fido Fegeoe giunto
alle anfionie rocche altero intíma
o il rogo a i Grecio mortal guerra a Tebe. -
Sì dice; e delle pugne e del cammino
scordatoi suoi conforta; e per un poco
l'affaticato esercito ristora.
Siccome toro che pur or l'amata
e il pasco antico vincitore ottenne
e ne gode tranquillo e si riposa;
se ode lungi muggir nuovo nemico
quantunque ancor grondino il collo e il petto
di fresco sanguerinnovella l'ire
cela il dolorsparge col piè l'arena
e le ferite sue copre di polve.
Lo scudo scosseonde si copre il petto
Pallade istessa; e l'orrido Gorgone
e gli anguiche le fan crine e corona
gonfiaro i colli e rimiraron Tebe:
nè ancor movevan l'attiche falangi
e già Dirce temea le trombe ostili.
Non sol la gioventude a l'armi avvezza
che a parte fu del scitico trionfo
segue l'eccelse vincitrici insegne
del duce invitto; ma v'accorron pronti
e volontari i popoli vicini.
Vengono quei che di Munichio i colli
e il gelido Braurona apron co i solchi;
e quei che sul Pireofido ricetto
a i nocchieri e a le navihanno la sede:
nè ancor famosa per le palme Eoe
sua gente al campo Maratone invia:
e le case d'Icario e di Celeo
ospiti amiche a i Genïali Dei;
e le verdi Melene; e d'ombre e boschi
Egalo pienoe delle sacre viti
abbondevole Parnee Licabesso
stimabil più per le feconde olive.
Vengono i fieri Illeied i cultori
d'Imetto lascian gli odorosi favi;
e Acarneche di verde edera veste
i rozzi tirsi; e Sunïone altiera
che da le prore Eoe lungi si scorge;
onde ingannato da le false vele
Egeo sen caddee diè suo nome al mare.
E Salaminae a Cerere divota
la sacra Eleusile campagne inculte
lasciandospingon le lor genti in guerra;
e quelli ancor che nove volte intorno
Calliroe cinge con girevol onda
e quei che bevon dell'Iliso l'acque;
d'Iliso consapevole del furto
della vaga Orizíae che cortese
diede al tracio amatore occulto asilo.
Resta deserto ancor l'ameno colle
ov'ebber lite i Deifinchè repente
il pacifico olivo uscì da i sassi
e fe' coll'ombra ritirare il mare.
Ippolita anco l'iperboree schiere
a le mura di Cadmo avria condotte;
ma la ritarda la sicura spene
del ventre gravee il vincitor la prega
che di Marte si scordie che consacri
al letto d'Imeneo faretra ed arco.
Ma poi ch'ei vide intorno a sè raccolti
i popoli ferocie chieder guerra
e respirar sol l'armie dare in fretta
furtivi abbracci a le consorti e a i figli;
da l'alto carro favellò in tal guisa:
- O valorose schiereaccinte meco
del mondo i patti e delle genti il dritto
a vendicare; i generosi cuori
mostrate degni di sì giusta impresa.
Pugneranno per noi uomini e Dei;
ne fia scorta Natura; e fian con noi
gli stessi abitator del muto Inferno.
Condurran contro Tebe in ordinanza
esercito di pene e di tormenti
l'anguicrinite Eumenidi spietate.
Gitene lietie con sicura spene
per sì giusta cagion d'aver vittoria. -
Sì dissee lanciò l'astae il campo mosse.
Così qualor la prima bruma e il gelo
sciolse da l'Arto nuvoloso Giove
e irrigidiron gli astri; Eolo le porte
disserra a i Venti: e impazïente il verno
di più lungo riposo acquista forze
e soffian gli Aquiloni. Allora i monti
fremono e il mare; allor spezzate e rotte
pugnan le nubi; allora i tuoni in cielo
scorrendo vannoe i fulmini volanti.
Al muover dell'esercito possente
trema lungi la terra; e i verdi campi
tritati e pesti de i destrier feroci
da l'unghie gravie le campagne intorno
ove passâr di fanti e di cavalli
le immense schiereson ridotte in polve.
Nè però basta ad occultare il lume
dell'armi; e in mezzo a quella densa nube
si veggon balenar corazze ed aste.
Vanno correndo il dìnè li ritarda
l'ombra notturna e il placido riposo.
Han contesa tra lorchi più veloce
l'altro precedae chi primier discopra
da lungi Tebee nell'Ogigie mura
chi primo vibri il dardo o l'asta affigga.
Ma nel lucido scudo impresse porta
il sommo duce sue famose imprese
e delle glorie sue principio e fonte
Cretacento cittadi e il Laberinto.
Lui stesso vedi nel confuso albergo
torcer l'ispido collo al Minotauro
e in fiera lotta le robuste braccia
legargli a tergoe l'una e l'altra mano;
E dal cozzare delle insane corna
ritrarre il volto ed ischivarne i colpi.
Quand'egli entra in battaglia e lungi mostra
l'enorme belvaalto spavento ingombra
le nemiche falangi in rimirarlo
due volte aver le man di sangue tinte
la prima nello scudoe l'altra in guerra.
