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Charles Baudelaire
Lo spleen di Parigi
(poemetti in prosa)
A ARSÈNE HOUSSAYE
Mio caro amicovi mando un'operetta di cui solo ingiustamente si potrebbedire che non ha né capo né coda
poichéal contrariotutto in essa ènello stesso tempoe testa e codaalternativamente e reciprocamente. Considerate
vi pregoquali mirabili comodità questa combinazione offre a noi tuttiavoia me e al lettore. Possiamo tagliare dove
vogliamo: io la mia fantasticheriavoi il manoscrittoil lettore la sualettura; infattila riluttante volontà di quest'ultimo
non la sospendo all'interminabile filo di un intreccio superfluo. Staccatepure una vertebrae i due pezzi di questa
tortuosa fantasia si ricongiungeranno senza sforzo. Spezzatela in numerosiframmentie vedrete che ognuno di essi può
esistere separatamente. Nella speranza che alcuni di questi tronconiresteranno vivi abbastanza da piacervi e divertirvi
oso dedicarvi l'intero serpente.
Devo farvi una piccola confessione. È sfogliando almeno per la ventesimavolta il famoso Gaspard de la Nuit
di Aloysius Bertrand (un libro conosciuto da voida me e da qualcuno deinostri amicinon ha tutto il diritto di essere
definito famoso?)che mi è venuta l'idea di tentare qualcosa dianalogoe di applicare alla descrizione della vita
moderna - o piuttosto di una vita moderna e più astratta - lo stessoprocedimento che egli aveva applicato alla
rappresentazione della vita di un tempocosì stranamente pittoresca.
Chi di noi non ha sognatoin quest'epoca di ambizioniuna prosa poeticamusicale ma senza rima e senza
ritmo costanteabbastanza flessibile e spezzata da adattarsi ai movimentilirici dell'animaalle oscillazioni del
fantasticareai soprassalti della coscienza?
È soprattutto dalla frequentazione delle città enormi e dall'incrociarsidei loro rapporti innumerevoliche nasce
questo ideale ossessivo. Voi stessomio caro amiconon avete forse tentatodi tradurre in una canzone il grido stridulo
del vetraio e di esprimere in una prosa lirica tutte le desolantisuggestioni che questo grido spedisce in altofino alle
mansardeattraverso le più spesse brume della strada?
A dire il veroperòtemo che la gelosia non mi abbia portato fortuna.Appena cominciato il lavoromi resi
conto che non solo restavo assai lontano dal mio misterioso e brillantemodelloma che stavo facendo qualcosa (se
posso chiamarlo qualcosa) di stranamente diverso: risultato del qualechiunque altro si sarebbe senza dubbio
inorgoglitoma che può solo umiliare profondamente uno spirito checonsidera come il più grande onore del poeta il
fatto di compiere esattamente ciò che ha progettato di fare.
Vostro affezionatissimo
C.B.
I • LO STRANIERO
«Dimmienigmatico uomochi ami di più? tuo padretua madretua sorellao tuo fratello?
- Non ho né padrené madrené sorellané fratello.
- I tuoi amici?
- Usate una parola il cui senso mi è rimasto fino ad oggi sconosciuto.
- La patria?
- Non so sotto quale latitudine si trovi.
- La bellezza?
- L'amerei volentierima dea e immortale.
- L'oro?
- Lo odio come voi odiate Dio.
- Ma allora che cosa amimeraviglioso straniero?
- Amo le nuvole... Le nuvole che passano... laggiù... Le meravigliosenuvole!»
II • LA DISPERAZIONE DELLA VECCHIA
La vecchietta rugosa si sentì riempire di gioia nel vedere quel bel bambinoa cui tutti facevano le festea cui
tutti volevano piacere; quell'essere graziosofragile come leie come leisenza denti e senza capelli.
E gli si avvicinò per fargli delle moineper scherzare e farlo ridere.
Ma il bambinospaventatosi dibatteva sotto le carezze di quella bravadonna decrepitae riempiva la casa di
urla.
Allora la brava vecchia si ritirò nella sua eterna solitudine; e piangendoin un angolo diceva fra sé: «Ahper noi
vecchie femmine sventurate è passata l'età in cui piacere. Anche ai bambiniinnocenti che vorremmo amarefacciamo
orrore!»III • IL CONFITEOR DELL'ARTISTA
Come sono penetranti - penetranti fino al dolore! - le giornate d'autunno altramonto! La delizia indefinita di
certe sensazioni non esclude affatto l'intensità: e non c'è punta piùacuminata di quella dell'infinito.
Gran delizia sprofondare il proprio sguardo nell'immensità del cielo e delmare! Solitudinesilenzio
incomparabile castità dell'azzurro! Una minuscola vela che rabbrividisceall'orizzontee con la sua piccolezza e il suo
isolamento imita la mia esistenza irrimediabilemelodia monotona dell'onda:tutte queste cose pensano in meo io
penso in loro (perché nella grandezza del fantasticare il me si perdepresto!). E pensanocome ho dettoma
musicalmente e pittorescamentesenza arguziené sillogisminé deduzioni.
E tuttavia questi pensierisia che provengano da me o si sprigionino dallecosediventano ben presto troppo
intensi. Nella voluttà l'energia crea un malessereuna vera e propriasofferenza. I miei nervi troppo tesi non danno che
vibrazioni stridule e dolorose.
E ora la profondità del cielo mi costernala sua limpidezza mi esaspera.L'insensibilità del marel'immobilità
di questo spettacolomi ripugna... Si deve eternamente soffrireo fuggireeternamente il bello? O Naturaincantatrice
spietatarivale invincibilelasciami! Smetti di tentare i miei desideri eil mio orgoglio! Lo studio della bellezza è un
duello in cui l'artista grida di sgomentoprima di essere vinto.
IV • UN TIPO AMENO
Esplodeva il nuovo anno: un caos di fango e di neve attraversato da millecarrozzescintillante di giocattoli e di
dolcibrulicante di cupidigia e di disperazionela grande città nel suodelirio ufficialefatto apposta per sconvolgere il
cervello anche al più renitente dei solitari.
In mezzo a quel frastuonoa quella baraondatrottava ansiosamente un asinoaizzato da un buzzurro armato di
frusta.
L'asino stava per voltare l'angoloed ecco che dal marciapiede un belsignore inguantato e tirato a lustro
fasciato dal suo vestito nuovocon il collo nel cappio della cravattasiinchinò cerimoniosamente davanti all'umile
bestia etogliendosi il cappellogli disse: «Auguro a voi un felice annonuovo!». Poi si girò verso certi suoi amici
perché aggiungessero il loro assenso alla sua soddisfazione.
L'asino non si accorse di quel tipo amenoe continuò a correre con zelodove il suo dovere lo chiamava.
Quanto a mefui assalito immediatamente da una rabbia smisurata controquell'emerito imbecillenel quale mi
sembrò che si concentrasse tutto lo spirito della Francia.
V • LA CAMERA DOPPIA
Una stanza che sembra una rêverieuna stanza veramente spiritualela cui atmosfera stagnante è leggermente
tinta di rosa e di blu.
Qui l'anima si immerge in un bagno di pigriziaaromatizzato dal rimpianto edal desiderio. - Qualcosa di
crepuscolaredi bluastro e di rossastro; un sogno di voluttà nel corso diun'eclisse.
I mobili hanno forme allungateillanguiditeprostrate. Sembrano sognare. Lisi direbbe dotati di una vita
sonnambolicacome quella dei vegetali e dei minerali. Le stoffe parlano unalingua mutacome i fioricome cieli e soli
al tramonto.
Ai murinessuna infamia artistica. Di fronte al puro sognoall'impressionenon ancora analizzatal'arte
definital'arte effettiva è una bestemmia. Qui tutto ha la chiarezzasufficiente e la deliziosa oscurità dell'armonia.
Un sentore infinitesimale del genere più squisitoa cui si mescola unaleggerissima umiditàgalleggia in questa
atmosfera in cui la mente assopita è cullata da calde sensazioni di serra.
La mussola piove abbondantemente davanti alle finestre e al letto; si spandein cascate nevose. Sul letto è
sdraiata la sovrana dei miei sogniil mio idolo. Come mai? Chi l'ha portataqui? Quale magico potere l'ha collocata su
questo trono fantastico e voluttuoso? Ma che importa? Lei è quie io lariconosco.
Eccoli quegli occhi la cui fiamma trapassa il crepuscolo; quei sottili eterribili specchietti che riconosco dalla
loro spaventosa malizia! Attiranosoggioganodivorano lo sguardodell'imprudente che li contempla. Le ho studiate a
lungo queste stelle nere che costringono alla curiosità e all'ammirazione.
A quale dèmone benevolo sono debitore di trovarmi così circondato dimisterodi silenziodi pace e di
profumi? O beatitudine! Ciò che di solito chiamiamo vitaanche nella suaespansione più felicenon ha niente in
comune con questa vita suprema di cui ora ho conoscenza e che assaporo minutoper minutosecondo per secondo!
Nonon ci sono più né minutiné secondi! Il tempo è sparito. Èl'Eternità che regnaun'eternità di delizie!Ma un colpo terribilepesanteè risuonato alla portaecome nei sogni infernalimi è sembrato di ricevereun
colpo di piccone allo stomaco.
Poi uno Spettro è entrato. È un usciere che viene a torturarmi in nomedella legge; è un'infame concubina che
viene a piangere miseria e ad aggiungere le trivialità della sua vita aidolori della mia; o forse è il galoppino di un
direttore di giornaleche viene a reclamare un altro pezzo del manoscritto.
La stanza di paradisol'idolola sovrana dei sognila Silfidecomediceva il grande Renétutta questa magia è
sparita con il colpo brutale battuto dallo Spettro.
Ricordo bene! Che orrore! Sìè mio questo tugurio dove è di casa l'eternanoia! Ecco i mobili: insulsi
polverosischeggiati. Il camino senza fiamma e senza bracelordato disputi; le tristi finestre su cui la pioggia ha
lasciato scie polverose; i manoscritti cancellati o incompleti; il calendariosu cui la matita ha segnato date sinistre.
E quel profumo d'un altro mondodi cui mi inebriavo con perfezionatasensibilitàeccolo ahimè rimpiazzato da
un odore disgustoso di tabaccomescolato a qualcosa di ammuffito e dinauseante. Ora qui si respira il puzzo rancido
della desolazione.
In questo mondo ristrettoma così pieno di disgustoun solo oggetto notomi sorride: è la fiala del làudano
vecchia e terribile amica; come tutte le amicheahimèprodiga di carezze edi tradimenti.
Sìil Tempo è ricomparso! Il Tempo regna sovranoora. E con questoorribile vegliardo è tornato il suo seguito
di Ricordidi Rimpiantidi Spasimidi PaureAngosceIncubiCollere eNevrosi.
Ora i secondi sono fortementesolennemente scanditive lo assicuro. Eognuno di lorosaltando fuori dalla
pendoladice: - «Io sono la Vital'insopportabilel'implacabile Vita!».
C'è solo un Secondo nella vita umana che abbia la missione di annunciare unabuona novellala buona novella
che provoca in tutti un'inspiegabile paura.
Sìil Tempo regna! Ha ripreso la sua brutale dittatura. E mi spingecomese fossi un buecol suo doppio
pungolo. «Forzasomaro! Sgobbaschiavo! Vividannato!».
VI • A CIASCUNO LA SUA CHIMERA
Sotto un gran cielo grigioin una grande pianura polverosasenza stradesenza erbasenza un cardosenza
un'orticaincontrai degli uomini che camminavano curvi.
Ognuno portava sulla schiena un'enorme Chimerapesante come un sacco difarina o di carboneo come
l'equipaggiamento di un fante romano.
Ma la bestia mostruosa non era un peso inerte; avviluppava l'uomo con i suoimuscoli elastici e possenti; si
aggrappava con gli artigli delle larghe zampe al petto della sua cavalcatura;e la sua testa fantastica sormontava la fronte
dell'uomo come uno di quegli orribili elmi con i quali gli antichi guerrierisperavano di incutere terrore al nemico.
Mi rivolsi ad uno di questi uominie gli chiesi dove andavano in quel modo.Mi rispose che non ne sapeva
nientené lui né gli altrima che evidentemente andavano da qualcheparteperché si sentivano spinti da un invincibile
bisogno di camminare.
Cosa strananessuno di questi viaggiatori sembrava avercela contro la bestiaferoce che teneva attaccata al
colloincollata alla schiena; si sarebbe detto che la considerasse una partedi sé. Tutti quei visi affaticati e seri non
davano nessun segno di disperazione; sotto la cupola splenetica del cieloipiedi affondati nella polvere di un suolo non
meno desolato di quel cielocamminavano con l'espressione rassegnata di chiè condannato a sperare sempre.
Il corteo mi passò a fianco e scomparve all'orizzontenella foschiadovela superficie curva del pianeta si
sottrae alla curiosità dello sguardo umano.
Ancora per qualche istante mi ostinai a voler capire questo mistero; ma benpresto l'irresistibile Indifferenza si
abbatté su di mee fui oppresso dal suo peso più di quanto fossero lorostessi da quelle schiaccianti Chimere.
VII • IL MATTO E LA VENERE
Giornata meravigliosa! Il vasto parco si bea sotto lo sguardo ardente delsolecome la giovinezza sotto il
dominio dell'Amore.
L'estasi universale delle cose non si esprime in nessun rumore. Anche leacque sono come addormentate.
Quest'orgia silenziosa è ben diversa dalle feste umane.
Si direbbe che una luce crescente faccia scintillare sempre di più glioggetti; che i fiorieccitatibrucino dal
desiderio di competere con l'azzurro del cielo nell'energia dei loro colorie che il caldorendendo visibili i profumili
faccia salire come vapore verso l'astro diurno.
Eppurein questo godimento universaleho scorto un essere afflitto.
Ai piedi di una Venere colossaleuno di quei pazzi artificialiuno di queibuffoni volontari incaricati di far
ridere i re quando i Rimorsi o la Noia li assillanotutto agghindato nel suocostume sgargiante e ridicolocon in testa
corni e sonaglicurvo e inginocchiato contro il piedistalloalza gli occhipieni di lacrime verso la Dea immortale.E i suoi occhi dicono: - «Sono il piùsolosono l'ultimo degli umaniprivo di amore e di amiciziae perciò
molto più in basso del più imperfetto degli animali. Eppure anch'io sonofatto per comprendere e sentire la Bellezza
immortale. AhDea! Abbi pietà della mia tristezza e del mio delirio!».
Ma l'implacabile Venere guarda lontano non so che cosa con i suoi occhi dimarmo.
VIII • IL CANE E IL PROFUMO
« - Cane miocane mio bellovieni quiavvicinati e vieni a sentire questoeccellente profumo comprato dal
miglior profumiere della città.»
E il canedimenando la codacosa che in queste umili creature corrispondecredoal nostro ridere o sorridere
si avvicina e posa con curiosità il suo naso umido sulla fiala aperta; mapoiindietreggiando improvvisamente con
disgustosi mette ad abbaiarmi controcome se mi volesse rimproverare.
« - Ahmiserabile cane!se ti avessi offerto un pacchetto di escrementilo avresti annusato come una
squisitezzae forse lo avresti divorato. Anche tuindegno compagno dellamia triste vitasomigli al pubblico: a cui non
si devono mai offrire delicati profumi che lo esasperanoma solo lordureaccuratamente scelte.»
IX • IL CATTIVO VETRAIO
Ci sono nature puramente contemplative e del tutto inadatte all'azionechetuttaviaspinte da non si sa quale
impulso misteriosoagiscono a volte con una rapidità di cui esse stesse maisi sarebbero credute capaci.
Come chiper paura di trovare dal portinaio una brutta notiziacontinuavigliaccamente a girare per un'ora
intera davanti alla porta di casa propria senza trovare il coraggio dientrare; o come chi si tiene in tasca una lettera per
quindici giorni senza aprirlao che fa passare sei mesi prima di decidersi aintraprendere qualcosa che già da un anno
aspettava una decisione: a volte costoro si sentono precipitare bruscamenteverso l'azione da una forza irresistibile come
la freccia scagliata da un arco. Il moralista e il medicoche pretendono disapere tuttonon sono in grado di spiegare da
dove viene così all'improvviso a queste anime pigre e voluttuose una cosìfolle energiae come può succedere che
incapaci di compiere le azioni più semplici e necessariesi permettano inun particolare momento il lusso di un coraggio
tale da far compiere loro gli atti più assurdi e spesso anche i piùpericolosi.
Un mio amicoil più inoffensivo sognatore che si sia mai vistouna voltaha appiccato il fuoco a una foresta
per vederedissese le fiamme prendono davvero così facilmente come sidice. Per ben dieci volte l'esperimento fallì
ma l'undicesima riuscì fin troppo bene.
Un altro si metterà ad accendere il sigaro accanto a un barile di polvere dasparoper vedereper sapereper
tentare il destinoper costringersi a dare prova di energiaper giocared'azzardoper conoscere il piacere dell'ansiaper
nienteper capriccioper fare semplicemente qualcosa.
Si tratta di un tipo di energia che scaturisce dalla rêverie
e dalla noia; e coloro nei quali si manifesta così inopinatamente sono disolitocome ho dettogli esseri più indolenti e
sognatori.
Un altrotimido al punto da abbassare gli occhi di fronte a chiunquee chedeve fare appello a tutta la sua
scarsa forza di volontà per entrare in un caffè o per passare davanti allacassa di un teatroperché i bigliettai gli fanno
tutti l'impressione di maestosi MinosseEaco e Radamantoecco che costuipotrà saltare all'improvviso al collo di un
vecchio che gli passa accantoper abbracciarlo con entusiasmo sotto gliocchi della folla sbalordita. Perché? Perché...
quella fisionomia gli era irresistibilmente simpatica? Forse. Più giustosarebbe però supporre che lui stesso ne ignori il
perché.
Io sono stato più di una volta vittima di queste crisi e di questi slanciche ci autorizzano a credere che dei
Demòni maliziosi si insinuino dentro di noi facendoci compiere a nostrainsaputa le loro più assurde volontà.
Una mattina mi ero svegliato di cattivo umoretristestanco e annoiatoeportatocosì mi sembravaa
compiere qualcosa di grandeun'azione clamorosa. E purtroppo aprii lafinestra!
(Vi prego di osservare che lo spirito di mistificazioneche in alcunepersone non è il risultato di un lavoro o di
una circostanzama di un'ispirazione fortuitapartecipa moltoanche soloper l'ardore del desideriodi quell'umore -
isterico secondo i medicisatanico secondo coloro che ne sanno un po' piùdei medici - che ci spinge a compiere senza
opporre resistenza una serie di azioni pericolose o sconvenienti.)
La prima persona che scorsi nella strada fu un vetraio il cui grido acuto estridente saliva fino a me nella greve
e sudicia atmosfera parigina. D'altra partemi sarebbe impossibile spiegareperché fossi preso da un odio così repentino
e dispotico nei confronti di quel poveretto.
« - Ehi! Ehi!»e gli gridai di salire. Intanto riflettevonon senzaallegriacheessendo la stanza al sesto piano e
la scala molto strettal'uomo avrebbe dovuto penare alquanto per compiere lasua ascesa e far passare senza danno in
diverse strettoie gli spigoli della sua fragile mercanzia.Finalmentecomparve. Esaminai con curiosità tutti i suoi vetri e gli dissi: «Ma come? Nonavete vetri colorati?
Vetri rosarossibluvetri magicivetri di paradiso? Siete uno spudorato!Osate andarvene in giro per i quartieri poveri
senza nemmeno avere dei vetri che facciano vedere più bella la vita!». E lospinsi a forza verso la scaladove inciampò
borbottando.
Mi avvicinai al balconeafferrai un piccolo vaso di fiorie quando l'uomoricomparve fuori del portone lasciai
cadere perpendicolarmente il mio ordigno di guerra sul lato posteriore dellasua rastrelliera; il colpo lo fece cadere
all'indietroed egli finì di romperecadendoci sopra con la schienatuttala sua povera fortuna ambulanteche mandò il
fragore di un palazzo di cristallo colpito dal fulmine.
E ioebbro della mia folliagli gridavo furiosamente dietro: «Più bellala vita! più bella la vita!».
Questi scherzi dei nervi non sono esenti da pericolie spesso li si puòpagare cari. Ma che cosa importa
l'eternità della dannazione a chi ha trovato nell'attimo l'infinito delgodimento?
