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Joseph Conrad

La follia di Almayer

NOTA DELL'AUTORE

Mi hanno raccontato checriticando quel genere letterario che sfrutta ipopoli esotici e saccheggia lontani

paesiall'ombra di palmizinell'accecante riverbero di spiagge assolatefra gli onesti cannibali e i più smaliziati pionieri

delle nostre preclare virtùuna signora - che occupa un posto di spicco nelmondo letterario - ha sintetizzato la sua

disapprovazione dicendo che le storie che quel genere produce sono«incivili». E con questa sentenza non solo le storie

ma anchemi par di capirele genti straniere e i paesi lontani vengonodefinitivamente condannati con un verdetto di

sprezzante malevolenza.

Un giudizio di donna: intuitivoacutoespresso con felice eleganza -infallibile. Un giudizio che non ha nulla a

che fare con la giustizia. Il critico e il giudice sembrano pensare che inquelle terre lontane ogni gioia si riduca a un

grido e a una danza di guerraogni emozione a un ululato e a uno spaventososogghigno di denti limatie che la

soluzione di tutti i problemi si trovi sulla canna di una pistola o sullapunta di una zagaglia. Eppure non è così. Ma il

magistrato che sbaglia può invocare a suo discarico la natura fuorviantedelle prove.

Lo scenario della vitalà come qua da noiè disegnato con la stessa curadei particolariè colorato con le stesse

tinte. Solo che nella crudele serenità del cielosotto la luminositàspietata del solel'occhio abbagliato perde il

particolare delicatovede solo i contorni marcatimentre i coloriinquella luce fortesembrano crudi e senza ombre.

Ma lo scenario è pur sempre lo stesso.

E c'è un legame fra noi e quelle genti tanto lontane. Parlo qui di uomini edi donne - non degli spettri seducenti

e aggraziati che qua si aggirano nel fango e nel fumo e che risplendono dellaluce chiara di tutte le nostre virtù; che

possiedono ogni raffinatezzaogni sensibilitàogni saggezza - ma cheessendo solo spettrinon hanno un cuore.

Le simpatie di costoro vanno (probabilmente) agli immortali: agli angeli inalto e ai demoni in basso. Io mi

accontento di simpatizzare con i comuni mortaliovunque essi vivano: in caseo in tendenelle strade nebbiose o fra le

foreste dietro la scura linea di tetre mangrovie che bordano la vastasolitudine del mare. Perché la loro terra - come la

nostra - sta sotto gli occhi imperscrutabili dell'Altissimo. I loro cuori -come i nostri - devono sopportare il peso dei doni

del cielo: la maledizione dei fatti e la gioia delle illusionil'amarezzadel nostro giudizio e l'illusoria consolazione della

nostra follia.

J. C.

1895

CAPITOLO I

«Kaspar! Makan!».

La voce penetrante e familiare scosse Almayer dal suo sogno di un luminosofuturo ripiombandolo nella

sgradevole realtà del presente. Anche quella voce era sgradevole. La sentivada tanti annie a ogni anno che passava gli

piaceva di meno. Pazienza; tutto questo sarebbe finito presto.

Irritatospostò i piedima non diede altro segno di avere udito ilrichiamo. Appoggiato con i gomiti alla

balaustra della verandacontinuò a fissare il grande fiume che scorreva -rapido e indifferente - davanti ai suoi occhi.

Gli piaceva guardarlo al tramonto: forse perché in quel momento il solecalante irradiava sulle acque del Pantai una

lucente patina d'oroe i pensieri di Almayer si concentravano spessosull'oro; l'oro che non era riuscito a procurarsi;

l'oro che gli altri si erano procurati - con metodi illecitinaturalmente -o l'oro che contava ancora di procurarsigrazie

ai propri sforzi onestiper sé e per Nina. Si perse nel suo sogno diricchezza e di poterelontano da questa costa dove

abitava da tanti annidimenticando le amarezze del lavoro e dei conflittinella visione di una grande e meravigliosa

ricompensa. Sarebbero andati a vivere in Europalui e sua figlia. Sarebberostati ricchi e stimati. Nessuno avrebbe

badato al sangue misto della ragazza di fronte alla sua grande bellezza eall'immensa ricchezza del padre. Testimone dei

trionfi della figliaanche lui sarebbe ringiovanitoavrebbe dimenticato iventicinque anni di lotta estenuante su quella

costa dove si sentiva come prigioniero. Adesso tutto questo era quasi aportata di mano. Se solo Dain fosse tornato! E

doveva tornare presto - nel suo stesso interesseper la sua parte. Avevagià una settimana di ritardo! Forse sarebbe

tornato quella sera.

Questi erano i pensieri di Almayer mentrein piedi sulla veranda della suacasa nuova ma già fatiscente -

l'ultimo fallimento della sua vita - osservava il grande fiume. Non c'era unapatina d'oro sulla sua superficie quella sera

perché le piogge lo avevano gonfiatoe la corrente fangosa tumultuava sottogli occhi distratti di Almayerportando

ramoscelli spezzati e grossi tronchi mortie interi alberi sradicati conrami e fogliefra cui l'acqua mulinava e

rumoreggiava rabbiosa.

Uno di questi alberi alla deriva si arenò sulla riva digradante propriovicino alla casae Almayertralasciando il

suo sognolo osservò con pigro interesse. L'albero si dondolavagirandolentamente su se stesso in mezzo al sibilo e

alla schiuma dell'acquae presto si liberò dagli ostacoli che lobloccavanocominciando di nuovo a scendere lungo la

correnterivoltandosi adagio e sollevando un lungo ramo spogliocome unamano alzata in muto appello al cielo controla brutale e inutile violenza delfiume. L'interesse di Almayer per il destino di quell'albero aumentòrapidamente. Si

sporse per vedere se avrebbe superato le secche più in basso. Ci riuscì; eallora Almayer si trasse indietropensando che

ora la discesa dell'albero sarebbe stata libera fino al maree invidiò lasorte di quella cosa inanimata che diventava

piccola e confusa nell'oscurità sempre più fitta. Quando lo persecompletamente di vistacominciò a chiedersi fin dove

sarebbe andato alla deriva sul mare. La corrente l'avrebbe portato a nord o asud? A sudprobabilmentefinché sarebbe

arrivato in vista di Celebeso fino a Macassarforse!

Macassar! L'immaginazione sbrigliata di Almayer sorpassò l'albero nel suoviaggio immaginarioma la

memoriacon un salto all'indietro di vent'anni o più nel tempoevocò unAlmayer giovane e snellotutto abbigliato di

bianco e dall'aria modestache sbarcava dal postale olandese sul molopolveroso di Macassargiunto a cercar fortuna

nei magazzini del vecchio Hudig. Era stato un momento importante della suavital'inizio di una nuova esistenza. Il

padreun piccolo impiegato dell'Orto Botanico di Buitenzorgera statoindubbiamente molto contento di sistemare il

figlio in una ditta del genere. E il giovanottoda parte suasi eramostrato tutt'altro che riluttante all'idea di lasciare le

malsane contrade di Giavae le scarne attrattive del bungalow familiaredove il padre brontolava tutto il giorno per la

stupidità dei giardinieri localie la madre dal profondo della sua poltronapiangeva le glorie perdute di Amsterdam

dove era cresciutae della posizione che vi godeva in quanto figlia di uncommerciante di sigari.

Almayer era partito da casa con il cuore leggero e le tasche ancor piùleggerebravo a parlare inglese e forte in

aritmetica; pronto a conquistare il mondosenza dubitare per un solo attimoche ci sarebbe riuscito.

A vent'anni di distanzafermo nella cappa soffocante di calore di una seradel BorneoAlmayer rievocava con

dolce rimpianto l'immagine dei magazzini freschi e spaziosi di Hudig con icorridoi lunghi e diritti di casse di gin e di

balle di tessuti; la grossa porta che oscillava senza far rumore; la penombradel luogocosì piacevole dopo la luce

abbagliante delle strade; i piccoli spazi recintati dove gli impiegaticinesiordinatiimpassibili e con gli occhi tristi

scrivevano rapidamente e in silenzio in mezzo al trambusto delle squadre deifacchini che rotolavano barili o

sollevavano casse al suono di un canto a mezza voce che terminava con un urlodisperato. All'estremità oppostadi

fronte alla grande portac'era uno spazio recintato più ampio e benilluminato; là i rumori erano attutiti dalla distanzae

su di essi si levava il tintinnio sommesso e continuo dei fiorini d'argentoche altri cinesi dall'aria riservata contavano e

ammucchiavano in pile ordinate sotto la supervisione del signor Vinckilcassiereil genio del luogo - il braccio destro

del Padrone.

In quello spazio vuoto Almayer lavorava al suo tavolo non lontano da unapiccola porta dipinta di verde

accanto alla quale stava sempre un malese con la cinta e il turbante rossicheregolare come una macchinatirava su e

giù con la mano una cordicella che pendeva dall'alto. La cordicella azionavaun punkah dall'altra parte della porta verde

nel cosiddetto ufficio privatodove il vecchio Hudig - il Padrone -troneggiavatenendo chiassose riunioni. A volte la

porticina si apriva di colpo rivelando al mondo esternoattraverso un aloneazzurrino di fumouna lunga tavola piena di

bottiglie di varie forme e di caraffe d'acquapoltrone di rattan sucui erano stravaccati uomini vociantimentre il

Padrone sporgeva fuori la testa eappoggiato alla manigliaborbottavaqualcosa di confidenziale a Vinck; a volte

tuonava un ordine fino in fondo al magazzinoo spiava l'arrivo di unforestiero esitante e lo accoglieva con un

amichevole ruggito: «BenvenutoGapitano! Ta tove venite? Balieh? Avetegavallini? Io voglio gavallini! Voglio tutto

quello che avete; ah! ah! ah! Entrate!». E il forestiero veniva trascinatodentrola porta si richiudeva in mezzo a una

tempesta di urlae il luogo veniva nuovamente invaso dai soliti rumoriilcanto dei facchiniil rotolio dei barililo

scricchiolio delle penne rapide; e su tutti gli altri si levava il tintinniomusicale delle grosse monete d'argento che

scorrevano senza sosta fra le dita gialle degli attenti cinesi.

A quel tempo Macassar pullulava di vita e di commerci. Era il luogo delleisole cui tendevano tutti quei

temerari chedopo aver armato una goletta sulla costa australianavenivanoa invadere l'arcipelago della Malesia in

cerca di soldi e di avventure. Audacispavaldiabili negli affariprontiad affrontare qualche scaramuccia con i pirati

che ancora infestavano le costesvelti nel far soldiavevano l'abitudine didarsi appuntamento nella baia per

commerciare e gozzovigliare. I mercanti olandesi li chiamavano gli ambulantiinglesi; alcuni di loro erano senza dubbio

gentiluomini per cui quel tipo di vita aveva un fascino; i più eranomarinai; e il re riconosciuto di tutti era Tom Lingard

colui che i malesionesti e disonestipacifici pescatori o disperatitagliagolericonoscevano come il RajahLautil re del

mare.

Almayer aveva sentito parlare di lui prima che fossero passati tre giorni dalsuo arrivo a Macassaraveva

sentito storie sulle sue coraggiose transazioni d'affarisui suoi amori eanche sui suoi scontri disperati con i pirati sulu

insieme al romantico racconto di una bambina trovata su un praho piratadal vittorioso Lingard quandodopo una lunga

battagliaaveva abbordato l'imbarcazione e ne aveva buttato a marel'equipaggio. Questa ragazzalo sapevano tuttiera

stata adottata da Lingardche la faceva educare in un convento a Giavaeche parlandone la definiva «mia figlia».

Aveva giurato solennemente di darla in sposa a un bianco prima di tornare inpatria e di lasciarle tutto il suo denaro. «E

il capitano Lingard ha una gran quantità di denaro»diceva solennemente ilsignor Vinckla testa piegata da un lato

«una gran quantità di denaro: più di Hudig!». E dopo una pausa - per dareil tempo ai suoi ascoltatori di riaversi dallo

stupore di un'affermazione tanto incredibile - sussurravaa titolo dispiegazione: «Sapeteha scoperto un fiume».

Era qui il punto! Aveva scoperto un fiume! Era questo a mettere il vecchioLingard tanto al di sopra della

moltitudine di avventurieri del mare che commerciavano con Hudig di giorno ebevevano champagnegiocavano a

cartecantavano canzonaccee amoreggiavano con le ragazze meticce sottol'ampia veranda dell'Hotel Sunda di sera. Su

quel fiumedi cui lui solo conosceva l'accessoLingard portava il propriocarico assortito composto di tessutigong di

ottonefucili e polvere da sparo. In quelle occasioni il brigantino Flashcomandato dal capitano in personasparivasenza far rumore dalla rada durante lanottementre i compagni di Lingard smaltivano nel sonno i postumi della sbornia

serale; prima di salire sulla navedel restoLingard - perfettamente sobrioper quanto avesse bevuto - li aveva visti

rotolare ubriachi sotto il tavolo. Molti cercarono di seguirlo per trovarequella terra ricca di guttaperca e rattanostriche

perlifere e nidi d'uccellicera e gommalaccama il piccolo Flash nonsi faceva superare da nessuna imbarcazione su

quelle acque. Alcuni di loro andarono a finire sui banchi di sabbia nascostie le barriere corallineperdendo tutti i loro

averi e a stento salvando la vita dalla morsa crudele di quel mare assolato esorridente; altri si scoraggiarono; e per molti

anni le isole verdi e apparentemente tranquille che sorvegliavano l'accessoalla terra promessa mantennero il loro

segreto con tutta la spietata serenità della natura tropicale. E cosìLingard andava e veniva per le sue spedizioni occulte

o palesidiventando un eroe agli occhi di Almayer per l'audacia e gli enormiprofitti delle sue impresefino ad apparire

agli occhi del giovane davvero un grand'uomo quando lo vedeva percorrere alunghi passi il magazzinoborbottando un

«Come va?» a Vincko salutando Hudigil Padronecon uno stentoreo«Salvevecchio pirata! Ancora vivo?»come

preliminare alle transazioni oltre la porticina verde. Spesso la seranelsilenzio del magazzino ormai desertoAlmayer

mettendo via le sue carte prima di uscire con il signor Vinck presso il qualeabitavasi fermava ad ascoltare il fracasso

di un'infuocata discussione nell'ufficio privatosentiva il brontolio sordoe monotono del Padronee le tonanti

interruzioni di Lingard - due mastini che si azzuffavano per un ossosucculento. Ma alle orecchie di Almayer sembrava

una disputa fra Titaniuna battaglia degli dei.

Dopo circa un anno Lingardche si era trovato spesso a contatto con Almayernel corso degli affaridimostrò

un'improvvisa eper gli osservatoripiuttosto inspiegabile simpatia neiconfronti del giovane. Ne cantava le lodi a notte

fonda bevendo con i suoi amici all'Hotel Sundae un bel mattino elettrizzòVinck dichiarando che doveva avere «quel

giovanotto per un trasporto speciale»: «Sarà una sorta di scrivano delcomandante. Metterà tutto nero su bianco al posto

mio». Hudig acconsentì. Almayercon la naturale aspirazione giovanile alcambiamentonon si fece pregare eraccolte

le sue poche cosepartì sul Flash per un lungo viaggio nel corso delquale il vecchio lupo di mare avrebbe dovuto

visitare quasi ogni isola dell'arcipelago. Scorrevano i mesie l'amicizia diLingard sembrava aumentare. Spesso

andando su e giù per il ponte con Almayerquando la lieve brezza notturnaimpregnata degli effluvi aromatici delle

isolespingeva dolcemente il brigantino sotto il cielo sereno escintillanteil vecchio marinaio apriva il cuore al suo

ascoltatore ammaliato. Parlava della vita passatadei pericoli cui erasfuggitodei grandi profitti nel suo commercio

delle nuove combinazioni che nel futuro avrebbero portato profitti ancorapiù grandi. Spesso aveva accennato alla figlia

la ragazza trovata nel praho pirataparlandone con una stranaostentazione di tenerezza paterna. «Deve essere una

ragazza grandeormai»diceva. «Presto saranno quattro anni da quando l'hovista l'ultima volta! Accidenti a me

Almayerse non arriviamo fino a Surabaya in questo viaggio». E dopo unadichiarazione di questo tenore scompariva

sempre nella sua cabina borbottando a mezza voce: «Bisogna fare qualcosabisogna fare qualcosa». Più di una volta

aveva sorpreso Almayeravvicinandosi a lui rapidamenteschiarendosi la golacon un poderoso «Ehm!»quasi fosse sul

punto di dire qualcosae poi allontanandosi di colpo per andare adaffacciarsi alla murata in silenzioad osservare

immobileper oreil luccichio e lo scintillio del mare fosforescente lungola fiancata della nave. Fu la sera prima di

arrivare a Surabaya che uno di questi tentativi di conversazioneconfidenziale andò a buon fine. Dopo essersi schiarito

la golaLingard parlò. Parlò con uno scopo ben preciso: voleva che Almayersposasse la sua figlia adottiva. «E non

recalcitrare perché sei bianco!»gridò d'improvvisosenza dare algiovane attonito il tempo di dire una parola. «Che

non senta una cosa del genere! Nessuno guarderà il colore della pelle di tuamoglie. Per quelloci sono troppi dollarite

lo dico io! E attenzionesaranno ancora di più prima che io muoia! SarannomilioniKaspar! Milionidico! Ed è tutto

per lei - e per tese farai quello che ti ho detto».

Colto alla sprovvista dalla proposta inattesaAlmayer esitòe rimase zittoper un minuto. Possedeva una

vigorosa immaginazionee in quel breve spazio di tempo videcome in unlampo di luce accecantegrandi pile di fiorini

lucentie pensò a tutte le possibilità che offriva una vita agiata. Ilrispetto degli altrila vita agiata e indolente per cui si

sentiva tanto portatole navii magazzinile mercanzie (il vecchio Lingardnon sarebbe vissuto per sempre)e a

coronamento di tutto nel lontano futuro brillava come un castello fatato ilgrande palazzo ad Amsterdamil paradiso

terrestre dei suoi sognidove - fatto re fra gli uomini dal denaro delvecchio Lingard - avrebbe trascorso il crepuscolo

dei suoi giorni in uno splendore indicibile. Quanto all'altro aspetto dellaproposta - l'unione per la vita con una ragazza

maleselascito di un'imbarcazione di pirati - c'era in lui soltanto unaconfusa consapevolezza di vergogna come uomo

bianco. Ma d'altra parteun'educazione in convento di quattro anni! - e poiforsea dio piacendosarebbe morta. Lui era

sempre stato fortunatoe il denaro può far molto! Andare fino in fondo.Perché no? Aveva una vaga idea di rinchiuderla

da qualche partequalsiasi partefuori dal suo luminoso avvenire. Eraabbastanza facile sbarazzarsi di una donna

maleseuna schiavain fin dei contiper la sua mentalità di uomo vissutoin Orienteconvento o non convento

matrimonio o non matrimonio.

Alzò la testa e affrontò il marinaioche appariva ansioso e irato al tempostesso.

«Io... naturalmente... tutto quello che voi desideratecapitano Lingard».

«Chiamami papàragazzo mio. Come fa lei»disse addolcendosi il vecchioavventuriero. «Ma dannazione

credevo proprio che volessi rifiutare. AttentoKaspario ottengo semprequello che voglioe quindi sarebbe stato

inutile. Ma tu non sei uno sciocco».

Ricordava bene quel momento - lo sguardoil tonole parolel'effetto cheavevano prodotto su di luitutto

quanto gli stava intorno. Ricordava lo stretto ponte inclinato delbrigantinola costa silenziosa e addormentatala piatta

superficie nera del mare con una grande striscia d'oro distesa dalla luna chesi stava levando. Ricordava tutto questoe

ricordava la sensazione di folle esultanza al pensiero della fortuna che gliveniva gettata fra le braccia. Non era unosciocco allorae non era uno scioccoadesso. Le circostanze erano state contro di lui; la fortuna era sparitama la

speranza rimaneva.

Rabbrividì nell'aria notturnae improvvisamente si rese conto dellaprofonda oscurità chedopo il tramonto del

soleera calata sul fiumecancellando le sagome sulla riva opposta. Solo ilfuoco dei rami secchi accesi contro la

palizzata intorno al recinto del Rajah illuminava a tratti i tronchi rugosidegli alberi circostantiproiettando una macchia

rossa luminosa verso il centro del fiumedove i pezzi di legno alla derivascorrevano via veloci verso il mare attraverso

le tenebre impenetrabili. Aveva la vaga sensazione di essere stato chiamatodalla moglie durante la sera. Per la cena

probabilmente. Ma un uomo intento a contemplare il fallimento del propriopassato all'alba di nuove speranze non può

avere fame solo perché il riso è pronto. Era ora di tornare a casacomunque; si stava facendo tardi.

Avanzò con prudenza sulle tavole instabili verso la scala a pioli. Unalucertoladisturbata dal rumoreemise un

suono lamentoso e corse via nell'erba alta che cresceva sull'argine. Almayerdiscese la scala adagioora riportato in

pieno alla vita reale dall'attenzione necessaria per evitare una caduta sulterreno accidentato dove le pietrele tavole

fatiscenti e le travi segate a metà erano ammassate in un'inestricabileconfusione. Mentre si dirigeva verso la casa dove

viveva - «la mia vecchia casa»era solito definirla - il suo orecchioindividuò uno sciacquio di pagaie provenire

dall'oscurità del fiume. Si fermò sul sentieroattento e sorpreso chequalcuno si trovasse sul fiume a quell'ora tarda e

con una piena simile. Ora poteva udire distintamente le pagaiee perfinoqualche rapida parola scambiata a mezza voce

il respiro pesante degli uomini che lottavano con la correntee abbordavanola riva dove lui si trovava. Erano

vicinissimima era troppo buio per riuscire a distinguere qualcosa sotto icespugli spioventi.

«Arabinon c'è dubbio»bofonchiò Almayer fra sé e sécercando disbirciare attraverso la fitta oscurità. «Cosa

staranno combinando? Qualche traffico di Abdullahche sia maledetto!».

La barca ora era molto vicina.

«Ehichi va là»gridò Almayer.

Il suono delle voci cessòma le pagaie continuarono a muoversifuriosamente. Poi il cespuglio davanti ad

Almayer si scossee il rumore secco delle pagaie che ricadevano nella canoarisuonò nella notte silenziosa. Si erano

afferrati al cespuglio ora; ma Almayer riusciva appena a distinguere l'oscuraforma indistinta della testa e delle spalle di

un uomo oltre l'argine.

«Sei tuAbdullah?»disse Almayer dubbioso.

Una voce grave rispose.

«Tuan Almayer parla con un amico. Non ci sono arabi qui».

Il cuore di Almayer diede un gran balzo.

«Dain!»esclamò. «Finalmente! Finalmente! Ti ho aspettato giorno enotte. Pensavo quasi che non saresti più

tornato».

«Nulla avrebbe potuto impedirmi di tornare qui»disse l'altroquasi conviolenza. «Neanche la morte»

sussurrò a se stesso.

«Questo è parlare da amicie va bene»disse Almayer calorosamente. «Masei troppo lontano lì. Vai al pontile

e lascia che i tuoi uomini si cuociano il riso nel mio campong mentrenoi parliamo in casa».

L'invito non ebbe risposta.

«Cosa c'è?»chiese Almayera disagio. «Spero che non sia successo nullaal brigantino».

«Il brigantino è in un luogo dove nessun Orang Blanda puòtoccarlo»disse Daincon un tono cupo che

Almayernella sua esaltazionenon avvertì.

«Bene»disse. «Ma dove sono tutti i tuoi uomini? Ne hai due soli conte».

«AscoltamiTuan Almayer»disse Dain. «Il sole di domani mi vedrànella tua casae allora parleremo. Ora

devo andare dal Rajah».

«Dal Rajah? Perché? Cosa vai a fare da Lakamba?».

«Tuandomani parleremo da amici. Stasera devo vedere Lakamba».

«Dainnon mi vorrai abbandonare proprio adesso che è tutto pronto?»chiese Almayer con un tono

supplichevole.

«Non vedi che sono tornato? Ma prima devo vedere Lakamba per il tuo e per ilmio bene».

La testa indistinta nel buio scomparve di colpo. Il cespuglioabbandonatodalla mano del prodierescattò

indietro con un sibilorovesciando una doccia d'acqua fangosa su Almayerche si era sporto in avanti nel tentativo di

vedere qualcosa.

Poco dopola canoa sfrecciò nella striscia di luce che il grande fuocoacceso sulla riva opposta proiettava sul

fiumerivelando la sagoma di due uomini piegati nell'atto di vogaree diuna terza figura a poppa che impugnava la

pagaia di governocon la testa coperta da un enorme cappello rotondocomeun bizzarro fungo di proporzioni

gigantesche.

Almayer rimase a osservare la canoa fino a quando ebbe superato la strisciadi luce. Poco dopo il mormorio di

molte voci gli giunse attraverso l'acqua. Vide le torce staccarsi dal falò eilluminare per un attimo il cancello nel recinto

presso cui gli uomini si ammassavano. Poi quelli entraronoe il fuocosmorzato emanò solo un bagliore soffuso e

intermittente.

Almayer si diresse verso casa a passi lunghi e con la mente agitata. Di certoDain non aveva intenzione di

tradirlo. Sarebbe stato assurdo. Dain e Lakamba avevano troppo interesse alsuccesso del suo progetto. Fidarsi dei

malesi era una brutta faccenda; ma in fondo perfino i malesi hanno un po' dibuon senso e capiscono qual è il lorointeresse. Tutto sarebbe andato bene -doveva andare bene. A questo punto delle sue meditazioni si trovò ai piedidella

scala che portava alla veranda di casa sua. Dalla bassa punta di terra dovesi trovavapoteva vedere entrambi i rami del

fiume. Il ramo principale del Pantai si perdeva nella più completaoscuritàperché il fuoco dal Rajah era ormai del tutto

spento; ma lungo il braccio di Sambir il suo sguardo poteva seguire la lungafila di case malesi che affollavano l'argine

e qua e là una luce fioca che baluginava attraverso le pareti di bambùouna torcia fumosa che bruciava sulle

piattaforme costruite sul fiume. Più in làdove l'isola terminava in unabassa scoglierasi elevava una massa scura di

edifici torreggianti sulle baracche malesi. Poggiati solidamente su unterreno compatto con abbondanza di spazio

rischiarati da molte luci forti e biancheche facevano supporre la presenzadi grandi lampade a petroliostavano la casa

e i magazzini di Abdullah bin Selimil grande commerciante di Sambir. PerAlmayer si trattava di una visione molto

sgradevolee agitò il pugno verso gli edifici che nella loro evidenteprosperità gli apparivano freddi e insolentie carichi

di disprezzo nei confronti della sua bassa condizione.

Salì lentamente i gradini di casa.

In mezzo alla veranda c'era un tavolo rotondo. Su di esso una lampada apetrolio senza paralume gettava una

luce cruda sui tre lati interni. Il quarto era apertoe guardava verso ilfiume. Fra i rozzi sostegni del tetto spiovente

pendevano lacere tende di rattan. Non c'era soffittoe il baglioreaccecante della lampada si sfumava in alto in una

morbida mezza luce che si perdeva nell'oscurità fra le travi del tetto. Ilmuro di fronte era diviso in due dall'apertura di

un passaggio centrale chiuso da una tenda rossa. La stanza delle donne siapriva su quel passaggioche portava al cortile

posteriore e alla baracca della cucina. Su uno dei muri laterali c'eraun'altra porta. Alcune parole mezzo cancellate -

«Ufficio: Lingard e soci» - si potevano ancora leggere sull'usciopolverosoche dava l'idea di non essere stato aperto da

molto tempo. Accanto all'altra parete lateralec'era una sedia a dondolo dilegno ricurvoe vicino al tavolo e in giro per

la veranda erano sistemate a caso quattro sedie di legnoche parevanovergognarsi per lo squallore in cui erano capitate.

In un angolo era buttato un mucchio di rozze stuoie al di sopra delle qualiera sospesa diagonalmente un'amaca.

Nell'altro angolocon la testa fasciata in un pezzo di calicò rossodormivaraggomitolato in un mucchio informeun

maleseuno degli schiavi domestici di Almayer - «la mia gente»era solitochiamarli. Un numeroso e variegato

consesso di farfalle notturne stava facendo baldoria intorno alla lampadaalla musica briosa di saettanti zanzare. Sotto il

tetto di foglie di palma le lucertole correvano sulle travi lanciandosideboli richiami. Incatenata a uno dei sostegni della

verandauna scimmia - ritiratasi per la notte sotto la grondaia - sbirciavae faceva smorfie verso Almayerdondolandosi

a uno dei ramoscelli di bambù del tetto e provocando una pioggia di polveree frammenti di foglie secche sul vecchio

tavolo. Il pavimento era sconnessocon molte piante avvizzite e zolledisseccate di terra sparpagliate in giro.

Un'atmosfera di squallida trascuratezza pervadeva quel luogo. La lieve brezzadal fiume faceva ondeggiare piano le

logore tenderecando dai boschi della riva opposta un profumo sottile emalsano come di fiori appassiti.

Sotto i passi pesanti di Almayer le tavole della veranda scricchiolaronoforte. L'uomo addormentato

nell'angoloturbato nel suo sonnosi mosse borbottando parole indistinte.Dietro l'ingresso coperto dalla tenda ci fu un

lieve fruscioe una voce chiese piano in malese: «Sei tupapà?».

«SìNina. Ho fame. In casa dormono tutti?».

Almayer parlò con tono allegro e si lasciò cadere con un sospiro disoddisfazione sulla sedia più vicina al

tavolo. Nina Almayer uscì dalla tenda che chiudeva il passaggioseguita dauna vecchia maleseche subito posò sul

tavolo un piatto di riso e pesceuna brocca d'acquae una bottiglia di ginpiena a metà. Dopo avere sistemato con cura

davanti al padrone un bicchiere incrinato e un cucchiaio di stagnosiritirò senza far rumore. Nina rimase in piedi

accanto al tavolocon una mano appoggiata lievemente al bordomentrel'altra le ricadeva molle sul fianco. Il viso

rivolto verso l'oscurità esternaattraverso la quale i suoi occhi sognantiparevano scorgere qualche visione ammaliante

aveva un'espressione di ansiosa attesa. Era alta per una meticciae aveva ilprofilo regolare del padremodificato e

rafforzato dalle linee squadrate della parte inferiore del volto ereditatedagli antenati materni - i pirati sulu. La bocca

fermacon le labbra socchiuse che svelavano il bagliore dei denti candidiimprimeva una vaga idea di ferocia

all'espressione inquieta dei suoi lineamenti. Al tempo stesso i suoi occhiscuri e bellissimi avevano tutta la morbida

dolcezza comune alle donne malesima con un bagliore di intelligenzasuperiore; avevano un'espressione graveed

erano aperti e fissiquasi si trovassero davanti qualcosa che era invisibileagli altri occhimentre la ragazza restava

ferma in piedi tutta vestita di biancodiritta e flessuosaaggraziata edimentica di sécon la fronte bassa ma ampia

incoronata da una massa lucente di lunghi capelli neri che le ricadevano intrecce pesanti sulle spallee rendevano la sua

carnagione chiara e olivastra ancora più pallida nel contrasto con la lorotinta nerissima.

Almayer attaccò il suo riso avidamentema dopo qualche boccone si fermòcon il cucchiaio in manoe guardò

la figlia in modo curioso.

«Hai sentito passare una barca circa mezz'ora faNina?»chiese.

La ragazza gli lanciò un rapido sguardoe allontanandosi dalla luce volsele spalle al tavolo.

«No»disse lentamente.

«C'era una barca. Finalmente! Era proprio Dain; e ora è andato da Lakamba.Lo soperché è stato lui a

dirmelo. Gli ho parlatoma non è voluto venir dentro stasera. Verràdomaniha detto».

Inghiottì un'altra cucchiaiatapoi disse: «Sono quasi felice staseraNina. Riesco a vedere il termine di una

lunga stradauna strada che ci porterà via da questo schifoso pantano. Cene andremo via presto di quitu e iomia

piccola carae allora...».

Si alzò da tavola e rimase fermo in piedi a guardare davanti a sé quasistesse contemplando qualche visione

incantevole.«E allora»continuò«saremo felicitu e io. Vivremo ricchie stimati lontano di quie dimenticheremo questa

vitae tutte queste lottee tutta questa infelicità!».

Si avvicinò alla figlia e le fece una carezza sui capelli.

«È brutto doversi fidare di un malese»disse«ma devo riconoscere chequesto Dain è un perfetto gentiluomo -

un perfetto gentiluomo»ripeté.

«Gli hai chiesto di venire quipapà?»domandò la figlia senzaguardarlo.

«Behnaturalmente. Partiremo dopodomani»disse Almayer allegramente.«Non dobbiamo perder tempo. Sei

contentabambina mia?».

Era quasi alta come luima gli piaceva ricordare quando era piccola e lorodue erano tutto l'uno per l'altra.

«Sono contenta»disse la ragazza a voce molto bassa.

«Naturalmente»disse Almayer animandosi«non puoi immaginare quello cheti aspetta. Io stesso non sono

mai stato in Europama ne ho sentito parlare tanto spesso da mia madre chemi sembra di sapere già tutto. Faremo una...

una vita alla grande. Vedrai».

Di nuovo restò silenzioso accanto alla figlia tutto preso da quella visionedi sogno. Dopo un po' scosse la mano

stretta a pugno verso il recinto addormentato.

«Ah! caro il mio Abdullah»gridò«vedremo chi avrà la meglio dopotutti questi anni!».

Guardò su verso il fiume e osservò con voce tranquilla: «Un altrotemporale. Beh! Nessun tuono riuscirà a

tenermi sveglio stanottelo so già! Buona nottepiccola»sussurròbaciandole teneramente la guancia. «Non sembri

molto felice staserama domani avrai una faccia più allegra. Eh?».

Nina aveva ascoltato il padreimpassibilecon gli occhi semichiusi ancorafissi a scrutare nella notte resa ora

ancora più scura da un fosca nuvola temporalesca che era scivolata giùdalle collinecancellando le stellee assorbendo

cieloforesta e fiume in un'unica massa di un nero quasi palpabile. La lievebrezza era cessatama il rombo lontano del

tuono e i chiari bagliori del fulmine preannunciavano una tempesta in arrivo.Con un sospiro la ragazza si girò verso la

tavola.

Almayer era adesso nella sua amacagià semiaddormentato.

«Prendi la lampadaNina»bofonchiò con voce insonnolita. «Questo postoè pieno di zanzare. Vai a dormire

figliola».

Ma Nina spense la lampada e si voltò di nuovo verso la balaustra dellaverandarestando in piedi con il braccio

intorno al sostegno di legno e lo sguardo ansioso rivolto verso il ramo delPantai. E immobile laggiù nella calma

oppressiva della notte tropicale la ragazza poteva vedere ad ogni lampo laforesta che costeggiava entrambe le rive

lungo il fiume piegarsi sotto le furiose raffiche della tempesta in arrivoil braccio superiore del fiume trasformarsi in

bianca schiuma sotto le sferzate del ventoe le nuvole nere lacerarsi informe fantastiche che si trascinavano basse sugli

alberi ondeggianti. Intorno a lei tutto era ancora quietema la ragazzapoteva sentire il fragore del ventoil sibilo della

pioggia battentelo sciacquio delle onde sul fiume tormentato. Veniva semprepiù vicinocon i bassi scoppi del tuono e

i lunghi bagliori del fulmineseguiti da brevi attimi di tenebre spaventose.Quando la tempesta raggiunse la bassa punta

che divideva il fiumela casa si scosse nel ventoe la pioggia picchiòforte sul tetto di foglie di palma. Il tuono si fece

sentire con un unico rombo prolungatoe i lampi incessanti svelarono unturbinio di acque agitateche portavano interi

tronchie i grossi alberi che si piegavano sotto una forza brutale eimplacabile.

Indisturbato dal consueto arrivo notturno del monsoneil padre dormivatranquillodimentico insieme delle sue

speranze e delle sue disgraziedei suoi amicie dei suoi nemici; e lafiglia rimaneva immobilea scrutare ansiosa ad

ogni bagliore del fulmine l'ampio fiume con uno sguardo fisso e preoccupato.

CAPITOLO II

Quandoin conformità alla brusca richiesta di LingardAlmayer avevaacconsentito a sposare la ragazza

malesenessuno sapeva che il giorno in cui la giovane e attraente convertitaaveva perso tutta la sua famiglia naturale e

aveva trovato un padre biancola fanciulla aveva combattuto disperatamentecome tutti gli altri a bordo del prahoe a

trattenerla dal saltare in mare insieme ai pochi superstiti era stata solouna grave ferita alla gamba. Làsulla pruain

copertail vecchio Lingard l'aveva trovata sotto un mucchio di pirati mortio morentie l'aveva fatta trasportare sul

ponte di poppa del Flash prima che l'imbarcazione malese venisseincendiata e abbandonata alla deriva. La ragazza non

aveva perso conoscenzae nella grande pace immobile della sera tropicale cheaveva seguito il tumulto della battaglia

osservò tutto quello chealla sua selvaggia manieraaveva di caro sullaterra sparire nell'oscurità in un crepitio di

fiamme e fumo. Giaceva lìincurante delle mani premurose che le curavano laferitasilenziosa e concentrata nella

contemplazione del rogo funebre di quegli uomini audaci che aveva tantoammirato e aiutato nel loro combattimento

con il temibile Rajah-Laut.

La lieve brezza notturna sospingeva dolcemente il brigantino verso sude ilgrande alone di luce diventava

sempre più piccolo fino a quando parve solo baluginare all'orizzonte comeuna stella al tramonto. Tramontò: la pesante

cortina di fumo rifletté per qualche tempo il bagliore delle fiamme nascostee poi anch'essa scomparve.La ragazza intuì che con lo svanire di questa luceanche la sua vecchia vita finiva. Davanti a lei c'era la

schiavitù in terre lontanein mezzo a stranieriin un ambiente ignoto eforse spaventoso. C'era in lei il terrore

dell'ignoto; accettava però la sua condizione con calmasecondo l'indoledella sua gentee considerandola anzi quasi

naturale; non era in fondo una figlia di guerriericonquistata in battagliae non apparteneva a buon diritto al vittorioso

Rajah? Anche la manifesta gentilezza del terribile vecchio doveva sgorgarepensava la ragazzada un'ammirazione per

la sua prigioniera e la vanità lusingata leniva in lei la sofferenza dopouna tale tremenda sciagura. Forsese avesse

saputo degli alti muridei tranquilli giardinie delle suore silenziose delconvento di Samarangdove il destino la stava

portandonel suo terrore e nel suo odio per una simile reclusione avrebbecercato la morte. Ma nella fantasia lei si

figurava la vita abituale di una ragazza malese - il consueto succedersi dipesanti lavori e di amori focosidi intrighi

ornamenti d'orofatiche domestichee di quella grande ma occulta influenzache è uno dei pochi diritti delle donne allo

stato semiselvaggio. Ma il suo destino fra le ruvide mani del vecchio lupo dimarespinto da irragionevoli impulsi del

cuoreassunse un aspetto inatteso e per lei terribile. Sopportò tutto - lareclusione e l'istruzione e la nuova fede - con

calma sottomissionecelando il proprio odio e disprezzo per quella nuovavita. Imparò con grande facilità la linguama

capì ben poco della nuova fede che le buone suore le insegnavanoassimilando rapidamente soltanto gli elementi

superstiziosi della religione. Chiamava Lingard papàcon tono dolce egentilead ognuna delle sue visite brevi e

rumorosecon l'evidente impressione che l'uomo rappresentasse una potenzagrande e pericolosa che era bene

propiziarsi. Non era forse adesso il suo padrone? E durante quei quattrolunghi anni la ragazza nutrì la speranza di

trovar favore ai suoi occhi e di diventare quindi sua moglieconsigliera eguida.

Quei sogni sul futuro vennero infranti dalla disposizione del Rajah-Lautche doveva faresecondo le ingenue

speranze del giovanela fortuna di Almayer. E abbigliata con gli odiosifronzoli europeila giovane convertita si ritrovò

davanti all'altare con un uomo bianco sconosciuto e dall'aspettoinsoddisfatto. Almayer si sentiva infatti inquieto

lievemente disgustatoe spinto da un gran desiderio di fuggire. Unragionevole timore del suocero adottivo e una giusta

considerazione per il suo proprio benessere materiale lo trattennero dal fareuno scandalo; purenel momento in cui

stava giurando fedeltà eternaconcepiva piani per sbarazzarsi dellagraziosa ragazza malese in un futuro più o meno

lontano. La fanciullacomunqueaveva appreso abbastanza dall'educazionericevuta in convento da capire bene che in

base alle leggi dei bianchi lei sarebbe stata la compagna di Almayer e non lasua schiavae si ripromise di agire di

conseguenza.

Così quando il Flashcarico dei materiali necessari per costruireuna nuova casasalpò dal porto di Batavia

portando con sé la giovane coppia diretta all'ignoto Borneoil brigantinonon portava a bordo tutto quell'amore e quella

felicità che il vecchio Lingard era solito vantare di fronte ai suoioccasionali amici sulle verande di svariati alberghi. Il

vecchio lupo di mareda parte suaera perfettamente felice. Ora avevacompiuto il suo dovere nei confronti della

ragazza. «Voi sapete che sono stato io a farne un'orfana»concludevaspesso solennementequando raccontava le

proprie vicende davanti a un eterogeneo pubblico di fannulloni - come era suaconsuetudine. E le grida di approvazione

degli ascoltatori mezzo sbronzi riempivano il suo animo semplice di gioia edi orgoglio. «Io vado sempre fino in

fondo»era un'altra sua frase ricorrentee in ossequio a questo principioseguiva la costruzione della casa e dei

magazzini sul fiume Pantai con febbrile precipitazione: la casa per lagiovane coppia; i magazzini per l'imponente

commercio che Almayer avrebbe sviluppato mentre lui (Lingard) si sarebbepotuto dedicare a un certo misterioso

lavoro di cui si parlava solo per cenni ma che doveva avere a che fare conl'oro e i diamanti all'interno dell'isola. Anche

Almayer era impaziente. Avesse saputo cosa lo attendeva non sarebbe forsestato tanto fremente e speranzoso mentre

osservava l'ultima canoa della spedizione di Lingard scomparire su oltrel'ansa del fiume. Quandogirandosiil suo

sguardo abbracciò la graziosa casettai grandi magazzini costruiti con curada un esercito di carpentieri cinesiil nuovo

pontile intorno al quale si affollavano le canoe per il trasporto dellemerciprovò un improvviso senso di esultanza al

pensiero che il mondo era suo.

Ma il mondo doveva prima di tutto essere conquistatoe la sua conquista nonera facile come aveva pensato.

Ben presto gli fu fatto capire che la sua presenza non era gradita inquell'angolo di mondo dove il vecchio Lingard e la

propria debole volontà lo avevano collocatoin mezzo a oscuri intrighi e auna feroce competizione. Gli arabi avevano

scoperto il fiume e impiantato una stazione commerciale a Sambire dovesvolgevano la loro attivitàintendevano

essere i primi e non sopportavano alcun concorrente. Lingard ritornò dallaprima spedizione a mani vuotee ripartì

spendendo tutti i profitti ricavati dal commercio legittimo nei suoi viaggimisteriosi. Almayer lottava contro le avversità

della propria posizionesenza amici e senza aiutisalvo la protezioneaccordatagli in nome di Lingard dal vecchio

Rajahil predecessore di Lakamba. Quanto a Lakambache viveva allora daprivato cittadino in una risaiasette miglia

a valle lungo il fiumeesercitava tutta la propria influenza in aiuto deinemici del biancotramando contro il vecchio

Rajah e Almayer con una sicurezza di comportamento che indicava senza ombradi dubbio una conoscenza

approfondita dei loro affari più segreti. Amichevole all'apparenzala suasagoma corpulenta si poteva vedere spesso

sulla veranda di Almayer; il suo turbante verde e la giubba ricamata d'ororilucevano in prima fila nel dignitoso gruppo

di malesi che venivano a porgere i propri saluti a Lingard quando tornavadall'interno; i suoi inchini erano fra i più

profondie le sue strette di mano fra le più cordialiquando dava ilproprio benvenuto al vecchio trafficante. Ma i suoi

piccoli occhi coglievano i segni dei tempie si allontanava da questiincontri con un sorriso furtivo e soddisfatto per

andare a intrattenersi in lunghe consultazioni con il proprio amico ealleatoSyed Abdullahil capo della stazione

commerciale arabauomo di grandi mezzi e di grande influenza sulle isole.

Era opinione corrente a quell'epoca fra gli abitanti del villaggio che levisite di Lakamba alla casa di Almayer

non si limitassero a quegli incontri ufficiali. Spesso nelle notti di lunagli ultimi pescatori di Sambir vedevano unapiccola canoa sfrecciare dallostretto canale sul retro della casa del biancoe il suo solitario occupantevogare cauto

lungo il fiume nell'ombra profonda della riva; e quei fattidebitamenteriferitivenivano discussi fino a notte fonda

intorno al fuoco con il cinismo d'espressione tipico dei malesi. Almayercontinuava a lottare disperatamentema con

una mancanza di determinazione che gli toglieva qualsiasi probabilità disuccesso contro uomini così risoluti e privi di

scrupoli come i suoi concorrenti arabi. I commerci si allontanarono da queglispaziosi magazzinie i magazzini stessi

cominciarono ad andare a pezzi. Il banchiere del vecchioHudig di Macassarfallìe con questo sparì tutto il capitale a

disposizione. I profitti degli anni precedenti erano stati risucchiati dallasmania di esplorazioni di Lingard. Lingard era

nell'interno - forse morto - e comunque non dava segni di vita. Almayerrestò solo in mezzo a queste circostanze

avversetraendo qualche consolazione soltanto dalla compagnia della suabambinanata due anni dopo il matrimonioe

che a quell'epoca aveva circa sei anni. La moglie aveva cominciato presto atrattarlo con un selvaggio disprezzo che si

esprimeva in un silenzio imbronciatosolo occasionalmente interrotto da unprofluvio di furiose invettive. Almayer

sentiva che la donna lo detestavae notava i suoi occhi colmi di gelosia cheguardavano lui e la bambina con

un'espressione prossima all'odio. Era gelosa dell'evidente preferenza dellapiccola per il padree Almayer sentiva che

non era al sicuro con quella donna in casa. Mentre la moglie bruciava imobilie stracciava le graziose tendine nel suo

irragionevole odio contro quei segni di civiltàAlmayerintimorito daquelle esplosioni di una natura selvaggia

meditava in silenzio sul modo migliore per sbarazzarsi di lei. Nontralasciava nessun sistema: arrivò anche a progettare

un omicidio nel suo modo indeciso e incertoma non osò far nulla -aspettando ogni giorno il ritorno di Lingard con

l'annuncio di qualche immensa fortuna. E Lingard tornòma invecchiatomalatoun fantasma di se stessocon il fuoco

della febbre che gli bruciava negli occhi infossatiquasi l'unicosopravvissuto della numerosa spedizione. Ma

finalmente aveva avuto successo! Ricchezze indicibili erano a portata dimano; voleva altro denaro - solo ancora poco

denaro per realizzare il sogno di una fortuna favolosa. E Hudig era fallito!Almayer racimolò tutto quello che potéma il

vecchio voleva di più. Se Almayer non riusciva a procurarlosarebbe andatoa Singapore - o addirittura in Europama a

Singapore innanzi tuttoe avrebbe portato la piccola Nina con sé. Labambina doveva essere allevata decentemente.

Aveva buoni amici a Singapore che si sarebbero presi cura di lei e leavrebbero impartito una buona educazione. Tutto

sarebbe andato per il meglioe quella ragazzasu cui il vecchio lupo dimare aveva trasferito tutto l'affetto che aveva

nutrito in precedenza per la madresarebbe stata la donna più riccad'Oriente - o forse del mondo. Così il vecchio

Lingard gridavaandando su e giù per la veranda con il suo pesante passo damarinaiogesticolando con un sigaro

fumante in manostracciatoscarmigliatoentusiasta; e Almayerrannicchiato su una pila di stuoiepensava con terrore

alla separazione dall'unico essere umano che amasse - e con un terrore ancorapiù grandeforsealla scenata con sua

mogliela tigre selvaggia privata della prole. Mi avveleneràpensava ilpover'uomoperfettamente consapevole di quel

sistema semplice e definitivo per risolvere i problemi socialipolitici ofamiliari nella vita malese.

