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Il Gioco

Degli Immortali

 

 

 

Romanzo

di

Massimo Mongai

1999

 

 

 

A mia sorella Annamaria ed a mio cognato Alfonso

due persone pazienti

 

 

 

 

Che l'inse?

(Comincio?)

Balilla

 

Il Risveglio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La mia è una storia un po' complicata.

Nonon è esattoquesto è a dir poco un eufemismo.

La mia è una storia molto complicatacomplicata e lunga alpunto che io non so bene come cominciarla; anche perché me ne sono successetalmente tante di cosee di tanto improbabiliche semplicemente non so"da dove" cominciare.

Forse la cosa migliore è cominciare a raccontare quello cheè l'ultimo ricordo cosciente che ho della mia vita sulla Terra.

È un ricordo molto vivido. Ricordo che ero in un lettod'ospedale. Credo che fosse l'Ospedale di San Giacomoil più vicino a casa mia(vivevo a via Frattinaal centro di Roma)dove per forza di cose mi dovevanoaver portato; ma non ne sono sicurodato che non ci ero mai stato prima; anzia dire il vero io non ero mai stato in un ospedale in vita mianon in un lettoper lo menonon a passare una notte: ero sempre stato molto sano.

Però devo dire che anche alcuni ricordi immediatamenteprecedenti non sono meno vividi.

In uno ero a casa mia e mi ero appena alzato; mi ero fatto ilmio solito caffème lo stavo bevendo in cucinacome tutte le mattinecomesempre; in un altrosubito dopo sono in motosul lungoteverequando unimbecille assassino mi taglia la strada proprio davanti a ponte Garibaldipartendo da fermo alla mia sinistra e diretto verso il ponte.

Mi taglia la strada ed io frenoma pur rallentandotantissimo la mia motouna vecchissima ma ben tenuta Honda a quattro cilindri500cc Four Kpesante com'è frena sìma non tanto da non toccare la macchinache mi ha tagliato la stradanella parte posteriore sinistra.

Ed io cado di latoquasi da fermosenza poter fare niente.E ricordo che il cascoche avevo infilato ma non allacciatovola via.

Sono sempre stato un motociclista prudente io; non ho maicorsonon ho mai rischiatonon impennavo la moto e non facevo gare con gliamici. In vita mia ho avuto una moto fra le gambe fin da giovanema sempre leho portate con prudenza. Sono un moto turistaionon un "centaurofolle". E non mi è successo mai niente di pericolosonei miei due o tremini-incidenti di moto.

Invece quella voltavado giù perfino lentamentecadendoquasi da fermoe batto la tempia destra proprio sull'unica sporgenza di tuttoquel punto di stradail bordo di ferro del tombino dell'Aceache sporge dialmeno un paio di centimetri dal livello dell'asfalto.

E credo di essere svenuto.

Il ricordo successivo è appunto quello del letto diospedale.

Immobilizzato a lettonon ero in grado di parlarené diconnettere efficacemente. Sentivo vagamente delle voci vicino a mecheparlavano di una emorragia cerebrale localizzata ma devastante. Credo stesseroparlando di mea qualche mio lontano parente o amico(i miei sono morti daalcuni anni e sono figlio unico) ma non so o non ricordo a chi.

 

Ci ho pensato molto in questi anni ed ho ricostruito la cosapiù o meno in questi termini: all'età di 35 anniin una bella mattinata diAprileho avuto un incidente stradalesono cadutoho battuto la testa e sonosvenutoprobabilmente fratturandomi il cranio con chissà quali conseguenze;qualcuno mi ha trovato per tempo e sono stato trasportato all'ospedale vicinocasadove sono rinvenuto per pochi secondiparalizzato completamente; dopo diche sono o svenuto o entrato in coma.

E poinon so quanto tempo doposono morto.

 

Devo esser mortose no non si spiega quello che è accadutodopo. Certo potrei non essere morto ed essere entrato in una specie di comamolto lungo e molto ricco di sogni. Ma non credo sia cosìper molti motivi.Comunque se sono mortocome credonon ho provato alcuna sensazione speciale.Non mi è apparso Dionon ho visto luci celestialinon ho sentito vociultraterrene.

Dopo un periodo di tempo che non so definireche non possodefinirema che ho sempre pensato molto lungomi svegliai di nuovo.

La prima impressione fu che ero ancora in un lettod'ospedale. Perfettamente sveglioperfettamente a postoe in grado dimuovermi. Tant'è che mi drizzai sul letto stessoreggendomi sui gomiti. Non miaccorsi subito di essere completamente nudo. Mi accorsi però di non essere inun letto d'ospedalema in un letto stranorigidocome fosse fatto di marmoma non così freddo o duro come poteva essere il marmoe coperto di un lenzuolobianco.

E di non avere cuscinoné vestitiné alcuno intorno a me.Non c'erano altri lettiné infermiere. Assolutamente niente e nessuno.

Mi drizzai del tutto.

Ero in una stanza ampiagrosso modosei metri per seipulitissimadalle pareti bianchecon una luminosità diffusa che non sembravaprovenire da nessuna fonte specifica. La stanza era completamente vuota e senzafinestre. E senza una porta.

E però non c'era nient'altro nella stanza. Ma proprionienteintendiamoci: non un battiscopanon un lampadarionon un filoelettriconon una finestrao una macchia per terraun graffio ad una pareteuna macchia al soffitto; un qualunque segno insomma che dimostrasse che in quelluogo ci fosseroo ci fossero mai statialtri esseri viventi a parte me.

Ero all'interno di una specie di enorme scatolone biancocubicodi circa sei metri per latoadagiato su un letto di marmo e con unlenzuolo addosso. Basta.

 

In realtà era un luogo molto strano. Spettrale quasi. E mistupii di essere così calmo.

È buffo a pensarci o a dirloma mi resi conto che erocalmoche non c'era motivo per esserlo e che la cosa mi stupivail tutto inun'unica sensazione.

 

- Sei in grado di comprendere?

La voce era forteleggermente echeggiante e veniva da unadirezione imprecisata. Non aveva accentoera neutraavrebbe potuto essere unavoce di un uomo come quella di una donnaanche se sarebbero stati una donna edun uomo ben strati ad avere una voce simile!

Né di giovane né di vecchioné indifferente né ansiosa;non aveva assolutamente alcuna caratteristica umana.

Mi resi conto di essere veramente sveglio quando cominciai achiedermi da dove veniva.

- ...cosa? - chiesi.

- Sei in grado di comprendere? - riprese la voce.

- Sì... - risposi esitando.

- Sono in attesa richieste - disse la voce.

- Prego...?

- Sono in attesa richieste - ripeté la voce.

 

E andammo avanti così per un pezzo.

A qualunque domanda io facessila voce rispondeva "Sonoin attesa richieste"solo questo e nient'altro che questo. Ahnose iochiedevo "Voglio parlare con un medico" oppure "Ma dovesono?" oppure "Ma dove sono le infermiere" o qualunque altra cosasimilequalunque richiesta ragionevole insommarispondeva: "Richiesta nonpertinente".

Per tutto il giorno (o meglioper un lungo periodo: nonc'era traccia di giorno o di nottelìanche se c'era un alternarsi della luceche dopo un periodo che non potevo misurare ma che a occhio era di una mezzagiornata si attenuava un po') non riuscii a ottenere altri risultati.

Inutile che vi dica che dopo la prima mezz'oracominciai adavere paura e la paura finì rapidamente con lo sfociare nel panico.

Dov'ero finito? In quale situazione? Cos'era quella stanza?Una prigione? Non era evidentemente una stanza d'ospedalenonostante la primaimpressione.

Ma cos'era? Un laboratorio sotterraneo per esperimenti sucome indurre la pazzia in un essere umano? Chi l'aveva mai visto un posto cosìsenza finestresenza portesenza una fonte riconoscibile di lucecon una vocecome quella che ripeteva ossessivamente quelle frasi senza senso!?!

La paura andava e veniva. Nei momenti in cui non ero presodal panico ripetevo ossessivamente domande intese a capire dove mi trovavo e nonottenevo altra risposta che "Richiesta non pertinente"; nei momentiinvece in cui il panico la faceva da padrone urlavo disperatooppure piangevorincantucciato nel lettosotto il lenzuolo.

 

Alla fine del "secondo giorno"cioè del quartoperiodo di variazione di lucei morsi della fame e della sete cominciarono afarsi sentire. E nel bel mezzo di una sequenza urlata disperatamente di domanderegolarmente rigettate dalla voceesplosi.

- Bastardo! Ho fame! Ho sete! Dammi del cibo!

- Di che tipo? - rispose la voce.

Mi fermai spalancando gli occhi!

- Come sarebbe dire di che tipo?

- Che tipo di cibo - rispose.

- Aheh... pane e prosciutto... - risposi balbettandolaprima cosa che mi era venuta in mente.

- Che tipo di pane? Che tipo di prosciutto?

- N-non sopane qualunqueprosciutto crudo...

- Prosciutto crudo disponibile. Quantità?

- Un paio d'etti...

- Che tipo di pane?

- MA T'HO DETTO PANE QUALUNQUE! - urlai alla voceal nulla.

- Che tipo di pane? - ripeté imperterrito.

- ROSETTE! - urlai.

- Disponibile. Quantità?

- DUE!

- Servito - disse.

Mi guardai intorno e sul bordo del lettoalle mie spalletrovai due rosette al prosciutto. Poggiate in un vassoioforse di metalloforse di plasticadai bordi leggermente rialzati.

Una cosa assolutamente normale che in quel contesto eraincongrua ed assurda quanto la situazione. Mi gettai sui panini e li divorai.Cominciavo forse a capire.

- Voglio acqua - dissi ad alta voce.

- Potabile? - rispose.

- Potabile.

- Quantità?

- Un litro.

Ed una bottiglia d'acqua apparve dal nulla proprio sotto imiei occhiesattamente dove erano stati fino a poco prima i panini.

 

Insomma cominciai così a capireper fame. È proprio vero:la fame aguzza l'ingegno. Di chiunque fosse la voce era disponibile a fornirmipraticamente di tutto. O quasi.

Dapprima chiesi altro ciboabiticoperteoggetti di tuttii tipi. E mi resi subito conto che ogni richiesta doveva essere dettagliata ilpiù possibileper evitare successive domande dirette a identificare conesattezza quasi maniacale il tipo di oggetto richiesto: era come se la"macchina" (ahsì certoavevo deciso a questo punto di aver a chefare con un meccanismo di qualche tiposia pure molto evoluto) era come se lamacchina disponesse di una gamma di scelte infinita per ogni oggetto.

Ma niente informazioni. Non dava informazioni di alcun tipo.

Per meglio dire non dava informazioni di alcun tipo sul comeil perchéil doveil quandoecceteranon dava informazioni di nessun tipoche mi potessero aiutare a capire dove ero e perché.

Delle informazioni le ricavavo dal confronto fra ciò che nonmi dava o da ciò che mi dava. Ad esempio potevo chiedere armi. Chiesi infattiuna pistola. Pensavo vagamente che con una pistola avrei potuto difendermidachi non sapevoovviamentema che avevo o avrei avuto bisogno di difendermi dilì a poco. Ed ero sicuro che non l'avrei avuta. Invecedopo la solita trafiladi domande su modellotipocalibro ecceterame la diedeuna bellissima Colt357 Magnum a canna lunga con quaranta proiettili. Quindi potevo chiedere armi.Chiesi cosìtanto per provareuna mitragliatrice pesantee sulle memorie delmio servizio militare riuscii a farmi dare una MG-762 Nato. Poi un lanciamissilianticarro Panzerfaust. Poi chiesi perfino un carro armatodando per scontatoche quello me lo avrebbe rifiutato; e invece me lo diede. Fatta la richiesta (unLeopardtedescoMark 9del 1980ed altre sottospecificheci arrivai perapprossimazioni progressive) mi disse che era disponibile.

- M-ma dov'è...? Non lo vedo. - dissi.

- Nella stanza attigua.

- Voglio vederlo! - ed immediatamente su una parete si aprìuna porta scorrevole; passai nella stanza attigua e lì c'era un Leopard Mark 9eccetera. Lo guardai come se avessi visto un dinosauro o che soun BabboNatalevoglio dire una cosa senza senso.

Tutto ciò che chiedevo appariva in un qualche punto dellastanzacosìdal nullacome per un gioco di prestigio. Il carro armato avevafatto apparire addirittura un'altra stanzaed una porta!

 

Nei tre giorni successivi chiesi denaroorogioiellialtrearmiun impianto hi-fialtri vestitidei libricibialcoolveramente ditutto insommaanche per fare delle prove.

E tutto mi veniva dato immediatamenteappena riuscivo adettagliare abbastanza la richiestaappena cioè la mia richiesta trovava lafine di un procedimento non so se logicoproduttivo o di archivio.

Ed ovviamente tutta questa roba finiva per "creare"nuove stanze che dovevano contenerla.

Al dodicesimo giorno avevo una serie di stanze arredateunacamera da lettouno studiouna sala da pranzoun bagno. Che fosse ildodicesimo giorno lo sapevo perché avevo chiesto orologi di diverso tipoerispetto al tempo passato prima di avere gli orologibehavevo deciso di faread occhio.

Avevo chiesto anche un computer su cui avevo cominciato ascrivere sia le regole della macchinasia il mio diariosia le mieconsiderazioni. Mi aiutava a pensaremi ha sempre aiutato a risolvere iproblemi il metterli per scritto.

Vedete ionella mia prima vita facevo il consulentemarketing; in realtà facevo di tutto: i miei clienti venivano da me conproblemi di vendita dei loro prodotti ed io analizzavo la loro situazione anchedal punto di vista produttivofinanziariodel personale; clienti piccoliperlo piùche non solo non avrebbero potuto rivolgersi ad un esperto di marketing"puro"di quelli con uffici extralusso ed ultramoderni che ti fannospendere un botto di soldi solo per cominciare le ricerche; ma che soprattuttonon avrebbero avuto nessuna utilità dal farlo perché sono abituati ad altrimeccanismiad altri numeriad un'altra gestione delle loro realtà economiche.Ma che possono essere benissimo aiutati per le scelte di fondo dall'esperienzamarketing delle grosse aziendee delle teorizzazioni connesse.

Insomma il mio lavoro richiedeva un sacco di adattamentidigraficiformule ed altroda realtà complesse a realtà più semplici; ed ioero solito mettere per scritto i termini essenziali di un problemaanche peravere tutto sotto gli occhi e vedere quasi in contemporanea tutti i dati di unproblema; tentai di farlo anche questa volta.

Su un pannello attaccavo fogli con parole e dati chedefinivano la mia situazione. Cosa stava accadendo? Era un sogno? Un incubosemai.

Ma non sembrava. Avevo la sensazione di essere vivosvegliocosciente. E per essere un sogno era troppo dettagliatoarticolatopreciso.Troppo lungotroppo vivido.

Allora? Era una specie di esperimento? Ma chi aveva lapossibilità di far apparire carri armati Leopard (o se per questo anche lerosette col prosciutto) dal nulla? I marziani? Extraterrestri provenienti daun'altra galassia? O forse solo un abilissimo prestigiatore?

Chiunque fosseroperché stavano facendo questo? Con qualescopo? Perché a me? Cosa mi era accaduto quella mattina? Ero stato colpito dauna emorragia cerebrale? Ero stato portato ad un ospedale? Mi avevano fattoqualcosa lì? Ero all'inferno? C'era davvero un dio tanto strano e crudele dacombinare uno scherzo del genere? Perché sia chiaro che io non mi divertivoaffatto.

Tante belle domandetante belle schedetutte attaccate allabacheca di legno davanti a me. Ma dopo giorni di tentativi non riuscivo aformulare una ipotesi non dico plausibilema nemmeno assurda e fantastica. Omeglio: quelle assurde e fantastiche erano appunto veramente tali. E un po'troppo.

 

Ero lì che stavo cercando di orizzontarmi fra i molti pezzidi carta che avevo prodottoquando la voce disse:

- 24 ore all'Immissione.

- Cosa? Cos'hai detto?

- 24 ore all'Immissione.

- Quale immissione? Dove? Immissione doveda dove?

- Richiesta irrilevante.

E di nuovo non ci fu verso. Chiesi alcuni oggetti a casotanto per vedere se potevo ancora chiederee mi furono dati. Era evidente chepotevo ancora ottenere tutto ciò che volevo. Per lo meno fino a quel puntononmi era stato mai rifiutato nessun oggetto avessi chiesto. E a quel che diceva lavoce avevo altre 24 ore di tempo per chiedere tutto ciò che volevo prima diessere "immesso" chissà dove.

Ovviamentepanico a mille! Decisi che se dovevo essere"immesso" da qualche parte contro la mia volontà tanto valeva chealmeno mi preparassi. Chiesi tutta la gamma possibile di giubbottiantiproiettilielmetticaschi corazzearmi portatili munizionieccetera. Poicaricai tutto sul Leopard.

E lì mi resi subito conto che con il Leopard non ci potevofare assolutamente niente. A parte che non avevo chiesto il pieno di carburanteper cui non sarebbe partito comunquema chi lo ha mai pilotato un Leopard? Nonè mica una macchina normaleche infili la chiave e parte. O caso mai lo èpurema giusto per chi sa da che parte si infila la chiave in un Leopard!Quella volta io ho cercato buco e chiave e non li ho trovati.

Uscii dal carro. Poi rientraipensando che era meglio staredentro. Poi uscii di nuovo per chiedere altre cose che mi stavano venendo inmente all'ultimo minutotipo viveri di scorta militaritipo le razioni K edaltro ancora. Mi venne in menteimprovvisamente che forse mi sarei dovutoorientare. Chiesi delle mappe e alle domande tese a dettagliare chiesi:

- Mappe dell'esternodel luogo in cui sarò immesso.

- Oggetto non permesso.

Capite? Non "Richiesta non pertinente"! Allora"c'erano" cose che non potevo avere. Anzidata la situazione"non dovevo" avere.

- Quanto tempo manca all'immissione?

- Due ore e cinquantasette minuti.

Altra deviazione dalla routine! Aveva risposto ad una domandanuova.

Non potevo fare altro che aspettarecercando di pensare acos'altro mi poteva servire. Alla fine entrai nel Leopard e mi misi al"periscopio" del carroguardandomi nervosamente intornoe vedendoovviamente solo la stanza nella quale era il carro armato.

Non sapevo cosa aspettarmi. Luci strane? Effetti visivi esonori tipo "passaggio dimensionale" da film di fantascienza?

Il mio orologio da polso mi informò del passare degli ultimisecondi.

Allo scadere del periodo residuo mi ritrovai all'esternoinuna raduraverde d'erba e con un bosco tutt'intorno. E con mee tutt'intorno amesparsi quasi a perdita d'occhio nella radurac'erano tutti gli oggetti cheavevo richiesto e che erano nelle stanzedalle armi ai mobili. Tutti.

Non avvertii alcun cambiamentoalcuna sensazione.

Prima ero nella stanzona con il carro armatoincollato alperiscopioe dopo ero all'esterno. Il cuore mi batteva. Era la libertà? Era unritorno alla normalità? La fuori tutto sembrava assolutamente normale e banale:un cavolo di radura coperta della solita stupidissima erbetta verde!

Uscii dal carro. Ero proprio al centro di una radura. Unanormalissima raduracon l'erbettai fiorellinigli alberile nuvole in altobianche nel cielo azzurrotutto assolutamente normale.

Non sapevo cosa aspettarminaturalmentema avrebbe potutoessere di tutto a quel puntoanche un altro pianeta. Invece era unanormalissima radurain un boscocon l'aria di essere in montagnao a mezzacollina.

Cominciai a tremare. Rientrai nel carro e presi dellepasticche di Tavor per calmarmi. Poi uscii di nuovoscesi dal carro edispezionai la radura.

Naturalmente mi vennero subito in mente altre mille cose chein quel contesto mi sarebbero state molto più utili di un carro armatodi uncomputer o di una scrivania.

Ma a quanto parevalì non c'era nessun "genio dellalampada" per accontentarmi. Provai a chiamarea chiederema ci fu altrarisposta che il soffiare del vento e qualche stridio di uccellilontano.

Toccai l'erbala terrale cortecce degli alberipercercare di capire se fossero alberi "terrestri"; e tali mi sembrarono.Masticai perfino un paio di fili d'erba. Potevo essere sulle Dolomiti per quelloche ne sapevo.

 

Cambiai idea quando vidi la tigre dai denti a sciabola cheveniva lentamente verso di me dalla parte opposta della radura. Rimasi un po'immobilepensando "E adesso voglio proprio vedere come se lacava...". Cioèc'era una parte di me che stava pensando a me stesso comese fosse un'altra personacome se io stessi vedendo tutto al cinema o allatelevisione e non mi riguardasse.

Mi ricordai di botto che tutte le armi erano rimaste nelLeopard. Cominciai a correre come un forsennato verso il carro armato. La tigreguardinga fino a quel puntosi mise a correre a sua volta verso di me. E andavaveloce.

Raggiunsi per primo il carro e riuscii a salirci sopra. Latigre si slanciò ma atterrò dove non ero più. Perse tempo per valutare sepoteva salire sul carro anche leima io mi ero tuffato dentro a metà.Raggiunsi miracolosamente con un braccio l'Uzi appoggiato a poca distanza dalportellonemi drizzai e mi girai sparando una raffica.

Centrai la tigre in pienoappena salita sul carro.

Cadde ruggendo spaventosamenteringhiando e colpendo l'ariacon gli artigli. Rimase un po' a terrasempre ruggendo; cercò di rimettersi inpiedici riuscì in parte; ma io ormai le ero sopra e le scaricai addosso ilresto del caricatore. Tremando in ogni singola cellula del mio corpo per tuttala durata della raffica e per molti minuti dopo.

 

Avevo avuto le mie prime lezioni dal Mondo dei Giocatori.Prima: se le haitieni le armi a portata di mano "sempre"; seconda:qui ci sono le tigri con i denti a sciabolaestinte sulla terra da quarantamilae passa anniquindi stai in campanaanche perché se ci sono loro ci potrebbeessere di peggio; terza: ...non me lo ricordo.

Rimasi in una specie di stato di choc per tutta la nottetremando senza potermi fermare. Vedete io non solo non sono un violentocomepresumo la maggior parte della gentema per di piùessendo vissuto in unpaese civile ed in pace da quando ero natonon ho mai avuto modo di assisterealla violenza vera. Al massimo agli effetti della violenzain TV neitelegiornali. Ma la violenza veraquella fatta di artigli e sangue e sparibehnon l'avevo mai vista da vicino. Forse l'avevo lettain un romanzool'avevo vista in un film. Ma quella era realtà. E quella era violenza verafisica. Vederla davvero è un'altra cosa.

 

Naturalmente non sapevo ancora che si chiamava il Mondo deiGiocatori. Questo lo seppi molto tempo dopo. La mattina dopoinvecedecisi diorganizzarmi alla meno peggio per usare quella radura come una base fissa.Cercaifra la massa enorme di oggetti che erano arrivati lì con meciò chemi poteva essere veramente utile (soprattutto viverimunizioni e vestiti) emisi tutto dentro il carroche avevo deciso di usare come riparo personaledeposito delle cose più importanti e "fortezza".

Dopo un paio di giorniavendo alla meno peggio organizzatoil "campo base" come lo consideravodecisi di andare a vedere cosac'era oltre la radura.

Mi attrezzai con armigiubbotto antiproiettile ed elmetto;ricavai una specie di sacca-zaino da un lenzuolo ed un paio di corde (ebbenesìavevo chiesto un carro armatoma uno zaino no!)lo riempii di provviste edi munizioni e mi incamminai per uno dei sentieri che sbucavano sulla radura.Tigri o non tigriprima o poi lo dovevo fare.

Prima di partire però studiai per un po' la tigrepervedere se aveva qualcosa di specialea parte il fatto stesso della suaesistenza. Non so cosa cercavoforse le branchieo del sangue verde.

Apparentemente invece era una vera e propria tigre con identi a sciabolacome le avevo viste nelle illustrazioni delle enciclopedielunga oltre due metri e mezzosenza misurare la codacon due zanne aguzze dioltre trenta centimetri; e aveva sangue rosso nelle vene. Una"normale" tigre con i denti a sciabola.

 

Entrai nel bosco per un sentiero strettopoco battutoprobabilmente creato dal passaggio di animalipiù che di uominidato che eraappunto non battutonon calpestato.

Mi inoltrai per un trattosalii su un albero di grosso fustoper cercare di vedere il più lontano possibile; scesitornai nella radura edentrai nel bosco dalla parte oppostaper verificare l'impressione che avevoavuto.

Era così: mi trovavo in un raduraal centro di un boscoincima ad una collinanel mezzo di una vasta pianuracon altre colline e boschiall'orizzonte. Un paesaggio idilliacotigri a parte.

Dopo un altro paio di giorni decisi di attraversare tutto ilbosco e di scendere nella vallata. Con due bastoni lunghi un paio di metri miero fatto un "travois"una specie di rudimentale carriolatipoquelle che avevo visto usare dagli indiani nei film westernper portare con mela maggior quantità possibile di viveridi armi e di munizioni.

La notte la passavo all'incrocio di due ramiil più in altopossibile dal suololegandomi al fusto per non cadere nel corso del sonno.

Avevo notato tracce di vario tipo che mi facevano pensare checi fossero anche troppi altri predatori in quel bosco.

La cui più spiccata stranezza era la sua assolutanormalità: la vegetazione era fatta di margheritefaggipinierbaspighe diorzo selvaticosembrava in tutto e per tutto identica a quella della"normalità" terrestre; come molti degli animali che intravedevodaipasseri ai corvidai piccioni ai falchidai ricci agli scoiattoli; questiultimi poi erano numerosissimie sembravano proprio identici a quelliterrestriin particolare sembravano una copia spiccicata di "Cip e ciop"di Walt Disney.

Quindipensai dapprimaovunque fossiforse ero sullaTerrae non su un lontano pianeta.

E mi resi conto chein effettiquell'ipotesifantascientificacioè la possibilità di essere su un altro pianetanon erapoi tanto campata in aria. Perché mica potevo essere in un Club Mediterranee.Potevo essere anche su un altro pianeta. O forse no. E la tigre? Ero nelpassato? E come ci ero arrivato?

Una sera capii che ovunque fossi quella non era la Terra.

Ero ormai da un giorno nella pianurae non avendo trovatogrotteo rifugi o altri boschi ed essendosi fatta seraavevo deciso di passarela notte sveglio per evitare almeno i predatori notturni; avrei cercato didormire di giornoe avrei raggiunto la mattina dopo un bosco che avevointravisto.

Insomma me ne stavo lì su una collinetta a sbadigliare ed aguardarmi intorno quando mi accorsi che c'era molta luce; alzai gli occhi ascrutare il cielo e mi dissiche in effettiera ovvio che ci fosse tuttaquella lucecon le due lune che erano piccole sìma piene tutte e due...

Bene. Non ero sulla Terranemmeno nel passatodato che laTerra due lune non le ha mai avuteper quello che se ne sa.

Rimasi a guardarle per vari minutistupito. Cercai poi dicapire se le stelle mi potevano dire qualcosama non sono mai stato forte inastronomia: so riconoscere la Stella polarema solo se qualcuno con una bussolami indica prima il nord. Niente da fare nemmeno con le stelle quindi.

Vagai nella pianura per tre giornidormendo alla menopeggio. In lontananza e qualche volta anche troppo da vicinovidi animali ditutti i tipialcuni noti (bisontigazzellelupizebre perfino)altri menonoti (ci sono mai state giraffe con il mantello delle zebre sulla Terra?)altrisicuramente estinti (le tigri con i denti a sciabolama anche dei mastodonti)altre infine di sicuro mai esistite sulla Terra: vi risulta siano mai esistitidavvero gli unicorni? I cavalli color verde? Delle scimmie con la pellicciatigrata? Solo per dirne alcuni poi. E questi ultimipur straniuna vaga aria"terrestre" l'avevano.

Ma avevo anche intravisto una specie di talponenon sapreicome definirlocomunque un animale molto grossobianco lattecon unaleggerissima peluria roseache viveva sottoterrapredando gazzelle insuperficiecon sei zampe per lato! Dico dodici zampe!

Nessun vertebrato terrestre ha dodici zampe. Lo schema fissodei vertebrati terrestri è quattro zampe e al massimo altre due sporgenzeunatesta ed una codaoltre ad una cassa toracica. Ma stop. Gli animali chesembrano non averne più di quattro zampecome i mammiferi marinihannonotoriamente i "residui" evoluzionisticidi quegli artiinternamente; perfino i serpenti li hannocosì come noi abbiamo i residuidella coda nelle nostre vertebre coccigee.

Gli insetti hanno più di quattro zampe. Ma i vertebrati no.E quelle talpone erano evidentemente vertebrate. Trovai degli scheletrioltretutto.

Qualunque cosa fosse quella specie di "squalo diterra"veniva da una linea evolutiva completamente diversa da qualunquecosa abbia mai vissuto sul nostro pianeta. Anche se respirava ossigenoaveva unsangue rosso e si poteva nutrire di carne di gazzella che era commestibile ancheper me. Insomma era uno strano misto di ecologia ed animali perfettamenteterrestriantichi e modernie di animali mai esistiti sulla Terra. Solo chequesti ultimi erano biologicamente compatibili con quelli terrestrial punto dipotersene nutrire. Il chemi venne da pensarepoteva essere più facilmente ilfrutto di un adattamento da laboratorio che non naturale.

Alla fine dei tre giorniavendo quasi finito i viverie conle munizioni ormai ridotte a poca cosadecisi di tornare al carro armato.

Non ci arrivai mai. Avevo ceduto al sonnoin un piccoloavvallamento dove mi ero fermato per riposareper cui non mi ero accorto delloro avvicinarsi. Mi saltarono addosso in sei o sette e non feci in tempo asvegliarmi che un forte colpo alla testa mi fece svenire.

 

Quelli che mi avevano catturato erano senza dubbio umani. Dirazza biancaa occhio (se si fossero lavatiforse la pelle sarebbe statabianca); erano una banda di predatori a piedidi una qualche tribù di nomadi.

Erano armati di armi di legno e pietraper lo più lance emazzeniente di metallo; portavano abiti di pellestile uomini delle caverne;non portavano ornamenti di alcun tipo ed erano sporchi di terra e fango in ogniparte del corpo; dapprima avevo pensato fosse solo sporciziapoi mi resi contoche si trattava di una forma di mimetizzazione quandoavendo deciso di portarmicon loromi spogliarono dei miei abitimi dettero un paio di indumenti deiloro e mi sporcarono ben bene di fango fresco e molto puzzolente.

Seppi molto tempo dopo come quella tribù formava il fango:terraacqua ed abbondanti manciate di sterco di tigreleone o altri predatori.Lasciavano così dietro di se una scia di odori misticertoma che davacomunque l'informazione della presenza di un predatore di quelli cattiviil chescoraggiava un po' tutti i predatori. Cacciare potevano cacciare solo mettendosisottoventoma d'altra parte questo lo avrebbero fatto comunque.

Il capo del gruppo quando rinvenni mi interrogò a lungoalternando domande a sganassonie smise solo quando svenni per la secondavoltaconvinto a quel punto che davvero non capivo ciò che diceva.

Nulla di ciò che avevo con me li interessò davverocibocompresoed io non fui in grado di spiegargli niente a riguardo le armi. Nonavrei potuto comunquedati i problemi di linguamase mi avessero lasciatolibero per cinque minutiavrei potuto dare una dimostrazione di cosa potevafare un Uzi direttamente sulla loro pelle!

Presero comunque alcune cosefra cui proprio l'Uzie siincamminarono per la loro stradatenendomi legato come un animalelasciandomilibere solo le gambe.

Cacciavano per lo più proprio quegli "squali diterra" che avevo già visto. La tecnica di caccia consistevasostanzialmente nel cercare delle prede per lo squaloprede vivetipogazzelleo antilopinel legarle ad un palo al centro di piccoli avvallamentiche erano i più adatti ad una "emersione" dal sottosuolo e nelbattere ritmicamente sul terreno attorno per attirare l'animale.

Quando questi emergeva e ghermiva la predainfilava anche latesta e parte del corpo nei lacci con nodi scorsoi che erano posti tutt'intornoall'esca; le corde venivano tirate e bloccatel'animale non poteva piùrientrare nel suo tunnel e veniva finito con le lance e le mazze.

Poi veniva squartato e dagli organi interni venivanoprelevate delle specie di pietredei "calcoli" di qualche tipoedelle ghiandoleil vero obiettivo della caccia: le pietremolate e ripuliteerano dei gioielli bellissimi e dalle ghiandole si ricavava una spezia curativanon meno preziosa. Il resto veniva lasciato agli spazzini della prateria.

Dopo meno di dieci giorni di questa vita errabonda nellaprateria ero sfinito; ferito da mille graffiscalfitture ed escoriazionimireggevo a malapena in piedi; zoppicavo; mi tenevano legato e mi usavano solocome mulo per trasportare parte del loro bagaglioe da mangiare mi davano iloro avanzi. Non li odiavo nemmeno piùero sfattoero incapace di odiarevolevo solo morire.

Una sera intuii che stavo per essere accontentato; daglisguardi che mi lanciavano nel corso di una discussionecapii che stavanoparlando di me; ead occhioche si stavano chiedendo se valeva o meno la penadi continuare a portarmi con loro dato che li facevo rallentare.

Era veronon ce la facevo a stare al loro passo. Ad un certopunto qualcuno disse una qualche spiritosaggine e tutti si misero a ridere. Unofra loroquello che mi aveva schiaffeggiato per interrogarmi si alzò e venneverso di me. Mi fece alzare e mi spinse poco lontanodietro un dossopoi mispinse a terra. Mi si sdraiò vicino e mi disse qualcosa con voce insolitamenteaffabileper quanto potevo giudicare. E cominciò a toccarmi.

Tentai di resistere ma potevo fare ben poco edopo che miebbe piantato sotto la gola un coltello di ossidianarozzo ma efficaceebbegioco facile. E mi violentò. Ebbe un solo pregio: fu breve.

 

Al ritorno avevano cambiatoper mia fortunadiscorso. Maper me era stato un segnale d'allarme. Per quei selvaggi ero un animale predatoe niente di più.

Non ero nemmeno scioccato. Dopo dieci giorni di quella vitaero al di là dello choc. Ero solo terrorizzato a morte. Non ce l'avrei fatta aresistere in quelle condizionie quelle bestie mi avrebbero prima o poiassassinato senza pensarci su due volte. Dovevo scappare.

La notte successiva riuscii a liberarmi le mani.

La notte ci fermavamo quasi sempre in cima a un qualcherilievo ed io ero sempre troppo stanco per riuscire a pensare a come scappare.Quella seradopo aver fatto grossi sforzi per tenere il loro passoci fermammoin un posto che diversamente dagli altri aveva qualche roccia affiorante.

Mi sdraiai vicino ad una di queste roccea quella che misembrava la più adatta. Per tutta la notteappena gli altri si furonoaddormentatistando attento ad non attirare l'attenzione della sentinellariusciistrofinando i lacci di cuoio che mi stringevano i polsi contro larocciaa spezzarli.

Ci rimisi anche molta pelle dei polsima la paura di morirenon mi fece sentire il dolore. Liberate le manisenza far rumore cominciai adallontanarmi dalla sentinella; raggiunsi il capo della banda e la sua saccanetrassi la mitraglietta; e lì commisi il mio primo errore.

Poi scappaiveloce quanto potevo nella prateriadove nonavrei corso che dei rischi appena inferiori.

La sentinella se ne accorse e cominciò a gridare; sisvegliarono ed iniziarono l'inseguimento. Non ce la potevo fareevidentementeper questo avevo preso l'Uziper spaventarli.

Quando mi raggiunsero mi fermai e mi rivoltai verso di lorourlando:

- Allorabastardi! Animali! Eh? Allora volete proprio che lofacciaeh? - e sparai una raffica in aria. E questo fu il secondo errore.

Avete mai ucciso qualcuno voi? Noprobabilmentegiusto?

Non è una cosa comune uccidere. La maggior parte dellagentenel corso della propria vita non uccide mai nemmeno una gallina. Dapiccoli uccidiamo mosche e lucertolema oltre non si vao si va difficilmenteal massimo un gattoed è raro.

Ripeto: la maggior parte della gente che vive in città nonsaprebbe nemmeno da che parte cominciare per uccidere non dico un essere umanoma nemmeno un pollo.

Certosull'onda di un impulsoper un pugno mal dato si puòarrivare ad uccidereo lo si fa per sbaglio; o lo si programma a freddo; matutto ciò riguarda una minoranza di personeappunto quelle che uccidono persbaglio e quelle che uccidono con facilitàripeto due minoranze.

Ed iouomo civileben educatonon avevo mai ucciso nessunoin vita miané mai pensato che avrei potuto o dovuto farlo.

I miei due errori erano stati questi: appena avevo avuto l'Uziin manoprima che la sentinella se ne accorgesse avrei dovuto ucciderli tuttilui per primo; e dopoquando mi avevano circondatoridendonon avrei dovutotentare di spaventarlima avrei dovuto di nuovo approfittare dell'occasione efalciarli con una raffica; invece sparai una raffica in aria.

Solo perché io avevo l'orrore dell'omicidioperché erostato educato a ritenere che la soppressione di un essere umano sia lasoppressione di un mondo interoanzidi un universo intero.

Si fermarono spaventati certo. Ma non fuggirono urlando dalterrorecome mi ero immaginato. No. Uno di loroproprio il capocredonelbuio sia pure illuminato dalle lune non ero in grado di capire benemi tirò lasua lanciache mi si piantò proprio nel bel mezzo del plesso solarepenetrando a fondo.

 

Il colpo mi lasciò senza fiato. L'Uzi mi scivolò dalle manie cadde a terra; io caddi all'indietro. L'uomo che mi aveva tirato la lancia mivenne vicino e mi disse qualcosaridendo. Poi si appoggiò con tutto il suopeso all'arma e mi trapassòinfilzandomi nel terreno. Il dolore fu forte espaventosoma in qualche modoprobabilmente per la lesione di un qualche nervospinalenon sonon sentii più dolore.

Gli altri risero anche lorovennero vicini dissero qualcosaqualcuno mi prese a calcipoi se ne andarono. Ed io rimasi lì. E svenni.

Rinvenni in pieno sole. Intorno a me già si stavanoradunando degli avvoltoi. Io non ero in grado di muovermi in alcun modo. Stavoper morire e loro potevano aspettare. Rimasi in una specie di dormiveglia perancora non so quanto tempominutipoche ore.

Avevo una sete spaventosa. Mi capitò anche di pensare cheavevo avuto la mia ultima lezione: in questo mondo o si uccideva o si erauccisinon esistevano vie di mezzo.

Il sole era alto quando nella radura arrivò una piccola mutadi lupi molto grossimolto più del normale. Il maschio alfa si avvicinòringhiandomi odorò e poi con un solo unico rapido movimento mi azzannò allagola squarciandomela.

Morii subito.

 

 

 

Il Primo Inverno

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi risvegliai nello stesso letto e nella stessa stanza chesembravano un ospedale. Nella sorpresasorrisi anche: eccoera stato un sognostranovividoma solo un sogno.

Poinon so cosa me lo fece pensarepensai che non eracosì.

Non era affatto un sogno.

Né quella stanzané la mia mortené tutto ciò che avevovissuto.

Sentivo ancora i denti del lupo che mi squarciavano la golaricordavo benissimo il fiato puzzolente dell'animale su di meera l'ultimoricordo sensoriale che avevo prima del buio. E ricordavo ogni singolo maledettomomento di quell'agonia e di tutto ciò che l'aveva preceduta!

Quindi era un incubo. Un incubo realema un incubo.

- Sei in grado di comprendere? - disse la stessa vocedell'altra volta.

- M-m-ma cosa sta succedendo? - risposi.

- Sono in attesa richieste.

- Ma cosa è successo?

- Sono in attesa richieste.

- VOGLIO SAPERE COSA È SUCCESSO!

- Sono in attesa richieste.

- Voglio una pistola Colt 357 Magnummodello 1980canna datre pollicimodello export! - chiesisempre urlando. La dettagliai come avevodovuto fare la prima volta che l'avevo richiestagiorni prima.

Apparve vicino alla mia mano. La presialzai il caneme lapuntai alla tempia ed urlai.

- SE NON SAPRÒ IMMEDIATAMENTE CHE COSA È SUCCESSO IO MISPARERÒ!

- Sono in attesa richieste.

Premetti il grilletto. E la pistola scattò a vuoto.

E giànon avevo ancora chiesto le pallottole. Mi venne daridere. Mi misi a ridere ed a piangereal tempo stesso. Mi resi conto che seanche avessi chiesto le pallottolele avessi avute ed avessi caricato l'arma emi fossi sparatodopo non moltoo forse dopo molto chi lo sami sarei trovatodi nuovo in quel letto e che la cosa poteva andare avanti all'infinito. Lasciaiperdere e chiesi una bottiglia di whisky. Poi un'altra. Alla metà della secondacrollai.

 

L'alcool è notoriamente un rimedio parziale ed inefficienteper risolvere i problemi. L'effetto di sollievo dura pocoha molte conseguenzesgradevolidall'assuefazione al mal di testa del dopo sbronza. Ma ha anche ilvantaggio di essere rapidoeconomicoe di dare una euforica illusione di starbene. Gli svantaggi poiper una persona sanain realtàsono un vantaggio: senon ne abusi più di tanto. E poi fa dormire malema senza sogni. Almeno me.

 

Quando mi svegliai di nuovodopo l'ubriacaturachiesi delleaspirinedell'acquadel succo di frutta; e mi rimisi al lavoro. Richiesisubito molte delle cose che avevo chiesto la prima voltaad esempio scrivania ecomputer. E mi rimisi a cercare di risolvere il problema a modo miocome avevofatto la prima volta: scrivendopreparando schederazionalizzando.

Lavorai ininterrottamente per alcuni giorni. Cosa sapevo? Chequalcuno mi aveva messo in una situazione complessaper un qualche suo motivoe su questo argomentoil chiil come ed il perchéoltre non andavo: nonavevo elementi per ricavare altro; quindi dovevo posticipare questa parte delproblema a quando avessi avuto altri dati.

In cosa consisteva concretamente questa situazione complessa?Ovunque fossi oraci sarei rimasto per due settimaneanzi esattamente per 15giorni di 24 ore l'uno.

Nel corso di questi 15 giorni un meccanismo (o un insieme dimeccanismi) predisposto a ciò mi avrebbe fornito qualunque cosa io avessirichiestoqualunque oggetto materialedopo di che sarei stato"immesso" in un mondo estremamente simile alla Terra percaratteristiche esteriori (atmosferabiologiaecosistema e mille altre cose)ma che non era la Terra.

In questo mondo avrei trovato specie animali identiche aquelle terrestrispecie terrestri estinte e specie animali non terrestri; avreitrovato anche esseri umani in tutto e per tutto simili ai terrestricome noiviolenti ed aggressivima forse non più di noi.

Per quello che ne sapevo senza dubbio più barbare e comunquetecnologicamente meno evolute. Ma anche questo non era detto: la tribù dicacciatori che avevo incontrato era a livello di civiltà neoliticama sulpianeta ci poteva essere anche altro: in fondo anche sulla Terra che avevolasciato convivevano tecnologia nucleare enelle foreste amazzoniche omalesianequella neolitica.

Se fossi stato uccisosarei stato resuscitato all'interno diquesta macchinacomunque in questo luogo nel quale stavo scrivendo.

Forse. In realtà non era detto. Era successo questa voltama sarebbe successo di nuovo? E se sìsarebbe successo sempreo per un numerolimitato di volte? Avevo sette o mille vite? O solo tre? Non che ci tenessi afare l'esperienzaintendiamoci.

Ero morto. Ero stato ucciso. E non era stata una esperienzagradevole. Non è come addormentarsivi assicuro.

 

Nonon avrebbe dovuto mai più accadere di nuovo. Lasicurezza fisica era a quel punto il mio obiettivo principale. Anzirapidamentedivenne la mia ossessione. Cominciai a stilare liste su liste di oggetti cheavrebbero potuto essere utili per sopravvivereper difendermiper muovermi. Lescrissi e le riscrissi all'infinito.

Ci lavorai con metodo ed a lungo. Mi resi conto che erainutile chiedere di tutto. Occorreva chiedere qualcosa che mi sarebbe statoutilead esempionella radura o nella savana nella quale ero stato catturatoo su una montagna di quelle che intravedevo alla fine della savana. Insommaoccorreva un progetto articolato di sopravvivenza. Alla fine chiesied ottenniciò che mi sarebbe servito.

Chiesi di nuovo e prima di tutto armi e munizioni.

Esclusi il carro armatoera stata una scelta sciocca. Quantanafta poteva portare il serbatoio? Quanta nafta in più potevo chiedere?Contenendola dove? Inoltre i tank vanno bene in pianura o su pendii leggerinelle foresteno davvero. E comunque non sapevo portarlo un tanked imparareavrebbe portato via tempo inutilmentedato che prima o poi ne avrei dovuto farea meno.

Chiesi di nuovo una mitraglietta Uzi e relativoammunizionamento200 caricatori da 50 colpi l'uno. Poi pensai alle tigri ed aiselvaggi e raddoppiai la provvista.

Poi chiesi un fucile di precisioneun Anschutz Savagecalibro 312 Hi-Speedcon cannocchiale; aggiunsi alla lista bombe a manodaassalto (solo con lampo e rumore) e da difesa (tipo ananasa frammentazione);un paio di grossi coltelli da combattimentoun lanciamissiliil piùelementare possibilecon una riserva di 30 colpi. Mine antiuomo di tre tipidiversiper un totale di almeno 80 pezzi.

Poi armi ad avancarica. Proprio così: un paio di fuciliottocenteschicon pallettoni e palliniuna diecina di chili di polvere dasparo. E chiesi anche alcune migliaia di capsule detonantiognuna delle qualiequivaleva ad un colpo ma di peso ed ingombro molto più limitato della polvereda sparo. Sapevo che la polvere da sparo (diversamente dalle capsule) èrelativamente facile da farsi (chiesi alcuni libri sull'argomento) e quelle armiavrebbero potuto funzionare a lungoanche quando avessi finito le pallottoleper le armi più moderne.

Già che c'ero chiesi anche un paio di archi e di balestrecon frecce e verrettoni in abbondanzaoltre a punte e penne di bilanciamentoper fabbricarne altre.

Chiesi attrezzi di tutti i tipi: dal martello ai chiodidalle tenaglie ai trapanidalle seghe alle asceeccetera. Tutto ovviamente nonelettrico.

Chiesi anche contenitori di vetrodi plasticadi metallodi molte forme e dimensioniper conservare cibi.

Poi viveri a lunga conservazione di tutti i tipidal lattein polvere alla carne in scatoladalla frutta sciroppata in scatola ai salami;sale in quantità (prevedendo salature di cibi locali ed in attesa di trovare ilmodo di trovare il sale in loco).

Medicine: dai cerotti agli antibiotici a largo spettrobendeanesteticisiringhe automaticheun termometroalcuni ferri chirurgiciuno stetoscopiodei manuali di pronto soccorsodei libri di medicina.

Libripoidi tutti i tipi: manuali di istruzioniunapiccola enciclopedia della tecnologia che mi avrebbe permesso di ricostruirmiforseun modo di vivere decente. Ma anche libri da leggere: di tuttodaigialli di Nero Wolfe che conoscevo a memoria fino a tutta la"Recherche" di Proust che sulla Terra non ero mai riuscito a leggereperché la trovavo troppo noiosa; e molti altri autori. Il tutto in edizioneestremamente ridotta per spazio ed ingombro.

Una macchina da scrivere portatile (un vecchio modellounaLettera 32 della Olivetti: tutta di metallo praticamente indistruttibile; a casane avevo una vecchia di 40 anni che faceva ancora alla grande il suo mestiere)dieci nastri di ricambio (anni ed anni di scrittura garantita) cartamatitepennecancelleria varia.

Un mangianastri a pileovviamenteed una riserva ditorcioni per un paio di mesi ed un bel po' di cassette di musicaper lo piùclassica. Poi lo avrei dovuto buttarema almeno un po' mi avrebbe aiutato.

E molte altre cose che non vi sto ad elencare per esteso: daun mini gruppo elettrogeno che avrebbe potuto funzionareforsecon una cascatad'acquaa una bussola (che non avevo idea se avrebbe mai funzionato su unpianeta diverso dalla Terra); da una riserva di spezie ad una ventina di chilid'oro sotto forma di monetelingottini e catenine ornamentali; gioiellipietrepreziose.

Scelsi l'oro perché pensai che probabilmentea meno chefosse super abbondante sul pianetaanche lì sarebbe stato un metallo preziosoda usare negli scambi.

L'oro è sempre stato un metallo prezioso per tutte leciviltà terrestri ed il motivo non è una specie di misteriosa "auri sacrafames" biologicamente determinatama semplicemente il fatto che è unmetallo estremamente malleabilecon il quale anche solo battendolo con unapietra si può fare di tuttoe soprattutto che non si ossida maiquindifinisce per creare intorno a sé leggende di Immortalità.

E gioielli e pietre per gli stessi motivi: gli esseri umanisulla Terra (uomini e donne)in ogni tempo ed in ogni luogo hanno sempre amatoadornarsi di gioielli di tutti i tipi.

Insomma l'idea era: avere di che fare scambi e di chedifendermi.

 

Per portare tutto ciò furono necessari 12 muliche provvidia chiederescoprendo così che potevo chiedere esseri viventi. In teoria avreipotuto chiederne altrie chiedere carri per trasportare il tutto. Ma ilproblema era che ero soloe già controllarne dodici sarebbe stato difficile.

E già che c'ero chiesi anche un po' di altri animali: un po'di gallinegallo compresodue capre femmine ed un caprone; tanto per far razzaed avere uova fresche.

Quando mi furono consegnati direttamente lìnella stanza incui li chiedevoapparvero liberisenza gabbie o stie.

Non vi dico la confusione. Provvidi a chiedere gabbie e stiee ci misi alcune ore per venirne a capo. Poi mi resi conto che mi servivanoanche il cibo per quegli animalied un luogo adatto e quindi"ordinai" una stalla su misura.

Improvvisamente mi resi conto che forse quel galloquellegallinequella capraforse venivano dalla Terra... ma forse nomi dissisubito. Per un attimo li avevo sentiti quasi come fratellicome amici.

Anche in questa occasione mi accorsi solo in un secondomomento di cosa mi ero dimenticatodi cosa avevo chiesto in quantità eccessivae di cosa in quantità esagerata; ma sapete com'èdegli errori che facciamoce ne accorgiamo sempre dopo.

E d'altra partela situazione nella quale mi sarei trovatonon era davvero una situazione prevista in un qualche manuale! Voi cosa avrestescelto al posto mio? Una radioad esempio? E per farci che? Io la presiintendiamocima a parte il fatto che andava a batterie e che quindi dopo pocosi scaricòma per sentire chi? Presi anche due walkie talkiepensando cheavrebbero potuto essermi utili quando avessi trovano un alleatoun amico. Ed uncarica batterie da collegare all'impianto da "allacciare" ad unacascata. Sempre che anche quello avesse funzionato.

E non fu facilechiedere ed ottenere. Sempre per quellamaledetta mania di dover dettagliare tutto fino al limite del dettagliod'archivio della macchinaogni richiesta era una fatica improba!

 

Il tempo volò. E dopo quindici giorni esattifui di nuovo"immesso" sul pianetacon la stessa identica non-sensazione dellaprima voltacon tutte le casse di tutti i materiali che avevo richiesto e con idodici muli ed i loro basti.

 

Mi ritrovai all'aperto di nuovo in una radura di un boscomolto piccolacon un sentiero largo pochi centimetri davanti a me. Mi chiesi sele radure erano una costante. Ero teso e spaventatostavoltae molto sulladifensiva.

Decisi di non allontanarmi dal luogo in cui ero certo cifosse una "uscita" dal computercon il vago progetto di stipulare unaalleanza con coloro che fossero usciti da lì dopo di meanche se per quel chene sapevo potevano passare anche anni prima che uscisse qualcun altro.

Cominciai a scavare una fossa. Avevo deciso infatti che granparte del materiale che avevo portato con me lo avrei lasciato lìin una"cache"in una buca non troppo profondae impermeabilizzata con telidi plasticae che sarei tornato di volta in volta a prendere ciò di cui avevobisogno.

Ci misi un paio di giorni a completare l'operazionedormendopoche ore per notteall'interno del cerchio formato dai muli legati fra loroatitolo di difesa preventiva. Speravo che se fosse riapparsa una tigre (o chi perleiumani compresi) avrebbe assalito loro prima di me; e che loro comunqueforse l'avrebbero annusata prima di me: una specie di "muro" di carneinsomma. Dormii con la mano sull'Uzie dormii malesvegliandomi diverse voltein preda alla paura.

Poi mi venne in mente che potevo disporre alcune mineantiuomo tutt'intorno al cerchio dei muli e ad una certa distanza per di più; ecollegarle a dei fili di nylon. Cosa che feci (dopo aver letto con moltaattenzione i manuali di istruzione) e che mi aiutò a dormire un po' di più.

Dopo qualche giorno mi avviai sul sentiero per pochecentinaia di metritornai indietro e lo percorsi nella direzione opposta;passai l'intera giornata a conoscere il territorio immediatamente circostante.

Il bosco era una faggetadi alberi alticon un sottoboscofitto ma non troppo e molti sentieriapparentemente "scavati" nelverde o da animali o da piccoli torrenti primaverili da disgelo. Di nuovo nonc'erano sentieri "calpestati" da piedi umaniper lo menoapparentemente.

Trovai uno di questi torrenti più grande e stabileunpiccolo fiumeun po' più a vallee quindi decisi a maggior ragione distabilirmi vicino ad una fonte d'acquasia per l'acqua in sé sia per l'idea ditrarre da una cascatella naturale la corrente elettrica.

Trovai una piccola grotta200 metri più a valle e mi cistabilii; misi tutte le provviste sul fondocoperte da rami e da cespuglitenni le armi a portata di mano ed ammucchiai della legna secca vicinoall'ingresso ma non l'accesi: non volevo qualcuno vedesse la luce del fuocofinché non fossi stato certo di essere in grado di difendermi. Dormi alla menopeggiosvegliandomi diverse voltein parte per i rumori esterniin parte pergli incubi che affioravano.

 

Sapevo di essere vivo e che in questo c'era una qualchelogicama il mio corpo ricordava solo l'orrore di una morte subita poco prima:improvvisamente cominciavo a sudare freddo o a tremaresenza potermi arrestareera proprio come se il mio corpo non potesse accettare l'idea di essere statoucciso e di essere ancora vivo.

Il corpo credo possa accettare la morte. Credo però che nonpossa accettarla due volte. La può accettarema non ricordare. Non soforsesto dicendo delle sciocchezzema quando avevo un po' di tempo per pensareepensavo a cose di questo tipoavevo l'impressione che il mio corpo"ricordasse" a prescindere dal fatto se ricordavo o meno io.

Cercavo di non pensare al fatto che ero probabilmente giàmorto due volte: non sapevo come razionalizzarla questa cosa; questo non eral'aldilàquesto era un altro pianeta. Ma io ero senza dubbio morto due volte.E se "io" smettevo di pensarcise "io" riuscivo a nonpensarciil mio corpo invece no: lui era sempre presente a questo orrore e nonsi voleva adattare. E a volte mi affiorava il pensiero che forse l'unico modoera uccidersie rinatocontinuare ad uccidermifinché chi mi risuscitava nonsi fosse stancato ed io sarei morto definitivamentefinalmente!

Passai due settimane in questo statofinché non mi calmai;nel frattempo mi ero orizzontato a sufficienza.

 

Mi trovavo sul costone esposto a sud di una montagna similead una montagna terrestrealta probabilmente oltre i 4000 metri.

Sempre approssimativamente e considerando il caldol'altezzadel sole ed altri particolaritutti basati sulla mie impressioni di montanarodella domenicadovevo essere circa a 1000 metri di altezzain una zonatemperata del pianeta ed in una stagione che si avviava verso il caldo estivo.Intorno a me molti animalifiorile prime bacchee le giornate che siallungavano. Questo lo dedussi subito dal gioco delle ombre su un orologiosolare che mi ero costruito in una spiazzo vicino alla mia capanna. A forza difare piccole esplorazioni e con l'aiuto del binocoloavevo trovato il luogodove stabilirmi.

Era in prossimità del torrenteche faceva un'ansa indiscesa; io mi ero messo nell'ansacosì da avere il torrente in alto ed inbasso al tempo stessoper future opere idriche: avrei preso con dei tubi diterracotta o di bambù l'acqua dall'altol'avrei usata ai miei scopiperrestituirla al torrente in basso.

Nell'ansa c'era una specie di raduraleggermente inclinatacon diversi cespuglie su un lato del costone della montagna c'era una ampiagrottache era essenziale ai miei progetti.

