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Henry James

Quattro racconti

2

QUATTRO INCONTRI

L'avevo vista soltanto quattro volteche ricordo però tutte vividamentetale fu l'impressione che mi fece. La

trovavo molto graziosa e piuttosto interessanteesemplare toccante di untipo di donna con cui già avevo avuto diversi e

forse non così incantevoli rapporti. Mi addolora apprendere della sua morteanche sea pensarci beneperché dovrei?

L'ultima volta che la vidinon fu certamente... Ma può valere la penaricordare i nostri incontri nel loro ordine.

I

Il primo ebbe luogo in campagnaa un tè fra amichein una notte nevosaall'incirca diciassette anni fa. Il mio

amico Latouchedovendo andare a passare il Natale con sua madreavevainsistito per avere la mia compagniae la

gentil signora aveva dato in nostro onore il ricevimento cui ora miriferisco. Fu per me un avvenimento di un gusto

particolare... con tutte le carte in regola: non ero mai stato prima diallora nel cuore del New Englande in quella

stagione. Aveva nevicato tutto il giornoe i cumuli di neve ammassati dalvento arrivavano all'altezza del ginocchio. Mi

chiesi come le signore avevano potuto farsi strada sino alla casa; ma nededussi che proprio quel tempo inclemente

rendeva degna di uno sforzo disperato una riunione la cui attrazione eraofferta da due gentiluomini provenienti da New

York.

Nel corso della seratala signora Latouche mi chiese se «non avevo voglia»di mostrare le fotografie a

qualcuna delle giovani signore. Le fotografie erano raccolte in due grandicartelle portate a casa dal figlio checome

meera reduce da un recente viaggio in Europa. Mi guardai attornoe fuicolpito dal fatto che la maggior parte delle

signore possedeva qualcosa d'interesse molto più stimolante che non la piùbrillante delle mie fotografie. Notai anche

peròuna persona sola accanto al caminoche girava lo sguardo nella stanzacon un sorriso appena accennatouna

smania discretacompostache mi parve in contrasto con il suo ostentatoisolamento. La fissai per un momentopoi

comunicai la mia scelta. «Mi piacerebbe mostrarle a quella giovanesignora.»

«Ohbenissimo» raccolse la signora Latouche«è proprio la personaadatta. È il tipo cui piacciono poco le

civetterie... vado subito a dirglielo.» Osservai che se non aveva gusto percerte frivolezzenon era forse la persona più

adatta; ma la signora Latoucheavanzando verso di lei di qualche passoaveva già invocato il suo consenso. «Ne è

felicissima» venne a riferire la padrona di casa; «ed è proprio lapersona adatta... così tranquilla e così intelligente.»

Aggiunse quindi che la signorina si chiamava Caroline Spenceril che servìda presentazione.

Caroline Spencer non era certo una bellezzama nondimenoin un suo mododiscreto e originalesembrava

fatta per piacere. Vicino alla trentinacosì per lo meno si potevasupporreaveva i modi di una ragazzina e la carnagione

di una bimba. L'acconciatura era delle più graziosecon i capelliaccomodati secondo la foggia delle statue greche

benché tutto lasciasse dubitare che avesse mai visto una statua greca. Ilsuo aspettocomunqueun che di «artistico»

l'avevane conclusiper quanto le polari influenze di una città come NorthVerona potessero autorizzareo assecondare

aspirazioni di questo genere. Gli occhi erano forse un po' troppo rotondi etroppo ostinatamente attonitima le labbra

suggerivano un temperamento di mite risolutezzamentre i dentiquando lilasciava intravvedereerano incantevoli.

Attorno al collo portava quella che le signore chiamanoalmeno credouna «ruche»agganciata da una

minuscola spilla di corallo rosae in mano reggeva un ventaglio di pagliaintrecciataadorno di un nastrino rosa.

Indossava un abito modesto di seta nera. Si esprimeva con lenta e amabilegraziacurandosi quasi di evitare che un

sorriso potesse mettere in mostra la bella dentaturae sembrava altresìalquanto lietae persino un po' emozionata

all'idea della mia esibizione. La quale peraltro prese inizio in tutta calmadopo che ebbi raccolto le cartelle dall'angolo

in cui si trovavano e sistemato due sedie vicino a una lampada.

Conoscevo quelle fotografie a memoriapraticamente: ampie vedute di paesaggisvizzeriitalianispagnoli

immagini di edifici famosidi quadridi statue. Le commentavo una per unacon le cose che sapevoe la mia compagna

osservandole mentre via via le venivo estraendo dalla cartellasedeva inperfetta immobilità e con il ventaglio di paglia

grazie a un movimento al tempo stesso delicato e quasi eccitatodistrattamente si accarezzava il labbro inferiore. Di

quando in quandomentre riponevo le fotografie già mostrateosavachiederema senza familiaritàche sarebbe stata

decisamente fuori luogo: «L'avete davvero visto questo posto?» Quasi semprerispondevo che vi ero stato svariate volte

- avevo viaggiato moltoanche se in qualche modo ero stato ammonito a nonvantarmene - e allora avvertivo il suo

sguardo posarsi per un attimo su di me. Le avevo già chiestoall'inizioseera mai stata in Europa; al che aveva risposto

«Nonono» quasi trattenendo il respirocome se l'immagine di un simileavvenimentoper la sua solennitànon

ammettesse di essere tradotta in parole. Maa parte ciòbenché nontogliesse mai lo sguardo dalle fotografieparlò

talmente poco da farmi temere chein fondosi stesse annoiando. Cosìunavolta esaurita la prima delle due cartellele

offriiqualora lo preferissel'opportunità di smettere. Da un lato mipareva di capire che la mia esibizione l'interessasse

ma mi incuriosiva la sua reticenza e desideravo provocarla perché parlasse.Girai lo sguardo verso di lei per giudicare

meglio e fu così che mi accorsi che un lieve rossore le aveva coperto leguance. Continuò ad agitare il ventaglio avanti e

indietro. Eevitando di guardarmimantenne gli occhi fissi al resto dellacollezioneal contenitore appoggiato sul

tavolo.3

«E quelle lì non volete mostrarmele?» domandò con voce esitante e ilrespiro ansante di chi si è tuffato ma non

sa bene come restare a galla.

«Con piacere» risposi«se davvero non vi annoiate.»

«Nient'affatto. Anzisono letteralmente affascinata.» E mentre tiravo a mel'altra cartellavi appoggiò sopra la

manoaccarezzandola amabilmente. «Siete stato anche qui?»

La mia conferma venne non appena aprii la cartella. Una delle primefotografie mostrava una veduta del

castello di Chillonsul lago di Ginevra. «Quipoi» dissi«sono statopiù di una volta. Incantevolevero?» E feci un

cenno al nitido riflesso delle rocce ardite e delle aguzze torri nell'acquaimmobile e chiara.

Non la udii rispondere «Meraviglioso!»ché anzi scostò da un latol'immagine per ammirare la successiva.

Stette in contemplazione qualche istanteper poi domandare se non sitrattava del luogo dove era stato confinato

Bonnivarddi cui scrisse Byron. Assentiitentando di citare i versi delpoeta in propositoma senza riuscire a ricordarli

con esattezza.

Caroline si fece vento prendendo tempodopo di che ripeté i versicorrettamentecon voce dolce e senza

inflessionima con toccante convinzione. Una volta esaurita la citazionetuttaviaarrossì. Le espressi i miei

complimenti e le assicurai che mi pareva perfettamente preparata a visitarepaesi come la Svizzera e l'Italia. Mi sbirciò

nuovamente di traversoper scoprire se non stessi scherzandoe io aggiunsiche se le premeva di riconoscere in quei

luoghi le descrizioni di Byrondoveva affrettarsi a organizzare quel suoviaggiodato che l'Europa andava tristemente

«sbyronizzandosi». «E quanto tempo mi rimarrebbesecondo voi?» indagòallora.

«Ohdieci anninon più.»

«Benese è così credo proprio che ce la farò» rispose come misurandole parole.

«Vi piacerà senz'altro» incalzai; «sono sicuro che vi interesseràimmensamente.» In quel preciso momento mi

capitò fra le mani la fotografia di un cantuccio di una città straniera cheavevo particolarmente amatoe che richiamava

alla mia mente tenere memorie. Ne parlai (così almeno suppongo) conconsiderevole partecipazione; e la mia compagna

sedeva in ascoltotrattenendo il fiato.

«Avete soggiornato a lungo in questo luogo?» chiese dopo un po' che avevosmesso di raccontare.

«Sìse si sommano tutte le volte...»

«Avete viaggiato veramente dappertutto?»

«È stata la mia principale occupazione. Mi piace viaggiare e poi ho avutola fortuna di poterlo fare.»

Di nuovo posò su di me lo sguardoscrutandomi con quella sua delicatamalizia. «Conoscete le lingue

straniere?»

«In un certo senso.»

«È difficile parlarle?»

«Non credo che lo trovereste così difficile» risposi volutamente galante.

«Ohma iopiù che di parlare... mi accontenterei di ascoltare.» Unabreve pausapoi aggiunse: «Dicono che il

teatro francese sia tanto bello.»

«Ah... il migliore del mondo.»

«Vi siete stato sovente?»

«Durante il mio primo soggiorno a Parigi vi andavo ogni sera.»

«Ogni sera!» E spalancò i suoi occhi limpidi. «Questo è per me...»indugiò leggermente sulle parole«come

come un racconto di fate.» Epoco dopo: «Qual è la nazione chepreferite?»

«Ve n'è una che amo più d'ogni altra. Epensolo stesso sarebbe pervoi.»

Il suo sguardo si bloccò per un istantecome per un'oscura divinazionepoisussurrò: «L'Italia?»

«L'Italia» sospirai anch'io; e per un po' indugiammo in quel comunepensiero. Mi apparve così bellacome se

invece di mostrarle fotografie ci avessi fatto l'amore.

Quasi a voler suffragare quell'immaginegirò la testa dall'altra partearrossendo. Vi fu una pausache fu lei

stessa ad interrompere per dire: «È proprio lì dovein particolarepensavo di recarmi.»

«Ed è il posto giusto... credetemi: il posto giusto!» sorrisi io.

Sfogliò ancora due o tre fotografie in silenzio. «Dicono che non sia moltocara.»

«Rispetto ad altri paesi? Behsicuramente si riceve per ciò che si paga.Il che non mi pare sia un'attrattiva da

poco.»

«Ma è tutto veramente caronon è così?»

«L'Europaintendete dire?»

«Andare laggiùviaggiare. È stato sempre il mio problema. Posseggo pocodanaro. Sapetesono soltanto

un'insegnanteio» lamentò Caroline Spencer.

«Certo che un po' di danaro ci vuole» ammisi; «ma ce la si può fare conuna somma modesta: basta spenderla

con giudizio.»

«Sìpenso che potrei farcela. Ho risparmiato e risparmiato; e qualcosacontinuo ad aggiungere giorno per

giorno. E solo per questo.» Si trattenne un attimopoi continuò con ansiacontrollatacome se farmi quelle confidenze

rappresentasse una rara ma fors'anche impura soddisfazione. «Vedetenon èstato solo il danaro a fermarmi... c'è tutto il

resto. Tutto mi si è messo contro. Ho aspettato e aspettato. E intanto hosognato ad occhi aperti. Mi fa persino paura

parlarne. Due o tre volte ci sono arrivata vicino... mapoimi è capitatodi parlarnee il mio sogno è svanito. Ne ho

parlato troppo» precisò con evidente esagerazionepoiché mi resi contoche la sua espressione era segnata da una4

leggera estasi trepidante. «Una signorauna mia grande amica... nolei nondesidera fare questo viaggioma io non le

parlo d'altro. Probabilmente la starò annoiando a morte. Qualche giorno fami ha detto che chissà dove andrò a finire...

Secondo lei diventerò pazza se non partiròma anche se partirò.»

«Allora» risi io«dal momento che siete ancora quidevo dedurne chesiete già pazza.»

Accolse la mia battuta con una certa serietà. «Probabilmente lo sonodavvero. Mi sembra di non riuscire a

pensare ad altroe non ho bisogno di fotografie per stimolarmi la fantasia!La testal'ho sempre là... Al punto che non

presto più interesse alle cose di tutti i giorni... alle faccende di casa. Equestasicuramenteè una sorta di pazzia.»

«In questo casonon c'è che un rimedio: mettersi in viaggio» sorrisi.«Voglio dire: il rimedio per questo genere

di pazzia. Poi c'è l'altro tipoovviamentequello che potrebbe capitarviuna volta laggiù. E che non è detto che non

possa risultare anche peggiore.»

«Ad ogni modoun giorno o l'altro conto di andarci!» esclamò leiquasiesultante. «Ho un parente da quelle

partisul posto» continuò«credo che lui saprà tenermi a bada.»

Espressi a mia volta la speranza che così potesse avvenire. Non ricordo piùse guardammo qualche altra

fotografiafatto sta che a un certo punto le chiesi se fosse sempre vissutalì dove l'avevo incontrata. «Ohnosignore»

rispose lei con velata impazienza«ho trascorso ventidue mesi e mezzo aBoston.» Accolsi queste parole con

l'inevitabile battuta chein questo casole terre straniere avrebberopotuto provocarle una delusionema non riuscii ad

allarmarla. «Le conosco meglio di quanto possiate immaginare» ancora unavolta la sua serietà non fu scalfita.

«Intendo dire attraverso la lettura; ho letto davvero moltissimo. Credoinveritàdi essermi preparata come di più non si

possa... prima. Non ho letto solo Byronho letto libri di storiaguidearticoli e tante altre cose. So già che tutto mi farà

andare in delirio.»

«Dire ‹tutto› è forse troppo; ma capisco il vostro stato d'animo»replicai. «Vi ha colpito la grande malattia

d'Americae in modo grave per di più: la bramamorbosa e mostruosaper icolori e le formeper il pittorescoper il

romantico ad ogni costo. Non ho mai capito se veniamo al mondo dotati di taledesiderio... con i suoi germi annidati

dentro prima ancora dell'esperienza; o sepiuttostol'infezione ci contagiaprestoquasi prima che ci si sviluppi la

coscienza... sentiamoappena ci guardiamo intornoche (per salvarele nostre animeo almeno i nostri sensi) ci

sbatteremo controcon forza. Siamo come viaggiatori nel desertoprivid'acqua e vittime del terribile miraggioil

tormento dell'illusionedella febbredella sete. Si ode lo scorrere d'acquanelle fontanesi vedono verdi giardini e

fruttetilontani in realtà centinaia di mig lia. Così è per la nostra sete:solo che per noi è ancor più meraviglioso:

abbiamo di fronte agli occhi quegli antichi splendori che non abbiamo maivistoe quando infine li possiamo ammirare

- se ne abbiamo la fortuna - non facciamo che riconoscerli! L'esperienza silimita a confermare e consacrare il nostro

sogno pieno di speranza.»

Mi ascoltavagli occhi sempre più rotondi. «Il modo in cui ne parlate èincantevoletroppo: sono sicura che

avete ragione. Ho sognato di ogni cosa... è come se conoscessi tutto!»

«Temo» continuai a giocare l'innocente commedia«che abbiate sprecato unbel mucchio di tempo.»

«Ohcerto! E questo è stato sicuramente il mio torto più grave!» Lepersone intorno a noi avevano cominciato

ad allontanarsi; prendevano commiato. Caroline si alzòmi tese la manotimidama luminosa e trepidante.

«Io torno laggiù... come fare altrimenti?» dissi mentre le stringevo lamano. «Spero di incontrarvi.»

Sìla sua febbre di fede esultante la pervase rischiarandola tutta.«D'accordo... anche per dirvi se sarò o no

delusa.» E si allontanòagitandonon senza una certa espressivitàilsuo grazioso ventaglio di paglia.

II

Alcuni mesi dopoattraversai di nuovo l'oceanodiretto a oriente; epassarono così quasi tre anni. Mi ero

stabilito a Parigida dovesul finire di ottobremi recai a Le Havre perincontrare mia sorella e suo marito che mi

avevano comunicato il loro arrivo. Raggiunsi il porto con due o tre ore diritardoe trovai il piroscafo già in banchina.

Corsi quindi all'albergodove i nuovi arrivati si erano debitamentesistemati. Mia sorelladata la sua scarsa confidenza

con il mareaveva patito molto il viaggio. Si era quindi ritirata in cameramalandata e stanca: per il momentonon

desiderava altro che riposare indis turbata; cosìmi ricevette soltanto percinque minutiil tempo necessario perché

decidessimo di rinviare il viaggio a Parigi al giorno seguenteperconsentirle di rimettersi in forze. Mio cognatoin

ansia per la moglienon voleva lasciarla sola in camera; ma mia sorellainsistette perché io lo portassi con me a fare una

passeggiatagiusto per rinfrancarsi lo spirito e sgranchirsi le gambe.

Quella giornata d'autunno precoce era caldaincantevolee la nostrapasseggiata per le vie affollate e vivaci di

colori di quel vecchio porto franceseci risultò particolarmente gradevole.Percorremmo le banchine assolate e

chiassoseper poi imboccare un ampio e piacevole viale conteso a metà tral'ombra e la luceuna tipica strada della

provincia francese che ricordava tanto un vecchio acquerello: case alte egrige a più pianitetti aguzzi e abbaini rossi

persiane verdi alle finestredecorate da antichi motivi floreali in ferrobattutovasi di fiori ai balconi e donne in cuffia

bianca sulle soglie. Camminavamo dalla parte in ombrae di qui la scena inmovimento dal lato del solesembrava una

cartolina. Avanzavamo in attenta osservazione quandodi colpomio cognatosi fermòafferrandomi per il braccio e

fissando gli occhi su qualcosa. Seguii il suo sguardo e mi accorsi che cieravamo arrestati a pochi passi da un caffè

sotto la cui verandasul marciapiedeerano disposti parecchi tavolini contre o quattro sedie ciascuno. Dietro

s'intravvedevano le vetrine aperte; accanto all'ingressoerano allineate unadozzina di piante in grossi mastelli verdi; al5

suoloun sottile strato di segatura pulita. Insommaun grazioso etranquillo caffè vecchio stile; all'internoin una luce

ormai quasi crepuscolarescorsi una bella donnaalta e robustaconl'acconciatura adorna di nastrini rosa: appollaiata su

uno sgabelloincorniciata alle spalle da uno specchiosorrideva a qualcunoche si trovava al di fuori della nostra

visuale. A dire il veroquesto particolare lo potei notare solamente piùtardi; all'inizioinfattiavevo fermato

l'attenzione su una signora seduta da sola a uno dei tavolini di marmo sottola veranda esterna. Era lei che mio cognato

si era fermato a guardare. Le avevano servito qualcosa da berema leirimaneva appoggiata allo schienale della sedia

immobile e con le mani in grembogli occhi sulla stradadalla parte oppostaalla nostra. Non potei scorgere che il suo

profiloe di sfuggitamasull'istanteprovai la certezza di aver giàincontrato quella donna.

«La signorina della nave!» esclamò il mio compagno.

«Ha fatto il viaggio con voi?» chiesi incuriosito.

«Dalla mattina alla sera. Non ha mai sofferto il mare. Se ne stava sedutatutto il tempo sul ponte della nave

con le mani incrociatecom'è orae lo sguardo perduto all'orizzonteversooriente.»

«Intendi rivolgerle la parola?»

«Non la conosconon le sono stato presentato. Non ero certo in vena di fareil galante... Ma sono rimasto molto

ad osservarla e - chissà mai perché - mi ha incuriosito come tipo. Unacarapiccola yankee. Mi son fatto l'idea che sia

una maestrina in vacanza... grazie a una borsa di studio procuratale dai suoiscolari.»

In quel momentola donna aveva girato il capo in modo da mostrare meglio ilprofiloe stava ad ammirare le

facciate strette e grige delle case di fronte. Al chepresi la miadecisione. «Le parlerò io.»

«Io non lo farei... ha l'aria molto timida» disse mio cognato.

«Tranquilloragazzo mio. È una mia vecchia conoscenza. Una voltaa untèle mostrai delle fotografie.» Così

dicendoavanzai verso di leifinché girò lo sguardo verso di me ed io nonebbi più alcun dubbio sulla sua identità. La

signorina Caroline Spencer aveva realizzato il suo sogno. Ma lei non fualtrettanto pronta nel riconoscermimostrando

anzisulle primeun leggero stupore. Accostai una sedia al suo tavolo e miaccomodai. «Allora» dissi«spero proprio

che non siate delusa!»

Sgranò gli occhiarrossendo appena... poi ebbe un leggero sussultoilsegnale che mi aveva collocato nella sua

memoria. «Foste voi a mostrarmi quelle fotografie... a North Verona.»

«Proprio io. E devo dire che trovo questa coincidenza davvero incantevole:non vi pare giusto che sia proprio

io ad accogliervi qui... a darvi il benvenuto ufficiale? Fui io a parlarvicosì tanto dell'Europa.»

«Tantosìma non troppo. Oh! Mi sento così intensamente felice!»dichiarò lei.

E molto feliceveramentesembrava. Non una traccia di invecchiamento inlei: severamentemodestamente

onestamente graziosa come la ricordavo. Se allora mi aveva colpito come unpallido fiore puritanodallo stelo delicato e

dalle tinte gentilisi può ben immaginare come orain quella circostanzaquel bocciuolo luminoso non potesse essere

meno seducente. Accanto a leiun anziano gentiluomo sorseggiava una bevandaall'assenzio; edietro di leila dame de

comptoir dai nastrini rosa chiamava «AlcibiadeAlcibiade!» indirezione di un cameriere dal grembiale lungo. Spiegai

alla signorina Spencer che il signore che mi accompagnava aveva fatto ilviaggio in nave con leial che mio cognato si

avvicinò per essere presentato. Caroline Spencertuttavialo guardò comese non lo avesse mai visto primae ricordai

allora quanto mio cognato aveva detto a proposito degli occhi di leicostantemente persi all'orizzonte. Evidentemente

non doveva averlo neppure notato nédel restotentò di pretendere ilcontrario; gli regalò anzi un timido sorrisoquasi

di scusa. Io mi fermai con lei sulla terrazza del caffèmentre il miocompagno rientrava in albergo dalla moglie. Feci

osservare alla mia giovane amica che quell'incontroimmediatamente dopo ilsuo sbarco in Europatra tutte le cose che

potevano succedereaveva in sé un che di miracolosoma che ero propriofelice di esser lì ad accogliere le sue prime

impressioni.

«Ohtemo di non poterle dire ancora nulla» disse lei «...è come se misentissi in un sogno. Da un'ora sono qui

sedutae non vorrei muovermi mai più. Tutto è così deliziosoromantico.Non soforse il caffè mi avrà dato alla testa...

è così diverso dal caffè del mio sepolto passato.»

«Certo che» replicai«se vi entusiasmate tanto per questa poveraprosaica Le Havre non vi resterà più

ammirazione per il meglio che ha da venire. Non esaurite i vostri slancitutti al primo giornoricordate... è la vostra

lettera di credito intellettuale. Pensate ai luoghi e alle cose meraviglioseche vi attendonoall'adorabile Italia di cui

parlammo.»

«Nonon ho paura di rimanere a corto d'entusiasmo» mi disse con allegraspensieratezzae sempre ammirando

le facciate delle case di fronte. «Potrei starmene seduta qui tutto ilgiorno... anche solo per continuare a ripetermi che ci

sonoche sono qui finalmente. È così scuro e strano... così antico ediverso.»

«A proposito» domandai«come mai siete finita in questo bizzarro luogo?Non avete cercato camera in un

albergo?» Erolo confessoalquanto divertito e al tempo stesso allarmatodi fronte all'ingenuità con cui quella donnina

fragile e delicata si era sistematain apparente isolamentosu unmarciapiede.

«Mio cugino m'ha portata qui e... poco fa... m'ha lasciata sola» rispose.«Ricordate? Vi dissi d'avere un parente

in Europa. È ancora qui... un cugino primo. Ebbene» continuò coninoffuscato candore«mi è venuto incontro al

piroscafoquesta mattina.»

Era assurdo... tanto più che non erano affari miei; eppureprovai a quelleparole un acuto senso di disagio.

«Non capisco perché vi sia venuto a cercare per poi lasciarvi sola tantopresto.»

«Ohsolo per mezz'ora» ribatté Caroline Spencer. «È andato a prendereil mio danaro.»

Il mio stupore aumentava. «E dove si trova il vostro danaro?»6

Rari erano i suoi sorrisieppure a quel punto fu con una risata cheanticipò la gioia di ciò che stava per dire.

«Mi fa sentire molto importante dirvelo! È in assegni circolari.»

«E dove sarebbero i vostri assegni circolari?»

«In tasca a mio cugino.»

Tale fu il candore di questa affermazione che - non saprei dire perché mai -provai dentro di me una sensazione

di gelo. Al momentoquel mio disagio non trovava alcuna giustificazionevisto che nulla sapevo del cugino della

signorina Spencer. Anzidato che faceva parte della famiglia di lei - caradolcerispettabile persona -se prevenzione

doveva esserci non poteva che giocare a suo favore. Nondimenomi inquietòil pensiero cheme zz'ora dopo il suo

sbarcole sue povere finanze fossero passate nelle mani di costui. «Pensadi viaggiare con voi?» le chiesi.

«Solamente fino a Parigi. È studente di belle arti a Parigi... Gli avevascritto del mio arrivoma mai mi sarei

aspettata di vederlo alla nave. Contavopiuttostoche mi avrebbe atteso altrenoa Parigi. Molto gentile da parte sua.

Del restoè davvero» disse Caroline Spencer«un tipo molto gentile... emolto in gamba.»

Tutto d'un colpomi scattò una strana curiosità di conoscere questo cuginotanto in gamba e studente di belle

arti a Parigi. «È andato in banca?» indagai.

«Sìin banca. Mi ha accompagnata ad un albergo prima... un posticinostranocaratteristicocon un cortile al

centro e un ballatoio tutt'attornoe una deliziosa padrona con una cuffiatutta a pieghe e un vestitino che le sta alla

perfezione! Dopo un po'siamo usciti per andare in bancapoiché non avevocon me danaro francese. Ma ero ancora

piuttosto stordita dal viaggioe ho pensato fosse meglio sedermi tranquilla.Mio cugino mi ha trovato questo posto... e si

è offerto di andare lui in banca. Devo aspettare che torni qui.»

Il suo racconto non faceva una grinza e la mia impressione era quindiassolutamente infondatama mi passò

per la mente l'idea che il gentiluomo non si sarebbe più fatto vivo. Misedetti comodo accanto alla mia amica e decisi

fra me e me di attendere gli eventi. Caroline Spencer era assorta nella suaestasi e nell'osservazione di tutto ciò che ci

circondava... sollecita nell'ammirare e riconoscere ogni particolare concommovente intensità. Notava tutto ciò che il

movimento della strada portava davanti ai nostri occhi: le bizzarre fogge deicostumile forme delle carrozzei grossi

cavalli di Normandiai preti panciutii barboncini col pelo tosato. Diognuno di questi soggetti parlavamoe vi era

come un incanto nella freschezza della sua percezione e nel modo in cui lasua fantasia nutrita di letture si destava per

quella festa.

«E che avete intenzione di fare quando tornerà vostro cugino?» ripresi io.

E Caroline rispose non senza una certa misteriosa esitazione: «Non sappiamobeneancora.»

«Quando contate di andare a Parigi? Se partite con il treno delle quattroavrei il piacere di fare il viaggio con

voi.»

«Non credo sarà possibile.» E in ciò apparve più decisapreparata.«Mio cugino è dell'avviso che sia meglio

che io mi trattenga qui qualche giorno.»

«Oh!» esclamai io... e per cinque minuti non ebbi nulla da aggiungere. Mistavo chiedendo cosa maiper dirla

in parole semp liciil nostro assente avesse «per la testa». Guardai lastrada in lungo e in largoma non notai nulla che

potesse somigliare a un gentile e brillante studente americano di belle arti.Per controalla finemi presi la libertà di far

notare che Le Havre era tutt'altro che una delle tappe estetiche da scegliereper un giro turistico in Europa. Era un luogo

di comodoniente di più: un posto di transitoda cui passare in tuttafretta. Raccomandai alla signorina Spencer di

partire per Parigi con il treno del pomeriggio e di divertirsinelfrattempofacendosi portare all'antica fortezza che si

ergeva all'imboccatura del portouna notevole costruzione dalla strutturacircolare che recava il nome di Francesco

Primo e ricordava vagamente un Castel Sant'Angelo in piccolo. (Avrei potutoin realtà prevedere che sarebbe poi stata

demolita.)

Mi stette ad ascoltare con evidente interesse... poiper un istantesembròassumere un'aria grave. «Mio cugino

mi ha avvertito cheal suo ritornoavrebbe avuto qualcosa di particolare dadirmie che non potevamo fare o decidere

alcunché finché io non ne fossi stata al corrente. Ma lo farò parlaresubitocosì poi potremo andare all'antica fortezza.

Francesco Primoavete detto? Ohma è stupendo! Non c'è alcuna fretta diandare a Parigi; abbiamo tutto il tempo...»

Atteggiò le labbra a un severo sorriso nel pronunciare queste ultime paroleil che non mi impedìosservandola

intenzionalmentedi sorprendere nei suoi occhi - almeno così credetti - unfugace lampo di apprensione. «Non ditemi»

interferii«che questo sciagurato sta per darvi una cattiva notizia!»

Arrossìcome consapevole di una nascosta perversitàma era ormai salitatroppo in alto per cedere. «Diciamo

che mi aspetto qualcosa di un po' spiacevolema nulla di veramentecattivo. Ad ogni mododevo sentire di che si

tratta.»

Non mi feci scrupolo di assumere una certa autorità. «Questa è bella! Nonsiete venuta in Europa per stare a

sentire... siete venuta qui per vedere!» Oracomunquesapevo che ilcugino sarebbe tornatoinfallibilmentenon fosse

altro perché aveva qualcosa di sgradevole da comunicarle. Restammo sedutiancora un po'e io ne approfittai per

informarmi sui suoi programmi di viaggio. Aveva i nomi delle località sullapunta delle ditae li ripeté con la solennità

della devota di un'altra fede che recita le orazioni d'accompagnamento aigrani del rosario: da Parigi a Digione e ad

Avignonea Marsigliaquindi su per la Cornicheper GenovaLa SpeziaPisaFirenze e Roma. Apparentementenon

doveva mai esserle passata per la testa l'ipotesi di qualche inconvenientenel fatto di viaggiare da sola: quindidato che

non era provvista di un compagnosentii come dovere di cortesia l'inutilitàdi allarmare il suo senso di sicurezza.

Finalmentesi fece vivo suo cugino. Lo vidi avanzare verso di noi da unaviuzza laterale edall'istante in cui i

miei occhi si posarono su di luiebbi la certezza che non poteva chetrattarsi del brillantese non del gentilestudente7

d'arte americano. Indossava un cappello floscio e una giacchetta di vellutonero scoloritocome mi era capitato spesso

di vederne in Rue Bonaparte. L'allacciatura della camicia lasciava scopertoin parte un collo chevisto a distanzanulla

aveva di statuario. Altomagroaveva i capelli rossi e le lentiggini. Ebbiil tempo di catturare questi dettagli mentre egli

si avvicinava al caffèfissandomi con naturale sorpresa da sotto le faldedel suo romantico copricapo. Una volta che ci

fu accantonon esitai a presentarmi come una vecchia conoscenza dellasignorina Spencercon attributi che lei

serenamente mi consentì di invocare. Lo studente mi squadrò coi suoiocchietti rossi e acutipoi mi salutòalla moda

europeasventolando solennemente il suo scolorito sombrero.

«Voi non eravate a bordovero?» chiese.

«Nonon ero a bordo. È da diversi anni che mi trovo in Europa.»

S'inchinò di nuovocon fare non meno solennee mi invitò a risedermi.Cosa che fecima solo con il proposito

di rimanere ad osservarlo per un momento... mentre mi rendevo conto che eraora di rientrare in albergo da mia sorella.

Il protettore europeo della signorina Spencer aveva tutta l'aria di unindividuo davvero bizzarro. La natura non l'aveva

dotato per un abbigliamento raffaellescotanto meno byronianoe né lagiubba di velluto né il collo in mostranon

proprio nobile come una colonnaerano in armonia con i lineamenti del suovolto. Aveva i capelli tagliati a spazzola e

le orecchie ampiesproporzionate al resto. Esibiva un'affettata disinvolturae un'aria languida e sentimentalein netto

contrasto con gli occhietti accesipenetranti e di indefinibile colore: unmarrone che sfumava nel rossastro. Forse ero

prevenutoma quel suo modo di guardare mi parve alquanto ambiguo. Perqualche minuto non aprì bocca; sedeva con le

mani appoggiate al bastone da passeggio e con gli occhi seguivasu e giùimovimenti lungo la strada. Infine

sollevando appena il bastone e usando la punta per indicare qualcosa«Proprio una bella pennellata di colore...»buttò lì

con fare scontato. Aveva il capo girato da un lato... e intanto strizzava lesue brutte palpebre. Seguii la direzione del

bastone; l'oggetto indicato era un drappo rosso appeso fuori a una vecchiafinestra. «Davvero un bel tocco di colore»

riprese; e senza alterare la posizione della testa trasferì la fessura delsuo sguardo su di me. «Buona composizione.

Delicata sfumatura. Un bell'insieme.» Così parlò con voce ordinaria epriva di fascino.

«Vedo che avete un certo occhio» raccolsi io. «Vostra cugina mi diceappunto che studiate belle arti.» Seguitò

a guardarmi allo stesso modosenza rispondereed io ripresi con deliberatacortesia: «Suppongo che lavoriate nello

studio di qualche grande.» Non smise di fissarmipoi fece il nome di unodei più famosi del tempo; al che mi sentii

autorizzato a chiedergli cosa pensava del suo maestro.

«Capite il francese?» domandò a sua volta.

«Me la cavo.»

Mi tenne gli occhietti addosso; e osservò: «Je suis fou de la peinture

Ah! Capisco cosa volete dire!» ribattei. La nostra compagna appoggiò lamano sul braccio di lui in un gesto di

compiaciuta e trepida emozione; era delizioso trovarsi fra persone per lequali le lingue straniere non avevano segreti.

Mi alzai per congedarmi e chiesi a lei quandoa Parigiavrei avuto l'onoredi rivederla. A quale albergo sarebbe scesa?

Caroline si rivolse al cugino con espressione interrogativa ed egli mi degnònuovamente della sua languida

smorfia. «Conoscete l'Hôtel des Princes?»

«So dove si trova.»

«Ebbeneproprio lì.»

«Le mie congratulazioni» dissi alla signorina Spencer. «A mio avvisoèil miglior albergo del mondo; manel

caso mi rimanga un momento per vedervi quidove siete alloggiataattualmente?»

«Ohha un nome tanto grazioso» rispose divertita: «À la Belle Normande.»

«Credo di conoscere i posti giustiio!» s'intrufolò il cuginoil qualementre mi allontanavo da loronon mancò

di salutarmi con un ampio roteare del suo spavaldo copricapoil cuiondeggiare ricordava tanto quello di una bandiera

su di un campo conquistato.

III

Risultò che mia sorella non si era ristabilita abbastanza da poter lasciareLe Havre con il treno del pomeriggio;

cosìmentre cominciava a calare il crepuscolo autunnalemi ritrovai liberodi fare un salto all'albergo nominato dai miei

amici. Devo confessare di aver speso buona parte di quell'intervallo di tempoa chiedermi cosa mai poteva essere la cosa

spiacevole che il meno attraente dei due personaggi aveva da comunicareall'altro. L'auberge della Belle Normande

risultò essere una locanda in un'oscura stradina lateraledove mi fecepiacere pensare che la signorina Spencer doveva

aver trovato colore locale in abbondanza. C'era un cortiletto mezzofatiscentedove si svolgeva buona parte delle

operazioni connesse con gli ospiti della casa; c'era una scala che portavaalle camere da letto arrampicandosi sulla

parete esterna del muro; c'era una fontanella gocciolante con al centro unastatuetta di stucco; c'era un ragazzettocon

berretto bianco e grembiuleche stava lustrando dei recipienti di rameaccanto alla massiccia porta della cucina; c'era

una padrona di casaalquanto ciarlieracon un corpetto di pizzo inamidatoche andava sistemando albicocche e uva a

mo' di piramide artistica su di un piatto rosa. Gettai un'occhiata intornoesu una panchina verdedavanti a una porta

aperta che indicava la salle-à-mangerriconobbi Caroline Spencer. Mibastò posarle gli occhi addosso per intuire che

qualcosa era accaduto dal mattino. Appoggiata allo schienale della panchinale mani intrecciate in gremboteneva gli

occhi immobili verso l'altro lato del cortiledove l'albergatrice stavasistemando le albicocche.8

Ma non ci volle molto a capire chepovera caranon stava pensando allealbicocche e tanto meno alla padrona

di casa. Aveva lo sguardo perduto nel vuotoassorto; a distanza piùravvicinataavrei potuto giurare che aveva appena

smesso di piangere. Andai a sedermi accanto a lei prima ancora che mivedesse; poiquando si accorse della mia

presenzasi limitò a girarsi verso di mesenza sorpresamostrandomi ilsuo volto triste. Qualcosa di molto brutto era di

certo accaduto; era completamente trasformataed io l'affrontaiimmediatamente. «Vostro cugino deve avervi dato

cattive notizie. Avete passato un momento terribile.»

Per un po' non disse nullae immaginai che avesse paura di parlare per nonscoppiare di nuovo in lacrime. Poi

mi passò per la mente che in quelle poche ore dopo il mio congedo potesseaverle consumate tutte... e che ciò la rendeva

ora così intensamentestoicamente composta. «Il mio povero cugino è ingran pena» rispose infine. «Le sue notizie

erano davvero brutte.» E dopo una pausa di dolorosa consapevolezza: «Avevaun urgente bisogno di danaro.»

«Del vostro danarovolete dire?»

«Di tutto quello che poteva procurarsi... onestamentes'intende. E nonc'era che il mio... beha disposizione.»

Ahera come se l'avessi saputo sin dal primo momento! «Cosìimmagino cheve l'abbia già preso.»

Riusciva ancora a controllarsima nel frattempo la sua espressione si erafatta supplichevole. «Gli ho dato ciò

che avevo.»

Ricordo l'accento messo su quelle parole come il suono umano più angelicomai udito prima... e ciò mi fece

balzare in piediquasi mi sentissi colpito da un oltraggio. «Santo cielosignorinavoi questo lo chiamate un modo di

procurarsi il danaro ‹onestamente›?»

Avevo forse esagerato... lei arrossì fin negli occhi. «Non parliamone.»

«Dobbiamo parlarneinvece» esclamai lasciandomi sedere di nuovoaccanto a lei. «Io vi sono amico... e

parola miaintendo proteggervi; mi sembra proprio che ne abbiate bisogno.Che succede con questo vostro straordinario

cugino?»

Orapareva perfettamente in grado di parlare. «È tremendamenteindebitato.»

«Non discuto che lo sia! Ma non vedo perché dobbiate essere voi a pagareper luie con tanta fretta!»

«Sapetemi ha raccontato tutti i suoi guai. Sono talmente addolorata perlui.»

«Se è per questoanch'io lo sono! Ma spero bene» aggiunsi severamente«che vi restituisca immediatamente il

danaro.»

Questa volta la sua risposta fu pronta. «Certo che lo farà... non appenagli sarà possibile.»

«E quando diamine potrà?»

La sua lucidità non venne meno. «Quando avrà terminato il suo grandequadro.»

Quella dichiarazione mi colpì in pieno viso. «Mia cara signorinaaldiavolo il suo grande quadro! Dov'è ora

questo sciagurato?»

Per un momentofu come se mi lasciasse pensare che la stavo torturando conle mie domande!... per quanto

come risultòegli si trovasse esattamente dov'era naturale che fosse. «Stacenando.»

Girai la testa e diedi un'occhiataattraverso la porta spalancatadentro lasalle-à-manger. E lìovviamente

soloa capo di una lunga tavolasedeva l'oggetto della compassione dellamia amica: il brillanteil gentile studentello di

belle arti. Stava cenando con troppa concentrazione per avvertire in anticipola mia presenzama nell'atto di posare sulla

tavola un bicchiere ben svuotato di vinosi rese conto che lo stavoosservando. Concesse una pausa al suo pasto econ

la testa reclinata da un lato e le magre mandibole ancora impegnate in unlento movimento di masticazionetenne testa

al mio sguardo fissandomi. Intantoquasi sfiorandocici passò accantofrusciantela padrona di casa con la sua

piramide di albicocche.

«E questo delizioso piatto di frutta è per lui?» lamentai.

Caroline Spencer gettò al piatto uno sguardo tenero. «Sanno disporre ognicosa con tanto garbo!» si limitò a

sospirare.

Mi sentii inerme e irritato. «Suandiamo... pensate davvero che siacorretto che quel bellimbustoalto e grosso

debba intascarsi i vostri quattrini?» Caroline distolse gli occhi da me...era evidente che la facevo soffrire. Il caso era

senza speranza; il bell'imbusto aveva «fatto colpo» su di lei.

«Chiedo scusa se parlo di lui senza mezzi termini» aggiunsi. «Ma voisietecredetemitroppo generosa

mentre vostro cuginoè chiaronon possiede neppure un briciolo didelicatezza. I debiti se li è fatti lui... e deve

pagarseli da solo.»

«È stato sventato» rispose caparbiamente «...questo lo so. Mi haraccontato ogni cosa. Ne abbiamo parlato a

lungo questa mattina... il povero ragazzo si è affidato alla mia carità. Hafirmato cambiali per una forte somma.»

«Ancora più sventato!»

«È veramente nei guai... e non solo per se stessoma anche per la suapovera giovane moglie.»

«Ah! Ha pure una giovane moglie?»

«Io non lo sapevo... me l'ha confessato lui. Si è sposato due anni fa... insegreto.»

«E perché mai in segreto?»

La mia interlocutrice si guardò attorno con cautelacome se temesse orecchiindis creti. Poisottovocema con

fare importante: «Era una Contessa!»

«Ne siete proprio sicura?»

«Mi ha scritto personalmente una bellissima lettera.»

«Chiedendovi - senza avervi mai visto prima - del danaro?»9

«Chiedendo la mia fiducia e la mia simpatia»... Caroline Spencer parlavaora con un certo animo. «È stata

trattata crudelmente dalla sua famiglia... come conseguenza di ciò che hafatto per lui. Mio cugino mi ha raccontato ogni

particolaree lei si appella a me in modo molto delicato nella lettera cheho quiin tasca. È una bellissima storia

romanticamolto all'antica» commentò la mia prodigiosa amica. «Erabellagiovanevedova... il suo primo marito era

un Contedi famiglia tremendamente nobilema - sembra - molto cattivo: conlui non era stata affatto felice e alla sua

morte si ritrovò completamente in disgraziadopo che lui l'aveva ingannatain mille modi. Il mio povero cugino

incontrandola in tale situazionemosso forse da una certa compassione e nonmeno affascinato dalla sua persona

capite?» - l'enfasi di Caroline a questo punto era davvero sorprendente! -«non poteva che trovarla disponibile ad

affidarsi anima e corpo a un uomo miglioredopo tutto ciò che aveva patito.Ma quando la sua ‹gente›come dice mio

cugino - e il termine non mi dispiace affatto! - si rese conto che lei lovoleva a tutti i costiluipovero studente d'arte

americanodotato eppure umileperché lo adoravaallora la prozia di leila vecchia Marchesadalla quale la ragazza si

aspettava un'eredità cui seppe rinunciare in nome del suo grande amorelaripudiò nel modo più spietato e neppure la

parola volle più rivolgerlee tanto meno a luidall'alto della suaorgogliosa arroganza. Da queste partisembra che

sappiano come essere arroganti» continuò ineffabilmente... «su questo nonc'è dubbio! Sembra un racconto tratto da un

famoso libro d'un tempo. La famigliaquella della moglie di mio cugino» equesta volta nella precisazione c'era un

certo compiacimento«appartiene alla più antica nobiltà di Provenza.»

Ascoltai quasi affascinato. La povera donna trovava talmente interessante lacircostanza d'essere stata raggirata

da un fiore di quella razza - sempre che una razza o un fiore o un solitariogranello di verità avessero realmente posto in

quella vicenda - da aver praticamente perduto il senso di ciò chesignificava per leiorala perdita di tutti i suoi

risparmi. «Amica mia cara» brontolai«non accetterete di farvi spogliaredei vostri dollari per una simile tiritera!»

La risposta a ciò fu una riconferma della sua dignitàcome un agnellinorosa appena tosato avrebbe fatto. «Non

si tratta di una tiriterae tanto meno verrò derubata. Non potrò certovivere peggio di come ho vissuto finoranon

pensate? Presto potrò tornare qui a stare con loro. La Contessa - cosìcontinua a chiamarla mio cuginocome si usa in

Inghilterrasapete? di mantenere il titolo alle vedove nobili - insisteperché io venga a trovarli qualche volta. Così

penso che il resto potrò farlo in un'altra occasione... e nelfrattempo avrò recuperato il mio danaro.»

Era tutto troppo straziante. «Tornate dunque a casa subito?»

Avvertii il debole tremore della voce che lei eroicamente cercava disoffocare. «Non mi rimane più nulla per il

viaggio.»

«Avete dato tutto?»

«Ho tenuto quanto bas ta per il ritorno.»

