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Henry James

Il giro di vite

2

IL GIRO DI VITE

Il racconto ci aveva tenuti col fiato sospeso attorno al focolaremasalvol'ovvia osservazione che esso era

raccapricciantecome dovrebbe in fondo essere ogni strana storia narrata lavigilia di Natale in una vecchia casanon

ricordo che suscitasse alcun commentosinché qualcuno ebbe a dire chequello era il primo caso a sua conoscenza in cui

una prova del genere fosse toccata ad un fanciullo. Si trattavaricordodiun'apparizione in una casa altrettanto vecchia

di quella che ci aveva riuniti per l'occasione: una visione spaventosaapparsa ad un bambino che dormiva nella stanza

della madree che l'aveva destata con il suo terrore; destata non pervincere quell'incubo e farlo teneramente

riaddormentarema perché ella stessaprima di esservi riuscitasitrovasse davanti alla medesima visione che lo aveva

sconvolto. Fu questa osservazione a provocare da parte di Douglas - nonimmediatamentema più tardi nella serata -

una risposta che ebbe l'interessante conseguenza su cui richiamo la vostraattenzione. Qualcun altro prese a raccontare

una storia di scarso interessee mi accorsi che Douglas non l'ascoltava.Questo fu per me il segno che anche lui aveva

qualcosa da dircie che si trattava soltanto di aspettare. In effettiaspettammo due sere; ma quella sera stessaprima che

ci separassimoegli ci anticipò quel che aveva in mente.

«Convengo pienamente - nei riguardi del fantasma di Griffin o di quel chefosse - che il suo apparire dapprima

al bambino (e di un'età così tenera)aggiunge alla vicenda un fascinoparticolare. Maper quanto ne sonon è la prima

volta che un fenomeno tanto affascinante coinvolge un bambino. Se la presenzadi un bambino dà all'effetto un altro

giro di viteche direste di due bambini?...»

«Diremmonaturalmente» esclamò qualcuno«che darebbero due giri divite. E anche che vogliamo

conoscerne la storia.»

Mi sembra ancora di vedere Douglas ritto davanti al caminole spalle alfuocole mani in tascalo sguardo

rivoltodall'alto in bassoal suo interlocutore. «Nessuno all'infuori dimefinorane ha ma i sentito parlare. È

semplicemente troppo orribile.» Parecchie vocicom'era ovviodichiararonoche questo conferiva alla cosa un estremo

interessee il nostro amicocon arte sottilesi preparò il trionfovolgendo gli occhi su di noi ed aggiungendo: «È al di là

di ogni immaginazione. Non conosco nulla che gli si possa paragonare.»

«Per terrore allo stato puro?» ricordo di aver chiesto.

Sembrò voler dire che la cosa non era tanto semplice; che non trovava leparole per definirla. Si passò la mano

sugli occhifece una smorfia leggeracome di pena. «Per spavento...spavento che ti stringe alla gola!»

«Ohche delizia!» strillò una delle donne.

Non le badò; guardava mema come seinvece di mevedesse quello di cuiparlava. «Per assoluta

sovrannaturale ripugnanza e orrore e pena.»

«Beneallora» dissi«mettiti a sedere e comincia.»

Si voltò verso il fuococon un calcio smosse un ceppolo fissò per unistante. Poi si voltò di nuovo verso di

noi: «Non posso cominciare. Devo prima scrivere in città.» Queste parolefurono accolte da un unanime mormorio di

disappunto e da molte rimostranze; al checol suo fare preoccupatosispiegò. «La storia è scritta. Si trova in un

cassetto chiuso a chiave... non ne è uscita per anni. Potrei scrivere al miodomestico e mandargli la chiave; lui potrebbe

inviarmi il plico così come lo trova.» Sembrava che rivolgesse taleproposta a me in particolarequasi che mi chiedesse

un aiuto per vincere la sua esitazione. Aveva spezzato uno strato dighiaccioil prodotto di chissà quanti inverni; aveva

avuto buone ragioni per il suo lungo silenzio. Agli altri la dilazione nonpiacquema furono proprio i suoi scrupoli che

mi affascinarono. Lo scongiurai di spedire la lettera con la prima postaedi accordarsi con noi per una sollecita lettura;

infine gli chiesi se l'esperienza in questione fosse stata la sua. Stavoltala sua risposta fu pronta. «Grazie a Diono!»

«E il resoconto è tuo? Hai registrato tu la cosa?»

«Nient'altro che l'impressione. L'ho incisa qui» (si toccò ilcuore). «Non l'ho mai perduta.»

«Ma il tuo manoscrittoallora...?»

«È vergato con un inchiostro vecchiosbiaditoin una bellissima grafia.»Esitò di nuovo. «Di una donna. È

morta da vent'anni. Mi mandò quelle pagine prima di morire.» Tutti adessostavano in ascoltoe qualcuno naturalmente

fece un commento malizioso o almeno tentò di trarne delle illazioni. Ma seDouglas lasciò cadere le illazioni senza

sorriderelo fece anche senza irritarsi. «Era una persona piena di fascinoma aveva dieci anni più di me. Era l'istitutrice

di mia sorella» disse quietamente. «Era la più piacevole donna con quellaoccupazione che io abbia mai conosciuto; e

avrebbe potuto farsi onore in qualunque altra. È stato molto tempo fael'episodio accadde molto prima ancora. Io allora

ero al Trinity Collegee la trovai a casa quando vi tornai per le vacanzedel secondo corso. Vi restai molto quell'anno...

era un anno dolcissimo; nelle sue ore libere talvolta passeggiavamo econversavamo in giardino... e in quelle occasioni

fui colpito dal suo acume e dalla sua simpatia. Oh sinon sorridete: mipiaceva moltissimoe ancora oggi mi rallegro

nel pensare che anch'io le piacevo. Altrimentinon mi avrebbe raccontatoquella storiaNon l'aveva mai raccontata a

nessuno. E lo credevonon soltanto perché me lo dicevama perché sapevoche era così. Ne ero certo; lo vedevo. Ne

comprenderete facilmente il motivo quando mi avrete ascoltato.»

«Perché la vicenda era stata tanto spaventosa?»

Continuò a guardarmi fisso. «Tu lo comprenderai facilmente» ripeté«tulo comprenderai.»

Lo fissai anch'io. «Capisco. Era innamorata.»3

Rise per la prima volta. «Tu sei acuto. Sìera innamorata. Cioèlo era stata. Venne fuori... non poteva

raccontare la storia senza che venisse fuori. Me ne accorsied ella compreseche me n'ero accorto; ma nessuno dei due

ne parlò. Ricordo l'ora e il luogo... l'angolo del pratol'ombra dei grandifaggi e il lungoinfuocato pomeriggio d'estate.

Non era una scenografia da dare i brividi; ma...» Si allontanò dal fuoco etornò a sprofondarsi nella sua poltrona.

«Riceverai il plico per giovedì mattina?» gli chiesi.

«Probabilmente non prima della seconda posta.»

«Beneallora; dopo pranzo...»

«Ci rivedremo tutti qui?» Ci guardò di nuovo uno ad uno. «Nessunoparte?» Lo disse quasi con un tono di

speranza.

«Ci saremo tutti!»

«Io ci sarò... e anch'io!» gridarono le signore che avevano già fissatola loro partenza. La signora Griffin

tuttaviamanifestò il bisogno di un ulteriore chiarimento. «Di chi erainnamorata?»

«Il racconto lo dirà» mi presi la briga di rispondere.

«Ohio non posso aspettare il racconto!»

«Il racconto non lo dirà» fece Douglas«perlomeno non lo diràesplicitamentea chiare lettere.»

«Che peccato. È l'unico modo che io capisca.»

«Non ce lo vuoi dire tuDouglas?» interloquì qualcun altro.

Balzò di nuovo in piedi. «Sì... domani. Adesso devo andare a letto. Buonanotte.» E rapidamenteimpugnando

un candeliereci lasciòalquanto sconcertati. Dal fondo del grande atrioscuro ci giunse l'eco dei suoi passi sulle scale;

dopodiché la signora Griffin prese la parola. «Benese non so di chi erainnamorata leiso di chi era innamorato lui.»

«Lei aveva dieci anni di più» disse suo marito.

«Raison de plus... a quell'età! Graziosaperòquesta sua lungareticenza.»

«Quarant'anni!» precisò Griffin.

«E infine quest'esplosione.»

«L'esplosione» ribattei«farà di giovedì sera un'occasionememorabile»e si trovarono tutti tanto d'accordo

con me chealla luce di ciòogni altra cosa ci apparve priva di interesse.L'ultima storiaper quanto incompleta e simile

all'inizio di un racconto a puntateera stata narrata; con strette di mano e«strette di candeliere»come disse qualcuno

andammo tutti a letto.

Seppi il giorno dopo che una lettera contenente la chiave era partitacon laprima postaalla volta

dell'appartamento londinese di Douglas; maa dispetto o forse proprio acausa di questa notizialo lasciammo in pace

sino a dopo il pranzosino all'ora della seracioèche meglio siaccordasse con il genere di emozioni su cui contavamo.

Egli divenne allora così ciarliero che più non potevamo desideraree ce nespiegò persino la ragione. Ce la spiegò di

nuovo davanti al camino del salonelo stesso dove la sera prima si eramanifestato il nostro tranquillo stupore. Apparve

chiaro che il resoconto che aveva promesso di leggerci aveva davvero bisognoper essere compreso a fondodi poche

parole di introduzione. Lasciatemi dire chiaramenteuna volta per tuttechetale resocontoche io più tardi trascrissi

fedelmente di mio pugnoè quello che io darò qui di seguito. Il poveroDouglasprima di morirequando cioè capì che

la fine era imminentemi affidò il manoscritto che quella volta gli furecapitato il terzo giornoe che nello stesso luogo

cominciò a leggere la sera del quarto al nostro circolo ristretto esilenziososuscitando un'impressione senza pari. Le

signore in partenza che avevano promesso di restarenaturalmentee grazieal cielopartirono: partironocostrette dai

loro impegnie divorate da una curiositàdestata come ammiserodaipiccoli particolari con cui Douglas aveva già

stuzzicato il nostro interesse. Ma questo fatto rese soltanto più scelto ecompatto il suo piccolo uditorioe lo tenne

attorno al focolaresoggiogato da un'emozione comune.

Douglas aveva cominciato col dirci che il racconto scritto iniziava lanarrazione dal momento in cuiin un

certo sensoera già avviata. Bisognava infatti sapereprima di tuttochela sua vecchia amicala minore delle numerose

figlie di un povero parroco di campagnaa vent'anniall'inizio della suacarriera di insegnantesi era recata a Londra

tutta trepidanteper rispondere di persona all'annuncio per il quale avevagià avuto un breve scambio di corrispondenza

con l'inserzionista. Questa persona si rivelò - quando lei si presentò peressere esaminata in una casa di Harley Street

che la impressionò per vastità e imponenza - questo probabile padronedicevosi rivelò un gentiluomouno scapolo nel

fiore degli anniun personaggio insomma che non era mai comparsose non insogno o in un vecchio romanzoa una

ragazza emozionata ed ansiosa proveniente da un vicariato dell'Hampshire. Sipuò descrivere facilmente questo tipo;

perchéfortunatamenteè di quelli che non scompaiono mai. Era belloardito e attraenteaffabilegaio e garbato. La

colpìinevitabilmenteper la sua cortesia dolce e splendidama ciò chepiù la conquistò e le diede quel coraggio di cui

più tardi fece mostrafu che egli le presentò tutto come una sorta difavoreuna grazia di cui le sarebbe stato obbligato

per sempre. Lo giudicò riccoma terribilmente stravagante: lo vide in unalone di eleganza portentosadi bellezzadi

prodigalitàdi abituale galanteria. La sua residenza cittadina era unagrande casa piena di ricordi di viaggio e di trofei di

caccia; ma era nella sua casa di campagna dell'Essexantica dimora della suafamigliache la invitava a recarsi

immediatamente.

A causa della morte in India dei loro genitoriegli era diventato tutore diun nipotino e di una nipotinafigli di

un suo fratello minoreun militareche aveva perduto due anni prima. Questidue bambiniper una sorte delle più strane

per un uomo nelle sue condizioni - un uomo solo senza esperienza e senza unfilo di pazienza - pesavano interamente

sulle sue spalle. Ne era nata una grave preoccupazione esenza dubbio percolpa suauna serie di sbagli grossolani; ma

egli provava un'immensa pietà per i due piccolie aveva fatto tutto ciòche aveva potuto; in particolare li aveva mandati4

nell'altra sua casapoiché il posto più adatto per loro era evidentementela campagnae li aveva tenuti là sin da

principiocon le migliori persone che potesse trovare per accudirliseparandosi per questa ragione persino dai propri

servitorie andando egli stessonon appena gli era possibilea vedere comestavano. La cosa più imbarazzante era che i

due orfanelli non avevano praticamente nessun altro al mondoe che gliaffari assorbivano quasi tutto il suo tempo. Li

aveva sistemati a Blydimora salubre e sicurae aveva messo a capo diquella piccola colonia - ma solo ai gradi più

bassi - una eccellente donnala signora Groseche era stata a suo tempocameriera di sua madre e chene era certo

sarebbe piaciuta alla sua visitatrice. La signora Grose badava oraall'andamento della casa e fungeva provvisoriamente

da istitutrice della bambinaa cui - non avendo figli suoi - eraprofondamente affezionata. Il personale di servizio era

molto numerosoma naturalmente la signorina che avrebbe dovuto recarsilaggiù in qualità di istitutrice avrebbe avuto

pieni poteri. Avrebbe inoltre dovutodurante le vacanzeprendersi cura delbambinoche da un trimestre era in collegio

(era forse troppo giovane per andarcima che altro si poteva fare?) e chedato che le vacanze stavano per cominciare

sarebbe stato di ritorno da un giorno all'altro. Nei primi tempi ai duebambini aveva badato una signorina che avevano

avuto la sfortuna di perdere. Persona degnissimasi era presa cura di loroin maniera splendida sino alla sua morte:

grave contrattempo cheper l'appuntonon aveva lasciato altra alternativache il collegio per il piccolo Miles. La signora

Groseda alloraaveva fatto quanto poteva per l'educazione e le necessitàpratiche di Flora; c'eranooltre a leiuna

cuocauna camerierauna donna che si occupava della cascinaun vecchioponyun vecchio stalliere e un vecchio

giardinieretutti parimenti rispettabili.

Douglas aveva tracciato il quadro sino a quel puntoquando qualcuno fece unadomanda. «E di che cosa morì

l'istitutrice precedente?... di un eccesso di rispettabilità?»

La risposta del nostro amico fu immediata. «Lo si saprà in seguito. Nonvoglio anticipare.»

«Scusatemi... credevo fosse proprio quello che state facendo.»

«Al posto della nuova istitutrice» insinuai«io avrei voluto sapere sel'incarico comportava...»

«Necessariamente un pericolo di morte?» Douglas completò il mio pensiero.«In effetti lo voleva saperee lo

seppe. Sentirete domani che cosa seppe. Nel frattempocom'era naturalelaproposta le apparve leggermente

inquietante. Era giovaneinespertaimpressionabile: le si spalancavadavanti la prospettiva di gravi doveri e di scarsa

compagniadi una solitudine quasi senza confini. Esitò... chiese un paio digiorni per consigliarsi e riflettere. Ma il

salario che le veniva offerto superava di gran lunga le sue modeste pretesee in un secondo colloquio decise di correre il

rischioe accettò.» E Douglasa questo puntofece una pausa cheabeneficio della compagniami spinse a dire:

«La morale della favola è che lo splendido giovinotto la affascinò alpunto di farla cedere.»

Douglas si alzò ecome aveva fatto la sera primasi avvicinò al caminosmosse col piede un tizzonee se ne

stette immobile per un po'voltandoci la schiena. «Lo vide solo duevolte.»

«Sìma in questo sta tutta la bellezza della sua passione.»

Sorprendendomi un pocoa questo puntoDouglas si voltò verso di me. «Sìin questo stava la bellezza. Altre»

proseguì«non avevano ceduto. Egli le espose francamente tutte ledifficoltà che aveva incontrato... a molte candidate le

sue condizioni erano apparse proibitive. In certa misurane eranospaventate. Suonava poco chiarosuonava strano;

soprattutto a causa della condizione principale.»

«Che era...?»

«Che non lo avrebbe mai dovuto disturbare... maiper nessuna ragione: néfarlo chiamarené lamentarsiné

scrivere; doveva risolvere tutti i problemi da solaricevere dal suoavvocato tutto il denaro occorrenteassumersi ogni

responsabilità e lasciarlo tranquillo. Gli promise di far cosìe miraccontò che quandosollevatofelicele tenne per un

attimo le mani tra le sueringraziandola del sacrificiosi sentì giàricompensata.»

«Ma fu solo quella la sua ricompensa?» chiese una signora.

«Non lo vide mai più.»

«Oh!» esclamò la signora; e questapoiché il nostro amico ci lasciòimmediatamentefu l'unica parola di

qualche importanza pronunciata sull'argomento sino alla sera seguentequandoaccanto al fuocoseduto nella poltrona

miglioreDouglas aprì un sottile quaderno di foggia antiquatadallasbiadita copertina rossa e dai tagli dorati. Ci volle

in realtà più d'una serata per leggerlomaalla prima occasionelastessa signora pose un'altra domanda. «Che titolo gli

avete dato?»

«Nessuno.»

«Ohio ne ho uno!» esclamai. Ma Douglassenza badare a meavevacominciato a leggere con voce limpida e

netta: quasi la versione sonora della bella grafia dell'autrice.

I

Ricordo l'intero inizio come un succedersi di alti e bassiuna piccolaaltalena di emozioni giuste e sbagliate.

Dopo lo slancio chein cittàmi aveva spinto ad accogliere il suo invitopassai un paio di giorni pessimi sotto ogni

profilo... mi ritrovai di nuovo piena di dubbie sicura di aver commesso unerrore. In questo stato d'animo trascorsi le

lunghe ore del viaggio in una diligenza oscillante e sobbalzante che miportò alla fermata di posta dove dovevo trovare

una vettura della casa. Questa comoditàmi fu dettoera stata predispostae trovai infattisul finire di un pomeriggio di

giugnouna spaziosa carrozza ad attendermi. Viaggiando a quell'orain unagiornata incantevoleattraverso una5

campagna in cui la dolcezza dell'estate sembrava offrirmi un amichevolebenvenutoripresi coraggio ementre

svoltavamo nel vialeprovai un senso di sollievo che probabilmente non eraaltro che la prova di quanto mi fossi

lasciata abbattere. Forse avevo aspettatoo temutoqualcosa di tantomalinconico che quello che mi accolse costituì una

piacevole sorpresa. Ricordo la gradevolissima impressione che produsse in mela grandeluminosa facciatacon le sue

finestre aperte e le tende nuove e un paio di domestiche che guardavano giù;ricordo il prato e i fiori dai colori accesi e

lo stridere delle ruote sulla ghiaia e le cime degli alberi intrecciate e ilarghi cerchi delle cornacchie in volo e il loro

gracchiare nel cielo d'oro. La scena aveva una grandiosità tale da umiliareal confronto la mia già modesta dimoraed

ecco che subito apparve sulla soglia dell'ingresso principaletenendo permano una bambinauna persona piena di

dignitàche mi fece una compita riverenzaquasi che fossi la padrona oun'ospite di gran riguardo. L'idea che del posto

mi era stata data ad Harley Street era assai più modestasicchénelricordarmenemi convinsi che il proprietario era

davvero un gentiluomo di razzae immaginai che le soddisfazioni che miaspettavano sarebbero state superiori a quanto

mi era stato promesso.

Non provai alcuna delusione sino al giorno seguentepoiché trascorsi ore divera esaltazione facendo

conoscenza con la più piccola dei miei allievi. La bambina che stava incompagnia della signora Grose mi apparve di

colpo una creatura così incantevole da farmi ritenere una gran fortunal'avere a che fare con lei. Era la più bella bambina

che io avessi mai vistoe in seguito mi stupii che il mio padrone non me neavesse parlato di più. Dormii poco quella

notte: ero troppo eccitata; e questoricordostupì anche me; l'eccitazionenon mi lasciavaaggiungendosi

all'impressione prodotta in me dalla viva gentilezza con cui ero statatrattata. La camera solenne e spaziosauna delle

migliori della casal'ampio letto regale (o così almeno sembrava a me)lesontuose cortine ricamatei lunghi specchi in

cuiper la prima volta nella mia vitapotevo vedermi da capo a piedituttomi colpiva (insieme con il fascino

straordinario della mia piccola allieva) come troppe cose belle in una voltasola. Mi apparve anche chiarosin dal primo

momentoche con la signora Grose avrei potuto stringere quei rapporti diamicizia sopra i qualistrada facendoin

diligenzaavevo rimuginato fin troppo. L'unica cosa chein questo primocontattoavrebbe potuto risvegliare la mia

inquietudineera il suo evidentissimo sollievo nel vedermi. Nel giro dimezz'ora mi accorsi che era così felice di

incontrarmi - quella brava donna semplicelindarobustapiena di salute -da doversi sicuramente controllare per non

darlo troppo a vedere. Mi meravigliai persino un poco del fatto che cercassedi non mostrarloe questo se ci avessi

riflettuto con una punta di sospettoavrebbe dovuto mettermi a disagio.

Ma era un conforto pensare che non ci sarebbero state ombre sul rapporto cheavrei stretto con una bambina

così gioiosa e raggiante come la mia piccola allievae il ricordo della suaangelica bellezza fu probabilmentepiù di

tuttola causa dell'agitazione cheprima di giornomi spinse ad alzarminumerose volte e a passeggiare per la stanza

sino a che mi fossero familiari i contorni di ogni cosa; a spiaredallafinestra spalancatail lontano albeggiare del giorno

estivoa cercar di scopriresin dove arrivava lo sguardole altre sezionidella casae a tendere l'orecchio per afferrare -

mentre nella penombra evanescente i primi uccelli cominciavano a cinguettare- certi rumori meno naturali che mi

pareva d'aver uditoprovenienti dall'interno e non dall'esterno della casa.C'era stato un momento in cui avevo creduto

di riconosceredebole e lontanoil pianto di un bambino; ce n'era stato unaltro in cui mi ero accorta di sussultare al

passaggiodavanti alla mia portadi un passo leggero. Ma tali impressioninon erano tanto marcate da non potersi

facilmente respingereed è soltanto alla luce (o dovrei dire piuttosto:«alla tenebra») degli avvenimenti successivi che

mi tornano adesso alla mente. Sorvegliareistruire«formare» la piccolaFlora doveva decisamente bastare a rendere

felice e utile la mia vita. Da basso ci eravamo già accordate chedopoquella prima nottelei avrebbe dormito con me: a

questo scopo il suo bianco lettino era già stato sistemato nella mia camera.Mi ero assunta l'incarico di occuparmi di lei

completamentee se era rimasta ancora per una notte con la signora Groselosi doveva soltanto al fatto che io ero

un'estraneae lei timida di natura. A dispetto di questa timidezza (che labambina stessanel più singolare dei modi

aveva riconosciuto con franchezza e coraggiopermettendo cosìcon laprofondasoave serenità di un putto di

Raffaelloche noi due ne discutessimogliela imputassimo e decidessimo inproposito)ero pienamente sicura che me la

sarei rapidamente conquistata. Una parte della simpatia che già provavo perla signora Grose derivava anche da questo

dal piacere che manifestava per la mia ammirazione e la mia meraviglia nelsedere ad una tavola illuminata da quattro

alte candelecon la mia allieva che mi stava di fronte tutta allegra nel suoseggioloneun bavaglino al colloe pane e

latte davanti. C'erano naturalmente delle cose che alla presenza di Florapotevamo dirci soltanto con sguardi sorpresi e

compiaciuti o con allusioni indirette ed oscure.

«E il bimbo... le somiglia? È altrettanto straordinario?»

Non bisognerebbe adulare i bambini. «Ohsignorinamolto straordinario.Se già pensate tanto bene di

questa!...» e se ne stette licon un piatto in manoa contemplare lanostra compagnache volgeva su di noi uno sguardo

tanto placido e celestiale che ci dispensava dal trattenerci.

«Ebbenese già penso così...?»

«Allora il signorino vi conquisterà!»

«Benemi sembra di esser venuta solo per questoper farmi conquistare.Temotuttavia» mi ricordo di aver

aggiunto d'impulso«di lasciarmi conquistare un po' troppo facilmente.Anche a Londra sono stata conquistata!»

Vedo ancora il largo volto della signora Grose mentre ascoltava le mieparole. «A Harley Street?»

«A Harley Street.»

«Be'signorinanon siete la prima... e non sarete nemmeno l'ultima.»

«Oh» dissi ridendo«non ho la presunzione d'essere l'unica. L'altro mioallievocomunquese ho ben capito

arriva domani?»6

«Non domanisignorina... venerdì. Arriverà con la diligenzacome voisotto la sorveglianza del postiglionee

troverà ad aspettarlo la stessa vostra vettura.»

Avanzai subito il suggerimento che la cosa più opportunanonché gentile eamichevolesarebbe stata dunque

cheall'arrivo della diligenzaio mi trovassi ad aspettarlo con la suasorellina; un suggerimento che la signora Grose

accolse tanto favorevolmente che ioin certa misurainterpretai il suocomportamento come una sorta di confortante

impegno - sempre mantenuto in seguitograzie al cielo! - d'essere solidalecon me in ogni punto. Ohcom'era contenta

della mia presenza!

Quello che provai il giorno dopo non era niente chea mio giudiziosipotesse onestamente chiamare una

reazione all'euforia dell'arrivo; era probabilmentee al massimoun leggerosenso di oppressione prodotto da una più

precisa valutazione della misura del mio impegnomentre lo esaminavo e loanalizzavo in tutti i suoi aspetti. Le mie

responsabilità avevanoin effettiun'estensione e un peso a cui non eropreparatae di fronte ai qualisulle primemi

trovai leggermente sgomentama anche orgogliosa. Le lezioniin tale statodi agitazionesubirono naturalmente

qualche rinvio; pensai che il mio primo dovere fosse quello di creare unaprofonda intimità tra me e la bambinacon le

arti più gentili di cui ero capace. Passai la giornata all'aperto insieme alei; convenimmocon sua grande soddisfazione

che sarebbe toccato a leia lei soladi farmi conoscere il luogo. Me lofece visitare passo a passostanza per stanza

segreto per segretocommentando ogni cosa con il suo chiacchiericcioinfantileincoerente e deliziosoe con il risultato

chenel giro di mezz'oraeravamo diventate grandissime amiche. Durante ilnostro piccolo girofui colpita dalla

sicurezza e dal coraggio con cuipiccola com'eraaffrontava il percorso; incamere vuote e corridoi buisu scale a

chiocciola che mi costringevano a fare una sosta e persino sulla cima di unavecchia torre quadrata e merlata che mi

dava le vertiginiil suo cinguettio mattutinola sua tendenza a dirmi moltepiù cose di quante ne chiedessesuonavano

festosi e mi stimolavano. Non ho più visto Bly dal giorno in cui ne sonopartitae certamente apparirebbe oggial mio

sguardo più vecchio e sperimentatopiù piccolo e angusto. Mamentre lamia piccola guida dai capelli d'oro e dalla

vestina azzurra danzava avanti a me da un angolo all'altro e sgambettavalungo i corridoiBly mi apparve come un

castello da romanzo abitato da un folletto rosaun luogo che in qualchemodoper passatempo di una mente infantile

avesse preso forma e colori dai libri di racconti e dalle favole. Non eraforse un libro di fiabequello su cui m'ero

appisolata per sognare? No: era una casa grandebruttavecchiama comodache incorporava alcune parti di una

costruzione anche più anticamezzo rifatta e mezzo utilizzatain cuiimmaginavo che fossimo smarriti quasi come un

pugno di passeggeri su una grande nave alla deriva. Ecosa stranaal timonec'ero io!

II

Me ne resi conto quandodue giorni dopomi recai in carrozza con Flora adaccogliere il signorinocome

diceva la signora Grose; e ancor più per un incidente chela seconda serami aveva profondamente sconcertata. Il

primo giorno nel complessocome ho riferitoera stato rassicurante; madovevo vederlo chiudere nella più viva

apprensione. Nella posta di quella serache giunse tardic'era una letteraper mecomposta tuttaviacome scopriidi

poche parole di pugno del padroneche a sua volta ne conteneva un'altraindirizzata a luicon il sigillo ancora intatto.

«Questa letterala riconoscoproviene dal direttore del collegiounseccatore insopportabile. Leggetelaper favore;

trattate con lui; ma non me ne parlate. Nemmeno una parola. Parto!» Ruppi ilsigillo con grande sforzo; tanto grande

che mi ci volle un bel po' di tempo per venirne a capo; poi portai la letteraancora chiusa in camera miae cominciai a

leggerla soltanto poco prima di andare a letto. Avrei fatto meglio adaspettare sino al mattinoperché mi procurò

un'altra notte insonne. Non avendo a chi chiedere consiglioil giorno dopoero piena di inquietudine; e lo divenni a un

punto tale che alla fine decisi di confidarmi almeno con la signora Grose.

«Che cosa significa? Il bambino è stato mandato via dal collegio.»

Mi lanciò uno sguardo che al momento mi impressionò; poiassunta di colpoun'aria assenteparve volerlo

recuperare. «Ma non li rimandano tutti...?»

«A casa? Sìma soltanto per le vacanze. Miles invece non potrà piùtornare in collegio.»

Consapevole del mio sguardo attentoarrossì. «Non vogliono più tenerlo?»

«Si rifiutano nel modo più assoluto.»

A queste parole alzò gli occhiche aveva distolto da me; li vidi pieni dilacrime. «Che cosa ha fatto?»

Esitai; poi giudicai più semplice tenderle la lettera. Ma il gestotuttaviaservì soltanto a farle portare le mani

dietro la schienasenza prenderla. Scosse mestamente il capodicendo:«Queste cose non fanno per mesignorina.»

La mia consigliera non sapeva leggere! Trasalii per il mio errore ecercandodi attenuarlo per quanto potevo

apersi la lettera per leggergliela; quindiesitandola piegai di nuovo e larimisi in tasca. «È davvero cattivo?»

Aveva ancora gli occhi pieni di lacrime. «Dicono così quei signori?»

«Non entrano nei particolari. Esprimono soltanto il loro rincrescimento perl'impossibilità di tenerlo ancora. E

questo può voler dire solo una cosa.» La signora Grose ascoltava con mutaemozione; si astenne dal chiedermi quale

potesse essere questa cosa; sicché poco dopoper dare alla faccenda unminimo di coerenza e chiarirla a me stessacon

il solo aiuto della sua silenziosa presenza proseguii: «Cioè che può esserdi danno ai suoi compagni.»

A queste parolecon uno dei bruschi mutamenti di umore propri delle animesemplicisi infiammò di colpo. «Il

padroncino Miles!... Lui esser di danno?»7

C'era un tale flusso di buona fede nelle sue parole cheper quanto nonavessi mai visto il bambinofui spinta

dalle mie stesse paure ad aggrapparmi all'assurdità di quell'idea. E mitrovai all'istanteper venire incontro alla mia

amicaa commentare sarcasticamente: «Ai suoi piccoliinnocenti compagni!»

«È semplicemente spaventoso dire cose tanto crudeli!» esclamò la signoraGrose. «Non ha ancora dieci anni.»

«Sìsì; sembra davvero incredibile.»

Mi fu evidentemente grata di questa affermazione. «Prima vedetelosignorina. Poi provate a crederlo!»

Immediatamentesentii di nuovo l'urgente desiderio di conoscerlo; eral'inizio di una curiosità chenelle ore successive

si sarebbe acuita fino a darmi pena. La signora Grosea quanto poteigiudicareera consapevole dell'effetto che aveva

prodotto su di mee insisté con sicurezza. «Potreste pensare altrettantodella signorina. Dio la benedica» aggiunse un

attimo dopo«ma guardatela!»

Mi voltai e vidi Flora - chedieci minuti primaavevo lasciatonellostudio con un foglio di carta biancauna

matitae una fila di begli «o» rotondi davanti - ferma sulla soglia dellaporta spalancata. Con il suo fare graziosoella

mostrava uno straordinario distacco dai compiti che non le erano graditi;tuttavia i suoi occhiaccesi dalla gran luce

dell'infanziasembravano spiegare la sua condotta semplicemente come ilrisultato dell'affetto che aveva concepito per

mee che l'aveva costretta a seguirmi. Non mi occorreva altro perchésentissi tutta la forza del paragone della signora

Grose: strinsi la mia allieva tra le braccia e la coprii di baci a cui simescolava un singhiozzo di ammenda.