Cominciai a costruirmi una capanna di tronchi. La capanna eradapprima una capanna di rami costruita alla meno peggio come copertura dellagrottache era ampiaareata ed asciuttae che aveva il grandissimo pregio diavere altre tre uscitetutte e tre piccole e nascoste nella vegetazionema altempo stesso praticabili.

L'uscita della grottae quindi la capanna che ne occultaval'ingressoera esposta a sud ed aveva una bella visuale sulla vallata; al tempostesso era abbastanza coperta dal bosco così da poter sperare di non esserenotato dalla vallata stessaquando avessi fatto luce o fumo.

Quando mi fui rassicurato che non c'erano tracce umane neiparaggi e dopo aver disposto un sistema di mine antiuomo tutt'intorno allaradurae sempre tenendo l'Uzi a portata di manocominciai i lavori.

L'idea era di costruire una piattaforma dinanzi all'ingressodella grottapoggiata a monte nella rientranza stessa della grottaed a vallesu due o più pilastri di tronchi; su questa piattaforma avrei costruito la miavera e propria capanna di tronchi stile "far-west" americanocon itronchi ad incastro ad angolo retto negli angoli ed il tetto inclinato per farslittare la neve. Avrei vissuto nella capannama avrei usato a molti altriscopi anche la grotta.

Fu dura. Ma il lavoro funzionava da terapia fisica epsicologicainoltre mi irrobustiva. Il problema non era trovare o abbattere glialberiquanto trasportarli; non volevo infatti creare una radura troppo grandeintorno alla casaper di più una radura artificialecon i ceppi dei tronchitagliati; qualcuno avrebbe potuto notarla.

In prospettivainfattivolevo mimetizzare anche la capannain modo che sembrasse una parte della radura e del costone.

I muli mi potevano aiutarema non poi tantodato chesentieri non ce n'erano. Per altro nel frattempo me ne erano morti cinque (dimalattiaincidenti ed uno per una tigre) e due erano scappatiper cui ne avevosolo 5che tenevo per lo più alla cavezza nella grotta stessa.

Tagliai gli alberi molto più a montesfrondandoli efacendoli scivolare piano piano a valle con un sistema di corde e di pulegge eservendomi di un paio di muli per volta.

Riuscivo a lavorare in questo modo un paio di tronchi algiorno. Un giorno lavoravo ed un giorno cacciavo o raccoglievo. E queste dueattività erano sorprendentemente facili: la selvaggina (cervidainigallicedronila tipica selvaggina da foresta europea o americana) abbondava come inun film naturalista ed era facilissimo catturarla o ucciderla; dopo un po' nonusavo più neppure l'arco o il fucile e mi limitavo a porre trappolealcune conle tagliole che avevo chiesto alla macchinaaltre che avevo imparato a fareleggendo i manuali che avevo richiesto; c'erano molti cespugli di bacche diversee tutte dolci e commestibilie funghi identici a quelli della Terra (oltre adaltri mai vistiche ovviamente non colsi) ed un tipo di albero da frutto chenon avevo mai visto e che produceva una specie di "pane" direiunaspecie di zuccachiara e farinosa e quasi senza saporeche però tagliata afettelasciata seccare o tostata poteva sostituire benissimo il pane.

Dopo due mesi di dodici ore di lavoro al giorno lapiattaforma era ultimata insieme ai muri perimetrali ed alle travi portanti deltettoche coprii di ramiterra e frasche.

Mi dedicai alle altre difese passive intorno alla capanna.Scavai un primo fossato e con la terra che scavavo alzavo un muretto versol'interno. Sul muretto misi dei paletti acuminatisottili e di diversalunghezza e vi trapiantai dei rovi; trapiantai dei rovi anche sulla spondaopposta del fossatocosì che a prima vistachi vi fosse passato vicinoavrebbe visto solo una fitta muraglia di rovi alta un paio di metri dietro laquale una più alta e fitta muraglia. Certo quando i rovi fosseroabbondantemente cresciuti.

Questa doppia muraglia era come un cerchio di trenta metri didiametro che circondava la mia casapartendo dai costoni della montagna; da unlato della muraglia il lavoro fu molto difficileperché era proprio sullostrapiombo; e dagli altri la feci un po' più alta.

La mia casa sporgeva dalla grottaed quindi la nascondevaverso una radura circondata dalla doppia muraglia. Dall'esterno e da pochi metripiù in basso non si poteva vedere niente; la casa poteva essere notata solodall'altoma per risolvere questo problema mi ero recato proprio sullasporgenza che mi sovrastava ed avevo notato quanto era difficile e senza sensoarrivarci; comunque per precauzione decisi di mettere delle trappole in tuttaquella parte della montagna: chi fosse arrivato sul bordo della montagna(sopravvivendo alle mine!)in quel punto si sarebbe visto crollare il suolosotto i piedi e sarebbe precipitato; sia che io ci fossi sia che non ci fossi.Come ulteriore precauzioneultimano il tetto con tegole di legnolo coprii diun leggero strato di terra su cui adagiai delle zolle di terra ed erba sperandoche attecchissero.

Allargai la "cintura" delle mine antiuomo ad oltre500 metri di raggio dalla casa stessa e circa dieci metri prima di ogni minamisi dei teschi di animali su dei palicome a direvai avanti a tuo rischio epericolo. Giusto per un residuo di un piccolissimo scrupolo.

In prossimità del torrente più a valle trovai delle speciedi bambùdelle grosse canne di paludema molto grosse; me ne feci bicchieri econtenitori di tutti i tipima anche tubature per ricevere l'acqua direttamentein casa dal torrente: fu un impianto decisamente artigianale e di cui avreidovuto cambiare diversi pezzi man mano che si corrodevano le cannema viassicuro che farmi una vera e propria doccia dopo quattro mesi di quella vita fuuna esperienza esaltante!

 

Ormai ero ben piazzato. Sotto la piattaforma scavai unacisterna che impermeabilizzai con muschiofogliemalta e fienoin un modomolto rozzo ma efficace (avevo ancora molti fogli di plastica a disposizionemapreferivo usare materiali naturali che reperivo intorno a me); un piccolo tubovi portava l'acqua ed un altro ne portava fuori l'eccesso; avevo così unariserva d'acqua anche in caso di assedio; chiusi i muri intorno e sotto allapiattaforma con rocce e rovi secchi e coprii di piantine di rampicanti e di rovitutta la base della casa ed altri punti strategicicon la prospettiva diriuscire in poco tempo a coprirla tutta.

Avevo ormai a disposizione una capanna di tronchi quasicompletamente mimetizzatae che con la prossima stagionese i roviattecchivanolo sarebbe stata completamente; con all'interno un camino di sassifissati con una maltaccia di fango e fienola cui cappa finiva nella grotta; ilfumo si disperdeva dopo essere passato all'interno della grotta stessada trediverse uscitepiù a monteed in modo tale da essere praticamente invisibile.Ero perfettamente mimetizzato. Solo chi mi fosse capitato letteralmente addossoper caso mi avrebbe potuto vedere.

Continuai a cacciare ed a mettere da parte quanta piùselvaggina potevo per affrontare l'inverno: le carni le affumicavo nella grottaed avevo visto che si mantenevano bene; avevo trovato anche varie ricette dicibi da sopravvivenza in un libro sul ritorno alla natura che avevo compratoanni prima ma non avevo mai letto seriamente e che mi ero fatto ristampare dalcomputer; fra questi la ricetta del "pemmicam"il cibo invernaledegli indiani nordamericani: pesce secco affumicato e sminuzzato con carnesecca; non era granché ma era cibo che non si rovinava.

Il pesce lo pescavo con facilità in uno dei molti laghettiformati dal torrente più a valle: trovai perfino dei salmoni.

Nei contenitori di canna impermeabilizzati con fogliearomatiche secche conservavo diversi tipi di marmellate di bacche; non sapevoquanto sarebbero durate e restate commestibili ma c'erano buone speranze; lemarmellate le avevo fatte bollendo le bacche dapprima nelle pentole che avevoportato con mepoi in recipienti di coccio che mi ero fabbricato da solo quandoavevo scoperto della creta in un'ansa del torrente. Usavo i vasi di vetro che miero portato appressomadi nuovocercavo una tecnologia compatibile conl'ambiente in cui ero.

Nel frattempo mangiavo ingordamente anche al di là dellafamee soprattutto il più grasso che potevocon il dichiarato scopo diingrassare: proprio come fanno gli animali che vanno in letargo.

Frutta seccafunghi secchipezzi di carne cotti econservati nello strutto ricavato dal grasso degli animali che uccidevo; insommapassai tutta la primaveral'estate e parte dell'autunno a fare provvistelegnacompresa.

E feci bene. Non avevo idea di quando sarebbe arrivato ilfreddo e di quanto forte sarebbe stato; potevo legittimamente supporre chesarebbe stato simile a quello delle montagne europee o nordamericanecorrispondentitipo Centro Europa o nord degli Stati Uniti. Il che significavaanche 30 gradi sotto zero.

Quando arrivòfu pesante. Fossero meno 30 o meno 40 nonsaprei dirvi: non avevo pensato a chiedere alla macchina un termometro daesterno. Fu freddo. Ma molto freddo.

Per fortuna avevo conservato (e conciato alla meno peggio conil sale ed il sole) tutte le pelli degli animali che avevo ucciso e le avevocucite grossolanamente fra loro; quando calava il sole andavo a letto vestitodentro il mio sacco a pelo di piume e sotto una pila di pellicon fuori appenaun pezzetto del naso per respirare. Ed avevo freddo.

La mattina non mi alzavo finché il sole non era altoaccendevo il fuoco e tornavo sotto le pellie solo quando un po' di tepore sidiffondeva nella mia capanna mi alzavo e mi organizzavo la giornata.

Che consisteva per lo più nel mangiarenel fare un po' dimovimento per non paralizzarmi del tutto. Provai anche a scrivere ed a tenere undiarioma non durò a lungocosì come anche la lettura non mi aiutòanzi.

Leggere di un mondo che potevo considerare perso per sempremi deprimeva. Ero arrivato infatti alla conclusione che per poter mantenere unminimo di salute mentalealla Terra non ci dovevo pensare più. Questo era ilmio mondo e qui dovevo restare. Quando avessi avuto qualche informazione in piùsu quello che mi era successo avrei potuto... cosa? Niente. Non avrei potutoquasi sicuramente fare nientequindi tanto valeva non pensarci più.

 

Per la prima parte dell'inverno uscii raramente dallacapanna; man mano che il freddo si fece più forte mi passò proprio la vogliadi uscire. Passato l'equivalente del solstizio invernale di quel pianetaquandole giornate cominciarono ad allungarsi di nuovocominciai ad uscire più spessoed a trovare perfino bello il luogo in cui ero.

La neve copriva tuttoovviamentema era una neve strana:per non so quale fenomeno non era una neve tutta e soltanto bianca; forsecristalli minerali presenti nel pulviscolo atmosfericoforse una particolaritàd'altro tipo nella luce del sole di quel sistemanon soil risultato era chela neve era biancasìma percorsa da incredibili striature di coloreappenaaccennatemolto floutenuima con tutti i colori dello spettro; il risultatoerasotto il solesoprattutto all'alba ed al tramontouna variegatissimaserie di colori cangianti.

La conseguenza più spettacolosa erano le pellicce invernalidegli animali: anch'esse variegate di bianco e colori tenuie spesso cangianti.

Che fosse un adattamento naturale o voluto da qualcunoquegli animali avevano delle pellicce incredibiliche sulla Terra sarebberocostate cento volte quelle normali.

Grazie a questa loro mimetizzazione erano bellissimi edifficilissimi da identificaresia le prede che i predatoriche per altro nonerano molto pericolosi per meper fortuna: lupi ed aquile per lo più; a questenon interessavoe quelli non si fecero vedereanche se ne vidi un branco unadelle poche volte che uscii dal recintoa valle per altro. Avevo visto degliorsid'estatema essendo tutti scomparsi dovevano essere andati in letargocome i loro omologhi terrestri. E meno male: un esemplare maschio di orso che aprimavera vidi a duecento metri da me sarà stato alto almeno tre metri. Per ilresto sembrava un normalissimo Grizzly. Voglio direnon sarebbe stato strano aquel punto trovarsi di fronte ad un 'Ursus spaeleus'l'orso delle caverneestinto 30.000 anni fa. Avete presente? Vivevo nel terrore d incontrarne uno.

La fortuna mi aveva aiutato nella scelta del luogo in cuicostruire la capanna: era riparata dai venti dominanti nella zona per cui letempeste non erano mai troppo turbolente ed a parte i 45 giorni più duripoifu possibile vivere abbastanza confortevolmente.

 

La solitudine mi spinse alla depressione dapprimapoi allameditazione.

Dato che dormivomangiavo e non facevo quasi nullapresil'abitudine di stare il giorno seduto a meditarea fare esercizi direspirazione yogaa cercare di concentrarmi su progettiprogrammisul miofuturo in quel pianeta.

All'inizio fu soprattutto per rilassarmi e per passare iltempopoi divenne una esperienza che non esiterei a definire mistica: erosetteotto ore al giorno in contemplazione di una natura dura e spietatamaanche bellissima ed il risultato fu una crescente sensazione di integrazionedireidi inserimento nella natura.

Ebbi delle visoni. Non saprei come definirle altrimenti.Animalicolorialberi tutt'intorno a me sembravano parlarmiinteragire conme; ogni mattina mi alzavo uscivo e salutavo (in silenziocon gesti e pensierisenza parole) un grosso abete che era oltre la barriera e gli chiedevo com'eraandata la notte; e luiin qualche modomi rispondeva.

Erano probabilmente allucinazioni da solitudine e da troppoossigenocerto; ma non ci credetti allora e non ci credo ora.

Era semplicemente un momento di pausa nella mia vitacomenon ne avevo mai avuti prima e come non ne ebbi mai doponel quale mi era datotempo e pena per "sentire" la vita che scorreva intorno a me.

 

A primavera decisi di avventurarmi verso la valle. Mi erofabbricato delle racchette da neve e con il mio equipaggiamento mimetizzato miavventurai verso il basso.

Seguii il torrenteper lo più e dopo due giorni giunsi avallesegnando regolarmente la strada che facevo con segni apparentementecasuali sui tronchi. Almeno speravo potessero apparire casuali.

A valle faceva molto più caldo. Il sole batteva più a lungoe più fortee in fondo alla vallatache si affacciava su una pianura piùlontana e più grandeintravidi campi coltivati ed un villaggio fortificato.

Quella vista mi emozionò e mi spaventò anche. Avevo unfortissimo desideriome ne accorsi solo alloradi andare incontro a degliesseri umanima al tempo stesso avevo la paura di chi sa che cos'è lasensazione della mortee non intendevo ripeterla per niente al mondo.

Mi misi ad osservare a distanza il villaggiocon ilpotentissimo binocolo che la macchina mi aveva fornito.

Essendo dotato di visione notturna potevo studiare il fortinoanche di notte. Sembrava essere un avamposto di confinecon vicino capanne dicolonigente che si era avventurata sin lassù da qualche altra parte delpianeta.

Erano evidentemente a guardia del passo che portava nellavallata più grandecui si arrivava dopo aver passato la catena di montagne sucui sorgeva la mia capanna e dall'altro lato della quale ci doveva essereun'altra pianurae forse una qualche civiltà.

Gli occupanti del fortino erano evidentemente guerrieri:portavano armature di cuoio e metallocon corazzespallacci e gambaliuna viadi mezzo fra le armature di un legionario romano e quelle di un soldato delrinascimento; portavano armi bianche quali spadescuriasce da combattimentomazzelance e balestre di due tipiuna leggera e portatile evidentemente dacombattimento ravvicinato ed una più grossache tirava verrettoni più lunghie pesanti ed evidentemente più letali. Sembravano armi di acciaio o come minimodi ferro battuto quindi tecnologicamente già evolutemolto più dei selvaggiche avevo incontrato la prima volta.

Da quel che potevo vedere con il mio binocolonel fortesembrava ci fosse anche una popolazione mistatipica dei luoghi di frontiera:da lontano sembravano mercantiprostituteschiaviviaggiatori di tutti itipi. I costumi e gli abiti erano i più diversida quelli quasi familiaripantaloni e corsetti e gonnea quelli più stranicome tutte intere e disegniastrattifino alla nudità quasi totale; altri elementi come gioielliornamentitruccoseguivano la stessa apparente anarchia totale di stili.

 

Non sapevo che fare. Aspettare? A che scopo? Rischiarel'incontro? Con quali prospettive? Quello era un posto di frontieradovevanoessere abituati agli stranieri. Ma io quanto lo ero? Quanto ero alieno per loro?In che lingua ci avrei parlato?

Decisi di aspettare ancora un po'. Rimasi così nella zonacacciando e sempre sorvegliando quello che accadevaper altri 5 giornisenzache accadesse niente e senza prendere una decisione.

Il sesto giornodi mattinaero al torrentelontano dalforte ma relativamente vicino alla strada che vi arrivava e ne venivaa cercaredi pescare una specie di salmoni con una barriera di canne ed un cesto di viminiimprovvisatoquando udii dei rumori sul greto poco più a vallein un puntodove sapevo esserci un guado.

Mi nascosimaledicendo il fatto di aver lasciato l'Uzinell'accampamento 200 metri più a monte. Ero sceso alla barriera per vedere seavevo catturato qualcosacon l'idea di tornare subito e non mi ero portatoappresso nessuna armacon me avevo solo un coltello.

I rumori aumentarono ed erano chiaramente rumori di lotta.

Non resistetti alla curiositàmi avvicinai e vidi un gruppodi armigeri del forte che aveva bloccato un carro. A terra alcuni uomini mortiin abiti coloratie fra di essi un paio di bambini forse decenni; ed uno degliarmigeri.

Altri tre armigeri stavano finendo di uccidere in un modoorribile uno degli uomini mentre gli altrisette od ottostavano violentandotre donne.

Rivedere da vicino degli esseri umani era già uno choc insé e per séassistere ad una scena di violenza così spropositata edapparentemente perfino banale per quegli uominilo fu cento volte di più.

Non pensainon decisi. Fu tutto molto automatico. Come se imesi passati da solo avessero contribuito a creare un nuovo me stesso. Fral'altro in quei mesioltre a cacciaremi ero allenato al tiro al bersaglioproprio per cacciare meglio; mi ero allenato a portare pesied il lavoro miaveva irrobustito in modo veramente notevole. Ero magroscattante e forte comenon ero stato mai in vita mia.

Mi allontanai in silenzio e lentamentepoi corsi veloce almio campo; raggiuntolo senza nemmeno pensare a quello che stavo facendo indossaiil giubbotto antiproiettile di fibrapresi l'Uzila carabina telescopica e deicaricatori e corsi verso il guado.

Ero pieno di rabbia per quello che avevo visto. Mi eroovviamente identificatoanche troppoe non ci avevo pensato un secondoavevodeciso d'istinto: dovevo fermare quegli assassini e l'unico modo era ammazzarli.Stavolta non avevo dubbi o esitazioni.

Quando li raggiunsi ansante dietro un dossomentre regolavoe caricavo la carabinami resi subito conto che l'uomo torturato eraevidentemente mortouna delle donne non gridava nemmeno più e quando lalasciarono capii che era morta anche lei.

Mentre si accingevano a continuare la violenza sulle altreduemi misi in posizione da cecchinosdraiato sulla pancia in mezzo all'erbacon un piccolo cespuglio davanti alla canna e da cui la canna sporgeva efreddamente cominciai ad uccidere quegli uomini. Nel corso dell'inverno mi eroallenato tantosoprattutto con balestra e fucile ad avancaricama anche con ilfucile da cecchinoed ero diventato un tiratore più che discreto.

Decisi di sparare prima a quelli che erano lontani dalledonneper essere sicuro di non sbagliaredato che erano in piedi: erano acirca cinquanta metri.

Cinquanta metri per un tiratore allenato non sono moltiperuno non allenato moltissimicredetemisia pure con un cannocchiale. Comunquene uccisi tre prima che gli altri otto si accorgessero che c'era qualcosa chenon andava; smisero di violentare le donne ed estrassero le armi; ma nonsapevano chi e come li attaccava; e riuscii così ad ucciderne altri tre.

I due rimasti ripararono dietro il carroavendo capito dalrumore degli spari e dal fumo dove ero e furono raggiunti da altri tre che nonavevo notato.

Forse non avevano mai visto prima armi da fuoco in azionemaerano evidentemente veloci ad imparare. E quella di imparare velocemente incombattimento sembrava essere una di quelle caratteristiche che la vita sulpianeta premiava con la sopravvivenza. Io l'avevo già imparato sulla mia pelle.

Mi individuarono e da dietro il carro cominciarono a tirarefrecce e verrettoni nella mia direzione urlando come forsennatitentando sia iltiro direttotesosia quello a parabola. Quando un paio di frecce miarrivarono troppo vicino decisi di non rischiare oltre.

Scesi dal dosso su cui mi trovavo verso il torrente e mi ciimmersi fino al torace tenendo alte le armi e mi avviai fra le canne verso ilguado 30 metri più in là: avevo notato un canneto fitto che arrivava fin sullasponda del torrente e mi ci infilaigiungendocopertoa ridosso del loroaccampamentovedendolidi latonascosti dietro al carro. Loro continuavano adurlare ed a lanciare frecce verso la posizione in cui ero prima.

Due degli uomini preso il coraggio a due maniindossati elmie scudiestrassero le spade e si gettarono urlando verso la posizione che avevooccupato fino a pochi minuti prima.

Io usciinon vistodall'acqua ed in punta di piedidallato opposto a quello in cui erano diretti loro.

I tre dietro il carro non mi videroma le donne sì. Anzila donnal'altra era svenuta. Tacqueguardandomi spaventata.

Ero arrivato a dieci metri dagli uomini quando uno si voltòmi vide ed urlò armando la balestra.

Con l'Uzi falciai lui e l'uomo che gli era vicinoma l'Uziforse per l'acqua forse per altrodopo la prima raffica si inceppòpropriomentre un verrettone mi faceva il pelo alla guancia destra. La carabina era atracolla e non feci in tempo ad impugnarla.

Il terzo uomo mi si gettò addosso con la spada e rotolammo aterra; non era più un'opera di giustizia ma pura e semplice lotta animale perla sopravvivenza. La cinta della carabina si staccò e l'arma rotolò via.

Mentre lottavo con lui i due che erano sulla collina siaccorsero di tutto e tornarono correndo verso di noi.

Non so comeuccisi il mio aggressore piantandogli ilcoltello in pancia; mi rivolsi ai due che correvano verso di mecercando diarrancare sulla spiaggia per raggiungere la carabina disperatamente.

I due scesero e passando vicino alle due donne in un accessodi furia le colpirono entrambe.

Il primo mi era addosso quando mi voltai con la carabina epremetti contemporaneamente il grilletto. Il colpo lo prese non a bruciapelo maletteralmente con la pancia attaccata alla canna della carabina che per lacompressione dei gasmi esplose fra le manistordendomi per un attimo. L'uomofu praticamente tagliato in due.

L'altro si fermò un attimo poi vedendomi intontito espaventato riprese coraggio e venne verso di me ghignando.

Alzò la spada sulla testa con entrambe le mani. E un attimoprima che potesse abbassare le braccia era passato da parte a parte dalla puntadi una lancia.

Era una delle due donnela più giovaneferitacon levesti stracciate ma ancora in grado di salvarmi la vita.

Urlò qualcosa che non compresiera agitatastravolta.tornò indietro e si diresse verso l'uomo che avevo ferito ed era ancora vivo.

Gli prese il coltello dal foderogli disse qualcosa con unavoce ed un tono dolcissimi e lo sgozzò. Si rivolse poi agli altri e controllòchi era ancora vivo. Tre erano in effetti solo feritifra cui quello che dovevaessere evidentemente il capo del drappello.

Uccise i primi due nello stesso modopoi sempre sorridendo eparlando dolcemente si dedicò al terzo.

Studiò le sue ferite e vide che era stato colpito allaspallaprobabilmente al polmonee che respirava a fatica. Lo fece accomodaremegliogli mise un giaciglio sotto il petto per aiutarlo a respirareementreio la guardavo instupiditodalla lottadall'adrenalina e dalla percezione diciò che avevo fattoleiseraficagli aprì la giaccagli tagliò la camiciae denudatogli il petto cominciò a torturarlo con il coltello. Non credevo aimiei occhi.

L'uomo cominciò ad urlare e lei a ridere ed a singhiozzareal tempo stessosempre affondandogli il coltello fra le carni.

Poiapprofittando della sua nuditàprese ad accarezzarlosui genitalisempre sussurrandogli qualcosaquesta volta con la bocca vicinoalle orecchie. Cercava di eccitarlo evidentementeed incredibilmenteciriusciva anche! Mi venne in mente di aver letto qualcosa del genereuna prassisulla terranon so se Somala o Tuaregpopoli presso i quali spesso erano ledonne che torturavano i prigionieri.

L'uomo urlò come un maiale scannato quando lei lo evirò. Lospruzzo di sangue sembrò il getto di una fontana.

L'urlo dell'uomo e quell'orribile spettacolo mi scosseroraggiunsi la donna la scostaicon un braccio e con l'Uzi che avevo ricaricato(non si era inceppato: era solo finito il caricatore) lo uccisi con una breveraffica.

La donna soffiò come un gatto arrabbiato e fece perattaccarmi con il coltellopoi si fermònon so se perché ci aveva ripensatoo perché le puntai contro l'Uzi.

Si voltò e si diresse verso la donna che era con leisichinò e la scosse gentilmente. Quella disgraziata era ancora viva. Parlarono unpo'l'una con fatical'altra piangendo. Poi la più giovane estrasse unostiletto dai capelli della donna ferita e quasi con delicatezza pose fine allesue sofferenze pugnalandola al cuore.

Non dissi niente e non intervenni. Avevo visto la feritadella donna e non so cosa avremmo potuto farlese non abbreviare le suesofferenze.

A quel punto la giovane assassina cominciò a piangerelentamentedolcementecome di chi è solo triste e non sa perché.

Io scesi al fiumemi lavai del sangue e della polvere cheavevo addossopoi tornai al carropresi le mie armiraccolsi una balestra edelle frecce e mi fermai vicino alla donnaad un paio di metri.

- So che non mi capiscima sarà meglio che ti sforzi. Da unmomento all'altro su questa strada potrebbe passare qualcun altroe potrebberoessere gli amici di questi assassini. Se vuoi venire con me - e feci il gesto dime e di lei ed indicai verso la montagna - devi venire ora.

Lei mi guardòpensierosapoi si guardò intorno. Chi diceche il linguaggio è un povero mezzo di comunicazione? Ci sono momenti in cui cisi capisce perfettamente ed al voloanche se non si parla la stessa lingua.

Annuì con la testa. Si alzò e fece una cosa che lì per lìpensai dimostrasse che era impazzita: si spogliò completamente dei suoi abitifemminili e rimase nuda. Pur nello stato in cui ero rimasi stupito da quanto erabella. E muscolosa.

Si diresse al suo carro e ne estrasse dei fagotti da cuitrasse abiti da uomo: pantalonicasacchemantellostivaliche indossò. Poiraccolse una cotta di maglia di una delle guardie e delle armi: scelse unabalestra leggerauna dagauno stocco e tre faretre; prese una sacca cheriempì con dei viveri.

Poi tornò verso la sua compagna e le sciolse dai capelli unnastro multicolorecon il quale legò i suoi. Poi venne verso di me e miguardò come a dire:

- Allorabellodove andiamo?

 

Tornammo alla mia capannaanche se ci misi il doppio deltempo per fare dei giri lunghi e viziosi; non volevo che lei potesse ricordarecon facilità come ci si arrivava.

Camminammo in silenzio; ed in silenzio rimanemmo per le duesettimane successivenon solo perché non parlavamo l'uno la lingua dell'altrama soprattutto perché lei evidentemente non aveva una grande voglia disocializzare. Io la mial'avevo vista volatilizzarsi nel combattimento.

Lei spesso piangevaanzipassò le prime tre notti apiangere. Io no. Passai le prime tre notti sveglio. Non so se fosse la presenzadi lei ad agitarmio cosa. Però pensai a lungo a cosa avevo fatto. Avevoucciso degli esseri umani. Ero un assassino come loro. Razionalizzai facilmenteè ovvionon c'era dubbio sul fatto chealmeno quelli che avevano ucciso inquel modo barbaro gli uomini e la prima donnaerano degli assassini chemeritavano la morte. E dopo era stato semplicemente uno sporco e confuso affare.

Ma... avrei potuto evitarlo? E mi rispondevo di nonon avreipotuto. Se avessi tentato mi sarei ritrovato prigioniero ed esposto a morte o aschiavitù (e quella era senza dubbio una civiltà schiavista: ne avevo vistimolti di schiavi in catene dentro al forte).

E allora? Alla fine mi accorsi che se stavo ancora lì apensarci tanto era solo perché c'era una parte di meun residuo di uomocivilechiamiamolo cosìche non credeva a quello che ero stato capace di faree che non lo poteva sopportare. Capito questo decisi chedi quella parte di menon me ne importava assolutamente più niente. E mi addormentai.

 

Dopo che lei fu uscita dal suo doloreci adattammofacilmente l'uno all'altra. Cominciammo a tentare di comunicare verso ilventesimo giorno che era lì e fu lei ad insegnarmi la sua lingua. Era una buonacacciatrice ed una discreta cuocacosì ci alternammo nel fare l'una o l'altracosaa turnoanche per partire da oggetti concreti ed azioni utili perimparare il suo vocabolario.

La sua lingua. Già. Behnon sono laureato in glottologia ofilologia o che; parlo bene inglese e mastico un po' di francese e a scuola hostudiato latino e questo è quanto per quel che riguarda la mia conoscenza dellelingue e della storia delle lingue.

Però ricordo di aver letto che la radice di tutte le lingueeuropee è comune e che risaleinsieme al Sanscritoalla famosa migrazioneindoeuropea con relative lingue. E che questo è particolarmente evidentemettendo a confronto le lingue europee per quel che riguarda alcune parolefondamentalicome madrepadre eccetera.

Behripetoio non ne so molto di linguema la lingua cheparlava lei era sicuramente una lingua di origine indoeuropea. Non riuscivo adimmaginare perché e decisi che non ci avrei sprecato sopra troppi pensieri. Maera una lingua familiare in qualche modo; molto meno aliena degli squali a seizampe che avevo visto in pianura. O della neve.

Fu facile impararla anche perché non avevamo molto da fare ea quel puntodopo un anno di solitudineavere vicino una persona con la qualeparlare e non poterlo fareera una piccola tortura.

Quando fummo in grado di capirci mi raccontò la sua storia:si chiamava Spiga di Granoper via dei suoi capelli biondi; era una ballerinaed una acrobata e quella massacrata al guado era la sua famiglia.

Era tradizione delle ballerine della sua tribù (una tribùdi nomadi diffusa ovunquedisse lei) fare l'amore a pagamentosoprattutto coni nobili dei castelli dove andavano a fare i loro spettacoli; anche sua madre esua sorellale due donne ucciselo facevano ed i loro mariti non ci avevanomai trovato niente da ridireanche perché era quasi impossibile sfuggire allemire dei principi locali quindi tanto valeva approfittarne; ma mainessuna dilorosarebbe entrata in un harem di un "fatriscios"un nobile;prostitute sìtranquillamente; ma sempre libere di scegliere e di dire sì ono.

Il "fatriscios" comandante del fortegiù nellavalle era di altro pareree quando lei si era rifiutatale aveva mandatodietro quegli armigeri per punire lei e la sua famiglia. Ma era solo questionedi tempo: era un "larès"un-uomo-morto-che-cammina anche se ancoranon lo sapeva nessuno.

Uomini e donne della sua tribù erano tutti addestrati alcombattimentoper necessità. E quelli che aveva ucciso al guado non erano iprimi per lei. Devo dire che era affascinante: bellaenergicaspietata e dolceal tempo stesso. Mi facevaonestamente anche un po' paura.

 

Facemmo l'amore alla fine del terzo mese che era da me. E fulei a sedurmi. Anzidovrei direfu lei a quasi-violentarmi. Una abitudinedegli abitanti di quel pianetaa quanto sembrava.

Un giornoal ritorno da una impegnativa cacciaarrivatinella radura con un cervo di traverso ad una sbarraci fermammo a riposareansanti: lei disse che era affamataestrasse il coltello ed aperto il fiancodel cervo ne tirò fuori il fegato ancora fumanteche morse avidamente; nemangiò un paio di morsi emettendo gridolini di piacerepoi ne tagliò unafettina che pulì benecon la lingua per altrosporcandosi più che mai ilmento di sanguee me la offrì ridendo ed emettendo piccoli grugniti e guaiticome giocando; io risposi al gioco e morsi il fegato e lo staccai a morsi dallesue dita.

Così facendo le morsileggermente e per casole dita; leime le lasciò mordereanzi spinse un po' di più le dita verso le labbra e labocca. Io continuai a mordicchiarle ma giuro che per me era niente di più checontinuare il gioco.

Per lei però no. Si fece seriasmise di guairee mi siavvicinò; mi abbracciò ferocementequasi per bloccarmiansando eccitata; poimi gettò a terra e mi si mise sopra. E mi baciò quasi con violenza con la suabellissima bocca sporca di sangue di cervo.

Facemmo l'amore lì all'apertofino a serasotto il sole esull'erba e devo dire chesarà stato per l'astinenza di ormai quasi due annisarà stato per le circostanzema fu qualcosa di veramente memorabile.

Dopo mi disse che non capiva perché non l'avessimo fattoprima; lei si aspettava da un momento all'altro che io la prendessiera ovvio:me lo dovevanon fosse altro per gratitudine; ma credeva di non piacermi o chenon volessi o non potessi farlo per un voto o per impotenza.

Solo per questo aveva aspettato tanto. E quella mattina nonaveva proprio resistito: la caccia la eccitava sempre.

Una belva. M'ero messo in casa una belvaio che non avevoneanche convissuto con una donna in vita mia per paura di perdere la mialibertà!

 

Quando Spiga di Grano mi chiese come mi chiamavogli dissiche non lo sapevo più.

Lei sorrise e disse che allora il nome me lo avrebbe datolei.

Ci pensò un po' poi sorrise e disse:

- Eccol'ho trovatoquando ti ho visto la prima voltaquando mi hai salvato la vitaal fiumeio ho pensato che tu fossi il dio delfiumeperché eri bagnato e venivi dall'acquae quel fiume si chiama Mostocome l'uva che fermenta nei tini per fare il vino. E tu sarai MostoilGuerriero dai Grossi Attributi ViriliCon Le Armi Che TuonanoE Che Vive SullaMontagna!

E rise con la più bella risata che io abbia mai sentito invita mia.

Qualche volta ho pensato che la pelle liscia delle donnegiovanibionde e di carnagione chiara sia una buona prova dell'esistenza diDio.

 

L'inverno venne e passòma quasi non me ne accorsi questavolta. C'era Spiga di Grano a farmi passare il tempo con una velocitàincredibile. Quando la primavera tornò le dissi che dovevo tornare a valle. Leinon mi chiese nemmeno perchédisse solo una cosa:

- Quando partiamo?

 

 

 

Pareggiare i conti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma io me lo chiesiil perché.

Perché tornare a valle? Per cercare di capire qualcosa delperché e percome ero lì?

Noa questo avevo rinunciato. Non solo non sapevo perchéero in quel mondonon me ne importava più niente; anzierano mesi che non cipensavo più.

Ci ripensai solo perché mi accorsi che ero curioso di altro:cosa c'era in quel mondo? Che genteche popoliche vita ci si faceva? Comepotevo cambiare la mia? Perché la lingua di Spigache fra l'altro era unasorta di lingua veicolare diffusissima sul pianetaera così simile alle lingueindoeuropee? Visto che non sembrava potessi in nessun modo andarmene da lìnonvaleva forse la pena di restarci al meglio? E quindi di conoscere tutto quelloche c'era da sapere?

Capii che io "volevo" restare lì.

Anche se avessi potuto tornare indietro alla mia vita diprimanon lo avrei fatto. Era una vita ferocee selvaggia quella che avevofatto lìfino a quel momento. Ma mi aveva cambiato. Ero più sicuro di meeroinduritoero capace di centrare un uomo a trecento metridi uccidere con ilcoltello e di combattere come non ero stato mai sulla Terra.

E del resto per quale motivo avrei dovuto diventare un buontiratore sulla Terra? O un killer? A quale scopo? La vita su quel pianeta miaveva dato una occasione per realizzare i miei sogni infantiliforsequelli dionnipotenza sadica. Anche sefinoraa proposito di sadismoio ero più unavittima che un carnefice: ero addirittura già morto e risorto.

Di sicuro quel mondo mi aveva cambiato. Io non ero piùquello che ero.

Ed era senza dubbio un mondo affascinante. Spiga me ne avevaparlato a lungo e mi aveva descritto i luoghi ed i popoli che aveva incontrato ele meraviglie che aveva visto oltre a quelle di cui le avevano parlato. Anchefacendo la tara su quanto diceva di una qualche esagerazione infantilesembravacomunque un mondo affascinante a dir poco.

E poi io stavo benissimo.

C'era qualcosa in me che finalmente percepivo completamente.La mia non era solo forza da esercizioda addestramento. Era qualcosa di più.Ero pieno di una energia che non aveva spiegazioni possibili. Avevo già notatoche nel farmi rinascere il mio corpo era stato ricreato identico all'originalesìil viso era il miole mani erano le miele riconoscevo; ma ad esempio identi erano di nuovo tutti miei: quelli che avevo perso e sostituito con capsuleerano stati rimessi al posto loro. Denti verinon protesi.

Avevo poi scoperto che l'energia che avevo si esplicava anchein altri modi. Ad esempio nel fare l'amore con Spiga. Ero instancabile.

In altre parole chi mi aveva "rifatto" il corpomelo aveva migliorato. E con tutta questa energia "giovanile" in piùpotevo restare a fare la vita del pensionato nella casetta in montagna?

 

Quando decisi di scendere a valleSpiga di Grano non midisse altro che quando. Ma il suo perché lei lo aveva ben chiaro in mente.

Voleva ammazzare Util "fatriscios" comandante delforte che aveva ordinato di violentare leisua madre e sua sorella e diuccidere tutti gli uomini della sua famigliaperché lei gli si era rifiutata.

Me lo disse mentre scendevamo.

Non mi pareva una buona ideae glielo dissi.

Lei sorrise e disse ridendo:

- Ohnoè un'idea bellissima. Però lo voglio catturarevivo per torturarlo con comodo. Ho pensato a molte cose interessanti che potròfare ai suoi testicoli. Non morirà né prestoné facilmente.

E sorrise di quel suo bellissimo e luminoso sorriso. Qualchevolta mi faceva ancora paura.

Nei dieci giorni che ci mettemmo per arrivare di nuovo invista del forte non ci fu verso di farle cambiare idea.

E più io gli dicevo che era una pazziapiù lei sorrideva emi prendeva in giro. Semplicemente dava per scontato che stessi scherzando!

 

Al forte giungemmo come due Frati Cercanti. Fu un'idea diSpiga di Grano. Disse che i Frati Cercanti vanno sempre in giro con un saio conun cappuccio che gli copre quasi completamente il viso perché sono tutti uominio donne che devono espiare una grande colpa e non vogliono farsi riconoscerecosì possono a volte fare del bene a coloro cui hanno fatto del maleche se liriconoscessero potrebbero ucciderli o perdonarli troppo facilmente. Porta maleguardare sotto il cappuccio di un Frate Cercanteper cui nessuno (o quasi) lofa.

Si raccontano leggende di persone morte fulminate da unqualche dio per aver guardato sotto il cappuccio; ma i più scettici dicono chenon è stato un dioma lo stiletto del frate che non si vuole far riconoscere.Insommao per l'uno o per l'altro motivoil risultato è lo stesso: nessunovuole sapere chi siano. Anche perché portano sempre con sé notizie o benipreziosi d'altro tipo.

"E poi che ne sai di chi è parente un FrateCercante?" recita un proverbio noto ovunque.

I sai ce li procurammo lavorando delle stoffe che avevo conme. Raccolsi nelle bisacce diverse cose che avrebbero potuto essermi utilicicaricammo di armi di tutti i tipima scegliendo le più leggere; ed io"chiusi casa".

Ci avevo abitato felicemente per due anniin fondoe un po'mi dispiaceva lasciarla. Sperai di rivederla prima o poima riuscii asepararmene con una leggerezza che non era mia; voglio direnon ero cosìdueanni primaquando ero arrivato lì: allora ero com'ero sulla Terraormai erodiverso; non mi attaccavo più ai luoghi e alle cose. Ormai volevo e dovevoandare altrovesenza lasciare niente dietro di me.

Liberai gli animali che avevo con mechiusi ogni pertugio elo mascherai con rovi e pietresperando che nessuno trovasse mai la casanell'eventualità avessi voluto tornarvi. Ma sapevo che non vi sarei maitornato.

 

Entrammo al forte senza incertezze. Io avevo la manosottoil saiosul mio Uzi silenziato e con il selettore di tiro sul colpo singolo; etenevo a portata di mano altre cose un po' più pesanticome una bomba"ananas" e altro ancora. Ero nervoso ma in fondo non più di tanto.Spiga di Grano non aveva voluto armi da fuocolei preferiva spada e stiletto.

I Frati Cercanti avevano sempre merci "magiche" consé: speziemedicamentidroghe. Per cui ci dirigemmo subito dall'unicospeziale del forte a mostrare le nostre merci e per avere in cambio più chedenaroinformazioni.

Ootlo speziale disse che nulla di ciò che mostravamo lointeressava (e non era vero: l'oppio che avevo con me era purissimosenzadubbio più puro di quello del pianeta e quello lo volevaohse lo voleva!) maci offrì un tè e dei pasticcini e un po' di conversazione.

Esattamente ciò cui noi tenevamo di più.

- Il vecchio signore Ut? - disse ad un certo puntodopomezz'ora di banalità - Ahsìma ora è a vallecon la sua scortaall'altroforte di scambioquello più ricco e comodo della pianura. EhUt sa fare benei suoi affari. Di forte in fortearriverà alla capitalevedrete!

Ci bastava. Troncammo i convenevoli e passammo alletrattative.

Le trattative le condusse Spiga di Grano.

- Spezialevuoi l'oppio? È cento volte più potente diquello cui sei abituatoquindi stai attento quando lo usi. Ma se lo vuoi devidarci una libbra di sangue-di-vena-nera.

Cosa fossenon ne avevo la più pallida idea. Ma dallafaccia che fece Ootcapii che non doveva essere una bella cosa.

- Ma cosa dici? Io non ne ho! È merce proibita dallo Czarilo sanno tutti!

Spiga di Grano estrasse il suo stiletto e glielo puntò allagola.

- Mastro spezialetu hai almeno due libbre disangue-di-vena-neralo so di sicuro. Noi ne vogliamo una sola. Ora scegli tu: oci dai ciò che vogliamo in cambio di due libbre dell'oppio più potente cheavrai mai; o noi prenderemo ciò che vogliamo dopo averti tagliato le palle edavertele infilate in gola prima di tagliartela...

Era un tipino cosìSpiga di Grano. Aveva venti annierauna ballerinauna prostituta part-timeuna donna bionda bellissimauna amantedolce come il miele; ed una maniaca omicida sadica e torturatrice. Con la fissadi castrare la gente.

Oot ci dette tutto quello che volevamo. E noi gli demmol'oppio che lui voleva. Lasciammo subito il fortedopo aver comprato due mulida un mercante. Lungo la strada gli chiesi cosa fosse il sangue-di-vena-nera ecome facesse a sapere che lui ce l'aveva.

- Lo sapevo perché glielo aveva venduto mio padre quandovenimmo al forte. È un potentissimo allucinogenoma solo in dosiinfinitesimali. Altrimenti è un veleno letale e rapidissimo. Ci potrà servirea molte cose: con quello che abbiamosciolto in un acquedottopotremmodistruggere o addormentare una città. Mi piace uccidere con lo stilettomamoltomolto di più con il veleno...

Non mi stava portando su una buona stradalo sentivo.

Due mesi dopo avevamo finalmente raggiunto l'ultimadestinazione di Ut. Al forte di pianura avevamo saputo che aveva avuto (ocomprato o usurpatole versioni erano contrastanti) un'altra promozione e cheormai era a Umatsomaiuna città vicino al mare. Era lontana e avremmo dovutoviaggiare a piedi ed a lungo. Ma Spiga non esitò un attimo a decidere anche perme. E ci avviammo lungo la pista dei carri.

 

Strada facendo fummo aggrediti dai banditi ben tre volte.Solo la prima volta corremmo qualche rischio e solo perché stavamo facendol'amore.

Era notte fondae noi eravamo su una piattaforma costruitada altri viaggiatorisu un alberoper evitare i predatori della pianura: lupiper lo più che non si arrampicano sugli alberi.

Ma Spiga di Grano era irrequieta e scherzavae mi spingeva erideva. Quella sera mi irritava. Alla fine la presi per i capellisulla nucaeglieli tirai dicendogli di smettere. Lei gridò brevementepoi cominciò adansare leggermentepassandosi la lingua sulle labbra. Come una gatta. L'avevoimparato da un pezzo ormai: un po' di brutalità nel fare l'amore la eccitavasempre.

E mentre facevamo l'amore sul ramo principalesotto di noialcuni briganti stavano salendo in silenzio.

Erano vestiti di verde scuro e li notammo all'ultimo istante.Io avevo l'Uzi a portata di mano. Lo presi e senza nemmeno staccarmi da Spiga diGrano sparai ai primi due. Lei si staccòsalì sull'alberoprese la suabalestraincoccò e ne colpì un altro di quelli che salivano.

Al vedere cadere i tre corpi ed al rumore degli spari quellidi sotto scapparono. Io indossai il visore notturno e sparai alle spalle diquelli che vedevo ancora nella radura. Ne uccisi altri due.

Spiga di Grano era eccitatissima e volle che continuassimo afare l'amore ma io mi rifiutai. Ed onestamente soprattutto perché la situazionenon era evidentemente sicura come credevamo ed occorreva trovare un altro postoche fosse veramente più sicuro. Cosa che facemmo. Ma a spiga dispiacque piùche a me.

 

Le altre due volte invece fu come schiacciare gli scarafaggi:facile quanto necessario.

 

Raggiungemmo Umatsomai. Prima di entrare in città decidemmodi cambiare aspettonel caso fossero stati vivi e nascosti intorno a noi gliamici dei molti briganti che avevamo eliminato fino a quel momento; e nel caso isuperstiti fossero in città con altri amici. Ci vestimmo semplicemente daviaggiatoridecidendo di definirci mercanti.

Umatsomai era una città portualeabbastanza grande e riccadi traffici e di merci e di varietà di popolazioni. Assomigliava all'idea chemi ero fatto di Amalfi al tempo delle Repubbliche marinare. Riccasontuosapiena di gentedi mercima stranamente non sporca. Anzi. C'era un vero eproprio servizio di "nettezza urbana". E mi resi conto che questo eravero anche nei forti. Avevo notato che su quel pianetache aveva per quel chene avevo visto finora un livello di civiltà medio diciamorinascimentale-europeonon c'era la abituale sporcizia di quei secoli.

Ogni centro abitato che avevo visto era provvisto di fognebagnifontaneacqua in abbondanza; e gli abitanti che vivevano in cittànonpuzzavano e si lavavano regolarmentecome parte integrante dei lorocomportamenti abituali. Era come sealmeno in quellofossero qualche secolopiù avanti di quel che dovessero essere.

Trovammo alloggio in una locanda con le finestre sul porto.Era un luogo quasi idilliacocon la facciata della locanda coperta da unrampicanteche mi sembrò una grande "bouganvillea" fioritacon lestanze ampie e luminose; e per di più in quella locanda si mangiava anche benee pesce frescopesce di mare per di più! Che non mangiavo da anniormai.

Nella stanza c'era un bagnoil materasso era di lanacardatamesso su tavolei cuscini di piumele lenzuola di lino bianco.Sembrava veramente un albergo di lusso della Terraper certi aspetticon unaarchitettura raffinatissima e molto "mediterranea".

Ma Spiga di Grano era nervosa. Quando tornò in camera dopoil giro che aveva fatto in cittàaveva con sé un fagotto. Lo poggiòsilenziosa sul tavolo e mi guardò. Io stavo pulendo la mia arma e a mia voltala fissavo. Alla fine si decise a parlare.

- Tu non puoi morirevero?

Mi colpì.

Da cosa lo aveva capito? Cosa sapeva? Cosa se ne sapeva sulpianeta? Ma mi prese subito paura di ciò che significavadi ciò che avevocercato di rimuovere fino a quel puntoe cioè del fatto che c'era qualcuno dicosì potente e vero in quel mondo da potermi far rivivere se morivo. E nonvolli sapere.

- Forse. Non lo sonon ne sono sicuro... ma non ne voglioparlare.

Scosse la testa.

- Per me va bene. Voglio solo che tu sappia che non me neimporta niente.

Fece una pausa pensando a chissà cosapoi alzò gli occhimi sorrise e disse:

- Ho trovato Ut.

Fece una rapida piroetta su se stessacome avesse appenadetto di avere un appuntamento con un innamorato.

- Vive nel palazzo sul moloquello che supervisional'ingresso al porto. Lui è stato nominato capo del Porto e quella è la suasede. Domani andrò lì e mi offrirò a lui. Così lo potrò uccideretranquillamente. Allorami vuoi aiutare?

Smisi di pulire l'Uzi e rimasi un secondo in silenzio.

- Ti riconoscerà.

- No. Non solo è passato più di un annoma soprattutto iomi tingerò la pelle ed i capellicon una tinturaquesta - e tirò fuori unpiccolo orcio di terracotta. - Mi farò bellasarò sensuale e desiderabile elui non potrà non desiderarmi. Ed io lo castrerò: glielo farò diventare duroe lo castrerò e poi lo guarderò morire dissanguato.

Era proprio un vizio!

- Ti uccideranno.

- Pazienza. Mi reincarnerò in una principessa per questoatto eroico: non sono una immortalema il diritto alla reincarnazione è ditutti. Mi vuoi aiutare? Non per salvarmi la vitasolo per aiutarmi a portare atermine il mio compito. Lui è vivo e la mia famiglia no. Questo stato di coseè ingiusto e non deve durare.

La guardai.

Pensai che forsese avesse fatto quello che voleva sisarebbe calmatae sarebbe stata dolce per sempre; e con me. E in fondo Ut eraun assassino della peggior speciequella dei potenti che non pagano mai per iloro crimini.

- Va bene. Ma studiamo bene come farele vie di fuga e tuttoil resto.

 

Avevamo denaro per fortuna. Oot ci aveva anche cambiato ipezzi d'oro che avevo con me in valuta localedi pezzi d'argentoutili peracquisti di tutti i tipi ed a basso prezzo in una città che sembrava veramenteavere di tutto.

Comprammo quindi tutto ciò che ci serviva: abitibellettiuna piccola carrozzacavalli. E ci presentammo al palazzo di Utio con il nomedi Fiume Inquietoil protettoree lei Mora di Gelsola puttana.

Spiga di Grano era veramente diventata Mora di Gelso: nonaveva solo cambiato il colore dei capelli ma anche quello della pelleche avevascurito su tutto il corpo con una delle creme che aveva comprato. Sembrava unabellissima ragazza arabasu cui gli occhi celesti spiccavano ancora di più.Portava un saio con cappuccioviolache la copriva da capo a piedi e cheteneva stretto al collo.

Ma sotto aveva indossato una "mise" così sexyfragioiellie corte e strette fasce di stoffae colori dipinti sulla pelle cheavrebbe trascinato alla lussuria anche un santo omosessuale votato allacastità.

Su un capezzolo si era fissatatrafiggendoloun anellod'oro con un piccolo pendente.

- So che questo gli piacerà... - disse sorridendo serafica eleccandosi via la goccia di sangue che ne era uscita.

Ut ci ricevette. Per riuscirci era bastato aprire il saio diMora di Gelsoprogressivamentedinnanzi ai vari funzionari che di volta involta ci chiedevano cosa volessimo dal "fatriscios" e poidopoun'occhiataci rimandavano al funzionario successivo.

Arrivati nel salone dove Ut teneva corteci inchinammo. Ilfunzionario parlò all'orecchio di Ut che ci fece cenno di avvicinarci.

Ci avvicinammo ed io mi presentai e presentai Mora di Gelsoche ad ulteriore piccola mimetizzazione portava un piccolo velo bianco sul viso.

E che sorridente come una bambina colta a fare uno scherzoaprì il saio.

Anche Ut rimase colpito. Molto colpito.

- BenebeneFiume Inquietola tua protetta ha veramentequalcosa da far vederedirei. Bene. Benebenebene. Resterete nel miopalazzoalmeno per un po'. Parla delle sue tariffe e delle modalità dicongiungimento con il mio Maggiordomo. Stasera sarete alla mia tavola.

E si allontanòseguito da altri cortigiani vocianti.

 

Mmot il maggiordomo mi ricevette subito e con lui concordaile modalità di "servizio" di Mora di Gelso. La prostituzione d'altobordodelle donne giovani e bellesu quel pianetao almeno in quell'areaerauna attività professionale vera e propriadi cui andavano concordate tutte lemodalità d'usoper così dire: quante voltein quali e quanti modicon qualegrado di trasportose con o senza figliper quanto tempo.

A volte un accordo all'origine puramente sessuale emercenario temporaneopoteva diventare un vero e proprio contratto diconcubinatoe nelle classi inferiori anche di matrimonio.

Certoera cosa soprattutto per i ricchi e potentima soloperché i più poveri non se lo potevano permettere.

Poial portonei vicoli e nelle taverne si trovava anche lapiù tipica prostituzione da stradadi infimo livello. Ma fra le donne distrada in senso proprio le giovani e belle erano rare. Spiga mi aveva benistruito a riguardo ed io concordai con il maggiordomo tutto ciò che c'era daconcordare. Trovammo evidentemente un facile accordo dato che il nostroobiettivo (mio e di Spiga) non era esattamente né quello di fare soldi néquello di far contento Ut.

 

Con Spiga-Mora ci ritirammo nelle nostre stanze. Appenaentrati lei "spense" il suo sorriso seduttivo ed accese quello dellaferocia allegra.

- Ho visto dove sono le cisterne del palazzo. Stanotte viscioglieremo una piccolissima quantità di sangue-di-vena-nera. Scioglieremo ilveleno prima in brocche di vinopoi verseremo il vino nelle cisterne. Quando èdiluito in questo modo ha effetto potente ma ritardato. Così entro domaninottenel giro di un'ora al massimo dal primo all'ultimocominceranno tutti adavere visioni o ad addormentarsi ovunque siano e qualunque cosa stiano facendo.Capiterà prima alle donne e poi agli uomini. Quindi quando vedremo le guardieaddormentarsi sapremo di essere soli. E noi agiremo. Dopodiché potremo anchefuggire.

- Va bene. Ma cosa accadrà a quelli che si addormenteranno?

- Si sveglieranno dopo un po' di tempo.

- Ma potrebberonon soad esempiole sentinelle suglispalti potrebbero cadere. Se qualcuno si sta facendo un bagnonon potrebbeaffogare?

- E allora?

La guardai esasperato.

- Spiganon puoi voler veramente uccidere tanta gentesoloper vendicarti di Ut!

- Sono servi di Utgli appartengono e sono parte di lui.Possono anche morire. Ricorda che se dipendesse da me metterei tutta la libbradi sangue-di-vena-nera nei serbatoi. Tanto per essere più sicura.

- E lui? Se berrà si addormenterà.

- Lo sveglierò io non ti preoccupare: un forte dolore scuotedal sonno del narcotico.

- Cosa farai stasera? Negli accordi è previsto che tu iniziil "servizio" con Ut stanotte stessa.

- Qual'è il problema? Sarò calda ed avvolgente come quelporco non ha mai saputo una donna possa essere. Cosìdomani sera per lui saràanche peggio. Sarà solo difficile resistere alla tentazione di ucciderlosubito. Ma saprò resistere: lo voglio anche torturare e per fare questo hobisogno di tempo. E che tutti dormano.

 

La sera Spiga-Mora si preparò: si rivestì in modo ancorapiù sexysi profumò con un profumo costosissimo che aveva comprato da unmercante d'oltre maredegno dei migliori profumi francesi. Era favolosa. Io eroinvece ero geloso e nervoso.

L'accompagnai alla porta di Ut e rimasi fuori ad aspettarlacome mio diritto e dovereseduto su una pancadi fronte alla porta dellacamera di Ut ed alle sue cinque guardie del corpo. La porta si aprì eSpiga-Mora entròsorridente.

Uscì tre ore dopoleggermente scarmigliatacon il visoarrossato ed una espressione indecifrabile. La riaccompagnai nella nostrastanza.

- C'è cascato. Mi ha già detto che probabilmente micomprerà a tese il prezzo è ragionevole. Ed io gli ho detto che lo saràsenza dubbio.