Lanciaicredoun vero e proprio gemito d'irae in questo frangente l'eroedella situazioneil felice destinatario

dei sacri risparmi della mia povera amica e dei favori della infatuata grandedamedi cui mi era stato appena dipinto il

ritrattoriapparve spavaldo e palesemente consapevole di un pastomeritatamente guadagnato e ampiamente goduto. Si

trattenne per un istante sulla soglianell'atto di estrarre il nocciolo dauna albicocca paffutella amorosamente conservata

nel palmo della mano; poi si portò il frutto alla bocca ementre ve lalasciava dissolvere compiaciutostette a guardarci

le gambe lunghe leggermente divaricatele mani infilate nelle tasche dellagiacca di velluto. Caroline si alzò

indirizzandogli una timida occhiata che potei cogliere al voloe cheesprimeva un misto di rassegnazione e di

adorazione... le ultime gocce del suo sacrificio accompagnate a uno spasimodi nobile fierezza. Brutto volgare

presuntuoso disonesto come io lo vedevononché destituito della più vagatraccia di plausibilitàeppure era riuscito a

far appelloe con successoalla avida e tenera immaginazione di Caroline.Mi sentivo profondamente disgustatoma

non avevo alcun pretesto per interferiree comunque realizzai che qualsiasitentativo sarebbe stato vano. Nel frattempo

egli agitava la mano in un ampio gesto d'apprezzamento. «Grazioso vecchiocortile. Amabile posticino all'antica. Bella

scala segnata dal tempo. Diverse cosucce simpatiche.»

Decisamentenon ero in grado di sopportarloe senza fargli caso porsi lamano alla mia amica. Caroline mi

guardò per un istante coi suoi occhioni rotondi in quel suo visino candidoe mostrando i bei denti mi fece quasi

supporre che volesse sorridere. «Non siate in pena per me» supplicò consublime garbo. «Sono sicurissima che

qualcosa riuscirò a vedere di questa vecchia cara Europa.»

Mi rifiutai comunque di prendere da lei un vero e proprio congedo... avreitrovato un momento per tornare il

mattino seguente. Il suo disgustoso parenteche intanto s'era rimesso intesta il sombrerolo sbandierò come al solito

suo con un inchino mentre io mi allontanavo in tutta fretta.

Tornai di buon'ora il mattino dopoe nel cortile della locanda incontrai lapadronadecisamente più trascurata

nell'abbigliamento che non la sera precedente. Quando le chiesi dellasignorina Spencer«Partiemonsieur» rispose la

buona donna. «È partita ieri sera alle diecicon il suo... il suo... nonsuo maritovero?... insommacol suo Monsieur.

Sono scesi alla nave in partenza per l'America.» Mi girai di scatto...sentivo gli occhi riempirsi di lacrime. La povera

ragazza era rimasta qualcosa come tredici ore in Europa.

IV

Per quel che mi riguardaiopiù fortunatocontinuai ad abbandonarmi aglieventi così come mi si

presentavano. Durante tale periodo - all'incirca cinque anni - perdettil'amico Latouchemorto di febbre malarica nel

corso di un viaggio nel Levante. Una delle prime cose che fecial miorientro in Americafu una scappata a North10

Verona per una visita di condoglianze alla povera madre. La trovai sconvoltada una profondo dolore e sedetti con lei

per tutta la mattinata successiva al mio arrivo - ero giunto a notteinoltrata - ascoltando il suo sfogo rotto dal pianto e

tessendo le lodi dell'amico scomparso. Non parlammo d'altroe la nostraconversazione venne interrotta soltanto

dall'arrivo di una piccola donna dall'aria agitata che arrestò bruscamenteil suo calesse sulla soglia di casa Latouche e

che vidi gettar via le briglie sul dorso del cavallo con l'impetuosità dichisvegliato di soprassaltogetta via le coperte

dal letto. Balzò giù dal calesse e con un ulteriore balzo entrò nellastanza. Risultò essere la moglie del pastore nonché

famosa pettegola della cittàed era in quest'ultima vesteevidentementeche aveva qualche bocconcino prelibato da

comunicare. Di questo particolare ero sicurocome pure del fatto che lapovera signora Latouche non era così

irrimediabilmente afflitta da non poterla ascoltare. Mi sembrò discretodaparte miaritirarmi e presi a pretesto il

desiderio di far quattro passi prima del pranzo.

«A proposito» aggiunsi«se voleste dirmi dove abita la mia vecchia amicaCaroline Spencerpenso che andrò

a trovarla.»

La risposta della moglie del pastore fu immediata. La signorina Spencerviveva nella quarta casa dietro la

chiesa battista; la chiesa battista era la costruzione sulla destraconquella buffa cosa verde sulla porta; c'era chi lo

definiva una tettoiama somigliava più che altro alla testata di un lettoall'anticaappesa con le gambe per aria. «Sìfate

bene a visitare la povera Caroline» intervenne la signora Latouche. «Ladistrarrà vedere una faccia diversa.»

«Penserei piuttosto che di facce diverse ne ha già viste abbastanza!» siribellò la moglie del pastore.

«Intendevo dire un visitatore affascinante»... rettificò la signoraLatouche.

«Anche di visitatori affascinantimi risulta che ne abbia vistiabbastanza!» replicò la sua compagna. «Ma non

credo che voi intendiate fermarvi dieci anni» aggiunse dedicandomiuna occhiata significativa.

«È abituata ricevere visitatori di questo tipo?» chiesi nella miaignoranza.

«Lo scoprirete da voi il tipo!» rispose la moglie del pastore. «Sarà laprima persona che incontrerete:

d'abitudine se ne sta seduta nel giardino davanti alla casa. Soltantofateattenzione a ciò che le ditee badate di essere

cortese al massimo.»

«È così sensibile?»

La moglie del pastore scattò in piedi e mi si prostrò di fronte in uninchino... un inchino alquanto sarcastico.

«Se proprio lo volete saperesi tratta di ‹Madame la Comtesse›!»

E nel pronunciare queste titolate parole con il più sprezzante degliaccentiera come se la donnina si

concedesse letteralmente il gusto di ridere in faccia alla persona inquestione. Rimasi per un po' come attonitoa

interrogarmicercando di ricordare.

«Ohsarò molto cortese!» esclamai; eafferrando cappello e bastoneandai per la mia strada.

Individuai senza difficoltà la residenza della signorina Spencer. La chiesabattista si riconosceva a prima vista

e la modesta costruzione che le sorgeva accantodi un bianco scoloritoconun gruppo di camini al centro del tetto e

una vite del Canadàsembrava il rifugio naturale e ideale per una zitellain ritiro con il gusto per certe apparenze

d'effetto ottenute a poco prezzo. Avvicinandomirallentai il passo: erostato avvertito che qualcuno stava sempre seduto

nel giardino davanti alla casae mi allettava l'idea di una piccolaricognizione. Scrutai con cautela sopra il basso

steccato bianco che cingeva l'area dedicata all'angusto giardino separandoladalla strada non lastricatama nulla avvistai

che avesse la forma di una Contessa. Un vialetto diritto conduceva al gradinoconsunto della portasui due lati del quale

vi erano delle piccole aiuole d'erba bordate da cespugli di ribes. Al centrodell'erbasia a destra che a sinistrasi ergeva

un imponente melocotognocarico d'anni e di contorsionie sotto i rami diuno dei due erano sistemati un tavolo e un

paio di seggioline. Appoggiati sul tavoloun ricamo non terminato e due otre libri in brossura dalle vivaci copertine.

Oltrepassai un piccolo cancello e mi soffermai a mezza via lungo il vialettoispezionando tutt'attorno il luogo in cerca

di un'ulteriore traccia della sua occupantealla quale - non avrei saputospiegarmene il perché - esitavo

improvvisamente a presentarmi. Realizzai in quel momento quanto squallida etrascurata fosse la casa e provai un

subitaneo dubbio circa il mio diritto a penetrarvivisto che la curiositàera stato il mio moventee la curiosità in questo

caso non era confortata da altrettanta confidenza. Mentre indugiavounafigura apparve sulla soglia e stette ad

osservarmi. Immediatamente riconobbi la signorina Spencerche invece misquadrava come se non ci fossimo mai visti

prima. Con delicatezzama con fare serio e un po' intimiditoavanzai versoil gradino della portadove le rivolsi la

parola tentando un tono canzonatorio da vecchi amici. «Ho aspettato chetornaste laggiùma non arrivavate mai.»

«Aspettato... dovesignore?» rispose con voce tremulae intanto i suoiocchi innocenti le si arrotondavano in

volto come un tempo. Era di molto invecchiata; aveva l'aria stanca esciupata.

«Come!» replicai. «Vi ho aspettata in quel vecchio porto francese.»

Sgranò gli occhi ancor di piùpoi mi riconobbesorridendofacendosirossaintrecciando istintivamente le

dita. «Mi ricordo di voi ora... ricordo quel giorno.» Ma stette lì fermasenza né venirmi incontro né chiedermi di

entrare. Era visibilmente imbarazzata.

Anch'io provavo un certo disagioe intanto punzecchiavo il terreno delvialetto con il bastone. «Ho continuato

a guardarmi intornose vi incontravoanno dopo anno.»

«Intendete dire in Europa?» sussurrò quasi in un lamento.

«Ma certo... in Europa! Quisembra tutt'altro che difficile trovarvi.»

Appoggiò la mano sullo stipite non verniciato della porta e reclinòleggermente il capo da un lato. Mi fissava

cosìsenza parlaree avvertii l'espressione tipica negli occhi di unadonna quando stanno per riempirsi di lacrime.

All'improvvisoavanzò di un passo sul gradino di pietra incrinata cheprecedeva la soglia e richiuse la porta. Un sorriso11

forzato le si diffuse in volto ed io potei riconoscere la sua dentatura bellacome un tempo. Ma dovevano esserci state

anche tante lacrime. «Siete sempre rimasto là da allora?» chiese quasisottovoce.

«Fino a tre settimane fa. E voi... voi non siete mai più tornata?»

E Carolinenon smettendo di guardarmi con l'espressione più luminosa di cuiera capaceallungò la mano alle

sue spalle e riaprì la porta. «Non sono molto cortese» disse. «Nonvolete accomodarvi?»

«Non vorrei disturbare...»

«Oh no!»... non ne voleva sentir parlare. E risospinse la porta facendomicenno d'entrare.

La seguii. Mi fece strada fino a una stanzetta che dava sulla sinistradell'ingressoun locale che identificai

come il suo salottinoper quanto ubicato sul retro della casae passammodavanti alla porta chiusa di un'altra stanza

cheimmaginaidoveva godere della vista suoi cotogni. Da quella in cuientrammoinvecesi guardava fuori su di un

cortiletto animato da due chioccianti galline. Ma la giudicai molto graziosafinché mi accorsi che la sua eleganza era del

genere più sobrio; fu allora che la sentii ancor più piacevolecon queisuoi chintz sbiaditi e quelle sue stampe a

mezzatintaincorniciate in bordini da foglie secche laccateil tuttodisposto con grazia quasi commovente. Caroline si

mise a sedere in un cantuccio del divanole mani compostamente intrecciatesul grembo. Sembrava di dieci anni più

vecchiaed io non avrei dovuto sentirmi autorizzato a insistere su fatti cheriguardavano la sua persona e chetuttavia

continuavo a reputare interessanti ocomunquemi commuovevano. Lei eraparticolarmente inquieta. Io facevo finta di

non accorgermene; quandoimprovvisamentee senza alcuna logica conseguente- doveva essere l'eco irresistibile di

quell'intenso incontro avuto nel vecchio porto francese -le dissi: «Vi stoincomodando. Siete nuovamente in pena.»

Sollevò entrambe le mani al viso e per un momento ve lo tenne nascosto. Poiriabbassando le mani: «È perché

mi fate ricordare» disse.

«Vi faccio ricordarevolete direquel disgraziato giorno a Le Havre?»

Scosse il capo in un gesto delizioso. «Non fu un giorno disgraziato. Fuincantevole.»

«Ahera così?» deve essere stato il commento della mia espressione aquelle parole. «Non ricordo uno shock

più forte di quandotornato al vostro albergo il mattino dopoappresi cheeravate tristemente ripartita.»

Attese un istantedopo di che disse: «Vi pregonon parliamone più.»

«Tornaste direttamente qui?» continuainoncurante della sua supplica.

«Fui di ritorno esattamente trenta giorni dopo ch'ero partita.»

«E da allora vi siete rimasta sempre?»

«Minuto dopo minutoper tutto questo tempo.»

Incassai; non sapevo che diree le parole che finii poi con il pronunciaredovettero suonare come una presa in

giro. «Quando vi deciderete dunque a fare questo benedetto viaggio?» C'erafors'anche dell'aggressività in quella mia

battuta; ma qualcosa mi irritava nella sua profonda rassegnazionee volevoestorcerle un'espressione d'impazienza.

Caroline fissò per un momento gli occhi su un raggio di sole che batteva sultappeto; poi si alzò ad abbassare

l'avvolgibile in modo da eliminare il riflesso. Aspettavoosservandola conmanifesto interessecome se ancora avesse

qualcosa da offrirmi. E in effettiin risposta alla mia ultima domandamiarrivò la sua sentenza. «Mai!»

«Spero almeno che vostro cugino vi abbia restituito quel danaro» dissi.

Ancora una voltadistolse gli occhi da me. «Non m'importa piùora.»

«Non v'importa più del vostro danaro?»

«Né di andare in Europa.»

«Volete dire cheanche potendonon andreste?»

«Non posso... non posso» disse Caroline Spencer. «È acqua passata. Tuttoè cambiato. Non ci penso più.»

«Quel mascalzonedunquenon v'ha mai restituito il danaro!» gridai.

«Vi pregovi prego...!» cominciò...

Ma s'interruppe... stava guardando verso la porta. Nell'ingresso c'era statocome un fruscio e un rumore di

passi.

Guardai anch'io in direzione della portache intanto si era aperta lasciandoentrare un'altra persona... una

signora che si arrestò proprio sulla soglia. Dietro di lei veniva ungiovanotto. La signora mi fissò intensamente... e

abbastanza a lungo da suscitarmi una viva impressione. Quindi si rivolse aCaroline Spencer econ un sorriso e un

evidente accento stranierodisse: «Pardonma chère. Non sapevo cheeravate in compagnia. Il signore deve essere

entrato così tranquillamente.» E dicendo ciòdi nuovomi regalò ilfavore della sua attenzione. Era un tipo abbastanza

inconsuetoeppure ebbi subito la certezza di averla già vista prima. Fupiù tardi che mi resi conto di averein realtà

conosciuto soltanto signore che le somigliavano molto. Il cheperòeracapitato di certo molto lontano da North

Verona: allora rimaneva la più strana di tutte le coincidenze incontrare unadonna di quel tipo in quel preciso contesto.

A quale altra scena completamente diversa la vista di lei trasportò dunquela mia immaginazione? A qualche oscuro

pianerottolo dello squallido quatrième parigino... a una porta apertasu di una sudicia anticamerae Madame affacciata

alla ringhierache si stringe sul ventre con le mani i due lembi di unavestaglia scolorita e intanto bercia giù alla portiera

di portarle il caffè. L'ospite della mia amica era una signora piuttostocorpulentadi mezza etàil viso paffutello ma

mortalmente pallido e i capelli tirati indietro alla chinoisegliocchi non grandi ma penetrantie quello che i francesi

chiamerebbero un sourire agréable. Portava indosso una vestaglia dicachemire rosa antico intessuta di ricami bianchi

egiust'appunto come nella figura della mia momentanea visionesel'allacciava sul davanti col braccio nudo e tondo e

una mano cicciottella trapunta di fossette.12

«È solo per parlarre del mio café» disse alla padrona dicasa esibendo il suo sourire agréable. «Mi piacerebbe

servito in giardinosotto il picolo albero.»

Il giovane alle sue spalle era entrato ora nella stanzafacendo anch'eglimostra di séma in modo meno

provocante. Era un gentiluomo alto poche spanne ma con una vaga ariad'importanzaforse un uomo in vista del mondo

di North Verona. Aveva un nasino appuntito e un mento piccolo e non menoappuntito; nonchécome notai subitodei

piedi minuscoli e dei modi decisamente insignificanti. Mi stava a guardarecon aria inebetita e con la bocca aperta.

«Avrete il vostro caffè» disse la signorina Spencer come se un esercitodi cuochi fosse stato ingaggiato nella

preparazione della bevanda.

«C'est bien!» commentò la sua robusta coinquilina. «Ce rrcateil vostro librro»... disse poi rivolgendosi

all'allocchito ragazzotto.

Il quale spalancò ora la boccasbadigliando ai quattro angoli della stanza.«La mia grammaticavolete dire?»

La corpulenta signoraintantocontinuava a guardare il visitatore della suaamicacercando di controllare

seppure con voluta noncuranzail fluttuare della vestaglia. «Ce rrcateil vostro librro» ripeté con aria più assente.

«Il mio libro di poesievolete dire?» insisté a chiedere il giovanottoanch'egli incapace di staccarmi gli occhi

di dosso.

«Lasciamo perdere il librro»... ci ripensò la sua compagna. «Oggifaremo solo conversazione. Venitevenite.

Non disturrbiamo Mademoiselle»... e fece per andarsene. «Sotto il picoloalbero» aggiunse a vantaggio di

Mademoiselle. Dopo di che mi indirizzò un breve cenno di salutolanciò unmisurato «Monsieur!» e scomparve di

nuovo seguita dal suo damigello.

Tornai con lo sguardo su Caroline Spenceri cui occhi non si erano maisollevati dal tappetoe le parlai - temo

- con non molto garbo. «Chi diavolo è costei?»

«La Comtesse... era: ma cousineper dirla in francese.»

«E il giovanotto?»

«L'allievo della Contessail signor Mixter.» Quella descrizione del legameche coinvolgeva le due persone che

ci avevano appena lasciatodovette certamente infliggere un duro colpo allamia serietàa giudicare almeno dal

contrappunto di quella della mia amica nel riprendere la sua spiegazione.«Dà lezioni di francese e di musicale nozioni

più elementari...»

«Le più elementari nozioni di francese?» ho paura d'aver buttato lì io.

Ma Caroline rimase impenetrabilee assunse di fatto un tono che riuscì afarmi sentire decisamente dalla parte

del torto. «Ha patito le peggiori disgrazie... senza nessuno cui chiedereaiuto. È disposta a tentare di tutto... e ha deciso

di accettare la sua sfortuna allegramente.»

«Ahcapisco» raccolsi io... probabilmente con aria un po' pietosa«mipiacerebbe essere capace di fare

altrettanto. Se ha deciso di non essere di peso ad alcunonon vedo nulla dipiù giusto e corretto.»

La mia ospite si guardava attorno con fare sfuggente e anchesospettaialquanto disfatto: non ci fu commento

alla mia proposizione. «Devo andare a prendere il caffè» dissesemplicemente.

«Ha molti allievi la signora?» nondimeno insistetti.

«Soltanto il signor Mixteral quale dedica tutto il suo tempo.» Ancora unavolta fui tentato da una reazione di

ilaritàma qualcosa nella percezione della sensibilità della mia amica miindusse a mantenere una certa decenza. «Paga

molto bene» continuò Carolinesempre impenetrabilmente. «Non è moltobrillante... come allievo; ma è molto ricco e

davvero gentile. Ha un calessino... a due postie porta a spasso laContessa.»

«Spero si tratti di passeggiate frequenti e lunghe» non potei trattenermidall'interloquire... pur sapendo che

avrebbe reagito di nuovo evitandomi con lo sguardo. «Behbisogna dire chela campagna qui intorno è bella per miglia

e miglia» proseguii. Poimentre lei si voltava allontanandosi: «Stateandando per il caffè della Contessa?»

«Se volete scusarmi un momento...»

«Non c'è nessun altro che possa farlo?»

Sembrò chiedersi chi altro avrebbe potuto esserci. «Non tengo domestici.»

«Posso aiutarvi ioallora?» Dopo di chevisto che non mi dava rettaprecisai. «Non può arrangiarsi da sola?»

La signorina Spencer accennò a un lento movimento del capo... come se anchequesta fosse stata una strana

idea. «Non è abituata al lavoro manuale.»

La discriminazione era tutta da riderema mi sforzai di mantenere unatteggiamento decoroso. «Capisco...

mentre invece voi lo siete.» Al tempo stessoperònon potevorinunciare alla mia curiosità. «Prima di andareditemi:

chi è questa straordinaria signora?»

«Già vi dissi di chi si trattain Francia... quel meraviglioso giorno. Èla moglie di mio cuginoche peraltro

conosceste...»

«La signora bistrattata dalla famiglia a causa del suo matrimonio?»

«Sì. Non l'hanno mai più voluta rivedere. Hanno rotto ogni rapporto conlei.»

«E il marito dove si trova?»

«Il mio povero cugino è morto.»

Ebbi un attimo di esitazionema giusto un attimo. «E che fine ha fatto ilvostro danaro?»

La povera creatura ebbe come una contrazione... la stavo torturando. «Non soproprio» disse amaramente.

Non saprei dire fino a che punto era il suo atteggiamento a incitarmi...fatto sta che procedetti un gradino dopo

l'altro. «Alla morte del maritoquesta signora venne direttamente da voi?»13

Sembrava come se avesse già ripetuto troppe volte quella descrizione. «Sìla vidi arrivare un giorno.»

«Quanto tempo fa?»

«Due anni e quattro mesi.»

«Ed è sempre stata qui da allora?»

«Proprio così.»

Incassai tutto. «E le piace stare qui?»

«Behnon proprio mo lto» disse la signorina Spencer ineffabilmente.

Incassai anche questa. «E a voi...?»

Si nascose il viso tra le mani per un istante come aveva fatto dieci minutiprima. Poicon uno scattosi

allontanò per andare a preparare il caffè della Contessa.

Una volta solo nel salottinomi resi conto di essere diviso tra il colmo deldisgusto e l'opposto desiderio di

vedernedi saperne di più. Trascorso qualche minutoil giovanotto affidatoalle cure della signora in questione

riapparvecome se avesse da regalarmi un nuovo sbadiglio. Era eccessivamenteserio... per l'abito di flanella variopinto

che s'era messo addosso; e partorìsenza gran che di convinzione dal cantosuoil messaggio del quale era stato

incaricato. «Lei vuol sapere se non volete fare un salto fuori.»

«Lei... chi?»

«La Contessa. La signora francese.»

«Vi ha chiesto di condurmi da lei?»

«Sìsignore» rispose il giovanotto con voce flebile... visto che losovrastavo quanto a statura e a peso.

Uscii con luie trovammo la sua istrutrice seduta sotto uno dei due alberidi cotogne davanti alla casaintenta a

infilare un ago sottilecon la sua manina non proprio delicataattraversoun ricamo che non si faceva di certo notare per

freschezza. Indicò garbatamente la sedia che le stava accanto ed io misedetti. Il signor Mixter si diede un'occhiata

intorno per poi accomodarsi sull'erbaai piedi di lei; e da quella posizionesollevò lo sguardopiù inebetito che mai

come se fosse convinto che fra noi qualcosa di meraviglioso stesse peraccadere.

«Sono sicura voi parrlate francese» disse la Contessai cui occhirisultarono singolarmente sporgenti

nell'attimo in cui mi gratificò con uno dei suoi amabili sorrisi.

«Certomadame... tant bien que mal» replicai io - temo - forsetroppo seccamente.

«Ah voilà!» esclamò lei come deliziata. «L'ho capito appena vi hovisto. Cosìvoi siete stato nel mio amato

paese.»

«Abbastanza a lungo.»

«Vi piace dunquemon pays de France?»

«Ohsi tratta di un vecchio amore.» Ma ero tutt'altro che loquace.

«E conoscete bene Parigi?»

«Sìmadame: sans me vanterpenso proprio di sì.»

E con intenzionalità lasciai che i miei occhi si incrociassero con i suoi.

Lo scambio avvennedi fattoanche se fugacedopo di che la Contessa fececadere lo sguardo sul signor

Mixter. «Di che stiamo parlando?» chiese al suo attento scolaro.

Questi sollevò le ginocchiastrappò con la mano qualche filo d'erbasbarrò gli occhisi fece leggermente rosso

in volto. «State parlando in francese» disse il signor Mixter.

«La belle découverte!» si schermì la Contessa. «Sono quasi diecimesi» prese a spiegarmi«che mi occupo di

lui. Risparmiatevi di dire che siamo in presenza de la bêtise même»aggiunse in bello stile. «Non capirà nemmeno

questo.»

Un'occhiata al signor Mixteroccupato a trastullarsi goffamente ai nostripiedimi garantì che - davvero - non

avrebbe capito. «Spero che gli altri allievi vi diano maggiorisoddisfazioni» feci allora osservare alla mia interlocutrice.

«Non ne ho altri. Non sanno cos'è il francese... non sanno niente... inquesto posto. Potete quindi immaginare

che piacere è per me incontrare una persona che lo parlacome voi.» Nonpotei che replicare che il mio piacere non era

da menoe intanto lei continuava a intrecciare punti sul suo ricamo mettendoin mostra la finezza del dito mignolo

arricciato. Qua e là si portava il lavoro più vicino agli occhineanchefosse miopeforse sempre in omaggio a una certa

eleganza. Non posso dire che mi abbia ispirato maggior simpatia di quanta nonme neavesse ispirata il suo defunto

maritose suo marito era statoqualche anno primain un'occasione che conquestae in modo detestabilefaceva

sicuramente il paio; era una donna grossolanavolgareaffettataapprofittatrice: non più Contessa di quanto io fossi un

Califfo. Aveva sì una certa disinvoltura... fondata chiaramentesull'esperienzama non comunque sull'esperienza di una

persona di «rango». Di qualsiasi cosa si trattasseecco che orain modoincontrollatole divampava fuori. «Parlatemi di

Parigimon beau Paris che darei gli occhi per rivedere. Soltantonominarla me fait languir. Quando siete stato laggiù?»

«Un paio di mesi fa.»

«Vous avez de la chance! Raccontatemi qualcosa. Che c'è di nuovo? Chefa la gente? Ohcosa pagherei per

un'ora al Boulevard!»

«La gente fa più o meno quello che ha sempre fatto... divertendosi il piùpossibile.»

«Nei teatrihein?» sospirò la Contessa. «Nei café-concerts?sous ce beau ciel... seduti ai tavolini all'aperto?

Quelle existence! Sapeteio sono parisiennemonsieur»soggiunse«sino alla punta dei capelli.»

«La signorina Spencer deve essersi sbagliata allora» arrischiai inrisposta«dicendomi che venite dalla

Provenza.»14

Mi fissò per un istantepoi incollò il naso sul ricamoche mi sembròaver acquisitoda quando ci eravamo

seduti a parlareun'aria se possibile ancora più sporca e arruffata. «Ahsono provenzale di nascitama parigina per...

inclinazione.» E proseguì: «Per gli eventi più tristi della mia vita...ma anche per alcuni tra i più felicihélas!»

«In altre parolein virtù di un'esperienza varia!» commentai sorridendoorafinalmente.

I suoi occhietti sporgenti sembrarono interrogarmi. «Ohl'esperienza!... neavrei di cose da raccontarvinon

dubitatese volessi. On en a de toutes les sortes... e non avrei maipensato che questo era ciò che il destino aveva in

serbo per me.» E indicò con un movimento del massiccio gomito nudo e con uncenno del capo gli oggetti che la

circondavano: la casina biancala coppia di cotognilo steccatotraballantee persino l'estatico signor Mixter.

Una volta di piùmi toccò incassare il tutto elegantemente. «Ahcosìvolete dire che vi trovate decisamente in

esilio...!»

«Potete immaginare cos'è per me. Questi due anni della mia épreuve...elles m'en ont donnéesdes heuresdes

heures! Poici si abitua a tutto»... e tirò su le spalle come maiaNorth Veronanessuno era riuscito a fare; «talvolta

penso davvero d'averci fatto l'abitudine. Ma ci sono cose per le qualibisogna sempre ricominciare da capo. Il mio caffè

per esempio.»

Continuai a prestarmi al gioco. «Prendete sempre il caffè a quest'ora?»

Le sopracciglia le si sollevarono per lo meno tanto quanto prima le si eranosollevate le spalle. «Perchévoi che

ora mi proporreste? Devo pure avere la mia tazzina di caffè dopo la primacolazione.»

«E voi fate la prima colazione a quest'ora?»

«A mezzogiorno... comme cela se fait. Qui usano farla alle sette e unquarto. Quel ‹quarto›poilo trovo

affascinante!»

«Mami stavate parlando del vostro caffè» osservai ostentandocomprensione.

«Mia cousine non riesce a crederci... non vuol capirla. C'est unefille charmantema la mia tazzina di caffè

nero con una goccia di ‹fine cognac›servita a quest'ora... èqualcosa che eccede la sua comprensione. Cosìogni giorno

devo prendere io l'iniziativae vedete quanto tempo ci vuole per avere ilcaffè. Quando poi arrivamonsieur...! Se non

lo chiedo anche per voi - per quanto monsieurquiqualchevolta mi faccia compagnia - è perché voi sapete cos'è il

caffè sul boulevard

Quella critica maligna degli sforzi della mia povera amica mi irritòprofondamentema non proferii parola...

convinto che fosse quello l'unico modo per essere certo della mia educazione.Lasciai cadere gli occhi sul signor Mixter

il qualeseduto a gambe incrociate e come aggrappato alle ginocchiaammirava le grazie forestiere della sua istruttrice

con un interesse che la familiaritàalmeno apparentementenon avevaaffatto sminuito. La Contessa aveva ovviamente

notato il mio dis orientamento nell'osservare il giovanotto e affrontò lamia implicita domanda con tutta la sfacciataggine

di cui era capace. «Mi adorasapete» mormorò senza distogliere il nasodal ricamo... «non sogna altro che diventare

mon amoureux. Sìil me fait une cour acharnée... come potetevedere. A questo siamo arrivati. Ha letto un romanzo

francese... gli ci sono voluti sei mesi. Ma da allora si crede lui l'eroe evede in me - così come sonomonsieur- je ne sais

quelle dévergondée!»

È pensabile che il signor Mixter si stesse in qualche modo rendendo conto diessere l'oggetto della nostra

allusione; ma del modo in cui la sua persona veniva trattata non deve averavuto il minimo sospettoimpegnato com'era

nell'estasi della sua contemplazione. In quel momentoper di piùlapadrona di casa uscì in giardino portando una

caffettiera e tre tazzine su di un grazioso vassoio. Colsi dal suo sguardomentre si avvicinava a noiun fuggevole ma

intenso appello... la muta espressione - così almeno la sentii iotrasmessanell'occhiata più ardente che mi avesse mai

indirizzato - del suo desiderio di sapere cosa pensavo ioda uomo di mondo esoprattutto da uomo di mondo che era

stato in Franciadi quelle forze alleate accampatesi ormai sul campodevastato della sua vita. Io potevo soltanto «agire»

- come dicono a North Verona - in maniera impenetrabile... senza dar cenni dirisposta. Non potevo insinuaree tanto

meno esprimere francamentele mie intuizioni circa il probabile passatodella Contessacon le relative valutazioni della

sua virtùdel suo valore e delle sue dotie i limiti della considerazioneche poteva realmente pretendere. Non potevo

lasciar intendere alla mia amica come io personalmente «vedevo» la suainteressante inquilinavale a dire come la

consorte fuggita a un marito parrucchiere troppo geloso piuttosto che a unpasticciere troppo noioso; oppure come una

borghesuccia che aveva sconvolto la sua vita al di là di ogni possibilerimediooppure come un personaggio di quel

genere nomade ancor meno edificante. Non potevocon una gomitata a unapersianaper così direlasciare entrare un

raggio rivelatore e poi lavarmene le manivoltare le spalle e andarmene persempre. Al contrarionon mi rimaneva che

salvare la situazioneper lo meno la mia e per il momentorimettendomiinsieme con mano maestradare a vedere di

non aver capito nientetranne il fatto che quel terrificante personaggio tranoi era davvero una «grande dame». Questo

sforzo era possibile solo a condizione di ritirarmi in buon ordine e contutti i rituali della cortesia. Se non mi era

possibile parlareera ancor meno possibile che io rimanessima ho comunquel'impressione di essere diventato nero per

il disgusto di vedere Caroline Spencer starsene lìcome una cameriera inattesa di servire. Non sono quindi in grado di

garantire la riuscita della frase che rivolsi alla Contessa nel prenderecongedo da lei: «Intendete passare qualche tempo

in questi parages?»

Ciò che occorse fra noitra i suoi occhi e i mieinell'attimo in cui lasignora sollevò lo sguardo verso di me

questo almeno la nostra compagna può averlo afferratoquesto almenopuò averlo conservatoper il futurocome un

germe di rivelazione. La Contessa ripeté la sua terribile scrollata dispalle. «Chi lo sa? Non vedo dove potrei andare...!

Non è vita questaquando si è ridotti in miserria...! Chèrebelle» aggiunse a mo' di richiamo alla signorina Spencer

«avete dimenticato il mio ‹fine›!»15

Ma io trattenni Caroline chedopo aver considerato per un momento insilenzio il gruppettostava per

allontanarsi alla ricerca dell'articolo richiesto. Le porsi la mano senza dirnulla... dovevo andarmene. Il suo faccino

languidoausteramente dolce e con impressa la domandaormai raggelatadiun attimo primamostrava un senso di

estrema stanchezzama anche qualcos'altro di strano e di accettato... nonsaprei precisare se una rassegnazione disperata

o quale altra disperazione. Era più che paleseinvecela sua gioia che iome ne andassi. Il signor Mixter si era alzato in

piedi e stava versando il caffè alla Contessa. Ripassando poi per la chiesabattistami resi conto di quanto avesse avuto

ragione la mia povera amica - nell'altrosicuramente più intensoormaistorico incontro - quando aveva predetto che

qualcosa ancora avrebbe visto di quella cara vecchia Europa.

1877

L'ALLIEVO

I

Il povero giovane esitava e procrastinava: gli costava uno sforzo tremendoaffrontare l'argomento del

compensoparlare di denaro a una persona che parlava soltanto di sentimentieper così diredell'aristocrazia. Al tempo

stesso non gli riusciva di prender congedoa dare per scontata la suaassunzionesenza un'allusione un po' più esplicita

in quel senso di quanto non gli permettessero i modi dell'imponente e cortesesignora cheseduta davanti a lui e intenta

a far scorrere un paio di sudici gants de Suède lungo la manograssoccia e tutta ingioiellatainsistendo e sorvolando

simultaneamentecontinuava a ripetere ogni cosa salvo quella che lui avrebbevoluto ascoltare. Quello che avrebbe

voluto sentireera l'ammontare del suo stipendio; ma proprio nel momento incui si apprestava nervosamente a toccare

quel tastoricomparve il bambino... il bambino che la signora Moreen avevaspedito fuori della stanza alla ricerca del

suo ventaglio. Rientrò senza il ventagliosoltanto con l'osservazionebuttata lì a casoche non era riuscito a trovarlo.

Pronunciando questa cinica confessioneguardò dritto e fisso in volto ilcandidato all'onore di prendere in mano la sua

educazione. E costui dovette pensarecon una certa severitàche come primacosa avrebbe dovuto insegnare al suo

piccolo discepolo di rivolgersi alla madre quando le parlava... e soprattuttodi non dare risposte così sconvenienti.

Quando la signora Moreen aveva escogitato quel pretesto per liberarsi diquella presenzaPemberton aveva

immaginato che fosse appunto arrivato il momento di affrontare il delicatoargomento della sua remunerazione. Lei

invecelo aveva fatto soltanto per poter dire alcune cose di suo figlio cheun ragazzo di undici anni era meglio non

sentisse. Tutte cose prodigalmente a suo favoretranne quando la donnaabbassò la voce per sospirarebattendosi con

semplicità sulla sinistra del petto: «È tutto oscurato da questocapite? Tutto alla mercé di una debolezza...!» Pemberton

intuì che la debolezza stava nella regione del cuore. Aveva saputo che ilragazzo non era completamente sano: ed era

quella la ragione per cui era stato invitato a trattaretramite una signoraingleseconosciuta a Oxforde ora a Nizzaalla

quale era capitato di sentir parlare sia delle sue necessità sia di quelledell'amabile famiglia americana che cercava

qualcosa di veramente superiore per un incarico di precettore.

L'impressione del giovane quanto al suo futuro allievoentrato nella stanzacome per assistere coi propri occhi

al momento in cui Pemberton veniva assuntonon fu proprio quella di tenerasimpatia che il visitatore aveva data per

scontata. Morgan Moreen era in un certo qual modo malaticcio senza apparire«delicato»e il fatto che avesse un'aria

intelligente - è pur vero che Pemberton avrebbe preferito trovarlo stupido -andava soltanto ad aggiungersi al sospetto

checosì come con la sua bocca larga e le sue grandi orecchie non poteva dicerto dirsi carinoaddirittura potesse

risultare antipatico. Pemberton era riservatoera persino timido; el'eventualità che il suo scolaretto si rivelasse più

intelligente di lui gli era sicuramente balenatanon senza una certapreoccupazionefra i pericoli di un esperimento mai

tentato. Rifletté comunque tra sé e sé che si trattava di rischi che sidevono pur correre quando si accetta un impiego

come si suol direin una famiglia privata; quando si è costretti a prendereatto che le proprie glorie universitarie

pecuniarmente parlandosono rimaste sterili. Ad ogni modoquando la signoraMoreen si alzò come per suggerirgli che

lo lasciava liberostante l'intesa che avrebbe preso servizio entro lasettimanaPemberton riuscìmalgrado la presenza

del bambinoa insinuare una frase circa l'ammontare della retribuzione. Nonfu grazie al sorrisetto d'intesa che suonò

come un riferimento alla ricca condizione della signoranon fu grazie aquesta dimostrazione - peraltro dotatain un

certo qual mododi vaghezza e di precisione al tempo stesso - se l'allusionenon apparve del tutto volgare. Il merito

piuttostofu della maniera ancor più cortese ch'ella scelse per rispondere:«Ohposso assicurarvi che quest'aspetto sarà

del tutto regolare.»

Pemberton si limitò a interrogarsinell'atto di raccogliere il cappellocirca l'ammontare di «quest'aspetto»... le

persone hanno idee talmente diverse. Le parole della signora Moreencomunquesembrarono impegnare la famiglia in

un tipo di promessa abbastanza definito da provocare nel bambino uno stranocommentoaccennato nella forma

dell'ironica interiezione straniera « Oh la-là!».

Pembertonalquanto confusolanciò un'occhiata al piccolo cheintantosidirigeva lentamente verso la finestra

voltandogli le spallecon le mani in tasca e l'ariaper via della schienacurvadi un bambino che non giocava. Il giovane

si domandò allora se sarebbe stato capace di insegnargli a giocareperquanto la madre gli avesse detto che non doveva16

e che appunto per quella ragione era da scartarsi l'ipotesi della scuolapubblica. La signora Moreen mostrò di non

scomporsi; e si limitò ad aggiungere in tono conciliante: «Il signor Moreensarà felice di venire incontro ai vostri

desideri. Come vi ho già dettoè stato chiamato a Londra per unasettimana. Non appena sarà di ritorno sistemerete la

cosa con lui.»

Il tutto fu detto con tanta franchezza e cordialità che il giovane potésoltanto replicarerestituendo il sorriso alla

sua ospite: «Ohimmagino che non ci sarà molto da discutere.»

«Vi daranno tutto ciò che volete» intervenne inaspettatamente il ragazzoallontanandosi dalla finestra. «Non

siamo gente che bada ai costinoi... viviamo molto bene.»

«Tesoro carosei davvero curioso!» esclamò la madretendendogli peraccarezzarlo una mano espertama

senza riuscirci. Il bambino vi si sottrassee indirizzò invece uno sguardoingenuo ma non meno intelligente verso

Pembertonil quale aveva già avuto modo di notare che da un istanteall'altro il suo faccino ironico sembrava cambiare

d'età. In quel momento era infantileil che però non gli impediva diapparire sotto l'influenza di strane intuizioni e

consapevolezze. Pemberton non era il tipo cui andava troppo a genio laprecocità e fu contrariato dal fatto

d'intravvederne dei barlumi in un ragazzetto di poco più di dieci anni.Ciònonostantecapì immediatamente che Morgan

non l'avrebbe annoiato. Al contrariogli si sarebbe rivelato una fonte diemozioni. Nel complessol'idea incuriosì il

giovanemalgrado una certa antipatia di fondo.

«Perché mai tante arie? Non siamo persone fuori del normale!» protestògaiamente la signora Moreenfacendo

un altro vano tentativo di tirarsi accanto il ragazzo. «Dovete sapere cosaaspettarvi» continuò rivolta a Pemberton.

«Meno vi aspettate e meglio sarà!» interferì il suo compagno. «Ma siamogente alla modanoi.»

«Solo in quanto sei tu a renderci tali!» si schermì la madre contenera ironia. «D'accordoallora. A venerdì...

non ditemi che siete superstizioso... e badate di non mancare. Ci sarà lafamiglia al completo. Mi spiace che le ragazze

siano fuori. Spero che vi piaceranno... Esapeteho un altro figliocosìdiverso da questo!»

«Cerca di imitarmi» disse Morgan al nuovo amico.

«Questa è bella! Diamineha vent'anni!» esplose la signora Moreen.

«Sei davvero spiritoso» riconobbe Pemberton al bambino... unadichiarazione cui fece eco con entusiasmo la

madreconfermando che le uscite di Morgan erano la delizia della casa.

Il bambino non prestò alcuna attenzione a quelle parole; e si preoccupòinvece di interrogare bruscamente il

visitatoreche in seguito si stupì di non averlo trovato offensivamentesfrontato: «Volete veramente venire?»

«Puoi dubitarne dopo una siffatta descrizione di ciò che mi aspetta?»replicò Pemberton. A dire il veronon ne

aveva alcuna voglia; accettava di andarvi perché da qualche parte doveva purfiniregrazie al collasso delle sue fortune

a conclusione di un anno speso all'esteroin omaggio al principiod'investire il suo modesto patrimonio in una singola

ma intensa ondata d'esperienze. E l'aveva avuta la sua intensa ondatasalvoche poi non fu più in grado di pagare il

conto dell'albergo. Oltretuttoaveva colto negli occhi del bambino la vagatraccia di un remoto appello.

«D'accordovuol dire che farò del mio meglio per voi» disse Morganvoltandogli di nuovo le spalle e

allontanandosi. Passò oltre una delle grandi porte a vetri; Pemberton lovide raggiungere il parapetto della terrazza e

sporgervisi. Lì rimase finché il giovane prese congedo da sua madrelaqualeosservando come lo sguardo di

Pemberton suggerisse l'attesa di un cenno di saluto da parte del bambinos'intromise dicendo: «Non fateci casonon

fateci caso; è talmente strano!» Pemberton suppose che la signora a quelpunto temesse una delle battute del ragazzo.

«È un genio... vi piacerà» aggiunse la donna. «È certamente la personapiù interessante in famiglia.» E prima che il

giovane potesse replicare con una cortesia di circostanza lei lo liquidò:«Mabadatesiamo tutti un po' speciali!»

«È un genio... vi piacerà!» furono le parole di quell'incontro che piùtornaronoalla memoria del nostro

aspirante precettore prima del venerdìrammentandogli tra le altre cose chei genî non erano sempre amabili.

Comunqueera tanto di guadagnato se esisteva un elemento suscettibile direndere l'insegnamento più interessante:

aveva forse dato troppo per scontato che si trattasse di un'esperienzaunicamente sgradevole. Nel lasciare la villa dopo

quel colloquioPemberton guardò in alto verso il balcone e vide ilragazzetto affacciato lassù. «Credo che ce la

spasseremo!» gli gridò.

Morgan esitò un istante per poi rispondere gaiamente: «Per quando torneretevedrò di escogitare qualcosa di

spiritoso!»

Il che indusse Pemberton a commentare fra sé e sé: «Dopo tutto èpiuttosto simpatico.»

II

Il venerdì li vide tutticome promesso dalla signora Moreendal momentoche il marito era rientrato e che le

ragazze e l'altro figlio si trovavano in casa. Il signor Moreen aveva un paiodi baffi bianchimodi di fare confidenziali e

all'occhielloil nastrino di un ordine straniero... conferitosecondoquanto Pemberton apprese in seguitoper meriti

speciali. Quali fossero questi meriti speciali non lo accertò maichiaramente: era uno dei punti - uno di una vasta schiera

di punti - che i modi del signor Moreen mai lasciarono capire. Quello cheinvececomunicavano con enfasi era che si

trattava di un uomo di mondo più di quanto non si potesse indovinare a primavista. Ulickil primogenitosi allenava

evidentemente per la stessa professione... ma aveva ancora lo svantaggiotuttaviadi un occhiello appena timidamente

fiorito e di un paio di baffi che non pretendevano di essere rappresentativi.Le ragazze avevano bei capelli e linea e

piedi piccolinima non erano mai uscite da sole. Quanto alla signora MoreenPemberton si accorsead un esame più17

ravvicinato che la sua eleganza era incostante e che i pezzi del suovestiario non sempre combinavano. Il maritocome

da lei promessoaccolse con entusiasmo le idee di Pemberton in merito alcompenso. Il giovanotto ce l'aveva messa

tutta per contenere i suoi farfugliamenti in proposito entro limiti modestie il signor Moreen non nascose che li trovava

carenti di «stile». Ricordò inoltre che aspirava a essere in intimità coni figlia diventare il loro migliore amicoe che si

guardava sempre intorno pensando a loro. Ecco cosa andava a farea Londra ein altri luoghi... a guardarsi intorno; e

quella vigilanza era la teoria di vitaoltre che la reale occupazionedell'intera famiglia. Tutti loro si guardavano intorno

e ammettevano francamente trattarsi di un comportamento necessario. Citenevano che fosse chiaro che erano gente

seriacome pure che la loro fortunaperaltro ben adeguata a gente seriarichiedeva la più scrupolosa amministrazione.

Il signor Moreenautentico padre della nidiataprovvedeva al lorosostentamento. Ulick rivendicava per sé una funzione

di supportoprincipalmente al clubdove Pemberton immaginò che si desseusualmente da fare al tavolo verde. Le

ragazze avevano l'abitudine di acconciarsi capelli e vestiti da solee ilnostro giovanotto sentì che gli si chiedeva che

l'educazione di Morgan dovesse naturalmente essere delle miglioripur senzadiventare troppo dispendiosa. Dopo

qualche tempoPemberton ne fu davvero contentoa volte dimenticandoaddirittura i propri bisogni nell'interesse

ispiratogli dalla personalità e dalla preparazione del bambinononché dalpiacere di rendergli le cose facili.