E s'ei talora vi rivolge il guardo
vede presenti il memorabil fatto
il drappel de i compagnie l'aspre porte
del formidabil tettoed Arïanna
mesta temer che a lui non manchi il filo.
Mandava intanto il fier Creonte a morte
legate di durissime catene
Antigonee la vedova di Tebe
figlia del grande Adrasto. Ambe contente
e per gran voglia di morir superbe
offron la gola al ferroe del tiranno
deludono la spene e sprezzan l'ire;
quand'ecco giunge il messagger d'Atene:
porta egli in mano il ramuscel d'oliva
segno di pace; ma fremendo e audace
in virtù di chi 'l mandaarmi minaccia
e guerra intíma; e che Teseo è vicino
gridae già ingombra colle schiere i campi.
Restò sospeso fra contrarii nembi
di diversi pensier l'empio tiranno
e mitigò l'orgoglio e le minacce.
Pur si rinfrancae simulando il riso
ed il volto infingendoal fin rispose:
- Non basta dunque il memorando esempio
d'aver pur or vinte Micene ed Argo
che nuova gente ad insultarci muove?
Venga; ma vinta poi non si quereli
se avrà co i Greci una medesma legge. -
Tacquee vide repente immensa polve
velare il giornoed adombrare i monti.
Impallidiscee frettoloso impone
che s'armi il vulgoe l'armatura ei veste.
Ma tra fantasmi e larve entro la reggia
vede baccar le Furiee Meneceo
torvo e piangentee su i vietati roghi
ardere i Grecie festeggiarne l'Ombre.
Quale fu mai quel giorno in cui la pace
compra con tanto sangue e nata appena
sparì da Tebe? Timidi e confusi
rapiscon l'armi a i patrii Numi appese
e co i laceri scudi il petto coprono.
Staccano gli elmi d'ogni fregio ignudi
e le saette ancor di sangue lorde.
Non v'è chi si distinguao chi risplenda
per gemmata faretra o terso brando
o per destriero d'ostro e d'or guernito.
Non si fidan nel vallo; in mille lati
son le mura squarciatee delle porte
cercan le ferree spranghee l'opra è vana;
chè le spezzaro i Greci; e torri e merli
abbattè Capaneo: pigra ed esangue
la gioventù non dà gli usati amplessi
a le consortie i dolci baci a i figli
nè san quai voti far gli antichi padri.
Ma poi che vide il capitan d'Atene
spezzar le nubi e rischiarare il mondo
il nuovo solee lampeggiar su l'armi;
scende nel campoove stan l'Ombre inulte
e giacciono i cadaveri insepolti;
e in respiraredentro il chiuso elmetto
delle fracide membra il grave olezzo
intenerissi e piansee in lui lo sdegno
vie più forte s'accese alla vendetta.
Da l'altra parte quest'onore almeno
concesse a i Greci il perfido Creonte
che al nuovo Marte non guidò le schiere
su i corpi estinti: della prima strage
forse per conservar gli ultimi avanzi
e a bere il sangue un altro campo scelse.
Ma già condotte avea le genti a fronte
la disugual Bellona: un grido istesso
non è d'ambe le partie delle trombe
non è simile il suono. Inferma e lenta
quindi sen vien la gioventù tebana
co i brandi chinie strascinando l'aste
e cedendo il terrenco i scudi a tergo
mostran grondanti ancor le prime piaghe.
E già i Cecropii stessi il primo ardore
vanno perdendoe cessan le minacce
e langue la virtù senza contrasto.
Così minor è l'impeto de i venti
se non s'oppone al lor furor la selva;
e se non frange a i lidiil mar non freme.
Ma poi che l'asta maratonia in alto
alzò il figlio d'Egeola cui grand'ombra
stese l'orror su l'inimiche schiere
e il balenar del ferro ingombrò il campo;
qual se da l'Emo i corridori traci
Marte sospingae seco in carro porti
e morte e fuga; le agenoree schiere
pallide danno il tergo e in rotta vanno:
fassi della vil plebe aspro governo
dagli altri tutti; ma Teseo non degna
contro chi fugge usar la forza e l'armi.
Così l'esangue ed abbattuta preda
a i cani piace ed a i codardi lupi;
ma si pasce il leon di nobil ira.
E pure Olenio abbattee il fier Tamiro;
l'uno scegliea da la faretra i dardi
l'altro alzava da terra un sasso immenso.
Quindi i figli d'Alceoc'hanno fidanza
nella triplice unioncon tre grand'aste
tutti da lungi un dopo l'altro uccide:
a Fileo il pettoad Elope la gola
e nella spalla Japige trafisse.
Poi con quattro destrier su carro eccelso
Emone ei scorgee orribil asta vibra.
Quegli i destrieri timidi rivolge
in fiancoe cede; lungo tratto vola
la ferrea travee due cavalli uccide
ed il terzo fería; ma vi si oppose
il timoneed in sè ritenne il colpo.
