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L'UOMO CHE RIDE

Tutto è grande in Inghilterraanche ciò che non vaanche l'oligarchia.L'aristocrazia inglese è l'aristocrazia nel senso

assoluto della parola. Non c'è stata feudalità più nobilepiù terribilee più vivace. Ammettiamoloquesta feudalità ai

suoi tempi è stata utile. Se qualcuno vuole studiare il fenomeno dellaSignoriadeve studiarlo in Inghilterracosì come

studierà in Francia quello della Monarchia.

Questo libro dovrebbe intitolarsi L'aristocrazia. Il prossimo potrebbechiamarsi La monarchia. E se all'autore sarà

concesso di portare a termine il suo lavoroa questi due libri ne seguiràun terzo intitolato: Novantatre.

Hauteville-House1869.

PARTE PRIMA • IL MARE E LA NOTTE

DUE CAPITOLI PRELIMINARI

I • URSUS

I

Ursus e Homo erano legati da stretta amicizia. Ursus era un uomoHomo era unlupo. Le loro indoli erano ben assortite.

L'uomo aveva battezzato il lupo. È probabile che si fosse dato da sé ancheil proprio nome; se Ursus andava bene per

luiHomo sarebbe andato bene per la bestia. L'alleanza tra l'uomo eil lupo dava i suoi frutti nelle fieredurante le feste

delle parrocchieagli angoli delle strade dove fanno capannello i passantie dovunque la gente volesse ascoltare frottole

e comperare pastiglie miracolose. Quel lupo docileeducato e obbedientepiaceva alla folla. La sottomissione riscuote

successo. La nostra soddisfazione più grande consiste nel veder sfilare ognitipo possibile di esseri addomesticati. Per

questo c'è tanta gente al passaggio dei cortei reali.

Ursus e Homo passavano da un crocicchio a un altrodalle piazze pubbliche diAberystwith a quelle di Yeddburgpaese

dopo paesecontea dopo conteacittà dopo città. Sfruttato un mercato sitrasferivano in un altro. Ursus viveva in un

baracchino su ruote che Homoopportunamente addestratotrascinava duranteil giornomontandogli la guardia di

notte. Lungo le strade difficilinelle salitequando c'erano troppe buche etroppo fangol'uomo si passava la cinghia al

collo e tirava fraternamente fianco a fianco con il lupo. Così eranoinvecchiati insieme. Si accampavano dove capitava

in un terreno incoltoin una radurain un incrocio a zampa di gallinaall'entrata dei casolarialle porte di un paesino

dentro i mercatisui viali pubblicisul limitare dei parchi e persino suisagrati delle chiese. Quando la carretta si

fermava nel luogo dove c'era una fiera e le donnette accorrevano a boccaapertamentre i curiosi si mettevano in

cerchioUrsus arringavaHomo annuiva. Poi Homocon una ciotola di legno inboccafaceva educatamente la questua

tra i presenti. Dovevano guadagnarsi da vivere. Il lupo era istruito e l'uomopure. Il lupo era stato addestrato dall'uomo

o c'era arrivato da soloa certe gentilezze lupine che contribuivanoall'incasso. «E soprattutto non degenerare in uomo»

gli diceva il suo amico.

Il lupo non mordeva mail'uomo qualche volta. O quanto meno Ursus avrebbevoluto mordere. Ursus era un misantropo

che per sottolineare la sua misantropia era diventato ciarlatano. Lo eradiventato anche per vivereperché è lo stomaco a

dettare le condizioni. Inoltre quel ciarlatano misantropoo perché era unospirito contortoo per amore di completezza

era medico. Medico è troppo pocoUrsus era ventriloquo. Lo vedevano parlaresenza che la bocca si muovesse. Imitava

l'accento e la pronuncia del primo venuto così bene da trarre in ingannoerifaceva le voci in modo tale da far credere

che fossero vere. Da solo riproduceva il mormorio di una follameritandosiil titolo di engastrimita. Lo accettava.

Sapeva imitare tutti gli uccelli: il tordol'alzavolal'avocettadettaanche monachinail merlo dal petto biancotutti

viaggiatori come lui; così che in certi momentisecondo l'umorevi facevacredere di essere in una piazza affollata di

personeoppure in una prateria piena di animali; a volte era tempestoso comeuna moltitudinea volte ingenuo e sereno

come l'alba. D'altra parte simili talentiper quanto rariesistono. Nelsecolo scorso un certo Touzelin grado di imitare

un'intera babele di grida umane e bestiali contemporaneamentee capace diriprodurre il verso degli animaliviveva

presso Buffon in qualità di serraglio. Ursus era acutobizzarro e curiosoportato per quelle singolari spiegazioni che

chiamiamo favole. Dava l'impressione di crederci. In questo la sua maliziaera sfrontata. Leggere la manoaprire un

libro a caso e trarne auspiciindovinare il futuromettere in guardia dallegiumente nere e ancor più dal saluto di uno

sconosciuto mentre stiamo per partiretutto ciò per lui significava essere«un mercante di superstizioni». Era solito dire:

«Tra me e l'arcivescovo di Canterbury la differenza consiste nel fatto cheio non nego di essere quello che sono». Per

questo un giorno l'arcivescovogiustamente indignatolo mandò a chiamare;ma Ursusfurbodisarmò Sua Grazia

recitandogli un sermone che aveva composto sul santo giorno di Natale e chel'arcivescovoaffascinatoprima imparò a

memoriapoi declamò dal pulpito e infine pubblicò come proprio. CosìUrsus fu perdonato.Come medicoo forse proprio perché non lo eraUrsusriusciva a guarire. Usava le erbe aromatiche. Conosceva quelle

medicinali. Sapeva sfruttare le virtù profonde di un mucchio di piantedisprezzatequali il nocciolo pendulola frangola

biancail cespuglio di viburnola lantanal'alaternoil viburnoilprugno nero.

Curava la tisi con la ros solis; somministrava opportunamente fogliedi euforbia chestrappate in basso sono lassative

prese in alto sono emetiche; vi toglieva il mal di gola con l'escrescenzavegetale detta orecchio d'ebreo; distingueva il

giunco che guarisce il buedalla menta che serve per il cavallo; conoscevala bellezza e la bontà della mandragola che

come tutti sannoè maschio e femmina. Aveva delle ricette. Guariva labruciature con lana di salamandrala stessa di

cuisecondo Plinioera fatta una salvietta di Nerone. Ursus possedeva unastorta e un matraccio; compiva

trasmutazioni; vendeva panacee. Si raccontava che una voltaavendogli fattol'onore di scambiarlo per un pazzolo

avevano rinchiuso per un po' di tempo a Bedlamma che lo avevano poirilasciato quando si erano accorti che era solo

un poeta. Questa storia probabilmente non era vera; tutti noi andiamosoggetti a simili aneddoti.

La verità è che Ursus era un saggioun uomo raffinato e anche un vecchiopoeta latino. Apparteneva

contemporaneamente alla razza di Ippocrate e a quella di Pindaro. Avrebbepotuto gareggiare in eloquenza con Rapin e

con Vida. Nelle tragedie gesuitiche il suo successo non sarebbe statoinferiore a quello di Padre Bouhours.

L'originalità delle sue espressioni dense di metafore classichevenivadalla frequentazione dei venerabili ritmi e dei

metri degli scrittori antichi. Di una madre preceduta dalla due figliediceva: è un dattilodi un padre seguito da due figli:

è un anapestoe di un bambino che camminava tra il nonno e la nonna: èun anfimacro. Tanta scienza non poteva

portare che alla fame. La scuola di Salerno dice: «Mangiate poco e spesso».Ursusobbedendo alla prima metà della

massima ma disobbedendo alla secondamangiava poco e di rado; la colpa eradel pubblicoincostante e restio a

spendere. Ursus diceva: «Sputare sentenze rende leggeri. Il lupo si consolaululandoil montone si consola con la lana

la foresta con il passerottola donna con l'amore e il filosofo con gliepifonemi». Per vendere i suoi intrugli Ursus

quando ce n'era bisognoinventava delle commedie che poiin qualche modorecitava. Aveva composto tra l'altro una

pastorale eroica in onore del cavaliere Hugh Middleton chenel 1608avevaportato a Londra un corso d'acqua. Questo

fiume se ne stava tranquillo nella contea di Hartforda sessanta miglia daLondra; il cavaliere Middleton andò e se lo

prese; portò con sé una brigata di seicento uomini armati di pale e dizappe e si mise a smuovere la terraora scavandola

ora ammassandolaa volte per venti piedi d'altezzaaltre per trenta diprofonditàe fece sospendere nell'aria acquedotti

di legnogettò qua e là ottocento ponti di pietradi mattonidi assifinché un bel mattino il fiume entrò a Londrache

mancava d'acqua. Ursus trasfigurò tutti questi banali dettagli in una bellabucolica tra il fiume Tamigi e l'affluente

Serpentine; il Tamigi la invitava offrendole il suo lettoe le diceva:«Sono troppo vecchio ormai per piacere alle donne

ma sono abbastanza ricco per poterle pagare». Una sottigliezza galante perdire che sir Hugh Middleton aveva fatto tutti

quei lavori a proprie spese.

Ursus eccelleva nel soliloquio. Temperamento selvatico ma chiacchieronenondesiderando vedere nessunosentiva

però il bisogno di parlareperciò aveva finito col parlare a se stesso.Chiunque abbia vissuto da solo conosce la perfetta

naturalezza del soliloquio. La parola interiore prude. Arringare lo spazio èuno sfogo. Parlare da soli a voce alta è come

parlare con il dio che abbiamo dentro di noi. Così faceva Socratelosappiamo bene. Anche Lutero si teneva delle

prediche. Ursus apparteneva alla schiera di questi grandi uomini. Aveva iltalento ermafrodita di essere il proprio

uditorio. Si faceva delle domande e rispondeva; si esaltava e poi si coprivad'insulti. Fin sulla strada lo sentivano parlare

dentro il baracchino. La genteche ha un modo tutto particolare diapprezzare gli uomini di valorediceva: è un idiota.

Qualche volta s'ingiuriavalo abbiamo dettoma c'erano anche momenti in cuisapeva rendersi giustizia. Un giorno

durante uno di quei discorsi che teneva a se stessolo sentirono esclamare:«Ho studiato i vegetali in tutti i loro misteri

nello stelonella gemmanel sepalonel petalonello stamenel carpellonell'ovulonell'asconello sporangio e

nell'apotecio. Ho approfondito la cromatologial'osmologia e la chimologiacioè l'origine del coloredell'odore e del

sapore». Nell'attestato che Ursus rilasciava a Ursus c'era senza dubbio unpo' di frivolezzama getti la prima pietra solo

chi non ha approfondito la cromatologial'osmologia e la chimologia.

Ursus per fortuna non era mai stato nei Paesi Bassi. Lì certamente loavrebbero pesato per sapere se il suo peso era

superiore o inferiore a quello di un uomo normalee se non fosse per casouno stregone. In Olanda il peso giusto era

fissato saggiamente dalla legge. Niente di più semplice e ingegnoso. Sitrattava di un accertamento. Vi mettevano su un

piatto e se rompevate l'equilibrioera fatta: troppo pesanteviimpiccavano; troppo leggerovi bruciavano. Ancor oggi a

Oudewater si può vedere la bilancia che serviva per pesare gli stregonimaoraahimèla usano per pesare i formaggi

tanto è scesa in basso la religione! Ursus se la sarebbe certamente vistabrutta con quella bilancia. Ma durante i suoi

viaggi si tenne lontano dall'Olandae fece bene. D'altra parte crediamo chenon abbia mai lasciato la Gran Bretagna.

Comunquepoverissimo e intrattabile com'eradopo che aveva incontrato Homoin un bosco si era scoperto la voglia di

vivere alla ventura. Aveva preso il lupo in società e se n'era andato conlui per le stradeall'aria apertavivendo la vita

grande di chi si affida alla sorte. Ursus era furbo e sapeva cavarsela conespedientie poi era un maestro nel curare

operareguarire e nel fare cose sorprendenti; lo consideravano sia un buonsaltimbanco che un buon medico;

naturalmente poi passava anche per mago; solo un po'non troppoperché aquei tempi non era consigliabile essere

creduti amici del diavolo. A dir la verità la passione per i farmaci el'amore per le piante mettevano Ursus in una

situazione pericolosavisto che spesso andava a raccogliere erbe in certemacchie selvagge dove ci sono le insalate di

Lucifero e dove si rischiacome è capitato al consigliere De l'Ancrediincontrare nella nebbia della sera un uomo che

esce da terra - cieco dall'occhio destrosenza mantellola spada al fiancoa piedi nudi e scalzo -. Ursusdel restoper

quanto bizzarri fossero il suo comportamento e il suo carattereera troppogalantuomo per attirare o respingere la

grandinematerializzare delle apparizionitormentare un uomo a morte senzafarlo smettere di ballareispirare sognilieti o viceversa spaventosamentetristie far nascere galli con quattro ali; nonon era capace di similicattiverie. Non

era uomo da cose indegne. Comeper esempioparlare in tedescoin ebraico oin grecosenza aver studiato queste

linguesegno di esecrabile scelleratezza o di malattia causata da un umoremelanconico. Se Ursus parlava in latino era

solo perché lo sapeva. Mai avrebbe parlato il siriaco ignorandolo;oltretutto è accertato che il siriaco è la lingua usata

nei sabba. In medicina preferiva giustamente Galeno a Cardano cheper quantosaggiorispetto a Galeno è solo un vaso

di coccio.

InsommaUrsus non era un tipo tenuto d'occhio dalla polizia. Il baracchinoera lungo e largo a sufficienza perché egli

potesse coricarsi sulla cassapanca dove stavano i suoi poco sontuosi panni.Possedeva una lanternauna quantità di

parrucche e diversi utensili appesi ai chioditra cui alcuni strumentimusicali. Inoltre era proprietario di una pelle d'orso

che si metteva addosso nei giorni delle grandi recite; lo chiamava mettersiin costume. Diceva: «Io di pelli ne ho due;

questa è quella vera»e mostrava la pelle d'orso. Quel trabiccolo suruote era suo e del lupo. Oltre alla carrettaalla

storta e al lupoaveva un flauto e una viola da gamba che suonavagradevolmente. Si faceva da sé i propri elisir.

Qualche volta dal suo estro ricavava una cena. Nel soffitto dello stanzinoc'era un buco con il tubo di una stufa di ghisa

così vicina alla cassapanca da bruciacchiarne il legno. La stufa aveva duescomparti; in uno egli metteva a cuocere

l'alchimianell'altro le patate. Di notte il lupo dormiva sotto la carrettaamichevolmente incatenato. Ho mo era di pelo

neroUrsus di pelo grigio; Ursus aveva cinquant'annisempre che non neavesse sessanta. Accettava il destino a tal

punto checome abbiamo vistomangiava patateimmondizia che allora si davain pasto solo ai porci e ai forzati. Le

mangiava con rassegnata indignazione. Non era altoera lungo. Era curvo emelanconico. La figura china del vecchio è

l'oppressione della vita. La natura lo aveva voluto triste. Difficilmentesorridevae non era mai stato capace di piangere.

Gli mancavano la consolazione delle lacrime e il sollievo della gioia. Ilvecchio è una rovina che pensa; Ursus era quella

rovina. La loquacità del ciarlatanola magrezza del profetal'irascibilità di una mina caricaquesto era Ursus. Da

giovane aveva vissuto come filosofo presso un lord. Ciò accadeva centottantaanni faquando gli uomini erano un po'

più lupi di oggi.

Solo un po'.

II

Homo non era un lupo qualsiasi. A giudicare dal suo appetito di nespole e dimele lo si sarebbe detto un lupo di prateria

per via del pelo scuro un licaonedall'ululato che mitigava in latrati sipoteva scambiare per un cane selvatico; ma la

pupilla del cane selvatico non è stata ancora studiata a fondonon tanto daessere sicuri che non si tratti di una volpe

mentre Homo era un lupo autentico. Era lungo cinque piediche è una bellamisura anche per un lupo della Lituania;

inoltre era molto forte e avevasenza colpalo sguardo obliquo; la sualinguache qualche volta leccava Ursusera

morbida; lungo la spina dorsale aveva una stretta spazzola di peli corti. Lasua magrezza era quella vigorosa della

foresta. Prima di conoscere Ursus e di dover trascinare una carrettasifaceva allegramente fino a quaranta leghe per

notte. Ursusche lo aveva incontrato in una boscaglia vicino a un ruscellod'acqua sorgivalo aveva subito ammirato per

il modo ingegnoso e prudente con cui pescava i gamberisalutando in luil'autentico e genuino lupo Kouparadetto cane

pescatore.

Come bestia da soma Ursus preferiva Homo a un asino. Stimava troppo gli asiniper far loro tirare la carrettagli

avrebbe ripugnato. Inoltre aveva notato che l'asinoincompreso sognatore aquattro zampedrizza a volte le orecchie in

modo inquietante se sente che un filosofo dice delle sciocchezze. Èimbarazzantema nella vita l'asino fa da terzo

incomodo tra noi e quello che pensiamo. Come amicopoiUrsus preferiva Homoa un canegiudicandolo più fedele.

Per questo Homo bastava a Ursus. Homo era più che un compagno per Ursuseraun suo pari. Ursus gli batteva la mano

sui fianchi scarnidicendo: «Ho trovato la mia anima gemella».

Diceva anche: «Alla mia mortese vorrete conoscerminon dovrete fare altroche studiare Homo. Ve lo lascerò come

mia copia conforme».

La legge inglesepoco tenera con gli animali dei boschiavrebbe potutocreare dei fastidi al lupocavillando sulla sua

abitudine temeraria di entrare e uscire dalle città; ma Homo godevadell'immunità che Edoardo IV aveva concesso per

statuto agli animali domestici: «Ogni animale al seguito del suo padronepotrà andare e venire liberamente». Si era

arrivati inoltre a una certa tolleranza verso i lupi da quando le dame dicortesotto gli ultimi Stuarttenevano come cani

delle piccole volpi tartare alla modadette adivesgrandi comegattiche si facevano venire dall'Asia a caro prezzo.

Ursus aveva trasmesso a Homo alcuni suoi talenti: tenersi in piediridurrela collera a cattivo umorebrontolare invece

di ulularee così via; ma anche il lupo aveva insegnato all'uomo quello chesapeva: fare a meno di un tettodel panedel

fuocoe preferire la fame in un bosco alla schiavitù in un palazzo.

Il baracchinouna sorta di capanna ambulante chesenza lasciarel'Inghilterra e la Scoziaaveva battuto tutte le strade

disponeva di quattro ruotedue stanghe per il lupo e un bilancino perl'uomo. Il bilancino era l'espediente per le strade

mal messe. Il baracchino era solidoper quanto fosse fatto di assi leggerecome una colombaia. Sul davanti aveva una

porta a vetri con un balconcino per le arringhetribuna e cattedra al tempostessodietro c'era una porta massiccia con

un finestrino. Per entrare nel baracchinoche di notte era accuratamentechiuso con catenacci e serraturesi abbassava

una predella a tre gradinifissata alla porta con finestrino per mezzo diuna cerniera. Lì sopra doveva aver piovuto e

nevicato parecchio. Se un tempo il baracchino era dipintoil colore ormaiera irriconoscibile; il succedersi delle stagioni

è per le carrette un po' come il succedersi dei regni per i cortigiani. Suldavantiall'esternosopra un'asse messa comefrontoneuna volta era possibiledecifrare questa scritta in caratteri neri su fondo biancocaratteri che a pocoa poco si

erano mischiati e confusi: «A causa dello strofinio l'oro perde ogni anno lamillequattrocentesima parte del suo volume;

lo chiamano il "calo"; ne consegue che sui millequattrocentomilionid'oro che in un anno circolano nel mondouno va

perso. Quest'unico milione finisce in polvereprende il volofluttuadiventa atomolo possiamo respirarecarica le

coscienzele dosale zavorra appesantendole e si confonde con l'anima deiricchi che rende superbie con l'anima dei

poveri che rende feroci».

La scrittatoltacancellata dalla pioggia e da una provvidenza benignaerafortunatamente illeggibilealtrimenti questa

filosofialimpida e enigmaticadifficilmente sarebbe piaciuta a sceriffiprevostimarescialli e simili parrucconi della

legge.

A quei tempi il diritto inglese non scherzava affatto. Bastava poco peressere traditori. I magis trati si mostravano

spietati per tradizionee la crudeltà era la norma. I giudicid'inquisizione pullulavano. Jeffrys aveva lasciato degli eredi.

III

Dentro il baracchino c'erano altre due scritte. Sopra la cassapancasullaparete di assi imbiancata a calceuna mano

aveva scritto con l'inchiostro:

UNICHE COSE IMPORTANTI DA CONOSCERE

- Il barone pari d'Inghilterra porta un tortiglio con sei perle.

- La corona inizia dal visconte.

- Il visconte porta una corona con innumerevoli perleil conte una corona diperle su punte intrecciate con foglie di

fragola poste più in basso; le perle e le foglie del marchese sono allastessa altezza; il duca ha i fioroni ma non le perle;

il duca reale ha un cerchio di croci e di gigli; il principe di Galles inveceuna corona simile a quella del rema non

chiusa.

- Il duca è principe altissimo e potentissimo; il marchese e il contesono signore nobilissimo e potente; il visconte è

signore nobile e potente; il baronevero signore.

- Il duca è grazia; gli altri pari sono signoria.

- I lords sono inviolabili.

- I pari sono camera e corteconcilium et curialegislatura egiustizia.

- Most honourable è più di right honourable.

- La qualifica dei lords pari è «lords di diritto»; i lords non pari sono«lords di cortesia»; solo i pari sono lords.

- Il lord non giura mainé al rené in giudizio. È sufficiente la suaparola. Egli dice: sul mio onore.

- I comuniche rappresentano il popoloconvocati davanti ai lordssipresentano umilmente a capo scopertomentre i

pari restano a capo coperto.

- Quaranta membri dei comuni presentano ai lords i progetti di leggeaccompagnandoli con tre profondi inchini.

- I lords inviano ai comuni i loro progetti di legge per mano di un semplicescritturale.

- In caso di conflitto le due camere conferiscono nella camera dipintaipari seduti e a capo copertoi comuni in piedi e

a capo scoperto.

- In virtù di una legge di Edoardo VIi lords godono del privilegio diomicidio singolo. Un lord che uccida solo un

uomo non è perseguibile.

- I baroni hanno lo stesso rango dei vescovi.

- Per essere un barone pari bisogna dipendere dal re per baroniam integramper una baronia intera.

- Una baronia intera si compone di tredici feudi nobili e un quartoessendoogni feudo nobile valutato venti sterline

cioè quattrocento marchi.

- Il capo della baroniacaput baroniaeè un castello rettoereditariamente come l'Inghilterra stessa; vale a dire non può

essere trasmesso in linea femminile che in mancanza di eredi maschie inquesto caso passa alla figlia maggiore

coeteris filiabus aliunde satisfactis.

- I baroni hanno la qualifica di lorddal sassone laforddallatino classico dominus e dal basso latino lordus.

- I primogeniti e i secondogeniti dei visconti e dei baroni sono i primiscudieri del regno.

- I primogeniti dei pari hanno la precedenza sui cavalieri dellaGiarrettiera; i secondogeniti no.

- Il primogenito di un visconte viene dopo tutti i baroni e prima deibaronetti.

- Ogni figlia di lord è lady. Le altre ragazze inglesi sono miss.

- Qualsiasi giudice è inferiore a un pari. Il sergente ha una cappa in pelled'agnello; il giudice ne ha una di minutaglia

variade minuto variocomposta di pelliccette bianche di ogni tipofuorché d'ermellino. L'ermellino è riservato ai pari e

al re.

- Non si può concedere il supplicavit contro un lord.

- Un lord non può essere imprigionato. Tranne nei casi che prevedono laTorre di Londra.

- Un lord ospite del re ha il diritto di uccidere uno o due daini nel parcoreale.

- Il lord tiene nel suo castello corte di barone.

- È indegno di un lord camminare per le strade indossando un mantello eseguito da due soli lacché. Egli non può

mostrarsi che con un gran seguito di gentiluomini.- I pari si recano inparlamento formando un corteo di carrozze; i comuni no. Qualche pari va aWestminster in calesse

scoperto a quattro ruote. Solo ai lords è permesso avere questi calessi equeste carrozze blasonate e coronateciò fa

parte della loro dignità.

- Un lord può essere condannato a pagare delle ammende solo da altri lordse mai per più di cinque scellinieccetto il

duca che può pagarne fino a dieci.

- Un lord può tenere presso di sé sei stranieri. Ogni altro inglese nonpuò ospitarne che quattro.

- Un lord può possedere otto botti di vino senza pagare tasse.

- Solo il lord è esentato dal presentarsi davanti allo sceriffo dellacircoscrizione.

- Un lord non può essere tassato per la milizia.

- Se un lord lo desidera può arruolare un reggimento e farne dono al re;così fanno le loro grazie il duca di Atholil duca

di Hamilton e il duca di Northumberland.

- Il lord non dipende che dai lords.

- Se tra i giudici di un processo civile non c'è almeno un cavaliereillord può chiedere il rinvio della causa.

- Spetta al lord nominare i suoi cappellani.

- Un barone nomina tre cappellani; un viscontequattro; un conte e unmarchesecinque; un ducasei.

- Il lord non può essere messo alla torturaneppure per motivi di altotradimento.

- Il lord non può essere bollato sulla mano.

- Il lord è dottoanche se non sa leggere. Lo è di diritto.

- Un duca si fa accompagnare con un baldacchino dovunque non ci sia il re; unvisconte ha un baldacchino in casa; un

barone ha il coperchio d'assaggio e mentre beve se lo fa tenere sotto lacoppa; in presenza di una viscontessa una

baronessa ha il diritto di farsi reggere lo strascico da un uomo.

- Ottantasei lords o primogeniti di lordspresiedono alle ottantasei tavoledi cinquecento coperti ciascunaimbandite

ogni giorno in onore di sua maestà nel suo palazzoa spese della regioneche attornia la residenza reale.

- Un plebeo che colpisce un lord ha il pugno mozzato.

- Il lord è quasi re.

- Il lord è quasi Dio.

- La terra è una lordship.

- Gli inglesi chiamano Dio mylord.

Di fronte a questa scritta ce n'era un'altra del medesimo tenoreeccola:

SODDISFAZIONI CHE DEVONO BASTARE

A QUELLI CHE NON HANNO NIENTE

- Henry Auverquerqueconte di Granthamche siede alla camera dei lords trail conte di Jersey e il conte di Greenwich

possiede una rendita di centomila sterline. È suo il palazzoGrantham-Terracetutto costruito in marmo e famoso per

quello che chiamano il labirinto dei corridoiun vero capriccio che contieneil corridoio carnato in marmo di Sarancolin

il corridoio bruno in lumachella di Astracanil corridoio bianco in marmo diLaniil corridoio nero in marmo

d'Alabandail corridoio grigio in marmo di Staremmail corridoio giallo inmarmo di Hesseil corridoio verde in

marmo del Tiroloil corridoio rosso metà in screziato di Boemia e metà inlumachella di Cardonail corridoio blu in

turchino di Genovail corridoio viola in granito di Catalognail corridoioluttovenato di bianco e di neroin scisto di

Murviedroil corridoio rosa in cipollino delle Alpiil corridoio perla inlumachella di Nonettee il corridoio di tutti i

coloridetto corridoio cortigianoin breccia arlecchina.

- Richard Lowthervisconte Lonsdalepossiede Lowthernel Westmorelanddall'accesso sfarzosocon una scalinata

che è un invito per i re ad entrare.

- Richardconte di Scarboroughvisconte e barone di Lumleyvisconte diWaterford in Irlandalord-luogotenente e

vice-ammiraglio della contea di Northumberland e di Durhamcittà e conteapossiede la doppia castellania di Stansted

quella antica e quella modernadove si ammira la superba cancellata asemicerchio che circonda una vasca

dall'incomparabile getto d'acqua. Inoltre possiede un castello a Lumley.

- Robert Darcyconte di Holdernesspossiede il dominio di Holdernesscontorri baronali e sconfinati giardini alla

francese dove passeggia sulla sua carrozza a sei cavallipreceduto da duescudiericome si conviene a un pari

d'Inghilterra.

- Charles Beauclerkduca di Saint-Albansconte di BurfordbaroneHeddingtongran falconiere d'Inghilterrapossiede

un palazzo a Windsorvicino a quello del ree non meno regale.

- Charles Bodvillelord Robartesbarone Trurovisconte BodmynpossiedeWimple a Cambridgeformato da tre

palazzi con tre frontoniuno a arco e due triangolari. Il viale d'ingressoè fiancheggiato da quattro file d'alberi.

- Il nobilissimo e potentissimo lord Philippe Herbertvisconte di Caërdifconte di Montgomericonte di Pembroke

signore e pari inesorabile di CandallMarmionSaint-Quentine Churlandcuratore delle miniere di stagno nelle contee

di Cornovaglia e di Davonvisitatore per diritto ereditario del collegio diGesùpossiede il meraviglioso giardino di

Willtoncon le due vasche a fasci d'acquapiù belle di quelle che ilcristianissimo re Luigi quattordicesimo aveva a

Versailles.- Charles Seymourduca di Somersetpossiede Somerset-House sulTamigiche eguaglia villa Pamphili a Roma.

Notevoli sull'imponente camino i due vasi di porcellana della dinastia Yuenche valgono mezzo milione di franchi

francesi.

- Nello YorkshireArthurlord Ingramvisconte IrwinpossiedeTemple-Newshamdove si entra per un arco di trionfo

e dove gli ampi tetti piatti fanno pensare alle terrazze moresche.

- Robertlord Ferrers di ChartleyBourchier e Lovainepossiede nelLeicestershireStauton Haroldcon un parco a

pianta geometrica che raffigura un tempio con frontone; gli appartiene anchela grande chiesa dal campanile quadrato

davanti allo specchio d'acqua.

- Nella contea di NorthamptonCharles Spencerconte di Sunderlandmembrodel consiglio privato di sua maestà

possiede Althropa cui si accede per una cancellata a quattro pilastrisormontati da gruppi marmorei.

- Laurence Hydeconte di Rochesterpossiede nel SurreyNew-Parkesplendida per il suo acroterio scolpitoper il

cerchio di tappeto erboso coronato d'alberiper le sue foreste che sullosfondo mostrano una montagnola arrotondata ad

arte e sormontata da una grande quercia visibile da lontano.

- Philippe Stanhopeconte di Chesterfieldpossiede Bredbynel Derbyshirecon un superbo padiglione dell'orologio

falconierivivaibellissimi laghetti allungatiquadratiovalie traquesti uno a forma di specchiocon due zampilli

altissimi.

- Lord Cornwallisbarone di Eyepossiede Brome-Hallun palazzo delquattordicesimo secolo.

- Il nobilissimo Algernon Capelvisconte Maldenconte d'EssexpossiedeCashiobury nell'Hersfordshireun castello a

forma di grande Hdove si tengono partite di caccia molto ricche diselvaggina.

- Charleslord Ossulstonepossiede Dawlynel Middlesexa cui si arrivaattraverso giardini all'italiana.

- James Cecillconte di Salisburya sette leghe da LondrapossiedeHartfield-Housecon quattro padiglioni nobiliarila

torre campanaria al centro e la corte d'onorelastricata in bianco e nerocome quella di Saint-Germain. Il palazzoche ha

una facciata di duecentosettantadue piediè stato costruito sotto Giacomo Idal gran tesoriere d'Inghilterrabisavolo del

conte che regna attualmente. Vi si può vedere il letto di una contessa diSalisburydi valore inestimabileinteramente

fatto con quel legno brasiliano che è una panacea contro i morsi deiserpentie che viene chiamato milhombrescioè

mille uomini. Sul letto è scritto a lettere d'oro: Honni soit qui maly pense.

- Edward Richconte di Warwick e Hollandpossiede Warwich-Castlenei suoicamini vengono bruciate querce intere.

- Nella parrocchia di Seven-OaksCharles Sackvillebarone Buckhurstvisconte Cranfieldconte di Dorset e

Middlesexpossiede Knowlegrande come una cittàcomposta di tre palazziallineati uno dietro l'altro come schiere di

fanticon dieci pigne in scala sulla facciata principalee una porta sottoil maschio a quattro torri.

- Thomas Thynnevisconte Weymouthbarone Varminsterpossiede Long-Leateche ha quasi tanti caminilucernari

chioschigarittepadiglioni e torrette quanti ne ha Chambord in Franciache è proprietà del re.

- Henry Howardconte di Suffolkpossiedea dodici leghe da Londrailpalazzo di Audlyene nel Middlesexche per

grandezza e maestosità è di poco inferiore all'Escorial del re di Spagna.

- Nel BedforshireWrest-House-and-Parkche è piuttosto un paese chiuso dafossati e da muragliecon boschicorsi

d'acqua e collineappartiene a Henrimarchese di Kent.

- Hampton-Courtnell'Herefordcol possente maschio merlato e un giardinodelimitato da uno specchio d'acqua che lo

separa dalla forestaè di Thomaslord Coningsby.

- Grimsthorfnel Lincolnshirecon la lunga facciata tagliata dalle altetorrette a palocon i parchigli stagnile

fagianaiegli ovilile radure erbosei filari di alberile passeggiatele fustaiele aiuole ricamate di fioria quadretti e a

losanghe come grandi tappetile praterie per le corsee la maestosaspianata circolare dove le carrozze fanno carosello

prima di entrare a palazzoappartiene a Robertconte Lindsaylordereditario della foresta di Walham.

- Up Parkenel Sussexcastello quadrato con due padiglioni simmetrici etorre campanaria ai due lati della corte

d'onoreappartiene all'onorevolissimo Fordlord Greyvisconte Glendale econte di Tankarville.

- Newnham Padoxnel Warwickshirecon due vivai quadrangolari e una pigna aquattro comparti di vetroappartiene al

conte di Denbighche è conte di Rheinfelden in Germania.

- Wythamenella contea di Berkcon il giardino francese dove ci sonoquattro pergolati ben potati e una grande torre

merlata affiancata da due alti bastioni di guerraappartiene a lord Montagueconte d'Abingdonche è padrone e barone

anche di Rycottdovesulla porta principale c'è scritto: Virtus arietefortior.

- William Cavendishduca di Devonshirepossiede sei castellie tra questiChatsworthsu due piani del più bell'ordine

grecoe inoltre sua grazia possiede il palazzo di Londradove c'è un leoneche volta il dorso al palazzo del re.

- Il visconte Kinalmeakyconte di Cork in Irlandapossiede Burlington-Housein Piccadillycon vasti giardini che si

estendono fino ai campi fuori Londrapossiede inoltre Chiswick dove ci sononove splendidi edificie infine

Londesbourghuna costruzione recente accanto a un antico palazzo.

- Il duca di Beaufort possiede Chelseacomposta da due castelli gotici e unofiorentino; possiede anche Badmington nel

Glocesterche è una residenza da dove un nugolo di viali si irradia come dauna stella. Il nobilissimo e potente principe

Enricoduca di Beaufortè al tempo stesso marchese e conte di Worcesterbarone Raglanbarone Power e barone

Herbert di Chepstow.

- John Hollesduca di Newcastle e marchese di Clarepossiede Bolsovercheha un maestoso maschio quadratoe

Haughton nel Nottinghamdove al centro di una vasca c'è una piramide conicaa imitazione della torre di Babele.- Williamlord Cravenbarone Craven diHampsteadpossiede nello Warwickshire la residenza di Comb -Abbeydove

si può vedere il più bel getto d'acqua d'Inghilterrae nel Berkshire duebaronieHampstead Marshallcon le cinque

lanterne gotiche incastonate nella facciatae Asdowne Parkcastello inmezzo a un crocevia di strade dentro una foresta.

- Lord Linnoeus Clancharliebarone Clancharlie e Hunkervillemarchese diCorleone in Siciliadeve il suo titolo di

pari al castello di Clancharlieedificato nel 914 da Edoardo il vecchiocontro i danesie inoltre possiede il palazzo di

Hunkerville-House a Londrae l'altro di Corleone-Lodge a Windsore ottocastellanieuna a Bruxtonsul Trentcon un

diritto sulle cave d'alabastroe poi GumdraithHombleMoricambeTrenwardraithHell-Kerterscon il suo pozzo

meravigliosoPillinmorecon le sue torbiereReculver vicino all'anticacittà di VagnacoeVinecaunton sulla montagna

Moil-enlli; e ancora diciannove borghi e villaggi con i loro balivie tuttoquanto il paese di Pensneth-chase; queste

proprietà fruttano a sua signoria quarantamila sterline di rendita.

- I centosettantadue pari che regnano sotto Giacomo II godonocomplessivamente di una rendita di un milione e

duecentosettantaduemila sterline all'annopari all'undicesima parte delleentrate inglesi.

Di fianco all'ultimo nomequello di lord Linnoeus Clancharliesi leggevanoqueste parole scritte da Ursus:

«Ribelle; in esilio; benicastelli e proprietà sotto sequestro. Ben fatto».

IV

Ursus ammirava Homo. Si ammira chi ci è vicino. Per forza.

Sempre in preda a una sorda colleraesteriormente Ursus si limitava abrontolare. Ursus rappresentava lo scontento

della creazione. Il suo ruolo naturale era di opporsi. Prendeva l'universodalla parte sbagliata. Non dava soddisfazione a

niente e a nessuno. Le api facevano il mielema ciò non toglieva chepungesseroe il sole era responsabile della febbre

gialla e del vomito nero anche se faceva fiorire le rose. Non è escluso chenell'intimità Ursus rivolgesse molte critiche

anche a Dio. Diceva: «Il diavolo va a mollae Dioevidentementehalasciato andare lo scatto». Approvava solo i

principi e aveva un suo modo particolare di applaudirli. Un giornomentreGiacomo II donava una lampada d'oro

massiccio alla Vergine di una cappella cattolica irlandeseUrsusche stavapassando di là in compagnia di Homopiù

indifferente che maiscoppiò in grida di ammirazione davanti a tutti: «Èproprio vero che la santa Vergine ha bisogno di

una lampada d'oro più di quanto questi bambini a piedi nudi non abbianobisogno di scarpe».

Furono probabilmente simili prove di - lealtà -e l'indiscusso rispetto peril potere costituitoche indussero i magistrati a

tollerare i suoi vagabondaggi e quello strano connubio con un lupo. Qualchevolta di seracon debolezza d'amico

permetteva che Homo girasse senza catena intorno alla carretta per stirarsiun po' le membra; il lupoincapace di

abusare della fiduciasi comportava - in società -cioè tra gli uominicon la discrezione di un cane barbone; tuttavia

Ursusnel timore d'incontrare qualche giudice di cattivo umoreteneva ilbuon lupo incatenato il più a lungo possibile.

Dal punto di vista politico il cartello sull'oroormai indecifrabile ecomunque poco comprensibilenon era altro che uno

scarabocchio ornamentaleche certo non poteva metterlo nei guai. Anche dopoGiacomo IIsotto il regno - rispettabile -

di Guglielmo e Mariai piccoli centri delle contee inglesi potevanoassistere al placido vagabondaggio della sua

carretta. Si spostava liberamente da un capo all'altro della Gran Bretagnasmerciando filtri e boccetteconfezionando

con la complicità del lupoi suoi intrugli di medico da strapazzo; sapevadestreggiarsi poi tra le maglie della rete che la

poliziain quel tempotendeva in tutta l'Inghilterra per setacciare lebande dei nomadi e soprattutto per cogliere al varco

i «comprachicos».

D'altra parte era giusto. Ursus non apparteneva ad alcuna banda. Ursus vivevacon Ursus; a tu per tu con se stesso e con

il muso di un lupo cheeducatamentefaceva capolino. Ursus avrebbe volutoessere una creatura dei Caraibi; in

mancanza d'altro viveva da solo. Il solitario è un piccolo selvaggioaccettato dalla civiltà. Ma se si va alla venturasi è

ancora più soli. Da qui la sua continua irrequietezza. Fermarsi da qualcheparte era per lui un segno di cedimento.

Vivere era andar oltre. La vista delle città raddoppiava il suo desiderio dicespugliboscagliespine e anfratti rocciosi.

La sua casa era la foresta. Non si sentiva poi così spaesato nel mormoriodelle piazzetanto simile allo stormire degli

alberi. La folla soddisfa in qualche misura il gusto per il deserto. Glidispiaceva che porta e finestre facessero del

baracchino una casa. Il suo ideale sarebbe stata una caverna su quattroruotepoter viaggiare in un antro.

Non sorridevacome abbiamo dettoma sapeva ridere; a volte anche spesso; unriso amaro. Il sorriso sembra quasi

accondiscenderementre non di rado ridere significa rifiutare.

Odiare il genere umano era affar suo. E in questo odio era implacabile.Avendo capito che la vita umana è una faccenda

atroceavendo notato che le disgrazie crescono una sull'altrai re sulpopolola guerra sui rela peste sulla guerrala

fame sulla pestee la stupidità su tutto; avendo costatato che il solofatto di esistere comporta una certa dose di castigo

riconosceva nella morte una liberazione e per questoquando gli portavano unmalatolo guariva. Aveva cordiali e

pozioni per allungare la vita ai vecchi. Rimetteva in piedi gli storpimotteggiandoli: «Eccoti sulle zampe. Ti auguro di

camminare a lungo in questa valle di lacrime!». Quando vedeva un povero chestava morendo di famegli dava tutte le

monete che aveva in tascabrontolando: «Vivimiserabile! Mangia! Campa alungo! Non sarò certo io ad abbreviarti la

galera». Dopo di chefregandosi le manidiceva: «Faccio agli uomini tuttoil male che posso».

I passanti potevano leggere attraverso una fessura nella finestrella sulretro del baracchino: URSUS FILOSOFOscritto

con il carbone a grandi lettere sul soffittoe visibile anche da fuori.

II • I COMPRACHICOSI

Chi si ricorda più della parola comprachicos? E chi ne conosce ilsignificato?

I comprachicoso comprapequeñoserano una raccapricciante e strana settadi nomadifamosa nel diciassettesimo

secolodimenticata nel diciottesimoignorata oggi. I comp rachicoscome«il farmaco delle successioni»sono un

dettaglio caratteristico della società antica. Sono un tratto della costantebassezza umana. Dal punto di vista generale

della storiai comprachicos riguardano l'interminabile capitolo dellaschiavitù. Giuseppe venduto dai fratelli è un

momento di questa leggenda. I comprachicos hanno lasciato una traccia nellelegislazioni penali spagnole e inglesi. Qua

e lànell'oscura confusione delle leggi inglesisi trova ancora l'improntadi questo fatto mostruosocome quella di un

selvaggio nella foresta.

Comprachicoscome comprapequeñosè una parola composta spagnolachesignifica «mercanti di bambini».

I comprachicos commerciavano in bambini.

Li compravano e li vendevano.

Non li rapivano. Il furto dei bambini è una specialità diversa.

Cosa ne facevano?

Dei mostri.

Perché?

Per far ridere.

Il popolo ha bisogno di rideree anche i re. Ai crocevia i saltimbanchinelle corti i buffoni. Uno si chiama Turlupin

l'altro Triboulet.

Gli sforzi che l'uomo fa per procurarsi un po' di gioia qualche volta sonodegni dell'attenzione del filosofo.

Cosa vogliamo abbozzare in queste poche pagine preliminari? Un capitolo delpiù tremendo dei libriquello che

potrebbe intitolarsi: Sfruttamento dei disgraziati da parte dei fortunati.

II

È un fatto che c'erano bambini destinati a essere giocattoli per gli adulti.(Ci sono ancor oggi.) Nelle epoche primitive e

feroci ciò costituisce un'attività particolare. Il secolo diciassettesimodetto il grande secolofu una di quelle epoche. Un

secolo davvero bizantino; conobbe l'ingenuità corrotta e la delicataferociacuriose varianti della civiltà. Una tigre che

fa boccuccia. Le moine di una Madame de Sévigné davanti al rogo e allaruota. Questo secolo sfruttò molto i bambini;

gli storiciadulandolohanno nascosto la piagama non il rimedio: Vincentde Paul.

Per fare un uomo giocattolo bisogna prenderlo per tempo. Si diventa nani dapiccoli. Godevano dell'infanzia. Ma un

bambino diritto non è molto divertente. Un gobbo fa più allegria.

Da qui tutta un'arte. C'erano degli allevatori. Di un uomo facevano unaborto; prendevano un volto e lo trasformavano

in grugno. Comprimevano la crescitamodellavano la fisionomia. La produzioneartificiale di esemplari teratologici

comportava regole precise. Era una scienza in tutto e per tutto. Bastaimmaginare un'ortopedia al contrario. Dove Dio ha

voluto lo sguardoquest'arte metteva lo strabismo. Dove Dio ha volutol'armoniametteva la deformità. Dove Dio ha

voluto la perfezioneristabiliva l'abbozzo. Ma agli occhi di quelli che sene intendevano la vera perfezione era

l'abbozzo. C'erano anche riparazioni sostanziali degli animali; si creavanocavalli pezzatiTurenne ne montava uno.

D'altra parteai giorni nostrinon si dipingono i cani di blu o di verde?La natura è il nostro canovaccio. L'uomo ha

sempre voluto aggiungere qualcosa a Dio. L'uomo ritocca la creazionea voltebenea volte male. Il buffone di corte

non era altro che il tentativo di riportare l'uomo alla scimmia. Progressoall'indietro. Capolavoro a ritroso. Ma nello

stesso tempo si voleva fare della scimmia un uomo. Barbeduchessa diCleveland e contessa di Southamptonteneva

come paggio un cebo. In casa di Françoise Suttonbaronessa Dudleyottavapari al banco dei baroniil tè era servito da

un babbuino in broccato d'oroche lady Dudley chiamava «il mio negro».Catherine Sidleycontessa di Dorchester

andava alle sedute del parlamento con una carrozza blasonataseguita da trebabbuini in gran livrea chemuso al vento

si tenevano ritti. Una duchessa di Medina-Coelialla cui toeletta presenziòil cardinale Polussi faceva infilare le calze

da un orango. Le scimmie assurte controbilanciavano gli uomini brutalmenteridotti a bestie. Questa promiscuità

dell'uomo con l'animalevoluta dai potentiera particolarmente evidente trail nano e il cane. Il nano non lasciava mai il

canesempre più grande di lui. Il cane era il doppio del nano. Erano duecollane appaiate. Un'infinità di documenti

famigliari attesta l'accoppiamentoin particolare il ritratto di JeffreyHudsonnano di Enrichetta di Franciafiglia di

Enrico IVmoglie di Carlo I.

Per degradare l'uomo lo si deve deformare. Si completava la sua degradazionesfigurandolo. C'erano in quel tempo dei

vivisettori bravissimi nel cancellare dal volto umano il sembiante divino. Ildottor Conquestmembro del collegio

d'Amen-Street e ispettore giurato delle botteghe chimiche di Londrahascritto un libro in latino su questa chirurgia alla

rovesciaspiegandone i procedimenti. Secondo Justus de Carrick-Fergusl'inventore di questo tipo di chirurgia sarebbe

un monaco chiamato Aven-Moreparola irlandese che significa Grande fiume .

Nei sotterranei di Heidelberg c'è ancora la riproduzione - o lo spettro - diPerkeoil nano dell'elettore del Palatinatoche

esce da una scatola a sorpresaesemplare notevole delle moltepliciapplicazioni di quella scienza.

Essa generava delle creature che obbedivano a una legge terribilmentesemplice: potevano soffriredovevano divertire.III

La fabbrica dei mostri produceva su vasta scala e riguardava diversi generi.

Ne occorrevano al sultanone occorrevano al papa. Al primo per sorvegliarele moglial secondo per recitare le sue

preghiere. Questo genere speciale di creature non poteva riprodursi da solo.Queste approssimazioni umane servivano al

piacere e alla religione. Serraglio e cappella Sistina consumavano lo stessotipo di mostriqui ferocilà soavi.

A quei tempi producevano cose che oggi non sappiamo più fareci manca illoro talentoe hanno ragione gli spiriti più

nobili che gridano alla decadenza. Si è persa l'arte di scolpire in pienacarne umanaciò dipende dal fatto che è in

declino anche l'arte dei supplizi; in questo genere una volta c'era delvirtuosismoora non più; lo abbiamo talmente

semplificato che forse è destinato a scomparire del tutto. E che esperienzeche scoperte tagliando le membra a uomini

viviaprendo loro il ventrestrappandogli le viscere; dobbiamo rinunciarviprivandoci del progresso che il boia faceva

fare alla chirurgia.

Ma la vivisezione di un tempo non si limitava a confezionare spettacoli perla piazza e buffoni per i palazziquesta

specie di caricature del cortigianoo eunuchi per papi e sultani. Essa nonlesinava varianti. Uno dei suoi trionfi

consisteva nel fare un gallo per il re d'Inghilterra.

Era consuetudine che nel palazzo del re d'Inghilterra ci fosse una specie diuomo notturno che cantava come un gallo.

Questo guardianoin piedi mentre tutti dormivanosi aggirava per il palazzolanciandoallo scoccare di ogni orail suo

verso da cortilee lo ripeteva tutte le volte che avrebbe dovuto suonare lacampana. Per essere promosso gallo

quest'uomo aveva subito da bambino un'operazione alla faringeoperazionedescritta nel trattato del dottor Conquest.

Sotto Carlo IIpoiché la duchessa di Portsmouth era rimasta disgustatadall'eccesso di salivacausato da una di quelle

operazionisi conservò la funzione per non diminuire il prestigio dellacoronama si fece fare il verso del gallo a un

uomo non mutilato. Di solito per l'onore di assolvere questo impegno venivascelto un ufficiale anziano. Sotto Giacomo

IIil funzionario si chiamava William Sampson Galloe ogni anno per il suocanto riceveva nove sterlinedue scellini e

sei soldi.

Ancora cento anni fa a Pietroburgocome racconta Caterina II nelle suememoriequando lo zar e la zarina erano

insoddisfatti di un principe russoquesti veniva fatto accovacciare nellagrande anticamera del palazzodove lo

lasciavano in quella posizione per un certo numero di giorni equando glieloordinavanodoveva miagolare come un

gattochiocciare come una gallina che cova e beccare per terra il cibo.

Sono mode tramontatemeno di quanto si credaperò. Oggiad esempioicortigiani per rendersi gradevoli chiocciano

modificando un po' l'intonazione. Più d'uno raccatta da terraper non direnel fangociò che mangia.

È una gran fortuna che i re non possano sbagliarsi. Così le lorocontraddizioni non creano mai imbarazzo. Dicendo

sempre di sìsi può essere sicuri di aver comunque ragionee questa èuna cosa che fa piacere. Luigi XIV non avrebbe

tollerato a Versailles un ufficiale che facesse il galloné un principe chefacesse il tacchino. Ciò che esaltava la dignità

reale e imperiale in Inghilterra e in Russiasarebbe sembrato a Luigi ilGrande incompatibile con la corona di San

Luigi. È ben noto il suo disappunto quando una notte Madame Henriette ebbela sventatezza di sognare una gallina

indecenza non da poco per una persona della corte. Chi sta in alto non devesognare cose basse. Bossuetè noto

condivise l'indignazione di Luigi XIV.

IV

Nel diciassettesimo secolocome abbiamo spiegatoil commercio dei bambinisi era trasformato in un'industria. I

comprachicos erano quelli che facevano questo commercio e esercitavano questaindustria. Compravano i bambini

lavoravano un po' la materia prima e poi la rivendevano.

C'erano diversi tipi di fornitoridal padre snaturato che si liberava dellapropria famigliaal padrone che sfruttava il suo

allevamento di schiavi. Niente di più semplice che vendere uomini. C'è chiai giorni nostrisi è battuto per conservare

questo diritto. Ricordiamoci che meno di un secolo fa l'elettore di Hessevendeva i suoi sudditi al re d'Inghilterrache

aveva bisogno di uomini da far uccidere in America. Si andava dall'elettoredi Hesse come si va dal macellaioper

acquistare della carne. Quella dell'elettore di Hesse era carne da cannone.Il principe appendeva i suoi sudditi nella

bottega. Fate delle offerteè tutto in vendita. In InghilterrasottoJeffrydopo la tragica avventura di Monmouthmolti

signori e gentiluomini furono decapitati e squartati; quei disgraziatilasciarono spose e figlievedove e orfane che

Giacomo II donò alla regina sua moglie. La regina le vendette a William Penn.È probabile che il re ne ricavasse una

rendita e una percentuale. Ma quello che stupisce non è che Giacomo II abbiavenduto quelle donnequanto il fatto che

William Penn le abbia acquistate.

L'acquisto di Penn si scusao meglio si spiegase pensiamo chedovendoseminare a uomini un desertoaveva bisogno

di donne. Le donne facevano parte della sua attrezzatura. Quelle signorefurono un buon affare per sua maestà graziosa

la regina. Le giovani furono vendute a caro prezzo. È solo con il disagiosuscitato da uno scandalo intricato che

immaginiamo Penn mentre compra a buon mercato delle vecchie duchesse.

I comprachicos si chiamavano anche «cheylas»parola indù che significa cacciatoridi bambini.Per molto tempo i comprachicos si nascosero solo per modo didire. C'è nell'ordine sociale come una penombra

indulgente verso le industrie della scelleratezzaed esse ne approfittano.Ai giorni nostri il bandito Ramon Selle

comandò dal 1834 al 1866 una associazione di quel genereterrorizzando pertrent'anni tre province: ValenciaAlicante

e Murcie.

Sotto gli Stuart i comprachicos non erano mal visti a corte. La ragion distatoal momento opportunose ne serviva. Per

Giacomo II furono quasi un instrumentum regni. Era l'epoca in cui sistroncavano le famiglie divenute ingombranti e

riottoseo distruggendone la discendenza o sopprimendone con la forza glieredi. Qualche volta si defraudava un ramo a

favore di un altro. I comprachicos possedevano quel talento di sfigurare cheli raccomandava alla politica. Sfigurare è

meglio che uccidere. C'era la maschera di ferroma è un mezzo troppogrossolano. Non si può riempire l'Europa di

maschere di ferroquando è così plausibile che ci siano per stradagiocolieri deformi; inoltre la maschera di ferro si può

strapparequella di carneno. Niente di più ingegnoso che fare del vostroviso una maschera eterna. I comprachicos

lavoravano l'uomo come i cinesi lavorano l'albero. Avevano dei segretil'abbiamo detto. Dei trucchi. Un'arte perduta.

Dalle loro mani usciva qualcosa di rattrappito e bizzarro. Un abisso diridicolo. Ritoccavano un bambino con tanta

abilità che il padre non l'avrebbe riconosciuto. Et que méconnaîtraitl'oeil même de son pèreha detto Racine con un

errore di francese. Qualche volta lasciavano la spina dorsale dirittamarifacevano la faccia. Falsificavano un bambino

come si falsifica la cifra su un fazzoletto.

I prodotti destinati ai saltimbanchi avevano le articolazioni slogate alpunto giusto. Si potrebbe dire che erano disossati.

Ne avevano fatto dei ginnasti.

I comprachicos toglievano al bambino non solo il suo voltoma anche lamemoria. Per quanto almeno era possibile. Il

bambino non era cosciente della mutilazione subita. Quell'orribile chirurgiasegnava la faccianon lo spirito. Al

massimo poteva ricordare che un giorno degli uomini lo avevano presopoi chesi era addormentatoe che in seguito lo

avevano guarito. Guarito da cosa? Lo ignorava. Non ricordava le scottaturedello zolfo e le incisioni del ferro. Durante

l'operazione i comprachicos assopivano il piccolo paziente con una polverestupefacenteche si credeva fosse magica e

toglieva il dolore. In Cina la conoscono da sempre e la usano ancor oggi. Icinesi ci hanno preceduto in tutte le

invenzionidalla stampa all'artiglieriadall'aerostatica al cloroformio.Solo che mentre in Europa le scoperte

attecchiscono subito e si sviluppano in modo prodigioso e meravigliosoinCina restano allo stato di embrioni e si

conservano morte. La Cina è un barattolo di feti.

Dal momento che siamo in Cinarestiamoci ancora per un dettaglio. In tuttele epoche i cinesi hanno progredito nell'arte

di modellare l'uomo vivo. Si prende un bambino di due o tre anni e lo simette in un vaso di porcellana di forma più o

meno curiosasenza coperchio e senza fondoper farvi passare la testa e ipiedi. Di giorno si tiene il vaso dirittodi

notte lo si corica affinché il bambino possa dormire. In questo modo ilbambino ingrassa senza crescereriempiendo di

carne compressa e di ossa contorte le cavità del vaso. Questa crescita inbottiglia dura per anni. A un certo punto è

definitiva. Quando si giudica che tutto è pronto e che il mostro èriuscitosi rompe il vasone esce il bambino ed ecco

ottenuto l'uomo a forma di vaso.

È comodosi può ordinare in anticipo il nano con la forma desiderata.

V

Giacomo II tollerò i comprachicos per la buona ragione che se ne serviva.Capitò più di una volta. Non si può sempre

rifiutare ciò che si disprezza. Questa attività volgareeccellentestrumento a volte per quella nobile attività che è la

politicaera lasciata di proposito in uno stato miserabilema senza essereperseguitata. Nessuna sorveglianzasolo una

certa attenzione. Poteva essere utile. La legge chiudeva un occhioil reapriva l'altro.

A volte il re si spingeva fino a confessare la sua complicità. Questa èl'audacia del terrorismo monarchico. Lo sfigurato

era marcato con un giglio; gli toglievano l'impronta di Dio per sostituirlacon quella del re. Jacob Astleycavaliere e

baronettosignore di Meltonconestabile nella contea di Norfolkebbe nellasua famiglia un bambino vendutol'addetto

alla vendita aveva impresso a fuoco sulla fronte del bambino un giglio.Questo mezzo era usato perché in certi casiper

svariati motivisi rendeva necessario accertare la volontà reale nellanuova situazione del bambino. L'Inghilterra ci ha

sempre fatto l'onore di utilizzare il giglio per questi scopi particolari.

I comprachicoscon la sfumatura che distingue l'industria dal fanatismoerano paragonabili agli strangolatori indiani;

vivevano tra loroin bandesi camuffavano da giocoliericosì circolavanopiù liberamente. Si accampavano qua e là

cupireligiosinon avevano niente in comune con gli altri nomadinonrubavano mai. Per molto tempo il popolo li ha

confusi a torto con i mori di Spagna e di Cina. Ma i mori spagnoli eranofalsariquelli cinesi borsaioli. Niente a che fare

con i comprachicos. Erano gente onesta. Pensatene quello che volete. A volteerano sinceramente scrupolosi. Aprivano

la portaentravanotrattavano il prezzo del bambinopagavano e se loportavano via. Era tutto corretto.

Venivano da ogni paese. Sotto il nome di comprachicos fraternizzavanoinglesifrancesicastiglianitedeschi e italiani.

Uno stesso pensieroun'unica idea fissal'esercitare una comune attivitàportano a simili fusioni. In questa confraternita

di delinquentii levantini rappresentavano l'Orientei ponentinil'Occidente. Baschi e irlandesi parlavano tra di lorosi

capivano perché derivano dallo stesso dialetto punico; per non dire deilegami intimi tra l'Irlanda cattolica e la cattolica

Spagna. Legami che hanno finito per far impiccare a Londra un quasi red'Irlandail lord gallese di Branydando

origine alla contea di Letrim.I comprachicos erano più un'associazione cheuna tribù di nomadipiù feccia che associazione. Erano i rifiuti

dell'universo impegnati nel crimine. Una specie di popolo arlecchino fatto ditutti gli stracci. Un nuovo affiliato era un

brandello che si aggiungeva.

Vagabondare era la legge di vita dei comprachicos. Apparivano e scomparivano.Chi è appena sopportato non mette

radici. Anche nei regni dove rifornivano le corti ein caso di necessitàerano utili al potere realevenivano

improvvisamente maltrattati. I re si servivano della loro arte e poimettevano gli artisti in galera. Incongruenze del

volubile capriccio reale. Fa parte del nostro piacere.

Pietra che rotola e commercio che si spostanon fanno muschio. Icomprachicos erano poveri. Avrebbero potuto

ripetere quello che diceva una vecchia strega cenciosa vedendo accendersi latorcia del rogo: «Il gioco non vale la

candela». Può darsianzi è molto probabileche i loro capirimastisconosciutii grandi affaristi di questo commercio di

bambinifossero ricchi. Ma dopo due secoli sarebbe difficile far luce suquesto punto.

Si trattavacome abbiamo dettodi un'affiliazione. Con le sue leggigiuramenti e formule. Si può quasi dire che avesse

la propria cabala. Chi oggi volesse saperne di più sui comprachicosnondovrebbe far altro che andare in Biscaglia e in

Galizia. Poiché tra loro c'erano molti baschila leggenda dei comprachicossopravvive su quelle montagne. Si dice che

ce ne siano ancora a Oyarzuna Urbistondoa Lesoa Astigarraga. Aguardateniñoque voy a llamar al comprachicos

è in quei paesi il grido delle madri per spaventare i bambini.

I comprachicoscome gli zigani e i gypsiessi davano degliappuntamenti; ogni tanto i capi si trovavano a consiglio. Nel

diciassettesimo secolo avevano quattro punti d'incontro principali. Uno inSpagnail passo di Pancorbo; uno in

Germaniala radura detta della Donna cattivavicino a Diekirchdoveci sono due enigmatici bassorilievi che

rappresentano una donna con testa e un uomo senza; uno in Francial'alturadove c'era la colossale statua Massue-la-Promesse

nell'antico bosco sacro di Borvo-Tomonavicino a Bourbonne-les-Bains; uno inInghilterradietro il muro

del giardino di William Chalonerscudiero di Gisbrough in Cleveland nelloYorktra la torre quadrata e la facciata in

cui si apriva una porta ogivale.

VI

Le leggi contro il vagabondaggio sono sempre state molto severe inInghilterra. Nella propria legislazione gotica

l'Inghilterra sembrava ispirarsi al principio: Homo errans fera errantepejor. Uno dei suoi statuti speciali definisce

l'uomo senza fissa dimora «più pericoloso dell'aspidedel dragodellalince e del basilisco» (atrocior aspidedracone

lynce et basilisco). Per molto tempo l'Inghilterra si è preoccupata allostesso modo degli zingaridi cui si voleva

sbarazzaree dei lupidi cui si era liberata.

Tuttavia la legge inglese tollerava sia il lupo docile e addomesticatocomeabbiamo vistodivenuto in qualche modo un

canesia il vagabondo ufficiale divenuto un suddito. Non dava noie né alsaltimbanconé al barbiere ambulantené al

mediconé ai commercianti al minutoné ai filosofi all'apertodato cheesercitavano un mestiere per vivere. Al di fuori

di ciòe tranne queste eccezionialla legge faceva paura lo spirito dilibertà che si nasconde nel vagabondo. Ogni

viandante poteva essere un nemico pubblico. Ignoravano l'espressione moderna«andare a spasso»non conoscevano

che quella antica: «vagabondare». «Un brutto ceffo»quel non so checapito da tutti e che nessuno saprebbe definire

era sufficiente alla società per far prendere un uomo per il collo. Doveabiti? Cosa fai? E se non sapeva rispondere lo

attendevano dure pene. Il ferro e il fuoco erano previsti dal codice. Lalegge praticava la cauterizzazione del

vagabondaggio.

Per questo in tutto il territorio inglese si applicava una vera «legge deisospetti»che riguardava i vagabondimalfattori

abitualiammettiamolo puree in modo particolare gli zingarila cuiespulsione è stata a torto paragonata a quella degli

ebrei e dei mori dalla Spagnao dei protestanti dalla Francia. Quanto a noinon confondiamo una battuta di caccia con

una persecuzione. È bene insistere sul fatto che i comprachicos non avevanoniente in comune con gli zingari. Gli

zingari erano una nazione; i comprachicos un miscuglio di tutte le nazioni;feccial'abbiamo dettoscolo orribile di

acque immonde. I comprachicos non avevanocome gli zingariun loro idioma;avevano un gergo fatto di idiomi

diversi; tutte le lingue mescolate insieme facevano la loro lingua: un caos.Avevano finito per diventarecome gli

zingariun popolo serpeggiante tra i popoli; ma ciò che li teneva insiemeera l'affiliazionenon la razza. In qualsiasi

epoca storica si può osservare nella vasta massa liquida dell'umanitàcomedei ruscelli d'uomini velenosi che scorrono a

parteinquinando ciò che li circonda. Gli zingari erano una famiglia; icomprachicos una frammassoneriauna

massoneria senza nobili finitranne quello di un odioso commercio. Ultimadifferenza: la religione. Gli zingari erano

paganii comprachicos cristiani; anzibuoni cristianicome giusto per unasetta cheper quanto composta da un

miscuglio di popoliera nata in Spagnapaese devoto.

Erano più cattolici che cristianipiù romani che cattolici; ed erano cosìsuscettibili nella fedee così puriche rifiutarono

di associarsi ai nomadi ungheresi del comitato di Pesthguidati e comandatida un vecchio che aveva come scettro un

bastone dal pomo d'argentosormontato dall'aquila bicipite austriaca. Èvero però che questi ungheresi erano scismatici

al punto di celebrare l'Assunzione il 27 agostocosa veramente abominevole.

In Inghilterrafinché regnarono gli Stuartsla setta dei comprachicosperi motivi che abbiamo suggeritofu quasi

protetta. Giacomo IIuomo pioche perseguitò gli ebrei e braccò glizingarifu un buon principe per i comprachicos.

Abbiamo visto il perché. I comprachicos compravano la derrata umana che ilre mercanteggiava. Erano maestri nel far

sparire le persone. La ragion di stato esige talvolta qualche sparizione.Prendevano un erede importuno ancora piccolo elo manipolavano fino a cancellareil suo aspetto. Ciò facilitava le confische. Ne risultavano agevolati ipassaggi di

signorie ai favoriti. Inoltre i comprachicos erano discretissimi e taciturnisi impegnavano al silenzio e mantenevano la

parola datacosa necessaria nelle faccende di stato. Non era quasi possibilericordare un loro tradimento ai danni del re.

Era nel loro interessequesto è veroperché se il re avesse perso lafiduciaavrebbero corso seri pericoli. Dal punto di

vista politico costituivano dunque una risorsa. Per non dire dei cantori chequesti artisti fornivano al Santo padre.

Contribuivano al miserere dell'Allegri. Erano particolarmente devoti aMaria. Ciò faceva piacere al papismo degli

Stuart. Giacomo II non poteva essere ostile a uomini così religiosi daspingere la loro devozione alla Vergine fino a

creare eunuchi. Nel 1668 ci fu un cambiamento di dinastia in Inghilterra.Casa Orange soppiantò casa Stuart. Guglielmo

III prese il posto di Giacomo II.

Giacomo II morì in esilio; sulla sua tomba avvennero dei miracolie le suereliquie guarirono la fistola del vescovo

d'Autunricompensa davvero degna delle virtù cristiane di questo principe.

Guglielmoche non aveva le stesse idee di Giacomoné era dedito allestesse pratiche religiosesi comportò duramente

con i comprachicos. Ci mise molta buona volontà per schiacciare questacanaglia.

Un'ordinanza dei primi tempi di Guglielmo e Mariacolpì seriamente la settadei mercanti di bambini. Fu una mazzata

per i comprachicosormai annientati. L'ordinanza prevedeva che gli uomini diquesta settauna volta presi e

riconosciuti colpevolidovevano essere marchiati a fuoco su una spalla conla R di rogueche significa furfante; sulla

mano sinistra con la T di thiefche significa ladro; e sulla manodestra con la M di man slayche significa assassino. I

capi «in presunzione di ricchezza anche se d'aspetto miserabile» sarebberostati condannati al collistrigiumcioè alla

gognamarchiati in fronte con una Pe avrebbero avuto i beni confiscati egli alberi dei loro boschi sradicati. Coloro che

non avessero denunciato i comprachicossarebbero stati «puniti con laconfisca e la prigione a vita»come per il reato

di misprision. Quanto alle donne trovate tra i comprachicosavrebberosubito il cucking stooluna piccola gabbia

chiamata così dalla parola francese coquine e da quella tedesca sthulcioè la «sedia delle p...». Questa punizionegrazie

alla straordinaria longevità della legislazione ingleseesiste ancorae lalegge la riserva alle «donne attaccabrighe». Il

cucking stool viene sospeso sopra un torrente o uno stagnovi si fasedere dentro la donnae si lascia cadere la sedia

nell'acquapoi la si tira fuorie per tre volte si ripete questo tuffodella donna «al fine di rinfrescare la sua collera»

come recita il commentatore Chamberlayne.

LIBRO PRIMO • LA NOTTE MENO NERA DELL'UOMO

I • LA PUNTA SUD DI PORTLAND

Per tutto il dicembre del 1689 e il gennaio del 1690 un accanito vento ditramontana soffiò senza tregua da nord sul

continente europeoe in modo ancora più inclemente sull'Inghilterra. Da quiil freddo rovinoso di quell'inverno chesui

margini della vecchia bibbia della cappella presbiteriana dei Non Jurors diLondrafu ricordato come «memorabile per i

poveri». Ancor oggigrazie alla provvidenziale solidità dell'anticapergamena monarchica utilizzata per i registri

ufficialipossiamo leggere in molte raccolte locali lunghi elenchi dimiserabili trovati morti di fame e di freddo

soprattutto nei registri ecclesiastici della Clink Liberty Court del borgo diSouthwarkdella Pie Powder Courtche

significa Corte dei piedi impolveratie della White Chapel Courtretta nelvillaggio di Stapney dal balivo del signore. Il

Tamigi gelòcosa che non capita nemmeno una volta per secolo perchédifficilmente si può formare il ghiaccioa causa

del movimento del mare. I carri passavano sull'acqua gelata; il Tamigi siriempì di fierecon le tendei combattimenti

degli orsi e dei tori; un bue intero fu arrostito sul ghiaccio. Il ghiacciocosì spesso durò per due mesi. Quel penoso 1690

superò in rigore perfino i famosi inverni dell'inizio del diciassettesimosecolocosì minuziosamente osservati dal dottor

Gédéon Delaunche la città di Londra ha voluto onorarein qualità dispeziale di re Giacomo Icon un busto su

piedistallo.

Una seraverso la fine di una delle più gelide giornate di quel gennaio1690in una delle tante insenature inospitali del

golfo di Portland stava accadendo qualcosa di strano che faceva gridare evolteggiare all'entrata dell'insenatura i

gabbiani e i delfiniche non osavano rientrare.

Un piccolo bastimentograzie alle acque profonde di quella radache era lapiù pericolosa di tutto il golfo quando

governavano certi venti (e dunque la più solitariautile per la suainaccessibilità alle navi che si nascondevano)aveva

attraccato quasi sulla scoglieragettando il cavo attorno a uno spuntone diroccia. A torto diciamo che cade la notte

dovremmo dire che la notte saleperché l'oscurità viene dalla terra. Eragià notte ai piedi della scoglierama in alto

faceva ancora giorno. Chi si fosse avvicinato al bastimento ormeggiato loavrebbe subito riconosciuto per un'orca di

Biscaglia.

Il solenascosto tutto il giorno dalle nebbieera appena tramontato. Sicominciava ad avvertire quell'angoscia nera e

profonda che si potrebbe chiamare ansia del sole assente.

Dal mare non veniva ventocosì l'acqua della rada era calma.

Soprattutto d'inverno era una fortunata eccezione. Queste rade di Portlandsono quasi tutte porticcioli sabbiosi. Durante

le mareggiate le acque si scatenano e ci vogliono un'abilità e una praticanon indifferenti per riuscire a passare. Non

sono veri porti e risultano inaffidabili. È da temerari entrarvieterribile venirne fuori. Quella sera invece

miracolosamentenon c'erano pericoli.L'orca di Biscaglia è un vecchiomodello di navecaduto in disuso. L'orcache ha servito anche nella marinamilitare

era uno scafo robustodelle dimensioni di un battello e della solidità diuna nave. Faceva parte dell'Armada; a dire il

vero l'orca da guerra raggiungeva grandi tonnellaggicome la Grand Griffonl'ammiraglia comandata da Lope de

Médinache stazzava seicentocinquanta tonnellate e portava quarantacannonimentre l'orca mercantile e quella da

contrabbando avevano una struttura molto più leggera. La gente di maredisprezzava questi ultimi modelli. Il cordame

dell'orca era fatto di canapa intrecciataqualche volta con l'anima in fildi ferro (ciò starebbe a indicare l'intenzione

certo non scientificadi ottenere indicazioni nei casi di tensionemagnetica); la leggerezza di questa attrezzatura non

escludeva l'esistenza delle grandi gomene da faticale cabrias dellegalere spagnole e i cameli delle triremi romane. La

barra del timonelunghissimapresentava il vantaggio di una grande levamal'inconveniente di un piccolo arco di

sforzo; due piccoli arganiposti nei due incavi all'estremità della sbarracorreggevano il difetto e rimediavano un po'

alla perdita di forza. La bussolaben sistemata nell'abitacolo perfettamentequadratostava in giusto equilibrio sulle due

sospensioni di ramemesse orizzontalmente una dentro l'altra per mezzo dipiccoli perni come nelle lampade di

Cardano. Dietro la costruzione dell'orca c'era una scienza raffinatama sitrattava pur sempre di una scienza rozza e di

una raffinatezza barbara. L'orca era primitiva come la chiatta e la pirogastabile come la prima e veloce come la

secondae teneva egregiamente il mare come tutte le imbarcazioni natedall'esperienza dei pirati e dei pescatori. Andava

bene nelle acque chiuse e in quelle aperte; grazie a un particolare gioco divelecomplicato dai cavi prodieripoteva

permettersi il piccolo cabotaggio nelle baie chiuse delle Asturieche sonoquasi dei bacinicome Pasagese la

navigazione d'alto mare: insommail giro di un lago e il giro del mondo.Erano imbarcazioni davvero singolari

destinate in egual misura allo stagno e alla tempesta. Quello che lacutrettola è tra gli uccellil'orca lo era tra le

imbarcazionientrambe piccolissime e audaci; la cutrettolaappoggiata a unramolo piega appenama quando spicca il

volo attraversa l'oceano.

Anche le più povere delle orche di Biscaglia erano dorate e dipinte. Iltatuaggio è un talento di quelle popolazioni

affascinanti e un po' selvagge. Il sublime contrasto delle loro montagnescreziate di nevi e di pratiha svelato a quegli

uomini il difficile prestigio delle decorazioni. Essi sono poveri e munifici;mettono stemmi sulle capannepossiedono

grandi asini adorni di sonagliere e giganteschi buoi coronati di penne; a dueleghe si sente il cigolio delle ruote dei loro

carricesellati e infiocchettati. Sulla porta di un ciabattino c'è unbassorilievosi tratta di San Crispino con una ciabatta

ma è di pietra. Gallonano le loro vesti di pellenon si limitano a ricuciregli straccili ricamano. Spensieratezza superba

e profonda. I baschicome i grecisono figli del sole. Se il valenciano siavvolgenudo e tristenella sua coperta di lana

rossiccia con un buco per far passare la testagli abitanti della Galizia edella Biscaglia si godono le loro belle camicie

di tela bianche di rugiada. Sulle soglie delle case e dalle finestre siaffacciano volti sani e doratiridenti sotto ghirlande

di granturco. Una serenità gioviale e fiera prorompe nelle loro sempliciartinelle industrienei costuminegli abiti delle

fanciullenelle canzoni. In Biscaglia la montagnaquesto maso colossaleèluminosissima; da ogni breccia entrano e

escono raggi di sole. Il selvaggio Jaïzquivel è pieno d'idilli. LaBiscaglia è la grazia dei Pireneicome la Savoia è la

grazia delle Alpi. Le temibili baie di Leso e Fontarabieattigue aSaint-Sébastiensanno unire alle tormenteai nembi

alle schiume alte sui promontoriai furori del vento e dei marosiall'orroreal fragorele battelliere cinte di rose. Chi ha

visto la regione basca vuole rivederla. È una terra benedetta. Due raccoltiall'annovillaggi di un'allegria vocianteuna

povertà orgogliosale domeniche rumorose piene di chitarreballinacchereamorie poi case pulite e luminosee le

cicogne nei campanili.

Torniamo a Portlandaspra montagna di mare.

La penisola di Portlandin proiezione geometricasembra una testa d'uccellocon il becco rivolto verso l'oceano e la

nuca verso Weymouth; l'istmo è il collo.

Oggi Portlandcon grave danno per la sua natura selvaggiaè una localitàindustriale. Le coste di Portland sono state

scoperte verso la metà del diciottesimo secolo dai cavapietre e daigessaioli. Da allora con la roccia di Portland si fa il

cosiddetto cemento romanoun utile sfruttamento che arricchisce il paesesfigurando la baia. Duecento anni fa le coste

erano diroccate come una scoglieraoggi sono diroccate come una cava; imorsi del piccone sono piccoliquelli

dell'onda sono grandi; da qui una diminuzione della bellezza. Lo sperperomagnifico dell'oceano ha ceduto il passo al

taglio metodico dell'uomo. Questo taglio ha cancellato la rada dove eraormeggiata l'orca di Biscaglia. Per ritrovare

qualche ricordo del piccolo ormeggio distruttobisognerebbe cercarlo lungola costa orientale della penisolaverso la

puntaoltre Folly-Pier e Dirdle -Pieral di là perfino di Wakehamtra lalocalità detta Church-Hop e quella detta

Southwell.

La radachiusa da ogni lato da scarpate alte più di quanto non fosse largaera ad ogni istante sempre più invasa dalla

sera; la fosca nebbia del crepuscolo vi si stava addensandoera come unapiena d'oscurità sul fondo di un pozzo;

l'imboccatura della rada sul marestretto corridoiodisegnava una fessurabiancastra in quell'interno quasi notturno

dove si agitavano le onde. Bisognava essere molto vicini per scorgere l'orcaormeggiata alle rocce e come nascosta sotto

il loro grande manto d'ombra. Un'asse gettata da bordo su una sporgenza bassae piatta della scoglieraunico punto dove

si potesse mettere piedeuniva l'imbarcazione alla terra; avvolti dalletenebrealcuni uomini si stavano imbarcando

erano forme nere che camminavano e si incrociavano su quel ponte traballante.

Nella baia faceva meno freddo che in mare apertograzie alla cortina diroccia che si ergeva a nord del bacino; ciò non

impediva a quegli uomini di tremare. Avevano fretta.

Nel crepuscolo le figure si stagliano in modo impietoso; era possibile vederele sfrangiature degli abitiche rivelavano

la loro appartenenza alla classe detta in Inghilterra the raggedglistraccioni.Tra i rilievi della scogliera s'intravedevano appena le giravolte diun sentiero. Una fanciulla che lascia pendere in

disordine il suo nastro sullo schienale di una poltronadisegnasenzavolerloquasi tutti i sentieri di scogliera e di

montagna. Il sentiero della baiatutto nodi e gomitiquasi a picco e certopiù adatto alle capre che agli uominifiniva

sulla sporgenza piatta dove c'era l'asse. I sentieri delle scogliere hanno disolito una pendenza poco invitante; si

presentano come un dirupo più che come un passaggionon scendonofranano.Questoprobabile diramazione di una

strada di pianuraera tanto a strapiombo che metteva paura a guardarlo. Dalbasso lo si vedeva guadagnare a zig-zag la

cengia della scogliera da doveattraversando una depressioneraggiungevaper una breccia l'altopiano sovrastante.

Proprio per quel sentiero dovevano essere venuti i passeggeri che la barcanella rada aspettava.

In palese contrasto con lo smarrimento e l'inquietudine dell'andirivieniall'imbarco nella baiatutto intorno era deserto.

Non si sentiva un passoné un rumorené un soffio. S'intravedeva appenaall'imboccatura della baia di Ringsteaddi

fronte alla radauna flottigliaevidentemente fuori rottadi battelli perla pesca degli squali. I capricci delle correnti

avevano spinto questi battelli polari dalle acque danesi a quelle inglesi. Iventi boreali giocano di questi tiri ai pescatori.

Essi si erano appena rifugiati alla fonda di Portlandsegno di probabilebrutto tempo e di pericolo al largo. Erano intenti

a gettar l'ancora. La barca ammiragliaposta di vedetta secondo l'anticocostume delle flottiglie norvegesistagliava la

sua attrezzatura nera sulla bianca pianura del mare; a prua era ben visibilela fiocina con ogni tipo di uncini e arpioni

destinati al seymnus glacialisallo squalus acanthias e allo squalusspinax nigere la rete per catturare i grandi selaci. A

parte le poche imbarcazioni raccolte nello stesso angoloin tutto il vastoorizzonte di Portland l'occhio non incontrava

alcun segno di vita. Né una casané una nave. A quei tempi la costa nonera abitatain quella stagione poi la rada era

inabitabile.

Senza tener conto del tempogli uomini dell'orca di Biscaglia avevano unagran fretta di partire. Sul bordo del mare

davano vita a un gruppo indaffarato e confusodai gesti febbrili. Eradifficile distinguerli uno dall'altro. Impossibile

vedere se erano vecchi o giovani. La sera indistinta ne cancellava i contorniconfondendoli. I loro volti erano maschere

d'ombra. Profili nella notte. Erano in ottoe tra di loro c'eranoprobabilmente una o due donne quasi irriconoscibili

dentro gli abiti stracciati e ridicoli che tutto il gruppo indossavacenciche non erano più vestiti da donna né da uomo.

Gli stracci non conoscono sesso.

Un'ombra più piccolaun nano o un bambinoandava e veniva tra i grandi.

Era un bambino.

II • ISOLAMENTO

Guardando da vicinoecco quello che si sarebbe potuto osservare.

Tutti portavano dei lunghi mantellibucati e rattoppati ma non privi didrappeggiche all'occorrenza li nascondevano

fino agli occhiproteggendoli dalla tramontana e dalla curiosità. Sottoquei mantelli si muovevano agilmente. La

maggior parte aveva la testa coperta da un fazzoletto arrotolatouna speciedi antenato spagnolo del turbante. Quel

copricapo non aveva niente di strano in Inghilterra. Nel norda quei tempiandava di moda tutto ciò che era

meridionale. Forse questo accadeva perché il nord era superiore al sud.Trionfando lo ammirava. Dopo la disfatta

dell'Armadaparlare castigliano alla corte di Elisabetta diventò unelegante birignao. Parlare inglese alla corte della

regina d'Inghilterra era quasi - shocking. È una consuetudine che ilvincitore barbarodavanti alla raffinatezza del vinto

ne subisca un po' i costumi; il tartaro ammira e imita il cinese. Fu cosìche la moda castigliana penetrò in Inghilterrain

compenso gli interessi inglesi s'infiltravano in Spagna.

Uno degli uomini che si stavano imbarcando aveva l'aria del capo. Calzavascarpe di corda ed era bardato di stracci

ricamati e doratie di un panciotto di lustrini che luccicava sotto ilmantello come il ventre di un pesce. Un altro portava

abbassato sul volto un grande feltro a forma di sombrero. Il feltro non avevail buco per la pipail che denota l'uomo

colto.

Il bambinosopra gli stracciindossava una ridicola casacca da gabbiere chegli arrivava alle ginocchiasecondo il

principio che la giacca di un uomo diventa il cappotto di un bambino.

La statura faceva pensare a un ragazzo di dieci o undici anni. Era a piedinudi.

L'equipaggio dell'orca si componeva del padrone e di due marinai.

L'orca probabilmente veniva dalla Spagna e vi stava facendo ritorno. Ilviaggio da costa a costa era senza alcun dubbio

clandestino.

Le persone che stavano per imbarcarsi parlottavano tra loro.

Le parole che si scambiavano avevano origini diverseora castiglianeoratedescheora francesi; a volte parlavano in

gallesealtre in basco. Se non era un dialettosi trattava di un gergo.

Venivano da tante nazioni ma appartenevano alla stessa banda.

Anche l'equipaggio probabilmente era dei loro. C'era della complicità inquell'imbarco.

Quella truppa pittoresca poteva essere una compagnia di amicio anche unamasnada di complici.

Se ci fosse stata un po' più di lucee se si fosse guardato con attenzionenon sarebbero sfuggiti gli scapolari e le corone

del rosario seminascoste sotto gli stracci. Uno del gruppodi quelli chesembravano donneaveva un rosario che per la

grandezza dei grani era simile a quelli dei derviscima era facile capireche si trattava di un rosario irlandese di

Llanymthefrydetto anche Llanandiffry.

Allo stesso modose ci fosse stata meno oscuritàsi sarebbe notata sullaprua dell'orca la scultura dorata di una Nuestra-Señora

con niño. Con ogni probabilità la Nostra Signora bascauna speciedi Vergine dei vecchi celtiberi. Sotto lastatuettausata come polenac'era unfanalespento in quel momentoun eccesso di cautela che rivelava la grande

preoccupazione di nascondersi. Questo fanale evidentemente serviva a duescopi: quando era acceso ardeva per la

Vergine e rischiarava il mareinsomma un fanale che faceva da cero.

Il tagliamarelungocurvo e appuntito sotto il bompressousciva dalla pruacome un corno di mezzaluna.

All'attaccatura del tagliamareproprio ai piedi della Verginec'era unangelo in ginocchioaddossato alla ruota di prua

con le ali ripiegateche scrutava l'orizzonte con un cannocchiale. L'angeloera dorato come la Madonna.

Le aperture e gli osteriggi del tagliamareche servivano a lasciar passarele ondeerano stati occasione di dorature e

arabeschi.

Sotto la Madonna c'era scritto il nome dell'imbarcazione: Matutinaalettere maiuscole dorateilleggibile in quel

momento a causa dell'oscurità.

Il carico che i viaggiatori portavano con sé nel disordine e nellaconfusione della partenza era stato lasciato ai piedi

della scoglierae oragrazie all'asse che faceva da pontepassavarapidamente dalla riva all'imbarcazione. Sacchi di

biscottiun bariletto di stock-fishuna cassa di cibi da conservaretre barili: uno d'acqua dolceuno di malto e uno di

catrame; quattro o cinque bottiglie di birraun vecchio portamantelli chiusocon cinghiebaulicofaniuna balla di

stoppa per torce e segnaliera questo il carico. Quegli straccionipossedevano delle valigiesegno forse di un'esistenza

nomade; i mendicanti ambulanti devono per forza avere qualcosacertoessivorrebbero a volte spiccare il volo come

gli uccellima non possonoa meno di abbandonare i loro mezzi disostentamento. Hanno bisogno di casse di arnesi e

strumenti di lavoroqualunque sia la loro professione errante. Questi sitrascinavano il loro bagagliocerto ingombrante

in più d'una occasione.

Non doveva essere stato facile fare tutto quel trasloco fino ai piedi dellascogliera. Ciò del resto rivelava l'intenzione di

partire per sempre.

Non c'era tempo da perdere: era un continuo passaggio dalla riva alla barca edalla barca alla riva; tutti si davano da

fare: chi portava un saccochi un cofano. Quelle che sembravano e potevanoessere donne lavoravano in quella

promiscuità come gli altri. Sovraccaricavano il bambino.

C'è da dubitare che il bambino avesse un padre e una madre tra quella gente.Nessuno si occupava di lui. Non sembrava

un bambino in una famigliama uno schiavo in una tribù. Serviva tuttimanessuno gli rivolgeva la parola.

Comunque si sbrigava ecome il gruppo misterioso di cui faceva partesembrava che non pensasse ad altro che ad

imbarcarsi il più presto possibile. Ne conosceva il motivo? Probabilmenteno. Si affrettava meccanicamente. Lo faceva

perché vedeva gli altri affrettarsi.

L'orca era munita di ponte. Il fissaggio del carico nella stiva fuprontamente eseguitoera giunto il momento di prendere

il largo. L'ultima cassa era già stata portata sul ponterestavano solo gliuomini da imbarcare. I due del gruppo che

sembravano donne erano già a bordo; gli altri seitra cui il bambinoeranoancora sulla sporgenza piatta della scogliera.

Iniziarono le manovre della partenzail padrone si mise al timoneunmarinaio prese un'ascia per troncare la gomena

d'attracco. Tagliare è segno di frettaquando c'è tempo si scioglie. Andamosdisse sottovoce quello dei sei che

sembrava il capo e che aveva gli stracci pieni di lustrini. Il bambino siprecipitò sull'asse per passare per primo. Appena

vi mise sopra il piede due uomini gli si lanciarono davanti a rischio digettarlo in acquaun terzo lo scostò con il gomito

il quarto lo spinse indietro con il pugno per seguire il terzoil quintoche era il capopiù che entrare balzò nella barca e

saltandovi dentrospinse via con il tallone l'asse che cadde in mare; uncolpo d'ascia tagliò l'ormeggiola barra del

timone viròla nave lasciò la riva e il bambino rimase a terra.

III • SOLITUDINE

Il bambino restò immobile sulla roccialo sguardo perduto. Non si mise achiamare. Non invocò. Nonostante la

sorpresatacque. Nell'imbarcazione c'era lo stesso silenzio. Non un gridodel bambino verso gli uomininon un cenno

d'addio degli uomini verso il bambino. Entrambi lasciavano che la distanzatra loro aumentassein silenzio. Si

separavano come le ombre dei morti sulla riva dello Stige. Il bambinoquasiimpietrito sulla roccia che l'alta marea

cominciava a bagnareguardò l'imbarcazione allontanarsi. Come se capisse.Cosa? Cosa capiva? L'ombra.

Un istante dopo l'orca raggiunse e affrontò la strozzatura della rada. Eravisibile la punta dell'albero contro il cielo

chiaroalta sui massi spezzati dove lo stretto serpeggiava come tra duemuraglie. La punta errava sopra le rocce e

sembrava che dovesse sprofondarvi. Poi scomparve. Era finita. La barca avevapreso il mare.

Il bambino assistette alla scomparsa.

Era stupitoma come in sogno.

Prendeva atto della vita con un cupo stupore. Pur essendo agli inizi sembravaavesse già esperienza. Forse era in grado

di giudicare. Quando la prova arriva troppo presto essa costruisce a voltein fondo all'inconscia intelligenza dei

bambiniuna sorta di temibile bilancia dove queste poverepiccole animepesano Dio.

Nella sua innocenzanon si oppose. Neppure un lamento. Chi è irreprensibilenon recrimina.

Lo avevano bruscamente eliminatoma senza riuscire a strappargli un sologesto. Qualcosa dentro di lui s'irrigidì. Sotto

il colpo della sorte che sembrava mettere fine alla sua esistenza primaancora che iniziasseil bambino non si piegò.

Ricevette il colpo di fulmine rimanendo in piedi. Evidentementevisto che losgomento non l'aveva prostratonessuno

di quelli che lo abbandonavano gli voleva beneed egli non voleva bene anessuno.

Pensierosonon sentiva il freddo. D'un tratto l'acqua gli bagnò i piedilamarea stava salendo; un soffio gli passò nei

capelliera la tramontana che si levava. Rabbrividì. Fu come se con queltremore dalla testa ai piedi si risvegliasse.Lanciò uno sguardo attorno.

Era solo.

Fino a quel giorno per lui non c'erano stati altri esseri umani sulla terratranne quelli che in quel momento stavano

sull'orca. Quegli uomini che lo avevano appena tradito.

Inoltrefatto curiosoi soli uomini che conosceva gli erano sconosciuti.

Non avrebbe saputo dire chi erano.

Aveva trascorso la sua infanzia in mezzo a lorosenza una veraconsapevolezza di farne parte. Stava con loroniente di

più.

Ora lo avevano dimenticato.

Senza denarosenza scarpeappena di che coprirsineanche un pezzo di panein tasca.

Era inverno. Era sera. Bisognava camminare per molte leghe prima diraggiungere un'abitazione umana.

Non sapeva dove si trovava.

Non sapeva niente tranne che quelli venuti con lui sulla riva di quel marese n'erano andati senza di lui.

Si sentiva messo fuori dalla vita.

Sentì che gli uomini lo sfuggivano.

Aveva dieci anni.

Quel bambino si trovava in un desertotra profondità da dove vedeva salirela nottee profondità dove sentiva il sordo

brontolio delle onde.

Stirò le piccole braccia magree sbadigliò.

Poibruscamentecome uno che abbia preso una decisione coraggiosasisgranchì e con l'agilità di uno scoiattolo - o

forse di un clown - voltò le spalle alla rada e cominciò a salire lungo lascogliera. Si arrampicò sul sentierolo

abbandonò e vi fece ritornoavventurandosi con fare guardingo. Ora avevafretta di raggiungere la terra. Sembrava che

seguisse un percorso. Ma non stava andando da nessuna parte.

La sua fretta era senza scopouna specie di fuggiasco incalzato dal destino.

Salire è proprio dell'uomoarrampicarsi della bestia; egli saliva e siarrampicava. Le scoscese di Portland sono esposte a

sudper questo sul sentiero non c'era quasi neve. Il freddo intenso delresto aveva ridotto la neve a una polvere molto

fastidiosa per chi camminava. Il bambino se la cavava. La casacca da uomotroppo largacomplicava le cose e lo

intralciava. Ogni tanto su uno strapiombo o su una pendenza trovava un po' dighiaccio che lo faceva cadere. Egli allora

dopo essere rimasto sospeso qualche istante sul precipizioriusciva adaggrapparsi a un ramo secco o a una pietra che

sporgeva. Una volta gli capitò una venatura di breccia che franòimprovvisamente sotto di luitrascinandolo nel suo

movimento rovinoso. I cedimenti della breccia sono sempre perfidi. Perqualche secondo il bambino scivolò come una

tegola su un tettoprecipitando fino all'orlo estremo del precipizio; siaggrappò in tempo a un ciuffo d'erba e si salvò.

Non gridò davanti all'abisso più di quanto non avesse gridato davanti agliuomini; ritrovò l'appoggio e riprese a salire in

silenzio. La scarpata era alta. Corse altre disavventure simili. Alprecipizio si aggiungeva la minaccia dell'oscurità. La

scoscesa di roccia non aveva fine.

Essa indietreggiava davanti al bambino sprofondando sempre più in alto. Lacima sembrava spostarsi di tanto quanto

saliva il bambino. Mentre si arrampicava non perdeva d'occhio quel cornicioneneromesso come uno sbarramento tra

lui e il cielo. Finalmente lo raggiunse.

Con un salto fu sul pianoro. Si potrebbe quasi dire che approdòperchéusciva dal precipizio. Appena fuori dalla

scarpata si mise a tremare. Sentì sul volto la tramontanaquesto morsodella notte. Soffiava il vento pungente da nord-ovest.

Si strinse al petto la rozza casacca da marinaio.

Era un buon indumento. Nel gergo marinaro si chiama suroîtperchéquesta specie di blusa è abbastanza impermeabile

alle piogge di sud-ovest.

Il bambino dunquearrivato sul pianorosi fermòben saldo con i piedinudi sul terreno gelatoe si guardò attorno.

Dietro a lui il maredavanti la terrasopra la testa il cielo. Ma un cielosenza stelle. Una nebbia opaca nascondeva lo

zenit.

Arrivato in cima al muro di rocciatrovandosi rivolto verso terralaosservò attentamente. Gli stava davanti a perdita

d'occhiopiattaghiacciatacoperta di neve. Qualche ciuffo d'ericastormiva. Non si vedevano strade. Niente. Nemmeno

la capanna di un pastore. Qua e là si scorgevano turbini di livide spiralierano vortici di neve sottile che il vento

strappava da terra sollevandola. Il terrenoun susseguirsi di ondulazionisubito avvolte nella nebbias'increspava

nell'orizzonte. Le grandi pianure si perdevano nel grigiore di una fittanebbia bianca. Silenzio profondo. Tutto si

allargava come l'infinito e taceva come la tomba.

Il bambino si voltò verso il mare.

Come la terra il mare era bianco; una di nevel'altro di schiuma. Niente ètriste come la luce che scaturisce da quel

doppio biancore. Certi riverberi della notte hanno duri profili; l'acciaiodel marele scogliere d'ebano. Il bambino si

trovava così in alto che la baia di Portland gli appariva quasi come su unacarta geograficalivida in un semicerchio di

colline. In quel paesaggio notturno c'era qualcosa che ricordava il sognounpallore rotondo dentro la crescente oscurità

come capita a volte con la luna. Da un capo all'altrolungo tutta la costanon si vedeva un solo luccichio che indicasse

un focolare accesouna finestra illuminatauna casa abitata. Nessuna lucein terra e nessuna in cieloné una lampada in

bassoné un astro in alto. Larghe spianate di onde nel golfo si sollevavanoqua e là improvvisamente. Il vento

scompaginava e increspava quella distesa. L'orca in fuga nella baia eraancora visibile.

Un triangolo nero che scivolava su quel grigiore.Lontano le distese d'acquasi agitavano confusamente nel sinistro chiaroscuro dell'immensità.

La Matutina filava velocemente. Rimpiccioliva di minuto in minuto.Niente svanisce più rapido di una nave nelle

lontananze del mare.

A un certo punto accese il fanale di prua; forse l'oscurità tutto attorno sistava facendo inquietantee il pilota sentiva la

necessità di illuminare i flutti. Quel punto luminoso che si vedeva brillareda lontanoaderiva lugubramente all'alta e

lunga forma nera dell'orca. Era come se sotto un sudario in movimentorittoin mezzo al marevagasse qualcuno con in

mano una stella.

C'era nell'aria il presentimento della tempesta. Il bambino non se ne rendevacontoma i marinai avrebbero tremato. Era

quell'ansia che precede la sensazione che gli elementi stiano per assumere unvoltoe che si debba assistere alla

trasfigurazione misteriosa del vento in aquilone. Il mare sta diventandooceanole forze della natura si rivelano volontà

ciò che prima era una cosaora ha un'anima. Stiamo per vederlo. Da quil'orrore. L'anima umana teme il confronto con

l'anima della natura.

Il caos stava per fare il suo ingresso. Il ventosquarciando la nebbia eammassando indietro le nuvoleallestiva lo

scenario per quel terribile dramma dei flutti e dell'inverno che si chiamatempesta di neve.

Il primo segno lo diedero le navi che rientravano. Dopo poco la rada non erapiù deserta. A ogni istante da dietro i

promontori comparivano imbarcazioni che si affrettavanoimpazienti dimettersi all'ancora. Alcune doppiavano il

Portland Billaltre il Saint-Albans Head. Arrivavano vele da molto lontano.Facevano a gara a chi si rifugiava per

primo. A sud l'oscurità s'infittiva e le nuvole cariche di notte siabbassavano sul mare. Nell'opprimente imminenza della

tempesta che incombevauna lugubre calma era scesa sulle onde. Non era ilmomento di partire. Eppure l'orca era

partita.

Aveva messo la prua a sud. Era già fuori dal golfoin alto mare.Improvvisamente si alzarono raffiche di tramontana; la

Matutinache era ancora perfettamente visibilesi coprì di velecomese intendesse approfittare dell'uragano. Era il

maestraleun tempo chiamato «galerne»una specie di subdola e collericatramontana. Iniziò subito ad accanirsi

sull'orca. Presa di fianco l'orca s'inclinòcontinuando però senzaesitazione la sua corsa verso il largo. Si trattava

dunque più di una fuga che di un viaggiose la paura del mare era minore diquella della terrae c'era più

preoccupazione per l'inseguimento degli uomini che per quello dei venti.

L'orcadopo essere passata per tutti i gradi del rimpicciolimentosprofondò nell'orizzonte; la piccola stella che

trascinava nell'ombraimpallidì; e dopo essersi confusa sempre di più conla nottel'orca scomparve.

Questa volta per sempre.

Anche il bambino sembrò capirlo. Smise di scrutare il mare. Tornò aguardare la pianurale landele collinequegli

spazi dove forse avrebbe potuto incontrare un essere vivente. E versoquell'ignoto si mise in cammino.

IV • DOMANDE

Che tipo di banda era quella in fugache si lasciava dietro un bambino?

Quei fuggiaschi erano dei comprachicos?

Abbiamo già visto l'elenco delle misure volute da Guglielmo III e votate dalparlamentocontro quei malfattoriuomini

e donnedetti comprachicoso comprapequeñoso cheylas.

Ci sono leggi che disperdono. L'ordinanza che aveva colpito i comprachicosdeterminò una fuga generalenon solo dei

comprachicosma di ogni sorta di vagabondi. Fu una gara a nascondersi e aimbarcarsi. La maggior parte dei

comprachicos ritornò in Spagna. Molticome abbiamo dettoerano baschi.

Una prima conseguenza bizzarra di quella legge che intendeva proteggerel'infanzia fu che improvvisamente molti

bambini vennero abbandonati.

L'ordinanza penale procurò immediatamente una folla di trovatellicioè dibambini smarriti. È facile capire il perché.

Ogni gruppo di nomadi con un bambinodiventava sospetto; la sola presenzadel bambino lo accusava. - È probabile

che si tratti di comprachicos. - Questa era la prima idea dello sceriffodelprepostodel conestabile. Da qui gli arresti e

le indagini. Dei semplici miserabiliche si erano ridotti a vagabondare e achiedere la caritàfurono presi dal terrore di

essere scambiati per comprachicospur non essendolo; certo i deboli hannopiù d'un motivo per temere i possibili errori

della giustizia. D'altra parte le famiglie vagabonde sono abitualmentesospettose. Ai comprachicos si rimproverava di

sfruttare i bambini altrui. Ma la miseria e l'indigenza spingono a talipromiscuità che a volte sarebbe stato difficile anche

per un padre e per una madre riconoscere come proprio un bambino. Da doveviene questo bambino? Come provare che

viene da Dio? Così il bambino diventava un pericolobisognavasbarazzarsene. Fuggire da soli sarebbe stato più facile.

Padre e madre decidevano allora di smarrirloa volte in un boscoa volte suuna spiaggia o in un pozzo.

Trovarono bambini annegati nelle cisterne.

Inoltre i comprachicos erano ormai braccatisull'esempio inglesein tuttaquanta l'Europa. Il segnale d'inizio della loro

persecuzione era stato dato. Tutto sta nel prendere l'iniziativa. Ormai erauna gara tra le polizie per prenderlie l'alguazil

non stava in guardia meno del conestabile. Ventitre anni orsono era ancorapossibile leggere su una pietra della porta

d'Otero un'iscrizione intraducibile - le parole in codice sono più fortidell'onestà - da dove si arguiscetramite la

differenza delle penela sfumatura tra mercanti e ladri di bambini. Eccol'iscrizionein un castigliano un po' primitivo:

Aqui quedan las orejas de los comprachicosy las bolsas de los robaninosmientras que se van ellos al trabajo de mar.

Come si vedele orecchieecc.confiscatenon salvavano dalle galere. Daqui un «si salvi chi può» tra i vagabondi.Partivano spaventatiarrivavanotremando. Su tutte le coste europee si controllavano gli arrivi sospetti. Peruna banda

era impossibile imbarcarsi con un bambinoe questo perché lo sbarco sarebbestato pericoloso.

Era meglio perderlo.

Chi aveva respinto il bambino che abbiamo intravisto nella desolata penombradi Portland?

Con ogni probabilitài comprachicos.

V • L'ALBERO INVENTATO DAGLI UOMINI

Potevano essere circa le sette di sera. Il vento ora stava diminuendosegnod'imminente recrudescenza. Il bambino si

trovava sulle estreme alture sud della punta di Portland.

Portland è una penisola. Ma il bambino ignorava che cosa fosse una penisolae non conosceva neppure la parola

Portland. Sapeva solamente che si può camminare finché si cade. Un'idea èuna guida: egli non aveva idee. Qualcuno lo

aveva portato làe ce l'aveva lasciato. Qualcuno e làdueenigmi che rappresentavano tutto il suo destino: qualcuno era

il genere umanoera l'universo. Quaggiù il suo unico sostegnoera quel pezzetto di terra dove poggiava i piedi nudi

una terra che sentiva dura e fredda sotto di sé. In quel vasto e sconfinatomondo crepuscolare cosa lo attendeva? Nulla.

Egli camminava verso quel nulla.

Gli stava attorno l'immenso abbandono degli uomini.

Attraversò in diagonale il primo pianoropoi un secondopoi un terzo. Allafine di ogni pianoro il bambino trovava una

fenditura nel terreno; qualche volta il pendio era ripidoma sempre breve.Gli altopiani della punta di Portland sono

spogli come lastroni che sporgono a metà uno sull'altro; il lato sud sembraentrare sotto il piano che lo precedee quello

a nord si rialza sul successivo. Il bambino superava agilmente queidislivelli. Ogni tanto si fermava come per consultarsi

con se stesso. La notte si faceva sempre più scurala visuale diminuivariusciva a vedere solo a qualche passo di

distanza.

A un tratto si fermòrimase un attimo in ascoltofece un impercettibilecenno di soddisfazione con il caposi voltò di

scatto e si diresse quindi verso una piccola sporgenza che scorgevaconfusamente alla sua destraproprio in quel punto

del pianoro che era più vicino alla scogliera. Sulla sporgenza c'era unasagoma che nella nebbia sembrava un albero. Il

bambino aveva appena udito in quella direzione un rumore che non era ilrumore del ventoe nemmeno quello del mare.

Non era certo il grido di un animale. Pensò che ci fosse qualcuno.

In pochi passi arrivò ai piedi della piccola altura.

C'era davvero qualcuno.

Ciò che prima era solo una forma indistinta in cima all'alturasi mostravaadesso ben visibile.

Era come una specie di grande braccio che usciva diritto da terra.All'estremità superiore del braccio si allungava

orizzontalmente una sorta di indicesostenuto in basso dal pollice. Ilbraccioil pollice e l'indice disegnavano contro il

cielo una squadra. Nel punto di congiunzione di quella specie d'indice con ilpollicec'era un filo da cui penzolava

qualcosa di nero e d'informe. Il filomosso dal ventofaceva il rumore diuna catena.

Quello era il rumore udito dal bambino.

Come il rumore lasciava intuireil filo visto da vicino si rivelava unacatena. Una catena marinara con gli anelli mezzo

pieni.

Per quella misteriosa legge che in tutta la natura sovrapponemescolandoleapparenze e realtàil luogol'orala nebbia

quel tragico marela visionarietà lontana e tumultuosa dell'orizzontesiaggiungevano a quel profilo ingigantendolo.

La massa legata alla catena assomigliava a un involucro. Era fasciata come unneonato e lunga come un uomo. In alto

era rotondae attorno a quella rotondità era avvolta l'estremità dellacatena. In basso l'involucro era lacerato. Membra

spolpate uscivano da quegli strappi.

Una debole brezza agitava la catenae ciò che stava appeso alla catenaoscillava dolcemente. Quella massa inerte

obbediva ai vasti movimenti delle distese; aveva qualcosa di spaventoso;l'orroreche di solito rende sproporzionati gli

oggettile toglieva quasi ogni consistenza per lasciarle il solo contorno;era un condensato di tenebre che disegnava una

sagomaaveva la notte sopra e dentro di sé; era preda del turgoresepolcrale; i crepuscoliil sorgere della lunail

tramonto delle costellazioni dietro le scogliereil fluttuare dello spaziole nuvoletutta la rosa dei venti avevano finito

per entrare nella composizione di quel nulla visibile; quel bloccoindefinibile sospeso nel vento era parte

dell'impersonale lontananza diffusa sul mare e nel cielole tenebre poicompletavano quella cosa che era stata un uomo.

Era e non è più.

Essere ciò che restanon è facile da esprimere con le parole. Non esisterepiù e persistereessere dentro e fuori

dall'abissorispuntare sopra la morte come se fosse impossibile essernesommersitutte queste sono realtà che

contengono una certa dose d'impossibile. Da qui l'indicibile. Quell'essere -ma era un essere? - quel nero testimoneera

un avanzoun terribile avanzo. Avanzo di cosa? Prima di tutto della naturapoi della società.

Era in balia di un'assoluta inclemenza. Circondato dalle dimenticanzeprofonde della solitudine. Era abbandonato alle

avventure dell'ignoto. Senza difesa dall'oscuritàche ne faceva ciò chevoleva. Egli era per sempre colui che sopporta.

Subiva. Gli uragani gli stavano sopra. Lugubre funzione del vento.

Quello spettro era lì per essere saccheggiato. Sopportava l'orribilecircostanza di doversi decomporre all'aria aperta. Era

fuori dalla legge della tomba. Gli toccava l'annientamentoma non la pace.Diventava cenere d'estatefango d'inverno.

La morte ha bisogno di un velola tomba richiede pudore. Qui invece népudorené velo. Solo il cinismo confesso dellaputrefazione. La morte èsfrontata quando si mostra all'opera. Essa oltraggia ogni serenità dell'ombralavorando fuori

dal suo laboratoriola tomba.

Quell'essere spirato era spoglio. Spogliare una spogliainesorabilecompimento. Le ossa non avevano più midolloil

ventre non aveva più visceree in gola non c'era più voce. Il cadavere èuna tasca che la morte rovescia e vuota. Se

avesse avuto un iodove si trovava? Forseed era atroce da pensareancoralì. Qualcosa che vaga attorno a qualcosa in

catene. Si può immaginare nell'oscurità un quadro più funebre?

Ci sono delle realtà quaggiù che sembrano sbocchi sull'ignotoda dove puòuscire la ragione e precipitarsi l'ipotesi. La

congettura ha il suo compelle intrare. Quando passiamo in certi luoghie davanti a certi oggettinon possiamo fare altro

che fermarci in preda ai sognilasciando che lo spirito vi si avventuri. Cisono oscure porte socchiuse nell'invisibile.

Nessuno avrebbe potuto incontrare quel morto senza meditare.

La vasta dispersione lo consumava in silenzio. Aveva avuto del sangue che erastato bevutouna pelle che era stata

mangiata e carne che avevano rubato. Niente gli era passato davanti senzaprendergli qualcosa. Dicembre aveva preso in

prestito il suo freddomezzanotte lo spaventoil ferro la rugginela pestei miasmiil fiore i profumi. Il suo lento

disfacimento era un pedaggio. Pedaggio del cadavere alla rafficaallapioggiaalla rugiadaai rettiliagli uccelli. Tutte

le scure mani della notte avevano frugato quel morto.

Era un non so quale strano abitantel'abitante della notte. Stava in unapianura e su una collinae tuttavia non c'era. Era

tangibile e evanescente. Era un'ombra in aggiunta alle tenebre. Dopo che laluce era scomparsanella vasta e silenziosa

oscuritàsi accordava lugubremente con tutto. Per il solo fatto di esserelà accresceva il lutto della tempesta e la calma

degli astri. In lui si condensava quanto d'inesprimibile c'è nel deserto.Relitto di un destino sconosciutoandava ad

aggiungersi a tutte le selvagge reticenze della notte. C'era nel suo misteroun vago riverbero di tutti gli enigmi.

Si sentiva attorno a lui come una diminuzione di vita che andava inprofondità. Nelle distese circostanti certezza e

fiducia venivano meno. Il fremito dei cespugli e dell'erbauna desolatamalinconiaun'ansia che sembrava animata

predisponevano in forma tragica tutto il paesaggio per quella figura nera chependeva dalla catena. La presenza di uno

spettro su un orizzonte aggrava la solitudine.

Era un simulacro. Poiché i venti su di lui non si placavano maiegli eral'implacabile. Il tremore dell'eternità lo rendeva

terribile. È spaventoso da direma sembrava al centro degli spazie chequalcosa d'immenso gli si appoggiasse sopra.

Chi può dire? Forse si trattava dell'equità intravista e sfidata che sta aldi là della nostra giustizia. Il suo durare fuori

dalla tomba era la vendetta degli uominima anche la sua vendetta. Nelcrepuscolo di quel deserto egli era una

testimonianza. Egli era la prova di una materia inquietanteperché lamateria davanti a cui si trema è una rovina

d'anima. Se la materia inerte ci turbavuol dire che dentro vi ha vissuto lospirito. Egli denunciava la legge di quaggiù

alla legge di lassù. Messo lì dagli uominiattendeva Dio. Sopra di luifluttuavanocon tutte le torsioni confuse dei

nembi e delle ondele enormi fantasticherie dell'ombra.

Dietro questa visione c'era una certa qual occlusione sinistra. Quel mortoaveva tutto attorno a sé l'infinitoche nulla

limitavané un alberoné un tettoné un viandante. Quando l'immanenzache incombe su noicieloabissovitatomba

eternitàci appare evidenteproprio allora noi sentiamo che tutto èinaccessibiletutto proibitotutto murato. Niente

chiude in modo più formidabile dell'infinito quando si apre.

VI • BATTAGLIA TRA LA MORTE E LA NOTTE

Il bambino stava davanti a quella cosamutostupitogli occhi sbarrati.

Per un uomo sarebbe stata una forcaper il bambino era un'apparizione.

Dove un uomo avrebbe visto il cadavereil bambino vedeva il fantasma.

E poi non riusciva a capire.

L'abisso seduce in molti modiuno di questi era lìin cima alla collina.Il bambino fece un passopoi due. Salìma

avrebbe voluto scenderee si avvicinòma avrebbe voluto tornare sui suoipassi.

Si fece sottoaudace e tremanteper esplorare il fantasma.

Raggiunta la forcaalzò la testa e guardò.

Il fantasma era incatramato e qua e là luccicava. Il bambino riuscì adistinguere il volto. Era ricoperto di bitumeuna

maschera vischiosa e collosa che si modellava ai riflessi della notte. Nescorgeva il buco della boccail buco del naso e i

buchi degli occhi. Il corpo era avvolto e quasi legato in una grossa telaimbevuta di nafta. La tela era ammuffita e rotta.

Veniva fuori un ginocchio. Uno squarcio lasciava vedere le costole. In alcunipunti c'era il cadaverein altri lo scheletro.

Il volto aveva il colore della terra; le lumachepasseggiandovi sopraviavevano lasciato vaghi nastri d'argento. La tela

incollata alle ossapresentava dei rilievicome gli abiti delle statue. Ilcranioincrinato e sfondatoera sfatto come un

frutto marcio. Dell'essere umano gli erano rimasti i dentiche continuavanoa ridere. Era come se nella bocca aperta

mormorasse l'eco d'un grido. Sulle guance era rimasto qualche pelo di barba.La testareclinatasembrava prestare

attenzione.

Di recente erano state fatte delle riparazioni. Il volto era fresco dicatramee così pure il ginocchio che usciva dalla tela

e le costole. In basso spuntavano i piedi.

Proprio sottonell'erbasi vedevano due scarpe che neve e piogge avevanosformato. Erano cadute al morto.

Il bambinoa piedi nudiguardò le scarpe.

Il ventosempre più inquietantefaceva quelle pause che rientrano neipreparativi di una tempesta; da qualche istante

era caduto del tutto. Il cadavere aveva cessato di muoversi. La catena eraferma come un filo a piombo.Come tutti i nuovi arrivati nella vitae senzadimenticare la speciale violenza del suo destinoil bambino sentiva dentro

di sé quell'indubbio risveglio di ideetipico della gioventùche cerca diaprire il cervellocome i colpi di becco

dell'uccellino nell'uovo; tutta la sua piccola coscienzain quell'orasiera fatta stupore. Ma troppe sensazionicome

troppo oliospengono il pensiero. Un uomo si sarebbe posto delle domandeilbambino noguardava.

Il catrame su quel volto lo faceva sembrare bagnato. Gocce di bitume che sierano rapprese là dove c'erano stati gli

occhisembravano lacrime. Del restoproprio grazie al bitumei guastidella morte subivano un visibile rallentamento

venivano quasi annullatie lo sfacelo era ridotto al minimo possibile.Davanti al bambino c'era una cosa che riceveva

delle attenzioni. Quell'uomo evidentemente era prezioso. Non ci si erapreoccupati di preservarlo vivoma da morto lo

si voleva conservare.

Era una vecchia forcatarlata ma ancora solidain servizio da molti anni.

Era uso antichissimo in Inghilterra di incatramare i contrabbandieri. Liimpiccavano sulla riva del mareli cospargevano

di bitume e li lasciavano appesi; gli esempi hanno bisogno dell'aria apertae gli esempi incatramati si conservano

meglio. Quel catrame era un segno d'umanità. In quel modo si potevanorinnovare gli impiccati con minore frequenza.

Le forche erano distribuite a intervalli regolari lungo la costacome ilampioni oggigiorno. L'impiccato come lanterna.

A modo suo faceva luce ai suoi amici contrabbandieri. Fin da lontanoinmarei contrabbandieri scorgevano le forche.

Eccone unaprimo avvertimento; poi un'altrasecondo avvertimento. Ciònaturalmente non impediva il contrabbando

masi sal'ordine è fatto di queste cose. L'usanza è durata inInghilterra fino all'inizio del nostro secolo. Nel 1822

davanti al castello di Douvressi potevano ancora vedere tre impiccativerniciati. D'altra parte la procedura di

conservazione non era riservata solo ai contrabbandieri. L'Inghilterral'applicava anche ai ladriagli incendiari e agli

assassini. John Painterche diede fuoco ai depositi marittimi di Portsmouthfu impiccato e incatramato nel 1776.

L'abate Coyerche lo chiama Giovanni il Pittorelo rivide nel 1777. JohnPainter era appeso e incatenato sopra le

macerie che aveva provocatoripitturato di quando in quando. Il cadavereduròpotremmo quasi dire visseper

quattordici anni circa. Nel 1788 funzionava ancora. Tuttavia nel 1790dovettero sostituirlo. Gli egiziani tenevano in

gran conto la mummia del re; anche la mummia del popoloa quanto parepuòessere utile.

Il ventoche faceva molta presa sulla piccola alturaaveva spazzato tuttala neve. Qua e là riappariva l'erba e qualche

cardo. La collina era coperta da un manto erboso marinoispido e rasatocherende la cima delle scogliere simile a un

drappo verde. Sotto la forcaproprio nel punto su cui penzolavano i piedidel suppliziatoc'era un fitto ciuffo d'erba alta

eccezionale per quel suolo magro. Solo i cadaveri che da secoli sidecomponevano in quel luogo potevano spiegare la

bellezza di quell'erba. La terra si nutre d'uomo.

Era un fascino lugubre quello che tratteneva il bambino. Restava lìa boccaaperta. Abbassò la fronte solo un attimo

quando un'orticache scambiò per un animalegli pizzicò le gambe. Poi siraddrizzò. Guardava quel volto sopra di lui

che lo stava guardando. E quello sguardo era tanto più intenso in quanto nonaveva occhi. Uno sguardo diffusodi

un'indicibile fissitàpieno di luci e di tenebreche proveniva dal cranioma anche dai denti e dalle orbite vuote. Il morto

guarda con tutta quanta la testaed è spaventoso. Non ci sono pupillemaci si sente osservati. Orrore delle larve.

A poco a poco anche il bambino diventò terribile. Non si muovevapreso daltorpore. Non era consapevole di perdere

coscienza. Intorpidendosi si irrigidiva. L'inverno silenziosamente loconsegnava alla notte; l'inverno sa tradire. Il

bambino era quasi una statua. Il freddo era una pietra che entrava nelle sueossa; l'ombra gli scivolava dentro come un

rettile. Il sopore causato dalla neve sale nell'uomo come una buia marea;lentamente il bambino era invaso da

un'immobilità simile a quella del cadavere. Stava per addormentarsi.

Nella mano del sonno c'è il dito della morte. Il bambino si sentivaafferrare da quella mano. Era sul punto di cadere

sotto la forca. Non sapeva già più se era in piedi.

La fine sempre imminentenessun trapasso dall'essere al non essere piùilritorno nel crogiolola scivolata sempre

possibilequesto precipizio è la creazione.

Ancora un istantepoi il bambino e il mortola vita in boccio e la vita inrovinasi sarebbero confusi nello stesso

annientamento.

Sembrò che lo spettro l'avesse capitoma non lo accettasse. Improvvisamentericominciò a muoversi. Come se volesse

avvertire il bambino. Era il vento che ricominciava a soffiare.

Niente di più strano di quel morto che si muoveva.

Il cadavere in cima alla catenaspinto dal soffio invisibilesi metteva ditraversosaliva a sinistrascendevarisaliva a

destrascendeva di nuovo e risaliva con la precisione lenta e funebre di unbattaglio. Selvaggio va e vieni. Si sarebbe

potuto credere di vedere nelle tenebre il bilanciere dell'orologiodell'eternità.

Per qualche tempo andò avanti così. Davanti al morto che si muoveva ilbambino avvertiva come un risveglio edal

fondo del suo geloprovò una paura molto intensa. A ogni oscillazione lacatena cigolava con orrenda regolarità.

Sembrava voler prendere fiato per poi ricominciare. Il cigolio imitava ilcanto della cicala.

L'avvicinarsi della burrasca produce degli improvvisi soprassalti del vento.La brezza diventò d'un colpo tramontana. Il

cadavere oscillò con più forzalugubremente. Non era più un dondolioadesso dava degli strattoni. La catenache prima

cigolavasi mise a gridare.

Fu come se il grido fosse stato raccolto. Se era un richiamofu obbedito.Dal fondo dell'orizzonte accorse un gran

rumore.

Un rumore d'ali.

Si stava verificando la tumultuosa circostanza che di solito riguarda icimiteri e i luoghi desertil'arrivo di uno stormo di

corvi.Macchie nere in volo punsero la nuvolaforarono la nebbiaingrandironosi avvicinaronosi amalgamarono

s'infittirono affrettandosi verso la collinaemettendo gridi. Era comel'arrivo di una legione. La canaglia alata delle

tenebre si abbatté sulla forca.

Il bambinosmarritoindietreggiò.

Gli sciami obbediscono a ordini. I corvi si erano posati in gruppo sullaforca. Non uno era sul cadavere. Stavano

parlando tra loro. Il gracchiare è raccapricciante. Urlaresibilareruggirequesta è la vita; gracchiando si accoglie con

gratitudine la putrefazione. È come udire il rumore del silenzio sepolcralequando si spezza. Gracchiare è una voce che

ha in sé qualcosa di notturno. Il bambino era agghiacciato.

Ancor più per lo spavento che per il freddo.

I corvi tacquero. Uno saltò sullo scheletro. Fu il segnale. Si precipitaronotuttici fu un nugolo d'alipoi le penne si

abbassarono tutte insieme e l'impiccato scomparve in un brulichio di nereampolle che si muovevano nell'oscurità. In

quel momento il morto si scosse.

Era lui? Era il vento? Ebbe un sussulto orribile. Gli venne in aiutol'uragano che si stava alzando. Il fantasma fu preso

dalle convulsioni. Una rafficache già soffiava a pieni polmonis'impadronì di luiscuotendolo in tutte le direzioni.

Divenne orrendo. Iniziò a dimenarsi. Una spaventosa marionettache avevaper filo la catena di una forca. Qualche

burattinaio delle tenebre aveva afferrato il filo e giocava con quellamummia. Essa si torse e saltò fin quasi a sfasciarsi.

Gli uccelli terrorizzati volarono via. Fu come se tutte quelle bestie infamifossero schizzate. Poi tornarono. Allora

cominciò la lotta.

Il morto sembrò invaso da una vita mostruosa. I venti lo sollevavano come sestessero per portarlo via; sembrava che si

dibattesse sforzandosi di evaderema il collare di ferro lo tratteneva. Gliuccelli rimbalzavano a tutti quei movimenti

indietreggiandoavventandosiinsieme impauriti e accaniti. Da una partestrani tentativi di fugadall'altra la

persecuzione di un incatenato. Il mortospinto dagli spasmi dellatramontanaaveva soprassaltiurtiaccessi di collera

andavavenivasalivacadevarespingendo lo stormo sparpagliato. Il mortoera clavalo stormo era polvere. La schiera

assalitrice nella sua ferocia era ostinata e non mollava la presa. Il mortocome impazzito sotto la muta dei becchidava

sempre più colpi alla cieca nel vuotocolpi simili a quelli di un sassolegato a una fionda. Un momento aveva su di sé

tutti gli artigli e tutte le aliil momento dopo più nulla; a volte l'ordasi disperdevaper tornare subito infuriata.

Spaventoso supplizio che continuava dopo la vita. Gli uccelli sembravanofrenetici. Stormi simili devono esserci nelle

fenditure dell'inferno. Colpi d'unghiacolpi di beccogracchiamentibrandelli strappati da qualcosa che non era più

carnescricchiolii della forcafruscii dello scheletroschiocchi diferragliegridi della rafficatumultola più lugubre

delle lotte. Un lemure contro demoni. Una specie di combattimento traspettri.

A voltequando la tramontana raddoppiava d'intensitàl'impiccato girava suse stessofronteggiando lo stormo su ogni

lato contemporaneamentee sembrava che volesse inseguire gli uccellie chei suoi denti cercassero di mordere. Aveva

il vento con sé e la catena controcome se si fossero intromesse neredivinità. Anche l'uragano era della partita. Il morto

si torcevail gruppo d'uccelli lo avvolgeva in una spirale. Era un vorticein un turbine.

Dal basso saliva il rombo immenso del mare.

Il bambino assisteva a quel sogno. Improvvisamente si mise a tremare in tuttele membraun brivido gli corse lungo il

corpobarcollòtrasalìfu sul punto di caderesi voltòsi strinse lafronte tra le mani come se fosse un punto d'appoggio

esconvoltoi capelli al ventofuggìscendendo a passi veloci dallacollinacon gli occhi chiusiquasi fosse un

fantasma anche luilasciandosi dietro nella notte quel tormento.

VII • LA PUNTA NORD DI PORTLAND

Corse a perdifiatoa casosconvoltonella nevenella pianuranellospazio. La fuga lo riscaldò. Ne aveva bisogno.

Senza la corsa e lo spaventosarebbe morto.

Quando non ebbe più fiatosi fermò. Ma non osò guardare indietroglisembrava che gli uccelli dovessero inseguirloe

che il mortoscioltosi dalla catenadovesse mettersi in camminomagarinella sua stessa direzionee che anche la forca

dovesse scendere dalla collina per rincorrere il morto. Aveva pauravoltandosidi vedere tutto ciò.

Dopo aver ripreso un po' fiatoricominciò a fuggire.

L'infanzia non può rendersi conto di quello che accade. Egli percepiva leimpressioni tramite l'esagerazione dello

spaventoma senza connetterle nello spiritoe senza trarne conclusioni. Sene andavae non gli importava dove né

come; correva con l'angoscia e l'impaccio del sogno. Dopo quasi tre ore daquando era stato abbandonatola sua marcia

in avantipur rimanendo incertaaveva cambiato scopo: prima egli cercavaora fuggiva. Non sentiva più la famené il

freddo; aveva paura. Un istinto aveva sostituito l'altro. Il suo unicopensiero adesso era di fuggire. Fuggire da cosa? Da

tutto. Dovunque attorno a lui la vita gli sembrava un'orribile muraglia. Seavesse potuto evadere dalle cosel'avrebbe

fatto.

Ma i bambini non conoscono questa breccia nella prigione che si chiamasuicidio.

Correva.

Corse così per un tempo imprecisato. Ma il fiato viene menoe anche lapaura.

D'un trattocome in preda a un improvviso accesso di energia ed'intelligenzasi fermòquasi si vergognasse di mettersi

in salvo; s'irrigidìbatté i piedialzò risolutamente la testae sivoltò.

Non c'erano più né collinané forcané volo di corvi.

La nebbia si era impadronita di nuovo dell'orizzonte.Il bambino riprese lasua strada.

Ora non correva piùcamminava. Dire che quell'incontro con il morto neaveva fatto un uomosarebbe troppo poco

rispetto all'impressione complessa e confusa che stava provando. C'era inquell'impressione molto di più e molto di

meno. La forca era qualcosa di molto confuso per la sua primitiva capacitàdi comprenderee restava per lui

un'apparizione. Ma domare il terrore significa rinfrancarsied egli sisentiva più forte. Se avesse avuto l'età per

interrogarsiavrebbe trovato dentro di sé mille altri spunti dimeditazionema nei bambini la riflessione è ancora

informetutt'al più avvertono il fondo amaro di quella cosa per loroincomprensibile che l'uomo più tardi chiama

indignazione.

Aggiungiamo che il bambino ha il dono di accettare molto rapidamente lascomparsa di una sensazione. Gli sono

risparmiati quei contorni remoti e sfuggenti che costituiscono la vastitàdel dolore. È il limite stesso del bambinocioè la

sua debolezzache lo protegge dalle emozioni troppo complesse. Egli vede ilfattoe poco più in là. Il difficile

accontentarsi di idee parziali non esiste per il bambino. Il processo allavita verrà istruito solo più tardiquando arriverà

l'esperienza con le sue pratiche. Allora si mettono a confronto i gruppi difatti incontratil'intelligenza informata e

cresciuta fa dei paragonii ricordi giovanili riaffiorano sotto le passionicome il palinsesto sotto le raschiaturequesti

ricordi sono punti d'appoggio per la logicae la visione nel cervello delbambino diventa sillogismo nel cervello

dell'uomo. Del resto l'esperienza è diversa e finisce bene o male secondo lenature. I buoni maturano. I cattivi

marciscono.

Il bambino aveva davvero corso per un quarto di legae camminato per unaltro quarto. A un tratto sentì lo stomaco che

si contraeva. Un pensiero violento s'impossessò di luieclissandoimmediatamente l'orribile apparizione della collina:

mangiare. Per fortuna nell'uomo c'è una bestia; essa lo riporta allarealtà.

Ma cosa mangiare? Ma dove mangiare? Ma come mangiare?

Si tastò le tasche. Meccanicamenteben sapendo che erano vuote.

Poi allungò il passo. Senza sapere dove andavaallungò il passo verso unpossibile asilo.

Questa fede in un tetto fa parte delle radici che la provvidenza hanell'uomo.

Credere in un ricovero è credere in Dio.

Per altro in quella spianata di neve non c'era nulla che assomigliasse a untetto.

Il bambino camminavala landa continuavanuda a perdita d'occhio.

Non c'era mai stata un'abitazione umana su quel pianoro. Un tempo gli antichiabitanti primitiviin mancanza di legna

per costruire capannestavano in fondo alla scoglieranei buchi dellarocciaper arma avevano una fiondaper

riscaldarsi lo sterco di bue seccocome religione Heill'idolo drizzato inuna pianura a Dorchestere come attività la

pesca del falso corallo grigio che i gallesi chiamano plin e i greci isidisplocamos.

Il bambino si orientava come meglio poteva. Tutto il destino è un croceviatemibile la scelta delle direzionie a quel

piccolo essere era toccato ben presto di doversi orientare tra oscurepossibilità. Comunque andava avanti; maper

quanto i suoi garretti sembrassero d'acciaiocominciava a sentirsi stanco.Non un sentiero su quel pianoro; se ce n'erano

la neve li aveva cancellati. Istintivamente continuava a deviare verso est.Pietre taglienti gli avevano scorticato i talloni.

Se fosse stato giorno si sarebbero viste le tracce che lasciava nella nevele macchie rosa del suo sangue.

Non riconosceva niente. Stava attraversando l'altopiano di Portland da sud anordmentre probabilmente la banda con

cui era venutoper evitare incontrilo aveva attraversato da ovest a est.Verosimilmente erano partiti su una barca di

pescatori o di contrabbandieri da un punto qualsiasi della costa diUggescombecome Sainte-Catherine Chapo

Swancryper andare all'appuntamento con l'orca che li stava aspettando aPortlande avevano dovuto sbarcare in

un'insenatura di Westonper poi tornare a imbarcarsi in una baia di Eston.Quella direzione tagliava a croce questa che

ora percorreva il bambino. Era impossibile dunque che egli riconoscesse lastrada.

Sull'altopiano di Portland ci sono qua e là come delle alte ampollebruscamente spezzate dalla costae tagliate a picco

sul mare. Nel suo peregrinare il bambino arrivò su una di quelle sommitàelì si fermòripromettendosi da uno spazio

maggiore maggiori indicazioniaguzzando la vista. Davanti a luiper tuttol'orizzonteuna vasta e livida opacità. La

scrutò con attenzionee sotto la fissità del suo sguardo si fece menoindistinta. A estin fondo a una lontana piega del

terrenoproprio sulla linea di quel livore opacosorta di mutevole epallida scarpata che assomigliava a una scogliera

della nottefluttuavano serpeggiando vaghi brandelli nericome una diffusalacerazione. Il livore opaco era nebbia; i

brandelli neri erano fumo. Dove c'è fumoci sono uomini. Il bambino siincamminò in quella direzione.

A una certa distanza intravedeva una discesa e ai piedi della discesatrasagome informi di roccia che la nebbia rendeva

evanescentiqualcosa che aveva l'aspetto di un banco di sabbia o di unalingua di terrae che collegava probabilmente

l'altopiano che aveva appena attraversato alle pianure dell'orizzonte. Erachiaro che si doveva passare di là.

Era arrivato in effetti all'istmo di Portlandun'alluvione diluviana che sichiama Chess-Hill.

Attaccò quel versante dell'altopiano.

Il pendio era difficile e faticoso. Si trattavasia pur con minore asprezzadel rovescio dell'ascensione che aveva fatto

per uscire dalla rada. Discese e salite si compensano. Dopo essersiinerpicatoprecipitava.

Saltava da una roccia all'altrarischiando una stortarischiando di andargiù nell'indistinta profondità. Per evitare di

scivolare sulla roccia e sul ghiacciosi afferrava ai lunghi arbusti dellelande e alle ginestre piene di spinee tutte le

punte gli entravano nelle dita. In certi tratti la pendenza era più dolcecosì mentre scendeva riprendeva fiatopoi

tornava la scarpata e a ogni passo bisognava trovare un rimedio. Scendendo unprecipizio ogni movimento diventa la

soluzione di un problema. Si deve essere accortisotto pena di morte. Ilbambino risolveva i problemi con un istinto dicui una scimmia avrebbe presonotae con una perizia che un saltimbanco avrebbe ammirato. La discesa eraripida e

lunga. Tuttavia ne veniva a capo.

A poco a poco si avvicinava al momento in cui avrebbe toccato terrasull'istmo intravisto.

Di tanto in tantocontinuando a saltare e a scendere da una rocciaall'altrasi metteva in ascoltodrizzandosi come un

daino all'erta. Udiva da lontanosulla sua sinistraun rumore esteso edebolesimile al canto profondo della chiarina.

C'era in effetti nell'aria quell'agitazione di soffi che precede lospaventoso vento borealee che si sente venire dal polo

come un ingresso di trombe. Nello stesso tempo il bambino avvertiva a trattisulla frontesugli occhisulle guance

qualcosa come palmi di mani fredde che gli si posavano sul volto. Eranolarghi fiocchi gelatiprima disseminati

mollemente nello spaziopoi in un turbinio che annunciava la bufera di neve.Il bambino ne era ricoperto. La bufera di

neve che già da più di un'ora era sul marecominciava a raggiungere laterra. Invadeva lentamente le pianure. Entrava

trasversalmente da nord-ovest nell'altopiano di Portland.

LIBRO SECONDO • L'ORCA IN MARE

I • LE LEGGI CHE SFUGGONO ALL'UOMO

La tempesta di neve è uno dei misteri del mare. È la più oscura dellemeteore; oscura in ogni senso della parola. Una

mescolanza di nebbia e tormentae ancor oggi non ci si rende ben conto delfenomeno. Da qui molti disastri.

Si vorrebbe spiegare tutto con il vento e con l'onda. Ma nell'aria c'è unaforza che non è il ventoe nell'acqua c'è una

forza che non è l'onda. Questa forzala stessa nell'aria e nell'acquaèl'effluvio.

L'aria e l'acqua sono due masse liquidequasi identicheche fanno parte unadall'altraper via della condensazione e

della dilatazionecosì che respirare è bere; solo l'effluvio è fluido. Ilvento e l'onda non sono altro che pressioni;

l'effluvio è una corrente. Le nuvole rendono visibile il ventola schiumarende visibile l'onda; l'effluvio è invisibile.

Tuttavia di quando in quando dice: eccomi. Il suo eccomi è un colpodi tuono.

Il problema della tempesta di neve è analogo a quello della nebbia secca. Sela spiegazione della callina degli spagnoli e

del quobar degli etiopi è possibilequesta spiegazione risulteràcertamente da un attento esame dell'effluvio magnetico.

Senza l'effluvio una quantità di fatti resterebbero enigmatici. A rigoreicambiamenti di velocità del ventoche nella

tempesta passa da tre a duecentoventi piedi al secondospiegherebbero levariazioni dei marosi che vanno dai tre pollici

con il mare calmoai trentasei piedi con il mare che infuria; a rigorel'orizzontalità dei soffi di vento anche in burrasca

spiega come un'ondata alta trenta piedi più essere lunga millecinquecentopiedi; ma perché i marosi del Pacifico sono

quattro volte più alti vicino all'America che vicino all'Asiacioè piùalti a ovest che a est; perché nell'Atlantico succede

il contrario; perché sotto l'equatore il mare è più alto nel mezzo; dadove vengono gli spostamenti del rigonfiamento

oceanico? Solo l'effluvio magneticocombinato alla rotazione terrestre eall'attrazione sideralepuò spiegare simili

fenomeni.

Non è forse necessaria questa misteriosa complicazione per spiegarel'oscillazione del vento chepassando per esempio

da ovestvada da sud-est a nord-esttornando poi bruscamenteper lo stessogrande giroda nord-est a sud-estcosì da

percorrere in trentasei ore un prodigioso circuito di cinquecentosessantagradiche fu poi il prodromo della tempesta di

neve del 17 marzo 1867?

I marosi nelle tempeste australiane raggiungono anche ottanta piedi dialtezza; ciò dipende dalla vicinanza del polo. A

quelle latitudini la tormenta è influenzata meno dai rivolgimenti dei ventiche dalle continue scariche elettriche

sottomarine; nel 1866il cavo transatlantico è stato regolarmentedisturbato nella sua funzione due ore su ventiquattro

da mezzogiorno alle dueda una specie di febbre intermittente. Il comporsi elo scomporsi di certe forze producono i

fenomeniimponendo calcoli al marinaiosotto pena di naufragio. Il giornoin cui navigareda attività abitudinaria

diventerà una matematicail giorno in cui si cercherà di sapereperesempioperché a volte nelle nostre regioni i venti

caldi vengono dal nord e i venti freddi dal mezzogiornoil giorno in cui sicomprenderà che il decrescere della

temperatura è proporzionale alle profondità oceanicheil giorno in cuisaremo consapevoli che il globo è una grande

calamita polarizzata nell'immensitàcon due assiun asse di rotazione euno di effluviintersecantesi al centro della

terrae che i poli magnetici girano attorno ai poli geografici; quandoquelli che rischiano la vita vorranno rischiarla

scientificamentequando si navigherà su un'instabilità fatta oggetto distudioquando il capitano sarà un meteorologo

quando il pilota sarà un chimicosoltanto allora molte catastrofi sarannoevitate. Il mare è tanto magnetico quanto

acquatico; un oceano di forze sconosciute fluttua tra i flutti dell'oceano;seguendo la correntesi potrebbe dire. Vedere

nel mare solo una massa d'acqua significa non vederlo; il mare è un andare evenire di fluidocosì come è un flusso e

riflusso di liquido; le forze d'attrazione lo rendono forse ancora piùcomplicato degli uragani; l'adesione molecolare che

si manifestatra l'altrocon l'attrazione capillareè microscopica innoima nell'oceano partecipa della grandezza di

quelle estensioni; l'onda degli effluvi a volte assecondaa volte contrastal'onda dell'aria e quella delle acque. Chi ignora

la legge elettricaignora la legge idraulica; una compenetra l'altra. Nonc'è studio più difficileè veroné più oscuro;

esso confina con l'empirismocome l'astronomia confina con l'astrologia.Tuttavia senza questo studio non è possibile

navigare.

Detto questoandiamo avanti.Uno dei composti più temibili del mare è latormenta di neve. La tormenta di neve è principalmente un fatto magnetico.

Il polo la produce allo stesso modo dell'aurora boreale; esso si cela inquella specie di nebbia come in quella specie di

chiarore; l'effluvio è visibile sia nel fiocco di neve che nella stria difiamma.

Le tormente sono le crisi di nervi e gli accessi deliranti del mare. Il mareha le sue emicranie. Le tempeste sono

assimilabili alle malattie. Alcune sono mortalialtre non lo sono affatto;da una se ne esceda un'altra no. In genere la

burrasca di neve è considerata mortale. Jarabijauno dei piloti diMagellanola definiva: «una nuvola uscita dalle bizze

del diavolo».

Surcouf diceva: «C'è della rogna in quella tempesta».

Gli antichi navigatori spagnoli chiamavano quella specie di burrasca lanevada al momento dei fiocchie la helada al

momento dei chicchi di grandine. Secondo loro dal cielo insieme alla nevecadevano pipistrelli.

Le tempeste di neve sono caratteristiche delle latitudini polari. Eppurequalche volta esse scivolanosi potrebbe quasi

dire che frananofino ai nostri climitanto la rovina dipende dalleavventure dell'aria.

La Matutinacome abbiamo vistolasciando Portlandavevarisolutamente affrontato la grande incognita della notte

aggravata dall'avvicinarsi della tempesta. Era entrata in quella minaccia conuna specie di tragica audacia. Nonostante

cheribadiamolonon le fossero mancati gli avvertimenti.

II • SI DELINEANO I CONTORNI INIZIALI

Finché l'orca rimase nel golfo di Portlandil mare non fu un problema; leonde erano quasi calme. Per quanto l'oceano

fosse scuroc'era ancora luce in cielo. La tramontana faceva poca presa sulbastimento. L'orca costeggiava il più

possibile la scogliera che costituiva una buona protezione.

Erano in dieci sulla piccola feluca di Biscagliatre uomini d'equipaggio esette passeggeridi cui due erano donne. Nella

luce del mare apertopoiché al largo durante il crepuscolo torna a fargiornotutte le figure erano chiaramente visibili.

Avevano smesso d'altra parte di nascondersidi preoccuparsie ciascunotornava a muoversi liberamentegridavasi

mostrava a viso apertoperché quella partenza era una liberazione.

Esplodeva l'eterogeneità del gruppo. Le donne erano senza età; ilvagabondaggio crea vecchiaie precocie la povertà è

una ruga.

Una era una basca dei bacini di carenaggio; l'altrala donna con il granderosarioera un'irlandese. Avevano l'aria

indifferente dei miserabili. Appena salite si erano accovacciate una vicinaall'altra su dei cassoni ai piedi dell'albero.

Stavano chiacchierando; l'irlandese e il bascocome abbiamo dettosono duelingue affini. I capelli della basca

profumavano di cipolla e di basilico. Il padrone dell'orca era un basco diGuipuzcoa; uno dei marinai era un basco del

versante nord dei Pireneil'altro un basco del versante sudcioè dellastessa nazionebenché il primo fosse francese e il

secondo spagnolo. I baschi non si riconoscono nella patria ufficiale. Mimadre se llama montaña«mia madre si chiama

montagna»diceva l'arriero Zalareus. Dei cinque uomini cheaccompagnavano le due donneuno era francese della

Linguadocauno era francese della Provenzauno genoveseunovecchioquello che portava il sombrero senza il buco

per la pipasembrava tedescoil quintoil capoera un basco delle landedi Biscarozzia. Era stato lui chequando il

bambino stava per entrare nell'orcaaveva gettato a mare la passerella conun colpo di tallone. Quell'uomo robusto

prontosveltocopertocome si ricorderàdi passamaneriedi pasquillese di lustrini che facevano luccicare i suoi

straccinon poteva star fermosi chinavasi alzavaandava a veniva senzasosta da un capo all'altro della navecome

preso dall'inquietudine per ciò che aveva appena fatto e ciò che stava peraccadere.

Il capo della bandail padrone dell'orca e i due uomini d'equipaggiotuttie quattro baschia volte parlavano bascoa

volte spagnoloa volte francesele tre lingue diffuse su entrambi iversanti dei Pirenei. Tutti del restotranne le donne

parlavano abbastanza il franceseche era il fondo comune del gergo dellabanda. Fin da quei tempi la lingua francese

cominciava a essere scelta dai popoli come via di mezzo tra l'eccesso diconsonanti del nord e l'eccesso di vocali del

mezzogiorno. Il commercio in Europa parlava francese; così pure il furto.Non dimentichiamo che Gibbyladro

londinesecomprendeva Cartouche.

L'orcache era un buon velieroteneva un bel passo; tuttavia dieci personeoltre al bagagliocostituivano un carico

notevole per uno scafo così fragile.

Che un'imbarcazione mettesse in salvo una banda non significavanecessariamente che l'equipaggio facesse parte della

banda. Era sufficiente che il padrone della nave fosse un vascongadoe che il capo della banda lo fosse a sua volta.

Aiutarsiper quelli della loro razzaè un dovere che non ammetteeccezioni. Un bascocome abbiamo appena dettonon

è né spagnoloné franceseè basco esempre e dovunqueha il dovere disalvare un altro basco. Questa è la fraternità

dei Pirenei.

Per tutto il tempo che l'orca restò nel golfoil cieloper quanto avesseun brutto aspettonon sembrò affatto così

minaccioso da preoccupare i fuggiaschi. Erano in salvoerano fuggitieranobrutalmente allegri. Uno rideval'altro

cantava. Era un riso asciuttoma libero; e il canto era bassomaspensierato.

Quello della Linguadoca gridava: caougagno! «Cuccagna!» è il colmodella soddisfazione narbonese. Era un mezzo

marinaionativo di Gruissanun villaggio sull'acquadel versante sud dellaClappeun barcaiolo più che un marinaio

ma abituato a manovrare i sandolini dello stagno di Bages e a tirare sullesabbie salate di Sainte-Lucie il tramaglio pieno

di pesce. Apparteneva a quella razza che si copre la testa con un berrettorossosi fa il segno della croce in modo

complicatoalla spagnolabeve il vino da una pelle di caprotrincadall'otreraschia il prosciuttobestemmiainginocchiandosie implora il suosanto patrono minacciandolo: Grande santoconcedimi quello che ti chiedoo titiro

una pietra in testa«ou té feg' un pic».

In caso di necessità avrebbe potuto essere utile all'equipaggio. Nellacambusa il provenzale attizzava un fuoco di torba

sotto una marmitta di ferropreparando la zuppa.

La zuppa era una specie di puchero con il pesce al posto della carnee il provenzale vi gettava dei cecidei piccoli pezzi

di lardo tagliati a cubettie degli spicchi di peperoncino rossoconcessioni che il consumatore di zuppa di pesce alla

marsigliese faceva ai mangiatori di olla podrida. Accanto a lui c'erauno dei sacchi di provviste aperto. Aveva acceso

sopra la sua testauna lanterna di ferro con i vetri di talcoche oscillavada un gancio sul soffitto della cambusa. Di

fiancoappeso a un altro ganciodondolava l'alcione banderuola. Unacredenza popolare di quei tempi diceva che un

alcione mortoappeso per il beccovolge sempre il petto nella direzione dacui viene il vento.

Senza smettere di preparare la zuppail provenzale di tanto in tanto siportava alla bocca il collo di una fiaschetta e

mandava giù un sorso di aguardiente. Era una di quelle fiaschetterivestite di viminilarghe e piattemunite di anseche

venivano portate in vitaappese a una cinghiae che erano dette «fiascheal fianco». Tra una sorsata e l'altra biascicava

la strofa di una di quelle canzoni campagnole che non hanno un vero soggetto;una strada incassatauna siepe; da un

pertugio del cespuglio si vede sul prato l'ombra allungata di un carretto edi un cavallo al tramontoe ogni tanto appare

e scompare sopra la siepe l'estremità di un forcone carico di fieno. Tantobasta per una canzone.

Partiresecondo ciò che si ha nel cuore o nell'animoè un sollievo o unpeso. Tutti sembravano sollevatitranne unoil

più vecchio del gruppol'uomo con il cappello senza pipa.

Il vecchioche sembrava più tedesco che altrobenché avesse uno di queivolti anonimi su cui si perde ogni traccia di

nazionalitàera calvo e così austero che la sua calvizie sembrava unatonsura. Ogni volta che passava davanti alla Santa

Vergine di pruasollevava il feltrolasciando scorgere le vene gonfie esenili del cranio. Era avvolto in una specie di

mantello logoro e a brandelliin sargia scura di Dorchesterche nascondevasolo a metà il giustacuore chiusostrettoe

agganciato fino al colletto come un abito talare. Le sue mani tendevano aincrociarsicongiungendosi per istintocome

capita a chi prega abitualmente. Aveva quella che si potrebbe definire unafisionomia livida; perché la fisionomia è

soprattutto un riflessoed è un errore pensare che le idee non abbianocolore. Quella fisionomia era evidentemente la

superficie di una strana condizione interiorela risultante di un complessodi contraddizioni che si perdevano le une nel

benele altre nel maleeper l'osservatorela rivelazione di un'umanitàapprossimativache poteva cadere più in basso

di una tigre o elevarsi al di sopra dell'uomo stesso. Simili caos dell'animaesistono. C'era su quel volto qualcosa che non

si lasciava leggere. Il segreto si spingeva fino all'astrazione. Si capivache quell'uomo aveva conosciuto il calcoloche è

la degustazione del malee il nulla che ne è il fondo. Nella suaimpassibilitàforse solo apparenteerano impresse due

pietrificazioniquella del cuorepropria del carneficee quella dellospiritopropria del mandarino. Si sarebbe potuto

affermarepoiché anche ciò che è mostruoso ha un suo modo di essereperfettoche tutto gli era possibileanche la

commozione. In ogni saggio c'è qualcosa del cadaveree quell'uomo era unsaggio. Bastava guardarlo per indovinare la

scienza impressa nei gesti della sua persona e fin nelle pieghe della suaveste. Era una faccia fossile la cui serietà era

contraddetta da quella mobilità grinzosa del poliglotta che arriva fino allasmorfia. Del restosevero. Nulla d'ipocritané

di cinico. Un tragico sognatore. Era uno di quegli uomini che il crimine halasciato pensosi. Aveva il sopracciglio di un

brigante corretto dallo sguardo di un arcivescovo. I radi capelli grigi eranobianchi sulle tempie. Si avvertiva in lui il

cristiano complicato dal fatalismo turco. I nodi della gotta deformavano ledita disseccate dalla magrezza; la sua figura

alta e rigida era ridicola; camminava come un marinaio. Si muoveva lentamentesul ponte senza guardare nessunocon

un'aria risoluta e sinistra. Le sue pupille erano vagamente colme delchiarore fisso di un'anima intenta alle tenebrema

soggetta ai ritorni di coscienza.

Di quando in quando il capo della bandabrusco e guardingofaceva deirapidi zig-zag sulla nave e andava a parlargli

all'orecchio. Il vecchio rispondeva con un cenno del capo. Si sarebbe dettoil lampo che consultava la notte.

III • GLI UOMINI INQUIETI SUL MARE INQUIETO

Due erano gli uomini assorti sulla naveil vecchio e il padrone dell'orcache non bisogna confondere con il capo della

banda; il padrone era assorto nel mareil vecchio nel cielo. Uno nontoglieva gli occhi dall'ondal'altro continuava a

sorvegliare le nuvole. A preoccupare il padrone era il comportamentodell'acqua; il vecchio sembrava sospettasse lo

zenit. Egli spiava gli astri da ogni apertura tra i nembi.

In quel momento faceva ancora giorno e qualche stella iniziava a picchiettaredebolmente il chiarore della sera.

L'orizzonte era strano. La nebbia era disposta in modo diverso.

A terra c'era più nebbiae più nuvole sul mare.

Prima ancora di uscire dalla baia di Portlandil padronepreoccupato deimarosiaveva subito messo in atto una gran

quantità di minuziose manovre. Non attese di aver doppiato il capo. Passòin rassegna le trinche e si assicurò che la

legatura delle sartie basse fosse in buono stato e reggesse bene le rigge dicoffaprecauzione di un uomo che conta di

tenere velocità temerarie.

L'orcaquesto era il suo difettoaffondava a prua di una quarantina dicentimetri più che a poppa.

Il padrone passava a ogni istante dalla bussola di rotta a quella divariazionetraguardando attraverso i due mirini gli

oggetti della costaper riconoscere la direzione del vento a cui reagivano.Il primo a rivelarsi fu un vento di bolina; il

padrone non ne parve contrariatoanche se si allontanava di cinque punti dalvento di rotta. Teneva lui in persona labarra il più possibilecome se non sifidasse che di se stesso per non perdere neppure un po' di forzapoichél'effetto del

timone è legato alla rapidità della scia.

Dal momento che la differenza tra rombo vero e rombo apparente è tanto piùgrande quanto maggiore è la velocità del

vascellol'orca sembrava guadagnare in direzione del vento più di quantonon facesse realmente. L'orca non prendeva il

vento al gran lasco né andava di bolinama non si conosce direttamente lavera andatura che quando si ha il vento in

poppa. Se si scorgono nelle nuvole lunghe strisce raccolte in un unico puntodell'orizzontequello è il punto d'origine

del vento; ma quella sera c'erano molti venti e la quarta di direzione erasospetta; così il padrone diffidava delle illusioni

del naviglio.