Durante le prime settimane della loro conoscenzaMorgan era stato non menoindecifrabile di una pagina di un

idioma sconosciutodecisamente diverso da tanti banali piccoli anglosassoniche dovevano aver fornito a Pemberton

un'idea sbagliata dell'infanzia. In realtàtutto il libro mistico nel qualeil bambino era stato dilettantescamente rilegato

richiedeva una certa pratica ai fini di una traduzione. Oggiche molto tempoè passatoc'è qualcosa di fantasmagorico

come in un riflesso prismatico o in un romanzo a puntatenel ricordo diPemberton a proposito delle stranezze dei

Moreen. Se non fosse per alcuni segni tangibili - una ciocca di capelli diMorgan che lui stesso aveva tagliatoe la

mezza dozzina di lettere ricevute da lui quand'erano lontani - l'interoepisodiononché i personaggi che ne facevano

parteparrebbero talmente assurdi da far pensare piuttosto al paese deisogni. Il loro superlativo modo di essere bizzarri

corrispondeva peraltro al loro successo... o per lo meno come tale sembrò aPemberton in un primo tempo; visto che

non aveva mai conosciuto una famiglia così ben predisposta al fallimento.Non fu un successo il fatto di essere riusciti a

tenerlo in famiglia per un così lungo periodo? Non fu un successo quello diaverlo trattenuto per il déjeuner quella

prima mattinail venerdì - e già bastava a rendere unosuperstizioso - che s'era presentatomettendosi nelle loro mani?

E non per calcolo o per vocazionebensì in virtù di un felice istinto cheli faceva agire armoniosamente insiemealla

stregua di una banda di gitani. E bisogna dire che lo divertivano realmentecome se fossero una autentica banda di

gitani. Era giovane ancora e non aveva visto gran che del mondo: i suoi anniinglesi erano stati decisamente aridi; di

conseguenzal'anticonformismo dei Moreen - che pur avevano le loro qualità- lo stravolse . Nulla di simile a loro

aveva incontrato a Oxford; ancor meno note simili avevano suonato al suo piùgiovane orecchio americano durante i

quattro anni trascorsi a Yalequando si era illuso di avere la capacità direagire alla vena puritana. La reazione dei

Moreenad ogni modoandò ben oltre. S'era sentito così acuto quel primogiornoquando in cuor suo li aveva etichettati

come «cosmopoliti». Main seguitol'immagine si rivelò fiacca e priva dicoloreapertamente e irrimediabilmente

provvisoria.

Eppurequando per la prima volta aveva applicato quell'etichettaavevaprovato un impeto di gioia - per essere

un precettore era ancora alquanto empirico - che nasceva dal pensiero chevivere con loro sarebbe stato un vedere

realmente la vita. La loro socievole stramberìa ne era già un sintomo: ilcontinuo chiacchieriola spensieratezza e il

buon umoreil costante gironzolare (erano sempre nell'atto di alzarsicosache durava tutto il giornoe Pemberton

aveva una volta trovato il signor Moreen che si radeva in salotto)il lorofranceseil loro italiano eaffioranti qua e là in

quel marasma di idiomii loro freddi e grossolani frammenti d'americano.Vivevano di maccheroni e caffè - articoli

questiche sapevano preparare alla perfezione - ma disponevano di ricetteper almeno un altro centinaio di piatti.

Sguazzavano nella musica e nel cantosempre pronti a fischiettare e alanciarsi reciprocamente il «la»e godevano di

una specie di professionale familiarità con le capitali del Continente.Parlavano di «buone piazze»neanche fossero

borsaiuoli o attori girovaghi. Possedevano una villa a Nizzauna carrozzaun pianoforte e un banjoe non mancavano

di presenziare ai ricevimenti ufficiali. Erano un perfetto calendario dei«giorni» dei loro amic idi tutta una serie di

occasioni per assistere alle quali - Pemberton non trascurò di notarlo - avolte si alzavano dal letto malatie che

rendevano la settimana più lunga del reale quando la signora Moreen neparlava con Paula e Amy. Le loro iniziazioni

infusero dapprima nel nuovo ospite un senso quasi abbagliante di cultura. Lasignora Moreen per il passato aveva

tradotto qualcosa... un autore che fece sentire Pemberton borné perrisultargli sconosciuto. Potevano imitare il

veneziano e cantare in napoletanoe quando desideravano dirsi qualcosa diprivatocomunicavano fra loro in un

ingegnoso idioma familiareun libero codice parlato che Pembertonsulleprimescambiò per un patois di qualcuno dei

loro paesie che riuscì poi ad «afferrare» come mai gli sarebbe statopossibile per un dialetto spagnolo o tedesco.

«È il linguaggio di famiglia... l'Ultramoreen» spiegò Morgan a Pembertonnon senza un certo sarcasmo; ma

raramente il bambino acconsentiva ad usarloper ricorrere piuttosto a unlatino colloquiale come se fosse stato un

prelato in erba.

Fra tutti i «giorni» con i quali doveva fare i conti la sua memorialasignora Moreen riuscì a inserirne uno

proprioche a volteperògli amici dimenticavano. Nondimeno la casaassumeva un'aria frequentata in ragione del

numero di persone altolocate che vi erano liberamente citate e deglisvariatimisteriosi personaggi dai titoli stranieri e

dagli abiti di foggia inglese che Morgan chiamava «i principi» e chesprofondati sui divani con le ragazzeparlavano in

francese a voce alta - di tanto in tanto con qualche stranezza d'accento -come per dare a vedere che non stavano

dicendo alcunché di sconveniente. Pemberton si domandava come i principipotessero mai avanzare proposte di18

matrimonio in quel tono di voce e così pubblicamente: e concludeva concinismo che ciò corrispondeva proprio a

quanto da loro ci si aspettava. Poi si rese conto che neppure nella speranzadi una simile prospettiva la signora Moreen

avrebbe concesso a Paula e Amy di ricevere da sole. Le due signorine eranotutt'altro che timidema erano appunto

quelle cautele a renderle così candidamente disinvolte. Era un covo di bohémiensche avevano una voglia tremenda di

essere dei filistei.

In un solo puntotuttaviacertamente non s'imponevano alcuna disciplina:erano tutti straordinariamente

amabili e andavano in estasi per Morgan. Era una genuina tenerezzaun'ammirazione spontaneaegualmente manifesta

in ognuno di loro. Arrivavano a esaltarne la bellezzache era poca cosaead averne cura neanche fosse stato fatto di

porcellana. Di lui parlavano come di un angioletto e di un prodigioeaccennavano alla sua fragile salute assumendo

espressioni vaghe e preoccupate. Pemberton temette sulle prime chel'eccentricità potesse fargli odiare il ragazzoma

ancor prima che ciò accadesse era diventato eccentrico lui stesso. Più inlàuna volta scoperto di avere una certa

tendenza a odiare gli altrifu per lui un invito alla pazienza il fatto chetutti fossero carini almeno con Morganal punto

da camminare in punta di piedi per la casa se avevano l'impressione che ilbambino mostrasse dei disturbio da

rinunciare persino al «giorno» di qualcuno per fargli piacere. Associato atutte queste cose c'era anche lo stranissimo

desiderio di renderlo autonomoquasi non si sentissero sufficientementedegni di lui. Spesso e volentieri lo scaricavano

ai nuovi membri della loro cerchiacome per voler forzare una sorta dicarità adottiva su di un soggetto così libero e

affrancarsi da una parte della propria responsabilità. Furono quindicontenti di vedere che Morgan si stava attaccando al

suo gentile compagno di giochie non seppero trovare migliore encòmio peril giovane. Era strano come se la cavavano

a conciliare le apparenzevale a dire il fatto essenziale dell'adorazioneper il bambinocon l'ansia di lavarsene le mani.

Che volessero liberarsi di lui prima che Pemberton li scoprisse? Pembertonin realtàli andava scoprendo mese dopo

mese. L'affettuosa famiglia del ragazzocomunque fossevoltava le spallecon delicatezza esageratacome per evitare

che le si rimproverasse d'interferire. Proprio grazie a loro Pembertonscoprì quanto poco Morgan avesse un comune con

il resto della famiglia; e loroperaltrolo ammisero in completa umiltàtant'è che Pemberton fu indotto a speculare sui

misteri e sui percorsi remoti dell'ereditarietà. Da dove venisse il suodistacco dalla maggior parte delle cose che essi

rappresentavanoera qualcosa di più di quanto un osservatore potesse direqualcosa che si rintanava sotto il peso di due

o tre generazioni.

Quanto alla personale valutazione di Pemberton circa il suo allievoce nevolle prima che si formasse

un'autentica opinionetanto poco era stato preparato dall'esperienza con unaserie di piccoli selvaggi presuntuosiquali

si erano rivelati tutti i ragazzi fino ad allora affidati al suoinsegnamento. Morgan era incostante e imprevedibile

carente in molte delle qualità ritenute comuni per il genus eabbondante di altre ch'erano prerogative soltanto di

un'intelligenza sovrannaturale. Un giorno Pemberton compì un passoimportante: e di lì gli fu chiaro una volta per tutte

che Morgan era di un'intelligenza sovrannaturale e cheper quanto laformula fosse temporaneamente riduttivaquesta

sarebbe stata la sola premessa sulla quale si poteva trattare con lui consuccesso. Disponeva delle doti comuni a chi non

aveva avuto la vita appiattita dalla scuoladi una sorta di sensibilitàcasalingaforse dannosa per lui stessoma

affascinante per gli altrie di un'intera gamma di finezze e di percezioni -leggere vibrazioni musicali insinuanti come

tanti motivetti orecchiabili - generate dal suo vagabondare per l'Europa alseguito della sua tribù errante. Certo non

poteva trattarsi di un tipo di educazione raccomandabile in linea diprincipioeppure i suoi risultati con un soggetto

talmente speciale erano non meno apprezzabili de marchi o su di un pezzo diporcellana fine. V'era al tempo stesso in

lui una tenue vena di stoicismoindubbiamente il frutto dell'aver dovutocominciare presto a sopportare il male

stoicismo che passava per coraggio e rendeva meno importante il fatto che ascuolaprobabilmenteavrebbe potuto

essere considerato alla stregua di un mostriciattolo poliglotta. A dire ilveroPemberton si scoprì quasi subito a

rallegrarsi che la scuola fosse fuori discussione: su di un milione dibambini andava forse bene per tutti tranne che per

unoe Morgan era quest'uno. La scuola lo avrebbe reso competitivo e loavrebbe fatto sentire superiorecon il rischio di

trasformarlo in uno di quei ragazzetti che meritano d'essere presi a calci.Pemberton avrebbe tentato di far lui da scuola -

un seminario più grande di quello che potevano rappresentare cinquecentosomari al pascolo - in maniera tale chesenza

dover concorrere a premiil ragazzo potesse rimanere ingenuo eirresponsabile e divertente; divertente perchésebbene

la vita fosse già intensa nella sua natura di bambinoMorgan godeva ancoradi tanta freschezza da stimolargli un forte

gusto del giocoche prosperava felicemente persino nell'opaco contesto dellesue varie manchevolezze. Era un pallido

smuntoperspicaceimmaturopiccolo cosmopolitache prediligeva laginnastica intellettuale e cheper quanto

riguardava i comportamenti umaniaveva osservato più cose di quanto non sipotesse supporrema chenondimeno

disponeva della sua personale palestra di superstizionidove faceva a pezziuna dozzina di giocattoli al giorno.

III

A Nizza una voltaverso seramentre i due si riposavano seduti all'ariaaperta dopo una passeggiataintenti a

guardare all'orizzonte sul mare le luci rosate del tramontoMorgan chiese abruciapelo al suo compagno: «Sentite

veramente vi piace... vivere con tutti noi in modo così stretto?»

«Ragazzo mio caroe perché dovrei starci se non mi piacesse?»

«Come sapete che ci rimarrete? Sono quasi certo che non durerete a lungo.»

«Mi auguro che tu non intenda licenziarmi» disse Pemberton.

Morgan ebbe un attimo di riflessionecon lo sguardo fisso al crepuscolo.«Penso che farei bene a farlo.»19

«Behso che mio compito sarebbe quello di educarti alla virtù; mainquesto casolascia perdere ciò che

sarebbe bene.»

«Siete molto giovane... per fortuna» proseguì Morganrivolgendosinuovamente al maestro.

«Oh sìse paragonato a te!»

«Il che vuol dire che non sarà così grave se perderete un mucchio ditempo.»

«Eccomettiamola così allora» osservò Pemberton in tono conciliante.

Rimasero in silenzio per un minuto; e fu il bambino a riprendere il discorso:«Davvero vi piacciono il babbo e

la mamma?»

«Certo che sì. Persone deliziose...»

Morgan accolse queste parole con un ulteriore silenzio; dopo di cheinaspettatamentefamiliarmentema al

tempo stesso con tono affettuosocommentò: «Siete proprio unbell'imbroglione!»

Per qualche particolare motivo quelle parole fecero cambiar di colore alvolto del nostro giovane. Il ragazzo si

accorse all'istante che l'altro era diventato rossoragione per cui arrossìa sua voltae allievo e maestro si scambiarono

un prolungato sguardo dentro al quale c'era tutta la consapevolezza di assaipiù cose di quelle che abitualmentee sia

pure tacitamentevenivano sfiorate in quel genere di rapporto. Per Pembertonciò fu motivo d'imbarazzo; gli sorgeva

dentro infattisotto forma ancora molto oscuraun problema - l'episodio inquestione ne rappresentava il primo accenno

- destinato a svolgere un ruolo singolare e gli sembròdate le condizioniparticolarmente originalisenza precedenti nel

suo rapporto con il giovane compagno. In seguitoquando si scoprì a parlarecon il ragazzo come si sarebbe potuto

parlare con ben pochi altri ragazzi della sua etàgli capitò di ripensarea quel momento d'imbarazzo sulla panchina a

Nizza come all'alba di un'intesa da quel momento era andata vieppiùapprofondendosi. Ad aumentare l'imbarazzo di

quella circostanzaera da aggiungere il fatto che Pemberton aveva ritenutosuo dovere dichiarare a Morgan che poteva

come e quando gli piacevainsultare luiPembertonma che altrettanto nonl'autorizzava a fare con i suoi genitori. Al

che Morgan poté agevolmente replicare che mai si era sognato di parlare maledi loro; e questa dichiarazioneavendo

tutta l'aria di essere veritieramise Pemberton dalla parte del torto.

«Alloraperché sarei un imbroglione se dico che li trovo deliziosi?»chiese il giovane precettoreconsapevole

di una certa inopportunità.

«Beh... dopo tutto non sono i vostri genitori.»

«Entrambi ti vogliono bene più che a qualsiasi altra cosa al mondo...questo non dimenticarlo» disse

Pemberton.

«Ed è per questo che vi piacciono tanto?»

«Sono molto gentili con me» replicò Pemberton con fare evasivo.

«Siete proprio un imbroglione!» rise Morganinfilando un braccio sottoquello del maestro; poi gli si appoggiò

contro la spalla guardando di nuovo in direzione del mare e dondolando lelunghe gambe sottili.

«Fai attenzionemi stai prendendo a calci negli stinchi» ammonìPembertonche rifletteva: «Al diavolo! Non

posso mica lamentarmi con il bambino!»

«C'è anche un'altra ragione» riprese Morgan smettendo di dondolare legambe.

«Un'altra ragione per cosa?»

«Oltre al fatto che non sono i vostri genitori.»

«Proprio non ti capisco» disse Pemberton.

«Non importafra non molto capirete!»

Effettivamente Pemberton capì alla perfezione molto prestoma sostenne unalotta persino con se stesso prima

di ammetterlo. Pensava che non poteva esserci nulla di più insensato almondo se non una disputa in merito con il

bambino. E si domandava se addirittura non stava odiando il piccolo Moreenperché alimentava quella disputa. Ma

quandodi fattola disputa iniziòogni sentimento del genere per ilrampollo gli era precluso. Morgan era un caso

specialee conoscerlo corrispondeva ad accettarlo per quei suoi terminicosì singolari. Pemberton aveva esaurito la sua

avversione per i casi speciali prima di pervenire a quella consapevolezza. Equando alla fine vi giunseil suo imbarazzo

fu totale: contro ogni personale interesse s'era affezionato al ragazzo. Nonrestava che affrontare insieme gli eventi.

Prima di rientrare a casaquella sera a Nizzail bambino aveva dettoappendendosi al suo braccio:

«Behad ogni modovoi resisterete fino alla fine.»

«Come sarebbe a direfino alla fine?»

«Finché sarete bellamente battuto.»

«Tu ti meriteresti di essere bellamente battuto!» gridò Pembertontirandolo più vicino a sé.

IV

Un anno dopo ch'era andato a vivere con loroil signor e la signora Moreenabbandonarono la villa di Nizza

improvvisamente. Pemberton s'era abituato ai colpi di scenaavendoli vistiapplicare su considerevole scala nel corso di

due movimentati brevi viaggi: una in Svizzera la prima estatee l'altranell'inverno successivoquando tutti s'erano

precipitati a Firenze e subitodopo dieci giornitrovando quella cittàmolto meno interessante di quanto avevano

immaginatoerano rientrati in ordine sparso e in preda a una misteriosadepressione. Avevano fatto ritorno a Nizza «per

sempre»come essi stessi dichiararono; ma ciò non impedì cheuna notteumida e piovosa di maggios'infilassero in un20

vagone ferroviario di seconda classe - era impossibile prevedere in checlasse avrebbero viaggiato - dove Pemberton li

aiutò a stivare una straordinaria collezione di valige e fagotti. Laspiegazione di tale manovra fu che avevano deciso di

trascorrere l'estate «in qualche località tonificante»; ma a Parigifinirono in un angusto appartamento ammobiliato - un

quarto piano in una brutta viacon tanto di scale maleodoranti e di portieredetestabile - e passarono i successivi quattro

mesi in desolata indigenza.

La parte migliore di quel frustrante soggiorno l'ebbero il precettore e ilsuo allievoi qualiin visita agli

Invalides e a Notre Damealla Conciergerie e a tutti i museisi godetteroun centinaio di gratificanti escursioni.

Impararono a conoscere la loro Parigicosa che si rivelò utilevisto chedovettero tornarvi l'anno dopo per un soggiorno

ancor più lungole cui caratteristiche generali nella memoria di Pembertonsi mescolano oggi pietosamente e

confusamente con quelle del primo. Rivede i frusti calzoni di Morganl'eterno paio che non si accordava con la giacca e

che non faceva che scolorirsi mano a mano che il ragazzo cresceva. E rievocaquei famosi buchi nelle sue tre o quattro

paia di calze colorate.

Morgan era caro alla madrema non era mai vestito meglio di quanto fossestrettamente necessarioanche se

parzialmente - bisogna dirlo - per colpa dell'interessatoche mostravariguardo al proprio aspetto un'indifferenza degna

di un filosofo tedesco. «Ragazzo mio carostai andando in pezzi» avrebbevoluto dirgli Pemberton con scetticismo; e

probabilmente il bambino gli avrebbe replicatosquadrandolo dal basso inalto in tutta serenità: «Ragazzo mio caronon

mi pare che siate da meno! Non vorrei farvi sfigurare.» A questo puntoPemberton non avrebbe avuto nulla da

controbatteretanto quella affermazione rispondeva alla realtà. Se comunquele deficienze del proprio guardaroba

costituivano un capitolo a séciò non voleva dire che Pemberton gradisseper il suo giovane discepolo un aspetto troppo

povero. Ma in seguito si abituò all'idea: «Del restose siamo poveriperché non dovremmo sembrarlo?»; e si consolò al

pensiero che nella trascuratezza di Morgan c'era qualcosa di adulto e disignorile dopo tutto un che di diverso dalla

sciatteria del monello che gioca e sciupa ogni cosa. Era perfettamente ingrado di tracciare i diversi stadi attraverso i

qualiquanto più il figlio si limitava alla compagnia del suo precettoretanto più la signora Moreen accortamente si

asteneva dal rinnovargli gli abiti. Ella non faceva nulla se non per leapparenzelo trascurava nella misura in cui il

bambino sfuggiva all'attenzionee addiritturacome egli definivaquell'astuta politicascoraggiava ogni sua comparsa

pubblica in casa. La posizione di lei era abbastanza logica: i membri dellasua famiglia che si mostravano in pubblico si

dovevano notare.

Durante quel periodocome del resto in seguitoPemberton fu perfettamenteconsapevole dell'impressione che

lui e il suo compagno dovevano fare alla gente che li vedeva vagarelentamente per il Jardin des Plantes senza una

precisa metao seduti nelle giornate d'inverno nelle gallerie del Louvrecosì straordinariamente ironiche per dei

senzatettoche non pensassero ad altro che ai vantaggi del calorifèro.Talvolta ci scherzavano sopra: era il genere

d'ironia che rispondeva alla perfezione alla forma mentale del ragazzo. Sicompiacevano d'immaginarsi come parte della

vastaordinaria e imprevidente moltitudine di quell'enorme città e sidichiaravano fieri del loro posto in quel contesto

per la «quantità di vita» che mostrava loro e per come li rendeva conscîdi una certa fratellanza democratica. Se

Pemberton non aveva ragione di commiserare l'indigenza del suo piccolo amico- visto chedopo tuttol'affetto dei suoi

genitori non gli avrebbe mai consentito realmente di soffrire - Morgan per lomeno poteva compatire luie il risultato

finiva per essere lo stesso. Spesso gli capitava di interrogarsi su cosa lagente pensava che fossero... di aver

l'imp ressione che gli altri li guardassero con sospettoneanche sitrattasse di un dubbio caso di sequestro di minore.

Certo Morgan non correva il rischio di essere scambiato per un giovanepatrizio in compagnia del suo precettorenon

era abbastanza elegante; e passava piuttosto per il fratellino malaticcio diPemberton. Di tanto in tanto disponeva di una

moneta da cinque franchie tranne una voltaquando si comprarono un paio dicravatteuna delle quali Pemberton fu

costretto ad accettareinvestivano saggiamente quel denaro in libri usati.Era sicuramente un gran giorno quello

interamente speso sui quaisa rovistare tra le bancarelle polveroseche adornavano i parapetti. Occasioni del genere li

aiutavano a vivereperché i libri che avevano si esaurirono piuttosto infretta dopo l'inizio della loro conoscenza.

Pemberton ne aveva un certo numero di buoni in Inghilterrama fu obbligato ascrivere a un amico e a chiedergli che

gentilmente trovasse un conoscente disposto a prenderseli in cambio diqualcosa.

Se quell'estate dovettero rinunciare ai vantaggi di un clima tonificanteilgiovane non poté fare a meno di

sospettare che la coppa si era rovesciataquando ormai era a portata delleloro labbrasotto l'effetto di una sua violenta

gomitata. S'era trattato della sua prima esibizionecome lui stesso ladefinìdi fronte ai suoi protettori; il suo primo

tentativo riuscito - per quanto poi il successo si limitasse appunto altentativo in sé - di indurli a considerare la sua

impossibile posizione. Poiché era la vigilia di un viaggio apparentementedispendioso la circostanza parve a Pemberton

favorevole per una seria protestaper presentare un ultimatum. Potràsembrare ridicoloeppure non era mai stato in

grado di mettere a segno un colloquio privato con la coppia Moreeno con unodei due singolarmentesenza essere

interrotto. Erano sempre in compagnia di uno dei figli maggiorie il poveroPemberton aveva abitualmente il suo

piccolo allievo alle costole. Pemberton si rendeva conto che quella era unacasa in cui la superficie di una personale

discrezione tendeva alquanto a intorbidirsi; ciò nonostante aveva fatto ditutto per risparmiare ai suoi ingenui scrupoli la

pena di dichiarare pubblicamente al signor e alla signora Moreen che nonpoteva più tirare avanti senza un po' di

denaro. Era ancora abbastanza ingenuo da supporre che Ulick e Paula e Amypotessero non essere al corrente del fatto

che dal giorno del suo arrivo aveva ricevuto soltanto centoquaranta franchi;ed era abbastanza magnanimo da rifiutare

l'idea di compromettere i genitori ai loro occhi. Ora il signor Moreen lostava ad ascoltarecome ascoltava tutti e tutto

da uomo di mondoe sembrava supplicarlo - benchéovviamentein manieranon troppo grossolana - perché si

sforzasse di non essere da meno. Pemberton ammetteva l'importanza di queltipo di comportamento... non fosse altro21

che per il vantaggio che ne derivava al signor Moreenil quale non era néconfuso né imbarazzatoladdove il giovane ai

suoi servizi lo era più di quanto non ve ne fosse ragione. Né si può direche il signor Moreen apparisse sorpresoper lo

meno non più di quanto ha da esserlo un gentiluomo che si confessidisinvoltamente appena turbatoe comunqueforse

non strettamente sorpreso di Pemberton.

«Bisogna che ce ne occupiamonon è verocara?» disse rivolto allamoglie. Garantì al giovane amico che la

questione sarebbe stata trattata con la massima attenzione; e si dileguò conun gesto evasivocome chialla portaè

costretto ad accettare una non voluta ma inevitabile precedenza. Quandosubito dopoPemberton si trovò solo con la

signora Moreenfu per sentirla dire «Capiscocapisco...»mentre silisciava le rotondità del mento con lo sguardo di chi

sta soltanto esitando fra una dozzina di facili rimedi. Non presero alcunadecisionema se non altro il signor Moreen

scomparve per diversi giorni. Durante la sua assenzala moglie tornòspontaneamente sull'argomentoma il suo

contributo si limitò meramente alla constatazione che le cose procedevanofra loro in modo meraviglioso. La replica di

Pemberton a questa rivelazionefu che se non avesse immediatamente ricevutoun acconto li avrebbe piantati in asso e

per sempre. Sapeva che lei avrebbe potuto chiedergli come avrebbe fatto adandarsenee per un momento si attese

quella obiezione. Ma lei si astenne dall'indagarecosa per cui Pemberton lefu quasi riconoscentetanto difficile gli

sarebbe stato rispondere.

«Non lo faretesapete bene che non lo farete... siete troppointeressato» disse la signora Moreen. «Il ragazzo

v'interessalo sapete benemio caro gentil giovane!» Rise di una maliziaquasi accusatoriaa mo' di rimprovero... ma si

guardò dall'insistere; e gli agitò un fazzoletto sudicio davanti agliocchi.

Pemberton s'era mentalmente preparato a fare il passo definitivo la settimanaseguente. Avrebbe così avuto il

tempo di attendere una risposta a una lettera inviata in Inghilterra. Se allascadenza non fece nulla del genere - se rimase

quindi per un altro anno e poi si allontanò soltanto per tre mesi - non fusemplicemente perchéprima di ricevere

risposta alla lettera (rispostaperaltrodel tutto insoddisfacente)ilsignor Moreen generosamente gli contòe una volta

di più con l'aria di sacrificarsi alla «forma» del distinto uomo di mondola somma di trecento franchi in nobile oro

sonante. Con una certa irritazione prese atto che la signora Moreen avevaragioneche non potevaanche se messo alle

stretteabbandonare il ragazzo. La conclusione gli risultò ancora piùchiara per l'autentica ragione chela sera del

disperato appello ai suoi protettoriaveva realizzato pienamente per laprima volta con chi aveva a che fare. Non era

un'ulteriore dimostrazione del successo con cui i suoi protettori praticavanole loro artiil fatto che fossero riusciti a

sviare per tanto tempo il lampo rivelatore? Ed ora il lampo si era rivelatocalando sul nostro amico con un effetto che

forse avrebbe impressionato per la sua comicità uno spettatoresulla scenadi Pemberton che rientrava nella sua

stanzetta di servizioche si affacciava su un cortile chiuso; di fronte unmurospoglio e squallidoricevevaassieme

all'eco di striduli acciottoliiil riflesso delle finestre posterioriilluminate. Semplicementesi era consegnato anima e

corpo a una banda di avventurieri. L'ideala parola stessarivestiva perlui una specie di romantico orroreper lui ch'era

sempre vissuto su basi talmente sicure. In seguitola cosa assunse un sensopiù interessantequasi lenitivo: ne scaturì

una moralee Pemberton ebbe una morale di cui godere. I Moreen eranoavventurieri non esclusivamente in ragione del

fatto che non pagavano i debitiche vivevano alle spalle della societàbensì perché l'intera visione che avevano della

vitaambigua e confusa e istintivaanaloga a quella di animali scaltri maincapaci di distinguere i coloriera parassitaria

e ingorda e meschina. Ohcertoerano «rispettabili»il che non facevache renderli ancora più immondes! L'analisi del

giovanea furia di rimuginarcialla fine gli mostrò la realtà in tuttachiarezza: erano degli avventurieri perché

profittatorie per di più snob. Non v'era altro modo per definirli: quellaera la loro regola di vita. Anche quando la verità

si presentò in tutto il suo significato al loro perspicace coinquilinocostui continuò a non cogliere quanto la sua mente

vi fosse stata preparata dallo straordinario ragazzoche rappresentava ormaiuna così intricata complicazione nella sua

vita. E ancor meno poteva allora calcolare la somma di informazioni dellequali sarebbe stato in seguito debitore verso

lo straordinario ragazzo.

V

Ma fu durante i mesi successivi che si presentò il vero problemailproblema di sapere fino a che punto si

legittimasse il fatto di discutere della scorrettezza dei genitori con unragazzo di dodici o tredici anni. La cosa a prima

vista gli apparve ovviamente assolutamente inammissibile e del tuttoimpossibile; senza dire che per qualche tempouna

volta che Pemberton ebbe ricevuto i trecento franchila questione non fu poicosì urgente. Quell'acconto aveva sortito

l'effetto di un temporaneo rimediodi un sollievo alla più pressantenecessità. Il giovane sistemò alla meglio il proprio

guardaroba e poté addirittura permettersi qualche franco in tasca. Temetteche i Moreen lo trovassero persino troppo

elegantequasi che fosse loro compito quello di sorvegliare che il giovanenon fosse viziato. Se il signor Moreen non

fosse stato l'uomo di mondo che si sapevanon è escluso che gli avrebbeparlato del fatto che un subordinato si

permettesse certe cravatte. Ma il signor Moreen - e di questocertamenteaveva già dato prova - era pur sempre

abbastanza uomo di mondo da lasciar correre. Fu singolare come Pembertonimmaginò che Morganpur non facendone

parolasapesse che qualcosa era accaduto. Ma trecento franchispecialmentequando ci sono dei debiti di mezzonon

possono durare all'infinito; e quando il tesoro arrivò ad esaurimento -anche di questo s'accorse il ragazzo - fu proprio

Morgan a rompere il ghiaccio. La comitiva era rientrata a Nizza all'iniziodell'invernoma non nella deliziosa villa.

Scesero ad un albergodove rimasero per tre mesiper poi trasferirsi in unaltrosostenendo di aver lasciato il primo

perchédopo aver atteso a lungonon era riuscito loro di avere il tipo dicamere desiderate. Gli appartamentiil tipo di22

camere che i Moreen desideravanoerano di gran lusso; per fortunaperònon le ottenevano mai... per fortunaintendo

diredi Pembertonil quale rifletteva sempre che nel caso le avesseroottenute avrebbero ridotto i già scarsi fondi

destinati all'educazione. Ciò che Morgan finì per dire all'improvvisosenza darci troppo pesoquando venne il

momentonel bel mezzo di una lezionefurono poche parole pronunciate intono di apparente noncuranza: «Credo che

dovreste filersapete... dovreste proprio.»

Pemberton sgranò gli occhi. Aveva appreso abbastanza gergo francese daMorgan per sapere che filer voleva

dire tagliare la corda. «Ahragazzo mionon vorrai licenziarmi!»

Morgan tirò a sé un vocabolario di greco - usava un greco-tedesco - percercare una parola anziché domandarla

a Pemberton. «Sapete bene che così non potete andare avanti.»

«Così comeamico mio?»

«Cosìsenza che vi paghino» disse Morganarrossendo in volto esfogliando il suo volume.

«Senza che mi paghino?» Pemberton sgranò di nuovo gli occhi e finsestupore. «Che diavolo ti sei messo in

testa?»

«È da un pezzo che lo so» replicò il ragazzo senza smettere di frugarefra le pagine del vocabolario.

Pemberton stette in silenzio un attimopoi riprese: «Si può sapere cosavai cercando? Mi pagano

profumatamente.»

«Sto cercando come si dice in greco bugia solenne» lasciò cadere Morgan.

«Cerca piuttosto come si dice volgare impertinenzae vedi di ravvederti.Che vuoi che me ne faccia del

denaro?»

«Ohse la mettiamo così è un'altra questione!»

Pemberton rimase perplessocercando una via d'uscita. A rigor di logicalacosa più corretta da farsi era

rammentare al ragazzo che quelli non erano affari suoi e ordinargli dicontinuare con il suo compito. Ma il loro grado di

intimità escludeva una soluzione del genere; non era in quel modo che eraabituato a trattare il ragazzo: non ve n'era mai

stata ragione. D'altro cantoMorgan non aveva fatto che dire la veritàunaverità che per quanto temp o ancora avrebbe

potuto nascondergli? E alloraperché evitare che venisse a conoscenza delreale motivo per cui l'avrebbe abbandonato?

Al tempo stessogli sembrava sconveniente parlar male della famiglia del suoallievo con l'allievo stesso; non rimaneva

che tergiversare. Cosìin risposta all'ultima esclamazione del suocompagnoPembertonper chiudere l'argomento

dichiarò d'aver ricevuto vari pagamenti.

«Questa poi... è davvero bella!» esclamò il ragazzo.

«E adesso basta! Va tutto benissimo» insisté Pemberton. «Consegnami latua traduzione.»

Morgan spinse un quaderno attraverso il tavoloe Pemberton cominciò aleggere la paginama con qualcosa

che gli frullava per la testa e gli impediva di coglierne il senso.Sollevando lo sguardodopo un paio di minutiincrociò

gli occhi del bambino fissi su di lui e vi colse un che di strano. Poi Morgandisse: «Non mi spaventa la dura verità.»

«Ho ancora da vederla la cosa che ti spaventa... di questo devo dartiatto!»

Queste parole balzarono inaspettate dalla bocca di Pemberton - peraltrorispondevano a verità - e fu chiaro che

non dispiacquero a Morgan.

«È un bel po' che ci sto pensando» subito precisò.

«D'accordoma non pensarci più.»

Il ragazzo parve accondiscenderee i due trascorsero insieme un'orapiacevole e persino divertente. Vantavano

la pretesa di essere molto coscienziosi sul lavoroeppure sembrava sempreche si trovassero nei momenti divertenti

delle loro lezioninegli intervalli tra le noiose e buie galleriecon tantodi passaggi laterali e amene vedute. Tuttavia la

mattinata si concluse in maniera violentacon Morgan che ad un trattoraccolse le braccia sul tavolovi ci nascose il

viso e scoppiò in lacrime: tanto più grande fu l'emozione di Pembertonnelmomento in cui se ne accorsein quanto era

quella la prima volta che vedeva il ragazzo piangeree l'impressione che glifece fu davvero terribile.

Il giorno dopoe facendo seguito a molte riflessioniPemberton prese unadecisione checredendola giusta

attuò immediatamente. Mise di nuovo alle strette i signori Moreen e intimòloro chese non l'avessero pagato sui due

piedi per tutto quello che gli dovevanonon soltanto avrebbe abbandonato lacasa ma avrebbe altresì riferito esattamente

a Morgan cosa lo costringeva a quel passo.

«Ma non gliene avete già parlato?» esclamò la signora Moreen portandosila mano al seno ben sostenuto in un

gesto pacificante.

«Senza avvisarvi? Per cosa mi avete preso?» ribatté il giovane.

Il signor e le signora Moreen si guardarono l'un l'altra; Pemberton poténotare che apprezzavanocome un

tributo al loro senso di sicurezzala sua discrezionema anche che il lorosollievo era velato da una certa apprensione.

«Mio caro amico» chiese il signor Moreen«cosa volete farne di tantodenarocon la vita tranquilla che tutti noi

conduciamo?»... al che Pemberton non diede rispostaoccupato com'era adecifrare al di là delle parole la vera

intenzione dei suoi protettoriintenzione che si sarebbe espressa più omeno così: «Ma allorase abbiamo avuto

l'impressione che il bambinoil nostro angiolettoci abbia giudicati e ciguardi in malo modovisto che non siamo stati

traditiciò vuol dire che deve aver intuito da solo... e che quindi la cosaè ormai di dominio pubblico!» Un'implicazione

simile doveva visibilmente turbare il signor e la signora Moreencomeperaltro Pemberton aveva desiderato che fosse.

Al tempo stessose si era illuso che la sua minaccia potesse in qualche modoindurli a più miti consiglidovette

rassegnarsi a constatare che davano ormai per scontato - la loro intuizionenon avrebbe potuto esser più volgare! -

d'essere già stati traditi. C'era una specie di religiosa trepidazione nelloro cuore di genitorie quel sospetto non ne era23

stato che l'indizio più infimo. Non di menocomunquela sua minacciadovette allarmarli; perché erano scampati a un

pericoloma solo per ricadere in un altro. Il signor Moreen s'appellò aPembertontanto per non smentirsida uomo di

mondo; la moglie invece era ricorsaper la prima volta da quando il giovaneprecettore era entrato nella loro famigliaa

una raffinata hauteurrammentandogli che una madre devotarispettoal proprio figliodispone di arti capaci di tenerla

al riparo da eventuali grossolane falsificazioni della verità.

«Sarei io a falsificare grossolanamente la verità se vi accusassi di comuneonestà!» replicò il nostro amico; ma

mentre sbatteva violentemente la porta dietro di sépensando di non avermigliorato affatto la propria posizionee

mentre il signor Moreen si accendeva un'altra sigarettasentì la padrona dicasa gridargli dietro pateticamente:

«È proprio quello che state facendo... metterci il coltello alla gola!»

Il mattino seguentedi buon'orala signora si presentò in camera sua.Pemberton riconobbe il suo modo di

bussare alla portama non si aspettava che lei gli portasse del denaro;quanto a questo si sbagliavadal momento che la

signora Moreen aveva realmente in mano cinquanta franchi. Si intrufolòavvolta nella sua vestaglia da camerae lui la

ricevette nella stessa tenutafra la vasca da bagno e il letto. Pembertonera ormai discretamente avvezzo ai «modi

forestieri» dei suoi padroni di casa. La signora Moreen era impetuosaequando era impetuosa non badava molto a quel

che faceva; si sedette quindi sul lettocon tutti i vestiti di lui sparsisulle sedieeagitata com'eradimenticò

guardandosi intornodi vergognarsi per avergli assegnato una stanza tantoorrenda. Ora tutto l'ardore della donna era

rivolto allo scopo di persuaderlo che innanzi tutto lei era davvero magnanimaa venirgli a portare i cinquanta franchie

chein secondo luogovolendo rifletterci sopranon poteva non coglierel'assurdità della sua pretesa di essere pagato.

Non era forse pagato abbastanza anche senza denaro corrente... non era forsepagato con la casa confortevole e lussuosa

di cui godeva assieme a tutti lorosenz'alcuna preoccupazionesenza unasola necessità? Non disponeva forse di una

posizione sicurae questo non rappresentava tutto per un giovane come luitotalmente sconosciutodotato di poche

qualità da esibiree la base delle cui esorbitanti pretese non era poicosì evidente? Esopra ogni altra cosanon era forse

pagato dal tenero rapporto che aveva stabilito con Morgan - sicuramenteidealetrattandosi di precettore e allievo - e dal

semplice privilegio di conoscere e di vivere con un ragazzo cosìsorprendentemente dotato? Un ragazzo la cui

compagnia (e intendeva alla lettera ciò che diceva) non aveva equivalenti inEuropa? Anche la signora Moreen finì

dunque con l'appellarsi a lui da uomo di mondo; disse «Voyonsmon cher»e «Amico mio carovediamo d'intenderci»;

e lo sollecitò a essere ragionevolesostenendo che si trattava per lui diun'autentica occasione. Parlò insomma come se

nella misura in cui fosse stato ragionevoleavrebbe veramentedimostrato di essere degno dell'incarico di precettore di

suo figliononché della straordinaria fiducia che tutti loro avevanoriposto in lui.

Dopo tuttorifletté Pembertonera soltanto una differenza teorica e lateoria non aveva in questo caso grande

importanza. Fino ad allora avevano accettato quella della prestazioneremuneratae adesso invocavano quella della

prestazione gratuita; ma perché sprecare tante parole? La signora Moreen adogni modo continuava a essere persuasiva;

seduta con i suoi cinquanta franchi in mano parlava e si ripeteva come sannoripetersi le donnee l'annoiava e l'irritava

mentre Pemberton se ne stava appoggiato contro la paretecon le maniinfilate nelle tasche della vestaglia

trattenendone i lembi inferiori con le gambe e guardando oltre la testa dellasua visitatrice verso le grige negazioni della

finestra. Fu lei a tentare l'ultima parola: «Come vedetevi porto unaproposta concreta.»

«Una proposta concreta?»

«Per rendere i nostri rapporti regolaridiciamo... per fondarli su unasolida base.»

«Capisco... è un metodo come un altro» disse Pemberton. «Una specie diricatto organizzato.»

La signora Moreen ebbe un sobbalzoproprio come Pemberton voleva. «Cosavolete dire con questo?»

«Che speculate sui timori altrui... sulla mia paura di ciò che potrebbeaccadere al ragazzo se me ne andassi.»

«Edi graziache ne sarebbe mai di lui in tal caso?» domandòmaestosamente la signora Moreen.

«Diciamo... che rimarrebbe da solo con voi.»

«Edi graziacon chi dovrebbe stare un ragazzo se non con le persone chepiù ama al mondo?»

«Se ne siete così convintaperché non mi licenziate?»

«Avreste forse la pretesa di dire che ama più voi che noi?» sbottòla signora Moreen.

«Penso che ne avrebbe tutti i diritti. Io faccio dei sacrifici per lui. Eper quanto abbia sentito parlare di quelli

che fate voiio non li vedo.»

La signora Moreen stette a squadrarlo per un istante; poi con viva emozioneafferrò la mano dell'ospite.

«Allora lo farete... il sacrificio?»

Pemberton scoppiò in una risata. «Capisco. Farò quello che potrò.Rimarrò ancora qualche tempo. Il vostro

calcolo è esatto: detesto anche solo l'idea di rinunciare a lui; gli sonoaffezionatoil ragazzo m'interessa moltomalgrado

il danno che me ne viene. Sapete perfettamente qual è la mia situazione. Nonposseggo un centesimo eoccupato come

mi potete vedere con Morgannon ho altre possibilità di guadagno.»

La signora Moreen batté la banconota piegata sul braccio nudo. «Nonpotreste scrivere qualche articolo? O fare

delle traduzionicome me?»

«Quanto alle traduzioni ho i miei dubbi; sono pagate una miseria.»

«Io m'accontento di guadagnare quello che posso» disse la signora Moreencon prodigiosa virtù.

«Dovreste dirmi per chi lavorate.» Pemberton s'interruppe un attimoma dalei non venne risposta; e allora lui

aggiunse: «Ho cercato di piazzare qualcuno dei miei scarabocchima leriviste non ne vogliono sapere ... rifiutano

cortesemente e ringraziano.»24

«Vedete dunque che non siete poi quest'araba fenice» sorrisemaliziosamente la donna... «da vantare capacità

che stareste sacrificando a nostro profitto.»

«La verità è che non ho il tempo per fare le cose a dovere» replicò ilgiovane in tono lamentevole. Poi

rendendosi conto di essere oltremodo generoso a dare tante spiegazioniaggiunse: «Se decido di rimanere ancora un po'

sarà solo a una condizione: che Morgan venga chiaramente messo al correntedi quali sono i termini della mia

permanenza.»

La signora Moreen avanzò un'obiezione. «Non mi direte che volete metterviin mostra di fronte a un ragazzo?»

«Mettere voi in mostravolete dire?»

La donna esitò di nuovoma questa volta per avere il tempo di partorire unaperla ancor più pregiata. «E siete

voi a parlare di ricatto!»

«Voi potete impedirmelo» disse Pemberton.

«E voi mi venite a parlare di speculazioni sulle paure altrui!»incalzò lei coraggiosamente.

«Sìindubbiamente sono un gran farabutto.»

La padrona di casa incrociò il suo sguardo... era chiaro che si trovava allestrette. Fu allora che cacciò fuori il

denaro e glielo porse. «Il signor Moreen mi ha pregato di consegnarvi questodenaro in conto.»

«Sono molto obbligato al signor Moreenma noi non abbiamo alcunconto.»

«Non l'accettate?»

«Così rimango più libero» disse Pemberton.

«Di avvelenare la coscienza del mio tesoro?» brontolò la signora Moreen.

«Ohla coscienza del vostro tesoro...»rise il giovane.

Lei lo fissò per un istantee Pemberton credette che la donna stesse persbottareimplorando fuori di sé: «Per

carità di Dioditemi cosa c'è dietro!» Ma riuscì a dominarequell'impulso... ce n'era un altro più forte. Intascò il denaro -

l'ineluttabilità dell'alternativa era quanto meno comica - e si precipitòfuori dalla stanza concedendo disperatamente:

«Raccontategli pure tutti gli orrori che volete!»

VI

Un paio di giorni dopodurante i quali non si curò di profittare dellatanto generosa licenza concessagli

Pemberton se ne stava passeggiando in silenzio già da un quarto d'ora con ilsuo giovane allievoquando questi si fece

di nuovo loquace con la seguente osservazione: «Vi dirò come l'ho saputo;è stato grazie a Zénobie.»

«Zénobie? Chi diavolo è mai costei?»

«Una governante che avevo... tantissimi anni fa. Una donna deliziosa. Levolevo un sacco di benee lei a me.»