Con sua grande sorpresa la moglie accolse la notizia molto tranquillamentelimitandosi a gettare a lui e a

Lingard uno sguardo furtivosenza dire una parola. Questo però non leimpedì il giorno successivo di saltare nel fiume

e di nuotare dietro alla barca in cui Lingard stava portando via la bambinaiacon la piccola urlante. Almayer dovette

darle la caccia con la baleniera e trascinarla a bordo per i capelli in undiluvio di grida e di maledizioni da far venire giù

il cielo. Eppure dopo due giorni trascorsi a gemeretornò al suo solitomodo di vitamasticando betel e rimanendo

seduta tutto il giorno fra le sue donne in uno stato di ozio istupidito. Daallora invecchiò molto rapidamentee si

scuoteva dalla sua apatia solo per sottolineare con un'osservazione sferzanteo un'esclamazione di insulto l'accidentale

presenza del marito. Almayer aveva fatto costruire per lei all'interno delrecinto una capanna lungo il fiume dove la

donna viveva nel più completo isolamento. Le visite di Lakamba si eranointerrotte quandoper l'opportuna volontà

della Provvidenzail vecchio governante di Sambir aveva lasciato questomondo. Lakamba regnava adesso al suo posto

dopo essere stato appoggiato dai suoi amici arabi nei confronti delleautorità olandesi. Syed Abdullah era il signore e

mercante del Pantai. Almayer si ritrovava rovinato e indifeso sotto la fittatrama dei loro intrighie doveva la vita solo

alla sua presunta conoscenza del prezioso segreto di Lingard. Lingard erascomparso. Aveva scritto una volta da

Singapore dicendo che la bambina stava beneed era stata affidata alle curedi una certa signora Vincke che lui stava

per andare in Europa a raccogliere denaro per la grande impresa. Sarebbetornato presto e non ci sarebbero state

difficoltàscriveva; la gente avrebbe fatto a gara per dargli il denaro.Evidentemente questo non accaddeperché arrivò

solo un'altra sua letterain cui diceva di essere malatoche non avevatrovato nessun parente in vitae poco di più. Poi

calò un completo silenzio. A quanto pare l'Europa aveva inghiottito il Rajah-Laute Almayer scrutava invano verso

occidente in attesa che un raggio di luce rischiarasse le tenebre delle suesperanze infrante. Gli anni trascorseroe le rare

lettere della signora Vincke in seguito della ragazza stessarimasero leuniche cose che potessero rendere la vita

sopportabile nella trionfante brutalità del fiume. Almayer viveva soloadessoe aveva perfino smesso di andare a trovare

i debitori insolventisicuri della protezione di Lakamba. Il fedelesumatrese Alì gli cuoceva il riso e gli preparava il

caffèperché Almayer non osava fidarsi di nessun altroe meno di tutti disua moglie. Ammazzava il tempo vagando

tristemente lungo i sentieri incolti intorno alla casavisitando i magazziniin rovina dove alcuni fucili d'ottone coperti di

verderame e qualche cassa tutta rotta di tessuti a brandelli gli ricordavanoi bei vecchi tempi quando lì tutto era pieno di

vita e di mercanziee lui sovrintendeva a quel movimento sull'argine delfiumecon la figlia ancora piccola accanto a

sé. Adesso le canoe che provenivano dall'interno scivolavano via oltre ilpiccolo pontile cadente di Lingard & Co. per

risalire il braccio del Pantai e andare ad affollarsi intorno al nuovo molodi proprietà di Abdullah. Non che preferissero

Abdullahma non osavano avere rapporti commerciali con l'uomo la cui stellaera tramontata. Se lo avessero fatto

sapevano che non ci sarebbe stata nessuna indulgenza da parte dell'arabo odel Rajah: niente riso a credito nei periodi di

carestia da nessuno dei due; e Almayer non avrebbe potuto aiutarlidato chea volte aveva appena il necessario per sé.Almayernel suo isolamento e nellasua disperazionespesso si trovava ad invidiare il proprio vicino cineseJim-Eng

che poteva vedere sdraiato su una pila di stuoie frescheun cuscino di legnosotto la testauna pipa d'oppio fra le dita

molli. Almayer non cercò tuttavia consolazione nell'oppio - forse era troppocaro - forse il suo orgoglio di bianco lo

salvò da questa degradazione; ma più probabilmente fu il pensiero dellafiglia piccola nella lontana colonia dello

Stretto. Aveva sue notizie più di frequente da quando Abdullah avevacomprato un piroscafoche faceva ora la spola fra

Singapore e il villaggio sul Pantai ogni tre mesi o giù di lì. Almayer sisentiva più vicino alla figlia. Desiderava

ardentemente rivederlae progettò anzi un viaggio a Singaporema continuòa rinviare la partenza di anno in anno

sempre sperando in un voltafaccia favorevole della fortuna. Non volevaincontrarla a mani vuotee senza parole di

speranza sulle labbra. Non poteva riportarla a quella vita selvaggia cui luistesso era condannato. E ne aveva anche una

certa paura. Cosa avrebbe pensato di lui? Contava gli anni. Una donna adulta.Una donna educatagiovane e piena di

speranze; mentre lui si sentiva vecchio e sfiduciatoe sempre più simile aquei selvaggi che lo circondavano. Si

chiedeva quale sarebbe stato l'avvenire della figlia. A questo non sapevarisponderee non se la sentiva di affrontarla.

Ma al tempo stesso sognava di rivederla. Esitò per anni.

A questa esitazione mise fine l'inattesa apparizione di Nina a Sambir.Arrivò con il piroscafoaffidata alle cure

del capitano. Almayer la contemplò con una sorpresa mista a meraviglia.Durante quei dieci anni la bambina si era

trasformata in una donnacon i capelli neri e la pelle olivastrauna donnaalta e bellacon grandi occhi tristi nei quali

l'espressione attonita comune alle donne malesi veniva corretta da un toccodi riflessività ereditato dagli antenati

europei. Almayer pensò con costernazione all'incontro fra la moglie e lafigliaa quello che questa seria ragazza in abiti

europei avrebbe pensato della madre che masticava di continuo il betel e siaccucciava in una buia capannadisordinata

seminudae immusonita. Temeva anche uno scoppio d'ira da parte di quelladonna pestifera che fino ad allora era

riuscito a mantenere ragionevolmente tranquillasalvando così gli ultimiresti di un mobilio in rovina. Rimase quindi là

davanti alla porta chiusa della capanna nell'accecante luce del soleascoltando il mormorio delle vocie chiedendosi

cosa accadeva dentro quella stanzadalla quale fin dall'inizio dell'incontroerano state allontanate tutte le serve che ora

si affollavano nei pressi della palizzatacon il volto semicopertoin unchiacchiericcio di incuriosite congetture.

Dimenticò perfino di essere là cercando di cogliere una parola attraversole pareti di bambùfino a quando il capitano

del piroscafoche aveva accompagnato a casa la ragazzatemendo un colpo disolelo prese sottobraccio e lo condusse

all'ombra della verandadove già si trovava il baule di Ninaportato aterra dagli uomini dell'imbarcazione. Non appena

il capitano Ford ebbe davanti il suo bicchiere e si fu acceso un sigaroAlmayer chiese spiegazioni per l'inatteso arrivo

della figlia. Ford disse pocoe si limitò a scagliarsi in termini vaghi mavibranti contro la stupidità delle donne in

generalee della signora Vinck in particolare.

«SaiKaspar»disse in conclusione al turbato Almayer «è terribilmenteimbarazzante tenere una ragazza

meticcia in casa. Ci sono tanti sciocchi in giro. C'era quel giovanotto dellabanca che aveva preso l'abitudine di

comparire alla villetta dei Vinck a tutte le ore. La vecchia pensava chefosse per la sua Emma. Quando ha scoperto

quello che lui voleva in realtàc'è stato un gran litigiote lo dico io.Lei non ha voluto tenere Ninaneanche un'ora di

piùin casa sua. Sta di fatto che io ho sentito di questa storiae hoportato la ragazza da mia moglie. Mia moglie è una

donna bravissima - per quello che possono esserlo le donne - e parola miaavremmo tenuto la ragazza per tema è stata

lei a non voler rimanere. Orapensa un po'! Non ti scaldareKaspar. Restaseduto tranquillo. Cosa puoi farci? È meglio

così. Lascia che rimanga con te. Non è mai stata felice laggiù. Quelle dueragazze Vinck non sono altro che scimmie

calzate e vestite. La umiliavano. Non puoi farne una bianca. Non serveprendersela con me. Non puoi. Lei è una brava

ragazzanon c'è che direma con mia moglie non ha voluto parlare. Se vuoisapere come stanno le cosechiediglielo tu

stesso; ma fossi in tela lascerei sola. Non ti preoccupare per i soldidella traversatavecchio miose ora sei a corto». E

il capitano buttò via il sigaro e uscì «per andare a dar la sveglia aquelli a bordo»per dirla con le sue parole.

Almayer attese invano di sapere le cause del ritorno della figlia dalla boccadella ragazza. Né quel giornoné

nessun altro giorno lei fece mai allusione alla sua vita a Singapore. EAlmayer non volle chiederglielointimorito dalla

calma impassibilità del suo voltoda quegli occhi solenni che guardavanooltre il padre verso le grandi foreste immobili

addormentate nel loro regale riposo al mormorio del grande fiume. Accettòquesta situazionefelice per l'affetto gentile

e protettivo che la fanciulla gli mostravasia pure in modo irregolareperché aveva quelli che lui definiva i giorni storti

quando andava a trovare la madre e rimaneva lunghe ore nella capanna accantoal fiumeuscendone poi imperscrutabile

come semprema con un'aria sprezzante e una risposta tagliente a qualsiasicosa lui dicesse. Si abituò anche a questoe

in quei giorni non apriva boccasebbene fosse molto allarmato perl'influenza della moglie sulla ragazza. Per il resto

Nina si adattò a meraviglia alle condizioni di una vita povera esemiselvaggia. Accettò senza domande o apparente

disgusto la trascuratezzail disfacimentola miseria della casal'assenzadi mobilie la preponderanza del riso sulla

tavola familiare. Viveva con Almayer nella piccola casa (ora tristemente inrovina) costruita in origine da Lingard per la

giovane coppia. I malesi discussero accanitamente del suo arrivo. Ci furonoall'inizio affollate sedute di donne malesi

con i loro bambiniche chiedevano affannosamente ubat per tutti imali della carne alla giovane mem Putih. Con il

fresco della seraarabi compunti in lunghe sottane bianche e giacchettegialle senza maniche percorrevano lenti il

polveroso sentiero lungo il fiume che conduceva al cancello di Almayere siintrattenevano in solenni visite a

quell'Infedele con futili pretesti d'affari solo per dare un'occhiata allaragazza mantenendo il loro decoro. Perfino

Lakamba uscì dal suo recinto con una gran pompa di canoe da guerra e diombrelli rossie sbarcò sul piccolo pontile in

rovina della Lingard & Co. Venivadisseper comprare un paio dicannoncini d'ottone da regalare al suo amicoil capo

dei daiacchi di Sambir; e mentre Almayersospettoso ma educatosi dava dafare per scovare i vecchi cannoncini nel

magazzinoil Rajah rimase seduto in una poltrona sulla veranda circondatodal suo seguito ossequioso aspettandoinvano l'apparizione di Nina. La ragazzaera in uno dei suoi giorni stortie rimase nella capanna della madre osservando

insieme a lei la solenne riunione sulla veranda. Il Rajah ripartìdeluso macortesee presto Almayer cominciò a

raccogliere i benefici di questo miglioramento dei rapporti con il governanterecuperando alcuni debitiche gli vennero

pagati fra mille scuse e salamelecchi da debitori fino ad allora consideratiirrimediabilmente insolventi. Grazie

all'effetto positivo di questi fattiAlmayer si rasserenò un poco. Nontutto era perdutoforse. Quegli arabi e quei malesi

vedevano finalmente che era un uomo di una certa capacitàpensava. Ecominciòcome era nella sua naturaa fare

grandi progettia sognare grandi fortune per sé e per Nina. Soprattutto perNina! Spinto da questi impulsi vivificanti

chiese al capitano Ford di scrivere ai suoi amici in Inghilterra per farericerche di Lingard. Era vivo o morto? Se era

mortoaveva lasciato carte o documentiindicazioni o allusioni alla suagrande impresa? Nel frattempo aveva trovato in

mezzo alla roba vecchia in una delle stanze vuote un quadernetto di appuntiappartenente al vecchio avventuriero.

Studiava la grafia contorta di quelle pagine e spesso leggendo diventavapensieroso. Altre cose lo risvegliarono dalla

sua apatia. Il movimento provocato in tutta l'isola dall'insediamento dellaCompagnia Britannica del Borneo ebbe delle

ripercussioni anche sul pigro ritmo della vita sul Pantai. Si attendevanograndi cambiamenti; si parlava di annessione;

gli arabi si facevano cortesi. Almayer cominciò a costruire una nuova casaad uso dei futuri ingegneriagentio coloni

della nuova Compagnia. Con animo fiducioso spese in questa impresa ognifiorino che riuscì a trovare. Solo una cosa

turbava la sua felicità: la moglie uscì dal suo isolamentoportando consé il giubbetto verdei poveri sarongla voce

acuta e l'aspetto da strega nella vita tranquilla che il marito conduceva nelpiccolo bungalow. E la figlia parve accettare

quella selvaggia intrusione nella propria esistenza quotidiana con una calmaolimpica. Questo non gli piacquema non

osò dir nulla.

CAPITOLO III

Le deliberazioni prese a Londra hanno un vasto raggio di influenzae cosìla decisione emessa dagli uffici

velati di nebbia della Compagnia del Borneo offuscò per Almayer il soleluminoso dei tropicie aggiunse un'altra

goccia amara al calice delle sue delusioni. Le rivendicazioni su quella partedella costa orientale vennero abbandonate

lasciando il fiume Pantai sotto il potere nominale dell'Olanda. A Sambir cifurono manifestazioni di gioia e di tripudio.

Gli schiavi vennero allontanati in gran fretta nella foresta e nella giunglae le bandiere furono innalzate sugli alti

pennoni nel recinto del Rajahin attesa di una visita da parte delleimbarcazioni di una nave da guerra olandese.

La fregata rimase all'ancora fuori dalla foce del fiumee le barcherisalirono la corrente rimorchiate da una

lancia a vaporefacendosi cautamente strada in mezzo a una folla di canoestracolme di malesi vestiti in modo

sgargiante. L'ufficiale comandante ascoltò gravemente i leali discorsi diLakambaricambiò i salamelecchi di Abdullah

e assicurò in purissimo malese quei gentiluomini dell'amicizia e dellabenevolenza del grande Rajah - giù a Batavia -

verso il governante e gli abitanti dello stato modello di Sambir.

Almayer dalla sua veranda osservò dall'altra parte del fiume la festosacerimoniasentì il rimbombo delle salve

di cannone che salutavano la nuova bandiera donata a Lakambae il brusiointenso della folla di spettatori che si

agitavano intorno alla palizzata. Il fumo delle salve si levò in bianchenuvole contro il fondale verde delle forestee

Almayer non poté fare a meno di paragonare le proprie effimere speranze aquei vapori che sparivano rapidamente. Non

provava nessun entusiasmo patriottico per quell'avvenimentoma dovetteugualmente sforzarsi di tenere un

comportamento affabile quandoal termine del ricevimento ufficialegliufficiali di marina della Commissione

attraversarono il fiume per fare una visita al solitario bianco di cuiavevano sentito parlaremossi senza dubbio anche

dal desiderio di poter dare un'occhiata alla figlia. In questo furono delusipoiché Nina rifiutò di farsi vedere; ma parvero

comunque trovare facile consolazione nel gin e nei sigari che l'ospitaleAlmayer dispose loro davanti; e comodamente

sdraiati sulle poltrone zoppicanti all'ombra della verandamentre fuori ilsole accecante sembrava portare il grande

fiume al punto di ebollizioneriempirono il piccolo bungalow deisuoni inconsueti delle lingue europeedi rumori e

risate provocati da battute marinaresche a spese di quel grasso Lakamba cuiavevano tributato tanti complimenti quella

stessa mattina. I più giovaniin un accesso di simpatiafecero parlare illoro ospite ed Almayereccitato dalla vista di

volti europei e dal suono di voci europeeaprì il suo cuore di fronte aiforestieri così solidali con luiignaro del

divertimento che il racconto delle sue numerose disgrazie procurava a queifuturi ammiragli. Loro bevvero alla sua

salutegli augurarono molti grossi diamanti e una montagna d'oromostraronoperfino una certa invidia per le grandi

fortune che lo attendevano. Incoraggiato da tanta cordialitàquel canutovisionario invitò gli ospiti a visitare la sua

nuova casa. Vi giunsero attraverso l'erba alta in una processione disordinatamentre le barche venivano approntate per il

ritorno verso la foce del fiume nel fresco della sera. E nelle grandi stanzevuote dove il vento tiepidoentrando

attraverso le finestre prive di intelaiaturemulinellava piano le fogliesecche e la polvere di molti giorni d'abbandono

Almayer nella sua giacca bianca e nel sarong a fioricircondato dauna cerchia di scintillanti uniformibatteva con forza

il piede a terra per mostrare la solidità dei pavimenti ben livellati e sidiffondeva sulla comodità e le bellezze

dell'edificio. Gli ufficiali ascoltavano e annuivanocolpiti dallastupefacente ingenuità e dall'assurdo ottimismo di

quell'uomofinché Almayerfattosi trascinare dall'eccitazionesvelò ilsuo rimpianto per il mancato arrivo degli inglesi

«che sapevano come valorizzare le ricchezze di un paese»per usare le sueparole. Ci fu una risata generale fra gli

ufficiali olandesi per questa candida affermazionee tutti cominciarono amuoversi verso le barche; ma quando

Almayeravanzando con prudenza sulle tavole marce del pontile della Lingardcercò di avvicinare il capo dellaCommissione con qualche timido cenno in meritoalla protezione necessaria al suddito olandese contro gli scaltri arabi

quel diplomatico d'acqua salsa gli rispose in tono significativo che gliarabi erano migliori sudditi degli olandesi che

commerciavano illegalmente in polvere da sparo con i malesi. Lo sprovvedutoAlmayer riconobbe immediatamente la

lingua untuosa di Abdullah e la solenne persuasività di Lakambama primaancora che potesse abbozzare una protesta

indignatala lancia a vapore e la scia di barche si allontanaronorapidamente verso la foce del fiumelasciandolo sul

moloa bocca aperta per la sorpresa e la rabbia. Ci sono trenta miglia difiume da Sambir alle fulgide isole dell'estuario

dove la fregata attendeva il ritorno delle barche. La luna salì in cieloassai prima che le barche avessero compiuto metà

del percorsoe la nera foresta che dormiva tranquilla sotto i suoi gelidiraggi si risvegliò quella notte alle scroscianti

risate che nella piccola flottiglia si levavano al ricordo dei tristiracconti di Almayer. Battute salaci a spese di quel

pover'uomo risuonarono di barca in barcala mancata apparizione della figliavenne commentata con toni di grave

rammaricoe la casa incompiutacostruita per accogliere gli inglesinell'allegria della serata ricevetteper voto unanime

di quegli spensierati marinaiil soprannome di «follia di Almayer».

Per molte settimanedopo quella visitala vita a Sambir riprese il suoritmo placido e uniforme. Ogni giorno il

sole che scoccava i raggi del mattino sulle cime degli alberi illuminava lasolita scena di attività quotidiane. Nina

camminando lungo il sentiero che rappresentava l'unica arteriadell'insediamentovedeva l'abituale quadro di uomini

che ciondolavano pigri sulle alte piattaformedalla parte in ombra dellecase; di donne tutte intente a mondare il riso

quotidiano; di scuri bambini nudi che sfrecciavano lungo i sentierini ombrosiche portavano alle radure. Jim-Eng

facendo un giretto davanti a casala salutava con un amichevole cenno delcapo prima di rientrare in casa a cercare

l'amata pipa di oppio. I bambini più grandi le si affollavano intornoresiaudaci da una lunga conoscenzatirandole la

gonna dell'abito bianco con le dita scuree mostrando i denti scintillantiin attesa di una cascata di perline di vetro. Nina

li salutava con un calmo sorrisoma aveva sempre qualche parola gentile peruna ragazza siameseuna schiava di

proprietà di Bulangile cui numerose mogli avevanoa quanto si dicevauncarattere violento. Voci attendibili

riportavano anche che i battibecchi domestici di quell'industriosocoltivatore si concludevano di solito con un assalto

combinato di tutte le mogli ai danni della schiava siamese. La ragazza daparte sua non si lamentava mai - forse per una

regola di prudenza ma più probabilmente a causa della stranarassegnataapatia delle donne semiselvagge. La si poteva

vedere fin dal primo mattino che percorreva i sentieri fra le case - lungo ilfiume o sui moliil vassoio di dolciche era

suo compito venderein equilibrio sulla testa. Durante il grande caldo delgiorno cercava abitualmente riparo nel

campong di Almayertrovando spesso rifugio in un angolo ombroso dellaverandadove si accoccolava posando il

vassoio davanti a séquando Nina la invitava a farlo. Per mem Putih avevasempre un sorrisoma la presenza della

signora Almayeril semplice suono della sua voce acutaerano il segnale diuna partenza frettolosa.

Con questa ragazza Nina parlava spesso; gli altri abitanti di Sambir nonsentivano quasi mai il suono della sua

voce. Si abituarono a questa figura silenziosa che si muoveva in mezzo a lorocalma e vestita di biancoun essere di un

altro mondo a loro incomprensibile. Eppure la vita di Ninacon tutta la suacompostezza esteriorecon tutto l'apparente

distacco dalle cose e dalle persone che la circondavanoera tutt'altro chetranquilladal momento che la signora

Almayer si mostrava fin troppo attiva per la felicità e addirittura per lasicurezza familiare. La donna aveva ripreso i

suoi contatti con Lakambanon di personaa dire il vero (poiché ladignità di quel monarca lo tratteneva all'interno del

proprio recinto)ma attraverso la mediazione di colui che del monarca era ilprimo ministroil capitano di portoil

consigliere finanziario e il factotum in genere. Questo gentiluomo -di origine sulu - era indubbiamente dotato delle

qualità di uno statistasebbene fosse del tutto sprovvisto di attrattivepersonali. Era in effetti assolutamente repellente

con il suo unico occhio e il volto butterato nel quale naso e labbra eranostati orrendamente sfigurati dal vaiolo. Il poco

attraente individuo si aggirava spesso nel giardino di Almayer abbigliato inuna tenuta informale che consisteva in un

pezzo di calicò rosa legato intorno alla vita. Làsul retro della casaaccucciato sui talloni in mezzo alle braci sparse

accanto al gran pentolone di ferro dove il riso quotidiano per la famigliaveniva cotto dalle donne sotto la supervisione

della padronaquell'astuto negoziatore si intratteneva in lungheconversazioni in lingua sulu con la moglie di Almayer.

Quale fosse il soggetto di questi discorsi lo si sarebbe potuto indovinaredalle scene che avevano luogo in seguito sotto

il tetto familiare.

Da qualche tempo Almayer aveva cominciato a compiere delle escursionirisalendo il fiume. In una piccola

canoacon due uomini alle pagaie e il fido Alì al timonespariva ognivolta per alcuni giorni. Tutti i suoi movimenti

venivano costantemente tenuti d'occhio da Lakamba e Abdullahpoiché eradiffusa la convinzione che l'uomo che un

tempo aveva goduto della fiducia del Rajah-Laut fosse in possesso dipreziosi segreti. La popolazione costiera del

Borneo crede ciecamente che all'interno si trovino diamanti di valoreinestimabile e miniere d'oro di favolosa ricchezza.

E tutte queste fantasie sono rafforzate dalla difficoltà di penetrarenell'internosoprattutto dalla costa nordorientale

dove i malesi e le tribù fluviali dei daiacchio cacciatori di testesonoperpetuamente in conflitto. È vero d'altra parte

che un po' d'oro arriva sulla costa fra le mani degli stessi daiacchi quandodurante brevi periodi di tregua nel corso di

questa guerriglia intermittentefanno visita ai villaggi costieri deimalesi. E così sul sottile fondamento di questo fatto si

costruiscono e si accumulano le più sfrenate esagerazioni.

Almayer nella sua qualità di bianco - come già Lingard prima di lui -intratteneva rapporti relativamente

migliori con le tribù dell'interno. Ma anche le sue escursioni non eranoprive di pericoloe i suoi ritorni venivano attesi

ansiosamente dall'impaziente Lakamba. Ogni voltaperòil Rajah venivadeluso. Inutili erano gli abboccamenti accanto

al pentolone del riso del suo factotum Babalatchi con la moglie delbianco. Quanto al biancoera impenetrabile -

impenetrabile alla persuasionealle blandizieagli insulti; alle paroledolci e alle ingiurie sferzanti; alle implorazioni

disperate e alle minacce di morte; la signora Almayerinfattinel suoestremo desiderio di convincere il marito astringere alleanza con Lakambagiocava sull'intera gamma dei sentimenti. Con la lunga veste sporca annodata

strettamente sotto le ascelle a coprirle il petto magroi radi capelligrigiastri scompigliati sugli zigomi sporgentiin

atteggiamento supplichevoledipingeva con stridula loquela i vantaggi di unastretta unione con un uomo tanto buono e

leale.

«Perché non vai dal Rajah?»urlava. «Perché torni da quei daiacchinella grande foresta? Bisognerebbe

ammazzarli. Tu non li puoi ucciderenon puoi; ma gli uomini del nostro Rajahsono valorosi! Devi dire al Rajah dov'è il

tesoro del vecchio bianco. Il nostro Rajah è buono! È lui il padre di tuttinoi! Ammazzerà tutti quei maledetti daiacchie

tu avrai metà del tesoro. OhKaspardi' dove si trova il tesoro! Dimmelo!Dimmi quello che hai trovato in quei papiri

del vecchio dove vai a leggere così spesso la notte».

In quelle occasioni Almayer rimaneva seduto con le spalle curvechino sottola furia di questa tempesta

domesticalimitandosi a sottolineare ogni pausa nel torrente di eloquenzadella moglie con un grugnito rabbioso: «Non

c'è nessun tesoro! Vattenedonna!». Esasperata dalla vista di quellaschiena curva e pazientela moglie girava infine

intorno al tavolo per guardarlo in facciae stringendo la veste con una manotendeva l'altro braccio ossuto e la mano

adunca per sottolinearein un accesso di rabbia e di disprezzoil rapidoflusso di osservazioni taglienti e di amare

maledizioni che si erano accumulate sulla testa dell'uomo indegno di allearsiagli audaci capi malesi. Di solito Almayer

finiva per alzarsi lentamentela lunga pipa in manoil volto chiuso in unosguardo di intimo doloreallontanandosi in

silenzio. Scendeva i gradini e sprofondava nell'erba alta diretto allasolitudine della sua nuova casatrascinando i piedi

in uno stato di debilitazione fisica provocato dal disgusto e dalla paura difronte a quella furia. La moglie lo seguiva fino

in cima alla scalalanciando le frecciate dei suoi insulti incoerenti controla figura dell'uomo che si allontanava. E

ognuna di queste scene si concludeva con un grido lacerante che loraggiungeva quando era già lontano. «Lo sai

Kasparsono tua moglie! proprio la tua moglie cristiana sposata con la tualegge Blanda!». La donna sapeva infatti che

questo era per lui l'insulto più amaroil maggiore rimpianto nella vita diquell'uomo.

A tutte queste scene Nina assisteva impassibile. A giudicare da comeesternava quello che provavala si

sarebbe detta sordamuta e priva di sentimenti. Ma spessoquando il padreaveva cercato rifugio nelle grandi stanze

polverose della «follia di Almayer»e la madreesausta per i proprisforzi retoricisi accovacciava stancamente sui

talloni appoggiando la schiena alla gamba del tavoloNina le si avvicinavacon curiositàsollevando le gonne per

proteggerle dal succo di betel che impiastricciava il pavimentoe laosservava dall'altocosì come si potrebbe guardare

nel cratere ormai quieto di un vulcano dopo una terribile eruzione. Ipensieri della signora Almayerdopo queste

scenatesi incanalavano di solito in un flusso di reminiscenze infantilicui dava sfogo con una sorta di monotono

recitativo - lievemente sconclusionatoma di solito in celebrazione delleglorie del sultano dei suludella sua grande

magnificenzadel suo poteredelle sue prodezzee del timore cheparalizzava il cuore dei bianchi alla vista dei suoi

agili praho corsari. E queste esaltazioni a mezza voce della potenzadel suo avo si mescolavano a brandelli di ricordi

successivinei quali il grande scontro con il brigantino del «DiavoloBianco» e la vita in convento a Samarang

occupavano il posto principale. A quel punto di solito la donna lasciavacadere il filo del raccontoe tirava fuori la

piccola croce d'ottone che teneva sempre appesa al collocontemplandola poicon una superstiziosa reverenza. Questo

senso di superstizione connesso a certe vaghe proprietà magiche di quelpezzettino di metalloe la nozione ancora più

incerta ma terribile di geni cattivi e di orribili tormenti inventatia suomodo di vederedalla buona Madre Superiora

per punirla nel caso avesse smarrito il suddetto amuletocostituivano tuttoil bagaglio teologico della signora Almayer

nel tempestoso cammino dell'esistenza. La signora Almayer aveva per lo menoqualcosa di tangibile cui attaccarsima

Ninacresciuta sotto l'ala protestante della rispettabile signora Vincknonaveva neanche un pezzettino d'ottone a

ricordarle i passati insegnamenti. E ascoltando la narrazione di quelleglorie primitivedi quegli scontri barbarici e di

quei selvaggi festiniascoltando la storia di quelle gesta valoroseperquanto sanguinariedove gli uomini della razza di

sua madre brillavano ben più degli Orang Blandasi sentivairresistibilmente attrattae vedeva con una certa sorpresa il

sottile mantello di civile moralitàin cui persone benintenzionate avevanoavviluppato la sua giovane animascivolar

via lasciandola inerme e tremante come sul bordo di un abisso profondo esconosciuto. Ma la cosa più strana era che

questo abisso non la spaventava quando si trovava sotto l'influenza di quellaspecie di strega che chiamava mamma. In

un ambiente civile sembrava aver dimenticato la propria vita fino al momentoin cui Lingard l'avevaper così dire

rapita da Brow. Da allora aveva ricevuto un'istruzione cristianaun'educazione sociale e un'idea non troppo vaga di ciò

che è la vita civile. Sfortunatamente i suoi insegnanti non avevano compresola sua naturae la sua educazione si era

conclusa con una scena di umiliazionecon un'esplosione di disprezzo daparte dei bianchi per il suo sangue misto. E

ora viveva sul fiume da tre anni con una madre selvaggia e un padre chedoveva muoversi in mezzo a mille trappole

con la testa nelle nuvoledeboleirresolutoinfelice. Conduceva una vitapriva di ogni comodità civilein condizioni

domestiche deplorevoli; respirava un'atmosfera satura di squallidi intrighiper lucrodi trame e crimini non meno

disgustosi per lussuria o denaro; e quelle coseinsieme ai litigi familiariavevano rappresentato gli unici avvenimenti di

quei tre anni d'esistenza. Non era morta per la disperazione e il disgusto ilprimo mese come aveva immaginato e anche

sperato. Al contrariodopo sei mesi le parve di non avere mai conosciutoun'altra vita. La sua giovane mentecui era

stato maldestramente concesso di aprirsi a esperienze migliorie che era poistata ributtata nella palude disperata della

barbariepiena di passioni forti e incontrollateaveva perso la capacitàdi discernimento. Sembrava a Nina che non ci

fosse alcun cambiamentoalcuna differenza. Che commerciassero in magazzinidi mattoni o sulla riva fangosa del

fiume; che avessero molte o poche aspirazioni; che facessero l'amoreall'ombra dei grandi alberi o all'ombra della

cattedrale sulla promenade di Singapore; che tramassero per i lorofini sotto la protezione delle leggi e secondo le regole

di un comportamento cristianoo che cercassero gratificazione ai lorodesideri con l'astuzia selvaggia e la ferociaincontrollata di una natura nontoccata da alcuna cultura come le loro immense e tetre foresteNina vedeva solole

stesse manifestazioni di amore e odio e di sordida avidità a caccia diun'incerta ricchezza in tutte le sue molteplici e

fuggevoli forme. Alla sua natura risolutacomunquedopo tutti quegli annila sincerità di propositi selvaggia e priva di

compromessi mostrata dai suoi consanguinei malesi le pareva almenopreferibile all'untuosa ipocrisiaalle educate

finzionialle virtuose simulazioni di quei bianchi con cui aveva avuto lasfortuna di entrare in contatto. Dopo tutto era la

sua vitae lo sarebbe stata anche in futuro; e così pensandocadde sempredi più sotto l'influenza della madre.

Aspirandonella sua ignoranzaa trovare un lato migliore in quella vitaascoltava avidamente i racconti della vecchia

sulle glorie svanite dei Rajahdella cui stirpe lei stessa era fruttoe sifaceva a mano a mano più indifferentepiù

sprezzante nei confronti delle sue ascendenze biancherappresentate da unpadre debole e privo di tradizioni.

Le difficoltà di Almayer non si attenuarono affatto grazie alla presenzadella ragazza a Sambir. L'eccitazione

provocata dal suo arrivo si era spentaa dire il veroe Lakamba non avevarinnovato le sue visite; ma circa un anno

dopo la partenza delle imbarcazioni della nave da guerrail nipote diAbdullahSyed Reshidritornò dal pellegrinaggio

alla Mecca sfoggiando una giubba verde e il fiero titolo di hadji. Cifu un grande lancio di fuochi artificiali a bordo del

piroscafo che lo riportò a casae un grande rullio di tamburi per tutta lanotte nel recinto di Abdullahmentre la festa per

il ritorno si prolungò fino alle ore piccole del mattino. Reshid era ilnipote preferito e l'erede di Abdullahe questo zio

affezionatoincontrando un giorno Almayer lungo il fiumesi fermò per ungarbato scambio di cortesie e per chiedergli

solennemente un colloquio. Almayer sospettò un tentativo di raggiro ocomunque qualcosa di spiacevolema

naturalmente acconsentì facendo mostra di grande contentezza. Di conseguenzala sera successivadopo il tramonto

Abdullah arrivò accompagnato da molti altri vegliardi e dal nipote. Ilgiovanotto - dall'aspetto assai vizioso e dissoluto -

ostentò la massima indifferenza per tutta la durata dell'incontro. Quando iportatori di torce si furono raggruppati in

fondo alla scalae i visitatori ebbero preso posto sulle sedie zoppicantiReshid rimase in piedi nell'ombraesaminandosi

le piccole mani aristocratiche con molta attenzione. Almayersorpreso dallagrande solennità dei suoi ospitisi

appollaiò su un angolo del tavolo con una caratteristica mancanza didignità che venne rapidamente notatae fortemente

disapprovatadagli arabi. Ma Abdullah parlava oraguardando dritto oltreAlmayer verso la tenda rossa che chiudeva il

passaggioe dove una lieve vibrazione rivelava la presenza di donnedall'altra parte. Cominciò complimentandosi

cortesemente con Almayer per i lunghi anni che avevano passato insieme comebuoni vicinie invocò Allah perché gli

concedesse ancora molti anni per rallegrare gli occhi degli amici con la suagradita presenza. Fece un'educata allusione

alla grande considerazione mostrata a lui (ad Almayer) dalla Commissioneolandese e prese spunto da questo per

sottolineare con termini lusinghieri la grande importanza di Almayer fra lasua gente. Anche lui - Abdullah - era

importante fra gli arabie suo nipote Reshid avrebbe ereditato quellaposizione sociale oltre a grandi ricchezze. Ora

Reshid era un hadji. Possedeva diverse donne malesiproseguìAbdullahma era giunto il tempo che avesse una moglie

favoritala prima delle quattro consentite dal Profeta. Eparlando congarbata cortesiaspiegò diffusamente allo

sbalordito Almayer chese avesse acconsentito all'unione della sua erede conquel vero credente e uomo virtuoso che

era Reshidla ragazza sarebbe stata padrona di tutte le meraviglie della suacasanonché prima moglie del primo arabo

nelle isoleuna volta che lui - Abdullah - fosse stato chiamato alle gioiedel Paradiso da Allah misericordioso. «Tu sai

Tuan»disse in conclusione«le altre donne sarebbero sue schiaveela casa di Reshid è grande. Da Bombay ha portato

grandi divanie tappeti preziosie mobili europei. C'è anche un grandespecchio in una cornice che scintilla come fosse

oro. Cosa potrebbe voler di più una ragazza?». E mentre Almayer loosservava in muto sgomentoAbdullah parlò con

un tono confidenzialefacendo cenno ai suoi accompagnatori di allontanarsie concluse il discorso mettendo in risalto i

vantaggi materiali dell'unionee offrendo di pagare ad Almayer tremiladollari in segno della sua sincera amicizia e

come prezzo per la ragazza.

Al povero Almayer era quasi venuto un colpo. Ardeva dal desiderio diafferrare Abdullah alla golama gli

bastò pensare alla sua posizione indifesa in mezzo a quegli uomini perrendersi conto della necessità di una risposta

diplomatica. Dominò i propri impulsie parlò educatamente e freddamentedicendo che la ragazza era ancora giovane

ed era la luce dei suoi occhi. Tuan Reshidun Fedele e un hadjinon avrebbe voluto una donna infedele nel suo harem;

e al sorriso scettico di Abdullah per quest'ultima obiezionerestò zittonon fidandosi di dire di piùsenza osare di

opporre un rifiuto nettoe neppure di dire qualcosa di più compromettente.Abdullah capì il significato di quel silenzio

e si alzò per congedarsi con un solenne inchino. Augurò «mille anni divita» all'amico Almayere cominciò a scendere

la scaladeferentemente aiutato da Reshid. I servitori scossero le torcespargendo una pioggia di scintille sul fiumee il

corteo si mosselasciando Almayer agitatoma molto sollevato per quellapartenza. Si lasciò cadere su una sedia e restò

a osservare il riflesso delle luci fra i tronchi degli alberi fino a quandoscomparve e un completo silenzio si sostituì allo

scalpiccio e al mormorio delle voci. Non si mosse fino a quando la tendafrusciò e Nina apparve sulla veranda e si

sedette sulla sedia a dondolodove trascorreva molte ore al giorno. Impresseal sedile un lieve movimento

appoggiandosi allo schienale con gli occhi semichiusi e i lunghi capelli chele schermavano il volto dalla luce fumosa

della lampada sul tavolo. Almayer le lanciò uno sguardo furtivoma il suovolto era impassibile come sempre. Volse

lievemente la testa verso il padre econ sua grande sorpresagli si rivolsein inglese: «È venuto Abdullah?».

«Sì»disse Almayer«è appena andato via».

«E cosa volevapapà?».

«Voleva comprarti per Reshid»rispose Almayer brutalmentementre larabbia prendeva il sopravvento su di

lui; e osservò la ragazza quasi si aspettasse un'esplosione di sentimenti.Ma Nina rimase in apparenza imperturbabilee

continuò a fissare con aria sognante verso la notte nera.«Stai attentaNina»disse Almayer dopo un breve silenzio alzandosi dalla sedia«quando vaiin giro da sola

per i canali con la canoa. Quel Reshid è un mascalzoneun violentoe nonsi può dire quello che potrebbe fare. Mi

ascolti?».

Nina adesso era in piedisul punto di rientraree con una mano tenevastretta la tenda sull'ingresso. Si voltò

ricacciando indietro le pesanti trecce con un gesto improvviso.

«Pensi che ne avrebbe il coraggio?»chiese rapidamentee poi voltandosidi nuovo per entrare aggiunse a voce

più bassa: «Nonon l'avrebbe. Gli arabi sono tutti codardi».

Almayer la guardò allontanarsistupefatto. Non cercò riposo sull'amaca.Cominciò a camminare su e giù senza

rendersene contofermandosi a tratti vicino al parapetto per pensare. Lalampada si spense. Il primo bagliore dell'alba

balenò sulla foresta; Almayer rabbrividì nell'aria umida. «Ci rinuncio»mormorò fra séstendendosi esausto.

«Maledette le donne! Accidenti a me se quella ragazza non aveva l'aria divoler essere rapita!».

E sentì una paura senza nome insinuarglisi nel cuorescuotendolo ancora conun brivido.

CAPITOLO IV

Quell'annoverso la fine del monsone di sudovestgiunsero a Sambir dellevoci inquietanti. Il capitano Ford

venuto a casa di Almayer per quattro chiacchiere seraliportò dei numerirecenti dello «Straits Times» in cui si dava la

notizia della guerra di Acheen e della fallita spedizione olandese. I nakhodadei rari praho mercantili che risalivano il

fiume rendevano visita a Lakambadiscutendo con il sovrano il confuso statodegli affarie scuotevano solennemente la

testa al racconto delle estorsionidella severitàe in generale dellatirannia degli Orang Blandache trovavano esempio

nel blocco totale del commercio di polvere da sparo e nei rigorosi controllidi tutte le imbarcazioni sospette che

commerciavano nello stretto di Macassar. Perfino l'animo leale di Lakambavenne turbato da uno stato di intimo

malcontento per il ritiro della sua licenza per la polvere da sparo edall'inattesa confisca di centocinquanta barili di

quella merce da parte della cannoniera Princess Amelia quandodopo unviaggio assai rischiosoera giunta quasi

all'imboccatura del fiume. La brutta notizia gli venne portata da Reshid ilqualedopo l'esito negativo dei suoi progetti

matrimonialiaveva compiuto un lungo viaggio a scopo commerciale fra leisole; aveva comprato la polvere da sparo

per il suo amicoaveva subito un'ispezione ed era stato quindi privato dellamerce sulla strada del ritornoproprio

quando si complimentava con se stesso per la propria perizia nell'evitareogni controllo. L'ira di Reshid era diretta

principalmente contro Almayerda lui sospettato di avere informato leautorità olandesi della saltuaria guerriglia

condotta dagli arabi e dal Rajah con le tribù daiacchi dell'interno.

Con grande sorpresa di Reshid il Rajah accolse le sue lamentele con moltafreddezzae non diede segno di

volersi vendicare con il bianco. In realtàLakamba sapeva benissimo cheAlmayer non aveva da rimproverarsi nessuna

ingerenza negli affari di stato; e inoltreil suo atteggiamento neiconfronti di quell'uomo tanto perseguitato era

completamente cambiato in seguito alla riconciliazione favorita fra lui e ilsuo vecchio avversario dal nuovo amico di

AlmayerDain Maroola.

Ora Almayer aveva un amico. Poco dopo la partenza di Reshid per il suoviaggio di commercioNinache

sulla canoa si stava lasciando trasportare pigramente dalla corrente alritorno da una delle sue solitarie escursioniudì in

un piccolo canale un tonfocome di cavi pesanti lasciati cadere nell'acquae il canto prolungato dei marinai malesi

quandotirandodevono compiere uno sforzo pesante. Attraverso la spessacortina di arbusti che nascondeva

l'imboccatura del canalevide gli alti alberi di un veliero armatoall'europeache sovrastavano le cime delle palme nipa.

Stavano alando un brigantino dal piccolo canale per portarlo nel corso delfiume. Il sole era tramontatoe durante i brevi

attimi del crepuscolo Nina vide il brigantinoaiutato dalla brezza serale edalla marea montantedirigersi verso Sambir

con la sola vela di trinchetto. La ragazza indirizzò la sua canoa fuori dalcorso principale del fiume addentrandosi in uno

dei numerosi canaletti fra le piccole isole coperte di vegetazionee vogòcon forza verso Sambir su queste acque interne

nere e addormentate. La sua canoa sfiorava le palme d'acquaaggirava i brevitratti di riva fangosa dove tranquilli

alligatori la osservavano con pigra indifferenzae proprio mentrel'oscurità stava calandouscì fuori nell'ampio punto

d'incontro dei due rami principali del fiumedove il brigantino era giàall'ancoracon le vele serratei pennoni bracciati

in crocee i ponti all'apparenza abbandonati da qualsiasi presenza umana.Nina doveva attraversare il fiume e passare

molto vicina al brigantino per tornare a casa sul basso promontorio fra i duebracci del Pantai. Lungo entrambi i rami

del fiumenelle case costruite sulle rive e sull'acquale lucirisplendevano giàriflettendosi nelle calme acque

sottostanti. Il brusio delle vocil'occasionale grido di un bambinoilrullo rapido e poi bruscamente interrotto di un

tamburo di legnoinsieme al lontano richiamo nell'oscurità dei pescatoriche stavano tornandola raggiunsero mentre

scivolava sull'ampia distesa del fiume. Esitò un attimo prima di traversareperché lo spettacolo di una cosa insolita

come un veliero armato all'europea suscitava in lei un certo disagioma ilfiume nella sua ampiezza era abbastanza

scuro da rendere invisibile una piccola canoa. Condusse svelta la suaimbarcazione con rapidi colpi di pagaia

inginocchiata sul fondo e china in avanti per cogliere un qualsiasi rumoresospetto mentre puntava verso il piccolo

pontile della Lingard & Co.per il quale la luce forte della lampada apetrolio che splendeva sulla veranda imbiancata

del bungalow di Almayer serviva bene da guida. Il pontile stessosotto l'ombra dell'argine invaso da cespugli spioventi

era nascosto nell'oscurità. Prima ancora di vederlaudì i colpi sordi diuna grossa barca contro i pali marci del pontilee

sentì anche il mormorio di una conversazione a bassa voce inquell'imbarcazione la cui tinta bianca e le cui grandidimensioniappenavisibili più da vicinole fecero a ragione supporre che appartenesse albrigantino all'ancora.

Bloccando la sua corsa con un rapido movimento di pagaiacon un altro agilecolpo fece girare la canoa lontano dal

molo e la diresse verso un ruscello che dava accesso al cortile posterioredella casa. Approdò alla punta fangosa del

piccolo corso d'acqua e si fece strada verso casa sull'erba calpestata delcortile. A sinistradal capanno dove si cucinava

proveniva un bagliore rosso attraverso la piantagione di banane che Ninastava costeggiandoe da lìnella sera

silenziosale giunse un rumore di risate femminili. Ne dedusse giustamenteche la madre non fosse nei paraggi: le risate

e la signora Almayer non andavano molto d'accordo. Doveva essere in casapensò Ninamentre correva leggera sul

piano inclinato di tavole traballanti che conducevano alla porta posterioredello stretto passaggio che divideva in due la

casa. Fuori dalla portanell'ombra più fittastava il fido Alì.

«Chi c'è?»chiese Nina.

«Un grande uomo malese è venuto»rispose Alìsoffocando la propriaeccitazione. «È un uomo ricco. Ci sono

sei uomini armati di lance. Un vero Soldatcapisci. E il suo vestitoè bellissimo. Ho visto il suo vestito. Come scintilla!

E che gioielli! Non andarcimem Nina. Tuan ha detto di no; mala vecchia mem è andata. Tuan si arrabbierà. Allah

misericordioso! che gioielli ha quell'uomo!».

Nina scivolò oltre la mano protesa dello schiavo dentro il corridoio buiodoveal riflesso scarlatto della tenda

proprio all'altra estremitàriusciva a scorgere una piccola forma scuraaccucciata vicino al muro. Sua madre si stava

beando occhi e orecchie di quanto accadeva sulla verandae Nina le siavvicinò per avere la sua parte nel raro piacere di

una novità. Venne accolta dal braccio teso della madre e da un bisbiglio chela avvertiva di non fare rumore.

«Li hai vistimamma?»chiese Ninacon un sussurro impercettibile.

La signora Almayer si voltò verso la ragazzae i suoi occhi infossatiscintillarono stranamente nella rossa

penombra del corridoio.

«L'ho visto»disse pianissimostringendo la mano della figlia con le ditaossute. «Un grande Rajah è venuto a

Sambir - un Figlio del Cielo»mormorò la vecchia fra sé. «Vatteneragazza!».

Le due donne erano adesso in piedi accanto alla tenda: Nina volevaavvicinarsi alla fessura nella stoffae la

madre difendeva il proprio posto con rabbiosa ostinazione. Dall'altra parteci fu una pausa nella conversazionema in

quel breve silenzio si sentì il lieve tintinnio occasionale di un ornamentoil rumore dei foderi di metalloo dei recipienti

d'ottone per il betel passati di mano in mano. Le donne lottavano insilenzioquando ci fu un rumore strascicato e

l'ombra della sagoma corpulenta di Almayer cadde sulla tenda.

Le donne smisero di lottare e restarono immobili. Almayer si era alzato perrispondere all'ospitedando la

schiena al passaggioignaro di ciò che stava accadendo dall'altra parte.Parlò con un tono di irritato rammarico.

«Hai sbagliato portaTuan Maroolase vuoi commerciare come dici. Untempo ero un commerciantenon ora

qualsiasi cosa tu abbia sentito dire di me a Macassar. E se vuoi qualcosanon la troverai qui; non ho nulla da daree io

stesso non voglio nulla. Dovresti andare dal Rajah laggiù; con il sole sipossono vedere le sue case dall'altra parte del

fiumelàdove sono accesi quei fuochi sulla riva. Ti aiuterà ecommercerà con te. O ancor megliovai dagli arabi

lassù»proseguì amaramenteindicando con la mano le case di Sambir.«Abdullah è l'uomo che fa per te. Non c'è niente

che non comprerebbee non c'è niente che non venderebbe; credi a meloconosco bene».

Attese per qualche istante una rispostapoi aggiunse: «Tutto quello che hodetto è veroe non c'è nient'altro da

dire».