Pilotava con una sorta di timida audaciabracciavafaceva attenzione agliscarti improvvisibadava alle abbattutenon

lasciava poggiare il bastimentoteneva d'occhio la derivateneva conto deipiccoli colpi della barracontrollava le

circostanze di ogni movimentogli sbalzi di velocità della sciale folliedei ventisi manteneva costantementea scanso

di sorpresea qualche quarta di vento dalla costa lungo cui navigavaesoprattutto teneva l'angolo che il segnavento

faceva con la chigliapiù aperto dell'angolo della velaturaperché ilrombo di vento indicato dalla bussola è sempre

dubbioa causa della piccolezza della bussola di rotta. Il suo sguardoabbassatoimperturbabilescrutava tutte le forme

che l'acqua assumeva.

Una volta tuttavia alzò gli occhi al cielo cercando di scorgere le trestelle della cintura di Orione; queste stelle vengono

chiamate i tre Magie un vecchio proverbio degli antichi piloti spagnolidice: Chi vede i tre Magi non è lontano dal

Salvatore.

L'occhiata al cielo del padrone coincise con il borbottio del vecchioappartato all'altra estremità del naviglio: «Non

vediamo neppure la stella polarené l'astro Antaresper quanto sia rosso.Non una stella è visibile».

Nessuna preoccupazione tra gli altri fuggiaschi.

Tuttaviapassato il primo entusiasmo per la fugafu inevitabile rendersiconto che si erano messi in mare nel mese di

gennaiocon un gelido vento di tramontana. Impossibile sistemarsi dentro lacabinatroppo stretta e comunque

ingombra di bagagli e fagotti. I bagagli appartenevano ai passeggerie ifagotti all'equipaggioperché l'orca non era

un'imbarcazione da diportoma praticava il contrabbando. I passeggeridovettero mettersi sul ponte; facile

rassegnazione per quei nomadi. Le abitudini della vita all'aria apertarendono facili ai vagabondi le sistemazioni

notturne; dormire sotto le stelle è per loro una consuetudine amica; ilfreddo li aiuta a dormirequalche volta a morire.

Quella notte poicome abbiamo vistodi stelle non ce n'erano.

Il francese della Linguadoca e il genovesein attesa della cenasirannicchiarono accanto alle donneai piedi dell'albero

sotto le incerate che i marinai avevano gettato loro.

Il vecchio calvo restò in piedi a pruaimmobile e come insensibile alfreddo.

Il padrone dell'orcadalla barra dove si trovavalanciò una specie dirichiamo gutturaleabbastanza simile

all'interiezione di un uccello che in America chiamano l'Esclamatore; a quelgrido il capo della banda si avvicinòe il

padrone lo apostrofò in questo modo: Etcheco jaüna! Le due parolebasche significano «lavoratore della montagna»e

servono agli antichi cantabri per iniziare un discorso solenne imponendol'attenzione.

Poi il padrone additò il vecchio al capoe il dialogo continuò inspagnoloin forma peraltro poco correttatrattandosi

dello spagnolo dei montanari. Ecco le domande e le risposte:

«Etcheco jaünaque es este hombre?».

«Un hombre».

«Que lenguas habla?».

«Todas».

«Que cosas sabe?».

«Todas».

«Qual païs!».

«Ninguny todos».

«Qual Dios?».

«Dios».

«Como le llamas?».

«El Tonto».

«Como dices que le llamas?».

«El Sabio».

«En vuestre tropaque esta?».

«Esta lo que esta».

«El gefe?».

«No».

«Puesque esta?».

«La alma».

Il capo e il padrone si separaronotornando ciascuno ai propri pensieriepoco dopo la Matutina uscì dal golfo.

Iniziarono le grandi oscillazioni del mare aperto.

Il marenel fendersi della schiumaappariva vischioso; i marosivisti nelfalso profilo del chiarore crepuscolare

sembravano a tratti pozze di fiele. Qua e là un'ondafluttuandoorizzontalmenteoffriva crepe e incrinature a stellacome un vetro contro cuisi siano gettate delle pietre. Al centro di quelle stellein un buco vorticosotremava una

fosforescenzamolto simile al riverbero felino della luce scomparsa che c'ènella pupilla delle civette.

La Matutinada valorosa nuotatriceattraversò audacemente ilfremito terribile della secca di Chambours. La secca di

Chamboursostacolo latente all'uscita dalla rada di Portlandnon è affattouna barrieraè un anfiteatro. Un circo di

sabbia sotto l'acquacon i gradini scolpiti dai cerchi dell'ondaun'arenarotonda e simmetricaalta come lo Jungfrauma

sommersaun Colosseo dell'oceano intravisto da chi si tuffa nellatrasparenza visionaria dell'inabissamentoecco la

secca di Chambours. Là combattono le idrelà s'incontrano i leviatani;làsul fondo del gigantesco imbutodicono le

leggendeci sono cadaveri di navi afferrate e affondate dal Krakenl'immenso ragno detto anche il pesce montagna.

Tale è la spaventosa ombra del mare.

In superficie solo un brivido rivela le realtà spettrali ignorate dall'uomo.

Nel diciannovesimo secolo la secca di Chambours è in rovina. Il frangiflutticostruito di recente ha sconvolto e troncato

a forza di risacche l'alta architettura sottomarinacosì come la digaedificata al Croisic nel 1760 ha modificato di un

quarto d'ora il flusso delle maree. Tuttavia la marea è eterna: il fatto èche l'eternità obbedisce all'uomo più di quanto

non si pensi.

IV • ENTRA IN SCENA UNA NUVOLA DIVERSA DALLE ALTRE

Il vecchioche il capo della banda aveva definito prima Folle e poi Saggionon abbandonava più la prua. Dopo la secca

di Chambours la sua attenzione si divideva tra cielo e oceano. Abbassava gliocchipoi li rialzava; scrutava soprattutto

in direzione nord-est.

Il padrone affidò la barra a un marinaioscavalcò il gavone dei caviattraversò il passavanti e raggiunse il castello di

prua.

Si avvicinò al vecchioma non di fronte. Si tenne un po' indietroi gomitistretti ai fianchile mani scostatela testa

inclinata sulla spallagli occhi ben apertiil sopracciglio sollevatoilsorriso agli angoli della boccache significa una

curiosità oscillante tra ironia e rispetto.

Il vecchiosia che avesse l'abitudine di parlare qualche volta da solosiache sentirsi qualcuno alle spalle lo spingesse a

parlareiniziò a monologare continuando a scrutare lo spazio.

«Il meridiano su cui si calcola l'ascensione retta è segnato in questosecolo da quattro stellequella Polarela sedia di

Cassiopeala testa di Andromedae la stella Algenibche si trova inPegaso. Ma non se ne vede nessuna».

Le sue parole si succedevano automaticamenteerano confusedette in modoapprossimativocome se in un certo senso

non si curasse di pronunciarle. Uscivano a fiotto dalla sua bocca e sidileguavano. Il monologo è il fumo dei fuochi

interiori dello spirito.

Il padrone lo interruppe.

«Signore...».

Il vecchioforse un po' sordo oltre che molto assortocontinuò:

«Non abbastanza stellee troppo vento. Il vento lascia sempre la suadirezione per gettarsi sulla costa. Vi si getta a

picco. Ciò dipende dal fatto che la terra è più calda del mare. Ne risultaun'aria più leggera. Il vento freddo e pesante del

mare si precipita sulla terra per sostituirla. Per questo nell'immensità delcielo il vento soffia verso terra da ogni parte.

Sarebbe necessario bordeggiare a lungo tra il parallelo stimato e ilparallelo presunto. Quando la latitudine osservata

non differisce da quella presunta più di tre minuti su dieci leghee diquattro su ventisi è sulla rotta giusta».

Il padrone salutòma il vecchio non lo vide. Quell'uomoche indossava unazimarra quasi da universitario di Oxford o

di Goettingennon si muoveva dal suo atteggiamento altezzoso e duro.Osservava il mare da conoscitore di flutti e di

uomini. Studiava le ondema quasi come se volesse chieder parola mentretumultuavanoper insegnar loro qualche

cosa. Maestro e augure. Aveva l'aspetto di un pedante dell'abisso.

Proseguì il suo soliloquiocon l'intenzione forse di essere ascoltato.

«Si potrebbe lottarese avessimo una ruota al posto della barra. Con unavelocità di quattro leghe all'orauna forza di

trenta libbre sulla ruota può produrre un effetto di trecentomila libbresulla direzione. E oltreperché ci sono casi in cui

si fanno fare al volano due giri di più».

Il padrone salutò una seconda voltae disse: «Signore...».

L'occhio del vecchio si fissò su di lui. Girò la testa senza che il corposi muovesse.

«Chiamami dottore».

«Signor dottoresono ioil padrone».

«Bene»rispose il - dottore -.

Il dottore - d'ora in poi lo chiameremo così - sembrò disponibile aldialogo:

«Padronehai un ottante inglese?».

«No».

«Senza ottante non puoi prendere l'altezza né da poppa né da prua».

«I baschi»replicò il padrone«prendevano l'altezza prima cheesistessero gli inglesi».

«Non fidarti di andare all'orza».

«Se necessario so rallentare».

«Hai misurato la velocità della nave?».

«Sì».«Quando?».

«Poco tempo fa».

«Con cosa?».

«Con il solcometro».

«Hai avuto cura di non perdere d'occhio il legno del solcometro?».

«Sì».

«La clessidra segna giusti i trenta secondi?».

«Sì».

«Sei sicuro che la sabbia non abbia consumato il foro tra le dueampolline?».

«Sì».

«Hai fatto la controprova della clessidra con la vibrazione di una palla dimoschetto appesa...».

«A un filo sottile estratto dalla canapa macerata? Certo».

«Hai incerato il filo per evitare che si allunghi?».

«Sì».

«Hai fatto la controprova del solcometro?».

«Ho fatto la controprova della clessidra con la palla di moschetto e lacontroprova del solcometro con la palla di

cannone».

«Che diametro ha la tua palla di cannone?».

«Un piede».

«Buon peso».

«È un'antica palla della nostra vecchia orca da guerrala Casse dePar-grand».

«Faceva parte dell'Armada?».

«Sì».

«Portava seicento soldaticinquanta marinai e venticinque cannoni?».

«Chiedilo al naufragio».

«Come hai fatto a pesare l'urto dell'acqua contro la palla?».

«Con una stadera tedesca».

«Hai tenuto conto della spinta dell'onda contro la corda che sostiene lapalla?».

«Sì».

«Con quale risultato?».

«L'urto dell'acqua è stato di centosettanta libbre».

«Ciò significa che la nave fa quattro leghe francesi all'ora».

«O tre di quelle olandesi».

«Ma si tratta solo dell'eccedenza della velocità di scia sulla velocitàdel mare».

«Senza dubbio».

«Dove ti dirigi?».

«Verso l'insenatura che conosco tra Loyola e San Sebastiano».

«Mettiti alla svelta sul parallelo del luogo d'arrivo».

«Sì. Con il minor scarto possibile».

«Non fidarti dei venti e delle correnti. I primi eccitano le seconde».

«Traidores».

«Non ingiuriare. Il mare ti ascolta. Non insultare nulla. Accontentati diosservare».

«Ho osservato e osservo. La marea in questo momento è contro vento; ma trapocoquando correrà con il ventoci

andrà bene».

«Hai una carta nautica?».

«No. Non di questo mare».

«Allora navighi alla cieca?».

«Affatto. Ho la bussola».

«La bussola è un occhiol'altro è la carta».

«Anche un guercio ci vede».

«Come fai a misurare l'angolo di rotta della nave con la chiglia?».

«Ho la bussola di variazionee poi vado a intuito».

«Intuire è una buona cosama sapere è meglio».

«Cristoforo intuiva».

«Quando c'è confusione e quando la rosa gira in malo modonon si sa piùda che parte prendere il ventoe si finisce col

non avere più né punto di stima né punto esatto. Un asino con la cartavale più di un indovino con l'oracolo».

«Non c'è ancora confusione nella tramontanae non vedo motivi d'allarme».

«Le navi sono mosche nella ragnatela del mare».

«Per il momento tutto va abbastanza bene sia in mare che nel vento».

«Un tremolio di punti neri sui fluttiecco cosa sono gli uominisull'oceano».

«Non prevedo niente di grave per questa notte».

«Può capitarti uno di quegli impicci da non riuscire a cavartelafacilmente».«Per adesso tutto va bene».

Il dottore guardò fisso verso nord-est.

Il padrone proseguì:

«Lasciami solo raggiungere il golfo di Guascogna e garantisco di tutto. Ah!Là sono proprio a casa mia. Lo tengo in

pugno il mio golfo di Guascogna. È un catino spesso molto in colleramaconosco dovunque la profondità dell'acqua e

le caratteristiche dei fondali; melma davanti a San Ciprianoconchigliedavanti a Cizarquesabbia al capo Penaspiccoli

ciottoli al Boucaut di Mimizane di ogni ciottolo conosco il colore».

Il padrone s'interruppe; il dottore non l'ascoltava più.

Il dottore scrutava attentamente verso nord-est. Su quel volto gelido stavaaccadendo qualcosa di straordinario.

Vi era dipinto tutto il terrore possibile a una maschera di pietra. Glisfuggì di bocca questa parola:

«Finalmente!».

Le sue pupillerotondein tutto simili a quelle del gufosi erano dilatatedallo stupore osservando un punto nello spazio.

Aggiunse: «È giusto. Per quanto mi riguarda sono pronto».

Il padrone lo osservava.

Il dottorecome parlando a se stesso o a qualcuno nell'abissoproseguì:«Io dico sì».

Tacquespalancò ancor di più gli occhi guardando con raddoppiataattenzionee continuò:

«Viene da lontanoma sa quello che fa».

Il segmento di spazio dove erano immersi la vista e il pensiero del dottoretrovandosi dalla parte opposta del tramo nto

era illuminato da un vasto riverbero crepuscolarequasi come fosse in pienogiorno. Il segmentoben circoscritto e

attorniato da lembi di vapore grigiastroera tutto bluma un blu piùvicino al piombo che all'azzurro.

Il dottorecompletamente rivolto verso il mare e ormai senza più guardareil padroneindicò con l'indice quel segmento

aereoe disse: «Padronelo vedi?».

«Cosa?».

«Quello».

«Cosa?».

«Laggiù».

«Quel blu. Sì».

«Che cos'è?».

«Un pezzetto di cielo».

«Per quelli che vanno in cielo»disse il dottore. «Per quelli che vannoaltrove è un'altra cosa».

Sottolineò questa parole enigmatiche con un terribile sguardo personell'ombra.

Si fece silenzio.

Il padronepensando al doppio appellativo che il capo aveva dato aquell'uomosi stava ponendo lo stesso problema: si

tratta di un folleoppure di un saggio?

L'indice ossuto e rigido del dottore era rimasto dritto e come immobilizzatoin direzione di quel fosco angolo blu

dell'orizzonte.

Il padrone esaminò quel blu.

«In effetti»borbottò«non è cieloè nuvola».

«Una nuvola blu è peggio di una nuvola nera»disse il dottore.

E aggiunse:

«È una nuvola di neve».

«La nube de la nieve»disse il padronecome se traducendo quelleparole potesse capire meglio.

«Sai che cos'è la nuvola della neve?»domandò il dottore.

«No».

«Presto lo saprai».

Il padrone tornò a scrutare l'orizzonte.

Osservando la nuvolail padrone disse tra i denti:

«Un mese di burrascaun mese di pioggiagennaio che tossisce e febbraioche piangeecco cos'è l'inverno per noi

asturiani. La nostra pioggia è calda. Da noi c'è neve solo in montagna. Ehsìbada alla valanga! La valanga non guarda

in faccia nessuno; la valanga è la bestia».

«E la tromba marina è il mostro»disse il dottore.

Dopo una pausa il dottore soggiunse:

«Eccola che viene».

E riprese:

«Molti venti si mettono al lavoro insieme. Un gran vento da oveste unolentissimo da est».

«Quello è un ipocrita»disse il padrone.

La nuvola blu diventava più grande.

«Se la neve è terribile quando scende dalla montagna»continuò ildottore«pensa cos'è quando crolla dal polo».

Il suo occhio era vitreo. Sembrava che la nuvolaoltre che all'orizzontecrescesse anche sul suo volto.

Poi riprese in tono sognante:

«Ogni minuto porta con sé l'ora. Si dischiude la volontà superiore».

Di nuovo il padrone si chiese dentro di sé: è pazzo?«Padrone»replicòil dottoresenza mai staccare gli occhi dalla nuvola«hai navigato moltonella Manica?».

Il padrone rispose:

«Questa è la prima volta».

Il dottoreassorto nella nuvola blupoteva stare in ansia per un solomotivocome la spugna che contiene la sua acqua

per questo alla risposta del padrone reagì soltanto con una lievissimaalzata di spalle.

«Come mai?».

«Signor dottoredi solito faccio rotta per l'Irlanda. Vado da Fontarabie aBlack-Harbour o all'isola Akillche è formata

da due isole. Qualche volta vado a Brachipultuna punta della regione delGalles. Navigo sempre al di là delle isole

Scilly. Non conosco questo mare».

«Disgraziato chi deve imparare sull'oceano! La Manica è un mare che bisognaleggere correntemente. La Manica è la

sfinge. Non ti fidare del fondale».

«Qui siamo a venticinque braccia».

«Bisogna arrivare alle cinquantacinque braccia che sono a ponenteevitandole venti che sono a levante».

«Scandaglieremo durante il tragitto».

«La Manica non è un mare come gli altri. Durante le grandi maree l'acquasale di cinquanta piedie solo di venticinque

durante quelle piccole. Il riflusso qui non è l'èbee l'èbe nonè il deflusso. Ah! Per questo mi sembravi sconcertato».

«Questa notte scandaglieremo».

«Per scandagliare bisogna fermarsie tu non potrai».

«Perché?».

«Per il vento».

«Tenteremo».

«La burrasca è una spada di Damocle».

«Scandaglieremosignor dottore».

«Non ti basterà metterti di fianco».

«Fede in Dio».

«Prudenza con le parole. Non pronunciare con leggerezza il nomeirritabile».

«Vi dico che scandaglierò».

«Sii modesto. Tra poco il vento ti schiaffeggerà».

«Intendo dire che tenterò di scandagliare».

«L'urto con l'acqua impedirà al piombo di scendere e la sagola sispezzerà. Ah! Vieni proprio per la prima volta da

queste parti!».

«Per la prima volta».

«Alloraascolta padrone».

Il tono di quel ascolta era così autoritario che il padrone accennòun inchino.

«Ascoltosignor dottore».

«Mura a sinistra e stringi a dritta».

«Che significa?».

«Metti la prua a ovest».

«Caramba!».

«Metti la prua a ovest».

«Non è possibile».

«Come vuoi. Quello che ti dico è per gli altri. Io sono pronto».

«Masignor dottorela prua a ovest...».

«Sìpadrone».

«Ma andremmo contro vento!».

«Sìpadrone».

«È un beccheggio diabolico!».

«Sìpadrone. Ma scegli altre parole».

«Vuol dire mettere la nave sul cavalletto!».

«Sìpadrone».

«E forse l'albero spezzato!».

«È possibile».

«Volete che faccia rotta a ovest!».

«Sì».

«Non posso».

«Allora veditela con il mare come ritieni meglio».

«Bisognerebbe che il vento mutasse».

«Non muterà per tutta la notte».

«Perché?».

«È un soffio lungo milleduecento leghe».

«Andare contro un vento simile! Impossibile».

«Prua a ovestdammi retta!».«Ci proverò. Ma nonostante tuttodevieremo».

«Questo è il rischio».

«Il vento ci spinge a est».

«Non andare a est».

«Perché?».

«Padronesai che nome ha oggi per noi la morte?».

«No».

«La morte si chiama est».

«Dirigerò a ovest».

Questa volta il dottore guardò il padronee lo guardò di uno sguardoinsistentecome per conficcare un pensiero in un

cervello. Si era girato completamente verso il padronepronunciò questeparole lentamentesillaba dopo sillaba:

«Se durante la nottequando saremo in mezzo al maresentiremo il suono diuna campanala nave sarà persa».

Il padrone lo guardò stupito.

«Cosa volete dire?».

Il dottore non rispose. Il suo sguardoche per un istante si era sportoeraora rientrato. L'occhio si era rifatto interiore.

Sembrò non accorgersi della domanda dell'attonito padrone. Ormai porgevaascolto solo a ciò che sentiva dentro di sé.

Le sue labbra articolarono a bassa voce queste parolein un mormoriomeccanico:

«È giunta l'ora di mondarsi per le anime nere».

Il padrone arricciò il nasocontraendo la parte inferiore del volto.

«È più un folle che un saggio»borbottò.

E si allontanò.

Tuttavia mise la prua a ovest.

Ma il vento e il mare continuavano a ingrossarsi.

V • HARDQUANONNE

Ogni tipo d'intumescenze deformava la nebbiasi gonfiavanocontemporaneamente su tutti i punti dell'orizzontecome

se bocche invisibili fossero intente a soffiare negli otri della tempesta.Quel genere di nuvole diventava inquietante.

La nuvola blu occupava interamente lo sfondo del cielo. Ora si trovava sia aovest che a est. Avanzava contro vento.

Sono le contraddizioni del vento.

Il mareche fino a un momento prima era a scagliemostrava adesso la suapelle. Così è fatto questo drago. Non era più

coccodrilloera boa. Quella pelle plumbea e sporcache sembrava spessasicopriva di pesanti increspature. In

superficie le bolle del mareggiosparsesimili a pustolesi gonfiavano perpoi scoppiare. La schiuma sembrava una

lebbra.

Fu in quel momento che l'orcaancora visibile in lontananza dal bambinoabbandonatoaccese il fanale.

Passò un quarto d'ora.

Il padrone cercò con lo sguardo il dottore; ma sul ponte non c'era più.

Appena il padrone l'aveva lasciatoil dottore si era curvato in tutta la suascomoda statura sotto la tuga della cabina

dove poi era entrato. Là si era seduto accanto al foconesu una testa dimoro; aveva estratto dalla tasca un calamaio di

zigrino e un portafoglio di cordovano; dal portafoglio aveva tolto unapergamena piegata in quattrovecchiamacchiata

e ingiallita; aveva spiegato il fogliopreso una penna dall'astuccio delcalamaioappoggiato il portafoglio sulle

ginocchia e la pergamena sul portafogliopoiai raggi della lanterna cheilluminava il cuocosi era messo a scrivere sul

rovescio della pergamena. Le scosse delle onde lo disturbavano. Il dottorescrisse a lungo.

Pur scrivendoil dottore notò la fiaschetta d'aguardiente che ilprovenzale assaggiava ogni volta che aggiungeva

peperoncino al pucheroquasi volesse consultarla sul condimento.

Il dottore notò la fiaschetta non perché fosse una bottiglia d'acquavitema per il nome intrecciato nel viminein giunco

rosso su giunco bianco. La cabina era abbastanza illuminata da poter leggerequel nome.

Il dottore s'interruppe e lo sillabò a mezza voce:

«Hardquanonne».

Poi si rivolse al cuoco:

«Non avevo ancora fatto caso a quella fiaschetta. È appartenuta aHardquanonne?».

«Al nostro povero compagno Hardquanonne?»fece il cuoco. «Sì».

Il dottore proseguì:

«A Hardquanonneil fiammingo di Fiandra?».

«Sì».

«Quello che si trova in prigione?».

«Sì».

«Nel torrione di Chatham?».

«Questa è la sua fiaschetta»rispose il cuoco«e lui era mio amico. Latengo in suo ricordo. Quando lo rivedremo? Sìè

la sua fiasca al fianco».Il dottore riprese la penna e tornò a tracciarefaticosamente quelle righe un po' tortuose sulla pergamena. Si preoccupava

evidentemente che fossero ben leggibili. Malgrado il tremore del bastimento equello dell'etàvenne finalmente a capo

di ciò che voleva scrivere.

Appena in tempoperché all'improvviso ci fu un'incappellata.

Un impetuoso sopraggiungere di ondate assalì l'orcae ci si accorse che erainiziata la danza spaventosa con cui le navi

accolgono la tempesta.

Il dottore si alzòsi avvicinò al focone eopponendo sapienti flessionidelle ginocchia agli strattoni della mareggiata

asciugò come poté al fuoco della marmitta le righe che aveva appenascrittopoi ripiegò la pergamena nel portafoglio e

rimise il portafoglio e il servizio da scrivania in tasca.

Il focone non era certo il pezzo meno ingegnoso della sistemazione dell'orca;era ben isolato. Tuttavia la marmitta

oscillava. Il provenzale la sorvegliava.

«Zuppa di pesce»disse.

«Per i pesci»rispose il dottore.

Poi tornò sul ponte.

VI • SI CREDONO AIUTATI

Nella sua crescente preoccupazione il dottore fece una sorta di esame dellasituazionee se qualcuno gli fosse stato

vicino avrebbe sentito uscire dalle sue labbra queste parole:

«Troppo rullio e non abbastanza beccheggio».

E il dottorerichiamato dall'oscuro travaglio dello spiritoridiscese nelsuo pensiero come un minatore nel pozzo.

Meditare non escludeva affatto l'osservazione del mare. Guardare il mare ècome fantasticare.

Stava per iniziare il cupo supplizio delle acqueeternamente tormentate. Unlamento usciva da tutte quelle onde.

Lugubriconfusi preparativi si facevano nell'immensità. Il dottoreosservava ciò che aveva sotto gli occhi e non perdeva

alcun dettaglio. Del resto nel suo sguardo non c'era traccia dicontemplazione. Non si contempla l'inferno.

Una vasta commozioneancora mezzo latentema che già traspariva nelletorbide disteseaccentuava in modo sempre

più grave il ventoi vaporiil mareggio. Niente è logico e niente sembraassurdo come l'oceano. Disperdersi fa parte

della sua sovranitàè un elemento della sua ampiezza. Il flutto èincessantemente contro o a favore. Non si annoda che

per snodarsi. Con un versante attaccacon l'altro libera. Non esiste unospettacolo come quello delle onde. Come

dipingere quelle cavità alternate ai rilieviappena realile vallateleamachequello svanire di architraviquelle forme

sorgenti? Come esprimere quelle boscaglie di schiumainsiemi di montagna edi sogno? Làdovunquec'è

l'indescrivibilenello squarcionell'increspaturanell'inquietudinenelfallimento personalenel chiaroscuronei

pennacchi delle nuvolenel continuo sfacimento delle chiavi di voltaneldisgregarsi senza lacuna e senza rotturanel

fracasso funebre di tutta questa demenza.

Era ormai chiaramente un vento del nord. La sua violenza era cosìfavorevolecosì utile per allontanarsi dall'Inghilterra

che il padrone della Matutina aveva deciso di far spiegare tutte levele. L'orca fuggiva nella schiumacome al galoppo

con tutte le vele spiegatevento in poppasaltando di onda in ondaconrabbia e allegria. I fuggiaschiestasiati

ridevano. Battevano le maniapplaudendo il mareggioi cavallonileraffichele velela velocitàla fugal'ignoto

avvenire. Il dottoreimmerso nelle sue meditazionisembrava non vederli.

Ogni traccia del giorno era scomp arsa.

In quel momento il bambinoche scrutava dalle lontane scogliereperse divista l'orca. Fino ad allora il suo sguardo era

rimasto insistentemente fisso sulla nave. Che parte ebbe quello sguardo neldestino? In quel preciso istantementre la

distanza cancellava l'orca e il bambino non vedeva più nullaegli se neandò verso nord e la nave verso sud.

Sprofondavano tutti nella notte.

VII • ORRORE SACRO

Da parte loro quelli che l'orca trasportava guardavano dietro a séallegrie ormai sollevatila terra ostile che si

allontanava e si faceva più piccola. A poco a poco la rotonda oscuritàdell'oceano salivaassottigliando nel crepuscolo

PortlandPurbeckTinchamKimmeridgei due Matraversle lunghe striscedella scogliera nebbiosae la costa

punteggiata di fari.

L'Inghilterra scomparve. I fuggiaschi non ebbero attorno a sé altro che ilmare.

D'un tratto la notte diventò terribile.

Non ci furono più né distese né spazio; il cielo si era fatto neroe sirichiuse sulla nave. Iniziò a scendere lentamente la

neve. Apparve qualche fiocco. Si sarebbero dette anime. Niente fu piùvisibile nel campo di corsa del vento. Si

sentirono in balia. Tutto il possibile era làuna trappola.

Nei nostri climi la tromba polare esordisce con questa oscurità da caverna.

Una grande nuvola foscasimile alla parte inferiore di un'idrapesavasull'oceanofacendo aderire a tratti quel ventre

livido alle onde. Qualcuna delle aderenze assomigliava a una tasca sfondatache aspirasse il marevuotandosi di vapore

e riempendosi d'acqua. Questi risucchi sollevavano qua e là sopra i fluttidei coni di schiuma.

La tormenta boreale si precipitò sull'orcal'orca vi si buttò dentro.Raffica e nave si vennero incontro come per

affrontarsi.Durante il primo forsennato arrembaggio neppure una vela fuimbrogliatanon un fiocco fu ammainatoné fu presa una

mano di terzarolo nel delirio dell'evasione. L'albero scricchiolavapiegandosi indietro come atterrito.

I cicloninel nostro emisfero settentrionalegirano da sinistra a destranello stesso senso delle lancette di un orologio

con un movimento di traslazione che a volte raggiunge le sessanta migliaall'ora. Benché fosse completamente alla

mercé di quella violenta spinta rotatorial'orca si comportava come sefosse stata nel semicerchio favorevolesenz'altra

precauzione che quella di presentare la prua alle ondemantenendosi con ilvento in poppa e ricevendo il vento

apparente di tribordo per evitare colpi a poppa e di traverso. Questa mezzaprudenza non sarebbe servita a niente nel

caso di un salto di vento da un'estremità all'altra.

Un rumore profondo soffiava nella regione inaccessibile.

Il ruggito dell'abissoniente gli è paragonabile. È l'immensabestialevoce del mondo. Ciò che noi chiamiamo materia

questo organismo insondabilequesto amalgama di energie incommensurabilidove a volte distinguiamo

un'impercettibile quantità d'intenzione che fa rabbrividirequesto cosmocieco e notturnoquesto Pan incomprensibile

possiede un gridouno strano gridoprolungatoostinatocontinuoche èmeno della parola e più del tuono. Questo

grido è l'uragano. Le altre vocicantimelodieclamoriparolevengonodai nididalle covatedagli accoppiamenti

dagli imeneidalle dimore; questa è la tromba che esce da quel Nulla che èTutto. Le altre voci esprimono l'anima

dell'universo; questa ne esprime la mostruosità. È l'informe che urla. Èl'inarticolato parlato dall'indefinito. Cosa

patetica e terrificante. Questi rumori dialogano al di sopra e al di làdell'uomo. Si alzanosi abbassanoondulano

determinano flutti di rumoresorprendono lo spirito con ogni sorta diviolenzaora scoppiano vicinissimi al nostro

orecchio come una fanfara importunaora hanno la voce sorda e rauca dellalontananza; baccano vertiginosoche

sembra un linguaggioe che in effetti è un linguaggio; esso è lo sforzodel mondo per parlarebalbettio portentoso. In

questo vagito si manifesta confusamente tutto ciò che patiscesubendoaccettando e respingendo lo smisurato palpito

delle tenebre. Più spesso è un deliriocome l'accesso di una malattiacronicauna diffusa epilessia piuttosto che

l'impiego di una forza; si crede di assistere a una crisi di malcaduconell'infinito. A momenti s'intravede una

rivendicazione degli elementiuna non so quale velleità di rivalsa del caossulla creazione. Altre volte è un lamentolo

spazio che si duole e si giustificaqualcosa come l'atto di difesa delmondo; sembra di capire che l'universo è un

processo; si ascoltasi cerca di afferrare le ragioni portateil terribilepro e contro; l'ombra che geme con la tenacità di

un sillogismo. Grande turbamento per il pensiero. Là si trova la ragiond'essere delle mitologie e dei politeismi. Al

terrore dei grandi mormorii si aggiungono profili sovrumanivisti e subitosvanitieumenidi appena distinteseni di

furie disegnati nelle nuvolechimere plutoniche quasi reali. Nessun orroreeguaglia quei singultiquelle risatela

flessibilità del fragorele domande e le risposte indecifrabiliquelleinvocazioni d'aiuto verso l'ignoto. Davanti allo

spaventoso incantesimo l'uomo non sa che fare. Cede all'enigma di quelleintonazioni draconiane. Cosa nascondono?

Cosa significano? Chi minacciano? Chi supplicano? C'è come uno scatenarsi.Urla da un precipizio all'altrotra aria e

acquatra vento e ondetra pioggia e rocciatra zenit e nadirdagli astrialle schiumesciolta la museruola dell'abissoè

così quel tumultocomplicato da un'indefinibile contesa con le cattivecoscienze.

La loquacità della notte non è meno lugubre del suo silenzio. Vi si sentela collera dell'ignoto.

La notte è una presenza. Presenza di chi?

D'altronde bisogna fare una distinzione tra notte e tenebre. Nella notte c'èl'assoluto; nelle tenebre c'è il molteplice. La

logica grammaticale non ammette l'uso del singolare per le tenebre. La notteè unale tenebre molte.

Questa nebbia del mistero notturno è lo sparsoil fugaceciò che è inrovinail funesto. Non si sente più la terrasi sente

l'altra realtà. C'è qualcosa o qualcuno che vive in quell'ombra infinita eindefinibile; ma ciò che là vive fa parte della

nostra morte. Dopo il nostro passaggio terrenoquando quell'ombra sarà luceper noici afferrerà una vita che è oltre la

vita. Nell'attesa sembra che ci voglia saggiare. L'oscurità è unapressione. La notte è una specie di sequestro della nostra

anima. In certe ore orrende e solenni sentiamo ciò che sta dietro il murodella tomba irrompere in noi.

Mai la vicinanza dell'ignoto è più tangibile che nelle tempeste di mare.All'orribile si aggiunge il bizzarro. Chi può

interrompere le azioni umanel'antico Raduna-nuvoledispone in quel casoper plasmare l'avvenimento come meglio

crededell'elemento inconsistentedell'illimitata incoerenzadella forzadiffusa senza partito preso. La tempestaquesto

misteroaccetta ed esegue ad ogni istante non si sa quali mutamenti divolontàapparenti o reali.

In ogni tempo i poeti l'hanno chiamato il capriccio dei flutti.

Ma non è un capriccio. Le cose sconcertanti che nella natura chiamiamocapriccioe caso nel destinosono brani di

legge intravisti.

VIII • NIX ET NOX

Ciò che caratterizza la tempesta di neve è il suo essere nera. L'aspettoabituale della natura durante la burrascaterra o

mare scuricielo lividoviene capovolto; il cielo è nerol'oceano èbianco. In basso schiumain alto tenebre. Un

orizzonte murato di fumouno zenit soffittato di crespo. La tempesta sembral'interno di una cattedrale parata a lutto.

Ma nessuna lampada in questa cattedrale. Non fuochi di Sant'Elmo in cima alleonde; niente fiammelleniente

fosforescenze; nient'altro che un'ombra immensa. La differenza tra il ciclonepolare e quello tropicale consiste nel fatto

che uno accende tutte le lucil'altro le spegne. Improvvisamente il mondodiventa la volta di una cantina. Da questa

notte cade una polvere di macchie pallideche esitano tra cielo e mare. Lemacchiecioè i fiocchi di nevescivolano

errano e fluttuano. Come se le lacrime di un sudario acquistassero la vita esi mettessero in movimento. A questa seminasi unisce una tramontana forsennata.Un'oscurità spezzettata in forme biancheil furioso nello scurotutto iltumulto di

cui è capace il sepolcroun uragano sotto un catafalcoecco cos'è latempesta di neve.

Sotto trema l'oceano che ricopre i formidabili approfondimenti dell'ignoto.

Nel vento polareche è elettricoi fiocchi diventano subito chicchi digrandinee l'aria si riempie di proiettili. L'acqua

scoppiettamitragliata.

Non ci sono tuoni. Nelle tormente boreali il lampo è silenzioso. Quello chea volte si dice del gatto: «sta imprecando»

lo si può dire anche di quel lampo. È una minaccia che viene da faucisemiapertestranamente inesorabile. La tempesta

di neve è la tempesta cieca e muta. Spesso dopo che è passata anche le navisono cieche e i marinai muti.

È difficile uscire da un simile abisso.

Tuttavia sarebbe sbagliato pensare che il naufragio è assolutamenteinevitabile. I pescatori danesi di Disco e del Balesin

i cercatori di balene nereHearn che va verso lo stretto di Behring peresplorare la foce del Fiume della miniera di rame

HudsonMackensieVancouverRossDumont d'Urvillehanno subitoperfinoal polole più inclementi burrasche di

neveriuscendo a venirne fuori.

Proprio in quella specie di tempesta l'orca aveva fatto il suo ingressotrionfale a vele spiegate. Frenesia contro frenesia.

La stessa impudenza ebbe Montgomery quandoevadendo da Rouenlanciò la suagalera a tutta velocità contro la

catena che sbarrava la Senna alla Bouille.

La Matutina correva. La sua inclinazione sotto le vele faceva a voltecon il mare uno spaventoso angolo di quindici

gradima la sua brava chiglia panciuta aderiva alle onde come fossero statevischio. La chiglia resisteva agli strappi

dell'uragano. Il fanale rischiarava la prua. La nuvola piena di ventitrascinando la sua massa sull'oceanostringeva e

serrava sempre di più il mare attorno all'orca. Non un gabbiano. Nemmeno unarondine di scogliera. Nient'altro che

neve. Il campo delle onde era piccolo e spaventoso. Se ne vedevano tre oquattrosmisurate.

Di quando in quando un grande lampocolor rame puroappariva dietro gliscuri intrecci di orizzonte e zenit. In

quell'apertura vermiglia si delineava l'orrore delle nubi. Per un secondoalbrusco incendio delle profonditàsi

stagliavano i primi piani delle nuvole e le lontane fughe del caos celeste;l'abisso si metteva in prospettiva. Contro

quello sfondo di fuoco i fiocchi di neve diventavano nerisi sarebbero dettiscure farfalle in volo in una fornace. Poi

tutto si spegneva.

Passata la prima esplosionela burrascasempre spazzando l'orcasi mise aruggire in un tono basso continuo. È la fase

del brontoliotemibile diminuzione del fracasso. Non c'è nulla di piùinquietante che questo monologo della tempesta.

Tetro recitativocome una pausa tra le misteriose forze in lottache indicauna sorta di agguato nell'ignoto.

L'orca continuava la sua disperata corsa. Soprattutto ciò che dovevano farele sue due vele più grandi era spaventoso. Il

cielo e il mare erano d'inchiostrocon getti di bava che saltavano più altidell'albero. Ad ogni istante rovesci d'acqua

attraversavano come un diluvio il pontee a ogni cambiamento di rullio lecubieora a tribordoora a babordo

diventavano altrettante bocche aperte che rivomitavano la schiuma in mare. Ledonne si erano rifugiate in cabina

mentre gli uomini restavano sul ponte. La neve turbinava accecante. Vi siunivano gli sputi del mareggio. Tutto era

furia.

In quel momento il capo della bandain piedi a poppasulla barrad'arcacciaaggrappato con una mano alle sartie

strappandosi con l'altra dalla testa il fazzolettoche agitava al chiaroredel fanalearrogantecontentoil volto alteroi

capelli scarmigliatiebbro di tutta quell'ombragridò:

«Siamo liberi!».

«Liberi! Liberi! Liberi!»ripeterono i fuggiaschi.

E tutta la bandaafferrandosi al sartiamesi drizzò sul ponte.

«Urrà!»gridò il capo.

E la banda urlò nella tempesta:

«Urrà!».

Quando il clamore si spense tra le rafficheuna voce grave e forte si levòall'estremità opposta della navee disse:

«Silenzio!».

Tutte le teste si voltarono.

Avevano riconosciuto la voce del dottore. L'oscurità era fitta; non potevanovedere il dottoreappoggiato com'era

all'alberocon cui la sua magrezza si confondeva.

La voce riprese: «Ascoltate!».

Tutti tacquero.

Allora udirono distintamente nelle tenebre il rintocco di una campana.

IX • INCARICO AFFIDATO AL MARE IN FURIA

Il padrone dell'imbarcazioneche stava al timonescoppiò a ridere.

«Una campana! Bene. Siamo spinti a babordo. Che cosa prova la campana? Cheabbiamo la terra a dritta».

La voce ferma e lenta del dottore rispose:

«Non avete la terra a dritta».

«E invece sì!»gridò il padrone.

«No».

«Ma la campana viene da terra».«La campana»disse il dottore«vienedal mare».

Tra quegli uomini arditi corse un brivido. Nel riquadro della tuga di cabinaapparvero i visi stravolti delle due donne

come l'evocazione di due larve. Il dottore fece un passo e la sua lungafigura nera si staccò dall'albero. Si udivano in

fondo alla notte i rintocchi della campana.

Il dottore riprese:

«A metà distanza tra Portland e l'arcipelago della Manicac'è in mezzo almare una boamessa per avvisare. La boa è

ancorata con catene al bassofondo e galleggia a fior d'acqua. Sulla boa èfissato un cavalletto di ferroalla traversa del

cavalletto è appesa una campana. Durante le mareggiate le onde agitandosiscuotono la boae la campana suona. È la

campana che udite».

Il dottore lasciò passare la sfuriata della tramontanaattese che lacampana riprendesse a suonaree seguitò:

«Sentire questa campana nella tempestamentre soffia il maestralesignifica essere perduti. Perché? Ecco: se udite il

rumore della campanavuol dire che ve lo porta il vento. Orail vento vieneda ovest e gli scogli d'Aurigny sono a est.

Sentite la campana solo perché siete tra la boa e gli scogli. E il vento vispinge proprio su quegli scogli. Siete sul lato

cattivo della boa. Se foste su quello buonovi trovereste al largoin altomaresu una rotta sicurae non udreste la

campana. Il vento non ve ne porterebbe il rumore. Passereste vicino alla boasenza accorgervene. Abbiamo deviato.

Quella campana è il naufragio che suona a martello. E adesso prendeteprovvedimenti!».

La campanache mentre il dottore parlava si era calmata a causa di un calodel ventosuonava lentamenteun colpo

dopo l'altroe l'intermittenza dei rintocchi sembrava assentire alle paroledel vecchio. Come se l'abisso suonasse a

morte.

Tutti ascoltavano col fiato sospesoora la voceora la campana.

X • LA TEMPESTA È LA GRANDE SELVAGGIA

Nel frattempo il padrone aveva afferrato il portavoce.

«Cargate todohombres! Mollate le scottealate i cavimollate ledrizze e gli imbrogli delle vele basse! Diamoci dentro

a ovest! Riprendiamo il largo! La prua sulla boa! La prua sulla campana!Laggiù c'è il mare aperto. Niente è perduto».

«Provate»disse il dottore.

Ricordiamodi sfuggitache la boa a soneriasorta di campanile del marefu soppressa nel 1802. Vecchissimi marinai

si ricordano ancora di averla udita. Era sì un avvertimentoma arrivava unpo' tardi.

L'ordine del padrone fu eseguito. Quello della Linguadoca fece da terzomarinaio. Tutti aiutarono. Fecero di più che

imbrogliare le velele serraronoallacciarono i gerlisi annodarono icaricascottei caricame zzo e i cavi di bolina;

misero paterazzi sugli stroppiche vennero così impiegati come sartie ditraverso; rinforzarono l'albero; bloccarono i

portelli di muratache è un modo per murare la nave. La manovraper quantoeseguita alla bene e meglionon fu per

questo meno corretta. L'orca fu ridotta all'equipaggiamento delle situazionidi pericolo. Ma quanto più il bastimento

serrando tuttosi rimpicciolivadi tanto cresceva su di lui il rivolgimentodell'aria e dell'acqua. L'altezza dei cavalloni

era quasi uguale a quella raggiunta nell'emisfero polare.

L'uraganocome un carnefice frettolososi mise a squartare la nave. In unbatter d'occhio lo strazio fu spaventosoalle

gabbie furono strappate le ralingheil fasciame rasodivelte le gruettelesartie devastatel'albero spezzatonel

frastuono del disastro tutto andò in frantumi. Le grosse gomene cedetterobenché avessero quattro mani di volta.

La tensione magneticapropria delle tempeste di nevecontribuiva allarottura dei cordami. Essi si romp evano sia per

l'effluvio che per il vento. Parecchie cateneuscite dai bozzellinonscorrevano più. A prua i masconi e a poppa le anche

cedevano sotto una pressione esagerata. Un'ondata trascinò via la bussola ela chiesuola. Un'altra ondata si trascinò la

barcaccia rizzatasecondo il bizzarro costume asturianovicino albompressoin funzione di attaccapanni. Un'altra portò

via il pennone della civada. Un'altra ancora la Madonna di prua e il fanale.

Non restava che il timone.

Supplirono alla perdita del fanale con una grande granata a brulottopienadi stoppa fiammeggiante e di catrame acceso

che sospesero al tagliamare.

L'alberospezzato in dueirto di stracci sventolantidi cordedi catene edi pennoniingombrava il ponte. Cadendo

aveva rotto il tavolato della murata di tribordo.

Il padronesempre alla barragridò:

«Finché possiamo tenere il timoneniente è perduto. Le opere vive tengonobene. Alle asce! Alle asce! L'albero a mare!

Liberate il ponte!».

Equipaggio e passeggeri avevano la febbre delle battaglie supreme. Bastaronopochi colpi di scure.

Spinsero l'albero in mare. Il ponte fu sgomberato.

«E ora»continuò il padrone«prendete una drizza e legatemi allabarra».

Fu legato al timone.

Mentre lo fissavanorideva. Gridò al mare:

«Mugghiavecchio mio! Mugghia! Ho visto di peggio al capo Machichaco».

E quando fu incatenatoagguantò il timone a due mani con quello stranopiacere che dà il pericolo.

«Va tutto benecompagni! Viva Nostra Signora di Buglose! Facciamo rottaverso ovest!».

Arrivò un'enorme ondata di traverso che si abbatté a poppa. C'è semprenelle tempeste una specie di onda tigreondata

feroce e definitivache arriva al momento opportunostriscia per un po'come con l'addome sul marepoi spicca ilbalzoruggiscestridesi abbattesulla nave in pericolo e la smembra. La poppa della Matutina fucompletamente

inghiottita dalla schiumae in quella mescolanza d'acqua e notte si udì unoschianto. Quando la schiuma dileguò e

riapparve la poppanon c'erano più né padronené timone.

Tutto era stato strappato via.

La barra e l'uomo che vi avevano appena legato se n'erano andati con l'ondanel confuso fragore della tempesta.

Il capo della banda scrutò fissamente nell'ombra e gridò:

«Te burlas de nosotros?».

A quel grido di ribellione ne seguì un altro:

«Gettiamo l'ancora! Salviamo il padrone».

Corsero all'argano. Gettarono l'ancora. Le orche ne avevano una sola. Ilrisultato fu che la persero. Il fondo era di roccia

vivail mareggio scatenato. La gomena si spezzò come un capello.

L'ancora restò in fondo al mare.

Del tagliamare rimaneva solo l'angelo che scrutava nel suo cannocchiale.

Da quel momento l'orca non fu che un relitto. La Matutina erairrimediabilmente smantellata. Quella navepoco prima

alata e quasi terribile nella sua corsaera adesso impotente. Non unamanovra che non fosse mutila e disarticolata.

Anchilosata e passiva obbediva alle furie bizzarre dell'acqua. Solo sul mareè possibile vederenel giro di pochi minuti

uno sciancato dove prima c'era un'aquila.

Lo spazio soffiava in modo sempre più mostruoso. La tempesta è un terribilepolmone. Essa aggrava con lugubre

insistenza ciò che è privo di sfumaturel'oscurità. La campana in mezzoal mare suonava disperatamentecome scossa

da una mano selvaggia.

La Matutina se ne andava in balia delle onde; un tappo di sugheroondeggia a quel modo; essa non navigava più

galleggiava; ad ogni istante sembrava che dovesse rovesciarsicol ventre afior d'acqua come un pesce morto. La

salvava da quel pericolo il buono stato di conservazione dello scafoaperfetta tenuta stagna. Nessuna serretta aveva

ceduto ai flutti. Non c'erano fessurené crepee neppure una gocciad'acqua entrava nella stiva. Questa era una fortuna

perché la pompa era stata colpita da un'avaria che l'aveva messa fuori uso.

L'orca ballava orrendamente nell'angoscia dei flutti. Il ponte aveva leconvulsioni di un diaframma che sta per vomitare.

Era come se si sforzasse di rigettare i naufraghi. Quelliinertisiaggrappavano alle manovre dormiential fasciameal

traversinoal serrabozzeai matafionialle fenditure del bordo liberosconnesso con i chiodi che laceravano le manialle

porche contortea tutti i miserabili avanzi di quello sfacelo. Ogni tantotendevano l'orecchio. Il suono della campana si

stava affievolendo. Come se anche lei agonizzasse. I suoi rintocchi non eranoche un rantolo intermittente. Poi il rantolo

si spense. Dove si trovavano dunque? E a quale distanza dalla boa? Il suonodella campana li aveva spaventatiil suo

silenzio li terrorizzò. Il maestrale li spingeva lungo una rotta forseirreparabile. Si sentivano trascinati da un frenetico

ritorno del vento. Il relitto correva nell'oscurità. Niente è piùraccapricciante di una velocità cieca. Sentivano il

precipizio davantisotto e sopra di sé. Non era più una corsaera unacaduta.

Improvvisamentein quell'immane tumultonella foschia della neveapparvequalcosa di rosso.

«Un faro!»gridarono i naufraghi.

XI • I CASQUETS

Si trattava infatti della Light-House dei Casquets.

Nel diciannovesimo secolo un faro è un cilindro altodi forma conicainmuraturasormontato da un apparecchio

scientifico per l'illuminazione. Il faro dei Casquets in particolare ècomposto oggi da una triplice torre bianca con tre

castelli di luce. Queste tre case luminose evolvono ruotando su ingranaggi adorologeriacon una precisione tale che

l'uomo di guardia che le osserva dal largo fa regolarmente dieci passi sulponte della nave durante l'irradiazionee

venticinque durante l'eclisse. Tutto è calcolato nel piano focale e nellarotazione del tamburo ottagonaleformato da otto

larghe lenti semplici e graduatecon sopra e sotto due serie di anellidiottrici; ingranaggio algebrico difeso dai colpi di

vento e di mare per mezzo di vetri spessi un millimetrovetri che a voltevengono rotti dalle razze che vi si gettano

soprae che sono le grandi falene di quelle gigantesche lanterne. Lacostruzione che racchiudesostiene e incastona il

meccanismoè ugualmente matematica. Tutto in essa è sobrioesattonudopreciso e corretto. Un faro è una cifra.

Nel diciassettesimo secolo un faro era una specie di pennacchio della terrasul bordo del mare. La torre del faro aveva

un'architettura magnifica e stravagante. Sovrabbondava di balconidibalaustredi torrettedi loggettedi padiglionidi

banderuole. Ed erano mascheronistatuefrondevolutemezzi tondifiguree figurinecartigli con iscrizioni. Pax in

bellodiceva il faro di Eddystone. Tra parentesiquella dichiarazionedi pace non sempre disarmava l'oceano.

Winstanley la ripeté su un faro che aveva costruito a sue spese in unalocalità selvaggiadavanti a Plymouth. Quando la

torre fu terminatavi si sistemò dentro e la fece mettere alla prova dallatempesta. La tempesta arrivò e si portò via faro

e Winstanley. Del resto quelle costruzioni esuberanti offrivano presa allaburrasca da ogni partecome quei generali

troppo gallonati che nella battaglia attirano su di sé i colpi. Oltre allefantasie di pietrac'erano le fantasie di ferrodi

ramedi legno; rilievi in ferramentale armature sbalzate. Dovunquedalprofilo del farosporgevanomurati tra gli

arabeschiarnesi di ogni tipoutili e inutiliverricelliparanchibozzellicontrappesiscalegru di caricograppini di

salvataggio. Sulla cimaattorno al focolaredelicate ferramenta lavoratereggevano grandi candelieri di ferrodove

venivano conficcati pezzi di gomena inzuppati di resinalucignoli cheardevano tenacemente e che nessun vento poteva

spegnere. La torre poi era tutto un grovigliodall'alto in bassodistendardi di marebanderuoleinsegnebandierepennonivessilliche salivanodi asta in astadi piano in pianoin un amalgama di coloridi formediblasonidi

segnalidi turbolenzefino alla gabbia a raggi del farofacendo durante latempesta un'allegra insurrezione di stracci

attorno a quel fiammeggiare. Quella luce sfrontata sull'orlo dell'abissosembrava una sfida e trasmetteva audacia ai

naufraghi. Ma il faro dei Casquets non apparteneva a quel genere.

In quell'epoca era semplicemente un vecchio faro barbarocosì come l'avevavoluto Enrico I dopo la perdita della

Blanche-Nefun rogo fiammeggiante sotto un graticcio di ferro in cima auna rocciauna brace dietro una gratauna

chioma di fiamme nel vento. L'unico miglioramento che quel faro aveva avutodopo il dodicesimo secoloera un

mantice di fucinamesso in movimento da una cremagliera a pesi di pietra cheera stata adattata al focolare nel 1610.

Con quegli antichi farila sorte degli uccelli marin i era più tragica checon i fari attuali. Gli uccelli vi accorrevano

attirati dal chiarorevi si precipitavano contro e cadevano nel bracieredove si vedevano saltareneri spiriti agonizzanti

in quell'inferno; e qualche volta ricadevano fuori dalla gabbia rossafinendo sulla rocciafumantiazzoppaticiechi

come mosche semibruciate scampate alla fiamma di una lampada.

A una nave che faccia manovraprovvista di tutte le sue attrezzatureegovernabile dal pilotail faro dei Casquets è

utile. Esso grida: attenzione! Mette in guardia dallo scoglio. Ma per unanave smantellata esso è davvero terribile. Lo

scafoparalizzato e inerteimpotente contro le pieghe insensate dell'acquaindifeso contro la pressione del ventopesce

senza pinneuccello senza alinon può andare che dove lo spinge il vento.Il faro gli indica l'ultimo approdosegnala il

luogo della scomparsaillumina la sepoltura. Esso è la candela delsepolcro.

Che tragica ironia rischiarare il passaggio inesorabileavvisaredell'inevitabile.

XII • CORPO A CORPO CON LO SCOGLIO

I miserabili in pericolo sulla Matutina capirono subito la beffamisteriosa che si era aggiunta al naufragio. In un primo

momento l'apparizione del faro li rianimòpoi li abbatté. Nulla da farenulla da tentare. Quello che è stato detto dei re

si può dire anche dei flutti. Siamo i loro sudditila loro preda. Dobbiamosubire ogni loro delirio. Il maestrale spingeva

l'orca alla derivaverso i Casquets. Ci stavano andando. Impossibileopporsi. Andavano rapidamente alla derivaverso

la scogliera. Sentivano i fondali salire; la sondase avessero potutoimmergere utilmente una sondanon avrebbe dato

più di tre o quattro braccia. I naufraghi ascoltavano il sordo riversarsidell'onda nei profondi anfratti sottomarini della

roccia. Sopra al faro distinguevano come una fetta scuratra due lame digranitolo stretto varco di quel piccolo porto

terrificante e selvaggioche si indovinava pieno di scheletri d'uomo ecarcasse di navi. Più che l'entrata di un portoera

la bocca di un antro. Udivano il crepitio del rogoalto nella sua gabbia diferroun rosso stravolto illuminava la

tempestafiamma e grandine incontrandosi agitavano la nebbiala nube nera eil fumo rosso combattevanoserpe contro

serpele braci strappate volavano al ventoe sembrava che i fiocchi di nevefuggissero davanti a quell'improvviso

attacco di scintille. I frangentiprima sfumatisi disegnavano ora connettezzacongerie di roccecon picchicreste e

vertebre. Gli angoli si modellavano in vivaci linee vermigliee i pianiinclinati in sanguinosi scivoli di luce. Avanzando

il rilievo della scogliera s'ingrandivaergendosi in modo sinistro.

Una delle donnequella irlandesesgranava disperatamente il rosario.

In mancanza del padroneche era il pilotarimaneva il capoche era ilcapitano. Tutti i baschi conoscono sia la

montagna che il mare. Sono audaci davanti ai precipizi e ingegnosi nellecatastrofi.

Erano arrivatistavano per toccare. A un tratto si trovarono così vicinialla grande roccia nord dei Casquetsche essa

improvvisamente eclissò il faro. Non vi fu più che leisullo sfondo di unvago chiarore. La roccia dritta nella nebbia

assomigliava a una grande donna nera con una cuffia di fuoco.

Quella roccia malfamata si chiama il Biblet. Essa puntella a settentrione lascoglierache un altro rilievol'Étacq-aux-Guilmets

puntella a mezzogiorno.

Il capo guardò il Biblete gridò:

«Un uomo di buona volontà che porti un gherlino al frangente! C'è qualcunoche sappia nuotare?».

Nessuno rispose.

A bordo nessuno sapeva nuotareneppure i marinaiignoranza del restofrequente tra la gente di mare.

Un baglioquasi staccato dalle sue commessureoscillava nel fasciame. Ilcapo lo strinse tra le mani e disse:

«Aiutatemi».

Staccarono il baglio. Era pronto per qualsiasi uso. Da mezzo di difesadivenne mezzo d'attacco.

Era una trave abbastanza lunga di quercia anticasana e robustache potevaservire come strumento d'attacco e punto

d'appoggio; leva per un caricoariete contro una torre.

«In guardia!»gridò il capo.

Si misero in seiappoggiandosi allo spezzone dell'alberoa tenere il baglioin posizione orizzontale fuori bordodritto

come una lancia contro il fianco dello scoglio.

La manovra era pericolosa. Ci vuole un bel coraggio per dare una spinta a unamontagna. Il contraccolpo avrebbe potuto

gettare i sei uomini in acqua.

Queste sono le contraddizioni nella lotta contro le tempeste. Dopo larafficalo scoglio; dopo il ventoil granito. A volte

si è alle prese con l'inafferrabilea volte con l'incrollabile.

Fu uno di quei minuti che fanno diventare bianchi i capelli.

Lo scoglio e la nave stavano per scontrarsi.

La roccia è paziente. Lo scoglio attendeva.Accorse un'ondata scomposta. Misefine all'attesa. Prese la nave da sottola sollevò eper un istantela tennein

equilibrio come la fionda che fa oscillare il proiettile.

«Fermi!»gridò il capo. «Non è che una rocciae noi siamo uomini».

La trave era in resta. I sei uomini erano tutt'uno con essa. Le caviglieappuntite del baglio laceravano loro le ascellema

non se ne accorgevano nemmeno.

L'ondata gettò l'orca contro la roccia.

Ci fu l'urto.

Ci fusotto l'informe nube di schiuma che nasconde sempre queste peripezie.

Quando la nube ricadde in marequando tra onda e roccia si riformò ilvuotoi sei uomini rotolarono sul ponte; ma la

Matutina fuggiva lungo il frangente. La trave aveva rettocausando unadeviazione. In pochi secondinella sfrenata

fuga delle ondel'orca si lasciò alle spalle i Casquets. Per il momento la Matutinaera fuori da un pericolo immediato.

Capita. Un colpo diritto del bompresso nella scogliera salvò Wood de Largoall'imboccatura del Tay. Negli impervi

paraggi di capo Wintertonla Royale-Marieal comando del capitanoHamiltone benché non fosse che una fregata di

tipo scozzesepoté scampare al naufragio con un analogo uso della levacontro la temibile roccia di Brannoduum.

L'onda si scompone con una forza così improvvisa da rendere facili lediversionio almeno possibilianche negli urti

più violenti. Nella tempesta c'è il bruto; l'uragano è un toro che si puòmettere nel sacco.

Il segreto per evitare il naufragio consiste nel cercare di passare dallasecante alla tangentetutto qui.

Fu il servizio reso dal baglio alla nave. Era servito da remo; avevafunzionato come timone. Ma questa manovra

liberatrice era stata fatta una volta per tutte; non si poteva ripeterla. Latrave era in mare. La forza dell'urto l'aveva

sbalzata dalle mani degli uomini in maree si era persa nei flutti.Schiodare un'alt ra armatura voleva dire sfasciare la

membratura.

L'uragano si riprese la Matutina. In un attimo i Casquets apparverocome un inutile ingombro sull'orizzonte. Solo uno

scoglio in simili circostanze può sembrare così sconcertato. Ci sono nellanaturaai confini con l'ignotolà dove visibile

e invisibile s'intralcianoarcigni profili immobili e indignati per la fugadi una preda.

Così apparivano i Casquets mentre la Matutina si allontanava.

Il faroindietreggiandoimpallidìillividìpoi scomparve.

Fu una scomparsa tetra. Dense nebbie si sovrapposero alla vampa che si eradiffusa. L'irradiamento si stemperò in

quell'umida immensità. La fiamma fluttuòlottòaffondòperse forma.Quasi stesse annegando. Il braciere diventò

lucignolonon fu che un vago tremolio sbiadito. Tutto intorno si allargavalo stravaso del cerchio di luce. Come un

annientamento di luce in fondo alla notte.

La campana minacciosa si era azzittita; il faro minaccioso era svanito.Eppurescomparse quelle due minaccefu ancora

più terribile. Una era una vocel'altra una fiaccola. Esse avevano qualcosadi umano. Senza di lororestò l'abisso.

XIII • FACCIA A FACCIA CON LA NOTTE

L'orca si ritrovò in balia dell'ombranella sterminata oscurità.

La Matutinascampata ai Casquetsprecipitava da un'ondata all'altra.Una treguama nel caos. Spinta di traverso dal

ventosballottata da mille trazioni dell'ondain essa si ripercuotevanotutte le folli oscillazioni dei flutti. Non aveva

quasi più beccheggiosegno terribile dell'agonia di una nave. I relittihanno solo il rullio. Il beccheggio è la convulsione

della lotta. Solamente il timone permette di andare contro vento.

Nella tempestae soprattutto nella meteora di neveil mare e la nottefiniscono per fondersi e amalgamarsidiventando

un unico fumo. Nebbiaturbineventoscivolare in tutti i sensinessunpunto d'appoggioniente su cui orientarsi

nessuna sostaun perpetuo ricominciareun varco dopo l'altronessunorizzonte in vistanero e profondo regredireera

là dentro che l'orca vagava.

Sfuggire ai Casquetsevitare gli scogliper i naufraghi era stata unavittoria. Ma più che altro uno stupore. Non c'erano

stati urrà: sul mare non si commettono due volte simili imprudenze. Gettareprovocazioni là dove non si getterebbe la

sondaè grave.

Respingere lo scoglio era stato come realizzare l'impossibile. Ne eranorimasti pietrificati. A poco a pocotuttavia

tornavano a sperare. Non si affondano i miraggi dell'anima. Non esistepericolo cheanche nel momento più criticonon

veda sorgere dalle sue profondità l'ineffabile albore della speranza. Queglisventurati non chiedevano di meglio che

poter confessarsi di essere in salvo. C'era in loro quel balbettio.

Ma all'improvviso apparve nella notte qualcosa di spaventosamente gigantesco.Sorse a babordoprese forma

stagliandosi sul fondo di nebbiauna massa alta e opacaverticaleadangoli rettila torre squadrata dell'abisso.

La guardarono a bocca aperta.

Le raffiche li stavano spingendo proprio là.

Non sapevano cosa fosse. Era lo scoglio di Ortach.

XIV • ORTACH

Ricominciava la scogliera. Dopo i CasquetsOrtach. La tempesta non è unartistala sua brutale onnipotenza non varia i

propri mezzi.L'oscurità è inesauribile. Non le mancano mai trappole eperfidie. Per l'uomo invece viene presto la fine delle sue

risorse. L'uomo si consumal'abisso no.

I naufraghi si volsero verso il capola loro speranza. Egli non poté faraltro che alzare le spallecon sdegno tetro e

impotente.

Una selce in mezzo all'Oceanoecco lo scoglio di Ortach. Lo scoglio diOrtachtutto d'un pezzoerto sui colpi

indispettiti delle ondesale diritto per ottanta piedi. Onde e navi vis'infrangono. Cubo immutabileche immerge a picco

i suoi fianchi rettilinei nelle infinite curve di serpe del mare.

Di notte sembra un ceppo enorme posato sulle pieghe di un grande drappo nero.Durante la tempesta attende il colpo di

scure del tuono.

Ma non ci sono mai colpi di tuono nella tromba di nave. La navein realtàha una benda sugli occhi; tutte le tenebre le

si sono serrate addosso. È pronta come un suppliziato. E non c'è da sperarenel fulmineche almeno è una fine rapida.

La Matutinaparalizzata sui fluttiandava verso questo scogliocosì come era andata verso l'altro. Quei disgraziatiche

per un momento si erano creduti in salvoripiombarono nell'angoscia. Tornavadavanti a loro quel naufragio che si

erano lasciati dietro. Dal fondo del mare usciva di nuovo lo scoglio. Sitornava da capo.

I Casquets sono uno stampo dai mille scompartil'Ortach è una muraglia.Naufragare ai Casquets significa essere fatti a

brandelli; naufragare all'Ortach significa essere stritolati.

Tuttavia rimaneva una possibilità.

Sui fronti dirittie l'Ortach è uno di questi frontil'ondacome unapalla di cannonenon rimbalza. Si riduce a un

semplice movimento. Flussoe poi riflusso. Arriva come ondatorna comemaroso.

In simili casi la scelta tra la vita e la morte avviene così: se l'ondaconduce il bastimento fino alla rocciave lo infrange

ed esso è perduto; se il maroso torna prima che il bastimento abbia toccatolo porta viaed esso è salvo.

Ansia straziante. I naufraghi scorgevano nella penombra il grande fluttoquello supremoche veniva verso di loro. Fin

dove li avrebbe trascinati? Se s'infrangeva contro la nave li avrebbe fattirotolare contro la rocciafracassandoli. Se

passava sotto la nave...

Il flutto passò sotto la nave. Respirarono.

Ma come sarebbe tornato? Cosa avrebbe fatto di loro la risacca?

La risacca li portò via.

In pochi minuti la Matutina si trovava fuori dalle acque delloscoglio. L'Ortach si eclissòcome era accaduto ai

Casquets.

Era la seconda vittoria. Per la seconda volta l'Orca era stata sull'orlo delnaufragioma se n'era ritratta in tempo.

XV • PORTENTOSUM MARE

Nel frattempo la nebbiache si era infittitasi abbatté su queidisgraziati alla deriva. Ingoravano dove si trovassero.

Vedevano appena a qualche gomena dall'orca. Malgrado i chicchi di grandine lelapidassero davverocostringendole a

tenere la testa bassale donne si erano ostinate a non ridiscendere nellacabina. Non c'è un solo disperato che rinunci a

naufragare a cielo aperto. Quando si è così vicini alla morteun soffittosopra di sé è un principio di bara.

Le ondesempre più gonfiesi facevano corte. Il turgore dei flutti indicauna strozzatura; con la nebbia forte certi rilievi

circolari dell'acqua segnalano uno stretto. Infattisenza saperlostavanocosteggiando Aurigny. Tra Ortach e i Casquets

a ponentee Aurigny a levanteil mare stringendosi si turbae il malesseredel mare determina le tempeste locali. Come

ogni altra cosaanche il mare soffre; e là dove soffresi irrita. Quelpassaggio è temuto.

La Matutina si trovava proprio in quel passaggio.

Immaginiamo sott'acqua uno scudo di testuggine grande come Hyde-Park o gliChamps-Elyséesogni incavo è un

bassofondo e ogni placca uno scoglio. Così si presenta l'accesso occidentaledi Aurigny. Il mare ricopre e nasconde

quella macchina da naufragi. Su quel carapace di scogli sottomarini saltano espumeggiano le onde in frantumi.

Sciabordioquando c'è calma; caos nella tempesta.

I naufraghi presero atto della nuova complicazione senza spiegarsela. Poid'un tratto capirono. Si diffuse un pallido

chiarore allo zenitsbiancando un po' il maree quel livore bastò persmascherare un lungo sbarramento a babordo

messo di traverso in direzione este lì si scagliava l'urto del ventospingendo davanti a sé la nave. Era la barriera di

Aurigny.

Che cos'era quella barriera? Tremarono. Ma avrebbero tremato ancor di più seuna voce avesse loro risposto: Aurigny.

Non ci sono isole così ben difese dalla venuta dell'uomo come Aurigny. Essadispone di una sorveglianza ferocesotto e

fuori dell'acquae Ortach è la sua sentinella. A ovest BurhouSadteriauxAnfroqueNiangleFond-du-Croci Jumelles

la Grossela Clanquegli Eguillonsil Vracla Fosse-Malière; a estSauquetHommeauFloreaula Brinebetaisla

QueslingueCroquelihoula Fourcheil SautNoire PuteCoupieOrbue. Cosasono tutti questi mostri? Idre? Sìidre

della specie scoglio. Uno di questi scogli si chiama la Metacome per direche ogni viaggio finisce lì.

L'ingombro di scogliche acqua e notte semplificavanoappariva ai naufraghisotto forma di una semplice striscia scura

una sorta di frego nero sull'orizzonte.

Il naufragio è il massimo dell'impotenza. Essere vicini a terra e nonpoterla raggiungeregalleggiare e non poter

navigarepoggiare con i piedi su qualcosa che sembra solido ma è fragileessere pieni di vita e di morte al tempo stesso

essere prigionieri delle disteseessere murati tra cielo e oceanoaveresopra sé l'infinito come una segretaavere attornol'immensa evasione dei ventie delle ondee essere afferratiincatenatiparalizzatiin una stupefacenteindegna

prostrazione. Sembra di intravedervi il ghigno del combattente inaccessibile.

Ciò che vi trattiene è lo stesso che lascia andare gli uccelli e mette inlibertà i pesci. Sembra nulla ed è tutto. Si dipende

da quella stessa aria che agitiamo con la boccasi dipende da quell'acquache teniamo nel cavo della mano. Attingete

dalla tempesta un bicchiere pienonon è altro che un po' d'amaro. Sorsataè nausea; mareggioè sterminio. Il granello

di sabbia nel desertoil fiocco di schiuma nell'oceanosono manifestazionivertiginose; l'onnipotenza non si preoccupa

di nascondere il suo atomoessa rende forte la debolezzariempie con il suotutto il nullaed è con l'infinitamente

piccolo che l'infinitamente grande vi annienta. Per stritolarvi l'oceano siserve di gocce. Ci si sente giocattoli.

Giocattoliche terribile parola!

La Matutinacircostanza favorevoleera un po' sopra Aurigny; maandava alla deriva verso la punta nordcom'era

fatale. Il vento di nord-ovest lanciava la nave verso il capo settentrionalecome un arco teso scocca una freccia. Presso

questa puntaun po' al di qua del porto di Corbeletsc'è quello che imarinai dell'arcipelago normanno chiamano «una

scimmia».

La scimmia - swinge - appartiene alla specie delle correnti furiose.Una serie d'imbuti nei bassifondi che genera una

serie di vortici nelle onde. Quando uno vi lascia andarel'altro viriprende. Così una naveafferrata dalla scimmiagira

di spirale in spiralefinché una roccia appuntita apre lo scafo. Allora ilbastimento squarciato si fermala poppa esce

dalle ondela prua affondail gorgo termina il suo giro di ruotala poppaaffondae tutto si richiude. Una pozza di

schiuma galleggia e si allargae sulla superficie delle onde non si vedonoche bollequa e làcausate dai respiri

soffocati sott'acqua.

Le tre scimmie più pericolose di tutta la Manica sono: quella attigua alGirdler Sandsil famoso banco di sabbiaquella

di Jerseytra il Pignonnet e la punta di Noirmonte la scimmia d'Aurigny.

Un pilota del luogoche si fosse trovato a bordo della Matutinaavrebbe avvertito i naufraghi di quel nuovo pericolo. In

mancanza del pilotaessi avevano l'istinto; nelle situazioni estreme c'ècome una seconda vista. Alti giri di schiuma

s'innalzavano lungo la costanel frenetico saccheggio del vento. Era losputo della scimmia. Molte barche si sono

rovesciate in quell'agguato. Senza sapere ciò che li aspettavavi siavvicinavano con orrore.

Come doppiare quel capo? In nessun modo.

Avevano visto sorgere i Casquetspoi Ortachallo stesso modo ora vedevanoergersi la punta d'Aurignyaltatutta di

roccia. Erano come gigantiuno dopo l'altro. Una serie di spaventosi duelli.

Scilla e Cariddi sono solo due; i CasquetsOrtach e Aurigny sono tre.

L'apparizione dello scoglio che invadeva l'orizzonte si riproduceva con lagrandiosa monotonia dell'abisso. Le battaglie

dell'oceanocome i combattimenti di Omerohanno di queste sublimiripetizioni.

Quanto più si avvicinavanoogni ondata aggiungeva venti cubiti alledimensioni del capoche si andava

spaventosamente ingrandendo nella nebbia. La distanza sembrava diminuiresempre più irrimediabilmente. Arrivarono

sul bordo della scimmia. La prima ondulazione che li avesse afferratiliavrebbe trascinati. Ancora un'ondata da

superaree tutto sarebbe finito.

Improvvisamente l'orca fu sospinta indietro come se l'avesse colpita il pugnodi un titano. I marosi s'impennarono sotto

la nave e si rovesciaronorespingendo il relitto tra criniere di schiuma.Sotto quella spinta la Matutina si allontanò da

Aurigny.

Si ritrovò al largo.

Da dove veniva quell'aiuto? Dal vento.

Il soffio della tempesta si era spostato.

Prima erano state le onde a giocare con loroadesso toccava al vento. Sierano liberati da soli dei Casquets; davanti a

Ortach erano state le peripezie dei cavallonidavanti a Aurigny fu latramontana. C'era stato un salto improvviso da

settentrione a mezzogiorno.

Il libeccio era succeduto al maestrale.

La corrente è il vento nell'acqua; il vento è la corrente nell'aria; le dueforze si erano scontratee il vento per capriccio

aveva sottratto alla corrente la sua preda.

Le rudezze dell'oceano sono inspiegabili. Sono un perpetuo forse. Quando siè alla loro mercénon si può né sperarené

disperare. Esse fannopoi sfanno. L'oceano si diverte. In quel vasto esubdolo mareche Jean Bart chiamava - la gran

bestia -ci sono tutte le sfumature della ferocia beluina. È il colpod'artiglio con volute pause da zampa di velluto. A

volte la tempesta liquida il naufragio in gran fretta; a volte se lo lavorapuntigliosamentequasi accarezzandolo. Il mare

ha tempo. Se ne accorgono gli agonizzanti.

Capita che certi rallentamenti nel suppliziodobbiamo ammetterloannuncinola liberazione. Sono casi rari. Comunque

gli agonizzanti credono facilmente alla salvezzala minima tregua nelleminacce della tempesta è loro sufficientesi

convincono di essere fuori pericolodopo essersi creduti sepolti prendonoatto della resurrezioneaccettano

febbrilmente ciò che non possiedono ancoratutto quello che la cattivasorte conteneva è esauritoè evidentesi

dichiarano soddisfattisono salviritengono che Dio abbia mantenuto i suoiimpegni. Ma non bisogna avere troppa

fretta nel rilasciare simili ricevute all'Ignoto.

Il libeccio esordì con dei vortici. I soccorritori dei naufraghi sono sempreburberi. La Matutina fu impetuosamente

trascinata al largo per quel po' di sartiame che le restavacome una mortaper i capelli. Sembrava una di quelle

liberazioni che Tiberio accordava a prezzo di stupro. Il vento maltrattavaquelli che stava salvando. Prestava i suoi uffici

con furore. Fu un soccorso senza pietà.Il relittoin mezzo a queimaltrattamenti liberatorifinì di sfasciarsi.

Chicchi di grandinegrossi e duri da caricarci un trombonecrivellavano ilbastimento. A ogni rovesciamento dei

marosii chicchi rotolavano sul ponte come biglie. L'orcaquasi presa tradue acquediventava irriconoscibile sotto la

ricaduta delle ondesprofondandosi nelle schiume. Sulla nave ciascunopensava a sé.

Chi poteva si aggrappava. Dopo ogni colpo di mare erano sorpresi diritrovarsi tutti. Molti avevano il volto straziato da

schegge di legno.

Fortunatamente la disperazione ha pugni robusti. Nello spavento la mano di unbambino ha la stretta di un gigante.

L'angoscia rende una morsa le dita della donna. Una giovane impauritaaffonderebbe nel ferro le sue unghie rosee. Si

afferravanosi tenevanosi trattenevano. Ma ogni onda minacciava dispazzarli.

Improvvisamente si sentirono confortati.

XVI • IMPROVVISA DOLCEZZA DELL'ENIGMA

L'uragano era cessato di colpo.

Nell'aria non c'erano più né libeccio né maestrale. Le forsennate chiarinedello spazio tacquero. La tromba uscì dal cielo

senza aver prima dato segni di diminuzionesenza transizionequasi fosselei stessa scivolata a picco in un abisso. Non

seppero più dov'era. I fiocchi presero il posto dei chicchi. Ricominciò acadere lentamente la neve.

Cessarono i marosi. Il mare si appiattì.

Queste improvvise conclusioni sono caratteristiche delle bufere di neve.Quando l'effluvio elettrico si esauriscetutto si

calmaanche le ondeche spessonelle comuni tormenterimangono a lungoagitate. Quino. Nessuna proroga alla

collera dei flutti. Come un lavoratore dopo che ha faticatoi marosi siassopiscono immediatamentefatto che quasi

smentisce le leggi della staticasenza per questo stupire i vecchi pilotiche sanno bene quanto sia imprevedibile il mare.

Il fenomenoseppur raramenteha luogo anche durante le tempeste comuni.Cosìper restare ai nostri giornidurante il

memorabile uragano del 27 luglio 1867a Jerseydopo quattordici ore difuriail vento cadde all'improvviso cedendo

alla bonaccia.

In pochi minuti l'orca ebbe attorno solo acqua addormentata.

Contemporaneamentedal momento che l'ultima fase assomiglia alla primanonsi distinse più nulla. Tutto ciò che era

diventato visibile nelle convulsioni delle nubi meteoricheridivennetorbidole livide sagome si fusero stemperandosi

completamentee il buio dell'infinito si strinse da ogni parte sulla nave.Quel muro di nottequell'occlusione circolare

quell'interno di un cilindro il cui diametro diminuiva di minuto in minutoavvolgeva la Matutinaecon la sinistra

lentezza di una banchisa che si chiudesi restringeva in modo formidabile.Allo zenitnienteun coperchio di nebbia

una chiusura. L'orca era come sul fondo del pozzo dell'abisso.

In quel pozzo una pozzanghera di piombo liquidoera il mare. L'acqua non siagitava più. Una tetra immobilità. Mai

l'oceano è più selvaggio di quando sembra uno stagno.

Tutto era silenziocalmaaccecamento.

Forse il silenzio delle cose significa che sono taciturne.

Gli ultimi sciabordii scivolavano lungo il fasciame. Il ponte eraorizzontalecon lievi pendenze. Qualche rottame si

muoveva debolmente. Il guscio di granata che serviva da fanalee dovec'erano delle stoppe che bruciavano nel catrame

non si dondolava più sul bompressoe aveva cessato di gettare gocceinfiammate in mare. Quel po' di vento che restava

tra le nuvole non faceva più rumore. La neve cadeva fittamolleappena ditraverso. Non si sentiva la schiuma dei

frangenti. Pace di tenebre.

Quel riposodopo esasperazioni e parossismifu un sollievo indicibile perquei disgraziati che erano stati sballottati così

a lungo. Sembrò loro che la tortura fosse finita. Intravidero attorno esopra di sé come un consenso alla loro salvezza.

Ripresero fiducia. Quello che era stato furiaadesso era tranquillità. Ciòsembrò loro il segno di una pace firmata. I loro

miseri petti si dilatarono. Potevano lasciare l'estremità della corda odell'asse a cui si tenevano aggrappatialzarsi

raddrizzarsimettersi in piedicamminaremuoversi. Si sentivanoindicibilmente calmi. Nell'oscura profondità di quegli

effetti celestiali c'è il prologo di qualcos'altro. Era evidente che sitrovavano assolutamente fuori dalla rafficafuori dalla

schiumafuori dai ventifuori dalle furieliberati.

Ormai la fortuna era con loro. Fra tre o quattro ore si sarebbe levato ilgiornoli avrebbero scorti da qualche nave di

passaggiosarebbero stati raccolti. Il peggio era passato. Si tornava allavita. L'importante era di essere riusciti a

mantenersi a galla sino alla fine della tempesta. Si dicevano: «Questa voltaè finita».

A un tratto si accorsero che era finita davvero.

Uno dei marinaiil basco del nord chiamato Galdeazunscese nella stiva percercare delle gomenee quando risalì

disse:

«La stiva è piena».

«Di cosa?»domandò il capo.

«D'acqua»rispose il marinaio.

Il capo gridò:

«Che significa?».

«Questo significa»rispose Galdeazun«che tra mezz'ora andremo afondo».

XVII • L'ULTIMA RISORSAC'era una fenditura nella chiglia. Si era aperta unafalla. Quando? Nessuno avrebbe saputo dirlo. Avvicinandosi ai

Casquets? Davanti a Ortach? Nello sciabordio dei bassifondi a ovestd'Aurigny? L'ipotesi più probabile era che avessero

toccato la scimmia. Avevano ricevuto un colpo invisibilemolto forte.

Nel mezzo di tutte quelle convulsioni di vento che li scuotevano non sen'erano accorti. Non si sente una puntura

quando si ha il tetano.

L'altro marinaioil basco del sud che si chiamava Ave Mariascese a suavolta nella stivatornò e disse:

«L'acqua nella chiglia è alta più di un metro e mezzo».

Circa sei piedi.

Poi aggiunse:

«Prima di quaranta minuti andiamo a fondo».

Dov'era la falla? Non si vedeva. Era sommersa. Il volume d'acqua che riempivala stiva nascondeva la fenditura. La

nave aveva un foro nel ventrein qualche punto sotto la linea digalleggiamentomolto avanti sotto la carena.

Impossibile scorgerlo. Impossibile otturarlo. Avevano una feritama nonpotevano medicarla. D'altra parte l'acqua non

entrava molto velocemente.

Il capo gridò:

«Dobbiamo pompare».

Galdeazun rispose:

«Non abbiamo più la pompa».

«Allora»ribatté il capo«prendiamo terra».

«Dov'è la terra?».

«Non lo so».

«Neppure io».

«Ma deve pur essere da qualche parte».

«Sì».

«Che qualcuno ci guidi»riprese il capo.

«Non abbiamo piloti»disse Galdeazun.

«Vai tu alla barra».

«Non abbiamo più barra».

«Facciamone una con la prima trave che ci capita. Chiodi. Un martello.Prestodegli utensili!».

«La tinozza della carpenteria è finita in acqua. Non abbiamo piùutensili».

«Prendiamo il timone lo stessonon importa dove andiamo!».

«Non abbiamo più timone».

«Dov'è la barcaccia? Saltiamoci dentro. Remeremo!».

«Non abbiamo più barcaccia».

«Remiamo sul relitto».

«Non abbiamo più remi».

«Alla vela allora!».

«Non abbiamo più velae nemmeno l'albero».

«Facciamo l'albero con un baglio e la vela con un'incerata. Ce la caveremo.Affidiamoci al vento!».

«Non c'è più vento».

Il vento infatti li aveva lasciati. La tempesta se n'era andatae proprioquella partenza che avevano preso per la loro

salvezzaera la loro rovina. Se il libeccio avesse continuato a soffiareliavrebbe spinti freneticamente su qualche riva

battendo in velocità la fallaforse li avrebbe portati su un bel banco disabbia propizioe li avrebbe fatti arenare prima

che affondassero.

L'impetuosa rapidità della tempesta avrebbe potuto condurli a terra. Finitoil ventofinita la speranza. Sarebbero morti

perché la tempesta era finita.

Si delineava la situazione suprema.

Ventograndineburrascaturbinesono combattenti disordinatiche èpossibile vincere. Si può vincere la tempesta nel

suo punto debole. Si trovano risorse contro la violenzache si scoprecontinuamentecommette degli errorie spesso

colpisce di fianco. Ma contro la bonaccia non c'è niente da fare. Niente acui attaccarsi.

I venti sono una carica di cosacchi; tenete durosi disperderanno. Labonaccia è la tenaglia del carnefice.

L'acqua saliva nella stivasenza frettama senza fermarsiirresistibilepesantee quanto più salivatanto scendeva la

nave. Tutto si svolgeva molto lentamente.

I naufraghi della Matutina sentivano che sotto di loroa poco a pocosi spalancava la più disperata delle catastrofila

catastrofe inerte. Erano presi dalla certezza tranquilla e sinistra di quelfatto incosciente. L'aria non oscillavail mare

non si muoveva. L'immobilità è inesorabile. Il gorgo li assorbiva insilenzio. Dai muti spessori dell'acqua il centro fatale

del globo li attiravasenza collerasenza passionesenza volerlosenzaprendervi interesse. L'orrore in riposo se li

amalgamava. Non erano più le fauci spalancate dei fluttila doppia mascelladel colpo di vento e del colpo di mare che

minacciava con cattiveriail rictus della trombalo schiumante appetitodelle grandi onde; sotto quei miserabili c'era

l'indefinibilenero sbadiglio dell'infinito. Si sentivano entrare in quellatranquilla profondità che è la morte. La quantità

di bordo che la nave teneva fuori dall'acqua diminuivaecco tutto. Si potevacalcolare il minuto in cui sarebbescomparsa. Ma era un'immersione del tuttoopposta a quella dell'alta marea. Non era l'acqua che salivaerano loro che

scendevano verso l'acqua. Si stavano scavando la fossa della propria tomba.Il loro peso faceva da becchino. Non era la

legge degli uomini che li giustiziavama quella delle cose.

Cadeva la nevee poiché il relitto non si muoveva piùsi formava sulponte una bianca coltre sfilacciatache copriva la

nave come un sudario.

La stiva si andava appesantendo. Non c'era verso di venire a capo dellafalla. Per svuotare l'acqua non possedevano

neppure una palache comunque si sarebbe rivelata illusoriainutilizzabiledal momento che l'orca era munita di ponte.

Fecero luce; accesero tre o quattro torce che misero come poterono in alcunibuchi. Galdeazun portò dei vecchi secchi

di cuoio; cominciarono a svuotare la stivaformando una catena; ma i secchierano fuori usoalcuni avevano il cuoio

scucitoaltri il fondo crepatoe così si vuotavano durante il tragitto.Non c'era proporzione tra ciò che entrava e ciò che

usciva. Entrava un barile d'acquausciva un bicchiere. Non c'era altro dafare. Era come un avaro che volesse spendere

un milione con un soldo alla volta.

Il capo disse:

«Alleggeriamo il relitto!».

Durante la tempesta le casse erano state fissate sul ponte. Erano rimastelegate al troncone dell'albero. Sciolsero le corde

e fecero rotolare in acqua le casse da una delle brecce del bordo. Uno deibagagli apparteneva alla donna bascache non

poté trattenersi dal sospirare:

«Oh! Il mio mantello nuovofoderato di scarlatto! Oh! Le mie povere calzecon i merletti in scorza di betulla! Oh! I

miei orecchini d'argentoper andare alla messa del mese di Maria!».

Sbarazzato il ponterimaneva la cabina. Era stipatissima. Contenevacomeabbiamo dettoi bagagli dei passeggeri e i

fagotti dei marinai.

Presero i bagagli e si sbarazzarono di tutto quel carico attraverso labreccia del bordo.

Tolsero i fagotti e li gettarono nell'oceano.

Finirono di vuotare la cabina. La lanternala testa di moroi bariliisacchile tinozze e i carnaila marmitta con la

zuppafinì tutto in mare.

Svitarono i dadi del focone di ferro spento da molto tempolodissigillaronolo issarono su pontelo trascinarono fino

alla brecciae lo gettarono fuori dalla nave.

Buttarono in acqua tutto quello che riuscirono a strappare al serrettame:porchesartieattrezzature fracassate.

Ogni tanto il capo prendeva una torciala portava sulle cifre indicanti laseccadipinte sulla prua della navee guardava

a che punto era il naufragio.

XVIII • L'ESTREMA RISORSA

Il relittoalleggeritoaffondava di menoma affondava sempre.

La situazione era così disperata che non c'erano più né risorsenépalliativi. Anche l'ultimo espediente era stato esaurito.

«C'è ancora qualcosa da gettare in mare?»gridò il capo.

Da un angolo della tuga di cabina uscì il dottorea cui nessuno pensavapiùe disse:

«Sì».

«Cosa?»domandò il capo.

«Il nostro delitto»rispose il dottore.

Corse fra tutti un fremitogridarono:

«Amen».

Il dottorein piediterreolevò un dito al cielo e disse:

«In ginocchio».

Vacillaronocome capita quando ci si prepara per inginocchiarsi.

Il dottore continuò:

«Gettiamo in mare i nostri delitti. Essi pesano su di noi. Sono loro cheaffondano la nave. Smettiamola di pensare al

salvataggiopensiamo alla salvezza. Il nostro ultimo delitto soprattuttoquello che abbiamo commessoo meglio portato

a compimentopoco faquelloo disgraziati che mi state ascoltandocischiaccia. È un'empia insolenza sfidare l'abisso

quando ci si lascia dietro il proposito di un delitto. Ciò che si fa controun bambinoè fatto contro Dio. Dovevamo

imbarcarcilo soma la rovina era certa. L'ombra della nostra azione haavvertito la tempestache è venuta. È bene così.

D'altra partenon rimpiangete nulla. Là in fondopoco lontano da noiinquell'oscuritàci sono le sabbie di Vauville e il

capo della Hougue. La Francia. L'unico rifugio possibile per noi era laSpagna. La Francia per noi non è meno

pericolosa dell'Inghilterra. Liberi dal maresaremmo finiti sulla forca.Impiccati o annegati; non avevamo altra scelta.

Dio ha scelto per noi. Rendiamogli grazia. Ci concede la tomba che lava.Fratelli mieiera inevitabile. Pensate che

proprio noipoco faabbiamo fatto del nostro meglio per mandare lassùqualcunoquel bambinoe che in questo stesso

momentomentre vi parloc'è forse sulle nostre teste un'anima che ciaccusa davanti a un giudice che ci osserva.

Approfittiamo di quest'ultimo rinvio. Sforziamocise è ancora possibilediporre rimedioper tutto quanto ci riguarda

al male che abbiamo fatto. Se il bambino ci sopravviveaiutiamolo. Se muorefacciamo in modo che ci perdoni.

Togliamoci di dosso il nostro misfatto. Scarichiamo dalle nostre coscienzequesto peso. Facciamo in modo che le nostre

anime non sprofondino davanti a Dioperché quello sarebbe il più terribiledei naufragi. I corpi vanno ai pescile animeai demoni. Abbiate pietà di voi.In ginocchiovi dico. È il pentimento la barca che non affonda mai. Non avetepiù

bussola? Errore. Avete la preghiera».

I lupi diventarono pecore. Sono trasformazioni comuni nei momenti d'angoscia.Capita anche alle tigri di leccare il

crocefisso. Quando la cupa porta si schiude è difficile crederenon credereè impossibile. Per quanto siano imperfetti i

diversi tentativi di religione provati dall'uomoanche quando la fede èinformeanche quando il contorno del dogma

non si adatta ai lineamenti dell'eternità intravistanell'istante supremol'anima ha un sussulto. Qualcosa inizia dopo la

vita. Questo è ciò che preme sull'agonia.

L'agonia è una scadenza. In quel fatale momento avvertiamo in noi un sensodiffuso di responsabilità. Quello che è stato

complica quello che sarà. Il passato torna e rientra nell'avvenire. Quelloche ci è noto si trasforma in abisso come ciò

che ignoriamoe i due precipiziuno con le nostre colpel'altro con lanostra attesamescolano i loro riverberi. È questo

confondersi dei due abissi che spaventa il moribondo.

Essi avevano consumato le loro ultime speranze nella vita. Per questo sirivolsero ad altro. La loro ultima possibilità era

in quell'ombra. Lo capirono. Fu un lugubre abbagliosubito seguito da unaricaduta nell'orrore. Quello che si

comprende nell'agonia assomiglia a ciò che si vede nel lampo. Tuttopoinulla. Si vedee non si vede più. Dopo la

morte gli occhi torneranno ad aprirsie il lampo diventerà sole.

Gridarono al dottore:

«Tutu! Non rimani che tu! Ti obbediremo. Cosa dobbiamo fare? Parla».

Il dottore rispose:

«Si tratta di passare sopra il precipizio ignoto e di raggiungere l'altraestremità della vitadi là dalla tomba. Poiché sono

colui che sa più coseio sono più in pericolo di tutti voi. Fate bene alasciare la scelta del ponte a chi porta il fardello più

pesante».

Poi aggiunse:

«La scienza pesa sulla coscienza».

E riprese:

«Quanto tempo ci resta ancora?».

Galdeazun guardò la scala graduata e rispose:

«Poco più di un quarto d'ora».

«Bene»disse il dottore.

Il tetto basso della tugaa cui si appoggiavafaceva quasi da tavola. Ildottore prese dalla tasca il servizio da scrivania e

la pennae il portafoglio da cui trasse una pergamenala stessa sul cuirovescio aveva scritto qualche ora prima una

ventina di righe fitte e tortuose.

«Fate luce»disse.

La neveche cadeva come schiuma di caterattaaveva spento le torceunadopo l'altra. Non ne restava che una. Ave

Maria la staccò esempre tenendo la torciaandò a mettersi in piediaccanto al dottore.

Il dottore rimise il portafoglio in tascaappoggiò sulla cappa la penna eil calamaiospiegò la pergamenae disse:

«Ascoltate».

Allorain mezzo al maresu quel ponte che scendevatremante pavimento ditombacominciò una letturafatta in tono

grave dal dottoreche tutta quanta l'oscurità sembrava ascoltare. Tuttiquei condannati intorno a lui tenevano la testa

bassa. La torcia fiammeggiante accentuava il loro pallore. Ciò che ildottore leggevaera scritto in inglese. Ogni tanto

quando uno di quegli sguardi pietosi sembrava chiedere un chiarimentoildottore si interrompeva e ripeteva il passo

che aveva appena letto in francesein spagnoloin bascoin italiano. Siudivano singhiozzi soffocati e colpi sordi battuti

sui petti. Il relitto continuava ad affondare.

Terminata la letturail dottore distese la pergamena sulla cappaprese lapenna esul margine bianco lasciato in fondo a

quello che aveva scrittofirmò: DOTTOR GERNARDUS GEESTEMUNDE.

Poirivolgendosi agli altridisse:

«Venite a firmare».

La basca si avvicinòprese la pennae firmò ASUNCION.

Poi passò la penna all'irlandese chenon sapendo scriverefece una croce.

Il dottore accanto a quella croce scrisse: BARBARA FERMOYdell'isolaTyrryfnelle Ebridi.

Quindi porse la penna al capo della banda.

Il capo firmò GAÏBDORRAcomandante.

Sotto il capoil genovese si firmò GIANGIRATE.

Quello della Linguadoca firmò JACQUES QUATOURZEdetto il NARBONESE.

Il provenzale firmò LUC-PIERRE CAPGAROUPEdel bagno penale di Mahon.

Sotto le firme il dottore scrisse questo appunto:

Poiché il padrone è stato portato via da un colpo di maredei tre uominid'equipaggio non restano che duee questi

hanno firmato.

I due marinai misero i loro nomi sotto l'appunto. Il basco del nord firmòGALDEAZUN. Il basco del sud firmò AVE

MARIAladro.

Poi il dottore disse: «Capgaroupe».

«Presente»disse il provenzale.

«Hai la fiaschetta di Hardquanonne?».«Sì».

«Dammela».

Capgaroupe bevve l'ultima sorsata d'acquavite e porse la fiaschetta aldottore.

La piena interna dell'acqua si aggravava. Il relitto entrava sempre di piùnel mare.

I bordi del pontemesso a piano inclinatoerano coperti da un'onda sottileche li batteva e aumentava.

Si erano tutti raggruppati sul cavallino della nave.

Il dottore asciugò l'inchiostro delle firme alla fiamma della torciapiegòla pergamena in modo che fosse più stretta del

diametro del collo della fiaschettae ve la introdusse. Esclamò:

«Il tappo».

«Non so dov'è»disse Capgaroupe.

«Ecco un pezzo di cordame»disse Jacques Quatourze.

Il dottore tappò la fiaschetta con la corda e disse:

«Del catrame».

Galdeazun andò a pruaappoggiò lo spegnitoio di stoppa sulla granata abrulotto che si stava spegnendola staccò dal

tagliamare e la portò al dottorepiena a metà di catrame bollente.

Il dottore immerse il collo della fiaschetta nel catramee lo tirò fuori.Così la fiaschettacon la pergamena firmata da

tuttiera tappata e incatramata.

«È fatta»disse il dottore.

E da tutte le bocche uscì un vago balbettio in tutte le lingueil lugubremormorio delle catacombe.

«Così sia!».

«Mea culpa!».

«Asi sea!».

«Aro rai!».

«Amen!».

Era come ascoltare le cupe voci di Babele disperdersi nelle tenebreallapresenza dello spaventoso rifiuto celeste di

udirle.

Il dottore voltò le spalle ai compagni di delitto e di sventurae fecequalche passo sull'assito. Giunto sul bordo del

relittoguardò nell'infinito e disse con tono profondo:

«Bist du bei mir?».

Parlava probabilmente a qualche spettro.

Il relitto affondava.

Dietro il dottore tutti erano in raccoglimento. La preghiera è una forzamaggiore. Non si chinavanosi piegavano. C'era

qualcosa d'involontario nella loro contrizione. Si flettevano come una velache si affloscia per mancanza di ventoe a

poco a poco quel gruppo di uomini stravolticon le mani congiunte e lefronti prostrate assumeva l'atteggiamento

diversoma opprimentedi una disperata fiducia in Dio. Non so qual riflessovenerabileproveniente dall'abisso

prendeva forma su quei volti scellerati.

Il dottore tornò verso di loro. Qualunque fosse il suo passatoquel vecchioera grande davanti alla fine. La vasta

reticenza che lo circondavalo preoccupava senza sconcertarlo. Non era uomoda essere preso alla sprovvista. C'era in

lui un orrore tranquillo. C'era sul suo volto la maestà di un Dio che avevafatto proprio.

Quel bandito vecchio e meditabondo avevasenza saperloun contegnopontificale.

Disse:

«Fate attenzione».

Osservò per un momento le distese e soggiunse:

«E ora moriamo».

Quindi prese la torcia dalle mani di Ave Maria e la scosse.

Si staccò una fiamma che volò via nella notte.

Il dottore gettò la torcia in mare.

La torcia si spense. Scomparve ogni chiarore. Non ci fu che l'immensa ombrasconosciuta. Come quando si chiude la

tomba.

In quel buio si udì il dottore che diceva:

«Preghiamo».

Si misero tutti in ginocchio.

Non era già più nella neve che s'inginocchiavanoma nell'acqua.

Non restavano che pochi minuti.

Solo il dottore era rimasto in piedi. I fiocchi di neve gli si fermavanoaddosso come bianche stelle di lacrime

rendendolo visibile su quel fondo d'oscurità. Si sarebbe detto la statuaparlante delle tenebre.

Il dottore si fece il segno della crocee alzò la vocementre sotto ipiedi iniziava quel dondolio quasi indistinto che

annuncia l'istante in cui un relitto sta per affondare. Disse:

«Pater noster qui es in coelis».

Il provenzale ripeté in francese:

«Notre pêre qui êtes aux cieux».L'irlandese lo ripeté in galleselingua che la donna basca comprendeva:

«Ar nathair ata ar neamh».

Il dottore proseguì:

«Sanctificetur nomen tuum».

«Que votre nom soit sanctifié»disse il provenzale.

«Naomhthar hainm»disse l'irlandese.

«Adveniat regnum tuum»proseguì il dottore.

«Que votre règne arrive»disse il provenzale.

«Tigeadh do rioghachd»disse l'irlandese.

Inginocchiati com'eranoavevano l'acqua alle spalle. Il dottore ricominciò:

«Fiat voluntas tua».

«Que votre volonté soit faite»balbettò il provenzale.

L'irlandese e la basca gridarono:

«Deuntar do thoil ar an Ilhalàmb!».

«Sicut in coeloet in terra»disse il dottore.

Nessuna voce gli rispose.

Abbassò gli occhi. Tutte le teste erano sott'acqua. Neppure uno si eraalzato. Si erano lasciati affogare in ginocchio.

Il dottore prese con la destra la fiaschetta che aveva appoggiato sullacappae l'alzò sopra la testa.

Il relitto affondava.

Pur sprofondandoil dottore continuava a mormorare il resto della preghiera.

Per un momento restò fuori dall'acqua il bustopoi la testapoi non ci fuche il braccio che teneva la fiaschettaquasi

volesse mostrarla all'infinito.

Il braccio scomparve. Il mare profondo non era più increspato di un bariled'olio. La nave continuava a cadere.

Qualcosa restò a galla e se ne andò nell'oscurità dei flutti.

Era la fiaschetta incatramatasostenuta dal suo involucro di vimini.

LIBRO TERZO • IL BAMBINO NELL'OMBRA

I • IL CHESS-HILL

La tempesta non era meno intensa sulla terra che sul mare.

Attorno al bambino abbandonato c'era stata la stessa furia selvaggia. Quandoforze cieche dispiegano la loro collera

incoscienteil debole e l'innocente fanno ciò che possono; l'ombra non fadistinzioni; e le cose non sono clementi come

si crede.

A terra c'era pochissimo vento; il freddo aveva un non so che d'immobile.Niente grandine. La neve cadeva fitta in

modo spaventoso.

I chicchi di grandine colpisconotormentanostrazianoassordanoschiacciano; i fiocchi fanno di peggio. Dolce e

inesorabile il fiocco compie la sua opera in silenzio. Se lo si toccasiscioglie. La sua purezza è come il candore

dell'ipocrita. Aggiungendo bianco a biancolentamenteil fiocco arriva allavalangae il furfante al delitto.

Il bambino aveva proseguito nella nebbia. La nebbia è un ostacolo molle; daqui i pericoli; cede senza venir meno; come

la neve la nebbia è piena di tradimenti. Il bambinosingolare lottatore inmezzo a tutti quei rischiera riuscito ad

arrivare ai piedi della discesainoltrandosi nel Chess-Hill. Si trovavasenza saperlosu un istmo; da una parte e

dall'altra aveva l'oceanose avesse sbagliato stradacon quella nebbiaconquella nevein una notte similesarebbe

cadutoa destra nell'acqua profonda del golfoa sinistra tra le ondeviolente del mare aperto. Camminava inconsapevole

tra i due abissi.

In quell'epoca l'istmo di Portland era straordinariamente aspro e rude. Ogginon rimane più niente del suo aspetto di un

tempo. Da quando venne l'idea di sfruttare la pietra di Portland come cementoromanotutta la roccia subì tali

modifiche da perdere i suoi lineamenti primitivi. Vi si trova ancora ilcalcare liassicolo scistoe il trappo che esce dagli

strati di conglomerato come il dente dalla gengiva; ma il piccone ha troncatoe livellato tutte quelle creste irte e scabrose

dove andavano ad appollaiarsi le orribili procellarie. Non ci sono piu cimedove possano ritrovarsi i labbi e gli stercorari

checome tutti gli invidiosiamano insudiciare le vette. Invano sicercherebbe l'alto monolite detto Godolphinantica

parola gallese che significa aquila bianca. D'estatein quei terreniperforati e bucati come una spugnasi possono

ancora cogliere il rosmarinoil puleggiol'issopo selvaticoil finocchiodi mare chemesso in infusionedà un buon

cordialee quell'erba piena di nodi che esce dalla sabbia e che serve perfare le stuoie; ma non si raccolgono più né

l'ambra grigiané lo stagno neroné i tre tipi d'ardesia: quella verdequella blu e quella che ha il colore delle foglie di

salvia. Le volpii tassile lontrele martorese ne sono andati; suidirupi di Portlandcome sulla punta di Cornovaglia

c'erano i camosci; non ce ne sono più. In certe insenature si pescano ancorapassere e sardinema i salmoniimpauriti

non risalgono più la Wey tra San Michele e Natale per deporre le uova. Nonsi vedono piùcome ai tempi di Elisabetta

quei vecchi uccelli sconosciutigrandi come sparvieriche rompevano unamela in due per mangiarne solo i semi. Non

si vedono più quelle cornacchie dal becco giallocornish chough ininglesepyrrocarax in latinoche avevano la

malizia di gettare sarmenti infuocati sui tetti delle capanne. Non si vedepiù l'uccello stregonefulmaremigratodall'arcipelago scozzesechegettava dal becco un olio che gli isolani bruciavano nelle lampade. Non è piùpossibile

incontrare di seratra i rivoli del riflusso della mareal'anticaleggendaria neitsedai piedi di porco e che gridava come

un vitello. La marea non fa più arenare su quelle sabbie l'otaria baffutadalle orecchie arrotolate e dai molari aguzziche

si trascinava sulle zampe senza unghie. A Portlandoggi ormaiirriconoscibilenon ci sono mai stati usignoliperché

non c'erano forestema falchicigni e delfini se ne sono andati. I montonidi oggi a Portland hanno la carne grassa e la

lana fine; le rare pecore che due secoli fa pascolavano su quell'erba salataerano piccole e coriaceee avevano il vello

ispidocome i greggi celticondotti un tempo da pastori mangiatori d'aglioche vivevano cent'anni e chea mezzo

miglio di distanzaforavano le corazze con frecce lunghe un'auna. Terraincolta dà lana rude. Chess-Hill oggi non ha

più nulla del Chess-Hill di una voltatanto l'hanno rivoltato l'uomo e queifuriosi venti delle Sorlingues che corrodono

anche le pietre.

Oggi su quella lingua di terra c'è un railway che porta a un graziososcacchiere di case nuoveChesiltone c'è anche una

Portland Station. Dove strisciavano le foche corrono i vagoni.

Cent'anni fa l'istmo di Portland era una groppa d'asino di sabbia con unaspina dorsale di roccia.

Il pericolo per il bambino aveva cambiato forma. Durante la discesa avevadovuto temere una caduta in fondo alla

scarpata; sull'istmo doveva guardarsi dal finire in qualche buco. Dopoessersela vista con il precipizioaveva a che fare

con i pantani. Sul bordo del mare non ci sono che trappole. La roccia èscivolosail greto è cedevole. I punti d'appoggio

sono insidiosi. È come mettere i piedi sul vetro. Tutto può bruscamenteincrinarsi sotto di voi. E sono fenditure in cui si

scompare. Come ogni teatro ben attrezzatoanche l'oceano ha i suoisotterranei.

I lunghi crinali di granito a cui si addossano i due versanti di un istmosono malagevoli. Difficilmenteper usare

un'espressione scenograficasi troverebbero dei - praticabili -.

L'uomo non deve aspettarsi alcuna ospitalità dall'oceanonon più dallaroccia che dall'onda; solo i pesci e gli uccelli

sono accolti dal mare. L'istmo poi è particolarmente spoglio e irto. Sono iflutti checorrodendolo e minandolo sui due

latilo scarnificano. Rilievi taglienti dovunquecresteseghespaventosilembi di pietra laceratasquarci frastagliati

come la mascella acuminata dello squalorompicollo di muschio fradicioripide colate di roccia che finiscono nella

schiuma. Chi si propone di affrontare un istmo incontra a ogni passo blocchideformigrandi come casea forma di

tibiedi scapoledi femoriun'orrenda anatomia di rocce scorticate. Non èper caso che queste strisce ai bordi del mare

si chiamano coste. L'escursionista se la cava come può in quell'accozzagliadi rovine. È quasi come camminare

attraverso l'ossatura di un'enorme carcassa.

Mettete un bambino alle prese con quella fatica d'Ercole.

Ci sarebbe voluta la luce del solema era notte; sarebbe stata necessariauna guidama era solo. Tutta la forza di un

uomo non sarebbe stata di troppoma la sua non era che la debole forza di unbambino. Senza una guidaun sentiero

almeno lo avrebbe aiutato. Ma non c'erano sentieri.

Istintivamente evitava la cresta aguzza delle rocceseguendo il piùpossibile la spiaggia. Là incontrava i pantani. Tre

tipi di pantano gli si moltiplicavano davanti: il pantano d'acquail pantanodi neveil pantano di sabbia. Il terzo è il più

temibile. Significa affondare.

Conoscere ciò a cui si va incontro è allarmanteignorarlo è terribile. Ilbambino lottava con un pericolo sconosciuto.

Egli andava a tastoni dentro qualcosa che avrebbe potuto essereforselasua tomba.

Nessuna esitazione. Aggirava le rocceevitava i crepacciintuiva letrappolepazientava con i meandri dell'ostacoloe

andava avanti. Non potendo andare dirittocamminava deciso.

In caso di necessità sapeva indietreggiare con energia. Si strappava pertempo dal vischio tremendo delle sabbie mobili.

Si scuoteva di dosso la neve. Più di una volta entrò nell'acqua fino alleginocchia. Appena usciva dall'acqua il freddo

intenso della notte gelava gli stracci bagnati. Camminava velocemente conquegli abiti irrigiditi. Tuttavia aveva avuto

l'accortezza di tenersi sul petto il suo camiciotto caldo e asciutto damarinaio. Aveva sempre una gran fame.

Le avventure dell'abisso non hanno limitiin nessun senso; in esse tutto èpossibileanche salvarsi. L'uscita è invisibile

ma si può trovare. Neppure il bambino avrebbe saputo dire come era riuscitoad attraversare l'istmoavvolto com'era da

una soffocante spirale di neveperso su quell'argine stretto tra le due goledell'abissoe senza vederci. Scivolando

arrampicandosirotolandocercandocamminandoperseverandoecco tutto. Ilsegreto di ogni trionfo. In capo a meno

di un'ora sentì il terreno risalirearrivava all'altra estremitàuscivada Chess-Hillsi trovava sulla terra ferma.

In quell'epoca non esisteva il ponte che oggi unisce Sandford-Cas aSmallmouth-Sand. È probabile che nel suo

intelligente brancolare egli fosse risalito fin davanti a Wyke Regisdoveallora c'era una lingua di sabbiaun vero argine

naturale che attraversava l'East Fleet.

Si era salvato dall'istmoma si ritrovava faccia a faccia con la tempestacon l'invernocon la notte.

Davanti a lui si dispiegava di nuovoa perdita d'occhiola buia pianura.

Guardò a terracercando un sentiero.

A un tratto si chinò.

Aveva scorto nella neve qualcosa che gli sembrava una traccia.

Era una traccia infattiil segno di un piede. L'impronta si stagliavanettamente nel candore della neve ed era ben

visibile. L'osservò. Era un piede nudopiù piccolo del piede di uomopiùgrande di quello di un bambino.

Probabilmente il piede di una donna.

Oltre quell'impronta ce n'era un'altrae un'altra ancora; le impronte sisuccedevano alla distanza di un passoe si

addentravano nella pianura verso destra. Erano ancora fresche e coperte dapoca neve. Di là era passata una donna.

La donna aveva camminato nella stessa direzione del fumo che anche il bambinoaveva visto.Il bambinol'occhio fisso sulle improntesi mise a seguire queipassi.

II • EFFETTO DI NEVE

Per un certo tempo seguì quella pista. Purtroppo le tracce erano sempre menonitide. La neve cadeva spaventosamente

fitta. In quel momento l'orca agonizzava sotto quella stessa nevein mareaperto.

Il bambinoche era in pericolo come la navesia pure in modo diversononaveva altra risorsa in quell'inestricabile

intreccio d'oscurità se non l'impronta del piede nella nevee a quella siattaccava come al filo d'Arianna.

Improvvisamentesia che la neve avesse finito col livellarlesia perqualsiasi altra causale impronte scomparvero.

Tutto ridiventò pianolisciorasosenza una macchiasenza unparticolare. Non ci fu più che il drappo bianco della

terra e il drappo nero del cielo.

Era come se la viandante avesse preso il volo.

Il bambino allo stremo si chinò per cercare. Inutilmente.

Quando si rialzò ebbe la sensazione di udire qualcosa d'indistintoma nonera sicuro. Sembrava una voceun respiro

un'ombra. Più di uomo che di bestiapiù da un sepolcro che da qualcosa divivente. Come il rumore in un sogno.

Guardò ma non vide nulla.

Davanti a lui l'ampionudo livore della solitudine.

Stette in ascolto. Ciò che aveva creduto di sentire s'era dissolto. Forsenon aveva udito nulla. Ascoltò ancora. Tutto era

silenzio.

Non erano che illusioni dovute alla nebbia. Si rimise in cammino.

Camminava a casoaveva perso ormai il passo che lo guidava.

Si era appena mosso che il rumore ricominciò. Questa volta non potevasbagliarsi. Era un gemitoquasi un singhiozzo.

Si voltò. Lasciò correre lo sguardo nello spazio notturno. Non vide nulla.

Il rumore tornò a farsi sentire.

Se dal limbo giungono vociè così che gridano.

Nulla di tanto penetrantestraziante e debole come quella voce. Perché sitrattava di una voce. Era il grido di un'anima.

Era un mormorio pieno di palpiti. Eppure sembrava qualcosa privo dicoscienza. Come un dolore che invocama senza

sapere di essere dolore e di invocare. Quel gridoforse un primo soffiovitaleforse un ultimo respiroera in egual

misura il rantolo che chiude la vita e il vagito che l'apre. Respiravasoffocavapiangeva. Cupa supplica nell'invisibile.

Il bambino scrutò dappertuttolontanovicinoin fondoin altoin basso.Non c'era nessuno. Non c'era niente.

Tese l'orecchio. La voce si fece sentire un'altra volta. La percepìdistintamente. Quella voce era un po' come il belato di

un agnello.

Allora ebbe paura e pensò di fuggire.

Il gemito riprese. Per la quarta volta. Era stranamente misero e lamentoso.Si sentiva che dopo quello sforzo supremo

più meccanico che intenzionaleil grido probabilmente si sarebbe spento.Era il richiamo dell'agoniarivolto per istinto

a quel tanto di soccorso che vaga nello spazio; il balbettio di unagonizzante verso una possibile provvidenza. Il

bambino avanzò in direzione della voce.

Continuava a non vedere nulla.

Avanzò ancoracircospetto.

Il lamento continuava. Confuso e inarticolato primasi era fatto chiaro equasi vibrante. Il bambino era vicinissimo alla

voce. Ma dov'era?

Era vicino a un lamento. Il tre more di un lamento attraversava lo spazioproprio accanto a lui. Un gemito umano che

fluttuava nell'invisibileecco cosa aveva incontrato. Questa almeno era lasua impressioneconfusa come la nebbia

profonda dove si era perso.

Mentre esitavatra l'istinto che lo spingeva a fuggire e quello che glisuggeriva di rimanerescorse nella neveai suoi

piediqualche passo avantiun'ondulazione che aveva le dimensioni di uncorpo umanouna piccola prominenza bassa

lunga e strettasimile al rigonfiamento di una fossauna sepoltura in uncimitero tutto bianco.

In quell'istante la voce gridò.

Usciva da là sotto.

Il bambino si abbassòsi accovacciò davanti al rilievo e incominciò atoglier via la neve con tutte e due le mani.

Da sotto la neve che scartava vide una sagoma che prendeva formae a untrattonella cavità che aveva fattogli

apparve tra le mani un volto pallido.

Non era certo quello il volto che gridava. Aveva gli occhi chiusi e la boccaapertama piena di neve.

Era immobile. Non si mosse sotto la mano del bambino. Il bambinoa cui sistavano congelando le ditatrasalì toccando

quel viso freddo. Era la testa di una donna. I capelli sparsi erano mescolatialla neve. La donna era morta.

Il bambino ricominciò a togliere la neve. Prima si liberò il collo dellamortapoi la parte superiore del torsosotto i cui

stracci si vedeva la carne.

Improvvisamentesotto le mani che si muovevano alla ciecasentì qualcosache si muoveva debolmente. Era una cosa

piccolafasciatache si agitava. Il bambino tolse con energia la neve escoprì un miserabile corpicciatologracile

pallido per il freddoancora vivonudo sul seno nudo della morta.

Era una bambina.Era fasciata con straccima non abbastanzae agitandosi erauscita da quei cenci. Le sue povere membra magre sottoe

il fiato sopraavevano sciolto un po' la neve. Una balia le avrebbe datocinque o sei mesima forse aveva un annodato

che la crescita in condizioni di miseria subisce penosi rallentamentiche avolte arrivano fino al rachitismo. Quando il

viso riemerse all'aria apertagettò un gridoil seguito dei suoisinghiozzi di sconforto. La madre doveva essere

veramente morta per non aver udito quei singhiozzi.

Il bambino prese la piccola tra le braccia.

La rigidità della madre era sinistra. Da quella figura emanava qualcosa dispettrale. Quella bocca spalancata e senza

respiro sembrava stesse iniziando a risponderenella confusa linguadell'ombraalle domande poste ai morti

nell'invisibile. C'era su quel volto il terreo riverbero della pianuragelata. Si vedeva la frontegiovane sotto i capelli

brunile sopracciglia aggrottate quasi in un moto d'indignazionele naricistrettele palpebre chiusele ciglia incollate

dalla galavernaedall'angolo degli occhi all'angolo della boccai solchiprofondi delle lacrime. La neve rischiarava la

morta. Tomba e inverno vanno d'accordo. Il cadavere è il ghiaccio dell'uomo.I seni nudi erano patetici. Avevano fatto

la loro parte; il loro avvizzimento sublime veniva dall'aver dato vita a chine mancavae una maestà materna teneva il

posto della purezza verginale. Sulla punta di una delle mammelle c'era unaperla bianca. Era una goccia di latte

congelata.

Diciamolo subitoin quella stessa pianura dove il ragazzo si era smarritopoche ore prima si era persa una mendicante

che stava allattando il suo piccoloe anche lei cercava un rifugio.Assiderataera caduta sotto la tempesta e non era

riuscita a rialzarsi. La valanga l'aveva ricoperta. Si era stretta addosso labambina più che aveva potutoed era spirata.

La piccolina aveva tentato di succhiare quel marmo.

Per una tragica simbiosi voluta dalla naturasembra che una madre possaallattare ancora un'ultima voltaanche dopo

l'ultimo respiro.

Ma la bocca della piccola non era riuscita a trovare il seno là dove lagoccia di latterubata dalla mortesi era gelatae

la neonata sotto la nevepiù abituata alla culla che alla tombaavevagridato.

Il piccolo abbandonato aveva udito la piccola agonizzante.

L'aveva dissepolta.

L'aveva presa tra le braccia.

Quando la piccola si sentì in bracciosmise di gridare. I visi dei duebambini si toccaronoe le labbra viola della

neonata si avvicinarono alla guancia del ragazzo come a una mammella.

La piccola si trovava nella situazione in cui il sangue coagulato è quasisul punto di arrestare il cuore. La madre le aveva

già trasmesso qualcosa della propria morte; il cadavere comunicail suoraffreddarsi si espande. I piedile manile

bracciale ginocchia della piccola erano come paralizzati dal ghiaccio. Ilragazzo si accorse di quel freddo terribile.

Egli aveva su di sé un indumento asciutto e caldoil camiciotto. Depose laneonata sul petto della mortasi tolse il

camiciotto e ve l'avvolsela riprese e si rimise in camminoquasi nudoquesta voltatra le folate di neve sollevate dalla

tramontanatenendo la piccola in braccio.

E la piccolache era riuscita a trovare la guancia del ragazzovi appoggiòla bocca eriscaldatasi addormentò. Fu il

primo bacio tra quelle due anime nelle tenebre.

La madre restò distesail dorso sulla nevela faccia alla notte. Ma forsequando il ragazzino si spogliò per vestire la

piccoladalle profondità dell'infinito dove si trovavalo vide.

III • OGNI VIA DOLOROSA SI COMPLICA DI UN FARDELLO

Erano passate poco più di quattro ore da quando l'orca si era allontanatadalla baia di Portlandlasciando il ragazzo sulla

riva. Nel tempo in cui era rimasto abbandonato e che aveva trascorsocamminandoegli non aveva incontrato che tre

esemplari di quella società umana dove forse stava per fare il suo ingresso:un uomouna donna e un bambino. L'uomo

era quello sulla collina; la donna era quella nella neve; il bambino era lapiccola che teneva tra le braccia.

Fame e fatica lo avevano prostrato.

Avanzava più risoluto che maicon meno forza e un peso in più.

Ora non aveva quasi più vestiti. I pochi stracci che gli restavanoinduritidalla galavernasi erano fatti taglienti come il

vetro e gli scorticavano la pelle. Si stava raffreddandoma l'altro bambinosi riscaldava. Ciò che perdeva non andava

persoera lei a riguadagnarlo. Si accorgeva che il calore per quellapoverina significava tornare in vita. Continuava ad

avanzare.

Di quando in quandosempre tenendola benesi chinava a raccogliere unamanciata di neve e se la strofinava sui piedi

per non farli gelare.

Altre voltecon la gola in fiammesi metteva in bocca un po' di neve e lasucchiavacosì per un minuto alleviava la

setetramutandola però in febbre. Il sollievo aggravava le sue condizioni.

La sua stessa violenza aveva reso informe la tormenta; esistono veri e propridiluvi di nevecome quello. Il parossismo

che strapazzava il litoralesconvolgeva contemporaneamente l'oceano. Inquell'istante probabilmente l'orcaormai

dispersasi sfasciava lottando tra gli scogli.

Con quella tramontanae camminando sempre verso estattraversò larghesuperfici di neve. Non sapeva che ora fosse.

Da molto tempo non vedeva più fumo. Certi segni scompaiono presto nellanotte; inoltre era passata l'ora in cui i fuochi

vengono spenti; forse poi egli si era sbagliatoniente di più facile chedalle parti dove andavanon ci fossero né città né

villaggi.Nel dubbioperseverava.

La piccola gridò due o tre volte. Si mise allora a cullarla mentrecamminava; così si calmò e fece silenzio. Finì per

addormentarsi di un sonno profondo. Tremando dal freddo egli sentiva che siera scaldata.

Spesso le rimboccava il camiciotto attorno al collo per evitare che ilghiaccio entrasse da qualche parte e la neve

sciogliendosi si infiltrasse tra la bambina e l'indumento.

La pianura era ondulata. Negli avvallamenti la neveammassata dal vento trale pieghe del terrenoera così alta rispetto

al bambino che egli vi affondava quasi per interoed era costretto acamminare mezzo sepolto. Camminava spingendo

la neve con le ginocchia.

Superata la forraraggiunse delle spianate spazzate dalla tramontanadovec'era poca neve. Là trovò uno strato di

ghiaccio.

Il fiato tiepido della piccola gli sfiorava la guancialo riscaldava per unmomentoe fermandosi sui capelli gelava

formando dei ghiaccioli.

Si rendeva conto che la complicazione più temibile era di non poter piùcadere. Sentiva che non si sarebbe rialzato.

Rotto dalla fatica com'eral'ombra di piombo l'avrebbe schiacciato al suolocome la donna mortae il ghiaccio l'avrebbe

saldato ancor vivo alla terra. Era sceso dai pendii dei precipizi e se l'eracavata; era incespicato dentro alle fosse ma ne

era uscito; ora una semplice caduta avrebbe voluto dire la morte. Un passofalso gli avrebbe spalancato la tomba. Non

bisognava scivolare. Non avrebbe più avuto nemmeno la forza di rimettersi inginocchio.

Poteva scivolare dappertutto; c'erano solo galaverna e neve indurita.

Portare la piccola gli rendeva spaventosamente difficile il cammino; non erasolo un peso eccessivo per la sua

spossatezza e il suo sfinimentogli creava anche intralcio. Gli tenevaoccupate le bracciae chi cammina sui lastroni di

ghiaccio ha bisogno delle braccia come di un bilanciere naturale.

Doveva fare a meno di quel bilanciere.

Ne faceva a meno e camminavaignorando cosa lo attendesse sotto quelfardello.

La piccola era la goccia che faceva traboccare il vaso dell'angoscia.

Avanzavaoscillando a ogni passocome su un trampolinoe facendo miracolid'equilibrio sotto ogni punto di vista.

Tuttavialo ripetoè possibile che in quel cammino doloroso occhi benaperti lo seguissero dalle lontananze dell'ombra

l'occhio di quella madre e l'occhio di Dio.

Barcollavavacillavasi riprendevaaveva cura della piccolala ricoprivacon l'indumentole copriva la testavacillava

ancorasempre avanzandoscivolavapoi si raddrizzava. Il vento vile lospingeva.

Probabilmente stava facendo molta più strada di quanto fosse necessario. Sitrovavacon ogni verosimiglianzain quella

pianura dove più tardi si è stabilita la Bincleaves Farmtra quelli cheoggi si chiamano Spring Gardens e Personage

House. Fattorie e ville adessoterreni incolti allora. Spesso tra una steppae una città corre meno di un secolo.

Una tregua improvvisa nella tempesta di ghiaccio che l'accecava gli fecescorgerepoco davanti a séun gruppo di

pinnacoli e di camini messi in risalto dalla neveil contrario di una -silhouette -poiché si trattava del disegno di una

città bianca su un orizzonte neroquella che oggi si chiamerebbe unanegativa.

Tettidimoreun riparo! Era dunque arrivato da qualche parte! Avvertìl'ineffabile incoraggiamento della speranza.

Le stesse emozioni della vedetta di una nave sperduta che grida: terra!Affrettò il passo.

Raggiungeva infine degli uomini. Stava per unirsi dunque a esseri viventi.Più nulla da temere. Lo colmò l'improvviso

calore della sicurezza. Ciò che si lasciava alle spalle era finito. Non cisarebbe più stata notte ormainé invernoné

tempesta. Ora gli sembrava di essersi liberato di tutto il male possibile. Lapiccola non era più un peso. Si era messo

quasi a correre.

Con lo sguardo non abbandonava quei tetti. La vita era là. Non smetteva difissarli. Così un morto guarderebbe dallo

spiraglio di una lastra tombale. Quelli erano i camini di cui aveva visto ilfumo.

Ma non ne usciva nessun fumo.

In poco tempo raggiunse le abitazioni. Arrivò in una via perifericaincustodita. A quei tempi non si usava più sbarrare le

strade di notte.

All'inizio della via c'erano due case. Non c'erano candele né lampade inquelle casee non se ne vedevano in tutta la

stradae in tutta la cittàfin dove era possibile spingere lo sguardo.

La casa di destra era più un rifugio che una casa; niente di piùmiserabile; il muro era di malta e il tetto di paglia; c'era

più stoppia che muro. Una grande orticanata ai piedi del muroraggiungevail bordo del tetto. La catapecchia aveva

solo una portache sembrava una gattaiolae una finestra che era unabbaino. Era tutto chiuso. Di fianco c'era un porcile

abitato che suggeriva che anche la capanna lo fosse.

La casa di sinistra era largaaltatutta in pietracon tegole d'ardesia.Anch'essa chiusa. La Casa del Ricco di fronte alla

Casa del Povero.

Il ragazzo non ebbe esitazioni. Si diresse verso la casa grande.

La porta aveva due battenti massicci con riquadri di quercia e grossi chiodied era di quelle dietro cui si indovina una

robusta armatura di spranghe e serrature; vi pendeva un martello di ferro.

Sollevò a fatica il martello perché aveva le mani intorpiditepiùmoncherini ormai che mani. Batté un colpo.

Nessuno rispose.

Batté una seconda voltadue colpi.

Non udì alcun movimento nella casa.

Batté per la terza volta. Nulla.Capì che dormivano e non si curavanoaffatto di alzarsi.

Allora si rivolse alla casa del povero. Prese da terra un ciottolo in mezzoalla nevee picchiò alla porticina.

Non ci fu risposta.

Si alzò sulla punta dei piedi e batté adagio adagio con il sassosull'abbainosforzandosi di non rompere il vetro eal

tempo stessodi farsi udire.

Non si levarono vociné si mossero passie nessuno accese candele.

Pensò che anche lì non avevano voglia di alzarsi.

Nel palazzo di pietra e nell'alloggio di stoppia erano sordi allo stesso modoquando si trattava di miserabili.

Il ragazzo decise di spingersi più lontano e penetrò nello stretto di caseche si allungava davanti a luiil buio era così

fitto che si sarebbe detto più un passaggio tra due scogliere che l'ingressoin una città.

IV • UN ALTRO TIPO DI DESERTO

Era entrato a Weymouth.

La Weymouth di allora non era la stimata e superba Weymouth di oggi. L'anticaWeymouth non avevacome l'odierna

l'irreprensibile rettilineo del lungomare con tanto di statua e di albergo inonore di Giorgio III. Per il semplice motivo

che Giorg io III non era ancora nato. Per la stessa ragione non c'era ancorasul pendio della verde collina a estdisegnato

sul suolo togliendo il manto erboso e mettendo a nudo la cretail whitehorseil cavallo bianco lungo un arpentocon in

groppa un re e chesempre in onore di Giorgio IIIteneva la coda indirezione della città. D'altra parte sono onori

meritati; Giorgio III infatti aveva perduto da vecchio l'intelligenza che nonaveva mai avuto da giovanee dunque non

era responsabile delle disgrazie del suo regno. Era un innocente. Perché nonerigergli statue?

La Weymouth di centottanta anni fa era simmetrica quasi come per bastonciniscompaginati del gioco dello sciangai.

L'Astharoth delle leggende passeggiava qualche volta sulla terra portandosulle spalle una bisaccia in cui c'era di tutto

anche delle brave donne di casa. Solo un miscuglio di baracche cadute dalsacco del diavolo potrebbe dare l'idea di

quella rozza Weymouth. Baracche naturalmente con brave donne. Come modello diquelle abitazioni ci rimane la casa

dei Musicisti. Un'accozzaglia di tane scolpite nel legno e tarlatecioèscolpite una seconda voltae di edifici informi a

strapiombomalsicurialcuni a pilastriche si appoggiavano gli uni aglialtri per non cadere sotto il vento che viene dal

maree tra loro spazi esigui di strade tortuose e maldestrevicoli ecrocicchi spesso inondati dalle maree equinozialiun

mucchio di case vecchiestrette come nonnine attorno alla chiesa bisavolaecco Weymouth. Weymouth era una specie

di antico villaggio normanno che si era arenato sulla costa inglese.

Il viaggiatore che entrava nella taverna oggi rimpiazzata da un albergoinvece di pagare sontuosamente venticinque

franchi per una sogliola fritta e una bottiglia di vinoaveva l'umiliazionedi mangiare per due soldi un'ottima zuppa di

pesce. Una cosa indecente.

Il bambino sperduto che si portava il bambino ritrovatoseguì una primastradapoi una secondapoi una terza. Alzava

gli occhi cercando all'altezza dei piani e sui tetti una finestra illuminatama era tutto chiuso e spento. Ogni tanto

picchiava alle porte. Non rispondeva nessuno. Non c'è niente che induriscail cuore come lo stare al caldo tra due

lenzuola. Il rumore e le scosse avevano finito con lo svegliare la piccola.Se ne accorse sentendosi succhiare la guancia.

La bambina non gridavacredendolo la madre.

Rischiava forse di girare e di vagabondare a lungo tra gli incroci dei vicolidi Scrambridgedove c'erano allora più

campi che casee più siepi di spine che abitazionima per fortuna imboccòun corridoio che esiste ancor oggi vicino a

Trinity Schools. Il corridoio lo condusse a una spiaggia con una rudimentalebanchina come parapettoe a destra vide

un ponte.

Era il ponte della Wey che unisce Weymouth a Melcomb -Regissotto le suearcate l'Harbour confluisce con la Back

Water.

La frazione di Weymouth era allora un sobborgo di Melcomb -Regiscittàportuale; oggi invece Melcomb -Regis è una

parrocchia di Weymouth. Il villaggio ha assorbito la città. Fu il ponte acompiere il lavoro. I ponti sono singolari

macchine a suzione che aspirano la popolazione e chequalche voltaingrandiscono un quartiere rivierasco a spese di

quello che gli sta di fronte.

Il ragazzo andò verso il ponteche a quell'epoca era una passerella dilegno coperta. Attraversò la passerella.

Grazie al tetto del ponte sul tavolato non c'era neve. Per un momento i suoipiedi nudi si riebbero sulle assi asciutte.

Passato il pontesi trovò a Melcomb -Regis.

Lì c'erano più case di pietra che di legno. Non era più il sobborgoerala città. Il ponte dava su una strada molto bellala

Saint-Thomas Street. Vi entrò. La via sfoggiava alti pinnacoli intagliati equa e là vetrine di negozi. Ricominciò a

bussare alle porte. Non gli restavano energie sufficienti per chiamare egridare.

Nessuno si muovevané a Melcomb -Regis né a Weymouth. Due bei giri dichiave a tutte le serrature. Le imposte

coprivano le finestre come le palpebre gli occhi. Era stata presa ogniprecauzione contro lo spiacevole soprassalto del

risveglio.

L'indefinible pressione di quella città addormentata schiacciava il piccolovagabondo. Quei silenzi da formicaio

paralizzato sanno di vertigine. Un rimescolio di incubi da quei letarghiunafolla di sonniun fumo di sogni che esce dai

corpi umani distesi. Il sonno frequenta cupe compagnie fuori dalla vita;sopra i dormienti fluttua il pensiero in

decomposizioneun vapore vivo e morto si combina con il possibile che forsein qualche modopensa nello spazio. Da

qui i grovigli. La fitta nuvola del sogno si sovrappone alla trasparentestella dello spirito. Sopra le palpebre chiusedovela visione ha preso il postodella vistauna disgregazione sepolcrale di sagome e figure si dilatanell'evanescente. Una

misteriosa dispersione di esistenze si mescola alla nostra vita sul bordomortale del sonno. È nell'aria che larve e anime

si intrecciano. Anche chi non sta dormendo avverte su di sé il peso diquella vita sinistra. Lo attornia una chimerarealtà

intuitae lo turba. L'uomo sveglio che cammina attraverso i fantasmi delsonno altruirespinge confusamente forme che

gli passano accantoe hao crede di averel'orrore vago dei contattiostili con l'invisibilee a ogni istante avverte l'urto

oscurol'inesprimibile incontro che dilegua. Camminare nella notte popolatadi sogni è come attraversare una foresta.

È quello che si dice avere paura e non sapere perché.

Ma ciò che sente un uomoil bambino lo sente ancor di più.

Il turbamento della paura notturnaingigantito da quelle case spettraliandava ad aggiungersi a tutto il lugubre insieme

contro cui lottava.

Entrò in Conycar Lane e scorse in fondo al vicolo la Bach Water che scambiòper l'oceano; non sapeva più da che parte

stava il mare; tornò sui suoi passi e svoltò a sinistra per Maiden Streetindietreggiando fino a Saint-Albans Row.

Lìa casosenza sceglierebussò violentemente alle prime case che ebbedavanti. Erano colpi disordinati e a scatti

quelli in cui esauriva le sue ultime energiefemandosi e riprendendo quasicon stizza. Era la febbre che puls ava in quei

colpi alle porte.

Rispose una voce.

Era quella dell'ora. Dietro a lui il vecchio campanile di Saint-Nicolassuonava lentamente le tre del mattino.

Poi tutto ricadde nel silenzio.

Può sembrare sorprendente che neppure un abitante abbia socchiuso unabbaino. Main un certo sensoquel silenzio è

spiegabile. Bisogna ricordare che nel gennaio 1690 si era all'indomani di unaviolenta epidemia di peste che si era

sviluppata a Londrae che il timore di accogliere dei vagabondi malati avevaovunque come effetto una diminuzione di

ospitalità. Per paura di respirare i loro miasmi si evitava perfino disocchiudere le finestre.

Il bambino pativa il freddo degli uomini in modo più atroce del freddonotturno. Perché quello è un freddo dotato di

volontà. Gli strinse il cuore quello scoraggiamento che non aveva provatonelle distese solitarie. Pur rientrando tra gli

uomini continuava a restare solo. Il colmo dell'angoscia. Aveva capito ildeserto spietatoma la città inesorabile era

troppo per lui.

L'ora di cui aveva appena contato i colpi l'opprimeva ancor di più. Non c'ènulla di più agghiacciante in certi casi

dell'ora che suona. È una proclamazione d'indifferenza. È l'eternità chedice: cosa m'importa!

Si fermò. Ed è probabile che in quel penoso istante si sia chiesto se nonfosse più semplice coricarsi lì e morire. Ma la

piccola posò la testa sulla sua spalla e si addormentò. Quell'oscurafiducia lo rimise in cammino.

Luiche attorno a sé non aveva che rovinasentì di essere un puntod'appoggio. Profonda intimazione del dovere.

Idee e situazione erano estranee alla sua età. È probabile che non lecapisse. Agiva in modo istintivo. Faceva quello che

faceva.

Camminò in direzione di Johnstone Row.

Ma più che camminaresi trascinava.

Si lasciò a sinistra Sainte-Mary Streetfece dei zig-zag tra i vicoli eallo sbocco di un budello sinuoso tra due

catapecchiesi ritrovò in un vasto spazio aperto. Era un terreno incoltosenza costruzionilo stesso posto probabilmente

dove oggi c'è Chesterfield Place. Lì finivano le case. Alla sua destravedeva il marea sinistra restava ben poco della

città.

Che fare? Ricominciava la campagna. A est i grandi piani inclinati di neveindicavano i larghi versanti di Radipole.

Doveva continuare il viaggio? Doveva avanzare e rientrare nelle solitudini? Otornare sui propri passi rientrando nelle

vie? Che fare tra quei due silenzila pianura muta e la città sorda? Qualescegliere tra le due forme di rifiuto?

C'è un'ancora della misericordiae anche uno sguardo. È lo sguardo chequel poveropiccolo disperatogettò attorno a

sé.

Improvvisamente udì una minaccia.

V • LA MISANTROPIA NE FA UNA DELLE SUE

Un indefinibile digrignarestrano e allarmantegli giunse dall'ombra.

C'era di che indietreggiare. Si fece avanti.

Chi è costernato dal silenzio sente con piacere un ruggito.

Quel ringhio feroce lo rassicurò. Quella minaccia era una promessa. Làc'era un essere vivo e svegliofosse anche un

animale selvaggio. S'incamminò nella direzione da cui proveniva queldigrignare.

Aggirò l'angolo di un muro edietronel riverbero della neve e del marein una specie di vasta illuminazione sepolcrale

vide una cosa che se ne stava là come al riparo. Si trattava di unacarrettasempre che non fosse una capanna. Ma aveva

delle ruotedunque era una vettura; e aveva un tettodunque eraun'abitazione. Dal tetto usciva un tuboe dal tubo il

fumo. Il fumo era rossofatto che lasciava presagire un gran bel fuocodentro. I cardini sporgenti nella parte posteriore

indicavano una portae un'apertura quadrata al centro della porta lasciavavedere la luce nel baracchino. Si avvicinò.

Chi aveva digrignato lo sentì venire. Quando fu vicino alla casupola laminaccia divenne una furia. Non aveva più a che

fare con un brontolioma con un urlo. Udì un rumo re seccocome una catenache si tendesse con violenzae

all'improvviso da sotto la portatra le ruote posterioriapparvero due filedi dentibianche e acuminate.

Contemporaneamente alle fauci tra le ruote si affacciò una testa allafinestrella:«Zitto!»disse la testa.

Le fauci tacquero.

La testa continuò:

«C'è qualcuno?».

Il bambino rispose:

«Sì».

«Chi?».

«Io».

«Tu? E chi sei? Da dove vieni?».

«Sono stanco»disse il bambino.

«Che ora è?».

«Ho freddo».

«Cosa ci fai lì?».

«Ho fame».

Replicò la testa:

«Non tutti possono essere felici come un lord. Vattene».

La testa rientròil finestrino si chiuse.

Il bambino chinò la testastrinse tra le braccia la piccola addormentata eraccolse le forze per rimettersi in cammino.

Fece qualche passo iniziando ad allontanarsi.

Ma mentre il finestrino si chiudevasi era aperta la porta. Si era abbassatoun predellino. La stessa voce che aveva

appena parlato al bambino gridò con collera dal fondo del baracchino:

«E alloraperché non entri?».

Il bambino si voltò.

«Entradunque»riprese la voce. «Chi mi ha mandato un monello comequestoche ha famefreddoe che non entra!».

Il bambinorespinto e attirato al tempo stessorestava immobile.

La voce continuò:

«Ti è stato detto di entrarefurfante!».

Si decisee mise il piede sul primo gradino della scala.

Ma da sotto la vettura venne un brontolio.

Indietreggiò. Riapparvero le fauci aperte.

«Zitto!»gridò la voce dell'uomo.

Le fauci rientrarono. Il brontolio cessò.

«Sali»ripeté l'uomo.

Il bambino salì a fatica i tre gradini. Egli era impacciato dalla bambinacosì intorpiditafasciata e arrotolata nel

camiciotto che non se ne vedeva nientenon era che una piccola massainforme.

Salì i tre gradini magiunto sulla sogliasi fermò.

Nel baracchino non bruciavano candeleprobabilmente per economia. La baraccaera rischiarata solo dal rossore che

usciva dallo spiraglio di una stufa di ghisadove crepitava un fuoco ditorba. Sulla stufa fumavano una scodella e una

pentola che contenevasecondo ogni apparenzaqualcosa da mangiare. Se nesentiva il buon odore. Il mobilio di quella

dimora consisteva in una cassapancauno sgabello e una lanterna spentaappesa al soffitto. Inoltre qualche asse su

tasselli alle paretie un attaccapanni da cui pendeva una congerie dioggetti. Qua e là sulle assi e appesi ai chiodi c'erano

oggetti di vetrodi rameun alambiccoun recipiente molto simile a queivasi in cui si riduce la cera in grani e che

vengono chiamati - grelous -e una gran confusione di oggetti bizzarri cheil bamb ino non avrebbe capitoe che altro

non erano se non la batteria di una cucina da chimico. Il baracchino avevauna forma oblungacon la stufa all'ingresso.

Non si trattava neppure di una piccola stanzaera appena una grossa scatola.Fuori la neve mandava più luce di quanta

non ne facesse dentro la stufa. Tutto nella baracca era indistinto enebuloso. Tuttavia un riflesso del fuoco sul soffitto

permetteva di leggervi queste parole scritte a caratteri cubitali: URSUSFILOSOFO.

In realtà il bambino aveva fatto il suo ingresso da Homo e da Ursus. Abbiamosentito brontolare uno e parlare l'altro.

Appena sulla soglia il bambino scorse accanto alla stufa un uomo altoglabromagro e vecchiovestito di grigioin

piedi e con il cranio calvo che toccava il tetto. L'uomo non avrebbe potutoalzarsi in punta di piedi. Il baracchino gli

stava su misura.

«Entra»disse l'uomoche poi era Ursus.

Il bambino entrò.

«Appoggia là il tuo fagotto».

Il bambino mise il suo fardello sulla cassapanca facendo molta attenzionenel timore di spaventarlo e di risvegliarlo.

L'uomo continuò:

«Che delicatezza nell'appoggiarlo! Neanche fosse una reliquia. Hai paura dirovinare i tuoi stracci? Ahrazza di

fannullone! Ancora per strada a quest'ora! Chi sei? Rispondi. Ma notiproibisco di rispondere. Pensiamo a cose più

urgenti; tu hai freddoriscaldati!».

E lo spinse per le spalle davanti alla stufa.

«Sei proprio bagnato! E anche ghiacciato! Guarda se è possibile entrarecosì nelle case! Sbrigatitogli tutte queste

schifezzebandito!».Ementre con una mano gli strappava di dosso confebbrile rudezza gli stracci chelacerandosisi sfilacciavanocon

l'altra staccava da un chiodo una camicia d'uomo e una di quelle giubbe dimaglia che ancor oggi si chiamano kiss-me-quick

.

«Prendieccoti dei vestiti».

Scelse dal mucchio uno straccio di lana edavanti al fuocosi mise asfregare le membra del bambinofrastornato e

semisvenuto chein quel minuto di calda nuditàcredette di vedere il cieloe di toccarlo. Dopo avergli sfregato le

membral'uomo gli asciugò i piedi.

«Sucarcassanon hai niente di congelato. Sono stato così stupido datemere che ci fosse qualcosa di congelatole

zampe posteriori o quelle anteriori! Per questa volta non resteraiparalizzato. Rivestiti».

Il bambino indossò la camiciae l'uomo gli infilò sopra la giubba dimaglia.

«Adesso...».

L'uomo spinse avanti con un piede lo sgabellopoisempre tenendolo per lespallevi fece sedere il ragazzino e con

l'indice gli mostrò la scodella fumante sulla stufa. Anche in quellascodella il bambino intravedeva il cielocioè una

patata e del lardo.

«Tu hai famemangia».

L'uomo prese da un'asse una crosta di pane duro e una forchetta di ferroeli porse al bambino. Il bambino esitò.

«Devo apparecchiare?»disse l'uomo.

Mise la scodella sulle ginocchia del bambino.

«Dacci dentro!».

Poi la fame ebbe la meglio sullo stordimento. Il bambino si mise a mangiare.Il poverino più che mangiaredivorava. Il

baracchino fu pieno dell'allegro rumore del pane sgranocchiato. L'uomoborbottava.

«Non così in fretta mangione! Bel golosoquesto mascalzone! Le canaglieaffamate hanno un modo rivoltante di

mangiare. Basta veder cenare un lord. Durante la mia vita ho visto dei duchiche mangiavano. Quelli non mangiano;

ecco la vera nobiltà. Certo che bevono. Supiccolo cinghialerimpinzati!».

Uno stomaco affamato non ha orecchieper questo il bambino non reagiva aquegli epiteti violentima temperati d'altra

parte da gesti caritatevoliun controsenso tutto a suo vantaggio. Per ilmomento erano solo due le cose urgenti che lo

assorbivanoe due le forme d'estasi: scaldarsi e mangiare.

Ursus continuava a imprecare in sordina tra sé e sé:

«Ho visto mangiare re Giacomo in persona nella Banqueting Housedove sipossono ammirare i dipinti del famoso

Rubens; sua maestà non prendeva niente. Questo mendicante invece stabrucando! Brucareuna parola che viene da

bruto. Bella idea ho avuto di venire proprio a Weymouthsette volte votataagli dei dell'inferno! Da questa mattina non

ho venduto nienteho parlato alla neveho suonato il flauto all'uraganonon ho messo in tasca un solo farthinge per di

più la sera mi arrivano dei poveri! Maledetto paese! Tra questi stupidipassanti e me c'è solo guerralotta e rivalità. Loro

cercano di rifilarmi pochi quattrinie io li ripago con qualche intruglio.Ma ogginiente! Neanche un imbecille a un

incrocioe neanche un penny in cassa! Mangiaboy dell'inferno! Spremi edivora! Viviamo in un'epoca in cui niente

eguaglia il cinismo degli scrocconi. Ingrassati a spese mieparassita. Maquesto non è affamatoè arrabbiato. Non si

tratta di appetitoma di ferocia. È sopraffatto dal virus della rabbia. Chilo sa? Magari ha la peste. Hai la peste

brigante? E se l'attaccasse a Homo! Ma no! Crepi la gentaglianon voglio cheil mio lupo muoia. Ehiho fame anch'io.

Ammetto che è un incidente sgradevole. Oggi ho lavorato fino a notteinoltrata. Capita nella vita di avere fretta. Questa

sera avevo fretta di mangiare. Sono soloaccendo il fuoconon ho che unapatatauna crosta di paneun boccone di

lardo e una goccia di lattemetto tutto a scaldaremi dico: bene! Penso chemangerò. Patatrac! Bisognava che quel

coccodrillo mi capitasse proprio allora. Si pianta dritto tra il mio pasto eme. Ecco devastato il mio refettorio. Mangia

lucciomangiapescecanequante file di denti hai nel gargarozzo? Sbafalupacchiotto. Noritiro parolarispettiamo i

lupi. Ingoia il mio pastoboa! Ho lavorato tutto il giornolo stomacovuotola gola doloranteil pancreas in difficoltàle

viscere in rovinaho lavorato fino a tardi; come ricompensa vedo mangiare unaltro. Fa lo stessofacciamo a metà. Lui

prenderà il panela patata e il lardoma io mi terrò il latte».

In quell'istante nel baracchino si levò un lungo grido straziante. L'uomodrizzò le orecchie.

«Adesso gridisicofante! Perché gridi?».

Il ragazzo si voltò. Era evidente che non stava gridando. Aveva la boccapiena.

Il grido non cessava.

L'uomo andò verso la cassapanca.

«Allora è il fagotto che urla! Valle di Giosafat! Ecco un fagotto cheparla! Che cos'ha da gracchiare il tuo fagotto?».

Disfò il camiciotto. Ne uscì la testa di una bambinache strillava a boccaaperta.

«Benechi va là?»disse l'uomo. «Cos'è? Ce n'è un altro. Non sifinisce più dunque? Chi vive? Alle armi! Caporale

fuori la guardia! Secondo patatrac! Cosa mi portibandito? Non vedi che hasete? Sudeve berela piccola. Bene! Per

adesso devo rinunciare anche al latte».

Da un mucchio su un'asse prese un rotolo di stoffa per fasceuna spugna euna boccettamormorando stizzito:

«Dannato paese!».

Poi osservò la piccola.

«È una bambina. Si riconosce dal guaito. È anche lei inzuppata».

Come aveva fatto per il ragazzosi mise a strapparle gli stracci con cui erapiù legata che vestitae l'avvolse in un pezzo

di tela poverama pulita e asciutta. La vestizione rapida e improvvisaesasperò la bambina.«Miagola implacabilmente»disse.

Tagliò con i denti un lungo pezzo di spugnastrappò dal rotolo un riquadrodi stoffane tirò un pezzetto di filoprese

dalla stufa la pentola dove c'era il latteriempì la boccetta di latteintrodusse metà spugna nel collo della boccetta

ricoprì con la stoffa la spugnalegò con il filo quella specie di tappoaccostò la boccetta alla guancia per assicurarsi che

non fosse troppo caldae si prese sotto il braccio sinistro la trovatellache continuava a gridare.

«Sucreaturacena! Suprendi la tetta».

E le mise in bocca l'estremità della boccetta.

La piccola bevve avidamente.

Tenne la boccetta nell'inclinazione volutaborbottando:

«Vigliacchisono tutti uguali! Quando hanno ciò che voglionotacciono».

La piccola aveva bevuto con tanta energia e aveva afferrato con tale slancioquel pezzo di seno offertole da una burbera

provvidenzache fu presa da un accesso di tosse.

«Ti strozzerai»ringhiò Ursus. «Una bella golosa!».

Le tirò via la spugna che stava succhiandoaspettò che si calmasse latossepoi le rimise la boccetta tra le labbra

dicendo:

«Succhiapoco di buono».

Intanto il ragazzo aveva posato la forchetta. Per veder bere la piccola siera dimenticato di mangiare. Poco prima

mentre mangiavaaveva lo sguardo soddisfattoora era riconoscente. Guardavala piccola che tornava a vivere. Il

compimento di quella resurrezione da lui iniziata gli riempiva gli occhi diun riverbero ineffabile. Ursus continuava a

biascicare tra i denti le sue espressioni corrucciate. Il ragazzino alzavaogni tanto su Ursus i suoi occhi umidi per

un'emozione indefinibile che provava senza riuscire ad esprimerlaluipovera creatura maltrattata e commossa.

Ursus l'apostrofò furiosamente: «E alloramangia dunque!».

«E voi?»disse il bambino tutto tremantecon le lacrime agli occhi. «Nonvi resterà niente?».

«Mangia tuttorazza dannata! Per te non è troppodal momento che non eraabbastanza per me».

Il bambino riprese la forchettama non mangiò.

«Mangia»urlò Ursus. «Cosa c'entro io? Chi ti parla di me? Razza dipiccolo chierico a piedi nudi della parrocchia degli

Squattrinatiti dico di mangiare tutto. Tu sei qui per mangiarebere edormire. Mangiaaltrimenti ti metto alla portate

e la tua donnaccia!».

A quella minaccia il ragazzo si rimise a mangiare. Non che dovesse fareancora molto per sbarazzarsi di quello che

restava nella scodella.

Ursus mormorò:

«Questo edific io non tiene benepassa del freddo dai vetri».

In effetti un vetro sul davanti era stato rotto da un sobbalzo dellacarrettao dal sasso di un monello. Sulla falla Ursus

aveva applicato della carta a forma di stella che si era staccata. Di làentrava la tramontana.

Si era seduto a metà sulla cassapanca. La piccolache gli stava in braccioe sulle ginocchiasucchiava con piacere la

bottigliacon la sonnolenza beata dei cherubini davanti a Dioe dei bambinidavanti al seno.

