home page
pagina iniziale |
by |
|
L'UOMO CHE RIDE
Tutto è grande in Inghilterraanche ciò che non vaanche l'oligarchia.L'aristocrazia inglese è l'aristocrazia nel senso
assoluto della parola. Non c'è stata feudalità più nobilepiù terribilee più vivace. Ammettiamoloquesta feudalità ai
suoi tempi è stata utile. Se qualcuno vuole studiare il fenomeno dellaSignoriadeve studiarlo in Inghilterracosì come
studierà in Francia quello della Monarchia.
Questo libro dovrebbe intitolarsi L'aristocrazia. Il prossimo potrebbechiamarsi La monarchia. E se all'autore sarà
concesso di portare a termine il suo lavoroa questi due libri ne seguiràun terzo intitolato: Novantatre.
Hauteville-House1869.
PARTE PRIMA • IL MARE E LA NOTTE
DUE CAPITOLI PRELIMINARI
I • URSUS
I
Ursus e Homo erano legati da stretta amicizia. Ursus era un uomoHomo era unlupo. Le loro indoli erano ben assortite.
L'uomo aveva battezzato il lupo. È probabile che si fosse dato da sé ancheil proprio nome; se Ursus andava bene per
luiHomo sarebbe andato bene per la bestia. L'alleanza tra l'uomo eil lupo dava i suoi frutti nelle fieredurante le feste
delle parrocchieagli angoli delle strade dove fanno capannello i passantie dovunque la gente volesse ascoltare frottole
e comperare pastiglie miracolose. Quel lupo docileeducato e obbedientepiaceva alla folla. La sottomissione riscuote
successo. La nostra soddisfazione più grande consiste nel veder sfilare ognitipo possibile di esseri addomesticati. Per
questo c'è tanta gente al passaggio dei cortei reali.
Ursus e Homo passavano da un crocicchio a un altrodalle piazze pubbliche diAberystwith a quelle di Yeddburgpaese
dopo paesecontea dopo conteacittà dopo città. Sfruttato un mercato sitrasferivano in un altro. Ursus viveva in un
baracchino su ruote che Homoopportunamente addestratotrascinava duranteil giornomontandogli la guardia di
notte. Lungo le strade difficilinelle salitequando c'erano troppe buche etroppo fangol'uomo si passava la cinghia al
collo e tirava fraternamente fianco a fianco con il lupo. Così eranoinvecchiati insieme. Si accampavano dove capitava
in un terreno incoltoin una radurain un incrocio a zampa di gallinaall'entrata dei casolarialle porte di un paesino
dentro i mercatisui viali pubblicisul limitare dei parchi e persino suisagrati delle chiese. Quando la carretta si
fermava nel luogo dove c'era una fiera e le donnette accorrevano a boccaapertamentre i curiosi si mettevano in
cerchioUrsus arringavaHomo annuiva. Poi Homocon una ciotola di legno inboccafaceva educatamente la questua
tra i presenti. Dovevano guadagnarsi da vivere. Il lupo era istruito e l'uomopure. Il lupo era stato addestrato dall'uomo
o c'era arrivato da soloa certe gentilezze lupine che contribuivanoall'incasso. «E soprattutto non degenerare in uomo»
gli diceva il suo amico.
Il lupo non mordeva mail'uomo qualche volta. O quanto meno Ursus avrebbevoluto mordere. Ursus era un misantropo
che per sottolineare la sua misantropia era diventato ciarlatano. Lo eradiventato anche per vivereperché è lo stomaco a
dettare le condizioni. Inoltre quel ciarlatano misantropoo perché era unospirito contortoo per amore di completezza
era medico. Medico è troppo pocoUrsus era ventriloquo. Lo vedevano parlaresenza che la bocca si muovesse. Imitava
l'accento e la pronuncia del primo venuto così bene da trarre in ingannoerifaceva le voci in modo tale da far credere
che fossero vere. Da solo riproduceva il mormorio di una follameritandosiil titolo di engastrimita. Lo accettava.
Sapeva imitare tutti gli uccelli: il tordol'alzavolal'avocettadettaanche monachinail merlo dal petto biancotutti
viaggiatori come lui; così che in certi momentisecondo l'umorevi facevacredere di essere in una piazza affollata di
personeoppure in una prateria piena di animali; a volte era tempestoso comeuna moltitudinea volte ingenuo e sereno
come l'alba. D'altra parte simili talentiper quanto rariesistono. Nelsecolo scorso un certo Touzelin grado di imitare
un'intera babele di grida umane e bestiali contemporaneamentee capace diriprodurre il verso degli animaliviveva
presso Buffon in qualità di serraglio. Ursus era acutobizzarro e curiosoportato per quelle singolari spiegazioni che
chiamiamo favole. Dava l'impressione di crederci. In questo la sua maliziaera sfrontata. Leggere la manoaprire un
libro a caso e trarne auspiciindovinare il futuromettere in guardia dallegiumente nere e ancor più dal saluto di uno
sconosciuto mentre stiamo per partiretutto ciò per lui significava essere«un mercante di superstizioni». Era solito dire:
«Tra me e l'arcivescovo di Canterbury la differenza consiste nel fatto cheio non nego di essere quello che sono». Per
questo un giorno l'arcivescovogiustamente indignatolo mandò a chiamare;ma Ursusfurbodisarmò Sua Grazia
recitandogli un sermone che aveva composto sul santo giorno di Natale e chel'arcivescovoaffascinatoprima imparò a
memoriapoi declamò dal pulpito e infine pubblicò come proprio. CosìUrsus fu perdonato.Come medicoo forse proprio perché non lo eraUrsusriusciva a guarire. Usava le erbe aromatiche. Conosceva quelle
medicinali. Sapeva sfruttare le virtù profonde di un mucchio di piantedisprezzatequali il nocciolo pendulola frangola
biancail cespuglio di viburnola lantanal'alaternoil viburnoilprugno nero.
Curava la tisi con la ros solis; somministrava opportunamente fogliedi euforbia chestrappate in basso sono lassative
prese in alto sono emetiche; vi toglieva il mal di gola con l'escrescenzavegetale detta orecchio d'ebreo; distingueva il
giunco che guarisce il buedalla menta che serve per il cavallo; conoscevala bellezza e la bontà della mandragola che
come tutti sannoè maschio e femmina. Aveva delle ricette. Guariva labruciature con lana di salamandrala stessa di
cuisecondo Plinioera fatta una salvietta di Nerone. Ursus possedeva unastorta e un matraccio; compiva
trasmutazioni; vendeva panacee. Si raccontava che una voltaavendogli fattol'onore di scambiarlo per un pazzolo
avevano rinchiuso per un po' di tempo a Bedlamma che lo avevano poirilasciato quando si erano accorti che era solo
un poeta. Questa storia probabilmente non era vera; tutti noi andiamosoggetti a simili aneddoti.
La verità è che Ursus era un saggioun uomo raffinato e anche un vecchiopoeta latino. Apparteneva
contemporaneamente alla razza di Ippocrate e a quella di Pindaro. Avrebbepotuto gareggiare in eloquenza con Rapin e
con Vida. Nelle tragedie gesuitiche il suo successo non sarebbe statoinferiore a quello di Padre Bouhours.
L'originalità delle sue espressioni dense di metafore classichevenivadalla frequentazione dei venerabili ritmi e dei
metri degli scrittori antichi. Di una madre preceduta dalla due figliediceva: è un dattilodi un padre seguito da due figli:
è un anapestoe di un bambino che camminava tra il nonno e la nonna: èun anfimacro. Tanta scienza non poteva
portare che alla fame. La scuola di Salerno dice: «Mangiate poco e spesso».Ursusobbedendo alla prima metà della
massima ma disobbedendo alla secondamangiava poco e di rado; la colpa eradel pubblicoincostante e restio a
spendere. Ursus diceva: «Sputare sentenze rende leggeri. Il lupo si consolaululandoil montone si consola con la lana
la foresta con il passerottola donna con l'amore e il filosofo con gliepifonemi». Per vendere i suoi intrugli Ursus
quando ce n'era bisognoinventava delle commedie che poiin qualche modorecitava. Aveva composto tra l'altro una
pastorale eroica in onore del cavaliere Hugh Middleton chenel 1608avevaportato a Londra un corso d'acqua. Questo
fiume se ne stava tranquillo nella contea di Hartforda sessanta miglia daLondra; il cavaliere Middleton andò e se lo
prese; portò con sé una brigata di seicento uomini armati di pale e dizappe e si mise a smuovere la terraora scavandola
ora ammassandolaa volte per venti piedi d'altezzaaltre per trenta diprofonditàe fece sospendere nell'aria acquedotti
di legnogettò qua e là ottocento ponti di pietradi mattonidi assifinché un bel mattino il fiume entrò a Londrache
mancava d'acqua. Ursus trasfigurò tutti questi banali dettagli in una bellabucolica tra il fiume Tamigi e l'affluente
Serpentine; il Tamigi la invitava offrendole il suo lettoe le diceva:«Sono troppo vecchio ormai per piacere alle donne
ma sono abbastanza ricco per poterle pagare». Una sottigliezza galante perdire che sir Hugh Middleton aveva fatto tutti
quei lavori a proprie spese.
Ursus eccelleva nel soliloquio. Temperamento selvatico ma chiacchieronenondesiderando vedere nessunosentiva
però il bisogno di parlareperciò aveva finito col parlare a se stesso.Chiunque abbia vissuto da solo conosce la perfetta
naturalezza del soliloquio. La parola interiore prude. Arringare lo spazio èuno sfogo. Parlare da soli a voce alta è come
parlare con il dio che abbiamo dentro di noi. Così faceva Socratelosappiamo bene. Anche Lutero si teneva delle
prediche. Ursus apparteneva alla schiera di questi grandi uomini. Aveva iltalento ermafrodita di essere il proprio
uditorio. Si faceva delle domande e rispondeva; si esaltava e poi si coprivad'insulti. Fin sulla strada lo sentivano parlare
dentro il baracchino. La genteche ha un modo tutto particolare diapprezzare gli uomini di valorediceva: è un idiota.
Qualche volta s'ingiuriavalo abbiamo dettoma c'erano anche momenti in cuisapeva rendersi giustizia. Un giorno
durante uno di quei discorsi che teneva a se stessolo sentirono esclamare:«Ho studiato i vegetali in tutti i loro misteri
nello stelonella gemmanel sepalonel petalonello stamenel carpellonell'ovulonell'asconello sporangio e
nell'apotecio. Ho approfondito la cromatologial'osmologia e la chimologiacioè l'origine del coloredell'odore e del
sapore». Nell'attestato che Ursus rilasciava a Ursus c'era senza dubbio unpo' di frivolezzama getti la prima pietra solo
chi non ha approfondito la cromatologial'osmologia e la chimologia.
Ursus per fortuna non era mai stato nei Paesi Bassi. Lì certamente loavrebbero pesato per sapere se il suo peso era
superiore o inferiore a quello di un uomo normalee se non fosse per casouno stregone. In Olanda il peso giusto era
fissato saggiamente dalla legge. Niente di più semplice e ingegnoso. Sitrattava di un accertamento. Vi mettevano su un
piatto e se rompevate l'equilibrioera fatta: troppo pesanteviimpiccavano; troppo leggerovi bruciavano. Ancor oggi a
Oudewater si può vedere la bilancia che serviva per pesare gli stregonimaoraahimèla usano per pesare i formaggi
tanto è scesa in basso la religione! Ursus se la sarebbe certamente vistabrutta con quella bilancia. Ma durante i suoi
viaggi si tenne lontano dall'Olandae fece bene. D'altra parte crediamo chenon abbia mai lasciato la Gran Bretagna.
Comunquepoverissimo e intrattabile com'eradopo che aveva incontrato Homoin un bosco si era scoperto la voglia di
vivere alla ventura. Aveva preso il lupo in società e se n'era andato conlui per le stradeall'aria apertavivendo la vita
grande di chi si affida alla sorte. Ursus era furbo e sapeva cavarsela conespedientie poi era un maestro nel curare
operareguarire e nel fare cose sorprendenti; lo consideravano sia un buonsaltimbanco che un buon medico;
naturalmente poi passava anche per mago; solo un po'non troppoperché aquei tempi non era consigliabile essere
creduti amici del diavolo. A dir la verità la passione per i farmaci el'amore per le piante mettevano Ursus in una
situazione pericolosavisto che spesso andava a raccogliere erbe in certemacchie selvagge dove ci sono le insalate di
Lucifero e dove si rischiacome è capitato al consigliere De l'Ancrediincontrare nella nebbia della sera un uomo che
esce da terra - cieco dall'occhio destrosenza mantellola spada al fiancoa piedi nudi e scalzo -. Ursusdel restoper
quanto bizzarri fossero il suo comportamento e il suo carattereera troppogalantuomo per attirare o respingere la
grandinematerializzare delle apparizionitormentare un uomo a morte senzafarlo smettere di ballareispirare sognilieti o viceversa spaventosamentetristie far nascere galli con quattro ali; nonon era capace di similicattiverie. Non
era uomo da cose indegne. Comeper esempioparlare in tedescoin ebraico oin grecosenza aver studiato queste
linguesegno di esecrabile scelleratezza o di malattia causata da un umoremelanconico. Se Ursus parlava in latino era
solo perché lo sapeva. Mai avrebbe parlato il siriaco ignorandolo;oltretutto è accertato che il siriaco è la lingua usata
nei sabba. In medicina preferiva giustamente Galeno a Cardano cheper quantosaggiorispetto a Galeno è solo un vaso
di coccio.
InsommaUrsus non era un tipo tenuto d'occhio dalla polizia. Il baracchinoera lungo e largo a sufficienza perché egli
potesse coricarsi sulla cassapanca dove stavano i suoi poco sontuosi panni.Possedeva una lanternauna quantità di
parrucche e diversi utensili appesi ai chioditra cui alcuni strumentimusicali. Inoltre era proprietario di una pelle d'orso
che si metteva addosso nei giorni delle grandi recite; lo chiamava mettersiin costume. Diceva: «Io di pelli ne ho due;
questa è quella vera»e mostrava la pelle d'orso. Quel trabiccolo suruote era suo e del lupo. Oltre alla carrettaalla
storta e al lupoaveva un flauto e una viola da gamba che suonavagradevolmente. Si faceva da sé i propri elisir.
Qualche volta dal suo estro ricavava una cena. Nel soffitto dello stanzinoc'era un buco con il tubo di una stufa di ghisa
così vicina alla cassapanca da bruciacchiarne il legno. La stufa aveva duescomparti; in uno egli metteva a cuocere
l'alchimianell'altro le patate. Di notte il lupo dormiva sotto la carrettaamichevolmente incatenato. Ho mo era di pelo
neroUrsus di pelo grigio; Ursus aveva cinquant'annisempre che non neavesse sessanta. Accettava il destino a tal
punto checome abbiamo vistomangiava patateimmondizia che allora si davain pasto solo ai porci e ai forzati. Le
mangiava con rassegnata indignazione. Non era altoera lungo. Era curvo emelanconico. La figura china del vecchio è
l'oppressione della vita. La natura lo aveva voluto triste. Difficilmentesorridevae non era mai stato capace di piangere.
Gli mancavano la consolazione delle lacrime e il sollievo della gioia. Ilvecchio è una rovina che pensa; Ursus era quella
rovina. La loquacità del ciarlatanola magrezza del profetal'irascibilità di una mina caricaquesto era Ursus. Da
giovane aveva vissuto come filosofo presso un lord. Ciò accadeva centottantaanni faquando gli uomini erano un po'
più lupi di oggi.
Solo un po'.
II
Homo non era un lupo qualsiasi. A giudicare dal suo appetito di nespole e dimele lo si sarebbe detto un lupo di prateria
per via del pelo scuro un licaonedall'ululato che mitigava in latrati sipoteva scambiare per un cane selvatico; ma la
pupilla del cane selvatico non è stata ancora studiata a fondonon tanto daessere sicuri che non si tratti di una volpe
mentre Homo era un lupo autentico. Era lungo cinque piediche è una bellamisura anche per un lupo della Lituania;
inoltre era molto forte e avevasenza colpalo sguardo obliquo; la sualinguache qualche volta leccava Ursusera
morbida; lungo la spina dorsale aveva una stretta spazzola di peli corti. Lasua magrezza era quella vigorosa della
foresta. Prima di conoscere Ursus e di dover trascinare una carrettasifaceva allegramente fino a quaranta leghe per
notte. Ursusche lo aveva incontrato in una boscaglia vicino a un ruscellod'acqua sorgivalo aveva subito ammirato per
il modo ingegnoso e prudente con cui pescava i gamberisalutando in luil'autentico e genuino lupo Kouparadetto cane
pescatore.
Come bestia da soma Ursus preferiva Homo a un asino. Stimava troppo gli asiniper far loro tirare la carrettagli
avrebbe ripugnato. Inoltre aveva notato che l'asinoincompreso sognatore aquattro zampedrizza a volte le orecchie in
modo inquietante se sente che un filosofo dice delle sciocchezze. Èimbarazzantema nella vita l'asino fa da terzo
incomodo tra noi e quello che pensiamo. Come amicopoiUrsus preferiva Homoa un canegiudicandolo più fedele.
Per questo Homo bastava a Ursus. Homo era più che un compagno per Ursuseraun suo pari. Ursus gli batteva la mano
sui fianchi scarnidicendo: «Ho trovato la mia anima gemella».
Diceva anche: «Alla mia mortese vorrete conoscerminon dovrete fare altroche studiare Homo. Ve lo lascerò come
mia copia conforme».
La legge inglesepoco tenera con gli animali dei boschiavrebbe potutocreare dei fastidi al lupocavillando sulla sua
abitudine temeraria di entrare e uscire dalle città; ma Homo godevadell'immunità che Edoardo IV aveva concesso per
statuto agli animali domestici: «Ogni animale al seguito del suo padronepotrà andare e venire liberamente». Si era
arrivati inoltre a una certa tolleranza verso i lupi da quando le dame dicortesotto gli ultimi Stuarttenevano come cani
delle piccole volpi tartare alla modadette adivesgrandi comegattiche si facevano venire dall'Asia a caro prezzo.
Ursus aveva trasmesso a Homo alcuni suoi talenti: tenersi in piediridurrela collera a cattivo umorebrontolare invece
di ulularee così via; ma anche il lupo aveva insegnato all'uomo quello chesapeva: fare a meno di un tettodel panedel
fuocoe preferire la fame in un bosco alla schiavitù in un palazzo.
Il baracchinouna sorta di capanna ambulante chesenza lasciarel'Inghilterra e la Scoziaaveva battuto tutte le strade
disponeva di quattro ruotedue stanghe per il lupo e un bilancino perl'uomo. Il bilancino era l'espediente per le strade
mal messe. Il baracchino era solidoper quanto fosse fatto di assi leggerecome una colombaia. Sul davanti aveva una
porta a vetri con un balconcino per le arringhetribuna e cattedra al tempostessodietro c'era una porta massiccia con
un finestrino. Per entrare nel baracchinoche di notte era accuratamentechiuso con catenacci e serraturesi abbassava
una predella a tre gradinifissata alla porta con finestrino per mezzo diuna cerniera. Lì sopra doveva aver piovuto e
nevicato parecchio. Se un tempo il baracchino era dipintoil colore ormaiera irriconoscibile; il succedersi delle stagioni
è per le carrette un po' come il succedersi dei regni per i cortigiani. Suldavantiall'esternosopra un'asse messa comefrontoneuna volta era possibiledecifrare questa scritta in caratteri neri su fondo biancocaratteri che a pocoa poco si
erano mischiati e confusi: «A causa dello strofinio l'oro perde ogni anno lamillequattrocentesima parte del suo volume;
lo chiamano il "calo"; ne consegue che sui millequattrocentomilionid'oro che in un anno circolano nel mondouno va
perso. Quest'unico milione finisce in polvereprende il volofluttuadiventa atomolo possiamo respirarecarica le
coscienzele dosale zavorra appesantendole e si confonde con l'anima deiricchi che rende superbie con l'anima dei
poveri che rende feroci».
La scrittatoltacancellata dalla pioggia e da una provvidenza benignaerafortunatamente illeggibilealtrimenti questa
filosofialimpida e enigmaticadifficilmente sarebbe piaciuta a sceriffiprevostimarescialli e simili parrucconi della
legge.
A quei tempi il diritto inglese non scherzava affatto. Bastava poco peressere traditori. I magis trati si mostravano
spietati per tradizionee la crudeltà era la norma. I giudicid'inquisizione pullulavano. Jeffrys aveva lasciato degli eredi.
III
Dentro il baracchino c'erano altre due scritte. Sopra la cassapancasullaparete di assi imbiancata a calceuna mano
aveva scritto con l'inchiostro:
UNICHE COSE IMPORTANTI DA CONOSCERE
- Il barone pari d'Inghilterra porta un tortiglio con sei perle.
- La corona inizia dal visconte.
- Il visconte porta una corona con innumerevoli perleil conte una corona diperle su punte intrecciate con foglie di
fragola poste più in basso; le perle e le foglie del marchese sono allastessa altezza; il duca ha i fioroni ma non le perle;
il duca reale ha un cerchio di croci e di gigli; il principe di Galles inveceuna corona simile a quella del rema non
chiusa.
- Il duca è principe altissimo e potentissimo; il marchese e il contesono signore nobilissimo e potente; il visconte è
signore nobile e potente; il baronevero signore.
- Il duca è grazia; gli altri pari sono signoria.
- I lords sono inviolabili.
- I pari sono camera e corteconcilium et curialegislatura egiustizia.
- Most honourable è più di right honourable.
- La qualifica dei lords pari è «lords di diritto»; i lords non pari sono«lords di cortesia»; solo i pari sono lords.
- Il lord non giura mainé al rené in giudizio. È sufficiente la suaparola. Egli dice: sul mio onore.
- I comuniche rappresentano il popoloconvocati davanti ai lordssipresentano umilmente a capo scopertomentre i
pari restano a capo coperto.
- Quaranta membri dei comuni presentano ai lords i progetti di leggeaccompagnandoli con tre profondi inchini.
- I lords inviano ai comuni i loro progetti di legge per mano di un semplicescritturale.
- In caso di conflitto le due camere conferiscono nella camera dipintaipari seduti e a capo copertoi comuni in piedi e
a capo scoperto.
- In virtù di una legge di Edoardo VIi lords godono del privilegio diomicidio singolo. Un lord che uccida solo un
uomo non è perseguibile.
- I baroni hanno lo stesso rango dei vescovi.
- Per essere un barone pari bisogna dipendere dal re per baroniam integramper una baronia intera.
- Una baronia intera si compone di tredici feudi nobili e un quartoessendoogni feudo nobile valutato venti sterline
cioè quattrocento marchi.
- Il capo della baroniacaput baroniaeè un castello rettoereditariamente come l'Inghilterra stessa; vale a dire non può
essere trasmesso in linea femminile che in mancanza di eredi maschie inquesto caso passa alla figlia maggiore
coeteris filiabus aliunde satisfactis.
- I baroni hanno la qualifica di lorddal sassone laforddallatino classico dominus e dal basso latino lordus.
- I primogeniti e i secondogeniti dei visconti e dei baroni sono i primiscudieri del regno.
- I primogeniti dei pari hanno la precedenza sui cavalieri dellaGiarrettiera; i secondogeniti no.
- Il primogenito di un visconte viene dopo tutti i baroni e prima deibaronetti.
- Ogni figlia di lord è lady. Le altre ragazze inglesi sono miss.
- Qualsiasi giudice è inferiore a un pari. Il sergente ha una cappa in pelled'agnello; il giudice ne ha una di minutaglia
variade minuto variocomposta di pelliccette bianche di ogni tipofuorché d'ermellino. L'ermellino è riservato ai pari e
al re.
- Non si può concedere il supplicavit contro un lord.
- Un lord non può essere imprigionato. Tranne nei casi che prevedono laTorre di Londra.
- Un lord ospite del re ha il diritto di uccidere uno o due daini nel parcoreale.
- Il lord tiene nel suo castello corte di barone.
- È indegno di un lord camminare per le strade indossando un mantello eseguito da due soli lacché. Egli non può
mostrarsi che con un gran seguito di gentiluomini.- I pari si recano inparlamento formando un corteo di carrozze; i comuni no. Qualche pari va aWestminster in calesse
scoperto a quattro ruote. Solo ai lords è permesso avere questi calessi equeste carrozze blasonate e coronateciò fa
parte della loro dignità.
- Un lord può essere condannato a pagare delle ammende solo da altri lordse mai per più di cinque scellinieccetto il
duca che può pagarne fino a dieci.
- Un lord può tenere presso di sé sei stranieri. Ogni altro inglese nonpuò ospitarne che quattro.
- Un lord può possedere otto botti di vino senza pagare tasse.
- Solo il lord è esentato dal presentarsi davanti allo sceriffo dellacircoscrizione.
- Un lord non può essere tassato per la milizia.
- Se un lord lo desidera può arruolare un reggimento e farne dono al re;così fanno le loro grazie il duca di Atholil duca
di Hamilton e il duca di Northumberland.
- Il lord non dipende che dai lords.
- Se tra i giudici di un processo civile non c'è almeno un cavaliereillord può chiedere il rinvio della causa.
- Spetta al lord nominare i suoi cappellani.
- Un barone nomina tre cappellani; un viscontequattro; un conte e unmarchesecinque; un ducasei.
- Il lord non può essere messo alla torturaneppure per motivi di altotradimento.
- Il lord non può essere bollato sulla mano.
- Il lord è dottoanche se non sa leggere. Lo è di diritto.
- Un duca si fa accompagnare con un baldacchino dovunque non ci sia il re; unvisconte ha un baldacchino in casa; un
barone ha il coperchio d'assaggio e mentre beve se lo fa tenere sotto lacoppa; in presenza di una viscontessa una
baronessa ha il diritto di farsi reggere lo strascico da un uomo.
- Ottantasei lords o primogeniti di lordspresiedono alle ottantasei tavoledi cinquecento coperti ciascunaimbandite
ogni giorno in onore di sua maestà nel suo palazzoa spese della regioneche attornia la residenza reale.
- Un plebeo che colpisce un lord ha il pugno mozzato.
- Il lord è quasi re.
- Il lord è quasi Dio.
- La terra è una lordship.
- Gli inglesi chiamano Dio mylord.
Di fronte a questa scritta ce n'era un'altra del medesimo tenoreeccola:
SODDISFAZIONI CHE DEVONO BASTARE
A QUELLI CHE NON HANNO NIENTE
- Henry Auverquerqueconte di Granthamche siede alla camera dei lords trail conte di Jersey e il conte di Greenwich
possiede una rendita di centomila sterline. È suo il palazzoGrantham-Terracetutto costruito in marmo e famoso per
quello che chiamano il labirinto dei corridoiun vero capriccio che contieneil corridoio carnato in marmo di Sarancolin
il corridoio bruno in lumachella di Astracanil corridoio bianco in marmo diLaniil corridoio nero in marmo
d'Alabandail corridoio grigio in marmo di Staremmail corridoio giallo inmarmo di Hesseil corridoio verde in
marmo del Tiroloil corridoio rosso metà in screziato di Boemia e metà inlumachella di Cardonail corridoio blu in
turchino di Genovail corridoio viola in granito di Catalognail corridoioluttovenato di bianco e di neroin scisto di
Murviedroil corridoio rosa in cipollino delle Alpiil corridoio perla inlumachella di Nonettee il corridoio di tutti i
coloridetto corridoio cortigianoin breccia arlecchina.
- Richard Lowthervisconte Lonsdalepossiede Lowthernel Westmorelanddall'accesso sfarzosocon una scalinata
che è un invito per i re ad entrare.
- Richardconte di Scarboroughvisconte e barone di Lumleyvisconte diWaterford in Irlandalord-luogotenente e
vice-ammiraglio della contea di Northumberland e di Durhamcittà e conteapossiede la doppia castellania di Stansted
quella antica e quella modernadove si ammira la superba cancellata asemicerchio che circonda una vasca
dall'incomparabile getto d'acqua. Inoltre possiede un castello a Lumley.
- Robert Darcyconte di Holdernesspossiede il dominio di Holdernesscontorri baronali e sconfinati giardini alla
francese dove passeggia sulla sua carrozza a sei cavallipreceduto da duescudiericome si conviene a un pari
d'Inghilterra.
- Charles Beauclerkduca di Saint-Albansconte di BurfordbaroneHeddingtongran falconiere d'Inghilterrapossiede
un palazzo a Windsorvicino a quello del ree non meno regale.
- Charles Bodvillelord Robartesbarone Trurovisconte BodmynpossiedeWimple a Cambridgeformato da tre
palazzi con tre frontoniuno a arco e due triangolari. Il viale d'ingressoè fiancheggiato da quattro file d'alberi.
- Il nobilissimo e potentissimo lord Philippe Herbertvisconte di Caërdifconte di Montgomericonte di Pembroke
signore e pari inesorabile di CandallMarmionSaint-Quentine Churlandcuratore delle miniere di stagno nelle contee
di Cornovaglia e di Davonvisitatore per diritto ereditario del collegio diGesùpossiede il meraviglioso giardino di
Willtoncon le due vasche a fasci d'acquapiù belle di quelle che ilcristianissimo re Luigi quattordicesimo aveva a
Versailles.- Charles Seymourduca di Somersetpossiede Somerset-House sulTamigiche eguaglia villa Pamphili a Roma.
Notevoli sull'imponente camino i due vasi di porcellana della dinastia Yuenche valgono mezzo milione di franchi
francesi.
- Nello YorkshireArthurlord Ingramvisconte IrwinpossiedeTemple-Newshamdove si entra per un arco di trionfo
e dove gli ampi tetti piatti fanno pensare alle terrazze moresche.
- Robertlord Ferrers di ChartleyBourchier e Lovainepossiede nelLeicestershireStauton Haroldcon un parco a
pianta geometrica che raffigura un tempio con frontone; gli appartiene anchela grande chiesa dal campanile quadrato
davanti allo specchio d'acqua.
- Nella contea di NorthamptonCharles Spencerconte di Sunderlandmembrodel consiglio privato di sua maestà
possiede Althropa cui si accede per una cancellata a quattro pilastrisormontati da gruppi marmorei.
- Laurence Hydeconte di Rochesterpossiede nel SurreyNew-Parkesplendida per il suo acroterio scolpitoper il
cerchio di tappeto erboso coronato d'alberiper le sue foreste che sullosfondo mostrano una montagnola arrotondata ad
arte e sormontata da una grande quercia visibile da lontano.
- Philippe Stanhopeconte di Chesterfieldpossiede Bredbynel Derbyshirecon un superbo padiglione dell'orologio
falconierivivaibellissimi laghetti allungatiquadratiovalie traquesti uno a forma di specchiocon due zampilli
altissimi.
- Lord Cornwallisbarone di Eyepossiede Brome-Hallun palazzo delquattordicesimo secolo.
- Il nobilissimo Algernon Capelvisconte Maldenconte d'EssexpossiedeCashiobury nell'Hersfordshireun castello a
forma di grande Hdove si tengono partite di caccia molto ricche diselvaggina.
- Charleslord Ossulstonepossiede Dawlynel Middlesexa cui si arrivaattraverso giardini all'italiana.
- James Cecillconte di Salisburya sette leghe da LondrapossiedeHartfield-Housecon quattro padiglioni nobiliarila
torre campanaria al centro e la corte d'onorelastricata in bianco e nerocome quella di Saint-Germain. Il palazzoche ha
una facciata di duecentosettantadue piediè stato costruito sotto Giacomo Idal gran tesoriere d'Inghilterrabisavolo del
conte che regna attualmente. Vi si può vedere il letto di una contessa diSalisburydi valore inestimabileinteramente
fatto con quel legno brasiliano che è una panacea contro i morsi deiserpentie che viene chiamato milhombrescioè
mille uomini. Sul letto è scritto a lettere d'oro: Honni soit qui maly pense.
- Edward Richconte di Warwick e Hollandpossiede Warwich-Castlenei suoicamini vengono bruciate querce intere.
- Nella parrocchia di Seven-OaksCharles Sackvillebarone Buckhurstvisconte Cranfieldconte di Dorset e
Middlesexpossiede Knowlegrande come una cittàcomposta di tre palazziallineati uno dietro l'altro come schiere di
fanticon dieci pigne in scala sulla facciata principalee una porta sottoil maschio a quattro torri.
- Thomas Thynnevisconte Weymouthbarone Varminsterpossiede Long-Leateche ha quasi tanti caminilucernari
chioschigarittepadiglioni e torrette quanti ne ha Chambord in Franciache è proprietà del re.
- Henry Howardconte di Suffolkpossiedea dodici leghe da Londrailpalazzo di Audlyene nel Middlesexche per
grandezza e maestosità è di poco inferiore all'Escorial del re di Spagna.
- Nel BedforshireWrest-House-and-Parkche è piuttosto un paese chiuso dafossati e da muragliecon boschicorsi
d'acqua e collineappartiene a Henrimarchese di Kent.
- Hampton-Courtnell'Herefordcol possente maschio merlato e un giardinodelimitato da uno specchio d'acqua che lo
separa dalla forestaè di Thomaslord Coningsby.
- Grimsthorfnel Lincolnshirecon la lunga facciata tagliata dalle altetorrette a palocon i parchigli stagnile
fagianaiegli ovilile radure erbosei filari di alberile passeggiatele fustaiele aiuole ricamate di fioria quadretti e a
losanghe come grandi tappetile praterie per le corsee la maestosaspianata circolare dove le carrozze fanno carosello
prima di entrare a palazzoappartiene a Robertconte Lindsaylordereditario della foresta di Walham.
- Up Parkenel Sussexcastello quadrato con due padiglioni simmetrici etorre campanaria ai due lati della corte
d'onoreappartiene all'onorevolissimo Fordlord Greyvisconte Glendale econte di Tankarville.
- Newnham Padoxnel Warwickshirecon due vivai quadrangolari e una pigna aquattro comparti di vetroappartiene al
conte di Denbighche è conte di Rheinfelden in Germania.
- Wythamenella contea di Berkcon il giardino francese dove ci sonoquattro pergolati ben potati e una grande torre
merlata affiancata da due alti bastioni di guerraappartiene a lord Montagueconte d'Abingdonche è padrone e barone
anche di Rycottdovesulla porta principale c'è scritto: Virtus arietefortior.
- William Cavendishduca di Devonshirepossiede sei castellie tra questiChatsworthsu due piani del più bell'ordine
grecoe inoltre sua grazia possiede il palazzo di Londradove c'è un leoneche volta il dorso al palazzo del re.
- Il visconte Kinalmeakyconte di Cork in Irlandapossiede Burlington-Housein Piccadillycon vasti giardini che si
estendono fino ai campi fuori Londrapossiede inoltre Chiswick dove ci sononove splendidi edificie infine
Londesbourghuna costruzione recente accanto a un antico palazzo.
- Il duca di Beaufort possiede Chelseacomposta da due castelli gotici e unofiorentino; possiede anche Badmington nel
Glocesterche è una residenza da dove un nugolo di viali si irradia come dauna stella. Il nobilissimo e potente principe
Enricoduca di Beaufortè al tempo stesso marchese e conte di Worcesterbarone Raglanbarone Power e barone
Herbert di Chepstow.
- John Hollesduca di Newcastle e marchese di Clarepossiede Bolsovercheha un maestoso maschio quadratoe
Haughton nel Nottinghamdove al centro di una vasca c'è una piramide conicaa imitazione della torre di Babele.- Williamlord Cravenbarone Craven diHampsteadpossiede nello Warwickshire la residenza di Comb -Abbeydove
si può vedere il più bel getto d'acqua d'Inghilterrae nel Berkshire duebaronieHampstead Marshallcon le cinque
lanterne gotiche incastonate nella facciatae Asdowne Parkcastello inmezzo a un crocevia di strade dentro una foresta.
- Lord Linnoeus Clancharliebarone Clancharlie e Hunkervillemarchese diCorleone in Siciliadeve il suo titolo di
pari al castello di Clancharlieedificato nel 914 da Edoardo il vecchiocontro i danesie inoltre possiede il palazzo di
Hunkerville-House a Londrae l'altro di Corleone-Lodge a Windsore ottocastellanieuna a Bruxtonsul Trentcon un
diritto sulle cave d'alabastroe poi GumdraithHombleMoricambeTrenwardraithHell-Kerterscon il suo pozzo
meravigliosoPillinmorecon le sue torbiereReculver vicino all'anticacittà di VagnacoeVinecaunton sulla montagna
Moil-enlli; e ancora diciannove borghi e villaggi con i loro balivie tuttoquanto il paese di Pensneth-chase; queste
proprietà fruttano a sua signoria quarantamila sterline di rendita.
- I centosettantadue pari che regnano sotto Giacomo II godonocomplessivamente di una rendita di un milione e
duecentosettantaduemila sterline all'annopari all'undicesima parte delleentrate inglesi.
Di fianco all'ultimo nomequello di lord Linnoeus Clancharliesi leggevanoqueste parole scritte da Ursus:
«Ribelle; in esilio; benicastelli e proprietà sotto sequestro. Ben fatto».
IV
Ursus ammirava Homo. Si ammira chi ci è vicino. Per forza.
Sempre in preda a una sorda colleraesteriormente Ursus si limitava abrontolare. Ursus rappresentava lo scontento
della creazione. Il suo ruolo naturale era di opporsi. Prendeva l'universodalla parte sbagliata. Non dava soddisfazione a
niente e a nessuno. Le api facevano il mielema ciò non toglieva chepungesseroe il sole era responsabile della febbre
gialla e del vomito nero anche se faceva fiorire le rose. Non è escluso chenell'intimità Ursus rivolgesse molte critiche
anche a Dio. Diceva: «Il diavolo va a mollae Dioevidentementehalasciato andare lo scatto». Approvava solo i
principi e aveva un suo modo particolare di applaudirli. Un giornomentreGiacomo II donava una lampada d'oro
massiccio alla Vergine di una cappella cattolica irlandeseUrsusche stavapassando di là in compagnia di Homopiù
indifferente che maiscoppiò in grida di ammirazione davanti a tutti: «Èproprio vero che la santa Vergine ha bisogno di
una lampada d'oro più di quanto questi bambini a piedi nudi non abbianobisogno di scarpe».
Furono probabilmente simili prove di - lealtà -e l'indiscusso rispetto peril potere costituitoche indussero i magistrati a
tollerare i suoi vagabondaggi e quello strano connubio con un lupo. Qualchevolta di seracon debolezza d'amico
permetteva che Homo girasse senza catena intorno alla carretta per stirarsiun po' le membra; il lupoincapace di
abusare della fiduciasi comportava - in società -cioè tra gli uominicon la discrezione di un cane barbone; tuttavia
Ursusnel timore d'incontrare qualche giudice di cattivo umoreteneva ilbuon lupo incatenato il più a lungo possibile.
Dal punto di vista politico il cartello sull'oroormai indecifrabile ecomunque poco comprensibilenon era altro che uno
scarabocchio ornamentaleche certo non poteva metterlo nei guai. Anche dopoGiacomo IIsotto il regno - rispettabile -
di Guglielmo e Mariai piccoli centri delle contee inglesi potevanoassistere al placido vagabondaggio della sua
carretta. Si spostava liberamente da un capo all'altro della Gran Bretagnasmerciando filtri e boccetteconfezionando
con la complicità del lupoi suoi intrugli di medico da strapazzo; sapevadestreggiarsi poi tra le maglie della rete che la
poliziain quel tempotendeva in tutta l'Inghilterra per setacciare lebande dei nomadi e soprattutto per cogliere al varco
i «comprachicos».
D'altra parte era giusto. Ursus non apparteneva ad alcuna banda. Ursus vivevacon Ursus; a tu per tu con se stesso e con
il muso di un lupo cheeducatamentefaceva capolino. Ursus avrebbe volutoessere una creatura dei Caraibi; in
mancanza d'altro viveva da solo. Il solitario è un piccolo selvaggioaccettato dalla civiltà. Ma se si va alla venturasi è
ancora più soli. Da qui la sua continua irrequietezza. Fermarsi da qualcheparte era per lui un segno di cedimento.
Vivere era andar oltre. La vista delle città raddoppiava il suo desiderio dicespugliboscagliespine e anfratti rocciosi.
La sua casa era la foresta. Non si sentiva poi così spaesato nel mormoriodelle piazzetanto simile allo stormire degli
alberi. La folla soddisfa in qualche misura il gusto per il deserto. Glidispiaceva che porta e finestre facessero del
baracchino una casa. Il suo ideale sarebbe stata una caverna su quattroruotepoter viaggiare in un antro.