X • ALL'UNA DI NOTTE
Finalmente solo! Ormai si sentono soltanto le ruote di qualche carrozzaattardata e sfinita. Per qualche ora avrò
il silenziose non il riposo. Finalmente! La presenza tirannica della facciaumana è sparitae soffrirò soltanto di me
stesso.
Finalmente mi è dunque concesso di distendermi in un bagno di tenebre! Perprima cosauna doppia mandata
alla serratura. Questo giro di chiave aumenterà il senso della miasolitudine e fortificherà le barricate che attualmente mi
separano dal mondo.
Vita orribile! Città orribile! Ricapitoliamo la giornata: visti diversiletteratiuno dei quali mi ha chiesto se era
possibile raggiungere la Russia per via terra (evidentemente scambiava laRussia per un'isola); discussosenza
risparmio di argomenticon il direttore di una rivistache ad ogniobiezione rispondeva: «Il nostro è il partito dei
galantuomini»il che implica che tutti gli altri giornali sono in mano adei farabutti; salutate una ventina di persone
quindici delle quali mai viste; distribuite altrettante strette di manosenza aver preso la precauzione di comprare dei
guanti; durante un temporaleper ammazzare il temposalito da una ballerinache mi ha pregato di disegnarle un
costume da Venerea; corteggiato un direttore di teatro che si ècongedato dicendomi: «Forse farete bene a rivolgervi a
Z...: è il più stupidovolgare e famoso di tutti i miei autori; forse conlui approderete a qualcosa. Vedete luie poi ci
rivedremo»; vantato (perché?) di diverse cattive azioni mai commesseevigliaccamente negati alcuni altri misfatti
compiuti con gioia-delitto di spacconeriacrimine di rispetto umano;rifiutato a un amico un favore poco impegnativoe
fatta una raccomandazione scritta a un perfetto mascalzone; uff! non c'èproprio altro?
Scontento di tutti e di me stessovorrei proprio riscattarmi e inorgoglirmiun po' nel silenzio e nella solitudine
della notte. Anime di coloro che ho amatoanime di chi ho cantatodatemiforzasostenetemitenete lontana da me la
menzogna e la corruzione che esalano dal mondo; e voimio Signore Iddioaccordatemi la grazia di produrre qualche
bel verso che provi a me stesso che non sono l'ultimo degli uominiche nonsono più in basso di coloro che disprezzo.
XI • LA SELVAGGIA E LA PREZIOSA
«Mia carami state davvero smisuratamente e spietatamente annoiando; asentire i vostri sospiri si direbbe che
voi soffriate più delle spigolatrici di sessantenni e delle vecchiemendicanti che vanno a raccattare le croste di pane
davanti alle bettole.
«Se i vostri sospiri esprimessero almeno dei rimorsivi farebbero qualcheonore; invecenon traducono che la
sazietà del benessere e la fatica del riposo. E poi non la finite più didiffondervi in vane parole: "Amatemi tanto! ne ho
così bisogno! Consolatemi quiaccarezzatemi là!" Eccovoglio proprioprovare a guarirvi. Forse troveremo il modo:
con poca spesamescolandoci alla folla in festae senza andare troppolontano.
«Prendetevi pregoattentamente in considerazione quella robusta gabbia diferrodentro la quale si dibatte
urlando disperatamentescuotendo le sbarre come un orango esasperato dal suoesilioimitando alla perfezione ora la
tigre che si rigira pronta a balzareora lo stupido dondolarsi dell'orsobiancoquel mostro peloso la cui forma imita
alquanto vagamente la vostra.
«Questo mostro è uno di quegli animali che di solito vengono chiamati:"angelo mio!". È cioè una donna.
L'altro mostroquello che grida a squarciagola con un bastone in manoè unmarito. Ha incatenato come una bestia la
sua legittima sposae la mette in mostra nei mercati di periferianeigiorni di fieranaturalmente con tanto di
autorizzazione ufficiale.
«Fate bene attenzione. Guardate con che voracità (forse non simulata!)sbrana i conigli vivi e i pigolanti
pennuti che le getta il suo guardiano. "Insomma"le dice"non bisogna mangiare in un solo giorno tutto quello che si
ha!". E dopo queste sagge parolele strappa crudelmente la predalecui interiora rovesciate restano ancora attaccate ai
denti della bestia ferocedella donnavoglio dire.«Su! Una bella bastonataper calmarla un po'dal momento che manda terribili occhiate di ingordigia sulcibo
che le è stato portato via. Buon Dio! il bastone non è un bastone dacommedia! Non li avete sentiti come risuonano i
colpi sulla carne nonostante quel pelame posticcio? E così ora gli occhi leescono dalle orbitee urla con maggiore
naturalezza. Manda faville da tutte le partiper la rabbiacome ilferro quando viene battuto.
«Tali sono i costumi coniugali di questi due discendenti di Adamo ed Evaqueste due opereDio miodelle
vostre mani! La donna è indubbiamente un'infeliceanche se dopotutto forsenon ignora le stuzzicanti gioie della gloria.
Ci sono disgrazie più irrimediabilie senza compenso. Ma nel mondo nelquale è stata gettatalei non ha mai potuto
credere che la donna meritasse un destino diverso.
«E ora a noi duemia cara preziosa! Considerando gli inferni di cui ilmondo è popolatoche cosa volete che
pensi del vostro grazioso infernoe di voi che riposate soltanto su stoffemorbide come la vostra pelleche mangiate
solo carne cottatagliata a pezzettini da un abile e solerte domestico?
«E che senso possono avereper metutti i delicati sospiri che gonfiano ilvostro petto profumatomia vezzosa
ben nutrita? E tutte queste smanceriequesta instancabile malinconia fattaper ispirare allo spettatore tutt'altro
sentimento che la pietà? Vi confesso che a volte mi viene voglia diinsegnarvi che cos'è la vera infelicità.
«Quando vi vedo cosìmia bella delicatacon i piedi nel fango e gli occhiche svaporano rivolti al cielo come
per chiedergli di mandarvi un resomigliate davvero a una ranocchietta cheinvoca l'ideale. Se disprezzate il travicello
(che ora sono iocome ben sapete)attenta alla gru che visgranocchieràvi ingoierà e vi ammazzerà a piacer suo!
«Per quanto poeta io sianon sono tanto ebete come vorreste credere. E semi stuferete troppo coi vostri
preziosi piagnisteivi tratterò da selvaggiao vi butteròdalla finestra come una bottiglia vuota.»
XII • LE FOLLE
Non a tutti è concesso di prendere un bagno di moltitudine: godere dellafolla è un'arte; e può concedersi
un'orgia di vitalità a spese del genere umano soltanto colui al quale unafata ha instillato fin dalla culla il gusto del
travestimento e della mascheral'odio del domicilio e la passione delviaggio.
Moltitudinesolitudine: termini equivalenti e convertibili per il poetaattivo e fecondo. Chi non sa popolare la
sua solitudinenon sa neppure restare solo in mezzo a una folla indaffarata.
Il poeta gode di questo incomparabile privilegio: che può esserea suopiacerese stesso e un altro. Come
quelle anime erranti che cercano un corpoegli sa entrarequando vuoleinqualunque personaggio. Solo per lui tutto è
vacante. E se certi luoghi sembrano essergli preclusiè che ai suoi occhinon valgono la pena di essere visitati.
Il passeggiatore solitario e pensoso ricava un'ebbrezza singolare da questauniversale comunione. Colui che
facilmente si sposa alla follaconosce le gioie febbrili di cui resterannoeternamente privati sia l'egoistachiuso come un
forzieresia il pigrorintanato come un mollusco. Lui sa fare proprie tuttele professionitutte le gioie e tutte le miserie
che le circostanze gli offrono.
Ciò che gli uomini chiamano amore è ben poca cosaben limitata e bendeboleparagonata a questa ineffabile
orgiaa questa santa prostituzione dell'anima che si dà tutta interapoesia e caritàall'imprevisto che si mostra
all'ignoto che passa.
Non foss'altro che per umiliare una volta tanto il loro stupido orgoglioèbene insegnare ai felici di questo
mondo che ci sono felicità superiori alle loropiù vaste e più raffinate.Fondatori di coloniepastori dei popoli
missionari esiliati in capo al mondoconoscono senza dubbio qualcosa diqueste misteriose ebbrezze; e in seno alla
grande famiglia che il loro genio si è formataa volte forse ridono ditutti coloro che li compiangono per la loro sorte
così agitata e per la loro vita così casta.
XIII • LE VEDOVE
Vauvenargues dice che nei giardini pubblici ci sono viali frequentatisoprattutto dall'ambizione delusadagli
inventori disgraziatidalle glorie abortitedai cuori infrantida tuttequelle anime tumultuose e chiuse nelle quali
risuonano ancora gli ultimi sospiri d'un uraganoe che indietreggiano perallontanarsi dallo sguardo insolente dei felici e
degli oziosi. Questi ombrosi ritiri sono il luogo di appuntamento deisinistrati della vita.
È soprattutto verso questi luoghi che il poeta e il filosofo amano dirigerele loro avide congetture. Là trovano
un sicuro nutrimento. Perché se c'è qualcosa che non si degnano difrequentareè soprattuttocome ho suggerito poco
fala gioia dei ricchi. Questa chiassosa vuotaggine non ha nulla che liattiri. Al contrarioessi si sentono
irresistibilmente trascinati verso tutto ciò che è debolein rovinacontristatoorfano.
Un occhio esercitato non si sbaglia mai in proposito. In quei visi contrattie abbattutiin quegli occhi infossati e
spentio accesi dagli ultimi lampi della lottain quelle rughe fitte eprofondein quelle andature così lente o così
sgraziatepuò decifrare immediatamente le innumerevoli leggende dell'amoreingannatodella dedizione ignoratadegli
sforzi non ripagatidella fame e del freddo umilmentesilenziosamentesopportati.Vi siete mai accorti delle vedove sedute su quelle solitariepanchine? Delle vedove povere? Che portino o no il
luttoè facile riconoscerle. Del restonel lutto del povero c'è semprequalcosa che mancaun'assenza d'armonia che lo
rende più straziante. È costretto a lesinare sul proprio dolore. Il riccoinveceil suo se lo porta al gran completo.
Qual è la vedova più triste e più rattristante: quella che si trascina permano un bambino con cui non può
condividere le sue fantasticherieo quella assolutamente sola? Mi ècapitato una volta di seguire per ore una di queste
vecchie afflitte: rigidadirittacon uno scialle lisoc'era in tutta lasua persona una stoica fierezza.
La sua assoluta solitudine evidentemente la condannava ad abitudini davecchio scapolo; e questo carattere
maschile dei suoi costumi aggiungeva qualcosa di provocante e di misteriosoalla loro austerità. Non so in quale
miserabile caffè e in che modo pranzasse. La seguii in una sala di lettura;la spiai a lungo mentre con occhi attentiche
le lacrime un tempo avevano bruciatocercava sfogliando i giornali notiziecapaci di suscitarle un interesse
violentemente personale.
Infinenel pomeriggiosotto un cielo incantevole d'autunnoun cielo da cuiscendeva una folla di rimpianti e di
ricordisi sedette in un giardino pubblicoin disparteper ascoltarelontana dalla folla uno di quei concerti con cui le
bande militari rallegrano il popolo parigino.
Doveva essere proprio quello il piccolo piacere vizioso dell'innocentevecchia (di quella vecchia purificata); la
meritata consolazione di una di quelle soffocanti giornate senza amicisenzaconversazionesenza gioiasenza
confidenzeche Dio lasciava cadere su di lei trecentosessantacinque voltel'annoforse già da molti anni.
Un'altra ancora:
Non so impedirmi di gettare uno sguardo almeno curiosose non di universalesimpatiasulla folla dei paria
che si accalcano intorno al recinto di un pubblico concerto. L'orchestralancia nella notte i suoi canti festivitrionfali o
voluttuosi; le vesti femminili sontuosamente strusciano; si incrociano glisguardi; gli oziosistanchi del non far niente
ciondolano fingendo di gustare indolentemente la musica. Niente che non siariccofelice; niente che non respiri e non
ispiri spensieratezza e piacere di lasciarsi vivere; nientetranne l'aspettodi questa turba che laggiù si appoggia allo
steccato esterno afferrando gratissecondo il capriccio del ventounbrandello di musicae guardando la scintillante
fornace che si intravede all'interno.
Questo riflettersi della gioia del ricco in fondo all'occhio del poveroèsempre interessante. Ma quel giornoin
mezzo a quel popolo in grembiule e in blusa di cotoneho notato una creaturala cui nobiltà contrastava violentemente
con la trivialità circostante.
Era una donna alta e maestosacosì nobile in tutto il suo portamento chenon ricordo di aver visto niente di
simile nei quadri che ci ricordano le aristocratiche bellezze del passato. Unaroma di altera virtù emanava da tutta la sua
persona. Il suo viso triste e smagrito era in perfetto accordo con il luttodei suoi vestiti. Come la plebe a cui si era
mescolata e della quale non si curavaanche lei rivolgeva uno sguardoassorto a quel mondo luminoso e ascoltava la
musica dondolando appena la testa.
Singolare visione! «Questa povertà»mi dissi«se di povertà si trattanon scende certo a patti con il sordido
economizzare; quel nobile volto me ne dà la certezza. Perché maiallorase ne resta volontariamente fra persone dalle
quali si distingue in modo così sorprendente?»
Ma passandole accanto con curiosità ebbi l'impressione di indovinarne ilmotivo. Quella superba vedova teneva
per mano un bambinocome lei vestito di nero; per quanto modico fosse ilprezzo del bigliettosarebbe stato
probabilmente sufficiente a pagare qualcosa di necessario per il bambinoomeglio ancoraqualcosa di superfluoper
esempio un giocattolo.
E sarà rientrata a casa a piedimeditando e sognandosolasempre sola;perché un bambino è turbolento ed
egoistanon ha dolcezza né pazienza; e neppure può farecome il puroanimalecome il cane e come il gattoda
confidente ai dolori solitari.
XIV • IL VECCHIO SALTIMBANCO
Dappertutto si spandeva il popolo in vacanza. Si metteva in mostrase lagodeva. Era una di quelle festività
sulle quali da sempre fanno conto i saltimbanchii giocolierigliammaestratori di animali e i venditori ambulanti per
compensare i periodi magri dell'anno.
In quei giorni ho l'impressione che il popolo si dimentichi di tuttosia deldolore sia del lavoroe che diventi
come un bambino. Per i più piccoli è un giorno di vacanzaè l'orroredella scuola che viene rimandato di ventiquattr'ore.
Per i grandi è un armistizio concluso con le potenze malefiche della vitauna tregua nella contesa e nella lotta
universali.
Neppure l'uomo di mondo e l'uomo occupato in lavori spirituali sfuggonofacilmente all'influenza di questo
giubileo popolare. Assorbono senza volerlo la loro parte di atmosferaspensierata. Quanto a meio non manco maida
vero pariginodi passare in rassegna tutte le bancarelle che vantano le loroofferte in queste ricorrenze festive.
La concorrenza che si facevano era davvero formidabile: strillavanomuggivano. Era un miscuglio di gridaun
fragore di ottoniun'esplosione di razzi. Maschere e buffoni storcevano lefacce cotte dal soleraggrinzite dalla pioggia
e dal vento; con l'imperturbabile aplomb di attori sicuri del loroeffettolanciavano le loro battute e le loro befferobuste
e grevi come la comicità di Molière. Gli Ercolifieri dell'enormità delleloro membrail cranio senza fronte comescimmionisi esibivano in posestatuarie dentro le loro maglie lavate la sera prima per l'occasione. Ledanzatricibelle
come fatecome principessefacevano salti e capriole alla lucefiammeggiante dei fanali che riempivano di scintille le
loro vesti.
Tutto era lucepolveregridagioiatumulto; gli uni spendevanogli altriguadagnavanogli uni e gli altri
ugualmente felici. I bambini si attaccavano alle gonne materne per averequalche bastoncino di zucchero filatoo
salivano sulle spalle dei loro padri per vedere meglio un giocoliererisplendente come un Dio. E dovunquedominante
su tutti i profumicircolava un odore di fritturache era come l'incensoparticolare di quella festa.
In fondoall'estremità della fila di bancarellecome se per vergogna sifosse esiliato da tutti questi splendori
vidi un povero saltimbancocurvocadentedecrepitoun rudere d'uomoaddossato a uno dei pali della sua baracca: una
baracca più miserabile di quella del selvaggio più abbrutitoe la cuimiseria era fin troppo illuminata da due mozziconi
di candela sgocciolanti e fumosi.
Dovunque gioiaguadagnosfrenatezza; dovunquela certezza del pane perl'indomani; dovunque
un'esplosione frenetica di vitalità. Quila miseria assolutala miseria(per colmo d'orrore) agghindata di comici stracci
contrasto inventato dalla necessità più che dall'arte. Non ridevaildisgraziato! Non piangevanon ballavanon
gesticolavanon gridava; non cantava nessuna canzonené allegra nétristenon implorava. Era muto e immobile.
Aveva rinunciatoabdicato. Il suo destino era compiuto.
Ma che sguardo profondoindimenticabile mandava in giro sulla folla e lelucisu quel flusso che si fermava
solo a qualche passo dalla sua repulsiva miseria! Mi sentii la gola afferratadalla stretta terribile dell'isteriae mi sembrò
che i miei sguardi fossero offuscati da quelle lacrime ribelli che nonvogliono scorrere. Che fare? A che scopo chiedere
allo sventurato quale curiositàquale meraviglia avesse da mostrare inquelle tenebre maleodorantidietro la sua tenda
sbrindellata? In veritànon osavo chiedere; e anche se la ragione della miatimidezza dovesse farvi rideredevo
confessare che temevo di umiliarlo. Alla finem'ero appena deciso a posarepassandoun paio di monete su una delle
sue tavole sperando che indovinasse la mia intenzionequando un gran flussodi folla provocato da non so quale
scompiglio mi trascinò lontano da lui.
E mentre rientravoossessionato da questa visionetentai di analizzare ilmio improvviso doloree mi dissi: Ho
appena visto l'immagine del vecchio uomo di lettere sopravvissuto allagenerazione di cui fu il brillante animatore; del
vecchio poeta senza amicisenza famigliasenza figlidegradato dallapovertà e dall'ingratitudine pubblicae nella cui
baracca la gente immemore non vuole più entrare.
XV • LA TORTA
Ero in viaggio. Il paesaggio in mezzo a cui mi trovavo era di unagrandiosità e nobiltà irresistibili. Senza
dubbio in quel momento qualcosa di esso passò nel mio animo. I miei pensierivolteggiavano con una leggerezza pari a
quella dell'atmosfera; le passioni volgaricome l'odio e l'amore profanomiapparivano ora tanto lontane quanto le
nuvole che filavano via in fondo agli abissi sotto i miei piedi; la mia animami sembrava vasta e pura come la volta del
cielo da cui ero avvolto; il ricordo delle cose terrestri non arrivava al miocuoreindebolito e affievolitocome il suono
della campanella delle greggi che invisibili passavano lontanomoltolontanosul versante di un'altra montagna. Sul
laghetto immobilenero per l'immensa profonditàpassava a volte l'ombra diuna nuvolacome il riflesso del mantello
di un gigante in volo nel cielo. E ricordo che questa sensazione solenne eraracausata da un grande movimento
perfettamente silenziosomi riempiva di una gioia mista di paura. Mi sentivoinsommagrazie all'entusiasmante
bellezza da cui ero circondatoin perfetta pace con me stesso e conl'universo; e credo che nella mia perfetta beatitudine
e nel mio totale oblio di ogni male terrestre sarei arrivato a non trovareneppure così ridicoli i giornali che si ostinano a
ritenere che l'uomo è naturalmente buono; - ma ecco che l'inguaribilemateria fece di nuovo sentire le sue esigenzee io
mi preoccupai di dare sollievo alla fatica e di rimediare all'appetitocausati da una così lunga ascensione. Tirai fuori
dalla tasca un grosso pezzo di paneun bicchiere e una boccetta con un certoelisir che allora i farmacisti vendevano ai
viaggiatori per mescolarlonel casocon l'acqua di neve.