«È ubriaca»disse Ursus.

E aggiunse:

«Fate pure dei sermoni sulla temperanza!».

Il vento strappò dal vetro il rattoppo di carta che volò attraverso ilbaracchino; ma ci voleva altro per turbare i due

bambini intenti a rinascere.

Mentre la piccola beveva e il bambino mangiavaUrsus imprecava:

«L'ubriachezza incomincia dalla culla. Datevi la pena di tuonare contro glieccessi del bere come il vescovo Tillotson.

Maledetto spiffero! E come se non bastasse la stufa è vecchia. Lascia uscirecerti sbuffi di fumo da farvi venire la

trichiasi. Così mi godo insieme ai guai del freddo anche quelli del fuoco.Non ci si vede bene.

«Questo qui abusa della mia ospitalità. E poi non ho ancora potuto guardarebene il volto di questo tanghero. Non ci

sono comodità qua dentro. Per Gioveio sono un estimatore entusiasta difesticciole squisite dentro stanze ben chiuse.

Non ho seguito la mia vocazioneero nato per la sensualità. Il più saggiodi tutti è stato Filosseno che si augurò di avere

un collo da gru per poter gustare più a lungo i piaceri della tavola. Nienteincassi oggi! Neanche una vendita in tutta la

giornata! Calamità. Abitantilacché e borghesiecco il medicoecco lamedicina. Vecchio mio tu perdi tempo. Metti via

la tua farmacia. Qui stanno tutti bene. Questa è una maledetta città dovenessuno si ammala! Soltanto il cielo ha la

diarrea. Che neve! Anassagora insegnava che la neve è nera. Aveva ragionefreddo e nero sono la stessa cosa. Il

ghiaccio è la notte. Che burrasca! Immagino che bellezza per quelli che sonoin mare. L'uragano è il passaggio dei

diavoliil frastuono degli spettri che galoppano e rotolano a testa in giùsopra le nostre scatole craniche. Tra i nembi

uno ha la codaun altro le cornaun altro ancora una fiamma al posto dellalinguae uno artigli alle aliuno il pancione

dei lord cancellieriuno la zucca da accademicoogni rumore ha la suaforma. Un vento nuovoun altro demone;

l'orecchio in ascoltol'occhio vigileil fracasso ha un volto. Diaminec'è della gente in mareè chiaro. Amici miei

vedete di cavarvela con la tempestache io ho abbastanza da fare a cavarmelacon la vita. Forse che ho una locanda? E

allora perché mi arrivano dei viaggiatori? La miseria universale generacomplicazioni fin dentro la mia povertà. Gocce

orribili del grande fango umano cadono nella mia capanna. Sono alla mercédella voracità dei passanti. Sono una preda.

La preda dei morti di fame. L'invernola notteun baracchino di cartoneundisgraziato amico di sottoe fuori la

tempestauna patataun fuoco grande come un pugnoparassitiil vento cheentra da tutte le fessuresenza un soldoedei fagotti che si mettono adabbaiare! Li apri e dentro ci trovi dei pezzenti. Quando si dice il destino! Pernon dire che

si va contro le leggi. Ah! Vagabondo con vagabondamalizioso pick-pocketaborto male intenzionatoah! Ti aggiri per

le strade dopo il coprifuoco! Se lo sapesse il nostro buon reti farebbegraziosamente gettare in una segreta per darti una

lezione! Il signore passeggia di notte con la signorina! Con quindici gradisottozerocon la testa e i piedi nudi! Sappi

che è proibito. Ci sono regolamenti e ordinanzeo fazioso! I vagabondi sonopunitii cittadini onesti che hanno case

proprie sono rispettati e protettii re sono i padri del popolo. Io sonodomiciliatoio! Saresti stato frustato sulla pubblica

piazzase ti avessero incontratoe avrebbero fatto bene. L'ordine ènecessario in uno stato civile. Io ho avuto il torto di

non denunciarti al conestabile. Ma io sono fatto cosìcapisco il bene efaccio il male. Ah! Ruffiano! Arrivarmi in quelle

condizioni! Non mi ero accorto della neve che mi hanno portato dentroeadesso si è sciolta. Ecco tutta la casa bagnata.

C'è un'inondazione. Dovrò bruciare un bel po' di carbone per asciugarequesto lago. Carbone a dodici farthings per un

sesto di moggio. Come faremo a stare in tre in questa baracca? È finitaentro nella nurserydovrò svezzare i rampolli

della feccia d'Inghilterra. Avrò come impiegoufficio e funzionedisgrossare i feti mal riusciti di quella gran sgualdrina

della Miseriadi perfezionare la bruttezza di questi pendagli da forca intenera etàe di avviare alla filosofia i giovani

furfanti! La lingua dell'orso è lo scalpello di Dio. E dire che se datren'anni non mi facessi fregare da tipi similisarei

ricco. Homo sarebbe grassoavrei un gabinetto medico pieno di raritàtantistrumenti chirurgici quanti ne ha il dottor

Linacrechirurgo di re Enrico VIIIanimali di tutti i generimummieegiziane e altre cose simili! Apparterrei al collegio

dei Dottorie avrei il diritto di usare la biblioteca costruita nel 1652 dalcelebre Harveye di lavorare nella lanterna del

duomoda dove si vede tutta Londra! Potrei portare avanti i miei calcolisulle macchie solari e provare che da

quell'astro esce un vapore caliginoso. È l'opinione di Giovanni Kepleronato l'anno prima della notte di San

Bartolomeoe che fu matematico dell'imperatore. Il sole è un camino che avolte fuma. Anche la mia stufa. La mia stufa

non vale più del sole. Eh sìse avessi fatto fortuna sarei un altro uomonon sarei trivialenon svenderei la scienza ai

crocicchi. Il popolo non è degno della saggezzaperché il popolo è fattodi una moltitudine d'insensatidi un miscuglio

confuso di ogni tipo d'etàdi sessod'umori e di condizioniche i saggidi ogni epoca non hanno esitato a disprezzare

per non dire che anche i più moderatinel loro senso della giustizianehanno detestato la stravaganza e il furore. Ah!

Tutto ciò che esiste mi annoia. Così non si vive a lungo. È questione d'unattimo la vita dell'uomo. Eppure noè lunga.

A volteper non scoraggiarciper consentirci di accettare stupidamentel'esseree per evitare che noi possiamo

approfittare delle magnifiche occasioni d'impiccarci che corde e chiodi cioffrono in quantitàsembra che la natura si

prenda un po' cura dell'uomo. Non questa notte tuttavia. È leiquellasorniona della naturache fa crescere il granoe fa

maturare l'uvae fa cantare l'usignolo. Un raggio dell'aurora o un bicchieredi gin ogni tantoecco ciò che chiamiamo

felicità. Un sottile orlo di bene attorno all'immenso sudario del male. Lastoffa del nostro destino è del diavoloDio non

vi ha messo che l'orlo. Nel frattempo ti sei mangiata la mia cenaladro!».

Intanto la neonatache teneva sempre tra le bracciacon gran dolcezza pursputando rabbiastava chiudendo

insensibilmente gli occhisegno questo di sazietà. Ursus esaminò laboccetta e brontolò:

«Razza di sfrontataha bevuto tutto!».

Si rialzò esostenendo la piccola con la sinistrasollevò il coperchiodella cassapanca con la mano destra e tirò fuori una

pelle d'orso checome si ricorderàchiamava la - mia vera pelle -.

Mentre eseguiva quest'operazionesentiva l'altro bambino mangiare e loguardava di traverso.

«Sarà una faccenda seria se d'ora in poi dovrò nutrire questo ingordo invia di sviluppo! Sarà come avere un verme

solitario nel ventre della mia attività».

Distese la pelle d'orso alla meglio e sempre con un solo braccio sullacassapancacon sforzi di gomiti e movimenti

riguardosi per non disturbare il sonno appena iniziato della piccola. Poi ladepose sulla pelliccianell'angolo più vicino

al fuoco.

Fatto questomise la boccetta vuota sulla stufa gridando:

«Sono io che ho sete!».

Guardò nella pentola; c'era ancora qualche bella sorsata di latte; accostòla pentola alle labbra. Proprio mentre stava per

bere gli cadde l'occhio sulla bambina. Rimise la pentola sulla stufapresela boccettala stappòvi vuotò dentro quello

che restava del latteabbastanza da riempirlaapplicò nuovamente la spugnae legò la stoffa sulla spugnaattorno al

collo della boccetta.

«Continuo ad aver fame e sete»riprese a dire.

E aggiunse:

«Quando non si può mangiare del panesi beve dell'acqua».

Dietro la stufa si intravedeva una brocca sbreccata.

La p rese e la mostrò al ragazzo:

«Vuoi bere?».

Il bambino bevve e si rimise a mangiare.

Ursus riafferrò la brocca e se la portò alla bocca. La temperaturadell'acqua aveva risentito in modo diseguale della

vicinanza della stufa. Mandò giù qualche sorsata e fece una smorfia.

«Saresti acqua purama somigli ai falsi amici. Tiepida sopra e freddasotto».

Intanto il ragazzo aveva finito di cenare. La scodellapiù che vuotataerastata ripulita. E ora stava raccogliendo

pensierosoqualche briciola di pane sparsa tra le pieghe della giubbasulleginocchia.

Ursus si voltò verso di lui.«Non è finita. Ora a noi due. La bocca non èfatta solo per mangiarema anche per parlare. Adesso che ti sei riscaldato e

rimpinzatoo animalestai attentodevi rispondere alle mie domande. Dadove vieni?».

Il bambino rispose:

«Non lo so».

«Comenon lo sai?».

«Questa sera mi hanno abbandonato sulla riva del mare».

«Ah! Il furfante! Come ti chiami? È talmente un poco di buono che igenitori lo hanno abbandonato».

«Non ho genitori».

«Sappiti un po' regolarenon mi piace che mi si cantino delle frottole. Haiuna sorelladunque devi avere dei genitori».

«Non è mia sorella».

«Non è tua sorella?».

«No».

«E chi è allora?».

«È una piccola che ho trovato».

«Trovato!».

«Sì».

«Come sarebbe! L'hai raccolta?».

«Sì».

«Dove? Se menti ti distruggo».

«Sopra una donna che era morta nella neve».

«Quando?».

«Un'ora fa».

«Dove?».

«A una lega da qui».

Le arcate frontali di Ursus si piegaronoprendendo la forma arcuatacaratteristica delle sopracciglia emozionate di un

filosofo.

«Morta! Eccone una fortunata! Bisogna lasciarla lìnella sua neve. Ci sitrova bene. Da che parte?».

«Dalla parte del mare».

«Hai attraversato il ponte?».

«Sì».

Ursus aprì la finestrella sulla parte posteriore e guardò fuori. Il temponon era migliorato. La neve cadeva fitta e

lugubre.

Richiuse il finestrino.

Andò al vetro rottotamponò il buco con uno straccioaggiunse della torbanella stufaspiegò la pelle d'orso sulla

cassapancaallargandola il più possibileprese un grosso libro che tenevain un angolo mettendolo come cuscino sotto il

capezzalee su quel traversino appoggiò la testa della bambinaaddormentata.

Si voltò verso il ragazzo.

«Coricati lì».

Il ragazzino obbedì e si sdraiò in tutta la sua lunghezza accanto allapiccola.

Ursus arrotolò la pelle d'orso attorno ai due bambini e la rimboccò sottoai loro piedi.

Tolse da un'asseannodandosela attorno al corpouna cintura di tela con unagrande tasca cheprobabilmente

conteneva un astuccio per i ferri e flaconi d'elisir.

Poi staccò la lanterna dal soffitto e l'accese. Era una lanterna cieca.Accendendosi lasciò i bambini nell'oscurità.

Ursus socchiuse la porta e disse:

«Esco. Non abbiate paura. Torno subito. Dormite».

Poiabbassando il predellinogridò:

«Homo!».

Gli rispose un affettuoso brontolio.

Ursus scese con la lanterna in manoil predellino risalìla porta sichiuse. I bambini rimasero soli.

Da fuori una vocequella di Ursusdomandò:

«Boy che hai mangiato la mia cena! Dimminon dormi ancora?».

«No»rispose il ragazzo.

«Bene! Se urlale darai il resto del latte».

Si sentì il clicchettio di una catena sciolta e il rumore di un passo d'uomoche si allontanavaa cui si aggiunse quello di

un animale.

Dopo qualche istante i due bambini dormivano profondamente.

Era un'ineffabile mescolarsi di fiati; qualcosa di più della castitàl'ignoranza; una notte di nozze prima del sesso. Il

ragazzino e la bambinanudifianco a fiancogodettero in quelle oresilenziose della serafica promiscuità dell'ombra;

fluttuava da uno all'altra quel po' di sogno possibile alla loro età;probabilmente sotto le palpebre chiuse c'era una luce

di stella; se parlare di matrimonio non fosse esageratoessi erano marito emoglie nello stesso modo in cui si è angeli.

Solo l'infanzia rende possibili certe innocenze in tenebre simili e quellapurezza nell'abbracciocome anticipazioni del

cielo; nessuna immensità si avvicina alla grandezza dei piccoli. Di tuttigli abissi questo è il più profondo. Laformidabile eternità di un mortoincatenato fuori dalla vitail gigantesco accanimento dell'oceano su unnaufragioil

vasto biancore della neve che ricopre le forme sepolteniente eguaglia lacommozione del tocco divino tra due bocche

di bambini nel sonnoun incontro che non è un bacio. Forse un fidanzamentoforse una catastrofe. L'ignoto pesa su

questo contatto. È affascinante; ma chi può dire se non sia spaventoso?C'è di che sentirsi stringere il cuore. L'innocenza

è più sublime della virtù. L'innocenza è fatta di un'oscurità sacra.Dormivano. Erano tranquilli. Avevano caldo. Il nudo

intreccio dei corpi era l'amalgama di anime vergini. Stavano lì come nelnido dell'abisso.

VI • IL RISVEGLIO

Il giorno si annuncia in modo sinistro. Un triste biancore entrò nelbaracchino. Era il gelo dell'alba. Quel palloreche

sbalza in funebre realtà i contorni delle cose battute dall'apparenzaspettrale della nottenon risvegliò i bambini che

dormivano stretti assieme. Nel baracchino faceva caldo. Si potevano sentire iloro respiri che si alternavano come due

onde tranquille. Fuori l'uragano era cessato. La luce del crepuscolos'impossessava lentamente dell'orizzonte. Le

costellazioni si spegnevano una dopo l'altracome candele su cui qualcunosoffiasse. Non resisteva che qualche grande

stella. Usciva dal mare il canto profondo dell'infinito.

La stufa non si era spenta del tutto. A poco a poco l'alba diventava giornopieno. Il ragazzo dormiva meno della

bambina. C'era in lui la stoffa di chi vegliae quella del guardiano. Quandoun raggio più forte degli altri attraversò il

vetroegli aprì gli occhi; il sonno dell'infanzia termina nell'oblio;restò nel dormiveglia senza sapere dove si trovavané

chi c'era accanto a luie neppure si sforzava di ricordarefissava ilsoffitto e giocava fantasticando con le lettere della

scritta Ursusfilosofoche esaminava senza decifrarledalmomento che non sapeva leggere.

Il rumore di una chiave che armeggiava nella serratura gli fece sollevare ilcollo.

La porta giròil predellino andò giù. Tornava Ursus. Salì i tre gradinicon in mano la lanterna spenta.

Contemporaneamente lo scalpiccio di quattro zampe veloci risalì ilpredellino. Era Homo che seguiva Ursus e che

come luifaceva ritorno a casa.

Il ragazzo svegliandosi ebbe un leggero sussulto.

Il lupoche probabilmente aveva appetitofece una smorfia da primo mattinomettendo in mostra tutti i denti

bianchissimi.

Si fermò a metà salitaappoggiando le zampe anteriori nel baracchinoigomiti sulla sogliacome un predicatore sul

bordo del pulpito. Annusò da lontano la cassapanca che non era abituato avedere abitata in quel modo. Il suo busto di

lupo nel riquadro della porta si stagliava nero contro il chiarore delmattino. Poi si deciseed entrò.

Il ragazzovedendo il lupo nel baracchinouscì dalla pelle d'orsosialzò in piedi e si mise davanti alla piccolapiù

addormentata che mai.

Ursus aveva riappeso la lanterna al chiodo del soffitto. Si tolse in silenzioe con una lentezza meccanica la cintura con

l'astucciorimettendola su un'asse. Non guardava niente e sembrava che nonvedesse niente. Le sue pupille erano vitree.

Qualcosa di profondo si agitava nel suo spirito. Alla fine il suo spirito sirianimò come al solito con una sfuriata di

parole. Esclamò:

«Proprio fortunata! Mortaassolutamente morta».

Si chinò e gettò una palettata di scorie nella stufapoicontinuando adattizzare la torbaborbottò:

«Ho faticato per trovarla. Un caso maligno l'aveva cacciata sotto due piedidi neve. Senza Homoche con il suo naso

vede altrettanto bene che Cristoforo Colombo con il suo ingegnosarei ancoralà a sguazzare nella valanga e a giocare a

rimpiattino con la morte. Diogene con la sua lanterna cercava un uomoio conla mia cercavo una donna; egli ha trovato

il sarcasmoio il lutto. Com'era fredda! Le ho toccato una manouna pietra.Che silenzio in quegli occhi! Come si fa a

essere così stupidi da morire lasciandosi dietro una bambina! Certo adessonon sarà comodo stare in tre in questa

scatola. Un bel guaio! Mi ritrovo con una famiglia! Figlia e fig lio».

Mentre Ursus parlavaHomo era scivolato vicino alla stufa. La mano dellapiccola addormentata penzolava tra la stufa e

la cassapanca. Il lupo si mise a leccare la mano.

Leccava con tanta dolcezza che la piccola non si svegliò.

Ursus si voltò.

«BeneHomo. Io farò da padre e tu da zio».

Poi riprese il suo lavoro filosofico sistemando il fuocosenza interrompereil suo a parte.

«Adozione. Ormai è fatta. Anche Homo è d'accordo».

Si rialzò.

«Vorrei sapere chi è responsabile di quella morte. Uomini? O...».

Guardò in ariaoltre il soffittoe la sua bocca mormorò:

«Sei stato tu?».

Poi abbassò la fronte come sotto un pesoe continuò:

«La notte si è presa la pena di uccidere quella donna».

Rialzando lo sguardo incontrò il volto del ragazzo che si era svegliato e lostava ascoltando. Ursus gli chiese in tono

brusco:

«Cos'hai da ridere?».

Il ragazzo rispose:

«Non sto ridendo».Ursus ebbe un sussultolo esaminò attentamente e insilenzio per qualche istantepoi disse:

«Allora sei terribile».

Durante la notte il baracchino era così poco illuminato al suo interno cheUrsus non aveva ancora visto la faccia del

ragazzo. La luce del giorno gliela mostrò.

Mise le palme delle mani sulle spalle del ragazzoguardò ancora il suovolto con un'attenzione sempre più intensae gli

gridò:

«Non ridere più!».

«Io non rido»disse il bambino.

Ursus ebbe un tremito dalla testa ai piedi.

«Ti dico che ridi».

Poiscuotendo il bambino con un furore che era pietàgli domandò conveemenza:

«Chi te l'ha fatto?».

Il bambino rispose:

«Non capisco cosa volete dire».

«Da quando hai questa specie di riso?»continuò Ursus.

«Sono sempre stato così»disse il bambino.

Ursus si voltò verso la cassapanca dicendo a bassa voce:

«Credevo avessero smesso di fare certe cose».

Facendo molta attenzioneper non svegliarlaprese dal capezzale il libroche aveva messo come cuscino sotto la testa

della piccola.

«Vediamo Conquest»mormorò.

Era un mazzo di in foliorilegati in pergamena tenera. Lo sfogliòcon il pollicesi fermò su una paginaspalancò il libro

sulla stufa e lesse:

«... De Denasatis. Eccolo».

Poi continuò:

«Bucca fissa usque ad auresgenzivis denudatisnasoque murdridatomascaeriset ridebis semper».

«È proprio questo».

Rimise il libro su una delle assiborbottando:

«Questa è un'avventura che sarebbe sconsigliabile approfondire. Restiamo insuperficie. Ridiragazzo mio».

La bambina si svegliò. Come buongiornogridò.

«Subaliadalle il seno»disse Ursus.

La piccola si era messa a sedere. Ursus prese la boccetta dalla stufa egliela diede da succhiare.

In quel momento sorse il sole. Spuntava appena sull'orizzonte. Un raggiorossoentrando dal vetrocadeva sul volto

della bambina girata nella sua direzione. Gli occhi della piccolafissi nelsoleriflettevano come specchi quel cerchio

rosso. Le pupille erano immobilie così pure le palpebre.

«Ah!»esclamò Ursus. «È cieca».

PARTE SECONDA • PER ORDINE DEL RE

LIBRO PRIMO • ETERNA PRESENZA DEL PASSATO: GLI UOMINI RIFLETTONO L'UOMO

I • LORD CLANCHARLIE

I

C'era a quei temp i un vecchio ricordo.

Quel ricordo era lord Linnaeus Clancharlie.

Il barone Linnaeus Clancharliecontemporaneo di Cromwellera uno di queipari d'Inghilterrapoco numerosiva

subito dettoche avevano accettato la repubblica. Questo assenso eraragionevolee a rigore si spiega con il fatto che in

quel momento la repubblica aveva trionfato. Niente di più semplice dunqueche lord Clancharlie restasse con la

repubblica finché questa aveva il sopravvento. Ma dopo la fine dellarivoluzione e la caduta del governo parlamentare

lord Clancharlie aveva persistito. Sarebbe stato facile per un nobilearistocratico come lui rientrare nella ricostituita

camera altadato che i pentimenti sono sempre bene accetti dallerestaurazionie Carlo II si dimostrava un principe

clemente con quelli che facevano ritorno da lui; ma lord Clancharlie nonaveva capito il corso degli avvenimenti.

Mentre la nazione copriva di acclamazioni il re che riprendeva possessodell'Inghilterramentre l'opinione pubblica

pronunciava il suo verdettomentre il popolo esternava i suoi omaggi allamonarchiamentre la dinastia si risollevava

nel bel mezzo di una gloriosa e trionfale palinodiaproprio nell'istante incui il passato diventava avvenire e l'avvenire

diventava passatoquel lord era rimasto refrattario. Aveva distolto losguardo da tutta quella allegria; era andato in

esilio volontario; pur potendo essere un pariaveva preferito essere unproscritto; così erano passati gli anni; erainvecchiato in quella fedeltàverso la repubblica morta. Si era anche coperto del ridicolo che colpiscenaturalmente quel

tipo di atteggiamenti infantili.

Si era ritirato in Svizzera. Viveva in una specie di grande casale sulla rivadel lago di Ginevra. Si era scelto quella

dimora nel più aspro recesso del lagotra Chillondove c'è la prigione diBonnivarde Veveydove si trova la tomba di

Ludlow. Lo circondavano le Alpiseveredense di crepuscolidi venti e dinuvole; viveva làcome perso nelle vaste

tenebre che cadono dalle montagne. Era difficile che qualcuno lo incontrasse.Quell'uomo era fuori dal proprio paese e

quasi fuori dal proprio secolo. Per chi in quel momento era al corrente dicome andavano le cosenon aveva senso

opporsi agli avvenimenti. L'Inghilterra era felice; una restaurazione è comeuna riconciliazione tra sposi; principe e

nazione smettono di dormire in letti separati; cosa c'è di più grazioso eallegro?; la Gran Bretagna raggiava; certo è una

gran cosa avere un rema il loro era un re affascinante; Carlo II eraamabilededito al piacere e al governoe grande

sulle orme di Luigi XIV; era un gentleman e un gentiluomo; Carlo II aveval'ammirazione dei suoi sudditi; aveva fatto

la guerra di Hannoverconoscendone certamente i motivianzi conoscendolisolo lui; aveva venduto Dunkerque alla

Franciaun'operazione di alta politica; i pari democraticidi cuiChamberlayne ha detto: «Quella maledetta repubblica

infettò molti dell'alta nobiltà con il suo fiato puzzolente»avevanoavuto il buon senso di arrendersi all'evidenzadi

appartenere al loro tempoe di riprendersi il proprio seggio nella cameradei nobili; per questo era bastato loro prestare

al re il giuramento di fedeltà. Quando si pensava a tutte queste realtàaquel bel regnoa quel re eccellentea quei

principi augusti che la misericordia divina aveva reso all'amore dei popoli;quando si rifletteva sul fatto che personaggi

considerevolicome Monke più tardi Jeffreyssi erano riavvicinati altronoe che erano stati giustamente ricompensati

per la loro lealtà e il loro zelo con le cariche più importanti e con lemansioni più remunerativee che lord Clancharlie

non poteva non esserne al correnteche dipendeva solo da lui il fatto disedersi gloriosamente accanto a loro per

dividerne gli onoriche l'Inghilterragrazie al suo reera risalita almassimo della prosperitàche Londra era tutta feste e

caroselliche tutti erano ricchi e entusiastiche la corte era galantegaia e superba; seper casolontano da questi

splendoriin una penombra indefinibile come quando si fa nottesi scorgevaquel vecchiovestito come veste il popolo

pallidodistrattocurvoforse sull'orlo della tombain piedi sulla rivadel lagoappena attento alla tempesta e

all'invernoche camminava a casolo sguardo fissoi capelli bianchi mossidal vento dell'ombrasilenziososolitario

meditabondoallora era difficile non sorriderne.

Il profilo di un folle.

Pensando a lord Clancharliea ciò che avrebbe potuto essere e a ciò cheerasorridere diventava una questione

d'indulgenza. Alcuni ridevano apertamente. Altri s'indignavano.

Si capisce come uomini seri fossero scandalizzati da una solitudine cosìinsolente.

Circostanza attenuante: lord Clancharlie non era mai stato un uomointelligente. Su questo erano tutti d'accordo.

II

È spiacevole vedere qualcuno che esercita l'ostinazione. Gli atteggiamentialla Regolo non riscuotono successoanzi

l'opinione pubblica fa dell'ironia.

La caparbietà sembra un rimproveroed è giusto che se ne rida.

Ma sono poi virtù le testardagginile asprezze? Non c'è forse moltaostentazione in certe esibizioni eccessive

dell'abnegazione e dell'onore? Uno spirito da paratapiù che altro. Perchépoi queste esagerazioni della solitudine e

dell'esilio? Non esagerare maiquesta è la massima del saggio. Voleteopporvie va bene; se volete biasimare fatelo

purema con decenzae non dimenticando di gridare viva il re! L'autenticavirtù consiste nella ragionevolezza. Ciò che

cade doveva cadereciò che riesce doveva riuscire. La provvidenza ha le sueragioni; essa corona chi lo merita. Avete la

pretesa di saperne più di lei? Quando gli avvenimenti si sono pronunciatiquando un regime ha rimpiazzato l'altro

quando il successo ha discriminato il vero dal falsoqui la catastrofelàil trionfonon è più possibile dubitarel'uomo

onesto si schiera con chi ha prevalsoe anche se ciò risulta propizio per isuoi beni e per la sua famigliasenza lasciarsi

influenzare da questa considerazionepensando solo all'interesse dellacollettivitàegli dà man forte al vincitore.

Cosa diventerebbe lo Stato se nessuno volesse servire? Tutto dovrebbe dunquefermarsi? Il bravo cittadino sa stare al

suo posto. Sappiate sacrificare le vostre preferenze segrete. Gli impieghibisogna saperli tenere. Qualcuno deve pur

immolarsi. La vera fedeltà consiste nell'essere fedeli alle funzionipubbliche. Se i funzionari pubblici si ritirassero

questa sarebbe la paralisi dello stato. Vi mettete al bandoè una cosapenosa. Un esempio forse? Che vanità! Una sfida?

Che audacia! Ma chi vi credete? Sappiate che valiamo quanto voi. Ma noi nondisertiamonoi. Se lo volessimo

saremmo anche noi inesorabili e indomabilie faremmo cose peggiori di quelleche fate voi. Ma preferiamo essere

intelligenti. Solo perché sono Trimalcionenon mi credete capace di essereCatone! Ma andiamo!

III

Mai situazione fu più chiara e decisiva di quella del 1660. Mai a un uomointelligente s'impose con più evidenza quello

che doveva fare.

L'Inghilterra si era liberata di Cromwell. Sotto la repubblica si eranoverificate molte irregolarità. Era stata creata la

supremazia britannica; con la guerra dei trent'anni si era dominata laGermaniaabbassata la Francia con la Fronda esminuita la Spagna con il duca diBraganza. Cromwell aveva addomesticato Mazarino; nei trattati il protettore

dell'Inghilterra firmava sopra il re di Francia; le Provincie Unite dovevanopagare un'ammenda di otto milionierano

state molestate Algeri e Tunisiconquistata la GiamaicaLisbona umiliataistigata a Barcellona la rivalità francese

messo a Napoli Masaniello; il Portogallo era stato ancorato all'Inghilterra;da Gibilterra a Candia si era fatta pulizia dei

berberi; erano state gettate le fondamenta del dominio marittimo: la vittoriae il commercio; il 10 agosto 1653 la flotta

inglese aveva distrutto Martin Happertz Trompvittorioso in trentatrebattaglieil vecchio ammiraglio che si faceva

chiamare nonno dei marinaie che aveva battuto la flotta spagnola;l'Atlantico era stato sottratto alla marina spagnolail

Pacifico a quella olandeseil Mediterraneo alla marina veneziana econl'atto di navigazioneci si era impadroniti di

tutte le coste; con l'oceano si teneva in pugno il mondo; la bandieraolandese in mare salutava umilmente la bandiera

britannica; la Francianella persona dell'ambasciatore Mancinifacevagenuflessioni davanti a Olivier Cromwell;

Cromwell giocava con Calais e Dunkerque come con due volani su una racchettasola; aveva fatto tremare il continente

dettato la pacedecretato la guerrapiantato su ogni cima la bandierainglese; il solo reggimento dei - fianchi d'acciaio -

del protettorevaleva nell'Europa terrorizzata quanto un'armata; Cromwelldiceva: Esigo che si rispetti la repubblica

inglese come si è rispettata la repubblica romana; più nulla era sacro;c'era libertà di parolalibertà di stampa; si poteva

dire in mezzo alla strada quello che si voleva; si stampava liberamente senzacontrolli e censure; era stato infranto

l'equilibrio dei troni; tutto l'ordine monarchico europeodi cui facevanoparte gli Stuartera stato sconvolto. Ma alla fine

si era usciti da questo odioso regimee l'Inghilterra era stata perdonata.

L'indulgente Carlo II aveva promulgato la dichiarazione di Breda. Avevaconcesso all'Inghilterra l'oblio di un'epoca in

cui il figlio di un birraio di Huntingdon metteva i piedi in testa a LuigiXIV. L'Inghilterra recitava il suo mea culpa e

tirava un respiro di sollievo. I cuoricome abbiamo dettotornavano adistendersi completamente; alla gioia universale

si andavano ad aggiungere le forche dei regicidi. Una restaurazione è unsorriso; ma un po' di forca non stonae poi

bisogna soddisfare la coscienza pubblica. L'indisciplina si era dissoltasistava ricostituendo la lealtà. L'unica ambizione

ormai era di essere dei buoni sudditi. Ci si era riavuti dalle follie dellapolitica; ci si prendeva gioco della rivoluzionesi

canzonava la repubblica e quei tempi singolariquando era normale riempirsila bocca con grandi paroleDiritto

LibertàProgresso; adesso si rideva di quell'enfasi. C'era unammirevole ritorno al buon senso; l'Inghilterra aveva

sognato. Che fortuna essere fuori da quegli smarrimenti! C'è nulla di piùinsensato? Dove si andrebbe a finire se il

primo venuto accampasse diritti? È possibile immaginare che tutti comandino?Si può pensare una città governata dai

cittadini? I cittadini sono un equipaggioma l'equipaggio non è ilcocchiere. Mettere ai voti significa gettare al vento.

Volete che gli stati fluttuino come le nuvole? Non si costruisce l'ordine conil disordine. Se l'architetto è il caos

l'edificio sarà Babele. E poi che tirannia questa pretesa libertà! Iovoglio divertirminon governare. Mi annoia votare; io

voglio ballare. Che provvidenza avere un principe che si incarica di tutto!È davvero generoso il re a prendersi questa

pena per noi! Senza contare che vi è stato educatosa bene di cosa sitratta. Se ne intende. Paceguerralegislazione

finanzeriguardano forse i popoli? Certo il popolo deve pagaredeveservirema deve accontentarsi di questo. Nella

politica ha un posto preciso; è da lui che nascono le due forze dello stato:l'esercito e il bilancio. Non basta essere

contribuente e soldato? C'è bisogno d'altro? È il braccio militare e quellofinanziario. Un ruolo stupendo. C'è chi regna

per lui. Deve pure pagare questo servizio. Imposta e lista civile sono isalari che i popoli pagano e i principi si

guadagnano. Il popolo dà il suo sangue e i suoi soldiin cambio vieneguidato. Volersi condurre da séche idea

bizzarra! Ha bisogno di una guida. Nella sua ignoranza il popolo è cieco.Non hanno un cane i ciechi? Solo che nel caso

del popolo c'è un leoneil reche acconsente a fare da cane. Che bontà!Ma perché il popolo è ignorante? Perché deve

esserlo. L'ignoranza preserva la virtù. Dove non ci sono prospettivenon cisono ambizioni; l'ignorante vive in una notte

provvidenziale chesopprimendo lo sguardosopprime l'avidità. Da quil'innocenza. Chi legge pensachi pensa ragiona.

Il dovere consiste nel non ragionaree anche la felicità. Sono veritàincontestabili. Sopra di esse si fonda la società.

Così in Inghilterra si erano ristabilite le sane dottrine sociali. Così siera riabilitata la nazione. Nello stesso tempo si

tornava alla bella letteratura. Si sdegnava Shakespeare e si ammirava Dryden.Dryden è il più grande poeta inglese e il

più grande del secolodiceva Atterburyil traduttore di Achitophet.Era l'epoca in cui Huetvescovo d'Avranches

scriveva a Saumaiseche aveva fatto all'autore del Paradiso perduto l'onoredi rifiutarlo e d'ingiuriarlo: Come potete

occuparvi di una nullità come quel Milton? Tutto rinasceva e tornava alsuo posto. Dryden in alto e Shakespeare in

bassoCarlo II sul trono. Cromwell sulla forca. L'Inghilterra si rialzavadalle vergogne e dalle stravaganze del passato.

È una gran fortuna per le nazioni che ci sia la monarchia a rimettere inordine lo statoe a riportare il buon gusto nella

letteratura.

È difficile credere che simili benefici possano essere disconosciuti.Voltare le spalle a Carlo IIricompensare con

l'ingratitudine la magnanimità del suo ritorno al trononon è abominevoletutto questo? Lord Linnaeus Clancharlie

aveva procurato un simile dolore alla gente perbene. Disdegnare la felicitàdella patriache aberrazione!

È noto che nel 1650 il parlamento aveva formulato questa espressione: Promettodi restare fedele alla repubblicasenza

resenza sovranosenza signore. Con il pretesto di essersi impegnato inquesto mostruoso giuramentolord Clancharlie

viveva fuori dal regnocredendosi in diritto di essere triste al cospettodell'universale felicità. La sua era la tetra stima

per ciò che non esiste più; un bizzarro attaccamento a cose svanite.

Impossibile scusarlo; i più benevoli lo abbandonavano. A lungo i suoi amicigli avevano fatto l'onore di credere che

fosse entrato nelle file repubblicane per vedere più da vicino il puntodebole della repubblicae così colpirla con

maggior sicurezza quando fosse venuto il giorno del riscatto per la sacracausa del re.

Quelle attese dell'ora utile per colpire il nemico alle spalle fanno partedel concetto di lealtà. Era quanto ci si aspettava

da lord Clancharlie quando si era inclini a giudicarlo favorevolmente. Madavanti a quella strana cocciutagginerepubblicana era stato giocoforzarinunciare a quell'ipotesi benevola. Evidentemente lord Clancharlie ci credevacioè

era un idiota.

La spiegazione degli indulgenti oscillava tra un'ostinazione puerile e unatestarda senilità.

Quelli più severii giustisi spingevano più lontano. Essi tacciavanod'infamia il recidivo. L'imbecillità gode di alcuni

dirittima ci sono anche dei limiti. Si può essere dei brutima non sideve essere ribelli. E poidopo tuttocos'era lord

Clancharlie? Un transfuga. Aveva abbandonato il suo campol'aristocraziaper passare al camp o nemicoil popolo.

Bella fedeltà quel traditore. È vero che tradiva il più forte per esserefedele al più debole; è vero che il campo ripudiato

era quello del vincitoree che il nuovo campo adottato era quello del vinto;è vero che grazie a quel - tradimento -

perdeva tuttoi suoi privilegi politici e il focolare domesticola paria ela patria; e non ci guadagnava che il ridicolo; il

suo unico beneficio era l'esilio. Ma cosa significa? Che era uno sciocco.D'accordo.

Traditore e stupido al tempo stessoè possibile.

Uno può essere sciocco quanto vuolema che non dia il cattivo esempio. Aglisciocchi si chiede solo di essere onesti

dopo di che essi possono aspirare ad essere le basi delle monarchie. Lapochezza di questo Clancharlie era

inimmaginabile. Era rimasto preso nelle vertigini fantasmagoriche dellarivoluzione. Era stato ingannato dalla

repubblicae poi messo fuori. Il suo era un affronto al paese. Unatteggiamento di pura fellonia! La sua assenza era

un'ingiuria. Sembrava che evitasse la felicità pubblica come la peste. Inquell'esilio volontario era come se avesse

cercato rifugio dalla soddisfazione nazionale. Si comportava con lasovranità come con un contagio. Egli era il drappo

nero su quello sterminato tripudio monarchico che voleva far passare perlazzaretto. Via! Recitare quel ruolo sinistro al

di sopra dell'ordine ricostituitodi una nazione risollevatadi unareligione restaurata! Gettare ombra su quella serenità!

Prendere male un'Inghilterra contenta! Essere la macchia scura in quel grancielo azzurro! Essere come una minaccia!

Protestare contro i desideri della nazione! Rifiutare di unirsi al consensouniversale! Sarebbe odiosose non fosse

comico. Quel Clancharlie non aveva capito che ci si poteva smarrire conCromwellma che bis ognava ritornare con

Monk. Guardate Monk. È al comando dell'esercito repubblicano; Carlo IIdall'esilio viene a sapere della sua onestà e gli

scrive; Monkche sa conciliare la virtù con l'astuziaprima dissimulapoiimprovvisamentealla testa delle truppe

depone il parlamento fazioso e ristabilisce il recosì Monk viene fattoduca d'Albermarleha l'onore di aver salvato la

societàdiventa ricchissimodà per sempre lustro alla sua epocae vienefatto cavaliere della Giarrettieracon la

prospettiva di essere sepolto a Westminster. Questa è la gloria di uninglese fedele. Lord Clancharlie non aveva saputo

elevarsi a una tale pratica intelligente del dovere. Si era infatuatodell'immobilità dell'esilio. Si accontentava di frasi

vuote. Era un uomo anchilosato dall'orgoglio. Le parole coscienzadignitàecc.dopotutto sono parole. Bisogna vederne

il fondo.

Quel fondo Clancharlie non l'aveva visto. Era una coscienza miopeprima diagire voleva guardare molto da vicino

l'azione da compiereper sentirne l'odore. Da qui i suoi assurdi disgusti.Non si può essere uomini di stato e avere simili

delicatezze. L'eccesso di coscienza degenera in malattia. Lo scrupolo èmonco davanti allo scettro che deve afferrare e

eunuco davanti alla fortuna da sposare. Diffidate degli scrupoli. Portanolontano. La fedeltà irragionevole scende come

una scala di cantina. Un gradinopoi un altro gradinoe un altro ancoraeci si trova al buio. Quelli abili risalgonogli

ingenui vi restano. Non si deve permettere con leggerezza alla propriacoscienza di diventare estremista. Di passaggio in

passaggio si arriva alle cupe sfumature del pudore politico. Allora si èperduti. Era il caso di lord Clancharlie. Il destino

dei principi è di diventare un baratro.

Passeggiava con le mani dietro la schienalungo il lago di Ginevra; belvantaggio!

A Londra qualche volta si parlava dell'assente. Per l'opinione pubblica sitrattava quasi di un imputato. Se ne discuteva

la difesa e l'accusa. Esaurita la causagli veniva accordato il beneficiodella stupidità.

Molti degli antichi sostenitori dell'ex repubblica avevano aderito agliStuart. Di questo dobbiamo lodarli. È naturale che

un po' lo calunniassero. Gli ostinati non sono graditi dai compiacenti.Persone intelligentiben viste e in ottima

posizione a corteinfastidite da quello spiacevole atteggiamentodicevanovolentieri: Se non ha aderito è perché non lo

hanno pagato abbastanza ecc. - Voleva il posto di cancelliereche ilre ha dato a lord Hyde ecc. - Uno dei suoi - vecchi

amici - si spingeva fino a mormorare: Me l'ha detto lui stesso. Avolte capitavaper quanto Linnaeus Clancharlie

vivesse in solitudineche qualcosa di quelle voci gli giungesseall'orecchiotramite qualche vecchio regicida come

Andrew Broughtonche abitava a Losanna. Clancharlie si limitava ad alzareimpercettibilmente le spallesegno questo

di profondo abbrutimento.

Una volta all'alzata di spalle aggiunse queste paroleappena sussurrate: Compiangoquelli che ci credono.

IV

Carlo IIbuon uomolo disprezzava. La felicità dell'Inghilterra sottoCarlo II era qualcosa di più della felicitàera un

incanto. Una restaurazione è un vecchio quadro annerito che vieneriverniciato; riappare tutto il passato. Tornavano i

vecchi buoni costumile belle donne regnavano e governavano. Evelyn ne hapreso nota; si legge nel suo giornale:

«Lussuriaprofanazionedisprezzo di Dio. Una domenica sera ho visto il recon le sue puttanela Portsmouthla

Clevelandla Mazarin e altre due o tre; tutte quasi nude nella galleria deigiochi». Trapela un po' di cattivo umore da

questo quadro; ma Evelyn era un puritano brontoloneguastato dafantasticherie repubblicane. Non apprezzava il

proficuo esempio dato dai re con quei grandi divertimenti babilonesiche indefinitiva alimentano il lusso. Non capival'utilità dei vizi. Regola: nonestirpate i vizise volete avere delle donne affascinanti. Altrimentisembrerete come quegli

imbecilli che distruggono i bruchipur andando pazzi per le farfalle.

Carlo IIcome abbiamo dettosi accorse appena che esisteva un refrattariochiamato Clancharliema Giacomo II fu più

attento. Carlo II governava a suo modoblandamente; diciamo che non perquesto governava peggio. Capita che un

marinaioa una fune destinata a dominare il ventofaccia un nodo debole elasci così che il vento lo stringa. È questa la

stupidità dell'uragano e del popolo.

Quel nodo largopresto diventato strettofu il regno di Carlo II.

Sotto Giacomo II iniziò lo strangolamento. Strangolamento necessario di ciòche restava della rivoluzione. Giacomo II

ebbe la lodevole ambizione di essere un re efficace. Ai suoi occhi il regnodi Carlo II non era stato che un abbozzo di

restaurazione; Giacomo II volle un ritorno all'ordine ancora più completo.Nel 1660 aveva deplorato che ci si fosse

limitati a impiccare dieci regicidi. Egli fu ben altro restauratoredell'autorità. Instillò vigore a seri principi; fece regnare

quella giustizia che è la sola verache sta al di sopra delle declamazionisentimentalie che prima di tutto si preoccupa

degli interessi della società. Da queste vigili severità si riconosce ilpadre dello stato. Affidò a Jeffreys il potere

giudiziarioe a Kirke le armi. Kirke moltiplicava gli esempi. Un giornoquesto bravo colonnello fece mettere e togliere

la forca per tre volte allo stesso uomoun repubblicanochiedendogli ognivolta: Abiuri la repubblica? Poiché il

disgraziato rispondeva sempre di nolo finirono. - L'ho impiccato quattrovoltedisse Kirke soddisfatto. Il fatto che

tornino i supplizi è un gran segno di forza per il potere. Lady Lylechepur aveva mandato suo figlio in guerra contro

Montmouthavendo nascosto in casa sua due ribellifu messa a morte. Unaltro ribelleessendo stato così onesto da

confessare che una donna anabattista gli aveva dato asilofu graziatoe ladonna fu bruciata viva. Un altro giorno Kirke

fece capire a una città che la sapeva repubblicanaimpiccando diciannoveborghesi. Certo si trattava di rappresaglie del

tutto legittime se si pensa che sotto Cromwell si tagliavano il naso e leorecchie ai santi di pietra nelle chiese. Giacomo

IIche aveva saputo scegliere Jeffreys e Kirkeera un principe imbevuto diautentica religiositàsi mortificava con la

bruttezza delle sue amantiascoltava il padre La Colombièrepredicatoreuntuoso quasi quanto il padre Cheminaisma

con più fuocoe che ebbe l'onore di essere consigliere di Giacomo II nellaprima metà della sua vitae ispiratore di

Marie Alacoque nella seconda. È grazie a questo forte nutrimento religiosoche Giacomo II poté sopportare più tardi

con dignità l'esilioenel suo ritiro di SaintGermaindare lo spettacolodi un re superiore all'avversitàcalmo davanti

alla scrofolosiin conversazione con i gesuiti.

È comprensibile che un simile sovrano dovessealmeno in una certa misurapreoccuparsi di un ribelle come lord

Linnaeus Clancharlie. Dal momento che le parie si trasmettonoereditariamenteesse contengono una certa quantità di

avveniree dunque è evidente che se ci fosse stata qualche precauzione daprendere riguardo a quel lordGiacomo II

non avrebbe esitato.

II • LORD DAVID DIRRY-MOIR

I

Lord Linnaeus Clancharlie non era sempre stato vecchio e proscritto. Avevaconosciuto la giovinezza e la passione.

Sappiamo da Harrison e Pride che Cromwell da giovane aveva amato le donne eil piacerefatto questo che a volte (un

altro aspetto del problema donna) rivela uno spirito sedizioso. Diffidate diuna cintura male allacciata. Male praecintum

juvenem cavete.

Come Cromwellanche lord Clancharlie aveva commesso errori e sregolatezze.Gli si conosceva un figlio naturaleun

maschio. Questi era nato in Inghilterra mentre suo padre partiva perl'esilioproprio quando finiva la repubblica. Perciò

non aveva mai visto suo padre. Il bastardo di lord Clancharlie era cresciutocome paggio alla corte di Carlo II. Lo

chiamavano lord David Dirry-Moir; era lord di cortesiapoiché sua madre erauna dama di qualità. Questa signora

mentre lord Clancharlie si ritirava come un orso in Svizzeradeciseessendobelladi smettere il ritegnoe si fece

perdonare quel primo e rozzo amante con un secondoincontestabilmente piùdocile e persino realistadal momento che

si trattava del re. Per un po' fu l'amante di Carlo IIabbastanza perchésua maestàlusingato di aver ripreso quella bella

donna alla repubblicaconcedesse al piccolo lord Davidfiglio della suaconquistaun incarico di guardia d'onore. Il

bastardo divenne così ufficialecon tavola a cortee di conseguenzastuartista acceso. Per qualche tempo lord David

come guardia d'onorefu uno dei centosettanta che portavano lo spadone; poientrò nella brigata dei pensionatie fu uno

dei quaranta che portano la partigiana dorata. Appartenendo inoltre allatruppa nobile istituita da Enrico VIII come

guardia del corpoebbe il privilegio di posare i piatti sulla tavola del re.Fu così chementre suo padre invecchiava in

esiliolord David prosperò sotto Carlo II.

Dopo di che continuò a prosperare anche sotto Giacomo II.

Il re è mortoviva il reè il non deficit alteraureus.

Fu con l'avvento del duca di York che ottenne il permesso di chiamarsi lordDavid Dirry-Moirda una signoria

lasciatagli dalla madre appena mortasignoria che si trovava nella grandeforesta scozzeselà dove vive Kragl'uccello

che scava col becco il suo nido nel tronco delle querce.

IIGiacomo II era un re con ambizioni da generale. Gli piaceva circondarsi digiovani ufficiali. Si mostrava volentieri a

cavallo in pubblicocon elmo e corazzae con una grande parrucca chestraripava da sotto l'elmo fin sopra la corazza;

sorta di statua equestre dell'imbecillità della guerra. Egli prese insimpatia i modi educati del giovane lord David. E fu

grazie a quel realista che lord David seppe di essere figlio di unrepubblicano; ma un padre rinnegato non nuoce agli

esordi della carriera di un cortigiano. Il re fece di lord David ungentiluomo della camera da lettocon un salario di

mille sterline.

Era una bella promozione. Un gentiluomo di letto dorme tutte le notti vicinoal resu un letto apprestato per l'occasione.

Sono in dodici gentiluomini a darsi il cambio.

In quella posizione lord David divenne il capo dell'addetto all'avena deicavalli del reche guadagna centosessanta lire.

Ebbe sotto di sé i cinque cocchieri del rei cinque postiglioni del reicinque palafrenieri del rei dodici domestici e i

quattro uomini della portantina del re. Fu il responsabile dei sei cavalli dacorsa che il re mantiene a Haymarket e che

costano a sua maestà seicento sterline l'anno. Fece il bello e il cattivotempo nel guardaroba realeche fornisce gli abiti

da cerimonia ai cavalieri della Giarrettiera. Fu salutato con inchini chearrivavano a terra dall'usciere della verga nera

verga che apparteneva al re. L'uscieresotto Giacomo IIera il cavaliereDuppa. Lord David fu riverito dal signor Baker

avvocato della coronae dal signor Brownavvocato del parlamento. Lamagnifica corte d'Inghilterra è un modello

d'ospitalità. Lord David presiedevacome uno dei dodicialle tavole e airicevimenti. Ebbe l'onore di stare in piedi

dietro al re nei giorni dell'offertaquando il re dà alla chiesa il bisanted'orobyzantiume nei giorni del collarequando

il re indossa il collare del suo ordinee nei giorni di comunionequandonessuno si comunica tranne il re e i principi. Fu

lui che il giovedì santo introdusse presso sua maestà i dodici poveri a cuiil re dà tante monete d'argento quanti sono i

suoi annie tanti scellini quanti sono gli anni di regno. Ebbe il compitoquando il re era malatodi chiamare per

assistere sua maestà i due grooms dell'elemosineriache sono pretiimpedendo ai medici di avvicinarsi senza il

permesso del Consiglio di stato. Inoltre fu luogotenente colonnello delreggimento scozzese della guardia realequello

che esegue la marcia scozzese.

Con quel grado fece parecchie campagnemolto valorosamenteperché era unbravo soldato. Era un signore coraggioso

ben fattobellogenerosogrande d'aspetto e di maniere. La sua persona eracome le sue qualità. Era alto di statura così

come era alto di nascita.

Fu quasi a un passo dall'essere nominato groom of the stolecosa chegli avrebbe dato il privilegio di infilare la camicia

al re; ma per questo bisogna essere principi o pari.

Creare un pari non è cosa da poco. Vuol dire creare una pariae ques tosuscita gelosie. È un favore; ma un favore porta

al re un amico e cento nemiciper non dire che l'amico diventa ingrato.

Giacomo IIper ragioni politichedifficilmente creava delle pariema letrasferiva volentieri. Spostare una paria non

turba nessuno. È semplicemente un nome che continua. L'ordine dei pari nerisulta poco turbato.

Alla buona volontà del re non ripugnava affatto introdurre lord DavidDirry-Moir nella camera altapurché ciò

avvenisse tramite una sostituzione di paria. Sua maestà non chiedeva altroche un'occasione per far passare David Dirry-Moir

da lord di cortesia a lord di diritto.

III

L'occasione si presentò.

Un giorno si venne a sapere che al vecchio assentelord LinnaeusClancharlieerano accadute diverse cosee

soprattutto che era morto. La morte ha di positivo per gli uomini che per unpo' fa parlare di loro. Raccontarono ciò che

si sapevao ciò che si credeva di saperedegli ultimi anni di lordLinnaeus. Congetture e leggendeprobabilmente. A

voler dar credito a quei raccontisenza dubbio molto azzardativerso lafine della sua vita lord Clancharlie avrebbe

avuto una tale recrudescenza di repubblicanesimoche era arrivato al puntosi dicevadi sposareper una curiosa

testardaggine da esiliatola figlia di un regicidae se ne precisava ilnome: Ann Bradshawmorta anche lei masi

dicevanon prima di aver messo al mondo un bambinoun maschio chese tuttii dettagli erano esattisarebbe stato il

figlio legittimo e l'erede legale di lord Clancharlie. Quelle diceriemoltovaghesembravano pettegolezzi più che fatti.

Ciò che accadeva in Svizzera era per l'Inghilterra di allora simile a ciòche accade in Cina per l'Inghilterra di oggi. Lord

Clancharlie al momento del suo matrimonio avrebbe avuto cinquantanove annisessanta alla nascita del figlioe

sarebbe morto pochissimo tempo dopolasciando quel bambino orfano di padre edi madre. Tutte cose possibilisenza

dubbioma inverosimili. Si aggiungeva inoltre che il bambino era - bellocome il sole -cosa che si legge in tutti i

racconti di fate. Re Giacomo mise fine a queste vocichiaramente senza alcunfondamentodichiarando un bel mattino

che lord David Dirry-Moir era erede unico e definitivoin mancanza difiglio legittimo e per gentile concessione reale

di lord Linnaeus Clancharliesuo padre naturaledopo aver constatatol'assenza di ogni filiazione e discendenza; quindi

le patenti furono registrate alla camera dei lords. Nelle stesse patenti ilre faceva subentrare lord David Dirry-Moir ai

titolidiritti e prerogative del suddetto defunto lord Linnaeus Clancharliea condizione che lord David sposassequando

ne avesse l'etàuna ragazzaallora ancora bambina di pochi mesiche il reaveva fatto duchessa dalla nascitaper non si

sa quali motivi. Oppurese voleteper motivi anche troppo chiari. Lapiccola veniva chiamata duchessa Josiane.

Era di moda in quei tempi usare nomi spagnoli. Uno dei bastardi di Carlo IIsi chiamava Carlosconte di Plymouth. È

probabile che Josiane fosse la contrazione di Josefa y Ana. Come puòanche darsi che insieme a Josias ci fosse Josiane.

Un gentiluomo di Enrico III si chiamava Josias du Passage.In fondo era aquella piccola duchessa che il re dava la paria di Clancharlie. Era una pari inattesa che ci fosse un pari. Il

pari sarebbe stato suo marito. La paria poggiava su una doppia castellaniala baronia di Clancharlie e quella di

Hunkerville; inoltre i lords Clancharliecome ricompensa per un vecchiofatto d'armi e per concessione realeerano

marchesi di Corleone in Sicilia. I pari d'Inghilterra non possono portaretitoli stranieri; ma vi sono delle eccezioni; così

Henry Arundelbarone Arundel di Wardoureracome lord Cliffordconte delSacro Imperodi cui è principe lord

Cowper; il duca di Hamilton è duca di Châtellerault in Francia; BasilFelldingconte di Denbighin Germania è conte di

Hapsbourgdi Lauffenbourg e di Rheinfelden. Il duca di Marlborough eraprincipe di Mindelheim in Sveviacome il

duca di Wellington era principe di Waterloo in Belgio. Lo stesso lordWellington era duca spagnolo di Ciudad-Rodrigo

e conte portoghese di Vimeira.

C'eranoe ci sono ancora in Inghilterraterre nobili e terre soggette agliobblighi feudali. Tutte le terre dei lords

Clancharlie erano nobili. Terrecastelliborghibalìefeudirenditeallodi e domini facenti parte della paria

Clancharlie-Hunkervilleappartenevano provvisoriamente a lady Josianee ilre dichiarava che dopo aver sposato

Josianelord David Dirry-Moir sarebbe diventato barone Clancharlie.

Oltre all'eredità Clancharlielady Josiane aveva beni personali. Avevagrandi possedimentimolti provenivano dai doni

fatti al duca di York da Madama senza codache significasemplicemente Madama.

Così veniva chiamata Enrichetta d'Inghilterraduchessa d'Orléansla primadama di Francia dopo la regina.

IV

Dopo aver prosperato sotto Carlo e Giacomolord David prosperò sottoGuglielmo. Il suo giacobinismo non si spinse

fino a seguire in esilio Giacomo II. Pur continuando ad amare il suo relegittimoebbe il buon senso di servire

l'usurpatore. Del restoper quanto un po' indisciplinatoera un eccellenteufficiale; passò dall'esercito alla marinae si

distinse nella squadra bianca. Divenne ciò che allora si chiamava un -capitano di fregata leggera -. Questo finì per

renderlo un perfetto gentiluomomolto ardito nell'esibire con eleganza iviziun po' poeta come tuttibuon servitore

dello statobuon domestico del principeassiduo alle festealle serate digalaai risvegli del realle cerimoniealle

battaglieservile quanto occorrevamolto altezzosocon lo sguardo basso openetrante secondo l'oggettoprobo di buon

gradoossequioso e arrogante a propositoistintivamente franco e sinceroma rapido a calarsi di nuovo la maschera

molto attento agli umori del reincurante della punta di una spadasemprepronto a rischiare la vita a un cenno di sua

maestàcon eroismo e indifferenzacapace di qualsiasi scatto d'ira ma dinessuna villaniauomo di corte e di etichetta

fiero di stare in ginocchio nelle grandi occasioni delle cerimoniemonarchicheallegro nel coraggiocortigiano in

superficiepaladino nella sostanzaancora giovane a quarantacinque anni.

Lord David cantava canzoni francesiun modo elegante per esprimerel'allegriache era piaciuto a Carlo II.

Amava l'eloquenza e il parlar tornito. Aveva una grande ammirazione per queicelebri imbonimenti che sono le

Orazioni funebri di Bossuet.

Da parte di madre aveva abbastanza di che viverecirca diecimila sterline direnditacioè un vitalizio di

duecentocinquantamila franchi. Se la cavava facendo debiti. Era insuperabilequanto a magnificenzastravaganza e

originalità. Quando iniziavano a imitarlocambiava moda. A cavallo portavadei comodi stivali di vacchetta rivoltata

con speroni. Possedeva cappelli che nessun'altro avevamerletti incredibilie colletti unici.

III • LA DUCHESSA JOSIANE

I

Verso il 1705benché lady Josiane avesse ventitré anni e lord Davidquarantaquattroessi non si erano ancora sposatie

questo per le migliori ragioni del mondo. Forse si odiavano? AssolutamentenoMa ciò che non può sfuggirvineppure

vi mette fretta. Josiane voleva restare libera. David voleva restare giovane.Avere legami il più tardi possibile gli

sembrava un prolungamento della giovinezza. In quei tempi così galanti c'eraabbondanza di giovani che rimandavano il

matrimonio; si diventava grigi restando damerini; all'inizio con lacomplicità della parruccapoi con l'aiuto della cipria.

A cinquantacinque anni lord Charles Gerrardbarone Gerra rd dei Gerrards diBromleyriempiva Londra delle sue

avventure galanti. La giovane e graziosa duchessa di Buckinghamcontessa diCoventryfaceva pazzie per i

sessantasette anni del bel Thomas Bellasysevisconte Falcomberg. Si citavanoi famosi versi di Corneille settantenne

per una donna di vent'anni: Marquisesi mon visage. Anche le donnegodevano di quei successi autunnaline rendono

testimonianza Ninon e Marion. Quelli erano i modelli.

Josiane e David civettavano con una sfumatura particolare. In realtà non siamavanosi piacevano. A loro bastava

frequentarsi. Perché aver premura di farla finita? I romanzi di alloraesortavano innamorati e fidanzati a quella specie di

apprendistato che era tanto di moda. Josianeper di piùsapendo di esserebastardasi sentiva una principessae

prendeva la faccenda in modo altezzosocon qualche battuta. Lord David lepiaceva. Lord David era belloma questo

era un di più. Lo trovava elegante.

Essere eleganti è tutto. Calibano elegante e magnifico si distacca dalpovero Ariele. Lord David era bellotanto meglio;

il guaio di essere belli è che spesso si è scialbi; lui non lo era.Scommettevatirava di pugilatos'indebitava. Josiane era

molto sensibile ai suoi cavalliai suoi canialle sue perdite al giocoalle sue amanti. Da parte sua lord David subiva ilfascino della duchessaJosianeragazza senza macchia e senza scrupoloalterainaccessibile e ardita.Le inviava dei

sonetti che lei qualche volta leggeva. In quei sonetti diceva che possedereJosiane sarebbe stato come salire sulle stelle

cosa che peraltro non gli impediva di rimandare quell'ascensione sempreall'anno seguente. Egli faceva anticamera

davanti alla porta del cuore di Josianee ciò conveniva a tutti e due. Acorte si ammirava il supremo buon gusto di quei

rinvii. Lady Josiane diceva: è irritante che io sia costretta a sposare lordDavidproprio io che non chiederei di meglio

che essere la sua innamorata.

Josiane era la carne. Niente di più stupendo. Era molto altatroppo alta. Isuoi capelli avevano quella sfumatura che si

potrebbe definire biondo porpora. Era grassafrescarobustadorataconun'audacia e un'intelligenza fuori del comune.

I suoi occhi erano troppo espressivi. Nessun amante; quanto a castitànemmeno a parlarne. Era murata nel suo orgoglio.

Gli uominima via! Per essere degno di lei ci voleva un dioo un mostro. Sela virtù è una parete ripidaJosiane era

tutta la virtù possibilesenza alcuna innocenza. Non aveva avventureperché le disprezzava; ma non si sarebbe offesa se

gliene avessero attribuitepurché fossero bizzarre e alla sua altezza.Teneva poco alla reputazionemolto alla gloria.

Sembrare disponibile ed essere impossibileecco il suo capolavoro. Josianesentiva la propria maestosa materialità. Era

una bellezza ingombrante. Più che affascinareschiacciava. Camminava suicuori. Era terrestre. Mostrandole che aveva

un'anima nel pettol'avrebbero stupita allo stesso modo che se le avesserofatto vedere che aveva le ali sulle spalle.

Dissertava su Locke. Era gentile. Si diceva che sapesse l'arabo.

Essere carne e essere donna sono due cose diverse. Là dove la donna èvulnerabilesotto il profilo della pietàper

esempioche si trasforma così facilmente in amoreJosiane non lo era. Nonche fosse insensibile. L'antico paragone

della carne con il marmo è assolutamente falso. La bellezza della carneconsiste nel non essere affatto marmo; nel

palpitarenel tremarenell'arrossirenel sanguinare; è la bellezza diqualcosa di compatto ma non duro; bianco ma non

freddo; qualcosa che può trasalire e ammalarsi; qualcosa che è vitamentreil marmo è morte. A un certo livello di

bellezza la carne ha quasi diritto alla nudità; il suo abbagliare la coprecome un velo; chi avesse visto Josiane nudane

avrebbe colto le forme come attraverso una dilatazione luminosa. Si sarebbemostrata volentieri a un satiroo a un

eunuco. La sua era una disinvoltura mitologica. Fare della propria nudità unsupplizioeludere Tantaloquesto l'avrebbe

divertita. Il re l'aveva creata duchessaGiove nereide. La strana luce diquella creatura aveva due modi di irradiarsi. Chi

l'ammirava si sentiva diventare pagano e servile. Le sue origini eranol'Oceano e l'essere bastarda. Sembrava che uscisse

da una schiuma. La prima sortita del suo destino era avvenuta sul filo dellacorrentema nel gran mondo regale. C'era in

lei qualcosa dell'ondadel casodella signoria e della tempesta. Eraletterata e studiosa. Mai una passione l'aveva

toccatama lei le aveva sondate tutte. Provava disgusto per lerealizzazionie al tempo stesso le piacevano. Se si fosse

pugnalatanon l'avrebbe fatto che dopocome Lucrezia. C'erano in quellavergine tutte le corruzioni in forma visionaria.

Era un'Astarte virtuale in una Diana reale. Con l'insolenza della sua altanascita era provocante e inavvicinabile. Sapeva

divertirsi peròprocurandosi da sola una caduta. Abitava gloriosamente ilsuo nimboma con la velleità di scendernee

forse con la curiosità di cadere. Era un po' pesante per la sua nuvola. Èpiacevole rischiare. La sfrontatezza dei principi

concede il privilegio di saggiaree là dove una duchessa si diverteunaborghese si perderebbe. Josiane era quasi regina

in tuttonella nascitanella bellezzanell'ironianella luce. Si eraentusiasmata per Louis di Boufflersche spezzava un

ferro di cavallo tra le dita. Rimpiangeva che Ercole fosse morto. Vivevanell'attesa indefinita di un ideale lascivo e

supremo.

Sotto l'aspetto moraleJosiane faceva pensare al verso dell'epistola aiPisoni: Desinit in piscem.

Un bel torso di donna termina in idra.

Aveva un petto nobileuno splendido seno in cui batteva armoniosamente uncuore regaleuno sguardo vivace e

luminosoun viso puro e altero e poichissàsotto quell'acquanellatrasparenza appena intravista e offuscatac'era

qualcosa di soprannaturaleun'estremità ondeggiantedraconiana e deforme.Superba virtù perfezionata in vizi nella

profondità dei sogni.

II

E per di piùpreziosa.

Era di moda.

Ricordiamoci Elisabetta.

Elisabetta ha lasciato un'imp ronta in Inghilterra lunga tre secoli: ilsedicesimoil diciassettesimo e il diciottesimo.

Elisabetta è più che ingleseè anglicana. Di qui il rispetto profondodella chiesa espiscopale per questa regina; rispetto

condiviso dalla chiesa cattolicache lo mescolava a un po' di scomunica. Inbocca a Sisto V che anatemizza Elisabetta

la maledizione diventa madrigale. Un gran cervello di principessadisse. Maria Stuardache si occupava meno della

chiesa e più di femminilità aveva poco rispetto di sua sorella Elisabettae le scrivevada regina a regina e da civetta a

puritana: «La vostra ripugnanza per il matrimonio deriva dal fatto che nonvolete perdere la libertà di farvi corteggiare».

Maria Stuarda usava il ventaglio e Elisabetta la scure. Una partita ineguale.Per il restoentrambe rivaleggiavano in

letteratura. Maria Stuarda componeva versi in francese; Elisabetta traducevaOrazio. Elisabettabruttaaveva deciso di

essere bellaamava le quartine e gli acrosticisi faceva presentare lechiavi delle città da autentici cupidistringeva le

labbra all'italiana e ruotava le pupille alla spagnolanel guardaroba tenevatremila tra abiti e capi di abbigliamentoe traquesti molti costumi da Minervae da Anfitritestimava gli irlandesi per la larghezza delle loro spallecopriva il suo

guardinfante di lustrini e di passequillesadorava le rosebestemmiavaimprecavabatteva i piediprendeva a pugni le

damigelle d'onoremandava al diavolo Dudleypicchiava il cancelliereBurleighche si metteva a piangereil vecchio

scemosputava addosso a Mathewprendeva per il bavero Hattonschiaffeggiava Essexmostrava le cosce a

Bassompierreera vergine.

Aveva fatto per Bassompierre ciò che la regina di Saba aveva fatto perSalomone. Tutto a postodunquela sacra

scrittura aveva creato il precedente. Ciò che è biblicopuò essereanglicano. Il precedente biblico si spinge fino a fare un

bambino che si chiama Ebnehaquem o Melilechetche significa il Figlio delSaggio.

E perché no questi costumi? Il cinismo vale l'ipocrisia.

Oggi l'Inghilterrache ha un Loyola di nome Wesleyabbassa un po' gli occhidavanti a quel passato. Ne è contrariata

ma fiera.

In quei comportamenti c'era il gusto del deformesoprattutto da parte delledonnee in modo particolare da parte di

quelle belle. A che serve essere belle se non si ha un mostriciattolo? A cheserve essere regina se non abbiamo un

bestione che ci dia del tu? Maria Stuarda aveva avuto delle «attenzioni»per un gobbaccio di nome Bizzio. Maria Teresa

di Spagna si era presa qualche «familiarità» con un negro. Da qui la Badessanera. Nelle alcove del gran secolo la

gobba non stonava; ne è testimonio il Maresciallo di Lussemburgo. Eprimadi LussemburgoCondé«quell'ometto

tanto grazioso».

Anche le belle donne potevano averesenza inconvenientiqualche deformità.Era ammesso. Anna Bolena aveva un

seno più grande dell'altrosei dita in una mano e un sopraddente. LaVallière aveva una gamba più lunga dell'altra. Ciò

non impedì a Enrico VIII di fare sciocchezze e a Luigi XIV di impazzire.

Dal punto di vista moralestesse deviazioni. Non c'era quasi donna d'altorango che non fosse un caso teratologico.

Agnese portava in sé Melusina. Erano donne di giorno e arpie di notte. Siandava in piazza per baciare sui pali le teste

tagliate di fresco. Margherita di Valoisun'antenata di quelle raffinateaveva portato alla cinturain scatole di latta

chiuse con il lucchetto e cucite al corpetto della gonnai cuori di tutti isuoi amanti morti. Enrico IV si era nascosto

sotto quel guardinfante.

Nel diciottesimo secolo la duchessa di Berryfiglia del reggenteriassunsein sé tutte queste creaturedando vita a un

modello di oscena regalità.

Inoltre le belle dame sapevano il latino. Dopo il sedicesimo secolo era unsegno di grazia femminile. Jane Grey aveva

spinto l'eleganza fino a sapere l'ebraico.

La duchessa Josiane latineggiava. In piùaltra raffinatezzaera cattolica.In segretodobbiamo aggiungeree più come

suo zio Carlo II che come il padre Giacomo II. Giacomoper il suocattolicesimoaveva perduto la coronama Josiane

non intendeva affatto rischiare la paria. Questo è il motivo per cuicattolica nell'intimità e per i raffinati e le raffinatesi

mostrava protestante in pubblico. Per la canaglia.

È un modo piacevole di intendere la religione; si godono tutti i beneficiconnessi alla chiesa ufficiale episcopalee più

tardi si muorecome Grotiusin odore di cattolicesimo e con l'onore di unamessa detta per voi da padre Petau.

Benché grassa e ben portante Josiane erasottolineamolouna preziosa perfetta.

A volte i suoi modi sonnolenti e voluttuosi di finire strascicando le frasiimitavano l'allungarsi delle zampe di una tigre

che cammina nella giungla.

L'utilità di essere preziosi consiste nel declassare il genere umano.Non gli si concede più l'onore di farne parte.

Prima di tutto tenere le distanze dalla specie umanaecco quello cheimporta.

Quando non si ha l'Olimposi prende l'Hotel di Rambouillet.

Giunone si tramuta in Araminta. Da una pretesa divinità che gli altri nonconcedononasce la smorfiosa. In mancanza di

fulmini si ripiega sull'impertinenza. Il tempio si rattrappisce e diventa unsalottino. Non potendo essere deasi diventa

un idolo.

Inoltre c'è nel prezioso una certa pedanteria che piace alle donne.

La civetta e il pedante sono due esseri simili. La loro vicinanza è visibilenell'uomo fatuo.

La sottigliezza deriva dalla sensualità. La ghiottoneria affetta ladelicatezza. Una smorfia di disgusto si addice alla

cupidigia.

E poi il lato debole della donna si sente protetto da tutta la casisticadella galanteria cheper le preziosesostituisce gli

scrupoli. È una circonvallazione con fossato. Ogni preziosa haun'aria di disgusto. Ciò la protegge.

Si acconsentiràma con disprezzo. Nell'attesa.

Nel proprio intimo Josiane era inquieta. Si sentiva talmente inclineall'impudiciziada essere pudica. La fierezza con cui

i nostri vizi indietreggianoci conduce ai vizi contrari. Era lo sforzoeccessivo per essere casta che la rendeva puritana.

Stare troppo sulla difensiva significa un segreto desiderio di attacco. Iselvaggi non sono severi.

Si rinchiudeva nell'arrogante eccezione del suo rango e della sua nascita purpremeditando forsecome abbiamo detto

qualche improvvisa sortita.

Era l'alba del diciottesimo secolo. L'Inghilterra abbozzava quello che inFrancia era stata la reggenza. Walpole e Dubois

si equivalgono. Marlborough si batteva contro il suo ex re Giacomo II a cuisi dicevaaveva venduto la sorella

Churchill. Si vedeva brillare Bolingbroke e spuntare Richelieu. La galanteriatrovava comodo un certo rimescolarsi dei

ranghi; erano i vizi a procurare l'uguaglianza. Più tardi sarebbero state leidee. L'incanaglirsipreludio aristocratico

dava inizio a ciò che la rivoluzione avrebbe portato a compimento. Non siera troppo lontani da Jélyotte seduto in pienogiornodavanti a tuttisulletto della marchesa d'Epinay. È anche verodal momento che i costumi siriecheggianoche

il sedicesimo secolo aveva visto il berretto da notte di Smeton sul guancialedi Anna Bolena.

Se donna significa peccatocome ha affermato non so più quale conciliomaila donna è stata più donna che in quei

tempi. Maicoprendo la sua fragilità con il suo fascinoe la sua debolezzacon la sua onnipotenzaessa si è fatta

assolvere con tanta imperiosità. Fare del frutto proibito il frutto permessoè la caduta di Eva; ma fare del frutto permesso

il frutto proibito è il suo trionfo. È lì che va a finire. Neldiciottesimo secolo la moglie mette sotto chiave il marito. Si

rinchiude nell'Eden con Satana. Adamo resta fuori.

III

Gli istinti di Josiane la portavano più a darsi con galanteria chelegalmente. Darsi con galanteria è un fatto letterario

ricorda Menalca e Amarillideè quasi un'azione dotta.

Madamigella di Scudéryse si esclude l'attrazione verso il brutto in quantotalenon aveva avuto altri motivi per cedere

a Pélisson.

Ragazze indipendenti e mogli sudditequeste sono le antiche usanze inglesi.Josiane tendeva a spostare più che poteva il

momento di quella soggezione. Che bisognasse sposare lord Daviddal momentoche lo esigeva la volontà del reera

un'indubbia necessitàma che peccato! A Josiane piaceva lord David ma loteneva a distanza. C'era tra loro un tacito

accordo di non concludere e di non rompere. Si eludevano. Questo modo diamarsi facendo un passo avanti e due

indietro è ben espresso dalle danze dell'epocail minuetto e la gavotta.Essere sposati non dona all'aspetto del volto

sciupa i nastri che indossiamoinvecchia. Gli sponsaliuna soluzione didesolante chiarezza. Farsi consegnare una

donna dal notaioche banalità! La brutalità del matrimonio crea situazionidefinitivesopprime la volontàuccide la

libera sceltapossiede una sintassi come la grammaticamette l'ortografiaal posto dell'ispirazionefa dell'amore un

dettatoscompagina quanto c'è di misterioso nella vitainfliggetrasparenza alle funzioni periodiche e fatalidissipa le

nubi che avvolgono l'intimità della donnaattribuisce diritti umilianti perchi li esercita e per chi li subiscerovina

inclinando la bilancia tutta da una partel'affascinante equilibrio tra ilsesso forte e il sesso potentetra la forza e la

bellezzae di uno fa un padronedell'altra una servamentre fuori dalmatrimonio ci sono uno schiavo e una regina. C'è

qualcosa di più volgare che mettere in prosa il letto fino a renderlodecente? È ben stupido togliere all'amore ogni punta

di male!

Lord David diventava maturo. Quarant'anni sono un'età che non passa sottosilenzio. Ma egli non se ne accorgeva. In

effetti sembrava che avesse sempre trent'anni. Trovava più piacevoledesiderare Josiane che possederla. Ne possedeva

altre; non gli mancavano le donne. Da parte sua Josiane sognava.

I sogni erano peggiori.

La duchessa Josiane aveva una particolaritàmeno rara del resto di quantosi credaaveva un occhio azzurro e l'altro

nero. Le sue pupille erano fatte d'amore e d'odiodi felicità e disofferenza. C'erano mescolati in quello sguardo il

giorno e la notte.

La sua ambizione era: rivelarsi capace di cose impossibili.

Un giorno aveva detto a Swift:

«Voialtri immaginate che il vostro disprezzo esista».

Voialtri era il genere umano.

Era papista a fior di pelle. Il suo cattolicesimo non superava la misuranecessaria per essere eleganti. Quello che oggi

sarebbe il puseysmo. Portava pesanti abiti di vellutoo di rasoo di stoffamarezzataalcuni ampi quindici o sedici aune

e con fodere d'oro e d'argentoe con una quantità di nodi di perlealternati a nodi di pietre attorno alla cintura. Abusava

dei galloni. A volte indossava una giacca di panno con la passamaneria di unbaccelliere. Andava a cavallo su una sella

da uomoa dispetto dell'invenzione di selle femminili introdotte inInghilterra nel quattordicesimo secolo da Annala

moglie di Riccardo II. Si lavava il visole bracciale spalle e il senocon zucchero candito diluito nel bianco d'uovo

alla moda castigliana. Quando accanto a lei qualcuno aveva parlato in modobrillanteil suo commento era una risata di

particolare grazia.

Del restonessuna cattiveria. Era piuttosto buona.

IV • MAGISTER ELEGANTIARUM

Naturalmente Josiane si annoiava.

Lord David Dirry-Moir aveva un ruolo di primo piano nella vita della Londraspensierata. Nobility e gentry lo

veneravano.

Riportiamo almeno uno dei titoli di merito di lord David: egli aveva ilcoraggio di mostrarsi con i suoi capelli. Era

iniziata la reazione contro la parrucca. Così come nel 1824 Eugène Devériaosò per primo lasciarsi crescere la barbanel

1702 Price Devereux fu il primo che osò presentarsi in pubblico con la suacapigliatura naturalepur dissimulandola

sotto una sapiente arricciatura. Rischiare la propria capigliatura era quasicome rischiare la testa. L'indignazione fu

universale; tuttavia Price Devereux era visconte Hereforde parid'Inghilterra. Ricevette degli insultied è curioso che

ne valesse la pena. Nel mezzo di quegli schiamazzi apparve improvvisamentelord Davidanche lui con i suoi capelli esenza parrucca. Sono queste le coseche annunciano la fine delle società. Lord David fu biasimato ancor più delvisconte

Hereford. Tenne duro. Price Devereux era stato il primoDavid Dirry-Moir fuil secondo. Qualche volta è più difficile

essere il secondo che il primo. Ci vuole meno genioma più coraggio. Ilprimoebbro per la novitàha potuto ignorare il

pericolo; il secondo vede l'abisso e vi si precipita. L'abisso di non portarepiù la parruccain quello David Dirry-Moir si

era gettato. Più tardi li imitaronodopo quei due rivoluzionari l'audaciadi tenere in testa i propri capelli s'imposecon la

cipria come circostanza attenuante.

Per precisaresia pure di sfuggitaquesto importante fatto storicodiciamoche il vero primato nella guerra della

parrucca apparterrebbe a una reginaCristina di Sveziache indossava abitimaschili e chedal 1680si era mostrata con

i suoi capelli naturalicolor castanoincipriatiritti e senza pettinaturacome quelli di un neonato. Aveva inoltrecome

dice Misson«qualche pelo di barba».

Da parte sua il Papacon la bolla del marzo 1694aveva gettato un po' didiscredito sulla parrucca togliendola dalla

testa dei vescovi e dei pretie ordinando agli ecclesiastici di lasciarsicrescere i capelli.

Lord David dunque non portava la parrucca e indossava stivali di vacchetta.

Queste erano le cose che lo additavano alla pubblica ammirazione. Non c'eraclub che non lo avesse come caponon un

incontro di pugilato dove non si desiderasse averlo per il referee. Refereesignifica arbitraggio.

Aveva redatto gli statuti di molti circoli della high life; avevafondato case di ritrovodi cui unaLady Guineaesisteva

ancora a Pall Mall nel 1772. Lady Guinea era un circolo che pullulavadi giovani lord. Vi si giocava. La posta minima

era un rotolo di cinquanta ghineee sul tavolo non c'erano mai meno diventimila ghinee. Accanto a ciascun giocatore

c'era un tavolino rotondo per appoggiarvi la tazza del tè e la ciotola dilegno dorato per mettervi i rotoli delle ghinee. I

giocatori avevanocome gli sguatteri quando affilano i coltellidellemaniche di cuoio per proteggere i merlettidegli

sparati di cuoio per difendere le gorgieree in testa larghi cappelli dipaglia ricoperti di fiori per riparare gli occhi dalla

forte luce delle lampade e tenere in ordine le arricciature. Portavano lamaschera per non lasciar trasparire le emozioni

soprattutto al gioco del quindici. Indossavano gli abiti alla rovesciaperattirare la buona sorte.

Lord David frequentava il Beefsteak Clubil Surly Club e lo Split-farthingClubil Club dei Rusticoni e il Club dei

Gratta-Soldiil Nodo SigillatoSealed Knotun club di realistie ilMartinus Scribblerusfondato da Swift al posto della

Rotafondata da Milton.

Benché bellofaceva parte del Club dei Brutti. Questo club si consacravaalla deformità. Ci si impegnava a battersi non

per una bella donnama per un uomo brutto. Il salone del club aveva perornamento ritratti orrendi: TersiteTriboulet

DunsHudibrasScarron; sul camino c'era Esopo tra due guerciCoclite eCamoëns; ciascuno dei due era stato scolpito

dalla parte in cui era guercioCoclite all'occhio sinistro e Camoëns aquello destro; e quei due profili privi di occhi

stavano uno di fronte all'altro. Il giorno in cui la bella signora Visartebbe il vaioloil Club dei Brutti fece un brindisi in

suo onore. Questo club fioriva ancora all'inizio del diciannovesimo secolo;aveva inviato un diploma di membro

onorario a Mirabeau.

Dopo la restaurazione di Carlo IIi clubs rivoluzionari erano stati aboliti.Nel vicolo attiguo a Morfields era stata

demolita la taverna sede del Calf's Head Clubil club della Testa diVitellocosì nominato perché il 30 gennaio 1649

giorno in cui fu versato sul patibolo il sangue di Carlo Iproprio lì siera bevuto vino rosso da un cranio di vitelloalla

salute di Cromwell.

Ai clubs repubblicani erano succeduti i clubs monarchici.

Ci si divertiva decentemente.

C'era il She Romps Club. Si prendeva dalla strada una donnauna passanteuna borghesemeno vecchia e meno brutta

possibile: la trascinavano nel club a viva forza e la facevano camminaresulle manicon i piedi in ariail volto coperto

dalla gonne che le ricadevano addosso. Se non ci metteva della buonavolontàsi ricorreva a un po' di scudiscio sulle

parti non coperte. Era colpa sua. Gli scudieri addetti a questo genere dimaneggioerano soprannominati «i saltatori».

C'era il Club dei Lampi di caloremetaforicamente Merry-danses. Vi siinscenavano le danze dei picantes e dei

timtirimbas del Perúeseguite da negri e da bianchesoprattutto laMozamala«cattiva ragazza»danza che culmina con

la danzatrice che si siede su un mucchio di crusca lasciandoquando sirialzaun'impronta callipigia. Vi si

rappresentava un verso di Lucrezio:

Tunc Venus in sylvis jungebat corpora amantum.

C'era l'Hellfire Club«Club delle Fiamme»dove si giocava a essere empi.Era la giostra dei sacrilegi. L'inferno

all'incanto per la bestemmia più grande.

C'era il Club dei Colpi di Testacosì chiamato perché vi si prendevano atestate le persone. Si adocchiava qualche

facchino dal petto largo e dall'aria imbecille. Gli si offrivae se eranecessario lo si costringeva ad accettare un boccale

di birra scuraper lasciarsi dare quattro testate nel petto. E su quello siscommetteva. Una voltauno di quegli uomini

un bravaccio gallese chiamato Gogangerddmorì al terzo colpo di testa. Eraun fatto grave. Ci fu un'inchiestae il giurì

d'accusa emise questo verdetto: «Morto per ingrossamento del cuore causatoda eccesso nel bere». In effetti

Gogangerdd aveva bevuto il boccale di birra scura.

C'era il Fun Club. Funcome cant e humourè untermine particolaredel tutto intraducibile. Il fun sta alla farsa come il

pepe al sale. Entrare in una casarompervi uno specchio costososfregiare iritratti di famigliaavvelenare il cane

mettere un gatto nella volieratutto questo si chiama «dare uno spettacolodi fun». Comunicare una falsa cattiva notizia

per far mettere in lutto qualcuno senza motivoquesto è fun. È stato ilfun a fare un buco quadrato in un Holbein aHampton-Court. Il fun andrebbe fierodi aver rotto il braccio alla Venere di Milo. Sotto Giacomo IIun giovane lord

milionario fece ridere a crepapelle tutta Londra per aver appiccato il fuocodi notte a una capannae lo proclamarono re

del fun. I poveri diavoli della capanna si erano salvati in camicia. Imembri del Fun Clubtutti appartenenti all'alta

aristocraziascorrazzavano per Londra quando i borghesi erano già a lettostrappavano i cardini alle imposte

tagliavano i tubi delle pompesfondavano le cisternestaccavano le insegnesaccheggiavano le coltivazioni

spegnevano i lampionisegavano le travi di sostegno delle casespaccavano ivetri delle finestresoprattutto nei

quartieri poveri. Erano i ricchi a far questo ai miserabili. Non era dunquepossibile nessun reclamo. Si trattava in fondo

di scherzi. Queste consuetudini non sono del tutto scomparse. Qua e là perl'Inghilterra o nei suoi possedimentiper

esempio a Guerneseycapita che qualche volta vi devastino un po' la casa dinottevi rompano un recintovi strappino il

battente dalla porta ecc. Se fossero poveriverrebbero mandati in galera; masi tratta di amabili giovani.

Il club più distinto era presieduto da un imperatore che portava unamezzaluna sulla fronte e si chiamava «il gran

Mohock». Il mohock superava il fun. Il suo programma era: fare il male peril male. Il Mohock Club aveva uno scopo

grandiosonuocere. Per assolvere a questa funzione tutti i mezzi eranobuoni. Diventando mohock si giurava di essere

nocivi. Nuocere ad ogni costonon importa quando e non importa comequestaera la regola. Ogni membro del Mohock

Club doveva avere un talento particolare. Uno era «maestro di danza»cioèfaceva saltellare i contadini

punzecchiandogli i polpacci con la spada. Altri eccellevano nel «farsudare»cioè improvvisavano attorno a uno

straccione qualunque un girotondo di sei o sette gentiluomini che brandivanolo spadone; circondato da ogni lato era

impossibile che lo straccione non voltasse le spalle a qualcuno; ilgentiluomo a cui mostrava le spalle lo castigava con

un colpo di punta che lo faceva piroettare; un altro colpo di punta ai renigli faceva capire che aveva dietro di sé un

personaggio della nobiltàe così di seguitociascuno pungendo al suoturno; quando quell'uomochiuso nel cerchio di

spade e tutto insanguinatoaveva girato e danzato a sufficienzalo facevanobastonare dai lacché per cambiargli il corso

delle idee. Altri «picchiavano il leone»cioè fermavano ridendo unpassantegli spaccavano il naso con un pugno e gli

affondavano i pollici negli occhi. Se gli cavavano gli occhiglielipagavano.

Questi erano i passatempi dei ricchi fannulloni di Londra all'inizio delXVIII secolo. I fannulloni di Parigi ne avevano

altri. Il signore di Charolais scaricava il fucile su un borghese che stavasulla porta di casa. In ogni tempo la gioventù si

è divertita.

Lord David Dirry-Moir apportava in quelle differenti istituzioni volte alpiacere la splendida liberalità della sua

intelligenza. Come qualsiasi altro era capace di dar fuoco allegramente a unacapanna di paglia e di legnoarrostendo un

po' quelli che c'erano dentroma poi gli ricostruiva una casa di pietra. Glicapitò di far ballare sulle mani due donne

dentro lo She Romps Club. Una era ragazzae le diede una dote; l'altra erasposatae fece nominare suo marito

cappellano.

Grazie a lui furono lodevolmente perfezionati i combattimenti dei galli. Erasorprendente vedere lord David mentre

preparava un gallo per il combattimento. I galli si prendono per le pennecome gli uomini per i capelli. Per questo lord

David rendeva il suo gallo più calvo possibile. Gli tagliava con le forbicitutte le penne della coda e tutte quelle del

collodalla testa alle spalle. «Tante di meno per il becco del nemico»diceva. Poi apriva le ali del gallo e spuntava le

penneuna dopo l'altraguarnendo così le ali di dardi. «Queste sono pergli occhi del nemico»diceva. Poi gli sfregava

le zampe con un coltellinogli aguzzava le unghieinfilava nello speronepiù grande uno sperone d'acciaio acuminato e

taglientegli sputava sulla testagli sputava sul collol'ungeva con lasaliva allo stesso modo di come si strofinano con

l'olio gli atletie lasciandolo andarecon un aspetto così terribilegridava: «Ecco come d'un gallo si fa un'aquilae come

un animale da cortile si trasforma in un animale di montagna!».

Lord David assisteva agli incontri di pugilatone era l'autorità vivente.Negli incontri importanti si occupava

personalmente di far piantare i palitendere le corde e fissare il numerodelle tese del quadrato di combattimento. Se

faceva da secondoseguiva passo passo il suo pugilela bottiglia in unamanola spugna nell'altragli gridava «Strike

fair» gli suggeriva le astuziegli dava consigli mentre combattevaloasciugava se sanguinavalo soccorreva quando

cadevalo prendeva sulle ginocchiagli metteva il collo della bottiglia trai dentie con la bocca piena d'acqua lo

spruzzava di una pioggia sottile negli occhi e nelle orecchieuna cosa cherianima persino i moribondi. Se faceva da

arbitrosovrintendeva alla lealtà dei colpiproibiva a chiunquetranneche ai secondidi assistere i combattenti

proclamava sconfitto il campione che non si fosse messo bene in facciaall'avversariostava attento a che la durata delle

riprese non eccedesse il mezzo minutoimpediva il buttingpenalizzava chi colpiva con la testanon permetteva di

colpire chi era caduto a terra. Tutta questa scienza non ne faceva un pedantee nulla toglieva alla sua disinvoltura in

società.

Quando era arbitro di un incontro di pugilato nessuno di quei sostenitoriabbronzatibitorzoluti e villosidi uno o

dell'altro dei contendentisi sarebbe permesso di scavalcare la palizzatadi entrare nel recintodi rompere le cordedi

strappare i pali e d'irrompere con violenza nel combattimento per venire inaiuto ai pugili indeboliti e per rovesciare

l'andamento delle scommesse. Lord David apparteneva al ristretto numero degliarbitri che non si ha il coraggio di

picchiare.

Nessuno sapeva allenare come lui. Se un pugile riusciva ad averlo comeallenatoreera sicuro di vincere. Lord David

sceglieva un Ercolemassiccio come una rocciaalto come una torree loriduceva a un suo bambino. Il problema

consisteva nel far passare quello scoglio umano da un atteggiamento didifesaad uno di attacco. Era la sua specialità.

Una volta adottato il ciclopenon lo lasciava più. Diventava la suanutrice. Gli misurava il vinogli pesava la carnegli

contava le ore di sonno. Fu lui ad inventare la straordinaria dieta peratletirinnovata in seguito da Moreley: al mattino

un uovo crudo e un bicchiere di sherrya mezzogiorno cosciotto al sangue etèalle quattro pane abbrustolito e tèdisera birra chiara e pane tostato.Dopo di che lo spogliavalo massaggiava e lo metteva a letto. Per strada non loperdeva

di vistagli teneva lontano ogni pericoloi cavalli imbizzarritile ruotedelle vetturei soldati ubriachile belle ragazze.

Vegliava sulla sua virtù. Questa sollecitudine materna apportavacontinuamente nuovi ritocchi all'educazione

dell'allievo. Gli insegnava il pugno che spacca i denti e il colpo di polliceche fa schizzare l'occhio. Niente di più

commovente. In questo modo si preparava alla vita politicaa cui più tardisarebbe stato chiamato. Non è cosa da poco

diventare un perfetto gentiluomo.

Lord David Dirry-Moir amava enormemente le esibizioni di stradai palchidelle recitei circhi con gli animali stranile

baracche dei saltimbanchii pagliaccii tartagliai buffonile farseall'aria aperta e i prodigi delle fiere. Il vero signore

sa apprezzare i popolani; per questo lord David bazzicava le taverne e lecorti dei miracoli di Londra e dei Cinque Porti.

Per non compromettere la propria posizione nella squadra bianca quandosecapitavaveniva alle mani con un calafato

o un gabbiererecandosi nei bassifondi indossava una giubba da marinaio. Perqueste trasformazioni gli era utile non

portare la parruccaperchéanche sotto Luigi XIVil popolo avevaconservato i propri capellicome il leone la sua

criniera. In questo modo era libero. Il popolino che lord David incontravanella ressa della strada e a cui si mescolava

lo stimava moltissimo e ignorava che fosse un lord. Lo chiamavanoTom-Jim-Jack. Con questo nome era popolare e

famoso tra la plebaglia. S'incanagliva da padrone. Se capitavafaceva apugni. Questo aspetto della sua vita elegante era

noto a lady Josianeche lo apprezzava molto.

V • LA REGINA ANNA

I

Al di sopra di quella coppia c'era Annaregina d'Inghilterra.

La regina Anna era una donna comune. Era allegrabonariaabbastanzaaugusta. Le sue qualità non riuscivano a

diventare virtùcosì come i suoi difetti non raggiungevano la malvagità.Più che essere grassa era gonfiala sua malizia

era grossolanala sua bontà stupida. Era tenace e debole. Come sposa era diuna infedeltà fedeleavendo dei favoriti che

erano padroni del suo cuoree un consorte padrone del suo letto. Eracristianaeretica e bigotta. Aveva una sola

bellezzail collo robusto di una Niobe. Per il resto il suo corpo era malriuscito. Civettava in modo goffo e onesto.

Aveva la pelle bianca e finee la mostrava volentieri. Fu lei a iniziare lamoda delle collane di grandi perle strette al

collo. Aveva una fronte strettalabbra sensualiguance carnosegli occhigrandila vista corta. La sua miopia si

estendeva anche allo spirito. A parte qualche scoppio di giovialitàpesantequasi come la sua colleraviveva in una

specie di sdegnato silenzio e muto rimprovero. Le sfuggivano parole chebisognava indovinare. Era un insieme di brava

donna e di perfida diavolessa. Amava l'imprevistocome tutte le donne. Annaera la copia appena sgrossata dell'Eva

universale. A questo abbozzo era capitatoper casoil trono. Beveva. Suomarito era un danese di razza.

Torygovernava con gli whigs. Da donnada folle. Dava in escandescenze. Eralitigiosa. Non c'era nessuno più

maldestro di lei negli affari di stato. Lasciava che gli avvenimentiprecipitassero. Tutta la sua politica era folle. La sua

specialità consisteva nel ricavare grandi catastrofi da piccole cause.Quando la prendeva un capriccio d'autorità lo

chiamava: un colpo gobbo.

Con un'aria molto sognante usciva in espressioni di questo tipo: «Nessunpari può stare a capo coperto davanti al re

eccetto Courcybarone Kinsalepari d'Irlanda». Diceva: «Sarebbeun'ingiustizia che mio marito non fosse lord-ammiraglio

dal momento che lo è stato mio padre». Nominò Giorgio di Danimarca altoammiraglio d'Inghilterra «and

of all Her Majesty's Plantations». Emanava cattivo umore incontinuazione; non esprimeva le sue ideele lasciava

trasudare. Quell'oca aveva qualcosa della sfinge.

Non odiava il funlo scherzo pesante e cattivo. Sarebbe stata contenta dimettere la gobba a Apollo. Ma lo avrebbe

lasciato dio. Buonaper principio non gettava nella disperazione nessunomaannoiava tutti quanti. Usava spesso parole

volgari eper poconon avrebbe bestemmiatocome Elisabetta. Di quando inquando estraeva da una tasca da uomo che

aveva nella gonna una scatolina d'argento rotondacesellatasu cui c'era ilsuo ritratto di profilotra le lettere Q.A.

apriva la scatolina e con la punta del dito prendeva un po' di pomata con cuisi tingeva di rosso le labbra. Solo allora

dopo essersi sistemata la boccarideva. Era golosissima di quelle formepiatte di pan pepato della Zelanda. Era

orgogliosa di essere grassa.

Piuttosto puritanaavrebbe tuttavia organizzato volentieri degli spettacoli.Le piaceva l'idea di un'accademia musicale

copiata da quella francese. Nel 1700un francese di nome Forteroche vollecostruire a Parigi un «Circo Reale» che

sarebbe costato quattrocentomila lirema d'Argenson si oppose; questoForteroche allora passò in Inghilterra e propose

alla regina Annache per un istante ne fu entusiastal'idea di costruire aLondra un teatrocompleto di scenografiepiù

bello di quello del re di Franciae con un quarto sotterraneo. ComeLuigi XIVanche Anna desiderava che la sua

carrozza andasse al galoppo. I suoi equipaggi e suoi cambi impiegavano avolte meno di un'ora e un quarto nel tragitto

da Windsor a Londra.

II

Ai tempi di Anna non erano ammesse riunioni senza l'autorizzazione di duegiudici di pace. Dodici persone che si

riunivano anche solo per mangiare ostriche e bere birra scuraeranocolpevoli di fellonia.Sotto questo regnopur relativamente tollerantesifaceva una coscrizione particolarmente violenta per la flotta; triste

prova che l'inglese è più suddito che cittadino. Da secoli il red'Inghilterra seguiva quella procedura tirannica che

smentiva tutte le vecchie esenzioniprovocando il trionfalismo indignatodella Francia. Ciò che diminuisce un po'

questo trionfo è la costatazione che se in Inghilterra c'era la coscrizioneobbligatoria della flottain Francia c'era quella

dei soldati. In tutte le grandi città francesi qualsiasi uomo ancora validoche se ne andasse in giro per i fatti suoicorreva

il rischio di essere gettato dagli arruolatori in una casa detta fornace.Là veniva rinchiuso insieme agli altripoi si

sceglievano quelli abili al servizioe gli arruolatori vendevano queipassanti agli ufficiali. Nel 1695 a Parigi c'erano

trenta fornaci.

Le leggi contro l'Irlandaemanate dalla regina Annafurono atroci.

Anna era nata nel 1664due anni prima dell'incendio di Londraquello cheaveva permesso di dire agli astrologhi - (ce

n'erano ancorane fa fede Luigi XIVche alla nascita fu assistito da unastrologo e fasciato in un oroscopo) - che

essendo «la sorella maggiore del fuoco»sarebbe stata regina. E lodivennegrazie all'astrologia e alla rivoluzione del

1688. Era umiliata di avere per padrino solo l'arcivescovo di Canterbury.Essere figlioccia del papa era ormai

impossibile in Inghilterra. Un semplice primate è un padrino ben mediocre.Anna dovette accontentarsi. Ma era colpa

sua. Perché era protestante?

La Danima rca aveva pagato per la sua verginitàvirginitas emptacome dicono i vecchi documenticon una dotazione

di seimiladuecentocinquanta sterline di renditagarantita dal baliato diWardinbourg e dell'isola di Fehmarn.

Anna seguivasenza convinzione e per abitudinele tradizioni di Guglielmo.Gli inglesisotto quella monarchia nata da

una rivoluzionegodevano di tutta la libertà possibile tra la Torre diLondradove si rinchiudevano gli oratorie la

gognadove si mettevano gli scrittori. Anna parlava un po' in danese neicolloqui riservati al maritoe un po' in francese

in quelli riservati a Bolingbroke. Un vero birignao; masoprattutto a corteera di gran moda parlare francese. Le uniche

battute di spirito erano quelle in francese. Anna si preoccupava dellemonetesoprattutto di quelle di ramedi poco

valore e popolari; ci teneva a farvi una gran figura. Sei tipi di farthingsfurono coniati sotto il suo regno. Sul verso dei

primi tre fece mettere semplicemente un trono; sul verso del quarto volle uncarro trionfalee sul verso del sesto una dea

che teneva in una mano la spada e nell'altra l'olivo con l'esergo Bello etPace. Figlia di Giacomo IIche era ingenuo e

feroceper quanto la riguardava era brutale.

Maal tempo stessoin fondo era dolce. Un'apparente contraddizione. Bastavauna collera per trasformarla. Scaldate lo

zuccherobollirà.

Anna era popolare. L'Inghilterra ama le donne che regnano. Perché? LaFrancia non le vuole. Questo è già un motivo.

Può anche darsi che non ce ne siano altri. Per gli storici inglesiElisabetta è la grandezzaAnna la bontà. Come vi pare.

E sia. Ma nessuna delicatezza in questi regni femminili. I tratti sonopesanti. Una grandezza grossolana e una grossolana

bontà. Quanto alla loro immacolata virtùl'Inghilterra ci tienee noi nonci opponiamo. Elisabetta è una vergine

temperata da Essexe Anna è una sposa complicata da Bolingbroke.

III

I popoli hanno l'abitudine idiota di attribuire al re ciò che fanno. Sibattono. Di chi è la gloria? Del re. Pagano. Ch i è

magnifico? Il re. E al popolo piace che sia così ricco. Il re riceve daipoveri uno scudo e rende loro un soldo. Com'è

generoso! Il colosso piedistallo contempla il pigmeo fardello. Com'è grandeil pigmeo! Mi sta sulle spalle. Un nano ha

un mezzo eccellente per essere più alto di un gigantegli bastaappollaiarsi sulle sue spalle. Ma è singolare proprio che

il gigante lo permetta; che ammiri poi la grandezza del nanoquesto èdavvero stupido. Ingenuità umana.

La statua equestreriservata solo ai rerappresenta molto bene lasovranità; il cavallo è il popolo. Solo che quel cavallo

lentamente si trasforma. All'inizio è un asinoalla fine è un leone.Allora getta a terra il cavalieree sarà il 1642 in

Inghilterra e il 1789 in Franciae qualche volta lo divoracome inInghilterra nel 1649 e in Francia nel 1793.

Che il leone possa ritornare somaro è stupefacentema vero. È accaduto inInghilterra. Ci si era rimessi al basto

dell'idolatria realista. La Queen Anncome abbiamo dettoera popolare. Cosafaceva per meritarselo? Nulla. Nulla

ecco tutto ciò che si chiede al re d'Inghilterra. Per quel nulla egli riceveuna trentina di milioni all'anno. Nel 1705

l'Inghilterrache aveva solo tredici vascelli da guerra sotto Elisabetta etrentasei sotto Giacomo Ine contava

centocinquanta. Gli inglesi avevano tre armatecinquemila uomini inCatalognadiecimila in Portogallocinquantamila

nelle Fiandree inoltre pagavano quaranta milioni all'anno all'Europamonarchica e diplomaticaquesta specie di

puttana che il popolo inglese mantiene da sempre. Avendo votato il parlamentoun prestito patriottico di trentaquattro

milioni di rendite vitalizieci si era affrettati allo scacchiere persottoscriverlo. L'Inghilterra inviava una squadra nelle

Indie Orientali e una squadra sulle coste spagnole al comando dell'ammiraglioLeakesenza contare una riserva di

quattrocento vele al comando dell'ammiraglio Showell. L'Inghilterra si eraannessa la Scozia. Si era tra Hochstett e

Ramilliese una di queste due vittorie lasciava intravedere l'altra.L'Inghilterranella retata di Hochstettaveva fatto

prigionieri ventisette battaglioni e quattro reggimenti di dragoniesottratto cento leghe di territorio alla Francia che

travoltaindietreggiava dal Danubio al Reno. L'Inghilterra allungava le maniverso la Sardegna e le Baleari. Conduceva

trionfalmente nei suoi porti dieci vascelli di linea spagnoli e parecchigaleoni carichi d'oro. Luigi XIV aveva già mezzo

abbandonati la baia e lo stretto di Hudson; si capiva che avrebbe abbandonatoanche l'AcadiaSan Cristoforo e

Terranovae che si sarebbe accontentato che l'Inghilterra permettesse al redi Francia di pescare il merluzzo al capo

Bretone. L'Inghilterra stava per imporgli l'umiliazione di distruggere da séle fortificazioni di Dunkerque. Nel frattempoessa occupava Gibilterra eBarcellona. Che belle imprese! Come non ammirare la regina Anna che si dava lapena di

vivere in quei tempi?

Da un certo punto di vista il regno di Anna sembra un riverbero di quello diLuigi XIV. Per un momento Anna affianca

il re in quel luogo d'incontri che chiamiamo storiae sembra assomigliarglicome un vago riflesso. Anche Annacome

luigioca a fare il grande regno; ha i propri monumentile proprie artileproprie vittoriee capitaniletteratiuna cassa

personale per provvedere agli uomini famosie di fianco a sua maestà unagalleria di capolavori. Anche la sua corte le

fa strascico e ha un aspetto trionfaleun ordine e una regola. È unariproduzione in piccolo di tutti i grandi di Versailles

peraltro non più molto grandi. L'illusione è perfetta; aggiungiamo il Godsave the queen che da allora fu preso a Lullie

il quadro è perfetto. I personaggi ci sono tutti. Cristophe Wren è unMansard più che passabile; Somers vale

Lamoignon. Anna ha un Racine di nome Drydenun Boileau che si chiama Popeun Colbert che è Godolphinun

Louvois che Pembrokee un Turenne che è Marlborough. Dovete tuttaviapensare a parrucche più grandi e a fronti più

corte. L'insieme ha una sua pomposa solennitàWindsor in queste occasioniha quasi l'aria di essere Marly. E tuttavia

ogni cosa è al femminilee il padre Tellier di Anna si chiama SarahJennings. D'altra parte un principio d'ironiache

cinquant'anni dopo diventerà la filosofiacomincia a prendere forma nellaletteraturaed è Swift che smaschera il

Tartufo protestantecosì come il Tartufo cattolico è stato denunciato daMolière. Anche se in quest'epoca l'Inghilterra è

in lite con la Francia e la sconfiggenon cessa d'imitarla e di trarnelustro; sulla facciata dell'Inghilterra batte la luce di

Francia. È un vero peccato che il regno di Anna non sia durato che dodiciannialtrimenti gli inglesi non si farebbero

pregare molto per dire - il secolo di Anna -come noi diciamo - il secolo diLuigi XIV -. Anna fa la sua comparsa nel

1702quando Luigi XIV declina. È una delle tante stranezze della storia chequesto pallido astro sorga proprio quando

tramonta la stella fiammeggiantee che nell'istante in cui la Francia avevail re Solel'Inghilterra abbia avuto la regina

Luna.

Ed ecco un dettaglio che bisogna annotare. Luigi XIVbenché in guerraeramolto ammirato in Inghilterra. È il re che

ci vuole per la Franciadicevano gli inglesi. L'amore per la proprialibertà non è disgiunto negli inglesi da una certa

tolleranza della schiavitù degli altri. Questa benevolenza verso le cateneche tengono avvinto il vicinosi spinge

qualche voltaa un vero e proprio entusiasmo per il despota confinante.

InsommaAnna ha reso felice il suo popolocome dice per tre volteecon una graziosa insistenzaa pagina 6 e 9 della

dedicae a pagina 3 della prefazioneil traduttore francese del libro diBeeverell.

IV

La regina Anna ce l'aveva un po' con la duchessa Josiane per due ragioni.

Primoperché trovava che la duchessa Josiane fosse bella.

Secondoperché trovava bello anche il fidanzato della duchessa Josiane.

A una donna bastano due ragioni per essere gelosa; ma a una regina anche unasola.

Inoltre non le perdonava di essere sua sorella.

Ad Anna non piaceva che le donne fossero belle.

Lo trovava contrario alla moralità.

Quanto a leiera brutta.

Non era stata una scelta tuttavia.

Una parte della sua religiosità veniva da quella bruttezza.

Josianebella e filosofainfastidiva la regina.

Non è piacevole per una regina brutta avere come sorella una bella duchessa.

Ma c'era un altro motivo di lagnanzala nascita improper di Josiane.

Anna era figlia di una semplice ladylegittimamente ma incresciosamentesposata da Giacomo IIquando era duca di

York. Annache aveva nelle vene questo sangue inferiorenon si sentivaregina che a metàe Josianedi nascita

irregolaresottolineava la scorrettezzaminima ma autenticadella nascitadella regina. La figlia nata da un matrimonio

inadeguato vedeva senza troppo piacerepoco distante da séla figliabastarda. C'era in tutto questo un confronto

offensivo. Josiane aveva il diritto di dire ad Anna: mia madre vale quanto lavostra. A corte non lo si dicevama era

chiaro che lo si pensava. Era seccante per la sua regale maestà. Perché poiquesta Josiane? Cosa le era venuto in mente

di nascere? A cosa serviva una Josiane? Certe parentele sono umilianti.

Tuttavia Anna faceva buon viso a Josiane.

Forse l'avrebbe anche amatase non fosse stata sua sorella.

VI • BARKILPHEDRO

È utile conoscere ciò che fanno le personee sorvegliarle un po' è unamisura ragionevole.

Josiane faceva spiare lord David da un suo uomo di fiducia di nomeBarkilphedro.

La regina Annada parte suasi faceva tenere al corrente sui fatti e sulleazioni della duchessa Josianela sorella

bastardae su lord Davidsuo futuro cognato per via di un matrimoniosconvenienteda un uomo su cui poteva contare

pienamenteche si chiamava Barkilphedro.Così questo Barkilphedro avevasottomano una bella tastiera: Josianelord Davidla regina. Un uomo tra duedonne.

Che possibilità di modulazioni! Che amalgama d'anime!

A Barkilphedro non era mai capitata un'occasione così propizia di parlare abassa voce a tre orecchie.

Era un vecchio domestico del duca di York. Aveva tentato la carrieraecclesiasticama aveva fallito. Il duca di York

principe inglese e romanoun insieme di papismo reale e di anglicanesimolegaleaveva il suo seguito cattolico e quello

protestantee avrebbe potuto avviare Barkilphedro nell'una o nell'altragerarchiama non lo giudicò abbastanza cattolico

per farlo elemosinierené abbastanza protestante per farlo cappellano.Così che Barkilphedro tra due religioni si trovò

con l'anima per terra.

Non è poi una brutta posizione per certe anime rettili.

Certe strade non si possono fare che strisciando.

Per molto tempo tutta l'esistenza di Barkilphedro consistette in un'oscura maproficua domesticità. La domesticità è

qualcosama in più egli voleva il potere. Stava quasi per arrivarci quandoGiacomo II cadde. Doveva ricominciare da

capo. Niente da fare sotto l'imbronciato Guglielmo IIIche metteva nel suomodo di regnare un puritanesimo che

scambiava per onestà. Comunque Barkilphedroquando fu detronizzato Giacomoil suo protettorenon andò subito in

miseria. Qualcosa d'indefinibile sopravvive ai principi decadutialimentandoe sostenendo ancora per qualche tempo i

loro parassiti. Il resto della linfa che sta svanendo fa vivere per due o tregiorni le foglie in cima ai rami dell'albero

sradicato; poi improvvisamente la foglia ingiallisce e seccacosì pure ilcortigiano.

Grazie a quell'imbalsamazione che si chiama legittimitàil principebenché caduto e allontanatosopravvive e si

conserva; non capita lo stesso al cortigianoche muore ben più del re. Ilre laggiù è una mummiail cortigiano qui è un

fantasma. Essere l'ombra dell'ombraè l'estrema delle magrezze. DunqueBarkilphedro divenne famelico. Allora imparò

l'arte dei letterati.

Ma lo cacciavano anche dalle cucine. Qualche volta non sapeva dove dormire.«Chi mi darà un tetto?»diceva. E

lottava. Possedeva tutte le doti che la pazienza rivela nei momenti delbisogno. In più egli aveva il talento della termite

sapeva fare un buco dal basso verso l'alto. Aiutandosi con il nome di GiacomoIIcon i ricordicon la fedeltàcon

l'intenerimento ecc.si aprì un varco fino alla duchessa Josiane.

Josiane prese a ben volere quell'uomo che era povero e intelligentedue coseche commuovono. Lo presentò a lord

Dirry-Moirgli diede alloggio nelle sue dipendenzelo tenne come uno dicasafu buona con luie qualche volta perfino

gli parlò. Barkilphedro non ebbe più famené freddo. Josiane gli dava deltu. Era di moda tra le gran dame dare del tu ai

letteratiche lasciavano fare. La marchesa di Mailly riceveva stando a lettoRoyche non aveva mai vistoe gli diceva:

Sei tu che hai fatto l'Annata galante? Buongiorno. Più tardi i letteratirestituirono il tu. Venne il giorno in cui Fabre

d'Églantine disse alla duchessa di Rohan:

«Non sei la Chabot?».

Per Barkilphedro sentirsi dare del tu era un successo. Ne fu rapito. Quellafamiliarità dall'alto in basso rientrava nelle

sue ambizioni.

«Lady Josiane mi dà del tu!»diceva a se stesso. Fregandosi le mani.

Approfittò di questo tu per guadagnare terreno. Divenne assiduo delle stanzeprivate di Josianediscretoinvisibile; la

duchessa si sarebbe quasi spogliata davanti a lui. Ma si trattava di unasituazione precaria. Barkilphedro mirava a

sistemarsi. Con una duchessa si è a metà strada. Una galleria sotterraneache non arrivasse fino alla reginasarebbe stato

un lavoro inutile.

Un giorno Barkilphedro disse a Josiane:

«Vostra grazia vorrebbe fare di me un uomo fortunato?».

«Cosa vuoi?»domandò Josiane.

«Un impiego».

«Un impiego? Tu!».

«Sìsignora».

«Cosa ti viene in mente di chiedere un impiego? Tu non sai fare niente».

«Proprio per questo».

Josiane si mise a ridere.

«Tra le cose che non sai farequale preferiresti?».

«Stappare le bottiglie che vengono dall'oceano».

Josiane rise ancora più forte.

«Ma cosa dici? Tu mi prendi in giro».

«Nosignora».

«Mi voglio divertire prendendoti sul serio»disse la duchessa. «Cosa vuoiessere? Ripeti».

«Stappare le bottiglie che vengono dall'oceano».

«Tutto è possibile a corte. Esiste un impiego simile?».

«Sìsignora».

«Insegnami queste novità. Continua».

«Questo impiego esiste».

«Giuramelo sull'anima che non hai».

«Lo giuro».

«Non ti credo».«Graziesignora».

«Vorresti dunque?... Ricomincia».

«Dissigillare le bottiglie del mare».

«Come lavoro non deve essere molto faticoso. È come pettinare un cavallo dibronzo».

«Quasi».

«Non fare nulla. In effetti questo è il posto che ti ci vuole. È quelloche sai fare».

«Vedete che di qualcosa sono capace».

«Ahquesta poi! Vuoi fare il buffone. Esiste questo posto?».

Barkilphedro assunse un atteggiamento di severa deferenza.

«Signoravoi avete un padre augustoGiacomo IIil ree un cognatoillustreGiorgio di Danimarcaduca di

Cumberland. Vostro padre è stato lord-ammiraglio d'Inghilterravostrocognato lo è tuttora».

«Sono queste le tue novità? Le conosco quanto te».

«Ma ecco ciò che vostra grazia non sa. Ci sono tre tipi di cose in mare:quelle che stanno in fondo all'acquaLagon;

quelle che galleggiano sull'acquaFlotson; e quelle che l'acquarigetta sulla terraJetson».

«E con ciò?».

«Queste tre coseLagonFlotsonJetsonappartengono al lord grandeammiraglio».

«Vai avanti».

«Vostra grazia comprende?».

«No».

«Tutto quello che c'è in mareciò che va a fondociò che galleggia eciò che si arenaappartiene all'ammiraglio

d'Inghilterra».

«Tutto. Bene. E allora?».

«Eccetto lo storioneche appartiene al re».

«Avrei detto che tutto ciò appartenesse a Nettuno».

«Nettuno è un imbecille. Ha abbandonato tutto. Ha permesso che siprendessero tutto gli inglesi».

«Concludi».

«Le prede di mare; è il nome che si dà a queste scoperte».

«Bene».

«È inesauribile. C'è sempre qualcosa che galleggiaqualcosa che approda.È il tributo del mare. Il mare paga l'imposta

all'Inghilterra».

«D'accordo. Ma concludi».

«Vostra grazia comprende che in questo modo l'oceano crea un ufficio».

«E dove?».

«Presso l'Ammiragliato.

«Che ufficio?».

«L'ufficio delle prede di mare».

«Ebbene?».

«L'ufficio si divide in tre settori: LagonFlotsonJetson; e ciascunsettore ha un suo ufficiale».

«Dunque?».

«Una nave in alto mare vuol dare una comunicazione qualsiasi a terrachenaviga a una certa latitudineche ha

incontrato un mostro marinoche è in vista della costache si trova indifficoltàche sta affondandoche è perduta

ecceterail capitano prende una bottigliavi mette dentro un pezzo di cartadove ha scritto la cosa che intende far

saperesigilla il collo e getta la bottiglia in mare. Se la bottiglia va afondociò riguarda l'ufficiale Lagon; se galleggia

riguarda l'ufficiale Flotson; se le onde la portano a terraciò riguardal'ufficiale Jetson».

«E tu vorresti essere l'ufficiale Jetson?».

«Esattamente».

«E questo è quello che tu chiami dissigillare le bottiglie che vengonodall'oceano?».

«Dal momento che esiste il posto».

«Perché vuoi proprio quest'ultimo posto e non gli altri due?».

«Perché in questo momento è vacante».

«In cosa consiste il lavoro?».

«Signoranel 1598 un pescatore di gronghi trovò sulle sabbie della seccadel promontorio di Epidium una bottiglia

incatramatache fu portata alla regina Elisabettae la pergamena che siestrasse da quella bottiglia fece sapere

all'Inghilterra che l'Olanda aveva conquistatosenza dire nienteun paesesconosciutola Novaja ZemljaNova Zemlae

che la conquista aveva avuto luogo nel giugno 1596che in quel paese c'erail pericolo di venir mangiati dagli orsiche

il modo migliore per passarvi l'inverno era indicato su un foglio chiuso inun bossolo di moschettoappeso al camino

della casa in legno costruita nell'isola e abbandonata dagli olandesiormaitutti mortie che quel camino era fatto con

una botte sfondataincassata nel tetto».

«Ho capito poco di questo discorso campato in aria».

«Bene. Elisabetta comprese. Un paese in più per l'Olanda era un paese inmeno per l'Inghilterra. La bottiglia che aveva

dato la notizia diventò una faccenda importante. A partire da quel giornovenne dato ordine a chiunque trovasse unabottiglia sigillata sulla riva delmaredi consegnarla all'ammiraglio d'Inghilterrasotto la minaccia dellaforca. Per aprire

le bottiglie l'ammiraglio incarica un ufficialechese è il casoinformasua maestà del contenuto».

«Arrivano spesso queste bottiglie all'ammiragliato?».

«Di rado. Ma non importa. Il posto c'è. Per questo lavoro ci sono camera ealloggio presso l'ammiragliato».

«E questa trovata per non fare niente quanto la pagano?».

«Cento ghinee all'anno».

«E tu mi disturbi per così poco?».

«Per vivere mi basta».

«Da pezzente».

«Come conviene a quelli come me».

«Cento ghineeniente».

«Quello che v i permette di vivere solo un minutoa noi basta per un anno.È il vantaggio di essere poveri».

«Avrai quel posto».

Otto giorni dopograzie ai buoni favori di Josiane e all'autorevolezza dilord David Dirry-MoirBarkilphedroormai in

salvouscito dalla precarietàfinalmente appoggiato su un terreno solidoalloggiatospesatocon una rendita di cento

ghineesi era installato presso l'ammiragliato.

VII • BARKILPHEDRO SFONDA

C'è una cosa che urge: essere ingrati.

Barkilphedro non si fece pregare.

Avendo ricevuto simili favori da parte di Josianeera naturale che nonpensasse ad altro che a vendicarsene.

Aggiungiamo che Josiane era bellaaltagiovanericcapotenteillustreeche Barkilphedro era bruttopiccolo

vecchiopoveroprotettooscuro. Doveva pur vendicarsi di tutto questo.

Quando si è fatti di tenebrecome si può perdonare una tale luminosità?

Barkilphedro era un irlandese che aveva rinnegato l'Irlanda; brutta razza.

Barkilphedro aveva un punto a suo vantaggio: una pancia smisurata.

Una pancia così passa per segno di bontà. Ma quella pancia era un'altradelle ipocrisie di Barkilphedro. Perché era un

uomo molto malvagio.

Che età aveva Barkilphedro? Nessuna. Aveva l'età necessaria agli scopi delmomento. Le rughe e i capelli grigi ne

facevano un vecchioma quanto a prontezza di mente era giovane. Era svelto epesante; una sorta d'ippopotamo

scimmia. Certamente un realista; ma forse anche repubblicano? Magaricattolico; senza dubbio protestante. A favore

degli Stuartprobabilmente; e dei Brunswickevidentemente. Essere Afavore non è una forza che a patto di essere al

tempo stesso Controe Barkilphedro praticava questa forma disaggezza.

Il lavoro come «stappatore di bottiglie che vengono dall'oceano» non eracosì da poco come poteva apparire dalle parole

di Barkilphedro. I reclamiche oggi verrebbero chiamati proclamidi Garcie-Ferrandez nel suo Carta del mare contro

lo spolio delle navi in seccadetto diritto ai rottamie contro ilsaccheggio dei relitti da parte delle popolazioni

rivierascheavevano suscitato scalpore in Inghilterraapportando ainaufraghi il vantaggio che i loro benieffetti e

proprietàinvece di essere rubati dai contadinivenivano confiscati dallord ammiraglio.

Tutti i rottami che il mare gettava sulla costa inglesemercanziecarcassedi navifagotticasse ecc.appartenevano al

lord ammiraglio; mae qui si mostrava l'importanza del posto sollecitato daBarkilphedroi recipienti galleggiantiche

contenevano messaggi e informazionirichiamavano in modo particolarel'attenzione dell'ammiragliato. I naufragi sono

una grave preoccupazione per l'Inghilterra. Poiché navigare per leisignifica vivereil naufragio è il suo pensiero fisso. Il

mare è una perpetua fonte d'inquietudine per l'Inghilterra. La bottigliettadi vetro che la nave ormai condannata getta

alle ondecontiene un'estrema informazionepreziosa sotto tutti i punti divista. Informazione sul bastimento

informazione sull'equipaggiosul luogol'epoca e le circostanze delnaufragioinforma zione sui venti che hanno

spezzato il vascellosulle correnti che hanno portato la bottigliettagalleggiante sulla costa. L'ufficio occupato da

Barkilphedro è stato soppresso da più di un secoloma aveva un'autenticautilità. L'ultimo titolare fu William Husseydi

Doddington nel Lincoln. L'uomo che reggeva quell'ufficio era una specie direlatore per tutto ciò che riguardava le cose

del mare. Tutti i recipienti chiusi e sigillatibottigliebottigliettegiare ecc.che le onde gettavano sul litorale inglese

gli venivano consegnati; solo lui aveva il diritto di aprirli; era il primoche ne conosceva i segreti; egli li classificava e li

etichettava nel suo archivio; l'espressione mettere una cesta in archivioancora usata nelle isole della Manicaviene da

lì. A dire il vero era stata presa un precauzione. Nessun recipiente potevaessere dissigillato e stappato se non alla

presenza di due giurati dell'ammiragliatotenuti per giuramento al segretoche firmavanocon il titolare dell'ufficio

Jetsonil processo verbale dell'avvenuta apertura. Ma poiché questi giuratierano tenuti al silenzione risultava per

Barkilphedro una certa discrezionalità; dipendeva da luialmeno fino a uncerto puntola decisione di sopprimere un

fatto o di metterlo in risalto.

I fragili relitti erano ben lontani dall'essere rari e insignificanti comeBarkilphedro aveva detto a Josiane. A volte

raggiungevano la terra molto rapidamente; a volte dopo anni. Ciò dipendevadai venti e dalle correnti. Questa usanza di

affidare le bottiglie alla corrente è un po' sorpassatacome quella degliex voto; main quei tempi così religiosichi

stava per morire si avvaleva volentieri di questo mezzo per inviare a Dio eagli uomini il suo ultimo pensierocosì

capitava che l'ammiragliato abbondasse di quei messaggi di mare. Unapergamenaconservata nel castello d'Audlyene(secondo l'antica ortografia)eannotata dal conte di Suffolkgran tesoriere d'Inghilterra sotto Giacomo Irivela che nel

solo 1615 furono portate e registrate nell'archivio del lord ammiraglio bencinquantadue tra fiascheampolle e

bottigliettecontenenti notizie di bastimenti sul punto di affondare.

Gli impieghi di corte sono come le gocce d'oliosi allargano sempre di più.In questo modo il portiere è diventato

cancelliere e il palafreniere è diventato conestabile. Il particolareufficiale incaricato della funzione desiderata e ottenuta

da Barkilphedroera abitualmente un uomo di fiducia. Era stata Elisabetta avolerlo così. Chi a corte dice fiduciadice

intrigoe chi dice intrigo dice carriera. Quel funzionario aveva finito peressere un po' una personalità. Era un dignitario

e prendeva posto subito dopo i due grooms dell'elemosineria. Poteva entrare apalazzomadiciamolosolo attraverso

quella che si chiama «entrata di servizio»humilis introïtusefino alla camera da letto. Perché la prassi voleva che egli

informasse direttamente il requando ne valeva la penadelle sue scoperteche spesso erano molto curiose: testamenti

di persone disperateaddii rivolti alla patriarivelazioni di frodi e dicrimini di marelasciti alla corona ecc.e che

mantenesse l'archivio in comunicazione con la cortee che ogni tantorendesse conto a sua maestà di quel

dissigillamento di bottiglie sinistre. Era il nero gabinetto dell'oceano.

Elisabettache parlava volentieri in latinoera solita domandare a Tainfelddi Coleynel Berkshireche era l'ufficiale

Jetson di quel tempoquando questi le portava qualcuna delle scartoffievenute dal mare: Quid mihi scribit Neptunus?

Cosa mi scrive Nettuno?

Il varco era aperto. La termite era riuscita nel suo intento. Barkilphedroavvicinava la regina.

Era quello che voleva.

Per il proprio vantaggio?

No.

A svantaggio degli altri.

Un piacere più grande.

Nuocere significa godere.

Non è da tutti avere in sé il desiderio di nuocereun desiderio vago maimplacabilee non perderlo mai di vista.

Barkilphedro aveva questa fissazione.

I suoi pensieri erano come la presa del mastino.

Sentirsi inesorabile gli dava un senso di cupa soddisfazione.

Gli bastava avere una preda sotto i denti o nell'anima la certezza di fare ilmale.

Era contento di battere i denti se poteva sperare che anche gli altriavessero freddo.

La cattiveria è una forma di opulenza. Quell'uomo che crediamo poveroe chein effetti lo èpossiede un tesoro in

malignitàe gli va bene così. Basta essere contenti. Giocare un bruttoscherzoche poi è la stessa cosa che giocarne uno

bellovale più del denaro. Il brutto è per chi lo subiscema per chi lofa è bello. Katesbycompagno di Guy Fawkes nel

complotto papista delle polveridiceva: Neppure per un milione disterline vorrei perdermi la scena del parlamento che

va gambe all'aria.

Chi era Barkilphedro? Ciò che vi è di più piccolo e di più terribile. Uninvidioso.

L'invidia ha un posto fisso a corte.

A corte abbondano gli impertinentigli scioperatii ricchi fannulloniaffamati di pettegolezziquelli che cercano l'ago

nel pagliaioi dispettosii beffeggiatori beffeggiatii poveri di spiritotutta gente che ha bisogno della conversazione

con un invidioso.

Che refrigerio sentire parlar male degli altri!

Con l'invidia si fa un'ottima spia.

C'è una profonda analogia tra l'invidiache è un'inclinazione naturaleelo spionaggioche è una funzione sociale. La

spia va a caccia per conto degli altricome il cane; l'invidioso va a cacciaper proprio contocome il gatto.

Un io ferocequesto è l'invidioso.

Altre qualitàBarkilphedro era discretosegretoconcreto. Teneva tuttoper sé e si tormentava nel suo odio. Un'enorme

bassezza implica un'enorme vanità. Piaceva a quelli che riusciva adivertirema era odiato dagli altri; sentiva lo sdegno

di quelli che lo odiavano e il disprezzo di quelli a cui piaceva. Sidominava. Tutte quelle offese ribollivano senza far

rumore nella sua ostile rassegnazione. Era indignatocome se i furfanti neavessero diritto. Covava in silenzio le sue

furie. Il suo talento consisteva nell'ingoiare tutto. Provava sordi corrucciinteriorifrenetiche rabbie sotterraneenere

fiamme soffocatedi cui non ci si accorgeva; era un collerico fumivoro. Lasuperficie era sorridente. Era cortese

premurosoaccomodanteamabilecompiacente. Salutava chiunquee dovunque.Per un soffio di vento s'inchinava fino

a terra. Che fortuna avere un giunco nella colonna vertebrale.

Questi esseri nascosti e velenosi non sono poi così rari come si pensa.Viviamo circondati da questi fruscii sinistri.

Perché i malvagi? Domanda drammatica. Il sognatore se la pone continuamentee il pensatore non la risolve mai.

Perciò lo sguardo dei filosofi è triste e sempre fisso sulla tenebrosamontagna del destinodall'alto della quale il

gigantesco spettro del male lascia cadere manciate di serpenti sulla terra.

Barkilphedro era obeso di corpo ma aveva il volto magro. Il torso grasso e lafaccia ossuta. Aveva le unghie striate e

cortele dita nodosei pollici piattii capelli grossile tempie moltodistanti una dall'altrae una fronte da assassino

larga e bassa. Gli occhi alla cinese nascondevano la pochezza dello sguardosotto il cespuglio delle sopracciglia. Il naso

lungoappuntitogobbo e molletoccava quasi la bocca. Barkilphedroopportunamente vestito da imperatoresarebbe

assomigliato un po' a Domiziano. La sua facciad'un giallo rancidoera comemodellata in una pasta vischiosa; le

guance immobili sembravano di mastice; aveva ogni specie di rughe brutte eribellil'angolo della mascella massiccioilmento pesantel'orecchio plebeo.Quando era rilassatoil labbro superiore visto di profilo era rialzato adangolo acuto e

lasciava scorgere due denti. Sembrava che quei denti vi guardassero. I dentipossono guardaree gli occhi mordere.

Pazienzatemperanzacontinenzariservatezzaritegnoamenitàdeferenzadolcezzacortesiasobrietàcastità

completavano e perfe zionavano Barkilphedro. Egli calunniava quelle virtùper il solo fatto di averle.

In poco tempo Barkilphedro prese piede a corte.

VIII • «INFERI»

A corte si può prendere piede in due modi: all'altezza delle nuvolee si èprincipeschi; nel fangoe si è potenti.

Nel primo caso si fa parte dell'olimpo. Nel secondo si appartiene alguardaroba.

Chi fa parte dell'olimpo non dispone che della folgore; chi appartiene alguardaroba usa la polizia.

Il guardaroba contiene tutti gli strumenti del governoe a volteessendotraditoreanche il castigo. Eliogabalo vi trova

la morte. Allora il suo nome è latrina.

Solitamente è meno tragico. Lì Alberoni ammira Vendôme. Il guardarobadiventa facilmente il luogo dove i personaggi

reali danno udienza. Funge da trono. Luigi XIV vi riceve la duchessa diBorgogna; Filippo V vi sta gomito a gomito con

la regina. Il prete vi ha accesso. Capita che il guardaroba diventi unasuccursale del confessionale.

Per questo a corte ci sono fortune sotterranee. E non sono le menoimportanti.

Se volete essere grande sotto Luigi XIsiate Pierre de Rohanmaresciallo diFrancia; se volete essere influentesiate

Olivier le Daimbarbiere. Se volete la gloria sotto Maria de' MedicisiateSilleryil cancelliere; se volete essere

importantesiate Hannoncameriera. Se volete essere illustre sotto LuigiXVsiate Choiseulil ministro; se volete

essere temutosiate Lebelvalletto. Parlando di Luigi XIVBontemps che glifa il letto è più potente di Louvois che gli

mette insieme l'esercitoe di Turenne che gli procura le vittorie. Toglietea Richelieu il padre Giuseppee di Richelieu

non rimane quasi niente. Scompare il mistero. L'eminenza rossa è superbamal'eminenza grigia è terribile. La forza

dell'essere verme! Tutti i Narvaez amalgamati con tutti gli O' Donnellcombinano meno di sorella Patrocinio.

Una delle condizioni di questo potere èper fare un esempiola piccolezza.Se volete restare fortirestate piccoli. Siate

il nulla. Il serpente che riposacoricato in spire circolarisimboleggiainsieme l'infinito e lo zero.

A Barkilphedro era toccata una di queste fortune viperine.

Era penetrato là dove voleva.

Le bestie piatte entrano dovunque. Luigi XIV aveva le cimici nel letto e igesuiti nella politica.

Nessuna incompatibilità.

In questo mondo tutto si muove come il pendolo. Gravitare vuol direoscillare. Un polo chiama l'altro. Francesco I vuole

Triboulet; Luigi XV vuole Lebel. C'è una profonda affinità tra l'altezzaestrema e l'estrema bassezza.

La bassezza guida. È facile da capire. Chi sta sotto tiene i fili.

Non c'è posizione più comoda.

Si è l'occhioe si ha l'orecchio.

Si è l'occhio del governo.

Si ha l'orecchio del re.

Chi dispone dell'orecchio del re apre e chiude a piacimento la coscienzarealee vi mette ciò che vuole. Lo spirito del re

è il vostro armadio. Se siete straccivendolo è la vostra gerla. L'orecchiodei re non appartiene ai re; è ciò che in fondo

rende quei poveri diavoli così poco responsabili. Chi non è padrone delproprio pensieronon è padrone delle proprie

azioni. Un re obbedisce.

A cosa?

Alla prima anima malvagia che gli sussurra all'orecchio. Scura moscadell'abisso.

Questo sussurrio comanda. Un regno è un dettato.

La voce alta è il sovrano; la voce bassa è la sovranità.

I veri storici sono coloro che in un regno sanno distinguere la voce bassa ecapire ciò che essa suggerisce alla voce alta.

IX • L'ODIO È FORTE COME L'AMORE

Attorno alla regina Anna c'erano parecchie di quelle voci basse. Tra glialtri anche Barkilphedro.

Oltre la reginaegli lavoravainfluenzava e praticava silenziosamente ladyJosiane e lord David. Come abbiamo detto

egli bisbigliava a tre orecchie contemporaneamente. Una in più di Dangeau.Dangeau bisbigliava solo a duequando

facendo la spola tra Luigi XIV innamorato della cognata EnrichettaeEnrichetta innamorata di Luigi XIV suo cognato

confidente di Luigi all'insaputa di Enrichetta e di Enrichetta all'insaputadi Luigiegli dettava le domande e le risposte

standosene nel bel mezzo di quell'amore tra marionette.

Barkilphedro era così sorridentecosì accomodantecosì incapace diprendere le difese di chiunquecosì poco fedele in

fondocosì bruttocosì malvagioche era inevitabile che un personaggioreale arrivasse al punto di non poter più fare a

meno di lui. Quando Anna ebbe assaggiato Barkilphedronon volle altriadulatori. Egli sapeva adularla come adulavano

Luigi il Grandepungendo gli altri. Poiché il re è ignorante - dice madamedi Montchevreuil - schernire i sapienti

diventa un obbligo.

Avvelenare di tanto in tanto le punture è il colmo di quell'arte. A Neronepiace vedere all'opera Locuste.Si penetra facilmente nei palazzi realinel lorointerno di madreporefatto di vie che il cortigiano roditore subito

intuiscepercorrefrugae se è necessario scava. Basta un pretesto perentrare. Barkilphedroche aveva come pretesto

una caricaarrivò in pochissimo tempo ad essere per la regina ciò che eraper la duchessa Josianeun indispensabile

animale domestico. Un giorno azzardò una parola che gli permise di capiresubito chi era la regina; seppe in che conto

andava tenuta la bontà di sua maestà. Alla regina piaceva molto il suo lordstewartWilliam Cavendishduca del

Devonshireun uomo molto imbecille. Questo lordche aveva tutte leonorificenze di Oxford e ignorava l'ortografiaun

bel mattino fece la sciocchezza di morire. Morire è una grande imprudenza acorteperché nessuno si fa più scrupoli nel

parlare di voi. Alla presenza di Barkilphedro la regina si lamentò perquella mortema alla fine esclamò sospirando: «È

un vero peccato che tante virtù fossero al servizio di un'intelligenza cosìmeschina!».

«Dieu veuille avoir son âne!»mormorò sottovoce Barkilphedro infrancese.

La regina sorrise. Barkilphedro prese nota di quel sorriso.

Ne concluse che essere mordaci pagava.

Il suo sarcasmo non ebbe più limiti.

A partire da quel giorno intrufolò la sua curiosità e la sua malignitàdovunque. Lo lasciavano faretanto ne avevano

paura. Chi fa ridere il refa tremare gli altri.

Era un buffone potente.

Ogni giorno avanzava sottoterra. C'era bisogno di Barkilphedro. Più di ungrande lo onorava della sua fiducia

incaricandoloall'occorrenzadi turpi commissioni.

La corte è un ingranaggio. Barkilphedro ne divenne il motore. Avete maiosservato come sia piccola la ruota motrice di

certi meccanismi?

Josiane in particolare utilizzava il suo talento di spiacome abbiamo dettoe nutriva una tale fiducia in lui che non

aveva esitato a consegnargli una delle chiavi segrete del suo appartamentocosì che egli poteva recarsi da lei in

qualsiasi momento. Questa eccessiva confidenza riguardo la propria vitaintima era di moda nel diciassettesimo secolo.

Si chiamava: dare la chiave. Josiane aveva dato due di quelle chiaviconfidenziali: una a lord Davidl'altra a

Barkilphedro.

Del restoarrivare all'improvviso nelle camere da letto non era per queitempi un fatto sorprendente. Ciò dava luogo a

incidenti. La Fertétirando bruscamente le tendine del letto dellasignorina Lafontvi trovò Sainsonmoschettiere nero

ecc.

Barkilphedro eccelleva nel fare quel tipo di perfide scoperte che mettono igrandi nelle mani dei piccoli. Avanzava

tortuosamente nell'ombracon astuta cautela. Come ogni spia che si rispettiaveva la spietatezza del carnefice e la

pazienza del micrografo. Era un cortigiano nato. Non c'è cortigiano che nonsia nottambulo. Il cortigiano si aggira nella

notte dell'onnipotenza. Tiene in mano una lanterna cieca. Illumina ciò chevuole restando nelle tenebre. Non cerca un

uomo con la lanternama una bestia. Troverà il re.

Ai re non piace che quelli attorno a loro vogliano essere grandi. Sonoaffascinati dall'ironia contro gli altri. Il talento di

Barkilphedro consisteva nello sminuire continuamente lords e principi afavore della maestà realeche ne guadagnava in

grandezza.

La chiave familiare che possedeva Barkilphedro era fornita di scontri aciascuna estremitàcosì che poteva aprire gli

appartamenti personali delle due residenze preferite di JosianeHunkerville-House a Londrae Corleone-lodge a

Windsor. I due pala zzi facevano parte dell'eredità Clancharlie.Hunkerville-House confinava con Oldgate. Oldgate era

la porta di Londra da cui si passava venendo da Harwicke dove era possibilevedere una statua di Carlo II con un

angelo dipinto sulla testa e con ai piedi le sculture di un leone e di unliocorno. Da Hunkerville-Housequando soffiava

il vento da estsi poteva sentire lo scampanio di Sainte-Marylebone.Corleone-lodge era un palazzo fiorentino in

mattoni e pietre con un colonnato di marmocostruito su palafitte a Windsorall'estremità del ponte di legno e con uno

dei più superbi cortili d'onore dell'Inghilterra.

In quest'ultimo palazzoattiguo al castello di WindsorJosiane era aportata di mano della regina. Tuttavia a Josiane

piaceva starvi.

L'influenza di Barkilphedro sulla regina aveva messo radicima nullatrapelava al di fuori. Non c'è niente di più difficile

che strappare le erbe cattive da corte; affondano molto nel terreno maesteriormente non offrono alcuna presa. Sarchiare

RoquelaureTriboulet o Brummelè quasi impossibile.

Giorno dopo giornoe sempre di piùla regina Anna prendeva a ben volereBarkilphedro.

Sarah Jennings è celebre; Barkilphedro è sconosciuto; il favore di cuigodette restò oscuro. Il nome di Barkilphedro non

è arrivato fino alla storia. Non tutte le talpe sono prese dal cacciatore.

Barkilphedroun tempo candidato alla carriera ecclesiasticaaveva studiatoun po' di tutto; sfiorare ogni cosa non porta

a nessun risultato. Si può anche essere vittime del omnis res scibilis.Avere sotto il cranio la botte delle Danai è

disgrazia comune a tutta una razza di studiosiche potremmo chiamare glisterili. Niente aveva potuto riempire il

cervello di Barkilphedro.

La mentecome la naturaha orrore del vuoto. La natura riempie il vuoto conl'amore; la mente spesso lo riempie con

l'odio. L'odio colma.

Esiste davvero l'odio per l'odio. L'arte per l'arte è un fatto naturale piùdi quanto si creda.

Si odia. Bisogna pur fare qualcosa.

L'odio gratuitoespressione formidabile. Perché vuol d ire che l'odio trovain sé la propria soddisfazione.

L'orso è contento di leccarsi gli unghioni.Ma non per sempre. Bisognarifornire questi unghioni. Bisogna dar loro qualcosa.

Odiare in modo indistinto è dolce e per qualche tempo può bastare; ma allafine bisogna trovare un oggetto per questo

odio. L'astio nei confronti di tutta la creazione si esaurisce come ognipiacere solitario. L'odio senza oggetto è come un

tiro senza bersaglio. Ciò che rende interessante il gioco è un cuore dacolpire.

Non si può odiare solo per onore. Ci vuole un condimentoun uomounadonnaqualcuno da distruggere.

Josiane fu complice inconsapevole di Barkilphedro e si prestò nel compitosquisito e orribiledi rendergli vivace il

giocodi offrirgli uno scopodi motivare l'odio facendone una passionedidivertire il cacciatore mostrandogli una

preda vivadi far intravedere a chi sta in agguato il tiepido e fumanteribollio del sangue che sta per scorreredi

illuminare l'uccellatore con la credulità inutilmente alata dell'a llodoladi essere una bestia segretamente allevata da uno

spirito per il solo scopo di uccidere.

Il pensiero è un proiettile. Fin dal primo giorno Barkilphedro aveva miratoa Josiane con cattive intenzioni. L'intenzione

e lo schioppo si assomigliano. Barkilphedro si trattenevapuntando contro laduchessa tutta la sua segreta malvagità. Vi

stupisce? Cosa vi ha fatto l'uccello contro cui sparate? È per mangiarlorispondete. Anche Barkilphedro la pensava così.

Josiane non poteva essere colpita al cuoredifficilmente un enigma èvulnerabilema poteva essere raggiunta alla testa

cioè nell'orgoglio.

Là dove si credeva forte era più debole.

Barkilphedro lo aveva capito.

Se Josiane avesse potuto far luce nelle tenebre di Barkilphedrose avessepotuto distinguere ciò che si nascondeva

dietro a quel sorrisoleicosì fieracosì in altoprobabilmente avrebbetremato. Fortunatamentealmeno per la pace dei

suoi sonniignorava del tutto chi era quell'uomo.

L'imprevisto debordanon si sa dove. Le profonde segrete della vita sonodavvero temibili. Non esiste un odio piccolo.

L'odio è sempre enorme. Anche nell'essere più minuto mantiene la suastaturache è quella di un mostro. Un odio vale

tutto quanto l'odio. Un elefante odiato da un formica è in pericolo.

Ancor prima di aver colpitoBarkilphedro assaporava con piacere lamalvagità dell'azione che voleva commettere. Per

il momento ignorava cosa avrebbe fatto contro Josiane. Ma era intenzionato afare qualcosa. Come progetto era già

molto.

Annientare Josiane sarebbe stato un successo eccessivo. Non ci sperava. Maumiliarlagettarla nella desolazionefar

diventar rossi dalla rabbia quegli occhi superbiecco un buon risultato. Cicontava. Tenacecoscienziosofedele nel

tormentare gli altriimplacabilenon per nulla la natura l'aveva fattocosì. Egli voleva scovare il punto debole

nell'armatura dorata di Josianefar sgorgare il sangue di quell'essereimperturbabile. Che vantaggioinsistiamogli

sarebbe venuto? Un enorme vantaggio. Fare del male a chi gli aveva fatto delbene.

Cos'è un invidioso? È un ingrato. Egli detesta la luce che lo illumina e loriscalda. Zoilo odia la fonte delle sue fortune

Omero.

Far subire a Josiane ciò che oggi chiameremmo una vivisezionepoternedisporre mentre si contorce sul tavolo

d'anatomiasezionarla vivaper il piacere di un qualsiasi atto chirurgicodilaniarla da dilettante mentre urlaquesto era

il sogno che affascinava Barkilphedro.

Per arrivare a questo risultato avrebbe dovuto soffrire un po'ma la cosanon gli sarebbe dispiaciuta. Ci si può pizzicare

con la propria tenaglia. Che importa se il coltello piegandosi vi taglia ledita! Rimanere un po' preso nella tortura di

Josiane non lo avrebbe preoccupato. Il carnefice che maneggia il ferrorovente si brucia inevitabilmente anche luima

non vi fa caso. L'altro soffre di piùper questo non si sente nulla. Vedereil suppliziato che si contorce vi toglie il

dolore.

Fai ciò che nuoceavvenga quel che può.

Costruire il male significa accettare una cupa responsabilità. Il pericoloche facciamo correre agli altri rischia di

coinvolgerciperché l'intreccio dei fatti può portare a crolli imprevisti.Ma questo non ferma il vero malvagio.

L'angoscia della vittima diventa il suo piacere. Lo strazio lo solletica;solo nell'orrore il malvagio è contento. Il

riverbero del supplizio è la sua salute. Il duca d'Alba si riscaldava lemani sui roghi. Fuocodolore; riflessopiacere. C'è

da rabbrividire al pensiero che siano possibili simili trasposizioni. Esistein noi un lato tenebroso che non è sondabile.

Supplizio squisitoquesta espressione si trova in Bodinforse con untriplice significato: ricerca del tormentosofferenza

del tormentatovoluttà del tormentatore. Ambizioneappetitoqueste parolesignificano che qualcuno viene sacrificato

perché qualcun'altro ne provi piacere. È ben triste pensare che la speranzapossa avere la forma della perversione.

Volerne a qualcuno significa volere il suo male. Perché non volere il suobene? Forse che la nostra volontà è

essenzialmente malvagia? Una delle più ingrate fatiche del giusto consistenel togliersi ogni volta dall'anima una

cattiveria inesauribile. Quasi tutti i nostri desiderise li esaminiamosono inconfessabili. Per il perfetto malvagioe

questo tipo di orribile perfezione esiste«tanto peggio per gli altri»significa «tanto meglio per me». Oscurità dell'uomo.

Caverne.

Josiane aveva quell'intrepida sicurezza che è data da un orgoglio fattod'ignoranza e di disprezzo per tutto. Le donne

hanno uno straordinario talento nel disprezzare. Disprezzo inconsapevoleinvolontario e fiduciosoecco cos'era Josiane.

Per lei Barkilphedro era quasi un oggetto. Si sarebbe stupita davvero se leavessero detto che esisteva un certo

Barkilphedro.

Andava e veniva ridendodavanti allo sguardo obliquo di quell'uomo.

Egliassortoaspettava l'occasione.Col passare del tempo aumentava la suadeterminazione di gettare la vita di quella donna nella disperazionequalunque

fosse.

Agguato inesorabile.

D'altronde sapeva trovare per se stesso degli eccellenti motivi. Non bisognacredere che i furfanti non si tengano in

considerazione. Essi si giustificano nel corso di alteri monologhie conquale superbia. Ma come! Quella Josiane si era

permessa di fargli l'elemosina! Gli aveva lasciato caderecome se fosse unmendicantepochi quattrini della sua enorme

ricchezza! L'aveva fissato e inchiodato a un posto inutile! Se luiBarkilphedroquasi un uomo di chiesadalle

multiformi e profonde capacitàaveva come compito di registrare dei coccibuoni per grattare la rogna di Giobbese

passava la vita in una topaia d'archivio a stappare seriamente delle stupidebottiglie incrostate con tutto il sudiciume del

maree a decifrare pergamene ammuffiteoscure putrefazionila feccia deitestamenti e chissà quali sciocchezze

illeggibilitutto questo accadeva per colpa di quella Josiane. Ma come! Eaveva il coraggio di dargli del tu!

E non avrebbe dovuto vendicarsi!

Non avrebbe dovuto punire quella razza!

Ahquesta poi! Dunque non c'è più giustizia a questo mo ndo!

X • LO SFAVILLIO CHE VEDREMMO SE L'UOMO FOSSE TRASPARENTE

Come! Quella donnaquella stravagantequella sognatrice lubricaverginefino alla prima occasionequel pezzo di

carne che ancora non si era offertaquella sfrontata con in capo una coronaprincipescaquella Diana orgogliosa non

ancora presa dal primo venutoammettiamoloforsecosì si dice e ci credoin mancanza dell'opportunitàlei bastarda

d'una canaglia di re che non era stato capace di restare al suo postoduchessa per sbaglio chenata nobilesi credeva

una deama che se fosse nata povera sarebbe stata una prostitutaquellacaricatura di ladyladra dei beni di un

proscrittostracciona altezzosaera stata lei che un giorno quando luiBarkilphedronon aveva di che mangiare ed era

senza un tettoaveva avuto l'impudenza di farlo sedere a un angolo della suatavolae poi di cacciarlo in un buco

qualsiasi del suo insopportabile palazzoe dove? Non importa doveforse insoffittaforse in cantinaa chi interessa?

Un po' meglio dei serviun po' peggio dei cavalli! Aveva approfittato dellasua miseriadella miseria di lui

Barkilphedroper affrettarsi a fargli un favorea tradimentocome fanno iricchi per umiliare i poveriper tenerseli

vicino come dei bassotti che si portano al guinzaglio! E cosa le costava poiquel favore? Un favore vale quello che

costa. Le crescevano delle camere in casa. Venire in aiuto di Barkilphedro!Bello sforzo aveva fatto! Aveva rinunciato a

un solo cucchiaio della sua minestra di tartaruga? Si era forse privata diqualcosa in quell'odioso straripare di superfluo?

No. Aveva aggiunto al superfluo una sua vanitàun oggetto di lussounabuona azione come un anello al ditoaveva

soccorso un uomo d'ingegnoprotetto un clergyman! Poteva darsi delle ariedire: sono prodiga in buone azioni

imbocco i letteratili proteggo! Quel miserabile è stato fortunato atrovarmi! Che amica delle arti sono! E tutto questo

per aver fatto preparare una branda in un brutto stanzino sotto il tetto!Quanto al posto all'ammiragliatoquesto lo

doveva proprio a Josianeche diamine! Bell'occupazione! Josiane aveva fattodi Barkilphedro quello che era. Sìed era

un nulla. Meno che nulla. Perché con quel ridicolo incarico egli si sentivapiegatoanchilosato e contraffatto. Cosa

doveva a Josiane? La riconoscenza di un gobbo per la madre che lo ha fattodeforme. Ecco i privilegiatile persone

soddisfattei nuovi ricchii prediletti da una sorte odiosa e matrigna!Mentre luiBarkilphedroun uomo d'ingegnoera

costretto a tirarsi da parte sulle scalea salutare i lacchéa salire lasera un mucchio di gradinie a essere cortese

premurosogentiledeferentegradevolee a tenersi sempre una smorfia dirispetto sul muso! E non c'è di che

schiantare dalla rabbia! E in tutto quel tempo lei si metteva le perle alcollofaceva la smorfiosa con quell'imbecille di

lord David Dirry-Moirla sgualdrina!

Non permettete mai che vi facciano un favore. Ne abuseranno. Non lasciatevicogliere in flagrante delitto d'inedia. Vi

porteranno conforto. Gli era bastato non avere del panee quella donna avevatrovato un pretesto sufficiente per dargli

da mangiare! Ormai era il suo domestico! Un cedimento dello stomaco ed eccoviincatenato per tutta la vita! Essere

riconoscente significa essere sfruttato. I fortunatii potentinonaspettano che il momento in cui voi tendete la mano per

mettervi dentro un soldoe un attimo di viltà da parte vostra per farvischiavie schiavi della peggior specieschiavi

della caritàschiavi costretti ad amare! Che infamia! Che grossolanità!Che affronto alla nostra dignità! È finitaeccovi

condannato per sempre a trovare buono quell'uomo e bella quella donnaarimanere in secondo piano come si addice

agli inferioriad approvaread applaudiread ammiraread incensareaprosternarvia farvi venire i calli sulle

ginocchia a forza di genuflessionia inzuccherare le parole quando vi rodela colleraquando vi tenete nel gozzo grida

di furoree quando sentite dentro una forza selvaggia e una schiuma amarapiù grandi di quelle dell'oceano.