Non sorridevacome abbiamo dettoma sapeva ridere; a volte anche spesso; unriso amaro. Il sorriso sembra quasi
accondiscenderementre non di rado ridere significa rifiutare.
Odiare il genere umano era affar suo. E in questo odio era implacabile.Avendo capito che la vita umana è una faccenda
atroceavendo notato che le disgrazie crescono una sull'altrai re sulpopolola guerra sui rela peste sulla guerrala
fame sulla pestee la stupidità su tutto; avendo costatato che il solofatto di esistere comporta una certa dose di castigo
riconosceva nella morte una liberazione e per questoquando gli portavano unmalatolo guariva. Aveva cordiali e
pozioni per allungare la vita ai vecchi. Rimetteva in piedi gli storpimotteggiandoli: «Eccoti sulle zampe. Ti auguro di
camminare a lungo in questa valle di lacrime!». Quando vedeva un povero chestava morendo di famegli dava tutte le
monete che aveva in tascabrontolando: «Vivimiserabile! Mangia! Campa alungo! Non sarò certo io ad abbreviarti la
galera». Dopo di chefregandosi le manidiceva: «Faccio agli uomini tuttoil male che posso».
I passanti potevano leggere attraverso una fessura nella finestrella sulretro del baracchino: URSUS FILOSOFOscritto
con il carbone a grandi lettere sul soffittoe visibile anche da fuori.
II • I COMPRACHICOSI
Chi si ricorda più della parola comprachicos? E chi ne conosce ilsignificato?
I comprachicoso comprapequeñoserano una raccapricciante e strana settadi nomadifamosa nel diciassettesimo
secolodimenticata nel diciottesimoignorata oggi. I comp rachicoscome«il farmaco delle successioni»sono un
dettaglio caratteristico della società antica. Sono un tratto della costantebassezza umana. Dal punto di vista generale
della storiai comprachicos riguardano l'interminabile capitolo dellaschiavitù. Giuseppe venduto dai fratelli è un
momento di questa leggenda. I comprachicos hanno lasciato una traccia nellelegislazioni penali spagnole e inglesi. Qua
e lànell'oscura confusione delle leggi inglesisi trova ancora l'improntadi questo fatto mostruosocome quella di un
selvaggio nella foresta.
Comprachicoscome comprapequeñosè una parola composta spagnolachesignifica «mercanti di bambini».
I comprachicos commerciavano in bambini.
Li compravano e li vendevano.
Non li rapivano. Il furto dei bambini è una specialità diversa.
Cosa ne facevano?
Dei mostri.
Perché?
Per far ridere.
Il popolo ha bisogno di rideree anche i re. Ai crocevia i saltimbanchinelle corti i buffoni. Uno si chiama Turlupin
l'altro Triboulet.
Gli sforzi che l'uomo fa per procurarsi un po' di gioia qualche volta sonodegni dell'attenzione del filosofo.
Cosa vogliamo abbozzare in queste poche pagine preliminari? Un capitolo delpiù tremendo dei libriquello che
potrebbe intitolarsi: Sfruttamento dei disgraziati da parte dei fortunati.
II
È un fatto che c'erano bambini destinati a essere giocattoli per gli adulti.(Ci sono ancor oggi.) Nelle epoche primitive e
feroci ciò costituisce un'attività particolare. Il secolo diciassettesimodetto il grande secolofu una di quelle epoche. Un
secolo davvero bizantino; conobbe l'ingenuità corrotta e la delicataferociacuriose varianti della civiltà. Una tigre che
fa boccuccia. Le moine di una Madame de Sévigné davanti al rogo e allaruota. Questo secolo sfruttò molto i bambini;
gli storiciadulandolohanno nascosto la piagama non il rimedio: Vincentde Paul.
Per fare un uomo giocattolo bisogna prenderlo per tempo. Si diventa nani dapiccoli. Godevano dell'infanzia. Ma un
bambino diritto non è molto divertente. Un gobbo fa più allegria.
Da qui tutta un'arte. C'erano degli allevatori. Di un uomo facevano unaborto; prendevano un volto e lo trasformavano
in grugno. Comprimevano la crescitamodellavano la fisionomia. La produzioneartificiale di esemplari teratologici
comportava regole precise. Era una scienza in tutto e per tutto. Bastaimmaginare un'ortopedia al contrario. Dove Dio ha
voluto lo sguardoquest'arte metteva lo strabismo. Dove Dio ha volutol'armoniametteva la deformità. Dove Dio ha
voluto la perfezioneristabiliva l'abbozzo. Ma agli occhi di quelli che sene intendevano la vera perfezione era
l'abbozzo. C'erano anche riparazioni sostanziali degli animali; si creavanocavalli pezzatiTurenne ne montava uno.
D'altra parteai giorni nostrinon si dipingono i cani di blu o di verde?La natura è il nostro canovaccio. L'uomo ha
sempre voluto aggiungere qualcosa a Dio. L'uomo ritocca la creazionea voltebenea volte male. Il buffone di corte
non era altro che il tentativo di riportare l'uomo alla scimmia. Progressoall'indietro. Capolavoro a ritroso. Ma nello
stesso tempo si voleva fare della scimmia un uomo. Barbeduchessa diCleveland e contessa di Southamptonteneva
come paggio un cebo. In casa di Françoise Suttonbaronessa Dudleyottavapari al banco dei baroniil tè era servito da
un babbuino in broccato d'oroche lady Dudley chiamava «il mio negro».Catherine Sidleycontessa di Dorchester
andava alle sedute del parlamento con una carrozza blasonataseguita da trebabbuini in gran livrea chemuso al vento
si tenevano ritti. Una duchessa di Medina-Coelialla cui toeletta presenziòil cardinale Polussi faceva infilare le calze
da un orango. Le scimmie assurte controbilanciavano gli uomini brutalmenteridotti a bestie. Questa promiscuità
dell'uomo con l'animalevoluta dai potentiera particolarmente evidente trail nano e il cane. Il nano non lasciava mai il
canesempre più grande di lui. Il cane era il doppio del nano. Erano duecollane appaiate. Un'infinità di documenti
famigliari attesta l'accoppiamentoin particolare il ritratto di JeffreyHudsonnano di Enrichetta di Franciafiglia di
Enrico IVmoglie di Carlo I.
Per degradare l'uomo lo si deve deformare. Si completava la sua degradazionesfigurandolo. C'erano in quel tempo dei
vivisettori bravissimi nel cancellare dal volto umano il sembiante divino. Ildottor Conquestmembro del collegio
d'Amen-Street e ispettore giurato delle botteghe chimiche di Londrahascritto un libro in latino su questa chirurgia alla
rovesciaspiegandone i procedimenti. Secondo Justus de Carrick-Fergusl'inventore di questo tipo di chirurgia sarebbe
un monaco chiamato Aven-Moreparola irlandese che significa Grande fiume .
Nei sotterranei di Heidelberg c'è ancora la riproduzione - o lo spettro - diPerkeoil nano dell'elettore del Palatinatoche
esce da una scatola a sorpresaesemplare notevole delle moltepliciapplicazioni di quella scienza.
Essa generava delle creature che obbedivano a una legge terribilmentesemplice: potevano soffriredovevano divertire.III
La fabbrica dei mostri produceva su vasta scala e riguardava diversi generi.
Ne occorrevano al sultanone occorrevano al papa. Al primo per sorvegliarele moglial secondo per recitare le sue
preghiere. Questo genere speciale di creature non poteva riprodursi da solo.Queste approssimazioni umane servivano al
piacere e alla religione. Serraglio e cappella Sistina consumavano lo stessotipo di mostriqui ferocilà soavi.
A quei tempi producevano cose che oggi non sappiamo più fareci manca illoro talentoe hanno ragione gli spiriti più
nobili che gridano alla decadenza. Si è persa l'arte di scolpire in pienacarne umanaciò dipende dal fatto che è in
declino anche l'arte dei supplizi; in questo genere una volta c'era delvirtuosismoora non più; lo abbiamo talmente
semplificato che forse è destinato a scomparire del tutto. E che esperienzeche scoperte tagliando le membra a uomini
viviaprendo loro il ventrestrappandogli le viscere; dobbiamo rinunciarviprivandoci del progresso che il boia faceva
fare alla chirurgia.
Ma la vivisezione di un tempo non si limitava a confezionare spettacoli perla piazza e buffoni per i palazziquesta
specie di caricature del cortigianoo eunuchi per papi e sultani. Essa nonlesinava varianti. Uno dei suoi trionfi
consisteva nel fare un gallo per il re d'Inghilterra.
Era consuetudine che nel palazzo del re d'Inghilterra ci fosse una specie diuomo notturno che cantava come un gallo.
Questo guardianoin piedi mentre tutti dormivanosi aggirava per il palazzolanciandoallo scoccare di ogni orail suo
verso da cortilee lo ripeteva tutte le volte che avrebbe dovuto suonare lacampana. Per essere promosso gallo
quest'uomo aveva subito da bambino un'operazione alla faringeoperazionedescritta nel trattato del dottor Conquest.
Sotto Carlo IIpoiché la duchessa di Portsmouth era rimasta disgustatadall'eccesso di salivacausato da una di quelle
operazionisi conservò la funzione per non diminuire il prestigio dellacoronama si fece fare il verso del gallo a un
uomo non mutilato. Di solito per l'onore di assolvere questo impegno venivascelto un ufficiale anziano. Sotto Giacomo
IIil funzionario si chiamava William Sampson Galloe ogni anno per il suocanto riceveva nove sterlinedue scellini e
sei soldi.
Ancora cento anni fa a Pietroburgocome racconta Caterina II nelle suememoriequando lo zar e la zarina erano
insoddisfatti di un principe russoquesti veniva fatto accovacciare nellagrande anticamera del palazzodove lo
lasciavano in quella posizione per un certo numero di giorni equando glieloordinavanodoveva miagolare come un
gattochiocciare come una gallina che cova e beccare per terra il cibo.
Sono mode tramontatemeno di quanto si credaperò. Oggiad esempioicortigiani per rendersi gradevoli chiocciano
modificando un po' l'intonazione. Più d'uno raccatta da terraper non direnel fangociò che mangia.
È una gran fortuna che i re non possano sbagliarsi. Così le lorocontraddizioni non creano mai imbarazzo. Dicendo
sempre di sìsi può essere sicuri di aver comunque ragionee questa èuna cosa che fa piacere. Luigi XIV non avrebbe
tollerato a Versailles un ufficiale che facesse il galloné un principe chefacesse il tacchino. Ciò che esaltava la dignità
reale e imperiale in Inghilterra e in Russiasarebbe sembrato a Luigi ilGrande incompatibile con la corona di San
Luigi. È ben noto il suo disappunto quando una notte Madame Henriette ebbela sventatezza di sognare una gallina
indecenza non da poco per una persona della corte. Chi sta in alto non devesognare cose basse. Bossuetè noto
condivise l'indignazione di Luigi XIV.
IV
Nel diciassettesimo secolocome abbiamo spiegatoil commercio dei bambinisi era trasformato in un'industria. I
comprachicos erano quelli che facevano questo commercio e esercitavano questaindustria. Compravano i bambini
lavoravano un po' la materia prima e poi la rivendevano.
C'erano diversi tipi di fornitoridal padre snaturato che si liberava dellapropria famigliaal padrone che sfruttava il suo
allevamento di schiavi. Niente di più semplice che vendere uomini. C'è chiai giorni nostrisi è battuto per conservare
questo diritto. Ricordiamoci che meno di un secolo fa l'elettore di Hessevendeva i suoi sudditi al re d'Inghilterrache
aveva bisogno di uomini da far uccidere in America. Si andava dall'elettoredi Hesse come si va dal macellaioper
acquistare della carne. Quella dell'elettore di Hesse era carne da cannone.Il principe appendeva i suoi sudditi nella
bottega. Fate delle offerteè tutto in vendita. In InghilterrasottoJeffrydopo la tragica avventura di Monmouthmolti
signori e gentiluomini furono decapitati e squartati; quei disgraziatilasciarono spose e figlievedove e orfane che
Giacomo II donò alla regina sua moglie. La regina le vendette a William Penn.È probabile che il re ne ricavasse una
rendita e una percentuale. Ma quello che stupisce non è che Giacomo II abbiavenduto quelle donnequanto il fatto che
William Penn le abbia acquistate.
L'acquisto di Penn si scusao meglio si spiegase pensiamo chedovendoseminare a uomini un desertoaveva bisogno
di donne. Le donne facevano parte della sua attrezzatura. Quelle signorefurono un buon affare per sua maestà graziosa
la regina. Le giovani furono vendute a caro prezzo. È solo con il disagiosuscitato da uno scandalo intricato che
immaginiamo Penn mentre compra a buon mercato delle vecchie duchesse.
I comprachicos si chiamavano anche «cheylas»parola indù che significa cacciatoridi bambini.Per molto tempo i comprachicos si nascosero solo per modo didire. C'è nell'ordine sociale come una penombra
indulgente verso le industrie della scelleratezzaed esse ne approfittano.Ai giorni nostri il bandito Ramon Selle
comandò dal 1834 al 1866 una associazione di quel genereterrorizzando pertrent'anni tre province: ValenciaAlicante
e Murcie.
Sotto gli Stuart i comprachicos non erano mal visti a corte. La ragion distatoal momento opportunose ne serviva. Per
Giacomo II furono quasi un instrumentum regni. Era l'epoca in cui sistroncavano le famiglie divenute ingombranti e
riottoseo distruggendone la discendenza o sopprimendone con la forza glieredi. Qualche volta si defraudava un ramo a
favore di un altro. I comprachicos possedevano quel talento di sfigurare cheli raccomandava alla politica. Sfigurare è
meglio che uccidere. C'era la maschera di ferroma è un mezzo troppogrossolano. Non si può riempire l'Europa di
maschere di ferroquando è così plausibile che ci siano per stradagiocolieri deformi; inoltre la maschera di ferro si può
strapparequella di carneno. Niente di più ingegnoso che fare del vostroviso una maschera eterna. I comprachicos
lavoravano l'uomo come i cinesi lavorano l'albero. Avevano dei segretil'abbiamo detto. Dei trucchi. Un'arte perduta.
Dalle loro mani usciva qualcosa di rattrappito e bizzarro. Un abisso diridicolo. Ritoccavano un bambino con tanta
abilità che il padre non l'avrebbe riconosciuto. Et que méconnaîtraitl'oeil même de son pèreha detto Racine con un
errore di francese. Qualche volta lasciavano la spina dorsale dirittamarifacevano la faccia. Falsificavano un bambino
come si falsifica la cifra su un fazzoletto.
I prodotti destinati ai saltimbanchi avevano le articolazioni slogate alpunto giusto. Si potrebbe dire che erano disossati.
Ne avevano fatto dei ginnasti.
I comprachicos toglievano al bambino non solo il suo voltoma anche lamemoria. Per quanto almeno era possibile. Il
bambino non era cosciente della mutilazione subita. Quell'orribile chirurgiasegnava la faccianon lo spirito. Al
massimo poteva ricordare che un giorno degli uomini lo avevano presopoi chesi era addormentatoe che in seguito lo
avevano guarito. Guarito da cosa? Lo ignorava. Non ricordava le scottaturedello zolfo e le incisioni del ferro. Durante
l'operazione i comprachicos assopivano il piccolo paziente con una polverestupefacenteche si credeva fosse magica e
toglieva il dolore. In Cina la conoscono da sempre e la usano ancor oggi. Icinesi ci hanno preceduto in tutte le
invenzionidalla stampa all'artiglieriadall'aerostatica al cloroformio.Solo che mentre in Europa le scoperte
attecchiscono subito e si sviluppano in modo prodigioso e meravigliosoinCina restano allo stato di embrioni e si
conservano morte. La Cina è un barattolo di feti.
Dal momento che siamo in Cinarestiamoci ancora per un dettaglio. In tuttele epoche i cinesi hanno progredito nell'arte
di modellare l'uomo vivo. Si prende un bambino di due o tre anni e lo simette in un vaso di porcellana di forma più o
meno curiosasenza coperchio e senza fondoper farvi passare la testa e ipiedi. Di giorno si tiene il vaso dirittodi
notte lo si corica affinché il bambino possa dormire. In questo modo ilbambino ingrassa senza crescereriempiendo di
carne compressa e di ossa contorte le cavità del vaso. Questa crescita inbottiglia dura per anni. A un certo punto è
definitiva. Quando si giudica che tutto è pronto e che il mostro èriuscitosi rompe il vasone esce il bambino ed ecco
ottenuto l'uomo a forma di vaso.
È comodosi può ordinare in anticipo il nano con la forma desiderata.
V
Giacomo II tollerò i comprachicos per la buona ragione che se ne serviva.Capitò più di una volta. Non si può sempre
rifiutare ciò che si disprezza. Questa attività volgareeccellentestrumento a volte per quella nobile attività che è la
politicaera lasciata di proposito in uno stato miserabilema senza essereperseguitata. Nessuna sorveglianzasolo una
certa attenzione. Poteva essere utile. La legge chiudeva un occhioil reapriva l'altro.
A volte il re si spingeva fino a confessare la sua complicità. Questa èl'audacia del terrorismo monarchico. Lo sfigurato
era marcato con un giglio; gli toglievano l'impronta di Dio per sostituirlacon quella del re. Jacob Astleycavaliere e
baronettosignore di Meltonconestabile nella contea di Norfolkebbe nellasua famiglia un bambino vendutol'addetto
alla vendita aveva impresso a fuoco sulla fronte del bambino un giglio.Questo mezzo era usato perché in certi casiper
svariati motivisi rendeva necessario accertare la volontà reale nellanuova situazione del bambino. L'Inghilterra ci ha
sempre fatto l'onore di utilizzare il giglio per questi scopi particolari.
I comprachicoscon la sfumatura che distingue l'industria dal fanatismoerano paragonabili agli strangolatori indiani;
vivevano tra loroin bandesi camuffavano da giocoliericosì circolavanopiù liberamente. Si accampavano qua e là
cupireligiosinon avevano niente in comune con gli altri nomadinonrubavano mai. Per molto tempo il popolo li ha
confusi a torto con i mori di Spagna e di Cina. Ma i mori spagnoli eranofalsariquelli cinesi borsaioli. Niente a che fare
con i comprachicos. Erano gente onesta. Pensatene quello che volete. A volteerano sinceramente scrupolosi. Aprivano
la portaentravanotrattavano il prezzo del bambinopagavano e se loportavano via. Era tutto corretto.
Venivano da ogni paese. Sotto il nome di comprachicos fraternizzavanoinglesifrancesicastiglianitedeschi e italiani.
Uno stesso pensieroun'unica idea fissal'esercitare una comune attivitàportano a simili fusioni. In questa confraternita
di delinquentii levantini rappresentavano l'Orientei ponentinil'Occidente. Baschi e irlandesi parlavano tra di lorosi
capivano perché derivano dallo stesso dialetto punico; per non dire deilegami intimi tra l'Irlanda cattolica e la cattolica
Spagna. Legami che hanno finito per far impiccare a Londra un quasi red'Irlandail lord gallese di Branydando
origine alla contea di Letrim.I comprachicos erano più un'associazione cheuna tribù di nomadipiù feccia che associazione. Erano i rifiuti
dell'universo impegnati nel crimine. Una specie di popolo arlecchino fatto ditutti gli stracci. Un nuovo affiliato era un
brandello che si aggiungeva.
Vagabondare era la legge di vita dei comprachicos. Apparivano e scomparivano.Chi è appena sopportato non mette
radici. Anche nei regni dove rifornivano le corti ein caso di necessitàerano utili al potere realevenivano
improvvisamente maltrattati. I re si servivano della loro arte e poimettevano gli artisti in galera. Incongruenze del
volubile capriccio reale. Fa parte del nostro piacere.
Pietra che rotola e commercio che si spostanon fanno muschio. Icomprachicos erano poveri. Avrebbero potuto
ripetere quello che diceva una vecchia strega cenciosa vedendo accendersi latorcia del rogo: «Il gioco non vale la
candela». Può darsianzi è molto probabileche i loro capirimastisconosciutii grandi affaristi di questo commercio di
bambinifossero ricchi. Ma dopo due secoli sarebbe difficile far luce suquesto punto.
Si trattavacome abbiamo dettodi un'affiliazione. Con le sue leggigiuramenti e formule. Si può quasi dire che avesse
la propria cabala. Chi oggi volesse saperne di più sui comprachicosnondovrebbe far altro che andare in Biscaglia e in
Galizia. Poiché tra loro c'erano molti baschila leggenda dei comprachicossopravvive su quelle montagne. Si dice che
ce ne siano ancora a Oyarzuna Urbistondoa Lesoa Astigarraga. Aguardateniñoque voy a llamar al comprachicos
è in quei paesi il grido delle madri per spaventare i bambini.
I comprachicoscome gli zigani e i gypsiessi davano degliappuntamenti; ogni tanto i capi si trovavano a consiglio. Nel
diciassettesimo secolo avevano quattro punti d'incontro principali. Uno inSpagnail passo di Pancorbo; uno in
Germaniala radura detta della Donna cattivavicino a Diekirchdoveci sono due enigmatici bassorilievi che
rappresentano una donna con testa e un uomo senza; uno in Francial'alturadove c'era la colossale statua Massue-la-Promesse
nell'antico bosco sacro di Borvo-Tomonavicino a Bourbonne-les-Bains; uno inInghilterradietro il muro
del giardino di William Chalonerscudiero di Gisbrough in Cleveland nelloYorktra la torre quadrata e la facciata in
cui si apriva una porta ogivale.
VI
Le leggi contro il vagabondaggio sono sempre state molto severe inInghilterra. Nella propria legislazione gotica
l'Inghilterra sembrava ispirarsi al principio: Homo errans fera errantepejor. Uno dei suoi statuti speciali definisce
l'uomo senza fissa dimora «più pericoloso dell'aspidedel dragodellalince e del basilisco» (atrocior aspidedracone
lynce et basilisco). Per molto tempo l'Inghilterra si è preoccupata allostesso modo degli zingaridi cui si voleva
sbarazzaree dei lupidi cui si era liberata.
Tuttavia la legge inglese tollerava sia il lupo docile e addomesticatocomeabbiamo vistodivenuto in qualche modo un
canesia il vagabondo ufficiale divenuto un suddito. Non dava noie né alsaltimbanconé al barbiere ambulantené al
mediconé ai commercianti al minutoné ai filosofi all'apertodato cheesercitavano un mestiere per vivere. Al di fuori
di ciòe tranne queste eccezionialla legge faceva paura lo spirito dilibertà che si nasconde nel vagabondo. Ogni
viandante poteva essere un nemico pubblico. Ignoravano l'espressione moderna«andare a spasso»non conoscevano
che quella antica: «vagabondare». «Un brutto ceffo»quel non so checapito da tutti e che nessuno saprebbe definire
era sufficiente alla società per far prendere un uomo per il collo. Doveabiti? Cosa fai? E se non sapeva rispondere lo
attendevano dure pene. Il ferro e il fuoco erano previsti dal codice. Lalegge praticava la cauterizzazione del
vagabondaggio.
Per questo in tutto il territorio inglese si applicava una vera «legge deisospetti»che riguardava i vagabondimalfattori
abitualiammettiamolo puree in modo particolare gli zingarila cuiespulsione è stata a torto paragonata a quella degli
ebrei e dei mori dalla Spagnao dei protestanti dalla Francia. Quanto a noinon confondiamo una battuta di caccia con
una persecuzione. È bene insistere sul fatto che i comprachicos non avevanoniente in comune con gli zingari. Gli
zingari erano una nazione; i comprachicos un miscuglio di tutte le nazioni;feccial'abbiamo dettoscolo orribile di
acque immonde. I comprachicos non avevanocome gli zingariun loro idioma;avevano un gergo fatto di idiomi
diversi; tutte le lingue mescolate insieme facevano la loro lingua: un caos.Avevano finito per diventarecome gli
zingariun popolo serpeggiante tra i popoli; ma ciò che li teneva insiemeera l'affiliazionenon la razza. In qualsiasi
epoca storica si può osservare nella vasta massa liquida dell'umanitàcomedei ruscelli d'uomini velenosi che scorrono a
parteinquinando ciò che li circonda. Gli zingari erano una famiglia; icomprachicos una frammassoneriauna
massoneria senza nobili finitranne quello di un odioso commercio. Ultimadifferenza: la religione. Gli zingari erano
paganii comprachicos cristiani; anzibuoni cristianicome giusto per unasetta cheper quanto composta da un
miscuglio di popoliera nata in Spagnapaese devoto.
Erano più cattolici che cristianipiù romani che cattolici; ed erano cosìsuscettibili nella fedee così puriche rifiutarono
di associarsi ai nomadi ungheresi del comitato di Pesthguidati e comandatida un vecchio che aveva come scettro un
bastone dal pomo d'argentosormontato dall'aquila bicipite austriaca. Èvero però che questi ungheresi erano scismatici
al punto di celebrare l'Assunzione il 27 agostocosa veramente abominevole.
In Inghilterrafinché regnarono gli Stuartsla setta dei comprachicosperi motivi che abbiamo suggeritofu quasi
protetta. Giacomo IIuomo pioche perseguitò gli ebrei e braccò glizingarifu un buon principe per i comprachicos.
Abbiamo visto il perché. I comprachicos compravano la derrata umana che ilre mercanteggiava. Erano maestri nel far
sparire le persone. La ragion di stato esige talvolta qualche sparizione.Prendevano un erede importuno ancora piccolo elo manipolavano fino a cancellareil suo aspetto. Ciò facilitava le confische. Ne risultavano agevolati ipassaggi di
signorie ai favoriti. Inoltre i comprachicos erano discretissimi e taciturnisi impegnavano al silenzio e mantenevano la
parola datacosa necessaria nelle faccende di stato. Non era quasi possibilericordare un loro tradimento ai danni del re.
Era nel loro interessequesto è veroperché se il re avesse perso lafiduciaavrebbero corso seri pericoli. Dal punto di
vista politico costituivano dunque una risorsa. Per non dire dei cantori chequesti artisti fornivano al Santo padre.
Contribuivano al miserere dell'Allegri. Erano particolarmente devoti aMaria. Ciò faceva piacere al papismo degli
Stuart. Giacomo II non poteva essere ostile a uomini così religiosi daspingere la loro devozione alla Vergine fino a
creare eunuchi. Nel 1668 ci fu un cambiamento di dinastia in Inghilterra.Casa Orange soppiantò casa Stuart. Guglielmo
III prese il posto di Giacomo II.
Giacomo II morì in esilio; sulla sua tomba avvennero dei miracolie le suereliquie guarirono la fistola del vescovo
d'Autunricompensa davvero degna delle virtù cristiane di questo principe.
Guglielmoche non aveva le stesse idee di Giacomoné era dedito allestesse pratiche religiosesi comportò duramente
con i comprachicos. Ci mise molta buona volontà per schiacciare questacanaglia.
Un'ordinanza dei primi tempi di Guglielmo e Mariacolpì seriamente la settadei mercanti di bambini. Fu una mazzata
per i comprachicosormai annientati. L'ordinanza prevedeva che gli uomini diquesta settauna volta presi e
riconosciuti colpevolidovevano essere marchiati a fuoco su una spalla conla R di rogueche significa furfante; sulla
mano sinistra con la T di thiefche significa ladro; e sulla manodestra con la M di man slayche significa assassino. I
capi «in presunzione di ricchezza anche se d'aspetto miserabile» sarebberostati condannati al collistrigiumcioè alla
gognamarchiati in fronte con una Pe avrebbero avuto i beni confiscati egli alberi dei loro boschi sradicati. Coloro che
non avessero denunciato i comprachicossarebbero stati «puniti con laconfisca e la prigione a vita»come per il reato
di misprision. Quanto alle donne trovate tra i comprachicosavrebberosubito il cucking stooluna piccola gabbia
chiamata così dalla parola francese coquine e da quella tedesca sthulcioè la «sedia delle p...». Questa punizionegrazie
alla straordinaria longevità della legislazione ingleseesiste ancorae lalegge la riserva alle «donne attaccabrighe». Il
cucking stool viene sospeso sopra un torrente o uno stagnovi si fasedere dentro la donnae si lascia cadere la sedia
nell'acquapoi la si tira fuorie per tre volte si ripete questo tuffodella donna «al fine di rinfrescare la sua collera»
come recita il commentatore Chamberlayne.
LIBRO PRIMO • LA NOTTE MENO NERA DELL'UOMO
I • LA PUNTA SUD DI PORTLAND
Per tutto il dicembre del 1689 e il gennaio del 1690 un accanito vento ditramontana soffiò senza tregua da nord sul
continente europeoe in modo ancora più inclemente sull'Inghilterra. Da quiil freddo rovinoso di quell'inverno chesui
margini della vecchia bibbia della cappella presbiteriana dei Non Jurors diLondrafu ricordato come «memorabile per i
poveri». Ancor oggigrazie alla provvidenziale solidità dell'anticapergamena monarchica utilizzata per i registri
ufficialipossiamo leggere in molte raccolte locali lunghi elenchi dimiserabili trovati morti di fame e di freddo
soprattutto nei registri ecclesiastici della Clink Liberty Court del borgo diSouthwarkdella Pie Powder Courtche
significa Corte dei piedi impolveratie della White Chapel Courtretta nelvillaggio di Stapney dal balivo del signore. Il
Tamigi gelòcosa che non capita nemmeno una volta per secolo perchédifficilmente si può formare il ghiaccioa causa
del movimento del mare. I carri passavano sull'acqua gelata; il Tamigi siriempì di fierecon le tendei combattimenti
degli orsi e dei tori; un bue intero fu arrostito sul ghiaccio. Il ghiacciocosì spesso durò per due mesi. Quel penoso 1690
superò in rigore perfino i famosi inverni dell'inizio del diciassettesimosecolocosì minuziosamente osservati dal dottor
Gédéon Delaunche la città di Londra ha voluto onorarein qualità dispeziale di re Giacomo Icon un busto su
piedistallo.
Una seraverso la fine di una delle più gelide giornate di quel gennaio1690in una delle tante insenature inospitali del
golfo di Portland stava accadendo qualcosa di strano che faceva gridare evolteggiare all'entrata dell'insenatura i
gabbiani e i delfiniche non osavano rientrare.
Un piccolo bastimentograzie alle acque profonde di quella radache era lapiù pericolosa di tutto il golfo quando
governavano certi venti (e dunque la più solitariautile per la suainaccessibilità alle navi che si nascondevano)aveva
attraccato quasi sulla scoglieragettando il cavo attorno a uno spuntone diroccia. A torto diciamo che cade la notte
dovremmo dire che la notte saleperché l'oscurità viene dalla terra. Eragià notte ai piedi della scoglierama in alto
faceva ancora giorno. Chi si fosse avvicinato al bastimento ormeggiato loavrebbe subito riconosciuto per un'orca di
Biscaglia.
Il solenascosto tutto il giorno dalle nebbieera appena tramontato. Sicominciava ad avvertire quell'angoscia nera e
profonda che si potrebbe chiamare ansia del sole assente.
Dal mare non veniva ventocosì l'acqua della rada era calma.
Soprattutto d'inverno era una fortunata eccezione. Queste rade di Portlandsono quasi tutte porticcioli sabbiosi. Durante
le mareggiate le acque si scatenano e ci vogliono un'abilità e una praticanon indifferenti per riuscire a passare. Non
sono veri porti e risultano inaffidabili. È da temerari entrarvieterribile venirne fuori. Quella sera invece
miracolosamentenon c'erano pericoli.L'orca di Biscaglia è un vecchiomodello di navecaduto in disuso. L'orcache ha servito anche nella marinamilitare
era uno scafo robustodelle dimensioni di un battello e della solidità diuna nave. Faceva parte dell'Armada; a dire il
vero l'orca da guerra raggiungeva grandi tonnellaggicome la Grand Griffonl'ammiraglia comandata da Lope de
Médinache stazzava seicentocinquanta tonnellate e portava quarantacannonimentre l'orca mercantile e quella da
contrabbando avevano una struttura molto più leggera. La gente di maredisprezzava questi ultimi modelli. Il cordame
dell'orca era fatto di canapa intrecciataqualche volta con l'anima in fildi ferro (ciò starebbe a indicare l'intenzione
certo non scientificadi ottenere indicazioni nei casi di tensionemagnetica); la leggerezza di questa attrezzatura non
escludeva l'esistenza delle grandi gomene da faticale cabrias dellegalere spagnole e i cameli delle triremi romane. La
barra del timonelunghissimapresentava il vantaggio di una grande levamal'inconveniente di un piccolo arco di
sforzo; due piccoli arganiposti nei due incavi all'estremità della sbarracorreggevano il difetto e rimediavano un po'
alla perdita di forza. La bussolaben sistemata nell'abitacolo perfettamentequadratostava in giusto equilibrio sulle due
sospensioni di ramemesse orizzontalmente una dentro l'altra per mezzo dipiccoli perni come nelle lampade di
Cardano. Dietro la costruzione dell'orca c'era una scienza raffinatama sitrattava pur sempre di una scienza rozza e di
una raffinatezza barbara. L'orca era primitiva come la chiatta e la pirogastabile come la prima e veloce come la
secondae teneva egregiamente il mare come tutte le imbarcazioni natedall'esperienza dei pirati e dei pescatori. Andava
bene nelle acque chiuse e in quelle aperte; grazie a un particolare gioco divelecomplicato dai cavi prodieripoteva
permettersi il piccolo cabotaggio nelle baie chiuse delle Asturieche sonoquasi dei bacinicome Pasagese la
navigazione d'alto mare: insommail giro di un lago e il giro del mondo.Erano imbarcazioni davvero singolari
destinate in egual misura allo stagno e alla tempesta. Quello che lacutrettola è tra gli uccellil'orca lo era tra le
imbarcazionientrambe piccolissime e audaci; la cutrettolaappoggiata a unramolo piega appenama quando spicca il
volo attraversa l'oceano.
Anche le più povere delle orche di Biscaglia erano dorate e dipinte. Iltatuaggio è un talento di quelle popolazioni
affascinanti e un po' selvagge. Il sublime contrasto delle loro montagnescreziate di nevi e di pratiha svelato a quegli
uomini il difficile prestigio delle decorazioni. Essi sono poveri e munifici;mettono stemmi sulle capannepossiedono
grandi asini adorni di sonagliere e giganteschi buoi coronati di penne; a dueleghe si sente il cigolio delle ruote dei loro
carricesellati e infiocchettati. Sulla porta di un ciabattino c'è unbassorilievosi tratta di San Crispino con una ciabatta
ma è di pietra. Gallonano le loro vesti di pellenon si limitano a ricuciregli straccili ricamano. Spensieratezza superba
e profonda. I baschicome i grecisono figli del sole. Se il valenciano siavvolgenudo e tristenella sua coperta di lana
rossiccia con un buco per far passare la testagli abitanti della Galizia edella Biscaglia si godono le loro belle camicie
di tela bianche di rugiada. Sulle soglie delle case e dalle finestre siaffacciano volti sani e doratiridenti sotto ghirlande
di granturco. Una serenità gioviale e fiera prorompe nelle loro sempliciartinelle industrienei costuminegli abiti delle
fanciullenelle canzoni. In Biscaglia la montagnaquesto maso colossaleèluminosissima; da ogni breccia entrano e
escono raggi di sole. Il selvaggio Jaïzquivel è pieno d'idilli. LaBiscaglia è la grazia dei Pireneicome la Savoia è la
grazia delle Alpi. Le temibili baie di Leso e Fontarabieattigue aSaint-Sébastiensanno unire alle tormenteai nembi
alle schiume alte sui promontoriai furori del vento e dei marosiall'orroreal fragorele battelliere cinte di rose. Chi ha
visto la regione basca vuole rivederla. È una terra benedetta. Due raccoltiall'annovillaggi di un'allegria vocianteuna
povertà orgogliosale domeniche rumorose piene di chitarreballinacchereamorie poi case pulite e luminosee le
cicogne nei campanili.
Torniamo a Portlandaspra montagna di mare.
La penisola di Portlandin proiezione geometricasembra una testa d'uccellocon il becco rivolto verso l'oceano e la
nuca verso Weymouth; l'istmo è il collo.
Oggi Portlandcon grave danno per la sua natura selvaggiaè una localitàindustriale. Le coste di Portland sono state
scoperte verso la metà del diciottesimo secolo dai cavapietre e daigessaioli. Da allora con la roccia di Portland si fa il
cosiddetto cemento romanoun utile sfruttamento che arricchisce il paesesfigurando la baia. Duecento anni fa le coste
erano diroccate come una scoglieraoggi sono diroccate come una cava; imorsi del piccone sono piccoliquelli
dell'onda sono grandi; da qui una diminuzione della bellezza. Lo sperperomagnifico dell'oceano ha ceduto il passo al
taglio metodico dell'uomo. Questo taglio ha cancellato la rada dove eraormeggiata l'orca di Biscaglia. Per ritrovare
qualche ricordo del piccolo ormeggio distruttobisognerebbe cercarlo lungola costa orientale della penisolaverso la
puntaoltre Folly-Pier e Dirdle -Pieral di là perfino di Wakehamtra lalocalità detta Church-Hop e quella detta
Southwell.
La radachiusa da ogni lato da scarpate alte più di quanto non fosse largaera ad ogni istante sempre più invasa dalla
sera; la fosca nebbia del crepuscolo vi si stava addensandoera come unapiena d'oscurità sul fondo di un pozzo;
l'imboccatura della rada sul marestretto corridoiodisegnava una fessurabiancastra in quell'interno quasi notturno
dove si agitavano le onde. Bisognava essere molto vicini per scorgere l'orcaormeggiata alle rocce e come nascosta sotto
il loro grande manto d'ombra. Un'asse gettata da bordo su una sporgenza bassae piatta della scoglieraunico punto dove
si potesse mettere piedeuniva l'imbarcazione alla terra; avvolti dalletenebrealcuni uomini si stavano imbarcando
erano forme nere che camminavano e si incrociavano su quel ponte traballante.
Nella baia faceva meno freddo che in mare apertograzie alla cortina diroccia che si ergeva a nord del bacino; ciò non
impediva a quegli uomini di tremare. Avevano fretta.
Nel crepuscolo le figure si stagliano in modo impietoso; era possibile vederele sfrangiature degli abitiche rivelavano
la loro appartenenza alla classe detta in Inghilterra the raggedglistraccioni.Tra i rilievi della scogliera s'intravedevano appena le giravolte diun sentiero. Una fanciulla che lascia pendere in
disordine il suo nastro sullo schienale di una poltronadisegnasenzavolerloquasi tutti i sentieri di scogliera e di
montagna. Il sentiero della baiatutto nodi e gomitiquasi a picco e certopiù adatto alle capre che agli uominifiniva
sulla sporgenza piatta dove c'era l'asse. I sentieri delle scogliere hanno disolito una pendenza poco invitante; si
presentano come un dirupo più che come un passaggionon scendonofranano.Questoprobabile diramazione di una
strada di pianuraera tanto a strapiombo che metteva paura a guardarlo. Dalbasso lo si vedeva guadagnare a zig-zag la
cengia della scogliera da doveattraversando una depressioneraggiungevaper una breccia l'altopiano sovrastante.
Proprio per quel sentiero dovevano essere venuti i passeggeri che la barcanella rada aspettava.
In palese contrasto con lo smarrimento e l'inquietudine dell'andirivieniall'imbarco nella baiatutto intorno era deserto.
Non si sentiva un passoné un rumorené un soffio. S'intravedeva appenaall'imboccatura della baia di Ringsteaddi
fronte alla radauna flottigliaevidentemente fuori rottadi battelli perla pesca degli squali. I capricci delle correnti
avevano spinto questi battelli polari dalle acque danesi a quelle inglesi. Iventi boreali giocano di questi tiri ai pescatori.
Essi si erano appena rifugiati alla fonda di Portlandsegno di probabilebrutto tempo e di pericolo al largo. Erano intenti
a gettar l'ancora. La barca ammiragliaposta di vedetta secondo l'anticocostume delle flottiglie norvegesistagliava la
sua attrezzatura nera sulla bianca pianura del mare; a prua era ben visibilela fiocina con ogni tipo di uncini e arpioni
destinati al seymnus glacialisallo squalus acanthias e allo squalusspinax nigere la rete per catturare i grandi selaci. A
parte le poche imbarcazioni raccolte nello stesso angoloin tutto il vastoorizzonte di Portland l'occhio non incontrava
alcun segno di vita. Né una casané una nave. A quei tempi la costa nonera abitatain quella stagione poi la rada era
inabitabile.