«Non siamo qui per discutere di affetti. Cos'hai saputo grazie a lei?»

«Le idee che loro hanno in proposito. Se ne andò perché loro noncacciavano fuori i quattrini. Per il gran bene

che mi volevaresistette due anni. Poi mi raccontò tutto... che alla finenon avrebbe mai ottenuto i compensi che le

spettavano. Non appena si accorsero di quanto s'era affezionata a me smiseroimmediatamente di pagarla. Pensavano

che sarebbe rimasta per niente: giusto per questo... capitenon èvero?» E Morgan accompagnò queste parole con

un'occhiatina bizzarrasignificativaluminosa. «Rimase persino troppotempo... finché poté. In fondo era una povera

ragazzadi quelle che mandano regolarmente i quattrini alla madre. Alla finenon ce la fece piùe se ne andò una sera in

un impeto d'ira... contro di lorovoglio dire. Pianse per me finoallo straziomi abbracciò così forte che per poco mi

soffocava. E mi raccontò tutta la faccenda» ripeté il ragazzo. «Mi dissecome la pensavano loro. Ed è per questoe da

un pezzo ormaiche ho indovinato che avrebbero fatto lo stesso con voi.»

«Zénobie era molto sveglia» disse Pemberton. «E ha svegliato anche te.»

«Ohin questo Zénobie non c'entra; è stata la natura. E l'esperienza!»rise Morgan.

«Behdiciamo che Zénobie è stata parte della tua esperienza.»

«Sicuramente io sono stato parte della suapovera cara!» sospirògiudiziosamente il ragazzo. «Così come sono

parte della vostra.»

«Una parte molto importante. Ma non capisco come tu possa concludere che mihanno trattato come lei.»

«Mi prendete forse per il più grande somaro che abbiate mai conosciuto?»chiese Morgan. «Forse che finora

non sono stato consapevole di tutto ciò che abbiamo passato insieme?»

«E cosa abbiamo passato insieme?»

«Le nostre privazioni... i nostri giorni neri.»

«Ohio direi che abbiamo avuto giorni abbastanza luminosi.»

Morgan si raccolse in silenzio per un istante. Poi riprese: «Vecchio miosiete un eroe!»

«Tu pureallora!» ricambiò Pemberton.

«Noio noma certo non sono un lattante. Non sono più disposto acontinuare così. Dovete trovarvi

un'occupazione che vi renda. Io ho vergognaho vergogna!» tremò il ragazzocon accento di passionesimile a una nota

alta e argentea di un piccolo corista da cattedraleche commosseprofondamente l'amico.

«Dovremmo andarcene a vivere insieme altrove» disse il giovane.

«Verrei via come un fulmine se mi prendeste con voi.»

«Dovrei trovare un lavoro che permettesse a tutti e due di campare»continuò Pemberton.25

«Anch'io. Perché io non dovrei lavorare? Non sono mica un piccolo scimunitoviziato.»

«La difficoltà consiste nel fatto che i tuoi genitori non ne vorrebberoneppure sentir parlare. Non si

separerebbero mai da te; adorano la terra su cui cammini. Non ti sembra chetutta questa storia ne sia la prova?» tentò di

spiegare Pemberton. «In fondo io piaccio a loro; e loro non mi vogliono delmale; sono persone decisamente amabili

ma nondimeno pronte a espormi a tutte le difficoltà di questa vita per amortuo.»

Il silenzio con cui Morgan accolse la sua affettuosa dialettica venneinterpretato da Pemberton come molto

espressivo. Dopo qualche istante il ragazzo ripeté: «Siete davvero uneroe!» E poi aggiunse: «Mi lasciano sempre con

voi. Siete voi che avete la responsabilità per intero. Mi affidano a voidalla mattina alla sera. Perché allora dovrebbero

avere qualcosa da obiettare se io venissi via con voi? Potrei aiutarvi.»

«Non credo che sarebbero particolarmente entusiasti all'idea che io possavenire aiutatosenza dire di come si

deliziano al pensiero che tu sia uno di loro. Sono tremendamenteorgogliosi di te.»

«Ma non io di loro. E questo lo sapete bene» replicò Morgan.

«Lasciando da parte la questione di cui stiamo parlandosono personesimpatiche» disse Pembertonnon

facendo caso all'accenno fatto alla sua intelligenzae stupendosi piuttostodi quella del ragazzoe specialmente di quella

rinnovata conferma di qualcosa di cui era stato consapevole sin dall'iniziovale a dire la caratteristica più strana della

grande personalità del suo piccolo amico: un temperamentouna sensibilitàaddirittura un ideale segretoche non meno

segretamente gli faceva ripudiare la stoffa di cui era fatta la sua gente.Morgan aveva nel suo intimo una contenuta

dignità che lo rendeva particolarmente acuto nell'arte di individuare ognisorta di meschinità; al tempo stessorispetto al

modo di vivere di quelli che gli stavano intornoun senso critico senzaprecedenti per una natura giovanilesoprattutto

se si osservava che quell'elemento non era tale da conferire al ragazzoun'«aria da adulto» strana o appassita o

sgradevolecome si dice dei bambini. Era come fosse stato un piccologentiluomo e ne avesse pagato lo scotto

scoprendo di essere il solo del genere in famiglia. Ma quel confronto non eraper lui occasione di presunzionee

gl'ispirava invece una vena melancolica e leggermente austera. QuandoPemberton pensava a quei sentimenti giovani e

vaghiombre di ombresi sentiva in parte attratto e in parte trattenutoquasi per scrupolodalla suggestione di

scandagliare quelle fresche e modeste sorgenti che tanto rapidamente sifacevano sempre più profonde. Quando si

sforzava d'immaginare la penombra mattutina dell'infanziacosì da trattarlacon sicurezzasi rendeva conto che non era

mai staticamai immobileche l'ignoranzanell'istante in cui la sfioravastava già tenuamente tingendosi del colore

della conoscenzache nulla esisteva che prima o poi un bambino intelligentepotesse ignorare. Sembrava a Pemberton di

saperne troppo per capire la semplicità di Morgan e troppo poco persbrogliare il suo groviglio.

Il ragazzo non prestò attenzione alla sua ultima osservazione; e invececontinuò: «Avrei parlato con loro già da

un pezzo di quella che io chiamo la loro idease non fossi stato sicuro inanticipo di quello che mi avrebbero detto.»

«E cosa mai avrebbero detto?»

«Esattamente quello che mi risposero a proposito della povera Zénobie: chesi trattava di un'ignobile

menzognache l'avevano pagata fino all'ultimo centesimo.»

«Magari lo fecero davvero» disse Pemberton.

«Certocome hanno pagato anche voi!»

«Facciamo come se fosse cosìe n'en parlons plus

«Accusarono Zénobie di menzogne e di truffa»... Morgan insisteva con laricostruzione storica dei fatti. «Ecco

perché non ne voglio parlare con loro.»

«Per paura che accusino anche me?»

Morgan questa volta non risposee l'amicoabbassando su di lui lo sguardo -il ragazzo distolse gli occhi

colmi di lacrime -si accorse che non poteva arrischiarsi a parlare.

«Hai ragione. Lasciali perdere» l'incoraggiò Pemberton. «A parte questosono persone deliziose.»

«Volete dire: a parte le loro menzogne e le loro mistificazioni?»

«Senti... senti!» esclamò Pembertonimitando del ragazzo un'intonazioneche già di per sé era un'imitazione.

«Insommavediamo di parlarci con franchezza; dobbiamo arrivare aun'intesa» disse Morgan con l'enfasi del

ragazzetto che si compiace di affrontare questioni importanti... come se sitrattasse di giocare al naufrago o agli indiani.

«So tutto di tutto.»

«M'immagino che tuo padre abbia le sue buone ragioni» replicò Pembertonma senza molta convinzionecosa

di cui sembrò consapevole lui stesso.

«Per mistificare e imbrogliare?»

«Per risparmiare e arrangiarsi e cavare il massimo profitto dai suoi mezzi.Ha una quantità enorme di cose da

fare con il suo denaro. È una famiglia dispendiosa la vostra.»

«Sìcerto: sono molto dispendioso io» concordò Morgan conun'espressione che fece scoppiare il suo

precettore in una risata.

«Sta risparmiando per te» disse Pemberton. «Non smettono dipensare a te qualsiasi cosa facciano.»

«Visto che c'èpotrebbe almeno risparmiare un po'...» Il ragazzos'interruppee l'amico attendeva di sentire che

cosa. Ma Morgan concluse in maniera decisamente inaspettata: «Un po' direputazione.»

«Quanto a reputazionece n'è da vendere!»

«Sìce n'è abbastanza per la gente che frequentanonon c'è dubbio. Male persone che frequentano sono

terribili.»

«Alludi ai principi? Non dobbiamo parlar male dei principi.»26

«Perché no? Non hanno sposato Paula... non hanno sposato Amy. In compensonon fanno che spellare Ulick.»

«Davvero sai ogni cosa!» si rassegnò Pemberton.

«Nodopo tutto no. Non so di che vivonoo come vivonoo perché vivono!Di che cosa dispongono e come se

lo sono procurato? Sono ricchisono poverio hanno una modeste aisance?Perché continuano a sbattermi di qua e di

là... vivendo un anno da grandi ambasciatori e l'anno dopo da miserabili?Chi sonoinsommae cosa sono? Ho pensato

a tutto questo... ho pensato un sacco di cose. Sono così insopportabilmentemondani. È la cosa che detesto di più... oh

me ne sono accorto! Tutto ciò di cui si preoccupano sono le apparenze epassare per questo o per quell'altro. Per che

diamine vogliono passaresi può sapere? Si può saperesignor Pemberton?»

«Si direbbe che t'aspetti una risposta» commentò Pembertonprendendo ladomanda come uno scherzo

eppure interrogando se stesso e grandemente stupito per l'intensaanche seimprecisavisione del suo compagno. «Non

ne ho la minima idea.»

«E a che servirebbe? Non ho forse visto il modo in cui li tratta la gente...la gente ‹per bene›le persone che

loro ci tengono tanto a frequentare? Da loro accettano qualsiasi cosa... sonopronti a buttarsi per terra e a lasciarsi

calpestare. Le persone ‹per bene› detestano questo... ne provano nausea.Voi siete l'unica persona realmente per bene

che conosciamo.»

«Ne sei certo? Non si può dire che si buttino a terra per me!»

«Meglioe voi non dovete buttarvi a terra per loro. Dovete trovare il mododi andarvene... ecco cosa dovete

fare» disse Morgan.

«E che ne sarà di te?»

«Ohio sto crescendo. Ne verrò fuori prima o poi. E ci rivedremo.»

«Faresti meglio a lasciare che sia io a rifinirti» esortò Pembertonprestandosi alla sua strana superiorità.

Morgan fermò il passoe sollevò lo sguardo verso il maestro. Dovevasollevarlo molto meno ora che non un

paio d'anni prima: era cresciutonella sua dondolante magrezzacosì lungoe così alto. «Rifinirmi?» fece eco.

«Ci sono tante cose divertenti che possiamo fare ancora insieme. Vorreiessere io a modellarti... vorrei che tu

mi facessi onore.»

Morgan continuava a guardarlo. «Farvi credito... volete dire?»

«Ragazzo miosei troppo intelligente per vivere.»

«Ecco cosa temo che pensiate. Nono; non è corretto... non lo possotollerare. Ci separeremo la prossima

settimana. Più presto si finisce e prima dormiremo tranquilli.»

«Se mi capita di sentire qualcosa... altre possibilità... prometto che mene andrò» disse Pemberton.

Morgan acconsentì a considerare questa opportunità. «Ma sarete onesto»domandò; «non mi darete a intendere

di non aver sentito nulla?»

«È molto più probabile che ti debba dare a intendere il contrario.»

«Ma cosa volete che vi capitiin questo modorintanato in un buco qui connoi? Dovreste essere sul posto

andare in Inghilterra... dovreste andare in America.»

«Si potrebbe pensare che sia tu a farmi da precettore!» disse Pemberton.

Morgan riprese a camminaree dopo un po' cominciò di nuovo: «Beneora chesapete che io sosarà meglio

che guardiamo in faccia la realtà e che non ci nascondiamo nulla... è moltopiù comodonon credete?»

«Ragazzo mioè talmente divertentecosì interessanteche sarà quasiimpossibile per me rinunciare a

occasioni come queste.»

Una volta di più Morgan fu indotto a fermarsi dalle parole del precettore.«Voi mi nascondete qualcosa. Oh

voi non siete corretto... io sì!»

«Perché non sarei corretto?»

«Perché avete una vostra idea in testa!»

«Una mia idea?»

«Sìche probabilmente io non riuscirò a far invecchiare - o a far piùvecchie - le mie ossae che voi potete

resistere finché io sarò tolto di mezzo.»

«Sei troppo intelligente per vivere!» ripeté Pemberton.

«Trovo che si tratti di un'idea spregevole» continuò Morgan. «Ma ve lafarò pagare per tutto il tempo che mi

riuscirà di tener duro.»

«Stai accorto perché potrei anche avvelenarti!» sorrise Pemberton.

«Mi sento meglio e più forte ogni anno che passa. Non avete notato che nonsi è visto il medico in casa da

quando siete arrivato voi?»

«Io sono il tuo medico» disse il giovaneprendendolo per un braccio etirandolo teneramente verso di sé.

Morgan avanzò e dopo qualche passo dette un sospiro a metà tra stanchezza esollievo. «Ahadesso che

guardiamo in faccia la realtà va tutto meglio!»

VII

Non mancarono loro parecchie occasioni di guardare in faccia la realtàdopoquel giorno; e una delle prime

conseguenze di quel loro modo di agire fu che Pemberton tenne duroper usarel'espressione del suo giovane amico27

proprio a quello scopo. Morgan rendeva gli avvenimenti talmente vividi ecuriosie al tempo stesso così crudi e brutti

che c'era un certo fascino nel fatto di parlarne con luicome del restosarebbe stato spietato lasciarlo ad affrontarli da

solo. Ora che la coppia aveva messo in comune tali e tante percezioni erainutile per loro fingere di non giudicare quella

gente; ma il fatto in se stesso di giudicare e di scambiarsi ogni percezionecreò fra i due un nuovo tipo di legame.

Morgan mai come ora era stato interessanteora che brillava per la luceriflessa di quelle confidenze. La cosa che più ne

acquistò risalto fu la passione contenuta e pura del suo orgoglio. Ilragazzo ne aveva in abbondanzae Pemberton lo

sentiva... al punto da chiedersi saggiamente se non gli avrebbe fatto benequalche precoce ferita. Avrebbe voluto che i

suoi familiari avessero un po' più di dignità e d'intelletto per rendersiconto di come non facessero che subire

perpetuamente umiliazioni. La madre dal canto suo ne avrebbe subiteall'infinitoe il padre forse ancor più della madre.

Aveva una teoria secondo cui Ulick era scampato a una «strana faccenda» aNizza: c'era stato una volta uno scompiglio

in casaun autentico panico - dopo il quale tutti si erano precipitati aletto ingoiando medicine - che non si sarebbe

potuto interpretare diversamente. Morgan aveva un'immaginazione romanticanutrita di poesia e di storiae avrebbe

voluto che coloro che «portavano il suo nome» - come era solito dire aPemberton con quell'umoris mo che rendeva

adulta la sua sensibilità bizzarra - si comportassero degnamente. Ma i lorounici pensieri erano rivolti alla

preoccupazione di frequentare gente che non voleva saperne di loro e diprendere gli affronti come se fossero state

gloriose cicatrici. Perché la gente non volesse saperne di loroquestoMorgan non lo capiva e non era affar suo; dopo

tuttoall'apparenza non erano repellentierano cento volte piùintelligenti della media nell'ambiente grigio delle persone

altolocatedei «signoroni» appresso ai quali si affannavano a correre daun capo all'altro d'Europa. «Dopo tuttosono

divertenti ...diciamo la verità!» soleva sentenziare Morgan con la saggezzadei secoli. Al che Pemberton sempre

replicava: «Divertente... la grande troupe dei Moreen? Assolutamentepersone deliziose; e se non fosse per gli ostacoli

che tu ed io (misere comparse!) creiamo all'ensembleavrebberosuccessi travolgenti.»

La cosa alla quale il ragazzo non riusciva a rassegnarsi era il fatto chequel particolare deterioramentoin una

tradizione di rispettabilitàsembrava così immeritato e arbitrario.Indubbiamente ognuno aveva il diritto di battere le

strade preferite; ma perché proprio la sua gente aveva preferitoquella dell'arrivismo e del servilismodella

mistificazione e dell'imbroglio? Che male avevano fatto loro gli antenati -tutte persone decoroseper quel che ne

sapeva lui - o che male lui stessoMorganaveva fatto loro? Chi avevaavvelenato il loro sangue con quell'ambizione

sociale di quint'ordinecon l'idea fissa di conquistare conoscenzealtolocate e d'introdursi a tutti i costi nel monde chic

tanto più trattandosi di sforzi votati in partenza al fallimento eall'umiliazione? Era talmente smaccato ciò di cui

andavano in caccia; ecco perché la gente che loro volevano non li voleva. Emai uno scrupolo di dignitàmai un

sussulto di vergogna al guardarsi in faccia l'un l'altromai un gesto diribellione o di risentimento o di disgusto. Se suo

padre o suo fratello avessero soltanto mandato qualcuno a gamb e all'aria unao due volte all'anno! Perspicaci com'erano

non avevano mai il sospetto dell'impressione che facevano al prossimo. Eranosempre accomodantisì... accomodanti

come ebrei sulla soglia di un negozio di tessuti! Era mai possibile cheproprio quello doveva essere il modello prescelto

dalla sua famiglia? Morgan aveva dei vaghi ricordi di un vecchio nonnomaternoa New Yorkper conoscere il quale

gli fecero espressamente traversare l'oceano quando aveva cinque anni: ungentiluomo dal colletto alto e dalla pronuncia

raffinatache indossava la marsina di primo mattino - al punto che uno sichiedeva cosa mai avrebbe indossato la sera -

e che possedevao si supponeva possedesse«proprietà» e che avessequalcosa a che fare con la Bible Society. Altro

non poteva esser stato se non una persona a modo. Lo stesso Pembertonrammentava la signora Clancyuna sorella

vedova del signor Moreenuna donna irritante come un racconto moralecheaveva trascorso una quindicina di giorni in

visita alla famigliaa Nizzapoco dopo il suo ingresso in casa Moreen. Era«pura e distinta»come diceva Amy da

dietro il banjoe aveva l'aria di non capire cosa essi volevano direquando parlavano e di custodire nella propria intimità

qualcosa di piuttosto importante. Pemberton valutò che questo qualcosa dinascosto in lei corrispondesse alla

disapprovazione di buona parte del loro modo di vivere; ragione per cui sipoteva supporre che anche in questo caso

doveva trattarsi di una persona a modoe che il signor e la signora Moreennonché Ulick e Paula e Amyavrebbero

tranquillamente potuto essere anche meglio se solo avessero voluto.

Ma che loro non volessero risultava sempre più evidente di giorno in giorno.Continuavano il loro

«inseguimento»come lo chiamava Morgane venne il momento in cuiavanzarono tutta una gamma di ragioni per

trasferirsi a Venezia. Ne menzionarono un certo numero... erano sempresensazionalmente franchi e il loro modo di

colloquiare era dei più cordiali e brillantispecialmente all'oradellaprima colazione un po' tardasecondo l'uso

stranieroprima che le signore passassero al rito del truccoquandos'appoggiavano con le braccia sulla tavola

prendevano qualcosina per accompagnare la demi-tasseenel fervoredella discussione familiare a proposito di ciò che

«realmente dovevano» farericadevano inevitabilmente in una delle linguein cui era consentito loro tutoyer. Persino

Pemberton li trovava gradevoli in quell'occasione; poteva sopportare ancheUlick e la sua scialba vocina a favore della

«dolce città di mare». Era proprio quel particolare a rendere Pembertoncosì vigliaccamente gentile con loro... il fatto

che fossero così fuori dal mondo prosaico e noioso e che da quel mondoriuscissero tutto sommato a tener fuori anche

lui. L'estate era svanita quandoin uno spreco di estatiche esclamazioniiMoreen al completo si affacciarono al balcone

che dava sul Canal Grande. I tramonti in quella stagione erano splendidi ederano arrivati i Dorrington. I Dorrington

erano la sola ragione di cui non avevano parlato a colazione; ma le ragionidi cui loro non parlavano a colazione

venivano fuori sempre e soltanto alla fine. I Dorrington dal canto lorovenivano fuori assai poco; oppurequando lo

facevanosi trattenevano fuori - com'era naturale - per poche oredurantele quali la signora Moreen e le ragazze

passavano dal loro albergo (per vedere se erano rientrati) non meno di trevolte a intervalli regolari. Una gondola era

riservata alle signoredal momento che neppure a Venezia mancavano i famosi«giorni»appresi a memoria dalla28

signora Moreen non più di un'ora dopo l'arrivo in città. Immediatamente nedestinò uno a se stessaal quale peraltro i

Dorrington non si degnarono mai di veniresebbene in una precisacircostanzaallorché Pemberton e il suo allievo si

trovavano insieme a San Marco - dovenel corso delle più belle passeggiatemai fatte e di visite a un centinaio di chiese

solevano trascorrere buona parte del loro tempo - videro il vecchio lord incompagnia del signor Moreen e di Ulickche

gli mostravano le bellezze della buia basilica come se appartenesse allafamiglia. Pemberton osservòfra le altre

curiosità del postocome Lord Dorrington si comportasse assai meno da uomodi mondo; al punto da domandarsi se

per quel genere di servizii suoi amici non si facessero corrispondere unonorario dal vecchio. L'autunnoad ogni modo

volò viai Dorrington ripartironoe Lord Verschoyleil figlioprimogenitonon s'era candidato né per Amy né per

Paula.

Un giorno cupo di novembrementre il vento ringhiava tutt'intorno al vecchiopalazzo e la pioggia sferzava la

lagunaPembertonper esercizio ma anche in un certo modo per scaldarsi - iMoreen erano terribilmente economi in

fatto di fuocoed era questa una causa di grandi sofferenze per il lorocoinquilino - passeggiava in lungo e in largo per

la grande sala spogliacon il suo allievo. Il pavimento alla veneziana eragelidole alte finestre logore sbattevano nella

tormentae il nobile decadimento del luogo non era neppure confortato da unatraccia di mobilio. L'umore di Pemberton

era dei più depressie gli capitò di pensare che ancor più depressadoveva risultare ormai la fortuna dei Moreen. Una

raffica di desolazioneun presagio di disgrazie e di guaisembròabbattersi su quella sala inospitale. Il signor Moreen e

Ulick si trovavano in Piazzaa guardarsi attorno in cerca di qualcosaagirovagare tristementeavvolti

nell'impermeabilesotto i portici; con tutto ciòmalgrado gliimpermeabiliinequivocabilmente uomini di mondo. Paula

e Amy erano a lettoe si sarebbe potuto pensare che ci rimanessero pertenersi al caldo. Pemberton gettò un'occhiata di

sbieco al ragazzo che gli stava al fianconel tentativo di intuire fino ache punto fosse consapevole di quegli oscuri

presagi. Ma Morganfortunatamente per luiin quel momento era più chealtro consapevole del fatto di crescere alto e

fortedi vivere insomma i suoi quindici anni. Era questo un particolaremolto interessante per luinonché il principio

informatore di una sua personale teoria - peraltro confidata al suoprecettore - secondo la quale a breve scadenza

sarebbe stato in grado di stare in piedi da solo. Riteneva che la situazionesarebbe cambiata: che prima o dopouna volta

che si fosse sentito abbastanza «rifinito»sarebbe stato disponibile aentrare nel mondo degli affari e pronto a

dimostrare la sua buona lega. Per quanto a volte fosse lucidamente capace dianalizzarecome lui stesso dicevala sua

vitanon mancavano ore felici durante le quali rimanevasempre per usare lesue parole - del resto appropriate allo

spirito del loro ideale -«allegramente» superficiale; ne era prova la suafondamentale presunzione che presto sarebbe

andato a Oxfordnello stesso college di Pemberton dovecon l'aiuto ela complicità di Pembertonavrebbe fatto cose

prodigiose. Ulteriore motivo di depressione era per il giovane il prendereatto di quanto poco Morganin quei suoi

progettifacesse i conti con i modi e i mezzi: eppure in altre circostanzeil ragazzo faceva per lo più mostra di un

notevole senso della misura. Pemberton si sforzava di immaginarsi i Moreen aOxford e per buona fortuna non gli

riusciva; di fattoperòse non avessero adottato Oxford come luogo diresidenza non sarebbe stato possibile un modus

vivendi per Morgan. Come avrebbe potuto vivere senza una renditae dadove poteva saltar fuori tale rendita? Lui

Pembertonpoteva vivere alle spalle di Morgan; ma poteva Morgan vivere suquelle di lui? Che ne sarebbe stato di lui

in ogni caso? Per un certo versoil fatto che ora il ragazzo fossecresciutoe con migliori prospettive di saluterendeva

la questione del suo futuro ancor più complessa. Fin tanto che era statoproprio debolela grande attenzione che ispirava

appariva di per sé come una risposta sufficiente al problema. Main cuorsuoPemberton doveva ammettere che

Morgan poteva probabilmente sentirsi abbastanza forte per viverema nonancora abbastanza forte per lottare e

prosperare. Lo stesso Morgan ad ogni modo era giusto all'alba della piùrosea consapevolezza adolescenzialecosì che

l'abbattersi della tempesta null'altro gli significavadopo tuttose non lavoce della vita e la sfida del destino. Aveva

indosso il suo soprabitino frustoil bavero rialzatoma aveva l'aria digodersi quella passeggiata.

La passeggiataperòvenne presto interrotta dalla comparsa della madre dallato opposto della sala. Lo chiamò

con un cenno perché le si avvicinassee Pembertonseguendolo con losguardo mentrecompiacentes'allontanava sul

falso marmo umidosi domandò che novità ci fosse nell'aria. La signoraMoreen rivolse una parola al ragazzo e lo fece

andare nella stanza da cui era venuta. Poiuna volta chiusagli la porta allespallediresse i suoi passi rapidamente verso

Pemberton. Qualcosa c'era nell'ariama neppure il più sfrenato volodi fantasia avrebbe potuto suggerirgli quel che poi

si sarebbe rivelato. La donna spiegò d'aver trovato un pretesto persbarazzarsi di Morgandopo di che - senz'alcuna

esitazione - chiese se il giovane poteva farle il favore di un prestito ditre luigi. Prima di scoppiare in una risata

Pemberton rimase un attimo a guardarla allibitodandole il tempo didichiarare che aveva un'impellente urgenza di quel

denaro; era disperata... ne andava della sua vita.

«Mia cara signorac'est trop fort!» rise Pemberton in un modo e conuna grazia presa a prestito dall'idioma che

contraddistingueva i momenti più familiaripiù aneddoticidei suoi stessiamici. «Dove diavolo supponete che io possa

trovare i tre luigidu train dont vous allez?»

«Pensavo che lavoraste... che scriveste delle cose. Non vi pagano forse?»

«Neanche un centesimo.»

«E sareste tanto stupido da lavorare per nulla?»

«Questo voi dovreste saperlo bene.»

La signora Moreen sgranò gli occhipoi arrossì leggermente. Pembertonintuì che doveva aver praticamente

dimenticato le condizioni - se «condizioni» si potevano chiamare - cheaveva finito con l'accettare proprio da lei;

dovevano aver pesato sulla sua memoria altrettanto poco che sulla suacoscienza. «Oh sìcapisco a cosa vi riferite... fu

davvero molto gentile da parte vostra; ma perché stare a rivangare lacosa?» Era stata perfettamente corretta con lui29

soprattutto dopo la violenta scena del chiarimento in camera suail mattinoche lui la costrinse ad accettare le sue

«condizioni»le quali si riassumevano in pratica nella necessità dimettere Morgan al corrente della situazione. Lei non

aveva provato risentimento alcuno dopo aver realizzato l'inesistenza delrischio che Morgan potesse impugnare la

questione con sua madre. Al punto cheattribuendo questa immunità al buongusto della sua influenza sul ragazzouna

volta aveva detto a Pemberton: «Amico mioè una consolazione immensa ilfatto che siate un gentiluomo.» La stessa

cosanella sostanzaripeté ora. «Naturalmente siete un gentiluomo... equesta è una preoccupazione in meno!»

Pemberton le rammentò che lui non aveva «rivangato»nulla che non fossegià scopertamente acquisito; e lei tornò a

ripetere la supplica cheda qualche parte e in qualche mo dole trovasse isessanta franchi di cui aveva bisogno.

Pemberton si prese la licenza di insinuare che nel caso li avesse trovati nonsarebbe stato per prestarli a lei; ma in ciò fu

consciamente ingiusto con se stessosapendo benissimo che se li avesseposseduti li avrebbe certamente messi a sua

disposizione. In ultima analisie non a tortoaccusava se stesso di unaastrattadepravata simpatia per lei. Così come

dava luogo a strani compagni di lettola miseria ispirava anche stranesimpatie. Oltretuttofaceva parte dell'umiliazione

di vivere con gente del genere il rischio di essere costretti a volgariritorsioninon del tutto consone a una personale

tradizione di buone maniere. «MorganMorgancosa mi tocca fare per te?»brontolò il giovanee intanto la signora

Moreen navigò voluminosa dall'altra parte della sala per dar via libera alragazzonon senza lamentarsi che trovava tutto

così detestabile.

Ma prima che il suo giovane amico venisse rimesso in libertà si udì uncolpo alla porta che comunicava con le

scaleseguito dall'apparizione di un ragazzotto grondante di pioggia checacciò la testa nel locale. Pemberton riconobbe

trattarsi di un fattorino del telegrafo e intuì che recava un telegrammaindirizzato a lui. Intanto era riapparso Morgan

mentre Pembertondata un'occhiata alla firma - quella di un parentelondinese -si apprestava a leggere il testo:

«Trovato piacevole lavoro per teincarico lezioni private ricco giovane atue condizioni. Vieni immediatamente.» Per

fortuna il telegramma prevedeva una risposta pagata e il messaggero attese.Morganche nel frattempo s'era avvicinato

attendeva anche lui con uno sguardo severo rivolto a Pemberton; e Pembertondopo qualche istanteincrociato il suo

sguardogli porse il telegramma. Fu praticamente grazie a una serie diocchiate d'intesa - si conoscevano così bene

ormai - chementre il postinonella sua mantella impermeabilefaceva unagran pozzanghera sul pavimentosi stabilì

un accordo di massima fra i due. Pemberton scrisse la risposta a matitaappoggiandosi alla parete affrescatae il

fattorino se n'andò. Fu solo allora che il giovane si decise a spiegarsi.

«Lavorerò come un pazzo; guadagnerò un sacco di soldi in poco tempocosìavremo di che vivere.»

«D'accordo. Spero dunque che il ricco giovane sia un povero somaro...probabilmente lo sarà» buttò lì Morgan

per inciso... «e che vi tenga occupato il più possibile a martellargli lecose in testa.»

«Certo che più mi terrà occupato e più denaro avremo da parte per lavecchiaia.»

«Ma supponete che loro non vi paghino!» suggerì maliziosamenteMorgan.

«Ohnonon ci sono due...!» Ma Pemberton s'interruppe bruscamente; erastato sul punto di usare termini

troppo maligniinvece dei quali disse: «Due sfortune analoghe.»

Morgan arrossì... gli si riempirono gli occhi di lacrime. «Ditestoujours due combriccole talmente

furfantesche!» Poicambiando di tonoaggiunse: «Beati i giovani ricchi!»

«Nose si tratta di un povero somaro.»

«Ohancor più beati allora. Ma non si può aver tuttonon vi pare?»sorrise il ragazzo.

Pemberton se l'abbracciò strettole mani attorno alle spalle... non gliaveva mai voluto tanto bene. «Che ne sarà

di tecosa conti di fare?» Pensò alla signora Moreendisperata per i suoisessanta franchi.

«Diventerò un homme fait.» Quindiforse rendendosi contodell'intera portata dell'allusione di Pemberton: «Me

l'intenderò meglio con loro quando non ci sarete voi.»

«Ahnon dire questo... sembrerebbe che sia io a metterti contro di loro!»

«Ma è così... il solo fatto di vedervi. Insommasapete benissimo cosavoglio dire. Mi comporterò

stupendamente. Prenderò io in mano i loro affari; mariterò le miesorelle.»

«E ti troverai moglie anche tu!» scherzò Pemberton; come se il tono acutoe piuttosto teso della facezia fosse il

più adattoo il più sicuroalla loro separazione.

Tuttavianon fu propriamente in quello stile che Morgan bruscamentedomandò: «Madico... come farete a

raggiungere il vostro piacevole lavoro? Dovrete telegrafare al ricco giovaneche vi spedisca il denaro per il viaggio.»

Pemberton ci rifletté sopra. «Non gradiranno la cosanon credi?»

«Ohsarà meglio far attenzione a loro!»

Fu Pemberton allora a scovare il rimedio. «Andrò dal console americano; mifarò prestare del denaro da lui...

soltanto per pochi giorniin forza del telegramma.»

Il commento di Morgan fu decisamente ilare. «Mostrategli il telegramma...intascatevi i soldi e rimanete qui!»

Pemberton assecondò lo scherzo a sufficienza per replicare che per Morgansarebbe anche stato capace di

questo; ma il ragazzofacendosi più serioe per dimostrare che non avevavoluto dire quello che aveva dettonon

soltanto lo sollecitò a recarsi al Consolato - visto che voleva partire lasera stessacome aveva telegrafato in risposta

all'amico - ma volle altresì accertarsi che il piano avrebbe funzionatoaccompagnando il maestro di persona.

Sguazzarono lungo vicoli tortuosi e sopra ponti gibbosie attraversarono laPiazzadove intravvidero il signor Moreen e

Ulick mentre entravano da un gioielliere. Il console si rivelò accomodante -Pemberton sentenziò ch'era stato non grazie

al documento scrittoquanto piuttosto alla grand air di Morgan - esulla strada del ritorno s'infilarono in San Marco per

una decina di minuti di raccoglimento. Più tardi ripresero il tono scherzosodella faccenda e lo mantennero fino30

all'ultimo; e suonò a Pemberton come una parte di quello scherzo il fattoche la signora Moreenfuriosa quando il

giovane le comunicò la sua decisionelo accusasse - in maniera grottesca esprezzante nonché facendo riferimento al

prestito vanamente sollecitato - di svignarsela per paura che potessero«spillargli» qualcosa. D'altro cantofu costretto a

rendere al signor Moreen e a Ulick la giustizia di riconoscere chequandogiunse loro all'orecchio la crudele notiziala

presero da impeccabili uomini di mondo.

VIII

Quando si mise al lavoro con il giovane riccoche doveva essere preparatoper l'ammissione al college di

BalliolPemberton si scoprì incapace di dire se l'aspirante fosse inrealtà scarsamente dotato o se questa fosse una

reazione alla sua prolungata personale convivenza con una testolina cosìvivace. Di Morgan ebbe notizie una mezza

dozzina di volte: il ragazzo scriveva incantevoli lettere giovaniliautentici mosaici di idiomi diversiin cui indulgeva a

numerosi post-scriptum nel Volapuk di famiglia ein quadratini ecerchi e nelle anse del testoalle più spassose

illustrazioni: lettere che sortivano l'effetto di dividere Pemberton tral'impulso di mostrarle al nuovo discepolo a mo' di

vanosprecato incentivoe la sensazione di qualcosa in queste che lapubblicità avrebbe profanato. Il giovane ricco a

suo tempo si presentò agli esami e non gli riuscì di superarli; maallasupposizione che al primo tentativo non ci si

poteva aspettare da parte del ragazzo risultati gran che brillantisembròaggiungersi il fatto che i suoi genitori -

perdonando il fallimentoch'ebbero la generosità d'imputare il menopossibile alla responsabilità di Pemberton -

avrebbero suonato nuovamente l'adunatasupplicando il giovane maestro dirinnovare l'assedio.

Il giovane maestro si trovava ora nella condizione di prestare i tre luigialla signora Moreenalla quale spedì un

vaglia postale per una somma anche più consistente. In risposta a quelfavorePemberton ricevette dalla donna due

righe scribacchiate nervosamente: «Vi imploro tornare immediatamenteMorgangravemente malato.» Erano rimbalzati

ancora una volta a Parigi - per quanto spesso Pemberton li aveva visti inmale acque non li aveva mai visti

definitivamente schiantati - per cui le comunicazioni risultarono rapide.Scrisse così al ragazzo per accertarsi delle sue

condizioni di salutema attese una risposta invano. Di conseguenzadopo tregiornisi congedò in tutta fretta dal

giovane ricco eattraversata la Manicadiscese all'alberghettonella zonadei Champs Elyséesdi cui la signora Moreen

gli aveva comunicato l'indirizzo. Un profondo anche se muto malcontento neiriguardi della signora Moreen e la sua

gente faceva compagnia a Pemberton: i Moreen non arrivavano al punto dicomportarsi volgarmente da disonestima

potevano permettersi di vivere in hotelin entresols vellutatifra iprofuminel cuore della più dispendiosa città

d'Europa. Quando li aveva lasciati a Venezia aveva provato l'insopprimibilesospetto che qualcosa stesse per accadere;

ma l'unica cosa che poteva aver avuto luogo era una delle loro magistraliritirate. «Come sta? dov'è?» chiese alla signora

Moreen; ma ancor prima che lei potesse aprir bocca le risposte gli vennerodalla stretta di un paio di braccia attorno al

collodue braccia dalle maniche troppo cortema ancora perfettamente capacidi un espansivo abbraccio giovanile.

«Gravemente malato... non mi pare!» esclamò il giovane. Quindirivolto aMorgan: «Posso sapere perché non

m'hai rassicurato? Perché non hai risposto alla mia lettera?»

La signora Moreen dichiarò che quando gli aveva scritto il ragazzo stavadavvero molto malee Pemberton al

tempo stesso apprese da Morgan come quest'ultimo avesse risposto a tutte lelettere ricevute. Il che portava alla chiara

deduzione che lo scritto di Pemberton era stato sottratto alla conoscenza diMorgan perché non interferisse con il trucco

ch'era stato escogitato. La signora Moreen era ovviamente preparata almomento della rivelazione e nello stesso istante

in cui Pemberton se la trovò di fronte si rese conto che doveva esserepreparata a un buon numero di altre cose. Era

preparata soprattutto a sostenere d'aver agito per senso del dovered'esseresoddisfatta per averlo riportato fra loro

checché se ne potesse diree che era inutile che facesse finta di nonsapere in cuor suo che il suo posto ora più che mai

era accanto a Morgan. Era stato lui ad allontanare il ragazzo da loro e oranon aveva il diritto di abbandonarlo. Era stato

lui ad assumersi le più gravi responsabilità e doveva quindi mostrarsi perlo meno coerente con quanto aveva fatto.

«Io l'avrei allontanato da voi?» sbottò Pemberton indignato.

«Fatelo... fatelo per pietà; sono io che lo voglio. Non posso più reggeretutto questo... e scene simili. Sono

talmente ipocriti... poveri disgraziati!» Queste parole irruppero dallelabbra di Morganche aveva smesso di tenerlo

abbracciatocon un affanno tale che fecero girare immediatamente Pembertonverso di lui per prendere atto che il

ragazzo s'era seduto di colporespirava a gran fatica ed era pallidissimo involto.

«Adesso direte ancora che non sta maleil mio prezioso cucciolo?»urlò la madrelasciandosi cadere sulle

ginocchia davanti a Morgan con le mani giuntema sfiorandolo appenaneanchefosse stato un idolo dorato. «Passerà...

è cosa d'un istante; ma non dire queste cose terribili!»

«Sto bene... ora sto bene» ansimò Morgan rivolto a Pembertonrimanendo aguardarselo con uno strano

sorriso dal basso in altole mani rilassate sulle due sponde del divano.

«Pretenderete ancora di dire che sono stata disonestache vi hoingannato?» esplose la signora Moreen rivolta

a Pemberton mentre si rialzava in piedi.

«Non è lui che lo dicesono io!» ribatté Morganapparentementepiù sollevatoma lasciandosi andare

all'indietro contro la parete; intantol'amico ritrovatosedutosi accanto aluigli prese la mano e gli si chinò sopra.

«Tesoro miosi fa quel che si può; sono tante le cose da tenere inconsiderazione» incalzò la signora Moreen.

«È questo il suo posto... il suo unico posto. Vedi che anche tu orala pensi allo stesso modo.»

«Portatemi via... portatemi via» riprese Morgansorridendo a Pemberton esempre sbiancato in volto.31

«Dove vuoi che ti portie come... sìcome ragazzo mio?»farfugliò il giovanepensando al modo poco

rassicurante con cui gli amici londinesi avevano preso il fatto cheper suacomoditàsenz'alcuna garanzia di un pronto

ritornoli avesse piantati in asso; e pensando altresì al giustorisentimento con cui probabilmente avevano già

provveduto a chiamare il suo successoree alla debole referenza - in vistadella ricerca di un nuovo impiego - che

rappresentava per lui l'indecenza di non essere riuscito a far promuovere ilsuo allievo.

«Ohci arrangeremo. Lo dicevate sempre anche voi» disse Morgan.«L'importante è andarsenetutto il resto

sono sciocchezze.»

«Parlatene finché voletema non pensate neppure a provarci. Il signorMoreen non acconsentirà mai... sarebbe

una mossa talmente azzardata» spiegò bellamente la padrona di casa aPemberton. Poirivolta a Morgansi espresse

più chiaramente: «Sarebbe come distruggere la nostra tranquillitàcomespezzarci il cuore. Ora che lui è tornato tutto

riprenderà come prima. Voi avrete la vostra vitail vostro lavoro e lavostra libertàe saremo tutti felici come una volta.

Tu guarirai e ti rimetterai perfettamentee non tenteremo più altri stupidiesperimentinon pensate? Sono troppo

assurdi. È questo il posto di Pemberton... ognuno al suo posto. Tu nel tuotuo padre nel suoio nel mio... n'est-ce pas

chéri? Dimenticheremo tutti quanto sciocchi siamo stati e passeremo orefelici.»

La donna continuava a parlare e a fluttuare vagamente tutt'intorno allasaletta drappeggiata e soffocante

mentre Pemberton sedeva accanto al ragazzo che intanto andava riprendendo unpo' di colore; fece una gran confusione

di tutte le sue ragionilasciando intendere che erano in programma deicambiamentiche gli altri figli si sarebbero potuti

sparpagliare uno qui e l'altro là (non si poteva mai sapere... Paula avevale sue idee) e che allora si poteva immaginare

quanto i vecchi genitoririmasti soliavrebbero desiderato almeno lavicinanza del loro cucciolo. Morgan diede

un'occhiata a Pembertonche gl'impediva di muoversi; e Pemberton capì allaperfezione che effetto doveva fargli

sentirsi chiamare cucciolo. Morgan ammise d'aver avuto due o tre bruttegiornatema reiterò la sua protesta contro

l'inganno della madre che ne aveva fatto un pretesto per richiamare il poveroPemberton. Il povero Pemberton poteva

ridersela orae non solo per la comicità della signora Moreen che passavain rassegna tanta filosofia a difesa delle sue

teorie - sembrava che l'estraesse a fiotti da sotto le gonne svolazzanticonle quali continuava a urtare contro le leggere

sedie dorate -talmente poco il loro giovane compagnosegnatoinequivocabilmente predestinatogli dava

l'impressione di poter rifiutare qualsiasi beneficio.

Lui stessodel restoera nella stessa condizione. Si sarebbe ritrovato dinuovo Morgan tra le mani e per

sempre; anche sea dire il verosi accorgeva che il ragazzo doveva avereuna sua personale teoria da proporregiusto

allo scopo di appianare la questione. Di ciò gli fu grato in anticipo; mal'emendamento suggerito non fu tale da evitargli

un tonfo al cuorecosì come non gl'impedì di accettarne la prospettiva suidue piedioltretutto con una certa qual fiducia

che avrebbe potuto farlo ancor meglio se avesse potuto mangiare un boccone.La signora Moreen si esibì in nuove

allusioni a proposito dei cambiamenti in vistama era un miscuglio tale disorrisi e di fremiti - confessò tra l'altro di

essere molto nervosa - che Pemberton non riuscì a capire se fosse d'ottimoumo re o soltanto in preda a una crisi isterica.

Se la famiglia era realmente sul punto di sgretolarsiin fondoperché leinon avrebbe dovuto riconoscere la necessità di

abbandonare Morgan su una zattera di salvataggio? Una simile supposizione erarafforzata dal fatto che s'erano stabiliti

in un quartiere di lusso nel cuore della capitale del piacere; e quellosembrava appunto essere il luogo naturale dove

gente come loro non poteva non stabilirsi nella previsione che la famigliaandasse a rotoli. Oltre a tuttonon era stata lei

a menzionare che il signor Moreen e gli altri se la stavano spassandoall'opera con il signor Grangere una volta di più

non era per l'appunto quello il luogo in cui andarli a cercare alla vigiliadello sfacelo? Pemberton venne a sapere che il

signor Granger era un ricco scapolo americanoun grosso conto in bancadall'intestazione pomposa ma priva di titoli

concreti; così che una delle «idee» di Paula era che probabilmente questavolta non avrebbe mancato il bersaglioe che

quel colpose ben assestatoavrebbe frantumato la coesione generale. E sela coesione stava per vacillare che ne

sarebbe stato del povero Pemberton? In ultima analisisi sentiva abbastanzalegato all'insieme da figurarenon senza

sgomentocome una delle pietre pericolanti dell'edificio.