Ninatrattenuta dalla madresentì una voce rispondere piano conquell'intonazione calma e uguale che è

caratteristica dei malesi d'alto rango: «Chi metterebbe in dubbio le paroledi un Tuan bianco? Un uomo cerca i propri

amici dove glielo dice il cuore. Anche questo non è veroforse? Io sonovenutoper quanto così tardiperché ho

qualcosa da dirti che forse ti farà piacere sentire. Domani andrò dalsultano: un mercante ha bisogno dell'amicizia degli

uomini importanti. Poi tornerò qui per parlare con serietàse Tuan lopermette. Dagli arabi non andrò: le loro menzogne

sono grandi! Cosa sono? Chelakka!».

La voce di Almayer suonò più garbata nella risposta.

«Benecome preferisci. Sarò qui a darti ascolto domani a qualsiasi ora seavrai qualcosa da dirmi. Mah! Dopo

aver visto il sultano Lakamba non vorrai tornare quiInchi Dain.Vedrai. Solo fa' attenzionenon voglio avere a che fare

con Lakamba. Puoi anche andarglielo a dire. Cosa vuoi da mein fin deiconti?».

«Domani parleremoTuanora ti conosco»rispose il malese. «Ioparlo un po' d'inglesecosì potremo discutere

e nessuno ci capiràe allora...».

Si interruppe d'improvvisochiedendo sorpreso: «Cos'è questo rumoreTuan?».

Anche Almayer aveva sentito il rumore crescente della baruffa che eraricominciata oltre la tendadalla parte

delle donne. Evidentemente la forte curiosità di Nina era sul punto di avereil sopravvento sull'esaltato senso delle

convenienze sociali della signora Almayer. Si poteva udire distintamente unrespiro pesantee la tenda si agitò durante

il contrastoche era prevalentemente fisicoanche se si sentì la vocedella signora Almayer esprimere rabbiose

rimostranze con la consueta mancanza di un ragionamento logicoe con la bennota ricchezza di invettive.

«Svergognata! Sei forse una schiava?»gridava con voce acuta la matronafuribonda. «Copriti la faccia

miserabile dissoluta! Serpe biancanon te lo permetterò!».

Il volto di Almayer esprimeva fastidio e anche incertezza circal'opportunità di interferire fra madre e figlia.

Diede un'occhiata al suo ospite maleseche aspettava in silenzio la fine dellitigio con un atteggiamento di attesa

divertitae agitando la mano in segno di disprezzomormorò: «Non èniente. Donne».Il malese annuì gravementee il suo volto assunseun'espressione di serena indifferenzacome lo richiedeva

l'etichetta dopo una spiegazione del genere. Dietro la tenda la zuffa si eraconclusaed evidentemente la volontà della

più giovane aveva prevalsoperché il rapido ticchettio strascicato deglialti sandali della signora Almayer svanì in

distanza. Il padrone di casa ormai tranquillizzato stava per riprendere laconversazione quandocolpito da un inatteso

cambiamento dell'espressione del volto del suo ospitesi voltò e vide Ninain piedi sul passaggio.

Dopo la ritirata della signora Almayer dal campo di battagliaNinaconun'esclamazione sprezzante«È solo

un mercante»aveva sollevato la tenda conquistata e si stagliava ora inpiena luceinquadrata contro lo sfondo buio del

corridoiole labbra socchiusei capelli in disordine dopo lo scontrounbagliore pieno di rabbia non ancora del tutto

svanito dagli occhi splendidi e scintillanti. Con un sguardo abbracciò ilgruppo di lancieri vestiti di bianco che stavano

in piedi immobili nell'ombra in fondo alla verandae i suoi occhi siposarono con curiosità sul capo di quell'imponente

seguito. Era in piediquasi di fronte a leiun po' di latoe colpito dallabellezza dell'inattesa apparizione si era inchinato

profondamentesollevando le mani unite sopra la testa con un segno dirispetto che i malesi accordano solo ai grandi

della terra. La luce cruda della lampada splendeva sui ricami dorati dellasua giubba di seta nerasi frangeva in mille

raggi scintillanti sull'elsa ingioiellata del suo kriss che sporgevatra le molte pieghe del suo sarong raccolto a mo' di

cintura intorno alla vitae giocava sulle pietre preziose dei numerosianelli che gli adornavano le dita scure. Si raddrizzò

rapidamente dopo il profondo inchinomettendo la mano con grazia disinvoltasull'elsa della corta e pesante spada

adornata con crine di cavallo tinto a colori brillanti. Ninaesitante sullasogliavide una figura eretta di media statura

con spalle ampie che suggerivano una grande forza. Sotto le pieghe di unturbante azzurrole cui estremità sfrangiate

pendevano con eleganza sulla spalla sinistrac'era un volto pieno dideterminazione e di una sfrenata esuberanzanon

priva tuttavia di una certa dignità. La mascella squadratale rosse labbracarnosele narici mobilie il portamento

orgoglioso del capo davano l'impressione di un essere semiselvaggioindomitoe forse crudelee correggevano la

liquida dolcezza quasi femminile degli occhicaratteristica della razza.Orasuperata la prima sorpresaNina vide

quegli occhi fissi su di lei con una tale incontrollata espressione didesiderio e ammirazione che sentì penetrare dentro di

sé fin nel più intimo una sensazione fino ad allora sconosciuta ditimidezzamista ad inquietudine e a un indefinito

piacere. Confusa da quelle sensazioni insolite si fermò sulla porta eistintivamente si tirò la parte inferiore della tenda

attraverso il visolasciando esposta solo metà di una guancia rotondaunatreccia diritta e un occhiocon il quale

contemplare quell'essere bello e fierocosì diverso nell'aspetto dai rariesemplari di commercianti che aveva visto in

precedenza su quella stessa veranda.

Dain Maroolafolgorato da quell'inattesa visionedimenticò il confusoAlmayerdimenticò il suo brigantinoi

suoi compagni che erano rimasti a bocca aperta per l'ammirazionelo scopodella sua visita e tutto il resto

nell'irresistibile desiderio di prolungare la contemplazione di una talebellezza incontrata tanto all'improvviso in un

posto a suo parere così improbabile.

«È mia figlia»disse Almayerimbarazzato. «Non farci caso. Le donnebianche hanno le loro abitudinicome

ben saiTuandal momento checome mi hai dettohai viaggiatomolto. In ogni caso è tardi; finiremo di parlare

domani».

Dain si inchinò profondamente cercando audacemente di trasmettere con unultimo sguardo alla ragazza la sua

sconfinata ammirazione. Un attimo dopo stringeva la mano di Almayer consolenne cortesiae il suo volto aveva

un'espressione di flemmatica indifferenza nei confronti di ogni presenzafemminile. I suoi uomini si allontanarono in

filae Dain li seguì rapidoassistito premurosamente da un sumatresemassiccio e dall'aspetto selvaggio che in

precedenza aveva presentato come il comandante del suo brigantino. Nina andòalla balaustra della veranda e vide il

riflesso della luna sulle lance d'acciaio e udì il ritmico tintinnio deicerchi d'ottone alle caviglie degli uomini che

camminavano in fila indiana verso il pontile. La barca si scostò da rivadopo qualche istanteapparendo in tutta la sua

ampiezza nella luce piena della lunauna nera massa indistinta nella lievefoschia sospesa sull'acqua. A Nina parve di

riuscire a distinguere la figura elegante del mercante dritto a poppama inun attimo tutti i contorni si offuscarono e si

confuseroe presto scomparvero nelle volute di vapore bianco che velavano ilcentro del fiume.

Almayer si era avvicinato alla figlia eappoggiato con entrambe le bracciaalla ringhieraguardava immusonito

il mucchio di rifiuti sotto la veranda.

«Cos'era tutto quel rumore poco fa?»brontolò in tono di stizzasenzaalzare gli occhi. «Maledizione a te e a

tua madre! Cosa voleva? E tuperché sei venuta fuori?».

«Non voleva che uscissi»disse Nina. «È arrabbiata. Dice che l'uomo cheè appena andato via è un Rajah.

Adesso credo che abbia ragione».

«Penso che voi donne siate tutte matte»ringhiò Almayer. «Cosa importaquesto a tea leia chiunque?

Quell'uomo vuole raccogliere trepang e nidi d'uccello sulle isole.Ecco quello che mi ha dettoil vostro Rajah. Tornerà

domani. Voglio che tutt'e due vi teniate alla largae che mi lasciatesbrigare i miei affari in pace».

Dain Maroola tornò l'indomani e parlò a lungo con Almayer. Questo ful'inizio di un lungo e amichevole

rapporto cheinizialmentesuscitò molta curiosità a Sambir fino a quandola popolazione si abituò al frequente

spettacolo di molti falò accesi nel campong di Almayerdove gliuomini di Maroola si scaldavano durante le fredde

notti del monsone di nordestmentre il padrone teneva lunghi colloqui con TuanPutih - come fra di loro definivano

Almayer. Grande era la curiosità a Sambir a proposito del nuovo mercante.Aveva visto il sultano? E il sultano cosa

aveva detto? Gli aveva portato dei regali? Cosa vendeva? Cosa comprava? Eranoqueste le domande che si scambiavano

avidamente gli abitanti delle case di bambù costruite sul fiume. Ma anche inpiù solidi edificinell'abitazione di

Abdullahnelle residenze dei principali mercantiarabicinesi e bugil'eccitazione fu grandee durò diversi giorni. Conil loro innato sospetto nonvolevano credere al semplice racconto che il giovane mercante era sempre prontoa fornire su

di sé. Eppure aveva ogni apparenza di verità. Diceva di essere un mercantee di vendere riso. Non voleva comprare

guttaperca o cera vergineperché intendeva impiegare il suo numerosoequipaggio per raccogliere il trepang sulla

barriera corallina alla foce del fiumee anche nella ricerca di nidid'uccello all'interno. Si dichiarava pronto a comprare

questi due articoli se fosse stato possibile ottenerli in questo modo. Dicevadi venire da Balie di essere un braminoe a

sostegno di quest'ultima affermazione rifiutava qualsiasi cibo nel corsodelle frequenti visite alle case di Lakamba e di

Almayer. Da Lakamba andava solitamente di notte e veniva ricevuto in lungheudienze. Babalatchiche faceva sempre

da terzo a quegli incontri fra monarca e mercantesapeva come resistere atutti i tentativi dei curiosi di venire a sapere

l'argomento di conversazioni che duravano tanto a lungo. Quando il solenneAbdullah lo interrogava con flautata

cortesiacercava rifugio in uno sguardo vacuo del suo unico occhioeostentava il massimo candore.

«Sono solo lo schiavo del mio padrone»mormorava Babalatchi con fareesitante. Poiquasi si risolvesse d'un

tratto a lasciarsi andare a una imprudente confidenzainformava Abdullah diuna qualche transazione in risoripetendo

le parole: «Cento grossi sacchi ha comprato il sultano; centoTuan!»con un tono di misteriosa solennità. Abdullah

fermamente convinto dell'esistenza di contrattazioni ben più importantiaccoglieva tuttavia queste informazioni con

tutti i segni di un rispettoso stupore. E i due si separavanol'arabomaledicendo in cuor suo il cane infedelementre

Babalatchi se ne andava per la sua strada lungo il sentiero polverosoilcorpo ondeggianteil mento con i suoi pochi peli

grigi proteso in avantisimile a una capra curiosa intenta a una qualcheillecita spedizione. Occhi attenti seguivano i

suoi movimenti. Jim-Engindividuato Babalatchi da lontanosi scuoteva dalsuo torpore di fumatore abituale di oppio e

trotterellando al centro della stradaattendeva il sopraggiungere diquell'importante individuopronto ad accoglierlo con

un invito ospitale. Ma la discrezione di Babalatchi resisteva perfinoall'assalto combinato della buona compagnia e del

forte gin generosamente somministrato dal cordiale cinese. JimEngriconoscendosi battutosi ritrovava senza

informazioni e con la bottiglia vuotae restava tristemente a osservare lasagoma dello statista di Sambir che si

allontanava seguendo il suo cammino incerto e zigzagante checome al solitolo conduceva al recinto di Almayer. Fin

da quando Dain Maroola aveva favorito la riconciliazione fra l'amico bianco eil Rajahil diplomatico guercio era di

nuovo diventato un ospite abituale nella casa dell'olandese. Con grandedisgusto di Almayerlo si ritrovava là a tutte le

oreche si aggirava con aria distratta sulla verandache si mimetizzava neicorridoio che spuntava fuori da un angolo

sempre pronto ad avviare una conversazione confidenziale con la signoraAlmayer. Nei confronti del padrone di casa si

mostrava molto timorosoquasi sospettasse che i sentimenti repressi delbianco verso la sua persona avrebbero potuto

trovare sfogo in un calcio improvviso. Ma la baracca della cucina era il suoposto preferitoe ne divenne un

frequentatore abitualeaccucciato per ore fra le donne affaccendatecon ilmento appoggiato alle ginocchiale braccia

secche strette intorno alle gambee l'unico occhio che si guardava intornoinquieto - l'immagine stessa di una vigile

bruttezza. Più di una volta Almayer avrebbe voluto lamentarsi con Lakambaper queste intrusioni del suo primo

ministroma Dain lo dissuase. «Non possiamo dire una parola qui che lui nonsenta»grugnì Almayer.

«Allora vieni a parlare a bordo del brigantino»replicò Dain con unsorriso tranquillo. «Non è male che

quell'uomo venga qui. Lakamba crede di saperla lunga. Forse il sultano credeche io voglia scappare. Meglio lasciare

che il coccodrillo con un occhio solo si crogioli al sole nel tuo campongTuan».

E Almayer assentì malvolentierimormorando vaghe minacce di violenzamentre lanciava occhiate ostili

all'anziano statista seduto con quieta ostinazione vicino al suo pentolonedel riso.

CAPITOLO V

Finalmente l'eccitazione si spense a Sambir. Gli abitanti si abituarono allavista dell'andirivieni fra la casa di

Almayer e il velieroora ormeggiato alla riva oppostae le elucubrazionicirca l'attività febbrile mostrata dai barcaioli di

Almayer nella riparazione di vecchie canoe cessarono di interferire con ilnormale espletamento delle faccende

domestiche da parte delle donne del villaggio. Perfino il disilluso Jim-Engsmise di tormentare con segreti commerciali

il suo cervello ottenebratoe scivolò di nuovograzie all'aiuto della suapipa d'oppioin uno stato di stupefatta

beatitudinepermettendo a Babalatchi di andare per la propria strada accantoa casa suasenza invitarlo e in apparenza

senza neppure notarlo.

Così quel caldo pomeriggionell'ora in cui il fiume deserto scintillavasotto il sole a piccolo statista di Sambir

potésenza essere bloccato da nessun amichevole ficcanasospingere fuorila sua piccola canoa da sotto i cespuglidove

restava di solito nascosta durante le sue visite al recinto di Almayer.Lentamente e pigramente Babalatchi vogava

accucciato sul fondo della barcafacendosi piccolo sotto l'enorme cappelloda sole per sfuggire al torrido riverbero

dall'acqua. Non aveva fretta; il suo padroneLakambasi stava di certoriposando a quest'ora del giorno. Aveva tutto il

tempo di attraversare il fiume e di salutarlo al risveglio con importantinotizie. Ne sarebbe stato infastidito? Avrebbe

battuto rabbiosamente il suo bastone di ebano per terraspaventandolo conl'incoerente violenza delle sue esclamazioni;

o si sarebbe accovacciato con un sorriso allegroefregandosi leggermentelo stomaco con un gesto familiareavrebbe

lanciato un lungo sputo nel recipiente d'ottone del betelemettendo un bassomormorio di approvazione? Questi erano i

pensieri di Babalatchi mentre maneggiava abilmente la pagaiaattraversandoil fiume diretto al campong del Rajahle

cui staccionate facevano capolino dietro il fitto fogliame sulla spondaproprio davanti al bungalow di Almayer.In effettiaveva qualcosa dariferire. Finalmente qualcosa di certo che veniva a confermare il quotidiano

racconto dei suoi sospettii quotidiani accenni alla familiaritàaglisguardi rubati che aveva vistoalle parole brevi e

brucianti che aveva colto fra Dain Maroola e la figlia di Almayer. Fino aquel momento Lakamba aveva ascoltato tutto

con calma ed evidente diffidenza; ora si sarebbe convintoperché Babalatchiaveva la prova; l'aveva avuta quella stessa

mattinapescando all'alba nel canale su cui si affacciava la casa diBulangi. Làdalla scialuppa aveva visto la lunga

canoa di Nina scivolargli accantocon la ragazza seduta a poppa china suDainche era steso sul fondo e teneva la testa

appoggiata alle ginocchia di Nina. Aveva visto tutto questo. Li avevaseguitima poco dopo i due si erano messi alle

pagaie ed erano sfuggiti al suo occhio attento. Dopo qualche minuto avevavisto la schiava di Bulangi che vogava in una

piccola piroga verso l'abitato per andare a vendere i suoi dolci. Anche leili aveva visti nell'alba grigia. E Babalatchi

sogghignò fra sé e séripensando all'espressione sconvolta della schiavaallo sguardo duro che aveva negli occhial

tremito nella voce mentre rispondeva alle sue domande. Quella piccola Taminahera evidentemente affascinata da Dain

Maroola. Molto bene! E Babalatchi scoppiò a ridere forte a quest'idea; poifattosi improvvisamente seriocominciò per

qualche strana associazione di idee a fantasticare sul prezzo a cui Bulangiavrebbe potuto vendere la ragazza. Scosse

tristemente la testa al pensiero che Bulangi era un uomo duroe avevarifiutato cento dollari per quella stessa Taminah

solo poche settimane prima; poi si rese conto di colpo che la canoa era stataportata troppo avanti dalla corrente durante

le sue meditazioni. Scacciò lo sconforto provocato dalla certezza dellavenalità di Bulangi epresa la pagaiacon pochi

colpi accostò la canoa all'accesso fluviale della casa del Rajah.

Quel pomeriggio Almayercome era sua abitudine negli ultimi tempiandava eveniva lungo la riva del fiume

controllando le riparazioni alle sue barche. Finalmente aveva deciso. Guidatodalle notizie frammentarie contenute nel

vecchio taccuino di Lingardavrebbe cercato la ricca miniera d'oroquelluogo dove non avrebbe dovuto far altro che

chinarsi per cogliere un'immensa fortuna e realizzare il sogno dei suoi annigiovanili. Per ottenere l'aiuto necessario

aveva condiviso le sue informazioni con Dain Maroolaaveva acconsentito ariconciliarsi con Lakambail quale aveva

dato il proprio appoggio all'impresa a condizione di dividerne i profitti;aveva sacrificato il suo orgoglioil suo onoree

la sua lealtàdi fronte al rischio enorme di quell'avventuraabbagliatodall'enormità dei risultati che si potevano

raggiungere con questa alleanza così spiacevole ma così necessaria. Ipericoli erano grandima Maroola era coraggioso;

i suoi uomini sembravano audaci come il loro capoe con l'aiuto di Lakambail successo pareva assicurato.

Da due settimane Almayer era concentrato sui preparativie si muoveva fraoperai e schiavi in uno stato di

veglia ipnoticanella quale particolari pratici riguardo all'armamento delleimbarcazioni si mescolavano a vividi sogni

di ricchezze indicibilie in cui la presente infelicità di un sole cocentee di un argine fangoso e maleodorante

scompariva nella fulgida visione di uno splendido avvenire per sé e perNina. Aveva visto a malapena Nina in quegli

ultimi giornisebbene la sua amata figlia fosse sempre presente nei suoipensieri. Si accorgeva a stento di Dainla cui

costante presenza in casa sua era diventata un dato di fatto per luiora cheerano uniti da una comunanza di interessi.

Quando si imbatteva nel giovane capo gli rivolgeva un saluto distratto etirava dirittoquasi desiderasse evitarlotutto

teso a dimenticare l'odiosa realtà del presente assorbendosi nel suo lavorooppure sbrigliando la propria immaginazione

ben oltre le cime degli alberinelle grandi nuvole bianche a ovestdove ilparadiso dell'Europa era in attesa del futuro

milionario venuto dall'oriente. E Maroolaora che l'accordo era statoconcluso e non c'erano più questioni da discutere

evidentemente non si curava di cercare la compagnia del bianco. Dain peròera sempre in giro per casama di rado si

fermava a lungo sulla riva del fiume. Nelle sue visite quotidiane al biancoil capo malese preferiva dirigersi silenzioso

verso il passaggio centrale della casae giungere al giardino sul retrodove il fuoco era acceso nella baracca della

cucinacon il pentolone del riso che vi dondolava soprasotto l'attentasupervisione della signora Almayer. Evitando

quella baraccacon il suo fumo nero e il brusio di dolci voci femminiliDain girava a sinistra. Làai margini di una

piantagione di bananeuna macchia di palme e di manghi formavano un angoloombreggiatocui alcuni cespugli sparsi

fornivano un certo isolamento penetrato solo dal chiacchiericcio delle donneintente a cucinare o da un'occasionale

risata. Una volta dentroDain era invisibile; e nascosto làappoggiato altronco liscio di un'alta palmaaspettava con

occhi lucenti e un sorriso sicuro il sottile fruscio dell'erba secca sotto ilpasso lieve di Nina.

Fin dal primo istante in cui i suoi occhi avevano contemplato quella cheperluiera la perfezione della

bellezzaDain aveva sentito nell'intimo del suo cuore la convinzione che leisarebbe stata sua; aveva sentito il soffio

lieve di una reciproca comprensione fra le loro due nature selvaggee nonaveva avuto bisogno dei sorrisi incoraggianti

della signora Almayer per approfittare di ogni opportunità per avvicinare laragazza; e ogni volta che lui le parlavaogni

volta che la guardava negli occhiNinasebbene distogliesse il visoaveval'impressione che quest'essere dall'aria

audace che le sussurrava parole così brucianti nel suo orecchio attentofosse l'incarnazione del suo destinola creatura

dei suoi sogni - spavaldoferocepronto ad affrontare i nemici con il suo krisslampeggiante e l'amata con un abbraccio

ardente - l'ideale capo malese della propria tradizione materna.

Con un brivido di deliziosa paura riconosceva la misteriosa consapevolezzadella propria identità con

quell'individuo. Ascoltando le sue parolele sembrava di nascere solo inquel momento alla coscienza di una nuova vita

e che la propria esistenza fosse completa solo quando era accanto a luie siabbandonava ad uno stato di sognante

felicitàmentre con il volto semivelato e in silenzio - come si addiceva auna fanciulla malese - ascoltava le parole di

Dain che le trasmettevano tutto il tesoro di amore e passione di cui la suanatura era capacecon lo sfrenato entusiasmo

di un uomo totalmente libero da qualsiasi influenza di una civile disciplina.

E trascorrevano così molte ore splendide e fugaci sotto gli alberi di mangodietro l'amichevole cortina dei

cespugli fino a quando l'acuta voce della signora Almayer non dava loro ilsegnale per una separazione a malincuore. La

signora Almayer si era assunta il facile compito di controllare il marito neltimore che potesse interrompere il corsotranquillo della storia d'amore dellafiglianella quale lei ricavava un grande e positivo interesse. Era felice eorgogliosa

di vedere l'innamoramento di Dainconvinta che fosse un capo grande epotentee trovava anche una gratificazione

della propria venalità nella prodiga generosità di Dain.

La vigilia del giorno in cui i sospetti di Babalatchi vennero confermati dauna prova oculareDain e Nina erano

rimasti più a lungo del solito nel loro ombreggiato rifugio. Solo il passopesante di Almayer sulla veranda e la sua

querula richiesta di cibo decisero la signora Almayer a lanciare un gridod'avvertimento. Maroola balzò leggero oltre il

basso steccato di bambùe si diresse furtivo attraverso la piantagione dibanane giù verso la riva fangosa del canale sul

retromentre Nina camminava lentamente verso casa per provvedere alleesigenze del padrecome era suo compito tutte

le sere. E quella sera Almayer si sentiva relativamente felice; i preparativierano quasi terminati; il giorno seguente

avrebbe varato le sue imbarcazioni. Nella mente vedeva la ricca ricompensa aportata di mano; e con il cucchiaio di

stagno in manodimenticava il piatto di riso che gli stava davantipersonei fantastici preparativi di uno splendido

banchetto che avrebbe avuto luogo al suo arrivo ad Amsterdam. Ninaallungatanella sedia a sdraioascoltava distratta

le poche parole sconnesse che sfuggivano dalle labbra del padre. Spedizione!Oro! Che le importava tutto questo? Ma

quando il padre fece

il nome di Marooladivenne attentissima. Dain avrebbe sceso il fiume con ilsuo brigantino il giorno seguente

e sarebbe rimasto fuori per qualche giornodisse Almayer. Era davverofastidiosoquesto rinvio. Non appena Dain

fosse tornatosarebbero dovuti partire senza perder tempoperché il fiumestava ingrossando. Non si sarebbe sorpreso

se fosse stata in arrivo una grande inondazione. E spinse lontano il piattocon un gesto di impazienza mentre si alzava

da tavola. Ma ora Nina non lo sentiva più. Dain andava via! Ecco perché leaveva ordinatocon quella tranquilla

autorevolezza che per lei era così piacevole assecondaredi incontrarlo aiprimi chiarori del giorno nel canale di

Bulangi. C'era una pagaia nella sua canoa? pensò. Era pronta? Si sarebbedovuta muovere presto - alle quattro del

mattinofra pochissime ore.

Si alzò dalla sediapensando che avrebbe avuto bisogno di riposo primadella lunga remata il mattino dopo. La

luce della lampada era fiocae il padrestanco per la giornata faticosasitrovava già nella sua amaca. Nina spense la

lampada e passò in una grande stanza che divideva con la madresullasinistra del corridoio centrale. Entrandovide che

la signora Almayer aveva lasciato la pila di stuoie che le facevano da lettoin un angolo della stanzaed era china sulla

sua grande cassapanca di legno dal coperchio spalancato. Mezzo guscio di nocedi cocco pieno d'olioin cui galleggiava

uno straccetto di cotone che fungeva da stoppinoera posato sul pavimentoavvolgendola in un alone di luce rossastra

che brillava attraverso il fumo nero e acre. La schiena della signora Almayerera piegata in avantie la testa e le spalle

scomparivano nell'ampio cassone. Le sue mani frugavano all'internoda cuiproveniva un lieve tintinnio come di

monete d'argento. La donna non si accorse subito della presenza della figliae Ninain piedi silenziosa accanto a lei

vide tanti piccoli sacchetti di tela disposti sul fondo della cassapancadaiquali la madre estraeva manciate di lucenti

fiorini e dollari messicanilasciandoli scorrere lentamente giù attraversole dita adunche. La musica dell'argento

tintinnante pareva colmarla di gioiae gli occhi le brillavano riflettendoil bagliore delle monete nuove di zecca. Fra sé e

sé borbottava: «E questoe questoe ancora questo! Presto mi darà dipiù - molto più di quanto chiedo. È un grande

Rajah - un Figlio del Cielo! E lei sarà una Ranee - darà tuttoquesto per lei! Chi ha dato mai niente per me? Io sono una

schiava! Ma lo sono davvero? Sono la madre di una grande Ranee!».Improvvisamente si accorse della presenza della

figliae interruppe il suo soliloquiochiudendo il coperchio violentemente;poirimanendo accucciataguardò in su

verso la figlia in piedi accanto a lei con un vago sorriso sul suo voltosognante.

«Hai vistoeh?»urlò con voce acuta. «È tutto mioed è per te. Manon basta! Dovrà dare molto di più prima

di portarti via a quelle isole del sud dove suo padre è re. Mi senti? Tuvali di piùdiscendente di rajah! Di più! Di più!».

Dalla veranda si udì la voce assonnata di Almayer che chiedeva silenzio. Lasignora Almayer spense la luce e

scivolò nel suo angolo della stanza. Nina si coricò supina su una pila dimorbide stuoiele mani intrecciate sotto la testa

guardandoattraverso l'apertura priva di imposte che fungeva da finestraverso le stelle luccicanti nel cielo nero;

attendeva il momento di partire per il luogo del suo appuntamento. Contranquilla felicità pensava a quell'incontro nella

grande forestalontano da ogni rumore e occhio umano. La sua mentescivolando di nuovo in quell'umore selvaggio

che lo spirito della civiltà operante per mano della signora Vinck nonavrebbe mai potuto distruggereprovava una

sensazione di orgoglio e di lieve turbamento davanti all'alto valore che suamadretanto pratica ed espertaaveva

attribuito alla sua persona; ma ripensò agli sguardi e alle paroleespressive di Dain erassicuratachiuse gli occhi con un

brivido di piacevole attesa.

Ci sono alcune situazioni nelle quali il barbaro e il cosiddetto uomo civilesi incontrano sullo stesso terreno. Si

può supporre che Dain Maroola non fosse particolarmente entusiasta della suafutura suocerae che in realtà non

apprezzasse l'appetito di dollari sonanti da parte di quella donnarispettabile. Ma nella nebbiosa mattina in cui

Babalatchitralasciate per una volta le cure dello statoandò acontrollare le sue nasse nel canale di BulangiMaroola

non aveva nessun brutto presentimentonon provava nulla oltre all'impazienzae al desiderio mentre vogava verso il lato

orientale dell'isola che formava appunto quel canale. Nascose la canoa fra icespugli e attraversò rapidamente l'isolotto

facendosi strada con impazienza attraverso i ramoscelli del fitto sottoboscoche intralciavano il suo cammino. Per

motivi di prudenza non aveva portato la sua canoa al luogo dell'incontrocome aveva fatto Nina. L'aveva lasciata nel

corso principale del fiume fino al suo ritorno dall'altra parte dell'isola.La nebbia tiepida e pesante si chiudeva

rapidamente intorno a luima riuscì a cogliere sulla sua sinistra ilfuggevole riflesso di una luce che proveniva dalla

casa di Bulangi. Poiin quei vapori che si addensavanonon poté vederepiù nullae si tenne sul sentiero grazie a una

sorta di istintoche lo condusse proprio al punto esatto della riva oppostache desiderava raggiungere. Un grande troncosi era arenato lìad angolo rettocon la rivaformando una specie di pontile contro il quale la rapida correntesi frangeva

gorgogliando forte. Vi salì con un movimento rapido e fermoe in due passisi trovò all'altra estremitàmentre l'acqua

schiumante turbinava ai suoi piedi.

In piedi làsoloquasi separato dal mondoil cielola terrala stessaacqua che rumoreggiava sotto di lui

inghiottiti nel fitto velo della nebbia mattutinaesalò il nome di Ninadavanti a lui nello spazio apparentemente

illimitatosicuro di essere ascoltatoistintivamente sicuro della vicinanzadi quella splendida creatura; certo che Nina

era consapevole della sua presenza come lui lo era di quella di lei.

La prua della canoa di Nina spuntò accanto al troncoalta fuori dall'acquaper il peso della ragazza seduta a

poppa. Maroola posò la mano a prua e balzò agilmente dentrodando unavigorosa scostata alla leggera imbarcazione

cheobbedendo a questa nuova spintaevitò il tronco di misura; e il fiumecon disciplinata complicitàla fece deviare

di traversoportandola silenziosamente e rapidamente fra le due spondeinvisibili. E una volta ancora Dainai piedi di

Ninadimenticò il mondoe si sentì travolgereindifesoda una grandeondata di suprema emozioneda un impeto di

gioiaorgoglio e desiderio; e comprese ancora una volta con assolutacertezza che la vita non era possibile senza quella

creatura che teneva stretta fra le sue braccia con la forza appassionata diun lungo abbraccio.

Nina si liberò gentilmente ridendo piano.

«Farai rovesciare la barcaDain»sussurrò.

L'uomo la fissò negli occhi per un minuto con uno sguardo colmo di desiderioe la lasciò andare con un

sospiropoi si stese nella canoa e le appoggiò la testa sulle ginocchiaguardando in su e tendendo le braccia indietro

finché le sue mani si toccarono dietro la vita della ragazza. Nina si piegòsu di luiescuotendo la testainquadrò i loro

volti fra le lunghe ciocche dei suoi capelli neri.

E così si lasciarono portare dalla correntel'uomo parlando con tutta larude eloquenza di una natura selvaggia

che si abbandona senza alcun freno a una passione travolgentela ragazzachina giù a cogliere il mormorio di parole per

lei più dolci della vita stessa. Per loro nulla esisteva al di fuori delloscafo di quella stretta e fragile imbarcazione. Era il

loro mondopieno di un amore intenso e totale. Non si accorsero neppuredella bruma sempre più fittao della brezza

caduta prima dell'alba; dimenticarono l'esistenza delle grandi foresteintorno a loroe di tutta la natura dei tropici che

attendeva la nascita del sole in un silenzio solenne e impressionante.

In altosopra la nebbia bassa del fiume che nascondeva la barca con il suocarico di giovani vite appassionate e

di cieca felicitàle stelle impallidironoe un grigio argenteo si diffusenel cielo da levante. Non c'era un alito di vento

non un fruscio di foglie mosse dalla brezzanon un rumore di pesciguizzantia disturbare il sereno riposo di tutte le

cose viventi sulle rive del grande fiume. Terrafiumee cielo erano avvoltiin un sonno profondoda cui pareva non ci

sarebbe stato risveglio. Tutta la vita in fermento e il movimento dellanatura tropicale sembravano concentrati negli

occhi ardentinei cuori tumultuosi delle due creature che si lasciavanoportare dalla canoasotto il bianco baldacchino

della nebbiasulla liscia superficie del fiume.

Improvvisamente un grande fascio di raggi dorati dardeggiò verso l'altodietro la nera cortina di alberi allineati

lungo le sponde del Pantai. Le stelle scomparvero; le piccole nuvole nereallo zenit si illuminarono per un attimo di un

colore purpureoe la fitta nebbiamossa da una brezza gentilel'alitodella natura al suo risveglioturbinò e si ruppe in

mille fantastici frammentisvelando la superficie increspata del fiume chescintillava all'aperta luce del giorno. Grandi

stormi di uccelli bianchi rotearono stridendo sopra le cime ondeggianti deglialberi. Il sole si era levato sulla costa

orientale.

Dain fu il primo a tornare alle preoccupazioni della vita quotidiana. Sialzò e diede una rapida occhiata da una

parte e dall'altra del fiume. I suoi occhi individuarono la barca diBabalatchi a poppae un'altra piccola macchia nera

sull'acqua scintillantela canoa di Taminah. Si spostò cautamente avantieinginocchiatosiprese una pagaia; Ninaa

poppaafferrò la sua. Si piegarono per vogaresollevando l'acqua ad ognicolpoe la piccola imbarcazione si mosse

rapidalasciando una stretta scia bordata da un merletto di schiuma bianca escintillante. Senza girarsiDain parlò.

«Qualcuno dietro di noiNina. Dobbiamo evitare che ci raggiunga. Penso chesia troppo lontano per averci

riconosciuto».

«C'è qualcuno anche davanti a noi»disse a fatica Ninasenza smettere divogare.

«Penso di sapere chi è»ribatté Dain. «C'è il riflesso del solelaggiùma credo sia quella ragazzaTaminah.

Viene ogni giorno al mio brigantino a vendere dolci - spesso si ferma tuttala giornata. Non importa; dirigiti verso la

riva; dobbiamo andare sotto i cespugli. La mia canoa è nascosta non lontanodi là».

Mentre parlava i suoi occhi scrutavano i nipa dalle foglie larghe chesfioravano nella loro corsa rapida e

silenziosa.

«AttentaNina»disse infine; «làdove le palme d'acqua finiscono e iramoscelli pendono sotto l'albero

inclinato. Vai verso il grande ramo verde».

Si alzòattentoe la barca scivolò lenta verso rivamentre Nina laguidava con un movimento abile e tranquillo

della pagaia. Quando furono abbastanza viciniDain afferrò il grosso ramoe piegandosi indietro fece passare la canoa

sotto un basso arco verde di piante rampicanti fittamente intrecciate chedavano accesso a una baia in miniatura formata

dall'erosione dell'argine durante l'ultima grande inondazione. La sua barcaera làancorata a una pietrae Dain vi passò

tenendo una mano sullo scafo della canoa di Nina. Per un attimo le dueminuscole imbarcazioni con i loro occupanti

galleggiarono fianco a fiancoriflesse dall'acqua nera nella luce tenue chelottava attraverso un'alta cupola di fitto

fogliame; mentre sopralassù dove era giorno fattofiammeggiavano immensifiori rossi che facevano scendere sulle

loro teste una pioggia di grandi petali luccicanti di rugiada che roteavanogiù lentamente in un fiume continuo eprofumato; e sopra di lorosotto di loronell'acqua addormentatatutto intorno a loro in un cerchio di vegetazione

lussureggiante immersa nell'aria calda carica di aromi forti e aspriproseguiva l'intenso lavorio della natura tropicale;

piante che svettavano verso l'altointrecciateavvinte in un'inestricabileconfusionearrampicandosi con folle brutalità

una sull'altra nel terribile silenzio di una lotta disperata verso la lucevitale del sole sopra di loro - quasi sconvolte da un

improvviso orrore di fronte alla massa brulicante in decomposizione giù inbassoalla morte e alla putrefazione da cui

esse stesse nascevano.

«Adesso ci dobbiamo separare»disse Dain dopo un lungo silenzio. «Devisubito tornare a casaNina. Io

aspetterò fino a quando il brigantino deriverà quaggiùe poi salirò abordo».

«E starai via a lungo?»chiese Nina a voce bassa.

«A lungo!»esclamò Dain. «Come può un uomo desiderare di restare alungo al buio? Quando non sono con

teNinasono come un cieco. Cos'è la vita per me senza la luce?».

Nina si piegò in avantie con un sorriso orgoglioso e felice prese il voltodi Dain fra le maniscrutandolo negli

occhi con uno sguardo appassionato e al tempo stesso interrogativo. Ma aquanto pare trovò in quegli occhi la conferma

delle parole che erano appena state pronunciatepoiché una sensazione digradita sicurezza le alleviò il peso del dolore

nel momento della separazione. Nina era certa che quell'uomodiscendente ditanti grandi Rajahfiglio di un grande

capopadrone della vita e della mortegodesse del sole della vita soloaccanto a lei. Un'immensa ondata di gratitudine e

di amore le sgorgò dal cuore. Come avrebbe potuto esprimere con un segnoaperto e visibile tutto quello che provava

per colui che le aveva riempito il cuore di tanta gioia e di tanto orgoglio?E nel grande tumulto di passionecome un

lampo la colse il ricordo di quella civiltà disprezzata e semidimenticatache aveva potuto conoscere solo da lontano nei

giorni delle angheriedella pena e della rabbia. Fra le fredde ceneri diquel passato odioso e triste trovava il segno

dell'amorel'espressione più adatta della smisurata felicità del presenteil pegno di un futuro splendido e luminoso.

Gettò le braccia intorno al collo di Dain e premette le labbra contro le suein un bacio lungo e ardente. L'uomo chiuse

gli occhisorpreso e spaventato per il tumulto suscitato nel suo cuore daquel contatto strano e fino a quel momento

sconosciutoe ancora molto tempo dopo che Nina aveva spinto la propria canoanel fiumerimase immobilenon

osando aprire gli occhinel timore di perdere la sensazione di eccitantevoluttà che aveva assaporato per la prima volta.

Ora non gli mancava altro che l'immortalitàpensavaper essere pari aglideie la creatura capace di aprirgli i

cancelli del cielo doveva essere sua - presto sarebbe stata sua per sempre!

Aprì gli occhi giusto in tempo per vedere attraverso l'arco di rampicanti laprua del brigantino che appariva

adagiomentre il bastimento scivolava giù lungo il fiume. Doveva salire abordo adessopensò; ma era riluttante a

lasciare il luogo dove aveva imparato a conoscere il significato dellafelicità. «C'è ancora tempo. Lasciamoli andare»

borbottò fra sé e sé; e richiuse gli occhi sotto la rossa pioggia dipetali profumaticercando di rivivere quella scena con

tutta la sua voluttà e tutto il suo turbamento.

Riuscì comunque a salire sul brigantino in tempoe a trovare anche molto dafare nel suo viaggioperché

invano Almayer attese il sollecito ritorno del suo amico. Il tratto di fiumea valle dove tanto spesso e con tanta

impazienza si dirigevano i suoi occhi rimaneva desertoad eccezione delrapido sfrecciare di qualche canoa da pesca;

ma giù dai rami a monte giungevano nuvole nere e piogge scroscianti cheannunciavano l'inizio definitivo della stagione

delle piogge con i suoi temporali e le grandi piene che avrebbero reso ilfiume quasi impossibile da risalire per le canoe

indigene.

Almayerpasseggiando lungo la spiaggia fangosa fra le sue caseosservavainquieto il fiume alzarsi palmo a

palmoe avvicinarsi lentamente alle barcheora pronte e alate a terra infila sotto la protezione di gocciolanti stuoie

kajang. La fortuna sembrava sfuggirgli di manoe nei suoi stanchivagabondaggi avanti e indietro sotto la pioggia che

cadeva fitta da un cielo sempre più bassouna sorta di indifferenzadisperata si impossessò di lui. Cosa importava? Era

proprio il suo destino! Quei due infernali selvaggiLakamba e Dainloavevano indottocon le loro promesse d'aiutoa

spendere fino all'ultimo dollaro per sistemare le barchee ora uno dei duese n'era andato chissà dovee l'altrochiuso

all'interno del suo recintonon dava segni di vita. Noneppure quelmascalzone di Babalatchipensava Almayerveniva

a farsi vedere da luiora che gli avevano venduto tutto il risoi gongd'ottone e i tessuti necessari per la spedizione.

Avevano avuto tuttofino al suo ultimo soldoe ora non importava loro chelui se ne andasse o rimanesse. E con un

gesto di abbandono e di scoraggiamento Almayer saliva adagio fino allaveranda della sua nuova casa per ripararsi dalla

pioggiae appoggiatosi alla ringhiera con la testa sprofondata fra le spallesi abbandonava a un flusso di amari pensieri

dimentico della corsa del tempo e dei morsi della famesordo alle gridaacute della moglie che lo chiamava per il pasto

serale. Quandodistolto dalle sue tristi meditazioni dal primo rombo deltemporale della serasi trascinava lentamente

verso la luce fievole della sua vecchia casale sue speranze ormai quasispente gli rendevano l'udito eccezionalmente

attento a qualsiasi rumore sul fiume. Diverse sere di seguito aveva sentitoil tonfo delle pagaie e aveva visto la sagoma

indistinta di una barcama quando salutava questa sfocata apparizioneconil cuore in gola per l'improvvisa speranza di

sentire la voce di Dainveniva ogni volta deluso dalla scontrosa rispostache gli rivelava come sul fiume ci fossero degli

arabidiretti a far visita al sedentario Lakamba. Questo gli procurò moltenotti insonnitrascorse a elucubrare quali

particolari infamie quelle degne persone stessero tramando adesso.Finalmentequando ogni speranza sembrava spenta

fu travolto dalla gioia nel sentire la voce di Dain; ma Dain appariva ancheansioso di vedere Lakambae Almayer

provava una certa inquietudine a causa della diffidenza profonda eineliminabile circa l'atteggiamento di quel sovrano

nei suoi confronti. Dainperòera finalmente tornato. Evidentementeintendeva mantenere fede al suo patto. La

speranza si riaccesementre Nina osservava il fiume rabbioso che sotto lasferza del temporale avanzava nella sua corsa

verso il mare.CAPITOLO VI

A Dain non ci volle molto per attraversare il fiume dopo avere lasciatoAlmayer. Approdò all'ingresso del

recinto che circondava il gruppo di case di cui era composta la residenza delRajah di Sambir. Evidentemente vi si

attendeva qualcunoperché il cancello era apertoe uomini con torce eranopronti a precedere l'ospite su per il piano

inclinato di tavole che conduceva alla casa più grande dove Lakamba stessorisiedevae dove si trattavano

invariabilmente tutti gli affari di stato. Gli altri edifici all'interno delrecinto servivano solo per alloggiare i numerosi

servitori e le mogli del monarca.

La casa di Lakamba era una solida struttura di tavole massicceinnalzata sualte palafittecon una veranda di

bambù che la circondava su tutti i lati; il tutto era coperto da un tettomolto spioventepoggiato su travi annerite dal

fumo di numerose torce.

L'edificio era posto parallelamente al fiumecon una facciata proprio difronte all'ingresso del recinto. C'era

una porta sul fianco della casa a monte del fiumee la rampa inclinataconduceva diritta dal cancello a quella porta. Alla

luce incerta delle torce fumigantiDain notò il contorno indistinto di ungruppo di uomini armati nell'ombra fitta alla

sua destra. Da quel gruppo Babalatchi emerse per aprire la portae Dainentrò nella sala delle udienze della residenza

del Rajah. Circa un terzo della casaseparato dal resto con pesanti tendaggidi fabbricazione europeaera adibito a

questo scopo; vicino ai tendaggi c'era una grossa poltrona di un legno scuromolto lavoratae davanti ad essa un tavolo

di abete grezzo. Per il restola stanza era ammobiliata solo con una grandeprofusione di stuoie. A sinistra dell'ingresso

si trovava una rozza rastrellieracui erano appesi tre fucili con labaionetta innestata. Accanto al muronell'ombrala

guardia del corpo di Lakamba - tutti amici e parenti - dormivano in unmucchio confuso di braccia e gambe brunee di

indumenti multicoloridai quali proveniva occasionalmente il rumore diqualcuno che russava o che gemeva piano nel

suo sonno agitato. Sul tavolo c'era una lampada europea con un paralumeverdeche consentiva a Dain di intravedere

questa scena.

«Entra pure e vieni a riposarti»disse Babalatchiguardando Dain con ariainterrogativa.

«Devo parlare subito al Rajah»rispose Dain.

Babalatchi fece un gesto di assensoevoltandosi verso il gong d'ottoneappeso sotto la rastrellieradiede due

forti colpi.

Il fracasso assordante risvegliò la guardia. Non si sentì più russare; legambe tese in fuori si ritrassero; l'intero

mucchio si mosse e lentamente si scompose in sagome diversefra moltisbadigli e sfregamenti di occhi assonnati;

dietro le tende si udì un'esplosione di chiacchiere femminili; poi si sentìla voce bassa di Lakamba.

«È il commerciante arabo?».

«NoTuan»rispose Babalatchi; «finalmente Dain è tornato. È quiper una discussione importantebitcharra -

se tu misericordiosamente acconsenti».

Evidentemente la misericordia di Lakamba era così grande - poiché nel girodi pochi minuti emerse da dietro la

tenda - ma non giunse al punto da indurlo a vestirsi da capo a piedi. Uncorto sarong rosso stretto frettolosamente

intorno ai fianchi costituiva il suo unico indumento. Il misericordiosogovernante di Sambir appariva assonnato e

piuttosto scontroso. Sedette sulla poltronale ginocchia ben divaricateigomiti sui braccioliil mento sul petto

respirando pesantemente e attendendo di malavoglia che Dain iniziassel'importante discussione.

Ma Dain non appariva troppo ansioso di cominciare. Diresse il suo sguardoverso Babalatchiaccucciato

comodamente ai piedi del suo padronee rimase in silenzio con la testalievemente piegata quasi fosse concentrato

nell'attesa di parole di saggezza.

Babalatchi tossì discretamente esporgendosi in avantispinse verso Dainalcune stuoie perché vi si sedessee

poi levò la sua voce chioccia per rassicurarlo con appassionata loquacitàcirca la gioia di tutti per questo ritorno tanto

sospirato. Il suo cuore aveva bramato di rivedere il volto di Daine le sueorecchie erano ormai disseccate per la

mancanza del suono ristoratore della sua voce. I cuori e le orecchie di tuttisi trovavano in quella stessa triste situazione

secondo Babalatchimentre indicava con un ampio gesto l'altra riva del fiumedove gli abitanti del villaggio dormivano

tranquillisenza sapere la grande gioia che li attendeva la mattinaseguentequando la presenza di Dain fra di loro si

sarebbe rivelata. «Perché»proseguì Babalatchi«qual è la gioia di unpover'uomo se non la mano aperta di un generoso

mercante o di un grande...».

A questo punto si interruppe di colpo con un calcolato imbarazzo e il suoocchio vagante si fissò sul

pavimentomentre un sorriso di scusa aleggiò per un attimo sulle sue labbrastorte. Una volta o due durante questo

discorso d'esordioun'espressione divertita era passata sul volto di Dainsubito seguitacomunqueda un'aria di grave

preoccupazione. Le sopracciglia di Lakamba rimasero aggrottatementre le suelabbra si muovevano con rabbia

nell'ascoltare l'oratoria del suo primo ministro. Nel silenzio che caddesulla stanza quando Babalatchi terminò di parlare

si levò un variegato ronfare dall'angolo dove la guardia del corpo avevaripreso il suo sonno interrottoma il rombodistante del tuonoche proprio inquel momento riempiva di apprensione il cuore di Nina per la salvezza del suoamato

passò inosservato da quei tre uominiciascuno intento ai propri obiettiviper la vita o la morte.

Dopo un breve silenzioBabalatchiabbandonando ora i fiori di unacerimoniosa eloquenzaparlò di nuovo

ma con frasi brevi e affrettatee a bassa voce. Erano stati molto inquieti.Perché Dain era rimasto assente tanto a lungo?