Nel frattempo parlando con le guardiee con i servi che ciportavano la cena e gli abiti pulitiero riuscito a sapere dove erano lecisterne del palazzo. Era abitudine in quel tipo di fortezze avere sempre dellecisterne autonomeo alimentate da una sorgente naturale o rifornitegiornalmente o settimanalmente di acqua. Era così anche per quella fortezza.

Quella notte riuscii a raggiungere i serbatoi d'acqua e adrogarli con il sangue-di-vena-nera diluito nel vino. Mi sembrava incredibileche la piccola quantità di veleno che vi avevo messo potesse avere un effettotanto potentema Spiga mi aveva detto che il veleno "mutava l'animadell'acqua"ne alterava evidentemente la struttura chimica. Era l'acqua infondo ad addormentarepiù che il veleno.

 

La sera successiva la scena si ripeté. L'accompagnai versola camera di Ut e già per strada vidi meno gente che affollava i corridoi; esoprattutto solo uomini. Le donne già dormivano tutte. Evidentemente ilsangue-di-vena-nera già aveva cominciato a fare il suo effetto. Davanti allacamera di Ut c'erano sempre cinque guardiema non erano quelle della seraprima. La cosa mi insospettì. Spiga-Mora entrò nella camera di Ut.

Io cominciai a parlare con le guardie. Erano appena arrivatein città da un servizio esterno ed avevano dato il cambio ai loro colleghidella sera primaperché erano in punizione e non avevano diritto alla"libera uscita". Quindiforse e probabilmentenon avevano bevutol'acqua del palazzo!

Rimasi a guardarli per un po' pensando se era o meno giustoucciderli quando fosse venuto il momento. Avevo ancora di questi scrupoli. SeSpiga voleva vendicarsi di un uomo che l'aveva violentata era evidentemente unfatto loroche non mi riguardava. Ma se questo coinvolgeva altre personebehnon ero proprio sicuro di cosa fosse giusto fare.

Il problema si risolse da solo. Dopo un'ora circadall'ingresso di Spiga nella stanza di Ut la porta si spalancò ed Utsanguinante da un taglio sul viso apparve ed urlò:

- Uccidete quella strega! Ed anche il suo protettore! - disseindicandomi.

Due degli uomini di guardia si rivolsero verso di meglialtri tre entrarono nella stanza.

Uccisi i primi due con l'Uzi silenziato che avevo portato conmedetti uno spintone ad Ut e lo spinsi dentro la stanzachiudendomi la portaalle spalle. Ut scivolò e batté la testa svenendo. Dei tre uominiuno era aterra con lo stiletto di spiga infilato nel collouno si rivolse verso di mementre il terzo stava cercando di uccidere Spiga.

L'armigero che avevo di fronte colpì l'Uzi con la suaalabarda e me lo fece saltare dalle mani. Io presi la sua arma e detti unostrattone verso di luicosa che non si aspettava e che lo squilibròall'indietro.

Cadde e gli fui addosso. Non cercai di essere leale e locolpii con un colpo secco alla golacon le nocche della mano destra. Fu uncolpo abbastanza casuale ed anche molto fortunato: gli ruppi il pomo d'Adamo conquell'unico colpo e mentre ansimava per respiraregli diedi il colpo di graziacon la sua stessa arma.

Spiga di Grano era riuscita a liberarsi a sua volta dell'uomoche l'aveva aggreditaficcandogli alla nuca il secondo stiletto che facevafinta di essere uno spillone nei suoi capelliricavandone solo una feritasuperficiale ad una spalla sinistra.

Dalla ferita il sangue colava sul suo seno e da lì finoall'anello infilato nel suo capezzologocciolando a terra.

Era scarmigliatanudaingioiellataferoce e bellissima.

- Sbrigati ed andiamocene - dissi secco ed arrabbiato percome si era evoluta la questione.

- No. Ogni cosa vuole il suo tempo.

Si diresse verso Utlo trascinò al letto e gli legò ipolsi al letto stesso. Poi gli sfilò i calzoni di seta che l'uomo ancoraindossava e gli allargò le gambe. Prese un coltello e si accinse a fare quelloche aveva promesso.

Stavo per fermarlaquando lei ci ripensò.

Andò ad una pancane prese una brocca d'oro con dentro delvino e lo gettò in faccia ad Ut per svegliarlo.

L'uomo aprì gli occhi e vide in che condizione era.

Alzò gli occhi al cielo e disse:

- Maledetta! È vero che non esiste furia peggiore di unadonna rifiutatama tu non sei solo una furiasei una furia pazza! Che tuttigli dei ti maledicano per la tua insana ferocia e la tua irresponsabilearroganza!

Che discorsi erano quelli? Che cosa voleva dire Ut?

- NoUtpazzo sei tupazzocattivo e feroce. Sei tu chehai mandato quegli uomini a violentare me mia madre e mia sorella e ad uccideretutta la mia famiglia!

- Non so di che stai parlandostrega! Ma tu non vuoi laveritàtu vuoi solo vendicarti del mio rifiuto! Sei una puttana assassinafolle e ingrata! Ma non chiederò pietànon illuderti! Guardie! - urlòinfine.

- Taciporco - disse lei; e lo zittì con un manrovescio.

- Cosa sta dicendoSpiga di Grano?

- Menzognema fra non molto non potrà più parlareavràla bocca piena dei suoi testicoli - ed avvicinò la mano alla parte appenanominatastringendo il suo stiletto nell'altra.

- Ferma! - e la colpii al fianco con il manico dell'alabardaallontanandola dall'uomo.

Cadde poco più in làfuriosa. Si rivoltò contro di memaormai avevo anche recuperato l'Uzi e glielo puntai contro. Si fermò.

- Protettoresalvami e ti coprirò d'oro! - disse Ut. - Latua puttana mi odia perché l'ho presama poi l'ho rifiutata. Venne da mequando ero comandante del forte sui montimesi e mesi orsono. Feci con il padreun regolare contratto; fin dall'inizio lei giacque con me secondo il contrattoma fin troppo volentieri; purtroppo si accese di amore per me. Ed io dopo pocovedendo che troppa era la sua passione per mevolendomi addirittura impedire diavere altre concubinela allontanai. Detti al padre una grossa somma e licacciai dal forte. Se sono stati raggiunti ed uccisi io non c'entro: non ordinainulla del genere! Perché dovevo?

- Menti! Tu mi hai voluta uccidere perché ti eri pentito diavermi allontanata! Pazzo ed ingrato! Ma ora pagherai tutto!

- Cosa c'è di vero in ciò che dice? - chiesi a Spiga diGrano.

- È vero che mi ha allontanato. Ma poi si è pentito ed hamandato i suoi uomini a riprendersi l'oroa violentarci tutte ed a riportare menel suo harem!

- T'ho cacciata da quell'haremper la tua gelosia!

- Menti. Io fuggii! E tu ordinasti di uccidermi!

- Tu sei pazza!

- E tu stai per morire! - e si gettò verso di lui.

Non potevo permetterlo.

Già non ero stato molto convinto fin dall'inizio del fattoche fosse giusto o meno uccidere Utma almenoprimapotevo capire ildesiderio di vendicarsi di un uomo feroce e potente che aveva sterminato la suafamiglia.

Ma qui la storia sembrava completamente diversa. Quell'uomonon era affatto arrogante e feroce come lei mi aveva raccontato. Avevo ancheraccolto voci nei corridoiin quei due giorni ed Ut aveva fama di governantesaggio e buononon del feroce tiranno che mi aveva descritto Spiga di Grano. Lesue concubine stravedevano per lui e c'era la fila delle volontarie davanti allasua camera da letto. Non era crudelené aridoné cattivo come pretendevalei.

Ed ora si difendeva negando completamente ogniresponsabilità in ciò che era accadutoe lo faceva proprio davanti alla suacarnefice ed a meil suo complice: non c'era una giuria da convincerema solouna verità da affermareed in faccia alla morte quasi certa.

Mi frapposi e la fermai. Lei ringhiò e soffiò come unagatta feroce. Nella colluttazione mi colpì allo stomaco con il suo stiletto.

Non ci avevo pensato. Non potevo credere che lei avrebbeseriamente tentato di uccidermi. Credo che questa fosse la prova migliore dellasua follia.

 

Per un attimo il colpo mi tolse il respiro. Il dolore erafortema soprattutto era forte in me la sensazione che fosse mortale. Era comese fosse iniziato un processo che già avevo conosciuto. Era l'inizio della miamorte. Della mia nuova morte. Lo riconoscevo.

 

Mi piegai in due rantolando. Spiga di Grano mi guardòallucinata per un attimopoi parve rinsavire.

- Ohmadre mia! Mostoamore mio!

Mi raccolse mentre mi piegavo a terra e mi sostenne dietro lespallesedendo vicino a me.

- AmoreMostoamore mioche ho fatto?

Ansimando risposi:

- Mi hai uccisoSpigamuoio...

- Ma tu non puoirivivraidimmi doveverrò da te!

- N-non lo soSpiga... io non... lo so...

- È colpa sua! Anche questa morte è colpa sua. Pagheràsubitovedraiaspetta a morire amore mioora faccio ciò che devo e tu lovedraipoi mi dirai dove rinascerai ed io ti cercheròpovero amore mio!

Mi lasciò andare delicatamente a terrapoi raccolse lostiletto e si voltò verso Ut.

- Pagherai anche questa mortemalvagio tiranno!

- Sei pazza! Guardie! - urlò Ut.

Mentre Spiga si avvicinava lentamente a Ut alle sue spallepuntando l'Uzidissi:

- Spiga non te lo posso permettere. Fermati o ti ucciderò.

Lei si voltò e guardò con una espressione sorpresa evagamente allucinata.

- Sei gelosoamore mio? Ohnon devisai? Lui non contanulla per me. Ora lo sistemo e poi ti aiuterò ad uscire...

Le sparai una raffica nella schiena quando il suo stilettoera a dieci centimetri dal corpo di Ut.

Cadde senza un lamento sul corpo dell'uomoscalfendololeggermente.

 

E rimanemmo lì per alcune ore. Io non ero in grado dimuovermiUt era legato. Alcune ore dopoguardie provenienti dall'esternoinsospettite dal silenzio nel palazzo e dalla gente addormentata ovunqueentrarono nella stanza di Ut e lo liberarono. Lui ordinò di non farmi del maleed io gli chiesi di seppellirmi vicino a Spiga di Grano.

Rimasi in un letto a dissanguarmi lentamente. I medici di Utcercarono di curarmi ma lo stiletto di Spiga di Grano era troppo tagliente e leitroppo brava. Mi aveva tagliato un'arteria di quelle grosse ed il sangue uscivacopioso.

Spiga di Grano era una delle donne più sensuali e belle cheio avessi mai incontrato. Ma per qualche motivo era impazzitaquando era statarifiutata da Ut. Lui mi giurò e mi spergiurò che quanto aveva detto nellastanza era tutto vero. Non aveva mai dato ordine di fare niente alla famiglia diSpiga di Grano. L'aveva amataanzie forse questo era stato il suo errore.Quando aveva scoperto quanto fosse gelosal'aveva allontanata: lui era giovaneed aveva già molte concubine. Ed altre ne avrebbe avute e volute in futuro. Nonintendeva rinunziare a tutte loro solo per l'amore di un'unica donna.

Evidentemente il capo delle guardie era stato tentato dallasomma che lui aveva regalato alla famiglia di leicome regalo d'addio e nellasperanza lei si calmasse. Quando aveva saputo dell'assalto al carro di Spiga diGranoaveva sperato che almeno lei fosse sopravvissutavisto che il suo corponon era stato trovato.

La sera precedente non l'aveva riconosciuta perché Spigaoltre al truccoaveva parlato con un forte accento del sud. E poi era rimastoattratto dal suo corpocosì profumato e dipinto.

Ma la sera successiva quando lei gli aveva rimproverato lesue supposte passate colpecon la sua voce normaleaveva capito e si eraspaventato. Ora era mortae forsesolo ora aveva finito di soffrire.

Io rimasi a sanguinare lentamente fino all'albacercando dinon pensare che stavo morendocercando di non pensare che forse sareirisuscitato di nuovoper correre di nuovo il rischio di morire.

L'idea di rinascere ad una nuova vita è molto bellama ilprezzo da pagare è quello di transitare attraverso la morte. E l'anima umananon è fatta per questo.

Il sole stava sorgendoquandoper la terza volta nella miavita coscientemorii.

 

 

 

Bulbo Verde

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rinvenni nella stessa stanza dove ero rivissuto due anniprima.

Era identica.

- Sei in grado di comprendere? - disse la voce del computer.

Mi alzai e mi guardai intorno e addosso.

Ero di nuovo nudosotto lo stesso identico lenzuolo e sullostesso letto di marmo delle altre due volte.

Tutto ugualeogni particolaresoprattutto la mancanza diqualunque particolare umano. Avrebbe potuto essere uno qualunque degli altri duerisveglipotevo benissimo aver solo sognato. Certoanche questo risvegliopoteva essere un sogno. Ero lìe questi erano i pensieri che mi siaccavallavano nella testa. A quanto pareva ero ancora profondamente e totalmentecoinvolto in quel folle gioco!

La rabbia galleggiò immediatamentecome la schiuma in unbicchiere di birra. Ma subito mi accorsi anche di quanto fosse inutilmenteinconsistenteproprio come la schiuma.

- Sei in grado di comprendere? - ripeté la voce.

- Sì. - dissi stancamentesenza rabbia.

- Sono in attesa richieste.

Mi passai la lingua sulle labbra. Tutto ricominciava daccapoa quanto pareva.

Era tutto come prima. Tutto. Ma forse... mi venne unabellissima idea. Esitai.

- Sono in attesa richieste - imperterrita riprese la voce.

Mi chiesi anche se sarebbe andata avanti all'infinitocon lostesso tonose mi fossi rifiutato di fare richieste di qualunque tipoper ledue settimane che mi spettavanoo se avrebbe reagito in qualche modo.

- Voglio che Spiga di Grano appaia qui vicino a me. - dissiveloce e con il cuore in tumulto.

- Richiesta non pertinente.

Niente da faredunque. Sarebbe stato troppo bello per esserevero. Spiga di Grano era veramente e definitivamente morta. Non potevo nonpensare che chi resuscitava me avrebbe potuto forse resuscitare anche lei. Anzisenza forse. Solo che non volevaevidentemente.

E questo a quanto pare sarebbe stato un prezzo costante dapagare finché ero "semi-immortale" a quel modo: l'impossibilità dinon sopravvivere a coloro che si ama e che muoiono; chiunque avessi amatosarebbe sempre stato più "mortale" di mealmeno più vulnerabile dime; hai una diversa visione della vitase sai che sei destinato a rinasceredopo la morte. Ma quanto sarebbe poi durato tutto ciò? Quante volte potevorinascere?

Comunque un motivo di più per smettere se possibile. Capiianche che l'unico modo per saperlol'unica cosa da fare per poter smettere quelgioco era continuare a giocare...

 

Mi misi l'anima in pace molto rapidamente. Non ci potevo farenullapotevo solo subire tutta la situazione. Ma quel luogo a questo punto misembrava orribilmente alieno.

Avevo quasi finito con il dimenticarlocon il non pensarcipiùdi lì a poco avrei pensato anche di averlo sognato e di essere nato ecresciuto su quel pianeta.

Ed ora che mi si era riproposto tale e qualemi spaventava.Meglio uscirne rapidamente. Così non persi tempo. E cominciai a chiedere.

 

Mi ricreai una casa intornocon camera da letto e studiobagnocucinasalottofinte finestre che dessero su un panorama gradevolediforeste e montagne del pianeta: fossero o meno reali e "dal vivo" nonlo sapevo e non aveva in fondo importanza.

Ordinai cibi che non mangiavo da due annicome la pastailvino novellola cioccolata!

Chiesi di nuovo bacheca e computer e mi organizzai di nuovocon il sistema degli schemi a parte e con pezzi di carta in cui elencavo oggettie provviste e miglioramenti alla lista precedente.

Dovetti ricominciare da capo praticamentecercando diricordare cosa mi era stato più utile o del tutto superfluoe cambiando dinuovo il mio atteggiamentodato che negli ultimi mesi con Spiga di Grano mi erocalato a fondo nella vita e nella mentalità reale del pianetaquindi nonpensando più al mondo da cui provenivo ed alla sua tecnologiache anzi cercavodi dimenticare.

Chiesi tanto per provare un vocabolario aggiornato dellalingua di Spigail "verbaiz"esorpresa-sorpresail computer me lofornì. Il che mi fece venire in mente che forseormaiil computer potevafornirmi i dettagli di ciò che già conoscevo almeno in parte.

E chiesi quindi delle carte geografiche della montagna in cuiavevo la casa e del tragitto che avevo seguito fino alla città sul maree leebbi.

Ma erano limitate per circa 10km ai lati della strada cheavevo percorso. Per il restoevidentemente me la dovevo cavare da solo. Non mifornì altre mappe che non fossero quelle dei luoghi in cui ero stato.

Precisai meglio le armichiesi più caricatori per l'Uziemolto Apilexun esplosivo molto potente. Chiesi altre sostanze chimichespecifichefarmacivelenidroghemolte sementi in più.

Maalla finemi accorsi che più o meno avevo le stessecose dell'altra voltamuli compresi. Chiesi in più un cavalloun purosanguearabo. In parte perché era un simbolo di potere e di ricchezzain parteperché obiettivamente cavalcare un cavallo è una cosa diversa che cavalcare unmulo. Sulla terra montavonon spessoma montavo.

Avevo fretta di uscire da lì. Come Dio volle il tempopassò.

 

Mi ritrovai come le altre voltesenza nessuna sensazione dicontinuità in una raduraquesta volta molto più ampiacircondata da alberiraggruppati in più boschetticome fossi in mezzo ad una prateria con moltialberi piccoli e stentatima non una vera e propria foresta.

Sembrava una zona del pianeta diversafatta di savane e dipianure più che di colline boscose o di montagne; in una zona più arida elontana dal marealmeno come primissima impressione.

Sistemai subito un doppio anello di mine antiuomo in unraggio di 300 e di 100 metri intorno a mepiazzai una MG carica su un grossotreppiede e non pensai più ad eventuali nemici.

Con una piccola escavatrice che avevo chiesto al computercominciai a scavare un'altra fossa per una "cache" dove nascondere lamaggior parte delle mie merci: almeno questa fatica me la evitaistavolta; alavoro finito portai l'escavatrice in una piccola forra e la lasciai lì.

Misi due giorni a fare tutto il lavoro. Poi smontai i dueanelli di mine e caricai cavallo e muli di ciò che mi serviva. Lasciai liberi imuli in piùrespirai a fondostrinsi le redini del cavallo con la destra el'Uzi con la sinistra e detti leggermente di sperone.

 

Per dieci giorni vagai nella zonabrulla e con pocavegetazionesenza incontrare traccia di umani e nemmeno di selvaggina. Cercavodi non pensare a Spiga di Granoalla stanza del risveglioa chi c'era dietro.Se ci pensavo impazzivo di paura e di rabbia. Se riuscivo a non pensarci potevopensare meglio alla sopravvivenza ed al fascino della situazione che nella qualeero coinvoltofascino che comunque non mancava.

Avevo un vago programma di sopravvivenza a base di cacciaedi esplorazioni nei dintorni; ma a parte gli uccelligrossa selvaggina non sen'era vista; né si vedevano umani.

L'undicesimo giornoad un'ora circa dall'albaalzandomi inpiedi sulla sella riuscii a scorgere in lontananza una luceche poteva esserequella di un fuoco.

Lasciai i muli tutti fermi intorno ad un piolo cui legai lerediniall'interno di un rado boschetto di grossi cespuglie mi diressi versole lucicamminando e tirandomi dietro il cavallo con le briglie.

Con il binocolo a visione notturna riuscii a distingueremolto da lontano alcune figure in movimento ed avvicinatomi ancora di piùdistinsi una carovana che stava spegnendo i fuochi notturni e che si apprestavaa partire.

Sembravano commerciantima erano accompagnati da guardiearmate di armi bianche e di alcuni fucili che ad occhio sembravano adavancaricaa canna molto lungasimili a quelli arabi del XVI e XVII secolo.

Ma non vedevo sugli affusti il tipico ingranaggio con il canee la pietra focaiaquindi dovevano essere di una tecnologia diversa da quelladella polvere da sparo o comunque più evoluti delle armi cui somigliavano.

Ma fui emozionato e colpito a quella vistaperché sitrattava comunque di armi "da fuoco"che emettevano evidentementeproiettili sulla base di una qualche propulsione chimicae che nelle mieprecedenti vite sul pianeta non avevo visto; ma che indicavano come sul pianetaci fossero diverse forme di civiltàanche molto nettamente separate fra diloro.

Forse ne esisteva una tecnologicamente evoluta come quellaterrestre?

Mi chiesi d'improvviso anche se il pianeta fosse lo stesso ose fosse lo stesso il tempol'epoca storica. Non ci avevo pensato prima!Chiunque fosse dietro al giocodato che ogni volta mi faceva apparire in unposto diversopoteva benissimo farmi apparire in un "momento"diverso. Non era necessario padroneggiare eventuali "viaggi neltempo". Fra un risveglio e l'altro per quello che ne sapevo io potevanopassare anche secoli! E che ne sapevo io che il pianeta fosse sempre lo stesso?

A questa domanda risposi di sìquando intravidi le duelunecalanti sull'orizzontema dalla parte opposta a quelle in cui me leaspettavo. Nei dieci giorni precedenti non le avevo notate perché non mi eroposto quella domanda. E poi avevano un tipo di orbita che le faceva anchescomparire contemporaneamentequando entravano nel cono d'ombra del pianeta. Laposizione diversa rispetto all'orizzonte però probabilmente stava a significareche avevo cambiato emisfero del pianeta questa volta.

All'altra domanda dovevo rispondere in un altro momento. Delresto non avevo ancora avuto modo di sapere quale era il modo di determinare iltempo in quel pianeta. In che anno eravamo secondo quale civiltàpoi?

 

L'aspetto d'insieme della carovana era quello composito ditutte le carovane: gente che proveniva da tutte le parti del pianetaevidentementeanche se le guardie erano tutte dello stesso "ceppo"culturaledi aspetto vagamente mongoli ed evidentemente ottimi cavalieri.

Fra i mercanti ne riconobbi due che portavano abiti che avevogià conosciutoin quella cheevidentementeera solo un'altra zona dellostesso pianetacon una civiltà diversae non un altro tempo o un tempo nonmolto diverso. Decisi di seguire la carovana per cercare di capire cosa miconveniva fare e fu al terzo giornoanzi nel corso della terza notteche miaccorsi che stavano per essere attaccati.

Caso volle che gli attaccanti mi passassero vicino senzaaccorgersi di mementre io mi accorsi di loro. Non sapendo che farenon fecinulla.

Gli attaccantiappiedativestiti di pelli ed armati diarchi e balestre sembravano indiani delle prateriesolo dai tratti piùmarcatamente negroidie più scuri di carnagione; e diversamente dagli indianierano dipinti con colori mimetici e non con i rossi ed i gialli degli indianidelle pianure; ed indossavano abiti anch'essi a colori mimeticia predominanzadi verde e di marrone.

Sembravano un incrocio fra i Sioux delle prateriedell'ottocentogli Zulu dello stesso periodo ed i soldati con gli abitimimetici del XX secolo.

Sebbene le loro armi fossero evidentemente inferiori a quelledelle guardie della carovana(solo archi e lance e niente armi "dafuoco") erano però bene organizzati e soprattutto tantissimi. Avevovalutato le guardie armate della carovana in 50 circama gli attaccanti sarannostati dieci volte quel numero.

Pensai subito che dovevo decidere ora da che parte stare: dilì a poco si sarebbe scatenato un bordello spaventoso e probabilmente non avreifatto nemmeno in tempo a scappare. Decisi cheper il mio carattereilcommercio era preferibile alla mitologia guerresca e decisi di tenere per lacarovana.

In preda alla calma dell'incoscienza e dell'esasperazionesalii sul cavallocui non avevo tolto le brigliepresi le bombe detonanti eluminose che avevo nelle bisacce e me le appesi a certi ganci della giacca cheavevo previsto appostain modo tale che tirandone una con una mano sola sisarebbe automaticamente disinnestata la sicura: con un unico gesto potevostrapparla e lanciarla già armata; impugnai l'Uzi e caricai il lanciagranateportatilepoggiandolo di traverso sulla sellafermandolo con un laccio; ed insilenzio mi avviaial trotto leggeroverso la carovana.

A cento metri dalle sentinelle una banda di guerrieri mividema non fecero in tempo a fare nulla. Mi misi le briglia fra i dentispronailanciai contemporaneamente verso di loro una delle granate detonanti eluminosee cominciai a galoppare lungo il fronte della carovana lanciando lealtreurlando e continuando a lanciare granate.

Le esplosioni erano assordanti ed accecanti!

Mi ero ricordato di quel tipo di granateusate dagli agentiantiterrorismo della mia epoca: il loro scopo era spaventareassordare edaccecare i terroristi che tenevano in ostaggio qualcuno in un ambiente chiusoenon quello di ferire; una di quelle granate ti poteva esplodere fra i piedi e almassimo avresti avuto una lesione al timpanoma probabilmente saresti statoaccecato e rintronato per molti minuti.

Feci cinquecento metri prima che il mio cavallocolpitocadesse sotto di me facendomi ruzzolare.

Riuscii a non farmi male e prima ancora di rendermene contostavo lottando con il guerriero che mi aveva colpito il cavallo. Riuscii adallontanarlo da me poi imbracciai l'Uzi che avevo ancora a tracolla e feci fuocosu di lui.

E dopo di lui su altri tre che mi correvano incontro urlandoe brandendo asce e lance.

Raccolsi il lancia-granate e corsi verso le sentinelle dellacarovanai cui occupanti si erano svegliati e stavano contrattaccando.

Sìerano fucili ad avancaricama non mi ero reso conto dicosa e come sparassero: colpi singoli ma di cariche a mitragliae di qualcosache quando toccava una qualunque superficiesembravaesplodeva; seppi dopo chesi trattava di semi di "aza" una pianta del pianeta: quando la scorzadel seme si rompeva per l'impatto contro un corpo vivente e l'interno del semeentrava a contatto con un qualunque liquido (ad esempio il sangue) provocava unaesplosione ed una dispersione delle spore al suo internoche si comportavanoquasi allo stesso modo; in altre parole una ferita anche di striscio conquell'arma era sempre mortale per un essere umano: si veniva letteralmentespappolati; scoprii che per ogni guardia c'erano tre o quattro serventi chericaricavanoperché le armi erano in effetti dei veri e propri fucili adavancarica. La carica esplosiva era data da un seme coperto da una pellicola edimmerso in una piccola quantità d'acqua: premendo il grilletto uno spillobucava la pellicolal'acqua faceva agire il seme che esplodendo ne espellevadiversi ad altissima velocità. Non era molto preciso oltre i cinquanta metrima entro quella distanza era molto ma molto peggio di una scarica di pallettoni.Cinquanta di quelle guardie con quei fucili erano abbastanza a fermare anche unnumero maggiore di attaccantipurché non fossero state colte di sorpresa. Ed aquesto ci avevo pensato io.

Mi misi fra loro con il mio lanciagranate e li aiutai arespingere l'assalto. Nell'insiemegrazie al mio tempestivo interventofu uncombattimento a distanzatranne qualche punto in cui ci furono dei corpo acorpoalla luce dei falò e del sole che ormai si stava alzando.

Alla fine di tutto il capo carovana si avvicinò al gruppo diguardie in mezzo al quale avevo combattuto e disse qualcosa che non capii ad unadelle guardie. Poi si rivolse a me e di nuovo non lo capii.

Glielo dissi nella lingua che mi aveva insegnato Spiga diGranoil "verbaiz".

- Ahlo straniero parla la "comune" - disserispondendomi nella stessa lingua che avevo usato io - ...behpare che tu ciabbia evitato dei fastidi... come ti chiami?

Gli dissi che mi chiamavo Mosto.

- ...ah ...ed è il tuo nome pubblico?

Risposi che non capivoe cominciammo così una lungachiacchierata sui rispettivi usi e costumiproseguendola davanti ad una tazzadi tè.

 

I guerrieri della sua tribù usavano più nomiper lediverse situazioni: di massima ottoquattro per il privato e quattro per ilpubblico; più altrivariabili nel numero a piacerepiù o meno segreti.

Finché fossi stato nella carovanase volevo avere un minimodi vita socialenon potevo permettermene meno di cinquemi disseanche se erouno straniero.

Però non ero tenuto a dirli tuttisolo i tre fondamentali:il nome pubblico con cui tutti mi potevano chiamare e parlare di mequelloprivato formaleda usare nei rapporti interpersonali e quello amichevole dariservare a pochi intimi.

La notte successivanel corso della tappa parlammo a lungoandando avanti fino all'albaseduti in circolo e bevendo oltre all'ottimo tèche apprezzai moltoanche una specie di grappa. Ero stato evidentementeaccettatoin quanto guerriero (erano una tribù di rinomati ed efficientissimimercenari) ed in quanto persona cui erano debitori.

Per i Tao-tao-C'hingquesto era il loro nomei miei nomifurono da allora in poi: Bomba-Bombacome nome pubblicoFido Uzi come nomeprivato formale e Tè Caldocome nome amicale.

Il capo mi suggerì di considerare Mosto il mio nome segretoe di dirlo solo in rari casi ed agli amici più cari o per le situazioni piùdelicateinerenti ai miei segreti. E mi suggerì di inventarmi un altro nomesegreto a scopi sentimental-sessualiche ovviamente dovevo rivelare solo allemie amanti.

Con i Tao-tao-C'hingdopo aver recuperato i miei muliraggiunsi due settimane dopo la città di Bulbo Verdela Città deiFloricultori.

Era una città nella quale si coltivavano oltre 4000 speciedi piantetutte di una qualche utilità per una qualche arte umanadallapittura all'omicidiodalla tessitura alla divinazione. I prodotti di BulboVerde andavano ovunque. Poteva essere una buona base nella quale stabilirmi percominciare a fare ricerche sul pianeta.

Barrito Bluquesto era il nome privato del capo della scortadei Tao-tao-C'hingaveva deciso che mi era debitore e che mi avrebbe ospitatolui per la durata della sua permanenza a Bulbo Verdecirca un mese.

Ed io mi guardai intorno per cercare di capire cosa potevofare in quel pianeta ed in quella nuova vita.

La città era veramente strana. Abitata da circa 40.000animedi tutte le razze del pianetaaveva non meno di 4000 serre e oltre 6000appezzamenti di terreno nei quali venivano coltivate le piante più incredibili.Della sola "aza"la pianta dai semi esplosiviesistevano oltre 40varietà: da quella con i semi microscopiciche davano origine a piccolepistole lancia-aghitascabili e letali solo a distanza ravvicinataa quellepiù grandiper la caccia grossacon semi della dimensione di una noce dicocco. Mi dissero che servivano per la caccia a certi animali del sudspecie dilucertole lunghe 40 metri!

Per non parlare delle droghe. Riconobbi una pianta similealla marijuanae dei funghi cheda quello che mi dicevanofacevano sembrareil peyote un omogeneizzato da bambini; le variazioni sul tema delle droghevegetali erano infinite.

Barrito blu mi offrì di restare con luicome guardia; ma laguerra non faceva per meanche se lui non ci voleva credere.

- Tè Caldoamico miotu sei un assassino nato lasciatelodiresbagli a non venire con noi!

- Ti ringrazioPicchio Blu - questo era il suo nome amicaleovviamente - ma proprio non me la sentoanche perchévediio... sono nuovodi qui...

Lui capì "della zona" e stava per risponderequando io mi spiegai meglio. Gli raccontai la mia storiaquella veradellastanza biancadelle resurrezioni e tutto. Non so perché lo fecitutto d'unfiato. Sentivoconfusamente che forse mi poteva aiutare.

Si irrigidì. Si guardò intornosi alzò per controllare seci fosse qualcuno alla portatornò indietro mi sedette vicino e prese aparlare a bassa voce al mio orecchio. Mi disse che aveva sospettato che fossi un"Immortale"ma che stessi attento con chi parlavo di queste cose.

Questo naturalmente mi eccitò oltre ogni limite! Anche daquelle parti c'erano altri come medunque e c'era qualcuno che ne sapevaqualcosa!

Barrito Blu parlò a lungo quella notte. Mi disse che nellamaggior parte delle Pianure sarei stato messo alla tortura appena scoperto:questo era il destino che i Popoli riservavano agli Immortalinon l'avevoancora scoperto?

Dato che tutti sapevano che era inutile ammazzarciperchéritornavamo a nuova vitaper invidia dichiarata (o per obbedire ai vari dei edai loro sacerdoti) venivamo torturati e tenuti in vita sotto tortura finché nonimpazzivamo completamenteil che poteva richiedere per i più robusti anche unpaio d'anni.

Lui non era superstizioso ma tutti dicevano che gli Immortaliportavano sfortuna e dove arrivavano loro scoppiavano sempre dei problemi. E chemolti popoli credevano che noi fossimo angeli-demoni mandati a controllare cosafacevano gli umaniper conto degli Dei Nascostiche erano probabilmente glidei più potenti ma di cui nessuno sembrava sapere molto. Luiperòera uomodi mondoche aveva molto viaggiato e che conosceva troppe lingue e troppe gentiper non sapere che chi era dio in un luogo era spesso demone in un altro.

Stessi comunque moltoma molto attento a non farlo saperemai a nessuno che ero un Immortale: avrei potuto pentirmene per molte delle mievite. Gli chiesi tutto quello che sapeva e che mi poteva dire sulla miacondizione. E lui purtroppo non fu abbastanza esauriente. Ma comunque mi disseuna enorme quantità di altre cose.

 

Nessuno sapeva chi fossimo o da dove venissimo. Ognuno di noiraccontava storie diverse e tutte assurdema chiaramente venivamo da altrimondida altre vitecomunque da un qualche "altroquando" fuori daquesto mondo. Quelli come mearrivati da pocoimparavano rapidamente. Non soloeravamo Immortali nel senso chemortitornavamo immediatamente a nuova vita inun nuovo corpo in un'altro luogoa volte distante dal luogo in cui il primo eramortoma a volte vicinissimo; ma eravamo anche resistenti a qualunque malattiaa molti velenia tutte le maledizioni; le nostre ferite guarivano rapidamenteed il fatto di avere sempre nuovi corpi a disposizione garantiva una eternagiovinezza; con l'esperienza di molte vitesi favoleggiava in certe contradedel pianetafinivamo con il diventare potentiricchie maniaci del potere.

Sembrava che potessimo invecchiare molto più lentamentedegli altri esseri umani e conseguentemente vivere fino a diventare vecchisìma molto molto a lungonessuno sapeva quanto. Si diceva ce ne fossero moltiattaccati alla vita ed ormai paurosi della Rigenerazione; e potenti e cattiviquanto erano vecchi. C'era chi diceva che esistesse una Gilda Segreta degliImmortalie di tanto in tanto qualcuno veniva messo al rogo qua e là in giroper il Pianetaaccusato di farne parte. Lui non credeva che fosse vero: sefosse stato verouna Gilda così avrebbe potuto prendere il potere in ognicittà.

Chiesi quanti fossero gli Immortalia quel che ne sapevalui. Rispose che nessuno lo sapeva con esattezza: ogni anno ne venivano messi amorte moltissimia migliaia forsema molto probabilmente non tutti lo eranoanzipochi e quasi tutti "nuovi" come meche non avevano ancoraimparato a nascondersi. Anche l'immortale più scemo alla sua terza o quartamorte imparava a nascondersi al meglio. Per noi era proprio il caso di dire:t'ammazzocosì impari! Ma chi ci aveva creato? Chi ci rimetteva ogni volta almondo? Chi c'era dietro quella stanza in cui rivivevo? Lui mi disse di nonsaperlo. Non volle sapere niente delle mie esperienze con "lamacchina"e mi fermò subito quando cominciai ad accennare ai mieirisveglisostenendo che anche se non era superstiziosociò che non sapeva nongli poteva fare male.

Mi disseche in una terra lontanauna volta aveva sentitouna leggenda che parlava di noicome di angeli caduti perché avevamo volutosfidare l'ira degli Dei Nascostie che c'era in atto una guerra fra noi e gliangeli rimasti al fianco di dioo degli deiche fossero. Noii demonilottavamo contro di angeliche erano invisibili e gli dei parteggiavano ora perloro ora per noi. Eravamo pedine di un gioco plurimillenarioin cui gli altriesseri umani del pianeta erano solo il contorno e forse i nostri discendenti. Midisse anche di aver sentito questa leggenda altre voltealtrovein molte altreversioni e che l'unico punto in comunesempreera che noi eravamo coinvolti inun gioco. Come fossimo solo pedineappuntoe ci fosse qualcuno che ci muovevaa volte gli uni contro gli altria volte contro questo o quel re del pianeta.

 

Parlammo a lungoquella notte e ciò che mi disse fudoloroso: venivo infatti ricalato in una esperienza esistenzialecomplessafolle sìma con una sua logica internasequenziale alla mia vita ed alla miaprima mortequella avvenuta all'ospedale vicino a casa mia.

Da qualche parte nell'universoin un momento del miopassatoper chissà quale motivoqualcuno mi aveva coinvolto in questa storia.

Se nella mia casa nei boschi avevo tentato di dimenticaretuttoe forse ci sarei anche riuscitoper lo meno fino a che non fossi mortoora tutto tornava dolorosamente a galla; il mio destinola mia dignità elibertà di essere umano erano messe in discussione da quell'essere un burattinonelle mani di una specie di semidio (o di semidei) potente come mai nessunessere umano e nessun dio partorito da mente umana era mai stato nella realtà.

Era dolorosoma al tempo stesso stimolante. Non credevo piùdi essere vittima di un incubo partorito dalla mia mentecome spesso avevopensatoma vittima di un gioco partorito dalla sadica volontà di qualcuno. Direaledi esistente.

Poco prima di partire Barrito Blu mi disse chesapendo cheero un Immortaleera contento che avessi scelto di non accompagnarloma che miaugurava tanta fortuna.

 

Quando Barrito Blu fu partitomi sentii veramente solo. Erastato il mio primo amico in quella nuova vitaed avevo scoperto con lui chedifficilmente avrei potuto averne tantiper quanto a lungo potessi ancoravivere in quella o in tutte le altre vite.

Dovevo imparare di più sugli Immortali e scoprire se laGilda esisteva o meno. E per riuscirci dovevo prima di tutto inserirmi. Per farequesto dovevo trovare un lavorouna ragion d'essereun qualche "ubiconsistam"su quel pianeta pazzo ed affascinantee possibilmentearricchire.

Mi guardai intorno a lungo a Bulbo Verde. La città erariccagrazie ai suoi commercie governata da un Consoleeletto da 300 annidalle Gilde dei Mercanti e dei Proprietari delle Serree restava in carica perun anno.

Gli eletti erano sempre e solo gli appartenenti alla Gildadei Vetraiche fornivano vetri (di cui solo loro conoscevano i segreti) didiversi tipi per le serre a tuttie gli elettori erano solo i più ricchi fra iMercanti ed i Proprietari delle serre.

In pratica una repubblica oligarchica capitalisticacheperil livello locale del pianeta era già un buon livello di democraziatuttosommato.

Tutto funzionava: commercicoltivazionidifesatutto erapoggiato su un equilibrio di poteri e di interessi che arrivava a garantire alpopolofatto in maggioranza di emigranti di prima e seconda generazioneundiscreto benessere.

 

Decisi di fare il medico. Avevo portato con me non solo unanotevole scelta ed una notevole quantità di sostanze chimichedi droghe e difarmaci; ma anche molti libricondensati sotto forma di dischetti ultra densiper computer e due computer portatili per leggerli.

Nei libri si parlava non solo dei farmaci ma anche delletecniche per riprodurliper lo meno per riprodurre quei dieciquindici tipi difarmaci fondamentali della farmacopea del XX secolo da cui poi derivavanomigliaia di specialità.

Il computerche aveva bisogno di poca corrente elettrica abasso voltaggioera alimentato da celle solari e quindi non si sarebbe maiesaurito. Se si rompeva c'era il secondose si rompeva anche il secondobehpotevo buttare tutto. Ma intanto qualcosa avrei potuto comunque fare.

Uscii dalla città e mi inoltrai nel deserto. Tornai allaradura da cui ero partitoestrassi dalla "cache" ciò che mi servivariutilizzando l'escavatrice sia per aprire che per ricoprire il bucoe miorganizzai per tornare indietro.

Mi truccaicambiando il colore ai capellinel modo piùdrastico: rasandoli a zerocome usavano fare i saggi ed i medici in quell'area;cambiai il colore della pellescurendomela con una crema specialestabilechepoteva essere neutralizzata da un'altracambiai abiti e rientrai in cittàfingendo di essere Aarghiontemedico esperto e grande guaritore di Utmamorunaterra così lontana che non era strano che nessuno ne avesse sentito maiparlare.

Presi alloggio in una locanda e cominciai piano piano a farmiuna clientelacurando dapprima gratis i poveripoi a basso prezzo un po'tuttipoi diversificando prezzi e prestazioni in tre studi diversi dellacittà.

Per evitare di urtare troppe suscettibilità feci in modo dicontattare umilmente i vari medici della cittàdonando loro piccole quantitàdelle mie medicine e delle mie drogheinstaurando rapporti di "buonvicinato" per così direriuscendo con l'oro che avevo con melà dovenon riusciva la diplomazia.

Dopo un po' di tempo fui accettato nella Gilda dei Medici ecercai di far di tutto per raccogliere informazioni sugli Immortalisempresenza pareresempre frequentando soprattutto mercanti di passaggiogente chenon aveva e non avrebbe avuto amici e conoscenti nella città.

Bulbo verde e la mia funzione di medico erano l'ideale daquesto punto di vista: per la città transitavano ogni anno migliaia di mercatiprovenienti da tutte le zone del pianeta; e quasi semprequando arrivavano incittà fra loro c'erano persone ammalate o ferite e bisognose di cure.

Io cercavo in tutti i modi di entrare in confidenza con icapi delle carovane per sapere da loro tutto ciò che potevo non solo sugliImmortalidel restoma anche sugli altri popoli e civiltà del pianetaperfarmene un'idea sempre più precisa e sempre cercando di capire se da qualcheparte esisteva una civiltà tecnologicamente evoluta.

Mi formai anche un'idea più precisa di come fosse fatto ilpianeta. Soprattutto sembrava enorme. I geografi di molti luoghi e di molteciviltà locali erano molto progrediti: non solo sapevano benissimo che il Mondo(ovviamente questo era il nome del pianeta nelle varie lingue) era tondoma neconoscevano anche il diametro all'altezza dell'equatore: oltre 80.000chilometriossia più del doppio di quello della Terra.

Il che significava che quel pianeta (che oltretutto sembravaavesse un rapporto fra terre emerse ed oceani più favorevole alle primerispetto alla Terra) aveva una superficie abitabile dalle sei alle otto voltequella della Terra! Quanti abitanti potesse avere non ne avevo idee; nessuno cel'aveva. Ma di certo poteva ospitare tranquillamente una popolazione dieci voltequella della Terra.

Dai mercanti non seppi sugli Immortali molto di più di ciòche mi aveva detto Barrito Bludato che evidentemente l'argomento eraconsiderato o una leggenda o un argomento pericoloso e da evitare.

Raccolsi una massa enorme di leggende evidentementeimprobabilianche a voler considerare degli elementi in comune. Una di questediceva che noi Immortali eravamo tutti figli di un demone re dei demoni chiamato"Belzebobbo" e che eravamo stati cacciati da un giardino meravigliosoper aver voluto mangiare un frutto proibito! E molte altre erano quelle chefacevano riferimento a questa o quella leggenda o religione terrestre.

In realtàa parte pochi dati di fattoi mortali delpianeta non sembrava sapessero quasi niente sugli Immortali. Nessuna delleleggende che trovaiad esempio parlava di quella famosa "stanzad'ospedale" in cui mi ero svegliato tre volte. Il che voleva dire o che ciero passato io e pochi altrio che tutti gli Immortali tendevano a nonraccontare i fatti loro. Ed un motivoin tal casoci doveva essere.

 

Rimasi tranquillo a Bulbo Verde per oltre tre anni. Mi eroorganizzato benino: un bel palazzomolti servi e molti assistentidiverseconcubine.

Ero ricco e discretamente potente e avrei potuto andareavanti per molto tempo ancora; ma commisi un errore che mandò tutto all'aria.Mi feci notare troppoquando iniziai ad insegnare ciò che sapevo di medicina.

Fondai una vera e propria universitàuna scuola medicaecon l'aiuto dei testidelle droghe e dei farmaci che avevo con me (in quantitàlimitatacertoma pur sempre sufficiente) iniziai a formare sia dei medici siadei biologi e dei chimici.

C'era voluto del tempoma avevo insegnato a dei traduttorila mia lingua e li avevo messi a tradurre ed a copiare in lingua"comune" tutti i testi dei miei computer (preventivamente stampati conuna stampante anch'essa alimentata a celle solari) per avere dei testi su cuiinsegnare e da lasciare a futura memoria per gli abitanti del pianeta. Da quellascuola sarebbero nati chimicibiologi e medici che sarebbero stati in gradoalmeno di produrre da soli antibiotici ed anesteticioltre a nuove regole dimedicina.

Urtai inevitabilmentecon la mia scuolaquellesuscettibilità che non avevo urtato come medico. Molti medici cominciarono aparlar male di me; e più guarivopiù insegnavopiù la cultura medica chevolevo diffondere si diffondevapiù loro mi calunniavano e suggerivano che seottenevo tante guarigioni era evidente che ero uno stregone di qualche genere.

 

Ero diventato così potente che fui avvelenato. Credo che adavvelenarmi sia stato qualcuno della mia stessa scuolaper invidia: forse ungiovane studente inviato da un medico della città come infiltrato. In realtàmi aspettavo prima o poi qualcosa del genere. Solo avevo paura di essere messoin mezzo come Immortale più che come pura e semplice vittima di una"Congiura di Palazzo". Ero a cena con dei Mercanti. Nel dolce che fuservito ci doveva essere veleno a sufficienza per sterminare un plotone dielefanti: due degli ospiti morirono appena messa in bocca la forchettadopo cheio ne avevo mangiato già tre bocconi. I crampi presero anche mee durarono dueore. Scoprii in quell'occasione che essere Immortale dà una certa resistenza ivelenioltre che alle malattiema vi assicuro che morire è sempre morire. Unabrutta esperienza che ripetevo per la terza volta.

Non mi ci ero ancora abituato e mi convinsi definitivamentein quella occasione che non mi ci sarei abituato mai. Anzi: è molto peggioveder arrivare la morte la terza volta.

La prima volta può essere liberatorioindifferentequasigioiosoio credoquando arriva dopo una vita spesa bene e senza troppirimpianti.

Non c'è dubbio che se si mette un po' di attenzione si sache si sta morendo. Nessuno è mai tornato per confermare quello che vi stodicendoma credetemiè proprio così: chi sta per morirese vuolelo sa.

E quando lo sai per la seconda o terza volta non è piùleggeroanche se sai che ti reincarneraicome avrei dovuto saperlo io.

Ma io non lo sapevomeglio ancorail mio corpo non cicredeva che sarebbe rivissuto.

Quindicredetemipiù volte si muorepeggio è.

 

 

 

 

La scoperta delle Regole

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel corso delle due ore in cui mi contorsi per i doloridell'avvelenamentonon pensai mai che stavo per morire e per rivivere.

Il dolore permeava ogni neurone del mio cervello e non c'eraposto per altro.

Quando mi svegliai di nuovoper la quarta voltanellostesso letto e nella stessa stanzafu come passare da un sogno alla realtà;anzicome risvegliarsi da un incubo doloroso.

Dopo alcuni secondi la voce del computer disse:

- Sei in grado di comprendere?

Lì per lì mi venne voglia di urlare un qualche insultopoisenza sapere perché mi venne voglia di ridere.

Cosa che cominciai a faresenza potermi interrompere peralcuni minuti.

Quando alla fine smisila vocedi nuovoimperterritadisse:

- Sei in grado di comprendere?

 

Risposi e ricominciò tutto da capo.

Stavolta però volevo che la situazione fosse diversache sievolvesse in modo nuovo. Dato che tutto ciò che avevo tentato le prime trevolte non era servitoper evitare ulteriori sconfitte dovevo sfruttare la miapermanenza in quel luogo al massimocome non avevo fatto prima.

Decisi che non volevo cominciare sotto stresscome era statotutte le volte precedenti. Sospinto dalla pauradalla tensionedall'ansiadalle incertezze non ero stato lucido nelle mie richieste ed ogni volta avevocommesso degli errori.

Oltretutto l'obiettivo principale non era sopravvivereormaima riuscire a capire con esattezza in quale gioco ero e come uscirnemaanche se uscirne era possibile o meno e soprattutto se ne valeva la pena.

E se dovevo restare sul pianeta come restarvi il più a lungopossibile ed il più difeso possibile.

Ci dovevo pensare su.

Quindi decisiprima di tuttodi rilassarmi.

 

Chiesi una tavola imbandita con una serie di piatti che amavomoltoe cheappuntopotevo avere solo lì (la cioccolata ad esempio che sulpianeta non c'era e che avevo appena cominciato a far attecchire io a BulboVerde con i semi che mi ero portato appresso; ma che prima di arrivare ad unaSacher Torte o a dei gianduiottiehce ne sarebbe voluto di tempo!) una docciaa getto molto forteun accappatoio di morbidissima spugna.

Cominciai a rilassarmi proprio sotto la docciache fucaldissima e lunga.

Poi pranzai (o cenai? Chissà...).

Chiesi un sonnifero potentelo presi e mi addormentai dopopochissimo tempoin un materasso morbidissimocoperto di lenzuola di linopulite e profumate e cullato da una musica dolce e lentaipnoticaun brano diMahler che amavo tanto.

Dormii così di un sogno ristoratorelungo e senza sogni.

Per due giorni mi dedicai intenzionalmente alla creazionedella "sensazione di non aver fretta".

Qualunque cosa fosse accaduta ormai sapevo bene che sareiuscito di lì entro quindici giorni dal mio arrivoche se fossi morto sareitornato lì e che se non fossi tornato lìforse sarebbe anche stato meglio.

Quindi era inutile preoccuparmi di nulla.

Alla fine del terzo giorno di questo tipo di vita (con moltilunghi sonni e molte letture di libri "da capezzale" che conoscevo amemoria e che mi rilassava rileggere all'infinitooltre alla visione di filmvideoregistrati che conoscevo anche loro a memoria) ero molto rilassato ed anchesenza che me ne rendessi conto il mio cervello aveva elaborato un nuovo metododi approccio a tutta la faccenda e soprattutto ai servizi forniti dal computer.

 

Prima di tutto mi organizzai molto meglio: dedicai anzi allostudio dell'organizzazione temporanea lì dentro più tempo di quanto non avessidedicato le precedenti volte.

A volte il modo in cui si organizza il proprio pensiero o ilproprio lavoro è più importante del lavoro stessonon fosse altro perché farisparmiare tempo; ma anche perchése ci si pone nelle giuste condizioni dipensieropossono "galleggiare" spontaneamente alla coscienza dellesoluzioni nuove e creative per vecchi problemi; e le soluzioni nuove a voltepermettono di risparmiare tempo ed energia.

Per cominciare chiesi al Computer di visualizzare uno schermosu una parete.

Chiese di che tipocome al solito. Ed io specificai: unoschermo di computer simile a quelli della fine del XX secolo sulla Terragrandecirca due metri per unomultifunzionecon la possibilità di visualizzare piùschermate contemporaneamente.

Etcetcetc.

Lo schermo apparve alla mia sinistra.

Chiesi di trasformare la stanza: ampliarladividerla in dueuna camera da letto ed uno studio; nello studio una scrivaniadegli archiviunpersonal computer del tipo a cui ero più abituatocon una stampanteilprogramma di word processing che conoscevo megliolibri da consultazionefracui un vocabolarioduetre enciclopediedi cui una di tecnologiadi cuiricordavo il nomesia su carta sia su banca daticartapennedi tutto.

Man mano che chiedevole paretigli oggettitutto intornoa me si trasformava sotto i miei occhicon una facilitàuna immediatezza chesecondo me era una conferma della convinzione che ormai mi stavo facendo delfatto che il luogo dove mi trovavo era una mera proiezione elettronicasia purtattilesensibilepercepibile da tutti e cinque i sensied a tre dimensioni;ma sostanzialmente in nulla diversa da una immagine televisiva.

Forse nulla di ciò che mi circondava esisteva realmente.Forse io stessoin quel momentoero una proiezione di questo tiposolo cheero autocoscientecerto; forse però tutto ciò che mi accadeva non accadeva inuna vera realtà fisicain uno spazio fisico in un qualche punto dell'universodel continuum spazio temporale reale: almeno nel senso che era possibile chetutto stesse accadendo all'interno di un computerche tutto fosse virtualecompreso me che pensavo o che scrivevo di essere una realtà virtuale.

Alla fine di tuttoquando "uscivo" da quel luogoforsela realtà esterna nella quale venivo "immesso"quella sì erafisicareale.

Ma forse no.

Forse anche quella non era altro che una idea che io credevoveraforse tutto ciò che stavo vivendo non era altro che una enormecomplicatissima allucinazione.

Cosa sono le sensazioni? Stimoli che riceviamo dall'ambientecircostante e che il nostro sistema nervoso porta al cervello. Il cervellodecodifica gli stimoli e noi "sappiamo" cosa vediamosentiamotocchiamo. In altre parole il segnale arriva al cervello sotto forma di stimoloelettrico e biochimico ed il cervello "sa".

Ma cos'è la coscienza di sé? Nella vita normale quotidianadi ogni giornodi ogni essere umanoè l'insieme dei fattori chimico-fisici ebio-elettrici che sonoinsieme a quel supporto fisico che è il cervello"l'individuo che sa di essere". Come diceva Cartesio: cogito ergo sum.

Tutto questo è trasformabile in pura e semplice scaricaelettrica? E possibile che la sensazione di "io sono Tizio e stomangiando" oppure "io sono Caio e sto bevendo" possa essereridotta ad un sia pur complicatissimo schema elettronico? Io credo di sì. Anziso che nella mia epoca erano molti gli scienziati che ritenevano possibilequesta teoria.

A prescindere ovviamente dall'animadalla volontà di unipotetico creatore onnipotente. Per chi ha fedeè evidente che il quidessenziale è l'anima e la scintilla di spirito divino creata da Dio e solo dalui.

Ma la voce registrata? L'immagine in movimento su unoschermo? Qual'è il rapporto con l'individuo che ne è l'originale? Si può faragire una immagine elettronica come si vuole e quindi si può interagire con unapersona che vede in un videotelefonouna faccia (che non è la mia ma quella disuo figlio o padre) che parla con la sua voce e dice le cose che io dico ad unmicrofono.

Non sto parlando di "Vida es sueño" o del fattoche saremmo tutti il sogno di un dio. Io credo però che sia possibileconservare la coscienza di un individuo sotto forma di complicatissimo schemaelettrofisico-biologico. Meglioio sapevo che è possibile perché solo cosìsi poteva spiegare ciò che mi era successo.

Mi era difficile però credere che tutto fosse un sognochetutto intorno a me fosse fintoanche quando ero stato sul pianeta. Era piùfacile che esternamente a me ci fosse una volontà realeun mondo reale. Soloche quando mi risvegliavo lìera probabile che solo una parte della miacoscienza che si risvegliasse; o al limite anche tuttama si risvegliasse soloa se stessae non in una realtà fisica.

Che appariva solo alla finequando venivo"immesso". Anche se non c'era una grande differenza con la realtàanziper quel che vedevo nessuna. La volta precedente ad esempio avevo chiestodelle finestrecon un panorama. Le ottenni anche stavoltama ero così sicuroche fossero proiezioni televisive che non pensai mai di "aprire"quelle finestre.

Stavolta chiesi ed ottenni finestre apribili sul panoramadella mia casa sui monti. Aprii le finestre e sentii il fresco del vento e gliodori della foresta.

Provai ad uscirema non ci riuscii. Una forza mi impediva diuscirecome una invisibile rete di gomma elastica all'inizio ma poi dura comel'acciaio. L'ariacon l'odore di quella foresta che ben conoscevo entravailpanorama era quello che conoscevo benissimo; ma io non potevo uscire. Quale erala realtà?

Alla fine decisi di fregarmenetutto qui: ho sempre pensatoche un problema che non ha una soluzione non è un problemama un'altra cosa; oforse un problema mal posto. Meglio rimandare.

 

Chiesi al computer di visualizzare sullo schermoin giornidi 24 ore ed in singole ore e minuti il tempo che mi rimaneva prima di essereespulso.

Nello schermo apparve la scritta : 11 giorni23 oretrentaminuti.

Continuai a chiedere al computer altre cose: mappe delpianeta nella zona intorno a Bulbo Verde e per un raggio di 100 km all'intornostessa cosa per gli altri luoghi che avevo conosciutoconfrontandole eposizionandoli fra loro; più altri dati sulla popolazionesulle razze cheavevo conosciuto e così via.