Per tutto il resto della giornatatuttaviaandai in cerca di altreoccasioni per avvicinare la mia collega

specialmente quandoverso seracominciai a sospettare che stesse cercandodi evitarmi. La raggiunsiricordosulla

scala; scendemmo i gradini insiemee giunte in fondo la trattenniprendendola per un braccio. «Da quello che mi avete

detto stamattinadevo concludere che voi non lo avete mai visto comportarsimale.»

Gettò indietro la testa; era chiaro chenel frattempoe con molta onestàaveva deciso l'atteggiamento da

prendere. «Ohmai visto... non voglio dire questo!»

Ero di nuovo turbata. «Allora lo avete visto...?»

«Ma sìsignorinagrazie al cielo!»

Riflettei sulla risposta prima di prenderla per buona. «Volete dire che unragazzo che non si è mai...?»

«Non è un ragazzoper me!»

La strinsi più forte. «Vi piace che siano dei monelli?» Poianticipandola sua risposta: «Piace anche a me!»

aggiunsi in fretta. «Ma non sino al punto di contaminare...»

«Contaminare?» La mia parolona la disorientava.

Gliela spiegai: «Corrompere.»

Mi guardava fissomentre finalmente afferrava il significato di quel cheavevo detto; ma il risultato fu una

strana risata. «Avete forse paura che corrompa lei?» Pose la domandacon un'ironia tanto franca e sottile che con una

risata simile alla suae senza dubbio un po' scioccacedetti per il momentoalla paura del ridicolo.

Ma il giorno dopomentre si avvicinava l'ora di montare in carrozzatornaiimprovvisamente alla carica in

un'altra parte della casa. «Che tipo era la signorina che stava qui prima?»

«L'ultima istitutrice? Anche lei era giovane e carina... giovane e carinaquasi quanto voisignorina.»

«Ahallora spero che la giovinezza e la bellezza le siano state d'aiuto!»ricordo di aver detto impetuosamente.

«Sembra che ci preferisca giovani e belle!»

«Ohè proprio così» confermò la signora Grose. «Era quello checercava in tutte!» Aveva appena pronunciate

quelle parole e già cercava di correggerle: «Voglio dire che questo è il suogustoil gusto del padrone.»

Rimasi di stucco. «Ma di chi parlavate prima?»

Si sforzò di apparire disinvoltama arrossì. «Ma comedi lui.»

«Del padrone?»

«E di chi altro?»

Era talmente evidente che non ci potesse essere nessun altro che un attimodopo avevo già dimenticato

l'impressione cheinavvertitamentelei avesse detto più di quanto voleva;pertanto le chiesi solo quel che desideravo

sapere. «E lei aveva mai notato nulla nel bambino...?»

«Che non andava? Non me l'ha mai detto.»

Ebbi uno scrupoloma lo dominai. «Era premurosa... piena di attenzioni?»

La signora Grose si sforzò di apparire coscienziosa. «Per certe cose...sì.»

«Ma non in tutto?»

Prese ancora tempo per riflettere. «Be'signorina... se n'è andata. Nonvoglio fare pettegolezzi.»

«Vi capisco perfettamente» mi affrettai a rispondere; maun istante doporitenni di non venir meno a questa

concessione insistendo: «È morta qui?»

«No... se n'era andata.»

Non so che cosa ci fosse in quella concisione della signora Grose che misuonava strano. «Se n'era andata per

morire altrove?» La signora Grose guardava dritto davanti a séfuori dellafinestrama io sentii chealmeno in teoria

avevo il diritto di sapere che cosa ci si aspettava dalle giovani assunte aBly. «Volete dire che si ammalòe che se ne

tornò a casa?»

«A quanto sembranon si era ammalata in questa casa. La lasciò a fined'anno per passare a casa suacome

dicevauna breve vacanzaa cui certamente le dava diritto il tempo cheaveva trascorso qui. Avevamo qui allora una

giovaneuna bambinaia che era rimastauna ragazza sveglia e brava; e fu leia occuparsi dei bambini durante la8

vacanza. Ma la nostra signorina non tornò piùe proprio quando miaspettavo che tornasse il padrone mi fece sapere che

era morta.»

Riflettei per un po'. «Ma di che cosa?»

«Non me l'ha mai detto! Scusatemisignorina» disse la signora Grose«maadesso devo tornare alle mie

faccende.»

III

Il suo voltarmi le spalle a quel modo non fu per fortunadate le mie vivepreoccupazioniun affronto che

potesse compromettere lo sviluppo della nostra reciproca stima. Dopo che ebbiaccompagnato a casa il piccolo Milesci

sentimmo anzi più unite che mai dal mio stuporedalla mia totalecommozione: ero infatti pronta a gridare che era

mostruoso che un bambino come quello che avevo appena conosciuto fosse messoal bando. Arrivai con un leggero

ritardoe mi sembrò - nel vederlo sulla porta della locanda dove lo avevalasciato la diligenzagli occhi che mi

cercavano ansiosamente - che fosse circondato e permeato dalla stessaluminosa freschezzadalla stessa fragrante

purezza che fin dal primo momento avevo notato nella sua sorellina. Eraincredibilmente belloe la signora Grose non

aveva esagerato: davanti a luiogni cosa fu cancellata da uno slancio diappassionata tenerezza. Quello che all'istante mi

rapì il cuore fu qualcosa di celestequalcosa che non avevo mai trovatonello stesso gradoin altri bambini: la sua

tranquillaindescrivibile aria di non conoscere altro al mondo che l'amore.Era impossibile avere una brutta fama e

insiemequell'aria di dolcezza infinita; sicchémentre tornavo a Bly conluiero semplicemente sbalordita (è la parola

giustanon mi sentivo offesa) per il contenuto dell'orribile lettera chetenevo in camera miachiusa in un cassetto.

Appena mi fu possibile scambiare qualche parola in privato con la signoraGrosele dichiarai che la cosa era persino

grottesca.

Mi comprese immediatamente. «Volete dire quell'accusa crudele...?»

«Non regge assolutamente. Ma guardatelocara signora!»

Sorrise alla mia pretesa d'aver scoperto il suo fascino. «Vi assicurosignorinache non faccio altro! Allorache

direte?» aggiunse subito dopo.

«In risposta alla lettera?» Avevo già deciso. «Niente.»

«E a suo zio?»

Fui categorica. «Niente.»

«E al bambino?»

Fui stupefacente. «Niente.»

Si asciugò vigorosamente la bocca con il grembiule. «Allora sarò al vostrofianco. Andremo sino in fondo.»

«Andremo sino in fondo!» Le feci eco con ardoretendendole la mano comeper stringere un patto.

La trattenne un momentopoicon la mano liberasollevò di nuovo ilgrembiule. «Vi dispiacesignorinase mi

prendo la libertà di...»

«Darmi un bacio? No!» Strinsi tra le braccia quella buona creaturaedopoche ci fummo abbracciate come

sorellemi sentii ancora più forte e piena di indignazione.

Questo fu tuttoper il momento: ma un momento così pieno cheripensandociorami accorgo di dover fare un

certo sforzo per ritrovarne gli esatti contorni. Ciò a cui ripenso constupore è lo stato di cose che avevo accettato. Mi ero

impegnatacon la mia compagnaad andare sino in fondoea quanto pareero preda di un incantesimo capace di

nascondere l'ampiezza e la reale difficoltà di un simile impegno. Erosollevata da un'onda enorme di entusiasmo e di

pietà. Trovavo semplicenella mia ignoranzanella mia confusione eforsenella mia presunzioneritenere di poter

trattare con un ragazzo il qualenella sua educazione alle cose del mondoera soltanto agli inizi. Non riesco neppure a

ricordareoggiquali progetti avessi per lui una volta cheterminate levacanzeavrebbe dovuto riprendere gli studi.

Avevamo stabilitoin teoriache egli dovesse prendere lezioni da me durantequell'incantevole estate; ma ora mi

accorgo cheper intere settimanefui piuttosto io a prendere lezioni.Imparai qualcosa (certamente all'inizio) che non

avevo appreso dalla mia vita modesta e limitata: imparai a divertirmiepersino a saper divertiree a non pensare al

domani. Era la prima voltain un certo sensoche mi accorgevo dello spazioe dell'aria e della libertàdi tutta la musica

dell'estate e dei misteri della natura. E poi c'era la considerazione chegodevo... e la considerazione era tanto dolce. Oh

era una trappola... non premeditatama profondaper la mia immaginazioneper la mia sensibilitàforse per la mia

vanità; per qualunque cosain mefosse vulnerabile. Insommaper dire comeerano le cose: non stavo più in guardia.

Loro mi davano così poco pensiero... erano di una gentilezza d'animo cosìstraordinaria. Ero solita chiedermima anche

questo in modo incoerentecome li avrebbe trattati l'aspro futuro (ognifuturo è aspro)e se li avrebbe feriti. Erano nel

fiore della salute e della felicità; eppure - come se mi fosse stataaffidata una coppia di «altezze»di principi del sangue

per i quali ogni cosaper esser giustadeve essere vigilata e protetta - lasola forma cheper gli anni a venirevedessi

possibile per loro nelle mie fantasticherie era un prolungamento romanticodavvero regaledel giardino e del parco.

Può darsinaturalmentee soprattuttoche ciò che accadde in seguito eall'improvviso conferisca a quel primo periodo il

fascino della calma... quella penombra quieta in cui qualcosa si acquatta eprende vigore. E infatti il cambiamento fu

simile al balzo di una belva.9

Nelle prime settimanei giorni erano lunghi; spessoal colmo della lorobellezzami regalavano ciò che io

chiamavo la «mia» oral'ora in cui - essendo venuto e trascorso per i mieiallievi il tempo di prendere il tè e di andare a

letto - mi restavaprima di ritirarmi definitivamenteun breve intervallodi solitudine. Per quanto mi piacessero i miei

compagniquesta era l'ora del giorno che amavo di più; e l'amavosoprattutto quandomentre la luce del giorno svaniva

- oper meglio direil giorno indugiavae gli ultimi richiami degliuccelli risuonavanonel cielo di porporadagli alberi

antichi - potevo passeggiare nel parco e goderequasi con una sensazione dipossesso che mi divertiva e insieme mi

lusingavadella bellezza e del decoro del luogo. Era un piacere per me inquei momenti sentirmi tranquilla e in pace con

la mia coscienza; e anche forse pensare che con la mia discrezionecon ilmio calmo buon senso e in generale con le

mie alte qualità davo senza dubbio piacere - se mai lui vi avessepensato! - alla persona che mi aveva convinto con le

sue pressioni. Ciò che stavo facendo era quanto egli aveva ardentementesperato e mi aveva chiesto direttamentee che

io fossi in gradodopo tuttodi farlomi dava una gioia anche piùgrande di quella che avrei potuto aspettarmi. Oso dire

che mi consideravoper farla breveuna giovane eccezionalee mi davaconforto il fatto che questo sarebbe stato

sempre più manifesto a tutti. Beneavevo proprio bisogno di essereeccezionale per poter affrontare le cose eccezionali

chedi lì a pocoavrebbero cominciato a verificarsi.

Accadde all'improvvisoun pomeriggionel bel mezzo dell'ora che chiamavomia: i bambini erano a lettoed io

ero uscita per la mia passeggiata. Uno dei pensieri (che ora non ho la minimaesitazione ad annotare) che erano soliti

accompagnarmi in quel mio vagabondare era che sarebbe stato incantevoledegno di un romanzo incantevole

incontrare improvvisamente qualcuno. Qualcuno che mi apparisse laggiùallasvolta del sentieroe che - fermo davanti

a me - mi sorridesse con l'aria di approvarmi. Non chiedevo niente di più...chiedevo soltanto che sapesse; e il solo

modo per esser certa che sapevasarebbe stato di leggerlo sul suo bel visorischiarato dalla luce gentile di quella

consapevolezza. Tutto ciò - intendo dire soprattutto quel volto - eraesattamente presente al mio spiritoquandoalla

prima di quelle straordinarie occasionisul finire di una lunga giornata digiugnomi fermai di colpo uscendo da uno dei

boschettiin vista della casa. Ciò che mi aveva fatto fermare di colpo(preda di un turbamento assai più grande di quanto

sarebbe stato giustificato da una apparizione) era l'impressione che la miafantasiain un lampofosse diventata realtà.

Egli era là!... ma su in altooltre il pratoproprio sulla cima dellatorre dovela prima mattinami aveva condotto la

piccola Flora. Quella torre era una delle due costruzioni quadrateassurdemerlateche per non so quale ragionee

sebbene io vi vedessi solo minime differenzeerano distinte in Torre vecchiae Torre nuova. Si ergevano ai lati opposti

della casaed erano probabilmente due scherzi architettoniciriscattati incerta misura dal fatto di non essere del tutto

isolatené di un'altezza troppo pretenziosamentre la loro antichitàvistosa e falsa risaliva a un risveglio di architettura

romantico che costituiva già un rispettabile passato. Io le ammiravocifantasticavo sopradal momento che tutti

potevamo ricavare qualche profittospecialmente quando torreggiavano nellafoschiadall'imponenza dei loro bastioni;

e tuttavia non sembrava quello il luogo più degno per l'immagine che avevocosì spesso invocato.

Nel limpido crepuscolo quell'immagine produsse in mericordodue emozioniben distintele quali non

furonoin definitivache due moti separati di sorpresa. La seconda sorpresafu la violenta percezione dell'errore della

prima: l'uomo che vedevo non era infatti la persona che avevoprecipitosamente supposto. Ne provai un tale turbamento

chedopo tanti anninon posso sperare di darne una descrizione precisa. Siammetterà che un uomo sconosciutoin un

posto solitariosia causa di paura per una ragazza cresciuta in famiglia; ela figura che mi stava di frontebastarono

pochi secondi perché ne fossi sicuranon assomigliava minimamente né aqualcuno che conoscessi né all'immagine che

mi era familiare. Non l'avevo veduto a Harley Streetnon l'avevo veduto danessuna parte. Per giunta il luogoin

maniera davvero singolareera diventato all'istantee per il solo fatto diquella apparizioneperfettamente desolato. Si

rinnova interamente in mementre stendo qui la mia testimonianza con unapacatezza che non avevo mai avuto prima

la sensazione di quel momento. Era come senell'istante in cui mi rendevoconto di quello che vedevoogni cosa fosse

stata toccata dalla morte. Odo ancoramentre scrivola quiete intensa incui si spensero tutti i rumori della sera. Le

cornacchie smisero di gracchiare nel cielo d'oroe l'ora amica smarrì peril momento tutta la sua voce. Ma nient'altro era

mutato nella naturaa meno che non fosse per un mutamento che io vedevo coneccezionale nitidezza. L'oro era ancora

sospeso nel cielol'aria era tersae l'uomo che mi osservava da sopra imerli spiccava come un ritratto nella sua cornice.

Ecco perché pensaicon straordinaria rapiditàa tutte le persone cheavrebbe potuto essere e che non era. Ci eravamo

fissati di lontano abbastanza a lungo perché avessi modo di chiedermi conansia chi mai fossee di provarecome

conseguenza della mia incapacità di trovare la rispostauno stupore che sifaceva sempre più intenso.

Il grande problema (o almeno uno dei più grandi) che sorge a riguardo dicerti fattiè quello di stabilirein

seguitoquanto essi siano durati. Ebbenequesta mia avventura durò (e voipensate ciò che vi pare) il tempo necessario

perché io formulassi una dozzina di ipotesinessuna delle quali mi parvesoddisfacentesul fatto che c'era in casa - e da

quanto tempooltretutto? - una persona che ignoravo. Durò inoltre il temposufficiente perché io mi adombrassi un poco

nel pensare che la mia posizione era tale da rendere inammissibile che ioignorassi la presenza di quella persona. Durò

infinequel che ci voleva perché il visitatore (e c'era una punta diinsolenzaadesso che ci pensonella strana familiarità

che dimostrava nel restare senza cappello) mi potesse fissare dal suo postorivolgendomi nella luce che se ne andava la

stessa domandalo stesso interrogativo che suscitava in me la sua presenza.Eravamo troppo distanti per poterci

rivolgere la parolama ci fu un momento in cuise fossimo stati piùviciniuna parola di sfida tra di noirompendo il

silenziosarebbe stata il giusto risultato di quel nostro reciproco esfrontato fissarci. Egli stava nell'angolo più lontano

della casadritto come un fusopensaie con entrambe le mani sulparapetto. Sicché lo vidicosì come vedo le lettere

che vado tracciando su questa pagina; poiun minuto dopocome per renderepiù interessante lo spettacololentamente

cambiò di posto... passòguardandomi fisso per tutto il tempoall'angoloopposto della piattaforma. Sìebbi la netta10

sensazione che durante quello spostamento non mi levasse mai gli occhi didossoe in questo momento vedo ancora la

sua mano passare da un merlo all'altromentre lui si muoveva. Giuntoall'angolo opposto si fermòma meno a lungo

continuando però a fissarmi intensamente. Si voltò; e per me questo fututto.

IV

Non si può certo dire che in quell'occasione non mi aspettassi di saperne dipiùtanto a fondo ero stata colpita e

sconvolta. C'era un «segreto» a Bly... un mistero d'Udolfo oppure un pazzoun parente di cui non si deve parlaretenuto

laggiù in un isolamento insospettato? Non saprei dire per quanto tempo virimuginai soprao per quanto temposospesa

tra curiosità e paurarimasi sul luogo dove avevo avuto quel traumaticoincontro; ricordo soltanto che quando rientrai in

casala notte era scesa. Nel frattempol'agitazione si era certamenteimpadronita di meal punto cheaggirandomi

sempre nel medesimo postodovevo aver percorso circa tre miglia; ma misarebbe toccato in seguito un tale cumulo di

angosce che quel primo segno di allarme era un brivido ancora relativamenteumano. L'aspetto più singolare della

vicenda (singolare quanto tutto il resto) mi apparve chiaro allorchéincontrai nell'atrio la signora Grose. La scena mi

ricompare davanti nelle sue linee generali... riprovo l'impressione che mifecerorientrandol'ampio spazio a pannelli

bianchivivamente illuminato dalle lampadecon i suoi ritratti e il tappetorossoe il dolce sguardo meravigliato dalla

mia amicache immediatamente mi disse di aver sentito la mia mancanza.Compresi subitoin questo contatto con lei

che - con quella sua tranquilla cordialitàcon quella semplice ansiadissipata dalla mia comparsa - la signora Grose non

sapeva nulla che avesse a che fare con l'incidente che ero pronta araccontarle. Non avevo immaginato che il suo viso

amico mi avrebbe tanto rianimatae in certo qual modo misurai la gravità diquanto avevo veduto dall'esitazione che

provai a parlarne. Quasi nient'altroin tutta questa storiami appare tantostrano quanto il fatto che alla paura che

cominciava ad invadermi si mescolasseper così direl'istinto dirisparmiare la mia compagna. Di conseguenzaper

ragioni che allora non avrei saputo spiegaresi compì in mein quell'atrioaccogliente e sotto il suo sguardoun rapido

rivolgimento interiore: giustificai con una vaga scusa il mio ritardo eprendendo a pretesto la bellezza della nottela

rugiada abbondante e i piedi bagnatimi ritirai il più presto possibile incamera mia.

Lìfu tutt'altra cosa; lìper molti giorni appressofu davvero unastrana faccenda. Di giorno in giorno vi furono

oreo almeno dei momentistrappati anche ai doveri più elementariin cuidovetti chiudermi in camera a pensare. Non

tanto perché il nervosismo superasse ormai la mia capacità di resistenzaquanto perché avevo una gran paura di arrivare

a quel punto; poiché la veritàchiara e sempliceche dovevo affrontareadesso era che non potevo spiegarmi in nessun

modo la presenza di quel visitatore con cui ero giunta in contatto in un modotanto inesplicabile e tuttaviaalmeno mi

sembravatanto intimo. Mi ci volle però poco tempo per rendermi conto cheavrei potutoanche senza un'inchiesta

formale e senza domande sospettescoprire ogni complicazione domestica. Lascossa che avevo subita doveva aver

acuito tutte le mie facoltà; dopo tre soli giornicome risultato di unasemplice e più accorta vigilanzaero infatti sicura

che i domestici non si erano approfittati né fatti gioco di me. Qualunquecosa fosse ciò che io sapevointorno a me

nessuno ne sapeva nulla. C'era dunque una sola conclusione sensata: qualcunosi era preso una libertà molto discutibile.

Era questo che mi ripetevo quando correvo a chiudermi in camera mia. Tuttinoicollettivamenteeravamo stati vittime

di un'intrusione; qualche viaggiatore privo di scrupolicurioso di vecchiedimoreera penetrato in casa senza essere

vistos'era goduto il panorama dal posto più indicatoe poi era uscitofurtivamente così com'era entrato. Se mi aveva

squadrato con tanta sfrontatezzaciò andava imputato semplicemente alla suamaleducazione. Dopotuttoil lato buono

della cosa era che certamente non l'avremmo più rivisto.

Non era poi tanto buonolo ammettoda impedirmi di considerare che ciò cherendeva davvero tutto il resto

molto poco significativo era il mio delizioso compito. Il mio compitodelizioso era nient'altro che la mia vita con Miles

e Florae che tanto più mi piaceva quanto più mi rendevo conto dipotermici dedicare anima e corpo nonostante le mie

preoccupazioni. L'attrattiva dei miei piccoli incarichi era una gioiacontinuache mi portava a meravigliarmi

continuamente dei miei vani timori originaridel disgusto che avevo provatoall'inizio per il probabileprosaico grigiore

del mio incarico. Non doveva essercia quanto sembravané prosaicogrigiore né sfibrante fatica; sicché come poteva

non essere delizioso un lavoro che si presentava come quotidiana bellezza?C'era in esso tutto il sapore delle fiabe

infantili e delle prime poesie imparate a scuola. Non voglio dire con questonaturalmenteche studiassimo soltanto

favole e poesie; voglio dire che non so esprimere altrimenti il tipo diinteresse che i miei piccoli compagni mi

ispiravano. Come potrei descriverlo se non dicendo cheinvece di farl'abitudine a loro (e si tratta di una cosa

meravigliosa per un'istitutrice: chiamo a testimoni tutte le mie colleghe!)facevo sempre nuove scoperte? C'era peròcon

sicurezzauna direzione in cui tali scoperte si arrestavano: la più fittaoscurità continuava a regnare sulla condotta del

bambino in collegio. Tuttavial'ho già dettomi era stato subito concessodi affrontare quel mistero senza angoscia.

Forse sarebbe anche più vicino alla verità dire che - senza una parola - ilbambino stesso aveva chiarito tuttorendendo

assurda l'intera accusa. Le mie conclusioni sbocciarono come la sua roseainnocenza: egli era semplicemente troppo

delicato e schietto per il piccolo mondoorrido e sudiciodel collegioeper questo aveva pagato. Riflettei amaramente

che la rivelazione di tale diversitàdi tali superiori qualitàfinisceinevitabilmente per suscitare la vendetta della

maggioranza (in cui si possono benissimo includere direttori scolasticistupidi e sordidi).

Entrambi i bambini erano di una gentilezza di modi (era il loro unicodifettoche del resto non aveva fatto di

Miles una femminuccia) che li rendevacome dire?quasi impersonaliecertamente impossibili da punire. Erano come11

i cherubini dell'aneddoto chemoralmentealmenonon avevano niente che sipotesse frustare! Ricordo che

specialmente nei riguardi di Miles provavo l'impressione che non avesse alcunpassato. Non che ci si possa aspettare

molto da un fanciulloma c'era qualcosain quel bel bambinodistraordinariamente sensitivoeppure

straordinariamente felicechepiù che in ogni altra creatura della suaetà che avessi conosciutomi colpiva come

qualcosa che si rinnovasse ogni mattino. Egli non aveva mai soffertonemmenoper un istante. Presi questo come la

prova diretta che non gli era mai stato inflitto un vero castigo. Se si fossecomportato malene avrebbe subito la logica

conseguenzae anch'iodi riflessome ne sarei accorta... ne avrei trovatole tracce. Non avevo trovato nullainvece:

dunque era un angelo. Non parlava mai del collegionon accennò mai a uncompagno o a un insegnante; eper parte

miaero troppo disgustata per alludervi. Naturalmente ero vittima di unincantesimoe la cosa meravigliosa è chefin da

allorame ne rendevo conto perfettamente. Tuttavia mi abbandonavo ad esso;era un antidoto per ogni cruccioe di

crucci ne avevo più d'uno. In quei giorniinfattimi giungevano letterepreoccupanti da casadove le cose non andavano

bene. Maaccanto ai miei bambiniquale altra cosa al mondo contava? Eraquesta la domanda che ero solita ripetermi

durante le furtive scappatelle in camera mia. Ero abbagliata dalla loroamabile grazia.

Una domenica - per proseguire il racconto - piovve tanto a lungo e tanto adirotto che non potemmo recarci in

chiesa in corteo; come conseguenzacon il trascorrere del giornomi eroaccordata con la signora Grose chese verso

sera il tempo fosse miglioratosaremmo andate insieme alla funzionevespertina. Fortunatamente la pioggia cessòed io

mi preparai per la passeggiata al villaggio cheattraverso il parco e lungola strada maestrarichiedeva una ventina di

minuti. Scendendo le scale per incontrarmi con la mia collega nell'atriomiricordai di un paio di guanti a cui avevo

dato qualche punto (con una pubblicità forse non edificante) mentre con ibambini prendevo il tèche la domenica

veniva eccezionalmente servito in quel freddo e pulito tempio di mogano e diottone che era la sala da pranzo «dei

grandi». I guanti li avevo lasciati làe vi andai per prenderli. Il giornoera piuttosto grigioma la luce del pomeriggio

non era del tutto scomparsae mi permisenel varcare la soglianonsoltanto di riconosceresu una sedia vicina alla

grande finestra chiusaciò che cercavoma anche di accorgermi di unapersona chedalla parte esterna della finestra

guardava nella stanza. M'era bastato fare un passo: la visione era stataistantaneae perfettamente chiara. La persona che

guardava nella stanza era la stessa che mi era già apparsa. Mi riapparvecosì non direi con maggior nitidezza (cosa che

sarebbe stata impossibile)ma con una vicinanza che rappresentava un passoavanti nei nostri rapporti e chementre lo

guardavomi gelò il sangue. Era lo stesso... era lo stessoe lo vedevocome la prima voltadalla cintola in supoiché la

finestrasebbene la stanza da pranzo fosse al pianterrenoera più altadella terrazza sulla quale egli si trovava. Il suo

volto era premuto contro il vetroeppure l'effetto di questa visioneravvicinatastrano a dirsifu soltanto quello di farmi

capire quanto intensa fosse stata la prima. Si trattenne solo per pochisecondima abbastanza per convincermi che anche

lui mi aveva vista e riconosciuta; e fu come se lo avessi guardato per annie lo conoscessi da sempre. Accadde però

qualcosa che non era avvenuta la volta precedente: il suo sguardo che sifissava sul mio viso attraverso i vetri dall'altro

lato della stanzaera duro e scrutatore come la prima voltama miabbandonò per un attimodurante il quale lo seguii e

lo vidi posarsi successivamente su diverse altre cose. Immediatamenteun'altra certezza mi sconvolse: non era venuto

per meera venuto per qualcun altro.

Questa fulminea consapevolezza (perché proprio di consapevolezza sitrattavaper quanto mescolata alla

paura) produsse in mementre me ne stavo lìun effetto straordinariounavibrazione improvvisa di dovere e di

coraggio. Dico coraggio perché senza dubbio ero completamente fuori di me.Lasciai di corsa la sala da pranzo

raggiunsi l'ingresso della casain un attimo fui nel viale evoltato ilpiù rapidamente possibile l'angolo della terrazza

gettai lo sguardo lungo la facciata. Ma quello sguardo non mi rivelònulla... il mio visitatore era svanito. Mi fermaie

quasi svenni per il sollievo; ma tenevo il luogo sotto controllo... gli diediil tempo di ricomparire. Lo chiamo tempoma

quanto durò? Oggi non posso precisare la durata di quegli avvenimenti.Dovevo aver smarrito la nozione del tempo: i

fatti non potevano esser durati tanto quanto allora mi sembrava. La terrazzail luogo interoil prato e il giardino al di là

tutto quello che potevo vedere del parco erano assolutamente deserti. C'eranocespugli e grossi alberima ricordo di

aver avuto la chiara certezza che non nascondessero nessuno. Mi tenni aquella convinzione; poiistintivamenteinvece

di tornare sui miei passiandai alla finestra. Avvertivo confusamente chedovevo mettermi nello stesso luogo nel quale

egli era stato. E così feci; schiacciai il viso contro il vetro e guardainella stanzacome lui aveva fatto. Proprio in quel

momentoquasi per permettermi di giudicare l'ampiezza del suo campo visivola signora Grose entrò dall'atriocome io

avevo fatto poco prima. Ebbi così la perfetta ripetizione di ciò che eragià accaduto. Mi vide come io avevo visto il mio

visitatore; si arrestò di colpo come avevo fatto io; le feci provareinpartela stessa scossa che io avevo ricevuto.

Impallidìfacendomi chiedere se anch'io fossi impallidita tanto. In brevemi fissòe quindi si ritrasse esattamente come

avevo fatto io. Compresi che usciva dalla casa per raggiungermie che prestol'avrei incontrata. Rimasi dove mi

trovavoe mentre l'aspettavo più di un pensiero mi attraversò la mente. Mane voglio ricordare qui uno solo: mi chiesi

perché anche lei si fosse spaventata.

V

Ohme lo fece sapere non appena mi fu davanti girando l'angolo della casa.«Che cosa vi è accadutoin nome

di Dio...?» Era rossa e ansante.

Non dissi nulla sino a quando non mi fu vicina. «A me?» Dovevo avereun'espressione ben curiosa. «Si vede?»12

«Siete bianca come un lenzuolo. Avete un'aria spaventosa.»

Riflettei un attimo; ora potevo affrontare senza scrupoli l'innocenza piùassoluta. L'esigenza di rispettare il

candore della signora Grose mi era caduta dalle spallesenza un fruscioese esitai per un istantenon fu per nascondere

ciò che sapevo. Le tesi una manoed ella la prese; strinse; la strinsi conforza per un pocontenta di sentirmela vicino. Il

suo timido sussulto di sorpresa mi fu un poco d'aiuto. «Siete venuta aprendermi per andare in chiesanaturalmentema

io non posso venirci.»

«È capitato qualcosa?»

«Sìe voi ora lo dovete sapere. Avevo un'aria molto strana?»

«Alla finestra? Terribile!»

«Ebbene» dissi«ero spaventata.» Gli occhi della signora Grose dicevanomo lto chiaramente che lei non

desiderava essere spaventata a sua voltama dissero anche che conoscevatroppo bene gli obblighi della sua posizione

per non esser pronta a condividere con me qualunque inconveniente. Oherascritto che ne dovesse condividere molti!

«Proprio quello che voi avete visto un momento fa dalla finestra della salada pranzo ne era l'effetto. Quel che ho visto

ioun attimo primaera assai peggio.»

Mi strinse più forte la mano. «Che cos'era?»

«Un uomo stranissimo. Guardava dentro.»

«Che uomo stranissimo?»

«Non ne ho la minima idea.»

La signora Grose si guardò intornoinvano. «Ma dove è andato?»

«Ne so ancora meno.»

«Lo avevate già visto?»

«Sì... una volta. Sulla Torre vecchia.»

Non poté fare altro che guardarmi più fisso. «Vo lete dire che è unosconosciuto?»

«Ohassolutamente!»

«E non me ne avete detto nulla?»

«No... per certe ragioni. Ma adesso che avete indovinato...»

Gli occhi rotondi della signora Grose affrontarono l'accusa. «Io non hoindovinato!» disse molto

tranquillamente. «Come lo potreise voi stessa non sapete cosa pensarne?»

«Non lo so nella maniera più assoluta.»

«Lo avete visto soltanto sulla torre?»

«E proprio in questo puntoun attimo fa.»

La signora Grose si guardò di nuovo attorno. «Che cosa faceva sullatorre?»

«Se ne stava lassù e mi fissava.»

Rifletté un momento. «Era un signore?»

Scoprii che non avevo bisogno di pensarci su. «No.» Mi guardava concrescente stupore. «No.»

«Allora non è nessuno del posto? Nessuno del villaggio?»

«Nessuno... nessuno. Non ve l'ho dettoma me ne sono accertata.»

Emise un leggero sospiro di sollievo: stranamentesembrava andare un po'meglio. Ma fu solo questione di un

attimo. «Ma allorase non è un signore...»

«Che cosa è? È un orrore.»

«Un orrore?»

«È... Dio mi aiuti se lo so!»

Ancora una volta la signora Grose si guardò attorno; fissò lo sguardoall'infinitonelle tenebre che si andavano

addensandopoiriprendendosisi rivolse a me con una brusca incoerenza.«A quest'ora dovremmo essere in chiesa.»

«Ohnon me la sento di andare in chiesa!»

«Non potrebbe farvi bene?»