Senza tener conto del tempogli uomini dell'orca di Biscaglia avevano unagran fretta di partire. Sul bordo del mare
davano vita a un gruppo indaffarato e confusodai gesti febbrili. Eradifficile distinguerli uno dall'altro. Impossibile
vedere se erano vecchi o giovani. La sera indistinta ne cancellava i contorniconfondendoli. I loro volti erano maschere
d'ombra. Profili nella notte. Erano in ottoe tra di loro c'eranoprobabilmente una o due donne quasi irriconoscibili
dentro gli abiti stracciati e ridicoli che tutto il gruppo indossavacenciche non erano più vestiti da donna né da uomo.
Gli stracci non conoscono sesso.
Un'ombra più piccolaun nano o un bambinoandava e veniva tra i grandi.
Era un bambino.
II • ISOLAMENTO
Guardando da vicinoecco quello che si sarebbe potuto osservare.
Tutti portavano dei lunghi mantellibucati e rattoppati ma non privi didrappeggiche all'occorrenza li nascondevano
fino agli occhiproteggendoli dalla tramontana e dalla curiosità. Sottoquei mantelli si muovevano agilmente. La
maggior parte aveva la testa coperta da un fazzoletto arrotolatouna speciedi antenato spagnolo del turbante. Quel
copricapo non aveva niente di strano in Inghilterra. Nel norda quei tempiandava di moda tutto ciò che era
meridionale. Forse questo accadeva perché il nord era superiore al sud.Trionfando lo ammirava. Dopo la disfatta
dell'Armadaparlare castigliano alla corte di Elisabetta diventò unelegante birignao. Parlare inglese alla corte della
regina d'Inghilterra era quasi - shocking. È una consuetudine che ilvincitore barbarodavanti alla raffinatezza del vinto
ne subisca un po' i costumi; il tartaro ammira e imita il cinese. Fu cosìche la moda castigliana penetrò in Inghilterrain
compenso gli interessi inglesi s'infiltravano in Spagna.
Uno degli uomini che si stavano imbarcando aveva l'aria del capo. Calzavascarpe di corda ed era bardato di stracci
ricamati e doratie di un panciotto di lustrini che luccicava sotto ilmantello come il ventre di un pesce. Un altro portava
abbassato sul volto un grande feltro a forma di sombrero. Il feltro non avevail buco per la pipail che denota l'uomo
colto.
Il bambinosopra gli stracciindossava una ridicola casacca da gabbiere chegli arrivava alle ginocchiasecondo il
principio che la giacca di un uomo diventa il cappotto di un bambino.
La statura faceva pensare a un ragazzo di dieci o undici anni. Era a piedinudi.
L'equipaggio dell'orca si componeva del padrone e di due marinai.
L'orca probabilmente veniva dalla Spagna e vi stava facendo ritorno. Ilviaggio da costa a costa era senza alcun dubbio
clandestino.
Le persone che stavano per imbarcarsi parlottavano tra loro.
Le parole che si scambiavano avevano origini diverseora castiglianeoratedescheora francesi; a volte parlavano in
gallesealtre in basco. Se non era un dialettosi trattava di un gergo.
Venivano da tante nazioni ma appartenevano alla stessa banda.
Anche l'equipaggio probabilmente era dei loro. C'era della complicità inquell'imbarco.
Quella truppa pittoresca poteva essere una compagnia di amicio anche unamasnada di complici.
Se ci fosse stata un po' più di lucee se si fosse guardato con attenzionenon sarebbero sfuggiti gli scapolari e le corone
del rosario seminascoste sotto gli stracci. Uno del gruppodi quelli chesembravano donneaveva un rosario che per la
grandezza dei grani era simile a quelli dei derviscima era facile capireche si trattava di un rosario irlandese di
Llanymthefrydetto anche Llanandiffry.
Allo stesso modose ci fosse stata meno oscuritàsi sarebbe notata sullaprua dell'orca la scultura dorata di una Nuestra-Señora
con niño. Con ogni probabilità la Nostra Signora bascauna speciedi Vergine dei vecchi celtiberi. Sotto lastatuettausata come polenac'era unfanalespento in quel momentoun eccesso di cautela che rivelava la grande
preoccupazione di nascondersi. Questo fanale evidentemente serviva a duescopi: quando era acceso ardeva per la
Vergine e rischiarava il mareinsomma un fanale che faceva da cero.
Il tagliamarelungocurvo e appuntito sotto il bompressousciva dalla pruacome un corno di mezzaluna.
All'attaccatura del tagliamareproprio ai piedi della Verginec'era unangelo in ginocchioaddossato alla ruota di prua
con le ali ripiegateche scrutava l'orizzonte con un cannocchiale. L'angeloera dorato come la Madonna.
Le aperture e gli osteriggi del tagliamareche servivano a lasciar passarele ondeerano stati occasione di dorature e
arabeschi.
Sotto la Madonna c'era scritto il nome dell'imbarcazione: Matutinaalettere maiuscole dorateilleggibile in quel
momento a causa dell'oscurità.
Il carico che i viaggiatori portavano con sé nel disordine e nellaconfusione della partenza era stato lasciato ai piedi
della scoglierae oragrazie all'asse che faceva da pontepassavarapidamente dalla riva all'imbarcazione. Sacchi di
biscottiun bariletto di stock-fishuna cassa di cibi da conservaretre barili: uno d'acqua dolceuno di malto e uno di
catrame; quattro o cinque bottiglie di birraun vecchio portamantelli chiusocon cinghiebaulicofaniuna balla di
stoppa per torce e segnaliera questo il carico. Quegli straccionipossedevano delle valigiesegno forse di un'esistenza
nomade; i mendicanti ambulanti devono per forza avere qualcosacertoessivorrebbero a volte spiccare il volo come
gli uccellima non possonoa meno di abbandonare i loro mezzi disostentamento. Hanno bisogno di casse di arnesi e
strumenti di lavoroqualunque sia la loro professione errante. Questi sitrascinavano il loro bagagliocerto ingombrante
in più d'una occasione.
Non doveva essere stato facile fare tutto quel trasloco fino ai piedi dellascogliera. Ciò del resto rivelava l'intenzione di
partire per sempre.
Non c'era tempo da perdere: era un continuo passaggio dalla riva alla barca edalla barca alla riva; tutti si davano da
fare: chi portava un saccochi un cofano. Quelle che sembravano e potevanoessere donne lavoravano in quella
promiscuità come gli altri. Sovraccaricavano il bambino.
C'è da dubitare che il bambino avesse un padre e una madre tra quella gente.Nessuno si occupava di lui. Non sembrava
un bambino in una famigliama uno schiavo in una tribù. Serviva tuttimanessuno gli rivolgeva la parola.
Comunque si sbrigava ecome il gruppo misterioso di cui faceva partesembrava che non pensasse ad altro che ad
imbarcarsi il più presto possibile. Ne conosceva il motivo? Probabilmenteno. Si affrettava meccanicamente. Lo faceva
perché vedeva gli altri affrettarsi.
L'orca era munita di ponte. Il fissaggio del carico nella stiva fuprontamente eseguitoera giunto il momento di prendere
il largo. L'ultima cassa era già stata portata sul ponterestavano solo gliuomini da imbarcare. I due del gruppo che
sembravano donne erano già a bordo; gli altri seitra cui il bambinoeranoancora sulla sporgenza piatta della scogliera.
Iniziarono le manovre della partenzail padrone si mise al timoneunmarinaio prese un'ascia per troncare la gomena
d'attracco. Tagliare è segno di frettaquando c'è tempo si scioglie. Andamosdisse sottovoce quello dei sei che
sembrava il capo e che aveva gli stracci pieni di lustrini. Il bambino siprecipitò sull'asse per passare per primo. Appena
vi mise sopra il piede due uomini gli si lanciarono davanti a rischio digettarlo in acquaun terzo lo scostò con il gomito
il quarto lo spinse indietro con il pugno per seguire il terzoil quintoche era il capopiù che entrare balzò nella barca e
saltandovi dentrospinse via con il tallone l'asse che cadde in mare; uncolpo d'ascia tagliò l'ormeggiola barra del
timone viròla nave lasciò la riva e il bambino rimase a terra.
III • SOLITUDINE
Il bambino restò immobile sulla roccialo sguardo perduto. Non si mise achiamare. Non invocò. Nonostante la
sorpresatacque. Nell'imbarcazione c'era lo stesso silenzio. Non un gridodel bambino verso gli uomininon un cenno
d'addio degli uomini verso il bambino. Entrambi lasciavano che la distanzatra loro aumentassein silenzio. Si
separavano come le ombre dei morti sulla riva dello Stige. Il bambinoquasiimpietrito sulla roccia che l'alta marea
cominciava a bagnareguardò l'imbarcazione allontanarsi. Come se capisse.Cosa? Cosa capiva? L'ombra.
Un istante dopo l'orca raggiunse e affrontò la strozzatura della rada. Eravisibile la punta dell'albero contro il cielo
chiaroalta sui massi spezzati dove lo stretto serpeggiava come tra duemuraglie. La punta errava sopra le rocce e
sembrava che dovesse sprofondarvi. Poi scomparve. Era finita. La barca avevapreso il mare.
Il bambino assistette alla scomparsa.
Era stupitoma come in sogno.
Prendeva atto della vita con un cupo stupore. Pur essendo agli inizi sembravaavesse già esperienza. Forse era in grado
di giudicare. Quando la prova arriva troppo presto essa costruisce a voltein fondo all'inconscia intelligenza dei
bambiniuna sorta di temibile bilancia dove queste poverepiccole animepesano Dio.
Nella sua innocenzanon si oppose. Neppure un lamento. Chi è irreprensibilenon recrimina.
Lo avevano bruscamente eliminatoma senza riuscire a strappargli un sologesto. Qualcosa dentro di lui s'irrigidì. Sotto
il colpo della sorte che sembrava mettere fine alla sua esistenza primaancora che iniziasseil bambino non si piegò.
Ricevette il colpo di fulmine rimanendo in piedi. Evidentementevisto che losgomento non l'aveva prostratonessuno
di quelli che lo abbandonavano gli voleva beneed egli non voleva bene anessuno.
Pensierosonon sentiva il freddo. D'un tratto l'acqua gli bagnò i piedilamarea stava salendo; un soffio gli passò nei
capelliera la tramontana che si levava. Rabbrividì. Fu come se con queltremore dalla testa ai piedi si risvegliasse.Lanciò uno sguardo attorno.
Era solo.
Fino a quel giorno per lui non c'erano stati altri esseri umani sulla terratranne quelli che in quel momento stavano
sull'orca. Quegli uomini che lo avevano appena tradito.
Inoltrefatto curiosoi soli uomini che conosceva gli erano sconosciuti.
Non avrebbe saputo dire chi erano.
Aveva trascorso la sua infanzia in mezzo a lorosenza una veraconsapevolezza di farne parte. Stava con loroniente di
più.
Ora lo avevano dimenticato.
Senza denarosenza scarpeappena di che coprirsineanche un pezzo di panein tasca.
Era inverno. Era sera. Bisognava camminare per molte leghe prima diraggiungere un'abitazione umana.
Non sapeva dove si trovava.
Non sapeva niente tranne che quelli venuti con lui sulla riva di quel marese n'erano andati senza di lui.
Si sentiva messo fuori dalla vita.
Sentì che gli uomini lo sfuggivano.
Aveva dieci anni.
Quel bambino si trovava in un desertotra profondità da dove vedeva salirela nottee profondità dove sentiva il sordo
brontolio delle onde.
Stirò le piccole braccia magree sbadigliò.
Poibruscamentecome uno che abbia preso una decisione coraggiosasisgranchì e con l'agilità di uno scoiattolo - o
forse di un clown - voltò le spalle alla rada e cominciò a salire lungo lascogliera. Si arrampicò sul sentierolo
abbandonò e vi fece ritornoavventurandosi con fare guardingo. Ora avevafretta di raggiungere la terra. Sembrava che
seguisse un percorso. Ma non stava andando da nessuna parte.
La sua fretta era senza scopouna specie di fuggiasco incalzato dal destino.
Salire è proprio dell'uomoarrampicarsi della bestia; egli saliva e siarrampicava. Le scoscese di Portland sono esposte a
sudper questo sul sentiero non c'era quasi neve. Il freddo intenso delresto aveva ridotto la neve a una polvere molto
fastidiosa per chi camminava. Il bambino se la cavava. La casacca da uomotroppo largacomplicava le cose e lo
intralciava. Ogni tanto su uno strapiombo o su una pendenza trovava un po' dighiaccio che lo faceva cadere. Egli allora
dopo essere rimasto sospeso qualche istante sul precipizioriusciva adaggrapparsi a un ramo secco o a una pietra che
sporgeva. Una volta gli capitò una venatura di breccia che franòimprovvisamente sotto di luitrascinandolo nel suo
movimento rovinoso. I cedimenti della breccia sono sempre perfidi. Perqualche secondo il bambino scivolò come una
tegola su un tettoprecipitando fino all'orlo estremo del precipizio; siaggrappò in tempo a un ciuffo d'erba e si salvò.
Non gridò davanti all'abisso più di quanto non avesse gridato davanti agliuomini; ritrovò l'appoggio e riprese a salire in
silenzio. La scarpata era alta. Corse altre disavventure simili. Alprecipizio si aggiungeva la minaccia dell'oscurità. La
scoscesa di roccia non aveva fine.
Essa indietreggiava davanti al bambino sprofondando sempre più in alto. Lacima sembrava spostarsi di tanto quanto
saliva il bambino. Mentre si arrampicava non perdeva d'occhio quel cornicioneneromesso come uno sbarramento tra
lui e il cielo. Finalmente lo raggiunse.
Con un salto fu sul pianoro. Si potrebbe quasi dire che approdòperchéusciva dal precipizio. Appena fuori dalla
scarpata si mise a tremare. Sentì sul volto la tramontanaquesto morsodella notte. Soffiava il vento pungente da nord-ovest.
Si strinse al petto la rozza casacca da marinaio.
Era un buon indumento. Nel gergo marinaro si chiama suroîtperchéquesta specie di blusa è abbastanza impermeabile
alle piogge di sud-ovest.
Il bambino dunquearrivato sul pianorosi fermòben saldo con i piedinudi sul terreno gelatoe si guardò attorno.
Dietro a lui il maredavanti la terrasopra la testa il cielo. Ma un cielosenza stelle. Una nebbia opaca nascondeva lo
zenit.
Arrivato in cima al muro di rocciatrovandosi rivolto verso terralaosservò attentamente. Gli stava davanti a perdita
d'occhiopiattaghiacciatacoperta di neve. Qualche ciuffo d'ericastormiva. Non si vedevano strade. Niente. Nemmeno
la capanna di un pastore. Qua e là si scorgevano turbini di livide spiralierano vortici di neve sottile che il vento
strappava da terra sollevandola. Il terrenoun susseguirsi di ondulazionisubito avvolte nella nebbias'increspava
nell'orizzonte. Le grandi pianure si perdevano nel grigiore di una fittanebbia bianca. Silenzio profondo. Tutto si
allargava come l'infinito e taceva come la tomba.
Il bambino si voltò verso il mare.
Come la terra il mare era bianco; una di nevel'altro di schiuma. Niente ètriste come la luce che scaturisce da quel
doppio biancore. Certi riverberi della notte hanno duri profili; l'acciaiodel marele scogliere d'ebano. Il bambino si
trovava così in alto che la baia di Portland gli appariva quasi come su unacarta geograficalivida in un semicerchio di
colline. In quel paesaggio notturno c'era qualcosa che ricordava il sognounpallore rotondo dentro la crescente oscurità
come capita a volte con la luna. Da un capo all'altrolungo tutta la costanon si vedeva un solo luccichio che indicasse
un focolare accesouna finestra illuminatauna casa abitata. Nessuna lucein terra e nessuna in cieloné una lampada in
bassoné un astro in alto. Larghe spianate di onde nel golfo si sollevavanoqua e là improvvisamente. Il vento
scompaginava e increspava quella distesa. L'orca in fuga nella baia eraancora visibile.
Un triangolo nero che scivolava su quel grigiore.Lontano le distese d'acquasi agitavano confusamente nel sinistro chiaroscuro dell'immensità.
La Matutina filava velocemente. Rimpiccioliva di minuto in minuto.Niente svanisce più rapido di una nave nelle
lontananze del mare.
A un certo punto accese il fanale di prua; forse l'oscurità tutto attorno sistava facendo inquietantee il pilota sentiva la
necessità di illuminare i flutti. Quel punto luminoso che si vedeva brillareda lontanoaderiva lugubramente all'alta e
lunga forma nera dell'orca. Era come se sotto un sudario in movimentorittoin mezzo al marevagasse qualcuno con in
mano una stella.
C'era nell'aria il presentimento della tempesta. Il bambino non se ne rendevacontoma i marinai avrebbero tremato. Era
quell'ansia che precede la sensazione che gli elementi stiano per assumere unvoltoe che si debba assistere alla
trasfigurazione misteriosa del vento in aquilone. Il mare sta diventandooceanole forze della natura si rivelano volontà
ciò che prima era una cosaora ha un'anima. Stiamo per vederlo. Da quil'orrore. L'anima umana teme il confronto con
l'anima della natura.
Il caos stava per fare il suo ingresso. Il ventosquarciando la nebbia eammassando indietro le nuvoleallestiva lo
scenario per quel terribile dramma dei flutti e dell'inverno che si chiamatempesta di neve.
Il primo segno lo diedero le navi che rientravano. Dopo poco la rada non erapiù deserta. A ogni istante da dietro i
promontori comparivano imbarcazioni che si affrettavanoimpazienti dimettersi all'ancora. Alcune doppiavano il
Portland Billaltre il Saint-Albans Head. Arrivavano vele da molto lontano.Facevano a gara a chi si rifugiava per
primo. A sud l'oscurità s'infittiva e le nuvole cariche di notte siabbassavano sul mare. Nell'opprimente imminenza della
tempesta che incombevauna lugubre calma era scesa sulle onde. Non era ilmomento di partire. Eppure l'orca era
partita.
Aveva messo la prua a sud. Era già fuori dal golfoin alto mare.Improvvisamente si alzarono raffiche di tramontana; la
Matutinache era ancora perfettamente visibilesi coprì di velecomese intendesse approfittare dell'uragano. Era il
maestraleun tempo chiamato «galerne»una specie di subdola e collericatramontana. Iniziò subito ad accanirsi
sull'orca. Presa di fianco l'orca s'inclinòcontinuando però senzaesitazione la sua corsa verso il largo. Si trattava
dunque più di una fuga che di un viaggiose la paura del mare era minore diquella della terrae c'era più
preoccupazione per l'inseguimento degli uomini che per quello dei venti.
L'orcadopo essere passata per tutti i gradi del rimpicciolimentosprofondò nell'orizzonte; la piccola stella che
trascinava nell'ombraimpallidì; e dopo essersi confusa sempre di più conla nottel'orca scomparve.
Questa volta per sempre.
Anche il bambino sembrò capirlo. Smise di scrutare il mare. Tornò aguardare la pianurale landele collinequegli
spazi dove forse avrebbe potuto incontrare un essere vivente. E versoquell'ignoto si mise in cammino.
IV • DOMANDE
Che tipo di banda era quella in fugache si lasciava dietro un bambino?
Quei fuggiaschi erano dei comprachicos?
Abbiamo già visto l'elenco delle misure volute da Guglielmo III e votate dalparlamentocontro quei malfattoriuomini
e donnedetti comprachicoso comprapequeñoso cheylas.
Ci sono leggi che disperdono. L'ordinanza che aveva colpito i comprachicosdeterminò una fuga generalenon solo dei
comprachicosma di ogni sorta di vagabondi. Fu una gara a nascondersi e aimbarcarsi. La maggior parte dei
comprachicos ritornò in Spagna. Molticome abbiamo dettoerano baschi.
Una prima conseguenza bizzarra di quella legge che intendeva proteggerel'infanzia fu che improvvisamente molti
bambini vennero abbandonati.
L'ordinanza penale procurò immediatamente una folla di trovatellicioè dibambini smarriti. È facile capire il perché.
Ogni gruppo di nomadi con un bambinodiventava sospetto; la sola presenzadel bambino lo accusava. - È probabile
che si tratti di comprachicos. - Questa era la prima idea dello sceriffodelprepostodel conestabile. Da qui gli arresti e
le indagini. Dei semplici miserabiliche si erano ridotti a vagabondare e achiedere la caritàfurono presi dal terrore di
essere scambiati per comprachicospur non essendolo; certo i deboli hannopiù d'un motivo per temere i possibili errori
della giustizia. D'altra parte le famiglie vagabonde sono abitualmentesospettose. Ai comprachicos si rimproverava di
sfruttare i bambini altrui. Ma la miseria e l'indigenza spingono a talipromiscuità che a volte sarebbe stato difficile anche
per un padre e per una madre riconoscere come proprio un bambino. Da doveviene questo bambino? Come provare che
viene da Dio? Così il bambino diventava un pericolobisognavasbarazzarsene. Fuggire da soli sarebbe stato più facile.
Padre e madre decidevano allora di smarrirloa volte in un boscoa volte suuna spiaggia o in un pozzo.
Trovarono bambini annegati nelle cisterne.
Inoltre i comprachicos erano ormai braccatisull'esempio inglesein tuttaquanta l'Europa. Il segnale d'inizio della loro
persecuzione era stato dato. Tutto sta nel prendere l'iniziativa. Ormai erauna gara tra le polizie per prenderlie l'alguazil
non stava in guardia meno del conestabile. Ventitre anni orsono era ancorapossibile leggere su una pietra della porta
d'Otero un'iscrizione intraducibile - le parole in codice sono più fortidell'onestà - da dove si arguiscetramite la
differenza delle penela sfumatura tra mercanti e ladri di bambini. Eccol'iscrizionein un castigliano un po' primitivo:
Aqui quedan las orejas de los comprachicosy las bolsas de los robaninosmientras que se van ellos al trabajo de mar.
Come si vedele orecchieecc.confiscatenon salvavano dalle galere. Daqui un «si salvi chi può» tra i vagabondi.Partivano spaventatiarrivavanotremando. Su tutte le coste europee si controllavano gli arrivi sospetti. Peruna banda
era impossibile imbarcarsi con un bambinoe questo perché lo sbarco sarebbestato pericoloso.
Era meglio perderlo.
Chi aveva respinto il bambino che abbiamo intravisto nella desolata penombradi Portland?
Con ogni probabilitài comprachicos.
V • L'ALBERO INVENTATO DAGLI UOMINI
Potevano essere circa le sette di sera. Il vento ora stava diminuendosegnod'imminente recrudescenza. Il bambino si
trovava sulle estreme alture sud della punta di Portland.
Portland è una penisola. Ma il bambino ignorava che cosa fosse una penisolae non conosceva neppure la parola
Portland. Sapeva solamente che si può camminare finché si cade. Un'idea èuna guida: egli non aveva idee. Qualcuno lo
aveva portato làe ce l'aveva lasciato. Qualcuno e làdueenigmi che rappresentavano tutto il suo destino: qualcuno era
il genere umanolà era l'universo. Quaggiù il suo unico sostegnoera quel pezzetto di terra dove poggiava i piedi nudi
una terra che sentiva dura e fredda sotto di sé. In quel vasto e sconfinatomondo crepuscolare cosa lo attendeva? Nulla.
Egli camminava verso quel nulla.
Gli stava attorno l'immenso abbandono degli uomini.
Attraversò in diagonale il primo pianoropoi un secondopoi un terzo. Allafine di ogni pianoro il bambino trovava una
fenditura nel terreno; qualche volta il pendio era ripidoma sempre breve.Gli altopiani della punta di Portland sono
spogli come lastroni che sporgono a metà uno sull'altro; il lato sud sembraentrare sotto il piano che lo precedee quello
a nord si rialza sul successivo. Il bambino superava agilmente queidislivelli. Ogni tanto si fermava come per consultarsi
con se stesso. La notte si faceva sempre più scurala visuale diminuivariusciva a vedere solo a qualche passo di
distanza.
A un tratto si fermòrimase un attimo in ascoltofece un impercettibilecenno di soddisfazione con il caposi voltò di
scatto e si diresse quindi verso una piccola sporgenza che scorgevaconfusamente alla sua destraproprio in quel punto
del pianoro che era più vicino alla scogliera. Sulla sporgenza c'era unasagoma che nella nebbia sembrava un albero. Il
bambino aveva appena udito in quella direzione un rumore che non era ilrumore del ventoe nemmeno quello del mare.
Non era certo il grido di un animale. Pensò che ci fosse qualcuno.
In pochi passi arrivò ai piedi della piccola altura.
C'era davvero qualcuno.
Ciò che prima era solo una forma indistinta in cima all'alturasi mostravaadesso ben visibile.
Era come una specie di grande braccio che usciva diritto da terra.All'estremità superiore del braccio si allungava
orizzontalmente una sorta di indicesostenuto in basso dal pollice. Ilbraccioil pollice e l'indice disegnavano contro il
cielo una squadra. Nel punto di congiunzione di quella specie d'indice con ilpollicec'era un filo da cui penzolava
qualcosa di nero e d'informe. Il filomosso dal ventofaceva il rumore diuna catena.
Quello era il rumore udito dal bambino.
Come il rumore lasciava intuireil filo visto da vicino si rivelava unacatena. Una catena marinara con gli anelli mezzo
pieni.
Per quella misteriosa legge che in tutta la natura sovrapponemescolandoleapparenze e realtàil luogol'orala nebbia
quel tragico marela visionarietà lontana e tumultuosa dell'orizzontesiaggiungevano a quel profilo ingigantendolo.
La massa legata alla catena assomigliava a un involucro. Era fasciata come unneonato e lunga come un uomo. In alto
era rotondae attorno a quella rotondità era avvolta l'estremità dellacatena. In basso l'involucro era lacerato. Membra
spolpate uscivano da quegli strappi.
Una debole brezza agitava la catenae ciò che stava appeso alla catenaoscillava dolcemente. Quella massa inerte
obbediva ai vasti movimenti delle distese; aveva qualcosa di spaventoso;l'orroreche di solito rende sproporzionati gli
oggettile toglieva quasi ogni consistenza per lasciarle il solo contorno;era un condensato di tenebre che disegnava una
sagomaaveva la notte sopra e dentro di sé; era preda del turgoresepolcrale; i crepuscoliil sorgere della lunail
tramonto delle costellazioni dietro le scogliereil fluttuare dello spaziole nuvoletutta la rosa dei venti avevano finito
per entrare nella composizione di quel nulla visibile; quel bloccoindefinibile sospeso nel vento era parte
dell'impersonale lontananza diffusa sul mare e nel cielole tenebre poicompletavano quella cosa che era stata un uomo.
Era e non è più.
Essere ciò che restanon è facile da esprimere con le parole. Non esisterepiù e persistereessere dentro e fuori
dall'abissorispuntare sopra la morte come se fosse impossibile essernesommersitutte queste sono realtà che
contengono una certa dose d'impossibile. Da qui l'indicibile. Quell'essere -ma era un essere? - quel nero testimoneera
un avanzoun terribile avanzo. Avanzo di cosa? Prima di tutto della naturapoi della società.
Era in balia di un'assoluta inclemenza. Circondato dalle dimenticanzeprofonde della solitudine. Era abbandonato alle
avventure dell'ignoto. Senza difesa dall'oscuritàche ne faceva ciò chevoleva. Egli era per sempre colui che sopporta.
Subiva. Gli uragani gli stavano sopra. Lugubre funzione del vento.
Quello spettro era lì per essere saccheggiato. Sopportava l'orribilecircostanza di doversi decomporre all'aria aperta. Era
fuori dalla legge della tomba. Gli toccava l'annientamentoma non la pace.Diventava cenere d'estatefango d'inverno.
La morte ha bisogno di un velola tomba richiede pudore. Qui invece népudorené velo. Solo il cinismo confesso dellaputrefazione. La morte èsfrontata quando si mostra all'opera. Essa oltraggia ogni serenità dell'ombralavorando fuori
dal suo laboratoriola tomba.
Quell'essere spirato era spoglio. Spogliare una spogliainesorabilecompimento. Le ossa non avevano più midolloil
ventre non aveva più visceree in gola non c'era più voce. Il cadavere èuna tasca che la morte rovescia e vuota. Se
avesse avuto un iodove si trovava? Forseed era atroce da pensareancoralì. Qualcosa che vaga attorno a qualcosa in
catene. Si può immaginare nell'oscurità un quadro più funebre?
Ci sono delle realtà quaggiù che sembrano sbocchi sull'ignotoda dove puòuscire la ragione e precipitarsi l'ipotesi. La
congettura ha il suo compelle intrare. Quando passiamo in certi luoghie davanti a certi oggettinon possiamo fare altro
che fermarci in preda ai sognilasciando che lo spirito vi si avventuri. Cisono oscure porte socchiuse nell'invisibile.
Nessuno avrebbe potuto incontrare quel morto senza meditare.
La vasta dispersione lo consumava in silenzio. Aveva avuto del sangue che erastato bevutouna pelle che era stata
mangiata e carne che avevano rubato. Niente gli era passato davanti senzaprendergli qualcosa. Dicembre aveva preso in
prestito il suo freddomezzanotte lo spaventoil ferro la rugginela pestei miasmiil fiore i profumi. Il suo lento
disfacimento era un pedaggio. Pedaggio del cadavere alla rafficaallapioggiaalla rugiadaai rettiliagli uccelli. Tutte
le scure mani della notte avevano frugato quel morto.
Era un non so quale strano abitantel'abitante della notte. Stava in unapianura e su una collinae tuttavia non c'era. Era
tangibile e evanescente. Era un'ombra in aggiunta alle tenebre. Dopo che laluce era scomparsanella vasta e silenziosa
oscuritàsi accordava lugubremente con tutto. Per il solo fatto di esserelà accresceva il lutto della tempesta e la calma
degli astri. In lui si condensava quanto d'inesprimibile c'è nel deserto.Relitto di un destino sconosciutoandava ad
aggiungersi a tutte le selvagge reticenze della notte. C'era nel suo misteroun vago riverbero di tutti gli enigmi.
Si sentiva attorno a lui come una diminuzione di vita che andava inprofondità. Nelle distese circostanti certezza e
fiducia venivano meno. Il fremito dei cespugli e dell'erbauna desolatamalinconiaun'ansia che sembrava animata
predisponevano in forma tragica tutto il paesaggio per quella figura nera chependeva dalla catena. La presenza di uno
spettro su un orizzonte aggrava la solitudine.
Era un simulacro. Poiché i venti su di lui non si placavano maiegli eral'implacabile. Il tremore dell'eternità lo rendeva
terribile. È spaventoso da direma sembrava al centro degli spazie chequalcosa d'immenso gli si appoggiasse sopra.
Chi può dire? Forse si trattava dell'equità intravista e sfidata che sta aldi là della nostra giustizia. Il suo durare fuori
dalla tomba era la vendetta degli uominima anche la sua vendetta. Nelcrepuscolo di quel deserto egli era una
testimonianza. Egli era la prova di una materia inquietanteperché lamateria davanti a cui si trema è una rovina
d'anima. Se la materia inerte ci turbavuol dire che dentro vi ha vissuto lospirito. Egli denunciava la legge di quaggiù
alla legge di lassù. Messo lì dagli uominiattendeva Dio. Sopra di luifluttuavanocon tutte le torsioni confuse dei
nembi e delle ondele enormi fantasticherie dell'ombra.
Dietro questa visione c'era una certa qual occlusione sinistra. Quel mortoaveva tutto attorno a sé l'infinitoche nulla
limitavané un alberoné un tettoné un viandante. Quando l'immanenzache incombe su noicieloabissovitatomba
eternitàci appare evidenteproprio allora noi sentiamo che tutto èinaccessibiletutto proibitotutto murato. Niente
chiude in modo più formidabile dell'infinito quando si apre.
VI • BATTAGLIA TRA LA MORTE E LA NOTTE
Il bambino stava davanti a quella cosamutostupitogli occhi sbarrati.
Per un uomo sarebbe stata una forcaper il bambino era un'apparizione.
Dove un uomo avrebbe visto il cadavereil bambino vedeva il fantasma.
E poi non riusciva a capire.
L'abisso seduce in molti modiuno di questi era lìin cima alla collina.Il bambino fece un passopoi due. Salìma
avrebbe voluto scenderee si avvicinòma avrebbe voluto tornare sui suoipassi.
Si fece sottoaudace e tremanteper esplorare il fantasma.
Raggiunta la forcaalzò la testa e guardò.
Il fantasma era incatramato e qua e là luccicava. Il bambino riuscì adistinguere il volto. Era ricoperto di bitumeuna
maschera vischiosa e collosa che si modellava ai riflessi della notte. Nescorgeva il buco della boccail buco del naso e i
buchi degli occhi. Il corpo era avvolto e quasi legato in una grossa telaimbevuta di nafta. La tela era ammuffita e rotta.
Veniva fuori un ginocchio. Uno squarcio lasciava vedere le costole. In alcunipunti c'era il cadaverein altri lo scheletro.
Il volto aveva il colore della terra; le lumachepasseggiandovi sopraviavevano lasciato vaghi nastri d'argento. La tela
incollata alle ossapresentava dei rilievicome gli abiti delle statue. Ilcranioincrinato e sfondatoera sfatto come un
frutto marcio. Dell'essere umano gli erano rimasti i dentiche continuavanoa ridere. Era come se nella bocca aperta
mormorasse l'eco d'un grido. Sulle guance era rimasto qualche pelo di barba.La testareclinatasembrava prestare
attenzione.
Di recente erano state fatte delle riparazioni. Il volto era fresco dicatramee così pure il ginocchio che usciva dalla tela
e le costole. In basso spuntavano i piedi.
Proprio sottonell'erbasi vedevano due scarpe che neve e piogge avevanosformato. Erano cadute al morto.
Il bambinoa piedi nudiguardò le scarpe.
Il ventosempre più inquietantefaceva quelle pause che rientrano neipreparativi di una tempesta; da qualche istante
era caduto del tutto. Il cadavere aveva cessato di muoversi. La catena eraferma come un filo a piombo.Come tutti i nuovi arrivati nella vitae senzadimenticare la speciale violenza del suo destinoil bambino sentiva dentro
di sé quell'indubbio risveglio di ideetipico della gioventùche cerca diaprire il cervellocome i colpi di becco
dell'uccellino nell'uovo; tutta la sua piccola coscienzain quell'orasiera fatta stupore. Ma troppe sensazionicome
troppo oliospengono il pensiero. Un uomo si sarebbe posto delle domandeilbambino noguardava.
Il catrame su quel volto lo faceva sembrare bagnato. Gocce di bitume che sierano rapprese là dove c'erano stati gli
occhisembravano lacrime. Del restoproprio grazie al bitumei guastidella morte subivano un visibile rallentamento
venivano quasi annullatie lo sfacelo era ridotto al minimo possibile.Davanti al bambino c'era una cosa che riceveva
delle attenzioni. Quell'uomo evidentemente era prezioso. Non ci si erapreoccupati di preservarlo vivoma da morto lo
si voleva conservare.
Era una vecchia forcatarlata ma ancora solidain servizio da molti anni.
Era uso antichissimo in Inghilterra di incatramare i contrabbandieri. Liimpiccavano sulla riva del mareli cospargevano
di bitume e li lasciavano appesi; gli esempi hanno bisogno dell'aria apertae gli esempi incatramati si conservano
meglio. Quel catrame era un segno d'umanità. In quel modo si potevanorinnovare gli impiccati con minore frequenza.
Le forche erano distribuite a intervalli regolari lungo la costacome ilampioni oggigiorno. L'impiccato come lanterna.
A modo suo faceva luce ai suoi amici contrabbandieri. Fin da lontanoinmarei contrabbandieri scorgevano le forche.
Eccone unaprimo avvertimento; poi un'altrasecondo avvertimento. Ciònaturalmente non impediva il contrabbando
masi sal'ordine è fatto di queste cose. L'usanza è durata inInghilterra fino all'inizio del nostro secolo. Nel 1822
davanti al castello di Douvressi potevano ancora vedere tre impiccativerniciati. D'altra parte la procedura di
conservazione non era riservata solo ai contrabbandieri. L'Inghilterral'applicava anche ai ladriagli incendiari e agli
assassini. John Painterche diede fuoco ai depositi marittimi di Portsmouthfu impiccato e incatramato nel 1776.
L'abate Coyerche lo chiama Giovanni il Pittorelo rivide nel 1777. JohnPainter era appeso e incatenato sopra le
macerie che aveva provocatoripitturato di quando in quando. Il cadavereduròpotremmo quasi dire visseper
quattordici anni circa. Nel 1788 funzionava ancora. Tuttavia nel 1790dovettero sostituirlo. Gli egiziani tenevano in
gran conto la mummia del re; anche la mummia del popoloa quanto parepuòessere utile.
Il ventoche faceva molta presa sulla piccola alturaaveva spazzato tuttala neve. Qua e là riappariva l'erba e qualche
cardo. La collina era coperta da un manto erboso marinoispido e rasatocherende la cima delle scogliere simile a un
drappo verde. Sotto la forcaproprio nel punto su cui penzolavano i piedidel suppliziatoc'era un fitto ciuffo d'erba alta
eccezionale per quel suolo magro. Solo i cadaveri che da secoli sidecomponevano in quel luogo potevano spiegare la
bellezza di quell'erba. La terra si nutre d'uomo.
Era un fascino lugubre quello che tratteneva il bambino. Restava lìa boccaaperta. Abbassò la fronte solo un attimo
quando un'orticache scambiò per un animalegli pizzicò le gambe. Poi siraddrizzò. Guardava quel volto sopra di lui
che lo stava guardando. E quello sguardo era tanto più intenso in quanto nonaveva occhi. Uno sguardo diffusodi
un'indicibile fissitàpieno di luci e di tenebreche proveniva dal cranioma anche dai denti e dalle orbite vuote. Il morto
guarda con tutta quanta la testaed è spaventoso. Non ci sono pupillemaci si sente osservati. Orrore delle larve.
A poco a poco anche il bambino diventò terribile. Non si muovevapreso daltorpore. Non era consapevole di perdere
coscienza. Intorpidendosi si irrigidiva. L'inverno silenziosamente loconsegnava alla notte; l'inverno sa tradire. Il
bambino era quasi una statua. Il freddo era una pietra che entrava nelle sueossa; l'ombra gli scivolava dentro come un
rettile. Il sopore causato dalla neve sale nell'uomo come una buia marea;lentamente il bambino era invaso da
un'immobilità simile a quella del cadavere. Stava per addormentarsi.
Nella mano del sonno c'è il dito della morte. Il bambino si sentivaafferrare da quella mano. Era sul punto di cadere
sotto la forca. Non sapeva già più se era in piedi.
La fine sempre imminentenessun trapasso dall'essere al non essere piùilritorno nel crogiolola scivolata sempre
possibilequesto precipizio è la creazione.
Ancora un istantepoi il bambino e il mortola vita in boccio e la vita inrovinasi sarebbero confusi nello stesso
annientamento.
Sembrò che lo spettro l'avesse capitoma non lo accettasse. Improvvisamentericominciò a muoversi. Come se volesse
avvertire il bambino. Era il vento che ricominciava a soffiare.
Niente di più strano di quel morto che si muoveva.
Il cadavere in cima alla catenaspinto dal soffio invisibilesi metteva ditraversosaliva a sinistrascendevarisaliva a
destrascendeva di nuovo e risaliva con la precisione lenta e funebre di unbattaglio. Selvaggio va e vieni. Si sarebbe
potuto credere di vedere nelle tenebre il bilanciere dell'orologiodell'eternità.
Per qualche tempo andò avanti così. Davanti al morto che si muoveva ilbambino avvertiva come un risveglio edal
fondo del suo geloprovò una paura molto intensa. A ogni oscillazione lacatena cigolava con orrenda regolarità.
Sembrava voler prendere fiato per poi ricominciare. Il cigolio imitava ilcanto della cicala.
L'avvicinarsi della burrasca produce degli improvvisi soprassalti del vento.La brezza diventò d'un colpo tramontana. Il
cadavere oscillò con più forzalugubremente. Non era più un dondolioadesso dava degli strattoni. La catenache prima
cigolavasi mise a gridare.
Fu come se il grido fosse stato raccolto. Se era un richiamofu obbedito.Dal fondo dell'orizzonte accorse un gran
rumore.