Ogni volta che la mia richiesta era null'altro che unaprecisazione di un dato che conoscevo anche in parteil computer mi fornivatutti i dati che cercavo. Se invece era un dato di realtà che non avevo innessun modo vissuto di personanon ricevevo altro che la solita rispostanegativa del computer.

Riuscii comunque ad avere molti dati di tutti i tipi sulpianeta. Ebbi conferma delle mie teorie sulle dimensioni del pianeta: eraveramente molto più grande della Terra (le terre emerse fino a 15 volte di più)ed evidentemente aveva una densità inferiore perché la gravità erapraticamente la stessa. E questo in teoria poteva esserefrutto del caso; maanche della volontà di qualche essere senziente.

Però la biologia del pianeta era perfettamente compatibilecon quella umanaquindi era artificiale per forza: quel pianeta non era laTerrama era talmente identico alla Terra per l'ecosistema di base e per labiologia delle forme di vita più importanti che vi abitavano (altrimenti lavita umana non sarebbe stata possibile) che non poteva che essere stato"terraformato" intenzionalmentein modo tale da renderlobiologicamente identico alla Terra.

Chiunque potesse far questo ci aveva messo una quantità ditempo enorme per farlo e disponeva di conoscenze immensamente più avanzate diquelle anche solo ipotizzabili sulla terra.

Tutto poteva essere falsoovviamente. Tutto poteva essere unmio sogno incredibilmente vividoo una operazione gestita in un computerforsesulla Terra forse su quel pianetaforse su un altro. Chissà.

Ma così non si finiva mai. Così sarei stato paralizzatosarei impazzito.

Decisi allora di vivere definitivamente come se tutto ciòche mi era capitato fino a quel momento mi fosse realmente capitato esattamentenei tempi e nei modi dei miei ricordi: come i miei ricordi mi dicevano fosseaccaduto ogni singolo evento.

Tutto ciò che ricordavo era tutto vero. E su questa baseavrei cercato di venirne fuoriforse solo per riuscire una buona volta a morireper davvero. Mase possibileriuscire prima a capire..

 

Più chiedevo più mi venivano in mente cose da chiedere.Dopotutto avevo passato quasi cinque anni là fuoriormaied avevo molte coseda chiedere e da verificare.

Avevo capito una cosa importantissima del computer che miparlava. Lui era "tenuto" a rispondere a qualunque domanda abbastanzadefinitaa qualunque domanda che potesse "chiudere" un circuitologico di domande e rispostee probabilmente era tenuto a fornirmi quasiqualunque cosa; ora ero in grado di ottenere molte di queste risposte.

Avevo capito infatti che quando non rispondeva questo nonaccadeva perché c'era una volontà di non rispondere da parte sua; alcontrariolui "doveva" risponderesolo che doveva fare primaun'altra cosa: esaurire le alternative.

Avevo già scoperto che se gli chiedevo di produrre unapistolalui mi chiedeva qualedi che epocadi che calibrodi quale casa diproduzionee via di questo passoal punto che una richiesta poteva esserefonte di mille specifiche fino a farmi esaurire. Ma più specifico e deciso eronel "chiudere" una richiestapiù rapidamente arrivavo ad ottenereciò che volevo.

Chiesi una valanga di cose: un Uzi che sparasse semi di"aza"ad esempioil che avrebbe reso quell'arma più simile ad uncannoncino che non ad un mitraalmeno contro una qualunque forma di vita cheavesse dei liquidi al proprio interno; dei cavalli indigeni di una razzaspecialeche avevo scoperto essere molto più resistenti di quelli della terra;e così via molte altre cose. Chiesi ad un certo puntoricordandomeneimprovvisamenteun "elmetto da pilota di elicottero con visori notturniin lega ultraleggera di "brasson"una lega speciale dei fabbri diBulbo Verdeche avevo conosciuto nella mia permanenza laggiù e che avevo ancheaiutato a perfezionaredato che secondo me si sarebbe trattato di una legaideale per bisturi e protesi.

Oraio avevo richiesto uno strumento che era un misto ditecnologia terrestre e di quella del pianetaed oltre tutto della più elevatatecnologia elettronica ed ottica della mia epocaintegrato con materiali etecniche alienea loro volta integrate da miei contributi personali erecentissimi.

Un problema non da pocose ci pensate.

Gli occhi mi caddero per caso sul led luminoso che miinformava di quanto tempo mi restava; e mi accorsi di una cosa incredibile: finoa quel momento i numeri sul video erano scorsi al contrariocome in uncount-down; ma mentre guardavo e per un attimo i numeri dei minuti passarono da25 a 28 poi di nuovodopo un po'a 27.

Era come se avessi guadagnato 3 minuti.

Chiesi conferma al computer del fattoper essere sicuro dinon aver avuto una illusione ottica. Mi rispose affermativamente.

- Vuoi dire che ho proprio guadagnato tre minuti?

- Affermativo.

- E perché?

- Per le necessità produttive.

- Che intendi?

- Dinnanzi ad uno specifico ordine possono determinarsinecessità produttive tali da determinare un incremento del tempo totale adisposizione.

 

Iniziai a quel punto una sfilza di domande e rispostechefacevo e ricevevo sempre più eccitato!

Scoprii che il tempo limite non era"necessariamente" di due settimaneallo scadere delle quali sareistato gettato fuoripronto o non pronto.

Se ciò che chiedevo era logico o necessario ad un qualunqueprogettoil tempo necessario alla produzione dell'oggetto richiesto (o al suoreperimento? in chissà quale enorme magazzino cosmico?!) poteva esserecalcolato "in aggiunta" alle due settimane; per produrre quell'elmettoultratecnologico partendo dai banchi dati del computer aggiornati all'oggi ed aciò che io stesso avevo fatto di quella lega due mesi primami dette la misuradi quanto fosse potente il computer; ma anche del fatto che non era onnipotente.Ci andava vicinocertoma proprio onnipotente-onnipotentetipo Dionon loera.

Per realizzare quell'elmettoincrociando tutte quelletecnologieaveva valutato come necessario un tempo aggiuntivo di tre minuti sultotale che mi era dovuto; e me li aveva concessi!

Ma allorase avessi trovato qualcosa di abbastanzacomplicatopoteva darmi di piùforse giornimesi. Forse potevo chiedereveramente qualunque cosa e dovevo solo trovare il modo giusto di chiederla.

 

Sprecai tre ore di domande aggiuntive per scoprire che lachiave di volta del trucchetto stava in ciò che il computer riteneva plausibileo coerente con un progetto. Non potevo chiedere una astronave ad esempio; o unandroide; o un altro essere umano o un'arma nucleare; niente probabilmente chepotesse in alcun modo aiutarmi a scappare dal pianeta o ad avere una tecnologiatroppo superiore; ma potevo avere tutto ciò che non fosse esplicitamenteproibito all'interno delle "regole del gioco" nel quale mi trovavo:potevo chiedere tuttoqualunque cosa mi passasse per la mente che fossetecnicamente e materialmente realizzabile.

Proprio per aver scoperto queste "regole" delcomputer compresi che davvero non ero proprio nient'altro che questo: una pedinain un giococosmico o planetario forsema un gioco. Se fino a quel punto avevopensato di essere in un gioco altruiquel termine lo avevo sempre pensato comeuna sorta di metaforadi esemplificazione. Invece era un vero e proprio giocoche aveva delle regole che potevo capirededurrescopriree forseinfluenzare. E se giocavo conoscendo a fondo le regolene avrei potuto trarrevantaggio.

Chi fossero i Giocatori o quali fossero esattamente tutte leregole dovevo ancora capirloma di gioco si trattava. E di nient'altro. Se ilmio obiettivo fino a quel punto era stato morire definitivamenteforse potevoaverne anche un'altro: uccidere i Giocatori! Certoera a dir poco un obiettivoambizioso. Ma meglio aver obiettivi alti che bassi nella vitalo avevo semprepensato.

Avevo solo bisogno di tempo. Ci pensai per altri tre giornisia per pensare come avere tempo in piùsia per trovare una soluzione tecnicadelle cose materiali da chiedere che mi dessero un grosso punto di vantaggio sututti gli abitanti del pianeta. Sapevo che avrei corso il rischio di essereucciso di nuovo: e quello era senza dubbio uno degli obiettivi del gioco perqualcuno: ammazzare me!

Ma volevo evitarlo per il futuro e per di più volevo anchearrivare ad avere la possibilità di interromperlo quel gioco: non avevo sceltodi farlodi parteciparvinessuno mi aveva chiesto niente ed io non ero tenutoa giocare secondo le regole. Se potevo scoprire come barare era mio dirittofarlo!

 

Alla fine dei tre giorni avevo elaborato un piano moltocomplesso.

- OkMacchinaho delle richieste.

- In attesa.

- Prima di tutto gradirei da ora in poi tu reagissi al nomedi Genio o Genio della Lampada.

- Si richiede una motivazione.

- È fondamentale per la mia stabilità mentale e la riuscitadei miei progetti.

- La motivazione è insufficiente.

- Insisto. La mia salute mentalei miei futuri progetti e lariuscita del progetto di cui tu fai parte potrebbero restarne compromessi.Insisto fortemente!

Silenzio.

Aspettai un po' e poi chiesi:

- Genio..?

- Sì?

Vittoria! Piccola e stupidama: vittoria!

Ero eccitatissimo: forse stavo imparando. Lo scopo di tuttaquella manfrina era solo di vedere se avevo capito come funzionava e se riuscivoa far fare al computer qualcosa di irrazionale o di non programmato daiGiocatorichiunque essi fossero.

Era possibileovviamenteche costoro avessero ancheprevisto una cosa del generema questo significava comunque che io stavoimparando a controllaresia pur di pocoil computer per ottenerne i miglioririsultati possibili.

- Gradirei anche che nel rivolgerti a me tu mi chiamassi:"Signore". Questa esigenza è collegata a quella del nome che ti hodato.

Silenzio.

- Genio?

- Sìsignore?

Perfetto.

- Genioho un progetto molto complesso di cui ti vorreiparlare.

 

Lo feci per due giornispecificando tutto al megliodandoindicazioni dettagliate o mettendo le cose in modo tale da presentare unproblema da risolvere in modo tale che fossero molti i modi e che io miriservavo di scegliere quale in un secondo momento; e che la soluzione del primorichiedesse tanto tempoin modo tale da avere modo di complicare il secondo edinventarmene un terzo.

Ad esempio; trovare una lega speciale per ciò che miservivama in quantità tale da dover produrre dieci volte un certo oggettoenormeall'interno del quale ci fossero una serie di macchinari ed impianticiascuno dei quali dovesse poi essere ulteriormente definitoda creare in tremodelli diversi per dimensioni anche solo di pochi centimetri. E via complicandoin questo modo la realizzazione di un progetto che nell'insieme però io avevoben chiaro e che di fondo era in realtà semplice. Certoimprovvisavo molto...

 

Alla fine dei due giornisenza dormiree quasi senzamangiaredistruttoguardai il tempo a mia disposizione.

Era salito a 76 giorni.

Avevo più di due mesi per pensaretrovare altre soluzionialtri trucchicercare di capire meglio quali potessero essere le regoleesoprattutto riposare e prepararmi. E alla fine sarei uscito da lì equipaggiatocome il conquistatore del pianeta. O quasi.

 

 

 

 

Le regole del Genio e del Gioco

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel corso di tutte le mie esperienze con il Genio sonoarrivato a capire sulla base di quali regole potevo ottenere da lui ciò chevolevo. E quali potessero essere in linea di massima le regole del Gioco cui ioero sottoposto. Ci sono voluti innumerevoli tentativi e lui non mi ha mai dettoche "queste" sono le regole. Sono io che le ho dedottedato cherispettandole ho sempre ottenuto ciò che volevo. Oper meglio direciò cheho ottenuto l'ho ottenuto seguendo delle regole che mi sembrano appuntoqueste.

Sono regole abbastanza semplici e linearinella lororigidità. Nascondono un disegnoun progettouna qualche funzionalità? Mi èsembrato di sìe mi è sembrato anche di capire quale: fornire la pedina delGioco di tutto ciò che essa ritiene utile alla propria sopravvivenzao aqualunque progetto le passi per la testae che possa movimentare il Gioco ecreare le premesse per interessanti sviluppi (interessanti evidentemente per iGiocatori di cui io ero la pedinae come me tutti gli altri semi-Immortali) conl'eccezione di qualunque tecnologia possa essere pericolosa per i padroni delgioco.

E con l'unico limite praticoe non teorico o per partitopresodelle conoscenze tecnologiche e scientifiche non tanto dell'epoca e delmondo cui la pedina appartiene in originema delle sue personali conoscenze.

È ovvio ad esempio che avrei potuto chiedere delle armi adenergiaponiamo del XXV secolo (ammesso che ve ne siano o che ve ne saranno oche ve ne siano mai state) e ci ho anche provatopiù di una volta: ma arrivatoalle specifiche tecnologichemi sono sempre bloccato.

Una volta ad esempio gli ho chiesto un "lancia raggilaser" e sono riuscitoa forza di insistere di fantasiaad ottenere solooggetti del tipo bisturi laser per uso chirurgico in uso nel mio mondo e nellamia epoca; ma se cercavo di ottenere un'arma vera e propria mi sono semprefermato dinanzi a domande cui non ero in grado di rispondere; ad esempio alladomanda "quanti ciclobetatroni di potenza deve avere?" ho rispostodieciventimilleun milionee la risposta del computer era sempre"risposta inadeguata"; ho chiesto meccanismi antigravitàe alladomanda "di quale entità entropica"non ho saputo cosa rispondere.

Ci ho provatointendiamoci: ad esempio a quest'ultimadomanda ho risposto cose come "dieci""alfa-minus""gamma omega""quarantadue" e cento altre rispostemasenza costrutto.

È stata una esperienza molto frustrante: sapere che ilcomputer avrebbe potuto produrre oggetti inimmaginabili e non sapere comechiederglieli.

Se di regole ve ne fossero altrenon l'ho mai scoperto.

 

 

Le Regole del Genio

 

1. Il computer produrrà per te qualunque oggetto tuchiederai e che sia all'interno della sua memorianelle modalitàdimensioniquantità e qualità indicate da tecon eccezione di armi di tipo atomico onuclearea fissione od a fusionenucleoniche ed antimateria.

 

2. Hai a disposizione un numero illimitato di richieste manon di tempo. In concreto:

 

a. Dal momento del tuo risveglio hai 15 giorni di 24 orel'uno di tempo a disposizioneal termine dei quali verrai espulso dalle tuestanze verso l'esterno in un luogo scelto a casocon tutti gli oggetti cheavrai chiesto fino al quel momento.

 

b. Lo scorrere di questo tempo può essere indicato da unorologio a richiestaposto dove vorraio in qualunque altro modo tu vorraisia indicato.

 

c. Il tempo è calcolato in giorni di 20 ore di 100minuti l'una. In altre parole ha un credito di tempo iniziale di 600 ore.

 

d. Il tempo a tua disposizione scorre mentre chiedimasi ferma mentre vengono prodotti gli oggetti che chiediper un periodo ditempo che ti verrà indicato di volta in voltaoggetto per oggettose lorichiederai; altrimenti apparirà con un aumento di credito di ore nelvideo.

 

e. Tale sospensione di tempo è ammessa solo se lerichieste di oggetti fanno parte di un progetto approvato dal computer: nonpuoi chiedere la produzione infinita di beni tanto per non uscire.

Il giudizio del computer è insindacabile.

 

3. Il computer non risponderà a nessuna domanda e non tidarà alcuna informazione che non riguardi la produzione di oggettiil loro usoo necessità connesse.

 

4. Il computer non ti darà mai ed in nessun modo delleinformazioni sui suoi costruttori né sulla eventuale esistenza di un gioconédirettamente né indirettamente.

Il computer ti darà qualunque risposta a qualunque domandasia formulata in modo chiaroma non ti darà spontaneamente nessunainformazione.

Qualunque informazione sul pianeta ti verrà fornita solo seutile a completare una informazione parziale già in tuo possesso e solo se lochiederai.

Altrimenti non ti verrà fornita nessuna informazione suiluoghisulle razzesulle civiltà del pianeta stesso.

 

5. Il computer non ti darà alcuna tecnologia in grado dicostruire veicoli spaziali di qualunque tipo. Qualunque velivolo sarà sempreinfra-stratosferico.

 

6. Qualunque richiesta riguardi la produzione di esseriviventi è ammessa con l'eccezione degli esseri intelligentiumani o meno.

 

7. Qualunque domanda farai per ottenere qualunqueinformazione o spiegazione su qualunque argomentoil tempo scorreràugualmentecon l'unica eccezione delle necessità produttive.

 

8. Qualunque ordine diretto ed esplicito verràimmediatamente eseguito purché rispetti le regole sopra indicate.

Il rispetto delle regole verrà giudicato dal computer. Ilgiudizio del computer è insindacabile.

 

9. Di qualunque oggetto tu voglia creare ex novodovrai dareprecisi dettagli di costruzione in relazione a dimensionimateriali da usare edogni altra specifica necessaria al computer per la realizzazione dell'oggettostessosia che esso esista già sia che debba essere prodotto su progettonuovo.

Sarà il computer a dirti se e quando hai raggiunto lasoddisfazione dei suoi parametri fornendoti l'oggetto.

Il giudizio del computer è insindacabile.

 

10. Qualunque richiesta farai nei limiti suddetti verràeseguita.

 

11. Non potrai avere niente che possa in alcun modo aiutartia scappare dal pianeta.

 

12. Il computer non ti confermerà mai se le regole che haidedotto sono o meno le regole del gioco.

 

 

Le regole del Gioco

 

È molto più complicato dire quali sono le regole del gioco.Non ho mai avuto conferma neanche di queste.

Io ho solo l'impressione che le regole del gioco sianoqueste.

 

Il giocatore (o un gruppo di Giocatori o una singola entitàin gioco con se stessa) probabilmente "punta" su una pedinaforsescegliendola e forse in modo del tutto casuale.

Forse gli viene assegnata secondo dei criteri prestabilitiforse la sceglie con suoi criteri personali.

 

La pedina viene immessa nella "stanza d'ospedale"dinnanzi al computer che parla e fa quelle domande ossessive secondo le sueproprie regole; dopodiché la pedina fa quello che gli pare.

Domandataceimpazziscechiede ed ottiene. È irrilevanteai fini del gioco.

 

Sulla base delle regole del Geniola pedina può chiedere edottenere tutto ciò che riuscirà a chiedere ed ottenerealla fine dei 15giorni (o più) viene immessa sul pianeta dove affronterà le avventure chesarà capace di affrontaredi vivere.

 

Se morrà rivivrà e ricomincerà daccapo.

Se si suicideràrivivrà e dovrà ricominciare daccapo.

Non sarà mai possibile sottrarsi al gioco morendoalmenofinché il Giocatore o i Giocatori non decidano in tal senso.

 

Le regole del gioco sono molto più semplici ma solo perchénon so veramente bene quali siano le intenzioninoil piacere dei Giocatori.

Oripetodel Giocatore. Ce ne potrebbe essere anche unosolo per quel che ne so io che gioca un enorme complicatissimo solitario con sestesso.

Lui o loroseguono le pedine e si divertono nel fare questo.

E si divertono a vedere ad ogni nuova vita della pedinacomericomincia daccapo e cosa fa.

Sonoscusate i terminidei veri stronzi.

 

 

 

La Casa e La Fortezza

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cosa avreste chiesto voi?

Io avevo chiesto un enormearmatissimodifesissimopotentissimo ed ultratecnologio "overcraft".

Un veicolo a cuscino d'ariache si potesse muovere suqualunque terrenofino ad un massimo di tre metri da terragrazie alla spintadi un vortice d'aria; un veicolo sia marino sia terrestre delle dimensioni di unpiccolo transatlanticodel peso di un piccola montagnacorazzato controqualunque attacco al di sotto di una arma nuclearealimentato da un reattorenucleare a fusione e non a fissionenon inquinante né pericoloso ed alimentatoad idrogenoquindi praticamente ad acquain grado di muoversi e funzionareininterrottamente per almeno due secoli.

E per buona misurane avevo chiesto anche un doppioneassolutamente identicoda portarmi appresso come un rimorchio e da lasciaredove mi avesse fatto più comodo in modo tale da avere una riserva completa ditutto.

Perfino il Genio aveva bisogno di un paio di mesi perrealizzarlianche perché con gli optionals avevo esagerato...

 

Diciamo che era una piccola montagna semovente o se preferiteun castello di titanio semovente: la "base" dello scafoinfattilasua struttura portante per così dire era una sorta di enorme mezzo guscio dinoce rovesciatointeramente di acciaio al titaniodello spessore di circacinquanta centimetri; come avesse potuto produrlo non sodato che era un bloccounicocon già predisposte aperturecanali interni per cavi ed altro; essendocavoil guscio non era pesantissimoma se fosse stato preso a cannonate adistanza ravvicinata con granate dalla punta di uranioultrapesantisarebbestato a malapena scalfito; sottoposto ad un bombardamento diretto di missiliaria terra o di bombe da bombardiereavrebbe "ballato" un po' e sisarebbeforseammaccato; ma spaccarlo era praticamente impossibile; e questoera solo il guscio esterno; probabilmente il più grosso e più efficiente carroarmato mai costruito nella storia delle guerre.

Lungo 200 metrilargo 80 e alto 30pesante in tutto oltre15.000 tonnellatecome ho detto ricavava l'energia di cui aveva bisognoprincipalmente da due reattori a fusione di idrogenobasati sui sistemi deipremi Nobel Hasehnbach e Scalzamanna.

Conoscevo la teoria a sufficienza da riuscire a dettagliarela richiesta al genioperché quando avevano annunciato al mondo la loroscoperta me ne ero appassionato tanto chepur non essendo un fisicoeroriuscito a capire a fondo la teoriaal punto che quando avevo chiesto ireattori o sapevo la risposta alle domande del genio o ero riuscito a dedurla.

Tramite impianti di bordo per l'elettrolisi avrei facilmentericavato l'idrogeno da qualunque fonte d'acqua avessi incontrato sul pianetafosse anche e solo acqua piovanao al limite l'acqua di bordo riciclata;perfino dalla mia stessa orina potevo ricavare carburante per i reattori;d'altra parte potevo ricavare l'idrogeno anche da altre sostanzeper cui me nepotevo andare in giro per anni anche in un deserto.

Poche centinaia di litri d'acqua garantivano una notevoleautonomia ed il carburante non mi sarebbe mai mancato. L'operazione dirifornimento carburante consisteva semplicementeuna volta al mesenell'immettere un tubo in un fiume o nel mare e pompare alcune centinaia dilitri di acqua nelle camere per l'elettrolisidove ininterrottamente avvenivail processo di separazione fra acqua ed idrogeno: l'idrogeno veniva indirizzatoai reattori a fusione e l'ossigeno o liberato nell'aria o immagazzinato peraltri usi.

 

I reattori erano due perché uno si potevain teoriaguastare. Essendo delle "macchine" con minime parti in movimentolaprobabilità era di uno su 10.000 (calcolata dal Genio) in un secolo. Se fossesuccesso qualcosa al primo l'altro ne avrebbe automaticamente preso il posto.

E comunque io di over ne avevo chiesti duequindi i reattoriin totale erano quattro: il secondo overidentico al primoera trainato comefosse il tender di uno yacht.

Ogni reattore era "innescato" dal raggiungimento dimassa critica dell'idrogenocompresso in una camera speciale ad opera di unmeccanismo elettrico alimentato da batteriericaricate da pannelli elettrici adenergia solare.

E di questi pannelli ce n'erano otto sulla superficieesternaprotetti e se necessario rientranti. Nella peggiore delle ipotesi avreipotuto procedere io ad innescare i due reattori praticamente "a mano"con batterie di riservao se queste fossero state guaste o scarichecon unmeccanismo elettrico alimentabile con energia muscolare umana.

I reattori in realtà non si spengevano maima se si fosserospenti (uno dietro l'altrotutti e quattro) sarebbe stato possibileriaccenderli semplicemente aspettando la ricarica naturale ad opera del sole diquelle tali batterieil che sarebbe avvenuto in dieci giorni circa.

Se anche fossi vissuto mille anni su quel pianeta non avreimai avuto problemi di energia. Il Genio mi disse che la durata probabile a pienofunzionamento del veicolo che avevo progettato era di circa 1000 anni.

Qualcosa mi diceva che sarei morto definitivamente odefinitivamente impazzito molto prima. Mille anni erano un periodo di tempoinconcepibileper una vita umana. O almeno allora lo pensavo.

 

Tutti gli impianti di bordoda quello dell'ariaa quelloelettricodai sistemi d'arma alla biblioteca centraledalla cucina allemacchine per le TAC e le radiografie erano automatizzati al massimo livello.

Dal funzionamento standard alle riparazionidall'alimentazione di materie o di energia fino agli scarichi o al riciclotutto era automatizzato.

Io potevo intervenire sempre in qualunque momento suqualunque processoma non dovevo occuparmi di nulla. Ad esempio a bordo c'eranouna serra idroponica che provvedevasempre automaticamente alla produzione dicibo: era completamente separata dall'ambiente esternoproduceva il cibovegetale che arrivava sulla mia tavola in modo totalmente automatico e tenendosia bassi livelli di consumo delle proprie potenzialità: se poteva produrreponiamo100 chili di vegetali commestibili al mesedato che a me ne bastavano20 si teneva a quel livello da sola. Era come i reattori: autosufficientecomefosse un piccolo pianeta; un ecosistema microscopico e chiuso che funzionavagrazie al grande dispendio di energia (che non era un problema)al controllo diuno speciale computer ed al fatto che potevo immettere acqua ed aria"fresche" quando volevo; ma da circuito completamente chiuso avrebbecomunque funzionato per anni.

Mi ero ispirato alle serre idroponiche che ai miei tempierano installate su tutte le portaerei nucleari statunitensipreviste per darefrutta e verdura fresche ad equipaggi di 4000 uomini in caso di guerra nuclearesenza dover toccare mai terra per uno o due anni. Funzionava perfettamente.

Le serre idroponiche di bordo (oltre ad altri sistemi dialimentazione e di conservazione dei cibi) avrebbero provveduto al nutrimentomio e di un massimo altri eventuali 40 ospiti senza necessità di contattoalcuno con l'esterno24 ore su 24 per almeno due anni.

Da solo mi sarei potuto aggirare tranquillamente in undeserto radioattivo per un paio di secoliin realtà per molto di più. Equesto nelle peggiori condizioni.

 

A bordo avrebbe preso posto un computer centraleevolutissimosimile al Genioin grado di far funzionare o supervisionaretuttoda solocompresi gli altri mini-computer sparsi per l'overrispondendosempre e comunque ad una Direttiva Primaria: la mia salvezza e la mia salute.

Insieme a questo computer ne "progettai" moltialtriin modo da avere la miglior automazione possibile di tutte le funzioni dibordopiù molte altre che avrebbero potuto rendersi utili o necessarie infuturo.

Ad esempio avevo previsto anche robot minatori e robotoperaiche fossero in grado di organizzare la ricerca di minerali primalacreazione di una fonderia poie la gestione di una fabbrica di altri robotmultiuso infine.

Il modello base dei robot era un modello che avevo creato ionel corso dei due mesi di tempo in più che avevo strappato al Genio: di basec'era un computer simile ai normali PC ed una serie di servomeccanismimultifunzioni che venivano direttamente dalle fabbriche di automobili della finedel XX secoloche avevo letteralmente copiato dai manuali fornitimi dal geniostesso.

L'idea era di avere a disposizione tutto ciò che potevaservire per creare dal nullae sopra un giacimento di ferro ed uno di petroliouna civiltà industrialealmeno nei suoi aspetti materialisaltando a pie'pari la fase delle macchine a vapore.

Avevo il vago progetto di contribuire a creare una civiltàscientifica che fosse in gradosia pure dopo centinaia di anni di ulteriore edautonoma evoluzionedi capire chi erano i Giocatori e come si potevasconfiggerli.

Forse era possibile seminare in giro per il pianeta deinuclei di civilizzazionepropriamente scientifica ed industrialeche finisserocon lo sviluppare autonomamente una civiltà scientificamente superiore a tuttociò che potevo ricordare o pensare di ciò che aveva prodotto la terraromanzidi fantascienza compresi. Niente di meno che una superciviltà scientifica avevaprodotto tutto ciò che mi circondava. Niente di meno di una civiltàsuperscientifica di pari grado la poteva sconfiggere; o anche solo comprendere.

E per realizzare questo ambiziosissimo progetto si potevasecondo mepartire dalla conoscenza e dalla coscienza di cosa è il metodoscientifico sperimentale. La biblioteca non era quindi meno importate del restodei "magazzini": conteneva non meno di 10.000 titoli di libri divisifra manuali di tutti i tipi e narrativa di tutti gli autori e le letteraturedella Terraper come potevo ricordarmene io; ma anche scelti a casodando algenio istruzioni del tipo: cento autori scelti a caso fra gli autori più famosidella letteratura francese del 1700. Poi nel mucchio avevo trovato tuttoVoltaireche conoscevo benema anche "Adolphe" di Constanted erastata una piacevolissima scoperta.

Ma se i libri di carta erano diecimilai testi che avevo adisposizione erano molti di più : erano decine di migliaia i titoli sotto formadi memorie elettroniche del computer e che potevanose necessario esserestampati in pochissimo tempo.

Avevo previsto ed ottenuto anche la traduzione di questitesti in lingua "comune"il verbaiz del pianetache in effetti avevauna sua grammatica precisa ed una scrittura alfabetica (avevo dovuto ovviamenteiniziare un vocabolario con nuove parole ed il lavoro sarebbe stato tutto a miocarico e molto lungo; ma probabilmente avevo il tempo di farlo) così da poterlicondividere con gli umani del pianeta quando lo avessi ritenuto opportuno.

La biblioteca voleva essere sia un centro di informazioni daelaborare successivamente per trovare nuove soluzioni ai problemi che si fosseropresentati; sia un luogo di piacere per me: era arredata come una biblioteca cheavevo ben conosciuto a frequentato nella mia città nataleRoma: la bibliotecadella Società Geografica Italiana. Bellissima! E chissà se esisteva ancora?

 

Il mio appartamento (che copriva oltre 400 metri quadratidell'internocomprensivi di bibliotecacinemapiscinapalestra e solarium)era all'interno dell'over. Che avevo battezzato Utero.

Nel corso della realizzazione dei miei progettipropriomentre disegnavo l'over per definire alcuni dettagli per il Geniomi ero resoconto che stavo disegnando sia formalmente sia simbolicamente un vero e proprioutero iperprotettivo di metallo: nel mio desiderio di non morire più o dimorire definitivamenteuna parte del mio inconscio probabilmente aveva trovatola soluzione che forse ogni essere umano desiderama che a tutti è preclusa:il ritorno nell'utero materno. Behquando mi ero reso conto di questa cosadapprima mi ero spaventato. Mi sembrava uno scivolare lentamente verso lapazzia. Poiper esorcizzare questa pauraavevo deciso di chiamare esattamentecosì l'overe di far scrivere per di più il nome sulla fiancatasia initaliano sia in verbaiz. E sul secondo over rimorchiato c'era scritto"tender to Utero".

Sulle pareti del mio appartamentocosì come nella salacomandosarebbero stati disposti schermi video a finestracosì da creare unaperfetta illusione di finestre aperte sull'esternoarietta frizzante compresa(fornita da condizionatori d'aria). In realtà molti metri di meccanismi ed unospessore di acciaio al titanio di mezzo metro mi separavano dall'esterno.

La cucina era grandespaziosaluminosaben attrezzata;fornitissima di cibi conservabili di tutti i tipi e le dispense erano due: unaper i cibi secchi ed in scatolal'altra per i surgelati. Entrambe le dispenseerano veri e propri magazzini. Avrei potuto mangiare ciò che volevo per mesi emesisia per saziare la fame sia per saziare il palato o i miei ricordi.Inoltre avevo sempre amato cucinare e questo mi avrebbe fatto sentire in qualchemodo in un posto strano sìma familiare; o se voleteun posto stranissimomaormai e sempre di piùcasa mia.

 

Nella sala comando c'erano schermi televisivi a 360 gradicome fossero finestre altre un metro e mezzo lunghe tre metrima una dietrol'altrain modo da dare veramente l'impressione di una finestra circolarecompleta a trecentosessanta gradibasati sullo stesso principio delle finestredel mio appartamento.

Ero nell'hardcore dell'overnel nocciolo duro: se una bombanucleare a fusione o ai neutroni fosse esplosa direttamente sulla verticaledell'overavrebbe fuso le telecamere e lo avrebbe danneggiato e fermatoma ame mi avrebbe solo sballottato di qua e di la. Forse. E forse no. Ma non credoche si sarebbero state molte armi a fusione o a fissione su Mondo. Ed io avreisenza dubbio rischiato di più la pelle per un virus o per un colpo di stiletto.

Per evitare il primola pressione dell'aria all'internodell'over era sempre leggermente superiore all'aria esternacosì che nullapotesse entrare: era un trucchetto che avevo copiato dai carri armati"Leopard"nei quali era previsto per impedire ai gas o alle sporedelle armi batteriologiche di entrare con l'unico veicolo che li poteva portaredentro: l'ariaappunto. Per evitare gli stilettibehavrei dovuto evitare gliesseri umani. Ed era questo l'unico problema vero che avevo.

 

I sistemi d'arma (oltre ad una nutritissima serie di fucili emitradestinati inevitabilmente a finire le munizioniin ipotesi di lungo uso)prevedevano altri tipi di armamenti quasi eterni: armi per difesa ravvicinatada 0 a 100 metridi precisione e di massabrandeggiabili e fissema tuttesostanzialmente fucili a vaporela maggior parte delle quali poteva sparareproiettili di ghiaccio a velocità tale da sfondare una corazza di acciaio didue centimetri di spessore. In ogni arma c'era una piccola camera che producevaghiaccio a forma di proiettileed una che produceva vapore per lanciarloiltutto alimentato elettricamente. All'esterno si presentavano come dei normali"cannoni" antiaerei a canne multipletipo i Vulcan a sei canne daelicottero o da tiro antiaereo.

Il vantaggio delle armi di questo tipo era checome ireattori a fusione che alimentavano il tuttofunzionavano ad acqua ed a calore:la prima era ovunque sul pianetail secondo era fornito dalla fissione di bordodell'idrogenoricavato dalla prima; un sistema di raffreddamento elettrico(alimentato da una dinamo alimentata dal reattore) produceva in tempo realeproiettili di ghiaccio di 20 diversi calibri e alla temperatura di 80 gradisotto zero e li poteva sparare man mano che venivano prodotti con la forza delvapore costantemente prodotto. Come in una macchinetta da caffè espresso diquelle per ufficioche macinano il caffè al volo e ve lo danno subito.

Per la difesa a distanza mediadai 100 ai 1000 metri e pergrossi obiettivi avevo armi simili: "catapulte" a ghiaccio o a roccia.Per difesa o attacco su distanze maggiorifino ai 50 km avevo otto batterielanciarazzi con 400 colpi a testata convenzionaledi un esplosivo chimicosimile al Semtex ed al Torpexma più potentepari ad un decimo di megaton;armi nucleari il Genio non me ne aveva volute dare: avevo scoperto che era unlimite non superabile per luiil che mi faceva pensare che armi di quel tipoerano pericolose per i suoi creatori e per lui. Strano poi che mi avesseconcesso dei reattori a fusione: tecnicamente ed in teoria li potevo trasformarein una bomba a fissione.

 

Le armi a ghiaccio erano praticamente eternei lanciarazzi ele armi da fuoco noma se mai avessi avuto bisogno di più di 400 megaton perdifendermi sul pianeta... behsarei stato veramente nei guai!

A bordo venivano ospitate anche altre macchine: un paio diaereidue elicotteridiversi veicoli terrestritutti controllati daperiferiche del computer centrale. Ma potevano essere pilotati o guidatiautonomamenteerano a motori elettrici alimentati da batterie o dai pannellisolari che avevano sulle ali o all'esterno; quindifinché non si fosseroguastati e tranne in periodi di pioggia continuataavrebbero funzionato anchelontani dall'over. Le parole "autonomia totale" erano la parolad'ordine di tutto il progetto.

 

Il luogo fisicamente più protetto di tutto l'over era unacamera blindata al centro del veicolocircondata da pareti di acciaio altitanio spesse due metri e mezzo. Era il vero cuore del tuttoall'interno dellasala comando.

E all'interno di questa cameracon tutti i comandi a portatadi manodi occhidi bocca e di piedic'era una specie di bozzolo di gomma emetallo che mi poteva sostenere. Il "bozzolo" era una vera e propria"macchina nella macchina". O se volete un vero e proprio "uteronell'Utero".

Poteva massaggiarmilavarmipulirminutrirmiasciugarmicurarmi se necessario. Potevose volevorestare "imbozzolato"indefinitamentealmeno in teoriadato che il bozzolo era una sorta di ospedaleambulante: se ferito sarei stato curato lìse volevo dormire per un meseavrei dormito lìse volevo affrontare un combattimento stando completamente alsicuroavrei potuto farlo lì. Ne curai la realizzazione e la progettazionecome non avevo fatto per il resto dell'overanzidirò di piùil restodell'over era in funzione della protezione totale di questo bozzolo: il bozzoloera il nucleo da cui tutto partiva ed in funzione del quale tutto era statorealizzato.

Il desiderio regressivo di tornare nell'utero lo abbiamotutti in fondo al cervelloda qualche parte nel nostro inconscio. Credo che cisia un neonatoin ognuno di noiche non ha mai accettato di essere statocostretto a nascere. Normalmente questo neonato non ha potere su di noi;progressivamente lo allontaniamo dalla nostra coscienza ed affiora solo inmomenti drammaticidi grande sofferenza e di grande paura o dolore; ed alloraci mettiamo il dito in bocca (o qualcosa di equivalentedall'alcool allasigarettadal cibo alla droga) e ci accoccoliamo in posizione fetale e nonparliamo più a nessunocercando di ricreare l'unico momento della nostra vitain cui siamo stati veramente sicuri. Credo che le esperienze che avevo avutofino a quel momento sul pianeta mi avessero fatto recedere ad una fase diassoluta regressione infantile.

Man mano che il bozzolo veniva realizzato ero sempre piùansioso e felice al tempo stesso: ansioso perché ne ero ancora fuorifeliceperché presto vi sarei entrato. La prima volta che vi entrainon ne uscii perventi giorniche passai quasi tutti a dormire ed a mangiare.

 

Chiesi al Genio se poteva produrre delle lenti a contatto chepotessi mettere e scordarmi e lui mi rispose di sì. Chiesi per quanto tempo emi rispose indefinitamente. Il che mi fece venire in mente che forsese potevaricrearlo dal nulla (probabilmente clonandolo da una qualche mia cellulaconservata da qualche parte) anche in questo campo il Genio avrebbe potuto"migliorare" il mio corpo.

In realtà non c'era nemmeno bisogno di una mia cellula.Bastava sapere come era il mio DNA. Il DNA non è nulla di "magico".Sarà anche vero che "solo Dio può fare un albero"ma qualunquescienziato sa cheuna volta che Dio (o chi per lui) abbia creato il meccanismoper far sì che quell'albero sia quello e non un'altrolo si potrà riprodurre.Ogni frammento di DNA è un insieme di sostanze chimichedi acidodesossiribonucleicomesse esattamente in quello e non in un altro ordine. Allafine è possibilemolecola dopo molecolaanche partendo da un materialebiologico qualunqueche ne sopetrolio ad esempioricostruire tutti e 46 icromosomi che formano il corpoanche "quel" corpoun corpospecifico. E quindi riprodurlo tale e quale.

Certo in teoria non la personalità di un individuoi suoiricordila sua coscienza di sé. Anche se il Genio o i Giocatoriquestoesattamente facevano.

Credo che sia questo il vero significato del racconto dellaGenesi: anche Dio per fare l'uomo prende della terra qualunque e la impasta conil soffio divino del proprio spirito.

Non era strano risvegliarsi in un corpo nuovo. Era stranorisvegliarsi in séed era strano che la personalità e tutti i ricordi fosseroanche loro così facilmente riproducibili.

Insomma pensai che se poteva ricostruire il mio corpopotevaanche ricostruirmelo diversono? E come mi pareva a megiusto?

Feci altre domande per molte oreed alla fine varai ilprogramma di "ristrutturazione globale".

Pensavo sarebbe stato doloroso o noiosoper cui chiesi alGenio di tenermi in stato di anestesia per tutta la durata dei cambiamenti.

Che richiesero 5 giorni aggiuntivi. Non so se abbia cambiatome o creato un altro me in cui ha "riversato" la mia personalità. Nonso se sono "morto" anche in quella occasione. Io chiesi una anestesiatotale e di non essere informato nei dettagli. Non ricordo altro.

Una mattina mi svegliai di nuovo nel letto e pur avendoancora il mio "vecchio" corpo (il quinto in assoluto ed il quarto inquel mondo; ma come ho dettoforse era il sesto) era un corpo in larga parterinnovato.

I difetti della vista erano stati eliminatianzigli occhierano stati migliorati: ero in grado di vedere meglio al buio e la gamma divisibilità si allargava a parte degli infrarossi e degli ultravioletti; il buiototale non sarebbe praticamente più esistito per me ed al sole più accecantesarei stato perfettamente a mio agio. Anche perché la velocità di abbronzaturadella mia pelle era tale da farmi essere quasi un camaleonte: dopo venti minuticirca di esposizione al sole del desertoa meno che non fossi io a volerrallentare il procedimento con un atto coscientesarei stato perfettamenteabbronzato e protetto.

La pelle poteva cambiare colore però anche virando verso ilverde pallido ed altre sfumature di colorisempre a comando ed a scopomimetico. La cosa era resa possibile da un metabolismo diverso da quello umanostandard e da un maggiore controllo della pelle.

Avete presente quando avete i brividi sulla schienaper ilfreddo o per un emozione? A voltequegli stessi brividicon un po' diconcentrazionesi possono riprodurre volontariamente: se volete provare unbrivido potete farlobasta pensare a qualcosa di freddo; a volte basta pensareal brivido in sé e per sé. Benequello era il meccanismo di partenza. Bastavarabbrividire in un certo modoper così diree in pochi secondi si cambiavacolore alle estremitàviso compresopoipiù lentamente (sempre nell'ordinedi minuti) in tutto il corpo. Era molto meglio di un camaleonte.

Le ossa erano state rinforzate da infiltrazioni di unaspeciale sostanza simile al siliconediventando al tempo stesso più flessibilie più resistenti.

Le capacità degli "yogi" più esperti della terraerano tutte a mia disposizione grazie alla tecnologia del Genio: potevorallentare e sospendere per molti giorni il battito cardiacola respirazionela coscienzaperfino certe onde elettroencefalografiche; ero in grado direstare senza respirarema cosciente ed in azioneper oltre 15 minuti; potevorigenerare i miei tessuti molto più rapidamente di qualunque essere umanoeduna mano tagliata sarebbe ricresciutanon subitoma sarebbe ricresciuta;difficilmente sarei morto per delle ustioni o per una emorragia ed i peggiorivirus della storia delle malattie mi sarebbero letteralmente rimbalzati addosso:il mio sistema immunitario era feroce!

I denti che avevo perso mi erano già ricresciuti in ognunodei quattro nuovi corpi che avevo avutoma d'ora in poi sarebbe stato unprocesso naturale ed automatico che coinvolgeva tutte le cellule del mio corpo;la rigenerazione cellulare del mio corpo era tale che per alimentarlacorrettamente sarebbe stato bene mangiare a quattro palmenti e soprattutto cibiricchi di zuccheri e di grassi ed alcool: mai più problemi di dietaanzi.

Ad un metabolismo estremamente accelerato corrispondevanoriflessi degni di un servomeccanismouna velocità nella corsa pari a quelladei più grandi velocisti ed una forza da sollevatore di pesi.

Era come se intorno a me tutti si muovessero più lentamentedi prima: le loro reazioni nervose agli stimoli in confronto alle mie eranoquelle di una tartaruga.

Già che c'eroavevo fatto aggiungere una quindicina dicentimetri alla mia altezza naturale ed ero così ormai alto più di un metro enovanta; avevo fatto modificare anche qualche tratto somatico ed avevo cambiatoil colore dei capelli in rosso e degli occhi in verde.

Ero una specie di superuomo altobellosupermuscoloso esuper virile: avevo infatti anche "migliorato" alcuni particolari delmio apparato riproduttivo e della sua fisiologia. Mi ero detto: cambiare percambiaretanto valeva esagerareno?

Restavo "mortale"nel senso che potevo essereuccisoRigenerazione a parte; ma sarebbe stato molto ma molto ma molto piùdifficile riuscirciin futuroper chiunque.

 

 

 

 

La Solitudine e la Follia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando l'over fu prontonell'enorme hangar creato appostaper contenerlo dal Genioe pochi giorni prima che scadesse il temposalii abordo. Vi ero già stato "in video"per intervenire nella correzionedi questo o quel particolaresulla base di domande o di richieste dichiarimenti da parte del Genio. Ma dal vivo era meglio di come lo avevoimmaginato.

Chiesi ultime correzioniaggiustamenti (ad esempio tappetiquadrilampadee molti altri oggetti di uso comune; il salead esempiochemi ero completamente dimenticato!) e mille altre cose che mi venivano in mentequa e là. Ero euforico. Non sospettai cosa stava per accaderee come avrei maipotuto? Nessuno è mai rientrato nell'utero della propria madrema ioinqualche modo sia pure simbolicostavo per farlo.

 

Senza soluzione di continuità nelle mie sensazioniimprovvisamente percepii una piccola differenza: subito dopo lo scaderedell'ultimo minuto del tempo a mia disposizioneil rumore di fondo eracambiato. Fino a quel momento e per tre mesi in totale ero stato circondato soloda un eco di rumori di produzionecon gli echi veri e propri tipici di unospazio chiusodi un cantiere; improvvisamente c'era solo silenziorotto dalleggero frusciare del vento. Chiesi che si accendessero gli schermi della salacomando ed intorno a me vidi una pianurauna delle grandi pianure verdi delpianeta.

Ero di nuovo lìchissà dove.

Improvvisamente l'euforia scomparve e cominciai ad agitarmi.

L'agitazione divenne presto vera e propria paura. Dapprimafeci finta di niente. Ordinai al robot della cucina un bicchiere di vino freddoe mi assisi nella poltrona al centro della sala comando. Giocherellai con icomandi vocaliordinando ad esempio un ingrandimento di una delle immagini diuno degli schermipoi di un altro.

E sentivo l'ansia montare.

Alla fine corsi ansante verso il bozzolo e quasi mi feci maleper entrarvi il più rapidamente possibile. Urlavo i comandi al computer che lieseguiva al volo:

- Chiudere tutte le paratie esternechiudere ogni contattocon il mondo esternoattivare la condizione da guerra nucleareautonomiatotale e riciclo di ossigeno e liquidi. Blocco totale di qualunque forma dicomunicazione con l'esterno. Identificare la pianura più larga nelle immediatevicinanzedirigervisi e fermarsi al centrocomunque lontani dal più vicinocentro abitato! Far decollare i palloni sondaattivare le telecamere di bordoper una ricognizione ininterrotta dei dintorni dell'Utero. Attivare i servizid'arma automaticieliminare qualunque forma di vita si avvicini all'over entroi trecento metriumana o animale che sia! Sterilizzare il sottosuolo fin doveè possibile!

E continuai così ad ordinare il raggiungimento della massimacondizione difensiva possibile. Non lo sapevo ancora ma ero all'inizio di unavera e propria crisi psicotica.

 

Cosa mi era successo? Non lo so bene. Ho ricordi spezzettatidi quel periodoframmentari. Ero nel mio bozzolosospeso nel nullacaldoprotettonutritomassaggiato. Non dovevo fare nulla e nulla intorno a me simuoveva. Nulla mi poteva raggiungere o farmi del male. Non sapevo cosa volevoforse non volevo nullaperché l'atto del volere significa cambiare qualcosa edio non volevo nessun cambiamento.

Un giornonon so quandoa circa 100 chilometri a sud delposto dove mi ero fermato passò una mandria di bufali. Il computer me lo disseperché gli avevo detto anche di avvertirmi di qualunque movimento significativointorno a noi in un raggio di 500 chilometri.

Appena lo seppi ordinai urlando un bombardamento con imissili ad esplosivo convenzionale; ne feci lanciare più di 20. Distrusserotutta la mandria ovviamenteseisettemila capiun orrore di carnicarbonizzate per un raggio di un paio di chilometri.

Perché lo feci? Ma è semplice: perché stavo impazzendo.

 

Impazzii.

Completamente. Detti fuori di matto. Ruppi la brocca. Migirarono completamente tutte le rotelle. Sebbene avessi predisposto un vero eproprio utero di titanio intorno a me e sebbene fossi fisicamente protetto dametri di pareti di acciaio al titanio eccetera ecceterail mio inconscio non cicredeva. Mi ero sentito al sicuro solo finché ero rimasto in quella specie di"ospedale" nel quale rivivevoogni volta. Lì sapevo che non morivo;lì sapevo che rivivevo. Quello era forse l'utero che volevo ricreare. Maappena fuorila crisi mi aveva preso immediatamentesubitanea edirrefrenabile.

La paura di morire credo sia stata la molla principale. Nonera una paura razionaledato che razionalmente era vero che ero protetto comemai in nessuna delle mie vite. Pensate anche ai cambiamenti che avevo fatto almio corpo. Non dico che ero invulnerabile ma quasi. Eppure avevo paura dimorireavevo una paura folle e disperata di morire un'altra volta. Era questoil punto: un'altra volta. Io sapevo come si morivaero già morto; se nonproprio iocome ho già dettolo sapeva il mio corpoe non lo tollerava più.

Continuai a fare cose insensate. Ad esempio ordinai alcomputer di bordo una rielaborazione di molte sostanze chimiche presenti neimagazzini dell'over per realizzare dei velenidei defoliantidei veleni peranimali ed ordinai di spargerli intorno al veicoloanche molto lontano. Fecidare fuoco alla prateria circostante. Feci uccidere metodicamente qualunqueuccello sorvolasse l'over; ordinai la caccia costante di talpe ed altri animalivermi compresisotto l'over fino ad una profondità di decine di metri.Distrussi ogni forma di vita intorno a me.

Mi faceva paura la vita perché la ritenevo la possibilefonte della mia possibile prossima morte.

All'inizio era un delirio paranoico autogiustificativo:ricordo vagamente anche di aver scritto un diarioin quel periodo; marapidamente divenne pura e semplice ubris distruttiva. Pazzia.

Come ne uscii? Anche quipresto detto: non ne uscii affatto.

Non ricordo cosa sia successo con esattezza. Il mio ultimoricordo cosciente è di me stesso chiuso nel bozzoloin preda ad uno dei mieimomenti di folle paurache alternavo a sensazioni di felicità e dirilassatezza e di amore per i miei due uteriuno dentro l'altroossia per ilbozzolo e per l'over. Ma deve essere il ricordo di un sogno perché il bozzolonel ricordo cambia forma e non è sempre la stessa.

Devo averlo sognatoquindied è un sogno di meassolutamente normalefeliceleggermente preoccupato per ciò che stasuccedendocome se dentro di mein quel momento ci fosse un nucleo di sanitàmentale. Dopo di allora ho spesso pensato che la follia sia fatta di un essereumano pazzo sìma al centro del quale si nasconde un nucleo di sanitàmentale: come se dentro ogni folle ci fosse un sano.

Non so se sia vero. La pazzia a volte mi sembra più unamacchina senza conducenteun disegno sulla sabbia cancellato dall'onda. Nellapazzia vera è come se l'umano non esistesse più. Ma poi se penso a me pazzoho l'impressione che in fondo a quella delirante povera cosaci fosse un altrome stesso sano.

Dicevo che quello è l'ultimo ricordo cosciente che ho. Nonricordo se stavo malee se quindi sono morto per un infarto o qualcosa delgenerené quanto tempo sia durato il tutto.

Molto tempo dopo ho ritrovato quell'overil primocon ilsuo rimorchio-doppionenel mezzo di una prateria. Ancora lìimmobili edancora perfettamente funzionanti.

Non ho avuto il coraggio di andare a vedere in che stato erail mio corpo di allorané se c'era ancora e di che morte fosse morto. Non homai visto i miei corpi precedenti. Mi fa orrore solo l'idea.

Ma in un raggio di quaranta chilometri intorno all'over lavita non era ancora tornata normale. Devo aver avvelenato anche le faldeacquiferesparso veleni di tutti i tipinon lo so. Quanto ci posso aver messoa combinare un disastro simile? Mesialmeno. Tanto durò la mia pazzia.

 

Mi risvegliai nel mio lettonel mio solito letto con ilGenio che chiedeva.

- Sei in grado di intendere?

 

Non ricordo la mia morte da pazzo.

Non so nemmeno se sia stato il Genio ad eliminarmiperreimmettermi nel gioco: in quelle condizioni di esistenzafra l'energia deireattorile celle solari e tutto il restoavrei potuto continuare a vegetarein quella condizione per anni.

I sistemi di alimentazione del bozzolo funzionarono ameravigliadato che erano una specie di sala di rianimazione da ospedalemoderno. Credo proprio di essere stato "spento" dal computer. O daiGiocatori. Evidentementee questa era una regola nuova: la follia totalelapsicosi irrecuperabileequivaleva per loro alla morte.

Quindi sono stato "spento""riparato" e"riacceso".

Quando ripresi i sensiricordai tuttochiaramente finoall'uscita nella prateria. Da quel momento in poi i ricordi sono confusiquindisono comunque miei; ma devo essere impazzito subito. Dico che sono stato"riparato" perché stavolta ero più tranquillopiù sereno. E poiperché chiesi al genio di realizzare immediatamente tutto ciò che mi avevagià fatto la volta precedentee di tenermi in stato di incoscienza fino almomento dell'immissione.

Praticamente mi feci immettere subito nel mondo esterno.Volevo vedere se sarei impazzito di nuovo.

 

Arrivato lì (nel bel mezzo di una tempesta in un marepolare! Circondato da iceberg! Ma poco maledato che Utero era previsto pernavigare in quasi qualunque condizione di mare e che la sala comando era montatasu giunti cardanici; e se ci fosse stato un vero tifonepotevo immergermitranquillamente fino a trenta metri ed aspettare che passasse tutto e poiriemergere) affrontai invece serenamente la situazione. Non solo non impazziinon ebbi nemmeno una particolare paura. Ero stato "riparato". E beneanche.

Perché si impazzisce? Cosa vuol dire impazzire? Non lo so.Ma volendo essere estremamente rozzi e superficiali e pretendendo di direqualcosa che si avvicina un po' alla veritàforse si può dire che la pazziaè un "guasto"che evidentemente però può essere aggiustato. Questoè quello che accadde a meper lo meno. Si impazzisce per un difettostrutturaleforse: c'è qualcosa che non funziona nella biochimica del cervelloe la macchinetta si rompe. O si impazzisce perché si è portati alla follia dacircostanze esternedalle esperienze che non possiamo gestire o controllare. Siimpazzisce sotto un bombardamentoo per le tortureo per errorinell'educazione.

Forse questi "guasti" si possono recuperare. Anzisenza forse: le psicoterapiei farmaci sono di grande aiuto per il recupero aduna vita assolutamente "normale" di molti psicotici.

Ma non per tutti. Ci sono macchine che non si riparano più.Non sulla Terra per lo meno. I Giocatori erano in grado di riparare qualunque"macchina" cerebrale umana. Per lo meno ripararono me.

La ripetuta serie di morti mi doveva aver"guastato". Per cui impazii. Chissàforse accadeva normalmenteatutte le pedine come me. In tal caso si dovevano essere fatti una bellaesperienza.

Nei pochi ricordi che ho di quel periodo credo sia nascostoanche il segreto della mia guarigione. Esiste anche la possibilità che io misia "autoriparato"? Non sonon credo.

Ho però scoperto un'altra cosa: ho provato la morte e lafollia; e credo che la follia sia peggio della morte.

 

 

 

 

Nel Deserto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ho detto anche comeessermi trovato nel bel mezzo di unatempesta in un mare polare non fosse affatto un problema. L'over galleggiava dasoloper pesante che fosseanche senza manovrare in nessun modo e senza farfunzionare il cuscino d'aria. Notoriamente sono pesanti anche i sommergibilimaper farli scendere occorre appesantirli: allagarli.

Cosa che si poteva fare anche con Utero (non avevo cambiatoné il nomené le caratteristiche dell'overbozzolo compreso: in fondo erauna buona idea) Non lo si poteva usare come un vero e proprio sommergibileperché non era idrodinamico e non avevo previsto quella evenienza. D'altraparte i viaggi in mare li avrei comodamente fatti "sopra" e non sottoil mare stesso.