Così i ricchi imprigionano il povero.

La buona azione commessa a vostro danno è un vischio che vi imbratta e viimpantana per sempre.

Un'elemosina è irrimediabile. La riconoscenza paralizza. Il favore aderiscein modo vischioso e ripugnantee vi toglie

ogni libertà di movimento. Lo sanno bene quegli esseri odiosiopulenti erimpinzati che imperversano su di voi con la

loro pietà. Presto fatto. Siete una loro cosa. Vi hanno comprato. Come? Conun osso che hanno preso al loro cane per

darlo a voi. Vi hanno lanciato quell'osso sulla testa. Vi lapidavano mentrevi soccorrevano. Che importa. Avete

rosicchiato l'ossosì o no? Vi hanno dato una cuccia. Dunque ringraziate.Ringraziate per sempre. Adorate i vostri

padroni. Genuflessione infinita. Il favore implica che voi accettiate lavostra inferiorità. Essi esigono che vi sentiate un

povero diavolo e che li riconosciate come dei. Il vostro abbassarvi liinnalza. Il vostro chinarvi li fa più diritti. Nel

suono della loro voce c'è una dolce punta d'impertinenza. Le lorocircostanze familiarimatrimonibattesimila donnaincintale nascitesonotutte cose che vi riguardano. Nasce loro un lupacchiottobenecomporrete unsonetto. La viltà

vi fa poeta. E non ci sarebbe di che far crollare le stelle! Ancora un po' eriuscirebbero a farvi portare le loro scarpe

vecchie!

«Chi è quel tipo che tenete in casamia cara? Com'è brutto! Che razzad'uomo è?».

«Non soè uno scribacchino che mantengo».

Così parlano tra di loro queste oche. E non si curano nemmeno di abbassarela voce. Voi sentite ma non vi muovete

dalla vostra meccanica amabilità. Del restoquando siete malato i padronivi mandano il medico. Non il loro. In quel

caso s'informano sulle vostre condizioni. Non essendo della vostra stessaspecieed essendo inaccessibilisi permettono

di essere affabili. La loro altezza li rende abbordabili. Sanno bene che nonè possibile alcuna parità. A forza di disprezzo

sono educati. A tavola si rivolgono a voi con un piccolo cenno del capo. Avolte conoscono perfino l'ortografia del

vostro nome. Non rivelano la protezione che esercitano su di voi se noncalpestando ingenuamente tutto ciò che avete di

suscettibile e delicato. Vi trattano con bontà!

Non è abbastanza abominevole?

Dunqueera urgente punire quella Josiane. Doveva farle capire con chi avevaa che fare! Ah! Signori ricchi voi

chiamate munificenza il pastone che gettate ai poveri solo perché non poteteconsumare tuttoperché l'opulenza

finirebbe in indigestionedato che i vostri stomaci sono piccoli come inostrie dopo tutto perché è meglio distribuire

gli avanzi piuttosto che perderli. Ah! Voi ci date paneun tettoci date ivestitici date un lavoroe questo vi spinge a

un tal grado di audaciadi folliadi crudeltà e di assurda stupiditàdafarvi credere che noi dobbiamo esservi grati!

Questo pane è un pane da schiaviquesto tetto è la stanza del servoquesti abiti sono livreequesto lavoro è una beffa

pagatad'accordoma vergognosa! Ah! Credete di avere il diritto diumiliarci con vitto e alloggiovoi immaginate che

noi vi siamo debitori e contate sulla nostra riconoscenza! Ma noi vimangeremo la pancia! Ehsì! Vi strapperemo le

budellacara signoravi divoreremo vivacon i denti vi taglieremo i nervidel cuore!

Quella Josiane! Non era un mostro? Che merito aveva? Il suo capolavoro eraconsistito nel venire al mondo per

testimoniare la stupidità del padre e la vergogna della madreci facevaquasi il favore di esisteree questa gentilezza che

era uno scandalo pubblico le veniva pagata milionipossedeva terre ecastelliconigliereriserve di caccialaghiforeste

e che altro? E con tutto ciò era stupida! Le dedicavano dei versi! MentreluiBarkilphedroche aveva studiato e

lavoratoche si era dato da fareche si era ficcato dei gran libri negliocchi e nel cervelloche si era rovinato sui vecchi

testi e sulla scienzache aveva un'intelligenza smisuratain grado dicomandare interi eserciti e di scrivere tragedie

come Otway e Drydensolo che lo avesse volutolui che era nato per essereun imperatoresi era ridotto a permettere

che una nullità totale gli impedisse di crepare di fame! Poteva forsespingersi oltre l'usurpazione di questi ricchi

maledetti figli della fortuna! Fingere di essere generosi con noiproteggerci e sorriderciproprio a noi che volentieri

berremmo il loro sangue per poi leccarci le labbra! Che una miserabile damadi corte disponga dell'odioso potere di

beneficarci e cheal contrarioun uomo superiore sia condannato araccogliere le briciole che cadono da quella mano

c'è forse qualcosa di più spaventosamente ingiusto? E che società quellache arriva a fondarsi su una simile

diseguaglianza e ingiustizia! Non sarebbe il caso di prendere tutto in unavolta e di mandarlo all'ariacosì come vienela

tovaglia con il pranzo e l'orgial'ebbrezza e l'ubriachezzae i convitatiquelli che stanno con i gomiti sulla tavola e

quelli che vi si accucciano sottoe poi gli insolenti che elargiscono e gliidioti che accettanoe risputare tutto in faccia a

Dioe scagliare la terra in cielo! Nell'attesaaffondiamo gli artigli suJosiane.

Questo pensava Barkilphedro. Questi erano i ruggiti che aveva nell'anima. Gliinvidiosi hanno l'abitudine di assolversi

mescolando il risentimento personale ai mali pubblici. In quella feroceintelligenza andava e veniva ogni sorta di

passione selvaggia e odiosa. In un angolo dei vecchi mappamondi del XV secoloc'è un ampio spazio vagosenza forma

e senza nomedove si trovano scritte queste tre parole: Hic sunt leones.Anche nell'uomo c'è un simile angolo scuro. In

qualche parte di noi le passioni si aggirano ringhiandoanche di un certolato scuro della nostra anima si può dire: Qui

ci sono i leoni.

Era del tutto assurdo quell'insieme di ragionamenti primitivi? Mancava forsedi un certo giudizio? Nodobbiamo

ammetterlo.

È spaventoso pensare che il giudizio che ci portiamo dentro non è lagiustizia. Il giudizio è relativo. La giustizia è

l'assoluto. Riflettete sulla differenza tra un giudice e un giusto.

I malvagi malmenano la coscienza con autorità. C'è una vera ginnastica delfalso. Il sofista è un falsarioe se capita

questo falsario sa brutalizzare il buon senso. Il male dispone di una certalogica duttilissimainesorabile e agilissima

con cui eccelle nell'arte di ferireal riparo delle tenebrela verità.Sono i pugni sinistri che Satana dà a Dio.

Quel tale sofistaammirato dagli sciocchinon ha altra gloria che averprocurato dei «lividi» alla coscienza umana.

Il fatto desolante è che Barkilphedro presentiva un fallimento. Stavaintraprendendo un vasto lavoro macosì almeno

temevaper un danno marginale. Essere un uomo corrosivoavere in sé unavolontà d'acciaioun odio adamantino

un'ardente curiosità della catastrofee non avere niente da bruciareniente da decapitareniente da sterminare! Essere

ciò che erauna forza di devastazioneuna vorace animositàun roditoredella felicità altruiessere stato creato - (perché

un creatore esistenon importa se il diavolo o Dio!) - essere stato creatodi sana pianta Barkilphedroper non arrivare a

dare forse che un solo buffetto; è mai possibile! Barkilphedro fallirebbe ilcolpo! Essere una macchina fatta per lanciare

blocchi di rocciae dispiegare tutta la propria forza per fare un bernoccoloin fronte a una smorfiosa! Una catapulta che

fa il danno di un buffetto! Compiere una fatica di Sisifo per un risultato daformica? Sudare tutto il proprio odio quasi

per niente! È abbastanza umiliante quando si è una macchina d'odio capacedi frantumare il mondo! Mettere in

movimento tutti gli ingranaggifare nell'ombra un fracasso da macchina diMarlyper riuscireforsea pizzicare lapunta di un roseo ditino! Girava erigirava dei blocchi per arrivare a increspare un po'forsela piattasuperficie di corte!

È una mania di Dio quella di disperdere senza misura le forze. Una montagnasi muove per mandare all'aria la buca di

una talpa.

E poitrattandosi della corteche è un terreno bizzarronon c'è nientedi più pericoloso che mirare il proprio nemico e

mancarlo. Prima di tutto ciò vi smaschera davanti al vostro nemicoirritandolo; inoltree soprattuttociò dispiace al

padrone. Ai re non vanno le persone maldestre. Niente contusioni; né brutticazzotti. Potete sgozzare chiunquema non

fate sanguinare il naso a nessuno. Chi uccide è abilechi ferisce èinetto. Ai re non piace che si azzoppino i loro

domestici. Non vi perdonano sia che gli incriniate una porcellana sulcaminettoche un cortigiano del loro seguito. La

corte deve restare pulita. Rompete e sostituite; si fa così.

Questo d'altra parte si concilia perfettamente con il gusto per la maldicenzache hanno i principi. Potete parlar malenon

fare il male. Mase voletefatelo in grande.

Pugnalatema non graffiate. A meno che la spilla non sia avvelenata. Questaè una circostanza attenuante. Questo

ricordiamoloera il caso di Barkilphedro.

Ogni pigmeo che odia è la fiala dove sta rinchiuso il drago di Salomone.Fiala microscopicadrago smisurato.

Condensazione formidabile in attesa della gigantesca ora della dilatazione.Noia che la premeditazione dell'esplosione

consola. Il contenuto è più grande del contenente. Un gigante latentechestranezza! Un acaro che racchiude un'idra!

Essere una spaventosa scatola a sorpresaportare in sé Leviathanchevoluttuosa tortura per un nano.

Così niente avrebbe fatto mollare la presa a Barkilphedro. Aspettava il suomomento. Sarebbe arrivato? Che importa.

Lo aspettava. La grande malvagità è fatta d'amor proprio. Scavare buchi efosse sotto una fortuna che a corte sta più in

alto di noiminarla a proprio rischio e pericolopur rimanendo nascostièe va sottolineatouna cosa interessante. Ci si

appassiona a un gioco simile. Ci si fa prendere come se scrivessimo un poemaepico. Essere piccolis simi e affrontare

qualcuno molto più grande è un'azione formidabile. È bello essere la pulcedi un leone.

La bestia superba si sente punta e scatena la sua enorme collera control'atomo. L'incontro con una tigre l'infastidirebbe

di meno. E così i ruoli s'invertono. Il leone porta nella carne l'umiliantepungiglione dell'insettoe la pulce può dire: ho

in me il sangue del leone.

Ma per l'orgoglio di Barkilphedro questo non era che un sollievo a metà.Consolazioni. Palliativi. Punzecchiare è

qualcosama è meglio torturare. Alla mente di Barkilphedro tornavacontinuamente lo spiacevole pensiero checon

ogni probabilitàil suo unico successo sarebbe consistito nello scalfire unpo' l'epidermide di Josiane. Che altro poteva

sperare di piùlui così infimo contro lei così radiosa? Un graffio ètroppo poco per chi vorrebbe tutta la porpora della

scorticatura vivae i ruggiti di una donna più che nudauna donna senzapiù neppure la camicia della pelle! Quando si

hanno simili desideri è increscioso essere impotenti! Ahimè! Niente èperfetto.

Insommasi rassegnava. Non potendo fare di megliosognava il suo sogno ametà. Giocare un brutto tiro è pur sempre

qualcosa.

Che uomoquello che sa vendicarsi di un favore. Di solito l'ingratitudineconsiste nel dimenticare; ma nei campioni del

male diventa furore. L'ingrato volgare è colmo di cenere. Ma cosa riempivaBarkilphedro? Una fornace. Una fornace

murata d'odiodi colleradi silenziodi rancorein attesa del suocombustibileJosiane. Mai un uomo aveva provato

tanto orrore per una donnae senza motivo. Che cosa terribile! Lei era lasua insonniala sua preoccupazioneil suo

tormentola sua rabbia.

Forse ne era un po' innamorato.

XI • BARKILPHEDRO IN AGGUATO

Trovare il punto debole di Josiane e lì colpirla; questa eraper tutti imotivi che abbiamo dettol'imperturbabile volontà

di Barkilphedro.

Volere non basta; bisogna potere.

Da che parte iniziare?

Quello era il problema.

I mascalzoni di poco conto preparano accuratamente il canovaccio del delittoche vogliono commettere. Non si sentono

abbastanza forti per cogliere l'occasione quando si presentaperimpossessarsene con le buone o con le cattivee per

piegarla ai loro progetti. Da qui nascono quei calcoli preliminari che i verimalvagi disprezzano. I veri malvagi sono

sempre prontia prioricon la loro malvagità; si limitano adarmarsi di tutto puntohanno scorte multiformi ecome

Barkilphedrospiano tranquillamente l'occasione. Sanno bene che un pianopreparato in anticipo rischia di non adattarsi

alle situazioni che si presenteranno. Non si comanda alle possibilità e nonsi può fare ciò che si vuole. Non si viene a

patti preventivi col destino. Il domani non ci obbedisce. Il caso è alquantoindisciplinato.

Così gli fanno la postaper domandargli la sua collaborazione senzapreambolisul campo e con autorità. Nessun piano

nessun disegnoniente progettinessuna scarpa già pronta che poil'imprevisto non riesce a calzare. Essi si tuffano a

picco nelle nefandezze. Approfittare con tempestività di qualsiasi fatto chepossa essere d'aiuto dipende da quell'abilità

che distingue il malvagio efficacee che eleva il furfante alla dignità diun demonio. Ci vuole del genio per assecondare

il destino.

Il vero scellerato vi colpisce come una fiondacon il primo sasso che glicapita.

I malfattori abili contano sull'imprevistoattonito aiutante di tanticrimini.

Agguantare l'occasionesaltarle addosso; non c'è altra Poetica in questogenere di talento.Enell'attesasapere con chi si ha a che fare. Sondare ilterreno.

Il terreno di Barkilphedro era la regina Anna.

Barkilphedro era vicino alla regina.

Tanto vicino chea voltecredeva di udire i monologhi di sua maestà.

Qualche volta assistevacome se non ci fossealle conversazioni tra le duesorelle. Non gli veniva proibito di lasciar

cadere una parola. Egli ne approfittava per mostrarsi umile. Era un modo perispirare confidenza.

Fu così che un giornonel giardino di Hampton-Courtstando dietro laduchessache era dietro la reginaudì Anna

mentre sentenziava; seguendo rozzamente la moda.

«Le bestie sono fortunate»diceva la regina«perché non rischiano diandare all'inferno».

«Vi sono già»rispose Josiane.

La rispostache sostituiva bruscamente la filosofia alla religionenonpiacque. Se per caso c'era qualche intenzione

profondaAnna ne rimaneva urtata.

«Mia cara»disse Josiane«noi parliamo dell'Inferno come due sciocche.Domandiamo a Barkilphedro come stanno le

cose. Lui deve intendersene di questi problemi».

«Come diavolo?»domandò Josiane.

«Come bestia»rispose Barkilphedro.

E salutò.

«Signora»disse la regina a Josiane«egli è più in gamba di noi».

Per un uomo come Barkilphedrostare vicino alla regina significava tenerlain pugno. Poteva dire: è mia. Ora gli

mancava l'occasione di servirsene.

Aveva voce a corte. Che cosa superba essere in agguato. Nessuna occasionepoteva sfuggirgli. Più di una volta aveva

provocato il perfido sorriso della regina. Era come avere un permesso dicaccia.

Ma c'erano limiti alla selvaggina? Quel permesso di caccia si sarebbe spintofino a concedergli di spezzare un'ala o una

zampa a qualcuno come la sorella in persona di sua maestà?

Primo punto da chiarire. La regina amava sua sorella?

Un passo falso può rovinare tuttoBarkilphedro stava ad osservare.

Prima di iniziare la partita il giocatore guarda le sue carte. Quali sono lesue possibilità? Barkilphedro incominciò con

l'esaminare l'età delle due donne: Josianeventitré anni; Anna quarantuno.Bene. Le sue carte erano buone.

Il momento in cui la donna smette di contare per primavere e inizia a contareper inverniè irritante. Si cova dentro di sé

un sordo rancore. Le giovani dalla bellezza rigogliosache sono un profumoper gli altriper voi sono spinee di tutte

quelle rose voi non sentite che le punture. È come se tutta quellafreschezza fosse stata presa a voicome se il diminuire

della vostra bellezza dipendesse dal crescere di quella degli altri.

Sfruttare quel cattivo umore segretoapprofondire le rughe di una donna diquarant'anni che è reginaquesta era la

strada maestra di Barkilphedro.

L'invidia è brava nell'eccitare la gelosiacome il topo nel far uscire ilcoccodrillo.

Lo sguardo magistrale di Barkilphedro era incollato su Anna.

Egli guardava dentro la regina come in un'acqua stagnante. Anche le paludihanno una loro trasparenza. Nell'acqua

sporca si vedono i vizi; nell'acqua torbida le inezie. Anna era solo un'acquatorbida.

Nell'ottusità di quel cervello si muovevano embrioni di sentimenti e larvedi idee.

Qualcosa d'indistinto. Contorni appena abbozzati. Erano comunque dellerealtàma informi. La regina pensava questo.

La regina desiderava quest'altro. Era difficile precisare cosa. Non èagevole studiare le trasformazioni confuse che

avvengono nell'acqua stagnante.

La reginadi carattere solitamente ombrosoaveva ogni tanto delle uscitestupide e brusche. A quelle bisognava

attaccarsi. Bisognava coglierla sul fatto.

Cosa provava la regina Anna nel proprio intimo nei confronti della duchessaJosiane? Le voleva bene o l'odiava?

Un bel problema. Barkilphedro se lo pose.

Una volta risoltoci si potrebbe spingere più lontano.

Diverse circostanze fortuite aiutarono Barkilphedro. Ma soprattutto la suatenacia nel restare in agguato.

Da parte del maritoAnna aveva una mezza parentela con la nuova regina diPrussiala moglie del re dai cento

ciambellanidi cui aveva un ritratto dipinto su smaltosecondo ilprocedimento di Turquet de Mayerne. Anche la regina

di Prussia aveva una sorella minore illegittimala baronessa Drika.

Un giorno in cui Barkilphedro era presenteAnna rivolse all'ambasciatore diPrussia alcune domande su quella Drika.

«Passa per ricca?».

«Ricchissima»rispose l'ambasciatore.

«Possiede dei palazzi?».

«Più splendidi di quelli della regina sua sorella».

«Chi deve sposare?».

«Un gran signoreil conte Gormo».

«Bello?».

«Affascinante».

«E lei è giovane?».

«Giovanissima».«Bella come la regina?».

L'ambasciatoreabbassando la vocerispose:

«Più bella».

«Che insolenza»mormorò Barkilphedro.

La regina tacquepoi esclamò:

«Queste bastarde!».

A Barkilphedro non sfuggì quel plurale.

Un'altra voltamentre uscivano dalla cappella e Barkilphedro era vicinissimoalla reginaappena dietro i due grooms

dell'elemosinerialord David Dirry-Moir attraversò alcune file di donnefacendo sensazione per il suo bell'aspetto. Al

suo passaggio si levò un gran clamorele donne esclamavano: «Com'èelegante!» - «Com'è galante!» - «Che

portamento!» - «Com'è bello!».

«Com'è sgradevole!»borbottò la regina.

Barkilphedro udì.

Era chiaro.

Si poteva dunque nuocere alla duchessa senza dispiacere alla regina.

Il primo problema era risolto.

Adesso toccava al secondo.

Come fare per nuocerle?

Che risorsa poteva offrirgli per uno scopo così difficile il suo miserabileimpiego?

Evidentemente nessuna.

XII • SCOZIAIRLANDA E INGHILTERRA

Aggiungiamo un dettaglio: Josiane «aveva la ruota».

È comprensibilese pensiamo cheper quanto illegittimaera pur sempresorella della reginacioè una principessa.

Avere la ruota. Che significa?

Il visconte di Saint John - pronunciate Bolingbroke - scriveva a ThomasLennardconte di Sussex: «Sono due i segni

della grandezza. Avere la ruota in Inghilterra; avere il per inFrancia».

Il perin Franciavoleva dire: quando il re era in viaggioe versosera si era arrivati a destinazioneil furiere di corte

assegnava le camere alle persone del seguito. Alcuni di loro godevano di unimmenso privilegio: «Essi hanno il pe

dice il Giornale Storico dell'anno 1694a pagina 6«il che significa cheil furiere che annota gli alloggi mette un Per

davanti al loro nomecome: Per il signor principe di Soubisementrequando annota l'alloggio di qualcuno che non è

principenon mette il Perma semplicemente il suo nomeper esempio:il duca di Gesvresil duca di Mazarin ecc.». Il

Per su una porta indicava un principe o un favorito. Favoritoè peggiodi principe. Il re concedeva il per come l'ordine

di Santo Spirito o la parìa.

«Avere la ruota» in Inghilterra era un fatto meno di vanità che disostanza. Era il segno di un'autentica familiarità con la

persona regnante. Chiunqueper nascita o per concessionefosse incondizione di ricevere comunicazioni dirette da sua

maestàaveva nel muro della propria camera da letto una ruota con uncampanello. Il campanello suonavala ruota

giravae appariva il messaggio realesu un vassoio d'oro o su un cuscino divellutopoi la ruota si richiudeva. Era una

cosa intima e solenne. Il mistero nell'intimità familiare. La ruota nonserviva ad altro. Il suo scampanellio annunciava

un messaggio del re. Non si vedeva chi lo portava. Del resto si trattavasemplicemente di un paggio del re o della regina.

Leicester aveva la ruota sotto Elisabettae Buckingham sotto Giacomo I.Josianebenché non si possa certo parlare di

una favorital'aveva sotto Anna. Avere la ruota era come essere incomunicazione diretta con il cieloogni tanto Dio in

persona inviava una lettera tramite il suo postino. Era l'eccezione piùinvidiata. Un privilegio che comportava un

maggior servilismo. Si diventava un po' più lacché. A corteciò che elevaabbassa. «Avere la ruota» lo si diceva in

francese; questo particolare dell'etichetta inglese derivava probabilmente dauna vecchia consuetudine francese.

Lady Josianevergine pari come Elisabetta era stata vergine reginaconduceva un'esistenza quasi principescasia in

città che in campagnatenendo una specie di cortedove lord David e moltialtri erano cortigiani. Dal momento che non

erano ancora sposatilord David e lady Josiane potevanosenza coprirsi diridicolomostrarsi insieme in pubblicocosa

che facevano volentieri. Si recavano spesso a teatro e alle corse con lastessa carrozza e nel medesimo palco. A

raffreddarli era proprio quel matrimonionon solo permessoma imposto;insomma trovavano divertente vedersi. Le

libertà che si concedono agli «engaged» hanno frontiere facilmentesuperabili. Essi se ne astenevanoperché ciò che è

facile è di cattivo gusto.

A quel tempo i migliori incontri di pugilato si tenevano a Lambethlaparrocchia dove l'arcivescovo di Canterbury

possiede un palazzobenché vi sia un'aria malsanae una ricca bibliotecachea certe oreè aperta ai galantuomini. Una

voltad'invernoproprio lìin un angolo di prato chiuso a chiaveci fuun combattimento tra due uominia cui assistette

Josianeaccompagnata da David. Aveva domandato: «Sono ammesse le donne?».David aveva risposto: «Sunt foeminae

magnates». Traducendo liberamente: Non le borghesi. Traduzioneletterale: Le gran dame sono una realtà a parte. Una

duchessa entra dovunque. Così lady Josiane assistette all'incontro.

La sola concessione di lady Josiane fu un abito da cavalierecosa molto dimoda a quei tempi. Le donne non

viaggiavano quasi altrimenti. Su sei persone del coach di Windsorerararo che non ci fossero almeno una o due donne

vestite da uomini. Era un segno di gentry.Poiché lord David era incompagnia di una donnaegli non poteva figurare nell'incontropoteva soloassistervi.

Lady Josiane tradiva la sua condizione solo per il fatto di guardareattraverso un occhialinoatteggiamento questo da

signori.

Il «nobile incontro» era presieduto da lord Germainebisnonno o prozio diquel lord Germaine cheverso la fine del

diciottesimo secolofu colonnellofuggì durante una battagliapoi divenneministro della guerra e non sfuggì ai

proiettili del nemico che per cadere sotto i sarcasmi di Sheridancolpi benpiù terribili. C'erano molti gentiluomini che

scommettevano; Harry Bellew di Carletonche aspirava alla paria estinta diBella-Aquacontro Henrylord Hyde

membro del parlamento per il borgo di Dunhividchiamato anche Launceston;l'onorevole Peregrine Bertiemembro

per il borgo di Trurocontro sir Thomas Colepepermembro per Maidstone; il lairddi Lamyrbauche appartiene alla

marca di Lothiamcontro Samuel Trefusisdel borgo di Penryn; sirBartholomew Gracedieudel borgo Saint-Yves

contro il molto onorevole Charles Bodvilleche si chiama lord Robarteseche è Custos Rotulorum della contea di

Cornovaglia. E altri ancora.

I due pugili erano un irlandese di Tipperarychiamato Phelem-ghe-madone dalnome della montagna dove era natoe

uno scozzese chiamato Helmsgail. Erano di fronte due orgogli nazionali.Irlanda e Scozia stavano per picchiarsi; Erin si

preparava a sferrare pugni contro Gajothel. Le scommesse superavano lequarantamila ghineesenza contare le giocate

fisse.

I due campioni erano nudicon calzoncini cortissimi allacciati sui fianchie con stivaletti a suole chiodate allacciati alle

caviglie.

Helmsgaillo scozzeseera un piccoletto di soli diciannove annima con lafronte già piena di cicatrici; per questo era

quotato a due e un terzo. Il mese prima aveva sfondato una costola e cavatogli occhi a un pugile di nome

Sixmileswater; ciò spiegava l'entusiasmo nei suoi confronti. Quelli cheavevano scommesso per lui avevano guadagnato

dodicimila sterline. Oltre alle cicatrici della fronteHelmsgail aveva unamascella fratturata. Egli era svelto e vivace.

Era alto come un donninotarchiatotozzobasso di statura e minacciosoniente era andato perso della stoffa di cui era

fatto; non un muscolo che servisse ad altro tranne che al pugilato. Lacoincisione di quel torso fermolucido e bruno

come il bronzo. Quando sorrideva il suo sorriso si arricchiva dei tre dentiche gli mancavano.

Il suo avversario era grande e largocioè debole.

Era un uomo di quarant'anni. Era alto sei piediaveva il petto di unippopotamo e l'aspetto mite. Un suo pugno avrebbe

spezzato il ponte di una navema non sapeva darlo. L'irlandesePhelem-ghe-madone era soprattutto una superficie e il

suo scopo nel pugilato sembrava piuttosto quello di prendere che di darecolpi. Ci si accorgeva però che sarebbe durato

a lungo. Era una specie di rostbeef poco cottodifficile da addentare eimpossibile da mangiare. Era ciò chein dialetto

si chiama raw fleshcarne cruda. Era strabico. Sembrava rassegnato.

I due uomini avevano trascorso la notte precedente fianco a fianco nellostesso lettodormendo insieme. Ciascuno dei

due aveva bevuto tre dita di Porto dal medesimo bicchiere.

Avevano entrambi un codazzo di sostenitorigente dall'aspetto rudecapacein caso di necessitàdi minacciare gli

arbitri. Tra i sostenitori di Helmsgail si faceva notare John Gromanefamosoperché era in grado di portare un bue sulle

spallee un certo John Bray che un giorno si era preso in spalla dieci moggidi farina da quindici galloni l'unoe in più

anche il mugnaioe aveva fatto con quel carico più di duecento passi. Tra isostenitori di Phelem-ghe-madonelord

Hyde aveva portato da Launceston un certo Kilterche abitava al CastelloVerdee che sapeva lanciare al di sopra della

sua spalla una pietra di venti libbre più in alto della più alta torre delcastello. I tre uominiKilterBray e Gromane

erano della Cornovagliail che fa onore alla contea.

Gli altri sostenitori erano dei bravacci dalle reni robustele gambearcuatecon manacce nodosela faccia stupida

coperti di straccie che non avevano paura di nienteessendo quasi tuttipregiudicati.

Molti erano abilissimi nell'ubriacare gli agenti di polizia. Ogni professionerichiede dei talenti.

Il prato scelto per l'incontro era più lontano del Giardino degli Orsidoveun tempo si facevano combattere gli orsii

tori e i canial di là degli ultimi edifici in costruzionedi fianco airesti del priorato di Santa Maria Over Rydistrutto da

Enrico VIII. Aveva soffiato il vento del nord e aveva brinato; cadeva unapioggia sottile che subito gelava. Tra i signori

presenti i padri di famiglia erano facilmente riconoscibili perché tenevanol'o mbrello aperto.

All'angolo di Phelem-ghe-madone c'era il colonnello Moncreifarbitroe lordDesertumda Kilcarryper tenere il

ginocchio.

Per qualche istante i due pugili restarono immobili nel recinto mentre siregolavano gli orologi. Poi si avvicinarono e si

diedero la mano.

Phelem-ghe-madone disse a Helmsgail: «Preferirei andarmene a casa».

Helmsgail rispose con sincerità: «La gentry non si scomoda pernulla».

Nudi com'erano avevano freddo. Phelem-ghe-madone tremava. Batteva i denti.

Il dottor Eleanor Sharpnipote dell'arcivescovo di Yorkgridò loro:«Picchiateviragazzi. Vi scalderete».

La battuta li sgelò.

Si attaccarono.

Ma nessuno dei due era arrabbiato. Le prime tre riprese furono fiacche. Ilreverendo Dottor Gumdraithuno dei quaranta

membri dell'All Souls Collegesgridò: «Riempiteli di gin!».

Ma i due referees e i due padrinitutti e quattro giudicirispettarono il regolamento. Tuttavia faceva molto freddo.

Si udì gridare: first blood! Si esigeva il primo sangue. Furonoricollocati uno bene in faccia all'altro.Si squadraronosi avvicinaronoallungarono le bracciaincrociarono i pugnipoi indietreggiarono. A un tratto

Helmsgailil piccolosi lanciò in avanti.

Iniziava il vero combattimento.

Phelem-ghe-madone fu colpito in piena frontetra le sopracciglia. Il voltosi riempì di sangue. La folla gridò:

«Helmsgail ha versato il bordeaux!». Applaudirono. Phelem-ghe-madoneruotò le braccia come pale di mulinotirando

colpi a caso.

L'onorevole Peregrine Bertie disse: «Accecato. Ma non ancora cieco».

Allora Helmsgail sentì esplodere da tutte le parti questo incoraggiamento: «Bunghis peepers!». Insomma i due erano

veramente ben sceltie benché il tempo fosse poco propizioera chiaro chel'incontro sarebbe riuscito bene. Il quasi

gigantesco Phelem-ghe-madone scontava gli inconvenienti delle sue doti; simuoveva lentamente. Le sue braccia erano

mazzema il corpo era un sacco. Il piccolo correvacolpivasaltavadigrignava i dentiraddoppiava la forza con la

velocitàconosceva il mestiere. Da una parte il pugno primitivoselvaggiorozzoallo stato brado; dall'altra il pugno

civilizzato. Helmsgail combatteva sia con i nervi che con i muscolicon lasua malvagità oltre che con la forza; Phelem-ghe-

madone era un picchiatore inertegià un po' suonato. La tecnica contro lanatura. L'uomo feroce contro l'uomo

barbaro.

Era evidente che il barbaro sarebbe stato sconfitto. Ma non molto allasvelta. Da qui l'interesse.

Il piccolo contro il grande. Il piccolo è favorito. Il gatto ha ragione delcane. I Golia sono sempre battuti dai Davide.

Una grandine d'incitamenti cadeva sui combattenti: «BravoHelmsgail!Good! Well doneHighlander! NowPhelem!».

E gli amici di Helmsgail gli ripetevano benevolmente quell'esortazione:«Cavagli gli occhi!».

Helmsgsail fece di meglio. Si abbassò bruscamente e si raddrizzò con lasinuosità del rettilecolpendo Phelem-ghe-madone

allo sterno. Il colosso barcollò.

«Colpo irregolare!»gridò il visconte Bernard.

Phelem-ghe-madone si piegò sul ginocchio di Kilter dicendogli: «Comincio ariscaldarmi».

Lord Desertum consultò i referees e disse «Cinque minuti di rond».

Phelem-ghe madone stava male. Kilter gli asciugò il sangue dagli occhi e ilsudore dal corpo con una flanellae gli mise

un collo di bottiglia in bocca. Si era all'undicesimo scontro.Phelem-ghe-madoneoltre alla ferita in fronteaveva il

petto segnato dai colpiil ventre tumefatto e il sincipite contuso.Helmsgail non aveva niente.

Tra i gentiluomini scoppiò un certo tumulto.

Lord Bernard ripeteva: «Co lpo scorretto».

«La scommessa è nulla»disse il laird di Lamyrbau.

«Rivoglio la mia posta»soggiunse sir Thomas Colepeper.

E l'onorevole membro per il borgo Saint-Yvessir Bartholomew Gracedieuaggiunse:

«Restituitemi le mie cinquecento ghineeme ne vado».

«Sospendete l'incontro»gridarono i presenti.

Ma Phelem-ghe-madone si alzò vacillando quasi come un ubriaco e disse:

«Continuiamo l'incontroa una condizione. Anche a me verrà data lapossibilità di tirare un colpo scorretto».

«Concesso»gridarono da ogni parte.

Helmsgail alzò le spalle.

Trascorsi cinque minutisi ricominciò.

Il combattimento per Phelem-ghe-madone era un'agoniaper Helmsgail era ungioco.

Quando si dice la scienza! Il piccoletto trovò il modo di mettere il grandein chancerycioè improvvisamente Helmsgail

prese il testone di Phelem-ghe-madone sotto il braccio sinistrocurvato comeuna morsa d'acciaioe lo tenne sotto

l'ascellacon il collo piegato e la nuca bassamentre gli sfasciavacomodamente la faccia con la destracadendo e

ricadendo come un martello su un chiodoma dal basso in altopartendo dasotto. Quando Phelem-ghe-madone

finalmente liberorisollevò la testanon aveva più volto.

Quello che era stato un nasodue occhi e una boccaaveva ora la forma diuna spugna nerazuppa di sangue. Sputò. Si

videro quattro denti per terra.

Poi cadde. Kilter lo prese sul suo ginocchio.

Helmsgail era stato appena toccato. Aveva qualche livido di nessun conto e ungraffio su una clavicola.

Nessuno aveva più freddo. Helmsgail era dato a sedici e un quarto controPhelem-ghe-madone.

Harry di Carleton esclamò:

«Phelem-ghe-madone è finito. Scommetto su Helmsgail la mia paria diBella-Aqua e il mio titolo di lord Bellow contro

una vecchia parrucca dell'arcivescovo di Canterbury».

«Dai qui il tuo muso»disse Kilter a Phelem-ghe-madone edopo averficcato la flanella insanguinata nella bottiglialo

ripulì con il gin. Riapparve la boccae Phelem-ghe-madone aprì unapalpebra. Le tempie sembravano incrinate.

«Ancora una ripresaamico»disse Kilter. E aggiunse: «Per l'onore delpopolino».

Gallesi e irlandesi s'intendono; tuttavia Phelem-ghe-madone non diede alcunsegno di aver capito.

Phelem-ghe-madone si rialzòsostenuto da Kilter. Era la venticinquesimaripresa. Dal modo in cui quel ciclopegli era

infatti rimasto un occhio solosi rimise in posizionetutti capirono cheera finitae nessuno dubitò che fosse perduto.

Alzò la guardia sopra il mentoe fu la goffaggine di un moribondo.Helmsgailappena sudatogridò: «Scommetto per

me. Mille contro uno».

Helmsgail alzò il braccio e colpìmastranamentecaddero entrambi. Siudì un grugnito di soddisfazione.Era di Phelem-ghe-madonecontento.

Egli aveva approfittato del terribile colpo che Helmsgail gli aveva datosulla testaper rifilargliene unoscorretto

all'ombelico.

Helmsgail a terra rantolava.

I presenti guardarono Helmsgail a terra e dissero: «Ripagato».

Tutti batterono le manianche quelli che avevano perso.

Phelem-ghe-madoneagendo nel suo dirittoaveva restituito scorrettezza perscorrettezza.

Portarono via Helmsgail su una barella. Era chiaro che non si sarebberipreso. Lord Robartes esclamò: «Vinco

milleduecento ghinee». Phelem-ghe-madone sarebbe rimasto evidentementestorpio per tutta la vita.

UscendoJosiane prese il braccio di lord Davidcosa tollerata tra«engaged». Gli disse:

«Molto bello. Ma...».

«Ma cosa?».

«Pensavo che mi avrebbe sollevato dalla noia. E inveceno».

Lord David si fermòguardò Josianechiuse la bocca e gonfiò le guancescuotendo la testavolendo dire: attenzione!

Poi disse alla duchessa:

«Per la noia non c'è che un rimedio».

«Quale?»

«Gwynplaine».

La duchessa domandò:

«Che cos'è Gwynplaine?».

LIBRO SECONDO • GWYNPLAINE E DEA

I • DOVE SI VEDE IL VOLTO DI COLUI DI CUI NON ABBIAMO VISTO ALTRO CHE LEAZIONI

La natura era stata prodiga di favori con Gwynplaine. Lo aveva fornito di unabocca che gli arrivava alle orecchiedi

orecchie che si ripiegavano fin sugli occhidi un naso informe fatto appostaper le acrobazie degli occhiali di un

pagliaccioe di un volto che era impossibile guardare senza ridere.

Come abbiamo dettola natura aveva colmato Gwynplaine di doni. Ma sitrattava proprio della natura?

Non era stata forse aiutata?

Occhi simili a finestriniuno iato come boccauna protuberanza camusa condue fori che erano le nariciil volto

schiacciato e tutto ciò non aveva altro scopo che far ridere. È certo chela natura non produce da sola simili capolavori.

Mail riso è sinonimo di gioia?

Se davanti a quel saltimbanco - perché era un saltimbanco - si lasciava chela prima impressione di allegria svanissee

se si osservava con attenzione quell'uomoera possibile riconoscervi letracce dell'artificio. Un volto così non è casuale

ma voluto. Quel grado di perfezione non è naturale. L'uomo è impotente perquanto riguarda la sua bellezzama può

tutto in fatto di bruttezza. Con il profilo di un ottentotto non farete certoun profilo romanoma da un naso greco potete

ricavarne uno calmucco. Basta cancellare la radice del naso e schiacciare lenarici allargandole. Non per nulla il latino

volgare del Medioevo ha creato il verbo denasare. Dunque Gwynplaine dabambino era risultato tanto degno

d'attenzione da spingere qualcuno a modificargli il volto? Perché no? Forseanche solo a scopo d'esibizione e di

speculazione. Secondo ogni apparenza erano stati abili trafficanti di bambiniche avevano lavorato su quel viso. Era

evidente che una scienza misteriosaprobabilmente occultache stava allachirurgia come l'alchimia sta alla chimica

aveva cesellato quella carnecertamente in età tenerissimae aveva creatopremeditatamente quel viso. Quella scienza

abile nel sezionarenelle ottusioni e nelle legatureaveva spaccato laboccasbrigliato le labbramesso a nudo le

gengivetirato le orecchiestaccato le cartilaginisconvolto lesopracciglia e le guanceallargato il muscolo zigomatico

attenuato sfregi e cicatricirimesso la pelle sulle lesioniconservando sulvolto un'immutabile bocca apertae da quella

scultura stentorea e profonda era uscita la maschera di Gwynplaine.

Non si nasce così.

Comunque fosse andataGwynplaine era riuscito in modo ammirevole. Gwynplaineera il dono fatto dalla provvidenza

alla tristezza degli uomini. Quale provvidenza? C'è forse una provvidenzademoniaca come c'è una provvidenza divina?

Accontentiamoci di porre il problema senza risolverlo.

Gwynplaine era un saltimbanco. Si esibiva in pubblico. Produceva effettiincomparabili. Guariva ogni tipo d'ipocondria

con la sua sola presenza. Chi portava il lutto doveva invece evitarloaltrimentise lo vedevaera costrettopur

nell'imbarazzoa ridere indecentemente. Un giorno arrivò il boiaeGwynplaine lo fece ridere. Vedere Gwynplaine

significava tenersi la pancia dal ridere; se parlavaci si rotolava perterra.

Egli stava al polo opposto della tristezza. Lo spleen era aun'estremitàGwynplaine all'altra.

Così si era procurato rapidamente una soddisfacentissima nomea di uomoorrendo nei luoghi dove si tenevano le fiere e

nei crocevia.

Gwynplaine faceva ridere ridendo. Eppure non rideva. Rideva la sua faccianon il suo pensiero. Quella specie di volto

inaudito che il caso o un'attività particolarmente bizzarra gli avevanoplasmatorideva da solo. Gwynplaine non

c'entrava. L'esterno non dipendeva dall'interno. Non era stato lui a metterequel riso sulla sua frontesulle sue guancesulle sue sopraccigliasulla suaboccae lui non poteva toglierlo. Gli avevano applicato per sempre quel risosul volto.

Era un riso automaticotanto più irresistibile perché pietrificato.Nessuno sfuggiva a quel ghigno. Due sono le

convulsioni comunicative della bocca: il riso e lo sbadiglio. In forza dellamisteriosa operazione che Gwynplaine aveva

subito probabilmente da bambinoogni parte del suo volto contribuiva a quelghignotutta la sua fisionomia vi era

finalizzatacome la ruota che si concentra sul mozzo; tutte le sue emozioniquali che fosseroaumentavano quella

strana espressione di gioiaanzidiciamo megliol'aggravavano. Unostuporeuna sofferenza che avesse provatouna

collera che lo avesse presoun moto di pietànon avrebbero fatto cheaccrescere quell'ilarità muscolare; se avesse

piantoavrebbe riso; e qualunque cosa Gwynplaine facessequalunque cosavolesse o pensasseappena alzava la testa

la follase c'era follaaveva davanti agli occhi quell'apparizioneloscoppio folgorante di quel riso.

Immaginate una testa di Medusa allegra.

Tutto ciò che si aveva in mente era mandato all'aria da quel fattoimprovvisoe bisognava ridere.

Un tempo l'arte antica applicava sul frontone dei teatri greci un'allegramaschera di bronzo. Quella maschera si

chiamava la Commedia. Quel bronzo che sembrava ridere e faceva ridereerapensieroso. In quel volto si condensavano

e si amalgamavano la parodia che finisce in demenzae l'ironia che terminain saggezza; su quella fronte impassibile si

sommavano le preoccupazionile disillusionii disgusti e le tristezzeformando un lugubre risultato: l'allegria; un

angolo della bocca era sollevato per irridere al genere umanol'altro perbestemmiare gli dei; gli uomini si recavano a

confrontare su quell'ideale modello di sarcasmo il proprio esemplared'ironia; e la follaogni volta diversa attorno a quel

riso immutabileandava in estasi davanti alla sepolcrale fissità di quelghigno. Si potrebbe quasi dire che Gwynplaine

non era altro che quella cupa maschera morta della commedia anticacalcatasu un uomo vivo. Egli portava sul collo

l'infernale testo di un'implacabile ilarità. Il riso eternoche fardelloper le spalle di un uomo!

Un riso eterno. Cerchiamo di capire e di spiegare. Se diamo retta aimanicheia volte l'assoluto cedee Dio stesso ha

delle intermittenze. Intendiamoci anche sulla volontà. Che possa essere deltutto impotentenon lo ammettiamo. Ogni

esistenza è simile a una lettera modificata dal poscritto. Il poscritto cheriguardava Gwynplaine consisteva in questo:

con la forza di volontà e concentrandovi tutta la sua attenzionee a pattoche nessuna emozione lo distraesse allentando

l'intensità del suo sforzoegli poteva sospendere l'eterno ghigno della suafacciastendervi una sorta di tragico veloe

allora si smetteva di ridere davanti a luisi rabbrividiva.

Quello sforzoperòGwynplaine non lo faceva quasi maiperché era unafatica dolorosaun'insopportabile tensione.

Bastava d'altronde una minima distrazione o una piccola emozioneperchéquel risocacciato per un momento

riapparisse irresistibile come un riflusso sul suo voltotanto più intensodell'emozionequalunque fosse stata.

Con quell'unico limiteil riso di Gwynplaine era eterno.

Vedere Gwynplaine significava ridere. Dopo aver riso si voltava la testa. Ledonne soprattutto provavano orrore.

Quell'uomo era spaventoso. La convulsione comica era come un tributo dapagare; la si subiva allegramentee in modo

quasi meccanico. Ma una volta che il riso si era raffreddatola vista diGwynplaine diventava insopportabile per una

donnaed era impossibile guardarlo.

Del resto egli era altoben fattoagileper niente deformea parte ilvolto. E questo era un ulteriore indizio tra le

supposizioni che lasciavano intuire in Gwynplaine più una creazioneartificiale che l'opera della natura. Bello nel corpo

probabilmente Gwynplaine era stato bello nel volto. Alla nascita aveva dovutoessere un bamb ino come gli altri. Gli

avevano lasciato intatto il corporitoccando solamente la faccia. Gwynplaineera stato fatto espressamente.

Almeno secondo ogni verosimiglianza.

Gli avevano lasciato i denti. I denti sono indispensabili al riso. Il teschioli conserva.

Aveva dovuto trattarsi di un'operazione spaventosa. Che non se ne ricordassenon significava che non l'avesse subita.

Quella scultura chirurgica non aveva potuto riuscire che su un bambino moltopiccoloe quindi poco consapevole di ciò

che gli capitavaun bambino che avrebbe facilmente scambiato una piaga peruna malattia. Inoltrefin da quei tempi

come si ricorderàerano noti i mezzi per addormentare il paziente esopprimere la sofferenza. Solo che in quell'epoca si

chiamavano magia. Oggi li chia miamo anestesia.

Quelli che lo avevano allevato gli avevano datooltre a quel voltorisorseda ginnasta e da atleta; le sue articolazioni

utilmente slogate e capaci di flettersi in senso inversoavevano ricevuto unallenamento da clown e potevano muoversi

in tutti i sensi come i cardini di una porta. Niente era stato trascuratonella preparazione per farne un saltimbanco.

I suoi capelli erano stati tinti d'ocra per sempre; questo segreto è statoritrovato solo ai giorni nostri. Se ne servono le

belle donne; ciò che un tempo rendeva bruttioggi è stimato utile perabbellire. Gwynplaine aveva i capelli gialli.

Quella tintura per capelliverosimilmente corrosivali aveva lasciatilanosi e ruvidi al tatto. Quella forma ispida e

selvaggiapiù criniera che capigliaturacopriva e nascondeva un cranioprofondofatto per contenere il pensiero.

Qualunque fosse quella operazione che aveva cancellato l'armonia del volto egettato nel disordine la carnenon aveva

intaccato la scatola cranica. L'angolo facciale di Gwynplaine erastraordinariamente possente. Dietro quel riso c'era

un'animae quell'animacome in tutti noiaveva dei sogni.

Del resto quel riso era per Gwynplaine un vero talento. Non poteva farcinullama lo sfruttava. Con quel riso si

guadagnava da vivere. Gwynplaine - certamente sarà stato riconosciuto - eraquel bambino abbandonato in una sera

d'inverno sulla costa di Portlande poi raccolto in una povera carretta aWeymouth.

II • DEAIl bambino era ormai diventato un uomo. Erano trascorsi quindicianni. Era il 1705. Gwynplaine stava per compiere

venticinque anni.

Ursus aveva tenuto con sé i due bambini. Avevano formato un gruppo dinomadi.

Ursus e Homo erano invecchiati. Ursus era diventato del tutto calvo. Il luposi era fatto grigio. La vita dei lupi non ha un

termine fisso come quella dei cani. Secondo Molinci sono lupi che vivonoottant'annitra cui il piccolo koupara

cavioe voruse il lupo odorosocanis nubilus di Say.

La piccola trovata sulla donna morta ora era una creatura di sedici annialtapallidacon i capelli bruniesilefragile

tanto delicata da sembrare che tremassesuggeriva il timore di farle delmaledi una bellezza ammirevolegli occhi

pieni di lucecieca.

Quella fatale notte d'inverno che aveva abbattuto la mendicante e la suabambina nella neveaveva fatto un colpo

doppio. Aveva ucciso la madre e accecato la figlia.

L'amaurosi aveva paralizzato per sempre le pupille della bambinadiventataormai donna. Sul visoche non lasciava

passare la lucegli angoli delle labbra tristemente abbassati esprimevano unamaro disappunto. Gli occhigrandi e

chiariavevano la stranezza di essere spenti per leima di brillare per glialtri. Torce misteriosamente accese non

illuminavano che l'esterno. Emanava lucelei che non ne aveva. Quegli occhimorti risplendevano. Quella prigioniera

delle tenebre rischiarava l'oscurità dove si trovava. Dal fondo della suaincurabile oscuritàda dietro quel muro nero che

chiamiamo cecitàera radiosa. Non vedeva il sole fuori di séma in lei sipoteva vedere l'anima.

Il suo sguardo morto aveva non so quale fissità celeste.

Era la nottee da quell'ombra di cui era irrimediabilmente intrisauscivacome un astro.

Ursusche aveva la mania dei nomi latinil'aveva battezzata Dea. Si era unpo' consultato con il suo lupo; gli aveva

detto: «Tu rappresenti l'uomoio rappresento la bestia; noi siamo il mondodi quaggiù; la piccola rappresenterà il

mondo di lassù. Tanta debolezza è l'onnipotenza. In questo modo l'interouniversoumanitàbestialitàdivinitàsarà nel

nostro baracchino». Il lupo non aveva fatto obiezioni.

Fu così che la trovatella si chiamò Dea.

Quanto a GwynplaineUrsus non aveva dovuto darsi la pena di inventargli unnome. Il mattino stesso del giorno in cui

aveva constatato lo sfiguramento del bambino e la cecità della piccolaaveva domandato: «Come ti chiamiboy?». E il

ragazzo aveva risposto: «Mi chiamano Gwynplaine».

«Vada per Gwynplaine»aveva detto Ursus.

Dea assisteva Gwynplaine nei suoi esercizi.

Se la miseria umana potesse essere riassuntalo sarebbe stata da Gwynplainee da Dea. Ciasuno dei due sembrava

essere nato nello scomparto di un sepolcro; Gwynplaine nell'orroreDea nelbuio. Le loro esistenze erano fatte con

tenebre di specie diverseprese dai due lati formidabili della notte. Quelletenebre che Dea aveva dentro di sé

Gwynplaine le portava addosso. In Dea c'era qualcosa del fantasmainGwynplaine qualcosa dello spettro. Dea dava nel

lugubreGwynplaine nel peggio. Gwynplaineche poteva vedereaveva lastraziante possibilità di paragonarsi agli altri

uominicosa che la cecità impediva a Dea. Orain una situazione comequella di Gwynplainee ammettendo che

cercasse di rendersene contoparagonarsi significava non comprendersi più.Averecome Deauno sguardo vuoto da

cui il mondo è assenteè suprema sventuraminore tuttavia di quell'altra:essere l'enigma di se stesso; e sentire la

propria assenza; vedere l'universo e non vedersi. Dea aveva il velo dellanotteGwynplaine la maschera del suo volto.

Cosa inesprimibileGwynplaine era mascherato con la propria carne. Ignoravaquale fosse il suo viso. Un profilo

svanito. Gli avevano messo addosso una falsa copia. Il suo volto era unascomparsa. La testa vivevala faccia era morta.

Non ricordava di averla vista. Per Dea e per Gwynplaine il genere umano eraun fatto che riguardava la realtà esterna;

essi ne erano lontani; lei era solalui era solo; l'isolamento di Dea erafunebrenon vedeva nulla; l'isolamento di

Gwynplaine era sinistroegli vedeva tutto. Per Dea la creazione nonoltrepassava l'udito e il tatto; la realtà era limitata

brevesubito finita; il suo unico infinito era l'ombra. Per Gwynplainevivere significava avere sempre la folla davanti e

fuori di sé. Dea era la proscritta della luce; Gwynplaine l'escluso dallavita. Erano certamente disperati. Avevano

toccato il fondo di ogni possibile calamità. Vi erano dentro entrambi. Unosservatore che li avesse guardati avrebbe

sentito la sua immaginazione tramutarsi in un'incommensurabile pietà. Quantosoffrivano? Il decreto dell'infelicità

pesava visibilmente su quei due esseri umanie mai la fatalità avevacombinato per due creature innocenti un simile

destino di tortura e una simile vita d'inferno.

Essi erano in paradiso.

Si amavano.

Gwynplaine adorava Dea. Dea idolatrava Gwynplaine.

«Sei così bello!»gli diceva.

III • OCULOS NON HABETET VIDET

Una sola donna sulla terra vedeva Gwynplaine. Era quella cieca.

Ciò che Gwynplaine era stato per leilo aveva saputo da Ursusa cuiGwynplaine aveva raccontato la sua dura marcia

da Portland a Weymouthe le agonie legate al suo abbandono. Sapeva chepiccolissimaquasi in punto di morte sopra

la madre ormai mortamentre succhiava da un cadavereuna creatura poco piùgrande di lei l'aveva raccolta; sapeva che

quella creaturaeliminata e come sepolta sotto il cupo rifiutodell'universoaveva udito il suo grido; che quell'essere che

nessuno ascoltaval'aveva ascoltata; che un bambino isolatodebolerespintosenza un punto d'appoggio sulla terrache si trascinava nel desertosfinito per lo sforzospezzatoaveva accettato dalle mani della notte ilfardello di un altro

piccolo; sapeva che proprio luiche non si aspettava nulla da quell'oscuradistribuzione che chiamiamo sortesi era fatto

carico di un destino; chepovertàangoscia e sconforto qual eraavevasaputo mutarsi in provvidenza; chequando il

cielo si era chiusoegli aveva aperto il suo cuore; cheperdutoavevasalvato; chesenza tetto e rifugiosi era fatto

asilo; che era diventato madre e nutrice; chepur essendo solo al mondoaveva risposto all'abbandono con un'adozione;

chenel fitto delle tenebreaveva dato un esempio; chenon essendoabbastanza oppressosi era caricato della miseria

di un altro; chesu quella terra dove sembrava che non ci fosse niente perluiegli aveva scoperto il dovere; chelà dove

tutti avrebbero esitatoegli era avanzato; chelà dove tutti si sarebberotirati indietroegli aveva dato il suo assenso; che

aveva messo la mano sull'apertura del sepolcro e ne aveva strappato leiDea;cheseminudole aveva dato i suoi stracci

perché lei aveva freddo; cheaffamatosi era preoccupato di darle da beree da mangiare; che per quella piccolalui

piccolo si era battuto contro la morte; l'aveva combattuta in ogni sua formasotto forma d'inverno e di nevesotto forma

di solitudinesotto forma di terroredi freddodi fame e di setesottoforma d'uragano; che per leiDeaquel titano di

dieci anni aveva dato battaglia all'immensità della notte. Sapeva che eglida bambinoaveva fatto tutto questoe che

orauomoera la forza della sua debolezzala ricchezza della sua povertàla guarigione della sua malattialo sguardo

della sua cecità. Attraverso gli spessori dell'ignoto da cui si sentivaisolatadistingueva nettamente quella devozione

quell'abnegazionequel coraggio. Nella regione dell'immateriale l'eroismo haun suo contorno. Essa percepiva quel

contorno sublime; nell'inesprimibile astrazione dove vive un pensiero nonrischiarato dal soleessa coglieva il

misterioso profilo della virtù. Attorniata da scure cose in movimentounicasensazione che aveva della realtà

nell'inquieta tranquillità di creatura passivasempre all'erta per ipossibili pericoliin quella sensazione di essere

indifesa che costituisce la vita del ciecoessa sentiva al di sopra di séGwynplaineGwynplaine mai indifferentemai

assentemai sfuggenteGwynplaine teneroservizievole e dolce; Dea fremevaper il senso di sicurezza e per la

riconoscenzala sua ansia confortata si faceva estasie dallo zenit del suoabissodagli occhi pieni di tenebre

contemplava la luce profonda di quella bontà.

Il sole dell'ideale è la bontà; Gwynplaine abbagliava Dea.

Per la follache ha troppe teste per riuscire a pensaree troppi occhi perpoter vedereper la folla chesuperficie essa

stessasi ferma alle superficiGwynplaine era un clownun giocoliereunsaltimbancoun essere grottescopoco più e

poco meno di una bestia. La folla non conosceva che il suo volto.

Per DeaGwynplaine era il salvatore che l'aveva raccolta dalla tomba eportata fuoricolui che la consolava rendendole

la vita accettabileil liberatore che la teneva per mano nel labirinto dellacecità; Gwynplaine era il fratellol'amicola

guidail sostegnoil suo simile celestelo sposo alato e raggiantee làdove la folla vedeva il mostrolei vedeva

l'arcangelo.

Perché Deaciecane vedeva l'anima.

IV • UNA COPPIA BENE ASSORTITA

Ursusche era un filosofocapiva. Egli approvava il fascino sentito da Dea.

«Leiche è ciecavede l'invisibile».

Diceva anche:

«La coscienza è visione».

Guardando Gwynplaineborbottava:

«Semimostroma semidio».

Gwynplaineda parte suaera inebriato di Dea. Esiste un occhio invisibilelo spiritoe un occhio visibilela pupilla.

Egli la guardava con l'occhio visibile. Dea era abbagliata da una formaidealeGwynplaine era abbagliato dalla realtà.

Gwynplaine non era bruttoera spaventoso; egli aveva davanti a sé il suoopposto. Dea era soave quanto egli era

terribile. Egli era l'orrorelei la grazia. C'era qualcosa del sogno in Dea.Sembrava un sogno che fosse diventato un po'

corpo. In tutta la sua personanella sua figura eolicanel corpo sottile eflessuoso come un giunconelle spalle dotate

forse d'invisibili alinelle curve discrete del suo profilo che alludevanoal sessoparlando più all'anima che ai sensi

nella bianca trasparenza della sua pellenella solenne e serena cecità delsuo sguardodivinamente chiuso alla terra

nella sacra innocenza del suo sorrisoin tutto ciò la sua squisitasomiglianza con gli angeli non toglieva nulla alla sua

femminilità.

Gwynplainecome abbiamo dettosi paragonavae paragonava Dea.

La sua esistenzaquale ormai erarisultava da una doppiainaudita scelta.Era il punto d'intersezione di un raggio che

veniva dal basso e di uno che veniva dall'altodel raggio nero e di quellobianco. La stessa briciola può essere beccata

contemporaneamente dal becco del male e da quello del beneuno che mordel'altro che bacia. Gwynplaine era quella

briciolaatomo martoriato e accarezzato. Gwynplaine era il risultato di unafatalità complicata dalla provvidenza. La

sciagura aveva puntato il dito su di luima anche la fortuna. La sua stranasorte era fatta di due destini opposti.

Pendevano su di lui l'anatema e la benedizione. La sua era una sventurataelezione. Chi era? Non lo sapeva. Quando si

guardavavedeva uno sconosciuto. Ma era uno sconosciuto mostruoso.Gwynplaine viveva una specie di decapitazione

con un volto che non gli apparteneva. Quel volto era così spaventoso chedivertiva. Un pagliaccio infernale. Era il

naufragio dei lineamenti umani nel mascherone bestiale. Mai si era vista unapiù completa eclisse dell'uomo su un volto

umanomai una parodia era stata più perfettamai abbozzo più tremendoaveva sghignazzato in un incubomai tutto ciò

che può ripugnare a una donna era stato messo insieme in modo più odioso inun uomo; quel cuore disgraziatocalunniato dalla maschera di quella facciasembrava condannato per sempre alla solitudinesotto la pietra tombale del

volto. Ebbeneno! Là dove si era prodigata un'ignota malvagitàun'invisibile bontà si era a sua volta impegnata. In quel

povero miserabileimprovvisamente risollevatoaccanto a tutto ciò cheripugna essa aveva messo ciò che attiranello

scoglio la calamitaverso quel derelitto aveva fatto accorrere ad alispiegate un'animaaveva incaricato una colomba di

consolare quell'uomo stroncatofacendo sì che la bellezza adorasse ladeformità.

Perché ciò fosse possibileera necessario che la bella non vedesse losfigurato. Per quella fortuna era inevitabile quella

disgrazia. La provvidenza aveva reso Dea cieca.

Gwynplaine si sentiva vagamente oggetto di una redenzione. Perché lapersecuzione? Lo ignorava. Perché il riscatto?

Lo ignorava. Sulla sua rovina si era posata un'aureola; era tutto quello chesapeva. Quando Gwynplaine si era fatto un

po' più grandeUrsus gli aveva letto e spiegato il testo del dottorConquest de Denasatis ein un altro in-folioHugo

Plagonil brano nares habens mutilas; maprudentementeUrsus siera astenuto dal fare ipotesiguardandosi dal trarre

qualsiasi conclusione. Era possibile ogni supposizionel'infanzia diGwynplaine era stata probabilmente violentata; ma

l'unica certezza per Gwynplaine era il risultato. Il suo destino era divivere marchiato. Perché quel marchio? Non c'era

risposta. Silenzio e solitudine attorno a Gwynplaine. Nelle congetture che sipotevano formulare su quella tragica realtà

tutto era sfuggenteniente era certo tranne quel fatto terribile. In quellostato di prostrazione appariva Dea; una sorta di

mediazione celeste tra Gwynplaine e la disperazione. Egli percepivacommossoe come riscaldatola squisita dolcezza

di quella giovane rivolta verso il suo orrore; uno stupore paradisiacoaddolciva quella faccia draconiana; fatto per

l'orroreegli godeva della prodigiosa eccezione di essere ammirato e adoratoattraverso una luce idealeemostro

sentiva su di sé la contemplazione di una stella.

Gwynplaine e Dea formavano una coppiae quei due cuori patetici siadoravano. Un nido e due uccelli; quella era la

loro storia. Erano rientrati nella legge universale che esige di piacersidicercarsi e di trovarsi.

Così l'odio si era sbagliato. I persecutori di Gwynplainechiunque fosseroda qualunque parte venisse il loro

enigmatico accanimentoavevano fallito lo scopo. Avevano voluto creare undisperatone avevano fatto un uomo

estasiato. Lo avevano fidanzato in anticipo a una ferita che lo avrebbeguarito. Lo avevano predestinato ad essere

consolato da un'afflizione. La tenaglia del carnefice si era mutata in unadolce mano di donna. Gwynplaine era orribile

artificialmente orribilefatto orribile dalla mano degli uomini; avevanosperato di isolarlo per sempreprima dalla

famigliase aveva una famigliapoi dall'umanità; bambinone avevano fattouna rovinama la natura aveva ripreso con

sé quella rovinacome riprende tutte le rovine; la natura aveva consolatoquella solitudinecome consola tutte le

solitudini; la natura soccorre tutti quelli che sono abbandonati; là dovemanca tuttoessa si dà interamente; essa torna a

fiorire e rinverdisce su tutte le rovine; essache ha l'edera per le pietreper gli uomini ha l'amore.

Profonda generosità dell'o mbra.

V • L'AZZURRO NEL NERO

Così quei due sventurati vivevano uno per l'altroDea sorrettaGwynplaineaccettato.

L'orfana con l'orfano. L'inferma con il deforme.

Quelle vedovanze si sposavano.

Da quelle due forme di disperazione saliva l'ineffabile gesto del renderegrazie. Ringraziavano.

Chi?

La scura immensità.

Ringraziare qualcosa davanti a séè sufficiente. Rendere grazie è ungesto con le alie va dove deve andare. La vostra

preghiera ne sa più di voi.

Quanti uominicredendo di pregare Giovehanno pregato Jehova! Quanti diquelli che si affidano agli amuleti vengono

ascoltati dall'infinito! Quanti atei non si accorgono cheper il solo fattodi essere buoni e tristiessi pregano Dio!.

Gwynplaine e Dea erano riconoscenti.

La deformità significa l'espulsione. La cecità è un precipizio.

L'espulsione era adottata; il precipizio reso abitabile.

Gwynplaine vedeva scendere verso di sé in piena lucein una messa in scenadel destino che sembrava la prospettiva di

un sognouna bianca nube di bellezza sotto forma di donnauna radiosavisione in cui c'era un cuoree quella visione

quasi nube e pur donnalo stringevala visione lo abbracciavail cuore glivoleva bene; Gwynplaine non era più

deformeperché era amato; una rosa che chiedeva in matrimo nio un brucointuendo in quel bruco la divina farfalla;

Gwynplaineil reiettoera stato scelto.

Tutto sta nell'avere il necessario. Gwynplaine l'aveva. E anche Dea.

La sua abiezione di sfiguratoalleggerita e come sublimatasi dilatava inebbrezzain estasiin fede; e nella notte una

mano veniva incontro alla triste esitazione della cieca.

Due sventure penetravano nell'idealeassorbendosi reciprocamente. Dueesclusioni si accettavano. Due lacune

combinandosi si completavano. Li legava ciò che mancava loro. Dove uno erapoverol'altro era ricco. La disgrazia di

uno era tesoro per l'altro. Se Dea non fosse stata cieca avrebbe sceltoGwynplaine? Se Gwynplaine non fosse stato

sfiguratoavrebbe preferito Dea? Lei probabilmente non avrebbe volutosaperne di un deformené lui di un'inferma.

Che fortuna per Dea che Gwynplaine fosse orribile! E per Gwynplaine che Deafosse cieca! Fuori dal quell'assortimento

provvidenzialeessi erano impossibili. Il loro amore riposava su unprodigioso bisogno uno dell'altro. Gwynplainesalvava DeaDea salvavaGwynplaine. Un'unione fatta dell'incontro tra due miserie. L'abbraccio di dueesseri inghiottiti

dall'abisso. Niente di più strettoniente di più disperatoniente di piùsquisito.

Gwynplaine pensava:

«Cosa sarei senza di lei!».

Dea pensava:

«Cosa sarei senza di lui!».

I due esilii finivano in una patria; quelle due incurabili fatalitàilmarchio di Gwynplaine e la cecità di Deasi univano

nella gioia. Erano contentinon immaginavano niente al di là di se stessi;parlarsi era una deliziaavvicinarsi una

beatitudine; a forza d'intuizione reciproca erano arrivati a fantasticareinsieme; avevano gli stessi pensieri. Quando

Gwynplaine camminavaDea credeva di udire il passo dell'apoteosi. Sistringevano uno all'altro in un chiaroscuro

siderale pieno di profumilucimusichearchitetture luminosesogni; siappartenevano; sapevano che sarebbero stati

insieme per sempre nella stessa gioia e nella stessa estasi; niente erastrano come quell'Eden costruito da due dannati.

Erano felici oltre ogni dire.

Del loro inferno avevano fatto il cielo; tale è il tuo potereamore!

Dea sentiva ridere Gwynplaine. Gwynplaine vedeva sorridere Dea.

Così avevano trovato la felicità idealerealizzato la gioia perfetta dellavitarisolto il misterioso problema della felicità.

E chi erano? Due miserabili.

Per Gwynplaine Dea era lo splendore. Per Dea Gwynplaine era la presenza.

La presenzamistero profondo che divinizza l'invisibile facendone scaturireun altro misterola fiducia. Questo è il

nocciolo delle religioni. Ma questo nocciolo è sufficiente. Non si vedel'immensità dell'essere necessario; la si sente.

Gwynplaine era la religione di Dea.

A voltepazza d'amoresi metteva in ginocchio davanti a luicome una bellasacerdotessa in adorazione di un luminoso

gnomo di pagoda.

Immaginatevi l'abissoe in mezzo all'abisso un'oasi di lucee nell'oasiquei due esseri fuori dalla vitache si

abbagliavano l'un l'altro.

L'incomparabile purezza di quegli amori. Dea ignorava cosa fosse un bacioanche se forse lo desiderava; perché la

cecitàsoprattutto quella di una donnaha i suoi sogni ebenché tremanteall'avvicinarsi dell'ignotonon lo odia del

tutto. Quanto a Gwynplainei fremiti della giovinezza lo rendevanopensieroso; più si sentiva ebbropiù era timido;

tutto gli sarebbe stato permesso con quella compagna d'infanziache ignoravala colpa e la lucecon quella cieca che

vedeva solo una cosal'adorazione che provava per lui. Ma gli sarebbesembrato un furto quello che lei gli avrebbe dato;

si rassegnava ad amare con soddisfatta melanconiain modo angelicoe laconsapevolezza della sua deformità si

risolveva in un nobile pudore.

Quei due esseri felici abitavano l'ideale. In esso erano sposidistanti comele sfere. Si scambiavano nell'azzurro

l'effluvio profondo che nell'infinito si chiama attrazionee sulla terrasesso. Le loro anime si baciavano.

Avevano sempre vissuto in comune. Non si conoscevano che insieme. L'infanziadi Dea aveva coinciso con

l'adolescenza di Gwynplaine. Erano cresciuti fianco a fianco. Per molto tempoavevano dormito nel medesimo lettoil

baracchino non era certo una vasta camera da letto. Essi sulla cassapancaUrsus sul pavimento; si arrangiavano così.

Poi un bel giornoquando Dea era ancora piccolaGwynplaine si era accortodi essere grandee fu l'uomo a vergognarsi

per primo. Aveva detto a Ursus: voglio dormire per terra anch'io. Eallaserasi era steso sulla pelle d'orso accanto al

vecchio. Allora Dea aveva pianto. Aveva reclamato il suo compagno di letto.Ma Gwynplaineinquieto perché aveva

cominciato ad amareaveva resistito. Da quel momento si era messo a dormiresul pavimento con Ursus. D'estatenelle

notti serenedormiva fuori con Homo. A tredici anni Dea non si era ancorarassegnata. Spesso di sera diceva:

Gwynplainevieni accanto a me; così riuscirò a dormire. Il suo sonnoinnocente aveva bisogno di un uomo vicino.

Nudità significa vedersi nudo; essa ignorava dunque la nudità. Ingenuitàda Arcadia o da Otaiti. Dea primitiva rendeva

selvatico Gwynplaine. Capitava a volte che Deagià quasi giovinettasipettinasse i lunghi capelli seduta sul lettola

camicia in disordine e mezza fuorilasciando vedere l'abbozzo della statuafemminile e un vago profilo d'Evae allora

chiamava Gwynplaine. Gwynplaine arrossivaabbassava gli occhi non sapendoche fare davanti all'ingenuità di quella

carnebalbettavavolgeva il capos'impauriva e se ne andavae quel Dafnedelle tenebre fuggiva davanti a quella Cloe

dell'ombra.

Questo era l'idillio fiorito nella tragedia.

Ursus diceva loro:

«Amatevisciocchi!».

VI • URSUS ISTITUTORE E URSUS TUTORE

«Uno di questi giorni giocherò loro un brutto tiro. Li sposerò»soggiungeva Ursus.

Ursus filosofeggiava con Gwynplaine sull'amore. Gli diceva:

«L'amoresai come fa Dio ad accendere questo tipo di fuoco? Mette la donnain bassoil diavolo in mezzo e l'uomo sul

diavolo. Un fiammiferocioè uno sguardoe tutto prende fuoco».

«Uno sguardo non è necessario»rispondeva Gwynplainepensando a Dea.

«Ingenuo!»replicava Ursus. «Forse che le anime per guardarsi hannobisogno di occhi?».In certi casi Ursus era più benevolo. Capitava cheGwynplainepazzo di Dea fino a incupirsievitasse Ursus come un

testimonio. Un giorno Ursus gli disse:

«Bah! Non ti preoccupare. In amore il gallo viene fuori».

«Ma l'aquila si nasconde»rispose Gwynplaine.

Altre volteUrsus commentava tra sé e sé:

«Forse sarebbe prudente mettere dei bastoni tra le ruote del carro diCiterea. Si amano troppo. Potrebbero esserci degli

inconvenienti. Provvediamo all'incendio. Moderiamo i loro cuori».

Così Ursus ricorreva a consigli di questo genereparlando a Gwynplainementre Dea dormivae a Deaquando

Gwynplaine era da un'altra parte:

«Deanon devi legarti troppo a Gwynplaine. È pericoloso vivere di unaltro. L'egoismo è la miglior radice della felicità.

Gli uominiecco cosa sfugge alle donne. E poiGwynplaine può finire conl'infatuarsi. Ha tanto successo! Non puoi

immaginare quanto successo ha!».

«Gwynplainenon ci si deve affidare alle sproporzioni. Troppa bruttezza dauna parte e troppa bellezza dall'altrac'è da

pensarci. Modera il tuo ardoreboy. Non ti entusiasmare troppo per Dea.Credi davvero di andare bene per lei?

Considera la tua deformità e la sua perfezione. Guarda la distanza che c'ètra lei e te. Lei ha tuttoquesta Dea! La pelle

biancae i capellilabbra come fragolee il suo piede! Per non dire dellemani! La linea squisita delle spalleil volto

sublimequando cammina emana lucee il fascino della sua voce profonda! Epensare che con tutto ciò è una donna!

Non è così stupida da essere un angelo. È la bellezza assoluta. Se vuoicalmartiripeti a te stesso queste cose».

Ciò non faceva che raddoppiare l'amore tra Dea e Gwynplainee Ursus sistupiva del suo insuccessoun po' come se

uno dicesse:

«Questa è bellaper quanto getti olio sul fuoconon riesco a spegnerlo».

Ma voleva proprio spegnerlio almeno raffreddarli? Nocerto. Se ci fosseriuscitosarebbe rimasto ben male. In fondo

era conquistato da quell'amore che era fiamma per loro e calore per lui.

Ma bisogna pur stuzzicare un po' ciò che ci piace. Fare questo tipo didispetti è quello che gli uomini definiscono

saggezza.

Per Gwynplaine e per Dea Ursus era stato come un padre e una madre. Purmormorandoli aveva allevati; li aveva

nutriti continuando a brontolare. L'adozione aveva reso più pesante lacarrettaegli aveva dovuto affiancarsi più spesso

a Homo per trainarla.

Quandopassati i primi anniGwynplaine fu più grande e Ursus ormaivecchiotoccò a Gwynplaine trascinare Ursus.

Ursusvedendo crescere Gwynplaineaveva sentenziato a proposito della suadeformità: Hanno fatto la tua fortuna.

Quella famiglia composta da un vecchioda due ragazzi e da un lupovagabondando qua e làaveva formato un gruppo

sempre più unito.

La vita errante non aveva impedito l'educazione. Andare in giro significacrescerediceva Ursus. Dal momento che

Gwynplaine era stato fatto evidentemente per essere «mostrato nelle fiere»Ursus lo aveva addestrato come

saltimbancoma si era sforzato d'inculcare in quel saltimbanco scienza esaggezza. Ursuscontemplando l'incredibile

maschera di Gwynplaineborbottava: «Un lavoro ben iniziato». Per questol'aveva completato con tutti gli ornamenti

della filosofia e del sapere.

Ripeteva spesso a Gwynplaine: «Sii un filosofo. La saggezza portal'invulnerabilità. Guardaminon ho mai pianto. Per

merito della saggezza. Credi che se avessi voluto piangere me ne sarebbemancata l'occasione?».

Durante questi monologhiche solo il lupo ascoltavaUrsus diceva: «AGwynplaine ho insegnato Tuttocompreso il

latinoe a Dea Nientecompresa la musica». Aveva insegnato a cantare atutti e due. Egli stesso era bravo con la «muse

de blé»un piccolo flauto di quei tempi. La suonava piacevolmentecosìcome la «chiffonie»una specie di ghironda da

mendicantiche la cronaca di Bertrand Duguesclin definisce «strumentovagabondo»e che sta alla base della sinfonia.

Quella musica attirava la genteUrsusmostrando alla folla la«chiffonie»diceva: «In latino si chiama organistrum».

Aveva insegnato a cantare a Dea e a Gwynplainesecondo il metodo di Orfeo edi Egidio Binchois. Più volte aveva

interrotto le lezioni gridando entusiasta: «Orfeomusicista della Grecia!Binchoismusicista della Piccardia!».

Quei problemi educativi così accurati non avevano impegnato i due ragazzi alpunto di impedir loro d'amarsi. Erano

cresciuti mescolando i loro cuoricome due arboscelli piantati vicino chediventando alberimescolano i loro rami.

«Va bene»mormorava Ursus«li farò sposare».

E in disparte brontolava:

«Mi annoiano con il loro amore».

Quel po' di passato che avevanonon esisteva per Gwynplaine e per Dea. Neconoscevano solo ciò che Ursus aveva

raccontato. Lo chiamavano «Padre».

Ciò che Gwynplaine ricordava della sua infanzia era un passaggio di demonisulla sua culla. Aveva l'impressione di

essere stato calpestato nell'oscurità da piedi deformi. Era accaduto perespressa volontà o per caso? Lo ignorava. Ciò

che invece ricordava chiaramente e nei minimi particolariera la tragicaavventura del suo abbandono. Ma la scoperta di

Dea sostituiva per lui quella lugubre notte con un evento radioso.

La memoria di Dea era ancor più vaga di quella di Gwynplaine. Era cosìpiccola che ogni ricordo si era dissolto.

Pensava a sua madre come a una cosa fredda. Aveva visto il sole? Forse.Faceva ogni sforzo per rituffare la sua mente

in quell'evanescenza che aveva alle spalle. Il sole? Cos'era? Ricordavaqualcosa di caldo e luminoso che Gwynplaine

aveva sostituito.Parlavano a voce bassa. Certo tubare è la cosa piùimportante sulla terra. Dea diceva a Gwynplaine: «La luce è quando

tu parli».

Una voltanon riuscendo a trattenersiGwynplaineche aveva scorto ilbraccio di Dea attraverso la manica di mussola

sfiorò con le labbra quella trasparenza. Bocca deformebacio ideale. Deaavvertì un'estasi profonda. Si fece d'un rosso

pallido. Il bacio del mostro evocò l'aurora su quella fronte bella e pienadi notte. Ma Gwynplaine sospirò come

terrorizzatoe quando la scollatura di Dea si schiusenon poté impedirsidi guardareattraverso quello spiraglio di

paradisole candide forme.

Dea sollevò la manica etendendo a Gwynplaine il braccio nudogli disse:«Ancora!». Gwynplaine non seppe cavarsela

che fuggendo.

Il giorno dopo il gioco ricominciò con delle varianti. Scivolare celeste neldolce abisso dell'amore.

Sono cose di cui il buon Dionella sua qualità di vecchio filosofosorride.

VII • LA CECITÀ IMPARTISCE LEZIONI DI CHIAROVEGGENZA

Qualche volta Gwynplaine si rimproverava. Faceva della propria felicità uncaso di coscienza. Pensava che lasciarsi

amare da quella donna che non poteva vederlovoleva dire ingannarla. Cosaavrebbe detto se improvvisamente i suoi

occhi si fossero aperti? Come l'avrebbe respinta ciò che l'attirava! Comesarebbe indietreggiata davanti a quell'amante

spaventoso! Che grido! E le mani a proteggere il viso! Che fuga! Un penososcrupolo lo tormentava. Diceva a se stesso

cheessendo un mostronon aveva diritto all'amore. Idra idolatrata da unastroera suo dovere illuminare quella stella

cieca.

Una volta disse a Dea:

«Tu sai che io sono molto brutto».

«So che sei sublime»rispose lei.

«Quando senti che tutti ridono»continuò«ridono di meperché sonoorribile».

«Ti amo»gli disse Dea.

Dopo una pausa di silenzioessa aggiunse: «Ero preda della morte; tu mi hairiportato in vita. Proprio tuche sei il mio

cielo. Dammi la manolascia che tocchi il mio Dio!».

Le loro mani si cercarono e si strinseroessi non dissero più una parolaresi silenziosi dalla pienezza del loro amore.

Ursusburberoaveva udito. Il giorno dopoappena furono tutti e treinsiemedisse:

«Del restoanche Dea è brutta».

Le sue parole non sortirono alcun effetto. Dea e Gwynplaine non stavanoascoltando. Assorti uno nell'altro

difficilmente percepivano gli epifenomeni di Ursus. La profondità di Ursusera in pura perdita.

Questa volta tuttaviala sua cauta osservazione «anche Dea è brutta»rivelava in luiuomo dottouna certa conoscenza

della donna. È certo che Gwynplaineper pura lealtàaveva commessoun'imprudenza. Dire a una donna qualsiasi o a

qualunque altra cieca che non fosse Dea: Io sono bruttoavrebbepotuto essere pericoloso. Essere ciechi e innamorati

significa essere doppiamente ciechi. In quelle condizioni si sogna;l'illusione è il pane del sogno; togliere all'amore

l'illusione vuol dire togliergli il nutrimento. Esso si forma con ogni tipodi entusiasmo; con l'ammirazione fisica non

meno che con quella morale. D'altra parte non bisogna mai rivolgersi a unadonna con espressioni difficili. La donna vi

costruisce dei sogni. Spesso sono sogni sbagliati. Un enigma può danneggiareuna fantasticheria. La ripercussione di

una parola lasciata cadere disgrega ciò che stava insieme. Capita chesenzasapere comeun cuore colpito oscuramente

da una parola detta per casosi svuoti insensibilmente. L'amante si accorgeche la sua felicità è diminuita. Nulla è più

temibile della lenta trasudazione di un vaso incrinato.

Fortunatamente Dea non era di quell'argilla. Non era fatta della pasta ditutte le altre donne. La natura di Dea era

particolare. Il corpo era fragilema il cuore no. Al fondo del suo esserec'era una divina perseveranza nell'amore.

L'unico segno lasciato in lei dalle parole di Gwynplaine fu che un giorno sene uscì con questa osservazione:

«Cosa significa essere brutto? Significa fare del male. Ma Gwynplaine non fache il bene. Dunque è bello».

Poisempre con quell'aria di fare domandetipica dei bambini e dei ciechicontinuò:

«Vedere? Cosa vuol dire per voi vedere? Io non vedoio so. Mi pare chequesto vedere nasconda».

«Cosa vuoi dire?»domandò Gwynplaine.

«Vedere è qualcosa che nasconde la verità»rispose Dea.

«No»disse Gwynplaine.

«Ma sì!»replicò Dea. «Dal momento che tu dici di essere brutto».

Si fermò un istante a pensare e disse:

«Bugiardo!».

E Gwynplaine provò la gioia di aver confessato e di non essere creduto. Lasua coscienza era a postoe il suo amore

anche.

In questo modo erano arrivatilei a sedici annilui quasi a venticinque.

Non si erano «spinti oltre»come si direbbe oggirispetto al primogiorno. Tutt'altrodal momento checome si

ricorderàavevano già avuto la loro notte di nozzelei a nove mesilui adieci anni. Nel loro amore si prolungava una

specie di santa infanzia; così l'usignolo a volte si attarda nel suo cantonotturno fino all'aurora.

Le loro carezze non andavano oltre le mani che si stringevanoe qualchevolta lo sfiorarsi di un braccio nudo. Bastava

loro il balbettio di una dolce voluttà.Ventiquattro annisedici anni.Questo fece sì che un mattino Ursusche non aveva dimenticato il proposito di«giocare

un brutto tiro»disse loro:

«Uno di questi giorni sceglierete una religione».

«Perché?»domandò Gwynplaine.

«Per sposarvi».

«Ma siamo già sposati»replicò Dea.

Dea non capiva come si potesse essere marito e moglie più di quanto lofossero.

A Ursus in fondo non dispiaceva quell'accontentarsi chimerico e verginalequell'ingenuo appagamento da anima a

animaquel celibato preso per matrimonio. Se diceva il contrarioeraperché bisogna pur dire qualcosa. Ma il medico in

lui trovava che Dea fossese non troppo giovanealmeno troppo delicata efragile per quello che egli chiamava

«l'imeneo in carne ed ossa».

Per quello c'era sempre tempo.

E poinon erano forse già sposati? Se da qualche parte esistel'indissolubilenon era in quell'unione di Gwynplaine e

Dea? Era ammirevole che la sventura li avesse adorabilmente gettati l'unonelle braccia dell'altro. E come se quel

primitivo legame non bastassealla sventura si era aggiuntoavvolto estrettol'amore. Quale forza potrà mai rompere la

catena di ferro consolidata da un nodo di fiori?

Erano davvero inseparabili.

Dea aveva la bellezza; Gwynplaine la luce. Ciascuno portava la propria dote;non erano solo in dueerano una coppia;

soltando l'innocenza li separavaostacolo sacro.

Tuttaviaper quanto Gwynplaine sognasse e fosse assorto nella contemplazionedi Dea e nell'interiorità spirituale del

suo amoreegli era un uomo. Non si sfugge alla fatalità delle leggi. Cometutta la naturaanch'egli subiva gli oscuri

fermenti voluti dal creatore. Erano questi che a voltequando appariva inpubblicogli facevano guardare le donne

mescolate alla folla; ma egli ritirava subito quello sguardo colpevolee siaffrettava a chiudersipentitonella sua

anima.

Dobbiamo dire che gli mancava qualsiasi incoraggiamento. Sul volto di tuttele donne che guardavaegli scorgeva

l'avversionel'antipatiala ripugnanzail rifiuto. Era chiaro che per luinon c'era che Dea. Ciò l'aiutava a pentirsi.

VIII • NON SOLO LA FELICITÀ MA ANCHE LA PROSPERITÀ

Quante cose vere nelle favole! La bruciatura del diavolo invisibile che vitocca è il rimorso di un cattivo pensiero.

Gwynplaine non manifestava cattivi pensieri e non aveva mai rimorsi. Maqualche volta aveva rimpianti.

Vaghe brume della coscienza.

Di che si trattava? Di niente.

La loro felicità era completa. Completa al punto da non essere nemmeno piùpoveri.

Dal 1689 al 1704 aveva avuto luogo una trasfigurazione.

In quell'anno 1704capitava a volte che al cader della sera un furgonegrande e pesantetirato da due robusti cavalli

facesse il suo ingresso in una delle tante cittadine del litorale.Assomigliava allo scafo di una nave rovesciatacon la

chiglia per tettoil ponte per pavimentoil tutto su quattro ruote. Leruote erano uguali e alte come quelle di un

carromatto. Ruotetimone e furgone era tutto intonacato di verdeconun'armoniosa gradazione delle sfumature che

andava dal verde bottiglia delle ruote al verde mela del tetto. Quel coloreverde aveva finito con attirare l'attenzione su

quella vettura che era conosciuta nei luoghi dove si tenevano le fiere; lachiamavano la Green-Boxche significa

Scatola-Verde. La Green-Box aveva due sole finestreuna a ciascunaestremitàe sulla parte posteriore una porta con

predellino. Da un tubo nel tettodipinto di verde come tutto il restousciva del fumo. Quella casa ambulante era sempre

verniciata di fresco e lavata. Davantisu uno strapuntino fissato alfurgonecon la finestra che faceva da portapiù alte

della groppa dei cavallidi fianco a un vecchio che teneva le briglieguidando gli animalic'erano due girovaghecioè

zingarevestite da deeche suonavano una tromba. I borghesistupiticontemplavano e facevano commenti su quella

macchina che sobbalzava fieramente.

Si trattava dell'antica dimora di Ursusche il successo aveva ingranditoedi un piccolo palco promosso a teatro.

Incatenato sotto il furgone c'era un essere a metà tra il cane e il lupo.Era Homo.

Il vecchio cocchiere che guidava i hackneys era il filosofo inpersona.

Da dove veniva quella promozione di una miserabile casupola in berlinaolimpica?

Veniva dal fatto che Gwynplaine era celebre.

Era grazie a un autentico fiuto per ciò che è necessario ad avere successotra gli uominiche Ursus aveva detto a

Gwynplaine: hanno fatto la tua fortuna.

Ursuscome si ricorderàaveva preso Gwynplaine come proprio allievo.Sconosciuti avevano lavorato quel volto. Egli

ne aveva lavorato l'intelligenzae dietro quella maschera così riuscita viaveva messo quanto più pensiero poteva.

Quando gli sembrò che il ragazzoessendo cresciutofosse prontolo fecedebuttare sulla scenacioè davanti al

baracchino. Quell'apparizione aveva avuto un effetto straordinario. Ipassanti lo avevano subito ammirato. Mai si era

visto qualcosa di simile a quella sorprendente contraffazione del riso.Nessuno sapeva come si fosse ottenuto quel

miracolo d'ilarità contagiosaalcuni pensavano che si trattasse di unfenomeno naturalealtri di qualcosa di artificialee

mescolandosi congetture e realtàdovunquenei crocevianei mercatineiluoghi dove si tenevano fiere e festela folla

si accalcava attorno a Gwynplaine.Grazie a quella - great attraction -nellapovera scarsella di quel gruppo di nomadi era cadutadapprima una pioggia di

centesimipoi di grosse monete e infine di scellini. Esaurita la curiositàin un luogopassavano ad un altro. Rotolare non

arricchisce una pietrama può arricchire una carretta; e di anno in annodi città in cittàcon il crescere della statura e

della bruttezza di Gwynplaineera arrivata la fortuna predetta da Ursus.

«Ti hanno reso un bel servizioragazzo mio!»diceva Ursus.

Quella - fortuna - aveva permesso a Ursusche amministrava il successo diGwynplainedi costruirsi la carretta dei suoi

sognicioè un furgone grande abbastanza per trasportare un teatroe potercosì seminare scienza e arte ad ogni crocevia.

InoltreUrsus aveva potuto aggiungere al gruppo composto da luida Homoda Gwynplaine e da Deadue cavalli e due

donne chenella compagniacome abbiamo dettofacevano le dee e le serve.Ogni baracca di giocolieria quei tempi

aveva il suo frontespizio mitologico. «Siamo un tempio di girovaghi»diceva Ursus.

Le due girovagheraccolte dal filosofo nella baraonda di nomadi dei borghi edei sobborghierano brutte e giovanie

Ursus aveva imposto loro i nomi di Febe e Venere. Leggete: Fibi e Vinos.Dato che dobbiamo conformarci alla

pronuncia inglese.

Febe si occupava della cucina e Venere sgobbava nel tempio.

Inoltrequando c'era spettacolovestivano Dea.

Al di fuori di quella che èper i giocolieri come per i principi- la vitapubblica -Deacome Febi e Venereindossava

una gonna fiorentina di tela a fiori e un capingot senza manichechelasciava libere le braccia. Ursus e Gwynplaine

portavano capingot da uomo ecome i marinai delle navi da guerradelle granbraghe alla marinara. Inoltre per gli

esercizi e i lavori faticosiGwynplaine tenevaintorno al collo e sullespalleuna schiavina di cuoio. Egli si prendeva

cura dei cavalli. Ursus e Homo si prendevano cura uno dell'altro.

Dea si era talmente abituata alla Green-Box che andava e veniva all'internodi quella casa ambulante in modo quasi

naturalecome se ci vedesse.

Se uno sguardo avesse potuto penetrare nella struttura intima e nellasistemazione di quell'edificio ambulanteavrebbe

scorto in un angoloancorato alle pareti e immobile sulle sue quattro ruotel'antico baracchino di Ursus messo a riposo

a cui era concesso d'arrugginire e ormai dispensato dal macinare stradacosì come Homo era dispensato dal trainare.

Il baracchinocacciato in un angolo sul fondoa destra della portaservivada camera e da guardaroba a Ursus e a

Gwynplaine. Adesso conteneva due letti. Nell'angolo di fronte c'era lacucina.

Una nave non viene sistemata in modo più sobrio e più preciso di quantofosse la sistemazione interna della Green-Box.

Ogni cosa aveva un postoin un ordine previsto e voluto.

La berlina era divisa in tre scompartimenti separati. Gli scompartimenticomunicavano per mezzo di aperture prive di

porte. Un pezzo di stoffa attaccata in alto faceva da chiusura. Ilcompartimento posteriore era l'alloggio degli uominiil

compartimento anteriore era l'alloggio delle donnequello di mezzocheseparava i due sessiera il teatro. Gli strumenti

d'orchestra e i macchinari erano in cucina. Un soppalco nella curvatura deltetto conteneva gli scenarie aprendo una

botola nel soppalco si scoprivano le lampade che servivano per certi giochid'illuminazione.

Ursus era il poeta di quei giochi. Era lui l'autore delle rappresentazioni.

Era molto ingegnososapeva fare giochi d'abilità molto singolari. Oltrel'imitazione delle vocisi esibiva in ogni sorta di

meraviglieeffetti di luce e d'oscuritànumeri e parole a volontà cheapparivano spontaneamente su una paretevolti che

svanivano confusi nel chiaroscuroe una quantità di bizzarrie in mezzo acui egli sembrava meditareincurante della

folla meravigliata.

Un giorno Gwynplaine gli aveva detto:

«Padremi sembrate uno stregone».

E Ursus aveva risposto:

«Questo forse dipende dal fatto che lo sono».

La Green-Boxcostruita su un sapiente progetto di Ursuspresentava unaraffinatezza ingegnosa: tra le ruote anteriori e

quelle posterioriil pannello centrale della facciata di sinistra girava suuna cernieragrazie a un gioco di catene e

puleggeabbattendosi a comando come un ponte levatoio. Scendendo liberavatre supporti di ferro a cardini chementre

il pannello si abbassavasi mantenevano verticaliposandosi alla fine perterra dritti come le gambe di un tavolo

sostenendo cosìrialzato dal selciatoil pannello che era diventatoorizzontale come un palco.

Contemporaneamente appariva il teatrocompleto di ripiano in funzione diproscenio. Quel vano era del tutto simile a

una bocca dell'infernoalmeno secondo i predicatori puritani che sitrovavano in giro e che se ne allontanavano

inorriditi. È probabile che Solone abbia preso a bastonate Tespi proprio perun'empia invenzione del genere.

D'altra parte Tespi è durato più a lungo di quanto non si creda. Ilcarro-teatro esiste ancora. È sullo stesso tipo di teatri

ambulanti che nel sedicesimo e nel diciassettesimo secolo furonorappresentati in Inghilterra i balletti e le ballate di

Amner e di Pilkingtonin Francia le pastorali di Gilbert Colinin Fiandradurante le feste popolarii doppi cori di

Clémentdetto Non Papain Germania l'Adamo e Eva di Theilese in Italiale esibizioni veneziane di Animuccia e di

Ca-Fossisle Selve di Gesualdoprincipe di Venosail Satiro diLaura Guidiccionila Disperazione di Filenola Morte

di Ugolino di Vincenzo Galileipadre dell'astronomoil quale VincenzoGalilei cantava da sé la propria musica

accompagnandosi con la viola da gambae tutti quei primi saggi d'operaitaliana chedal 1580hanno sostituito la libera

ispirazione al genere madrigalesco.

Il carro color speranza che trasportava UrsusGwynplaine e le lororicchezzee in testa al quale Fibi e Vinos suonavano

come due celebri trombettistifaceva parte di tutto quell'insiemeletterario-zingaresco. Né Tespi avrebbe sconfessato

Ursusné Congrio Gwynplaine.Quando arrivavano nelle piazze dei villaggi edelle cittàtra una fanfara a l'altra di Fibi e VinosUrsus commentava le

due trombe con notizie istruttive.

«Questa è una sinfonia gregoriana»esclamava. «Bravi borghesiilsacramentario gregorianoche è stato un grande

progressosi è scontrato in Italia con il rito ambrosianoe in Spagna conil rito mozarabicoe ne ha trionfato a stento».

Dopo di che la Green-Box si fermava in un luogo qualunquescelto da Ursusevenuta la serail pannello proscenio si

abbassavail teatro si apriva e cominciava la rappresentazione.

Il teatro della Green-Box raffigurava un paesaggio dipinto da Ursusche nonsapeva dipingerecosì che il paesaggio

poteva benissimo rappresentare un sotterraneo.

Il siparioche noi chiamiamo teloneera una tenda di seta a quadri conforti contrasti.

Il pubblico stava fuorisulla stradain piazzadisposto a semicerchiodavanti allo spettacolosotto il solesotto gli

acquazzonicosa che rendeva la pioggia meno piacevole per i teatri di queitempi di quanto non lo sia per i nostri.

Quando era possibilele rappresentazioni venivano date in un cortiled'albergocosì da avere tante file di palchi quanti

erano i piani delle finestre. In questo modoessendo il teatro più chiusoil pubblico pagava di più.

Ursus era dovunquesi occupava dei copionidella compagniadella cucinadell'orchestra. Vinos picchiava sul

tamburomaneggiando a meraviglia le bacchettee Fibi pizzicava una speciedi chitarra. Il lupo era stato promosso

comparsa. Faceva decisamente parte della «compagnia»eall'occasionerecitava delle piccole parti. Spessoquando

Ursus e Homo facevano la loro comparsa fianco a fianco nel teatroUrsusnella sua pelle d'orso ben allacciataHomo

ancor meglio sistemato nella sua pelle di luponon si capiva chi dei duefosse la bestia; Ursus ne era lusingato.

IX • STRAVAGANZE CHE LE PERSONE SENZA GUSTO CHIAMANO POESIA

Le commedie di Ursus erano «interludi»genere che oggi è un po' passatodi moda. Una di queste commedieche non è

arrivata fino a noiera intitolata Ursus Rursus. Probabilmente eglivi recitava il ruolo principale. Una finta uscita seguita

da un ritorno ne costituiva il verosimile soggettolodevolmente sobrio.

A volte il titolo degli interludi di Ursus era in latinocome si vedementre la poesia era spesso in spagnolo. I versi

spagnoli di Ursus erano in rimacome quasi tutti i sonetti castigliani diquel tempo. Ciò non disturbava il popolo. Lo

spagnolo era allora una lingua correntee i marinai inglesi parlavanocastigliano come i soldati romani parlavano

cartaginese. Pensate a Plauto. D'altra parte la lingua latinao un'altra chepure l'uditorio non capissenon dava fastidio a

nessunosia a teatro che a messa. Se la cavavano accompagnandolaallegramente con parole che conoscevano. La

nostra vecchia Francia d'un tempo aveva in particolare quella strana manieradi essere devota. In chiesasu un

Immolatusi fedeli cantavano Liesse pendraie su un SanctusBaise-moima mie. Ci fu bisogno del concilio di Trento

per porre fine a simili licenze.

Proprio per Gwynplaine Ursus aveva composto un interludio di cui erasoddisfatto. Era la sua opera principale. Vi

aveva messo tutto se stesso. Darsi completamente in ciò che si fa è iltrionfo di chiunque crei. Il rospo che fa un altro

rospo fa un capolavoro. Ne dubitate? Provate a fare altrettanto.

Ursus aveva intensamente rifinito quell'interludio. Il canovaccio eraintitolato: La sconfitta del caos.

Ecco di cosa si trattava:

Un effetto notte. Nel momento in cui la tenda si aprivala folla ammassatadavanti alla Green-Box vedeva solo del nero.

In quel nero si muovevano come rettili tre forme indistinteun lupoun orsoe un uomo. Il lupo era il lupo. Ursus faceva

l'orsoGwynplaine l'uomo. Il lupo e l'orso rappresentavano le forze ferocidella naturagli appetiti incoscientila

selvaggia oscuritàe si avventavano tutti e due su Gwynplaineraffigurandola lotta del caos contro l'uomo. Non si

distinguevano le facce. Gwynplaine si dibatteva sotto un sudarioaveva ilvolto coperto da una folta capigliatura

spiovente. Comunque tutto era avvolto dalle tenebre. L'orso ringhiavaillupo digrignava i denti e l'uomo gridava.

L'uomo aveva la peggioi due animali stavano per sopraffarlo; egli invocavaaiuto e soccorsolanciava un richiamo

nelle profondità dell'ignoto. Rantolava. Si assisteva all'agonia diquell'uomo informeappena distinguibile dai bruti;

l'effetto era lugubrela folla guardava col fiato sospeso; ancora un istantee le belve avrebbero trionfatoil caos avrebbe

riassorbito l'uomo. Lottagridaurlae improvvisamente il silenzio.Dall'ombra veniva un canto. Era passato un soffio

si udiva una voce. Musiche misteriose fluttuavanoaccompagnando quel cantodell'invisibilee di colposenza che si

capisse da dove e comesorgeva qualcosa di bianco. Quel bianco era una lucequella luce era una donnaquella donna

era spirito. Deacalmacandidabellaesemplare per serenità e dolcezzaappariva al centro di una nuvola. Un profilo

chiaro nell'aurora. Quella voce era lei. Voce leggeraprofondaineffabile.Da invisibile fattasi visibileessa cantava

nell'alba. Era come udire il canto di un angelo o l'inno di un uccello. Alsuo apparire l'uomo si drizzava nello scintillio

di un lampoe colpiva con i pugni le due bestieatterrandole.

Allora la visionecon uno scarto difficile da comprenderee dunque tantopiù ammiratocantava questi versi in uno

spagnolo sufficientemente puro per essere capito dai marinai inglesi chel'ascoltavano:

Ora! Hora!

De palabra

Nace razon

Da luze el son.

Poiabbassando gli occhi al di sotto del piano dove si trovavacome se cifosse un abissoriprendeva:Noche quita te de alli

El alba canta hallali.

A mano a mano che ella cantava l'uomo si ergeva sempre di più ementreprima giacevaora stava in ginocchiocon le

mani alzate verso la visionele ginocchia sulle bestie immobili e comefolgorate. Leirivolta verso di luicontinuava:

Es menester a cielos ir

Y tu que llorabsa reir.

Eavvicinandosi con la maestà di una stellaaggiungeva:

Gebra barzon!

Dexamonstro

A tu negro

Caparazon.

E gli posava la mano sulla fronte.

Allora si levava un'altra vocepiù profonda e dunque ancora più dolceassorta e desolatadi una gravità tenera e

indomitaera il canto dell'uomo che rispondeva al canto delle stelle.Gwynplainesempre inginocchiato nell'oscurità

sull'orso e sul lupo ormai vinticon il capo sotto la mano di Deacantava:

O ven! ama!

Eres alma

Soy corazon.

E all'improvvisoin quell'ombraun fascio di luce colpiva Gwynplaine inpieno volto.

Si vedeva il mostro sbocciare dalle tenebre.

È impossibile descrivere la commozione della folla. Sorgeva un sole chestava ridendoquesto era l'effetto. Il riso nasce

da ciò che è imprevedibilee niente era meno prevedibile di quell'epilogo.L'emozione provocata da quello schiaffo di

luce sulla maschera buffa e terribile era incomparabile. Si rideva di quelriso; dovunquein altoin bassodavantiin

fondouominidonnei vecchi calvii volti rosei dei bambinii buoniicattiviquelli allegri e quelli tristitutti; e

perfino i passanti sulla stradache non potevano vedereal suono di quellerisateridevano. E il riso finiva in un batter

di mani e di piedi. Quando la tenda si chiudevachiamavano a gran voceGwynplaine. Il successo era enorme. Avete

visto La sconfitta del caos? Tutti accorrevano da Gwynplaine. Glispensierati andavano per riderei melanconici

andavano per riderequelli con la coscienza sporca andavano per ridere. Eraun riso così irresistibile chea voltepoteva

sembrare insano. Ma se c'è una peste che l'uomo non si sogna di fuggirequesta è il contagio della gioia. Il successo

comunque non andava oltre la cerchia del popolino. Una grande folla significapopolo minuto. Si assisteva a La

sconfitta del caos per un penny. Il bel mondo non va là dove si spendesolo un soldo.

Ursus non disprezzava affatto la sua operache aveva covato tanto a lungo.

«È del tipo di quelle di un certo Shakespeare»diceva con modestia.

La sovrapposizione di Dea a Gwynplaine aggiungeva qualcosa di inesprimibilealla scena. Quella figura bianca accanto

a uno gnomo rappresentava qualcosa come lo stupore divino. Il popolo guardavaDea con una specie di misteriosa

ansietà. Essa aveva la suprema e indefinibile qualità della vergine e dellasacerdotessache ignora l'uomo ma conosce

Dio. Si vedeva che era ciecae si avvertiva che era veggente. Sembrava rittasulla soglia del soprannaturale. Si mostrava

per metà nella nostra lucee per metà nell'altra. Veniva per lavoraresulla terra nel modo in cui lavora il cielocon

l'aurora. Trovava un'idra e ne faceva un'anima. Il suo aspetto era quello diuna potenza creatriceprovava uno stupore

soddisfatto per la sua creazione; era come se sul suo viso adorabilmentesmarrito ci fosse la volontà della causa e la

sorpresa del risultato. Si sentiva che amava il suo mostro. Ma sapeva che eraun mostro? Sìpoiché lo toccava. Nodal

momento che lo accettava. Tutta quella notte e tutto quel giorno mescolati sirisolvevanonell'anima dello spettatorein

un chiaroscuro dove apparivano prospettive infinite. Come possa la divinitàaderire all'abbozzocome si compia la

penetrazione dell'anima nella materiacome il raggio di sole sia un cordoneombelicalecome possa trasfigurarsi chi è

sfiguratocome l'informe diventi paradisiacotutti questi misteri appenaintravisti aggravavano di un'emozione quasi

cosmica le convulsioni d'ilarità provocate da Gwynplaine. Senzaapprofondireperché agli spettatori non piace

l'approfondimentopure essi avvertivano qualcosa al di là di ciò chevedevanoe quello strano spettacolo aveva la

trasparenza di un avatar.

Quanto a Deaciò che provava sfugge alla parola umana. Si sentivacircondata da una follasenza sapere cosa fosse una

folla. Udiva del rumoreed è tutto. Per lei la folla era un soffio; e infondo non è che questo. Le generazioni sono un

passare di fiati. L'uomo respirainspirando e espirando. In mezzo a quellafolla Dea si sentiva solarabbrividiva come in

bilico sopra un precipizio. A un trattonel turbamento che prova l'innocentein pericolopronto ad accusare l'ignoto

nell'insoddisfazione per la probabile cadutaDeache tuttavia rimanevaserena e superiore alla vaga angoscia per il

pericolopur fremendo interiormente a causa del suo isolamentoritrovavacertezza e sostegno; tornava ad afferrare ilsuo filo di salvezza inquell'universo di tenebreposava la mano sulla forte testa di Gwynplaine. Gioiainaudita!

Appoggiava le rosee dita su una foresta di capelli crespi. Toccare la lanarisveglia una sensazione di dolcezza. Dea

toccava un montone sapendo che era un leone. Il cuore le si scioglieva in unamore ineffabile. Si sentiva fuori pericolo

trovava il salvatore. Il pubblico credeva di assistere al contrario. Per glispettatori era Gwynplaine la creatura salvatae

Dea il salvatore. Che importa! Pensava Ursusche vedeva nel cuore di Dea. EDearassicurataconsolatain estasi

adorava un angelomentre il popolo contemplava un mostrosubendo anch'essocon un fascino di senso opposto

quello smisurato e prometeico riso.

Il vero amore non si stanca. Essendo puramente spirituale non puòintiepidirsi. La brace si copre di cenerema non la

stella. Quelle impressioni squisite si rinnovavano ogni sera per Deaed erapronta a piangere di tenerezza mentre gli

altri si torcevano dal ridere. Intorno a lei erano tutti allegrima leileiera felice.

Del resto quell'allegria dovuta al ghigno imprevisto e stupefacente diGwynplainenon era certo voluta da Ursus.

Avrebbe preferito il sorriso alla risatae un'ammirazione più letteraria.Ma il trionfo consola. Egli trovava modo di

riconciliarsi tutte le sere con quel successo eccessivocontando quante piledi farthings occorrevano per fare degli

scellinie quante di scellini per fare delle sterline. E poipensava chequando tutto quel ridere fosse passato qualcosa de

La sconfitta del caos sarebbe rimasto in fondo ai cuori. Forse non sisbagliava del tutto; l'assestamento di un'opera

avviene nel pubblico. La verità è che il popolinoche prestava attenzioneal lupoall'orsoall'uomo e poi alla musicaa

quelle urla domate da un'armoniaa quella notte messa in fuga dall'albaalcanto che sprigionava luceaccettava con

una simpatia confusa e profondae anche con un certo rispetto inteneritoilpoema drammatico La sconfitta del caos

quella vittoria dello spirito sulla materiache terminava nella gioiadell'uomo.

Erano i piaceri grossolani del popolo.

Gli bastavano. Il popolo non aveva i mezzi per andare ai - nobili incontri -della gentrye non poteva scommettere mille

ghinee su Helmsgail contro Phelem-ghe-madonecome facevano i signori e igentiluomini.

X • COLPO D'OCCHIO DI CHI È FUORI DAL MONDO SULLE COSE E SUGLI UOMINI

L'uomo non pensa che a vendicarsi del piacere che gli si procura. Da qui ildisprezzo per il commediante.

A questo essere che mi affascinami divertemi distraemi educam'incantami consolami istilla l'idealemi è

piacevolmente utileche male posso fare? L'umiliazione. Il disprezzoche èlo schiaffo dato a distanza.

Schiaffeggiamolo. Mi piacedunque è vile. Mi servedunque lo odio. Datemiuna pietra che gliela tiro. Dammi la tua

prete. E la tuafilosofo. Bossuetscomunicalo. Rousseauinsultalo.Oratoresputagli addosso i sassi della tua bocca. Su

fanne una delle tue. Lapidiamo l'alberoammacchiamo il fruttoe poimangiamolo. Bravo! Eabbasso! Recitare i versi

dei poeti significa essere appestati. Vaistrione! Mettiamolo alla gogna delsuo successo. Completiamo il suo trionfo

con schiamazzi. Che raccolga folla e generi solitudine. Così le classiricchedette classi altehanno inventato per il

commediante un'originale forma di isolamentol'applauso.

Il popolino è meno feroce. Non odiava affatto Gwynplaine. Né lodisprezzava. Solo che l'ultimo calafato dell'ultimo

equipaggio dell'ultima caracca ormeggiata nell'ultimo porto dell'Inghilterrasi considerava incommensurabilmente

superiore a questo intrattenitore «della canaglia»ed era convinto che uncalafato è tanto superiore a un saltimbanco

quanto un lord a un calafato.

Come tutti i commediantiGwynplaine era dunque applaudito e isolato. Delrestoa questo mondo ogni successo è un

crimine e va espiato. Ogni medaglia ha il suo rovescio.

Per Gwynplaine non c'erano rovesci. Nel senso che gli piacevano entrambi gliaspetti del suo successo. Era contento

degli applausi e dell'isolamento. Gli applausi lo rendevano ricco;l'isolamento gli dava la felicità.

Ricchezzain questi bassifondivuol dire non essere più miserabili. Vuoldire non avere più buchi nei vestitiné freddo

il focolarené vuoto lo stomaco. Significa mangiare quando si ha appetito ebere quando si ha sete. Significa avere tutto

il necessariocompresa una moneta da dare al povero. Gwynplaine possedevaquesta ricchezza indigentesufficiente per

essere liberi.

Per quanto riguarda l'animaegli era ricchissimo. Aveva l'amore. Cosa potevadesiderare?

Non desiderava nulla.

Si sarebbe almeno potuto offrirgli qualcosa per la sua deformità. Comel'avrebbe respinta! Abbandonare la maschera per

riprendere il proprio voltotornare ciò che forse era statobello eaffascinantenon l'avrebbe certamente voluto! E con

cosa avrebbe mantenuto Dea? Che ne sarebbe stato della povera e dolce ciecache lo amava? Senza il ghigno che faceva

di lui un clown unicosarebbe stato un saltimbanco qualsiasil'ultimo degliequilibristiuno che raccattava spiccioli

nelle fessure del selciatoe forse Dea non avrebbe avuto pane tutti igiorni! Era con tenero orgoglio che egli si sentiva il

protettore di quell'inferma celeste. NotteSolitudineMiseriaImpotenzaIgnoranzaFame e Setele sette fauci

spalancate della miseria si drizzavano attorno a leied egli era San Giorgioche lotta con il drago. E trionfava sulla

miseria. Come? Con la sua deformità. La deformità lo faceva utilesoccorrevolevittoriosogrande. Non aveva che da

mostrarsi per attirare il denaro. Era il signore delle folle; sapeva diessere il sovrano della plebaglia. Tutto egli poteva

per Dea. Provvedeva alle sue necessità; accontentava i suoi desiderile suevogliele sue fantasienei limiti di quanto

può augurarsi una cieca. Gwynplaine e Deacome abbiamo già dettoeranouno la provvidenza dell'altro. Egli si sentiva

sollevato dalle sue alilei si sentiva portata dalle sue braccia. Non c'èniente di più dolce che proteggere chi vi amadare

il necessario a chi vi fa dono delle stelle. Gwynplaine godeva di questasuprema felicità. La doveva alla sua deformità.

Quella deformità che lo rendeva superiore a tutti. Tramite essa siguadagnava la vitae la guadagnava anche per gli altri;tramite essa eraindipendenteliberofamosointimamente soddisfattofiero. In quelladeformità era inaccessibile. La

fatalità non poteva nulla contro di luidopo il colpo in cui si eraesaurita dando inizio al suo trionfo. Quel fondo di

disgrazia si era trasformato in vetta elisea. Gwynplaine era rimastoimprigionato nella deformitàma insieme a Dea.

Eracome abbiamo dettouna prigione in paradiso. Tra loro e il mondo deivivi c'era una muraglia. Meglio così. Quella

muraglia li rinchiudeva e li proteggeva al tempo stesso. Cosa si poteva farecontro Dea o contro Gwynplainecon una

simile recinzione attorno che li separava dalla vita? Togliere a lui ilsuccesso? Impossibile. Avrebbero dovuto togliergli

la faccia. Togliergli l'amore? Impossibile. Dea non lo vedeva. La cecità diDea era divinamente incurabile. Quali erano

gli inconvenienti della deformità per Gwynplaine? Non ce n'erano. E ivantaggi? Tutti. Era amato malgrado quell'orrore

e forse proprio a causa di esso. Infermità e deformità si eranoistintivamente avvicinate e accoppiate. Non è forse tutto

essere amati? Gwynplaine pensava ai suoi sfregi con riconoscenza. In quellestimmate era stato benedetto. Lo sentiva

con gioia impagabile e eterna. Che fortuna che quel dono fosse irrimediabile!Finché ci fossero stati crocicchifiere

strade davanti a ségente sulla terra e cielo in altosarebbe stato sicurodi viverea Dea non sarebbe mancato nullasi

sarebbero amati! Gwynplaine non avrebbe cambiato il proprio volto con quellodi Apollo. La forma della sua felicità era

il suo essere mostruoso.

Perciò all'inizio dicevamo che il destino l'aveva esaudito. Il reprobo eraun eletto.

Era così felice che compiangeva gli uomini che aveva attorno. Non glimancava certo la pietà. Per istinto comunque

guardava un po' quello che succedeva all'esternoperché nessun uomo ètutto d'un pezzo e la natura non è un'astrazione;

egli viveva nell'estasi di quell'isolamentoma ogni tanto alzava la testa aldi sopra del muro. Dopo essersi confrontato

rientrava con maggior gioia nel suo isolamento accanto a Dea.

Cosa vedeva attorno a sé? Chi erano tutti quelli che la sua esistenza danomade gli mostrava ogni giorno in campioni

diversi? Folle sempre nuovema sempre la stessa moltitudine. Sempre nuovivoltisempre le stesse sventure. Una

promiscuità di rovine. Ogni sera tutti i tipi di fatalità sociale facevanocerchio attorno alla sua felicità.

La Green-Box era popolare.

I prezzi bassi richiamano la classe bassa. Da lui andavano i deboliipoverii piccoli. Si recavano da Gwynplaine come

a bere del gin. Ci si comprava due soldi d'oblio. Dall'alto del suo palcoGwynplaine passava in rivista quel popolo

grigio. Il suo spirito si riempiva di tutte le apparizioni successive diun'immensa miseria. La fisionomia dell'uomo è fatta

dalla coscienza e dalla vitaed è il risultato di una quantità di segnimisteriosi. Non una sofferenzanon una colleranon

un'ignominianon una disperazione che per Gwynplaine non fosse una ruga. Lebocche di quei bambini non avevano

mangiato. Quell'uomo era un padrequella donna era una madree dietro loros'indovinavano famiglie distrutte. Quel

volto usciva dal vizio per entrare nel delitto; e se ne capivano i motivi:ignoranza e indigenza. Quell'altro rivelava

l'impronta di un'originaria bontàcancellata dallo sfinimento sociale efattasi odio. Sulla fronte di quella donna vecchia

si vedeva la fame; sulla fronte di quella giovinetta si vedeva laprostituzione. Le circostanze erano le stessema la

giovane aveva una risorsae questo le rendeva più lugubri. In quellaconfusione c'erano bracciama nessun attrezzo; i

lavoratori non domandavano di meglioma non c'era lavoro. A volte accanto aun operaio veniva a sedersi un soldatoa

volte un invalidoe Gwynplaine scorgeva lo spettro della guerra. QuiGwynplaine leggeva la disoccupazionelà lo

sfruttamentolà la servitù. Su certe fronti constatava quasi un ritornoall'animalitàil lento ritorno dell'uomo alla bestia è

il risultato della pressione verso il basso esercitata dall'oscura pesantezzadella felicità di chi sta in alto. In quelle

tenebre c'era per Gwynplaine uno spiraglio. Un giorno di sofferenza avevaprocurato a lui e a Dea la felicità. Tutto il

resto era dannazione. Gwynplaine sentiva sopra di sé lo scalpiccio svagatodei potentidei ricchidei magnificidei

grandidegli eletti dalla fortuna; sottodistingueva la massa di faccepallide dei diseredati; vedeva se stesso e Deacon

la loro piccola felicitàcosì incommensurabiletra due mondi; in altoilmondo che andava e venivaliberoallegro

danzanteil mondo di quelli che calpestano; in basso il mondo di quellicalpestati. Una fatalità che indica la profondità

del male socialela luce che schiaccia l'ombra! Gwynplaine prendeva atto diquel lutto. Come! Un simile destino da

rettile! L'uomo che si trascina così! Una tale aderenza alla polvere e alfangoun simile disgustouna simile

abdicazionee una tale abiezione che vien voglia di metterci il piede sopra!Di quale farfalla dunque la vita umana è il

bruco? Come! Nella folla che ha fame e che ignoradovunque e davanti atuttiil punto interrogativo del delitto o della

vergogna! L'inflessibilità delle leggi che produce l'ammollimento dellecoscienze! Un bambino che cresce solo per

rimpicciolire! Una vergine che cresce per vendersi! Una rosa che nasce per labava! A volte i suoi occhiincuriositi e

commossicercavano di vedere fino in fondo a quell'oscuritàdoveagonizzavano tanti inutili sforzi e dove lottavano

tanti sfinimentifamiglie divorate dalla societàcostumi torturati dalleleggipiaghe incancrenite dalle punizioni

miserie rose dalle imposteintelligenze alla derivainghiottitedall'ignoranzazattere in pericolo cariche d'affamati

guerrecarestierantoligridasparizioni; ed egli provava un'indefinibileemozione davanti a quella straziante angoscia

universale. Poteva vedere tutta la schiuma dell'infelicità sulla cupaconfusione umana. Egli era in portoguardava il

naufragio attorno a sé. A volte si prendeva tra le mani il volto sfiguratoe pensava.

Che follia essere felice! Che sogni! Gli venivano certe idee. L'assurdo gliattraversava il cervello. Poiché una volta

aveva soccorso un bambino si sentiva portato a soccorrere il mondo. Le nubidella fantasticheria facevano velo qualche

volta alla sua stessa situazione; perdeva il senso della proporzione fino adirsi: «Cosa si potrebbe fare per questo popolo

disgraziato?». Gli capitava di essere tanto assorto da dirlo a voce alta.Allora Ursusalzando le spallelo guardava fisso.

E Gwynplaine continuava a sognare: «Oh! Se fossi potentesaprei ben andarein aiuto ai disgraziati! Ma chi sono io?

Un atomo. Cosa posso fare? Nulla».

Si sbagliava. Egli poteva molto per gli infelici. Li faceva ridere.

Ecome abbiamo dettofar ridere significa far dimenticare.Quale migliorbenefattore su questa terra di chi regala l'oblio!

XI • GWYNPLAINE È NEL GIUSTOURSUS NEL VERO

Un filosofo è una spia. Ursusa caccia di sognistudiava il suo allievo. Inostri soliloqui producono un vago riverbero

sulla nostra fronteche non sfugge allo sguardo del fisionomista. PerciòUrsus conosceva tutto quello che passava per la

testa di Gwynplaine. Un giorno che Gwynplaine stava meditandoUrsustirandolo per il capingotesclamò:

«Come osservatore mi sembri stupido! Stai attentociò non ti riguarda. Tudevi pensare a una cosa solaamare Dea. La

tua felicità è fatta di due fortune; la prima è che la folla vede il tuomuso; la seconda che Dea non lo vede. Tu non hai

nessun diritto a questa felicità. Nessuna donna vedendo la tua boccaaccetterebbe i tuoi baci. La bocca che fa la tua

fortunala faccia che ti fa ricconon ti appartengono. Non eri nato conquel volto. L'hai rubato alla smorfia che sta in

fondo all'infinito. Hai rubato la maschera al diavolo. Sei orribileaccontentati di questa fortuna. A questo mondoche

per altro è ben fattoci sono quelli felici per diritto e quelli felici percaso. Tu sei uno di quelli felici per caso. Tu sei in

un sotterraneo dove si è impigliata una stella. Quella povera stella è tua.Non uscire dal tuo sotterraneotieniti la tua

stellaspecie di ragno! Nella tua tela c'è la rosseggiante Venere. Fammi ilpiacere di essere soddisfatto. Vedo che ti

perdi in fantasticherieè una cosa idiota. Ascoltati parlerò nellalingua della vera poesia: se Dea mangerà fette di

manzo e cotolette di montonein sei mesi diventerà forte come una turca;sposala subitoe dalle un figliodue figlitre

figliuna sfilza di figli. Ecco quella che per me è la vera filosofia.Inoltre si è felicicosa da non disprezzare. Avere dei

bambiniquesto è il bello. Abbi dei marmocchipuliscilisoffia loro ilnasomettili a lettoimbrattali e sbrattaliche

tutto ciò ti brulichi attorno; se ridonobene; se urlanomeglio; gridaresignifica vivere; guardali succhiare a sei mesi

andare a carponi a un annocamminare a duesvilupparsi a quindiciamare aventi. Chi ha di queste gioieha tutto. Io

non sono riuscito ad avere tutto ciòper questo sono un bruto. Il buon Diocompositore di belle poesieil primo tra i

letteratiha dettato al suo collaboratore Mosè: Moltiplicatevi! Eccoil testo. Moltiplicatianimale! Quanto al mondoè

quello che è; non ha certo bisogno di te per andare male. Lascia perdere.Non ti curare di quello che c'è fuori. Lascia in

pace l'orizzonte. Un commediante è fatto per essere guardatonon perguardare. Sai cosa c'è fuori? Quelli felici per

diritto. Te lo ripetotu sei felice per caso. Tu rubi la felicità cheappartiene a loro. Essi sono i legittimi proprietaritu sei

l'intrusotu vivi in concubinaggio con la sorte. Cosa vuoi di più di quelloche hai? Che Schiboleth mi aiuti! Questo

scavezzacollo è un furfante. Eppure moltiplicarsi con Dea deve esserepiacevole. Una simile felicità sembra una truffa.

Chiper concessione del cieloè felice quaggiùnon ama che quelli sottodi lui si permettano tanta gioia. Se ti

domandassero: che diritto hai di essere felice? Tu non sapresti cosarispondere. Tu non hai il permessoloro sì. Giove

AllahVisnùSabaothnon importaha dato loro il lasciapassare per lafelicità. Temili. Non occuparti di lorose non

vuoi che essi si occupino di te. Sai cos'èmiserabileun fortunato perdiritto? È un essere terribileè un lord. Ah! Un

lordecco uno che ha dovuto brigare nell'ignoto regno del diavolo prima divenire al mondoper entrare nella vita da

una porta simile! Quanto deve essergli costato nascere! È stata la sua unicafaticamasanto cielo! Non da poco!

Ottenere dal destinobel tanghero di ciecoche vi faccia subitofin dallacullapadrone di uomini! Corrompere questo

bigliettario per farvi dare il posto migliore per lo spettacolo! Leggi ilpromemoria che si trova nel baracchino che ho

messo a riposoleggi il breviario della mia saggezza e vedrai cos'è unlord. Il lord è uno che ha tutto e che è tutto. Lord

è chi si pone al di sopra della propria natura; un lord è chipur essendogiovanepossiede i diritti della vecchiaia e

quando è vecchiopossiede le fortune della gioventùvizioso è rispettatodalla gente per benecodardo comanda ai

coraggiosifannullone gode il frutto del lavoro altruiignorante ha ildiploma di Cambridge e di Oxfordstupido è

ammirato dai poetibrutto le donne gli sorridonoTersite ha l'elmod'Achillelepre la pelle del leone. Non

fraintenderminon voglio dire che un lord debba essere necessariamenteignorantevilebruttostupido e vecchio; dico

solo che può essere tutto ciò senza riceverne danno. Al contrario. I lordssono principi. Il re d'Inghilterra non è che un

lordil primo signore della signoria; è tutto quima è molto. Un tempo ire si chiamavano lords; il lord di Danimarcail

lord d'Irlandail lord delle Isole. Il lord di Norvegia si è chiamato resolo dopo trecento anni. Lucioil più antico re

d'Inghilterrariceveva da San Telesforo l'appellativo milord Lucius.I lords sono paricioè uguali. A chi? Al re. Non

commetterò certo l'errore di confondere i lords con il parlamento. Isassoniprima della conquistaavevano chiamato

l'assemblea del popolo wittenagemotdopo la conquista i normanni lachiamarono parliamentum. Poco a poco il popolo

fu messo alla porta. Le lettere chiuse del reche convocavano i comuniuntempo portavano ad consilium impedendum

oggi portano ad consentiendum. I comuni hanno il diritto diacconsentire. Sono liberi di dire sì. I pari possono dire no. E

la prova sta nel fatto che l'hanno detto. I pari possono tagliare la testa alreil popolo no. Il colpo di scure su Carlo I è

una prevaricazionenon sul rema sui pariperciò hanno fatto bene adimpiccare la carcassa di Cromwell. I lords hanno

il potereperché? Perché sono ricchi. Chi ha sfogliato il Doomsday-book?Esso è la prova che i lords sono i proprietari

dell'Inghilterraè il registro dei beni dei sudditi istituito sottoGuglielmo il Conquistatoreed è custodito dal cancelliere

dello scacchiere. Se si vuole copiarne qualcosasi devono pagare quattrosoldi a riga. È un bel libro. Sai che sono stato

maestro di casa presso un lord che si chiamava Marmaduke e che aveva unarendita di novecentomila franchi francesi

all'anno? Lascia perdererazza di cretino. Non sai che solo con i coniglidelle garenne del conte Lindsey si potrebbe

nutrire tutta la canaglia dei Cinque Porti? Ma provate a toccarli. Fannopresto. Tutti i bracconieri vengono impiccati. Per

due lunghe orecchie pelose che uscivano dal suo carniereho vis to appenderealla forca un padre di sei figli. Questa è la

signoria. Il coniglio di un lord vale più di un uomo del buon Dio. Capiscichi sono i signorimanigoldo? E noi

dobbiamo accettarli. Ma se anche non li potessimo sopportareche dannogliene verrebbe? Il popolo che contesta!

Neppure Plauto riuscirebbe a far ridere allo stesso modo. Sarebbe divertentese un filosofo consigliasse a quel poverodiavolo di popolo di protestare controil numero e la forza dei lords. Come far discutere da un bruco la zamp a di un

elefante. Un giorno ho visto un ippopotamo che camminava su una tana ditalpe; schiacciava tutto; era innocente. Non

sapeva neppure che ci fossero talpequel bonaccione di mastodonte. Mio carole talpe schiacciate sono il genere

umano. Schiacciare è una legge. Credi forse che la talpa stessa non schiaccinulla? Essa è mastodontica per l'acaroche

a sua volta lo è per il volvoce. Ma smettiamola di discutere. Ragazzo miole carrozze esistono. Dentro ci stanno i lords

sotto le ruote ci sta il popoloil saggio si fa da parte. Spostati e lasciapassare. Quanto a meamo i lordsma li evito. Ho

vissuto con uno di loro. Per la bellezza dei miei ricordi è sufficiente. Miricordo il suo castellouna gloria avvolta dalle

nuvole. I miei sogni ormai guardano al passato. Niente è paragonabile aMarmaduke-Lodge per grandezzabellezza di

simmetriaricchezza d'entrateper ornamenti e orpelli dell'edificio. Delresto le casegli edifici e i palazzi dei lords

offrono una raccolta di quanto c'è di più grande e magnifico in questofiorente regno. Amo i nostri signori. Li ringrazio

di essere ricchipotenti e prosperi. Ioche sono vestito di tenebreguardocon interesse e piacere a quel pezzo d'azzurro

celestiale che è un lord. Si entrava a Marmaduke-Lodge attraverso una cortespaziosissima che formava un quadrato

diviso in otto riquadri minoriseparati da balaustree che aveva un largoviale libero da ogni lato e una superba fontana

esagonale in mezzocon due vaschesormontata da una cupola costruita aregola d'artesospesa su sei colonne. Là ho

conosciuto un dotto francesel'abate di Crosche apparteneva all'ordine deiGiacobini della via Saint-Jaques. A

Marmaduke-Lodge c'era metà della biblioteca di Erpeniusl'altra si trovanella sala di teologia di Cambridge. Vi

leggevo i libri seduto sotto un leggiadro portale. Sono cose che di solitovedono solo pochi viaggiatori curiosi. Sai tu

ridicolo boyche monsignor William Northche è lord Grey di Rollestoneche siede al quattordicesimo posto nel

banco dei baronipossiede più alberi di alto fusto sulla sua montagna diquanti sono i capelli della tua orribile zucca?

Sai che lord Norreys di Rycottcioè il conte d'Abingdonha un mastioquadrato alto duecento piedi che reca il motto:

Virtus ariete fortiorche sembra voler dire: la virtù è più fortedi un montonema cheimbecille che seisignifica: Il

coraggio vale più di una macchina da guerra? Sìio onoroaccettorispetto e riverisco i nostri signori. Sono i lords che

insieme alla maestà realelavorano per procurare e conservare il benesseredella nazione. La loro consumata saggezza

brilla nelle circostanze difficili. Vorrei ben vedere che non avessero lapreminenza su tutti. Certo che l'hanno. Ciò che in

Germania chiamano principatoe grandezza in Spagnasi chiama paria inInghilterra e in Francia. Dal momento che

c'erano motivi per giudicare piuttosto miserabile questo mondoDiotoccatonel vivoha voluto dimostrare che sapeva

fare anche delle persone felicie ha creato i lordsper dare soddisfazioneai filosofi. Quella creazione corregge l'altra e

mette Dio fuori discussione. Per lui è stata una soluzione decorosa per unasituazione imbarazzante. I grandi sono

grandi. Parlando di se stesso un pari dice noi. Un pari è un plurale.Il re definisce i pari consanguinei nostri. I pari hanno

fatto una quantità di leggi saggetra le altre quella che condanna a mortel'uomo che taglia un pioppo di tre anni. La loro

supremazia è tale che hanno una lingua tutta loro. In stile araldico ilneroche si chiama sable per i nobili comuniviene

detto saturne dai principi e diamant dai pari. Polvere didiamantenotte stellataquesto è il nero degli uomini felici. E

anche tra di loroquesti gran signoririspettano le sfumature. Un baronenon può lavarsi con un visconte senza il suo

permesso. Queste sono le cose eccellenti che conservano le nazioni. Non èforse bello per un popolo avere venticinque

duchicinque marchesisettantasei continove visconti e sessantun baroniper un totale di centosettantasei parialcuni

Graziealtri Signorie? E se con tutto ciòqua e là ci fossero anche deglistracci? Non può essere tutto oro. Vada per lo

straccio; non c'è anche la porpora? L'una riscatta l'altro. Bisogna pureusare qualcosa per costruire qualcos'altro. Ebbene

sìci sono gli indigentibella scoperta! Essi rinsaldano la felicità deiricchi. Per tutti i diavoli! I nostri lords sono la

nostra gloria. Solo la muta di Charles Mohunbarone Mohuncosta quantol'ospedale dei lebbrosi di Mooregate e

quanto l'ospedale di Cristofondato per i bambini di Edoardo VI nel 1553.Thomas Osborneduca di Leedsspende

cinquemila ghinee d'oro all'anno solo per le sue livree. I grandi di Spagnahanno un tutorenominato dal reche gli

impedisce di rovinarsi. Una vigliaccheria. I nostri lords sono stravaganti emagnifici. È una cosa che tengo in

considerazione. Non blateriamo come gli invidiosi. Sono grato al passaggio diuna bella visione. Non ho la lucema ho

il riflesso. Riflesso dei miei stivalidirai tu. Va' al diavolo. Io sono unGiobbe che è felice di contemplare Trimalcione.

Oh! Che bel pianeta radioso là in alto! È pur qualcosa godere del chiaro diluna. Sopprimere i lords è un'idea che

neppure Oresteper quanto folleoserebbe sostenere. Dire che i lords sononocivi o inutili è come dire che dobbiamo

scuotere gli stati dalle fondamentae che gli uomini non sono fatti pervivere come i greggibrucando l'erba e presi a

morsi dal cane. Il prato è tosato dal montonee il montone è tosato dalpastore. Cosa c'è di più giusto? A tosatore

tosatore e mezzo. Per metutto mi va bene; io sono un filosofotengo allavita come una mosca. La vita non è che un

luogo di passaggio. Quando penso che Henry Bowes Howardconte di Berkshirepossiede nelle sue scuderie

ventiquattro carrozze di galauna con i finimenti d'argento e un'altra con ifinimenti d'oro! Dio mioso bene che non

tutti hanno ventiquattro carrozze di galama non per questo bisognareclamare. Hai avuto freddo una notteed ecconon

ci sei che tu! Anche altri hanno freddo e fame. Ma lo sai che senza quelfreddo Dea non sarebbe ciecae che se non

fosse cieca non ti amerebbe! Ragionaignorante! E poise il primo che passasi lamentasseche bel baccano. Silenzio

ecco la regola. Sono convinto che il buon Dio ordina ai dannati di tacerealtrimenti Dio stesso sarebbe condannato a

udire un grido eterno. La felicità dell'Olimpo vale il silenzio del Cocito.Dunque tacipopolo. Io faccio di meglio

approvo e ammiro. Poco fa enumeravo i lordsma bisogna aggiungere duearcivescovi e ventiquattro vescovi! Quando

ci pensoin realtàmi commuovo. Mi ricordo di aver visto in casadell'esattore del reverendo decano di Raphoeche

appartiene sia alla signoria che alla chiesaun'enorme quantità del piùbel grano preso ai contadini dei dintorni e che

l'esattore non si era dato la pena di far maturare. Ciò gli lasciava iltempo di pregare Dio. Sai che lord Marmadukeil

mio padroneera lord gran tesoriere d'Irlanda e alto siniscalco dellasovranità di Knaresburgnella contea di York? Sai

che il lord alto ciambellanoche è un ufficio ereditario nella famiglia deiduchi d'Ancasterveste il re nel giornodell'incoronazione e riceve per la suafatica quaranta aune di velluto cremisipiù il letto dove ha dormito il re; eche

l'usciere della verga nera è il suo deputato? Vorrei proprio vederticontestare il fatto che il più antico visconte

d'Inghilterra è sir Robert Brentcreato visconte da Enrico V. Tutti ititoli dei lords rimandano a una sovranità su una

terraeccetto il conte Riversche ha per titolo il nome della sua famiglia.Che meraviglia il loro diritto di tassare gli

altrie di prelevareper esempiocome in questo momentoquattro scellinisu ogni sterlina di renditaconsuetudine

prorogata per un annoe tutte quelle belle imposte sulla distillazione deiliquorie i balzelli sul vino e sulla birrasul

tonnellaggio e sul pesaggiosul sidrosul sidro di peresul mumsulmaltosull'orzo lavorato e sul carbon fossilee su

cento altre cose simili! Inchinia moci alla realtà. Il clero stesso dipendedai lords. Il vescovo di Man è suddito del conte

di Derby. I lords hanno bestie feroci personali da mettere nei loro emblemi.Non avendone Dio fatte abbastanzane

inventano di nuove. Essi hanno creato il cinghiale araldicoche è tanto aldi sopra del cinghiale comunequanto il

cinghiale lo è del maialee il signore del prete. Essi hanno creato ilgrifoneche è aquila per i leoni e leone per le aquile

e che fa paura ai leoni con le sue alie alle aquile con la sua criniera.Essi hanno il biscioneil liocornoil serpentela

salamandrala tarasqueil dragoil dragonel'ippogrifo. Tutto ciòa noi procura terrorema per loro è ornamento e

contorno. Essi hanno un serraglio chiamato blasonedove ruggiscono mostriignoti. Non esiste foresta paragonabile al

loro orgoglio per i prodigi imprevedibili. La loro vanità è piena difantasmi che vi passeggiano come in una notte

sublimefantasmi in armicon elmocorazzasperonicon lo scettro delcomando in mano e che dicono con voce grave:

«Noi siamo gli avi!». Gli scarabei mangiano le radicile panoplie mangianoil popolo. Perché no! Vogliamo cambiare le

leggi? La signoria fa parte dell'ordine. Lo sai che in Scozia c'è un ducache può galoppare per trenta leghe senza uscire

dai suoi possedimenti? Lo sai che il lord arcivescovo di Canterbury ha unmilione di franchi di rendita? Lo sai che sua

maestà ha settecentomila sterline all'anno di lista civilesenza contare icastellile forestei dominii feudile tenutegli

allodile prebendele decimei beneficile confische e le ammendechepassano il milione di sterline? Chi non si

accontenta è ben difficile».

«Sì»mormorò pensieroso Gwynplaine«il paradiso dei ricchi è fattocon l'inferno dei poveri».

XII • URSUS POETA HA LA MEGLIO SU URSUS FILOSOFO

Poi entrò Dea; la guardòe non vide altro che lei. L'amore è così; perun momento si può essere invasi dall'ossessione di

un pensiero qualunque; arriva la donna che si ama e dissolve bruscamentetutto ciò che è estraneo alla sua presenza

senza sospettare che forse cancella in noi un mondo intero.

Raccontiamo un particolare. In La sconfitta del caos c'era una parolamonstrorivolta a Gwynplaineche non piaceva a

Dea. Qualche voltacon quel po' di spagnolo che a quei tempi tutticonoscevanoessa faceva il piccolo colpo di testa di

sostituirlo con quieroche significa lo desidero. Ursustolleravanon senza impazienzaquelle alterazioni del testo.

Avrebbe volentieri detto a Deacome ai giorni nostri Moessard a Visot: Tumanchi di rispetto al repertorio.

«L'uomo che ride». Sotto questa forma si era imposta la celebrità diGwynplaine. Il suo nomeGwynplainepressoché

sconosciutoera scomparso dietro quel soprannomecome la faccia sotto ilriso. La sua popolaritàcome il suo volto

era una maschera.

Il suo nome era comunque leggibile su un grosso cartello affisso sul davantidella Green-Boxche offriva alla folla

questa iscrizioneredatta da Ursus:

«Qui si può vedere Gwynplaineabbandonato all'età di dieci anninellanotte del 29 gennaio 1690da scellerati

comprachicosa Portlandsulla riva del mareormai diventato grande e cheoggi tutti chiamano: L'UOMO CHE RIDE».

L'esistenza dei saltimbanchi era simile a quella dei lebbrosi in unlazzaretto e dei fortunati in Atlantide. Ogni giorno

dovevano bruscamente passare dalla più rumorosa esibizione di fiera allapiù totale astrazione. Tutte le sere uscivano da

quel mondo. Se ne andavano come morti. Pronti a rinascere il giorno dopo. Ilcommediante è un faro a intermittenza

apparepoi spariscee per il pubblico esiste solo come fantasma e bagliorein questa vita di fari girevoli.

Alla strada seguiva la clausura. Appena lo spettacolo era finitomentrel'uditorio si disperdeva e il mormorio di

soddisfazione della folla si scioglieva nell'intrico delle viela Green-Boxritirava il suo pannello come una fortezza il

ponte levatoioe ogni comunicazione con il genere umano era interrotta. Dauna parte l'universodall'altra la baracca;

ma nella baracca c'erano la libertàla buona coscienzail coraggioladedizionel'innocenzala felicitàl'amoretutte le

costellazioni.

Erano sedute una accanto all'altra la cecità vedente e la deformità amatastringendosi la manocon le fronti che si

toccavanomentreebbresi parlavano a bassa voce.

Lo scompartimento di mezzo era utilizzato in due modi: come teatro dalpubblicoe come sala da pranzo dagli attori.

Ursussempre felice di fare paragonisfruttava la diversità di questiscopi per assimilare lo scompartimento centrale

all'arradash di una capanna abissina.

Ursus contava gli incassidopo di che cenavano. Per l'amore tutto siidealizzabere e mangiare insiemequando si è

innamoratipermette ogni sorta di promiscuità dolci e furtivee ogniboccone diventa un bacio. Si beve birra o vino

dallo stesso bicchierecome si berrebbe la rugiada dallo stesso giglio. Dueanime durante l'agape hanno la medesima

grazia di due uccelli. Gwynplaine serviva Deale tagliava le porzionileversava da berele si avvicinava anche troppo.

«Hum!»diceva Ursuse finiva col volgeresuo malgradoil brontolio insorriso.

Il luposotto la tavolacenavaignorando tutto ciò che non era il suoosso.

Vinos e Fibi dividevano con loro il pastoma senza disturbare. Quelle duevagabonderimaste mezzo selvagge e

primitivetra loro parlavano la lingua dei nomadi.Poi Dea rientrava nelgineceo con Fibi e VinosUrsus incatenava Homo sotto la Green-Box e Gwynplainesi occupava

dei cavallitrasformandosi da amante in palafrenierecome se fosse stato uneroe di Omero o un paladino di

Carlomagno. A mezzanotte dormivano tuttitranne il lupo che ogni tantocompreso nella sua responsabilitàapriva un

occhio.

Il giorno dopoappena sveglisi ritrovavano; facevano colazione insiemedisolito con prosciutto e tè; l'uso del tè in

Inghilterra data dal 1678. Poi Deaseguendo la consuetudine spagnola e suconsiglio di Ursusche la trovava delicata

dormiva per qualche oramentre Gwynplaine e Ursus sbrigavano tutti i piccolilavoridentro e fuori il carrozzoneche

sono richiesti dalla vita nomade.

Accadeva di rado che Gwynplaine si avventurasse fuori dalla Green-Boxtranneche per strade deserte e località

solitarie. Nelle città usciva solo di nottenascosto sotto un largocappello tirato sugli occhicosì da non mostrare il volto

per strada.

A viso scoperto lo si vedeva solo in teatro.

Del resto la Green-Box aveva frequentato poche città; Gwynplaine aventiquattro anni non aveva visto città più grandi

dei Cinque Porti. La sua fama tuttavia cresceva. Cominciava a sopravanzare ilpopolinosalendo più in alto. Tra gli

appassionati di stranezze da fiera e i cacciatori di curiosità e prodigisiera sparsa la voce che esisteva da qualche parte

una maschera straordinariache conduceva una vita errabondaora quioralà. Se ne parlavala si cercavaci si

chiedeva: dov'e? L'Uomo che ride stava diventando decisamente famoso. Neveniva un certo lustro anche a La sconfitta

del caos.

A tal punto che un giorno Ursusambiziosodisse: «Dobbiamo andare aLondra».

LIBRO TERZO • INIZIO DELL'INCRINATURA

I • L'INN TADCASTER

A quell'epoca Londra aveva un solo ponteil Ponte di Londrasu cui c'eranodelle case. Il ponte collegava Londra con

Southwarkun sobborgo pavimentato e lastricato con i ciottoli del Tamigitutto vicoli e viuzzecon passaggi molto

stretti ecome la cittàcon una gran quantità di costruzionialloggi ebaracche di legnoun'accozzaglia infiammabile

vero regno degli incendi. Il 1666 l'aveva dimostrato.

Southwark allora si pronunciava Soudric; oggi si pronuncia più o menoSousourc. Comunque il modo migliore per

pronunciare i nomi inglesi resta quello di non pronunciarli affatto. Cosìper Southampton dite Stpntn.

A quel tempo Chatam si pronunciava Je t'aime.

Il Southwark di allora assomiglia al Southwark di oggi come Vaugirardassomiglia a Marsiglia. Era un borgo; è una

città. Tuttavia c'era un gran traffico d'imbarcazioni. Lungo un vecchio eciclopico muro sul Tamigi erano infissi gli

anelli dove ormeggiavano i battelli fluviali. Il muro si chiamava murod'Effroco Effroc-Stone. Ai tempi in cui York era

sassone si chiamava Effroc. La leggenda narrava che un duca d'Effroc si eraannegato ai piedi di quel muro. Quell'acqua

in effetti era abbastanza profonda per un duca. Con la bassa marea c'eranoancora sei braccia buone. Le ottime

condizioni di quella piccola fonda attiravano anche le imbarcazioni di maree la vecchia pancia olandesedetta la

Vograatormeggiava all'Effroc-Stone. Una volta alla settimana la Vograatfaceva la traversata diretta da Londra a

Rotterdam e da Rotterdam a Londra. Altri battelli partivano due volte algiornosia per Deptfortsia per Greenwichsia

per Gravesenddiscendendo con una marea e risalendo con l'altra. Perarrivare fino a Gravesendbenché fossero venti

migliaci volevano sei ore.

La Vograat era uno di quei modelli che al giorno d'oggi si vedono soloal museo della marina. Quella nave era un po'

una giunca. In quei tempimentre la Francia copiava la Grecial'Olandacopiava la Cina. La Vograatpesante scafo a

due alberiera a compartimenti stagni perpendicolaricon una cabina moltoprofonda al centro del bastimento e due

ponti di copertauno a prua e l'altro a poppadue pontonicome neivascelli di ferro a torrette di oggiparticola re questo

che aveva il vantaggio di diminuire la presa delle onde sulla nave con ilmare grossoma che presentava l'inconveniente

di esporre l'equipaggio ai colpi di marea causa della mancanza diparapetto. Non c'era niente che potesse trattenere a

bordo chi stava per cadere. Da qui le frequenti cadute e le perdite d'uominiche hanno spinto ad abbandonare questo

modello. La Vograat andava direttamente in Olandasenza neppure farescalo a Gravesend.

Un'antica balza di pietrain roccia e muraturacosteggiava in bassol'Effroc-Stoneed essendo praticabile con ogni tipo

di marefacilitava l'approdo dei battelli ormeggiati al muro. Ogni tanto nelmuro si aprivano delle scalinate. Esso

indicava la punta sud di Southwark. Un terrapieno permetteva ai passanti diappoggiarsi con i gomiti in cima all'Effroc-Stone

come sul parapetto di un lungofiume. Di là si vedeva il Tamigi. Dall'altraparte del corso d'acqua finiva Londra.

Non c'erano che campi.

A monte dell'Effroc-Stonelà dove il Tamigi fa un gomitoquasi di fronteal palazzo di Saint-Jamesdietro Lambeth-House

non lontano dalla passeggiata chiamata allora Foxhall (vaux-allprobabilmente)tra un laboratorio dove

facevano la porcellana e una vetreria dove si facevano bottiglie dipintec'era uno di quei vasti terreni incolti dove cresce

l'erbache un tempo in Francia chiamavano culture e maglie in Inghilterrabowling-greens. Di bowling-greentappeto

verde per giocarci una boccianoi abbiamo fatto boulingrin. Oggi queltipo di prato lo teniamo in casa; solo che lo

mettiamo su un tavoloè di panno invece che d'erbae lo chiamiamobiliardo.Per altro non si vede perchéavendo boulevard (boccia verde)che equivale a bowling-greenci siamo dati boulingrin.

È sorprendente che un personaggio grave come il dizionario si conceda certiinutili lussi.

Il bowling-green di Southwark si chiamava Tarrinzeau-fieldperché un tempoera appartenuto ai baroni Hastingsche

sono baroni di Tarrinzeau e di Mauchline. Dai lords Hastings ilTarrinzeau-field era passato ai lords Tadcasterche lo

avevano sfruttato come luogo pubblicocome più tardi un duca d'Orléans hasfruttato il Palais -Royal. Poi il Tarrinzeau

era diventato pascolo comune e proprietà parrocchiale.

Il Tarrinzeau-field era una sorta di area permanente per le fiereaffollatodi prestigiatoriequilibristigiocolieribande

sui palchie sempre pieno di imbecilli che «vengono a guardare ildiavolo»come diceva l'arcivescovo Sharp. Guardare

il diavolo significa andare agli spettacoli.

Diversi innsche catturavano il pubblico e poi lo spedivano in quei teatriall'apertosi affacciavano su quella piazza in

festa tutto l'anno e vi facevano fortuna. Gli inns erano semplici botteguccefrequentate solo di giorno. Alla sera il

taverniere si metteva in tasca la chiave della taverna e se ne andava. Solouno di quegli inns era una casa. Non c'era altra

abitazione in tutto il bowling-greenle baracche di quell'area fieristicapotevano sempre sparire da un momento all'altro

data la mancanza di autorizzazioni e il vagabondaggio di tutti queisaltimbanchi. La vita dei giocolieri non mette radici.

Questo innchiamato l'inn Tadcasterdal nome degli antichi signoripiùalbergo che tavernae più locanda che albergo

aveva un portone e un gran cortile.

Il portoneche dava dal cortile sulla piazzaera la porta legittimadell'albergo Tadcastercon a fianco una porta bastarda

che era quella da cui però si entrava. Chi dice bastarda dice preferita.Quella porticina era la sola da cui si passasse. Essa

dava nella bettola vera e propriache era un vasto tugurio affumicatocontavoli e un soffitto basso. Al primo piano

c'era una finestra alla cui inferriata era stata messa a spenzolare l'insegnadell'inn. Il portonesprangato e bloccato con il

catenacciorestava perennemente chiuso.

Per entrare nel cortile bisognava passare per la bettola.

Nell'inn Tadcaster c'erano un padrone e un boy. Il padrone si chiamava padronNicless. Il boy si chiamava Govicum.

Padron Nicless - Nicolasenza dubbioche con la pronuncia inglese diventaNicless - era un vedovo avaro e

tremebondomolto rispettoso delle leggi. Per il resto aveva le sopraccigliae le mani pelose. Quanto al garzone di

quattordici anniche versava da bere e rispondeva al nome di Govicumera untestone allegro con un grembiule. Era

rapato a zerosegno di servitù.

Dormiva al pianterrenoin un bugigattolo dove un tempo ci stava un cane. Ilbugigattolo prendeva luce da un finestrino

che dava sul bowling-green.

II • ELOQUENZA ALL'APERTO

Una sera che tirava un gran vento piuttosto freddoe dunque con tutte leragioni del mondo di affrettarsi per la strada

un uomo che passava nel Tarrinzeau-field si fermò improvvisamente sotto ilmuro dell'albergo Tadcaster. Si era sul

finire dell'inverno 1704-1705. Quell'uomo era ves tito da marinaioera altoe di bell'aspettocosa questa obbligatoria per

chi frequenta la corte ma non proibita al popolo. Perché si era fermato? Perascoltare. Cosa ascoltava? La voce di

qualcuno che probabilmente parlava in un cortile dall'altra parte del murouna voce un po' senileeppure abbastanza

forte da raggiungere quelli che passavano per la strada. Dallo stesso luogoda cui arringava la voce veniva un rumore di

folla. La voce diceva:

«Eccomi a voiuomini e donne di Londra. Sono contento che siate inglesi.Siete un gran popolo. Anzisiete un gran

popolino. I vostri pugni sono ancora più belli delle vostre spade. Avetesempre appetito. Siete una nazione che mangia

la altre. Splendida funzione. Questo risucchiare il mondo fa dell'Inghilterraun caso a parte. La vostra stupefacente

singolarità si manifesta in politica e in filosofianel maneggiare lecoloniei popoli e i commercie nella capacità di

arrecare agli altri un male che in realtà è bene. Si avvicina il momento incui ci saranno due cartelli sulla terra; su uno

leggeremo: Da questa parte gli uomini; sull'altro: Da questa partegli Inglesi. Dico questo per vostra maggior gloriaio

che non sono né inglesené uomoavendo l'onore di essere un dottore.Questo è pacifico. Gentlemenio insegno. Cosa?