Un rumore d'ali.
Si stava verificando la tumultuosa circostanza che di solito riguarda icimiteri e i luoghi desertil'arrivo di uno stormo di
corvi.Macchie nere in volo punsero la nuvolaforarono la nebbiaingrandironosi avvicinaronosi amalgamarono
s'infittirono affrettandosi verso la collinaemettendo gridi. Era comel'arrivo di una legione. La canaglia alata delle
tenebre si abbatté sulla forca.
Il bambinosmarritoindietreggiò.
Gli sciami obbediscono a ordini. I corvi si erano posati in gruppo sullaforca. Non uno era sul cadavere. Stavano
parlando tra loro. Il gracchiare è raccapricciante. Urlaresibilareruggirequesta è la vita; gracchiando si accoglie con
gratitudine la putrefazione. È come udire il rumore del silenzio sepolcralequando si spezza. Gracchiare è una voce che
ha in sé qualcosa di notturno. Il bambino era agghiacciato.
Ancor più per lo spavento che per il freddo.
I corvi tacquero. Uno saltò sullo scheletro. Fu il segnale. Si precipitaronotuttici fu un nugolo d'alipoi le penne si
abbassarono tutte insieme e l'impiccato scomparve in un brulichio di nereampolle che si muovevano nell'oscurità. In
quel momento il morto si scosse.
Era lui? Era il vento? Ebbe un sussulto orribile. Gli venne in aiutol'uragano che si stava alzando. Il fantasma fu preso
dalle convulsioni. Una rafficache già soffiava a pieni polmonis'impadronì di luiscuotendolo in tutte le direzioni.
Divenne orrendo. Iniziò a dimenarsi. Una spaventosa marionettache avevaper filo la catena di una forca. Qualche
burattinaio delle tenebre aveva afferrato il filo e giocava con quellamummia. Essa si torse e saltò fin quasi a sfasciarsi.
Gli uccelli terrorizzati volarono via. Fu come se tutte quelle bestie infamifossero schizzate. Poi tornarono. Allora
cominciò la lotta.
Il morto sembrò invaso da una vita mostruosa. I venti lo sollevavano come sestessero per portarlo via; sembrava che si
dibattesse sforzandosi di evaderema il collare di ferro lo tratteneva. Gliuccelli rimbalzavano a tutti quei movimenti
indietreggiandoavventandosiinsieme impauriti e accaniti. Da una partestrani tentativi di fugadall'altra la
persecuzione di un incatenato. Il mortospinto dagli spasmi dellatramontanaaveva soprassaltiurtiaccessi di collera
andavavenivasalivacadevarespingendo lo stormo sparpagliato. Il mortoera clavalo stormo era polvere. La schiera
assalitrice nella sua ferocia era ostinata e non mollava la presa. Il mortocome impazzito sotto la muta dei becchidava
sempre più colpi alla cieca nel vuotocolpi simili a quelli di un sassolegato a una fionda. Un momento aveva su di sé
tutti gli artigli e tutte le aliil momento dopo più nulla; a volte l'ordasi disperdevaper tornare subito infuriata.
Spaventoso supplizio che continuava dopo la vita. Gli uccelli sembravanofrenetici. Stormi simili devono esserci nelle
fenditure dell'inferno. Colpi d'unghiacolpi di beccogracchiamentibrandelli strappati da qualcosa che non era più
carnescricchiolii della forcafruscii dello scheletroschiocchi diferragliegridi della rafficatumultola più lugubre
delle lotte. Un lemure contro demoni. Una specie di combattimento traspettri.
A voltequando la tramontana raddoppiava d'intensitàl'impiccato girava suse stessofronteggiando lo stormo su ogni
lato contemporaneamentee sembrava che volesse inseguire gli uccellie chei suoi denti cercassero di mordere. Aveva
il vento con sé e la catena controcome se si fossero intromesse neredivinità. Anche l'uragano era della partita. Il morto
si torcevail gruppo d'uccelli lo avvolgeva in una spirale. Era un vorticein un turbine.
Dal basso saliva il rombo immenso del mare.
Il bambino assisteva a quel sogno. Improvvisamente si mise a tremare in tuttele membraun brivido gli corse lungo il
corpobarcollòtrasalìfu sul punto di caderesi voltòsi strinse lafronte tra le mani come se fosse un punto d'appoggio
esconvoltoi capelli al ventofuggìscendendo a passi veloci dallacollinacon gli occhi chiusiquasi fosse un
fantasma anche luilasciandosi dietro nella notte quel tormento.
VII • LA PUNTA NORD DI PORTLAND
Corse a perdifiatoa casosconvoltonella nevenella pianuranellospazio. La fuga lo riscaldò. Ne aveva bisogno.
Senza la corsa e lo spaventosarebbe morto.
Quando non ebbe più fiatosi fermò. Ma non osò guardare indietroglisembrava che gli uccelli dovessero inseguirloe
che il mortoscioltosi dalla catenadovesse mettersi in camminomagarinella sua stessa direzionee che anche la forca
dovesse scendere dalla collina per rincorrere il morto. Aveva pauravoltandosidi vedere tutto ciò.
Dopo aver ripreso un po' fiatoricominciò a fuggire.
L'infanzia non può rendersi conto di quello che accade. Egli percepiva leimpressioni tramite l'esagerazione dello
spaventoma senza connetterle nello spiritoe senza trarne conclusioni. Sene andavae non gli importava dove né
come; correva con l'angoscia e l'impaccio del sogno. Dopo quasi tre ore daquando era stato abbandonatola sua marcia
in avantipur rimanendo incertaaveva cambiato scopo: prima egli cercavaora fuggiva. Non sentiva più la famené il
freddo; aveva paura. Un istinto aveva sostituito l'altro. Il suo unicopensiero adesso era di fuggire. Fuggire da cosa? Da
tutto. Dovunque attorno a lui la vita gli sembrava un'orribile muraglia. Seavesse potuto evadere dalle cosel'avrebbe
fatto.
Ma i bambini non conoscono questa breccia nella prigione che si chiamasuicidio.
Correva.
Corse così per un tempo imprecisato. Ma il fiato viene menoe anche lapaura.
D'un trattocome in preda a un improvviso accesso di energia ed'intelligenzasi fermòquasi si vergognasse di mettersi
in salvo; s'irrigidìbatté i piedialzò risolutamente la testae sivoltò.
Non c'erano più né collinané forcané volo di corvi.
La nebbia si era impadronita di nuovo dell'orizzonte.Il bambino riprese lasua strada.
Ora non correva piùcamminava. Dire che quell'incontro con il morto neaveva fatto un uomosarebbe troppo poco
rispetto all'impressione complessa e confusa che stava provando. C'era inquell'impressione molto di più e molto di
meno. La forca era qualcosa di molto confuso per la sua primitiva capacitàdi comprenderee restava per lui
un'apparizione. Ma domare il terrore significa rinfrancarsied egli sisentiva più forte. Se avesse avuto l'età per
interrogarsiavrebbe trovato dentro di sé mille altri spunti dimeditazionema nei bambini la riflessione è ancora
informetutt'al più avvertono il fondo amaro di quella cosa per loroincomprensibile che l'uomo più tardi chiama
indignazione.
Aggiungiamo che il bambino ha il dono di accettare molto rapidamente lascomparsa di una sensazione. Gli sono
risparmiati quei contorni remoti e sfuggenti che costituiscono la vastitàdel dolore. È il limite stesso del bambinocioè la
sua debolezzache lo protegge dalle emozioni troppo complesse. Egli vede ilfattoe poco più in là. Il difficile
accontentarsi di idee parziali non esiste per il bambino. Il processo allavita verrà istruito solo più tardiquando arriverà
l'esperienza con le sue pratiche. Allora si mettono a confronto i gruppi difatti incontratil'intelligenza informata e
cresciuta fa dei paragonii ricordi giovanili riaffiorano sotto le passionicome il palinsesto sotto le raschiaturequesti
ricordi sono punti d'appoggio per la logicae la visione nel cervello delbambino diventa sillogismo nel cervello
dell'uomo. Del resto l'esperienza è diversa e finisce bene o male secondo lenature. I buoni maturano. I cattivi
marciscono.
Il bambino aveva davvero corso per un quarto di legae camminato per unaltro quarto. A un tratto sentì lo stomaco che
si contraeva. Un pensiero violento s'impossessò di luieclissandoimmediatamente l'orribile apparizione della collina:
mangiare. Per fortuna nell'uomo c'è una bestia; essa lo riporta allarealtà.
Ma cosa mangiare? Ma dove mangiare? Ma come mangiare?
Si tastò le tasche. Meccanicamenteben sapendo che erano vuote.
Poi allungò il passo. Senza sapere dove andavaallungò il passo verso unpossibile asilo.
Questa fede in un tetto fa parte delle radici che la provvidenza hanell'uomo.
Credere in un ricovero è credere in Dio.
Per altro in quella spianata di neve non c'era nulla che assomigliasse a untetto.
Il bambino camminavala landa continuavanuda a perdita d'occhio.
Non c'era mai stata un'abitazione umana su quel pianoro. Un tempo gli antichiabitanti primitiviin mancanza di legna
per costruire capannestavano in fondo alla scoglieranei buchi dellarocciaper arma avevano una fiondaper
riscaldarsi lo sterco di bue seccocome religione Heill'idolo drizzato inuna pianura a Dorchestere come attività la
pesca del falso corallo grigio che i gallesi chiamano plin e i greci isidisplocamos.
Il bambino si orientava come meglio poteva. Tutto il destino è un croceviatemibile la scelta delle direzionie a quel
piccolo essere era toccato ben presto di doversi orientare tra oscurepossibilità. Comunque andava avanti; maper
quanto i suoi garretti sembrassero d'acciaiocominciava a sentirsi stanco.Non un sentiero su quel pianoro; se ce n'erano
la neve li aveva cancellati. Istintivamente continuava a deviare verso est.Pietre taglienti gli avevano scorticato i talloni.
Se fosse stato giorno si sarebbero viste le tracce che lasciava nella nevele macchie rosa del suo sangue.
Non riconosceva niente. Stava attraversando l'altopiano di Portland da sud anordmentre probabilmente la banda con
cui era venutoper evitare incontrilo aveva attraversato da ovest a est.Verosimilmente erano partiti su una barca di
pescatori o di contrabbandieri da un punto qualsiasi della costa diUggescombecome Sainte-Catherine Chapo
Swancryper andare all'appuntamento con l'orca che li stava aspettando aPortlande avevano dovuto sbarcare in
un'insenatura di Westonper poi tornare a imbarcarsi in una baia di Eston.Quella direzione tagliava a croce questa che
ora percorreva il bambino. Era impossibile dunque che egli riconoscesse lastrada.
Sull'altopiano di Portland ci sono qua e là come delle alte ampollebruscamente spezzate dalla costae tagliate a picco
sul mare. Nel suo peregrinare il bambino arrivò su una di quelle sommitàelì si fermòripromettendosi da uno spazio
maggiore maggiori indicazioniaguzzando la vista. Davanti a luiper tuttol'orizzonteuna vasta e livida opacità. La
scrutò con attenzionee sotto la fissità del suo sguardo si fece menoindistinta. A estin fondo a una lontana piega del
terrenoproprio sulla linea di quel livore opacosorta di mutevole epallida scarpata che assomigliava a una scogliera
della nottefluttuavano serpeggiando vaghi brandelli nericome una diffusalacerazione. Il livore opaco era nebbia; i
brandelli neri erano fumo. Dove c'è fumoci sono uomini. Il bambino siincamminò in quella direzione.
A una certa distanza intravedeva una discesa e ai piedi della discesatrasagome informi di roccia che la nebbia rendeva
evanescentiqualcosa che aveva l'aspetto di un banco di sabbia o di unalingua di terrae che collegava probabilmente
l'altopiano che aveva appena attraversato alle pianure dell'orizzonte. Erachiaro che si doveva passare di là.
Era arrivato in effetti all'istmo di Portlandun'alluvione diluviana che sichiama Chess-Hill.
Attaccò quel versante dell'altopiano.
Il pendio era difficile e faticoso. Si trattavasia pur con minore asprezzadel rovescio dell'ascensione che aveva fatto
per uscire dalla rada. Discese e salite si compensano. Dopo essersiinerpicatoprecipitava.
Saltava da una roccia all'altrarischiando una stortarischiando di andargiù nell'indistinta profondità. Per evitare di
scivolare sulla roccia e sul ghiacciosi afferrava ai lunghi arbusti dellelande e alle ginestre piene di spinee tutte le
punte gli entravano nelle dita. In certi tratti la pendenza era più dolcecosì mentre scendeva riprendeva fiatopoi
tornava la scarpata e a ogni passo bisognava trovare un rimedio. Scendendo unprecipizio ogni movimento diventa la
soluzione di un problema. Si deve essere accortisotto pena di morte. Ilbambino risolveva i problemi con un istinto dicui una scimmia avrebbe presonotae con una perizia che un saltimbanco avrebbe ammirato. La discesa eraripida e
lunga. Tuttavia ne veniva a capo.
A poco a poco si avvicinava al momento in cui avrebbe toccato terrasull'istmo intravisto.
Di tanto in tantocontinuando a saltare e a scendere da una rocciaall'altrasi metteva in ascoltodrizzandosi come un
daino all'erta. Udiva da lontanosulla sua sinistraun rumore esteso edebolesimile al canto profondo della chiarina.
C'era in effetti nell'aria quell'agitazione di soffi che precede lospaventoso vento borealee che si sente venire dal polo
come un ingresso di trombe. Nello stesso tempo il bambino avvertiva a trattisulla frontesugli occhisulle guance
qualcosa come palmi di mani fredde che gli si posavano sul volto. Eranolarghi fiocchi gelatiprima disseminati
mollemente nello spaziopoi in un turbinio che annunciava la bufera di neve.Il bambino ne era ricoperto. La bufera di
neve che già da più di un'ora era sul marecominciava a raggiungere laterra. Invadeva lentamente le pianure. Entrava
trasversalmente da nord-ovest nell'altopiano di Portland.
LIBRO SECONDO • L'ORCA IN MARE
I • LE LEGGI CHE SFUGGONO ALL'UOMO
La tempesta di neve è uno dei misteri del mare. È la più oscura dellemeteore; oscura in ogni senso della parola. Una
mescolanza di nebbia e tormentae ancor oggi non ci si rende ben conto delfenomeno. Da qui molti disastri.
Si vorrebbe spiegare tutto con il vento e con l'onda. Ma nell'aria c'è unaforza che non è il ventoe nell'acqua c'è una
forza che non è l'onda. Questa forzala stessa nell'aria e nell'acquaèl'effluvio.
L'aria e l'acqua sono due masse liquidequasi identicheche fanno parte unadall'altraper via della condensazione e
della dilatazionecosì che respirare è bere; solo l'effluvio è fluido. Ilvento e l'onda non sono altro che pressioni;
l'effluvio è una corrente. Le nuvole rendono visibile il ventola schiumarende visibile l'onda; l'effluvio è invisibile.
Tuttavia di quando in quando dice: eccomi. Il suo eccomi è un colpodi tuono.
Il problema della tempesta di neve è analogo a quello della nebbia secca. Sela spiegazione della callina degli spagnoli e
del quobar degli etiopi è possibilequesta spiegazione risulteràcertamente da un attento esame dell'effluvio magnetico.
Senza l'effluvio una quantità di fatti resterebbero enigmatici. A rigoreicambiamenti di velocità del ventoche nella
tempesta passa da tre a duecentoventi piedi al secondospiegherebbero levariazioni dei marosi che vanno dai tre pollici
con il mare calmoai trentasei piedi con il mare che infuria; a rigorel'orizzontalità dei soffi di vento anche in burrasca
spiega come un'ondata alta trenta piedi più essere lunga millecinquecentopiedi; ma perché i marosi del Pacifico sono
quattro volte più alti vicino all'America che vicino all'Asiacioè piùalti a ovest che a est; perché nell'Atlantico succede
il contrario; perché sotto l'equatore il mare è più alto nel mezzo; dadove vengono gli spostamenti del rigonfiamento
oceanico? Solo l'effluvio magneticocombinato alla rotazione terrestre eall'attrazione sideralepuò spiegare simili
fenomeni.
Non è forse necessaria questa misteriosa complicazione per spiegarel'oscillazione del vento chepassando per esempio
da ovestvada da sud-est a nord-esttornando poi bruscamenteper lo stessogrande giroda nord-est a sud-estcosì da
percorrere in trentasei ore un prodigioso circuito di cinquecentosessantagradiche fu poi il prodromo della tempesta di
neve del 17 marzo 1867?
I marosi nelle tempeste australiane raggiungono anche ottanta piedi dialtezza; ciò dipende dalla vicinanza del polo. A
quelle latitudini la tormenta è influenzata meno dai rivolgimenti dei ventiche dalle continue scariche elettriche
sottomarine; nel 1866il cavo transatlantico è stato regolarmentedisturbato nella sua funzione due ore su ventiquattro
da mezzogiorno alle dueda una specie di febbre intermittente. Il comporsi elo scomporsi di certe forze producono i
fenomeniimponendo calcoli al marinaiosotto pena di naufragio. Il giornoin cui navigareda attività abitudinaria
diventerà una matematicail giorno in cui si cercherà di sapereperesempioperché a volte nelle nostre regioni i venti
caldi vengono dal nord e i venti freddi dal mezzogiornoil giorno in cui sicomprenderà che il decrescere della
temperatura è proporzionale alle profondità oceanicheil giorno in cuisaremo consapevoli che il globo è una grande
calamita polarizzata nell'immensitàcon due assiun asse di rotazione euno di effluviintersecantesi al centro della
terrae che i poli magnetici girano attorno ai poli geografici; quandoquelli che rischiano la vita vorranno rischiarla
scientificamentequando si navigherà su un'instabilità fatta oggetto distudioquando il capitano sarà un meteorologo
quando il pilota sarà un chimicosoltanto allora molte catastrofi sarannoevitate. Il mare è tanto magnetico quanto
acquatico; un oceano di forze sconosciute fluttua tra i flutti dell'oceano;seguendo la correntesi potrebbe dire. Vedere
nel mare solo una massa d'acqua significa non vederlo; il mare è un andare evenire di fluidocosì come è un flusso e
riflusso di liquido; le forze d'attrazione lo rendono forse ancora piùcomplicato degli uragani; l'adesione molecolare che
si manifestatra l'altrocon l'attrazione capillareè microscopica innoima nell'oceano partecipa della grandezza di
quelle estensioni; l'onda degli effluvi a volte assecondaa volte contrastal'onda dell'aria e quella delle acque. Chi ignora
la legge elettricaignora la legge idraulica; una compenetra l'altra. Nonc'è studio più difficileè veroné più oscuro;
esso confina con l'empirismocome l'astronomia confina con l'astrologia.Tuttavia senza questo studio non è possibile
navigare.
Detto questoandiamo avanti.Uno dei composti più temibili del mare è latormenta di neve. La tormenta di neve è principalmente un fatto magnetico.
Il polo la produce allo stesso modo dell'aurora boreale; esso si cela inquella specie di nebbia come in quella specie di
chiarore; l'effluvio è visibile sia nel fiocco di neve che nella stria difiamma.
Le tormente sono le crisi di nervi e gli accessi deliranti del mare. Il mareha le sue emicranie. Le tempeste sono
assimilabili alle malattie. Alcune sono mortalialtre non lo sono affatto;da una se ne esceda un'altra no. In genere la
burrasca di neve è considerata mortale. Jarabijauno dei piloti diMagellanola definiva: «una nuvola uscita dalle bizze
del diavolo».
Surcouf diceva: «C'è della rogna in quella tempesta».
Gli antichi navigatori spagnoli chiamavano quella specie di burrasca lanevada al momento dei fiocchie la helada al
momento dei chicchi di grandine. Secondo loro dal cielo insieme alla nevecadevano pipistrelli.
Le tempeste di neve sono caratteristiche delle latitudini polari. Eppurequalche volta esse scivolanosi potrebbe quasi
dire che frananofino ai nostri climitanto la rovina dipende dalleavventure dell'aria.
La Matutinacome abbiamo vistolasciando Portlandavevarisolutamente affrontato la grande incognita della notte
aggravata dall'avvicinarsi della tempesta. Era entrata in quella minaccia conuna specie di tragica audacia. Nonostante
cheribadiamolonon le fossero mancati gli avvertimenti.
II • SI DELINEANO I CONTORNI INIZIALI
Finché l'orca rimase nel golfo di Portlandil mare non fu un problema; leonde erano quasi calme. Per quanto l'oceano
fosse scuroc'era ancora luce in cielo. La tramontana faceva poca presa sulbastimento. L'orca costeggiava il più
possibile la scogliera che costituiva una buona protezione.
Erano in dieci sulla piccola feluca di Biscagliatre uomini d'equipaggio esette passeggeridi cui due erano donne. Nella
luce del mare apertopoiché al largo durante il crepuscolo torna a fargiornotutte le figure erano chiaramente visibili.
Avevano smesso d'altra parte di nascondersidi preoccuparsie ciascunotornava a muoversi liberamentegridavasi
mostrava a viso apertoperché quella partenza era una liberazione.
Esplodeva l'eterogeneità del gruppo. Le donne erano senza età; ilvagabondaggio crea vecchiaie precocie la povertà è
una ruga.
Una era una basca dei bacini di carenaggio; l'altrala donna con il granderosarioera un'irlandese. Avevano l'aria
indifferente dei miserabili. Appena salite si erano accovacciate una vicinaall'altra su dei cassoni ai piedi dell'albero.
Stavano chiacchierando; l'irlandese e il bascocome abbiamo dettosono duelingue affini. I capelli della basca
profumavano di cipolla e di basilico. Il padrone dell'orca era un basco diGuipuzcoa; uno dei marinai era un basco del
versante nord dei Pireneil'altro un basco del versante sudcioè dellastessa nazionebenché il primo fosse francese e il
secondo spagnolo. I baschi non si riconoscono nella patria ufficiale. Mimadre se llama montaña«mia madre si chiama
montagna»diceva l'arriero Zalareus. Dei cinque uomini cheaccompagnavano le due donneuno era francese della
Linguadocauno era francese della Provenzauno genoveseunovecchioquello che portava il sombrero senza il buco
per la pipasembrava tedescoil quintoil capoera un basco delle landedi Biscarozzia. Era stato lui chequando il
bambino stava per entrare nell'orcaaveva gettato a mare la passerella conun colpo di tallone. Quell'uomo robusto
prontosveltocopertocome si ricorderàdi passamaneriedi pasquillese di lustrini che facevano luccicare i suoi
straccinon poteva star fermosi chinavasi alzavaandava a veniva senzasosta da un capo all'altro della navecome
preso dall'inquietudine per ciò che aveva appena fatto e ciò che stava peraccadere.
Il capo della bandail padrone dell'orca e i due uomini d'equipaggiotuttie quattro baschia volte parlavano bascoa
volte spagnoloa volte francesele tre lingue diffuse su entrambi iversanti dei Pirenei. Tutti del restotranne le donne
parlavano abbastanza il franceseche era il fondo comune del gergo dellabanda. Fin da quei tempi la lingua francese
cominciava a essere scelta dai popoli come via di mezzo tra l'eccesso diconsonanti del nord e l'eccesso di vocali del
mezzogiorno. Il commercio in Europa parlava francese; così pure il furto.Non dimentichiamo che Gibbyladro
londinesecomprendeva Cartouche.
L'orcache era un buon velieroteneva un bel passo; tuttavia dieci personeoltre al bagagliocostituivano un carico
notevole per uno scafo così fragile.
Che un'imbarcazione mettesse in salvo una banda non significavanecessariamente che l'equipaggio facesse parte della
banda. Era sufficiente che il padrone della nave fosse un vascongadoe che il capo della banda lo fosse a sua volta.
Aiutarsiper quelli della loro razzaè un dovere che non ammetteeccezioni. Un bascocome abbiamo appena dettonon
è né spagnoloné franceseè basco esempre e dovunqueha il dovere disalvare un altro basco. Questa è la fraternità
dei Pirenei.
Per tutto il tempo che l'orca restò nel golfoil cieloper quanto avesseun brutto aspettonon sembrò affatto così
minaccioso da preoccupare i fuggiaschi. Erano in salvoerano fuggitieranobrutalmente allegri. Uno rideval'altro
cantava. Era un riso asciuttoma libero; e il canto era bassomaspensierato.
Quello della Linguadoca gridava: caougagno! «Cuccagna!» è il colmodella soddisfazione narbonese. Era un mezzo
marinaionativo di Gruissanun villaggio sull'acquadel versante sud dellaClappeun barcaiolo più che un marinaio
ma abituato a manovrare i sandolini dello stagno di Bages e a tirare sullesabbie salate di Sainte-Lucie il tramaglio pieno
di pesce. Apparteneva a quella razza che si copre la testa con un berrettorossosi fa il segno della croce in modo
complicatoalla spagnolabeve il vino da una pelle di caprotrincadall'otreraschia il prosciuttobestemmiainginocchiandosie implora il suosanto patrono minacciandolo: Grande santoconcedimi quello che ti chiedoo titiro
una pietra in testa«ou té feg' un pic».
In caso di necessità avrebbe potuto essere utile all'equipaggio. Nellacambusa il provenzale attizzava un fuoco di torba
sotto una marmitta di ferropreparando la zuppa.
La zuppa era una specie di puchero con il pesce al posto della carnee il provenzale vi gettava dei cecidei piccoli pezzi
di lardo tagliati a cubettie degli spicchi di peperoncino rossoconcessioni che il consumatore di zuppa di pesce alla
marsigliese faceva ai mangiatori di olla podrida. Accanto a lui c'erauno dei sacchi di provviste aperto. Aveva acceso
sopra la sua testauna lanterna di ferro con i vetri di talcoche oscillavada un gancio sul soffitto della cambusa. Di
fiancoappeso a un altro ganciodondolava l'alcione banderuola. Unacredenza popolare di quei tempi diceva che un
alcione mortoappeso per il beccovolge sempre il petto nella direzione dacui viene il vento.
Senza smettere di preparare la zuppail provenzale di tanto in tanto siportava alla bocca il collo di una fiaschetta e
mandava giù un sorso di aguardiente. Era una di quelle fiaschetterivestite di viminilarghe e piattemunite di anseche
venivano portate in vitaappese a una cinghiae che erano dette «fiascheal fianco». Tra una sorsata e l'altra biascicava
la strofa di una di quelle canzoni campagnole che non hanno un vero soggetto;una strada incassatauna siepe; da un
pertugio del cespuglio si vede sul prato l'ombra allungata di un carretto edi un cavallo al tramontoe ogni tanto appare
e scompare sopra la siepe l'estremità di un forcone carico di fieno. Tantobasta per una canzone.
Partiresecondo ciò che si ha nel cuore o nell'animoè un sollievo o unpeso. Tutti sembravano sollevatitranne unoil
più vecchio del gruppol'uomo con il cappello senza pipa.
Il vecchioche sembrava più tedesco che altrobenché avesse uno di queivolti anonimi su cui si perde ogni traccia di
nazionalitàera calvo e così austero che la sua calvizie sembrava unatonsura. Ogni volta che passava davanti alla Santa
Vergine di pruasollevava il feltrolasciando scorgere le vene gonfie esenili del cranio. Era avvolto in una specie di
mantello logoro e a brandelliin sargia scura di Dorchesterche nascondevasolo a metà il giustacuore chiusostrettoe
agganciato fino al colletto come un abito talare. Le sue mani tendevano aincrociarsicongiungendosi per istintocome
capita a chi prega abitualmente. Aveva quella che si potrebbe definire unafisionomia livida; perché la fisionomia è
soprattutto un riflessoed è un errore pensare che le idee non abbianocolore. Quella fisionomia era evidentemente la
superficie di una strana condizione interiorela risultante di un complessodi contraddizioni che si perdevano le une nel
benele altre nel maleeper l'osservatorela rivelazione di un'umanitàapprossimativache poteva cadere più in basso
di una tigre o elevarsi al di sopra dell'uomo stesso. Simili caos dell'animaesistono. C'era su quel volto qualcosa che non
si lasciava leggere. Il segreto si spingeva fino all'astrazione. Si capivache quell'uomo aveva conosciuto il calcoloche è
la degustazione del malee il nulla che ne è il fondo. Nella suaimpassibilitàforse solo apparenteerano impresse due
pietrificazioniquella del cuorepropria del carneficee quella dellospiritopropria del mandarino. Si sarebbe potuto
affermarepoiché anche ciò che è mostruoso ha un suo modo di essereperfettoche tutto gli era possibileanche la
commozione. In ogni saggio c'è qualcosa del cadaveree quell'uomo era unsaggio. Bastava guardarlo per indovinare la
scienza impressa nei gesti della sua persona e fin nelle pieghe della suaveste. Era una faccia fossile la cui serietà era
contraddetta da quella mobilità grinzosa del poliglotta che arriva fino allasmorfia. Del restosevero. Nulla d'ipocritané
di cinico. Un tragico sognatore. Era uno di quegli uomini che il crimine halasciato pensosi. Aveva il sopracciglio di un
brigante corretto dallo sguardo di un arcivescovo. I radi capelli grigi eranobianchi sulle tempie. Si avvertiva in lui il
cristiano complicato dal fatalismo turco. I nodi della gotta deformavano ledita disseccate dalla magrezza; la sua figura
alta e rigida era ridicola; camminava come un marinaio. Si muoveva lentamentesul ponte senza guardare nessunocon
un'aria risoluta e sinistra. Le sue pupille erano vagamente colme delchiarore fisso di un'anima intenta alle tenebrema
soggetta ai ritorni di coscienza.
Di quando in quando il capo della bandabrusco e guardingofaceva deirapidi zig-zag sulla nave e andava a parlargli
all'orecchio. Il vecchio rispondeva con un cenno del capo. Si sarebbe dettoil lampo che consultava la notte.
III • GLI UOMINI INQUIETI SUL MARE INQUIETO
Due erano gli uomini assorti sulla naveil vecchio e il padrone dell'orcache non bisogna confondere con il capo della
banda; il padrone era assorto nel mareil vecchio nel cielo. Uno nontoglieva gli occhi dall'ondal'altro continuava a
sorvegliare le nuvole. A preoccupare il padrone era il comportamentodell'acqua; il vecchio sembrava sospettasse lo
zenit. Egli spiava gli astri da ogni apertura tra i nembi.
In quel momento faceva ancora giorno e qualche stella iniziava a picchiettaredebolmente il chiarore della sera.
L'orizzonte era strano. La nebbia era disposta in modo diverso.
A terra c'era più nebbiae più nuvole sul mare.
Prima ancora di uscire dalla baia di Portlandil padronepreoccupato deimarosiaveva subito messo in atto una gran
quantità di minuziose manovre. Non attese di aver doppiato il capo. Passòin rassegna le trinche e si assicurò che la
legatura delle sartie basse fosse in buono stato e reggesse bene le rigge dicoffaprecauzione di un uomo che conta di
tenere velocità temerarie.
L'orcaquesto era il suo difettoaffondava a prua di una quarantina dicentimetri più che a poppa.
Il padrone passava a ogni istante dalla bussola di rotta a quella divariazionetraguardando attraverso i due mirini gli
oggetti della costaper riconoscere la direzione del vento a cui reagivano.Il primo a rivelarsi fu un vento di bolina; il
padrone non ne parve contrariatoanche se si allontanava di cinque punti dalvento di rotta. Teneva lui in persona labarra il più possibilecome se non sifidasse che di se stesso per non perdere neppure un po' di forzapoichél'effetto del
timone è legato alla rapidità della scia.
Dal momento che la differenza tra rombo vero e rombo apparente è tanto piùgrande quanto maggiore è la velocità del
vascellol'orca sembrava guadagnare in direzione del vento più di quantonon facesse realmente. L'orca non prendeva il
vento al gran lasco né andava di bolinama non si conosce direttamente lavera andatura che quando si ha il vento in
poppa. Se si scorgono nelle nuvole lunghe strisce raccolte in un unico puntodell'orizzontequello è il punto d'origine
del vento; ma quella sera c'erano molti venti e la quarta di direzione erasospetta; così il padrone diffidava delle illusioni
del naviglio.
Pilotava con una sorta di timida audaciabracciavafaceva attenzione agliscarti improvvisibadava alle abbattutenon
lasciava poggiare il bastimentoteneva d'occhio la derivateneva conto deipiccoli colpi della barracontrollava le
circostanze di ogni movimentogli sbalzi di velocità della sciale folliedei ventisi manteneva costantementea scanso
di sorpresea qualche quarta di vento dalla costa lungo cui navigavaesoprattutto teneva l'angolo che il segnavento
faceva con la chigliapiù aperto dell'angolo della velaturaperché ilrombo di vento indicato dalla bussola è sempre
dubbioa causa della piccolezza della bussola di rotta. Il suo sguardoabbassatoimperturbabilescrutava tutte le forme
che l'acqua assumeva.
Una volta tuttavia alzò gli occhi al cielo cercando di scorgere le trestelle della cintura di Orione; queste stelle vengono
chiamate i tre Magie un vecchio proverbio degli antichi piloti spagnolidice: Chi vede i tre Magi non è lontano dal
Salvatore.
L'occhiata al cielo del padrone coincise con il borbottio del vecchioappartato all'altra estremità del naviglio: «Non
vediamo neppure la stella polarené l'astro Antaresper quanto sia rosso.Non una stella è visibile».
Nessuna preoccupazione tra gli altri fuggiaschi.
Tuttaviapassato il primo entusiasmo per la fugafu inevitabile rendersiconto che si erano messi in mare nel mese di
gennaiocon un gelido vento di tramontana. Impossibile sistemarsi dentro lacabinatroppo stretta e comunque
ingombra di bagagli e fagotti. I bagagli appartenevano ai passeggerie ifagotti all'equipaggioperché l'orca non era
un'imbarcazione da diportoma praticava il contrabbando. I passeggeridovettero mettersi sul ponte; facile
rassegnazione per quei nomadi. Le abitudini della vita all'aria apertarendono facili ai vagabondi le sistemazioni
notturne; dormire sotto le stelle è per loro una consuetudine amica; ilfreddo li aiuta a dormirequalche volta a morire.
Quella notte poicome abbiamo vistodi stelle non ce n'erano.
Il francese della Linguadoca e il genovesein attesa della cenasirannicchiarono accanto alle donneai piedi dell'albero
sotto le incerate che i marinai avevano gettato loro.
Il vecchio calvo restò in piedi a pruaimmobile e come insensibile alfreddo.
Il padrone dell'orcadalla barra dove si trovavalanciò una specie dirichiamo gutturaleabbastanza simile
all'interiezione di un uccello che in America chiamano l'Esclamatore; a quelgrido il capo della banda si avvicinòe il
padrone lo apostrofò in questo modo: Etcheco jaüna! Le due parolebasche significano «lavoratore della montagna»e
servono agli antichi cantabri per iniziare un discorso solenne imponendol'attenzione.
Poi il padrone additò il vecchio al capoe il dialogo continuò inspagnoloin forma peraltro poco correttatrattandosi
dello spagnolo dei montanari. Ecco le domande e le risposte:
«Etcheco jaünaque es este hombre?».
«Un hombre».
«Que lenguas habla?».
«Todas».
«Que cosas sabe?».
«Todas».
«Qual païs!».
«Ninguny todos».
«Qual Dios?».
«Dios».
«Como le llamas?».
«El Tonto».
«Como dices que le llamas?».
«El Sabio».
«En vuestre tropaque esta?».
«Esta lo que esta».
«El gefe?».
«No».
«Puesque esta?».
«La alma».
Il capo e il padrone si separaronotornando ciascuno ai propri pensieriepoco dopo la Matutina uscì dal golfo.
Iniziarono le grandi oscillazioni del mare aperto.
Il marenel fendersi della schiumaappariva vischioso; i marosivisti nelfalso profilo del chiarore crepuscolare
sembravano a tratti pozze di fiele. Qua e là un'ondafluttuandoorizzontalmenteoffriva crepe e incrinature a stellacome un vetro contro cuisi siano gettate delle pietre. Al centro di quelle stellein un buco vorticosotremava una
fosforescenzamolto simile al riverbero felino della luce scomparsa che c'ènella pupilla delle civette.
La Matutinada valorosa nuotatriceattraversò audacemente ilfremito terribile della secca di Chambours. La secca di
Chamboursostacolo latente all'uscita dalla rada di Portlandnon è affattouna barrieraè un anfiteatro. Un circo di
sabbia sotto l'acquacon i gradini scolpiti dai cerchi dell'ondaun'arenarotonda e simmetricaalta come lo Jungfrauma
sommersaun Colosseo dell'oceano intravisto da chi si tuffa nellatrasparenza visionaria dell'inabissamentoecco la
secca di Chambours. Là combattono le idrelà s'incontrano i leviatani;làsul fondo del gigantesco imbutodicono le
leggendeci sono cadaveri di navi afferrate e affondate dal Krakenl'immenso ragno detto anche il pesce montagna.
Tale è la spaventosa ombra del mare.
In superficie solo un brivido rivela le realtà spettrali ignorate dall'uomo.
Nel diciannovesimo secolo la secca di Chambours è in rovina. Il frangiflutticostruito di recente ha sconvolto e troncato
a forza di risacche l'alta architettura sottomarinacosì come la digaedificata al Croisic nel 1760 ha modificato di un
quarto d'ora il flusso delle maree. Tuttavia la marea è eterna: il fatto èche l'eternità obbedisce all'uomo più di quanto
non si pensi.
IV • ENTRA IN SCENA UNA NUVOLA DIVERSA DALLE ALTRE
Il vecchioche il capo della banda aveva definito prima Folle e poi Saggionon abbandonava più la prua. Dopo la secca
di Chambours la sua attenzione si divideva tra cielo e oceano. Abbassava gliocchipoi li rialzava; scrutava soprattutto
in direzione nord-est.
Il padrone affidò la barra a un marinaioscavalcò il gavone dei caviattraversò il passavanti e raggiunse il castello di
prua.
Si avvicinò al vecchioma non di fronte. Si tenne un po' indietroi gomitistretti ai fianchile mani scostatela testa
inclinata sulla spallagli occhi ben apertiil sopracciglio sollevatoilsorriso agli angoli della boccache significa una
curiosità oscillante tra ironia e rispetto.
Il vecchiosia che avesse l'abitudine di parlare qualche volta da solosiache sentirsi qualcuno alle spalle lo spingesse a
parlareiniziò a monologare continuando a scrutare lo spazio.
«Il meridiano su cui si calcola l'ascensione retta è segnato in questosecolo da quattro stellequella Polarela sedia di
Cassiopeala testa di Andromedae la stella Algenibche si trova inPegaso. Ma non se ne vede nessuna».
Le sue parole si succedevano automaticamenteerano confusedette in modoapprossimativocome se in un certo senso
non si curasse di pronunciarle. Uscivano a fiotto dalla sua bocca e sidileguavano. Il monologo è il fumo dei fuochi
interiori dello spirito.
Il padrone lo interruppe.
«Signore...».
Il vecchioforse un po' sordo oltre che molto assortocontinuò:
«Non abbastanza stellee troppo vento. Il vento lascia sempre la suadirezione per gettarsi sulla costa. Vi si getta a
picco. Ciò dipende dal fatto che la terra è più calda del mare. Ne risultaun'aria più leggera. Il vento freddo e pesante del
mare si precipita sulla terra per sostituirla. Per questo nell'immensità delcielo il vento soffia verso terra da ogni parte.
Sarebbe necessario bordeggiare a lungo tra il parallelo stimato e ilparallelo presunto. Quando la latitudine osservata
non differisce da quella presunta più di tre minuti su dieci leghee diquattro su ventisi è sulla rotta giusta».
Il padrone salutòma il vecchio non lo vide. Quell'uomoche indossava unazimarra quasi da universitario di Oxford o
di Goettingennon si muoveva dal suo atteggiamento altezzoso e duro.Osservava il mare da conoscitore di flutti e di
uomini. Studiava le ondema quasi come se volesse chieder parola mentretumultuavanoper insegnar loro qualche
cosa. Maestro e augure. Aveva l'aspetto di un pedante dell'abisso.
Proseguì il suo soliloquiocon l'intenzione forse di essere ascoltato.
«Si potrebbe lottarese avessimo una ruota al posto della barra. Con unavelocità di quattro leghe all'orauna forza di
trenta libbre sulla ruota può produrre un effetto di trecentomila libbresulla direzione. E oltreperché ci sono casi in cui
si fanno fare al volano due giri di più».