«Non ne farebbe a loro...!» esclamaiaccennando alla casa.

«Ai bambini?»

«Non li posso lasciare proprio adesso.»

«Avete paura...?»

Parlai con estrema chiarezza. «Ho paura di lui.»

Sul largo volto della signora Grose apparve a questo puntoe per la primavoltaun remotodebole lampo di

comprensione; in qualche modo vi colsi il tardivo spuntare di un'idea che ionon le avevo suggerito e che mi era ancora

completamente oscura. Ricordo di aver pensato subito che avrei potutostrapparle al riguardo qualche confidenza; e

sentivo che la cosa era legata al desiderioda lei immediatamentedimostratodi saperne di più. «Quando è successo...

sulla torre?»

«Verso la metà del mese. A questa stessa ora.»

«Quasi al buio» disse la signora Grose.

«Oh nonon proprio. Lo vidi come vedo voi.

«Ma come era potuto entrare?»

«E come era potuto uscire» risi. «Non ho avuto modo di chiederglielo!Staseralo vedete» continuai«non ce

l'ha fatta ad entrare.»13

«Si limita a spiare?»

«Spero che si limiterà a questo!» Ora aveva lasciato la mia mano; e avevadistolto un poco lo sguardo da me.

Attesi un momento; poi proruppi: «Andate in chiesa. Arrivederci. Io devovigilare.»

Lentamentesi volse ancora verso di me. «Avete paura per loro?»

Ci scambiammo un altro lungo sguardo. «E voi no?» Invece dirispondermisi fece più vicina alla finestrae

per un po' premette il viso contro il vetro. «Era così che lui guardava»continuai.

Non si mosse. «Quanto tempo è rimasto qui?»

«Sinché non sono corsa fuori. Ero uscita per sorprenderlo.»

La signora Grose finalmente si voltòe il suo viso era divenuto ancora piùespressivo. «Io non sarei uscita.»

«E nemmeno io!» risi. «Eppure sono uscita. Ho dei doveri.»

«Anch'io ho i miei» replicò; e subito dopo aggiunse: «A chi somiglia?»

«Non so che cosa darei per potervelo dire. Ma non somiglia a nessuno.»

«A nessuno?» mi fece eco.

«Non porta cappello.» Poileggendo sul suo viso che già questoparticolare era sufficiente a farle ricordare

con crescente sgomentoun certo ritrattoaggiunsi rapidamente pennellata apennellata. «Ha i capelli rossimolto rossi

molto ricciutie una faccia pallidaallungatadai lineamenti regolari epiacevoli; e piccolicuriosi favoritirossi come i

capelli. Le sopracciglia sono però più scurenotevolmente arcuate e dannol'impressione d'esser molto mobili. Gli occhi

sono penetrantistrani... in un modo orribile; ma posso dire con precisionesoltanto che sono piuttosto piccoli e molto

fissi. La bocca è grandecon labbra sottiliese si escludono i piccolifavoritiè perfettamente rasato. Nell'insiememi

fa pensare ad un attore.»

«Un attore!» Era impossibile assomigliare a un attore meno della signoraGrose in quel momento.

«Non ne ho mai visto unoma immagino che siano così. È altoagiledritto come un fuso» continuai. «Ma un

signore noassolutamente no.»

Mentre parlavola mia compagna era ulteriormente impallidita; i suoi occhitondi s'erano spalancatie la sua

mite bocca si aprì. «Un signore?» balbettò confusastupita. «Un signorelui?»

«Allora lo conoscete?»

Cercò visibilmente di riprendersi. «Ma è un bell'uomo?»

Trovai il modo di aiutarla. «Notevolmente bello.»

«E vestito...?»

«Con i vestiti di un altro. Sono elegantima non sono suoi.»

Si lasciò sfuggire un gemito soffocato di approvazione. «Sono i vestiti delpadrone!»

Colsi la palla al balzo. «Allora lo conoscete davvero?»

Esitòma soltanto per un attimo. «Quint!» esclamò.

«Quint?»

«Peter Quint... il suo domestico personaleil suo cameriere quando luistava qui!»

«Quando stava qui?»

Ancora boccheggiandoma pronta ad aiutarmimi fornì gli altri particolari.«Non portava mai cappelloma si

metteva... insommaerano scomparsi alcuni panciotti! Erano qui tutt'e due...l'anno scorso. Poi il padrone se ne andòe

Quint rimasesolo.»

Insistettima un poco esitante. «Solo?»

«Solo con noi.» Poicome se estraesse le parole dal profondoaggiunse: «A capo di tutti noi.»

«E che ne è stato di lui?»

Tardò tanto a rispondermiche mi sentii ancor più rimescolata. «Se n'èandato anche lui» sbottò alla fine.

«Andato dove?»

Un'espressione indicibilea questa mia domandale si dipinse sul viso.«Dio sa dove! È morto.»

«Morto?» quasi gridai.

La signora Grose sembrò chiamare a raccolta tutte le sue forzepiantandosipiù saldamente al suolo per

affermare quella stupefacente verità. «Sì. Il signor Quint è morto.»

VI

Ci vollenaturalmentepiù di quella particolare circostanza per rendercientra mbe pienamente consapevoli di

ciò che ormaigiorno per giornoavremmo dovuto affrontare come megliopotevamo: vale a dire la mia terribile

suscettibilità a impressioni analoghe a quelle di cui era stato allora uncosì vivido esempioe la conseguente conoscenza

(una conoscenza mezzo costernazione e mezzo compassione) che la mia compagnaaveva fatto di quella suscettibilità.

Nessuna di noi duequella seradopo la rivelazione che per più di un'orami aveva lasciato tanto prostratas'era recata in

chiesa per la funzione; c'era invece stata una piccola funzione privata abase di lacrime e di votidi preghiere e di

promesseculmine di una serie di richieste e di impegni reciproci che avevaavuto luogo immediatamente dopo che ci

eravamo rifugiate e chiuse a chiave nello studio per una spiegazioneesauriente. Il risultato della spiegazione consistette

semplicemente nel ridurre ai termini essenziali la nostra situazione. Leidaparte suanon aveva visto nullanemmeno14

l'ombra di un'ombrae nessuno in casaall'infuori dell'istitutricesi eratrovato nella situazione dell'istitutrice; tuttavia la

signora Grosesenza dubitare della mia salute mentaleaccettò la veritàcosì come gliela presentavoe finì per

dimostrarmiin quell'occasioneuna tenerezza mis ta a rispettouna vivacomprensione del mio più che discutibile

privilegio; e il profumo di quegli atteggiamenti è rimasto nella mia memoriacome il segno della più dolce delle carità

umane.

Quella sera arrivammo di comune accordo alla conclusione chetutt'e dueinsiemeavremmo potuto affrontare

meglio gli avvenimenti; e non ero neppure sicura che non fosse leimalgradola mia prova le fosse stata risparmiataa

dover portare il fardello più pesante. Credo che già sapessi alloracomeseppi più tardiquello che ero in grado di

affrontare per proteggere i miei allievi; ma mi ci volle un po' più di tempoper essere pienamente sicura che la mia

onesta alleata era pronta a mantenere i termini di un impegno tantorischioso. Ero una compagna piuttosto strana (quasi

quanto lei lo era per me); mariandando mentalmente a quello che ci toccòsopportaremi accorgo quanto saldamente ci

unì quella sola idea cheper buona fortunapoteva darci forza. E fuquell'ideaquel secondo impulso che mi trasse

definitivamente fuoriper così diredalla segreta camera della mia paura.Potevo almeno uscire a prendere una boccata

d'aria in cortiledove la signora Grose poteva raggiungermi. Ricordo oraperfettamente in che modo curioso ritrovai

tutte le mie energie prima che ci separassimo per la notte. Avevamo esaminatoripetutamente ogni particolare di ciò che

avevo visto.

«Cercava qualcun altrovoi dite... qualcuno che non eravate voi?»

«Cercava il piccolo Miles.» Ora vedevo tutto con prodigiosa chiarezza. «Eccochi cercava.»

«Ma come lo sapete?»

«Lo solo solo so!» La mia esaltazione cresceva. «Ed anche voi losapetemia cara!»

Non lo negòma io sentivo di non aver nemmeno bisogno di quellacontroprova. Un momento dopoad ogni

modoella riprese: «E se lo avesse visto?»

«Il piccolo Miles? È proprio questo che desidera!»

Parve di nuovo immensamente sconvolta. «Il bambino?»

«Dio non voglia! L'uomo. Lui vuole apparire a loro.» Che potessedavvero riuscirci era un pensiero orribile

eppurein certa misurapotevo tenerlo a bada; cosa che del restomentreindugiavamo lìriuscivo a dimostrare

praticamente. Ero assolutamente certa che avrei rivisto quel che già avevovistoma qualcosa mi diceva che se mi fossi

offerta bravamente come l'unico bersaglio di quella esperienzase avessiaccettatoinvocatoe infine superato tutto

quantoio sola sarei servita da capro espiatorio ecosì facendoavreisalvaguardato la tranquillità dei miei compagni. I

bambiniin particolar modoli avrei posti al riparoe salvati in viaassoluta. Ricordo una delle ultime cose che dissi alla

signora Grose quella sera.

«Mi colpisce il fatto che i miei allievi non abbiano mai parlato...»

Mi teneva gli occhi addosso mentre iopensierosami interruppi. «Della suapermanenza qui e del tempo che

hanno passato con lui?»

«Di quel tempodel suo nomedella sua presenza; della sua storiain unaparola.»

«Ohla signorina non se ne ricorda. Lei non ha mai sentito o conosciuto.»

«Le circostanze della sua morte?» Riflettevo intensamente. «Forse no. MaMiles dovrebbe ricordare... Miles

dovrebbe ricordare.»

«Ahnon mettetelo alla prova!» proruppe la signora Grose.

Le restituii lo sguardo che mi aveva lanciato. «Non abbiate paura.»Continuavo a riflettere. «Però è piuttosto

strano.»

«Che non ne abbia mai parlato?»

«Nemmeno la minima allusione. E voi mi dite che erano "grandiamici"?»

«Ohlui no!» dichiarò con enfasi la signora Grose. «Era uncapriccio di Quint. Di giocare con luivoglio dire...

di viziarlo.» Tacque per un momento; poi aggiunse: «Quint si prendeva sintroppe libertà.»

Questo mi diedeper quel che ricordavo di quel viso - e che viso! -un'improvvisa sensazione di disgusto. «Sin

troppe libertà con il mio bambino?»

«Troppe con tutti!»

Rinunciaiper il momentoad analizzare più a fondo questa descrizioneaccontentandomi di pensare che

poteva riferirsi almeno in parte a parecchi abitanti della casaa quellamezza dozzina di cameriere e di uomini di fatica

che ancora si trovavano nella nostra piccola colonia. Ma bastava ancora anutrire i nostri timori il fattoin apparenza

fortunatoche nessuna storia equivocanessun pettegolezzo da sguatteriamemoria d'uomoaveva mai riguardato

quella vecchia e gentile dimora. Essa non aveva né cattivo nome né bruttafamae la signora Grosecon ogni evidenza

desiderava soltanto stringersi a me e rabbrividire in silenzio. La misipersino alla provaalla fine. Lo feci a mezzanotte

quando già teneva la mano sulla porta dello studio per prender congedo.«Allora mi assicurate (e la cosa è molto

importante) che egli era assolutamente e notoriamente cattivo?»

«Ohnon notoriamente. Io lo sapevo... ma il padrone no.»

«E voi non glielo diceste mai?»

«Be'non gli piacevano i pettegolezzi... odiava le lamentele. Tagliavasubito corto con le faccende di questo

tipoe se la gente andava bene a lui...»15

«Non voleva più essere seccato?» Tutto questo si accordava abbastanza benecon l'impressione che aveva fatto

a me: non era uomo che amasse i guaie forse non era nemmeno troppo esigentenella scelta delle persone che lo

circondavano. Tuttaviainsistetti con la mia interlocutrice. «Vi assicuroche io gliene avrei parlato!»

Afferrò il mio rimprovero. «Penso anch'io di avere sbagliato. Ma la veritàè che avevo paura.»

«Paura di che?»

«Delle cose che poteva fare quell'uomo. Quint era così astuto... cosìaccorto.»

Fui colpita da quelle parole più di quantoprobabilmentenon lasciassiapparire. «Non avevate paura di niente

altro? Non del suo influsso...?»

«Il suo influsso?» ripeté con espressione d'angoscia e d'attesamentre ioesitavo.

«Sulle piccole e innocenti e preziose vite. Erano affidate a voi.»

«Nonon erano affidate a me!» ribatté recisamente e malinconicamente.«Il padrone aveva fiducia in lui e lo

aveva sistemato qui perché si diceva che non godeva buona salute e chel'aria di campagna gli avrebbe fatto bene. E così

poteva dire la sua su tutto. Sì» lo ammise«persino su di loro.»

«Loro... quell'individuo?» Soffocai un grido. «E voi potevatesopportarlo?»

«Nonon potevo... e non posso nemmeno adesso!» E la povera donna scoppiòin lacrime.

Dal giorno dopocome ho dettoi bambini furono sotto una sorveglianzarigorosa e continua; eppurequanto

spesso e con quale passionein quella settimanatornammo sull'argomento!Per quanto ne avessimo discusso a lungo

quella domenica seraio fui ancora perseguitatasoprattutto nelle prime ore(si può facilmente immaginare se io

dormissi)dal dubbio che non mi avesse detto tutto. Per parte mia non avevoomesso nullama c'era qualcosa che la

signora Grose mi aveva tenuto nascosto. Verso mattinaperaltromi convinsiche ciò non era dipeso da una mancanza

di sinceritàma dal fatto che entrambe eravamo piene di timori. In realtàmi sembraripensandociche quando il sole

del giorno dopo fu alto nel cielo io avevo ormai letto senza requieneifatti che ci stavano davantitutto il significato

che avrebbero ricevuto dalle successive e più crudeli circostanze. Ilmassimo rilievo era per ora assicurato alla sinistra

figura di quell'uomo da vivo (il morto poteva aspettare ancora un po'!) e aimesi da lui trascorsi a Blychemessi

insiemerappresentavano un periodo formidabile. Quel triste periodo eraterminato soltanto quandoall'alba di un

giorno d'invernoPeter Quint era stato trovato morto stecchito sulla stradache portava al villaggio da un contadino che

si recava per tempo al lavoro: la catastrofe era spiegata (superficialmentealmeno) da una ferita al capo ben visibile; una

ferita che poteva esser stata prodotta (estando alle conclusioni finaliera andata proprio così) da uno scivolone fatale

(nel buio e dopo aver lasciato la taverna) sul ripido pendio ghiacciato: unastrada sbagliataal termine della quale si

trovava. Il pendio ghiacciatol'errore di strada fatto di notte e dopo averbevutospiegarono moltoanziin praticatutto

dopo l'inchiesta e le interminabili chiacchiere; ma c'erano state tante cosenella sua vita (strane traversie e pericoli

eccessi segretivizi non soltanto sospettati) che avrebbero spiegato moltodi più.

Faccio fatica a raccontare la mia storia con parole che possano dare unquadro credibile del mio stato d'animo;

ma in quei giorni ero letteralmente capace di provare felicità nellostraordinario slancio di eroismo che la circostanza

richiedeva. Comprendevo allora che ero stata chiamata ad un compitoammirevole e difficile; e che ci sarebbe stato

qualcosa di grande nel dimostrare (ohalla persona giusta!) che sareiriuscita là dove molte altre ragazze avrebbero

fallito. Mi fu d'immenso aiuto (confesso che nel ripensarciquasi micongratulo con me stessa) l'aver considerato la mia

missione con tanta forza e tanta semplicità. Io ero là per proteggere edifendere le più trascurate e più amabili creature

del mondola cui invocazione d'aiuto eraall'improvvisodiventata anchetroppo imperiosacosì da essere una pena

acutacostanteper ogni cuore che palpitasse per loro. Tutti quantinoi eravamo davvero tagliati fuori dal resto del

mondo; eravamo uniti dallo stesso pericolo. Loro non avevano altri che me edio... be'io avevo loro. Eraper farla

breveuna magnifica occasione. Occasione che mi si presentava in un'immaginepiù che concreta. Io ero uno schermo...

e dovevo stare davanti a loro. Quanto più avessi veduto iotanto menoavrebbero visto loro. Presi a sorvegliarli con

un'ansia nascostaun'eccitazione segreta che avrebbe potuto benissimoalungo andaretrasformarsi in qualcosa di

molto prossimo alla follia. Ciò che mi salvòlo comprendo orafu che lemie sensazioni si trasforma rono in qualcosa di

completamente diverso. L'ansia non durò... fu spazzata via da provespaventose. Provesìlo ripeto... dal momento in

cui mi resi pienamente conto della situazione.

Questo momento datò da un'ora del pomeriggio che trascorsi per caso nelparco in compagnia della minore dei

miei allievi. Avevamo lasciato Miles dentro casasul cuscino rosso di unampio sedile ricavato nel vano di una finestra;

aveva espresso il desiderio di terminare un libroed ero stata lieta diincoraggiare un proposito tanto lodevole in un

ometto a cui si poteva rimproverare soltanto qualche scoppio eccessivo divivacità. Sua sorellaal contrarioera stata

prontissima ad uscireed io passeggiai con lei una mezz'oracercando distare all'ombraperché il sole era ancora alto e

la giornata eccezionalmente calda. Mentre camminavamomi resi contounavolta di piùdi come lei riuscisseal pari

del fratello (e si trattava di una incantevole qualità di entrambi)alasciarmi sola con i miei pensieri senza dare

l'impressione diabbandonarmie a tenermi compagnia senza per questo riuscireappiccicosa. Non erano mai importuni

eppure non si mostravano mai sbadati. Tutta la mia sorveglianza consisteva inrealtà nell'osservarli mentre si

divertivano immensamente senza di me: e questo sembrava uno spettacoloallestito da loro con cura particolareallo

scopo di coinvolgermi nella parte di ammiratrice appassionata. Mi muovevo inun mondo di loro invenzione... né del

resto avevano occasione di entrare nel mio; sicché il mio tempo eraimpegnato nel rappresentareper loroqualche

persona o cosa straordinaria che il gioco momentaneamente richiedeva; il chegrazie al mio incarico superiore ed

onorevolerappresentava una sinecura felice e molto rispettabile. Nonricordo che cosa fossi in quell'occasione; ricordo16

soltanto che ero qualcosa molto importante e molto quietae che Flora stavagiocando con grande impegno. Eravamo

sulla riva del laghetto epoiché avevamo cominciato da poco a studiaregeografiail laghetto era il mar d'Azov.

All'improvvisoin quelle circostanzemi resi conto chesull'altra spondadel mar d'Azovavevamo uno

spettatore interessato. Il modo con cui questa certezza si concretò in me fula cosa più strana del mondo... la più strana

cioèse si fa eccezione per quella ancora più strana in cui rapidamente sitrasformò. Ero seduta con qualche lavoro tra le

mani (poiché rappresentavo qualcosa che poteva star seduta) sul vecchiosedile di pietra che dominava lo stagno; e in

questa posizione cominciai ad avvertire con sicurezzapur senza vederladirettamentela lontana presenza di una terza

persona. I vecchi alberii fitti cespugli facevano un'ombra ampia epiacevolema tutto era soffuso del fulgore di

quell'ora calda e quieta. Non v'era nulla di ambiguo tutt'intorno;assolutamente nullaalmenonella convinzione che si

andava formando in me a proposito di ciò che avrei potuto vedere drittodavanti a meal di là del laghettose solo avessi

alzato gli occhi. Li tenevoin quel duro attimofissi sul cucito che mioccupavae mi par di sentire ancora lo spasmo

dello sforzo che feci per non alzarli sin che non mi fossi calmata abbastanzada poter decidere sul da farsi. C'era làin

piena vistaun oggetto estraneo... una figura a cui negai all'istanteappassionatamenteil diritto di trovarsi dov'era.

Ricordo di aver fatto tutte le ipotesi possibili al riguardodicendo a mestessa che non vi sarebbe stato niente di più

naturaleper esempiodell'apparizione di uno degli uomini che lavoravanonella tenutao anche di un messaggerodi un

portaletteredi un garzone di bottega venuto dal villaggio. Ma questipensieri ebbero scarso effetto sulla mia pratica

certezzain quanto io ero già convintapur senza avere ancora alzato losguardoche non c'entravano per nulla con la

specie e il contegno del nostro visitatore. Non c'era niente di più naturaledel fatto che cose del genere fossero ciò che

assolutamente non erano.

Della precisa identità dell'apparizione mi sarei resa conto non appena ilpiccolo orologio del mio coraggio

avesse segnato il momento esatto; frattantocon uno sforzo che mi costò nonpocorivolsi lo sguardo alla piccola Flora

chein quell'istantesi trovava pochi metri più in là. Per un attimoperl'ansia e il terrore che anche lei potesse vedere

qualcosail mio cuore cessò di battere; e trattenni anche il respironell'attesa che un suo gridoun suo improvviso

innocente segno di curiosità o di allarmeme lo confermasse. Aspettaimanulla avvenne; poi (e sento che c'è qualcosa

di più spaventosoin questodi tutto ciò che ho ancora da raccontare) fuipervasa sulle prime dalla sensazione cheda

circa un minutonon faceva più alcun rumore; e quindi mi accorsi chesempre da un minutogiocandoaveva rivolto la

schiena all'acqua. Questa era la sua posizione quando finalmente laguardai... la guardai con la precisa convinzione che

eravamo ancora sottopostetutt'e duea un'osservazione diretta e personale.La bambina aveva raccolto un pezzetto di

legno piattocon un piccolo foro che evidentemente le aveva suggerito l'ideadi infilarvi un altro legnetto a mo' di albero

maestro per farne una barca. Mentre la fissavoera intenta a cercar difissarecon grande curaquel secondo frammento

di legno. L'aver visto quel che stava facendo mi confermò nella miaconvinzione a tal punto chepochi istanti dopo

sentii che ero pronta a tutto. Allora distolsi di nuovo lo sguardo eaffrontai quel che dovevo affrontare.

VII

Appena mi fu possibile andai in cerca della signora Grose; e non so dareun'idea precisa di come superai

l'intervallo di tempo. Però mi sento ancora gridarementre mi gettavodritta tra le sue braccia: «Essi sanno... è troppo

mostruoso: sannosanno!»

«E che cosa mai...?» Sentivo la sua incredulitàmentre mi sorreggeva.

«Ma cometutto quello che noi sappiamo... e il cielo sa che altroancora!» Poimentre lei mi lasciava andarele

spiegai l'accadutoe forse lo spiegai soltanto allora con piena coerenzaanche a me stessa. «Due ore fain giardino»

riuscivo appena ad articolare le parole«Flora ha visto!»

La signora Grose accolse queste parole come avrebbe potuto accogliere unpugno nello stomaco. «Ve lo ha

detto lei?» domandòansante.

«Non una parola... e qui sta tutto l'orrore della cosa. Ha tenuto ogni cosaper sé! Una bambina di otto anni

quella bambina!» Lo stupore che provavo era ancora indicibile.

La signora Grosenaturalmentepoteva solo sbalordire di più. «Ma alloracome lo sapete?»

«Ero là... ho visto coi miei occhi: ho visto che si rendeva perfettamenteconto.»

«Volete dire che si rendeva conto della presenza di lui?»

«No... di lei.» Mi accorgevonel parlareche sul mio viso sistavano inseguendo prodigiose espressioniperché

le vedevo lentamente riflesse dal volto della mia compagna. «Un'altrapersona... questa volta; ma una figura di orrore e

malignità quasi altrettanto inconfondibili: una donna in neropallida eorrenda... con un'espressione poie una faccia!...

sull'altra sponda del laghetto. Ero là con la bimba... tranquilla in quelmomento; e proprio allora è venuta.»

«Venuta come... da dove?»

«Da dove vengono loro! È semplicemente apparsa ed è rimasta lìma nontroppo vicina.»

«E senza avvicinarsi di più?»

«Ohper l'effetto che mi faceva e per quello che sentivoavrebbe potutoessere vicina come adesso lo siete

voi!»

La mia amicaper un singolare impulsoarretrò di un passo. «Era qualcunoche voi non avevate mai visto?»17

«Sì. Ma era qualcuno che la bambina conosceva. Qualcuno che voi avevatevisto.» Poiper rivelarle a quale

conclusione ero pervenuta: «La donna che mi ha preceduta... quella che èmorta.»

«La signorina Jessel?»

«La signorina Jessel. Non mi credete?» Incalzai.

Si voltò da una parte e dall'altraagitatissima. «Come potete essernecerta?»

La domandanello stato in cui mi trovavomi strappò un moto di impazienza.«Allora chiedetelo a Flora... lei

ne è sicura!» Ma non avevo ancora finito di parlareche subito mi ripresi.«Noper l'amor di Dionon lo fate! Direbbe

che non è vero... mentirebbe!»

La signora Grose non era ancora sconvolta al punto di rinunciare ad un attoistintivo di protesta. «Ahcome

potete pensare...?»

«Perché vedo chiaro. Flora non vuole che io sappia.»

«Allora è soltanto per risparmiarvi.»

«Nono... ci sono degli abissidegli abissi! Più ci ripenso e più vedo afondoe più vedo a fondo a più ho

paura. Non so più che cosa non vedoche cosa non mi fapaura!»

La signora Grose si sforzò di seguirmi. «Volete dire che avete paura divederla di nuovo?»

«Ohno; quello non è niente... a questo punto!» Poi mi spiegai: «Hopaura di non rivederla.»

Ma la mia compagna restava soltanto smarrita. «Non vi capisco.»

«Eccoho paura che la bambina vada avanti con questa storia (e la bambinalo farà certamente) senza che io lo

sappia.»

Davanti a una simile possibilitàla signora Grose per un attimo parve venirmenoma si riprese subitoquasi

spinta dalla forza positiva della consapevolezza di quello cheavessimoceduto soltanto di un polliceci sarebbe stato

realmente da affrontare. «Mio Dio... dobbiamo tenere la testa a posto! Edopo tuttose lei non ci fa caso...!» Provò

persino un lugubre scherzo. «Forse le piace!»

«Piacerle queste cose... a una bimbetta!»

«E questa non è un'altra prova della sua santa innocenza?» chiese con ariadi sfida la mia amica.

Per un attimoquasi mi convinse. «Ohdobbiamo attaccarci a questo... dobbiamotenerci ben salde all'idea! Se

non è una prova di quel che diteè una prova di... Dio sa cosa! Perchéquella donna è l'orrore degli orrori.»

A queste parolela signora Grose tenne per un po' gli occhi fissi a terra;poirialzandoli«Ditemi come fate a

saperlo» disse.

«Allora ammettete che lo sia?» esclamai.

«Ditemi come fate a saperlo» ripeté semplicemente la mia amica.

«A saperlo? Perché l'ho vista. Per come guardava.»

«A voiintendete dire... così malignamente?»

«Mio Diono... questo avrei potuto sopportarlo. A me non ha dato nemmenoun'occhiata. Fissava soltanto la

bambina.»

La signora Grose tentò di immaginare la scena. «La fissava?»

«Ahcon quegli occhi spaventosi!»

Mi fissò negli occhiquasi che i miei somigliassero davvero a quelli.

«Volete dire con antipatia?»

«Dio ci aiutino. Con qualcosa di molto peggio.»

«Peggio dell'antipatia?» Ciò la lasciava davvero perplessa.

«Con una determinazione... indescrivibile. Con un'intenzione quasifuribonda.»

La feci impallidire. «Intenzione?»

«Di impadronirsi di lei.» La signora Groseguardandomi appena negli occhirabbrividì e andò alla finestra; e

mentre stava lì a guardar fuoricompletai la mia osservazione. «Ecco checosa sa Flora.»

Poco doposi voltò. «Quella persona era vestita di neroavete detto?»

«Era in lutto... un lutto piuttosto poveroquasi logoro. Ma... sì... eradi una bellezza straordinaria.»

Comprendevo ora a che puntoa passo a passoavevo portato la vittima dellemie confidenzepoiché le mie ultime

parole la colpirono visibilmente. «Ohbella... molto bella davvero.»Insistei: «Meravigliosamente bella. Ma infame.»

Lentamente mi tornò vicina. «Miss Jessel... era infame.» Ancora unavoltami prese una mano tra le sue

tenendola stretta quasi per darmi forza contro la crescita di spavento chequella rivelazione poteva provocare. «Tutt'e

due erano infami» disse finalmente.

Cosìper un po'guardammo in faccia la verità ancora una volta; e fu perme un vero aiuto vedere come

stavano realmente le cose. «Apprezzo» dissi«l'estremo riserbo che vi haimpedito di parlare sino ad ora; ma è

certamente arrivato il momento di rivelarmi tutto.» Parve accondiscenderealle mie parolema tuttavia restava in

silenzio; sicché continuai: «Ora devo saperlo. Di che cosa è morta?Avantic'era qualcosa tra loro due.»

«C'era tutto.»

«A dispetto della differenza...?»

«Ohdella differenza di rangodi condizione.» Lo confessò gemendo. «Leiera una signora.»

Ci pensai soprae compresi di nuovo. «Si... era una signora.»

«E lui così terribilmente al di sotto» disse la signora Grose.18

Sentii che non era davvero opportuno insisterein simile compagniasulposto che un domestico occupa nella

scala sociale; ma nulla mi vietava di adottare lo stesso metro con cui la miacompagna misurava la degradazione di colei

che mi aveva preceduto. Il modo di trattare la cosa c'erae io lo usai; confacilità tanto maggiore quanto più netta mi

stava davanti agli occhi la visione (sin troppo chiara) del domestico«personale» del nostro datore di lavoro. Intelligente

e di bell'aspettoma anche impudentepieno di séviziosodepravato.«Quel tale era spregevole.»

La signora Grose riflettécome se la faccendaa questo puntorichiedessedelle sfumature. «Non ho mai visto

nessuno come lui. Faceva quel che voleva.»

«Di lei?»

«Di tutti loro.»

Oraera come se la signorina Jessel fosse riapparsa negli occhi della miaamica. A me almeno sembrò cheper

un attimola rievocassero così distintamente come quando l'avevo vedutavicino allo stagno; e dichiarai risolutamente:

«Anche leiperòlo doveva desiderare!»

Il volto della signora Grose dimostrò che era stato davvero cosìma ladonna aggiunse nello stesso momento:

«Poveretta... ha pagato per questo!»

«Allorasapete di che cosa è morta?» chiesi.

«Nonon so niente. Non volevo sapere; ero contentissima di non aver saputonulla; e ringraziai il cielo che

fosse ben lontana da qui!»

«Peròvi eravate fatta allora una vostra idea...»

«A proposito della vera ragione della sua partenza? Oh si... quanto aquello. Non avrebbe potuto restare. Ma

pensateun'istitutrice... proprio in questa casa! Più tardi immaginai... elo immagino ancora... quel che immagino è

spaventoso.»

«Non così spaventoso come quello che immagino io» replicai; e conciò le lasciai certo intravedere (me ne

rendevo conto anche troppo bene) l'ampiezza e l'amarezza della mia disfatta.Ciò non mancò di suscitareuna volta di

piùla sua compassionee quella nuova manifestazione di bontà vinse ognimia resistenza. Scoppiai in lacrimeproprio

come avevo fatto scoppiare in lacrime leila volta prima; mi strinse al suoseno maternoe i miei lamenti dilagarono.

«Non ce la faccio!» singhiozzai disperatamente. «Non li posso né salvarené proteggere! È assai peggio di quanto

immaginassi... sono perduti!»

VIII

Quanto avevo detto alla signora Grose era purtroppo molto vicino al vero:c'eranonella faccenda che le avevo

espostoabissi e possibilità che non avevo il coraggio di misurare;sicchédopo che ci fummo unite in un rinnovato

senso di stuporeconvenimmo entrambe ch'era nostro dovere resistere allefantasie più stravaganti. Se tutto il resto ci

sfuggivadovevamo tenere almeno la testa a posto... benché fosse assaidifficile di fronte a quello chenella nostra

prodigiosa vicendaera ormai impossibile mettere in dubbio. Nella tardaseratamentre tutta la casa dormivane

riparlammo in camera mia; e la signora Grose giunse al punto di convenire conme che era assolutamente certo che io

avevo veduto proprio quello che avevo veduto. Trovai cheper convincerlacompletamentenon avevo che da chiederle

come maise avevo «sognato» tutto quantomi era stato possibile farediognuna delle persone che mi erano apparse

un ritratto che ne rivelavasin nei minimi particolarii tratticaratteristici... un ritratto che l'aveva subito messa in grado

di riconoscerli e di nominarli. Ella desiderava naturalmente (ed eradifficile rimproverarla per questo) metter tutto a

tacere; ed io mi affrettai ad assicurarle che il mio stesso interessamentonella faccenda aveva ormai assunto la forma

della ricerca febbrile di una via di scampo. Convenni con lei che eraprobabile checol ripetersi delle apparizioni

(davamo per scontato che si sarebbero ripetute)mi sarei assuefatta alpericolo; dichiarando apertamente che il mio

rischio personale era diventato di colpo la più piccola delle miepreoccupazioni. Intollerabile era invece il mio più

recente sospetto: e tuttaviapersino a questa complicazione le ultime oredella giornata avevano recato qualche rimedio.