Ma gli altri non curando il gran Teseo
solo brama co i voti e colle grida
il fier Creontee lui sol cerca e chiama.
Ed ecco il vede dall'opposto corno
esortar le sue schieree con minacce
spingerlelor malgradoa la battaglia.
Al comandar del duceindietro il passo
ritirano i Cecropiie il lascian solo
affidati ne i Numi e in suo valore;
ma l'altro i suoi ritienee li rappella
e poi che vide che egualmente in ira
era a i nemici ed a le proprie squadre
tutto raccolse il suo furore estremo
e infurïando disperatamente
lo fe' più audace la vicina morte.
- Queste non son le verginali destre
(dice) con cui pugnastie qui non sono
di lievi targhe le guerriere armate.
Qui pugnerai co i forti: e noi siam quelli
per le cui mani il gran Tideo sen giace.
Noi uccidemmo Ippomedonte altero
e noi mandammo Capaneo fra l'Ombre;
e qual follia ti spinse a farne guerra?
Mira color che a vendicare aspiri
come deformi giacciano e insepolti. -
Così diss'eglie lanciò l'asta indarno
chè lo scudo toccandoa terra cadde.
Sorrise amaramente il fiero Egide
e disprezzando le minacce e il braccio
ferrata trave innalzae il colpo libra;
ma pria lo sgrida con parlar superbo:
- Ombre argive insepoltea cui consacro
questa vittima infame in olocausto
spalancate l'Infernoe preparate
le Furie ultriciecco sen vien Creonte. -
Vola la fatal astae l'aria fende
e le anella del giacoond'ei raddoppia
sotto l'usbergole difese al petto
smaglia e fracassae fuor per cento vie
della rotta lorica il sangue sgorga.
Cad'eglie in morte gli occhi erranti scioglie.
Teseo gli è soprae col gran pie' lo preme
e dell'armi lo spogliae lo rampogna:
- Crudelti piace ancor le giuste fiamme
dare agli estintie gl'infelici Greci
coprir di terra? Or vanneove t'aspetta
il dovuto supplizio; e va sicuro
che il corpo tuo non mancherà d'avello. -
Morto il tirannol'uno e l'altro campo
mesce le insegnee porgonsi le destre
e germoglia la pace in mezzo all'armi;
ed ospite è Teseonon più nemico.
Lo pregano che il piede entro le mura
pongaed onori i lor paterni alberghi;
e lor compiace il vincitor cortese.
Tutto va in festae con piacer l'accoglie
la turba delle madri e delle spose.
Così già domi i popoli del Gange
ebri e giulivi e 'l crin di fronde cinti
lodâr di Bacco i sacrifizi insani.
Quando di grida e di femminei pianti
suonâr le opposte selvee giù da i colli
sceser di Dirce le pelasghe madri
e le vedove afflitte; in quella guisa
che van talor le furïose Menadi
chiamate al suon de i timpani e de' cimbali
che parcotanto son feroci e tumide
che fuggan dal delittoo che vi corrano.
Godono ne i lamentie trionfando
vanno fra i pianti: un impetoun tumulto
nasce fra lor; se prima al gran Teseo
corrano a rendere i dovuti onori
o a incrudelire nel tiranno ucciso
o ad accender le fiamme a i corpi amati:
vedovanza e pietà le guida a i corpi.

Non iosebben mi fecondasse il petto
con cento voci alcun benigno Nume
dell'umil volgo e de i sublimi Regi
cotanti roghi e tanti pianti insieme
con degno carme raccontar potrei:
come l'audace Evadne in mezzo al fuoco
si lanciasse a cercardel gran consorte
per entro il senoil fulmine celeste:
come distesa su le fiere membra
Deifile fra i baci il suo Tideo
scolpando vada; come Argia racconti
il furor de i custodi a la germana:
con quali strida la parrasia madre
chiami Partenopeo; Partenopeo
che serba ancor beltà nel volto esangue;
Partenopeocui piansero ambi i campi.
Non novello furornovello Apollo
tante cose potria stringer cantando.
E già rotte ho le velee i remi stanchi
e già la nave mia domanda il porto.

Ma tucara Tebaideal cui lavoro
sudai due stati sotto 'l Sirio ardente
ed altrettanti verni infra le brume
alsi e gelaidopo la morte nostra
avrai tu vita e fama? E fia che alcuno
in questo nuovo stil ti legga e onori?
Certoso bentra i più sublimi ingegni
che te videro ancora incolta e rozza
molti vi son che me ne dan speranza.
Vivi felice: e come l'altra un tempo
l'orme seguì del gran Cantor di Manto
che innalzò al ciel con sì famosa tromba
il figliuolo d'Anchise e della Diva;
così tu ancor di nuovi fregi adorna
nell'etrusca dolcissima favella
l'armi pietose e 'l Capitan rispetta;
e se ben nata su le stesse sponde
da lungi adora il Ferrarese Omero.
E se avverrà che te l'invidia adombri
dileguerassi: e la futura etade
ti darà forse i meritati onori;
posciachè dal suo fral mio spirto sciolto
onde partìritornerà fra gli astri.



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