Tagliavo tranquillamente il mio panequando un rumore lievissimo mi fecealzare gli occhi. Davanti a me
stava un piccolo essere arruffatostracciato e neroi cui occhi infossatiselvaggi e come imploranti divoravano il mio
pezzo di pane. Lo sentii sospirarecon una voce bassa e rocala parola: torta!Non potei impedirmi di ridere sentendo
l'appellativo con cui voleva onorare il mio pane quasi del tutto privo dicondimentie ne tagliai una bella fetta per
offrirgliela. Lentamente si avvicinòsenza abbandonare con gli occhil'oggetto della sua bramosia; poiafferrando con la
mano il pezzo di panesubito si fece indietro frettolosamentecome setemesse che la mia offerta non fosse sincerao
che già me ne fossi pentito.
Ma in quello stesso istante fu travolto da un altro piccolo selvaggiouscitoda chissà dovee così perfettamente
simile al primo che si sarebbe potuto prenderlo per il suo gemello.Rotolarono insieme a terradisputandosi la preziosa
predanessuno dei due volendo in nessun modo sacrificarne la metà per ilproprio fratello. Il primoesasperatoafferrò
il secondo per i capelli; quest'ultimo gli addentò l'orecchio e ne sputò unbrandello sanguinante imprecando in dialetto.
Il legittimo proprietario della «torta» cercò di affondare i suoi piccoliartigli negli occhi dell'usurpatore; questo a sua
volta applicò tutte le sue forze nel tentativo di strangolare il suoavversario con una manomentre con l'altra cercava di
far scivolare nella propria tasca il premio della lotta. Rianimato dalladisperazioneil vinto si raddrizzò e fece ruzzolarea terra il vincitore conuna testata allo stomaco. A che scopo descrivere una lotta vergognosa che inverità durò più a
lungo di quanto le loro energie infantili sembravano mettere? La «torta»viaggiava da una mano all'altrae cambiava
tasca ad ogni istante; maahimècambiava anche il suo volume e quando allafineestenuatiansantiinsanguinatisi
fermarono per l'impossibilità di continuarenon restava piùa dire ilveronessun oggetto di contesa; il pezzo di pane
era scomparsoed era sparpagliato in tante briciole del tuttoindistinguibili dai granelli di sabbia a cui si mescolavano.
Questo spettacolo mi aveva annebbiato la vista del paesaggioe la calmagioiosa nella quale la mia anima si
beava prima di aver visto in azione questi piccoli uominiera ormaitotalmente scomparsa; me ne rimase a lungo una
notevole tristezzae continuavo a ripetermi: «Esiste dunque un meravigliosopaese nel quale il pane si chiama "torta"
ed è una ghiottoneria tanto rara che basta a far nascere una guerraperfettamente fratricida!».
XVI • L'OROLOGIO
I Cinesi leggono l'ora nell'occhio dei gatti.
Un giorno un missionariopasseggiando nei sobborghi di Nanchinosi accorsedi aver dimenticato l'orologio e
chiese a un ragazzino che ora fosse.
Il monello del celeste impero dapprima esitò; poi ci ripensò e rispose:«Ve lo dico subito». Qualche istante più
tardi ricomparve tenendo in braccio un bel gattone eguardandolocome sidicenel bianco degli occhiaffermò senza
esitare: «Manca poco a mezzogiorno». Il che era assolutamente vero.
Quanto a mese mi chino sulla bella Felina che ben merita un tal nomepuressendonello stesso tempo
l'onore del suo sessol'orgoglio del mio cuore e l'aroma del mio spirito -allorasia giorno oppure nottein piena luce o
nell'ombra opacaio leggo distintamente nei suoi occhi adorabili sempre lastessa oraun'ora grandevasta e solenne
come lo spazionon divisa in minuti né in secondiun'ora immobile che gliorologi non segnanoe che tuttavia è leggera
come un sospiroveloce come uno sguardo.
E se qualche importuno venisse a disturbarmi mentre i miei occhi riposano suquesto delizioso quadrantese
qualche Genio intollerante e villanose qualche Demonio intempestivo venissea dirmi: «Che cosa stai fissando là con
tanta attenzione? Che cosa cerchi negli occhi di questa creatura? Stai forseguardando che ora èo mortale prodigo e
infingardo?». Allora io risponderei senza esitare: «Sìsto guardando cheora è: ed è l'Eternità!».
Non vi paresignorache questo sia un madrigale davvero meritorioe per dipiù enfatico proprio come voi? In
veritàho ricamato con un tale piacere questa pretenziosa galanteriachein cambio non vi chiederò nulla.
XVII • L'EMISFERO DEI TUOI CAPELLI
Lasciami respirare a lungoancora e ancoral'odore dei tuoi capellilasciache io vi immerga il viso come fa
l'assetato nell'acqua della sorgentee che li scuota con la mia mano come unfazzoletto odoroso per farne uscire i ricordi
nell'aria.
Se tu potessi sapere tutto quello che vedotutto quello che sentotuttoquello che scopro nei tuoi capelli! La
mia anima viaggia seguendo un profumocome l'anima di altri viaggia seguendouna musica.
Nei tuoi capelli c'è un intero sognopieno di vele e alberature; mariaperti i cui monsoni mi portano verso climi
incantatidove lo spazio è più azzurro e profondodove l'aria ha ilprofumo dei fruttidelle foglie e della pelle umana.
Nell'oceano dei tuoi capelli vedo un porto brulicante di canzoni tristidiuomini vigorosi dei più diversi paesie
navi d'ogni formale cui intricatedelicate architetture si stagliano nelcielo immensoinvaso da un'immobile calura.
Se carezzo i tuoi capelliritrovo il languore delle ore passate su undivanonella cabina di una bella nave
cullato dal dolce rollio del portotra vasi di fiori e terrine rinfrescanti.
Nella brace dei tuoi capellirespiro l'odore di tabacco mescolato all'oppioe allo zucchero; nel buio dei tuoi
capelli vedo splendere l'infinito dell'azzurro tropicale; sulle rive muscosedei tuoi capelli mi inebrio degli odori
mescolati del catramedel muschio e dell'olio di cocco.
Lasciami mordere ancora le tue trecce pesanti e nere. Quando prendo a piccolimorsi i tuoi capelli elastici e
ribellimi sembra di mangiare ricordi.
XVIII • INVITO AL VIAGGIO
Esistediconoun paese magnificoun paese di Cuccagnache io sogno divisitare con una mia vecchia amica.
Paese singolaresprofondato nelle brume del nostro Norde che potremmochiamare l'Oriente dell'Occidentela Cina
dell'Europatanto vi si è sbrigliata la calda e capricciosa fantasiatantoha saputo illustrarlopazientemente
ostinatamentecon le sue sapienti e delicate vegetazioni.Un vero paese diCuccagnadove tutto è belloriccotranquilloonesto; dove il lusso sicompiace di
specchiarsi nell'ordine; dove la vita si respira come un odore dolce egrasso; dove il disordinela turbolenza e
l'imprevisto sono banditi; dove la felicità si sposa al silenzio; doveperfino la cucina è poeticaeccitante e grassa al
tempo stesso; dove tutto vi somigliaangelo mio.
Conosci quella febbre malsana che ci assale nel freddo della miseria?quellanostalgia di un paese mai visto
quell'angoscia della curiosità? C'è una contrada che ti somigliadovetutto è belloriccotranquillo e onesto; dove la
fantasia ha costruito e decorato una Cina occidentale; dove è dolcerespirare la vita; dove la felicità si sposa al silenzio.
Là bisogna andare a viverea morire!
Sìè là che bisogna andare a respirarea sognare e prolungare le orenell'infinito delle sensazioni. Un musicista
ha scritto l'Invito al valzer. Chi comporrà l'Invito al viaggio daoffrire alla donna amataalla sorella elettiva?
Sìsarebbe bello vivere in quell'atmosfera - laggiùdove le ore sono piùlente e contengono più pensieridove
gli orologi scandiscono la felicità in un ritmo più solennesignificativoe profondo.
Sui lucidi pannellisul cuoio doratoricco e cupovivono con discrezionepitture beatecalme e profonde come
le anime degli artisti che le crearono. Il soleche nei tramonti versa uncosì ricco colore nella sala da pranzo o nel
salonefiltra dalle belle stoffe e dalle alte finestre con i vetri divisi epiombati in tanti riquadri. I mobili sono vasti
bizzarri e armati di serrature segrete come anime raffinate.
Gli specchii metallile stoffel'oreficeria e la ceramica eseguono pergli occhi una sinfonia misteriosa e muta;
da ogni cosada ogni angolodalle fessure dei cassetti e dalle pieghe dellestoffe esala un singolare profumoun
profumo di Sumatra che è come l'anima dell'appartamento.
Un vero paese di Cuccagna: dove tutto è riccolindo e lucente come unacoscienza pulitacome una magnifica
batteria di cucinacome una splendida oreficeriacome una vetrina digioielli rutilanti! Là affluiscono i tesori del
mondo come nella casa di un uomo laborioso che ha ben meritato dal mondointero. Paese singolare: superiore agli altri
come l'arte è superiore alla naturae dove quest'ultima è migliorata dalsognocorrettaabbellitarimodellata.
Cerchinocerchino purequesti alchimisti dell'agricolturaspinganoindietro e allarghino i confini della loro
felicità! Promettano pure premi di sessantadi centomila fiorini a chirisolverà i problemi della loro ambizione! Ioil
mio tulipano nerola mia dalia azzurrali ho già trovati!
Fiore incomparabiletulipano ritrovatoallegorica daliaè in quel paesenon è vero?è nel bel paese calmo e
sognante che si dovrebbe andare a vivere e a fiorire? Tu saresti incorniciatanella tua analogiae potresti specchiartiper
dirla con i misticinella tua propria corrispondenza...
Sognisempre sogni! E più l'anima è ambiziosa e delicatapiù i sogni laallontanano dal possibile. Ogni uomo
porta in sé la sua dose di oppio naturaleincessantemente versata erinnovata: e dalla nascita alla morte quante ore di
gioia effettivadi azione decisa e riuscita possiamo contare? Vivremo maientreremo mai in questo bel quadro dipinto
dalla mia immaginazionein questo quadro che ti somiglia?
Quei tesoriquei mobiliquel lussoquell'ordinequei profumiquei fiorimiracolosisono te. Quei grandi
fiumiquei canali tranquilli: sempre tu. Quei bastimenti enormi e carichistipati di ricchezzee da cui si leva la
monotonia dei canti di manovrasono i miei pensieri che dormonochescorrono sul tuo seno. Tu li conduci dolcemente
verso il mare dell'Infinitomentre riflettono le profondità del cielo nellatua limpida e bella anima; - e quandostanchi
dell'onda e sazi dei prodotti dell'Orienterientrano nel porto natalesonoancora i miei pensieripiù ricchiche
dall'infinito tornano a te.
XIX • IL GIOCATTOLO DEL POVERO
Voglio dare l'idea di un divertimento innocente. Sono così rari gli svaghinon colpevoli!
Se una mattina uscirete con la precisa intenzione di andarvene a vagabondareper le strade principali
riempitevi le tasche di piccole trovate da pochi soldi - come il pulcinelladi legno sagomatomosso da un filoo i fabbri
che battono l'incudineo il cavaliere sul suo cavallo con la coda afischietto- e passando davanti ai cabaretsotto gli
alberi del vialefatene dono agli sconosciuti bambini poveri che incontrate.Vedrete i loro occhi spalancarsi a dismisura.
Dapprima non oseranno accettare; non crederanno alla loro fortuna. Poi leloro mani si impadroniranno freneticamente
del regaloe fuggiranno come gatti che vanno a mangiarsi il loro bocconelontano da chi glielo ha datoavendo
imparato a diffidare dell'uomo.
In una stradadietro l'inferriata di un ampio giardino in fondo al qualeappariva il biancore di un grazioso
castello investito dal solese ne stava un bambino bello e pulitoin abiticampagnoli pieni di civetteria.
Il lussola spensieratezza e lo spettacolo abituale della ricchezza rendonoquesti bambini così graziosi da
sembrare fatti di una pasta diversa da quella dei bambini che vengono dallamediocrità e dalla povertà.
Accanto a lui giaceva uno splendido giocattololustro e colorito come il suopossessoreverniciato e dorato
con un vestitino purpureocoperto di piume e di lustrini. Il bambinoperònon si curava del suo giocattolo preferitoed
ecco che cosa guardava:
Dall'altra parte dell'inferriatasulla stradain mezzo ai cardi e alleortichec'era un altro bambinosporco
gracilefuligginosouno di quei marmocchi-paria di cui un occhio imparzialescoprirebbe la bellezzase sapesseripulirli dalla ripugnante patina dellamiseria: come l'occhio del conoscitore che indovina il dipinto ideale sotto una
verniciatura da carrozziere.
Attraverso quelle sbarre simboliche che separano due mondila strada e ilcastelloil bambino povero mostrava
al bambino ricco il proprio giocattoloche quest'ultimo esaminava avidamentecome un oggetto raro e sconosciuto. E
questo giocattoloche il piccolo straccione tormentavaagitava e scuotevain una gabbiettaera un topo vivo! I genitori
senza dubbio per risparmiareavevano preso quel giocattolo dalla vitastessa.
E i due bambini ridevano fraternamente tra loromostrando denti di un ugualebiancore.
XX • I DONI DELLE FATE
Si teneva un'adunanza plenaria di Fateper procedere alla distribuzione deidoni fra tutti i nuovi-nati arrivati
nella vita nelle ultime ventiquattr'ore.
Tutte queste antiche e capricciose Sorelle del Destinotutte queste Madribizzarre della gioia e del dolore
erano diversissime fra loro: alcune avevano un'aria cupa e arcignaaltremaliziosa e beffarda; alcunegiovanierano
sempre state giovani; e altrevecchieerano sempre state vecchie.
Tutti i padri che credono nelle Fate erano accorsiognuno col suo neonato inbraccio.
I Donile Facoltài Casi propizile Circostanze invincibilitutto eraammucchiato accanto alla tribunacome i
premi sul palco di una premiazione. In questo caso c'era di particolare che iDoni non erano la ricompensa di uno
sforzoma viceversa una grazia accordata a chi non aveva ancora vissuto lasua vitauna grazia capace di determinare il
suo destino e di diventare la fonte tanto della sua sventura che della suafortuna.
Le povere Fate erano molto indaffarate; infatti la folla degli aspiranti eragrandee il mondo intermedio fra
l'uomo e Dio è sottopostocome noialla terribile legge del Tempo e allasua innumerevole progenie: GiorniOre
Minuti e Secondi. Erano davvero frastornate come ministri in un giorno diudienzao come impiegati del Monte di Pietà
quando una festa nazionale autorizza i disimpegni gratuiti. Credo anzi che ditanto in tanto sbirciassero la lancetta
dell'orologio con la stessa impazienza con cui i giudici di quaggiùriunitiin seduta fin dal mattinonon possono
impedirsi di pensare al pranzoalla famiglia e alle loro care pantofole. Senella giustizia soprannaturale c'è un po' di
precipitazione e di casualitànon dobbiamo meravigliarci che ce ne siaanchetalvoltanella giustizia umana. Anche
noiin casi del generesaremmo dei giudici ingiusti.
Così quel giorno furono presi alcuni abbagli che si potrebbero considerarebizzarri se fosse la prudenzae non
invece il capriccioil carattere distintivoimmutabile delle Fate.
Così avvenne che il potere di attirare magneticamente la fortuna fuaggiudicato all'unico erede di una famiglia
ricchissimail qualeessendo sprovvisto di ogni spirito di carità einsieme di ogni brama per i beni più visibili della vita
si sarebbe trovato in seguito straordinariamente ingombrato dai suoi milioni.
Cosìl'amore del Bello e la Potenza poetica furono dati al figlio di untetro straccionedi mestiere cavapietre
che non avrebbe potuto in nessun modo favorire le capacitàné soddisfare ibisognidella sua incresciosa progenie.
Dimenticavo di dirvi che la distribuzione dei doniin queste occasionisolenniè senza appelloe che nessun
dono può essere rifiutato.
Convinte di aver portato a termine la loro faticatutte le Fate si stavanoalzando; non restava piùinfattinessun
regalonessun favore da elargire a quella povera gente; quando un buon uomoun povero piccolo commerciantecredo
si alzò in piedi e afferrando per il vestito di vapori multicolori la Fatapiù a portata di manoesclamò:
«Ehsignoralei ci dimentica! C'è ancora mio figlio! Non sono mica venutoqui per niente!».
La Fata avrebbe potuto trovarsi in imbarazzo; infatti non restava più niente.Si ricordò tuttavia in tempo di una
legge ben notaanche se raramente applicatanel mondo soprannaturaleabitato dalle divinità impalpabiliamiche
dell'uomo e spesso costrette ad adattarsi alle sue passioniche sono appuntole Fategli Gnomile Salamandrele
Silfidii Silfile Nissegli Ondini e le Ondine- la leggevoglio direche concede alle Fatein un caso come questo
cioè in caso di esaurimento dei premila facoltà di donarne ancora unosupplementare ed eccezionalepurché la Fata
abbia sufficiente immaginazione da inventarsene uno immediatamente.
E alloracon un contegno davvero all'altezza del suo rangola brava Fatarispose: «A tuo figlio regalo... gli
regalo... il Dono di piacere!».
«Ma piacere come? Piacere?... Piacere perché?» domandò con ostinazione ilpiccolo bottegaioche era
certamente uno di quei comuni ragionatori che non sanno sollevarsi allalogica dell'Assurdo.
«Perché! Perché!» ribatté molto seccatavoltandogli le spallela Fata;e raggiungendo il corteo delle sue
compagnediceva loro: «Ma guardate un po' questo francesetto fanatico chepretende di capire tuttoe che dopo aver
ottenuto per suo figlio il premio miglioreosa ancora fare domande ediscutere l'Indiscutibile!».
XXI • LE TENTAZIONI OVVERO: EROSPLUTO E LA GLORIADue magnifici Satanae una Diavolessa non meno straordinariala notte scorsa sono saliti per lascala
misteriosa attraverso cui l'Inferno prende d'assalto la debolezza dell'uomoche dormecomunicando con lui in segreto. E
sono venuti a mettersi maestosamente davanti a mein piedi come su un podio.Uno splendore sulfureo emanava da
questi tre personaggi che si stagliavano sul fondo oscuro della notte.Avevano un'aria così fiera e dominatriceche sul
momento li presi tutti e tre per veri Dei.
Il viso del primo Satana era di sesso ambiguoe anche nelle linee del suocorpo aveva la mollezza degli antichi
Bacchi. I suoi begli occhi languididi un colore tenebroso e incertosomigliavano a violette ancora appesantite dai grevi
singhiozzi dell'uraganoe le sue labbra socchiuse sembravano calde ampolleda cui esalava il buon odore di un
laboratorio di profumi; e ogni volta che sospiravainsetti muschiati siilluminavano svolazzando nell'ardore del suo
respiro.
Intorno alla sua tunica di porpora era avvoltoa guisa di cinturaunserpente cangiante chesollevando la testa
volgeva languidamente verso di lui i suoi occhi di brace. A questa cinturavivente erano appesialternati a fiale colme di
sinistri liquoricoltelli lucenti e strumenti chirurgici. Nella mano destracostui teneva un'altra fialail cui contenuto era
roseo e luminosoe che aveva come etichetta queste bizzarre parole:«Bevetequesto è il mio sangueun tonico
eccellente»; nella sinistrateneva un violinoche doveva servirgli percantare i suoi piaceri e i suoi dolorie per
diffondere il contagio della sua follia nelle notti di sabba.
Alle caviglie delicate pendevano alcuni anelli di una catena d'oro spezzatae quando il fastidio che ne risultava
lo costringeva ad abbassare gli occhi a terracontemplava con vanità leunghie dei propri piedilucenti come pietre
lavorate.
Mi guardò con i suoi occhi inconsolabilmente afflittida cui emanavaun'insidiosa ebbrezzae con voce
armoniosa mi disse: «Se vuoise tu vuoiti farò signore delle animeesarai il padrone della materia vivente più di
quanto lo scultore possa esserlo dell'argilla; e conoscerai il piacerechesempre si rinnovadi uscire da te stesso per
dimenticarti in altrie di attirare le anime altrui fino a mescolarle allatua».
Gli risposi: «Tante grazie! Non so che farmene di questa paccottiglia diesseri che certamente non valgono di
più del mio povero io. Benché il ricordare mi dia qualche vergognanonvoglio dimenticare niente; e se anche non ti
riconoscessivecchio mostrola tua misteriosa coltelleriale tue equivochefialele catene da cui sono impediti i tuoi
piedisono simboli che spiegano con sufficiente chiarezza gli inconvenientidell'esserti amico. Tieniti i tuoi regali».