Lasciandola dopo il mio primo accesso di disperazioneero naturalmenteritornata dai miei allieviassociando

il miglior rimedio per il mio turbamento a quella sensazione di fascino cheessi suscitavano; sensazione chegià mi ero

resa contoera qualcosa su cui potevo contare con certezza e che non mi eramai venuta meno. In altre parolemi ero

immersa di nuovo nella particolare compagnia di Florae mi ero accorta(quasi con ebbrezza) che sapeva appoggiare la

sua consapevole manina proprio sul punto dolente. Mi aveva osservato consoave curiositàe poi mi aveva accusata

francamente d'aver «pianto». Credevo di aver cancellato i brutti segnidelle lacrime; ma nell'effusione di quella carità

infinita arrivai letteralmente a rallegrarmi (almeno per un attimo) che nonfossero del tutto scomparsi. Contemplare

l'azzurro profondo degli occhi della bambinae ritenere che quella dolcezzafosse il trucco di una precoce malizia

sarebbe stato rendermi colpevole di un cinismo a cuinaturalmentepreferivosacrificare il mio giudizio eper quanto

m'era possibilela mia inquietudine. Non potevo sacrificare il mio giudiziosoltanto perché lo volevoma potevo

ripetere alla signora Grose (come mi ripetevo più voltefacendo le orepiccole) che con la voce dei bimbi che

echeggiava nell'ariala pressione dei loro corpi sul pettoe il contattodei loro volti fragranti contro la guanciatutto

scomparivatranne la loro bellezza e la loro innocenza senza difese. Era unpeccato tuttaviae lo dico una volta per

tutteche dovessi ugualmente ricordare quei gesti scaltri che nelpomeriggiovicino al laghettoavevano reso

miracolosa la padronanza di me stessa. Era un peccato che fossi costretta adanalizzare nuovamente la certezza19

raggiunta in quel momentoe ripetere in che modo ero stata toccata dallarivelazione che l'inconcepibile comunione da

me sorpresa in quella circostanza era un fatto abituale per tutt'e due. Eraun peccato che dovessi di nuovo farfugliare le

ragioni per cui non avevo dubitato neppure per un attimoe con mia grandedelusioneche la bambina vedesse la nostra

visitatrice proprio come io in quel momento vedevo la signora Grosee che labimba desiderassepur avendo una

visione di quella fattafarmi credere che non vedeva nullaed allo stessotemposenza scoprirsicercare d'indovinare se

io avessi veduto qualcosa! Era un peccato che dovessi descrivere ancorauna volta le piccoleportentose astuzie con le

quali aveva cercato di distogliere la mia attenzione... il percettibilissimoaccrescersi della sua vivacitàil maggior

fervore del giocoil cantoil chiacchiericcio senza senso e l'invito aruzzare.

Tuttaviase io non mi fossi abbandonata a questo esamecon lo scopo diprovare che non c'era nullami sarei

anche lasciata sfuggire i due o tre deboli motivi di conforto che ancora mirestavano. Ad esempionon avrei potuto

ripetere solennemente alla mia amica che ero certa (ed era tanto diguadagnato) di non essermi tradita io. Non sarei stata

spinta dal bisogno di sapereda un soprassalto di disperazione (non soveramente come esprimermi) a invocare

nuovamente un chiarimento che non si poteva ottenere se non mettendo la miacompagna con le spalle al muro. Lei mi

aveva già detto moltoun po' alla voltae stimolata da me; ma un piccolotetro enigmadal lato in ombra delle cose

veniva di tanto in tanto a sfiorarmi la fronte come l'ala di un pipistrello;e ricordo come in quell'occasione (il sonno

della casail pericolo e la veglia comuni sembrarono venirmi in aiuto)sentii tutta l'importanza di dare al velario l'ultimo

strappo. «Non credo a nulla di così orribile» ricordo d'aver detto. «Nodiciamolo una buona voltamia caraio non lo

credo. Ma se lo credessisapetec'è una cosa che esigerei da voiall'istantee senza risparmiarvi nulla... ohproprio

nulla! A che cosa pensavate quandomentre eravamo turbate per la letteragiunta dal collegioprima che Miles

ritornassedicestecedendo alla mia insistenzache non pretendevate chenon fosse maialla letterastato "cattivo"?

Non è "mai"alla letterastato cattivo in queste settimaneche ho trascorso con lui e in cui l'ho osservato tanto da vicino;

è stato un imperturbabilepiccolo prodigio di bontà deliziosa ed amabile.Dunqueavreste potuto benissimo giurare su

di luise non aveste saputocom'era evidenteche c'era un'eccezione. Qualera la vostra eccezionee a quale circostanza

della vostra personale esperienza vi riferivate?»

Era una domanda assai grave e direttama non eravamo certo in vena dileggerezzeein ogni casoprima di

ricevere dall'alba grigia l'ammonimento di separarciavevo la risposta.Quello che la mia compagna aveva pensato

s'accordava alla perfezione con tutto il resto. Erané più né menoilfatto cheper un periodo di parecchi mesiQuint e

il bambino erano stati continuamente insieme. E in verità lei aveva osatocriticare la convenienza e sottolineare

l'incongruenza di una simile intimitàspingendosi sino al punto di parlarefrancamente dell'argomento con la signorina

Jessel. La signorina Jesselcon modi a dir poco singolari le aveva detto dibadare ai fatti suoie la buona donnaa

questo puntosi era rivolta direttamente al piccolo Miles. Dietro miainsistenzafini per confessarmi quel che gli aveva

detto: che a lei non andava che i giovani signori dimenticassero illoro rango.

Dopo di checom'è naturaleinsistetti per sapere il resto. «Gli avetericordato che Quint era soltanto un volgare

servo ?»

«Potete ben dirlo! Eper prima cosala sua risposta fu cattiva.»

«E poi?» Attesi. «Riferì a Quint le vostre parole?»

«Noquesto no. È proprio quello che non avrebbe mai fatto!»Cercava di farmi impressione. «Ero sicuraad

ogni modo» aggiunse«che non l'avesse fatto. Ma nego invece certecircostanze.»

«Quali circostanze?»

«Che se ne andavano in giro assieme come se Quint fosse il suo precettore(uno dei miglioriper giunta)e

come se la signorina Jessel fosse al servizio esclusivo della padroncina.Voglio dire quando Miles andava a spasso con

quell'individuoe trascorreva con lui ore intere.»

«Allora ha eluso l'argomento... ha detto di non averlo fatto?» Il suo cennod'assenso fu abbastanza chiaro da

farmi aggiungereun momento dopo: «Capis co. Ha mentito.»

«Oh!» mormorò la signora Grose. Quel mormorio suggeriva che la cosaimportava pocoe lo sottolineò con

un'altra osservazione. «Vedetedopo tutto alla signorina Jessel nonimportava. Non glielo proibiva.» Riflettei. «Vi disse

questo per giustificarsi?»

A questa domanda cedette ancora terreno. «Nonon me ne ha mai parlato.»

«Non vi ha mai parlato di lei e di Quint?»

Capìarrossendo visibilmentedove intendevo arrivare. «Be'non ha maidato a vedere nulla. Negava» ripeté

«negava».

Signorecome la incalzai allora! «Sicchécomprendevate che lui sapeva checosa c'era tra quei due

sciagurati?»

«Non lo so... non lo so!» gemette la povera donna.

«E invece lo sapetepoveretta» replicai. «Soltanto non avete la miaterribile capacità d'immaginazionee

nascondeteper timidezza e pudore e delicatezzapersino quell'impressioneche in passatoquando dovevate brancolare

in silenziosenza il mio aiutovi rendeva infelice più di tutto. Mafinirò con lo strapparvela! C'era qualcosa nel bambino

che vi suggeriva» continuai «che lui coprisse e dissimulasse la lororelazione.»

«Ohnon poteva impedire...»

«Che voi veniste a sapere la verità? Lo credo bene! Mamio Dio» proruppicon veemenzafremendo al solo

pensarci«come tutto questo dimostra che cosa erano riusciti a fare dilui!»

«Ahnulla che adesso non sia cambiato in meglio!» commentòlugubremente la signora Grose.20

«Non mi stupisco più dell'aria strana che avevate» insistetti«quandovi parlai della lettera giunta dal

collegio!»

«Mi chiedo se avevo l'aria strana quanto voi» replicò con familiareenergia. «E se allora era cattivo come

sembracome mai adesso è un angioletto?»

«È vero... se in collegio era un discolo! Come maicome mai? Bene» dissitorturandomi«dovete

domandarmelo ancorama non sarò in grado di darvi una risposta prima diqualche giorno. Peròdomandatemelo di

nuovo!» esclamaiin un tono tale che la mia amica mi guardò stupefatta.«Vi sono direzioni nelle quali sarà bene che

per ora io non mi avventuri.» E per il momento ritornai al suo primo esempio(quello a cui aveva alluso poco prima)

vale a dire la rassicurante capacità del bambino di commettere di quando inquando una marachella. «Se Quint (a

proposito della rimostranza che faceste all'epoca di cui parlate) non era cheun servo volgareimmagino che una delle

cose che Miles vi ha risposto è che l'eravate anche voi.» Anche allora ilsuo cenno d'assenso fu così eloquente che

continuai: «E voi glielo avete perdonato?»

«Voi non l'avreste fatto?»

«Ohsi!» e ci lasciammo andare ad una manifestazione di ilarità chesuonò stranain quella quiete. Poi

proseguii: «Ad ogni modomentre lui stava con l'uomo...»

«La signorina Flora era con la donna. Era una cosa che andava bene a tuttiloro!»

E andava bene anche a mesin troppo bene; voglio dire che si accordava allaperfezione con il sospetto mortale

che cercavo a tutti i costi di proibire a me stessa. Ma riuscii tanto bene aimpedirmi di formulare quel pensiero cheper

il momentonon darò altri chiarimenti al riguardose non quello che puòessere fornito dall'ultima frase che rivolsi alla

signora Grose. «Il fatto che abbia mentito e che sia stato impudente misembralo confessoun sintomo meno

incoraggiante di quello che avevo sperato di conoscere da voi a proposito delprorompere nel bimbo dell'umana natura.

Tuttavia» dissi pensierosa«ne terrò contoperché sento più che maiche devo vigilare.»

Un attimo dopoarrossivo nel vedere dall'epressione del viso della mia amicacome lei gli avesse perdonato più

completamente di quanto la mia tenerezza fosse spinta a fare dall'aneddotoche mi aveva raccontato. Questo fu chiaro

quandosulla porta dello studioprese congedo da me. «Certamente non lovorrete accusare...»

«Di coltivare una relazione che mi nasconde? Ahricordate chesino a provacontrarianon accuso nessuno.»

Poiprima di chiudere la porta dietro a lei che si disponeva ad andare incamera sua passando per un altro corridoio

dissi come conclusione: «Devo soltanto aspettare.»

IX

Aspettai e aspettaie il correr dei giorni si portava via un po' della miacosternazione. Infattiun piccolissimo

numero di quei giornitrascorsi a tener d'occhio i miei allievi senza cheaccadesse il minimo incidentebastò a passare

come un colpo di spugna sulle amare fantasticheriee persino sugli odiosiricordi. Ho già parlato della mia inclinazione

ad arrendermi alla loro straordinaria grazia infantile come di un sentimentoche pensavo di poter coltivare attivamentee

si può facilmente immaginare se trascurassi ora di attingere a questa fontetutto quanto poteva dare. Lo sforzo per

lottare contro la luce che si era fatta in merisultava certamente piùstrano di quanto io non possa dire; tuttavia la

tensione sarebbe stata anche più grande se non fosse stata premiata tantofrequentemente dal successo. Ero solita

chiedermi come mai i miei piccoli allievi non indovinassero che io pensavo diloro cose assai strane; e il fatto che

queste cose li rendevano anche più interessanti non m'era certo di aiuto pertenerli all'oscuro. Tremavoal pensiero che

si accorgessero di quanto più immensamente interessanti erano diventati.Ad ogni modoanche mettendo le cose sotto

la luce peggiorecome facevo spesso nelle mie meditazioniogni ombragettata sulla loro innocenza costituiva soltanto

(puri e predestinati com'erano) una ragione in più per affrontare i mieirischi. C'erano momenti in cuispinta da un

impulso irresistibileli afferravo e me li stringevo al cuore. E subito dopomi domandavo: «Che cosa ne penseranno? A

questo modo non mi tradisco?» Sarebbe stato facilenell'analizzare sino ache punto potevo tradirmicadere in una

ragnatela di pensieri tristi e folli; ma la vera ragione delle ore di paceche ancora riuscivo a godere stavalo sentonel

fatto che il fascino immediato dei miei compagni era un sortilegio ancoraefficaceanche se minacciato da un sospetto

di ipocrisia. Perchése non mi sfuggiva che le brevi esplosioni della miaardente tenerezza potevano suscitare i loro

sospettiricordo anche di essermi domandata se per caso non c'era qualcosadi singolare anche nell'evidente accrescersi

delle loro manifestazioni di affetto.

Durante quel periodo mi dimostrarono un attaccamento stravagante e anormale;me lo spiegavo dicendomi che

dopotuttonon era che la graziosa risposta di bambini continuamente riveritie accarezzati. L'omaggio di cui erano così

prodighi ebbe in realtà un eccellente effetto sui miei nervicome se non mifossi mai presa la brigaper così diredi

sorprenderli con le mani nel sacco. Penso che non avessero mai desideratocome ora di fare tante cose per la loro povera

protettrice; voglio dire (benché si applicassero sempre più e sempre meglioallo studiocosa che naturalmente mi

procurava un enorme piacere) distrarladivertirlaprepararle sorprese;leggerle qualcosaraccontarle storie

rappresentarle sciaradesaltarle addosso mascherati da animali o dapersonaggi storici; e soprattutto stupirla con

«pezzi» che avevano segretamente imparato a memoria e che potevano recitareall'infinito. Non riuscirei mai (nemmeno

se mi abbandonassi completamente all'onda dei ricordi) a descrivere sino infondo la stupendasegreta attenzione

(tenuta sotto una sorveglianza anche più segreta) che dedicavo in quel tempoalle loro giornate così piene. Mi avevano21

dimostrato sin dal principio una inclinazione per ogni cosauna disposizionea imparare tutto chedietro uno stimolo

nuovodava splendidi risultati. Adempivano ai loro piccoli compiti come sene ricavassero un vero piaceree

indulgevanoper il solo gusto di esercitare le loro dotia piccoli miracolimnemonici che non avevo loro imposto. Mi

spuntavano davanti non soltanto mascherati da tigri o da antichi romanimaanche da personaggi di Shakespeareda

astronomi e da navigatori. Il caso era talmente singolare che contribuìlargamente al fatto che anche oggi non riesco a

spiegare diversamente: alludo alla mia anormale tranquillità riguardo allascelta di una nuova scuola per Miles. Quel

che ricordo è che mi accontentavoper il momentodi non riaprire laquestionee che quella soddisfazione doveva esser

scaturita dall'impressione prodotta in me dalle sue continue sorprendentiprove d'intelligenza. Era troppo intelligente

perché potesse nuocergli una mediocre istitutricela figlia di un pastore;e il più stranose non il più brillante dei fili

della ragnatela mentale di cui ho parlato era la sensazione (avrei saputorendermene conto chiaramentese solo avessi

osato analizzarla) che egli fosse in preda ad un'influenza che agiva come unformidabile incitamento sulla sua giovane

vita intellettuale.

Se era facile ammetteretuttaviache un bambino come quello potesseritardare la propria entrata in una scuola

era altrettanto ovvio che il fatto che fosse stato «buttato fuori» da unmaestro di scuola costituiva un mistero

inesplicabile. Aggiungo chestando in loro compagnia (avevo cura in quelperiodo di non lasciarli quasi mai)non

riuscivo a seguire a lungo nessuna pista. Vivevamo in una nuvola di musicadi amoredi successi e di rappresentazioni

teatrali tutte per noi. Entrambi i bambini avevano spiccate inclinazionimusicali; ma soprattutto il maggiore era

meravigliosamente in grado di afferrare e di ripetere qualunque ritornello.Il pianoforte dello studio risuonava delle più

strane imp rovvisazioni; ein mancanza di musicatenevano conciliaboli inun angoloal termine dei quali uno dei due

al colmo dell'eccitazionesi preparava ad una nuova «entrata». Avevo avutoanch'io dei fratellie non era una novità per

me che le bambine potessero essere le schiave idolatre dei loro fratellini.Quello che era davvero sorprendente era che ci

fosse al mondo un bambino capace di dimostrare tanta considerazione perun'etàun sesso e un'intelligenza inferiori.

Erano straordinariamente unitie dire che non litigavano mai e non silamentavano l'uno dell'altra equivarrebbe a

rivolgere un complimento molto rozzo al carattere squisito della lorogentilezza. Talvoltain veritàquando cadevo in

un comportamento grossolanamente sospettososcoprivo le tracce di qualcheloro piccolo complotto per tenermi

occupata mentre uno di loro se la svignava. Suppongo che in ogni diplomaziavi sia un lato naïf; ma se i miei allievi si

prendevano gioco di melo facevano certamente con il minimo di volgarità.Fu altrove chedopo un periodo di

tranquillitàtrionfò la cattiveria.

Mi accorgo di tirar davvero troppo per le lunghe; è ora che mi decida algran passo. Nel proseguire il racconto

di ciò che vidi di orribile a Blyio non soltanto metto alla prova la piùgenerosa buona fede (e di ciò mi preoccupo

poco); ma (e questa è un'altra faccenda) rinnovo anche le mie sofferenzepercorro nuovamentesino alla finequella

strada dolorosa. Giunse improvvisamente un'ora dopo la qualese guardoindietromi pare che tutto sia stato pura

sofferenza; ma sono arrivata finalmente al duro nocciolo della questioneela via di scampo più sicura sta nell'andare

avanti. Una sera (senza che nulla me ne avvertisse o mi ci preparasse) sentiipassare su di me il soffio ghiacciato che mi

aveva accolto la notte del mio arrivoe che la prima volta (tanto piùleggerocome ho accennato) non avrebbe forse

lasciato in me nessun ricordo e il mio soggiorno successivo non fosse statotanto agitato. Non mi ero ancora coricata;

leggevosedutaalla luce di due candele. C'era a Bly una stanza piena divecchi libritra cui alcuni romanzi del secolo

scorso chesebbene godessero di cattiva famaerano penetrati (per lo piùsotto forma di un esemplare scompagnato) in

quella casa isolataeccitando la mia inconfessatagiovanile curiosità.Ricordo che avevo tra le mani l'Amelia di

Fielding; e anche che ero perfettamente sveglia. Ricordoinoltred'averavuto una vaga idea che fosse molto tardima

non volevo guardare l'orologio. Rivedo infine le bianche cortine cheavvolgevanosecondo la moda del tempola testata

del letto di Florae che proteggevanocome mi ero assicurata da un pezzola pace perfetta del suo sonno infantile.

Ricordoper farla brevechemalgrado fossi molto interessata alla mialetturavoltando una pagina smarrii

all'improvviso il filo della storiae alzai gli occhi dal libro per fissarela porta della camera. Rimasi un momento in

ascoltoricordando quella vaga sensazione che avevo avutola prima notteche qualcosa di indefinibile si aggirasse per

la casae notai che attraverso la finestra aperta una brezza leggera agitavala tendachiusa a metà. Alloracon tutti i

segni di una determinazione che sarebbe apparsa magnificase qualcuno fossestato presente per ammirarlaposai il

libromi alzai epresa una candelauscii senza esitare dalla camera. Dalcorridoiodove la mia candela rompeva appena

l'oscuritàsenza far rumore mi tirai dietro la porta e la chiusi a chiave.

Non posso dire adesso che cosa mi spingesse o mi guidassema andai dirittalungo la galleriatenendo alta la

candelafinché non fui in vista del finestrone che dominava l'ampio girodella scala. A quel puntomi resi conto di

colpo di tre cose. In pratica furono simultaneee tuttavia si susseguironoin tre lampi successivi. La mia candelain

seguito a un brusco movimentos'era spentae mi accorgevodalla finestrapriva di tendeche la primaincerta luce del

giorno la rendeva inutile. Pur senza la candelaun istante dopo sapevo chec'era qualcuno sulla scala. Parlo di cose in

successionema non ebbi bisogno di molti secondi per mettermi in condizioned'affrontare un terzo incontro con Quint.

L'apparizione aveva raggiunto il pianerottolo a metà scalaed era diconseguenza nel punto più vicino alla finestra dove

vedendomisi fermò di colpo e mi fissòesattamente come mi aveva fissatodalla torre e dal giardino. Mi riconobbe

come io l'avevo riconosciuto; e restammo cosìfaccia a facciaa fissarciintensamentenell'alba fredda e grigia

all'incerto chiarore che passava dal finestrone e si rifletteva nella lucidascala di quercia. In quel momento egli era

davveronel senso più assolutouna presenza vivadetestabilepericolosa.Ma non era questa la meraviglia delle

meraviglie; riservo questa definizione ad una circostanza del tutto diversa:la circostanza che la paurasenza ombra di

dubbiomi aveva abbandonatae che non v'era nulla in me che rifiutasse diincontrarlo e d'affrontarlo.22

Dopo quel momento straordinario provai angosce infinitemagrazie a Diomai più terrore. Ed egli sapeva che

non ne provavo... in capo ad un momento ne ero magnificamente certa. Sentiiin uno slancio di fiduciosa fierezzache

se avessi tenuto il campo ancora per un minutonon avrei avuto (almeno perqualche tempo) più a che fare con lui; e

durante quel minuto la cosa fu viva ed atroce come un incontro reale; atroceproprio perché era viva ed umanacome

avrebbe potuto esserlo incontrare all'albain una casa addormentataunnemicoun avventurieroun criminale. Era il

mortale silenzio del nostro lungo sguardoscambiato così da vicinoa darea quell'orroreper mostruoso che fosse

l'unica nota di soprannaturale. Se avessi incontrato un assassino in quelluogo e a quell'oraavremmo almeno parlato.

Qualcosa di animato sarebbe corso tra noi; se non fosse accaduto altrounodi noi si sarebbe mosso. Quel momento si

prolungò talmente che poco mancava cominciassi a dubitare d'esser viva iostessa. Non so esprimere ciò che accadde

poise non dicendo che il silenzio (era questain un certo sensouna provadella mia forza) divenne l'elemento in cui

vidi scomparire la forma di lui; la vidi voltarsicome avrei potuto vedergirare su se stessoin seguito a un ordineil

miserabile a cui essa aveva un tempo appartenuto; con gli occhi che tenevofissi su quella schiena ignobileche nessuna

gobba avrebbe potuto maggiormente sfigurarela vidi scendere in fretta igradinie sparire nella tenebra in cui si

smarriva l'altra rampa della scala.

X

Rimasi per qualche tempo in cima alla scalama a poco a poco si fece stradain me la certezza che il mio

visitatore se n'era andatoche non c'era più davvero: allora ritornai nellamia stanza. La prima cosa che colpì il mio

sguardoalla luce della candela che avevo lasciata accesafu il lettinovuoto di Flora; questo fatto mi mozzò di colpo il

fiatoe mi riempì di tutto il terrore checinque minuti primaeroriuscita a vincere. Mi slanciai dove l'avevo lasciata: il

piccolo copriletto di seta e le lenzuola erano in disordinema le cortinebianche erano state tirate con curaallo scopo

d'ingannarmi; poi al rumore dei miei passicon mio indicibile sollievorispose un altro suono: mi accorsi che la tenda

della finestra si muovevae la bambinachinandosiemerse tutta lietadall'altro lato. Se ne stava lì avvolta nel suo

grande candore e nella sua piccola camicia da nottecoi suoi piedini rosanudi e i riccioli d'oro luminosi. Aveva un'aria

molto gravee maiprima d'alloraavevo avuto l'impressione di perdere unvantaggio da poco acquistato (quel

vantaggio che mi aveva appena dato un brivido così prodigioso)come quandomi resi conto che mi stava rivolgendo un

rimprovero. «Cattivadove siete stata?» Invece di rimproverarla amia volta per la sua indisciplinami sentii obbligata a

darle delle spiegazioni. Ma si spiegò anche leicon la più amabile epremurosa semplicità. Si era accorta

improvvisamente che non ero più nella stanzaed era saltata da letto pervedere che cosa mi fosse capitato. Per la gioia

di rivederlaero caduta a sederesentendomima soltanto alloravenirmeno; e Flora mi era corsa accantoe si era

arrampicata sulle mie ginocchiaponendo nella piena luce della candela ilsuo meraviglioso visinoancora arrossato dal

sonno. Ricordo di aver chiuso gli occhi per un momento coscientemente arresaall'eccessiva bellezza che splendeva

nelle sue pupille azzurre. «Cercavi di vedermi dalla finestra?» chiesi.«Pensavi che stessi passeggiando nel parco?»

«Be'sapeteio pensavo che ci fosse qualcuno...» Me lo disse sorridendosenza esitare.

Ohcome la guardai allora! «E hai visto qualcuno?»

«Ahno!» replicò quasi delusacon infantile incongruenzabenchéprolungasse quel «no» con infinita

dolcezza.

In quel momentonello stato di agitazione in cui mi trovavocredettifermamente che mentisse; e se chiusi gli

occhi ancora una volta fu soltanto perché ero turbata dall'idea di doverscegliere uno dei tre o quattro modi che avevo

per reagire. Uno di questi mi tentòper un momentocon una forza cosìsingolare cheper resistervidovetti stringere la

piccina in un abbraccio spasmodicoma che lei sopportò (con mia grandemeraviglia) senza un grido e senza dar segno

di paura. Perché non giungere con lei ad una spiegazione lìsul momentoefarla finita? Perché non buttarle tutto in

pieno visoin quel delizioso visino illuminato? «Tu lo veditu lo veditusai di vedere e già sospetti che io lo creda; e

dunqueperché non confessarmelo francamentein modo che si possa almenodividere il peso della veritàe forse

impararenella stranezza del nostro destino comunedove siamoe che cosatutto questo significa?» Questo impulso

ahimèse ne andò così com'era venuto: se mi ci fossi subito abbandonatami sarei almeno risparmiata... vedrete in

seguito che cosa. Invecebalzai di nuovo in piediguardai il suo letto e mirisolsi a un pietoso compromesso.

«Perché hai tirato le cortine per farmi credere che eri ancora al tuoposto?»

Flora rifletté candidamente; poicon il suo celeste sorriso: «Perché nonmi piace farvi paura!»

«Ma se pensavi che ero uscita...»

Non si scompose affatto; volse lo sguardo alla fiamma della candelacome sela domanda fosse irrilevanteo

comunque impersonale come «Fra' Martino campanaro» o«Quanto-fa-nove-per-nove». «Ohma sapete benissimo»

rispose con ineccepibile buon senso«che potevate tornarecarae che sieteritornata!» E poco dopoquando si fu

coricata di nuovodovetti restare a lungo china su di leitenendole lamanoper dimostrarle che riconoscevo

l'opportunità del mio ritorno.

Potete immaginare che cosa fossero le mie nottia partire da quella. Piùvolte mi capitava di restare in piedi

sino a non so quale ora; coglievo il momento in cui la mia compagna di stanzasicuramente dormiva per scivolare fuori

e andare pian piano su e giù per il corridoioe mi spingevo persino alpunto dove avevo incontrato Quint l'ultima volta.

Ma non lo incontrai più in quel luogo; e posso anche dire subito che non lorividi mai più nella casa. Perdetti invece23

l'occasione di avere un'altra avventura sulla scala. Una voltamentredall'alto guardavo giùravvisai la presenza di una

donnaseduta su uno degli ultimi gradini con le spalle rivolte verso di mepiegata in due e con la testa tra le maniin

atteggiamento di dolore. Ero là da un momento appenaquando svanìsenzaguardarmi. Nondimenosapevo

esattamente quale spaventoso volto poteva mostrare; e mi chiesi setrovandomi al pianterreno invece che in cima alla

scalaavrei avuto nell'andar su lo stesso coraggio che avevo avutoultimamente con Quint. Tuttavia le occasioni di aver

coraggio non mi mancarono davvero. L'undicesima notte dopo il mio ultimoincontro con quel signore (ormai le

contavo una per una) ebbi un allarme che rischiò di superare le mie forze echeper il suo carattere particolarmente

inaspettatocostituì il più grave turbamento che avessi mai provato. Eraprecisamente la prima notte di quel periodo in

cuistanca per le continue veglieavevo creduto di potermi coricare all'orache prima mi era abituale senza dar prova di

negligenza. Mi addormentai immediatamente e il mio sonno duròcome seppidoposino all'una circa; ma quando mi

svegliaisedetti di colpo sul lettocompletamente svegliacome se una manomi avesse scosso. Avevo lasciato una

candela accesama ora era spentaed ebbi immediatamente la certezza chel'avesse spenta Flora. Saltai subito dal letto

enel buioandai diritta al suo: era vuoto. Uno sguardo alla finestra miilluminò ulteriormentee la luce di un

fiammifero completò il quadro.

La bambina si era alzata di nuovo (questa volta spegnendo la candela) eancora una voltaallo scopo di

guardare o di rispondere a qualcunos'era rannicchiata dietro la tenda espiava nella notte. Che ora vedesse qualcosa (il

checome m'ero assicuratanon era accaduto la volta precedente) mi fuprovato dal fatto che non fu distratta né dalla

luce che avevo accesané dai movimenti precipitosi con cui mi ero infilatale pantofole ed una vestaglia. Nascosta

protettaassortasi appoggiava evidentemente al davanzale (la finestra siapriva verso l'esterno) e si abbandonava

completamente all'osservazione. Una gran luna pacificache le era d'aiutomi aveva dato una ragione di più per

affrettarmi. Era faccia a faccia con l'apparizione che avevamo incontratovicino al laghettoe poteva comunicare con

quella come non aveva potuto fare prima. Quel che dovevo fare era raggiungereattraverso il corridoiosenza

disturbarlaun'altra finestra dello stesso lato della casa. Andai alla portasenza essere udita; la varcaila chiusie

dall'esterno accostai l'orecchioper sentire se mai facesse qualche rumore.Mentre ero nel corridoiomi caddero gli

occhi sulla porta del fratellosoltanto pochi passi più in làe cheindicibilmentedestava di nuovo in me quello strano

impulso che ho già chiamato la mia tentazione. E se fossi entrata drittanella stanzaper andare alla sua finestra?... e se

arrischiandomi a svelare il motivo del mio gesto al suo stupore infantileavessi preso il resto del mistero al laccio della

mia audacia?

Questo pensiero mi affascinava talmente che avanzai sino alla sogliaprimadi arrestarmi. Con l'orecchio teso

sino allo spasimoimmaginavo che tutto fosse possibile; mi chiedevo se ancheil suo letto fosse vuotoe anche lui

segretamente di vedetta. Passò un minuto interminabilesenza suonispiratoil quale il mio impulso cedette. Egli era

tranquillo; poteva essere innocente; il rischio era orribile; tornai sui mieipassi. C'era sìuna figura nel parco... una

figura che vagava per strappare uno sguardoil visitatore con cui Flora eraimpegnata; ma quel visitatore non aveva

nulla a che fare con il mio bambino. Esitai ancorama per altre ragionieper qualche secondo soltanto; poiavevo fatto

la mia scelta. A Bly c'era abbondanza di camere vuotee fu solo questione discegliere la più adatta. Questami fu

chiaro all'improvvisoera la camera del piano di sotto (ma ancora piùelevata del giardino)situata in quell'angolo

massiccio della casa che ho chiamato la Torre vecchia. Era una stanza ampiaquadrataarredata con qualche

pretensione da camera da lettoma tanto scomoda per le sue stravagantidimensioni che non era occupata da anni

sebbene la signora Grose la tenesse perfettamente in ordine. L'avevo spessoammiratae sapevo come muovermici;

dovevo soltantouna volta superata la stretta al cuore provocata daquell'abbandonoattraversarla ed aprireil più

silenziosamente possibileuna delle imposte. Fatto questoscoprii il vetrosenza far rumore eappoggiandovi il viso

potei constatare (dato che l'oscurità esterna era molto meno profonda) cheguardavo nella direzione voluta. Quindividi

qualcosa di più. La luna rendeva la notte straordinariamente chiarae milasciò vederesul pratouna persona

rimpicciolita dalla distanzache se ne stava lì immobile e come incantatagli occhi fissi nella mia direzione... a guardare

non tanto mequanto qualcosa che si trovava apparentemente sopra di me. Erachiaro che c'era un'altra persona sopra di

me... c'era una persona sulla torre; ma la presenza sul prato non era affattoquella che avevo sospettatoe incontro alla

quale mi ero precipitata con tanta sicurezza. La persona sul prato (mi sentiimale mentre lo constatavo) era il povero

piccolo Miles.

