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IL CENTURIONE
[Frammento di una lettera di Sulpicio BalboLegato della DecimaLegioneallo zio Lucio Pisone in vacanza nella sua villa di Baia. Calende delmese d’agosto dell’anno 824 di Roma.]
Amatissimo zio
ho promesso di raccontarti ogni cosa degnad’interesse riguardo l’assedio di Gerusalemme. Ti prego di perdonare ilritardo con cui lo faccioma questo popoloche reputavamo tutt’altro cheguerrieroci ha dato molto filo da torcere e non mi è certo avanzato tempo dadedicare alla corrispondenza. Siamo giunti in Giudea pensando che sarebberobastati pochi squilli di tromba e un assalto per risolvere la faccenda; cifiguravamo già uno splendido trionfo sulla via sacra con le ragazze di Romafestanti che lanciano fiori e baci. In veritàè stata durae possoassicurarti che trionfofioribaci e tutto il restoci sono costati sanguesudore e lagrime. Neanche tuche pure hai partecipato alla campagna del Renopuoi immaginare quanto sia stata aspra questa guerra. Abbiamo preso la cittàfinalmentee oggi il Tempio sta bruciando; il fumo mi fa tossirementre tiscrivo nella mia tenda. Crediè stata una gran brutta faccenda e sono sicuroche nessuno di noi desidera rivedere mai più la Giudea.
Combattendo contro i Galli o i Germaniti trovidavanti uomini coraggiosisostenuti dall’amore per il loro Paese.Naturalmentenon tutti sono infiammati del sacro ardore del patriottismo equindi anche nell’esercito certe armate sono più motivate di altre. Devisapere che i Giudeitutti i Giudei senza eccezioneoltre ad amare il loroPaesenutrono un fervido e disperato sentimento religioso che li rende temibiliin battagliapiù di qualunque altro popolo. Si gettano sulle nostre spade esulle lance con grida di gioiacome se la morte fosse ciò che desiderano.
Se uno di essi riesce a trovare un varco nella tuaguardiaGiove ti protegga!perché i loro ferri sono micidialie nelcombattimento corpo a corpo sono pericolosi come le fiere. Sai bene che gliuomini della Decima Legionesin dal tempo di Cesaresono i soldati piùcoraggiosi e più duri che combattono all’ombra delle Aquileeppure tigarantisco che li ho visti tremare di fronte al fanatismo di questi dannatiGiudei. Tutto sommatoa me e ai miei è andata beneperché il nostro compitosin dall’inizio della campagnaè stato quello di presidiare le pendicidell’altopiano su cui sorge questa straordinaria città. E circondatasu trelatida valli e precipizisicché i fuggitivi dovevano passare per forzaattraverso la zona tenuta dai miei. Comunqueil lavoro sporco l’hanno fattola Quintala Quindicesima e la Dodicesimao Legioni Siriane. Poveri diavoli!Ci sono stati momenti in cui non si capiva se erano loro ad attaccareo la cittàad avventarsi su di essi. Gli assediati hanno respinto le nostre testuggini conun fitto lancio di pietrehanno incendiato le torri d’assalto e altre nostremacchine da guerrasi sono quindi scagliati contro il nostro campo creandociseri problemi. Se qualcuno afferma che i Giudei non sono buoni soldativuoldire che non è mai stato qui.
D’altra partenon è di questo che voglioscriverti. Non dubito che nel Foro e alle terme non si parli d’altro: ilnostro esercitoguidato con suprema perizia da Titoha conquistato una lineadi fortificazioni dopo l’altrafinché s’è trovato davanti il Tempiocheè -- omeglioeraperché in questo momento brucia -- una roccaforte benmunita. I Romani non possono sapere quanto sia superbamente sontuoso questoposto. Il Tempio di cui ti parlo è molto più bello dei nostri edificinell’Urbee lo stesso dicasi del Palazzocostruito da Erode Agrippamisembraadesso non ricordo. Il Tempio misura duecento passi per latoe la suastruttura è così ben connessa che tra una pietra e l’altra non passa neanchela lama d’un coltelloe i soldati dicono che contiene tanto oro da riempirele tasche dell’intero esercito. L’oro è sempre un grande stimoloe inostri legionariall’idea del saccheggiohanno attaccato con furiaselvaggiaanche se temo che le fiamme abbiano distrutto parte del bottino.
C’è stata una battaglia feroceal Tempio.Questa notte sono salito sull’altura che domina la città. Mi chiedoziosenel corso delle molte campagne cui hai partecipatot’è mai capitato disentire l’odore di una grande città assediata. Il vento che soffiava da sudci ha riempito le narici di un terribile tanfo di mortelo spaventoso sentoreche emanava da malattieprivazionidecomposizionesporciziain mezzo a cuiha vissuto quasi mezzo milione di personee in uno spazio tanto angusto qual èl’area di Gerusalemme. Conosci la puzza che emanano i leonidietro il CircoMassimoaspra e ripugnante; ebbeneera qualcosa di similema molto piùintensa e intollerabile. Tale il lezzo che il vento portava con sémentre lacittà bruciava.
Stavo osservando gli incendi che punteggiavanol’oscuritàavvolto nella mia clàmideperché qui le notti sono freddequando improvvisamente mi sono accorto di non essere solo. Accanto a meunafigura alta e silenziosa guardava la città agonizzante. La luce della luna miha consentito di vedere ch’era vestita da ufficiale eavvicinandomihoriconosciuto Longinoterzo tribuno della mia legioneveterano di grandeesperienza. E uno strano uomotaciturno e appartatorispettato da tuttisebbene poco conosciuto; nessuno sa di preciso che tipo siaperché non parlaquasi mai. Le fiamme si levavano alte dal tempioe un corrusco baglioreaccendeva i nostri voltitraendo riflessi di sangue dalle nostre corazze. Nellaluce rossastrail volto di Longino sembrava di bronzo.