Il secondo Satana non aveva né quell'aria tragica e sorridentené quelleinsinuanti belle manierené quella
bellezza delicata e profumata. Era un uomo imponentecon una larga facciapriva di occhiil cui ventre pesante
strapiombava sulle coscee la cui pelle era tutta doratatatuata e comeillustrata da una folla di piccole figure in
movimento rappresentanti le varie forme della miseria universale. C'eranopiccoli uomini sfiancati che si appendevano
volontariamente a un chiodo; c'erano piccoli gnomi deformimagrii cuiocchi supplichevoli reclamavano l'elemosina
ancor più delle loro mani tremanti; e poi vecchie madriche portavano degliaborti aggrappati alle mammelle estenuate.
E così via.
Quel grosso Satana si batteva col pugno l'immenso ventreda cui usciva unprolungato tintinnio metallico
seguito dal vago gemito di diverse voci umane. E lui ridevamostrandospudoratamente i denti guasti in un'enorme
risata imbecillecome succede in ogni posto del mondo a chiunque abbiamangiato a sazietà.
Mi disse: «Io posso darti la cosa con cui si ottiene tuttola cosa che valetuttoche rimpiazza tutto!». E picchiò
sul suo ventre mostruosola cui eco sonora fece da accompagnamento alle suevolgari parole.
Mi girai con disgusto e gli risposi: «Per goderenon ho bisogno dellamiseria di nessuno; non la voglio questa
ricchezza rattristata da tutte le disgrazie raffigurate sulla tua pelle comesu una carta da parati».
Quanto alla Diavolessamentirei se non confessassi che a prima vista trovaiin lei un bizzarro fascino. Per
definire questo fascinonon potrei che paragonarlo a quello di certe donnemolto bellechepur essendo avanti con gli
anninon invecchiano piùe la cui bellezza conserva la penetrante malìadelle rovine. Aveva un'aria insieme imperiosa e
dinoccolatae i suoi occhibenché pesti e sbattuticonservavano un magicomagnetismo. Ciò che più mi colpì fu il
mistero della sua voce: vi ritrovavo qualcosa dei contralti più deliziosima anche quella leggera raucedine che hanno le
gole bruciate dall'acquavite.
«Vuoi conoscere il mio potere?» disse la falsa dea con la sua vocefascinosa e paradossale. «Ascolta!».
Si mise allora in bocca una gigantesca trombainfiocchettata come uno zufolocon i titoli di tutti i giornali
dell'universoe attraverso questa tromba gridò il mio nomeche risuonònello spazio con il rumore di centomila tuoni e
ritornò a me ripetuto dall'eco del più remoto dei pianeti.
«Diavolo!» feci ioa metà soggiogato«ecco una cosa preziosa!». Maosservando con più attenzione quella
seducente viragomi sembrò vagamente di riconoscerla per averlavista brindare con alcuni balordi di mia conoscenza;
e il suono rauco dell'ottone recò ai miei orecchi non so quale ricordo diuno squillo di tromba prostituito.
Perciòcon tutto lo sdegno di cui ero capacerisposi: «Vattene! Non sonofatto per prendermi in moglie
l'amante di individui che non voglio neppure nominare».
Avevo certamente tutto il diritto di sentirmi fiero per una così coraggiosaabnegazione. Ma disgraziatamente
mi svegliaie tutta la mia forza mi abbandonò. «Dovevo essere proprioaddormentato profondamente»mi dissi«per
farmi tanti scrupoli. Ahse potessero tornare quando sono sveglionon fareitanto il difficile!».
E li invocai ad alta vocesupplicandoli di perdonarmioffrendo loro didisonorarmi tutte le volte che fosse
necessario per meritare i loro favori; ma dovevo averli davvero gravementeoffesiperché da allora non sono più tornati.XXII • IL CREPUSCOLO
Il giorno declina. Un grande sollievo scende nelle menti affaticate dal pesodella giornata; e i pensieriora
prendono i colori teneri e incerti del crepuscolo.
Ma attraverso le nubi trasparenti della seraarriva dalla montagna al miobalcone un grande urlìo fatto di una
folla di grida discordiche lo spazio trasforma in una lugubre armoniasimile a quella della marea che sale o di una
tempesta che si risveglia.
Chi sono gli sventurati che la sera non riesce a calmare e checome i gufiprendono l'arrivo della notte per un
segnale di sabba? Questo sinistro ululato arriva a noi dal nero ospizioarrampicato sulla montagna; e la serafumando e
contemplando il riposo dell'immensa vallata gremita di casele cui finestredicono tutte: «La pace è quiora; è qui la
gioia della famiglia!»io possoquando il vento soffia di lassùcullarei miei pensieri sbalorditi da quell'imitazione
delle armonie dell'inferno.
Il crepuscolo eccita i pazzi. - Ricordo due amiciche il crepuscolo rendevacome malati. L'uno non riconosceva
più nessun rapporto di amicizia e di cortesiae maltrattava selvaggiamentechiunque incontrasse. L'ho visto tirare sulla
testa di un maître d'hôtel un ottimo pollo sul quale credeva divedere non so quale offensivo geroglifico. Annunciando
profonde voluttàla sera gli guastava il piacere delle cose piùsucculente.
L'altroun ambizioso feritoman mano che il giorno declinava diventavasempre più acidopiù cupopiù
litigioso. Ancora indulgente e socievole durante la giornatala sera eraspietato; e non soltanto contro gli altrianche
contro se stesso esercitava rabbiosamente la sua mania crepuscolosa.
Il primo è morto pazzosenza riconoscere sua moglie e suo figlio; ilsecondo porta dentro di sé il malessere di
una perpetua inquietudinee anche se fosse gratificato di tutti gli onoriche possono conferire le repubbliche e i prìncipi
io credo che il crepuscolo continuerebbe ad accendere in lui la brucianteinvidia di onori immaginari.
La notteche portava tenebre nella loro menteporta luce nella mia; esebbene non sia raro vedere la stessa
causa generare effetti oppostiquesto fatto mi ha sempre intrigato eallarmato.
O notte! o rinfrescanti tenebre! Voi siete per me il segnale di una festainterioresiete la liberazione da ogni
angoscia! Nella solitudine delle pianurenei labirinti di pietra di unagrande cittàscintillio di stelle o esplosione di
fanalivoi siete il fuoco pirotecnico della dea Libertà!
Crepuscolocome sei dolce e tenero! Le luci rosate che indugiano ancoraall'orizzonte come l'agonia del giorno
sotto l'oppressione vittoriosa della nottele fiamme dei candelabri cheminacciano con un rosso cupo le ultime glorie del
tramontoi pesanti drappeggi che una mano invisibile attira dalleprofondità dell'Orienteimitano tutti i complicati
sentimenti che lottano dentro il cuore umano nelle ore cruciali della vita.
O potrebbero sembrare le bizzarre vesti di una danzatricela cui trasparenzalascia intravederesmorzati e
velatigli splendori di un abito stupendocome al di sotto del neropresente traspare il passato delizioso; e le vacillanti
stelle d'oro e d'argento di cui è cosparsa la Notterappresentano queifuochi della fantasia che si accendono davvero
solo nel suo lutto profondo.
XXIII • LA SOLITUDINE
Un giornalista filantropo mi dice che la solitudine fa malee a sostegnodella sua tesi mi citacome fanno i
miscredentile parole dei Padri della Chiesa.
So bene che il Demonio frequenta volentieri i luoghi aridie che lo spiritoassassino e lascivo si accende
straordinariamente nella solitudine. Ma potrebbe darsi che questa solitudinesia pericolosa solo per un'anima oziosa e
divagante che la popola con le sue passioni e le sue chimere.
È chiaro che un chiacchierone il cui piacere supremo consista nel parlaredall'alto di una cattedra o di una
tribunacorrerebbe forti rischi di diventare pazzo furioso nell'isoladeserta di Robinson. Non pretendo dal mio
giornalista le virtù e il coraggio di Crusoema chiedo che almeno non simetta a levare accuse contro chi ama solitudine
e mistero.
Apparteniamo a una razza così loquaceche fra noi si trovano individui cheaccetterebbero perfino la pena di
morte con minore avversionese soltanto si permettesse loro di tenere unfluente discorso dall'alto del patibolosenza il
pericolo di essere interrotti prima del termine dai tamburi di Santerre.
Non li compiango: perché immagino che le loro effusioni oratorie procurinoloro voluttà pari a quelle che altri
ricavano dal silenzio e dal raccoglimento: ma li disprezzo.
Soprattuttovorrei che il mio maledetto giornalista mi lasciasse libero didivertirmi a modo mio. «Davvero non
provate mai - mi dice con quel suo tono nasalecosì pretesco - il bisognodi condividere con qualcuno le vostre gioie?».
Ma guardate un po' quanto è sottile e insinuante questo invidioso! Sabenissimo che disprezzo le sue gioiee così
questo orrendo guastafesteviene a intrufolarsi nelle mie!
«La grande sventura di non saper stare da soli...»dice da qualche parteLa Bruyère per svergognare tutti coloro
che si precipitano a dimenticare se stessi nella folla perché temono di nonriuscire a sopportarsi.«Quasi tutte le nostre sventure ci vengono dal nonessere riusciti a restare nella nostra camera»dice un altro
saggioPascalmi parerichiamando così nella cella del raccoglimentotutti quei dissennati che cercano la felicità nel
movimento e in una prostituzione che chiamerei fraternalisticasevolessi parlare la bella lingua del mio tempo.
XXIV • I PROGETTI
Passeggiando in un grande parco solitariodiceva fra sé: «Come sarebbebella in un fastosoelaborato abito da
cortementre scende la scala di marmo di un palazzoin una bella atmosferaseraledavanti a fontane e vasti prati! Il
suo aspetto naturale è infatti quello di una principessa».
Più tardipassando in una stradasi fermò davanti a una bottega diincisionie trovando dentro una cartella una
stampa con un paesaggio tropicalesi disse: «No! non è affatto dentro unpalazzo che vorrei possedere la sua amata vita.
Non ci sentiremmo a casa nostra. Del restoquelle pareti dorate nonlascerebbero spazio alla sua figura; in quelle
solenni gallerie manca un angolo per l'intimità. È decisamente quiinveceche dovremmo abitare per coltivare il mio
sogno».
E analizzando con lo sguardo i dettagli di quell'incisionecontinuava dentrodi sé: «Una bella capanna di legno
in riva al mareavvolta da quegli strani alberi pieni di luce di cui nonricordo il nome... Nell'ariaun profumo inebriante
indefinibile... e nella capanna un intenso odore di rosa e di muschio... Piùin làoltre i confini del nostro piccolo
dominiole alte alberature delle navi che ondeggiano sull'acqua... Intorno anoial di là delle paretirischiarate dalla
luce rosa filtrata dalle stuoie e ornate con ghirlande di freschi fioriinebriantisolo qualche sediadi quel legno pesante e
tenebroso usato nel rococò portoghese (su cui lei riposerebbe nella calmaventilatafumando un tabacco appena
oppiato!)al di là della veranda lo strepito degli uccelli ubriachi di lucee il chiacchierio delle negrette... E la notte
come sottofondo dei miei sogniil canto lamentoso di quegli alberi musicalii melanconici filaò! Sìin realtà è proprio
questo lo scenario che cercavo. Che me ne faccio dei palazzi?».
Più tardipercorrendo un grande vialescorse un lindo alberghetto dovedauna finestra rallegrata da tendine di
cotonina variopintasi sporgevano due facce ridenti. E subito: «La miatesta deve essere davvero vagabonda - si disse -
se va a cercare così lontano ciò che trovo così vicino. Piacere efelicità sono nel primo albergo che capitanell'albergo
del casosempre così prodigo di voluttà. Un bel focolarestoviglievistoseuna cena decenteun vino robusto e un largo
letto con le lenzuola ruvide ma fresche di bucato. Che c'è di meglio?».
E rientrando a casa solonell'ora in cui i consigli della Saggezza non sonopiù soffocati dal rumoreggiare della
vita esterioredisse a se stesso: «Oggi ho avuto in sogno tre diversidomicilidai quali ho ricavato un uguale piacere.
Perché costringere il mio corpo a cambiare luogose la mia mente viaggiacosì svelta? E a che scopo realizzare i
progettise la gioia di un progetto basta a se stessa?».
XXV • LA BELLA DOROTEA
Il sole opprime la città con la sua terribile luce a picco; la sabbia èabbagliante e il mare scintilla. Il mondo
attonito si accascia e fa la siestauna siesta che è una specie digradevole mortein cui il dormientea metà sveglio
assapora con voluttà il suo annientamento.
Doroteainveceunica vivente a quest'ora sotto l'azzurro immensoforte efiera come il soleprocede nella
strada desertacreando nella luce una macchia splendidamente nera.
Avanza ondeggiando mollemente il torso sottile sulle anche ampie. Il suoaderente vestito di setarosa chiaro
risalta sul buio della sua pelle e modella con esattezza la sua figuraslanciatal'incavo della schienail seno eretto.
Il suo ombrello rossofiltrando la luceproietta sul suo viso scuro latinta sanguigna dei suoi riflessi.
Il peso della sua enorme capigliatura bluastra le tira indietro la testadelicatadandole un'aria trionfale e
indolente. Pesanti orecchini sussurrano segretamente qualcosa alle sueorecchie graziose.
Ogni tanto la brezza del mare fa volare in alto il lembo della gonna e scoprela sua gamba lucida e magnifica; il
suo piedecome quello delle dee di marmo che l'Europa tiene chiuse nei suoimuseiimprime fedelmente la sua forma
sulla sabbia fine. Perché Dorotea è così straordinariamente civetta che ilpiacere di essere ammirata supera in lei
l'orgoglio della libertà; ebenché liberacammina a piedi nudi.
Avanza cosìarmoniosamente felice di viveree mostra il biancore del suosorriso come se scorgesse lontano
nello spazio uno specchio che riflette il suo incedere e la sua bellezza.
Nell'ora in cui anche i cani gemono sotto il morso del solequale moventeirresistibile fa dunque andare così la
pigra Doroteabella e fredda come il bronzo?
Perché mai ha lasciato la sua piccola casa arredata con tanta civetteriadove fiori e stuoie creano con poca
spesa un perfetto boudoir; dove le piace tanto pettinarsifumarefarsi fare vento o guardarsi nello specchio dei suoi
grandi ventagli di piumementre il mare che batte la spiaggia a cento passida lì inventa un monotonopossente
accompagnamento alle sue oscillanti fantasticheriee il pentolino di ferroin cui cuoce un ragù di granchi con riso e
zafferano le manda dal cortile odori eccitanti?Forse ha un appuntamento conqualche giovane ufficiale chein lidi remotiha sentito i suoi compagniparlare
della famosa Dorotea. Infallibilmente lei lo pregheràingenua creaturadidescriverle un ballo all'Operae gli chiederà
se ci si può andare a piedi nudicome ai balli della domenicadove anchele vecchie Cafre diventano ebbre e pazze di
gioia; e poiancorase le belle dame di Parigi sono tutte più belle dilei.
Dorotea è ammirata e coccolata da tuttie sarebbe perfettamente felice senon fosse costretta a risparmiare un
soldo sull'altro per riscattare la sorellina di undici anniche è giàmatura ed è già così bella! Certamente ci riusciràla
brava Dorotea: il padrone della bambina è avarotroppo avaro per capire unabellezza diversa da quella dei soldi!
XXVI • GLI OCCHI DEI POVERI
Ahvolete proprio sapere perché oggi vi odio? Per me non sarà difficilespiegarvelo. Ma certo per voi non sarà
facile capirloperché sietecredoil più bell'esempio di impermeabilitàfemminile che si possa incontrare.
Avevamo passato insieme un'intera giornatache mi era parsa breve. Cieravamo promessi di avere in comune
tutti i nostri pensierie che le nostre anime sarebbero state ormai un'animasola: un sogno che dopotutto non ha niente di
originalese non il fatto che pur essendo stato sognato da tutti non èstato realizzato da nessuno.
La seraun po' stancavoleste sedervi all'angolo di un nuovo boulevarddavanti a un nuovo caffè ancora pieno
di calcinaccie che già mostrava la gloria dei suoi incompiuti splendori.Il caffè scintillava. Perfino il gas vi esibiva
tutto l'ardore di un debuttoe con tutte le sue forze rischiarava i muri diun biancore accecantele abbaglianti superfici
degli specchigli ori delle modanature e delle cornicii paggi dalle guancepaffute trascinati dai cani al guinzagliole
dame che sorridevano al falcone appollaiato sul loro pugnole ninfe e le deecon fruttipasticcicacciagione in capo
Ebe e Ganimede che porgono col braccio teso la piccola anfora per la«bavarese»o l'obelisco tricolore dei gelati
mantecati; tutta la storia e tutta la mitologia messe al serviziodell'ingordigia.
Proprio davanti a noisulla carreggiatase ne stava impalato un brav'uomosulla quarantinala faccia stancala
barba ingrigitache teneva per mano un bambino e reggeva sull'altro braccioun esserino troppo debole per camminare.
Faceva da bambinaiae portava i suoi figlila seraa prendere un po'd'aria. Cenciosi tutti e tre. Quei tre visi erano
straordinariamente serie quei sei occhi contemplavano e fissavano il caffènuovo con pari ammirazionebenché con
diverse sfumature a seconda dell'età.
Gli occhi del padre dicevano: «Come è bello! Come è bello! Si direbbe chetutto l'oro della povera gente sia
venuto a mettersi su questi muri». Gli occhi del bambino: «Come è bello!Come è bello! Ma è una casa dove possono
entrare solo quelli che non sono come noi». Quanto agli occhi del piùpiccoloerano troppo affascinati per esprimere
qualcosa di diverso da una gioia profonda e ottusa.
Gli autori di canzoni dicono che il piacere rende l'anima buona e intenerisceil cuore. Per quanto riguarda me
la canzone quella sera aveva ragione. Non solo ero intenerito da quellafamiglia d'occhima avevo un po' vergogna dei
nostri bicchieri e delle nostre caraffepiù grandi della nostra sete.Giravo il mio sguardo verso il vostromio caro
amoreper leggervi il mio stesso pensiero; mi tuffavo nei vostri occhi cosìbellicosì bizzarri e dolcinei vostri occhi
verdiabitati dal capriccio e ispirati dalla Lunaquando mi diceste:«Questa gentecon quegli occhi spalancati come
portonimi è insopportabile! Non potreste chiedere al maître diallontanarli da qui?».
Tanto difficile è capirsicaro angelo mio! E il pensiero è a tal puntoincomunicabileanche fra coloro che si
amano!
XXVII • UNA MORTE EROICA
Fancioulle era un ammirevole buffonee in rapporti quasi di amicizia colPrincipe. Ma le cose serie esercitano
su chi è destinato alla comicità una fatale attrazione; e per quanto possasembrare strano che le idee di patria e di libertà
s'impossessino dispoticamente del cervello di un istrioneun giornoFancioulle entrò a far parte di una cospirazione
formata da alcuni gentiluomini scontenti.
Esiste dovunque della gente perbeneche denuncia al potere questi individuidi umore atrabiliare che vogliono
deporre i principi e riformare la società senza neppure consultarla. Isignori in questionetra cui Fancioullefurono
arrestati e destinati a morte sicura.
Sono propenso a credere che il Principe si sia alquanto seccato di trovare ilsuo attore preferito fra i ribelli.
Quel principe non era né migliore né peggiore di altri: ma un eccesso disensibilità lo rendeva in molti casi più crudele e
dispotico di tutti i suoi simili. Amante appassionato delle belle artieanche eccellente intenditorei piaceri non lo
saziavano mai. Piuttosto indifferente agli uomini e alla moralevero artistaegli stessonon conosceva nemico
pericoloso per lui quanto la Noiae gli sforzi bizzarri che faceva persfuggire ad essa e per vincere la sua tirannia sul
mondo gli avrebbero certamente attiratoda parte di uno storico severol'appellativo di «mostro»se nei suoi dominii
fosse stato permesso scrivere una qualunque cosa che non tendesse unicamenteal piacere e ad una delle sue forme più
raffinatela meraviglia. La grande sventura di questo Principe fu che nonebbe mai un teatro che fosse abbastanza
ampio per la sua fantasia. Ci sono dei giovani Neroni costretti a soffocaredentro confini troppo angustie di cui i secolia venire ignoreranno per sempresia il nome sia la buona volontà. L'improvvida Provvidenza aveva dato a costuifacoltà
più ampie dei confini del suo Stato.