XI

Solamente sul tardi del giorno dopo parlai con la signora Groseperché lacura che mettevo nel non perder di

vista i miei allievi mi rendeva spesso difficile incontrarla a tu per tu; emolto più perché sentivamo entrambe

l'importanza di non provocare (sia nella servitù che nei bamb ini) ilsospetto di una segreta agitazione o di discussioni

misteriose. A questo propositoricavavo una grande sicurezza dal suo aspettosereno. Il viso fresco di lei nulla rivelava

agli altri delle mie orribili confidenze. Mi credeva sino in fondone erocerta: se non l'avesse fattonon so che cosa

sarebbe stato di meperché non avrei certo potuto sostenere da sola quellaprova. Ma ella costituiva un magnifico

omaggio a quella cosa benedetta che è la mancanza di immaginazionee datoche vedeva nei nostri piccoli allievi

soltanto bellezza e amabilitàfelicità e intelligenzanon poteva esserein comunicazione diretta con la fonte dei miei

timori. Se in essi fosse comparso il minimo segno di scoramento o ditristezzail suo smarrimentorisalendo alle cause24

avrebbe certamente eguagliato il loro; manello stato presente delle cosesentivomentre li sorvegliava con le grosse

braccia bianche incrociate e la serenità dipinta sul voltoche ringraziavail Signore perchéanche se rovinati in partei

suoi bambini erano ancora buonissimi. Le vampate della fantasia cedevano ilpostonella sua mentea una sorta di

fuoco calmoda caminettoed io avevo già cominciato a capire chementreil tempo passava senza altri incidentisi

faceva strada in lei la convinzione che i nostri piccini avrebbero potutodopo tuttobadare a se stessie che dunque la

sua maggiore sollecitudine doveva andare al triste caso rappresentato dallaloro istitutrice. Questoper quanto mi

riguardavaera una reale semplificazione: potevo impegnarmi a fare in modoche il mio volto non rivelasse nulla agli

altrima sarebbe stata un'enorme preoccupazione in più se avessi dovutocontrollare anche il suo.

Nell'ora di cui stavo parlandomi aveva raggiuntacedendo alle mieinsistenzesulla terrazzadovecol

declinare della stagioneil sole pomeridiano era ormai piacevole; e sedemmoinsiemementredavanti a noi (a qualche

distanzama a portata di voce)i bambini andavano tranquillamente su egiù. Camminavano adagioaffiancatisul prato

sotto di noi; il bambino leggeva ad alta voce un libro di fiabe e passava unbraccio sulle spalle della sorellinaquasi per

assicurarsi della sua presenza. La signora Grose li osservava con serenaplacidità; poi colsi in leibenché nascostolo

sforzo mentale di penetrare nel mio animo per scoprirvi il rovescio dellamedaglia. Avevo fatto di lei un ricettacolo di

cose orrende; ma nella pazienza che mostrava per la mia penasi rivelava uncurioso riconoscimento alla superiorità

delle mie doti e della mia condizione. Offriva il suo animo alle mieconfidenze nello stesso modo chese avessi voluto

preparare un filtro da streghe e darglielo da beremi avrebbe teso una bellacasseruola luccicante. Tale era in tutto e per

tutto il suo atteggiamento quandonel mio resoconto degli avvenimenti dellanottegiunsi alla risposta datami da Miles

allorchéavendolo visto in un'ora così eccezionalequasi nello stessopunto dove si trovava in quel momentoero scesa

a prenderlo; stando alla finestram'ero in fatti decisa a quella soluzionetemendo di allarmare la casa con un richiamo

rumoroso. Le avevo già lasciato capire la poca speranza che avevoadispetto della sua intensa partecipazionedi

trasmetterle l'emozione che mi aveva dato la magnifica trovata con cui quandofummo rientratiil bambino aveva

risposto alla mia sfidafinalmente espressa in modo chiaro. Non appena erocomparsa al chiaro di luna sulla terrazza

mi era venuto incontro senza esitare; allorasenza una parolalo avevopreso per mano e lo avevo guidatoal buiosu

per quella scala dove Quint aveva vagatobramoso di luie lungo ilcorridoio in cui avevo ascoltato e trematosino alla

sua camera deserta.

Non una parolacammin facendoera stata scambiata tra di noied io michiedevo - ohcome me lo chiedevo! -

se stesse frugando nella sua piccola mente per trovare una spiegazioneplausibile e non troppo grottesca. Avrebbe

certamente dovuto lambiccarsi il cervelloed io stavolta provaial pensierodel suo possibile imbarazzoun curioso

senso di trionfo. Che trappola ingegnosa per l'imperscrutabile! Non avrebbepiù potuto esibire il suo finto candore;

alloracome diavolo se la sarebbe cavata? In veritàcol palpitoemozionante di questa domandapulsava in me anche il

silenzioso interrogativo di sapere come diavolo avrei fatto io. Mi trovavoinsomma costretta ad affrontarecome non

maitutto il rischio connessopersino oraal risuonare della miaspaventosa nota. Ricordoinfatticheentrati nella sua

camerettadove il letto era ancora intattoe la finestra spalancata airaggi della luna diffondeva una luce così chiara che

non c'era bisogno di accendere nemmeno un fiammifero... ricordodicevochedi colpo mi sentii venir menoe mi

lasciai cadere sulla sponda del letto vinta dall'idea che egli doveva sapereormaifino a che puntocome si suol diremi

«aveva in pugno». Armato della sua intelligenzapoteva fare ciò che glipiacevasinché avessi continuato ad alimentare

quella vecchia tradizione che vuole i maestri colpevoli di instillare neigiovani superstizioni e paure. Mi aveva davvero

in pugnoe in un pugno di ferro; perchéchi mi avrebbe mai assoltachi miavrebbe salvato dalla forcasecol più lieve

tremito di una propostafossi stata io la prima ad introdurre nel nostroperfetto rapporto un elemento così ripugnante?

Nonoera inutile cercare di farlo capire alla signora Grose (ed è quasialtrettanto inutile cercare di spiegarlo qui) fino a

che puntodurante il nostro duello rapido e aspronel buioegli provocassela mia ammirazione. Fuinaturalmente

piena di dolcezza e di pietà; maimai prima avevo posato le mani sulle suepiccole spalle con la tenerezza che sentivo

alloramentreappoggiata al lettolo avevo a tiro. Non avevo altraalternativa che rivolgergli la domandauna specie di

domandaalmeno.

«Adesso devi parlare... e dirmi tutta la verità. Perché sei uscito? Checosa facevi là fuori?»

Vedo ancora il suo meraviglioso sorrisoil bianco dei suoi occhi bellissimilo splendore dei dentini che

scintillavano nella penombra. «Se vi dico il perchémi capirete?» Aqueste parolemi sentii il cuore in gola. Stava

davvero per dirmi il perché? Mi mancò la voce per incoraggiarloe miaccorsi che rispondevo soltanto con una smorfia

vaga e forzata di assenso. Egli era la gentilezza fatta personaementre iocontinuavo ad assentiresembravapiù che

maiun principino di fiaba. Fu proprio la sua allegria a concedermi unatregua. Ma sarebbe stata così grande se fosse

stato realmente sul punto di dirmi tutta la verità? «Be'» disse infine«precisamente perché faceste quel che avete fatto.»

«Fatto cosa?»

«Perchétanto per cambiarepensaste che sono cattivo!» Nondimenticherò mai la dolcezza e il brio con cui

pronunciò quell'aggettivoné comeper concluderesi chinò in avanti emi baciò. Quella fupraticamentela fine di

tutto. Gli restituii il bacio ementre lo stringevo per un attimo tra lebracciadovetti fare uno sforzo supremo per non

piangere. Mi aveva reso conto della sua condotta esattamente nel modo che nonmi permetteva di chiedere di piùe fu

soltanto per confermare che accettavo la sua risposta se gli domandaidopoaver gettata un'occhiata nella camera:

«Allora non ti sei spogliato per niente?»

Sembròletteralmentesplendere nell'ombra. «Per niente. Sono rimasto inpiedi a leggere.»

«E quando sei sceso?»

«A mezzanotte. Quando sono cattivosono cattivo!»25

«Vedovedo... davvero una bella cosa. Ma come potevi essere sicuro che iolo avrei saputo?»

«Ohmi ero messo d'accordo con Flora.» Come erano pronte le sue risposte!«Lei doveva alzarsi e guardare

fuori.»

«Ed è proprio quello che ha fatto.» Ero io a cadere nel tranello!

«Così vi ha disturbata eper vedere quello che stava guardandoanche voiavete guardato... avete visto.»

«Mentre tu» completai«rischiavi di prendere un accidente stando fuoridi notte!»

Era così felice per la sua prodezzache si permise di assentiretuttoraggiante. «Come avrei potutoaltrimenti

essere abbastanza cattivo?» chiese. Edopo un altro abbracciol'incidentee il colloquio furono chiusicon un formale

riconoscimentoda parte miadi tutte le riserve di bontà che aveva dovutoimpiegare per permettersi un simile scherzo.

XII

La particolare impressione che avevo ricevutoripetomi parve difficile dapresentare alla signora Grose alla

luce del giornobenché la rafforzassi riferendo un'altra osservazione cheMiles aveva fatto prima che ci separassimo.

«Tutto sta in una mezza dozzina di parole» le dissi«parole che mettonodavvero a punto la questione. "Pensate un po'

a quello che potrei fare!" mi ha detto per provarmi quanto siabuono. Sa benissimo che cosa "potrebbe" fare. Ne ha dato

un saggio a quelli del collegio.»

«Signorecome siete cambiata!» esclamò la mia amica.

«Io non cambio... spiego le cose come stannosemplicemente. Potete starsicura che quei quattro si incontrano

di continuo. Se in una di queste ultime notti foste stata con l'uno o conl'altra dei due bambinilo avreste capito

chiaramente. Più ho osservato e più ho attesopiù mi sono resa conto chein mancanza d'altre provesarebbe sufficiente

il sistematico silenzio di ciascuno di loro. Mainemmeno a fior dilabbrohanno formulato un'allusione ai loro antichi

amiciné Miles ha mai accennato alla sua espulsione dal collegio. Ohsìpossiamo star qui sedute a guardarlie loro

possono darcela a bere sin che vogliono; ma persino quando fingono d'esserperduti nelle loro fiabesono sprofondati

nella visione dei morti che ritornano. Lui non sta affatto leggendo»dichiarai«stanno parlando di loro... stanno

parlando di orribili cose! Lo somi sto comportando come una pazzaed è unmiracolo che non lo sia davvero. Quello

che ho visto iovi avrebbe fatta impazzire; ma ha reso me soltanto piùlucidami ha fatto comprendere molte altre

cose.»

La mia lucidità doveva sembrare terribilema le amabili creature che neerano vittimepassando e ripassando

davanti a noi unite dalla loro dolcezzadavano alla mia collega qualcosa acui aggrapparsi; ed io sentivo sino a che

punto vi si tenesse stretta mentresenza scomporsi al soffio della miapassionecontinuava a mangiarli con gli occhi.

«Quali altre cose avete compreso?»

«Ma cometutte quelle che mi hanno incantataaffascinataeppureinfondome ne rendo conto in un modo

così stranoingannata e turbata. La loro bellezza più che terrenala lorobontà assolutamente innaturaletutto ciò non è

che un gioco» continuai«un'ostentazioneun inganno!»

«Da parte di quei piccoli cari...?»

«Che sono ancora due amabili bambocci? Sìper quanto folle possa parere!»Il solo fatto di formulare quel

giudizio mi aiutò realmente a delinearloa risalire alla sua fonte e acostruirlo interamente. «Non sono stati buonisono

stati soltanto assenti. È stato facile vivere con loro semplicemente perchévivono una vita tutta loro. Non sono miei...

non sono vostri. Sono di luisono di lei!»

«Di Quint e della donna?»

«Di Quint e della donna. Vogliono arrivare a loro.»

Ohcomea questo puntola signora Grose parve studiarli con cura! «Maperché?»

«Per amore di tutto il male chein quei giorni terribilila coppia hainculcato in loro. E nutrirli ancora di quel

malecontinuare l'opera infernaleè lo scopo del loro ritorno.»

«Perdinci!» disse la mia amica senza fiato. L'esclamazione era popolaremadimostrava un'autentica

accettazione dell'ulteriore prova da me fornita di quello che doveva essereaccaduto in quei giorni amari: perché v'erano

stati certamente giorni peggiori dei presenti. Nulla avrebbe potutogiustificarmi più di quel semplice consensodettato

dalla sua esperienzariguardo all'abisso di depravazione che già sospettavoin quella coppia di malfattori. Fu di sicuro

perché vinta dal flusso dei ricordi se un momento dopo si lasciò sfuggire: «Eranodavvero delle canaglie! Ma che cosa

possono fare ora?» proseguì.

«Fare?» ripetei come un'ecocosì forte che Miles e Florapassando dalontanosi fermarono un momento a

guardarci. «Non fanno già abbastanza?» domandai in un tono più bassomentre i bambinidopo averci sorriso e fatto un

cenno col capo e scoccato un bacio sulla punta delle ditariprendevano laloro commedia. Per un momento questa attirò

la nostra attenzione; poi risposi: «Possono distruggerli!» A queste parolela mia compagna si voltòma la domanda che

mi rivolse era mutaed ebbe solo l'effetto di rendermi più esplicita. «Nonsanno ancora esattamente come fare... ma ci

stanno provando con tutte le loro forze. Si fanno vedere solo attraverso lecoseper così direo al di là di esse... in strani

luoghi e in punti elevatisulla cima delle torrisui tetti delle casefuori delle finestresulla sponda opposta degli stagni;

ma c'è un sottile propositoda entrambe le partidi accorciare le distanzee superare l'ostacolo; e il successo dei tentatori

è soltanto questione di tempo. Non hanno che da insistere nelle loropericolose tentazioni.»26

«Perché i bambini accorrano?»

«E periscano nel tentativo!» La signora Grose lentamente si alzòed ioaggiunsipresa da scrupolo: «A meno

chenaturalmentenoi riusciamo a impedirlo!»

Stando in piedi davanti a meche restavo sedutasi sforzava visibilmente divalutare la situazione. «Lo zio

deve impedirlo. Sta a lui portarli via.»

«E chi lo convincerà?»

Fino a quel momento aveva fissato lo sguardo lontanoma ora girò verso dime il suo volto stupito. «Voi

signorina.»

«Scrivendogli che la sua casa è intossicatae che i suoi nipotini sonopazzi?»

«Ma se lo sonosignorina?»

«E se lo sono anch'iovolete dire? Sono proprio delle belle notizie datrasmetterglida parte di una istitutrice il

cui compito principale stava nell'evitargli ogni seccatura.»

La signora Grose riflettéseguendo di nuovo i bambini con lo sguardo.«Sìlui odia veramente le seccature. È

stata la ragione principale...»

«Per la quale quei due mascalzoni hanno potuto ingannarlo così a lungo?Certamenteanche se gli ci deve esser

voluta una bella dose di indifferenza. Tuttaviapoiché io non sono unacanaglianon lo ingannerò.»

Per tutta rispostala mia compagna dopo un momento sedette di nuovo e mistrinse il braccio. «Ad ogni modo

fatelo venire qui da voi.»

La guardai stupita. «Qui da me?» Ebbi improvvisamente paura diquello che avrebbe potuto fare. «Lui?»

«Dovrebbe essere qui... dovrebbe aiutarci.»

Balzai in piedie penso di averle mostrato un viso più alterato che mai.«Mi vedete chiedergli una visita?» No

fissandomi in voltonon poteva certamente vedermi fare una cosa simile. Sulmio viso poteva invece leggere (una

donna può sempre leggere in un'altra donna) quello che io stessa miimmaginavo: la derisioneil divertimentoil

disprezzo di lui per la mia mancanza di rassegnazione al fatto di esserlasciata solae per il bel meccanismo che avevo

messo in moto allo scopo di richiamare la sua attenzione sui miei fascinitrascurati. La signora Grose non sapeva

(nessuno lo sapeva) quanto ero stata fiera di servirlo e di rispettare ilnostro accordo; ma nondimeno compresecredo

nel suo giusto valore l'ammonimento che le rivolsi. «Se mai doveste perderela testa al punto di mandarlo a chiamare a

nome mio...»

Era veramente spaventata. «Sìsignorina?»

«Vi lascerei sui due piedilui e voi.»

XIII

Stare in loro compagnia era sempre una cosa lietama parlare con loro sirivelòal solitouna prova superiore

alle mie forze...: presentòall'atto praticodifficoltà insormontabilitanto quanto le precedenti. Questa situazione si

protrasse per un mesecon nuove aggravanti e segni particolariil piùtipico dei qualidi giorno in giorno più marcato

era un'aria di ironica consapevolezza da parte dei miei allievi. Non erafrutto soltantone sono certa oggi come allora

della mia infernale immaginazione: era assolutamente facile accorgersi cheerano al corrente del mio imbarazzoe che

quello strano tipo di rapporto trasformava in una certa manierae per untempo piuttosto lungol'atmosfera nella quale

vivevamo. Non voglio dire con questo che fossero insolenti o facesseroqualcosa di volgarepoiché non correvano

pericoli del genere: voglio direinveceche l'innominabile e intoccabileingigantiva tra di noipiù grande di tutto il

restoe che tanto sforzo per evitare di parlarne non avrebbe potuto aversuccesso senza un solidotacito compromesso.

Era come sedi quando in quandoci imbattessimo in argomenti davanti aiquali dovevamo arrestarcicome se di colpo

dovessimo uscire da vicoli che scoprivamo ciechio chiudessimo con un lievetonfo che attirava gli sguardi degli uni

sugli altri (ogni tonfo eracome tutti i tonfisempre un poco più forte diquanto avessimo desiderato) le porte che

indiscretamente avevamo aperte. Tutte le strade portano a Romae c'eranocerti momenti in cui avrebbe dovuto colpirci

l'idea che quasi ogni materia di studio o argomento di conversazionesfioravano un terreno proibito. Era un terreno

proibito la questione del ritorno dei morti in generale e di qualunque cosain particolarepotesse sopravviverenella

memoriadegli amici che i bambini avevano perduto. C'erano giorni in cuiavrei giurato che l'uno dicesse all'altracon

una specie di invisibile gomitata: «Stavolta crede di farcela... ma non ciriuscirà!» «Farcela» poteva essere per esempio

e una volta tantopermettersi una diretta allusione alla signora che liaveva preparati per esser affidati alle mie cure.

Essi avevano un desiderio insaziabile e delizioso per certi avvenimenti dellamia vitache avevo narrato loro tante e

tante volte; sapevano a menadito tutto ciò che mi era accadutoconoscevanosin nei minimi particolari la storia delle più

insignificanti avventure che erano capitate a meai miei fratellialle miesorelleal cane e al gatto di casacome anche

molte altre cose sul carattere eccentrico di mio padresui mobili e ladisposizione della nostra casae sulle chiacchiere

delle vecchie del mio villaggio. C'erano abbastanza cose di cui parlareunadopo l'altraa patto di saper tirar via e di

sapereistintivamentequando era il momento di sorvolare. Avevano un'artetutta loro per tirare i fili della mia fantasia

e della mia memoria; e niente altroforsequando ripensai in seguito a talicircostanzemi dava maggiormente il

sospetto d'esser sorvegliata di nascosto. In ogni casoeravamo a nostro agiosoltanto quando parlavamo della mia vita

del mio passato e dei miei amici; una condizione che lispingeva ogni tantosenza la minima necessitàa trasformarsi in27

piacevoli curiosoni. Ero invitata - senza alcuna relazione apparente - aripetere di nuovo la famosa arguzia di una certa

signorao a confermare particolari già ben noti sull'intelligenza delpuledro del presbiterio.

Era in parte in simili momentiin parte in altridel tutto diversiche lamia provacome l'ho chiamata

diventava più duradata la svolta che avevano preso gli avvenimenti. Ilfatto che i giorni passavano senza altri incontri

avrebbe dovutoparecalmare un po' i miei nervi sovreccitati. Dopo laleggera emozione di quella seconda notte sul

pianerottoloquando notai la presenza di una donna in fondo alle scalenonavevo più visto nullafuori o dentro la casa

che sarebbe stato meglio non vedere. Molte voltegirando un angolomi eroaspettata di imbattermi in Quinte più

d'una situazione m'era sembrata favorevoletanto era sinistraall'apparizione della signorina Jessel. L'estate era

declinatal'estate se n'era andata; l'autunno era piovuto su Blyportandocivia metà della nostra bella luce. Il luogocon

il suo cielo grigio e ghirlande di fiori appassitii suoi spazi spogli efoglie morte sparseera come un teatro dopo lo

spettacolo... con i programmi cincischiati sparsi al suolo. Lo stato deltempole sfumature dei rumori e del silenzio

l'indicibile sensazione d'esser giunta al momento giustomiriportavano alla memoriaabbastanza a lungo perché potessi

afferrarlal'atmosfera di quella sera di giugno trascorsa all'apertoquandovidi Quint per la prima voltao quando

quell'altra voltadopo averlo visto attraverso il vetro della finestralocercai invano nei boschetti circostanti.

Riconoscevo i segnii portentosi presagi... riconoscevo il momentoilluogo. Ma tutto restava incompiuto e vuotoe io

continuavo a non esser molestata; se si può dire così di una giovane donnala cui sensibilitànel modo più straordinario

non era stata smussatama anzi resa più acuta. Avevo dettodurante la miaconversazione con la signora Grose a

proposito dell'orribile scena di Flora vicino al laghetto (e forse avevostupito la buona donna dicendole così) che ora mi

sarebbe dispiaciuto assai di più perdere il mio potere che non diconservarlo. Avevo anche espresso l'idea fissa che mi

ero messa in testa: vedessero o no i bambini i due spettri (perché non eraancora definitivamente provato che li

vedessero) preferivo infinitamenteper salvaguardarlicorrere tutto ilrischio da sola. Ero pronta a conoscere il peggio.

Quello che avevo previsto di più spiacevole era che i miei occhi fosserochiusi mentre i loro erano spalancati. Orbene

adesso i miei occhia quanto parevaerano davvero chiusi...conclusione per la quale sembrava da bestemmiatori non

ringraziare Dio. C'eraahimèuna difficoltà anche in questo: lo avreiringraziato con tutta l'animase non avessi avuto

in misura proporzionale la convinzione che i miei allievi nascondevano unsegreto.

Come descrivereoggile strane tappe della mia ossessione? Certe voltequando eravamo assiemeavrei

potuto giurare chein mia presenzama senza che ne avessi la direttasensazionericevevanoletteralmentela visita di

persone note e gradite. In quei momentise non fossi stata trattenuta dalpensiero che il rimedio potesse essere peggiore

del malela mia esaltazione sarebbe liberamente esplosa. «Loro due sonoquisono quipiccoli disgraziati» avrei

urlato«e ora non potete negarlo!» I piccoli disgraziati negavano contutta la forza della loro amabilità e della loro

tenerezzanelle cui profondità cristalline - come il guizzo di un pescenella corrente - scintillava ironicamente il

vantaggio che avevano su di me. In veritàil mio turbamento era stato piùprofondo di quanto credessila notte in cui

mentre sotto le stelle andavo alla ricerca di Quint o della signorina Jesselavevo scoperto il bambino sul cui riposo

intendevo vegliaree che nel rientrare aveva conservato - trasferendolosindal primo momentosu di me - il dolce

sguardo con cui si era compiaciuta di giocaredall'alto dei merlilaripugnante apparizione di Quint. Se si trattava di

provar spaventocertamente la mia scoperta in quella circostanza mi avevaspaventata più di qualunque altrae proprio

dallo stato successivo dei miei nervi ricavavo le conclusioni cui ero giunta.Ne ero tormentata a tal punto che qualche

voltanei momenti più impensatimi chiudevo in camera per ricordarmi adalta voce (procurandomi al tempo stesso un

fantastico sollievo e una rinnovata disperazione) la strada che mi avrebbepermesso di giungere al traguardo.

L'avvicinavo ora da un lato ora dall'altromentre mi aggiravo inquieta nellastanzama al momento di pronunciare i

nomi propriil coraggio mi abbandonava sempre. Mentre le parole mi morivanosulle labbrami dicevo che forse

pronunciandoliavrei facilitato i miei allievi a rappresentarsi qualcosad'infamee avrei violato il più raro caso di

delicatezza istintiva che mai aula scolasticaprobabilmenteavesseconosciuto. Quando mi dicevo: «Loro hanno

abbastanza tatto per taceree tucon tutta la fiducia che ti dimostranoavresti la bassezza morale di parlare!»mi

sentivo avvamparee mi coprivo il viso con le mani. Dopo queste scenesegretecicalavo più che maivolubilissima

sino al momento in cui sopraggiungeva uno dei nostri prodigiositangibilisilenzi (non posso chiamarli altrimenti)la

stranavertiginosa sensazione di essere sollevati o di nuotare (fatico atrovar le parole!) in una sorta di sospensione

animatadi un arrestarsi del corso della vitache non avevano alcunrapporto con il chiasso più o meno grande che

facevamo in quel momentoe che potevo sentire attraverso non importa qualescoppio di allegriaquale affrettata

recitazione o quale più rumoroso accordo di pianoforte. Era in quel momentoche gli altrigli intrusierano là. Sebbene

non fossero angeli«passavano»come dicono i francesie mi facevanofremere di pauraper tutto il tempo che

restavanoal pensiero che stessero indirizzando alle loro piccole vittimequalche messaggio ancora più infernale o

qualche visione più vivida di quelle che avevano ritenute sufficienti perme.

Quel che mi riusciva più difficile da allontanare era l'idea crudele chequalunque cosa io avessi vistoMiles e

Flora vedevano di più... cose terribili e impossibili da immaginareche balzavano fuori dagli orribili momenti della loro

vita in comune d'un tempo. Simili cosenaturalmentelasciavano allasuperficie dei nostri rapportiper qualche tempo

un gelo che ci rifiutavamo di riconoscere a parole; e tutti e trecon ilmoltiplicarsi di quelle situazioniavevamo

acquisito una così bella pratica che ogni voltaquasi automaticamenteeseguivamo gli stessi movimenti per segnare la

fine dell'incidente. Era sorprendente che i bambiniin ogni casovenisseroa baciarmi regolarmentecon una sorta di

selvaggio trasportoe senza trascurare mail'uno o l'altradi rivolgermila preziosa domanda che ci aveva permesso di

superare più d'un pericolo. «Quando pensate che verrà? Non credeteche dovremmo scrivergli?»... non v'era nientelo

sapevamo per esperienzache al pari di questo potesse dissipare ogniimbarazzo. «Lui»naturalmenteera il loro zio di28

Harley Streete noi vivevamo ripetendoci che egli potesse arrivare inqualsiasi momentoed unirsi alla nostra piccola

cerchia. Sarebbe stato impossibile incoraggiare un'idea meno di quantol'aveva incoraggiata luima se non avessimo

avuto il conforto di quell'idea ci saremmo privatigli uni e gli altridiuna delle nostre più geniali finzioni. Egli non

scriveva mai ai nipoti... poteva essere semplice egoismoma facevacertamente parte del suo modo di lusingarmi

mostrandomi piena fiducia; poiché l'omaggio che un uomo rende a una donnaconsiste esclusivamente nel lasciarla

gioire di una delle leggi più segrete della sua tranquillità; ed ioquandolasciavo intendere ai miei allievi che le loro

letterine non erano altro che degli eleganti esercizi letterariero persuasadi attenermi allo spirito della promessa data di

non infastidirlo mai. Erano lettere troppo belle per esser spedite per posta;le tenevo per mee le conservo tuttora.

Questa regola non serviva che a rendere più ironica l'insistenza dellasupposizione che egli potesseda un momento

all'altroessere tra noi. Era come se i due bambini si rendessero pienamenteconto dell'imbarazzo che una simile visita

più di ogni altra cosami avrebbe procurato. Inoltreosservando gliavvenimenti a ritrosoniente mi pare oggi più

straordinario del fatto chea dispetto della mia tensione nervosa e del lorocontemporaneo trionfonon persi mai la

pazienza con loro. Come dovevano essere adorabilipensose in quei giorninon arrivai mai al punto di odiarli!

Tuttaviase un qualche sollievo fosse stato rimandato più a lungola miaesasperazionealla fine non mi avrebbe

tradito? Quel che ho detto importa pocoperché il sollievo arrivò. Lochiamo sollievobenché non fosse che un sollievo

del genere di quello che un taglio può dare ad una corda troppo tesa o loscoppio d'un temporale ad una giornata afosa.

Era un cambiamentoalmenoe venne all'improvviso.

XIV

Andando in chiesauna domenica mattinaavevo il piccolo Miles al miofianco; davanti a noibene in vista

camminava la sorellinaal fianco della signora Grose. Era una giornatachiaraun po' freddala prima del genere da

qualche tempo; la notte aveva disteso un velo di brina e l'aria d'autunnofrizzante e vivarendeva quasi festoso il suono

delle campane. Per una curiosa disposizione d'animoin quel momento eroparticolarmente e piacevolmente colpita

dalla docilità dei miei piccoli allievi. Perché non sentivano mai il pesodella mia inesorabileperpetua compagnia? In un

modo o nell'altro ero giunta a rendermi conto che non avevo fatto altro checucire il bambino alle mie sottanee che

almeno a giudicare da come i miei compagni erano guardati a vistasembravavolessi premunirmi contro il pericolo di

una ribellione. Ero come un carceriere che vigilasse per impedire qualunquefuga o sorpresa. Ma tutto ciò - voglio dire

la piccolasplendida resa dei bambini - si ricollegava proprio a quantoc'era di più singolare nelle nostre misteriosissime

vicende. Vestito a festa dal sarto di suo zioche aveva avuto mano libera esapeva apprezzare il valore di un panciotto

elegante e del portamento signorile del suo piccolo clienteMiles portavatalmente scritto in faccia il diritto

all'indipendenza che gli conferivano il suo sesso e la sua condizioneche seall'improvviso avesse preteso la sua libertà

io non avrei saputo che cosa dire. Per la più strana delle coincidenzestavo appunto domandandomi comein tal caso

avrei potuto tenergli testaquando la rivoluzione scoppio senza ombra didubbio. La chiamo rivoluzione perché mi

accorgo ora comecon le poche parole che disseil sipario si alzòsull'ultimo atto del mio spaventoso drammae la

catastrofe si verificò. «Sentitemia cara» disse con grazia«sapetedirmiper favorequando mai tornerò in collegio?»

Trascritto quiquel discorsetto suona abbastanza inoffensivotanto più peresser stato pronunciato con il timbro

carezzevolefrancodisinvolto che ne faceva sembrare le intonazioni tanterose gettate all'interlocutoresoprattutto

quando si trattava della sua eterna istitutrice. C'era qualcosain essechenon mancava mai di «prendere»e in ogni caso

io ne fui allora così presa che mi fermai di bottocome se uno degli alberidel parco fosse caduto attraverso la strada.

Qualcosa di nuovo si era levato làtra noied egli era perfettamenteconsapevole che io me n'ero resa contosebbene

per mettermi in quella condizionenon avesse bisogno di rinunciare a unbriciolo del suo candore e del suo fascino

abituale. Sentivo cheper il fatto stesso che sulle prime non avevo saputocosa rispondergliegli si era già accorto

d'essere in vantaggio. Fui così lenta a trovare le parole che egli ebbetutto il tempodopo un minutodi continuarecon

il suo sorriso suggestivoma vago: «Sapete benemia carache per unragazzoa star sempre con una signora...!» Aveva

sempre quel «mia cara» sulle labbra quando si rivolgeva a mee nullapiù di quella affettuosa familiaritàavrebbe

potuto esprimere meglio la precisa sfumatura di sentimento che desideravoispirare ai miei allievi. Era così liberamente

rispettoso!

Maohcome sentii allora quanto dovessi pesare le parole! Ricordo cheperguadagnare tempocercai di

rideree mi sembrò di leggere nel suo bel visomentre mi guardavaquant'ero brutta e strana in quel momento. «E

sempre con la stessa signora?» replicai.

Non impallidìné batté ciglio. L'intera faccenda era praticamente nota adentrambi. «Ahnaturalmente è una

signora piacevoleproprio una "vera" signora; madopotuttoiosono un ragazzocapite?che... benesta crescendo.»

Esitai un momentoprovando per lui sempre tanta tenerezza. «Sìstaicrescendo.» Ohma quanto mi sentivo

smarrita!