Nell'eventualità che una tempestao uno "tsunami"(sempre che vi fossero "tsunami" od onde anomale su quel pianeta) sene poteva andare sott'acqua per una cinquantina di metri e per un periodo ditempo indefinito e poi tornare su. In caso di tsunami poil'hardcore dell'oversospeso com'era sui giunti cardanicinon avrebbe minimamente risentito dieventuali capovolgimenti: l'intero scafo avrebbe potuto girargli intorno ed ionon me ne sarei nemmeno accorto.

Quella volta non fu nemmeno necessario aumentare troppo ilcuscino d'aria per contrastare le onde. Era la prima vera prova che facevo ditutto il meccanismo e ne fui estremamente soddisfatto.

L'over era maneggevolefacilissimo a comandare anche con icomandi vocalipoteva muoversi sull'acqua a velocità altissime e spostarsilentamente anche di pochi centimetri. Chiesi al computer di bordo diidentificaretramite radar e palloni sonda la terra più vicina e didirigervisisia pure in mezzo alla tempesta. Se non ci riusciva subitoprendesse una qualunque direzione e la tenessedritto per drittofino a chenon avesse o raggiunto una costa o trovato traccia di una costa sul radar. Poinon ci pensai più di tanto per dedicarmi a verificare altre cose a bordo.

Tre giorni dopo giunsi così quasi senza accorgermene allacosta desertica di uno dei continenti meridionali del pianeta. Era una terrafredda a non molta distanza dal polo sudcoperto di ghiacci adagiati su unasuperficie di terra. Il continente in sé era deserto e disabitatoalmenoapparentemente. Decisi di proseguire via mare verso nordpraticamente incabotaggio e lasciando il compito di dirigere l'over esclusivamente al computerdi bordo. Io mi ambientai di nuovo alla mia nuova casadato che la prima voltail tempo l'avevo passato ad impazzire!

 

Era una vita un po' artificialema comunque gradevole. Lefinestre non erano solo artificiali e sotto forma di schermi televisivi: inprossimità delle paratie esterne ne esistevano anche di veree le feci apriredi tanto in tanto; anziavevo previsto addirittura una terrazza esterna e ciandaiben copertodato il freddo; a farla breveuscii da quell'uteroprotettivo ma un po' soffocante a prenderlo troppo sul serio: non ci tenevo adimpazzire di nuovo!

Dopo alcune settimane di navigazione sempre senza vedereanima vivascorsi una terra non solo molto più caldama deserticasimile alSahara.

Raggiunta la costa vera e propriadecisi di inoltrarmi neldeserto.

Le mappe che avevo ottenuto dal mio computer tramiterielaborazione dei dati dei palloni sondami dicevano quasi tuttosull'orografia e sui fiumi e sulla geografia fisica in senso stretto di quellazona del pianeta: ma nulla della gentedegli esseri umani che si trovavanonelle varie zone in prossimità delle quali passavo.

Sui palloni sonda c'erano anche delle telecamere sul tipo diquelle dei satelliti spia e ne ricavavo immagini dettagliateche a voltevisionavo di persona e che comunque venivano automaticamente archiviate e"gestite" dai computer di bordosecondo programmi predisposti. Volevoimmagazzinare quanti più dati possibili sul pianeta e sulle sue popolazionidato che qualunque dato avessi immagazzinato lo avrei potuto riutilizzare inqualunque momentoe soprattutto chiederlo di nuovo al genio in un eventualesuccessivo incontro. Che ci tenevo ad evitare ma che non potevo escludere.

Quel periodo di ricercaindagini e di solitudine"sana" per così direfrutto di attenzione e di un progetto e non difolliadurò quasi tre anni.

Mi mossi soprattutto nei desertied al largo delle costeperché non volevo essere notato troppo. Di tanto in tanto lasciavo l'Over inprossimità di carovaniere o di villaggidi nottee con preventivi comandi lofacevo allontanare da medando al computer successivi appuntamentio portandocon me un telecomando per richiamarlo.

Mi aggregavo alle carovane con una scusa e viaggiandoconoscevo. In quei tre anni ebbi molte avventurepiccole e grandima non miesposi mai tropponon rimasi a lungo in nessun postonon mi rivelai mai anessuno come un Immortalenon strinsi amicizie.

Mi era venuto anche in mente che l'avvelenamento di cui erostato vittima a Bulbo Verde poteva essere motivato non tanto da invide e gelosiedella casta medica di quella città quantoperché noda qualcun altro che miaveva identificato come Immortale. Era bene essere guardingo anche da questopunto di vista.

Approfondii la mia conoscenza delle lingue del pianetalemie abilità di guerrierodi spadaccino in particolar modoovviamente aiutatodai cambiamenti che avevo effettuato nel mio corpo. Nei combattimenti e neiduelli che fui costretto ad affrontare fui ferito diverse voltema mai ucciso;né ci andai vicino. Continuai le mie ricerche.

 

Non sapevo quasi nulla dei Warraffo "Popolo delDeserto Viola" prima di incontrarli ed anche nelle altre mie vite non avevomai sentito parlare di loro. Il Popolo del Deserto Viola era un popolo civiledai tratti vagamente semiticicon una organizzazione tribalepatriarcaleautoritariaun po' rigidama sostanzialmente rispettosa dei diritti e deidesideri dei singoli.

Derivavano il loro nome dal colore della sabbia di queldeserto: violadi diverse sfumaturedal malva al lillaal viola scuro. Leduneall'alba o al tramontoerano uno spettacolo senza parisenza confronti;in pieno sole la maggior parte delle sfumature del viola si perdevano in unvioletto chiaro e compattoma nella penombra invece si esaltavano.

Il colore era dato alla sabbia da una maggiore o minoreconcentrazione di un certo cristallo di carbonioche avendo un peso specificodiverso dal resto dei componenti della sabbia veniva smosso dal vento in mododiverso dagli altri granelli; da dove venisse non riuscii mai a scoprirlo; credofosse un elemento artificiale aggiunto ad un normale deserto per motivazionipuramente estetiche.

Fra i Warraff tuttidai bambini alle donnedagli uominiagli anzianiavevano dei doveri e dei diritti. Sebbene il diritto al parlarenelle assemblee tribali spettasse solo ai maschi guerrieri adultieratradizione (e quasi un obbligo) che le riunioni si tenessero la mattina prestoquandocome diceva un proverbio della tribù "la notte e le mogli hannoportato consiglio e riposo".

Inoltre le assemblee eranoin linea di principio pubbliche ead esse partecipava di fatto tutta la tribù anche se solo i maschi adulti e conil diritto di portare la spadaavevano il diritto di parolaqualunque discorsoe discussione avvenivano sotto gli occhi di tutti. In un rispettoso silenziotutti venivano informati su tutto.

Erano rispettosi dei viandanti e degli stranieri che fosserorispettosi delle loro leggi e soprattutto amavano la bella vita: le serate abase di buoni cibi e belle canzonidopo un bagno caldoerano il loro ideale divita.

Sìsi lavavano. Sottolineo il fattoperché sebbene leciviltà del Mondo come ho già avuto modo di direperfino quelle più"barbare" e selvagge o nomadiamassero abbastanza la puliziaiWarraffcioè un popolo del desertousavano buona parte dell'acqua a lorodisposizione per lavarsi e profumarsi. Si facevano un punto d'onore dicontinuare a vivere nel desertoma puliti come fossero un popolo di fiumecomedicevano di solito. Questa cosa mi piaceva moltoma devo dire che ho semprepensato che fosse una sorta di prova dell'artificialità del mondo e delle sueciviltà. Come se fosse una abitudine in qualche modo imposta dai Giocatori:l'abitudine alla puliziaper gli umani è sempre stata una conquista diciviltà ed una eccezione.

 

I Warraff erano ottimi guerrieri ed usavano i fucili a semidi "axa" con estrema precisionele spade ed i pugnali da provettispadaccini ed erano molto disciplinatidiversamente dalla maggior parte deglialtri nomadi dei deserti limitrofi. Occupavano quasi tutto il Deserto Violaun'area grande tre volte il Sahara terrestre. In tutto erano una confederazionedi circa 120 clanpiù o meno imparentati fra di lorospesso in litese nonin una vera e propria guerrache era comunque cosa che riguardava solo iguerrieri e mai le donnei vecchi o i bambini.

Combattevano per il piacere di farlonon per predareecommerciavano in beni di molti tipifra cui alcune pietre preziose su cui soloun Warraff poteva mettere le mani e restare vivo: essendo esperti cacciatori leprendevano direttamente dagli intestini degli squali-di-terra o delle talpe; ederano considerati fra i migliori mercenari dell'emisfero. Anzii giovaniregolarmente si allontanavano dalla tribù verso i vent'anniper un periodo di5 o 10 anniproprio per fare i mercenari e tornare poi alla loro tribùricchio meno che fossero di denaroricchi soprattutto di esperienza guerrieracheera la cosa più apprezzata presso il Popolo Viola.

 

Io col passare del tempo ero riuscito a farmi accettare: erodiventato uno di lorocon il nome di Mamo T'amoche voleva dire "IlCantore delle Strane Canzoni".

La tribù mi aveva accolto quandonel desertoavevo salvatoun gruppo di cacciatori di talpe della tribù da un assedio da parte di unatalpa fuori misuranome improprio per indicare degli animali simili sì alletalpe terrestrima dieci volte più grandi e feroci e che si nutrivano di untipo di grossissimi vermi sotterraneiabbondantissimi nel deserto. Le talpeerano molto simili agli squali-di-terra che avevo incontrato nella mia primavitasolo che erano a quattro zampee non seiquindi di possibile evoluzioneterrestre; predatori sotterraneisostanzialmente ma se capitava di integrare ladietain superficienon stavano a guardare tanto per il sottilee cammelli oumanifaceva lo stesso.

Le talpe erano a loro volta la fonte principale di cibo e dimateriali per la tribù degli Warraff. Quando li incontraifra l'altroerosolo e fuori da Uteroin abiti da "shangò"un cantastorie; eroequipaggiato però con bombe detonantilancia-semi microscopici ed ultrapotenti e altre cosucce; ed ero arrivato al momento giusto.

Una "talpona" era uscita per catturare una predaesca ed era caduta nei cappi delle trappole Warraffquasi identici a quelle deisubumani che mi avevano catturatoviolentato ed ucciso in un tempoincommensurabilmente lontano ormai; ma era molto grossapiù del previsto edera riuscita a liberarsi in parte ed a fare danni: aveva ucciso due uomini e neaveva feriti altri tre; si stava mettendo male quando intervenniuccidendo latalpa con un colpo solo del mio lancia-semi.

Avevo deciso di reinserirmi in una comunità locale e graziea questo episodio c'ero riuscito; dopo quell'episodio e due mesi di viaggio congli Warraffero stato accolto ufficialmente nella tribùanche perché amavanole mie canzoniche suonavo con una chitarra terrestreche loro non avevano maivisto; sulla Terra non la sapevo suonarema nei tre anni da che ero sull'Uteroavevo avuto modo di imparare; il repertorio poi non poteva fallire: avevo glispartiti di oltre quattrocento canzonisoprattutto dei Beatlesdei Beach Boyse dei Bee-Geesche cantavo ritradotte ed adattate alla realtà dei Warraff.

Quando ebbero completa fiducia in memolti mesi e molteavventure dopo quella prima decisi di cominciare il mio programma di creazionedi una civiltà in grado di affrontare i Giocatori proprio da loro. Avevobisogno di molti alleati per riuscircianziavevo bisogno di allearmi alpianeta intero.

Mi rivelai a loro come un Immortalegli mostrai il mio Overe gli chiesi se volevano stipulare un patto con me: io mi impegnavo a rifornirlidi informazioni sui pozzi di acquadi protezionedi merci preziose e di moltenuove conoscenzee loro sarebbero stati i miei alleati nella ricerca di altriImmortali.

Accettaronoanche perché degli Immortali sapevano moltopocoe quindi non ne erano particolarmente spaventatied in fondo io ero ormaiuno della tribù e senza dubbio un potente mago. Ma credo che accettaronosoprattutto perché gli piaceva l'idea di quel tipo di avventural'idea dicombattere contro nemici molto più potenti di quelli che avevano combattuto evinto fino ad allora.

Con il loro aiuto cominciai ad estendere il mio controllo nelDeserto Viola prima e su quelli limitrofi poi. Questo controllo significavaalleanze con le varie tribù e le loro alleanze; in cambio di controlloterritoriale ed informazioniio fornivo protezione delle carovaniere controtalpe e predoniacqua in abbondanza per tutti e soluzioni concrete a milleproblemi.

Ero diventato uno "Shaduz"un Capo fra i Capi.Distribuii tramite le Tribù una serie di telecameremini-radio molto potenti ecreai una serie di punti di raccolta di informazioni in tutte le oasiaffidandotale incarico ai vari saggi delle tribù. In breve tempo fui certo di averraggiunto un controllo capillare del territoriocontrollo in parteautomatizzato ed in parte affidato ad umani e la cui supervisione avevo affidatoad un gruppo di Warraff che avevo addestrato appositamente.

Qualunque cosa accadesse nei Grandi Deserti io lo venivo asapere. Chi c'eraquando e dovese c'erano tracce di Immortalise c'eranonovità di qualunque tipo: tutto veniva riferito in una catena di informatori edarrivava a me ed ai miei computer. Acquisivo mappe ed informazioni sempre piùdettagliate del pianeta.

Tramite i Capi carovana entrai in contatto anche con BulboVerde ed a tempo debito raggiunsi la cittànon proprio lontanissimapraticamente poco oltre la fine dell'ultimo desertoa sessanta giorni dicammino di una carovaniera.

La scuola di medici che avevo creato era andata avanti. Erapur sempre una scuola elitaria e quasi solo per nobili o per ricchicome sempreerano le scuole di questo tipo in quell'areama almeno insegnava cosescientificamente corrette. Ormai erano pochissimi i medici che a Bulbo Verdeseguivano i metodi tradizionali. E così direi chesia pure a prezzo della miavitao di una delle mie viteanche quel piccolo tassello nella creazione di unmondo scientificamente evoluto ed autosufficiente era stato posto.

Dalla città ormai partivano non solo merci vegetali di tuttii tipi ma anche nozioni medichefarmaci e medici preparati scientificamente.

Mi tolsi lo sfizio di indagarecon discrezionesugli autoridel mio omicidio e scoprii che erano stati tutti scoperti ed impiccatitrannecome spesso accade il mandanteil console in carica all'epoca.

Stavo per farlo eliminare quando ci ripensai. Poteva esserestata una sua iniziativa personalecertoma se fosse stato un incarico daparte di uno dei Giocatori? Ed in tal caso forse non era meglio sorvegliarlo?

Gli feci riempire la casa di spie elettroniche di diversitipi oltre ad alcune mine telecomandate e lo affidai al controllo di alcuni deimiei più fidati Warraff. Poi me lo scordai.

 

Trovai il primo Immortale al secondo anno del patto con iWarraff.

Era un vecchio sciamano di una tribù imparentata con iWarraff che viveva 300 km a nord della nostra area. Appena mi giunse la notiziadella sua scoperta (e diciamolo puredella sua catturasia pure con ottimemaniere) mi ci recai in volo con l'elicottero dell'Over.

L'uomoAssudi-Amansembrava vecchissimo e mi aspettavanella tenda del capo della Tribù. Chiesi di restare solo con lui e fuiobbedito.

- Mi dicono che sei come me - dissi in linguaggio Warraff.

- Da dove vieni? - mi rispose in lingua comune.

- Dalla Terra.

Fece un sorriso qualcosa a metà fra un sorriso ed un ghigno.

- E da "quando" vieni?".

- Dall'anno 1998 dell'era Cristiana. E sono sul Mondo da 9anni. E da cinque reincarnazioni.

Mi guardò in silenzio per un po'poi:

- Ricordo di aver sentito parlare di Cristo. Io vengo daAlicarnassoquando era ancora una città grecaprimama non molto primadell'arrivo degli infedeli musulmani. Ero un sacerdote di Mitraalloraun diomorente. Credo.

Più o meno l'inizio del settimo secolo dopo Cristovalutai.

Se eravamo ancora alla fine del XX secolocome potevoritenerequell'uomo viveva da oltre 12 secoli. Non in quello stesso corpoperò.

- Vivo in questo corpo da 320 anni - disse lui come mi avesseletto nel pensiero.

Lo pensai per un attimo e luicon un sorriso.

- Nonon leggo nel pensiero.

Lo guardai come se mi stesse prendendo in giro ma anche comese fosse un pericoloso serpente. Ma davvero poteva leggermi il pensiero?

- Ti ho detto di no - disse ghignando - Anche se sembra ilcontrario. Tu sei giovanevero? Voglio dire: quando sei stato presonella tuaprima vita eri giovanegiusto? Quando sarai vissuto a lungo come metiaccorgerai che il modo di pensare degli esseri umani è molto prevedibile e cheè facilissimo interpretare i segni del viso e del corpo. Per la maggior partedei pensieriper lo menoper quelli più forti e più immediati. E poil'esperienza di molte vite aiuta: gli umani in fondo sono veramente tuttiuguali. Ma se mi nascondi il tuo viso e se resti fermo e rigido non posso capirequasi niente di te. Tu chi sei?

Gli spiegai brevemente la mia storia. Poi gli dissi chi eroin quel momento ed in quel luogo.

- Ahsei tu dunque il Possessore della Montagna... perchécerchi gli Immortali?

- Voglio scoprire chi ci ha portato qui.

- E perché?

- Perché voglio essere padrone della mia vita.

Rise.

- Sei un illuso ed un ingenuoe anche se sei molto giovanesei troppo di tutte e due le cose. Nessuno è mai padrone della propria vitainnessuno dei mondi possibili.

- Io non lo credo. Vuoi o puoi aiutarmi?

- Perché dovrei?

- Perché se non lo farainon darò più acqua e protezionealla tua tribù. E faro di peggio. Non so cosaanzi non ne ho ideama staisicuro che qualcosa troverò. Inoltre se sei vissuto così a lungo non credo tuabbia voglia di ricominciare daccapovero? Tu speri di vivere ancora a lungodi morire di vecchiaia e di essere premiato con la morte definitiva. Ma non hainessuna voglia di tornare ad essere giovanevero?

Tacque per un po'guardandomi senza espressione.

- Non sei poi ingenuo fino in fondoehMamo T'Amo? Va benechiedi ciò che vuoi...

 

Lo feci. Ma non ne ricavai granché. La sua era una storia inparte molto simile alla mia. Viveva forse da 1200 anninon ne poteva esseresicurosul pianeta ed era morto moltissime voltenon ricordava nemmeno quante.

Quasi tutte comunque nei primissimi anniucciso per errorisuoi prevalentemente.

Anche lui si "risvegliava" con le stesse modalitàcon cui mi "risvegliavo" io. Alla Vocecome lui chiamava il Genioaveva sempre chiesto cose molto semplici e concrete: armiorogioielli di cuiveniva regolarmente derubato.

Una volta molto tempo primacome era successo a meeraimpazzito; poi si era suicidato in continuazioneduetrecinquefino adodici voltetutte di seguito ed aveva smesso solo quando nelle ultime due otre volte in cui era stato Rigenerato non aveva nemmeno cambiato luogo: ilcomputer lo aveva fatto risorgere direttamente nel luogo in cui si era suicidatole ultime tre voltesenza farlo transitare nelle sue "sale".

Allora si era rassegnato. Aveva trovato quella tribù duesecoli prima e data la tradizionale tolleranza dei Warraff per gli stranieri edi pellegrini vi si era stabilitorivelandosi poi alla tribù come un Immortalema venendone accettatoin cambio del segretoper le sue abilità di Sciamano.

Che in effetti possedevarealmente. Quell'uomoscoprii neigiorni che passai con luiaveva sviluppato un incredibile intuitocheconfinava con la telepatia: come aveva detto lui era evidentemente un misto diesperienzadi capacità acquisite nel decifrare le espressioni anche minime delviso e di qualcosa in più forse; perché di fatto era quasi un telepateepoteva comunque diresemprese qualcuno stava mentendo o no e perfino rivelarealle persone cose che loro non sapevano o che non sapevano di sapere.

Gli raccontai quello che mi aveva detto Barrito Bluquelloche avevo scoperto io delle regole del gioco e delle regole del computere lamia teoria del gioco. Che ne pensava?gli chiesi.

Rispose che valeva quanto un'altra teoriaad esempio che laVoce fosse Dio. O un demone. Gli parlai dei miei progetti di radunare gliImmortali. Chiese perché. Cominciai a spiegargli il mio punto di vista: capirechi eravamoquantida dove venivamoquali erano i punti in comunetutto ciòci avrebbe aiutato a risolvere il problema di fondo.

Lui rise e mi guardò in modo strano.

- Perché mi guardi cosi? - chiesi.

- Non ce la farai mai...

- E chi lo dice? Son sicuro che troverò altri di noi eche...

- Ohsìquesto sìti riuscirà e diventerai anche illoro capo e forse riuscirai anche a costruire le macchine che stai pensando pervedere se riuscirai a lasciare il pianetaechissàanche ad attaccare il tuoGeniola Voce. Ma non riuscirai a sconfiggerli ed a sostituirti a loro.

Tacqui per un po'.

Aveva ragione. Era quello il mio vero progetto. Finora erastato nascosto nel mio inconscioma quel vecchio diavolo millenario lo avevacapito subito. Sotto sotto volevo il potereo almeno una parte di me lo voleva.

Però mentre mi chiedevo cosa potevo fare per tirarlo dallamia partemi venne una stupenda idea.

Lui capì al volo.

- Lo farai davvero? - disse improvvisamente eccitato.

- Sìlo farò per te: se mi aiuterai a conquistare ilGenioti ucciderò. Definitivamente.

Mi guardò con gli occhi spalancati e poi si alzò e siinchinò dinanzi a mesecondo l'uso Warraff.

- Comanda"Shaduz" Mamo T'Amoed il tuo fedeleservitore obbedirà.

 

 

 

La Ricerca

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo il lungo periodo di permanenza presso gli Warraff egrazie ai miei patti con loro ed al sistema informativo che avevo messo inpiedimi ero fatto una idea più precisa di come era fattoabitato edorganizzato l'enorme pianeta che costituiva il campo del gioco nel qualemenolenteero stato trascinato.

Ormaifra l'altropensavo e mi riferivo a tutta quellasituazione sempre e solo in termini di Gioco e di Giocatori. Certose giocoeraera un gioco da deiche andava oltre le mie capacità di comprensione.Creare un mondo intero per destinare centinaia o migliaia di esseri umani allamortead una vita di avventuredi nuove morti e di pazzia e di nuoveavventuresu un pianeta a loro sconosciutosolo per farli partecipare ad ungioco? Con quale scopo ultimocon quali regole davveroe soprattutto con qualedivertimento o piacere?

In realtà cercavo di non pensarci. Perché se lo facevo miassaliva una sorda rabbia. Da un lato infatti ero perfino contento di viverequesta esperienzadall'altro il sentirmi manovrato e manovrabile fino a questopunto mi dava una rabbia incontenibile. L'eterna polemica sul fatto se gli umanisiano o no liberi di fare quello che voglionose siano o no condizionati dallavolontà degli deidi un singolo diodel destino già scritto o menodaicondizionamenti biologicisocialiche non sono altro che la versione laicadella parola destinonon avevano molto senso.

Non qui: qui c'era qualcuno che veramente mi condizionavasceglieva per me; non Dio o il destinoma una o più "persone"fisichetalmente potenti che era illusione pensare di potersi sottrarre al loropotere.

E questo io non l'ho mai sopportatofin da bambino: adesempio non sono mai stato un ribelleho sempre accettato regole e situazionidi ubbidienzadi sottomissionepurché ci fossero delle regole; la violazionedelle quali da parte di chiunque mi faceva imbestialiremi faceva sentiremanovratoun burattino. Ricordo che perfino durante il mio servizio militare dileva mi accadde una episodio simile: fui punito con tre giorni di consegna peruna sciocchezza della quale non ero responsabile; non era niente di graveintendiamocima il punto era che io ero innocente. Ma il mio comandante dicompagnia non la pensava così ed aveva deciso di punirmi; un tipico abuso damilitare di carrieradi quelli tipo i sergenti che ti fanno scavare un buco epoi te lo fanno riempire solo per dimostrare che loro hanno potere ed autoritàsu di te. E tu non puoi disobbedireché in quel caso commetterestiinsubordinazioneun reato non da poco. In quell'occasione io non potevo chesubire anche perché l'ufficiale mi aveva comandato di stare zitto; behmi misia piangere dalla rabbia; in piediin divisa mimeticain silenzioperchéavevo paura di parlare e di fare peggiomi misi a piangere.

Perfino lui fu imbarazzatoma credo anche spaventatoperché aveva intuito che ben poco mi separava da una crisi istericaalla finedella quale chissà cosa avrei potuto fareanche sparargli! Mi fece usciresubito e non si fece vedere per tre giorni! Beha voltese pensavo aiGiocatorimi sentivo esattamente così: incontenibilmente rabbioso.

 

Il pianeta era veramente immenso e dato che il Gioco era inatto probabilmente da molti millennine era risultata una gamma di civiltàestremamente numerose e diversificate.

Le civiltà del pianeta infatti non erano tutte uguali fraloroanzi. Avevo finalmente scoperto quali erano quelle più evolute delpianeta: a nord dell'equatorein una zona chiamata Arsaabesistevano dellevere e proprie civiltà industrialidi tipo simile a quelle terrestri dellafine della prima metà del XIX secolodiciamo gli anni intorno al 1850 inEuropa.

Erano relativamente "nuove"da questo punto divista: infatti se le scoperte fondamentali nella chimica e nella metallurgianell'uso del vapore e nella realizzazione delle prime macchine vere e proprierisalivano secondo le mie ricerche ad oltre otto secoli primauna civiltàequivalente a quelle dell'Europa del XVII secolo si era sviluppata in quell'areacon una estrema lentezza ed erano arrivati ad una vera e propria rivoluzioneindustriale solo da pochi decenni.

Era come sesu Mondoci fosse una certa lentezza di fondonei progressi tecnologico-sociali. Tutto andava sempre a rilentosenzaquell'alternarsi di periodi di veloce sviluppo e di grandi stasiche eranotipici della Terra.

I progressi c'eranoma su periodi di tempo estremamentelunghi. Tracce di tale lentezza si vedevano anche nei lentissimi cambiamentidelle lingue e nel permanere ovunque sul pianeta di una lingua"franca" di baseil verbaizappuntoche aveva chiare originiindoeuropee e che quindiprobabilmente risaliva all'inizio della colonizzazionedi quel pianeta con umani provenienti dalla Terra forse trenta o quarantamilaanni prima.

In 40.000 anni la lingua era cambiata così poco da esserefacilmente riconoscibile come una parente stretta del latinodel greco e delsanscrito; e la cosa era sospetta: pensate solo a quanto sono cambiate questetre lingue in soli 2000 anni sulla terra.

Si è sempre discusso sulla Terra sul perché ai tempidell'Impero Romano non sia nata una civiltà industriale vera e propria; inteoria le premesse tecnologiche c'erano tutte: la prima "macchina avapore"un semplice giocattolofu realizzata da un filosofo della MagnaGrecia tre secoli prima di Cristo; le tecniche metallurgiche dei Greci e deiRomani erano molto più raffinate ed evolute di quelle sopravvissute dopo ilmedioevo e paragonabili a quelle del 1700 europeo (pensate solo alle statueGreche in bronzo); le conoscenze di chimica erano inferiori a quellesettecenteschema più nella teoria che nella pratica; e poi la chimica giocaun ruolo importante nell'industria del 1800 più che in quella del 1700.

È vero che quella romana era una civiltà schiavista equella europea del 1700 noe che quindi la prima semplicemente "non avevabisogno" delle macchine. Ma anche non considerando questo fattoreil lassodi tempo che va dalle prime invenzioni industriali del '700 alla nascita di unaciviltà a tecnologia nucleare è stato brevissimo: dai primi telai a vaporealla bomba H in meno due secoli.

Anche ammesso che questo non sia un lasso di tempo"normale" per una evoluzione umanaera comunque ben strano che lostato delle civiltà industriali su Mondo fosse così arretrato. I primi telai avapore erano stati introdotti in Arsaab oltre quattro secoli prima. E da alloraerano andati poco oltre.

Mi venne così da pensare che forse c'era qualcuno che avevainteresse a rallentarloil progresso scientifico-tecnologico. Se invece era"normale" che fosse cosìallora era stato sorprendentemente veloceed in modo sospettoquello avvenuto sulla Terra. Era stato accelerato daqualcuno?

C'era in atto un altro Gioco sulla Terra? Perché eraevidente che i Giocatori conoscevano la Terra e ci potevano venire quandovolevano e farne quello che volevano: da rapire singole persone a trasferireinteri gruppi di esseri umani.

Quello di Arsaab era comunque un tipo di civiltà "dellemacchine"dove forseavrei potuto trovare un inizio di strutturediconoscenze e di cultura scientifica autoctone e radicate in una evoluzioneculturale aborigenaautonomaquindi tendenzialmente più stabile ed allargatae in grado di aiutarmi a creare in un secondo momento quell'alleanza planetariache era l'unica speranza di farcela contro il Genio ed i Giocatori.

I miei tentativi a Bulbo Verde o presso i Warraff erano unottimo inizioma non potevano bastare. Serviva un intero gruppo socialeunpaio di nazioni intere ed evolute per poter agire in modo efficace.

Raccolsi notizie su quei paesi tramite i mercanti Raiancheerano il punto di contatto con le carovane Warraff nei mari interni in cui siaffacciavano le società industriali.

Pensavo di operare soprattutto tramite i miei agenticommerciali e la gente del mio Cerchio Internocome avevo chiamato l'insieme diagenti Warraffamicipersone di cui mi fidavo e quei pochi Immortali che avevorintracciato.

Oltre ad Assudi-Aman avevo trovato solo altri due Immortaliappena "immessi" nel giocoappena in senso relativointendiamoci:erano Kunun contadino olandese quarantenne"morto" del 1830 circaalla sua seconda reincarnazionespaventatissimo e diffidente; e Yin-Haunavecchia contadina cinese degli anni 20 del mio secoloalla sua quintareincarnazione ma che sorprendentemente si era fin dall'inizio reincarnata davecchia qual'era al momento della sua morte; praticamente di nessuna utilitàper capire il Gioco. Ma continuavo a cercarne altri: evidentemente gli Immortalisi nascondevano bene. O forse in quel periodo ce n'erano pochiforse servivanoaltri tipi di pedine.

Era per me chiaro che l'Immortale era esattamente questo: unapedina speciale; veniva immesso nel Gioco avendo a disposizione tutto ciò chedesiderava. Questo però non lo poteva capire subitoma solo dopo una serie dimorti e reincarnazioni. La cosa più interessante poteva essere vedere cosasceglievamo dopo ogni morte e come ci comportavamo man mano che imparavamo edaggiungevamo dati alle nostre conoscenze sul pianeta e sul tipo di vita che visi conduceva. E anche sulla base delle idee che ci formavamo rispetto al giocoin cui eravamo coinvolti. Gli Immortali che sopravvivevano a lungo probabilmentetendevano a mettersi da parte: a vivere sìma a non strafarea non farsinotare. Per questo era difficile trovarli. Ma anche essenziale: insieme avremmopotuto capire di più ed ottenere progressivamente sempre di più. Usare ilGenio per sconfiggere i Giocatori ad esempio.

I membri del Cerchio Interno erano al corrente del mioprogetto di progresso industrial-scientifico: grazie anche alla lorocollaborazione creai in pochissimo tempo una nuova e floridissima società diimport-export dei prodotti Warraffdi Bulbo Verde e delle mie officinenell'Overche mi permisero di acquisire quel tipo di contatti e di potere dicui avevo bisogno in loco in Arsaab.

Mi ci trasferii via over di notteapprodando in un'isola a20 miglia da Ommundail porto principale di Farla nazione in cui avevo apertola mia societàposta di fronte alle coste di Arsaab.

L'isola era il posto ideale per nascondere l'overperchécircondata a nord da una barriera di scoglipraticamente insormontabile dallenavi localiancora tutte di legno; mentre a sud era desertica per la maggiorpartetranne per alcune zone verdimiste di boschi e paludiinsalubri edisabitate.

Nessuno ci andava mai ed un sistema di mimetizzazione ancheelementare sarebbe bastato a proteggere l'Over da sguardi indiscreti.

Allertai comunque il computer di bordo: chiunque fossesbarcato sull'isola e fosse arrivato nelle vicinanze dell'over avrebbe dovutoessere immobilizzato e narcotizzato; ed io avrei dovuto esserne immediatamenteavvertito. Lasciai l'isola con un elicottero ed atterrai all'albain una radurain un bosco alla periferia di Ommunda.

Tre mesi dopoacquisite abitudini e conoscenza della lingualocaleoltre ovviamente ad abitidenaro e mezzi di trasporto sempre localiper il tramite dei miei agentimi trasferii nella capitaleRoommod.

Era una bellissima cittàanticasede originaria dellaciviltà di quel continentevecchiaa quello che mi avevano detto le miericerchedi oltre 3000 anni e con molti antichi archivi intatti.

Grazie a tale antichità era forse possibile trovare lìtracce delle prime colonizzazioni umane di quel pianetail che rimaneva per meun problema insolutoma che forse mi poteva dare qualche ulteriore indicazionesu chi e dove erano i Giocatori.

Non mi rivelai alla mia gente Warraff e raian nella capitalenon era il caso sapessero più di quanto dovevano. Mi dedicai invece a fare lavita del ricco rampollo della nobiltà commerciale della cittàin parte perragioni di "mimetizzazione" (cercare di apparire clamorosamente ciòche non ero in realtà) in parte perché ero stanco della vita semplice edorgogliosasìma alla lunga anche un po' noiosa dei nomadi del deserto.Volevo una civiltà fatta di un po' di lussodi esagerazionidi consumidiuna vita pubblica simile a quella che avevo conosciuto e che mi mancava damoltitroppi anniormai.

Per gli standard locali ero un ricchissimo giovanemeridionalefiglio di non si sapeva bene chinon nobile ma di ricca famigliasenza dubbio; e di grande generosità. Arrivato in cittàgrazie alle mielettere di presentazioneprocuratemi dai miei agentimi iscrissi a diversiclub locali; cominciai così a frequentare anche una delle chiese localiunavariazione sul tema del paleocristianesimoun misto di Cristianesimo e di veroe proprio culto di Mitra: il battesimoad esempiocomune ad entrambi i cultialle originiera ancora fattoquicon il sanguee non con l'acquapropriocome avveniva nei mitrei romani e greci e dell'Asia minore; anche se il sanguedel toro sacrificato era stato sostituito quasi ovunque da vino rosso; mentrenon esisteva la cerimonia dello spezzare il pane di grano della comunione; maesistevano i "piccoli Osiride"le mummie egiziane fatte di bendediterra e semi d'orzo; con le piantine d'orzo che nascevano dalla mummia si facevail pane che serviva in alcune cerimonie sacre riservate ai sacerdoti ed eradetto il "corpo del dio risorto"proprio come nell'Egitto del 1500Avanti Cristo.

Tutto ciò (e molti altri particolari della lingua localedelle leggende e delle tradizioni) mi fece pensare che la popolazione localediscendesse da una civiltà originariamente formata da popolazioni mediterraneedi ceppo semitico e mediorientaledi circa mille anni avanti Cristo su cuierano state innestati i cosiddetti "Guerrieri dell'Alba"un gruppoleggendario di alcune migliaia di guerrieri che apparvero dal nulla un giorno di2000 anni primae che sembravano essere a tutti gli effetti legionari romanidei primi tempi dell'Impero.

Tutto quadravain particolar modo il culto evidentementederivato da quello di Mitrache era diffusissimo presso i legionari romani delI secolo dopo Cristo (soprattutto quelli che combattevano in medio oriente) eduna delle basi del paleocristianesimo. Tutto questocomunquevoleva dire ancheche le immissioni di massa di esseri umani dalla Terra erano iniziate senzadubbio oltre trentamila anni primama che poi erano proseguite nell'arco deimillenni fino ad arrivare a circa 2000 anni fa. E che poiprobabilmente eranoiniziate immissioni di singoli individui. Io dovevo appartenere a questa fasedel Giocoche doveva essere caratterizzata dalle rinascite.

 

Feci la bella vita per un paio di mesi. Frequentavo i clubstringevo amiciziefacevo vita mondanaandavo ai vari spettacolifra cui untipo di teatro molto simile a quello europeo del 1500 e musica purtroppo fermaanch'essa a quel periodo.

Inevitabilmente detti nell'occhio ad un paio di bulli localie fui sfidato a duello. Onestamente non avevo pensato a questo tipo di rischi.All'origine si era trattato di una piccola scortesia che un giovanotto ricco eviziatoaveva fatto ad un vecchiettourtandolo e facendolo cadere in un vialedel centro della città; il vecchio era chiaramente un popolanomolto anziano etipicamente sottomesso; si era lamentatoma niente di più; io lo avevo aiutatoad alzarsi e gli avevo detto:

- Ah"papuia"nonninonon uscite di giornofestivole strade sono piene di "torelli scemi" - termine locale cheindicava i vitelloni castrati per farne bestie da macelloed era anche sinonimodi giovane ricco e stupido.

Il giovanotto che mi aveva urtatosi voltòmi squadrò emi disse:

- Signoreparlate di me?

- Nosignoreparlavo al papuia.

- Sìma di meforse?

- Signoreparlavo di un torello-scemonon di un gentiluomo.Voi a quale categoria appartenete?

Molti risero intorno a noianche nel suo gruppo e luiarrossì.

- Signoremi state insultando? - disse.

- Signorenon mi pare. Voi cosa ne pensate?

- Signoremi state insultando!

- Signorenon mi abbasserei mai a tanto!

Al che mi schiaffeggiò. O meglio ci provò: gli fermai ilbraccio al volo e poi lo feci cadere con una tecnica di combattimento Warraffmolto simile al ju-jitsu terrestre. Si rialzòraccolse il bastone dapasseggione estrasse una lama e tentò di colpirmi con quella; lo evitai e glispezzai il braccio. Mi stavo cominciando ad arrabbiare.

Fu portato via dai suoi amicinessun dei quali si permise didire nientetranne uno cheprima di allontanarsi mi chiesemolto gentilmentedevo direnome ed indirizzo; che gli fornii.

La mattina dopo fui sfidato a duello da un amico di quelgiovanotto. Usavain quella civiltàma non detti grande peso alla cosa. Nonaccettai il duello e ritenni la cosa chiusa lì. Dopo due giorni ricevettiun'altra sfidache di nuovo ignorai. Partii per una settimana e tornato incittàtrovai nell'albergo un imbarazzatissimo direttore che mi disse che nonpoteva ospitarmi oltre: i miei bagagli erano in magazzino a mia disposizione.

Cercai di capire; mi disse che l'albergo non si potevapermettere di ospitare un signore che rifiutava un duello. Gli chiesiirritatose avrebbe cambiato idea se glielo avesse chiesto il mio sfidante e lui risposedi sì. Gli dissi di far riportare il bagaglio in camera ed uscii.

Andai a casa dello sfidantebussai mi aprironochiesi diluimi dissero che non voleva ricevermi; al che entrai di forza. Tentarono difermarmi ben otto dei suoi servitori che misi tutti fuori combattimento mamiracolosamentedato che ero arrabbiatosenza ucciderne nessuno; raggiunsiquell'imbecille che non conoscevo nemmeno e lo tirai fuori dal letto con laforza.

Gli spiegai la situazione e gli chiesi di venire in albergocon me; rifiutò ed io cominciai a prenderlo a ceffoni; dopo quindici minuti edaltri inutili tentativi di difesa da parte suaaccettò anche perché lominacciai di continuare a trattarlo in quel modo lungo la strada da casa suaall'albergo. Si vestì alla meno peggioe venne con me. Tremando di rabbia e dipaura chiese all'albergatore di ridarmi la mia camera ed io lo ringraziaigentilmente.

La mattina dopo ricevetti 14 cartelli di sfidauno suo nuovoe 13 di suoi amici. Non mi davano alternative e mi informavano che sarebberostati davanti alla porta dell'albergo l'indomani. Stavolta accettai e suggeriiun prato di periferia. Erano sfide alla spadauno stocco simile a quelli delrinascimento italiano. Nei miei anni sul pianeta ed in particolare durante lamia permanenza con gli Warraff ero diventato uno spadaccino espertissimo; per dipiù avevo riflessi artificiali tre volte più veloci dei loro: per me era comese si muovessero al rallentatore.

Uno dopo l'altro (ma avrei potuto anche tutti insieme) feriipiù o meno gravemente tutti e 14 gli sfidantiche si dichiararono soddisfatti.Tipica situazione incredibilmente stupida. Accettare il duello e rischiare dimorire (nel mio caso: di uccidere 14 persone) o non accettarlo e rischiare diessere ostracizzato.

La cosa che mi seccava di più era il fatto che mi ero fattonotaree per di più nel modo peggiore. Cosa che avrei preferito evitare. Ormaimi conoscevano tutti come uno spadaccino provettoanche se pochi erano cosìpazzi da volermi sfidare di nuovosoprattutto dopo che avevo conciato malissimoi due imbecilli che ci avevano riprovato dopo il famoso duello dei 14: stavoltali avevo feriti abbastanza gravementepur senza ucciderli; uccidere perdifendermi era cosa che potevo fare quasi automaticamente e di sicuro senzanemmeno l'ombra di un rimorso; ma uccidere per una questione d'onore cosìstupida come un duellobehquesto urtava la mia sensibilità.

Ma stavolta prima di finire il combattimento li avevo anchesfregiaticosa che non avevo fatto prima e che per loro era forse peggio dellamorte (e niente è peggio della mortema questo lo sapevo solo io; e pochialtri su quel pianeta); ma ero proprio seccato: chiunque mi sfidasse dovevasapere cosa rischiava. Feci anche circolare la notizia che il prossimo lo avreiucciso al primo colpo. Gli sfidanti si volatilizzarono.

 

Un altro problema furono le donne. Mi si gettavanoletteralmente fra le braccia. A dozzine. Ovviamente del resto: ero riccomisteriosoun grande spadaccino...

E per un po' fu divertentenon lo nascondo. Ma anche quicommisi l'errore iniziale di starci e di cercare di "fare del miomeglio". Si diffuse anche questa di voceche ero un amante focoso edinstancabile.

Ve la faccio breve: lasciai la città di notte e di nascostosoprattutto perché gli uomini di quelle donne (fratellimaritiamantipadripatiti sì dell'onorema solo finché erano o si credevano i più fortifisicamente; poi come tutti i violentipassavano all'attacco vile) stavanocominciando a pensare che non stava scritto da nessuna parte che per uccidermidovevano per forza sfidarmi: subii due attentati con armi da fuocoed anche seli evitai grazie alla mia velocità ed alla mia esperienza non era detto chequalcuno prima o poi non sarebbe riuscito nell'intento; anche nella miacondizione di immortale sarebbe stato a dir poco seccante essere uccisoproprioora che cominciavo a tessere una rete organizzativadi contattidi idee inbuona parte del pianeta.

Inoltre il mio personaggio lì era bruciato: nessuno misarebbe mai stato a sentire se avessi fatto discorsi di collaborazionenell'interesse comune. Tornai così all'Over e ci rimasi per due mesicontinuando a raccogliere e classificare dati ed informazioni sulle civiltàindustriali di quel continente. Identificai in una città non molto lontana unodei centri più promettenti dal punto di vista culturale e decisi di recarmiciin elicottero. A venti chilometri dalla città di Baarlenel centro delcontinentefui attaccato da un missile terra arial'elicottero fu abbattuto edio precipitai.

 

Stavolta perònon morii. Fu peggio. Nell'urto l'elicotteronon si incendiòper fortuna (o per sfortunanon saprei direalmeno sareimorto) ed io mi ruppi entrambe le gambetre costole ed un polsooltre aperdere un occhio.

Rimasi fra i rottamisvenutocredo in comanon so perquanto tempo. Quando ripresi conoscenza dovevano essere passati diversi giorni:avevo una sete tremenda ma quando tentai di muovermi il dolore alle gambe mibloccò immediatamente facendomi urlare come un animale ferito.

Rimasi immobile per altre due orepoi sforzandomi ed urlandoper il dolore cominciai a rivoltarmi per uscire dall'elicottero; smisi di urlarequando mi resi conto che era solo energia sprecata e mi tenni il dolore.

Non avevo mai sofferto tanto in nessuna delle mie vite;sebbene le modifiche che avevo apportato al mio corpo comprendessero anche unnotevole controllo del dolorequesto era troppo: il mio corpo era troppomalridottotroppe ossa rotte perché riuscissi a far barriera cosciente aldolore. Un essere umano normale non sarebbe sopravvissuto né al colpo né aldolore.

Mi tirai fuori e mi lasciai andare sull'erbasotto l'ombradi un albero vicino.

La questione era: morire o non morire? Se avessi voluto avreipotuto: senza nemmeno bisogno di fare granchédovevo solo rallentare i battitidel cuore fino a fermarli ed ero in grado di farlo.

In tal caso? Sarei stato Rigenerato dal Genio. Ma sarei statoRigenerato? Quanto a lungo poteva durare questo Gioco? Morire in quel caso nonera un cavarmela troppo facilmente? I Giocatori cosa si aspettavano da me?

Il dubbio era sempre lo stesso e sempre presente. Quante viteavevo?

Ero ancora interessante per i Giocatori? Il controllo che ilGenio aveva dimostrato sulla vita e le decisioni di altri Immortali eraevidentebastava pensare al caso del vecchio sciamano che non riusciva amorire.

Inoltre chi mi aveva attaccato? Per quel che ne sapevo ionessuno su quel pianeta era in gradotranne medi costruire o disporre dimissili terra-aria; ed era stato senza dubbio un missile di questo tipo che miaveva abbattuto. E che senso aveva avere missili di quel tipo in un mondo in cuinon esistevano macchine volanti se non quelle mie?

Avevo dunque dei nemici che non sapevo di avere. E nemicipotenti come e più di menon fosse altro perché loro mi avevano identificatoed io non sapevo nemmeno chi fossero.

E molto probabilmente non erano i Giocatori. Non solo perchésecondo me non interferivano con le "pedine" come gli umani delpianeta; o per lo meno così mi sembrava; ma soprattutto perché non avevanonessun bisogno di usare un mezzo per loro così primitivo come un missile:bastava mi "spegnessero" se volevano eliminarmi.

Nosi trattava di esseri umanigente che nel più totalesegreto (non ne avevo mai rilevato traccia alcuna) disponeva di una tecnologiain grado di produrre missili terra-ariaquasi sicuramente anche radar etecnologie annesse e connessenecessarie per abbattere un elicottero in volo; eche disponevano di una organizzazione che mi aveva studiatoseguito e colpitoin un momento di massima vulnerabilità. Come si diceero stato beccato propriocon i pantaloni abbassati ed ero vivo per miracolo.

Che faredunque? Se fossi stato Rigenerato forse mi sareiritrovato sano ed integro nel computere dopo un paio di mesi sarei stato dinuovo lì con un nuovo overcraftvolendo anche perfezionato.

Ma non mi fidavo. E poi non ce la facevo a suicidarmierapiù forte di me. Non solo per il ricordo delle altre morti. Pur essendo passatianninon si era sbiadito. Non si può sbiadire: avevo paura che se fossi mortostavolta non sarei rivissuto. Era come se avessi intuito di aver fatto una mossasbagliata a quel gioco di cui non conoscevo realmente le regole.

 

Cercai di valutare freddamente la situazione. Il mio corpostava producendo naturalmente endorfine per sopportare il dolore. Non ero ingrado di muovermi per le lesioni subiteavevo una emorragia interna che stavocontenendo e tentando di recuperare con i miei mezzi speciali per così dire; inuovi processi di rigenerazione che avevo introdotto nel mio corpoper velociche fosseroavrebbero comunque chiesto tempo.

Qualunque altro essere umano al mio posto sarebbe morto giàda un pezzo. Io potevo sopravvivere e riprendermima dovevo usare tuttal'energia di cui disponevo per un adeguato periodo; inoltre avrei fatto meglio anascondermi: gli attaccanti avrebbero potuto venire a cercarmi e se non loroquel pianeta era anche troppo pieno di predatori di tutti i tipi e dimensioni.

Ero in fondo ad una specie di pozzo verdeuna sorta di"scavo" verticale fatto dall'elicottero che cadeva all'interno di unaforesta fittissima.

Individuai a circa venti metri da me le radici di un grossoalbero simile ad una mangrovia e vicino delle pozze d'acqua. Mi ci diressistrisciando ed usando tutta la volontà e le endorfine che potevo produrre pernon sentire dolore; ci misi tre ore ed arrivato che fuisvenni.

Ripresomimi calai più a fondo possibile fra le radici el'acquatrascinandomi dietro foglie e rami per coprirmi del tutto.

Mi accinsi al compito della sopravvivenza pura e semplice. Imiei tessutilo sapevosi stavano rigenerando a velocità immensamentesuperiore a quella di un essere umano normalequindi dovevo fornire energia alprocesso; sarei dimagritoperché parte dell'energia il mio metabolismol'avrebbe ricavata purtroppo dal mia massa corporea; per fortuna negli ultimimesi ero anche ingrassatocosì disponevo di un po' di massa extra; ma dovevocomunque rifornire energia in gran quantità io stessoil che voleva dire cibo.

Non c'era molta scelta. Cominciai subito a scavare la terraintorno a me ed a nutrirmi di tutte le larve e gli insetti che riuscivo atrovare; feci altrettanto con il fondo limaccioso delle pozze fra le radicidell'albero e mi nutrii anche di foglieerbamuschioqualunque forma disostanza organica fosse a portata di mano. Continuai in questo modo per seigiorniriprendendomi lentamentema costantemente.

Sapete che a parità di peso fra larve e carne di manzolelarve forniscono una quantità tripla di caloriesali minerali e vitamine?Faranno anche schifoma sono estremamente nutrienti.

Mentre ero lì in quelle condizioniudii un rumore subitofuori del mio nascondiglio; fra le radici ed i rami vidi uno di queglionnipresenti scoiattoli del pianeta che mi guardava.

Pensai di catturarlo e mangiarloe mi mossi lentamente versodi lui mentre restava fisso a guardarmi; quasi lo catturai quando allungai lamano e lui scattò indietro con uno squittio di sorpresa; poi si agitò tuttosquittendo ferocementeverso di me come si stesse riprendendo da uno spavento.Poi si allontanò velocemente. Due ore dopo tentai con una talpama fallii.

Aspettai ancorafinché non riuscii a catturare una speciedi avvoltoioun uccello spazinoche era atterrato vicino alla mia mano chefacevo sporgere dal cespugliomuovendola lentamente. Aveva una carne durissimala dovetti mangiare crudama con la fame feroce che avevo mi sembrò il migliorfiletto che avessi mai mangiato.

 

Verso il 15° giorno udii rumori umani. Mi immobilizzai etrattenni il respiro. Era una pattuglia di indigeni di quei boschimontanariuna razza dalla pelle blu chiarocacciatori e nomadiaccompagnati però da dueuomini in abiti Arsaabiani e di razza bianca; solo che erano strani: prima ditutto parlavano fra di loro non in Arsaabiano ma in un'altra lingua che nonconoscevoche non avevo mai sentito (ed ormai ne parlavo una dozzina e neconoscevo per "sentito dire" almeno altrettante); e poi uno dei dueaveva in mano un congegno che era evidentemente una radio portatilecongegnoche sul pianeta possedevano solo i miei agenti e che era diverso da quello.Guardarono i rottamie si guardarono anche intorno. Rimasero due giorni a faredelle ricerchema fui fortunato: non avevano cani con sé e quando passaronovicino al mio albero non mi videroné videro tracce del mio passaggio. Se neandarono lasciandomi più che mai perplesso. Erano evidentemente stati mandatida coloro che mi avevano abbattuto per verificare se il lavoro era stato fatto apuntino.

 

Due mesi dopo ero ancora nella giunglama questa volta nellaparte nord a 200 e passa chilometri dal punto in cui ero caduto.

Ero un po' zoppo dalla gamba sinistrache non si era saldataperfettamentemagro ma non più come uno scheletro e in via di recuperocoperto da pelli di talpa e di cinghiale; ed armato di lancia di legno con lapunta indurita dal fuocodi un propulsorequasi uguale a quelli degliaborigeni australianidi un arco efficace e potente a breve raggio e di freccemolto approssimativecon impennaggi fatti di foglie secche; nella foresta nonc'erano pietrequindi le frecce avevano un punta sottile ed anch'essa induritadal fuoco ed ero riuscito a farmi una specie di "machete" di legnolavorando una specie di legno locale durissimo con il fuoco e con dell'altrolegnonello stile degli indiani Yanoami dell'Amazzonia; la foresta mi avevafornito fino ad allora selvagginaradici e funghi in abbondanza.

Non sapevo bene dov'ero ed avevo solo una vaga idea di dovedirigermi: verso la costa dell'estremo nord di quel continentenel punto in cuifinivano i ghiacci invernali che scendevano dal polocosta da cui partivanovelieri diretti verso Arsaab; lì c'era una stazione commerciale Warraffconmiei agenti ed una radio; se l'avessi raggiunta avrei potuto chiamare a mel'over.

Sempre che l'avessi raggiuntache fossi riuscito a farmi darretta dal mio agente (che non mi conosceva di persona)che la radio funzionasseancora e che non fossero successi nel frattempo altri drammi.

E sempre che fossi riuscito a sopravvivere in quella forestaper altri 300 chilometrifra esseri sconosciuti e leggendaridi cui nessunosapeva nulla. Robetta.

La foresta si estendeva per tutto il continentedal mareinterno del sud fino a quello del nordche era solcato da mercanti e da piratida mostri marini e da chissà chi altro. Sapevo che la foresta era totalmenteinesplorata. Nessuno che vi fosse penetrato era mai andato più a fondo di pochichilometri e su di essa si raccontavano solo confuse leggende.

Le popolazioni limitrofe raccontavano di popoli malignifollettifategigantistrani animalistrani guerrieristrane armi.

Ma erano notizie confuse e contraddittorie e moltoinattendibilicome già avevo verificato in altre occasioni altrove. Anche suquel pianeta c'erano pochi mostri veri e quelli raccontati erano frutto diimmaginazione. Non avevo agenti in quelle zone e tutte le informazioni che avevoavuto erano di terza o quarta mano e veramente troppo incerte.

Ero nella parte più misteriosa del pianeta. Ero preparato atutto quindima non certo alle farfalle-elefante! Le battezzai così ovviamenteper la loro dimensione: sei metri di apertura alare! Il corpo era grande inproporzionelungo circa un metrocon delle antenne di oltre due metri ed unaproboscide sottile e di oltre tre metri di lunghezza una volta srotolata.

Pensai che non potevano essere veri insettima un altro tipodi animalecome tutti gli insetti giganteschi presenti su quel pianeta. Gliinsettiper lo meno quelli terrestrihanno un sistema respiratorio che nonpermette loro di raggiungere dimensioni ragguardevoli. Il più grosso di cui siabbia avuto traccia è un fossile di libellula di qualche milione di anni facon una apertura alare di quasi un metro; ma anche quella non ha un corpo piùlungo di quindici centimetriproprio perché quella è la lunghezza massima cuipuò arrivare un insetto. Certosempre per le linee evolutive terrestriche suMondo erano abbondantemente manovrate.

Comunquequalunque cosa fossero erano bellissime da vedere esvolazzavano in quella grande radura che avevo scoperto passando a mezza altezzadi albero in albero. Rimasi a guardarle affascinato: erano trentao quaranta esvolazzavano in un turbine di pulviscolo dorato che si staccava dalle loro ali;sembrava una sorta di danza collettivaforse un rito di accoppiamento.

Mi avvicinaia bocca aperta e con la testa ripiegataindietroe rimasi a guardarle finché unache era la più esterna al grupponon si accorse di me e mi volò incontrobellissima in una nube di pulviscolodorato ed un balenare di fruscii e di colori chiari.

E con la proboscide mi colpì al toraceustionandomi con unliquido acido. Fu peggio di un morso. Urlaiscattai indietrocaddi a terra ela farfalla ritirò la proboscide che vidi sporca di sangue.

La farfalla continuò l'attacco. Erano belle sìma anchepredatrici e carnivore! Nella confusione e nell'agitazione riuscii ad incoccareuna freccia e a scagliarla e poi un'altra ed un'altra ancorafinché non lauccisi. Le altre continuavano a svolazzare sopra di noi. Tremante mi avvicinaialla farfalla agonizzante e le strappai le antennesimili a due enormi piumeper farmene un qualche ornamento o degli impennaggi per le frecce. Poi prima cheun'altra di quelle "farfalle vampiro" venisse verso di meme neandai.

Bellestupide e cattive. Mi ricordavano certe donne cheavevo conosciuto nella mia prima vita.

 

 

 

La Grande Foresta Doppia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capii tardi che tentare di passare per quella foresta perarrivare a nord era stato un errore. Non tanto per quanto era grandefitta edintricatao pericolosa; quanto per com'era affascinante.