La gente che abitava più a valle lungo il fiume aveva sentito colpi digrandi cannoni e aveva visto una nave da guerra

olandese fra le isole dell'estuario. Per questo erano in ansia. Le voci di undisastro erano giunte ad Abdullah qualche

giorno primae da allora avevano atteso il ritorno di Dain con il timore diuna disgrazia. Da giorni ormai chiudevano gli

occhi prima di dormire nella paurae si risvegliavano allarmatie andavanoin giro tremanticome uomini davanti al

nemico. E tutto questo per Dain. Non voleva ora fugare questi timori per lasua salvezzanon per loro? Erano pacifici e

fedelie devoti al grande Rajah a Batavia - possa il fato guidarlo semprealla vittoria per la gioia e il bene dei suoi

servitori! «E qui»proseguì Babalatchi«il mio padrone Lakamba sistruggeva per l'angoscia per il mercante che aveva

preso sotto la sua protezione; e così anche Abdullahperché cosa nonavrebbero mai potuto dire i malvagi se per

caso...».

«Stai zittosciocco!»grugnì Lakambarabbioso.

Babalatchi fece silenzio con un sorriso soddisfattomentre Dainche erarimasto a guardarlo quasi affascinato

si voltò con un sospiro di sollievo verso il governante di Sambir. Lakambanon si mosseesenza alzare la testaguardò

Dain da sotto le cigliarespirando fortecon le labbra protese in fuorieun'espressione di malumore.

«Parla! OhDain!»disse finalmente. «Abbiamo sentito tante storie. Moltesere di seguito il mio amico Reshid

è venuto qui con cattive nuove. Le notizie viaggiano in fretta lungo lacosta. Ma possono anche essere false; di questi

tempi ci sono più bugie sulle bocche degli uomini rispetto a quando erogiovanema non è facile ingannarmi adesso».

«Tutte le mie parole sono vere»disse Dain con tono noncurante. «Se vuoisapere cosa è accaduto al mio

brigantinoallora sappi che è nelle mani degli olandesi. CredimiRajah»continuò con improvvisa energia«gli Orang

Blanda hanno buoni amici a Sambiro altrimenti come avrebbero potutosapere che stavo venendo?».

Lakamba rivolse a Dain una breve occhiata colma di ostilità. Babalatchi sialzò senza far rumoreandò alla

rastrellierae diede un violento colpo di gong.

Fuori dalla porta si sentì rumore di piedi nudi; dentrogli uomini dellaguardia si svegliarono e si alzarono a

sedere guardandosi in giro con sonnolenta sorpresa.

«Sìamico fedele del Rajah bianco»proseguì Dain sarcasticamenterivolto verso Babalatchi che nel frattempo

era tornato al suo posto«io sono fuggitoe sono qui a rallegrare il tuocuore. Quando ho visto la nave olandeseho

subito portato il brigantino oltre la barriera e l'ho tirato a riva. Loro nonhanno avuto il coraggio di seguirci con la nave

così hanno mandato le barche. Noi abbiamo preso le nostree abbiamo cercatodi fuggirema dalla nave ci hanno

sparatoe hanno ucciso molti miei uomini. Ma io sono stato risparmiatocaroBabalatchi! Gli olandesi adesso stanno

venendo qui. Mi cercano. Vengono a chiedere aiuto al loro fedele amicoLakamba e al suo schiavo Babalatchi.

Rallegratevi!».

Ma i suoi due ascoltatori non sembravano di umore allegro. Lakamba avevamesso una gamba sul ginocchioe

la grattava piano con aria assortamentre Babalatchiseduto a gambeincrociatesembrò essere divenuto d'improvviso

più piccolo e debolelo sguardo assente fisso davanti a sé. Gli uominidella guardia colsero qualche spunto di interesse

nella situazionee si allungarono sulle stuoie per stare più vicino a coluiche parlava. Uno di loro si alzò e andò ad

appoggiarsi alla rastrellieragiocando distrattamente con le frangedell'elsa della sua spada.

Dain attese finché il fragore del tuono si spense in lontani brontolii primadi riprendere a parlare.

«Sei forse sordoo sovrano di Sambiroppure il figlio di un grande Rajahnon è degno della tua attenzione?

Sono venuto qui a cercare rifugio e a metterti in guardiae voglio saperecosa intendi fare».

«Sei venuto qui per la figlia del bianco»ribatté Lakamba prontamente.«Il tuo rifugio era presso tuo padreil

Rajah di Baliil Figlio del Cielol'Anak Agong in persona. Chi sonoioda proteggere grandi principi? Solo ieri piantavo

il riso in una radura bruciata; oggi tu dici che tengo la tua vita nelle miemani».

Babalatchi diede un'occhiata al suo padrone. «Nessuno può sfuggire alproprio destino»mormorò

comprensivo. «Quando l'amore penetra nel cuore di un uomolo trasforma inun bambino - privo ormai di ragione. Sii

misericordiosoLakamba»aggiunsetorcendo un lembo del sarong delRajaha mo' d'avvertimento.

Lakamba strappò via con rabbia la falda del sarong. Intravedendo gliintollerabili fastidi causati dal ritorno di

Dain a Sambircominciò a perdere quel controllo che fino a quel momento erastato in grado di mantenere; e ora alzò

forte la voce sopra il sibilo del vento e il picchiettio della pioggia sultetto nella tremenda bufera che imperversava sulla

casa.

«Inizialmente sei venuto quida commerciantepieno di belle parole e digrandi promessechiedendomi di

guardare dall'altra parte mentre ti lavoravi l'uomo bianco laggiù. E l'hofatto. E ora cosa vuoi? Quando ero giovaneho

combattuto. Ma adesso sono vecchioe voglio pace. È più facile per melasciare che tu sia ucciso piuttosto che

combattere contro gli olandesi. È meglio per me».

La bufera era passata oraenel breve silenzio di questa tregua nellatempestaLakamba ripeté pianoquasi fra

sé e sé: «Molto più facile. Molto meglio».

Dain non parve scomporsi granché per le frasi minacciose del Rajah. MentreLakamba parlavasi era dato una

rapida occhiata alle spallegiusto per assicurarsi che non ci fosse nessunodietro di luietranquillizzato da questo punto

di vistaaveva estratto una scatoletta dalle pieghe della fascia che gliserrava i fianchie stava ora avvolgendo con cura

un pezzettino di noce di betel e un pizzico di calce nella foglia verde chegli veniva tesa cortesemente dall'attentoBabalatchi. L'accettò come un'offertadi pace dal silenzioso statista - una sorta di muta protesta contro la poco

diplomatica violenza del suo padronee come un auspicio per un'intesa cui sisarebbe forse potuto giungere. Del resto

Dain non era inquieto. Sebbene riconoscesse che Lakamba aveva ragione quandoaffermava che lui era tornato a Sambir

solo per la figlia del bianconon si riteneva tuttavia responsabile dinessuna irragionevolezza infantilecome aveva

suggerito Babalatchi. In effettiDain sapeva benissimo che Lakamba eratroppo implicato nel contrabbando di polvere

da sparo da non temere un'indagine delle autorità olandesi. Quando era statomandato dal padrel'indipendente Rajah di

Balial tempo in cui le ostilità fra olandesi e malesi minacciavano diestendersi da Sumatra all'intero arcipelagoDain

aveva trovato tutti i mercanti sordi alle sue guardinghe proposteeindifferenti alla tentazione degli alti prezzi che era

pronto a concedere per la polvere da sparo. Era andato a Sambir come ultima equasi disperata risorsaavendo sentito

parlare a Macassar del bianco che abitava lassùe del regolare servizio cheil piroscafo effettuava da Singapore - ma

attratto anche dal fatto che non ci fossero autorità olandesi sul fiumeundatoquestoche avrebbe reso indubbiamente

le cose più facili. Le sue speranze rischiarono di naufragare contro lacocciuta lealtà di Lakamba derivante dalla ferma

coscienza dei propri interessi; ma finalmente la generosità del giovaneilsuo contagioso entusiasmoil prestigio del

grande nome del padreebbero la meglio sulla prudente esitazione del monarcadi Sambir. Lakamba non voleva avere a

che fare personalmente con nessun traffico illegale. E obiettò anche allapartecipazione degli arabi all'affare; ma

propose Almayerdicendo che si trattava di un uomo debole facile dapersuaderee che il suo amicoil capitano inglese

del piroscafoavrebbe potuto rivelarsi molto utile - molto probabilmentesarebbe entrato nell'affareportando la polvere

di contrabbando sul piroscafo all'insaputa di Abdullah. Ma qui Dain dovettenuovamente scontrarsi con l'inattesa

resistenza di Almayer; Lakamba dovette mandare Babalatchi con la solennepromessa che i suoi occhi sarebbero rimasti

chiusi in segno di amicizia con il biancomentre Dain offrì come pegnodella promessa e dell'amicizia sonanti fiorini

d'argento degli odiati Orang Blanda. Almayerdopo avere finalmenteacconsentitodisse che sarebbe stato possibile

avere la polverema che Dain doveva anticipargli i dollari da mandare aSingapore per il pagamento. Almayer avrebbe

convinto Ford a comprarla e a trasportarla di nascosto dal piroscafo albrigantino. Per la transazione non volle nulla;

Dainperòavrebbe dovuto aiutarlo nella sua grande impresa dopo aver fattopartire il brigantino. Almayer aveva

spiegato a Dain che non si poteva fidare unicamente di Lakamba per questafaccenda; aveva paura di perdere il tesoro e

la vita per colpa della cupidigia del Rajah; il Rajah però dovette essereinformato e insistette nell'avere una parte in

questa operazioneo altrimenti i suoi occhi non sarebbero rimasti chiusi alungo. Su questo punto Almayer si dovette

rassegnare. Se Dain non avesse visto Ninaavrebbe probabilmente rifiutato diimpegnarsi con i suoi uomini nella

progettata spedizione al Gunong Mas - la montagna d'oro. Stando cosìle coseaveva deciso di tornare con la metà dei

suoi uomini non appena avesse disincagliato il brigantino dalla barrieracorallinama la caccia spietata che gli era stata

data dalla fregata olandese lo aveva costretto a fuggire verso sud e infinead affondare e a distruggere la sua nave per

conservare la libertà e forse perfino la vita. Sìera tornato a Sambir perNinasebbene fosse consapevole che gli

olandesi lo avrebbero cercato làma aveva anche calcolato le sueprobabilità di salvezza nelle mani di Lakamba.

Nonostante la ferocia del suo discorsoil misericordioso monarca non loavrebbe uccisoperché da molto tempo si era

convinto che Dain possedesse il segreto del tesoro del bianco; né lo avrebbeconsegnato agli olandesinel timore di una

fatale rivelazione di complicità nel commercio clandestino. Così Dain sisentiva ragionevolmente al sicuro mentre stava

seduto meditando tranquillamente una risposta al sanguinoso discorso delRajah. Sìgli avrebbe fatto notare gli aspetti

della sua posizione nel caso lui stessoDainfosse caduto nelle mani degliolandesi e avesse detto la verità. Non avrebbe

più avuto niente da perderein quel casoe quindi avrebbe detto laverità. E se anche era tornato a Sambirturbando la

pace mentale di Lakambacosa c'era da dire? Era venuto per badare ai suoibeni. Non aveva forse versato un fiume

d'argento nell'avido grembo della signora Almayer? Aveva pagatoper laragazzaun prezzo principescoanche se assai

inferiore al valore di quella creatura splendida e affascinante che il suospirito indomito desiderava con un'intensità più

tormentosa del peggior dolore. Voleva la propria felicità. Aveva il dirittodi trovarsi a Sambir.

Si alzò eavvicinatosi al tavolovi appoggiò i gomiti; Lakambadirimandoaccostò di più la propria poltrona

mentre Babalatchi si rimetteva faticosamente in piedie con fare curiosoallungava il collo fra il suo padrone e Dain. Si

scambiarono rapidamente le loro ideeparlandosi in sussurri sul viso l'unodell'altrovicinissimi oraDain proponendo

Lakamba contraddicendoBabalatchi conciliando e mostrandosi ansioso per ledifficoltà in arrivo. Parlò più degli altri

con enfatici bisbiglivoltando la testa lentamente da una parte all'altra inmodo da portare il suo unico occhio a fissarsi

su ciascuno dei suoi interlocutori a turno. Perché avrebbe dovuto esserciconflitto? chiese. Tuan Dainche lui amava più

di ogni altro tranne il suo padronepoteva trovare senza timori unnascondiglio. C'erano diversi luoghi adatti. La casa di

Bulangi laggiù nella radura era la migliore. Bulangi era un uomo su cui sipoteva contare. Nel labirinto di tortuosi canali

nessun bianco sarebbe stato in grado di orientarsi. I bianchi erano forti masciocchi. Non era auspicabile combatterlima

ingannarli sarebbe stato facile. Erano come donnette - non conoscevano l'usodella ragionee lui sarebbe stato in grado

di affrontare uno qualsiasi di loro - proseguì Babalatchi con la sicumera dichi ha poca esperienza. Forse gli olandesi

sarebbero andati a cercare Almayer. Forse avrebbero portato via il loroconnazionale se lo avessero sospettato. Questo

sarebbe stato positivo. Dopo la partenza degli olandesiLakamba e Dainavrebbero preso il tesoro senza alcun

problemae ci sarebbe stata una persona di meno con cui dividerlo. Nondiceva forse parole sagge? Tuan Dain sarebbe

stato disposto ad andare alla casa di Bulangi fino a quando il pericolo fossecessatoad andare subito?

Dain accettò la proposta dando la sensazione di fare un favore a Lakamba eall'ansioso statistama di fronte al

suggerimento di partire subito oppose un deciso rifiutoguardandosignificativamente Babalatchi nell'occhio. Lo statista

sospirò come un uomo che debba accettare l'inevitabilee indicò insilenzio l'altra riva del fiume. Dain piegò la testa

lentamente.«Sìvado là»disse.

«Prima che spunti il giorno?»chiese Babalatchi.

«Vado là adesso»rispose Dain con decisione. «Gli Orang Blanda nonsaranno qui prima di domani sera

forsee devo parlare ad Almayer delle nostre decisioni».

«NoTuan. Nonon dire nulla»protestò Babalatchi. «Andrò iostesso all'alba e gli farò sapere».

«Vedrò»disse Dainpreparandosi a partire.

Fuori la tempesta stava ricominciandoe le nubi pesanti incombevano di nuovobasse nel cielo. C'era un rombo

continuo di tuoni lontani punteggiati da acuti scoppi più vicinie nelgioco continuo di lampi azzurrognolile foreste e il

fiume apparivano in modo intermittentecon tutta l'elusiva precisione diparticolari tipica di una simile scena. Fuori

dalla porta della casa del Rajah Dain e Babalatchi rimasero in piedi sullaveranda vacillante quasi stupefatti e annichiliti

dalla violenza del temporale. Rimasero là fra le forme acquattate deglischiavi e dei dipendenti del Rajah che cercavano

riparo dalla pioggiae Dain chiamò forte gli uomini della sua barca cherisposero con un unanime «Ada! Tuan!»mentre

guardavano inquieti il fiume.

«C'è una grande piena!»urlò Babalatchi nell'orecchio di Dain. «Ilfiume è pieno d'ira. Guarda! Guarda quei

tronchi alla deriva! Riuscirai a passare?».

Dain diede un'occhiata dubbiosa alla livida distesa di acqua in movimentodelimitata in lontananza sull'altro

lato dalla sottile striscia nera delle foreste. D'un trattoin un lividobagliore biancola bassa lingua di terra con gli alberi

ricurvi e la casa di Almayer apparve in vistascintillò per un attimo escomparve. Dain spinse Babalatchi da un lato e

corse giù verso il cancello sul fiume seguito dai suoi marinai tremanti.

Babalatchi rientrò indietreggiando lentamente e chiuse la portapoi sivoltò in silenzio verso Lakamba. Il Rajah

era seduto immobilefissando impassibile il tavoloe Babalatchi osservòcon curiosità l'atteggiamento perplesso

dell'uomo che da tanti anni serviva nella buona e nella cattiva sorte. Senzadubbio lo statista guercio provava nel suo

cuore selvaggio e molto smaliziato insoliti sentimenti di comprensioneeforse addirittura di compassioneper l'uomo

che chiamava padrone. Dalla propria tranquilla posizione di consigliereconfidenziale potevaalla luce fioca degli anni

passatirivedersi quando - un tagliagole come tanti - aveva trovato rifugiosotto il tetto di quell'uomo nella modesta

risaia dei lontani inizi. Era venuto poi un lungo periodo di ininterrottisuccessidi saggi consiglie di trame intricate

risolutamente portate a termine dall'intrepido Lakambafinché tutta lacosta orientale da Poulo Laut fino a Tanjong Batu

diede ascolto alla saggezza di Babalatchi che parlava per bocca del monarcadi Sambir. In quei lunghi anni quanti

pericoli sventatiquanti nemici affrontati coraggiosamentequanti bianchiabilmente ingannati! E ora aveva sotto gli

occhi il risultato di tanti anni di paziente fatica: l'intrepido Lakambaatterrito dall'ombra di un guaio imminente. Il

sovrano stava invecchiandoe Babalatchiconscio di una spiacevolesensazione alla bocca dello stomacovi appoggiò

entrambe le mani con la percezioned'un colpo vivida e tristedel fatto cheanche lui stava diventando vecchio; che il

tempo delle imprese audaci era passato per tutti e duee che dovevanocercare rifugio nelle prudenti astuzie. Volevano

pace; erano disposti a trattare; erano perfino pronti a cederepur di avereil necessario per allontanare in qualche modo i

tempi durisempre che questo fosse stato possibile. Babalatchi sospirò perla seconda volta quella notte mentre si

accovacciava di nuovo ai piedi del padrone e gli tendeva la sua noce di betelin un gesto di muta comprensione. E così

rimasero seduti nella comunione stretta e silenziosa dei masticatori dibetelmuovendo lentamente le mascellesputando

dignitosi nell'ampio vaso d'ottone che si passavano l'un l'altroeascoltando fuori il terribile fragore della furia degli

elementi.

«C'è una grande piena»notò Babalatchi tristemente.

«Sì»disse Lakamba. «Dain è andato?».

«È andatoTuan. È corso giù al fiume come un uomo in preda allo Sheitan».

Ci fu un'altra lunga pausa.

«Potrebbe finire annegato»fece infine Lakambamostrando qualcheinteresse.

«Ci sono molti tronchi sull'acqua»rispose Babalatchi«ma è un buonnuotatore»aggiunse con aria

indifferente.

«Dovrebbe vivere»disse Lakamba; «sa dove si trova il tesoro».

Babalatchi assentì con un grugnito infastidito. Il suo insuccesso nelpenetrare il segreto del bianco circa la

località dove si trovava l'oro rappresentava un punto dolente per lostatista di Sambirl'unico vero smacco in una

carriera altrimenti brillante.

Una gran pace era succeduta adesso al tumulto della tempesta. Solo qualchepiccola nuvola ritardatariache si

affrettava per raggiungere la grande massa lampeggiante in lontananzamandava una breve pioggia che picchiettava

piano con un sibilo dolce sulle foglie di palma del tetto.

Lakamba si scosse dalla sua apatia con l'aspetto di chi ha finalmenteafferrato la situazione.

«Babalatchi»chiamò con tono sbrigativodandogli un calcio leggero.

«Ada Tuan! Ti ascolto».

«Se gli Orang Blanda vengono quiBabalatchie portano Almayer aBatavia per punirlo per avere

contrabbandato polvere da sparoche cosa faràsecondo te?».

«Non lo soTuan».

«Sei uno sciocco»commentò Lakambaesultante. «Dirà loro dove si trovail tesoro per ingraziarseli. Lo farà».

Babalatchi guardò in su verso il suo padrone e annuì con un senso disorpresa per nulla piacevole. A questo

non aveva pensato; c'era una nuova complicazione.«Almayer deve morire»disse Lakamba con tono deciso«in modo che il segreto sia protetto. Devemorire

senza troppo rumoreBabalatchi. Te ne devi occupare tu».

Babalatchi annuìe si alzò stancamente in piedi. «Domani?»chiese.

«Sìprima che arrivino gli olandesi. Lui beve molto caffè»risposeLakambacon un'affermazione

apparentemente fuori luogo.

Babalatchi si stiracchiò sbadigliandoma Lakambacon la lusinghieraconsapevolezza di avere risolto un

problema spinoso grazie all'esclusivo lavorio del proprio cervelloapparved'improvviso molto sveglio.

«Babalatchi»disse all'esausto statista«vai a prendere la scatola dimusica che il capitano bianco mi ha

regalato. Non riesco a dormire».

A quest'ordine una profonda ombra di malinconia calò sui lineamenti diBabalatchi. Con riluttanza andò dietro

la tenda e riapparve quasi subito portando fra le mani un piccolo organettoche sistemò sul tavolo con un'aria di grande

abbattimento. Lakamba si accomodò meglio sulla poltrona.

«GiraBabalatchigira»mormorò a occhi chiusi.

La mano di Babalatchi afferrò la manovella con l'energia della disperazionee mentre giravala profonda

tristezza sul suo volto si mutò in un'espressione di sconfortatarassegnazione. Attraverso le imposte aperte le note della

musica di Verdi fluttuarono sul grande silenzio che aleggiava sul fiume esulla foresta. Lakamba ascoltava a occhi

chiusi e con un sorriso rapito; Babalatchi giravaa volte sonnecchiando ebarcollandopoi si riscuoteva con un grande

spavento dando qualche rapido giro di manovella. La natura dormiva di unriposo esausto dopo il tremendo tumulto

mentre sotto la mano incerta dello statista di Sambiril Trovatoresobbalzando piangevagemeva e diceva addio alla sua

Leonorapiù e più volte in un lugubre girotondo di lacrimose e incessantiripetizioni.

CAPITOLO VII

La luce intensa del chiaro e limpido mattino inondavadopo la tempestanotturnail sentiero principale del

villaggio che conduceva dalla bassa riva del Pantai al cancello del recintodi Abdullah. Quella mattina il sentiero era

deserto; la sua superficie giallo scurobattuta dal passaggio di molti piediscalzisi allungava fra i ciuffi di palmei cui

alti tronchi la rigavano a intervalli irregolari con larghe strisce nerementre il sole appena sorto proiettava le ombre

delle loro vette frondose assai lontanosui tetti degli edifici lungo ilfiumee sul fiume stesso che scorreva rapido e

silenzioso oltre le case deserte. Anche le case infatti erano deserte. Sullastretta striscia di erba calpestata fra le porte

aperte e la stradai fuochi del mattino languivano senza che nessuno liattizzasse e mandavano nell'aria frizzante esili

colonne verticali di fumodiffondendo un sottilissimo velo di misteriosafoschia azzurrina sull'assolata solitudine del

villaggio. Almayerappena sceso dalla sua amacaosservò ancora assonnatol'inconsueto aspetto di Sambirvagamente

stupito per quest'assenza di vita. Anche la sua casa appariva moltotranquilla; non riusciva a sentire né la voce della

mogliené il rumore dei passi di Nina nella grande stanza che dava sullaveranda che era solito chiamare il suo

soggiornotutte le volte chein compagnia di bianchidesiderava ribadireil proprio diritto alle normali comodità della

vita civile. Nessuno soggiornava mai in quella stanza; oltre tutto non c'eranulla su cui sedersiperché la signora

Almayernei suoi momenti di umore selvaggioquando era eccitata dai ricordidel periodo piratesco della propria vita

aveva strappato le tende per farne dei sarong per le schiave e pezzodopo pezzo aveva bruciato il pesante mobilio per

cuocere il riso familiare. Ma Almayer non pensava ai suoi mobili adesso.Pensava al ritorno di Dainall'incontro

notturno di Dain con Lakambaalle conseguenze che ne potevano derivare suipiani elaborati da tempoproprio ora che

si approssimava il momento della loro esecuzione. Era anche inquieto perchéDain non si era ancora fatto vedere

nonostante gli avesse promesso di venirlo a trovare di primo mattino. «Queltipo ha avuto tutto il tempo per attraversare

il fiume»rifletté«e ci sarebbe tanto da fare oggi. Sistemare gliultimi particolari in vista della partenza domattina

presto; varare le barche; dare i mille tocchi finali. Perché la spedizionedeve partire al completonulla deve essere

dimenticatonulla deve...».

Il senso di una solitudine inconsueta si fece strada in lui d'improvviso enell'insolito silenzio si sorprese a

desiderare perfino il suono abitualmente sgradito della voce della moglie perspezzare l'oppressivo silenzio chealla sua

fantasia spaventatapareva presagire l'avvento di qualche nuova disgrazia.«Cosa è successo?»mormorò a mezza voce

mentre ciabattava con le pantofole male infilate verso la balaustra dellaveranda. «Dormono ancora tutti o sono morti?».

Il villaggio era vivo e sveglissimo. Era sveglio fin dai primi chiaroridell'albaquando Mahmat Banjerin un

attacco di inaudita energiasi era svegliato epresa la sua accettaavevascavalcato le forme addormentate delle sue due

mogli e si era incamminato tremante di freddo verso la riva per assicurarsiche la nuova casa che si stava costruendo

non fosse stata trascinata via dal fiume durante la notte.

L'intraprendente Mahmat costruiva la casa su una grande zatterache avevasaldamente ormeggiato al riparo

della fangosa punta di terra alla congiunzione dei due rami del Pantaifuoridal percorso dei tronchi alla deriva che

certamente si sarebbero arenati sulla punta durante le piene. Mahmatcamminava sull'erba bagnata facendo brre

maledicendo a bassa voce le dure necessità della vita attiva che lo avevanogettato dal suo giaciglio caldo nel freddo del

mattino. Un'occhiata gli bastò per vedere che la sua casa era ancora làel'uomo si congratulò con se stesso per la

propria preveggenza nell'averla fissata così al sicuroperché al crescentechiarore del giorno scorse un confusoammasso di tronchi diveltisemiarenati sulfondo fangoso e intrecciati fra loro per i rami in una sorta di informe zattera

che si sbattevano qua e là frantumandosi a vicenda nel vortice provocatodalle correnti convergenti dei due rami del

fiume. Mahmat scese fino al bordo dell'acqua per esaminare gli ormeggi dicanne della casa proprio mentre il sole

illuminava gli alberi della foresta sulla riva opposta. Chinandosi percontrollare i nodidiede una seconda occhiata

distratta all'inquieto ammasso di tronchi e vi scorse qualcosa che gli fececadere di mano l'accetta; balzò in piedi e si

riparò con la mano gli occhi dai raggi del sole nascente. Era qualcosa dirossoe i tronchi vi rotolavano sopraa tratti

chiudendosi intorno all'oggettoa tratti nascondendolo. Dapprima gli parveun lembo di stoffa rossa. Ma subito dopo

Mahmat capì e lanciò un grande urlo.

«Ehilaggiù!»gridò Mahmat. «C'è un uomo fra i tronchi». Portò lepalme delle mani alle labbra e urlò

scandendo bene le paroleil viso rivolto verso il villaggio: «C'è il corpodi un uomo nel fiume! Venite a vedere! Un

forestiero - morto!».

Le donne della casa più vicina erano già fuori ad attizzare il fuoco e amondare il riso per il mattino. Si unirono

con la loro voce acuta al grido che volò di casa in casaspegnendosi indistanza. Gli uomini corsero fuori eccitati ma

silenziosie corsero verso la punta fangosa dove i tronchi inconsapevoli siscuotevano e si frantumavano e si urtavano e

rotolavano sul forestiero morto con la stupida cocciutaggine delle coseinanimate. Le donne si accodaronotrascurando i

lavori domesticiindifferenti al probabile scontento familiarementregruppi di bambini formavano la retroguardia

gorgheggiando allegri per la gioia di uno svago inatteso.

Almayer chiamò forte la moglie e la figliama non ricevendo rispostatesel'orecchioattento. Attutitogli

giunse il brusio della folladandogli la certezza di un avvenimentoinconsueto. Diede un'occhiata al fiume proprio

mentre stava per lasciare la veranda e si bloccò alla vista di una piccolacanoa che proveniva dall'imbarcadero del

Rajah. Il solitario occupante (nel quale Almayer presto riconobbe Babalatchi)effettuò la traversata un po' più a valle

della casa e vogò fino al pontile di Lingard nell'acqua stagnante sotto lasponda. Babalatchi si arrampicò lentamente

fuori dalla canoa e cominciò a ormeggiarla con cura meticolosaquasi nonavesse fretta di incontrare Almayerche

aveva visto in osservazione sulla veranda. Questo indugio diede ad Almayer iltempo di notare la tenuta ufficiale di

Babalatchie di meravigliarsene molto. Lo statista di Sambir era abbigliatoin un costume appropriato al suo alto rango.

Un sarong a grossi scacchi gli circondava la vitae dalle sue moltepieghe faceva capolino l'elsa argentea del kriss che

vedeva la luce soltanto nelle grandi cerimonie o durante i ricevimentiufficiali. Sulla spalla sinistra e attraverso il petto

nudo dell'anziano diplomatico luccicava una bandoliera di coppale da cuipendeva una medaglia d'ottone con le armi di

Olanda sotto la scritta«Sultano di Sambir». La testa di Babalatchi eracoperta da un turbante rosso le cui frange che gli

ricadevano sulla guancia e sulla spalla sinistra davano a quel voltoattempato un'espressione ridicola di allegra

sfrontatezza. Quando finalmente fu soddisfatto dell'ormeggio della canoasiraddrizzòscuotendosi le pieghe del

saronge si diresse ad ampie falcate verso la casa di Almayerfacendodondolare con regolarità il lungo bastone

d'ebanoil cui pomo d'oro decorato di pietre preziose lampeggiava nel soledel mattino. Almayer agitò la mano

indicando a destra verso la punta di terrache lui non poteva vederema cheera ben visibile dal pontile.

«OhBabalatchi! oh!»gridò«cosa succede laggiù? Riesci a vedere?».

Babalatchi si fermò a fissare la folla sulla riva del fiumee dopo qualcheattimo l'attonito Almayer lo vide

lasciare il sentieroraccogliere il sarong con una mano etrotterellare sull'erba verso la punta fangosa. Almayerora

molto interessatocorse giù per i gradini della veranda. Il mormorio dellevoci degli uomini e le grida stridule delle

donne gli giungevano piuttosto distintamente adessoe non appena giròl'angolo di casa poté vedere sul basso

promontorio la folla che ondeggiava e si spintonava intorno a qualcosa diinteressante. Poteva udire indistintamente la

voce di Babalatchipoi la folla si aprì davanti all'anziano statista e sirichiuse dietro di lui con un mormorio eccitatoche

si concluse con un alto grido.

Mentre Almayer si avvicinava alla calcaun uomo ne uscì fuori e loincrociò correndo verso l'abitatosenza

badare alla sua richiesta di fermarsi e spiegargli la causa diquell'eccitazione. Ai margini della folla Almayer si ritrovò

bloccato da una massa umana compattaindifferente alle sue richieste dipassareinsensibile alle spinte leggere che dava

per aprirsi un passaggio verso la riva del fiume.

Andando avantilento e riguardosogli parve d'un tratto di aver udito lavoce della moglie nel punto più

affollato della moltitudine. Non poteva confondere i toni acutissimi dellavoce della signora Almayerma le parole gli

giungevano troppo indistinte perché potesse afferrarne il senso. Siinterruppe nel suo tentativo di farsi stradaallo scopo

di avere qualche informazione da coloro che gli stavano intornoquando unlungo urlo penetrante lacerò l'ariamettendo

a tacere il mormorio della folla e le voci dei suoi informatori. Per unattimo Almayer rimase impietrito dalla sorpresa e

dall'orroreperché era certo adesso di aver sentito la moglie che faceva lelamentazioni per un morto. Ripensò

all'insolita assenza di Ninae impazzito dall'angoscia per la suaincolumitàsi fece avanti violentemente alla ciecae la

folla si trasse indietro con grida di sorpresa e di dolore dinanzi alla suafrenetica avanzata.

Sulla punta di terrain un piccolo spazio vuotogiaceva il corpo delforestiero appena tirato fuori dall'acqua fra

i tronchi. Da un lato stava Babalatchiil mento appoggiato al pomo del suobastone e l'unico occhio fisso sulla massa

informe di arti spezzaticarne lacerata e stracci macchiati di sangue.Quando Almayer irruppe nella cerchia di spettatori

inorriditila signora Almayer gettò il velo che le copriva la testa sulvolto dell'annegato eaccucciatasi lì accantocon

un altro lugubre ululato fece passare un nuovo brivido nella folla orasilenziosa. Mahmatbagnato fradiciosi voltò

verso Almayeransioso di esporgli il suo racconto.

Nel primo attimo di reazione all'angoscia della pauraAlmayer ebbel'impressione che il sole gli ondeggiasse

davantie ascoltò le parole che venivano dette intorno a lui senzacomprenderne il significato. Quandocon un fortesforzo di volontàriuscì dinuovo a dominare i suoi sensiMahmat stava dicendo: «Le cose sono andatecosìTuan. Il

suo sarong era impigliato nel ramo spezzatoe lui era sospeso lì conla testa sotto l'acqua. Quando ho visto di cosa si

trattavanon lo volevo qui. Volevo liberarlo e farlo portar via dallacorrente. Perché dovremmo seppellire un forestiero

fra le nostre case in modo che il suo fantasma venga a spaventare le nostredonne e i nostri bambini? Non abbiamo

abbastanza fantasmi in giro da queste parti?».

Un mormorio di approvazione lo interruppe a questo punto. Mahmat guardò conaria di rimprovero verso

Babalatchi.

«Ma il Tuan Babalatchi mi ha ordinato di trascinare il corpo aterra»proseguì guardando verso il suo pubblico

ma rivolgendosi solo ad Almayer«e l'ho trascinato per i piedi; attraversoil fango l'ho trascinatosebbene il mio cuore

ardesse dal desiderio di vederlo andare alla deriva sul fiume e di vederlomagari finire sulla radura di Bulangi - possa la

tomba di suo padre esserne contaminata!».

Ci furono delle risate soffocate a questo puntoperché l'inimicizia diMahmat e Bulangi era una questione di

dominio pubblico e di mai sopito interesse per gli abitanti di Sambir.Durante questo scoppio di ilaritàla signora

Almayer d'improvviso ululò ancora.

«Allah! Per cosa si lamenta questa donna!»esclamò Mahmat con tonorabbioso. «Eccoho toccato questa

carcassa che è venuta da chissà dovee con ogni probabilità mi sonocontaminato prima di avere mangiato il mio riso.

L'ho fatto su ordine di Tuan Babalatchi per far contento l'uomobianco. Sei contentoTuan Almayer? E quale sarà la

mia ricompensa? Tuan Babalatchi ha detto che ci sarà una ricompensae che sarai tu a darmela. Ora pensa. Io sono

contaminatoe se non mi sono contaminatoposso essere sotto un incantesimo.Guarda quei cerchi intorno alle caviglie!

Chi ha mai sentito di un cadavere che appare durante la notte fra i tronchicon cerchi d'oro intorno alle caviglie? Qui c'è

della stregoneria. Comunque»aggiunse Mahmat dopo una pausa di riflessione«prenderò un cerchio se ne avrò il

permessoperché possiedo un amuleto contro i fantasmi e non ho paura. Dioè grande!».

Una nuova esplosione di rumoroso dolore da parte della signora Almayerinterruppe il flusso dell'eloquenza di

Mahmat. Almayersconcertatoguardò a turno la moglieMahmatBabalatchi einfine posò il suo sguardo affascinato

sul corpo che giaceva nel fango con la faccia copertain un contorcimentogrottescamente innaturale di membra

martoriate e rotte; un bracciostorto e laceratole cui ossa bianchesporgevano in molti punti dalla carne squarciataera

teso in fuori e le dita allargate della mano gli sfioravano quasi il piede.

«Sai chi è?»chiese a Babalatchia voce bassa.

Babalatchicon lo sguardo fisso davanti a sémosse appena le labbramentre le persistenti lamentazioni della

signora Almayer coprirono il sussurro di una risposta appena bisbigliata inmodo che solo l'orecchio di Almayer potesse

udirla.

«È stato il destino. Guarda ai tuoi piediuomo bianco. Su quelle ditalacerate vedo un anello che conosco

bene».

Così dicendoBabalatchi con noncuranza fece un passo avantimettendo ilpiede come per caso sulla mano del

cadavere e schiacciandola nel fango soffice. Agitò con fare minaccioso ilbastone verso la follache si trasse un po'

indietro.

«Andate via»disse severamente«e mandate le vostre donne ai lorofocolariche non avrebbero dovuto

abbandonare per correre a vedere un forestiero morto. Questo è un affare dauomini. E ora me ne assumo io la

responsabilità a nome del Rajah. Rimangano qui solo gli schiavi di Tuan Almayer.Andate adesso!».

La folla riluttante cominciò a disperdersi. Le donne se ne andarono perprimetrascinando via i bambini che si

appendevano alla mano materna con tutto il loro peso. Gli uomini siallontanarono dopo di loro lentamentein gruppi

che si formavano e cambiavanosciogliendosi a mano a mano che siavvicinavano al villaggio e ognuno riguadagnava

la propria casa a passo sveltoaffamato al pensiero del riso del mattino.Solo sulla piccola altura digradante verso la

punta fangosa alcuni uominiamici o avversari di Mahmatrimasero aosservare con curiosità ancora per un po' il

gruppetto intorno al corpo sulla riva del fiume.

«Non capisco cosa vuoi direBabalatchi»disse Almayer. «Di che anelloparli? Chiunque siahai schiacciato la

mano di questo poveretto nel fango. Scoprigli il viso»proseguìrivoltoalla signora Almayer cheaccucciata vicino alla

testa del cadaveresi cullava avanti e indietroscuotendo di tanto in tantol'arruffata chioma grigiae mormorando un

lugubre lamento.

«Ah!»esclamò Mahmatche era rimasto a indugiare nei pressi. «GuardaTuan;i tronchi si sono scontrati

insieme in questo modo»e premette le palme delle mani l'una control'altra«e la sua testa deve essere rimasta fra di

loroe ora non c'è nessun volto da guardare. Ci sono la carne e le ossailnaso e le labbrae forse gli occhima nessuno

lo potrebbe riconoscere. Era scritto il giorno in cui è nato che alla suamorte nessun uomo avrebbe potuto guardarlo e

dire: "Questa è la faccia del mio amico"».

«SilenzioMahmat; basta!»disse Babalatchi«e distogli i tuoi occhi daquei cerchi d'oromangiatore di carne

di maiale. Tuan Almayer»proseguìabbassando la voce«hai vistoDain stamattina?».

Almayer spalancò gli occhi e parve allarmato. «No»disse rapidamente;«tu non lo hai visto? Non è con il

Rajah? Lo sto aspettando; perché non viene?».

Babalatchi crollò il capo tristemente.

«È venutoTuan. È andato via la scorsa notte quando la tempestaera forte e il fiume ruggiva rabbioso. La notte

era nerissimama lui aveva dentro di sé una luce che gli faceva apparire ilpercorso verso la tua casa liscio come unapozza d'acqua stagnantee tutti queitronchi non più grossi di fuscelli d'erba secca. Perciò è andato; e ora giacequi». E

con la testa Babalatchi indicò il corpo.

«Come fai a dirlo?»chiese Almayer eccitatospingendo da parte la moglie.Strappò via la coperta e guardò

alla massa informe di carnecapelli e fango seccodove avrebbe dovutoessere il volto dell'annegato. «Nessuno può

dirlo»aggiunsevoltandosi con un brivido.

Babalatchi si era inginocchiato e toglieva il fango dalle dita irrigiditedella mano tesa. Si alzò in piedi e fece

lampeggiare davanti agli occhi di Almayer un anello d'oro in cui eraincastonata una grossa pietra verde.

«Questo lo conosci bene»disse. «Non lasciava mai la mano di Dain. E oraho dovuto strappare la carne per

toglierlo. Mi credi ora?».

Almayer sollevò le mani al capo e le lasciò ricadere inertinell'estremoabbandono della disperazione.

Babalatchiguardandolo con curiositàfu sorpreso nel vedere che sorrideva.Una bizzarra immagine si era impadronita

del cervello di Almayersconvolto per questa nuova disgrazia. Gli pareva cheormai da molti anni avesse continuato a

cadere in un profondo precipizio. Giorno dopo giornomese dopo meseannodopo annoaveva continuato a cadere

caderecadere; era qualcosa di lisciorotondoneroe le pareti scure nonavevano smesso di scorrere verso l'alto con

esasperante rapidità. Una grande corsala cui eco sentiva ancora nelleorecchie; e adessocon un colpo tremendoaveva

raggiunto il fondoe pensa un po'! era vivo e vegetoe Dain era morto contutte le ossa rotte. Questo lo colpì come fosse

una cosa buffa. Un malese morto; aveva visto molti malesi morti senzacommuoversi affatto; e ora aveva voglia di

piangerema era sul destino di un bianco che conosceva; un uomo che cadevagiù per un profondo precipizio e non

moriva. In qualche modo gli pareva di essere su un latoun po' discostoedi guardare un certo Almayer che era nei guai

fino al collo. Poverettopoveretto! Perché non si tagliava la gola? Volevaincoraggiarlo; era molto ansioso di vederlo

giacere morto sopra quell'altro cadavere. Perché non moriva e non mettevafine alle sue sofferenze? Senza rendersene

conto emise un alto gemito e il suono della sua voce lo fece sobbalzare dalterrore. Stava diventando matto?

Terrorizzato da questo pensierosi girò e corse verso casa ripetendosi:«Non sto diventando matto; naturalmente nono

no!». Cercò di afferrarsi saldamente a questa idea. Matto nomatto no.Inciampò mentre correva alla cieca su per la

scala ripetendosi sempre più in fretta quelle parole in cui pareva essereriposta la sua salvezza. Vide Nina in piedi làe

volle dirle qualcosama non riusciva a ricordarsi cosanell'estremaangoscia di non dimenticare che non stava

diventando mattocome continuava a ripetersi mentalmente mentre correvaintorno al tavolofinché inciampò in una

delle sedie e vi si lasciò cadere esausto. Sedeva fissando con occhispiritati Ninacontinuando dentro di sé a rassicurarsi

sulla propria salute mentale e chiedendosi perché la ragazza si ritraesse dalui palesemente allarmata. Cosa aveva? Era

assurdo. Colpì il tavolo con un violentissimo pugno e gridò roco: «Portamiil gin! Corri!». Poimentre Nina correva

fuoririmase sulla sediafermo e tranquillostupito per il rumore cheaveva fatto.

Nina ritornò con un bicchiere mezzo pieno di gine trovò il padre chefissava con aria assente davanti a sé.

Almayer si sentiva stanco adessoquasi fosse tornato da un lungo viaggio.Gli pareva di aver camminato per miglia e

miglia quella mattinae ora aveva bisogno di riposare molto a lungo. Conmano tremante prese il gine mentre beveva i

suoi denti sbatterono contro il bicchiere; lo tracannò in fretta e losbatté sul tavolo. Lentamente girò gli occhi verso Nina

in piedi accanto a luie dissescandendo le parole: «Adesso è tuttofinitoNina. Lui è mortoe io posso anche bruciare

tutte le mie barche».

Si sentiva molto orgoglioso di riuscire a parlare con tanta calma.Decisamente non stava diventando matto.

Questa certezza era molto confortantee si mise a parlare del ritrovamentodel corpoascoltando la propria voce

compiaciuto. Nina era fermala mano appoggiata lievemente sulla spalla delpadreil volto impassibileanche se ogni

tratto del suo viso e l'atteggiamento di tutto il suo corpo esprimevano lapiù acuta e ansiosa attenzione.

«E così Dain è morto»disse freddamentequando il padre cessò diparlare.

L'atteggiamento calmo e studiato di Almayer cedette nel giro di un attimo auno sfogo di violenta indignazione.

«Te ne stai lì quasi fossi di ghiaccioe mi parli»esclamò con rabbia«come se si trattasse di una questione di

nessuna importanza. Sìè morto! Capisci? Morto! Ma a te cosa importa? Nonte n'è mai importato; mi vedevi lottaree

lavoraree faticarema restavi impassibile; e la mia sofferenza non sei mairiuscita a vederla. Nomai. Tu non hai

cuoree non hai cervelloperché altrimenti avresti capito che era per teper la tua felicità che stavo lavorando. Volevo

essere ricco; volevo andarmene via di qui. Volevo vedere uomini bianchiprostrarsi davanti al potere della tua bellezza e

della tua ricchezza. Vecchio come sono desideravo cercare una terrastranierauna civiltà che mi è sconosciutaper

trovare una nuova vita nella contemplazione delle tue fortunedei tuoitrionfidella tua felicità. In nome di questo ho

sopportato pazientemente il carico di lavorodi delusionidi umiliazioni inmezzo a questi selvaggie adesso avevo

tutto quasi a portata di mano».

Guardò il volto attento della figlia e balzò in piedi facendo rovesciare lasedia.

«Mi senti? Avevo tutto; così; a portata di mano».

Fece una pausacercando di dominare la rabbia che sentiva montare dentro diséma non vi riuscì.

«Non hai nessun sentimento?»continuò. «Non hai mai avuto nessunasperanza in vita tua?». Il silenzio di

Nina lo esasperava; la sua voce si fece più altasebbene cercasse dipadroneggiare i propri sentimenti.

«Sei contenta di vivere in questa miseria e di morire in questo bucomaledetto? Dimmi qualcosaNina; non

provi proprio nulla? Non riesci ad avere neanche una parola di conforto perme? Per me che ti ho voluto tanto bene».

Per un attimo attese una risposta e non ricevendone alcunascosse il pugnodavanti al volto della figlia.

«Io credo che tu sia idiota!»sbraitò.Cercò dietro di sé la sedialarimise in piedi e vi si sedette rigido. La rabbia era morta dentro di luieprovava

vergogna per questo sfogoma in certo senso sentiva anche sollievo pensandoche ora aveva esposto chiaramente alla

figlia l'intimo significato della propria vita. Lo credeva in perfetta buonafedeingannato dal sentimentalismo delle

proprie ragioniincapace di scorgere la tortuosità dei suoi modil'irrealtà dei suoi obiettivila futilità dei suoi rimpianti.

E ora aveva il cuore pieno solo di una grande tenerezza per la figlia.Avrebbe voluto vederla infeliceper dividere con

lei la propria disperazione; ma lo voleva solo nel modo in cui tutte lenature deboli desiderano compagnia nella

disgraziainsieme a persone che non ne portino la responsabilità. Se Ninaavesse soffertolo avrebbe capito e

compatito; ma adesso lei non volevao non sapevatrovare una sola parola diconforto o di amore per luiin questa

situazione così tragicamente disperata. Il senso della propria assolutasolitudine gli penetrò nel cuore con una forza che

lo fece sussultare. Vacillò e cadde in avanti con la faccia sul tavololebraccia in fuoritese e rigide. Nina fece un rapido

movimento verso il padre e restò a guardare la testa grigiae le ampiespalle scosse in modo convulso dalla violenza dei

sentimenti che trovavano finalmente sollievo in lacrime e in singhiozzi.

Nina sospirò profondamente e si allontanò dal tavolo. I suoi lineamentipersero la gelida indifferenza che aveva

esasperato il padre al punto di farlo esplodere per la rabbia e il dolore.L'espressione del suo voltoche il padre ora non

vedevasubì un rapido cambiamento. Aveva ascoltato con apparente distaccol'invocazione di Almayer per un po' di

comprensioneper una parola di confortoma il suo cuore era lacerato daimpulsi contrastanti suscitati in modo inatteso

da avvenimenti che non aveva previstoo che per lo meno non aveva previstocosì presto. Con lo spirito profondamente

scosso alla vista dell'infelicità di Almayersapendo che sarebbe stato insuo potere porvi fine con una parola

desiderando intensamente dare pace a quel cuore angosciatosentì conterrore la voce del proprio irresistibile amore

imporle il silenzio. E ad essa si sottomise dopo una lotta breve e disperatafra la sua vecchia personalità e il nuovo

ordine della sua vita. Si chiuse nel più assoluto silenziounica salvezzacontro qualche fatale ammissione. Non osò fare

un cennosussurrare una parolaper paura di dir troppo; e la violenzastessa del sentimento che agitava i più intimi

recessi della sua anima parve impietrire la sua persona. Le narici dilatate egli occhi lampeggianti erano gli unici segni

della tempesta che le infuriava dentroe Almayer non vide quei segnidell'emozione della figliaperché la sua vista era

offuscata dall'autocommiserazionedalla rabbiae dalla disperazione.

Se Almayer avesse osservato la figlia affacciata alla balaustra dellaverandaavrebbe potuto vedere

un'espressione dolorosa sostituirsi all'indifferenzae poi dileguarsilasciando la meravigliosa bellezza del suo viso

segnata in profondità da rughe di ansia e di angoscia. Davanti ai suoi occhil'erba incolta nel giardino trascurato si

levava alta nella calura del mezzogiorno. Dalla riva del fiume provenivanovoci e uno scalpiccio di piedi nudi che si

stavano avvicinando a casa; si sentiva Babalatchi dare direttive agli uominidi Almayer mentre i gemiti soffocati della

signora Almayer si udirono più chiaramentenon appena la piccolaprocessione che trasportava il corpo dell'annegato

guidata dall'afflitta matronagirò l'angolo della casa. Babalatchi avevatolto il cerchio rotto dalla gamba dell'uomoe ora

lo teneva in mano mentre avanzava accanto ai portatorimentre Mahmatindugiava dietro di lui timidamentenella

speranza della ricompensa promessa.