E ancora oggi resto convinta di questa piccola ideache allora mi spezzò ilcuore: che egli sembrava saperloe

se ne serviva per gioco. «E non potete dire che io non sia statoterribilmente buononon è vero?»

Gli posai la mano sulla spalla perchésebbene sentissi quanto sarebbe statomeglio proseguire il camminonon

ne ero ancora del tutto in grado. «Noquesto non lo posso direMiles.»

«Ad eccezione di quell'unica nottericordate...!»29

«Quell'unica notte?» Non potevo guardarlo dritto in facciacome lui facevacon me.

«Ma comequando sono sceso giù... quando sono uscito di casa.»

«Ohsì. Ma non mi ricordo perché lo facesti.»

«Non ve ne ricordate?» parlava con la soave esuberanza tipica deirimproveri infantili. «Ma era proprio per

dimostrarvi che potevo farlo!»

«Oh sìpotevi farlo.»

«E posso farlo di nuovo.»

Sentii che forsedopotuttopotevo mantenere il possesso delle mie facoltà.«Certamente. Ma non lo farai.»

«Nonon ancora quello. Quella era una cosa da niente.»

«Era una cosa da niente» dissi. «Ma ora dobbiamo andare.»

Riprese a camminare al mio fiancopassandomi una mano sottobraccio.«Alloraquando devo tornare in

collegio?»

Mentre riflettevoassunsi la mia aria più autorevole.

«Eri molto fe lice in collegio?»

Pensò un momento. «Ohsono abbastanza felice ovunque!»

«Ebbeneallora» la voce mi tremava«se sei altrettanto felice qui...!»

«Ahma questo non è tutto! Naturalmente voi sapete molte cose...»

«Vuoi farmi capire che tu ne sai quasi altrettante?» Mi arrischiai achiederglimentre faceva una pausa.

«Nemmeno la metà di quello che vorrei!» confessò onestamente Miles. «Manon è tanto questo.»

«Che cos'èallora?»

«Be'... voglio vedere un po' più di vita.»

«Capiscocapisco.» Eravamo arrivati in vista della chiesa e di variepersonecompresi alcuni componenti della

servitù di Blyche nell'andarci si erano raggruppate vicino alla porta pervederci entrare. Affrettai il passo; volevo

entrare prima che la nostra discussione si spingesse troppo oltre; riflettevofebbrilmente cheper più di un'orauna volta

in chiesaegli avrebbe dovuto tacere; e pensavo con desiderio alla vagapenombra del recinto di famiglia e dell'aiuto

quasi spiritualeche mi avrebbe dato il cuscino sul quale avrei potutopoggiare le ginocchia. Avevoalla lettera

l'impressione di stare disputando con lui una corsadiretta confusamenteverso un traguardo di sua scelta; ma sentii

chiaramente che era arrivato primo quandoancor prima che fossimo giunti alcimitero antistante la chiesadisse

all'improvviso:

«Voglio vivere coi miei pari!»

Queste parole mi fecero letteralmente sobbalzare. «Non ce ne sono molti dituoi pariMiles!» Risi.

«Eccettuataforsela piccola Flora!»

«Davvero mi paragonate a una bambinetta?»

Questo mi fece sentire stranamente debole. «Allora non vuoi bene alla nostrapiccola Flora?»

«Se non le volessi bene... e anche a voi; se non ve ne volessi...!»Ripetécome se stesse prendendo la rincorsa

per spiccare un saltoe tuttavia lasciando il pensiero così incompiuto chevarcato il cancellodivenne inevitabile

un'altra fermatach'egli mi impose stringendomi il braccio. La signora Grosee Flora erano già entrate in chiesagli altri

fedeli le avevano seguitee noiper il momentoeravamo rimasti soli tra levecchie tombe massicce. Ci eravamo

fermatilungo il sentiero che partiva dal cancellovicino ad una tombabassaoblunga come una tavola.

«Allorase non ve ne volessi...?»

Mentre attendevoguardava tra le tombe. «Be'sapete bene che cosa!» Manon si muovevae all'improvviso

tirò fuori una cosa che mi costrinse a sedere sulla pietraquasi per unfulmineo bisogno di riposo. «Mio zio pensa quello

che voi pensate?»

Tacqui ostentatamente. «Come sai quello che penso io?»

«Ahnaturalmente non lo so; e mi stupisce che non me lo diciate mai. Mavoglio dire: lui lo sa?»

«Sa che cosaMiles?»

«Insommacome mi comporto.»

Mi resi conto abbastanza in fretta che non potevo darea questa domandanessuna risposta che non

comportasse qualche sacrificio per il mio datore di lavoro. Tuttavia misembrava che noi tuttia Blyci fossimo

sacrificati abbastanza per permetterci questo peccato veniale. «Non credoche a tuo zio interessi molto.»

Milesa queste parolemi fissò a lungo. «Allora non credete che sipotrebbe spingerlo ad interessarsene?»

«In che modo?»

«Ma comefacendolo venire qui.»

«Ma chi lo farà venire qui?»

«Io lo farò!» disse il bambino con una vivacità e un'enfasistraordinarie. Mi lanciò un altro sguardo carico di

quella strana espressionee poi s'incamminò da solo verso la chiesa.

XV30

La faccenda fini praticamente lìperché non lo seguii. Fu una resadeplorevole allo stato dei miei nervima il

fatto che me ne rendessi conto non mi aiutò per nulla a ritrovare il mioequilibrio. Non potevo che restar làseduta sulla

mia tombae cercare d'indovinare il senso completo di quanto mi aveva dettoil mio piccolo amico; e quando giunsi ad

afferrarlo interamenteavevo anche stabilito di giustificare la mia assenzacon il pretesto che mi vergognavo di offrire ai

miei allievi e al resto della congregazione un tale esempio di ritardo. Ma miripetevo soprattutto che Miles mi aveva

strappato una confessione preziosae che ne avrebbe avuto la prova proprioda quel mio disgraziato collasso. Mi aveva

fatto confessare che c'era qualcosa di cui avevo una gran pauraeprobabilmenteavrebbe fatto uso di quella mia paura

per ottenere una maggiore libertà per i suoi scopi. La mia paura era didover trattare la questione intollerabile della sua

cacciata dal collegioperché quellain fondoera la questione a cui siriallacciavano tutti gli altri orrori. Che suo zio

arrivasse per trattare con me di quelle cose era una soluzione chea strettorigor di logicaavrei ora dovuto desiderare;

ma potevo tanto poco affrontarne la ripugnanza e la penache mi limitavo arimandaree vivevo alla giornata. Il

ragazzocon mia profonda umiliazioneera pienamente nel suo diritto e nellacondizione di dirmi: «O chiarite con il

mio tutore il mis tero di questa interruzione dei miei studio la smettetedi aspettarvi che io conduca al vostro fianco una

vita tanto innaturale per un ragazzo.» Ma la cosa veramente innaturale peril ragazzo di cui mi occupavo stava

nell'improvvisa rivelazione che lui era consapevole della situazioneedaveva un piano al riguardo. Era questoquello

che mi sconvolgeva davveroe che mi impediva di entrare in chiesa. Camminaiintorno alla chiesaesitanteindecisa;

pensavo che ai suoi occhi mi ero già irrimediabilmente scoperta. Non potevodunquerimediare più a nientee sarebbe

stato uno sforzo troppo penoso andare ad infilarmi nel banco accanto a lui:sarebbe stato così ancora più sicurotanto da

insinuare il braccio sotto il mio e tenermi seduta là per un'orainstrettosilenzioso contatto con il suo commento alla

nostra conversazione. Per la prima volta dopo il suo arrivosentivo ildesiderio di allontanarmi da lui. Ero ferma sotto

l'alta finestra rivolta ad oriente ad ascoltare i canti dei fedeliquandofui colta da un impulso che al minimo

incoraggiamento da parte mia mi avrebbelo sentivocompletamente dominata.Avrei potuto facilmente metter fine alla

prova fuggendo. Ecco l'occasione buona; non c'era nessuno a fermarmi; potevorinunciare a tutta la faccenda... voltare

la schiena e ritirarmi. Si trattava soltanto di tornare in frettapercompiere pochi preparativinella casa chedata la

presenza in chiesa di tanti domesticisarebbe stata praticamente vuota.Nessunoper farla breveavrebbe potuto

biasimarmi se scappavo per la disperazione. Che significato avrebbe inveceavuto andarmenese doveva essere soltanto

sino all'ora di pranzo? Un paio d'ore e poi - mi pareva di vederli - i mieipiccoli allievi avrebbero finto un innocente

stupore perché avevo mancato di seguirli in chiesa.

«Che cosa avete fattocattivamaleducata? Perché mai (per farcipreoccupareper distrarcinon è vero?) ci

avete abbandonati proprio sulla porta?» Non potevo affrontare questedomandené lo sguardo falso dei loro occhioni

mentre me le rivolgevano; eppuretutto ciò corrispondeva tantoperfettamente a quanto avrei dovuto affrontare che

davanti all'immagine sempre più precisa che mi si formava in menteallafine mi risolsi ad andar via.

Cominciaiper il momentoad andarmene di lì; uscii decisa dal cimiteroeriflettendo intensamenteritornai

sui miei passi attraverso il parco. Giunta a casami parve d'essere ormaidecisa a fuggire. La calma domenicale che vi

regnavatanto all'esterno che all'internodove non incontrai nessunomicolpì come l'offerta discreta di un'occasione

unica. Se me ne fossi andata in frettain quel modoavrei potuto scompariresenza scenesenza una parola. Ma la mia

rapidità avrebbe dovuto essere straordinariae la questione di un mezzo ditrasporto era la più difficile da risolvere.

Ricordo che nell'atriotormentata dalle difficoltà e dagli ostacoli che mirestavano da superaremi lasciai cadere ai piedi

della scala... improvvisamente sfinitami sedetti sul gradino più basso;poicon una violenta reazionerammentai che

esattamente in quel puntopiù di un mese primanella tenebra notturnaavevo visto lo spettro della più orribile delle

donnecurva sotto il peso della sua malvagità. A questo pensiero riuscii arialzarmi; percorsi il resto della scala; e mi

diressipreda di un forte turbamentoverso lo studiodove c'erano alcunecose di mia proprietà che dovevo prendere.

Ma apersi la porta solo per scoprirein un lampoche i miei occhi si eranoriaperti. Davanti a quel che vidiritrovai di

colpo tutta la mia capacità di resistenza.

Seduta al mio tavolonella chiara luce del meriggio vidi una persona chesenza la mia precedente esperienza

avrei potuto scambiare al primo sguardo per qualche domestica rimasta diguardia alla casa e checoncedendosi un raro

sollievo dal suo incaricoe servendosi dello scrittoiononché della miapennainchiostro e cartasi fosse dedicata alla

considerevole fatica di scrivere una lettera al suo innamorato. La sua faticatraspariva dal modo con cuimentre le

braccia poggiavano sul tavolole mani sostenevano la testa con evidentestanchezza; manel momento stesso in cui mi

rendevo conto di questoavevo già notato chenonostante il mio ingressoil suo atteggiamentostranamentenon era

mutato. Poi - bastò il semplice accenno di quel gesto - un cambiamento diposizione scoprì la sua vera identità. Si alzò

non come se avesse sentito entrarema con una malinconia incredibilmentegrandeintrisa di indifferenza e di distacco

ea una dozzina di passi da meecco ritta in piedi la vile signorina che miaveva preceduta. Disonorata e tragicastava

tutta intera davanti a me; maproprio mentre la fissavo e me ne incidevol'immagine nella memorial'orribile figura

sparì. Scura come la notte nel suo abito neronella dannata bellezza e nelsuo chiuso doloremi aveva guardata

abbastanza a lungo per lasciarmi capire che il suo diritto di sedersi al miotavolo valeva il mio di sedersi al suo. Durante

quegli istantifremetti per l'impressione che l'intrusa fossi io. In unaselvaggia protesta contro quest'impressionemi udii

urlarerivolta direttamente a lei: «Terribilemiserabile donna!» e la miavoceattraverso la porta apertaecheggiò lungo

il corridoioe la casa deserta. Mi guardòcome se mi avesse sentito; ma miero ripresain un'atmosfera già più

respirabile. Un attimo doponella stanza non restavano che la luce del solee la certezza che dovevo rimanere.

XVI31

Ero talmente sicura che il ritorno dei miei allievi sarebbe statoaccompagnato da qualche rimostranzache

provai un nuovo turbamento nel vedere che non aprivano bocca a propositodella mia assenza. Invece di rimproverarmi

gaiamente e di blandirminon allusero minimamente al fatto che li avevolasciati solieper il momentonon mi rimase

che studiare la strana espressione della signora Grosevisto che anche leinon mi diceva nulla. Lo feci intenzionalmente

e alla fine mi convinsi che in qualche modo l'avevano costretta al silenzio;un silenziotuttaviache mi ripromettevo di

rompere non appena ci fossimo trovate a tu per tu. L'occasione buona sipresentò prima dell'ora del tè: feci in modo di

restare cinque minuti con lei nella sua stanzadovenel crepuscoloinmezzo all'odore del pane appena sfornatoma con

tutto bene in ordine attorno a séla trovai seduta davanti al fuocoin unatranquilla sofferenza. Così la rivedocosì la

ricordo meglio; rivolta alla fiamma dalla sua sedia massicciain quellastanza in penombra e tirata a lucido; immagine

netta e maestosa delle cose «messe via»; di cassetti chiusi e ben serratidi riposo senza rimedio.

«Ohsìmi han chiesto di non dir nulla; e di compiacerlisino a cheerano presenti... Naturalmente ho

promesso. Ma che cosa vi è capitato?»

«Sono venuta con voi soltanto per fare una passeggiata» dissi. «Poi hodovuto tornare indietro per incontrare

un'amica.»

Si mostrò sorpresa. «Un'amica... voi?»

«Ohsìne ho un paio!» Risi. «Ma i bambini vi hanno fornito unaspiegazione?»

«Perché non alludessi al fatto che ci avevate lasciati? Sì; mi hanno dettoche avreste preferito così. Preferite

così?»

L'espressione del mio visole aveva dato pena. «Nomi dispiace!» Ma unistante dopo aggiunsi: «Vi hanno

detto perché avrei dovuto preferirlo?»

«No; il padroncino Miles ha detto soltanto: "Dobbiamo fareesclusivamente quello che le fa piacere! "»

«Vorrei che lo facesse davvero! E che cosa ha detto Flora?»

«La signorina Flora è stata tanto gentile. Ha detto: "Ohnaturalmentenaturalmente!"... ed io ho detto lo

stesso.»

Riflettei per un po'. «Anche voi siete stata tanto gentile... Mi pare disentirvi tutti quanti. Ma tuttaviatra Miles

e metutto è finito.»

«Tutto?» La mia compagna si stupì. «Ma che cosasignorina?»

«Tutto. Non importa. Ho deciso. Sono tornata a casamia cara» proseguii«per fare due chiacchiere con la

signorina Jessel.»

Avevo ormai preso l'abitudineprima di toccare questo tastodi avere benein pugno la signora Grose; sicché

persino in quella circostanzamentre sbatteva coraggiosamente le palpebre alsegnale delle mie paroleriuscii a tenerla

relativamente calma. «Due chiacchiere? Volete dire che lei ha parlato?»

«Ci sono arrivata. L'ho trovataal mio ritornonello studio.»

«E che cosa ha detto?» Mi pare di sentire ancora quella brava donnal'accento sincero del suo stupore.

«Che soffre i tormenti...!»

Fu questoin realtàche la fece restare a bocca apertamentre si sforzavadi ricostruire la scena. «Volete dire»

balbettò«... delle anime perdute?»

«Delle anime perdute. Dei dannati. E perciòper dividerli conqualcuno...» A mia voltami mancò la voce per

l'orrore.

Ma la mia compagnameno dotata di immaginazionemi incalzò: «Perdividerli con...?»

«Vuole Flora.» A queste parolela signora Grose mi sarebbe potuta sfuggiredi manose non fossi stata più che

preparata; la tenni ben strettaper provarle che lo ero. «Ma come vi hogià dettonon importa.»

«Perché avete deciso? Ma deciso che cosa?»

«Ogni cosa.»

«E che cosa volete dire con "ogni cosa" ?»

«Ma comemandare a chiamare il loro zio.»

«Ohsignorinaper caritàfatelo» esclamò la mia amica.

«Ahma lo faròlo farò! Vedo che è l'unica soluzione. Quel cheè stato dettotra Miles e meè proprio questo;

ma se lui crede che io abbia paura di farlo - e ha certe idee su quel che nepotrebbe guadagnare - capirà di essersi

sbagliato. Sìsì; suo zio sentirà dalla mia boccaproprio qui (e davantial ragazzo se sarà necessario)che se sono da

rimproverare per non aver cercato un'altra scuola...»

«Sìsignorina...» incalzò la mia compagna.

«Ebbenec'è quell'orribile motivo.»

Di motivi ce n'erano ormai tanti che l'incertezza della mia povera collega sipoteva scusare. «Ma... quale?»

«Ma comela lettera del posto dov'era prima.»

«La mostrerete al padrone?»

«Avrei dovuto farlo sin dal primo istante.»

«Ohno!» disse con decisione la signora Grose.32

«Gli dirò chiaramente» proseguii inesorabile«che mi è impossibileoccuparmi di questa questionetrattandosi

di un ragazzo cacciato...»

«Per motivi che non abbiamo mai saputo!» dichiarò la signora Grose.

«Per cattiva condotta. Per che altro... dal momento che è cosìintelligente e bello e perfetto? È forse uno

stupido? Ha cattive maniere? È malaticcio? Ha un brutto carattere? Èsquisito... sicché può essere soltanto per quello; e

quel motivo chiarisce tutto. In fondo» dissi«la colpa è dello zio. Seha lasciato qui gente di quella risma...!»

«Veramente non li conosceva bene. La colpa è mia.» Era diventatapallidissima.

«Be'non dovete tormentarvi» risposi.

«Sono i bambini a non doverne soffrire!» ribatté con enfasi.

Stetti zitta per un po'mentre continuavamo a fissarci. «Allorache cosadevo dirgli?»

«Voi non dovete dirgli nulla. Io glielo dirò.»

Pesai questa risposta. «Volete dire che gli scriverete voi?» Ricordando chenon sapeva scriveremi ripresi.

«Come fate a comunicare?»

«Lo dico al fattore. È lui che scrive.»

«E vi piacerebbe fargli scrivere la nostra storia?»

Nella mia domanda c'era più sarcasmo di quanto non intendessie questoincoerentementela fece crollare in

un momento. Gli occhi le si riempirono nuovamente di lacrime. «Ahsignorinascrivete voi!»

«Bene... stasera» risposi finalmente; e con questo ci separammo.

XVII

Quella sera mi spinsi sino al punto di cominciare la lettera. Il tempo eraancora cambiatosoffiava un forte

ventoe sotto la lampadain camera miacon Flora che riposavapacificamente accanto a merimasi a lungo seduta

davanti ad un foglio biancoascoltando lo scroscio della pioggia e l'urlodelle folate. Infine usciireggendo un

candeliere; attraversai il corridoio e rimasi in ascolto un minuto alla portadi Miles. Ero stata spintanella mia

ossessione senza finea cercar di cogliere qualche segno che mi provasse cheera ancora sveglioe d'un tratto ne avvertii

unoma non sotto la forma che mi aspettavo. La sua voce squillò: «Dico avoilà fuori... entrate.» Fu una scintilla di

gioia nelle tenebre!

Entrai con il mio candeliere e lo trovai a lettosveglissimo e tuttaviaperfettamente tranquillo. «Ebbeneperché

siete in piedi?» domandò con una grazia tanto amabile che invanopensaila signora Grosese fosse stata presente

avrebbe cercato una prova che tra noi tutto era «finito».

Stavo in piedi davanti a luicon il candeliere in mano. «Come hai fatto asapere che ero là fuori?»

«Ma vi ho sentitanaturalmente. Credete forse di non far rumore? Sembrateuno squadrone di cavalleria!»

Scoppiò in una bella risata.

«Allora non dormivi?»

«Non proprio. Ero sveglio e pensavo.»

Avevo posato di proposito il mio candeliere a una certa distanzama poidalmomento che mi tendeva

amichevolmente la manomi ero seduta sulla sponda del letto. «A che cosastavi pensando?» domandai.

«E a chi altrimia carase non a voi?»

«Ahil tuo apprezzamento mi lusingama non pretendo tanto! Preferirei digran lunga che tu dormissi.»

«Be'penso anchesapetea questa nostra strana faccenda.»

Notai la freddezza di quell'energica manina. «Quale strana faccendaMiles?»

«Come qualeil modo con cui mi educate. E tutto il resto!»

Per un minuto buono restai senza fiatoe anche la luce tremolante dellacandela era sufficiente a mostrarmi

come mi sorrideva dal suo guanciale. «Che cosa intendi dire con "tuttoil resto" ?»

«Ohvoi lo sapetevoi lo sapete!»

Per un minuto ancora non fui in grado di parlaresebbene sentissimentregli tenevo la mano e i nostri sguardi

continuavano ad incrociarsiche il mio silenzio aveva proprio l'aria diapprovare quanto aveva dettoe che nulla forse

nel mondo della realtàera in quel momento più fantastico della nostraattuale relazione. «Certamente tu farai ritorno in

collegio» dissi«se è questo che ti turba. Ma non in quello dove staviprima... dobbiamo trovarne un altrouno

migliore. Come potevo sapere che questo problema ti preoccupava tantose nonme l'hai mai dettonon me ne hai

parlato affatto?» Il suo volto chiaroattentoincorniciato dal vagobiancore del guancialelo rendeva patetico come un

mesto malatino in un ospedale per bambini; e avrei datomentre questasimilitudine mi veniva in mentetutto quanto

possedevo al mondo per essere davvero l'infermiera o la suora di carità chelo avrebbe aiutato a guarire. Ebbeneanche

nella situazione che si era creataforse potevo essergli d'aiuto! «Lo saiche non mi hai detto mai nemmeno una parola

sul collegiovoglio dire quello di prima; che non me ne hai parlato mai epoi mai?»

Sembrò rifletterepoi sorrise di nuovocon la sua solita amabilità. Machiaramente stava guadagnando tempo;

aspettavacercava qualcosa che lo guidasse. «Davvero non l'ho mai fatto?»Non stava a me aiutarlo... stava a ciò in cui

io stessa m'ero imbattuta.33

Qualcosanel tono della voce e nell'espressione del visomentre mi parlavacosìmi aveva trafitto il cuore con

una pena che non avevo provato mai; tanto era indicibilmente toccante lospettacolo del suo piccolo cervello

tormentatoe di tutti i piccoli artifici cui ricorreva per recitarecostretto dal sortilegio che pesava su di luiuna parte

ingenua e coerente. «Nomai... dal momento in cui sei tornato. Non mi hainominato mai uno dei tuoi insegnantiuno

dei tuoi compagninon hai accennato mai al minimo fatterello che potesseesserti capitato in collegio. Maimio piccolo

Miles... nomai... mi hai dato la più piccola indicazione su quello che potevaesserti accaduto. Quindi puoi facilmente

immaginare quanto io sia all'oscuro. Fino alla tua uscita di stamattina nonti avevo mai sentito farein pratica da quando

ti conoscola benché minima allusione alla tua vita passata. Sembraviaccettare il presente nella maniera più completa e

definitiva.» Era straordinario come la mia assoluta convinzione della suasegreta precocità (o qualunque altro nome si

potesse dare al veleno di un'influenza che io stessa non osavo citare achiare lettere) me lo faceva apparirenonostante i

segni appena visibili del suo intimo turbamentoaccessibile come una personaadulta... e me lo imponeva quasi come un

mio pari dal punto di vista intellettuale. «Pensavo che desiderassi andareavanti così.»

Lo vidia questo puntoarrossire leggermente. Ad ogni modocome unconvalescente un po' affaticatoscosse

languidamente il capo. «No... no. Voglio andar via.»

«Sei stanco di Bly?»

«OhnoBly mi piace.»

«Benee allora...?»

«Ohvoi sapete bene che cosa vuole un ragazzo!»

Sentii di non saperlo bene quanto Milese cercai uno scampo momentaneo.«Vuoi andare da tuo zio?»

Di nuovoa queste parolecon la sua cara faccia ironicafece un movimentosul guanciale. «Ahnon ve la

potete cavare così!»

Per un po' restai in silenzioe forse fui ioquesta voltaa cambiarcolore. «Mio caronon intendo affatto

cavarmela!»

«Non potetenemmeno se lo voleste. Non potetenon potete!» Giaceva sulletto e mi fissava coi suoi begli

occhi. «Mio zio deve venire quie voi dovete sistemare tutto quanto.»

«Se lo faremo» replicai con una certa audacia«puoi star certo che saràper farti andar via di qui.»

«Be'non capite che è proprio per questo che mi sto dando tanto da fare?Sarete costretta a dirgli... come mai

avete trascurato tutto: ne avrete un bel po' di cose da dirgli!»

L'esultanza con cui pronunciò queste parole era tale che in certo modo miaiutòper un istantead andargli

incontro ancora di più. «E quanto dovrai dirgli tuMiles? Ci sonocose che vorrà sapere da te!»

Rimase per qualche istante meditabondo. «È molto probabile. Ma qualicose?»

«Le cose che non hai mai detto a me. Perché sia in grado di decidere checosa fare di te. Non può rimandarti...»

«Ohnon voglio tornare là!» proruppe. «Voglio roba nuova.»

Lo disse con ammirevole serenitàcon una gaiezza franca e irreprensibile; enon c'è dubbio che proprio quella

notapiù di ogni altra cosaevocò per me lo straziol'innaturaletragedia infantile del suo possibile ritorno dopo tre

mesicon tutta la sua vanteria e un disonore anche più grande. L'emozionemi travolse al punto di non poterla più

frenaretanto che mi lasciai andare. Mi gettai su di lui e lo abbracciai contutta la tenerezza di cui era capace la mia

pietà. «Caro piccolo Milescaro piccolo Miles...!»

Il mio viso toccava il suoed egli si lasciò baciarecon indulgente buonagrazia. «Alloracara vecchia

signora?»

«Non c'è nulla... proprio nulla che tu non voglia dirmi?»

Si girò un pocorivolto al muroe alzò la mano per guardarlacome sivede fare spesso ai bambini malati. «Ve

l'ho detto... ve l'ho detto stamattina.»

Ohcome soffrivo per lui! «Cioè che vorresti soltanto che io non tidisturbassi?»

Si voltò a guardarmiquasi volesse darmi atto di averlo compreso; poinelmodo più soave possibile: «Che mi

lasciasse in pace»precisò.

C'era in tutto questo una certa qual dignitàassai singolareche micostrinse a staccarmi da luieppureuna

volta in piedia restargli ancora accanto. Dio sa che non volevotormentarloma sentivo che voltargli le spalle in quel

momento voleva dire semplicemente abbandonarlo oper dirla piùschiettamenteperderlo. «Ho appena cominciato a

scrivere una lettera a tuo zio» dissi.

«Beneallorafinitela!»

Attesi un momento. «Che cosa è accaduto prima?»

Egli alzò di nuovo lo sguardo su di me. «Prima di che cosa?»

«Prima che tu tornassi. E prima che tu te ne andassi.»

Per qualche tempo tacquepur continuando a fissarmi negli occhi. «Che cosaè accaduto?»

L'intonazione di queste parolein cui mi parve di sentire per la prima voltail palpito lieve di una coscienza

pronta a cederemi fece cadere in ginocchio accanto al lettonel rinnovatotentativo di cogliere l'occasione di

riconquistarmelo. «Caropiccolo Milescaropiccolo Milesse tu sapessicome desidero aiutarti! È soltanto questo

nient'altro che questo; e preferirei morire piuttosto che darti un dispiacereo farti un torto... preferirei morire piuttosto

che torcerti un solo capello. Caropiccolo Miles.» Ohlasciavo che tuttoora mi uscisse di boccaanche a rischio di

andare troppo oltre. «Voglio soltanto che tu mi aiuti a salvarti!» Ma unattimo dopo sapevo d'essere andata davvero

troppo oltre. La risposta al mio appello fu istantaneama venne sotto formad'una straordinaria ventata gelidauna folata34

di aria ghiaccia e un tremito della stanzacome sesotto l'impeto delventola finestra avesse ceduto. Il bambino lanciò

un urlo acutissimocheperduto in quel frastuonoavrebbe potuto esserpresoindifferentementee nonostante gli fossi

tanto vicinaper un'esclamazione di giubilo come di terrore. Balzai di nuovoin piedie mi resi conto che era buio.

Restammo così per un momentomentre io mi rendevo conto che le tende eranotirate e immobilie la finestra chiusa.

«Ma la candela si è spenta!» gridai.

«Sono io che l'ho spentacara!» disse Miles.

XVIII

Il giorno dopoterminate le lezionila signora Grose trovò un momento pervenirmi a chiedere sottovoce:

«Avete scrittosignorina?»

«Sì... ho scritto.» Ma non aggiunsiper il momentoche la letterachiusa e indirizzatasi trovava ancora nella

mia tasca. Ci sarebbe stato tempo a sufficienza per spedirla al villaggioprima che vi passasse il postino. Frattantoi

miei allievi quella mattina erano stati più brillantipiù esemplari chemai. Sembrava che ad entrambi stesse a cuore

sorvolare su qualunque minimorecente attrito. Si misurarono con i piùcomplicati problemi aritmeticisuperando di

gran lunga le mie limitate capacitàe combinaronocon fervore piùgrande del solitoi loro scherzi geografici e storici.

In particolare Milesnaturalmentesi mostrava ansioso di provarmi come gliriuscisse facile aver la meglio su di me.

Questo bambinonei miei ricordivive realmente su uno sfondo di bellezza edi sventura che nessuna parola potrebbe

descrivere; rivelava una distinzione tutta propria in ogni moto; mai nessunacreatura così giovane e spontaneache agli

occhi dei non iniziati appariva assolutamente franca e liberafu un piùingegnosoun. più straordinario piccolo

gentiluomo. Dovevo stare continuamente in guardia per resistere allo stuporeall'ammirazione a cui i miei occhi

seppure iniziatitentavano di trascinarmi; e anche per frenare lo sguardoinadeguato o il sospiro avvilito con cui

affrontavo e abbandonavo senza sosta l'enigma di che cosa avesse mai potutofare un piccolo gentiluomo come quello

per meritarsi una punizione. Avevo un bel dirmi cheper il tenebrosoincantesimo che sapevola conoscenza di ogni

male gli era stata rivelata: il mio desiderio di giustizia si sfibravanella ricerca di una prova che quella conoscenza si

fosse tradotta in azione.

In ogni casoegli non si era mai dimostrato un perfetto gentiluomo comequandodopo la nostra colazione di

buon'ora in quel giorno terribilemi si avvicinò e mi chiese se desideravoche per una mezz'ora suonasse per me. Davide

che suonava per Saul non avrebbe potuto dimostrare un più sottile sensodell'opportunità. Era proprio una simpatica

prova di tattodi magnanimitàequivalente ad una dichiarazione di questogenere: «I veri cavalieri dei quali ci piace

leggere le avventure non spingono mai troppo oltre un loro vantaggio. Io soche cosa volete dire ora: volete dire cheper

essere lasciata sola e per non essere disturbatasmetterete di crucciarvi edi spiarminon mi terrete più sempre vicino

mi lascerete andare e venire. Beneio "vengo"vedete... ma non mene vado! Ci sarà più di un'occasione per quello.

Ricavo realmente un gran piacere dalla vostra compagniae volevo soltantodimostrarvi che lottavo per una questione di

principio.» È facile immaginare se resistetti a questo muto appellosemancai di accompagnarlo di nuovomano nella

manonello studio. Egli sedette al vecchio pianofortee suonò come nonaveva mai suonato; e se qualcuno pensa che

avrebbe fatto meglio a uscir fuori e prendere a calci un pallonepossosoltanto dire che sono pienamente d'accordo con

lui. Poichéal termine di un periodo di tempo chestregata da luiavevosmesso di misuraremi riscossi di colpocon la

strana sensazione di aver letteralmente dormito sulla poltrona. Tutto ciòaccadeva dopo pranzoaccanto al caminetto

dello studioe tuttavia non avevoin realtàdormito: avevo soltanto fattoqualcosa di molto peggio... avevo dimenticato.

Dov'era stata Florain tutto quel tempo? Quando rivolsi questa domanda aMilescontinuò a suonare per un minuto

prima di rispondermie alla fine si limitò a dirmi: «Mia carae comepotrei saperlo?»scoppiando per giunta in

un'allegra risata cheimmediatamente dopoquasi che fosse unaccompagnamento vocaleprolungò in una canzone

incoerentestravagante.