Due specie di cosequelle che conoscoe quelle che ignoro. Vendo intrugli eregalo idee. Avvicinatevi e state a sentire.

È la scienza che vi invita. Aprite le orecchie. Se sono piccole vi entreràpoca verità; se sono grandi vi entrerà molta

stupidità. Attenzionedunque. Io insegno la Pseudoxia Epidemica. Ho uncompagno che fa riderequanto a meio

faccio pensare. Viviamo insiemeperché il riso e la conoscenza vengonodalla stessa famiglia. Quando chiedevano a

Democrito: Perché siete saggio? Egli rispondeva: Perché rido. E se qualcunomi domandasse: Perché ridi? Risponderei:

Perché sono saggio. D'altra parteio non rido. Io correggo gli erroripopolari. Mi impegno a pulire le vostre intelligenze.

Sono sporche. Dio permette che il popolo s'inganni e sia ingannato. Nondobbiamo avere degli stupidi pudori; confesso

francamente di credere in Dioanche quando ha torto. Solo che quando vedodel sudiciume- e gli errori sono

sudiciume - lo scopo via. Come faccio a sapere quello che so? Ciò riguardasolo me. Ciascuno prende la scienza come

può. Lattanzio interrogava una testa in bronzo di Virgilioche glirispondeva; Silvestro II parlava con gli uccelli; erano

gli uccelli che parlavanoo il papa che cinguettava? Problemi. Il bambinomorto del rabbino Eléazar discuteva con

Sant'Agostino. Detto tra di noidubito di questi fattieccetto l'ultimo.Quel bambino morto parlavava bene; ma sotto la

lingua teneva una lamina d'oro dove erano incise diverse costellazioni.Dunque barava. Il fatto si spiega. Guardate la

mia moderazione. Distinguo il vero dal falso. Ed eccovi altri errori in cuivoipoveri popolanicertamente credetee dai

quali voglio liberarvi. Dioscoride credeva che nel giusquiamo ci fosse undioCrisippo nella cinoglossaGiuseppe nella

barranaOmero nell'aglio dorato. Si sbagliavano tutti. In quelle erbe nonc'è un dioc'è un demone. Io me ne sonoaccorto. Non è vero che il serpenteche tentò Eva avessecome Cadmoun volto umano. Garcias de HortoCadamosto e

Jean Hugoarcivescovo di Trevirinegano che basti segare un albero perprendere un elefante. Condivido la loro

opinione. Cittadinidietro le false convinzioni ci sono le trame diLucifero. Nel regno di un simile principe è inevitabile

che appaiano meteore di errori e di perdizione. PopoloClaudius Pulcher nonmorì perché i polli si rifiutarono di uscire

dal pollaio; la verità è che Luciferoavendo previsto la morte di ClaudiusPulcherfece in modo d'impedire a quegli

animali di mangiare. Era lodevole che Belzebù concedesse all'imperatoreVespasiano la facoltà di raddrizzare gli storpi

e di restituire la vista ai ciechi toccandolima i motivi di quell'azioneerano riprovevoli. Gentlemendiffidate dei falsi

sapienti che si servono della radice di brionia e della vite biancae chefanno dei colliri con miele e sangue di gallo.

State in guardia dalle menzogne. Non è esatto che Orione sia nato da unbisogno naturale di Giove; la verità è che fu

Mercurio a produrre quell'astro in quel modo. Non è vero che Adamo avesse unombelico. Quando San Giorgio ha

ucciso il drago non aveva con sé la figlia di un santo. San Gerolamo nel suostudio non aveva un pendolo sopra il

caminetto; prima di tutto perchétrovandosi in una grottanon aveva unostudio; poi perché non aveva caminetti; infine

perché non esistevano ancora i pendoli. Rettifichiamo. Rettifichiamo. Opagani che mi ascoltatese qualcuno vi dice che

a chi fiuta la valeriana nasce una lucertola nel cervelloche il bueputrefacendosi si muta in api e il cavallo in calabroni

che l'uomo pesa più da morto che da vivoche il sangue di caprone dissolvelo smeraldoche un brucouna moscaun

ragnovisti sullo stesso alberoannunciano la famela guerra e la pesteche un verme che si trova nella testa del

capriolo guarisce il mal caducoebbene non credetecisono errori. Eccoinvece delle verità: la pelle del vitello marino

protegge dal fulmine; il rospo si nutre di terrae ciò gli procura unapietra nella testa; la rosa di Gerico fiorisce la vigilia

di Natale; i serpenti non sopportano l'ombra del frassino; l'elefantenonavendo giuntureè costretto a dormire in piedi

contro un albero; fate covare da un rospo un uovo di gallone verrà fuoriuno scorpione che vi darà una salamandra; un

cieco riacquista la vista mettendo una mano sul lato sinistro dell'altare el'altra mano sugli occhi; la verginità non

esclude la maternità. Brava gentenutritevi di queste evidenze. Con ciòvoi potete credere in Dio in due modio come

la sete crede nell'aranciao come l'asino crede nella frusta. E adesso vipresenterò il mio personale.

Qui un colpo di vento fortissimo scosse gli stipiti e le imposte dell'innche era una casa isolata. Ci fu come un lungo

mormorio celeste. L'oratore attese un istantepoi riprese il discorso.

«Interruzione. Bene. Parlaaquilone. Gentlemennon mi arrabbio. Il ventoè loquace come tutti i solitari. Non c'è

nessuno che gli tenga compagnia lassù. Allora chiacchiera. Riprendo il filo.Potete qui vedere una compagnia di artisti.

Siamo in quattro. A lupo principium. Comincerò dal mio amico lupo.Non nasconde di essere un lupo. Guardatelo. Egli

è istruitograve e sagace. Forse per un istante la provvidenza ha avutol'idea di farne un dottore universitario; ma per

questo è necessario essere un po' bestieed egli non lo è affatto.Aggiungerò che è senza pregiudizi e per niente

aristocratico. Se capitaparla con una cagnalui che avrebbe diritto a unalupa. Se ha avuto dei delfiniquesti

probabilmente uniscono ai graziosi guaiti della madre l'ululato del padre.Perché lui ulula. Bisogna ululare con gli

uomini. Sa anche abbaiareper accondiscendenza verso la civiltà. Magnanimoaddolcimento. Homo è un cane portato a

perfezione. Veneriamo il cane. Il cane - che strana bestia! - suda sullalingua e sorride con la coda. GentlemenHomo

eguaglia in saggezza e sorpassa in cordialità il lupo senza pelo delMessicoil meraviglioso xoloitzeniski. Inoltre è

umile. Ha la modestia di un lupo utile agli uomini. Egli è silenziosamentesoccorrevole e caritatevole. La sua zampa

sinistra ignora la buona azione fatta dalla sua zampa destra. Tali sono isuoi meriti. Di quest'altro secondo amico dirò

solo una cosa: è un mostro. Lo ammirerete. Fu abbandonato un tempo daipirati in riva all'oceano selvaggio. Questa è

una cieca. È forse un'eccezione? No. Tutti noi siamo ciechi. L'avaro ècieco; egli vede l'oro ma non vede la ricchezza. Il

prodigo è cieco; egli vede l'inizio ma non la fine. La civettuola è cieca;non vede le proprie rughe. Il saggio è cieco; egli

non vede la sua ignoranza. Il galantuomo è cieco; egli non vede il furfante.Il furfante è cieco; egli non vede Dio. Dio è

cieco; il giorno in cui ha creato il mondo non ha visto che il diavolo ci siera ficcato dentro. Anch'io sono cieco; parlo e

non vedo che siete sordi. Questa cieca che ci accompagna è una misteriosasacerdotessa. Vesta le avrebbe affidato il suo

tizzone. Nel suo carattere ci sono oscurità dolci come gli iati che siaprono nella lana di un montone. Credo sia figlia di

rema non lo affermo. La diffidenza è un lodevole attributo della saggezza.Quanto a meio cavillo e somministro

medicine. Medito e medico. Chirurgus sum. Guarisco febbrimiasmi epesti. Quasi tutte le nostre flemmasie e

sofferenze sono esutori eben curateci risparmiano gentilmente mali benpeggiori. Tuttavia non vi consiglio di avere

l'antracealtrimenti detto carbonchio. È una stupida malattia che non servea niente. Se ne muorema è tutto qui. Io non

sono né incolto né rustico. Onoro l'eloquenza e la poesiae vivo conqueste dee in un'innocente intimità. Concludo con

una raccomandazione. Gentlemen e gentlewomencoltivate in voinella vostraparte luminosala virtùla modestiala

probitàla giustizia e l'amore. In questo modo ciascuno potrà averequaggiù il suo piccolo vaso di fiori alla finestra.

Milords e signoriho finito. Lo spettacolo sta per incominciare».

L'uomo che probabilmente era un marinaioe che ascoltava dall'esternoentrò nella sala bassa dell'innl'attraversòpagò

le poche monete che gli avevano chiestopenetrò in un cortile pieno dipubblicoscorse in fondo al cortile una baracca

su ruotetutta quanta apertae vide su quel palco un vecchio vestito conuna pelle d'orsoun giovane che sembrava una

mascherauna ragazza cieca e un lupo.

«Vivaddio!»esclamò. «Ecco dei tipi davvero straordinari».

III • DOVE RIAPPARE IL PASSANTLa Green-Boxche abbiamo appenariconosciutoera arrivata a Londra. Si era stabilita a Southwark . Ursus erastato

attirato dal bowling-greendove il vantaggio maggiore consisteva nel fattoche la fiera non vi mancava maineppure in

inverno.

Ursus aveva visto con piacere il duomo di San Paolo.

Londradopo tuttoè una città non male. Ci vuole del coraggio perdedicare una cattedrale a San Paolo. Il vero santo da

cattedrale è San Pietro. San Paolo è sospetto d'immaginazione ein materiaecclesiasticaimmaginazione significa

eresia. La santità di San Paolo ha bisogno di circostanze attenuanti. Egliè entrato in cielo dalla porta degli artisti.

Una cattedrale è un'insegna. San Pietro vuol dire Romala città del dogma;San Paolo rappresenta Londrala città dello

scisma.

La filosofia di Ursus aveva braccia tanto grandi da comprendere tuttoedegli era un uomo capace di apprezzare quelle

sfumaturee forse Londra lo attirava per una certa sua propensione verso SanPaolo.

La scelta di Ursus era caduta sul grande cortile dell'inn Tadcaster. LaGreen-Box sembrava fatta per quel cortile; era un

teatro già costruito. Era un cortile quadratocon edifici su tre latiunmuro di rimpetto ai piani a cui si addossò la

Green-Boxche era potuta entrare grazie alle vaste dimensioni del portone.Un grande balcone di legnocoperto da una

tettoia e sostenuto da paliserviva le camere del primo piano ed era fissatoai tre lati delle facciate interne del cortile con

due curve ad angolo retto. Le finestre del pian terreno facevano da palchi diplateail selciato del cortile da plateae il

balcone da balconata. La Green-Boxsistemata contro il muroaveva davanti asé una bella sala per spettacoli. Tutto ciò

assomigliava molto al Globodove furono dati OtelloRe Lear eLa Tempesta.

In un angolinodietro la Green-Boxc'era una scuderia. Ursus aveva presoaccordi con il tavernierepadron Nicless

cheossequioso delle leggiaveva accettato il lupo solo per una cifrasuperiore. Il cartello «GWYNPLAINE - L'UOMO

CHE RIDE»staccato dalla Green-Boxera stato attaccato vicino all'insegnadell'inn. La sala della bettola avevacome

si ricorderàuna porta interna che dava sul cortile. Accanto alla portas'imp rovvisòcon una botte sventratauna loggetta

per la - bigliettaria - che a volte era Fibia volte Vinos. Più o meno comeoggi. Chi entra paga. Sotto la scritta L'UOMO

CHE RIDEfu appesa a due chiodi un'asse dipinta di bianco che riportavascritto col carbone a grandi caratteriil titolo

della famosa commedia di UrsusLa sconfitta del caos.

Al centro della balconataproprio in faccia alla Green-Boxavevanoriservato «alla nobiltà»uno scompartimento

separato da due tramezzila cui entrata principale era un porta-finestra.

Era abbastanza largo da contenere dieci spettatori disposti su due file.

«Siamo a Londra»aveva detto Ursus«dobbiamo aspettarci della gentry».

Aveva fatto arredare quel «palco»con le migliori sedie dell'inne nelcentro aveva sistemato una grande poltrona di

velluto d'Utrecht color botton d'orocon ricami rossinel caso venissequalche moglie d'alderman.

Le rappresentazioni erano cominciate.

Si riempì subito di folla.

Ma lo scompartimento per la nobiltà rimase vuoto.

A parte ciòil successo fu tale che non se ne ricordava uno simile amemoria di saltimbanco. Tutto Southwark era

accorso in massa per ammirare l'Uomo che Ride.

Pagliacci e giocolieri del Tarrinzeau-field rimasero sconvolti da Gwynplaine.Uno sparviero che si avventa su una

gabbia di cardellini beccando il loro mangimetale fu l'effetto. Gwynplainedivorò loro il pubblico.

Oltre al popolo minuto dei mangiatori di spade e dei commediantic'erano sulbowling-green degli autentici spettacoli.

C'era un circo di donne che risuonava dal mattino alla sera degli stupendisuoni di ogni tipo di strumentisalteri

tamburiribechesonaglitimpanioboichitarregighemusettecornamusecornette di Germaniazufoli d'Inghilterra

flauti silvestrisiringheflauti e flauti a becco.

Sotto una larga tenda rotonda c'erano saltatori superiori ai nostri attualicorridori dei PireneiDulmaBordenave e

Meylongache scendono dal picco di Pierrefitte al pianoro di Limaçonchevuol dire quasi precipitare. C'era un

serraglio ambulante dove si poteva vedere una tigre buffa chesferzata daldomatorecercava di afferrare la frusta e di

inghiottirne lo sverzino. Anche questo spettacolo comico a base di fauci eartigli fu eclissato.

Curiositàapplausiincassifollal'Uomo che Ride si prese tutto. Avvennein un batter d'occhi. Non ci fu che la Green-Box.

«Sconfitta del Caos è vittoria del Caos»disse Ursusattribuendosi metàdel successo di Gwynplainee tirando la

tovaglia dalla sua partecome si dice nel gergo degli attori.

Il successo di Gwynplaine fu strepitoso. Tuttavia rimase locale. Non èfacile per una reputazione attraversare l'acqua. Il

nome di Shakespeare ha impiegato centotrent'anni per venire dall'Inghilterraalla Francia; l'acqua è una muragliae se

Voltaire non lo avesse aiutatocosa che in seguito ha molto rimpiantopuòdarsi che Shakespeare sarebbe ancor oggi

dall'altra parte del muroin Inghilterraprigioniero di una gloriainsulare.

La gloria di Gwynplaine non oltrepassò il ponte di Londra. Non raggiunse ledimensioni dei successi delle grandi città.

Almeno nei primi tempi. Ma Southwark può bastare per l'ambizione di unclown. Ursus diceva: «La borsa degli incassi

ingrossa a vista d'occhiocome una ragazza che ha commesso un errore».

Si recitava Ursus Rursus e La sconfitta del caos.

Negli intervalli Ursus provava le sue qualità di engastrimita esibendosi inun ventriloquio sublime; imitava tutte le voci

che venivano dall'uditorioun cantoun gridoal punto da sbalordire per lasomiglianza proprio quello che aveva

cantato o gridatoe a volte riproduceva il brusio del pubblicorumoreggiando come se fosse un mucchio di gente. Un

talento davvero notevole.EInoltrel'abbiamo vistoera capace di arringarela folla come Ciceronevendeva intruglisi occupava delle malattie e in

più guariva i malati.

Southwark ne era soggiogata.

Ursus era contento degli applausi di Southwarkma non se ne stupiva.

«Sono gli antichi trinovanti»diceva.

E aggiungeva:

«Ma non li confondo certoper la delicatezza di gustocon gli atrebati chehanno popolato Berksi belgi che hanno

abitato il Somersete i parigini che hanno fondato York».

Ad ogni rappresentazione il cortile dell'inntrasformato in plateasiriempiva di un uditorio straccione ed entusiasta.

Erano barcaioliportantinimastri d'asciapiloti di battelli fluvialimarinai appena sbarcatipronti a consumare la paga

in gozzoviglie e in donne. Vi erano sgherriruffiani e guardie nerecioèsoldati condannatiper qualche mancanza

disciplinarea portare l'abito rosso rivoltato dalla parte foderata in neroe chiamati per questo blackquardsda cui viene

il nostro blagueurs. Tutto ciò affluiva dalla strada nel teatro e poirifluiva dal teatro nella sala dove si beveva. Bere

bicchieri di birra non nuoceva al successo.

Tra quella genteche siamo soliti chiamare «feccia»c'era un uomo piùalto degli altripiù grandepiù fortemeno

poveropiù quadrato di spallevestito come il popoloma non lacerochesi entusiasmava in modo fragorosofacendosi

largo a colpi di pugnocon una parrucca scarruffataimprecandogridandoschernendoper nulla sporcoe se capitava

pronto ad ammaccare un occhio o a pagare da bere.

Quello spettatore era il passante di cui poco fa abbiamo udito l'esclamazioned'entusiasmo.

Da vero intenditore era rimasto subito affascinato dall'Uomo che Ridee loaveva adottato. Non andava a tutte le

rappresentazioni. Maquando vi si recavaegli era il «trainer»delpubblico; gli applausi diventavano acclamazioni; non

si può dire che il successo arrivasse ai fregiperché non ce n'eranomaalle nuvole sì. (Quelle nuvole peròvista la

mancanza di un soffittoannaffiavano qualche volta il capolavoro di Ursus).

Accadde dunque che Ursus notò quell'uomo e che Gwynplaine lo guardò.

Per quanto sconosciuto era davvero un bell'amico!

Ursus e Gwynplaine vollero conoscerloo sapere almeno chi fosse.

Una sera che Ursus si trovava vicino alla quintacioè la porta di cucinadella Green-Boxavendo per caso accanto a sé

padron Niclessl'ostegli domandò:

«Conoscete quell'uomo?».

«Certo».

«Chi è?».

«Un marinaio».

«Come si chiama?»intervenne Gwynplaine.

«Tom-Jim-Jack»rispose l'oste.

Poimentre scendeva dal predellino della parte posteriore della Green-Boxper rientrare nell'innpadron Nicless lasciò

cadere questa profondissima riflessione:

«Peccato che non sia un lord! Sarebbe una formidabile canaglia».

Del restobenché installato in una locandail gruppo della Green-Box nonaveva per niente modificato le sue abitudini e

manteneva il proprio isolamento. A parte qualche parola scambiata ogni tantocon l'osteessi non si mescolavano agli

ospitiabituali o di passaggiodell'albergocontinuando a vivere tra diloro.

Da quando si trovavano a SouthwarkGwynplaine aveva preso l'abitudinedopolo spettacolodopo che uomini e

cavalli avevano cenatomentre Ursus e Dea se ne andavano a letto ciascunonel suo angolodi andare a respirare un po'

d'aria nel bowling-greentra le undici e mezzanotte. Una vaga tristezzadell'anima ci spinge alle passeggiate notturne e a

bighellonare sotto le stelle; la giovinezza è un'attesa misteriosa; perquesto si cammina volentieri di nottesenza scopo.

A quell'ora non c'era più nessuno nell'area della fieraal massimo qualcheubriaco che barcollavasagome oscillanti

negli angoli bui; le osterie vuote si chiudevanovenivano spente le lucinella sala bassa dell'albergo Tadcastersolo in

qualche angolo un'ultima candela illuminava l'ultimo bevitoreun chiaroreindistinto usciva dagli stipiti appena

socchiusi dell'inne Gwynplainepensierosocontentosognantefelice perun'oscuradivina felicitàandava e veniva

davanti a quella porta accostata. A cosa pensava? A Deaa nientea tuttoacose profonde. Non si allontanava molto

dall'albergotrattenuto come da un filo vicino a Dea. Gli bastava farequalche passo fuori.

Poiquando rientravatrovava tutta la Green-Box addormentatae siaddormentava a sua volta.

IV • I CONTRARI FRATERNIZZANO NELL'ODIO

Il successo non è amatosoprattutto da quelli che manda in rovina. È raroche le prede adorino i predatori. L'Uomo che

Ride faceva decisamente notizia. I giocolieri dei dintorni erano indignati.Un successo teatrale è un sifonepompa la

folla facendo il vuoto attorno a sé. La bottega di fronte è spacciata.All'impennata degli incassi della Green-Box aveva

corrispostocome abbiamo dettoun calo immediato degli incassi dei vicini.Improvvisamente gli spettacoli fino ad

allora in auge vennero disertati. Fu come una magra che si presentava insenso inversoma con un accordo perfettoqui

la pienalà la diminuzione. È tipico dei teatri questo effetto marea; nonvi può essere l'alta in un luogose non c'è la

bassa in un altro. Il formicaio della fierache esibiva talenti e fanfaresui palchi circostantivedendosi rovinato

dall'Uomo che Ridefu preso dalla disperazionema rimase abbagliato. Nonc'era un buffoneun clown o un giocoliereche non invidiasse Gwynplaine. Ecconeuno che è contento di avere un grugno da bestia feroce! Madri che erano

danzatrici e funambolee che avevano dei figli graziosili guardavanoincolleritee additando Gwynplainedicevano:

«Che peccato che tu non abbia un volto come quello!». Qualcuna picchiava ilproprio bambino dalla rabbia di trovarlo

bello. Più d'unase avesse saputo come fareavrebbe arrangiato il figlio«alla Gwynplaine». Una testa d'angelo che non

rende niente non vale certo una faccia da diavolo che produce soldi. Ungiorno si sentì la madre di un piccoloche era

una grazia di cherubino e che recitava la parte di Cupidoesclamare: «Inostri figli non sono venuti bene. Solo

Gwynplaine è riuscito». Poimostrando i pugni al figlioaveva aggiunto:«Se conoscessi tuo padregli farei una

scenata!».

Gwynplaine era la gallina dalle uova d'oro. Che fenomeno meraviglioso! Era unsolo grido in tutte le baracche. I

saltimbanchientusiasti ed esasperaticontemplavano Gwynplaine digrignandoi denti. La rabbia in ammirazione si

chiama invidia. Allora diventa urlo. Tentarono di disturbare La sconfittadel caoscomplottaronofischiarono

brontolaronoschiamazzarono. Ciò divenne per Ursus tema di ulterioriarringhe ortensiane al popolinoe per l'amico

Tom-Jim-Jack lo spunto per menare qualche pugnodi quelli che riportanol'ordine. I pugni di Tom-Jim-Jack finirono

per farlo notare da Gwynplaine ed entrare nella stima di Ursus. Da lontanocomunque; perché il gruppo della Green-Box

bastava a se stessotenendosi in dispartee quanto a Tom-Jim-Jackquelleader della canagliadava l'impressione

di essere una sorta di supremo sgherrosenza legamisenza rapporti intimirompitore di vetrisobillatoreche appariva

scomparivacompagno di tuttiamico di nessuno.

L'invidia che si era scatenata contro Gwynplaine non si diede vinta per glischiaffi di Tom-Jim-Jack. Avendo fallito il

loro scopo gli schiamazzii saltimbanchi del Tarrinzeau-field redassero unasupplica. Si rivolsero all'autorità. È la prassi

consueta. Se il successo di qualcuno ci infastidiscesi aizza la follapois'invoca il magistrato.

Ai giocolieri si unirono i reverendi. L'Uomo che Ride aveva inferto un durocolpo alle loro prediche. Non si erano

svuotate solo le baracchema anche le chiese. Le cappelle delle cinqueparrocchie di Southwark non avevano più

uditori. Si abbandonava il sermone per andare da Gwynplaine. La sconfittadel caosla Green-Boxl'Uomo che Ride

tutti questi abomini di Baal avevano la meglio sull'eloquenza del pulpito. Lavoce che arringa nel desertovox clamantis

in desertonon può essere contentae si rivolge volentieri al governo.I pastori delle cinque parrocchie si lamentarono

con il vescovo di Londrae questi si lamentò con sua maestà.

Le lagnanze dei giocolieri si fondavano sulla religione. Essi ne denunciaronol'oltraggio. Denunciarono Gwynplaine

come stregone e Ursus come empio.

I reverendida parte loroinvocavano l'ordine sociale. Difendevano a spadatratta gli atti del parlamento violati

mettendo da parte l'ortodossia. Era più da furbi. Perché si era ai tempi diLockemorto da appena sei mesiil 28 ottobre

1704e stava iniziando lo scetticismoche Bolingbroke avrebbe suggerito aVoltaire. Più tardi sarebbe arrivato Wesley

a restaurare la Bibbiacome Loyola ha restaurato il papismo.

Così la Green-Box era battuta in breccia su due fronti: dai giocolieri innome del pentateucodai cappellani in nome dei

regolamenti di polizia. Da una parte il cielodall'altra l'amministrazioneurbanai reverendi che difendevano

l'amministrazione urbanai saltimbanchi che difendevano il cielo. LaGreen-Box veniva denunciata dai preti come un

intralcioe dai pagliacci come sacrilega.

C'era un pretesto? Offriva qualche appiglio? Sì. Qual era il suo reato?Questo: essa aveva un lupo. Un lupo in

Inghilterra è proscritto. Un mastinopassi; ma un lupono. L'Inghilterratollera il cane che abbaiama non quello che

ulula; sfumatura tra il cortile e la foresta. I rettori e i vicari dellecinque parrocchie di Southwark si richiamavanonelle

loro istanzeai numerosi statuti reali e parlamentari che mettevano il lupofuori legge. Per finire invocavano

l'incarcerazione di Gwynplaine e la cattura del lupoo almeno l'espulsione.Era questione d'interesse pubblicodi rischi

per i passanti ecc. Dopodiché si appellavano alla Facoltà di Medicina.Citavano la sentenza del collegio degli Ottanta

medici di Londradotta istituzione voluta da Enrico VIIIche possiede unsigillo come lo statoche eleva i malati alla

dignità di imputatiche ha il diritto di imprigionare coloro che infrangonole sue leggi o contravvengono alle sue

ordinanzee chetra gli altri accertamenti utili per la salute deicittadiniha accertato definitivamente questo fatto

scientifico: Se un lupo vede un uomo per primol'uomo diventa rauco pertutta la vita. Inoltre c'è la possibilità di venire

morsi.

Dunque il pretesto era Homo.

Ursus era venuto a sapere di quelle mene dall'oste. Era preoccupato. Avevapaura di quei due artiglila polizia e la

giustizia. Per temere la magistratura è sufficiente avere timore; non ènecessario essere colpevoli. Ursus non si augurava

certo d'incontrare sceriffiprevostibalivi e coroners. Egli non avevafretta di vedere da vicino quei volti ufficiali. Era

curioso di vedere magistrati come la lepre di vedere cani da caccia.

Cominciava a pentirsi di essere venuto a Londra.

«Il meglio è nemico del bene»mormorava tra sé. «Pensavo che questoproverbio non avesse sensoma avevo torto. Le

verità stupide sono le uniche vere».

Contro una coalizione di simili poterisaltimbanchi che abbracciavano lacausa della religionecappellani che

s'indignavano in nome della medicinala povera Green-Boxsospettata distregoneria in Gwynplaine e d'idrofobia in

Homonon aveva dalla sua parte che una cosache però in Inghilterra è unagrande forzal'inerzia municipale. È dal

lasciar correre locale che è venuta fuori la libertà inglese. La libertàin Inghilterra si comporta come il mare che la

circonda. È una marea. A poco a poco i costumi sommergono le leggi. Unaspaventosa legislazione inghiottitala

consuetudine che sovrastaun codice feroce che ancora si vede sotto latrasparenza di una libertà sconfinataecco

l'Inghilterra.L'Uomo che RideLa sconfitta del caosHomopotevanoavere contro i giocolierii predicatorii vescovila camera dei

comunila camera dei lordssua maestàe Londrae tutta l'Inghilterraeppure restarsene tranquilli finché Southwark

fosse rimasta con loro. La Green-Box era il divertimento preferito delsobborgoe l'autorità locale sembrava

indifferente. Indifferenzain Inghilterrasignifica protezione. Fin quandolo sceriffo della contea di Surreya cui fa capo

Southwarknon si fosse mossoUrsus avrebbe respirato e Homo avrebbe potutodormire fra due guanciali da lupo.

A condizione che il corso degli avvenimenti non accelerassequesti odifavorivano il successo. Per il momento la

Green-Box non se la passava male. Al contrario. Era trapelato nel pubblicoche erano in atto degli intrighi. L'Uomo che

Ride ne aveva guadagnato in popolarità. La folla ha fiuto per le cosedenunciate e le prende in simpatia. Essere sospetto

è una raccomandazione. Istintivamente il popolo adotta ciò che l'Indiceminaccia. La cosa denunciata ha la parvenza del

frutto proibito; ci si affretta a morderlo. E poiun applauso che punzecchiaqualcunosoprattutto quando questo

qualcuno è l'autoritàè piacevole. Essere solidali con l'oppressotrascorrendo una gradevole seratae opporsi

all'oppressoreè un fatto positivo. Divertendosi si protegge. Aggiungiamoche le baracche degli spettacoli del bowling-green

continuavano a fare schiamazzi e a complottare contro l'Uomo che Ride. Nientedi meglio per il successo. I

nemici fanno un chiasso efficaceche acuisce e ravviva il trionfo. Si stancapiù facilmente un amico di lodare che un

nemico di ingiuriare. Ingiuriare non vuol dire nuocere. Ecco una cosa che inemici ignorano. Essi non possono fare a

meno di insultarein questo risultano utili. La loro impossibilità ditacere tiene sveglio l'interesse pubblico. La folla che

as sisteva a La sconfitta del caosdiventava sempre più numerosa.Ursus teneva per sé ciò che gli diceva padron Nicless

degli intrighi e delle lamentele in alto loconon ne parlava a Gwynplaineper non turbare la serenità delle

rappresentazioni con quelle preoccupazioni. Se fosse arrivata qualchedisgrazial'avrebbero saputa anche troppo presto.

V • IL WAPENTAKE

Tuttavia una volta credette di dover derogare a quella prudenza in nome dellaprudenza stessae stimò utile tentar

d'inquietare un po' Gwynplaine. È vero che si trattava di una cosa moltopiù gravesecondo Ursusdei complotti di fiera

e di chiesa. Gwynplaineraccogliendo da terra un farthing che era cadutomentre contavano l'incassosi era messo ad

esaminarlo edavanti all'osteaveva sottolineato il contrasto tra ilfarthingche rappresentava la miseria del popoloe

l'imp ronta del volto di Annache rappresentava la magnificenza parassitadel tronoparole che suonavano male. Quelle

paroleripetute da padron Niclessavevano girato così tanto da ritornare aUrsus sulle labbra di Fibi e di Vinos. A Ursus

venne la febbre. Parole sediziose. Lesa maestà. Ammonì duramenteGwynplaine.

«Stai attento a quello che ti esce dal becco. C'è una regola per i grandi:non far nulla; e una regola per i piccoli: non dir

nulla. Il povero ha un solo amicoil silenzio. Non ha che un monosillabo dapronunciare: sì. Approvare e acconsentireè

tutto il suo diritto. Sìal giudice. Sìal re. Se ai grandi sembragiustoci danno delle bastonatene ho ricevute anch'ioè

una loro prerogativae la loro grandezza non diminuisce certo perché cirompono le ossa. L'ossifrago è una specie di

aquila. Veneriamo lo scettroche è il primo tra i bastoni. Rispetto èprudenzabassezza è egoismo. Chi reca oltraggio al

suo re corre lo stesso pericolo di una ragazza che tagliasse temerariamentela criniera a un leone. Mi dicono che hai

sparlato a proposito del farthingche equivale a un liardodicendo male diquesta augusta medaglia grazie alla quale al

mercato ci concedono mezzo quarto di un'aringa salata. Fai attenzione.Diventa serio. Impara che esistono le punizioni.

Assimila le verità della legge. Sei in un paese dove chi sega un alberellodi tre anni viene tranquillamente condotto alla

forca. Ai bestemmiatori si mettono i ceppi ai piedi. L'ubriaco viene chiusoin una botte sfondata nella parte inferiore

così che possa camminarecon un foro in cima al barile per fargli passarela testae due buchi nel cocchiume per le

maniin modo che non possa coricarsi. Chi colpisce qualcuno nella sala diWestminster finisce in prigione per tutta la

sua vitae gli vengono confiscati i beni. Chi colpisce qualcuno nel palazzoreale ha la mano destra tagliata. Un buffetto

su un naso che poi sanguinaed eccoti monco. Chi è trovato colpevoled'eresia nella corte di un vescovoè bruciato

vivo. Non aveva poi fatto niente di particolare Cuthbert Simpsonche fusquartato all'arganello. Tre anni fanel 1702

non è passato molto tempo come vediun disgraziato di nome Daniel de Foeche aveva avuto l'audacia di stampare i

nomi dei membri dei comuni che il giorno prima avevano preso la parola inparlamentoè stato esposto alla gogna. Chi

è accusato di fellonia nei confronti di sua maestàviene sventrato vivo egli strappano il cuorecon cui lo schiaffeggiano

sulle guance. Mettiti in testa questi rudimenti del diritto e dellagiustizia. Non permettersi di aprire boccae al più

piccolo segno di pericolosquagliarsela; in questo consiste il mio coraggioe questo consiglio. In fatto di temerarietà

imita gli uccellie in fatto di chiacchiereimita i pesci. Del restol'Inghilterra ha una legislazione ammirevolemolto

moderata».

Dopo aver terminato i suoi ammonimentiUrsus rimase preoccupato ancora perqualche tempo; Gwynplaine per niente.

La giovinezza è intrepida perché manca di esperienza. Sembrò tuttavia cheGwynplaine avesse ragione di essere

tranquilloperché le settimane trascorsero pacificamentecome se le parolesulla regina non dovessero aver seguito.

Ursusormai lo sappiamonon era apaticoesimile a un capriolo all'ertastava in guardia da tutti i lati.

Un giornopoco tempo dopo la ramanzina a Gwynplaineguardando dalfinestrino sul muro che dava sulla stradaUrsus

impallidì.

«Gwynplaine!».

«Cosa c'e?».

«Guarda».

«Dove?».

«Nella piazza».«E allora?».

«Vedi quel passante?».

«Quello vestito di nero?».

«Sì».

«Che tiene una specie di mazza in mano?».

«Sì».

«Ebbene?».

«EbbeneGwynplainequell'uomo è il wapentake».

«Cos'è il wapentake?».

«È il balivo della centuria».

«E cos'è il balivo della centuria?».

«È il praepositus hundredi».

«Che significa praepositus hundredi?».

«È un ufficiale terribile».

«Cosa tiene in mano?».

«L'iron-weapon».

«Cos'è l'iron-weapon?».

«È un affare di ferro».

«Che se ne fa?».

«Prima di tutto vi giura sopra. Proprio per questo lo chiamano wapentake».

«E poi?».

«Poi ti tocca».

«Con cosa?».

«Con l'iron-weapon».

«Il wapentake ti tocca con l'iron-weapon?».

«Sì».

«E che significa?».

«Significa: seguimi».

«E bisogna seguirlo?».

«Sì».

«Dove?».

«Che ne so io?».

«Ma dice dove ti porta?».

«No».

«Ma si può domandarglielo?».

«No».

«Come?».

«Egli non dice nullae tu non devi dirgli nulla».

«Ma ...».

«Ti tocca con l'iron-weapontutto qui. Devi camminare».

«Ma dove?».

«Dietro a lui».

«Ma dove?».

«Dove gli pareGwynplaine».

«E se si resiste?».

«Si viene impiccati».

Ursus tornò a guardare dal finestrinorespirò profondamentee disse:

«Sia ringraziato Dioè passato! Non viene da noi».

È probabile che Ursus si fosse spaventato più del dovuto per le voci e ipossibili rapporti riguardo le parole sconsiderate

di Gwynplaine.

Padron Niclessche le aveva uditenon aveva alcun interesse a comprometterequei poveracci della Green-Box. A causa

dell'Uomo che Ride gli veniva in tasca una piccola fortuna. La sconfittadel caos aveva due conseguenze; mentre nella

Green-Box faceva trionfare l'artenella bettola faceva prosperarel'ubriachezza.

VI • IL TOPO INTERROGATO DAI GATTI

Ursus si allarmò anche un'altra voltain modo davvero terribile. In quelcaso si trattava di lui in persona. Fu costretto a

presentarsi a Bishopsgatedavanti a una commissione composta da tre faccesgradevoli. Quelle tre facce erano tre

dottoripreposti qualificati; uno era dottore in teologiadelegato deldecano di Westminsterl'altro un dottore in

medicinadelegato del collegio degli Ottantail terzo era dottore in storiae diritto civiledelegato del collegio di

Gresham. I tre esperti in omni re scibili esercitavano compiti dipolizia sulle parole pronunciate in pubblico in tutto il

territorio delle centotrenta parrocchie di Londradelle settantatré diMiddlesex eper estensionedelle cinque diSouthwark. Le giurisdizioniteologali esistono ancora in Inghilterrae imperversano utilmente. Il 23dicembre 1868per

sentenza della corte degli Archiconfermata da un decreto dei lords delconsiglio privatoil reverendo Mackonochie è

stato condannato al biasimooltre alle speseper aver acceso delle candelesu un tavolo. La liturgia non scherza.

Dunque un bel giorno Ursus ricevette dai dottori delegati un ordine dicomparizione chefortunatamentegli fu

consegnato di personacosì che poté tenerlo nascosto. Obbedìall'ingiunzione senza dir nullafremendo al pensiero che

lo potessero considerare uno che dava adito al sospetto di essereforseinqualche misuraun temerario. Luiche tanto

raccomandava il silenzio agli altrieccolo a una dura lezione. Garrulesana te ipsum.

I tre dottori preposti e delegati sedevano a Bishopsgatein fondo a una saladel piano terrasu tre sedie con i braccioli di

cuoio nerocon i tre busti di MinosseEaco e Radamante incassati nel murosopra la loro testauna tavola davanti e un

seggiolino ai loro piedi.

Ursusintrodotto da uno sgherro pacifico e severoentròli vide e lìsudue pieditra sé e séaffibbiò a ciascuno di loro

il nome del giudice infernale che aveva sopra la testa.

Minosseil primo dei treil preposto alla teologiagli fece segno disedersi sul seggiolino.

Ursus salutò correttamenteinchinandosi fino a terra eben sapendo che gliorsi si prendono con il miele e i dottori con

il latinodisserimanendo piegato in due in segno di rispetto:

«Tres faciunt capitulum».

E a testa bassapoiché la modestia disarmaandò a sedersi sullo sgabello.

Ciascuno dei tre dottori aveva davanti a sé sulla tavola un plico di appuntiche sfogliava.

Incominciò Minosse:

«Voi parlate in pubblico?».

«Sì»rispose Ursus.

«Con quale diritto?».

«Sono un filosofo».

«Questo non è un diritto».

«Sono anche un saltimbanco»disse Ursus.

«Allora è diverso».

Ursus sospiròma umilmente. Minosse riprese:

«Come saltimbanco potete parlarema come filosofo dovete tacere».

«Mi sforzerò»disse Ursus.

E tra sé e sé rifletteva: «Io posso parlarema devo tacere. Una bellacomplicazione».

Era molto spaventato.

Il preposto a Dio continuò:

«Voi dite cose che suonano male. Voi oltraggiate la religione. Voi negate leverità più evidenti. Voi diffondete errori

rivoltanti. Per esempioavete detto che la verginità esclude lamaternità».

Ursus alzò lentamente gli occhi.

«Non ho detto questo. Ho detto che la maternità esclude la verginità».

Minosse si fece pensieroso e borbottò:

«In effetti è il contrario».

Era la stessa cosa. Ma Ursus aveva parato il primo colpo.

Minossemeditando la risposta di Ursussprofondò negli abissi della suaimbecillitàprovocando una pausa di silenzio.

Il preposto alla storiaquello che per Ursus era Radamantemascherò loscacco di Minosse con questa domanda:

«Accusatole vostre imprudenze e i vostri errori sono di ogni tipo. Voiavete negato che la battaglia di Farsalo sia stata

persa perché Bruto e Cassio avevano incontrato un negro».

«Ho detto»mormorò Ursus«che ciò dipendeva anche dal fatto che Cesareera un condottiero migliore».

L'uomo della storia passò senza soluzione di continuità alla mitologia.

«Voi avete giustificato le infamie di Atteone».

«Ritengo che un uomo»insinuò Ursus«non sia disonorato per aver vistouna donna nuda».

«E avete torto»disse il giudice con severità.

Radamante rientrò nella storia.

«A proposito dei casi toccati alla cavalleria di Mitridatevoi avetecontestato le virtù delle erbe e delle piante. Avete

negato che un'erba come la securiduca possa far cadere i ferri dei cavalli».

«Scusate»rispose Ursus«io ho detto che ciò non era possibile cheall'erba sferra-cavallo. Non nego la virtù di nessuna

erba».

E aggiunse sottovoce:

«Né di nessuna donna».

Con quella postilla aggiunta alla rispostaUrsus dimostrava a se stesso cheper quanto inquietonon era disarcionato.

Ursus era un insieme di terrore e presenza di spirito.

«Insisto»riprese Radamante. «Voi avete dichiarato che fu un'ingenuitàda parte di Scipionequando volle aprire le

porte di Cartagineprendere per chiave l'erba Aethiopisperché l'erbaAethiopis non ha la proprietà di rompere le

serrature».

«Ho detto semplicemente che avrebbe fatto meglio a servirsi dell'erbaLunaria».

«È un'opinione»mormorò Radamantetoccato a sua volta.E l'uomo dellastoria tacque. Minossel'uomo della teologiaripresosiinterrogò nuovamenteUrsus. Aveva avuto il

tempo di consultare il plico di appunti.

«Voi avete messo l'orpimento tra i prodotti arsenicalie avete sostenutoche con l'orpimento si può avvelenare. La

Bibbia lo nega».

«La Bibbia lo nega»sospirò Ursus«ma l'arsenico lo afferma».

Il personaggio in cui Ursus vedeva Eacoe che era il preposto alla medicinanon aveva ancora parlatoma ora

intervenne eguardando con insistenza Ursus dall'altogli occhi fieramentesocchiusidisse: «La risposta non è

stupida».

Ursus ringraziò con il suo sorriso più mesto.

Minosse fece una smorfia spaventosa.

«Continuiamo»riprese Minosse. «Rispondete. Avete detto che è falso cheil basilisco sia il re dei serpenti sotto il nome

di Cocatrix».

«Molto reverendo»disse Ursus«ho così poco voluto nuocere albasiliscoche ho detto essere certo che ha una testa

d'uomo».

«Ammettiamolo»replicò severamente Minosse«ma avete aggiunto chePoerius ne aveva visto uno con la testa di

falco. Potreste provarlo?».

«Difficilmente»disse Ursus.

Qui perse un po' terreno.

Minosseper non lasciarsi sfuggire il vantaggioinsistette.

«Voi avete detto che un ebreo che si fa cristiano puzza».

«Ma ho aggiunto che puzza anche un cristiano che si fa ebreo».

Minosse diede un'occhiata al plico delle accuse.

«Voi affermate e diffondete cose inverosimili. Avete detto che Eliano avevavisto un elefante che scriveva sentenze».

«Nomolto reverendo. Ho detto solo che Oppiano aveva sentito un ippopotamoche discuteva un problema di filosofia».

«Voi avete dichiarato che non è vero che un piatto di legno di faggio siriempie da solo di tutti i cibi desiderabili».

«Ho detto che perché abbia una simile virtù bisogna che vi sia stato datodal diavolo».

«Dato a me?».

«Noa mereverendo! Anzia nessuno! A tutti!».

E dentro di sé Ursus pensò: Non so più quel che dico. Ma per quanto grandefosse il suo turbamentoesteriormente non

era un gran che visibile. Ursus stava lottando.

«Tutto ciò»ricominciò Minosse«implica una certa fede nel diavolo».

Ursus resistette.

«Molto reverendonon sono miscredente nei confronti del diavolo. La fedenel diavolo è il rovescio della fede in Dio.

Una prova l'altra. Chi non crede almeno un po' nel diavolonon può crederemolto in Dio. Chi crede nel sole deve

credere nell'ombra. Il diavolo è la notte di Dio. Che cos'è la notte? Laprova del giorno».

Ursus stava improvvisando un'insondabile combinazione di filosofia e direligione. Minosse tornò pensieroso e si rituffò

nel silenzio.

Ursus riprese fiato ancora una volta.

All'improvviso venne attaccato. Eacoil delegato della medicinache avevaappena difeso con sdegno Ursus dal

preposto alla teologiasi trasformò d'un tratto da difensore in accusatore.Appoggiò il pugno chiuso sull'incartamento

che era spesso e voluminoso. Da lui Ursus ricevette in pieno petto questaapostrofe:

«È provato che il cristallo è ghiaccio sublimato e che il diamante ècristallo sublimato; è accertato che il ghiaccio

impiega mille anni a diventare cristalloe il cristallo mille secoli adiventare diamante. Voi l'avete negato».

«No»replicò Ursus tristemente. «Ho detto soltanto che in mille anni ilghiaccio aveva il tempo di fonderee che mille

secoli non sono facili da contare».

L'interrogatorio continuòdomande e risposte davano un clicchettio dispade.

«Voi avete negato che le piante possano parlare».

«Per niente. Solo che è necessario che siano sotto una forca».

«Ammettete che la mandragora grida?».

«Noma canta».

«Voi avete negato che il quarto dito della mano sinistra abbia una virtùcordiale».

«Ho detto soltanto che starnutire a sinistra porta sfortuna».

«Voi avete parlato della fenice in modo temerario e ingiurioso».

«Dotto giudiceho semplicemente detto che quando Plutarco ha scritto che ilcervello della fenice era un boccone

delicatoma che causava dei mal di testaha esageratodal momento che lafenice non è mai esistita».

«Discorso insensato. Il cinnamalco che fa il suo nido con bastoncini dicannellail rintace che serviva a Parsate per i

suoi avvelenamentiil manucodiatecioè l'uccello del paradisoe lasemendache ha un becco con tre cannesono stati

scambiati a torto per la fenice; ma la fenice è esistita».

«Non mi oppongo».

«Voi siete un asino».

«Non chiedo di meglio».«Avete ammesso che il sambuco guarisce laschinanziama aggiungendo che ciò non dipende dal fatto che nella sua

radice c'è un'escrescenza fatata».

«Ho detto che accadeva perché Giuda si era impiccato a un sambuco».

«Opinione plausibile»borbottò il teologo Minossecontento dipunzecchiare a sua volta il medico Eaco.

L'arroganza offesa diventa subito collera. Eaco si accanì.

«Uomo nomadevoi non errate solo con i piedima anche con l'intelletto. Levostre tendenze sono sorprendentemente

sospette. Voi rasentate la stregoneria. Voi siete in relazione con animalisconosciuti. Voi parlate al popolino di cose che

esistono solo per voie di natura ignotacome l'hoemorrhous».

«L'hoemorrhous è una vipera che fu vista da Tremellio».

La risposta produsse un certo smarrimento nella scienza collerica del dottorEaco.

Ursus aggiunse:

«L'hoemorrhous è reale almeno quanto la iena odorosa e lo zibettodescritto da Castellus».

Eaco se la cavò con una carica a fondo.

«Ecco le testuali e diaboliche parole che avete usato. Ascoltate».

L'occhio sull'incartamentoEaco lesse:

«Due piantela talassigle e l'aglafotosono luminose di sera. Di giornofioristelle la notte».

E guardando fisso Ursus:

«Cosa avete da dire?».

Ursus rispose:

«Ogni pianta è lampada. Il profumo è luce».

Eaco sfogliò qualche altra pagina.

«Voi avete negato che le vescicole di lontra fossero equivalenti alcastoreo».

«Mi sono limitato a dire che forse bisognava diffidare di Ezio su questopunto».

Eaco diventò furibondo.

«Voi esercitate la medicina?».

«Mi esercito nella medicina»sospirò timidamente Ursus.

«Sui vivi?».

«Più che sui morti»disse Ursus.

Le risposte di Ursus erano solide ma banali; una mistura ammirevole dominatadalla soavità. Egli parlava con tanta

dolcezza che il dottor Eaco sentì il bisogno d'insultarlo.

«Cosa state tubando?»disse sgarbatamente.

Ursusstupitosi limitò a rispondere:

«I giovani tubano ma i vecchi gemono. Ahimè! Io gemo».

Eaco replicò»:

«Ritenetevi avvisato: se un ammalato curato da voi muoresarete condannatoa morte».

Ursus azzardò una domanda.

«E se guarisce?».

«In questo caso»rispose il dottoreaddolcendo la voce«saretecondannato a morte ugualmente».

«Non c'è una gran differenza»disse Ursus.

Il dottore riprese:

«Se ci scappa il mortosi punisce l'ignoranza. Se si dà guarigionesipunisce la tracotanza. La forca in entrambi i casi».

«Ignoravo il dettaglio»mormorò Ursus. «Vi ringrazio per l'informazione.Non si è mai finito di conoscere tutte le

bellezze della legge».

«Badate a voi».

«Scrupolosamente»disse Ursus.

«Noi sappiamo sempre quello che fate».

«Io no»pensò Ursus.

«Potremmo mandarvi in prigione».

«Comincio ad accorgermenesignori».

«Voi non potete negare le vostre contravvenzioni e i vostri sconfinamenti».

«La mia filosofia domanda perdono».

«Vi si attribuiscono gesti audaci».

«Mi si fa un torto enorme».

«Si dice che guarite gli ammalati».

«Sono vittima di calunnie».

Le tre paia di terribili sopracciglia puntate su Ursus si aggrondarono; letre facce sapienti si accostarono e si misero a

bisbigliare. Ursus credette di vedere un vago abbozzo di berretto d'asino suquelle tre teste autorevoli; l'intimo e

competente borbottio di quella trinità durò qualche minutomentre Ursusprovava tutto il gelo e tutte le braci

dell'angoscia; finalmente Minosseche era il presidentesi girò verso dilui e con un'aria furiosa gli disse:

«Andatevene».

Ursus ebbe un po' la stessa sensazione di Giona quando uscì dal ventre dellabalena.

Minosse proseguì:«Vi rilasciamo!».

Ursus si disse:

«Non ci casco più! Addio medicina!».

E sempre dentro di sé aggiunse:

«D'ora in poi avrò cura di lasciar crepare la gente».

Piegato in duesalutò tuttii dottorii bustiil tavolo e i muripoi sidiresse camminando all'indietro verso la portae

sparì quasi fosse un'ombra che si dissolve.

Uscì dalla sala lentamentecome un innocentema dalla strada fuggì velocecome un colpevole. Avere a che fare con gli

uomini di legge comporta tali stranezze e oscurità cheanche se assolticisi sente evasi.

Sempre fuggendobrontolava:

«L'ho scampata bella. Io sono un sapiente selvaticoloro sono sapientidomestici. I dottori se la prendono con i dotti. La

falsa scienza è l'escremento di quella vera; viene usata per rovinare ifilosofi. I filosofigenerando i sofisticausano la

propria disgrazia. Dallo sterco del tordo nasce il vischiocon il quale sifa la paniae con questa si prende il tordo.

Turdus sibi malum cacat».

Non diciamo che Ursus era lezioso. Egli aveva la sfrontatezza di servirsidelle parole che rendevano il suo pensiero.

Non aveva più gusto di Voltaire.

Ursus fece ritorno alla Green-Boxraccontò a padron Nicless di aver persotempo dietro una bella donnasenza aprir

bocca sulla sua avventura.

Solo di sera bisbigliò a Homo:

«Sappilo. Ho battuto le tre teste di Cerbero».

VII • CHE MOTIVI PUÒ AVERE UNA QUADRUPLA PER ANDARE AD ABBASSARSI TRA ISOLDONI?

Sopraggiunse un diversivo.

L'inn Tadcaster era sempre più una fucina d'allegria e di risate. Il piùgaio dei tumulti. L'oste e il suo boy non ce la

facevano a versare la birra chiaraquella scurae a servirle. Di serainquella sala bassacon tutte le finestre illuminate

non c'era un tavolo vuoto. Cantavanogridavano; il grandevecchio focolarea semicatinochiuso in una grata di ferro e

zeppo di carboneavvampava. Era la casa del fuoco e del fracasso.

In cortilecioè nel teatroc'era ancora più folla.

Il sobborgo di Southwark forniva una tale quantità di pubblico allerappresentazioni de La sconfitta del caos chenon

appena si alzava il sipariocioè appena veniva abbassato il pannello dellaGreen-Boxera impossibile trovare un posto.

Le finestre rigurgitavano di spettatori; il balcone straripava. Le selci delcortile erano invisibilial loro posto altrettanti

volti.

Solo lo scompartimento per la nobiltà rimaneva sempre vuoto.

Così accadeva che lìal centro del balconeci fosse un buco nerochecon una metafora del gergo teatralesi chiama «il

forno». Nessuno. Folla ovunquefuorché là.

Una seraci fu qualcuno.

Era un sabatogiorno in cui gli inglesi hanno fretta di divertirsidovendoannoiarsi la domenica. La sala era al

completo.

Noi diciamo sala. Persino Shakespeare per molto tempo ha avuto cometeatro il cortile di un'osteriae la chiamava sala.

Hall.

Nel momento in cui la tenda si aprì sul prologo de La sconfitta del caosquando UrsusHomo e Gwynplaine erano già

in scenaUrsuscome al solitodiede un'occhiata all'uditorio e rimase distucco.

Lo scompartimento «per la nobiltà»era occupato.

C'era una donna sedutasolain mezzo al palcosulla poltrona di vellutod'Utrecht.

Pur essendo sola riempiva il palco.

Ci sono creature luminose. Quella donna emanava lucecome Deaanche se inmodo diverso. Dea era pallidaquella

donna era dorata. Dea era l'albaquella donna era l'aurora. Dea era bellaquella donna era superba. Dea era l'innocenza

il candorela purezzal'alabastro; quella donna era la porporae si capivache non temeva il rossore. Raggiava ben oltre

il palcoed ella sedeva al centroimmobilenell'indefinibile compattezzadegli idoli.

In mezzo a quella folla sordida essa aveva il supremo splendore delcarbonchioinondava di luce il popolo eal tempo

stessolo affondava nell'ombrae tutte quelle facce scure subivano la suaeclisse. Quello splendore cancellava tutto.

Tutti gli occhi la guardavano.

Tom-Jim-Jack era confuso nella calca. Come gli altri anche lui spariva nelnimbo di quell'essere radioso.

Da principio la donna assorbì l'attenzione del pubblicofacendo concorrenzaallo spettacoloe danneggiò un po' i primi

effetti de La sconfitta del caos.

Per quanto sembrasse un sognoper quelli che le stavano vicino era benreale. Era proprio una donna. Forse anche

troppo donna. Era alta e robustae mostrava quanto più poteva la suamagnifica nudità. Portava grandi orecchini di

perlemescolate a quei gioielli bizzarri detti chiavi d'Inghilterra.Indossava un abito di mussolina del Siam ricamata in

oro anticoun gran lussoperché uno di quei vestiti di mussolina valevaallora seicento scudi. Un grosso fermaglio di

diamanti le chiudeva la camicia che le si vedeva affiorare all'altezza delsenosecondo la moda lasciva del tempo; la

camicia era in tela di Frisala stessa di cui erano fatte le lenzuola diAnna d'Austriacosì sottili da passare attraverso unanello. La donna avevacome una corazza di rubinialcuni rotondie pietre preziose cucite un po'dovunque sul corpetto.

Inoltre le sopracciglia scurite con l'inchiostro di Chinae le bracciaigomitile spalleil mentosotto le naricila parte

superiore delle palpebreil lobo delle orecchieil palmo delle manilapunta delle ditatutto era cosparso di belletto e

aveva un pizzico di rosso provocante. E su tutto l'implacabile volontà diessere bella. Lo era in modo selvaggio. Era una

panterama avrebbe potuto essere una gattae accarezzare. Aveva un occhioazzurroe uno nero.

Gwynplainecome Ursusguardava attentamente quella donna.

La Green-Box era un po' uno spettacolo di fantasmagoriee La sconfittadel caos era più un sogno che un lavoro

teatraleessi erano abituati a produrre sul pubblico l'effetto di unavisione; questa volta invece l'effetto visione toccava a

lorola sala sorprendeva il teatroed erano loro a rimanere stupefatti. Ilfascino rimbalzava su di essi.

Quella donna li guardavaed essi la guardavano.

Per loroalla distanza in cui si trovavanoe nella foschia luminosaprodotta dalla penombra del teatroi particolari

andavano persi; era come un'allucinazione. Era certo una donnama non eraanche una chimera? L'irrompere di quella

luce nella loro oscuritàli lasciava allibiti. Era come la comparsa di unpianeta sconosciuto. Ciò veniva dal mondo dei

felici. L'irradiazione ingigantiva quella figura. La donna aveva su di sédei bagliori notturniun'intera via lattea. Le

pietre sembravano stelle. Il fermaglio di diamanti era forse una pleiade. Lasplendida forma del suo seno sembrava

soprannaturale. Si sentivaguardando quella creatura astraleil momentaneoe gelido contatto delle terre felici. Quel

volto di una serenità inesorabile apparteneva alle profondità del paradisoe si chinava sulla misera Green-Box e sul suo

miserabile pubblico. Una curiosità superiore che voleva soddisfarsi e cheal tempo stessoalimentava la curiosità

popolare. I cieli permettevano alla terra di guardarli.

UrsusGwynplaineVinosFibila follatutti erano rimasti abbagliatitranne Deanell'ignoranza della sua notte.

Quella presenza era come un'apparizionema quella figura non realizzavanessuna di quelle idee che di solito suscita la

parola apparizione; essa non aveva nulla di diafanodi indecisodifluttuante; niente di vaporoso; era un'apparizione

rosea e frescabenportante. E tuttavianelle condizioni di visuale dove sitrovavano Ursus e Gwynplaineera pur

sempre una visione. I grassi fantasmi che chiamiamo vampiriesistono. Labella regina chea sua voltaè una visione

per la follae che mangia trenta milioni all'anno al popolo dei poverihal'identica salute.

Nella penombra dietro la donna si scorgeva il suo mozzoel mozounometto infantilebianco e graziosodall'aspetto

serio. A quei tempi era di moda avere un groom molto giovane e molto serio.Il mozzo era vestitocalzato e con il capo

coperto di velluti rosso fuocoe sul berretto gallonato d'oro aveva unciuffo di piume di tessitoreche è un segno che

distingue i domestici d'alto grado e vuol dire che si è il valletto di unagran dama.

Il lacché fa parte del signoreed era impossibile non accorgersi di quelpaggio reggicoda nell'ombra della donna. Spesso

la memoria prende appunti a nostra insaputa; esenza che Gwynplaine ne fosseconsapevolequelle guance rotonde

l'espressione seriail berretto gallonato e il ciuffo di piume del mozzodella dama lasciarono una certa traccia nella sua

mente. Il groom d'altra parte non faceva niente per farsi guardare; attirarel'attenzione significa mancare di rispetto; egli

stava passivamente in piedi in fondo al palcoappartato per quanto gli erapermesso dalla porta chiusa.

Benché il suo muchacho reggicoda fosse lìnon per questo la donna era menosola nello scompartimentodato che un

valletto non conta.

Il diversivo causato da quella spettatrice che sembrava una protagonistafuimponentema l'epilogo de La sconfitta del

caos fu ancora più imp onente. L'impressionecome semprefuirresistibile. Forsea causa di quella radiosa spettatrice

ci fu nella sala un sovrappiù di elettricitàdel resto capita che lospettatore si aggiunga allo spettacolo. La contagiosa

risata di Gwynplaine trionfò più che mai. L'uditorio scoppiò inun'indescrivibile epilessia d'ilaritàsu tutti si ergeva la

sonora e inconfondibile risata di Tom-Jim-Jack.

La donna sconosciutache assisteva allo spettacolo con l'immobilità di unastatua e con occhi spettralifu la sola a non

ridere.

Uno spettroma luminoso.

Finita la rappresentazioneil pannello venne ritirato e nella Green-Boxtornò l'intimitàUrsus aprì la borsa degli incassi

e la vuotò sul tavolo da pranzo. C'era un mucchio di soldoni tra cui brillòimprovvisamente un'oncia d'oro di Spagna.

«Lei!»esclamò Ursus.

L'oncia d'oro in mezzo ai soldi coperti di verderame era in effetti comequella donna in mezzo al popolo.

«Ha pagato il suo posto una quadrupla!»riprese Ursus esaltato.

In quel momento entrò nella Green-Box l'ostepassò il braccio nellafinestra posterioreaprì il finestrino che si trovava

nel muro a cui era addossato la Green-Boxfinestrino che abbiamo giànominato e che permetteva di guardare nella

piazzaessendo alla stessa altezza della finestrapoiin silenziofececenno a Ursus di dare un'occhiata fuori. Una

carrozzaimpennacchiata di lacché piumati che reggevano torcee conmagnifici cavallisi allontanava al gran trotto.

Ursusprendendo rispettosamente la quadrupla tra il pollice e l'indicelamostrò a padron Nicless e disse:

«È una dea».

Poi lo sguardo gli cadde sulla carrozza che stava per girare l'angolo dellapiazzae sull'imperiale da cui le torce dei

valletti rischiaravano una corona d'oro con otto fioroni.

Esclamò: «Ancor di più. È una duchessa».

La carrozza scomparve. Il rumore delle ruote si spense.

Per qualche istante Ursus restò soprapensierofacendo con le ditadiventate un ostensoriol'elevazione della quadrupla

così come si fa l'elevazione dell'ostia.Poi la posò sul tavolo econtinuando a contemplarlasi mise a parlare della «dama». L'oste ribatteva.Era una duchessa.

Sì. Ne conoscevano il titolo. Ma il nome? Lo ignoravano. Padron Niclessaveva visto da vicino la carrozzacoperta di

stemmie i lacchétutti gallonati. Il cocchiere aveva una parrucca chesembrava di vedere un lord cancelliere. La

carrozza era di un modello raroche in Spagna chiamano coche-tumbonuuno splendido esemplare a coperchio

tombalemagnifico supporto per una corona. Il mozzo era un tipo cosìpiccolo che poteva star seduto sul predellino

della carrozza che sporgeva dalla portiera. Questi esseri graziosi vengonoimpiegati per reggere lo strascico delle dame;

ne portano anche i messaggi. E si era fatto caso al ciuffo di piume ditessitore di quel mozzo? Ecco la grandezza. C'è

una multa per chi porta quelle piume senza averne diritto. Padron Niclessaveva guardato da vicino anche la dama. Una

specie di regina. Una gran ricchezza procura anche la bellezza. La pelle èpiù biancal'occhio più fierol'andatura più

nobilela grazia più insolente. Non c'è nulla che eguagli l'impertinenteeleganza di quelle mani che non lavorano.

Padron Nicless raccontava la magnificenza di quella carne biancadelle suevene azzurree il collole spallele braccia

il belletto dovunquegli orecchini di perlela pettinatura con la polvered'oroquella profusione di pietredi rubinidi

diamanti.

«Ma che brillano meno degli occhi»mormorò Ursus. Gwynplaine taceva.

Dea ascoltava.

«E volete sapere la cosa più incredibile?»disse l'oste. «Cosa?»domandò Ursus.

«L'ho vista salire in carrozza».

«E allora?».

«Non è salita da sola».

«Bah!».

«Qualcuno è salito con lei».

«Chi?».

«Indovinate».

«Il re?»disse Ursus.

«Prima di tutto»disse padron Nicless«per ora non abbiamo un re. Nonsiamo sotto un re. Indovinate chi è salito nella

carrozza della duchessa».

«Giove»disse Ursus.

«Tom-Jim-Jack»rispose l'oste.

Gwynplaineche fino a quel momento non aveva aperto boccaruppe ilsilenzio.

«Tom-Jim-Jack!»esclamò.

Ci fu una pausa di stupore durante la quale si poté sentire Dea che diceva abassa voce:

«Non si potrebbe impedire a quella donna di venire?».

VIII • SINTOMI DI AVVELENAMENTO

- L'apparizione - non tornò.

Essa non tornò nella salama tornò nella mente di Gwynplaine.

In qualche misura Gwynplaine ne era rimasto turbato.

Per la prima volta in vita sua gli sembrò di aver visto una donna.

Ebbe subito la debolezza di lasciarsi andare a strani pensieri. Bisogna stareattenti a che la fantasticheria non s'imponga.

Fantasticare ha il mistero e la sottigliezza di un odore. È per il pensierociò che il profumo è per la tuberosa. A volte è la

dilatazione di un'idea velenosae possiede la penetrazione del fumo. Ci sipuò avvelenare con le fantasticherie come con

i fiori. Suicidio inebriantesquisitamente sinistro.

L'anima si suicida con i cattivi pensieri. Ecco l'avvelenamento. Fantasticareattiralusingaallettaavvinceinfine fa di

voi il suo complice. Vi mette a parte delle truffe che ordisce ai danni dellacoscienza. Vi seduce. Poi vi corrompe. Si

può dire della fantasticheria ciò che si dice del gioco. Si incomincia conl'essere ingannati e si finisce con l'ingannare.

Gwynplaine fantasticò.

Non aveva mai visto la Donna.

In ogni donna del popolo ne aveva visto l'ombral'anima in Dea.

Ora ne aveva visto la realtà.

Una pelle tiepida e vivasotto cui si sentiva scorrere un sangueappassionatoprofili con la precisione del marmo e

ondulati come l'ondaun viso altero e impassibileche respingeva eattiravaun concentrato di splendorecapelli

colorati come il riflesso di un incendiol'intrigo di un abbigliamento cheaveva e procurava brividi di voluttàuna vaga

nudità che tradiva il desiderio sdegnoso di essere posseduta a distanzadalla follauna civetteria inespugnabileil fascino

dell'impenetrabilela tentazione condita con il baluginio della perdizioneuna promessa per i sensi e una minaccia per

lo spiritodoppia ansietàdesiderio e timore. Questo aveva visto. Avevavisto una donna.

Aveva visto qualcosa di più e qualcosa di meno di una donnauna femmina.

E al tempo stesso una creatura dell'Olimpo.

La femmina di Dio.

Gli era apparso il mistero del sesso.

E dove? Nell'inaccessibile.

A una distanza infinita.Ironia del destinol'animaquesta cosa celesteegli la possedevala teneva in manoera Dea; ma il sessoquesta cosa

terrenaegli la scorgeva nelle profondità del cieloed era quella donna.

Una duchessa.

Più che una deaaveva detto Ursus.

Che abisso!

Davanti a una simile scalata il sogno stesso indietreggiava.

Sarebbe stato così folle da pensare alla sconosciuta? Si dibatteva.

Egli ricordava tutto quello che Ursus gli aveva detto a proposito di quelleesistenze elevatequasi regali; le divagazioni

del filosofoche gli erano sembrate inutilidiventavano ora punti fermidella sua meditazione; spesso nella memoria la

superficie dell'oblio è sottilissimaequando capitaci lasciaimprovvisamente vedere quello che c'è sotto; si

immaginava il mondo augusto dell'aristocraziaa cui apparteneva quelladonnainesorabilmente sovrapposto all'infimo

mondo del popoloa cui egli apparteneva. Ma apparteneva poi lui al popolo?Non era forseluiil saltimbancopiù sotto

di ciò che sta sotto? Per la prima volta da quando aveva l'età dellaragionesi sentì stringere vagamente il cuore all'idea

delle sue umili originidi quella che oggi chiameremmo: la sua inferiorità.Le descrizioni e le enumerazioni di Ursusi

suoi inventari liricii ditirambi sui castellisui parchisui gettid'acqua e sui colonnatil'ostentazione della ricchezza e

del potererivivevano nei pensieri di Gwynplaine con il rilievo di unarealtà mescolata alle nuvole. Aveva l'ossessione

di quello zenit. Gli sembrava una chimera che un uomo potesse essere un lord.E tuttavia accadeva. Era incredibile. I

lords esistevano. Ma erano fatti di carne e di ossa come noi? C'era dadubitarne. Egli si sentiva nelle profondità

dell'ombracon una muraglia attornoe da una suprema lontananza scorgevasopra la propria testacome dall'apertura

di un pozzo in fondo a cui si trovassequell'abbagliante confusione diazzurrofigure e raggi che è l'Olimpo. In mezzo a

quella gloria risplendeva la duchessa.

Provava un bizzarro bisogno di quella donnacomplicato d'impossibilità.

E questo straziante controsenso gli si agitava incessantemente nello spiritocontro la sua volontà: vedere accanto a sé

alla sua portatanell'angusta e tangibile realtàl'animaenell'inafferrabilein fondo all'idealela carne.

Nessuno di questi pensieri arrivava a prendere in lui una forma precisa.C'era in lui una gran nebbia. Fluttuava e

cambiava contorno ad ogni istante. Ma si trattava di una oscurità profonda.

D'altra parteneppure per un attimo lo sfiorò l'idea di poter concluderequalcosa. Nemmeno in sogno tentò di salire fino

alla duchessa. Fortunatamente.

Il tremito di quelle scaleuna volta che vi si è messo il piede soprapuòrestarvi per sempre nel cervello; si crede di

raggiungere l'Olimpoe si arriva a Bedlam. Un desiderio preciso che avessepreso forma in luil'avrebbe atterrito. Ma

non provò niente di simile.

E poiavrebbe mai rivisto quella donna? Probabilmente no. Invaghirsi di unaluce che passa all'orizzontenon c'è follia

che si spinga fin lì. A rigore è comprensibile che si possano fare gliocchi dolci a una stellala si rivederiappareè

fissa. Ma ci si può innamorare di un lampo?

Aveva un va e vieni di sogni. L'idolo in fondo al palcomaestoso e galantesfumava luminosamente nel turbine delle

sue ideepoi spariva. Ci pensavanon ci pensavasi occupava d'altrotornava a pensarci. Ne subiva il dondolioniente

di più.

Ciò gli impedì di dormire per molte notti. L'insonnia è piena di sogniquanto il sonno.

È quasi impossibile esprimere esattamente le evoluzioni astruse cheavvengono nel cervello. Le parole hanno

l'inconveniente di un contorno più preciso delle idee. Tutte le idee siconfondono ai loro bordi; non così le parole. A

loro sfugge sempre una certa complessità dell'anima. L'espressione ha dellefrontiereil pensiero non ne ha.

La nostra cupa immensità interiore è tale che ciò che accadeva aGwynplaine riguardava appenanel suo pensieroDea.

Dea rimaneva al centro della sua mentesacra. Niente le si potevaavvicinare.

E tuttavia le contraddizioni sono l'animo umanostava vivendo un conflitto.Ne aveva coscienza? Al limite sì.

Egli sentiva nell'intimo di se stessolà dove sono possibili leincrinaturee tutti abbiamo un simile angoloun urto di

velleità. Per Ursus sarebbe stato chiaro; per Gwynplaine era confuso.

Due istinti lottavano in luil'ideale e il sesso. Non sono rare queste lottetra l'angelo bianco e l'angelo nero sul ponte

dell'abisso.

Alla fine l'angelo nero fu gettato giù.

Un giornoall'improvvisoGwynplaine cessò di pensare alla donnasconosciuta.

La lotta tra i due principiil duello tra il suo lato terreno e il suo latocelestesi era svolto nei suoi reconditi più oscurie

a tali profondità che egli non se n'era accorto che in modo moltoindistinto.

Ciò che è certo è che non aveva smesso un attimo di adorare Dea.

Molto dentro di lui si era verificato un disordineil sangue aveva avuto lafebbrema ora era finita. Non restava che

Dea.

Lo stesso Gwynplaine sarebbe rimasto molto stupito se gli avessero detto cheDeaper un attimoera stata in pericolo.

In una o due settimane il fantasma che era sembrato minacciare quelle animescomparve.

In Gwynplaine non ci fu più che il cuorecome focolaree l'amore comefiamma.

Del restol'abbiamo già detto«la duchessa» non era tornata.

Ursus lo trovò normale. La «dama della quadrupla» è un fenomeno. Entrapagae si dilegua. Troppo bello se tornasse.

Quanto a Deanon fece neppure un'allusione alla donna che era passata. Forseascoltavae i sospiri di Ursus la

informavano abbastanzacome pure qualche esclamazione significativaqua elàdel tipo: non si possono avere onced'oro tutti i giorni! Ma nonparlò più della donna. Era un istinto profondo. L'anima sa prendere certeoscure precauzioni

nel cui segreto non sempre è se stessa. Tacere di qualcuno è comeallontanarlo. Chiedendone notizie si teme di

evocarlo. Gli si oppone il silenzio come si chiuderebbe una porta.

L'incidente fu dimenticato.

Ma era stato qualcosa? Era esistito? Era possibile dire che tra Gwynplaine eDea era fluttuata un'ombra? Dea lo

ignoravae Gwynplaine anche. No. Non era accaduto nulla. La stessa duchessasfumava in una prospettiva lontana

come un'illusione. Gwynplaine aveva attraversato nient'altro che un attimo disognoed ora ne era fuori. Il dissolversi di

una fantasticheriacome quello della nebbianon lascia traccia equando lanube passanon c'è meno amore nel cuore

che sole in cielo.

IX • ABYSSUS ABYSSUM VOCAT

Anche Tom-Jim-Jack scomparve. Improvvisamente smise di venire nell'innTadcaster.

Quelli che erano in condizione di vedere i due aspetti della vita mondana deigrandi signori di Londra notarono forse

chenello stesso periodola Gazzetta della Settimana annunciòtra dueestratti di registri di parrocchiala «partenza di

lord David Dirry-Moir cheper ordine di sua maestàtornava al comandodella sua fregata nella squadra biancain

crociera lungo le coste olandesi».

Ursus si accorse che Tom-Jim-Jack non veniva più; se ne preoccupòmoltissimo. Tom-Jim-Jack non si era più fatto

vedere dal giorno in cui era partito nella stessa carrozza della dama dellaquadrupla. Era certo un bel enigma quel Tom-Jim-

Jack che si portava via le duchesse a braccia tese! Che riflessioniinteressanti da fare! Che interrogativi da porre!

Quante cose da dire! Ecco perché Ursus non disse una parola.

Ursusche aveva vissutosapeva come ci si possa scottare con le curiositàtemerarie. La curiosità deve sempre essere

proporzionata al curioso. Ad ascoltare si rischia l'orecchio; a spiaresirischia l'occhio. La prudenza consiste nel non

sentire e nel non vedere niente. Tom-Jim-Jack era salito nella carrozzaprincipescal'oste ne era stato testimone. Quel

marinaio seduto accanto alla lady aveva qualcosa di prodigiosoche rendevaUrsus molto circospetto. I capricci di quelli

che stanno in alto devono essere sacri per quelli che stanno in basso. Lacosa migliore da fare per quella specie di rettili

che chiamiamo poveriquando vedono qualcosa di straordinarioè dirintanarsi nel loro buco. Starsene quatti è una

forza. Se non avete la fortuna di essere ciechichiudete gli occhi; e se nonavete il dono di essere sorditappatevi le

orecchie; se poi vi manca la perfezione di essere mutiparalizzate la vostralingua. I grandi sono ciò che voglionoi

piccoli ciò che possonolasciamo perdere l'ignoto. Non importuniamo lamitologia; non infastidiamo le apparenze;

portiamo un rispetto profondo per i simulacri. Non facciamo pettegolezzisulle disgrazie e sulle fortune che avvengono

nelle regioni superiori per motivi che ignoriamo. La maggior parte dellevolte si trattaper noi meschinidi semplici

illusioni ottiche. Le metamorfosi riguardano gli dèi; le trasformazioni e ledisgregazioni di eventuali persone importanti

che fluttuano sopra di noisono nuvole che non possiamo capire e che èpericoloso studiare. Un'eccessiva attenzione

irrita gli abitanti dell'Olimpo mentre si divertono con le loro fantasticheevoluzionie un colpo di tuono potrebbe farvi

capire che il toro che esaminate con troppa curiosità è Giove. Nonschiudiamo le pieghe del mantello color muraglia di

quei terribili potenti. Indifferenza è intelligenza. Non muoveteviè tantasalute. Fate il mortonon vi uccideranno. È la

saggezza dell'insetto. Ursus la praticava.

L'osteincuriositoun giorno domandò a Ursus:

«Sapete che non si vede più Tom-Jim-Jack?».

«Toh»disse Ursus«non l'avevo notato».

Padron Nicless fece sottovoce una riflessione che riguardava senza dubbio lostrano accostamento della carrozza ducale

e di Tom-Jim-Jackun'osservazione probabilmente irriguardosa e pericolosache Ursus ebbe cura di non ascoltare.

Ursus tuttavia era troppo artista per non rimpiangere Tom-Jim-Jack. Provò uncerto disappunto. Disse ciò che provava

solo a Homoche era l'unico a cui potesse confidarsisicuro della suadiscrezione. Mormorò a bassa voce nell'orecchio

del lupo:

«Da quando Tom-Jim-Jack non viene piùavverto una sensazione di vuoto comeuomoe di freddo come poeta».

Lo sfogo nel cuore di un amico risollevò Ursus.

Con Gwynplaine fu una tombae questidal canto suonon fece alcunaallusione a Tom-Jim-Jack.

In effetti Tom-Jim-Jack importava ben poco a Gwynplaineche era tuttoassorto in Dea. Un oblio sempre più fitto era

sceso su Gwynplaine. Dea non si era neppure accorta di quel vago smarrimento.Nello stesso tempo non si sentiva più

parlare di complotti e lamentele contro l'Uomo che Ride. Sembrava che gli odiavessero mollato la presa. Tutto era

tornato tranquillo dentro e attorno alla Green-Box. Non più ostentazionené istrioniné preti. Non più brontolii

manifesti. Ottenevano successo ma senza minacce. Il destino concede similiserenità improvvise. La splendida felicità

di Gwynplaine e di Dea eraper il momentoassolutamente priva di ombre. Apoco a poco era cresciuta fino al punto in

cui è impossibile andare oltre. Una parola esprime questo tipo disituazioni: l'apogeo. Come il mareanche la felicità

arriva al suo massimo. Ciò che inquieta quelli che sono perfettamentefeliciè il fatto che il marepoiridiscende.

Ci sono due modi di essere inaccessibililo stare molto in altoe lo staremolto in basso. Forse il secondo è desiderabile

quanto il primo. L'infusorio sfugge all'annientamento più facilmente diquanto l'aquila non sfugga alla freccia. Se

qualcuno a questo mondo godeva della sicurezza derivante dall'essere piccolol'abbiamo già osservatoquesti erano

Gwynplaine e Dea; e mai era stata così completa. Essi vivevano sempre dipiù uno per l'altroed entrambi vivevano

nell'estasi. Il cuore si satura d'amore come se questo fosse un sale divinoche lo conserva; da qui l'incorruttibileaderenza di quelli che si sono amati findall'alba della vitae la freschezza di quei vecchi amori che continuano.Esiste

un'imbalsamazione dell'amore. Filemone e Bauci sono fatti di Dafni e Cloe.Era quello il tipo di vecchiaiasomiglianza

di sera e aurorache evidentemente era riservato a Gwynplaine e Dea.Nell'attesaerano giovani.

Ursus guardava a quell'amore con l'occhio del medico. D'altra parte avevaquello che a quei tempi si diceva «lo sguardo

d'Ippocrate». Fissava su Deafragile e pallidail suo occhio sagaceborbottando: «È una gran fortuna che sia felice!».

Altre volte diceva: «È ben felice per la salute che ha».

Scuoteva la testae qualche volta leggeva Avicennatradotto da VopiscusFortunatusLovanio1650un vecchio libro

che consultava là dove parlava dei «disturbi cardiaci».

Dea si stancava facilmentesudava e si assopivaecome si ricorderàfaceva una siesta durante il giorno. Una voltache

se ne stava così addormentatadistesa sulla pelle d'orsomentre Gwynplainenon c'eraUrsus si chinò dolcemente e

appoggiò l'orecchio sul seno di Deadalla parte del cuore. Per qualcheistante sembrò stare in ascoltopoi si rialzò e

mormorò: «Non deve avere scosse. L'incrinatura si approfondirebbe moltorapidamente».

La folla continuava ad affluire alle rappresentazioni de La sconfitta delcaos. Il successo dell'Uomo che Ride sembrava

inesauribile. Tutti accorrevano; non più solo Southwarkma un po' anche daLondra. Il pubblico cominciava anche a

cambiare; non erano più solo marinai e cocchieri; secondo padron Niclessesperto della plebagliasi univano ora al

popolino dei gentiluomini e dei baronettitravestiti da popolani. Iltravestimento è uno dei piaceri dell'orgoglioed era

allora di gran moda. L'aristocrazia mescolata alla mob era un buonsegnoed era l'indice di un successo che si allargava

raggiungendo Londra. La gloria di Gwynplaine aveva fatto decisamente il suoingresso nel grande pubblico. Il fatto era

incontestabile. A Londra non si parlava d'altro che dell'Uomo che Ride. Se neparlava perfino al Mohock-Club

frequentato dai lords.

Di tutto questo nella Green-Box non sapevano nulla; si accontentavano diessere felici. Per Dea l'ebbrezza consisteva

nel toccare tutte le sere i capelli fulvi e crespi di Gwynplaine. In amorenon c'è niente come le abitudini. Tutta la vita vi

si concentra. L'astro che riappare è un'abitudine dell'universo. Lacreazione non è altro che un'innamoratae il sole è il

suo amante.

La luce è l'abbagliante cariatide che sostiene il mondo. Ogni giornodurante un minuto sublimela terraricoperta di

nottesi appoggia al sole che sorge. Deaciecasentiva lo stesso ritornodi calore e di speranza dentro di sé nell'attimo

in cui posava la mano sulla testa di Gwynplaine.

Essere due creature tenebrose che si adoranoamarsi nella pienezza delsilenzioci si potrebbe accontentare di

un'eternità da passare a quel modo.

Una sera Gwynplainesentendo in sé quell'eccesso di felicità checomel'ebbrezza dei profumicausa una specie di

divino ma lessereandava a spasso per il pratocome faceva di solito dopola fine dello spettacoloa un centinaio di

passi dalla Green-Box. In queste ore dilatate ci si libera dellasovrabbondanza del cuore. La notte era nera e tersa; le

stelle brillavano. Tutto il campo della fiera era desertonon c'erano chesonno e oblio nelle baracche sparse attorno al

Tarrinzeau-field.

Solo una luce non era spentaera la lanterna dell'inn Tadcastersocchiusoche attendeva il rientro di Gwynplaine.

Era appena suonata mezzanotte nelle cinque parrocchie di Southwarkcon pausee differenze di voce da una campana

all'altra.

Gwynplaine pensava a Dea. A che altro avrebbe dovuto pensare? Ma quella seraeccezionalmente turbatoaffascinato e

angosciato al tempo stessoegli pensava a Dea come un uomo pensa a unadonna. Se lo rimproverava. Era avvilente.

Iniziava in lui il sordo attacco dello sposo. Impazienza dolce e imperiosa.Varcava la frontiera invisibile; di qua c'è la

verginedi là la donna. Si interrogava ansiosamente; potremmo dire chearrossiva interiormente.

Il Gwynplaine dei primi anni si era a poco a poco trasformatonell'incoscienzacrescendo misteriosamente. L'antico

adolescente pudico sentiva i turbamenti dell'inquietudine. Noi abbiamo unorecchio di luce a cui parla lo spiritoe un

orecchio d'oscurità a cui parla l'istinto. In questo orecchio cheamplificavavoci sconosciute gli facevano le loro offerte.

Per quanto sia puro il giovane che sogna l'amoreun certo ingombro dellacarne finisce sempre per mettersi tra lui e il

suo sogno. Le intenzioni perdono la loro trasparenza. L'inconfessabiledettame della natura fa il suo ingresso nella

coscienza. Gwynplaine sperimentava quell'appetito materialesede di tutte letentazioniche a Dea mancava quasi del

tutto. Preso dalla febbreche gli sembrava malsanatrasfigurava Deainmodo forse pericolosotentando di forzare

quella forma serafica fino all'immagine della donna. È di tedonnacheabbiamo bisogno.

Troppo paradisol'amore lo rifiuta. Ha bisogno di pelle febbricitantediemozionidi baci elettrici e irreparabilidi

capelli scioltidella stretta risolutrice. Ciò che è sidereo imbarazza.L'etereo pesa. Un eccesso di cielo in amore è come

un eccesso di combustibile nel fuoco; la fiamma ne soffre. Dea afferrabile epresal'accostamento vertiginoso che fonde

in due esseri l'ignoto della creazione. Gwynplainesconvoltoavevaquest'incubo squisito. Una donna? Sentiva dentro di

sé il grido profondo della natura. Sognante Pigmalione modellava una Galateacelestein fondo all'anima si esercitava

in temerari ritocchi al casto profilo di Dea; profilo troppo celeste e nonabbastanza edenico; perché l'Eden è Eva; e Eva

è una femminauna madre fatta di carneuna nutrice terrestreil sacroventre delle generazionila mammella di latte

inesauribilela ninnananna del mondo appena nato; ma il seno esclude le ali.Tuttavia nelle fantasie di Gwynplainefino

ad alloraDea era rimasta al di sopra della carne. In quel momentosmarritotentava con il pensiero di farvela

ridiscenderetirando quel filoil sessoche tiene legate alla terra tuttele fanciulle. Nessuno di quegli uccelli si libera.

Dea non faceva eccezionenon più di un'altrae Gwynplainepur nonconfessandolo che a metàdesiderava vagamente

che vi si sottomettesse. Lo desiderava anche contro se stessocon continuericadute. S'immaginava una Dea umanizzata.

Arrivava a formulare un'idea inaudita: Dea non più creatura di sola estasima di voluttà; Dea con la testa sul guanciale.Provava vergogna di quellausurpazione visionaria; era come una volontà di profanazione; resisteva aquell'ossessione;

se ne allontanavapoi vi tornava; gli sembrava di commettere un attentato alpudore. Per lui Dea era una nube.

Fremendoegli scostava quella nube come se sollevasse una camicia. Eraaprile.

Sono le fantasticherie della colonna vertebrale.

Camminava a casodondolando distrattamentecome capita quando si è soli.Non avere nessuno attorno aiuta a

divagare. Dove andava il suo pensiero? Non lo avrebbe confessato neppure a sestesso. Verso il cielo? No. In un letto. E

voi stelle lo stavate a guardare.

Perché si dice un innamorato? Dovremmo dire un posseduto. Essere possedutidal demonio è l'eccezione; ma essere

posseduti da una donna è la regola. Tutti gli uomini subiscono questaalienazione di se stessi. Che strega una bella

donna! Il vero nome dell'amore è prigionia.

È l'anima di una donna che ci imprigiona. E anche la sua carne. Qualchevolta più la carne che l'anima. L'anima ama; la

carne è l'amante.

Ci sono delle calunnie sul demonio. Non è stato lui a tentare Eva. È stataEva che lo ha tentato. Ha iniziato la donna.

Lucifero passava tranquillo. Ha visto la donna. È diventato Satana.

La carne è l'ignoto che prende il sopravvento. Essa provocacuriosamentecon il pudore. Nulla di più conturbante. Essa

si vergognala sfrontata.

In quel momento ciò che agitava e possedeva Gwynplaine era lo spaventosoamore per la superficie. È il temibile

momento in cui si vuole la nudità. È possibile scivolare nella colpa. Qualitenebre nel candore di Venere!

C'era qualcosa in Gwynplaine che chiamava a gran voce DeaDea fanciullaDeametà di un uomo. Dea carne e fiamma.

Dea seno nudo. Egli scacciava quasi l'angelo. Crisi misteriosa che ogni amoredeve attraversarecon grave pericolo per

l'ideale. È la premeditazione del creato.

Istante di corruzione celeste.

L'amore di Gwynplaine per Dea diventava nuziale. L'amore verginale è solo unfase transitoria. Era arrivato il

momento. Gwynplaine aveva bisogno di quella donna.

Egli aveva bisogno di una donna.

China di cui non si vede che il primo piano.

Il richiamo indistinto della natura è inesorabile.

La donna nella sua interezzache abisso!

Fortunatamente per luiGwynplaine non aveva altre donne se non Dea. La solache desiderasse. La sola che potesse

desiderarlo.

Gwynplaine provava quel vago fremito che è il richiamo vitale dell'infinito.

Aggiungete l'aggravante della primavera. Respirava gli effluvi senza nomedell'oscurità siderale. Camminava

deliziosamente incantato. I profumi erranti della linfa all'operaleinebrianti irradiazioni che fluttuano nell'ombrail

lontano dischiudersi dei fiori notturnila complicità dei piccoli nidinascostiil brusio delle acque e delle foglieil

sospiro delle cosela freschezzail teporetutto il misterioso risvegliodi aprile e di maggiosono la sessualità immensa

sparsache suggerisce sottovoce la voluttàuna vertiginosa provocazioneche fa balbettare l'anima. L'ideale

ammutolisce.

Chi avesse visto camminare Gwynplaine avrebbe pensato: ecco un ubriaco!

Era come se vacillasse sotto il peso del cuoredella primavera e dellanotte.

C'era una tale solitudine nel bowling-green cheogni tantoparlava ad altavoce.

Non sentirsi ascoltati spinge a parlare.

Camminava a passi lentila testa bassale mani dietro la schienalasinistra nella destrale dita aperte.

A un tratto sentì come se qualcosa gli scivolasse tra le dita socchiuse einerti.

Si voltò di scatto.

In mano aveva un foglio di cartae un uomo davanti a sé.

Era l'uomo che gli aveva messo la carta tra le ditaarrivandogli allespallecauto come un gatto.

La carta era una lettera.

L'uomoabbastanza illuminato in quella penombra di stelleera piccolograssocciogiovaneseriovestito con una

livrea rosso fiammavisibile dall'alto in basso attraverso la spaccaturaverticale di un lungo soprabito grigio che allora

veniva chiamato capenocheparola spagnola contratta che vuol direcappa notturna. In testa portava una gorra cremisi

simile a uno zucchetto cardinalizio con un gallone per indicarne lacondizione di domestico. Sullo zucchetto era visibile

un mazzetto di piume di tessitore.

Stava immobile davanti a Gwynplaine. Poteva essere l'immagine di un sogno.

Gwynplaine riconobbe il mozzo della duchessa.

Prima che Gwynplaine potesse gettare un grido di sorpresaudì la vocestridula del mozzo infantile e femminile al

tempo stessoche gli diceva:

«Trovatevi domani a quest'ora all'inizio del ponte di Londra. Ci saròanch'io e vi accompagnerò».

«Dove?»domandò Gwynplaine.

«Dove siete atteso».

Gwynplaine abbassò lo sguardo sulla lettera che teneva senza accorgersene inmano.

Quando alzò lo sguardoil mozzo non c'era più.In fondo al campo dellafiera era vagamente visibile una forma scura che rimpiccioliva alla svelta. Erail piccolo lacché

che se ne andava. Voltò all'angolo di una stradae non vi fu più animaviva.

Gwynplaine guardò scomparire il mozzopoi guardò la lettera. Ci sonomomenti nella vita in cui ciò che vi capita

sembra non riguardarvi; per un po' di tempo lo stupore vi tiene lontani dalfatto. Gwynplaine avvicinò la lettera agli

occhi come per leggerla; solo allora si accorse che non poteva leggerla perdue motivi: prima di tutto perché non l'aveva

aperta; poi perché era notte. Passarono diversi minuti prima che si rendesseconto che nell'inn c'era una lanterna. Fece

qualche passoma di latocome se non sapesse dove andare. Un sonnambuloacui un fantasma abbia consegnato una

letteracammina allo stesso modo.

Alla fine si decisecorse più che dirigersi verso l'innsi mise nel raggiodi luce che usciva dalla porta socchiusaea

quel chiaroreesaminò ancora una volta la lettera chiusa. Nessuna improntaera visibile sul sigilloe sulla busta c'era

scritto: A Gwynplaine. Ruppe il sigillolacerò la bustaspiegò laletterala mise in piena luceed ecco ciò che lesse:

«Tu sei orribilee io sono bella. Tu sei un istrionee io sono unaduchessa. Io sono la primae tu sei l'ultimo. Ti voglio.

Ti amo. Vieni».

LIBRO QUARTO • IL SOTTERRANEO PENALE

I • LA TENTAZIONE DI SAN GWYNPLAINE

A volte il guizzo di una fiamma è una semplice puntura nelle tenebrealtrevolte accende un vulcano.

Vi sono scintille enormi.

Gwynplaine lesse la letterapoi la rilesse. C'era proprio scritto: Ti amo!

In breve fu pieno di paure.

La p rima fu di credersi pazzo.

Ma egli era pazzo. Questo era certo. Ciò che aveva visto non era reale. Leombre del crepuscolo si prendevano gioco di

lui di quel miserabile che era. L'omino scarlatto era l'abbaglio di unavisione. Capita che la nottequesto nulla

condensato in fiammavoglia ridere di voi. Cosìdopo averlo beffatol'essere illusorio era scomparsolasciando dietro

di sé Gwynplaine pazzo. Le ombre fanno di queste cose.

La seconda paura fu di constatare che non aveva affatto perso la sua ragione.

Una visione? Ma no. E quella letteraallora? Non teneva forse una lettera inmano? Non c'era lì una bustaun sigillo

della cartaparole scritte? Ignora per caso da dove venga tutto ciò?Nessuna oscurità in quell'avventura. Qualcuno ha

preso penna e inchiostro e ha scritto. Ha acceso una candela e ha sigillatocon la ceralacca. Non c'è il suo nome sulla

lettera? A Gwynplaine. La carta è profumata. Tutto è chiaro. Quantoall'ominoGwynplaine lo conosce. Il nano è un

groom. Il bagliore è una livrea. Il groom ha dato appuntamento a Gwynplaineper il giorno dopoalla stessa ora

all'inizio del ponte di Londra. Forse che il ponte di Londra è un'illusione?Nonoè tutto logico. Non c'è ombra di

delirio. È tutto vero. Gwynplaine è perfettamente lucido. Non si tratta diun'improvvisa fantasmagoria che è venuta a

decomporsi sopra la sua testae che dileguandosi si è dissipata; è unfatto che gli sta capitando. NoGwynplaine non è

pazzo. Gwynplaine non sogna. E rileggeva la lettera.

Va beneè così. Ma allora?

Allora è formidabile.

C'è una donna che lo vuole.

Una donna che lo vuole! In questo caso nessuno pronunci mai più la parola:incredibile. Una donna lo vuole! Una donna

che lo ha visto in volto! Una donna che non è cieca! E che donna è? Brutta?No. Una bella donna. Una zingara? No.

Una duchessa.

Cosa c'era dietroche senso aveva? Un trionfo molto pericoloso! Ma come nongettarvisi a capofitto?

Sì! Quella donna! La sirenal'apparizionela ladyla spettatrice di quelpalco da sognola raggiante creatura delle

tenebre! Sìera lei. Era proprio lei.

L'incendio scoppiato in lui cominciava a crepitare da tutte le parti. Eraquella strana sconosciuta! La stessa che l'aveva

tanto turbato! E riapparvero quei primitumultuosi pensieri sulla donnamacome riscaldati da quel cupo fuoco. L'oblio

non è che un palinsesto. Basta un incidente e tutte le cancellature tornanoa vivere nelle interlinee di una stupefatta

memoria. Gwynplaine credeva di aver allontanato quel viso dalla sua mentemave lo ritrovavalei vi si era impressasi

era fatta una nicchia in quel cervello inconsapevolela cui unica colpa eradi aver sognato. A sua insaputala

fantasticheria si era incisa in profonditàaveva guadagnato terreno. Ora uncerto male era compiuto. E tutto quel

fantasticareforse ormai irreparabileegli lo stava riprendendo con furore.

Come! Lo si voleva! Come! La principessa scendeva dal suo tronol'idolo dalsuo altarela statua dal piedistalloil

fantasma dalla nube! Come! Dal fondo dell'impossibile arrivava la chimera!Come! Quella suprema divinitàcome!

Quella irradiazionecome! Quella nereide tutta scintillante di pietrepreziosecome! Quella bellezza eccelsa e

inabbordabileche si chinava su Gwynplaine dall'alto di un'erta radiosa!Come! Fermava il suo carro d'aurora

equipaggiato di tortore e draghisopra Gwynplainee gli diceva: Vieni!Come! LuiGwynplaineaveva la gloria

terribile di essere l'oggetto di una tale discesa dell'empireo! Quella donnase è possibile chiamare in questo modo una

forma siderea e sovranaquella donna si offrivasi davasi abbandonava!Vertigine! L'Olimpo si prostituiva! A chi? A

luiGwynplaine! Braccia di cortigiana si aprivano nel nimbo per stringerlocontro un seno di dea! E ciò senza macchia.Le maestà non degradano. La lucelava gli dei. E la dea che si recava da lui sapeva quello che faceva. Nonignorava

l'orrore incarnato da Gwynplaine. Aveva visto la maschera del volto diGwynplaine! Ma la maschera non la feceva

arretrare. Gwynplaine era amato nonostante ciò.

Una cosa che andava oltre ogni sognoegli era amato proprio per questo!Lungi dal respingere la deaquella maschera

l'attirava! Gwynplaine era più che amatoegli era desiderato. Era più cheaccettatoegli era scelto. Luiscelto!

Come! Là dove quella donna vivevain quell'ambiente regale che risplendevad'irresponsabilità e di potere del tutto

arbitrarioc'erano dei principie lei poteva prendere un principe; c'eranodei lordse lei poteva prendere un lord; c'erano

uomini belliaffascinantisuperbipoteva prendere un Adone. E chisceglieva? Un miserabile! Poteva scegliere tra

meteore e folgori il gigantesco serafino dalle sei alie invece sceglieva lalarva che strisciava nel fango. Da una parte le

altezze e le signorietutta la grandezzatutta l'opulenzatutta la gloria;dall'altraun saltimbanco. E il saltimbanco aveva

la meglio! Che bilancia c'era dunque nel cuore di quella donna? Con che pesomisurava il suo amore? Quella donna si

toglieva dalla fronte il cappello ducale per gettarlo sul palco di un clown!Quella donna si toglieva dalla testa l'aureola

dell'Olimpo per metterla sul cranio irto di uno gnomo! Un indefinibilecapovolgimento del mondoun brulichio d'insetti

in altole costellazioni in bassoinghiottiva Gwynplainesmarrito in uncrollo di lucefacendogli un nimbo nella cloaca.

Un'onnipotenteribelle alla bellezza e allo splendoresi dava al dannatodella nottepreferiva Gwynplaine ad Antinoo

era colta da un accesso di curiosità davanti alle tenebree vi discendevae da quella abdicazione di una divinità usciva

prodigiosamente coronatala regalità di un miserabile. «Tu sei orribile.Ti amo». Quelle parole colpivano Gwynplaine

all'indirizzo di un orrendo orgoglio. L'orgoglioecco il tallone vulnerabiledi tutti gli eroi. Gwynplaine era lusingato

nella sua vanità di mostro. Era come essere deforme che veniva amato. Ancheluiquantoe forse più dei Giove e degli

Apolloera l'eccezione. Si sentiva sovrumanoe talmente mostro da essere undio. Spaventoso abbaglio.

Ma orachi era quella donna? Cosa sapeva di lei? Tutto e niente. Era unaduchessaquesto lo sapeva; sapeva che era

bellache era riccache aveva livreelacchépaggie gente che correvacon le fiaccole attorno alla sua carrozza

coronata. Sapeva che era innamo rata di luio almeno che glielo diceva.Ignorava il resto. Conosceva il suo titolo ma

non il suo nome. Conosceva i suoi pensierima non sapeva nulla della suavita. Era sposatavedovaragazza? Era

libera? Aveva dei doveri verso qualcuno? A che famiglia apparteneva? C'eranoattorno a lei trappoleinsidiescogli?

Gwynplaine non sospettava nemmeno cosa fosse la galanteria nelle regionidegli alti oziné che su quelle cime ci

fossero antri dove creature affascinanti e feroci sognanocircondate damucchi d'ossa di amori già consumatiné in

quali prove tragicamente ciniche possa risolversi la noia di una donna che sicrede superiore all'uomo; non c'era nulla

nel suo spirito che potesse servirgli per tessere congetturesi è maleinformati nel sottosuolo sociale in cui viveva;

tuttavia vedeva dell'ombra. Si rendeva conto che tutta quella luce era scura?Capiva forse? No. Intuiva? Ancor meno.

Cosa c'era dietro quella lettera? Un'apertura a due battentieal tempostessoun'inquietante chiusura. Da un lato la

confessione. Dall'altro l'enigma.

La confessione e l'enigmadue boccheuna che provocal'altra che minacciaed entrambe pronunciano la medesima

parola: Osa!

Mai il perfido caso aveva preso meglio le sue misuremandando a miglioreffetto una tentazione. Gwynplainein

subbuglio per la primavera e per il rigoglio della linfa universalestavaper sognare la carne. Il vecchioinsopprimibile

uomo su cui nessuno di noi trionfasi risvegliava in quell'efebo maturoancora adolescente a ventiquattro anni. Proprio

in quel momentonell'attimo più inquieto della crisigli veniva fattaquell'offertae davanti a lui si ergevaabbagliante

il seno nudo della sfinge. La gioventù è un piano inclinato. Gwynplainevacillavalo spingevano. Chi? La stagione.

Chi? La notte. Chi? Quella donna. Se non ci fosse il mese d'aprilesaremmomolto più virtuosi. I cespugli in fioreun

mucchio di complici! L'amore è il ladrola primavera è il ricettatore.

Gwynplaine era sconvolto.

C'è come un fumo del male che precede la colpairrespirabile per lacoscienza. L'onestà che viene tentata prova l'oscura

nausea dell'inferno. Ciò che si schiude emana un'esalazione che mettesull'avviso i forti e stordisce i deboli. Gwynplaine

sentiva quel malessere misterioso.

Dilemmi fugaci e ostinati gli fluttuavano davanti. La colpache si offrivacon ostinazioneprendeva forma. Il giorno

dopomezzanotteil ponte di Londrail paggio! Sarebbe andato? Sì! Gridavala carne. No! Gridava l'anima.

Tuttaviadiciamoloper quanto in un primo momento possa sembrare singolarequella domanda: - sarebbe andato? -

egli non se la pose in modo distinto neppure una volta. Le azioni riprovevolihanno spazi riservati. Come l'acquavite

troppo fortenon si possono bere tutte d'un fiato. Si posa il bicchieresivedrà più tardila prima goccia ha già un sapore

strano.

È fuori dubbio che egli si sentiva spinto alle spalle verso l'ignoto.

E fremeva. Intravedeva l'orlo della rovina. E si gettava indietroafferratonuovamente da ogni parte dallo spavento.

Chiudeva gli occhi. Si sforzava di negare davanti a se stessoquell'avventurae di rimettere in discussione la propria

ragione. Evidentemente era la cosa migliore. La cosa più saggia da fare eradi credersi pazzo.

Febbre fatale. Ogni uomo sorpreso dall'imprevisto ha conosciuto nel corsodella vita queste tragiche pulsazioni.

L'osservatore ascolta sempre con ansia il cupo risuonare dei colpi d'arietedel destino contro una coscienza.

Ahimè! Gwynplaine s'interrogava. Là dove il dovere è indiscutibileporsidelle domande è già una disfatta.

D'altra parteed è un dettaglio non da pocola sfrontatezza diquell'avventurache forse avrebbe colpito un uomo

corrottonon lo stupiva. Ignorava il cinismo. Né lo toccava quell'idea diprostituzione a cui abbiamo accennato più

sopra. Gli mancava la forza di concepirla. Era troppo puro per ammettereipotesi complicate. Di quella donna non

vedeva che la grandezza. Ahimè! Ne era lusingato. La sua vanità prendevaatto dalla sua vittoria. Avrebbe avutobisogno di molta più intelligenza diquanta non ne ha l'innocenteper sospettare di essere l'oggetto meno di unamore

che di una spudoratezza. Accanto a: Ti amoegli non scorgeva lospaventoso correttivo: Ti voglio.

Gli sfuggiva il lato bestiale della dea.

La mente può subire delle invasioni. L'anima ha i suoi vandalii cattivipensieriche arrivano per devastare la nostra

virtù. Mille idee si precipitavano in senso inverso su Gwynplaineuna dopol'altraa volte tutte insieme. Poi scendevano

in lui dei silenzi. Allora si prendeva la testa fra le maniin una specie dilugubre concentrazionesimile alla

contemplazione di un paesaggio notturno.

Improvvisamente si accorse di non pensare più. Il suo fantasticare eraarrivato a quel punto nero dove tutto scompare.

Notò anche che non era rientrato. Potevano essere le due del mattino.

Mise la lettera che gli aveva portato il paggio nella tasca lateralemaaccorgendosi che era sul cuorela tolse di lì

l'infilòtutta spiegazzatanel primo taschino delle brache che gli venne atiropoi si diresse verso la locandavi penetrò

in silenziosenza svegliare il piccolo Govicum che lo aspettavamorto disonnosu un tavolocon le braccia per cuscini

richiuse la portaaccese una candela alla lanterna dell'albergotirò ilcatenacciodiede un giro di chiave alla serratura

prese automaticamente le precauzioni di un uomo che rientra tardirisalì lascaletta della Green-Boxscivolò nel

vecchio baracchino che gli serviva da cameraguardò Ursus che dormivasoffiò sulla candelama non si coricò.

Passò così un'ora. Infinestancopensando che letto vuol dire sonnoappoggiò la testa sul cuscinosenza spogliarsie

fece all'oscurità la concessione di chiudere gli occhi; ma la tempestad'emozioni non cessava un attimo d'assalirlo.

L'insonnia è la sevizia della notte sull'uomo. Gwynplaine soffriva molto.Per la prima volta in vita sua non era contento

di sé. Un dolore intimo confuso con la soddisfazione della sua vanità. Chefare? Venne l'alba. Sentì Ursus che si alzava

ma non aprì le palpebre. Nessuna tregua comunque. Pensava a quella lettera.Tutte quelle parole gli tornavano in una

sorta di caos. Sotto l'impulso di certi soffi violenti che vengonodall'interno dell'animail pensiero è come un liquido.

Esso entra in convulsionisi sollevae ne esce qualcosa di simile al sordoruggito dell'onda. Flussoriflussoscosse

turbiniiesitazioni dei flutti davanti allo scogliograndine e pioggianuvole con squarci abbagliantistrappi miserabili

di un'inutile schiumafolli impennate subito rovinateimmensi sforzi vaniil naufragio che appare da tutte le parti

ombra e dispersionetutto ciò si trova nell'abisso come nell'uomo.Gwynplaine era in preda a quella tormenta.

Al culmine dell'angosciale palpebre sempre chiusesentì una voce chediceva: DormiGwynplaine? Aprì gli occhi con

un soprassaltoe si levò a sederela porta del baracchino guardaroba erasocchiusanello spiraglio appariva Dea. Essa

aveva sugli occhi e sulle labbra il suo ineffabile sorriso. Era dritta eaffascinante nell'inconsapevole serenità del suo

splendore. Ci fu come una pausa sacra. Gwynplaine la contemplòtrasalendoammirato e risvegliato; risvegliato da

cosa? Dal sonno? Nodall'insonnia. Era leiera Dea; e d'un tratto sentìsvanire insensibilmentenel più profondo del suo

esserela tempestae sentì la sublime discesa del bene sul male; sirealizzò il prodigio dello sguardo celestequella

ciecadolce e luminosaaveva dissipatocon la sua sola presenzatutte leombre che c'erano in luila cortina di nuvole

si scostò da quell'anima come tirata da una mano invisibilee Gwynplaineper un incantesimo celesteebbe nella

coscienza un ritorno d'azzurro. Fu di nuovograzie alla virtù diquell'angeloil grandebuono e innocente Gwynplaine.

L'animacome la creazioneviene a questi confronti misteriosi; tutti e duetacevanoleila luceluil'abissolei divina

lui placato; e al di sopra del cuore in tempesta di GwynplaineDearisplendeva con l'inesprimibile effetto della stella del

mattino.

II • DAL PIACEVOLE AL SEVERO

Com'è semplice un miracolo! Nella Green-Box era l'ora di colazionee Deaveniva con tutta semplicità a vedere perché

Gwynplaine non arrivasse al loro piccolo tavolo del mattino.

«Tu!»esclamò Gwynplainee non ci fu altro da dire. Non ebbe più altroorizzonte o visione che il cielo dov'era Dea.

Chi non ha vistodopo l'uraganol'improvviso sorriso del marenon puòcapire quel tipo di sollievo. Nulla si calma più

rapidamente degli abissi. Ciò dipende dalla loro facilità d'inghiottire.Così è il cuore umano. Non sempretuttavia.

Dea non aveva che da mostrarsitutta la luce che c'era in Gwynplaine uscivae andava da leie dietro Gwynplaine

stupitonon restava che una fuga di fantasmi. Che pace porta l'adorazione!

Dopo qualche istante erano tutti e due sedutiuno davanti all'altrotraloro c'era UrsusHomo stava ai loro piedi. Sulla

tavola c'era la teierasotto cui ardeva il fornellino. Fibi e Vinos eranofuori a sbrigare le loro faccende.

La colazionecome la cenaveniva consumata nel compartimento centrale. Latavolastrettissimaera disposta in modo

tale che Dea voltava le spalle all'apertura della parete divisoriache erain corrispondenza della porta d'entrata della

Green-Box.

Le loro ginocchia si toccavano. Gwynplaine versava il tè a Dea.

Dea soffiava con grazia sulla tazza. Improvvisamente starnutì. Proprio inquel momento si era formato sopra la fiamma

del fornellino un po' di fumo che si stava disperdendoe c'era della cartache ricadeva in cenere. Era quel fumo che

aveva fatto starnutire Dea.

«Cos'è?»domandò Dea.

«Niente»rispose Gwynplaine.

E sorrise.

Aveva bruciato la lettera della duchessa.

L'angelo custode della donna amata è la coscienza dell'uomo che l'ama.

Liberatosi della letteraGwynplaine si sentì stranamente sollevatoavvertì la propria onestà come l'aquila le sue ali.Gli sembrò che latentazione se ne andasse con il fumoe che con la carta anche la duchessaricadesse in cenere.

Scambiandosi le tazzebevendo a turno nella stessaessi parlavano.Chiacchierio d'innamoraticinguettio di passeri.

Puerilità degne di Mamma Oca e d'Omero. Due cuori che si amanonon andateoltre a cercare la poesia; un dialogo di

bacinon cercate altrove la musica.

«Sai una cosa?».

«No».

«Gwynplaineho sognato che eravamo animalie che avevamo le ali».

«Alidunque uccelli»mormorò Gwynplaine.

«Animalidunque angeli»borbottò Ursus.

La conversazione continuava.

«Se tu non esistessiGwynplaine...».

«Ebbene?».

«Vorrebbe dire che non esiste Dio».

«Il tè è troppo caldo. Ti scotteraiDea».

«Soffia sulla mia tazza».

«Come sei bella questa mattina!».

«Pensa che devo dirti un mucchio di cose».

«Parla».

«Ti amo!».

«E io ti adoro!».

E a parte Ursus diceva: «Perdioecco dei puri».

Per chi si ama i silenzi sono qualcosa di squisito. L'amore si accumulaperpoi scoppiare dolcemente.

Dopo una pausa Dea esclamò: «Se tu sapessi! Quando di sera recitiamonell'istante in cui la mia mano tocca la tua

fronte... Oh! La tua nobile testaGwynplaine!... nell'istante in cui sento ituoi capelli sotto le ditaè un brividoprovo

una gioia celestemi dico: Nel buio mondo che mi racchiudein questouniverso di solitudinein quest'immensascura

rovina dove mi trovonello spaventoso tremore mio e di tuttoho un puntod'appoggioeccolo. È lui. - Sei tu».

«Ohtu mi ami»disse Gwynplaine. «Anch'io non ho che te al mondo. Tu seitutto per me. Deache vuoi che faccia?

Desideri qualcosa? Di cosa hai bisogno?».

Dea rispose: «Non so. Io sono felice».

«Oh!»soggiunse Gwynplaine«noi siamo felici!».

Ursus alzò la voce con tono severo:

«Ah! Voi siete felici. È un'infrazione. Vi ho già avvertiti. Ah! Voi sietefelici! Alloracercate di non farvi vedere. Non

siate invadenti. La felicitàecco una cosa che deve rintanarsi. Fateviancora più piccoli di quanto già non sietese vi

riesce. Dio misura la grandezza della felicità dalla piccolezza di quelliche sono felici. Le persone contente devono

nascondersicome fanno i malfattori. Ah! Voi sprizzate lucemaledetteluccioleper tutti i diavolivi metteranno i piedi

addossoe avranno ragione. Cosa sono tutti questi vezzi? Non sono mica unabeghina con l'incarico di controllare gli

innamorati che si sbaciucchiano. Mi avete stancato! Andate al diavolo!».

E sentendo che la durezza dei suoi toni si ammorbidiva fino ad intenerirsisoffocò l'emozione sbuffando e borbottando.

«Padre»disse Dea«perché fate la voce grossa?».

«Perché non mi va che si sia troppo felici»rispose Ursus.

E qui Homo fece eco a Ursus. Si udì un brontolio proprio sotto i piedi deidue innamorati.

Ursus si chinò e mise una mano sulla testa di Homo.

«Dunqueanche tu sei di cattivo umore. Stai ringhiando. Rizzi i peli sullatua zucca di lupo. Non ti piacciono le

passioncelle. Perché sei saggio. Non fa nientetaci. Ormai hai parlatohaidetto la tuabene; ora zitto».

Il lupo brontolò di nuovo.

Ursus lo guardò sotto la tavola.

«Stai buonoHomo! Vianon insisterefilosofo!».

Ma il lupo si alzòmostrando i denti in direzione della porta.

«Ma cos'hai?»disse Ursus.

E afferrò Homo per la collottola.

Dea non faceva attenzione ai ringhi del lupoassorta nei suoi pensieriassaporava dentro di sé il suono della voce di

Gwynplainee tacevain quella specie di estasi tipica dei ciechiche avolte sembra dar loro un canto da ascoltare

interiormentecome per sostituire con una musica ideale la luce di cui sonoprivi. La cecità è un sotterraneo da dove si

ode la profonda armonia dell'eterno.

Mentre Ursus abbassava la testa per rivolgersi a HomoGwynplaine avevaalzato lo sguardo.

Stava per bere una tazza di tèma non la bevve; la posò invece sullatavola con la lentezza di una molla che si distende

le dita rimasero aperte ed egli s'immobilizzòl'occhio fissosenzarespirare.

Alle spalle di Dea c'era un uomoin piedi nel riquadro della porta. L'uomoera vestito di nerocon una cappa da

tribunale. Portava in mano un bastone di ferro scolpito in forma di coronaalle due estremità.

Il bastone era corto e massiccio.

Ci si immagini la Medusa che infila la testa tra due rami del paradiso.Ursusche aveva avvertito la presenza del nuovo venutoe aveva alzato la testasenzalasciare Homoriconobbe quel

temibile personaggio.

Fu scosso da un tremitodalla testa ai piedi.

Disse all'orecchio di Gwynplaine:

«È il wapentake».

Gwynplaine si ricordò.

Stava per sfuggirgli un moto di sorpresama si trattenne.

Quel bastone di ferro in forma di corona alle due estremità eral'iron-weapon.

Era dall'iron-weaponsu cui prestavano giuramento gli ufficiali di giustiziaurbana entrando in caricache derivava la

qualifica degli antichi wapentakes della polizia inglese.

Dietro l'uomo con la parruccanella penombras'intravedeva l'ostecosternato.

L'uomosenza dire una parolavera personificazione della muta Themis dicui parlavano le vecchie carteabbassò il

braccio destroscavalcando la splendida Deae toccò con il bastone diferro la spalla di Gwynplainementrecon il

pollice della mano sinistraindicava la porta della Green-Box che aveva allespalle. Quel doppio gestotanto più

imperioso in quanto eseguito in silenziovoleva dire: Seguitemi.

Pro signo exeundisursum trahedice il cartulario normanno.

L'individuo su cui si era posato l'iron-weapon non aveva altro diritto cheubbidire. Nessuna replica a quell'ordine muto.

Le severe disposizioni penali inglesi minacciavano i renitenti.

Al rigido tocco della leggeGwynplaine sussultòpoi rimase comepietrificato.

Se invece di essere stato semplicemente sfiorato sulla spalla dal bastone diferrone avesse ricevuto un forte colpo in

testanon sarebbe rimasto più stordito. Si vedeva costretto a seguirel'ufficiale di polizia. Ma perché? Non capiva.

Ursusche pure era a sua volta turbato e angosciatosospettava qualcosa dimolto chiaro. Pensava ai concorrenti

giocolieri e predicatorialla Green-Box denunciataa quel delinquente dilupoa quando aveva avuto a che fare con i tre

interrogatori del Bishopsgate; e inoltrechissàforsema sarebbe statospaventosoalle chiacchiere fuori luogo e

sediziose di Gwynplaineche riguardavano l'autorità reale. Tremava tutto.

Dea sorrideva.

Né Gwynplainené Ursus pronunciarono una parola. Ebbero tutti e due lastessa idea: non impressionare Dea. Forse

anche il lupo era d'accordoperché aveva smesso di ringhiare. È anche veroche Ursus non lo mollava.

Comunque Homose ce n'era bisognosapeva essere prudente. Chi non ha notatocerte intelligenti preoccupazioni negli

animali?

Forsenella misura in cui un lupo può capire gli uominisi sentivaproscritto.

Gwynplaine si alzò.

Non era possibile fare resistenzaGwynplaine lo sapeva beneegli siricordava le parole di Ursusnon doveva fare

domande.

Rimase in piedi davanti al wapentake.

Il wapentake gli tolse il weapon dalla spallaritirò il bastone di ferrotenendolo diritto in posizione di comandoun gesto

tipico della polizia che allora tutti capivanoe che voleva dire:

«Questo uomo mi seguae nessun altro. Rimanete tutti dove siete.Silenzio».

Non erano ammessi i curiosi. In ogni tempo la polizia ha avuto un debole peri riti della clausura.

Quel genere di arresto era qualificato come «sequestro di persona».

Il wapentakecon un solo movimentocome un automa che giri su se stessosivoltò econ passo lento e solennesi

diresse verso l'uscita della Green-Box.

Gwynplaine guardò Ursus.

Ursus assunse quell'atteggiamentospalle alzategomiti ai fianchi e maniapertesopracciglia aggrottate come galloni

che significa: sottomissione all'ignoto.

Gwynplaine guardò Dea. Era immersa nei propri pensieri e continuava asorridere. Egli posò la punta delle dita sulle

labbra di leiinviandole un ineffabile bacio.

Ursusche le spalle voltate del wapentake avevano alleggerito di una certaquantità di terroreapprofittò di quel

momento per sussurrare all'orecchio di Gwynplaine:

«Non parlare prima che ti interroghinone va della tua vita!».

Gwynplainecon quella preoccupazione di non far rumore che si ha nellacamera di un malatoprese dalla parete

divisoria il cappello e il mantellosi avvolse nel mantello fino agli occhie si tirò il cappello sulla fronte; poiché non si

era coricatoegli indossava ancora i suoi abiti da lavoro e portava al collola schiavina di cuoio; guardò ancora una volta

Dea; il wapentakegiunto alla porta esterna della Green-Boxalzò ilbastone e cominciò a scendere la scaletta d'uscita;

allora Gwynplaine si mossecome se quell'uomo lo trascinasse con una catenainvisibile; Ursus guardò Gwynplaine

uscire dalla Green-Box; in quel momento Homo abbozzò un ringhio lamentosoma Ursus lo tenne a badae gli disse

sottovoce: Tornerà.

Intanto nel cortile padron Niclesscon un gesto servile e imperiososoffocava sulle bocche le grida di stupore di Vinos

e di Fibiche assistevano sconsolate alla cattura di Gwynplainecon tantodi abiti a lutto e di bastone di ferro del

wapentake.

Le due ragazze erano pietrificate. Atteggiate a stalattiti.

Govicumsbalorditoguardava con gli occhi sbarrati da una finestrasocchiusaIl wapentake precedeva di qualche passo Gwynplaine senza voltarsi esenza guardarlocon quella gelida tranquillità

data dalla certezza di essere la legge.

Tutti e due passarono per il cortile in un silenzio sepolcraleattraversarono la buia sala della bettola e sbucarono sulla

piazza. Là trovarono qualche passante che si accalcava davanti alla portadell'albergo e il giustiziere-quorum alla testa

di un drappello di polizia. I curiosistupefattisi allontanarono insilenziofacendosi da partecon la tipica disciplina

inglesealla vista del bastone del conestabile; il wapentake si avviò versoquelle stradine dette allora Little Strandche

costeggiavano il Tamigi; e Gwynplainecon a destra e a sinistra gli uominidel giustiziere-quorum allineati in doppia

filapallidosi allontanò lentamente dall'innsenza fare un gestosenzaalcun movimento che non fossero i passi

coperto dal suo mantello come da un sudariocamminando muto dietro aquell'uomo taciturnouna statua al seguito di

uno spettro.

III • LEXREXFEX

L'arresto senza giustificazioniche stupirebbe non poco un inglese delgiorno d'oggiera una pratica di polizia molto

usata allora in Gran Bretagna. Vi si ricorse in modo particolare per quellefaccende delicate alle qualiin Francia

provvedevano le lettres de cachete ciò a dispetto dell'habeascorpus fino a Giorgio IIe una delle accuse da cui dovette

difendersi Walpole fu proprio di aver fattoo lasciatoarrestare in questomodo Neuhoff. L'accusaprobabilmentenon

era molto fondataperché Neuhoffre di Corsicafu incarcerato dai suoicreditori.

I mandati d'arresto occultidi cui la Santa Voehme in Germania aveva fattolargo usoerano ammessi dalle consuetudini

tedesche che stavano alla base di una metà delle vecchie leggi inglesieraccomandatiin certi casidalle consuetudini

normanneche stavano alla base dell'altra metà. Il capo della polizia delpalazzo di Giustiniano si chiamava «il

silenziario imperiale»silentiarius imperialis. I magistrati inglesiche praticavano questa specie di arresti si basavano su

numerosi testi normanni: - Canes latrantsergentes silent. - Sergenteragereid est tacere. - Citavano Lundulphus

Sagaxparagrafo 16: - Facit imperator silentium. - Citavano la cartadi re Filippodel 1307: - Multos tenebimos

bastonerios quiobmutescentessergentare valeant. - Citavano glistatuti di Enrico I d'Inghilterracapitolo LIII: - Surge

signo jussus. Taciturnior esto. Hoc est esse in captione regis. - Sivalevano in special modo di questa prescrizione

considerata come facente parte delle antiche franchigie feudalidell'Inghilterra: «Dai visconti dipendono i sergenti di

spadache devono giustiziare virtuosamente con la spada tutti quelli cheseguono cattive compagniepersone accusate

di delittievasi e messi al bando... e li devono arrestare con fermezza ediscrezionecosì che la brava gente pacifica sia

protetta senza fracasso e i malfattori siano spaventati». Essere arrestatoin questo modo voleva dire essere preso «con la

lama della spada» (Vetus consuetudo NormanniaeMS. I part. Sez. Icap. II). I giureconsulti invocavano inoltrein

Charta Ludovici Hutini pro normannisil capitolo servientes spathae.I servientes spathaenel graduale avvicinarsi

della bassa latinità ai nostri idiomisono diventati sergentes spadae.

Gli arresti silenziosi erano il contrario delle gazzarre dei linciaggiesuggerivano che conveniva tacere finché si fosse

fatta luce su certi punti oscuri.

Essi volevano dire: questioni riservate.

Essi suggerivano che nell'operazione di polizia c'era una certa presenzadella ragion di stato.

Il termine di diritto privateche significa a porte chiuseèappunto applicabile a quel genere di arresti.

Fu in questo modo che Edoardo IIIsecondo alcuni annalistifece arrestareMortimer nel letto della madre Isabella di

Francia. Possiamo dubitarnedal momento che Mortimerprima d'esserecatturatosostenne l'assedio della sua città.

Warwickil creatore di repraticava volentieri questo modo di «attirare lagente».

Cromwell l'impiegava soprattutto nel Connaugh; e fu appunto con questaprecauzione del silenzio che venne arrestato

nel Kilmacaugh Trailie-Arckloparente del conte di Ormond.

Gli arresti eseguiti con un semplice gesto giudiziario rappresentavano piùun mandato di comparizione che di arresto.

A volte non erano che espedienti per raccogliere informazionie anziimplicavanoper via del silenzio imposto a tutti

un certo riguardo per la persona catturata.

Ma per il popolopoco al corrente delle sfumatureessi eranoparticolarmente terrificanti.

Non dobbiamo dimenticare che l'Inghilterra non era nel 1705ma neppure moltopiù tardiciò che è ai giorni nostri.

Tutto era confuso e talvolta molto opprimente; Daniel de Foeche avevaassaggiato la gognadà un'ideada qualche

partedell'ordine sociale inglesecon queste parole: «le mani di ferrodella legge». Ma non c'era solo la leggec'era

anche l'arbitrio. Ricordiamoci Steele cacciato dal parlamentoLocke cacciatodalla cattedra; Hobbes e Gibboncostretti

a fuggire; Charles ChurchillHumePriestly perseguitati; John Wilkesrinchiuso nella Torre. Se ci mettiamo a elencare

le vittime dello statuto seditious libelil conto sarà lungo.L'Inquisizione si era diffusa un po' per tutta Europa; i suoi

metodi polizieschi facevano scuola. In Inghilterra era possibile un mostruosoattentato a tutti i diritti; ricordiamo il

Gazetier cuirassé. In pieno secolo XVIIILuigi XV faceva rapire aPiccadilly gli scrittori che non gli andavano. È vero

che Giorgio III faceva arrestare in Francia il pretendente nel bel mezzodella sala dell'Opera. Erano due braccia molto

lunghe; il braccio del re di Francia arrivava fino a Londrae quello del red'Inghilterra fino a Parigi. Questa era la

libertà.

Aggiungiamo che all'interno delle prigioni si veniva giustiziati facilmente;un espediente alternato al supplizio; odioso

espediente a cui in questo momento l'Inghilterra sta ritornando; cosìfacendo essa dà al mondo lo spettacolo davvero

singolare di un grande popolo chevolendo miglioraresceglie il peggioeche avendo davanti a séda una parte il

passatodall'altra il progressosbaglia voltoe prende la notte per ilgiorno..IV • URSUS SPIA LA POLIZIA

Come abbiamo dettosecondo le severissime leggi della polizia di quei tempil'ingiunzione rivolta a un individuo di

seguire il wapentake implicavaper tutti quelli che erano presentil'ordinedi non muoversi.

Qualche curiosotuttaviasi ostinò ad accompagnare da lontano il corteoche portava con sé Gwynplaine.

Ursus era uno di quelli.

Ursus era rimasto pietrificatoper quanto si abbia diritto ad esserlo. Matante volte assalito dagli imprevisti di una vita

vagabonda e dalle disgrazie dell'inattesoUrsus avevacome una nave daguerrail suo assetto di combattimentoin

grado di chiamare ai posti di battaglia tutto l'equipaggiocioè tutta lasua intelligenza.

Si liberò alla svelta da quello stato di paralisie si mise a riflettere.Non era più tempo di commuoversima di affrontare

la situazione.

Chiunque non sia imbecille ha il dovere di affrontare l'evenienza.

Non cercare di comprenderema agire. Subito. Ursus s'interrogò.

Cosa si doveva fare?

Partito GwynplaineUrsus si trovò fra due timori: quello per Gwynplaineche gli suggeriva di seguirloe quello per se

stessoche gli diceva di restare.

Ursus era intrepido come una mosca e impassibile come una sensitiva. Tremavain modo indescrivibile. Prese tuttavia

l'eroica decisione di sfidare la legge e di seguire il wapentakea tal puntoera inquieto per la sorte di Gwynplaine.

Bisognava che avesse una bella paura per avere tanto coraggio.

A che atti di valore lo spavento può spingere una lepre!

Il camoscio terrorizzato salta i precipizi. Essere spaventati finoall'imprudenza è una delle forme della paura.

Gwynplaine era stato prelevato più che arrestato. L'operazione di poliziaera stata eseguita così rapidamente che il

campo della fieracomunque poco frequentato a quell'ora del mattinonon neera rimasto gran che turbato. Quasi

nessuno nelle baracche del Tarrinzeau-field dubitava che il wapentake fossevenuto a cercare l'Uomo che Ride. Perciò

la folla era poco numerosa.

Gwynplainegrazie al mantello e al feltro che quasi si riunivano sul suovisonon poteva essere riconosciuto dai passati.

Prima di uscire dietro a GwynplaineUrsus prese una precauzione. Chiamò aparte padron Niclessil boy GovicumFibi

e Vinose ingiunse loro il silenzio più assoluto davanti a Deache nonsapeva nulla; dovevano aver cura di non

spifferare una sola parola che potesse farle sospettare quanto era accaduto;dovevano spiegare l'assenza di Gwynplaine e

di Ursus con qualche motivo legato alle faccende della Green-Box; d'altrapartepresto sarebbe giunta l'ora del riposo

pomeridiano di Deaeprima che si svegliasseluiUrsussarebbe stato diritorno con Gwynplainedal momento che

tutto ciò non era che un malintesoun mistakecome dicono in Inghilterra;non avrebbero avuto difficoltàlui e

Gwynplainea convincere i giudici e la polizia; avrebbero fatto toccare conmano l'equivocoe in breve tempo

sarebbero tornati tutti e due. Soprattutto che nessuno dicesse nulla a Dea.Fatte queste raccomandazionipartì.

Ursus riuscì a seguire Gwynplaine senza essere notato. Benché si tenesse ilpiù lontano possibilefece in modo di non

perderlo di vista. L'audacia negli agguati è il capolavoro dei timidi.

Dopo tuttoe per quanto solenne fosse la messinscenaforse per Gwynplainesi trattava solo di una citazione a

comparire davanti a un semplice magistrato di poliziaper un'infrazione dipoco conto.

Ursus andava dicendosi che la questione si sarebbe risolta subito.

Il chiarimento sarebbe avvenuto sotto i suoi stessi occhia seconda delladirezione che avrebbe preso il drappello che

custodiva Gwynplaine quandoarrivato ai confini del Tarrinzeaufieldavrebbero imboccato le viuzze del Little Strand.

Se svoltavano a sinistravoleva dire che portavano Gwynplaine al municipiodi Southwark. Poco da temere in quel

caso; qualche piccola infrazione municipaleun ammonimento del magistratodue o tre scellini d'ammendapoi

Gwynplaine sarebbe stato rilasciatoe la rappresentazione de La sconfittadel caos avrebbe avuto luogo la sera stessa

come al solito. Nessuno si sarebbe accorto di niente.

Se il drappello voltava a destrala faccenda si faceva seria.

Da quelle parti c'erano luoghi severi.

Nel momento in cui il wapentakeche comandava le due file di sbirri in mezzoai quali camminava Gwynplainearrivò

alle stradineUrsussenza fiatostette a guardare. Ci sono momenti in cuil'uomo è tutt'occhi.

Da che parte sarebbero andati?

Voltarono a destra.

Ursusvacillando per lo spaventosi appoggiò a un muro per non cadere.

Non c'è nulla di più ipocrita che dire a se stessi: Vorrei sapere comeregolarmi. In fondo non lo vogliamo affatto.

Abbiamo una gran paura. All'angoscia si aggiunge un oscuro sforzo per nonconcludere niente. Non abbiamo il

coraggio di confessarloma ci tireremmo volentieri indietroe quando inveceavanziamoce lo rimproveriamo.

È quanto fece Ursus. Pensò rabbrividendo:

«Si sta mettendo male. L'avrei saputo sempre troppo presto. A cosa serveseguire Gwynplaine?».

Fatta questa riflessionee poiché l'uomo non è che contraddizioneallungò il passo edominando l'ansiasi affrettò per

avvicinarsi al drappellocosì da impedire che si rompesse il filo cheneldedalo delle vie di Southwarklo legava a

Gwynplaine.

Il corteo poliziesco non poteva andare in frettaa causa della suasolennità.Era aperto dal wapentake.

Lo chiudeva il giustiziere-quorum.

Quest'ordine implicava una certa lentezza.

Nel giustiziere-quorum rifulgeva tutta la maestà possibile di un assistentegiudiziario. La sua divisa stava a metà tra lo

splendido abbigliamento del dottore in musica di Oxford e la tenuta sobria enera del dottore di teologia di Cambridge.

Egli indossava abiti da gentiluomo sotto un lungo godebertche è unmantello foderato con pelliccia di lepre norvegese.

Per metà era gotico e per l'altra metà modernopoiché aveva una parruccacome Lamoignon e delle maniche alla turca

come Tristano l'Eremita. Il suo grosso occhio rotondo covava Gwynplaine conla fissità del gufo. Marciava a passo

cadenzato. Impossibile vedere un tipo più truce.

Ursusche per un momento si era perso nella matassa aggrovigliata dellestradinein prossimità di Sainte-Marie Over-Ry

si ricongiunse al corteo chefortunatamenteaveva perso tempo nel porticodella chiesa a causa di una rissa tra

bambini e caniun incidente abituale nelle strade di Londradogs and boysdicevano i vecchi registri di poliziache

mettono i cani prima dei bambini.

Poiché un uomo che veniva condotto dagli agenti di polizia davanti almagistrato eradopo tuttoun avvenimento

normalissimoe d'altra parte ognuno ha i suoi affari da curarei curiosi sierano dispersi. Sulle tracce di Gwynplaine era

rimasto solo Ursus.

Passarono davanti alle due cappelle che sorgevano una di fronte all'altraquella dei Recreative Religionists e quella

della Ligue Halleluiahdue sette di allora che esistono ancor oggi.

Poi il corteo serpeggiò di viuzza in viuzzascegliendo di preferenza leroads non ancora pavimentatei rows dove

cresceva l'erba e le lanes desertefacendo molti zig zag.

Finalmente si arrestò.

Si trovavano in una stradina angusta. Non c'erano casea parte quelle due otre catapecchie all'inizio. La stradina era

fatta di due muriuno a sinistrabasso; l'altro a destraalto. La muragliapiù alta era nera e costruita alla sassonecon

merliscorpioni e riquadri di grosse grate che chiudevano strette bocche dilupo. Non c'erano finestre; soloqua e là

delle fessureche erano gli antichi alloggi di cannoni e archibugi. Ai piedidella muraglia era visibile uno sportellino

bassissimocome il buco nelle trappole per topi.

Lo sportelloincassato in un pesante arco di pietra a tutto sestoaveva unospioncino a grataun battente massicciouna

grande serraturadei cardini robusti e nodosiun'armatura di chiodiunacorazza di lamine pitturateed era fatto più di

ferro che di legno.

Nessuno nella stradina. Nessun negozionessun passante. Ma si udiva unrumore costante e molto vicinocome se la

stradina fosse stata parallela a un torrente. Era un chiasso di voci e divetture. Molto probabilmente dall'altra parte

dell'edificio nero c'era una grande stradasenza dubbio l'arteria principaledi Southwarkche a un'estremità si

congiungeva con la via di Canterburye all'altra con il ponte di Londra.

Se ci fosse stato qualcuno di guardiaper tutta la lunghezza della stradinaoltre al corteo che avvolgeva Gwynplaine

non avrebbe visto altro volto d'uomo tranne il pallido profilo di Ursuschesi era arrischiato a sporgersi nella penombra

di un angolo di murocon la voglia e la paura di vedere. Egli si eraappostato in una rientranza della viache in quel

punto faceva come uno zig-zag.

Il drappello si raggruppò davanti allo sportello.

Gwynplaine si trovava al centro del gruppoma ora aveva dietro di sé ilwapentake con il suo bastone di ferro.

Il giustiziere-quorum sollevò il battente e diede tre colpi.

Lo spioncino si aprì.

Il giustiziere-quorum disse:

«In nome di sua maestà».

La pesante porta di quercia e di ferro girò sui cardiniapparve un'aperturalivida e freddasimile alla bocca di un antro.

Una volta orrenda si allungava nell'ombra.

Ursus vide Gwynplaine sparire là sotto.

V • BRUTTO LUOGO

Il wapentake entrò dopo Gwynplaine.

Poi il giustiziere-quorum.

Poi tutto il drappello.

Lo sportello si richiuse.

La pesante porta tornò a sistemarsi ermeticamente nei suoi stipiti dipietrasenza che si vedesse chi l'aveva aperta e chi

la chiudeva. Sembrava che i chiavistelli rientrassero da soli nei loroalveoli. Nelle vecchissime prigioni correzionali ci

sono ancora simili meccanismi inventati dall'antica arte dell'intimidazione.Una porta di cui non si vedeva il portiere.

Ciò faceva della soglia della prigione la soglia della tomba.

Quello sportello era la porta di servizio del carcere di Southwark.

Non c'era nulla in quell'edificio tarlato e scostante che smentisse l'aspettospiacevole tipico di una prigione.

Il carcere di Southwark era un tempio paganocostruito dai vecchicattieuchlans per i Mogonsche sono antiche divinità

inglesidiventato palazzo per Etelulfo e fortezza per sant'Edoardoinseguito elevato alla dignità di prigione nel 1199 da

Giovanni Senza Terra. Il carcereun tempo attraversato da una stradacomeChenonceaux è attraversata da un fiumeper un secolo o due era stato una gatecioè una porta del sobborgo; poi il passaggio era stato murato. Ci sono ancorain

Inghilterra prigioni di quel genere; così a Londra c'è Newgate; Westgate aCanterbury; Canongate a Edinburgo. Anche

in Francia la Bastigliaoriginariamenteera una porta.

Quasi tutti i carceri inglesi avevano lo stesso aspettoun gran muro esternoedentroun alveare di segrete. Nulla è

funebre come queste prigioni gotichedove il ragno e la giustizia tendono leloro telee dove il raggio di John Howard

non era ancora penetrato. Tuttecome l'antica geenna di Bruxellesavrebberopotuto essere chiamate Treurenbergcasa

delle lacrime.

Davanti a queste costruzioni truci e spietate si provava la stessa angosciache sentivano gli antichi navigatori davanti

agli inferni di schiavi di cui parla Plautoisole che risuonavano di ferriferricrepiditaeinsulaequando capitava loro di

passare a una distanza sufficiente per udire il rumore delle catene.

Il carcere di Southwarkluogo di antichi esorcismi e tormentiinizialmenteaveva la specialità degli stregonicome

dimostrano questi due versi incisi su una pietra logoraproprio sopra losportello:

Sunt arreptitii vexati daemone multo.

Est energumenos quem daemon possidet unus.

Versi che fissano la delicata sfumatura tra l'indemoniato e l'energumeno.

Sopra l'iscrizionecome segno della capacità di comminare le pene capitaliera stata inchiodata orizzontalmente una

scala di pietrache un tempo era di legnoma che era diventata di pietraper essere stata sepolta nella terra pietrificante

di un luogo chiamato Aspley-Gowisvicino all'abbazia di Woburn. La prigionedi Southwarkoggi demolitadava su

due stradechecome gateun tempo aveva messo in comunicazioneeaveva due porte: la porta d'onore sulla strada più

grandedestinata alle autorità; e la porta dolorosa sulla stradinariservata agli altri mortali. Ma anche ai morti; perché

quando un prigioniero moriva nel carcereil cadavere usciva da quella porta.Una liberazione come un'altra.

La morte non è che la scarcerazione nell'infinito.

Proprio dall'ingresso doloroso Gwynplaine era stato appena introdotto nellaprigione.

Quella stradinacome abbiamo dettonon era altro che un viottolo selciatochiuso tra due muri paralleli. A Bruxelles

c'è qualcosa di simileil passaggio detto: Via per una persona. Idue muri erano diseguali; il muro alto era la prigioneil

muro basso era il cimitero. Questo murorecinzione della camera mortuariadel carcerenon superava la statura di un

uomo. Vi si apriva una portadi fronte allo sportello del carcere. I mortinon si dovevano scomodarebastava loro

attraversare la strada. Se si costeggiava il muro per una ventina di passisi arrivava all'entrata del cimitero. Sulla

muraglia più alta era stata fissata una scala patibolaredalla parteoppostasulla muraglia bassac'era scolpito un

teschio. Nessuno dei due muri era tale da rallegrare l'altro.

VI • QUALI MAGISTRATURE C'ERANO SOTTO LE PARRUCCHE D'UN TEMPO

Chi in quel momento avesse guardato la facciata dall'altra parte dellaprigioneavrebbe visto la strada principale di

Southwark e avrebbe potuto notareferma davanti alla porta monumentale eufficiale del carcereuna vettura da

viaggioriconoscibile per i suoi «posti in carrozza»che oggi chiameremmocabriolet. La vettura era attorniata da un

gruppo di curiosi. Era blasonatae se n'era visto scendere un personaggioche era entrato nella prigione; probabilmente

un magistratopensava la folla; perché spesso in Inghilterra i magistratierano nobili e avevano quasi sempre il «diritto

di portar lo stemma». In Francia blasone e toga erano quasi inconciliabili;il duca di Saint-Simonparlando dei

magistratidisse: «quella gente». In Inghilterra non era affattodisonorevole per un gentiluomo essere giudice.

In Inghilterra esiste il magistrato ambulante; si chiama «giudice dicircuito»niente di più normale dunque che vedere in

quella carrozza la vettura di un magistrato impegnato nel suo giro. Ciò chenon era facile da spiegare era perché quel

probabile magistrato fosse scesonon dalla vetturama dal sedile anterioreche non è certo il posto abituale del padrone.

Altra stranezza: a quei tempiin Inghilterrasi viaggiava in due modi«con la diligenza»pagando uno scellino ogni

cinque migliao con la posta rapidaal costo di tre soldi al miglio equattro soldi al postiglione per ogni posta; una

vettura padronale che si prendesse il ghiribizzo di viaggiare con cavalli dapostapagava per ogni cavallo e per ogni

migliotanti scellini quanti soldi avrebbe pagato un cavaliere che fossericorso alla normale vettura di posta; orala

vettura ferma davanti al carcere di Southwarkera equipaggiata con quattrocavalli e due postiglioniun lusso davvero

principesco. Infinecircostanza che portava ulteriore sconcerto nellesupposizionila vettura era scrupolosamente

chiusa. Sollevati i pesanti pannelli. I vetri erano coperti da ante; otturataogni apertura da dove avrebbe potuto penetrare

lo sguardo; dal di fuori era impossibile vedere dentroed è probabile chedall'interno non si potesse guardar fuori.

D'altra parte non sembrava che nella vettura ci fosse qualcuno.

Poiché Southwark si trova nel Surreyla prigione di Southwark dipendevadallo sceriffo dalla contea di Surrey. La

distinzione tra varie giurisdizioni era molto frequente in Inghilterra.Cosìper esempiosi supponeva che la Torre di

Londra non si situasse in alcuna contea; ciò significa cheda un punto divista legaleessa era come sospesa in aria. La

Torre non riconosceva altra autorità giuridica che il suo conestabiledenominato custos turris. La Torre aveva una

propria giurisdizioneuna propria chiesauna corte di giustizia e unparticolare governo. L'autorità del custoso

conestabilesi estendeva fuori di Londra su ventun hamletstraducete: frazioni. Dal momento che in Gran Bretagna le

particolarità legali si innestano una sull'altrala funzione di maestrocannoniere d'Inghilterra dipendeva dalla Torre di

Londra.Altre consuetudini legali sembrano ancora più bizzarre. Così lacorte dell'ammiragliato inglese consulta e applica le

leggi di Rodi e di Oleron (un'isola francese che è stata inglese).

Lo sceriffo di una provincia era molto considerato. Era sempre scudieroequalche volta cavaliere. Nei vecchi

documenti veniva qualificato spectabilis; «uomo di riguardo». Untitolo intermedio tra illustris e clarissimusmeno del

primopiù del secondo. Un tempo gli sceriffi delle contee erano scelti dalpopolo; ma Edoardo IIedopo di luiEnrico

IVavevano attribuito quel diritto di nomina alla coronae così glisceriffi erano diventati un'emanazione reale. Tutti

ricevevano la loro commissione da sua maestàtranne lo sceriffo diWestmorelandla cui carica è ereditariae gli

sceriffi di Londra e di Middlesexche venivano eletti dalla livery nellaCommonhall. Gli sceriffi di Galles e di Chester

possedevano certe prerogative fiscali. Tutte queste cariche sussistono ancorain Inghilterramalogorate a poco a poco

dall'attrito dei costumi e delle ideenon hanno più la stessa fisionomia diun tempo. Lo sceriffo della contea aveva il

compito di scortare e di proteggere i «giudici itineranti».

Così come ci sono due bracciaegli aveva due ufficiali: il sotto-sceriffosuo braccio destroe il giustiziere-quorumsuo

braccio sinistro. Il giustiziere-quorumassistito dal balivo della centuriadetto wapentakefaceva arrestareinterrogava

esotto la responsabilità dello sceriffometteva in prigioneaffinchéfossero giudicati dai giudici di circuitoi ladrigli

assassinii facinorosii vagabondi e ogni tipo di felloni. La sfumatura trail sotto-sceriffo e il giustiziere-quorumnelle

loro funzioni gerarchiche rispetto allo sceriffoconsiste nel fatto che ilsotto-sceriffo accompagnavamentre il

giustiziere-quorum assisteva. Lo sceriffo reggeva due corti: una sedentaria ecentralela County-courte una itinerante

la Scheriff-turn. Rappresentava così l'unità e l'ubiquità. Come giudicepoteva farsi aiutare e informarenelle litida un

ufficiale della cuffiadetto sergens coifaeche è un ufficialegiudiziario e chesotto il berretto neroporta una cuffia di

tela bianca di Cambrai. Lo sceriffo sgomberava i carceri giudiziari; quandoarrivava in una città di provincia aveva il

diritto di liquidare in modo sommario i prigioniericon il risultato diliberarlio di impiccarliatto che veniva definito

«liberazione del carcere»goal delivery. Lo sceriffo presentava ilbill di accusazione ai ventiquattro giurati dell'accusa;

se erano d'accordo scrivevano in calce: billa vera; se lodisapprovavanoscrivevano: ignoramus; in questo caso l'accusa

era annullata e lo sceriffo aveva il privilegio di stracciare il bill. Sedurante il giudizio un giurato morival'accusatoper

leggeveniva assolto e dichiarato innocentee lo sceriffo che aveva avutoil privilegio di arrestare l'accusatoaveva ora

il privilegio di rimetterlo in libertà. Ma ciò che faceva stimare e temerein modo singolare lo sceriffoera l'incarico di

eseguire tutti gli ordini di sua maestà; un potere formidabile. Inqueste formule si annida l'arbitrio. Al seguito dello

sceriffo c'erano gli ufficiali detti verdeors e i coronersinoltre glidavano una mano gli addetti al mercatoper non dire

del bellissimo codazzo di uomini a cavallo e di domestici. Lo sceriffodiceChamberlayneè «la vita della Giustizia

della Legge e della Contea».

In Inghilterra un'invisibile demolizione polverizza e disgrega continuamentele leggi e i costumi. Ai nostri giorni

torniamo a ripeterloné lo sceriffoné il wapentakené il giustiziere-quorum assolverebbero ai loro compiti come a quei

tempi. C'era nell'antica Inghilterra una certa confusione dei poterie lacattiva definizione degli ambiti si risolveva in

prevaricazioni oggi impossibili. La promiscuità tra polizia e giustizia èfinita. Sono rimasti i nomima le funzioni si

sono modificate. Pensiamo che anche la parola wapentake abbia cambiatosignificato. Alludeva a una magistraturaora

denota una divisione territoriale; specificava il centenariospecifica ilcantone (centum).

Del restoin quell'epocalo sceriffo della contea riunivacon qualcosa dipiù e qualcosa di menoe condensava nella

sua autoritàal tempo stesso regale e municipalei due magistrati che unavolta in Francia erano chiamati Luogotenente

civile di Parigi e Luogotenente di polizia. Questa vecchia annotazione dipolizia definisce molto bene il Luogotenente

civile di Parigi: «Il signor luogotenente civile non odia le litidomesticheperché il bottino è sempre suo» (22 luglio

1704). Quanto al luogotenente di poliziapersonaggio inquietantedai centoinafferrabili voltitrova la sua migliore

incarnazione in René d'Argensonchesecondo Saint-Simonportava sullafaccia un miscuglio dei tre giudici infernali.

Quegli stessi giudici infernali che abbiamo visto nella Bishopsgate diLondra.

VII • FREMITO

Quando Gwynplaine sentì chiudersi lo sportello con tutto il cigolio dei suoichiavistellitrasalì. Gli sembrò che la porta

che si era appena chiusamettesse in comunicazione la luce con le tenebrerivolta da una parte sul brulichio terrestre

dall'altra sul mo ndo dei mortie gli sembrò ormai di essersi lasciate allespalle tutte le cose illuminate dal solee di aver

varcato la frontiera della vitae di esserne fuori. Provò una stretta alcuore. Che ne sarebbe stato di lui? Cosa voleva dire

tutto ciò?

Dove si trovava?

Non vedeva nulla attorno a sé; era immerso nel buio. La porta chiudendosil'aveva momentaneamente accecato. Anche

il finestrinocome la portaera chiuso. Nessuno spiraglionessunalanterna. Una precauzione di quei tempi. Era proibito

illuminare l'accesso interno delle prigionicosì che i nuovi arrivati nonpotessero osservare nulla.

Tendendo le maniGwynplaine toccò il muroa destra e a sinistra; sitrovava in un corridoio. A poco a poco quella luce

di cantinache non si sa da dove filtri e che fluttua nei luoghi oscurie acui si adattano le pupillegli fece distinguere

qua e là un lineamentoe il corridoio davanti a lui prese vagamente forma.

Gwynplaineche non era mai venuto a contatto con la durezza delle leggisenon attraverso le esagerazioni di Ursussi

sentì come afferrato da un'enorme mano nera. È spaventoso essere in baliadei misteri della legge. Si può affrontare

qualsiasi cosama davanti alla giustizia si è presi da sconcerto. Perché?Ciò dipende dal carattere crepuscolare della

giustizia umanain cui il giudice si muove a tentoni. Gwynplaine ricordavaquanto Ursus gli aveva detto sulla necessitàdel silenzio; egli voleva rivedereDea; nella sua situazione c'era pur sempre qualcosa di discrezionale che eglinon

voleva irritare. Voler chiarirea voltesignifica peggiorare. Per altroversotuttaviala pressione di quell'avventura era

così forte che finì per cederee non poté trattenere una domanda.

«Signori»domandò«dove mi conducete?».

Nessuno gli rispose.

Era la norma di quegli arresti silenziosie il testo normanno è categorico:A silentiariis ostio praepositis introducti sunt.

Quel silenzio raggelò Gwynplaine. Fino a quel momento si era creduto forte;bastava a se stesso; bastare a se stessi

significava essere forti. Aveva vissuto isolato dal mondocredendo chesolitudine volesse dire inespugnabilità. Ed ecco

che a un tratto doveva sopportare la forza orrenda della collettività. Inche modo cavarsela con l'orribile anonimato della

legge? Sotto quell'enigma si sentiva venir meno. Era un tipo di paura nuovoquello che aveva trovato il punto debole

della sua armatura. E poiegli non aveva dormitoné mangiato; aveva appenainumidito le labbra in una tazza di tè.

Aveva delirato tutta la nottee quella febbre non gli era passata. Avevaseteforse aveva fame. Quando lo stomaco è

insoddisfattorovina tutto. Dalla sera prima non aveva tregua. Le emozioniche lo tormentavano erano le stesse che lo

sostenevano; senza l'uragano la vela è uno straccio. Ma sentiva dentro disé la profonda debolezza dello straccio che il

vento gonfia fino a lacerarlo. Sentiva sopraggiungereil cedimento. Stavaforse per cadere privo di conoscenza sul

selciato? Svenire è la risorsa della donna e l'umiliazione dell'uomo. Siirrigidiva e tremava.

Aveva la sensazione di perdere il controllo.

VIII • GEMITO

S'incamminarono.

Si inoltrarono nel corridoio.

Nessuna cancelleria. Nessun ufficio con registri. Le prigioni di quei tempinon amavano la burocrazia. Si

accontentavano di richiudersi su di voispesso senza sapere perché. Essereuna prigione e avere dei prigioniericiò

bastava loro.