All'improvviso corse voce che il sovrano voleva graziare tutti i congiurati;all'origine di questa voce c'era stato
l'annuncio di un grande spettacolo in cui Fancioulle doveva impersonare unodei suoi ruoli principali e più riuscitie a
questo spettacolo avrebbero dovuto assisteresi dicevaanche i gentiluominicondannati; segno evidenteaggiungevano
i superficialiche il Principe offeso era disposto alla clemenza.
Da parte di un uomo così naturalmente e volontariamente eccentrico ci sipoteva aspettare qualunque cosa
anche la virtùanche la clemenzasoprattutto se avesse potuto sperare ditrovare in esse dei piaceri inaspettati. Ma per
coloro checome meerano riusciti a penetrare meglio nelle profondità diquest'anima curiosa e malataera
infinitamente più probabile che il Principe avesse voglia di valutare iltalento teatrale di un condannato a morte. Voleva
approfittare dell'occasione per compiere un esperimento fisiologico difondamentale interessee verificare fino a che
punto le abituali capacità di un artista potevano essere alterate omodificate dalla situazione straordinaria in cui si
trovava. Al di là di questoc'era nel suo animo un'intenzione più o menodefinita di clemenza? La questione non ha mai
potuto essere chiarita.
Arrivato finalmente il gran giornola piccola corte dispiegò tutti i suoifastie sarebbe difficile immaginarea
meno di non averlo vistotutto lo splendore che la classe privilegiata di unpiccolo Stato può manifestare in una
circostanza veramente solenne. E quella lo era doppiamenteanzitutto perl'effetto magico del lusso prodigatoe poi per
il misterioso interesse morale che vi era connesso.
Messer Fancioulle eccelleva soprattutto nei ruoli muti o poco parlatichesono spesso i più importanti in quei
drammi favolosi il cui scopo è di rappresentare simbolicamente il misterodella vita. Entrò in scena con leggerezza e
con perfetta disinvolturacosa che contribuì a rafforzarenel nobilepubblicoun'idea di dolcezza e di perdono.
Quando di un attore si dice: «Ecco un bravo attore»ci si serve di unaformula che implica ancora che sotto il
personaggio si può indovinare l'attorecioè l'artelo sforzolavolontà. Ma se un attore arrivasse ad esserenei confronti
del personaggio a cui deve dare espressioneciò che potrebbero essereneiconfronti dell'idea astratta e vaga di bellezza
le migliori statue dell'antichitàmeravigliosamente animatevive e inmovimentoquesto sarebbe allora un caso
singolare e del tutto imprevisto. Fancioulle fuquella serauna perfettaidealizzazione che era impossibile non supporre
viventepossibilereale. Questo buffone andavavenivaridevapiangevasi dimenavacon un'indistruttibile aureola
intorno alla testaaureola a tutti invisibilema visibile a mee nellaquale si confondevanoin uno strano miscuglioi
raggi dell'Arte e la gloria del Martirio. Fancioulle introducevaper non soquale grazia specialeil divino e il
soprannaturale perfino nelle più stravaganti buffonerie. Nel momento in cuitento di descrivervi questa indimenticabile
seratala mia penna tremae mi salgono agli occhi le lacrime per l'emozioneche ancora provo. In modo perentorio
irrefutabileFancioulle mi dava la prova che l'ebbrezza dell'Arte è piùadatta di ogni altra a velare i terrori dell'abisso;
che il genio può recitare la commedia sull'orlo della tomba con una gioiache gli impedisce di vedere la tombaperduto
com'è in un paradiso che esclude ogni idea di tomba e di distruzione.
Tutto quel pubblicoper frivolo e disincantato che fossesubì ben prestol'onnipotente dominio dell'artista.
Nessuno pensò più alla morteal luttoai supplizi. Ognuno si abbandonòsenza inquietudine a quella moltiplicazione dei
piaceri che dà la vista di un capolavoro artistico vivente. Le esplosioni digioia e di ammirazione scossero ripetutamente
le volte dell'edificio con la forza di un tuono ininterrotto. Il Principestessoinebriatomescolò i suoi applausi a quelli
della corte.
Tuttaviaad uno sguardo chiaroveggentela sua ebbrezza si distingueva perla presenza di qualcos'altro. Si
sentiva vinto nel suo potere di despota? Umiliato nella sua arte diterrorizzare i cuori e intorpidire gli spiriti? Frustrato
nelle sue speranze e beffato nelle sue previsioni? Tali supposizioninonesattamente giustificatema neppure totalmente
ingiustificabiliattraversarono la mia mente mentre contemplavo il volto delPrincipesul quale un pallore nuovo
continuava ad aggiungersi al pallore abitualecome la neve si aggiunge allaneve. Le sue labbra si serravano sempre di
piùi suoi occhi si illuminavano di un fuoco interiore simile a quellodella gelosia e del rancore mentre applaudiva con
ostentazione il talento del suo vecchio amicolo strano buffone chebuffoneggiava così bene la morte. Ad un certo
puntovidi sua Altezza chinarsi verso un paggetto che stava dietro di lui edirgli qualcosa all'orecchio. La faccia
birichina del bel ragazzino si illuminò di un sorriso; poi svelto siallontanò dal palco principesco come per compiere una
commissione urgente.
Qualche minuto dopo un fischio acutoprolungatointerruppe Fancioulle inuno dei suoi momenti migliorie
ferì nello stesso tempo le orecchie e i cuori. E dal punto della sala da cuisi era levata questa inattesa disapprovazione
un ragazzino si precipitò fuori nel corridoio trattenendo le risate.
Fancioullescossorisvegliato dal suo sognochiuse dapprima gli occhipoili riaprìquasi subito
smisuratamente spalancatiaprì la bocca come per respirare affannosamentebarcollò un po' in avantiun po' indietroe
poi cadde morto stecchito sul palco.
Il fischiorapido come un colpo di spadaaveva realmente preso il posto delboia? Il Principe era stato davvero
in grado di indovinare tutta l'efficacia omicida del suo trucco? Se ne puòdubitare. Rimpianse il suo caro e inimitabile
Fancioulle? È confortante e legittimo crederlo.
I gentiluomini colpevoli avevano goduto per l'ultima volta lo spettacolodella commedia. Quella notte stessa
furono cancellati dalla vita.Da allora in poiparecchi mimigiustamenteapprezzati in diversi paesisono venuti a recitare davanti alla
corte di ***; ma nessuno di loro ha potuto far ricordare i meravigliositalenti di Fancioullené innalzarsi fino a ottenere
un uguale favore.
XXVIII • LA MONETA FALSA
Mentre ci allontanavamo dalla rivendita dei tabacchiil mio amico feceun'accurata suddivisione del suo
denaro; nella tasca sinistra del gilè fece scivolare alcune monetine d'oro;nella destraalcune monetine d'argento; nella
tasca sinistra dei pantaloniuna quantità di grosse monetee infinenelladestraun pezzo d'argento da due franchi che
aveva esaminato attentamente.
«Singolare e minuziosa ripartizione!» dissi fra me.
Incontrammo un povero che ci tese il berretto tremando. - Non conosco nientedi più inquietante dell'eloquenza
muta di quegli occhi supplichevoliche contengono nello stesso tempoperl'uomo sensibilecapace di leggervitanta
umiltàtanti rimproveri. Qualcosa di simile a questa complicata profonditàdi sentimentola si trova negli occhi
lacrimosi dei cani bastonati.
Essendo l'offerta del mio amico molto più consistente della miagli dissi:«Avete ragione: dopo il piacere di
meravigliarsinon ce n'è uno più grande di quello di suscitaremeraviglia». - «Era la moneta falsa»mi rispose lui
tranquillamentecome per giustificarsi della sua prodigalità.
Ma nel mio miserabile cervellosempre occupato a cercare la luna amezzogiorno (di quale faticosa facoltà la
natura mi ha fatto dono!)entrò di colpo quest'idea: che una similecondotta da parte del mio amico non era scusabile se
non come desiderio di provocare un evento nella vita di quel povero diavoloe anche forse di vedere le conseguenze
più o meno funesteche può far nascere una moneta falsa nelle mani di unmendicante. Chissàforse poteva
moltiplicarsi in tante monete buone! O poteva portarlo in galera. Un osteper esempioo un fornaioavrebbero potuto
farlo arrestare come falsario o come spacciatore. Oppurequella moneta senzavalore avrebbe anche potuto diventare
per un povero piccolo speculatorela fonte di una ricchezza che sarebbedurata qualche giorno. E così la mia fantasia
viaggiavaprestando ali allo spirito del mio amico e traendo tutte lededuzioni possibili da tutte le ipotesi possibili.
Ma costui interruppe bruscamente la mia fantasticheria riprendendo le mieparole: «Sìavete ragione; non c'è
piacere più dolce di quello di meravigliare un uomo regalandogli molto dipiù di quello che si aspetta».
Lo guardai nel bianco degli occhi e fui spaventato nel vedere che i suoiocchi brillavano di un innegabile
candore. Vidi allora chiaramente che egli aveva voluto farenello stessotempola carità e un buon affare; guadagnarsi
quaranta soldi e l'amore di Dio; portarsi via il paradiso facendo economia; einfine acquistarsi gratis una patente di
uomo caritatevole. Gli avrei quasi perdonato il desiderio della gioiacriminosa di cui un momento prima lo avevo
ritenuto capace; avrei trovato curiososingolare che si divertisse acompromettere i poveri; ma non gli avrei mai
perdonato l'inettitudine dimostrata in questo calcolo. Non c'è scusa per lacattiveriama c'è qualche merito nell'esserne
coscienti; e il più irreparabile dei vizi è fare il male per stupidità.
XXIX • IL GIOCATORE GENEROSO
Ieriin mezzo alla folla del boulevardmi sono sentito sfiorare da unessere misterioso che avevo sempre
desiderato conosceree che riconobbi immediatamente senza avere mai visto.C'era senza dubbioda parte suaun
desiderio analogo nei miei confrontiperché mi fecepassandounasignificativa strizzatina d'occhioalla quale mi
affrettai a rispondere. Lo seguii con attenzionee poco dopo discesi dietrodi lui in una sotterraneaabbagliante dimora
nella quale risplendeva un lusso che nessuna delle abitazioni superiori diParigi poteva lontanamente eguagliare. Mi
sembrò strano di essere potuto passare così spesso accanto a questoprestigioso rifugio senza indovinarne l'ingresso. Vi
regnava un'atmosfera squisitaanche se frastornanteche faceva dimenticarequasi istantaneamente tutti i fastidiosi
orrori della vita; vi si respirava una cupa beatitudineanaloga a quella chedovettero provare i mangiatori di loto
quandosbarcando su un'isola incantatailluminata dal chiarore di un eternomezzogiornosentirono nascere in séal
suono cullante di melodiose cascateil desiderio di non rivedere più i loropenatile loro moglii loro figli e di non
tornare mai più a solcare le onde del mare.
C'erano là strani volti di uomini e di donnesegnati da una bellezzafataleche mi sembrava di avere già visti in
epoche e in paesi di cui non riuscivo a ricordarmi esattamentee che miispiravano piuttosto una simpatia fraterna che il
timore che nasce di solito al cospetto dell'ignoto. Se volessi provare adefinire in qualche modo l'espressione singolare
dei loro sguardidirei che mai ho visto occhi più energicamente animatidall'orrore della noia e dal desiderio immortale
di sentirsi vivere.
Il mio ospite e iosedendocici sentivamo già perfettamente a nostro agiocome due vecchi amici.
Mangiammobevemmo oltre misura ogni sorta di vini straordinari ecosa nonmeno straordinariadopo parecchie ore
non eravamo affatto ubriachi. Il giocotuttaviaquesto piacere sovrumanoaveva interrotto a più riprese le nostre
frequenti libagionie devo dire chein una serie di partiteavevoscommesso e perduto la mia anima con unanoncuranza e una leggerezza eroiche.L'anima è una cosa così impalpabilecosì spesso inutile e qualche voltacosì
imbarazzante che per questa perdita provavo meno emozione che se avessismarritoandandomene a passeggioil mio
biglietto da visita.
Fumammo a lungo qualche sigaro il cui sapore e profumo incomparabili davanoall'anima la nostalgia di paesi
e di felicità sconosciutee inebriato da tutte queste deliziein unaccesso di familiarità che non sembrò dispiacergliosai
esclamareafferrando una coppa colma fino all'orlo: «Alla vostra immortalesalutevecchio Becco!».
Discutemmo anche dell'universodella sua creazione e della sua futuradistruzione; della grande idea del
secolocioè del progresso e della perfettibilitàe in generale di tuttele forme dell'infatuazione umana. Su questo tema
Sua Altezza non era mai a corto di battute scherzose e irrefutabilie siesprimeva con una soavità di eloquio e con una
spassosa tranquillità che non ho trovato in nessun altro celebratoconversatore. Mi spiegò l'assurdità delle differenti
filosofie che avevano fino ad oggi preso possesso del cervello umanoe sidegnò anche di confidarmi alcuni principi
fondamentali di cui non mi conviene spartire il possesso e i benefici conchicchessia. Non si lamentò affatto della
cattiva reputazione che lo circonda in tutte le parti del mondomi assicuròdi essere la persona più interessata che si può
immaginare alla distruzione della superstizionee mi confessò diaver temutoper il proprio potereuna sola volta: il
giorno in cui aveva sentito un predicatorepiù sottile dei suoiconfratelliesclamare dal pulpito: «Miei cari fratelli
quando sentirete vantare il progresso dei luminon dimenticate mai che lapiù bella astuzia del diavolo è convincervi
che lui non esiste!».
Il ricordo di questo celebre oratore ci condusse naturalmente verso il temadelle accademie; e il mio strano
commensale mi dichiarò che non disdegnavain molti casidi ispirare lapennala parola e la coscienza dei pedagoghie
che assisteva quasi sempre di personabenché invisibilea tutte le seduteaccademiche.
Incoraggiato da tanta bontàgli chiesi notizie di Dioe se lo avesse vistorecentemente. Mi risposecon una
noncuranza venata di una certa tristezza: «Ci salutiamoquando ciincontriamo; ma come due vecchi gentiluominiin
cui una innata cortesia non riesce a spegnere del tutto il ricordo di antichirancori».
È dubbio che Sua Altezza abbia mai concesso una così lunga udienza a unsemplice mortalee io temevo di
abusarne. Alla finequando l'alba rabbrividendo sbiancava i vetriquestocelebre personaggiocantato da tanti poeti e
servito da tanti filosofi che lavorano per la sua gloria senza saperlomidisse: «Voglio che conserviate di me un buon
ricordoe vi darò la prova che Iosebbene si dica di me tanto malesono avolte un buon diavoloper usare una delle
vostre locuzioni volgari. Al fine di compensare la perdita irrimediabilecheavete subitodella vostra animavi regalo la
posta in gioco che avreste guadagnato se la sorte vi fosse stata propizia: lapossibilitàcioèdi alleviare e di vincere nel
corso di tutta la vostra vita quella bizzarra malattia che è la Noiafontedi tutti i vostri mali e di tutti i vostri miserabili
progressi. In voi non prenderà mai forma un solo desiderio senza che io viaiuti a realizzarlo; regnerete sui vostri volgari
simili; sarete ben fornito di gente che vi lusinga e perfino che vi adora;l'argentol'oroi diamantii palazzi favolosi
verranno a cercarvi e vi pregheranno di essere accettati senza che abbiatefatto nessuno sforzo per guadagnarveli;
cambierete patria e contrada tutte le volte che la vostra fantasia locomanderà; vi sazierete di voluttàma senza
stanchezzain paesi incantevoli nei quali fa sempre caldo e dove le donnehanno l'odore buono dei fiori - eccetera
eccetera...»aggiunse alzandosi in piedi e congedandomi con un sorrisobuono.
Se non fosse stato per il timore di umiliarmi davanti a una così largaassembleavolentieri mi sarei buttato ai
piedi di questo giocatore generoso per ringraziarlo della sua inauditamunificenza. Ma a poco a pocodopo che lo ebbi
lasciatola sfiducia incurabile rientrò nel mio petto. Non osavo piùcredere ad una felicità così prodigiosae andando a
dormirementre dicevo le mie preghiere ubbidendo ancora alla vecchiaabitudine come un imbecilleripetevo mezzo
addormentato: «Dio mio! Mio Signore Iddio! Fate che il Diavolo non mi manchidi parola!».
XXX • LA CORDA
A Édouard Manet
«Le illusioni»mi diceva il mio amico«sono innumerevoliforsecome irapporti degli uomini fra loroo
degli uomini con le cose. E quando l'illusione spariscequando cioè vediamol'essere o il fatto così come esistono fuori
di noiproviamo un sentimento complicato e bizzarrofatto per metà dirimpianto per il fantasma scomparsoe per metà
della piacevole sorpresa di fronte alla novitàdi fronte al fatto reale. Seesiste un fenomeno evidentetrivialesempre
uguale a se stesso e di natura tale da essere infallibilequesto è l'amorematerno. Supporre una madre senza amore
materno è altrettanto difficile che supporre una luce senza calore: saràdunque perfettamente legittimo attribuire
all'amore materno tutte le azioni e le parole di una madre nei confronti disuo figlio. Eppurestate a sentire questa
storiellanel corso della quale sono stato stranamente tratto in ingannodalla più naturale delle illusioni.
«La mia professione di pittore mi porta a guardare attentamente i visilefisionomie che incontro per la strada
e sapete bene quale gioia si ricava da questa facoltà che rende ai nostriocchi la vita più viva e più significativa che per
gli altri. Nel quartiere fuori mano in cui abitoe dove vasti spiazzi erbosiseparano ancora gli edificispesso osservavo
un bambino la cui espressione ardente e vispa mi avevapiù di tutte lealtreattratto immediatamente. Più volte ha
posato per mee io l'ho trasformato ora in uno zingarelloora in un angeloora in un mitologico dio dell'Amore. Gli ho
fatto portare il violino del vagabondola Corona di Spine e i Chiodi dellaPassionela Torcia di Eros. Insommail
piacere che provavo di fronte allo spirito stravagante di questo monello eratale che un giorno pregai i suoi genitoripovera gentedi volermelo cedere conla promessa di vestirlo benedi dargli qualche soldo e di non imporgli altrafatica
che quella di pulirmi i pennelli e di farmi delle commissioni. Questobambinouna volta ripulitodiventò più graziosoe
la vita che conduceva da me gli sembrava un paradiso in confronto a quellache avrebbe dovuto sopportare nel tugurio
paterno. Devo dire soltanto che il bravo ometto a volte mi sorprendeva constrane crisi di tristezza precocee che ben
presto manifestò una passione smodata per lo zucchero e per i liquori; alpunto che un giorno in cui constatai che
nonostante i miei numerosi avvertimentiaveva commesso un altro dei suoifurtarellilo minacciai di rimandarlo dai
suoi genitori. Poi usciie i miei impegni mi trattennero fuori di casapiuttosto a lungo.
«Quali non furono il mio orrore e la mia meraviglia quando per prima cosaappena entratoi miei occhi
caddero sul corpo di quel bravo omettoil vispo compagno della mia vitachesi era impiccato allo sportello
dell'armadio! I suoi piedi toccavano quasi il pavimento; una sediacheevidentemente aveva spinto via col piedeera
rovesciata accanto a lui; le convulsioni gli avevano piegato la testa versola spalla; il viso enfiatoe gli occhi sbarrati in
una fissità spaventosami diedero per un istante l'illusione che fosseancora vivo. Tirarlo giù non era affatto un'impresa
facile come si potrebbe credere. Si era già molto irrigiditoe io avevoun'inspiegabile ripugnanza a farlo cadere a terra
di colpo. Bisognavacon un bracciosostenerne tutto il pesoe tagliare conl'altra mano la corda. Mafatto questonon
era finito; quel piccolo mostro si era servito di una cordicella moltosottileche era entrata a fondo nella carnee oraper
liberargli il collobisognava andarla a cercare con delle forbicine nelgonfiore in cui era affondata.