«Posatelo là»disse Babalatchi agli uomini di Almayerindicando una piladi tavole messe ad asciugare

davanti alla veranda. «Posatelo là. Era un kaffir e un figlio dicaneed era amico del bianco. Beveva l'acquavite del

bianco»aggiunseostentando il proprio orrore. «Io stesso l'ho visto coni miei occhi».

Gli uomini distesero le membra spezzate su due assi che avevano posto l'unaaccanto all'altramentre la signora

Almayer copriva il corpo con un pezzo di cotone bianco; poidopo averebisbigliato per qualche minuto con Babalatchi

si allontanò per dedicarsi alle faccende domestiche. Gli uomini di Almayerdopo aver deposto il loro caricosi

dispersero in giro in cerca di un angolo all'ombra per trascorrere in ozio ilresto della giornata. Babalatchi si ritrovò solo

accanto al cadavere che giaceva rigido sotto la tela bianca nella cruda lucedel sole.

Nina scese la scala e si avvicinò a Babalatchiche portò la mano allafrontee si accucciò con grande

deferenza.

«Hai un cerchio d'oro qui»disse Nina guardando in giùdrittonell'occhio solitario di Babalatchi rivolto verso

l'alto.

«Eccolomem Putih»replicò cortese lo statista. Poigiratosiverso Mahmatlo chiamò più vicinodicendo

forte: «Vieni qui!».

Mahmat si avvicinò con una certa esitazione. Evitava di guardare Ninae isuoi occhi si fissarono su

Babalatchi.

«Oraascolta»disse Babalatchi con tono tagliente. «L'anello e ilcerchio alla caviglia tu li hai vistie sai che

appartenevano a Dain il mercante e a nessun altro. Dain è tornato la nottescorsa su una canoa. Ha parlato con il Rajah

e nel mezzo della notte se n'è andato per attraversare il fiume verso lacasa dell'uomo bianco. C'era una grande pienae

stamattina tu lo hai trovato nell'acqua».

«Per i piedi l'ho tirato fuori»mormorò Mahmat in un sussurro. «Tuan Babalatchici sarà una ricompensa!»

esclamò a voce alta.

Bablatchi mise il cerchio d'oro davanti agli occhi di Mahmat. «Quello che tiho dettoMahmattutte le orecchie

lo possono sentire. Quello che ti dò adesso è solo per i tuoi occhi.Prendi».

Mahmat afferrò avidamente il gioiello e lo nascose nelle pieghe della suafusciacca. «Sono forse tanto sciocco

da mostrare questo in una casa dove stanno tre donne?»brontolò. «Madirò loro di Dain il mercantee se ne parlerà

abbastanza».

Si girò e andò viaaffrettando il passo non appena fu fuori dal recinto diAlmayer.Babalatchi lo guardò allontanarsi fin quando scomparve dietro icespugli. «Ho fatto benemem Putih?»chiese

rivolgendosi con umiltà a Nina.

«Hai fatto bene»rispose Nina. «L'anello lo puoi tenere tu».

Babalatchi si toccò le labbra e la frontee si alzò faticosamente inpiedi. Guardò Nina come se si aspettasse che

avrebbe parlato ancorama Nina si voltò verso la casa e salì la scalafacendogli segno con la mano di andare.

Babalatchi raccolse il suo bastone e si preparò a partire. Faceva moltocaldo e non aveva molta voglia di

affrontare la lunga vogata fino alla casa del Rajah. Pure doveva andare eparlare con il Rajah - raccontare quello che era

successo; del cambiamento nei suoi piani; di tutti i suoi sospetti. Arrivòal pontile e cominciò a sciogliere la cima di

canna con cui era ormeggiata la sua canoa.

La vasta distesa del tratto inferiore del fiumecon la sua superficiescintillante punteggiata dalle macchioline

nere delle canoe da pescasi allargava davanti a lui. Pareva che i pescatoristessero facendo una gara. Babalatchi

interruppe il suo lavoroe rimase a guardare la scena con improvvisointeresse. L'uomo nella prima canoaora a portata

di voce dalle prime case di Sambirdepose la pagaia e si alzò gridando:«Le lance! le lance! Stanno arrivando le lance

della nave da guerra! Sono qui!».

In un attimo il villaggio fu di nuovo in fermentocon la gente che scendevadi corsa alla riva del fiume. Gli

uomini cominciarono a sciogliere le barchele donne si raccolsero in gruppiguardando giù verso la curva del fiume.

Sopra gli alberi lungo le rive apparve un leggero pennacchio di fumo simile auna macchia nera sull'azzurro brillante del

cielo sereno.

Babalatchi si fermò perplessola cima da ormeggio in mano. Guardò giùverso il fiumepoi su verso la casa di

Almayere poi di nuovo al fiumequasi fosse indeciso sul da farsi.Finalmente ormeggiò di nuovo in gran fretta la

canoae corse verso la casa e su per la scala della veranda.

«Tuan! Tuan!»chiamò affannosamente. «Stanno arrivando le lance. Lelance della nave da guerra. Dovresti

prepararti. Gli ufficiali verranno quine son certo».

Almayer sollevò lentamente la testa dal tavoloe lo guardò con aria vacua.

«Mem Putih!»esclamò Babalatchi a Nina«guardalo. Non sente. Te nedevi occupare tu»aggiunse con aria

d'intesa.

Nina annuì con un sorriso incertoe stava per parlarequando una seccadetonazione del cannoncino montato a

prua della prima lanciache proprio in quel momento era apparsa sul fiumele bloccò le parole sulle labbra. Il sorriso si

spensee venne sostituito dalla solita espressione di attenzione angosciosa.Dalle colline lontane tornò l'eco come un

lugubre e lungo sospiroquasi che la terra lo avesse emesso in risposta allavoce dei suoi padroni.

CAPITOLO VIII

La notizia circa l'identità del corpo che giaceva ora nel recinto di Almayersi diffuse rapidamente nel villaggio.

Nella mattinata la maggior parte degli abitanti rimasero sulla lunga stradacentrale a discutere il misterioso ritorno e la

morte imprevista dell'uomo a loro noto come il mercante. Il suo arrivodurante il monsone di nordestil lungo soggiorno

in mezzo a lorol'improvvisa partenza con il brigantinoesoprattuttolamisteriosa apparizione fra i tronchi di quello

che si diceva fosse il suo corpoerano oggetto di meravigliasu cuicontinuare a parlare con inesauribile interesse.

Mahmat passava di casa in casa e di gruppo in grupposempre pronto aripetere il suo racconto: di come aveva visto il

corpo impigliato per il sarong ad un tronco forcuto; di come lasignora Almayeraccorsa fra i primi alle sue grida

l'avesse riconosciutoprima ancora che lui l'avesse tirato a riva; di comeBabalatchi gli avesse ordinato di portarlo fuori

dall'acqua. «Per i piedi l'ho trascinatoe non c'era nessuna testa»esclamava Mahmat«e come aveva fatto la moglie del

bianco a sapere chi era? Era una stregasi sapeva. E avete visto il biancocome è corso via alla vista del corpo? Come

un cervo correva!». E qui Mahmat imitava le lunghe falcate di Almayercongran giubilo degli astanti. E per tutto quel

disturbo non aveva ricevuto niente. L'anello con la pietra verde lo avevatenuto Tuan Babalatchi. «Niente! Niente!».

Sputava per terra in segno di disgustoe lasciava quel gruppo per cercarepiù avanti un nuovo uditorio.

La notiziadiffondendosi fino ai margini dell'abitatoraggiunse Abdullahnei freschi recessi del suo fondaco

dove sedeva sorvegliando gli impiegati arabi e gli uomini che caricavano escaricavano le canoe che facevano la spola

con l'interno. Reshidindaffarato sul pontilevenne convocato alla presenzadello zio e lo trovòcome d'abitudine

molto calmo e perfino allegroma anche assai sorpreso. La voce della catturao della distruzione del brigantino di Dain

era pervenuta alle orecchie degli arabi tre giorni prima dai pescatori dimare ed era stata riportata dagli abitanti del tratto

più a valle del fiume. Di bocca in bocca aveva risalito la correntefinchéBulangila cui radura era la più vicina

all'abitatoaveva portato personalmente la notizia ad Abdullahi cui favoricercava di ingraziarsi. Ma le voci parlavano

anche di uno scontro e della morte di Dain a bordo della sua nave. E adessotutto il villaggio parlava della visita di Dain

al Rajah e della sua morte mentre attraversava il fiume nell'oscurità perandare a trovare Almayer. Non riuscivano a

capire. Reshid pensava che era una cosa molto strana. Si sentiva inquieto eperplesso. Ma Abdullahdopo la prima

sorpresacon l'avversione dei vecchi nei confronti dei rompicapimostròuna dignitosa rassegnazione. Rilevò che inogni caso adesso quell'uomo era mortoe di conseguenza non era più pericoloso. A che serviva scervellarsi sui decreti

del Fatosoprattutto se questi erano propizi ai Veri Credenti? E con una piagiaculatoria per Allah Misericordioso e

CompassionevoleAbdullah per il momento parve considerare chiuso l'episodio.

Non così Reshid. Indugiò ancora accanto allo ziotiracchiandosi pensoso labarba ben curata.

«Ci sono molte bugie»mormorò. «È già morto una volta primaed èresuscitato per tornare di nuovo a morire.

Gli olandesi arriveranno qui fra pochi giornie vorranno quell'uomo. Nondevo forse credere ai miei occhi piuttosto che

alla lingua delle donne e dei fannulloni?».

«Dicono che il corpo sia stato portato al recinto di Almayer»disseAbdullah. «Se vuoi andarcidevi farlo

prima che arrivino gli olandesi. Vai sul tardi. Che non si dica in giro chesiamo stati visti vicino alla casa di quell'uomo

di recente».

Reshid annuì alla giustezza dell'ultima osservazione e lasciò lo zio. Siappoggiò allo stipite della grande porta

d'ingresso e guardò pigramente dall'altra parte del cortile attraverso ilcancello aperto sulla strada principale del

villaggio. Si stendeva vuotadiritta e gialla in un mare di luce. Neltorrido mezzogiorno i lisci tronchi delle palmei

contorni delle casee laggiù in fondo all'altra estremità della strada iltetto della casa di Almayer visibile sopra i

cespugli contro lo sfondo scuro della forestaparevano vibrare nella calurache emanava dalla terra fumante. Sciami di

farfalle gialle si levavano in voloe si posavano per alzarsi di nuovo inbrevi svolazzi davanti agli occhi socchiusi di

Reshid. Da sotto i suoi piedi saliva il monotono ronzio degli insettinell'erba incolta del cortile. Si fermò a guardare con

aria sonnacchiosa.

Da uno dei sentieri laterali fra le case una donna sbucò sulla stradaunasottile figura di ragazza che

camminava all'ombra di un grande vassoio in equilibrio sulla sua testa. Lapercezione di qualcosa in movimento scosse i

sensi semiaddormentati di Reshidrisvegliandolo un po'. Riconobbe Taminahla schiava di Bulangicon il suo vassoio

di dolci da vendere - un'apparizione che ricorreva quotidianamente e che nonrivestiva quindi alcuna importanza. Stava

dirigendosi verso la casa di Almayer. Poteva essere utile. Reshid siraddrizzò e corse verso il cancello chiamando forte:

«Taminahoh!». La ragazza si fermòesitò e tornò indietro lentamente.Reshid aspettòfacendole segno con impazienza

di venire più vicino.

Quando fu accanto a ReshidTaminah si fermò con gli occhi bassi. Reshid lafissò qualche minuto prima di

chiederle: «Stai andando a casa di Almayer? Nel villaggio si dice che Dainil mercantequello che stamattina è stato

trovato annegatosia nel campong del bianco».

«L'ho sentito dire»sussurrò Taminah; «e stamattina sulla riva del fiumeho visto il corpo. Dove si trovi ora

non so».

«Così lo hai visto?»chiese Reshid con aria ansiosa. «È proprio Dain?Tu lo hai visto molte volte. Sapresti

riconoscerlo».

Le labbra della ragazza tremaronoe rimase in silenzio per qualche istantecon un respiro affannoso.

«L'ho vistonon molto tempo fa»disse finalmente. «Quello che si dice èvero; è morto. Cosa vuoi da me

Tuan? Devo andare».

Proprio in quel momento si udì la detonazione del cannone a bordo dellaprima lanciache interruppe la

risposta di Reshid. Lasciata la ragazzal'uomo corse verso casae nelcortile incontrò Abdullah che si dirigeva al

cancello.

«Gli Orang Blanda sono arrivati»disse Abdullah«e ora avremo lanostra ricompensa».

Abdullah scosse la testa con fare dubbioso. «Le ricompense dei bianchitardano ad arrivare»disse. «I bianchi

sono rapidi nell'ira e lenti nella gratitudine. Vedremo».

Rimase fermo accanto al cancello strofinandosi la barba grigia e ascoltandole lontane grida di saluto dall'altra

parte del villaggio. Mentre Taminah stava girandosi per andar vialarichiamò indietro.

«Ascoltaragazza»disse; «ci saranno molti bianchi a casa di Almayer. Tusarai là a vendere i tuoi dolci agli

uomini del mare. Quello che vedi e senti me lo dovrai riferire. Vieni quiprima che il sole tramonti e ti darò un

fazzoletto azzurro a pallini rossi. Ora vaie non scordarti di tornare».

Con la punta del suo lungo bastone le diede una spinta mentre si stavaallontanando e la fece inciampare.

«Questa schiava è molto lenta»fece notare al nipoteguardando laragazza andar via con un'espressione di

grande disapprovazione.

Taminah camminavail vassoio sulla testagli occhi fissi a terra. Dalleporte aperte delle case giungevano

mentre passavaamichevoli richiami che la invitavano a entrare per comprarele sue cosema a nessuno di loro la

ragazza dava rettatrascurando le venditetutta presa com'era dalle proprieriflessioni. Fin dal primissimo mattino aveva

sentito e visto tante cose che le avevano riempito il cuore di una gioia cuisi mescolavano sofferenza e paura. Prima

dell'albaprima di lasciare la casa di Bulangi per dirigersi in canoa aSambiraveva udito delle voci fuori dalla casa

quando tutti tranne lei dormivano ancora. E adessocon la consapevolezzadelle parole pronunciate nell'oscuritàteneva

in pugno una vita e nascondeva nel cuore un grande dolore. Ma dal passoelasticodalla figura erettae dal volto chiuso

nella consueta espressione di apatica indifferenzanessuno avrebbe potutoindovinare l'altro peso che portava sotto il

carico visibile del vassoio su cui si ammonticchiavano i dolci confezionatidalle mani parsimoniose delle mogli di

Bulangi. In quella snella figura dritta come una frecciacosì aggraziata esciolta nella sua andaturadietro quegli occhi

dolci che esprimevano solo un'inconscia rassegnazionedormivano tutti isentimenti e tutte le passionitutte le speranze

e tutti i timorila maledizione della vita e la consolazione della morte. Edi tutto questo Taminah non sapeva nulla.

Viveva come le alte palme in mezzo alle quali passava adessocercando lalucedesiderando i raggi del soletemendo latempestaignara di entrambe. Laschiava non aveva nessuna speranzae non desiderava nessun cambiamento. Non

conosceva altro cieloaltra acquaaltra forestaaltro mondoaltra vita.Non aveva nessun desiderionessuna speranza

nessun amorenessuna paura tranne quella di una percossae nessuna vividasensazione tranne a volte quella della

famema solo di radoperché Bulangi era ricco e il riso non mancava mainella casa solitaria sulla radura. L'assenza di

dolori fisici e di fame era la sua felicitàe quando si sentiva infeliceera semplicemente stancapiù del solitodopo le

fatiche della giornata. Allora nelle calde notti del monsone di sudovestdormiva senza sognare sotto le stelle luminose

sulla piattaforma fuori dalla casa sul fiume. Dentro anche gli altridormivano: Bulangi accanto alla porta; le mogli

all'interno della casa; i bambini con le madri. Taminah sentiva il lororespiro; la voce assonnata di Bulangi; il grido

acuto di un bambino subito calmato con tenere parole. E chiudeva gli occhi almormorio dell'acqua sotto di leial

sussurro del vento tiepido in altoignara della vita incessante di quellanatura tropicale che le parlava invano con le

mille deboli voci della foresta vicinacon il soffio della brezza leggera;nei profumi pesanti che le aleggiavano sul capo;

nei bianchi spettri della foschia del mattino che palpitavano su di lei nelsolenne silenzio di tutto il creato prima

dell'alba.

Tale era stata la sua esistenza prima dell'arrivo del brigantino con iforestieri. Ricordava bene quel periodo: il

tumulto nel villaggiolo stupore incessantei giorni e le notti diconversazioni eccitate. Ricordava la propria timidezza

nei confronti di quegli sconosciutifino a quando il brigantino ormeggiatoalla banchina divenne in qualche modo parte

del villaggioe la paura si stemperò nella familiarità di un rapportocostante. Il richiamo a bordo divenne parte del suo

giro quotidiano. Camminava esitante sulle tavole oblique della passerella frale grida di incoraggiamento e gli scherzi

più o meno decenti degli uomini che oziavano sulle murate. Lassù vendeva lapropria merce a quegli uomini che

parlavano a voce così alta e si comportavano così liberamente. C'era unamoltitudine di personeun continuo

andirivieni; richiami scambiatiordini dati ed eseguiti gridando; iltintinnio di bozzelliil lancio da una parte all'altra di

rotoli di cavo. Taminah sedeva fuori dal passaggio all'ombra del tendoneilvassoio davanti a leiil velo ben tirato sul

voltointimidita da tanti uomini. Sorrideva a tutti gli acquirentima nonparlava con nessunolasciando scivolar via i

loro scherzi con imperturbabile indifferenza. Intorno a lei sentivaraccontare tante storie di paesi lontanidi strani

costumidi fatti ancor più strani. Quegli uomini erano coraggiosi; ma anchei più temerari fra di loro parlavano del loro

capo con paura. Spesso l'uomo che chiamavano il loro padrone le passavadavantieretto e indifferentenella fierezza

della gioventùnel bagliore del ricco abbigliamentocon un tintinnio diornamenti d'oroe tutti si facevano da parte

scrutando ansiosamente un movimento delle sue labbrapronti a fare quelloche veniva loro richiesto. In quei momenti

la vita pareva concentrarsi negli occhi della ragazzae da sotto il velo loosservavaaffascinatae al tempo stesso

timorosa di attrarre la sua attenzione. Un giorno l'uomo la notò e chiese:«Chi è quella ragazza?». «Una schiavaTuan!

Una ragazza che vende dolci»rispose una dozzina di voci all'unisono.Taminah si alzò terrorizzatapronta a scappare a

terraquando lui la richiamò indietro; e mentre lei stava tremante con latesta china davanti a luil'uomo le disse parole

gentilisollevandole il mento con la mano e guardandola negli occhi con unsorriso. «Non avere paura»disse. Furono

le sue uniche parole. Qualcuno chiamò dalla sponda del fiume; lui si voltòe dimenticò la sua esistenza. Taminah vide

Almayer in piedi sulla rivacon Nina al braccio. Udì la voce di Nina che lochiamava allegramentee vide il volto di

Dain illuminarsi di gioia mentre balzava a terra. Da allora odiò il suono diquella voce.

A partire da quel giorno smise di visitare il recinto di Almayere passò leore più calde al riparo del tendone

del brigantino. Spiava l'arrivo di Dain con il cuore che le batteva semprepiù fortea mano a mano che lui si avvicinava

in una tumultuosa confusione di nuove sensazioni di gioia e speranza e timoreche si dileguavano quando la figura

dell'uomo si allontanavalasciandola strematacome dopo una lottasedutaimmobile a lungo in un sognante languore.

Poi tornava lentamente a casa con la canoa nel pomeriggiolasciando spessoche la piccola imbarcazione seguisse la

pigra corrente nelle acque stagnanti del fiume. La pagaia pendeva inertenell'acquamentre la ragazza se ne stava seduta

a poppauna mano sotto il mentogli occhi spalancatiad ascoltare attentail sussurro del proprio cuore che sembrava

gonfiarsi finalmente in un canto di estrema dolcezza. Ascoltando quel cantoa casa mondava il riso; e quel canto

attutiva alle sue orecchie gli striduli litigi delle mogli di Bulangiilsuono degli aspri rimproveri che le venivano rivolti.

E quando il sole era vicino al tramontosi avviava alla spiaggia a bagnarsie ascoltava quel canto mentre stava in piedi

sull'erba tenera della rivacon la tunica per terra accanto a leieguardava il riflesso della propria figura sulla superficie

vitrea del canale. Ascoltando quel cantotornava lentamente indietroicapelli bagnati sciolti sulle spalle; e stendendosi

per riposare sotto le stelle luminosechiudeva gli occhi cullata dalmormorio dell'acqua sotto di leidel vento tiepido in

alto; dalla voce della natura che parlava attraverso i deboli rumori dellagrande forestae dal canto del proprio cuore.

Sentivama non capivae si abbeverava alla gioia sognante della proprianuova esistenza senza preoccuparsi

del suo significato o della sua finefinché la piena coscienza della vitale giunse attraverso il dolore e la rabbia. E soffrì

orribilmente la prima volta che vide la lunga canoa di Nina passaresilenziosa oltre la casa addormentata di Bulangi

portando i due amanti nella nebbia bianca del grande fiume. La sua gelosia ela sua rabbia culminarono in un

parossismo di dolore fisico che la lasciò ansimante sulla riva del fiumenella muta agonia di un animale ferito. Ma

continuò a muoversi paziente nel cerchio stregato della schiavitùcompiendo il suo lavoro giorno dopo giorno con tutta

la tragedia di un dolore che non poteva esprimereneppure a se stessachiusa in petto. Evitava Nina come avrebbe

evitato la lama affilata di un coltello pronto a scavarle nella carnemacontinuava ad andare sul brigantino per nutrire la

sua anima muta e ignara con la disperazione. Vide Dain molte volte. Non leparlava mainon la guardava mai. Possibile

che i suoi occhi vedessero solo l'immagine di una donna? Possibile che le sueorecchie udissero solo la voce di una

donna? Non si accorgeva mai di lei; neanche una volta.E poi lui se ne andò.Taminah lo vide per l'ultima volta con Nina la mattina in cui Babalatchiandando a

controllare le nasse da pescapoté confermare oltre ogni ombra di dubbio isuoi sospetti circa la relazione amorosa della

figlia dell'uomo bianco con Dain. Dain scomparvee il cuore di Taminahdoveerano nascostiinutili e sterilii semi di

tutto l'amore e di tutto l'odiola possibilità di ogni passione e di ognisacrificiodimenticò gioie e sofferenze trovandosi

priva dell'aiuto dei sensi. La sua mente selvaggia e solo in parte formataschiava del suo corpo - così come il suo corpo

era schiavo del volere altrui - dimenticò la debole e vaga immaginedell'ideale che aveva trovato origine negli stimoli

fisici della sua natura selvaggia. La ragazza ricadde nel torpore della vitadi prima e trovò consolazione - e perfino una

certa forma di felicità - al pensiero che Nina e Dain erano separatiprobabilmente per sempre. Lui avrebbe dimenticato.

Questo pensiero placava gli ultimi sussulti di una gelosia morente che nonaveva ora di che nutrirsie Taminah trovò la

pace. Era come la tetra tranquillità di un desertodove c'è pace soloperché non c'è vita.

E ora lui era tornato. Aveva riconosciuto la sua voce che chiamava forteBulangi nella notte. Taminah era

scivolata fuori dietro al padrone per ascoltare più da vicino quel suonoinebriante. Dain era làsu una barcache parlava

con Bulangi. Taminahche ascoltava con il fiato sospesoudì un'altra voce.La folle gioiache solo un attimo prima le

pareva impossibile trattenere nel cuore che batteva all'impazzatasvanì ela lasciò tremante nella vecchia angoscia di un

dolore fisico che aveva già provato una volta alla vista di Dain e Nina.Adesso era Nina a parlareora ordinando ora

supplicandomentre Bulangi rifiutavaprotestava e infine acconsentiva.Entrò per prendere una pagaia dal mucchio

dietro la porta. Fuoriil mormorio delle due voci continuòe Taminah colseuna parola qua e là. Comprese che Dain

stava fuggendo dai bianchiche cercava un nascondiglioche doveva essere inpericolo. Ma sentì anche parole che

risvegliarono la furia della gelosia che da tanti giorni era addormentata nelsuo cuore. Accucciata sul fango nella fitta

oscurità fra le palafitteudì sussurrare nella barca che nulla contavanofaticheprivazionie il pericoloanche della vita

stessase in cambio ci poteva essere solo l'abbraccio di un attimounosguardoil soffio di un lieve respiroil tocco di

morbide labbra. Così parlava Dain mentreseduto nella canoateneva le manidi Nina e aspettava il ritorno di Bulangi; e

Taminahappoggiata al palo viscidosentiva un peso terribile schiacciarlagiùgiù nella nera acqua oleosa ai suoi piedi.

Voleva urlare; avventarsi su di loro e separare d'un colpo quelle due ombreindistinte; gettare Nina nell'acqua ferma

tenerla strettaspingerla verso il fondo dove quell'uomo non avrebbe potutotrovarla. Non poteva gridarenon poteva

muoversi. Poi si udirono dei passi sulla piattaforma di bambù sopra la suatesta; vide Bulangi salire sulla sua canoa più

piccola e partire per primoseguito dall'altra barcacondotta da Dain eNina. Con un lieve tonfo delle pagaie immerse

furtivamente nell'acquale loro sagome confuse passarono davanti ai suoiocchi dolenti e svanirono nell'oscurità del

canale.

Rimase là nel freddo e nell'acquaincapace di muoversirespirandodolorosamente sotto il peso terribile che la

misteriosa mano del Fato aveva posto così d'improvviso sulle sue esilispalle e rabbrividendo sentì bruciare dentro di sé

un fuoco che pareva alimentarsi con la sua stessa vita. Quando l'alba ebbedisteso un nastro d'oro chiaro sul nero

contorno delle forestela ragazza si caricò il vassoio e si diresse versoil villaggiodedicandosi al suo lavoro per pura

forza d'abitudine. Avvicinandosi a Sambir notò l'eccitazione e sentìparlare con momentanea sorpresa del ritrovamento

del corpo di Dain. Non era veronaturalmente. Lei lo sapeva bene. Ledispiaceva che non fosse morto. Avrebbe

preferito che Dain fosse mortoe quindi separato da quella donna - da tuttele donne. Provava un forte desiderio di

vedere Ninama senza un obiettivo preciso. La odiavae la temevae provavaun irresistibile impulso che la spingeva

verso la casa di Almayer per vedere il volto della donna biancaper guardareda vicino quegli occhiper sentire di

nuovo quella voce per il suono della quale Dain era pronto a rischiare la sualibertào addirittura la vita. L'aveva vista

molte volte; ogni giornoper mesiaveva sentito quella voce. Cosa c'era inlei? Cosa c'era in quella donna da indurre un

uomo a parlare come aveva parlato Dainda renderlo cieco a ogni altro voltosordo a ogni altra voce?

Lasciò la folla sulla riva del fiumee vagò a caso fra le case vuoteresistendo all'impulso che la spingeva verso

il campong di Almayer per cercare negli occhi di Nina il segreto dellapropria infelicità. Il solepiù alto nel cielo

accorciava le ombre e la inondava con un mare di luce e di calore soffocantementre lei continuava a passare dall'ombra

alla lucedalla luce all'ombrain mezzo alle caseai cespugliagli altialberinella sua inconscia fuga dal tormento nel

proprio cuore. In questa disperazione così assolutanon riusciva a trovarenessuna parola per pregare e chiedere

sollievonon conosceva un cielo cui rivolgere le proprie preghiereecontinuava a vagare con i piedi dolorantimuta

nella sorpresa e nel terrore di fronte all'ingiustizia della sofferenza chele era stata inflitta senza motivo e senza

riparazione.

La breve conversazione con Reshid e la proposta di Abdullah le diedero un po'di forza e portarono i suoi

pensieri in un'altra direzione. Dain era in pericolo. Si nascondeva persfuggire ai bianchi. Così aveva sentito dire la notte

precedente. Tutti lo ritenevano morto. Lei sapeva che era vivoe conoscevail suo nascondiglio. Cosa volevano sapere

gli arabi circa i bianchi? Cosa volevano i bianchi da Dain? Intendevanoucciderlo? Lei avrebbe potuto dire loro tutto -

nonon avrebbe detto nulla e la notte sarebbe andata da lui e gli avrebbevenduto la sua vita in cambio di una parolaun

sorrisoun gestoe sarebbe diventata la sua schiava in paesi stranierilontano da Nina. Ma c'erano dei pericoli. Il

guercio Babalatchi sapeva tutto; la moglie dell'uomo bianco - era una strega.Forse avrebbero parlato. E poi c'era Nina.

Doveva affrettarsiandare a vedere.

Nell'impazienza lasciò il sentiero e corse verso l'abitazione di Almayerattraverso il sottobosco fra le palme.

Arrivò al retro della casadove uno stretto fossatocolmo d'acquastagnante proveniente dal fiumeseparava il campong

di Almayer dal resto del villaggio. I fitti arbusti che crescevano sulla rivanascondevano ai suoi occhi il grande cortile

con la baracca per cucinare. Su di loro si levavano esili colonnine di fumoe il suono di voci forestiere fece capire a

Taminah che gli Uomini del Mare appartenenti alla nave da guerra erano giàsbarcati e si erano accampati fra il fossatoe la casa. Da sinistra una delleschiave di Almayer scese giù verso il fossato e si chinò sull'acquascintillantea lavare

una pentola. A destra le cime dei bananivisibili sopra i cespugliondeggiavano e si scuotevano sotto il tocco di mani

invisibili che stavano raccogliendo i frutti. Sull'acqua calma diverse canoeormeggiate a un grosso palo si addossavano

l'un l'altraformando quasi una sorta di ponte sul fossato proprioall'altezza del luogo dove stava Taminah. Le voci nel

cortile si levavano a tratti in un'esplosione di richiamirepliche e risatee poi si smorzavano in un silenzio che presto

veniva rotto da nuovi clamori. Di tanto in tanto il sottile fumo azzurrinosaliva più denso e più neroe portava sopra il

canale masse odoroseavvolgendo per un attimo la ragazza in un velosoffocante; poinon appena la legna fresca

cominciava a bruciare beneil fumo svaniva nella luce chiara del soleesoltanto il profumo del legno aromatico si

diffondeva lontanosottovento ai fuochi scoppiettanti.

Taminah appoggiò il vassoio sul ceppo di un alberoe rimase ferma con gliocchi rivolti alla casa di Almayer

di cui si vedevanooltre i cespugliil tetto e parte di un muro bianco. Laschiava finì il suo lavoroe dopo aver osservato

per qualche istante con curiosità Taminahsi fece strada attraverso lafitta vegetazione per tornare nel cortile. Intorno a

Taminah c'era ora la solitudine più totale. La ragazza si gettò a terra esi nascose il volto fra le mani. Ora che si trovava

così vicinanon aveva il coraggio di vedere Nina. Ogni volta che le voci silevavano più forti dal cortiletremava nel

timore di udire la sua voce. Prese la decisione di aspettare in quel luogofino all'imbruniree di andare poi direttamente

al nascondiglio di Dain. Da lìpoteva osservare i movimenti dei bianchidiNinadi tutti gli amici di Daine di tutti i

suoi nemici. Gli uni e gli altri le erano ugualmente odiosi perché volevanoportare Dain lontano da lei. Si nascose

nell'erba alta aspettando ansiosamente il tramonto che sembrava tanto lentoad arrivare.

Dall'altra parte del fossatodietro i cespugliaccanto ai fuochii marinaidella fregata si erano accampati dietro

l'ospitale invito di Almayer. Almayerscosso nella propria apatia dallepreghiere e dalle insistenze di Ninaera riuscito

a scendere in tempo al pontile in modo da ricevere gli ufficiali allo sbarco.Il tenente di vascello che guidava la missione

accettò il suo invito a casa osservando che comunque doveva trattare di unacosa con Almayer - una cosa forse non

molto piacevoleaggiunse. Almayer non lo ascoltava quasi. Strinse la manoagli ufficiali con aria assente e li guidò

verso casa. Era a stento consapevole delle educate parole di benvenuto concui accoglieva i forestierie che in seguito

ripeté più volte nello sforzo di apparire disinvolto. L'agitazione del loroospite non sfuggì agli ufficialie il capo confidò

a bassa voce al suo subordinato i propri dubbi circa la sobrietà di Almayer.Il giovane sottotenente rise e in un sussurro

espresse la speranza che il bianco non fosse tanto alticcio da dimenticarsidi offrire qualche rinfresco. «Non sembra

molto pericoloso»aggiunsementre seguivano Almayer su per la scala dellaveranda.

«Nosembra uno sciocco più che un furfante; ho sentito parlare di lui»ribatté il superiore.

Sedettero intorno al tavolo. Almayer con mano tremante preparò dei cocktailcon il ginli offrì in giroe ne

bevve lui stessosentendosi ad ogni sorsata più fortepiù fermopiùcapace di affrontare le difficoltà della situazione.

Ignaro della sorte del brigantinonon sospettava il reale oggetto dellavisita degli ufficiali. Aveva una vaga idea che

fosse trapelato qualcosa circa il contrabbando della polvere da sparomatemeva tutt'al più qualche temporaneo

inconveniente. Dopo aver vuotato il suo bicchierecominciò a chiacchierarevolubilmenteappoggiato allo schienale

della sediacon una gamba appoggiata con noncuranza al bracciolo. Il tenentedi vascelloa cavalcioni sulla sua sedia

un sigaro acceso all'angolo della boccaascoltava con un sorriso ambiguodietro le dense volute di fumo che gli

sfuggivano dalle labbra strette. Il giovane sottotenenteappoggiato coigomiti al tavolola testa fra le manisi guardava

in giro con aria assonnata nel torpore dovuto alla stanchezza e al gin.Almayer intanto continuava a parlare.

«Fa proprio piacere vedere qui delle facce bianche. Vivo qui da molti anniin grande solitudine. I malesilo

capitenon sono la compagnia adatta per un bianco; e per di più non sononeppure socievoli; non capiscono le nostre

maniere. Gran mascalzoniecco quello che sono. Credo di essere l'unicobianco residente stabilmente sulla costa

orientale. A volte abbiamo visitatori da Macassar o da Singapore -commerciantiagentiesploratorima sono rari. C'è

stato un esploratore scientifico qui l'anno scorso o giù di lì. Viveva incasa mia: beveva dal mattino alla sera. Se l'è

spassata qualche mesee quando sono finite le bottiglie che si era portatodietroè tornato a Batavia con un rapporto

sulle ricchezze minerali dell'interno. Ahahah! Buona questano?».

Si interruppe di colpo e guardò i suoi ospiti con un'espressione vacua.Mentre quelli ridevanostava recitando

dentro di sé la solita storia: «Dain mortotutti i miei piani distrutti.Questa è la fine di ogni mia speranza e di ogni

cosa». Il cuore gli mancava. Si sentiva addosso un'angoscia mortale.

«Molto buona. Straordinaria!»esclamarono i due ufficiali.

Almayer uscì dal proprio abbattimento con un'altra esplosione di loquacità.

«Ehi! che ne dite di cenare qui? Avete un cuoco con voi. Molto bene. C'èuna baracca per cucinare nell'altro

cortile. Posso darvi un'oca. Guardate le mie oche - le sole oche sulla costaorientale - forse su tutta l'isola. È quello il

vostro cuoco? Benissimo. Vieni quiAlìmostra a questo cinese il postodove si cucina e di' a mem Almayer di fargli

posto. Mia mogliesignorinon esce; mia figlia a volte sì. Intantoservitevi ancora da bere. È una giornata molto calda».

Il tenente di vascello estrasse il sigaro dalla boccaguardò la cenere conaria criticala scosse e si rivolse ad

Almayer.

«Dobbiamo trattare con lei una questione piuttosto sgradevole»disse.

«Mi dispiace»replicò Almayer. «Di certo non può essere nulla digrave».

«Se lei ritiene che non sia una questione grave il tentativo di far saltarein aria una quarantina di uomininon

troverà molta gente della sua opinione»ribatté l'ufficiale seccamente.

«Far saltare in aria! Cosa? Io non ne so niente»esclamò Almayer. «Chil'ha fattoo ha cercato di farlo?».«Un individuo con cui lei ha avuto a chefare»rispose il tenente. «Qui era conosciuto con il nome di Dain

Maroola. È lei che gli ha venduto la polvere da sparo che aveva nelbrigantino che abbiamo catturato».

«Come avete saputo del brigantino?»chiese Almayer. «Io non so nulla diquesta polvere da sparo».

«Un mercante arabo di qui ha mandato informazioni a Batavia circa la vostraattività un paio di mesi fa»disse

l'ufficiale. «Aspettavamo il brigantino in marema ci è sfuggito di manoall'imboccatura del fiumee abbiamo dovuto

inseguire quel tipo giù a sud. Quando ci ha vistisi è diretto in frettadietro la barriera corallina e ha portato il brigantino

nelle secche. L'equipaggio è scappato sulle barche prima che potessimobloccarli. Mentre le nostre barche si stavano

avvicinandola nave è saltata in aria con un'esplosione tremenda; una dellebarcheche era troppo vicinaè affondata.

Due uomini annegati - ecco il risultato della sua speculazionesignorAlmayer. Ora vogliamo questo Dain. Abbiamo

buone ragioni di credere che sia nascosto a Sambir. Lei sa dove si trova? Leconviene mettersi al più presto in regola

con le autorità dimostrandomi una totale franchezza. Dove è questo Dain?».

Almayer si alzò e andò verso la balaustra della veranda. Pareva non pensarealla domanda dell'ufficiale.

Guardò il corpo rigido disteso sotto la copertura bianca su cui il solechestava tramontando fra le nuvole a occidente

gettava una debole luce rossastra. Il tenente di vascello aspettava unarispostaaspirando brevi tiri dal sigaro mezzo

spento. Dietro di loroAlì si muoveva senza far rumore per apparecchiare latavoladisponendo solennemente i piatti

spaiati e scadentii cucchiai di stagnole forchette dai rebbi spezzatiicoltelli con lame seghettate e manici molli.

Aveva quasi dimenticato come apparecchiare la tavola ai bianchi. Era dimalumore; mem Nina non aveva voluto

aiutarlo. Fece un passo indietro per dare un'occhiata di ammirazione allapropria operasentendosi molto orgoglioso.

Così doveva andar bene; e se dopo il padrone era arrabbiato e bestemmiavatanto peggio per mem Nina. Perché non lo

aveva aiutato? Si allontanò dalla veranda per servire la cena.

«Benesignor Almayervuole rispondere alla mia domanda con la franchezzacon cui io gliel'ho posta?»

chiese il tenentedopo un lungo silenzio.

Almayer si girò e guardò il suo interlocutore fisso negli occhi. «Seprendete questo Daincosa gli farete?»

chiese.

Il volto dell'ufficiale si imporporò. «Questa non è una risposta»disseinfastidito.

«E cosa farete a me?»continuò Almayerincurante dell'interruzione.

«Intende contrattare?»grugnì l'altro. «Non sarebbe una buona tatticagliel'assicuro. Così come stanno le cose

non ho ordini riguardo alla sua personama ci aspettavamo la sua assistenzanel catturare questo malese».

«Ah!»lo interruppe Almayer«le cose stanno così: voi non potete farniente senza di mee ioche conosco

bene quest'uomodevo aiutarvi a ritrovarlo».

«Questo è esattamente quanto ci attendiamo da lei»assentì l'ufficiale.«Lei ha infranto la leggesignor

Almayere dovrebbe fare ammenda».

«E salvare anche me stesso?».

«Behin un certo senso sì. La sua testa non è in pericolo»disse iltenente con una breve risata.

«Benissimo»disse Almayer deciso«vi consegnerò l'uomo».

I due ufficiali balzarono in piedie si guardarono attorno cercando lesciabole che si erano sfilate dal fianco.

Almayer rise con durezza.

«Calmisignori!»esclamò. «A tempo e a modo mio. Dopo cenasignoriloavrete».

«Ma è un'assurdità»insistette il tenente. «Signor Almayersu questecose non si può scherzare. Quell'uomo è

un criminale. Merita di essere impiccato. Mentre mangiamo potrebbe scappare;le voci circa il nostro arrivo...».

Almayer andò al tavolo. «Vi dò la mia parola d'onoresignoriche nonscapperà; lo tengo al sicuro».

«L'arresto dovrebbe essere effettuato prima che venga buio»osservò ilgiovane sottotenente.

«La riterrò responsabile di un eventuale insuccesso. Noi siamo prontimanon possiamo far niente adesso

senza il suo aiuto»aggiunse il superiore palesemente seccato.

Almayer fece un gesto di assenso. «Sulla mia parola d'onore»ripetéambiguamente. «E oraa tavola»

aggiunse con tono vivace.

Nina uscì dal passaggio e rimase ferma un attimo tenendo sollevata la tendaper Alì e la vecchia malese che

portavano i piatti; poi si diresse verso i tre uomini accanto al tavolo.

«Consentitemi»disse Almayer pomposamente. «Questa è mia figlia. Ninaisignoriufficiali della fregata

hanno fatto l'onore di accettare la mia ospitalità».

Nina rispose ai profondi inchini dei due ufficiali inclinando lievemente latesta e prese posto a tavola di fronte

al padre. Tutti sedettero. Giunse il timoniere della lancia a vapore portandoalcune bottiglie di vino.

«Mi permette di metterle in tavola?»chiese il tenente ad Almayer.

«Cosa! Vino! Lei è molto gentile. Certamente. Io non ne ho. Sono tempimolto duri».

Le ultime parole della risposta vennero pronunciate da Almayer con voceincerta. Il pensiero che Dain era

morto gli balzò di nuovo agli occhi vividamentee gli parve che una manoinvisibile lo avesse afferrato alla gola.

Afferrò la bottiglia di gin mentre il vino veniva stappato e trangugiò unalunga sorsata. Il tenenteche stava parlando

con Ninagli diede una rapida occhiata. Il giovane sottotenente cominciò ariaversi dallo stupore e dalla confusione

provocati dall'inatteso arrivo e dalla grande bellezza di Nina. «Èbellissima e statuaria»rifletté«ma in fin dei conti è

una meticcia». Questo pensiero gli permise di riprender animo e di guardareNina con la coda dell'occhio. Ninacon

volto compostostava rispondendo a voce bassa e uguale alle educate domandedell'ufficiale sul paese e sulla vita che

lei conduceva. Almayer allontanò il piatto e bevve il vino degli ospiti intetro silenzio.CAPITOLO IX

«Devo proprio credere a quanto mi racconti? A me pare una storia che gliuomini ascoltano nel dormiveglia

accanto al fuocouna storia sfuggita alla lingua di una donna».

«Chi vuoi che inganniRajah?»rispose Babalatchi. «Senza di te io nonsono nulla. Tutto quello che ti ho

raccontatoio credo che sia vero. Da tanti anni vivo al sicuro nel cavodella tua mano. Non è questo il momento di avere

sospetti. Il pericolo è molto grande. Dobbiamo decidere e agire subitoprima che il sole tramonti».

«Certocerto»borbottò Lakamba pensoso.

Da un'ora erano seduti nella sala delle udienze della casa del RajahperchéBabalatchisubito dopo aver

assistito allo sbarco degli ufficiali olandesiaveva attraversato il fiumeper riferire al suo padrone gli avvenimenti della

mattinae per conferire con lui circa la linea di condotta da tenere difronte alle mutate circostanze. Entrambi erano

sconcertati e spaventati per la piega inattesa che gli eventi avevano preso.Il Rajaha gambe incrociate sulla sua sedia

guardava fisso il pavimento; Babalatchi era accovacciato accanto a lui in unatteggiamento di profondo sconforto.

«E dove hai detto che è nascosto ora?»chiese infine Lakamba rompendo ilsilenzio colmo di tetri presagi in

cui tutti e due si erano persi da diversi minuti.

«Nella radura di Bulangi - la più lontana da casa. Sono andati lì giàstanotte. La figlia del bianco lo ha portato

là. Me lo ha detto lei stessaparlandomi apertamenteperché è mezzabianca e non ha nessun pudore. Ha detto che lo

stava aspettando mentre si trovava qui; poidopo parecchio tempolui èsbucato dal buio ed è caduto ai suoi piedi

esausto. Era steso lì come mortoma lei lo ha riportato in vitae lo hafatto di nuovo respirare con il suo stesso respiro.

Questo è quello che mi ha dettodritto in facciacome io parlo ora a teRajah. È come una donna bianca e non conosce

vergogna».

Fece una pausamolto turbato. Lakamba annuì. «Benee poi?»chiese.

«Hanno chiamato la vecchia»continuò Babalatchi«e lui ha raccontatotutto - del brigantino e di come aveva

cercato di uccidere molti uomini. Sapeva che gli Orang Blanda eranovicinissimianche se a noi non aveva detto nulla;

sapeva di essere in grande pericolo. Pensava di averne uccisi moltima imorti sono stati solo duea quanto ho sentito

dagli uomini del mare che sono venuti sulle lance della nave da guerra».

«E l'altroquello che è stato trovato nel fiume?»lo interruppe Lakamba.

«Quello era uno dei suoi marinai. Quando la canoa è stata rovesciata daitronchisi sono messi a nuotarema

l'altro doveva essere ferito. Dain lo ha tenuto a galla nuotando. Quando èsalito alla casa lo ha lasciato fra i cespugli. Ma

quando sono tornati tutti giùil suo cuore aveva cessato di battere; allorala vecchia ha parlato; Dain ha pensato che il

piano era buono. Si è tolto il cerchio alla caviglia e l'ha rottostringendolo intorno al piede dell'uomo. Ha infilato il suo

anello al dito di quello schiavo. Si è tolto il sarong e l'ha messoaddosso a quella cosa che non aveva più bisogno di

vestitimentre le donne lo sostenevanocon l'intento di ingannare tutti gliocchi e di fuorviare la gente del villaggioin

modo che potessero giurare quello che non erae non ci fosse possibilità ditradimento all'arrivo dei bianchi. Poi Dain e

la donna bianca sono partiti per svegliare Bulangi e trovare un nascondiglio.La vecchia è rimasta accanto al corpo».

«Ehi»esclamò Lakamba. «Lei è davvero saggia».

«Sìha un suo demone che le sussurra consigli all'orecchio»assentìBabalatchi. «Ha trascinato con grande

sforzo il corpo verso il punto dove si erano arenati molti tronchi. Tuttoquesto è stato fatto nell'oscuritàquando la

tempesta era passata. Poi ha aspettato. Alla prima luce dell'alba hapicchiato la faccia del morto con una pietra pesante

e lo ha spinto fra i tronchi. È rimasta nei pressia sorvegliare. Alsorgere del sole Mahmat Banjer è arrivato e lo ha

trovato. Tutti ci hanno creduto; io stesso mi sono ingannatoma non a lungo.L'uomo bianco ci ha credutoe nel suo

dolore è scappato a casa. Quando siamo rimasti soliioche avevo i mieidubbiho parlato con la donna e leitemendo

la mia collera e il tuo poteremi ha raccontato tutto chiedendomi aiuto persalvare Dain».

«Non deve cadere nelle mani degli Orang Blanda»disse Lakamba; «mache muoiase la cosa si può fare

senza troppo rumore».

«Non si puòTuan! Ricorda che c'è quella donna cheessendo mezzobiancaè passionalee farebbe un gran

chiasso. E inoltre sono qui gli ufficiali. Sono già piuttosto in collera.Dain deve scappare; deve andarsene. Per la nostra

stessa salvezza lo dobbiamo aiutare».

«Gli ufficiali sono molto in collera?»si informò Lakambacon interesse.

«Molto. Il capo ha usato parole pesanti quando si è rivolto a me - a me chelo stavo salutando a nome tuo. Non

credo»aggiunse Babalatchidopo una breve pausa e con l'aria moltopreoccupata«non credo di aver mai visto un capo

bianco tanto in collera prima. Ha detto che eravamo stati imprudentio anchepeggio. Mi ha detto che voleva parlare

con il Rajahe che io non contavo niente».

«Parlare con il Rajah»ripeté Lakamba pensoso. «AscoltaBabalatchi: iosono malato e devo stare ritirato; tu

attraversa il fiume e dillo ai bianchi».

«Sì»disse Babalatchi«vado subito; e per Dain?».«Mandalo via comeritieni meglio. Questo è un grande affanno per il mio cuore»sospiròLakamba.

Babalatchi si alzòe avvicinatosi al suo padrone gli parlò con tono moltoserio.