Andai dritta in camera miama sua sorella non c'era; poiprima di scendereal pianterrenoguardai in molte

altre stanze. Poiché non era lìdoveva essere di sicuro con la signoraGrosealla ricerca della quale mi misirassicurata

da quella convinzione. La trovai dove l'avevo trovata la sera primama almio brusco interrogativo risposespaventata e

stupitadi non sapere nulla. Aveva semplicemente supposto chedopo pranzoio avessi portato fuori tutt'e due i

bambini; equanto a questoaveva perfettamente ragioneperché era laprima volta che permettevo alla piccolina di

allontanarsi senza un motivo particolare. Naturalmenteora poteva essere incompagnia delle camerieresicché la prima

cosa da fare era di metterci a cercarla senza dare a vedere la nostrapreoccupazione. Ci mettemmo subito d'accordo a

questo riguardo; ma quandodieci minuti dopoci ritrovammo nell'atrio comeavevamo stabilitopotemmo soltanto

riferirc i a vicenda che non eravamo riuscite a rintracciarlanonostante lenostre accurate ricerche. Per un minuto

lasciata da parte ogni osservazioneci scambiammo un muto sguardo diallarmee mi accorsi allora con che salato

interesse la mia amica mi restituiva tutto quanto avevo scaricato su di leisin dal principio.

«Dev'essere di sopra» disse dopo un poco«in una delle stanze in cui nonavete cercato.»

«No; è lontana da qui» avevo deciso. «È uscita.»

La signora Grose mi guardò stupita. «Senza cappello?»

Le risposi naturalmente con uno sguardo carico di significato. «Quella donnanon è sempre a testa scoperta?»

«È con lei?»35

«È con lei!» dichiarai. «Dobbiamo trovarle.»

L'avevo presa per un bracciomadavanti a questo aspetto della cosaevitòper un attimo di rispondere alla mia

stretta. Al contrariosi lasciò inchiodare sul posto dal suo disagio. «Edove è il signorino Miles?»

«Ohlui è con Quint. Sono tutt'e due nello studio.»

«Mio Diosignorina!» La mia persuasioneme ne rendevo contoe quindisuppongoanche il mio tono di

vocenon avevano mai raggiunto un tale grado di sicurezza.

«Il gioco è fatto» proseguii. «Hanno portato a termine con successo illoro piano. Miles ha trovato il più divino

degli espedienti per tenermi tranquilla mentre lei fuggiva.»

«Divino?» fece eco sbalordita la signora Grose.

«Infernaleallora» precisai quasi allegramente. «E ha provvedutoaltrettanto bene per sé. Ma venite!»

Lanciò uno sguardo disperato al piano di sopra. «Lo lasciate...?»

«Tanto a lungo con Quint? Sì... non mi importa per ora.»

Finiva semprein momenti come quelloper stringermi la manoe in tal modosarebbe riuscita anche quella

volta a fermarmi. Ma dopo aver boccheggiato per un po' sotto il colpo dellamia improvvisa rinunciaproruppe

ansiosamente: «La causa della vostra lettera?»

Rapidamenteper tutta rispostacercai la letterala tirai fuoril'alzaie poidivincolatami da leiandai a

deporla sulla grande tavola dell'atrio. «La prenderà Luke» dissi tornandosui miei passi. Raggiunsi la porta d'ingresso e

l'aprii; un attimo dopo ero già sugli scalini.

La mia compagna indugiava ancora: l'uragano della notte e del primo mattinoera passatoma il pomeriggio era

umido e grigio. Io ero sul vialee lei stava ancora sulla soglia. «Andatesenza niente addosso?»

«Che me ne importaquando la bambina non ha nulla addosso nemmeno lei? Nonposso perder tempo a

vestirmi» esclamai«e se voi volete farlo sono costretta a lasciarvi qui.Provate a fare qualcosa lassùintanto.»

«Con loro?» Ohcome mi raggiunse in frettapovera donna!

XIX

Andammo dritte al lagocome lo chiamavano a Blye oso dire a ragionesebbene a ripensarci quello specchio

d'acqua potesse essere meno notevole di quanto supponevano i miei occhi pocoesperti. La mia esperienza di specchi

d'acqua era scarsae lo stagno di Blyin ogni casoe nelle poche occasioniche avevo acconsentitosotto la protezione

dei miei allieviad affrontare la sua superficie sulla vecchia barca a fondopiatto ormeggiata là per nostro usomi aveva

impressionato sia per l'estensione sia per la turbolenza delle sue acque. Ilconsueto punto d'imbarco abituale si trovava

adoltre mezzo miglio di distanza dalla casama io ero intimamente convintache Floradovunque si trovassenon era

comunque vicina a casa. Non mi aveva più dato occasione di imputarle laminima scappatamadal giorno in cui avevo

vissuto con lei quella strana avventura vicino allo stagnoavevo avuto mododi notaredurante le nostre passeggiate

verso quale parte preferiva incamminarsi. Per questoavevo ora guidato ipassi della signora Grose in una direzione

tanto precisa... una direzione che le fece opporrequando se ne accorseunaresistenza che mi provò come s'era di

nuovo ingannata. «State andando verso l'acquasignorina?... Credete che visia finita dentro?»

«Potrebbe darsianche se in nessun puntocredol'acqua è molto profonda.Ma mi sembra invece più probabile

che si trovi nel luogo dove l'altro giorno abbiamo visto insieme quello chevi ho raccontato.»

«Quando lei fingeva di non vedere...?»

«Con quella stupefacente padronanza di sé! Sono sempre stata certa chevolesse tornarvi da sola. Ed ora suo

fratello ha fatto in modo che potesse farlo.»

La signora Grose era ancora immobile nel punto dove s'era fermata. «Credetedavvero che parlino di loro?»

Ero in grado di rispondere con bella sicurezza! «Si dicono cose chese lesentissimoci farebbero

semplicemente accapponar la pelle.»

«E se lei è là...?»

«Sì?»

«Allora c'è anche la signorina Jessel?»

«Non c'è dubbio. Vedrete.»

«Ohgrazie!» esclamò la mia amicapiantata così saldamente a terra chequando me ne accorsiproseguii

senza di lei. Quando raggiunsi lo stagnotuttaviaera proprio dietro di mee capii chequalunque cosa temesse che mi

potesse capitareil pericolo che correva stando in mia compagnia le sembravaancora il meno grave. Emise un sospiro

di sollievo quandofinalmentepotemmo abbracciare con lo sguardo la maggiorparte dello specchio d'acqua senza

trovare traccia della bambina. Non c'era traccia di Flora né sulla spondapiù vicinadove l'osservarla mi aveva tanto

stupitané su quella oppostadovese si esclude un margine libero di unaventina di metriuna fitta vegetazione

raggiungeva il pelo dell'acqua. Lo stagnodi forma oblungaera cosìstretto rispetto alla sua lunghezza chenon

scorgendone i due limiti estremisi sarebbe potuto scambiare per unfiumiciattolo. Guardammo quella distesa vuotapoi

sentii il suggerimento che mi veniva dagli occhi della mia amica. Sapevo checosa intendeva diree risposi con un

cenno negativo.

«Nono; aspettate! Ha preso la barca.»36

La mia compagna guardò stupefatta prima l'approdo desertopoi di nuovo ladistesa d'acqua. «Alloradov'è?»

«Il fatto che non la vediamo è la migliore delle prove. L'ha presa perattraversare il laghettoe poi ha cercato di

nasconderla.»

«Tutta sola... una bimba come lei?»

«Non è solae in quei momenti non è una bambina: è una donna vecchiamolto vecchia.» Percorsi con lo

sguardo tutta la sponda visibilementre la signora Grose faceva nuovamenteuno dei suoi tuffi di sottomissione nello

strano elemento che le sottoponevo: poi suggerii che la barca potevabenissimo trovarsi in un piccolo riparo costituito

da uno dei recessi dello stagnoin una rientranza nascostanel punto in cuieravamodallo sporgere della riva e da un

groviglio d'alberi che crescevano vicino all'acqua.

«Ma se la barca è làdove mai è finita lei?» chiese ansiosamentela mia collega.

«È proprio quello che dobbiamo scoprire.» E cominciai di nuovo acamminare.

«Facendo tutto il giro del lago?»

«Certamenteper quanto è lungo. Non ci vorranno più di dieci minutimaalla bambina può esser sembrato

abbastanza lungo da farle preferire di non andare a piedi. Deve averloattraversato.»

«Perdinci!» esclamò di nuovo la mia amica; la catena della mia logica eratroppo per lei. Però me la tenne alle

calcagna persino allorae quando fummo a metà strada (un percorso tortuosofaticososu un terreno molto irregolare e

lungo un sentiero invaso dalla vegetazione)mi fermai per lasciarle prenderfiato. Riconoscentela sostenni con un

braccioassicurandole che mi sarebbe stata di grande aiuto; e questo cidiede nuova lenasicchénel giro di pochi

minutiraggiungemmo un punto da cui scoprimmo che la barca si trovavaproprio nel posto che m'ero immaginata. Era

stata intenzionalmente lasciata il più possibile fuori vistaed eraormeggiata ad uno dei paletti d'una staccionata che

proprio in quel puntoraggiungeva il margine dell'acquae che doveva averfacilitato lo sbarco. Riconobbiosservando i

remi corti e pesantigiudiziosamente tirati in barcail carattereprodigioso dell'impresa per una bambina così piccola;

ma avevo ormai vissutoa quel puntotra troppe meraviglieed avevopalpitato per accorgimenti ben più astuti. La

staccionata aveva un varcoattraverso il quale passammoe che ci portòinun tempo brevissimoin uno spazio più

aperto. Allora «Eccola!» esclamammo all'unisono.

Florapoco lontano da noistava in piedi sull'erba e sorridevacome se lasua impresa fosse ormai compiuta.

La seconda cosa che fecetuttaviafu di chinarsi a cogliere con decisione(come se fosse andata sin lì solo per quello)

un lungo e brutto rametto di felce appassita. Fui certa all'istante che eraappena uscita dalla macchia. Ci aspettò senza

muovere un passoed io mi resi conto della strana solennità con la quale ciavvicinammo a lei. Continuava a sorridere;

la raggiungemmo; ma tutto avvenne in un silenzio chiaramente di cattivoaugurio. La signora Grose fu la prima a

rompere l'incantesimo: si buttò in ginocchio eattirando la bambina alsenoserrò in un lungo abbraccio quel corpicino

teneroflessuoso. Iomentre durava quell'abbraccio silenzioso e convulsonon potevo che stare a guardaree lo feci

tanto più intensamente quando vidi il viso di Florache mi fissava al disopra della spalla della nostra compagna. Era

serio orail sorrisetto l'aveva abbandonatoe ciò rese più acuta la fittadi dolore che provai nell'invidiare alla signora

Grose la semplicità del suo rapporto. Tuttaviaper il momentononaccadde altro tra noise non che Flora lasciò cadere

a terra la sua stupida felce. Ci eravamo praticamente dette che ormai ognifinzione era inutile tra noi. Quando

finalmente la signora Grose si rialzòtenne la bambina per manosicché mistavano entrambe di fronte; e la singolare

reticenza della nostra riunione era sottolineata ancor più dal francosguardo che mi lanciò. «Piuttosto che parlare»

diceva il suo sguardo«mi farei impiccare!»

Fu Flora cheosservandomi con ingenuo stuporeruppe il silenzio. Sembravacolpita dal fatto che eravamo a

capo scoperto. «Dove sono le vostre cose?»

«Dove sono le tuecara!» ribattei prontamente.

Aveva già riacquistato la sua gaia disinvolturae parve appagata dalla miarisposta. «E Miles dov'è?» continuò.

C'era qualcosa in quel coraggio infantile che finì di sconcertarmi; quellesue tre parolein un lampo simile al

balenare di una lama sguainatarovesciarono la coppa che la mia manodamolte settimaneteneva alta e colma sino

all'orloe che oraancor prima di parlaresentivo traboccare in un verodiluvio. «Te lo dirò se tu mi dirai...» mi sentii

dire; poi avvertii il tremito che le arrestò.

«Allorache cosa?»

L'angoscia della signora Grose si rovesciò su di me; ma ormai era troppotardie continuaicon graziosa

disinvoltura: «Dov'ècarinala signorina Jessel?»

XX

Proprio come era accaduto con Miles nel cimiterola cosa ci sovrastava.Avevo contato molto sul fatto che

quel nome non fosse mai stato pronunciato fra noie la rapida smorfia disofferenza che si dipinse sul viso della bimba

fece sì che la mia brusca interruzione del silenzio assomigliasse alfracasso di un vetro infranto. A questo si aggiunse il

grido che la signora Grosequasi a parare il colpolanciò nello stessoistante contro la mia violenza: il grido di una

creatura spaventata opiuttostoferitaal qualenel giro di pochisecondisi aggiunse un mio gemito. Afferrai la mia

collega per un braccio. «È làè là!»37

La signorina Jessel stava davanti a noi sulla sponda oppostaesattamentecome l'altra voltae ricordo che

stranamenteil primo sentimento suscitato in me questa volta dalla suaapparizione fu un brivido di gioia per aver

raggiunto una prova. Ella era làed io ero giustificata; era làed io nonero più né crudele né pazza. Era là per la povera

signora Grose spaventata a mortema era là soprattutto per Flora; nessunmomento di quel mio mostruoso periodo fu

forse così straordinario come quello in cui le lanciai coscientemente unmuto messaggio di gratitudinecon la

sensazione che (pallido e rapinoso demonio qual era) lo avrebbe afferrato ecompreso. Si ergeva ben dritta nel punto

stesso che io e la mia amica avevamo da poco lasciatoe non c'eranell'ampia estensione della sua bramaun briciolo di

perversione che andasse perduto. Quella prima nettezza di visione e diemozione non durò che pochi attimidurante i

quali lo sguardo attonito della signora Groserivolto al punto da meindicatomi parve la prova suprema del fatto che

anche leifinalmentevedevae mi spinsenello stesso tempoad abbassareprecipitosamente lo sguardo sulla bimba. La

rivelazione del modo in cui Flora sopportava quella prova mi impressionòinveritàmolto di più che se l'avessi vista

semplicemente agitatadato che uno sgomento vero e proprio non era certoquello che mi aspettavo da lei. Preparata e

messa in guardia dal nostro inseguimentoella avrebbe certamente saputo comenon tradirsi; pertanto fui molto colpita

sulle primeda un suo particolare atteggiamentoche non mi aspettavo.Vederlasenza la minima alterazione del suo

roseo visinosenza neppure fingere di gettare uno sguardo nella direzionedel prodigio da me annunciatoma invecee

soltantointenta a rivolgere a me un'espressione di gravità dura efermaun'espressione assolutamente nuova e senza

precedentiche sembrava leggere in me e accusarmi e giudicarmi... Vederlacosìdicevofu un colpo tale che trasformò

in certa maniera la bambina stessa proprio nella presenza adatta a farmiperder d'animo. Mi persi d'animosebbene in

quell'istante fossi più che mai sicura che lei vedesse tuttoenell'urgente bisogno di difendermimi appellai

appassionatamente alla sua testimonianza. «È làpiccola bimba infelice...làlàlàe tu la vedi così come vedi me!»

Poco prima avevo detto alla signora Grose chein quei momentiFlora non erapiù una bambinama una donna vecchia

molto vecchiae tale definizione non poteva esser confermata in modomigliore di quello in cui ella mi mostravaper

tutta rispostae senza il più lieve cedimentola minima ammissione nel suosguardoun atteggiamento di profonda

disapprovazionedivenuta d'un tratto ferma come una roccia. A quel puntoseriesco a ricostruire esattamente la scena

ero più spaventata per quelle che potrei propriamente chiamare «le suemaniere»che da ogni altra cosaanche se

contemporaneamente mi accorsi di dover ormai tener testa anche alla signoraGrosee in un modo molto impegnativo.

Comunquela mia anziana compagnaun momento dopocancellò ogni cosaadeccezione del suo viso acceso e della

sua protesta alta e vibranteuno scoppio di somma disapprovazione. «Chescherzo spaventososignorina! Dove mai

vedete qualcosa?»

Non potei far altro che afferrarla fulmineamenteperchéproprio mentreparlaval'orribile e certa presenza

rimaneva lànetta e indomabile. Durava ormai da un minutoe durò ancoramentrespingendo verso di lei la mia

collegacome per presentarglielainsistevo puntando il dito: «Ma non lavedete esattamente come noi la vediamo?...

volete dire che non la vedete ora... ora? Ma se è grande come un rogofiammeggiante! Ma guardatelamia cara donna

guardatela!» Guardòcome io guardavoe con un gemito profondofattodi negazionedi ripulsa e di compassione (un

misto di pietà e di sollievo per essere stata risparmiata)mi trasmise lasensazione - che persino in un momento come

quello mi toccò il cuore - che se solo avesse potutomi avrebbe sostenuta.Ne avevo davvero bisognoperchéal duro

colpo della rivelazione che i suoi occhi erano sigillati senza speranzasentii peggiorare orribilmente la mia situazione

sentiividi la livida figura della donna che mi aveva preceduto premeredalla sua posizioneper la mia disfatta; ed ero

per di più cosciente di ciò che avrei dovuto affrontare di lì in avantivisto il sorprendente comportamento di Flora. In

quel comportamento si inserì immediatamente e violentemente la signoraGrosecon una folata di ansante sicurezza

proprio quando nella mia sensazione di completa rovina si stava facendostrada quella di un prodigiosoprivatissimo

trionfo.

«Non è làpiccolinanon c'è nessuno là... e non puoi aver vistonientetesoro mio! Come può la povera

signorina Jessel... dal mo mento che la povera signorina Jessel è morta esotterrata! Noi lo sappiamonon è vero

amore?» Econfusamentefaceva appello alla bambina. «Si tratta soltantodi un erroredi una fisimadi uno scherzo... e

adesso ce ne torniamo a casail più in fretta possibile!»

La nostra compagnaa tutto questoaveva reagito con una strana e rapidacompostezzaed ora che la signora

Grose era di nuovo sicura di séeccole di nuovo unitea quanto parevacontro di me. Flora intanto mi fissava con la sua

piccola maschera di rimproveroe persino in quegli istanti pregai Dio diperdonarmi perchémentre si stringeva al

vestito della nostra amicami sembrava di vedere che la sua incomparabilebellezza infantile fosse improvvisamente

venuta menosvanita del tutto. L'ho già detto... era letteralmentespaventosamente dura; era divenuta volgare e quasi

brutta. «Non so che cosa vogliate dire. Non vedo nessuno. Non vedo niente.Non ho mai visto niente. Penso che siate

crudele. Non mi piacete!» Poidopo questa uscita degna di una bambina distrada insolente e volgaresi strinse ancora

di più alla signora Grosee nascose tra le sue gonne quello spaventosovisino. Da quella posizione fece partire un

lamento quasi furibondo. «Portatemi viaportatemi via... ohportatemi v iada lei!»

«Da me?» ansimai.

«Da voi... da voi!» gridò.

Persino la signora Grose mi guardò sgomenta; mentre a me non restava altroche tentar di comunicare di nuovo

con la figura che sulla sponda oppostaimmobiletutta tesa come seaquella distanzapotesse afferrare le nostre parole

se ne stava là tanto vivida solo per la mia rovinae non per darmi aiuto.La sventurata bambina aveva parlato proprio

come se attingesse ad un'altra fonte ciascuna delle sue brevidoloroseparolee non potevo fare altronella più totale

disperazione per quello che ormai mi toccava accettare che scuoteretristemente il capo verso di lei. «Se mai mi fosse38

restato un dubbioecco che non dubito più. Ho vissuto con la miserabileverità che ormai mi stringe da ogni lato.

Naturalmenteti ho perduta: mi sono intromessa e tu hai trovatograzie ai suoisuggerimenti»e fissai di nuovoal di là

dello stagnol'infernale testimone«la via più semplice e perfetta perimpedirmelo. Ho fatto del mio meglioma ti ho

perduta. Addio.» Per la signora Grose ebbi un imperioso e quasi frenetico:«Andiamoandiamo!»davanti al qualecon

infinito dolorema stretta in silenzio alla bambinae chiaramente convintaa dispetto della propria cecitàche qualcosa

di orribile era davvero accadutoe che una voragine ci inghiottiva tuttisiritirò con la maggiore rapidità possibile per la

stessa strada da cui eravamo venute.

Di ciò che accadde non appena restai sola non ho un ricordo preciso. Sosoltanto chedopo forse un quarto

d'oraun sentore di scabrosità e di bagnatodi qualcosa che mi gelava etrapassava il mio turbamentomi fece capire che

m'ero gettata con il viso a terradando sfogo alla più selvaggia delledisperazioni. Dovevo esser rimasta a lungo

prostratapiangendo e singhiozzandoperché quando alzai il capo il giornoera quasi alla fine. Mi rialzai e guardai per

un momentonella luce del crepuscololo stagno grigio e le sue cupe rivestregatepoi ripresi il mio triste e difficile

cammino verso casa. Quando fui giunta al piccolo varco nella staccionatascopriinon senza stuporeche la barca non

era più lìil che mi confermò nel mio giudizio sulla straordinariapresenza di spirito di Flora. La qualeper una tacita e

(lo aggiungerei se una parola tanto grottesca non suonasse così falsa)«felice» intesapassò la notte con la signora

Grose. Non vidi nessuna delle dueal mio ritornomad'altro cantoper unasorta di ambiguo compensovidi «molto»

Miles. Vidi «tanto» di lui - non so come esprimermi altrimenti - quanto nonne avevo mai veduto prima. Nessuna delle

serate che trascorsi a Bly ebbe le portentose qualità di quella; manonostante ciònonostante la profonda voragine di

costernazione che s'era spalancata sotto i miei piediquella sera trascorseletteralmentee nel pieno senso della parola

in una tristezza straordinariamente dolce. Arrivata a casaquasi non mi eropreoccupata del ragazzo; ero andata dritta in

camera mia per cambiare i panni che avevo addosso e per cogliervicon unasemplice occhiatale prove materiali della

rottura con Flora. Tutte le piccole cose di sua proprietà erano stateportate via. Quandopiù tardivicino al caminetto

dello studiola solita cameriera mi servì il tènon chiesi affattonotizie dell'altro mio allievo. Aveva ormai la sua

libertà... che se la godesse sino in fondo! Ebbenese la godette; econsistéalmeno in partenell'entrare nella stanza

verso le ottoper sedersi in silenzio vicino a me. Allontanato il vassoiodel tèavevo spento le candelee avvicinato

ancor di più la sedia al fuoco: sentivo un freddo mortalee mi pareva chemai più ci sarebbe stato calore in me. Così

quand'egli apparvestavo seduta nel riverbero della fiammasola con i mieipensieri. Si arrestò un momento sulla porta

come per guardarmi; poiquasi volesse condividere i miei pensierimi vennevicino e sprofondò in una poltrona all'altro

lato del camino. Sedemmo là in assoluta immobilità; sentivo chemalgradotuttodesiderava stare con me.

XXI

Prima che il nuovo giorno avesse fatto piena irruzione nella mia cameraapersi gli occhi sulla signora Grose

che era giunta al mio capezzale con pessime notizie. Flora aveva una febbretanto alta che forse stava covando qualche

seria malattia; aveva passato una notte estremamente agitatauna notteattraversata da incubi che non avevano affatto

per oggetto la precedente istitutricema proprio quella attuale. Non eratanto contro la possibile ricomparsa sulla scena

della signorina Jessel che lei protestava... protestavaevidentemente eappassionatamentecontro la mia presenza.

Naturalmentefui subito in piedie con una gran voglia di far domandetanto più che la mia amica si era chiaramente

preparata per affrontarmi di nuovo. Me ne accorsi non appena la interrogai suquello che pensava riguardo alla sincerità

della bambina messa a confronto con la mia. «Insiste nel negare di avervistodi aver mai visto qualcosa?»

Il turbamento della mia visitatrice era davvero grande. «Ahsignorinanonè proprio una faccenda su cui riesca

a portarla! Inoltredevo dirlonon mi sembra davvero necessario. È unacosa che l'ha invecchiata da capo a piedi.»

«Ohla posso vedere molto bene anche da qui. È risentitaquella nobilepersoncinaper il velo di sospetto

calato sulla sua sinceritàeper dir cosìsulla sua rispettabilità."Proprio la signorina Jessel... lei!" Ahè davvero

"rispettabile"la nostra piccolina! L'impressione che mi ha fattoierivi assicuroè stata davvero delle più strane; andava

oltre tutte le altre. Io l'ho punta sul vivo! Non mi parlerà più.»

La signora Grose restò per un po' in silenziooppressa da quelle coseoscure e sgradevoli; poi accettò il mio

punto di vista con una franchezza chene fui certanascondevaqualcos'altro. «Penso davvero che non lo farà più

signorina. A questo riguardo si comporta con un gran sussiego!»

«E quel sussiego» conclusi«è praticamente tutto quello che ha ora.»

Ohsoltanto quel sussiegopotevo vedere sul viso della mia visitatriceenient'altro di più! «Mi chiede

continuamente sesecondo mevoi state per arrivare.»

«Capisco... capisco.» Anch'ioda parte miasapevo più di quanto dessi avedere. «Non vi ha più parlato da ieri

(tranne che per ripudiare ogni suo rapporto con quell'orrore) della signorinaJessel?»

«Non ha detto una sola parolasignorina. E naturalmentesapete» aggiunsela mia amica«ho creduto a quello

che lei ha detto vicino al lagoe cioè chealmeno in quel momento e inquel luogo non c'era nessuno.»

«Davvero! Enaturalmentevoi le credete ancora.»

«Non la contraddico. Che altro posso fare?»39

«Assolutamente nulla! Avete a che fare con la più intelligente dellebambine. Quei duevoglio dire i loro due

amicili hanno resi anche più intelligenti di quanto non li abbia giàfatti la natura; era un magnifico materia le su cui

lavorare! Flora adesso ha il suo risentimentoe lo sfrutterà sino infondo.»

«Sisignorina; ma sino a quale fondo?»

«Ma comemettendomi a confronto con lo zio. Mi descriverà a lui come lapiù spregevole delle creature...!»

Trasalii vedendo la scena incidersi sul viso della signora Grose; per unmomento fu come se li avesse davvero

davanti agli occhi. «E pensare che lui ha una così buona opinione di voi!»

«Ha un modo davvero strano di dimostrarlo... adesso che ci penso!» risi.«Ma non importa. Quello che Flora

vuolenaturalmenteè liberarsi di me.»

La mia compagna confermò coraggiosamente. «Non la vuole più vedereanessun costo.»

«Allora siete venuta a trovarmi per questo» le chiesi«per affrettare lamia partenza?» Tuttaviaancor prima

che avesse avuto il tempo di rispondermile avevo dato scacco matto. «Ci hopensato a lungo... e ho un'idea migliore.

La mia partenza sembrerebbe la soluzione miglioree domenica sonostata sul punto di attuarla. Perònon servirebbe.

Sarete voi a partire. Dovete portare con voi Flora.»

La mia visitatricea queste paroleebbe un dubbio. «Ma dove mai...?»

«Lontano da qui. Lontano da loro. Lontanoadessosoprattutto da me.Dritta dallo zio.»

«Soltanto per andare a parlargli di voi...?»

«Nonon "soltanto"! Anche per lasciarmi con il mio rimedio.»

Era ancora dubbiosa. «E qual è il vostro rimedio?»

«La vostra lealtàtanto per cominciare. E poi quella di Miles.»

Mi guardò fissa. «Pensate che lui...?»

«Si confiderà con mese ne avrà l'opportunità? Sìlo spero ancora. Inogni casovoglio provare. Partite con sua

sorella al più presto possibilee lasciatemi sola con lui.» Eromeravigliata io stessa della riserva d'energia che ancora

possedevoeforse per questoero un poco sconcertata per il fatto chemalgrado il buon esempio che le davoesitasse

ancora. «C'è una cosanaturalmente» proseguii«Loro non devonoassolutamente vedersi prima della partenza

nemmeno per un istante.» Allora mi venne in mente chemalgrado ilpresumibile isolamento di Flora dopo il ritorno

dallo stagnopoteva già essere troppo tardi. «Volete dire» chiesiansiosamente«che si sono già incontrati?»

A queste parole divenne tutta rossa. «Ahsignorinanon sono poi tantosciocca! Sono stata costretta ad

abbandonarla tre o quattro voltema l'ho sempre lasciata in compagnia di unacamerieraed orasebbene sia solala

porta è chiusa a chiave. Eppure... eppure!» C'erano troppe cose in ballo.

«Eppure che cosa?»

«Insommasiete proprio tanto sicura di quel piccolo gentiluomo?»

«Non sono sicura di nienteeccetto che di voi. Ma da ieri sera ho una nuovasperanza. Credo che lui voglia

darmi un'opportunità. Credo davvero che voglia parlarequel piccolosquisito sciagurato! Ieri seraalla luce del

focolareè restato seduto un paio d'ore vicino a meproprio come se fossesul punto di farlo.»

La signora Grose fissò intentaattraverso la finestrail nuovo giornogrigio che si preparava. «E lo ha fatto?»

«Nosebbene io abbia continuato ad aspettareconfesso che non lo ha fattoed alla fine ci siamo scambiati il

bacio della buonanotte senza che nulla avesse rotto il silenzioe senza labenché minima allusione allo stato di sua

sorella ed alla sua assenza. In ogni modo» continuai«se suo zio vede labambinanon posso consentire che veda anche

il fratello prima che io abbia dato al ragazzo ancora un po' di temposoprattutto adesso che le cose hanno preso questo

andazzo.»

La mia amica su questo punto si mostrò più riluttante di quanto riuscissi aspiegarmi. «Che cosa intendete con

"ancora un po' di tempo"?»

«Ebbeneun giorno o due... proprio perché possa parlare. Allora saràdalla mia partee voi capite quanto

questo sia importante. Se non succede nullaavrò semplicemente fallito enel peggiore dei casivoi mi avrete pur

sempre dato una manofacendo tutto quello che vi sarà possibile una voltaarrivata in città.» Così le spiegai come

stavano le cosema lei mi sembrò per qualche tempo così misteriosamenteimbarazzata che le venni di nuovo in aiuto.

«A meno che» ripresi«voi non preferiate realmente non andarvia.»

Vidi finalmente un lampo di comprensione sul suo viso; mi tese la mano comeun pegno. «Andrò... andrò.

Andrò via questa mattina.»

Volevo essere assolutamente equa. «Se preferite aspettare ancorapossoimpegnarmi a fare in modo che non

mi veda.»

«Nonoè proprio colpa di questo posto. Deve lasciarlo.» Posò su di meper un po'un altro sguardo intenso.

Poi venne fuori il resto. «La vostra idea è quella giusta. Ilo stessasignorina...»

«Ebbene?»

«Non posso più restare.»

Lo sguardo con cui accompagnò questa frase mi spinse a una conclusioneaffrettata. «Volete dire chea partire

da ierivoi avete visto?»

Scosse il capo con dignità. «Ho sentito!»

«Sentito da quella bambina... cose orrende! Ecco fatto!» sospirò contragico sollievo. «Sul mio onore

signorinadice delle cose...!» Ma a questo ricordo crollò; con unimprovviso singhiozzo si lasciò cadere sul mio divano

ecome l'avevo già vista fare altre voltediede libero sfogo al suodolore.40

In un senso completamente diversoanch'io mi lasciai andare. «Ohgrazie alcielo!»

A queste parolebalzò di nuovo in piediasciugandosi gli occhi con ungemito. «Grazie al cielo?»

«Questo mi dà almeno una giustificazione!»

«Ve la dàsignorina!»

Non avrei potuto desiderare maggior enfasima esitavo ancora. «È tantoterribile?»

Vidi che la mia collega faticava a trovare le parole adatte. «Davverosconvolgente.»

«E di me che cosa dice?»

«Riguarda proprio voisignorina... visto che dovete saperlo. È una cosache supera ogni immaginazioneda

parte di una signorina piccola come lei; e non riesco a capire dove mai possaaver imparato...»

«Lo spaventoso linguaggio che usa nei miei confronti? Posso ben dirloallora!» proruppi in una risata senza

dubbio abbastanza significativa.

In realtàservì soltanto a rendere più seria la mia amica. «Be'forseanch'io potrei ben dirlo... dato che in

passato ne ho avuto qualche esempio! Eppurenon riesco a sopportarlo» lapovera donna continuòlanciando al tempo

stesso un'occhiata al mio orologio che si trovava sulla toletta. «Ma adessodevo tornare.»

Tuttavia la trattenni. «Ahse non riuscite a sopportarlo...!»

«Come posso restare con leivolete dire? Ma comeproprio per quello:per portarla via di qui. Lontana da tutto

questo» insisté«Lontano da loro..

«Potrà mai esser diversa? Potrà esser libera?» L'afferrai per un braccioquasi con esultanza. «Alloraa dispetto

di quanto è accaduto ierivoi credete..

«A quelle cose?» La sua semplice descrizionealla luce dell'espressionedipinta sul suo visonon richiedeva

ulteriori spiegazionie lei mi aprì il suo cuore come non aveva fatto mai.«Ci credo.»