«Ho dimenticato di dire che avevo subito chiamato aiuto; ma tutti i mieivicini si erano rifiutati di venirmi in
soccorsofedeliin questoalle abitudini dell'uomo incivilitoche nonvuole mainon so perchéimmischiarsi nelle
faccende di un impiccato. Alla fine venne un medicoil quale dichiarò cheil bambino era morto da parecchie ore.
Quando più tardi dovemmo spogliarlo per la sepolturala rigiditàcadaverica era tale chedisperando di poter piegare
quelle membradovemmo strappare e tagliare i vestiti per levarglieli.
«Mosso dall'inveterato desiderio e dall'abitudine professionale di far paurain ogni casotanto agli innocenti
che ai colpevoliil commissario davanti al quale dovetti denunciarel'incidente mi guardò di traverso e mi disse:
"Questo è un affare losco".
«Rimaneva una finale incombenzail cui solo pensiero mi provocava unaterribile angoscia: bisognava
avvertire i genitori. Le mie gambe si rifiutavano di condurmi da loro. Allafine trovai il coraggio. Macon mia grande
sorpresala madre restò impassibile; non una lacrima uscì dai suoi occhi.Attribuii questa stranezza all'orrore che
doveva provaree mi ricordai di quel modo di dire: "I dolori piùterribili sono muti". Quanto al padrecon un'aria fra
abbrutita e trasognatasi limitò a dire: "Dopotuttoforse è megliocosì; sarebbe comunque finito male!".
«Intanto il corpo era disteso sul mio divanoe io assistito da unadomestica mi occupavo degli ultimi
preparativiquando la madre entrò nel mio studio. Diceva di voler vedere ilcadavere di suo figlio. Io non potevoin
veritàimpedirle di ubriacarsi del suo dolore rifiutandole questa estrema etetra consolazione. Poi mi pregò di mostrarle
il posto in cui si era impiccato. "Oh nosignora!" le risposi"vi farebbe male". E mentre gli occhi mi andavano senza
volerlo verso quel funebre armadiomi accorsi con un disgusto mescolatoall'orrore e alla collerache il chiodo era
rimasto conficcato nello sportellocon un lungo pezzo di corda che ancorapenzolava. Mi precipitai a strappare queste
ultime tracce della sciagurae mentre stavo per buttarle fuori dallafinestra apertala povera donna mi afferrò il braccio
e mi disse con una voce irresistibile: "Ohsignorelasciatemelave neprego! Ve ne supplico!". Mi sembrò che la
disperazione l'avesse a tal punto fatta uscire di sennoche ora siinteneriva su quanto era servito da strumento alla morte
di suo figlioe volesse conservarlo come un'orribile e cara reliquia. - Es'impossessò del chiodo e della cordicella.
«Finalmente! Finalmentetutto era compiuto. Non mi restava che rimettermial lavoro ancora più intensamente
del solitoper scacciare a poco a poco dal mio cervello quel piccolocadavere che ne occupava ogni angoloe il cui
fantasma mi sfiniva coi suoi grandi occhi fissi. L'indomaniperòricevettiun pacco di lettere: alcune erano degli
inquilini di quella stessa casaaltre venivano dalle case vicine; una dalprimo pianoun'altra dal secondol'altra dal
terzoe così via; alcunein stile semischerzosocome se cercassero dimascherare sotto un apparente tono faceto la
sincerità della richiesta; altrepesantemente sfrontate e sgrammaticatematutte con lo stesso scopoquello di ottenere
da me un pezzetto della funesta e beatifica corda. Fra gli autori di questeletterele donnedevo direerano più
numerose degli uomini; ma nessunapotete credermiapparteneva alla classeinfima e al volgo. Ho conservato quelle
lettere.
«Allora si fece improvvisamente luce nel mio cervelloe capii perché lamadre ci teneva tanto a strapparmi di
mano la cordicella e con quale tipo di commercio intendeva consolarsi».
XXXI • LE VOCAZIONI
In un bel giardino dove i raggi del sole autunnale sembravano indugiare apiaceresotto un cielo verdognolo
dove galleggiavano nubi dorate come continenti in viaggioquattro beibambiniquattro ragazzetti stanchi ormai di
giocarechiacchieravano fra loro.
Uno diceva: «Ieri mi hanno portato a teatro. Dentro palazzi grandi e tristiin fondo ai quali si vede il mare e il
cielouomini e donne seri e tristi anche loroma molto più belli e vestitimolto meglio di quelli che si vedono in giro
parlano come se cantassero. Si minaccianoimploranosi disperanoe spessotengono la mano su un pugnale infilato
alla cintura. Ahcome è bello! Le donne sono molto più belle e alte diquelle che ci vengono a trovare a casae puravendo un aspetto terribilecon iloro occhi infossati e le guance infuocateè impossibile non amarle. Si hapauraviene
voglia di piangereeppure si è contenti... E la cosa più strana è cheviene voglia di essere vestiti allo stesso mododi
dire e di fare le stesse cosedi parlare con la stessa voce...».
Uno dei quattro bambiniche già da qualche secondo non stava più a sentireil discorso del suo compagno e
osservava con una impressionante fissità non so quale punto del cielodisseall'improvviso:
«Guardateguardate laggiù...! Lo vedete? È seduto su quellapiccola nuvola isolatasu quella nuvola infuocata
che si muove appena. Si direbbe che anche lui ci stia guardando».
«Ma chi?» chiesero gli altri.
«Dio!» rispose il ragazzo con un tono assolutamente convinto. «Ah! ormaisi è allontanato; fra un momento
non riuscirete più a vederlo. È certamente in viaggio per visitare tutti ipaesi. Eccosta per passare dietro quella fila di
alberiquasi all'orizzonte...e ora scende dietro il campanile... Ahnonsi vede più!». Il bambino restò a lungo girato da
quella parte a fissare la linea che separa la terra dal cieloe nei suoiocchi brillava un'espressione ineffabile di estasi e di
rimpianto.
«Quanto è stupidoquellocon il suo Dio che solo lui riesce a vedere!»disse allora il terzola cui figura minuta
era tutta animata da una vivacità e vitalità particolare. «Adesso viracconto come mi è successa una cosa che a voi non è
mai successaun po' più interessante del vostro teatro e delle vostrenuvole. - Qualche giorno fa i miei genitori mi hanno
portato in viaggio con loroe dato che nell'albergo dove ci siamo fermatinon c'erano abbastanza letti per tuttisi è
deciso che io avrei dormito nello stesso letto con la mia governante». Siavvicinò ai suoi compagni e parlò a voce più
bassa. «Fa proprio una strana impressione non dormire da soli e stare aletto con la propria governanteal buio. E dato
che non dormivomentre lei dormiva mi sono divertito a passarle la manosulle bracciasul collosulle spalle. Ha le
braccia e il collo più grossi delle altre donnee una pelle così lisciacosì liscia che sembra carta da letteracarta velina.
Ci provavo così gusto che avrei continuato ancora se non avessi avuto paura:anzitutto paura di svegliarlae poi paura di
non so che cosa. Più tardi ho strofinato la testa in mezzo ai suoi capelliche le scendevano sulle spalle fitti come una
crinierae vi giuro che odoravano come i fiori del giardino a quest'ora.Provate a fare quello che ho fatto ioquando vi
capitae ve ne accorgerete!».
Nel fare il suo raccontoil giovane autore di questa prodigiosa rivelazioneaveva gli occhi spalancati in una
sorta di stupefazione per quello che ancora provavae i raggi del sole altramontoscivolando fra i boccoli rossi della
sua capigliatura arruffatavi accendevano un'aureola sulfurea di passione.Era facile indovinare che quello lì non
avrebbe passato la vita a cercare la Divinità sulle nuvolee che l'avrebbefrequentemente trovata altrove.
Infine il quarto disse: «Come sapetea casa mia ho poco da divertirmi; nonmi portano mai a uno spettacolo; il
mio tutore è troppo avaro; Dio non si occupa né di me né della mia noiaenon ho una bella governante per le carezze.
Spesso ho avuto la sensazione che mi piacerebbe andarmene sempre dirittodavanti a mesenza sapere dovesenza che
nessuno se ne preoccupie vedere paesi sempre nuovi. Non mi trovo mai beneda nessuna partee mi pare sempre che
mi troverei meglio in un posto diverso da quello in cui sto. All'ultimafieraal paese vicinoho visto tre uomini che
vivono come vorrei vivere io! Voi non ci avete fatto caso. Erano altiquasinegri e molto fierianche se vestiti di stracci
e con l'aria di chi non ha bisogno di nessuno. I loro grandi occhi cupi sonodiventati completamente luminosi quando si
sono messi a suonare; una musica straordinariache faceva venire voglia diballare o di piangere o delle due cose
insiemecome se si potesse diventare pazzi ascoltandola troppo a lungo. Unodi lorospingendo l'archettosembrava
che raccontasse una storia dolorosae l'altrofacendo saltellare unmartelletto sulle corde di una tastiera sospesa al collo
con una cinghiasembrava che prendesse in giro il lamento del suo vicino;mentre il terzo batteva di tanto in tanto i
piatti con una violenza straordinaria. Erano così contenti di se stessichehanno continuato a suonare la loro musica
selvaggia anche dopo che la folla se n'era andata. Alla finehannoraccattato i loro soldisi sono caricati il loro bagaglio
sulle spalle e se ne sono andati. Io volevo sapere dove alloggiavanoe cosìli ho seguiti da lontanofino ai margini del
boscoe solo allora ho capito che non alloggiavano in nessun posto.
«Uno di loro ha detto: "Dobbiamo aprire la tenda?".
«"Per meno!" ha risposto l'altro"è una notte cosìbella!"
«Il terzocontando i soldi diceva: "Questa gente non sente la musicae le donne ballano come orsi. Per fortuna
entro un mese saremo in Austrialà troveremo una popolazione piùsimpatica".
«"Forse sarebbe meglio andare verso la Spagna; ormai la stagione buonasta per finire. Andiamocene via
prima che arrivino le piogge; è meglio che ci bagnamo solo la gola"hadetto uno degli altri.
«Vedete? mi ricordo tutto. Poi si sono bevuti una tazza d'acquavite ciascunoe si sono addormentati con la
faccia rivolta verso le stelle. All'inizio mi era venuta voglia di pregarlidi portarmi con loro e d'insegnarmi a suonare i
loro strumenti; ma non ho avuto coraggioperché è sempre difficiledecidersi a fare qualunque cosae poi anche perché
avevo paura di essere riacchiappato prima di essere fuori dalla Francia».
L'espressione poco interessata degli altri tre compagni mi fece pensare chequesto ragazzetto era già un
incompreso. Lo guardavo attentamente; aveva negli occhi e sulla frontequel non so che di precocemente fatale che di
solito allontana la simpatia e chenon so perchésuscitava la miaalpunto che ebbi per un istante l'idea bizzarra che
forse avevo un fratello sconosciuto.
Il sole era tramontato. E la notte aveva solennemente preso il suo posto. Iragazzi si separaronoandando
ognunosenza saperlosecondo le circostanze e secondo i casia maturare ilproprio destinoa scandalizzare il
prossimoa gravitare verso la gloria o verso il disonore.XXXII • ILTIRSO
A Franz Liszt
Che cos'è un tirso? In senso morale e poeticoè un emblema religioso inmano a sacerdoti e sacerdotesse
celebranti la divinità di cui sono gli interpreti e i servitori. Mafisicamente è solo un bastoneun semplice bastone
pertica da luppolopalo da vignaseccoduro e diritto. Intorno a questobastonein capricciose volutegiocano e
folleggiano steli e fioriquesti sinuosi e sfuggentiquelli inclinati comecampanule o coppe rovesciate. E una gloria
sorprendente si sprigiona da questa complessità di linee e di coloritenerio squillanti. Non si direbbe forse che la linea
curva e la spirale facciano la corte alla linea dirittae le danzino intornoin muta adorazione? E che tutte quelle corolle
delicatetutti quei caliciesplosione di effluvii e di colorieseguano unmistico fandango intorno al bastone ieratico? E
comunquequale imprudente mortale oserebbe stabilire se i fiori e i pampinisono stati fatti per il bastoneo se il
bastone è solo il pretesto per mostrare la bellezza dei pampini e dei fiori?Il tirso è la rappresentazione della vostra
sorprendente dualitàpotente e venerato maestrocaro Baccante dellaBellezza misteriosa e appassionata. Mai ninfa
esasperata dall'invincibile Bacco agitò il tirso sulle teste delle suecompagne invasate con la capricciosa energia con la
quale voi agitate il vostro genio sui cuori dei vostri fratelli. - Il bastoneè la vostra volontà: dirittafermaincrollabile. I
fiori sono la passeggiata della vostra fantasia intorno alla vostra volontà:l'elemento femminile che esegue intorno al
maschio le sue miserabili piroette. Linea diritta e linea arabescaintenzione ed espressionerigore della volontà
sinuosità della parolaunità del finevarietà dei mezziamalgamaonnipotente e indivisibile del genioquale analista
avrà il detestabile coraggio di dividervi e di separarvi?
Caro Lisztattraverso le brumeal di là dei fiumial di sopra dellecittà dove i pianoforti cantano la vostra
gloriadove la stampa traduce la vostra saggezzadovunque voi siateneglisplendori della città eterna o nelle nebbie
dei paesi sognanti che Gambrinus consolaa improvvisare canti di diletto odi ineffabile doloreo ad affidare alla carta
le vostre astruse meditazionicantore della Voluttà e dell'Angoscia eternefilosofopoeta e artistaio vi saluto
nell'immortalità!
XXXIII • UBRIACATEVI
Bisogna sempre essere ubriachi. Tutto qui: è l'unico problema. Per nonsentire l'orribile fardello del Tempo che
vi spezza la schiena e vi piega a terradovete ubriacarvi senza tregua.
Ma di che cosa? Di vinodi poesia o di virtù: come vi pare. Ma ubriacatevi.
E se talvoltasui gradini di un palazzosull'erba verde di un fossonellatetra solitudine della vostra stanzavi
risvegliate perché l'ebbrezza è diminuita o scomparsachiedete al ventoalle stelleagli uccelliall'orologioa tutto ciò
che fuggea tutto ciò che gemea tutto ciò che scorrea tutto ciò checantaa tutto ciò che parlachiedete che ora è; e il
ventole ondele stellegli uccellil'orologiovi risponderanno: «Èora di ubriacarsi! Per non essere gli schiavi
martirizzati del Tempoubriacateviubriacatevi sempre! Di vinodi poesia odi virtùcome vi pare».
XXXIV • DI GIÀ!
Cento volte il sole era già sortoradioso o rattristatoda quell'immensaconca del mare i cui bordi si lasciano
appena scorgere; cento volte si era rituffatoscintillante o mestonel suoimmenso bagno serale. Da parecchi giorni
potevamo contemplare l'altro lato del firmamento e decifrare l'alfabetoceleste degli antipodi. E ogni passeggero si
lamentava e gemeva. Si sarebbe detto che l'approssimarsi della terraesasperasse la sofferenza di tutti. «Quando la
finiremo»dicevano«di dormire un sonno agitato dalle ondeturbato da unvento che russa più forte di noi? Quando
potremo mangiare della carne che non sia salata come l'infame elemento che ciporta? Quando potremo digerire su una
poltrona immobile?».
Alcuni pensavano al proprio focolarealtri rimpiangevano le mogli infedeli eimbronciatee la loro prole
urlante. Erano tutti così fuori di sé per la visione della terra assenteche si sarebbero messicredoa brucare l'erba con
più entusiasmo delle bestie.
Finalmente fu segnalata una riva; e vedemmoavvicinandociche era una terramagnificaabbagliante di luce.
Sembrava che le musiche della vita se ne staccassero in un vago mormorioeche dalle costericche di ogni specie di
verdeesalasse fino a parecchie leghe di distanza un odore delizioso difiori e di frutti.
Tutti diventarono immediatamente feliciognuno rinunciò al suo cattivoumore. Tutte le liti furono
dimenticatetutti i torti reciproci perdonati; i duelli già stabilitifurono cancellati dalla memoriae i rancori svanirono
come fumo.
Solo io ero tristeinconcepibilmente triste. Come un prete a cui hannostrappato la sua divinitànon potevo
staccarmi senza una straziante amarezza da quel mare così infinitamentevario nella sua spaventosa semplicitàchesembra contenere in sé erappresentare con i suoi giochii suoi movimentile sue ire e i suoi sorrisigli umorile agonie
e le estasi di tutte le anime che sono vissuteche vivono e che vivranno!
Dicendo addio a quell'incomparabile bellezzami sentivo mortalmenteprostrato; ed è per questo che quando
tutti i miei compagni dissero: «Finalmente!» io non potei che gridare: «Digià!».
E tuttavia era la terrala terra con i suoi rumorile sue passionile suecomoditàle sue feste; era una terra ricca
e magnificapiena di promesseche ci mandava un misterioso profumo di rosae di muschioe da cui le musiche della
vita arrivavano a noi in un amoroso sussurro.
XXXV • LE FINESTRE
Chi guarda da fuori attraverso una finestra aperta non vede mai tante cosequante ne vede chi guarda una
finestra chiusa. Non c'è oggetto più profondopiù misteriosopiùfecondopiù tenebrosopiù abbagliante di una finestra
illuminata da una candela. Ciò che si può vedere alla luce del sole èsempre meno interessante di quello che avviene
dietro un vetro. In questo buco nero o luminosovive la vitasogna la vitasoffre la vita.
Al di là delle onde dei tettiscorgo una donna maturapoveragiàinvecchiatasempre curva su qualcosache
non esce mai. Con il suo visoil suo vestitoi suoi gestisenza saperequasi nienteio ripercorro la storiao piuttosto la
leggendadi questa donnae a volte la racconto a me stesso piangendo.
Se fosse stato un povero vecchioavrei ricostruito la sua altrettantofacilmente.
Così me ne vado a lettofiero di aver vissuto e sofferto in qualcuno chenon sono io.
Forse mi direte: «Sei proprio sicuro che la leggenda sia quella vera?». Mache cosa importa la realtàse la mia
leggenda mi ha aiutato a viverea sentire che io sonoe ciò che sono.
XXXVI • IL DESIDERIO DI DIPINGERE
Infelice forse l'uomoma felice l'artista che è dilaniato dal desiderio!
Io ardo dal desiderio di dipingere colei che mi è apparsa così raramente eche così presto è fuggita come una
cosa bella da rimpiangere che nella notte il viaggiatore perde dietro di sé.Quanto tempo è passatoormaida quando è
scomparsa!
È bellae più che bella: è sorprendente. In lei abbonda il nero: e tuttociò che ispira è notturno e profondo. I
suoi occhi sono due antri in cui lampeggia e vaga il mistero. Il suo sguardoillumina come il lampo: è un'esplosione
nelle tenebre.
Potrei paragonarla a un sole nerose si potesse concepire un astro buio cheriversa luce e felicità. Ma ancora di
più fa pensare alla lunache certo l'ha segnata col suo temibile influsso.Non la bianca luna degli idilliche sembra una
fredda sposama la luna sinistra e inebriante nel fondo di una nottetempestosasospinta dalle nuvole in corsa; non la
luna placida e discreta che visita il sonno dei purima la luna strappatadal cielovinta e ribelleche le Streghe della
Tessaglia costringono senza pietà a danzare sull'erba atterrita.
Nella sua piccola fronte abitano la volontà tenace e l'amore di preda. Etuttaviain fondo a questo viso
inquietantedove le mobili narici respirano l'ignoto e l'impossibilesplende con una grazia inesprimibile il riso di una
grande boccarossa e biancae deliziosache fa sognare il miracolo di unosplendido fiore sbocciato in un terreno
vulcanico.
Ci sono donne che ispirano la voglia di vincerle e di goderle. Questa dà ildesiderio di morire lentamente sotto
il suo sguardo.
XXXVII • I BENEFICI DELLA LUNA
Mentre dormivi nella tua cullala Lunache è il capriccio in personaguardò dalla finestra e disse: «Questa
bambina mi piace».
Discese languidamente la sua scala di nuvolee passò senza far rumoreattraverso i vetri. Poi si stese su di te
con la morbida tenerezza di una madree depose i suoi colori sulla tuafaccia. Così le tue pupille sono rimaste verdie le
tue guance straordinariamente pallide. Contemplando quella visitatrice i tuoiocchi si sono così bizzarramente
ingranditi; e lei ti ha così teneramente serrato la gola che ti è rimastaper sempre la voglia di piangere.