Recuperata la forma fisicaavevo voglia di restare lì adesplorarla. Gli alberi erano tutti molto alti e di tipo progressivamente semprepiù nordicoquali pini ed abetima c'erano anche faggiquerce enormi edaltri alberi localivariazioni di specie terrestri o specie completamentenuovecome certe piante carnivore e semoventi (di tutte le dimensioni) cheerano un vero incubo: per fortuna la maggior parte erano lentissime nei lorospostamentidato che dovevano piantare e spiantare le loro radici ogni volta;alcune erano piante "mimetiche"sembravano solo grossi cespugliidentici ad un paio di altre specie della foresta solo che si nutrivano dianimali piccoli e grandiuomini compresise ci si imbatteva in un esemplareabbastanza grosso.

Ma quella foresta aveva un'altra assoluta originalità: erauna foresta doppia. Tranne che nella parte esterna della forestavicino aibordiall'internoa metà fusto circa degli alberifin dove arrivava moltadella luce del solesi stendeva quasi onnipresente(tranne che nelle radureper altro ampie e numerose) una specie di "pavimento": era come unastuoiauna rete più o meno fitta formata dai rampicantidai rami intrecciatidai rami morti e dalle foglie caduti dall'alto; questo materiale vegetale checadeva si rinnovava costantementea volte marcivae finiva per ospitare semidi altre pianea volte la rete cedeva e tutto cadeva di sotto.

Ma praticamente ovunque nella zona centrale della foresta adiverse altezze c'era questo pavimento forte e robusto che costituiva il tettodi un altro mondola foresta di Sotto. Sotto questo "tetto"in unmondo scuro e crepuscolarec'era un "sottobosco" ricchissimo e pienodi vitama fatto di piante completamente diverse: di cespuglipiù che dialberi (anche se ovviamente c'erano tutti i tronchi degli alberi che svettavano"sopra" il tetto)coperti di 100 specie diverse di lichenidalla"lanetta" tipica a veri e propri alberelli; di muschi e di funghi ditutti i tipi: c'erano funghi alti anche un paio di metri.

Era come se fossero due foreste e due mondi separati: dallivello del suolo sino a circa dieci metri di altezza dei fusti degli alberiilsottobosco primitivo delle felci e dei funghicon rettili di tutte le specie edimensioniinsetti anche giganteschie mostruosità varie; e uomini; e daidieci metri in sufino ai trenta delle volte più alteun mondo aereo fatto diuccellipiccoli mammiferi e primati; e uomini naturalmente.

Erano il Mondo di Sopra ed il Mondo di Sotto. E decisi dichiamarne gli abitanti umani rispettivamente Soprani e Sottani.

L'ecosistema di Sotto era autonomo e poteva sopravvivere solose la luce non era troppa. Quindi era legato alla buona salute di quegli alberie di quelle liane. L'ecosistema di Sopra era basato su una maggiore quantità dilucema al tempo stesso su un sottobosco ed un terreno basati sull'ecosistemadel Mondo di Sotto. Se qualcuno avesse voluto cancellare il Sottoavrebbeinevitabilmente cancellato anche il Sopra: i due ecosistemi erano essenzialil'uno all'altroe si proteggevano efficacemente semplicemente esistendo.

All'interno di questa dipendenza ovviamente i Soprani eranoin lotta coi Sottanianche se ad essere onesti più che di lotta si trattava direciproca diffidenza e rifiuto: non c'erano vere e proprie guerrema soloincursioni dei giovani guerrieri delle tribù dell'una e dell'altra parteepiù per le prove di virilità che per altro.

La caccia ad esempio si praticava nel proprio territorioel'unico cibo in comune che avevano i due gruppi erano alcuni funghi ed alcuniinsetti che vivevano nella "stuoia" che li separava.

I Soprani erano di razza Verdecon la pelle colorata disvariate sfumature di verde e con variazioni di pezzati e striaticon gli occhinormalmente marroni o verdi ed i capelli sempre neri. Erano naturalmente unaciviltà arboricolaottimi arcieri e balestrieri; i loro archi erano i miglioriche avessi mai visto sul pianeta e le loro frecce le più ingegnosedato che neavevano di diversi tipi: esplosivea funeparalizzantiche usavano anche conle cerbottane(mini dardi con semi esplosivi di axa uniti ad una vescicola diacqua e polvere soporifera: con quelli erano in grado di addormentareo dieliminareun essere umano in pochi istanti); frecce a "gancio" (conuna molla vegetale in cimaservivano a colpire un ramo sopra un altro e girarviintorno una fune per un miglior appoggio) frecce messaggerefrecce sonore emolti altri modelli. Sembravano davvero la realizzazione dei molti modelli diSuper Eroi Arcieri dei fumetti della mia infanziasolo che non erano frecce"tecnologiche"ma frecce "biologiche" direi: tutta latecnologia di quel popolo era basata su un uso o un riuso di elementiassolutamente naturaliavvolta su una vera e propria simbiosi o sull'uso dialtri esseri viventi.

Ero stato facilmente accettato dai Soprani per via della miacapacità di cambiare colore: mi ero fatto verde sin da quando mi ero inoltratonel foltosolo che mi ero fatto anche "automaticamente cangiante" :cioè cambiavo il colore della pellecambiavo l'intensità del verdepermeglio diresenza pensarcia secondo dell'ambiente circostante: più erascuropiù diventavo scuroo il contrario; io vedevo il colore edinconsciamente trasmettevo il cambiamento alla pelle. Fra l'altro quella difarlo automaticamente era una capacità che non sapevo di avereche non avevoprogrammato; l'avevo invece sviluppata (o scopertanon saprei) lìnellaforesta.

Ma ovviamente per i Sopraniche erano verdi sìanche achiazzema a colore fissoero una specie di mago; in un primo momento quandomi avevano visto per la prima volta (ed io non mi ero accorto di nulla: miavevano seguito per tre giorni prima di rivelarsi) erano indecisi se fossi undemone o un semidio; ma mi avevano visto affrontare un grosso serpente persalvare una albero-antilopeuna specie di antilope con arti finali prensili(onestamente volevo procurarmi carne fresca e volevo rubarla al serpentepoiperò non ne avevo avuto il coraggio: quell'animale sembrava un Bambi con lemani!e visto che non avevo poi tanta fame e che era una femmina che stavaallattando dei cucciolil'avevo lasciata libera; non fosse altro per rispettodell'entropia: mangiarmi quella avrebbe significato eliminare oltre al serpentemolte altre vite inutilmente; e così mi ero mangiato il serpente).

Caso volle che l'albero-antilope fosse l'animale totemicodella tribù dei Robbin-a-had e questo me li rese amici. Rimasi con loro seimesi in totaleimparando la loro linguale loro tradizionicontinuando adindagare se sapevano niente dei Giocatori.

Ma a parte le solite leggende standard umane di quel pianetasia pure adattate alla forestanon c'era nulla di nuovo.

Non per la loro vita e tecnologiaperò!

Come ho detto erano in perfetta simbiosi con la foresta. Nonavevano motori ad esempioma si servivano di ruote (di legno) alimentate dagrossi scoiattoli in gabbia (di legno)di trentaquaranta chiliper farfunzionare i loro montacarichi (a liane intrecciate); e disponevano di unostranissimo animaleuna specie di mammifero-picchio che si scavava una tana inun grande tronco e poi vi rimaneva per tutta la vitain coloniein cunicoliaccuratamente delimitati e scavati in modo da non danneggiare l'albero ospiteche i Soprani riuscivano ad addestrare per adempiere altre funzioni"meccaniche" in cambio di cibo: per cui avevano acqua fresca cheprelevavano dalle polle sotterraneetramite i canali di queste talpe-picchio etramite pompe da loro alimentate con le "ruote" a trazione animale:risultatoavevano delle bellissime fontanebagni pubblici e l'acqua correntein casa!

Insomma vivevano in perfetta armonia con tutti gli animaliche li circondavanouccidendo solo i più pericolosi e per la carne cercando dicacciare solo gli animali più vecchi.

Cacciavano perché era tradizioneun modo di allenarsi allaguerra e comunque una fonte di cibo in più. Ma in realtà traevano il grossodella loro alimentazione dalla foresta stessache era ricchissima di frutta edi cibo sotto tutte le forme: si andava da una specie di albero del pane similea quello che già conoscevoa una pianta che produceva bacche grosse come nocidolcissime e ricchissime di vitamine. C'era un fruttoagrodolceanzidolcepiccante rende meglio l'idearossoche aveva sicuramente (come del restoil peperoncino terrestre) una potente funzione antibiotica ed antibatterica:spalmato su una feritabruciava per un po' ma garantiva contro qualunqueinfezione. E poi una miriade di liquidi e di creme: due diversi tipi di"latte"creme salate o dolci simili al burro o a certi formaggi.Insomma erano centinaia e centinaia le piante alimentari. Molte sostanzemolticibi andavano trattati o mescolati fra di loro prima di essere commestibilimal'abbondanza di cibo era la regola.

Anche il rischio di vitaera la regola. Ovviamente tantaabbondanza aveva favorito un afflusso di specie erbivoreuna loro selezione edadattamento alla foresta (specie con arti prensiliquasi tutte) e quindi i loropredatori le avevano seguite.

La foresta era grandissima: occupava tutto il centro di quelcontinente e copriva un'area grande quasi quanto metà dell'Africa. Lo spazioper far sbizzarrire l'evoluzione c'era stato ed il tempo anche. I risultatieranobehmolto variegati.

A volte sembrava di stare in un cartone animato: animali conle formei colori ed i disegni più improbabili ti si paravano innanzi e cimettevi sempre un po' per capire se erano o no pericolosi. Per fortuna questodubbio lo avevano anche loro! Occorreva stare in guardia ad ogni passoad ogniramo. Del resto lo avevo scoperto io stesso e molto rapidamente.

La struttura sociale dei Soprani era quella tribale su basepatriarcale e di clan. Un gruppo di clan viveva insieme e praticava una diffusaesogamia (esclusivamente femminile) con gli altri clan. Il capo clan era l'uomopiù vecchio e saggioma le decisioni più importanti erano prese da unconsiglio allargato alle donne più anziane e sagge.

Dato che ogni clan delegava un proprio rappresentante alconsiglioe la scelta avveniva per accordo interno al clanera quasi unademocrazia.

I capi di guerra erano eletti dai guerrieri che partivano peruna scorreriae le scorrerie dovevano avvenire ad almeno venti giorni di marciadalla sede attuale della tribùcosì da essere quasi certi di non incontrareclan imparentati in qualche modo.

Insommai Soprani mi ricordavano molto i miei Warraff estavo molto bene con loro. Passai tutto il tempo ad approfondire la conoscenzaricambiando l'ospitalità con partecipazioni alle battute di cacciaed eromolto apprezzato per la mia mira e per la mia forza fisica. Ed ovviamenteguardato con rispetto per le mie capacità mimetiche.

 

Decisi poi di approfondire la mia conoscenza del Mondo diSotto. I Sottani erano bianchissimi di carnagionebiondi ed albinie la loropelle si scottava con estrema facilità se esposta anche per brevi momenti alsole di Sopra: la luce penetrava attenuatissima e diffusa nel Mondo di Sotto: digiorno ci si vedevaper circa seisette orema come se fosse semprepomeriggio e ci fosse sempre una nebbia opalescente.

I Sottani erano esperti in trappole di tutti i tipicivedevano benissimo in tutta la gamma dell'infrarossopraticamente anche nelbuio più fitto.

Erano velocipronti di riflessisempre accigliaticome achiedersi qualcosama pronti anche al sorriso.

Ed anche con loroquando li volli incontrare funzionò iltrucco della pelle: mi allontanai di diversi giorni di cammino dalla mia tribùSopranaper non creare equivocie provai a sbiancarmi al massimoriuscendoci;il fatto che avessi capelli biondo-rossi e ci vedessi al buio come loro miaiutò enormemente a farmi accettare.

Catturai alcuni animali e li feci trovare in prossimità diuno dei villaggi; e feci questo per un paio di voltefino ad incontrare deicacciatori e ad iniziare un dialogo con lorosostenendo di venire da unvillaggio lontanissimo da quella zona.

Non erano aggressivi senza motivo e dopo un po' fui accettatoanche nella loro tribù.

La struttura sociale dei Sottani era analoga a quella deiSopranisolo che fra loro i clan scambiavano i maschi e non le femminee chela struttura era matriarcalesia pure allargata al parere dei maschi.

Fra loro anche le donne giovani e senza figli erano guerriere(non lo erano fra i Sopranianche se era meglio non contraddirle: portavanotutte e semprecon sé uno stiletto molto acuminato).

Dei Soprani dicevano la stessa cosa che dicevano loro: tipistranie non amavano frequentarli.

Se un Soprano entrava involontariamente nel Mondo di Sotto(ad esempio cadeva attraverso un buco nel "pavimento") tornava subitoin superficie; se non era in grado di farlo perché ferito i Sottani a volte loriportavano sopra ed a volte mettevano fine alle sue sofferenzedipendeva damolti fattori; se scendeva intenzionalmentee con cattive intenzionivenivaucciso.

I Sottani non potevano andare di sopra a pena di ustionarsiergo fra i due popoli non c'erano altri rapporti che quelli guerreschise equando i Soprani volevano scendere nel Mondo di Sotto.

Mi chiesi se fossero interfecondie soprattutto se i Sottanifossero ancora interfecondi con l'homo sapiens: colori a partesembravanoidentici a noi. Me lo chiesi ma non ebbi modo di verificare.

In parte perché non ci avevo nemmeno provato ad avere peramanti donne Sottane o Soprane; dato il tipo di civiltàmolto basata sui clane quindi sui rapporti di parentelanon era il caso di rischiare incomprensioninei comportamenti sessuali. E poi sotto sotto le femmine di quei clan di meavevano un po' paura. Comunque non vidi incroci delle due razze: se eranopossibili evidentemente non erano desiderati.

 

I Sottanipoie me ne accorsi con stupore dopo un po'erano dotati di facoltà parapsichiche. Non tuttiintendiamocima molti fraloro potevano ad esempio "sentire" gli avvenimenti pericolosi per lorostessi o per qualcuno loro vicino che si stavano per verificare. E percepivanochi mentiva.

Uno dei loro sciamani un giorno mi disse che avevano unasorta di "preveggenza del molto-possibile": era come se in prossimitàdi una diramazione del casosentissero che l'una o l'altra di due scelte eranopiù o meno pericolose ed erano in grado di capire cosa fare; altri invece (manon tutti) erano dotati di una vera e propria "telepatia a largoraggio"anche se solo fra di lorocome fossero radio sintonizzate su unastessa ed unica lunghezza di frequenza; ed altri ancora erano telecineticisiapure per oggetti molto piccolianzi erano più efficienti a livello molecolaree forse atomico che non a livello superiore; ad esempio erano in grado di farincendiare un mezzo di legno perché acceleravano la velocità delle molecole equelli fra di loro che erano sciamani erano in grado di guarire molte malattie"spostando " fisicamente parti di organi o zone malatecome untumoread esempio; e creando un embolo nel cervello erano in grado di ucciderein pochi secondi un essere umano o un elefante. Per fortuna erano pochimoltovecchi e molto saggi. Mi sembrò di capire che tali capacità stavano apparendoda non moltissimo tempopoche decine di annie che erano ancora oggetto distudio per i Sottani stessi.

Notai la solita mancanza di animali domesticima anche unacompleta mancanza di scoiattoli fra i sottanitant'è vero che loro non liconoscevano proprionon li avevano mai visti. Mi dissi che quegli animalettionnipresenti sul pianetanon dovevano amare né la poca luce del Mondo di Sottoné l'alto numero di predatori naturali che vi si trovavano.

I rettili in particolar modo erano più numerosi che nelMondo di Sopra e molti insetti si nutrivano perfino dei roditori del Mondo diSopratendendo loro trappole subito sopra il "pavimento".

Con i rettili invece i Sottani avevano ottimi rapporti ec'era un tipo di iguana che stava in tutte le casecome fosse un cagnone; erautilissimo perché si nutriva di diversi tipi di animali piccoli e velenosi.

 

Dopo un paio di mesi che ero con loronel corso di unabattuta di caccia a largo raggiolontani molti giorni di cammino dal villaggioscoprii una cosa che mi emozionò profondamente.

Al centro della Foresta Doppiacome l'avevo battezzata c'erala cosa più incredibile che avessi visto mai in tutte le mie vite e in tuttoquel pianeta: un enormeimmensoassurdo parallelepipedoalto 25 metri circalargo 200 e lungo 800; sprofondava nel terreno per almeno due metrimaprobabilmente molto di più; mi dissero sia i Sottani che i Soprani chesiapure lentamentecon il passare degli anni si ingrandiva e si modificava.

Crescevainsomma.

Sembrava fatto di specchioanche se la sua superficiepurriflettente come uno specchio di vetrosembrava fatta di metallo. Tutt'intornoal Muro che Riflettecome lo avevano chiamato i Sottaninon c'era altro chevita vegetale.

Solo i più piccoli insettiquelli necessari in qualche modoalle piantepotevano sopravvivere in un raggio di cento metri intorno al Muro;anche gli uomini non ci potevano restare a lungo: dopo dieci minuti al massimosi veniva presi da un'ansia spaventosa che diminuiva solo allontanandosi.

Né Soprani né Sottani seppero dirmi nulla di quelloscatolone. Era lì da semprea quel che ne sapevano loro: i clan erano arrivatiin prossimità dello Scatolone secoli primaquando erano entrati nella ForestaDoppia e ce lo avevano già trovato.

Mi ripromisi di ritornarci appena possibile e di scoprirecosa nascondeva: lì c'era una tecnologia affine alla miaprobabilmente moltopiù evoluta. Era la sede dei Giocatori? Era un'altra razza del pianeta? Era unluogo di raduno di Immortali? Era il centro da cui erano partiti i missili chemi avevano abbattuto?

Dovevo sapere. Ma rimandai: stavo benemi ero ripresopienamenteera ora di cominciare a pensare al ritorno.

 

Fusto Verdelo Sciamano dei Soprani un giorno mi chiese dadove venivo con esattezza. Gli ripetei che venivo da fuori della Foresta Doppiae che appartenevo ad una tribù del Deserto (l'idea del desertoun luogo senzapianteli aveva affascinati ed intimoriti al tempo stessoera come dire ad uncristiano che venivo dall'Inferno; o dal Paradiso).

Mi disse che questo se lo ricordava; maper casoprima erostato altrove?

- Che intendi Fusto Verde?

- Intendo che io so che questo pianeta non è il solonell'Universo del Grande albero.

La cosmologia dei Soprani era coerente con il loro mondo:Foresta Doppia era l'unica grande foresta su una enorme mela o aranciaunfrutto comunqueche era grande ed enorme ed era appesa per il picciolo ad unramo di un albero che era il cosmo tutto; ruotava su se stessa attorcigliando ilpicciolo da una parte e dall'altra (così si spiegava l'alternarsi dei giorni edelle stagioni); l'albero portava infiniti altri frutti (gli altri pianeti) sucui vivevano altri esseri senzienti; i buoni nelle foreste ed i cattivi fuoriovviamente.

- Tu vieni da un altro Fruttovero?

- Come mai dici ciò?

- Rispondimi figlio...

- SìFusto Verdevengo da un altro fruttoma tu come losai?

Fra loro non c'erano Immortalia quel che avevo capito;anche se qualche sciamano diceva cheprima che il popolo dei Soprani entrassenella Forestac'erano stati.

- Ehfigliocosa vuoil'esperienza aiuta a capire primache cada il fruttodove cadrà. Ascoltate l'ho chiesto perché penso che tudebba leggerese puoiquesto libro.

Estrasse da una sacca di cuoio un quaderno rilegatoditipica fattura terrestre.

Mi emozionai a vederlo perché era di quelli con la copertinaneralucidacerata ed i bordi dei fogli rossidi carta pesanteche siusavano nelle scuole quando io ero non ero ancora natoma che mi erano semprepiaciuti. Lo aprii emozionato e cominciai a leggere.

Dopo un po' smisi e dissi a fusto Verde.

- Sciamanopadreti dispiace se mi ritiro da te? Ciò chedevo leggere mi porterà via tempo.

- Fai pure figliospero ti sia utile. Attende un lettore damoltomoltissimo tempo...

 

Era il diario di un altro immortale. Ed era scritto inInglese.

Era la storia delle avventure di un uomo (non diceva come sichiamavacome si fa normalmente nei diari) che si era trovato come me dentroquella famosa stanza d'ospedale.

Quando scrisse il diario quell'uomo era alla sua quartareincarnazione. Aveva passato molte avventure a sua voltain un arco di oltre80 anni.

Confessava di essersi suicidato per l'orrore sia la secondache la terza volta che era stato resuscitato.

Ma vedendo che non c'era niente da fare aveva accettato ilsuo destino.

Il diario era il racconto di una serie di avventure nel mondoesternoriassunte in modo molto schematico e semplice; ed infine del suo arrivopresso i Soprani.

Questi lo avevano bene accolto soprattutto perché l'uomo eraun ottimo musicista jazz (suonava il sax e ne aveva sempre uno con sé) ed eraun afroamericano di pelle scurissimaquindi li aveva colpiti moltissimo per ilsuo aspetto ed affascinati con la sua musica.

Ci sono moltissimi umani di razza nera sul pianetama ineffetti sono tutti originari di una zona molto lontana da qui e trovarne daqueste parti era rarissimo.

Nella sua vita sulla terra quell'uomo era stato un notojazzista del sud degli stati uniti negli anni 20 del XX secoloed era morto nelcorso di una rissa a New Orleans.

A questo puntoe per la prima voltaebbi un'intuizione.

Anche io ero stato "prelevato" subito a ridossodella mia prima e mi viene da direvera morte! Assudi-Aman non ricordava edegli altri duel'olandese e la cinese non lo avevo proprio capito.

Questaforse poteva essere una delle regole dei Giocatori?Prelevare un uomo sul punto di morire per dargli un'altra chance? Intuii comeragionavanoo come era possibile ragionassero: qualunque essere umanoin puntodi mortesarebbe disposto ad accettare di rivivere almeno un'altra volta; equindi noi prendiamo coloro che stanno per morireforseanziaspettiamoproprio che siano mortili "preleviamo" come sappiamo fare noi e litrapiantiamo nel nostro campo giochi. E vediamo cosa succede.

Behnon mi andava bene comunque: se volevo o no giocare melo avrebbero dovuto chiedere. Nemmeno Diose c'èpuò permettersi di giocarecosì con le vite delle sue creatureanche se forse è esattamente questo chefa. Ma quelli non erano dei.

L'uomo del diario non aveva una sua teoria a riguardo. Avevacapito cosa succedeva se morivaaveva deciso di non suicidarsi più e direstare a vivere nel Mondo di Sopradove era stato accettato come uno del clan.

Lìdopo una vita tranquilla e senza scosseera mortoall'età di circa 70 annidopo altri 50 anni di vita passati su Mondo.

- Sciamanoquanto tempo fa è morto l'uomo che ha scrittoquesto libro?

- Dieci anni fa.

- Sai dirmi qualcosa di lui?

- Di Notte Sonora? - sorridemmo entrambi al nome Soprano -Era un buon uomo e molto abile con il suo strumentofu di letizia per il clan.Ricordo solo che invecchiò rapidamente e ne fui stupito. Era giunto a noi comeun giovane di forse venti anni e tale rimase per altri venti anni. Poid'improvviso cominciò ad invecchiarevelocissimamenteed in poco tempoforsesei mesiebbe l'aspetto di un uomo maturogli avresti dato 50 anni. Da lì inpoi invecchiò normalmentefino a morire.

- Lui disse cosa era accaduto?

- Non lo sapeva. Ma una voltaricordodisse che forse chilo aveva mandato aveva deciso di togliergli parte di ciò che gli aveva dato equesto doveva essere perché lui si era fermato.

 

E questa forse era un'altra regola del gioco: finché timuovifinché hai avventure che io posso seguire e che mi possano appassionareti lascio immortalità e gioventùaltrimenti torni ad essere mortale e muori.E probabilmente definitivamente. Già. Almeno sapevo di avere una via d'uscita.

No. C'era Assudi-Amanviveva da 320 annifaceva losciamanoed era nello stesso posto da non meno di cento anni. Ma forse le coseche capitavano ad Assudi erano più divertenti di quelle che erano capitate aljazzista di New Orleans in quella strana e in fondo pacifica e calma foresta.

Alla fine decisi di lasciare il mio clan di Mondo di SopraiRoobin-a-hud. Ero stato bene fra loroma era ora di andare a norddi usciredalla foresta e di tornaredopo un anno al mio Over.

Se c'era ancoracertose no avrei dovuto raggiungere ildoppione dove l'avevo lasciatoin mezzo al deserto di Aq.

E facendomi aiutare dagli Warraffe dai miei agenti seancora li avevo.

Mi mossi seguito da otto guerriericinque Sottanidotati didiversi poteri psi e tre Sopranii migliori arcieri che avessi mai visto.

I Sottani erano giovani ed avventurosied erano vestiti dacapo a piedicon un cappuccio per di piùper evitare di scottarsi al soleoltre a numerose creme protettive.

Il gruppo era misto di Soprani e Sottani perché lo avevanovoluto loro.

I saggi delle due tribùdietro mio suggerimentosi eranoriunitine avevano parlato ed avevano deciso che poteva essere una buona cosafare un esperimento di "caccia" in comune: forse si poteva impararequalcosa gli uni dagli altri; e si sai giovani sono incoscientima nonmisoneisti: tendenzialmente aperti alle novità.

 

Traversammo tutta la parte nord della foresta in un mese e vigarantisco che fu una impresa eccezionale e che solo perché eravamo il migliorgruppo di combattimento della foresta riuscimmo a venirne fuori vivi e sani.Contattammo lungo la strada diversi altri villaggi Soprani e Sottani ecominciammo a spargere i semi della collaborazionedimostrando come erapossibile ed utile collaborare per grandi imprese; e promettendo di ritornare.Strada facendo trovai anche una katana Warraff e la acquistai; era un'armaperfettamente bilanciatadi acciaio multistrato e perfettamente bilanciata;dopo quei mesi passati solo con armi di legno e pietrami sentii di nuovo"vestito".

Trovammo la strada per la costa ed a tempo debitoraggiungemmo la stazione commerciale Warraff. Mi misi ad osservarla da lontanocon un piccolo cannocchiale (una delle poche cose sopravvissute dal mioatterraggio forzato e che avevo sempre portato con me). Cambiai colore allapellee questo sconvolse i Sopranima siccome me la feci diventare bluciòsconvolse i Sottani.

Ma blu mi servivavisto che l'agente locale era diventato unblu e non era più un Warraff. Per di più avevo notato i suoi tatuaggi che lodefinivano come un appartenente ad una setta di uccisori: brutta gentemaniaciomicidi e pericolosi come ragni lupo.

Presi delle precauzioni. Raggiunsi da solo la stazionecommercialeseguito a distanza dai miei accompagnatori; intorno alla stazionegravitava la solita fauna mista di questi posti: molte razzemolti meticciarmimerci ed un po' di puttane.

L'agente blu mi ricevette nella sua stanzain una capanna ditronchi che era l'edifico più grosso della stazione stessa.

Chiesi di parlare con l'agente in capo. Il blu mi disse cheWatt-m-lamelail nome del Warraff mio agenteera lui; feci finta di crederci edi non vedere la sua mano che andava verso il cassetto a prendere qualcosa chenon credevo fosse un regalo per me.

Dietro di me sentii muoversi qualcuno ma feci finta diniente. Continuai dicendo di essere venuto con una lettera di presentazione diMamo T'amoil mio nome presso i Warraffpresso il quale dovevo tornare quantoprima. Il blu disse che era onorato di poter rendere un servizio a tanto signoree che mi avrebbe fatto subito servire del tè se solo avessi preso posto suquella sediache mi indicòe che per farlo contento guardai.

Mi lanciò contro la gola un "multipunte" Warraffche evitai con un movimento minimo del capo. Quello lanciato dal suo comparedalla porta invece lo presi al volo e lo rigettai contro di lui inchiodandoglila spalla allo schienale di legno della poltrona.

Estrassi la mia katana e mi dedicai ad uccidere l'uomo dellaportacosa che feci in pochi secondi. Estrassi un fischietto e modulai un suonoconvenuto con i miei giovani accompagnatori. Mentre fuori fioccavano dardi dicerbottanafrecce e morte sulle guardie traditrici o mercenarie che fosseromidedicai all'impostore che stava tentando di liberare il braccio.

- Dov'è Watt-m-lamela?

Mi insultò tentando di colpirmi con un pugnale nell'altramano.

Lo disarmai e gli torsi il polso.

- Dov'è Watt-m-lamela?

Urlòcontinuando a maledirmisvenendo solo quando glispezzai il polso. I blu erano fatti così: cattivicoraggiosi e testardi.

Chiamai Chiarore Violail Sottano più bravo nellapsicocinesi e gli spiegai cosa doveva fare. Assentì.

Il blu si svegliò urlando. Chiarore viola aveva sollecitatodirettamente il suo trigemino e lavorava su quello: se serviva era abilissimonel torturare.

Dissi al blu:

- Morire morirai tra pocoquesto è certo. Mamo T'amo sonoioe non permetto che i miei centri vengano assaliti e danneggiati. Se rispondirapidamente e bene alle mie domande morirai presto ed in modo indolorealtrimenti i tuoi urli diventeranno parte delle leggende di questo luogo e tumorirai fra molti mesi. Scegli pure liberamente.

Dopo poco scelse e parlò. Watt-m-lamela era schiavo conparte dei miei uomini in un "drakkar" bluin navigazione da diecigiorni verso sud; tutte le cose che non erano di valore erano ancora lìed icadaveri dei morti erano in fondo alla scogliera. Gli chiesi il nome del drakkared una breve descrizione e poche altre cose.

Poi gli dissi:

- Vedi quell'albero? - e mentre si rivoltavaestrassi lakatana e lo decapitai. In fondo sono sempre stato un sentimentale e se posso nonfar soffrire chi muorepreferisco.

Chiarore Viola era stupito.

- L'hai ucciso!

- Certoglielo avevo promesso.

- ...mmhma... non potevi...non lo hai sfidato regolarmente!Torturarlo va benema ucciderlo senza una possibilità di difendersi...

- Ascolta Chiarore Viola: avresti lasciato un Ragno Lupo incircolazione per l'accampamento?

- Nol'avrei ucciso.

- Ecco. Quest'uomo era più pericoloso di un ragno lupo incalore; ma molto di più. Inoltre ha ucciso molti miei amici ed avrebbe uccisonoi per allegria: apparteneva ad una setta blui Kamkgli uccisoriche a 11anni fanno voto di non morire se prima non uccideranno almeno 1000 esseri umanie di accettare di finire al loro inferno se non ci riusciranno; per lorouccidere è uno sport ed un divertimento e per raggiungere la loro quota ilprima possibile uccidono chiunque: giovanivecchibambinidonne; per loroadesempio una donna incinta vale dieci guerrieri. Hai capito il tipo? Gli Warraffnon uccidono se non per difendersima per loro uccidere un Kamk è al tempostesso un dovere sociale ed un tabùuna cosa di cui non vantarsi mai.

Forse l'avevo convinto e forse noChiarore era un po'sadicoma come un bambino; e come un bambino ci teneva a rispettare le regoledell'onore.

Eliminati i cadaverie fatta allontanare la gente al difuori della cinta della stazione cominciammo a cercare fra ciò che rimaneva.Trovai la radio in un mucchio di "roba inutile" come l'aveva chiamatail blu.

Era guasta ma i Sottanidietro mie indicazioni laripararono"ripristinando" a loro modo le parti rotte: riparando alivello molecolare tutto ciò che era rottoin modi di fortunaspostando pochemolecolema riportando la radio a funzionare in poche ore.

Chiamai la mia base nel mezzo del grande deserto. Nonrisposero subito. Bravi ragazzili avevo addestrati bene: stavano posizionandola trasmittente per capire chi chiamava da dove. Io comunque avevo detto aiSottani di deviaread ogni buon contoil punto di partenza delle onde radio adue chilometri da lì. La scoperta delle onde radio li aveva galvanizzati!

Mi risposero finalmente. E chiesero la mia identificazione.Ci vollero venti minuti per chiarirsi ed identificarci reciprocamente.

Era prassima la seguirono con una attenzione che mi fecesospettare che si attendevano o che avevano avuto guai.

Andava tutto beneper fortuna e per ora. Il Centro neldeserto era stato attaccato da missili terra aria lo stesso giorno in cui erostato attaccato ioe molti dei miei agenti in giro per le zone in cui mi erofatto vedere erano stati eliminati da non si sa chi nello stesso periodo. Eranoquasi sempre addetti alle stazioni radio ed erano stati eliminati o direttamenteda sicari o da esplosioni sospette che probabilmente erano state provocate darazzi analoghi a quello che aveva colpito me.

Loro però si erano organizzati bene. Gli Warraff avevanoripreso la loro vita nomade in giro per il desertouccidendo chiunque liattaccava e la parola d'ordine per tutti era stata: defilarsi finché non si eracapito da dove veniva l'attacco.

Gli attacchi erano cessati e non si erano ripetuti. Da alloraerano stati più attenti di prima ed avevano continuato con il lavoroaumentando però coperture e livelli di sicurezzain attesa che mi facessi vivoio. Tutto stava andando bene. Avevo bisogno di qualcosa?

Ringraziai e li misi in attesa di ulteriori ordini.

Contattai Genietto (il nomignolo che a volte usavo con ilcomputer principale del mio over) che mi rispose subito.

- Buon giornosignorecome va?

- Bene Geniettoti sono mancato?

- Sìsignore. È più di un anno che lei è sparitosignore. È in buona salutesuppongo.

- Sì Geniettosenti puoi venire a prendermi sulla costanord di Aad? In prossimità della stazione commerciale Warraff numero 112?

- Sì signorese lo desidera in tre ore e 45 minuti saròlìsignore. Devo portare i prigionieri con mesignore?

- Prigionieri?

- Sìsignore. Ricorda l'ordine impartitomi di catturare enarcotizzare coloro che eventualmente mi avessero scoperto sull'isola. signore?

Oddio!

- Cosa è successoGenietto?

- Behsignoreil primo è stato un marinaio venuto a terraper cercare acqua signorepoi altri otto membri dello stesso equipaggiopoiduecento fanti da sbarco della marina di Ommundapoi...

- Quanti in tutto?

- Per ora sono 340signore ma per pranzo dovrebbero esseredi più...

- Perché per pranzo!?

- Sono sotto attaccosignorec'è una flotta alleata dellecittà della costa che mi sta bombardando.

Maimai dare ad un computer ordini che non comprendanoalternative. Si era fatto notare anche lui.

- In che condizioni sono quegli uomini?

- Ohottime signore. Ho approfittato della loro condizioneper curarne un po' alcuni e sperimentare nuovi antibiotici. 32 di loro eranoaffetti da sifilide primaria45 da epatite200 avevano lo scorbuto e...

- Li puoi liberare e te ne puoi sganciare immediatamente?

- Sì signore.

- Fallo!

Mi immaginavo la scena. Una flotta di tutte le repubblichemarinare della costa che tentavano di espugnare l'isola su cui una potenzaostile aveva costruito una "fortezza" inaccessibile! Era giàincredibile non ci fossero state vittime.

 

Dopo tre ore Utero era di fronte a noi. Usai i robot dellanave per recuperare i cadaveri dei miei agenti morti in fondo alla scogliera.Poi ci dirigemmo con un over più piccolo verso sud mentre dei palloni sondalanciati da Utero perlustravano un raggio di 500 chilometri per trovare tracciadel drakkar. Lo trovammo alla fine del secondo giorno e lo raggiungemmo.Uccidemmo tutti i Kamk in vistacompresi due dodicenni: i ragni lupo non sonomeno velenosi quando sono appena nati e vanno eliminati subito.

I rematori erano tutti schiavi e fra loro Watt-m-lamela edaltri amici. Piansi riabbracciandoliper il sollievo e per il ricordo di quellimorti. Impalammo i cadaveri dei Kamk su pali infissi in tutta la nave ed affidaiad un robot l'incarico di rimorchiare sott'acqua la nave fino al portod'originein un fiordo non molto lontano. Al centro della navea sovrastaretutti i cadaveri il mio stemma Warraff: uno Scorpione dentro una O. Dovevanosapere che ero stato io e che non avrebbero dovuto attaccare mai più i mieicentri. E i Kamk erano notoriamente stupidi: per fargli penetrare un po' di salein zucca occorrevano i metodi forti.

 

 

 

Nello Scatolone

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ricominciai con "la vita di bordo" come lachiamavo: a bordo avevo fatto predisporre a suo tempo un mini ospedale-robot emi feci rimettere a posto l'occhio che avevo perso nella caduta; fu clonato dauna cellula dell'altro ed il trapianto non richiese molto tempo. Le miecapacità di risanamento non arrivavano fino al punto di riprodurre un organointero. Tutti i residui danni di quell'anno di avventure (per lo più cicatricie danni esteticiocchio a parte) furono sistemati.

Feci studiare al computer una serie di sistemi disopravvivenza finalizzati a rintracciarmi ovunque io fossibasati su unitàradio microscopiche che avrei inserito sottopelle e fatto alimentare damicrobatterie sostituibili dall'esterno con facilità; tutti sistemi che iopotevo attivare in quattro modi diversicon le manicon i denticon la linguae con un sistema automatico che entrava da solo in funzione se io non emettevoalcun suono per 72 ore di seguito.

Qualunque cosa fosse successa in futuro sarei statorintracciato da un gruppo di robot addetti esclusivamente a questo scopo eportato in salvo.

È vero che se avessi avuto questo sistema addosso un annoprima sarei stato salvato subito. Ma era anche vero che non avrei conosciuto laForesta Doppia e soprattutto lo Scatolone. I vantaggi e gli svantaggidell'imprevisto...

 

Iniziai una serie di ricerche. Partii dall'ipotesi che alanciare quei missili non fossero stati i Giocatorima qualcun altro: o unaciviltà ultra progredita ma assolutamente clandestinao un piccolo gruppoforse tutto di Immortalio forse con solo uno o pochi Immortali al suo interno;o forse anche un singolocome me.

Considerando le possibili traiettorie dei missili che avevanocolpito me ed i miei centrida dove erano partiti?

Sulla base di una serie di calcoli di probabilità e secondoaltri parametri che io diedi al computerda quale zona del pianeta avrebberopotuto partire quei missili? Quale zona avrebbe potuto ospitare una civiltà oun gruppo o un singolo in grado di produrli.

Ad esempio: considerando la necessità di alcuni materialistrategicidi cui feci l'elenco (tipo: mercurioramegommavetromagnesiotitanio ecc) e le relative zone di produzione e le carovaniere ed i mercantiacquirenti e le città tradizionalmente incaricate della tratta di quellematerie di basee così viaquale era la zona di maggior concentrazione diquesti materiali? Non solo della produzione ma anche dell'invio dei manufatti?

Il ragionamento era semplice: una civiltà in grado diprodurre missili come quelli che mi avevano colpito non poteva non disporre dielettricitàil che significava anche su quel pianetail possibile uso (noncertoma possibile) di cavi di ramedi vetrodi gomma ed altre sostanzeplastiche. Avevo fatto esaminare anche i resti di quei missili e tutto quadrava.

Genietto si mise al lavoro e tre settimane dopola maggiorparte delle quali dedicata a raccogliere i dati in questioni delimitò l'areadel pianeta in cui quelle merci di fatto finivano.

Era un cerchio irregolare che comprendeva la costa e la partecentrale del continente in cui si trovava la Foresta Doppia e buona parte dellaforesta stessa. Ai bordi di quella zona si perdevano le tracce delle materieprime e dei prodotti che avevo indicato.

Gli chiesi di identificare anche il possibile punto diorigine dei missili che ci avevano colpitosulla base di quanto eravamoriusciti a capire del tipo di caratteristiche dei missili stessi. E di nuovo eraun cerchiopiù piccolosempre all'interno della Foresta Doppia.

Gli chiesi di identificare il Muro che Riflette e sulla basedei miei ricordi e lui lo posizionò. Era esattamente al centro della zonadelimitata dalla seconda ricerca.

 

Lo so. Non era una prova. Oltretutto lo sospettavo findall'inizio che fosse lì. Ma spesso la differenza fra la vita e la morte non èquestione di proveè questione di intuito e di chi reagisce prima. Come sidiceva a miei tempi e nella mia cittàfra coloro che avevano un porto d'armia proposito se andare in giro armati o meno: è meglio un processo che unfunerale. Nel senso che se si doveva subire un funerale per non essere statisvelti a sparareera meglio subire un processo per aver sparato troppo infretta. Sarà anche da cinicima favorisce la sopravvivenzasia pure a dannodi quella altrui.

Inviai agenti presso i Soprani ed i Sottani. Soprattuttopresso i Sottaniperò. Gli agenti portarono con sé grandi quantità di donie per proteggerli al meglio inviai con loro numerose truppe di sostegno formatedai migliori mercenari Warraffcon l'ordine di non offendere mai nessunodichiedere sempre il permesso di passare e di cambiare strada se il permesso nonveniva concessoma di respingere ogni attacco con la massima decisione. Furonoaccompagnati dai Soprani e dai Sottani che erano venuti con me e non ci furonoproblemi; cominciai così a crearmi una base a non molta distanza dalloScatolone.

Avevo bisogno dell'aiuto dei popoli della Foresta Doppia percontrollare i dintorni del muro 24 ore su 24. Iniziò quindi una sorveglianzaattenta e discreta.

Per Soprani e Sottani però era difficile sorvegliare davicinoper via di quell'angoscia che li prendeva nelle vicinanze del Muro.Appena si accostavano al di sotto di una certa distanzacirca 10 metricominciavano a provare un'agitazione interioreforte ed immotivatacheaumentava con il diminuire della distanza. Ma si organizzarono.

Furono i Soprani a trovare il sistema: un caschetto di pelledi "serpente d'oro"dalle scaglie lucidissime e in parte siliceeliaiutava a resistere di piùspecie se il serpente era giovane e le scagliemolto lucenti.

Era la conferma di un'idea che avevo avuto ricordando lastrana aura che circondava lo Scatolone: qualunque cosa fosse che causava quellasensazione era veicolata dalla lucesia visibilesia infrarossa siaultravioletta. E le scaglie la respingevano. Quella luce agiva sul cervello piùche su altri organi e non passando dagli occhi.

Analizzai la zona con uno spettroscopio montato su un piccolosatellite portato in volo sulla zona da un uccello addestrato dai Soprani(evitando così di usare un velivolo artificiale); tutta la costruzione eraimmersa in una luce infrarossa fortissimanon visibile all'occhio umano e cheveicolava evidentemente quelle vibrazioni negative.

Trovato il trucco fu facile contrapporvisi: caschi a tuttoviso e tute di plastica ultraleggeraporosatrattata a specchio e riflettenteal massimo.

Chi li portava era praticamente invisibilespecie nellaforestaspecie muovendosi pianospecie se portava un termoregolatore.

Sorvegliammo in questo ed in altri modi lo Scatolone per tremesidal basso e dall'altocon estrema discrezione. Avevo messo un gruppo diWarraffSottani e Soprani a lavorare insieme e promesso loro ricchissimi premiper ogni trovata che elaborassero che ci avesse permesso di acquisire piùinformazioni restando più al coperto. Non volevo essere notato da gente chel'ultima volta che mi aveva notato mi aveva preso a colpi di missile.Mimetizzarsi al massimo era la parola d'ordine.

 

Nel corso di questa osservazione per sette volte sul tetto siaprirono delle botoleda cui uscirono degli oggetti volanti.

In tre casi si trattò di missili diretti su obiettivicivetta che avevo creato apposta qualche mese prima. Si trattava di tre fintefabbriche di impianti elettrici di tutti i tipi: batterielampadinepiccoledinamotutti piccoli oggettiche producevano campi magneticielettriciche amio parere erano stati il tipo di fonte di segnali che mi aveva fattoidentificare in volo quella notte di tre anni primaunitamente ad altri mieicentri.

Chiunque fosse dentro quello Scatoloneidentificava laproduzione di corrente elettrica come un nemico da eliminare. Così forse sispiegava anche perché la civiltà delle repubbliche marinare andava tanto arilento: se ogni volta che in un laboratorio qualcuno inventava una pilaesplodeva tuttonon c'era un gran futuro per la civiltà industriale.

Continuammo le ricercheusando anche i Sottani più dotatiche si misero ad ispezionare l'interno dello Scatolonefin dove potevanoarrivare con le loro capacità psioniche. Sembrava non ci fosse traccia di vitaumana o comunque intelligente. Senza dubbionon in un raggio di dieciventimetri verso l'internodal perimetro esterno delle pareti dello scatolone.

Forse c'era vita animaleperò.

Chi c'era dentro lo scatolone? Robot e basta? E se non eranoi Giocatorichi?

 

Una notte illunesette mesi dopo l'inizio dellasorveglianzaeravamo in viaggio in un aliante verso lo Scatolone. Eravamo unostormo di quattro alianti con a bordo di ognuno 20 guerrierifra i migliori ditutte le popolazioni con cui avevo rapporti di alleanza: WarraffSopraniSottaniLatzRommanGuardie di Bulbo Verdeamazzoni Watt-m-laceemaBaribale perfino due Kamk pentitidue femminecadute prigioniere in una scorreria eche si erano innamorate di due guerrieri Warraff erimaste incinteavevanoabiurato la loro fede. Ma erano rimaste due fenomenali assassine.

In tutto 80 guerrieriuomini e donnefra i migliori delpianetaaddestrati con le loro armi tradizionali e con le migliori che le mieofficine avevano potuto mettere a loro disposizione: cariche esplosivecarichecavearmi automatichegiubbotti antiproiettili. E con mesi di addestramentointensivo alle spalle.

Portammo con noi anche una squadra di una ventina di robotmultiusotutti spenti per evitare venissero percepite vibrazioni elettriche: liavremmo usati per ispezionare luoghiservendocene come esploratorie perdiversi altri scopi.

Quattro di loro erano molto grossi e sostanzialmente eranodelle bombe semoventi e moderatamente autocoscienti. L'idea era di portarlidentro e se qualcosa andava maleappena l'ultimo di noi fosse mortofarleesplodere. Erano fatte di uno speciale esplosivo chimico: l'equivalente di unadiecina di megatonla forza di una discreta bomba nucleare. Questa volta volevofare danno.

 

Fummo portati in quota da aerei robot telecomandati (cheavevo fatto produrre in una officina sotterranea nel Deserto Viola)chearrivarono altissimi; dopo di che planarono spengendo i motori molto prima diarrivare in zona e sempre a quota altissima. Fummo lasciati in volo planatotrenta chilometri più a nordpoi gli aerei robot fecero una curva e sempreplanando si allontanarono. Erano programmati per riattivarsi sull'oceano a pochimetri dall'acquama molto più lontani.

Avevamo constatato come le fonti di correnti elettrica e dieffetti magnetici venivano attaccati solo se entro il giro dell'orizzonte delloscatolonecirca 800 chilometri. Oltre evidentemente quei missili non potevanoarrivare.

Volammo verso sud nel silenzio più totale. Niente ci potevaidentificare come macchine: eravamo schermati a qualunque rilevazione di metalloo di elettricità.

Un eventuale radar ci avrebbe rilevati come massemapotevamo essere scambiati per i condor giganti delle catene montuosesettentrionali.

Per una eventuale osservazione visiva avevamo dipinto glialianti esattamente come i condor e a non sapere del trucconon ci accorgevadella differenza se non a distanza estremamente ravvicinata.

Non avevamo visto osservatori umanisul tettoma se cifossero stati se ne sarebbero accorti solo all'ultimo momento.

Planammo silenziosissimi e leggerissimi sul tetto delloScatolone. A tempo record ne uscimmo tutti: una squadra si dispose a protezionedegli altripronta a scatenare un inferno di fuocomentre un'altra alzò deileggerissimi pali con dei cavi che dovevano servire ad altri alianti che ciseguivano di prendere al volo quelli atterrati. Con un po' di fortunaanche percome erano dipinti gli aliantigli "abitanti" dello scatoloneavrebbero pensato a quattro condor giganti atterrati sul tetto e subitoripartiti in compagnia di altri quattro che li seguivano. Era un rischio: iltetto poteva essere minato o altrimenti controllatoanche se non aveva allarilevazione aerea guardie umane in vista. Ma era un classico caso di o la va ola spacca.

 

Funzionò. Gli alianti presero il volo subito dopo che neeravamo usciti. Tutto era durato quattro minuti. Se non venivamo attaccatisubito voleva dire che se l'erano bevuta. Come unica via di fuga avevamo fissatoai bordi dello Scatolone una cinquantina di corde da montanariper scendere ilpiù velocemente possibile lungo i fianchi della costruzione. Aspettammo con ildito sul grilletto.

Non fummo attaccati per due giorni. E per due giorni non siaprì nemmeno una botola. Restammo lì senza parlaree senza muovercipraticamente per nullasotto il sole ed al freddo notturno.

Eravamo divisi in gruppi ed ognuno era intorno ad una dellebotole che sapevamo esistere. Quando una si fosse spalancatail gruppo che lestava intorno la doveva tenere aperta in modo tale da permettere a due Sottanialmeno di entrare.

All'alba del terzo giorno una botola si aprì ed il gruppoche era di turno quasi se la lasciò scappare. Si aprì e ne uscì un robotvolantead elicacome un piccolo elicotteroche si alzò in volo ignorandoci.Un Warraff molto robusto scattò e si mise a reggere la botola che si stava giàchiudendogli altri lo imitarono e due Sottani entrarono. Poi lasciammorichiudere la botola. Se non venivamo attaccati neanche ora era fatta.

Non fummo attaccati. Tre ore dopo la stessa botola si aprìlentamente e ne uscirono i due sottaniBruco Pallido e Vena Lillai due piùgiovani ed esperti fra tutti gli psi che avevo nel gruppo.

Parlando sottovoce dissero.

- Abbiamo scoperto come funzionano le botole. Sono organismiroboticima bioniciun misto di carne e metallo...

- Dei cyborg! - dissi.

- Come vuoi tu; ma soprattutto sono ingannabili. Hanno uncervello organicosimile a quello di un mammifero ed un corpo misto di carne edi metallo; il corpo è disegnato per la funzione cui deve adempierequesto adesempio è fatto di un bulbodue braccia e la botolasenza organi esternialmeno apparentemente; viene alimentato da una corrente elettrica a bassovoltaggio e da un liquido proteico che entra dentro il corpo con un tubospeciale. Adesso quella botola è "convinta" di essere chiusa eresterà così finché non glielo diremo noi.

Erano termini e concetti nuovi per lorocome per gli altrima erano stai ben addestrati anche a questo riguardo ed erano intelligenti.Tutto il gruppo era formato da persone eccezionali.

Entrammo tutti lentamente da quella e da altre botole apertedai due Sottani grazie alle loro capacità di "persuasione". Cidividemmo in quattro squadretenendoci in contatto sia via etere e via psi.Avevo deciso di correre il rischio di usare l'elettricità "dentro" loScatolonepensando che lì non fosse possibile essere rilevati come "fonteesterna" al sistema. Ed infatti non ci furono conseguenze.

Dopo averli portati sotto a mano accendemmo tutti i robot.Vicino a me ne stazionava sempre unoche aveva tre schermi video per potervedere ciò cui si trovavano di fronte gli altri; e c'era anche Bruco violachemanteneva i contatti psi con i Sottani degli altri tre gruppi. Ci dividemmo icompitici organizzammo in colonna e iniziammo a scendere con le armi in pugno.

 

L'ambiente era molto strano. Ma moltomoltomolto strano.Prima di tutto c'era quasi dappertutto una luce diffusa che proveniva da moltepiccole e grandi fonti luminose che erano sparse ovunque: sembravano pianteconfoglie o superfici luminose. Ma l'ambiente era evidentemente del tuttoartificiale: sebbene quasi sempre coperte da vegetazione di vari tipisi vedevabenissimo che le pareti che ci circondavano erano metalliche.

Gli spazi che ci si aprivano davanti andavano da piccolestanze intercomunicanti a tunnela "radure" od a cavernemoltograndi. Molta vegetazioneun certo ricambio d'ariaterrarocce: sembrava unavia di mezzo fra un ambiente naturale ed un giardino trascuratooppure unaenorme astronave o un palazzo d'acciaioabbandonati ed invasi da piante edanimali.

Senza dubbio ospitava un ecosistema complesso e funzionante;e non sembrava fosse un ambiente degradato ed in via di estinzioneanzi. Nonc'erano gli odori della putrefazione o del chiusoc'erano piuttosto quellidella vitadel sottoboscodelle caverne abitate da piante ed animali. Il tuttoperò stranamente "alieno"mai sentito prima. Era un ecosistema cheaveva bisogno di aria e di lucema che si era sviluppatoo era statosviluppato totalmente al chiuso ed in luce artificiale. Il che in qualche modolo rendeva alieno come se fosse un altro pianeta.

Per tre ore non incontrammo che pianteanimalirobot ecyborg che ci ignorarono. Cominciai a pensare che la totale mancanza di reazionepoteva voler significare che quell'organismo aveva così proiettato versol'esterno tutte le sue difese da non aver concepito possibile un attaccodall'interno: come se non avesse alcun "sistema immunitario".

Ci separammo in piccoli gruppi per brevi esplorazioni. Illuogo era fatto di ambienti ristrettima in realtàa considerare lasuperficie di ogni pianoera enorme. I gruppi si allontanavano per poche ore opochi giorni e poi tornavano riferendo ciò che trovavano.

C'era un po' dappertutto un' accozzaglia di meccanismi conuno scopo o apparentemente senza sensodi visoridi videodi piccole e grandifabbriche totalmente automatizzatemescolata a parchiboschetti più o menoampii e selvaggidi giardinetti fini a se stessied anche di campi in cuivenivano coltivati fiorie piante commestibili di tutti i tipi; in questoambiente circolavano animalicyborg e robot di tutte le forme. Si ebbero pochiscontri e solo con alcuni animali predatorifra cui un tipo di orso senza peload esempio. Questa poi era una caratteristica comune a molti animali; la totalemancanza di peli cioè: evidentemente non c'era bisogno di termoregolazione pergli sbalzi di temperatura lì dentro.

Cominciammo ad orizzontarci verso il quinto giorno efra idiversi gruppi in cui ci eravamo divisici demmo appuntamento in un luogo chedoveva essere a circa 15 metri dalla superficie del soffitto.

Lì arrivati facemmo il punto.

Fuscello Al soleil Soprano comandante il primo gruppo dissela sua.

- Ho chiesto alla copia di Genietto alcune valutazioni-Avevamo portato con noi una miniaturizzazione del Geniettosenza la suacoscienza ma con le sue stesse capacità di calcolo; avevamo suppostogiustamenteche non saremmo stati in grado di comunicare con l'esterno. Nonc'era verso di far uscire o entrare un'onda radio.

- Secome è probabiledalle prime rilevazioni fatte daGenietto con i suoi scannerquesto scatolone è profondo oltre 1500 metrie lospazio abitabile interno è calcolabile in 300 piani a cinque metri l'unodall'altro di media; e se ogni piano ha una superficie di 160.000 metri quadratiquesto vuol dire che la superficie abitabile di tutto questo coso potrebbeessere di oltre 48 chilometri quadrati! è enorme!

- Servirà molto tempo per ispezionarlo tutto... - disseWatt-m-lamela.

- Ispezionarlo? Ma ti rendi conto? Ci potremmo passare unavita interaqui dentro! - ribatté Fuscello al Sole.

- Ok - dissi - ...allora organizziamoci per passarci una vitaintera. Dico sul serio.

Mi guardarono come se fossi matto.

- È meglio vi abituate subito all'idea! - mi veniva daridere. - Forse non lo faremoanzilo speroma sarebbe possibilesapete?

Erano più perplessi che mai.

- Guardatevi intorno: questo è un ecosistema perfettamenteequilibrato. Strano ma equilibrato. Qui ci si può veramente passare una vitaintera.

Ci volle un po' per spiegare bene il concetto di ecosistema.

- Qui dentro non penetra niente dall'esterno. Né arianéacqua né luce. È probabile che in fondo a tutto questo edificio ci siano dellefonti d'acquadelle polledei giacimentiforse un intero lago sotterraneoeche probabilmente l'acqua è l'unica cosa che penetra nel sistemama potrebberoanche non esserci. Ma ci deve essere per forza una fonte di energia: secondo metutto il sistema dello scatolone funziona con l'utilizzo delle differenze dicalore che esistono a diverse profondità nelle viscere del pianeta: in teoriabasta scavare un pozzo profondo un dato numero di chilometri farci cade l'acquaall'interno di tubi di metalli in grado di resistere ad alte temperature;arrivata al punto giusto l'acqua si surriscalderà trasformandosi in vapore epotendo far funzionare una dinamo; del resto non è necessario nemmeno che sigiunga a tantogià la differenza di calore puòcon opportuni meccanismiprodurre elettricità. Ma qualunque siadeve essere una grossa fonte dienergiaper alimentare tutte queste lucitutti i sistemi di aereazione; etutto il sistema di riciclo che è necessario a mantenere questo ecosistemaisolato dal mondo esterno: ariaacquarifiuti organici ed inorganicituttoentra nel ciclo; questo è un mondo a se stante; è come una astronave o sevolete un pianeta. Anzimeglioun satellite del pianetasolo chestanco digirarci intornoè atterrato. Vedrete che troveremo molti altri animali epiante. E probabilmente anche uomini.