«Finalmente!» ha detto. «Finalmente!»
Parlava più a se stesso che a meperché m’haguardato con aria stupita e vagamente confusa quando gli ho chiesto cosaintendesse con quelle parole.
«Da sempre penso che prima o poi la sventura sisarebbe abbattuta su questa città» mi ha risposto. «Adesso è giunto il suofato. Perciò ho detto "finalmente!".»
«Se è per questo» ho soggiunto io«tutti ciaspettavamo qualcosa del genereperché Gerusalemme ha ripetutamente sfidatol’autorità e il potere dei Cesari.»
Mi ha fissato con una strana luce negli occhisussurrando: «Ho sentitosignoreche in fatto di religione sei moltotollerante e ritieni che ognuno sia libero di adorare gli dèi o il dio checredesecondo la propria coscienza.»
Ho risposto che m’ero formato alla scuola stoicadi Seneca che giudica questo mondo piccola cosa e insegna a non inseguire lagloria e il fastocoltivando un sereno disprezzo per ciò che rende infelice lavita degli uomini.
Sorrideva ironicamente.
«Ho sentito» ha continuato«che quando Senecaè morto era uno degli uomini più ricchi dell’Impero. Alla faccia della suafilosofia!»
«Tu cosa pensi?» gli ho chiesto. «Forse sei unadepto dei Misteri di Iside oppure un neofita del culto di Mitra?»
«Hai mai sentito parlare dei Cristiani?»
«Certamente» ho detto. «A Roma c’erano deglischiavi e dei vagabondi che si facevano chiamare così. Per quanto ne soadorano un uomo morto proprio quiin Giudea. Mi sembra l’abbiano crocifissoal tempo di Tiberio.»
«Esatto. Accadde quando Pilato -- Ponzio Pilatofratello di Lucio Pilatoche governò l’Egitto al tempo d’Augusto -- eraprocuratore della Giudea. Pilato» proseguì sospirando«era incerto sul dafarsima la plebescatenata e selvaggia come gli uomini contro cui abbiamocombattuto in questi mesinon s’accontentò del delinquente comune che egliera disposto ad offrire per placare la generale sete di sangueanziscelsel’Altroe Pilato non aveva polso per opporsi. Ah! Peccatofu una faccendatriste...»
«Sembri saperne parecchio.»
«C’ero anch’io» rispose Longinostancamente. Dal tempio si levava una gigantesca colonna di fumo e di fiamme cheilluminavano tutta la zona circostante. Potevamo vedere le bianche tendedell’armata disposte tutt’intorno. Oltre la cittàc’era una bassacollina e Longino me la indicò.
«Quello è il posto. Lo hanno ucciso là. Ne hodimenticato il nomema allorasono passati più di trent’anniormaiusavano crocifiggervi i loro criminali. Solo che Lui non era un criminale. Enonostante sia trascorso tanto temporipenso sempre ai Suoi occhiall’espressione del Suo viso.»
«Che avevano di speciale i suoi occhi?»
«Mi perseguitanoda allora. Anche adesso mi paredi vederli. Tutta la pena antica del mondo sembrava specchiarsi nel Suo sguardo.Tristeinfinitamente tristeeppure così dolcemente compassionevole! Sisarebbe detto che era Lui meritevole di compassioneLui dal povero voltosfigurato dal dolore e dalla corona di spineeppure Egli non pensava a sénoera la grande parola pietà che brillava nei Suoi occhi gentili. Laggiùsullacollina del Suo martirioc’era un manipolo di uomini nobili: ognuno di essiavrebbe voluto caricare la folla urlante che trascinava verso la Croce un simileuomo.»
«Che ci facevi laggiù?»
«Ero un giovane centurionealloraorgogliosodelle insegne del mio grado appena ricevute. Ero di servizio sulla collina e maiho odiato di più una corvè. Ma la disciplina è disciplinae Pilato avevadato un ordine. Ricordo di aver pensato -- e non fui il solo -- che il nome diquest’uomo e la sua opera non sarebbero stati dimenticatie che unamaledizione si sarebbe abbattuta sulla città che aveva commesso una simileinfamia. C’era anche una vecchiaSua madrecon i capelli grigi e il voltodevastato dal dolore. Ricordo come urlò quando uno degli uominicon la lanciafece cessare il Suo tormento. Behpoi è andata proprio come pensavo e persinoa Romacome hai notato tu stessosono apparsi i Suoi seguaci.»
«Suppongo» gli dissi fissandolo negli occhi«chesto parlando ad uno di essi.»
«Io non l’ho dimenticatocerto. Da allorahopartecipato a una guerra dopo l’altra e m’è rimasto ben poco tempo perstudiare. Ma presto potrò andare in pensionee quando avrò sostituito lacorazza con la toga e la tendacon una piccola fattoria sulla strada per Comopotrò guardare più profondamente dentro di me e forsese qualcuno mi aiuteràpotrò capire meglio tante cose.»
Poi mi ha salutatoallontanandosi nella nottesquarciata dai bagliori delle fiamme. Ti racconto tutto ciò perché rammentoche ti interessava un taleun certo Paolocrocifisso in quanto cristiano. Midicesti che questa religione si stava insinuando nello stesso palazzo di Cesare.Per parte miaposso dirti che ormai si sta diffondendo fra gli stessi soldatidi Cesare. Tuttaviaa prescindere da ciòvoglio raccontarti cosa ci ècapitato facendo una razzia in cerca di cibo sulle colline che costeggiano ilGiordano. L’altro giorno...
[Qui finisce il frammento]