Nell'espansione della sua gioiala Luna continuava a riempire tutta lastanza di un'atmosfera fosforescentedi
un veleno luminoso; e tutta quella viva luce pensava e diceva: «Subiraieternamente l'influsso del mio bacio. Sarai bella
a modo mio. Amerai ciò che io amo e ciò che mi ama: l'acquale nuvoleilsilenzio e la notte; il mare immenso e verde;
l'acqua informe e multiforme; il luogo in cui non sei; l'amante che nonconosci; i fiori mostruosi; i profumi che fanno
delirare; i gatti che si beano sui pianoforti e che gemono come donneconvoce roca e dolce.«E sarai amata dai miei amanticorteggiata da chi mi fa lacorte. Sarai la regina di chi ha gli occhi verdidi
coloro a cui ho stretto la gola con le mie carezze notturne; di coloro cheamano il mareil mare immensotumultuoso e
verdel'acqua informe e multiformeil luogo in cui non sonola donna chenon conosconoi fiori sinistri che
somigliano ai turiboli di una religione ignotai profumi che turbano lavolontàe gli animali selvaggi e voluttuosi che
sono gli emblemi della loro follia».
Ed è per questomaledetta e cara bambina viziatache io ora sono ai tuoipiedie cerco in tutta la tua persona il
riflesso della temibile Divinitàdella fatidica madrinadell'intossicantemadrina di tutti i lunatici!
XXXVIII • QUAL È LA VERA?
Ho conosciuto una certa Benedictache riempiva l'atmosfera di idealee icui occhi spandevano il desiderio
della grandezzadella bellezzadella gloria e di tutto ciò che fa credereall'immortalità...
Ma questa ragazza miracolosa era troppo bella per vivere a lungo; così èmorta qualche giorno dopo che
l'avevo conosciutae io stesso l'ho seppellitaun giorno che la primaveraagitava il suo incensiere perfino nei cimiteri.
Sono io che l'ho seppellitaben chiusa in una bara di legno profumato eincorruttibile come i forzieri dell'India.
E mentre gli occhi mi restavano fissi sul luogo in cui era sparito il miotesorovidi ad un tratto una personcina
che somigliava singolarmente alla defuntae chepestando sulla terra frescacon una violenza isterica e bizzarradiceva
scoppiando a ridere: «Sono io la vera Benedicta! Sono iola famosacanaglia! E per punizione della tua follia e del tuo
accecamentotu mi amerai così come sono!».
Ma iofuribondoho risposto: «No! no! no!». E per meglio accentuare ilmio rifiutoho pestato con il piede
così violentemente la terrache la mia gamba è affondata fino al ginocchionella recente sepolturaecome un lupo
preso in trappolaresto attaccatoforse per semprealla fossa dell'ideale.
XXXIX • UN CAVALLO DI RAZZA
Certo è brutta. Eppure è deliziosa!
Il Tempo e l'Amore l'hanno marcata con i loro artigli e le hanno crudelmenteinsegnato ciò che ogni minuto e
ogni bacio portano via di gioventù e di freschezza.
È veramente brutta. È formicaè ragnose volete; è perfino scheletro.Ma è anche pozionemagisterostregata
magia! Insommaè squisita.
Il Tempo non è riuscito a rompere l'armonia spumeggiante del suo passonél'eleganza indistruttibile della sua
struttura. L'Amore non ha alterato la soavità del suo fiato di bambina; e ilTempo non ha portato via nulla alla sua
abbondante criniera da cui esala in selvaggi profumi tutta la vitalitàindiavolata del Sud della Francia: NîmesAix
ArlesAvignonNarbonneToulousecittà benedette dal soleinnamorate eincantevoli!
Il Tempo e l'Amore l'hanno morsa invano finché hanno voluto; non hannoaffatto diminuito il fascino vago ma
eterno del suo petto da ragazzo.
Sciupata forsema non stancae sempre eroicafa pensare a quei cavalli dirazza che l'occhio del vero amatore
sa riconoscere anche attaccati a una carrozza di piazza o a un pesante carro.
E poi è così dolcecosì fervida! Ama come si ama in autunno; si direbbeche l'approssimarsi dell'inverno
accenda nel suo cuore un fuoco nuovoe nella sottomissione della suatenerezza non c'è mai niente che stanchi.
XL • LO SPECCHIO
Un uomo spaventoso entra e si guarda allo specchio.
«Perché vi guardate allo specchiose vedervi vi dà solo dispiacere?».
L'uomo spaventoso mi risponde: «Signoresecondo gli immortali princìpidell'89tutti gli uomini sono uguali
nei loro diritti; e dunque io posseggo il diritto di guardarmi; se conpiacere o dispiacerequesto riguarda solo la mia
coscienza».
In nome del buon sensoio avevo senza dubbio ragione. Ma dal punto di vistadella leggelui non aveva torto.
XLI • IL PORTO
Un porto è un luogo incantevole di soggiorno per un'anima stanca delle lottedella vita. L'ampiezza del cielo
l'architettura mobile delle nuvolei colori cangianti del mareil luccichiodei farisono un prisma meravigliosamenteadatto a distrarre gli occhi senza maistancarli. Le forme slanciate delle navicon la loro complicata attrezzaturaalle
quali l'onda imprime armoniose oscillazioniservono a conservare nell'animail gusto del ritmo e della bellezza. E poi
soprattuttoc'è una sorta di piacere misterioso e aristocraticoper coluiche non ha più né curiosità né ambizionenel
contemplaredisteso sul belvedere o appoggiato sul molotutti queimovimenti di coloro che partono e di coloro che
tornanodi coloro che hanno ancora la forza di volereil desiderio diviaggiare o di arricchirsi.
XLII • RITRATTI DI AMANTI
In un boudoir per uominicioè in una saletta da fumo annessa adun'elegante biscaquattro uomini fumavano e
bevevano. Non eranoprecisamentené giovani né vecchiné belli nébrutti; ma vecchi o giovaniportavano su di sé
quella distinzione inconfondibile dei veterani della gioiaquell'indescrivibile non so chequella tristezza fredda e
beffarda che dichiara: «Noi abbiamo intensamente vissutoe cerchiamo ciòche potremmo ancora amare e stimare».
Uno di loro fece cadere la conversazione sull'argomento donne. Sarebbe statopiù filosofico non parlarne
affatto; ma ci sono persone di spirito chedopo aver bevutonon disdegnanole conversazioni banali. Allorasi sta ad
ascoltare chi parla come si ascolterebbe della musica da ballo.
«Tutti gli uomini»diceva costui«hanno avuto l'età di Cherubino: èl'epoca in cuiin mancanza di driadisi
abbraccia senza disgusto il tronco delle querce. È il primo gradodell'amore. Al secondo gradosi comincia a scegliere.
Poter deliberare è già una decadenza. È allora che si cerca decisamente labellezza. Quanto a mesignorimi onoro di
essere arrivato da tempo nell'età climaterica del terzo gradoquando lastessa bellezza non basta più se non ha il
condimento del profumodell'abbigliamento e altro. Confesserò inoltre che avolte aspiro come a una felicità
sconosciutaa una sorta di quarto grado che dovrebbe segnare la calmaassoluta. Ma per tutta la mia vitaesclusa l'età di
Cherubinosono stato più sensibile di ogni altro alla snervante stupiditàalla mediocrità irritante delle donne. Ciò che
amo soprattutto negli animali è il loro candore. Giudicate voi quanto deveavermi fatto soffrire la mia ultima amante.
«Era figlia bastarda di un principe. Bellanon c'è bisogno di dirlo;altrimenti perché me la sarei presa? Ma
guastava questa grande qualità con un'ambizione sconveniente e deforme. Erauna donna che voleva sempre fare
l'uomo. "Voi non siete un uomo! Ahse fossi un uomo! Di noi duesonoio che sono l'uomo!". Tali erano gli
insopportabili ritornelli che uscivano da quella bocca da cui avrei volutoche prendessero il volo delle canzoni. Quando
mi lasciavo sfuggire un moto di ammirazione per un librouna poesiaun'operadiceva subito: "Vi pare di trovarci
qualcosa di molto forte? Ma che ne sapete voi della forza?"e non lafiniva più.
«Un bel giorno si diede alla chimica; sicché fra la mia bocca e la suaormai ci trovavo una maschera di vetro. E
molto puritanaper giunta. Se per caso le stavo dietro con un gesto un po'troppo amorososi divincolava come una
sensitiva violentata...
- E come è andata a finire? disse uno degli altri tre. Non vi conoscevocosì paziente.
- Fu Dio a mettere nella malattia il suo rimedio. Un giorno trovai questaMinerva assetata di forza ideale in
intimo colloquio col mio domesticoe in atteggiamento tale che fui costrettoa ritirarmi con discrezione per non farli
arrossire. Quella sera li congedai entrambiversando loro gli arretratidella paga.
- Per quanto mi riguardariprese colui che lo aveva interrottonon ho dalamentarmi che di me stesso. La
felicità è venuta ad abitare a casa miae io non l'ho riconosciuta. Negliultimi tempi il destino mi aveva concesso di
godere di una donna che era davvero la più dolcela più sottomessalapiù devota delle creature; e sempre pronta! e
senza entusiasmo! "Per me va benese fa piacere a te". Era questala sua risposta. Se vi metteste a bastonare questo
muro o quel canapéne cavereste più sospiri di quanti ne cavavo io dalpetto della mia amante con i più forsennati slanci
amorosi. Dopo un anno di vita insiememi confessò di non aver maiconosciuto il piacere. Questa lotta impari mi venne
a noiae così l'incomparabile ragazza si sposò. Una volta mi venne lacuriosità di rivederlae leimostrandomi sei bei
bambinimi disse: "Sìmio caro amico! La sposa di oggi è ancora verginecome lo era la vostra amante". In lei niente
era cambiato. A volte la rimpiango: avrei dovuto sposarla».
Gli altri si misero a rideree il terzo disse a sua volta:
«Signoriho conosciuto piaceri che probabilmente voi avete trascurato.Intendo il lato comico dell'amorequel
lato comico che non esclude affatto l'ammirazione. La mia ultima amante l'hoammirata più di quantocredovoi siate
stati capaci di odiare o amare le vostre. E tutti la ammiravano allo stessomodo. Quando entravamo in un ristorante
dopo pochi minuti tutti dimenticavano di mangiare per contemplarla. Perfino icamerieri e la cassiera erano presi in
questa estasi contagiosa fino al punto da dimenticare il loro lavoro.Insommasono vissuto per un certo periodo in piena
intimità con un vero fenomeno vivente. Mangiavamasticavatrituravadivoravainghiottivama nel modo più
disinvolto e leggero del mondo. Cosìmi ha fatto stare in estasi perparecchio tempo. Aveva una maniera dolce
sognanteinglese e romantica di dire: "Ho fame!". E ripetevaqueste parole giorno e notte mostrando i denti più graziosi
del mondocapaci di intenerire e rallegrare nello stesso tempo. Avrei potutofare la mia fortunase l'avessi mostrata
nelle fiere come mostro polifago. La nutrivo benema nonostantequesto mi ha lasciato...
- Per un commerciante di generi alimentariimmagino...
- Qualcosa di simile: una specie di impiegato dell'intendenzache conqualche stratagemma era in grado
probabilmente di fornire a quella povera figlia le razioni di parecchisoldati. Fu questa comunque la mia ipotesi.- Io invecedisse il quartohosopportato sofferenze atroci per il motivo oppostoe non per quello che disolito
si rimprovera all'egoismo femminile. Voi vi sbagliate propriofortunatimortalia lamentarvi delle imperfezioni delle
vostre amanti!».
La cosa fu detta in tono molto serioda un uomo di aspetto posato e mitelacui fisionomia aveva qualcosa di
clericale ed era purtroppo illuminata da due occhi grigio chiarida quegliocchi il cui sguardo dice: «Voglio!» oppure:
«Si deve!» o ancora: «Io non perdono!».
«VoiG.nervoso come vi conoscoe voi due K. e J.vili e volubili comesietese vi foste messi insieme a una
certa donna di mia conoscenzasareste scappati o sareste morti. Io sonosopravvissutocome vedete. Immaginate una
persona incapace di commettere il più piccolo errore di sentimento o dicalcolo; immaginate una desolante serenità di
carattere; una devozione senza recite e senza enfasi; una dolcezza senzacedimenti; un'energia senza violenza. La storia
del mio amore somiglia a un interminabile viaggio su una superficie pura eliscia come uno specchiovertiginosamente
monotonain grado di riflettere tutti i miei sentimenti e i miei gesti conl'ironica esattezza della mia coscienzain modo
tale che non avrei potuto permettermi né un gesto né un sentimentoirragionevole senza percepire immediatamente il
muto rimprovero del mio spettro inseparabile. L'amore mi appariva come unatutela. Quante stupidaggini lei mi ha
impedito di fareche io rimpiango di non aver commesso! Quanti debiti pagatimio malgrado! Mi privava di tutti i
benefici che avrei potuto ricavare dalla mia follia personale. Con una freddae inderogabile regolasbarrava la strada a
tutti i miei capricci. Per colmo d'orroreuna volta passato il pericolo nonesigeva nessuna riconoscenza. Quante volte mi
sono trattenuto dal saltarle alla gola gridando: "Sii dunque imperfettamiserabile! perché io possa amarti senza disagio e
senza collera!". Per parecchi anni l'ho ammiratacon il cuore pieno diodio. Ma alla finenon sono io a esserne morto!
- Ahfecero gli altriè mortadunque!
- Sì! Non poteva continuare così. L'amore era diventato per me un incuboorribile. Come si dice in politica
vincere o morire: era questa l'alternativa che mi imponeva il destino! Unaserain un bosco... sulla sponda di un fosso...
dopo una malinconica passeggiatamentre nei suoi occhi si rifletteva ladolcezza del cielo e io mi sentivo il cuore
strozzato come un inferno...
- Che cosa?
- Come?
- Che volete dire?
- Era inevitabile. Ho un troppo forte senso dell'equità per poter picchiareoltraggiare o licenziare un servitore
irreprensibile come lei. Dovevo però conciliare questo sentimento conl'orrore che quell'essere mi ispirava: sbarazzarmi
di questo essere senza mancargli di rispetto. Cosa volete che facessi di leidal momento che era perfetta?».
Gli altri tre compagni lo guardarono con uno sguardo incerto e vagamenteebetecome fingendo di non capire e
come confessando implicitamente che loro non si sarebbero sentiti capaciperquanto li riguardavadi un'azione così
rigorosaanche sed'altrondesufficientemente motivata.
Fecero poi portare altre bottiglieper ammazzare il Tempoche è così duroa moriree per accelerare la Vita
che è così lenta a passare.
XLIII • IL TIRATORE GALANTE
Mentre la carrozza attraversava il boscoegli la fece fermare nei pressi diun tiro a segnodicendo che gli
sarebbe piaciuto sparare qualche colpo per ammazzare il Tempo.Ammazzare quel mostro non è forse l'occupazione più
ordinaria e più legittima di ognuno? - Offrì galantemente la mano alla suacaradeliziosa ed esecrabile donnaa quella
misteriosa donna alla quale deve tanti piaceritanti dolori e forse anchegran parte del suo genio.
Parecchi proiettili colpirono lontano dal bersaglio prescelto; uno di essiandò a conficcarsi addirittura nella
tettoia; e dato che l'affascinante creatura se la rideva pazzamente prendendoin giro l'imperizia del suo sposoquesti si
girò bruscamente verso di lei e le disse: «Guarda quella bambolalaggiù adestracol naso in aria e la faccia così
arrogante. Ebbeneangelo mio
faccio come se quella fossi tu!». Chiuse gli occhi e premette ilgrilletto. La bambola fu decapitata di netto.
Allorainchinandosi verso la sua carala sua deliziosala sua esecrabilemogliela sua inevitabile e inesorabile
Musae baciandole rispettosamente la manosoggiunse: «Ahangelo miocometi ringrazio della mia bravura!».
XLIV • LA ZUPPA E LE NUVOLE
La mia piccolapazza adorata mi stava dando il pranzoe dalla finestraaperta io contemplavo le mobili
architetture che Dio crea con i vaporicon le meravigliose costruzionidell'impalpabile. E in quella contemplazione mi
dicevo: « - Tutte queste fantasmagorie sono belle quasi quanto gli occhidella mia bella amatadel mio piccolo folle
mostro dagli occhi verdi».E all'improvviso ricevetti un violento pugno sullaschienae udii una voce incantevolmente rocauna voce
isterica e come affiochita dall'acquavitela voce della mia carapiccolaamata che diceva: «Sbrigati a mangiare la tua
zuppamaledetto mercante di nuvole che non sei altro!».
XLV • IL TIRO A SEGNO E IL CIMITERO
- Bellavista sul cimiteroosteria. - «Strana insegna»pensò ilnostro vagabondo«ma fatta apposta per far
venire sete! C'è da scommettere che il padrone di questo locale è uno cheapprezza Orazio e i poeti seguaci di Epicuro.
Forse conosce anche la profonda raffinatezza degli antichi Egiziper i qualinon c'era banchetto che si rispettasse senza
la presenza di uno scheletro o senza qualche emblema della brevità dellavita».
Entròbevve un bicchiere di birra davanti alle tombee fumò lentamente unsigaro. Poi gli venne voglia di
scendere nel cimiterodove l'erba era così alta e invitante e dove regnavaun sole così pieno.
Infattiluce e calore imperversavanoe sembrava che il sole ubriaco sifosse sdraiato su un tappeto di magnifici
fiori concimati dalla distruzione. Un immenso brusio di vita riempiva l'aria-la vita dell'infinitamente piccolo -
interrotto a intervalli regolari dal crepitìo degli spari di un vicino tiroa segnoche scoppiavano come tappi di
champagne sul sottofondo di una sinfonia in sordina.
Allorasotto quel sole che gli scaldava il cervello e nell'atmosfera degliardenti profumi della Mortesentì una
voce mormorare sotto la tomba su cui si era seduto. E questa voce diceva:«Maledetti i vostri bersagli e le vostre
carabinerumorosi viventi che vi preoccupate così poco dei defunti e delloro divino riposo! Maledette le vostre
ambizionimaledetti i vostri calcoliimpazienti mortali che venite astudiare l'arte di uccidere nei pressi del santuario
della Morte! Se sapeste come è facile vin cere il premiocome è facilecolpire il bersaglioe come tutto è nientetranne
la Mortenon vi affannereste tantoo laboriosi viventie turbereste menospesso il sonno di coloro che da tempo hanno
fatto Centroil solo vero centro della detestabile vita!».
XLVI • L'AUREOLA PERDUTA
«Come! voi quimio caro? Voi in questo brutto posto? Voiil bevitore diquintessenze! Voiil mangiatore di
ambrosia! C'è invero di che restare sorpresi.
- Mio carosapete bene quanto mi terrorizzino le carrozze e i cavalli. Pocofamentre attraversavo il viale in
tutta fretta saltellando in mezzo al fangoin quel caos in movimento dove lamorte arriva al galoppo da tutte le parti
nello stesso tempoper un gesto brusco l'aureola mi è scivolata dalla testanel fango del lastrico. Non ho avuto il
coraggio di raccattarla. Giudicai meno sgradevole perdere le mie insegne chefarmi rompere le ossa. E poimi dissila
disgrazia serve sempre a qualcosa. Ora posso andarmene in giro in incognitocompiere azioni bassedarmi ai bagordi
come i comuni mortali. Ed eccomi in tutto simile a voicome vedete!
- Dovreste almeno pubblicare un annuncio della perdita dell'aureolao faredenuncia al commissariato.
- Proprio no! Mi trovo benequi. Solo voi mi avete riconosciuto. D'altrondela dignità mi disturba. E poi penso
che qualche cattivo poeta la raccatterà e se la metterà in testaspudoratamente. Che piacere far felice qualcuno!
Soprattutto qualcuno la cui felicità mi farà ridere! Pensate a Xo a Z!Ahsarà davvero divertente!».
XLVII • LA SIGNORINA BISTURI
Appena arrivai ai limiti del sobborgosotto il chiarore della luce a gassentii un braccio che si insinuava
dolcemente sotto il mioe udii una voce che mi diceva all'orecchio: «Sietemedicosignore?».
Guardai; era una ragazza altarobustacon gli occhi spalancatileggermentetruccatai capelli ondeggianti al
vento con i nastri del cappellino.