 

Ero stato buon profeta. Due giorni dopo fummo attaccati.Oddioproprio uomini forse non erano. Erano Cyborg: un misto di uomini emacchinedelle forme più disparate.

Li incontrammo quasi per caso: alla fine di un tunnel ciimbattemmo in un gruppo di bestioniche assomigliavano ad grossi buoimaenormitozzicon zampe quasi piramidali per reggere quel peso e che simuovevano lentissimamentecondotti da cani pastori cyborg che appena ci viderocominciarono a ululare.

Dal fondo della "mandria" accorsero tre umanoidicyborgparte metallici e parte di carne: sembravano uomini alti due metridalla carnagione simile al cuoiocoperti di placche di cuoio più spesso inmolti punti e di un elmo di metallo; ma al posto delle gambe avevano cingoli; ederano armati di enormi spade.

Quando ci videro esitarono solo un attimo poi ci attaccarono.Un Waraffstupito ed immobilizzato dalla vista dei Cyborg umanoidifu tagliatoin due da una lama lunghissima; al che noi ripresici a nostra voltaeliminammosubito i tre attaccanti concentrando su di loro tutta la potenza di fuoco cheavevamo.

Fu orribile vedere come i cingoli continuarono a funzionareper un po' dopo che avevamo distrutto quasi completamente la parte superiore diquegli esseri.

Mentre sezionavamo i cadaveri per capirci qualcosafummoattaccati da un fritto misto di figure da incubo: alcuni erano perfettamenteantropoidicon due braccia e due gambe di proporzioni umanee portavanoarmature ed armi bianche; solo che le une e le altre non erano indossate oportate ma erano parte integrante del loro corpocome il carapace degli insettio il guscio delle tartarughe e le chele dei granchi.

Altridelle specie di centaurierano solo busti umanimacorazzati ed anche loro su cingoli; altri particolarmente orribili erano torsiumani su otto zampe metallichedei veri e propri uomini-ragno cyborg. Ma moltierano in "pezzo" singolo per così diredel tutto diversi dagli altrie con forme apparentemente senza uno scopo precisoil che li rendevaparticolarmente orribili.

Ma erano troppi. Quindi ci ritirammo combattendo fino a chequell'esercito di mostri umano-meccanici non rallentò fino a fermarsiad unasvolta di uno dei corridoi; poicontinuando a retrocedereli perdemmo divista.

Chiamai gli altri gruppi per avvertirli di stare in guardia edi ritirarsi verso il punto di incontro precedenteverso il quale ci avviammonoi stessi.

Tre giorni dopo questo scontroal rendez vouz del 18° pianofacemmo di nuovo il punto. Anche gli altri avevano avuto esperienze simili allenostre. Eravamo stati attaccati tuttipiù o meno dallo stesso tipo di"pastori" cyborg. Appena ci avevano visti ci avevano attaccati senzaesitazione e senza provocazione.

Ma al tempo stesso se ci ritiravamo verso l'alto non ciseguivanocome il loro fosse più un controllo territoriale a livello di pianoche non di tutto lo Scatolone.

- La Regina dev'essere in basso - disse Waassaakuna"strega" Watt-m-laceema.

Non vorrei però che il termine strega vi tragga in inganno:era giovane e bella. Solo che adempiva le funzioni di sciamano e strega nel suogruppo.

- Che intendi dire? - dissi colpito dalla scelta del termine"Regina".

- Che secondo me qui siamo in un enorme formicaio e dove c'èun formicaio c'è sempre una Regina.

- Cosa te lo fa dire?

- Ricordi i cyborg che abbiamo combattuto ieri? Quelli fraloro che avevano un volto umano o semiumanocon dei lineamenti riconoscibilisi assomigliavano molto fra di loro: sembravano fratelli; tutti maschi e tuttifigli di una stessa madre.

- Sìforse è vero. Ma perché una madre e non un padre?

- Il padre non conta nulla - disse sorridendo. LeWatt-m-laceema erano amazzoni matriarcali molto dure!

Sorrisi a mia volta.

- Forse. Insomma tu dici che da qualche parte in questo"formicaio"c'è una regina madre che partorisce tutti quei mostri?

Si strinse nelle spalle.

- È solo un'intuizione. Ma...

Mi guardò concentrata.

- ...fossi in te mi fiderei delle mie intuizioni.

 

Decisi che avremmo lavorato su quella intuizione. Fissammouna base stabile a quel pianoorganizzandoci per la miglior difesa possibile eper una permanenza lunga.

Occorreva quindi cercare fonti di acqua e di cibodato chefino ad allora avevamo usato viveri ed acqua che avevamo portato con noi.Avevamo però fatto qualche esperimento e molto di ciò che ci circondava si erarivelato commestibile: almeno la biologia di base di quel posto era di tipoterrestre e compatibile con la nostra fino al punto che potevamo mangiarla. Oesserne mangiaticerto...

Trovammo tutto quello che ci serviva.

 

Ogni piano era un dedalo di galleriecunicoligrotteditutte le dimensionima tutto metallico e ricoperto di muschiolichenilianepiante vive o morte di tutti i tipi.

In alcune delle grotte più grandi c'erano mini foresteepresto trovammo tutto ciò che ci serviva.

Il ricambio d'aria era assicurato da qualche meccanismo oserie di meccanismi posti chissà dove perché l'aria non era mai stagnante espesso anzi si sentivano refoli di vento qua e là.

Per essere un ecosistema artificiale era molto ben progettatoe sembrava anche autonomo: probabilmente da qualche parte ci doveva essere uningresso di aria e di acquaper rinnovare le scortee da qualche altra unauscita di ciò che non poteva essere reinserito nel ciclo.

Al piano in cui eravamo c'era molta vita animale ma nonc'erano tracce di umani o di cyborg aggressivi. Trovammo molti altri meccanismidel tipo delle botoleun misto di muscoli e di robot. Trovammo ad esempio deiventilatoriche dovevano far parte del meccanismo di aereazione: le pale eranometalliche ed il perno su cui giravano anche; ma quest'ultimo era alimentato dauna specie di "cintura muscolare"un muscolo ad anelloma non unosfintereun vero e proprio muscolo lisciolungo però un paio di metriuntodi una qualche sostanza che in realtà doveva essere al tempo stesso ilnutrimento del muscolo scorrenteper chiamarlo cosìed una sostanza checreava attrito e faceva funzionare le pale. Il muscolo era immerso in uncarapace durissimo che non riuscimmo né a scalfire né ad apriree che allafine lasciammo perdere: era una bio-macchina insommanon più intelligente diun mollusconé più mobile.

Organizzammo diverse altre puntate in tutte le direzioniservendoci soprattutto di alcuni mini-robot dotati di telecamere e cominciammo acapire come funzionava il tutto. Ad ogni pianodal 25° in giùe fino al 60°almenoc'erano uno o più gruppi dominanti di esseri senzientiumani a tuttigli effettio cyborgmetà umani e metà macchine.

Fra gli umani erano riconoscibili alcune delle razze cheerano fuori dello Scatoloneed altre mai viste. Una sicuramente"autoctona"dato che la loro fisiologia era perfettamente adattataall'ambiente e che fuori difficilmente sarebbe sopravvissuta: erano dei"lillipuziani"esseri umani alti 80 centimetri ma perfettamenteproporzionatie vivevano fra le intercapedini di tre dei pianiin corridoistrettissimi dove la temperatura era sempre superiore ai 70 gradi e l'indice diumidità altissimo; la loro era una società di termitiin qualche modo: imaschi lottavano fra di loro e solo uno si accoppiava con la reginamorendosubito dopoucciso dalla regina stessa; la quale a quel punto cominciava amangiare spropositatamente ed a modificarsi per altre vie; le si ingrandivaspropositatamente il ventreche si allungava con tutta la parte bassa del suocorpo fino a tre metriperdeva l'uso delle gambe che si atrofizzavano epartoriva in continuazione piccoli bambinilunghi forse 20 centimetri chevenivano allattati dalle altre donne. A vederla era particolarmente orribilefra l'altroproprio per la sua somiglianza con gli umani nella parte alta delcorpo. La Regina dei Lillicome li battezzammocominciava a mangiare subitodopo essersi accoppiata praticamente ed entrava così in una sorta di stuporecatatonico che non le dava modo di fare altro che mangiare. E partorire.

Gli altri Lilli invece conducevano una vita socialecomplessaapparentemente del tutto umanacon un linguaggiouna culturamasenza riprodursi. Le femmine potevano allattare i figli della reginama nonaver figli a loro volta. Inoltre nessuno faceva sesso. Lì il sesso eraesclusivamente riproduttivolo facevano solo due membri della coloniaunomoriva e l'altro partorivamorendo cerebralmentefra l'altrodato chemangiava e basta. Quando la regina morivale femmine ed i maschi lottavano fraloro per decidere chi l'avrebbe sostituita ed il ciclo ricominciava. Termitiumane a tutti gli effetti. E forse tutto lo scatolonesu scala molto piùgrande era qualcosa di simile.

 

La strega Watt-m-laceema aveva ragionealmeno in parte. Dopouno scontro con degli altri cyborg portammo via i cadaveri e ne analizzammo ilDNA grazie ad un minilaboratorio che avevamo con noi ed alla copia di Geniettoche aveva la possibilità di compiere una serie di analisi di questo tipo. Iquattro cyborg su cui compimmo l'analisi erano senza dubbio alcuno gemelliidentici. Da alcune tracce di un DNA troppo complicato per poterlo analizzaretuttosi poteva anche pensare che tutti i senzienti (ne confrontammo altriquattro corpi di tre razze diverse) di quel luogo fossero parenti strettissimifra loropur essendo fisicamente molto diversi.

C'erano anche esseri umaniho dettoassolutamente identiciall'homo sapiens. Ed una delle tribù del 33° piano sembrava anche moltocivilizzata. Decidemmo di tentare di entrare in contatto pacifico con loro. Liavevamo scelti anche perchétramite i robot-telecameraavevamo studiato laloro lingua e sembrava una variazione della lingua dei Sopraniquindi erarelativamente facile da imparare per noi. Fra di loro c'erano anche molti Verdicon sfumature più o meno accentuateanche se nell'insieme i colori della pelleerano estremamente misti (una tribù che veramente non avrebbe mai potuto essererazzista! Non sulla base del colore per lo meno). Entrammo così in contatto conil Clan Del Cerchiodel popolo degli Skoo.

Arrivammo senza troppi scontri fino al 33° piano: cimuovevamo veloci passando al volo attraverso i territorievitando icombattimenti. Aspettammo ai bordi esterni del territorio degli Skooin guardiae pronti a tuttoe mandammo avanti un robot con altoparlanti ed in una"pinza" una penna di un uccello locale che avevamo identificato comesimbolo di pace. Gli Skoo appena videro il robot rimasero impressionati edallarmati maalla vista della pennapur ancor più stupitisi rassicurarono.Dall'altoparlante uscì la mia voce che chiedevapiù o meno nella loro linguail permesso di entrare nel loro territorio in pace. Ci fu accordato.

 

 

 

Sposare una Dea

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli Skoo erano un clan di umani di razze molto diverse fra diloro. Il che scoprimmo non era affatto stranoall'interno dello Scatolone.C'erano clan formati da individui dello stesso tipo somaticodella stessarazzaper intendersi; o anche di razze affini. E c'erano molti clan formati daindividui di razze diversedai bluai verdiai bianchiad evidentidiscendenti di sottani e sopranied altre razze ancora.

La civiltà di base dei clan umani era simile: strutturepatriarcali o matriarcalima sempre basate su nuclei familiari allargati. Nonsi nasceva in un clan senza avere molti parenti. La natalità era altissimaiparti plurigemellari la regola ed i parti singoli una eccezione foriera disventure.

Era una evoluzione alla situazione ambientale. La mortalitàinfantile infatti era altissima: in parte per le condizioni delle puerpere (duree severe come quelle di sempre dei popoli senza una civiltà adeguata aproteggere il parto) ma anche per i rischi del tipo di vita nello scatolone.

Chi arrivava a superare la soglia dei seisette anni avevabuone chance di sopravvivere fino ai 70; ma il 70% dei bambini non ce la faceva.

E già questa mi sembrò una crudeltà inutile. Voglio direche mi venne da pensare che mettere al mondo tante vite per selezionarle con ledifficoltà esistenziali in modo così crudele non era cosa ben fatta. E lìdentro era sicuramente cosa voluta da qualcuno.

Rispondeva all'ecosistemaun usa-getta-e-ricicla moltoaccentuatoe già sapevamo che quell'ecosistema era volutoprogrammato. Quindilo era anche l'alto livello della mortalità perinatale. Se all'origine di tuttoc'era una Reginaera una Regina crudele.

La tribù era l'unica forma di sopravvivenza del singolo.L'esilio equivaleva alla morte.

Si nutrivano di cacciagione e di raccolta di diversi tipi difrutti che però non coltivavano. Ma da queste forme di raccolta di ciboricavavano poco. Allora andavano in un altro piano a rubare cibo nei campi deicyborgi quali sembravano anche loro parte di un gioco.

I cyborg coltivavano o allevavano quantità di cibo superiorie di molto alle loro necessità. Che poi non commerciavanoche non usavano.

E che stava lì proprio per essere rubato dai clan umani. Enel corso dei furti si scatenavano guerre che erano un ulteriore regolatoredella popolazione. I cyborg non potevano produrne di menoprobabilmente: eranoprogrammati per creare una tentazione agli umaniche per vivere dovevano rubarequel cibo e rischiare di farsi ammazzare.

Una selezione molto accentuata e crudele.

Frequentammo gli Skoo per un paio di mesiscambiandoinformazioni sull'ambiente e sulle nostre storie. Nel gruppo di contatto eravamoin ventianche se gli altri ci aspettavano non molto distanticollegati connoi via radio e pronti ad intervenire se fosse stato il caso o se lo avessimorichiesto. Ci adeguammo piano piano alla vita della tribùcercando di esserecortesioffrendo doni ed aiuto nella cacciao nei combattimenti contro icyborg. Chiedemmo ospitalità per un breve periodoper poterci riposare dallefatiche del viaggio e dei combattimenti. Dichiarammo di provenire da un pianomolto lontanoverso l'altoda cui i malvagi cyborg ci avevano scacciato.Poteva accadere che un clan fosse cacciato dal suo piano dai cyborg e che quindidovesse andare a cercare territorio libero in altri pianicon successive guerreed altri spostamenti di sconfitti. Poteva accadere che due clansfibrati dagliscontri finissero per unirsimaovviamentesempre fra umani e mai fra cyborged umanianche perché l'unione dei clan implicava lo scambio delle femmineper mescolare il sangue. E questo era impossibile fra umani e cyborg. Questiultimi poi erano tendenzialmente cannibalialmeno nei confronti degli umani. IlClan sosteneva che questa era la prova della loro invida e della loro percezionedel fatto di essere uno Scherzo della Grande Madreposto in quel mondo permettere alla prova i Suoi Veri Figli. Come gli Skooche erano infatti un Clanfelice e floridoper la benevolenza della Grande Madre e per il proprio valorecome sottolineò Oldaban. A quegli accenni alla Grande Madre ci si rizzarono leorecchiema lì per lì facemmo finta di niente.

La forza del Clan permetteva una ampia ospitalità. Avevanocibo in abbondanzaerano molto numerosi e stavano anzi progettando di cacciareo sottomettere i clan dei due piani sottodato che questi ultimi erano ridottia ben poca cosa: se avessero accettato la mescolanza delle mogli e lacancellazione dei loro simboli totemici dalle pareti del pianosarebbero statiaccoltialtrimenti sarebbero stati cacciati ed il Clan del Cerchio Nero sisarebbe espanso verso il Cuore della Madre. Che era evidentemente il basso delloScatolone.

Scoprimmorestando con gli Skoo chein certi periodiconsiderati infausti la natalità era bassa e che solo raramente nascevanobambini. Ma che per integrare quelle perditeperiodicamente la Grande Madremandava loro i suoi figli predilettifigli suoi e del Campione dell'Annoilvincitore dei Tornei degli Sposi.

A quel punto dichiarammo la nostra ignoranza: mi arrampicaisugli specchi e dissi che il nostro clan era stato distrutto in un epico scontrocon i cyborg quando noi eravamo tutti molto giovani: avevamo perso il Pianomaavevamo anche distrutto ben tre clan Cyborg.

Solo che pochi erano i vecchi sopravvissuti e rimasti con noie noi eravamo cresciuti lontano dai totem e dai racconti dei saggipassando dipiano in piano e... ebbenesìnon conoscevamo la Grande Madre.

Poteva Oldaban istruirci di nuovo sull'antica fede?

Oldaban rimase stupitissimo a quelle parole.

- Ma come è possibile? Voi dunque non adorate la GrandeMadre?

- Ma noi non adoriamo nessun dioOldabansiamo ignorantisolo perché nessuno nella foga dei combattimenti ha potuto insegnarci la nostrastoria. Sapevamo di essere in torto e che c'era qualcuno da adorarema nonsappiamo come! Illuminacite ne prego!

Lui scosse la testa sorpreso e decise di consultarsi conaltri saggi del clan. Alla finedopo molte consultazioni si decise a"indottrinarci" ex novocosa che gli sembrava semplicementeinconcepibile.

Come si poteva vivere senza adorare ed onorare la GrandeMadre?

Cominciò a raccontare.

- Nella notte dei tempii popoli della Grande Casa dellaMadre Dea vivevano sparsi all'Esternonel Luogo Ove non C'è Pace: all'esternonon c'è sicurezzanon c'è il calore dell'Utero della santa Madre. Ma lei cheaveva partorito tutti i viventi ebbe pietà degli uomini ed anche dei Cyborg (equesta era prova evidente della sua troppa bontàanche se le vie della MadreSono Oscure e Lei Solo Sa Cosa È Giusto). Ella decise di accogliere di nuovodentro il suo Uterola Grande Casatutti coloro che lo desideravano e lomeritavano. Scelse fior da fiore i maschi più forti e le donne più belle e liaccolse Dentro Di Sé. Da allora iniziò la storia della Felicità e della LotteGiuste fra i suoi figli. Da allora ogni annodue volte l'anno i migliori maschidi ogni clan umano combattono fra di loro per diventare gli Sposi della Dea ecosì da essere pronti alla chiamata che la Madre farà nei momenti in cui lenascite calano. I figli di questi uomini valorosi e della Madre-e-Moglie tornanonei Clannumerosie vengono allevati come futuri guerrieri.

La teologia di tutti i clan umani era più o meno questaaggiungendovi riti specifici di ogni tribù.

I Cyborgpare avessero qualcosa di similema la loro erauna religione evidentemente falsa: essi esistevano solo per mettere alla prova iveri figli della Madre di Tutti.

- Essi sostengono nella loro malizia di essere loro i figliprediletti della Deae sostengono che i loro corpimetà ferro e metà carnesono la prova di quanto diconodato che la Madre è come loro! E questa è lagrande bestemmia che nessun umano può perdonare ad un cyborg! Per questo liuccidiamo appena li vediamo e loro fanno altrettanto.

 

Ci mettemmo un po' di tempo a convincere Oldaban ma alla fineci riuscimmo. Offrimmo molti doni a lui ed alla tribùe ci offrimmo dieliminare del tutto i cyborg dal Piano sopra il suo e di occuparlo in amiciziase ci avesse messo in contatto con la Dease avesse cioè permesso ad alcuni dinoi di partecipare agli "sposalizi" per quell'annocosì da poteraccogliere anche noi nel nostro Clan i Figli della Madre.

Fece molte obiezioni. Non sapeva di chi fossimo figli noidadove venissimodi quali clanse non per quello che avevamo detto noi. Che lanostra era evidentemente una storia molto strana e se avevamo perso la memoriadella Madre non poteva che essere per sua volontàuna punizione per chissàquale crimine commesso dai nostri padri.

Insomma la fece un po' noiosa. Ma fra noi avevamo Azpelàche veniva da un collegio religioso Warraff ed era abituato non solo allediscussioni teologichema anche a ribaltare i punti di vista e ledimostrazionicome ogni bravo prete. Fu lui a sostenere la discussione"teologica".

Alla fine il capo acconsentìa patto che ci facessimocirconcidereper essere accettati dalla Tribù.

Scelse lui tre di noidue oltre a me(un Soprano ed unSottano) in base alla illuminazione che la Dea gli mandò dopo che si fuconcentrato in una cerimonia con molto uso di una erba aromatica cheprobabilmente era marijuana.

Acconsentimmo senza problemiio poi a maggior ragione datoche ero già stato circonciso quando ero diventato membro della tribù deiWarraff molti anni prima e quindi non ne avevo bisogno.

 

I Tornei degli Sposi erano a due turniuno locale ed unointertribaledi lì ad un mese. A livello locale il torneo era molto semplice:incontri di lotta ad eliminazione diretta per dieci "turni" ed ivincitori di ogni turno sarebbero andati all'incontro Intertribale.

Furono due settimane faticosecon incontri di lotta ognigiorno e fu faticoso perfino riuscire a qualificarci. Gli Skoo erano combattenticoraggiosi e dovemmo tutti e tre far ricorso alle nostre migliori abilità perfarcela. I miei due amici per superare i combattimentiio per non uccidere iconcorrenti. La fine dei tornei fu seguita da una festa che durò una settimanaintera dopo di che ce ne volle un'altra per riprendersi.

Ci recammo infine all'incontro intertribalesei piani piùsotto. Solo arrivarci vivi era una prova in sé.

Qui poi le prove erano diverseed anche più rischiose. Sitrattava di combattere con armi vere e proprie ed in condizioni precarie: conbastoni in equilibrio su un cavo teso a dieci metri da terra; duelli con l'arcoda fermitipo duello ottocentesco con la pistola; ed altre prove ancora; ciscapparono moltissimi feriti ed anche qualche morto.

Poi alla fine delle prove fisiche e delle due tradizionalisettimane di festa e di riposofu la volta delle prove "mentali"direi.

Gli sciamani decidevano il tipo di prova a cui il guerrieroera sottoposto: sempre diverse; era impossibile prepararsi.

In qualche caso era richiesto l'uso di drogheche inducevanosogni ed incubidiversi da persona a persona.

Una prova cosìa base di un allucinogeno capitò anche ame. Mi fecero entrare insieme ad altri in una capanna di fraschedove unosciamano preparò le tazze per tutti: versò in ognuno una identica porzione diun liquido assolutamente chiaroinodore e trasparente che sembrava acqua.

Io bevvi la mia tazzain un paio di sorsate e mi sembrò dibere acqua; ed apparentemente non successe niente.

Bevuto che ebbi gli sciamani si alzarono e se ne andaronosenza dirmi una parola; io ne rimasi anche un po' sorpreso; mi alzai ed usciiper andare a cercare Watt-m-lamela.

E d'improvviso tutto l'universo intorno a me cominciò avorticare velocissimamentesenza che io ne sentissi disagio alcunofino aconfondersi in una serie di striscie colorate e confuse che finirono con loscomparire ed io mi trovai per un attimo sospeso all'interno di un nulla fattodi un cielo azzurro pieno di nuvole bianchecome si può vedere dai finestrinidi un aereo.

E cominciai a precipitaresempre più veloceverso ilbassosentendo l'aria che fischiava attorno a mecome un paracadutista incaduta libera.

Era tutto molto reale! Ed io ero perfettamente cosciente delfatto che su quel pianeta non esistevano paracadutese non a bordo dei mieielicotteri.

Fui preso dal panico. Poi mi sforzai di razionalizzare.Quello che stava accadendo non era realequindi potevo godermelo; inoltrequand'anche fossi mortosfracellandomi al suolosarei (sarei?) statorigenerato.

Mi calmai.

Precipitavo nel blu chiaronel celeste caricofra banchi dinuvole bianchissime e sofficivelocissimo a braccia spalancate e gambe tesecambiando posizioneruotandocon il volto verso il basso oppure verso l'alto.

E più lo facevo più mi piaceva!

Il voloché di questo si trattavacontinuò per un tempoinfinito.

La percezione del passare del tempo era duplice: oralentissimasecondo dopo secondodecimo di secondo dopo decimo di secondo etutti percepiti in ogni singola frazione; orama quasi in contemporaneacomesu due livelli paralleliveloce e continuapercezione di un tempoinfinitamente lungo e tale da un tempo infinitoeterno.

Finalmente vidi sotto di me (o davanti a me?) una pareteverticale (od orizzontale? o era la stessa cosa?) di acqua azzurra.

Un oceano infinito.

Non mi spaventaimi misi in posizione tale da offrire ilminor impatto possibile e penetrai velocissimo nell'acqua.

Tutt'intorno a me all'inizio bollicine d'aria che avevoportato con mepoi più nulla e solo acqua blu cobalto e blu di Prussia; ed iosempre più veloce: l'acqua non faceva resistenza intorno a me.

Finché non sbucai di nuovo nell'ariacome se stessi uscendoda un soffitto di acquaun oceano sospeso nel nulla con tanto cielo sotto!

Continuò cosìaria e acqua alternantisi per nove volte.

Dalla terza volta in poi lo stato in cui mi trovavo non puòessere che definito che come un ininterrotto orgasmo!

Era la droga più potente che avessi mai provato o di cuiavessi mai sentito parlare! All'impatto della ennesima superficie d'acquaannied annimillenni anziche dicoeoni interidopo l'inizio di tutta quellafaccendami ritrovai in piedi e barcollante.

Bagnato. Ma di acqua o di sudore?

Mi guardai intorno ed ero a pochi metri dalla tazza in cuiavevo bevuto. Dovevano essere passati pochi secondi che erano stati lunghi unaeternità.

La prima cosa che desiderai fu di ritornare in quello stato.Tornai sui miei passi e leccai avidamente le poche gocce che erano rimaste nellatazzama non mi fecero nessun effetto. Cercai gli sciamanili vidi e liraggiunsi. Chiesi loro altro liquidosubito! Non mi rendevo conto che ero giàun drogato. Una dose era bastata a rendermi un tossico per il resto della miavita. Alzai la vocestraparlaima evidentemente il fenomeno era atteso: laprova non era la drogaera il farne a meno!

Fui catturato da alcune guardie ed immobilizzato. Ci misidodici giorni per uscire dalla crisi d'astinenza.

 

Alla fine uno sciamano venne e sedutomisi vicino mi disse:

- So quanto è stata duraci sono passato anche io ai mieitempi. Il fatto che sei sopravvissuto dimostra già che sei in grado di andareoltre. Sono in molti quelli che muoiono o che rinunciano. Quello che hai provatoè una parte del piacere che ti darà la Dea. Ma devi comprendere che quando laDea avrà finito con tetu avrai finito con leiper sempre e dovrai lasciarla.A te resterà solo il ricordo.

- Va bene. Accetterò il rischio.

- Non hai ancora finito le tue prove. Hai bevuto una tazza diAmore della Dea. Orase vuoi andare oltredevi berne anche una del Suo Odio.

- Che intendi dire?

- Solo quello che ho detto: ciò che hai provato era unsaggio dell'Amore della Dea; se vuoi incontrare di nuovo il suo amore devi primaaveree sopportareun saggio del Suo Odio; ciò che hai vissuto come piacerelo rivivrai come odio e dolore. Sei disposto a farlo?

Non avevo in realtà alternative. Pensai solo un secondo aquei cieli e a quelle acque e dissi di sì.

Il giorno dopo bevvi la tazza dell'Odio.

 

Ma di questo non posso e non voglio parlare; e non credo chepotrò o vorrò farlo mai. L'unico vantaggio dell'Odio era che non c'era crisidi astinenza da superare. Ma altrobehsì...

 

Quando mi fui ripresopartii con gli altri che ce l'avevanofatta. Ma dei miei ero il solo. Watt-m-lamela e Senzasanguenon avevano avutoil coraggio di provare l'Odio. Non gli potevo dare torto. Io stesso l'avevofatto in fondo solo perché sapevo che potevo sempre morire e rinascere maforsese avessi potuto sarei tornato indietro.

Ormai tanto valeva andare avanti.

Portando innanzi a noi una piuma rossa su un bastonescendemmo per altri otto pianisenza che nessuno ci attaccasse o cidisturbasse.

I piani che stavamo attraversando erano evidentemente più"civili"più controllati.

Sembravanoanziin realtà erano giardinied i clan umaniche incontrammo e che ci ospitarono facendoci molte feste ne erano evidentementei "giardinieri": non c'era violenza lìse non quella casuale edindividuale che poteva accadere fra due persone; ma anche quella doveva essererara.

Gli umani che incontrammo erano tutti come trasognaticomefossero sotto sedativi. E probabilmente era proprio così.

Non producevano il cibo che mangiavano. Esso appariva damontacarichi celati in colonne tutte ugualiche si trovavano dappertutto.

Evidentemente la Deachiunque o qualunque cosa fosse eraintenzionata a non permettere che questi piani venissero danneggiati daincursori di qualunque tipo e non favoriva la nascita di clan guerrieri daquelle parti.

Io mi nutrii del cibo che avevamo portato con noiusandoanche quello degli altridato che loro lo scartarono per quello delle colonne.Vidi che presto anche loro assunsero la stessa espressione trasognata deigiardinieriprova evidente che il cibo conteneva droghe rilassanti. Io volevorestare ben sveglio e teso come una corda d'arco.

Giungemmo al piano dedicato all'incontro con la Dea. Eraun'area sacracon pellegrini e sacerdotitutti molto silenziosi eappunto"trasognati": strafatti di tranquillanti. Ovunqueanche in mezzo adalcune migliaia di personesolo un diffuso mormorio.

Il giorno del "matrimonio" con la Deatutti noivincitori fummo fatti entrare nel Tempio Maggiorecol pinnacolo più grosso cheavessi visto in quel mondo.

Genietto (la radio che mi teneva in contatto con lui eracosì piccola che la potevo portare con mecome fosse un ornamento) mi dicevadi aver rilevato al di sotto del Tempio delle cavità cilindricheed una inparticolar modoche occupava almeno 40 dei 300 piani totali del Mondo diDentro.

Prima di entrare nel tempio Watt-m-lamelache mi avevaseguito di nascostoriuscì a raggiungermi.

- Gli esploratori confermano. Il plotone di Ramuia èarrivato sotto il cilindrocirca al 250° pianocome da programmi. E propriolì che i collettori di energia provenienti dal centro del pianeta si immettonoal centro del Cilindro Principale.

- Nessun dubbio?

- Nessuno plausibile. L'energia è proprio ricavata daidislivelli di calore fra le diverse profondità del pianetacome dicevi tu.Abbiamo visto dei veri e propri fiumiprobabilmente formati dalla condensa ditutti i piani superiori e l'inizio di una enorme cascata: l'acqua scendedall'altoarriva in profondità a temperature altissimeevapora e salealimentando turbine elettriche di diverso tipo e potenza. Il risultato è unmeccanismo di autoalimentazione che durerà finché dura il pianeta e finchédurano i materiali dei condotti; già sappiamo che si tratta praticamente di unmetallo "vivente" ed autoriparanteincorrodibileper cui durerà ineterno o quasi.

- A meno di"ucciderlo".

- A meno di ucciderlo. Abbiamo già posizionato le quattrobombe.

- Sono attivate e collegate come avevamo programmato?

Watt-m-lamela sogghignò.

- VaiTè Caldovai pure tranquillo al tuo"appuntamento al buio".

Sogghignai a mia volta: quell'espressione gliel'avevo dettaiomolto tempo prima e c'erano volute ore per riuscire a spiegargliela.

Ma evidentemente aveva capito bene. Quello era decisamente un"appuntamento al buio"molto al buio.

- Non credo che sarà poi così divertente.

- Chi credi di prendere in giro? Lo sai che se ce l'avessifatta a sopportare quella maledetta bevanda ora sarei al posto tuo.

Ci guardammoimbarazzati un attimopoi ci abbracciamo.

- Bene - dissi. - Sai cosa devi fare. Ritiratevi verso ilsoffittoper ogni evenienza e fatelo ora.

 

Entrai nel Tempiosenza rivoltarmi.

Gli Sciamani sedettero in terrasu dei tappetidavanti anoidinanzi a delle porte enormi. Eravamo nudi e coperti di fiorialcunitruccatitutti lavati e profumati.

- State per sposare la Dea. - disse uno degli Sciamani. -Voicredete di sapere cosa vi aspetta ma vi sbagliate. Ciò che avete provatonelbene e nel maleè solo una parte del tutto. Se la Dea vi amerài piaceri cheproverete saranno tali che voi ne morirete letteralmenteper rinascere a nuovavita: la vostra anima stessa verrà scissae distrutta e poi ricreata ad unpiù alto livello. Dopola vita quotidiana vi apparirà per quello che èrealmenteuna pallida imitazione dei sogni della Dea. Vorrete morire di nuovoma non potreteperché il vostro amore per la dea e per i suoi e vostri figlisarà tale che saprete che è vostro dovere continuare a vivere per servirlacome Sciamani. Chi vi dice questo parla per esperienzalo sapete. La Dea miprese quando ero giovane ed ha riempito la mia vita di un piacere troppo breveed eterno al tempo stesso. Da allora io vivo per servirla e per aspettare ilgiorno in cui la morte da lei voluta mi riunirà a lei. Sia lode alla Dea Madre!

Rispondemmo tutti in coro con lui.

- Ma se voletela legge vi dà il diritto a ritirarvi. Ora.Ora o mai più. Avete un minuto per decidervi.

Prese una sottilissima clessidra di cristallo e la girò. Lasabbia scorse rapidamente e nessuno si alzò per uscire.

Le portescorsero ai lati e si spalancarono su un buio fittoe blu. Noi avanzammoverso il buio; e chi con frettachi con calma tutti cituffammo in quel nulla blu.

Iniziammo subito a precipitarema lentamenteverso un buioblu; non un buio illuminato di luce bluma un buio bluaccogliente e caldo.

Nel fluttuare verso il basso retti da non so cosa cominciammoa separarci fra di noi.

- Antigravità! - pensai. Se così erapensaiquesto potevavoler dire che ero in presenza dei Giocatori: si trattava di una tecnologiatroppo avanzata. Solose erano i Giocatori che bisogno avevano di usare mezzicosì rozzi di intervento sull'esterno come i missili?

 

Una voce cominciò a risuonare. Una voce di donnagiovane edallegraridevafeliceci chiamava eccitata.

- Venitemiei nuovi amantiprestopresto!

Continuammo a fluttuare verso il bassosempre più lontanil'uno dall'altrofino a perderci di vista; e lo spazio intorno a noi si stavailluminando in una girandola di coloricolori puricome masse di energiapulsantibellissimi a vedere.

- Eccoti finalmenteprendimi! Sono tua!

Una immagine prese forma davanti a me: una donna bellissimagiovanedai lineamenti regolaridalla pelle bianchissima ed i capelli rossi;leggerissime lentiggini sul viso ai lati del nasole labbra carnose e rosse egenerose. Notai che il suo viso era cangiantenon era fissocome anche i suoicolori perfino quello della pellee capii che cambiava seguendo il miodesiderioseguendo anche ciò che non sapevo di desiderare.

Ora sembrava la mia prima ragazzaquando avevo 17 annioraSpiga-di-Granoora un volto sconosciuto e bellissimo che riconobbi per quellodi mia madre da giovane e poi...

- VieniTè Caldoamami...

D'improvviso proprio quando ero al massimo dell'eccitazione estavo per lasciarmi andareuna voce acuta e stridenteorribile urlò:

- CHI SEI TU?!?

Era una voce fortissimami lacerava i timpani. Fui preso daun vorticespinto contro una parete metallicadura e freddache urtai conviolenza; ed immerso in una luce biancafortissimaaccecante.

- CHI SEI TU?!?

La parte su cui appoggiavo la schiena divenne istantaneamenterovente e mi ustionò. L'aria stessa intorno a me si riempì di orrori: lamepuntate contro di meorribili mostri ripugnanti che mi artigliavano le carniorrori indicibili sbavanti ed urlanti! Era il più mostruoso degli incubi fattorealtà!

Non riuscivo a parlare né a respirarequando una lama mitrapassò un fianco ed un altra mi cominciò a penetrarmi nel costatolentamentedolorosamente e diretta verso il cuore.

- SE MI UCCIDI MORIRAI ANCHE TU! - riuscii non so come adurlare.

- CHI SEI TU? PARLA SUBITO O MORRAI SUBITO! - fu la risposta.Ma intanto la lama si era fermata.

- Sono un Immortale come te - riuscii a direansimando -Vengo dall'Esterno del tuo mondo e vi ho portato la morte per tuttiper te ed ituoi figli. Se muoioora e quianche tu e tutto il tuo mondo morretenel girodi pochi giorni. Bada a te!

L'orrore che mi circondava era come sospeso.

Gli occhi dei mostri mi guardavano tutti con bramosia epreoccupazione al tempo stesso.

L'attenuarsi del dolorequasi totale e subitaneoal miofiancodove avrebbe dovuto essere una lama ben ficcata nel mio corpomi fecepensare che si trattava di un'illusione. Il che mi dette ulteriore slancio egrinta.

- Fai sparire questo orroree subito! Non sopporterò oltrequesto comportamento. Posso morire quando voglio e sarò Rigeneratolo saisesei come me. Ma se io morirònel momento stesso in cui il mio schemaelettroencefalografico non sarà più percepito da quattro robot che ho fattopenetrare nel tuo mondoloro esploderanno e distruggeranno la tua fonte dienergia. E se questo accadrà tu morrai! Non subito forse ma morrai e con tetutti gli esseri di questo assurdo scatolone!

- MENTI!

I mostri si avvicinarono e la lama nel costato avanzò diqualche millimetro.

- Guarda tu stessaimbecille paranoica!

L'avrei ammazzata con le mie mani se avessi potutoero pienodi rabbia e di paura.

- Puoi vedere al 50° piano? Se non hai mezzi tuoisintonizzati sulle onde televisive delle loro telecamere. E TOGLI QUESTE LAMEBASTARDA CICCIONA!

Non so perché l'avessi chiamata "cicciona". Capiiin quel momento che me ne ero fatto esattamente l'idea di una specie di"regina" delle formicheo simile a quella dei Lillisolo piùgrandegrassissimaenorme ed adagiata in un letto a fare figli come fosse unamacchina.

Funzionòo comunque le lame furono ritratte ed io vidi chenon avevo ferite. Erano proprio pura illusioneproiezioni dentro la mia menteillusioni che facevano male però. D'altra parte le illusioni non lo fannosempre?

Non ero ancora liberoqualcosa mi tratteneva alla parete.

- DISTRUGGERO QUELLE MACCHINE! - rintronò la voce intorno ame. Le aveva viste allora!

- Non puoi. Se sottoposte ad un attacconon si difenderanno:esploderanno e troncheranno in quattro punti vitali il tuo sistema dirifornimento d'energia. Se qualcuno tenterà di manometterleesploderanno. Seio muoioesploderanno. Se io glielo ordinoesploderanno.

- RIPARERÒ I CAVI! RIPARERÒ TUTTO IL SISTEMA- la vocecominciava ad avere note di panico.

- Non puoi. Non in tempo per impedire la morte per asfissiadi tutte le creature viventi del tuo Mondo. L'aria è riciclata e purificatadalle macchine alimentate con quella energiala luce viene dalla stessa fontela climatizzazione pure. Se mancherà l'energia in metà dei livelli latemperatura dapprima salirà di quaranta gradi e poi scenderà a meno 20perfluttuare ed arrivare spesso agli estremi; interi piani ghiaccerannoaltribruceranno; le piante morirannole tue serre idroponiche smetteranno difunzionaretutto l'ecosistema di questa enorme serra che hai creato crolleràed in pochi giorni in tutto il Mondo di Dentro ci sarà solo il tanfo dellaputrefazione; presto finirà anche quello e solo i batteri anaerobi potrannocontinuare a vivere qui dentro in questo utero marcito! Ora liberamio morròdi mia volontà!

Evidentemente controllò minuziosamente quanto avevo detto.Mi liberò ed io caddi verso il bassoma lentamente fino ad arrivareal buioin un piano.

Una luce si accese sopra di mecome un occhio di bueteatrale; nel cerchio intornonulla.

Poi un altro occhio di bueun cono di luce dall'altoall'interno del quale apparve una donna.

Era sempre leiil viso voglio dire era quello che avevovisto per ultimo; ma serissima stavoltae vestita con una cappa blu che lacingeva sino al collole mani all'interno delle maniche ed i capelli raccoltiin una crocchiail viso bianchissimo e teso.

- Chi sei tu? Da dove vieni?

- Sono Tè Caldoguerriero WarraffImmortalePedina delGioco e Terrestre.

 

Le dissi rapidamente tutto di me; le dissi perché eroentrato e le feci notare che ero stato vittima di un suo attacco e come me moltimiei amici ed alleati; le dissi che questo doveva cessare e che volevo da leitutte le informazioni che aveva sui Giocatori. Non dissi cosa sarebbe accadutoaltrimentinon serviva dato che comunque ero io ad avere il coltello dallaparte del manico.

Ci volle molto a convincerlama alla fine cedette. Eraterrestre anche leidi origine americana. Era anche leicome avevo benintuitouna Immortalesolo che non voleva giocare al gioco dei Giocatori e siera chiusa lì dentro.

Disse di venire dalla Los Angeles del 2460 d.C. E questo misconvolseperché non me l'aspettavo. Avevo sempre pensato che i Giocatori sisituassero nel tempo in una data molto vicina a quella in cui io ero statoprelevato. Invece lei era stata prelevata in un tempo quattro secoli distantedal mio ed a quello che diceva più di 800 anni prima: questo significava chese il tempo era scorso normalmente e se io ero ora contemporaneo a"quella" sequenzaio ero oltre 1200 anni lontano dalla mia epoca.

I casi erano due: o i Giocatori dominavano anche i viaggi neltempo; o io ero stato tenuto sospeso per 1200 annie poi "giocato"sul pianeta. Era una sensazione che non sapevo come motivarema che erasgradevolissima. Non che avessi mai pensato di tornare facilmente sul miopianetanel mio tempo. Ma sapere che ne ero così irrimediabilmente lontanomisconvolse.

Adrianaquesto era il suo nomeaveva avuto una storiasimile alla mia. In punto di morte era stata raccolta dai Giocatoriall'etàterrestre di oltre 120 anni. Era vecchia e ritrovarsi viva e giovane dentro ilcomputer l'aveva spaventata ed eccitata al tempo stesso.

Era molto bella e uscita sul pianeta era stataper tutte lesue prime viteuna vittima sessuale di chiunque la incontrasse: quandoscoprivano che era una Immortalela trasformavano sempre in una specie diprostituta sacra o qualcosa del generetenendola prigionierafinché nonriusciva a darsi la morte; alla fine anche lei aveva capito come funzionava ilGenioe servendosi delle sue conoscenze del XX secolo era riuscita a farsicostruire il primo nucleo del Mondo di Dentrocome lei aveva chiamato loScatoloneche aveva successivamente perfezionato. Per tenere lontani tutti dalsuo mondo aveva creato le barriere psichiche esterne veicolate dalla lucee peressere ben sicura che nessuno sviluppasse mai una civiltà tecnologicamentesuperiore ed in grado di minacciarla di nuovo in un raggio molto ampio intornoal suo Scatoloneaveva creato un sistema automatizzato di rilevazione di onderadio e campi magnetici di origine elettrica ed artificiale; le fontiindividuate venivano distrutte automaticamente.

Tutti gli esseri umani di "quel" mondo eranorealmente figli suoi: aveva clonato i suoi ovuli molte e molte volte eperiodicamente creava nuovi esseri umani con il seme fresco dei vincitori dellagara dello sposalizio.

All'inizio era partita da un gruppo di Sottani e di Sopranipiù di 700 anni primi e da allora aveva continuato: tutti gli abitanti umani ecyborg del Mondo di Dentro di oggi erano in linea più o meno diretta suoidiscendenti diretti.

I cyborg erano anche loro suoi figli. Erano un ricordo dellasua attività sulla Terra: lei si occupava di progettare organismi cyborg pertutte le necessità ed aveva continuato.

Odiava il mondo esterno. Era sempre stata una madreunadonna legata alla famiglia e alla casa e dopo aver vissuto diverse vite comevittima sessuale all'esternoaveva deciso di non avere nessun contatto conl'esterno mai più. Per questo aveva creato il Dentro: a immagine e somiglianzadi un enorme uteroche non si sgravava maima ingrandiva sempre di più.

- Non potrai ingrandire all'infinitolo sai.

- Che importa? Finché potrò vivrò quicon i miei figliin pace.

- Lo dovresti aver capito che se i Giocatori ti hannopermesso tutto ciò è solo perché li diverti. Per ora.

- Forse. E forse no. Che i Giocatori esistano realmente lodici tu. Io non li ho mai incontrati.

- A sì? E chi ha costruito il Genio? E chi ti ha dato tuttoquesto?

- Non lo so e non lo voglio sapere. Non voglio nessuno eniente dall'esterno. Prendi i tuoi roboti tuoi uomini e vattene!

- Me ne andròcon i miei uomini e con i miei robot. Tuttimeno quattro.

- Che vuoi dire?

- I quattro Robot-Bomba resteranno dove sono.

Mi guardò furiosa e cominciò ad ingrandirea diventare unagigantessa feroce ed orribile. Era evidentementefrutto di manipolazione dellamia coscienzacome tutto lì dentro.

- PORTALI VIA TUTTI!

Era moltomolto uterina.

- Calmati e ricorda che se IO muoioTU muori con me.

Si calmò subito.

- Saranno la mia assicurazione e quella delle altre civiltàdel pianeta. D'oggi in poi la smetterai con i tuoi missili e lascerai che lealtre civiltà sul pianeta si evolvano come pare a loro. Nessuno ti disturberàe verrai lasciata in pacema anche tu dovrai fare altrettanto. Non hai pensatoche la tua azione è perfettamente congeniale agli scopi dei Giocatori? Non haipensato che l'unica speranza di capire come stanno realmente le cose e smetteredi essere le pedine di questo gioco è sviluppare una forte civiltà scientificastabile e democratica?

Urlò imbufalita per un po' poi si calmò di nuovo.

- Cerca di capire - ripresi. - Ti garantisco che nessuno deimiei alleatinessuno spinto o motivato da meentrerà mai dentro il tuoDentro. Sarai lasciata in pacema esigo un canale di contatto con te aperto perqualunque emergenza futura. E richiedo tassativamente che tu non interferiscamai più con l'Esterno. Pena la morte tua e di tutti i tuoi figliprobabilmente. E tu dovrai cominciare daccapo.

- SE TU MORRAI I TUOI ROBOT ESPLODERANNO. - continuava aparlare con una voce minacciosa e tonante.

- Posso modificare questo programmae lo farò appenauscito. Esploderanno solo se attaccati o se io lo ordinerò da fuori.

- VATTENE!

- Rispondi - tutto cominciò a vorticare intorno a me.

- VA BENE. MA TU ED I TUOI ANDATEVENE E NON TORNATE MAI PIÙ!

Un vento furioso mi spinse verso l'alto fino a farmi usciredalle porteruzzolando.

- NESSUNO TOCCHI LUI ED I SUOI AMICI! LA DEA NON LO VUOLE NELSUO MONDO E LO CACCIA FUORI!

Gli astanti restarono muti e spaventati a guardarmi uscire.Nulla del genere era mai accaduto a memoria d'uomo. Uscii dal tempiomirivestiipresi le mie armi ed uscii dal villaggio avviandomi verso l'alto.

Dopo due giorni raggiunsi il gruppo che si era fermato adaspettarmi e due settimane più tardi arrivammo sul tetto. Dal tetto mandammosegnali alla base e fummo raggiunti da altri alianti. Come eravamo atterratiriuscimmo a ripartire.

 

Non era finita con Adrianane ero sicuro. Ci sarebbero statialtri contatti in futuro e di sicuro sarebbe stato necessario lei tornasse nelGenio per portare altra tecnologia del XXV secolo su Mondo. Ma non era il casodi forzarla. Preferivo averla per alleataanche se ci sarebbe voluto moltotempo. Era troppo uterinaquella donna...

 

 

Suicidio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una volta tornati al campo Basee da lì al mio overmiresi conto che non sapevo più come procedere. O meglioappena ritornato airitmi normali e calmi della vita di bordodopo essermi rilassato ed avercominciato a fare il puntomi resi conto che ormai quello che potevo fare loavevo fatto.

Dato che Adriana non sarebbe più stata un pericoloilproblema dei limiti allo sviluppo di una civiltà tecnologicamente evoluta inquell'area non si sarebbe più posto. Per lo meno non ad opera sua.

Ero del resto arrivato alla conclusione che la sua fossestata più che altro una azione di disturboefficace a livello locale. Ilritardo di quattro secoli non poteva essere attribuito tutto a leianche se eraproprio in quella zona che si stavano sviluppando le prime civiltà propriamenteindustriali di Mondonon fosse altro perché i suoi missili non andavano oltreil suo orizzonte di 800 chilometri. Ed oltre quell'area non si era comunqueevoluta una civiltà basata sull'elettricità. Quindi il ritardo era dovutoanche all'intervento diretto di qualcun altro: ma ormai restavano solo iGiocatori.

Che fare ora? Il programma che avevo avviatoo megliol'idea di base della creazione di una civiltà comune progredita ed equilibratapiù ci pensavo e più mi sembrava buona. Più tempo passava e più gente viaderivaentusiasta per di più.

Il Cerchio Interno comprendeva ormai alcune centinaia dipersone e chissà quante fughe di notizie c'erano. Il che però non mipreoccupava più di tantoanziera bene che qualche notizia filtrassecosìda incuriosire la gente e da spingerla a cercare di saperne di piùanche sefaceva parte di areegruppilontani ed estranei all'idea ed ai miei contatti.

Anche perché era evidente chein linea di principioiGiocatori erano in grado di sapere tutto di me e delle mie riunioni segretequindi la segretezza non doveva servire per loro quanto piuttosto per eventualinemici umanidel tipo di Adrianacertoma anche di altri potentati cheavrebbero mal visto il mio programma quando avessero capito dove poteva portare.Tanto per dire ad elezioni democratiche. Su Mondo ad esempio c'erano non meno ditre grossi imperi transnazionali: uno a base ieratocraticain cui il potere eratutto in mano ai sacerdoti di una religione di tipo aztecoche occupava Seechl'isola-continente meridionale; un'altrosu base economicasul tipo dellavecchia Compagnia delle Indieche si stava organizzando proprio in quegliultimi anniin Ommundae che cominciava a colonizzare altre piattaformecontinentali con i metodi classici del colonialismo europeo dell'ottocento:sparando alla gente coi cannoni e vendendo i suoi prodotti ai superstiti; ed unterzo infinemolto anticoun impero di terre artiche costruito su basedinasticacon pochi e nessun contatto con gli altri paesima con una grossaforza economica per via di alcuni prodotti quali ambrapelliccelegnospezieparticolarissime ricavate da alcune piante che crescevano solo a bassissimetemperature ed altro ancora. E questi tre imperi erano solo una parte dellemolte nazioni in cui era diviso Mondo.

Sul pianeta secondo i miei calcoli più aggiornati abitavanonon meno di 40 miliardi di esseri umanipraticamente tre volte l'interapopolazione umana dal primo homo sapiens in giù fino ai tempi miei.

Cominciavo a pensare che il mio progetto di creare unaciviltà tecnologicamente evoluta per combattere i Giocatori fosse sì unapossibile chimeraun disperato tentativo con un minimo di chancema checomunque avrebbe richiesto moltoma molto tempoforse troppo. Occorrevaaccelerare il tutto. Ma come?

Me ne rimasi a pensarcichiuso nel mio Utero per un bel po'di tempo. Mi venne in mente ovviamente il paragone con Adriana: anche io mi erocostruito un utero intorno e mi ci ero chiuso dentro. Ma almeno il mio eramobile!

E poi io al mio primo tentativo ero completamente impazzito erinsavito. Lei era solo impazzita probabilmente. Mi dissi anche che siamo tuttipessimi giudici della paure degli altri: ci sembrano sempre fole e sciocchezze;né più né meno come le nostre peggiori paure sembrano fole e sciocchezzeproprio a coloro che noi disprezziamo.

 

Ma io lo sapevo quale era la soluzione! Solo che non civolevo pensare: per un po' volevo fare finta di non saperloper abituarmiall'idea. La risposta era nel ju-jitsu: usare la forza dell'avversario contro dilui.

 

Tentai prima un'altra strada. Avevo bisogno dellacollaborazione crescente di milioni e milioni di persone; di diffondereprogressivamente ma costantemente alcune idee basequali i diritti umanifondamentali e le idee di democrazia parlamentare e via di questo passo. Solocreando strutture sempre più ricche di partecipazione umanapotevo creare unaciviltà di massa che supportasse non solo una crescita scientifica simile aquella terrestrema soprattutto che superasse autonomamente quei livelli epotesse arrivare a raggiungere la civiltà dei Giocatori. Per fare questooccorreva diffondere idee prima ancora che conoscenze scientifiche e prodottiindustriali.

Organizzaid'accordo con un gruppo ristretto del mio cerchiointernoun gruppo di studio che realizzasse due potenti "motori" diprogresso: Massoneria e Partito Comunista. Sulla Terra entrambe leorganizzazioni si erano rivelatenell'arco dei secoli e della loro specificavita e alla fine dei contiuna ben povera cosalontanissime entrambe dagliideali che le avevano create.

Ma è anche vero che per periodi di tempo ben determinatierano entrambe state un potente motore di progresso e di libertà; per lo menodi cambiamentoe se occorreva far cambiare tre imperi ed un intero pianetabehsecondo me erano proprio quello che ci voleva.

Prova ne era che in certi periodi gli iscritti all'una erano(o erano stati) anche iscritti all'altroanche se le regole fondamentali dientrambe le strutture prevedevano fedeltà assoluta ed esclusiva. Ma si salafedeltà è una merce umana molto rara.

Occorreva ricrearle e ricrearle all'interno di un sistema dicontrapposte visioni ideologiche ed economiche della realtà: estremoindividualismo e lavoro di gruppocapitalismo sfrenato e comunismo primitivocondivisione totale ed egocentrismo sfrenato.

Posi il problema all'attenzione di diversi gruppi di lavoro.Procurai a tutti alcuni testi fondamentali della storia di queste dueorganizzazioni (memorizzate nell'over avevo intere biblioteche) e spiegai il miopunto di vista. Il progetto era: creare là dove già esisteva una struttura ditipo paleocapitalisticauna forte spinta alla nascita di un capitalismoparticolarmente libero e selvaggio.

A moderare questa spinta avremmo fin da prima ancora creatouna struttura di tipo massonicocreata e strutturata sulla nostra stessaorganizzazione. La "nostra" massoneria avrebbe fatto da stimolo e dacontrollo del nascente capitalismocome in parte era accaduto anche sullaTerra: i massoni da un lato spingevano gli imprenditori (e gli imprenditorierano spesso massoni) dall'altro sostenevano le varie "giuste cause"dalle organizzazioni benefiche ai sindacati; i massoni furono un potente motoredella nascita e dell'evoluzione delle democrazie occidentali dal settecento atutto l'ottocento.

Per rafforzare l'imprenditoria capitalistica occorreva creareuna struttura bancaria e di comunicazioni molto più efficiente di quelleesistenti: far passare il sistema bancario dei paesi industriali di Mondo dallelettere di credito alla trasmissione via telegrafo di grosse sommee in meno didieci anni; dalla capacita di gestione finanziaria di un capitale 100 a quelladi un capitale 1.000.000creando le "borse"creando una rete ditelecomunicazioni e tutta la struttura di base di una futura societàconsumista. Male necessario alla democraziail consumismo.

Per bilanciare tutto questoaltroveforse proprionell'Impero Dinastico della Zona Polarecreare una civiltà fortementeegualitariasu basi di controllo iper-centralizzatopraticamente comunistasecondo la storia e l'esperienza dell'URSS e della Cina Maoista.

Insomma una rivoluzione capitalistica con la massoneria ladove l'idea più rivoluzionaria era ridurre il latifondoma dove tali ideecominciavano ad avere forte seguito; ed una rivoluzione comunista là dove lalocale struttura imperiale già predisponeva ad uno stato-nazionecollettivizzato. Cercando di controllare il tutto da dietro le quinteperevitare si creassero quelle storture che si sarebbero riproposte probabilmenteuguali alla storia che conoscevo.

I miei amici del Cerchio internostudiata la storia dellaterrasi appassionarono e nei vari gruppi cominciarono subito a litigare suquale dei due sistemi fosse in realtà il migliore. Non faticai molto però afargli capire che finché non avessimo risolto la questione dei Giocatorinonimportava con quale governo ci illudessimo di autogovernarci.