Il padrone salutò una seconda voltae disse: «Signore...».
L'occhio del vecchio si fissò su di lui. Girò la testa senza che il corposi muovesse.
«Chiamami dottore».
«Signor dottoresono ioil padrone».
«Bene»rispose il - dottore -.
Il dottore - d'ora in poi lo chiameremo così - sembrò disponibile aldialogo:
«Padronehai un ottante inglese?».
«No».
«Senza ottante non puoi prendere l'altezza né da poppa né da prua».
«I baschi»replicò il padrone«prendevano l'altezza prima cheesistessero gli inglesi».
«Non fidarti di andare all'orza».
«Se necessario so rallentare».
«Hai misurato la velocità della nave?».
«Sì».«Quando?».
«Poco tempo fa».
«Con cosa?».
«Con il solcometro».
«Hai avuto cura di non perdere d'occhio il legno del solcometro?».
«Sì».
«La clessidra segna giusti i trenta secondi?».
«Sì».
«Sei sicuro che la sabbia non abbia consumato il foro tra le dueampolline?».
«Sì».
«Hai fatto la controprova della clessidra con la vibrazione di una palla dimoschetto appesa...».
«A un filo sottile estratto dalla canapa macerata? Certo».
«Hai incerato il filo per evitare che si allunghi?».
«Sì».
«Hai fatto la controprova del solcometro?».
«Ho fatto la controprova della clessidra con la palla di moschetto e lacontroprova del solcometro con la palla di
cannone».
«Che diametro ha la tua palla di cannone?».
«Un piede».
«Buon peso».
«È un'antica palla della nostra vecchia orca da guerrala Casse dePar-grand».
«Faceva parte dell'Armada?».
«Sì».
«Portava seicento soldaticinquanta marinai e venticinque cannoni?».
«Chiedilo al naufragio».
«Come hai fatto a pesare l'urto dell'acqua contro la palla?».
«Con una stadera tedesca».
«Hai tenuto conto della spinta dell'onda contro la corda che sostiene lapalla?».
«Sì».
«Con quale risultato?».
«L'urto dell'acqua è stato di centosettanta libbre».
«Ciò significa che la nave fa quattro leghe francesi all'ora».
«O tre di quelle olandesi».
«Ma si tratta solo dell'eccedenza della velocità di scia sulla velocitàdel mare».
«Senza dubbio».
«Dove ti dirigi?».
«Verso l'insenatura che conosco tra Loyola e San Sebastiano».
«Mettiti alla svelta sul parallelo del luogo d'arrivo».
«Sì. Con il minor scarto possibile».
«Non fidarti dei venti e delle correnti. I primi eccitano le seconde».
«Traidores».
«Non ingiuriare. Il mare ti ascolta. Non insultare nulla. Accontentati diosservare».
«Ho osservato e osservo. La marea in questo momento è contro vento; ma trapocoquando correrà con il ventoci
andrà bene».
«Hai una carta nautica?».
«No. Non di questo mare».
«Allora navighi alla cieca?».
«Affatto. Ho la bussola».
«La bussola è un occhiol'altro è la carta».
«Anche un guercio ci vede».
«Come fai a misurare l'angolo di rotta della nave con la chiglia?».
«Ho la bussola di variazionee poi vado a intuito».
«Intuire è una buona cosama sapere è meglio».
«Cristoforo intuiva».
«Quando c'è confusione e quando la rosa gira in malo modonon si sa piùda che parte prendere il ventoe si finisce col
non avere più né punto di stima né punto esatto. Un asino con la cartavale più di un indovino con l'oracolo».
«Non c'è ancora confusione nella tramontanae non vedo motivi d'allarme».
«Le navi sono mosche nella ragnatela del mare».
«Per il momento tutto va abbastanza bene sia in mare che nel vento».
«Un tremolio di punti neri sui fluttiecco cosa sono gli uominisull'oceano».
«Non prevedo niente di grave per questa notte».
«Può capitarti uno di quegli impicci da non riuscire a cavartelafacilmente».«Per adesso tutto va bene».
Il dottore guardò fisso verso nord-est.
Il padrone proseguì:
«Lasciami solo raggiungere il golfo di Guascogna e garantisco di tutto. Ah!Là sono proprio a casa mia. Lo tengo in
pugno il mio golfo di Guascogna. È un catino spesso molto in colleramaconosco dovunque la profondità dell'acqua e
le caratteristiche dei fondali; melma davanti a San Ciprianoconchigliedavanti a Cizarquesabbia al capo Penaspiccoli
ciottoli al Boucaut di Mimizane di ogni ciottolo conosco il colore».
Il padrone s'interruppe; il dottore non l'ascoltava più.
Il dottore scrutava attentamente verso nord-est. Su quel volto gelido stavaaccadendo qualcosa di straordinario.
Vi era dipinto tutto il terrore possibile a una maschera di pietra. Glisfuggì di bocca questa parola:
«Finalmente!».
Le sue pupillerotondein tutto simili a quelle del gufosi erano dilatatedallo stupore osservando un punto nello spazio.
Aggiunse: «È giusto. Per quanto mi riguarda sono pronto».
Il padrone lo osservava.
Il dottorecome parlando a se stesso o a qualcuno nell'abissoproseguì:«Io dico sì».
Tacquespalancò ancor di più gli occhi guardando con raddoppiataattenzionee continuò:
«Viene da lontanoma sa quello che fa».
Il segmento di spazio dove erano immersi la vista e il pensiero del dottoretrovandosi dalla parte opposta del tramo nto
era illuminato da un vasto riverbero crepuscolarequasi come fosse in pienogiorno. Il segmentoben circoscritto e
attorniato da lembi di vapore grigiastroera tutto bluma un blu piùvicino al piombo che all'azzurro.
Il dottorecompletamente rivolto verso il mare e ormai senza più guardareil padroneindicò con l'indice quel segmento
aereoe disse: «Padronelo vedi?».
«Cosa?».
«Quello».
«Cosa?».
«Laggiù».
«Quel blu. Sì».
«Che cos'è?».
«Un pezzetto di cielo».
«Per quelli che vanno in cielo»disse il dottore. «Per quelli che vannoaltrove è un'altra cosa».
Sottolineò questa parole enigmatiche con un terribile sguardo personell'ombra.
Si fece silenzio.
Il padronepensando al doppio appellativo che il capo aveva dato aquell'uomosi stava ponendo lo stesso problema: si
tratta di un folleoppure di un saggio?
L'indice ossuto e rigido del dottore era rimasto dritto e come immobilizzatoin direzione di quel fosco angolo blu
dell'orizzonte.
Il padrone esaminò quel blu.
«In effetti»borbottò«non è cieloè nuvola».
«Una nuvola blu è peggio di una nuvola nera»disse il dottore.
E aggiunse:
«È una nuvola di neve».
«La nube de la nieve»disse il padronecome se traducendo quelleparole potesse capire meglio.
«Sai che cos'è la nuvola della neve?»domandò il dottore.
«No».
«Presto lo saprai».
Il padrone tornò a scrutare l'orizzonte.
Osservando la nuvolail padrone disse tra i denti:
«Un mese di burrascaun mese di pioggiagennaio che tossisce e febbraioche piangeecco cos'è l'inverno per noi
asturiani. La nostra pioggia è calda. Da noi c'è neve solo in montagna. Ehsìbada alla valanga! La valanga non guarda
in faccia nessuno; la valanga è la bestia».
«E la tromba marina è il mostro»disse il dottore.
Dopo una pausa il dottore soggiunse:
«Eccola che viene».
E riprese:
«Molti venti si mettono al lavoro insieme. Un gran vento da oveste unolentissimo da est».
«Quello è un ipocrita»disse il padrone.
La nuvola blu diventava più grande.
«Se la neve è terribile quando scende dalla montagna»continuò ildottore«pensa cos'è quando crolla dal polo».
Il suo occhio era vitreo. Sembrava che la nuvolaoltre che all'orizzontecrescesse anche sul suo volto.
Poi riprese in tono sognante:
«Ogni minuto porta con sé l'ora. Si dischiude la volontà superiore».
Di nuovo il padrone si chiese dentro di sé: è pazzo?«Padrone»replicòil dottoresenza mai staccare gli occhi dalla nuvola«hai navigato moltonella Manica?».
Il padrone rispose:
«Questa è la prima volta».
Il dottoreassorto nella nuvola blupoteva stare in ansia per un solomotivocome la spugna che contiene la sua acqua
per questo alla risposta del padrone reagì soltanto con una lievissimaalzata di spalle.
«Come mai?».
«Signor dottoredi solito faccio rotta per l'Irlanda. Vado da Fontarabie aBlack-Harbour o all'isola Akillche è formata
da due isole. Qualche volta vado a Brachipultuna punta della regione delGalles. Navigo sempre al di là delle isole
Scilly. Non conosco questo mare».
«Disgraziato chi deve imparare sull'oceano! La Manica è un mare che bisognaleggere correntemente. La Manica è la
sfinge. Non ti fidare del fondale».
«Qui siamo a venticinque braccia».
«Bisogna arrivare alle cinquantacinque braccia che sono a ponenteevitandole venti che sono a levante».
«Scandaglieremo durante il tragitto».
«La Manica non è un mare come gli altri. Durante le grandi maree l'acquasale di cinquanta piedie solo di venticinque
durante quelle piccole. Il riflusso qui non è l'èbee l'èbe nonè il deflusso. Ah! Per questo mi sembravi sconcertato».
«Questa notte scandaglieremo».
«Per scandagliare bisogna fermarsie tu non potrai».
«Perché?».
«Per il vento».
«Tenteremo».
«La burrasca è una spada di Damocle».
«Scandaglieremosignor dottore».
«Non ti basterà metterti di fianco».
«Fede in Dio».
«Prudenza con le parole. Non pronunciare con leggerezza il nomeirritabile».
«Vi dico che scandaglierò».
«Sii modesto. Tra poco il vento ti schiaffeggerà».
«Intendo dire che tenterò di scandagliare».
«L'urto con l'acqua impedirà al piombo di scendere e la sagola sispezzerà. Ah! Vieni proprio per la prima volta da
queste parti!».
«Per la prima volta».
«Alloraascolta padrone».
Il tono di quel ascolta era così autoritario che il padrone accennòun inchino.
«Ascoltosignor dottore».
«Mura a sinistra e stringi a dritta».
«Che significa?».
«Metti la prua a ovest».
«Caramba!».
«Metti la prua a ovest».
«Non è possibile».
«Come vuoi. Quello che ti dico è per gli altri. Io sono pronto».
«Masignor dottorela prua a ovest...».
«Sìpadrone».
«Ma andremmo contro vento!».
«Sìpadrone».
«È un beccheggio diabolico!».
«Sìpadrone. Ma scegli altre parole».
«Vuol dire mettere la nave sul cavalletto!».
«Sìpadrone».
«E forse l'albero spezzato!».
«È possibile».
«Volete che faccia rotta a ovest!».
«Sì».
«Non posso».
«Allora veditela con il mare come ritieni meglio».
«Bisognerebbe che il vento mutasse».
«Non muterà per tutta la notte».
«Perché?».
«È un soffio lungo milleduecento leghe».
«Andare contro un vento simile! Impossibile».
«Prua a ovestdammi retta!».«Ci proverò. Ma nonostante tuttodevieremo».
«Questo è il rischio».
«Il vento ci spinge a est».
«Non andare a est».
«Perché?».
«Padronesai che nome ha oggi per noi la morte?».
«No».
«La morte si chiama est».
«Dirigerò a ovest».
Questa volta il dottore guardò il padronee lo guardò di uno sguardoinsistentecome per conficcare un pensiero in un
cervello. Si era girato completamente verso il padronepronunciò questeparole lentamentesillaba dopo sillaba:
«Se durante la nottequando saremo in mezzo al maresentiremo il suono diuna campanala nave sarà persa».
Il padrone lo guardò stupito.
«Cosa volete dire?».
Il dottore non rispose. Il suo sguardoche per un istante si era sportoeraora rientrato. L'occhio si era rifatto interiore.
Sembrò non accorgersi della domanda dell'attonito padrone. Ormai porgevaascolto solo a ciò che sentiva dentro di sé.
Le sue labbra articolarono a bassa voce queste parolein un mormoriomeccanico:
«È giunta l'ora di mondarsi per le anime nere».
Il padrone arricciò il nasocontraendo la parte inferiore del volto.
«È più un folle che un saggio»borbottò.
E si allontanò.
Tuttavia mise la prua a ovest.
Ma il vento e il mare continuavano a ingrossarsi.
V • HARDQUANONNE
Ogni tipo d'intumescenze deformava la nebbiasi gonfiavanocontemporaneamente su tutti i punti dell'orizzontecome
se bocche invisibili fossero intente a soffiare negli otri della tempesta.Quel genere di nuvole diventava inquietante.
La nuvola blu occupava interamente lo sfondo del cielo. Ora si trovava sia aovest che a est. Avanzava contro vento.
Sono le contraddizioni del vento.
Il mareche fino a un momento prima era a scagliemostrava adesso la suapelle. Così è fatto questo drago. Non era più
coccodrilloera boa. Quella pelle plumbea e sporcache sembrava spessasicopriva di pesanti increspature. In
superficie le bolle del mareggiosparsesimili a pustolesi gonfiavano perpoi scoppiare. La schiuma sembrava una
lebbra.
Fu in quel momento che l'orcaancora visibile in lontananza dal bambinoabbandonatoaccese il fanale.
Passò un quarto d'ora.
Il padrone cercò con lo sguardo il dottore; ma sul ponte non c'era più.
Appena il padrone l'aveva lasciatoil dottore si era curvato in tutta la suascomoda statura sotto la tuga della cabina
dove poi era entrato. Là si era seduto accanto al foconesu una testa dimoro; aveva estratto dalla tasca un calamaio di
zigrino e un portafoglio di cordovano; dal portafoglio aveva tolto unapergamena piegata in quattrovecchiamacchiata
e ingiallita; aveva spiegato il fogliopreso una penna dall'astuccio delcalamaioappoggiato il portafoglio sulle
ginocchia e la pergamena sul portafogliopoiai raggi della lanterna cheilluminava il cuocosi era messo a scrivere sul
rovescio della pergamena. Le scosse delle onde lo disturbavano. Il dottorescrisse a lungo.
Pur scrivendoil dottore notò la fiaschetta d'aguardiente che ilprovenzale assaggiava ogni volta che aggiungeva
peperoncino al pucheroquasi volesse consultarla sul condimento.
Il dottore notò la fiaschetta non perché fosse una bottiglia d'acquavitema per il nome intrecciato nel viminein giunco
rosso su giunco bianco. La cabina era abbastanza illuminata da poter leggerequel nome.
Il dottore s'interruppe e lo sillabò a mezza voce:
«Hardquanonne».
Poi si rivolse al cuoco:
«Non avevo ancora fatto caso a quella fiaschetta. È appartenuta aHardquanonne?».
«Al nostro povero compagno Hardquanonne?»fece il cuoco. «Sì».
Il dottore proseguì:
«A Hardquanonneil fiammingo di Fiandra?».
«Sì».
«Quello che si trova in prigione?».
«Sì».
«Nel torrione di Chatham?».
«Questa è la sua fiaschetta»rispose il cuoco«e lui era mio amico. Latengo in suo ricordo. Quando lo rivedremo? Sìè
la sua fiasca al fianco».Il dottore riprese la penna e tornò a tracciarefaticosamente quelle righe un po' tortuose sulla pergamena. Si preoccupava
evidentemente che fossero ben leggibili. Malgrado il tremore del bastimento equello dell'etàvenne finalmente a capo
di ciò che voleva scrivere.
Appena in tempoperché all'improvviso ci fu un'incappellata.
Un impetuoso sopraggiungere di ondate assalì l'orcae ci si accorse che erainiziata la danza spaventosa con cui le navi
accolgono la tempesta.
Il dottore si alzòsi avvicinò al focone eopponendo sapienti flessionidelle ginocchia agli strattoni della mareggiata
asciugò come poté al fuoco della marmitta le righe che aveva appenascrittopoi ripiegò la pergamena nel portafoglio e
rimise il portafoglio e il servizio da scrivania in tasca.
Il focone non era certo il pezzo meno ingegnoso della sistemazione dell'orca;era ben isolato. Tuttavia la marmitta
oscillava. Il provenzale la sorvegliava.
«Zuppa di pesce»disse.
«Per i pesci»rispose il dottore.
Poi tornò sul ponte.
VI • SI CREDONO AIUTATI
Nella sua crescente preoccupazione il dottore fece una sorta di esame dellasituazionee se qualcuno gli fosse stato
vicino avrebbe sentito uscire dalle sue labbra queste parole:
«Troppo rullio e non abbastanza beccheggio».
E il dottorerichiamato dall'oscuro travaglio dello spiritoridiscese nelsuo pensiero come un minatore nel pozzo.
Meditare non escludeva affatto l'osservazione del mare. Guardare il mare ècome fantasticare.
Stava per iniziare il cupo supplizio delle acqueeternamente tormentate. Unlamento usciva da tutte quelle onde.
Lugubriconfusi preparativi si facevano nell'immensità. Il dottoreosservava ciò che aveva sotto gli occhi e non perdeva
alcun dettaglio. Del resto nel suo sguardo non c'era traccia dicontemplazione. Non si contempla l'inferno.
Una vasta commozioneancora mezzo latentema che già traspariva nelletorbide disteseaccentuava in modo sempre
più grave il ventoi vaporiil mareggio. Niente è logico e niente sembraassurdo come l'oceano. Disperdersi fa parte
della sua sovranitàè un elemento della sua ampiezza. Il flutto èincessantemente contro o a favore. Non si annoda che
per snodarsi. Con un versante attaccacon l'altro libera. Non esiste unospettacolo come quello delle onde. Come
dipingere quelle cavità alternate ai rilieviappena realile vallateleamachequello svanire di architraviquelle forme
sorgenti? Come esprimere quelle boscaglie di schiumainsiemi di montagna edi sogno? Làdovunquec'è
l'indescrivibilenello squarcionell'increspaturanell'inquietudinenelfallimento personalenel chiaroscuronei
pennacchi delle nuvolenel continuo sfacimento delle chiavi di voltaneldisgregarsi senza lacuna e senza rotturanel
fracasso funebre di tutta questa demenza.
Era ormai chiaramente un vento del nord. La sua violenza era cosìfavorevolecosì utile per allontanarsi dall'Inghilterra
che il padrone della Matutina aveva deciso di far spiegare tutte levele. L'orca fuggiva nella schiumacome al galoppo
con tutte le vele spiegatevento in poppasaltando di onda in ondaconrabbia e allegria. I fuggiaschiestasiati
ridevano. Battevano le maniapplaudendo il mareggioi cavallonileraffichele velela velocitàla fugal'ignoto
avvenire. Il dottoreimmerso nelle sue meditazionisembrava non vederli.
Ogni traccia del giorno era scomp arsa.
In quel momento il bambinoche scrutava dalle lontane scogliereperse divista l'orca. Fino ad allora il suo sguardo era
rimasto insistentemente fisso sulla nave. Che parte ebbe quello sguardo neldestino? In quel preciso istantementre la
distanza cancellava l'orca e il bambino non vedeva più nullaegli se neandò verso nord e la nave verso sud.
Sprofondavano tutti nella notte.
VII • ORRORE SACRO
Da parte loro quelli che l'orca trasportava guardavano dietro a séallegrie ormai sollevatila terra ostile che si
allontanava e si faceva più piccola. A poco a poco la rotonda oscuritàdell'oceano salivaassottigliando nel crepuscolo
PortlandPurbeckTinchamKimmeridgei due Matraversle lunghe striscedella scogliera nebbiosae la costa
punteggiata di fari.
L'Inghilterra scomparve. I fuggiaschi non ebbero attorno a sé altro che ilmare.
D'un tratto la notte diventò terribile.
Non ci furono più né distese né spazio; il cielo si era fatto neroe sirichiuse sulla nave. Iniziò a scendere lentamente la
neve. Apparve qualche fiocco. Si sarebbero dette anime. Niente fu piùvisibile nel campo di corsa del vento. Si
sentirono in balia. Tutto il possibile era làuna trappola.
Nei nostri climi la tromba polare esordisce con questa oscurità da caverna.
Una grande nuvola foscasimile alla parte inferiore di un'idrapesavasull'oceanofacendo aderire a tratti quel ventre
livido alle onde. Qualcuna delle aderenze assomigliava a una tasca sfondatache aspirasse il marevuotandosi di vapore
e riempendosi d'acqua. Questi risucchi sollevavano qua e là sopra i fluttidei coni di schiuma.
La tormenta boreale si precipitò sull'orcal'orca vi si buttò dentro.Raffica e nave si vennero incontro come per
affrontarsi.Durante il primo forsennato arrembaggio neppure una vela fuimbrogliatanon un fiocco fu ammainatoné fu presa una
mano di terzarolo nel delirio dell'evasione. L'albero scricchiolavapiegandosi indietro come atterrito.
I cicloninel nostro emisfero settentrionalegirano da sinistra a destranello stesso senso delle lancette di un orologio
con un movimento di traslazione che a volte raggiunge le sessanta migliaall'ora. Benché fosse completamente alla
mercé di quella violenta spinta rotatorial'orca si comportava come sefosse stata nel semicerchio favorevolesenz'altra
precauzione che quella di presentare la prua alle ondemantenendosi con ilvento in poppa e ricevendo il vento
apparente di tribordo per evitare colpi a poppa e di traverso. Questa mezzaprudenza non sarebbe servita a niente nel
caso di un salto di vento da un'estremità all'altra.
Un rumore profondo soffiava nella regione inaccessibile.
Il ruggito dell'abissoniente gli è paragonabile. È l'immensabestialevoce del mondo. Ciò che noi chiamiamo materia
questo organismo insondabilequesto amalgama di energie incommensurabilidove a volte distinguiamo
un'impercettibile quantità d'intenzione che fa rabbrividirequesto cosmocieco e notturnoquesto Pan incomprensibile
possiede un gridouno strano gridoprolungatoostinatocontinuoche èmeno della parola e più del tuono. Questo
grido è l'uragano. Le altre vocicantimelodieclamoriparolevengonodai nididalle covatedagli accoppiamenti
dagli imeneidalle dimore; questa è la tromba che esce da quel Nulla che èTutto. Le altre voci esprimono l'anima
dell'universo; questa ne esprime la mostruosità. È l'informe che urla. Èl'inarticolato parlato dall'indefinito. Cosa
patetica e terrificante. Questi rumori dialogano al di sopra e al di làdell'uomo. Si alzanosi abbassanoondulano
determinano flutti di rumoresorprendono lo spirito con ogni sorta diviolenzaora scoppiano vicinissimi al nostro
orecchio come una fanfara importunaora hanno la voce sorda e rauca dellalontananza; baccano vertiginosoche
sembra un linguaggioe che in effetti è un linguaggio; esso è lo sforzodel mondo per parlarebalbettio portentoso. In
questo vagito si manifesta confusamente tutto ciò che patiscesubendoaccettando e respingendo lo smisurato palpito
delle tenebre. Più spesso è un deliriocome l'accesso di una malattiacronicauna diffusa epilessia piuttosto che
l'impiego di una forza; si crede di assistere a una crisi di malcaduconell'infinito. A momenti s'intravede una
rivendicazione degli elementiuna non so quale velleità di rivalsa del caossulla creazione. Altre volte è un lamentolo
spazio che si duole e si giustificaqualcosa come l'atto di difesa delmondo; sembra di capire che l'universo è un
processo; si ascoltasi cerca di afferrare le ragioni portateil terribilepro e contro; l'ombra che geme con la tenacità di
un sillogismo. Grande turbamento per il pensiero. Là si trova la ragiond'essere delle mitologie e dei politeismi. Al
terrore dei grandi mormorii si aggiungono profili sovrumanivisti e subitosvanitieumenidi appena distinteseni di
furie disegnati nelle nuvolechimere plutoniche quasi reali. Nessun orroreeguaglia quei singultiquelle risatela
flessibilità del fragorele domande e le risposte indecifrabiliquelleinvocazioni d'aiuto verso l'ignoto. Davanti allo
spaventoso incantesimo l'uomo non sa che fare. Cede all'enigma di quelleintonazioni draconiane. Cosa nascondono?
Cosa significano? Chi minacciano? Chi supplicano? C'è come uno scatenarsi.Urla da un precipizio all'altrotra aria e
acquatra vento e ondetra pioggia e rocciatra zenit e nadirdagli astrialle schiumesciolta la museruola dell'abissoè
così quel tumultocomplicato da un'indefinibile contesa con le cattivecoscienze.
La loquacità della notte non è meno lugubre del suo silenzio. Vi si sentela collera dell'ignoto.
La notte è una presenza. Presenza di chi?
D'altronde bisogna fare una distinzione tra notte e tenebre. Nella notte c'èl'assoluto; nelle tenebre c'è il molteplice. La
logica grammaticale non ammette l'uso del singolare per le tenebre. La notteè unale tenebre molte.
Questa nebbia del mistero notturno è lo sparsoil fugaceciò che è inrovinail funesto. Non si sente più la terrasi sente
l'altra realtà. C'è qualcosa o qualcuno che vive in quell'ombra infinita eindefinibile; ma ciò che là vive fa parte della
nostra morte. Dopo il nostro passaggio terrenoquando quell'ombra sarà luceper noici afferrerà una vita che è oltre la
vita. Nell'attesa sembra che ci voglia saggiare. L'oscurità è unapressione. La notte è una specie di sequestro della nostra
anima. In certe ore orrende e solenni sentiamo ciò che sta dietro il murodella tomba irrompere in noi.
Mai la vicinanza dell'ignoto è più tangibile che nelle tempeste di mare.All'orribile si aggiunge il bizzarro. Chi può
interrompere le azioni umanel'antico Raduna-nuvoledispone in quel casoper plasmare l'avvenimento come meglio
crededell'elemento inconsistentedell'illimitata incoerenzadella forzadiffusa senza partito preso. La tempestaquesto
misteroaccetta ed esegue ad ogni istante non si sa quali mutamenti divolontàapparenti o reali.
In ogni tempo i poeti l'hanno chiamato il capriccio dei flutti.
Ma non è un capriccio. Le cose sconcertanti che nella natura chiamiamocapriccioe caso nel destinosono brani di
legge intravisti.
VIII • NIX ET NOX
Ciò che caratterizza la tempesta di neve è il suo essere nera. L'aspettoabituale della natura durante la burrascaterra o
mare scuricielo lividoviene capovolto; il cielo è nerol'oceano èbianco. In basso schiumain alto tenebre. Un
orizzonte murato di fumouno zenit soffittato di crespo. La tempesta sembral'interno di una cattedrale parata a lutto.
Ma nessuna lampada in questa cattedrale. Non fuochi di Sant'Elmo in cima alleonde; niente fiammelleniente
fosforescenze; nient'altro che un'ombra immensa. La differenza tra il ciclonepolare e quello tropicale consiste nel fatto
che uno accende tutte le lucil'altro le spegne. Improvvisamente il mondodiventa la volta di una cantina. Da questa
notte cade una polvere di macchie pallideche esitano tra cielo e mare. Lemacchiecioè i fiocchi di nevescivolano
errano e fluttuano. Come se le lacrime di un sudario acquistassero la vita esi mettessero in movimento. A questa seminasi unisce una tramontana forsennata.Un'oscurità spezzettata in forme biancheil furioso nello scurotutto iltumulto di
cui è capace il sepolcroun uragano sotto un catafalcoecco cos'è latempesta di neve.
Sotto trema l'oceano che ricopre i formidabili approfondimenti dell'ignoto.
Nel vento polareche è elettricoi fiocchi diventano subito chicchi digrandinee l'aria si riempie di proiettili. L'acqua
scoppiettamitragliata.
Non ci sono tuoni. Nelle tormente boreali il lampo è silenzioso. Quello chea volte si dice del gatto: «sta imprecando»
lo si può dire anche di quel lampo. È una minaccia che viene da faucisemiapertestranamente inesorabile. La tempesta
di neve è la tempesta cieca e muta. Spesso dopo che è passata anche le navisono cieche e i marinai muti.
È difficile uscire da un simile abisso.
Tuttavia sarebbe sbagliato pensare che il naufragio è assolutamenteinevitabile. I pescatori danesi di Disco e del Balesin
i cercatori di balene nereHearn che va verso lo stretto di Behring peresplorare la foce del Fiume della miniera di rame
HudsonMackensieVancouverRossDumont d'Urvillehanno subitoperfinoal polole più inclementi burrasche di
neveriuscendo a venirne fuori.
Proprio in quella specie di tempesta l'orca aveva fatto il suo ingressotrionfale a vele spiegate. Frenesia contro frenesia.
La stessa impudenza ebbe Montgomery quandoevadendo da Rouenlanciò la suagalera a tutta velocità contro la
catena che sbarrava la Senna alla Bouille.
La Matutina correva. La sua inclinazione sotto le vele faceva a voltecon il mare uno spaventoso angolo di quindici
gradima la sua brava chiglia panciuta aderiva alle onde come fossero statevischio. La chiglia resisteva agli strappi
dell'uragano. Il fanale rischiarava la prua. La nuvola piena di ventitrascinando la sua massa sull'oceanostringeva e
serrava sempre di più il mare attorno all'orca. Non un gabbiano. Nemmeno unarondine di scogliera. Nient'altro che
neve. Il campo delle onde era piccolo e spaventoso. Se ne vedevano tre oquattrosmisurate.
Di quando in quando un grande lampocolor rame puroappariva dietro gliscuri intrecci di orizzonte e zenit. In
quell'apertura vermiglia si delineava l'orrore delle nubi. Per un secondoalbrusco incendio delle profonditàsi
stagliavano i primi piani delle nuvole e le lontane fughe del caos celeste;l'abisso si metteva in prospettiva. Contro
quello sfondo di fuoco i fiocchi di neve diventavano nerisi sarebbero dettiscure farfalle in volo in una fornace. Poi
tutto si spegneva.
Passata la prima esplosionela burrascasempre spazzando l'orcasi mise aruggire in un tono basso continuo. È la fase
del brontoliotemibile diminuzione del fracasso. Non c'è nulla di piùinquietante che questo monologo della tempesta.
Tetro recitativocome una pausa tra le misteriose forze in lottache indicauna sorta di agguato nell'ignoto.
L'orca continuava la sua disperata corsa. Soprattutto ciò che dovevano farele sue due vele più grandi era spaventoso. Il
cielo e il mare erano d'inchiostrocon getti di bava che saltavano più altidell'albero. Ad ogni istante rovesci d'acqua
attraversavano come un diluvio il pontee a ogni cambiamento di rullio lecubieora a tribordoora a babordo
diventavano altrettante bocche aperte che rivomitavano la schiuma in mare. Ledonne si erano rifugiate in cabina
mentre gli uomini restavano sul ponte. La neve turbinava accecante. Vi siunivano gli sputi del mareggio. Tutto era
furia.
In quel momento il capo della bandain piedi a poppasulla barrad'arcacciaaggrappato con una mano alle sartie
strappandosi con l'altra dalla testa il fazzolettoche agitava al chiaroredel fanalearrogantecontentoil volto alteroi
capelli scarmigliatiebbro di tutta quell'ombragridò:
«Siamo liberi!».
«Liberi! Liberi! Liberi!»ripeterono i fuggiaschi.
E tutta la bandaafferrandosi al sartiamesi drizzò sul ponte.
«Urrà!»gridò il capo.
E la banda urlò nella tempesta:
«Urrà!».
Quando il clamore si spense tra le rafficheuna voce grave e forte si levòall'estremità opposta della navee disse:
«Silenzio!».
Tutte le teste si voltarono.
Avevano riconosciuto la voce del dottore. L'oscurità era fitta; non potevanovedere il dottoreappoggiato com'era
all'alberocon cui la sua magrezza si confondeva.
La voce riprese: «Ascoltate!».
Tutti tacquero.
Allora udirono distintamente nelle tenebre il rintocco di una campana.
IX • INCARICO AFFIDATO AL MARE IN FURIA
Il padrone dell'imbarcazioneche stava al timonescoppiò a ridere.
«Una campana! Bene. Siamo spinti a babordo. Che cosa prova la campana? Cheabbiamo la terra a dritta».
La voce ferma e lenta del dottore rispose:
«Non avete la terra a dritta».
«E invece sì!»gridò il padrone.
«No».
«Ma la campana viene da terra».«La campana»disse il dottore«vienedal mare».
Tra quegli uomini arditi corse un brivido. Nel riquadro della tuga di cabinaapparvero i visi stravolti delle due donne
come l'evocazione di due larve. Il dottore fece un passo e la sua lungafigura nera si staccò dall'albero. Si udivano in
fondo alla notte i rintocchi della campana.
Il dottore riprese:
«A metà distanza tra Portland e l'arcipelago della Manicac'è in mezzo almare una boamessa per avvisare. La boa è
ancorata con catene al bassofondo e galleggia a fior d'acqua. Sulla boa èfissato un cavalletto di ferroalla traversa del
cavalletto è appesa una campana. Durante le mareggiate le onde agitandosiscuotono la boae la campana suona. È la
campana che udite».
Il dottore lasciò passare la sfuriata della tramontanaattese che lacampana riprendesse a suonaree seguitò:
«Sentire questa campana nella tempestamentre soffia il maestralesignifica essere perduti. Perché? Ecco: se udite il
rumore della campanavuol dire che ve lo porta il vento. Orail vento vieneda ovest e gli scogli d'Aurigny sono a est.
Sentite la campana solo perché siete tra la boa e gli scogli. E il vento vispinge proprio su quegli scogli. Siete sul lato
cattivo della boa. Se foste su quello buonovi trovereste al largoin altomaresu una rotta sicurae non udreste la
campana. Il vento non ve ne porterebbe il rumore. Passereste vicino alla boasenza accorgervene. Abbiamo deviato.
Quella campana è il naufragio che suona a martello. E adesso prendeteprovvedimenti!».
La campanache mentre il dottore parlava si era calmata a causa di un calodel ventosuonava lentamenteun colpo
dopo l'altroe l'intermittenza dei rintocchi sembrava assentire alle paroledel vecchio. Come se l'abisso suonasse a
morte.
Tutti ascoltavano col fiato sospesoora la voceora la campana.
X • LA TEMPESTA È LA GRANDE SELVAGGIA
Nel frattempo il padrone aveva afferrato il portavoce.
«Cargate todohombres! Mollate le scottealate i cavimollate ledrizze e gli imbrogli delle vele basse! Diamoci dentro
a ovest! Riprendiamo il largo! La prua sulla boa! La prua sulla campana!Laggiù c'è il mare aperto. Niente è perduto».
«Provate»disse il dottore.
Ricordiamodi sfuggitache la boa a soneriasorta di campanile del marefu soppressa nel 1802. Vecchissimi marinai
si ricordano ancora di averla udita. Era sì un avvertimentoma arrivava unpo' tardi.
L'ordine del padrone fu eseguito. Quello della Linguadoca fece da terzomarinaio. Tutti aiutarono. Fecero di più che
imbrogliare le velele serraronoallacciarono i gerlisi annodarono icaricascottei caricame zzo e i cavi di bolina;
misero paterazzi sugli stroppiche vennero così impiegati come sartie ditraverso; rinforzarono l'albero; bloccarono i
portelli di muratache è un modo per murare la nave. La manovraper quantoeseguita alla bene e meglionon fu per
questo meno corretta. L'orca fu ridotta all'equipaggiamento delle situazionidi pericolo. Ma quanto più il bastimento
serrando tuttosi rimpicciolivadi tanto cresceva su di lui il rivolgimentodell'aria e dell'acqua. L'altezza dei cavalloni
era quasi uguale a quella raggiunta nell'emisfero polare.
L'uraganocome un carnefice frettolososi mise a squartare la nave. In unbatter d'occhio lo strazio fu spaventosoalle
gabbie furono strappate le ralingheil fasciame rasodivelte le gruettelesartie devastatel'albero spezzatonel
frastuono del disastro tutto andò in frantumi. Le grosse gomene cedetterobenché avessero quattro mani di volta.
La tensione magneticapropria delle tempeste di nevecontribuiva allarottura dei cordami. Essi si romp evano sia per
l'effluvio che per il vento. Parecchie cateneuscite dai bozzellinonscorrevano più. A prua i masconi e a poppa le anche
cedevano sotto una pressione esagerata. Un'ondata trascinò via la bussola ela chiesuola. Un'altra ondata si trascinò la
barcaccia rizzatasecondo il bizzarro costume asturianovicino albompressoin funzione di attaccapanni. Un'altra portò
via il pennone della civada. Un'altra ancora la Madonna di prua e il fanale.
Non restava che il timone.
Supplirono alla perdita del fanale con una grande granata a brulottopienadi stoppa fiammeggiante e di catrame acceso
che sospesero al tagliamare.
L'alberospezzato in dueirto di stracci sventolantidi cordedi catene edi pennoniingombrava il ponte. Cadendo
aveva rotto il tavolato della murata di tribordo.
Il padronesempre alla barragridò:
«Finché possiamo tenere il timoneniente è perduto. Le opere vive tengonobene. Alle asce! Alle asce! L'albero a mare!
Liberate il ponte!».
Equipaggio e passeggeri avevano la febbre delle battaglie supreme. Bastaronopochi colpi di scure.
Spinsero l'albero in mare. Il ponte fu sgomberato.
«E ora»continuò il padrone«prendete una drizza e legatemi allabarra».
Fu legato al timone.
Mentre lo fissavanorideva. Gridò al mare:
«Mugghiavecchio mio! Mugghia! Ho visto di peggio al capo Machichaco».
E quando fu incatenatoagguantò il timone a due mani con quello stranopiacere che dà il pericolo.
«Va tutto benecompagni! Viva Nostra Signora di Buglose! Facciamo rottaverso ovest!».
Arrivò un'enorme ondata di traverso che si abbatté a poppa. C'è semprenelle tempeste una specie di onda tigreondata
feroce e definitivache arriva al momento opportunostriscia per un po'come con l'addome sul marepoi spicca ilbalzoruggiscestridesi abbattesulla nave in pericolo e la smembra. La poppa della Matutina fucompletamente
inghiottita dalla schiumae in quella mescolanza d'acqua e notte si udì unoschianto. Quando la schiuma dileguò e
riapparve la poppanon c'erano più né padronené timone.
Tutto era stato strappato via.
La barra e l'uomo che vi avevano appena legato se n'erano andati con l'ondanel confuso fragore della tempesta.
Il capo della banda scrutò fissamente nell'ombra e gridò:
«Te burlas de nosotros?».
A quel grido di ribellione ne seguì un altro:
«Gettiamo l'ancora! Salviamo il padrone».
Corsero all'argano. Gettarono l'ancora. Le orche ne avevano una sola. Ilrisultato fu che la persero. Il fondo era di roccia
vivail mareggio scatenato. La gomena si spezzò come un capello.
L'ancora restò in fondo al mare.
Del tagliamare rimaneva solo l'angelo che scrutava nel suo cannocchiale.
Da quel momento l'orca non fu che un relitto. La Matutina erairrimediabilmente smantellata. Quella navepoco prima
alata e quasi terribile nella sua corsaera adesso impotente. Non unamanovra che non fosse mutila e disarticolata.
Anchilosata e passiva obbediva alle furie bizzarre dell'acqua. Solo sul mareè possibile vederenel giro di pochi minuti
uno sciancato dove prima c'era un'aquila.
Lo spazio soffiava in modo sempre più mostruoso. La tempesta è un terribilepolmone. Essa aggrava con lugubre
insistenza ciò che è privo di sfumaturel'oscurità. La campana in mezzoal mare suonava disperatamentecome scossa
da una mano selvaggia.
La Matutina se ne andava in balia delle onde; un tappo di sugheroondeggia a quel modo; essa non navigava più
galleggiava; ad ogni istante sembrava che dovesse rovesciarsicol ventre afior d'acqua come un pesce morto. La
salvava da quel pericolo il buono stato di conservazione dello scafoaperfetta tenuta stagna. Nessuna serretta aveva
ceduto ai flutti. Non c'erano fessurené crepee neppure una gocciad'acqua entrava nella stiva. Questa era una fortuna
perché la pompa era stata colpita da un'avaria che l'aveva messa fuori uso.
L'orca ballava orrendamente nell'angoscia dei flutti. Il ponte aveva leconvulsioni di un diaframma che sta per vomitare.