« - Nonon sono medico. Lasciatemi passare. - Ohsì! Voi siete medico. Lovedo bene. Venite da me.
Resterete molto contento di meandiamo!
- Certoverrò a trovarvima più tardidopo il medicochediavolo...!
- Ah! ah! - fece leisempre aggrappata al mio braccioe scoppiando aridere- siete un medico scherzosone
ho conosciuti molti così. Su andiamo».
Amo appassionatamente il misteroperché ho sempre la speranza di svelarlo.Mi lasciai perciò trascinare da
questa compagnao meglio da questo enigma insperato.
Tralascio la descrizione del tugurio: la si può trovare in numerosi vecchipoeti francesi ben noti. Soltanto
dettaglio trascurato da Régnierc'erano due o tre ritratti di celebridottori appesi alle pareti.
Come fui coccolato! Un bel focolarevino caldosigari; e offrendomi questebuone cosee accendendomi lei
stessa un sigaroquesta buffa creatura mi diceva: «Fate come se foste acasa vostraamico miomettetevi a vostro agio.Così vi ricorderetedell'ospedale e dei bei tempi della giovinezza. Ma guarda! Dove vi siete presiquesti capelli bianchi?
Non eravate così appena qualche tempo faquando eravate l'aiuto di L...Ricordo che lo assistevate nelle operazioni più
gravi. Era proprio un uomo a cui piace tagliaremozzarerifilare! E voi chegli passavate gli strumentii fili e le spugne.
- E appena finita l'operazionediceva tutto fieroguardando l'orologio:"Cinque minutisignori!". - Ohio vado
dappertutto. Conosco bene questi Signori».
Qualche istante più tardidandomi del turicominciava con la stessa solfae mi diceva: «Sei mediconon è
verogattino mio?».
Questo incomprensibile ritornello mi fece saltare in piedi. «No! urlaifuribondo.
- Chirurgo allora?
- No! No! A meno che non lo diventi per spaccarti la testa! Maledetto ilsanto ciborio della madre badessa!
- Aspettadissee vedrai».
E tirò fuori dall'armadio un fascio di carteche altro non era se non lacollezione dei ritratti dei medici famosi
di alloralitografie di Maurin che si sono viste esposte per parecchi annisul quai Voltaire.
«Guarda! Lo riconosci questo?
- Sì! È X. C'è scritto sottoanche; ma lo conosco personalmente.
- Ehlo sapevo! Tieniecco Z.quello che nel suo corsoparlando di Xdiceva: "Quel mostro che porta sulla
faccia il nerume della sua anima!". E questo solo perché l'altro non lapensava come lui su una certa questione! Quanto
se ne rideva a scuolain quei tempi! Ti ricordi? - Guardaecco K.quelloche denunciava al governo gli insorti che
curava nel suo ospedale. Era l'epoca delle sommosse. Come è possibile che uncosì bell'uomo abbia così poco cuore? -
E ora guarda W.famoso medico inglese; l'ho acchiappato quando venne aParigi. Sembra una signorinanon è vero?».
E dato che avevo toccato un pacchetto legatoche pure si trovava sultavolinetto: «Aspetta un momentodisse;
- questi sono i medici internie quel pacchetto sono gli esterni».
E aprì come un ventaglio tutto un mucchio di fotografiecon delle faccemolto più giovani.
«Quando ci rivedremomi darai il tuo ritrattoè verocaro?
- Male dissi a mia voltaseguendo anch'io la mia idea fissa- perchécredi che io sia un medico?
- È perché sei così gentile e così buono con le donne!
- Strana logicadissi fra me.
- Ahio non mi sbaglio quasi mai; ne ho conosciuti tanti. Amo a tal puntoquesti signori che a volte vado da
loro tanto per vederlianche se non sono malata. Ce ne sono alcuni che midicono con freddezza: "Ma voi non siete
affatto malata!". Ce ne sono però altri che mi capisconoperché glifaccio un po' di moine.
- E quando non ti capiscono...?
- Be'dal momento che li ho disturbati inutilmentelascio diecifranchi sul caminetto. - È gente così buona e
dolcequella! - Ho scoperto alla Pietà un "interno"piccolo distaturabello come un angeloe gentilissimo! E come
lavorapovero ragazzo! I suoi compagni mi hanno detto che non ha un soldoperché i suoi genitori sono poveri e non
gli possono mandare niente. Questo mi ha incoraggiato. Dopotuttosonopiuttosto bellaanche se non giovanissima. Gli
ho detto: "Vieni a trovarmivieni a trovarmi spesso. E con me nonpreoccuparti; non ho bisogno di denaro". Ma capirai
che gliel'ho fatto intendere con le dovute maniere; non gliel'ho detto cosìbrutalmente; avevo paura di umiliarlopovero
ragazzo! - Ma lo sai? ho una voglia così pazza che non oso dirglielo. Vorreiche venisse a trovarmi con la borsa dei ferri
e il camice biancomagari un po' macchiato di sangue!».
Disse questo con l'espressione più candidacome un uomo sensibile direbbe aun'attrice che ama: «Vorrei
vederti con indosso il costume che portavi quando interpretasti quella famosaparte!».
Ioostinatoricominciai: «Riesci a ricordarti del periodo e dellacircostanza in cui è nata in te questa passione
così speciale?».
Fu difficile farmi capire; alla fine ci riuscii. Ma lei mi rispose conun'aria molto triste eper quel che posso
ricordareperfino distogliendo lo sguardo: «Non lo so... Non me loricordo».
Quali bizzarrie non si trovano in una grande cittàse si sa andare in giroe guardare! La vita brulica di mostri
innocenti. - Signoremio Dio! Voi Creatorevoi Padrone; voi da cui viene laLegge e la Libertà; voisovrano che lascia
farevoigiudice che perdona; voi che siete pieno di motivi e di causeeche forse avete messo nella mia mente il gusto
dell'orrore per convertire il mio cuorecome la guarigione sulla punta diuna lama; Signoreabbiate pietà dei pazzi e dei
folli! O creatore! Possono forse esistere dei mostri agli occhi di Colui cheè il solo a sapere perché esistonocome si
sono fatti e come avrebbero potuto non farsi?
XLVIII • ANYWHERE OUT OF THE WORLD. DOVE CHE SIA FUORI DEL MONDO
La vita è un ospedale dove ogni malato è in preda al desiderio di cambiareletto. Questo qui vorrebbe soffrire
davanti alla stufae quello là crede che guarirebbe accanto alla finestra.
A me sembra sempre che starei bene là dove non sonoe questa questione deltraslocare è una di quelle che sto
continuamente a dibattere con la mia anima.
«Dimmianima miapovera anima infreddolitache ne diresti di abitare aLisbona? Lì deve fare caldoe così
potresti riprendere forza come una lucertola al sole. È una città in rivaal mare; dicono che è tutta fatta di marmoe chela gente ha un tale odio perla vegetazione che strappa via tutti gli alberi. È un paesaggio di tuo gusto;un paesaggio
fatto di luce e di mineralee dell'elemento liquido che li riflette!».
La mia anima non risponde.
«Se è vero che ami tanto il riposo unito allo spettacolo del movimentoperché non andare ad abitare in Olanda
in quella terra beatificante? È probabile che ti divertiresti in quellacontrada di cui spesso hai ammirato l'immagine nei
musei. Che ne diresti di Rotterdamtu che ami le foreste di alberaturee lenavi ormeggiate ai piedi delle case?».
La mia anima resta muta.
«Batavia forse ti sorriderebbe di più? È lì che troveremmo lo spiritodell'Europa sposato alla bellezza
tropicale».
Non una parola. - Che sia mortala mia anima?
«Sei dunque arrivata a un tale punto di torpore che ti compiaci solo del tuomale? Se è cosìfuggiamo verso
quei paesi che sono analogie della morte. - Ho capito quello che ci vuolepovera anima! Faremo i bagagli per Torneo.
Andiamo ancora più lontanoall'estremo limite del Baltico; ancora piùlontano dalla vitase possibile; stabiliamoci al
polo. Là il sole sfiora la terra solo obliquamentee il lento alternarsidella luce e della notte sopprime la varietà e
aumenta la monotoniaquesta metà del nulla. Là potremo prendere dei lunghibagni di tenebrementreper divertircile
aurore boreali ci manderanno di tanto in tanto i loro cesti di rosecomeriflessi di un fuoco d'artificio dell'Inferno!».
Finalmente la mia anima esplodee saggiamente mi grida: «Non importa dove!Non importa dove! Purché sia
fuori di questo mondo!».
XLIX • AMMAZZIAMO I POVERI!
Per quindici giorni mi ero segregato nella mia camerae mi ero circondato dilibri di moda in quel periodo
(sedici o diciassette anni fa); voglio dire libri che trattano l'arte direndere felicisaggi e ricchi i popoli in ventiquattr'ore.
Avevo dunque digerito - ingoiatovoglio dire - tutte le elucubrazioni ditutti quegli impresari della felicità pubblicadi
coloro che consigliano a tutti i poveri di farsi schiavie di coloro che liconvincono di essere tutti dei re spodestati. Non
sorprenderà il fatto che io mi trovassi allora in uno stato d'animo prossimoalla vertigine o alla stupidità.
Mi era soltanto sembrato di sentirerelegato nel fondo del mio intellettol'oscuro germe di un'idea superiore a
tutte le formule da brava donna di cui avevo da poco sfogliato il repertorio.Ma non era che l'idea di un'ideaqualcosa di
infinitamente vago.
Uscii con una gran sete. Appassionarsi troppo alle cattive letture fa nascereun bisogno altrettanto forte di aria
aperta e di bevande fresche.
Stavo entrando in un localequando un mendicante mi tese il cappello con unodi quegli sguardi
indimenticabili che farebbero cadere i re dai loro tronise lo spiritopotesse muovere la materiae se l'occhio di un
ipnotizzatore facesse maturare l'uva.
In quello stesso momentosentii una voce che mi sussurrava all'orecchiounavoce che riconobbi
immediatamente; era quella di un buon Angeloo di un buon Demoneche miaccompagna dovunque. Se Socrate aveva
il suo buon Demoneperché io non dovrei avere il mio buon Angelo? Perchénon dovrei averecome Socratel'onore di
ottenere una patente di follia con la firma dell'acuto Lélut e dell'accortoBaillarger?
È questa la differenza fra il Demone di Socrate e il mio: che quello diSocrate gli si manifestava soltanto per
proibireavvertireimpedire; mentre il mio si degna di dare consiglidisuggerire e di persuadere. Il povero Socrate
aveva solo un Demone proibitore; il mio è un grande affermatoreil mio èun Demone d'azioneo Demone di lotta.
Dunque la sua voce mi sussurrava questo: «È uguale a un altro soltantocolui che ne dà provaed è degno di
libertà solo colui che sa conquistarla».
Immediatamente saltai addosso al mendicante. Con un solo pugno gli tappai unocchioche in un momento gli
diventò grosso come una palla. Mi spezzai un'unghia per rompergli due dentie dato che non mi sentivo forte
abbastanzaessendo nato delicato ed essendomi esercitato poco nella boxeper accoppare rapidamente il vecchio lo
agguantai con una mano per il baveroe con l'altra lo afferrai alla gola emi misi a sbattergli energicamente la testa
contro un muro. Devo confessare che avevo preliminarmente ispezionato idintorni dando un'occhiatae mi ero
accertato che in quella periferia deserta mi sarei trovato abbastanza a lungofuori della portata dei poliziotti.
Avendo poi steso a terra l'infiacchito sessantenne con un calcio nellaschiena tanto forte da rompergli le
scapoleafferrai un grosso ramo che era lì per terra e lo picchiai conl'ostinata energia con cui i cuochi ammorbidiscono
una bistecca.
Ad un tratto - ecco il miracolo! e la gioia del filosofo che verifical'eccellenza della sua teoria! -vidi quella
vecchia carcassa girarsirialzarsi con un'energia che non avrei maisospettato in una macchina così singolarmente
sconquassata econ uno sguardo di odio che mi parve di buon augurioquel decrepito brigante si gettò su di memi
pestò tutti e due gli occhimi ruppe quattro denti econ lo stesso ramomi riempì di botte. - Con la mia energica cura gli
avevo dunque restituito l'orgoglio e la vita.
Allora mi sforzai di fargli capire che consideravo chiusa la discussioneerialzandomi con la soddisfazione di
un sofista del Porticogli dissi: «Signoresiete mio eguale! fatemil'onore di dividere con me il mio portafoglio; ericordatevise siete un verofilantropoche bisogna applicare a tutti i vostri colleghiquando vichiederanno l'elemosina
la teoria che ho avuto il dolore di sperimentare sulle vostrespalle».
Mi ha giurato di aver capito molto bene la mia teoriae che avrebbe messo inpratica i miei consigli.
L • I BUONI CANI
A Joseph Stevens
Neppure davanti ai giovani scrittori del mio secolo sono mai arrossito dellamia ammirazione per Buffon; ma
oggi non è lo spirito di questo pittore della natura pomposa che chiameròin aiuto. No.
Molto più volentieri potrei rivolgermi a Sternedicendogli: «Scendi dalcielo o sali a me dai Campi Elisie
ispiramiin favore dei buoni canidei poveri caniun canto degno di tesentimentale burloneburlone incomparabile!
Ritorna in groppa a quel famoso asino che sempre ti accompagna nella memoriadei posteri; e soprattutto fa' che questo
asino non dimentichi di portaredelicatamente tenuto fra le labbrail suoimmortale amaretto!»
Vade retromusa accademica! Non so che farmene di questa vecchia bigotta.Invoco la musa familiare
cittadinaviventeperché mi aiuti a cantare i buoni canii poveri caniicani infangatiquelli che tutti scacciano come
appestati e pidocchiosisalvo il poveroa cui sono associatie il poetache li guarda con occhio fraterno.
Il cane elegante e signorile non lo sopportoquesto fatuo quadrupedecomeil daneselo spanielil King-charles
o il pechinesecosì infatuato di sé da buttarsi senza discrezione fra legambe o sulle ginocchia del visitatore
sicuro di piacereturbolento come un bambinosciocco e civettuoloa volteringhioso e insolente come un servo!
Soprattutto non sopporto quei serpenti a quattro zampesfaccendati esvenevoliche portano il nome di «levrierette» e
che sul loro muso aguzzo non hanno neppure abbastanza fiuto per seguire lapista di un amiconé abbastanza
intelligenza nella loro testa piatta per giocare a domino.
A cucciatutti questi noiosi parassiti!
Che se ne tornino alla loro cuccia di seta imbottita! Io canto il caneinfangatoil cane senza domicilioil cane
flâneuril cane saltimbancoil cane il cui istintocome quello delpoverodello zingaro e dell'istrione è reso
meravigliosamente acuto dalla necessitàda questa brava madreda questavera protettrice dell'intelligenza!
Canto i cani sventurati; sia quelli che vagano solitari nei gretiserpeggianti delle sconfinate cittàsia quelli che
all'uomo abbandonato da tutticon profondi sguardi d'intesahanno detto:«Prendimi con tee delle nostre due miserie
faremo una specie di felicità!».
«Dove vanno i cani?» si chiedeva una volta Nestor Roqueplan in unimmortale feuilleton di cui ha certo perso
memoriae di cui solo ioe forse Sainte-Beuveci ricordiamo ancora.
Dove vanno i cani?vi chiederete voiuomini poco attenti. Vanno per i fattiloro.
Appuntamenti d'affariappuntamenti d'amore. Attraverso la nebbiaattraversola neve e il fangosotto il morso
della canicolasotto la pioggia scrosciantevannovengonotrotterellanopassano sotto le carrozzestimolati dalle
pulcidalla passionedal bisogno o dal dovere. Come noisi sono alzati dibuon mattinoe si procurano da vivere o
corrono ai loro piaceri.
Ce ne sono che vanno a dormire sotto qualche maceria della banlieue eche vengonoogni giornoa una certa
oraa reclamare l'elemosina alla porta di una cucina del Palais-Royal; altriaccorrono a frotteda più di cinque legheper
dividere il pasto che ha preparato loro la carità di certe signorinesessantenniil cui cuore disoccupato si è dato alle
bestiedal momento che quegli imbecilli degli uomini non ne vogliono piùsapere.
Altri checome schiavi in fugaimpazziti d'amorelascianoin certi giorniparticolarile loro province per
venire in città a sgambettare per un'ora intorno a una bella cagnaun po' negligéenella sua toilettema fiera e
riconoscente.
E sono puntualissimisenza bisogno di agendeappunti e portafogli.
Forse conoscete anche voi il pigro Belgioe avete ammirato come me tuttiquei cani vigorosi che tirano la
carretta del macellaiodella lattaia o del fornaioe che testimoniano conil loro trionfale abbaiare dell'orgoglioso piacere
che provano nel rivaleggiare con i cavalli.
Eccone due che appartengono a una categoria ancora più civilizzata!Permettetemi di introdurvi nella camera
del saltimbanco assente. Un letto di legno dipintosenza cortinecon lecoperte che penzolano sul pavimentoinfestate
di cimicidue sedie impagliateuna stufa di ghisauno o due strumentimusicali sconquassati. Che triste mobilia! Ma
guardatevi pregoquesti due personaggi intelligentivestiti di abitilogori e sontuosiacconciati come trovatori o come
militariche sorvegliano con un'attenzione da stregoni l'opera senza nomeche cuoce a fuoco lento sulla stufa accesae
al centro della quale si drizza un lungo cucchiaio piantato lì come una diquelle pertiche alzate in aria che annunciano il
compimento dei lavori edilizi.
Non è forse giusto che degli attori così pieni di zelo si mettano incammino dopo aver ristorato il loro stomaco
con una buona zuppa sostanziosa? E non perdonerete un po' di sensualità aquesti poveri diavoli che devono affrontare
tutti i giorni l'indifferenza del pubblico e le angherie di un direttore chesi mette in tasca quasi tutto e che si mangialui
da solopiù minestra di quattro attori?Quante volte ho contemplatosorridente e inteneritotutti questi filosofi a quattro zampequesti schiavi
sottomessicompiacenti e devotiche il dizionario repubblicano potrebbe benqualificare ufficiosise la repubblica
troppo preoccupata della felicità degli uominiavesse il tempo dioccuparsi dell'onore dei cani!
E quante volte ho pensato che forse c'era da qualche parte (è possibileinfondo) una ricompensa a tanto
coraggioa tanta pazienza e faticauno speciale paradiso per i buoni caniper i poveri canii cani sudici e desolati.
Dopotutto Swedenborg afferma che ne esiste uno per i Turchi e uno per gliOlandesi!
I pastori di Virgilio e di Teocrito si aspettavanocome premio per i lorocanti alternatiun bel formaggioun
flauto fatto dal miglior artigiano o una capra con le mammelle gonfie. Ilpoeta che ha cantato i poveri cani ha ricevuto in
ricompensa un bel gilè dal colore ricco e sbiaditoche fa pensare al soled'autunnoalla bellezza delle donne mature e
alle estati di San Martino.
Nessuno di coloro che erano presenti nella taverna di via Villa Hermosadimenticherà con quale esuberante
insistenza il pittore si è spogliato del suo gilè in favore del poetatanto bene aveva compreso la bontà e l'onestà di
cantare i poveri cani.
Cosìun magnifico tiranno italiano del buon tempo andatooffriva al divinoAretino sia una daga con l'elsa
tempestata di pietre preziosesia un mantello da cortigianoin cambio di unelegante sonetto o di uno stravagante
poema satirico.
E ogni volta che il poeta indossa il gilè del pittoreè costretto apensare ai buoni caniai cani filosofialle estati
di San Martino e alla bellezza delle donne molto mature.
EPILOGO
Con il cuore contentosul colle son salito.
Di lì nella sua ampiezza contemplo la città:
Purgatorioospedalegaleralupanare
Dove fiorisce il fiore di ogni enormità.
Satanatu lo saipatrono del dolore
Che là non me ne andavo a piangere per niente.
Come un vecchio vizioso con la sua vecchia amante
Volevo ubriacarmi dell'enorme puttana
Che è infernale e seduce e ridà giovinezza.
Sia che tu dorma ancorainfame capitale
Incimurrita e greve nel buio del mattino
O che ti pavoneggi nei tuoi veli serali
Trapunti d'oro fino - io ti amo ugualmente!
Cortigiane e banditivoi li offrite sovente
piaceri come questiche il volgo non comprende.