«C'è uno dei nostri praho alla foce meridionale del fiume. La naveda guerra olandese è a nordper sorvegliare

lo sbocco principale. Manderò via Dain stanotte con una canoaper i canaliinternifino al praho. Suo padre è un grande

principee sentirà parlare della nostra generosità. Il praho loporterà ad Ampanam. La tua gloria sarà grandee avrai

come ricompensa una potente amicizia. Almayer senza dubbio consegnerà agliufficiali il cadavere come fosse quello di

Daine gli sciocchi uomini bianchi diranno"Va benissimosia fatta lapace. E l'affanno sarà sollevato dal tuo cuore

Rajah"».

«È vero! È vero!»disse Lakamba.

«Ed essendo tutto questo opera mia che sono tuo schiavotu mi darai unaricompensa con mano generosa. Di

questo sono certo! Il bianco piange per il suo tesoro perdutoalla manieradei bianchi che sono sempre assetati di

dollari. Cosìquando tutte le cose saranno a postoriusciremo forse adavere il tesoro dal bianco. Dain deve fuggiree

Almayer deve vivere».

«Adesso va' Babalatchiva'!»disse Lakambaalzandosi. «Mi sento moltomalee ho bisogno di cure. Vai a

dirlo al capo bianco».

Ma Babalatchi non si lasciò congedare in quel modo frettoloso. Sapeva che alsuo padronesecondo l'usanza

dei grandipiaceva scaricare il peso delle fatiche o dei pericoli sullespalle dei suoi servitorima nella situazione

difficile in cui si trovavano adessoil Rajah doveva recitare la sua parte.Poteva essere molto malato per i bianchiper il

mondo interose volevapurché si assumesse almeno in parte l'esecuzionedel piano ben congegnato di Babalatchi.

Babalatchi voleva che una grande canoa con un equipaggio di dodici uominivenisse mandata dopo l'imbrunire alla

radura di Bulangi. Non era escluso che si dovesse far uso della forza conDain. Non ci si può aspettare che un uomo

innamorato veda con chiarezza il cammino della salvezza se lo conduce lontanodall'oggetto dei suoi sentimenti

congetturava Babalatchie in quel caso avrebbero dovuto sopraffarlo percostringerlo ad andare. Il Rajah avrebbe

provveduto a dotare la canoa di un equipaggio fidato? La cosa doveva esserecondotta segretamente. Forse il Rajah

stesso poteva intervenirein modo da portare tutto il peso della propriaautorità per convincere Dain nel caso questi si

fosse rivelato ostinato e avesse rifiutato di lasciare il suo nascondiglio.Il Rajah non volle impegnarsi con una promessa

sicurae sollecitò ansiosamente Babalatchi ad andarsenenel timore che ibianchi gli facessero una visita inattesa.

Riluttantel'anziano statista si congedò e andò nel cortile.

Prima di scendere alla sua barcaBabalatchi sostò qualche minuto nel grandespazio aperto dove gli alberi dal

fitto fogliame producevano nere macchie d'ombrache parevano galleggiare suun mare di intensa luce uniforme che si

dispiegava in alto fino alle case e giù verso la palizzata e sul fiumedovesi frangeva scintillando in migliaia di ondine

luccicanticome un nastro azzurro e oro orlato dal verde brillante delleforeste che proteggevano le due rive del Pantai.

Nella calma perfetta che precede la brezza pomeridianala linea frastagliatae irregolare delle cime degli alberi si

snodava immobilequasi fosse stata tracciata con mano incerta sull'azzurrochiaro del cielo infuocato. Nello spazio

protetto dall'alta staccionata aleggiava un odore di fiori putrescentimistoal lezzo di pesci messi a seccaree di tanto in

tanto a uno sbuffo di fumo acre dai fuochi di cucinaquando sgusciava sottoai rami frondosi e rimaneva pigramente

impigliato nell'erba bruciata.

Mentre Babalatchi guardava il pennone che sovrastava un gruppo di bassialberi in mezzo al cortilela bandiera

tricolore dell'Olanda si mosse lievemente per la prima volta da quando erastata innalzata quella mattina all'arrivo delle

imbarcazioni della nave da guerra. Con un lieve fruscio di foglie la brezzagiunse a sbuffi leggerigiocando

capricciosamente per un po' con questo emblema del potere di Lakambache eraanche il segno della sua servitù; poi la

brezza si raffreddò in una raffica di ventoe la bandiera sventolò drittae ferma sugli alberi. Un'ombra scura corse lungo

il fiumeavviluppando e coprendo lo scintillio del sole al tramonto. Unagrande nuvola bianca veleggiò lenta nel cielo

sempre più scuroe restò sospesa a occidentequasi in attesa che il solela raggiungesse. Uomini e cose si scuotevano di

dosso il torpore del torrido pomeriggio e si rianimavano al primo soffiodella brezza marina.

Babalatchi si affrettò al cancello sul fiume; ma prima di varcarlo si fermòa guardarsi intorno nel cortile con le

sue luci e le sue ombrecon i falò scoppiettanticon i gruppi dei soldatie dei dipendenti di Lakamba sparsi in giro. La

sua casa si trovava in mezzo agli altri edifici in quel recinto e lo statistadi Sambir si chiese con il cuore pesante quando

e come gli sarebbe stato possibile farvi ritorno. Doveva trattare con un uomopiù pericoloso di qualsiasi animale feroce

di sua conoscenza: un uomo fieroun uomo testardo come possono esserlo iprincipiun uomo innamorato. E a

quell'uomo doveva dire parole di fredda e terrena saggezza. Poteva esserciuna prospettiva peggiore? Cosa avrebbe fatto

se quell'uomo si fosse adombrato per un presunto affronto al suo onore o unoltraggio ai suoi sentimenti e d'improvviso

fosse stato preso da una furia omicida? Il saggio consigliere sarebbe statosenza dubbio la prima vittimae la morte

sarebbe stata la sua ricompensa. E dietro l'orrore di questa situazione c'erail pericolo di quegli sciocchi impiccionii

bianchi. La visione di uno scomodo esilio nella lontana Madura si levòdavanti agli occhi di Babalatchi. Non sarebbe

stato peggio della morte stessa? E c'era quella donna mezzo bianca con i suoiocchi minacciosi. Come poteva prevedere

quello che avrebbe fatto una creatura così incomprensibile? Sapeva tanto darendere impossibile l'uccisione di Dain.

Questo era certo. Eppure il kriss acuminato e serpeggiante è un buonamico fidatopensava Babalatchimentre

esaminava amorevolmente il suo e lo rimetteva nel foderocon un sospiro dirimpiantoprima di slegare la canoa.

Mentre mollava la cimasi spingeva nella correntee afferrava la pagaiaebbe la netta percezione dei fastidi che

possono procurare le donne quando sono coinvolte negli affari di stato. Ledonne giovaninaturalmente. Per la maturasaggezza della signora Almayere perla disinvoltura negli intrighi che la mentalità femminile acquista con glianni

provava invece il più sincero rispetto.

Vogava tranquillolasciando che la canoa venisse trasportata dalla correntementre attraversava il fiume verso

la punta di terra. Il sole era ancora altoe non c'era alcuna fretta. Il suolavoro sarebbe cominciato solo con il calar della

sera. Evitando il pontile di Lingardaggirò la puntae si infilò nelcanale dietro la casa di Almayer. C'erano molte canoe

ormeggiate laggiùle prue unite insiemelegate tutte allo stesso palo.Babalatchi spinse la sua piccola imbarcazione fra

le altre e balzò a terra. Dall'altra parte del fossato qualcosa si mossenell'erba.

«Chi è nascosto laggiù?»gridò Babalatchi. «Vieni fuori e parla».

Nessuno rispose. Babalatchi andò dall'altra partepassando di barca inbarcae conficcò con forza il bastone

nel punto sospetto. Taminah saltò su con un grido.

«Cosa fai qui?»chiese l'uomosorpreso. «Stavo per montare sul tuovassoio. Son forse un daiacco che ti devi

nascondere alla mia vista?».

«Ero stancae... mi sono addormentata»sussurrò Taminahconfusa.

«Ti sei addormentata! Non hai venduto niente oggie ti picchieranno quandotorni a casa»disse Babalatchi.

Taminah stava davanti a lui imbarazzata e silenziosa. Babalatchi l'esaminò alungo con grande soddisfazione.

Decisamente avrebbe offerto cinquanta dollari in più a quel ladro diBulangi. La ragazza gli piaceva.

«Ora vai a casa. È tardi»disse bruscamente. «Di' a Bulangi che saròvicino a casa sua prima che metà della

notte sia trascorsae che deve preparare il necessario per un lungo viaggio.Hai capito? Un lungo viaggio a sud. Diglielo

prima del tramontoe non dimenticare le mie parole».

Taminah fece un gesto di assensoe osservò Babalatchi attraversare di nuovoil fossato e sparire attraverso i

cespugli che costeggiavano il recinto di Almayer. Si allontanò di qualchepasso dal canale e si buttò di nuovo bocconi

nell'erbascossa dai brividi nella propria infelicità senza lacrime.

Babalatchi si diresse verso la baracca della cucina cercando la signoraAlmayer. Il cortile era in gran subbuglio.

Un cinese sconosciuto si era impossessato del fuoco di cucina e stavastrepitando per avere un'altra padella. Scagliava

improperinel dialetto di Canton e in cattivo malesecontro il gruppo dischiave che se ne stavano un po' discostefra

impaurite e divertite per la sua violenza. Dai falò intorno ai quali eranoseduti i marinai della fregata giungevano parole

di incoraggiamentomiste a risate e a canzonature. In mezzo a quel baccano ea quella confusione Babalatchi incontrò

Alìche aveva un piatto vuoto in mano.

«Dove sono gli uomini bianchi?»chiese Babalatchi.

«Mangiano sulla veranda davanti»rispose Alì. «Non trattenermiTuan.Sto portando da mangiare ai bianchi e

ho da fare».

«Dove è mem Almayer?».

«Nel corridoio. Sta ascoltando quello che dicono».

Alì sogghignò e proseguì sulla sua strada; Babalatchi salì la passerellaverso la veranda sul retro echiamata

fuori la signora Almayerintavolò con lei un animato colloquio. Attraversoil lungo corridoiochiuso all'altra estremità

dalla tenda rossapotevano udire a tratti la voce di Almayer che simescolava alla conversazione con una veemenza

improvvisache indusse la signora Almayer a dare un'occhiata d'intesa aBabalatchi.

«Ascolta»disse. «Ha bevuto molto».

«Già»sussurrò Babalatchi. «Dormirà sodo stanotte».

La signora Almayer apparve dubbiosa.

«A volte il demone del gin forte lo tiene sveglioe cammina su e giù perla veranda tutta la notte

bestemmiando; allora ci teniamo alla larga»spiegò la signora Almayer conla cognizione di causa nata da oltre

vent'anni di vita coniugale.

«Ma allora non sentenon capiscee la sua manonaturalmentenon haforza. Noi non vogliamo che senta

stanotte».

«No»approvò la signora Almayer con fogama a voce prudentementeabbassata. «Se senteucciderà».

Babalatchi ebbe uno sguardo incredulo.

«EhiTuanpuoi credermi. Non sono tanti anni che vivo conquell'uomo? Non ho visto la morte più di una

volta nei suoi occhi quando ero giovane e lui intuiva tante cose? Fosse statoun uomo della mia gente non avrei visto

quello sguardo due volte; ma lui...».

Con un gesto sdegnosoparve riversare un disprezzo indicibile nei confrontidella pavida avversione di

Almayer per un impulsivo spargimento di sangue.

«Se ne ha l'intenzionema gli manca la forzadi cosa abbiamo paura?»chiese Babalatchidopo un breve

silenzio nel corso del quale avevano ascoltato la voce forte di Almayerfinché era stata sommersa dal mormorio della

conversazione generale. «Di cosa abbiamo paura?»ripeté Babalatchi.

«Per tenere la figlia che ama accanto a sé colpirebbe al cuore te e mesenza la minima esitazione»disse la

signora Almayer. «Quando la ragazza se ne sarà andatalui diventerà undiavolo scatenato. E allora tu e io dovremo

stare attenti».

«Io sono vecchio e non temo la morte»rispose Babalatchiaffettando unafalsa indifferenza. «Ma tu cosa

farai?».

«Io sono vecchiae desidero vivere»replicò la signora Almayer. «Lei èanche mia figlia. Cercherò rifugio ai

piedi del nostro Rajahin nome del passato quando tutti e due eravamogiovanie lui...».Babalatchi alzò una mano.

«Basta così. Avrai protezione»disse con tono rassicurante.

Di nuovo si udì il suono della voce di Almayere di nuovointerrompendo laloro conversazioneascoltarono

quel profluvio di paroleconfuso ma rumorosoche giungeva con scoppi diforza inegualecon pause inattese e

assordanti ripetizioni che facevano risuonare chiare e distinte alle loroorecchie certe parole e frasi nel vociare insensato

di grida d'eccitazione sottolineate dal rimbombo del pugno di Almayer sultavolo. Nei brevi intervalli di silenziol'alta

nota lamentosa dei bicchieriallineati l'uno accanto all'altro e vibrantisotto l'urtoindugiava nell'ariacalando a poco a

pocoper levarsi poi ancora in una risonanza tumultuosaquando una nuovaidea dava stura ad un altro sfogo di parole e

faceva calare pesantemente sul tavolo la mano di Almayer. Finalmente lasfuriata si placòe il flebile lamento del vetro

agitato svanì in una calma riluttante.

Babalatchi e la signora Almayer avevano ascoltato con curiositài corpichini in avanti e le orecchie protese

verso il corridoio. Ad ogni esplosione di grida scuotevano la testaguardandosi con una ridicola aria scandalizzatae

rimasero per un po' in quella posizione anche dopo che il rumore era cessato.

«Questo è il demone del gin»bisbigliò la signora Almayer. «Sìavolte parla in questo modo quando non c'è

nessuno a sentirlo».

«Cosa dice?»si informò Babalatchimolto interessato. «Tu dovresticapire».

«Ho dimenticato la loro lingua. Qualcosa ho capito. Ha parlato senza nessunrispetto del governante bianco a

Bataviae di protezionee ha detto che gli sono stati fatti dei torti; loha detto parecchie volte. Di più non ho capito.

Ascolta! Parla di nuovo!».

«Tse! tse! tse!»fece Babalatchicercando di apparire indignatoma conun allegro ammiccare nel suo unico

occhio. «Ci saranno grandi problemi fra quei bianchi. Adesso andròdall'altra parte a vedere. Tu di' a tua figlia che c'è

un viaggio imprevisto e lungo davanti a leicon grande gloria e splendore altermine. E dille che Dain deve andareo

deve moriree che non andrà solo».

«Nonon andrà solo»ripeté lentamente la signora Almayercon un'ariapensosamentre scivolava nel

corridoio dopo aver visto Babalatchi sparire dietro l'angolo della casa.

Lo statista di Sambirspinto da una forte curiositàsi diresse rapidoverso la facciata della casama una volta là

si mosse lento e prudente mentre strisciava gradino dopo gradino su per lascala della veranda. Sul gradino più alto si

sedette in silenzioi piedi sui gradini inferioripronto alla fuga nel casola sua presenza si fosse rivelata sgradita. Così si

sentiva al sicuro. Il tavolo era quasi di fronte a luie Almayer gli dava laschiena; poteva invece vedere Nina in pieno

visomentre degli ufficiali aveva una visione di profilo; ma delle quattropersone sedute a tavola solo Nina e l'ufficiale

più giovane si accorsero del suo arrivo silenzioso. Abbassando rapida lepalpebreNina diede segno di avere notato la

presenza di Babalatchi; subito la ragazza prese a parlare con il giovanesottotenenterivolto verso di lei con premurosa

attenzionema il suo sguardo era fisso sul volto del padrementre Almayerparlava con voce stentorea.

«... slealtà e mancanza di scrupoli! Cosa avete mai fatto perché io fossileale? Non avete nessun controllo su

questo paese. Ho dovuto badare a me stessoe quando ho chiesto protezionemi è stato risposto con minacce e

disprezzoe mi sono state sbattute in faccia le calunnie di un arabo. A me!un bianco!».

«Stia calmoAlmayer»ribatté il tenente«tutto questo l'ho giàsentito».

«E allora perché mi parla di scrupoli? Volevo denaroe in cambio ho datopolvere. Come potevo sapere che

qualcuno dei vostri disgraziati uomini sarebbe saltato in aria? Scrupoli!Puah!».

Cercò a tastoni con mano incerta fra le bottiglieprovandone una dopol'altrae bofonchiando fra sé e sé nel

frattempo. «Non c'è più vino»mormorò irritato.

«Ha bevuto abbastanzaAlmayer»disse il tenenteaccendendosi un sigaro.«Non è l'ora che ci consegni il suo

prigioniero? Presumo che lei tenga Dain Maroola sotto chiave al sicuro daqualche parte. Ma sarebbe meglio concludere

la questionee allora potremo farci un altro bicchiere. Su! non mi guardicosì».

Almayer lo fissava con uno sguardo impietritoannaspando con le ditatremanti intorno alla gola.

«Oro»disse a fatica. «Ehm! Un senso di soffocamento alla tracheasapete. Di certo mi vorrete scusare.

Volevo dire... un po' d'oro per un po' di polvere. Cos'è in fin deiconti?».

«Lo solo so»disse il tenente per calmarlo.

«No! Lei non lo sa. Nessuno di voi sa!»urlò Almayer. «Quelli delgoverno sono sciocchive lo dico io.

Montagne d'oro. Lo so io; io e un altro. Ma lui non parlerà. È...».

Si trattenne con un debole sorrisoe nel tentativo mancato di dare una paccasulla spalla del tenenterovesciò

un paio di bottiglie vuote.

«Personalmente lei è una brava persona»disse scandendo bene le parolecon fare paternalistico. Reclinò

assonnato la testamentre sedeva bofonchiando qualcosa fra sé.

I due ufficiali si guardarono sconsolati.

«Così non va»disse il tenente rivolto al suo secondo. «Fai radunare gliuomini nel recinto qui sotto. Devo

farlo ragionare. SuAlmayer! Sveglia! Mantenga la sua parola. Mi ha dato lasua parola d'onorericorda».

Almayer si scrollò di dosso spazientito la mano dell'ufficialema il suomalumore si dileguò in un attimoe

guardò in altomettendosi l'indice vicino al naso.

«Lei è molto giovane; c'è tempo per tutto»disse ostentando grandesagacia.

Il tenente si voltò verso Nina cheappoggiata allo schienale della sediafissava il padre.«Mi dispiace davvero molto per lei»esclamò. «Non so»continuòparlando con un certo imbarazzo«se ho

diritto di chiederle qualcosatranneforsedi non assistere a questospettacolo dolorosoma sento di doverle

domandare... per il bene di suo padre... voglio direse lei ha una qualcheinfluenza su di luidovrebbe esercitarla adesso

per fargli mantenere la promessa che mi ha fatto prima... prima di ridursi inquesto stato».

Scoraggiatonotò che la ragazzaseduta immobile con gli occhi semichiusisembrava non essersi neppure

accorta di quello che aveva detto.

«Confido che...»ricominciò.

«Di quale promessa parla?»chiese bruscamente Ninaalzandosi e andandoverso il padre.

«Nulla che non sia giusto e dovuto. Ha promesso di consegnarci un uomo chein tempo di pace assoluta ha

tolto la vita a degli uomini innocenti allo scopo di sfuggire alla punizioneche meritava per avere infranto la legge.

Aveva progettato il suo misfatto su larga scala. Non si deve a lui se ilpiano è fallito almeno in parte. Naturalmente avrà

sentito parlare di Dain Maroola. Suo padre lo ha catturatoa quanto hocapito. Sappiamo che è scappato risalendo il

fiume. Forse lei...».

«E ha ucciso dei bianchi!»lo interruppe Nina.

«Mi rincresce dire che erano bianchi. Sìdue uomini bianchi hanno perso lavita per le imprese di quel

mascalzone».

«Due soltanto!»esclamò Nina.

L'ufficiale la guardò attonito.

«Perchéperchélei...»balbettò confuso.

«Avrebbero potuto essere di più»lo interruppe Nina. «E quando avretepreso questo... mascalzoneandrete

via?».

L'ufficialeancora senza parolesi inchinò in segno di assenso.

«Allora ve lo farei avere anche se lo dovessi cercare in mezzo al fuoco»esplose la ragazza con veemenza.

«Odio la vista di voi facce bianche. Odio il suono delle vostre vocisuadenti. È questo il modo con cui parlate alle

donnedistillando parole dolci per ogni viso grazioso. Ho già sentito levostre voci. Speravo di vivere qui senza vedere

nessuna faccia bianca oltre a questa»aggiunse con tono più dolcesfiorando la guancia del padre.

Almayer smise di borbottare e aprì gli occhi. Afferrò la mano della figliae se la premette sul visomentre Nina

con l'altra mano gli lisciava i capelli grigi e arruffatiguardando con ariadi sfida oltre la testa del padre verso l'ufficiale

che aveva ora ripreso il suo contegno e l'osservava a sua volta conun'espressione fredda e calma. Sottodavanti alla

verandasi poteva udire lo scalpiccio dei marinai che si radunavano làsecondo gli ordini ricevuti. Il sottotenente salì la

scalamentre Babalatchi si alzava inquieto econ un dito alle labbracercava di cogliere lo sguardo di Nina.

«Sei una brava ragazza»sussurrò Almayerdistrattolasciando cadere lamano della figlia.

«Papà! Papà!»gridò la ragazzachinandosi su di lui con uno slancioappassionato. «Vedi come ci guardano

questi due uomini. Mandali via. Fai quello che voglionoe andranno via».

Vedendo Babalatchismise improvvisamente di parlarema il suo piede si misea battere rapidi colpetti sul

pavimento in un accesso di irrequieto nervosismo. I due ufficialiin piedil'uno accanto all'altroosservavano sorpresi.

«Cosa è successo? Che c'è?»sussurrò il più giovane.

«Non so»rispose l'altro a voce bassissima. «Una è pazza furiosael'altro è ubriaco. Ma neanche tanto ubriaco.

Strana faccendaquesta. Guarda!».

Almayer si era alzatotenendosi al braccio della figlia. Esitò per unattimopoi lasciò la presa e barcollando

cercò di attraversare la veranda. A metà strada si raddrizzò e restòfermoimpalatorespirando forte e lanciandosi

intorno sguardi irati.

«Sono pronti gli uomini?»chiese il tenente.

«Tutti prontisignore».

«Orasignor Almayerci faccia strada»disse il tenente.

Almayer posò gli occhi su di lui come se lo vedesse per la prima volta.

«Due uomini»disse con voce impastata. Lo sforzo di parlare sembravaturbare il suo equilibrio. Fece un

rapido passo per evitare di caderee rimase a ondeggiare avanti e indietro.«Due uomini»ricominciòparlando a fatica.

«Due uomini bianchi... uomini in uniforme... uomini onesti. Voglio dire...uomini d'onore. Non è vero?».

«Su! Basta così»disse l'ufficialespazientito. «Andiamo a prenderequesto suo amico».

«Con chi credete di avere a che fare?»chiese Almayerfiero.

«Lei è ubriacoma non tanto ubriaco da non sapere cosa sta facendo. Bastaora con queste sciocchezze»disse

l'ufficiale seccamente«o la metterò agli arresti in casa sua».

«Agli arresti!»sghignazzò Almayer stridulo. «Ah! Ah! Ah! Agli arresti!Ma comesono vent'anni che cerco di

tirarmi fuori da questo posto infernalee non ci riesco. Capisce? Non ciriescoe non ci riuscirò mai! Mai!».

Concluse le sue parole con un singhiozzoe scese incerto la scala. Quando funel cortileil tenente lo avvicinò

e lo prese per un braccio. Il sottotenente e Babalatchi li seguivano davicino.

«Così va meglioAlmayer»disse l'ufficialeincoraggiante. «Dove staandando? Ci sono solo delle tavole

laggiù. Su»proseguìscuotendolo piano«abbiamo bisogno dellebarche?».

«No»rispose Almayer con tono maligno. «Avete bisogno di una tomba».

«Cosa? Di nuovo le sue pazzie! Cerchi di dire cose sensate».«Una tomba!»ruggì Almayerlottando per liberarsi. «Un buco nel terreno. Non capite?Dovete essere

ubriachi. Mi lasci andare! Mi lasci andarele dico!».

Si divincolò dalla stretta dell'ufficialee si mosse a fatica verso le assidove il corpo giaceva sotto il lenzuolo

bianco; poi si girò rapidamente e fronteggiò il semicerchio di voltiattenti. Il sole stava calando velocementee

proiettava lunghe ombre della casa e degli alberi sul cortilema la luceindugiava ancora sul fiumedove i tronchi

venivano portati via dalla correntenitidi e neri nella soffusa luce rosata.Il fusto degli alberi nella foresta sulla riva

orientale si perdeva nelle tenebre mentre i rami più alti ondeggiavano pianonella luce del tramonto. L'aria si era fatta

fredda e pesante nella brezzache soffiava a sbuffi leggeri sull'acqua.

Almayer rabbrividì facendo uno sforzo per parlaree di nuovo con gestoincerto parve liberarsi la gola dalla

stretta di una mano invisibile. Gli occhi iniettati di sangue passavano senzameta da un volto all'altro.

«Ecco!»disse infine. «Ci siete tutti? È un uomo pericoloso».

Tirò via la coperturacon un gesto rapido e violentoe il corpo rotològiù stecchito dalle tavole e gli cadde ai

piedi rigido e inerte.

«Freddocompletamente freddo»disse Almayer guardandosi in giro con unsorriso senza gioia. «Mi spiace di

non poter fare di meglio. E non potete neanche impiccarlo. Come potetenotaresignori»aggiunse solenne«non ha

testaed è quasi senza collo».

L'ultimo raggio di luce si dileguò dalle cime degli alberiil fiume si feceimprovvisamente scuroe nella

grande calma il mormorio dell'acqua corrente parve riempire la vasta distesad'ombra grigia che calava sulla terra.

«Questo è Dain»continuò Almayer al gruppo silenzioso che lo circondava.«E io ho mantenuto la mia parola.

Prima una speranzapoi un'altrae questa era l'ultima per me. Non mi restanulla ormai. Credete che lì ci sia un solo

uomo morto? È un erroreve lo assicuro. Io sono molto più morto. Perchénon impicca me?»suggerì d'improvvisoin

tono amichevolerivolto al tenente. «Le assicurole assicuro che sarebbesolo... solo una quest... una questione di

forma».

Queste ultime parole le mormorò fra sé e sée si diresse a zigzag versocasa. «Vai via!»tuonò ad Alìche si

stava avvicinando timidamente cercando di aiutarlo. Da lontanogruppiatterriti di uomini e donne osservavano il suo

procedere incerto. Salì a fatica la scala tenendosi alla ringhieraeriuscì a raggiungere una sedia sulla quale si accasciò

pesantemente. Sedette qualche istanteansimando per lo sforzo e la rabbiaeguardandosi intorno con sguardo vacuo nel

tentativo di vedere dove era Nina; poicon un gesto minaccioso verso ilrecinto dove aveva udito la voce di Babalatchi

rovesciò il tavolo con un piede in un gran fragore di stoviglie rotte.Bofonchiò ancora qualcosa fra sé e sé con tono

minacciosopoi la testa gli ricadde sul pettogli occhi si chiuseroe conun profondo sospiro si addormentò.

Quella notte - per la prima volta nella sua storia - il pacifico e fiorentevillaggio di Sambir vide le luci

splendere sulla «Follia di Almayer». Erano i fanali delle lance appesi daimarinai sotto la veranda dove i due ufficiali

svolgevano un'inchiesta per accertare la verità della storia riferita loroda Babalatchi. Babalatchi aveva riacquistato tutta

la propria importanza. Era eloquente e persuasivoe chiamava Cielo e Terra atestimoni della verità delle sue asserzioni.

C'erano anche altri testimoni. Mahmat Banjer e parecchi altri furonosottoposti a un esame approfondito che si trascinò

stancamente fino a tarda sera. Venne inviato un messaggero per chiamareAbdullahche si scusò per l'assenza

adducendo la sua veneranda etàma mandò Reshid. Mahmat dovette produrre ilcerchio d'oroe vide con rabbia e

mortificazione il tenente intascarlofra le prove della morte di Dainperaccluderla al rapporto ufficiale della missione.

Anche l'anello di Babalatchi venne confiscato per lo stesso motivoma ilnavigato statista era rassegnato fin dall'inizio a

quella perdita. Non gli importava affattopur di avere la certezza che ibianchi credessero alla storia. Si pose seriamente

questa domanda andandosenefra gli ultimiquando il processo era altermine. Non ne era sicuro. Se però vi avessero

creduto per una sola nottesarebbe riuscito a mettere Dain fuori dalla loroportata e a sentirsi al sicuro. Si allontanò in

frettaguardandosi di tanto in tanto dietro le spalle nel timore di essereseguitoma non vide né udì nulla.

«Le dieci»disse il tenente guardando l'orologio e sbadigliando. «E mitoccheranno anche i complimenti del

capitano al ritorno. Brutta faccendaquesta».

«Pensi che sia tutto vero?»chiese il più giovane.

«Vero! È possibile. Ma se non è verocosa possiamo fare? Se avessimo unadozzina di barche potremmo

perlustrare i canali; e non risolveremmo granché. Quel pazzo ubriaco avevaragione; non abbiamo abbastanza controllo

su questa costa. Fanno quello che vogliono. Le nostre amache sono statestese?».

«Sìl'ho detto al timoniere. Strana coppialassù»disse ilsottotenentecon un cenno della mano verso la casa

di Almayer.

«Ehm! Bizzarrasenza dubbio. Che cosa hai detto alla ragazza? Io mi sonooccupato quasi tutto il tempo del

padre».

«Ti assicuro che sono stato educatissimo»protestò l'altro accalorandosi.

«Benissimo. Non ti scaldare. Ha una forma di astio nei confronti dellecortesieallorada quanto ho capito.

Pensavo che forse eri scivolato sul tenero. Sai che siamo in servizio».

«Behnaturalmente. Non lo dimentico mai. Freddamente cortese. È tutto».

Risero un po'e dato che non avevano sonno cominciarono a passeggiare su egiù per la veranda fianco a

fianco. La luna si levò sorniona sugli alberie d'improvviso trasformò ilfiume in un flusso di argento scintillante. La

foresta emerse dalla cavità nera e rimase scura e pensosa sull'acqualuccicante. La brezza svanì in una calma sospesa.Come fanno abitualmente imarinaii due ufficiali misuravano la veranda a passo cadenzato senza unaparola.

Le assi sconnesse risuonavano ritmicamente sotto i loro piedi con un rumoresecco e fastidioso nel perfetto silenzio

della notte. Mentre stavano per fare ancora una volta dietrofrontil giovanesi fermò attento.

«Hai sentito?»chiese.

«No!»disse l'altro. «Sentito cosa?».

«Mi sembrava di aver udito un grido. Molto debole. Sembrava una voce didonna. In quell'altra casa. Ah! Di

nuovo! Lo senti?».

«No»disse il tenente dopo essere rimasto qualche attimo in ascolto. «Voigiovani avete sempre nell'orecchio

voci di donna. Se vuoi sognaremeglio che vada sulla tua amaca. Buonanotte».

La luna si levò più in altoe le ombre calde rimpicciolirono e scivolaronovia quasi volessero nascondersi dalla

sua luce fredda e crudele.

CAPITOLO X

«È tramontatofinalmente»disse Nina alla madre indicando le collinedietro le quali il sole era calato.

«Ascoltamammaora vado al canale di Bulangie se non dovessi mai fareritorno...».

Si interruppee l'ombra di un dubbio attenuò per un attimo il fuoco diesaltazione repressa che aveva brillato

nei suoi occhi e illuminato l'imperturbabile serenità dei suoi lineamenticon un raggio di vitalità appassionata durante

tutto quel lungo giorno di eccitazione - il giorno della gioia edell'angosciadella speranza e del terroredi vago dolore e

di indistinta felicità. Finché il sole risplendeva di quella luce accecantein cui il suo amore era nato e cresciuto fino a

possedere l'intero suo esserea mantenerla ferma nella sua irrevocabiledecisione erano stati i misteriosi sussurri di

desiderio che le riempivano il cuore di un'attesa impaziente diquell'oscurità che avrebbe segnato la fine del pericolo e

della lottal'inizio della felicitàl'appagamento dell'amorelacompletezza della vita. E finalmente il sole era

tramontato! Il breve crepuscolo tropicale svanì prima ancora che lei potessetirare il lungo sospiro di sollievo; e ora il

buio improvviso sembrava pieno di voci minacciose che la incitavano agettarsi a capofitto nell'ignoto; a essere leale

con i propri impulsiad abbandonarsi alla passione che aveva suscitato econdiviso. Lui aspettava! Nella solitudine della

radura appartatanel vasto silenzio della forestaaspettavasolounfuggiasco in pericolo di vita. Indifferente al pericolo

aspettava lei. Per lei sola era venuto; e oraa mano a mano che siavvicinava il momento in cui lui avrebbe dovuto avere

la sua ricompensalei si chiedeva con disappunto cosa volesse dire quelgelido dubbio della sua volontà e del suo

desiderio. Con uno sforzo si scosse di dosso il timore di quella debolezzapasseggera. Lui doveva avere la sua

ricompensa. Il suo amore di donna e il suo onore di donna prevalserosull'incertezza e sulla diffidenza nei confronti di

quel futuro ignoto che l'attendeva nell'oscurità del fiume.

«Notu non farai ritorno»sussurrò la signora Almayer in tono profetico.«Senza di te lui non andràe se resta

qui...». Agitò la mano verso la «Follia di Almayer»e la fraseinterrotta si spense in un mormorio minaccioso.

Le due donne si erano incontrate dietro la casae ora camminavano lentamenteverso il canale dove erano

ormeggiate tutte le canoe. Arrivate al margine dei cespugli si fermarono perun comune impulso e la signora Almayer

la mano appoggiata sul braccio della figliacercò invano di guardarla involto da vicino. Quando tentò di parlarele sue

prime parole si persero in un singhiozzo soffocato che suonava strano nellabocca di quella donna chedi tutte le umane

passionisembrava conoscere solo la rabbia e l'odio.

«Tu vai via per diventare una grande Ranee»disse infine con voceabbastanza ferma«e se sarai saggia avrai

un grande potere che resisterà molti giornie potrà durare fino alla tuavecchiaia. Cosa sono stata io? Una schiava per

tutta la vitaa cucinare riso per un uomo che non aveva né coraggio nésaggezza. Ah! Io! Proprio io sono stata data in

dono da un capo e guerriero a un uomo che non era né l'uno né l'altro. Ah!Ah!».

Si lamentò piano fra sépiangendo le possibilità perdute di delitti ecrimini che avrebbero forse fatto parte del

suo destino se fosse stata accoppiata a un animo congeniale. Nina si chinòsull'esile figura della signora Almayer e

scrutò attentasotto le stelle che erano spuntate sul cielo nero evegliavano ora sospese su quella strana separazionei

lineamenti grinzosi della madreguardando da vicino in quegli occhiinfossati che potevano vedere nel suo oscuro

avvenire alla luce di una lunga e dolorosa esperienza. E di nuovocome tantealtre voltesentì il fascino dell'esaltazione

materna e di quella sicurezza profetica nel modo di esprimersi cheinsiemeai suoi accessi di violenzaavevano

contribuito non poco alla reputazione di strega di cui godeva nel villaggio.

«Sono stata una schiavae tu sarai regina»proseguì la signora Almayerguardando dritto davanti a sé; «ma

ricordati la forza degli uomini e la loro debolezza. Trema di fronte alla suarabbiacosì che possa vedere il tuo timore

alla luce del giorno; ma nel tuo cuore potrai ridereperché dopo iltramonto sarà il tuo schiavo».

«Uno schiavo! Lui! Il signore della vita! Tu non lo conoscimamma».

La signora Almayer si concesse una risata sprezzante.«Parli come una scioccadonna bianca»esclamò. «Cosa sai della rabbia e dell'amore degli uomini? Haimai

visto dormire uomini stanchi di trattare con la morte? Hai sentito intorno ate la forza di un braccio che può conficcare

un kriss in un cuore pulsante? Ah! Tu sei una biancae dovrestirivolgere le tue preghiere a un dio donna!».

«Perché mi dici questo? Ho ascoltato le tue parole tanto a lungo che hodimenticato la mia vecchia vita. Se

fossi bianca sarei quipronta ad andare? Mammatorno a casa a guardareancora una volta il viso di mio padre».

«No!»disse la signora Almayer violentemente. «Ora dorme il sonno delgin; e se tu andassi indietropotrebbe

svegliarsi e vederti. Nonon ti vedrà mai più. Quando il terribile vecchioti strappò via da me quando eri piccola

ricordi...».

«Era tanto tempo fa»sussurrò Nina.

«Io ricordo»continuò la signora Almayeraspra. «Volevo guardartiancora una volta. Lui disse di no! Ti

sentivo piangere e mi sono buttata nel fiume. Eri sua figlia allora; adessosei mia figlia. Non tornerai mai in quella casa;

non attraverserai mai più quel cortile. No! No!».

La sua voce salì fin quasi a diventare un grido. Dall'altra parte del canaleci fu un fruscio nell'erba alta. Le due

donne l'udironoe rimasero ad ascoltare qualche minuto in un silenziosbigottito.

«Voglio andare»disse Ninacon un bisbiglio soffocato ma deciso. «Cosami importa del tuo odio o della tua

vendetta?».

Si diresse verso la casamentre la signora Almayer le si aggrappava ecercava di tirarla indietro.

«Fermatitu non andrai!»ansimò.

Nina spinse da parte la madre con un gesto spazientito e raccolse le gonneper correre velocema la signora

Almayer scattò avanti e si giròaffrontando la figlia a braccia allargate.

«Se fai un altro passo»esclamò respirando affannosamente«urlerò.Vedi quelle luci nella casa grande? Là

stanno due bianchifuriosi perché non possono avere il sangue dell'uomo cheami. E in quelle case buie»continuò più

calmaindicando verso il villaggio«la mia voce potrebbe svegliare uominiche porterebbero i soldati Orang da colui

che sta aspettando... te».

Non riusciva a vedere il volto della figliama la bianca figura davanti alei era fermasilenziosa e incerta

nell'oscurità. La signora Almayer approfittò del vantaggio.

«Rinuncia alla tua vecchia vita! Dimentica!»disse con voce suadente.«Dimentica di aver mai posato gli occhi

su una faccia bianca; dimentica le loro parole; dimentica i loro pensieri.Dicono il falso. E pensano il falso perché ci

disprezzanonoi che siamo meglio di lorosolo meno forti. Dimentica la loroamicizia e il loro disprezzo; dimentica i

loro molti dei. Figlia miaperché vuoi ricordare il passato quando c'è unguerrieroun capopronto a sacrificare molte

vite - la sua stessa vita - per un tuo sorriso?».

Mentre parlava spingeva gentilmente la figlia verso le canoenascondendo lapropria paural'angosciail

dubbio dietro quel fiume di parole appassionate che non lasciavano a Nina iltempo di pensare o la possibilità di

opporsianche se avesse voluto. Ma Nina ora non lo voleva. Al fondo di queldesiderio passeggero di rivedere il volto

del padre non c'era un affetto forte. Non provava scrupoli o rimorsi nellasciare tanto improvvisamente quell'uomo i cui

sentimenti nei suoi confronti non riusciva a capiree neppure a vedere.C'era solo un istintivo attaccamento alla vecchia

vitaalle vecchie abitudiniai vecchi volti; quella paura di una sceltadefinitiva che si annida in ogni cuore umano e

impedisce tanti eroismi e tanti crimini. Per anni si era trovata fra la madree il padrel'una tanto forte nella sua

debolezzal'altro tanto debole quando avrebbe potuto mostrare la sua forza.Fra quei due esseri così dissimilicosì

antagonisticiaveva vissuto con il cuore mutostupita e rabbiosa per ilfatto stesso di esistere. Pareva così assurdocosì

umilianteessere scaraventata lìin quel villaggioe vedere i giornicorrer via verso il passatosenza una speranzaun

desiderioo uno scopo a giustificare quella vita sempre più faticosa dasopportare. Provava poca fiducia e nessuna

simpatia per i sogni del padre; ma i deliri selvaggi della madre riuscivano acolpire una corda sensibilegiù in fondo da

qualche parte nel suo cuore disperato; e faceva sogni tutti suoi conl'accanimento di un prigioniero che pensa alla libertà

dentro le mura della sua cella. Con l'arrivo di Dain trovò la via dellalibertàubbidendo alla voce di nuovi impulsie con

gioia e sorpresa le parve di leggere negli occhi dell'uomo la risposta atutti gli interrogativi del proprio cuore. Capiva

ora la ragione e lo scopo della vita; e nella trionfante scoperta di quelmistero scrollò via sdegnosamente il passato con i

suoi tristi pensierii suoi amari sentimenti e i suoi deboli affettioraavvizziti e morti a contatto con una passione

travolgente.

La signora Almayer liberò la canoa di Nina dagli ormeggi eraddrizzatasi afaticarimasecon la cima in

manoa guardare la figlia.

«Svelta»disse«vai prima che si levi la lunafinché il fiume è buio.Ho paura degli schiavi di Abdullah. Quei

disgraziati spesso vanno in giro di nottee potrebbero vederti e seguirti.Ci sono due pagaie nella canoa».

Nina si avvicinò alla madre e sfiorò esitante con le labbra la sua fronterugosa. La signora Almayer sbuffò

sprezzante in segno di protesta contro quella tenerezza di cui tuttaviatemeva il contagio.

«Ti vedrò mai piùmamma?»mormorò Nina.

«No»disse la signora Almayer dopo un breve silenzio. «Perché dovrestitornare qui dove è mio destino

morire? Vivrai lontanonello splendore e nel potere. Quando sentirò che deibianchi sono stati cacciati dalle isoleallora

saprò che sei vivae che ricordi le mie parole».

«Ricorderò sempre»replicò Nina solenne; «ma qual è il mio potereecosa posso fare?».

«Non lasciare che ti guardi troppo a lungo negli occhio che riposi il suocapo sulle tue ginocchiasenza

ricordargli che prima di riposare gli uomini devono combattere. E se esitadagli tu stessa il kriss e incitalo ad andarecome deve fare la moglie diun grande principe quando i nemici sono vicini. Fai che massacri i bianchi chevengono da

noi per commerciarecon le preghiere sulle labbra e i fucili carichi inmano. Ah»concluse con un sospiro«loro sono

su ogni mare e su ogni costa; e sono moltissimi!».

Girò la prua della canoa verso il fiumema non lasciò andare la frisatatenendovi sopra la manoincerta e

pensosa. Nina appoggiò la punta della pagaia alla spondapronta a spingerel'imbarcazione nella corrente.

«Che c'èmamma?»chiese a voce bassa. «Senti qualcosa?».

«No»disse la signora Almayer con aria assente. «AscoltaNina»continuò bruscamente dopo una breve

pausa«negli anni seguenti ci saranno altre donne...».

Un grido soffocato la interruppee la pagaia ricadde nella canoasfuggendoalle mani di Ninatese in un gesto

di protesta. La signora Almayer si inginocchiò sulla riva e si piegò sullafrisata per avvicinare il volto a quello della

figlia.

«Ci saranno altre donne»ripeté con voce ferma; «te lo dicoperché tusei mezzo biancae puoi dimenticare

che lui è un grande capoe che così deve essere. Nascondi la tua rabbiaenon lasciargli vedere il dolore che ti

consumerà il cuore. Vai incontro a lui con la gioia negli occhi e lasaggezza sulle labbraperché a te si rivolgerà nella

tristezza o nel dubbio. Finché guarderà molte donne il tuo potere dureràma se dovesse essercene una solauna con cui

sembra dimenticartiallora...».

«Non potrei vivere»esclamò Ninacoprendosi il viso con le mani. «Nonparlare cosìmamma; non può

accadere».

«Allora»proseguì la signora Almayer risoluta«per quella donna nonavere alcuna pietàNina».

Spinse la canoa verso la corrente per la frisatae la trattenne con entrambele manila prua puntata verso il

fiume.

«Piangi?»chiese severa alla figlia che sedeva immobile con il voltocoperto. «Alzatie prendi la pagaia

perché lui ha già atteso abbastanza. E ricordatiNina; nessuna pietà; ese devi colpirecolpisci con mano sicura».

Raccolse tutte le proprie forze eprotendendosi sull'acquaspinse laleggera imbarcazione lontano nella

corrente. Quando si riprese dallo sforzocercò inutilmente di vedere ancoraper un attimo la canoa che pareva essersi

dissolta nella nebbia bianca sospesa sulle calde acque del Pantai. Rimase inginocchio qualche minuto con l'orecchio

tesopoi si alzò sospirando profondamentementre due lacrime le solcavanolente le guance vizze. Le asciugò rapida

con una ciocca dei capelli grigiquasi si vergognasse di séma non potétrattenere un altro lungo sospiroperché aveva

il cuore pesante e la sofferenza era grande per leicosì poco abituata adolci emozioni. Questa volta le parve di aver

udito un debole rumorequasi un'eco del suo stesso sospiroe si fermòaguzzando le orecchie per cogliere il minimo

suono e scrutando preoccupata i cespugli vicini.

«Chi c'è?»chiese con voce incerta mentre la sua immaginazione popolavala solitudine della riva di forme

fantastiche. «Chi c'è?»ripeté debolmente.

Non ci fu risposta; solo la voce del fiume che mormorava triste e monotonadietro il velo bianco sembrò

gonfiarsi per un attimoper poi svanire di nuovo in un tenue sussurro divortici che si frangevano contro la riva.

La signora Almayer scosse la testa come in risposta ai suoi stessi pensierie si allontanò rapidamente dai

cespugliguardandosi a destra e a sinistra con circospezione. Andòdirettamente verso il capanno della cucinanotando

che le braci del fuoco splendevano più vive del solitocome se qualcunoavesse aggiunto nuova legna alla fiamma nel

corso della serata. Quando fu vicinaBabalatchiche era rimasto accucciatonel chiaro teporesi alzò e le andò incontro

nell'ombra.

«È andata via?»chiese in fretta lo statistaansioso.

«Sì»rispose la signora Almayer. «Cosa fanno i bianchi? Quando li hailasciati?».

«Ora dormonocredo. Possano non risvegliarsi mai!»esclamò Babalatchicon foga. «Oh! ma sono dei diavoli

e hanno fatto un tale strepito su quella carcassa. Il capo mi ha minacciatodue volte con la manoe ha detto che mi

avrebbe legato a un albero! Legato a un albero! A me!»ripetécolpendosiviolentemente il petto.

La signora Almayer rise in modo canzonatorio.

«E tu ti sei prostrato a terra e hai implorato pietà. Gli uomini cheavevano le armi al fianco si comportavano

diversamente quando ero giovane».

«E dove sonogli uomini della tua giovinezza? Pazza!»ribatté Babalatchirabbioso. «Uccisi dagli olandesi.

Ah! Ma io vivrò per ingannarli. Un uomo sa quando combattere e quandoraccontare tranquille bugie. Lo sapresti anche

tu se non fossi una donna».

Ma la signora Almayer pareva non ascoltarlo. Con il corpo chino e il braccioteso sembrava essere in ascolto di

qualche rumore dietro il capanno.

«Ci sono strani suoni»sussurròpalesemente allarmata. «Ho sentitonell'aria suoni di sofferenzacome sospiri

e gemiti. Primasulla riva del fiume. E ora di nuovo ho sentito...».

«Dove?»chiese Babalatchi con voce alterata. «Cosa hai sentito?».

«Qui vicino. Era come un lungo respiro. Vorrei aver bruciato la carta sulcadavere prima che fosse sepolto».

«Sì»concordò Babalatchi. «Ma i bianchi lo hanno fatto gettare subitoin una fossa. Sai che ha trovato la morte

sul fiume»aggiunse allegro«e il suo spirito può aleggiare sulle canoema dovrebbe lasciar tranquilla la terra».

La signora Almayerche aveva allungato il collo per guardare dietro l'angolodel capannotirò indietro la testa.

«Non c'è nessuno là»disse rassicurata. «Non è tempo che la canoa daguerra del Rajah vada alla radura?».«La stavo aspettando quiperché devoandare anch'io»spiegò Babalatchi. «Penso che andrò a vedere cosa li fa

tardare. Quando verrai? Il Rajah ti dà rifugio».

«Passerò il fiume prima dell'alba. Non posso lasciare qui i miei dollari»mormorò la signora Almayer.

Si separarono. Babalatchi attraversò il cortile verso il canale per andare aprendere la sua canoae la signora

Almayer si diresse lentamente verso casasalì la passerellae passandoattraverso la veranda posteriore entrò nel

corridoio che portava sul davanti della casama prima di entrare si voltòsulla soglia e guardò il cortile vuoto e

silenziosoora illuminato dai raggi della luna che saliva nel cielo. Ma nonaveva fatto in tempo a sparire che una

sagoma indistinta sbucò dai tronchi della piantagione di bananesfrecciònello spazio illuminato dalla lunae si lasciò

cadere nell'oscurità ai piedi della veranda. Sarebbe potuta essere l'ombradi una nuvola passeggeratanto silenziosa e

rapida era stata la sua corsanon fosse stato per la scia di erbe smosseicui steli piumati avevano tremato e ondeggiato

a lungo alla luce della luna prima di acquietarsi immobili e lucenticome undisegno di spruzzi argentei ricamati su un

fondale scuro.