Era come se si sforzasse di rigettare i naufraghi. Quelliinertisiaggrappavano alle manovre dormiential fasciameal
traversinoal serrabozzeai matafionialle fenditure del bordo liberosconnesso con i chiodi che laceravano le manialle
porche contortea tutti i miserabili avanzi di quello sfacelo. Ogni tantotendevano l'orecchio. Il suono della campana si
stava affievolendo. Come se anche lei agonizzasse. I suoi rintocchi non eranoche un rantolo intermittente. Poi il rantolo
si spense. Dove si trovavano dunque? E a quale distanza dalla boa? Il suonodella campana li aveva spaventatiil suo
silenzio li terrorizzò. Il maestrale li spingeva lungo una rotta forseirreparabile. Si sentivano trascinati da un frenetico
ritorno del vento. Il relitto correva nell'oscurità. Niente è piùraccapricciante di una velocità cieca. Sentivano il
precipizio davantisotto e sopra di sé. Non era più una corsaera unacaduta.
Improvvisamentein quell'immane tumultonella foschia della neveapparvequalcosa di rosso.
«Un faro!»gridarono i naufraghi.
XI • I CASQUETS
Si trattava infatti della Light-House dei Casquets.
Nel diciannovesimo secolo un faro è un cilindro altodi forma conicainmuraturasormontato da un apparecchio
scientifico per l'illuminazione. Il faro dei Casquets in particolare ècomposto oggi da una triplice torre bianca con tre
castelli di luce. Queste tre case luminose evolvono ruotando su ingranaggi adorologeriacon una precisione tale che
l'uomo di guardia che le osserva dal largo fa regolarmente dieci passi sulponte della nave durante l'irradiazionee
venticinque durante l'eclisse. Tutto è calcolato nel piano focale e nellarotazione del tamburo ottagonaleformato da otto
larghe lenti semplici e graduatecon sopra e sotto due serie di anellidiottrici; ingranaggio algebrico difeso dai colpi di
vento e di mare per mezzo di vetri spessi un millimetrovetri che a voltevengono rotti dalle razze che vi si gettano
soprae che sono le grandi falene di quelle gigantesche lanterne. Lacostruzione che racchiudesostiene e incastona il
meccanismoè ugualmente matematica. Tutto in essa è sobrioesattonudopreciso e corretto. Un faro è una cifra.
Nel diciassettesimo secolo un faro era una specie di pennacchio della terrasul bordo del mare. La torre del faro aveva
un'architettura magnifica e stravagante. Sovrabbondava di balconidibalaustredi torrettedi loggettedi padiglionidi
banderuole. Ed erano mascheronistatuefrondevolutemezzi tondifiguree figurinecartigli con iscrizioni. Pax in
bellodiceva il faro di Eddystone. Tra parentesiquella dichiarazionedi pace non sempre disarmava l'oceano.
Winstanley la ripeté su un faro che aveva costruito a sue spese in unalocalità selvaggiadavanti a Plymouth. Quando la
torre fu terminatavi si sistemò dentro e la fece mettere alla prova dallatempesta. La tempesta arrivò e si portò via faro
e Winstanley. Del resto quelle costruzioni esuberanti offrivano presa allaburrasca da ogni partecome quei generali
troppo gallonati che nella battaglia attirano su di sé i colpi. Oltre allefantasie di pietrac'erano le fantasie di ferrodi
ramedi legno; rilievi in ferramentale armature sbalzate. Dovunquedalprofilo del farosporgevanomurati tra gli
arabeschiarnesi di ogni tipoutili e inutiliverricelliparanchibozzellicontrappesiscalegru di caricograppini di
salvataggio. Sulla cimaattorno al focolaredelicate ferramenta lavoratereggevano grandi candelieri di ferrodove
venivano conficcati pezzi di gomena inzuppati di resinalucignoli cheardevano tenacemente e che nessun vento poteva
spegnere. La torre poi era tutto un grovigliodall'alto in bassodistendardi di marebanderuoleinsegnebandierepennonivessilliche salivanodi asta in astadi piano in pianoin un amalgama di coloridi formediblasonidi
segnalidi turbolenzefino alla gabbia a raggi del farofacendo durante latempesta un'allegra insurrezione di stracci
attorno a quel fiammeggiare. Quella luce sfrontata sull'orlo dell'abissosembrava una sfida e trasmetteva audacia ai
naufraghi. Ma il faro dei Casquets non apparteneva a quel genere.
In quell'epoca era semplicemente un vecchio faro barbarocosì come l'avevavoluto Enrico I dopo la perdita della
Blanche-Nefun rogo fiammeggiante sotto un graticcio di ferro in cima auna rocciauna brace dietro una gratauna
chioma di fiamme nel vento. L'unico miglioramento che quel faro aveva avutodopo il dodicesimo secoloera un
mantice di fucinamesso in movimento da una cremagliera a pesi di pietra cheera stata adattata al focolare nel 1610.
Con quegli antichi farila sorte degli uccelli marin i era più tragica checon i fari attuali. Gli uccelli vi accorrevano
attirati dal chiarorevi si precipitavano contro e cadevano nel bracieredove si vedevano saltareneri spiriti agonizzanti
in quell'inferno; e qualche volta ricadevano fuori dalla gabbia rossafinendo sulla rocciafumantiazzoppaticiechi
come mosche semibruciate scampate alla fiamma di una lampada.
A una nave che faccia manovraprovvista di tutte le sue attrezzatureegovernabile dal pilotail faro dei Casquets è
utile. Esso grida: attenzione! Mette in guardia dallo scoglio. Ma per unanave smantellata esso è davvero terribile. Lo
scafoparalizzato e inerteimpotente contro le pieghe insensate dell'acquaindifeso contro la pressione del ventopesce
senza pinneuccello senza alinon può andare che dove lo spinge il vento.Il faro gli indica l'ultimo approdosegnala il
luogo della scomparsaillumina la sepoltura. Esso è la candela delsepolcro.
Che tragica ironia rischiarare il passaggio inesorabileavvisaredell'inevitabile.
XII • CORPO A CORPO CON LO SCOGLIO
I miserabili in pericolo sulla Matutina capirono subito la beffamisteriosa che si era aggiunta al naufragio. In un primo
momento l'apparizione del faro li rianimòpoi li abbatté. Nulla da farenulla da tentare. Quello che è stato detto dei re
si può dire anche dei flutti. Siamo i loro sudditila loro preda. Dobbiamosubire ogni loro delirio. Il maestrale spingeva
l'orca alla derivaverso i Casquets. Ci stavano andando. Impossibileopporsi. Andavano rapidamente alla derivaverso
la scogliera. Sentivano i fondali salire; la sondase avessero potutoimmergere utilmente una sondanon avrebbe dato
più di tre o quattro braccia. I naufraghi ascoltavano il sordo riversarsidell'onda nei profondi anfratti sottomarini della
roccia. Sopra al faro distinguevano come una fetta scuratra due lame digranitolo stretto varco di quel piccolo porto
terrificante e selvaggioche si indovinava pieno di scheletri d'uomo ecarcasse di navi. Più che l'entrata di un portoera
la bocca di un antro. Udivano il crepitio del rogoalto nella sua gabbia diferroun rosso stravolto illuminava la
tempestafiamma e grandine incontrandosi agitavano la nebbiala nube nera eil fumo rosso combattevanoserpe contro
serpele braci strappate volavano al ventoe sembrava che i fiocchi di nevefuggissero davanti a quell'improvviso
attacco di scintille. I frangentiprima sfumatisi disegnavano ora connettezzacongerie di roccecon picchicreste e
vertebre. Gli angoli si modellavano in vivaci linee vermigliee i pianiinclinati in sanguinosi scivoli di luce. Avanzando
il rilievo della scogliera s'ingrandivaergendosi in modo sinistro.
Una delle donnequella irlandesesgranava disperatamente il rosario.
In mancanza del padroneche era il pilotarimaneva il capoche era ilcapitano. Tutti i baschi conoscono sia la
montagna che il mare. Sono audaci davanti ai precipizi e ingegnosi nellecatastrofi.
Erano arrivatistavano per toccare. A un tratto si trovarono così vicinialla grande roccia nord dei Casquetsche essa
improvvisamente eclissò il faro. Non vi fu più che leisullo sfondo di unvago chiarore. La roccia dritta nella nebbia
assomigliava a una grande donna nera con una cuffia di fuoco.
Quella roccia malfamata si chiama il Biblet. Essa puntella a settentrione lascoglierache un altro rilievol'Étacq-aux-Guilmets
puntella a mezzogiorno.
Il capo guardò il Biblete gridò:
«Un uomo di buona volontà che porti un gherlino al frangente! C'è qualcunoche sappia nuotare?».
Nessuno rispose.
A bordo nessuno sapeva nuotareneppure i marinaiignoranza del restofrequente tra la gente di mare.
Un baglioquasi staccato dalle sue commessureoscillava nel fasciame. Ilcapo lo strinse tra le mani e disse:
«Aiutatemi».
Staccarono il baglio. Era pronto per qualsiasi uso. Da mezzo di difesadivenne mezzo d'attacco.
Era una trave abbastanza lunga di quercia anticasana e robustache potevaservire come strumento d'attacco e punto
d'appoggio; leva per un caricoariete contro una torre.
«In guardia!»gridò il capo.
Si misero in seiappoggiandosi allo spezzone dell'alberoa tenere il baglioin posizione orizzontale fuori bordodritto
come una lancia contro il fianco dello scoglio.
La manovra era pericolosa. Ci vuole un bel coraggio per dare una spinta a unamontagna. Il contraccolpo avrebbe potuto
gettare i sei uomini in acqua.
Queste sono le contraddizioni nella lotta contro le tempeste. Dopo larafficalo scoglio; dopo il ventoil granito. A volte
si è alle prese con l'inafferrabilea volte con l'incrollabile.
Fu uno di quei minuti che fanno diventare bianchi i capelli.
Lo scoglio e la nave stavano per scontrarsi.
La roccia è paziente. Lo scoglio attendeva.Accorse un'ondata scomposta. Misefine all'attesa. Prese la nave da sottola sollevò eper un istantela tennein
equilibrio come la fionda che fa oscillare il proiettile.
«Fermi!»gridò il capo. «Non è che una rocciae noi siamo uomini».
La trave era in resta. I sei uomini erano tutt'uno con essa. Le caviglieappuntite del baglio laceravano loro le ascellema
non se ne accorgevano nemmeno.
L'ondata gettò l'orca contro la roccia.
Ci fu l'urto.
Ci fusotto l'informe nube di schiuma che nasconde sempre queste peripezie.
Quando la nube ricadde in marequando tra onda e roccia si riformò ilvuotoi sei uomini rotolarono sul ponte; ma la
Matutina fuggiva lungo il frangente. La trave aveva rettocausando unadeviazione. In pochi secondinella sfrenata
fuga delle ondel'orca si lasciò alle spalle i Casquets. Per il momento la Matutinaera fuori da un pericolo immediato.
Capita. Un colpo diritto del bompresso nella scogliera salvò Wood de Largoall'imboccatura del Tay. Negli impervi
paraggi di capo Wintertonla Royale-Marieal comando del capitanoHamiltone benché non fosse che una fregata di
tipo scozzesepoté scampare al naufragio con un analogo uso della levacontro la temibile roccia di Brannoduum.
L'onda si scompone con una forza così improvvisa da rendere facili lediversionio almeno possibilianche negli urti
più violenti. Nella tempesta c'è il bruto; l'uragano è un toro che si puòmettere nel sacco.
Il segreto per evitare il naufragio consiste nel cercare di passare dallasecante alla tangentetutto qui.
Fu il servizio reso dal baglio alla nave. Era servito da remo; avevafunzionato come timone. Ma questa manovra
liberatrice era stata fatta una volta per tutte; non si poteva ripeterla. Latrave era in mare. La forza dell'urto l'aveva
sbalzata dalle mani degli uomini in maree si era persa nei flutti.Schiodare un'alt ra armatura voleva dire sfasciare la
membratura.
L'uragano si riprese la Matutina. In un attimo i Casquets apparverocome un inutile ingombro sull'orizzonte. Solo uno
scoglio in simili circostanze può sembrare così sconcertato. Ci sono nellanaturaai confini con l'ignotolà dove visibile
e invisibile s'intralcianoarcigni profili immobili e indignati per la fugadi una preda.
Così apparivano i Casquets mentre la Matutina si allontanava.
Il faroindietreggiandoimpallidìillividìpoi scomparve.
Fu una scomparsa tetra. Dense nebbie si sovrapposero alla vampa che si eradiffusa. L'irradiamento si stemperò in
quell'umida immensità. La fiamma fluttuòlottòaffondòperse forma.Quasi stesse annegando. Il braciere diventò
lucignolonon fu che un vago tremolio sbiadito. Tutto intorno si allargavalo stravaso del cerchio di luce. Come un
annientamento di luce in fondo alla notte.
La campana minacciosa si era azzittita; il faro minaccioso era svanito.Eppurescomparse quelle due minaccefu ancora
più terribile. Una era una vocel'altra una fiaccola. Esse avevano qualcosadi umano. Senza di lororestò l'abisso.
XIII • FACCIA A FACCIA CON LA NOTTE
L'orca si ritrovò in balia dell'ombranella sterminata oscurità.
La Matutinascampata ai Casquetsprecipitava da un'ondata all'altra.Una treguama nel caos. Spinta di traverso dal
ventosballottata da mille trazioni dell'ondain essa si ripercuotevanotutte le folli oscillazioni dei flutti. Non aveva
quasi più beccheggiosegno terribile dell'agonia di una nave. I relittihanno solo il rullio. Il beccheggio è la convulsione
della lotta. Solamente il timone permette di andare contro vento.
Nella tempestae soprattutto nella meteora di neveil mare e la nottefiniscono per fondersi e amalgamarsidiventando
un unico fumo. Nebbiaturbineventoscivolare in tutti i sensinessunpunto d'appoggioniente su cui orientarsi
nessuna sostaun perpetuo ricominciareun varco dopo l'altronessunorizzonte in vistanero e profondo regredireera
là dentro che l'orca vagava.
Sfuggire ai Casquetsevitare gli scogliper i naufraghi era stata unavittoria. Ma più che altro uno stupore. Non c'erano
stati urrà: sul mare non si commettono due volte simili imprudenze. Gettareprovocazioni là dove non si getterebbe la
sondaè grave.
Respingere lo scoglio era stato come realizzare l'impossibile. Ne eranorimasti pietrificati. A poco a pocotuttavia
tornavano a sperare. Non si affondano i miraggi dell'anima. Non esistepericolo cheanche nel momento più criticonon
veda sorgere dalle sue profondità l'ineffabile albore della speranza. Queglisventurati non chiedevano di meglio che
poter confessarsi di essere in salvo. C'era in loro quel balbettio.
Ma all'improvviso apparve nella notte qualcosa di spaventosamente gigantesco.Sorse a babordoprese forma
stagliandosi sul fondo di nebbiauna massa alta e opacaverticaleadangoli rettila torre squadrata dell'abisso.
La guardarono a bocca aperta.
Le raffiche li stavano spingendo proprio là.
Non sapevano cosa fosse. Era lo scoglio di Ortach.
XIV • ORTACH
Ricominciava la scogliera. Dopo i CasquetsOrtach. La tempesta non è unartistala sua brutale onnipotenza non varia i
propri mezzi.L'oscurità è inesauribile. Non le mancano mai trappole eperfidie. Per l'uomo invece viene presto la fine delle sue
risorse. L'uomo si consumal'abisso no.
I naufraghi si volsero verso il capola loro speranza. Egli non poté faraltro che alzare le spallecon sdegno tetro e
impotente.
Una selce in mezzo all'Oceanoecco lo scoglio di Ortach. Lo scoglio diOrtachtutto d'un pezzoerto sui colpi
indispettiti delle ondesale diritto per ottanta piedi. Onde e navi vis'infrangono. Cubo immutabileche immerge a picco
i suoi fianchi rettilinei nelle infinite curve di serpe del mare.
Di notte sembra un ceppo enorme posato sulle pieghe di un grande drappo nero.Durante la tempesta attende il colpo di
scure del tuono.
Ma non ci sono mai colpi di tuono nella tromba di nave. La navein realtàha una benda sugli occhi; tutte le tenebre le
si sono serrate addosso. È pronta come un suppliziato. E non c'è da sperarenel fulmineche almeno è una fine rapida.
La Matutinaparalizzata sui fluttiandava verso questo scogliocosì come era andata verso l'altro. Quei disgraziatiche
per un momento si erano creduti in salvoripiombarono nell'angoscia. Tornavadavanti a loro quel naufragio che si
erano lasciati dietro. Dal fondo del mare usciva di nuovo lo scoglio. Sitornava da capo.
I Casquets sono uno stampo dai mille scompartil'Ortach è una muraglia.Naufragare ai Casquets significa essere fatti a
brandelli; naufragare all'Ortach significa essere stritolati.
Tuttavia rimaneva una possibilità.
Sui fronti dirittie l'Ortach è uno di questi frontil'ondacome unapalla di cannonenon rimbalza. Si riduce a un
semplice movimento. Flussoe poi riflusso. Arriva come ondatorna comemaroso.
In simili casi la scelta tra la vita e la morte avviene così: se l'ondaconduce il bastimento fino alla rocciave lo infrange
ed esso è perduto; se il maroso torna prima che il bastimento abbia toccatolo porta viaed esso è salvo.
Ansia straziante. I naufraghi scorgevano nella penombra il grande fluttoquello supremoche veniva verso di loro. Fin
dove li avrebbe trascinati? Se s'infrangeva contro la nave li avrebbe fattirotolare contro la rocciafracassandoli. Se
passava sotto la nave...
Il flutto passò sotto la nave. Respirarono.
Ma come sarebbe tornato? Cosa avrebbe fatto di loro la risacca?
La risacca li portò via.
In pochi minuti la Matutina si trovava fuori dalle acque delloscoglio. L'Ortach si eclissòcome era accaduto ai
Casquets.
Era la seconda vittoria. Per la seconda volta l'Orca era stata sull'orlo delnaufragioma se n'era ritratta in tempo.
XV • PORTENTOSUM MARE
Nel frattempo la nebbiache si era infittitasi abbatté su queidisgraziati alla deriva. Ingoravano dove si trovassero.
Vedevano appena a qualche gomena dall'orca. Malgrado i chicchi di grandine lelapidassero davverocostringendole a
tenere la testa bassale donne si erano ostinate a non ridiscendere nellacabina. Non c'è un solo disperato che rinunci a
naufragare a cielo aperto. Quando si è così vicini alla morteun soffittosopra di sé è un principio di bara.
Le ondesempre più gonfiesi facevano corte. Il turgore dei flutti indicauna strozzatura; con la nebbia forte certi rilievi
circolari dell'acqua segnalano uno stretto. Infattisenza saperlostavanocosteggiando Aurigny. Tra Ortach e i Casquets
a ponentee Aurigny a levanteil mare stringendosi si turbae il malesseredel mare determina le tempeste locali. Come
ogni altra cosaanche il mare soffre; e là dove soffresi irrita. Quelpassaggio è temuto.
La Matutina si trovava proprio in quel passaggio.
Immaginiamo sott'acqua uno scudo di testuggine grande come Hyde-Park o gliChamps-Elyséesogni incavo è un
bassofondo e ogni placca uno scoglio. Così si presenta l'accesso occidentaledi Aurigny. Il mare ricopre e nasconde
quella macchina da naufragi. Su quel carapace di scogli sottomarini saltano espumeggiano le onde in frantumi.
Sciabordioquando c'è calma; caos nella tempesta.
I naufraghi presero atto della nuova complicazione senza spiegarsela. Poid'un tratto capirono. Si diffuse un pallido
chiarore allo zenitsbiancando un po' il maree quel livore bastò persmascherare un lungo sbarramento a babordo
messo di traverso in direzione este lì si scagliava l'urto del ventospingendo davanti a sé la nave. Era la barriera di
Aurigny.
Che cos'era quella barriera? Tremarono. Ma avrebbero tremato ancor di più seuna voce avesse loro risposto: Aurigny.
Non ci sono isole così ben difese dalla venuta dell'uomo come Aurigny. Essadispone di una sorveglianza ferocesotto e
fuori dell'acquae Ortach è la sua sentinella. A ovest BurhouSadteriauxAnfroqueNiangleFond-du-Croci Jumelles
la Grossela Clanquegli Eguillonsil Vracla Fosse-Malière; a estSauquetHommeauFloreaula Brinebetaisla
QueslingueCroquelihoula Fourcheil SautNoire PuteCoupieOrbue. Cosasono tutti questi mostri? Idre? Sìidre
della specie scoglio. Uno di questi scogli si chiama la Metacome per direche ogni viaggio finisce lì.
L'ingombro di scogliche acqua e notte semplificavanoappariva ai naufraghisotto forma di una semplice striscia scura
una sorta di frego nero sull'orizzonte.
Il naufragio è il massimo dell'impotenza. Essere vicini a terra e nonpoterla raggiungeregalleggiare e non poter
navigarepoggiare con i piedi su qualcosa che sembra solido ma è fragileessere pieni di vita e di morte al tempo stesso
essere prigionieri delle disteseessere murati tra cielo e oceanoaveresopra sé l'infinito come una segretaavere attornol'immensa evasione dei ventie delle ondee essere afferratiincatenatiparalizzatiin una stupefacenteindegna
prostrazione. Sembra di intravedervi il ghigno del combattente inaccessibile.
Ciò che vi trattiene è lo stesso che lascia andare gli uccelli e mette inlibertà i pesci. Sembra nulla ed è tutto. Si dipende
da quella stessa aria che agitiamo con la boccasi dipende da quell'acquache teniamo nel cavo della mano. Attingete
dalla tempesta un bicchiere pienonon è altro che un po' d'amaro. Sorsataè nausea; mareggioè sterminio. Il granello
di sabbia nel desertoil fiocco di schiuma nell'oceanosono manifestazionivertiginose; l'onnipotenza non si preoccupa
di nascondere il suo atomoessa rende forte la debolezzariempie con il suotutto il nullaed è con l'infinitamente
piccolo che l'infinitamente grande vi annienta. Per stritolarvi l'oceano siserve di gocce. Ci si sente giocattoli.
Giocattoliche terribile parola!
La Matutinacircostanza favorevoleera un po' sopra Aurigny; maandava alla deriva verso la punta nordcom'era
fatale. Il vento di nord-ovest lanciava la nave verso il capo settentrionalecome un arco teso scocca una freccia. Presso
questa puntaun po' al di qua del porto di Corbeletsc'è quello che imarinai dell'arcipelago normanno chiamano «una
scimmia».
La scimmia - swinge - appartiene alla specie delle correnti furiose.Una serie d'imbuti nei bassifondi che genera una
serie di vortici nelle onde. Quando uno vi lascia andarel'altro viriprende. Così una naveafferrata dalla scimmiagira
di spirale in spiralefinché una roccia appuntita apre lo scafo. Allora ilbastimento squarciato si fermala poppa esce
dalle ondela prua affondail gorgo termina il suo giro di ruotala poppaaffondae tutto si richiude. Una pozza di
schiuma galleggia e si allargae sulla superficie delle onde non si vedonoche bollequa e làcausate dai respiri
soffocati sott'acqua.
Le tre scimmie più pericolose di tutta la Manica sono: quella attigua alGirdler Sandsil famoso banco di sabbiaquella
di Jerseytra il Pignonnet e la punta di Noirmonte la scimmia d'Aurigny.
Un pilota del luogoche si fosse trovato a bordo della Matutinaavrebbe avvertito i naufraghi di quel nuovo pericolo. In
mancanza del pilotaessi avevano l'istinto; nelle situazioni estreme c'ècome una seconda vista. Alti giri di schiuma
s'innalzavano lungo la costanel frenetico saccheggio del vento. Era losputo della scimmia. Molte barche si sono
rovesciate in quell'agguato. Senza sapere ciò che li aspettavavi siavvicinavano con orrore.
Come doppiare quel capo? In nessun modo.
Avevano visto sorgere i Casquetspoi Ortachallo stesso modo ora vedevanoergersi la punta d'Aurignyaltatutta di
roccia. Erano come gigantiuno dopo l'altro. Una serie di spaventosi duelli.
Scilla e Cariddi sono solo due; i CasquetsOrtach e Aurigny sono tre.
L'apparizione dello scoglio che invadeva l'orizzonte si riproduceva con lagrandiosa monotonia dell'abisso. Le battaglie
dell'oceanocome i combattimenti di Omerohanno di queste sublimiripetizioni.
Quanto più si avvicinavanoogni ondata aggiungeva venti cubiti alledimensioni del capoche si andava
spaventosamente ingrandendo nella nebbia. La distanza sembrava diminuiresempre più irrimediabilmente. Arrivarono
sul bordo della scimmia. La prima ondulazione che li avesse afferratiliavrebbe trascinati. Ancora un'ondata da
superaree tutto sarebbe finito.
Improvvisamente l'orca fu sospinta indietro come se l'avesse colpita il pugnodi un titano. I marosi s'impennarono sotto
la nave e si rovesciaronorespingendo il relitto tra criniere di schiuma.Sotto quella spinta la Matutina si allontanò da
Aurigny.
Si ritrovò al largo.
Da dove veniva quell'aiuto? Dal vento.
Il soffio della tempesta si era spostato.
Prima erano state le onde a giocare con loroadesso toccava al vento. Sierano liberati da soli dei Casquets; davanti a
Ortach erano state le peripezie dei cavallonidavanti a Aurigny fu latramontana. C'era stato un salto improvviso da
settentrione a mezzogiorno.
Il libeccio era succeduto al maestrale.
La corrente è il vento nell'acqua; il vento è la corrente nell'aria; le dueforze si erano scontratee il vento per capriccio
aveva sottratto alla corrente la sua preda.
Le rudezze dell'oceano sono inspiegabili. Sono un perpetuo forse. Quando siè alla loro mercénon si può né sperarené
disperare. Esse fannopoi sfanno. L'oceano si diverte. In quel vasto esubdolo mareche Jean Bart chiamava - la gran
bestia -ci sono tutte le sfumature della ferocia beluina. È il colpod'artiglio con volute pause da zampa di velluto. A
volte la tempesta liquida il naufragio in gran fretta; a volte se lo lavorapuntigliosamentequasi accarezzandolo. Il mare
ha tempo. Se ne accorgono gli agonizzanti.
Capita che certi rallentamenti nel suppliziodobbiamo ammetterloannuncinola liberazione. Sono casi rari. Comunque
gli agonizzanti credono facilmente alla salvezzala minima tregua nelleminacce della tempesta è loro sufficientesi
convincono di essere fuori pericolodopo essersi creduti sepolti prendonoatto della resurrezioneaccettano
febbrilmente ciò che non possiedono ancoratutto quello che la cattivasorte conteneva è esauritoè evidentesi
dichiarano soddisfattisono salviritengono che Dio abbia mantenuto i suoiimpegni. Ma non bisogna avere troppa
fretta nel rilasciare simili ricevute all'Ignoto.
Il libeccio esordì con dei vortici. I soccorritori dei naufraghi sono sempreburberi. La Matutina fu impetuosamente
trascinata al largo per quel po' di sartiame che le restavacome una mortaper i capelli. Sembrava una di quelle
liberazioni che Tiberio accordava a prezzo di stupro. Il vento maltrattavaquelli che stava salvando. Prestava i suoi uffici
con furore. Fu un soccorso senza pietà.Il relittoin mezzo a queimaltrattamenti liberatorifinì di sfasciarsi.
Chicchi di grandinegrossi e duri da caricarci un trombonecrivellavano ilbastimento. A ogni rovesciamento dei
marosii chicchi rotolavano sul ponte come biglie. L'orcaquasi presa tradue acquediventava irriconoscibile sotto la
ricaduta delle ondesprofondandosi nelle schiume. Sulla nave ciascunopensava a sé.
Chi poteva si aggrappava. Dopo ogni colpo di mare erano sorpresi diritrovarsi tutti. Molti avevano il volto straziato da
schegge di legno.
Fortunatamente la disperazione ha pugni robusti. Nello spavento la mano di unbambino ha la stretta di un gigante.
L'angoscia rende una morsa le dita della donna. Una giovane impauritaaffonderebbe nel ferro le sue unghie rosee. Si
afferravanosi tenevanosi trattenevano. Ma ogni onda minacciava dispazzarli.
Improvvisamente si sentirono confortati.
XVI • IMPROVVISA DOLCEZZA DELL'ENIGMA
L'uragano era cessato di colpo.
Nell'aria non c'erano più né libeccio né maestrale. Le forsennate chiarinedello spazio tacquero. La tromba uscì dal cielo
senza aver prima dato segni di diminuzionesenza transizionequasi fosselei stessa scivolata a picco in un abisso. Non
seppero più dov'era. I fiocchi presero il posto dei chicchi. Ricominciò acadere lentamente la neve.
Cessarono i marosi. Il mare si appiattì.
Queste improvvise conclusioni sono caratteristiche delle bufere di neve.Quando l'effluvio elettrico si esauriscetutto si
calmaanche le ondeche spessonelle comuni tormenterimangono a lungoagitate. Quino. Nessuna proroga alla
collera dei flutti. Come un lavoratore dopo che ha faticatoi marosi siassopiscono immediatamentefatto che quasi
smentisce le leggi della staticasenza per questo stupire i vecchi pilotiche sanno bene quanto sia imprevedibile il mare.
Il fenomenoseppur raramenteha luogo anche durante le tempeste comuni.Cosìper restare ai nostri giornidurante il
memorabile uragano del 27 luglio 1867a Jerseydopo quattordici ore difuriail vento cadde all'improvviso cedendo
alla bonaccia.
In pochi minuti l'orca ebbe attorno solo acqua addormentata.
Contemporaneamentedal momento che l'ultima fase assomiglia alla primanonsi distinse più nulla. Tutto ciò che era
diventato visibile nelle convulsioni delle nubi meteoricheridivennetorbidole livide sagome si fusero stemperandosi
completamentee il buio dell'infinito si strinse da ogni parte sulla nave.Quel muro di nottequell'occlusione circolare
quell'interno di un cilindro il cui diametro diminuiva di minuto in minutoavvolgeva la Matutinaecon la sinistra
lentezza di una banchisa che si chiudesi restringeva in modo formidabile.Allo zenitnienteun coperchio di nebbia
una chiusura. L'orca era come sul fondo del pozzo dell'abisso.
In quel pozzo una pozzanghera di piombo liquidoera il mare. L'acqua non siagitava più. Una tetra immobilità. Mai
l'oceano è più selvaggio di quando sembra uno stagno.
Tutto era silenziocalmaaccecamento.
Forse il silenzio delle cose significa che sono taciturne.
Gli ultimi sciabordii scivolavano lungo il fasciame. Il ponte eraorizzontalecon lievi pendenze. Qualche rottame si
muoveva debolmente. Il guscio di granata che serviva da fanalee dovec'erano delle stoppe che bruciavano nel catrame
non si dondolava più sul bompressoe aveva cessato di gettare gocceinfiammate in mare. Quel po' di vento che restava
tra le nuvole non faceva più rumore. La neve cadeva fittamolleappena ditraverso. Non si sentiva la schiuma dei
frangenti. Pace di tenebre.
Quel riposodopo esasperazioni e parossismifu un sollievo indicibile perquei disgraziati che erano stati sballottati così
a lungo. Sembrò loro che la tortura fosse finita. Intravidero attorno esopra di sé come un consenso alla loro salvezza.
Ripresero fiducia. Quello che era stato furiaadesso era tranquillità. Ciòsembrò loro il segno di una pace firmata. I loro
miseri petti si dilatarono. Potevano lasciare l'estremità della corda odell'asse a cui si tenevano aggrappatialzarsi
raddrizzarsimettersi in piedicamminaremuoversi. Si sentivanoindicibilmente calmi. Nell'oscura profondità di quegli
effetti celestiali c'è il prologo di qualcos'altro. Era evidente che sitrovavano assolutamente fuori dalla rafficafuori dalla
schiumafuori dai ventifuori dalle furieliberati.
Ormai la fortuna era con loro. Fra tre o quattro ore si sarebbe levato ilgiornoli avrebbero scorti da qualche nave di
passaggiosarebbero stati raccolti. Il peggio era passato. Si tornava allavita. L'importante era di essere riusciti a
mantenersi a galla sino alla fine della tempesta. Si dicevano: «Questa voltaè finita».
A un tratto si accorsero che era finita davvero.
Uno dei marinaiil basco del nord chiamato Galdeazunscese nella stiva percercare delle gomenee quando risalì
disse:
«La stiva è piena».
«Di cosa?»domandò il capo.
«D'acqua»rispose il marinaio.
Il capo gridò:
«Che significa?».
«Questo significa»rispose Galdeazun«che tra mezz'ora andremo afondo».
XVII • L'ULTIMA RISORSAC'era una fenditura nella chiglia. Si era aperta unafalla. Quando? Nessuno avrebbe saputo dirlo. Avvicinandosi ai
Casquets? Davanti a Ortach? Nello sciabordio dei bassifondi a ovestd'Aurigny? L'ipotesi più probabile era che avessero
toccato la scimmia. Avevano ricevuto un colpo invisibilemolto forte.
Nel mezzo di tutte quelle convulsioni di vento che li scuotevano non sen'erano accorti. Non si sente una puntura
quando si ha il tetano.
L'altro marinaioil basco del sud che si chiamava Ave Mariascese a suavolta nella stivatornò e disse:
«L'acqua nella chiglia è alta più di un metro e mezzo».
Circa sei piedi.
Poi aggiunse:
«Prima di quaranta minuti andiamo a fondo».
Dov'era la falla? Non si vedeva. Era sommersa. Il volume d'acqua che riempivala stiva nascondeva la fenditura. La
nave aveva un foro nel ventrein qualche punto sotto la linea digalleggiamentomolto avanti sotto la carena.
Impossibile scorgerlo. Impossibile otturarlo. Avevano una feritama nonpotevano medicarla. D'altra parte l'acqua non
entrava molto velocemente.
Il capo gridò:
«Dobbiamo pompare».
Galdeazun rispose:
«Non abbiamo più la pompa».
«Allora»ribatté il capo«prendiamo terra».
«Dov'è la terra?».
«Non lo so».
«Neppure io».
«Ma deve pur essere da qualche parte».
«Sì».
«Che qualcuno ci guidi»riprese il capo.
«Non abbiamo piloti»disse Galdeazun.
«Vai tu alla barra».
«Non abbiamo più barra».
«Facciamone una con la prima trave che ci capita. Chiodi. Un martello.Prestodegli utensili!».
«La tinozza della carpenteria è finita in acqua. Non abbiamo piùutensili».
«Prendiamo il timone lo stessonon importa dove andiamo!».
«Non abbiamo più timone».
«Dov'è la barcaccia? Saltiamoci dentro. Remeremo!».
«Non abbiamo più barcaccia».
«Remiamo sul relitto».
«Non abbiamo più remi».
«Alla vela allora!».
«Non abbiamo più velae nemmeno l'albero».
«Facciamo l'albero con un baglio e la vela con un'incerata. Ce la caveremo.Affidiamoci al vento!».
«Non c'è più vento».
Il vento infatti li aveva lasciati. La tempesta se n'era andatae proprioquella partenza che avevano preso per la loro
salvezzaera la loro rovina. Se il libeccio avesse continuato a soffiareliavrebbe spinti freneticamente su qualche riva
battendo in velocità la fallaforse li avrebbe portati su un bel banco disabbia propizioe li avrebbe fatti arenare prima
che affondassero.
L'impetuosa rapidità della tempesta avrebbe potuto condurli a terra. Finitoil ventofinita la speranza. Sarebbero morti
perché la tempesta era finita.
Si delineava la situazione suprema.
Ventograndineburrascaturbinesono combattenti disordinatiche èpossibile vincere. Si può vincere la tempesta nel
suo punto debole. Si trovano risorse contro la violenzache si scoprecontinuamentecommette degli errorie spesso
colpisce di fianco. Ma contro la bonaccia non c'è niente da fare. Niente acui attaccarsi.
I venti sono una carica di cosacchi; tenete durosi disperderanno. Labonaccia è la tenaglia del carnefice.
L'acqua saliva nella stivasenza frettama senza fermarsiirresistibilepesantee quanto più salivatanto scendeva la
nave. Tutto si svolgeva molto lentamente.
I naufraghi della Matutina sentivano che sotto di loroa poco a pocosi spalancava la più disperata delle catastrofila
catastrofe inerte. Erano presi dalla certezza tranquilla e sinistra di quelfatto incosciente. L'aria non oscillavail mare
non si muoveva. L'immobilità è inesorabile. Il gorgo li assorbiva insilenzio. Dai muti spessori dell'acqua il centro fatale
del globo li attiravasenza collerasenza passionesenza volerlosenzaprendervi interesse. L'orrore in riposo se li
amalgamava. Non erano più le fauci spalancate dei fluttila doppia mascelladel colpo di vento e del colpo di mare che
minacciava con cattiveriail rictus della trombalo schiumante appetitodelle grandi onde; sotto quei miserabili c'era
l'indefinibilenero sbadiglio dell'infinito. Si sentivano entrare in quellatranquilla profondità che è la morte. La quantità
di bordo che la nave teneva fuori dall'acqua diminuivaecco tutto. Si potevacalcolare il minuto in cui sarebbescomparsa. Ma era un'immersione del tuttoopposta a quella dell'alta marea. Non era l'acqua che salivaerano loro che
scendevano verso l'acqua. Si stavano scavando la fossa della propria tomba.Il loro peso faceva da becchino. Non era la
legge degli uomini che li giustiziavama quella delle cose.
Cadeva la nevee poiché il relitto non si muoveva piùsi formava sulponte una bianca coltre sfilacciatache copriva la
nave come un sudario.
La stiva si andava appesantendo. Non c'era verso di venire a capo dellafalla. Per svuotare l'acqua non possedevano
neppure una palache comunque si sarebbe rivelata illusoriainutilizzabiledal momento che l'orca era munita di ponte.
Fecero luce; accesero tre o quattro torce che misero come poterono in alcunibuchi. Galdeazun portò dei vecchi secchi
di cuoio; cominciarono a svuotare la stivaformando una catena; ma i secchierano fuori usoalcuni avevano il cuoio
scucitoaltri il fondo crepatoe così si vuotavano durante il tragitto.Non c'era proporzione tra ciò che entrava e ciò che
usciva. Entrava un barile d'acquausciva un bicchiere. Non c'era altro dafare. Era come un avaro che volesse spendere
un milione con un soldo alla volta.
Il capo disse:
«Alleggeriamo il relitto!».
Durante la tempesta le casse erano state fissate sul ponte. Erano rimastelegate al troncone dell'albero. Sciolsero le corde
e fecero rotolare in acqua le casse da una delle brecce del bordo. Uno deibagagli apparteneva alla donna bascache non
poté trattenersi dal sospirare:
«Oh! Il mio mantello nuovofoderato di scarlatto! Oh! Le mie povere calzecon i merletti in scorza di betulla! Oh! I
miei orecchini d'argentoper andare alla messa del mese di Maria!».
Sbarazzato il ponterimaneva la cabina. Era stipatissima. Contenevacomeabbiamo dettoi bagagli dei passeggeri e i
fagotti dei marinai.
Presero i bagagli e si sbarazzarono di tutto quel carico attraverso labreccia del bordo.
Tolsero i fagotti e li gettarono nell'oceano.
Finirono di vuotare la cabina. La lanternala testa di moroi bariliisacchile tinozze e i carnaila marmitta con la
zuppafinì tutto in mare.
Svitarono i dadi del focone di ferro spento da molto tempolodissigillaronolo issarono su pontelo trascinarono fino
alla brecciae lo gettarono fuori dalla nave.
Buttarono in acqua tutto quello che riuscirono a strappare al serrettame:porchesartieattrezzature fracassate.
Ogni tanto il capo prendeva una torciala portava sulle cifre indicanti laseccadipinte sulla prua della navee guardava
a che punto era il naufragio.
XVIII • L'ESTREMA RISORSA
Il relittoalleggeritoaffondava di menoma affondava sempre.
La situazione era così disperata che non c'erano più né risorsenépalliativi. Anche l'ultimo espediente era stato esaurito.
«C'è ancora qualcosa da gettare in mare?»gridò il capo.
Da un angolo della tuga di cabina uscì il dottorea cui nessuno pensavapiùe disse:
«Sì».
«Cosa?»domandò il capo.
«Il nostro delitto»rispose il dottore.
Corse fra tutti un fremitogridarono:
«Amen».
Il dottorein piediterreolevò un dito al cielo e disse:
«In ginocchio».