Fu Morgan che alla fine domandò se non era stata ordinata una cena perl'amico; poco dopo sedevano insieme

al piano inferioredavanti a un pasto fuori orario in penombraallapresenza di un sontuoso sfoggio di velluti verdi a

costedi un piatto ornamentale di porcellana e di una marcata indifferenzada parte del cameriere. La signora Moreen

aveva spiegato ch'erano stati costretti a fissare una camera per l'ospitefuori dall'hotel; e la consolazione di Morgan - ne

fece un accenno mentre Pemberton rifletteva sull'indecenza delle salse pocomeno che fredde - risultò ampiamente dal

fatto che quella circostanza avrebbe facilitato la loro fuga. Parlò dellaloro fuga - ritornandoci poi spesso in seguito -

come se stessero progettando insieme un «libro per ragazzi». Ma espresseanche lui la sensazione che qualcosa si

preparasse nell'ariache i Moreen non potevano tirare avanti ancora molto alungo. Alla prova dei fatticome Pemberton

doveva constataretirarono avanti per cinque o sei mesi. Nel frattempoMorgan si diede un gran da fare per mantenerlo

di buon umore. Il signor Moreen e Ulickche aveva visto il giorno seguenteal ritornoaccettarono quel ritorno da

impeccabili uomini di mondo. Se Paula e Amy lo accolsero invece con ancorameno formalitàuna scusante andava loro

concessadal momento che il signor Grangerall'Operanon s'era fattovedere. S'era limitato a mettere il suo palco a

loro disposizionecon un bouquet per ognuno degli invitati; ce n'erapersino uno a testa per il signor Moreen e per

Ulickrendendo in tal modo ancora più amaro il pensiero della suaprodigalità. «Sono tutti così» fu il commento di

Morgan; «all'ultimo momentoproprio quando c'illudiamo di averli tirati arivariprendono regolarmente il largo!»

I commenti di Morgan in quei giorni si fecero sempre più disinvolti; einclusero persino un ampio

riconoscimento della straordinaria tenerezza con cui era stato trattatomentre Pemberton era lontano. Oh sìnon

avrebbero potuto far di più per essere carini con luiper mostrargli quantol'avevano a cuore e fargli pesare il meno32

possibile l'assenza dell'amico. Ma proprio questo era ciò che aveva resol'intera vicenda così triste e lo rallegrava invece

ora per il ritorno di Pemberton; avrebbe potuto pensare di meno alle loropremuresentirsi meno obbligato. Pemberton

non poté fare a meno di ridere udendo quest'ultima ragionee Morganarrossì e disse «Behaccidentisapete bene cosa

voglio dire.» Pemberton sapeva alla perfezione cosa Morgan voleva dire; marimanevano un sacco di cose - accidenti

una volta di più! - che non per questo risultavano più chiare. L'episodiodel suo secondo soggiorno a Parigi si trascinò

avanti stancamentecon le loro letture ritrovatele loro divagazionileloro passeggiatele visite ai museiil loro

vagabondare lungo i quaisil loro occasionale indugiare nel PalaisRoyal non appena si fecero sentire i primi freddi

quando vi fu ragione di cercare un po' di conforto nel calore che uscivadalle affascinanti e succulente porte di Chevet.

Morgan volle saper tutto del giovane riccoper il quale provava un immensointeresse. Taluni dettagli circa la sua

ricchezza - Pemberton non gliene risparmiò neppure uno - non fecero cheaccrescere evidentemente nel ragazzo il

valore di tutto ciò a cui l'amico aveva rinunciato per tornare da lui; ma inaggiunta al migliorato rapportoscaturito da

quell'eroismoMorgan aveva sempre per la testa la sua personale teoria -nella quale non faceva difetto una certa frivola

gaiezza - che la loro lunga prova stava per conoscere la fine. La convinzionedi Morgan che i Moreen non potevano

tirare avanti ancora molto a lungo andava di pari passo con l'inesauribileimpeto con cuimese dopo mesei Moreen

invece tiravano avanti. Tre settimane dopo che Pemberton era rientrato infamigliasi trasferirono tutti in un altro

albergopiù malandato del primo; ma Morgan fu contento che il suoprecettorealmenonon dovesse sacrificare il

vantaggio di una camera fuori. Il ragazzo rimaneva dunque aggrappato allaromantica utilità di quel particolareper

quanto si sarebbe presentato il giornoo ancor meglio la nottedella lorofuga.

Per la prima voltain questa complicata vicendail nostro amico sentì comeuna catena stringergli il collo. Era

com'aveva risposto alla signora Moreen a Veneziatrop fort... tuttoera trop fort. Di fattonon poteva né liberarsi del

fardello che l'opprimevané trovarvi il beneficio d'una coscienzatranquilla o d'un affetto ricompensato. Aveva speso

tutto il denaro accumulato in Inghilterrae vedeva la sua giovinezzaandarsene senza riceverne in cambio alcuna

ricompensa. Morgan aveva un bel dire quando calcolavacome sorta diriparazione a tutto ciòil fatto che ora

Pemberton potesse contare su di lui in permanenza: c'era un difetto irritantein quel modo di vedere. Pemberton intuiva

qual era il ragionamento del ragazzo; il concetto cheavendo avuto l'amicola generosità di tornarelui ora doveva

mostrargli gratitudine dedicandogli la propria vita. Ma il povero amico nondesiderava quel dono: cosa poteva farsene

della breve e atroce vita di Morgan? Ovviamentese da un lato si sentivairritatodall'altro Pemberton teneva presente la

ragionecosì onorevole per Morganche risiedeva semplicemente nellacircostanza di far dimenticare d'essere nulla più

che un moccioso rappezzato. Chi stabiliva con lui rapporti su una diversabase si assumeva la responsabilità delle

disavventure che ne derivavano. Così Pemberton rimase in attesain preda auna strana confusioneun misto di ansia e

di sgomento per la catastrofe chesi supponevastava per incombere sullafamiglia Moreene di cui sicuramentea

trattisentiva i sintomi sfiorargli le guancesoprattutto quando glicapitava di interrogarsi sulle forme in cui si sarebbe

violentemente manifestata.

Forse avrebbe assunto la forma di una diaspora improvvisa... un allarmato sauvequi peutun affannoso

rifugiarsi nella trincea degli egoismi personali. Di certoerano menoelastici che per il passato; erano evidentemente alla

ricerca di qualcosa che non trovavano. I Dorrington non erano riapparsiiprìncipi s'erano dileguati; non era forse quello

l'inizio della fine? La signora Moreen aveva perso il computo dei suoi famosi«giorni»; il suo calendario sociale s'era

fatto confuso... era stato girato contro la parete. Pemberton sospettava cheil colpo più graveil più crudelefosse stato

assestato dall'indicibile comportamento del signor Grangerche sembrava nonsapere cosa volesseoppurepeggio

ancoracosa volessero loro. Non smetteva di inviare fioricome sevolesse cospargerne il sentiero della sua ritiratache

non coincise mai con il sentiero del ritorno. I fiori andavano benissimoma... Pemberton sapeva come completare la

frase. Era ormai decisamente manifesto che a lunga scadenza i Moreenrappresentavano un fallimento sociale; tant'è che

il giovane si sentiva quasi grato che la scadenza non fosse tropporavvicinata. Il signor Moreena dire il veroera ancora

di quando in quando capace d'allontanarsi per affari ecosa ancor piùsorprendenteera addirittura capace di tornare.

Ulick non aveva più un clubma non lo si sarebbe detto a vederlodalmomento che il suo contegno continuava a essere

quello di colui che assiste alla vita dalla finestra di una istituzione diquel tipo; per questo Pemberton fu doppiamente

stupito a una risposta che una volta gli sentì dare alla madrenel tonodisperato di un uomo avvezzo alle peggiori

privazioni. La domanda di lei Pemberton non era riuscito a coglierlamaaveva tutta l'aria di essere la richiesta di un

suggerimento circa la persona che avrebbero potuto convincere a prendersiAmy. «Lascia che se la prenda il diavolo!»

era scattato Ulick; e fu allora che Pemberton poté realizzare che nonsoltanto avevano perduto la loro amabilitàma

avevano altresì cessato di credere in se stessi. Nondimeno poté realizzarechese la signora Moreen si dava un gran da

fare a convincere la gente perché si portasse via le ragazzeera lecitosupporre che stesse per chiudere i boccaporti in

vista della temp esta. Ma Morgan era certamente l'ultimo dal quale si sarebbeseparata.

Un pomeriggio d'inverno - una domenicaper la precisione - Pemberton e ilragazzo s'inoltrarono insieme nel

Bois de Boulogne. La serata si preannunciava splendidail freddo tramontogiallo limone era così limpidol'andirivieni

delle carrozze e dei pedoni così divertente e il fascino di Parigi cosìgrandeche s'attardarono fuori più del solitofinché

non s'accorsero che dovevano affrettarsi se volevano arrivare a casa in tempoper il pranzo. Accelerarono quindi il

passoa braccettodi buon umore e d'ottimo appetitoconcordi sull'ideachedopotuttoParigi era incomparabile e che

dopo quanto era accaduto e trascorsonon si sentivano ancora sazi di piaceriinnocenti. Una volta raggiunto l'albergo

scoprirono chesebbene scandalosamente in ritardoerano pur sempre in tempoper il tipo di pranzo che probabilmente

stava per essere offerto loro. Una gran confusione regnava negli appartamentidei Moreen - piuttosto squallidi questa

voltaanche se i migliori dell'albergo - e di fronte alla tavolaapparecchiata a metàcon oggetti fuori posto come se ci33

fosse stata una rissa e una grande chiazza di vino sotto una bottigliarovesciatanon poté chiudere gli occhi di fronte

all'evidenza che v'era stata una scenata decisamente densa da parte deiproprietari. La tempesta s'era abbattuta... erano

tutti alla ricerca d'un rifugio. I boccaporti erano abbassatiPaula e Amyerano invisibili - le due sorelle non avevano mai

esercitato la benché minima involontaria malizia nei confronti di Pembertonil quale tuttavia sentì che non l'ignoravano

al punto da permettersi di presentarglisi come due sciagurate cui sono staticonfiscati i vestiti - e Ulick risultò essersela

svignata fuori bordo. L'albergatore e il suo personalein una parolaavevano smesso di «tirare avanti» stando al gioco

dei loro ospitie l'aria d'imbarazzata detenzione di questi ultimigrazie aun ammasso di bauli spalancati in mezzo al

passaggiosi mescolava stranamente con quella di sdegnosa ritirata.

Quando Morgan si rese conto di tutto ciò - e se ne rese conto con una certarapidità - arrossì fino alla radice dei

capelli. Aveva camminato fin dall'infanzia fra difficoltà e pericolima nonaveva mai assistito a uno scandalo.

Pemberton notòa una seconda occhiata verso il ragazzoche gli eranosalite le lacrime agli occhi e che si trattava di

lacrime di una nuovamai sperimentata amarezza. Si domandò per un istantese gli era possibilecon qualche

probabilità di successofingere di non capire per amor suo. Ma non tardòad accorgersi del contrarioquando il signor e

la signora Moreendigiuni accanto al camino ormai spentogli andaronoincontro nel loro disonorato salottino

cercando qua e là con occhi vitrei il porto più vicino al riparo dallatempesta. Non sembravano tanto prostratima erano

orribilmente pallidie la signora Moreen aveva visibilmente pianto.Pembertoncomunqueapprese all'istante che il suo

dolore non era tanto dovuto alla perdita del pranzoper quanto mostrasseabitualmente di apprezzarlobensì il frutto di

una disgrazia che la colpiva ancor più intimamentecome lei stessas'affrettò a spiegare. Il giovane poteva vedere coi

suoi occhi com'era avvenuto il grande cambiamentocome si fosse abbattuta laterribile folgoree come tutti ormai non

avevano che da correre ai ripari. Perciòper quanto crudele fosse per lorosepararsi dall'adorato tesorolei era costretta a

rivolgersi a lui perché spingesse oltre l'influenza che tanto fortunatamenteaveva acquisito sul ragazzocosì da indurlo a

seguirlo in qualche modesto rifugio. Dipendevano da lui - in poche parole -perché prendesse sotto la sua protezione

temporaneamentela loro deliziosa creatura: il che avrebbe lasciati ilsignor Moreen e lei stessa sicuramente più liberi di

prestare tutta l'attenzione dovuta (troppo pocahélas! ne avevanoprestata per il passato) al riaggiustamento degli affari

di famiglia.

«Contiamo su di voi... sentiamo di poterci fidare» disse la signoraMoreenstropicciandosi lentamente le mani

bianche e grassocce e guardando con austera compunzione in direzione diMorganal quale suo maritosenza eccedere

con le confidenzestava accarezzando il mento con timido indice paterno.

«Ohsì... sentiamo di poterci fidare. Abbia mo la massima fiducia nelsignor PembertonMorgan» fece eco il

signor Moreen.

Una volta di più Pemberton si domandò se poteva far finta di non capire; manon c'era cosa che potesse

resistere all'intensità d'intuito di Morgan. «Volete dire che puòprendermi a vivere con lui per sempre?» esclamò il

ragazzo. «Può portarmi viaviadove vuole lui?»

«Per sempre? Comment vous-y-allez!» sorrise con indulgenza il signorMoreen. «Diciamo finché il signor

Pemberton vorrà essere tanto buono.»

«Abbiamo combattutoabbiamo sofferto» proseguì la moglie; «ma l'avetecresciuto talmente a vostra

immagine che per noi ormai s'è compiuto il sacrificio più doloroso.»

Morgan s'era staccato dal padree guardava ora Pemberton con un che diraggiante in volto. Il suo sentimento

di vergogna per quella pubblica umiliazione era svanito; la questionepresentava un altro aspettoe a questo valeva la

pena di aggrapparsi. Ebbe un momento d'infantile contentezzascarsamentemitigata dalla riflessione che con

quell'inatteso accoglimento dei suoi desideri - troppo repentino e violentoper poter essere l'epilogo di un buon libro per

ragazzi - l'ipotesi della «fuga» era lasciata nelle loro mani. Lacontentezza infantile durò lo spazio d'un secondoe

Pemberton quasi temette quell'impeto d'affetto e di gratitudine che facevapiazza pulita del precedente senso

d'umiliazione. Quando Morgan balbettò «Mio caro amicocosa ne dite?» comesi poteva non dare una risposta

entusiastica? Ma ci fu più bisogno di coraggio per affrontare l'evento cheimmediatamente seguì e che costrinse il

ragazzo a sedersi di colpo sulla sedia più vicina. Era diventatocompletamente livido e s'era portato le mani a sinistra

all'altezza del petto. Stettero tutti e tre a guardarloma improvvisamentela signora Moreen si lanciò in avanti. «Ahil

suo tenero cuoricino!» scoppiò; e questa voltain ginocchio davanti a luie senza più rispetto per il suo idolose lo

strinse ardentemente fra le braccia. «L'avete fatto camminare troppol'avete fatto correre troppo!» urlò girando il capo

verso Pemberton. Morgan non pronunciò alcuna protestae un momento doposempre stringendolo a séla donna s'alzò

di scattosconvolta in viso e con un grido di terrore: «Aiutoaiuto! Stamorendoè morto!» Pemberton vide con pari

orroredalla smorfia contratta sul volto di Morganche il ragazzo era ormaial di là del loro più disperato richiamo.

Quasi lo strappò dalle braccia di sua madree per un momentomentre loreggevano insiemelessero tutto lo sgomento

l'uno negli occhi dell'altra. «Non ce l'ha fatta a reggere tutto questo conil suo debole cuore» disse Pemberton... «il

colpola scenatal'emozione violenta.»

«Ma io pensavo che volesse andarsene con voi!» gemette la signoraMoreen.

«Te l'avevo detto io che ti sbagliavimia cara» fu il marito arispondere. Il signor Moreen tremava dappertutto

ea modo suonon era meno profondamente sconvolto della moglie. Maa partequei primissimi istantiprese il suo

lutto da impeccabile uomo di mondo.

34

GREVILLE FANE

Rientrando a casa a cambiarmi d'abito per il pranzo trovai un telegramma:«Signora Stormer morente: potete

farci una mezza colonna per domani sera? Ridimensionatela senza troppiscrupolima non infierite.» Ero in ritardo;

avevo fretta e pochissimo tempo per pensare; così spedii una risposta acaso: «Farò del mio meglio.» Fu soltanto una

volta vestito e mentre mi precipitavo al pranzo chenella carrozzami resiconto della difficoltà che la circostanza

comportava. La difficoltà non stava tanto nel «ridimensionarla»quantopiuttosto nel giustificare l'indulgenza. «Vorrà

dire che non la giustificherò» mi dissi. Non l'ammiravo eppure mi piacevae la conoscevo da tanto tempo che quasi mi

sentivo senza cuore a sedermiin un momento del generea un banchettod'indifferenza. Devo aver dato l'impressione di

essere molto distrattoe di fatto stavo ripensando ai primi anni dellanostra conoscenza. Cercai di parlare di lei alla

compagna che m'ero portato dietroma la compagna che m'ero portato dietronon aveva mai sentito parlare di Greville

Fane. Tentai con l'altra mia vicina di tavolache definì i suoi libri«troppo volgari». Non che io li avessi mai giudicati

troppo buonima potevo senz'altro «ridimensionarle» con maggioreindulgenza.

Mi congedai prestocon la precisa intenzione di recarmi a chiedere notiziedi lei. Il tragitto prese tempodal

momento che viveva in un quartiere a nordovest di Londranelle vicinanze diPrimrose Hill. Il mio timore di arrivare

troppo tardi fu giustificato in senso più ampio di quello che gli avevoattribuito... avevo solo temuto di trovare la casa

chiusa. Invece c'erano luci alle finestree il tintinnìo discreto della miascampanellata richiamò immediatamente una

cameriera alla porta; ma la povera signora Stormer era già passata a unostato in cui non c'era più ragione di temere l'eco

di un campanello terreno. Una signora svolazzante dietro la domestica si feceavanti nell'ingresso al suono della mia

voce. Riconobbi Lady Luardche invece mi aveva scambiato per il dottore.

«Perdonate la mia intrusione a quest'ora» mi scusai; «non mi è statopossibile primada quando l'ho saputo.»

«È tutto finito» replicò Lady Luard. «La nostra cara mamma!»

Rimase lì sotto la lampada fissandomi; era molto altapiuttosto rigidaapaticae il suo aspetto sembrava

sempre suggerire che questi ed altri particolarinel suo modo di vestirenelle sue maniere e persino nel suo nome

fossero la logica conseguenza del fatto che era davvero una personaammirevole. Non m'era mai riuscito di ponderare

questa ipotesima questo non è che un dettaglio. Espressi in manieraconcisa e franca quello che provavomentre la

camerierina dalla carnagione a chiazze si appiattiva contro la parete dellostretto corridoio e cercava di mostrarsi

distaccata senza sembrare indifferente. Non era certo il momento di fare unavisitae stavo già per congedarmi quando

Lady Luard mi trattenne chiedendomiin tono stranostrascicato enoncurante: «State... state per caso scrivendo

qualcosa?» In quell'istante mi sentii come un infame intervistatorecosache non ero. Ma ammisi la mia colpa per

questa intenzioneed ella rispose: «Ne sono veramente lieta... ma penso chea mio fratello piacerebbe vedervi.» Io

detestavo suo fratelloma non era l'occasione più adatta per dichiararlo;così soffrii intimamente nel lasciarmi condurre

in una stanzetta sul retroche con mia sorpresa riconobbi immediatamentecome il teatro dell'imperturbabile operosità

della signora Stormer durante gli ultimi anni. Il suo tavolo era làcomplicelogoro e macchiatodegli innumerevoli

errori di scritturacon il suo spazio angusto per le braccia (lei eraabituata a scrivere con i gomiti bassi) e una

confusione di brogliacci scribacchiati che ormai erano diventati reliquieletterarie. C'era anche Leolinintento a fumare

una sigaretta davanti al fuoco e che ostentava una certa impudenza persinonel suo doloreper quanto sincero potesse

essere.

Per avvicinarmi a luiper salutarlodovetti fare un deciso sforzo; infattil'atteggiamento che aveva assunto ai

miei occhi nel pararmisi di fronte era quasi quello dell'assassino di suamadre. Lei giaceva silenziosa per sempre al

piano superiore... morta come un libro cui è mancato il successoe quel suoporsi in modo spavaldamente eretto era

come il simbolo del suo delitto. Mi domandai se aveva giàcon la sorellafatto il calcolo di quanto potevano ricavare da

quelle povere carte sullo scrittoio; ma non dovetti attendere molto persaperlovisto chein risposta alle poche parole di

condoglianza che gli rivolsibuttò fuori: «È tristetristesì; ma halasciato tre libri completi.» La sua espressione sortì il

più strano degli effetti: riuscì a trasformare quella stanzetta angusta inuna bottega nonché a rendere plausibile il «libro»

come per incanto. Egli avrebbe certamente ricavato tutto ciò che dai tre sipoteva ricavare. Lady Luard mi spiegò che

suo marito era stato lì con loroma che aveva dovuto recarsi al Parlamento.Al fratello accennò che io avrei scritto

qualcosae a me ripeté in modo chiaro la sua speranza che io «rendessigiustizia alla mamma»cosa che secondo lei -

aggiunse - non era mai stata fatta. Poidi nuovo al fratellodisse: «Nonritieni che ci siano alcune cose delle quali il

signore dovrebbe essere pienamente messo a conoscenza?»eall'immediataesclamazione di lui «Ohcertocerto!»

Lady Luard proseguì non senza una certa austerità: «Intendo dire circa lanascita della mamma.»

«Sìe circa i suoi rapporti di parentela» precisò Leolin.

Dichiarai la mia totale disponibilitàe per cinque minuti stetti adascoltare; ma sarebbe troppo affermare che

capii tutto con chiarezza. Tanto meno capisco oraripensandocima non haimportanza. Il mio interesse si riferiva a

questioni diverse da quelle che mi sottoponevanoe mentre essi desideravanoche non ci fossero malintesi riguardo ai

propri antenatiio diventavo sempre più curioso circa le loro persone. Mene andai non appena mi fu possibile e

camminai verso casa attraverso una Londra vuota e tenebrosa... la miglioredelle condizioni per pensare. Il tempo di

raggiungere la soglia di casae il mio articoletto era praticamentecomposto... pronto a essere riprodotto il mattino

seguentedalla raffinata incisione della fantasia. Ritengo che abbia saputoattirare una certa attenzionevenne infatti

giudicato «grazioso» e addirittura attribuito a qualcun altro. Mi eratoccato essere acuto senza essere impertinenteil che35

mi aveva dato non poco da fare. Ma ciò che dissi risultò molto menointeressante di ciò che pensavo... specialmente

durante la mezz'ora che trascorsi seduto in poltrona accanto al fuocofumando il sigarocome d'abitudine prima di

coricarmi. Ma anche una volta a lettocredocontinuai ad arzigogolare suGreville Fane. Mi spiace lasciar perdere

completamente quella visione retrospettivae questa non ne è che una brevee confusa memoriaun documento da non

«presentare». La cara amica aveva scritto un centinaio di storiemanessuna curiosa quanto la sua.

Quando la conobbiaveva già pubblicato una mezza dozzina di opere e forseanch'io avevo già «perpetrato» un

romanzo. Più anziana di me di oltre dodici anniera tuttavia una personasempre disposta a riconoscere le implicazioni

che la sua differenza d'età presupponeva. L'incontro era avvenuto non moltianni primama a Londrain mezzo alle

grandi ondate del presentepersino l'orizzonte più prossimo risultaconfuso. Ci trovammo a una cena e le feci da

cavalierealquanto lusingato di poter offrire il braccio a una celebrità.Della celebritàa dire il veronon aveva l'aspetto

con quella sua espressione matronale e dolcemente inanimatama pensai che lasua grandezza si sarebbe piuttosto

manifestata nella conversazione. Le concessi tutte le opportunità che poteie ciò nonostante non rimasi deluso quando

scoprii che si trattava soltanto di una noiosa gentile signora. E per questoin fondomi piaceva... perché riusciva a

riposarmi dalla letteratura. Dentro di meinfattivivevo la letteraturacome una provocazione continuaun tormento;

Greville Faneinvecesonnecchiava in quelli che sono i risvoltiintellettuali della letteratura un po' come un gatto sul

tappeto davanti al focolare o una creola su di un'amaca. Non era certo unadonna di genioma la sua intelligenza era

talmente particolareuna dote talmente fuori del comuneche spesso mi sonodomandato come mai di fatto cadesse al di

sotto di quelle possibilità. Indubbiamenteciò significava chenel suocasoil compromesso era rimasto incompleto: il

genio paga sempre per le sue dotiriconosce il suo debitoe lei era inveceplacidamente inconsapevole della propria

vocazione. Poteva inventare racconti a metrima non era in grado di scrivereuna pagina in inglese. E scese così nella

tomba senza mai sospettare chepur avendo fornito volumi e volumi aldivertimento dei suoi contemporaneinon aveva

arricchito di una sola frase la lingua inglese. Il chetuttavianon avevaimpedito che valanghe di recensioni si

accumulassero sulla sua testa; era onorata puntualmente con un paio dicolonne su tutti i settimanalinei quali si tendeva

per lo più a dimostrare come i suoi quadri di vita fossero atroci e superboinvece il suo stile. Mi chiese una volta di

andarla a trovare e accettai l'invito. Viveva in Montpellier Squaree cosìpotei toccare con mano quanto la sua

immaginazione fosse dissociata dalla sua persona.

Vedova industriosadedita al suo compito quotidianogli incontri con ilmacellaio e il panettierea reggere una

casa per il figlio e la figliadal momento in cui aveva preso in mano lapenna era diventata una creatura di passione.

Trovava deplorevole che il romanzo inglese mancasse di questo elementoe siera per l'appunto addossata l'impegno di

sopperire a tale deficienza. «Passioni nell'alta società» era la formuladi base del suo lavorodato che la sua fantasia si

sentiva a proprio agio soltanto nei circoli più raffinati. Adorava inverità l'aristocraziae gli aristocratici costituivano per

lei il romanzo della vita omeglio ancorala materia prima dellaletteratura. La loro bellezza e il loro lussoi loro amori

e le loro vendettele loro tentazioni e le loro resele loro immoralità ei loro diamanti le erano familiari quanto le

macchie sulla sua scrivania. Non era un tardo produttore di vecchi romanzidel bel mondobensìcon un'abilità e una

modernità tutte sueaveva dato una rinfrescata al lamé mangiato dalletarme. Sfornava intrecci a centinaia e si trasferiva

puntualmente all'esterotanto lontano quanto riusciva a trasportarla la suapenna volante. I suoi tipile sue descrizioniil

suo tono non potevano essere se non cosmopoliti. Per lei non esisteva nulladi meno provinciale della società europeae

i suoi raffinati personaggi si incontravano e facevano l'amore fra Doncastere Bucarest. Credeva vagamente di

somigliare a Balzace i suoi beniamini storici erano Lucien de Rubempré eil Visconte de Pamiers. Devo aggiungere

che quando una volta le chiesi chi fosse quest'ultimo personaggio non fu ingrado di rispondere. Era molto coraggiosa e

piena di salute e allegramolto facondainnocente e insieme maligna. Eraabileordinaria e snobe mai così

profondamente inglese come quando era meticolosamente straniera.

La combinazione di queste qualità le aveva portato molto presto il successoe ricordo di aver appreso con

stupore e invidia le cifre che «prendeva»a quei tempiper un romanzo.Quella rivelazione fu un colpo per me: era la

prova chepraticando io uno stile completamente diversonon avrei maipotuto far fortuna. Eppurequando la conobbi

meglio e seppi da lei le cifre realinon quelle quadruplicate dalle solitechiacchierefinii con il trovarla abbastanza

simpatica da sentirmene dispiaciuto. Dopo qualche temposcoprii che se anchelei «prendeva» di meno non per questo

io avrei dovuto «prendere» di più. Il mio fallimento non ebbe mai ciò chela signora Stormer avrebbe chiamato la

banalità d'essere relativo: fu sempre ammirevolmente assoluto. Aquell'epocacomunquegodeva di un certo benessere

e benessere è la parola esattasebbene producesse tre romanzi all'anno. Mischerniva quando io parlavo di difficoltàera

l'unico argomento che la irritasse. Se facevo cenno all'imponente lavoro dirifinitura che un'opera d'arte richiedeva

pensava si trattasse di una presunzione e di una posa. Mai le hosentito ammettere il «tormento della forma»; arrivò al

massimo ad introdurre in uno dei suoi libri (quanto a satira aveva la manopesante) un giovane poeta che non parlava

d'altro. Mi risultava difficile capire la sua insofferenza in propositovisto che in questo campo non aveva nulla in gioco.

Intuiva perspicacemente che la formanella prosa almenonon era in grado diraccomandare nessuno presso il pubblico

cui eravamo condannati a rivolgerci; e per questo non perdeva nulla a nonaver niente da dimostrare (la sua personale

umiliazione non contava). Non avanzava la pretesa di produrre capolavoriein compenso usava dare confortevoli

ricevimenti per il tè durante i qualicon disinvolturaammetteva d'essereuna qualunque pasticcieradi quelle che sanno

adornare torte e budini in maniera da attirare i clienti nel negozio. Cimetteva zucchero in abbondanza e confettini

coloratio qualsiasi ingrediente capace di dare a questi articoli un aspettoricco e allettante. Possedeva una serena

autonomia nell'osservare e nel saper cogliere le occasioniil che legarantiva una forza inespugnabile che avrebbe

potuto metterla in condizione di andare avanti all'infinito. È soltanto ilsuccesso autentico a svaniresono soltanto le36

cose solide quelle che si sciolgono. L'ignoranza della vita da parte diGreville Fane rappresentava una risorsa ancor più

infallibile della più collaudata delle ricette. Un giorno mi fece osservareche sarebbe arrivato il momento in cui avrebbe

esaurito la sua vena letterariaal che io risposi: «Voi comunicatedirettamente con il paese delle fatele fate vi adorano e

loro non cambiano mai. Il paese delle fate esisterà sempre; c'è findall'inizio dei tempi e durerà fino alla fine. Le fate vi

hanno dato la chiave con cui voi potrete sempre aprire la porta. Per me èdiverso: io cercoun po' goffamente a modo

miodi mantenermi in rapporto diretto con la vita.» «Ohal diavolo ilvostro rapporto diretto con la vita!» era solita

replicare; quella mia espressione la infastidivaanche se ciò non leimpediva affatto di usarla come una nota di

eleganza. Con gli stessi pregiudizi di un tritacarneavrebbe potutoriciclarecon paziente puntualitàqualsiasi

rimasuglio verbale le fosse capitato di raccogliere. E io la canzonavodicendoper scherzoche i giorni cupi sarebbero

venutialla fin fineper i miei «simili»; che l'oblio avrebbecolpito quanticome meprocedendo lungo l'angusto

sentiero della sperimentazione e dell'analisi - poveri presuntuosi! -facevano dipendere la propria sorte non da una

rivelazione bensì da un processo minuzioso e faticoso. L'attenzione delpubblico dipendeva dall'occasionee che ne

sarebbe stato di noi se questa fosse venuta a mancare?

Una volta mi confidò cheessendo la vita dello scrittore tanto deliziosa ealmeno durante gli anni buonidi

così facili guadagni - era capace di simili sconcertanti ottimismi -intendeva avviare il suo ragazzo alla stessa carriera.

S'era messa in testa la geniale idea che si trattasse di una professione comele altre e che quindi ci fosse tutto da

guadagnare a iniziare l'apprendistato in tenera età. Oltre a tuttolanecessaria istruzione sarebbe risultata meno costosa

di qualsiasi altro corso specialedato che gliel'avrebbe fornitapersonalmente. Non pretendeva di tenere una scuola

voleva soltanto insegnare al proprio bambino. Non pensava di possedere untale donoma - e me lo confessò come se

temesse che io le ridessi in faccia - era convinta che quello dotato fosse lui.Non le risi in faccia per questo; consideravo

infatti il ragazzo abbastanza sveglio... l'avevo visto parecchie volteeaveva l'aria di un giovane tirato su benedi

bell'aspetto e imperturbabile: sia lui che sua sorella m'incuriosivano neiriguardi del loro defunto papàdel quale sapevo

soltanto ch'era stato vicario di campagna e fratello di un modestoproprietario terriero. Non potevo che spiegarmi i due

ragazzi a furia di supposizioni e imputazioni chechissàmagari nonrendevano giustizia al dipartito: tanto poco infatti -

almeno in apparenza - i due erano figli della loro madre. Su un cavallettonel salotto di leisi poteva ammirare un

ingrandimento fotografico del maritoottenuto con qualche orribile«ritocco» postumodrappeggiatoa mo' di vistosa

cornicecon una sciarpa di seta che testimoniava il candore del cattivogusto di Greville Fane. Il tutto lo faceva

assomigliare a un attore tragico fallitoma quella non era una prova di cuici si potesse fidare. Alla stessa stregua

poteva anche essere stato un comico di successo. Dei due figli la ragazza erala primogenitae sin da quand'era più

giovane mi aveva impressionato per la sua singolare insipienza. Era soltantolungamolto lungacome una lettera

illeggibile. Fu soltanto al ritorno della signora Stormer da un prolungatosoggiorno all'estero che Ethel (era questo il

nome di battesimo della ragazza) cominciò a dare la sensazioneampia einflessibile e da allora in poi predominante

d'aver assunto una certa determinazionequalcosa di importante e ufficialequasi fosse passato sotto la convalida di un

presidente a una riunione di consiglio. Dava a intendere che era suoproposito fare tutto il possibile per se stessa. Aveva

il collo lungoera miope e decisamente singolareal punto da farmisospettare di non aver mai visto tènere

diciassettenni di aspetto così duropresuntuoso e arido. Era freddaaffettata e ambiziosaed esibiva un occhialetto con

manico lunghissimo che si portava al viso ogni volta che non voleva vedere.Era sbocciatacome si dicebrillantemente;

eppure io la sentivo come circondata da una palizzata di ferro tutta punte.Ciò che contava di fare per se stessa era

sposarsiil che corrispondeva poi alla sola cosa che era disposta a fare perqualcun altro; ma chi sarebbe stato tanto

ispirato da voler scavalcare quell'irta barriera? Quale fiore di tenerezza od'intimità il potenziale avventuriero avrebbe

potuto aspettarsi come ricompensa?

La risposta dovrebbe darla Sir Baldwin Luardil qualenaturalmentesiguardò bene dal confidarmi il segreto.

Era un giovane piuttosto cupo e privo di senso dell'umorismo con l'aria dipossedere anche altri segreti e una

determinazione di farsi strada in politica resa evidente dalla fama secondocui - in ogni sacrosanta occasione - non

s'impegnava mai al di là di un immutabile «Oh!». Sua moglie e lui devonoaver comunicato essenzialmente attraverso

cerimoniose esclamazionima si capirono a sufficienza per concordare tuttauna serie di affinità di spirito. Ricordo di

essermi arrabbiato molto con Greville Fane il giorno che mi annunciò quellenozze come splendide; ricordo altresì di

averle chiesto in che cosa trovasse splendida l'unione tra la figlia di unadonna geniale e un'irrecuperabile mediocrità.

«Oh! È uomo di immense capacità»mi rispose; ma arrossì per quellabugìa tutta materna. Voleva direin realtàche

sebbene le proprietà di Sir Baldwin non fossero così vaste - possedeva unalugubre residenza in South Kensington e una

non meno lugubre «Hall» da qualche parte nell'Essexperaltro affittata -l'accoppiamento era «più elegante» di quanto

un figlio suo potesse aspirare a raggiungere. Alla faccia dell'audaciasociale dei suoi romanzimanteneva un'opinione

umile e modesta di se stessaal punto che di tutte le sue produzioni «miafiglia Lady Luard» era quasi quasi quella che

più l'inorgogliva. In cambioil personaggio in questione giudicava la suaautrice in termini piuttosto severi ed era

afflitto e imbarazzato dalle frequenti libertà della sua pennapur avendoun atteggiamento complesso nei riguardi di

questo suo indiretto rapporto con la letteratura. Fino a che si dimostravaeconomicamente vantaggiosala nobildonna

l'approvava e poteva transigere sull'inferiorità della professione invocandoalcuni dei vantaggi pratici che essa

procurava. Ho ragione di ritenere - e la mia ragione è data dal fatto che fula signora Stormer a parlarmene - che Ethel

tollerasse di buon grado che di tanto in tanto le dita sporche d'inchiostrodi sua madre le infilassero in mano qualche

banconota. D'altro cantonon mancava di deplorare lo «stile peculiare» alquale Greville Fane s'era votatae si chiedeva

dove una spettatrice che disponeva del vantaggio d'una figlia così benintrodotta fosse andata a raccogliere simili idee

sull'alta società. «Dovrebbe conoscerla megliocon Leolin e lasottoscritta» qualcuno aveva udito Lady Luard37

osservare; ma sembrava che alcuni pregiudizi di Greville Fane fossero senzarimedio. L'autrice non frequentava gli

ambienti di Lady Luarde la «buona società» non lo era abbastanza perlei... al punto da richiedere le sue prodigiose

migliorie.

Potei rendermi conto di quanto questa sua esigenza prendesse sempre piùcorpo in lei durante gli anni che

trascorse all'esteroquando occasionalmente la incontravo in uno dei suoifuggevoli soggiorni che incrociavano il

cammino del mio annuale vagabondaggio. Era solita trasferirsi dalla Germaniaalla Svizzera e dalla Svizzera in Italia;

preferiva le località a buon mercato e si sistemava col suo scrittoiogeneralmente nelle città di provincia. Andavo a

trovarla non appena mi era possibilee non trascuravo mai di domandarle comese la cavava il suo Leolin. Lei mi

aggiornava con entusiastici rapporti sul conto del figlioe non perdevaoccasione per raccomandarmi il ragazzo.

All'iniziom'ero prestato al gioco della sua carriera e facevo finta diammirarlo come un genio consacrato. Sulle prime

s'era trattato di un gioco anche per la signora Stormeril giovanotto inveceera stato tanto astuto da prendere la cosa sul

serio. Se la madre accettava il principio che per un aspirante scrittore nonè mai troppo presto per conoscere la vita

Leolin non aveva la minima intenzione di sottrarsi all'applicazione di questaverità fondamentale. Era ansioso di mettere

in mostra le sue qualità e cominciò a fumare all'età di dieci anni perragioni squisitamente letterarie. Sua madreche

credeva ciecamente in luise lo ammirava con invidia sconcertante ecomeDesdemonalamentava che il cielo non

avesse fatto di lei un uomo del genere. Più d'una voltami spiegònella sua professione aveva sentito il proprio sesso

come un terribile ostacolo. Adorava la storia della precoce ribellione diMadame George Sand contro un simile

svantaggioe sosteneva che se avesse portato i calzoni avrebbe potutoscrivere bene quanto la suddetta. Per la carriera

Leolin aveva se non altro la qualifica dei pantalonidei quali mano a manoche cresceva andava vieppiù riconoscendo

l'importanza con l'indossarne sempre di diversi. E così venne su impaludatoin abbigliamenti vistosiche

corrispondevano al suo modo di interpretare l'ideale della madre. Ad ogniincontrodunquela trovavo sempre più

convinta del fatto che stava lavorando per quell'ideale e che i sacrificicompiuti per lui avrebbero quanto prima arrecato

frutti incoraggianti. Si adoperava per trasmettere al ragazzo esperienzaperfornirgli impressioniper mettergli un

gagne-pain tra le mani. Era un modo di viziarlo con la coscienza piùpulita di questa terra. Mi tornano alla memoria le

immagini più strane di quel periodo dell'esistenza della buona signoraStormer e del suo stile di vitastraordinariamente

virtuoso e incredibilmente disordinato. Si illudeva di annotare le usanzestraniere per quanto le sottane glielo

permettessero; ma in realtà non prendeva nota di nullae meno che menoperfortunadi quanto si rideva alle sue spalle.

Conduceva la sua penna stravagante a Dresda e a Firenzeproducendo ovunque esempre i medesimi romanzi

sentimentali e ridicoli. Si portava appresso la cassetta dei suoi apparatiscenici dalla quale puntualmente rovesciava

fuori le vecchie e consunte marionette familiari. Ci credevaa differenza dichiunque altroe dato che nulla di simile era

reperibile sotto la luce del solerisultava anche impossibile dimostrare perconfronto la loro irrealtà. Non si possono

paragonare uccelli a pesci; si aveva tutt'al più la sensazione cheavendo ipersonaggi di Greville Fane il delicato

piumaggio della prima specie citatagli esseri umani non potessero cheappartenere alla seconda.

Sarebbe stato comicose non fosse stato talmente esemplarevederlaintrecciare amori di duchesse accanto ai

letti innocenti dei suoi bambini. In quelle sue giornate di lavoro assiduol'immorale e il materno coesistevano senza il

benché minimo problema di compatibilità: tranquillamenteella smetteva diarricciare i baffi dei suoi Ufficiali per

carezzare la testina ai suoi piccoli. La casa era frequentata da solennizitelle che venivano per il tè da qualche pensione

del Continentenonché da americani sempliciotti che si premuravano didichiararle quanto fosse adorata nel loro paese.

«In America avrei preferito piuttosto essere pagata» era il suo commentoin proposito; visto che questo riconoscimento

da parte del pubblico transatlantico era la sua unica ragione di cruccio. Gliamericani se ne andavano giudicandola poco

elegante; come autrice di tante belle storie d'amorestava deludendo lamaggior parte di quei pellegriniche non

avrebbero mai immaginato di trovare una schivacorpulenta e rubicondasignora con un copricapo simile a una

piramide sgretolata. I suoi romanzi descrivevano le passioni el'impossibilità di controllarlema parlavano anche dei

prezzi delle pensioni e di quanto fosse conveniente un farmacista inglese.Dedicò molte attenzioni e parecchie migliaia

di franchi all'educazione della figliache trascorse tre anni in un collegiodi Dresda molto esclusivodove ricevette

un'impareggiabile istruzione scientificaartistica e linguisticae doveimboccando una strada diversa rispetto a Leolin

era addestrata al ruolo di perfetta femme de monde. La ragazza eradotata per la musica e la filologia; si dedicò allo

studio di molte lingue e ne diventò abbastanza esperta da concepire unautentico disprezzo per la pronuncia

approssimativa della madre. Il francese e l'italiano di Greville Fane eranoridicoli; le era stata negata la facoltà di imitare

e possedevaper controil dono impareggiabilesoprattutto penna alla manodi piazzare errori madornali ad ogni

minima occasione. Ne era consapevole ma non se ne curava: la correttezza erala virtù checome i suoi eroi e le sue

eroinevalutava di meno al mondo. Una volta Ethelche aveva osservato nellesue pagine alcuni clamorosi strafalcioni

s'era impegnata a rivederne le bozze; ma ricordo quando - la ragazza avevalasciato la scuola da un anno - Greville Fane

mi disse che questo lavoro di correzione era stato ben poco esercitato. «Nonsopporta di leggermi» mi disse la signora

Stormer; «sembra che io offenda i suoi gusti. Secondo leia Dresda - nellasua scuola - i miei libri non erano ammessi.»

La brava donna non finiva di stupirseneavendo delle sue elucubrazioni lapiù alta opinione possibile. Non aveva mai

inteso fuggire di fronte alla realtàed era perciò convinta di doverstrisciare umilmente davanti al Radamante del

tribunale letterario ingleseovvero la tanto apprezzata e temibile Giovane.Io la rassicuraicosì per giococonfermando

l'ipotesi della sua spaventosa indecenza - un elementoa dire il veropresente in lei ai minimi terminicome del resto

era il caso di qualsiasi altro tratto del suo stile - e lo feci solamenteallo scopo di impedirle di indovinare che sua figlia

non per la sua immoralità aveva smesso di leggerlabensì perché latrovava volgarmente banale. Non mi riusciva

difficile figurarmi la scena dei due ragazzi che si appartavano percommentare l'un l'altra con aria costernata: «Perché38

mai la mamma deve essere così... e tanto tremendamente così... purdisponendo dei vantaggi sociali che noi le offriamo?

Non avremmo potuto insegnarle qualcosa di meglio noi?» Quindi me liimmaginavo nell'atto di riconoscerecon un

leggero rossore e una scrollatina di spalleche la genitrice era incapace diimpararedi migliorare. E di fatto lo era

povera signoraanche se non mi sembra corretto leggere alla luce del buongusto cose cheessenzialmentenon avevano

la pretesa di essere scritte con buon gusto. In quel mucchio di assurditàsenza capo né codaGreville Fane riusciva a

mantenere la sciocca fiducia di trovarsi al riparo da ogni criticané piùné meno di chi è affetto da balbuzie o da

strabismo.

Malgrado tuttocomunqueseppe evitare che il figlio si vergognasse dellaprofessione cui era predestinato;

anche se luiin compensosi vergognava del modo in cui lei la esercitava.Ma il ragazzo sopportava l'umiliazione molto

meglio di sua sorellapronto com'era a presumere che un giorno avrebbeprovveduto lui a riportare in pari la bilancia.

Giovane astuto e previdente qual eramosso da appetiti e ambizioninonaveva l'ombra di uno scrupolo nella sua

composizione. La teoria della madresecondo cui il suo Leolin avrebbe benpresto raggiunto livelli di prospera abilità

lo privava di quella salutare disciplina indispensabile a evitare che giovaniindolenti si trasformino in fannulloni. Egli

trasse profittoin terra stranierada un precettore occasionale e da unpaio di soggiorni nella solita scuola svizzerama

senza dedicarsi a uno studio continuatoe senza mai manifestare il propositodi iscriversi all'università o di conseguire

un diploma. Ci si può immaginare con quale zelomano a mano che gli annipassavanoavesse fatto sua la battuta che

per lui non esisteva un manuale più importante del voluminoso libro dellavita. Si trattava in verità di un volume assai

costoso da esaminarema la signora Stormer era pronta a mettergli adisposizione una bella sommasotto la voce che

avrebbe definito premiers frais. Ethel non era d'accordo: trovavaquesto tipo di educazione inadatto a un gentiluomo

inglese. Le sue preferenze andavano a Eaton e Oxford o a qualsiasi altro college- si sarebbe anche accontentata di uno

dei più modesti - seguitoovviamentedal servizio militare. Ma Leolin nons'era mai curato molto del parere della

sorella; era chiaro che i due non stravedevano l'uno per l'altraanche se avolte capitava loro di darsi una mano. Quella

che invece coincideva in loro era l'interessata volontà... che la madre nonsi staccasse dalla scrivania.