Il corteo si era dovuto allungareprendendo la forma del corridoio.Camminavano quasi uno dietro l'altro; in testa c'era

il wapentakepoi veniva Gwynplainepoi il giustiziere-quorum; poi gliagenti di poliziache avanzavano compatti

chiudendo il corridoio dietro Gwynplaine come un tampone. Il corridoio sirestringeva; adesso Gwynplaine toccava il

muro con i gomiti; ogni tanto nella volta di pietre e cemento c'erano degliarchi di granito in rilievo che formavano delle

strozzature; per passare bisognava abbassare la testa; non era possibilecorrere in quel corridoio; una fuga avrebbe

dovuto avvenire camminando lentamente; quel budello faceva delle curve; leviscere sono sempre tortuosequelle di

una prigione come quelle di un uomo; qua e làa destra e a sinistrac'erano delle fenditure nel muroriquadri muniti di

grosse inferriate che lasciavano intravedere delle scalealcune chesalivanoaltre che sprofondavano. Arrivarono

davanti a una porta chiusala porta si aprìpassaronosi richiuse. Poitrovarono una seconda porta che cedette loro il

passaggiopoi una terzache girò come le altre sui cardini. Sembrava chele porte si aprissero e si chiudessero da sole.

Non si vedeva nessuno. Mentre il corridoio si restringevala volta siabbassavae non era più possibile comminare se

non con la testa china. Il muro trasudava; dalla volta cadevano gocced'acqua; il pavimento che lastricava il corridoio

era vischioso come un intestino. Quella specie di pallore diffuso che fungevada illuminazione diventava sempre più

opaco; mancava l'aria. La circostanza più lugubre consisteva nel fatto chestavano scendendo.

Bisognava fare attenzione per accorgersi che si scendeva. Un lieve pendionell'oscuritàha qualcosa di sinistro. Non c'è

niente di più spaventoso di quanto ci attendeal buiodopo un insensibilependio.

Scendere significa entrare nel terribile ignoto.

Da quanto camminavano a quel modo? Gwynplaine non avrebbe saputo dirlo.

Quando si passa sotto il torchio dell'angoscia i minuti si allungano adismisura.

All'improvviso si fermarono.

L'oscurità era fitta.

Il corridoio si allargava un po'.

Gwynplaine udì come il rumore vicinissimo di un gong cinese; il colpobattuto sul diaframma dell'abisso.

Era stato il wapentakeche aveva colpito con il suo bastone una lastra diferro.

Quella lastra era una porta.

Non una porta che girama una porta che si alza e si abbassa. Quasi come unasaracinesca.

Ci fu lo stridio di qualcosa che scivola lungo una scanalaturapoiGwynplaine ebbe improvvisamente davanti agli occhi

un pezzo di luce quadrata.

La lastra era salita in una fessura della volta allo stesso modo in cui sisolleva la parete di una trappola per topi.

C'era un'apertura.

Quella luce non era luce; era un chiarore. Ma per la pupilla dilatata diGwynplaine quel chiarore pallido e improvviso fu

come lo schiocco di un lampo.

Passò un po' di tempo prima di vedere qualcosa. Discernerequando si èabbagliatiè difficile come vedere di notte.

Poiper gradila pupilla si adattò alla luce come si era adattataall'oscurità; riuscì a distinguere; la luce cheall'iniziogli

era sembrata troppo fortesi affievolì nella pupilla sino a tornare livida;si arrischiò a guardare nell'apertura che gli si

era spalancata davantie ciò che vide fu spaventoso.Ai suoi piedi unaventina di gradinialtistretticonsuntiquasi a piccosenza ringhiera néa destra né a sinistra

entravano in un sotterraneo molto profondoaffondandovi come una specie dicresta di pietra simile a un lembo di muro

ugnato a scala. Conducevano fino in basso.

Il sotterraneo era rotondocon volta a ogiva ad arco rampantee ciò acausa di un difetto nel livello delle imposte

sconnessione comune a tutti i sotterranei sui quali si sono ammucchiatiedifici molto pesanti.

La specie di apertura che faceva da portae che la lastra di ferro avevasopertoproprio là dove iniziava la scalaera

intagliata nella voltacosì che lo sguardoda quell'altezzaaffondava nelsotterraneo come in un pozzo.

Il sotterraneo era vastoe se si trattava del fondo di un pozzoera ilfondo di un pozzo ciclopico. L'idea suscitata dalla

vecchia espressione «il fondo di una fossa» poteva riferirsi a quelsotterraneo solo a condizione di immaginare una fossa

di leoni o di tigri.

Il sotterraneo non aveva pavimento né era lastricato. Aveva per suolo laterra umida e fredda dei luoghi profondi.

In mezzo al sotterraneo c'erano quattro colonne basse e sformatechesostenevano un vestibolo pesantemente ogivalele

cui quattro nervaturericongiungendosi all'interno del vestibolodisegnavano come la parte interna di una mitra. Il

vestibolosimile ai pinnacoli sotto cui un tempo si mettevano i sarcofaghisaliva fino alla volta e faceva una specie di

camera centrale nel sotterraneosempre che si possa chiamare camera uncompartimento aperto su tutti i latie con

quattro pilastri al posto dei muri.

Dalla chiave di volta del vestibolo pendeva una lanterna di ramerotonda emunita di grata come la finestra di una

prigione. La lanterna spandeva attorno a sésui pilastrosulle volte e sulmuro circolare che si intravedeva vagamente

dietro i pilastriuna luce lividatagliata da strisce d'ombra.

Era la luce che aveva inizialmente abbagliato Gwynplaine. Ma ora per lui erasolo un confuso chiarore rossastro.

Nel sotterraneo non c'erano altre luci. Nessuna finestrané portanéspiraglio.

Tra i quattro pilastriprecisamente sotto la lanternalá dove c'era piùluceuna forma bianca e terribile era fissata

orizzontalmente al suolo.

Era sdraiato sul dorso. Si vedeva una testa con gli occhi chiusiun corpocon il torso che spariva sotto un mucchio

informequattro arti attaccati al torso come una croce di Sant'Andrea etirati verso i quattro pilastri da quattro catene

legate ai piedi e alle mani. Le catene terminavano con un anello di ferrofissato alla base di ogni colonna. La forma

immobilizzata nell'atroce posizione dello squartamentoaveva il gelidolivore del cadavere. Era nudo; era un uomo.

Gwynplainepietrificatoin piedi in cima alla scalaguardava.

A un tratto udì un rantolo.

Quel cadavere era vivo.

Vicinissimi allo spettroin una delle ogive del vestiboloc'erano dueuomini ritti ai lati di una grande poltrona a

bracciuolisbalzata in una pietra larga e piattai due erano vestiti dilunghi e neri sudarie nella poltrona era seduto un

vecchioavvolto in una veste rossapallidoimmobilesinistrocon in manoun mazzo di rose.

Quel mazzo di rose avrebbe messo sull'avviso chiunque fosse stato menoignorante di Gwynplaine. Era una

caratteristica del magistrato regio e municipale quella di giudicare con unfascio di fiori. Il lord-sindaco di Londra

giudica ancora a quel modo. Aiutare i giudici a giudicareecco il compitodelle prime rose della stagione.

Il vecchio seduto nella poltrona era lo sceriffo della contea di Surrey.

Aveva la maestosa rigidità di un Romano rivestito delle insegne augustali.

La poltrona era l'unico sedile che ci fosse nel sotterraneo.

Accanto alla poltrona si vedeva una tavola coperta di carte e di librisullatavola c'era la lunga bacchetta bianca dello

sceriffo.

Gli uomini in piedi alla sinistra e alla destra dello sceriffo erano duedottoriuno in medicinal'altro in legge; questo era

riconoscibile per la sua cuffia da ufficiale giudiziario messa sullaparrucca. Tutti e due avevano una veste nerauno da

giudicel'altro da medico. Questo genere d'uomini porta il lutto per i mortidi cui è causa.

Dietro lo sceriffoal bordo del gradino formato dalla pietra piattastavarannicchiato un cancelliere con la parrucca

rotondache si teneva vicino a uno scrittoio appoggiato alla pietra con unacartella di cartone sulle ginocchiae un

foglio di pergamena sulla cartella; l'uomocon la penna in manoeranell'atteggiamento di chi è pronto a scrivere.

Il cancelliere apparteneva ai cancellieri guardasacchi; come rivelavauna borsa ai suoi piedi. Quelle borseusate un

tempo nei processierano dette «sacchi di giustizia».

Addossato a uno dei pilastri c'era un uomo a braccia incrociatetuttovestito di cuoio. Era l'assistente del boia.

Quegli uomini sembravano incantati nel loro atteggiamento funebre attornoall'uomo in catene. Nessuno si muoveva né

parlava.

Su tutto aleggiava una calma mostruosa.

Quella che Gwynplaine vedevaera un sotterraneo penale. I sotterraneiabbondavano in Inghilterra. La cripta della

Beauchamp Tower è servita a lungo per quell'usocosì come il sotterraneodella Lollard's Prison. Apparteneva a questo

tipo di recessi il «les vault de Lady Place» di Londraancor oggivisibile. In quest'ultima camera c'era un camino per

scaldare i ferrise ce ne fosse stato bisogno.

Tutte le prigioni del tempo di King-Johntra cui il carcere di Southwarkavevano il loro sotterraneo penale.

Ciò a cui stiamo per assistere eraa quei tempicosa comune inInghilterraea rigor di terminiseguendo la procedura

criminalepotrebbe accadere ancor oggi; perché quelle leggi esistonosempre. L'Inghilterra offre il curioso spettacolo di

un codice barbaro che vive in perfetto accordo con la libertà. L'accoppiataconfessiamoloè eccellente.Qualche sospettotuttavianon sarebbe fuoriluogo. Se sopravvenisse una crisinon sarebbe impossibile una

recrudescenza penale. La legislazione inglese è una tigre addomesticata.Ritira gli artiglima non li ha mai persi.

Saggezza sarebbe tagliare le unghie alle leggi.

Si può quasi dire che la legge ignori il diritto. Da una parte c'è ilsistema penaledall'altra l'umanità. I filosofi

protestano; ma deve passare ancora molto tempo prima che la giustizia degliuomini si ricongiunga alla giustizia.

Rispettare la legge; è la parola d'ordine inglese. In Inghilterra le leggisono così venerateche non vengono mai

abrogate. Ci si può sottrarre a quella venerazione solo non applicandole.Una vecchia legge cade in disuso come una

donna vecchia; ma non per questo si uccidono le vecchie. Si smette difrequentarleecco tutto. Libere poi loro di

credersi sempre belle e giovani. Si permette loro di sognare di esistere.Questa gentilezza si chiama rispetto.

La consuetudine normanna ha un bel po' di rughe; ma ciò non impedisce algiudice inglese di farle ancora gli occhi

dolci. Se è normannaanche un'atroce anticaglia viene affettuosamenteconservata. Cosa c'è di più feroce della forca?

Nel 1867 un uomo è stato condannato ad essere tagliato in quattro pezzi peroffrirli a una donnala regina.

Del resto in Inghilterra non è mai esistita la tortura. Lo dice la storia.È bello l'aplomb della storia.

Matteo di Westminster prende atto del fatto che «la legge sassoneclementissima e bonaria» non puniva con la morte i

criminalie aggiunge: «Ci si limitava a tagliar loro il nasoa cavare gliocchie a strappare le parti che distinguono il

sesso». Nient'altro!

Gwynplainein cima alla scalasconvoltocominciava a tremare in tutte lemembra. Era percorso da ogni tipo di

brivido. Cercava di ricordarsi quali delitti potesse aver commesso. Alsilenzio del wapentake era subentrata la visione di

un supplizio. Era un passo avantima un passo tragico. Vedeva oscurarsisempre di più quel cupo enigma legale di cui

si sentiva vittima.

La forma umana distesa per terra rantolò una seconda volta.

Gwynplaine ebbe l'impressione che lo spingessero adagio sulla spalla.

Era il wapentake.

Gwynplaine comprese che doveva scendere.

Obbedì.

S'inoltrògradino dopo gradinogiù per la scala. Il piano d'appoggio deigradini era molto strettoalto otto o nove

pollici. E nessuna ringhiera. Si poteva scendere solo con precauzione. Ilwapentake scendeva dietro Gwynplaine

tenendo due gradini di distanzacon l'iron-weapon dirittoe dietro ilwapentakealla stessa distanzaveniva il

giustiziere-quorum.

Gwynplainescendendo la scalaaveva l'impressione che anche la speranzavenisse inghiottita. Passo dopo passouna

morte. Ogni scalino che superavaveniva meno in lui la luce. Arrivòsemprepiù pallidoin fondo alla scala.

Quella specie di larvaprostrata e incatenata ai quattro pilastri continuavaa rantolare.

Dalla penombra arrivò una voce:

«Avvicinatevi».

Era lo sceriffo che si rivolgeva a Gwynplaine.

Gwynplaine fece un passo.

«Più vicino»disse la voce.

Gwynplaine fece ancora un passo.

«Ancora più vicino»continuò lo sceriffo.

Il giustiziere-quorum mormorò all'orecchio di Gwynplaine in modo cosìgraveche ne risultò un borbottio solenne:

«Siete davanti allo sceriffo della contea di Surrey».

Gwynplaine avanzò fino al suppliziato che scorgeva disteso al centro delsotterraneo. Il wapentake e il giustiziere -quorum

restarono dov'eranolasciando che Gwynplaine avanzasse da solo.

Quando Gwynplainegiunto fin sotto il vestibolovide da vicino quella cosamiserabile che fino ad allora non aveva

scorto che in lontananzaquella cosa che era un uomo vivola paura si mutòin terrore.

L'uomo legato al suolo era assolutamente nudonon fosse stato per lostraccio odiosamente pudico che potremmo

chiamare la foglia di fico del supplizioche era poi il succingulum deiRomani e il christipannus dei gotida cui è

derivatonel nostro vecchio gergo gallicoil cripagne. Gesùnudosulla crocenon aveva che quello straccio.

Il disgraziatoche Gwynplaine aveva davantisembrava un uomo tra icinquanta e i sessanta. Era calvo. Aveva il mento

ispido di peli bianchi. Aveva gli occhi chiusi e la bocca aperta. Gli sivedevano tutti i denti. La faccia magra e ossuta

assomigliava a un teschio. Le braccia e le gambeassicurate con le catene aiquattro pali di pietraformavano una X. Sul

petto e sul ventre aveva una placca di ferroe sulla placca eranoammonticchiate cinque o sei grosse pietre. Il rantolo a

volte era un soffioa volte un ruggito.

Lo sceriffosenza lasciare il mazzo di rosecon la mano rimasta liberaprese dalla tavola la bacchetta bianca e l'alzò

dicendo: «Obbedienza a sua maestà».

Poi rimise la bacchetta sulla tavola.

Quindicon la lentezza di un rintocco a mortosenza un gestoimmobile comequel disgraziatolo sceriffoa voce alta

disse:

«Uomo qui in cateneascoltate per l'ultima volta la voce della giustizia.Siete stato tirato fuori dalla segreta e portato in

questo carcere. Debitamente interrogato e nelle forme voluteformaliisverbis pressussenza tener conto di ciò che vi è

stato letto e comunicatoe che sta per esservi ripetutovoi vi siete chiusonel vostro silenziorifiutandovi di rispondereal giudicemosso da una malvagiae perversa tenacità. Ciò costituisce un detestabile libertinaggioeconfiguratra le

azioni punibili di cashlitil delittuoso crimine d'oversenesse».

L'ufficiale con la cuffiain piedi a destra dello sceriffointerrompendocon un'indifferenza che aveva qualcosa di

funebredisse:

«Overhernessa. Leggi di Alfred e di Godrun. Capitolo sei».

Lo sceriffo continuò.

«La legge è venerata da tuttieccetto che dai ladroni che infestano iboschi dove le cerve fanno i loro piccoli».

Come una campana che risponde ad un'altral'ufficiale disse:

«Qui faciunt vastum in foresta ubi damae solent founinare».

«Colui che rifiuta di rispondere al magistrato»disse lo sceriffo«èsospettato di ogni vizio. Viene ritenuto capace di

tutti i mali».

Intervenne l'ufficiale:

«Prodigusdevoratorprofusussalaxruffianusebrosiusluxuriosussimulatorconsumptor patrimoniielluoambro

et gluto».

«Tutti i vizi»disse lo sceriffo«suppongono tutti i reati. Chi nonconfessa nulla confessa tutto. Chi tace alle domande

del giudice è di fatto bugiardo e parricida».

«Mendax et parricida»disse l'ufficiale.

Lo sceriffo disse:

«Uomonon è lecito rendersi assente con il silenzio. Il falso contumaceferisce la legge. Egli è come Diomede che ferì

una dea. Il silenzio davanti alla giustizia è una forma di ribellione.Lesa-giustizia significa lesa-maestà. Nulla di più

odioso e di più temerario. Chi si sottrae all'interrogatorio deruba laverità La legge lo ha previsto. In simili casi gli

inglesiin ogni tempohanno goduto del diritto di fossadi forca e dicatene».

«Anglica chartaanno 1088»disse l'ufficiale.

Esempre con la stessa rigida gravitàl'ufficiale aggiunse:

«Ferrumet fossamet furcascum aliis libertatibus».

Lo sceriffo continuò:

«Per questouomopoiché non avete voluto desistere dal silenziobenchésano di mente e perfettamente informato su

ciò che vi richiede la giustiziapoiché siete diabolicamente refrattarioavete dovuto essere messo alla geennaeai

termini degli statuti criminalisiete stato provato con il tormento detto la"pena forte e dura". Ecco ciò che vi è stato

fatto. La legge esige che ve ne informi in modo veritiero. Siete statoportato in questo sotterraneospogliato dei vostri

abitidisteso a terra sul dorsonudole vostre quattro membra sono statetese e legate alle quattro colonne della leggevi

è stata sistemata una tavola di ferro sul ventree vi sono state messe sulcorpo tutte le pietre che potete portare. - E

anche di più - dice la legge».

«Plusque»confermò l'ufficiale.

Lo sceriffo continuò:

«In questa situazionee prima di prolungare la provaio sceriffo dellacontea di Surreyvi ho ripetutamente ingiunto di

rispondere e di parlaree voi avete satanicamente perseverato nel silenziobenché sotto torturain cateneai ceppi

legato e ai ferri».

«Attachiamenta legalia»disse l'ufficiale.

«A causa del vostro rifiuto e ostinazione»disse lo sceriffo«essendogiustamente stabilito che opporsi alla legge

equivale alla ribellione del criminalela prova è continuatacomeprescrivono gli editti e i testi. Il primo giorno non vi è

stato dato da bere né da mangiare».

«Hoc est super jejunare»disse l'ufficiale.

Seguì un silenzio. Si udiva lo spaventoso respiro sibilante dell'uomo sottoil mucchio di p ietre.

L'ufficiale giudiziario terminò il suo intervento:

«Adde augmentum abstinentiae ciborum diminutione. Consuetudo britannicaarticolo cinquecentoquattro».

I due uominilo sceriffo e l'ufficialesi alternavano; niente di più cupodi quella imperturbabile monotonia; una voce

lugubre che rispondeva a una voce sinistra; si sarebbero detti il prete e ildiacono del suppliziocelebravano la feroce

messa della legge.

Lo sceriffo ricominciò:

«Il primo giorno non vi è stato dato da bere né da mangiare. Il secondogiorno vi è stato dato da mangiare ma non da

bere; vi hanno messo tra i denti tre bocconi di pane d'orzo. Il terzo giornovi hanno dato da bere ma non da mangiare. Vi

hanno versato in boccaa tre riprese e in tre bicchieriuna pinta d'acquapresa dal rivolo di scolo della prigione. È

arrivato il quarto giorno. Oggi. Orase continuate a non risponderesareteabbandonato finché non morirete. Così vuole

la giustizia».

L'ufficialesempre pronto alla replicaapprovò:

«Mors rei homagium est bonae legi».

«E mentre vi sentirete morire miseramente»riprese lo sceriffo«nessunovi assisteràanche se vi uscisse il sangue dalla

goladalla barba e dalle ascellee da tutte le aperture del corpodallabocca fino ai reni».

«A throtebolla»disse l'ufficiale«et pabus et subhirciset agrugno usque ad crupponum».

Lo sceriffo continuò:«Fate attenzioneuomo. Perché il seguito viriguarda. Se rinunciate al vostro esecrabile silenzio e confessatesarete

soltanto impiccatoe avrete diritto al meldefeohche è una somma didenaro».

«Damnus confitens»disse l'ufficiale«habeat le meldefeoh. LegesInaecapitolo ventesimo».

«Questa somma»insistette lo sceriffo«vi sarà pagata in doitkinssuskins e galihalpensunico caso in cui questa

moneta possa essere impiegataai termini dello statuto abrogativoannoterzo di Enrico quintoe avrete diritto a godere

dello scortum ante morteme quindi sarete strangolato alla forca.Questi sono i vantaggi della confessione. Desiderate

rispondere alla giustizia?».

Lo sceriffo tacque e attese. Il disgraziato non si mosse.

Lo sceriffo continuò:

«Uomoil silenzio è un rifugio dove c'è più pericolo che salvezza. Latestardaggine è dannata e scellerata. Chi tace

davanti alla giustizia è fellone verso la corona. Non insistete in questadisobbedienza non filiale. Pensate a sua maestà.

Non fate resistenza alla nostra graziosa regina. Quando io vi parlorispondetele. Siate un suddito leale».

Il disgraziato rantolò.

Lo sceriffo riprese:

«Eccoci dunquedopo le prime settantadue ore della provaal quarto giorno.È il giorno decisivouomo. La legge fissa

il confronto al quarto giorno».

«Quarta diefrontem ad frontem adduce»borbottò l'ufficiale.

«La saggezza della legge»continuò lo sceriffo«ha scelto quest'oraestrema per ottenere quello che i nostri avi

chiamavano "il giudizio con il freddo mortale"dato che in quelmomento gli uomini vengono creduti per il loro sì e per

il loro no».

L'ufficiale giudiziario proseguì:

«Judicium pro frodmortellquod homines credenti sint per suum ya et persuum na. Carta del re Adelstan. Primo tomo

pagina centosettantatré».

Dopo un istante d'attesalo sceriffo chinò sul disgraziato la sua facciasevera.

«Uomo disteso a terra...».

Fece una pausa.

«Uomo»gridò«mi ascoltate?».

L'uomo non si mosse.

«In nome della legge»disse lo sceriffo«aprite gli occhi».

Le palpebre dell'uomo rimasero chiuse.

Lo sceriffo si voltò verso il medico in piedi alla sua sinistra.

«Dottorefate la diagnosi».

«Probeda diagnosticum»disse l'ufficiale.

Il medico scese dalla lastra di pietra con una pedante rigiditàsi accostòall'uomosi chinòmise l'orecchio vicino alla

bocca del disgraziatogli sentì le pulsazioni al polsoall'ascella e allacosciae poi si rialzò.

«Allora?»disse lo sceriffo.

«Può ancora ascoltare»disse il medico.

«Vede?»domandò lo sceriffo.

Il medico rispose:

«Può vedere».

A un cenno dello sceriffoil giustiziere-quorum e il wapentake si feceroavanti. Il wapentake si mise vicino alla testa del

poveretto; il wapentake si fermò dietro a Gwynplaine.

Il medico fece un passo indietro verso i pilastri.

Allora lo sceriffoalzando il mazzo di rose come un prete alza l'aspensoriosi rivolse al disgraziato a voce altain tutta

la sua imponenza:

«Parlamiserabile! La legge ti supplica prima di annientarti. Vuoi fartipassare per mutopensa alla tomba che è muta

davvero; vuoi sembrare sordopensa alla sordità della dannazione. Pensaalla morte che è peggio di te. Riflettistai per

essere abbandonato in questa segreta. Ascoltamio similesono un uomo comete! Ascoltafratelloanch'io sono un

cristiano! Ascoltafiglio mioio sono vecchio! Guardati da meperché iosono il padrone della tua sofferenzae tra

poco sarò orribile. L'orrore della legge causa la maestà del giudice. Pensache io stesso tremo davanti a me. Sono

costernato dal mio potere. Non mi spingere agli estremi. Mi sento colmo dellasanta cattiveria del castigo. Abbi dunque

o sventuratoil salutare e onesto timore della giustiziae obbediscimi. Ègiunta l'ora del confrontodevi rispondere. Non

ostinarti a resistere. Non metterti nell'irrevocabile. Pensa che spetta a meconcludere. Mezzo cadavereascolta! A meno

che non ti piaccia spirare qui impiegando oregiorni e settimaneeagonizzare tutto il tempo di una spaventosa agonia

tra fame e fecisotto il peso di queste pietresolo nel sotterraneoabbandonatodimenticatoannullatodato in pasto ai

topi e alle donnolemorsicato dalle bestie delle tenebrementre gli altriandranno e verrannocompreranno e

venderannomentre le vetture correranno sulla strada sopra la tua testa; ameno che non ti convenga rantolare senza

remissione in fondo a questa disperazionedigrignando i dentipiangendoimprecandosenza un medico che rechi

conforto alle tue feritesenza un prete che porga il bicchiere d'acquadivina alla tua anima; oh! A meno che tu non

voglia sentire affiorare sulle labbra la spaventosa schiuma del sepolcrooh!Ti prego e ti scongiuroascoltami! Ti

chiamo in tuo soccorsoabbi pietà di te stessofai ciò che ti si domandacedi alla giustiziaobbediscivolta il capoapri

gli occhie di' se riconosci quest'uomo!».Il disgraziato non girò la testae non aprì gli occhi.

Lo sceriffo diede un'occhiata al giustiziere-quorum e al wapentake.

Il giustiziere-quorum tolse a Gwynplaine il cappello e il mantellolo preseper le spalle e gli mise il volto sotto la luce

dalla parte dell'uomo incatenato. Il viso di Gwynplaine si stagliò in tuttaquell'ombracon il suo strano rilievoin piena

luce.

Nello stesso tempo il wapentake si chinòafferrò per le tempie la testadel disgraziatogirò quella testa inerte verso

Gwynplainee con i pollici e gli indici scostò le palpebre chiuse.Apparvero gli occhi truci di quell'uomo.

Il poveretto vide Gwynplaine.

Alloraalzando da solo la testa e spalancando gli occhilo guardò.

Trasalìper quanto ciò sia possibile a chi ha una montagna sul pettoegridò:

«È lui! È lui!».

E scoppiò in una terribile risata.

«È lui!»ripeté.

Poi lasciò ricadere la testa al suolo e richiuse gli occhi.

«Cancellierescrivete»disse lo sceriffo.

Gwynplainebenché terrorizzatofino a quel momento aveva mostrato unacerta fermezza. Ma il grido di quel

disgraziato: È lui! lo sconvolse. Quel: Cancellierescrivetelo gelò. Gli sembrò di capire che uno scellerato lo

trascinava nel suo destinosenza che luiGwynplainepotesse intuireperchée che l'incomprensibile confessione di

quell'uomo si chiudeva su lui come la cerniera di una gogna. Si videattaccato con quell'uomo alla stessa gogna a due

pali gemelli. Gwynplaine si sentì mancare dallo spavento e si dibatté. Simise a balbettare frasi incoerenticon il

profondo turbamento dell'innocenzaefremendoatterritoperdutogridòle prime cose che gli venivanoe tutte quelle

parole angosciose che sembravano proiettili insensati.

«Non è vero. Non sono io. Non conosco quest'uomo. Non può conoscermiperché io non lo conosco. Mi attende lo

spettacolo di questa sera. Cosa volete da me? Voglio la mia libertà. E nonbasta. Perché sono stato portato in questo

sotterraneo? Allora non ci sono più leggi. Signor giudicelo ripetononsono io. Sono innocente di qualsiasi cosa si

possa dire. Se non lo so io. Voglio andarmene. Non è giusto. Non c'è nullatra quell'uomo e me. Potete informarvi. La

mia vita è trasparente. Sono stato preso come se fossi un ladro. Perché inquesto modo? E quell'uomocome faccio a

sapere chi è? Sono un ambulante che recita farse nelle fiere e nei mercati.Sono l'Uomo che Ride. Un mucchio di gente

è venuta a vedermi. Stiamo nel Tarrinzeau-field. Sono quindici anni chefaccio il mio mestiere onestamente. Ho

venticinque anni. Abito presso l'inn Tadcaster. Mi chiamo Gwynplaine. Fatemila grazia di lasciarmi andar via di qui

signor giudice. Non si deve abusare della meschinità di noi disgraziati.Abbiate pietà di un uomo che non ha fatto nulla

che è indifeso e senza protezione. Davanti a voi c'è un poverosaltimbanco».

«Io ho davanti a me»disse lo sceriffo«lord Fermain ClancharliebaroneClancharlie e Hunkervillemarchese di

Corleone in Siciliapari d'Inghilterra».

Lo sceriffo si alzòe indicando la sua poltrona a Gwynplaineaggiunse:

«Mylordvoglia la signoria vostra sedersi».

LIBRO QUINTO • IL MARE E IL DESTINO SI AGITANO SOTTO LO STESSO SOFFIO

I • SOLIDITÀ DELLE COSE FRAGILI

A volte il destino ci dà un bicchiere di follia da bere. Una mano esce dallanuvolae all'improvviso ci offre un'oscura

coppa che contiene una forma sconosciuta di ebbrezza.

Gwynplaine non capì.

Si voltòper vedere a chi stesse parlando lo sceriffo.

L'orecchio non percepisce il suono troppo acuto; l'intelligenza nonpercepisce un'emozione troppo acuta. C'è un limite

alla comprensione come alla percezione.

Il wapentake e il giustiziere-quorum si avvicinarono a Gwynplaine e lopresero sotto braccioed egli sentì che lo

mettevano a sedere nella poltrona da cui si era alzato lo sceriffo.

Lasciò faresenza capire come potesse accadere una cosa simile.

Quando Gwynplaine fu sedutoil giustiziere-quorum e il wapentake arretraronodi qualche passomettendosi dritti e

immobili dietro la poltrona.

Allora lo sceriffo posò il mazzo di rose sulla pietrasi mise gli occhialiche gli allungava il cancelliereestrasse

dall'incartamento che ingombrava il tavolo un foglio di pergamena macchiatoingiallitoammuffitorosicchiato e qua e

là strappatoche sembrava essere stato piegato più voltecon un latocoperto di scritturaein piedi sotto la luce della

lanternaavvicinando il foglio agli occhicon la sua voce più solennelesse:

«In nome del Padredel Figlio e dello Spirito-Santo.

«Oggi ventinove gennaio milleseicentonovanta di Nostro Signore.

«Un bambino di dieci anni è stato crudelmente abbandonato sulla costadeserta di Portlandcon l'intenzione di lasciarlo

morire di famedi freddo e di solitudine.

«Il bambino è stato venduto all'età di due anni per ordine di sua maestàgraziosissima re Giacomo secondo.«Il bambino è lord Fermain Clancharlieunicofiglio legittimo di lord Linnaeus Clancharliebarone Clancharlie e

Hunkervillemarchese di Corleone in Italiapari del regno d'Inghilterradefuntoe di Anna Bradshawsua sposa

defunta.

«Il bambino è l'erede dei beni e dei titoli di suo padre. Per questo èstato vendutomutilatosfigurato e fatto scomparire

per volontà di sua maestà graziosissima.

«Il bambino è stato allevato e addestrato per fare il saltimbanco neimercati e nelle fiere.

«È stato venduto all'età di due anni dopo la morte del signore suo padree al re sono state date dieci sterline per

l'acquisto del bambinooltre che per varie concessionitolleranze eimmunità.

«Lord Fermain Clancharlie è stato acquistato all'età di due anni da mesottoscrittoche compilo queste righema

mutilato e sfigurato da un fiammingo di Fiandra chiamato Hardquanonneche èl'unico che conosca i segreti e i

procedimenti del dottor Conquest.

«Il bambino era da noi destinato a essere una maschera ridente. Mascaridens.

«Per questo motivo Hardquanonne gli ha praticato l'operazione Bucca fissausque ad auresche stampa sul volto un riso

eterno.

«Il bambinoessendo stato addormentato e reso insensibile durantel'operazione con un sistema noto solo a

Hardquanonneignora di avere subito un tale intervento.

«Egli ignora di essere lord Clancharlie.

«Egli risponde al nome di Gwynplaine.

«Ciò dipende dal fatto che quando è stato venduto e acquistato era moltopiccolo e aveva poca memoriaavendo appena

due anni.

«Hardquanonne è il solo che sappia eseguire l'operazione Bucca fissae questo bambino è il solo essere vivente a cui sia

stata fatta.

«Questa operazione è unica e particolarea tal punto chepure dopo lunghianniil bambinoanche se ormai fosse un

vecchio invece di un bambinoe i suoi capelli neri fossero diventatibianchiverrebbe immediatamente riconosciuto da

Hardquanonne.

«Nel momento in cui scriviamoHardquanonneche conosce bene questi fattiper avervi partecipato come principale

autoreè detenuto nelle prigioni di sua altezza il principe d'Orangecomunemente chiamato Guglielmo III.

Hardquanonne è stato catturato e arrestato come appartenente ai cosiddettiComprachicos o Cheylas. Egli è rinchiuso

nel torrione di Chatam.

«Il bambino ci è stato venduto e consegnato in Svizzera vicino al lago diGinevratra Losanna e Veveynella casa

stessa dove erano morti suo padre e sua madreconformemente agli ordini delredal domestico del defunto lord

Linnaeuschepoco dopoè morto come i suoi padronicosì che questafaccenda delicata e segreta è sconosciuta in

questo momento a tutti tranne che a Hardquanonneche si trova nel carcere diChatame a noiche stiamo per morire.

«Noi sottoscritti per otto anni abbiamo allevato e custodito il piccolosignore che abbiamo comprato dal reper trarne

vantaggio nel nostro commercio.

«Oggial calar della nottefuggendo dall'Inghilterra per non dovercondividere la sorte di Hardquanonneper viltà e

timorea causa delle proibizioni e delle condanne penali emanate dalparlamentoabbiamo abbandonato il bambino

detto Gwynplaineche è lord Fermain Clancharliesulla costa di Portland.

«Oranoi abbiamo giurato di mantenere il segreto al rema non a Dio.

«Questa notteassaliti in mare da una violenta tempesta voluta dallaprovvidenzadisperati e in pericoloinginocchiati

davanti a chi può salvare le nostre vite e che forse vorrà salvare lenostre animenon aspettandoci più nulla dagli uomini

ma temendo tutto da Dioavendo come àncora e risorsa il pentimento per lenostre cattive azionirassegnati a morire e

paghi se daremo soddisfazione alla giustizia celesteumilipenitenti ebattendoci il pettorendiamo questa

dichiarazioneaffidandola e rimettendola alla furia del mare perché nefaccia un buon uso secondo la volontà di Dio. E

che la Santa Vergine ci aiuti. Così sia. E abbiamo firmato».

Lo sceriffointerrompendosidisse:

«Ecco le firme. Tutte di calligrafie diverse».

E ricominciò a leggere:

«Dottor Gernardus Geestemunde. - Asuncion. - Una crocee a fianco: BarbaraFermoydell'isola Tyrryfnelle Ebudi. -

Gaïzdorracapitano. - Giangirate. - Jaques Quatourzedetto il Narbonese. -Luc-Pierre Capgaroupedel bagno penale di

Mahon».

Lo sceriffofermandosi ancoradisse:

«Nota scritta dalla stessa mano del testo e della prima firma».

Poi lesse:

«Dei tre uomini d'equipaggioavendo il mare portato via il padrone conun'ondanon restano che due. E hanno firmato.

Galdeazun. - Ave Marialadro».

Lo sceriffoalternando la lettura alle interruzionicontinuò:

«In fondo al foglio c'è scritto: - In marea bordo della Matutinaorca di Biscagliadel golfo di Pasages -».

«Questo foglio»aggiunse lo sceriffo«è una pergamena di cancelleriacon la filigrana di re Giacomo secondo. In

margine alla dichiarazionee con la medesima calligrafiac'è questa nota:- La presente dichiarazione l'abbiamo scritta

sul retro dell'ordine che ci era stato dato per giustificare il nostroacquisto del bambino. Basta voltare il fogliosi vedrà

l'ordine -».Lo sceriffo voltò la pergamena e l'alzò con la mano destraesponendola alla luce. Si vide una pagina biancase

l'espressione pagina bianca è riferibile a una tale mu ffae in mezzo allapagina tre parole; due in latinojussu regise

una firmaJeffreys.

«Jussu regis. Jeffreys»disse lo sceriffopassando da un tono di vocegrave a uno alto.

Gwynplaine era come un uomo a cui sia appena caduta in testa una tegola delpalazzo dei sogni.

Si mise a parlare come in uno stato d'incoscienza:

«Gernardussìil dottore. Un uomo vecchio e triste. Ne avevo paura. Ilcapitano Gaïzdorracioè il capo. C'erano delle

donneAsuncione l'altra. E poi il provenzale. Era Capgaroupe. Beveva dauna bottiglia piattasu cui c'era un nome

scritto in rosso».

«Eccola»disse lo sceriffo.

E posò sul tavolo una cosa che il cancelliere aveva estratto dalla borsa digiustizia.

Era una fiasca ad anserivestita di vimini. Si vedeva che quella bottigliaaveva corso delle avventure. Doveva essere

rimasta nell'acqua. Vi aderivano conchiglie e conferve. Era incrostata edamascata con tutte le ruggini dell'oceano. Il

collo aveva un collare di catrame che indicava come fosse stata tappataermeticamente. Adesso era dissigillata e aperta.

Tuttavia nel collo era stato rimessa una specie di tampone di cordacatramatache era stato il tappo.

«In questa bottiglia»disse lo sceriffo«quegli uomini che stavano permorire avevano rinchiuso la dichiarazione che

abbiamo letto. Questo messaggioindirizzato alla giustiziale è statofedelmente consegnato dal mare».

Lo sceriffoaccrescendo la maestà della sua intonazionecontinuò:

«Come il monte Harrow eccelle per il grano e fornisce il fior fiore dellafarina con cui si cuoce il pane della mensa

realecosì il mare rende all'Inghilterra ogni servizio possibilee quandoun lord si perdelo ritrova e lo riporta».

Poi continuò:

«In effetti su questa fiasca c'è un nome scritto in rosso».

E alzando la voce si voltò verso il disgraziato immobile:

«Ecco il vostro nomequi presente malfattore. Perché tali sono le oscurevie attraverso cui la veritàinghiottita

dall'abisso delle azioni umanerisale dal fondo alla superficie».

Lo sceriffo prese la fiasca e mostrò alla luce un lato del relitto che erastato pulitoprobabilmente per le necessità della

giustizia. Nell'intreccio dei vimini era visibile la serpentina di un piccolofilo di giunco rossodivenuto a tratti nero ad

opera dell'acqua e del tempo. Il giuncomalgrado qualche rotturadisegnavadistintamente nei vimini queste dodici

lettere: Hardquanonne.

Allora lo scerifforiprendendo quel particolare tono di voce che nonassomiglia a nullae che si potrebbe definire il

tono della giustiziasi voltò verso il disgraziato:

«Hardquanonne! La prima volta che questa fiascasu cui c'è il vostro nomevi è stata mostrata e presentata da noi

sceriffovoi l'avete subito e volentieri riconosciuta come vostra; poiavendovi lettonei suoi termini esattila

pergamena che vi era stata piegata e rinchiusanon avete più volutoparlareenella speranzasenza dubbioche il

bambino abbandonato non venisse ritrovato e di poter dunque sfuggire allapenavi siete rifiutato di rispondere. In

seguito a questo rifiuto vi è stata comminata la pena forte e durae vi èstata letta per la seconda volta la già nominata

pergamenache contiene la dichiarazione e la confessione dei vostricomplici. Inutilmente. Ma oggiquarto giorno

giorno destinato dalla legge al confrontomesso alla presenza di colui chefu abbandonato a Portland il ventinove

gennaio milleseicentonovantaè venuta meno in voi quella diabolicasperanzae avete rotto il silenzio riconoscendo la

vostra vittima...».

Il disgraziato aprì gli occhialzò la testae con quello strano suono divoce che dà l'agoniacon un'indefinibile calma

presente nel suo rantolarepronunciando tragicamente da sotto quel mucchiodi pietre parole che lo costringevano ogni

volta a sollevare quella specie di lastra tombaleiniziò a dire:

«Ho giurato di serbare il segretoe ho mantenuto la promessa più che hopotuto. Gli uomini tetri sono uomini fedelie

anche all'inferno c'è l'onestà. Oggi il silenzio è diventato inutile.Bene. Per questo parlo. Ebbenesì. È lui. L'abbiamo

fatto in due: il re con la sua volontàio con la mia arte».

Eguardando Gwynplaineaggiunse:

«Ora ridi per sempre».

E lui stesso si mise a ridere.

Questa seconda risataancora più feroce della primaavrebbe potuto esserescambiata per un singhiozzo.

Il riso cessòe l'uomo ricadde a terra. Le palpebre si richiusero.

Lo sceriffoche aveva lasciato parlare il suppliziatoproseguì:

«Prendiamo atto di tutto ciò».

Diede al cancelliere il tempo di scriverepoi disse:

«Hardquanonneai termini di leggedopo il risultato del confrontodopouna terza lettura della dichiarazione dei vostri

compliciconfermata ormai e riconosciuta per vostra ammissionedopo lavostra reiterata confessionesarete liberato

dagli impedimentie affidato alla volontà di sua maestà per essereimpiccato come plagiario».

«Plagiario»disse l'ufficiale dalla cuffia. «Cioè compratore e venditoredi bambini. Legge visigotalibro settimotitolo

terzoparagrafo Usurpaverit; e Legge salicatitolo quarantunoparagrafo secondo; e Legge dei Frisonititolo ventuno

De Plagio. E Alessandro Nequam dice: Qui pueros vendisplagiarius esttibi nomen».

Lo sceriffo posò la pergamena sul tavolosi tolse gli occhialiriprese ilmazzoe disse:

«Fine della pena forte e dura. Hardquanonneringraziate sua maestà».Conun cenno il giustiziere-quorum fece venire l'uomo vestito di cuoio.

L'uomochecome dicono le vecchie carteera un aiutante del boia«groomdi forca»andò da quel disgraziatogli

tolse una dopo l'altra le pietre che aveva sul ventresollevò la lastra diferro che lasciò vedere le costole deformate di

quel miserabilepoi liberò i polsi e le caviglie dai quattro collari che lolegavano ai pilastri.

Il disgraziatosenza le pietre e libero dalle catenerimase disteso aterragli occhi chiusile braccia e le gambe

divaricatecome un crocefisso schiodato.

«Hardquanonne»disse lo sceriffo«alzatevi».

Il disgraziato non si mosse.

Il groom di forca gli prese una mano e la lasciò; la mano ricadde. Anchel'altra manosollevataricadde. L'aiutante del

boia prese un piedepoi l'altroi talloni ricaddero con un tonfo a terra.Le dita delle mani e quelle dei piedi rimasero

inerti e immobili. I piedi nudi di un corpo che giace sembrano irti.

Il medico si avvicinòestrasse da una tasca del suo abito un piccolospecchio d'acciaio e lo mise davanti alla bocca

aperta di Hardquanonne; poi con un dito gli aprì le palpebre. Non siriabbassarono. Le pupille vitree restarono fisse.

Il medico si rialzò e disse:

«È morto». Poi soggiunse: «Ha risoe questo l'ha ucciso».

«Poco importa»disse lo sceriffo. «Vivere o moriredopo la confessioneè solo una formalità».

Poiindicando Hardquanonne con un movimento del suo mazzo di roselosceriffo ordinò al wapentake:

«Carcassa da portar via questa notte».

Il wapentake assentì con un cenno del capo.

E lo sceriffo aggiunse:

«Il cimitero della prigione è di fronte».

Il wapentake fece un nuovo cenno d'assenso.

Il cancelliere scriveva.

Lo sceriffotenendo nella mano sinistra il mazzoprese con l'altra mano labacchetta biancasi mise ritto davanti a

Gwynplaine sempre sedutogli fece un profondo inchinopoicon un altrogesto solennegettò la testa indietro e

guardando Gwynplaine in facciagli disse:

«A voi qui presentenoiFilippo Denzill Parsoncavalieresceriffo dellacontea di Surreyassistito da Aubrie

Docminiquescudieroaiutante e cancellieree dai nostri ufficialiordinaridebitamente munito di ordini diretti e

speciali di sua maestàin virtù del nostro mandato e dei diritti e doveriinerenti alla nostra caricae con il permesso del

lord cancelliere d'Inghilterraredatti i processi verbali e presone attovisti i referti comunicati dall'ammiragliatodopo

verifica degli attestati e delle firmedopo aver letto e ascoltato ledichiarazioniespletato il confrontoavendo

completatoesaurito e condotto a buon termine le costatazioni e leinformazioni legalivi notifichiamo e dichiariamo

affinché ne segua ciò che deveche voi siete Fermain ClancharliebaroneClancharlie e Hunkervillemarchese di

Corleone in Siciliapari d'Inghilterrae che Dio protegga vostrasignoria».

Poi s'inchinò.

L'ufficiale giudiziarioil dottoreil giustiziere -quorumil wapentakeilcancellieretutti gli assistentieccetto il boia

rinnovarono l'inchino ancora più profondamentee si abbassarono fino aterra davanti a Gwynplaine.

«Questa poi»gridò Gwynplaine«risvegliatemi!».

E si alzò in piedipallidissimo.

«Vengo infatti a risvegliarvi»disse una voce che non si era ancora udita.

Un uomo uscì da dietro uno dei pilastri. Dal momento che nessuno erapenetrato nel sotterraneo da quando la lastra di

ferro aveva lasciato libero il passaggio al corteo di poliziaera evidenteche quell'uomo se ne stava nell'ombra da prima

dell'ingresso di Gwynplaineche era un osservatore ufficialee che facevaparte del suo dovere e della sua funzione

rimanere lì. L'uomo era grosso e rotondettoin parrucca di corte e con unmantello da viaggiopiù vecchio che giovane

e molto corretto.

Salutò Gwynplaine in modo rispettoso e disinvoltocon l'eleganza delgentiluomo di palazzoe senza la rozzezza del

magistrato.

«Sì»disse«sono venuto per risvegliarvi. State dormendo da venticinqueanni. Siete in un sognoma bisogna uscirne.

Vi credete Gwynplainesiete Clancharlie. Credete di essere un popolanoappartenete all'aristocrazia. Vi credete ultimo

siete il primo. Vi credete istrionesiete senatore. Vi credete poverosietericchissimo. Vi credete piccolosiete grande.

«Risvegliatevimylord!».

Gwynplanea voce bassissima e con un certo terroremormorò:

«Che significa tutto ciò?».

«Ciò significamylord»rispose l'uomo grosso«che io mi chiamoBarkilphedroche sono ufficiale dell'ammiragliato

che questo relittola fiasca di Hardquanonneè stato trovato sulla rivadel mareche mi è stato portato affinché io lo

dissigillassicome prescrive ed esige la mia caricache l'ho aperto allapresenza di due giurati dell'ufficio Jetson

entrambi membri del parlamentoWilliam Blathwaithper la città di BatheThomas Jervoise per Southamptonche i

due giurati hanno descritto e attestato il contenuto della fiascae firmatoil processo verbale d'aperturacongiuntamente

a meche ho fatto il mio rapporto a sua maestàcheper ordine dellareginatutte le formalità legali necessarie sono

state adempiute con la discrezione richiesta da una materia così delicataeche l'ultimail confrontoha appena avuto

luogo; ciò significa che avete un milione di rendita; ciò significa che voisiete lord del Regno Unito della GranBretagnalegislatore e giudicegiudicesupremolegislatore sovranovestito di porpora e di ermellinouguale ai

principisimile agli imperatoriche portate sulla testa la corona dei parie che sposerete una duchessafiglia di re».

Quella trasfigura zione si abbatteva su di lui come un colpo di fulmineGwynplaine svenne.

II • CIÒ CHE ERRA NON SBAGLIA

La storia era cominciata con un soldato che aveva trovato una bottiglia inriva al mare.

Raccontiamo il fatto.

Ad ogni fatto è legato un ingranaggio.

Un giornouno dei quattro cannonieri della guarnigione del castello diCalshor aveva raccolto nella sabbiadurante la

bassa mareauna fiasca di vimini gettata dal flusso. La fiascatuttaammuffitaera chiusa da un tappo incatramato. Il

soldato aveva portato il relitto al colonnello del castelloe il colonnellol'aveva trasmesso all'ammiraglio d'Inghilterra.

L'ammiraglio era poi l'ammiragliato; e l'ammiragliatoper quanto riguardavai relittiera Barkilphedro. Barkilphedro

aveva aperto e stappato la fiascae l'aveva portata alla regina. La reginaaveva immediatamente provveduto. Erano stati

informati e consultati due notevoli consiglieriil lord cancelliere cheperleggeè «custode della coscienza del re

d'Inghilterra»e il lord marescialloche è «giudice delle armi e delladiscendenza della nobiltà». Thomas Howardduca

di Norfolkpari cattolicoche era alto maresciallo ereditariod'Inghilterraaveva fatto dire dal suo deputatoconte

maresciallo Henri Howardconte di Bindonche avrebbe condiviso l'opinionedel lord cancelliere. Quanto al lord

cancelliereera William Cowper. Non dobbiamo confondere questo cancellierecon il suo omonimo e contemporaneo

William Cowperl'anatomista commentatore di Bidlooche pubblicò inInghilterra il Trattato dei muscoliquasi nello

stesso periodo in cui Étienne Abeille pubblicava in Francia La storiadelle ossa; un chirurgo va distinto da un lord. Lord

William Cowper era celebre perchéa proposito del caso di Talbot Yelvertonvisconte Longuevilleaveva sentenziato:

«che davanti alla costituzione inglesela restaurazione di un pari contapiù della restaurazione di un re». La fiasca

trovata a Calshor aveva enormemente risvegliato la sua attenzione. L'autoredi una massima non si lascia sfuggire

l'occasione per applicarla. Si trattava di restaurare un pari. Erano statefatte delle ricerche. Gwynplaineche teneva

cartello sulla stradaera facilmente rintracciabile. Anche Hardquanonne.Egli non era morto. La prigione fa marcire

l'uomoma lo conservasempre che custodire significhi conservare. Raramentegli uomini affidati alle bastiglie

venivano disturbati. Non si cambiava carcere più di quanto non si cambitomba. Hardquanonne era ancora nel torrione

di Chatam. Non avevano che da mettergli le mani sopra. Lo trasferirono daChatham a Londra. Contemporaneamente

presero informazioni in Svizzera. Si accertò che i fatti erano esatti. Nellecancellerie localia Veveya Losannafecero

richiedere il certificato di matrimonio di lord Linnaeus in esiliol'atto dinascita del bambinogli atti di decesso del

padre e della madreil tutto in due copie conformidebitamente autenticate«in caso di necessità». Ogni cosa avvenne

nel massimo segretocon ciò che allora si chiamava la rapidità realee con quel «silenzio di talpa» raccomandato e

praticato da Baconee più tardi codificato in legge da Blackstone per gliaffari di cancelleria e di statoe per qualsiasi

cosa definibile come senatoriale.

Furono verificati lo jussu regis e la firma Jeffreys. Per chiha studiato la patologia di quei capricci detti «beneplaciti»lo

jussu regis è molto semplice. Perché Giacomo II chea quanto pareavrebbe dovuto nascondere quegli attine aveva

lasciato tracce scrittecon il rischio di comprometterne la riuscita?Cinismo. Altezzosa indifferenza. Ah! Voi credete

che solo le puttane manchino di pudore! Anche la ragion di stato non ne ha. Etse cupit ante videri. Vantarsi dei propri

criminiecco cos'è la storia. Il re si tatua come il forzato. È nelproprio interesse sfuggire al gendarme e alla storiama

ciò sarebbe offensivosi desidera invece essere noti e riconosciuti.Guardate il mio braccioosservate questo disegno

un tempio dell'amore e un cuore infiammato trapassato da una frecciasonoioLacenaire. Jussu regis. Io sono Giacomo

II. Si compie una cattiva azioneci si mette sopra il marchio. Perfezionarsicon la sfrontatezzadenunciarsi da soli

rendere eterno il proprio misfattoquesta è l'insolente bravata delmalfattore. Cristina cattura Monaldeschilo fa

confessare e assassinarepoi dice: Io sono regina di Svezia presso il redi Francia. C'è il tiranno che si nascondecome

Tiberioe il tiranno che si vantacome Filippo II. Uno è scorpionel'altro è leopardo. Giacomo II apparteneva a

quest'ultima specie. Eglicome si saaveva un volto aperto e allegrodifferente in questo da Filippo II. Filippo era

lugubreGiacomo era giovale. Comunque feroci. Giacomo II era la tigrebonacciona. Egli eracome Filippo II

perfettamente tranquillo riguardo ai suoi misfatti. Era mostro per grazia diDio. Non doveva dissimulare né attenuare

nullai suoi erano assassinii per diritto divino. Anche lui si sarebbelasciati volentieri alle spalle gli archivi di Simanca

con tutti i suoi delitti numeratidataticlassificatietichettati e messiin ordineciascuno nel suo compartimentocome i

veleni nel laboratorio di un farmacista. Firmare i propri crimini è un gestoda re.

Ogni azione commessa è una tratta emessa sul grande pagatore ignorato.Questa era scaduta con la sinistra girata Jussu

regis.

La regina Annache per un certo verso non era una donnadato che sapevamantenere un segretoaveva richiesto al lord

cancellieresu quel grave affareun rapporto confidenzialedetto«rapporto all'orecchio del re». Le monarchie hanno

sempre fatto uso di questo tipo di rapporti. A Vienna c'era il consiglieredell'orecchiopersonaggio aulico. Si trattava di

un'antica dignità carolingial'auricolarius dei vecchi documentipalatini. Colui che parla a bassa voce all'imperatore.

Williambarone Cowpercancelliere d'Inghilterrache godeva della fiduciadella reginaperché era miope come lei

anzi di piùaveva redatto una memoria che cominciava così: «Agli ordinidi Salomone c'erano due uccelliun'upupa

l'hudbudche parlava tutte le linguee un'aquilail simougankache con lesue ali copriva d'ombra una carovana di

ventimila uomini. Allo stesso modoanche se in forma diversalaprovvidenza» ecc. Il lord cancelliere prendeva atto diun erede di paria rapitoe mutilatopoi ritrovato. Egli non biasimava affatto Giacomo IIche dopo tuttoera il padre della

regina. Lo capiva persino. Prima di tuttoci sono le vecchie massimemonarchiche. E senioratu eripimus. In roturagio

cadat. In secondo luogo esiste un regio diritto di mutilazione.Chamberlayne lo ha constatato. Corpora et bona

nostrorum subjectorum nostra suntha detto Giacomo Idi gloriosa edotta memoria. Sono stati cavati gli occhi anche a

duchi di sangue reale per il bene del regno. Alcuni principitroppo vicinial tronosono stati utilmente soffocati tra due

materassiil fatto passò per apoplessia. Orasoffocare è più chemutilare. Il re di Tunisi ha strappato gli occhi a suo

padreMuley-Assemma i suoi ambasciatori sono stati ricevuti ugualmentedall'imperatore. Dunque il re può ordinare

una soppressione di membro come una soppressione di stato ecc.è legaleecc. Ma una legalità non distrugge l'altra. «Se

l'annegato ritorna a galla e non è mortoè Dio che ritocca l'azione delre. Se si ritrova l'eredegli sia restituita la corona.

Così si fece per lord Allare di Northumbreche era stato anche luisaltimbanco. Così bisogna fare per Gwynplaine

anche lui recioè mylord. La bassezza del lavoro fatto e subito per forzamaggiore non macchia il blasone; ne fa fede

Abdolonimoche era re e che fu giardiniere; Giuseppeche era santo e che fufalegname; Apolloche era un dio e che fu

pastore. «In breveil dotto cancelliere si pronunciava a favore dellareintegrazione in tutti i suoi beni e titoli di Fermain

lord Clancharliechiamato con il falso nome di Gwynplaine«alla solacondizione che venisse messo a confronto con il

malfattore Hardquanonnee da lui riconosciuto». E con questo ilcancellierecustode costituzionale della coscienza

realela rassicurava.

Il lord cancelliere ricordava nel post-scriptum chenel caso in cuiHardquanonne rifiutasse di risponderedoveva

essergli applicata la «pena forte e dura»nel qual casoper raggiungereil periodo detto di frodmortellvoluto dalla carta

di re Adelstanil confronto doveva aver luogo il quarto giorno; ciòpurtroppo presenta il piccolo inconveniente chese il

disgraziato muore il secondo o il terzo giornoil confronto diventadifficile; ma la legge deve essere applicata. Gli

inconvenienti della legge fanno parte della legge.

D'altra partesecondo il lord cancellierenon c'erano dubbi sulriconoscimento di Gwynplaine da parte di

Hardquanonne.

Annaabbastanza al corrente della deformità di Gwynplainenon volendo fartorto a sua sorellaa cui erano passati i

beni dei Clancharliedecise con piacere che la duchessa Josiane sarebbeandata sposa al nuovo lordcioè a Gwynplaine.

La reintegrazione di lord Fermain Clancharlie era del resto un caso moltosemplicepoiché l'erede era legittimo e

diretto. La camera dei lords andava consultata solo per le filiazioni dubbieo per le parie «in abeyance» rivendicate da

collaterali. Cosìsenza risalire più indietroessa fu convocata nel 1782per la baronia di Sidneyreclamata da Elisabeth

Perry; nel 1798per la baronia di Beaumontreclamata da Thomas Stapleton;nel 1803 per la baronia di Chandos

reclamata dal reverendo Tymewell Brydges; nel 1813 per la paria-contea diBanburyreclamata dal luogotenente

generale Knollys ecc.main questo casoniente di simile. Nessun litigio;una legittimità evidente; un diritto chiaro e

certo; non c'era alcun motivo per investirne la camerae la reginaassistita dal lord cancelliereera sufficiente per

riconoscere e ammettere il nuovo lord.

Barkilphedro condusse il gioco.

Grazie a lui la faccenda rimase talmente clandestinail segreto fu cosìermeticamente mantenutoche né Josianené lord

David ebbero sentore del fatto prodigioso che si stava tramando a loro danno.Josianemolto alterasi circondava di

bastioni che la isolavano facilmente. Quanto a lord Davidlo mandarono inmare sulle coste di Fiandra. Stava per

perdere la lordship e non lo sospettava minimamente. Notiamo un particolare.Accadde che a dieci leghe da dove era

alla fonda la squadra navale comandata da lord Davidun capitanodi nomeHalyburtonforzasse il blocco della flotta

francese. Il conte di Pembrokepresidente del consiglioappoggiò unapromozione a contrammiraglio di questo

capitano HalyburtonAnna radiò Halyburton e mise al suo posto lord DavidDirry-Moircosì che a lord Davidquando

avesse appreso di non essere più parirestasse almeno la consolazione diessere contrammiraglio.

Anna si sentiva soddisfatta. Un marito orribile per sua sorellaun bel gradoper lord David. Malizia e bontà.

Sua maestà stava per dar spettacolo. Inoltre diceva a se stessa che riparavaun abuso di potere del suo augusto genitore

che restituiva un membro alla pariache agiva da grande reginacheproteggeva l'innocenza facendo la volontà di Dio

che la provvidenzanelle sue sante e impenetrabili vieecc. È davverodolce compiere un atto di giustizia che torna

spiacevole a qualcuno che non amiamo.

D'altra partealla regina era bastato sapere che il futuro marito dellasorella era deforme. Ma in che modo era deforme

quel Gwyplaineche tipo di bruttezza aveva? Barkilphedro non aveva ritenutonecessario informare la reginae Anna

non si era degnata di chiederlo. Profondità del disdegno reale. Cheimportanza aveva poi? La camera dei lords non

poteva che essere riconoscente. Il lord cancellierel'oracoloavevaparlato. Ripristinare un pari significa restaurare tutta

la paria. In questa occasione la corona si mostrava una buona e rispettosacustode dei privilegi della paria. Qualunque

volto avesse il nuovo lordun volto non è un'obbiezione a un diritto. Annasi disse più o meno tutto ciò e andò diritta al

proprio scopoquel grande e femminile scopo che consiste nel togliersi unasoddisfazione.

La regina si trovava allora a Windsorfatto questo che frapponeva una certadistanza tra gli intrighi di corte e il

pubblico.

Solo chi era strettamente indispensabile fu messo al corrente di quelsegreto. Quanto a Barkilphedrone era felicissimo

una circostanza che aggiunse al suo volto un'espressione lugubre.

Non c'è nulla a questo mondo che possa essere più orribile della gioia.

Egli conobbe la voluttà di assaggiare per primo la fiasca di Hardquanonne.Non ne restò sorpresosolo una mente

limitata prova stupore. E poinon è vero? Ciò gli era proprio dovutoalui che da tanto tempo montava la guardia al

caso. Dal momento che aspettavabisognava pure che arrivasse qualcosa.Il nilmirari faceva parte del suo contegno. Perché in fondodiciamolosi erameravigliato. Se qualcuno avesse potuto

togliergli la maschera che egli metteva sulla coscienzapersino davanti aDioavrebbe trovato quanto segue: proprio

allora Barkilphedro iniziava a convincersi che gli sarebbe stato del tuttoimpossibileessendo un nemico intimo e

infimoprodurre una frattura nella superiore esistenza della duchessaJosiane. Da qui un frenetico accesso di animosità

nascosta. Era arrivato a quella forma di parossismo che si chiamascoraggiamento. Tanto più furioso in quanto era

disperato. Mordere il frenotragica verità dell'espressione! Un malvagioche mordeva l'impotenza. Barkilphedro era

arrivato forse al punto di rinunciarenon a volere il male di Josianema arealizzarlonon alla rabbiama al morso.

Eppureche smacco abbandonare la presa! Dover rinfoderare l'odio come unpugnale da museo! Una dura umiliazione.

Ma all'improvvisoal momento opportuno- l'universo nel suo immenso spiritod'avventura si diletta di simili

coincidenze - di onda in onda gli arrivò tra le mani la fiasca diHardquanonne. C'è nell'ignoto qualcosa di addomesticato

che semb ra alle dipendenze del male. Barkilphedroassistito da duetestimoni qualsiasiindifferenti giurati

dell'ammiragliatostappa la fiascatrova la pergamenala dispiegalegge... Ci si immagini che mostruosa radiosità!

È curioso pensare che il mareil ventogli spazii flussi e riflussiletempestele bonaccele raffichepossano darsi

tanta pena per rendere contento un malvagio. Tutta quella complicità eradurata quindici anni. Opera misteriosa.

Durante quei quindici anni l'oceano non era rimasto un solo minuto inattivo.Le onde si erano passate da una all'altra la

bottiglia galleggiantegli scogli avevano schivato l'urto del vetronessunaincrinatura aveva crepato la fiascanessun

attrito aveva logorato il tappole alghe non avevano fatto marcire i viminile conchiglie non avevano smangiato la

parola Hardquanonnel'acqua non era penetrata nel relittola muffanon aveva dissolto la pergamenal'umidità non

aveva cancellato la scritturaquante cautele non aveva dovuto prenderel'abisso! Cosìquello che Gernardus aveva

gettato nell'ombral'ombra l'aveva consegnato a Barkilphedroe il messaggioinviato a Dio era arrivato al demonio.

C'era stato un abuso di fiducia nell'immensitàe l'oscura ironia che simescola con le cose era riuscita a comp licare

quell'onesto trionfoil bambino perduto Gwynplaine che tornava ad esserelord Clancharliecon una vittoria velenosa

compiendo malvagiamente una buona azionee mettendo la giustizia al serviziodell'iniquità. Riprendere la vittima a

Giacomo II voleva dire dare una preda a Barkilphedro. Sollevare Gwynplainesignificava abbandonare Josiane.

Barkilphedro era riuscito; ed era per questo che nel corso di tanti anni leondei cavallonile rafficheavevano

sballottatoscossospintogettatotormentato e rispettato quella bolla divetrodove c'erano tante esistenze mischiate!

Per questo c'era stato un accordo tra i ventile maree e le tempeste! Lavasta e compiacente agitazione del prodigio per

un miserabile! L'infinito che collabora con un lombrico! Il destino ha diqueste imperscrutabili volontà.

Barkilphedro ebbe un lampo d'orgoglio titanico. Si disse che tutto ciò eraaccaduto nel suo interesse. Si sentì centro e

scopo.

Si sbagliava. Riabilitiamo il caso. Non era quello il vero significato delfatto notevole di cui approfittava l'odio di

Barkilphedro. L'oceano che si faceva padre e madre di un orfanoinviando aisuoi carnefici una tempestaspezzando la

barca che aveva respinto il bambinoinghiottendo le mani giunte deinaufraghirifiutando ogni loro supplica e non

accettando che il loro pentimento; la tempesta che riceveva un deposito dallemani della morte; il robusto naviglio dove

c'era il criminesostituito dalla fragile boccetta dove c'è la riparazione;il mare che cambiava ruolocome una pantera

che diventasse nutricee si metteva a cullarenon il bambinoma il suodestinomentre egli cresceva ignorando tutto

ciò che l'abisso faceva per lui; le ondedove era stata gettata la fiascache vegliavano su quel passato in cui c'era un

avvenire; l'uragano che vi soffiava sopra bonariamente; le correnti chedirigevano il fragile relitto attraverso

l'insondabile itinerario dell'acqua; i riguardi delle alghedei cavallonidegli scoglitutta la vasta schiuma dell'abisso che

prendeva sotto la sua protezione un innocente; l'onda imperturbabile come unacoscienza; il caos che ristabiliva l'ordine;

il mondo delle tenebre che sfociava nella luce; tutta l'ombra finalizzataalla comparsa di un astro: la verità; il proscritto

consolato nella tombal'erede restituito all'ereditàil delitto del reannullatola premeditazione divina obbeditail

piccoloil debolel'abbandonatoche ha per tutore l'infinito; ecco ciòche Barkilphedro avrebbe potuto vedere nelle

circostanze che gli permettevano di trionfare; ecco ciò che non vide. Nondisse certo a se stesso che tutto era accaduto

per Gwynplaine; egli si disse che tutto era stato fatto per Barkilphedro; eche ne valeva la pena. Questi sono i satana.

Del restobisognerebbe avere una scarsa conoscenza della profonda dolcezzaoceanicaper meravigliarsi che un fragile

relitto abbia potuto navigare per quindici anni senza esserne danneggiato.Quindici anniniente. Il 4 ottobre 1867nel

Morbihantra l'isola di Groixla punta della penisola di Graves e loscoglio degli Errantialcuni pescatori di Port-Louis

hanno trovato un'anfora romana del IV secoloricoperta dagli arabeschi delleincrostazioni marine. L'anfora aveva

galleggiato per millecinquecento anni.

Per quanto Barkilphedro avesse voluto apparire flemmaticoil suo stupore erastato uguale solo alla sua gioia.

Tutto si offrivatutto sembrava predisposto. I tronconi dell'avventura cheavrebbe soddisfatto il suo odio erano

anticipatamente sparsialla sua portata. Non aveva che da avvicinarli esaldarli. Una composizione divertente da

eseguire. Cesellatura.

Gwynplaine! Conosceva quel nome. Masca ridens! Come tuttiegli eraandato a vedere l'Uomo che Ride. Aveva letto

l'insegna-cartello affissa all'inn Tadcastercosì come si legge lalocandina di uno spettacolo che attira la folla; l'aveva

notata; se la ricordò subito nei minimi dettaglilibero comunque diverificare in seguito; il cartellonenella sua fulminea

rievocazioneriapparve nelle profondità del suo sguardo e si collocòaccanto alla pergamena dei naufraghicome una

risposta accanto alla domandacome la soluzione accanto all'enigma; e quellerighe: «Qui si vede Gwynplaine

abbandonato all'età di dieci annila notte del 29 gennaio 1690sulla rivadel marea Portland»assunsero ai suoi occhi

un improvviso bagliore d'apocalisse. Ebbe la visione di Mane Thecel Pharesfiammeggianti sopra un imbonimento da

fiera. Quel cumulo di fatti era l'esistenza di Josiane. Crollo improvviso. Ilbambino perduto veniva ritrovato. C'era unlord Clancharlie . David Dirry-Moirera spazzato via. La pariala ricchezzail potereil rangotutto ciò uscivada lord

David per entrare in Gwynplaine. Tuttocastellicacceforestepalazzireggedominiivi compresa Josianeera di

Gwynplaine. E che soluzione per Josiane! Chi le stava davanti ora? Illustre ealtezzosaun istrione; bella e raffinataun

mostro. Si sarebbe mai potuto sperare tanto? La verità è che Barkilphedroera entusiasta. L'infernale munificenza

dell'imprevisto può veramente superare i più odiosi raggiri. Quando larealtà lo vuoleessa sa fare dei capolavori.

Barkilphedro trovò che i suoi sogni erano insignificanti. Aveva di meglio.

Se il mutamento che stava per verificarsi a suo vantaggio si fosse realizzatocontro di luinon per questo egli vi si

sarebbe opposto. Ci sono insetti feroci e disinteressati che pungono pursapendo che di quella puntura moriranno.

Barkilphedro era uno di quegli insetti.

Ma questa volta non poteva vantarsi del disinteresse. Lord David Dirry-Moirnon gli doveva nullamentre lord Fermain

Clancharlie gli avrebbe dovuto tutto. Da protettoBarkilphedro stava perdiventare protettore. E protettore di chi? Di un

pari d'Inghilterra. Avrebbe posseduto un lord! Un lord sarebbe stato una suacreatura! Barkilphedro stava già pensando

come indirizzarlo bene. Quel lord sarebbe stato il cognato morganatico dellaregina! Essendo così brutto sarebbe

piaciuto alla regina almeno quanto sarebbe dispiaciuto a Josiane. In quelclima favorevoleindossando abiti gravi e

modestiBarkilphedro poteva diventare un personaggio. Da sempre si erapensato destinato alla Chiesa. Aveva un vago

desiderio di essere vescovo.

Nel frattempoegli era felice.

Che successo! E come era ben fatto tutto quel lavorio del caso! La suavendettapoiché tutto ciò egli lo chiamava la sua

vendettagli veniva portata mollemente dai flutti. Non invano era rimasto inagguato.

Lui era lo scoglio. Josiane era il relitto. Josiane stava per incagliarsi suBarkilphedro! Che estasi profonda e scellerata.

Egli era bravo in quell'arte che si chiama suggestionee che consiste nelfare nell'animo altrui una piccola incisione

dove si mette un'idea propria; pur tenendosi in dispartee senza aver l'ariad'immischiarsenefece in modo che Josiane

si recasse alla baracca della Green-Boxe che vedesse Gwynplaine. Ciò nonpoteva nuocere. Il saltimbanco visto nella

sua bassezzaun buon ingrediente nella combinazione. Più tardi sarebbestato un giusto condimento.

Egli aveva predisposto tutto in silenzio. Voleva qualcosa d'improvviso. Illavoro svolto poteva essere espresso solo con

queste strane parole: costruire un fulmine a ciel sereno.

Terminati i preliminariegli aveva vigilato affinché tutte le formalitàvolute fossero adempiute nelle forme legali. La

segretezza non ne aveva soffertodal momento che il silenzio era parteintegrante della legge.

Il confronto tra Hardquanonne e Gwynplaine aveva avuto luogo; Barkilphedro viaveva assistito. Ne abbiamo appena

visti gli esiti.

Il giorno stessouna carrozza postale della regina arrivò all'improvviso daparte di sua maestà per cercare lady Josiane a

Londra e condurla a Windsordove in quel momento Anna trascorreva lastagione. Qualcosa suggeriva a Josiane di

disobbedireo almeno di ritardare di un giorno l'atto d'obbedienzarimandando la partenza al giorno dopoma la vita di

corte non ammette simili resistenze. Dovette mettersi subito in camminoabbandonando la residenza di Londra

Hunkerville-Houseper la residenza di WindsorCorleone-lodge.

La duchessa Josiane aveva lasciato Londra nel momento in cui il wapentake sipresentava all'inn Tadcaster per

prelevare Gwynplaine e condurlo nei sotterranei penali di Southwark.

Quando giunse a Windsorl'usciere dalla verga nerache fa la guardia allaporta della camera dei ricevimentila

informò che sua maestà era occupata con il lord cancelliere e non avrebbepotuto riceverla che il giorno dopo; che di

conseguenza doveva restare a Corleone-lodgea disposizione di sua maestàeche sua maestà le avrebbe inviato i suoi

ordini direttamente la mattina successivaal suo risveglio. Josiane feceritorno a casa molto indispettitacenò di cattivo

umoreebbe l'emicraniacongedò tuttieccetto il mozzopoi congedò ancheluie si coricò che faceva ancora giorno.

Arrivandoaveva saputo che l'indomani stesso lord David Dirry-Moir eraatteso a Windsoravendo ricevuto in mare

l'ordine di recarsi dalla regina per prendere degli ordini.

III • «NESSUN UOMO POTREBBE PASSARE IMPROVVISAMENTE DALLA SIBERIA ALSENEGAL SENZA

PERDERE CONOSCENZA» (Humboldt)

Che un uomoanche il più sicuro ed energicosvenga sotto un'improvvisamazzata della fortunanon è un fatto che

deve sorprendere. Un uomo può essere accoppato dall'imprevisto come un buedalla scure. Francesco d'Albescolalo

stesso che strappava dai porti turchi la loro catena di ferroquando divennepaparestò senza conoscenza per un giorno

intero. Orail passo da cardinale a papa è inferiore a quello dasaltimbanco a pari d'Inghilterra.

Nulla è più violento delle rotture d'equilibrio.

Quando Gwynplaine tornò in sé e riaprì gli occhiera notte. Gwynplaine sitrovava in una poltrona in mezzo a una vasta

camera tutta coperta di velluti rossimurisoffitto e pavimento. Sicamminava sul velluto. Accanto a lui c'erain piedia

testa scopertal'uomo dal grosso ventre e con il mantello da viaggio che erasbucato da dietro un pilastro nei sotterranei

di Southwark. Gwynplaine si trovava in quella camera solo con quell'uomo.Allungando un braccio dalla sua poltrona

egli poteva toccare due tavoliciascuno con una girandola di sei candele dicera accese. Su uno dei tavoli c'erano delle

carte e un cofanetto; sull'altro delle provviste: pollo freddovinobrandyil tutto su un vassoio dorato.

Dai vetri di un'alta finestrache andava dal pavimento al soffittoilchiaro cielo di una notte d'aprile lasciava intravedere

all'esterno un semicerchio di colonne attorno a una corte d'onorechiusa daun portale a tre porteuna larghissima e due

basse; il portonemolto grandein mezzo; la porta per i cavalieri a destrameno grande; a sinistra la porta per i pedonipiccola. Le porte erano chiuse dacancelli con le punte che brillavano; la porta centrale era sormontata da unagrande

scultura. Le colonne erano probabilmente in marmo biancocome pure illastricato della corteche dava un'impressione

di neve e checon la sua distesa di lastre orizzontaliincorniciava unmosaico appena distinguibile nell'ombra;

certamente il mosaicovisto alla luce del giornocon i suoi smalti e i suoicolorisi sarebbe rivelato un gigantesco

stemmasecondo il gusto fiorentino. Zig-zag di balaustre che salivano escendevanosegnalando scalinate di terrazze.

Sopra la corte si alzava un'immensa architettura che la notte offuscava. Ilcieloa intervalliera pieno di stellecontro

cui si stagliava il profilo di un palazzo.

Si scorgeva un tetto smisuratofacciate a volutemansarde a visiera comecaschicamini simili a torricornicioni pieni

di dei e dee immobili. Nella penombraattraverso il colonnatozampillavauna di quelle fontane fantasmagorichecon il

loro dolce rumorecheversandosi di vasca in vascamescolano la pioggiaalla cascatacome uno scrigno stracolmoe

disperdono follemente al vento diamanti e perlequasi volessero divertire lestatue che le circondano. Lunghe file di

finestre si profilavanoseparate da panoplie a tutto tondo e da busti supiedistalli. Trofei e morioni dai pennacchi di

pietra si alternavano agli dei sugli acroteri.

In fondo alla camera dove si trovava Gwynplainedi fronte alla finestrasivedevada una parte un camino alto come un

muroe dall'altrasotto un baldacchinouno di quegli spaziosi lettifeudali dove si sale con una scala e dove ci si può

coricare di traverso. Di fianco c'era lo sgabello del letto. Una fila dipoltrone lungo i muri e una di sedie davanti alle

poltrone completavano il mobilio. Il soffitto era a volte di sepolcro; nelcamino ardeva una gran fiamma di fuoco di

legna alla francese; dalla ricchezza delle fiamme e dalle loro striature rosae verdiun esperto avrebbe detto che quel

fuoco era di legna di frassinoun gran lusso; la camera era così grande chele due girandole la lasciavano nell'oscurità.

Qua e là delle portebasse e fluttuantiindicavano l'acceso ad altrecamere. L'insieme aveva l'aspetto quadrato e

massiccio del tempo di Giacomo Iuna moda antiquata e superba. Come iltappeto e la tappezzeriaanche il

baldacchinoil lettolo sgabellole tendeil caminole gualdrappe deitavolile poltronele sedietutto era di velluto

cremisi. Niente orotranne il soffitto. Lìa eguale distanza dai quattroangolisplendeva un enorme scudo rotondo di

metallo sbalzatodove luccicava un abbagliante rilievo di stemmi; traquestisu due blasoni accostatisi distinguevano

un tortiglio baronale e una corona da marchese; era di rame dorato? Erad'argento dorato? Non si capiva. Sembrava

d'oro. E al centro di quel soffitto principescocielo magnifico e oscuroloscudo fiammeggiante aveva tutto il cupo

splendore di un sole nella notte.

Un uomo selvaggio che racchiuda un uomo libero si sente a disagio in unpalazzo quasi quanto in una prigione. Quel

luogo superbo era inquietante. Ogni magnificenza emana qualcosa dispaventoso. Chi poteva abitare quell'augusta

dimora? A quale colosso apparteneva tutta quella grandezza? Di quale leonequel palazzo era l'antro? Gwynplainenon

ancora del tutto svegliosentiva una stretta al cuore.

«Dove mi trovo?»disse.

L'uomo che gli stava davantiin piedirispose:

«Siete in casa vostramylord».

IV • FASCINATION

Ci vuole tempo per tornare a galla.

Gwynplaine era stato gettato in un fondo di stupore.

Non si familiarizza subito con l'ignoto.

Ci sono disfatte nelle idee come nelle armate; la riorganizzazione non èimmediata.

Ci si sente come spersi. Si assiste a una bizzarra dissipazione di se stessi.

Dio è il braccioil caso è la fiondal'uomo è il sasso. Provate aresistere una volta lanciati.

Gwynplainese ci si passa l'espressionerimbalzava da uno stuporeall'altro. Dopo la lettera d'amore della duchessala

rivelazione nel sotterraneo di Southwark.

Quando in un destino ci si mette l'inattesotenetevi prontia un colpo neseguirà un altro. Se quella selvaggia porta si

aprele sorprese vi si precipitano dentro. Una volta aperta la breccia nelvostro murouna calca di avvenimenti andrà ad

ingolfarvisi. Lo straordinario non si scomoda per poco.

Lo straordinario è un'oscurità. Quell'oscurità stava sopra Gwynplaine.Ciò che gli accadeva gli sembrava

incomprensibile. Percepiva tutto attraverso la nebbia che solo un'emozioneprofonda può lasciare nell'intelligenzacome

la polvere di un crollo. La scossa era stata radicale. Niente era chiaro. Etuttaviapoco alla voltatorna la trasparenza.

Attimo dopo attimo diminuisce la densità dello stupore. Gwynplaine era comeuno che stesse ad occhi sbarrati in un

sognoper tentare di scorgerne l'interno. Scomponeva la nubepoi laricomponeva. A tratti si smarriva. Stava subendo

quell'oscillazione della mentetipica degli imprevistichedi volta involtavi spinge a capire e a non capire più. A chi

non è mai capitato di avere un tale bilanciere nel cervello?

Gradatamente il suo pensiero si dilatava nelle tenebre dell'incidentecomela pupilla nelle tenebre del sotterraneo di

Southwark. La difficoltà consisteva nell'arrivare a separare almeno un po'le tante sensazioni che si erano accumulate.

Perché possa verificarsi quella combustione di idee inquietedettacomprensioneoccorre che ci sia dell'aria tra le

emozioni. Qui l'aria mancava. L'avvenimentoper così direnon erarespirabile. Entrando nel terrificante sotterraneo di

SouthwarkGwynplaine si era visto messo alla gogna dei forzati; invece gliavevano posto sul capo la corona dei pari.

Com'era possibile? Non c'era spazio sufficiente tra ciò che Gwynplaine avevatemuto e ciò che gli era capitato; tutto siera succeduto in modo troppo rapidotroppo bruscamente lo spavento si era mutato in altrotroppo per essere anche

chiaro. I due estremi erano eccessivamente stretti uno contro l'altro.Gwynplaine si sforzava di sottrarsi a quella morsa.

Taceva. È l'istinto dei grandi stuporiche stanno sulla difensiva più diquanto si creda. Chi non dice nulla è pronto a

tutto. Una parola che vi sfuggee viene afferrata dall'ingranaggiosconosciutopuò tirarvi tutto intero fra chissà quali

ruote.

I piccoli hanno paura di essere schiacciati. La folla teme sempre che levengano messi i piedi sopra. Gwynplaine era

appartenuto molto tempo a quella folla.

C'è un'espressione che rende bene una caratteristica inquietudine umana:stare in attesa. Gwynplaine si trovava in quella

situazione. Non si è ancora trovato l'equilibrio con ciò che sta peraccadere. Sorvegliamo qualcosa che avrà un seguito.

Siamo vagamente attenti. Siamo in attesa. Di cosa? Non lo sappiamo. Di chi?Guardiamo.

L'uomo dal grosso ventre ripeté:

«Siete in casa vostramylord».

Gwynplaine si toccò. Quando qualcosa ci sorprendeprima guardiamo perassicurarci che le cose esistonopoi ci

tocchiamoper assicurarci che esistiamo noi. Era a lui che stavano parlando;ma lui era un altro. Egli non aveva più il

suo capingot e la sua schiavina di cuoio. Indossava un giubbetto di pannoargentatoe un abito di raso cheal tatto

appariva ricamato; nella tasca del giubbetto avvertiva una grossa borsapiena. Larghe brache di velluto coprivano i suoi

stretti e attillati pantaloni da clown; aveva delle scarpe con alti tacchirossi. Mentre lo trasportavano nel palazzogli

avevano cambiato gli abiti.

L'uomo continuò:

«Che vostra signoria si degni di ricordare che il mio nome è Barkilphedro.Sono un impiegato dell'ammiragliato. Io ho

aperto la fiasca di Hardquanonne e ne ho fatto uscire il vostro destino. Allostesso modo di comenelle favole arabeun

pescatore fa uscire un gigante da una bottiglia».

Gwynplaine fissò i suoi occhi su quel viso sorridente che gli stavaparlando.

Barkilphedro continuò:

«Oltre a questo palazzomylordvoi possedete HunkervilleHouseche èancora più grande. Voi possedete Clancharlie -castle

sede della vostra pariache è una fortezza del tempo di Edoardo il Vecchio.Vi appartengono diciannove balie

con villaggi e contadini. Ciò mette sotto le vostre insegne di lord e dinobleman circa ottantamila vassalli e servi

demaniali. A Clancharlie siete giudicegiudice di tuttodei beni e dellepersonee tenete corte da barone. Il re vi è

superiore solo nel diritto di battere moneta. Il reche la legge normannadefinisce chief-seniorha diritto di giudicareha

diritto di corte e di conio. Conio significa moneta. Tranne quest'ultimodirittovoi siete re nella vostra signoriacome

egli lo è nel suo reame. Come barone voi avete diritto a una forca conquattro pilastri in Inghilterrae come marchese a

una forca con sette pali in Siciliapoiché la giustizia del semplicesignore ha due pilastriquella del castellano tree

quella del duca otto. Nei vecchi documenti di Nortumbria siete chiamatoprincipe. Siete imparentato in Irlanda con i

visconti Valentiache sono Powere in Scozia con i conti d'Umfravillechesono Angus. Siete capo di un clan come

CampbellArd mannach e Mac-Callumore. Avete otto castellanieReculverBuxtonHell-KertersHombleMoricambe

GumdraithTrenwardraith e altre. Avete un diritto sulle torbiere diPillinmore e sulle cave d'alabastro di Trent; inoltre

avete tutto il paese di Pennethchasee una montagna con un'antica città incima. La città si chiama Vinecauton; la

montagna si chiama Moil-enlli. Tutto ciò vi procura una rendita diquarantamila sterlinecioè quaranta volte la rendita

di venticinquemila franchi di cui si accontenta un francese».

Mentre Barkilphedro parlavaGwynplainein un crescendo di stuporesiricordava. Il ricordo è una voragine che una

sola parola può smuovere fino in fondo. Gwynplaine conosceva tutti quei nomipronunciati da Barkilphedro. Essi erano

scritti nelle ultime righe dei due manifesti che tappezzavano il baracchinodove era trascorsa la sua infanziaea forza

di avervi lasciato scorrere sopra macchinalmente lo sguardoli avevaimparati a memoria. Arrivandoorfano

abbandonatonella carretta di Weymouthvi aveva trovato ad attenderlol'inventario della sua ereditàe quando al

mattino il poveretto si svegliavail suo sguardo svagato e distrattosillabava per prime due cose: la sua signoria e la sua

paria. Curioso particolare che andava ad aggiungersi a tutte le altresorprese: per quindici annivagando di crocevia in

croceviaclown su un palco di nomadimentre si guadagnava il pane giornodopo giornoraccogliendo spiccioli e

vivendo di bricioleegli aveva viaggiato con la sua fortuna affissa sullasua miseria.

Barkilphedro toccò con l'indice il cofanetto che stava sulla tavola:

«Mylordquesto cofanetto contiene duemila guinee che sua maestà graziosala regina vi manda per le vostre prime

necessità».

Gwynplaine si mosse.

«Saranno per mio padre Ursus»disse.

«Va benemylord»disse Barkilphedro. «Ursusall'inn Tadcaster. Glieliporterà l'ufficiale dalla cuffia che ci ha

accompagnato fin qui e che sta per ripartire. Forse andrò io stesso aLondra. In questo caso me ne incarico io».

«Glieli porterò io»replicò Gwynplaine.

Barkilphedro smise di sorrideree disse:

«Impossibile».

L'inflessione di voce di Barkilphedro era di quelle che sottolineano quelloche si sta dicendo. Stette in silenziocome

per mettere un punto dopo la parola che aveva pronunciato. Poicon ilparticolare tono rispettoso del servitore che si

sente padroneaggiunse:«Mylordvoi siete quia ventitre miglia da Londranella vostra residenza di cortea Corleone-lodgecontigua al

castello reale di Windsor. Nessuno sa che siete qui. Siete stato trasportatoin una carrozza chiusa che vi attendeva sulla

porta del carcere di Southwark. Gli uomini che vi hanno introdotto in questopalazzo ignorano la vostra identitàma

conoscono mee ciò basta loro. Avete potuto essere condotto fino a questoappartamento grazie a una chiave segreta

che io posseggo. Ci sono in casa persone che dormonoe non è l'ora disvegliare la gente. Perciò abbiamo tempo per

una spiegazione che comunque sarà breve. Ve la darò. Ho l'incarico da suamaestà».

Barkilphedro si mise a scartabellare un fascio di incartamenti che stavanovicino al cofanetto.

«Mylordecco la vostra lettera patente di pari. Ecco il brevetto del vostromarchesato siciliano. Ecco le pergamene e i

diplomi delle vostre otto baronie con i sigilli di undici reda Baldretredel Kentfino a Giacomo VI e Ire d'Inghilterra

e di Scozia. Ecco le vostre lettere di precedenza. Ecco i vostri contratti direndita e i titoli e le descrizioni dei vostri

feudiallodidipendenzepaesi e domini. Sopra la vostra testain quelblasone sul soffittoci sono le vostre due corone

il tortiglio baronale con perle e il cerchio a fioroni di marchese. Quiaccantonel vostro guardarobac'è il vostro abito da

pari in velluto rosso con strisce d'ermellino. Oggi stessoqualche ora fail lord cancelliere e il deputato conte

maresciallo d'Inghilterrainformati del risultato del vostro confronto conil comprachicos Hardquanonnehanno preso

ordini da sua maestà. Sua maestà ha firmato secondo la sua volontàche èpoi la legge stessa. Ogni formalità è stata

adempiuta. Domaninon più tardi di domanivoi sarete ammesso alla cameradei lords; da alcuni giorni vi si sta

deliberando a proposito di una legge presentata dalla corona e che ha peroggetto l'aumento di centomila sterlinecioè

due milioni e cinquecentomila lire francesidella dotazione annuale del ducadi Cumberlandmarito della regina; voi

potrete prendere parte alla discussione».

Barkilphedro s'interrupperespirò lentamentee proseguì:

«E tuttavia nulla è ancora deciso. Non si è pari d'Inghilterra malgrado sestessi. Tutto può annullarsi e scomparirese

non comprendete. Capita in politica che un fatto si dilegui prima di vederela luce. Mylordin questo momento voi siete

ancora avvolto nel silenzio. La camera dei lords sarà informata solo domani.Su tutta la vostra vicenda è stato

mantenuto il segreto per ragioni di statoe le ragioni di stato sono cosìpotenti che le persone responsabilile sole che in

questo momento sappiano della vostra esistenza e dei vostri dirittiqualoravenisse loro comandato di dimenticare tutto

lo farebbero immediatamente. Ciò che è nella nottenella notte puòrestare. È facile cancellarvi. Ciò è tanto più facile in

quanto voi avete un fratellofiglio naturale di vostro padre e di una donnachedurante l'esilio di vostro padreè stata

l'amante del re Carlo IIil che rende vostro fratello ben accolto a corte;oraè proprio a vostro fratelloper quanto

bastardoche andrebbe la vostra paria. Volete questo? Non penso. Ebbenetutto dipende da voi. Bisogna obbedire alla

regina. Voi non lascerete la residenza che domanisu una vettura di suamaestàe per recarvi alla camera dei lords.

Mylordvolete essere pari d'Inghilterrasì o no? La regina ha dei progettisu di voi. Vi destina a una parentela quasi

reale. Lord Fermain Clancharliequesto è il momento decisivo. Il destinonon apre una porta senza chiuderne un'altra.

Dopo aver fatto un passo in avantinon è possibile farne uno indietro. Chientra nella trasfigurazione si lascia alle spalle

un dissolvimento. MylordGwynplaine è morto. Capite?».

Gwynplaine tremò dalla testa ai piedipoi si riprese.

«Sì»disse.

Barkilphedro sorriseprese il cofanetto sotto il suo mantelloe uscì.

V • SI CREDE DI RICORDARESI DIMENTICA

Cosa sono questi strani cambiamenti visibili che avvengono nell'anima umana?

Gwynplaine era stato al tempo stesso sollevato su una cima e precipitato inun abisso.

Provava le vertigini.

Vertigini doppie.

La vertigine della salita e quella della caduta.

Combinazione fatale.

Si era accorto di salirema non di cadere.

È una cosa spaventosa vedere un nuovo orizzonte.

Una prospettiva suggerisce dei consigli. Non sempre buoni.

Davanti a lui si era aperta una nube favolosaforse una trappolachelacerandosi aveva mostrato un azzurro profondo.

Così profondo da essere scuro.

Egli era sulla montagna da cui si vedono i regni della terra.

Una montagna tanto più terribilein quanto non esiste. Chi sta su quellacimavive in un sogno.

La tentazione dell'abisso è così potente che l'infernosu quella vettaspera di corrompere il paradisoe il diavolo vi

porta Dio stesso.

Sedurre l'eternitàche curiosa speranza!

Là dove satana tenta Gesùcome potrebbe un uomo lottare?

Palazzicastellipoterericchezzatutte le felicità umane a perditad'occhio attorno a séun mappamondo di piaceri in

mostra sull'orizzonteuna specie di radiosa geografia di cui si è ilcentro; miraggio pericoloso.

Immaginiamo il turbamento di una simile visione sopraggiunta senza aver primavarcato scalini preliminarisenza

precauzionesenza transizione.Un uomo si addormenta in un buco di talpa e sisveglia sulla punta del campanile di Strasburgo; là si trovava

Gwynplaine.

La vertigine è come una formidabile lucidità. Soprattutto quella cheportandovi contemporaneamente verso il giorno e

verso la notteè composta di due vortici contrari.

Si vede troppoma non abbastanza.

Si vede tuttoe niente.

Si è ciò che l'autore di questo libro da qualche parte ha chiamato «ilcieco abbagliato».

Gwynplainerimasto solosi mise a camminare a grandi passi. Tutte leesplosioni sono precedute da un simile

ribollimento.

Attraverso quell'agitazionenell'impossibilità di rimanere fermoeglirifletteva. Quel ribollio era una liquidazione.

Chiamava a raccolta i suoi ricordi. È davvero sorprendente come si siaascoltato con attenzione ciò che crediamo di

avere appena inteso! La dichiarazione dei naufraghi letta dallo sceriffo nelsotterraneo di Southwark gli ritornava

perfettamente chiara e intellegibile; se ne ricordava ogni singola parola; virivedeva sotto tutta la sua infanzia.

All'improvviso si fermòcon le mani dietro la schienaguardando ilsoffittoil cieloqualsiasi cosa fosse in alto.

«Vendetta!»disse.

Fu come se avesse messo la testa fuori dall'acqua. Gli sembrò di vederetuttoil passatol'avvenireil presentesotto

l'influsso di una chiarezza improvvisa.

«Ah!»gridò. Perché nelle sue profondità anche il pensiero grida. «Ah!Era così! Io ero lord. Tutto è chiaro. Ah! Mi

hanno rubatotraditoperdutodiseredatoabbandonatoassassinato! Ilcadavere del mio destino ha fluttuato per

quindici anni sul maree d'un tratto ha toccato terrae si è alzato inpiedivivo! Io rinasco. Io nasco! Ho pur sentito

palpitare sotto i miei stracci qualcosa di diverso da un miserabileequando mi voltavo a considerare gli uominimi

accorgevo che essi erano il greggee che io non ero il canema il pastore!Pastori di popoliconduttori d'uominiguide e

padroniecco cos'erano i miei avi; e ciò che essi eranoio lo sono! Iosono un gentiluomoe ho una spada; sono un

baronee ho un elmo; sono marchesee ho un pennacchio; io sono un parieho una corona. Ah! Mi avevano preso tutto

ciò! Ero cittadino della lucee mi avevano fatto cittadino delle tenebre.Quelli che avevano proscritto il padre hanno

venduto il figlio. Quando mio padre morìgli tirarono via da sotto la testala pietra dell'esilio che gli faceva da cuscino

per mettermela al colloe mi gettarono nella fogna. Oh! Quei banditi chehanno torturato la mia infanziasìsi agitano

levandosi dal fondo della mia memoriasìli rivedo. Sono stato il pezzo dicarne che uno stormo di corvi ha beccato su

una tomba. Ho sanguinato e gridato sotto tutte quelle orribili figure. Ah!Là dunque mi avevano precipitatoschiacciato

da quelli che vanno e vengonocalpestato da tuttisotto l'ultimorappresentante del genere umanopiù in basso del

servopiù in basso del domesticopiù in basso del garzonepiù in bassodello schiavolà dove il caos diventa cloacaal

limite di ciò che sparisce! È da là che esco! È da là che risalgo! È dalà che risuscito! Eccomi. Vendetta!».

Si sedettesi rialzòsi prese la testa tra le manisi rimise a camminaree continuò quel tempestoso monologo:

«Dove sono? Sulla cima! Dove sono appena caduto? Sulla cima! Questo apicela grandezzaquesta cupola del mondo

l'onnipotenzaè casa mia. Questo tempio nell'ariaio sono uno dei suoidei! Io abito nell'inaccessibile. Questa altezza

che guardavo dal bassoe da dove scendevano tanti raggi da dover chiuderegli occhiquesta signoria inespugnabile

questa imprendibile fortezza dei beatieccoio vi entro. Ci sono. Ne faccioparte. Ah! Definitivo giro della ruota! Ero in

bassosono in alto. In altoper sempre! Eccomi lordavrò un mantelloscarlattodei fioroni sul capoassisterò

all'incoronazione dei represteranno giuramento nelle mie manisarògiudice di ministri e di principiesisterò. Dalle

profondità dove mi avevano gettato schizzo fino allo zenit. Ho pala zzi incittà e in campagnacasegiardinicacce

forestecarrozzemilionidarò delle festefarò delle leggisceglieròtra gioie e piacerie Gwynplaineil vagabondoche

non aveva il diritto di cogliere un fiore nell'erbapotrà cogliere gliastri nel cielo».

Funebre rientro dell'ombra in un'anima. Così si realizzava in quelGwynplaine che era stato un eroee chediciamolo

forse non aveva cessato di esserlola sostituzione della grandezza moralecon la grandezza materiale. Lugubre

transizione. Effrazione della virtù ad opera di uno stuolo di demoni chepassa. Agguato alla debolezza umana. Tutte le

cose inferiori che vengono dette superioriambizionilosche volontàdell'istintopassioniaviditàche la purificazione

del dolore aveva tenute lontano da Gwynplaineriprendevano tumultuosamentepossesso di quel cuore generoso. E da

dove veniva tutto ciò? Dal ritrovamento di una pergamena in un relittotrasportato dal mare. Una coscienza violata dal

casoanche questo è possibile.

Gwynplaine beveva a piena gola l'orgoglioe ciò gli oscurava l'anima. Cosìè quel tragico vino.

Lo stordimento l'invadeva; più che acconsentirvilo assaporava. Conseguenzadi una lunga sete. Si è davvero complici

della coppa in cui si perde la ragione? Egli aveva sempre vagamentedesiderato tutto ciò. Guardava incessantemente

dalla parte dei grandi: guardare significa desiderare. Non per nullal'aquilotto nasce nell'aria.

Essere lord. Adessoin certi momentilo trovava naturale.

Erano trascorse poche orema ieri era un passato ormai lontano!

Gwynplaine era caduto nell'imboscata del meglionemico del bene.

Sfortunato colui di cui si dice: è fortunato!

È più facile resistere all'avversità che alla prosperità. Si scampa allacattiva sorte più integri che alla buona. Cariddi è la

miseriama Scilla è la ricchezza. Chi resse al fulminecadde abbagliato.Tuche non ti lasciavi impressionare dal

precipiziotemi di essere portato dalle legioni d'ali della nuvola e delsogno. L'ascensione ti solleverà e ti rimpicciolirà.

L'apoteosi ha il sinistro potere di abbattere.Non è facile conoscersi nellabuona sorte. Il caso è solo un travestimento. Nulla inganna come quel volto. Èforse la

Provvidenza? È la Fatalità?

Un chiarore può non essere un chiarore. Perché la luce è veritàma unbagliore può essere una perfidia. Voi pensate che

illuminie invece noincendia.

È notte; una mano posa una candelavile sego divenuto stellasull'orlo diun varco nelle tenebre. La falena vi si reca.

In che misura è responsabile?

La vista del fuoco affascina la falena come la vista del serpente affascinal'uccello.

È possibile che la falena e l'uccello resistano? È possibile che la fogliadisobbedisca al vento? È possibile che la pietra

non segua la gravitazione?

Problemi fisiciche sono anche problemi morali.

Dopo la lettera della duchessa Gwynplaine si era ripreso. C'erano in lui deilegami profondi che avevano resistito. Ma le

burraschedopo aver esaurito il vento una parte dell'orizzontericomincianodall'altrae anche il destinocome la

naturaè capace di accanirsi. Il primo colpo scuoteil secondo sradica.

Ahimè! Come cadono le querce?

Cosìcolui che bambino di dieci annisolo sulla scogliera di Portlandpronto a lottareguardava intensamente i nemici

con cui avrebbe avuto a che farela raffica che trascinava via la nave sucui contava d'imbarcarsil'abisso che gli

sottraeva quella tavola di salvezzail vuoto spalancato che minacciavaindietreggiandola terra che gli rifiutava un

riparolo zenit che gli rifiutava una stellala solitudine senza pietàl'oscurità impenetrabilel'oceanoil cieloinfinite

violenze da una parteinfiniti enigmi dall'altra; colui che non avevatremato né era venuto meno davanti all'enorme

ostilità dell'ignoto; colui chepiccolissimoaveva tenuto testa alla nottecome l'antico Ercole aveva tenuto testa alla

morte; colui chein quello smisurato conflittoaveva sfidato ogni tipo disorte adottandolui infanteun altro infantee

caricandosi di un fardellolui così stanco e fragilefavorendo i morsialla sua debolezzatogliendo lui stesso le

museruole ai mostri dell'ombra in agguato attorno a lui; colui chedomatoreprecoceavevafin dai suoi primi passi

fuori dalla cullasubito accettato il corpo a corpo con il destino; coluiche l'impari lotta non aveva trattenuto; colui che

vedendo improvvisamente e paurosamente sparire attorno a sé il genere umanoaveva accettato questa eclissi

continuando orgogliosamente il suo cammino; colui che aveva coraggiosamentesopportato il freddola setela fa me;

colui chepigmeo per la staturaera stato un colosso nell'anima; ilGwynplaine che aveva vinto l'immenso vento

dell'abisso nella sua duplice formala tempesta e la miseriavacillava alsemplice soffio della vanità!

Così la Fatalitàquando esaurisce le difficoltàle miseriele tempestei ruggitile catastrofile agoniecontro un uomo

che rimane in piediallora si mette a sorrideree quell'uomoimprovvisamente ebbrovacilla.

Il sorriso della Fatalità. Riusciamo a immaginare qualcosa di piùterribile? È l'ultima risorsa dell'impietoso tentatore

d'uomini. A volte la tigre del destino ritira gli artigli. Temibilepreparativo. Orribile dolcezza del mostro.

È un'esperienza comune che crescendo ci s'indebolisce. Un improvvisosviluppo altera e dà la febbre.

Nel cervello di Gwynplaine c'era il turbinio vertiginoso di una folla dinovitàtutto il chiaroscuro della metamorfosi

certi strani confrontil'urto tra il passato e l'avveniredue Gwynplainelui stesso divenuto doppio; alle spalle un

bambino cenciosouscito dalla nottevagabondotremanteaffamatodestinato a far ridere; davantiun signore

smagliantefastososuperboche abbagliava Londra. Spogliandosi di uno siamalgamava all'altro. Usciva dal

saltimbanco ed entrava nel lord. Tali cambiamenti di pelle sono a voltecambiamenti d'anima. In alcuni momenti tutto

ciò assomigliava troppo a un sogno. Una complessità buona e cattiva.Pensava a suo padre. Una cosa strazianteun

padre che è uno sconosciuto. Si sforzava di pensarlo. Pensava anche a quelfratello di cui gli avevano parlato. Dunque

aveva una famiglia! Come! LuiGwynplaineaveva una famiglia! Si perdeva inun mucchio di fantasticherie. Aveva

visioni di magnificenze; passavano davanti a lui sconosciute solennità informa di nuvole; udiva il suono delle fanfare.

«E poi»diceva«sarò eloquente».

E s'immaginava uno splendido ingresso alla camera dei lords. Sarebbe arrivatopieno di cose nuove. Cosa non aveva da

dire! Che provvista aveva fatto! Il vantaggio di esserein mezzo a tuttiloroquello che ha vistotoccatosubito

soffertoe di poter gridare loro: Io sono stato vicino a tutto ciò da cuivoi siete lontani! Avrebbe gettato la realtà in

faccia a quei patrizi pieni d'illusionied essi avrebbero trematoperchédiceva la veritàe avrebbero applauditoperché

era grande. Si sarebbe levato tra quei potentiancor più potente di loro;sarebbe apparso come il porta fiaccolaperché

avrebbe mostrato la veritàe come il portatore di spadaperché avrebbemostrato la giustizia. Che trionfo!

E sempre dedicandosi a quelle costruzioni nel suo animolucido e confuso altempo stessoaveva dei sussulti di delirio

si accasciava nella prima poltrona che gli capitavasi assopivaaveva deisoprassalti. Andavavenivaguardava il

soffittoesaminava le coronestudiava vagamente i geroglifici del blasonepalpava i velluti sul murospostava le sedie

rigirava le pergameneleggeva i nomisillabava i titoliBuxtonHombleGumdraithHunkervilleClancharlie

confrontava le cere dei timbritastava le trecce di seta dei sigilli realisi avvicinava alla finestraascoltava lo zampillio

della fontanacontemplava le statuecontava con pazienza da sonnambulo lecolonne di marmoe diceva: È così.

E si toccava l'abito di rasoe si domandava:

«Ma sono io? Sì».

Era in piena tempesta interiore.

Sentiva in quella tempesta la debolezza e la fatica? Bevvemangiòdormì?Se lo fecenon se ne accorse. In certe

situazioni violente gli istinti si soddisfano senza bisogno della ragione. Epoi la sua ragione era più un vago fumo che

ragione. Quando il fiammeggiare nero dell'eruzione deborda attraverso ilpozzo turbinosoha forse coscienza il cratere

dei greggi che pascolano ai piedi della montagna?Passarono le ore.

Apparve l'alba e si fece giorno. Un raggio bianco penetrò nella cameraentrando al tempo stesso nell'anima di

Gwynplaine.

«E Dea!»gli disse la luce.

LIBRO SESTO • ASPETTI VARI D'URSUS

I • CIÒ CHE DICE IL MISANTROPO

Dopo che Ursus vide Gwynplaine sprofondare sotto la porta del carcere diSouthwarkrestòstravoltonell'angolino

dove si era messo in osservazione. Gli rimasero a lungo nelle orecchie glistridii di serrature e chiavistelliche sembrano

l'urlo di gioia della prigione mentre divora un miserabile. Attese. Cosa?Spiò. Cosa? Quelle porte inesorabiliuna volta

chiusenon si riaprono subito; a causa del loro ristagno nelle tenebre essesono anchilosate e i loro movimenti sono

difficilisoprattutto quando si tratta di liberare; entrarepassi; uscireè difficile. Ursus lo sapeva. Ma aspettare non è una

cosa che si sia liberi di smettere quando si vuole; si aspetta nostromalgrado; le azioni che compiamo emanano una

forza acquisita che persiste anche quando non c'è più l'oggettoche cipossiede e ci occupaobbligandoci ancora per un

po' a continuare ciò che ormai è senza scopo. L'appostarsiinutileatteggiamento insensato che noi tuttiall'occasione

abbiamo tenuto; una perdita di tempo istintiva per chiunque sia interessato auna cosa scomparsa. Nessuno sfugge a

simili fissazioni. Ci si ostina con una sorta di accanimento distratto. Nonsappiamo perché restiamo lì dove siamoma

non ci muoviamo. Ciò che abbiamo iniziato attivamentelo continuiamo inmodo passivo. Una caparbietà spossante da

cui si esce prostrati. Anche Ursusper quanto diverso dagli altririmasecome il primo venutoinchiodato sul posto da

quella vigile fantasticheria dove ci getta un avvenimento che può tutto sunoima su cui noi non possiamo nulla. Egli

considerava ora unaora l'altra delle due muraglie nerea volte quellabassaa volte quella altaa volte la porta con la

scala da forcaa volte la porta con il teschio; egli era come stretto nellamorsa composta da una prigione e da un

cimitero. Quella strada evitata e impopolare aveva così pochi passanti chenessuno notò Ursus.

Alla fine uscì dal cantuccio che l'ospitavauna specie di garittaimprovvisata dove stava di vedettae se ne andò a passi

lenti. Aveva montato la guardia così a lungo che il giorno stava finendo.Ogni tanto girava il collo guardando lo

spaventoso sportello dove era entrato Gwynplaine. Aveva l'occhio vitreo eimbambolato. Arrivò in cima alla stradina

prese un'altra viapoi un'altra ancoraritrovando pressappoco lo stessotragitto che aveva percorso qualche ora prima . A

intervalli si voltavacome se potesse ancora vedere la porta della prigionebenché non si trovasse più nella via del

carcere. Poco a poco si riavvicinava al Tarrinzeau-field. I lanes checonducevano al campo della fiera erano dei sentieri

deserti tra giardini recintati. Egli camminava curvolungo siepi e fossati.A un tratto si fermòsi raddrizzòe gridò:

«Tanto meglio!».

Contemporaneamente si diede due pugni sulle cosceil che sta ad indicare unuomo che giudica le cose come bisogna

giudicarle.

E si mise a borbottare tra pelle e pellecon improvvisi scoppi di voce:

«Ben fatto! Ah! Pezzente! Brigante! Mascalzone! Buono a nulla! Sedizioso!Sono le sue idee sul governo che l'hanno

portato là. È un ribelle. Mi tenevo in casa un ribelle. Me ne sonoliberato. Sono stato fortunato. Ci comprometteva.

Schiaffato in galera! Ah! Tanto meglio! Eccellenza delle leggi. Ah! Cheingrato! E io che l'avevo allevato! Ecco a cosa

serve darsi pena! Che bisogno aveva di parlare e di ragionare? Si èimmischiato in affari di stato! Vi dico io!

Maneggiando delle monete si è messo a blaterare sull'impostasui poverisul popolosu ciò che non lo riguardava! Si è

permesso delle riflessioni sui pence! Ha commentato con cattiveria e maliziail rame della moneta del regno! Ha

insultato i quattrini di sua maestà! Un farthing è come la regina! La sacraeffigieper tutti i diavolila sacra effigie. C'è

o non c'è una regina? Rispettiamo il suo verderame. Tutto è collegato in ungoverno. Bisogna saperlo. Io ho vissuto.

Conosco come vanno le cose. Mi si potrà dire: Ma voi dunque rinunciate allapolitica? Amici mieiio mi curo della

politica come del pelaccio di un asino. Un giorno ho ricevuto un colpo dibastone da un baronetto. Mi sono detto:

Questo è sufficienteho capito la politica. Il popolo ha un solo liardolodàla regina lo prendeil popolo ringrazia.

Niente di più semplice. Il resto riguarda i lords. Le loro signorielordsspirituali e temporali. Ah! Gwynplaine è sotto

chiave! Ah! Sta in galera! È giusto. È equouna cosa eccellentemeritatae legittima. Colpa sua. È proibito

chiacchierare. Sei forse un lordimbecille? Il wapentake l'ha presoilgiustiziere -quorum l'ha portato vialo sceriffo lo

tiene. In questo momento qualche ufficiale dalla cuffia lo sta spulciando.Quella è gente brava a spellarti i crimini!

Sbattuto dentrorazza di stupido! Tanto peggio per luitanto meglio per me!Parola miasono contento. Confesso

apertamente di avere fortuna. Sono stato ben stravagante a raccattare ilpiccolo e la piccola! Stavamo così tranquilli

primaHomo e io! Che cosa sono venuti a fare nella mia baracca quei duefurfanti? Li ho covati abbastanza quando

erano marmocchi! Li ho abbastanza trainati con la mia cinghia! Belsalvataggio! Luibrutto da far pauraleicieca da

tutti e due gli occhi! Privatevi dunque di tutto! Ho spremuto abbastanza lafamiglia per loro! Cresconofanno l'amore!

Flirtations tra invalidia questo eravamo. Il rospo e la talpaidillio. Equesto in casa mia. La giustizia doveva porre fine

a tutto ciò. Il rospo ha parlato di politicabene. Eccomene liberato.Quando è arrivato il wapentakeall'inizio sono stato

stupidosi dubita sempre della felicitànon credevo a quello che vedevoera impossibileera un incuboera una farsa

messa in piedi dal sogno. E invece noniente di più reale. Una cosaconcreta. Gwynplaine è davvero in prigione. Un

colpo della provvidenza. Graziebuona signora. È il chiasso che faceva quelmostro che ha attirato l'attenzione sulla miaimpresafacendo denunciare il miopovero lupo! Gwynplaine se n'è andato! Mi sono sbarazzato di tutti e due. Due

piccioni con una fava. Perché Dea ne morrà. Quando non vedrà piùGwynplaine - lo vedela stupida! - non avrà più

motivo di esisteree si dirà: Cosa ci faccio a questo mondo? E se neandràanche lei. Buon viaggio. Al diavolo tutt'e

due. Li ho sempre detestati! Che crepiDea. Ah! Come sono contento!».

II • CIÒ CHE FA

Raggiunse l'inn Tadcaster.

Suonavano le sei e mezzala mezza dopo le seicome dicono gli inglesi.Mancava poco al crepuscolo.

Padron Nicless stava sulla soglia. La costernazione che aveva sul volto dalmattino non era ancora riuscita a dissolversi

era rimasto un impietrito stupore.

Appena vide Ursus da lontanogridò:

«E allora?».

«Allora cosa?».

«Gwynplaine torna? Sarebbe ora. Tra poco sarà qui il pubblico. Ci saràquesta sera lo spettacolo dell'Uomo che Ride?».

«Sono io l'Uomo che Ride»disse Ursus.

E guardò l'oste con un ghigno luminoso.

Poi salì difilato al primo pianoaprì la finestra accanto all'insegnadell'innsi sporseallungò la manospinse il cartello

di Gwynplaine - l'Uomo che Ridee la locandina de La sconfitta del caosschiodò l'unostrappò l'altrosi mise le due

assi sotto braccio e ridiscese.

Padron Nicless lo seguì con lo sguardo.

«Perché li staccate?».

Ursus scoppiò a ridere una seconda volta.

«Perché ridete?»continuò l'oste.

«Mi ritiro a vita privata».

Padron Nicless capìe diede ordine al suo luogotenenteil boy Govicumdiavvertire chiunque si presentasse che quella

sera non ci sarebbe stata rappresentazione. Tolse dalla porta labotte-botteghino dove s'incassavano i soldi e la spinse in

un angolo della sala bassa.

Un momento dopo Ursus saliva nella Green-Box.

Appoggiò in un angolo le due scritteed entrò in quello che egli chiamava«il padiglione delle donne».

Dea dormiva.

Era sul lettotutta vestita e con il corpetto slacciato come durante lasiesta.

Accanto a lei c'erano Vinos e Fibiseduteuna su uno sgabellol'altra perterrapensierose.

Malgrado l'ora avanzataesse non avevano indossato le maglie da deesegnoquesto di un profondo scoraggiamento.

Erano rimaste infagottate nel loro scialletto di lana e nella gonna di telagrezza.

Ursus osservò Dea.

«Si prepara a un sonno più lungo»mormorò.

Poi si rivolse a Fibi e Vinos.

«Volete saperlo? La musica è finita. Potete mettere le vostre trombe nelcassetto. Avete fatto bene a non bardarvi da

dee. Così siete ben bruttema avete fatto bene. Tenete da parte le vostresottane di cenci. Nessuna rappresentazione

questa sera. Né domaniné dopodomani. Basta Gwynplaine. Gwynplaine hachiusoparola mia».

E si rimise a guardare Dea.

«Che colpo sarà per lei! Sarà come quando si soffia su una candela».

Gonfiò le guance.

«Fouhh! Più niente».

Diede una piccola risata secca.

«Senza Gwynplaineper leivorrà dire senza tutto. Come se io perdessiHomo. Peggio. Sarà più sola di chiunque altro. I

ciechi sguazzano nella tristezza più di noi».

Andò alla finestrella sul fondo.

«Come si allungano le giornate! Alle sette ci si vede ancora. Tuttaviaaccendiamo lo stoppino».

Batté l'acciarino e accese la lanterna che pendeva dal soffitto dellaGreen-Box.

Si chinò su Dea.

«Prenderà freddo. Donnele avete slacciato troppo il corpetto. C'è ilproverbio francese:

On est en avril

N'ôte pas un fil

Vide brillare una spilla per terrala raccolse e l'appuntò sulla manica.Poigesticolandomisurò a grandi passi la Green-Box.

«Sono in pieno possesso delle mie facoltà. Io sono lucidoarcilucido.Ritengo questo avvenimento normalissimo e

approvo quello che sta accadendo. Quando si risveglieràle racconterò comesono andati i fatti. La catastrofe non si farà

attendere. Basta Gwynplaine. Buona sera Dea. Come si è tutto ben sistemato!Gwynplaine in prigione. Dea al cimitero.Staranno uno di fronte all'altro. Danzamacabra. Due destini che tornano dietro le quinte. Riponiamo i costumi.

Chiudiamo la valigia. Valigiacioè bara. Non si sono incontrate quelle duecreature. Dea senza gli occhiGwynplaine

senza volto. Lassù il buon Dio renderà la luce a Dea e la bellezza aGwynplaine. La morte mette in ordine. Tutto a

posto. FibiVinosappendete i vostri tamburelli al collo. Il vostro talentoper il fracasso si arruggineràbelle mie. Niente

più reciteniente più trombe. La sconfitta del caos è sconfitta.L'Uomo che Ride è bruciato. Taratantara è morto. Dea

continua a dormire. E fa bene. Al suo posto io non mi risveglierei. Bah!Presto si riaddormenterà. Non ci mette molto

un'allodola come questa a morire. Ecco cosa significa occuparsi di politica.Una bella lezione! E come hanno ragione i

governi. Gwynplaine dallo sceriffo. Dea dal becchino. Parallelismo. Simmetriaistruttiva. Spero che l'oste abbia sbarrato

la porta. Questa sera moriremo tra noiin famiglia. Non ioné Homo. Dea.Continuerò a far andare questo trabiccolo. Io

appartengo ai meandri del vagabondaggio. Congederò le due ragazze. Non neterrò nemmeno una. Ho la tendenza ad

essere un vecchio debosciato. Una serva in casa di un libertino è come panein tavola. Non voglio tentazioni. Non ho

più l'età. Turpe senilis amor. Continuerò la mia strada solo conHomo. Homo si stupirà! Dov'è Gwynplaine? Dov'è

Dea? Vecchio compagnorieccoci insieme. Per la pestene sono felicissimo.Le loro bucoliche mi pesavano. Ah!

Quello scellerato di Gwynplaine che non torna! Ci pianta qui. Bene. Adessotocca a Dea. Non sarà una cosa lunga. Mi

piacciono le cose compiute. Non darò certo un buffetto sulla punta del nasoal diavolo per impedirle di crepare. Crepa

mi senti! Ah! Si risveglia!».

Dea sollevò le palpebre; perché molti ciechi chiudono gli occhi quandodormono. Il suo dolce viso smemorato

manteneva tutto il suo splendore.

«Lei sorride»mormorò Ursus«e io rido. Va bene così».

Dea chiamò.

«Fibi! Vinos! Deve essere l'ora della rappresentazione. Credo di averdormito mo lto. Venite a vestirmi».

Né Fibiné Vinos si mossero.

Tuttavia l'ineffabile sguardo da cieca di Dea incontrò la pupilla di Ursus.Egli trasalì.

«Allora!»gridò. «Cosa state facendo? VinosFibinon sentite la vostrapadrona? Siete sorde? Presto! Lo spettacolo sta

per iniziare».

Le due donne guardarono stupite Ursus.

Ursus gridò.

«Non vedete il pubblico che sta entrando. Fibivesti Dea. Vinossuona iltamburo».

Fibi era l'obbedienza. Vinos la passività. Erano entrambe personificazionidella sottomissione. Ursusil loro padrone

gli era sempre sembrato un enigma. Non essere mai capiti è una ragione peressere sempre obbediti. Pensarono

semplicemente che fosse diventato pazzoed eseguirono l'ordine. Fibi staccòdal muro il costume e Vinos il tamburo.

Fib i cominciò a vestire Dea. Ursus abbassò la portiera del gineceo edadietro la tendacontinuò:

«GuardaGwynplaine! Più di metà del cortile è già pieno di folla. Neivomitori si spingono. Che folla! Che ne dici di

Fibi e di Vinos che sembrava non se ne fossero accorte? Come sono stupidequeste zingare! Che bestie in Egitto! Non

sollevare la portiera. Sii pudico. Dea si veste».

Fece una pausae all'improvviso si udì questa esclamazione:

«Come è bella Dea!».

Era la voce di Gwynplaine. Fibi e Vinos sobbalzarono e si voltarono. Era lavoce di Gwynplainema sulla bocca di

Ursus.

Ursusda uno spiraglio della portieracon un cenno proibì loro distupirsi.

Continuò con la voce di Gwynplaine:

«Angelo!».

Poi replicò con la voce di Ursus:

«Dea un angelo! Tu sei pazzoGwynplaine. L'unico mammifero volante è ilpipistrello».

E aggiunse: «DaiGwynplainevai a liberare Homo. È una cosa piùragionevole».

Quindi scese la scala sul retro della Green-Boxmolto rapidamentecomefaceva Gwynplaine. L'imitazione di un

rumore che Dea poté udire.

Nel cortile vide il boy ozioso e incuriosito per tutta quella faccenda.

«Dammi le mani»gli disse a voce molto bassa.

E vi versò una manciata di soldi.

Govicum si intenerì a quella generosità.

Ursus gli bisbigliò all'orecchio:

«Boymettiti in cortilesaltaballabattiurlastrillafischiagorgheggianitrisciapplaudipesta i piediscoppia a

ridererompi qualcosa».

Padron Niclessumiliato e indispettito di dover vedere la gente venuta perl'Uomo che Ride tornare sui propri passi

rifluendo verso le altre baracche del campo della fieraaveva chiuso laporta dell'inn; quella sera aveva perfino

rinunciato a dar da bereper evitare domande fastidiose; edal momento chenon c'era nulla da fare a causa della

mancata rappresentazioneguardava nel cortile dall'alto del balconecon lacandela in mano. Ursususando la

precauzione di parlare con le palme delle mani ai lati della boccacon lavoce tra parentesigli gridò:

«Gentlemanfate come il vostro boyguaiteabbaiateurlate».

Poi risalì nella Green-Box e disse al lupo:

«Parla più che puoi».E a voce alta:

«C'è troppa gente. Sarà uno spettacolo movimentato».

Intanto Vinos picchiava sul tamburo.

Ursus aggiunse:

«Dea è vestita. Si può cominciare. Mi spiace di aver lasciato entraretanto pubblico. Come sono ammucchiati! Ma

guardaGwynplaine! Ce n'è di folla scatenata! Scommetto che oggi facciamol'incasso più alto. Andiamo bellezze

musica! Vieni quiFibiprendi la tua tromba. BeneVinospesta il tuotamburo. Mollagli un sacco di botte. Fibimettiti

in posa da Fama. Signorinenon siete abbastanza nude. Toglietevi legiacchette. Cotone al posto della tela. Al pubblico

piacciono le forme femminili. Lasciamo tuonare i moralisti. Un po'd'indecenzaper tutti i diavoli. Siamo voluttuosi.

Buttatevi in folli melodie. Sbuffatestrombazzatecrepitatesuonate lafanfarasuonate il tamburo! Quanta gente

povero il mio Gwynplaine!».

Si interruppe:

«Gwynplaineaiutami. Abbassiamo il pannello».

Intanto spiegò il fazzoletto.

«Ma prima lasciami muggire nei miei stracci».

E si soffiò energicamente il nasocome deve fare sempre un engastrimita.Rimesso in tasca il fazzolettotolse le

chiavette dal meccanismo di puleggeche diede il suo solito stridio. Ilpannello si abbassò.

«Gwynplaineè inutile scostare la tenda. Teniamola finché inizia larappresentazione. Non staremmo più tranquilli. E

voivenite tutte e due sul proscenio. Musicasignorine! Pum! Pum! Pum! Lacompagnia è ben assortita. È la feccia del

popolo. Che plebagliaDio mio!».

Le due vagabondeobbedienti come brutisi misero con gli strumenti al lorosolito posto ai due angoli del pannello

abbassato.

Allora Ursus fu straordinario. Non era più un uomoma una folla. Costrettoa fare il pieno con il vuotochiamò in aiuto

un prodigioso talento da ventriloquo. Tutta l'orchestra di voci umane ebestiali che aveva dentro di sé si mise in azione

contemporaneamente. Divenne una legione. Chi avesse chiuso gli occhiavrebbecreduto di trovarsi in una piazza

pubblica durante un giorno di festa o di sommossa. Il turbinio di frasispezzate e di clamori che usciva da Ursus cantava

schiamazzavachiacchieravatossivasputavastarnutivaannusava tabaccodialogavafaceva domande e rispostee

tutto insieme. Le sillabe appena abbozzate rientravano le une sulle altre. Inquel cortile dove non c'era nullasi udivano

donneuominibambini. Era la viva confusione del baccano. In mezzo a quelfracasso serpeggiavano come in un fumo

delle strane cacofonieil chiocciare di uccelliuno sbuffare di gattivagiti di bambini che ciucciano. Si distingueva la

raucedine degli ubriachi. Da sotto i piedi della gente veniva il brontolioscontento dei cani. Arrivavano voci da vicino e

da lontanodall'alto e dal bassodalle prime file come dalle ultime.L'insieme era un rumoreil dettaglio era un grido.

Ursus dava pugnipedatelanciava la voce fino in fondo al cortilepoi lafaceva tornare da sotto terra. Una tempesta

familiare. Passava dal mormorio al rumoredal rumore al tumultodal tumultoall'uragano. Era se stesso e tutti.

Soliloquio poliglotta. Come ci sono false prospettive per la vistacosì cene sono per l'udito. Ciò che Proteo faceva per

lo sguardoUrsus lo faceva per l'orecchio. Nulla di più stupefacente diquella contraffazione di una moltitudine. Ogni

tanto scostava la portiera del gineceo e guardava Dea. Dea ascoltava.

Da parte sua il boynel cortileimperversava.

Vinos e Fibi si spolmonavano coscienziosamente nelle trombe e si dimenavanosui tamburi. Padron Niclessunico

spettatoresi spiegava tranquillamente tutto ciòcome le due donne delrestocon la follia di Ursusgrigiastro

particolare della sua malinconia. Il buon oste borbottava: Che disordine! Edera seriocome a chi venga in mente che vi

sono pur delle leggi.

Govicumpreso dall'idea di contribuire al disordinesi agitava quasi quantoUrsus. Si divertiva. Non solosi

guadagnava i soldi ricevuti.

Homo era pensieroso.

Alla confusione Ursus mescolava anche le parole.

«Gwynplaineci sono i soliti provocatori. I nostri concorrenti cercano dirovinare i nostri successi. Gli schiamazzi sono

il condimento del trionfo. E poi la gente è troppo numerosa. Non stannocomodi. I gomiti del vicino non favoriscono la

benevolenza. Purché non rompano le panche! Saremo in balia di una massa disconsiderati. Ah! Se ci fosse il nostro

amico Tom-Jim-Jack! Ma non viene più. Guarda tutte quelle testeunasull'altra. Quelli in piedi non hanno l'aria

contentabenché stare in piedisecondo Galenosia un movimento che quelgrand'uomo chiama «movimento tonico».

Abbrevieremo lo spettacolo. Sulla locandina c'è solo La sconfitta del caosnon reciteremo Ursus rursus. Tanto di

guadagnato. Che chiasso. O cieca turbolenza delle masse! Provocherannoqualche danno! Non si può andare avanti così.

Non potremmo recitare. Non si capirebbe una parola della commedia. Vado afargli una predica. Gwynplainescosta un

po' la tenda. Cittadini...». A questo punto Ursus gridòrivolto a sestessocon voce febbrile e acuta:

«Abbasso il vecchio!».

Poi riprese con la sua voce:

«Mi pare che il popolo mi stia insultando. Cicerone ha ragione: plebsfex urbis. Non importaammoniamo il mob. Farò

fatica a farmi sentire. Tuttavia parlerò. Uomofa' il tuo dovere.Gwynplaineguarda un po' quella megera che ringhia

laggiù».

Ursus si fermò e fece un ringhio. Homoprovocatone aggiunse un secondoeGovicum un terzo.

Ursus continuò:«Le donne sono peggio degli uomini. Non è il momentogiusto. Non importavediamo che potere ha un discorso.

L'eloquenza va sempre bene. AscoltaGwynplainequesto esordio insinuante. -Cittadine e cittadinisono iol'orso. Mi

tolgo la testa per parlarvi. Chiedo umilmente silenzio».

Ursus prestò alla folla questo grido:

«Grumphll!».

E proseguì:

«Io venero il mio pubblico. Grumphll è un epifonema come un altro. Salvepopolo brulicante. Non metto minimamente

in dubbio che facciate tutti parte della canaglia. Ma ciò non toglie nullaalla mia stima. Una stima giustificata. Io provo

il più profondo rispetto per i signori sacripanti che mi onorano della loropresenza. Ci sono tra voi esseri deformila

cosa non mi offende. I signori zoppi e i signori gobbi rientrano nellanatura. Il cammello è gobbo; il bisonte ha il dorso

gonfio; il tasso è più corto di gambe a sinistra che a destra; il fatto èregistrato da Aristotele nel suo trattato sulla

deambulazione degli animali. Quelli tra voi che hanno due camiciene portanouna sul dorsoe l'altra la tengono

dall'usuraio. So che è normale. Albuquerque impegnava i baffie San Dionigil'aureola. Gli ebrei prestavano anche

sull'aureola. Grandi esempi. Avere debiti significa pur sempre averequalcosa. Riverisco in voi gli straccioni».

Ursus interruppe se stesso con voce da basso profondo:

«Tre volte asino».

E si rispose con il suo tono più educato:

«D'accordo. Sono un sapiente. Me ne scuso come posso. Provo un disprezzoscientifico per la scienza. Ci si nutre con

l'ignoranza; la scienza è invece una realtà con cui si digiuna. In generalesi è obbligati a scegliere: essere sapienti e

dimagrire; brucare ed essere un asino. Cittadinibrucate! La scienza nonvale un buon boccone. Preferisco mangiare del

lombo piuttosto di sapere che si chiama muscolo psoas. Ho un solo merito. Ilciglio asciutto. Così come mi vedetenon

ho mai pianto. Bisogna anche dire che non sono mai stato contento. Mai.Neppure di me. Io mi disprezzo. Ma

sottopongo ai qui presenti membri dell'opposizione questo fatto: se Ursus nonè che un sapienteGwynplaine è un

artista».

Sbuffò nuovamente:

«Grumphll!».

Poi riprese:

«Ancora Gru mphll! Ma questa è un'obiezione. Ciò nondimeno passo oltre. EGwynplainesignori e signoreha vicino a

sé un altro artistasi tratta di quel personaggio distinto e villoso che ciaccompagnasua signoria Homoantico cane

selvaggiooggi lupo civilizzato e suddito fedele di sua maestà. Homo è unmimo dal talento duttile e superiore. State

attenti e raccolti. Tra poco vedrete recitare Homo e Gwynplainebisognaonorare l'arte. Ciò distingue le grandi nazioni.

Siete uomini dei boschi? Bene. In questo casosylvae sint consule dignae.Due artisti valgono pur un console. Ecco. Mi

hanno gettato un torsolo di cavolo. Ma non sono stato toccato. Questo non miimpedirà di parlare. Al contrario. Il

pericolo schivato è chiacchierone. Garrula periculadice Giovenale.Popolotra voi ci sono degli ubriaconie anche

delle ubriacone. Molto bene. Gli uomini puzzanole donne sono laide. Avetele migliori ragioni del mondo per

ammassarvi quisu questi banchi d'osteriala disoccupazionela pigriziauna pausa tra due furtiil porterl'alelo stout

il maltoil brandyil gine l'attrazione di un sesso verso l'altro.Splendido. Uno spirito portato per lo scherzo troverebbe

qui un buon materiale. Ma io me ne astengo. Passi per la lussuria. Tuttaviaè necessario che l'orgia si dia un contegno.

Voi siete allegrima rumorosi. Siete abili nell'imitare i versi deglianimali; ma che direste sementre parlate d'amore

con una lady in una bettolaio passassi il mio tempo ad abbaiarvi lìvicino? Vi darebbe fastidio. Ebbeneci date fastidio.

Vi autorizzo a tacere. L'arte è rispettabile come il vizio. Vi dico paroleoneste».

Quindi si apostrofò:

«Che la febbre ti strozzi con le tue sopracciglia di spighe di segala!».

E replicò:

«Onorevoli signorilasciamo tranquille le spighe di segala. È una veraempietà fare violenza ai vegetali per trovar loro

qualche somiglianza con gli uomini o con gli animali. Per non dire che lafebbre non strangola. Una metafora sbagliata.

Di graziafate silenzio! Permettete che ve lo si dicavi manca un po' diquella superiorità che caratterizza il vero

gentiluomo inglese. Constato che quelli tra voi con le scarpe che lascianopassare gli allucine approfittano per mettere i

piedi sulle spalle degli spettatori che hanno davantiuna circostanza cheespone le signore a costatare come le suole si

rompano sempre là dove c'è la punta dell'osso metatarsico. Fate vedere unpo' meno i vostri piedi e un po' di più le

vostre mani. Vedo da qui dei furfanti che affondano le loro sgrinfieingegnose nelle tasche degli imbecilli che hanno

accanto. Cari pickpocketsun po' di pudore! Prendete a pugni il prossimosevoletema non svaligiatelo. Infastidirete

meno la gente ammaccandogli un occhioche fregandogli un soldo. Danneggiatepure il naso. I borghesi tengono più al

proprio denaro che alla propria bellezza. Per il resto vogliate gradire lemie espressioni di simpatia. Non sono tanto

pedante da biasimare i borsaioli. Il male esiste. Ciascuno lo sopporta eciascuno lo fa. Nessuno è esente dal vermicaio

dei propri peccati. E non parlo che di quello. Non abbiamo tutti i nostripruriti? Dio si gratta dove sente il diavolo.

Anch'io ho dei peccati. Plaudite cives».

Ursus si esibì in un lungo groan che sovrastò con queste parolefinali:

«Mylords e signorivedo che il mio discorso ha avuto la fortuna di nonpiacervi. Per il momento mi congedo dai vostri

schiamazzi. Adesso mi rimetto la testalo spettacolo sta per iniziare».

Abbandonò il tono oratorio per quello familiare.«Richiudi il telone.Prendiamo respiro. Sono stato mellifluo. Ho parlato bene. Li ho chiamati mylordse signori.

Linguaggio vellutatoma inutile. Che ne dici di tutta questa canagliaGwynplaine? Come è facile rendersi conto dei

mali che l'Inghilterra ha dovuto sopportare in quarant'anni a causa delfurore di quegli spiriti pungenti e maliziosi! Gli

antichi inglesi erano bellicosiquesti sono melanconici e esaltatie sivantano di disprezzare le leggi e di misconoscere

l'autorità reale. Ho fatto tutto quello che può fare l'eloquenza umana.Sono stato prodigo con loro di metonimie graziose

come le guance in fiore di un adolescente. Si sono addolciti? Ne dubito. Cosaci si può aspettare da un popolo che

mangia in modo così straordinarioe che si rimpinza di tabaccoal puntoche gli scrittori stessi in questo paese

compongono le loro opere con la pipa in bocca! Non importafacciamo lanostra recita».

Si sentirono gli anelli del tendone scivolare sull'asta di ferro. Iltambureggiamento delle zingare cessò. Ursus staccò dal

muro la ghirondaeseguì il preludiodisse a mezza voce: VeroGwynplaineche mistero! Poi si urtò con il lupo.

Intantoinsieme alla ghirondaegli aveva tolto dal chiodo una parruccamolto ispidae l'aveva gettata in un angolo del

pavimento a portata di mano.

La rappresentazione de La sconfitta del caos ebbe luogo quasi come alsolitomeno gli effetti di luce azzurra e quelli

d'illuminazione. Il lupo recitava in perfetta buona fede. Al momento giustoDea fece la sua apparizionee con la sua

voce tremante e divina evocò Gwynplaine. Allungò il bracciocercandoquella testa...

Ursus si lanciò sulla parruccal'arruffòse la mise in testae spinseadagiotrattenendo il respirola sua testa resa così

ricciuta sotto la mano di Dea.

Poifacendo appello a tutta la sua arte e imitando la voce di Gwynplainecantò con indicibile amore la risposta del

mostro al richiamo dello spirito.

L'imitazione fu così perfetta cheanche questa voltale due zingarecercarono con gli occhi Gwynplainestupite di

sentirlo senza vederlo.

Govicummeravigliatobatté i piediapplaudìbatté le manifece unfracasso olimpicoe rise da solo come se fosse un

intero gruppo di dei. Il boydiciamolomostrò un raro talento dispettatore.

Fibi e Vinosautomi di cui Ursus spingeva le mollefecero il solito baccanocon i loro strumentiottone e pelle d'asino

mescolatibaccano che segnò la fine della rappresentazioneaccompagnandola partenza del pubblico.

Ursus si rialzò sudato.

Disse sottovoce a Homo: «Tu capisci che si trattava di guadagnare tempo.Credo che ci siamo riusciti. Non me la sono

cavata maleanche se avevo tutto il diritto di sentirmi smarrito. Gwynplainepuò ancora tornare da qui a domani. Era

inutile uccidere subito Dea. Adesso ti spiego».

Si tolse la parrucca e si asciugò la fronte.

«Sono un ventriloquo di genio»mormorò. «Che talento ho avuto! Houguagliato Brabantel'engastrimita del re di

FranciaFrancesco I. Dea è convinta che Gwynplaine sia qui».

«Ursus»disse Dea«dov'è Gwynplaine?».

Ursus si voltò con un soprassalto.

Dea era rimasta in fondo al teatroin piedi sotto la lanterna che pendevadal soffitto. Era pallidad'un pallore d'ombra.

Con un sorriso ineffabile e disperato soggiunse.

«Lo so. Ci ha lasciati. È partito. Sapevo che aveva le ali».

Poialzando verso l'infinito i suoi occhi bianchiaggiunse:

«Quando tocca a me?».

III • COMPLICAZIONI

Ursus rimase interdetto.

Non si era fatto illusioni.

Aveva sbagliato come ventriloquo? No di certo. Era riuscito a ingannare Fibie Vinosche avevano gli occhima non

Deache era cieca. Il fatto è che Fibi e Vinos avevano solo le pupilletrasparentimentre Dea vedeva con il cuore.

Non seppe rispondere. E tra sé e sé pensò: Bos in lingua. L'uomointerdetto ha un bue sulla lingua.

In certe emozioni complessel'umiliazione è il primo sentimento che appare.Ursus pensò:

«Ho sprecato le mie onomatopee».

E come ogni sognatore spinto ai piedi del muro dell'espedienteprese aingiuriarsi:

«Bello scivolone. Ho sfruttato per niente l'arte dell'imitazione. Che saràdi noiora?».

Guardò Dea. Essa tacevaimpallidendo sempre di piùsenza fare un sologesto. Il suo sguardo rimase perdutofisso

nelle profondità.

Capitò a proposito un incidente.

Ursus vide padron Nicless in cortilecon una candela in manoche gli facevasegno.

Padron Nicless non aveva assistito alla conclusione di quella specie dicommedia fantasma recitata da Ursus. Ciò

dipendeva dal fatto che avevano bussato alla porta dell'inn. Padron Niclessera andato ad aprire. Avevano bussato due

voltee padron Nicless per due volte si era eclissato. Ursusassorto nelsuo monologo a cento vocinon se n'era accorto.

Al richiamo silenzioso di padron NiclessUrsus scese.

Si avvicinò all'oste.

Ursus mise un dito sulla bocca. Padron Nicless mise a sua volta un dito sullabocca.

Tutti e due rimasero a guardarsi.Ciascuno sembrava dire all'altro: parliamopurema taciamo.

L'oste aprì in silenzio la porta della sala bassa dell'inn.

Padron Nicless entròpoi entrò Ursus. Non c'erano che loro due. Porta eimposte della facciata che dava sulla strada

erano chiuse.

L'oste spinse dietro di sé la porta che dava sul cortileche si chiuse sulnaso del curioso Govicum.

Padron Nicless appoggiò la candela su un tavolo.

Iniziarono a parlare. Sottovocecome sussurrando.

«Padron Ursus...».

«Padron Nicless?».

«Credo di aver capito».

«Bah!».

«Avete voluto far credere alla povera cieca che tutto andava come alsolito».

«Nessuna legge proibisce di essere ventriloqui».

«Voi avete del talento».

«No».

«È prodigioso fino a che punto arrivate a fare quello che volete».

«Vi dico di no».

«Ora vi devo parlare».

«Si tratta di politica?».

«Non so niente di politica».

«Perché in quel caso non vi ascolterei».

«Ecco. Mentre voi facevate da solo sia gli attori che il pubblicohannobussato alla porta dell'osteria».

«Hanno bussato?».

«Sì».

«Non mi piace».

«Neanche a me».

«E poi?».

«E poi ho aperto».

«Chi bussava?».

«Uno che mi ha parlato».

«Cos'ha detto?».

«Io sono stato a sentire».

«Cosa gli avete risposto?».

«Niente. Sono tornato a vedervi recitare».

«E poi?».

«Poi hanno bussato una seconda volta».

«Chi? Lo stesso?».

«No. Un altro».

«Anche questo vi ha parlato?».

«Nonon mi ha detto niente».

«Meglio così».

«Non sono della stessa idea».

«Spiegatevipadron Nicless».

«Indovinate chi mi ha parlato la prima volta».

«Non ho tempo per essere Edipo».

«Era il padrone del circo».

«Quello qui accanto?».

«Sì».

«Dove c'è tutta quella musica scatenata?».

«Sìscatenata».

«Benepadron Ursusvuole farvi delle offerte».

«Delle offerte?».

«Delle offerte».

«Perché?».

«Perché sì».

«Voipadron Niclessavete su di me il vantaggio di aver capito il mioenigma di poco famentre iooranon

comprendo il vostro».

«Il padrone del circo mi ha incaricato di dirvi che questa mattina avevavisto passare il codazzo di poliziae che luiil

padrone del circovolendo mostrarvi che vi è amicovi offre di comprarviper cinquanta sterline in contantila vostra

berlinala Green-Boxi due cavallile trombe con le donne che le suonanola commedia con la cieca che cantail lupo

e anche voi».

Ursus sorrise in modo altezzoso.«Padrone dell'inn Tadcasterdirete alpadrone del circo che Gwynplaine tornerà».

L'oste prese da una sedia una cosa che stava avvolta nell'oscurità e sivoltò verso Ursuscon le braccia alzatelasciando

penzolare da una mano un mantelloe dall'altra una schiavina di cuoiouncappello di feltro e un capingot.

Padron Nicless disse:

«L'uomo che ha bussato la seconda volta era uno della poliziaè entrato eduscito senza dire una parolae ha portato

questo».

Ursus riconobbe la schiavinail capingotil cappello e il mantello diGwynplaine.

IV • «MOENIBUS SURDIS CAMPANA MUTA»

Ursus palpò il feltro del cappellola stoffa del mantellola lana delcapingotil cuoio della schiavinae non poté

dubitare dell'identità di quegli abiti smessi; con un gesto breve eimperiososenza dire una parolaindicò a padron

Nicless la porta dell'inn.

Padron Nicless aprì.

Ursus si precipitò fuori dalla taverna.

Padron Nicless lo seguì con lo sguardo e vide Ursus correreper quanto erapossibile alle sue vecchie gambenella

direzione che al mattino aveva preso il wapentake portandosi via Gwynplaine.Un quarto d'ora dopoUrsus arrivava

trafelato nella stradina dove c'era lo sportello sul retro della prigione diSouthwartke dove aveva già trascorso tante ore

in osservazione.

La stradicciola non aveva certo bisogno che fosse mezzanotte per esseredeserta. Mase di giorno era tristedi notte era

inquietante. Passata una certa oranessuno si sarebbe azzardato a mettervipiede. C'era come la paura che i due muri si

avvicinassero e il timorese al carcere e al cimitero fosse venuta voglia diabbracciarsidi rimanere schiacciati da

quell'abbraccio. Conseguenze della notte. I salici mutilati della viuzzaVauverta Parigigodevano della stessa cattiva

reputazione. Si diceva che quei moncherini d'alberidi nottesi mutasseroin grandi mani che afferravano i passanti.

Istintivamente la gente di Southwark evitavacome abbiamo dettoquellastrada che correva tra la prigione e il cimitero.

Un temp o essa era sbarratala notteda una catena di ferro. Una cosainutileperché la catena migliore per chiudere

quella strada era la paura che incuteva.

Ursus la imboccò risolutamente.

Cosa aveva in mente? Niente.

Egli andava in quella strada per avere informazioni. Avrebbe bussato allaporta del carcere? No di certo. Mai gli sarebbe

passata per la testa un'idea così inutile e spaventosa. Cercare d'introdursilà dentro per chiedere informazioni? Che

follia! Le prigioni non si aprono né per chi vuole uscirené per chi vuoleentrare. I loro cardini girano solo sulla legge.

Ursus lo sapeva. Cosa ci andava a fare dunque in quella strada? Ci andava pervedere. Vedere cosa? Niente. Non si sa.

Il possibile. Trovarsi davanti alla porta dove Gwynplaine era scomparsoeragià qualcosa. Capita che il muro più nero e

refrattario si metta a parlaree dalle pietre esca un chiarore. A volte daun cumulo cupo e compatto trasuda una vaga

luce. Esaminare l'involucro di un fatto può essere utile per comprenderlo.Tutti abbiamo questo istinto di lasciare tra noi

e il fatto che ci interessa solo il minimo spessore possibile. Per questoUrsus era tornato nella stradina dove c'era

l'entrata secondaria del carcere.

Nel momento in cui imboccò la stradinaegli udì il rintocco di unacampanapoi ne udì un altro.

«Toh»pensò«è già mezzanotte?».

Automaticamente si mise a contare:

«Trequattrocinque».

Pensò:

«Come sono distanziati i rintocchi di questa campana! Che lentezza! - Sei.Sette».

E fece questa osservazione:

«Che suono lamentoso! - Ottonove. - Ah! Niente di più semplice. Unorologio s'intristisce a stare in una prigione. -

Dieci. - E poilà c'è il cimitero. Questa campana batte l'ora per i vivie l'eternità per i morti. - Undici. - Ahimè! Battere

l'ora per chi non è libero è lo stesso che battere l'eternità! Dodici».

Si fermò.

«Sìè mezzanotte».

La campana suonò un tredicesimo colpo.

Ursus trasalì.

«Tredici!».

Ci fu un quattordicesimo rintocco. Poi un quindicesimo.

«Cosa significa?».

I rintocchi continuarono a lunghi intervalli. Ursus ascoltava.

«Non è la campana di un orologio. È la campana Muta. Per questo dicevo:Come batte a lungo mezzanotte! Questa

campana non batte l'orasuona soltanto. Che succede di sinistro?».

Un tempo tutte le prigionicome tutti i monasteriavevano una campana detta«muta»riservata per le circostanze tristi.

La muta era una campana che rintoccava con un suono molto basso e chesembrava facesse il possibile per non essere

udita.Ursus aveva riguadagnato l'angolino comodo per stare di guardiadacuiper una gran parte della giornataaveva potuto

spiare la prigione.

I rintocchi si succedevanoa lugubre distanza uno dall'altro.

Una campana a morto fa una brutta punteggiatura nello spazio. Essa segnanelle preoccupazioni di tutti dei funebri

capoversi. Una campana che suona a morto sembra il rantolo di un uomo.Annuncio d'agonia. Se qua e là nelle case

attorno a quella campana in movimento ci sono sogni sparsi e in attesaquelrintocco funebre li taglia in rigidi tronconi.

Il vago fantasticare è come un rifugio; c'è qualcosa diffuso nell'angosciache permette alla speranza di farsi largo; il

rintocco funebredesolantepuntualizza. Esso sopprime quella diffusioneenel torbido in cui l'inquietudine cerca di

restare sospesaprovoca dei precipitati. Il rintocco funebre parla aciascuno nel senso del suo dolore o della sua paura.

Una campana tragicae ciò vi riguarda. Avvertimento. Nulla di più cupo delmonologo su cui cade quella cadenza.

L'identico ritornare indica un'intenzione. Cosa vuole forgiare la campanaquesto martello sull'incudine del pensiero?

Ursusconfusamentecontavabenché ciò non avesse alcun sensoirintocchi funebri. Sentendosi scivolareegli si

sforzava di non abbozzare ipotesi. Le ipotesi sono un piano inclinato che cispinge inutilmente troppo lontano. E

tuttaviache significava quella campana?

Guardava nell'oscurità in direzione della porta della prigione.

Improvvisamentein quel punto stesso che faceva come una specie di buconeroapparve qualcosa di rosso. Il rossore si

fece più grande e divenne una luce.

Nulla di vago in quel rossore. Prese subito forma e angoli. La porta dellaprigione aveva girato sui cardini. Il rossore ne

disegnava la cèntina e gli stipiti.

La porta era più socchiusa che aperta. Una prigione non si apresbadiglia.Forse di noia.

Lo sportello lasciò passare un uomo con una torcia in mano.

La campana non smetteva. Ursus si sentì preso da due forme di attesa; simise in guardial'orecchio ai rintocchi funebri

l'occhio alla torcia.

Dopo quell'uomo la portache era solo socchiusasi spalancò del tuttolasciando uscire altri due uominie poi un

quarto. Il quarto era il wapentakeben visibile alla luce della torcia. Egliteneva in pugno il suo bastone di ferro.

Al seguito del wapentake sfilaronospuntando da sotto lo sportellouominisilenziosidue a duein ordinecon la

rigidità di una fila di pali che camminassero.

Il corteo notturno superava la porticina a coppiecome i penitenti in unaprocessionesenza soluzione di continuitàcon

la lugubre preoccupazione di non fare rumoregravementequasi con dolcezza.La stessa precauzione di un serpente

che esce dalla sua tana.

La torcia metteva in risalto i profili e i gesti. Profili ferocigestitetri.

Ursus riconobbe tutti i volti degli uomini della polizia cheal mattinoavevano portato via Gwynplaine.

Nessun dubbio. Erano gli stessi. Riapparivano.

Evidentemente anche Gwynplaine sarebbe riapparso.

Lo avevano condotto là; lo stavano riportando.

Era chiaro. Le pupille di Ursus diventarono ancora più fisse. Avrebberorimesso Gwynplaine in libertà?

La doppia fila di poliziotti scorreva sotto quella volta bassa moltolentamentequasi goccia a goccia. Sembrava che la

campanamai fermasegnasse loro il passo. Una volta che il corteo fu uscitodalla prigionemostrando le spalle a Ursus

voltò a destranel tratto di strada opposto a quello dove egli eraappostato.

Sotto lo sportello brillò una seconda torcia.

Era il segno della fine del corteo.

Ursus stava per vedere ciò che portavano via. Il prigioniero. L'uomo.

Ursus stava per vedere Gwynplaine.

Ciò che portavano con sé apparve.

Era una bara.

Quattro uomini portavano una bara coperta da un drappo nero.

Dietro loro veniva un uomo con un badile sulla spalla.

Chiudeva il corteo una terza torcia accesatenuta da un personaggio cheleggeva in un libroe che doveva essere il

cappellano.

La bara si allineò al corteo di polizia che aveva voltato a destra.

In quello stesso momento la testa del corteo si fermò.

Ursus udì stridere una chiave.

Di fronte alla prigionenel muro basso che costeggiava l'altro lato dellastradaapparve una seconda porta illuminata da

una torcia.

La portasu cui era visibile un teschioera quella del cimitero.

Il wapentake s'introdusse in quell'apertura seguito dagli altri uominiallaprima torcia seguì la seconda; il corteo vi

scomparverimpicciolendo come un rettile che s'intanatutta la fila deipoliziotti penetrò nell'oscurità che stava al di là

della portapoi la barapoi l'uomo con il badilepoi il cappellano con latorcia e il libroinfine la porta si richiuse.

Non rimase altro che un vago chiarore sopra un muro.

Si udì un bisbigliopoi dei colpi sordi.

Si trattava certo del cappellano e del becchinoche gettavano sulla barauno versetti di preghieral'a ltro palate di terra.

Il bisbiglio cessòcessarono i colpi sordi.Qualcosa si mossele torcebrillaronosotto la porta nuovamente aperta del cimitero ripassò il wapentaketenendo alto

il weapone ritornò il cappellano con il suo libroil becchino con ilbadileriapparve il corteosenza la barala doppia

fila d'uomini rifece lo stesso tragitto tra le due porte nello stessosilenziola porta del cimitero si richiusela porta della

prigione si riaprìil chiarore stagliò la volta sepolcrale dellosportellosi distinse vagamente il buio corridoiosi offrì

allo sguardo la fitta e profonda notte del carceree l'intera apparizionerientrò nell'ombra. Il rintocco funebre si spense.

Su tutto si chiuse il silenziosinistra serratura delle tenebre.

Non rimase altro dell'apparizione.

Un passaggio di spettri che si dissolve.

Gli accostamenti che coincidono logicamente finiscono per costruire qualchecosa che assomiglia all'evidenza. A

Gwynplaine arrestatoalla forma silenziosa del suo arrestoai suoi abitiriportati dal poliziottoai rintocchi funebri della

prigione dove era stato condottoveniva ad aggiungersidiciamo meglioacoinciderequella tragica cosaquella bara

sepolta.

«È morto!»esclamò Ursus.

Cadde a sedere su un cippo.

«Morto! L'hanno ucciso! Gwynplaine! Il mio bambino! Mio figlio!».

E scoppiò in singhiozzi.