Vacillaronocome capita quando ci si prepara per inginocchiarsi.
Il dottore continuò:
«Gettiamo in mare i nostri delitti. Essi pesano su di noi. Sono loro cheaffondano la nave. Smettiamola di pensare al
salvataggiopensiamo alla salvezza. Il nostro ultimo delitto soprattuttoquello che abbiamo commessoo meglio portato
a compimentopoco faquelloo disgraziati che mi state ascoltandocischiaccia. È un'empia insolenza sfidare l'abisso
quando ci si lascia dietro il proposito di un delitto. Ciò che si fa controun bambinoè fatto contro Dio. Dovevamo
imbarcarcilo soma la rovina era certa. L'ombra della nostra azione haavvertito la tempestache è venuta. È bene così.
D'altra partenon rimpiangete nulla. Là in fondopoco lontano da noiinquell'oscuritàci sono le sabbie di Vauville e il
capo della Hougue. La Francia. L'unico rifugio possibile per noi era laSpagna. La Francia per noi non è meno
pericolosa dell'Inghilterra. Liberi dal maresaremmo finiti sulla forca.Impiccati o annegati; non avevamo altra scelta.
Dio ha scelto per noi. Rendiamogli grazia. Ci concede la tomba che lava.Fratelli mieiera inevitabile. Pensate che
proprio noipoco faabbiamo fatto del nostro meglio per mandare lassùqualcunoquel bambinoe che in questo stesso
momentomentre vi parloc'è forse sulle nostre teste un'anima che ciaccusa davanti a un giudice che ci osserva.
Approfittiamo di quest'ultimo rinvio. Sforziamocise è ancora possibilediporre rimedioper tutto quanto ci riguarda
al male che abbiamo fatto. Se il bambino ci sopravviveaiutiamolo. Se muorefacciamo in modo che ci perdoni.
Togliamoci di dosso il nostro misfatto. Scarichiamo dalle nostre coscienzequesto peso. Facciamo in modo che le nostre
anime non sprofondino davanti a Dioperché quello sarebbe il più terribiledei naufragi. I corpi vanno ai pescile animeai demoni. Abbiate pietà di voi.In ginocchiovi dico. È il pentimento la barca che non affonda mai. Non avetepiù
bussola? Errore. Avete la preghiera».
I lupi diventarono pecore. Sono trasformazioni comuni nei momenti d'angoscia.Capita anche alle tigri di leccare il
crocefisso. Quando la cupa porta si schiude è difficile crederenon credereè impossibile. Per quanto siano imperfetti i
diversi tentativi di religione provati dall'uomoanche quando la fede èinformeanche quando il contorno del dogma
non si adatta ai lineamenti dell'eternità intravistanell'istante supremol'anima ha un sussulto. Qualcosa inizia dopo la
vita. Questo è ciò che preme sull'agonia.
L'agonia è una scadenza. In quel fatale momento avvertiamo in noi un sensodiffuso di responsabilità. Quello che è stato
complica quello che sarà. Il passato torna e rientra nell'avvenire. Quelloche ci è noto si trasforma in abisso come ciò
che ignoriamoe i due precipiziuno con le nostre colpel'altro con lanostra attesamescolano i loro riverberi. È questo
confondersi dei due abissi che spaventa il moribondo.
Essi avevano consumato le loro ultime speranze nella vita. Per questo sirivolsero ad altro. La loro ultima possibilità era
in quell'ombra. Lo capirono. Fu un lugubre abbagliosubito seguito da unaricaduta nell'orrore. Quello che si
comprende nell'agonia assomiglia a ciò che si vede nel lampo. Tuttopoinulla. Si vedee non si vede più. Dopo la
morte gli occhi torneranno ad aprirsie il lampo diventerà sole.
Gridarono al dottore:
«Tutu! Non rimani che tu! Ti obbediremo. Cosa dobbiamo fare? Parla».
Il dottore rispose:
«Si tratta di passare sopra il precipizio ignoto e di raggiungere l'altraestremità della vitadi là dalla tomba. Poiché sono
colui che sa più coseio sono più in pericolo di tutti voi. Fate bene alasciare la scelta del ponte a chi porta il fardello più
pesante».
Poi aggiunse:
«La scienza pesa sulla coscienza».
E riprese:
«Quanto tempo ci resta ancora?».
Galdeazun guardò la scala graduata e rispose:
«Poco più di un quarto d'ora».
«Bene»disse il dottore.
Il tetto basso della tugaa cui si appoggiavafaceva quasi da tavola. Ildottore prese dalla tasca il servizio da scrivania e
la pennae il portafoglio da cui trasse una pergamenala stessa sul cuirovescio aveva scritto qualche ora prima una
ventina di righe fitte e tortuose.
«Fate luce»disse.
La neveche cadeva come schiuma di caterattaaveva spento le torceunadopo l'altra. Non ne restava che una. Ave
Maria la staccò esempre tenendo la torciaandò a mettersi in piediaccanto al dottore.
Il dottore rimise il portafoglio in tascaappoggiò sulla cappa la penna eil calamaiospiegò la pergamenae disse:
«Ascoltate».
Allorain mezzo al maresu quel ponte che scendevatremante pavimento ditombacominciò una letturafatta in tono
grave dal dottoreche tutta quanta l'oscurità sembrava ascoltare. Tuttiquei condannati intorno a lui tenevano la testa
bassa. La torcia fiammeggiante accentuava il loro pallore. Ciò che ildottore leggevaera scritto in inglese. Ogni tanto
quando uno di quegli sguardi pietosi sembrava chiedere un chiarimentoildottore si interrompeva e ripeteva il passo
che aveva appena letto in francesein spagnoloin bascoin italiano. Siudivano singhiozzi soffocati e colpi sordi battuti
sui petti. Il relitto continuava ad affondare.
Terminata la letturail dottore distese la pergamena sulla cappaprese lapenna esul margine bianco lasciato in fondo a
quello che aveva scrittofirmò: DOTTOR GERNARDUS GEESTEMUNDE.
Poirivolgendosi agli altridisse:
«Venite a firmare».
La basca si avvicinòprese la pennae firmò ASUNCION.
Poi passò la penna all'irlandese chenon sapendo scriverefece una croce.
Il dottore accanto a quella croce scrisse: BARBARA FERMOYdell'isolaTyrryfnelle Ebridi.
Quindi porse la penna al capo della banda.
Il capo firmò GAÏBDORRAcomandante.
Sotto il capoil genovese si firmò GIANGIRATE.
Quello della Linguadoca firmò JACQUES QUATOURZEdetto il NARBONESE.
Il provenzale firmò LUC-PIERRE CAPGAROUPEdel bagno penale di Mahon.
Sotto le firme il dottore scrisse questo appunto:
Poiché il padrone è stato portato via da un colpo di maredei tre uominid'equipaggio non restano che duee questi
hanno firmato.
I due marinai misero i loro nomi sotto l'appunto. Il basco del nord firmòGALDEAZUN. Il basco del sud firmò AVE
MARIAladro.
Poi il dottore disse: «Capgaroupe».
«Presente»disse il provenzale.
«Hai la fiaschetta di Hardquanonne?».«Sì».
«Dammela».
Capgaroupe bevve l'ultima sorsata d'acquavite e porse la fiaschetta aldottore.
La piena interna dell'acqua si aggravava. Il relitto entrava sempre di piùnel mare.
I bordi del pontemesso a piano inclinatoerano coperti da un'onda sottileche li batteva e aumentava.
Si erano tutti raggruppati sul cavallino della nave.
Il dottore asciugò l'inchiostro delle firme alla fiamma della torciapiegòla pergamena in modo che fosse più stretta del
diametro del collo della fiaschettae ve la introdusse. Esclamò:
«Il tappo».
«Non so dov'è»disse Capgaroupe.
«Ecco un pezzo di cordame»disse Jacques Quatourze.
Il dottore tappò la fiaschetta con la corda e disse:
«Del catrame».
Galdeazun andò a pruaappoggiò lo spegnitoio di stoppa sulla granata abrulotto che si stava spegnendola staccò dal
tagliamare e la portò al dottorepiena a metà di catrame bollente.
Il dottore immerse il collo della fiaschetta nel catramee lo tirò fuori.Così la fiaschettacon la pergamena firmata da
tuttiera tappata e incatramata.
«È fatta»disse il dottore.
E da tutte le bocche uscì un vago balbettio in tutte le lingueil lugubremormorio delle catacombe.
«Così sia!».
«Mea culpa!».
«Asi sea!».
«Aro rai!».
«Amen!».
Era come ascoltare le cupe voci di Babele disperdersi nelle tenebreallapresenza dello spaventoso rifiuto celeste di
udirle.
Il dottore voltò le spalle ai compagni di delitto e di sventurae fecequalche passo sull'assito. Giunto sul bordo del
relittoguardò nell'infinito e disse con tono profondo:
«Bist du bei mir?».
Parlava probabilmente a qualche spettro.
Il relitto affondava.
Dietro il dottore tutti erano in raccoglimento. La preghiera è una forzamaggiore. Non si chinavanosi piegavano. C'era
qualcosa d'involontario nella loro contrizione. Si flettevano come una velache si affloscia per mancanza di ventoe a
poco a poco quel gruppo di uomini stravolticon le mani congiunte e lefronti prostrate assumeva l'atteggiamento
diversoma opprimentedi una disperata fiducia in Dio. Non so qual riflessovenerabileproveniente dall'abisso
prendeva forma su quei volti scellerati.
Il dottore tornò verso di loro. Qualunque fosse il suo passatoquel vecchioera grande davanti alla fine. La vasta
reticenza che lo circondavalo preoccupava senza sconcertarlo. Non era uomoda essere preso alla sprovvista. C'era in
lui un orrore tranquillo. C'era sul suo volto la maestà di un Dio che avevafatto proprio.
Quel bandito vecchio e meditabondo avevasenza saperloun contegnopontificale.
Disse:
«Fate attenzione».
Osservò per un momento le distese e soggiunse:
«E ora moriamo».
Quindi prese la torcia dalle mani di Ave Maria e la scosse.
Si staccò una fiamma che volò via nella notte.
Il dottore gettò la torcia in mare.
La torcia si spense. Scomparve ogni chiarore. Non ci fu che l'immensa ombrasconosciuta. Come quando si chiude la
tomba.
In quel buio si udì il dottore che diceva:
«Preghiamo».
Si misero tutti in ginocchio.
Non era già più nella neve che s'inginocchiavanoma nell'acqua.
Non restavano che pochi minuti.
Solo il dottore era rimasto in piedi. I fiocchi di neve gli si fermavanoaddosso come bianche stelle di lacrime
rendendolo visibile su quel fondo d'oscurità. Si sarebbe detto la statuaparlante delle tenebre.
Il dottore si fece il segno della crocee alzò la vocementre sotto ipiedi iniziava quel dondolio quasi indistinto che
annuncia l'istante in cui un relitto sta per affondare. Disse:
«Pater noster qui es in coelis».
Il provenzale ripeté in francese:
«Notre pêre qui êtes aux cieux».L'irlandese lo ripeté in galleselingua che la donna basca comprendeva:
«Ar nathair ata ar neamh».
Il dottore proseguì:
«Sanctificetur nomen tuum».
«Que votre nom soit sanctifié»disse il provenzale.
«Naomhthar hainm»disse l'irlandese.
«Adveniat regnum tuum»proseguì il dottore.
«Que votre règne arrive»disse il provenzale.
«Tigeadh do rioghachd»disse l'irlandese.
Inginocchiati com'eranoavevano l'acqua alle spalle. Il dottore ricominciò:
«Fiat voluntas tua».
«Que votre volonté soit faite»balbettò il provenzale.
L'irlandese e la basca gridarono:
«Deuntar do thoil ar an Ilhalàmb!».
«Sicut in coeloet in terra»disse il dottore.
Nessuna voce gli rispose.
Abbassò gli occhi. Tutte le teste erano sott'acqua. Neppure uno si eraalzato. Si erano lasciati affogare in ginocchio.
Il dottore prese con la destra la fiaschetta che aveva appoggiato sullacappae l'alzò sopra la testa.
Il relitto affondava.
Pur sprofondandoil dottore continuava a mormorare il resto della preghiera.
Per un momento restò fuori dall'acqua il bustopoi la testapoi non ci fuche il braccio che teneva la fiaschettaquasi
volesse mostrarla all'infinito.
Il braccio scomparve. Il mare profondo non era più increspato di un bariled'olio. La nave continuava a cadere.
Qualcosa restò a galla e se ne andò nell'oscurità dei flutti.
Era la fiaschetta incatramatasostenuta dal suo involucro di vimini.
LIBRO TERZO • IL BAMBINO NELL'OMBRA
I • IL CHESS-HILL
La tempesta non era meno intensa sulla terra che sul mare.
Attorno al bambino abbandonato c'era stata la stessa furia selvaggia. Quandoforze cieche dispiegano la loro collera
incoscienteil debole e l'innocente fanno ciò che possono; l'ombra non fadistinzioni; e le cose non sono clementi come
si crede.
A terra c'era pochissimo vento; il freddo aveva un non so che d'immobile.Niente grandine. La neve cadeva fitta in
modo spaventoso.
I chicchi di grandine colpisconotormentanostrazianoassordanoschiacciano; i fiocchi fanno di peggio. Dolce e
inesorabile il fiocco compie la sua opera in silenzio. Se lo si toccasiscioglie. La sua purezza è come il candore
dell'ipocrita. Aggiungendo bianco a biancolentamenteil fiocco arriva allavalangae il furfante al delitto.
Il bambino aveva proseguito nella nebbia. La nebbia è un ostacolo molle; daqui i pericoli; cede senza venir meno; come
la neve la nebbia è piena di tradimenti. Il bambinosingolare lottatore inmezzo a tutti quei rischiera riuscito ad
arrivare ai piedi della discesainoltrandosi nel Chess-Hill. Si trovavasenza saperlosu un istmo; da una parte e
dall'altra aveva l'oceanose avesse sbagliato stradacon quella nebbiaconquella nevein una notte similesarebbe
cadutoa destra nell'acqua profonda del golfoa sinistra tra le ondeviolente del mare aperto. Camminava inconsapevole
tra i due abissi.
In quell'epoca l'istmo di Portland era straordinariamente aspro e rude. Ogginon rimane più niente del suo aspetto di un
tempo. Da quando venne l'idea di sfruttare la pietra di Portland come cementoromanotutta la roccia subì tali
modifiche da perdere i suoi lineamenti primitivi. Vi si trova ancora ilcalcare liassicolo scistoe il trappo che esce dagli
strati di conglomerato come il dente dalla gengiva; ma il piccone ha troncatoe livellato tutte quelle creste irte e scabrose
dove andavano ad appollaiarsi le orribili procellarie. Non ci sono piu cimedove possano ritrovarsi i labbi e gli stercorari
checome tutti gli invidiosiamano insudiciare le vette. Invano sicercherebbe l'alto monolite detto Godolphinantica
parola gallese che significa aquila bianca. D'estatein quei terreniperforati e bucati come una spugnasi possono
ancora cogliere il rosmarinoil puleggiol'issopo selvaticoil finocchiodi mare chemesso in infusionedà un buon
cordialee quell'erba piena di nodi che esce dalla sabbia e che serve perfare le stuoie; ma non si raccolgono più né
l'ambra grigiané lo stagno neroné i tre tipi d'ardesia: quella verdequella blu e quella che ha il colore delle foglie di
salvia. Le volpii tassile lontrele martorese ne sono andati; suidirupi di Portlandcome sulla punta di Cornovaglia
c'erano i camosci; non ce ne sono più. In certe insenature si pescano ancorapassere e sardinema i salmoniimpauriti
non risalgono più la Wey tra San Michele e Natale per deporre le uova. Nonsi vedono piùcome ai tempi di Elisabetta
quei vecchi uccelli sconosciutigrandi come sparvieriche rompevano unamela in due per mangiarne solo i semi. Non
si vedono più quelle cornacchie dal becco giallocornish chough ininglesepyrrocarax in latinoche avevano la
malizia di gettare sarmenti infuocati sui tetti delle capanne. Non si vedepiù l'uccello stregonefulmaremigratodall'arcipelago scozzesechegettava dal becco un olio che gli isolani bruciavano nelle lampade. Non è piùpossibile
incontrare di seratra i rivoli del riflusso della mareal'anticaleggendaria neitsedai piedi di porco e che gridava come
un vitello. La marea non fa più arenare su quelle sabbie l'otaria baffutadalle orecchie arrotolate e dai molari aguzziche
si trascinava sulle zampe senza unghie. A Portlandoggi ormaiirriconoscibilenon ci sono mai stati usignoliperché
non c'erano forestema falchicigni e delfini se ne sono andati. I montonidi oggi a Portland hanno la carne grassa e la
lana fine; le rare pecore che due secoli fa pascolavano su quell'erba salataerano piccole e coriaceee avevano il vello
ispidocome i greggi celticondotti un tempo da pastori mangiatori d'aglioche vivevano cent'anni e chea mezzo
miglio di distanzaforavano le corazze con frecce lunghe un'auna. Terraincolta dà lana rude. Chess-Hill oggi non ha
più nulla del Chess-Hill di una voltatanto l'hanno rivoltato l'uomo e queifuriosi venti delle Sorlingues che corrodono
anche le pietre.
Oggi su quella lingua di terra c'è un railway che porta a un graziososcacchiere di case nuoveChesiltone c'è anche una
Portland Station. Dove strisciavano le foche corrono i vagoni.
Cent'anni fa l'istmo di Portland era una groppa d'asino di sabbia con unaspina dorsale di roccia.
Il pericolo per il bambino aveva cambiato forma. Durante la discesa avevadovuto temere una caduta in fondo alla
scarpata; sull'istmo doveva guardarsi dal finire in qualche buco. Dopoessersela vista con il precipizioaveva a che fare
con i pantani. Sul bordo del mare non ci sono che trappole. La roccia èscivolosail greto è cedevole. I punti d'appoggio
sono insidiosi. È come mettere i piedi sul vetro. Tutto può bruscamenteincrinarsi sotto di voi. E sono fenditure in cui si
scompare. Come ogni teatro ben attrezzatoanche l'oceano ha i suoisotterranei.
I lunghi crinali di granito a cui si addossano i due versanti di un istmosono malagevoli. Difficilmenteper usare
un'espressione scenograficasi troverebbero dei - praticabili -.
L'uomo non deve aspettarsi alcuna ospitalità dall'oceanonon più dallaroccia che dall'onda; solo i pesci e gli uccelli
sono accolti dal mare. L'istmo poi è particolarmente spoglio e irto. Sono iflutti checorrodendolo e minandolo sui due
latilo scarnificano. Rilievi taglienti dovunquecresteseghespaventosilembi di pietra laceratasquarci frastagliati
come la mascella acuminata dello squalorompicollo di muschio fradicioripide colate di roccia che finiscono nella
schiuma. Chi si propone di affrontare un istmo incontra a ogni passo blocchideformigrandi come casea forma di
tibiedi scapoledi femoriun'orrenda anatomia di rocce scorticate. Non èper caso che queste strisce ai bordi del mare
si chiamano coste. L'escursionista se la cava come può in quell'accozzagliadi rovine. È quasi come camminare
attraverso l'ossatura di un'enorme carcassa.
Mettete un bambino alle prese con quella fatica d'Ercole.
Ci sarebbe voluta la luce del solema era notte; sarebbe stata necessariauna guidama era solo. Tutta la forza di un
uomo non sarebbe stata di troppoma la sua non era che la debole forza di unbambino. Senza una guidaun sentiero
almeno lo avrebbe aiutato. Ma non c'erano sentieri.
Istintivamente evitava la cresta aguzza delle rocceseguendo il piùpossibile la spiaggia. Là incontrava i pantani. Tre
tipi di pantano gli si moltiplicavano davanti: il pantano d'acquail pantanodi neveil pantano di sabbia. Il terzo è il più
temibile. Significa affondare.
Conoscere ciò a cui si va incontro è allarmanteignorarlo è terribile. Ilbambino lottava con un pericolo sconosciuto.
Egli andava a tastoni dentro qualcosa che avrebbe potuto essereforselasua tomba.
Nessuna esitazione. Aggirava le rocceevitava i crepacciintuiva letrappolepazientava con i meandri dell'ostacoloe
andava avanti. Non potendo andare dirittocamminava deciso.
In caso di necessità sapeva indietreggiare con energia. Si strappava pertempo dal vischio tremendo delle sabbie mobili.
Si scuoteva di dosso la neve. Più di una volta entrò nell'acqua fino alleginocchia. Appena usciva dall'acqua il freddo
intenso della notte gelava gli stracci bagnati. Camminava velocemente conquegli abiti irrigiditi. Tuttavia aveva avuto
l'accortezza di tenersi sul petto il suo camiciotto caldo e asciutto damarinaio. Aveva sempre una gran fame.
Le avventure dell'abisso non hanno limitiin nessun senso; in esse tutto èpossibileanche salvarsi. L'uscita è invisibile
ma si può trovare. Neppure il bambino avrebbe saputo dire come era riuscitoad attraversare l'istmoavvolto com'era da
una soffocante spirale di neveperso su quell'argine stretto tra le due goledell'abissoe senza vederci. Scivolando
arrampicandosirotolandocercandocamminandoperseverandoecco tutto. Ilsegreto di ogni trionfo. In capo a meno
di un'ora sentì il terreno risalirearrivava all'altra estremitàuscivada Chess-Hillsi trovava sulla terra ferma.
In quell'epoca non esisteva il ponte che oggi unisce Sandford-Cas aSmallmouth-Sand. È probabile che nel suo
intelligente brancolare egli fosse risalito fin davanti a Wyke Regisdoveallora c'era una lingua di sabbiaun vero argine
naturale che attraversava l'East Fleet.
Si era salvato dall'istmoma si ritrovava faccia a faccia con la tempestacon l'invernocon la notte.
Davanti a lui si dispiegava di nuovoa perdita d'occhiola buia pianura.
Guardò a terracercando un sentiero.
A un tratto si chinò.
Aveva scorto nella neve qualcosa che gli sembrava una traccia.
Era una traccia infattiil segno di un piede. L'impronta si stagliavanettamente nel candore della neve ed era ben
visibile. L'osservò. Era un piede nudopiù piccolo del piede di uomopiùgrande di quello di un bambino.
Probabilmente il piede di una donna.
Oltre quell'impronta ce n'era un'altrae un'altra ancora; le impronte sisuccedevano alla distanza di un passoe si
addentravano nella pianura verso destra. Erano ancora fresche e coperte dapoca neve. Di là era passata una donna.
La donna aveva camminato nella stessa direzione del fumo che anche il bambinoaveva visto.Il bambinol'occhio fisso sulle improntesi mise a seguire queipassi.
II • EFFETTO DI NEVE
Per un certo tempo seguì quella pista. Purtroppo le tracce erano sempre menonitide. La neve cadeva spaventosamente
fitta. In quel momento l'orca agonizzava sotto quella stessa nevein mareaperto.
Il bambinoche era in pericolo come la navesia pure in modo diversononaveva altra risorsa in quell'inestricabile
intreccio d'oscurità se non l'impronta del piede nella nevee a quella siattaccava come al filo d'Arianna.
Improvvisamentesia che la neve avesse finito col livellarlesia perqualsiasi altra causale impronte scomparvero.
Tutto ridiventò pianolisciorasosenza una macchiasenza unparticolare. Non ci fu più che il drappo bianco della
terra e il drappo nero del cielo.
Era come se la viandante avesse preso il volo.
Il bambino allo stremo si chinò per cercare. Inutilmente.
Quando si rialzò ebbe la sensazione di udire qualcosa d'indistintoma nonera sicuro. Sembrava una voceun respiro
un'ombra. Più di uomo che di bestiapiù da un sepolcro che da qualcosa divivente. Come il rumore in un sogno.
Guardò ma non vide nulla.
Davanti a lui l'ampionudo livore della solitudine.
Stette in ascolto. Ciò che aveva creduto di sentire s'era dissolto. Forsenon aveva udito nulla. Ascoltò ancora. Tutto era
silenzio.
Non erano che illusioni dovute alla nebbia. Si rimise in cammino.
Camminava a casoaveva perso ormai il passo che lo guidava.
Si era appena mosso che il rumore ricominciò. Questa volta non potevasbagliarsi. Era un gemitoquasi un singhiozzo.
Si voltò. Lasciò correre lo sguardo nello spazio notturno. Non vide nulla.
Il rumore tornò a farsi sentire.
Se dal limbo giungono vociè così che gridano.
Nulla di tanto penetrantestraziante e debole come quella voce. Perché sitrattava di una voce. Era il grido di un'anima.
Era un mormorio pieno di palpiti. Eppure sembrava qualcosa privo dicoscienza. Come un dolore che invocama senza
sapere di essere dolore e di invocare. Quel gridoforse un primo soffiovitaleforse un ultimo respiroera in egual
misura il rantolo che chiude la vita e il vagito che l'apre. Respiravasoffocavapiangeva. Cupa supplica nell'invisibile.
Il bambino scrutò dappertuttolontanovicinoin fondoin altoin basso.Non c'era nessuno. Non c'era niente.
Tese l'orecchio. La voce si fece sentire un'altra volta. La percepìdistintamente. Quella voce era un po' come il belato di
un agnello.
Allora ebbe paura e pensò di fuggire.
Il gemito riprese. Per la quarta volta. Era stranamente misero e lamentoso.Si sentiva che dopo quello sforzo supremo
più meccanico che intenzionaleil grido probabilmente si sarebbe spento.Era il richiamo dell'agoniarivolto per istinto
a quel tanto di soccorso che vaga nello spazio; il balbettio di unagonizzante verso una possibile provvidenza. Il
bambino avanzò in direzione della voce.
Continuava a non vedere nulla.
Avanzò ancoracircospetto.
Il lamento continuava. Confuso e inarticolato primasi era fatto chiaro equasi vibrante. Il bambino era vicinissimo alla
voce. Ma dov'era?
Era vicino a un lamento. Il tre more di un lamento attraversava lo spazioproprio accanto a lui. Un gemito umano che
fluttuava nell'invisibileecco cosa aveva incontrato. Questa almeno era lasua impressioneconfusa come la nebbia
profonda dove si era perso.
Mentre esitavatra l'istinto che lo spingeva a fuggire e quello che glisuggeriva di rimanerescorse nella neveai suoi
piediqualche passo avantiun'ondulazione che aveva le dimensioni di uncorpo umanouna piccola prominenza bassa
lunga e strettasimile al rigonfiamento di una fossauna sepoltura in uncimitero tutto bianco.
In quell'istante la voce gridò.
Usciva da là sotto.
Il bambino si abbassòsi accovacciò davanti al rilievo e incominciò atoglier via la neve con tutte e due le mani.
Da sotto la neve che scartava vide una sagoma che prendeva formae a untrattonella cavità che aveva fattogli
apparve tra le mani un volto pallido.
Non era certo quello il volto che gridava. Aveva gli occhi chiusi e la boccaapertama piena di neve.
Era immobile. Non si mosse sotto la mano del bambino. Il bambinoa cui sistavano congelando le ditatrasalì toccando
quel viso freddo. Era la testa di una donna. I capelli sparsi erano mescolatialla neve. La donna era morta.
Il bambino ricominciò a togliere la neve. Prima si liberò il collo dellamortapoi la parte superiore del torsosotto i cui
stracci si vedeva la carne.
Improvvisamentesotto le mani che si muovevano alla ciecasentì qualcosache si muoveva debolmente. Era una cosa
piccolafasciatache si agitava. Il bambino tolse con energia la neve escoprì un miserabile corpicciatologracile
pallido per il freddoancora vivonudo sul seno nudo della morta.
Era una bambina.Era fasciata con straccima non abbastanzae agitandosi erauscita da quei cenci. Le sue povere membra magre sottoe
il fiato sopraavevano sciolto un po' la neve. Una balia le avrebbe datocinque o sei mesima forse aveva un annodato
che la crescita in condizioni di miseria subisce penosi rallentamentiche avolte arrivano fino al rachitismo. Quando il
viso riemerse all'aria apertagettò un gridoil seguito dei suoisinghiozzi di sconforto. La madre doveva essere
veramente morta per non aver udito quei singhiozzi.
Il bambino prese la piccola tra le braccia.
La rigidità della madre era sinistra. Da quella figura emanava qualcosa dispettrale. Quella bocca spalancata e senza
respiro sembrava stesse iniziando a risponderenella confusa linguadell'ombraalle domande poste ai morti
nell'invisibile. C'era su quel volto il terreo riverbero della pianuragelata. Si vedeva la frontegiovane sotto i capelli
brunile sopracciglia aggrottate quasi in un moto d'indignazionele naricistrettele palpebre chiusele ciglia incollate
dalla galavernaedall'angolo degli occhi all'angolo della boccai solchiprofondi delle lacrime. La neve rischiarava la
morta. Tomba e inverno vanno d'accordo. Il cadavere è il ghiaccio dell'uomo.I seni nudi erano patetici. Avevano fatto
la loro parte; il loro avvizzimento sublime veniva dall'aver dato vita a chine mancavae una maestà materna teneva il
posto della purezza verginale. Sulla punta di una delle mammelle c'era unaperla bianca. Era una goccia di latte
congelata.
Diciamolo subitoin quella stessa pianura dove il ragazzo si era smarritopoche ore prima si era persa una mendicante
che stava allattando il suo piccoloe anche lei cercava un rifugio.Assiderataera caduta sotto la tempesta e non era
riuscita a rialzarsi. La valanga l'aveva ricoperta. Si era stretta addosso labambina più che aveva potutoed era spirata.
La piccolina aveva tentato di succhiare quel marmo.
Per una tragica simbiosi voluta dalla naturasembra che una madre possaallattare ancora un'ultima voltaanche dopo
l'ultimo respiro.
Ma la bocca della piccola non era riuscita a trovare il seno là dove lagoccia di latterubata dalla mortesi era gelatae
la neonata sotto la nevepiù abituata alla culla che alla tombaavevagridato.
Il piccolo abbandonato aveva udito la piccola agonizzante.
L'aveva dissepolta.
L'aveva presa tra le braccia.
Quando la piccola si sentì in bracciosmise di gridare. I visi dei duebambini si toccaronoe le labbra viola della
neonata si avvicinarono alla guancia del ragazzo come a una mammella.
La piccola si trovava nella situazione in cui il sangue coagulato è quasisul punto di arrestare il cuore. La madre le aveva
già trasmesso qualcosa della propria morte; il cadavere comunicail suoraffreddarsi si espande. I piedile manile
bracciale ginocchia della piccola erano come paralizzati dal ghiaccio. Ilragazzo si accorse di quel freddo terribile.
Egli aveva su di sé un indumento asciutto e caldoil camiciotto. Depose laneonata sul petto della mortasi tolse il
camiciotto e ve l'avvolsela riprese e si rimise in camminoquasi nudoquesta voltatra le folate di neve sollevate dalla
tramontanatenendo la piccola in braccio.
E la piccolache era riuscita a trovare la guancia del ragazzovi appoggiòla bocca eriscaldatasi addormentò. Fu il
primo bacio tra quelle due anime nelle tenebre.
La madre restò distesail dorso sulla nevela faccia alla notte. Ma forsequando il ragazzino si spogliò per vestire la
piccoladalle profondità dell'infinito dove si trovavalo vide.
III • OGNI VIA DOLOROSA SI COMPLICA DI UN FARDELLO
Erano passate poco più di quattro ore da quando l'orca si era allontanatadalla baia di Portlandlasciando il ragazzo sulla
riva. Nel tempo in cui era rimasto abbandonato e che aveva trascorsocamminandoegli non aveva incontrato che tre
esemplari di quella società umana dove forse stava per fare il suo ingresso:un uomouna donna e un bambino. L'uomo
era quello sulla collina; la donna era quella nella neve; il bambino era lapiccola che teneva tra le braccia.
Fame e fatica lo avevano prostrato.
Avanzava più risoluto che maicon meno forza e un peso in più.
Ora non aveva quasi più vestiti. I pochi stracci che gli restavanoinduritidalla galavernasi erano fatti taglienti come il
vetro e gli scorticavano la pelle. Si stava raffreddandoma l'altro bambinosi riscaldava. Ciò che perdeva non andava
persoera lei a riguadagnarlo. Si accorgeva che il calore per quellapoverina significava tornare in vita. Continuava ad
avanzare.
Di quando in quandosempre tenendola benesi chinava a raccogliere unamanciata di neve e se la strofinava sui piedi
per non farli gelare.
Altre voltecon la gola in fiammesi metteva in bocca un po' di neve e lasucchiavacosì per un minuto alleviava la
setetramutandola però in febbre. Il sollievo aggravava le sue condizioni.
La sua stessa violenza aveva reso informe la tormenta; esistono veri e propridiluvi di nevecome quello. Il parossismo
che strapazzava il litoralesconvolgeva contemporaneamente l'oceano. Inquell'istante probabilmente l'orcaormai
dispersasi sfasciava lottando tra gli scogli.
Con quella tramontanae camminando sempre verso estattraversò larghesuperfici di neve. Non sapeva che ora fosse.
Da molto tempo non vedeva più fumo. Certi segni scompaiono presto nellanotte; inoltre era passata l'ora in cui i fuochi
vengono spenti; forse poi egli si era sbagliatoniente di più facile chedalle parti dove andavanon ci fossero né città né
villaggi.Nel dubbioperseverava.
La piccola gridò due o tre volte. Si mise allora a cullarla mentrecamminava; così si calmò e fece silenzio. Finì per
addormentarsi di un sonno profondo. Tremando dal freddo egli sentiva che siera scaldata.
Spesso le rimboccava il camiciotto attorno al collo per evitare che ilghiaccio entrasse da qualche parte e la neve
sciogliendosi si infiltrasse tra la bambina e l'indumento.
La pianura era ondulata. Negli avvallamenti la neveammassata dal vento trale pieghe del terrenoera così alta rispetto
al bambino che egli vi affondava quasi per interoed era costretto acamminare mezzo sepolto. Camminava spingendo
la neve con le ginocchia.
Superata la forraraggiunse delle spianate spazzate dalla tramontanadovec'era poca neve. Là trovò uno strato di
ghiaccio.
Il fiato tiepido della piccola gli sfiorava la guancialo riscaldava per unmomentoe fermandosi sui capelli gelava
formando dei ghiaccioli.
Si rendeva conto che la complicazione più temibile era di non poter piùcadere. Sentiva che non si sarebbe rialzato.
Rotto dalla fatica com'eral'ombra di piombo l'avrebbe schiacciato al suolocome la donna mortae il ghiaccio l'avrebbe
saldato ancor vivo alla terra. Era sceso dai pendii dei precipizi e se l'eracavata; era incespicato dentro alle fosse ma ne
era uscito; ora una semplice caduta avrebbe voluto dire la morte. Un passofalso gli avrebbe spalancato la tomba. Non
bisognava scivolare. Non avrebbe più avuto nemmeno la forza di rimettersi inginocchio.
Poteva scivolare dappertutto; c'erano solo galaverna e neve indurita.
Portare la piccola gli rendeva spaventosamente difficile il cammino; non erasolo un peso eccessivo per la sua
spossatezza e il suo sfinimentogli creava anche intralcio. Gli tenevaoccupate le bracciae chi cammina sui lastroni di
ghiaccio ha bisogno delle braccia come di un bilanciere naturale.
Doveva fare a meno di quel bilanciere.
Ne faceva a meno e camminavaignorando cosa lo attendesse sotto quelfardello.
La piccola era la goccia che faceva traboccare il vaso dell'angoscia.
Avanzavaoscillando a ogni passocome su un trampolinoe facendo miracolid'equilibrio sotto ogni punto di vista.
Tuttavialo ripetoè possibile che in quel cammino doloroso occhi benaperti lo seguissero dalle lontananze dell'ombra
l'occhio di quella madre e l'occhio di Dio.
Barcollavavacillavasi riprendevaaveva cura della piccolala ricoprivacon l'indumentole copriva la testavacillava
ancorasempre avanzandoscivolavapoi si raddrizzava. Il vento vile lospingeva.
Probabilmente stava facendo molta più strada di quanto fosse necessario. Sitrovavacon ogni verosimiglianzain quella
pianura dove più tardi si è stabilita la Bincleaves Farmtra quelli cheoggi si chiamano Spring Gardens e Personage
House. Fattorie e ville adessoterreni incolti allora. Spesso tra una steppae una città corre meno di un secolo.
Una tregua improvvisa nella tempesta di ghiaccio che l'accecava gli fecescorgerepoco davanti a séun gruppo di
pinnacoli e di camini messi in risalto dalla neveil contrario di una -silhouette -poiché si trattava del disegno di una
città bianca su un orizzonte neroquella che oggi si chiamerebbe unanegativa.
Tettidimoreun riparo! Era dunque arrivato da qualche parte! Avvertìl'ineffabile incoraggiamento della speranza.
Le stesse emozioni della vedetta di una nave sperduta che grida: terra!Affrettò il passo.
Raggiungeva infine degli uomini. Stava per unirsi dunque a esseri viventi.Più nulla da temere. Lo colmò l'improvviso
calore della sicurezza. Ciò che si lasciava alle spalle era finito. Non cisarebbe più stata notte ormainé invernoné
tempesta. Ora gli sembrava di essersi liberato di tutto il male possibile. Lapiccola non era più un peso. Si era messo
quasi a correre.
Con lo sguardo non abbandonava quei tetti. La vita era là. Non smetteva difissarli. Così un morto guarderebbe dallo
spiraglio di una lastra tombale. Quelli erano i camini di cui aveva visto ilfumo.
Ma non ne usciva nessun fumo.
In poco tempo raggiunse le abitazioni. Arrivò in una via perifericaincustodita. A quei tempi non si usava più sbarrare le
strade di notte.
All'inizio della via c'erano due case. Non c'erano candele né lampade inquelle casee non se ne vedevano in tutta la
stradae in tutta la cittàfin dove era possibile spingere lo sguardo.
La casa di destra era più un rifugio che una casa; niente di piùmiserabile; il muro era di malta e il tetto di paglia; c'era
più stoppia che muro. Una grande orticanata ai piedi del muroraggiungevail bordo del tetto. La catapecchia aveva
solo una portache sembrava una gattaiolae una finestra che era unabbaino. Era tutto chiuso. Di fianco c'era un porcile
abitato che suggeriva che anche la capanna lo fosse.
La casa di sinistra era largaaltatutta in pietracon tegole d'ardesia.Anch'essa chiusa. La Casa del Ricco di fronte alla
Casa del Povero.
Il ragazzo non ebbe esitazioni. Si diresse verso la casa grande.
La porta aveva due battenti massicci con riquadri di quercia e grossi chiodied era di quelle dietro cui si indovina una
robusta armatura di spranghe e serrature; vi pendeva un martello di ferro.
Sollevò a fatica il martello perché aveva le mani intorpiditepiùmoncherini ormai che mani. Batté un colpo.
Nessuno rispose.
Batté una seconda voltadue colpi.
Non udì alcun movimento nella casa.
Batté per la terza volta. Nulla.Capì che dormivano e non si curavanoaffatto di alzarsi.
Allora si rivolse alla casa del povero. Prese da terra un ciottolo in mezzoalla nevee picchiò alla porticina.
Non ci fu risposta.
Si alzò sulla punta dei piedi e batté adagio adagio con il sassosull'abbainosforzandosi di non rompere il vetro eal
tempo stessodi farsi udire.
Non si levarono vociné si mossero passie nessuno accese candele.
Pensò che anche lì non avevano voglia di alzarsi.
Nel palazzo di pietra e nell'alloggio di stoppia erano sordi allo stesso modoquando si trattava di miserabili.
Il ragazzo decise di spingersi più lontano e penetrò nello stretto di caseche si allungava davanti a luiil buio era così
fitto che si sarebbe detto più un passaggio tra due scogliere che l'ingressoin una città.
IV • UN ALTRO TIPO DI DESERTO
Era entrato a Weymouth.
La Weymouth di allora non era la stimata e superba Weymouth di oggi. L'anticaWeymouth non avevacome l'odierna
l'irreprensibile rettilineo del lungomare con tanto di statua e di albergo inonore di Giorgio III. Per il semplice motivo
che Giorg io III non era ancora nato. Per la stessa ragione non c'era ancorasul pendio della verde collina a estdisegnato
sul suolo togliendo il manto erboso e mettendo a nudo la cretail whitehorseil cavallo bianco lungo un arpentocon in
groppa un re e chesempre in onore di Giorgio IIIteneva la coda indirezione della città. D'altra parte sono onori
meritati; Giorgio III infatti aveva perduto da vecchio l'intelligenza che nonaveva mai avuto da giovanee dunque non
era responsabile delle disgrazie del suo regno. Era un innocente. Perché nonerigergli statue?