Quando la signora Stormer riapparve in Inghilterradicendomi di essersi«assicurata» tutto ciò che il

Continente aveva da darleLeolin era ormai un omettole spalle benpiazzatela faccia rubizzaun immenso guardaroba

e una straordinaria sicurezza di modi. La madre era appassionatamentequasiaggressivamentecerta d'averlo messo

sulla giusta stradae prese l'abitudine di vantarsi di tutto ciò che Leolinsapeva e vedeva. Il giovane era ormai pronto a

imbarcarsi nella professione di famigliaa iniziare il lavoro d'autorecomeusavano dire tra lorotant'è che poco dopo

mi venne comunicato il suo debutto. Aveva scritto qualcosa di tremendamentebrillante che sarebbe apparso sulla rivista

Cheapside. Probabilmente il pezzo uscì davvero; non ebbi il tempo diaccertarmene; fatto sta che nessuno mai me ne

parlò. Diedi comunque per scontato che se quel contributo era passatoattraverso le mani della madre avrebbe in effetti

illustrato più che altro l'abilità di leied era interessanteprefigurarsi il futuro della signora costretta a scrivere oltre che i

suoianche i romanzi del figlio. Non così vedeva le cose Greville Fanelaquale piuttosto lasciava credere che fosse lui

ad aiutarla a scrivere i suoi. Non mancava di assicurarmi che il figlioarricchiva i suoi scritti con brani di grandissimo

valore... ogni sorta di dettagli tecnici significativitocchi felici sullosport della caccia e della vela o sui sigari e sul vino

sullo slang della City e sul linguaggio di moda tra uomini ai club...cosa sulla qualealtrimentisarebbe stata poco

attendibile. Insommatanta esperienza per lui e un gran sollievo per lei.Devo dire che non mi fu possibile scoprire

quelle paginevisto che ormai da tempo avevo rinunciato a «stare al passo»con Greville Fane; ma mi fu facile credere

che almeno l'argomento vino fosse stato messo a punto dai buoni uffici diLeolin; la nostra cara amicainfattiaveva

l'abitudine di mescere le sue bevande - era sempre occupata a offrire glisplendidi banchetti - nei modi più bizzari.

Potevo immaginarmi il ragazzo abbastanza maturo per assumersi con regolaritàquel compito. E arrivai persino a

pensarequando lei ritornò in Inghilterrachemagari usando abilmente ilcontributo di entrambi i suoi ragazziGreville

Fane avrebbe potuto davvero dare una rinfrescata al proprio stile. Ethel eratornata anche leiper dar libero corso alle

sue innate ambizioni mondanee se proprio non se la sentiva di presentare lamadre in societàci sarebbe andata da sola.

In silenziodeliberatamentenon senza una certa grintala ragazza alzò latestaserrò i suoi lunghi dentipuntò i suoi

scarni gomiti e si fece strada su per la scala che s'era scelta. La solacomunicazione che mi fecela sola confidenza di

cui m'abbia mai onoratofu quando mi disse: «Non m'interessa frequentarel'ambiente di mia madrevoglio conoscerne

altri.» Presi debita nota dell'osservazionevisto che non venivo inclusofra gli «altri». Non potrei ripercorrere le tappe

della sua scalata; ricordo soltanto chea distanzala stavo ad ammirare eall'occasione giusta mi congratulavo con sua

madre per i risultati. I risultatiprima gradualipoi definitiviinfinemeravigliosifurono che Ethel poté recarsi ai

«grandi» ricevimenti e ottenne che persone «in vista» ve laaccompagnassero. Alcune di queste erano persone da lei

incontrate all'esteroaltre erano persone presentatele dalle persone da leiincontrate all'estero. Tutte cercavano di

assecondare i desideri della signorina Etheled io mi chiedevo come facessea strappare tanti favori senza neppure lo

sforzo di un sorriso. Il suo sorriso era peraltro la cosa più scipitaesistente in naturauna specie di limonata a buon

mercato diluita e senza zuccheroeppure Ethel aveva acquisito precocementeun certo buon senso socialesapendo

riconoscere chepur non essendo né abbastanza piacente né abbastanza riccané abbastanza brillantepoteva almeno

nella sua muscolosa giovinezzaessere abbastanza sgarbata. Quindiavendoraggiunto così un buon piazzamento da

fornire suggerimenti alla madreda informarla di cosa realmente accadevanelle residenze dei potentida trasmetterle un

po' di colore locale e dati su cui lavorareera lei a guidarel'esausta pennasul vecchio logoro e macchiato ma prode

quadernoimprimendole un'andatura ancor più gagliardae proprio quandotutto dipendeva da quella fatica. Ma se l'una

assunse in tal modo grandi abilità critichel'altraquella che faticavasi dimostrò costituzionalmente inadatta ad39

apprendere la lezione. Era ormai tardi perché Greville Fane potesseimpararee non mi risulta comunque che sia riuscita

a rinnovare il suo stile. Era destinata ad avere lo stesso stilecomeavrebbe detto Leolindal debutto alla fine.

Negli ultimi tempila signora Stormer era stanca ed esauritama mi confidòche non poteva concedersi pause.

Continuava a parlare del lavoro di suo figlio come della grande speranza delloro futuro - non aveva messo denaro da

parte - per quanto il giovanotto andasse assumendoa mio avvisoun'ariasempre più professionalese vogliamoma

sempre meno letteraria. Un paio d'anni più tardil'impudenza con cui Leolinrecitava la sua parte nella commedia era

davvero eccezionale. Quando mi domandavo come lei potesse recitare la suasentivo di nuovo l'inutilità della sua

passione maternache era a prova - così credevo ioe così risultò allafine - di qualsiasi interferenza della ragione. Ella

amava il suo giovane impostore con ingenuaottenebratacieca adorazioneedi tutti gli eroi da romanzo che le erano

passati sotto gli occhilui era di gran lunga il più brillante. Eraadogni buon contoil più reale... lei poteva toccarlo

pagare per luisoffrire per luiamarlo. Le faceva pensare ai suoi prìncipie ai suoi duchie quando voleva concretizzare

quei personaggile bastava pensare al suo ragazzo. Più volte mi aveva dettodi essere trasportata dalle proprie creature a

maggior ragione doveva capitarle con Leolin. Era lui a incarnare - almeno daquello che poteva essere un punto di vista

romantico - tutto il tema della giovinezza e della passione. Ella sostenevae non senza ragioneche un autentico

romanziere dovrebbe sentire intensamente tutto il fluire della vita;riconosceva con rimpianto di non aver avuto il tempo

di sentirlo personalmentee quel vuoto nella sua storia era in qualche modocolmato dell'impeto di quel suo magnifico

giovanotto. Penso che facesse di tutto per sostenerlo; quanto a leiinzuppava la sua frusta spugnetta nel torrente. Quanto

si dicevano durante quelle ore di addestramentoera un misteroma suppongoche si sforzasse di inculcargli l'idea che

l'importante era vivereperché è la vita che ti fornisce materia prima. Elui non chiedeva nulla di meglio; raccoglieva

materia primae la ricetta gli serviva da pretesto universale. Bastavaguardarlo per capire checon le sue spille da

cravatta e i suoi anellile sue giacche a quadrettoniil suo precoce embonpointi suoi occhi splendenti come gioielli

tutte le varie manifestazioni del suo tempera mento sanguignola suaconcezione di vita non poteva che essere

decisamente volgare; ma si dava il caso che la risposta che sua madre siaspettava fosse per il momento squisitamente

pratica. Se lei gli aveva imposto una professione sin dalla più tenera etàquella che lui seguiva era proprio una

professione. Ma le due cose non coincidevano perché la professione che avevaadottato era quella di vivere alle spalle di

lei; per lo menonon si poteva dire che non fosse coerente. Se lei insistevanel credere in luilui si offriva al sacrificio.

La mia impressione è che il sogno segreto di Greville Fane fosse una liaisontra Leolin e qualche contessae che lui

avesse convinto la madre di averne una per le mani davvero. Non so bene dicosa siano capaci le contessema ho

un'idea sufficientemente chiara di cosa fosse capace Leolin.

Non riuscì tuttavia a persuadere la sorellache in fondo lo disprezzava...e desiderava lavorarsi la madre a

modo suo; tanto che mi chiesi come mai l'opinione che ne aveva la ragazza nonme la rendesse più simpatica. In realtà

quel particolaredopo tuttonon le impediva di essere tacitamente d'accordocol fratello di fare a metà. Vi erano

momenti in cui non potevo fare a meno di fissarlo in quei suoi occhispietaticon la voglia di sfidarlo a confessare la sua

colossale frode e a rinunciarvi. In tal sensonon furono poche le muteconversazioni scambiate fra di noia suon di

occhiatema era sempre lui ad avere la meglio. Se dicevo: «Suandiamoconme non hai bisogno di recitare; dichiara la

tua colpa e io ti lascerò perdere» lui assumeva la più ingenuala piùcandida delle espressioninelle cui pieghe

profonde io potevo leggere: «Sìlo so che la cosa ti esaspera... è perquesto che continuo...» Aveva scelto la linea della

conversazione innocuami parlava di Balzac e di Flaubertmi chiedeva se nonpensavo che Dickens avesse esagerato o

se Thackeray non dovesse essere definito un pessimista. Una voltavenne a trovarmidietro suggerimento di sua madre

come egli stesso dichiaròcon l'intenzione di domandarmi quanto lontanoamio parereun autore potesse «spingersi»

nel romanzo inglese. Non era il tipo da rassegnarsi alle solite pruderiesda perdersi in chiacchiere infantili; di «pane e

burro»ne aveva abbastanza. E partorì la brillante idea che fosseimpossibile sapere quanto lontano ci si potesse

«spingere»visto che nessuno aveva mai tentato. Non ritenevo forse io che luifosse in grado di provarci senza

pericolo... e in tal caso non avrebbe recato danno alla madre? Avrebbepreferito il disonore per mancanza d'audacia

piuttosto che recar danno a sua madrema tuttavia qualcuno doveva provare.E perché non avrei dovuto essere io

quello... perché non mi lasciavo convincere a considerare l'impresa undovere? Ovviamenteandava stabilito un limite...

era preoccupatoossessionato dal problema. Mi incalzò senza arrossiremifece sentire uno stupido dilettanteun

novizio sprovvedutovolle sapere delle mie abitudini di lavoro e insinuòche io fossi del tutto vieux jeu non avendo

goduto il vantaggio di un addestramento sin da ragazzo. Non ero statoallevato fin dall'uovoio. Nulla sapevo della

vita... non mi ci buttavo sopra secondo il suo sistema. Doveva averleggiucchiato qualche feuilleton francese e aveva

collezionato una quantità di luoghi comuniil che gli consentiva di farenella conversazione una figura migliore di

quanto non facesse la sua povera madreche non aveva mai avuto tempo dileggere e poteva esibirsi solo con la penna.

Se non lo presi a calci giù per le scale fu perché in fondo sarebbeatterrato addosso alla madre.

Quando Greville Fane andò a vivere a Primrose Hillmi recai a visitarla ela trovai sciupata e pallida.

L'eccitazione causatale l'anno precedente dal matrimonio di Ethel le eraevidentemente passata. Nella coppa

spumeggiante era rimasta solo una bevanda amara. Si era dovuta ridurre in unacasa meno cara e oraper pagarlaera

costretta a lavorare di più. Sir Baldwin non poteva largheggiare; i suoiimpegni erano tremendamente onerosie il sogno

di lei di andare a vivere con la figlia - un'ipotesi di cui peraltro nonm'aveva mai fatto menzione - venne messo da parte.

«Avrei potuto esser loro d'aiuto in qualcosae mi sarei accontentata di unasola stanza» mi disse; «avrei pagato ogni

cosa ioe - dopo tutto - sono pur qualcuno ionon credete? Ma sembra chequello non sia posto per metanto più che

Ethel mi dice che deve ricevere gente noiosa. Certo che posso aiutarlianche stando quie forse meglio. Una volta

sapetemi ha confidato ciò che pensa della mia visione della vita. ‹Èuna visione assurdamamma!› Sono d'accordo che40

lo siama allora perché se la prende con me se talvolta ho dovuto svendere?Tre romanzi m'è toccato scrivere per pagare

i costi del suo matrimonio. E ho fatto tutto per bene... mi riferisco alcorredo e alla cerimonia; per questo sono quiora.

Resta il fatto che non le va di vivere a Blicket con una povera vecchiadonna. Avrei potuto dare alla loro casa un'aria di

prestigio letterarioma il prestigio letterario è soltanto la distinzionedi chi non è nessuno. Inoltrelei ha idee precise

riguardo alla mia gloria... lei sa che sono famosa soltanto a Peckham e aHackney. Vuole evitare che i suoi amici le

chiedano se ho mai frequentato persone come si deve. Non se la sente di dirloro che non sono mai stata in società. Ha

tentato una volta di insegnarmi a essere più presentabilema io non ce l'hofatta. Sembrerebbe che persino Peckham e

Hackney ne abbiano abbastanza di me; perché (ma non ditelo in giro) ho presomeno per il mio ultimo libro che per

qualsiasi altro lavoro.» Le chiesi di quantificarmi quel menonon tanto percuriositàma piuttosto per rimproverarlain

modo certo più disinteressato di quanto aveva fatto Lady Luardper similiconcessioni. Mi rispose: «Ho vergogna a

dirvelo»poi scoppiò a piangere.

Non l'avevo mai vista in crisi e ne fui relativamente commosso; singhiozzavacome un bambino spaventato sul

declino della sua popolarità e sull'esaurimento della sua vena. La suastanzetta da lavoro sembrava davvero un campo

sterile dove non potevano che crescere fiori da mercatoed io mi chiesinegli anni a venire (visto che continuò

ugualmente a produrre e a pubblicare) grazie a quale disperato ed eroicoprocedimento riuscisse a cavarli fuori dal

terreno. Ricordosempre in quella occasionedi averle domandato che ne eradi Leolin e per quanto tempo ancora

intendeva concedergli di divertirsi alle sue spalle. Rispose con fogaasciugandosi gli occhiche il ragazzo stava

lavorando sodo giù a Brighton - era a metà d'un romanzo - e che sentiva talmentela vitain tutto il suo tormento e

misteroche le sembrava crudele parlare di quelle sue esperienze come didivertimenti. «È il tipo che scava in

profondità» mi disse«che si costringe a prendere di pettorealtà dalle quali preferirebbe poter fuggire. E questo voi lo

chiamate un divertimento? Dovreste veder la sua facciaa volte! E lo fa permenon meno che per se stesso. Mi

racconta ogni cosa... viene a trovarmi ogni tanto con le sue trouvailles.Siamo fra artistie per un artista tutto è puro. Più

volte ho sentito dire da voi la stessa cosa.» Il romanzo che Leolin eracosì impegnato a concepire a Brighton non vide

mai la lucema un amico mio e della signora Stormer che viveva là mi disseper casoqualche tempo dopod'aver visto

il giovane apprendista letterato portare a spasso in calesse una ragazza dalviso molto roseo. E quando io suggerii che si

trattava forse di una donna titolata alla quale lui stava facendocoscienziosamente la corteil mio informatore replicò:

«Lo sarà senz'altroma volete sapere di che titolo si tratta?» E lonominò... un titolo davvero usuale e significativoche

preferisco non riportare qui. Non saprei dire se Leolin parlò anche diquesto a sua madre: chein tal casoavrebbe avuto

bis ogno di tutta la purezza dell'artista per perdonarlo. Talmente detestavol'idea di incontrarmi con luiche negli

ultimissimi anni andai raramente a visitarlasebbene sapessi che era ormaivicina alla fine. Non volevo che mi dicesse

che era costretta a dar via i suoi libri per niente; non volevo vederlainvecchiata e abbandonata e derisa; non volevo

insommavederla piangere disperatamente. Bisogna dire che continuava a tenerduro in modo sorprendentee che di

tanto in tantoal mio clubmi capitava di scorgere tre suoi nuovi volumiin verdein cremisiin blusul tavolo della

biblioteca scricchiolante sotto il peso di tanta letteratura leggera. Unavolta la incontrai a una soirée dell'Accademia

dove è normale incontrare persone che si pensano morte da tempoe fu lìche mi accordò l'informazionequasi che a me

la dovesse in tutto candoresecondo cui Leolin era stato costretto ariconoscere le insuperabili difficoltà circa la

questione della forma... era troppo esigente; e mi comunicò altresìche era pervenuta a un'intesa definitiva con lui (quale

consolazione!): si sarebbe preoccupata lei della forma se lui avesseportato a casa la sostanza. E quello era ormai di

Leolin impiego: pascolare per lei nel bel mondoovviamente stipendiato. «Èil mio ‹genio›vedete? Come se io fossi un

grande avvocato: lui istruisce il caso e io lo discuto.» Aggiunse poi cheoltre al salarioil suo Leolin riceveva anche un

tanto «al pezzo»: tanto per un personaggio singolaretanto per un nome digustotanto per un intrecciotanto per un

episodioe tanto gli aveva promesso se avesse inventato un nuovo crimine.

«Mi pare che ne ha già inventato uno» commentai«per il quale èpagato ogni santo giorno della sua vita.»

«Cos'è mai?» interrogòguardando con insistenza alla parete il quadrodell'annoIl bambino nella tinozza

accanto al quale casualmente ci trovavamo.

Esitai per un istante. «Scriverò personalmente un raccontino in propositocosì capirete.»

Ma non vide e non capì mai; non aveva mai visto nullae se ne andò con lasua ammirevole cecità. Suo figlio

finì col pubblicare ogni ritaglio di carta scribacchiata che gli riuscì discovare dai suoi cassettie sua sorella litigò

ferocemente con lui sui proventiil che le dimostrò che quello di cui avevabisogno era soltanto un pretestovisto che il

denaro in questione non poteva che essere stato poca cosa. Non so di che stiavivendo ora Leolinse non alle spalle di

una equivoca signora di qualche anno più vecchia di lui e che recentementeha sposato. L'ultima volta che l'ho visto mi

ha dettocon quel suo sorriso che mi rendeva furioso: «Non pensate chepossiamo spingerci ancora un po' più in là...

solo un poco?» E realmente - con me almeno - s'era spinto troppo.

1892

LA BESTIA NELLA GIUNGLA

I41

Poco importa sapere come nacquedurante il loro incontroil discorso chetanto l'aveva turbato; bastarono

probabilmentepoche parole dette da luisenza una precisa intenzionecosì... mentre si attardavano e poi lentamente

s'incamminavano insieme dopo aver rifatto conoscenza. Era arrivato una o dueore primacon altri amicinella casa

dove lei si trovava ospite ecome parte di quel gruppo di visitatori che siera formato nell'altra casa - e grazie al quale

come sempreaveva potuto attuare la sua teoria di confondersi tra la folla -era stato invitato a colazione. Dopo

colazioneappuntogli ospiti s'erano dispersipresi per lo piùdall'interesse di una visita a Weatherendai suoi oggetti

preziosialle curiositàai quadriai cimeliai tesori d'artecheavevano reso quel luogo quasi famoso; le ampie sale

dell'edificio erano talmente numerose che gli ospiti potevano aggirarvisicome volevanostaccarsi dal gruppo principale

equando gli oggetti esposti fossero degni di estrema attenzioneabbandonarsi a misteriosi apprezzamenti e valutazioni.

Si scorgevano personein angoli appartati; sole o in coppiacurve aguardarechecon le mani sulle ginocchiagiravano

qua e là la testa come in preda a un'eccitata sensazione olfattiva. Quandoerano in coppiascambiavano frasi estatiche o

si struggevano in silenzi ancor più significativicosì cheper molteragionia Marcher veniva da pensare di trovarsi a

una di quelle svendite molto reclamizzatequando si da quell'«occhiatad'insieme» che serve ad accendere o a smorzare

a seconda dei casila smania degli acquisti: smania che a Weatherendsembrava si sarebbe addirittura scatenatae John

Marcherfra tante e tante suggestionisi scoprì sconcertatoquasi inegual misurasia dalla presenza di coloro che ne

sapevano troppo sia da quella di coloro che sembrava non capissero nulla.Tanta era la poesiatanta la storia che da

quelle grandiose stanze gli pesavano addosso che egli sentìper rientrarein un rapporto adeguato con esseuna certa

voglia di appartarsivoglia che non poteva assolutamente essere paragonatacome l'avidità di alcuni dei presential

modo che ha un cane di fiutare una dispensa. E il fatto di essersi appartatoebbe quasi subito un risultato inatteso.

E cioèin poche paroledurante quel pomeriggio d'ottobreuna sua piùintima conoscenza con May Bartramil

cui viso - una vaga reminiscenza più che un vero e proprio ricordo - avevacominciato a turbarlo piuttosto

piacevolmente quando sedevanoanche se molto distanti l'uno dall'altraauna lunghissima tavola. Quel volto lo aveva

attratto come la continuazione di qualcosa di cui aveva perduto la primaparte. Lo riconoscevae per il momento lo

accolse di buon gradocome un seguitodi cosa perònon riusciva a capire;e questo non fece che aumentare la curiosità

o il divertimentotanto più che Marcher era in qualche modo sicuro - pursenz'alcun cenno diretto da parte di lei - che

lei la giovane donnail filo non l'avesse perduto affatto. Non l'avevaperdutoma non glielo avrebbe restituitoMarcher

capìse non fosse stato lui a tendere la mano in qualche modo perprenderlo; e non si rese conto soltanto di questoma

di molte cose ancoratutte abbastanza curiose si pensava chenel momento incui l'occasionale formarsi dei gruppi li

portò faccia a facciastava ancora lambiccandosi con l'idea che qualsiasirapporto fosse intercorso fra loro nel passato

non doveva aver avuto alcuna importanza; e se era davvero cosìa maggiorragione Marcher si stupiva che ora ne

avesse tanta; ma forsefinì per rispondersidate le circostanzenonrestava altro da fare che prendere le cose così come

venivano. Gli faceva piaceresenza essere minimamente in grado di direperchéche la posizione della giovane donna in

quella casa facesse più o meno pensare a quella di una parente povera; comepure che la sua presenza lì non fosse

dovuta a una breve visitama a un impiego stabileremunerato. Godeva forsesaltuariamente di una protezione che

ricambiavafra l'altroaiutando a mostrare il luogo e a illustrarloatrattare con la gente noiosaa rispondere alle

domande circa la storia dell'edificiogli stili dei mobilila paternitàdei quadrigli antri prediletti dal fantasma? Non che

avesse l'aspetto di qualcuno cui si può dare la mancia... tutto fuorchéquello. Eppurequando finalmente lei si lasciò

trasportare verso Marcher dall'ondeggiare della follabella e distintaanche se assai invecchiata - invecchiata da quando

l'aveva veduta l'ultima volta -questo sembrò la conseguenza diun'intuizione da parte sua del fatto chededicandole lui

in quelle ore maggior fantasia che non a tutti gli altri messi insiemedoveva aver raggiunto una forma di verità agli altri

inaccessibile. Lei era lì in condizioni più difficili di chiunque; era lìa causa di sofferenze patitein un modo o nell'altro

in quell'intervallo di anni; e si ricordava molto bene di luiproprio comelui di lei... soltanto con assai maggior

precisione.

Quando finalmente cominciarono a parlareerano rimasti soli in una dellesale - impre ziosita da un bel ritratto

sopra il camino - per la quale gli amici erano già passatie l'incanto ditale incontro era dovuto alla circostanza che

ancor prima di dirsi qualcosasi fossero tacitamente accordati per rimanereindietro e attaccare discorso. L'incanto

felicementeera in ogni cosa... del restonon c'era angolo a Weatherend chenon fornisse occasione per attardarsi. Era in

quell'affacciarsi dalle grandi finestre della giornata d'autunno che svaniva;in quella luce rossastrache erompendo alla

fine dalla bassascura fascia di cielopenetrava in un lungo raggio egiocava sugli antichi pannelli di legnosulle

antiche tappezzeriesugli ori antichisugli antichi colori. Ma l'incantoforsefu soprattutto nel modo in cui lei gli si

avvicinòcome riservandogli la possibilitàqualora egli preferisse nondar peso all'intera faccendadi considerare la sua

gentile attenzione come parte delle sue normali mansioniessendo leiincaricata di intrattenere i visitatori più

sprovveduti. Manon appena udì la sua voceil vuoto fu colmato e Marcherritrovò l'anello mancante; la delicata ironia

che aveva percepito nell'atteggiamento di lei perse il suo vantaggio. Marcherfece quasi un balzo in avanti per arrivare

prima. «Vi ho incontrata anni e anni orsonoa Roma. Ricordo tuttoperfettamente.» Lei confessò il suo disappunto: era

così sicura che non ci sarebbe riuscito. Per provare quanto buona fosse lasua memoria Marcher cominciò a snocciolare

una reminiscenza via l'altracosì come gli venivano man mano che lerichiamava. Il volto e la voce di leiadesso tutti

per luioperarono il miracolo... come la torcia di un lampionaio chetrasforma in fiammasfiorandoli uno ad uno un

lungo filare di lampioni a gas. Marcher si compiacque di quella brillanteilluminazionecosa che non gl'impedì di

sentirsi ancor più soddisfatto quando leidivertitagli fece notare chenella fretta di precisare ogni dettaglioaveva

commesso un buon numero di errori. Non a Roma s'erano incontrati... ma aNapoli; e non otto anni addietro... erano42

ormai quasi dieci. E leinon si trovava là in compagnia di uno zio e di unaziabensì della madre e del fratello; oltre a

ciòMarcher non era arrivato con i Pemblesma con i Boyerse da Roma...un particolarequest'ultimoche poteva

provare e su cui lei insistette causando in Marcher un certo imbarazzo.Infattii Boyers li conoscevama non i Pembles

per quanto ne avesse sentito parlareed erano stati proprio i Boyers apresentarli. L'incidente del violento temporale che

li aveva costretti a rifugiarsi in uno scavo... questo incidente non eraavvenuto al Palazzo dei Cesaribensì a Pompei

proprio quando si erano trovati là per assistere a una scoperta importante.

Marcher accolse le sue correzioniaccettò di buon grado quelleosservazionisebbene ne risultasse - come May

non mancò di far notare - che in realtà di lei non ricordava un belnulla; si limitò però a registrare l'inconveniente del

fatto cheuna volta esaurita quella scrupolosa ricostruzione storicabenpoco rimaneva del loro rapporto passato.

Rimasero insieme a lungolei trascurando le sue mansioni - Marcher era tantoistruito che non poteva certo svolgerle

con lui - ed entrambi dimenticando la casaquasi aspettando che un altroricordo o due affiorassero alla loro memoria.

In pochi minutidopo tuttoavevano scoperto le proprie carte; era chiaroperò chedisgraziatamenteil mazzo non era

completo... che il passatostuzzicatoinvitatoinvocatonon poteva darepiù di quanto aveva. Li aveva solo portati a

incontrarsi: lei con i suoi vent'annilui con i suoi venticinque; erastranosembrarono dirsiche dal momento che c'era

non fosse stato un po' più generoso. Si guardarono l'un l'altro con lasensazione di un'occasione mancata; il presente

avrebbe potuto essere tanto migliore se il passatocosì lontanoe in terrastranieranon fosse stato tanto stupidamente

avaro. A conti fattinon erano più di una dozzina gli avvenimentivecchiecose di poca importanzach'erano potuti

accadere fra loro; banalità di gioventùsciocchezze e ingenuità dovuteall'ignoranza e all'inesperienzaqualche seme

sparsoma troppo profondamente sepolto - troppo profondamente davvero? - pergermogliare dopo tanti anni. Marcher

si rimproverava di non averle reso allora qualche servizio: salvarla da unabarca naufragata nella Baia o almeno

recuperarle la valigiarubatale dalla carrozza per le viuzze di Napoli daqualche lazzarone armato di stiletto. Oppure

sarebbe stato bello se fosse stato colto da una febbresolo in albergoedella fosse accorsa a curarlopreoccupandosi di

avvisare la famigliae di accompagnarlo a passeggio durante laconvalescenza. Allora sì che sarebbero entrati in

possesso di quel qualcosa che sembrava mancare al loro incontroattuale. Comunquea modo suoquest'incontro

appariva troppo bello per essere sciupato; cosìper pochi minuti ancoracontinuarono a chiedersi vanamente perché -

pur avendocome sembravaun certo numero di amici in comune - fosse statotanto a lungo differito il loro ritrovarsi.

Non usarono esattamente questo terminema quell'indugiareun minuto dopol'altroinvece di raggiungere gli altriera

quasi un confessare che non volevano assolutamente fosse un fallimento. Itentativi di trovare le ragioni del loro

mancato incontro servirono soltanto a dimostrare quanto poco conoscesserol'uno dell'altro. Venne dunque un momento

in cui Marcher provò un vero e proprio senso di angoscia. Era vano fingereche si trattasse di una vecchia amicavisto

che mancava loro qualsiasi punto in comunee a dispetto di ciò ebbel'impressione che in qualità di vecchia amica gli

sarebbe andata più a genio. Di nuovi ne aveva abbastanza... ne eraaddirittura attorniato nella casa di prima; come nuova

amica si sarebbe a stento accorto di lei. Gli sarebbe piaciuto inventarequalcosaindurla a far finta di credereassieme a

luiche all'origine ci fosse qualche episodio di tipo romantico odrammatico. Stava quasi sfidando il tempo con

l'immaginazione alla ricerca di uno spunto che facesse al casoe dicendo ase stesso chese non l'avesse trovato

quell'abbozzo di rinnovato rapporto avrebbe rischiato di prendere una piegaimbarazzante.

Si sarebbero separatie questa volta senza la possibilità di altriincontrise anche quel tentativo si fosse

concluso senza successo. E fu proprio alloraquando una svolta s'imponevacome egli comprese più tardichevenendo

meno ogni altro mezzolei si decise a prendere l'iniziativa edi fattoasalvare la situazione. Non appena May cominciò

a parlareMarcher sentì che ella aveva deliberatamente taciuto ciò che orastava per dire sperando di poterne fare a

meno; e questo scrupolo lo commosse quandotre o quattro minuti dopoebbemodo di misurarne il valore. Ciò che

May dissead ogni modoalleggerì non poco l'atmosfera e riallacciòl'anello mancante... quell'anello che con strana

leggerezza aveva perso.

«Un giornosapetemi diceste una cosa che non ho mai dimenticato e che daallora mi ha fatto pensare a voi

più volte; era un giorno caldissimo e stavamo attraversando il golfo perandare a Sorrento in cerca di un po' di

refrigerio. Fu mentre tornavamogodendoci il fresco sotto la tenda dellabarcache mi diceste appunto... proprio non

ricordate?»

Marcher aveva dimenticatoe ne fu più sorpreso che vergognoso. Ma il bellofu che non colse in quelle parole

nessun richiamo volgare a qualche «tenero» discorso. La vanità delle donneha la memoria lungama in quel caso non

sembrava proprio che May stesse vantandosi con lui di un complimento o di unmalinteso. Con un'altra donnauna

donna totalmente diversaavrebbe magari potuto temere la rievocazione diqualche avventata «profferta». Così

costretto ad ammettere d'aver veramente dimenticatoebbe l'impressione chesi trattasse di una perdita piuttosto che di

un guadagno; gli sarebbe stato utile ricordare la cosa menzionata da May.«Ci sto pensandoma... noci rinuncio.

Eppure ricordo quel giorno di Sorrento.»

«A questo puntonon credo che voi possiate ricordare» disse dopo unattimo May Bartram; «e non sono

neppure sicura se io debba desiderarlo. È terribile riportare una personaindietro a ciò che era dieci anni prima. Se avete

vissuto finora prescindendo da quella cosa» accennò con un sorriso«tanto meglio.»

«Ma se così non è stato per voiperché dovrebbe esserlo per me?»chiese lui.

«Volete dire prescindere da ciò che io stessa ero?»

«Da ciò che io ero. E io eroovviamenteun somaro» proseguìMarcher; «ma preferirei sapere da voi appunto

che specie di somaro fossi allora - dal momento che qualche ricordo voil'avete - piuttosto che non saperne nulla.»

Ella esitò ancora. «Ma se avete completamente cessato di appartenere aquella specie...?»43

«A maggior ragione non mi costerà nulla sapere... Senza dire chemagarinon ho cessato affatto di

appartenervi.»

«Forse. Eppure se così fosse» aggiunse May«dovrei supporre chericordereste. Non che io associ al mio

ricordo l'odiosa qualifica che vi siete data. Se solo vi avessi preso per unosciocco» spiegò«la cosa di cui parlo non mi

sarebbe rimasta dentro a tal punto. Si trattava di voi.» S'interruppequasivolesse dargli il tempo di ritrovarla da solo;

ma siccomelimitandosi a incrociare lo sguardo di lei con aria sempre piùstupitaMarcher non accennava rispostaMay

a un tratto si decise: «È mai successa?»

Fu allora checontinuando a fissarlauna luce gli balenò dentro e ilsangue lentamente gli affluì al volto che

prese a bruciargli man mano che il ricordo si chiariva. «Volete dire che viconfidai...?» Ma si trattenneper paura di

tradirsio che la sua supposizione potesse essere errata.

«Era una cosa che vi riguardava personalmenteche era difficiledimenticare... beninteso sempre che ci si

ricordasse di voi. Ecco perché vi chiedo» May sorrise«se la cosa che midicesteè poi avvenuta»

Ora sì che capiva Marcherma venne sopraffatto dallo stupore edall'imbarazzo e Mayaveva capito anche

questone fu dispiaciuta per lui come se la sua allusione fosse stata unerrore. Gli bastò un attimo per avvertire che non

a un errore era dovuto il suo imbarazzobensì alla sorpresa. Anzidopo loshock inizialeil fatto che lei sapesse

cominciòper quanto abbastanza stranamentea prendere per lui un dolcesapore. May era dunque la sola persona al

mondo che sapessee l'aveva continuato a sapere per tutti quegli annimentre la circostanza di averle sussurrato un

segreto così gli era inspiegabilmente svanita dalla mente. Nessunameravigliaquindise non era stato possibile che si

incontrassero come se nulla fosse accaduto. «Credodi sapere» disse allafine Marcher«di sapere a cosa alludete. Solo

è curiosoma avevo perduto perfino la sensazione di avervi introdotto a talpunto nella mia intimità.»

«Forse perché l'avete fatto con molte altre persone?»

«Al contrario. Nessun altro da allora.»

«Cosìio sarei l'unica persona a sapere?»

«L'unica al mondo.»

«Bene» continuò lei in fretta«in quanto a me non ne ho mai fattoparola. Maimai ho riferitoparlando di voi

quanto mi diceste allora.» Lo guardò in un modo tale che lui le credettecompletamente. I loro occhi s'incontrarono e a

Marcher non restò più alcun dubbio. «Né mai lo farò.»

C'era nella sua voce una serietà taleeccessiva perfinoche tolse aMarcher qualunque sospetto d'ironia da parte

di lei. In qualche modo considerò l'intera faccenda come un nuovo tesoro peril fatto stesso che lei fosse già in possesso

del segreto... E se May non aveva preso un atteggiamento sarcasticoevidentemente simpatizzava con luie questo a

Marcherin tutti quegli anninon era capitato con nessuno. Sentiva cheadesso mai e poi mai avrebbe potuto anche solo

accennare a quelle confidenzema nondimeno si poteva tranquillamentepermettere il lusso di approfittare dell'incidente

di averlo già fatto a suo tempo. «Per favorealloranon fatelo. Lasciamole cose come stanno.»

«Ohper me va bene» rise lei«se per voi è lo stesso!» Al cheaggiunse: «Ma... avete sempre quel vostro

presentimento?»

Era impossibile per lui non rendersi conto che May era realmente interessataanche se la cosa non finiva di

stupirlo. Aveva sempre pensato di essere terribilmente soloed ecco che solonon era affatto. Né lo era mai stato - così

sembrava - neppure per un'ora... a partire da quel pomeriggio sulla barcaaSorrento. Lei sì che era stata solagli parve

di intuire osservandolasola per la imperdonabile circostanza della suamancanza di fedeltà. Dirle quello che le aveva

detto... cos'altro era stato se non chiederle qualcosa? Qualcosa che ellaaveva concesso in tutta generositàsenza che lui

non foss'altro che con un ricordo o un pensiero gentiledato che non c'erastato un altro incontrosi fosse mostrato

riconoscente. In sostanza egliall'iniziole aveva chiesto semplicementeche non ridesse di lui ed ella se ne era

meravigliosamente astenuta per dieci annie continuava ad astenersene.Infinita era dunque la gratitudine che Marcher

le doveva. Tanto più che ora voleva sapere con esattezza in che modo loavesse giudicato allora. «Come vi ho detto

esattamente...?»

«Circa la natura di quel vostro presentimento? Manel modo più semplice.Diceste che sin dalla primissima

infanzia avevate avutonel più profondo di voicome la sensazione diessere destinato a qualcosa di raro e di strano

prodigioso forse e terribile; qualcosa che vi avrebbe colpitoe magarisopraffattopresto o tardie di cui avevate il

presentimento e la certezza fin nelle ossa.»

«E a voi questo sembra tanto semplice?» chiese John Marcher.

May rifletté un momento. «Chissàforse perché mentre parlavate misembrava di capirvi così bene.»

«Davvero mi capite?» chiese lui avidamente.

Lo sguardo benevolo di May tornò a fissarsi su di lui. «E avete ancoraquella convinzione?»

«Oh!» esclamò Marcher in segno d'impotenza. Aveva troppe cose da dire.

«Di qualsiasi cosa si tratti» concluse lei con decisione«non è ancoracapitata.»

Marcher scosse la testa arrendendosi completamente. «Non è ancora capitata.Solovedetenon si tratta di una

cosa che io debba farech'io debba compiere nel mondoperdistinguermi e farmi ammirare. Non sono somaro a tal

punto. Sarebbe senza dubbio molto meglio che lo fossi.»

«Si tratta allora di qualcosa che dovrete semplicemente subire?»

«Behdiciamo attendere... qualcosa che devo incontrareaffrontarecheeploderà all'improvviso nella mia vita;

forse distruggendo ogni ulteriore consapevolezzaforse distruggendomi; ameno che non si accontenti di alterare ogni

equilibriocolpendo alle radici tutto il mio mondo e abbandonandomi alleconseguenzequali che siano.»44

May sembrò afferrare il concettoma la luce dei suoi occhi continuò perlui a non essere derisoria. «Ciò che mi

state descrivendo non è forse l'attesa o la sensazione di pericolo -familiare a tanti - di innamorarsi?»

John Marcher rifletté. «Mi chiedeste la stessa cosa allora?»

«No... non ero così disinvolta. È un'idea che mi viene adesso.»

«Certo» disse lui dopo un istante«certo che vi viene adesso. E anche ame. E non è escluso che sia proprio

questo ciò che mi aspetta. Soltanto» proseguì«ritengo che se di questosi fosse trattatome ne sarei accorto.»

«Volete dire che siete già stato innamorato?» E poiché Marcher silimitava a guardarla in silenzio: «Siete stato

innamoratoe la cosa non ha rappresentato poi questo grande cataclismanons'è rivelata la prova capitale... non è

così?»

«Sono ancora quicome vedete. Non sono stato sopraffatto.»

«Allora non è stato amore» disse May Bartram.

«In ogni modo almeno pensavo che lo fosse. Per tale l'ho preso... e l'hocreduto sino ad ora. È stata una cosa

piacevoleuna cosa deliziosauna cosa disperante» spiegò. «Matutt'altro che strana. Non era come dovrebbe essere la

mia cosa.»

«Volete forse una cosa che sia solo vostra... qualcosa che nessun altropossa provare o abbia mai provato?»

«Non è questione di ciò che io ‹voglio›... Dio sa che non voglioproprio nulla. Si tratta soltanto dell'angoscia

che mi assilla... con cui mi tocca vivere giorno dopo giorno.»

Marcher parlò con tanta lucidità e tale coerenza da sentirseneulteriormente impegnato. Ammesso che prima lei

non fosse stata interessata ora non poteva non esserlo. «È come unasensazione di violenza incombente?»

A Marcher ormai piaceva sicuramente l'idea di riparlarne. «Non sono affattosicuro che - quando realmente

capiterà - sarà necessariamente una cosa violenta. Pensoanziche sarànaturale e soprattuttoinequivocabile. Per me è

semplicementela cosa. La cosa apparirà del tutto naturale.»

«Ma allora come potrà sembrarvi strana?»

Marcher rifletté. «Non lo sarà... per me.»

«Per chi dunque?»

«Beh» rispose luifinalmente sorridendo«diciamo per voi.»

«Dovrò allora esserci anch'io?»

«Ma voi ci siete già... dal momento che sapete.»

«Capisco» disse May pensierosa. «Ma io voglio dire presente allacatastrofe.»

Per un lungo minutoil tono leggero della loro conversazione cedette ilposto a una certa gravità; come se il

profondo sguardo che si scambiarono in qualche modo li legasse. «Dipenderàsoltanto da voi... se vorrete vegliare con

me.»

«Avete paura?» chiese May.

«Non lasciatemi ora» riprese lui.

«Avete paura?» ripeté lei.

«Credete che io sia semplicemente uscito di senno?» insisté lui invece dirispondere. «Vi faccio soltanto pena

come un innocuo lunatico?»

«No» disse May. «Credo di capirvi. E vi credo.»

«Intendete dire che sentite quanto la mia ossessione - povera vecchiaossessione! - possa corrispondere a

qualche possibile realtà?»

«A qualche possibile realtà.»

«Allora mi farete compagnia nell'attesa?»

May esitòpoi per la terza volta pose la sua domanda. «Avete paura?»

«Vi ho forse detto questo... a Napoli?»

«Noniente di simile.»

«Alloranon so. E mi piacerebbe saperlo» disse John Marcher. «Sarete voistessa a dirmi cosa ne pensate. Se

veglierete con me non potrete non accorgervene.»

«Benissimoallora.» Intanto avevano attraversato la salae una voltagiunti alla portaprima di uscirnesi

fermaronoquasi volessero passare in rassegna i termini della loro intesa.«Vi farò compagnia» disse May Bartram.

II

Il fatto che ella «sapesse» - sapesse eppure non si prendesse gioco di luiné lo tradisse - in breve tempo aveva

cominciato a costituire tra loro un intenso legameche divenne ancor piùtenace quandonel corso dell'anno che seguì

quel pomeriggio a Weatherendsi moltiplicarono le opportunitàd'incontrarsi. L'evento che più d'ogni altro aveva

favorito tali occasioni fu la morte della vecchia signoraprozia di Maysotto la cui ala protettricedopo la perdita della

madrela ragazza aveva in ampia misura trovato rifugioe cheanche quandoera rimasta vedova e la proprietà era

passata al figlioera riuscita - grazie al suo temperamento energico e alcarattere autoritario - a non perderela sua

posizione di predominio in seno alla famiglia. Un tale personaggio non potevascomparire dalla scena se non con la

morte cheseguita da molti cambiamentiebbe particolari conseguenze per lagiovane donna nella quale Marcher aveva

acutamente ravvisatosin dall'iniziouna dipendenza dolorosa anche sesopportata con disinvoltura. Marcher si rallegrò45

come non gli avveniva da tempoal pensiero che la signorina Bartram fossestata non poco alleviata nel suo dolore dal

fatto di trovarsi ora nella condizione di metter su una casetta sua a Londra.Il testamento della ziain verità assai

complicatole lasciava un piccolo patrimonio appena sufficiente a concederlequesto lusso; e quando l'intera faccenda si

avviò a conclusionecosa che peraltro richiese il suo tempofece sapere aMarcher che il felice traguardo era finalmente

in vista.

Ma prima di quel giorno Marcher l'aveva incontrata altre voltesia perchéMay accompagnava spesso l'anziana

signora in cittàsia perché John aveva di nuovo fatto visita agli amiciche tanto convenientemente facevano di

Weatherend uno degli incanti dell'ospitalità. Erano stati proprio questiamici a riportarvelo; e là era riuscito a isolarsi

nuovamente con la signorina Bartram; a Londrainvecepiù di una volta gliera riuscito di convincerla a lasciare per

breve tempo la zia. Si recavano allora insieme alla National Gallery e alMuseo di South Kensingtondovetra vividi

ricordiparlavano dell'Italia a ruota libera... senza tentare più diritrovarecome la prima voltail sapore della

giovinezza e dell'ingenuità. La prima volta a Weatherendbisogna direliaveva favoriti abbastanzatanto che ormai

secondo un'immagine suggerita da Marchernon erano più alla ricerca dellesorgenti del fiumebensì avevano come

sentito la loro barca scivolare decisa giù per la corrente.