La signora Almayer accese la lampada di coccoe sollevando cauta la tendarossaosservò il marito

schermando la luce con la mano. Almayeraccasciato sulla sediaun bracciopenzolonil'altro buttato di traverso sulla

parte inferiore del viso quasi a ripararsi da un nemico invisibilele gambeallungatedormiva profondamenteignaro

degli occhi ostili che lo fissavano colmi di disprezzo. Ai suoi piedi giacevail tavolo rovesciato in uno sfacelo di piatti e

bottiglie rotti. L'impressione che si trattasse delle tracce di una lottadisperata era accentuata dalle sedieche

sembravano essere state scaraventate un po' dappertuttoe ora stavano qua elà sulla verandacome impotentiin una

sorta di desolante ubriachezza. Solo la grande sedia a dondolo di Ninanerae immobile sui suoi alti pattinitorreggiava

su quel caos di mobili in rovinaalteradignitosa e pazientein attesa delproprio carico.

Con un ultimo sguardo sprezzante verso il dormientela signora Almayerscomparve dietro la tenda nella sua

stanza. Un paio di pipistrelliincoraggiati dal buio e dalla tranquillitàripresero le loro silenziose e oblique evoluzioni

sopra la testa di Almayere per lungo tempo la profonda quiete della casarimase indisturbatatranne che per il respiro

pesante dell'uomo addormentato e per il lieve tintinnio dell'argento fra lemani della donna che preparava la fuga. Alla

luce crescente della luna che adesso si era levata sulla foschia notturnagli oggetti sulla veranda emersero stagliandosi

in nere macchie d'ombra nell'assoluta bruttezza del loro disordinee unacaricatura di Almayer addormentato apparve

sulla calce sporca del muro in una grottesca esagerazione dell'atteggiamentoe della figuraportati a dimensione eroica.

Insoddisfattii pipistrelli partirono alla ricerca di posti più buie unalucertola uscì fuori con rapidenervose corsette e

trovandosi a suo agio sulla tovaglia biancavi si fermò in un'immobilitàsospesa che avrebbe suggerito una morte

improvvisanon fosse stato per il melodioso richiamo che l'animale scambiavacon un amico meno avventuroso

nascosto fra il legname nel cortile. Poi le tavole del corridoioscricchiolaronola lucertola sparìe Almayer si mosse

infastidito con un sospiro: lentamentedall'insensibilità annichilita delsonno da ubriacostava tornandoattraverso la

terra dei sognialla coscienza della veglia. La testa di Almayer ricadde dauna spalla all'altra nell'oppressione del sogno;

il cielo era disceso su di lui come un pesante mantelloe si trascinava conle sue pieghe stellate molto al di sotto di lui.

Stelle di soprastelle tutto intorno a lui; e dalle stelle sotto di lui silevava un sussurro pieno di suppliche e di lacrimee

volti dolenti fluttuavano fra le pozze di luce che riempivano l'infinitospazio sottostante. Come sfuggire a quegli

importuni lamenti e allo sguardo di fissi occhi tristi nei volti che gli siaffollavano intorno fino a farlo ansimare in cerca

di respiro sotto il peso opprimente dei mondi che gravavano sulle sue spalleaffaticate? Fuggire! Ma come? Se avesse

cercato di muoversiil suo piede si sarebbe posato sul nullae sarebbemorto nel crollo di quell'universo di cui era il

solo sostegno. E cosa dicevano quelle voci? Lo incitavano a muoversi!Perché? Muoversi verso la distruzione!

Figurarsi! L'assurdità della cosa lo riempiva di indignazione. Cercò unamaggiore presa sul terreno e indurì i muscoli

nell'eroica risoluzione di portare il suo fardello per tutta l'eternità. Edepoche intere trascorsero in questa sovrumana

faticain una corsa di mondi roteanti; nel mormorio lamentoso di voci tristiche lo spingevano a desistere prima che

fosse troppo tardi - fino a quando il misterioso potere che gli aveva impostoquesto compito titanico parve finalmente

volere la sua distruzione. Con terrore sentì una mano irresistibilescuoterlo per la spallamentre il coro di voci si levava

in un'afflitta preghiera ad andareandare prima che fosse troppo tardi.Sentì di sdrucciolaredi perdere l'equilibrio

mentre qualcosa si trascinava ai suoi piedie cadde. Con un debole gridoscivolò fuori dall'angoscia di un universo in

rovina in un risveglio imperfetto che pareva essere ancora sotto ilsortilegio del sogno.

«Cosa? Cosa?»mormorò assonnatosenza muoversi o aprire gli occhi. Avevaancora la testa pesantee gli

mancava il coraggio di sollevare le palpebre. Alle sue orecchie aleggiavaancora il suono di un bisbiglio supplichevole.

«Sono sveglio? Perché sento queste voci?»si chiedeva fra sé e séconfusamente. «Non riesco ancora a liberarmi da

questo orrendo incubo... Mi sono ubriacato molto. Cos'è che mi scuote? Stoancora sognando... Devo aprire gli occhi e

farla finita. Non sono ancora del tutto sveglioè evidente».

Fece uno sforzo per scuotersi di dosso questo torpore e vide una facciavicinissima alla suache lo fissava con

le pupille dilatate. Richiuse gli occhi in un attonito orrore e si sedettediritto sulla sediatremando dappertutto. Cos'era

questa apparizione? La sua immaginazionesenza dubbio. I suoi nervi eranostati molto provati il giorno prima - e poi

aveva bevuto! Non avrebbe visto di nuovo quella cosa se avesse avuto ilcoraggio di guardare... Avrebbe guardato senza

esitare... Ma prima si sarebbe fatto forza... Così. Ora.

Guardò. La figura di una donna in piedi nella luce metallicale maniprotese in un gesto di supplicagli

apparve all'altra estremità della veranda; e nello spazio fra di lui equello spettro ostinato fluiva il mormorio di parole

che gli penetravano nelle orecchie in un caos di frasi assillantiilsignificato delle quali sfuggiva ad ogni sforzo del suo

cervello. Chi parlava in malese? Chi era fuggito? Perché era troppo tardi -e troppo tardi per cosa? Cosa significavanoquelle parole di odio e di amorecosì stranamente mescolatee i nomi ricorrenti che continuavano a penetrarglinelle

orecchie - NinaDain; DainNina? Dain era mortoe Nina dormivaignaradella tremenda esperienza che lui stava

vivendo ora. Sarebbe stato tormentato per semprenel sonno e nella vegliaenon avrebbe mai avuto pacené di notte né

di giorno? Cosa significava tutto questo?

Pronunciò le ultime parole ad alta voce. La donna spettrale parveindietreggiare e allontanarsi verso il

passaggioe ci fu un grido. Esasperato dalla natura incomprensibile di queltormentoAlmayer fece un balzo verso

l'apparizioneche sgusciò viae lui andò a sbattere pesantemente controil muro. Rapido come il fulminesi girò e

inseguì selvaggiamente la figura misteriosa che gli sfuggiva con gridapenetranti che alimentavano ancor di più le

fiamme della sua ira. Passando sui mobiligirando intorno al tavolorovesciatoriuscì finalmente a bloccarla in un

angolo dietro la sedia di Nina. A destraa sinistrasaltavanola sedia chedondolava furiosamente fra di lorolei

lanciando strillo su strillo ad ogni fintae lui ringhiando maledizioniassurde attraverso i denti serrati. Oh! quel rumore

orribile che gli spaccava la testa e pareva soffocargli il respiro...L'avrebbe ucciso. Doveva farlo smettere! Un desiderio

folle di schiacciare quella cosa urlante lo spinse a gettarsi selvaggiamenteoltre la sedia con un tentativo disperatoe

finirono insieme a terra in una nuvola di polvere fra il legno che andava apezzi. L'ultimo grido si spense sotto di lui in

un debole gorgoglioe ottenne così il sollievo di un silenzio assoluto.

Guardò il volto della donna sotto di lui. Una vera donna! E la conosceva.Era una cosa stupefacente! Taminah!

Balzò in piediprovando vergogna per la propria furia e rimase perplessoasciugandosi la fronte. La ragazza si

inginocchiò a fatica e gli avvinghiò le gambe pregandolo freneticamente diavere pietà.

«Non avere paura»le disse Almayer facendola alzare. «Non ti farò delmale. Perché vieni a casa mia di notte?

E se dovevi venireperché non sei andata dietro la tendadove dormono ledonne?».

«La stanza dietro la tenda è vuota»ansimò Taminahriprendendo respirofra una parola e l'altra. «Non ci sono

più donne nella tua casaTuan. Ho visto la vecchia mem andarevia prima di cercare di svegliarti. Non volevo le tue

donne. Volevo te».

«La vecchia mem!»ripeté Almayer. «Vuoi dire mia moglie?».

La ragazza annuì.

«Ma di mia figlia non hai paura?»disse Almayer.

«Non mi hai sentito?»esclamò Taminah. «Non ti ho parlato a lungo mentreeri steso là con gli occhi

semiaperti? Anche lei è andata via».

«Dormivo. Non riesci a distinguere un uomo che dorme da uno che èsveglio?».

«A volte»rispose Taminah a voce bassa«a volte lo spirito aleggiavicino a un corpo addormentato e può

sentire. Ti ho parlato a lungo prima di toccartie ho parlato piano perpaura che lo spirito fuggisse per un rumore

improvviso e ti lasciasse a dormire per sempre. Ti ho scosso per la spallasolo quando hai cominciato a mormorare

parole che non riuscivo a capire. Non mi hai sentitoallorae non sainiente?».

«Niente di quello che hai detto. Cosa c'è? Dimmelo di nuovo se vuoi che iosappia».

La prese per la spalla e la condussesenza che la ragazza facesseresistenzasul davanti della veranda sotto una

luce più forte. Taminah si torceva le mani con una tale espressione didolore che Almayer cominciò ad allarmarsi.

«Parla»disse. «Hai fatto abbastanza rumore da svegliare anche i morti.Eppure nessun essere vivente è

venuto»soggiunse in un sussurro turbato. «Sei muta? Parla!»ripeté.

In un fiume di parole che le sgorgò dalle labbra tremanti dopo una brevelotta con se stessagli raccontò la

storia dell'amore di Nina e della sua gelosia. Più e più volte Almayer lafissò in volto con rabbia e le impose di tacere;

ma non riuscì a fermare i suoni che sembravano fluire in una mareainfuocataturbinandogli intorno ai piedie

levandosi in ondate bollenti intorno a luialtesempre più altesommergendogli il cuoretoccandogli le labbra con una

sensazione di piombo fusoannebbiandogli la vista in un vapore torridorichiudendosi sopra la sua testasenza pietà

fino alla morte. Quando la ragazza parlò dell'inganno circa la morte di Daindi cui era stato vittima quel giorno stessola

guardò di nuovo con occhi terribilie la fece esitare per un secondomasubito distolse lo sguardoe il suo volto perse

d'improvviso qualsiasi espressione e gli occhi impietriti si puntaronolontano oltre il fiume. Ah! il fiume! Il suo vecchio

amico e il suo vecchio nemicoche parlava sempre con la stessa vocescorrendo anno dopo anno e portando fortuna o

delusionefelicità o doloresu quella stessa superficie varia e immutabiledi rapide correnti e di gorghi mulinanti. Da

molti anni ascoltava il mormorio calmo e rasserenante che a volte era ilcanto della speranzaa volte il canto del trionfo

dell'incoraggiamento; più spesso il bisbiglio della consolazione che parlavadi giorni migliori a venire. Da tanti anni! Da

tanti anni! E ora al ritmo di quel mormorio ascoltava il lento e dolorosobattito del proprio cuore. Lo ascoltò con

attenzionechiedendosi se i battiti erano regolari. Cominciò a contaremeccanicamente. Unodue. Perché contare? Al

battito successivo si sarebbe fermato. Nessun cuore poteva soffrire a quelpunto e battere regolarmente così a lungo.

Quei colpi regolari come di un martello attutito che gli risuonavano nelleorecchie dovevano fermarsi presto. Ancora

battiti incessanti e crudeli. Nessun uomo avrebbe potuto sopportarlo; sarebbestato questo l'ultimooppure il

successivo? Dio! Per quanto tempo ancora? La sua mano inconsapevolmente pesòpiù forte sulla spalla della ragazzae

Taminah pronunciò le ultime parole della storia accucciata ai suoi piedi conlacrime di dolore e di vergogna e di rabbia.

La sua vendetta le sarebbe mancata? Questo uomo bianco era come una pietrainsensibile. Troppo tardi! Troppo tardi!

«E l'hai vista andar via?». La voce di Almayer le risuonò aspra sullatesta.

«Non te l'ho già detto?»singhiozzòcercando piano di divincolarsidalla sua presa. «Non ti ho detto che ho

visto la donna-strega spingere la canoa? Ero nascostastesa nell'erbae hosentito tutte le loro parole. Lei che eravamo

soliti chiamare la mem bianca voleva tornare per rivedere la tuafacciama la donna-strega glielo ha impeditoe...».Si appoggiò ancora piùin basso sul gomitogirandosi a metà sotto la spinta di quella mano pesanteil volto

sollevato verso di lui con occhi sprezzanti.

«E lei ha ubbidito»disse con un grido che era risata e urlo di dolore.«Fammi andareTuan. Perché ti infuri

con me? Affrettatio non avrai più tempo di mostrare la tua rabbia a quelladonna che ti ha ingannato».

Almayer la tirò su in piedi a forzae la fissò da vicino in volto mentrela ragazza lottavadistogliendo il volto

da quello sguardo furibondo.

«Chi ti ha mandato qui a torturarmi?»chiese con violenza. «Non ti credo.Tu menti».

D'improvviso tese il braccio e la scaraventò dall'altra parte della verandaverso la portadove la ragazza rimase

distesa immobile e silenziosaquasi avesse lasciato la vita nella suastrettauna massa scura senza un suono o un

movimento.

«Oh! Nina!»sussurrò Almayercon una voce in cui rimprovero e amoreparlavano insieme in una tenerezza

dolorosa. «Oh! Nina! Io non ci credo».

Un lieve soffio di vento dal fiume corse sul cortile in un'onda di erbetremanti epenetrando sulla veranda

sfiorò la fronte di Almayer con il suo alito frescoin una carezza diinfinita pietà. La tenda del passaggio delle donne si

gonfiò e subito ricadde afflosciandosi inerte. L'uomo fissò la stoffafluttuante.

«Nina!»gridò Almayer. «Dove seiNina?».

Il vento uscì dalla casa vuota con un tremulo sospiroe tutto fu immobile.Almayer si nascose il volto fra le

mani quasi a tenere lontano qualche immagine odiosa. Quando si scoprì gliocchiudendo un lieve frusciola massa

scura vicino alla porta era sparita.

CAPITOLO XI

In mezzo a uno spiazzo senza ombre rischiarato dalla lunache brillava suuna distesa liscia e piana di germogli

di risouna piccola capanna appollaiata su alte palafittecon le fascine dilegno accatastate vicino e le braci ardenti di un

fuoco accanto al quale era disteso un uomosembrava minuscolaquasi persanella pallida iridescenza verde riflessa dal

terreno. Su tre lati della radurain apparenza molto lontani a quella luceingannevolei grandi alberi della foresta

avvviluppati dalle mille volute di una massa di liane intrecciateguardavanogiù verso la giovane vita che cresceva ai

loro piedi con l'oscura rassegnazione di giganti che abbiano perso ognifiducia nella loro forza. E fra di loro le liane

implacabilisimili a grosse funisi avvinghiavano ai grossi tronchibalzavano di ramo in ramopendevano come festoni

appuntiti dai rami più bassiespingendo i loro sottili tentacoli versol'alto alla ricerca dei rami più piccoliportavano la

morte alle loro vittime in un'esultante rivolta di distruzione silenziosa.

Sul quarto latoseguendo la curva della riva di quel ramo del Pantai cheformava il solo accesso alla radura

correva una fila nera di giovani alberidi arbusti e di fitti cespugliinterrotta soltanto da una piccola breccia aperta in un

punto. Da quella breccia cominciava lo stretto sentiero che conduceva dalbordo dell'acqua al rifugio d'erba secca usato

la notte dai guardiani quando il raccolto quasi maturo doveva essere protettodai maiali selvatici. Il sentiero portava ai

piedi delle palafitte su cui era costruita la capannain uno spaziocircolare coperto da cenere e da pezzetti di legna

bruciata. In mezzo a quello spiazzoaccanto alla fiamma tenueera distesoDain.

Con un sospiro impaziente l'uomo si girò sul fianco eappoggiando la testasul braccio piegatorimase fermo

con il viso rivolto al fuoco morente. Le braci ardenti brillavano rosse in unpiccolo cerchioriflettendosi nei suoi occhi

spalancati. Il corpo di Dain era esausto per la fatica degli ultimi giorniela sua mente era ancora più esausta per la

tensione di questa attesa solitaria del proprio destino. Non si era sentitocosì impotente prima d'ora. Aveva sentito il

rimbombo degli spari a bordo della lanciae sapeva che la sua vita era inmani poco fidatee che i nemici erano molto

vicini. Durante le lunghe ore del pomeriggio aveva camminato su e giù lungoil bordo della foresta onascosto nei

cespugliaveva osservato il canale con occhi inquieti spiando qualchesegnale di pericolo. Non temeva la mortema

desiderava ardentemente vivereperché la vita per lui era Nina. Avevapromesso di veniredi seguirlodi essergli

accanto nel pericolo e nella gloria. Ma con lei al fianco non si curava delpericoloe senza di lei non ci poteva essere

gloria o gioia nell'esistenza. Accucciato all'ombra nel suo nascondigliochiudeva gli occhi cercando di evocare

l'immagine delicata e incantevole della figura bianca che per luirappresentava l'inizio e la fine della vita. Con gli occhi

chiusii denti stretticercavacompiendo uno sforzo enorme di appassionatavolontàdi mantenere viva quella visione

di suprema meraviglia. Inutilmente! Il suo cuore diventava pesante mentrel'immagine di Nina svaniva per essere

sostituita da un'altra visione - una visione di uomini armatidi voltirabbiosidi armi lucenti - e gli sembrava di udire il

brusio di voci eccitate e trionfanti mentre quegli uomini lo scoprivano nelnascondiglio. Colpito dalla vividezza di

quella visioneapriva gli occhi ebalzando fuori alla luce del soleriprendeva i suoi giri senza meta intorno alla radura.

Costeggiando in questa corsa spossante il bordo della forestadava di tantoin tanto delle occhiate a quell'ombra

tenebrosacosì seducente nella sua ingannevole impressione di freschezzacosì repellente nella sua tristezza assoluta

dove giacevanosepolte e putrescentiinnumerevoli generazioni di alberiedove i successoriquasi in luttocon il loro

scuro fogliame verdesi ergevano immensi e impotentiin attesa del loroturno. Solo i parassiti sembravano vivere inquel luogoin una corsa sinuosaverso l'aria e la lucenutrendosi dei morti e dei moribondi senza distinzionie

incoronando le vittime con fiori rosa e azzurri che splendevano fra i ramiincongrui e crudelicome una nota stridula e

derisoria nella solenne armonia degli alberi condannati.

Un uomo ci si potrebbe nasconderepensò Dainavvicinandosi a un punto dovele liane erano state strappate

fino a formare un arco che poteva apparire come l'inizio di un sentiero.Piegandosi a guardareudì un grugnito rabbioso

e vide un maiale selvatico farsi largo e sparire nel sottobosco. Un acreodore di terra umida e di foglie marce lo prese

alla golae si tirò indietro con un'espressione terrorizzataquasi fossestato toccato dal respiro della Morte. L'aria stessa

sembrava morta qui - greve e stagnanteavvelenata dalla corruzione di untempo infinito. Proseguì barcollandospinto

dall'inquietudine nervosa che lo faceva sentire stanco ma che al tempo stessolo portava ad aborrire l'idea stessa di

immobilità e riposo. Era forse un selvaggio da nascondersi fra gli alberi emagari da essere ucciso qui - nell'oscurità -

dove non c'era neppure spazio per respirare? Avrebbe aspettato i suoi nemicialla luce del soledove poteva vedere il

cielo e sentire il vento. Sapeva come muore un capo malese. Una furia oscurae disperatatipica eredità della sua razza

si impossessò di luie Dain lanciò un'occhiata selvaggia dall'altra partedella radura verso il varco fra i cespugli sulla

riva del fiume. Sarebbero venuti di lì. Nella fantasia li poteva vedere.Vedeva le facce barbute e le giacche bianche degli

ufficialila luce sulla canne puntate dei fucili. A cosa serve il coraggiodel più grande guerriero davanti alle armi da

fuoco in mano a uno schiavo? Sarebbe andato loro incontro sorridendocon lemani alzate in segno di sottomissione

fino ad essere molto vicino a loro. Avrebbe detto parole amichevoli - sarebbeandato più vicino - ancora più vicino -

tanto vicino che avrebbero potuto toccarlo e fare di lui un prigioniero.Quello sarebbe stato il momento: con un grido e

un balzo sarebbe stato fra loroil kriss in pugnouccidendouccidendouccidendoe sarebbe morto con le urla dei

nemici nelle orecchieil loro sangue caldo sprizzante davanti agli occhi.

Trascinato dall'eccitazioneafferrò il kriss nascosto nel sarong etirando un lungo respirobalzò in avanti

colpì l'aria vuotae cadde in avanti. Rimase distesoquasi sconvolto nellareazione improvvisa alla sua esaltazione

pensando cheanche se fosse morto in modo così gloriososarebbe statoprima di rivedere Nina. Meglio così. Se

l'avesse rivistasentiva che la morte sarebbe stata troppo terribile. Conorrore Dainil discendente di Rajah e di

conquistatorisi trovava a dover dubitare della propria audacia. Ildesiderio di vivere lo tormentava in un parossismo di

tragico rimorso. Non aveva il coraggio di muovere un dito. Aveva perso lafede in se stessoe non c'era altro in lui di

ciò che fa un uomo. Rimaneva la sofferenzapoiché sta scritto che essadebba dimorare nel cuore umano fino all'ultimo

respiroe rimaneva la paura. Oscuramente poteva guardare nelle profonditàdel suo amore appassionatovederne la

forza e la debolezzae provava paura.

Il sole tramontò lentamente. L'ombra della foresta ad occidente avanzòsulla raduracoprì le spalle ustionate

dell'uomo con il suo mantello frescoe proseguì in fretta per andarsi amescolare alle ombre delle altre foreste sul lato

orientale. Il sole indugiò ancora in mezzo al lieve disegno dei rami piùaltiquasi provasse un'amichevole riluttanza ad

abbandonare quel corpo disteso sulla verde risaia. Allora Dainrianimato dalfresco della brezza seralesi sedette e si

guardò attorno. In quel momento il sole sprofondò bruscamentequasi avessevergogna di essere scoperto in un

atteggiamento comprensivoe la radurache durante il giorno era tutta lucedivenne d'improvviso tutta oscuritàcon il

fuoco che lampeggiava come un occhio. Dain s'incamminò lento verso il canaleetoltosi il sarong stracciatosuo unico

indumentoentrò cauto nell'acqua. Non aveva mangiato niente per tutto ilgiornoe non aveva osato mostrarsi alla luce

sulla riva del fiume per bere. Oramentre nuotava in silenzioingoiòqualche sorsata dell'acqua che gli lambiva le

labbra. Questo gli fece benee si diresse con maggiore fiducia in sé enegli altri verso il fuoco. Fosse stato tradito da

Lakambatutto sarebbe già finito. Fece una grande vampatae a questocalore si asciugòpoi si stese accanto alla brace.

Non riusciva a dormirema provava un gran torpore in tutte le membra. La suairrequietudine era sparitaed era

contento di stare fermoa misurare il tempo osservando le stelle che silevavano in infinita successione sulle foreste

mentre i lievi sbuffi di vento sotto il cielo senza nuvole sembravanosventagliare il loro luccichio facendole brillare di

più. Quasi in sognosi ripeté più e più volte che sarebbe venutafinché la certezza gli penetrò nel cuore e lo riempì di

una gran pace. Sìallo spuntare del giorno doposarebbero stati insiemesul grande mare azzurro che era come la vita -

lontani da queste foreste che erano come la morte. Mormorò il nome di Ninanello spazio silenzioso con un tenero

sorriso: l'incantesimo del silenzio fu infranto e lontanoaccanto al canaleuna rana gracidò forte come in risposta. Un

coro di ruggiti rumorosi e di richiami lamentosi si levò dal fango lungo ilbordo dei cespugli. Rise di cuore; senza

dubbio era il loro canto d'amore. Provò affetto verso le rane e ascoltòrallegrato da quei rumori di vita intorno a lui.

Quando la luna sbucò sopra gli alberi sentì che la vecchia impazienza e lavecchia inquietudine si insinuavano

di nuovo in lui. Perché era così in ritardo? Certola strada era lunga dacoprire con una sola pagaia. Con quanta abilità e

con quanta tenacia quelle piccole mani riuscivano a maneggiare una pesantepagaia! Era stupefacente - mani così

piccolepalme così morbide che sapevano sfiorare la sua guancia con untocco più lieve del battito di un'ala di farfalla.

Stupefacente! Si perse nella contemplazione amorosa di questo tremendomisteroe quando guardò di nuovola luna si

era levata di un palmo sopra gli alberi. Sarebbe venuta? Si costrinse arestare fermovincendo l'impulso di alzarsi e di

correre di nuovo intorno alla radura. Si rigirò da una parte all'altratremando per lo sforzopoi restò disteso sulla

schienae vide fra le stelle il volto di Nina che lo guardava dall'alto.

Il gracidio delle rane cessò d'improvviso. Con la prontezza di un uomobraccatoDain si mise seduto

ascoltando ansiosamentee udì i tonfi nell'acqua delle rane che situffavano rapide nel canale. Sapeva che qualcosa le

aveva allarmatee si alzòsospettoso e attento. Un lieve grattarepoi ilsuono secco come di due pezzi di legno che si

colpiscono a vicenda. Qualcuno stava sbarcando! Prese una bracciata di sterpiesenza distogliere gli occhi dal sentiero

la tenne sopra le braci del fuoco. Attese indecisoe vide qualcosa balenarefra i cespugli; poi una figura bianca uscìdall'ombra e parve fluttuare verso dilui nella luce pallida. Il suo cuore diede un gran balzo e si arrestòpoiriprese a

scuotergli il petto con colpi furiosi. Dain lasciò cadere gli sterpi sullabraceed ebbe l'impressione di gridare il nome di

Nina - di correre verso di lei; ma non emise alcun suononon si spostò diun centimetrorimase silenzioso e immobile

come una statua di bronzo sotto la luce della luna che gli inondava le spallenude. Mentre Dain restava fermo

combattendo con il respiroquasi privato dei sensi per l'intensità dellagioiaNina si dirigeva verso di lui a passi rapidi e

risoluti esimile a chi sta per lanciarsi da un'altezza pericolosagligettò le braccia intorno al collo con un gesto

improvviso. Una piccola scintilla azzurra si insinuò fra i ramoscellie loscoppiettio del fuoco più vivo fu il solo rumore

che si udì mentre si affrontavano nella muta emozione di quell'incontro; poila legna secca si incendiòe una calda

fiammata luminosa si alzò con una scintilla che arrivava alle loro testeea quella luce si guardarono negli occhi.

Nessuno dei due parlò. Dain si riprese con un lieve brivido che gliserpeggiò su per il corpo irrigidito e indugiò

intorno alle sue labbra tremanti. Nina rovesciò il capo e fissò gli occhisu quelli dell'uomo con uno di quei lunghi

sguardi che sono l'arma più terribile di una donna; uno sguardo che è piùsconvolgente del contatto più intimoe più

pericoloso di una pugnalataperché strappa l'anima dal corpoma lascia ilcorpo vivo e impotentein balia delle

capricciose tempeste della passione e del desiderio; uno sguardo che avvolgetutto il corpoe penetra i più nascosti

recessi dell'essereinfliggendo una terribile disfatta nella deliranteesaltazione della conquista. Questo sguardo ha lo

stesso significato per l'uomo delle foreste e del mare come per l'uomo checalca i sentieri della selva più pericolosa di

case e strade. Gli uomini che hanno provato nei loro cuori la tremendaesultanza che un simile sguardo risveglia

diventano semplici cose dell'oggi - che è il paradiso; dimenticano lo ieri -che era sofferenza; non si curano del domani -

che può essere perdizione. Desiderano vivere per sempre sotto quellosguardo. È lo sguardo della resa di una donna.

Dain compreseecome liberato improvvisamente dai nodi invisibili che lotrattenevanocadde ai piedi di Nina

con un grido di gioia eabbracciandole le ginocchianascose il volto fra lepieghe del vestitomormorando parole

sconnesse di gratitudine e amore. Non si era mai sentito tanto orgogliosocome ai piedi di quella donna che apparteneva

per metà ai suoi nemici. Le dita di lei giocavano con i suoi capelli con unacarezza distratta mentre rimaneva eretta

assorta nei suoi pensieri. Era cosa fatta. Sua madre aveva ragione.Quell'uomo era il suo schiavo. Guardando giù verso

la sagoma inginocchiata di Dainprovò una gran compassione e tenerezza percolui che era solita chiamare - anche nei

pensieri - il signore della vita. Alzò gli occhi e guardò tristemente versoi cieli del sud dove si allungavano i sentieri

delle loro vite - la suae quella dell'uomo ai suoi piedi. Non diceva forseche lei era la luce della sua vita? Sarebbe stata

la sua luce e la sua saggezza; sarebbe stata la sua grandezza e la sua forza;ma soprattuttonascosta agli occhi di tutti gli

uominisarebbe stata la sua solaeternadebolezza. Una vera donna! Nellasublime vanità del suo sesso pensava già a

modellare un dio dalla creta ai suoi piedi. Un dio che gli altri venerassero.Era contenta di vederlo com'era adessoe

sentirlo vibrare al minimo tocco delle sue dita leggere. E mentre i suoiocchi guardavano tristemente le stelle del sudun

debole sorriso pareva aleggiarle sulle labbra decise. Chi può direallaluce incerta di un falò? Poteva essere un sorriso di

trionfoo di consapevole potereo di tenera pietàoforsed'amore.

Gli parlò pianoe Dain si alzòcingendola con un braccio nella tranquillaconsapevolezza del possesso; Nina

gli appoggiò la testa sulla spalla con un senso di sfida a tutto il mondonella sicura protezione di quell'abbraccio. Lui era

suo con tutte le sue qualità e con tutti i suoi difetti. La forza e ilcoraggiola temerarietà e l'audaciala semplice

saggezza e l'istinto selvaggio - tutto era suo. Mentre si allontanavanoinsieme dalla luce rossa del fuoco verso l'argentea

pioggia dei raggi che inondavano la raduraDain chinò il capo sul suovoltoe lei vide negli occhi dell'uomo l'ebbrezza

sognante di una felicità smisurata al contatto dell'esile figura stretta alui. Con un ritmico dondolio dei corpi

attraversarono la luce verso le ombre delle foreste che parevano proteggerela loro gioia con una solenne immobilità. Le

loro forme si fusero nel gioco di luci e ombre ai piedi dei grandi alberimail mormorio di tenere parole indugiò sulla

radura vuotasi attenuòe svanì. Un sospiro come di un immenso dolorescivolò sulla terra nell'ultimo soffio della

brezza morentee nel profondo silenzio che seguìla terra e i cielirimasero d'un tratto ammutoliti nella triste

contemplazione dell'amore umano e dell'umana cecità.

Lentamente tornarono al fuoco. Dain le preparò un sedile con i rami secchiegettandosi ai suoi piedile

appoggiò la testa sul grembo e si perse nella trasognata felicità diquell'attimo fuggente. Le loro voci si levarono e si

abbassaronotenere o animatementre parlavano del loro amore e del lorofuturo. Ninacon qualche parola accorta

pronunciata di tanto in tantoguidava i pensieri di Daine lui lasciava chela sua felicità fluisse in un discorso

appassionato e tenerosolenne o minacciosoa seconda dei sentimenti che leievocava. Le parlò della sua isoladove le

tetre foreste e i fiumi fangosi erano ignoti. Le parlò dei campi a terrazzedel mormorio dei chiari ruscelli d'acqua

spumeggiante che scorrevano lungo le montagneportando vita al paese e gioiaai coltivatori. E le parlò anche della

vetta di montagna che elevandosi solitaria oltre la cerchia degli albericonosceva i segreti delle nuvole passeggereed

era la dimora del misterioso spirito della sua razzadel genio guardianodella sua casa. Parlò dei vasti orizzonti spazzati

da venti impetuosi che fischiavano alti sulle sommità di montagne di fuoco.Parlò dei suoi antenati che secoli prima

avevano conquistato l'isola di cui sarebbe stato il futuro sovrano. E poimentre Ninanella sua attenzioneavvicinava il

proprio volto al suoprovòsfiorandole le lunghe trecce pesantil'impulsodi parlarle di quel mare che amava tanto; e le

disse della sua voce incessante che da bambino aveva ascoltato fantasticandosui significati nascosti che nessun uomo

aveva mai penetrato; del suo ammaliante luccichio; della sua furia insensatae irragionevole; di come la sua superficie

sia eternamente mutevoleeppur sempre affascinantementre le sueprofondità sono eternamente le stessefredde e

crudelie colme della saggezza della vita distrutta. Le raccontò che ilmare tiene gli uomini schiavi del suo fascino per

tutta una vitae poiindifferente alla loro devozioneli ingoiafuriosodi fronte al loro timore del suo misteroun

mistero che non svelerebbe maineppure a quelli che lo amano di più. Mentreparlavail capo di Nina pian piano sichinavae il suo volto era ora tantovicino da sfiorare quello di Dain. I suoi capelli gli coprivano gli occhisentiva il suo

respiro sulla frontele sue braccia intorno al corpo. Mai due esseri umanipotevano essere più vicinima Nina indovinò

più che capireil senso delle sue ultime parole chedopo una lieveesitazionevennero esalate in un debole mormorio

fino a svanireimpercettibiliin un profondo silenzio colmo di significato:«Il mareNinaè come il cuore di una

donna».

Con un bacio improvviso lei gli chiuse le labbrae rispose con voce ferma:«Ma per gli uomini che non hanno

paurasignore della mia vitail mare è sempre sincero».

Sulle loro testeun velo di nuvole scurefilamentosesimili a immenseragnatele veleggianti sotto le stelle

oscurò il cielo con il presagio dell'imminente tempesta. Dalle collineinvisibili il primo rombo distante del tuono giunse

con un rullio prolungato chedopo essere rimbalzato di collina in collinasi perse nelle foreste del Pantai. Dain e Nina

si alzaronoe il primo guardò inquieto il cielo.

«Babalatchi dovrebbe essere qui»disse. «La mezzanotte è trascorsa datempo. La nostra strada è lungae una

pallottola viaggia più veloce della migliore canoa».

«Sarà qui prima che la luna si nasconda dietro le nuvole»disse Nina.«Ho sentito un tonfo nell'acqua»

soggiunse. «Anche tu lo hai sentito?».

«Un alligatore»tagliò corto Daincon uno sguardo noncurante al canale.«Più scura sarà la notte»continuò

«e più breve sarà la nostra stradaperché allora ci potremo tenere nellacorrente del fiume; ma se c'è luce - anche non

più di questa - dovremo seguire i piccoli canali di acqua stagnantee nonavremo nulla per aiutarci oltre alle pagaie».

«Dain»replicò Nina con tono serio«non era un alligatore. Ho sentito icespugli frusciare vicino alla riva».

«Sì»disse Daindopo aver ascoltato qualche istante. «Non può essereBabalatchiche verrebbe con una grossa

canoa da guerrae apertamente. Quelli che stanno venendochiunque essisianonon vogliono fare molto rumore. Ma tu

hai sentitoe adesso riesco a vedere»proseguì in fretta. «È un uomosolo. Stai dietro di meNina. Se è un amicoche

sia il benvenuto; se è un nemicolo vedrai morire».

Mise la mano sul krisse attese che l'inaspettato visitatore siavvicinasse. Il fuoco era quasi spentoe piccole

nuvole - foriere di tempesta - attraversavano la faccia della luna in rapidasuccessionementre le loro ombre fuggenti

oscuravano la radura. Dain non riusciva a distinguere chi fosse l'uomoma sisentiva inquieto per la ferma andatura

dell'alta sagoma che procedeva sul sentiero a passo pesantee gli intimò difermarsi. L'uomo si fermò a una breve

distanzae Dain si aspettò che parlassema tutto quello che sentì fu unrespiro profondo. Attraverso un varco fra le

nuvole in corsaun improvviso chiarore inondò per un attimo la radura.Prima che calasse di nuovo l'oscuritàDain vide

una mano che teneva un oggetto lucente teso verso di luiudì il grido diNina«Papà!»e in un attimo la ragazza si trovò

fra lui e la pistola di Almayer. L'urlo acuto di Nina risvegliò gli echi deiboschi addormentatie i tre restarono immobili

quasi in attesa che tornasse il silenzio prima di dar sfogo ai loromolteplici sentimenti. Alla comparsa di Ninail braccio

di Almayer ricadde sul fiancoe l'uomo fece un passo avanti. Dain spinsegentilmente la ragazza da un lato.

«Sono forse una bestia feroceda dovermi uccidere d'improvviso e al buioTuanAlmayer?»disse Dain

rompendo quel silenzio carico di tensione. «Getta della legna sul fuoco»proseguìrivolto a Nina«mentre io bado al

mio amico biancoperché non faccia del male a te o a megioia del miocuore!».

Almayer digrignò i denti e di nuovo levò il braccio. Con un rapido balzoDain fu al suo fianco; ci fu una breve

lottadurante la quale un colpo dell'arma partì senza ferire nessunoe poila pistolastrappata alla mano di Almayer

piroettò nell'aria e andò a cadere fra i cespugli. I due uomini stavano inpiedivicinissimiansimando. Il fuoco ravvivato

gettò un incerto cerchio di luce e illuminò il volto terrorizzato di Ninache li guardava con le mani protese.

«Dain!»gridò in segno di avvertimento«Dain!».

L'uomo agitò la mano verso di lei per rassicurarla erivolgendosi adAlmayerdisse con grande cortesia: «Ora

possiamo parlareTuan. È facile dare la mortema la tua saggezza èin grado di riportare la vita? Lei si sarebbe potuta

far male»continuò indicando Nina. «La tua mano tremava molto; per me nonavevo paura».

«Nina!»esclamò Almayer«vieni subito da me. Cosa è questa improvvisafollia? Cosa ti ha stregato? Vieni da

tuo padree insieme cercheremo di dimenticare quest'orribile incubo!».

Aprì le bracciacerto che nel giro di un attimo l'avrebbe tenuta stretta alpetto. Lei non si mosse. Mentre si

insinuava in lui l'idea che la figlia non aveva intenzione di ubbidireAlmayer sentì un gelo mortale penetrargli nel cuore

estringendo le palme delle mani contro le tempieguardò a terra in mutadisperazione. Dain prese Nina per un braccio

e la condusse verso il padre.

«Parlagli nel linguaggio della sua gente»disse. «Soffre - e chi nonsoffrirebbe perdendotimia gioia! Digli le

ultime parole che sentirà pronunciare da quella voceche deve esserglimolto carama che per me è tutta la vita».

La lasciò e indietreggiò di qualche passo fuori dal cerchio di lucerimanendo fermo nell'oscurità ad osservarli

con calma attenzione. Il riflesso di un fulmine distante illuminò le nuvolesopra le loro testee fu seguito dopo un breve

intervallo dal debole rombo di un tuonoche si mescolò alla voce di Almayermentre l'uomo cominciava a parlare.

«Sai cosa stai facendo? Sai cosa ti aspetta se segui quell'uomo? Non hainessuna pietà per te stessa? Sai che

all'inizio sarai il suo giocattolo e poi una schiava frustratauna donna difaticala serva della sua nuova amante?».

Nina alzò la mano per fermarloe girando appena la testa chiese: «HaisentitoDain? È vero?».

«Per tutti gli dei!»dall'oscurità giunse appassionata la risposta«peril cielo e per la terrasulla mia testa e

sulla tua lo giuro: queste sono le bugie di un bianco. Ho messo la mia animanelle tue mani per sempre; respiro con il

tuo respirovedo con i tuoi occhipenso con la tua mentee ti terrò persempre nel mio cuore».

«Ladro!»gridò Almayeresasperato.Un profondo silenzio seguì questaesplosionepoi si udì di nuovo la voce di Dain.

«NoTuan»disse con un tono più gentile«anche questo non èvero. La ragazza è venuta di sua volontà. Non

ho fatto nulla più che mostrarle il mio amore di uomo; ha sentito il gridodel mio cuoreed è venutae la dote l'ho data

alla donna che tu chiami moglie».

Almayer gemette al colmo della rabbia e della vergogna. Nina gli posò unamano lieve sulla spalla e quel

contattoleggero come quello di una fogliaparve calmarlo. Parlò infrettae questa volta in inglese.

«Dimmi»disse«dimmicosa ti hanno fatto tua madre e quell'uomo? Cosati ha portato a darti a quel

selvaggio? Perché lui è un selvaggio. Fra lui e te c'è una barriera chenulla può eliminare. Nei tuoi occhi vedo lo

sguardo di quelli che si uccidono perché sono impazziti. Tu sei impazzita.Non sorridere. Mi si spezza il cuore. Se ti

vedessi annegare sotto i miei occhisenza la possibilità di aiutartinonsoffrirei un tormento maggiore. Hai dimenticato

quello che ti è stato insegnato in tanti anni?».

«No»lo interruppe Nina«ricordo bene. Ricordo anche come è finita.Cattiveria per cattiveriadisprezzo per

disprezzoodio per odio. Io non appartengo alla tua razza. Anche fra la tuagente e me c'è una barriera che nulla può

eliminare. Tu mi chiedi perché io voglio andaree io chiedo a te perchédovrei restare».

Almayer vacillò come se fosse stato colpito in facciama con un gestorapidosenza esitareNina lo afferrò per

un braccio e lo tenne fermo.

«Perché dovresti restare!»ripeté lentamenteinebetitoe si fermòsconvolto dall'immensità della sua

disgrazia.

«Tu mi hai detto ieri»continuò ancora Nina«che io non riuscivo acapire o a vedere il tuo amore per me: è

così. Come potrei? Non ci sono due esseri umani che si capiscano. Possonocapire solo la loro voce. Tu volevi che io

sognassi i tuoi sogniche vedessi le tue visioni - le visioni di una vitafra le facce bianche di quelli che mi hanno

cacciato con rabbioso disprezzo. Ma mentre parlaviio ascoltavo la vocedentro di me; e poi quest'uomo è venutoe

tutto si è placato; c'era solo il mormorio del suo amore. Lo definisci unselvaggio! E come definisci mia madretua

moglie?».

«Nina!»gridò Almayer«togli gli occhi dal mio viso».

La ragazza abbassò lo sguardo a terrama continuò a parlare con una voceche era poco più di un sussurro.

«Con il tempo»proseguì«le nostre vociquella di quest'uomo e la miahanno parlato insieme con una

dolcezza che solo le nostre orecchie potevano cogliere. Tu parlavi d'oroallorama le nostre orecchie erano piene del

canto del nostro amoree noi non ti sentivamo. Poi ho scoperto che potevamovedere l'uno con gli occhi dell'altrache

lui vedeva cose che nessuno tranne me e lui poteva vedere. Siamo entrati inuna terra dove nessuno ci poteva seguiree

tu meno di tutti. Allora ho cominciato a vivere».

Si fermò. Almayer sospirò a lungo. Con gli occhi ancora fissi a terraNinariprese a parlare.

«E ora ho intenzione di vivere. Ho intenzione di seguirlo. Sono statarifiutata con disprezzo dai bianchie

adesso sono una malese! Mi ha preso fra le bracciae ha deposto la sua vitaai miei piedi. È coraggioso; sarà potentee

io tengo il suo coraggio e la sua forza fra le mie manie lo farò grande.Il suo nome sarà ricordato a lungo dopo che i

nostri corpi saranno diventati polvere. Ti voglio bene come primama non lolascerò maiperché senza di lui non posso

vivere».

«Se ha capito quello che hai detto»rispose Almayer sprezzante«deveessere molto lusingato. Tu lo vuoi

come strumento di una tua incomprensibile ambizione. BastaNina. Se non vaigiù subito al canaledove Alì aspetta

con la mia canoagli dirò di tornare al villaggio e di portare qui gliufficiali olandesi. Non potete scappare da questa

raduraperché ho mandato alla deriva la tua canoa. Se gli olandesiacciuffano questo tuo eroelo impiccheranno come è

vero che io sono qui. Adesso vai».

Fece un passo verso la figlia e la prese per la spallaindicando con l'altramano il sentiero verso la riva.

«Attento!»esclamò Dain; «questa donna mi appartiene».

Nina si liberò con uno strattone e guardò dritto nel volto furioso diAlmayer.

«Nonon andrò»disse con un'energia disperata. «Se lui muoremoriròanch'io!».

«Tu morirai!»disse Almayer con uno tono di disprezzo. «Ohno! Vivraiuna vita di menzogne e di inganno

finché non farà la sua comparsa un altro vagabondo che cantacome haidetto? ... il canto d'amore per te! Deciditi in

fretta».

Attese qualche istantee poi aggiunsesottolineando le sue parole: «Devochiamare Alì?».

«Chiamalo»rispose Nina in malese«tu che che non sai essere sincero conla tua gente. Solo qualche giorno fa

vendevi la polvere da sparo per distruggerli; ora vuoi consegnare loro l'uomoche ieri chiamavi tuo amico. OhDain»

disse girandosi verso la figura immobile ma attenta nell'oscurità«invecedi portarti la vitati porto la morteperché ci

tradirà se non ti lascio per sempre!».

Dain entrò nel cerchio di luce egettando un braccio intorno al collo diNinale sussurrò nell'orecchio: «Lo

posso uccidere lì dov'èprima che un solo rumore gli sfugga dalle labbra.Sta a te dire sì o no. Babalatchi non può essere

lontano ormai».

Si raddrizzòtogliendo il braccio dalle spalle di Ninae affrontò Almayerche li guardava con un'espressione di

furia concentrata.

«No!»gridò Ninaaggrappandosi a Dain in un folle timore. «No! Uccidime! Allora forse ti lascerà andare. Tu

non conosci la mente di un bianco. Preferirebbe vedermi morta piuttosto chequi dove sono. Perdona mela tua schiava

ma non devi». Cadde ai suoi piedi singhiozzando violentementee ripetendo:«Uccidimi! Uccidimi!».«Ti voglio viva»disse Almayerparlando anche lui inmalesecon tetra calma. «Vai viao lui sarà impiccato.

Ubbidirai?».

Dain scostò Ninaecon un balzo improvvisocolpì Almayer in pieno pettocon il manico del krisstenendo la

punta rivolta verso di sé.

«Guarda! Sarebbe stato facile per me girare la punta dall'altra parte»disse con voce piana. «VaiTuan Puti

aggiunse con dignità. «Ti do la tua vitala mia vitae la sua vita. Sonolo schiavo del volere di questa donnae anche lei

lo vuole».

Non c'era neanche un barlume di luce nel cielo adessoe le cime degli alberierano invisibili come i tronchi

perse nella massa di nuvole che incombeva sulla forestala radurail fiume.Ogni sagoma era scomparsa nella fitta

tenebra che sembrava aver distrutto ogni cosa tranne lo spazio. Solo il fuocoscintillava come una stella dimenticata in

questo annientamento di tutte le cose visibilie nulla si udì più dopo cheDain ebbe cessato di parlaretranne i

singhiozzi di Ninache l'uomo teneva fra le bracciainginocchiato accantoal fuoco. Almayer era rimasto in piedi a

osservarlitetro e pensieroso. Proprio quando aprì la bocca per parlareitre sussultarono per un grido di avvertimento

che veniva dalla riva del fiumeseguito dal tonfo di molte pagaie e dalsuono di diverse voci.

«Babalatchi!»gridò Dainsollevando Nina e alzandosi in fretta.

«Ada! Ada!»giunse la risposta dallo statista cheaffannatosalì super il sentiero e si fermò in mezzo a loro.

«Corri alla mia canoa!»disse a Dain con tono eccitatosenza badare adAlmayer. «Corri! Dobbiamo andare. Quella

donna ha detto tutto!».

«Quale donna?»chiese Dain guardando Nina. In quel momento per lui intutto il mondo esisteva una sola

donna.

«La cagna con i denti bianchi; la schiava sette volte maledetta di Bulangi.Ha urlato davanti al cancello di

Abdullahfino a quando non ha svegliato tutta Sambir. Ora gli ufficialibianchi stanno venendoguidati da lei e da

Reshid. Se vuoi viverenon guardare mema vai!».