V • LA RAGIONE DI STATO LAVORA IN PICCOLO COME IN GRANDE

Ursus si vantavaahimèdi non aver mai pianto. Il sacchetto lacrimale erapieno. Una tale scortadovegoccia a goccia

dolore dopo doloresi è accumulata tutta una lunga esistenzanon si vuotain un istante. Ursus singhiozzò a lungo.

La prima lacrima è una puntura. Pianse su Gwynplainesu Deasu luiUrsussu Homo. Pianse come un bambino.

Pianse come un vecchio. Pianse per tutto ciò di cui aveva riso. Pagò gliarretrati. Il diritto di un uomo alle lacrime non

cade in prescrizione.

D'altra parteil morto che avevano appena sotterrato era Hardquanonne; maUrsus non era costretto a saperlo.

Passarono molte ore.

Cominciò a spuntare il giorno; la pallida tovaglia del mattinovagamentepieghettata d'ombrasi stese sul bowling-green.

L'alba sbiancò la facciata dell'inn Tadcaster. Padron Nicless non era andatoa letto; capita che lo stesso

avvenimento generi diverse insonnie.

Le catastrofi irradiano in tutte le direzioni. Gettate una pietra in acquaecontate gli schizzi.

Padron Nicless si sentiva colpito. È molto sgradevole correre pericoli incasa propria. Padron Niclessnon molto

rassicurato e sospettando delle complicazionirifletteva. Si rammaricava diaver accolto in casa «quella gente». - Se lo

avesse immaginato! - Avrebbero finito con il procurargli qualche guaio. Eoracome fare a mandarli via? - Aveva un

contratto d'affitto con Ursus. - Che fortuna sbarazzarsene! - A cosaappigliarsi per cacciarli?

Improvvisamente bussarono con impeto alla porta dell'inncosa che inInghilterra annuncia l'arrivo di «qualcuno». La

gamma dei colpi infatti corrisponde alla scala gerarchica.

Non erano certo i colpi di un lordbensì quelli di un magistrato.

L'ostetremandosocchiuse il finestrino.

C'era proprio un magistrato. Padron Nicless scorse sulla portaalla lucedell'albaun drappello di polizia in testa al quale

spiccavano due uominidi cui uno era il giustiziere -quorum.

Padron Niclessche il mattino prima aveva visto il giustiziere -quorumloriconobbe.

Non conosceva l'altro uomo.

Era un gentleman grassodal volto cereoin parrucca da società e mantelloda viaggio.

Padron Nicless aveva una gran paura del primo di quei personaggiilgiustiziere-quorum. Se padron Nicless avesse

frequentato la corteavrebbe avuto ancora più paura del secondopoiché sitrattava di Barkilphedro.

Uno degli uomini del drappello picchiò una seconda volta alla portaviolentemente.

L'osteche aveva la fronte tutta sudata per la pauraaprì.

Il giustiziere-quorumcon il tono di chi fa parte della polizia e conosce ivagabondialzò la voce e domandò

severamente:

«Padron Ursus?».

L'ostecon il berretto in manorispose:

«Vostro onoresta qui».

«Lo so»disse il giustiziere.

«Certovostro onore».

«Fatelo venire».

«Non c'èvostro onore».

«Dov'è?».

«Non lo so».

«Come mai?».

«Non è rientrato».

«È dunque uscito presto?».

«No. È uscito molto tardi».«Questi vagabondi!»riprese il giustiziere.

«Vostro onore»disse piano padron Nicless«eccolo».

In effetti Ursus faceva la sua comparsa alla svolta del muro. Arrivava inquel momento all'inn. Egli aveva trascorso

quasi tutta la notte tra il carceredovea mezzogiornoaveva visto entrareGwynplainee il cimiterodovea

mezzanotteaveva sentito riempire una fossa. Aveva il pallore dellatristezza e quello del crepuscolo.

L'albache è luce allo stato di larvalascia le formeanche quelle che simuovonoimmerse nella diffusione della notte.

Ursuspallido e attonitocamminava lentamentecome il personaggio di unsogno.

Nella totale distrazione dell'angoscia egli se n'era andato dall'inn a testanuda. Non si era neppure accorto di non avere il

cappello. I pochi capelli grigi al vento. Gli occhi erano aperti ma sembravache non vedessero. Capita di dormire

quando si è sveglie di essere svegli mentre si dorme. Ursus aveval'aspetto di un pazzo.

«Padron Ursus»gridò l'oste«venite. Le signorie loro desideranoparlarvi».

Padron Niclessil cui unico intento era di ammansire la situazionesilasciò sfuggire quel «signorie loro»

rammaricandosene al tempo stessoperché il pluralerispettoso per ilgruppoavrebbe forse potuto offendere il capo

confuso in quel modo con i suoi subordinati.

Ursus sussultò come un uomo caduto dal letto dove dormiva profondamente.

«Che c'è?»disse.

E si accorse della poliziae del magistrato che la guidava.

Fu una nuova e dura scossa.

Prima il wapentakeora il giustiziere-quorum. Sembrava che uno lo gettasseall'altro. Questo ricorda antichi racconti di

scogli.

Il giustiziere-quorum gli fece segno d'entrare nella taverna.

Ursus obbedì.

Govicumche si era appena alzato e scopava la salasi ficcò in un angolodietro i tavoliripose la scopa e trattenne il

respiro. Si mise le mani nei capelli e si grattò distrattamentesegno cheseguiva con attenzione gli avvenimenti.

Il giustiziere -quorum si sedette su una pancadavanti a un tavolo;Barkilphedro prese una sedia. Ursus e padron Nicless

restarono in piedi. Quelli della polizialasciati fuorisi ammassaronodavanti alla porta chiusa.

Il giustiziere-quorum fissò il suo sguardo legale su Ursuspoi disse:

«Voi avete un lupo».

Ursus rispose:

«Non del tutto».

«Voi avete un lupo»riprese il giustizieresottolineando la parola«lupo» con un tono che non ammetteva repliche.

Ursus rispose:

«Il fatto è che...».

Quindi tacque.

«Delitto»replicò il giustiziere.

Ursus tentò questa difesa:

«È il mio servo».

Il giustiziere posò la mano sulla tavola con le dita ben apertein un belgesto d'autorità.

«Buffonedomani a quest'ora voi e il vostro lupo avrete lasciatol'Inghilterra. Altrimenti il lupo sarà catturatoportato

alla cancelleriae ucciso».

«Un altro assassinio»pensò Ursus. Ma non disse una parolaaccontentandosi di tremare in tutto il corpo.

«Avete capito?»proseguì il giustiziere.

Ursus annuì con un cenno del capo.

Il giustiziere insistette.

«Ucciso».

Ci fu una pausa di silenzio.

«Strangolatoo annegato».

Il giustiziere-quorum guardò Ursus.

«E voi in prigione».

Ursus mormorò:

«Signor giudice...».

«Partite prima di domani mattina. Altrimentiquesti sono gli ordini».

«Signor giudice...».

«Cosa?».

«Dobbiamo lasciare l'Inghilterralui e io!».

«Sì».

«Oggi?».

«Oggi».

«Come faremo?».

Padron Nicless era felice. Quel magistrato di cui aveva avuto pauravenivain suo aiuto. La polizia diventava sua amica

amica di Nicless. Essa lo liberava da «quella gente». Gli portava il mezzoche aveva cercato. Quell'Ursus che egli

voleva congedarela polizia lo cacciava. Forza maggiore. Niente daobiettare. In estasiegli intervenne:«Vostro onorequest'uomo...».

Indicava Ursus con il dito.

«... Quest'uomo chiede come fare per lasciare l'Inghilterra oggi? Niente dipiù semplice. Ogni giorno e ogni notte ci

sono battelli in partenzaormeggiati sul Tamigida una parte e dall'altradel ponte di Londra. Dall'Inghilterra si

raggiunge la Danimarcal'Olandala Spagnasi va dovunquetranne che inFranciaa causa della guerra. Questa notte

partiranno diverse naviverso l'una del mattinoche è l'ora della marea.Tra le altre la Vograat di Rotterdam».

Il giustiziere-quorum mosse una spalla in direzione di Ursus:

«Va bene. Partite con la prima nave. Con la Vograat».

«Signor giudice...»disse Ursus.

«Ebbene?».

«Signor giudicesecome altre volteio non avessi che il mio baracchinosu ruotesarebbe possibile. Ci starebbe su una

nave. Ma...».

«Ma cosa?».

«Il fatto è che io ho la Green-Boxche è un carrozzone con due cavallieper quanto sia larga una navenon riuscirà mai

ad entrarvi».

«Cosa m'interessa?»disse il giustiziere. «Il lupo verrà ucciso».

Ursusfrementesi sentì in balìa di una mano di ghiaccio. «Chemostri!»pensò. «Non sanno far altro che uccidere».

L'oste sorrisee si rivolse a Ursus.

«Padron Ursusvi hanno fatto un'offerta».

«Chi?».

«Un'offerta per la vettura. Un'offerta per i due cavalli. Un'offerta per ledue zingare. Un'offerta ...».

«Chi?»ripeté Ursus.

«Il padrone del circo qui accanto».

«È vero».

Ursus ricordò.

Padron Nicless si voltò verso il giustiziere -quorum.

«Vostro onorel'affare può essere concluso oggi stesso. Il proprietariodel circo qui accanto vuole acquistare il

carrozzone e i due cavalli».

«Il proprietario del circo fa bene»disse il giustiziere«perché gliserviranno. Una vettura e dei cavalligli faranno

comodo. Anche lui partirà oggi. I reverendi della parrocchia di Southwark sisono lamentati dell'osceno fracasso del

Tarrinzeaufield. Lo sceriffo ha preso dei provvedimenti. Entro questa seranon ci sarà più una sola baracca di giocolieri

su questa piazza. Fine degli scandali. L'onorevole gentleman che ci onoradella sua presenza...».

Il giustiziere-quorum s'interruppe con un inchino a Barkilphedrochecontraccambiò.

«... L'onorevole gentleman che ci onora della sua presenza è arrivatoquesta notte da Windsor. Egli porta degli ordini.

Sua maestà ha detto: Bisogna fare pulizia».

Ursusdurante le lunghe meditazioni della nottesi era posto delle domande.Dopo tuttoegli aveva visto solo una bara.

Era sicuro che dentro ci fosse Gwynplaine? Potevano esserci a questo mondoaltri morti che non fossero Gwynplaine.

Un feretro che passa non è un morto con un nome. Dopo l'arresto diGwynplaine c'era stata una sepoltura. Ciò non

provava nulla. Post hocnon propter hoc ecc. Ursus aveva ricominciatoa dubitare. La speranza brucia e luccica

sull'angoscia come la nafta sull'acqua. Questa fiamma galleggiante fluttuaeternamente sul dolore umano. Ursus aveva

finito per dirsi: «Può darsi che abbiano sepolto Gwynplainema non ècerto. Chi lo sa? Forse Gwynplaine è ancora

vivo».

Ursus s'inchinò davanti al giustiziere.

«Onorevole giudicepartirò. Noi partiremo. Si partirà. Con la Vograat.Per Rotterdam. Obbedisco. Venderò la Green-Box

i cavallile trombele donne d'Egitto. Ma c'è un mio compagno che nonposso lasciare. Gwynplaine...».

«Gwynplaine è morto»disse una voce.

Ursus sentì la pelle gelarsicome se ci fosse passato sopra un rettile. Erala voce di Barkilphedro.

L'ultimo barlume si spegneva. Più nessun dubbio. Gwynplaine era morto.

Quel tipo doveva saperlo. Era abbastanza sinistro per una cosa simile.

Ursus fece un inchino.

Padron Niclessse si esclude la viltàera un gran buon uomo. Main predaallo spaventodiventava atroce. Il colmo

della ferocia è la paura.

Borbottò: «Semplificazione».

E si fregò le mani alle spalle di Ursuscome fanno gli egoisti volendodire: «Me ne sono liberato!». Così sembra che

abbia fatto Ponzio Pilato sopra la bacinella.

Ursusoppressoteneva la testa bassa. La sentenza di Gwynplaine era stataeseguita: la morte; equanto a luigli era

stata notificata la sua condanna: l'esilio. Non restava che obbedire.Pensava.

Sentì che gli toccavano il gomito. Era l'altrol'accolito delgiustiziere-quorum. Ursus trasalì.

La voce che aveva detto: Gwynplaine è mortogli bis bigliòall'orecchio:

«Ecco dieci sterline che vi manda uno che vi vuole bene».

E Barkilphedro posò una piccola borsa sul tavolo davanti a Ursus.

Si ricorderà il cofanetto che Barkilphedro aveva portato via.Dieci ghinee suduemila era tutto quello che poteva fare Barkilphedro. In coscienzaerasufficiente. Se avesse dato di

piùci avrebbe rimesso. Si era presa la briga di trovare un lordnecominciava lo sfruttamentoera giusto che la prima

rendita gli appartenesse. Chi vedesse in questo una meschinitàsarebbe nelproprio dirittoma avrebbe torto di

meravigliarsi. A Barkilphedro piaceva il denarosoprattutto quello rubato.Nell'invidioso c'è l'avaro. Barkilphedro non

era senza difetti. Commettere dei crimini non impedisce di avere dei vizi.Anche le tigri hanno i pidocchi.

Del restoera la scuola di Bacone.

Barkilphedro si voltò verso il giustiziere -quorum e gli disse:

«Signorevogliate concludere. Ho molta fretta. Mi attende una diligenzaequipaggiata con i cavalli di sua maestà.

Bisogna che ripartaventre a terraper Windsore che ci arrivi prima delledue. Devo rendere conto e prendere ordini».

Il giustiziere-quorum si alzò.

Andò alla portache era chiusa solo con la stanghettal'aprìguardòsenza dire una parolagli uomini della poliziae

dall'indice gli scaturì un lampo d'autorità. Tutto il gruppo entròinquel silenzio che lascia intravedere l'avvicinarsi di

qualcosa d'importante.

Padron Niclesssoddisfatto per quel rapido scioglimento che tagliava cortoad ogni complicazionefelice per essere

fuori da quella matassa ingarbugliatavedendo quello spiegamento diufficiali di poliziatemette che arrestassero Ursus

in casa sua. Due arrestiuno dopo l'altronella sua casaquello diGwynplaine e poi quello di Ursusciò poteva nuocere

alla tavernaai bevitori non piace essere disturbati dalla polizia. Sidoveva intervenire con le forme di una supplica

corretta e generosa. Padron Nicless volse verso il giustiziere -quorum la suafaccia sorridentedove il rispetto temperava

la confidenza:

«Vostro onorefaccio osservare a vostro onore che gli onorevoli signoriufficiali non sono affatto indispensabilidal

momento che il lupo colpevole sta per essere portato fuori dall'Inghilterrae che il detto Ursus non fa resistenzae che

gli ordini di vostro onore sono puntualmente eseguiti. Vostro onore vorràconsiderare che le lodevoli azioni di polizia

così necessarie al bene del regnorecano danno a un'impresae che la miacasa è innocente. Spazzati via i saltimbanchi

della Green-Boxcome dice sua maestà la reginaqui non vedo più nessuncriminalepoiché non penso che la ragazza

cieca e le due zingare siano delinquentiperciò implorerei vostro onore divoler abbreviare la sua augusta visita e di

congedare questi degni signori che sono entratinon avendo nulla da fare incasa miae se vostro onore mi permettesse

di provare la giustezza di ciò che dico sotto la forma di un'umile domandaio metterei in risalto l'inutilità della presenza

di questi venerandi signori chiedendo a vostro onore: Poiché il detto Ursusobbedisce e partechi devono arrestare

qui?».

«Voi»disse il giustiziere.

Non si discute con un colpo di spada che vi passa da parte a parte. PadronNicless si accasciòatterritosu un tavolo

una panca qualsiasi.

Il giustiziere alzò a tal punto la voce chese ci fosse stato qualcunosulla piazzal'avrebbe sentito.

«Padron Nicless Plumptreoste di questa tavernaquesto è l'ultimo puntoda regolare. Il buffone e il lupo sono dei

vagabondi. Essi vengono cacciati. Ma il più colpevole siete voi. È in casavostracon il vostro consensoche la legge è

stata violatae voiuomo munito di patenteinvestito di unaresponsabilità pubblicavoi avete permesso allo scandalo di

istallarsi nella vostra casa. Padron Niclessla licenza vi viene ritiratapagherete un'ammenda e ve ne andrete in

prigione».

I poliziotti circondarono l'oste.

Il giustiziereindicando Govicumproseguì:

«Quel ragazzovostro compliceè in arresto».

La mano di un ufficiale si abbatté sul bavero di Govicumche guardòl'ufficiale con curiosità. Il boynon molto

spaventatocapiva pocoaveva già visto più di un fatto singolaree sichiedeva se non fosse il seguito della commedia.

Il giustiziere-quorum si calcò il cappello in testaincrociò le mani sulventreche è il colmo della maestàe aggiunse:

«È stabilitopadron Niclesssarete portato in prigione e messo nellesegrete. Voi e il boy. E questa casal'inn Tadcaster

resterà chiusacondannata e sigillata. Per dare un esempio. E con questoseguiteci».

LIBRO SETTIMO • LA TITANA

I • RISVEGLIO

«E Dea!».

A Gwynplaine chementre si svolgevano le vicende dell'inn Tadcasterguardava sorgere il giorno da Corleone-lodge

sembrò che quel grido venisse da fuori; ma quel grido era dentro di lui.

Chi non ha inteso i profondi clamori dell'anima?

E poi si stava facendo giorno.

L'aurora è una voce.

A cosa servirebbe il sole se non a risvegliare la coscienza dal suo tetrosonno?

Luce e virtù appartengono alla stessa specie.Che Dio si chiami Cristo oAmorec'è sempre un'ora in cui viene dimenticatoanche dai migliori; tuttinoiperfino i

santiabbiamo bisogno di una voce che ci faccia ricordaree nell'alba è ilsublime consigliere che ci parla. La coscienza

grida davanti al dovere come il gallo davanti al sole.

Il caos del nostro cuore ode il Fiat lux.

Gwynplaine - continueremo a chiamarlo così; Clancharlie è un lordGwynplaine un uomo - Gwynplaine fu come

resuscitato.

Era tempo che l'arteria fosse legata.

C'era in lui una fuoriuscita di onestà.

«E Dea?»disse.

E avvertì nelle vene come una generosa trasfusione. Qualcosa di salubre siriversava tumultuosamente in lui. L'irruzione

violenta dei buoni pensieri è il ritorno a casa di qualcuno che non ha lachiavee che scavalca onestamente il proprio

muro. Si scalaè veroma il bene. E c'è effrazionema del male.

«Dea! Dea! Dea!»ripeté.

Era il suo cuore che gli s'imponeva.

Domandò ad alta voce:

«Dove sei?».

Quasi stupito di non sentire una risposta.

Guardando il soffitto e i muricon lo smarrimento della ragione che tornavacontinuò:

«Dove sei? Dove sono?».

E in quella camerain quella gabbiariprese a camminare come un animaleselvaggio rinchiuso.

«Dove sono? A Windsor. E tu? A Southwark. Ah! Mio Dio! È la prima volta chesiamo lontani. Chi ha scavato questo

vuoto? Io quitu là! Oh! Non è possibile. Non accadrà. Cosa mi hannofatto?».

Si fermò.

«Chi mi ha parlato dunque della regina? Lo conoscevo? Cambiato! Io cambiato!Perché? Perché sono un lord. Sai Dea

cosa significa? Che tu sei una lady. È incredibile come possono capitarecerte cose. Questa poi! Devo ritrovare la mia

strada. Mi hanno forse rovinato? C'è un uomo che mi ha parlato con ariasinistra. Ricordo le parole che mi ha detto:

Mylordper una porta che si apreun'altra si chiude. Ciò che vi lasciatealle spalle non esiste più. - Detto in altro modo:

Voi siete un vile! Quell'uomoquel miserabile! Mi ha parlato mentre non eroancora sveglio. Ha approfittato del mio

primo momento di stupore. Ero come la sua preda. Dove si trovache lo voglioinsultare! Mi parlava con il tetro sorriso

del sogno. Ah! Sto tornando in me stesso! Bene. Si sbagliano se credono difare ciò che vogliono di lord Clancharlie!

Pari d'Inghilterrasìma con una pari di nome Dea. Mettere dellecondizioni! Come se potessi accettarne! La regina?

Che m'importa della regina? Non l'ho mai vista. Non voglio certo essere lordper diventare uno schiavo. Entro libero nel

potere. Credono forse di avermi tolto le catene per niente? Mi hanno scioltola museruolaecco tutto. Dea! Ursus!

Staremo insieme. Ciò che eravatelo ero anch'io. Ciò che sonolo sieteanche voi. Venite! No. Verrò io! Subito. Subito!

Ho aspettato anche troppo. Cosa penseranno non vedendomi tornare? Denaro! Sepenso che non gli ho mandato che del

denaro! Io dovevo andare. Ricordoquell'uomo mi ha detto che non potevouscire da qui. La vedremo. Prestouna

vettura! Una vettura! Attaccate i cavalli. Andrò a cercarli. Dove sono idomestici? Se c'e un signoreci saranno pure dei

domestici. Io qui sono il padrone. Questa è casa mia. E piegherò ichiavistellispezzerò le serraturesfonderò le porte a

calci. Che si provino a sbarrarmi il camminoli passerò con la mia spadadato che ora possiedo una spada. Voglio

vedere chi mi resisterà. Ho una donna che si chiama Dea. E un padre di nomeUrsus. Ho per casa un palazzo e ne faccio

dono a Ursus. Il mio nome è un diadema e lo regalo a Dea. Presto! Subito!Deaeccomi! Ah! Tra poco avrò colmato la

distanzava!».

Ealzando la prima portiera che gli capitòuscì con impeto dalla stanza.

Si trovò in un corridoio.

Andò avanti.

Trovò un altro corridoio.

Tutte le porte erano aperte.

Camminò a casoda una camera all'altracorridoio dopo corridoioallaricerca dell'uscita.

II • COME UN PALAZZO PUÒ ASSOMIGLIARE A UN BOSCO

I palazzi all'italianae Corleone-lodge era tra questiavevano pochissimeporte. Erano tutti tendaggiportiere

tappezzerie.

Non c'era palazzo in quell'epoca che non fosseal proprio internosingolarmente affollato di camere e corridoiin

un'abbondanza di fasto; doraturemarmirivestimenti di legno intagliatosete orientali; con angoli di riguardo immersi

nell'oscuritàe altri pieni di luce. Erano abbaini ricchi e allegriridotti verniciatirivestiti di maioliche olandesi o di

azulejos del Portogalloalti vani di finestre disegnati come soppalchistanzini completamente di vetrograziose lanterne

abitabili. Anche le cavità dei murivuotati del loro spessoreeranoabitabili. Qua e là c'erano dei localini che fungevano

da guardaroba. Venivano chiamati «i piccoli appartamenti». Lì sicommettevano i delitti.

Era comodose c'era da uccidere il duca di Guisa o da traviare la graziosapresidentessa di Sylvecaneopiù tardida

soffocare le grida delle piccole rapite da Lebel. Abitazione complicataincomprensibile per il primo venuto. Luogo di

rapimenti; fondo ignorato dove si concludevano le sparizioni. Lìin quelleeleganti caverneprincipi e signorideponevano il loro bottino; il conte diCharolais vi nascondeva madame Courchampmoglie del magistrato alle istanze;

il signore di Monthulé vi nascondeva la figlia di Haudryil fittavolo dellaCroix Saint-Lenfroy; il principe di Conti vi

nascondeva le due belle fornaie dell'Ile-Adam; il duca di Buckingham vinascondeva la povera Pennywell ecc. Le cose

che si facevano là erano di quelle checome dice la legge romanasi fanno viclam et precariocon la forza

segretamente e per poco tempo. Chi c'eravi restava a piacimento delpadrone. C'erano botole dorate. A metà tra il

chiostro e il serraglio. Scale che giravanosalivanoscendevano. Unaspirale di camere una nell'altra vi riportava al

punto di partenza. Una galleria finiva in oratorio. Un confessionales'innestava in un'alcova. Le ramificazioni dei coralli

e le cavità delle spugne erano probabilmente servite da modello allearchitetture dei «piccoli appartamenti» reali e

signorili. Le diramazioni erano inestricabili. Ritratti che ruotavano suaperture facevano da entrate e da uscite. Era tutto

un macchinario. Non poteva essere altrimentidato che vi si recitavano deidrammi. I piani di quell'alveare andavano

dalle cantine alle mansarde. Bizzarra madrepora incrostata in tutti ipalazzia cominciare da Versaillese che era quasi

l'abitazione dei pigmei nella dimora dei titani. Corridoirepositorinidialveolinascondigli. Buchi d'ogni tipo dove si

cacciavano le miserie dei grandi.

Quei luoghimurature serpeggiantirisvegliavano idee di giochidi occhibendatidi mani a tentonidi risate contenute

mosca ciecarimpiattino; e al tempo stesso facevano pensare agli AtridiaiPlantagenetiai Mediciai selvaggi cavalieri

d'Elza Rizzioa Monaldeschia spade che inseguivano un fuggiasco dicamera in camera.

Anche l'Antichità conosceva simili misteriose abitazionidove il lussoconveniva agli orrori. Ne è stato conservato un

modello sotto terrain certi sepolcri egizianiper esempio nella cripta delre Psammetescoperta da Passalacqua. C'è

negli antichi poeti l'orrore di queste costruzioni sospette. Errorcircumflexuslocus implicitus gyris.

Gwynplaine si trovava nei piccoli appartamenti di Corleone-lodge. Egli avevala febbre di partiredi essere fuoridi

rivedere Dea. Quel groviglio di corridoi e di celledi porte nascostediporte imprevistelo bloccava e lo faceva

rallentare. Avrebbe voluto correreera costretto a vagare. Credeva di doverspingere solo una portaaveva una matassa

da sbrogliare.

Dopo una cameraun'altra. Poi incroci di salotti.

Non incontrava un solo essere vivente. Stava in ascolto. Nessun movimento.

A tratti gli pareva di tornare sui propri passi.

A volte gli sembrava di vedere qualcuno venirgli incontro. Non c'era nessuno.Era luiin uno specchiovestito da gran

signore.

Era luicontro ogni apparenza. Si riconoscevama non subito.

Camminavaprendendo tutti i passaggi che gli si offrivano.

Si avventurava nei meandri di un'architettura intima; là uno stanzinodipinto e scolpito in modo civettuoloun po'

osceno ma molto discreto; qui una cappella equivoca tutta a squame dimadreperla e di smaltocon avori fatti per essere

guardati con la lentecome i coperchi delle tabacchiere; là uno di queipreziosi gabinetti fiorentiniconcepiti per le

ipocondrie delle donneche da allora vennero chiamati boudoirs.Dovunquesui soffittisui muriperfino sui pavimenti

c'erano raffigurazioni in velluto o in metallo di uccelli e di alberivegetazioni stravaganti avvolte nelle perlebozze di

passamanerietovaglie di giaiettoguerrierireginesirene con il ventrecorazzato dell'idra. Le ugnature dei cristalli

sfaccettati aggiungevano effetti di prismi a effetti di riflessi. Lapaccottiglia faceva da pietre preziose. Si vedevano

scintillare buie rientranze. Non si capiva se tutte quelle sfaccettatureluminosedove gli smeraldi si mischiavano con gli

ori dell'aurora e dove fluttuavano nuvole iridatefossero specchimicroscopici o smisurate acquemarine. Un'enorme

delicata magnificenza. Il più piccolo dei palazzia meno che non fosse ilpiù colossale degli scrigni. Una casa per Mab

o un gioiello per Gea. Gwynplaine cercava l'uscita.

Non riusciva a trovarla. Impossibile orientarsi. Nulla è più inebriantedell'opulenza quando la si vede per la prima volta.

Oltretutto era un labirinto. Ad ogni passo c'era qualche magnificenza che loostacolava. Tutto sembrava opporsi alla sua

partenza. Tutto aveva l'aria di non volerlo lasciare. Si trovava comeinvischiato nelle meraviglie. Si sentiva preso e

trattenuto.

«Che orribile palazzo!»pensava.

Si aggirava per quel dedaloinquietochiedendosi cosa volesse diresefosse in prigioneirritandosidesiderando l'aria

libera. Ripeteva: Dea! Dea! Come tenendo il filo che non bisogna lasciarrompere e che vi farà uscire.

A volte chiamava:

«Ehi! C'è qualcuno!».

Nessuna risposta.

Quelle camere non finivano. Era desertosilenziososplendidosinistro.

Così immaginiamo i castelli incantati.

Prese di calore nascoste mantenevano in quei corridoi e in quelle stanze unatemperatura estiva. Sembrava che un mago

avesse catturato il mese di giugno e lo avesse rinchiuso in quel labirinto. Atratti c'era un buon odore. Si attraversavano

zaffate di profumocome se ci fossero dei fiori invisibili. Faceva caldo.Tappeti dovunque. Si sarebbe potuto andare in

giro nudi.

Gwynplaine guardava dalle finestre. Il paesaggio cambiava. Ora vedeva deigiardinipieni di freschezze primaverili e

mattutineora nuove facciate con altre statueora patii alla spagnolacioè piccoli cortili quadrangolari tra grandi

costruzionilastricatiammuffiti e freddi; a volte un fiume che era ilTamigia volte una grande torre che era Windsor.

Fuoriessendo mattino prestonon c'erano passanti.

Egli si fermava. Stava in ascolto.«Oh! Me ne andrò»diceva.«Raggiungerò Dea. Non mi tratterranno con la forza. Guai a chi volesseimpedirmi

d'uscire! Che cos'è quella grande torre? Se anche ci fosse un giganteuncane infernaleun dragoa sbarrare la porta di

questo palazzo stregatoio lo sterminerei. Divorerei un'armata. Dea! Dea!».

Improvvisamente udì un rumorepiccolomolto debole. Sembrava acqua chescorre.

Si trovava in una galleria strettascurache era chiusa da una tenda divisain duea pochi passi da lui.

Si avvicinò alla tendala scostòentrò.

Penetrò nell'inatteso.

III • EVA

Una sala ottogonalecon una volta a manico di panieresenza finestrerischiarata da una luce che veniva dall'altotutta

rivestitamuropavimento e voltadi marmo color fiore di pesco; in mezzoalla sala un baldacchino a pinnacolo in

marmo color drappo mortuariocon colonne tortilinell'affascinantepesantezza dello stile elisabettianocopriva

d'ombra una vasca da bagno dello stesso marmo nero; in mezzo alla vasca unozampillo sottile d'acqua profumata e

tiepida che riempiva con dolce lentezza il bacino; ecco quello che gli sipresentava davanti agli occhi. Il nero di quel

bagno era concepito per far risplendere il candore.

Era quella l'acqua che aveva udito scorrere. Una fuoriuscitapredisposta aun certo livello della vascanon permetteva

all'acqua di debordare. La vasca fumavama così poco che c'era solo un velodi vapore sul marmo. Il fragile getto

d'acqua era come una flessibile verga d'acciaio che si piegava al minimosoffio.

Nessun mobile. Tranne uno di quei lettiniposto accanto alla vascadotatidi cuscinoe abbastanza lunghi perché una

donna che vi si distenda sopra possa tenere ai suoi piedi il cane o l'amante;da qui l'espressione can-al-piéda cui

abbiamo tratto canapé.

Era una sedia a sdraio spagnoladal momento che la parte inferiore erad'argento. I cuscini e l'imbottitura erano di seta

bianca e lucida.

Dall'altra parte della vasca si ergevaaddossata al muroun'alta scansia dabagno in argento massicciocon tutte le sue

suppellettiliein mezzootto specchietti veneziani sistemati inun'intelaiatura d'argento e raffiguranti una finestra.

Dall'angolo di muro smussato più vicino al canapé era stato ricavato unvano quadrato che sembrava un abbaino e che

era chiuso da un pannello fatto con una lastra d'argento dorato. Il pannelloaveva i cardini come un'imposta. Sull'argento

doratoniellata e dorata a sua voltabrillava una corona reale. Sopra ilpannelloappeso e fissato al muroc'era un

campanello d'argento doratoo addirittura d'oro.

Di fronte all'entrata di questa salain faccia a Gwynplaineche si erafermato di colpomancava l'angolo smussato di

marmo. Al suo posto c'era un'apertura della stessa dimensione che arrivavafino alla voltachiusa da una tela argentata

alta e larga.

La teladi una sottigliezza da favolaera trasparente. Vi si poteva vedereattraverso.

Al centro della teladove di solito c'è il ragnoGwynplaine vide qualcosadi formidabileuna donna nuda.

Non nuda alla lettera. La donna era vestita. Vestita dalla testa ai piedi. Laveste era una camicia lunghissimacome le

vesti degli angeli nei dipinti sacrima così sottile da sembrare bagnata.Quella quasi nudità di donna era più infida e più

pericolosa di una nudità schietta. La storia ha registrato processioni diprincipesse e gran dame tra due file di monaci

quandocon il pretesto dei piedi nudi e dell'umiltàla duchessa diMontpensier si mostrava a tutta Parigi con una

camicia di pizzo. Correttivo: un cero in mano.

La tela argentatadiafana come un vetroera una tenda. Era fissata solo inalto e poteva essere alzata. Essa separava la

sala di marmoche era una camera da bagnoda un'altra stanzache era lastanza da letto. Questa stanzapiccolissima

era una specie di grotta degli specchi. Specchi veneziani dovunquecontiguimessi a poliedrouniti con bastoncini

doratiriflettevano il letto che si trovava nel centro. Sul lettod'argentocome il bagno e il canapéera coricata una

donna. Dormiva.

Dormiva con la testa rovesciataun piede respingeva le copertecome lasuccube sopra cui battono le ali del sogno.

Il cuscino merlettato era caduto a terra sul tappeto.

Tra la sua nudità e lo sguardo c'erano due ostacolila camicia e la tendadi organza argentatadue trasparenze. La

stanzapiù alcova che stanzaera illuminata con discrezione dal riflessodella camera da bagno. Se la donna non aveva

pudorene aveva la luce.

Il letto non aveva colonnené baldacchinoné cielocosì che la donnaquando apriva gli occhipoteva vedersi mille

volte nuda negli specchi che le stavano sopra la testa.

Le lenzuola erano disordinate come un sonno agitato. La bellezza deidrappeggi indicava la finezza della tela. A quei

tempi una reginapensando alla dannaziones'immaginava che l'inferno fosseun letto con lenzuola grossolane.

D'altra parte la moda di dormire nudi veniva dall'Italiae risaliva aiRomani. Sub clara nuda lucernadice Orazio.

Una veste da camera di una strana setacertamente cineseperché tra lepieghe s'intravedeva una grande lucertola d'oro

era abbandonata ai piedi del letto.

Al di là del lettoin fondo all'alcovac'era probabilmente una portaoccultata e rivelata da un grande specchio su cui

erano dipinti dei pavoni e dei cigni. In quella stanza immersa nell'ombratutto luccicava. Gli spazi tra i cristalli e le

dorature erano rivestiti di quella materia brillante che a Venezia chiamano«fiele di vetro».

Al capezza le del letto era fissato un leggio d'argento a tasselli girevoli econ dei candelabri inamovibilisu cui si poteva

vedere un libro aperto chein cima alle pagineportava a grandi lettererosse questo titolo: Alcoranus Mahumedis.Gwynplaine non poteva vederenessuno di quei dettagli. Ma vedeva bene la donna.

Era pietrificato e sconvolto al tempo stesso; una contraddizione che comunqueè possibile.

Egli riconosceva quella donna.

Ella aveva gli occhi chiusi e il volto girato verso di lui.

Era la duchessa.

Leil'essere misterioso in cui si confondevano tutti gli splendoridell'ignotoquella che gli aveva fatto fare tanti sogni

inconfessabiliquella che gli aveva scritto una lettera tanto strana! Lasola donna al mondo di cui egli potesse dire: Mi

ha visto e mi desidera! Egli aveva cacciato i sogni e bruciato la lettera.Aveva relegato quella donna il più lontano

possibile dalla sua immaginazione e dalla sua memoria; non ci pensava più;l'aveva dimenticata...

La rivedeva!

La rivedeva terribile

Una donna nuda è una donna armata.

Egli non respirava più. Si sentiva sollevato e spinto come in un nimbo. Laguardava. Quella donna era davanti a lui!

Com'era possibile?

A teatro duchessa. Quinereidenaiadefata. Sempre apparizione.

Tentò di fuggirema sentì che non era possibile. I suoi sguardi eranodivenuti due catene che lo tenevano legato a quella

visione.

Era una sgualdrina? Una vergine? Tutte e due. Messalinaforse presentenell'invisibiledoveva sorriderementre Diana

vegliava. Su quella bellezza c'era la luce dell'inaccessibile. Nessunapurezza era paragonabile a quella forma casta e

altera. Certe nevi incontaminate sono riconoscibili. Quella donna aveva ilsacro candore dello Jungfrau. Ciò che

emanava da quella fronte incoscienteda quei capelli d'oro sparsidalleciglia abbassatedalle vene azzurre appena

visibilidalle scultoree rotondità dei senidai fianchi e dalle ginocchiache affioravano modellando la camicia rosaera

la divinità di un sonno augusto. La mancanza di pudore si dissolveva inluminosità. Quella creatura portava la sua

nudità così tranquillamente come se accampasse qualche diritto sul cinismodivinoaveva la sicurezza di una dea che

diventa figlia dell'abissoe che può dire all'oceano: Padre! E si offrivasuperbamente inabbordabilea tutto ciò che

passava: agli sguardiai desiderialla demenzaai sognicosì fieramenteassopita su quel letto di boudoir come Venere

nell'immensità della schiuma.

Si era addormentata di notte e ora prolungava il suo sonno in pieno giorno;un abbandono iniziato nelle tenebre e

proseguito nella luce.

Gwynplaine fremeva. Era in ammirazione.

Un'ammirazione insana che lo prendeva troppo.

Egli aveva paura.

La scatola a sorpresa del destino non si esaurisce. Gwynplaine aveva credutodi essere alla fine. E invece ricominciava.

Che cos'erano tutti quei lampi che si abbattevano sulla sua testa senzatregua e chealla finecome una suprema

folgorazionegli mettevano davantimentre fremeva tuttouna deaaddormentata? Che cos'erano quegli spiragli che si

aprivano uno dopo l'altro nel cieloe da dove finiva per usciredesiderabile e temibileil suo sogno? Che cos'erano

quelle blandizie dello sconosciuto tentatore che gli portavanouna dopol'altravaghe aspirazionivelleità confusefino

ai cattivi pensieri divenuti carne vivache lo schiacciavano sottol'ebbrezza di una serie di realtà venute

dall'impossibile? C'era forse una cospirazione dell'ombra contro di luimiserabilee che fine avrebbe fatto attorniato da

tutti quei sorrisi di una sinistra fortuna? Che cos'era quella vertiginepremeditata? E quella donna! Là! Perché? Come?

Nessuna spiegazione. Perché proprio lui? Perché lei? Era stato creatoespressamente pari d'Inghilterra per quella

duchessa? Chi li portava a quel modo uno verso l'altro? Chi era lo sciocco?Chi la vittima? Della buona fede di chi si

stava abusando? Si voleva ingannare Dio? Tutte queste cose non eranodistinteegli le intravedeva piuttosto come

attraverso un passaggio di nuvole nere nel suo cervello. Quell'abitazionemagica e malevolaquello strano palazzo

tenace come una prigionefaceva parte del complotto? Gwynplaine subiva unaspecie di riassorbimento. Oscure forze lo

legavano misteriosamente. Una gravitazione lo incatenava. Un travaso divolontà lo stava abbandonando. A cosa

aggrapparsi? Egli era sconvolto e affascinato. Questa volta si sentivairrimediabilmente pazzo. Quella scura caduta a

picco nell'abbagliante precipizio continuava.

La donna dormiva.

Cresceva in lui il turbamentonon si trattava più di una ladydi unaduchessadi una dama; era una donna.

Nell'uomo le deviazioni sono allo stato latente. I vizi seguono nel nostroorganismo un tracciato predisposto. Anche se

innocenti e in apparenza puric'è in noi tutto questo. Essere senza macchianon significa essere senza difetti. L'amore è

una legge. La voluttà è una trappola. C'è l'ebbrezzae c'èl'ubriachezza. L'ebbrezza di volere una donnal'ubriachezza di

volere la donna.

Gwynplainefuori di sétremava.

Che fare contro quell'incontro? Non i flutti delle stoffenon le sericheampiezzenon la civettuola prolissità

dell'abbigliamentonessuna esagerazione galante che coprisse e mostrassenessuna nube. Solo la temibile coincisione

della nudità. Una sorta di misteriosa ingiunzioneun'edenica sfrontatezza.Tutto il lato tenebroso dell'uomo che

prendeva il sopravvento. Eva peggio di Satana. L'umano e il sovrumanoamalgamati. Estasi inquietanteil cui scopo è il

brutale trionfo dell'istinto sul dovere. Il sovrano profilo della bellezza èimperioso. Quando esce dall'ideale e si degna di

essere realecostituisce per l'uomo una vicinanza funesta.Ogni tanto laduchessa si spostava mollemente sul lettocon i vaghi movimenti di un vaporenel cielocambiando

atteggiamentocome la nuvola cambia forma. Ondeggiavacomponendo escomponendo curve seducenti. La donna

possiede tutta la flessibilità dell'acqua. Come l'acquala duchessa avevaqualcosa d'inafferrabile. Strano a dirsima essa

era làcarne visibileeppure rimaneva una chimera. Palpabilesembravalontana. Gwynplainepallido e costernatola

contemplava. Ascoltava i palpiti di quel seno e gli sembrava di udire ilrespiro di un fantasma. Si sentiva attrattosi

dibatteva. Che fare contro di lei? Che fare contro se stesso?

Tutto poteva aspettarsitranne quello. Aveva messo nel conto un feroceguardiano sulla portaun furioso mostro

carceriere da combattere. Aveva previsto Cerbero; trovava Ebe.

Una donna nuda. Una donna addormentata.

Che tetra lotta.

Chiudeva le palpebre. Un eccesso di aurora fa male agli occhi. Ma attraversole palpebre chiuse la rivedeva subito. Più

tenebrosaugualmente bella.

Fuggirenon è facile. Aveva tentatonon avea potuto. Egli era radicatocome capita nei sogni. Quando vorremmo

indietreggiarela tentazione inchioda i nostri piedi al suolo. È possibileavanzarema non andare indietro. Le invisibili

braccia della colpa escono da terra e ci trascinano giù.

Credere che l'emozione si attenui è un luogo comune. Nulla di più falso. Ècome se si dicesse che una piagasotto lo

sgocciolare dell'acido nitricosi acquieta e si lenisceo che losquartamento rende indifferente Damiens.

La verità è che ad ogni incalzare la sensazione si fa più acuta.

Di stupore in stuporeGwynplaine era arrivato al parossismo. Sotto tuttoquello stupore il vaso della sua ragione

traboccava. Egli sentiva in sé uno spaventoso risveglio.

Non aveva più bussola. La sola certezza davanti a lui era quella donna. Glisi schiudeva una qualche irrimediabile

felicitàsimile a un naufragio. Nessuna direzione possibile. Solo unacorrente irresistibilee lo scoglio. Ma non uno

scoglio di rocciauna sirena. In fondo all'abisso c'è una calamita.Gwynplaine avrebbe voluto sottrarsi a quell'attrazione

ma come? Non sentiva più punti d'appoggio. La fluttuazione umana èinfinita. Un uomo può essere smantellato come

una nave. L'ancora è la coscienza. Malugubre circostanzala coscienzapuò spezzarsi.

Non gli restava neppure quella risorsa: «Sono terribilmente sfigurato. Mirespingerà». Quella donna gli aveva scritto

che lo amava.

C'è in tutte le crisi un momento in cui si è in bilico. Quando propendiamoverso il male piuttosto che appoggiarci al

benequella quantità di noi che è sospesa sulla colpa finisce con avere lameglio e ci fa precipitare. Era giunto per

Gwynplaine quel triste momento?

Come sfuggirvi?

Dunque era lei! La duchessa! Quella donna! Egli l'aveva davanti a séinquella camerain quel luogo deserto

addormentataabbandonatasola. Era a sua discrezioneera in suo potere.

La duchessa!

Avete visto una stella nelle profondità degli spazi. L'avete ammirata. Ècosì lontana! Cosa temere da una stella fissa?

Un giornouna nottela vedete spostarsi. Distinguete come un brivido diluce attorno a lei. Quell'astroche credevate

impassibilesi muove. Non è una stellaè una cometa. È l'immensaincendiaria del cielo. L'astro cammina

s'ingrandiscescuote la sua chioma purpureadiventa enorme. Si dirige nellavostra direzione. Oh terroreviene da voi!

La cometa vi conoscela cometa vi desiderala cometa vi vuole. Spaventosoincontro celeste. Ciò che vi raggiunge è

l'eccesso di lucel'accecamento; l'eccesso di vitala morte. Voi rifiutatela proposta dello zenit. Voi respingete l'offerta

d'amore dell'abisso. Vi mettete le mani sulle palpebrevi nascondetevisottraetevi credete in salvo. Poi riaprite gli

occhi... La temibile stella è là. Non è più una stellaè un mondo. Unmondo sconosciuto. Un mondo di lava e di brace.

Un prodigio divoratore di profondità. Essa riempie il cielo. Non c'è chelei. Il carbonchio delle infinite profondità

diamante in lontananzada vicino è una fornace. Voi siete nelle sue fiamme.

E iniziate a sentire la vostra combustione con un calore paradisiaco.

IV • SATANA

Ad un tratto l'addormentata si svegliò. Si mise a sedere con una maestositàbrusca e armoniosa; i suoi biondi capelli di

seta molle si sparsero con dolce tumulto sulle reni; la camicia cadendolasciò vedere ampiamente le spalle; si toccòcon

la mano delicatal'alluce roseoguardando per qualche istante il piedenudodegno di essere adorato da Pericle e

copiato da Fidia; poi si stiròsbadigliando come una tigre al sorgere delsole.

È probabile che Gwynplaine respirasse a faticacome quando si trattiene ilrespiro.

«C'è qualcuno?»chiese la donna.

Lo disse senza smettere di sbadigliarecon una grazia estrema.

Gwynplaine udì quella voce che non conosceva. La voce di una maliarda; unaccento deliziosamente altezzoso; il tono

carezzevole che mitiga l'abitudine al comando.

Nello stesso tempomettendosi sulle ginocchia (c'è una statua anticainginocchiata a quel modo tra le mille trasparenze

delle pieghe)avvicinò a sé la veste da camera e uscì dal lettonuda ein piedisolo il tempo di veder passare una

frecciapoi subito avvolta. In un batter d'occhio la veste di seta lacoprì. Le lunghissime maniche le nascondevano le

mani. Non si vedeva che la punta delle dita dei piedibianchicon unghiepiccolecome i piedi dei bambini.Si tolse dalle spalle un fiotto di capelli chericaddero sulla vestepoi corse dietro al lettoin fondo all'alcovaeappoggiò

l'orecchio allo specchio dipinto che verosimilmente occultava una porta.

Picchiò contro il vetro con il piccolo gomito dell'indice piegato.

«C'è qualcuno? Lord David! Siete già qui? Ma che ore sono? Sei tuBarkilphedro?».

Si voltò.

«Ma no. Non è da questa parte. C'è qualcuno nella camera da bagno? Marispondete dunque! Noin realtà nessuno può

venire da lì».

Andò alla tenda di tela argentatal'aprì con la punta del piedelascostò con un movimento della spallae entrò nella

camera di marmo.

Gwynplaine sentì il freddo dell'agonia. Non aveva scampo. Era troppo tardiper fuggire. Comunque non ne avrebbe

avuto la forza. Avrebbe voluto che il pavimento si spalancasse persprofondare sotto terra. Non c'era mezzo di non

essere visti.

Lo vide.

Lo guardòincredibilmente sconcertatama senza trasalirecon unasfumatura di contentezza e di disprezzo:

«Toh»disse«Gwynplaine!».

Poiimprovvisamentecon un balzo violentoperché quella gatta era unapanteragli si gettò al collo.

Gli strinse la testa tra le braccia nude da cuinello slancioeranoscivolate le maniche.

E respingendolo di colpoabbattendo sulle spalle di Gwynplaine le piccolemani come fossero artiglilei in piedi

davanti a luilui in piedi davanti a leisi mise a osservarlo in modostrano.

Lo sguardocon aria fatalecon i suoi occhi d'Aldebaranuno sguardoambiguocon qualcosa di torbido e di sidereo.

Gwynplaine contemplava quelle pupilleuna azzurra e una neracome persosotto la doppia fissità di quello sguardo

celestiale e infernale. Uomo e donna si rimbalzavano quel sinistro splendore.Erano affascinati uno dall'altrolei dalla

deformitàlui dalla bellezzaentrambi dall'orrore.

Egli tacevacome sotto un peso impossibile da sollevare. La donna esclamò:«Sei intelligente. Sei venuto. Hai saputo

che ero stata costretta a partire da Londra. Mi hai seguito. Hai fatto bene.È straordinario che tu sia qui».

Possedersi reciprocamente fa scaturire una specie di lampo. Gwynplainecheavvertiva il vago timore di una primitiva

onestàindietreggiòma le unghie rosa contratte sulla sua spalla lotrattenevano. Qualcosa d'inesorabile prendeva forma.

Si trovava nell'antro della donna belvabelva egli stesso.

La donna continuò:

«Quella stupida di Annasai? La reginaè lei che mi ha fatto venire aWindsor senza che io sappia perché. Quando sono

arrivatalei era occupata con quell'idiota del suo cancelliere. Ma come haifatto per arrivare fino a me? Ecco quello che

per me significa essere uomini. Ostacoli. Non esistono. Si viene chiamatisiaccorre. Ti sei informato? Penso che tu

sapessi che sono la duchessa Josiane. Chi ti ha introdotto? È statocertamente il mozzo. È intelligente. Gli darò cento

guinee. Come hai fatto? Dimmelo. Nonon dirmelo. Non voglio saperlo. Lespiegazioni sminuiscono. Ti preferisco

sorprendente. Sei abbastanza mostruoso da essere meraviglioso. Tu cadidall'Empireoeccooppure sali dal terzo piano

dei sotterranei attraverso la botola dell'Erebo. Niente di più sempliceoil soffitto si è dischiuso o il pavimento si è

aperto. Tu non puoi arrivare che scendendo dalle nuvole e salendo in unfiammeggiare di zolfo. Meriti di entrare come

gli dèi. Ho decisotu sei il mio amante».

Gwynplainecosternatoascoltavasentendo la ragione vacillare sempre dipiù. Era finita. Impossibile dubitarne. La

donna confermava la lettera della notte. LuiGwynplaineera l'amante di unaduchessaun amante riamato! Lo

smisurato orgoglio dalle mille teste tetre si rigirava in quel cuoredisgraziato.

La vanitàche è un'enorme forza dentro di noipuò essere contro di noi.

La duchessa proseguì:

«Poiché tu sei quivuol dire che così deve essere. Non voglio saperealtro. C'è qualcuno in altoo in bassoche ci getta

uno verso l'altro. Fidanzamento dello Stige e dell'Aurora. Fidanzamentosfrenato fuori da tutte le leggi! Il giorno in cui

ti ho vistoho detto: - È lui. Lo riconosco. È il mostro dei miei sogni.Sarà mio. - Il destino va aiutato. Per questo ti ho

scritto. Una domanda soltanto: Gwynplainetu credi alla predestinazione? Ioci credodopo aver letto in Cicerone il

sogno di Scipione. Tohnon l'avevo notato. Un abito da gentiluomo. Ti seivestito da signore. E perché no? Sei un

saltimbanco. Un motivo di più. Un giocoliere vale un lord. E poicosa sonoi lords? Dei clowns. Hai una nobile figura

sei fatto molto bene. È inaudito che tu sia qui! Quando sei arrivato? Daquanto tempo sei lì? Mi hai visto nuda? Sono

bellanon è vero? Stavo per fare il bagno. Oh! Ti amo. Hai letto la mialettera! L'hai letta da solo? O te l'hanno letta?

Sai leggere? Devi essere ignorante. Io ti faccio delle domandema tu nonrispondi. Non mi piace il suono della tua voce.

È dolce. Una creatura incomparabile come te non dovrebbe parlaremaringhiare. Tu canti in modo armonioso. Odio

ciò. È la sola cosa di te che non mi piace. Il resto è formidabiletuttoil resto è superbo. In India tu saresti un dio. Hai

sulla faccia quel riso spaventoso fin dalla nascita? Non credovero? Ècertamente una mutilazione penale. Voglio

sperare che tu abbia commesso qualche crimine. Vieni tra le mie braccia».

Si lasciò cadere sul canapé e lo trascinò accanto a sé. Si trovarono unovicino all'altro senza sapere come. Ciò che la

donna diceva passava come un gran vento su Gwynplaine. Egli percepiva appenail significato di quel turbinio

forsennato di parole. Negli occhi di lei c'era una grande ammirazione.Parlava in modo tumultuosofreneticamentecon

una voce folle di dolcezza. Le sue parole erano musicama per Gwynplainequella musica era una tempesta.

Lo guardò ancorafissamente.«Vicino a te mi sento degradatache gioia!Com'è insipido essere altezza! Niente di più faticoso che essere augusta. È

riposante scadere. Sono così satura di rispetto che sento bisogno deldisprezzo. Noi siamo tutte un po' stravagantia

cominciare da VenereCleopatrale signore de Chevreuse e de Longuevilleper finire con me. Ti sfoggeròlo prometto.

Ecco un amorino che ammaccherà la reale famiglia degli Stuart a cuiappartengo. Ah! Respiro! Ho trovato la via

d'uscita. Sono fuori dalla maestà. Essere declassata significa esserelibera. Rompere tuttosfidare tuttofare tutto e tutto

disfarequesto è vivere. Ascoltati amo».

S'interruppe con uno spaventoso sorriso.

«Non ti amo solo perché sei deformema perché sei di bassa condizione.Amo il mostro e l'istrione. Lo straordinario

sapore di un amante umiliatoschernitogrottescoorribileche si esponealle risate su quella gogna che chiamate teatro.

Significa mordere il frutto dell'abisso. Un amante infamante è squisito.Avere sotto i denti la mela dell'inferno invece di

quella del paradisoecco ciò che mi tentaqueste sono la mia fame e la miasetee io sono questa Eva. L'Eva dell'abisso.

E tuforse senza saperlosei un demone. Mi sono conservata per la mascheradi un sogno. Tu sei un burattino i cui fili

stanno in mano a uno spettro. Tu sei la visione della grande risatainfernale. Tu sei l'amante che attendevo. Avevo

bisogno di un amore come quelli delle Medee e delle Canidie. Ero sicura chemi sarebbe capitata una di quelle infinite

avventure della notte. Tu sei ciò che volevo. Ma io ti dico un mucchio dicose che tu non puoi capire. Gwynplaine

nessuno mi ha possedutoio mi do a te pura come la brace ardente. Tuevidentemente non mi credima se tu sapessi

come mi è indifferente!».

Le sue parole erano una confusa eruzione. Bisognerebbe pungere i fianchidell'Etna per avere un'idea di quel getto di

fiamma.

«Signora...»balbettò Gwynplaine.

Gli mise una mano sulla bocca.

«Silenzio! Io ti contemplo. Gwynplaineio sono l'immacolata sfrenata. Sonola vestale baccante. Nessun uomo mi ha

conosciutae potrei essere Pizia a Delfie potrei avere sotto il miotallone nudo il tripode di bronzo dove i sacerdoticon

i gomiti sulla pelle di Pitonebisbigliano domande al dio invisibile. Il miocuore è di pietrama assomiglia a quei sassi

misteriosi che il mare fa rotolare fino ai piedi della roccia Huntly Nabballa foce della Theese nei qualiuna volta

rottisi trova un serpente. Quel serpente è il mio amore. Un amoreonnipotente se ti ha fatto venire. C'era tra noi una

distanza impossibile. Io ero in Sirio e tu in Allioth. Tu hai compiuto unasmisurata traversataed eccoti. Bene. Taci e

prendimi».

Tacque. Egli rabbrividiva. Lei tornò a sorridere.

«VediGwynplainesognare vuol dire creare. Un desiderio è un richiamo.Chi costruisce chimere provoca la realtà.

L'ombra onnipotente e terribile non si lascia sfidare. Ci soddisfa. Eccoti.Oserò perdermi? Sì. Oserò essere la tua

amantela tua concubinala tua schiavaun tuo oggetto? Con gioia.Gwynplaineio sono la donna. La donnaargilla che

desidera essere fango. Ho bisogno di disprezzarmi. Ciò rende più saporitol'orgoglio. La grandezza è composta dalla

bassezza. Niente si combina meglio. Disprezzamitu che sei disprezzato.L'avvilimento sotto l'avvilimentoche voluttà!

Io colgo il doppio fiore dell'ignominia! Calpestami. Mi amerai meglio. Lo sobene. Sai perché ti idolatro? Perché ti

disprezzo. Sei così al di sotto di me che ti pongo su un altare. Mescolarel'alto con il basso è il caose il caos mi piace.

Tutto inizia e finisce con il caos. Che cos'è il caos? Un'immensa sporcizia.E con questa sporcizia Dio ha fatto la lucee

con questa fogna Dio ha fatto il mondo. Tu non sai fino a che punto io sonoperversa. Imbratta un astro con il fango

sarò io».

Così parlava quella donna formidabilee attraverso la veste disfattamostrava il suo nudo seno di vergine.

Poi proseguì:

«Lupa per tuttiper te cagna. Come si stupiranno! Lo stupore degliimbecilli è dolce. Io mi capisco. Sono una dea?

Anfitrite si è data al Ciclope. Fluctivoma Amphitrite. Sono una fata?Urgele si è concessa a Bugryl'androttero dalle

otto mani palmate. Sono una principessa? Maria Stuarda ha avuto Rizzio. Trebelletre mostri. Io sono più grande di

loroperché tu sei peggiore. Gwynplainenoi siamo fatti uno per l'altro.La tua mostruosità è esteriorela mia è

interiore. Per questo ti amo. Un capriccioe sia. Che cos'è l'uragano? Uncapriccio. C'è un'affinità siderea tra noi;

apparteniamo entrambi alla nottetu per la facciaio per l'intelligenza. Tumi crei a tua volta. Tu arrivied ecco la mia

anima esternata. Non la conoscevo. È stupefacente. La tua vicinanza fauscire da meche sono una deal'idra. Tu mi

riveli la mia vera natura. Tu mi porti alla scoperta di me stessa. Guardacome ti assomiglio. Guarda in me come in uno

specchio. Il tuo volto è la mia anima. Non sapevo di essere terribile fino aquel punto. Dunque anch'io sono un mostro!

O Gwynplainetu mi sottrai alla noia».

Ebbe una strana risata da bambinosi accostò al suo orecchio e glisussurrò:

«Vuoi vedere una donna impazzita? Eccomi».

Il suo sguardo penetrò Gwynplaine. Uno sguardo è un filtro. La sua vesteera pericolosamente scomposta. Un'estasi

cieca e bestiale invadeva Gwynplaine. C'era dell'agonia in quell'estasi.

Mentre la donna parlava egli sentiva come degli schizzi di fuoco. Sentivasgorgare l'irreparabile. Non aveva più la forza

di dire una parola. La donna s'interrompeva e lo osservava: «O mostro!»mormorava. Come una selvaggia.

All'improvviso gli afferrò le mani.

«Gwynplaineio sono il trono e tu il palco dei ciarlatani. Mettiamoci allostesso livello. Ah! Sono feliceeccomi caduta.

Vorrei che tutti potessero sapere fino a che punto sono abietta. Siprosternerebbero maggiormenteperché più provano

orrorepiù strisciano. Il genere umano è fatto così. Ostile ma rettile.Drago e verme. Oh! Sono depravata come gli dei.

Non mi si potrà più negare d'essere la bastarda di un re. Mi comporto daregina. Chi era Rodope? Una regina che amòPteol'uomo con la testa di uncoccodrillo. Costruì in suo onore la terza piramide. Pentesilea ha amato ilcentauroche si

chiama Sagittarioe che è una costellazione. E che ne dici d'Annad'Austria? Non era abbastanza brutto Mazarino! Tu

non sei bruttotu sei deforme. Chi è brutto è piccolochi è deforme ègrande. Il brutto è la smorfia del diavolo alle

spalle del bello. Il deforme è il rovescio del sublime. È l'altro lato.L'Olimpo ha due versanti; unoin piena lucedà

Apollo; l'altronella nottedà Polifemo. Tu sei Titano. Nella forestasaresti BehemothLeviatano nell'oceanoTifone

nella cloaca. Tu sei supremo. La tua deformità è sfolgorante. Il tuo voltoè stato rovinato da un fulmine. Sulla tua faccia

c'è l'adirata torsione di un grande pugno di fiamma. Ti ha modellato ed èpassato oltre. Una vasta e oscura collerain un

accesso di rabbiaha invischiato la tua anima sotto quello spaventoso voltosovrumano. L'inferno è un braciere penale

dove si arroventa il ferro incandescente della Fatalità; è il ferro che tiha marchiato. Amarti vuol dire comprendere la

grandezza. È il mio trionfo. Bella fatica essere innamorata di Apollo! Lagloria si misura sulla capacità di stupire. Ti

amo. Ho sognato di te per notti e notti! Questo palazzo mi appartiene. Vedraii miei giardini. Ci sono sorgenti sotto le

fogliegrotte dove ci si può abbracciaree bellissimi gruppi marmorei delcavalier Bernini. E che fiori! Troppi. In

primavera è tutto un incendio di rose. Ti ho già detto che la regina è miasorella? Fai di me ciò che vorrai. Io sono fatta

perché Giove mi baci i piedi e Satana mi sputi sul viso. Sei religioso? Iosono papista. Mio padre Giacomo II è morto in

Francia con un mucchio di gesuiti attorno a sé. Non ho mai sentito quelloche provo vicino a te. Oh! Vorrei stare con te

la seramentre suonano un po' di musicatutti e due appoggiati allo stessocuscinosotto la tenda di porpora di una

galea d'oroimmersi nelle infinite dolcezze del mare. Insultami. Picchiami.Puniscimi. Trattami come una sgualdrina. Ti

adoro».

Le carezze possono ruggire. Ne dubitate? Entrate nella gabbia dei leoni.Quella donna aveva in sé l'orrore e la grazia.

Nulla di più tragico. Si sentivano gli artigli e il velluto. Era l'attaccodi un felino soffuso di arrendevolezza.

Quell'alternanza era un gioco assassino. L'idolatria di quella donna erainsolente. Il risultatoun contagio demente.

Linguaggio fataleineffabilmente violento e dolce. L'insulto non erainsulto. L'adorazione era oltraggio. Lo schiaffo

divinizzava. Il tono imprimeva alla furia delle sue parole d'amore unagrandezza prometeica. Le feste della Grande Dea

cantate da Eschilodavano alle donne in cerca dei satiri sotto le stellequella cupa ed epica rabbia. Quei parossismi

complicavano le danze tenebrose sotto i rami di Dodona. La donna eratrasfiguratase è possibile una trasfigurazione

opposta a quella del cielo. I suoi capelli fremevano come una criniera; laveste si chiudevapoi si apriva; nulla di più

seducente di quel seno da cui uscivano grida selvaggei raggi del suo occhioazzurro si univano al fiammeggiare

dell'occhio nero; era soprannaturale. Gwynplaine si sentiva venir menovintodalla profonda penetrazione di

quell'incontro.

«Ti amo!»esclamò la donna.

E lo morse con un bacio.

Le nuvole che Omero stende su Giove e Giunone stavano forse per rendersinecessarie per Gwynplaine e Josiane. Per

Gwynplaine era un fatto squisito e sfolgorante essere amato da una donna cheaveva gli occhi e poteva dunque vederlo

sentire sulla sua bocca informe la pressione di quelle labbra divine. Davantia quella donna piena d'enigmi egli sentiva

che tutto svaniva dentro di lui. Il ricordo di Deain quell'ombrasidibatteva con piccole grida. C'è un bassorilievo

antico che rappresenta la sfinge mentre mangia un amorino; le ali di queldolce essere celestiale sanguinano in quel

sorriso di denti feroci.

Gwynplaine amava quella donna? Forse l'uomocome la terraha due poli?Siamo la sfera che gira sull'inesorabile asse

astro da lontanofango da vicinodove si alternano il giorno e la notte? Cisono due facce del cuoreuna che ama nella

lucel'altra che ama nelle tenebre? Qui la donna raggio; là la donnacloaca. L'angelo è necessario. Forse anche il

demonio è necessario? C'è un'ala di pipis trello per l'anima? È dunquefatale che l'ora del crepuscolo suoni per tutti? La

colpa è parte integrante e non eliminabile del nostro destino? Fa il maletutt'uno con la nostra natura? Forse la colpa è

un debito che dobbiamo pagare? Fremiti profondi.

E tuttavia una voce ci dice che la debolezza è un crimine. Non si può direciò che provava Gwynplainela carnela vita

il terrorela voluttàun'ebbrezza che lo schiacciavae tutta la vergognache c'è nell'orgoglio. Stava per soccombere?

La donna ripeté: «Ti amo!».

E lo strinse freneticamente al petto.

Gwynplaine ansimava.

A un trattovicinissimo a lorovibrò un piccolo scampanellio fermo echiaro. Era il campanello fissato al muro che

tintinnava. La duchessa voltò la testa e disse:

«Cosa vuole?».

Quindi il pannello d'argentoornato di una corona realesi aprìbruscamentecon il rumore di una botola a molla.

Apparve l'interno di una ruota tappezzata di velluto blu principecon unalettera su un piatto d'oro.

Era una lettera voluminosa e quadratamessa in modo da mostrare il sigilloche era una grande impronta su cera

vermiglia. Il campanello continuava a suonare.

Il pannello aperto toccava quasi il canapé dove i due erano seduti. Laduchessachinandosi e tenendosi con un braccio

al collo di Gwynplaineallungò l'altro braccioprese la lettera dal piattoe spinse il pannello. La ruota si chiuse e il

campanello tacque.

La duchessa spezzò la cera tra le ditaaprì la busta e ne estrasse i dueplichi che contenevagettando la busta a terraai

piedi di Gwynplaine.

Il sigillo di cerapur essendo spezzatoera decifrabilee Gwynplaineriuscì a distinguervi una corona reale con sopra la

lettera A.La busta strappata mostrava i due laticosì che era possibileleggere l'intestazione: A sua grazia la duchessa Josiane.

I due plichi contenuti nella busta erano una pergamena e una velina. Lapergamena era grandela velina piccola. Sulla

pergamena era impresso un sigillo largo da cancelleriain quella cera verdedetta cera signorile. La duchessatutta

palpitantegli occhi persi nell'estasiebbe un'impercettibile smorfia didisappunto.

«Ah!»disse. «Che cosa mi manda? Degli scartafacci! Quellaguastafeste!».

Elasciando da parte la pergamenadischiuse la velina.

«È la sua scrittura. La scrittura di mia sorella. Mi stanca». Gwynplaineti avevo domandato se sapevi leggere. Sai

leggere?».

Gwynplaine fece segno di sì con la testa.

Josiane si stese sul canapéquasi come una donna che volesse dormirenascose con cura i piedi sotto la veste e le

braccia sotto le manichecon un pudore bizzarropur lasciando vedere ilsenopoiavvolgendo Gwynplaine in uno

sguardo appassionatogli tese la velina.

«EbbeneGwynplainetu mi appartieni. Comincia il tuo servizio. Leggimimio caroquello che mi scrive la regina».

Gwynplaine prese la velinadisfò il plico econ voce tutta tremantelesse:

«Signora

Noi vi mandiamo graziosamente la copia qui unita di un processo verbalecertificato e firmato dal nostro servitore

William Cowperlord-cancelliere del regno d'Inghilterrada cui risultaquesto fatto considerevoleche il figlio legittimo

di lord Linnaeus Clancharlie è stato riconosciuto e ritrovatosotto il nomedi Gwynplainementre conduceva una vita

indegnada ambulante e vagabondotra saltimbanchi e giocolie ri. Questasoppressione di condizione risale alla sua più

tenera età. Come conseguenza delle leggi del regnoe in virtù del suodiritto ereditariolord Fermain Clancharliefiglio

di lord Linnaeussarà ammesso e reintegratooggi stessonella camera deilords. Per questovolendo usarvi riguardo e

mantenervi la trasmissione dei beni e dei domini dei lords ClancharlieHunkervillenoi lo sostituiamo nelle vostre

buone grazie a lord David Dirry-Moir. Noi abbiamo fatto condurre lord Fermainnella vostra residenza di Corleone-lodge;

noi ordiniamo e vogliamocome regina e sorellache il suddetto lord FermainClancharliefino ad oggi chiamato

Gwynplainesia vostro maritoe voi lo sposeretecosì è la nostravolontà reale».

Mentre Gwynplaine leggevacon intonazioni che vacillavano quasi ad ogniparolala duchessasollevata dal cuscino

sul canapéascoltavacon lo sguardo fisso. Quando Gwynplaine ebbe finitogli strappò la lettera.

«ANNAREGINA»disseleggendo la firmain tono trasognato.

Poi raccolse da terra la pergamena che aveva gettata e vi fece scorrere sopralo sguardo. Era la dichiarazione dei

naufraghi della Matutinacopiata su un processo verbale firmato dallosceriffo di Southwark e dal lord cancelliere.

Dopo aver letto il processo verbalerilesse il messaggio della regina. Poidisse:

«Bene».

Ecalmamostrando con il dito a Gwynplaine la portiera della galleria dacui era entratodisse:

«Uscite».

Gwynplainepietrificatorimase immobile. Continuò alloracon tonoglaciale:

«Dal momento che siete mio maritouscite».

Gwynplainesenza parolagli occhi bassi come un colpevolenon si muoveva.

Ella aggiunse:

«Non avete il diritto di essere qui. Questo è il posto del mio amante».

Gwynplaine era come inchiodato.

«Bene»disse la donna. «Me ne andrò io. Ah! Siete mio marito! Niente dimeglio. Io vi odio».

E alzandosilasciando nell'aria un altezzoso gesto d'addionon si sa a chiuscì.

La portiera della galleria si richiuse su di lei.

V • SI RICONOSCONOMA NON SI CONOSCONO

Gwynplaine restò solo.

Solo davanti a quella vasca da bagno tiepida e a quel letto disfatto.

Le sue idee erano completamente polverizzate. Ciò che pensava non avevanulla in comune con il pensiero. Era una

diffusioneuna dispersionel'angoscia di vivere qualcosa d'incomprensibile.Sentiva come il terrore di un sogno.

Non è semplice entrare in mondi sconosciuti.

Dalla lettera della duchessaportata dal mozzoera iniziata per Gwynplaineuna serie di ore sorprendentisempre meno

comprensibili. Fino a quel momento egli si era mosso in un sognoma nonaveva perso la vista. Ora invece andava a

tentoni.

Non pensava. Non faceva supposizioni. Subiva.

Restava seduto sul canapélà dove l'aveva lasciato la duchessa.

Improvvisamente ci fu in quell'ombra un rumore di passi. Erano i passi di unuomo. Venivano dalla parte opposta della

galleria da cui era uscita la duchessa. L'uomo si avvicinavase ne udiva ilrumore sordo ma distinto. Gwynplaineper

quanto assortotese l'orecchio.

Ad un trattooltre la tenda argentata che la duchessa aveva lasciatasocchiusadietro il lettosi spalancò la porta che era

facilmente intuibile sotto lo specchio dipintoe una voce maschile eallegrache cantava a pieni polmoniriversò nella

camera degli specchi il ritornello di una vecchia canzone francese:Sulmucchio di letame tre maialini

bestemmiavano come facchini.

Entrò un uomo.

L'uomoche aveva la spada al fianco e teneva in mano un cappello piumato concordoncino e coccardaera vestito con

un magnifico abito da marinaiotutto gallonato.

Gwynplaine si alzòcome se fosse stata una molla a metterlo in piedi.

Riconobbe l'uomo e ne fu riconosciuto.

Dalle loro bocche stupite sfuggirono contemporaneamente queste dueesclamazioni:

«Gwynplaine!».

«Tom-Jim-Jack!».

L'uomo con il cappello piumato camminò verso Gwynplaineche incrociò lebraccia.

«Cosa fai quiGwynplaine?».

«E tuTom-Jim-Jackda dove vieni?».

«Ah! Capisco. Josiane! Un capriccio. Un saltimbanco che è anche un mostroè troppo bello per resistervi. Ti sei

travestito per venire quiGwynplaine».

«Anche tuTom-Jim-Jack».

«Gwynplainecosa significa questo abito da signore?».

«Tom-Jim-Jackcosa significa questo abito da ufficiale?».

«Gwynplaineio non rispondo alle domande».

«Neppure ioTom-Jim-Jack».

«Gwynplaineio non mi chiamo Tom-Jim-Jack».

«Tom-Jim-Jackio non mi chiamo Gwynplaine».

«Gwynplainequi io sono a casa mia».

«Qui sono a casa miaTom-Jim-Jack».

«Ti proibisco di farmi eco. Tu avrai l'ironiama io ho il mio bastone.Bando alle tue pagliacciatemiserabile buffone».

Gwynplaine impallidì.

«Tu sei un buffone! E mi renderai conto di questo insulto».

«Nella tua baraccafinché vorrai. A pugni».

«Quie con la spada».

«Amico Gwynplainela spada è una cosa da gentiluomini. Mi batto solo con imiei pari. Siamo uguali per i pugni

diversi per la spada. All'inn Tadcaster Tom-Jim-Jack può fare a pugni conGwynplaine. A Windsor è diverso. Sappi che

sono contrammiraglio».

«E io pari d'Inghilterra».

L'uomo che Gwynplaine conosceva come Tom-Jim-Jack scoppiò a ridere.

«E perché non re? Del restohai ragione. Un istrione è un po' tutto.Dimmi che sei Teseoduca d'Atene».

«Io sono pari d'Inghilterrae noi ci batteremo».

«Gwynplainestai esagerando. Non scherzare con chi ti può far frustare. Iosono lord David Dirry-Moir».

«E io lord Clancharlie».

Lord David scoppiò a ridere una seconda volta.

«Ben trovata. Gwynplaine è lord Clancharlie. Questo è infatti il nome chebisogna avere per possedere Josiane. Ascolta

ti perdono. E sai perché? Perché siamo i due amanti».

La portiera della galleria si scostòe una voce disse:

«Voi siete i due maritimiei signori».

Si voltarono entrambi.

«Barkilphedro!»esclamò lord David.

Si trattava in effetti di Barkilphedro.

S'inchinò profondamente ai due lords con un sorriso. Qualche passo dietro dilui si scorgeva un gentiluomo dal volto

rispettoso e severocon una bacchetta nera in mano.

Il gentiluomo si fece avanticompì tre riverenze in direzione diGwynplainee gli disse:

«Mylordio sono l'usciere della verga nera. Vengo a cercare la signoriavostraconformemente agli ordini di sua

maestà».

LIBRO OTTAVO • IL CAMPIDOGLIO E I SUOI DINTORNI

I • DISSEZIONE DI COSE REALI

La temibile ascesa che già da tante ore abbagliava in modi diversiGwynplainee che l'aveva portato a Windsorlo

riportò a Londra.

Le realtà visionarie si succedevano davanti a lui senza soluzione dicontinuità.Non c'era mezzo di sottrarvisi. Appena una lo abbandonaval'altralo riprendeva.

Egli non aveva il tempo di respirare.

Chi ha visto un giocoliere ha visto la sorte. Le palle che cadonosalgono ericadononon sono altro che gli uomini nella

mano del destino.

Palle e giocattoli.

La sera di quello stesso giorno Gwynplaine si trovava in un luogostraordinario.

Era seduto sopra un seggio ornato di fiordalisi. Sugli abiti di seta portavauna veste di velluto scarlatto foderata di

taffetà biancocon una mantelletta d'ermellino esulle spalledue strisced'ermellino orlate d'oro.

Attorno a lui c'erano uomini di tutte le etàgiovani e vecchiseduti comelui sui fiordalisi e come lui vestiti di ermellino

e di porpora.

Davanti a sé vedeva altri uominiin ginocchio. Questi avevano delle vestidi seta nera. Alcuni di loro scrivevano.

Di fronte a sépoco lontanoegli vedeva degli scaliniun palcounbaldacchinoun grande stemma che scintillava tra un

leone e un liocornoesotto il baldacchinosul palcoin cima agliscaliniaddossata allo stemmauna poltrona dorata e

coronata. Era un trono.

Il trono della Gran Bretagna. Gwynplaine sedevacome parinella camera deipari d'Inghilterra.

Com'era avvenuto questo ingresso di Gwynplaine nella camera dei lords?Raccontiamolo.

Per tutto il giornodal mattino fino alla serada Windsor fino a LondradaCorleone-lodge fino a Westminster-hall

aveva salito un gradino dopo l'altro. E ad ogni gradino un nuovo stordimento.

Lo avevano portato a Windsor con le carrozze della reginae con la scortadovuta a un pari. La guardia d'onore

assomiglia molto alla guardia che sorveglia.

Quel giornocoloro che abitavano lungo la strada da Windsor a Londra viderouna cavalcata al galoppo di gentiluomini

al servizio di sua maestàche accompagnavano due diligenze reali da viaggioguidate a spron battuto. Nella prima era

seduto l'usciere dalla verga neracon la bacchetta in mano. Nella seconda sidistingueva un largo cappello con piume

bianche che lasciava in ombra un volto invisibile. Chi stava passando? Unprincipe? Un prigioniero?

Era Gwynplaine.

Tutto stava ad indicare che qualcuno veniva condotto alla torre di Londraameno che non lo portassero alla camera dei

pari.

La regina aveva fatto le cose bene. Aveva dato una scorta del suo serviziopersonaletrattandosi del futuro marito della

sorella.

L'ufficiale dell'usciere dalla verga nera cavalcava in testa al corteo.

L'usciere dalla verga nera tenevasu uno strapuntino della sua carrozzauncuscino di tessuto argentato. Sul cuscino

c'era un portafoglio nero con impressa una corona reale.

Le due carrozze e la scorta si fermarono a Brentfordultima posta prima diLondra.

C'era ad attenderli una carrozza a scaglie equipaggiata con quattro cavalliquattro lacchè dietrodue postiglioni davanti

e un cocchiere con parrucca. Ruotepredellefinimentitimonetutto iltreno della carrozza era dorato. I cavalli erano

bardati d'argento.

La linea di quel cocchio di gala era straordinariamente alterae avrebbefatto una magnifica figura tra le cinquantun

carrozze celebri di cui Roubo ci ha lasciato i ritratti.

L'usciere dalla verga nera scese a terracome il suo ufficiale.

L'ufficiale dell'usciere ritirò dallo strapuntino della carrozza da viaggioil cuscino di stoffa argentata su cui c'era il

portafoglio con la coronalo prese tra le manie rimase in piedi dietrol'usciere.

L'usciere dalla verga nera aprì lo sportello della carrozzache era vuotapoi lo sportello della diligenza dove c'era

Gwynplaineeabbassando lo sguardoinvitò rispettosamente Gwynplaine aprendere posto in carrozza.

Gwynplaine scese dalla diligenza e salì sulla carrozza.

L'usciere con la sua vergae l'ufficiale con il cuscino salirono dopo diluioccupando il sedile bassoche negli antichi

cocchi da cerimonia era riservato ai paggi.

La carrozzaall'internoera tappezzata di raso bianco guarnito con tele diBinche a creste e ghiande d'argento. Il soffitto

era blasonato.

I postiglioni delle due diligenze che avevano abbandonato indossavano lacasacca reale. Il cocchierei postiglioni e i

lacchè della carrozza in cui erano salitiavevano un'altra livreadavveromagnifica.

Gwynplainepur essendo immerso in quel sonnambulismo che lo aveva quasiannientatonotò il fasto di quel

servidorame e chiese all'usciere dalla verga nera:

«Che tipo di livrea è?».

L'usciere dalla verga nera rispose:

«La vostramylord».

Quel giorno la camera dei lords aveva una seduta serale. Curia erat serenadicono i vecchi processi verbali. La vita

parlamentare inglese è facilmente una vita notturna. Si sa che a Sheridancapitò una volta di iniziare un discorso a

mezzanotte e di terminarlo all'alba.

Le due vetture da viaggio ritornarono vuote a Windsor; la carrozza dove sitrovava Gwynplaine si diresse invece verso

Londra.

La carrozza di scaglie a quattro cavalli andò al passo da Bentford a Londra.Lo esigeva la dignità della parrucca del

cocchiere.Il cerimoniale s'impadroniva di Gwynplaine nell'aspetto solenne diquel cocchiere.

Quei ritardidel restosecondo ogni apparenzaerano calcolati. Più tardine vedremo il probabile motivo.

Non era ancora nottema ci mancava pocoquando la carrozza a scaglie siarrestò davanti alla King's Gateuna pesante

porta schiacciata tra due torrette che metteva in comunicazione White-Hallcon Westminster.

Il gruppo dei gentiluomini di corte si strinse attorno alla carrozza.

Uno dei domestici che si trovavano sulla parte posteriore balzò a terra eaprì lo sportello.

L'usciere dalla verga neraseguito dall'ufficiale che portava il cuscinouscì dalla carrozza e disse a Gwynplaine:

«Mylorddegnatevi di scendere. Voglia la signoria vostra tenere il cappelloin testa».

Sotto il mantello da viaggio Gwynplaine portava l'abito di seta che non siera tolto dal giorno prima. Non aveva spada.

Lasciò il mantello nella carrozza.

Sotto il passo carraio della King's Gatec'era una piccola porta lateralesopraelevata di qualche gradino.

Per quanto riguarda il cerimoniale precedere è segno di rispetto.

L'usciere dalla verga neraprecedendo il suo ufficialecamminava davanti atutti.

Poi veniva Gwynplaine.

Salirono il gradino ed entrarono sotto la porta laterale.

Poco dopo si trovarono in una stanza rotonda e largacon un pilastro inmezzola parte inferiore di una torrettaun

salone da piano terrainsommache prendeva luce da ogive strette comefinestrelle absidalie che doveva essere buio

anche in pieno mezzogiorno. Poca lucea voltecontribuisce alla solennità.L'oscurità è maestosa.

In quella stanza c'erano tredici uomini in piedi. Tre davantisei in secondafilaquattro dietro.

Uno dei primi tre aveva una cotta di velluto rosagli altri due avevanocotte rossema di raso. Tutti e tre avevano le

armi d'Inghilterra ricamate sulla spalla.

I sei della seconda fila indossavano dalmatiche in stoffa marezzata biancaciascuno con un differente blasone sul petto.

Gli ultimi quattrotutti in stoffa marezzata nerasi distinguevano unodall'altroil primo per una cappa azzurrail

secondo per un San Giorgio scarlatto sullo stomacoil terzo per due crocicremisi ricamate sul petto e sulle spalleil

quarto per un collare di pelliccia nera detta pelle di zibellino. Tuttiportavano la parruccaerano a testa scoperta e

avevano una spada al fianco.

I loro volti nella penombra erano appena distinguibili. Essi non potevanovedere la faccia di Gwynplaine.

L'usciere dalla verga nera alzò la sua bacchetta e disse:

«Mylord Fermain Clancharliebarone Clancharlie e Hunkervilleiouscieredalla verga neraprimo ufficiale della

camera di presenzaaffido la signoria vostra a Jarretièreprimo araldod'Inghilterra».

Il personaggio in cotta di vellutolasciandosi dietro gli altris'inchinòfino a terra davanti a Gwynplaine e disse:

«Mylord Fermain Clancharlieio sono Jarretièreprimo araldod'Inghilterra. Sono l'ufficiale creato e incoronato da sua

grazia il duca di Norfolkconte maresciallo ereditario. Ho giuratoobbedienza al reai pari e ai cavalieri della

Giarrettiera. Il giorno della mia incoronazionequando il conte maresciallod'Inghilterra mi ha versato un bicchiere di

vino sulla testaho giurato solennemente di servire la nobiltàdi evitarela compagnia di uomini di cattiva reputazione

di scusare piuttosto che biasimare le persone di qualitàe di assistere levedove e le vergini. Io ho l'incarico di

sovrintendere alle cerimonie di sepoltura dei parie mi preoccupo diconservare i loro stemmi. Mi metto agli ordini di

vostra signoria».

Il primo degli altri due in cotta di raso fece una riverenza e disse:

«Mylordio sono Clarencesecondo araldo d'Inghilterra. Sono l'ufficialeaddetto alla sepoltura dei nobili al di sotto dei

pari. Mi metto agli ordini di vostra signoria».

L'altro uomo in cotta di raso fece un inchino e disse:

«Mylordio sono Norroyterzo araldo d'Inghilterra. Mi metto agli ordini divostra signoria».

I sei della seconda filaimmobili e senza inchinarsifecero un passo.

Il primo alla destra di Gwynplaine disse:

«Mylordnoi siamo i sei duchi d'armi d'Inghilterra. Io sono York».

Poi ciascun araldo o duca d'armia turnoprese la parola presentandosi.

«Io sono Lancaster».

«Io sono Richmond».

«Io sono Chester».

«Io sono Somerset».

«Io sono Windsor».

Essi portavano sul petto i blasoni delle contee e delle città di cui avevanoil nome.

I quattro vestiti di nerodietro gli araldistavano in silenzio.

Il primo araldo Jarretière li indicò a Gwynplaine e disse:

«Mylordecco i quattro assistenti degli araldi».

«Mantello azzurro».

L'uomo con la cappa azzurra salutò con la testa.

«Dragone rosso».

L'uomo con San Giorgio s'inchinò.

«Rossa-Croce».

L'uomo con le croci rosse s'inchinò.«Impellicciato».

L'uomo con la pelliccia di zibellino s'inchinò.

A un cenno del primo araldoil primo degli assistentiMantello azzurroavanzò e prese dalle mani dell'ufficiale

dell'usciere il cuscino di stoffa argentata e il portafoglio con la corona.

Il primo araldo disse all'usciere dalla verga nera:

«Così sia. Dichiaro a vostro onore di aver accolto sua signoria».

Questi cerimoniali d'etichettae altri che seguirannofacevano partedell'antico cerimoniale anteriore a Enrico VIIIche

Annaper un certo tempotentò di far rivivere. Oggi non rimane nulla ditutto ciò. Eppure la camera dei lords si crede

immutabile; e se qualcosa d'immemorabile esisteè proprio qui.

Tuttavia cambia. E pur si muove.

Che ne è statoper esempiodel may polel'albero di maggio che lacittà di Londra piantava dove passavano i pari

diretti al parlamento? L'ultimo a fare la sua parte è stato eretto nel 1713.In seguito il may pole è scomparso. È andato in

disuso.

L'immobilità è l'apparenza; la realtà è il mutamento. Prendete il titolodi Albemarle. Sembra eterno. Sotto questo titolo

sono passate sei famiglieOdoMandevilleBéthunePlantagenêtBeauchampMonk. Sotto il titolo di Leicester si sono

succeduti cinque diversi nomiBeaumontBrewoseDudleySidneyCoke. SottoLincolnsei. Sotto Pembrokesette

ecc. Le famiglie cambiano sotto titoli che non si muovono. Lo storicosuperficiale crede all'immutabilità. In fondonulla

dura. L'uomo non può essere che il flutto. L'umanità è l'onda.

Le aristocrazie si vantano di ciò che per le donne è un'umiliazione:invecchiare; ma sia le donne che le aristocrazie

hanno la stessa illusione: quella d i conservarsi.

Forse la camera dei lords non si riconoscerà in quanto abbiamo già letto ein quello che leggeremoun po' come chi è

stata una bella donna e non ammette le rughe. Lo specchio è un vecchioaccusatoe si rassegna.

La rassomiglianzaecco il dovere dello storico.

Il primo araldo si rivolse a Gwynplaine.

«Vogliate seguirmimylord».

Poi aggiunse:

«S'inchineranno. Vostra signoria solleverà solo il bordo del cappello».

E si diressero in corteo verso una porta che stava sul fondo della salarotonda.

L'usciere dalla verga nera apriva la fila.

Seguivano Mantello azzurroche portava il cuscino; poi il primo araldo;dietro il primo araldo veniva Gwynplainecon

il cappello in testa.

Gli altriaraldi e assistentirestarono nella sala rotonda.

Gwynpla inepreceduto dall'usciere dalla verga nera e sotto la guidadell'araldoseguìdi sala in salaun itinerario che

oggi sarebbe impossibile ripercorrereperché l'antica dimora del parlamentoinglese è stata demolita.

Attraversòtra l'altroquella came ra di Stato gotica dove aveva avutoluogo l'incontro supremo tra Giacomo II e

Monmouthche aveva visto l'inutile inginocchiarsi del vile nipote davantiallo zio feroce. Tutto attorno alle pareti di

quella camera erano collocatiin ordine cronologicocon nomi e blasoninove ritratti a figura intera di antichi pari: lord

Nansladron1305. Lord Baliol1306. Lord Benestede1314. Lord Cantilupe1356. Lord Montbegon1357. Lord

Tibotot1372. Lord Zouch of Codnor1615. Lord Bella-Aquasenza data. LordHarren and Surreyconte di Blois

senza data.

Poiché si era fatta nottedi quando in quando c'erano delle lampade nellegallerie. Nelle saleilluminate quasi come le

navate laterali delle chiesec'erano dei lampadari di rame con candele dicera accese.

Vi si incontravano solo le persone addette.

In una camera che il corteo attraversòc'eranoin piedila testa china insegno di rispettoi quattro scrivani del sigillo e

lo scrivano delle carte di stato.

In un'altra c'era l'onorevole Philip Sydenhamcavaliere banderesesignoredi Brympton nel Somerset. Il cavaliere

banderese è quel cavaliere che il re crea in guerra sotto la bandiera realespiegata.

In un'altra ancora c'era il più antico baronetto inglesesir Edmund Bacondi Suffolkerede di sir Nicholasche aveva la

qualifica di primus baronetorum Angliae. Dietro a sir Edmund c'era ilsuo arcifer che gli teneva l'archibugioe lo

scudiero con le armi d'Ulsterperché i baronetti erano i difensori natidella contea d'Ulster in Irlanda.

In un'altra camera c'era il cancelliere dello scacchiereaccompagnato daiquattro maestri contabili e dai due deputati del

lord ciambellano incaricati di segnare le imposte. Poi il maestro dellamonetache aveva nella mano aperta una sterlina

fatta al torniocome si usa per i pounds. Gli otto personaggi s'inchinaronoal passaggio del nuovo lord.

All'entrata del corridoioricoperto da una stuoiache metteva incomunicazione la camera bassa con la camera alta

Gwynplaine fu salutato da sir Thomas Mansell di Margamamministratore dellacasa della regina e membro del

parlamento per Glamorgan; eall'uscitada una deputazione «uno su due»dei baroni dei Cinque Portischierati alla sua

destra e alla sua sinistraquattro per parteessendo i Cinque Porti otto.William Ashburnham lo salutò per Hastings

Mattew Aylmor per DouvresJosias Burchett per Sandwichsir Philip Botelerper HyetJohn Brewer per New Rumney

Edward Southwell per la città di RyeJames Hayes per la città diWinchelseae George Nailor per la città di Seaford.

Il primo araldopoiché Gwynplaine stava per restituire il salutogliricordò sottovoce il cerimoniale.

«Solo l'orlo del cappellomylord».

Gwynplaine fece come gli era stato detto.Arrivò nella camera dipintadovenon c'erano dipintia parte qualche volto di santotra cui sant'Edoardosottole

curvature delle alte finestre ogivalitagliate in due dal pavimentodi cuiWestminster-Hall occupava la parte inferioree

la camera dipinta quella superiore.

Al di qua della balaustra di legnoche attraversava da una parte all'altrala camera dipintastavano i tre segretari di

Statouomini di grande considerazione. Il primo di questi ufficiali avevacompetenza sul sud dell'Inghilterral'Irlanda e

le coloniepiù la Franciala Svizzeral'Italiala Spagnail Portogalloe la Turchia. Il secondo si occupava del nord

dell'Inghilterracon la sorveglianza sui Paesi Bassila GermanialaDanimarcala Sveziala Polonia e la Moscovia. Il

terzoscozzeseaveva la Scozia. I primi due erano inglesi. Uno eral'onorevole Robert Harleymembro del parlamento

per la città di New-Radnor. Era presente un deputato scozzeseMungo Grahamesquireparente del duca di Montrose.

Tutti salutarono Gwynplaine in silenzio.

Gwynplaine si toccò l'orlo del cappello.

L'addetto alla balaustra alzò la sbarra di legno a cardine che permetteval'ingresso al fondo della camera dipintadove

c'era una lunga tavola coperta da un drappo verderiservata esclusivamenteai lords.

Sulla tavola c'era un candelabro acceso.

Gwynplainepreceduto dall'usciere dalla verga nerada Mantello azzurro e daJarretièreentrò in quel settore esclusivo.

L'addetto alla balaustra richiuse l'entrata dietro Gwynplaine.

Appena varcata la balaustrail primo araldo si fermò.

La camera dipinta era spaziosa.

Si scorgevano in fondo due vecchiin piedi sotto lo scudo reale che stavatra le due finestreindossavano vesti di velluto

rosso con due strisce d'ermellino ornate di galloni dorati sulla spallaecon cappelli a piume bianche sopra le parrucche.

Dall'apertura delle vesti s'intravedeva l'abito di seta e l'impugnatura dellaspada.

Dietro loro c'era un uomoimmobilevestito in stoffa marezzata neracheteneva alta una grande mazza d'oro

sormontata da un leone coronato.

Era il mazziere dei pari d'Inghilterra.

Il leone è la loro insegna: E i leoni sono i Baroni e i Pari dice lacronaca manoscritta di Bertrand Duguesclin.

Il primo araldo indicò a Gwynplaine i due personaggi in abito di velluto egli disse all'orecchio:

«Mylordsono vostri pari. Renderete il saluto nello stesso modo in cui visarà fatto. Le signorie qui presenti sono baroni

e vostri padrini designati dal lord cancelliere. Essi sono molto vecchi equasi ciechi. Spetta a loro introdurvi nella

camera dei lords. Il primo è Charles Mildmaylord Fitzwaltersesto signoreal banco dei baroniil secondo è Augustus

Arundellord Arundel di Trericetrentottesimo signore al banco deibaroni».

Il primo araldofacendo un passo verso i due vecchialzò la voce:

«Fermain Clancharliebarone Hunkervillemarchese di Corleone in Siciliasaluta le signorie vostre».

I due lords sollevarono i cappelli sopra la testa di tutta la lunghezza delbracciopoi se li rimisero.

Gwynplaine restituì il saluto allo stesso modo.

L'usciere dalla verga nera si fece avantipoi Mantello azzurropoiJarretière.

Il mazziere andò a mettersi davanti a Gwynplainei due lords ai fianchilord Fitzwalter alla destra e lord Arundel di

Trerice alla sinistra. Lord Arundel era molto cadenteil più vecchio deidue. Morì l'anno dopolasciando a suo nipote

Johnminorennela parìachedel restodoveva estinguersi nel 1768.

Il corteo uscì dalla camera dipinta e prese una galleria a pilastri doveadogni pilastrosi alternavano come sentinelle

dei soldati inglesi armati di partigiana e degli alabardieri scozzesi.

Gli alabardieri scozzesi costituivano quel magnifico reparto con le gambenude chepiù tardiavrebbe degnamente

fronteggiato la cavalleria francese e quei corazzieri del re a cui il lorocolonnello diceva: Signoriassicuratevi i cappelli

stiamo per avere l'onore di caricare.

Il capitano dei soldati con la partigiana e il capitano degli alabardieriresero a Gwynplaine e ai due lords padrini il saluto

con la spada. I soldati salutaronogli uni con la partigianagli altri conl'alabarda.

In fondo alla galleria risplendeva una grande portacosì magnifica che idue battenti sembravano due lame d'oro.

Ai lati della porta c'erano due uomini immobili. Dalla loro livrea sipotevano riconoscere come door-keepers

«guardaporte».

Poco prima d'arrivare a quella portala galleria si allargava in un emicicloa vetrate.

Nell'emiciclosu una poltrona con una smisurata spallieraera seduto unpersonaggio augusto per l'enormità della sua

veste e della parrucca. Si trattava di W illiam Cowperlord cancelliered'Inghilterra.

La sua qualità consisteva nell'essere più infermo del re. William Cowperera miopeanche Anna lo erama meno. La

vista corta di William Cowper piacque alla miopia di sua maestàe fece sìche la regina lo scegliesse come cancelliere e

custode della coscienza reale.

William Cowper aveva il labbro superiore sottile e il labbro inferioregrossosegno questo di una mezza bontà.

L'emiciclo a vetrate era illuminato da una lampada posta sul soffitto.

Il lord cancellieregrave nella sua alta poltronaaveva alla sua destra untavolo a cui era seduto lo scrivano della corona

e alla sua sinistra un tavolo a cui era seduto lo scrivano del parlamento.

Ciascuno dei due scrivani teneva davanti a sé un registro aperto el'occorrente da scrivania.

Dietro la poltrona del lord cancelliere c'era il suo mazziereche portava lamazza coronata. C'erano anche il reggi-coda

e il porta-borsacon una grande parrucca. Tutte queste cariche esistonoancora.Su una credenza vicina alla poltrona c'era una spada con l'impugnaturad'orocon il fodero e il cinturone di velluto color

fuoco.

Dietro lo scrivano della corona c'era un ufficialein piediche teneva contutte e due le mani una veste ben apertala

veste dell'incoronazione.

Dietro lo scrivano del parlamento c'era un altro ufficiale che tenevaspiegata un'altra vestequella del parlamento.

Gli abititutti e due in velluto cremisi foderato di taffetà biancocondue strisce d'ermellino con ornature d'oro sulle

spalleerano ugualitranne per il fatto che il rocchetto d'ermellinodell'incoronazione era più largo.

Un terzo ufficialeil «librarian»portava su un cuscinetto in cuoio diFiandra il red-bookun libriccino rilegato in

marocchino rosso che conteneva l'elenco dei pari e dei comunioltre adalcune pagine bianche e a una matita che era

usanza consegnare ad ogni nuovo membro che entrasse in parlamento.

Il corteo in forma di processioneche chiudeva Gwynplaine tra i due parisuoi padrinisi fermò davanti alla poltrona del

lord cancelliere.

I due lords padrini si tolsero i cappelli. Gwynplaine fece come loro.

Il primo araldo ricevette dalle mani di Mantello azzurro il cuscino di stoffaargentatas'inginocchiòe presentò al lord

cancelliere il portafoglio nero che stava sul cuscino.

Il lord cancelliere prese il portafoglio e lo diede allo scrivano delparlamento. Lo scrivano lo ricevette secondo il

cerimonialepoi tornò a sedere.

Lo scrivano del parlamento aprì il portafoglio e si alzò.

Il portafoglio conteneva i due messaggi d'obbligola patente realeindirizzata alla camera dei lordse l'ingiunzione di

occupare il seggio rivolta al nuovo pari.

Lo scrivanoin piedilesse a voce alta i due messaggi con rispettosalentezza.

L'ingiunzione di occupare il seggio diretta a lord Fermain Clancharlie siconcludeva con la nota formula: «Noi vi

ingiungiamo rigorosamentein nome della fede e della fedeltà che ci dovetedi venire a prendere di persona il vostro

posto tra i prelati e i pari che siedono nel nostro parlamento a Westminstercosì che diate il vostro consigliocon onore

e coscienzasugli affari del regno e della chiesa».

Quando la lettura dei messaggi fu terminatail lord cancelliere fece sentirela sua voce.

«È dato atto alla corona. Lord Fermain Clancharlierinuncia la signoravostra alla transustanziazioneall'adorazione dei

santi e alla messa?».

Gwynplaine fece un inchino.

«Prendiamone atto»disse il lord cancelliere.

E lo scrivano del parlamento ribadì:

«Sua signoria ne ha preso atto».

Il lord cancelliere aggiunse:

«Mylord Fermain Clancharliepotete prendere posto».

«Così sia»dissero i due padrini.

Il primo araldo si rialzòprese la spada dalla credenza e ne allacciò ilcinturone alla vita di Gwynplaine.

«Ciò fatto - dicono i vecchi documenti normanni - il pari prende la spada esale ai seggi alti per assistere all'udienza».

Gwynplaine udì dietro di sé qualcuno che gli diceva:

«Rivesto vostra signoria con la veste del parlamento».

E al tempo stesso l'ufficiale che gli parlava e che teneva la vesteglielapassòannodandogli al collo il nastro nero del

rocchetto d'ermellino.

Ora Gwynplainecon la veste di porpora sulle spalle e la spada d'oro alfiancoera simile ai due lords che gli stavano a

destra e a sinistra.

Il librarian gli mostrò il red-book e glielo mise nella tasca dell'abito.

Il primo araldo gli sussurrò all'orecchio:

«Mylordentrandosaluterete la sedia reale».

La sedia reale è il trono.

Intanto i sue scrivani scrivevanociascuno al suo tavolouno sul registrodella coronal'altro sul registro del parlamento.

Tutti e dueuno dopo l'altrolo scrivano della corona per primoportaronoi loro libri al lord cancelliereche firmò.

Dopo aver firmato i due registriil lord cancelliere si alzò:

«Lord Fermain Clancharliebarone Clancharliebarone Hunkervillemarchesedi Corleone in Italiasiate il benvenuto

tra i vostri parii lords spirituali e temporali della Gran Bretagna».

I due padrini di Gwynplaine gli toccarono la spalla. Egli si voltò.

E la grande porta dorata in fondo alla galleria aprì i suoi due battenti.

Era la porta della camera dei pari d'Inghilterra.

Non erano trascorse trentasei ore da quando Gwynplainecircondato da benaltro corteoaveva visto aprirsi davanti a lui

la porta di ferro del carcere di Southwark.

Tremenda rapidità di tutte quelle nuvole sulla sua testa; nuvole che eranoavvenimenti; rapidità che era un vero e

proprio assalto.

II • IMPARZIALITÀLa creazione di una forma d'eguaglianza con il redettaparìafu un'inutile finzione nelle epoche barbare. Questo

rudimentale espediente politico produsse risultati differenti in Francia e inInghilterra. In Francia il pari fu un finto re; in

Inghilterra fu un principe autentico. Meno grande che in Franciama piùreale. Si potrebbe dire: minore ma peggiore.

La parìa è nata in Francia. L'epoca non è sicura; secondo la leggendasotto Carlo Magno; sotto Roberto il Saggio per la

storia. La storia non è più sicura di quello che dice di quanto lo sia laleggenda. Favin scrive: «Il re di Francia volle

attirare a sé i grandi del suo stato con il magnifico titolo di Paricomese fossero uguali a lui».

La parìa si biforcò prestissimopassando dalla Francia all'Inghilterra.

La parìa inglese è stata un grande fattoquasi una grande cosa. Il suoprecedente è stato il wittenagemont sassone. Il

thane danese e il valvassore normanno si fusero nel barone. Barone è lastessa cosa di virche in spagnolo si traduce

varone che significa uomo per eccellenza. Dal 1075 i baroni si fannosentire dal re. E che re! Guglielmo il

Conquistatore. Nel 1086 fondano la feudalitàquesto fondamento è il Doomsday-book«Libro del Giudizio

Universale». Sotto Giovanni senza Terraconflitto; la signoria francesetratta altezzosamente la Gran Bretagnae la

parìa francese manda sotto processo il re d'Inghilterra. Indignazione deibaroni inglesi. Alla consacrazione di Filippo

Augusto il re d'Inghilterra portavacome duca di Normandiala primabandiera quadratae il duca di Guienna la

seconda. Proprio contro questo re vassallo dello straniero scoppia la«guerra dei signori». I baroni impongono al

miserabile re Giovanni la Grande Cartada cui viene la camera dei lords. Ilpapa si schiera dalla parte del re e

scomunica i lords. La data è il 1215e il papa è Innocente IIIchescriveva il Veni sancte Spiritus e mandava a Giovanni

senza Terra le quattro virtù cardinali sotto forma di quattro anelli d'oro.I lords non desistono. Un lungo duello che

durerà per molte generazioni. Pembroke lotta. Il 1248 è l'anno delle«Provvigioni di Oxford». Ventiquattro baroni

limitano il relo mettono in discussione e nominanoper farli parteciparealla contesa che si è allargataun cavaliere per

ogni contea. È l'alba dei comuni. Più tardiai lords si aggiunsero duecittadini per ogni città e due borghesi per ogni

borgo. Da ciò dipende il fatto chefino ad Elisabettai pari giudicaronola validità delle elezioni dei comuni. Dalla loro

giurisdizione nacque il detto: «I deputati devono essere nominati senza letre P: sine Precesine Pretiosine Poculo».

Ciò non impedì il fenomeno delle città decadute. Nel 1293 la corte deipari di Francia poteva ancora giudicare il re

d'Inghilterrae Filippo il Bello citava in giudizio Edoardo I. Edoardo I eraquel re che ordinava a suo figlio di farlo

bollire dopo che fosse morto e di portarne le ossa in guerra. Sotto quellefollie reali i lords sentono il bisogno di

rafforzare il parlamento; e lo dividono in due camere. La camera alta e lacamera bassa. I lords tutelano con arroganza la

loro supremazia. «Se capita che uno dei comuni sia così ardito da parlaresfavorevolmente della camera dei lordslo si

porti in giudizio per punirloe in alcuni casi per inviarlo alla Torre».Identica distinzione nel voto. Alla camera dei lords

si vota uno per voltaa partire dall'ultimo baronedetto «il cadetto».Ciascun pari interpellato risponde contento o non

contento. Ai comuni votano tutti insiemecon un SÌ o un NOcome ungregge. I comuni danno un'indicazionei pari

giudicano. I paridisprezzando i numeridelegano ai comunichedeciderannola sorveglianza dello scacchierecosì

chiamatosecondo alcunidal tappeto del tavolo che rappresenta una scacchierasecondo altri dai cassetti del vecchio

armadio dovedietro una grata di ferroc'era il tesoro dei red'Inghilterra. Il Registro annuale«Year-book»data dalla

fine del XIII secolo. Durante la guerra delle Due Rose si avverte il peso deilordssia da parte di John de Gautduca di

Lancastersia da parte di Edmundduca di York. Wat-Tyleri LollardsWarwickil costruttore di retutta questa

anarchia madre da cui verrà l'emancipazioneha come punto d'appoggiopalese o segretola feudalità inglese. I lords

invidiano utilmente il trono; invidiare significa sorvegliare; essicircoscrivono l'iniziativa realeriducono i casi di alto

tradimentosuscitano dei falsi Riccardi contro Enrico IVdiventano arbitrigiudicano la questione delle tre corone tra il

duca di York e Margherita d'Angiòequando occorrearruolano eserciti efanno le loro battaglieShrewsbury

TewkesburySaint-Albana volte perdendolea volte vincendole. Già nelXIII secolo avevano ottenuto la vittoria di

Lewescacciando dal regno i quattro fratelli del rei bastardi di Isabellae del conte della Marcatutti e quattro usurai

che sfruttavano i cristiani per me zzo degli ebrei; principi per un verso efurfanti per l'altrouna cosa che si è rivista più

tardima che a quei tempi non era molto stimata. Fino al XV secolosopravvive nel re d'Inghilterra il duca normannoe

gli atti del parlamento sono redatti in francese. A partire da Enrico VIIper volontà dei lordsvengono redatti in inglese.

Grazie ai lords l'Inghilterrabrettone sotto Uther Pendragonromana sottoCesaresassone sotto l'ettarchiadanese sotto

Haroldnormanna dopo Guglielmodiventa inglese. Poi diventerà anglicana.Avere una propria religione è una gran

forza. Un papa esterno limita la vita nazionale. Una mecca è una piovra. Nel1534Londra congeda Romala parìa

adotta la riforma e i lords accettano Lutero. Replica alla scomunica del1215. Ciò conveniva a Enrico VIIImasotto

altri punti di vistai lords gli davano fastidio. La camera dei lordsdavanti a Enrico VIII era come un bulldog davanti a

un orso. Quando Wolsey ruba White-Hall alla nazionee quando Enrico VIIIruba White-Hall a Wolseychi ringhia?

Quattro lordsDarcie di ChichesterSaint-John di BletsoMountjoye eMounteagle (che sono nomi normanni). Il re

usurpa. La parìa sconfina. L'eredità contiene l'incorruttibilità; da quil'insubordinazione dei lords. Perfino davanti ad

Elisabetta i baroni si agitano. Ne derivano i supplizi di Durham. Quellasottana tirannica è macchiata di sangue.

Elisabetta è un guardinfante sotto cui c'è il ceppo delle esecuzioni.Elisabetta riunisce il parlamento meno che può

riducendo la camera dei lords a sessantacinque membridi cui uno solomarcheseWestminstere neppure un duca.

D'altra parte i re di Francia erano ugualmente gelosi e attuavano la stessaeliminazione. Sotto Enrico III non c'erano che

otto ducati parìeed era solo con grande disappunto del re che il barone diMantesil barone di Coucyil barone di

Coulommiersil barone di Châteauneuf-in-Timeraisil barone della Fère inTardenoisil barone di Mortagnee pochi

altri ancoracontinuavano ad essere baroni pari di Francia. In Inghilterrala corona lasciava volentieri che le parìe si

estinguessero; sotto Annaper non citare che un esempiodal XII secololeestinzioni avevano finito con l'assommare a

cinquecentosessantacinque parìe abolite. La guerra delle Due Rose aveva datoinizio all'estirpazione dei duchicheMaria Tudor aveva completato a colpid'ascia. Significava decapitare la nobiltà. Tagliare un duca vuol dire tagliarela

testa. Senza dubbio una buona politicama è meglio corrompere che tagliare.È ciò che pensò Giacomo I. Egli restaurò

il ducato. Fece duca il suo favorito Villiersche l'aveva fatto porco.Trasformazione del duca feudale in duca cortigiano.

Ciò prolifererà. Carlo II farà duchesse due sue amantiBarbara diSouthampton e Luisa di Quérouel. Sotto Anna ci

saranno venticinque duchidi cui tre stranieriCumberlandCambridge eSchonberg. Questi procedimenti di corte

inventati da Giacomo Ihanno buon esito? No. La camera dei lords si sentemanipolata con l'intrigo e si irrita. Si irrita

contro Giacomo Isi irrita contro Carlo I chesia detto di passaggiohacontribuito forse all'uccisione di suo padre

come Maria dei Medici ha contribuito forse a quella di suo marito. Rotturatra Carlo I e la parìa. I lordsche al tempo di

Giacomo I avevano mandato sotto processo il reato di concussione nellapersona di Baconeal tempo di Carlo I

processano il reato di tradimento nella persona di Stafford. Avevanocondannato Baconecondannano Stafford. Il primo

aveva perso l'onoreil secondo perde la vita. Carlo I viene decapitato unaprima volta nella persona di Stafford. I lords

danno man forte ai comuni. Il re convoca il parlamento a Oxfordlarivoluzione lo convoca a Londra; quarantatre pari

vanno con il reventidue con la repubblica. Da questa accettazione delpopolo da parte dei lords viene il bill dei diritti

abbozzo dei nostri diritti dell'uomoombra vaga che dal fondodell'avvenire la Rivoluzione francese proietta su quella

inglese.

Questi sono i benefici. Sia pure involontari. E pagati a caro prezzoperchéla parìa è un enorme parassita. Ma benefici

considerevoli. L'opera dispotica di Luigi XIdi Richelieu e di Luigi XIVlacostruzione di un sultanol'umiliazione

scambiata con l'uguaglianzalo scettro che bastonale moltitudini livellatedall'assoggettamentotutto questo lavoro

turco fatto in Franciai lords l'hanno impedito in Inghilterra. Essi hannofatto dell'aristocrazia un muroarginando il re

da una parte e proteggendo il popolo dall'altra. Essi riscattano la loroarroganza verso il popolo con la loro insolenza

verso il re. Simonconte di Leicesterdiceva a Enrico III: Retu haimentito. I lords impongono servitù alla corona; essi

offendono il re nella sua sensibilitànella caccia. Qualsiasi lordpassando per un parco realeha il diritto di uccidere un

daino. A casa del re il lord è a casa sua. Si deve alla camera dei lords seè previsto che il re paghi per la torre di Londra

una tariffa di dodici sterline alla settimananon più di un pari. Le sideve anche di aver tolto la corona al re. I lords

hanno destituito Giovanni senza Terradegradato Edoardo IIdeposto RiccardoIIstroncato Enrico IVrendendo

possibile Cromwell. Che Luigi XIV c'era in Carlo I! Grazie a Cromwell non siè manifestato. D'altra partediciamolo di

passaggiones suno storico ha fatto attenzione alla circostanza che lostesso Cromwell aspirava alla parìa; fu questo che

lo spinse a sposare Elisabetta Bourchierdiscendente ed erede di unCromwelllord Bourchierla cui paria si era estinta

nel 1471e di un Bourchierlord Robesartaltra parìa estinta nel 1429.Seguendo il temibile crescendo degli

avvenimentitrovò più semplice dominare attraverso un re soppresso che permezzo di una parìa reclamata. Il re era

colpito dal cerimonialea volte sinistrodei lords. I due porta-spada dellaTorreche stavano in piedicon l'ascia in

spallaa destra e a sinistra del pari accusato e condotto in giudizioeranopronti per il re non meno che per qualsiasi

altro lord. Per cinque secoli l'antica camera dei lords ha avuto una regolae l'ha seguita inflessibilmente. Si possono

contare i suoi giorni di distrazione e di debolezzacomeper esempioinquel curioso frangentequando si lasciò

sedurre dalla galeazza carica di formaggiprosciutti e vini greci che leinviò Giulio II. L'aristocrazia inglese era

inquietaaltezzosairriducibileattentapatriotticamente diffidente. Fulei chealla fine del XVII secolocon il decimo

decreto dell'anno 1694tolse al borgo di Stockbridgea Southamptonildiritto di essere rappresentato in parlamento

costringendo i comuni ad annullare l'elezione di quel borgomacchiata difrode papista. Essa aveva imposto il

giuramento a Giacomoduca di Yorke al suo rifiuto lo aveva escluso daltrono. Ciò nonostante egli regnòma i lords

fin irono con l'impadronirsene e cacciarlo. Questa aristocrazia ha avutodurante la sua lunga esistenza qualche istinto di

progresso. Ha sempre sprigionato una certa quantità apprezzabile di luceeccetto che nel finalecioè ora. Sotto

Giacomo IIessa conservava nella camera bassa la proporzione ditrecentoquarantasei borghesi contro novantadue

cavalieri; i sedici baroni di cortesia dei Cinque Porti erano più checontrobilanciati dai cinquanta cittadini di venticinque

città. Pur essendo molto portata per la corruzione ed egoistaquestaaristocrazia era capacein certe occasionidi una

singolare imparzialità. La si giudica con durezza. La storia riserva i suoifavori ai comuni; è una cosa discutibile. Noi

pensiamo che il ruolo dei lords sia stato grandissimo . Oligarchia significaindipendenzaallo stato barbaroma pur

sempre indipendenza. Guardate la Polonianominalmente è un regnoma nellarealtà è una repubblica. I pari inglesi

tenevano il trono in uno stato di sospetto e sotto tutela. In più diun'occasionemeglio dei comunii lords sapevano

rendersi spiacevoli. Essi davano scacco al re. Cosìin quel memorabile1694i parlamenti triennalirespinti dai comuni

perché Guglielmo III non li volevafurono votati dai pari. Guglielmo IIIirritatotolse al conte di Bath il castello di

Pendennise tutte le cariche al visconte Mordaunt. La camera dei lords erala repubblica di Venezia nel cuore della

sovranità inglese. Il suo scopo era di ridurre il re alla condizione didogee grazie ad essa la nazione si è accresciuta a

detrimento del re.

La sovranità lo capiva e odiava la parìa. Entrambi cercavano di sminuirsi.Quelle diminuzioni andavano a vantaggio del

popolo. Quei due poteri ciechimonarchia e oligarchianon si accorgevano dilavorare per un terzola democrazia. Che

piacere fu per la cortenell'ultimo secolopoter impiccare un parilordFerrers!

Comunque lo impiccarono con una corda di seta. Una vera squisitezza.

In Francia non avrebbero mai impiccato un pari. L'orgogliosa osservazione fudel duca di Richelieu. D'accordo.

L'avrebbero decapitato. Una squisitezza ancora più grande.Montmorency-Tancarville firmava: Pari di Francia e

d'Inghilterramettendo così la parìa inglese al secondo posto. I parifrancesi erano più in alto ma meno potentipiù

sensibili al rango che all'autoritàalle questioni di precedenza che alpotere. Tra loro e i lords c'era la sfumatura che

distingue la vanità dell'orgoglio. Per i pari francesi il grosso problemaera di avere la precedenza sui principi stranieriprecedere i grandi di Spagnaprimeggiare sui patrizi veneziani; far sedere sui seggi più bassi delparlamento i

marescialli di Franciail conestabile e l'ammiraglio francesefosse pureconte di Tolosa e figlio di Luigi XIV;

distinguere tra ducati maschi e ducati femmine; mantenere le distanze tra unacontea semplice come Armagnac o Albret

e una contea-parìa come Évreuxavere il diritto di portarein certi casil'insegna di Cavaliere del Santo Spirito o il vello

d'oro a venticinque anni; controbilanciare il duca di Trémoilleil paripiù vecchio presso il recon il duca d'Uzèsil pari

più vecchio del parlamento; pretendere tanti paggi e tanti cavalli allacarrozza come un elettore; farsi dire monsignore

dal primo presidente; discutere se il duca del Maine abbia il titolo di paricome conte di Eudal 1458; attraversare la

grande camera diagonalmente o lungo i lati. Un grosso problema per i lordsera l'atto di navigazioneil giuramento

l'arruolamento dell'Europa al servizio dell'Inghilterrail dominio sui maril'espulsione degli Stuartsla guerra alla

Francia. Quiprima di tuttol'etichetta; làprima di tuttol'impero. Aipari d'Inghilterra rimaneva la predaa quelli

francesi l'ombra.

Insommala camera dei lords inglesi è stato un punto di partenza; per laciviltà è una cosa immensa. Essa ha avuto

l'onore di dare inizio a una nazione. È stata la prima incarnazionedell'unità popolare. Quella forza oscura e onnipotente

che è la resistenza inglese è nata nella camera dei lords. I baroniconuna serie di atti concreti contro il principehanno

preparato la detronizzazione definitiva. Oggi la camera dei lords è un po'stupita e rattristata per ciò che ha fatto senza

volerlo e senza saperlo. Tanto più che ciò è irrevocabile. Cosa sono leconcessioni? Delle restituzioni. E le nazioni lo

sanno bene. Io concedodice il re. Io riprendodice il popolo. La cameradei lords credeva di creare il privilegio dei

pariha prodotto invece il diritto dei cittadini. L'aristocraziaquestoavvoltoioha covato un uovo d'aquila: la libertà.

Oggi l'uovo si è apertol'aquila volal'avvoltoio muore.

L'aristocrazia agonizzal'Inghilterra cresce.

Ma siamo giusti nei confronti dell'aristocrazia. Essa ha contribuito adequilibrare la sovranità; ha fatto da contrappeso.

Ha ostacolato il dispotismo; è stata una barriera.

Ringraziamola e seppelliamola.

III • LA VECCHIA SALA

Accanto all'abbazia di Westminster c'era un antico palazzo normanno che fubruciato sotto Enrico VIII. Ne rimasero

due ali. Edoardo VI mise in una la camera dei lordsnell'altra la camera deicomuni.

Né le due aliné le due saleesistono più; è tutto ricostruito.

L'abbiamo detto e bisogna ribadirlola camera dei lords di oggi e la cameradei lords di un tempo non hanno nulla in

comune. Con la demolizione dell'antico palazzo si sono demoliti un po' anchegli antichi costumi. I colpi di piccone sui

monumenti non restano senza conseguenze sulle usanze e sui codici. Per ognivecchia pietra che cadecade anche una

vecchia legge. Mettete in una sala rotonda un senato che stava in una salaquadratadiventerà diverso. La conchiglia che

cambia deforma il mollusco.

Se volete conservare una cosa vecchiaumana o divinacodice o dogmapatriziato o sacerdozionon rinnovatene

nienteneppure l'involucro. Piuttosto rattoppate. Come il gesuitismoche èuna pezza applicata al cattolicesimo.

Comportatevi con gli edifici come con le istituzioni.

Le ombre devono abitare le rovine. Le potenze decrepite non si sentono a loroagio nelle abitazioni decorate di fresco.

Per is tituzioni a brandelli ci vogliono stamberghe.

Far vedere l'interno della camera dei lords di un temposignifica mostrarel'ignoto. La storia è la notte. Per la storia non

esistono cose secondarie. Ciò che non è più sul palcoscenicorimpicciolisce e si oscura immediatamente. Tolto lo

scenariocancellazioneoblio. Il sinonimo di Passato è Ignorato.

I pari d'Inghilterracome corte di giustiziasedevano nella sala grande diWestminstere come alta camera legislativa in

una sala speciale chiamata «casa dei lords»house of the lords.

Oltre alla corte dei pari d'Inghilterrache si riunisce solo se convocatadalla coronaanche i due grandi tribunali inglesi

inferiori alla corte dei pari ma superiori a qualsiasi altra giurisdizionesedevano nella sala grande di Westminster. Essi

occupavano due settori contiguinei posti d'onore della sala. Il primotribunale era la corte del seggio realeche il re era

tenuto a presiedere; il secondo era la corte di cancelleriapresieduta dalcancelliere. Uno era corte di giustizial'altro era

corte di misericordia. Era il cancelliere che suggeriva al re le grazie daconcedereraramente. Le due cortiche esistono

ancorainterpretavano la legislazionee un po' anche la rifacevano; l'artedel giudice consiste nel trasformare il codice

in giurisprudenza. Un lavoro in cui l'equità fa quello che può. Lalegislazione dunque veniva prodotta e applicata in quel

luogo severola sala grande di Westminster. La volta della sala era dicastagno così che non potevano formarsi le

ragnateleessendo sufficiente che queste si formino nelle leggi.

Una seduta come corte e una seduta come camera sono due cose diverse. Questadualità costituisce il potere supremo. Il

lungo parlamentoche iniziò il 3 novembre 1640avvertì il bisognorivoluzionario di questa doppia spada.

Dichiarandosi perciòcome una camera dei paripotere giudiziario e poterelegislativo al tempo stesso.

Questo doppio potere era immemorabile nella camera dei lords. Lo abbiamodetto: come giudicii lords occupavano

Westminster-Hallcome legislatoriavevano un'altra sala.

L'altra salapropriamente detta camera dei lordsera oblunga e stretta.Come illuminazione aveva quattro finestre

profondamente intagliate nella travaturache ricevevano luce dal tettoinoltresopra il baldacchino realec'era un

occhio di bue a sei vetricon tende; di sera non c'era altra illuminazioneche quella di dodici piccoli candelabri applicatialle pareti. La sala del senatodi Venezia era ancora meno illuminata. Ai gufi dell'onnipotenza un po' d'ombranon

dispiace.

Lungo la sala in cui si riunivano i lords girava un'alta volta a cassonidoratidisposti su piani poliedrici. I comuni

avevano invece un soffitto piatto; nell'architettura monarchica tutto ha unsenso. Ad un'estremità della lunga sala dei

lords c'era la porta; all'altra estremitàproprio di fronteil trono. Lasbarra a pochi passi dalla porta era una specie di

taglio trasversalecome una frontiera che indicava il luogo dove finisce ilpopolo e inizia la signoria. Un camino a

destra del tronocon un pinnacolo blasonatopresentava due bassorilievi inmarmoraffigurantiuna la vittoria di

Cuthwolph sui bretoni nel 572l'altro la pianta del borgo di Dunstablecheha solo quattro stradeparallele alle quattro

parti del mondo. Tre scalini rialzavano il trono. Il trono era chiamato«sedia reale». Sulle due pareti opposte si

allungavain una successione di quadriun vasto arazzo che Elisabetta avevadonato ai lordse che rappresentava tutte

le vicende dell'Armadadalla partenza dalla Spagna fino al naufragio davantiall'Inghilterra. Gli alti castelli delle navi

erano tessuti con fili d'oro e d'argento checol passare del temposi eranoanneriti. Lungo l'arazzointerrotto di quando

in quando dai candelabrierano addossatealla destra del trono tre file dibanchi per i vescovie alla sinistra tre file di

banchi per duchimarchesi e contitutte su gradini e separate da predelle.Sui tre banchi del primo settore erano seduti i

duchi; sui tre banchi del secondoi marchesi; sui tre banchi del terzoiconti. Il banco dei viscontiin squadraera di

fronte al tronoe dietrotra i visconti e la sbarrac'erano due banchi peri baroni. Sul banco altoa destra del trono

c'erano i due arcivescoviCanterbury e York; sul banco di mezzo c'erano trevescoviLondraDurham e Winchester; gli

altri vescovi stavano sul banco in basso. Tra l'arcivescovo di Canterbury egli altri vescovi c'è questa notevole

differenzache egli è vescovo per divina provvidenzamentre glialtri lo sono per concessione divina. A destra del trono

era visibile una sedia per il principe di Gallesa sinistra alcuniseggiolini pieghevoli per i duchi realie dietro quei

seggiolini un gradino per i pari minorenniche non potevano ancorapartecipare alle sedute della camera. Molti

fiordalisi dovunque; e il grande stemma d'Inghilterra sulle quattro paretial di sopra dei pari ma al di sopra anche del re.

I figli dei pari e gli eredi di parìa assistevano alle delibere in piedidietro il tronotra il baldacchino e il muro. Il trono in

fondo esui tre lati della salale tre file di banchi dei parilasciavanolibero un largo spazio quadrato. Nel quadrato

ricoperto dal tappeto di statocon i blasoni d'Inghilterrac'erano quattrocuscini di lanauno davanti al tronodove

sedeva il cancellieretra la mazza e il sigillo; uno davanti ai vescovidove sedevano i giudici consiglieri di statoche

partecipavano alle sedute ma non potevano parlare; uno davanti a duchimarchesi e contidove sedevano i segretari di

Stato; uno davanti ai visconti e ai baronidove erano seduti lo scrivanodella corona e lo scrivano del parlamentoe su

cuistando in ginocchioscrivevano i due sotto scrivani. Al centro delquadrato era visibile una larga tavola ricoperta da

un drappocarica di praticheregistrilibricon massicci calamaid'oreficeria e alti candelieri ai quattro angoli. I pari

prendevano parte alla seduta in ordine cronologicociascuno secondo la datadi creazione della parìa. Il posto nelle file

dipendeva dal titolo ea parità di titolodall'anzianità. L'usciere dallaverga nera stava alla sbarrain piedicon la

bacchetta in mano. All'interno della porta c'era l'ufficiale dell'usciereall'esterno il banditore dalla verga nerache aveva

l'incarico di aprire le sedute della corte di giustizia al grido: Oyez!In franceselanciato tre voltecalcando solennemente

la voce sulla prima sillaba. Vicino al banditorel'ufficiale porta mazza delcancelliere.

Durante le cerimonie reali i pari temporali tenevano la corona in testaipari spirituali la mitra.

Gli arcivescovi portavano la mitra a forma di corona ducalementre i vescovidella fila dopo quella dei visconti

portavano la mitra a forma di tortiglio baronale.

Curiosa osservazioneche può essere istruttivaquel quadrato formato daltronodai vescovi e dai baronie nel quale ci

sono dei magistrati in ginocchioera l'antico parlamento francese sotto ledue prime stirpi. L'autorità si presenta sotto le

stesse forme in Francia e in Inghilterra. Hincomarnel de ordinationesacri palatiidescrive nell'853 una seduta della

camera dei lords a Westminster del XVIII secolo. Una sorta di bizzarroprocesso verbale fatto con novecento anni

d'anticipo.

Che cos'è la storia? Un'eco del passato nell'avvenire. Un riflessodell'avvenire sul passato.

La riunione del parlamento era obbligatoria solo ogni sette anni.

I lords deliberavano in segretoa porte chiuse. Le sedute dei comuni eranopubbliche. La pubblicità sembrava una

diminuzione.

Il numero dei lords era illimitato. Nominare dei lords era una minaccia dellacorona. Un mezzo per governare.

All'inizio del XVIII secolo la camera dei lords era già abbastanza numerosa.In seguito è cresciuta ancora. Diluire

l'aristocrazia è un modo di far politica. Forse Elisabetta commise un errorecondensando la parìa in sessantacinque

lords. La signoria meno è numerosapiù è intensa. Più membri ci sononelle assembleemeno teste ci sono. Giacomo II

l'aveva capitoportando la camera alta a centottantotto lords;centottantaseise si escludono da quelle parìe le due

duchesse dell'alcova realePortsmouth e Cleveland. Sotto Anna il totale deilordsivi compresi i vescoviera di

duecentosette.

Senza contare il duca di Cumberlandmarito della reginac'erano venticinqueduchidi cui il primoNorfolknon aveva

seggioin quanto cattolicoe di cui l'ultimoCambridgeprincipe elettoredi Hannoverpartecipavabenché straniero.

Dal momento che Winchesterritenuto primo e solo marchese d'Inghilterracome Astorgache era il solo marchese di

Spagnaera assenteessendo giacobitac'erano in tutto cinque marchesidicui il primo era Lindsey e l'ultimo Lothian;

settantanove contidi cui il primo era Derby e l'ultimo Islay; noveviscontidi cui il primo era Hereford e l'ultimo

Lonsdale; e sessantadue baronidi cui il primo era Abergaveny e l'ultimoHervey. Lord Herveyessendo l'ultimo

baroneera quello che veniva chiamato «il cadetto» della camera. Derbycheessendo superato da OxfordShrewsbury

e Kentera solo il quarto sotto Giacomo IIsotto Anna era diventato ilprimo dei conti. Due nomi di cancellieri eranoscomparsi dalla lista dei baroni:Verulamsotto il quale la storia ritrova Baconee Wemsotto il quale lastoria ritrova

Jeffreys. BaconeJeffreysnomi diversi ma egualmente sinistri. Nel 1705 iventisei vescovi erano solo venticinque

essendo vacante il seggio di Chester. Tra i vescovi qualcuno era davvero ungran signore; così William Talbotvescovo

di Oxfordcapo del ramo protestante del suo casato. Altri erano eminentidottoricome John Sharparcivescovo di

Yorkantico decano di Norwick; il poeta Thomas Sprattvescovo di Rochesterun buonuomo apopletticoe il vescovo

di Lincolnche sarebbe morto arcivescovo di CanterburyWakel'avversariodi Bossuet.

Nelle grandi occasioniquando c'era da ricevere delle comunicazioni dallacorona nella camera altatutta quella augusta

moltitudinein togain parruccacon cuffie da prelato o cappelli piumatischierava e disponeva le sue file di teste nella

sala dei parilungo quelle pareti dove si poteva vagamente vedere latempesta che sterminava l'Armada. Sottinteso: una

Tempesta agli ordini dell'Inghilterra.

IV • LA VECCHIA CAMERA

Tutta la cerimonia dell'investitura di Gwynplainedall'entrata sotto laKing's Gate fino al giuramento reso nell'emiciclo

a vetratesi era svolta in una specie di penombra.

Lord William Cowper non aveva permesso che venissero fornitia luicancelliere d'Inghilterradettagli troppo

circostanziati sul volto sfigurato di lord Fermain Clancharlieritenendoindegno venire a sapere che un pari non era

belloe sentendosi inoltre sminuito dalla sfacciataggine di un inferiore chegli avesse portato informazioni di quella

natura. Non ci sono dubbi che un uomo del popolo dice con piacere: quelprincipe è gobbo. Per un lorddunquela

deformità è offensiva. Alle poche parole che a tal proposito gli avevadetto la reginail lord cancelliere si era limitato a

rispondere: Il volto di un signore è la sua signoria. Dai processiverbali che aveva dovuto verificare e autenticareegli

avevasia pur sommariamentecapito. Perciò aveva preso delle precauzioni.

Il volto del nuovo lordal suo ingresso nella cameraavrebbe potuto causareun po' di sensazione. Era necessario porvi

rimedio. Il lord cancelliere aveva preso le sue misure. L'idea fissa e laregola di condotta delle persone serie consiste nel

fare meno rumore possibile. L'odio per gli incidenti fa parte della serietà.Era necessario fare in modo che l'ammissione

di Gwynplaine avvenisse senza inconvenienticome quella di qualsiasi altroerede di parìa.

Per questo il lord cancelliere aveva predisposto per l'accoglienza di lordFermain Clancharlie una seduta serale. Essendo

poi il cancelliere portierequodammodo ostiariusdicono le legginormannejanuarum cancellorumque potestasdice

Tertullianoegli può svolgere le sue funzioni sulla sogliafuori dallacamerae lord William Cowper si era valso del suo

diritto per adempierenell'emiciclo a vetratealle formalitàdell'investitura di lord Fermain Clancharlie. Inoltreegli

aveva anticipato l'oracosì che il nuovo pari potesse fare il suo ingressonella camera prima ancora che la seduta fosse

cominciata.

Riguardo all'investitura di un pari sulla sogliafuori dalla camerac'eranodei precedenti. Il primo barone ereditario

creato per mezzo della patenteJohn de Beauchampdi Holtcastlevoluto daRiccardo IInel 1387barone di

Kidderminsterfu appunto ricevuto in quel modo.

D'altra parterinnovando quel precedenteil lord cancelliere si metteva indifficoltà da solocome avrebbe dimostrato

due anni dopol'inconveniente dell'ingresso nella camera dei lords delvisconte Newhaven.

Lord William Cowper era miopecome abbiamo dettoperciò si accorse appenadella deformità di Gwynplaine: i due

lords padrini non se ne accorsero per niente. Erano due vecchi quasi ciechi.

Il lord cancelliere li aveva scelti appositamente.

Ma c'è di piùpoiché il lord cancelliere non aveva notato che la staturae la prestanza di Gwynplainelo aveva trovato

«di ottimo aspetto».

Aggiungiamo che Barkilphedroinformato di tuttoda quella spia che eraedeciso a portare a termine la sua

macchinazionedurante i suoi discorsi ufficiali alla presenza del lordcancelliere aveva in qualche misura attenuato la

deformità di lord Fermain Clancharliesottolineando il particolare cheGwynplaine era in gradoquando lo volevadi

annullare quell'espressione di risofacendo tornar serio il suo voltosfigurato. Barkilphedroprobabilmenteaveva

esagerato quella facoltà. E poidal punto di vista aristocraticocheimportanza aveva? Lord William Cowper non era

forse il cancelliere che aveva coniato la massima: La restaurazione di unpari inglese vale più di quella di un re? Senza

dubbio bellezza e dignità dovrebbero essere inseparabiliè seccante che unlord sia deformeè un vero oltraggio del

caso; mainsistiamocome può ciò sminuire il diritto? Il lord cancelliereprendeva delle precauzionie a ragionema

dopo tuttocon o senza precauzionichi poteva impedire a un pari di entrarenella camera dei pari? La signoria e la

sovranità non sono superiori alla deformità e alla menomazione? Insiemealla parìa non si ereditava anche un grido

beluino nell'antica famiglia dei Cuminconti di Buchanestintasi nel 1347a tal punto che il pari di Scozia era

riconosciuto proprio da quel grido di tigre? Le orribili macchie di sanguesul volto impedirono a Cesare Borgia di essere

il duca di Valentino? Forse la cecità impedì a Giovanni di Lussemburgo diessere re di Boemia? La gobba impedì a

Riccardo III di essere re d'Inghilterra? A voler guardare bene le cosel'infermità e la bruttezzaaccettate con superba

indifferenzalungi dal negare la grandezzala riaffermano e latestimoniano. La maestà della signoria è tale che la

deformità non la turba. Questo è l'altro aspetto della questionee non èil minore. Come si vedenulla poteva ostacolare

l'ammissione di Gwynplainee le prudenti precauzioni del lord cancelliereutili dal meschino punto di vista della

prudenzaerano un vero lusso dal superiore punto di vista dei principiaristocratici.

Quando i door-keepers avevano spalancato davanti a Gwynplaine i due battentidella grande portanella sala c'era

appena qualche lord. Quei lords erano quasi tutti vecchi. I vecchi sonopuntuali nelle assembleequanto assidui pressole donne. Al banco dei duchi sene vedevano solo dueuno tutto biancol'altro grigioThomas Osborneduca diLeeds

e Schonbergfiglio di quello Schonbergtedesco di nascitafrancese per ilbastone di marescialloe inglese per la parìa

checacciato dall'editto di Nantesdopo aver partecipato alla guerra control'Inghilterra come francesepartecipò alla

guerra contro la Francia come inglese. Al banco dei lords spirituali nonc'era che l'arcivescovo di Canterburyprimate

d'Inghilterrache sedeva in altomentre in basso c'era il dottor SimonPatrickvescovo d'Elyche conversava con

Evelyn Pierrepontmarchese di Dorchesterche gli stava spiegando ladifferenza tra un gabbione e una cortinae tra

palizzate e palizzile palizzate essendo una fila di pali posti davanti alletende per proteggere l'accampamentoe i

palizzi una gorgiera di pioli appuntiti messi sotto il parapetto di unafortezza per impedire la scalata degli assedianti e la

diserzione degli assediati; il marchese insegnava al vescovo come si muniscedi palizzi una ridottasistemando i pioli

metà dentro e metà fuori dal terreno. Thomas Thynevisconte Weymouthsiera avvicinato a un candelabro per

esaminare un progetto del suo architetto riguardo al giardino di Long Leatenel Wiltshireper fare un tappeto d'«erba

rasa»con quadrati di sabbia gialladi sabbia rossaconchiglie d'acquadolce e polvere di carbon fossile. Il banco dei

visconti era affollato da vecchi lordsEssexOssulstonePeregrineOsborneWilliam Zulesteinconte di Rochforte tra

loro anche qualcuno di quei giovani che non portavano la parruccae cheattorniavano Price Devereuxvisconte

Hereforddiscutendo se un'infusione di agrifoglio degli Appalachi fosse daconsiderarsi tè. «Poco ci manca»diceva

Osborne. «Del tutto»diceva Essex. La discussione era seguita conattenzione da Pawlet di Saint-Johncugino di quel

Bolingbroke di cui più tardi Voltaire è stato un po' allievo; si puòinfatti dire che Voltaire sia stato iniziato da padre

Poréee terminato dal Bolingbroke. Al banco dei marchesi c'era Thomas deGreymarchese di Kentlord ciambellano

della reginache asseriva davanti a Robert Bertiemarchese di Lindseylordciambellano d'Inghilterrache il primo

premio della grande lotteria inglese del 1614 era stato vinto da duerifugiati francesiil signor Lecoqgià consigliere al

parlamento di Parigie il signor Ravenelun gentiluomo bretone. Il conte diWymes leggeva un libro intitolato: Curiose

abitudini degli oracoli delle sibille. John Campbellconte di Greenwichfamoso per la lunghezza del suo mento e

l'allegria dei suoi ottantasette anniscriveva all'amante. Lord Chandos sicurava le unghie. Poiché si sarebbe trattato di

una seduta realecon commissari rappresentanti della coronadue assistentidoor-keepers collocarono davanti al trono

un banco di velluto color fuoco. Sul secondo cuscino di lana era seduto ilmaestro dei ruolisacrorum scriniorum

magisterche risiedeva allora nell'antica casa degli ebrei convertiti.Sul quarto cuscino c'erano i due sotto scrivani in

ginocchio che sfogliavano i registri.

Mentre il lord cancelliere prendeva posto sul primo cuscino di lanaifunzionari della camera raggiungevano le loro

posizionichi sedutochi in piedie l'arcivescovo di Canterbury si alzavaper dire la preghieradando inizio alla seduta.

Gwynplaine era già entrato da qualche temposenza che nessuno ci avessefatto caso; il secondo banco dei baronidove

c'era il suo postoera vicino alla sbarraegli non aveva dovuto fare chepochi passi. I due lords padrini si erano seduti

uno alla sua destra e uno alla sua sinistraquasi nascondendo il nuovovenuto. Poiché nessuno era stato avvisatolo

scrivano del parlamento aveva letto a bassa vocequasi sussurrandolelecomunicazioni riguardanti il nuovo lorde il

lord cancelliere aveva proclamato la sua ammissione in mezzo a quella che iresoconti chiamano «l'indifferenza

generale». Stavano tutti parlando. C'era nella camera quel rumore cheaccompagna tutte le decisioni crepuscolari delle

assembleedecisioni di cui qualche voltapiù tardiesse si stupiscono.

Gwynplaine si era sedutoin silenzioa capo scopertotra i due anzianiparilord Fitzwalter e lord Arundel.

Quando era entratoseguendo la raccomandazione del primo araldoche i duelords padrini gli avevano ripetutoegli si

era inchinato davanti alla «sedia reale».

Dunqueera fatta. Egli era lord.

Egli stava con i piedi sopra quella cima incredibilesotto il cui riverberoaveva vis to per tutta la vita il suo maestro

Ursuschinarsi in preda allo spavento.

Egli si trovava nel luogo più luminoso e più cupo dell'Inghilterra.

La vecchia cima del monte feudale che da dieci secoli la storia e l'Europaguardavano. Spaventosa aureola di un mondo

di tenebre.

Egli era entrato in quell'aureola. Un ingresso irrevocabile.

Lì era a casa propria.

A casa sul suo seggiocome il re sul proprio.

Ormai c'erae nulla poteva far sì che non ci fosse.

La corona reale che vedeva sotto il baldacchino era sorella della sua corona.Egli era pari di quel trono.

Egli era la signoria davanti alla maestà. Inferiorema simile.

Che cos'era ieri? Un istrione. E oggi? Un principe.

Ierinulla. Oggitutto.

Era il brusco confronto di miseria e potereche si affrontavano faccia afaccia in fondo a un'animain un destinoe che

improvvisamente diventavano le due metà di una sola coscienza.

Erano due spettril'avversità e la prosperitàche prendevano possesso diuna stessa animatirandola ciascuno dalla sua

parte. La patetica spartizione di un'intelligenzadi una volontàdi uncervellotra quei due fratelli nemiciil fantasma

povero e il fantasma ricco. Abele e Caino nello stesso uomo.

V • CHIACCHIERATE ALTEREA poco a poco i banchi della camera si riempirono.I lords cominciavano ad arrivare. L'ordine del giorno riguardava il

voto sul bill che aumentava di centomila sterline la dotazione annuale diGiorgio di Danimarcaduca di Cumberland

marito della regina. Inoltre erano stati annunciati alcuni bills approvati dasua maestàche sarebbero stati consegnati alla

camera da commissari della corona con potere e incarico di sancirliil chefaceva di quella seduta una seduta reale.

Sull'abito da corte o da città i pari indossavano la veste parlamentare. Lavestesimile a quella di Gwynplaineera

uguale per tuttitranne per il fatto che i duchi avevano cinque strisced'ermellino orlate d'oroi marchesi quattroi conti

e i visconti tree i baroni due. I lords entravano a gruppi. Si eranoincontrati nei corridoi e ora proseguivano le

conversazioni iniziate. Alcuni venivano da soli. Se gli abiti erano solennigli atteggiamenti non lo erano affattoné le

parole. Tuttientrandosalutavano il trono.

I pari affluivano. Quella sfilata di nomi maestosi si svolgeva quasi senzacerimonialenon essendoci pubblico. Leicester

entrava e stringeva la mano a Lichfield; poi veniva Charles Mordauntcontedi Peterborough e di Monmouthamico di

Lockeper suggerimento del quale egli aveva proposto di rifondere le monete;poi Charles Campbellconte di Loudoun

che ascoltava Fulke Grevillelord Brooke; poi Dormeconte di Caërnavron;poi Robert Suttonbarone Lexingtonfiglio

di quel Lexington che aveva consigliato a Carlo II di cacciare Gregorio Letistoriografo così incauto da voler essere

uno storico; poi Thomas Bellasysevisconte Falconbergun bel vecchio; e itre cugini Howard insiemeHowardconte

di BindonBower-Howardconte di Berkshiree Stafford -Howardconte diStafford; poi John Lovelacel'estinzione

della cui parìanel 1736permise a Richardson di mettere Lovelace nel suolibrocreando così un tipo. Tutti quei

personaggicelebri per fatti politici o di guerramolti dei qualirappresentano un vanto per l'Inghilterraerano intenti a

ridere e a chiacchierare. Era come vedere la storia in pantofole.

In meno di mezz'ora la camera fu quasi al completo. Un fatto normalissimotrattandosi di una seduta reale. Era meno

naturaleinvecela vivacità delle conversazioni. La camerapoco primacosì calmaera adesso rumorosa come un

alveare che venisse disturbato. A risvegliarla era stato l'arrivo dei lordsin ritardo. Essi portavano delle novità. Per una

curiosa combinazionei pari presenti all'apertura della seduta non sapevenoquello che era accadutomentre lo sapevano

quelli che non c'erano.

Molti lords venivano da Windsor.

Da qualche ora si era diffusa la notizia delle vicende di Gwynplaine. Ilsegreto è una rete; se si rompe una magliasi

lacera tutto. Fin dal mattinoin seguito ai fatti che abbiamo raccontatotutta la storia di quella parìa ritrovata su un

palco di ambulanti e di un saltimbanco riconosciuto come lordaveva fattoscalpore negli appartamenti privati del rea

Windsor. Prima ne avevano parlato i principipoi i lacché. Dalla corte lanotizia aveva raggiunto la città. C'è come una

gravità dei fattia cui si applica la legge del quadrato della velocità.Essi cadono nel dominio pubblico e vi affondano

con una rapidità inaudita. Alle settenon c'era alcun sentore di quellastoria a Londra. Alle ottoGwynplaine era sulla

bocca di tutti. Solo quei pochi lords puntuali che erano arrivati in anticipoall'apertura della sedutaignoravano la cosa

non trovandosi in cittàdove si raccontava l'accadutobensì alla cameradove peraltro non si erano accorti di nulla. Per

questomentre erano tranquillamente seduti ai loro banchivenneroapostrofati dai nuovi arrivatimolto agitati.

«E allora?»diceva Francis Brownvisconte Mountacuteal marchese diDorchester.

«Cosa?».

«Ma è possibile?».

«Cosa?».

«L'Uomo che Ride!».

«E chi è questo Uomo che Ride?».

«Non conoscete l'Uomo che Ride?».

«No».

«È un clown. Un boy delle fiere. Un volto incredibile che si andava avedere per due soldi. Un saltimbanco».

«Ebbene?».

«Lo avete appena accolto come pari d'Inghilterra».

«L'uomo che ride siete voimylord Mountacute».

«Io non ridomylord Dorchester».

E il visconte Mountacute fece un cenno allo scrivano del parlamentoche sialzò dal cuscino di lana e confermò alle

signorie loro l'avvenuta ammissione del nuovo pari. Aggiungendo i dettagli.

«Guardaguardaguarda»diceva lord Dorchester«stavo parlando con ilvescovo d'Ely».

Il giovane conte d'Annesley si accostava al vecchio lord Eurea cui nonrimanevano che due anni di vitadal momento

che sarebbe morto nel 1707.

«Mylord Eure?».

«Mylord Annesley?».

«Avete conosciuto lord Linnaeus Clancharlie?».

«Un uomo d'altri tempi. Sì».

«Che è morto in Svizzera?».

«Sì. Eravamo parenti».

«Quello che era stato repubblicano sotto Cromwelle che era rimastorepubblicano sotto Carlo II?».

«Repubblicano? Per niente. Teneva il broncio. C'era una faccenda personaletra il re e lui. So da fonte certa che lord

Clancharlie si sarebbe riavvicinato se gli avessero dato il posto dicancelliere che poi ha avuto lord Hyde».

«Voi mi stupitemylord Eure. Mi avevano detto che lord Clancharlie era unuomo onesto».«Un uomo onesto! Si è mai visto? Voi siete giovanenon esistonouomini onesti».

«E Catone?».

«Voi credete a Catone!».

«E Aristide?».

«Hanno fatto bene ad esiliarlo».

«E Tommaso Moro?».

«Hanno fatto bene a tagliargli la testa».

«Masecondo voilord Clancharlie? ...».

«Era della stessa razza. E poiun uomo che rimane in esilioè davveroridicolo».

«Vi è morto».

«Un ambizioso deluso. Oh! Se lo conoscevo! Lo credo bene. Ero il suomigliore amico».

«Sapetemylord Eureche in Svizzera si era sposato?».

«L'ho sentito dire».

«E che da quel matrimonio ha avuto un figlio legittimo?».

«Sì. Che è morto».

«Che è vivo».

«Vivo?».

«Vivo».

«Impossibile».

«È la realtà. Provata. Constatata. Omologata. Registrata».

«Ma allora il figlio erediterà la parìa di Clancharlie?».

«Non sarà erede».

«Perché?».

«Perché ha già ereditato. È fatta».

«È fatta?».

«Girate la testamylord Eure. È seduto dietro a voi nel banco deibaroni».

Lord Eure si voltò; ma il volto di Gwynplaine era nascosto da una selva dicapelli.

«Toh!»diceva il vecchionon vedendo che capelli«ha già adottato lanuova moda. Non porta la parrucca».

Grantham avvicinava Colepepper.

«Ecco uno che è caduto in trappola!».

«Chi sarebbe?».

«David Dirry-Moir».

«E perché?».

«Non è più pari».

«Come mai?».

E Henry Auverquerqueconte di Granthamraccontava a JohnbaroneColepeppertutto «l'aneddoto»la bottiglia relitto

portata all'ammiragliatola pergamena dei comprachicoslo jussu regis controfirmatoJeffr-ysil confronto nei

sotterranei penali di Southwarkl'accettazione di tutti quei fatti da partedel lord cancelliere e della reginail giuramento

reso nell'emiciclo a vetratee infine l'ammissione di lord FermainClancharlie all'inizio della sedutae tutti e due si

sforzavano di distinguere tra lord Fitzwalter e lord Arundel il volto delnuovo lorddi cui tanto si parlavama con esito

non migliore di quello di lord Eure e di lord Annesly.

Gwynplained'altra parteper caso o per intenzione dei suoi padriniavvisati dal lord cancelliereera seduto in un posto

dove c'era abbastanza ombra per sfuggire alla curiosità.

«Dov'è? Dov'è?».

Era l'esclamazione di tutti quelli che arrivavanoma nessuno riusciva avederlo bene. Alcuniche avevano visto

Gwynplaine alla Green-Boxerano morbosamente curiosima sprecavano il lorotempo. Come capitaa volte

d'imprigionare per prudenza una ragazza in un gruppo di beghinecosìGwynplaine era come avvolto in più strati di

vecchi lords infermi e indifferenti.

I poveracci che hanno la gotta sono poco sensibili alle faccende altrui.

Venivano fatte passare da una mano all'altra le copie di una lettera di soletre righe chesi affermavala duchessa

Josiane aveva scritto a sua sorella la regina in risposta all'ingiunzionefattale da sua maestàdi sposare il nuovo pari

lord Fermainerede legittimo dei Clancharlie. Questo era il contenuto dellalettera:

Signora

Meglio così. Potrò avere lord David per amante.

Firmato: Josiane. Il bigliettovero o fals oraccolse unentusiastico successo.

Un giovane lordCharles d'Okeamptonbarone Mohunche apparteneva allafazione di quelli che non portavano la

parruccalo leggeva e lo rileggeva con autentico piacere. Lewis di Durasconte di Fevershamun inglese con uno

spirito franceseguardava Mohun e sorrideva.

«Bene»esclamò lord Mohun«ecco la donna che vorrei sposare!».

E quelli che stavano vicino ai due lords ascoltarono questo dialogo tra Durase Mohun:

«Sposare la duchessa Josianelord Mohun!».

«Perché no?».«Diamine!».

«Si sarebbe fortunati!».

«Si sarebbe in molti».

«Non si è sempre in molti?».

«Lord Mohunavete ragione. In fatto di donne abbiamo tutti gli avanzi gliuni degli altri. Chi è stato il primo?».

«Forse Adamo».

«No».

«Allora Satana!».

«Mio caro»concludeva Lewis de Duras«Adamo è solo un prestanome.Povero sciocco. Si è addossato il genere

umano. È stato il diavolo ad accostare l'uomo alla donna».

Hugo Cholmleyconte di Cholmleyottimo legistaveniva interpellato dalbanco dei vescovi da Nathanaël Crewche

era due volte paripari temporalecome barone Crewe pari spiritualecomevescovo di Durham.

«Ma è possibile?»diceva Crew.

«Sarà regolare?»diceva Cholmley.

«L'investitura del nuovo venuto è stata fatta fuori dalla camera»proseguiva il vescovo«ma si dice che ci sono dei

precedenti».

«Sì. Lord Beauchamp sotto Riccardo II. Lord Chenay sotto Elisabetta».