Ora non c'erano dubbi: scendevano insieme lungo quel fiume; per il nostroeroe questo era chiarocome era

evidente che la felicissima causa di ciò fosse proprio in quel tesorosepolto che lei conosceva. Con le sue mani egli

aveva riportato quella piccola ricchezza alla luce - omeglioal vagochiarore di un pallido mattino costituito dalla loro

discrezione e dal loro riserbo - quel tesoro del qualedopo averlopersonalmente interratoaveva stranamente e per tanto

tempo dimenticato il nascondiglio. La straordinaria avventura d'essersinuovamente imbattuto proprio in quel luogo lo

rendeva indifferente a qualsiasi altra questione; avrebbe dedicatosenzadubbiopiù tempo ad analizzare il fatto curioso

del suo vuoto di memoria se non avesse preferito dedicarne tanto allasensazione di dolcezzadi sicurezza per il futuro

che proprio quel fattoper l'appuntoaveva contribuito a mantenere intatte.Non rientrava nei piani di Marcher che

qualcuno dovesse «sapere»anche perché non aveva mai ritenuto possibileconfidarsi con alcuno: impossibileperché

nulla poteva aspettarsi se non le reazioni divertite di un mondoindifferente. Madal momento che un misterioso destino

gli avevaun tempoaperto suo malgrado la boccaavrebbe preso questo comeun compenso e ne avrebbe tratto il

massimo profitto. Il fatto che la persona giusta «sapesse» temperaval'asprezza del suo segretoancor più di quanto la

sua diffidenza gli avesse consentito d'immaginare; e May Bartram erachiaramente la persona giustaperché... ebbene

perché c'era. Il fatto stesso che sapesserisolveva ogni questione; ormaise non fosse stata la persona giustase ne

sarebbe accorto. Era indubbiamente proprio questo l'elemento chenella suasituazionelo induceva a vedere in May

solo la confidente e a non darle altro merito se non quello che le veniva dalfatto - e soltanto da quello - d'interessarsi

alla sua condizionecon tutta la compassionela partecipazionela serietàe la disponibilità a non considerarlo come il

più strampalato dei lunatici. Consapevoleinsommache May gli risultavapreziosa proprio perché gli dava quella

costante sensazione di essere predestinato a qualcosa di meravigliosoMarcher si sforzò di ricordare come anche lei

avesse una vita propriacon avvenimenti che potevano capitare a leie dei quali non si poteva non tener conto in un

rapporto d'amicizia. Del restoqualcosa di decisamente notevole gli accaddeal riguardoproprio in questo rapporto...

come un improvviso passaggio della sua consapevolezza da un estremoall'altro. Si era sempre consideratofintanto che

nessuno era al corrente del suo segretocome la persona meno egoista delmondocapace di sopportare tutto il suo

fardellola sua perpetua tensioneserenamentesenza dir nullasenzalasciar capire agli altri gli effetti che ciò causava

sulla sua vitasenza invocare dagli altri nessuna indulgenza ein cambioconcedendo dal canto suo tutte quelle che gli

venivano richieste. Non aveva imposto alla gente il disagio di doverfrequentare un uomo angosciatosebbene avesse

avuto momenti di forte tentazionespecialmente quando qualcuno si lamentavadi sentirsi veramente «sconvolto». Se

questo qualcuno fosse stato davvero sconvolto come lui lo era - non s'era maisentito a postoneppure per un'ora nella

sua vita - certamente lo avrebbe capito. Non toccava a luicomunqueinformarliquindi li stava ad ascoltare per civiltà.

Ecco perché aveva modi così irreprensibili - anche se piuttosto sbiaditi;ecco perchésoprattuttoriusciva a considerare

se stessoin un mondo avidopiuttosto - anzi eccezionalmente - altruista.Secondo noiè proprio per questo che

Marcher valutava a tal punto questo aspetto del suo carattere da intuire ilpericolo attuale che gli venisse menopericolo

contro il quale s'era impegnato con se stesso a stare bene in guardia. Eraprontociò nonostantead essere un poco

egoistadal momento che sicuramente non gli s'era mai presentata occasionepiù affascinante. «Quel poco» in una

parolaera proprio quanto la signorina Bartramgiorno dopo giornoeradisposta a concedergli. Mai John avrebbe

potuto essere in qualche modo oppressivoné avrebbe perduto di vista ilimiti entro i quali il rispetto per lei - il più alto

rispetto - doveva mantenersi. Avrebbe piuttosto stabilito tassativamente itermini sotto i quali le questioni di leile sue

esigenzele sue eccentricità - giunse persino ad attribuire loro l'ampiezzadi tale definizione - sarebbero via via rientrati

nel quadro dei loro rapporti. E tutto ciònaturalmenteera un segno diquanto lui desse per scontato tale rapporto. Per

questo non c'era niente altro da fare. Semplicemente esis teva; era venuto almondo con la prima penetrante domanda

che aveva rivolto a Marcher quel luminoso pomeriggio d'autunno a Weatherend.La vera forma che avrebbe dovuto

assumeredato l'ampio presupposto da cui scaturivaera quella del loromatrimonio. Ma il lato diabolico della questione

risiedeva nell'ironia che giust'appunto quel presupposto metteva ilmatrimonio fuori causa. Il presentimentoil timore

l'ossessione di luiin brevenon era un privilegio ch'egli potesse invitareuna donna a condividere; ed'altro cantoil suo

problema stava proprio nelle conseguenze di tale angoscia. Qualcosa loattendevaalle curve e agli incroci lungo il

cammino dei mesi e degli annicome una bestia feroce in agguato nellagiungla. Poco significava che la bestia in

agguato fosse destinata a sbranarlo o ad essere abbattuta. Il punto era chesarebbe inevitabilmente balzata fuori; e l'unica46

conclusione possibile era che un uomo d'onore non poteva permettere che unasignora l'accompagnasse durante una

caccia alla tigre. Questa infatti era l'idea che Marcher aveva finito perfarsi della propria vita.

Al principionondimenodurante i loro occasionali incontri avevanoaccuratamente evitato qualsiasi allusione

a quel lato della faccenda; e questo era un segnoche Marcher fusignorilmente sollecito a forniredi quanto poco si

aspettasse e gl'importasse di tornare sempre su quello stesso argomento. Unatteggiamento che in luivisto dal di fuori

si notava come una gobba sulla schiena. Ma il sottintenderlo costituivaegualmente la base di ogni minuto della

giornataindipendentemente dal fatto che se ne parlasse. Certo uno puòparlare come parla un gobbo dal momento che

almeno l'aspetto del gobbo ce l'ha. Quello era un dato di fattoe lei loosservava; ma la gentedi solitoosserva meglio

in silenzioil silenzio infatti sarebbe stato una delle caratteristichepredominanti della loro attesa. Al tempo stesso

Marcher però cercava di non apparire teso e solenne; teso e solenne comes'immaginava lo vedessero gli altri. Con

l'unica persona che sapevabisognava essere disinvolto e naturale...alludere piuttosto che dar l'idea di evitare la

questioneevitarla piuttosto che dar l'idea di cercarlae in ogni casomantenerla entro toni familiarischerzosi perfino

piuttosto che pedanti e sinistri. Fu proprio una considerazione del generead esempioad ispirarlo quando scrisse

scherzosamente alla signorina Bartram che forse il grande evento tanto attesodalle mani di Dio altro non era se non la

circostanzache lo toccava tanto da vicinoche lei avesse acquistato unacasa a Londra. Era la prima allusione

all'argomento poichédopo quella voltanon ne avevano evidentemente piùavuto bisogno; ma quando lei risposedopo

avergli dato sue notiziedi non essere per nulla soddisfatta che una simileinezia potesse rappresentare il coronamento di

un'attesa tanto particolarefu quasi indotto a chiedersi se lei non neavesse di quel suo strano presentimento una

concezione persino più profonda di quanto non ne avesse lui stesso. Ad ognimodoera destino che Marcher si rendesse

conto poco alla voltacon il passare del tempoche lei teneva di continuod'occhio la sua vitala giudicavala valutava

alla luce delle cose di cui era a parte e checon il passare degli annialla fine fra loro non veniva più menzionata se non

come la «vera verità» sul conto di lui. Del restoproprio questa erasempre stata la formula adottata da Marcher per

farvi riferimentoma May la fece propria con tanta disinvoltura cheadistanza di tempolui si rese conto che non era

percepibile il momento in cui leicome egli usava diresi era immedesimatanei suoi pensierio comunque era passata

da un atteggiamento di meravigliosa benevolenza a quello di ancor piùmeravigliosa fiducia in lui. Gli sarebbe sempre

stato possibile accusarla di trattarlo come il più inoffensivo dei maniacie questaalla lunga - tanto vasto era il campo

che abbracciava - rappresentò per lui l'interpretazione più naturale dellaloro amicizia. May doveva pensare che sì... era

un po' svitatoma malgrado ciò gli voleva bene e praticamente rimanevacontro il resto del mondola sua custode

saggia e gentilenon proprio ricompensata ma assai divertita ein assenzadi altri legami affettivisistemata con un

certo decoro. E se il mondo lo reputavanaturalmenteun tipo bizzarroleisoltanto leisapeva quantoe soprattutto

perchébizzarro; ecco cosa esattamente le consentiva di sistemare nellegiuste pieghe come un velo di protezione.

Aveva imitato la gaiezza di Marcher - visto che avevano deciso di metterlasul piano della gaiezza - così come imitava

ogni altra cosa sua; e certocol suo tatto infallibileseppe giustificarela percezione più sottile del grado di persuasione

cui aveva finito per indurla. Leinon nominava mai il segreto dellavita di John se non come «la vera verità sul vostro

conto»e riusciva nondimeno in quel modo meraviglioso a farlo apparire comeil segreto della propria vita. Insomma

ecco come Marcher poteva avvertire la costante indulgenza di lei; perchétutto sommatonon avrebbe potuto definirla

diversamente. Egli era indulgente con se stessoma Mayin realtàlo eraanche di più; forse perché in una posizione

migliore per osservare la faccendarintracciava l'infelice perversione dilui lungo tutte quelle anse che lui riusciva a

malapena a seguire. Se Marcher ben sapeva cosa aveva dentroleioltre asaperlone osservava anche le manifestazioni;

se John conosceva una per una tutte le cose importanti che si erasubdolamente trattenuto dal fareMay era in grado di

calcolarne la somma totaledi comprendere cosasenza quel pesante fardellosullo spiritolui avrebbe potuto realizzare

e di stabilire così in che misuranonostante le sue dotiegli venisse menoa se stesso. Sopratutto May coglieva la

differenza tra alcuni atteggiamenti esteriori di Marcher - quelli cheadottava nel suo piccolo ufficio governativo

nell'amministrazione del suo modesto patrimonionella cura della suabibliotecadel suo giardino in campagnadegli

amici londinesi di cui accettava e restituiva gli inviti - e il distacco chesi celava sotto tali atteggiamenti e che faceva del

suo contegno in generaledi tutto ciò che poteva più o meno definirsicontegnoun continuo sforzo di dissimulazione.

Quella che indossavainsommaera la maschera della smorfia socialemadalle orbite occhieggiava uno sguardo

tutt'altro che in sintonia con gli altri lineamenti. Di tutto ciòlostupido mondo attorno a luiin tutti quegli anni si era

reso conto soltanto a metà. May Bartram però c'era riuscitae avevacompiutocon eccezionale abilitàil prodigio di

incontrare simultaneamente - o forse soltanto alternativamente - il suosguardo direttooltre la mascheradi mescolare la

propria prospettiva alla suaquasi si trovasse invece alle sue spalledietro le stesse orbite.

Cosìmentre invecchiavano insiemelei vigilava con lui e permetteva chequesto sodalizio desse forma e

colore alla propria esistenza. Anche sotto il comportamento di lei avevapreso ad insinuarsi il distaccoe il contegno era

divenuto per leinel senso sociale del termineuna rappresentazione falsadi se stessa. Una sola era la vera

rappresentazione di sé valida in ogni momentoma quella non la potevaoffrirea nessunoe tanto meno a John

Marcher. Tutto l'atteggiamento di lei era come una virtuale affermazionelacui percezioneperòsembrava riservata a

lui unicamente come una delle tante cose che necessariamente si affollavanofuori della sua consapevolezza. Se poi

oltretuttolei dovevacome lui del restosacrificarsi per la loro veraveritàciò serviva a garantirle un compenso ancor

più sollecito e più naturale. I due conobbero lunghi periodiquandostavano insieme ai tempi di Londradurante i quali

un estraneo che li ascoltasse non avrebbe minimamente provato il desiderio diaguzzare le orecchie; d'altro cantoera

nondimeno possibile che la vera verità in qualsiasi momento affiorasse insuperficiee in tal caso chi li ascoltava si

sarebbe sentito autorizzato a chiedersi di cosa mai stessero parlando.Avevano ben presto stabilito che la società fosse47

per fortunapoco intelligentee il margine concesso loro da talecircostanza era diventato di fatto uno dei loro luoghi

comuni. Eppure a volte la situazione tornava a rinnovarsi... di solito pereffetto di qualche frase di lei. Indubbiamentele

sue espressioni avevano il vizio di ripetersima a intervalli tutto sommatogenerosi.

«Ciò che ci salvavedeteè che noi rientriamo a perfezione in un modellomolto comune: quello di un uomo e

di una donna che hanno fatto della loro amicizia una consuetudine quotidiana- o quasi - della qualealla finenon sanno

più fare a meno.» Questaper esempioera una delle battute che lei avevafrequentemente occasione di faresebbene ne

avesse fornito diverse variazionia seconda dei momenti. A noi interessa inmodo particolare la piega che quella sua

battuta prese un pomeriggioquando Marcher s'era recato a farle visita inoccasione del suo compleanno.

Quell'anniversario era caduto di domenicain una stagione di nebbie fitte edi diffuso grigiore; ma lui le aveva portato il

suo dono ritualeconoscendola ormai da tempo sufficiente per poter stabilirequali fossero le piccole tradizioni cui ella

teneva. Era una delle prove date a se stessoquel regalo offerto ognicompleannodi non essere sprofondato in un totale

egoismo. Si trattava per lo più di un gingillo da pocoma nel suo generesempre di gustoe Marcher badava

regolarmente a spendere più di quanto pensava di potersi permettere.

«La nostra consuetudine vi protegge almeno - non vi pare? - agli occhi dellagentedopo tutto vi rende simile

agli altri uomini. Qual è la più inveterata caratteristica degli uomini ingenere? Quale se non la capacità di trascorrere un

tempo infinito in compagnia di donne insipide... e di trascorrerlononvoglio dire senza annoiarsima senza

preoccuparsenesenza per questo scappare? La conclusioneovviamenteèidentica: io sono la vostra noiosa compagna

una parte del pane quotidiano per il quale pregate in chiesa. E ciò nascondele vostre tracce più d'ogni altra cosa.»

«E le vostre come le nascondete?» chiese Marcherche la sua donna noiosaera riuscita a divertire fino ad

allora. «Capisco naturalmente cosa volete dire quando parlate di salvarmi inun modo o nell'altroper quanto riguarda la

gente... ritengo d'averlo sempre capito. Soltantomi chiedocosa salva voi?È un pensiero che mi viene spessosapete?»

Sembrava che quel pensiero fosse venuto qualche volta anche a leima inmaniera alquanto diversa. «Volete

dire nei confronti delle altre persone?»

«Behin realtà voi siete coinvolta con me... se vogliamocome conseguenzadel mio coinvolgimento con voi.

Alludo all'immenso riguardo che sento di dovervitremendamente consapevolecome sono di tutto ciò che avete fatto

per me. Talvolta mi domando se sia davvero onesto... onesto avervi coinvoltain questo modo e - se così si può dire -

interessata a me. Quasi ho il timore di non avervi praticamente lasciato iltempo perché poteste disporre diversamente.»

«Invece di interessarmi a voi?» chiese lei. «Ahcosa di meglio sipotrebbe desiderare? Se sono rimasta a

‹vegliare› in vostra compagniacome tempo addietro ci accordammo che iofacessistare a vegliare è sempre di per sé

un lasciarsi assorbire.»

«Ohcertamente» disse John Marcher«se non aveste avuto la vostracuriosità...! Soltantonon vi capita mai

di pensaremano a mano che il tempo passaall'ipotesi che la vostracuriosità non stia ricevendo un compenso

adeguato?»

May Bartram rimase silenziosa. «Me lo chiedete forse perché avetel'impressione che ciò stia succedendo alla

vostra curiosità? Nel senso che siete stanco di aspettare?»

Ohse capì al volo l'allusione di lei! «Che succeda la cosa che nonsuccede mai? Che la bestia spicchi il balzo?

Nonon è cambiato niente. Non è una cosa per la quale io possa scegliereo decidere che cambi. Non è una cosa per la

quale possa esistere l'ipotesi d'un cambiamento. Sta nelle mani diDio. Siamo tutti in balia del nostro destino... ecco

tutto. Quanto alle vie che questo destino potrà prendereai modi in cui sicompirànon è cosa che ci riguarda.»

«Certo» rispose la signorina Bartram; «è evidente che il destino diognuno si compiee si è compiuto da

sempresecondo le vie e i modi che esso stesso si sceglie. Soltantovedetenel vostro caso le vie e i modi avrebbero

dovuto essere... ebbenequalcosa di così eccezionale e disi potrebbedirepeculiarmente vostro.»

Qualcosa in queste parole lo indusse a guardarla con sospetto. «Avete detto ‹avrebberodovuto essere›come

se in cuor vostro aveste cominciato a dubitarne.»

«Oh!» protestò lei vagamente.

«Come se pensaste» incalzò Marcher«che ormai non accadrà piùnulla.»

May scosse la testa lentamente ma in modo piuttosto misterioso. «Siete moltolontano dal mio pensiero.»

Egli continuava a guardarla. «Cosa vi succede allora?»

«Ebbene» rispose lei dopo un'altra breve pausa«semplicemente che sonopiù che mai sicura che la mia

curiositàcome la chiamate voisarà fin troppo ben ricompensata.»

Erano diventati decisamente seri adesso; Marcher s'era alzato dal suo postoaveva una volta di più fatto il giro

del salottino nel qualeun anno via l'altroaveva riproposto il suoineluttabile argomento; nel qualecome lui stesso

avrebbe dettola loro intima comunanza era stata servita in tutte le salsedove ogni oggetto gli era familiare come gli

oggetti della sua casae persino i tappeti erano consumati dal suo passoagitatocome le scrivanie dei vecchi uffici

contabili sono consumate dai gomiti di generazioni di impiegati. Legenerazioni dei suoi irrequieti stati d'animovi

avevano operato; quel luogo rappresentava la storia scritta della partecentrale della sua vita. Sotto l'impressione di

quello che la sua amica aveva appena finito di direMarcherper qualcheragionesi scoprì ancor più consapevole di

queste cose; al punto cheun momento doposi parò di nuovo di fronte alladonna.

«Vi è forse venuta paura?»

«Paura?»48

Marcher pensòmentre May ripeteva la parolache la sua domanda le avessefatto un po' cambiare colore; così

temendo d'aver urtato contro una veritàs'affrettò a spiegare con estremacortesia: «Ricordate che proprio questa era la

domanda che mi rivolgeste tanto tempo fa... quel primo giorno a Weatherend.»

«Ohsìe voi mi rispondeste che non lo sapevate... che dovevo essere io agiudicare. Da allora non ne abbiamo

quasi più parlatosebbene sia trascorso tanto di quel tempo.»

«Precisamente» la interruppe Marcher... «proprio come se si trattasse diuna questione troppo delicata da

affrontare alla leggera. Proprio come se ci fosse il rischio di scoprireainsisterciche davvero ho paura. Perché in tal

caso» disse«non sapremmo proprio cosa farenon vi pare?»

Lì per lìMay non fu in grado di rispondere a quella domandama poi:«Certi giorni ho sospettato che aveste

veramente paura. Ma certi giornicom'è ovvio» aggiunse«si può pensaredi tutto.»

«Di tutto!» gemette piano Marcherquasi per soffocare un singhiozzocomese si trovasse di fronteora più

scoperto che maila cosa sempre presente fra loro. Innumerevoli erano imomenti in cui si era sentito come braccato da

quegli occhi proprio di bestia che riuscivano ancora a strapparedalleprofondità del suo essereanche ora che ci si era

abituato... il tributo d'un sospiro. Tutto quello che avevano pensatodall'inizio alla finegli rovinava addosso; il passato

sembrava ridotto a una mera e sterile speculazione. Questo infatti era illuogo chein realtàaveva sempre colpito

Marcher per il fatto di esserne pieno... dove tutto veniva risolto tranne latensione dell'attesa. E rimaneva soltanto nella

sensazione di essere sospesa nel vuoto intorno ad esso. Persino la sua pauraoriginariase di paura s'era trattato

risultava smarrita nel deserto. «Pensocomunque» continuò Marcher«chevi rendiate conto di come io non abbia

paura adesso.»

«Ciò di cui mi rendo contoa voler ben vedereè che avete compiutoqualcosa che quasi non ha precedenti

quanto al modo di abituarsi al pericolo. Vivendoci insieme per così tantotempo e così da vicino ne avete come perduto

il senso; sapete che è lìma restate indifferentee non sentite piùneanche il bisognocome un tempoal buiodi

fischiettare. Considerata la natura del pericolo» concluse May Bartram«arrivo a dire di non ritenere che il vostro

atteggiamento possa essere facilmente superato.»

John Marcher accennò un vago sorriso. «Sarebbe eroico allora?»

«Certamente... chiamatelo pure così.»

Proprio cosìin realtàgli sarebbe piaciuto chiamarlo. «Sarei quindi unuomo coraggioso?»

«Era quel che dovevate dimostrarmi.»

Marcherperòrimase perplesso. «Ma un uomo coraggiosonon dovrebbesapere di cosa ha paura... o di che

cosa non ha paura? Iovedeteè proprio questo che non so. È unparticolare che non riesco a mettere a fuocoal quale

non riesco a dare un nome. So soltanto di essere esposto a un pericolo.»

«Sìma espostocome direcosì direttamentecosì intimamente. Mi paregià abbastanza...»

«Abbastanzadunqueda darvi la sensazione - e potremmo chiamarla fine econclusione della nostra attesa -

che io non abbia paura?»

«Voi non avete paura. Ma neppure si tratta» disse lei«della fine dellanostra attesa. O meglionon è la fine

della vostra. Avete ancora tutto da vedere.»

«E perché voi no?» chiese Marcher. Per tutta la giornataaveva avutol'impressione che lei nascondesse

qualcosae a maggior ragione l'ebbe in quel momento. Era la sua primaimpressione del generee quindi costituiva

decisamente un evento; tanto più se si pensa che Maysulle primenonrisposetanto che fu costretto a continuare lui.

«Voi sapete qualcosa che io non so.» E qui la sua voceper essere quelladi un uomo coraggiosoaccusò un certo

tremore. «Voi sapete cosa deve succedere.» Il silenzio di leiel'espressione del suo voltofurono quasi una

confessione... gli tolsero ogni dubbio. «Voi sapetee avete paura didirmelo. Una cosa così terribile che avete paura

ch'io la scopra.»

Tutto ciò poteva essere veroe infatti May appariva come secogliendola disorpresaMarcher avesse valicato

un cerchio mistico che lei s'era segretamente tracciata attorno. Lei avrebbeanche potutodopo tuttofare a meno di

preoccuparsi; e il colmo era che anche luiad ogni modonon ne avrebbesentito la necessità.

«Non la scoprirete mai.»

III

E fu tuttoma nondimeno segnòcome ho già dettouna data storicacosache in seguito fu sempre più

evidente poichéanche dopo lunghi intervalli di tempotutte le volte chetra loro avvennero delle coseebbero sempre

in rapporto a quell'orail carattere di richiami e di conseguenze. L'effettoimmediato era stato quello di mitigare una

certa insistenza... quasi di provocare una reazione; come se la loroquestione fosse caduta sotto il proprio peso e come se

Marcherdall'incidenteavesse tratto uno dei soliti ammonimenti control'egotismo. Aveva sempre conservatoe tutto

sommato gli sembrava a un buon livello di decenzala consapevolezzadell'importanza di non essere egoista e in verità

non aveva mai peccato in quella direzione senza sforzarsi poiabbastanzaprontamentedi ristabilire l'equilibrio. Spesso

riparava ai propri errorise era la stagioneinvitando l'amica adaccompagnarlo all'opera; e non senza una certa

frequenza era così successo cheper dimostrarle che non desiderava offrireal suo spirito un unico tipo di cibofosse lui

a convincere May ad accompagnarlo all'opera una dozzina di volte al mese.Accadeva addirittura che

riaccompagnandola a casa in queste occasioniMarcher accettasse di salire dalei per concludere - come diceva - la49

seratae cheper meglio commentarlasedesse alla cenetta frugale ma sempreaccurata e pronta per lui. La sua logica lo

consigliava di evitare quel continuo insistere con lei su se stesso; adesempiocapitava in alcune di quelle occasioni che

avendo entrambi familiarità con il pianoforte e avendolo a portata di manosuonassero insieme brani dell'opera. Il che

tuttavia non impedì che una sera Marcher cedesse alla tentazione diricordare a May che non aveva ancora risposto a

una certa sua domandaquella che le aveva fatto durante la loroconversazione il giorno del suo ultimo compleanno.

«Che cos'è che salva voi?...» salvava leivoleva dire Marcherdaquell'apparenza di anticonformismo rispetto al

comune modello umano. Se egli si era virtualmente sottratto all'attenzionedella gentecome aveva detto lei stessa

comportandosinel particolare più importantecome si comporta la maggiorparte degli uomini - trovando cioèla

risposta alla vita nel cucire insieme una specie di relazione con una donnadi pari livello - in che modo vi si era sottratta

lei? E non era probabile invece che la loro relazionese tale eravisto cheormai dovevano supporre che non fosse

passata inosservataavesse fatto parlare di lei?

«Non ho mai detto» rispose May Bartram«che non si sia parlato un belpo' di me.»

«Ahbeneallora non siete ‹salva›.»

«Non ha mai rappresentato un problema per me. Se voi avete avuto la vostradonna» disse lei«io ho avuto il

mio uomo.»

«E con questo intendete dire che vi sentite a posto?»

Ohera sempre come se ci fosse tanto da dire! «Non vedo perché umanamente- e di questo stiamo parlando -

io debba sentirmi meno a posto di voi.»

«Capisco» commentò Marcher. «‹Umanamente›senza dubbiosignificache vivete per qualcosa... cioènon

solo per me e per il mio segreto.»

May Bartram sorrise. «Ma non mi piace neppure che si noti che io non vivoper voi. È della mia intimità con

voi che stiamo parlando.»

Marcher sorrise quando realizzò dove voleva andare a parare. «D'accordomadal momento checome voi dite

io sono un uomo come tantialmeno agli occhi della genteanche voi allora -non è così? - non siete altro che una donna

come tante. Voi mi date una mano ad essere un uomo come gli altri. Quindi selo sono io- mi sembra di aver capito -

non siete propriamente compromessa. È così?»

May si concesse un'altra delle sue pausema quando si decise a parlare lofece senza mezzi termini. «È così. Ed

è quanto mi sono prefissa... aiutarvi a passare per un uomo come tutti glialtri.»

Marcher ebbe cura di incassare quell'osservazione in maniera elegante.«Siete davvero molto cara e generosa

con me! Come farò mai a ripagarvi?»

May fece ancora un'ultima solenne pausacome se ci potesse essere di chescegliere. Alla fine rispose.

«Continuando a essere come siete.»

Ricaddero dunque nella loro consuetudineMarcher continuò a essere com'erae per tanto tempo che giunse

inevitabilmente il momento di scandagliare ulteriormente i loro abissi.Questi abissicostantemente collegati da un

ponte abbastanza solido malgrado la sua leggerezza e le occasionalioscillazioni in un'atmosfera in qualche modo

vertiginosarichiedevano di tanto in tantonell'interesse dei loro nerviche si calasse lo scandaglio e se ne scandagliasse

la profondità. Una differenza comunque si era creatauna volta per tuttein virtù del fatto che Mayin tutto quel tempo

non sembrava sentire la necessità di rintuzzare l'accusa di Marcher dicelare un'idea che non osava esprimere... accusa

pronunciata poco prima che terminasse una delle loro ultime intensediscussioni. Marcher era ormai certo che lei

«sapeva» qualcosa e che quel qualcosa doveva essere penoso... troppo penosoper poterglielo confessare. Quando egli

ne aveva parlato come di una cosa penosach'ella temeva appuntodi fargliscoprirela risposta di May aveva lasciato la

questione in sospesotroppo ambigua per essere accantonataeppuredata laparticolare sensibilità di Marcherquasi

troppo spaventosa per essere di nuovo affrontata. Egli ci girava attorno auna distanza che ora aumentavaora

diminuivae che tuttavia non di molto poteva variare per via della certezzaassai viva in Marcherche lei dopotutto non

potesse «sapere» nulla meglio di lui. May disponeva delle stesse sue fontidi conoscenza... se noncertamentedi nervi

più vigili. Quella dote che hanno le donnequando le appassiona qualcosadi scoprire negli altri cose che essi stessi non

riescono a scoprire. I nervii sensila fantasia delle donnesonoautentici organi conduttori e rivelatorie la cosa

meravigliosa di May Bartram era in quell'essersi dedicata completamente alsuo caso. In quei giorni Marcher sentì

confusamentecosa mai avvenuta primacrescergli dentro il terrore diperderla in seguito a qualche catastrofe... qualche

catastrofe che comu nque non sarebbe ancora stata la catastrofe: inparte perché leiquasi all'improvvisoaveva

cominciato a dargli l'impressione di essergli più che mai indispensabileein parte perché tale impressione venne a

coincidere con sintomi inquietanti nella salute di lei. Una caratteristicadel distacco interiore che egli aveva sino allora

coltivato con successoe al quale facciamo risalire ogni suo gestoera chele sue complicazioniquali che fosseromai

come in quella contingenza apparvero tanto gravi da addensarglisi attornoalpunto da fargli chiedere se per caso non si

trovasse davvero a portata di vistao d'uditoo di tattoo comunque nelleimmediate vicinanzedella cosa che stava

aspettando.

Quando venne il giornocosì come doveva venirein cui l'amica gliconfessò il suo timore d'una seria malattia

al sangueMarcher sentì come piombargli addosso l'ombra d'una svolta e ilgelo di uno shock. Immediatamente

cominciò a figurarsi complicazioni e disastrie soprattutto a vedere ilpericolo corso da May come la minaccia diretta di

qualche privazione personale che incombesse su di lui. Ciò gli causò ancheuno di quei parziali recuperi d'equanimità

che gli risultavano tanto gradevoli... mostrandogli che prima d'ogni altracosa si preoccupava della perdita che lei stessa

avrebbe patito. «E se dovesse morire prima di sapereprima di vedere...?»Sarebbe stato crudelenel primo stadio della50

malattiaporle una simile domanda; ma l'eco che in lui aveva avuto lanotizia non fecesulle primeche risvegliare la

preoccupazione per se stessoe quell'eventualità era di fatto ciò che piùl'addolorava per lei. Inoltrese davvero May

«sapeva»nel senso che possedeva qualche - come definirla? - magica eirresistibile illuminazionenon è che ciò

migliorasse la questioneanzi la peggioravase si tiene in conto che ladonna s'era a tal punto immedesimata nella

curiosità di Marcherda farne la base della propria esistenza. Era vissutaper tutto quel tempo nell'attesa di quello che

sarebbe dovuto succederee sarebbe stato straziante per lei dover rinunciareprima che si compisse il mistero. Tali

riflessionicome dicoebbero l'effetto di stimolare la generosità diMarcher; eppurequali che fossero queste riflessioni

egli si sentìcon la fine di un intero periodo della sua vitavieppiùdisorientato. Quel periodo si chiudeva per lui con

incedere misterioso e inesorabilee - colmo delle stranezze! - gli regalavaindipendentemente dalla minaccia di una

serie di disagiquasi l'unica sorpresa positiva che la sua carrierase dicarriera si poteva parlaregli avesse mai offerto.

May se ne stava in casa come non aveva fatto mai; Marcher era costretto adandar da lei per vederla... Lei non poteva

più incontrarlo dovunqueeppure non esisteva angolo della loro vecchia eamata Londra in cuiper il passatoin

un'occasione o nell'altranon l'avesse fatto; e la trovava sempre sedutaaccanto al fuocosprofondata in una poltrona di

vecchio stile che sempre meno era in grado di abbandonare. Un giornodopoun'assenza più lunga del solitovenne

colpito dall'impressione che lei gli sembrasse improvvisamente molto piùvecchia di quanto non avesse mai pensato;

poiperòs'accorse che la sorpresa dipendeva soltanto da lui... erasemplicemente la prima volta che ci faceva caso. May

sembrava più vecchia perché inevitabilmentedopo tanti anniera vecchiao quasi; il ches'intendenon era meno vero

nel caso del suo amico. Se lei era vecchiao quasiJohn Marcher lo erasenza possibilità di dubbioeppure fu la sua

versione della cosanon la propriaa fargli realizzare quella verità. Dalì cominciò la serie delle sue sorpreseche da

allora non smisero di moltiplicarsi a raffica: era come senel modo piùstrano del mondofossero state tutte mantenute

sotto segretoseminate in un folto mazzoin serbo per il tardo pomeriggiodella vitaper la fase in cui per la maggior

parte della gente l'imprevisto è ormai tramontato.

Una di queste fu quella di sorprendersi - perché proprio così accadde - adomandarsi se il grande evento non

stesse finalmente per acquistare formae se questa forma non rischiassed'essere null'altro che la condanna ad assistere

al trapasso di quella incantevole creaturadi quell'amica meravigliosa. Maigli era capitato di qualificarla cosìsenza

riservefin tanto che non aveva dovuto confrontarsi con il pensiero di unasimile eventualità; a dispetto di ciòsi

misurava in lui il dubbio chein risposta al suo perenne enigmala merascomparsa di un elementoseppur tanto

preziosopotesse rappresentare per lui una meschina limitazione.Sicuramenterispetto al suo atteggiamento per il

passatoavrebbe significato una caduta di dignità alla cui ombra la suaesistenza non poteva che trasformarsi nel più

grottesco dei fallimenti. Si era sempre guardato bene dal considerare la suavita come un fallimento fin tanto che aveva

dovuto attendere la comparsa dell'evento che avrebbe potuto farne unsuccesso. Aveva atteso una cosa ben diversanon

certo quella che si stava rivelando ora. Il respiro della sua fiduciacomunquesi fece davvero affannoso quando realizzò

appieno quanto tempo aveva aspettatoo almeno quanto tempo aveva aspettatola sua compagna. Il pensiero che lei

oltretuttoavesse praticamente atteso invano... eccoquesto gli facevamolto maletanto più che all'inizio lui si era

limitato a divertirsi con quel loro «segreto». Tale preoccupazione divenneancor più drammatica con l'aggravarsi della

malattia di Maye lo stato mentale che si produsse in luie che egli stessofinì col considerare un preciso deterioramento

della sua salute fisicava annoverato come un'altra delle sue sorprese. Unasorpresa cui se ne collegava direttamente

un'altravale a dire la consapevolezza a dir poco stupefacente di uninterrogativo che avrebbe potuto svelarese solo

avesse osatotutto ciò che stava succedendocos'altro significava - cioècosa significava leicosa significavano lei e la

sua vana attesa e la sua probabile morte e il tacito ammonimento di tutta lavicenda - se non chea quel puntoera

semplicementeera rovinosamente troppo tardi? Maia nessuno stadio dellasua bizzarra coscienzaMarcher aveva

ammesso il dubbio di una ipotesi del genere; maise non in quei pochi ultimimesiera stato tanto infedele alle proprie

convinzioni da non ritenere che l'atteso evento avesse tutto il tempo peraccaderesenza mai preoccuparsi se lui stesso

l'avrebbe o no avuto. Il fatto è che alla fineproprio alla fineluicertamente questo tempo non l'ebbeo l'ebbe in

ridottissima misura... taleabbastanza prestoper come gli si misero lecosesi presentò l'imprevisto con il quale la sua

vecchia angoscia ebbe a fare i conti: e in ciò non fu d'aiuto l'evidenzasempre più chiara che l'assoluta vaghezzaalla cui

ombra era sempre vissutonon avesse quasi più margine. Poiché era nelTempo che avrebbe dovuto incontrare il suo

destinocosì era nel Tempo che il suo destino doveva compiersi; e mentreegli si risvegliava al senso di non essere più

giovane - che peraltro corrispondeva esattamente al senso di essere esauritoa sua volta corrispondente al senso di

essere debole - i suoi occhi s'aprirono anche ad un'altra verità. Era tuttauna concatenazione di cose; erano soggettisia

lui che la sua assoluta vaghezzaall'identica e imprescindibile legge.Quando le possibilità stesse si fossero tutte

esauritequando il segreto degli dèi si fosse rarefattoper così direevaporatoallorae soltanto allorasi sarebbe potuto

parlare di fallimento. Di un fallimento senza bancarottasenza disonorisenza requisizionisenza esecuzioni; del

fallimento di non essere nulla. E cosìnella valle oscura in cuiinaspettatamente era deviato il suo sentieroMarcher

avanzando a tentonisi poneva non poche domande. Non gl'importava qualeterribile catastrofe incombesse su di luia

quale ignominia o a quale mostruosità potesse venire associato - giacchédopotuttonon era vecchio per soffrire -

purché almeno si trattasse di qualcosa decentemente proporzionatoall'atteggiamento da lui sempre tenutoper tutta la

vitanei riguardi di quella minacciosa presenza. Gli rimaneva ormai un unicodesiderio... di non essere stato «venduto».

IV51

Fu allora cheun pomeriggionei primi giorni di primaveraMay affrontò inquel suo modo la schietta

rivelazione che Marcher le fece delle sue apprensioni. John s'era recato avisitarla sul tardima non era ancora sera e

May gli si presentò in quella cornice di lucetipica delle giornate di fineaprileche spesso ha il difetto di infonderci una

ancor più penetrante tristezza che non certe grige ore d'autunno. Lasettimana era stata caldasi diceva che la primavera

fosse iniziata anzi tempoe May Bartram sedevaper la prima voltaquell'annosenza aver acceso il fuoco; un

particolarequestoche agli occhi di Marcher conferiva alla scena di cuifaceva parte un aspetto di calma e di fatalità

come se tutto il contestonel suo ordine immacolato e nella sua fredda einsignificante disposizionesottintendesse che

non avrebbe mai più acceso il fuoco. Lo stesso aspetto di lei - ma Marchernon avrebbe saputo dirne il perché - non

faceva che intensificare quella sensazione. Pallida quasi come ceracon involto una serie di rughe e di segni tanto

numerosi e sottili che parevano incisi con un agocon drappeggi d'un biancotenue messi in rilievo da una sciarpa verde

sbiaditail cui tono delicato risultava ancor più ingentilito dagli anniMay era l'immagine d'una serena e squisitama

impenetrabile sfingela cui testaper non dire tutta la personaavrebbepotuto benissimo essere stata incipriata

d'argento. Era una sfingema con i suoi petali bianchi e le sue verdi frondeavrebbe anche potuto essere un giglio... ma

un giglio artificialesuperbamente imitato e accuratamente conservatoimmacolato e senza polvereper quanto non

esente da un leggero appassimento e da un intreccio di grinze appenapercettibiliconservato appunto sotto una

campana di vetro. La perfezione della cura domesticad'una nettezza lucentee raffinataregnava sempre nelle sue

stanzeche però ora apparivano come se ogni cosa fosse stata avvoltapiegataripostatanto da consentire a May di

starsene lì seduta con le mani incrociate e null'altro da fare. Era come«al di fuori»agli occhi di Marcher; il suo lavoro

era compiuto; ella comunicava con lui come attraverso una distesa marina ocome se fosse già approdata a qualche isola

di pacee ciò gli diede uno strano senso d'abbandono. Forse chedopo cheMay l'aveva per tanto tempo attesa al suo

fiancola risposta alla loro incognita aveva ora raggiunto a nuoto il suorifugio e le si era rivelatafacendo praticamente

venir meno la ragione del suo compito? Marcher era arrivato a fargliene unacolpa quandoqualche mese primale

aveva rinfacciato di essere già a conoscenza di un segreto e dinasconderglielo. Era un puntoquestosul quale dopo di

allora lui non aveva mai più osato insisteretemendo vagamente che facendociò potesse nascere un dissensoforse un

disaccordotra di loro. Fatto sta che negli ultimi tempi Marcher eradiventato alquanto nervosocosa che non gli era mai

capitata in tutti quegli anni; e la stranezza era che il suo nervosismoavesse aspettato a manifestarsi finché non gli erano

cominciati i primi dubbiche si fosse tenuto a distanza fin tanto cheMarcher aveva goduto delle sue certezze. C'era

qualcosagli sembravache la parola sbagliata gli avrebbe fatto precipitaresulla testaqualcosa che almeno avrebbe

alleviato così la sua tensione. Ma non voleva pronunciarlaquella parolasbagliata; poteva guastare ogni cosa. Voleva

che il segreto gli si svelasse cadendogli addossose possibilecon il suoautorevole peso. Se May doveva abbandonarlo

toccava certamente a lei prendere congedo. Ecco perché non le chiese dinuovo direttamente di confidargli ciò che

sapeva; ma per lo stesso motivoaffrontando la questione da un altro latole disse nel corso di quella visita: «Quale

pensate sia la cosa peggiore che possa capitarmi a questo punto?»

In passatole aveva già rivolto la stessa domanda abbastanza di frequente;e cosìcon il curioso e irregolare

ritmo delle loro intimità e delle loro ritrosìes'erano scambiati delleidee in propositoidee che poi s'erano visti spazzar

via da momenti di freddezzacancellate come figure tracciate sulla sabbia.Una caratteristica delle loro conversazioni

era sempre stata quella secondo cui anche le più antiche allusioni nonrichiedevano che un accenno di deroga oppure un

modesto richiamo per tornare a galla e riecheggiareper l'occasionecomenuove. Cosìin quel momentoMay poté

accogliere la richiesta di Marcher quasi fosse una novità e con pazienza.«Oh sìci ho pensato ripetutamentema mi è

sempre parso che non sarei riuscita mai a venirne a capo. Ho pensato allecose più spaventosetante che mi è stato

impossibile scegliere; e immagino che lo stesso abbiate fatto voi.»

«Certo! Addirittura mi sento come se non avessi fatto altro. È come seavessi trascorso la vita a pensare solo

cose terrificanti. Di molte di questea varie ripresevi ho parlatoma pertante altre non mi è riuscito.»

«Erano davvero talmente spaventose?»

«Troppotroppo spaventose... alcunealmeno.»

May lo fissò per un istantee Marcherraccogliendo il suo sguardo erealizzandone la sublime limpidezza

provò la incoerente sensazione che quei suoi occhi fossero non meno belli diquanto lo erano stati in gioventùma belli

di una strana e fredda luce... una luce che in qualche modo faceva partedell'effetto - se nonpiuttostodella causa - della

pallida e aspra dolcezza di quella stagione e di quell'ora. «E dire»commentò May alla fine«che ne abbiamo

menzionati di orrori!»

Udirla parlare di «orrori»con quell'aspetto e in un contesto del generenon fece che sottolineare la singolarità

della circostanzama pochi minuti dopo lei avrebbe fatto qualcosa di ancorpiù singolaredi cui già s'annunciava il

preludioe il cui pieno significato - tuttavia - Marcher avrebbe afferratosoltanto in seguito. A voler ben vederenon era

difficile riconoscere negli occhi di May il segno della viva trepidazione deiloro tempi migliori. Marcher dovette

comunque ammettere quanto ella diceva. «Oh certovi sono stati momenti incui ci siamo spinti parecchio in là.» Poi si

sorprese nell'atto di parlare come se tutto ciò fosse superato.Probabilmentecosì desiderava in cuor suo che fosse; e la

conclusioneper luidipendeva sempre più chiaramente dall'amica.

Ma lei ebbe ora un tenero sorriso. «Ohparecchio in là...!»

L'esclamazione suonò curiosamente ironica alle orecchie di Marcher. «Voletedire che siete pronta a spingervi

anche più in là?»

May era delicata e antica e affascinante mentre continuava a guardarloeppure era come se avesse smarrito il

filo. «Veramente ritenete che siamo andati molto in là?»52

«Behpensavo fosse proprio questo il punto a cui volevate arrivare... ilfatto che non abbiamo mancato di

guardare in faccia praticamente ogni cosa.»

«Compresi noi duel'uno con l'altra?» May sorrise di nuovo. «Ma aveteragione voi. Ci siamo sempre

scambiati grandi fantasiespesso grandi paure; ma molte altre sono rimasteinespresse.»

«Allorail peggio... quello non l'abbiamo affrontato. Per quel che miriguardaritengo di poterlo affrontarese

solo sapessi quale pensate che sia. Mi sento» spiegò Marcher«come seavessi perduto la capacità di concepire simili

cose.» E si domandò se davvero appariva confuso come lui si sentiva. «Comese si fosse esaurita...»

«Perché allora date per scontato» chiese lei«che la mia non lo sia?»

«Perché mi avete dato le prove del contrario. Per voi non è questione diconcepiredi immaginaredi

confrontare. Non si tratta ora di scegliere.» Einfinesi decise a parlarchiaro. «Voi sapete qualcosa che io non so. Me

l'avete lasciato intendere prima.»

Queste ultime parole ebbero un certo effetto sulla donna; Marcher se ne reseconto all'istante

straordinariamentee May replicò con fermezza. «A dire il veromio caroio non vi ho lasciato intendere proprio

nulla.»

Marcher scosse la testa. «Non potete nasconderlo.»

«Ohoh!» fu l'esclamazionequasi un gemito soffocatocon cui May Bartramironizzò su ciò che non poteva

nascondere.

«L'avete ammesso mesi orsonoquando ve ne parlai come di qualcosa chetemevate che io scoprissi. La vostra

risposta fu che io non avrei potuto scoprirloche non l'avrei scopertoenon pretendo quindi d'averlo fatto. Ma qualcosa

dunque avevate in menteed ora capisco che doveva trattarsie a tutt'oggisi trattadella possibilità chedi tutte le

possibilitàv'è apparsa come la peggiore. Ecco» proseguì«eccoperché vi supplico. La sola cosa di cui ho paura oggi è

l'ignoranza... non è la consapevolezza.» Poivisto che lei non sipremurava di rispondere: «Ne sono tanto più sicuro

perché vi leggo in voltoperché sento quiin quest'aria e in mezzo aqueste apparenzeche voi ormai ne siete fuori.

Avete finito. Avete avuto la vostra esperienza. Ed ora mi abbandonate al miodestino.»