Sìera davvero una gioia esser di nuovo fianco a fianco: se mi erapossibile andare avanti con questa certezza

poco mi importava di quanto avrebbe potuto accadere. La signora Grose sarebbestata il mio sostegno nell'imminente

disastro così come lo era stata al mio primo bisogno di confidarmie se lamia amica si fosse resa garante della mia

integritàsarebbe stato compito mio rispondere di tutto il resto. Sul puntodi prendere congedo da leinondimeno

provai un certo imbarazzo. «C'è ancora un'altra cosanaturalmentedaricordareadesso che ci penso. La mia lettera

che dava l'allarmegiungerà in città prima di voi.»

Allora più che mai mi accorsi come lei avesse menato il can per l'aiaequanto ne fosse provata. «La vostra

lettera non arriverà mai laggiù. La vostra lettera non è mai partita.»

«Che cosa ne è statoallora?»

«Lo sa Dio! Il signorino Miles...»

«Volete dire che l'ha presa lui?» ansimai.

Esitòma poi vinse la sua riluttanza. «Voglio dire che ieriquandorientrai con la signorina Floraho visto che

non era più dove l'avevate messa. Più tardiin serataho avutol'occasione di domandarlo a Lukee lui ha dichiarato che

non l'aveva né notata né toccata.» A questo puntonon potemmo far altroche scambiarci uno di quegli sguardi intensi

con cui ci sondavamo a vicendae fu la signora Grose che per prima tirò sulo scandaglio con un quasi festoso:

«Capite!»

«Sìcapisco che se invece l'ha presa Milesprobabilmente l'ha letta e poidistrutta.»

«E non capite nient'altro?»

Per un momento le tenni testa con un mesto sorriso. «Mi colpisce il fattoche stavolta i vostri occhi vedono

meglio dei miei.»

Sembrava che fosse proprio cosìma ella quasi arrossivanel provarmelo.«Capisco ora quello che deve aver

fatto in collegio.» Enel suo ingenuo acumefece con il capo un cennoquasi buffo alla sua disillusione. «Ha rubato!»

Vi riflettei... tentai di essere più equa. «Be'forse.»

Mi guardò come se trovasse sorprendente la mia calma. «Ha rubato delle lettere!»

Non poteva conoscere le ragioni della mia calmadel resto moltosuperficiale; sicché gliele spiegai meglio che

potevo. «Spero dunque che sia stato più a proposito che non in questo caso!Ad ogni modola lettera che avevo messo

ieri sul tavolo» proseguii«gli deve aver dato un vantaggio tantotrascurabile (conteneva infatti la pura e semplice

richiesta di un colloquio) che egli può essere soltanto pieno di vergognaper il fatto d'essersi spinto tanto oltre per così

pocoe quello che lo tormentava ieri sera era precisamente il bisogno diconfessare.» Mi sembròper un istantedi poter

dominare tuttodi capire tutto. «Lasciatecilasciateci» ero già allaportae le mettevo fretta. «Gli caverò di bocca la

verità. Mi verrà incontro... confesserà. Se confessaè salvo. E se èsalvo lui...»

«Allora lo siete anche voi?» La cara donna mi baciòe presecongedo. «Vi salverò io senza bisogno di lui!» mi

gridò nell'andarsene.

XXII

Eppure fu quando se ne fu andata (sentii subito la sua mancanza) che giunsela grande prova. Qualunque cosa

avessi contato di ricavare dal restar sola con Milesriconobbi presto che neavrei tratto almeno un termine di paragone.

In veritànessuna ora del mio soggiorno a Bly fu così carica d'apprensionequanto quella in cuiscendendoseppi che la41

carrozza con la signora Grose e la più giovane dei miei allievi aveva giàvarcato il cancello. Oradissi a me stessasono

faccia a faccia con gli elementi; e durante gran parte di quel giornomentrelottavo contro la mia debolezzanon potei

fare a meno di pensare ch'ero stata troppo temeraria. Mi trovavo su unterreno ancora più angusto del solito; tanto più

cheper la prima voltapotevo vedere nell'aspetto degli altri un confusoriflesso della crisi. Quel che era accaduto

naturalmente aveva provocato in tutti un vivo stupore; la repentina partenzadella mia collega non era certo spiegata

dalle poche cose confuse che avevamo detto. Le persone di serviziouomini edonnesembravano stupefatte; il che

aggravò lo stato dei miei nervisinché non compresi la necessità diricavarne un aiuto pratico. In breve: evitai un

completo naufragio soltanto aggrappandomi al timone; e oso dire che quellamattinaper poter sopportare la prova

divenni molto altera e molto fredda. Accolsi con gioia la coscienza delle miemolteplici responsabilitàe lasciai inoltre

capire chepur abbandonata a me stessaavrei mantenuto una notevolefermezza. Per un'ora o due mi aggirai per la casa

ostentando questo contegnoe dovevo aver l'aspettonon ne dubito affattodi una persona pronta a qualunque assalto.

Cosìa beneficio degli interessatime ne andavo in parata con la morte nelcuore.

La persona che si mostrò meno interessata fufino all'ora di pranzoproprio il piccolo Miles. Il mio andare e

venire non era servito a farci incontrarema aveva contribuito a renderepiù evidente il cambiamento avvenuto nel

nostro rapporto da quandoil giorno primasuonando il pianoforte mi avevastregata e ingannata a vantaggio di Flora. Il

rumore delle chiacchiere dei domestici aveva naturalmente accompagnato lasegregazione e la partenza della bambinae

il cambiamento era annunciato anche dal mancato rispetto delle regole dellostudio. Miles era già scomparso quando

scendendoavevo spalancato la porta della sua stanza; e avevo appreso alpianterreno che aveva fatto colazionein

presenza di due domesticheinsieme alla signora Grose e alla sorella. Erapoi uscitoaveva dettoper fare una

passeggiata; e nullapensaiavrebbe potuto esprimere meglio la sua schiettaopinione sulla brusca trasformazione della

mia parte. Fino a che punto mi avrebbe permesso di sostenere questa nuovaparte era ancora da stabilire: in ogni caso

c'era (voglio dire per me in particolare) uno strano sollievo nel rinunciaread una pretesa. Se erano molte le cose

affiorate alla superficienon è forse troppo forte dire che quella emersamaggiormente era l'assurdità di prolungare la

finzione che io avessi ancora qualcosa da insegnargli. Era abbastanza chiarochecon certe piccoletacite manovre nelle

quali mostrava di prendersi a cuore la mia dignità anche più di me stessaavevo dovuto appellarmi a lui per essere

esentata dallo sforzo di tenermi alla pari delle sue reali capacità. Ad ognimodoegli ora aveva la sua libertà; e io non

l'avrei mai più limitatacome avevo ampiamente provato la sera precedentequando mi aveva raggiunto nello studio ed

io non gli avevo rivolto né un rimprovero né un'allusione a quanto eraaccaduto in quell'intervallo di tempo. Da quel

momentoinfattiavevo ben altro a cui pensare. Eppurequando finalmenteMiles arrivòla difficoltà di mettere in

pratica le mie nuove idee e il cumulo dei miei problemi mi saltarono agliocchi a causa di quella piccolagraziosa

presenza sulla quale ciò che era accaduto non aveva ancoraper quanto sivedevalasciato né ombra né macchia.

Per segnalare alle persone di servizio il tono elevato che desideravoregnasse nella casastabilii che i pasti che

prendevo con il ragazzo fossero serviticome dicevamo«dabbasso»; perquesto lo avevo aspettato nella pompa

maestosa di quella stanzadalla cui finestra avevo avuto dalla signoraGrosequella prima terribile domenicaun lampo

di qualcosa che solo impropriamente si sarebbe potuta chiamare luce. Orasentivo di nuovo (perché l'avevo già sentito

più volte) quanto il mio equilibrio dipendesse dalla vittoria della miaferma volontàla volontà cioè di chiudere gli occhi

il più possibile sul fatto che ciò che dovevo affrontare era rivoltantecontro natura. Non potevo resistere se non

entrandoper così direin confidenza con la «natura» e tenendone contoe considerando la mia prova mostruosa come

una spinta verso una direzione insolitaovviamentee sgradevolema chedopotutto non richiedevaper farvi fronte

serenamenteche un giro di vite alla comune virtù umana. Nessuna impresatuttaviaavrebbe richiesto un tatto

maggiore di questa: supplire con le proprie forze a tutta la natura.Ma come avrei potuto introdurre anche soltanto un

briciolo di quell'elementose bisognava sopprimere ogni riferimento a quantoera accaduto? Ed'altro cantocome

potevo farvi riferimento senza precipitare di nuovo nella spaventosavoragine? Ebbenedopo qualche tempo trovai una

specie di rispostae ne trovai la conferma nella percezione incontestabile efolgorante di quanto v'era di eccezionale nel

mio piccolo compagno. Sembrava veramente che egli avesse trovato anche quellavolta - così come aveva fatto tante

volte durante le lezioni - qualche altro modo delicato di mettermi a mioagio. Non era forse illuminante il fatto che si

verificò - mentre dividevamo la nostra solitudine - con un fulgoreparticolareancora intatto? Il fatto cioè che (con

l'aiuto dell'occasionevoglio dire l'occasione preziosa che si erapresentata allora) sarebbe stato irragionevoleavendo a

che fare con un ragazzo così dotatorinunciare al soccorso che potevavenire dalla sua sovrana intelligenza? Per qual

fine gli era stata data l'intelligenzase non per salvarlo? Non si potevaper raggiungere il suo spiritotentare un colpo di

mano sul suo carattere? Era come sementre ci trovavamo a faccia a faccianella sala da pranzoegli mi avesse

letteralmente indicato la strada giusta. L'arrosto di montone era in tavolaed io avevo congedato la servitù. Milesprima

di sedersirestò un momento in piedicon le mani in tascaguardandol'arrostoa proposito del quale sembrò sul punto

di fa re qualche spiritosa osservazione. Ma quello che poi disse fu:«Alloramia caraè davvero tanto ammalata?»

«La piccola Flora? Non tanto da non potersi sentire meglio molto presto.Londra la guarirà. Bly ha smesso di

farle bene. Vieni qui a prendere il tuo montone.»

Fu sollecito ad obbedirmi: portò con cura il piatto al suo postoequandosi fu sistematoproseguì: «Bly è

diventato così all'improvviso poco indicato per lei?»

«Non così all'improvviso come puoi pensare. C'è stato tutto il tempo perprevederlo.»

«Alloraperché non l'avete mandata via prima?»

«Prima di che?»

«Prima che fosse troppo ammalata per viaggiare.»42

Fui pronta a rispondere. «Non è troppo ammalata per viaggiare:soltantolo sarebbe diventata se fosse rimasta

qui. Questo era proprio il momento giusto per farlo. Il viaggio scacceràl'influenza maligna» (ohil mio era davvero un

gran sussiego!)«e porterà via tutto.»

«Capicocapisco.» In quanto a sussiegoanche Miles non ne era sprovvisto.Cominciò a mangiare con quel

suosquisito «contegno a tavola» chesin dal giorno del suo arrivomiaveva dispensata da ogni grossolano rimprovero.

Qualunque cosa avesse provocato la sua espulsione dal collegionon era certoun contegno reprensibile a tavola. Infatti

anche quel giorno egli era irreprensibilecome sempre; eppuresenza dubbiopiù affettato. Era chiaro che cercava di

dare per scontate più cose di quante non gli fosse possibile ammettere senzaspiegazioni; e s'immerse in un quieto

silenziomentre pensava alla sua situazione. Il pasto fu dei più brevi: perparte miauna vana finzionee feci

rapidamente sparecchiare. Mentre questo avvenivaMiles rimase nuovamente inpiedi con le mani in tascavoltandomi

la schiena... stava in piedi e guardava fuori della grande finestraattraverso la qualequell'altro giornoavevo visto ciò

che mi aveva sconvolta. Finché la domestica rimase con noi restammo insilenzio... in silenziopensai ironicamente

come una giovane coppia in viaggio di nozzeintimidita in una locanda dallapresenza del cameriere. Si voltò soltanto

quando la domestica ci ebbe lasciati. «Bene... eccoci dunque soli!»

XXIII

«Ohpiù o meno.» Penso che il mio sorriso fosse scialbo. «Noncompletamente. Non ci piacerebbe!» continuai.

«No... suppongo di no. Naturalmente ci sono gli altri.»

«Ci sono gli altri... ci sono davvero gli altri» assentii.

«Eppurebenché ci siano» replicòsempre piantato davanti a me con lemani in tasca«non contano molto per

noinon è vero?»

Cercai di fare del mio meglioma mi sentivo sfinita. «Dipende da quello chetu intendi per "molto"!»

«Sì» rispose molto conciliante«tutto dipende da quello!» A questopuntotuttaviasi voltò di nuovo verso la

finestrae anzi la raggiunse con passo indecisoesitantenervoso. Virimase per un po' di tempola fronte premuta

contro il vetroin contemplazione di quegli stupidi cespugli che conoscevocosì bene e delle grigie cose che ci porta

novembre. Io avevo sempre pronta l'ipocrisia del mio «lavoro»sotto la cuiprotezioneadessoraggiunsi il divano.

Applicandomi ad esso come avevo fatto più volte in quei momenti tormentosiche ho descritto come i momenti in cui

ero certa che i bambini si dedicavano a qualcosa da cui io ero esclusamimisi docilmentecome al solitoad aspettare il

peggio. Ma una straordinaria impressione mi colpi mentre cercavo diattribuire un significato alla schiena

«imbarazzata» del ragazzo... nient'altro che l'impressione che io ormai nonero più esclusa. Questa deduzione raggiunse

nel giro di pochi minuti una forza notevolissimae sembrava legata allaprecisa sensazione che ora l'escluso fosse lui.

L'intelaiaturai riquadri della grande finestra si traducevano per luinell'immagine stessa del fallimento. Comunquemi

sembrava di vederlo davanti a una portache lo chiudeva «dentro» o«fuori» qualcosa. Era ammirevolema non a suo

agio: me ne resi conto con un fremito di speranza. Non cercava forse discorgereoltre il vetro stregatoqualcosa che

non riusciva a vedere?... e non era la prima voltain tutta la nostrastoriache conosceva un simile scacco? La prima

voltaproprio la prima: che splendido presagio! Benché si controllasseilsuo atteggiamento diventava ansioso; era stato

in ansia tutto il giornoe persino mentre sedeva a tavolamalgrado le suesolitesoavi maniereaveva dovuto far ricorso

a tutto il suo strano genio infantile per mascherarlo. Quando finalmente sivoltò verso di meera quasi come se quel suo

genio fosse stato sconfitto. «Be'sono contento che Bly sia indicato almenoper me!»

«Pare proprio chenelle ultime ventiquattroretu te ne sia reso contomolto più che in passato. Spero»

proseguii audacemente«che tu ti sia divertito.»

«Ohsisono stato così lontano; tutt'attorno... miglia e miglia lontanoda qui. Non sono mai stato così libero.»

Egli aveva veramente un modo di fare tutto suoed io potevo soltanto cercaredi mantenermi alla sua altezza.

«Ebbeneti piace?»

Sorrise; poi finalmente pose in tre parole («E a voi?») tantaprofondità quanta non avevo mai pensato che

potessero contenere tre sole parole. Prima che avessi il tempo di riavermicontinuòtuttavia come se avesse

l'impressione d'aver detto un'impertinenza a cui doveva rimediare. «Non c'èniente di più amabile del modo in cui voi la

prendeteperché naturalmente se ora noi siamo solila più sola siete voi.Ma spero» disse d'un fiato«che la cosa non

vi importi in modo particolare.»

«Avere cioè a che fare con te?» chiesi. «Mio caro bambinoe comepotrebbe non importarmene? Sebbene io

abbia rinunciato ad esigere la tua compagnia (sei talmente superiore a me)io almeno ne godo ancora moltissimo. Per

quale altra ragione dovrei rimanere?»

Mi guardò più attentamentee l'espressione del suo visodiventata piùgravemi colpì come la più bella che io

avessi mai visto in lui. «Rimanete soltanto per questo?»

«Certamente. Rimango qui perché sono tua amicae per l'enorme interesseche provo per tefintanto che si

possa fare qualcosa che sia più adatta per te. Questo non ti deve stupire.»La mia voce tremava tanto che mi era

impossibile nasconderlo. «Non ricordi ciò che ti dissi la sera deltemporalequando venni a sedermi sul tuo lettoche

non c'era niente al mondo che non avrei fatto per te?»43

«Sìsì!» Anche luida parte suaappariva sempre più nervosoe dovevapadroneggiare la voce; ma vi riusciva

tanto meglio di me che arrivò al puntonascondendo la sua gravità con unarisatadi fingere che stessimo celiando

piacevolmente. «Soltanto che io pensavo che lo diceste per farmi farequalcosa per voi!»

«In parte era anche per farti fare qualcosa» concessi«malo sai benetu non l'hai fatta.»

«Ohsì» esclamò con una vivacità tutta artificiale«volevate che iovi dicessi qualcosa.»

«Proprio così. Francamentemolto francamente: quello che hai in testalosai bene.»

«Ahallora è per questo che siete rimasta?»

Parlava con un'allegria attraverso la quale riuscivo ancora ad afferrare unavena sottile di astioso risentimento;

ma non posso spiegare l'effetto prodotto su di me da quell'accennosia purlontanodi resa. Era come se ciò che avevo

tanto a lungo desideratofosse alla fine venuto soltanto per stupirmi.«Ebbenesì... posso anche ammetterlo

francamente. È stato precisamente per questo.»

Tacque così a lungo che pensai lo facesse col proposito di demolire lasupposizione sulla quale avevo basato il

mio comportamento; ma alla fine si limitò a dire: «Volete dire adesso...qui?»

«Non potrebbero esserci un luogo o un'ora migliori.» Si guardò intornoinquietoe io ebbi la rarastrana

impressione che apparisse in lui il primo sintomo dell'avvicinarsi d'unacerta paura. Era come se all'improvviso egli

avesse paura di me... il che mi colpì come se fosse davvero la migliorsensazione da ispirargli. Tuttavia compresial

culmine della mia angosciache era inutile fingere d'esser durae unistante dopo sentii me stessa direcon una

gentilezza quasi grottesca: «Desideri proprio tanto uscire di nuovo?»

«Moltissimo!» Mi sorrise eroicamentee la sua toccante spavalderia difanciullo fu resa anche più evidente da

un improvviso rossoreche ne indicava l'intima sofferenza. Preso ilcappelloche aveva portato con sé entrandolo

rigirava tra le mani in un modo che mi colmòproprio al momento di entrarein portod'un orrore perverso per quanto

stavo facendo. Farlo ad ogni costo era un atto di violenzaperché inche altro consisteva il mio comportamento se non

nel forzare il senso della volgarità e della colpa in una piccola creaturasenza difesache mi aveva invece rivelato le

possibilità di un rapporto incantevole? Non era bassezza creare in quellospirito squisito un malessere plumbeoestraneo

alla sua natura? Credo di penetrare ora la nostra situazione con unachiarezza che a quell'epoca non era possibileperché

mi sembra di vedere i nostri poveri occhi già infiammati dalla previsionedell'angoscia a venire. Così giravamo in

cerchiocarichi di terrore e di incertezzacome lottatori che non osinoavvicinarsi. Ma era l'uno per l'altra che

temevamo! Questo ci tenne un po' più a lungo nell'attesa e senza ferite.«Vi dirò tutto» disse Miles«voglio dire che vi

dirò tutto quello che volete. Resterete con mee staremo bene tutt'e due edio vi dirò tutto... sìvi dirò tutto. Ma non

ora.»

«Perché non ora?»

La mia insistenza lo distolse da me e lo fece ritornare ancora una voltavicino alla finestrain un tale silenzio

chetra noisi sarebbe sentito cadere uno spillo. Poi fu di nuovo davanti amecon l'aria di una persona aspettata fuori

di casa da qualcuno con cui si devono fare i conti a viso aperto. «Devovedere Luke.»

Non lo avevo ancora mai costretto a dire una bugia così grossolanae misentii invasa da una vergogna

proporzionata. Maper quanto fosse orribilele sue bugie contribuivano adar forma alla mia verità. Pensosafinii

alcune maglie del mio lavoro. «Beneallorava' da Lukeed io aspetteròche tu faccia quanto mi hai promesso; soltanto

prima di lasciarmiin cambio di questo soddisfa una richiesta molto piùmodesta.»

Mi guardòcome se sentisse di aver conseguito un successo così grande dapermettergli di mercanteggiare

ancora un po'. «Molto più modesta...?»

«Sìproprio una frazione dell'intero. Dimmi» (ohil mio lavoro miteneva occupatae parlai con

indifferenza!)«se ieri pomeriggiosaidal tavolo dell'atriohai presola mia lettera.»

XXIV

Per un momentola mia impressione di come lui avesse ricevuto la domanda fuinfluenzata da qualcosa che

non posso descrivere che come un violento spaccarsi in due della miaattenzione... Un colpo che sulle primementre

balzavo in piedinon mi consentì che di afferrare il ragazzo alla ciecastringerlo a me ementre cercavo a caso un

sostegno nel mobile più vicinotenerlo istintivamente con la schienarivolta alla finestra. L'apparizione che avevo già

dovuto affrontare proprio in quel puntoincombeva sopra di noi: Peter Quintera comparsocome una sentinella davanti

ad una prigione. La seconda cosa che vidi fu chedall'esternoegli avevaraggiunto la finestrae poi seppi cheaccostato

al vetro e guardando all'internoegli offriva un'altra volta alla stanza lasua livida faccia di dannato. Dire che presi la

mia decisione in un secondonon è che riprodurre molto approssimativamentequel che avvenne in me a quella vista;

tuttavia credo che nessuna donna tanto sconvolta abbia mai riacquistatoinun tempo così breveil pieno possesso

dell'azione. Compresinell'orrore stesso di quella improvvisapresenzache l'azione doveva consisteredal momento che

vedevo quel che vedevo e affrontavo quel che affrontavonel tenere ilragazzo all'oscuro di ciò che stava succedendo.

L'ispirazione (non posso chiamarla diversamente) fu di capire con quantavolontàcon quanta trascendenzaio potessi.

Era come combattere con un demonio per salvare un'animae appena mi fui resaconto di questovidi che l'anima

umana (tenuta con le mani tremantia braccia tese) aveva la fronte soave diun fanciullocoperta di un velo di sudore. Il

volto che si appoggiava al mio era bianco come la faccia premuta contro ilvetroe da esso poco dopo provenne un44

suononé basso né debolema che sembrava giungere da regioni lontaneeche io bevvi come un soffio d'aria

balsamica.

«Sì... l'ho presa io.»

Alloracon un gemito di felicitàlo abbracciailo strinsi a me ancorapiù strettamente; ementre me lo tenevo

sul senosentendo nella febbre improvvisa di quel corpicino il tremendopulsare del suo piccolo cuorei miei occhi non

abbandonavano quella cosa alla finestra e la videro muoversi e mutare diposizione. L'ho paragonata ad una sentinella

ma il suo lento girarsiper un momentosembrò piuttosto il vagare di unabelva scornata. Il coraggio che ora sentivo

centuplicato era tuttavia tale cheper non lasciarmi trascinare da essofuicostrettaper così direa schermare la mia

fiamma. Nel frattempoil bagliore sinistro di quel viso era ancora allafinestrae il miserabile ci fissava come se

dovesse soltanto sorvegliarci ed aspettare. Ma la fondata sicurezza che orapotevo sfidarlo e la positiva certezza che il

fanciullo era ignaromi spinsero a continuare. «Perché l'hai presa?»

«Per vedere che cosa dicevate di me.»

«Hai aperto la lettera?»

«L'ho aperta.»

Il mio sguardoora che avevo allentato un poco la strettasi posava sulviso di Milessu cuicaduta quell'aria

ironicasi leggeva quanto fosse completa la devastazione dell'inquietudine.Ciò che era veramente prodigioso era che

alla finegrazie alla mia vittoriai suoi sensi erano sigillati e lacomunicazione interrotta: si rendeva conto d'essere in

presenza di qualcosama non sapeva che cosae sapeva ancor meno che c'eroanch'io e che sapevo tutto. E che

importavadel restoquella tensione sfibrantequando il mio sguardo potevatornare alla finestra soltanto per scoprire

che l'aria era di nuovo chiarae che (grazie al mio personale trionfo)l'influenza maligna era vinta? Non c'era più niente

là. Sentivo di aver avuto causa vintae che la mia vittoria sarebbe stata completa.«E non hai trovato nulla!» detti libero

sfogo alla mia euforia.

Fece con la testa il più malinconicoil più pensoso dei cenni. «Nulla.»

«Nullanulla!» quasi gridavo per la gioia.

«Nullanulla» ripeté tristemente.

Lo baciai sulla fronte; era madida di sudore. «E allora che cosa ne haifatto?»

«L'ho bruciata.»

«Bruciata?» O allora o mai più. «E questo che avevi fatto in collegio?»

Ohquali conseguenze ebbero quelle mie parole! «In collegio?»

«Avevi preso delle lettere?... o altre cose?»

«Altre cose?» Sembrava che ora stesse pensando a qualcosa di molto lontanoa qualcosa che poteva giungere

sino a lui soltanto sotto la tensione dell'inquietudine. Tuttavia loraggiunse. «Ho rubato?»

Mi sentii arrossire sino alla radice dei capellinel tempo stesso che michiedevo che cosa fosse più strano:

rivolgere a un gentiluomo una simile domanda o vederla accogliere con unatranquillità che dava l'esatta misura della

sua caduta nel mondo. «È per questo che non puoi tornarvi?»

La sola cosa che provò fu una lievetriste sorpresa.

«Sapevate che non potevo tornarvi?»

«Sapevo tutto.»

A queste parole mi lanciò uno sguardo prolungatostranissimo. «Tutto?»

«Tutto? E allorahai veramente...?» Ma non potei dirlo di nuovo.

Miles potécon molta semplicità. «Nonon ho rubato.»

Il mio viso doveva avergli rivelato che gli credevo pienamente; eppure le miemani (per pura tenerezza) lo

scuotevano come per chiedergli perchése non c'era nullami avevacondannata a quei mesi di tormento. «Allorache

cosa hai fatto?»

Con una vaga espressione di dolore alzò lo sguardo al soffittoe respirò afondo due o tre voltequasi con

difficoltà. Lo si sarebbe potuto dire in fondo al marementre levava gliocchi a qualche lontano crepuscolo verde.

«Be'... ho detto certe cose.»

«Soltanto questo?»

«Hanno pensato che bastasse!»

«Per buttarti fuori?»

Maicertamentepersona «buttata fuori» si mostrò meno prodiga dispiegazioni di quello strano ometto!

Sembrava soppesare la mia domandama in modo completamente distaccatoequasi smarrito.

«Be'suppongo che non avrei dovuto.»

«Ma a chi le hai dette?»

Evidentemente cercava di ricordarema non vi riuscì... era un ricordoperduto. «Non lo so!»

Giunse quasi a sorriderminella desolazione della propria disfattache eragià così completaormaiche avrei

dovuto fermarmi a quel punto. Ma ero come ubriacaaccecata dalla vittoriabenché persino allora la conseguenza di

quest'ultimaanziché avvicinarmelonon facesse altro che accentuare ilnostro distacco. «Le hai dette a tutti?» chiesi.

«Nosoltanto a...» ma scosse il capo con aria stanca. «Non ricordo i loronomi.»

«Erano così tanti?»

«No... pochi. Quelli che mi piacevano.»45

Quelli che gli piacevano? Mi pareva di librarmi non nella lucema inun'oscurità più fondae un momento

dopo dalla mia stessa pietà era scaturito l'agghiacciante allarme che eglipotesse magari essere innocente. Per un attimo

l'enigma rimase confuso e insondabileperché se egli era innocenteche ero io dunque? Paralizzatasin tanto che durò

dal semplice presentarsi di quella domandaallentai la strettasicchéconun sospiro profondosi allontanò di nuovo da

me: cosa chementre volgeva il viso alla finestra vuotatolleraisentendoche là ormai non c'era più nulla da cui dovessi

difenderlo. «E hanno ripetuto quello che hai detto?» ripresi dopo unmomento.

Fu di colpo distante da merespirando ancora a faticae ancora con l'ariaanche se ora senza rabbiad'esser

sequestrato suo malgrado. Una volta ancoracome aveva fatto primacontemplò il grigiore del giornocome sedi tutto

quello che lo aveva sostenuto sino ad alloranon fosse rimasta cheun'inesprimibile ansietà. «Ohsì» rispose tuttavia

«devono averle ripetute. A quelli che piacevano a loro» - aggiunse.

Era meno di quantoin certo sensomi aspettassi; ma insistetti. «E quellecose giunsero...?»

«All'orecchio dei maestri? Ohsì!» rispose con molta semplicità. «Manon sapevo che le avrebbero ripetute.»

«I maestri? Loro no... non ne hanno mai parlato. Per questo te l'hodomandato.»

Rivolse ancora verso di me il suo bel visino febbricitante. «Sìera troppobrutto.»

«Troppo brutto?»

«Quel che penso d'aver detto qualche volta. Troppo brutto da scrivere acasa.»

Non posso definire lo squisito pathos della contraddizione posta in quellafrase da chi l'aveva pronunciata; so

soltanto che un istante dopo mi sentii esclamare con vigorosa familiarità:«Tutte stupidaggini!» Ma l'istante successivo

devo aver avuto un tono abbastanza severo. «Quali erano questecose?»

La mia severità era tutta per il suo giudiceil suo carnefice; tuttavia lospinse a voltarsi ancorae quel gesto

spinse mecon un solo balzo e un grido insopprimibilea saltareletteralmente su di lui. Perché ecco là di nuovocontro

il vetro come per fare intristire la sua confessione e frenare la suarispostail ripugnante autore della nostra

maledizione... il livido volto della dannazione. Fui colta da un improvvisostordimento al crollo della mia vittoriaal

riaccendersi della battagliacosicché l'irruenza del mio vero e propriobalzo servì soltanto a tradirmi. A metà del mio

atto vidi che Miles aveva capitocome per divinazionee nell'avvertire cheanche stavolta egli poteva soltanto

indovinaree che la finestra era sempre vuota per i suoi occhilasciaidivampare l'impulso di trasformare il culmine del

suo sgomento nella prova stessa della sua liberazione. «Mai piùmai piùmai più!» gridai con voce stridula al mio

visitatorementre cercavo di stringere il bambino al petto.

«Lei è qui?» ansimò Miles mentre seguiva con i suoi occhisigillati la direzione delle mie parole. Poimentre

quello strano «lei» mi sconvolgevaed io lo ripetevo con un fil di vocecome un'eco«La signorina Jessella signorina

Jessel!» mi gridò con furia improvvisa.

Stupefattacompresi d'un tratto quello che voleva dire la suasupposizione... come un seguito di quello che

avevamo fatto con Florama ciò mi fece soltanto desiderare di mostrargliche si trattava di meglio. «Non è la signorina

Jessel! Ma è alla finestra... dritto davanti a noi. È là... quel vileorrorelà per l'ultima volta!»

A queste paroledopo un momento in cui la sua testa imitò il movimento delcane deluso che ha smarrito una

tracciaebbe un moto convulsoquasi cercasse aria e luce; si voltò versodi me in preda ad una rabbia muta

disorientatoguardando invano dappertuttosenza però trovare un segno(sebbene a me la stanza ne sembrasse

impregnatacome per le esalazioni di un veleno) di quella grandedominatrice presenza. «È lui?»

Ero ormai così decisa ad ottenere la prova voluta cheper sfidarlomi fecidi ghiaccio. «Che vuoi dire con quel

"lui"?»

«Peter Quint... demonio che non siete altro!» Il suo viso rivolgeva ancoraa tutta la stanzala supplica

convulsa. «Dov'è?»

Ho ancora nelle orecchie la resa suprema del nome e il suo omaggio alla miadevozione. «Che cosa ti importa

di lui ormaitesoro?... che importanza potrà più avere? Io ti ho»gridai rivolta all'essere immondo«mentre lui ti ha

perduto per sempre!» Poiper dimostrare che la mia opera era compiuta«Làlà!» dissi a Miles.

Ma egli si era già girato di scattosbarrava gli occhiguardava ancorasenza vedere altro che la luce quieta del

giorno. Sotto l'impressione di quella perdita di cui io ero tanto fieraegliemise il grido di una creatura scagliata oltre un

abissoe l'abbraccio in cui lo strinsi avrebbe potuto veramente arrestarlonella sua caduta. Lo presisìlo strinsi forte...

si può immaginare con quanta passione; ma prima che fosse trascorso unminuto cominciai a rendermi conto di ciò che

realmente stringevo tra le braccia. Eravamo soli nella placida luce delgiornoe il suo piccolo cuorespezzatoaveva

cessato di battere.