«E lord Broghill sotto Cromwell».

«Cromwell non conta».

«Cosa pensate di tutto ciò?».

«Diverse cose».

«Mylordconte di Cholmleyquale sarà il posto del giovane FermainClancharlie nella camera?».

«Mylord vescovopoiché la parentesi repubblicana ha scompaginato l'anticoordineoggi Clancharlie si trova tra la

parìa di Barnard e quella di Somersil che significase ci fosse unaconsultazioneche lord Fermain Clancharlie

parlerebbe per ottavo».

«Però! Un saltimbanco delle piazze!».

«Il fatto in sé non mi stupiscemylord vescovo. Sono cose che capitano. Necapitano anche di più incredibili. La guerra

delle Due Rose non è stata forse preannunciata dall'improvvisoprosciugamento del fiume Ouse a Bedfordil 1º gennaio

1399? Orase un fiume può andare in seccaun signore può finire in unacondizione servile. Ulissere d'Itacafece ogni

tipo di lavori. Fermain Clancharliesotto il suo aspetto d'istrioneèrimasto un lord. La meschinità dell'abito non tocca

la nobiltà del sangue. Certo che il giuramento e l'investitura fuori dallasedutabenché a rigore legalipossono sollevare

delle obiezioni. Penso che dovremo metterci d'accordo per sapere se sarà ilcasopiù avantidi porre un'interrogazione

ufficiale al lord cancelliere. Vedremo tra qualche settimana il da farsi».

E il vescovo aggiunse:

«Fa lo stesso. È una vicenda come non se n'erano più viste dopo il conteGesbodus».

Gwynplainel'Uomo che Ridel'inn Tadcasterla Green-BoxLa sconfittadel caosla SvizzeraChilloni

comprachicosl'esiliola mutilazionela repubblicaJeffrysGiacomo IIlo jussu regisla bottiglia aperta

all'ammiragliatoil padrelord Linnaeusil figlio legittimolord Fermainil figlio bastardolord Davidi probabili

conflittila duchessa Josianeil lord cancellierela reginatutto ciòcorreva da un banco all'altro. Il parlottio è una

strisciata di polvere. Si ripetevano i dettagli. Tutta la vicenda eradiventata l'immenso mormorio della camera.

Gwynplainedal fondo delle sue fantasticheriesentiva vagamente quel brusiosenza sapere che riguardava proprio lui.

Tuttavia egli era stranamente attentoma attento in profonditànon insuperficie. L'attenzione eccessiva si trasforma in

isolamento.

Il rumore della camera non impedisce alla seduta di continuare regolarmentenon più di quanto la polvere impedisca

alla truppa di marciare. I giudiciche nella camera alta sono semplicispettatori e non possono parlare se non sono

interrogatisi erano seduti sul secondo cuscino di lanamentre i segretaridi stato si erano seduti sul terzo. Gli eredi di

parìe affluivano nel loro settoreche poteva essere considerato dentro efuori dalla cameratrovandosi dietro il trono. I

pari minori stavano su una gradinata riservata. Nel 1705quei piccoli lordsnon erano meno di dodici: Huntingdon

LincolnDorsetWarwickBathBurlingtonDerwentwaterdestinato a unamorte tragicaLonguevilleLondsdale

Dudley and Warde Carteretuna maramaglia di otto contidue visconti e duebaroni.

Nella salatutti i lords avevano raggiunto i loro seggi presso i tre ordinidi banchi. C'erano quasi tutti i vescovi.

Numerosi i duchia cominciare da Charles Seymourduca di Somersetperfinire a Georges Augustusprincipe elettore

di Hannoverduca di Cambridgel'ultimo nella cronologia e dunque l'ultimocome posto. Tutto si svolgeva nel rispetto

delle precedenze; Cavendishduca di Richmond; i tre Fitz-Royil duca diSouthamptonil duca di Grafton e il duca di

Northumberland; Butlerduca d'Ormond; Somersetduca di Beaufort; Beauclerkduca di Saint-Albans; Pawlettduca di

Bolton; Osborneduca di Leeds; Wriothesley Russellduca di Bedfordcheaveva come grido di guerra e come motto:

Che sarà sarà. cioè l'accettazione degli avvenimenti; Sheffieldducadi Buckingham; Mannersduca di Rutlande gli

altri. Né Howardduca di Norfolkné Talbotduca di Shrewsburyavevanoun seggioessendo cattolici; né Churchill

duca di Marloborough - il nostro Malbrouck -che proprio allora era inguerra e sconfiggeva la Francia. Né c'erano

duchi scozzesidal momento che QueensberryMontrose e Roxburghe furonoammessi solo nel 1707.

VI • L'ALTA E LA BASSAAll'imp rovviso la camera s'illuminò vivacemente.Quattro door-keepers portarono quattro torciere a candelabro cariche

di candelesistemandole ai due lati del trono. Il tronocosì illuminatoapparve avvolto da una sorta di luminescenza

purpurea. Vuotoma augusto. Se anche vi fosse stata la reginanon viavrebbe aggiunto molto.

L'usciere dalla verga nera entròcon la bacchetta alzatae disse:

«Le loro signoriei commissari di sua maestà».

Cessò ogni rumore.

Uno scrivano in parrucca e zimarra apparve sulla soglia della grande portareggendo un cuscino con ricami di fiordalisi

su cui c'erano delle pergamene. Le pergamene erano i bills. Da ciascunapendeva una treccia di seta con una biglia o

bollaqualche volta d'oroche ha fatto chiamare le leggi bills inInghilterrae bolle a Roma.

Lo scrivano era seguito da tre uomini vestiti come paricon il cappellopiumato in testa.

Quegli uomini erano i commissari del re. Il primo era il lord gran tesoriered'InghilterraGodolphinil secondo era il

lord presidente del consiglioPembrokeil terzo era il lord del sigilloprivatoNewcastle.

Camminavano uno dietro l'altrorispettando la precedenzama non quella deltitolobensì quella della carica;

Godolphin era il primoNewcastle l'ultimopur essendo duca.

Si presentarono al banco davanti al tronofecero un inchino alla sediarealetolsero e si rimisero i cappellisi sedettero

al banco.

Il lord cancelliere guardò l'usciere dalla verga nerae disse: «Fatevenire i comuni alla sbarra».

L'usciere dalla verga nera uscì.

Lo scrivanouno di quelli della camera dei lordsposò il cuscinetto con ibills sul tavolo che stava nel quadrato formato

dai cuscini di lana.

Seguì una pausa di alcuni minuti.

Due door-keepers misero davanti alla sbarra uno sgabello a tre gradini. Losgabello era di velluto rosacon chiodi dorati

che disegnavano fiordalisi.

La grande portache si era richiusatornò ad aprirsie una voce esclamò:

«I fedeli comuni d'Inghilterra».

Era l'usciere dalla verga nera che annunciava l'altra metà del parlamento.

I lords si misero il cappello.

I membri dei comunipreceduti dallo speakerentrarono a capo scoperto.

Si fermarono alla sbarra. Erano in abiti civiliper lo più nericon laspada.

Lo speakeril molto onorevole John Smithscudierorappresentante del borgodi Andoversalì sullo sgabello a metà

della sbarra. L'oratore dei comuni indossava una lunga zimarra di raso nerocon maniche larghe e spacchi davanti e

dietrogallonati con alamari d'oroe una parrucca più piccola di quelladel lord cancelliere. La sua maestosità era di un

livello inferiore.

I rappresentanti dei comunioratori e membririmasero in attesain piedi ea capo scopertodavanti ai pari seduti e a

capo coperto.

Si notava tra i comuni il capo del tribunale di ChesterJoseph Jekyllpiùtre ufficiali giudiziari di sua maestàHooper

Powys e Parkere James Montagueprocuratore generalee l'attorneygeneraleSimon Harcourt. Tranne qualche

baronetto e qualche cavalieree nove lords di cortesiaHastingtonWindsorWoodstockMordauntGramby

ScudamoreFitz-HardingHyde e Burkeleyfigli di pari e eredi di parìetutti gli altri erano popolo. Una cupa folla

silenziosa.

Quando il rumore dei passi di quelli che entravano cessòil banditore dallaverga nerache stava sulla portadisse:

«Oyez!».

Lo scrivano della corona si alzò. Prese la prima delle pergamente posate sulcuscinola spiegò e lesse. Era un messaggio

della regina che nominava tre commissaricon potere di ratificare i billsper rappresentarla alla cameracioè...

A questo punto lo scrivano alzò la voce.

«Sydney conte di Godolphin».

Lo scrivano fece un inchino a lord Godolphin. Lord Godolphin sollevò ilcappello. Lo scrivano continuò:

«... Thomas Herbertconte di Pembroke e di Montgomery».

Lo scrivano fece un inchino a lord Pembroke. Lord Pembroke toccò ilcappello. Lo scrivano proseguì:

«... John Hollisduca di Newcastle».

Lo scrivano fece un inchino a lord Newcastle. Lord Newcastle fece un cennocon la testa.

Lo scrivano della corona tornò a sedersi. Si alzò lo scrivano delparlamento. Il suo sotto scrivanoche stava in

ginocchiosi alzò dietro di lui. Entrambi erano di fronte al trono evoltavano le spalle ai comuni.

Sul cuscino c'erano cinque bills. I cinque billsvotati dai comuni eapprovati dai lordsattendevano la ratifica reale.

Lo scrivano del parlamento lesse il primo bill.

Si trattava di un provvedimento dei comuni che metteva a carico dello statole migliorie volute dalla regina per la sua

residenza di Hampton-Courte che ammontavano a un milione di sterline.

Terminata la letturalo scrivano fece un profondo inchino verso il trono. Ilsotto scrivano s'inchinò ancora più

profondamentepoigirando a metà la testa in direzione dei comunidisse:

«La regina accetta la vostra magnanimità e così vuole».

Lo scrivano lesse il secondo bill.Si trattava di una legge che prevedeva laprigione e una multa per chiunque si sottraesse al servizio delle trainbands.Le

trainbands (truppe mobili) sono quella milizia civile che presta serviziogratuitamente e chesotto Elisabetta

all'avvicinarsi dell'Armadaaveva fornito centottantacinquemila fanti equarantamila cavalieri.

I due scrivani s'inchinarono nuovamente davanti al trono; dopo di che ilsotto scrivanomettendosi di profilodisse alla

camera dei comuni:

«La regina lo vuole».

Il terzo bill aumentava le decime e le prebende del vescovato di Lichfield edi Coventryche è una delle prelature più

ricche d'Inghilterracostituiva una rendita per la cattedraleaumentava ilnumero dei canonici rinvigorendo il decanato e

i benefici«così da provvedere - come dicevava il preambolo - ai bisognidella nostra santa religione». Il quarto bill

aggiungeva al budget nuove imposteuna sulla carta marmorizzatauna sullecarrozze a noloottocento previste nella

sola Londrache venivano tassate di cinquantadue sterline ciascuna; unasugli avvocatiprocuratori e sollecitatoridi

quarantotto sterline all'anno per ciascuno; una sulle pelli conciate«nonostante - come diceva il preambolo - le lamentele

degli artigiani che lavorano il cuoio»; una sul sapone «nonostante ireclami della città di Exeter e del Devonshiredove

si produce una gran quantità di sargia e di panno»; una sul vinodiquattro scellini alla botte; una sulla farinauna

sull'orzo e sul luppolo; e si rinnovava per quattro anni l'imposta sultonnellaggio«perché i bisogni dello stato - diceva

il preambolo - sono superiori alle rimostranze del commercio»un'imposta che andava dalle sei lire tornesi a tonnellata

per i vascelli che venivano da occidente alle milleottocento sterline perquelli che venivano dall'oriente. Infine il bill

ritenendo insufficiente il testatico ordinariogià riscosso per l'anno incorsoterminava con una soprattassa generale

valida per tutto il regnodi quattro scellini o quarantotto soldi tornesi atestastabilendo che chi si fosse rifiutato di

prestare i nuovi giuramenti al governoavrebbe pagato una tassa doppia. Ilquinto bill proibiva di accogliere all'ospedale

i malati cheentrandonon avessero deposto una sterlina per pagarein casodi mortela sepoltura. Gli ultimi tre bills

come i primi duefurono ratificati uno dopo l'altro e mutati in leggeconun inchino al trono e con le quattro parole del

sotto scrivano «la regina lo vuole»dette da sopra la spalla ai comuni.

Poi il sotto scrivano tornò in ginocchio davanti al quarto cuscino di lanae il lord cancelliere disse:

«Sia fatto secondo i desideri».

Con ciò ebbe termine la seduta reale.

Lo speakerpiegato in due davanti al cancellierescese all'indietro dallosgabellosistemandosi la veste; quelli dei

comuni s'inchinarono fino a terra ementre la camera altasenza curarsi ditutte quelle riverenzeriprendeva l'esame

dell'ordine del giorno interrottola camera bassa se ne andò.

VII • LE TEMPESTE UMANE SONO PEGGIORI DI QUELLE DELL'OCEANO

Le porte si richiusero; l'usciere dalla verga nera rientrò; i lordscommissari lasciarono il banco di stato e andarono a

sedersi all'inizio del banco dei duchinei posti dovuti alla loro caricapoi il lord cancellie re prese la parola:

«Mylordspoiché la camera discute da molti giorni sul bill che propone diaumentare di centomila sterline

l'appannaggio annuo di sua altezza reale il principe consorte di sua maestàe poiché il dibattito è chiuso ed esauritosi

procederà al voto. Il votosecondo la consuetudineverrà preso a partiredal cadetto al banco dei baroni. Ciascun lord

quando sarà chiamatosi alzerà e risponderà contento o noncontentoe sarà anche libero di esporre i motivi del suo

votose lo giudica opportuno. Scrivanoiniziate l'appello per lavotazione».

Lo scrivano del parlamentoin piediaprì un largo in-folio posto su unpulpito doratosi trattava del Libro dei Pari.

Il più giovane della camerain quell'epocaera lord John Herveycreatobarone e pari nel 1703da cui sono discesi i

marchesi di Bristol.

Lo scrivano chiamò:

«Mylord Johnbarone Hervey».

Si alzò un vecchio con la parrucca bionda e disse:

«Contento».

Poi tornò a sedersi.

Il sotto scrivano registrò il voto.

Lo scrivano proseguì:

«Mylord Francis Seymourbarone Conway di Kiltultagh».

«Contento»mormoròalzandosi a metàun giovane elegante con il voltoda paggioche non sospettava certo di

diventare il nonno dei marchesi di Hertford.

«Mylord John Levesonbarone Gower»continuò lo scrivano.

Il baronela cui discendenza annovera i duchi di Sutherlandsi alzòerimettendosi a sedere disse:

«Contento».

Lo scrivano proseguì:

«Mylord Heneage Finchbarone Guernesy».

L'avo dei conti d'Aylesfordnon meno giovane e non meno elegantedell'antenato dei marchesi di Hertfordrese onore

al suo motto Aperto vivere voto per la decisione del suo consenso.

«Contento»esclamò.

Mentre si sedevalo scrivano chiamò il quinto barone:

«Mylord Johnbarone Granville».«Contento»rispose alzandosi e sedendosirapidamentelord Granville di Potheridgela cui parìache non aveva alcun

avveniresi sarebbe estinta nel 1709.

Lo scrivano passò al sesto:

«Mylord Charles Mountaguebarone Halifax».

«Contento»disse lord Halifaxche portava un titolo sotto cui si era giàestinto il nome di Saville e si sarebbe estinto

anche quello di Mountague. Mountagueche va distinto da Montagu e daMountacute.

Lord Halifax volle aggiungere:

«Il principe Giorgio gode di un appannaggio come marito di sua maestà; diun altro come principe di Danimarcadi un

altro come duca di Cumberlande di un altro ancora come lord ammiragliod'Inghilterra e d'Irlandama non gode di

alcun appannaggio come generalissimo. Questa è un'ingiustizia. Bisognacancellare l'anomalianell'interesse del popolo

inglese».

Poi lord Halifax fece l'elogio della religione cristianabiasimò il papismoe votò il sussidio.

Quando lord Halifax si sedettelo scrivano continuò:

«Mylord Christophbarone Barnard».

Lord Barnardda cui sarebbero discesi i duchi di Clevelandsentendosichiamare si alzò.

«Contento».

La lentezza che mise nel sedersi era dovuta a un collare di pizzo che valevala pena far notare. Del resto lord Barnard

era un degno gentiluomo e un valente ufficiale.

Mentre lord Barnard si sedevalo scrivanoche leggeva spintodall'abitudineebbe qualche esitazione. Si aggiustò gli

occhiali e si chinò sul registro raddoppiando l'attenzionepoialzando dinuovo la testadisse:

«Mylord Fermain Clancharliebarone Clancharlie e Hunkerville».

Gwynplaine si alzò:

«Non contento»disse.

Tutte le teste si voltarono. Gwynplaine era in piedi. I fasci di candeleposte ai due lati del trono rischiaravano con forza

il suo voltofacendolo risaltare nell'oscurità della vasta salacon ilrilievo di una maschera su uno sfondo fumoso.

Gwynplaine aveva fatto su di sé quello sforzo checome si ricorderàteoricamente gli era possibile. Concentrandosi

con una volontà uguale a quella che ci sarebbe voluta per domare una tigreegli era riuscitoper un momentoa

ricondurre alla serietà il ghigno fatale del suo volto. In quell'istanteegli non rideva. Ma non poteva durare a lungo; la

disobbedienza a ciò che in noi è legge o fatalità è di breve durata;capita che l'acqua del mare si opponga alla

gravitazionesi gonfi come una tromba e diventi una montagnama solo allacondizione di ricadere. Quella di

Gwynplaine era una lotta simile. Per un attimodi cui avvertiva tutta lasolennitàper mezzo di un prodigioso sforzo

della volontàegli aveva gettato sul suo volto il cupo velo dell'animamasolo il tempo di un lampo; egli teneva sospesa

la sua inguaribile risata; dalla faccia che gli avevano scolpita egli avevaritirato la gioia. Adesso era davvero spaventoso.

«Chi è?»gridarono.

Un fremito indescrivibile corse per i banchi. La selva di capellile nereprofondità sotto le sopracciglialo spessore di

uno sguardo senza occhiil profilo selvaggio di una testa orribile tra laluce e l'ombrafu sorprendente. Andava oltre

ogni limite. Per quanto avessero parlato di Gwynplainevederlo fu unospettacolo formidabile. Anche quelli che se

l'aspettavanonon se l'aspettavano così. Immaginate sulla montagnariservata agli dèiin una tranquilla sera di festala

schiera degli onnipotenti riunitae il volto di Prometeodevastato daicolpi di becco dell'avvoltoioche appare

improvvisamente come una luna insanguinata sull'orizzonte. L'Olimpo allapresenza del Caucasoche visione! Vecchi e

giovani guardarono a bocca aperta Gwynplaine.

Un vecchiovenerato da tutta la camerache aveva visto molti uomini e moltecosedesignato come ducaThomas

conte di Wartonsi alzò attonito.

«Che significa tutto ciò?»esclamò. «Chi ha introdotto quell'uomo nellacamera? Cacciatelo fuori».

E si rivolse altezzosamente a Gwynplaine:

«Chi siete? Da dove venite?».

«Dall'abisso»rispose Gwynplaine.

Eincrociando le bracciaguardò i lords.

«Chi sono? Io sono la miseria. Mylordsvi devo parlare».

Seguì un silenzio fremente. Gwynplaine continuò.

«Mylordsvoi siete in alto. Bene. Dobbiamo pur credere che Dio abbia i suoimotivi per volerlo. Sono vostri il potere e

l'opulenzala gioiail sole immobile allo zenitun'autorità senza limitiun godimento esclusivola sterminata

dimenticanza degli altri. Bene. Ma sotto di voi c'è qualcosa. Forse sopra divoi. Mylordsvi porto una notizia. Il genere

umano esiste».

Le assemblee sono come i bambini; gli incidenti sono le loro scatole asorpresatemuti e desiderati al tempo stesso. A

volte sembra che scatti una molla e dal buco schizza fuori un diavolo. ComeMirabeau in Franciaanche lui deforme.

In quel momento Gwynplaine avvertiva in sé una strana dilatazione. Un gruppod'uomini a cui parliamo è un tripode. Si

è in piediper così diresu una cima d'anime. C'è sotto i nostri talloniun sussulto di viscere umane. Gwynplaine non era

più l'uomo chela notte primaper un istanteera stato quasi meschino. Ivapori di quell'improvviso innalzamentoche

l'avevano turbatosi erano diradatifacendosi trasparentie là doveGwynplaine era stato sedotto dalla vanitàegli

scorgeva ora un compito. Ciò che prima l'aveva rimpicciolitoadesso loingrandiva. Egli era illuminato da uno di quei

grandi lampi che emanano dal dovere.Da ogni parte intorno a Gwynplaine silevò un grido:

«Ascoltateascoltate!».

Egli intantoteso e trasfiguratoriusciva a mantenere sul suo volto quellacontrazione lugubre e severasotto cui

s'impennava il ghignocome un cavallo selvaggio pronto a fuggire. Econtinuò:

«Io sono colui che viene dalle profondità. Mylordsvoi siete i grandi e iricchi. È pericoloso. Voi approfittate della

notte. Ma state attentic'è una grande potenzal'aurora. L'alba non puòessere vinta. Arriverà. Sta già venendo. Essa ha

in sé il getto irresistibile della luce. Chi impedirà a questa fionda dilanciare il sole nel cielo? Il solecioè il diritto. Ma

voivoi siete il privilegio. Abbiate paura. Il vero padrone di casa sta perbussare alla porta. Chi è il padre del privilegio?

Il caso. E chi è suo figlio? L'abuso. Né il caso né l'abuso sono solidi.Un brutto futuro li aspetta entrambi. Io voglio

avvertirvi. Denuncio davanti a voi la vostra felicità. È fatta conl'infelicità degli altri. Voi avete tuttoma questo tutto è

composto del nulla degli altri. Mylordsio sono l'avvocato senza speranzaio difendo una causa persa. Questa causa

sarà Dio a vincerla. Io non sono nientesono solo una voce. Il genere umanoè una bocca di cui io sono il grido. Voi mi

ascolterete. Io voglio aprire davanti a voipari d'Inghilterrale grandiassisi del popoloquesto sovrano che è vittima

questo condannato che è il giudice. Ciò che devo dire mi schiaccia. Da doveinizierò? Non so. Ho raccolto la mia

interminabile arringa sparsa nel vasto caos delle sofferenze. Che fare ora?Essa mi opprimee io la riverso davanti a me

lasciandole la sua confusione. Avevo previsto tutto cio? No. Voi sietestupitima anch'io lo sono. Ieri ero un

saltimbancooggi sono un lord. Giochi profondi. Di chi? Dell'ignoto. Tuttidobbiamo tremare. Mylordsl'azzurro è tutto

dalla vostra parte. Di questo immenso universo voi non conoscete che lafesta; sappiate che c'è anche l'ombra. Per voi io

sono lord Fermain Clancharliema il mio vero nome è un nome da poveroGwynplaine. Io sono un miserabile creato

con la stoffa dei grandi per il capriccio di un re. Ecco la mia storia. Moltidi voi hanno conosciuto mio padrema io no.

Egli vi appartiene per quanto c'era in lui di feudaleio condivido il suoessere proscritto. Ciò che Dio ha fatto è giusto.

Sono stato gettato nell'abisso. Per quale scopo? Perché ne vedessi il fondo.Io sono un sommozzatore che riporta la

perlala verità. Parlo perché conosco. Voi mi capiretemylords. Io hoprovato. Ho visto. La sofferenzanonon è una

parolasignori felici. La povertàio vi sono cresciuto; l'invernomi hafatto battere i denti; la famene ho conosciuto il

sapore; il disprezzol'ho subito; la pestel'ho avuta; la vergognal'hobevuta. E la rivomiterò davanti a voie questo

vomito d'ogni miseria infangherà i vostri piedie arderà. Ho esitato primadi lasciarmi condurre al posto dove sono

perché altrove ho altri doveri. E il mio cuore non è qui. Ciò che hoprovato non vi riguarda; quando l'uomo che voi

chiamate l'usciere dalla verga nera è venuto a cercarmi da parte della donnache voi chiamate reginaper un istante ho

pensato di rifiutare. Ma è stato come se l'oscura mano di Dio mi spingesseda questa partee io ho obbedito. Ho sentito

che era necessario che venissi tra voi. Perché? Per i miei stracci di ieri.Dio mi aveva mescolato agli affamati perché

prendessi la parola tra i sazi. Oh! Abbiate pietà! Oh! Voi non conoscete ilmondo fatale in cui credete di vivere; siete

così in altoda esserne fuori; vi dirò io come è fatto. Non mi mancal'esperienza. Io vengo da dove si sopporta la

pressione. Posso dirvi quanto pesate. Voi che siete i padronilo sapete?Vedete quello che fate? No. Ah! È terribile. Una

notteuna notte di tempestapiccolissimoabbandonatoorfanosolonell'immensità della creazioneio ho fatto il mio

ingresso in quella oscurità che chiamate società. La prima cosa che hovisto è la leggesotto le forme di una forca; la

seconda è la ricchezzala vostra ricchezzasotto le forme di una donnamorta di freddo e di fame; la terza è l'avvenire

sotto forma di un bambino che agonizzava; la quarta è stata la bontàilvero e il giustosotto le sembianze di un

vagabondo che aveva come compagno e come amico solo un lupo».

In quel momento Gwynplainepreso da un'acuta emozionesentì i singhiozzisalirgli alla gola.

Fu una cosa sinistrama ciò fece esplodere la sua risata.

Il contagio fu immediato. C'era una nuvola sull'assemblea; poteva scoppiarein qualcosa di spaventososcoppiò in

ridere. Il risoquesta luminosa demenzas'impossessò di tutta la camera. Icenacoli degli uomini che esercitano la

sovranità non chiedono di meglio che scherzare. È il loro modo divendicarsi della loro serietà.

I re quando ridono sembrano dei; ciò contiene sempre una punta di crudeltà.I lords si misero a fare beffe. Quel ghigno

aizzò il riso. Batterono le mani a chi parlavae lo oltraggiarono. Fuassalito da un insieme di esclamazioni gioioseuna

grandine allegra e che feriva.

«BravoGwynplaine! - Bravol'Uomo che Ride! - Bravoil grugno dellaGreen-Box! - Bravoil ceffo del Tarrin zeau-field!

- Stai recitando. Bene ! Chiacchiera ! - Ecco finalmente uno che mi diverte!- Ma come ride benequella bestia! -

Buongiornomarionetta! - Salvelord Clown! - Arringadài! - È un parid'Inghilterraquesto! - Vai avanti! - No! No! -

Sì! Sì!».

Il lord cancelliere si sentiva a disagio.

Un lord sordoJames Butlerduca d'Ormondfacendo con la mano un cornettoacusticodomandava a Charles

Beauclerkduca di Saint-Albans:

«Come ha votato?».

Saint-Albans rispondeva:

«Non contento».

«Diamine»diceva Ormond«lo credo bene. Con la faccia che si ritrova!».

Una folla che sfugge al controllo - e le assemblee sono folle - provate arecuperarla. L'eloquenza è un morso; se il morso

si rompel'uditorio s'imbizzarrisce e scalciafinché non disarcional'oratore. L'uditorio odia l'oratore. Non se ne tiene

mai abbastanza conto. Irrigidirsi sulla briglia può sembrare una risorsamanon lo è. Ogni oratore ci prova. È l'istinto.

Anche Gwynplaine ci provò.

Osservò un istante quegli uomini che ridevano.«Dunque»gridò«voiinsultate la miseria. Pari d'Inghilterrasilenzio! Giudiciascoltatel'arringa. Oh! Vi scongiuro

abbiate pietà! Pietà per chi? Pietà per voi. Chi si trova in pericolo?Voi. Non vedete che siete su una bilancia e che su un

piatto c'è il vostro poteree sull'altro la vostra responsabilità? È Dioche vi pesa. Oh! Non ridete. Riflettete.

L'oscillazione della bilancia divina è il tremito della coscienza. Voi nonsiete malvagi. Voi siete uomini come gli altri

né miglioriné peggiori. Vi credete degli deima se un giorno viammaleretevedrete la vostra divinità rabbrividire

dalla febbre. Tutti noi ci equivaliamo. Io mi rivolgo agli spiriti onesticene sono anche qui; mi rivolgo alle intelligenze

superiorice ne sono; mi rivolgo alle anime generoseanche di queste cen'è. Voi siete padrifigli e fratellidunque

spesso provate la tenerezza. Chi tra voiquesta mattinaha guardato ilrisveglio del proprio figliolettoè buono. Tutti i

cuori sono uguali. L'umanità non è che un cuore. La differenza tra glioppressori e gli oppressi risiede nel luogo dove si

trovano. I vostri piedi calpestano testenon per colpa vostra. È colpadella Babele sociale. Una costruzione mancata

tutta a strapiombo. Un piano schiaccia l'altro. Ascoltatemidevo parlarvi.Oh! Siete potentisiate fraterni; siete grandi

siate dolci. Se sapeste quello che ho visto! Ahimè! Che tormento c'è inbasso! Il genere umano è in prigione. Quanti

dannatiche sono innocenti! Manca la lucemanca l'ariamanca la virtù;non c'è speranza; ecosa terribilec'è attesa.

Prendete atto di queste difficoltà. Ci sono creature che vivono nella morte.Ci sono bambine che iniziano a otto anni con

la prostituzione e finiscono a venti con la vecchiaia. La severità dellalegge è poi spaventosaparlo un po' a casonon

seguo un ordine. Dico ciò che mi suggerisce la coscienza. Non più tardi diieriioquello che ora vedete quiho assistito

alla morte per tortura di un uomo incatenato e nudoche aveva delle pietresul ventre. Lo sapete? No. Se sapeste quello

che accadenessuno di voi oserebbe essere felice. Chi è mai andato aNewcastle-on-Tyne? Ci sono uomini nelle miniere

che masticano il carbone per riempirsi lo stomaco e ingannare la fame.Prendete Ribblechesternella contea di

Lancastreche a forza di miseria da città è diventata villaggio. Io nontrovo che il principe Giorgio di Danimarca abbia

bisogno di centomila guinee in più. Preferirei accogliere negli ospedali imalati poveri senza far loro pagare in anticipo

la sepoltura. Nel Caërnarvona Traith-maur come a Traith-bichanlosfinimento dei poveri è orribile. A Straffordper

mancanza di denaronon si possono prosciugare le paludi. In tutto ilLancshire le fabbriche tessili sono chiuse.

Disoccupazione dovunque. Sapete che i pes catori d'aringhe di Harlech quandomanca la pesca mangiano l'erba? Sapete

che a Burton-Lazers ci sono ancora dei lebbrosi braccatiai quali si sparase escono dalle loro tane? A Ailesburycittà di

cui uno di voi è lordc'è carestia in permanenza. A PenckridgenelCoventrydi cui avete appena dotato la cattedrale e

arricchito il vescovonon ci sono letti nelle capannee si scavano dellebuche nella terra per farvi dormire i bambini

piccolicosì cheinvece di iniziare dalla cullaessi iniziano dallatomba. Io ho visto queste cose. Mylordssapete chi

paga le imposte che voi votate? I moribondi. Ahimè! Voi vi sbagliate. Sietesulla strada sbagliata. Per accrescere la

ricchezza del riccovoi aumentate la povertà del povero. Bisognerebbe fareil contrario. Comeprendere a chi lavora per

dare a chi oziaprendere allo straccione per dare a chi è sazioprendereal miserabile per dare al principe! Oh! Sìnelle

mie vene c'è del vecchio sangue repubblicano. Tutto ciò mi fa orrore.Questi re li detesto! E che donne sfrontate! Mi

hanno raccontato una triste storia. Oh! Odio Carlo II! Una donna amata da miopadrementre egli moriva in esiliosi è

data a quel recome una prostituta! Carlo IIGiacomo II; dopo un buono anullauno scellerato! Cosa c'è in un re? Un

uomoun essere debole e meschinosoggetto ai bisogni e alle malattie. Acosa serve un re? Voi rimpinzate questa

regalità parassita. Di un lombrico fate un boa. Fate diventare drago unatenia. Grazia per i poveri! Voi appesantite

l'imposta a profitto del trono. Fate attenzione alle leggi che decretate.Fate attenzione al formicolio doloroso che

disperdete. Abbassate lo sguardo. Guardate ai vostri piedi. O grandici sonoanche i piccoli! Abbiate pietà. Sì! Pietà per

voi! Perché le moltitudini agonizzanoma quando ciò che sta in bassomuoremuore anche ciò che sta in alto. La morte

è un venir meno che non risparmia alcun membro. Quando giunge la nottenonc'è luce per nessuno. Siete forse egoisti?

Salvate gli altri. Se la nave affonda nessun passeggero può restareindifferente. Non c'è naufragio per alcuni senza che

gli altri vengano inghiottiti. Oh! Sappiatelol'abisso ci attende tutti».

Le risate raddoppiaronoirresistibili. D'altra partebastava la stravaganzadi quelle parole per mettere allegria a

un'assemblea.

Non esiste una sofferenza più umiliantené una collera più profonda cheapparire ridicolo esteriormente ed essere

tragico internamente. Così si sentiva Gwynplaine. Le sue parole volevanoagire in un sensoil suo viso agiva in un altro;

una situazione spaventosa. La sua voce diede all'improvviso in scoppistriduli.

«Come sono allegri questi uomini! Bene. L'ironia davanti all'agonia. Lasghignazzata che oltraggia il rantolo. Come

sono onnipotenti! È possibile. Sia. Si vedrà. Ah! Io sono uno di loro. Masono anche uno di voipoveri! Un re mi ha

vendutoun povero mi ha accolto. Chi mi ha mutilato? Un principe. Chi mi haguarito e nutrito? Un morto di fame. Io

sono lord Clancharliema rimango Gwynplaine. Faccio parte dei grandimaappartengo ai piccoli. Io sono tra quelli che

se la godono e sono con quelli che soffrono. Ah! La falsità di questasocietà. Un giorno ci sarà la vera società. Allora

non ci saranno più i signorima esseri liberi. Non ci saranno più padronima padri. Questo è l'avvenire. Nessuno si

prosternerànon ci saranno bassezzenon più ignoranzanon più uominicome bestie da somanon più cortigianinon

più servinon più resolo la luce. Nel frattempoeccomi. Io ho undirittone faccio uso. Ma è un diritto? Nose lo

usassi per me. Sìse lo uso per tutti. Parlerò ai lords da lord. Ofratelli che state in bassoio dirò loro la vostra miseria.

Mi alzerò con in mano gli stracci del popoloscuoterò sui padroni lamiseria degli schiavicosì che loroi fortunati e gli

arrogantinon riusciranno più a sbarazzarsi del ricordo degli sventuratiné a liberarsiloro che sono principidel

bruciante dolore dei poverie tanto peggio se si tratta di insettie tantomeglio se cadono su dei leoni!».

A questo punto Gwynplaine si voltò verso i sotto scrivani inginocchiati chescrivevano appoggiandosi al quarto cuscino

di lana.

«Chi sono quegli uomini in ginocchio? Cosa state facendo? Alzatevivoisiete uomini».Quell'improvviso rivolgersi a dei subalterni di cui un lord nondeve neppure accorgersiscatenò l'allegria. Prima

avevano gridato bravoadesso gridarono urrà! Dal battere le mani si passòal battere i piedi. Si sarebbe potuto credere di

essere alla Green-Box. Solo che alla Green-Box le risate facevano piacere aGwynplainequi lo distruggevano. Il

ridicolo uccide. Le risate degli uominiqualche voltafanno tutto quelloche possono per assassinare.

La risata era diventata un'aggressione. Piovevano sarcasmi. La stupiditàdelle assemblee consiste nel fare dello spirito.

La sghignazzata furba e imbecille elimina i fattiinvece di studiarlierespinge i problemi invece di risolverli. Un

incidente è un punto di domanda. Riderne significa ridere dell'enigma. Edietro c'è la sfingeche non ride.

Si udivano grida contraddittorie:

«Basta! Basta! - Ancora! Ancora!».

William Farmerbarone Leimpsterlanciava a Gwynplaine l'affronto cheRyc-Quiney lanciò a Shakespeare:

«Histrio! Mima!».

Lord Vaughanuno sputasentenzeventinovesimo al banco dei baronigridava:«Siamo tornati al tempo in cui gli

animali declamavano. La mascella di una bestia che parla in mezzo a bocched'uomini».

«Sentiamo l'asino di Balaam»aggiunse lord Yarmouth.

Lord Yarmouth aveva quell'aria sagace che solo un naso rotondo e una boccastorta possono conferire.

«Il ribelle Linnaeus è in castigo nella sua tomba. Il figlio è lapunizione del padre»diceva John Houghvescovo di

Lichfield e di Coventrya cui Gwynplaine aveva sfiorato la prebenda.

«Egli mente»affermava lord Cholmleylegislatore e giurista. «Ciò cheegli chiama tortura è la pena forte e dura

un'ottima pena. La tortura non esiste in Inghilterra».

Thomas Wentworthbarone Rabysi rivolgeva al cancelliere.

«Mylord cancellieretogliete la seduta!».

«No! No! No! Deve continuare! Ci diverte! Urrà! Hip! Hip! Hip!».

Così gridavano i giovani lords; la loro era un'allegria furente. Quattropiù di tutti si trovavano in un accesso d'ilarità e di

odio. Erano Laurence Hydeconte di RochesterThomas Tuftonconte diThanetil visconte di Hatton e il duca di

Montagu.

«A cucciaGwynplaine!»diceva Rochester.

«Abbasso! Abbasso! Abbasso!»gridava Thanet.

Il visconte Hatton estraeva dalla tasca un penny e lo gettava a Gwynplaine.

E John Campbellconte di GreenwichSavageconte RiversThompsonbaroneHavershamWarringthonEscrik

RollestonRockinghamCarteretLangdaleBanesterMaynardHudsonCaërnarvonCavendishBurlingtonRobert

Darcyconte di HoldernessOther Windsorconte Plymouthapplaudivano.

Le parole di Gwynplaine si perdevano in quel tumulto da pandemonio o dapanteon. Non si capiva che un'espressione:

«Fate attenzione!».

Ralphduca di Montaguappena uscito da Oxfordcon i primi peli dellabarbascese dal banco dei duchidove sedeva

al diciannovesimo postoe andò a mettersia braccia incrociatedavanti aGwynplaine. Come in una lama c'è un punto

più taglientecosì in una voce c'è un tono che insulta meglio. Montaguprese quel tonoesghignazzando sul naso di

Gwynplainegli gridò:

«Cosa stai dicendo?».

«Faccio delle previsioni»rispose Gwynplaine.

Ci fu una nuova esplosione di risate. Ma sotto quel ridere c'era il bassocontinuo di una collera ringhiosa. Uno dei pari

minorenniLionel Cranseild Sackvilleconte di Dorset e di Middlesexsialzò in piedi sul suo bancosenza rideregrave

come si addice a un futuro legislatoreesenza pronunciare una sola parolaguardò Gwynplaine con il suo fresco volto

di dodicennee alzò le spalle. Ciò spinse il vescovo di Saint-Asaph achinarsi all'orecchio del vescovo di Saint-David

seduto accanto a luiper dirgliindicando Gwynplaine: «Ecco un pazzo!». Eindicando poi il ragazzo: «Ecco un

saggio!».

In quel trambusto di risate si staccavano delle esclamazioni confuse:«Faccia di gorgona!» - «Che significa tutto ciò?» -

«È un'offesa alla camera!» - «Che razza d'uomo!» - «Vergogna!Vergogna!» - «Togliamo la seduta!» - «Nolasciatelo

finire!» - «Parlabuffone!».

Lord Lewis di Durascon le mani sui fianchigridava:

«Ah! Che belle risate! Mi sganascio proprio. Propongo un voto di gratitudinecosì concepito: La camera dei lords

ringrazia la Green-Box».

Gwynplainecome si ricorderàaveva sognato ben altra accoglienza.

Per provare ciò che provava Gwynplainebisogna essersi inerpicati su unacima a piccofriabileche sporge su

profondità vertiginosee aver sentito sotto le manisotto le unghiesottoi gomitisotto le ginocchiasotto i piedi

fuggire e franare il punto d'appoggiobisogna essere scesi all'indietroinvece che avanzaresu quella scarpata

refrattariain preda all'angoscia di scivolaresprofondando al posto disalirescendendo invece che innalzarsicon la

certezza del naufragio che aumenta all'aumentare dello sforzo per andare incimaperdendosi sempre di più ad ogni

movimento che si fa per sfuggire al pericolobisogna aver sentito laformidabile vicinanza dell'abissoe aver provato

nelle ossa il cupo freddo della cadutadella gola spalancata sotto di voi.

Egli sentiva che la sua salita crollavache il suo uditorio era un baratro.

C'è sempre qualcuno che pronuncia una parola in cui si riassume tutto.

Lord Scarsdale tradusse l'impressione dell'assemblea in una solaesclamazione:«Che ci fa qui questo mostro?».

Gwynplaine si drizzòperduto e indignatoin una sorta di supremaconvulsione. Li guardò tutti fissamente.

«Cosa ci faccio? Io sono terribile. Io sono un mostrodite voi. Noio sonoil popolo. Io sono un'eccezione? Noio sono

come tutti. Voisiete l'eccezione. Voi siete la chimeraio sono la realtà.Io sono l'Uomo. Io sono lo spaventoso Uomo

che Ride. Di cosa ride? Di voi. Di sé. Di tutto. Che cos'è il suo riso? Ilvostro delitto e il suo supplizio. Il delitto ve lo

getta in faccia; il supplizio ve lo sputa in viso. Io ridociò vuol dire:Io piango».

Si fermò. Si fece silenzio. Le risate continuavanoma sottovoce. Egli potécredere a un certo ritorno d'attenzione.

Respiròe proseguì:

«Il riso che porto in voltoce l'ha messo un re. Questo riso esprime ladesolazione dell'universo. Questo riso vuol dire

odiosilenzio forzatorabbiadisperazione. Questo riso è il frutto delletorture. Questo è il riso della violenza. Se Satana

ridesse in questo modoil suo riso condannerebbe Dio. Ma l'eterno non hanulla in comune con la caducità; in quanto

assolutoè giustizia; Dio odia ciò che fanno i re. Ah! Voi mi prendete perun'eccezione! Io sono un simbolo. O stupidi

onnipotentiaprite gli occhi. Io incarno tutto. Io rappresento l'umanitàcosì come l'hanno fatta i suoi padroni. L'uomo è

mutilato. Quello che mi hanno fattol'hanno fatto al genere umano. Gli hannodeformato il dirittola giustiziala verità

la ragionel'intelligenzacome a me gli occhile narici e le orecchie;come a megli hanno messo nel cuore una cloaca

di collera e di doloree sulla faccia una maschera di contentezza. Dove siera posato il dito di Diosi è appoggiato

l'artiglio del re. Mostruosa sovrapposizione. Vescovipari e principiilpopolo è quella profonda sofferenza che mostra

una superficie sorridente. Mylordsvi dico che il popolo sono io. Oggi voil'opprimeteoggi mi schernite. Ma l'avvenire

è un tetro disgelo. Ciò che era pietra diventa flutto. L'apparentesolidità viene sommersa. Uno scricchiolioecco tutto.

Verrà il momento in cui una convulsione spezzerà la vostra oppressioneeai vostri scherni risponderà un ruggito.

Questo momento è già venuto - tu c'eripadre mio! - quell'ora divina èvenutae si è chiamata Repubblicaè stata

cacciataritornerà. Nell'attesaricordatevi dell'ascia di Cromwell che hainterrotto la serie dei re armati di spada.

Tremate. Si avvicinano soluzioni incorruttibilile unghie tagliatericresconole lingue strappate volano via e diventano

lingue di fuoco sparse nel vento delle tenebree urlano nell'infinitoquelli che hanno fame mostrano i loro denti a

riposovacillano i paradisi costruiti sugli infernisi soffresi soffresi soffree ciò che sta in alto si chinaciò che sta in

basso si schiudel'ombra vuole diventare luceil dannato mette indiscussione l'elettoè il popolo che vienevi dicoè

l'uomo che saleè l'inizio della fineè la rossa aurora della catastrofeecco cosa c'è in questa risata che vi fa ridere!

Londra è una festa perpetua. Bene. L'Inghilterrada un capo all'altroètutta un'acclamazione. Sì. Ma ascoltate: Tutto cio

che vedetesono io. Le vostre festeè la mia risata. I divertimentipubbliciè la mia risata. Matrimoniconsacrazioni

incoronazioniè la mia risata. Le nascite dei principiè la mia risata.Il tuono che vi sta sulla testaè la mia risata».

Come trattenersi davanti a tali parole! Le risate ricominciaronoquestavolta incontenibili. Di tutte le lave che erutta il

cratere della bocca umanal'allegria è la più corrosiva. Nuocereallegramentenessuna folla sa resistere a questo

contagio. Non tutte le esecuzioni avvengono sul patiboloc'è sempre un boiapronto in mezzo agli uomini quando sono

riunitisiano essi moltitudine o assembleail sarcasmo. Non c'è supplizioparagonabile a quello del miserabile fatto

oggetto di scherno. Era il supplizio subito da Gwynplaine. L'allegria era perlui lapidazione a mitraglia. Egli era

giocattolo e sagomatesta di turcobersaglio. Saltavanogridavano bissirotolavano. Battevano i piedi. Si tenevano per

il bavero. A niente valevano la solennità del luogola porpora delle vestiil pudore degli ermellinil'in-folio delle

parrucche. Ridevano i lordsridevano i vescoviridevano i giudici. Il bancodei vecchi era in festail banco dei giovani

si torceva. L'arcivescovo di Canterbury spingeva con il gomito l'arcivescovodi York. Henry Comptonvescovo di

Londrafratello del conte di Northamptonsi teneva la pancia. Il lordcancelliere teneva gli occhi bassimolto

probabilmente per nascondere la sua risata. E alla sbarra l'usciere dallaverga neramonumento di rispettorideva.

Gwynplainepallidoaveva incrociato le braccia; circondato da tutti queivoltigiovani e vecchisu cui raggiava il

grande giubilo omericoin quel vortice di mani e di piedi che battevanodiurràin quella frenetica pagliacciata che lo

vedeva al centro dell'interessein quello sfogo d'ilaritàin mezzo aquell'allegria senza limiteegli sentiva dentro di sé il

sepolcro. Era finito. Non riusciva più a dominare né la faccia che lotradivané l'uditorio che lo insultava.

Mai era esplosa con tanto orrore la fatalità della legge eternailgrottesco aggrappato al sublimeil riso che ribatte il

ruggitoil controsenso tra come si appare e come si è. Mai bagliore piùsinistro aveva illuminato le profondità della

notte umana.

Gwynplaine assisteva alla distruzione definitiva del suo destino ad opera diuno scoppio di risate. Era irrimediabile. Se

si cadeci si può rialzare; ma se si viene polverizzatinon ci si rialzapiù. Quello scherno inetto e autorevole lo riduceva

in polvere. Niente era più possibile ormai. Tutto dipende dalle circostanze.Ciò che era un trionfo alla Green-Boxera

caduta e catastrofe alla camera dei lords. L'applauso di laggiùqui eraimprecazione. Avvertiva qualcosa come il

rovescio della sua maschera. Da una parte della maschera c'era la simpatiadel popolo che accettava Gwynplaine

dall'altra l'odio dei grandi che rifiutavano lord Fermain Clancharlie. Da unaparte l'attrazionedall'altra la ripulsaed

entrambe lo riportavano nell'ombra. Si sentiva colpito alle spalle. La sortesa tradire. Tutto si chiarirà più tardima

nell'attesail destino è una trappola e l'uomo cade nell'agguato. Avevacreduto di salirel'accoglienza era stata quel riso;

i finali delle apoteosi sono lugubri. C'è una brutta espressione: smaltirela sbornia. È una saggezza ben tragica quella

che nasce dall'ebbrezza. Gwynplainetravolto da quella tempesta di feroceallegriameditava.

Un riso sfrenato è come andare alla deriva. Un'assemblea allegra perde labussola. Non sapevano più dove andavanoné

ciò che facevano. Bisognò togliere la seduta.

Il lord cancelliere«preso atto dell'incidente»aggiornò all'indomani ilavori per la votazione. La camera si sciolse. I

lords s'inchinarono davanti alla sedia reale e poi se ne andarono. Si udironoancora le risate continuare e perdersi neicorridoi. Le assembleeoltre alleporte ufficialihanno tutta una serie di porte nascostenelle tappezzerieneirilievi e

nelle modanatureda dove si svuotano come un vaso attraverso le crepe. Inpoco tempo la sala fu deserta. Ciò avviene

molto rapidamente e quasi insensibilmente. I luoghi dove scoppiano tumultisono subito riafferrati dal silenzio.

Sprofondare nella fantasticheria porta lontanoe a forza di pensare sifinisce per essere in un altro pianeta.

Improvvisamente Gwynplaine si risvegliò. Era solo. La sala era vuota. Non siera neppure accorto che la seduta era stata

tolta. Tutti i pari erano scomparsianche i suoi due padrini. Qua e làc'era solo qualche basso funzionario della camera

che attendeva che «sua signoria» se ne fosse andataper mettere le foderee spegnere le lampade. Si mise istintivamente

il cappellouscì dal banco e si diresse verso la grande porta spalancatasulla galleria. Nel momento in cui varcò la

sbarraun door-keeper gli prese la veste da pari. Se ne accorse appena. Unistante dopo si trovava nella galleria.

Gli uomini di servizio che si trovavano lì notarono con stupore che quellord era uscito senza inchinarsi davanti al trono.

VIII • SAREBBE UN BUON FRATELLO SE NON FOSSE UN BUON FIGLIO

Non c'era più nessuno nella galleria. Gwynplaine attraversò l'emiciclodacui avevano portato via la poltrona e i tavoli

e dove non rimaneva più alcuna traccia della sua investitura. Candelabri elampadari di quando in quando indicavano la

via per l'uscita. Grazie a quel cordone di luce egli poté facilmenteritrovarenella teoria di saloni e galleriela strada che

aveva seguito all'arrivo con il primo araldo e l'usciere dalla verga nera.Non incontrava nessunose non qualche vecchio

lord tardigrado che se ne andava pesantemente e volgeva le spalle.

All'improvvisonel silenzio di tutte quelle grandi sale desertegliarrivarono scoppi di voce indistintiuna specie di

schiamazzo notturno davvero singolare in un luogo come quello. Eglis'incamminò nella direzione da cui proveniva il

rumoree a un tratto si trovò in uno spazioso vestibolodebolmenteilluminatoche era una delle uscite della camera. Si

scorgeva una larga porta a vetriuna scalinatadei lacché e delle torce;fuori c'era una piazza: ai piedi della scalinata

alcune carrozze che attendevano.

Il rumore che aveva udito veniva da lì.

Prima della portanel riverbero del vestiboloc'era un gruppo tumultuosouna bufera di gesti e di voci. Gwynplaine

nella penombrasi avvicinò.

Litigavano. Da una parte c'erano dieci o dodici giovani lords che volevanousciredall'altra c'era un uomocon il

cappello in testa come lorodrittoa fronte altache sbarrava ilpassaggio.

Chi era quell'uomo? Tom-Jim-Jack.

Alcuni di quei lords portavano ancora la veste da pari; altri avevano toltol'abito da cerimonia ed erano in abiti civili.

Tom-Jim-Jack aveva un cappello con le piumenon bianche come i parimaverdi e striate d'arancione; aveva ricami e

galloni dappertuttocon fiotti di nastri e di pizzi alle maniche e al colloe toccava febbrilmente con la mano sinistra

l'impugnatura di una spada che portava a tracollacon cinghia e fodero inpassamanerie a ancore d'ammiraglio.

Era lui che parlavaapostrofava i giovani lordse questo fu quanto udìGwynplaine:

«Vi ho detto che siete dei vigliacchi. Voi volete che ritiri le mie parole.Bene. Non siete dei vigliacchi. Siete degli idioti.

Vi siete messi tutti contro uno. Non è codardia. Bene. Allora è stupidità.Vi hanno parlatonon avete capito. Qui i

vecchi sono sordi d'orecchio e i giovani d'intelligenza. Sono abbastanza deivostri per dirvi in faccia la verità. Il nuovo

venuto è stranoe ha sparato un mucchio di follielo ammetto; ma traquelle follie c'erano delle cose vere. Era confuso

eccessivosproloquiavad'accordo; troppo spesso ripeteva: sapetesapete;ma non è detto che un uomo che ieri faceva il

buffone nelle fiere debba parlare come Aristotele o come il dottor GilbertBurnetvescovo di Sarum. Gli insettii leoni

il rivolgersi al sotto scrivanotutto ciò era di cattivo gusto. Diamine!Chi dice il contrario? Un'arringa insensata e

sconclusionatache andava di traversoma qua e là ne uscivano dei fattireali. È già tanto riuscire a parlare in quel

modoquando non lo si fa di professioneavrei voluto vedere voi! Ciò cheha raccontato dei lebbrosi di Burton-Lazers è

incontestabile; e comunque non sarebbe il primo ad aver detto dellesciocchezze; e poi a memylordsnon piace che in

tanti si accaniscano contro uno soloè il mio caratteree chiedo allesignorie vostre che mi si conceda di essere offeso.

Non mi siete piaciutine sono arrabbiato. Io non credo molto in Dioma ciòche mi spinge a credere sono le sue buone

azioniche non si verificano tutti i giornia dir la verità. Così sonograto al buon Diose esistedi aver tirato fuori dai

fondali di una vita miserabile un pari d'Inghilterradi aver reso l'ereditàall'eredeeche questo giovi o meno ai miei

affaritrovo bello che un onisco possa all'improvviso mutarsi in aquilaeGwynplaine in Clancharlie. Mylordsvi

proibisco di pensare diversamente da me. Mi spiace che Lewis di Duras non siaqui. Lo insulterei volentieri. Mylords

Fermain Clancharlie si è comportato da lorde voi da saltimbanchi. Quantoalla risatanon è colpa sua. Voi avete riso di

quella risata. Non si ride di una disgrazia. Siete degli sciocchi. Masciocchi crudeli. Se pensate che non si possa ridere

anche di voivi sbagliate; siete brutti e vi vestite male. Mylord Haversaml'altro giorno ho visto quella tua orribile

amante. Una duchessa scimmia. Signori burlonilo ripetovorrei vedervitentare di dire quattro parole di seguito. Sono

molti gli uomini che chiacchieranopochi quelli che parlano. Voi credete disapere qualcosa perché avete trascinato le

vostre brache da fannulloni a Oxford o a Cambridgee perché prima di esserepari d'Inghilterra sui banchi di

Westminster-Hallsiete stati asini sui banchi del collegio di Gonewill e diCaïus! Io sono quie ci tengo a guardarvi

bene in faccia. Avete rivelato la vostra impudenza con il nuovo lord. Unmostrocerto. Ma dato in pasto alle bestie.

Preferirei essere lui che voi. Assistevo alla seduta dal mio postocomepossibile erede di parìaho udito tutto. Io non

avevo il diritto di parlarema ho il diritto di essere un gentiluomo. Ivostri atteggiamenti allegri mi hanno annoiato.

Quando non sono contentosono capace di andare sul monte Pendlchill acogliere l'erba delle nuvoleil clowdesbery

che attira il fulmine su chi lo strappa. Per questo sono venuto ad aspettarviall'uscita. Parlare è utilee noi abbiamo deiconti da regolare. Vi accorgevatedi mancare un po' di rispetto anche a me? Mylordsho la ferma intenzione diuccidere

qualcuno di voi. Voi tutti qui presentiThomas Tuftonconte di ThanetSavageconte RiversCharles Spencerconte di

SunderlandLaurence Hydeconte di Rochestere voibaroniGray diRollestonCary HunsdonEscrickRockingham

e tupiccolo CarterettuRobert Darcyconte di Holdernesstu Williamvisconte Haltone tu Ralphduca di Montagu

e tutti quelli che vorrannoioDavid Dirry-Moirsoldato della flottaviordino e vi chiedo di procurarvi in gran fretta

dei secondi e dei padrinie vi aspetto faccia a facciapetto contro pettoquesta serasubitodomanidi giornodi notte

in pieno solealla luce delle torcedovequando e come vi sembreràopportunodovunque ci sia spazio sufficiente per

due spadee farete bene a controllare le batterie delle vostre pistole e ilfilo delle vostre lamedal momento che ho

intenzione di rendere vacanti le vostre parìe. Ogle Cavendishprendi le tueprecauzioni e pensa al tuo motto: Cavendo

tutus. Marmaduke Langdaledovresti comportarti come il tuo antenatoGundolde farti seguire da una bara. Georges

Boothconte di Waringtontu non rivedrai più la contea palatina di Chestere il labirinto simile a quello di Cretae le

alte torrette di Dunham Massie. Quanto a lord Vaughanè abbastanza giovaneper poter dire delle impertinenzee

troppo vecchio per risponderne; chiederò conto delle sue parole a suo nipoteRichard Vaughanmembro dei comuni per

il borgo di Merioneth. E tuJohn Campbellconte di Greenwichti uccideròcome Achon uccise Matasma con un

colpo lealenon nella schienaperché io ho l'abitudine di presentare ilmio cuore e non le mie spalle alla punta della

spada. È tuttomylords. Per il restofate pure delle stregoneriese vipareconsultate delle cartomantispalmatevi la

pelle con unguenti e droghe che rendono invulnerabilimettetevi al collo isacchetti del diavolo o della vergine

benedetti o maledetti vi combatteròe non vi farò certo tastare per potercapire se portate su di voi dei sortilegi. A piedi

o a cavallo. In mezzo alla stradase voletea Piccadilly o a Charing-Crosse disselceranno la via per il nostro incontro

così come hanno disselciato la corte del Louvre per il duello tra Guisa eBassompierre. Tuttimi capite? Vi voglio tutti.

Dormeconte di Caërnarvonti farò ingoiare la mia spada fino allaconchigliacome fece Marolles a Lisle-Marivaux;

allora vedremomylordse riderai. E tuBurlingtonche sembri una ragazzacon i tuoi diciassette anniper farti

seppellire potrai scegliere fra i prati della tua casa di Middlesex e il tuobel giardino di Londesburg nel Yorkshire.

Rendo noto alle signorie vostre che non mi va che si sia insolenti nei mieiconfronti. Vi puniròmylords. Trovo una

pessima cosa l'avere schernito lord Fermain Clancharlie. Egli vale più divoi. Come Clancharlieè nobile quanto voie

come Gwynplaineegli ha un'intelligenza che voi non avete. La sua causa èla miamie le sue ingiuriemia la collera

per il vostro sghignazzare. Vedremo chi uscirà vivo da questa faccendaperché io vi provoco ad oltranzami avete

capito? Con qualsiasi arma e in qualsiasi modoscegliete la morte che piùvi piacee dal momento che oltre ad essere

dei gentiluominisiete anche dei tangherivoglio che la sfida siaproporzionale alle vostre qualitàperciò vi concedo

tutti i modi che gli uomini hanno trovato per uccidersidalla spadacome iprincipifino ai pugnicome i servi».

All'impeto furioso di quelle parole il gruppo dei giovani lords rispose conun sorriso sprezzante. «D'accordo»dissero.

«Io»disse Burlington«scelgo la pistola».

«Io l'antico combattimento in campo chiusocon la mazza ferrata e ilpugnale»disse Escrick.

«Io»disse Holderness«il duello con due coltelliuno corto e unolungoa torso nudocorpo a corpo».

«Lord David»disse il conte di Thanet«tu sei scozzese. Io scelgo ilclaymore».

«Iola spada»disse Rockingham.

«Io»disse il duca Ralph«preferisco i pugni. È più nobile».

Gwynplaine uscì dall'ombra.

Si diresse verso l'uomo che fino a quel momento aveva chiamato Tom-Jim-Jacke che ora cominciava a vedere sotto un

altro aspetto.

«Vi ringrazio»disse. «Ma questo è affar mio».

Tutte le teste si voltarono.

Gwynplaine si fece avanti. Si sentiva come spinto verso quell'uomo chechiamavano lord Davide che era il suo

difensoree forse qualcosa di più. Lord David indietreggiò.

«Ecco!»disse lord David«proprio voi! Finalmente! Ottima cosa. Avevoqualcosa da dirvi. Poco fa non avete parlato

di una donna chedopo aver amato lord Linnaeus Clancharlieha amato reCarlo II?».

«È vero».

«Signorevoi avete insultato mia madre».

«Vostra madre?»esclamò Gwynplaine. «In questo casocome sospettavonoi siamo...».

«Fratelli»disse lord David.

E diede uno schiaffo a Gwynplaine.

«Siamo fratelli»continuò. «Ciò significa che possiamo batterci. Non cisi batte che tra eguali. Chi ci è più uguale di

nostro fratello? Vi invierò i miei padrini. Domani ci taglieremo la gola».

LIBRO NONO • IN ROVINA

I • L'ECCESSIVA GRANDEZZA CONDUCE ALL'ECCESSIVA MISERIA

Mentre a San Paolo suonava mezzanotteun uomoche aveva attraversato ilponte di Londrasi avventurava nelle

stradine di Southwark. Non c'erano lampioni accesiperché a Londra come aParigia quei tempisi usava spegnere

l'illuminazione pubblica alle undicisopprimendo così le lanterne proprioquando diventavano necessarie. Le viebuieerano deserte. Nessun lampione vuoldire pochi passanti. L'uomo camminava a grandi passi. Per essere ancora instrada

a quell'ora era vestito in modo piuttosto strano. Aveva un abito di setaricamatala spada al fianco e un cappello con le

piume biancheera senza mantello. Le watchemen che lo vedevano passaredicevano: «È un signore che ha fatto una

scommessa». E si scostavano con il rispetto dovuto a un lord e a unascommessa.

Quell'uomo era Gwynplaine.

Era fuggito.

Che ne era di lui? Non lo sapeva. L'animacome abbiamo dettoha i suoiciclonivortici spaventosi dove tutto si

confondeil cieloil mareil giornola nottela vitala mortein unaspecie d'incomprensibile orrore. La realtà diventa

irrespirabile. Si viene schiacciati da cose a cui non si crede. Il nulla siè fatto uragano. Il firmamento è impallidito.

L'infinito è vuoto. Si è nell'assenza. Ci si sente morire. Si desidera unastella. Cosa provava Gwynplaine? Setesete di

vedere Dea.

Non sentiva altro. Ritornare alla Green-Box e all'inn Tadcasterrumorosoluminosopieno di popolo cordiale che

rideva; ritrovare Ursus e Homorivedere Dearientrare nella vita!

Le delusioni si tendono come l'arcocon una forza sinistrae gettanol'uomoquasi fosse una frecciaverso la verità.

Gwynplaine aveva fretta. Si avvicinava al Tarrinzeau-field. Non camminavapiùcorreva. I suoi occhi foravano

l'oscurità che aveva davanti. Il suo sguardo lo precedeva; l'avida ricercadi un porto all'orizzonte. Che momentoquando

avrebbe scorto le finestre illuminate dell'inn Tadcaster!

Sbucò sul bowling green. Svoltò all'angolo di un muroe si trovòdall'altra parte del pratoa poca distanza e proprio di

fronte all'inn checome si ricorderàera il solo edificio sul campo dellafiera.

Guardò. Nessuna luce. Una massa nera.

Rabbrividì. Poi si disse che era tardiche la taverna era chiusache eratutto molto sempliceche stavano dormendoche

avrebbe solo dovuto risvegliare Nicless o Govicumche bastava andare all'inne bussare alla porta. E vi andò. Non

corsesi precipitò.

Quando arrivò all'inn non aveva più fiato. In piena tormenta ci si dibattenelle invisibili convulsioni dell'animanon

sappiamo più se siamo vivi o mortie proviamo ogni sorta di tenerezza perquelli che amiamo; da questo si riconoscono

i cuori autentici. Quando tutto naufragala tenerezza galleggia. La primapreoccupazione di Gwynplaine fu di non

svegliare bruscamente Dea.

Si avvicinò all'inn facendo meno rumore possibile. Conosceva il bugigattolola vecchia cuccia del cane da guardia

dove dormiva Govicum; il bugigattoloattiguo alla sala bassaaveva unfinestrino sul lato della piazza: Gwynplaine

grattò adagio adagio sul vetro. Era sufficiente svegliare Govicum.

Ma nel bedroom di Govicum niente diede segni di vita. A quell'etàpensòGwynplainesi ha il sonno duro. Col dorso

della mano diede un colpetto sul finestrino. Nessun movimento.

Bussò con più forza due colpi. Nel bugigattolo non si muoveva nulla.Allorarabbrividendo un po'andò alla porta

dell'inn e picchiò.

Non rispose nessuno.

Con un profondo senso di gelopensò: «Padron Nicless è vecchioi ragazzihanno il sonno duro e i vecchi pesante. Su!

Più forte!».

Aveva grattato. Aveva bussato. Aveva picchiato. Bussò con violenza. Ciò gliriportò il lontano ricordo di Weymouth

quandopiccolissimoteneva la piccola Dea tra le braccia.

Bussò con violenzada quel lord che eradiamine!

La casa restò in silenzio.

Si sentì perduto.

Perse ogni ritegno. Chiamò: Nicless! Govicum!

Al tempo stesso guardò verso le finestre per vedere se si accendeva qualchecandela.

Non c'era nulla nell'inn. Non una voce. Non un rumore. Non un chiarore.

Andò al portone principale e bussòpoi lo spinselo scossefreneticamentegridando: Ursus! Homo!

Il lupo non abbaiò.

Un sudore freddo gli imperlò la fronte.

Gettò uno sguardo attorno. La notte era fondama c'erano abbastanza stelleper riuscire a distinguere il campo della

fiera. Vide un lugubre spettacololo svanire di tutto. Non c'era più unasola baracca sul bowling-green. Non c'era più il

circo. Nessuna tenda. Nessun palco. Nessun carro. Quella vita randagia daimille rumori che prima aveva formicolato in

quel luogoaveva ora lasciato il posto a un vuoto nero e selvaggio. Tutto sen'era andato.

Lo prese un'ansietà folle. Che significava tutto ciò? Cos'era successo? Nonc'era più nessuno? La sua vita gli era crollata

dietro le spalle? Cosa avevano fatto a tutti loro? Ah! Mio Dio! Si scagliòcontro la casa come una tempesta. Picchiò alla

porta secondariaa quella principalealle finestresulle impostesuimuricon i pugni e con i piedireso furioso dallo

spavento e dall'angoscia. Chiamò NiclessGovicumFibiVinosUrsusHomo.Gettò contro quel muro ogni tipo di

grida e di rumori. A volte s'interrompeva e ascoltavama la casa restavamuta e morta. Alloraesasperatoricominciava.

Urticolpigridauna girandola di botte che echeggiava da ogni parte. Comeun tuono che tentasse di risvegliare i

sepolcri.

A un certo punto lo spavento rende terribili. Chi teme tutto non teme piùnulla. Si prende a calci la sfinge. Si brutalizza

l'ignoto. Rinnovò quel tumulto in ogni forma possibilefermandosiriprendendocon grida e richiami inesauribili

dando l'assalto a quel tragico silenzio.Chiamò cento volte tutti quelli chepotevano essere làgridando tutti i nomitranne quello di Dea. Unaprecauzione

incomprensibile per lui stessoma che pur nello smarrimento conservavaistintivamente.

Esauriti grida e richiaminon restava che la scalata. Si disse: Devo entrarein casa. Ma come? Ruppe un vetro del

bugigattolo di Govicumvi ficcò dentro una manosi lacerò la carnetiròil chiavistello del telaio e aprì il finestrino. Si

accorse che la spada gli avrebbe dato fastidio; la strappò incolleritofoderolama e cinturonepoi la gettò per terra.

Quindi si issò sulle sporgenze del muroeper quanto il finestrino fossestrettoriuscì a passare. Entrò nell'inn.

Nel bugigattolo s'intravedeva appena il letto di Govicumma il ragazzo nonc'era. Se Govicum non era nel suo letto

bisognava evidentemente che Nicless non fosse nel suo. Tutta la casa era albuio. Si avvertiva in quegli interni tenebrosi

la misteriosa immobilità del vuotoe quel vago orrore che significa: Nonc'è nessuno. Gwynplaineagitatoattraversò la

sala bassaurtando contro i tavolicalpestò le stoviglierovesciò lepanchetravolse i boccaliscavalcò i mobiliandò

alla porta che dava sulla cortesfondandola con un colpo di ginocchio chefece saltare il lucchetto. La porta girò sui

cardini. Egli guardò nella corte. La Green-Box non c'era più.

II • RESIDUO

Gwynplaine uscì dalla casa e si mise ad esplorare il Tarrinzeaufield in ognidirezione; andò dovunque il giorno prima si

poteva vedere un palcouna tenda o una baracca. Non c'era più nulla. Bussòanche alle botteguccepur sapendo bene

che erano disabitate. Picchiò a tutto ciò che sembrava una finestra o unaporta. Ma da quell'oscurità non uscì una sola

voce. Era passato qualcosa come la morte.

Avevano schiacciato il formicaio. Evidentemente c'era stato qualcheprovvedimento di polizia. Quella che ai nostri

giorni si chiamerebbe una retata. Il Tarrinzeau-field era più che desertoera desolatoin ogni angolo si avvertiva il

segno di una artiglio feroce. Avevanoper così direrovesciato le taschedi quel miserabile campo da fieravuotandolo

tutto.

Dopo aver frugato da ogni parteGwynplaine abbandonò il bowling-greens'inoltrò nelle vie tortuose dell'estremità

chiamata Eastpointe si diresse verso il Tamigi.

Superò alcuni zigzag di quell'intrico di viuzze dove non c'erano che muri esiepipoi sentì nell'aria il fresco dell'acqua

udì lo scorrere sordo del fiumee all'improvviso di trovò davanti a unparapetto. Era il parapetto dell'Effroc-stone.

Il parapetto costeggiava un tratto cortissimo e strettissimo di banchina.Sotto il parapetto l'alta muraglia dell'Effroc-stone

sprofondava a picco nell'acqua scura.

Giunto al parapetto Gwynplaine si fermòvi si appoggiò con i gomitisiprese la testa tra le mani e si mise a pensare

con tutta quell'acqua sotto di lui.

La guardava? No. Cosa guardava? L'ombra. Non l'ombra fuori di séma quellache portava dentro.

In quel melanconico paesaggio notturno a cui egli non prestava alcunaattenzionein quella profondità esteriore dove il

suo sguardo non penetravasi potevano distinguere i profili dei pennoni edegli alberi. Sotto l'Effroc-stone non c'erano

che i fluttima più a valle la banchina si abbassava insensibilmenteterminando in lontananza in una sponda costeggiata

da molti battelliin arrivo o in partenzache si collegavano con la terraper mezzo di piccoli promontori d'attracco

costruiti appositamentedi pietra o di legnooppure per mezzo di passerelled'assi. Le imbarcazionialcune ormeggiate

altre all'ancoraerano immobili. Non si udivano né passi né vocisecondole buone abitudini dei marinai che dormono

più che possonoe si alzano solo in caso di necessità. Se anche qualcunadi quelle imbarcazioni avesse dovuto partire

durante la notteapprofittando dell'alta mareaper il momento dormivanotutti.

Gli scafi erano appena visibiligrosse ampolle nerecosì come il sartiamefuni e scalette. Un livore indistinto. Qua e là

un fanale rosso punteggiava la bruma.

Ma Gwynplaine non si accorgeva di nulla. Egli rifletteva sul destino.

Egli pensavaperso nella sua visionarietà davanti a una realtàinesorabile.

Gli sembrava di udire dietro di sé qualcosa come un terremoto. Erano lerisate dei lords.

Era appena uscito da quelle risate. Ne era uscito schiaffeggiato.

Chi lo aveva schiaffeggiato?

Suo fratello.

E sfuggendo a quelle risatecon quello schiaffoper rifugiarsi come unuccello ferito nel suo nidolontano dall'odio e in

cerca d'amorecosa aveva trovato?

Le tenebre.

Nessuno.

Tutto scomparso.

Paragonava quelle tenebre al sogno che aveva fatto.

Che rovina!

Gwynplaine era arrivato sul sinistro bordo del vuoto.

Partita la Green-Boxl'universo si era dissolto.

La sua anima si era chiusa.

Pensava.

Cosa poteva essere successo? Dov'erano? Evidentemente li avevano portati via.Il destino che aveva colpito lui

Gwynplainecon la grandezzaera stato per loro il contraccolpodell'annientamento. Era chiaro che non li avrebbe mai

più rivisti. Erano state prese delle precauzioni in tal senso. E al tempostesso avevano fatto man bassa di tutto ciò cheabitava nel campo della fieraacominciare da Nicless e Govicumcosì che nessuno gli potesse dareinformazioni.

Un'inesorabile dispersione. Quella temibile forza sociale che polverizzavalui alla camera dei lordsfrantumava

contemporaneamente loro nella povera capanna. Erano perduti. Dea era perduta.Perduta per lui. Per sempre. Potenze

del cielo! Dove si trovava? Ed egli non era stato là per difenderla!

Fare ipotesi sulle persone assenti che amiamo significa angustiarsi. Eglis'infliggeva quella tortura. Dovunque si

cacciassequalunque supposizione facessesentiva dentro di sé un cuporuggito.

Attraverso una straziante catena di pensieriegli si ricordava diquell'uomoevidentemente funestoche gli aveva detto

di chiamarsi Barkilphedro. Quell'uomo gli aveva scritto nel cervello qualcosadi oscuroche ora riapparivae lo aveva

scritto con un inchiostro così orribile che ora tornava a lettere di fuocoe Gwynplaine vedeva fiammeggiare in fondo al

suo pensiero quelle parole enigmaticheadesso ben chiare: Il destino nonapre una porta senza chiuderne un'altra.

Tutto era consumato. Le ultime ombre gli stavano addosso. Nel destino di ogniuomo può esserci una fine del mondo

fatta solo per lui. Si chiama disperazione. L'anima è piena di stellecadenti.

Ecco a cos'era arrivato! Era passato del fumo . Vi si era perso. Si eraaddensato sui suoi occhi; gli era entrato nel

cervello. Fuori ne era rimasto accecato; interiormente ne era rimastoinebriato.

Era durato il tempo di un fumo che passa. Poi tutto si era dissoltoil fumoe la sua vita. Risvegliato da quel sognosi

ritrovava solo.

Tutto svanito. Tutto andato. Tutto perduto. La notte. Nulla. Quello era ilsuo orizzonte.

Egli era solo.

Il sinonimo di solo è: morto.

La disperazione è un contabile. Vuol far tornare i conti. Niente le sfugge.Addiziona tutto. Non molla neppure i

centesimi. Rimprovera a Dio i fulmini e i colpi di spillo. Vuole sapere comeregolarsi con il destino. Ragionapesa e

calcola.

Un cupo gelo esteriore sotto cui continua a scorrere la lava ardente.

Gwynplaine si esaminòe esaminò la sorte.

Guardare indietro; tremenda ricapitolazione.

Quando si è in cima alla montagna si guarda nel precipizio. Quando si è infondo alla caduta si guarda il cielo.

E ci si dice: Io ero là!

Gwynplaine aveva raggiunto il punto più basso della sua sventura. E con chevelocità! Orrenda prontezza della sfortuna.

È così pesante che la si crederebbe lenta. Affatto. Sembra che la neveconla sua freddezzacondivida la paralisi

dell'invernoe l'immobilità del sudario con la sua bianchezza. Ma lavalanga smentisce tutto ciò!

La valanga è la neve divenuta fornace. Nel suo gelo divora. La valanga avevaavvolto Gwynplaine. Egli era stato

strappato come uno stracciosradicato come un alberofatto rotolare comeuna pietra.

Ripensò alla sua caduta. Si fece delle domande e si diede delle risposte. Ildolore è un interrogatorio. Nessun giudice è

così minuzioso come la coscienza quando essa istruisce il proprio processo.

Quanto rimorso c'era nella sua disperazione?

Volle rendersene conto e sezionò la sua coscienza; una vivisezione dolorosa.

La sua assenza aveva prodotto una catastrofe. Ma quell'assenza era dipesa dalui? In tutto ciò che era accadutoera stato

libero? Per niente. Si era sentito prigioniero. Cosa l'aveva preso etrattenuto? Una prigione? No. Una catena? No.

Cos'era dunque? Vischio. Si era impantanato nella grandezza.

A chi non è capitato di essere apparentemente liberoma di sentirsi le aliparalizzate?

Gli avevano teso una rete. Ciò che prima era una tentazione finisce coldiventare una prigionia.

Mae su questo punto la coscienza lo incalzavaaveva davvero subito ciòche gli si presentava? No. Egli lo aveva

accettato.

Era vero chein una certa misuralo avevano colto di sorpresa facendogliviolenza; ma lui da parte suain una certa

misuraaveva lasciato fare. Che lo avessero portato via non era colpa sua;il suo cedimento consisteva nell'essersi

lasciato inebriare. C'era stato un momentoun momento decisivoin cui ladomanda era stata formulata; quel

Barkilphedro l'aveva messo davanti al dilemmadandogli un'occasione chiaraper risolvere il suo destino con una

parola. Gwynplaine poteva dire no. Ma aveva detto sì.

Tutto era disceso da quel sì pronunciato nello stordimento. Gwynplaine locapiva. L'amaro gusto lasciato dal consenso.

Tuttaviaragionavaera poi un torto così grande voler rientrare nei propridirittinel proprio patrimonionella propria

ereditànella propria casavoler rientrarepatrizionel rango dei propriavi eorfanonel nome di suo padre? Cosa

aveva accettato? Una restituzione. Fatta da chi? Dalla provvidenza.

Allora provava un senso di ribellione. Aveva accettato da stupido! Che razzadi mercato! Che scambio inutile! Aveva

trattato in perdita con quella provvidenza. Che diamine! Per avere duemilioni di renditaper avere sette o otto signorie

per avere dieci o dodici palazziper avere case in città e castelli incampagnaper avere cento lacchémutecarrozze e

stemmiper essere giudice e legislatoreper essere coronato con una vestedi porpora come i reper essere barone e

marcheseper essere pari d'Inghilterraegli aveva dato la baracca di Ursuse il sorriso di Dea! Per una mutevole

immensità dove si sprofonda e si naufragaegli aveva ceduto la felicità!Per l'oceano egli aveva dato la perla. Insensato!

Imbecille! Sciocco!

E tuttaviae qui l'obiezione tornava a crescere su un terreno solidonellafebbre per l'alta fortuna che lo aveva preso

non tutto era stato malsano. Forse nella rinuncia ci sarebbe statodell'egoismomentre forse c'era il senso del dovere

nell'aver accettato. Trasformato improvvisamente in lordcosa doveva fare?Davanti alla complessità dell'avvenimentolo spirito è perplesso. Questo gliera capitato. Era rimasto frastornato dalle intimazioni opposte del doveredovere da

tutte le parti contemporaneamentedovere multiplo e quasi contraddittorio.Lo smarrimento l'aveva paralizzato

soprattutto nel tragitto da Corleone-lodge alla camera dei lordsquando nonsi era opposto. Ciò che nella vita si chiama

salireconsiste nel passare da un percorso tranquillo a uno inquietante.Dov'è più la linea diritta? Nei confronti di chi

abbiamo il dovere più alto? Verso i nostri cari? Verso il genere umano? Nonsi passa forse dalla famiglia piccola a

quella grande? Si salee si sente sulla propria onestà un peso che aumenta.Più in altopiù obblighi. L'estendersi del

diritto accresce il dovere. Si ha come l'ossessioneforse l'illusione di unamolteplicità di strade che si presentano

contemporaneamentee all'inizio di ciascuna si crede di scorgere il ditoammonitore della coscienza. Dove andare?

Uscire? Restare? Avanzare? Indietreggiare? Che fare? È curioso che il doverepossa avere dei bivii. La responsabilità

può essere un labirinto.

E quando un uomo contiene un'ideaquando è l'incarnazione di un fattoquando è un uomo simbolo oltre che un uomo

in carne e ossanon è la responsabilità ancora più inquietante? Da qui ladocilità preoccupata e la muta ansia di

Gwynplaine; da qui la sua obbedienza all'ingiunzione di occupare il proprioposto. Spesso l'uomo che pensa è passivo.

Gli era sembrato di udire l'imperativo stesso del dovere. L'ingresso in unluogo dove si può discutere l'oppressione e

combatterlanon costituiva forse la realizzazione di una delle sue piùprofonde aspirazioni? Quando gli avevano dato la

parolaa lui che era un formidabile campione della societàa lui che erail modello vivente del capriccio sotto cui

agonizza da seimila anni il genere umanoaveva il diritto di rifiutarla?Aveva il diritto di togliere la testa da sotto la

lingua di fuoco che scendeva dall'alto per posarsi su di lui?

Nello scuro e vertiginoso dibattito della coscienzacosa si era detto?Questo: «Il popolo è un silenzio. Io sarò il grande

avvocato di questo silenzio. Io parlerò per i muti. Parlerò ai grandi deipiccolidei deboli ai potenti. Questo è lo scopo

del mio destino. Dio vuole ciò che vuolee lo fa. Certo è sorprendente chela fiasca di Hardquanonnecontenente la

trasformazione di Gwynplaine in lord Clancharlieabbia fluttuato perquindici anni sul marefra cavallonirisacche

raffichee che tutta quella collera non le abbia fatto alcun male. Io soperché. Ci sono destini segreti; io ho la chiave del

mio e posso aprire il mio enigma. Sono predestinato! Ho una missione. Saròil lord dei poveri. Parlerò per tutti i

disperati che tacciono. Tradurrò i loro balbettii. Tradurrò i brontoliileurlai mormoriiil rumore delle follei pianti

mutile voci incomprensibilie tutte le grida animalesche a cui ignoranza esofferenza hanno costretto gli uomini. La

voce degli uomini è inarticolata come la voce del vento; essi gridano. Manon vengono compresigridare a quel modo

equivale a taceree tacere per loro vuol dire essere disarmati. Un disarmoforzato che esige un aiuto. Io sarò il loro

aiuto. Io sarò la denuncia. Io sarò il Verbo del Popolo. Grazie a me sicapirà. Sarò la bocca insanguinata cui è strappato

il bavaglio. Dirò tutto. Sarà grandioso».

Sìparlare per i muti è bello; ma parlare ai sordi è triste. Era l'altroaspetto della sua avventura.

Ahimè! Aveva fallito.

Aveva fallito irrimediabilmente.

L'elevazione in cui aveva credutol'alta fortunal'apparenzatutto erasprofondato sotto di lui.

Che caduta! Cadere nella schiuma del ridere.

Si credeva fortelui che per tanti anni aveva galleggiatoanima attentanella vasta distesa delle sofferenzelui che da

tutta quell'ombra riportava un grido di lamento. Era andato ad incagliarsi suquello scoglio gigantescola frivolezza

degli uomini fortunati. Credeva di essere un vendicatoreera un clown.Credeva di fulminareaveva fatto il solletico.

Invece dell'emozione aveva raccolto lo scherno. I suoi singhiozzi avevanosuscitato allegria. In quell'allegria era

affondato. Inghiottimento funebre.

E di cosa avevano riso? Del suo riso.

Cosìquell'esecrabile violenza di cui avrebbe serbato per sempre latracciaquella mutilazione divenuta perpetua

allegriaquel ghigno stimmateimmagine della presunta contentezza dellenazioni sotto gli oppressoriquella maschera

gioiosa frutto della torturaquell'abis so sogghignante che portava sullafacciaquella cicatrice che voleva dire jussu

regisquella prova di un delitto che la monarchia aveva perpetrato sututto il popoloera proprio questo che trionfava su

di luiera questo che lo schiacciavaera l'accusa contro il carnefice chesi rivoltava in sentenza contro la vittima!

Prodigioso rifiuto di fare giustizia. La monarchiadopo aver avuto ragionedi suo padreora aveva ragione di lui. Il male

fatto serviva da pretesto e come giustificazione per il male che restava dafare. Contro chi s'indignavano i lords? Contro

il torturatore? No. Contro il torturato. Qui il tronolà il popolo; quiGiacomo IIlà Gwynplaine. Certoil confronto

metteva in luce un attentato e un delitto. Quale attentato? Lamentarsi. Qualedelitto? Soffrire. La miseria deve

nascondersi e tacerealtrimenti è lesa maestà. E gli uomini che avevanotrascinato Gwynplaine sul graticcio del

sarcasmoerano forse malvagi? Noanche loro avevano un destinoquello diessere felici. Essi erano carnefici senza

saperlo. Erano solo di buon umore. Gwynplaine era sembrato loro inutile. Eglisi era aperto il ventresi era strappato

fegato e cuoreaveva mostrato le sue visceree gli avevano gridato: Recitala commedia! Il fatto straziante era che lui

stesso rideva. Una spaventosa catena gl'imbrigliava l'animaimpedendo al suopensiero di salire fino al volto. Lo sfregio

raggiungeva anche il suo spiritoe mentre la coscienza s'indignavalafaccia lo smentiva ridendo. Era finita. Egli era

l'Uomo che Ridela cariatide di un mondo in lacrime. Egli era l'angosciapietrificata in ilaritàsosteneva il peso di un

universo di disgraziema era murato per sempre nella giovialitànell'ironianel divertimento altrui; egli condivideva

con tutti gli oppressidi cui era l'incarnazionel'atroce destino di unadesolazione non presa sul serio; si scherzava con

la sua miseria; era una specie di grande pagliaccio generato da unospaventoso concentrato di sventureun evaso dal

bagno penaledivenuto Diosalito dalle profondità del popolino fino aipiedi del tronoconfuso con le costellazionie

chedopo aver divertito i dannatidivertiva gli eletti! Tutto ciò che inlui era generositàentusiasmoeloquenzacuoreanimafurorecolleraamoredolore inesprimibilefiniva in uno scoppio di riso! Ed egli constatavacomeaveva detto

ai lordsche quella non era un'eccezionema un fatto normaleordinariouniversaleun fatto così preminente e confuso

con le abitudini della vitache non ce se n'accorgeva più. Ride il morto difameride il mendicanteride il forzatoride

la prostitutae anche l'orfanaper guadagnarsi da vivererideride loschiavoride il soldatoride il popolo; la società

umana è fatta in tal modo che tutte le perdizionitutte le miserietuttele catastrofitutte le febbritutte le ulceretutte le

agoniesi risolvono in una spaventosa smorfia di allegria sopra l'abisso.Egli era quella smorfia assoluta. Essa era lui.

La legge celestela forza ignota che governaaveva voluto che uno spettrovisibile e tangibileuno spettro in carne e

ossariassumesse quella mostruosa parodia che chiamiamo mondoed egli eraquello spettro.

Inguaribile destino.

Egli aveva gridato: Grazia per quelli che soffrono! Invano.

Aveva voluto risvegliare la pietà; aveva svegliato l'orrore. È la leggelegata all'apparizione degli spettri.

Ma oltre che spettro egli era uomo. Quella era la sua straziantecomplicazione. Spettro esteriormenteuomo dentro.

Forse uomo più di chiunque altroperché il suo doppio des tino condensaval'intera umanità. Egli avvertiva l'umanità in

sé e al tempo stesso fuori di sé.

C'era qualcosa nella sua esistenza che non poteva essere varcato. Chi era? Undiseredato? Noperché era un lord. Chi

era? Un lord? Noperché era un ribelle. Egli era colui che porta la luce;il terribile guastafeste. Non era certo Satanama

Lucifero. Egli arrivava sinistramentecon una fiaccola in mano.

Sinistro per chi? Per i sinistri. Temuto da chi? Dai temibili. Perciò lorespingevano. Essere dei loro? Venire accettato?

Mai. Portava in faccia uno spaventoso ostacoloma l'ostacolo delle sue ideeera ancora più insormontabile. Le sue

parole erano sembrate più deformi del suo volto. Ciò che pensava non eraconciliabile con quel mondo di grandi e di

potenti in cui una fatalità l'aveva fatto nasceree da cui un'altrafatalità l'aveva fatto uscire. Tra il suo volto e gli uomini

c'era una mascherama tra la società e la sua anima c'era una muraglia.Confondendosi fin dall'infanziasaltimbanco

nomadecon quell'ambiente vastoforte e vivaceche chiamiamo follasaturandosi del magnetismo delle moltitudini

impregnato della sconfinata anima umanaegli aveva perso la particolaresensibilità delle classi alte a favore del volgare

senso comune. In alto era inammis sibile. Egli arrivava gocciolantedell'acqua del pozzo della Verità. Aveva il fetore

dell'abisso. Faceva ribrezzo a quei principi profumati di menzogne. A chivive di finzionila verità è infetta. Chi ha sete

di lusinghe rigetta la realtàche ha bevuto solo inavvertitamente. Ciò cheluiGwynplaineportavanon era

presentabile; cos'era? La ragionela saggezzala giustizia. Veniva respintocon disgusto.

C'erano là dei vescovi. Egli portava loro Dio. Ma chi era quell'intruso?

Gli estremi si respingono. Nessun amalgama possibile. Manca la transizione.Avevano assistito a quel confronto

formidabile senz'altro risultato che un grido di collera: tutta la miseriaconcentrata in un uomo faccia a faccia con tutto

l'orgoglio concentrato in una casta.

È inutile accusare. Basta constatare. Gwynplaine constatavain quel suomeditare sull'orlo del destinol'immensa vanità

del suo tentativo. Constatava la sordità delle alte sfere. I privilegiatinon hanno orecchie per i diseredati. È una colpa dei

privilegiati? No. È la loro leggeahimè! Perdonateli. Commuoversi vorrebbedire abdicare. Dove ci sono signori e

principinon bisogna aspettarsi nulla. Chi è soddisfatto è inesorabile.Per chi è sazio non esiste l'affamato. I fortunati

ignorano e si isolano. Sulla soglia del loro paradisocome sulla sogliadell'infernobisogna scrivere: «Lasciate ogni

speranza».

Gwynplaine era stato accolto dagli dei come uno spettro.

Tutto ciò che aveva dentro si ribellava. Noegli non era uno spettroeraun uomo. Lo aveva dettolo aveva gridatoegli

era l'Uomo.

Non era un fantasma. Era carne che palpitava. Aveva un cervello e pensava;aveva un cuore e amava; aveva un'anima e

sperava. Avere troppo speratoquella era la sua colpa.

Ahimè! Egli aveva spinto la speranza fino a credere in quella cosa luminosae oscura che è la società. Lui che ne era

fuorivi era rientrato.

All'improvviso la società gli aveva fatto le sue tre offertee presentato isuoi tre doni: il matrimoniola famigliala

casta. Il matrimonio? Sulla sua soglia aveva visto la prostituzione. Lafamiglia? Suo fratello lo aveva schiaffeggiatoe

all'indomani lo avrebbe atteso con la spada in mano. La casta? Gli era appenascoppiata a ridere in facciaa lui patrizio

a lui miserabile. Egli era stato respinto quasi prima ancora di venireammesso. I suoi primi tre passi nelle profondità

dell'ombra sociale gli avevano dischiuso tre abissi.

L'esordio del suo disastro era stata una trasfigurazione traditrice. Lacatastrofe gli si era accostata con il viso

dell'apoteosi! Sali! Voleva dire: Scendi!

In un certo senso era il contrario di Giobbe. La prosperità gli avevaportato la sventura.

O tragico enigma umano! Ecco le insidie! Bambinoaveva lottato contro lanotteed era stato più forte di lei. Uomo

aveva lottato contro il destinoe l'aveva battuto. Da sfigurato eradiventato radiosoda sfortunato fortunato. Del suo

esilio aveva fatto un asilo. Vagabondoaveva lottato contro lo spazioecome gli uccelli del cielo vi aveva trovato la sua

briciola di pane. Selvaggio e solitarioaveva lottato contro la follae sel'era fatta amica. Atletaaveva lottato contro

quel leoneil popoloe l'aveva addomesticato. Poveroaveva lottato control'indigenzaaveva tenuto testa alla cupa

necessità di viveree a forza di amalgamare alla miseria tutte le gioie delcuoreegli aveva fatto della povertà una

ricchezza. Aveva potuto credersi il vincitore della vita. Ma all'improvvisodal fondo dell'ignoto gli si erano rivoltate

contro nuove forzenon più con le minaccema con carezze e sorrisi; a luitutto compreso nell'amore angelicoera

apparso l'amore draconiano e materiale; luiche viveva d'idealeera statopreso dalla carne; aveva udito parole divoluttàsimili a grida di rabbia;aveva sentito la stretta delle braccia di una donnacon l'intensità dellespire di un

serpente; alla luce del vero era subentrato il fascino del falso; perché nonla carne è realema l'anima. La carne è cenere

l'anima è fiamma. A quelli che erano legati a lui dalla parentela dellapovertà e del lavoroe che costituivano la sua vera

famiglia naturalesi era sostituita la famiglia socialefamiglia di sanguema sangue mistoe prima ancora di entrarvisi

era trovato davanti la possibilità di un fratricidio. Ahimè! Si eralasciato riammettere in quella società di cui Brantôme

che non aveva mai lettoha detto: Il figlio può legittimamente sfidare aduello il padre. La fortuna fatale gli aveva

gridato: Tu non appartieni alla follatu sei un aristocratico! E dopo averaperto sopra la sua testa una specie di botola

nel cielo del soffitto socialel'aveva lanciato attraverso quella aperturainnalzandoloselvaggio e inattesotra principi e

padroni.

Di colpoinvece del popolo che lo attorniava per applaudirloaveva visto isignori che lo maledivano. Lugubre

metamorfosi. Crescita ignominiosa. Brusco saccheggio di tutto quanto erastato la sua felicità! La vita spogliata dalle

grida di scherno! Lo strazio dei becchi di tutte quelle aquilelo strazio diGwynplainedi Clancharliedel lorddel

saltimbancodel passato e dell'avvenire!

A che scopo aver iniziato subito la vita con la vittoria sull'ostacolo? A chescopo aver trionfato prima? Ahimè! Bisogna

precipitare perché si compia il destino.

Cosìun po' per forzaun po' volendoloperché dopo il wapentake avevaavuto a che fare con Barkilphedroe in

qualche modo aveva acconsentito al suo rapimentoegli aveva lasciato larealtà per la chimerail vero per il falsoDea

per Josianel'amore per l'orgogliola libertà per il potereun lavorofiero e povero per un'opulenza piena di oscure

responsabilitàl'ombra dove sta Dio per le fiamme dove ci sono i demoniilparadiso per l'olimpo!

Aveva morso il frutto d'oro. Sputava una boccata di cenere.

Risultato dolente. Rottafallimentocaduta e rovinacacciata insolente ditutte le sue speranze fustigate dal ghigno

smisurata disillusione. Che fare ormai? Se guardava al domanicosa vedeva?La punta di una spada nuda davanti al suo

pettoimpugnata dalla mano di suo fratello. Non vedeva che l'orribilebagliore di quella spada. Il restoJosianela

camera dei lordsera alle sue spallein una mostruosa penombra piena disagome tragiche.

Quel fratello gli appariva cavalleresco e valoroso! Ahimè! QuelTom-Jim-Jackche aveva difeso Gwynplainequel lord

David che aveva difeso lord Clancharlieegli lo aveva appena intravistoiltempo necessario per esserne schiaffeggiato

e per amarlo.

Che avvilimenti!

Adesso era impossibile andare più lontano. Era un crollo su tutti i fronti.E poia che scopo? In fondo alla disperazione

c'è un senso di grande stanchezza.

La prova era stata affrontatanon si poteva ricominciare.

Gwynplaine era come un giocatore che ha giocatouna dopo l'altratutte lesue carte. Si era lasciato trascinare in un

gioco pauroso. Senza renders i perfettamente conto di ciò che facevapoiché questo è il sottile veleno dell'illusioneegli

aveva giocato Dea contro Josiane; l'effetto era stato mostruoso. Avevagiocato Ursus contro una famigliane aveva

ricevuto un affronto. Aveva giocato il suo palco da saltimbanco contro unseggio da lord; al posto delle acclamazioni

aveva avuto le imprecazioni. La sua ultima carta era caduta sul fataledeserto tappeto verde del bowling-green.

Gwynplaine aveva perso. Non restava che pagare. Pagamiserabile!

Chi è stato colpito dal fulmine si agita poco. Gwynplaine era immobile. Chida lontano lo avesse scorto in quell'ombra

dritto e senza muoversisul bordo del parapettoavrebbe creduto trattarsidi una pietra in posizione verticale.

L'infernoil serpente e la fantasticheria si avvolgono su se stessi.Gwynplaine scendeva lungo le spirali sepolcralinelle

profondità del pensiero.

Ora considerava il mondo che aveva intravisto con uno sguardo di definitivafreddezza. Il matrimonioma non l'amore;

la famigliama non la fraternità; la ricchezzama non la coscienza; labellezzama non il pudore; la giustiziama non

l'equità; l'ordinema non l'equilibrio; il poterema non l'intelligenza;l'autoritàma non il diritto; lo splendorema non la

luce. Un bilancio inesorabile. Fece il giro di quella suprema visione doveerano sprofondati i suoi pensieri. Esaminò

successivamente il destinole circostanzela societàe se stesso. Cos'erail destino? Una trappola. Le circostanze? Una

disperazione. La società? Un odio. E lui? Un vinto. E dal fondo della suaanima gridò: la società è matrigna. La natura è

madre. La società è il mondo del corpo; la natura è il mondo dell'anima.Una è destinata alla baraalla cassa d'abete

nella fossaai vermie lì finisce. L'altra è destinata alle ali apertealla trasfigurazione nell'auroraall'ascensione verso il

firmamentoe da lì ricomincia.

Poco a poco il parossismo s'impadroniva di lui. Turbinio funesto. Quando lecose finiscono mandano un ultimo lampo

dove rivediamo tutto.

Chi giudica confronta. Gwynplaine mise di fronte ciò che la società gliaveva fatto e ciò che gli aveva fatto la natura.

Come era stata buona la natura con lui! Come l'aveva soccorsoessache èl'anima! Gli avevano preso tuttoperfino il

volto; l'anima gli aveva reso tutto. Tuttoanche il volto; perché quaggiùc'era una cieca celestefatta apposta per luiche

non vedeva la sua bruttezzama che vedeva la sua bellezza.

Da questo si era lasciato separare! Da quell'essere adorabileda quel cuoreda quell'adozioneda quella tenerezzada

quello sguardo cieco e divinol'unico che lo vedesse sulla terrada tuttociò si era allontanato! Dea era sua sorella;

perché egli sentiva emanare da lei la grande fraternità dell'azzurroilmistero che racchiude tutto il cielo. Quando era

piccoloDea era la sua vergine; perché ogni bambino ha una vergineeall'origine della vita c'è sempre un matrimonio

d'animeconsumato in piena innocenza da due piccole verginità ignoranti.Dea era la sua sposaperché avevano lo

stesso nido sul ramo più alto del profondo albero Imene. Ma Dea era ancor dipiùera la sua luce; senza di lei tutto eraun vuoto nullaed egli le vedevauna capigliatura di raggi. Cosa sarebbe diventato senza Dea? Cosa fare di sestesso?

Nulla di lui poteva vivere senza Dea. Come aveva potuto dunque perderla divista anche solo un istante? O disgraziato!

Aveva permesso che tra sé e la propria stella avvenisse uno scartoma inquelle temibili e ignote gravitazioni uno scarto

è subito abisso! Dov'era leila stella? Dea! Dea! Dea! Dea! Ahimè! Avevaperduto la sua luce. Togliete l'astrocos'è il

cielo? Un buio. Ma perché infine tutto ciò se n'era andato? Oh! Come erastato felice! Dio aveva rifatto l'Eden per lui; -

fin troppoahimè - fino a farvi rientrare il serpente! Ma questa voltaadessere tentato era stato l'uomo. Era stato attirato

all'esternoe làegli era caduto in quel caos di nere risate che èl'infernouna trappola spaventosa! Sventura! Sventura!

Come era tremendo tutto ciò che l'aveva affascinato! Chi era quella Josiane?Oh! Una donna orribilemezza bestia e

mezza dea! Ora Gwynplaine vedeva il rovescio della sua ascesal'altro latodel suo abbaglio. Qualcosa di funebre. La

deformità di quella signorial'odiosità di quella coronail lugubre rossodi quella vesteil veleno di quei palazzie quei

trofeiquelle statuequegli stemmi loschiquell'aria infida e malsana chevi si respirava e che rendeva folli. Oh! Gli

stracci del saltimbanco Gwynplaine risplendevano ben altrimenti! Oh!Dov'erano la Green-Boxla povertàla gioiala

loro dolce vita errante da rondini? Non si lasciavanosi vedevano tutti imomentidi seradi mattinaa tavola si

toccavano i gomitile ginocchiabevevano dallo stesso bicchiereil soleentrava dal finestrinoma era soltanto il solee

Dea era l'amore. La notte si addormentavano non lontani gli uni dagli altrie i sogni di Dea si andavano a posare su

Gwynplainequelli di Gwynplaine fiorivano misteriosamente sopra Dea! Nonerano sicurial risvegliodi non essersi

scambiati baci nella nube azzurra del sogno. Dea aveva tutta l'innocenzaUrsus tutta la saggezza. Vagabondavano di

città in città; come viatico e cordiale avevano l'allegria franca eaffettuosa del popolo. Erano angeli vagabondicon tanta

umanità da poter camminare quaggiùma non abbastanza ali per volare via.Ed orascomparsi! Dov'era finito tutto ciò?

Era possibile che tutto fosse cancellato? Che vento sepolcrale avevasoffiato? Eclissati! Perduti! Ahimè! La sorda

onnipotenza che preme sui deboli dispone di tutta l'ombraed è capace ditutto! Cosa gli avevano fatto? Ed egli non era

stato là per proteggerliper mettersi di mezzoper difenderlicome lordcon il suo titolola sua signoria e la sua spada

o come saltimbancocon i pugni e con le unghie! E a quel punto affiorava unariflessione amaraforse la più amara di

tutte. Ebbene nonon avrebbe potuto difenderli! Perché era proprio lui laloro rovina. L'infame onnipotenza sociale si

era accanita su di essi per preservare luilord Clancharlieper isolare lasua dignità dal loro contatto. Il modo migliore

che aveva di proteggerlisarebbe stato di sparirecosì non ci sarebbe piùstato motivo per perseguitarli. Senza di luili

avrebbero lasciati tranquilli. Quella era la prospettiva agghiacciante che sipresentava al suo pensiero. Ah! Perché si era

lasciato separare da Dea? Il suo primo dovere non era forse nei confronti diDea? Servire e difendere il popolo? Ma Dea

era il popolo! Dea era l'orfanala ciecal'umanità! Oh! Cosa avevano fattoloro? Bruciore crudele del rammarico! La

sua assenza aveva aperto la via alla catastrofe. Avrebbe condiviso la lorosorte. O li avrebbe raggiunti e portati con séo

sarebbe affondato con loro. Ma adessosenza di lorocosa fare? Erapossibile Gwynplaine senza Dea? Via Deavia

tutto! Ah! Era la fine. Quegli esseri amati erano scomparsi per sempredissolvendosi irrimediabilmente. Tutto si era

esaurito. Ma alloracondannato e dannato com'era Gwynplaineperché lottareancora? Non c'era più nulla da aspettarsi

né dagli uomininé dal cielo. Dea! Dea! Dov'è Dea? Perduta! Sìperduta!Chi ha perso la propria anima non può

ritrovarla che in un luogola morte.

Gwynplainetragicamente smarritomise con fermezza la mano sul parapettocome sopra una soluzionee guardò il

fiume.

Era la terza notte che non dormiva. Aveva la febbre. Le sue ideeche eglicredeva chiareerano offuscate. Sentiva un

imperioso bisogno di dormire. Rimase così per qualche istantesporgendosisull'acqua; l'ombra gli offriva quel grande

letto tranquillole tenebre infinite. Tentazione sinistra.

Si tolse l'abitolo piegò e lo appoggiò sul parapetto. Poi si sbottonò ilpanciotto. Ma mentre stava per toglierselola sua

mano urtò contro qualcosa che aveva in tasca. Era il red-book che gli avevaconsegnato il bibliotecario della camera dei

lords. Estrasse il libretto dalla tascalo esaminò alla luce vaga dellanottevi scorse una matitala presee sulla prima

pagina bianca che si aprìscrisse queste due righe:

«Me ne vado. Che mio fratello David prenda il mio posto e sia felice».

Firmò: FERMAIN CLANCHARLIEpari d'Inghilterra.

Poi si tolse il panciotto e lo mise sull'abito. Si tolse il cappello e loappoggiò sul panciotto. Mise il red-book nel

cappelloaperto alla pagina su cui aveva scritto. Vide una pietra per terrala prese e la mise nel cappello.

Fatto questoguardò l'ombra infinita sopra la sua testa.

Poi la testa si abbassò lentamentecome se l'avesse tirata l'invisibilefilo degli abissi.

Alla base del parapetto c'era un buco tra le pietreegli vi mise un piedecosì che il ginocchio fosse più alto del

parapettoe ci volesse poco per scavalcarlo.

Incrociò le mani dietro la schiena e si sporse.

«Sia»disse.

Fissò lo sguardo nell'acqua profonda.

In quel momento sentì una lingua che gli leccava le mani.

Trasalì e si voltò.

Dietro di lui c'era Homo.

CONCLUSIONE • IL MARE E LA NOTTEI • UN CANE DA GUARDIA PUÒ ESSEREL'ANGELO CUSTODE

Gwnplaine gettò un grido:

«Sei tulupo!».

Homo agitò la coda. Gli occhi brillavano nell'ombra. Guardava Gwynplaine.

Poi ricominciò a leccargli le mani. Per un istante Gwynplaine si sentì comeubriaco. Provò l'immensa scossa del ritorno

della speranza. Homoche apparizione! Da quarantotto ore egli aveva esauritoogni tipo di folgore; gli restava solo

quello della gioia. Lo aveva appena colpito. La certezza ritrovatao almenola luce che vi portal'improvviso intervento

di una clemenza misteriosache forse fa parte del destinola vita che dice:eccomi! Nel buio più fitto della tomba

l'attimo in cui non si aspetta più nullache bruscamente lascia intravederela guarigione e la liberazionequalcosa come

il punto d'appoggio ritrovato proprio nell'istante più critico del crollo.Homo rappresentava tutto ciò. Gwynplaine

vedeva il lupo nella luce.

Intanto Homo si era voltato. Fece qualche passo e guardò indietrocome pervedere se Gwynplaine lo seguiva.

Gwynplaine gli si era messo alle costole. Homo continuò a camminareagitando la coda.

Il lupo si era avviato lungo la discesa dell'Effroc-stone. Quella discesaportava alla sponda del Tamigi. Condotto da

HomoGwynplaine la seguì.

Ogni tanto Homo girava la testa per assicurarsi che Gwynplaine gli stessedietro.

In certe situazioni estreme niente assomiglia a un'intelligenza in grado dicapire tutto quanto il semplice istinto di un

animale affezionato. L'animale è un sonnambulo lucido.

Ci sono casi in cui il cane sente il bisogno di seguire il suo padronealtriin cui sente il bisogno di precederlo. Allora la

bestia prende la direzione dello spirito. Il suo fiuto imperturbabile vedecon chiarezza nel nostro confuso crepuscolo.

L'animale intuiva vagamente la necessità di fare da guida. Sapeva che c'èun brutto passaggio e che bisogna aiutare

l'uomo ad andare oltre? Noprobabilmente; o forse sì; in ogni caso qualcunolo sapeva per lui; l'abbiamo già detto

capita spesso durante la vita di ricevere aiuti importanti che crediamovengano dal bassoe che invece vengono dall'alto.

Noi non conosciamo tutti i volti di Dio. Chi è quella bestia? Laprovvidenza.

Giunto sulla rivail lupo andò avanti lungo la stretta lingua di terra checosteggiava il Tamigi.

Non emetteva versinon abbaiavacamminava in silenzio. In ogni circostanzaHomo seguiva il suo istinto e faceva il

proprio doverecon la riserva mentale del proscritto.

Dopo una cinquantina di passi si fermò. Sulla destra c'era un pontile.All'estremità del pontileche era una specie di

imbarcadero su palafittes'intravedeva la massa scura di un'imbarcazionepiuttosto grande. Sul ponte della naveverso

pruac'era un vago chiarorecome un lume da notte prossimo a spegnersi.

Il lupo controllò per l'ultima volta che ci fosse ancora Gwynplainepoibalzò sul pontileun lungo corridoio di tavole

incatramatesostenuto da una palizzata d'assisotto cui scorreva l'acquadel fiume. In pochi istanti Homo e Gwynplaine

arrivarono in cima.

Il bastimento ormeggiato in fondo al pontile era una di quelle pance olandesia doppio ponte piattouno a prual'altro a

poppachesecondo l'uso giapponeseaveva tra i due ponti un profondoscompartimento scopertoin cui si scendeva

per mezzo di una scala dirittae dove si metteva il carico di tutti i colli.C'erano così due castelliuno a prua e l'altro a

poppa come sui nostri vecchi battelli fluvialicon una cavità nel mezzo. Ilcarico zavorrava quella cavità. Le golette di

carta che fanno i bambini hanno pressappoco quella forma. Sotto i pontic'erano le cabineche comunicavano per mezzo

di porte con lo scompartimento centralee ricevevano luce dagli oblòricavati dal fasciame. Stivando il caricovenivano

lasciati dei passaggi tra i colli. I due alberi di queste pance eranopiantati tra i due ponti. L'albero di prua si chiamava il

Paoloquello di poppa si chiamava il Pieroi due alberi conducevano dunquel'imbarcazione come i due apostoli

conducevano la chiesa. Una passerellache fungeva da passavantiandava dauna tolda all'altracome un ponte cinese

passando sopra lo scompartimento centrale. Con il cattivo tempo i dueparapetti della passerella si abbassavano a destra

e a sinistra per mezzo di un meccanismoformando una specie di tetto sulcompartimento centralecosì che la nave

durante le mareggiateera ermeticamente chiusa. Queste barchemoltomassicceavevano per barra una travepoiché la

forza del timone deve essere proporzionale alla pesantezza dello scafo.Bastavano tre uominiil padrone con due

marinaipiù un ragazzoil mozzoper manovrare quelle pesanti macchine dimare. I ponti di prua e di poppa della

panciacome abbiamo già dettoerano senza parapetto. L'imbarcazione era unlargo scafo panciutotutto nerosu cui si

leggevaa lettere bianchevisibili nella notte: Vograat. Rotterdam.

In quell'epoca diversi fatti di maree da ultimo la catastrofe degli ottovascelli del Barone di Pointi al capo Carnero

costringendo la flotta francese a ripiegare su Gibilterraavevano spazzatola Manica e ripulito di ogni nave da guerra la

rotta tra Londra e Rotterdamfatto questo che permetteva al navigliomercantile di andare e venire senza scorta.

Il battello su cui si leggeva Vograate accanto a cui era giuntoGwynplainetoccava il pontile con il babordo del ponte

di poppaquasi alla stessa altezza. Era come scendere un gradino; Homo conun saltoe Gwynplaine con un passo

furono sulla nave. Si trovarono entrambi sul ponte di poppa. Il ponte eradeserto e non si vedeva nulla muoversi; i

passeggerisecom'era probabilece n'eranosi trovavano a bordovistoche la nave stava per partire e lo stivaggio era

terminatocome indicava il mucchio di balle e di casse che riempivano lacavità centrale. Ma certamente dormivano

coricati nelle cabine dell'interpontesotto le toldetrattandosi di unatraversata notturna. In questi casii passeggeri

fanno la loro comparsa sul ponte solo l'indomani mattinaquando si sonosvegliati. Quanto all'equipaggio

probabilmente cenava in quella che allora veniva chiamata «la cabina deimarinai»in attesa dell'imminente partenza.

Perciò i due pontidi poppa e di pruacollegati dalla passerellaeranodeserti.Il luposul pontileaveva quasi corso; sulla nave si mise a camminarelentamentecon una specie di discrezione.

Continuava a muovere la codama senza più gioiacon l'oscillazione debolee triste del cane inquieto. Sempre

precedendo Gwynplainesuperò il ponte di poppa e attraversò il passavanti.

Gwynplainesalendo sulla passerellascorse davanti a sé un chiarore. Erala luce che aveva visto dalla riva. Si trattava

di una lanternaappoggiata per terraai piedi dell'albero di prua; alriverbero della lanternasul fondo scuro della notte

si stagliava una sagoma nera con quattro ruote. Gwynplaine riconobbe l'anticobaracchino di Ursus.

La povera catapecchia di legnocarretta e capannasu cui aveva vagabondatola sua infanziaera fissata ai piedi

dell'albero con grosse corde di cui si scorgevano i nodi nelle ruote. Dopoessere stata così a lungo fuori servizioera

davvero fatiscente; niente rovina gli uomini e le cose come l'ozio; erainclinata in modo miserabile. L'abbandono l'aveva

resa paraliticae inoltre era malata d'una malattia inguaribilelavecchiaia. Il suo profilo informe e tarlato si curvava in

atteggiamento di rovina. Tutto ciò di cui era fatta appariva avariatoiferri erano arrugginitiil cuoio screpolatoil legno

cariato. Le crepe rigavano il vetro anterioreattraversato da un raggiodella lanterna. Le ruote erano sbilenche. Le pareti

il pavimento e le assi sembravano esauriti dalla faticae l'insieme avevaun'aria accasciata e supplichevole. Le due

stanghe puntate verso l'alto sembravano braccia levate al cielo. La baraccaera tutta sconnessa. Da sotto si vedeva

penzolare la catena di Homo.

Ritrovare la propria vitala felicitàl'amorecorrervi perdutamenteincontroprecipitarvisi soprasembra che sia una

legge voluta dalla natura. Sìtranne che nei casi di profondo turbamento.Chi escescosso e disorientatoda una serie di

catastrofi simili a tradimentidiventa prudenteanche nel momento dellagioiateme di recare la propria fatalità a quelli

che amasi sente lugubramente contagioso e avanza prudentemente nellafelicità. Il paradiso torna ad aprirsi; prima di

entrarvi lo si osserva.

Gwynplainevacillando sotto le emozioniguardava.

Il lupo era andato ad accucciarsi in silenzio vicino alla catena.

II • BARKILPHEDRO HA MIRATO ALL'AQUILA MA HA COLPITO LA COLOMBA

La predella del baracchino era abbassata; la porta era socchiusa; dentro nonc'era nessuno; quel po' di luce che entrava

dal vetro anteriore modellava vagamente l'interno della baracca in unmelanconico chiaroscuro. Le scritte di Ursus che

inneggiavano alla grandezza dei lords erano ancora visibili sulle assidecrepiteche facevano da muro all'esterno e da

intonaco all'interno. Appesi ad un chiodo vicino alla porta Gwynplaine videla schiavina e il capingotche gli

sembrarono i vestiti di un morto all'obitorio.

In quel momento egli non aveva né il panciottoné l'abito.

Il baracchino copriva qualcosa che era disteso sul ponteai piedidell'alberoilluminato dalla lanterna. Era un materasso

di cui si scorgeva un angolo. Sul materasso c'era probabilmente qualcunocoricato. Si vedeva un'ombra che si muoveva.

Qualcuno parlava. Gwynplainenascosto dal baracchinoascoltò.

Era la voce di Ursus.

Quella vocecosì dura in apparenzacosì tenera in realtàche avevatanto strapazzato e così ben guidato Gwynplaine fin

dall'infanzianon aveva più il suo tono vivo e sagace. Era incerta e bassae alla fine di ogni frase si perdeva in sospiri.

Assomigliava solo vagamente all'antica fermezza e semplicità della voce diUrsus. Era come la parola di qualcuno cui è

morta la felicità. Una voce può farsi ombra.

Più che un dialogo quello di Ursus sembrava un monologo. Parlare da solo delrestocome ben sappiamoera una sua

abitudine. Proprio a causa di ciò passava per matto.

Gwynplaine trattenne il respiroper non perdere una sola parola di ciò chediceva Ursused ecco quello che udì:

«Molto pericoloso questo tipo di battello. Non ci sono sponde. Se si rotolain mareniente vi ferma. Se ci fosse il mare

grosso bisognerebbe farla scendere sotto il pontee sarebbe una cosaterribile. Un movimento maldestrouno spavento

ed ecco una rottura d'aneurisma. Ne ho visti di casi simili. Ah! Mio Diochesarà di noi? Dorme? Sì. Dorme. Credo

proprio che dorma. È priva di conoscenza? No. Il suo polso è abbastanzaforte. Certo che dorme. Il sonno è una pausa. È

un provvidenziale accecamento. Come fare perché non vengano a scalpitare daqueste parti? Signorise c'è qualcuno sul

pontevi pregonon fate rumore. Non avvicinatevise potete. Voi capitecon una persona dalla salute delicata bisogna

avere dei riguardi. Ha la febbresapete. È ancora tanto giovane. È unapiccola febbricitante. Le ho messo questo

materasso all'aperto perché abbia un po' d'aria. Dico questo perché sifaccia attenzione. Era così stanca che è caduta sul

materasso come se avesse perso conoscenza. Ma in realtà dorme. Vorrei chenon la si risvegliasse. Mi rivolgo alle

donnese ci sono delle ladies. Una ragazzaabbiamo pietà. Siamo dei poverisaltimbanchichiedo solo un po' di bontàe

poise devo pagare qualcosa perché non ci sia rumorepagherò. Viringraziosignore e signori. C'è forse qualcuno

laggiù? No. Nocredo che non ci sia nessuno. Parlo per niente. Megliocosì. Signorivi ringraziosia che ci siatesia

che non ci siate. - Ha la fronte tutta sudata. - Surientriamo in galerariprendiamo il lavoro. È tornata la miseria. Siamo

di nuovo alla deriva. Una manouna mano spaventosa che non vediamoma chesentiamo sempre addossoci ha

risospinti all'improvviso verso gli anditi bui del destino. E sia; non cimancherà il coraggio. Solo che non deve

ammalarsi. Sembro uno stupido che parla da solo ad alta vocema se sirisveglia deve pur sapere che c'è qualcuno

accanto a lei. Purché non me la sveglino bruscamente! Niente rumorein nomedel cielo! Se una scossa la facesse alzare

di soprassaltonon le farebbe certo bene. Sarebbe increscioso se qualcunovenisse a camminare da queste parti. Penso

che sul battello stiano dormendo tutti. Ringrazio la provvidenza di questofavore. Ma! Dov'è Homo? In tutto questotrambusto mi sono dimenticato dilegarlonon so più quello che faccioè più di un'ora che non lo vedosaràandato a

cercarsi la cena fuori. Purché non gli capiti qualcosa! Homo! Homo!».

Homo sbatté adagio la coda sulle assi del ponte.

«Sei là! Ah! Sei là. Dio sia benedetto. Perdere anche Homosarebbe statotroppo. Ha mosso un braccio. Forse sta per

svegliarsi. Stai zittoHomo. La marea scende. Presto partiremo. Sarà unabella nottata. Niente vento. La banderuola

pende dall'alberofaremo una buona traversata. Non so più a che punto siamocon la luna. Ma le nuvole si muovono

appena. Il mare sarà tranquillo. Avremo bel tempo. Com'è pallida. È ladebolezza. Ma noè rossa. È la febbre. Ma noè

rosea. Sta bene. Non ci capisco niente. Mio povero Homonon ci capisconiente. Dunquedobbiamo ricominciare. Ci

rimetteremo al lavoro. Non siamo rimasti che noi duelo vedi. Lavoreremo perleitu e io. È la nostra bambina. Ah! Il

battello si muove. Si parte. Addio Londra. Buonaserabuonanotteal diavolo!Ah! L'orribile Londra!».

L'imbarcazioneinfattivibrava sordamentementre veniva ritirata l'ancora.La poppa si staccava dal pontile. All'altra

estremità del bastimentoa poppa appuntosi scorgeva un uomo in piediilpadronesenza dubbioche era uscito

dall'interno della nave per sciogliere l'ormeggioe che ora si era messo altimone. L'uomo badava solo al canalecom'è

naturale quando si possiede la flemma dell'olandese e del marinaioe non sisente e non si vede nulla tranne l'acqua e il

ventochino all'estremità della barraconfuso con l'oscuritàcamminavalentamente sul ponte di poppaandando e

venendo da tribordo a babordouna specie di fantasma con una trave inspalla. Era solo sul ponte. Finché stavano sul

fiume non erano necessari altri marinai. In pochi istanti l'imbarcazioneraggiunse la corrente. Scendeva senza

beccheggio né rullio. Il Tamigipoco agitato dal riflussoera calmo.L'imbarcazione si allontanava rapidamenteportata

dalla marea. Dietrolo scenario nero di Londra scemava nella nebbia.

Ursus continuò:

«Non fa nullale darò la digitale. Temo che possa delirare. Ha il palmodella mano sudato. Ma cosa mai abbiamo fatto

al buon Dio? Che rapidità in tutta questa sventura! L'orribile rapidità delmale. Cade una pietrauna pietra con gli

artigliè lo sparviero che cala sull'allodola. È il destino. Ed eccotiprostratamia dolce bambina! Veniamo a Londra

dicono: è una grande città con bei monumenti. Southwark è un sobborgostupendo. Ci stabiliamo. Ma orasono posti

abominevoli. Cosa volete che ci faccia? Sono contento di andarmene. Siamo al30 di aprile. Non mi sono mai fidato del

mese di aprile; aprile non ha che due giorni fortunatiil 5 e il 27equattro sfortunatiil 10il 20il 29 e il 30. I calcoli di

Cardano escludono ogni dubbio. Vorrei che questo giorno fosse già passato.La partenza è un sollievo. All'alba saremo

a Gravesend e domani sera a Rotterdam. Perbaccoricomincerò la vita di untempo nel baracchinolo trascineremonon

è vero Homo?».

Leggeri colpi annunciarono il consenso del lupo.

Ursus continuò:

«Se si potesse uscire dal dolore come si esce da una città! Homonoipotremmo essere ancora felici. Ahimè! Ci sarebbe

per sempre colui che non c'è più. Su quelli che sopravvivono rimaneun'ombra. Tu sai a chi pensoHomo. Eravamo in

quattronon siamo che in tre. La vita non è che una lunga perdita di tuttociò che si ama. Ci lasciamo dietro una scia di

dolori. Il destino ci confonde con una prolissità di sofferenzeinsopportabili. E con tutto ciò ci si stupisce che i vecchi si

ripetano. È la disperazione che ci rimbecillisce. Mio bravo Homoabbiamo ilvento in poppa. La cupola di San Paolo è

scomparsa definitivamente. Fra poco passeremo davanti a Greenwich. Avre mofatto sei miglia. Ah! Volto le spalle per

sempre a queste odiose capitalipiene di pietredi magistratidiplebaglie. Preferisco vedere le foglie che si muovono

nei boschi. - La fronte è sempre sudata! Ha delle grosse vene violettesull'avambraccio che non mi piacciono. C'è la

febbre là dentro! Ah! Tutto ciò mi uccide. Dormipiccola. Ohsìdorme».

A questo punto si levò una voceineffabileche sembrava lontanachepareva venisse dalle cime e dalle profondità

contemporaneamentedivinamente sinis trala voce di Dea.

Tutto ciò che Gwynplaine aveva provato fino ad allora non contò più nulla.Il suo angelo parlava. Gli sembrò di udire

parole che venivano da fuori della vitanella piena evanescenza del cielo.

Diceva la voce:

«Ha fatto bene ad andarsene. Questo mondo non è per lui. Solo che io devoandarmene con lui. Padreio non sono

malatavi ho sentito parlare poco faio sto benissimomi sento benedormivo. Padresarò felice».

«Bambina mia»domandò Ursus in tono angosciato«cosa vuoi dire conciò?».

Rispose:

«Padrenon state in pena».

Ci fu una pausacome per riprendere fiatopoi Gwynplaine udì questeparolepronunciate lentamente:

«Gwynplaine non c'è più. Ora sono davvero cieca. Io non conoscevo lanotte. La notte è l'assenza».

La voce si fermò ancorapoi continuò:

«Ho sempre avuto timore che volasse via; sentivo che aveva una naturaceleste. All'improvviso ha preso il volo. Doveva

finire così. Un'anima se ne va come un uccello. Ma il nido dell'anima sta inuna profondità dove c'è la grande calamita

che attira tuttoe io so bene dove ritrovare Gwynplaine. La strada non mi fapaurasu. Padreè laggiù. Più tardi vi

riunirete a noi. Anche Homo».

Homosentendo pronunciare il suo nomediede un colpetto sul ponte.

«Padre»riprese la voce«voi capite bene chedal momento che Gwynplainenon c'è piùtutto è finito. Anche se volessi

restare non potreiperché si deve pur respirare. Non bisogna chiedere ciòche è impossibile. Io stavo con Gwynplaineè

molto sempliceio vivevo. Ora che Gwynplaine non c'è piùio muoio. È lastessa cosa. Bisogna o che egli ritornio che

io me ne vada. Morireè una buona cosa. Non è per niente difficile. Padreciò che qui si spegnetornerà ad accendersialtrove. Vivere nel mondo in cuici troviamo è una stretta al cuore. Non si può essere sempre infelici. Allorasi va su

quelle che voi chiamate stellee là ci si sposanon ci si lascia piùcisi amaci si amaci si amae questo è il buon

Dio».

«Sunon t'inquietare»disse Ursus.

La voce proseguì:

«Eccoper esempiol'anno scorsola primavera dell'anno scorsostavamoinsiemeeravamo feliciè ben diverso ora.

Non ricordo più in quale cittadina eravamo. C'erano degli alberisentivocantare le capinere. Poi siamo andati a Londra.

Tutto è cambiato. Non è un rimprovero. Si arriva in un paesenon si puòimmaginare. Padrevi ricordate? Una seranel

palco grandevenne una donnae voi avete detto: è una duchessa! Io erotriste. Penso che sarebbe stato meglio rimanere

nelle città piccole. Dopo tutto Gwynplaine ha fatto bene. Ora tocca a me.Dal momento che voi stesso mi avete

raccontato che ero piccolissimache mia madre era mortache quella notteero per terra e la neve mi cadeva addossoe

che luiper quanto piccolo a sua voltami aveva raccoltoe che per questoero vivaproprio voi non potete stupirvi che

oggi io abbia assolutamente bisogno di partiree voglia andare a cercareGwynplaine fin nella tomba. Perché la sola

cosa durevole nella vita è il cuoree dopo la vital'anima. Voi capitequello che voglio direnon è veropadre? Ma cosa

si muove? Mi sembra di essere in una casa che si muove. Però non sento ilrumore delle ruote».

Dopo una pausala voce aggiunse:

«Non distinguo più molto tra ieri e oggi. Non mi lamento. Ignoro quello cheè accadutoma qualcosa deve essere

successo».

Quelle parole erano state dette con una dolcezza profonda e inconsolabileseguì un sospiro che Gwynplaine udì

concludersi in questo modo:

«Bisogna che me ne vadaa meno che egli non ritorni».

Ursuscupoborbottò sottovoce:

«Non credo ai fantasmi».

Poi aggiunse:

«Questa è una barca. Tu chiedi perché la casa si muovaè perché siamosu una barca. Calmati. Non si deve parlare

troppo. Figlia miase mi vuoi un po' di benenon agitartinon farti venirela febbre. Vecchio come sononon potrei

sopportare che tu ti ammalassi. Risparmiaminon ammalarti».

La voce ricominciò:

«Perché cercare sulla terra quello che non si trova se non in cielo?».

Ursustentando d'imporsireplicò:

«Calmati. In certi momenti sei davvero poco intelligente. Ti prego direstare tranquilla. Dopo tuttonon sei tenuta a

sapere cos'è la vena cava. Se tu fossi tranquillalo sarei anch'io. Bambinamiafai qualcosa anche per me. Egli ti ha

raccoltoma io ti ho accolto. Ti stai ammalando. Non va bene. Devi calmartie dormire. Andrà tutto bene. Ti do la mia

parola d'onore che andrà tutto bene. D'altra parte il tempo è bellissimo.Sembra una notte fatta apposta. Domani saremo

a Rotterdamuna città olandesealla foce della Mosa».

«Padre»disse la voce«vedetequando si è sempre stati insiemefindall'infanziabisognerebbe che questo non finisse

perché allora si deve morire e non si può fare diversamente. Vi amougualmentema mi accorgo di non essere più

completamente con voibenché non sia ancora con lui».

«Su»insistette Ursus«sforzati di riaddormentarti».

«Non è questo che mi mancherà»rispose la voce.

Ursus continuòcon voce tremante:

«Ti dico che andiamo in Olandaa Rotterdamche è una città».

«Padre»proseguì la voce«io non sono malata; se è questo che vipreoccupapotete rassicurarvinon ho la febbreho

solo un po' caldoecco tutto».

Ursus balbettò:

«Alla foce della Mosa».

«Sto benepadremavedetemi sento morire».

«Non azzardarti a dire una cosa simile»disse Ursus.

Poi aggiunse:

«Soprattutto che non riceva scossemio Dio!».

Seguì un silenzio.

All'improvviso Ursus gridò:

«Cosa fai? Perché ti alzi? Ti supplicorimani coricata!».

Gwynplaine trasalìe sporse la testa.

III • IL PARADISO RITROVATO QUAGGIÙ

Egli vide Dea. Si era alzatadirittasul materasso. Aveva una veste lungaaccuratamente chiusabiancache lasciava

vedere solo l'inizio delle spallee l'attaccatura delicata del collo. Lemaniche nascondevano le bracciale pieghe le

coprivano i piedi. Le mani erano gonfiesi scorgeva l'intrico di nodibluastri delle vene calde per la febbre.

Rabbrividivaoscillava più che vacillarecome un fuscello. La lanterna lailluminava dal basso. Il suo bel volto era

ineffabile. Scioltii suoi capelli fluttuavano. Non colavano lacrime sulleguance. Nelle sue pupille c'erano il fuoco e lanotte. Era pallidadi quelpallore che sembra la trasparenza di una vita divina su un viso terreno. Il suocorpo eccelso e

fragile era come perso e confuso nelle pieghe della veste. Ondeggiava tuttaquanta con il tremito di una fiamma. E al

tempo stesso si avvertiva che cominciava ad essere soltanto un'ombra. I suoiocchispalancatirisplendevano. La si

sarebbe detta uscita dal sepolcroun'anima ritta nell'aurora.

Ursusdi cui Gwynplaine non vedeva che le spallealzava le bracciaattonite.

«Figlia mia! Ah! Mio Dioeccola in preda al delirio! È ciò che temevo.Non ci vorrebbero scosseperché ciò potrebbe

ucciderlama ce ne vorrebbe una per impedirle di diventare folle. Mortaofolle! Che situazione! Che faremio Dio?

Figlia miatorna a coricarti!».

Intanto Dea parlava. La sua voce era poco chiaracome se uno spessoreceleste si fosse già messo tra lei e la terra.

«Padrevi sbagliate. Non sto delirando. Capisco benissimo quello che midite. Mi state dicendo che c'è molta gente che

aspettae che bisogna che io reciti questa seraio vorreivedete cheragionoma non so come fareperché sono mortae

perché anche Gwynplaine è morto. Vengo lo stesso. Acconsento a recitare.Eccomi; ma Gwynplaine non c'è più».

«Bambina mia»ripeté Ursus«suubbidisci. Rimettiti a letto».

«Non c'è più! Non c'è più! Oh! Com'è buio!».

«Buio!»balbettò Ursus. «È la prima volta che dice questa parola».

Gwynplainesenza far più rumore di un frusciosalì sulla predella dellabaraccaentròtolse il capingot e la schiavina

indossò il capingotsi mise la schiavina al collo e ridiscese dalbaracchinosempre nascosto dall'ingombro della

capannadel sartiame e dell'albero.

Dea continuava a mormoraremuoveva le labbrae poco a poco il mormoriodivenne una melodia. Tra le interruzioni e

le lacune del delirioDea tentò il misterioso richiamo che tante volteaveva rivolto a Gwynplaine in La sconfitta del

caos. Si mise a cantareun canto vago e debole come un ronzio d'ape:

Nochequita te de alli

La alba canta...

Poi s'interruppe:

«Nonon è veronon sono morta. Cosa dicevo dunque? Ahimè! Io sono vivae lui è morto. Io sono quie lui è lassù.

Egli è partitoio sono rimasta. Non lo sentirò più parlare e camminare.Dio ci aveva dato un po' di paradiso su questa

terrase lo è ripreso. Gwynplaine! È finita. Non lo sentirò più accantoa me. Mai. La sua voce! non sentirò più la sua

voce».

E cantò:

Es menester a cielos ir...

... Dexaquiero

A tu negro

Caparazon!

E allungò la mano come se cercasse un appoggio nell'infinito.

Gwynplainespuntando improvvisamente di fianco a Ursuspietrificatos'inginocchiò davanti a lei.

«Mai!»disse Dea. «Mai! Non lo sentirò più!».

E si rimise a cantaresconvolta:

Dexaquiero

A tu negro

Caparazon!

Allora udì una vocela voce dell'amatoche rispondeva:

O ven! Ama!

Eres alma

Soy corazon.

Nello stesso istante Dea sentì sotto la mano la testa di Gwynplaine. Gettòun grido inesprimibile:

«Gwynplaine!».

Una luce di stella apparve sul suo volto pallidovacillò.

Gwynplaine la raccolse tra le sue braccia.

«Vivo!»gridò Ursus.

Dea ripeté: «Gwynplaine!».

E piegò il capo sulla guancia di Gwynplaine. A voce bassissimadisse:

«Sei ridisceso! Grazie».

E alzando la testaseduta sulle ginocchia di Gwynplainestretta tra le suebracciarivolse a lui il suo dolce visoe fissò

negli occhi di Gwynplaine i suoi occhi pieni di tenebre e di lucecome se loguardasse.«Sei tu!»disse.

Gwynplaine le copriva la veste di baci. Ci sono espressioni che sono al tempostesso parolegrida e singhiozzi. Estasi e

dolore vi si fondono in uno scoppio confuso. Non hanno sensoma diconotutto.

«Sìio! Sono io! IoGwynplaine! E tu sei la mia animami capisci? Sonoioe tu sei la mia bambinala sposala stella

il respiro! Tu sei la mia eternità! Sono io! Sono quiti tengo tra le miebraccia. Sono vivo. Sono tuo. Ah! Quando penso

che stavo per farla finita! Un attimo ancora! Se non fosse per Homo! Tiracconterò. Come sono vicine la gioia e la

disperazione! Deaviviamo! Deaperdonami! Sì! Tuo per sempre! Hai ragionetoccami il capoassicurati che sia io. Se

tu sapessi! Ma niente ci può più separare. Io vengo dall'inferno perrisalire in cielo. Tu dici che io ridiscendonoio

salgo. Eccomi di nuovo con te. Per sempreti dico! Insieme! Noi siamoinsieme! Chi l'avrebbe detto? Ci ritroviamo.

Tutto il male è finito. Ci attende solo l'incanto. Ricominceremo la nostravita felicee chiuderemo così bene la porta che

la cattiva sorte non potrà più rientrare. Ti racconterò tutto. Ne saraistupita. Il battello è partito. Nessuno può far sì che il

battello non sia partito. Siamo in viaggioe siamo liberi. Andiamo inOlandaci sposeremonon ho problemi per

guadagnarmi da viverechi potrebbe impedirlo? Non c'è più nulla da temere.Ti adoro».

«Non così in fretta!»balbettò Ursus.

Deatremantefece correre la sua mano sul profilo di Gwynplainecon untocco pieno di fremiti celesti. Egli la udì

mentre diceva a se stessa: «Dio è fatto così».

Poi gli toccò i vestiti.

«La schiavina»disse. «Il capingot. Nulla è cambiato. Tutto è comeprima».

Ursusstupitodistesosorridenteinondato dalle lacrimeli osservavacommentando tra sé e sé:

«Non capisco. Sono un idiota integrale. L'ho visto seppellire! Piango erido. Ecco quello che so. Sono scioccocome se

fossi anch'io innamorato. Ma in realtà lo sono. Sono innamorato di tutti edue. Va'vecchio animale. Troppe emozioni.

Troppe emozioni. È quello che temevo. Noè quello che volevo. Gwynplainenon sciuparla. Si abbraccino pure. Non

mi riguarda. Sono uno spettatore. È curioso ciò che provo. Sono ilparassita della loro felicitàe ne prendo una parte.

Non c'entro nullama mi sembra di entrarci. Ragazzi mieivi benedico».

E mentre Ursus monologavaGwynplaine esclamava:

«Deasei troppo bella. Non so dove avevo la testa in questi giorni. Non cisei che tu sulla terra. Ti rivedoma non posso

crederci. Su questa barca! Madimmicos'è successo? E in che stato vihanno ridotto! Dov'è la Green-Box? Vi hanno

derubatovi hanno cacciato. È una cosa infame. Ah! Vi vendicherò! TivendicheròDea! Dovranno vedersela con me.

Io sono un pari d'Inghilterra».

Ursuscome se un pianeta lo avesse urtato in pieno pettoindietreggiòosservando attentamente Gwynplaine.

«Non è mortoquesto è chiaroma non sarà impazzito?».

E tese l'orecchio con diffidenza.

Gwynplaine continuò:

«Stai tranquillaDea. Sporgerò denuncia alla camera dei lords».

Ursus lo osservò ancora e si picchiò in mezzo alla fronte con la punta diun dito.

Poidecidendosi:

«Non importa»mormorò. «Va bene ugualmente. Sii pure folleGwynplainemio. È un diritto dell'uomo. Io sono felice.

Ma cosa significa tutto ciò?».

L'imbarcazione continuava la sua corsa pigra e velocela notte si facevasempre più scurale nebbie che venivano

dall'oceano invadevano lo zenitda cui nessun vento le spazzava viasoloalcune grandi stelle erano visibilima si

affievolivano una dopo l'altrae in poco tempo sparirono del tuttoe ilcielo fu neroinfinito e dolce. Il fiume si

allargava e le rivea destra e a sinistranon erano più che sottilistrisce brunequasi confuse con la notte. Da tutta

quell'ombra usciva una calma profonda. Gwynplaine si era mezzo seduto eteneva Dea fra le braccia. Parlavano

gridavanochiacchieravanobisbigliavano. Un dialogo travolgente. Comedescrivertio felicità?

«Vita mia!».

«Mio cielo!».

«Amore mio!».

«Gioia mia!».

«Gwynplaine!».

«Dea! Sono ebbro. Lascia che ti baci i piedi».

«Sei tudunque!».

«In questo momento vorrei dire troppe cose tutte insieme. Non so da dovecominciare».

«Un bacio!».

«Sei la mia donna!».

«Gwynplainenon dirmi che sono bella. Tusei bello».

«Ti ritrovosei sul mio cuore. È vero. Sei mia. Non sogno. Sei proprio tu.È possibile? Sì. Torno in possesso della vita.

Se tu sapessi tutto quello che è successo. Dea!».

«Gwynplaine!».

«Ti amo!».

E Ursus mormorò:

«Sono felice come un nonno».Homo era uscito da sotto il baracchino eandando con discrezione da uno all'altrosenza esigere che gli venisse prestata

attenzioneleccava a casaccioa volte le grosse scarpe di Ursusa volte ilcapingot di Gwynplainea volte la veste di

Deao il materasso. Era il suo modo di benedirli.

Avevano superato Chatam e la foce della Medway. Si avvicinavano al mare.Quelle distese erano così tenebrose e

serene che la discesa del Tamigi non presentava complicazioni; non eranonecessarie manovree nessun marinaio era

stato chiamato sul ponte. Il padroneall'altra estremità della navesempresolo alla barrapilotava. A poppa c'era solo

quell'uomo; a prua la lanterna illuminava il gruppo di quelle creature felicichedal fondo di una sventura

improvvisamente mutata in felicitàsi erano ricongiunte al di là di ognisperanza.

IV • NO. LASSÙ

All'improvviso Dealiberandosi dall'abbraccio di Gwynplainesi alzò. Siportò le mani al cuorecome per impedirgli di

scoppiare.

«Cos'ho?»disse. «Sento qualcosa. La gioia soffoca. Non è niente. Vabene. Riapparendomio Gwynplainemi hai dato

un colpo. Un colpo di felicità. Il cielo che irrompe nel cuore èun'ebbrezza. Senza di te mi sentivo morire. Tu mi hai

reso la vita verache se ne andava. C'è stato in me uno strappolo strappodelle tenebreho sentito salire la vitauna vita

ardenteuna vita di febbre e di delizie. È una vita straordinaria quellache mi hai donato. È così celeste che fa un po'

soffrire. È come se l'anima crescesse e facesse fatica a rimanere nel corpo.Questa vita da serafiniquesta pienezzami

rifluisce fino alla testa e mi penetra. Sento come un battere d'ali nelpetto. Mi sento strana e felicissima. Gwynplainemi

hai risuscitata».

Arrossìpoi impallidìpoi arrossì ancorae cadde.

«Ahimè!»disse Ursus«tu l'hai uccisa».

Gwynplaine tese le braccia verso Dea. Che urtonel momento supremodell'estasi sopravveniva l'angoscia suprema!

Egli stesso sarebbe cadutose non avesse dovuto sostenerla.

«Dea!»gridò tremando. «Cos'hai?».

«Niente»gli rispose. «Ti amo».

Stava tra le braccia di Gwynplaine come uno straccio raccolto. Le sue manipendevano.

Gwynplaine e Ursus coricarono Dea sul materasso.

Ella disse debolmente:

«Sdraiata non respiro».

La misero seduta.

«Un cuscino!»disse Ursus.

«Perché?»rispose Dea. «Io ho Gwynplaine».

E appoggiò la testa sulla spalla di Gwynplaineche era seduto dietro a leie la sorreggevacon gli occhi sventuratipieni

di smarrimento.

«Ah!»disse Dea. «Come sto bene!».

Ursus le aveva preso il polso e contava le pulsazioni dell'arteria. Nonscuoteva la testanon diceva nientee si poteva

indovinare ciò che pensava solo dai rapidi movimenti delle palpebreche siaprivano e si chiudevano in modo convulso

come per impedire a un fiotto di lacrime di uscire.

«Cos'ha?»domandò Gwynplaine.

Ursus appoggiò l'orecchio sul fianco sinistro di Dea.

Gwynplaine tornò a porre con ardore la sua domandatremando per la paurache Ursus non gli rispondesse.

Ursus guardò Gwynplainepoi Dea. Era livido. Disse:

«Dobbiamo essere all'altezza di Canterbury. Da qui a Gravesend manca poco.Avremo tempo buono per tutta la notte.

Non c'è da temere un attacco per mareperché le flotte da guerra sitrovano sulla costa spagnola. Sarà una buona

traversata».

Deachina e sempre più pallidastringeva convulsamente tra le dita lastoffa della veste. Sospiròcon indicibile

pensierositàe mormorò:

«Capisco quello che sta accadendo. Io muoio».

Gwynplaine si alzòterribile. Ursus sostenne Dea.

«Morire! Tu morire! Nonon accadrà. Tu non puoi morire. Morire ora! Moriresubito! È impossibile. Dio non è feroce.

Restituirti e riprenderti nello stesso istante! No. Queste cose non si fanno.Vorrebbe dire che Dio esige che si dubiti di

lui. Vorrebbe dire che tutto è una trappolala terrail cielola culladei bambinil'allattamento delle madriil cuore

umanol'amorele stelle! Vorrebbe dire che Dio è un traditore e l'uomo unavittima! Vorrebbe dire che non c'è nulla!

Che dovremmo insultare la creazione! Che tutto è un abisso! Non sai ciò chediciDea! Tu vivrai. Esigo che tu viva. Mi

devi obbedire. Sono tuo marito e tuo signore. Ti proibisco di abbandonarmi.Ahcielo! Ahuomini miserabili! Nonon

può essere. Come potrei rimanere su questa terra dopo di te! È una cosatalmente orrenda che il sole sparirebbe. Dea

Dearinvieni. È un attimo d'angoscia che passerà. Capita a volte di averedei brividipoi non ci si pensa più. Ho

assolutamente bisogno che tu stia bene e che non soffra più. Tu morire! Macosa ti ho fatto? Solo a pensarciperdo la

ragione. Noi apparteniamo uno all'altroci amiamo. Non hai motivo diandartene. Sarebbe ingiusto. Ho commesso delle

colpe? Ma tu mi hai perdonato. Oh! Tu non puoi volere che io diventi undisperatouno scelleratoun furiosoun

dannato! Dea! Ti pregoti scongiuroti supplico a mani giuntenonmorire».Estringendosi i capelli tra le maniagonizzando dalla paurasoffocando per il piantole si gettò ai piedi.

«Caro Gwynplaine»disse Dea«non è colpa mia».

E le salì alle labbra un po' di schiuma rosache Ursus asciugò con unlembo della vestesenza che Gwynplaine

prosternatolo vedesse. Gwynplaine teneva i piedi di Deaabbracciandoliela implorava con un'infinità di parole

confuse.

«Ti dico che non voglio. Tu morire! Non ne ho la forza. Morire sìmainsieme. In nessun altro modo. Tu morireDea!

Non posso permetterlo. Mia divinità! Amore mio! Cerca di capire che sonoqui. Ti giuro che vivrai. Morire! Ma allora

tu non capisci che sarà di me dopo la tua morte. Se tu avessi un'idea delmio bisogno di non perdertivedresti che è del

tutto impossibileDea! Non ho che telo vedi. Ciò che mi è accaduto èstraordinario. Tu non immagini che in poche ore

ho attraversato una vita intera. Una cosa ho capitoche non c'era nulla. Tusolo tu esisti. Se tu non ci seil'universo non

ha più senso. Rimani. Abbi pietà di me. Dal momento che mi amivivi. Ti horitrovata per rimanere con te. Aspetta un

po'. Non si va via cosìquando si è insieme solo da qualche istante. Nonessere impaziente. Ah! Mio Dioquanto soffro!

Tu non ce l'hai con menon è vero? Tu capisci bene che non ho potuto farealtrimentiperché il wapentake era venuto a

cercarmi. Vedrai che tra poco respirerai meglio. Deatutto si è sistemato.Saremo felici. Non mi ridurre alla

disperazione. Dea! Non ti ho fatto niente».

Pronunciò queste parole singhiozzando. Vi si avvertiva un misto diabbattimento e di rivolta. Dal petto di Gwynplaine

usciva un gemito che avrebbe attirato le colombe e un ruggito che avrebbefatto indietreggiare i leoni.

Dea gli rispose con una voce sempre meno chiarafermandosi quasi ad ogniparola:

«Ahimè! È inutile. Amoreso che fai quello che puoi. Un'ora fa volevomorireora non vorrei più. Gwynplainemio

adorato Gwynplainecome siamo stati felici! Dio ti aveva messo nella miavitaegli mi sottrae alla tua. Eccome ne

vado. Ti ricorderai della Green-Boxnon è vero? E di Deadella poverapiccola cieca? Ti ricorderai della mia canzone?

Non dimenticare il suono della mia vocee come ti dicevo: Ti amo! Tornerò adirtelola nottequando dormirai. Ci

eravamo ritrovatima era troppo bello. Doveva finire subito. È certo chesarò io la prima a partire. Amo molto Ursus

mio padree mio fratello Homo. Siete buoni. Qui manca l'aria. Aprite lafinestra. Gwynplaine mionon te l'ho dettoma

una volta sono stata gelosa di una donna che è venuta. Tu non sai neppure dichi voglio parlare. Non è vero? Copritemi

le braccia. Ho un po' freddo. E Fibi? E Vinos? Dove sono? Si finisce conamare tutti. Si diventa amici di quelli che

hanno assistito alla nostra felicità. Si è loro grati di essere stati làmentre eravamo contenti. Perché tutto ciò è passato?

Non ho ben capito quello che è successo da due giorni a questa parte. Oramuoio. Lasciatemi nella mia veste. Poco fa

indossandolapensavo che sarebbe stata il mio sudario. Voglio tenerla. Cisono sopra i baci di Gwynplaine. Oh! Eppure

avrei voluto vivere ancora. Che vita affascinante la nostrain quella poveracapanna vagabonda! Si cantava. Udivo

battere le mani! Com'era bello non separarsi mai! Mi sembrava di vivere inuna nuvola insieme a voimi rendevo conto

di tutto. Benché ciecadistinguevo un giorno dall'altromi accorgevo cheera mattina perché sentivo Gwynplaine

riconoscevo la notte perché sognavo Gwynplaine. Mi sentivo avvolta dalla suaanima. Ci siamo dolcemente adorati.

Tutto ciò se ne vae non ci saranno più canzoni. Ahimè! Non è dunquepossibile vivere ancora? Tu mi penseraiamore

mio».

La sua voce si stava affievolendo. Il lugubre venir meno dell'agonia letoglieva il respiro. Piegava il pollice sotto le dita

segno che l'ultimo istante si avvicina. Sembrava che il balbettio dell'angelocominciasse a sorgere da quel dolce rantolo

di vergine.

Mormorò:

«Vi ricorderetenon è vero? Perché sarebbe ben triste morirese nessunosi ricordasse di me. Qualche volta sono stata

cattivavi chiedo perdono. Sono sicura che se il buon Dio lo avesse volutodal momento che non occupiamo molto

spaziosaremmo stati ancora feliciGwynplaine mioci saremmo guadagnati lavita e saremmo vissuti insieme in un

altro paese; ma il buon Dio non ha voluto. Non so davvero perché muoio. Nonmi lamentavo di essere ciecae non

offendevo nessuno. Non avrei chiesto di meglio che restare per sempre ciecaaccanto a te. Oh! Com'è triste andarsene!».

Le sue parole affannose si spegnevano una dopo l'altracome se qualcuno viavesse soffiato sopra. Non la si udiva quasi

più.

«Gwynplaine»continuò«tu penserai a menon è vero? Ne avrò bisognoquando sarò morta».

E aggiunse:

«Oh! Trattenetemi!».

Poidopo una pausa di silenziodisse:

«Vieni a raggiungermi più presto che potrai. Sarò molto infelice senza teanche con Dio. Non lasciarmi troppo a lungo

solamio dolce Gwynplaine! Qui c'era il paradiso. Lassùnon c'è che ilcielo. Ah! Soffoco! Amore mioamore mio

amore mio!».

«Pietà!» gridò Gwynplaine.

«Addio!»disse la fanciulla.

«Pietà!»ripeté Gwynplaine.

Ed egli incollò la bocca sulle mani belle e gelide di Dea.

E per un istante sembrò che ella non respirasse più.

Poi si alzò sui gomitiun lampo profondo le attraversò gli occhiesorrise in modo ineffabile. La sua voce risuonòviva.

«Luce!»gridò. «Io vedo».

E spirò.

Ricadde distesa e immobile sul materasso.«Morta!»disse Ursus.

E il poverovecchio buonuomocome crollando per la disperazionechinò latesta calva e nascose il volto

singhiozzandotra le pieghe della veste ai piedi di Dea. Rimase lìsvenuto.

Allora Gwynplaine si fece spaventoso.

Si alzò in piedilevò la testae scrutò l'immensa notte sopra di sé.

Poinon visto da nessunoo forse guardato in quelle tenebre daun'invisibile presenzatese le braccia verso le profondità

del cieloe disse:

«Vengo!».

E s'incamminò sul ponte verso il bordo della navecome attratto da unavisione.

A pochi passi c'era l'abisso.

Camminava lentamentenon guardava dove metteva i piedi.

Aveva lo stesso sorriso di Dea.

Camminava dritto davanti a sé. Sembrava che vedesse qualcosa. Aveva nellepupille una lucecome il riverbero di

un'anima scorta in lontananza.

Gridò: «Sì!».

Ad ogni passo si avvicinava al bordo.

Camminava rigidole braccia alzatela testa rovesciata all'indietrolosguardo fissocon movimenti da fantasma.

Avanzava senza fretta e senza esitazionecon una precisione fatalecome senon fosse stato vicino all'abisso spalancato

e alla tomba aperta.

Mormorava: «Stai tranquilla. Ti seguo. Vedo benissimo il cenno che mi fai».

Non smetteva mai di guardare un punto del cieloil più alto in tuttaquell'ombrasorrideva.

Il cielo era assolutamente nero. Non c'erano più stellema evidentementeegli ne vedeva una .

Attraversò il ponte.

Dopo alcuni passirigidi e sinistrigiunse all'estremità del bordo.

«VengoDea»disse«eccomi».

Continuò a camminare. Non c'era parapetto. Davanti a lui il vuoto. Vi miseun piede.

Cadde.

La notte era fitta e sordal'acqua era profonda. S'inabissò. Scomparve conuna cupa calma. Nessuno vide né udì nulla.

La nave continuò a navigare e il fiume a scorrere.

Poco dopo la nave entrò nell'oceano.

Quando Ursus rinvennenon vide più Gwynplainema scorse accanto al bordodella nave Homo che ululava

nell'oscuritàguardando il mare.