EbbeneMay stette in ascoltopallida e impassibile sulla poltronacomedavanti a una decisione da prendere

tanto che il suo comportamento risultò francamente essere una confessioneper quanto ancora velata da una traccia di

debole e intima resistenzadi una imperfetta capitolazione. «Di fattocredo si tratti della peggiore» si lasciò finalmente

dire. «Intendola possibilità di cui non v'ho mai parlato.»

Ciò fece zittire Marcher per un momento. «Più mostruosa di tutte lemostruosità che abbiamo elencato?»

«Più mostruosa. Non vi pare sufficientemente indicativo» chiese May«che la si qualifichi come la peggiore?»

Marcher ci pensò sopra. «Sicuramente... se anche voicome mevi riferitea qualcosa che comprenda tutte le

disgrazie e gli obbrobrî concepibili.»

«Di ciò si tratterebbe se dovesse accadere» disse May Bartram.«La cosa di cui stiamo parlandoricordateloè

soltanto una mia idea.»

«È una vostra convinzione» precisò Marcher. «Ed è quanto mi basta.Sento che le vostre convinzioni sono

giuste. Quindise ne avete una e non m'illuminate in proposito è come se miabbandonaste.»

«Nono!» ripeté lei. «Io sono con voiancora con voi... non lovedete?» E come se volesse rendergli quella

dichiarazione più verosimile si sollevò dalla poltrona - un movimento cheraramente arrischiava in quei giorni - e gli si

mostròtutta morbida e ornata di drappinella sua candida gracilità.«Non vi ho abbandonato.»

Fu veramentequello sforzo contro la debolezzauna generosa assicurazionee se il successo di quello slancio

non fosse statofortunatamentecompletoavrebbe fatto vibrare in Marcherpiù le corde del dolore che quelle del

piacere. Ma il freddo incanto dei suoi occhi s'era diffuso al resto della suapersonache ora esitava davanti a luitanto

che per un minuto fu come assistere a un suo recupero di giovinezza. Marchernon poteva commiserarla per questo;

poteva soltanto accettarla per come gli si mostrava... ancora in gradononostante tuttodi prestargli il suo aiuto. Era

come seal tempo stessola sua luce potesse svanire da un momentoall'altro; ecco perché doveva profittarne il più

possibile. Fu allora che gli passarono davanti in rassegnanon senza unacerta intensitàle tre o quattro cose che più

desiderava chiarire; ma la domanda che gli venne istintivamente alle labbradi fatto coprì le altre. «Ditemi allora se

dovrò soffrire consapevolmente.»

May scosse prontamente il capo. «Mai!»

A conferma del credito che lui le attribuivail tono deciso di quellarisposta produsse in Marcher un effetto

straordinario. «Orbeneche c'è di meglio? E questo voi lo chiamate ilpeggio?»

«Pensate davvero che non ci sia nulla di meglio?» chiese lei.

E sembrò sottintendere qualcosa di tanto speciale che Marcher bruscamente sirifece pensierosopur senza

perdere di vista lo spiraglio di una ipotesi di sollievo. «Perché noseuno non se ne rende conto?» Dopo di chementre i

loro occhi si incrociavano in silenzio sulla domanda di luilo spiraglio sidilatò e qualcosa gli venne incontro balzando

prodigiosamente fuori proprio dal volto di lei. Quanto al suo voltocome perriflessoall'improvviso arrossì fino alla

frontee lui prese a respirareaffannosamentesotto la spinta di unapercezione con la qualeimmediatamenteogni cosa

veniva a coincidere. L'eco del suo affanno riempì l'atmosfera tutt'intornofinché egli non riuscì ad articolare:

«Capisco... se non soffro!»

Nello sguardo di leituttaviapersisteva il dubbio. «Capite... cosa?»

«Maquel che voi intendete... che avete sempre inteso dire.»

Lei scosse di nuovo la testa. «Quel che intendo non è quel che sempre hointeso dire. È diverso.»53

«Qualcosa di nuovo?»

May esitò un istante. «Qualcosa di nuovo. Ma non quel che pensate voi. Loso quel che voi pensate.»

La curiosità di Marcher riprese fiato; ma la precisazione di May potevaanche essere un errore. «Non è che io

sono uno sciocco?» chiese luia metà tra l'avvilito e il sarcastico.«Non è che sia tutto un equivoco?»

«Un equivoco?» echeggiò lei pietosamente. Quella possibilitàquella sì- Marcher lo intuì all'istante - per lei

sarebbe stata mostruosa; e dal momento che gli garantiva l'immunità daldolore non era quella la cosa che lei aveva in

mente. «Oh no» dichiarò infatti May; «nulla del genere. Non vi sieteingannato.»

Eppure Marcher non poté fare a meno di chiedersi sesollecitata a quelmodonon stesse parlando soltanto per

proteggerlo. Ebbe quindi l'impressione che la sua posizione potesseaggravarsi di molto se la sua storia si fosse rivelata

una totale insulsaggine. «Mi state dicendo la veritàcosì che io nonsarei stato più idiota di quanto sono disposto a

riconoscere? Non ho vissuto con una vana fantasianella più ottusadelle illusioni? Non ho aspettato tantosolo per

vedermi chiudere la porta in faccia?»

Di nuovo May scosse la testa. «Comunque stiano le cosenon è questa laverità. Quale che sia la realtàsi tratta

di una realtà. La porta non è chiusa. La porta è aperta» disse MayBartram.

«Allora qualcosa deve succedere?»

May indugiò una volta di piùsenza togliergli di dosso il suo freddo dolcesguardo«Non è mai troppo tardi.»

Con il suo passo malfermoaveva ridotto le distanze tra loroper fermarsipiù vicina a luipiù raccolta accanto a lui

come se per un istante ancora gravasse su di lei il peso dell'inespresso. Ilsuo avanzare avrebbe anche potuto

rappresentare una sorta di delicata enfasi per sottolineare ciò che stava altempo stesso esitando e decidendosi a dire.

Marcher era rimasto in piedi accanto al caminospento e sobriamente adornoguarnito soltanto di un perfetto e antico

piccolo orologio francese e di due porcellane di Dresda rosa; May con la manoafferrò il ripiano del caminolasciando

Marcher nell'attesae lo tenne stretto per un po' come in cerca di appoggioe d'incoraggiamento. Ma si limitò a lasciare

Marcher nell'attesa; o megliolui si limitò ad attendere. Improvvisamentegrazie al gesto di lei e a tutto il suo modo di

farea Marcher parve meraviglioso ed emozionante il fatto che May avessequalcos'altro da dargli; qualcosa di cui il

viso sciupato della donna prese a illuminarsi delicatamente... a luccicarequasi quanto il bianco bagliore d'argento della

sua espressione. Aveva ragione leiincontestabilmenteperché ciò cheMarcher poté scrutare nel suo volto era la verità;

e stranamentesenz'alcun nessomentre nell'aria era ancora percepibilel'eco della loro conversazione su quella cosa

terrificante che doveva essere la veritàMay si sforzò di farla apparireeccessivamente benigna. Questo particolarenon

senza causargli una certa confusionefece ancor più ardentemente desiderarea Marcher che lei si rivelassecosì che i

due continuarono per qualche minuto in silenziolei proiettando su di lui ilchiarore del suo vis opremendo

imponderabilmente con il suo corpo in avantimentre in lui lo sguardo eratutto gentilezza e attesa. La conclusione

malgrado ciòfu che quanto lui aveva atteso mancò di rivelarglisi. Accaddeinvece qualcos'altroqualcosa che sulle

prime apparve consistere nella mera circostanza che lei socchiudesse gliocchi. Nello stesso istanteMay cedette a un

lento e tenue fremitoe sebbene lui stesse lì a fissarla - a fissarlaanzicon sguardo ancor più intenso - gli voltò le spalle

e ritornò alla sua poltrona. Così si concludeva quello che era stato il suotentativolasciando ora Marcher più pensieroso

che mai.

«Ebbenenon dovete dirmi...?»

PassandoMay aveva sfiorato un campanello accanto al camino prima dilasciarsi cadere particolarmente

pallida sulla poltrona. «Temo di sentirmi troppo male.»

«Troppo male per dirmi?» Acuto si destò in luie quasi gli giunse allelabbrail timore che lei potesse morire

senza dargli la luce. Si trattenne appena in tempo dall'esprimere in questitermini la sua domandama May rispose come

se avesse udito pronunciare quelle parole.

«Non sapete... adesso?»

«‹Adesso›...?» La donna aveva parlato come se una qualche differenza sifosse verificata in quel preciso

istante. Ma la domestica accorsa sollecitamente al suono della campanaeraormai fra loro. «Non so nulla.» E in seguito

avrebbe ammesso con se stesso che doveva aver parlato con odiosa impazienzacon impazienza tale da aver dato

l'impressione cheal sommo dello sconcertosi lavasse le mani dell'interafaccenda.

«Oh!» esclamò May Bartram.

«State soffrendo?» chiese Marcher mentre la cameriera accorreva verso dilei.

«No» disse May Bartram.

La camerierache le aveva infilato un braccio attorno alla vita come sevolesse condurla nella sua stanza

lanciò verso Marcher un'occhiata che supplichevolmente contraddiceva lapadrona; ciò nonostantetuttaviauna volta di

più lui fece mostra del suo non volersi render conto. «Insommacos'èaccaduto?»

May adesso era nuovamente in piedigrazie all'aiuto della compagnaeMarchersentendosi imporre l'obbligo

di ritirarsiaveva distrattamente raccolto guanti e cappello per poiraggiungere la porta. Ma non mancò di attendere la

sua risposta. «Quel che doveva accadere» disse May.

V

Marcher tornò il giorno dopoma lei non fu assolutamente in grado diriceverlo; e poiché era decisamente la

prima volta che accadeva una cosa del genere da quando era iniziata la lorolunga frequentazioneMarcher se ne andò54

sconfitto e avvilitoquasi adirato - oper lo menocon la sensazione chequella battuta d'arresto nelle loro usanze altro

non fosse che il principio della fine - e si aggirò da solo con i suoipensierispecialmente con quello che meno riusciva a

tenere a freno. May stava morendo e lui l'avrebbe perduta; lei stava morendoe la vita di lui si sarebbe conclusa. Si

fermò nel Parco in cui s'era addentratocon fisso davanti agli occhi queldubbio sempre ricorrente. Lontano da lei il

dubbio tornava alla carica; finché era stato in sua presenza le avevacredutoma quando realizzò l'abbandono in cui ora

si trovava non poté fare a meno di rifugiarsi nella spiegazione cheperessere quella più a portata di manopoteva dargli

il massimo di pietoso calore e il minimo di freddo tormento. May l'avevaingannato per proteggerlo... per distoglierlo

con qualcosa in cui lui potesse trovar pace. Che mai poteva essere la cosache doveva capitarglidopo tuttose non

proprio questa cosa che aveva cominciato ad accadere? Lo spegnersi di Maylasua mortela conseguente solitudine per

lui... ecco quel che s'era figurato come la Belva nella Giunglaquel che erain serbo per lui nelle mani di Dio. Ne aveva

avuto un segnale da lei mentre la lasciava... cos'altro al mondo avrebbepotuto voler dire? Non si trattava di una cosa

d'ordine mostruoso; non di chissà quale raro e nobile destino; non di uncolpo di fortuna di quelli che travolgono e

rendono immortali; era soltanto qualcosa che recava il marchio della comunesorte. Ma il povero Marcherin quel

frangentegiudicava sufficiente la comune sorte. Avrebbe servito al suoscopoe lui avrebbe piegato il suo orgoglio ad

accettarla persino quale coronamento di una interminabile attesa. Si mise asedere su di una panchina nel crepuscolo.

Non era stato un pazzo. Come aveva detto leiqualcosa era dovuto accadere.Prima di rialzarsivenne folgorato dall'idea

che l'esito finale di fatto si conciliasse con la natura del lungo viale cheaveva dovuto percorrere per raggiungerlo.

Condividendo la sua ansia e concedendo tutta se stessala propria vitaall'impegno di condurre alla mèta quell'ansia

May lo aveva accompagnato passo dopo passo lungo il cammino. Lui avevavissuto grazie al suo confortoe lasciarsela

indietro ora avrebbe significato sentirne crudelmentedannatamente lamancanza. Cos'altro avrebbe potuto essere più

travolgente?

Ebbenelo avrebbe saputo entro la settimanaperché - dopo averlo tenuto abada per un po'lasciandolo

inquieto e triste durante una serie di giorni nei qualipuntualmentelui sipresentò a chiedere sue notizie senza mai

riuscire a vederla - May pose fine al suo patimentoricevendolo là dovel'aveva sempre ricevuto. Eppure era stata

accompagnata fuorinon senza qualche rischioalla presenza di tanti oggetticheconsciamentevanamente

rappresentavano metà del loro passatoe scarsi vantaggi potevano ormaivenire dalla gentilezza di quel suo ingenuo

desideriopersino troppo evidentedi calmare l'ossessione di John e di dareun sollievo alla sua prolungata pena. Ecco

chiaramente cosa lei volevala sola cosa possibile per la sua pace interiorefinché ancora era in grado di tendere la

mano. Marcher fu talmente turbato dallo stato di May cheuna voltaaccomodatosi accanto alla sua poltronacedette

alla tentazione di lasciar andare ogni cosa; fu lei stessa dunque ariportarlo sull'argomentoa rievocareprima di

congedarlole ultime battute del loro precedente incontromostrando cosìquanto le premeva di lasciare le loro faccende

in ordine. «Non sono sicura che voi abbiate capito. Non avete più nulla daaspettare. Ormai è successo.»

Ohl'occhiata che le lanciò! «Veramente?»

«Veramente.»

«La cosa checome dicestedoveva accadere?»

«La cosa su cui cominciammo a vegliare insieme nella nostra gioventù.»

Faccia a faccia con leiuna volta di più non poté che crederle; era unapretesaquella di Mayalla quale lui

aveva così miseramente poco da opporre. «Volete dire che è successa sottoforma di evento esplicito e definitocon un

nome e una data?»

«Esplicita. Definita. Non so nulla circa il ‹nome›ma con una dataeccome!»

Marcher si sentì di nuovo e perdutamente in alto mare. «Ma è successa dinotte... è arrivata e m'è passata

accanto?»

May Bartram ebbe uno dei suoi stranileggeri sorrisi. «Oh nonon èpassata accanto a voi!»

«Mase non me ne sono accorto e se non m'ha toccato...?»

«Ahil fatto che non ve ne siate accorto» - e parve esitare un istante pervalutare quanto stava per dire - «il

fatto che non ve ne siate accorto è la stranezza nella stranezza. Èil prodigio del prodigio.» Parlava quasi con la

delicatezza di un bimbo malatoma malgrado ciòadessoadesso che tuttoera finitocon la perfetta determinazione di

una sibilla. Era evidente che lei sapeva ciò che sapevae l'effetto ch'ebbesu di lui fu di qualcosa che avesse a che fare

nella sua sublime espressionecon la legge che lo aveva governato. Anzierala voce autentica di quella leggeche si

sarebbe così rivelata per bocca di lei. «Vi ha toccato sì» proseguìMay. «Ha assolto al suo compito. E vi ha reso tutto

suo.»

«Così totalmente senza che io me ne sia accorto?»

«Così totalmente senza che voi ve ne siate accorto.» La mano di Marchernell'atto di chinarsi verso di leisi

posò sul bracciolo della poltronae Mayrinnovando il suo vago sorrisoviadagiò sopra la sua. «È abbastanza che me

ne sia accorta io.»

«Oh!» esclamò Marcher col respiro affannosocome lei stessa tanto disovente aveva fatto nel recente passato.

«Ciò che dissi tempo fa è vero. Ormai non lo saprete piùe penso chedovreste esserne contento. L'avete

avuta» disse May Bartram.

«Ma avuto cosa?»

«Ebbenela cosa per la quale foste designato. La prova della vostra legge.Ha agitofinalmente. Sono davvero

soddisfatta» aggiunse poi coraggiosamente«d'esser stata capace di vederecosa non è.»55

Marcher continuava a inchiodarle gli occhi addossoe - con la sensazione chetuttopersino leigli stesse

oltremodo sfuggendo - l'avrebbe anche brutalmente provocata se non avesseavuto il sospetto di abusare della sua

debolezza qualora si fosse spinto oltre l'accettazione devota di quanto leigli stava dandoun'accettazione silenziosa

come di fronte a una rivelazione. Se si decise a parlarefu perché spintodal presentimento della sua incombente

solitudine. «Se siete soddisfatta di ciò che ‹non› èallora vuol direche avrebbe potuto essere peggio?»

May distolse gli occhiguardando dritto davanti a sé; e dopo un momento:«Behsapete i nostri timori.»

Marcher rimase perplesso. «Si tratta quindi di qualcosa che non abbiamo maitemuto?»

A quel puntolentamentelei tornò a rivolgergli lo sguardo. «Abbiamo maisognatofra i tanti nostri sogniche

un giorno avremmo potuto sedere qui e parlarne in questo modo?»

Per qualche istanteMarcher tentò fra sé e sé di rievocare un ricordo delgenere; ma era come se i loro sogni

peraltro innumerevolisi trovassero dissolti in qualche fredda e densanebbia attraverso la quale il pensiero si smarriva.

«Vi pare possibile che non se ne sia parlato?»

«Comunque»stava facendo del suo meglio per lui«non da questo lato. Equestovedeteè l'altro lato.»

«Temo» replicò il povero Marcher«che tutti i lati siano uguali perme.» Poituttaviamentre lei gentilmente

scuoteva la testa in segno di rimostranza: «Da com'erano le coseavremmopotuto non arrivarci...?»

«Arrivare al punto in cui siamo... in alcun modo. Ci siamooramai»... obiettò lei con leggera enfasi.

«Bel vantaggio ce ne viene!» fu lo schietto commento del suo amico.

«Ce ne viene tutto il vantaggio possibile. Tanto per cominciarela cosa nonc'è più. È passata. L'abbiamo alle

spalle» disse May Bartram. «Prima...» ma le si spezzò la voce.

Marcher s'era alzatoper non affaticarlama gli fu arduo combattere il suoassillante desiderio. DopotuttoMay

non gli aveva confidato nullaa parte la circostanza che la sua luce eravenuta meno... particolare che aveva

perfettamente intuito anche senza di lei. «Prima...?» echeggiòtimidamente.

«Primacapiteera sempre sul punto di succedere. E ciò la rendeva semprepresente.»

«Ohpoco m'importa che succede ora! Oltretutto» aggiunse Marcher«misembra che la preferivo presente

come dite voipiuttosto che assente con la vostra assenza.»

«Oh la mia!»... e le sue pallide mani accennarono un gesto di noncuranza.

«Che sarebbe poi l'assenza di tutto.» Marcher provò la tremenda sensazionedi star lì dinanzi a lei - con

riferimento a tutto tranne che a questo abisso senza fondoa questo abissosenza scampo - per l'ultima volta della loro

vita. E tale sensazione gli rimase addosso con un peso che a fatica riuscivaa sorreggeree fu proprio quel peso

apparentementea fargli esprimere quel che restava in lui di pronunciabileprotesta. «Vi credo; ma non posso

cominciare a far finta di capirvi. Nullaper meè passato; nulla potràpassare finché non passerò anch'ioe in tal senso

prego le mie stelle perché ciò avvenga il più presto possibile. Diciamopurecomunque» aggiunse«che mi sarei

mangiato il mio dolcecome affermate voifino all'ultima briciola... mapuò un avvenimentodi cui non mi sono

minimamente accortoessere quello per il quale ero stato destinato?»

May l'affrontò forse meno direttamentema l'affrontò imperturbata. «Mipare che diate troppo per scontate le

vostre ‹sensazioni›. È vero che dovevate patire il vostro destino. Maciò non implicava necessariamente conoscerlo.»

«Ma com'è possibile... cos'è allora questa consapevolezza se nonsofferenza?»

May alzò appena gli occhi su di luiin silenzio. «No... non voletecapire.»

«Ma io sto soffrendo» disse John Marcher.

«Nonovi prego!»

«Come posso evitare almeno questo?»

«No!» ripeté May Bartram.

Parlò con tono talmente decisomalgrado la sua debolezzache Marcherstette a fissarla per un istante... a

fissarla come se una lucesino ad allora nascostagli si fosse messa abrillare davanti agli occhi. L'oscurità vi si richiuse

soprama intanto il lampo s'era già trasformato per lui in una idea.«Perché non ho il diritto...»

«Non sapere... quando non ce n'è bisogno» esortò leicompassionevolmente. «Non ce n'è bisogno... perché

non dovremmo.»

«Non dovremmo?» Se soltanto avesse potuto afferrare cosa lei voleva dire!

«No... è troppo.»

«Troppo?» insisté a chiedere luima con la disillusione di chi vede ormaiprossimo il momento della rinuncia.

Le parole di Mayse veramente volevano dire qualcosalo colpirono in questaluce - la stessa luce del suo viso consunto

- come cariche di tutti i significatie il senso di ciò che laconsapevolezza aveva rappresentato per lei lo assalì con un

impeto che scoppiò in una domanda. «È di questo allora che statemorendo?»

May non poté che scrutarlodapprima seriamentecome per cogliere a chepunto esattamente lui si trovassee

dovette cogliere di fattoo forse soltanto temerequalcosa che sollecitòla sua compassione. «Vorrei vivere per voi

ancora... se potessi.» Gli occhi le si chiusero per un istantecome seraccolta in se stessasi stesse sforzando per

un'ultima volta. «Ma non posso!» disse risollevandoli per prendere commiatoda lui.

E realmente non potevacome risultò persino troppo presto e troppobruscamentee Marcher dopo

quell'occasione non ebbe più alcuna visione di lei che non fosse buio edesolazione. S'erano separati per sempre con

quella misteriosa conversazione; l'accesso alla sua camera di dolorerigorosamente sorvegliatagli fu quasi del tutto

proibito; d'altrondeora - di fronte a dottoriinfermiereai due o treparenti certamente attratti dalla supposizione di ciò

che lei aveva da «lasciare» -Marcher dovette realizzare quanto pochidiritticome venivano chiamati in casi del genere56

avesse da vantaree quanto strano poteva sembrare il fatto che la lorointimità non gliene avesse concessi di più. Il più

stupido dei cugini di quarto grado di May ne aveva di piùanche se lei nonaveva rappresentato nulla nella vita d i quella

persona. Per luiinveceMay aveva rappresentato l'esclusiva delleesclusive; come spiegare altrimenti la prerogativa di

indispensabilità del loro rapporto? Strani oltre ogni dire erano i sentieridell'esistenzafrustrante per lui l'anomalia

ris ultante da quella sua mancanzaalmeno per come lui la sentivadi undiritto impugnabile. Una donna poteva essere

statacome si dicetutto per luieppure ciò non bastava a sancire il suoruolo in una relazione che altri fossero costretti

a riconoscere. Se tale circostanza fu evidente in quelle conclusivesettimanea maggior ragionee più crudelmentesi

palesò nell'occasione degli estremi uffici resinell'immenso e grigiocimitero londinesea ciò che di mortalea ciò che

di prezioso v'era stato nella sua amica. La partecipazione al suo funeralenon fu numerosama Marcher si vide dedicare

un'attenzione non superiore a quella che gli sarebbe toccata se ci fossestato un migliaio di presenti. A partire di quel

momentoin praticasi trovò faccia a faccia con la prospettiva di poterapprofittare straordinariamente poco

dell'interesse che May Bartram aveva riposto in lui. Non che avrebbe potutodire cosa in realtà s'aspettavama di certo

non s'aspettava di dover patire una duplice privazione. Non solo gli eravenuto meno l'interesse di leima gli sembrava

anche di sentirsi privato - e per una ragione che non riusciva a cogliere -della distinzionedella dignitàdel decorose

non altrodell'uomo gravemente colpito da un lutto. Era come se agli occhidella società non fosse stato gravemente

colpito da un luttocome se ancora ne mancassero i segni o le provee comesenondimenola sua condizione non

potesse mai essere dichiarata né la sua perdita colmata. Vi furono momentinel corso di quelle settimanein cui avrebbe

tanto volutomagari con qualche gesto aggressivoproclamare l'intimità diquella sua perditaperché qualcuno potesse

metterla in discussione e luiper reazioneriaffermarla con gran sollievodel suo spirito; ma a questi momenti ne

seguirono rapidamente altri di più inerme irritazionedurante i qualirimuginando su quelle cose con coscienza più

serena ma di fronte a un vuoto orizzontegli capitò di interrogarsi se nonavrebbe dovutoper così direrisalire a molto

tempo addietro.

A dire il verogli capitò di interrogarsi su parecchie questioniequell'ultima speculazione trovò dunque la

compagnia di tante altre. Cosa avrebbe potuto faredopo tuttolei viventesenza in un certo modo tradire entrambi?

Non avrebbe potuto far sapere che lei stava vegliando su di luiperchéquesto avrebbe reso di dominio pubblico la

superstizione della Bestia. Ma la stessa considerazione gli tappava la boccaora... ora che la Giungla era stata rasa al

suolo e la Bestia se l'era data a gambe. La cosa suonava decisamente tropposciocca e troppo insignificante; la

differenza che s'era creata per lui in quel frangente - l'estinzione nellasua vita dell'elemento di suspense - era taledi

fattoda sbalordirlo. Difficilmente avrebbe potuto dire a cosa quell'effettorassomigliasse; alla repentina cessazionealla

concreta proibizioneforsedi una musicapiù d'ogni altra cosain unluogo esclusivamente predisposto e assuefatto

alla sonorità e all'ascolto. Anche se in qualche momento del passato avevapotuto concepire la possibilità di sollevare il

velo dalla sua statua (del restocos'altro aveva fatto se non sollevarlo perlei?)pensare di farlo oraparlare alla gente in

generale della Giungla esplorata e confidare loro che ormai gli sembravainnocuasignificava non soltanto rischiare che

la sua vicenda venisse ascoltata come il racconto di una vecchia comarebensì sentirsi come seegli stessoraccontasse

una storia del genere. Allo stato attualerisultava insomma che il poveroMarcher era ridotto ad aggirarsi calpestando le

erbe frugate - dove nessun tipo di vita si agitavadove nessun alitorisuonavadove nessun occhio felino sembrava

sbirciare da una possibile tana - con tutta l'apparenza di essere in cacciadella Bestiama soprattutto con l'apparenza di

sentirne dolorosamente la mancanza. Egli si aggirava intorno e dentroun'esistenza chestranamenteera diventata più

spaziosaefermandosi saltuariamente laddove il sottobosco della vita glipareva più foltosi domandava avidamente

segretamente e penosamentese la Bestia si fosse nascosta qua o làse inun modo o nell'altro sarebbe balzata fuori; per

lo menosarebbe rimasta intatta la sua fede nella verità dell'assicurazionericevuta in proposito. Il mutamento dalla

vecchia alla nuova sensazione fu assoluto e definitivo: quanto dovevaaccaderealla fineera accaduto tanto

assolutamente e definitivamente chea malapenaMarcher fu in grado diprovare sia timori che speranze per il futuro;

tale fuin brevel'assenza di qualsiasi dubbio circa ciò che ancora potevasuccedere. Era destinato a vivere

esclusivamente con l'altro dubbioquello relativo al suo non identificatopassatoquello di dovere assistere allo

spettacolo della sua sorte impenetrabilmente velata e mascherata.

Il tormento di questa visione divenne dunque la sua principale occupazione;forse non avrebbe potuto

acconsentire a vivere altro che per la possibilità di continuare aindovinare. Leila sua amicagli aveva raccomandato di

lasciar perdere; gli aveva proibitoper quanto possibiledi saperee in uncerto qual modo gli aveva persino negato la

facoltà di apprendere: tutte cosequestetaliappuntoda togliergli lapace. Non che lui volesse - così ragionò per

correttezza - la ripetizione di qualche avvenimento passato e compiuto;soltantonon dovevacome banalizzando

lasciarsi sorprendere a dormire sonni tanto profondi da non essere in gradodi riguadagnaregrazie a uno sforzo di

pensierola perduta essenza di consapevolezza. A momentidichiarava a sestesso che o la recuperavatale essenza

oppure doveva rinunciare alla consapevolezza per sempre; e finì col fare diquesta idea il suo unico scopoper non dire

la sua sola passioneal punto che nessun'altrase raffrontata a quellasembrava non averlo mai neppure sfiorato. La

perduta essenza di consapevolezza divenne così per lui come un bambinosmarrito o rapito per un padre inconsolabile;

si dette a cercarla dovunquein lungo e in largoproprio come uno che bussaalle porte e si rivolge alla polizia. E fu con

questa predisposizione d'animo cheinevitabilmentesi mise a viaggiare;partì per un viaggio che era destinato ad essere

il più lungo possibile; gli balenò davanti l'idea chesiccome l'altrafaccia del globo non poteva avere meno da dirgli

forsenon senza la possibilità di una certa suggestionepoteva avere dipiù da dirgli. Prima di abbandonare Londra

comunquesi recò in pellegrinaggio alla tomba di May Bartrampercorse leinterminabili avenue della tetra metropoli

suburbanala rintracciò in mezzo a una selva di sepoltureesebbene vi cifosse andato per tutto tranne che per57

rinnovare il gesto di commiatoquando finalmente vi si trovò di frontesiscoprì irretito in lunghe commosse riflessioni.

Rimase lì per un'oraincapace di allontanarvisi eppure non meno incapace dipenetrare il buio della morte; fissando

l'iscrizione col nome di May e la datasbattendo la fronte contro l'evidenzadel segreto che mantenevanotrattenendo il

fiatocome nell'attesa che un qualche senso di compassione per lui sisollevasse da quelle pietre. S'inginocchiò per terra

comunquema in vano; le pietre trattennero quanto nascondevano; e se lalapide della tomba gli apparve come un vero e

proprio voltofu perché i due nomi di May gli apparvero come un paiod'occhi che non lo conoscevano. Ad essi rivolse

l'ultimo prolungato sguardoma non ne venne fuori neppure la più pallidaluce.

VI

Dopo di allorarestò lontano per un anno; visitò le profondità dell'Asiasoffermandosi in località di romantico

interessedi eccelsa solennità; ma ovunque lo seguiva il pensiero cheperun uomo che aveva conosciuto ciò che aveva

conosciuto luiil mondo fosse ordinario e vano. La condizione mentale in cuiaveva vissuto per tanti anni gli

risplendeva davantiper riflessocome una luce capace di colorare e diaffinareuna luce accanto alla quale lo splendore

dell'Oriente risultava grossolano e misero e inconsistente. La terribileverità era che - tra le altre cose - aveva perduto

anche la facoltà di discernimento; le cose che vedeva non potevano nonapparirgli banali visto che banale era divenuto il

suo modo di guardarle. Semplicementeapparteneva anch'egli ormai a quellaschiera... era nella polveresenza neppure

un dettaglio che lo distinguesse dal resto; e vi furono ore in cuidinanziai templi degli dèi e ai sepolcri dei rela sua

mente - associando per nobiltà - si volse alla quasi anonima lapide nellaperiferia londinese. Il ricordo di quella tomba

era diventato per luie ancor più intensamente grazie al temp o trascorso ealla distanzala sua sola testimonianza di un

glorioso passato. Era quanto gli era rimasto come ragione d'orgoglioal cuiconfronto persino le passate glorie dei

faraoni nulla erano per lui. Nessuna meravigliadunquese tornò làl'indomani del suo rimpatrio. Come l'altra voltasi

sentì attratto da una forza irresistibilema quasi con un senso di fiduciafrutto indubbiamente della lontananza di tutti

quei mesi trascorsi. Aveva accettatosuo malgradoun mutamento del propriomodo di sentire egirovagando per il

mondoera come se avesse girovagato dalla circonferenza al centro del suodeserto. Si era assicurato un certo equilibrio

e rassegnato necessariamente alla propria decadenza; immaginandosie nonsenza ragionesimile a certi vecchietti che

ricordava d'aver vistoe dei qualinonostante l'aspetto scarno eraggrinzitosi raccontava che in gioventù avessero

sostenuto decine di duelli o fossero stati amati da decine di principesse.Fatto sta chein qualche modotali personaggi

dovevano apparire straordinari agli occhi del prossimomentre lui non erastraordinario che per se stesso; e fu proprio

questa riflessione a stimolargli dentro l'ansia di rinnovare il prodigiotornando indietro - come si sarebbe espresso lui -

alla sua più intima presenza. Tale sollecitazione sortì quindi l'effetto diaccelerare i suoi passi e di impedire ogni

indugio. La visitainsommaera tanto più inevitabile quanto più era statoseparato dall'unica parte della sua persona che

ormai stimava.

Di conseguenzanon è azzardato dire che Marcher raggiunse la sua métaquasi in preda a una forma di

esaltazione e che vi indugiò con un senso di sicurezza. La creatura chegiaceva sotto quelle zolle sapeva della sua rara

esperienzatanto che orastranamenteil luogo veniva a perdere per lui lasua naturale assenza di comunicazione.

L'accolseanzicon dolcezza... noncome l'altra voltacon ironia; e gliriserbò lo stesso consapevole benvenuto che

ritroviamodopo un'assenzain cose che ci sono intimamente appartenute eche con la loro sola presenza sembrano

testimoniare l'esistenza di tale vincolo. La terrala lapide incisai fioriben curati lo commossero come se gli

appartenesserotanto da farlo sentireper l'occasionecome un signorottodi campagna soddisfatto della visita a un

terreno di sua proprietà. Qualsiasi cosa fosse accaduta... beneeraaccaduta. Questa volta non era tornato spinto dalla

vacuità di quella domandapoiché ormai la sua precedente inquietudine aproposito del «Che? Che cosa?»si era

praticamente esaurita. Eppurenon si sarebbe mai più separato da quel sito;vi sarebbe tornato ogni mesevisto che

grazie al suo confortoriusciva se non altro ad andare avanti. Fu così chela tomba di Maynel più singolare dei modisi

trasformò per lui in una risorsa positiva; tanto da indurlo a realizzarel'idea di periodici pellegrinaggiche finirono col

diventare una delle sue più inveterate abitudini. Riuscì insommaperquanto possa sembrare stranoa far sì chenel

contesto del suo mondo ormai talmente ridotto all'essenzialequel giardinodi morte gli concedesse i soli pochi metri

quadrati di terra sui quali gli era ancora permesso vivere. Era come senonrappresentando più nulla in nessun luogo e

per nessun altronulla persino per se stessoqui invece si sentisse tuttoe sebbene non certo alla presenza di una folla di

testimoni o a nessuno all'infuori di John Marcherse non altro perattestazione di quel registro che poteva sempre

consultare. Il registro aperto eraappuntola tomba della sua compagnaedera lì che giacevano i fatti del passatoera lì

che era contenuta la verità della sua vitalì erano le trascorse distanzenelle quali poteva smarrire se stesso. E infattidi

quando in quandoci si smarrivae con un effetto tale che gli pareva divagare attraverso i vecchi tempidando il

braccio a un compagno che eranel modo più straordinariol'altro sestessoil più giovane; e cosa ancor più

straordinariadi girare e rigirare attorno a una terza presenza... leiimmobilefissai cui occhiseguendolo in quel

girarenon lo abbandonavano maie la cui sede eraper così direil suopunto d'orientamento. Così in breve s'adattò a

vivere... nutrendosi della stessa illusione di un tempoe ricavandone nonsolamente un sostegno ma anche una identità.

Sarebbe potuto andare avanti per mesi e passò un anno; sicuramente l'avrebbesorretto anche oltre nel tempo

se non fosse stato per un inconvenienteapparentemente di poco contoche lospinse in tutt'altra direzionecon una

forza ben maggiore di qualsiasi impressione riportata dall'Egitto odall'India. Si trattò di una cosa estremamente

fortuita.. un batter di cigliacome si sarebbe spiegato in seguitosebbenedovesse poi vivere convinto che se la luce non58

gli fosse giunta in quel particolare modo gli sarebbe comunque venuta in unaltro. E dico che sarebbe vissuto per

convincersi di questo anche se - oserei affermare - non avesse dovuto faraltro nella vita. Concediamogli puread ogni

buon contoil beneficio della convinzionefaticosamente emersa in lui allafinesecondo cuiqualsiasi cosa potesse

essere accaduta o non accadutaavrebbe raggiunto con le proprie forze laluce. L'incidentein una giornata autunnale

non fece che accendere la scintilla alla miccia collocataa suo tempodallasua stessa infelicità. Con quella luce davanti

agli occhi poté rendersi conto chepersino in tempi più recentiil suomale era stato soltanto alleviato. Era stranamente

assopitoma palpitava ancora; bastava sfiorarlo perché riprendesse asanguinare. E a sfiorarloper la circostanzafu il

volto d'un comune mortale. Un volto chein uno di quei grigî pomeriggi incui le foglie si accumulavano

abbondantemente lungo i vialettinel cimiteroscrutò quello di Marcher conun'espressione tagliente come la lama d'un

rasoio. E Marcher la sentì talmente nel vivo da reagire con una smorfia aquel colpo deciso. La persona che così

tacitamente lo assalìl'aveva già notatagiungendo alla propria métaperché era assorta nella contemplazione di una

tomba poco distanteuna tomba apparentemente frescatanto che l'emozionedel visitatore non doveva essere da meno

quanto a spontaneità. Bastò questo particolare a inibire un'ulterioreattenzioneanche seper tutta la durata della sua

visita alla tomba di MayMarcher rimase vagamente consapevole della presenzadel vicinoun uomo all'incirca di

mezz'etàvestito a luttochein mezzo ai monumenti funebri e ai tassimortuarigli rivolse costantemente le spalle

curve. La teoria di Marcher in base alla quale tali elementi avevano direttoriferimento con ciò che lui personalmente

rivivevain quell'occasione - posso garantirlo - fu sottoposta a dura prova.Quella giornata autunnale gli risultava più

nefasta di qualsiasi altra negli ultimi tempie fu con una pesantezza maiprovata prima che si lasciò cadere sulla bassa

lastra di pietra che recava inciso il nome di May Bartram. Si lasciò caderecome impotente a muoversicome se qualche

molla in luiqualche incantesimo destinatoglisi fosse improvvisamentespezzato e per sempre. Se in quel momento

avesse potuto fare quel che si sentiva di faresi sarebbe semplicementesteso sulla lastra ch'era pronta ad accoglierlo

considerandolo come il luogo predisposto a ricevere il suo ultimo sonno. Perquale ragione al mondoormaigli toccava

stare ancora sveglio? Guardava fisso davanti a séassorto inquell'interrogativoe fu allora chementre passava per uno

dei sentieri accanto alla tombafu colpito da quel volto.

Il vicino s'era allontanato dalla tomba - come lui stesso avrebbe fattodelrestose solo ne avesse avuto la forza

- e si stava avviandolungo un vialetto che veniva nella sua direzioneverso uno dei cancelli. Cosìgiunse molto vicino

a Marchera passo lento - a maggior ragione se si pensa che una specie dibramosia aleggiava nel suo sguardo - e per un

buon minuto i due uomini si trovarono faccia a faccia. Marcher riconobbeimmediatamente in lui una persona

profondamente sconvolta... una percezione talmente acuta da cancellare ogniinteresse per altri dettagli: dall'abito all'età

alla presumibile indole ed estrazione sociale; niente aveva importanza difronte alla devastazione di quei lineamenti. E li

ostentavaquei lineamenti... questo era il punto; venne sollecitatopassandoda qualche impulso che poteva essere tanto

un cenno di compatimento quantopiù probabilmenteuna sfida a uncontrapposto dolore. Forse s'era già accorto del

nostro amicoforse in qualche precedente occasione aveva potuto notare inlui la serena consuetudine al luogocon cui

a malapena si conciliava lo stato di confusione dei suoi sentimentie forsedunque poteva essere rimasto colpito da

quella palese discordanza. Di una cosacomunquein primo luogo Marcher sirese immediatamente conto: che

quell'immagine di passione lacerata di fronte a lui era anch'essaa suavoltaconsapevole... di qualcosa che profanava

l'aria; ein secondo luogochestimolatoallarmatoscosso pur tuttaviaun momento dopo lui la stava osservando

allontanarsicon un senso d'invidia. La cosa più straordinaria che glifosse capitata - per quanto non fosse la prima volta

che usava tale aggettivo per definire episodi della sua vita - ebbe luogodopo quell'occhiata rapida e vagacome

conseguenza di tale impressione. L'estraneo passòma il crudo bagliore delsuo tormento rimasecostringendo il nostro

amico a chiedersi compassionevolmente quale sciaguraquale lacerazionequale insanabile ferita esprimesse. Cosa

aveva mai posseduto quell'uomoper sanguinare a tal modo dopo averlaperduta pur continuando a vivere?

Qualcosa - e la rivelazione gli procurò un'enorme angoscia - che luiJohn Marchernon possedeva; e la cui

dimostrazionegiust'appuntoera l'arida fine di John Marcher. Nessunapassione l'aveva mai sfioratovisto che questo

era il significato della passione; era sopravvissutos'era afflitto elogoratoma dov'era la sua profonda devastazione? La

cosa straordinaria di cui parliamo fu dunque la repentina irruzione in luidella risposta a questo interrogativo. Lo

spettacolo cui i suoi occhi avevano appena assistito gli indicavaquasi alettere di fuocoil nome della cosa che a lui era

totalmente e incredibilmente mancatae ciò che gli era mancato faceva ditutte queste cose una miccia incandescentele

faceva riecheggiare in un panico di segreti palpiti. Marcher aveva visto l'esternodella propria vitanon aveva compreso

dal di dentro come si poteva rimpiangere una donna ch'era stata amata per sestessa: tale fu la forza con cui comprese il

significato del volto dell'estraneoche questo seguitò a balenargli davantiagli occhi come una torcia. La

consapevolezzasulle ali dell'esperienzanon l'aveva raggiunto; l'avevarasentatourtatorovesciatocon la rozzezza

della fatalitàcon l'insolenza dell'incidente. Ora che la rivelazione avevaavuto iniziotuttaviaera divampata fino allo

zenite l'oggetto di quella sua contemplazione era ormai la prova del vuotodella sua vita. Stette lì a guardaretrattenne

il fiatocon un senso di pena; si voltò in preda allo sconforto evoltandosisi ritrovò davanti agli occhiinciso con più

evidenza che maiil libro aperto della sua storia. Il nome sulla lapide loferì come già lo aveva ferito il passaggio del

vicinoe ciò che gli disse apertamente in facciafu che era proprio leila sua mancata sorte. Fu un pensiero terribilela

risposta a tutto il passatola visione nella cui spietata chiarezza Marchersi fece gelida come la pietra ai suoi piedi. Ogni

cosa si fuse insiemeconfessataspiegatavinta; lasciandolo oltremodostupefatto di fronte alla cecità che lui stesso

aveva alimentato. Il fato al quale era stato predestinatoaveva finito pervenirgli incontro con eccessiva veemenza...

aveva vuotato il calice fino alla feccia; era stato l'uomo del suo tempol'uomoil soloal quale doveva capitare che non

succedesse nulla. Ecco il colpo di scena... ecco il castigo divino. Così lovidecome si dicecon pallido orrorementre i59

brandelli della sua sorte non smettevano di ricomporsi. Così lei l'avevavisto mentre lui si ostinava a non vederee

anche in quest'occasioneeccola apportare il suo contributo per ristabilirela verità. La veritàvivida e mostruosa

secondo cui per tutto il tempo della sua attesa la sua parte era proprioquella di attendere. E questola compagna della

sua attesa l'aveva scoperto a un certo puntoe gli aveva offerto lapossibilità di evitare la sua condanna. Ma il destino di

ognuno non viene mai elusoe il giorno in cui lei gli comunicò ch'eraarrivato il momento della sua condannaMarcher

non seppe far altro che fissare stupidamente la via d'uscita che lei glisuggeriva.

La via d'uscita sarebbe stata quella di amarla; alloraallora sì luiavrebbe vissuto. Lei aveva vissuto - chi

potrebbe dire ora con quanta passione? - perché l'aveva amato per quello cheera; mentre invece lui non aveva mai

pensato a lei (ahgli appariva tanto evidente ora!) se non nel gelo del suoegotismo e alla luce dell'uso che aveva fatto

della sua persona. Gli tornarono alla mente le parole di May... la catena siallungava all'infinito. La Bestia era stata

davvero in agguatoe la Bestiaal momento giustoaveva spiccato il suobalzo; era balzata fuori nel crepuscolo di

quella fredda giornata d'aprile quandopallidamalataconsuntama pursempre bellae forse allora persino

recuperabileMay era scattata dalla poltronagli si era parata di fronte eaveva lasciato che lui indovinasse. Era balzata

fuorila Bestiae lui non aveva saputo indovinare; era balzata fuori mentrelei s'allontanava da lui sconsolatae gli era

ripiombata addossoal momento stabilitoquando era ormai lontano. Eccogiustificate le sue paure e compiuto il suo

destino; con assoluta precisioneaveva fallito tutto ciò che dovevafallire; e un gemito gli salì ora alle labbraal ricordo

di quanto May avesse pregato perché lui non sapesse. L'orrore di quelrisveglio... ecco cos'era la consapevolezzala

consapevolezza sotto il cui respiro sembravano gelarsi le lacrime di cuiaveva pieni gli occhi. Ma attraverso le lacrime

nondimenoMarcher cercò di fissarla e di fermarlatenendosela davanti inmodo da provarne tutto il dolore. Almeno

questoanche se tardivo ed amaroaveva qualcosa del sapore della vita.Improvvisamenteperòl'amarezza gli diede

nauseae fu come seorribilmentescorgessenella veritànella crudeltàdella sua raffigurazioneciò ch'era stato

prescritto e compiuto. Vide la Giungla della sua vita e vide la Bestia inagguato; poicon un fremito nell'ariala sentì

scattareenorme e orrendaper il balzo che l'avrebbe annientato. Gli sioffuscarono gli occhi... era ormai vicina; e

voltandosi istintivamentenella sua allucinazioneper schivarlasi lasciòcaderebocconisulla tomba.