Il progetto andò avanti. Fino al puntodieci mesi dopodifar partire i primi agenti organizzatori di entrambe le correnti di pensiero.

Solo che a quel punto anche questo era un segnare il passoper me. E soprattutto era un arrivare finalmente al punto cruciale.

Se davvero volevo ridurre i tempi da secoli a decenni edusare il Genio contro i Giocatori la cosa migliore da fare era studiare tuttauna serie di cose da chiedergli in quantità veramente e letteralmenteindustriale e portarla nel deserto Warraff.

Chiedergli di fornirmi fisicamente e materialmente unaciviltà industriale evoluta "chiavi in mano". Ad esempio un centinaiodi centrali idroelettriche smontategià sistemate su camion carichi dicarburante e con autobotti al seguito in grado di garantire il trasporto anche amigliaia di chilometri; macchinari per pozzi di petrolioma non 2 o venti:2000invece.

Centomila telefoniqualche milione di chilometri di cavitelefonicicentraline; una flotta di aerei3000 caterpillar per spianare lestrade per le pistealcuni milioni di tonnellate di prodotti di ferro lavoratidalle viti ai chiodi alle asce alle lime ai tondini di ferro alle spille dabalia.

Insomma la cosa migliore da provare a fare era studiare cosaserviva materialmente per creare quasi dal nulla le basi di una civiltàindustriale di tipo terrestre del XX secolo (io quella conoscevo) e farselafisicamente dare dal Genio: i semile piante già sviluppatei manualiitrattori ed i concimi di una intera civiltà.

C'era solo una piccolissima difficoltà. Non era il pensaretuttoil progettare tutto. No. Quello era difficile ma avrebbe richiesto soloun po' di tempo e di lavoro e la collaborazione di alcune centinaia di personeintelligenti e convinte (e quelle ormai le avevo).

No. La difficoltà vera era che per poter parlare con ilGenio e chiedergli tutto io dovevo semplicemente e banalmentesuicidarmi.Mortosarei riapparso nella famosa stanza che non vedevo da qualche anno.

Ma sarebbe andata così? Mica facile dirlo. Era sempresuccesso che dopo ogni volta che ero mortoero stato anche rifatto vivere nellastanza di marmo; non c'era un limite prefissato da una formula magica. AdAssudi-Aman era successo forse venti volte in tutto. A me quattro.

Ma era anche evidente che era una cosa che dipendeva daiGiocatori. Se avessi portato avanti il progetto se ne sarebbero accorti. Se mifossi suicidatoavendo imparato bene a memoria la lista delle cose (unoscherzetto non da poco se permettete: imparare a memoria la lista di tutto ciòche serve per creare una civiltà in più o meno dieci anni!) sarei rivissuto?

E poi: se fosse andata così ed avessi chiesto tuttoavreiavuto veramente tutto? Ma proprio tutto? Alcuni decine di migliaia di tonnellatedi materiali estremamente diversificati? Quanto tempo avrei dovuto restare nellastanzacome "tempo aggiunto"? Un mese? Un anno? Un secolo? Era piùdifficile creare un altro over o 100 tonnellate di prodotti di ferro lavorati?

Non solo. Se davvero il Genio mi avesse dato tuttononsarebbe stata questa la prova del fatto che anche tutto questo progettomegagalattico non era altro che un tentativo inutile? I Giocatori controllavanotutto e prevedevano tutto? E come avrebbero valutatotutte le mie richieste? Epoi: erano "vincolati" anche loro alle loro stesse regole?

Non sapevo cosa pensare. Sapevo solo che l'idea di affrontarela morte per mia sceltadi mia manonon mi piaceva né tanto né poco. Amaggior ragione perché sapevo cosa voleva dire morire.

 

Avete mai pensato a suicidarvi? In un momento di depressionedi tristezza? Io sì. Voglio direprima di morire la prima volta. Ci avevoanche scritto sopra una breve storiane avevo parlato con gli amici. Ma erasolo un abbaiare alla luna. Quando pensiamo di suicidarciin realtà pensiamoquasi sempre a come sarebbe bello vedere tutti (o anche solo qualcuno inparticolare) che piangono sulla nostra bara. Tutto lì. Avevo anche pensato almezzo. Una pallottola in testa! Bang. E poi mi ero detto (come tutti) e se restoparalizzato? Ecceteraeccetera. Noio dopo qualche ricerca ero arrivato allaconclusione che il metodo migliore sarebbe stato ingollare un barattolo disonniferi insieme ad un bel bicchierone di grappae appena sentivo il sonno chearrivavametterci sopra un veleno ad effetto lentodi modo da addormentarmisicuro di morireo per i sonniferio per l'interazione con l'alcool o per ilveleno!

Stavolta il problema nemmeno si poneva. Dovevo solo spegnermii battiti. Sapevo che potevo farlo: era una delle modifiche che avevo indottonel mio corpo all'ultima rinascitae l'avevo pensata soprattutto per evitaretorture.

 

Alla fine varai il programma della lista delle cose dachiedere. Sapendo che a programma fattoa lista scritta ed imparata a memoriasarei stato costretto a farlo. Non fosse altro per non sputtanarmi davanti agliWarraff ed a tutti i miei amici del Cerchio Internoi quali ormai miconsideravano una via di mezzo fra un semidioun eroeun grande mago ed unconquistatore.

Credo che i motivi principali per cui partecipavano alCerchio Interno non fossero tutti molto nobili: delirio di onnipotenzadesiderio di conquistadi eccelleredesiderio di avventure fuori dal normale;ma nell'insieme erano comunque persone onestevalidelealie ne avevo milleprove (e in realtànon lo sapevanoma erano stracontrollati tutti: fra diloroda loro stessi e da me con minitelecameremicrospie ed un sacco di altritrucchi e trappole: i traditori veri ed i maniaci del potere si erano rivelati esi rivelavano tuttora nel giro di poco tempo e venivano messi in condizione dinon nuocere; behfidarsi è bene e quel che ne consegue...)

Fu un programma lungo. Richiese sei mesi di lavoro di oltre200 personeche dapprima dovetterodietro la mia guidaimparare cosa volevadire una civiltà evolutapoi mettersi a fare una lista delle cose essenzialied infine verificare queste liste in dibattiti incrociati dei vari gruppi. Listeche alla fine io dovetti imparare a memoria.

Sei mesi di studi di tuttipiù uno personale per verificaredi aver imparato bene la lista delle 3.576 cose che servivano e delle relativequantità. Alla fine di quel periodo feci entrare un gruppo ristretto nell'overspiegai loro come funzionava il 99% dell'over stesso (non i sistemi diautodistruzione comandabili dall'esterno e qualche altra cosucciaovviamente...).

Cenai con loro in allegria ed infine salutai tutti un po'emozionato. Non potevo essere sicuro che li avrei rivisti. Uscirono in silenzio.

Io mi presi un goccio di ottima grappa di Chardonnaymonovitignomi sdraiai sul letto in camera miapensai per un attimo a Spiga diGranodicendomi chese non altrose fossi morto definitivamente e se unaldilà vero e definitivo esistevaforse l'avrei rivista.

Poi mi spensi.

 

Quando mi risvegliaiquasi senza soluzione di continuitàstavoltasempre nudo e sempre su quel tavolo di marmosentii una voce che nonsentivo da anni che diceva.

- Sei in grado di comprendere?

Onestamentetirai un sospirone di sollievo.

 

 

 

Davanti al Fuoco

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Chiesi tutte le 3.576 cose della listaper tutte lequantità indicateed il Genio mi dette tutto.

Chiesi anche una nuova copia del mio overcon qualchepiccolo aggiustamentoed un centinaio di versioni ridotte.

Il tutto richiese solo quattro mesi di tempo aggiuntivoilche mi lasciò veramente basito. Che tipo di tecnologia era quella che inquattro mesi di tempo poteva forniredevo credere dal nullaalcuni milioni ditonnellate di prodotti estremamente diversificati? Quali implicazionienergetiche c'erano in una così massiccia produzione di oggetti? Quali catenedi montaggioquali fabbrichequale visione della materiadell'energia edell'universo? Come potevo mai sperare di sconfiggere una civiltà cosìevoluta? Per un po' mi prese il panico. Poicome al solitodecisi di non averealternative e mi sforzai di non pensarci più.

Quando fui immesso di nuovo su Mondo vidi di essere al centrodella parte più remota ed isolata del Deserto Viola. Ed intorno a meperchilometri e chilometri in tutte le direzionipilecatastemontagne dimaterialidi prodottidi oggetti; e tutti predisposti secondo lo schema cheavevo indicatocosì da poter trovare qualunque oggetto senza dover faticare.

Alla fine calcolai che la parte materiale della civiltà chevolevo creare occupava una superficie perfettamente quadrata di 120 chilometriper 120oltre 14.400 chilometri quadrati tappezzati di oggetti: dalla spilla dabalia al transatlanticosi sarebbe potuto dire.

Comunicai via radio il mio arrivo ai miei amici Warraff equando giunsero a bordo del mio vecchio over facemmo festa. Affidai a lorol'incarico di cominciare ad organizzare la nuova civiltà di Mondo e mitrasferii con il mio nuovo overUtero Terzoin quella parte del desertoWarraff in cui si trovava la mia vecchia tribù. Mi trovavo meglio con loro diquanto non stessi con tutti gli altri popoli del pianeta e mi volevo riposare sepossibile un po' prima di riprendere l'organizzazione delle attività sulpianeta. I mesi passati all'interno della "stanza d'ospedale" eranostati in realtà mesi di duro lavoroanche perché avevo dovuto modificare lalistaman mano che la controllavoper aggiungere altri oggetti e prodotti.

Partecipai così per un po' alle cacce alle talpeaglisquali-di-terraad altri animali predatori. Partecipai anche ad un paio dispedizioni di guerra contro un clan rivaleanche perché presto quei raidsarebbero finitinon avrebbero più avuto né senso né fascinonel quadro diuna civiltà completamente diversa; quindi tanto valeva godersi gli ultimicombattimenti con lancia e spada. Occorreva far capire bene a tutti che le lottefra umani sul pianeta erano controproducenti e dovevano finire.

Mi stavo rilassando e come a volte capita quando si èrilassatimolti pensieri sul proprio passato galleggiano con maggior chiarezzain una nuova ottica.

Una seraaccampati in un'oasi di rocciaquindi al sicurodagli squalimentre cantavamo a turnocalmi e sereni davanti al fuocoimprovvisamente capii chi erano e dove erano i Giocatori. O per lo meno capiiche ci ero molto ma molto vicino. Fu la classica illuminazionedopo la quale cisi chiede come sia mai stato possibile non averlo capito prima.

Era tutto molto logico e semplice. In che cosa consisteva ilGioco? Probabilmente far interagire fra loro umanimortalicyborgtutti isenzienti presenti sul pianeta. Ed assistere.

Che tipo di risultati si aspettavano i Giocatori? Di tuttoevalutavano secondo loro schemi personalichissà quali.

Ma senza dubbio li avevanoquesti schemie se non giocavibene secondo loroo se non eri interessantevenivi "sottratto" algioco.

Il jazzista afroamericano era invecchiato e morto per nonaver voluto giocarementre Adrianapur sottrattasi alla superficie ed ai suoirischiaveva creato un mondo tutto suoestremamente interessante per iGiocatori. Che l'avevano lasciata fare e probabilmente avrebbero continuato persecoli a lasciarla fare.

E la stessa cosa stava accadendo a me. Avevo perso il contodel numero di anni che ero sul pianeta ma molto probabilmente il gioco checonducevo io doveva essere abbastanza interessante da tenermi in lizza econtinuare a fornirmi tutto ciò che volevofossero anche decine di migliaia ditonnellate di prodotti tecnologicamente evoluti.

Ma loroi Giocatoricome potevano assistere al Gioco?

Certo le risposte potevano essere moltepliciconsiderando leenormi possibilità della loro tecnologia; ma io avevo l'impressione che"assistere" al Giocoessere fisicamente presentiper loro fosse ilmodo migliore di parteciparvi. L'unico che avesse senso per dei semidei qualialmeno tecnologicamente erano. Non so perché ne fui così sicuroera solointuizione o forse un desiderio proiettivo: volevo che fosse cosìperché seli avessi avuti a portata di mano forse avrei potuto colpirliobbligarlicatturarlivendicarmi. Dovevano essere lìsul pianeta.

Chi erano le pedine? Gli esseri umanisia i mortali che gliImmortali.

E chi assisteva agli scontri fra esseri umani? Perdefinizione solo altri esseri umani. O i Giocatori.

Dovevano essere ovunque fossero gli umaniche eranoonnipresenti sul pianeta. E su Mondo (come sulla Terra) noi umani eravamoletteralmente presenti ovunquetranne al polo Nord; ma solo noi: l'unica specieonnipresente sul pianeta era quella umana.

Poi d'improvviso mi resi conto che non era così. Mi venneroin mente gli esquimesiche nel secolo scorso per lo menopur vivendo sul packghiacciatoavevano pidocchi e piattole.

Le specie onnipresenti sul pianeta eranoevidentementegliesseri umani; ma anche tutti i loro parassitia dir poco: i batteridell'intestinole piattole ed i pidocchise uno li avevaanche se su Mondonon li avevano in tanti; gli animali domestici. Che erano molti: uccellicani.

Ma non i gatti. Avevo notato questa strana assenza tempoprima: c'erano cani e canarini e cardellini; ma non cerano gatti. Felini ferociin abbondanzacomprese le specie estinte sulla terra. Ma felini domesticino.Niente gatti.

Ma su Mondo dove c'erano umani c'era sempre anche qualcunaltro. C'era un'altra specie che era presente quasi ovunque. Una specieche orache ci pensavonon avevo trovato solo in un luogo e che era presente perfinoall'interno del Mondo di Dentro. E non era presenteinvecenel Mondo di Sottonella Foresta Doppia. Dove c'erano troppi serpenti e dove gli umani stavanoevidentemente sviluppando capacità di percezione extrasensorialesia pure informe e modi ancora rudimentali.

Quando me ne resi conto fui tentato di verificareimmediatamente la mia teoria. Ero eccitatissimo! Volevo smascherarli. Volevoparlarne a tutticoinvolgere il Cerchio Interno nella scopertainiziare acacciarli e...

Ma mi calmai. Se avevo ragioneera fondamentale mantenere lacalma. Prima di tutto non sapevo se fossero telepati. Non lo credevonon misembrava probabilema non potevo escluderlo. Quindi meno ci pensavo meglio era.

In secondo luogoanche ammesso che non fossero telepatidisicuro erano potenti in un modo inimmaginabile. Potenti e pericolosi. Dovevostare molto attento a quello che facevo o che dicevo. E a meno gente ne parlavomeglio eraalmeno fino a che non fosse stato il momento.

Rimasi in assoluta solitudine a delineare un programmasenzascrivere nemmeno un foglioun appunto (e questa fu la cosa più difficile):doveva restare tutto nella mia testa; se erano telepati era inutilema se nonlo erano ed io avessi scritto su un foglietto la mia idea o qualcosa che glifacesse capire che avevo capitoprobabilmente mi avrebbero spento loro.

Dopo un inizio di confusione capii che dovevo essereveramente sicuro di essere solo. Presi alcune precauzioni generali. Quindiribaltai la politica di segretezza. Dissi a tutti che dovevamo fare un nuovociclo di riunioni e fissai un programma di riunioni speciali a bordo dell'over.Per essere sicuro che nessuno dei Giocatori fosse presente all'internodell'overordinai a computer di bordocon la scusa di una disinfestazioneperiodicala prima di una serieuna disinfestazione generale dell'over dacondurre con uno speciale gas a base di cianuro di potassio: qualunque cosarespirasse ossigenoe secondo me loro (se erano veramente loro...) lo facevanodi sicurosarebbe rimasta uccisa; per non morire avrebbero dovuto o lasciarel'over o rivelarsi per ciò che erano.

Entrambe le ipotesimorire o rivelarsierano inconcepibili;quindi avrebbero lasciato l'over.

Lo fecero infattine notai diversi che uscivano la mattinadell'operazione di puliziache fu condotta in uno spiazzo deserto ed arieggiatovicino all'accampamento Warraffcon un vasto pubblico di curiosi e con tutti imiei animali da compagniafuoriin gabbiainsieme alle piante più delicate.

Appena il gas si fu dispersodissi a tutti i presenti che miero ricordato di un evento importante e li lasciai lì di sassoentrandovelocemente nell'over. Anche se avevo ragionecomunque potevano avere spie ocomplici fra gli umani. Solodovevo restare solo.

Il Genietto chiuse tutte le aperture e si sollevòimmediatamente da terra. Raggiunsiin navigazione ininterrotta il polo Nordaltro luogo dove i Giocatori non potevano essere perché non c'erano esseriumani.

Uscii dall'Over facendo estrarre e depositare l'Hard Core diPiombo spesso due metri e coperto di acciaio che conteneva il mio appartamentoprivatole consolle ed i sistemi di sopravvivenza direttamente sul pack.

Ordinai al Genietto di far funzionare il reattore a fusioneal massimoma secondo uno schema ben precisoche avevo previsto come mezzoestremo di difesae di abbassare tutti gli schermi protettivi del reattorestesso e di avviare così una sterilizzazione radioattiva a base di radiazionineutroniche letali ma labili: un "lampo" neutronicoletale mabrevissimo.

Le radiazioni neutroniche inondarono l'overuccidendo tuttii batteri anaerobi che erano sopravvissuti al gastutte le piante delle serrei semile muffe e qualunque altra forma di vita fosse all'interno del vascello(fino a livello di virus o di prioni) e che eventualmente fosse stata la nuovaforma assunta dai Giocatori.

Il mio Over era a quel punto il luogo più sterile delpianeta. I residui delle radiazioni neutroniche erano destinati a svanirerapidissimamente entro tre o quattro giorni. Io comunque ero al riparo nel miohard-core di piombo.

L'unico dubbio era che qualcosa fosse restato nell'Hard Core.Indossai una tuta speciale ed uscii dall' Hard Corelasciando ogni feritoiaaperta. Fuori facevano 75 gradi sottozero.

Io con quella tuta potevo sopravvivere per otto oreequalunque forma di vita avessero assunto che avesse un minimo di temperaturacorporea sarebbe morta. Non era altrettanto efficace delle radiazionineutronichema ci andava molto vicino.

Aspettai tutte e otto le orepoi rientrai.

 

Oraforsepotevo respirare. Intorno a me non esistevanessuna forma di vita e d'oggi in poi avreiforsepotuto mantenere quel luogofuori della portata almeno fisica dei Giocatori. Certo potevano senza dubbiousare delle sonde di qualche tipo per vedere cosa facevo. Ma non essere presentidi personacosa che secondo me era il loro vero piacere di partecipazione algioco. Era una soddisfazione da poco non averli fisicamente attornoma si sain condizione estreme si impara a contentarsi delle piccole cose.

Tornai nel Deserto. Senza mai uscire da Utero organizzaidelle videoconferenze con tutti i miei Capi Team: li feci salire a bordounoalla voltasalendo per delle scale di corda che lasciavo penzolare con l'oversospeso da terrae li riunii in una sala dalla quale mi potevano vedere solo suvideo e che era l'unica accessibile dall'esterno; se qualcuno dei Giocatorifosse entrato con loro lo avrei vistoma anche in tal casonon sarebberoentrati nel resto dell'over.

Dissi loro che ero per il momento impossibilitato per via diun certo contagio a contattarli di personama intanto andassero avanti con inostri progetti.

Mettemmo altre basi per il cambiamento a breve di tutta laciviltà del pianetaed ultimammo nuovi piani alla luce di quello che avevointuito eforsescoperto. Senza però informarli di cosa si trattava. Dissiloro di fidarsi di me.

Mettemmo contemporaneamente le basi per la creazione di unaserie di nuovi organismi segretia cellulache fossero in grado di evitare iGiocatoriqualcosa di più efficiente delle nostre Massoneria e Partito.Nessuno dei miei Capi Team sapeva chi erano i Giocatorinon lo avevo detto anessuno. Quello doveva essere il segreto meglio tutelato del pianeta e dovevotrovare un modo di comunicarglielo senza che i Giocatori sospettassero che iosapevoo che lo sapessero altri esseri umani.

- Saprete tutto al momento opportunofidatevi. - forsementivoma occorreva procedere così. - Ricordate che il nostro unico obiettivoè e deve essere raggiungere una parità tecnologica con loroil che saràpossibile se solo ricorderemo di essere uniti e di lavorare nell'interesse nondi questo o di quel gruppo ma di tutto il genere umanosu questo come su altripianeti. Non dimenticate che la tecnologia di Adriana è stata tollerata daiGiocatori per 800 anni perché faceva loro comodo e perché li divertiva; quandosi accorgeranno di cosa sta accadendoo meglioquando si renderanno conto cheil nostro progetto (che di sicuro già conoscono) sta avendo successodovràessere troppo tardi. Pensate ai Sottani: hanno sviluppato capacità Psi perchéi Giocatori si sono distratti e perché non frequentano il Mondo di Sotto;questo fa il nostro gioco e dimostra che non sono infallibili. Inoltre noi nonvogliamo né ucciderli né sopraffarlivogliamo solo essere padroni del nostrodestino. E questo ci da una superiorità morale che non può non aiutarci avincere nel lungo periodo. Sono potentima crudeliquindi a mio parere piùdeboli di chi crudele non è.

Feci una pausa e li guardai tutti attentamentequasi uno peruno.

- Non vi posso dire cosa ho scoperto perché non ne sonosicuroperché non voglio ancora coinvolgervi e perché non voglio vi sianofughe di informazione. Sono sicuro che altri esseri umani hanno intuito ilsegreto e lo dovrete fare anche voi. Ricordate: se dovesse capitarese dovestecapire quello che ho capito ionon fatene parola a nessuno mai. Dovrete trovareun altro modo per comunicarvelocosì come forse sto per fare io. Loro nondovranno mai essere sicuri che abbiate capito chi sono. Non parlate mai anessuno di quanto ci siamo detti qui. Abbiate fede e seguite i miei consigli.

 

Uscirono in silenzioperplessi e preoccupati. Nei giornisuccessivi organizzai anche qualcos'altro. E ci volle tempoper verificare sefunzionava.

 

Infine preparai una trappola complicatissima all'internodell'Overin officinacon le mie maniper non dare al Genietto un ordine cheavrebbe potuto essere ascoltato e mi misi a costruire qualcosa che forse nonsarebbe mai sembrato una trappola ad un Giocatore.

O almeno lo speravo. Così come speravo che il fatto di nonessere fisicamente lì dentro li stesse esasperando. Non era dettoè chiaronon potevo esserne sicuro. Mi potevano sicuramente vedere in mille modiessere"elettronicamente" presenti. Ma speravo che esserlo fisicamente perloro fosse essenzialeper motivazioni psicologiche per così diree che ilfatto di essere riuscito a tenerli fuori li stesse infastidendo.

Certosempre se ci ero riuscito davvero.

Quando la trappola fu prontaavvertii Watt-m-lamela chesarei tornatomi raggiungesse una diecina di chilometri a sud del campo.Atterraividi il mio amico Warrafffeci entrare lui sololasciando l'over adun metro da terra e facendolo salire per una scaletta verticale.

Dopo di luiper brevissimi incontrialtrisempre curandoche all'interno dell'over non entrasse nessun Giocatore. Certosempre se eranoloro.

A nottel'ultimo uscì per tornare al campo ed ioatterratoe lasciate aperte le porte dell'Overmi misi ad aspettare che i Giocatoriarrivassero.

Ero sicuro che lo avrebbero fatto: erano troppo curiosi edera ormai troppo tempo che nessuno di loro metteva piede nella mia nave.

Il sole era sorto da pochi minutiquando sentii unosquittio.

Due scoiattoli entrarono rincorrendosi e giocando. Nelboschetto dell'oasicome semprece n'erano molti. I due litigarono giocandoper un po'finché uno dei due non fuggì all'esterno. L'altro si guardòintorno e vide le nocciole che gli avevo gettato. E cominciò a mangiarne

Gli feci pissi-pissi con le dita e lui si diresse verso dimeche ero sdraiato su una sdraio di legnoda giardinoproprio in fronte allaporta.

Mi venne incontro e scivolò sulla sottilissima stuoia cheavevo messo sopra il pozzetto del dotto di aereazioneavendo svitato la grigliadi protezione. Era una trappola che definire rozza era un eufemismomafunzionò: lo scoiattolo cadde fino in fondo e finì in una scatola di vetro cheera messa in modo tale da capovolgersi per il suo stesso peso.

Contemporaneamente premetti un pulsante: scattò un sensoreche bloccò tutte le uscite dell'Over e lo fece decollare immediatamentesenzache io dovessi dare alcun ordine.

I comandi che avevo predisposto diressero automaticamentel'over al mare più vicinolo diressero al largo e lo fecero immergere inacquafino a raggiungere il fondoad oltre 400 metri di profondità.

Mentre scendevo nella stanza inferioredove era collocata lafine del pozzetto di aereazione e la scatola di vetro sentii un rumore ovattatoed entrato vidi dei fumi che svanivano e la scatola di vetroa terradistruttae semifusa.

Lo scoiattolo era sopra una mensola che squittiva spaventato.

Guardai la scatola prendendone in mano i pezzi. E senzaguardare altro dissi:

- Non ci provarelo so che sei stato tu a far esplodere latrappola.

L'animaletto continuava a squittire.

- E puoi anche smetterla di fare finta di essere un animalelo so che i Giocatori siete voi.

Lui continuava nella sua recita.

- Sai come l'ho capito? - ripresi imperterrito stavoltaguardandolo fisso - Siete VOI l'unica altra specie diffusa ovunque sul pianetaa parte la razza umana ed i suoi parassiti. Ovunque ci siano esseri umanivoici siete. Dove gli esseri umani non ci sonovoi non ci siete. E l'unico luogoin cui ci sono esseri umani ma voi no è la Foresta di Sottoche per un casoevolutivo o per vostro errore o disattenzione o forse per esplicita sceltanonvi piace frequentare per via dei troppi rettili che vi si trovano. E voi nonamate i rettili: sono da sempre i predatori naturali degli"scoiattoli" o dei piccoli mammiferi e roditori. Così come non amatei gattiper lo stesso motivo. I gatti non sono animali che si faccianocontrollare da nessunonemmeno da voi: sono cacciatori nati e pericolosiancheda animali domestici. Ora sebbene sicuramente anche voi siate Immortaliesseremangiati non vi deve piaceregiusto? D'altra parte non potevate mica eliminarei rettili dal pianeta (come avete fatto invece con i gatti domestici)néindurli a spavento o ad un rispetto per voi che sarebbe risultato sospettogiusto? Vi siete limitati a controllare quella zona da lontano.

Lo scoiattolo taceva ora e si puliva le zampe con fareindifferente.

- Solo tu puoi aver distrutto la trappolaqui non ci siamoche tu ed ioe l'hai fatto perché sei stato preso di sorpresagiusto? Comequella volta che ero immobile e ferito ed avevo fame e mi stavo per mangiare unodi voi. O eri proprio tu?

L'animaletto a quel punto si fermò.

Si drizzò ed assunse un altro atteggiamento. Lo so che dettocosì sembra ridicoloma fu esattamente e letteralmente quello che fece.Improvvisamente non pretendeva più di essere un animaleecco tutto.

- Sìero proprio io - disse con una voce sottile.

 

 

 

 

Sipario

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Come ci sei arrivato?

Il cuore mi batteva a mille! Non sapevo se fosse o meno unavittoriasapevo solo che quello scoiattolino davanti a me era uno di quegliesseri che aveva creato l'over in cui eravamoche mi aveva fatto rinasceredalla morte per 5 volteche era il depositario di una tecnologia talmente al dilà delle mie possibilità di comprensione da essere quasi un dio per me. Maintanto io lo avevo battutosia pure per una piccola cosa: intanto almeno siera dovuto rivelare.

- Ho sommato diverse piccole coincidenze - ripresi con voceemozionata. Mi tremavano le gambe per l'eccitazione. - Ad esempio la vostraonnipresenzail fatto che eravate l'animaletto domestico preferito per tutte leculture del pianetail fatto che eravate i beniamini di tuttiche non ho maivisto uno di voi ucciso. Tantetantissime piccole cose tutte insieme. Era unateoria che reggevae più conoscevo il pianetale sue razze ed i suoiproblemipiù tutto aveva un senso. Fin dall'inizio ero convinto che voidovevate esistere. Dio non lo sapevoma voi sì. Molte leggende note e menonote di diverse culture di Mondo parlano in un modo o un altro dei Giocatori edin fondo era più che probabile che i Giocatori esistessero davvero. Qualcunodoveva aver creato il Genio e qualcuno doveva aver creato o adattato questopianeta.

- E perché non avrebbe potuto evolversi da solo?

- Impensabile. Questo l'ho capito subito: su questo pianetaci sono forme di vita simili a quelle terrestri e che di quelle sonoevidentemente una evoluzione; ad esempio le grandi talpe del deserto Warraff:derivano indubbiamente dalle talpe terrestri e si sono evolute (o le avete fatteevolvere voi)quisu questo pianeta; ma gli squali di terra esapodinoquelli no. Quindi l'evoluzione su questo pianeta pur seguendo le stesse regoledella Terra che probabilmente sono regole universali almeno nella nostragalassiadoveva essere artificiale. Poi anche ammesso che avesse prodotto"naturalmente" gli squalinon poteva aver prodotto contemporaneamentegli esseri umani né tutti gli animali identici a quelli della Terra che sonoqui; e però tanti ma non tuttiquindi resta la Terra il pianeta d'originedelle specie qui presenti: l'evoluzione parallela è sempre stato considerato unassurdo scientifico dagli scienziati terrestri.

- Behsaigli scienziati terrestri non è che siano poieccezionali.

- Quelli veri sanno l'unica cosa che uno scienziato può edeve sapere.

- Cioè?

- Sanno di non sapere ancora tutto quello che c'è da sapere.

- Questo è vero. E poi?

- E poi basta. Vi ho scopertoecco tutto. Ora tocca a te.Cominciamo. Qual'è lo scopo del Gioco?

- Ma davvero credi che risponderò alle tue domande?

- Credo di sì. Credo che voi dobbiate seguire delle regoleche vi siete posti da voicertoma che per voi sono comunque vincolanti.

- E cioè?

- Basta domandeso che puoi uccidermi in mille modi diversiche puoi probabilmente perfino cancellare in me il ricordo di questo incontroma io resto un essere umano con una sua volontàalmeno finché non la perdoper farmaci o torture. Ma allora non sarò più io. E poi io credo che tu vogliarisponderminon è vero?

Rimase silenzioso per un po'.

Poi si accucciòcome si stesse rilassando.

- Che strana razza è la tuasempre a cercare i perchédelle cose e sempre con la folle volontà e capacità di ignorare le risposte...Comunque voglio accontentarti. Forse non ci crederai ma il Gioco non è altroche questo: un giocoun passatempo su scala cosmica per una razza di Immortali.Di veri Immortalidi una razza che ha raggiunto da solacon le proprie forzel'immortalità fisica; una cosa che probabilmente la tua specie non riusciràmai a fare.

- Vedremo. Ma cos'è che vi diverte in questo gioco?

- Solo la Valutazione delle Probabilità.

- Spiegati meglio.

- Vedinoi siamo una razza antichissima: la nostraevoluzione è iniziata su un pianeta lontanissimo da qui che non esiste nemmenopiùda quando è stato distrutto dal nostro sole che diventava una Nova. Ed èiniziata più di un miliardo di anni fa. Abbiamo raggiunto l'immortalitàsiacome specie sia come singoli individuimilioni di anni or sono e siamo passatiattraverso varie fasi.

- Siete Immortali ma non invulnerabilivero? Potete essereuccisifisicamente annientati. Per questo vi nascondete.

- Sìalmeno in teoria è vero. Siamo Immortali nel sensoche la vecchiaia non figura fra le nostre cause di morte. E che nel casoestremamente improbabile che il nostro corpo muoiala nostra essenzalacoscienzala memoriaciò che siamo nella sostanzapossono essere"recuperate"così come abbiamo fatto con te ogni volta che seimorto. Ma come potrai capire l'idea di poter essere fisicamente annientati èuna cosa per un immortale è inaccettabile: non accade quasi mai. Non a caso ilcorpo che vedi non è il nostro vero corpo. Lo indossiamo così come tu indossiuna giacca.

- Qual'è la vostra forma reale?

- È difficile dirlo. Vedi ognuno di noi è formato da unacolonia di milioni di microorganismi ospitata prevalentemente nel cervello diquesto corpo. Tu ci chiameresti virus. In effetti i virus del tuo pianeta sonoparagonabili ai nostri antenati. Ad un certo punto della nostra evoluzionenoipassammo dall'essere puri e semplici parassiti di cellule più grosse (cheusavamo per riprodurciproprio come fanno i virus terrestri) ad essere icontrollori di quella cellula che occupavamo; quindi dal controllare singolecellulea controllare gruppi di cellulepoi i singoli organied infinel'intero individuo in cui eravamo entrati.

- Quindi quando l'individuo infettato moriva...

- Noi passavamo semplicemente in un'altrodella stessaspeciequasi sempre prima che morisse e nel corso dell'accoppiamento. Oppurenel predatore che lo uccideva. E quando incontravamo un altro corpo con uno dinoi come "ospite" imparammo a non riprodurcia fonderci invecemantenendo intatto il nostro corredo genetico ed aumentandolo.

- Non ti seguo...

- Vedi quando un essere evoluto si riproducese èbisessuatoriproduce solo il 50% del proprio corredo genetico nei propridiscendentisia se è maschio sia se è femmina. Se è monosessuato inveceriproduce esattamente il proprio corredo genetico: in un microrganismounicellulare che si riproduce per scissionela seconda cellula ha esattamentelo stesso corredo genetico della prima. È solo una copia. Ed i virususando isistemi riproduttivi delle cellule ospitiriproducono a loro volta sempre sestessi. Ma noismettendo di uccidere le cellule ed imparando ad usarlesmettemmo anche di riprodurci. Fu una mutazione in qualche modo: non ciriproducevamo ed aumentavamo di volume; poi imparammo ad arricchire il nostrocorredo genetico unendolo a quello di un'altro parassita come noicreando unindividuo unico sempre più ricco di variazioni genetiche. Quando arrivammo alcervello dei vertebrati più evoluti del nostro pianetain qualche modo neacquisimmo ricordicoscienza ed esperienze. Questo accelerò la nostraevoluzione. Eravamo ancora mortalima usando le risorse dell'organismo ospiteimparammo a riparare i nostri corpi. Capisci? Noi non ci riproducevamoma cisommavamo gli uni agli altri; così ci espandevamoevitando se possibile diuccidere il nostro ospite. Se alla fine la massa corporea del nostro corpo eraeccessival'ospite morivae noi con lui. Imparammo quindi a scinderci in dueesseri separati.

- Quindi riprendeste a riprodurvi.

- Non nel senso normale. I due individui che derivavano dallariproduzione non erano né due copie l'uno dell'altro né due copie degliorganismi originarima due individui completamente diversicon due corredigenetici completamente diversi. Anche se chiamarli "corredi genetici"non è esattodato che noi non usiamo il nostro DNA per la riproduzione.Arrivammo rapidamente all'autocoscienza ed a creare una serie di civiltàsuperioripartendo da civiltà inferiori di altre specie.

- Restate dei parassiti! A livello cosmicoma sempreparassiti!

- Quanto sei sciocco. Lo saremmo se non fosse vero che tuttele specie viventi della Galassia esistono solo per fornire a noi un supporto peresprimerci e per spostarci. Noi siamo la specie più evoluta della Galassiachesi può adattare a tuttel'unica immortalea quanto abbiamo visto finora.Questa galassia è nata solo per dare origine alla nostra specie.

- Un'ottica decisamente di partedirei.

- Come quella di tutti i predatoricompresa la tua specie:non pensi forse che buoi e lattuga esistano solo per te? E del resto queste nonsono due forme di vita che la vostra specie ha selezionato appositamente per lapropria nutrizionefra le tante? Cosa facciamo di tanto stranonoi? Oltretuttonoi siamo riusciti anche a vincere le trappole dell'immortalità.

- Che intendi dire?

- In realtà qualunque specie cosciente potrebbe diventareimmortalesul piano fisicosviluppano una tecnologia adeguatain teoria anchela tua potrebbe; ma poi l'individuo deve affrontare i problemi psicologici percosì dire connessi all'immortalità. Problemi come l'accumularsi della memoriadi migliaia di millenni di eventiche alla fine è insopportabile e generaconfusione; per non parlare della noia della incredibile ripetitività dellavita e dello spazio-tempodato che a vivere abbastanza a lungo da conoscerloper come è veramentel'universo è lo stesso ovunque e tutto accade seguendoleggi che sono sempre le stesseripetitiveuguali a se stesse fino alridicolo; ed infine occorre affrontare anche la paura dell'Entropiail fattoche tutta l'energia di questo universo è destinata comunque a finirequindinoi stessi siamo destinati a finire quandocon la scomparsa della materiascomparirà il tempo e noi con lui.

- Quindi non siete veramente Immortali?

- Non sotto questa forma che è solo quella di un abitocometi ho già dettouna delle tante che abbiamo assunto finora. Né sotto quellaoriginaleche del resto non ha molta importanza. Sappiamo che cambieremo ancorae molto prima della Fine del Tempo: lo abbiamo già previstoanche se non loabbiamo ancora compreso a fondo. Sappiamo che qualcosa accadràma non sappiamoancora bene cosa. Conosciamo in qualche modo il futuro; essoper grandi lineeè necessitato: la sequenza dei grandi eventi è in rapporto di causa ed effettoinevitabili; il che ci crea... disagio. Preferiamo non pensarcinon in questafase. Ma per i microeventicome la vita di un singolo essere vivente o di unintero pianetail Gioco delle Probabilità è praticamente infinitoedinfinitamente influenzabilesoprattutto per un essere senzientecome noi o inmisura minore anche voi umani; e molte altre specie. E a noi piace calcolarlequeste probabilità. E scommetterci sopra.

- Voi scommettete sulle probabilità che io faccia o nonfaccia una cosa?

- Certo. Scommettere è una traduzione inadeguatanaturalmentema rende bene l'idea. Più esattamente scommettiamo sullaprobabilità che un dato evento si realizzi"fissata" dagli"allibratori"se li vuoi chiamare cosìsia esatta o meno; chel'evento cioè si verifichi o menoconsiderando le tue chances di riuscire adottenere ciò che vuoi e la maggiore o minore capacità delle varie squadre diinfluenzarti.

- Squadre? Squadre che giocano per influenzare me?

- Si. Ci sono delle squadre di "scoiattoli"comeci chiami tuche cercano di influenzare gli eventisecondo la regola delMinimo Sforzo.

- Non capisco.

- È semplice. Sarebbe troppo facile intervenire conmacro-eventi. Ad esempioricordi quando sei stato abbattuto dal missile diAdriana? Beh c'era una grossa scommessa sul fatto se lei ci sarebbe riuscita omeno. Ma ce n'era una ancora più grossa sul fatto se tu saresti riuscito asopravvivere o meno. Ed i Giocatori sono quelli che cercano di influenzarequesto o quell'evento intervenendo sìma il Minimo Possibile. E minore èl'interventocioè meno sono le azioni e di minor importanzae più alto è ilmerito. Ad esempio impedire che tu morissi fermando intenzionalmente il missilein volocon un atto voluto ed una azione direttasarebbe stato grossolano.Riuscire a deviare quel missile perché gli si era spostato di pochi millimetriprima della partenza un alettoneper colpa di un insetto che ne ha danneggiatoi comandie questo è accaduto perché si era previsto molti giorni prima chequello (e non un altro) era il missile che ti avrebbe colpito... Capisci? Nonfarti morire spostando uno scarafaggio venti giorni prima che il missilepartisse! È stata un'azione da maestro! Ed è esattamente ciò che ho fatto io:in quell'occasioneti ho salvato la vita. Tu sei la mia pedina preferitahovinto molte "scommesse" con te.

- Ma quella volta io sono precipitato e non sono morto perpuro caso!

- Ma no! Se il missile che io ho danneggiato con loscarafaggio avesse volato secondo la traiettoria che era stata programmataildanno per te sarebbe stato maggiore: saresti morto in volocompletamentedisintegratocon l'elicottero colpito nel pieno della carlinga e non su unrotore dell'elicottero. Sopravvivere alla cadutacon tutte le modifiche cheavevi fatto apportare al tuo corpoera quasi certo. Sopravvivereall'esplosioneno. A meno che un certo scarafaggio non spostasse di un paio dicentimetri un certo alettone di un certo missile...

- Quindi sono sopravvissuto grazie a te?

- Certo. "Anche" grazie a me.

- E siete intervenuti molte altre volte?

- Certo. Infinite. E sempre per micro-interventi. Considerase ti può far piacereche così come io ed altri intervenivamo a tuo favorealtri intervenivanosempre con micro-interventiper far fallire i tuoiprogettio per ucciderti. Farti violentare alla tua prima resurrezione adesempio è stata una operazione molto riuscita. Eppure molto dipende dallapedina: pensase avessi ucciso la tigre dai denti a sciabola con metàcaricatore dell'Uzinon sarebbe accaduto.

- Ma non è possibile! Stai dicendo che se io avessi usatomeno pallottole per uccidere la tigre non sarei stato violentato? Ma come èpossibile? L'ho cambiato varie voltequel caricatorenel corso di quei giorni.

- Cosa ne vuoi capire tu? Pensi che potresti spiegare un tubocatodico ad un aborigeno australiano del 2000 avanti cristo? Ma se non sainemmeno tu come funziona un tubo catodico! Eppure pensa che questo sarebbe moltopiù facile che spiegare a te perché se tu avessi avuto sei pallottole di piùnel caricatoredieci giorni primanon saresti stato violentato dieci giornidopo. Fidati. E ringraziami. Avrebbe potuto essere molto peggio.

- Cos'hai fatto per risparmiarmi il peggio? E cosa sarebbestato peggio di quello che mi è successo? - chiesi amareggiato ed incredulo.

- Behse quell'uomo ti avesse lasciato in vitaprigionieroe ti avesse violentato ripetutamente per i successivi 30 giorni? E con luiglialtri? Non sarebbe stato peggio? E ricordi il taglio che ti sei fatto alla manoil secondo giorno? Con quei rovi?

- No.

- Behè stato quello che ti ha salvato. E sono sempre statoio. Saresti un ingrato se non mi fossi grato!

Lo guardai fissoin una tempesta di impressionicontraddittorie.

- Non credo a nulla di ciò che mi stai dicendo.

Squittì e sembrò una risatina.

- E cosa importa il fatto che tu non ci creda?

- Ti ho catturatoperò.

- Ma no!

- Come no?

- È che ho esagerato io. Ho scommesso che lacristallizzazione di probabilità che prevedeva che tu scoprissi tuttoe cheriuscissi a catturarmi era probabile sìma che sarebbe bastato spostare uncerto microevento a dieci giorni prima del tuo arrivo per ottenere almeno che lacattura non scattasse. Tutti dicevano che occorrevano due microeventi ed almenotre mesi prima. E non ho saputo resistere: mi sono montato la testaultimamente. Ho perso ionon hai vinto tu.

- Voi sapevate che io volevo catturare uno di voi? - erosbalordito.

- Non per certonaturalmente. Ma con un altissimo grado diprobabilità.

- Ed hai rischiato di essere catturato e di morire perscommessa?

- No. Ho rischiato di essere catturato. Non di morire. Tu nonpuoi uccidermi.

- Ne sei sicuro?

Mi guardò fisso negli occhi. Tacque a lungo. E per nondargli datitacqui a lungo anche ioimmobile.

Alla fine riprese.

- C'è qualcosa in effetti... cos'hai fatto?

- Ho fatto molto.

- mmh... sìricordo nell'ultimo over hai aggiunto... ma nonè possibile!?

- Cosa non è possibile?

Stava pensandoforse ricostruendo il significato di fattiche conosceva ma che non erano collegati fra di loro.

- ...hai aggiunto diverse tonnellate di Apilex alrivestimento dell'hard-corequesto in cui siamoper non farti catturare vivo oper distruggere dall'esterno la sala comandi in caso di catturama questo losapevo già... ed hai collegato il detonatore... santo cieloecco cos'erano le30 galline che hai fatto salire a bordo tre giorni fa! Hai collegato ildetonatore... tramite un circuito miniaturizzato... sìlo vedo... al cervellodi tutte ed ognuna di loro ed a te... come fossero un circuito integratosempreattivo... e se una sola di loro non percepisce più il segnale che viene da teil circuito ne fa partire un altro ed l'Apilex esplode! Quindi se muori tuttoqui dentro esploderà... ma non puoi usarlo!

- E perché no?

- Ma perché puoi restare in vita così come seicon questocorpo; ti lasceremo invecchiare in pacenaturalmentenon siamo cattivi. Oanche a continuare il Giocose vorrai. Ma se tu ti uccidessi oratrascinandome nella rovinanoi non ti resusciteremmo! Sarebbe una morte vera e definitiva!

- E allora?

- Ma tu non vuoi moriregli esseri umani non voglionomorirequasi mai! Non se sono sanifelici ed in buone condizioni di vita.

- Eppure si suicidanolo sai.

- Ma se sono pazzio per evitare disonore o torture e sesono sicuri che rivivranno in un qualche paradiso. E tu non sei in nessuna diqueste condizioni!

- Io sono incazzato nero!

Lo scoiattolo (o l'organismo che era dentro di lui?) tacqueguardandomi con gli occhi spalancaticon le vibrisse tremanti.

- Io vi ho odiato fin dal primo giornofin da quando hocapito che esistevate!

- Ma a te è piaciuto immensamente vivere su questo pianetain tutti questi anni! Non puoi negarlo!

- Sì. Ma odio essere manipolatoodio l'idea che ci siaqualcuno che mi manovrache mi obbliga a fare qualcosa. Ed odio l'idea chequesto qualcuno manipoli una intera umanità.

- M-m-a non puoi dire sul serio. Ti ho detto che sei uno deiGiocatori miglioripotrai vivere infinite avventure su questo pianeta.

Mi sedetti comodo.

- Hai ben chiaro in che condizione sei vero? Se mi uccidiisensori di questa stanza non percepiranno più né il mio battito cardiaconéle mie onde encefaliche; e rimbalzando da tutte ed ognuna delle gallinefarannoesplodere l'Apilex. E tu morrai. Se io ti prendo in mano e tento di uccidertiper difenderti tu mi dovrai uccidere. E l'over esploderà. Non puoi farmisvenire per farti venire a prendere dai tuoi amichettiperché ho iper-regolatoi sensori: nel sonno o nell'incoscienza sia le onde encefaliche sia i battitidel cuore si alterano; i sensori lo percepiranno e allora: boom-boom. Forse puoiteleportarti viama ho notato che le immissioni all'esterno del Genio eranosempre in luoghi aperti. Correggimi se sbaglioma ho come l'impressione che i400 metri d'acqua che ci sovrastano non faciliteranno l'eventuale teletrasportooltre al piombo ed alle 300 tonnellate di metallo e di materiali che cicircondanonaturalmente.

Lo scoiattolo tacevacontinuando a guardarmi fisso.

- So cosa stai aspettando: che io ti dica qualcos'altro pertrovare una via di uscita. Ma vediio ci ho pensato per mesi e mesie lontanoda voi. A meno che non abbiate baratointervenendo su di me quando dormivo. Edio non credo che lo abbiate fatto. Ci volete esserevoisiete deipresenzialistiin fondogiusto? E volete manovrare microeventihai detto.

- È così. Il minimo di rischio implicito nella presenza èciò che ci stimola realmentee poi alcune azioni vanno compiute di personafisicamente. È una delle regole. Cosa hai fatto?

- Ho spiegato tutto a centinaia di persone su dei messaggispeciali: tutto quello che sapevo e tutto quello che si poteva fare perincastrarvinascosto "nelle pieghe" dei messaggi che ci passavamo:fra le righe per così direcon diversi tipi di codici. Senza spiegare anessuno né che c'era un messaggio né quale era il codicema solo alludendo aqualcosasperando che se ne accorgessero. E cinque persone ci sono riuscite emi hanno risposto con lo stesso sistema.

- Ma come hai fatto?

- Uno dei codici era basato sulla prima lettera di ogniperiodo di ogni documento che scrivevo e passavo ad altrisu tutti gliargomenti: si collega alla prima lettera del periodo successivoe così viacreando un messaggio a catena. Ho ricevuto le risposte nello stesso modo. Ma housato anche altri codici.

- Cosa hai organizzato allora?

- È questo il bello. Non lo so.

- Come sarebbe a dire?

- Te l'ho detto: non lo so. Ho detto ad ognuno dei mieipartners di trovare un sistema di uccidere te e di incorporarlo in questa"situazione"ma senza dire niente né a me né agli altri. Letrappole scatteranno comunque a meno che io non trasmetta uno speciale messaggioche farà sì che mi dicano cosa devo fare per disattivare le trappole. Qui cesono molte di più di quanto io stesso non sappia.

- Ti ipnotizzerò e te lo farò trasmettere.

- Non puoi. Ci ho pensato: le onde encefaliche di un essereumano ipnotizzato sono identiche a quelle di un dormiente; appena le mie ondeencefaliche assumeranno la regolarità di andamento dell'ipnosi o del sonnoirilevatori encefalici che tu non sai dove siano determineranno in me un arrestocardiaco. Io morrò e boom-boom. Puoi solo torturarmiammesso tu ci possariuscirema credo che non cederò. E pensa che non ho la più pallida idea dicosa abbiano fatto gli altri.

- Ma cosa vuoi?

- Niente di meno del massimo: che abbandoniate il pianeta elasciate in pace la razza umana.

- E gli Immortali?

- Torneranno mortali come tutti gli altri: è quello chevogliono o hanno voluto tutti gli Immortali che ho incontrato.

Lo scoiattolo riprese:

- Non ti puoi aspettare davvero che questo accada.

- No. Certo. Ma ciò non ostante lo pretendiamo. Almeno io etutti e cinque i miei amici che hanno scoperto il codice. E credo che tutta larazza umana sarebbe d'accordo con me. O no? Tu lo sai forse meglio di megiusto?

- Guarda che con quello che mi hai dettoho elaborato nuoveipotesi probabiliste. Può essere benissimo che una di quelle trappole stia perscattare ora e tu non lo sai! Potremmo morire a minuti! A secondi!

- O ci lasciate liberio morrai. È poca cosalo soma èun primo piccolo colpo. Altri ne verranno.

- Sei pazzo! Iocomunque sopravvivrò.

- Nosono solo stanco. E comunque mi basta segnare un puntoe dimostrare che non siete infallibili.

- Ma perché fai tutto questo? Non posso credere che lemotivazioni che hai addotto siano vere. Tu sai che se sopravvivessipotrestivivere una infinità di vite felici ed avventurose ed essere di grande aiutoalla tua specie. Noi non abbiamo mai abusato della vita di nessun essere umano:coloro che abbiamo preso erano sempre e tutti in fin di vita: per una malattiaper un incidenteper il decorso naturale degli eventi. Stavano per morire e noigli abbiamo dato una chance di una nuova vita. Tu stesso eri praticamente giàmortoquando abbiamo prelevato la tua essenza per portarla qui. Se un essereumano Immortale vuole davvero morirepoiqui su Mondo può farlobasta che sirassegnibasta che lo desideri veramente e alla fine morirà. Inoltre il tuoprogramma di creare una civiltà che ci tenga testa è affascinante: secondo noiè destinato ad essere sconfittomate lo posso dire con sinceritàèl'unica cosa che in un qualche modo ha una sia pur minima possibilità disuccesso. E con te vivo ne avrebbe di più.

- Se non può funzionare senza di menon funzionerà mai.

- Ma perché vuoi obbligarmi a fare quello che sto per fare?Comunque vadaa questo punto le implicazioni sono troppe e non riesco più aseguire le variabili possibili. Moriremo entrambi e per me sarà la prima volta!Verrò resuscitatoma a me occorreranno secoli per riprendermi!

- Così impari...

- Ma tu non rivivrai mai piùla tua è follia... è....è...

- A casa mia si chiama tigna...

 

 

 

E ora?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dovevo saperlo che non sarebbe stato facile averla vinta coni Giocatori. Ma quello che accadde proprio non me l'aspettavo.

Non so cosa sia successo su Mondo. Può essere che sia andatacome avevo programmato. È possibileanziè quasi certo. Qualunque cosa miabbiano fattoil collegamento fra me e tutti i meccanismi che avevo predisposto"deve" essere cessato ed l'Apilex "deve" essere esploso.

Ma non ne posso essere sicuro. Perché appena ebbi dettoquelle ultime parolemi ritrovaisenza soluzione di continuitàsenza nemmenoaver percepito la mia mortealla guida della mia motoproprio in quei pochisecondi in cui la macchina mi stava tagliando la stradadavanti a PonteGaribaldi a Roma...quando?

Anni e anni or sono? 1200? Com'era possibile?

Certolo so: possono benissimo avermi spento per un secondoo un anno o un secolo. E avermi reimmesso nel mio tempo originaleun secondoun anno o un secolo dopo. I Giocatori possono evidentemente manipolare il tempo.

 

Quanto a me"per la seconda volta" stavo permorire per la prima volta.

Fu questo il pensiero che mi passò per la testa. Non so perquale miracolo mi sono salvato. Credo sia stato per l'esperienza accumulata neimiei anni di vita su Mondo.

In qualche modo quegli anni di esperienza non sono staticancellati in mecome la memoria; e credo che questo sia stato l'unico errorecommesso dai Giocatori.

Ammesso che sia stato un erroree non invece un volutoscherzoun crudele scherzo. O un'altra scommessa in una nuova partita delGioco.

Mi sono ritrovato esattamente nella stessa situazione e nellostesso momento in cui sono stato prelevato la prima volta. E pur essendo passatianni ed anniio scoprii in quel momento che ricordavo ogni singolo particolareogni micro-secondo di quei pochi secondi che precedettero la mia prima morte.

Ho così scoperto che la prima morte non si scorda maianchese sembra il contrario. Non riuscii ad evitare di urtare la macchina: sarebbestato impossibileero apparso a pochi metri da lei.

L'incidente ci fuma non fu mortale. Urtai la macchina quasida fermocome la prima voltacaddi a terra su un fiancocome alloramastavoltain un gesto disperatomentre cadevo a terra ed il casco nonallacciato volava via lontanocercai di spingere la testa in avantianche dipochi centimetri soltantoin modo da non battere la tempia sul bordo sporgentedel tombino di ferroma solo sull'asfalto.

Ci riuscii. Sbattei la testa e svenni. E mi svegliai in unacamera d'ospedalesolo che stavolta non c'erano dubbi che si trattasse di unavera camera d'ospedale.

Solo che non era il San Giacomoma il Fatebenefratelli.Avevo la testa fasciatami sentivo una schifezzama ero non solo vivo: ero iome stessocon tutti i miei ricordinella mia cittàad anni e anni diesperienza soggettiva da quel momentoma apparentemente a non più di poche oredi distanza dal momento in cui tutto era cominciato.

 

So cosa pensate. Un delirioun sogno particolarmentecomplessoma solo un sogno.

Io non lo credo. È vero che voi non potete essere nella miatesta per cui non potete capire. Ma la vivezza dei ricordi delle mie esperienzeè eccessiva.

Ho letto che nei ricordi dei pazziquando loro raccontanodelle loro vitec'è la stessa vivezzala stessa sicurezza che ho io.

Forse una prova oggettiva c'è. Non ho più nessuna dellecaratteristiche fisiche nuove che avevo introdotto nel mio corpo: né lecapacità mimetichené le ossa ultraresistentine le superprestazionisessuali. Sono esattamente com'ero prima tranne per un particolare: prima dimorire la prima volta io avevo tre capsule in boccatre denti finti.

Invece oggi ho ancora i denti veri che mi erano riapparsi findal primo risveglio. Evidentemente l'automatismo del gioco prevedeva ilmantenimento di una "configurazione" fisica standard e questa è statamantenuta nella mia ultima reincarnazione. Lo so che non è una gran prova. Malo è per me.

Non so come spiegarlo. Comunque io sosentoche è tuttovero. Non lo posso provarenon potrò farlo maimen che meno con tre dentiassolutamente normali che non ci dovrebbero essere ma ci sono.

D'altra parte nemmeno me ne importa niente. Resta il fattoche tutta questa esperienza è stata crudele fino all'inverosimile. Perchéonestamenteanche io mi sono sopravvalutato. Ho scoperto che mi sono abituatoalla semiimmortalità che avevo sul Mondo.

Non voglio tornare a vivere in modo normalead aspettare dimorire definitivamente. E vorrei tornare lì. Ma non so come fare.

Ho anche spesso pensato di essere stato oggetto di un'altrascommessa: ce la farà a salvarsiora che sa come morrà?

Sono ancora in gioco?

 

 

Fine