«Come fai a saperlo?»chiese Almayer.

«OhTuan! Cosa importa come l'ho saputo? Ho un solo occhio ma hovisto delle luci nella casa di Abdullah e

nel suo campong mentre vogavamo a quell'altezza. Ho orecchiee mentreeravamo sotto la rivaho sentito che erano

stati mandati dei messaggeri alla casa dei bianchi».

«Andrai via senza quella donna che è mia figlia?»disse Almayerrivolgendosi a Dainmentre Babalatchi

batteva impaziente il piede a terra borbottando: «Corri! Corriimmediatamente!».

«No»rispose Dain fermo. «Non andrò; a nessun uomo abbandonerò questadonna».

«Allora uccidimi e fuggi»singhiozzò forte Nina.

Dain la strinse guardandola teneramente e sussurrò: «Non ci separeremo maiNina!».

«Non resterò qui un minuto di più»proruppe Babalatchi furioso. «Questaè una follia. Nessuna donna vale la

vita di un uomo. Sono vecchioe lo so».

Raccolse il bastone egirandosi per andarseneguardò Dain come peroffrirgli la sua ultima possibilità di fuga.

Ma il volto di Dain era nascosto fra le trecce nere di Ninae l'uomo nonvide quell'ultima occhiata di richiamo.

Babalatchi svanì nell'oscurità. Poco dopo la sua scomparsa udirono la canoada guerra allontanarsi dalla riva

con il tonfo di numerose pagaie che si tuffavano insieme nell'acqua. Quasicontemporaneamente Alì venne su dal fiume

con due pagaie in spalla.

«La nostra canoa è nascosta nel canaleTuan Almayer»disse«nella macchia fitta dove la foresta scende fino

all'acqua. L'ho portata là perché ho sentito dai vogatori di Babalatchi chegli uomini bianchi stanno venendo qui».

«Aspettami là»disse Almayer«ma tieni nascosta la canoa».

Rimase in silenzioascoltando i passi di Alìpoi si girò verso Nina.

«Nina»disse tristemente«non avrai pietà per me?».

Non ci fu risposta. La ragazza non voltò neppure la testache era premutacontro il petto di Dain.

Almayer fece un movimento come per andar via ma poi si fermò. Al tenuechiarore del fuoco quasi spento vide

le loro due figure immobili. La schiena della donna era girata verso di luicon i lunghi capelli neri che formavano una

cascata sull'abito biancoe il calmo volto di Dain lo guardava al di sopradella testa di Nina.

«Non posso»mormorò fra sé. Dopo una lunga pausa riprese a parlare piùpianocon voce incerta: «Sarebbe

una vergogna troppo grande. Io sono un bianco». Qui la sua voce si ruppeeproseguì fra le lacrime: «Sono un biancoe

di buona famiglia. Di una famiglia molto buona»ripeté piangendoamaramente. «Sarebbe una vergogna... su tutta

l'isola... il solo bianco sulla costa orientale. Nonon può essere... deibianchi che trovano mia figlia con questo malese.

Mia figlia!»gridò fortecon la disperazione che gli risuonava nellavoce.

Dopo qualche minuto riprese la padronanza di sée disse scandendo bene leparole: «Non ti perdonerò mai

Nina - mai! Se tu dovessi tornare da me adessoil ricordo di questa notte miavvelenerebbe tutta la vita. Cercherò di

dimenticare che ho una figlia. C'era prima una meticcia nella mia casamaproprio ora se ne sta andando. E tuDaino

quale che sia il tuo nomeporterò io stesso te e quella donna all'isolaalla foce del fiume. Venite con me».

Li precedetteseguendo la riva fino al limite della foresta. Alì rispose alsuo richiamoefacendosi strada

attraverso la fitta vegetazionesalirono sulla canoa nascosta sotto i ramispioventi. Dain fece stendere Nina sul fondoe

sedette tenendo il suo capo sulle ginocchia. Almayer e Alì presero unapagaia ciascuno. Mentre stavano per staccarsi da

rivaAlì sibilò in segno di avvertimento. Tutti rimasero in ascolto.Nelgrande silenzio prima dello scoppio del temporaleudirono il suono di remi chesi muovevano con

regolarità nei loro scalmi. Il rumore si avvicinava rapidamentee Dainguardando attraverso i ramivide la sagoma

incerta di una grande barca bianca. Una voce di donna disse piano: «Questoè il posto dove potete sbarcareuomini

bianchi; un po' più in altolà!».

La barca stava passando tanto vicino a loro nello stretto canale che le puntedei lunghi remi quasi sfiorarono la

canoa.

«Fermi! Pronti a saltare a terra! È solo e disarmato»ordinò tranquillauna voce maschilein olandese.

Qualcun altro sussurrò: «Mi pare di vedere il luccichio di un fuocoattraverso i cespugli». E poi la barca

scivolò oltre la loroscomparendo istantaneamente nell'oscurità.

«Ora»bisbigliò Alì con foga«stacchiamoci da riva e allontaniamoci infretta».

La piccola canoa oscillò nella correntee mentre balzava in avanti graziealla spinta vigorosa delle pagaie

udirono un grido di rabbia.

«Non è accanto al fuoco. Sparpagliateviuominie cercatelo!».

Luci azzurrognole risplendettero in diverse parti della radurae la voceacuta di una donna gridò con un tono di

rabbia e di dolore: «Troppo tardi! Sciocchi uomini bianchi! È fuggito!».

CAPITOLO XII

«Quello è il posto»disse Dain indicando con la pala della pagaia unpiccolo isolotto a circa un miglio a prua

della canoa«quello è il posto dove Babalatchi ha promesso che una barcadal praho verrà a prendermi quando il sole

sarà alto nel cielo. Là dovremo aspettare la barca».

Almayerche era al timoneannuì senza parlaree con un lieve movimentodella pagaiapuntò la canoa nella

direzione richiesta.

Stavano lasciando in quel momento la bocca meridionale del Pantaiche siallungava dietro di loro in una

prospettiva rettilinea d'acqua scintillante in mezzo a due muraglie di fittavegetazione che correvano l'una verso l'altra

fino ad unirsi scomparendo insieme in lontananza. Il solelevandosi sopra leplacide acque dello Strettosegnava il suo

percorso con una striscia di luce che scivolava sul mare e sfrecciavasull'ampia foce del fiumecome un messaggero

impaziente di portare luce e vita alle tetre foreste della costa; e in questascia radiosa avanzava la canoa nera diretta

all'isolotto immerso nella lucecon le sabbie gialle della spiaggia che locircondava scintillanti come un disco d'oro

incastonato sull'acciaio brunito del mare senza increspature. A nord e a sudsi trovavano altri isolottifestosi nel giallo e

verde luminoso dei loro colorie sulla costa della terraferma la scura lineadelle mangrovie terminava a sud nelle

scogliere rossastre di Tanjong Mirrah che avanzavano sul marescoscese enitide nella luce chiara del primo mattino.

Il fondo della canoa grattò sulla sabbia quando la piccola imbarcazioneapprodò sulla spiaggia. Alì balzò a terra

e trattenne lo scafo mentre Dain scendeva portando fra le braccia Ninaesausta dagli avvenimenti e dal lungo viaggio

nella notte. Almayer fu l'ultimo a lasciare la barcae insieme con Alì latirò più in alto sulla spiaggia. Poi Alìstanco per

la lunga vogatasi stese all'ombra della canoae si addormentòall'istante. Almayer si sedette di traverso sul bordo della

canoa e con le braccia incrociate sul petto fissò il mare verso sud.

Dopo avere delicatamente deposto Nina all'ombra dei cespugli che crescevanoin mezzo all'isolottoDain si

buttò accanto a lei e osservòin un silenzio preoccupatole lacrime chele scorrevano giù dalle palpebre chiusee si

perdevano in quella sabbia fine su cui erano distesi faccia a faccia. Questelacrime e questo dolore costituivano per lui

un profondo e inquietante mistero. Ora che il pericolo era passatoqual erala causa di questa sofferenza? Dain non

dubitava dell'amore di Nina più di quanto non dubitasse della propriaesistenzama osservandola appassionatamente in

voltoguardando le sue lacrimele labbra socchiuseil suo stesso respirosi sentiva inquieto e consapevole di qualcosa

in lei che non poteva capire. Senza dubbio Nina aveva la saggezza degliesseri perfetti. Sospirò. Sentiva che qualcosa di

invisibile si levava fra di loroqualcosa che gli avrebbe consentito diavvicinarsi a lei fino a un certo puntoma non

oltre. Né il desiderioné la passionee neppure uno sforzo di volontà ouna lunga esistenza avrebbero potuto distruggere

questa vaga sensazione della loro differenza. Con costernazione ma anche congrande orgoglioDain concluse che si

trattava dell'incomparabile perfezione di Nina. Lei era suae al tempostesso era come una donna di un altro mondo.

Sua! Sua! Esultò a questo pensiero di gloria; ma quelle lacrime loaddoloravano.

Con una ciocca dei capelli di Nina che teneva fra le mani con intimiditareverenzaDain cercò in un impeto di

goffa tenerezza di asciugarle le lacrime che le tremolavano sulle ciglia. Lasua ricompensa fu un fugace sorriso che le

illuminò il viso per la breve frazione di un secondoma presto le lacrimeripresero a cadere più rapidee Dain non riuscì

a resistere. Si alzò e si diresse verso Almayerche era ancora sedutoassorto in contemplazione del mare. Da molto

moltissimo temponon vedeva il mare - quel mare che conduce ovunquedàtuttoe toglie così tanto. Aveva quasi

dimenticato perché si trovava lìe poteva rivedere in sogno tutta la suavita passata sulla superficie piatta e sconfinata

che scintillava davanti ai suoi occhi.La mano che Dain gli posò sulla spallarichiamò con un sussulto Almayer da qualche paese davvero remoto. Si

giròma i suoi occhi parevano fissare piuttosto il luogo dove si trovavaDain che l'uomo in carne e ossa. Dain si sentì a

disagio sotto quello sguardo assente.

«Cosa c'è?»chiese Almayer.

«Piange»mormorò piano Dain.

«Piange! Perché?»domandò Almayercon tono distaccato.

«Sono venuto a chiederlo a te. La mia Ranee sorride quando guardal'uomo che ama. Quella che piange adesso

è la donna bianca. Dovresti saperlo».

Almayer scrollò le spalle e si voltò di nuovo verso il mare.

«VaiTuan Putih»insistette Dain. «Vai da lei; le sue lacrime perme sono più terribili dell'ira degli dei».

«Ah sì? Le vedrai altre volte. Mi ha detto che non potrebbe vivere senza dite»rispose Almayer senza che il

suo volto mostrasse la benché minima espressione«così tocca a te andareda leie in frettase non vuoi trovarla

morta».

Scoppiò in una risata sonora e sgradevole che indusse Dain a fissarlo conuna certa apprensionema si alzò dal

bordo della barca e si diresse lentamente verso Ninaguardando il solementre camminava.

«E andrete via quando il sole si sarà levato del tutto?»disse.

«SìTuan. Andremo allora»rispose Dain.

«Non mi resta molto da aspettare»borbottò Almayer. «È della massimaimportanza che vi veda andare via.

Tutti e due. Della massima importanza»ripeté fermandosi d'improvviso efissando Dain.

Riprese a camminare verso Ninae Dain restò indietro. Almayer si avvicinòalla figlia e rimase in piedi a

guardarla per qualche istante. La ragazza non aprì gli occhima sentendo unrumore di passi accanto a sémormorò con

un singhiozzo sommesso: «Dain».

Almayer esitò un attimo e poi si lasciò cadere sulla sabbia vicino a lei.Non ricevendo una rispostao una

carezzaNina aprì gli occhi - vide il padree balzò a sedere con unmovimento di terrore.

«Ohpapà!»mormorò debolmentee in quella parola si sentiva dolore epaura e un barlume di speranza.

«Non ti perdonerò maiNina»disse Almayer con voce calma. «Tu mi haistrappato il cuore mentre io sognavo

la tua felicità. Mi hai ingannato. I tuoi occhiche per me eranol'incarnazione della veritàmi mentivano ad ogni sguardo

- da quando? Tu lo sai meglio di me. Quando mi accarezzavi la guanciacontavi i minuti che mancavano al tramontoal

momento dell'incontro con quell'uomo - laggiù!».

Tacquee restarono in silenzio seduti l'uno accanto all'altrasenzaguardarsi ma fissando l'ampia distesa del

mare. Le parole di Almayer avevano asciugato le lacrime di Ninae il suosguardo si era fatto duro mentre scrutava

davanti a sé lo sconfinato velo azzurro che scintillava limpidoimmobile efermo come il cielo stesso. Anche Almayer

guardava il marema i suoi lineamenti avevano perso qualsiasi espressioneela vita sembrava avere lasciato i suoi

occhi. Il suo volto era uno spazio vuotosenza nessun segno di emozionisentimentiragione o addirittura

consapevolezza di sé. Ogni passionerimpiantodoloresperanzarabbia -tutto era sparitocancellato dalla mano del

fatocome se dopo quest'ultimo colpo ogni cosa fosse finita e non ci fossepiù bisogno di memoria. Quei pochi che

videro Almayer nel breve scorcio dei suoi ultimi giorni restarono per sempreimpressionati dalla visione di quel volto

che pareva ignorare quello che accadeva dentro: come il muro opaco di uncarcere che racchiude peccato e rimpiantie

doloree vite sprecatenella fredda indifferenza della calce e dellepietre.

«Cosa c'è da perdonare?»chiese Nina senza parlare direttamente adAlmayerma quasi come se si rivolgesse a

se stessa. «Non posso vivere la mia vita come tu hai vissuto la tua? Lastrada che volevi farmi seguire mi è stata

preclusa non per mia colpa».

«Non me lo hai mai detto»borbottò Almayer.

«Non me lo hai mai chiesto»rispose Nina«e pensavo che tu fossi comegli altri e non te ne importasse. Ho

sopportato da sola il ricordo della mia umiliazione; avrei dovuto dirti chel'avevo subita perché sono tua figlia? Sapevo

che non avresti potuto vendicarmi».

«Eppure io pensavo solo a questo»la interruppe Almayer«e volevo dartianni di felicità per il breve momento

della tua sofferenza. Conoscevo solo una strada».

«Ah! ma non era la mia!»replicò Nina. «Avresti potuto darmi lafelicità senza la vita? La vita!»ripeté con

un'energia improvvisa che fece risuonare le sue parole sul mare. «La vitache significa potere ed amore»aggiunse a

bassa voce.

«Quello!»disse Almayer puntando il dito verso Dain in piedi lì vicinoche li guardava con stupore e curiosità.

«Sìquello!»replicò Nina guardando il padre dritto in faccia e notandoper la prima volta con un lieve sussulto

di timore l'innaturale rigidezza dei suoi lineamenti.

«Avrei preferito strangolarti con queste mie mani»disse Almayer con unavoce atona che era tanto in

contrasto con la disperata amarezza dei suoi sentimenti da sorprendereperfino lui. Si chiese chi stesse parlandoedopo

essersi guardato lentamente intorno quasi si aspettasse di vedere qualcunorivolse di nuovo gli occhi verso il mare.

«Parli così perché non capisci il significato delle mie parole»dissetristemente Nina. «Fra te e mia madre non

c'è mai stato amore. Quando sono tornata a Sambir ho trovato la casa dovepensavo di avere un tranquillo rifugio per il

mio cuorepiena invece di stanchezza e di odio - e di reciproco disprezzo.Ho ascoltato la tua voce e la sua voce. Poi mi

sono accorta che tu non mi potevi capire; perché io non ero parte di quelladonna? Di leiche è stato il rimpianto e la

vergogna della tua vita? Ho dovuto scegliere - ho esitato. Perché sei statocosì cieco? Non mi hai visto che lottavo sottoi tuoi occhi? Ma quando lui èvenutoogni dubbio è scomparsoe ho visto solo la luce di un paradiso limpidoe

azzurro...».

«Ti racconterò io il resto»la interruppe Almayer: «quando quell'uomo èvenutoanch'io ho visto l'azzurro e la

luce del cielo. Da quel cielo ora è caduto un fulminee d'improvviso avròintorno a me silenzio e oscurità per sempre.

Non ti perdonerò maiNina; e domani ti dimenticherò! Nonon ti perdoneròmai»ripeté con ostinazione meccanica

mentre la figlia restava sedutala testa china quasi avesse timore diguardare il padre.

Ad Almayer pareva della massima importanza sottolinearle la sua intenzione dinon perdonarla mai. Era

convinto che la sua fede in lei fosse stata il fondamento delle sue speranzela causa del suo coraggiodella sua

determinazione a viverea lottaree a vincere per il suo bene. E ora questafede era sparitadistrutta dalle stesse mani di

Nina; distrutta crudelmentea tradimentonell'oscurità; nel momento stessodel successo. Nella completa rovina dei

suoi affetti e di tutti i suoi sentimentinel disordine caotico dei suoipensierial di là della confusa sensazione di un

acuto dolore fisico che lo prendeva tuttocome se una frusta lo colpisseattorcigliandosi intorno al suo corpo dalle spalle

ai piedigli rimaneva chiara e definita un'unica idea; non perdonarla; ununico desiderio: dimenticarla. Ed era necessario

renderlo chiaro a lei - e a se stesso - attraverso frequenti ripetizioni.Questo era per lui un dovere nei confronti di sé

della sua razzadelle sue rispettabili conoscenze; dell'intero universoturbato e scosso da questa tremenda catastrofe

della sua vita. Lo vedeva con chiarezza e credeva di essere un uomo forte. Siera sempre inorgoglito per la propria

incrollabile fermezza. Eppure aveva paura. Lei era stata tutto per lui. E seil ricordo del proprio amore per lei avesse

finito per affievolire il senso della sua dignità? Nina era una donnaeccezionale; lui ne era consapevole; tutta la

grandezza nascosta della propria natura - cui Almayer credeva sinceramente -si era trasfusa in quella snella figura di

ragazza. Si sarebbero potute fare grandi cose! E se ora d'improvviso l'avessestretta al pettodimenticando la propria

vergognae il doloree la rabbiae ... l'avesse seguita! E se avessecambiato i propri sentimentise non la propria pelle

e le avesse reso la vita più facile fra i due amori che l'avrebbero protettada qualsiasi disgrazia! Il suo cuore anelava a

lei. E se le avesse detto che il suo amore per lei era più grande di...

«Non ti perdonerò maiNina!»gridòbalzando su follemented'un trattoterrorizzato dal suo stesso sogno.

Quella fu l'ultima volta in cui lo si sentì alzare la voce. Da allora parlòsempre con un monotono sussurro

come uno strumento di cui tutte le corde tranne una si siano spezzate in unultimo risonante fragore prodotto da un

colpo troppo violento.

Nina si alzò in piedi e lo guardò. La violenza stessa di quel grido larassicurava nella convinzione intuitiva

dell'amore del padree la ragazza si strinse al cuore i poveri resti di quelsentimento con l'avidità priva di scrupoli delle

donne che si attaccano disperatamente ai brandelli dell'amoredi qualsiasitipo d'amorecome a una cosa che di diritto

appartiene loro ed è l'anima stessa della loro vita. Posò le mani sullespalle di Almayer eguardandolo fra il tenero e lo

scherzosogli disse: «Dici così perché mi vuoi bene».

Almayer scosse la testa.

«Sìmi vuoi bene»insistette piano Nina; poidopo una breve pausaaggiunse«e non mi dimenticherai mai».

Almayer rabbrividì leggermente. Lei non avrebbe potuto dirgli una cosa piùcrudele.

«Eccoc'è la barca che sta arrivando»disse Dainil braccio teso versouna macchiolina nera sull'acqua fra la

costa e l'isolotto.

Tutti guardarono in quella direzione e rimasero fermi in silenzio finché lapiccola canoa si fermò dolcemente

sulla spiaggia e un uomo ne scese e si diresse verso di loro. Si fermò aqualche passoesitante.

«Che messaggio porti?»chiese Dain.

«Stanotte abbiamo avuto in segreto l'ordine di venire a prendere un uomo euna donna su quest'isolotto. Vedo

la donna. Chi di voi è l'uomo?».

«Vienigioia dei miei occhi»disse Dain a Nina. «Adesso andiamoe latua voce suonerà solo per le mie

orecchie. Hai detto le ultime parole al Tuan Putihtuo padre.Vieni».

La ragazza esitò un attimoguardando Almayer che teneva gli occhi fissiverso il marepoi gli sfiorò la fronte

con un lungo bacioe una lacrima - una lacrima di Nina - gli cadde sullaguancia e gli rotolò giù lungo il volto

impassibile.

«Arrivederci»sussurròe rimase indecisa finché Almayer la spinsebruscamente fra le braccia di Dain.

«Se hai pietà per me»mormorò Almayerquasi ripetendo una fraseimparata a memoria«porta via questa

donna».

Rimase in piedi dirittole spalle tese all'indietrola testa altae liguardò scendere alla spiaggia verso la canoa

tenendosi stretti. Guardò la traccia dei loro passi segnata sulla sabbia.Seguì le loro figure che si muovevano

nell'accecante riverbero del sole a piccoin quella luce violenta evibrantecome un trionfale squillo di trombe. Guardò

le spalle brune dell'uomoil sarong rosso intorno alla vitalafigura biancaaltasnellaradiosache l'uomo sosteneva.

Guardò il vestito biancola massa pesante dei lunghi capelli neri. Liguardò salire sull'imbarcazionee continuò a

guardare la piccola canoa che rimpiccioliva nella distanzacon rabbiadisperazionee rimpianto nel cuoree con una

pace sul volto che pareva l'immagine scolpita dell'oblio. Intimamente sisentiva laceratoma Alì - che nel frattempo si

era svegliato ed era in piedi accanto al padrone - vide sui suoi lineamentil'espressione vuota di coloro che vivono in

quell'inesorabile calma che può dare solo la cecità.

La canoa scomparvee Almayer rimase immobilelo sguardo fisso sulla suascia. Alìfacendosi ombra con la

manoscrutava la costa con curiosità. A mano a mano che il sole calavasilevava da nord la brezza di mare e

increspava con il suo soffio la vitrea superficie dell'acqua.«Dapat!»esclamò Alì con gioia. «Sono arrivatipadrone! Sono arrivati al praho!Non là! Guarda più dalla

parte di Tanah Mirrah. Aha! Da quella parte! Vedipadrone? Ora si vede bene.Vedi?».

Almayer seguì a lungo inutilmente con gli occhi l'indice di Alì. Finalmenteavvistò una macchia triangolare di

luce gialla contro il fondale rosso delle scogliere di Tanjong Mirrah. Era lavela del praho su cui si riflettevano i raggi

del sole e che si stagliava distintamentecon il suo colore vivacecontroil rosso scuro del capo. Il triangolo giallo

scivolò lento di scogliera in scogliera finché giunse all'ultima punta diterra e risplendette ancora per un fuggevole

istante sull'azzurro del mare aperto. Poi il praho puntò verso sud;la luce sulla vela si spensee d'un colpo la nave stessa

sparìsvanendo all'ombra del promontorio scosceso che se ne stavapazientee solitariodi guardia sul mare deserto.

Almayer non si mosse. Intorno all'isolotto l'aria era piena delchiacchiericcio dell'acqua gorgogliante. Le

ondine increspate correvano sulla spiaggia audaci e allegrecon laleggerezza della gioventùe morivano subitodocili e

gentilinelle ampie curve di schiuma trasparente sulla sabbia gialla. Soprale nuvole bianche correvano rapide verso

sudquasi volessero raggiungere qualcosa. Alì sembrava in ansia.

«Padrone»disse timidamente«è ora di tornare a casa. Sarà lunga conla canoa. È tutto prontosignore».

«Aspetta»bisbigliò Almayer.

Ora che era andata viail suo compito era di dimenticaree aveva la stranasensazione che questo si dovesse

fare sistematicamente e con ordine. Con gran disappunto di Alìsiinginocchiòestrisciando sulla sabbiacancellò

accuratamente ogni traccia dei passi di Nina. Raccolse piccoli mucchi disabbialasciandosi dietro una fila di tombe in

miniatura che scendevano fino all'acqua. Dopo aver sepolto l'ultima lieveimpronta delle babbucce di Nina si alzòe

girandosi verso il promontorio dove per l'ultima volta aveva visto il prahofece uno sforzo per gridare di nuovo forte la

sua ferma risoluzione di non perdonare mai. Alì che lo osservava inquietovide solo le sue labbra muoversima non udì

nessun suono. Batté con forza il piede per terra. Era un uomo fermo - fermocome una roccia. Che se ne andasse. Non

aveva mai avuto una figlia. Avrebbe dimenticato. Stava già dimenticando.

Alì gli si avvicinò di nuovoinsistendo perché partissero immediatamente;questa volta ricevette un consensoe

si avviarono insiemeAlmayer in testaverso la canoa. Con tutta la suafermezza appariva molto abbattuto e stanco

mentre trascinava lentamente i piedi sulla sabbia della spiaggia; e al suofiancoinvisibile ad Alìsi muoveva quel

demone particolare la cui missione consiste nel rinfrescare la memoria degliuominiper evitare che dimentichino il

significato della loro vita. Bisbigliava all'orecchio di Almayer unacantilena infantile di tanti anni prima. Almayerla

testa inclinata su un latopareva ascoltare il suo invisibile compagnomail suo volto era come quello di un uomo che

ha ricevuto un colpo mortale alla schiena - un volto dal quale ognisentimento e ogni espressione sono stati spazzati via

dalla mano di una morte inattesa.

Quella notte dormirono sul fiumeormeggiando la canoa sotto i cespuglistesi sul fondo fianco a fiancocon

quella totale sfinitezza che uccide fameseteogni sensazione e ognipensiero nel desiderio prepotente di un sonno

profondo che è come il temporaneo annullamento del corpo esausto. Il giornodopo ripresero il loro viaggio e lottarono

furiosamente contro la corrente per tutta la mattinafinché versomezzogiorno raggiunsero il villaggio e attraccarono la

loro piccola imbarcazione al pontile della Lingard & Co. Almayer sidiresse subito verso casae Alì lo seguìcon le

pagaie in spallapensando che gli avrebbe fatto piacere mettere qualcosasotto i denti. Attraversando il cortile davanti

alla casa notarono che il luogo aveva un'aria abbandonata. Alì diedeun'occhiata dentro le varie abitazioni dei servi:

erano tutte vuote. Nel cortile sul retro c'era la stessa assenza di suoni edi vita. Nel capanno della cucina il fuoco era

spento e la brace annerita era fredda. Un uomo alto e magro uscì disoppiatto dalla piantagione di banane e se ne andò

rapidamente attraverso lo spazio aperto voltandosi a guardarli con grandiocchi spaventati. Qualche vagabondo senza

padrone; ce n'erano tanti nel villaggioe consideravano Almayer il loroprotettore. Si aggiravano intorno a casa sua e

qui rubacchiavano il necessario per viveresicuri che al peggio sarebbetoccato loro un fiume di improperi se si fossero

imbattuti nell'uomo biancoverso il quale provavano fiducia e simpatiaeche fra di loro definivano uno sciocco. Nella

casain cui Almayer entrò passando dalla veranda posterioreil solo esserevivente su cui si posarono i suoi occhi fu la

piccola scimmia cheaffamata e ignorata da due giornicominciò a piangeree a lamentarsi nel linguaggio delle scimmie

non appena ebbe visto una faccia familiare. Almayer la calmò con qualcheparola e ordinò ad Alì di portare delle

banane; poiquando Alì fu uscitorimase sulla soglia della veranda suldavanti a osservare il caos dei mobili rovesciati.

Infine rimise in piedi il tavolo e vi si sedette mentre la scimmia si calòdalla trave sul tetto con la catenella e gli si

appollaiò sulla spalla. Quando arrivarono le bananefecero colazioneinsieme; tutti e due affamatimangiavano

avidamente buttando le bucce per terra intorno a loronel fiducioso silenziodi una perfetta amicizia. Alì se ne andò

brontolandoa cuocersi un po' di riso perché tutte le donne di casa eranoscomparsenon sapeva dove. Almayer non

parve curarsene edopo aver finito di mangiaresi sedette sul tavolofacendo dondolare le gambe e fissando il fiume

come perso nei suoi pensieri.

Dopo qualche tempo si alzò e andò alla porta di una stanza sulla destradella veranda. Era l'ufficio. L'ufficio di

Lingard & Co. Vi entrava molto di rado. Non c'erano affari adessoe nonaveva bisogno di un ufficio. La porta era

chiusa e rimase lì davanti a mordersi il labbro inferiorecercando dipensare al posto dove poteva essere la chiave.

D'improvviso ricordò: nella camera delle donne appesa a un chiodo. Andòverso il passaggio dove la tenda rossa

pendeva in pieghe immobilied esitò un attimo prima di spingerla da partecon la spalla quasi dovesse infrangere un

ostacolo solido. Un grande quadrato di luce penetrando dalla finestra siallungava sul pavimento. A sinistra vide la

grossa cassapanca di legno della signora Almayercon il coperchiospalancatovuota; accanto ad essa i chiodi d'ottone

del baule europeo di Nina che formavano scintillando le grandi iniziali N.A.sul coperchio. Alcuni vestiti di Nina erano

appesi a grucce di legnoirrigiditi in un'aria di dignità offesa per illoro abbandono. Ricordò di avere fatto le grucce conle sue stesse mani e notòche erano di ottima qualità. Dov'era la chiave? Si guardò intorno e vide cheera vicino alla

porta dove si trovava. Era rossa di ruggine. Si irritò molto per questoesubito dopo si meravigliò per la sua reazione.

Cosa importava? Presto non ci sarebbe più stata la chiaveo la portanulla! Si fermòcon la chiave in manoe si chiese

se sapeva bene cosa stava per fare. Uscì di nuovo sulla veranda e restòaccanto al tavolo a pensare. La scimmia saltò giù

edopo avere afferrato una buccia di bananacominciò diligentemente afarla a pezzetti.

«Dimenticare!»mormorò Almayere quella parola evocò ai suoi occhi unasequenza di azioniun programma

particolareggiato di cose da fare. Adesso sapeva perfettamente cosa andavafatto. Prima questopoi quelloe poi

dimenticare sarebbe stato facile. Facilissimo. Aveva un'idea fissa che se nonfosse riuscito a dimenticare prima di

morire avrebbe dovuto ricordare per tutta l'eternità. Certe cose dovevanoessere estirpate dalla sua vitaallontanate

distruttedimenticate. A lungo restò immerso nei suoi pensieripersonell'allarmante eventualità di un ricordo

indistruttibilecon il timore della morte e dell'eternità davanti a sé.«L'eternità!»disse a voce altae il suono di quella

parola lo risvegliò dal suo sogno. La scimmia balzò sulasciò cadere labucciae gli fece una smorfia amichevole.

Andò alla porta dell'ufficio e con qualche difficoltà riuscì ad aprirla.Entrò in una nuvola di polvere che si

alzava sotto ai suoi piedi. Libri aperti con pagine strappate erano sparsisul pavimento; altri libri erano posati in giro

tetri e nericon l'aria di non essere mai stati aperti. Libri di conti. Suquei libri si era proposto di registrare giorno dopo

giorno le sue fortune in ascesa. Molto tempo prima. Moltomolto tempo prima.Da tanti anni non c'era stato nulla da

registrare su quelle pagine a righe rosse e azzurre! In mezzo alla stanza lagrande scrivaniacon una gamba rotta

pendeva come lo scafo di una nave arenata; la maggior parte dei cassettierano caduti fuoririvelando cumuli di carta

ingiallita dal tempo e dalla sporcizia. La sedia girevole era al suo postoma Almayer scoprì che il perno era bloccato

quando cercò di farla ruotare. Non importava. Non insistettee i suoi occhisi spostarono lentamente da un oggetto

all'altro. Tutte quelle cose erano costate parecchi soldi a suo tempo. Lascrivaniala cartai registri strappati e gli

scaffali rottitutto era finito sotto un fitto strato di polvere. La polveree la carcassa di un'impresa morta e sepolta.

Guardò tutte quelle cosequanto restava dopo anni e anni di lavorodifaticadi stanchezzadi scoraggiamentotante

volte superati. E tutto per cosa? Rimase a pensare malinconico alla propriavita passata finché udì distintamente una

squillante voce infantile che parlava in mezzo a tutto questo disastroaquesta rovinaa questo sfacelo. Balzò su con una

gran paura nel cuore e febbrilmente cominciò a raccattare le cartesparpagliate per terrafece a pezzi la sediasfasciò i

cassetti sbattendoli contro la scrivaniae ammucchiò tutti quei rifiuti inun angolo della stanza.

Rapidamente uscìsi sbatté la porta alle spallegirò la chiave edopoaverla estratta dalla serraturacorse alla

balaustra della verandalanciandola poicon un ampio movimento del braccioin mezzo al fiume. Fatto questotornò

lentamente al tavolochiamò giù la scimmiastaccò la catenae fecerestare tranquillo l'animale sul suo petto dentro la

giacca. Poi si sedette di nuovo sul tavolo e guardò fisso la porta dellastanza che aveva appena lasciato. Si mise anche

ad ascoltare attentamente. Udì un secco scoppiettio; schiocchi netti come dilegno che si spezza; un frullo come quello

delle ali di un uccello che si leva d'improvviso in voloe poi vide un esilefilo di fumo venire fuori dalla serratura. La

scimmia si dibatteva nella sua giacca. Alì apparve con gli occhi fuori dalleorbite.

«Padrone! La casa brucia!»gridò.

Almayer si alzò in pieditenendosi al tavolo. Poteva sentire le grida diallarme e di sorpresa nel villaggio. Alì si

torceva le manilamentandosi forte.

«Smettila di far rumoresciocco!»disse Almayertranquillo. «Prendi lamia amaca e le coperte e portale

all'altra casa. Sveltosu!».

Il fumo si sprigionò dalle fessure della portae Alìcon l'amaca sullebracciascese d'un balzo i gradini della

veranda.

«Ha preso bene»borbottò Almayer fra sé. «BuonoJack»aggiunsementre la scimmia faceva sforzi frenetici

per sfuggire alla sua reclusione.

La porta si spaccò dall'alto in bassoe un fiume di fiamme e fumo sospinseAlmayer lontano dal tavolo fino

alla balaustra della veranda. Restò là finché un grande boato sulla suatesta lo avvertì che il tetto aveva preso fuoco.

Allora scese di corsa la scala della verandatossendomezzo soffocato dalfumo che lo inseguiva con ghirlande

azzurrine arricciate sulla sua testa.

Dall'altra parte del fossato che separava il cortile di Almayer dalvillaggiouna folla di abitanti di Sambir

osservava l'incendio della casa del bianco. Nell'aria tranquilla le fiammedi un chiaro color rosso mattonesaettavano

altecon bagliori violetti nella luce forte del sole. La colonna sottile difumo saliva diritta e ferma fino a perdersi

nell'azzurro limpido del cieloe nel grande spazio vuoto fra le due case glispettatori incuriositi potevano vedere l'alta

figura del Tuan Putih che a testa chinatrascinando i piedisiallontanava lento dall'incendio diretto al rifugio della

«Follia di Almayer».

Così Almayer si trasferì nella sua nuova casa. Prese possesso della nuovarovinae nell'imperitura follia del suo

cuore si dispose ad attendere con angoscia e dolore quella smemoratezza chetardava tanto a venire. Ogni traccia

dell'esistenza di Nina era stata distrutta; e adesso ad ogni alba si chiedevase l'agognato oblio sarebbe giunto prima del

tramontose sarebbe giunto prima della sua morte. Voleva vivere abbastanza alungo da poter dimenticaree la tenacia

del suo ricordo lo riempiva di panico e di orrore per la morte; ché sequesta fosse arrivata prima che potesse raggiungere

lo scopo della sua vitaavrebbe dovuto ricordare in eterno! Provava anche ungran bisogno di solitudine. Voleva restare

solo. Ma non lo era. Alla luce tenue delle stanze con le persiane chiusealsole violento della verandaovunque andasse

da qualunque parte si girassevedeva la figuretta di una bambina con ungrazioso viso olivastrolunghi capelli neriil

vestitino rosa che le scivolava giù dalle spallegrandi occhi che loguardavano con la tenera fiducia dei piccoli che sisanno amati. Alì non vedevanullama anche lui percepiva la presenza di un bambino in casa. Nelle suelunghe

conversazioni la sera accanto ai fuochi del villaggio raccontava spesso agliamici intimi gli strani comportamenti di

Almayer. Nella vecchiaia il suo padrone era diventato uno stregone. Alìdiceva che spessoquando il Tuan Putih si era

ritirato per la nottelo sentiva parlare con qualcuno nella sua stanza. Alìpensava che fosse uno spirito sotto forma di

bambino. Sapeva che il padrone parlava con un bambino da certe espressioni eparole che usava. Il padrone parlava un

po' in malesema per lo più in ingleseche Alì capiva. A volte il padroneparlava al bambino con tenerezzapoi

piangeva su di luilo deridevalo sbeffeggiavalo implorava di andar via;lo malediceva. Era uno spirito cattivo e

testardo. Alì pensava che il suo padrone lo avesse imprudentemente evocatoe che ora non riuscisse a sbarazzarsene. Il

suo padrone era molto coraggioso; non aveva paura di maledire questo spettroin sua stessa presenza; e una volta aveva

anche lottato con lui. Alì aveva sentito un gran rumore come se nella stanzasi corresse e si gemesse. Era il suo padrone

a gemere. Gli spiriti non gemono. Il suo padrone era coraggiosoma sciocco.Non puoi far male a uno spirito. Alì si

aspettava di trovare il padrone morto la mattina dopoma invece era uscitomolto prestocon un aspetto molto più

vecchio del giorno precedentee non aveva toccato cibo per tutto il giorno.

Questo era quanto Alì raccontava al villaggio. Con il capitano Ford eramolto più comunicativoper la buona

ragione che il capitano Ford teneva la borsa e dava gli ordini. A ciascunadelle visite mensili di Ford a SambirAlì

doveva andare a bordo con un rapporto sull'abitante della «Follia diAlmayer». Alla sua prima visita a Sambirdopo la

partenza di NinaFord si era assunto l'incarico di seguire gli affari diAlmayer. Non era un compito gravoso. Il

magazzino delle merci era vuotole barche erano sparitetrafugate -solitamente di notte - da vari abitanti di Sambir

sforniti di un mezzo di trasporto. Durante una grande piena il pontile dellaLingard & Co. si era staccato da riva ed era

andato alla deriva sul fiumeprobabilmente in cerca di un luogo più ameno;perfino la schiera di oche - «le uniche oche

della costa orientale» - se n'erano andate viapreferendo gli ignotipericoli della macchia alla desolazione della loro

vecchia dimora. A mano a mano che il tempo passaval'erba cresceva sullamacchia di terra annerita dove si innalzava

un tempo la vecchia casae nulla restava a segnare il luogo dell'abitazioneche aveva albergato le giovani speranze di

Almayeril suo sciocco sogno di uno splendido futuroil suo bruscorisvegliola sua disperazione.

Ford non andava spesso in visita da Almayerperché non si trattava di uncompito piacevole. Inizialmente

rispondeva con tono distratto alle stentoree domande del vecchio uomo di marecirca la sua salute; faceva addirittura

qualche sforzo per mandare avanti la conversazionechiedendo notizie con unavoce da cui si capiva chiaramente come

nessuna notizia da questo mondo rivestisse il benché minimo interesse aisuoi occhi. Poi gradualmente si fece più

silenzioso; ma non era scostante; pareva piuttosto che stesse dimenticandocome si parla. Prese anche a nascondersi

nelle stanze più buie della casadove Ford lo doveva stanareguidato dalrumore delle zampe della scimmia che gli

correva davanti. La scimmia era sempre là a ricevere e a fare gli onori dicasa a Ford. Il piccolo animale sembrava

essersi assunto la responsabilità del suo padronee tutte le volte chedesiderava farlo andare sulla verandalo tirava

insistentemente per la giaccafinché Almayerubbidienteusciva alla lucedel soleche sembrava dargli tanto fastidio.

Una mattina Ford lo trovò seduto per terra sulla verandala schiena controil murole gambe tese rigidamente

in avantile braccia penzoloni lungo i fianchi. Il volto privod'espressionegli occhi spalancati con le pupille immobili

e la rigidità della posa lo facevano sembrare un enorme pupazzo rotto ebuttato via. Mentre Ford saliva la scalagirò

lentamente la testa.

«Ford»sussurrò restando seduto a terra«non riesco a dimenticare».

«Non ci riesci?»disse Ford mostrando di non capire e adottando un tonogioviale. «Ti invidio. Io sto perdendo

la memoria - l'etàimmagino; solo l'altro giorno il mio secondo...».

Si interruppeperché Almayer si era alzato barcollandoe aveva cercatoappoggio sul braccio dell'amico.

«Bene! Ti trovo meglio oggi. Presto tutto andrà a posto»disse Fordallegramente ma sentendosi vagamente

atterrito.

Almayer gli lasciò il braccio e rimase dirittola testa alta e le spalletirate indietroa guardare impietrito la

moltitudine di soli che scintillavano nelle increspature del fiume. Nellabrezza la giacca e i pantaloni flosci gli

sbatterono contro il corpo smagrito.

«Se ne vada pure!»sussurrò con voce arrochita. «Se ne vada pure. Domaniriuscirò a dimenticare. Sono un

uomo forte... forte... come una roccia... forte...».

Ford lo osservò in volto - e scappò. Anche il capitano era un uomopiuttosto forte - come potevano

testimoniare quelli che avevano navigato con lui - ma la forza di Almayer eradecisamente troppo grande per la sua

fermezza.

La volta successiva che il piroscafo fece scalo a SambirAlì venne a bordopresto con delle rimostranze. Si

lamentò con Ford che Jim-Engil cineseavesse invaso la casa di Almayereanzi vi abitasse ormai da un mese.

«E tutti e due fumano»aggiunse Alì.

«Puah! Oppiovuoi dire?».

Alì annuìe Ford restò pensieroso; poi borbottò fra sé: «Poverodiavolo! Prima succede e meglio èormai». Nel

pomeriggio salì alla casa.

«Cosa fai qui?»chiese a Jim-Engquando lo vide aggirarsi sulla veranda.

Jim-Eng spiegò in cattivo malesecon la voce monotona e indifferente di unfumatore d'oppio già più che

andatoche la sua casa era vecchiail tetto lasciava passare l'acquae ilpavimento era marcio. Cosìessendo un vecchio

amico da tantissimi anniaveva preso i suoi soldiil suo oppioe due pipee se n'era venuto a vivere in questa grande

casa.«C'è una quantità di spazio. Lui fumae io vivo qui. Non fumeràancora a lungo»concluse.

«Dov'è adesso?»chiese Ford.

«Dentro. Dorme»rispose Jim-Eng stancamente.

Ford diede un'occhiata oltre l'uscio. Nella penombra della stanza videAlmayer disteso supino per terrala testa

appoggiata a un guanciale di legnola lunga barba bianca in disordine sulpettola pelle gialla del voltole palpebre

socchiuse da cui si intravedeva solo il bianco degli occhi...

Rabbrividì e si voltò per andarsene. Uscendonotò una lunga striscia diseta rossa sbiaditasu cui erano scritti

alcuni caratteri cinesiche Jim-Eng aveva appena fissato su uno deipilastri.

«Cos'è?»chiese.

«Quello»disse Jim-Eng con la sua voce incolore«quello è il nome dellacasa. Proprio come casa mia. Un

nome buonissimo».

Ford si fermò a guardarlo un istante e poi se ne andò. Non sapeva cosavolesse dire lo strano intrico di segni

dell'iscrizione cinese sulla seta rossa. Ma se avesse domandato a Jim-Engquel paziente cinese lo avrebbe informato

con giusto orgoglio che il suo significato era: «Casa della gioiacelestiale».

La sera dello stesso giorno Babalatchi andò a far visita al capitano Ford.La cabina del capitano dava sul ponte

e Babalatchi era seduto di sbieco sull'alto gradinomentre Ford fumava lapipa dentrosemisdraiato sul piccolo divano.

Il piroscafo doveva partire la mattina successivae il vecchio statista eravenuto come di consueto per un'ultima

chiacchierata.

«Abbiamo ricevuto notizie da Bali la scorsa luna»osservò Babalatchi.«È nato un nipote al vecchio Rajahe ci

sono stati molti festeggiamenti».

Ford si mise a sedere interessato.

«Sì»continuò Babalatchiin risposta allo sguardo di Ford. «Gliel'hodetto. È stato prima che cominciasse a

fumare».

«Behe allora?»chiese Ford.

«Sono scampato per un pelo»rispose serissimo Babalatchi«perché ilbianco è molto deboleed è caduto

mentre mi si slanciava addosso». Poidopo una pausaaggiunse: «Lei èpazza di gioia».

«La signora Almayervuoi dire?».

«Sìvive nella casa del nostro Rajah. Non morirà presto. Donne comequelle vivono a lungo»disse Babalatchi

con una sfumatura di rammarico nella voce. «Ha dei dollarie li haseppellitima sappiamo dove. Abbiamo avuto tanti

guai con quella gente. Abbiamo dovuto pagare una multae restare adascoltare le minacce dei bianchie ora dobbiamo

stare attenti». Sospirò e rimase zitto a lungo. Poicon energia: «Cisaranno combattimenti. Si respira aria di guerra sulle

isole. Vivrò abbastanza a lungo per vedere?... AhTuan!»proseguìpiù calmo«ai vecchi tempi era meglio. Io stesso

ho navigato con gli uomini di Lanune ho abbordato di notte navi silenziosecon vele bianche. Questo era prima che un

Rajah inglese governasse a Kuching. Allora combattevamo fra di noi ed eravamofelici. Ora quando combattiamo con

voipossiamo solo morire!».

Si alzò per andar via. «Tuan»disse«ricordi quella ragazza cheaveva Bulangi? Quella che ha provocato tutti i

guai?».

«Sì»disse Ford. «Cosa ne è stato di lei?».

«È dimagrita moltoe non poteva più lavorare. Allora Bulangiche è unladro e un mangiatore di carne di

porcome l'ha data per cinquanta dollari. Io l'ho mandata fra le mie donneperché prendesse peso. Volevo sentire il

suono della sua risatama doveva essere stata stregatae... è morta duegiorni fa. SuTuan. Perché mi insulti? Io sono

vecchio - è vero - ma perché non mi dovrebbe piacere la vista di una facciagiovane e il suono di una voce giovane nella

mia casa?». Fece una pausae poi aggiunse con una risatina triste: «Sonocome un biancoe me ne sto a parlare troppo

di cose di cui gli uomini fra di loro non parlano».

E si allontanò con un'aria molto triste.

La folla ammassata in semicerchio davanti alla scala della «Follia diAlmayer»ondeggiò silenziosa avanti e

indietroe si aprì per lasciar passare il gruppo di uomini con i turbanti ei vestiti bianchi che avanzavano attraverso

l'erba verso la casa. Abdullah camminava per primosostenuto da Reshid eseguito da tutti gli arabi di Sambir. Quando

entrarono nel passaggio aperto fra due ali di folla rispettosasi sentì unmormorio soffocato di vocinel quale si poteva

distinguere chiaramente solo la parola mati. Abdullah si fermò e siguardò in giro lentamente.

«È morto?»chiese.

«Lunga vita a te!»rispose unanime la follae poi cadde un silenziotrattenuto.

Abdullah fece qualche passo avanti e si trovò per l'ultima volta faccia afaccia con il suo vecchio nemico.

Qualsiasi cosa fosse stato un temponon era certo pericoloso adessodistesorigido e privo di vita nella morbida luce del

primo mattino. L'unico bianco sulla costa orientale era mortoe la suaanimaliberata dalle pastoie della sua terrena

folliasi trovava ora alla presenza dell'Infinita Saggezza. Sul volto levatoverso l'alto c'era adesso quello sguardo sereno

che segue la liberazione improvvisa dall'angoscia e dal doloreuno sguardoche testimoniava muto davanti al cielo

senza nuvole come a quell'uomosteso per terra ed esposto a tanti occhiindifferentifosse stato consentito di

dimenticare prima di morire.

Abdullah guardò tristemente questo infedele con il quale si era scontratotanto a lungo e su cui tante volte

aveva avuto la meglio. Questa era la ricompensa dei Fedeli! Eppure nelvecchio cuore dell'arabo c'era un senso di

rimpianto per quella cosa ormai uscita dalla sua vita. Abdullah si stavalasciando velocemente dietro di sé amicizie einimiciziesuccessi e delusioni -tutto quello chesommato insiemeforma una vita; e davanti a lui c'era solo lafine. La

preghiera doveva riempire i giorni che restavano al Vero Credente! Prese inmano i grani della corona appesa alla

cintura.

«L'ho trovato quicosìstamattina»disse Alì con voce bassa eriverente.

Abdullah diede un'altra fredda occhiata al volto sereno.

«Andiamo»disserivolto a Reshid.

E mentre passavano in mezzo alla folla che si apriva davanti a loroi graninella mano di Abdullah battevano

secchimentre il vecchio con un sussurro solenne ripeteva devotamente ilnome di Allah! Misericordioso!

Compassionevole!