La Weymouth di centottanta anni fa era simmetrica quasi come per bastonciniscompaginati del gioco dello sciangai.
L'Astharoth delle leggende passeggiava qualche volta sulla terra portandosulle spalle una bisaccia in cui c'era di tutto
anche delle brave donne di casa. Solo un miscuglio di baracche cadute dalsacco del diavolo potrebbe dare l'idea di
quella rozza Weymouth. Baracche naturalmente con brave donne. Come modello diquelle abitazioni ci rimane la casa
dei Musicisti. Un'accozzaglia di tane scolpite nel legno e tarlatecioèscolpite una seconda voltae di edifici informi a
strapiombomalsicurialcuni a pilastriche si appoggiavano gli uni aglialtri per non cadere sotto il vento che viene dal
maree tra loro spazi esigui di strade tortuose e maldestrevicoli ecrocicchi spesso inondati dalle maree equinozialiun
mucchio di case vecchiestrette come nonnine attorno alla chiesa bisavolaecco Weymouth. Weymouth era una specie
di antico villaggio normanno che si era arenato sulla costa inglese.
Il viaggiatore che entrava nella taverna oggi rimpiazzata da un albergoinvece di pagare sontuosamente venticinque
franchi per una sogliola fritta e una bottiglia di vinoaveva l'umiliazionedi mangiare per due soldi un'ottima zuppa di
pesce. Una cosa indecente.
Il bambino sperduto che si portava il bambino ritrovatoseguì una primastradapoi una secondapoi una terza. Alzava
gli occhi cercando all'altezza dei piani e sui tetti una finestra illuminatama era tutto chiuso e spento. Ogni tanto
picchiava alle porte. Non rispondeva nessuno. Non c'è niente che induriscail cuore come lo stare al caldo tra due
lenzuola. Il rumore e le scosse avevano finito con lo svegliare la piccola.Se ne accorse sentendosi succhiare la guancia.
La bambina non gridavacredendolo la madre.
Rischiava forse di girare e di vagabondare a lungo tra gli incroci dei vicolidi Scrambridgedove c'erano allora più
campi che casee più siepi di spine che abitazionima per fortuna imboccòun corridoio che esiste ancor oggi vicino a
Trinity Schools. Il corridoio lo condusse a una spiaggia con una rudimentalebanchina come parapettoe a destra vide
un ponte.
Era il ponte della Wey che unisce Weymouth a Melcomb -Regissotto le suearcate l'Harbour confluisce con la Back
Water.
La frazione di Weymouth era allora un sobborgo di Melcomb -Regiscittàportuale; oggi invece Melcomb -Regis è una
parrocchia di Weymouth. Il villaggio ha assorbito la città. Fu il ponte acompiere il lavoro. I ponti sono singolari
macchine a suzione che aspirano la popolazione e chequalche voltaingrandiscono un quartiere rivierasco a spese di
quello che gli sta di fronte.
Il ragazzo andò verso il ponteche a quell'epoca era una passerella dilegno coperta. Attraversò la passerella.
Grazie al tetto del ponte sul tavolato non c'era neve. Per un momento i suoipiedi nudi si riebbero sulle assi asciutte.
Passato il pontesi trovò a Melcomb -Regis.
Lì c'erano più case di pietra che di legno. Non era più il sobborgoerala città. Il ponte dava su una strada molto bellala
Saint-Thomas Street. Vi entrò. La via sfoggiava alti pinnacoli intagliati equa e là vetrine di negozi. Ricominciò a
bussare alle porte. Non gli restavano energie sufficienti per chiamare egridare.
Nessuno si muovevané a Melcomb -Regis né a Weymouth. Due bei giri dichiave a tutte le serrature. Le imposte
coprivano le finestre come le palpebre gli occhi. Era stata presa ogniprecauzione contro lo spiacevole soprassalto del
risveglio.
L'indefinible pressione di quella città addormentata schiacciava il piccolovagabondo. Quei silenzi da formicaio
paralizzato sanno di vertigine. Un rimescolio di incubi da quei letarghiunafolla di sonniun fumo di sogni che esce dai
corpi umani distesi. Il sonno frequenta cupe compagnie fuori dalla vita;sopra i dormienti fluttua il pensiero in
decomposizioneun vapore vivo e morto si combina con il possibile che forsein qualche modopensa nello spazio. Da
qui i grovigli. La fitta nuvola del sogno si sovrappone alla trasparentestella dello spirito. Sopra le palpebre chiusedovela visione ha preso il postodella vistauna disgregazione sepolcrale di sagome e figure si dilatanell'evanescente. Una
misteriosa dispersione di esistenze si mescola alla nostra vita sul bordomortale del sonno. È nell'aria che larve e anime
si intrecciano. Anche chi non sta dormendo avverte su di sé il peso diquella vita sinistra. Lo attornia una chimerarealtà
intuitae lo turba. L'uomo sveglio che cammina attraverso i fantasmi delsonno altruirespinge confusamente forme che
gli passano accantoe hao crede di averel'orrore vago dei contattiostili con l'invisibilee a ogni istante avverte l'urto
oscurol'inesprimibile incontro che dilegua. Camminare nella notte popolatadi sogni è come attraversare una foresta.
È quello che si dice avere paura e non sapere perché.
Ma ciò che sente un uomoil bambino lo sente ancor di più.
Il turbamento della paura notturnaingigantito da quelle case spettraliandava ad aggiungersi a tutto il lugubre insieme
contro cui lottava.
Entrò in Conycar Lane e scorse in fondo al vicolo la Bach Water che scambiòper l'oceano; non sapeva più da che parte
stava il mare; tornò sui suoi passi e svoltò a sinistra per Maiden Streetindietreggiando fino a Saint-Albans Row.
Lìa casosenza sceglierebussò violentemente alle prime case che ebbedavanti. Erano colpi disordinati e a scatti
quelli in cui esauriva le sue ultime energiefemandosi e riprendendo quasicon stizza. Era la febbre che puls ava in quei
colpi alle porte.
Rispose una voce.
Era quella dell'ora. Dietro a lui il vecchio campanile di Saint-Nicolassuonava lentamente le tre del mattino.
Poi tutto ricadde nel silenzio.
Può sembrare sorprendente che neppure un abitante abbia socchiuso unabbaino. Main un certo sensoquel silenzio è
spiegabile. Bisogna ricordare che nel gennaio 1690 si era all'indomani di unaviolenta epidemia di peste che si era
sviluppata a Londrae che il timore di accogliere dei vagabondi malati avevaovunque come effetto una diminuzione di
ospitalità. Per paura di respirare i loro miasmi si evitava perfino disocchiudere le finestre.
Il bambino pativa il freddo degli uomini in modo più atroce del freddonotturno. Perché quello è un freddo dotato di
volontà. Gli strinse il cuore quello scoraggiamento che non aveva provatonelle distese solitarie. Pur rientrando tra gli
uomini continuava a restare solo. Il colmo dell'angoscia. Aveva capito ildeserto spietatoma la città inesorabile era
troppo per lui.
L'ora di cui aveva appena contato i colpi l'opprimeva ancor di più. Non c'ènulla di più agghiacciante in certi casi
dell'ora che suona. È una proclamazione d'indifferenza. È l'eternità chedice: cosa m'importa!
Si fermò. Ed è probabile che in quel penoso istante si sia chiesto se nonfosse più semplice coricarsi lì e morire. Ma la
piccola posò la testa sulla sua spalla e si addormentò. Quell'oscurafiducia lo rimise in cammino.
Luiche attorno a sé non aveva che rovinasentì di essere un puntod'appoggio. Profonda intimazione del dovere.
Idee e situazione erano estranee alla sua età. È probabile che non lecapisse. Agiva in modo istintivo. Faceva quello che
faceva.
Camminò in direzione di Johnstone Row.
Ma più che camminaresi trascinava.
Si lasciò a sinistra Sainte-Mary Streetfece dei zig-zag tra i vicoli eallo sbocco di un budello sinuoso tra due
catapecchiesi ritrovò in un vasto spazio aperto. Era un terreno incoltosenza costruzionilo stesso posto probabilmente
dove oggi c'è Chesterfield Place. Lì finivano le case. Alla sua destravedeva il marea sinistra restava ben poco della
città.
Che fare? Ricominciava la campagna. A est i grandi piani inclinati di neveindicavano i larghi versanti di Radipole.
Doveva continuare il viaggio? Doveva avanzare e rientrare nelle solitudini? Otornare sui propri passi rientrando nelle
vie? Che fare tra quei due silenzila pianura muta e la città sorda? Qualescegliere tra le due forme di rifiuto?
C'è un'ancora della misericordiae anche uno sguardo. È lo sguardo chequel poveropiccolo disperatogettò attorno a
sé.
Improvvisamente udì una minaccia.
V • LA MISANTROPIA NE FA UNA DELLE SUE
Un indefinibile digrignarestrano e allarmantegli giunse dall'ombra.
C'era di che indietreggiare. Si fece avanti.
Chi è costernato dal silenzio sente con piacere un ruggito.
Quel ringhio feroce lo rassicurò. Quella minaccia era una promessa. Làc'era un essere vivo e svegliofosse anche un
animale selvaggio. S'incamminò nella direzione da cui proveniva queldigrignare.
Aggirò l'angolo di un muro edietronel riverbero della neve e del marein una specie di vasta illuminazione sepolcrale
vide una cosa che se ne stava là come al riparo. Si trattava di unacarrettasempre che non fosse una capanna. Ma aveva
delle ruotedunque era una vettura; e aveva un tettodunque eraun'abitazione. Dal tetto usciva un tuboe dal tubo il
fumo. Il fumo era rossofatto che lasciava presagire un gran bel fuocodentro. I cardini sporgenti nella parte posteriore
indicavano una portae un'apertura quadrata al centro della porta lasciavavedere la luce nel baracchino. Si avvicinò.
Chi aveva digrignato lo sentì venire. Quando fu vicino alla casupola laminaccia divenne una furia. Non aveva più a che
fare con un brontolioma con un urlo. Udì un rumo re seccocome una catenache si tendesse con violenzae
all'improvviso da sotto la portatra le ruote posterioriapparvero due filedi dentibianche e acuminate.
Contemporaneamente alle fauci tra le ruote si affacciò una testa allafinestrella:«Zitto!»disse la testa.
Le fauci tacquero.
La testa continuò:
«C'è qualcuno?».
Il bambino rispose:
«Sì».
«Chi?».
«Io».
«Tu? E chi sei? Da dove vieni?».
«Sono stanco»disse il bambino.
«Che ora è?».
«Ho freddo».
«Cosa ci fai lì?».
«Ho fame».
Replicò la testa:
«Non tutti possono essere felici come un lord. Vattene».
La testa rientròil finestrino si chiuse.
Il bambino chinò la testastrinse tra le braccia la piccola addormentata eraccolse le forze per rimettersi in cammino.
Fece qualche passo iniziando ad allontanarsi.
Ma mentre il finestrino si chiudevasi era aperta la porta. Si era abbassatoun predellino. La stessa voce che aveva
appena parlato al bambino gridò con collera dal fondo del baracchino:
«E alloraperché non entri?».
Il bambino si voltò.
«Entradunque»riprese la voce. «Chi mi ha mandato un monello comequestoche ha famefreddoe che non entra!».
Il bambinorespinto e attirato al tempo stessorestava immobile.
La voce continuò:
«Ti è stato detto di entrarefurfante!».
Si decisee mise il piede sul primo gradino della scala.
Ma da sotto la vettura venne un brontolio.
Indietreggiò. Riapparvero le fauci aperte.
«Zitto!»gridò la voce dell'uomo.
Le fauci rientrarono. Il brontolio cessò.
«Sali»ripeté l'uomo.
Il bambino salì a fatica i tre gradini. Egli era impacciato dalla bambinacosì intorpiditafasciata e arrotolata nel
camiciotto che non se ne vedeva nientenon era che una piccola massainforme.
Salì i tre gradini magiunto sulla sogliasi fermò.
Nel baracchino non bruciavano candeleprobabilmente per economia. La baraccaera rischiarata solo dal rossore che
usciva dallo spiraglio di una stufa di ghisadove crepitava un fuoco ditorba. Sulla stufa fumavano una scodella e una
pentola che contenevasecondo ogni apparenzaqualcosa da mangiare. Se nesentiva il buon odore. Il mobilio di quella
dimora consisteva in una cassapancauno sgabello e una lanterna spentaappesa al soffitto. Inoltre qualche asse su
tasselli alle paretie un attaccapanni da cui pendeva una congerie dioggetti. Qua e là sulle assi e appesi ai chiodi c'erano
oggetti di vetrodi rameun alambiccoun recipiente molto simile a queivasi in cui si riduce la cera in grani e che
vengono chiamati - grelous -e una gran confusione di oggetti bizzarri cheil bamb ino non avrebbe capitoe che altro
non erano se non la batteria di una cucina da chimico. Il baracchino avevauna forma oblungacon la stufa all'ingresso.
Non si trattava neppure di una piccola stanzaera appena una grossa scatola.Fuori la neve mandava più luce di quanta
non ne facesse dentro la stufa. Tutto nella baracca era indistinto enebuloso. Tuttavia un riflesso del fuoco sul soffitto
permetteva di leggervi queste parole scritte a caratteri cubitali: URSUSFILOSOFO.
In realtà il bambino aveva fatto il suo ingresso da Homo e da Ursus. Abbiamosentito brontolare uno e parlare l'altro.
Appena sulla soglia il bambino scorse accanto alla stufa un uomo altoglabromagro e vecchiovestito di grigioin
piedi e con il cranio calvo che toccava il tetto. L'uomo non avrebbe potutoalzarsi in punta di piedi. Il baracchino gli
stava su misura.
«Entra»disse l'uomoche poi era Ursus.
Il bambino entrò.
«Appoggia là il tuo fagotto».
Il bambino mise il suo fardello sulla cassapanca facendo molta attenzionenel timore di spaventarlo e di risvegliarlo.
L'uomo continuò:
«Che delicatezza nell'appoggiarlo! Neanche fosse una reliquia. Hai paura dirovinare i tuoi stracci? Ahrazza di
fannullone! Ancora per strada a quest'ora! Chi sei? Rispondi. Ma notiproibisco di rispondere. Pensiamo a cose più
urgenti; tu hai freddoriscaldati!».
E lo spinse per le spalle davanti alla stufa.
«Sei proprio bagnato! E anche ghiacciato! Guarda se è possibile entrarecosì nelle case! Sbrigatitogli tutte queste
schifezzebandito!».Ementre con una mano gli strappava di dosso confebbrile rudezza gli stracci chelacerandosisi sfilacciavanocon
l'altra staccava da un chiodo una camicia d'uomo e una di quelle giubbe dimaglia che ancor oggi si chiamano kiss-me-quick
.
«Prendieccoti dei vestiti».
Scelse dal mucchio uno straccio di lana edavanti al fuocosi mise asfregare le membra del bambinofrastornato e
semisvenuto chein quel minuto di calda nuditàcredette di vedere il cieloe di toccarlo. Dopo avergli sfregato le
membral'uomo gli asciugò i piedi.
«Sucarcassanon hai niente di congelato. Sono stato così stupido datemere che ci fosse qualcosa di congelatole
zampe posteriori o quelle anteriori! Per questa volta non resteraiparalizzato. Rivestiti».
Il bambino indossò la camiciae l'uomo gli infilò sopra la giubba dimaglia.
«Adesso...».
L'uomo spinse avanti con un piede lo sgabellopoisempre tenendolo per lespallevi fece sedere il ragazzino e con
l'indice gli mostrò la scodella fumante sulla stufa. Anche in quellascodella il bambino intravedeva il cielocioè una
patata e del lardo.
«Tu hai famemangia».
L'uomo prese da un'asse una crosta di pane duro e una forchetta di ferroeli porse al bambino. Il bambino esitò.
«Devo apparecchiare?»disse l'uomo.
Mise la scodella sulle ginocchia del bambino.
«Dacci dentro!».
Poi la fame ebbe la meglio sullo stordimento. Il bambino si mise a mangiare.Il poverino più che mangiaredivorava. Il
baracchino fu pieno dell'allegro rumore del pane sgranocchiato. L'uomoborbottava.
«Non così in fretta mangione! Bel golosoquesto mascalzone! Le canaglieaffamate hanno un modo rivoltante di
mangiare. Basta veder cenare un lord. Durante la mia vita ho visto dei duchiche mangiavano. Quelli non mangiano;
ecco la vera nobiltà. Certo che bevono. Supiccolo cinghialerimpinzati!».
Uno stomaco affamato non ha orecchieper questo il bambino non reagiva aquegli epiteti violentima temperati d'altra
parte da gesti caritatevoliun controsenso tutto a suo vantaggio. Per ilmomento erano solo due le cose urgenti che lo
assorbivanoe due le forme d'estasi: scaldarsi e mangiare.
Ursus continuava a imprecare in sordina tra sé e sé:
«Ho visto mangiare re Giacomo in persona nella Banqueting Housedove sipossono ammirare i dipinti del famoso
Rubens; sua maestà non prendeva niente. Questo mendicante invece stabrucando! Brucareuna parola che viene da
bruto. Bella idea ho avuto di venire proprio a Weymouthsette volte votataagli dei dell'inferno! Da questa mattina non
ho venduto nienteho parlato alla neveho suonato il flauto all'uraganonon ho messo in tasca un solo farthinge per di
più la sera mi arrivano dei poveri! Maledetto paese! Tra questi stupidipassanti e me c'è solo guerralotta e rivalità. Loro
cercano di rifilarmi pochi quattrinie io li ripago con qualche intruglio.Ma ogginiente! Neanche un imbecille a un
incrocioe neanche un penny in cassa! Mangiaboy dell'inferno! Spremi edivora! Viviamo in un'epoca in cui niente
eguaglia il cinismo degli scrocconi. Ingrassati a spese mieparassita. Maquesto non è affamatoè arrabbiato. Non si
tratta di appetitoma di ferocia. È sopraffatto dal virus della rabbia. Chilo sa? Magari ha la peste. Hai la peste
brigante? E se l'attaccasse a Homo! Ma no! Crepi la gentaglianon voglio cheil mio lupo muoia. Ehiho fame anch'io.
Ammetto che è un incidente sgradevole. Oggi ho lavorato fino a notteinoltrata. Capita nella vita di avere fretta. Questa
sera avevo fretta di mangiare. Sono soloaccendo il fuoconon ho che unapatatauna crosta di paneun boccone di
lardo e una goccia di lattemetto tutto a scaldaremi dico: bene! Penso chemangerò. Patatrac! Bisognava che quel
coccodrillo mi capitasse proprio allora. Si pianta dritto tra il mio pasto eme. Ecco devastato il mio refettorio. Mangia
lucciomangiapescecanequante file di denti hai nel gargarozzo? Sbafalupacchiotto. Noritiro parolarispettiamo i
lupi. Ingoia il mio pastoboa! Ho lavorato tutto il giornolo stomacovuotola gola doloranteil pancreas in difficoltàle
viscere in rovinaho lavorato fino a tardi; come ricompensa vedo mangiare unaltro. Fa lo stessofacciamo a metà. Lui
prenderà il panela patata e il lardoma io mi terrò il latte».
In quell'istante nel baracchino si levò un lungo grido straziante. L'uomodrizzò le orecchie.
«Adesso gridisicofante! Perché gridi?».
Il ragazzo si voltò. Era evidente che non stava gridando. Aveva la boccapiena.
Il grido non cessava.
L'uomo andò verso la cassapanca.
«Allora è il fagotto che urla! Valle di Giosafat! Ecco un fagotto cheparla! Che cos'ha da gracchiare il tuo fagotto?».
Disfò il camiciotto. Ne uscì la testa di una bambinache strillava a boccaaperta.
«Benechi va là?»disse l'uomo. «Cos'è? Ce n'è un altro. Non sifinisce più dunque? Chi vive? Alle armi! Caporale
fuori la guardia! Secondo patatrac! Cosa mi portibandito? Non vedi che hasete? Sudeve berela piccola. Bene! Per
adesso devo rinunciare anche al latte».
Da un mucchio su un'asse prese un rotolo di stoffa per fasceuna spugna euna boccettamormorando stizzito:
«Dannato paese!».
Poi osservò la piccola.
«È una bambina. Si riconosce dal guaito. È anche lei inzuppata».
Come aveva fatto per il ragazzosi mise a strapparle gli stracci con cui erapiù legata che vestitae l'avvolse in un pezzo
di tela poverama pulita e asciutta. La vestizione rapida e improvvisaesasperò la bambina.«Miagola implacabilmente»disse.
Tagliò con i denti un lungo pezzo di spugnastrappò dal rotolo un riquadrodi stoffane tirò un pezzetto di filoprese
dalla stufa la pentola dove c'era il latteriempì la boccetta di latteintrodusse metà spugna nel collo della boccetta
ricoprì con la stoffa la spugnalegò con il filo quella specie di tappoaccostò la boccetta alla guancia per assicurarsi che
non fosse troppo caldae si prese sotto il braccio sinistro la trovatellache continuava a gridare.
«Sucreaturacena! Suprendi la tetta».
E le mise in bocca l'estremità della boccetta.
La piccola bevve avidamente.
Tenne la boccetta nell'inclinazione volutaborbottando:
«Vigliacchisono tutti uguali! Quando hanno ciò che voglionotacciono».
La piccola aveva bevuto con tanta energia e aveva afferrato con tale slancioquel pezzo di seno offertole da una burbera
provvidenzache fu presa da un accesso di tosse.
«Ti strozzerai»ringhiò Ursus. «Una bella golosa!».
Le tirò via la spugna che stava succhiandoaspettò che si calmasse latossepoi le rimise la boccetta tra le labbra
dicendo:
«Succhiapoco di buono».
Intanto il ragazzo aveva posato la forchetta. Per veder bere la piccola siera dimenticato di mangiare. Poco prima
mentre mangiavaaveva lo sguardo soddisfattoora era riconoscente. Guardavala piccola che tornava a vivere. Il
compimento di quella resurrezione da lui iniziata gli riempiva gli occhi diun riverbero ineffabile. Ursus continuava a
biascicare tra i denti le sue espressioni corrucciate. Il ragazzino alzavaogni tanto su Ursus i suoi occhi umidi per
un'emozione indefinibile che provava senza riuscire ad esprimerlaluipovera creatura maltrattata e commossa.
Ursus l'apostrofò furiosamente: «E alloramangia dunque!».
«E voi?»disse il bambino tutto tremantecon le lacrime agli occhi. «Nonvi resterà niente?».
«Mangia tuttorazza dannata! Per te non è troppodal momento che non eraabbastanza per me».
Il bambino riprese la forchettama non mangiò.
«Mangia»urlò Ursus. «Cosa c'entro io? Chi ti parla di me? Razza dipiccolo chierico a piedi nudi della parrocchia degli
Squattrinatiti dico di mangiare tutto. Tu sei qui per mangiarebere edormire. Mangiaaltrimenti ti metto alla portate
e la tua donnaccia!».
A quella minaccia il ragazzo si rimise a mangiare. Non che dovesse fareancora molto per sbarazzarsi di quello che
restava nella scodella.
Ursus mormorò:
«Questo edific io non tiene benepassa del freddo dai vetri».
In effetti un vetro sul davanti era stato rotto da un sobbalzo dellacarrettao dal sasso di un monello. Sulla falla Ursus
aveva applicato della carta a forma di stella che si era staccata. Di làentrava la tramontana.
Si era seduto a metà sulla cassapanca. La piccolache gli stava in braccioe sulle ginocchiasucchiava con piacere la
bottigliacon la sonnolenza beata dei cherubini davanti a Dioe dei bambinidavanti al seno.
«È ubriaca»disse Ursus.
E aggiunse:
«Fate pure dei sermoni sulla temperanza!».
Il vento strappò dal vetro il rattoppo di carta che volò attraverso ilbaracchino; ma ci voleva altro per turbare i due
bambini intenti a rinascere.
Mentre la piccola beveva e il bambino mangiavaUrsus imprecava:
«L'ubriachezza incomincia dalla culla. Datevi la pena di tuonare contro glieccessi del bere come il vescovo Tillotson.
Maledetto spiffero! E come se non bastasse la stufa è vecchia. Lascia uscirecerti sbuffi di fumo da farvi venire la
trichiasi. Così mi godo insieme ai guai del freddo anche quelli del fuoco.Non ci si vede bene.
«Questo qui abusa della mia ospitalità. E poi non ho ancora potuto guardarebene il volto di questo tanghero. Non ci
sono comodità qua dentro. Per Gioveio sono un estimatore entusiasta difesticciole squisite dentro stanze ben chiuse.
Non ho seguito la mia vocazioneero nato per la sensualità. Il più saggiodi tutti è stato Filosseno che si augurò di avere
un collo da gru per poter gustare più a lungo i piaceri della tavola. Nienteincassi oggi! Neanche una vendita in tutta la
giornata! Calamità. Abitantilacché e borghesiecco il medicoecco lamedicina. Vecchio mio tu perdi tempo. Metti via
la tua farmacia. Qui stanno tutti bene. Questa è una maledetta città dovenessuno si ammala! Soltanto il cielo ha la
diarrea. Che neve! Anassagora insegnava che la neve è nera. Aveva ragionefreddo e nero sono la stessa cosa. Il
ghiaccio è la notte. Che burrasca! Immagino che bellezza per quelli che sonoin mare. L'uragano è il passaggio dei
diavoliil frastuono degli spettri che galoppano e rotolano a testa in giùsopra le nostre scatole craniche. Tra i nembi
uno ha la codaun altro le cornaun altro ancora una fiamma al posto dellalinguae uno artigli alle aliuno il pancione
dei lord cancellieriuno la zucca da accademicoogni rumore ha la suaforma. Un vento nuovoun altro demone;
l'orecchio in ascoltol'occhio vigileil fracasso ha un volto. Diaminec'è della gente in mareè chiaro. Amici miei
vedete di cavarvela con la tempestache io ho abbastanza da fare a cavarmelacon la vita. Forse che ho una locanda? E
allora perché mi arrivano dei viaggiatori? La miseria universale generacomplicazioni fin dentro la mia povertà. Gocce
orribili del grande fango umano cadono nella mia capanna. Sono alla mercédella voracità dei passanti. Sono una preda.
La preda dei morti di fame. L'invernola notteun baracchino di cartoneundisgraziato amico di sottoe fuori la
tempestauna patataun fuoco grande come un pugnoparassitiil vento cheentra da tutte le fessuresenza un soldoedei fagotti che si mettono adabbaiare! Li apri e dentro ci trovi dei pezzenti. Quando si dice il destino! Pernon dire che
si va contro le leggi. Ah! Vagabondo con vagabondamalizioso pick-pocketaborto male intenzionatoah! Ti aggiri per
le strade dopo il coprifuoco! Se lo sapesse il nostro buon reti farebbegraziosamente gettare in una segreta per darti una
lezione! Il signore passeggia di notte con la signorina! Con quindici gradisottozerocon la testa e i piedi nudi! Sappi
che è proibito. Ci sono regolamenti e ordinanzeo fazioso! I vagabondi sonopunitii cittadini onesti che hanno case
proprie sono rispettati e protettii re sono i padri del popolo. Io sonodomiciliatoio! Saresti stato frustato sulla pubblica
piazzase ti avessero incontratoe avrebbero fatto bene. L'ordine ènecessario in uno stato civile. Io ho avuto il torto di
non denunciarti al conestabile. Ma io sono fatto cosìcapisco il bene efaccio il male. Ah! Ruffiano! Arrivarmi in quelle
condizioni! Non mi ero accorto della neve che mi hanno portato dentroeadesso si è sciolta. Ecco tutta la casa bagnata.
C'è un'inondazione. Dovrò bruciare un bel po' di carbone per asciugarequesto lago. Carbone a dodici farthings per un
sesto di moggio. Come faremo a stare in tre in questa baracca? È finitaentro nella nurserydovrò svezzare i rampolli
della feccia d'Inghilterra. Avrò come impiegoufficio e funzionedisgrossare i feti mal riusciti di quella gran sgualdrina
della Miseriadi perfezionare la bruttezza di questi pendagli da forca intenera etàe di avviare alla filosofia i giovani
furfanti! La lingua dell'orso è lo scalpello di Dio. E dire che se datren'anni non mi facessi fregare da tipi similisarei
ricco. Homo sarebbe grassoavrei un gabinetto medico pieno di raritàtantistrumenti chirurgici quanti ne ha il dottor
Linacrechirurgo di re Enrico VIIIanimali di tutti i generimummieegiziane e altre cose simili! Apparterrei al collegio
dei Dottorie avrei il diritto di usare la biblioteca costruita nel 1652 dalcelebre Harveye di lavorare nella lanterna del
duomoda dove si vede tutta Londra! Potrei portare avanti i miei calcolisulle macchie solari e provare che da
quell'astro esce un vapore caliginoso. È l'opinione di Giovanni Kepleronato l'anno prima della notte di San
Bartolomeoe che fu matematico dell'imperatore. Il sole è un camino che avolte fuma. Anche la mia stufa. La mia stufa
non vale più del sole. Eh sìse avessi fatto fortuna sarei un altro uomonon sarei trivialenon svenderei la scienza ai
crocicchi. Il popolo non è degno della saggezzaperché il popolo è fattodi una moltitudine d'insensatidi un miscuglio
confuso di ogni tipo d'etàdi sessod'umori e di condizioniche i saggidi ogni epoca non hanno esitato a disprezzare
per non dire che anche i più moderatinel loro senso della giustizianehanno detestato la stravaganza e il furore. Ah!
Tutto ciò che esiste mi annoia. Così non si vive a lungo. È questione d'unattimo la vita dell'uomo. Eppure noè lunga.
A volteper non scoraggiarciper consentirci di accettare stupidamentel'esseree per evitare che noi possiamo
approfittare delle magnifiche occasioni d'impiccarci che corde e chiodi cioffrono in quantitàsembra che la natura si
prenda un po' cura dell'uomo. Non questa notte tuttavia. È leiquellasorniona della naturache fa crescere il granoe fa
maturare l'uvae fa cantare l'usignolo. Un raggio dell'aurora o un bicchieredi gin ogni tantoecco ciò che chiamiamo
felicità. Un sottile orlo di bene attorno all'immenso sudario del male. Lastoffa del nostro destino è del diavoloDio non
vi ha messo che l'orlo. Nel frattempo ti sei mangiata la mia cenaladro!».
Intanto la neonatache teneva sempre tra le bracciacon gran dolcezza pursputando rabbiastava chiudendo
insensibilmente gli occhisegno questo di sazietà. Ursus esaminò laboccetta e brontolò:
«Razza di sfrontataha bevuto tutto!».
Si rialzò esostenendo la piccola con la sinistrasollevò il coperchiodella cassapanca con la mano destra e tirò fuori una
pelle d'orso checome si ricorderàchiamava la - mia vera pelle -.
Mentre eseguiva quest'operazionesentiva l'altro bambino mangiare e loguardava di traverso.
«Sarà una faccenda seria se d'ora in poi dovrò nutrire questo ingordo invia di sviluppo! Sarà come avere un verme
solitario nel ventre della mia attività».
Distese la pelle d'orso alla meglio e sempre con un solo braccio sullacassapancacon sforzi di gomiti e movimenti
riguardosi per non disturbare il sonno appena iniziato della piccola. Poi ladepose sulla pelliccianell'angolo più vicino
al fuoco.
Fatto questomise la boccetta vuota sulla stufa gridando:
«Sono io che ho sete!».
Guardò nella pentola; c'era ancora qualche bella sorsata di latte; accostòla pentola alle labbra. Proprio mentre stava per
bere gli cadde l'occhio sulla bambina. Rimise la pentola sulla stufapresela boccettala stappòvi vuotò dentro quello
che restava del latteabbastanza da riempirlaapplicò nuovamente la spugnae legò la stoffa sulla spugnaattorno al
collo della boccetta.
«Continuo ad aver fame e sete»riprese a dire.
E aggiunse:
«Quando non si può mangiare del panesi beve dell'acqua».
Dietro la stufa si intravedeva una brocca sbreccata.
La p rese e la mostrò al ragazzo:
«Vuoi bere?».
Il bambino bevve e si rimise a mangiare.
Ursus riafferrò la brocca e se la portò alla bocca. La temperaturadell'acqua aveva risentito in modo diseguale della
vicinanza della stufa. Mandò giù qualche sorsata e fece una smorfia.
«Saresti acqua purama somigli ai falsi amici. Tiepida sopra e freddasotto».
Intanto il ragazzo aveva finito di cenare. La scodellapiù che vuotataerastata ripulita. E ora stava raccogliendo
pensierosoqualche briciola di pane sparsa tra le pieghe della giubbasulleginocchia.
Ursus si voltò verso di lui.«Non è finita. Ora a noi due. La bocca non èfatta solo per mangiarema anche per parlare. Adesso che ti sei riscaldato e
rimpinzatoo animalestai attentodevi rispondere alle mie domande. Dadove vieni?».
Il bambino rispose:
«Non lo so».
«Comenon lo sai?».
«Questa sera mi hanno abbandonato sulla riva del mare».
«Ah! Il furfante! Come ti chiami? È talmente un poco di buono che igenitori lo hanno abbandonato».
«Non ho genitori».
«Sappiti un po' regolarenon mi piace che mi si cantino delle frottole. Haiuna sorelladunque devi avere dei genitori».
«Non è mia sorella».
«Non è tua sorella?».
«No».
«E chi è allora?».
«È una piccola che ho trovato».
«Trovato!».
«Sì».
«Come sarebbe! L'hai raccolta?».
«Sì».
«Dove? Se menti ti distruggo».
«Sopra una donna che era morta nella neve».
«Quando?».
«Un'ora fa».
«Dove?».
«A una lega da qui».
Le arcate frontali di Ursus si piegaronoprendendo la forma arcuatacaratteristica delle sopracciglia emozionate di un
filosofo.
«Morta! Eccone una fortunata! Bisogna lasciarla lìnella sua neve. Ci sitrova bene. Da che parte?».
«Dalla parte del mare».
«Hai attraversato il ponte?».
«Sì».
Ursus aprì la finestrella sulla parte posteriore e guardò fuori. Il temponon era migliorato. La neve cadeva fitta e
lugubre.
Richiuse il finestrino.
Andò al vetro rottotamponò il buco con uno straccioaggiunse della torbanella stufaspiegò la pelle d'orso sulla
cassapancaallargandola il più possibileprese un grosso libro che tenevain un angolo mettendolo come cuscino sotto il
capezzalee su quel traversino appoggiò la testa della bambinaaddormentata.
Si voltò verso il ragazzo.
«Coricati lì».
Il ragazzino obbedì e si sdraiò in tutta la sua lunghezza accanto allapiccola.
Ursus arrotolò la pelle d'orso attorno ai due bambini e la rimboccò sottoai loro piedi.
Tolse da un'asseannodandosela attorno al corpouna cintura di tela con unagrande tasca cheprobabilmente
conteneva un astuccio per i ferri e flaconi d'elisir.
Poi staccò la lanterna dal soffitto e l'accese. Era una lanterna cieca.Accendendosi lasciò i bambini nell'oscurità.
Ursus socchiuse la porta e disse:
«Esco. Non abbiate paura. Torno subito. Dormite».
Poiabbassando il predellinogridò:
«Homo!».
Gli rispose un affettuoso brontolio.
Ursus scese con la lanterna in manoil predellino risalìla porta sichiuse. I bambini rimasero soli.
Da fuori una vocequella di Ursusdomandò:
«Boy che hai mangiato la mia cena! Dimminon dormi ancora?».
«No»rispose il ragazzo.
«Bene! Se urlale darai il resto del latte».
Si sentì il clicchettio di una catena sciolta e il rumore di un passo d'uomoche si allontanavaa cui si aggiunse quello di
un animale.
Dopo qualche istante i due bambini dormivano profondamente.
Era un'ineffabile mescolarsi di fiati; qualcosa di più della castitàl'ignoranza; una notte di nozze prima del sesso. Il
ragazzino e la bambinanudifianco a fiancogodettero in quelle oresilenziose della serafica promiscuità dell'ombra;
fluttuava da uno all'altra quel po' di sogno possibile alla loro età;probabilmente sotto le palpebre chiuse c'era una luce
di stella; se parlare di matrimonio non fosse esageratoessi erano marito emoglie nello stesso modo in cui si è angeli.
Solo l'infanzia rende possibili certe innocenze in tenebre simili e quellapurezza nell'abbracciocome anticipazioni del
cielo; nessuna immensità si avvicina alla grandezza dei piccoli. Di tuttigli abissi questo è il più profondo. Laformidabile eternità di un mortoincatenato fuori dalla vitail gigantesco accanimento dell'oceano su unnaufragioil
vasto biancore della neve che ricopre le forme sepolteniente eguaglia lacommozione del tocco divino tra due bocche
di bambini nel sonnoun incontro che non è un bacio. Forse un fidanzamentoforse una catastrofe. L'ignoto pesa su
questo contatto. È affascinante; ma chi può dire se non sia spaventoso?C'è di che sentirsi stringere il cuore. L'innocenza
è più sublime della virtù. L'innocenza è fatta di un'oscurità sacra.Dormivano. Erano tranquilli. Avevano caldo. Il nudo
intreccio dei corpi era l'amalgama di anime vergini. Stavano lì come nelnido dell'abisso.
VI • IL RISVEGLIO
Il giorno si annuncia in modo sinistro. Un triste biancore entrò nelbaracchino. Era il gelo dell'alba. Quel palloreche
sbalza in funebre realtà i contorni delle cose battute dall'apparenzaspettrale della nottenon risvegliò i bambini che
dormivano stretti assieme. Nel baracchino faceva caldo. Si potevano sentire iloro respiri che si alternavano come due
onde tranquille. Fuori l'uragano era cessato. La luce del crepuscolos'impossessava lentamente dell'orizzonte. Le
costellazioni si spegnevano una dopo l'altracome candele su cui qualcunosoffiasse. Non resisteva che qualche grande
stella. Usciva dal mare il canto profondo dell'infinito.
La stufa non si era spenta del tutto. A poco a poco l'alba diventava giornopieno. Il ragazzo dormiva meno della
bambina. C'era in lui la stoffa di chi vegliae quella del guardiano. Quandoun raggio più forte degli altri attraversò il
vetroegli aprì gli occhi; il sonno dell'infanzia termina nell'oblio;restò nel dormiveglia senza sapere dove si trovavané
chi c'era accanto a luie neppure si sforzava di ricordarefissava ilsoffitto e giocava fantasticando con le lettere della
scritta Ursusfilosofoche esaminava senza decifrarledalmomento che non sapeva leggere.
Il rumore di una chiave che armeggiava nella serratura gli fece sollevare ilcollo.
La porta giròil predellino andò giù. Tornava Ursus. Salì i tre gradinicon in mano la lanterna spenta.
Contemporaneamente lo scalpiccio di quattro zampe veloci risalì ilpredellino. Era Homo che seguiva Ursus e che
come luifaceva ritorno a casa.
Il ragazzo svegliandosi ebbe un leggero sussulto.
Il lupoche probabilmente aveva appetitofece una smorfia da primo mattinomettendo in mostra tutti i denti
bianchissimi.
Si fermò a metà salitaappoggiando le zampe anteriori nel baracchinoigomiti sulla sogliacome un predicatore sul
bordo del pulpito. Annusò da lontano la cassapanca che non era abituato avedere abitata in quel modo. Il suo busto di
lupo nel riquadro della porta si stagliava nero contro il chiarore delmattino. Poi si deciseed entrò.
Il ragazzovedendo il lupo nel baracchinouscì dalla pelle d'orsosialzò in piedi e si mise davanti alla piccolapiù
addormentata che mai.
Ursus aveva riappeso la lanterna al chiodo del soffitto. Si tolse in silenzioe con una lentezza meccanica la cintura con
l'astucciorimettendola su un'asse. Non guardava niente e sembrava che nonvedesse niente. Le sue pupille erano vitree.
Qualcosa di profondo si agitava nel suo spirito. Alla fine il suo spirito sirianimò come al solito con una sfuriata di
parole. Esclamò:
«Proprio fortunata! Mortaassolutamente morta».
Si chinò e gettò una palettata di scorie nella stufapoicontinuando adattizzare la torbaborbottò:
«Ho faticato per trovarla. Un caso maligno l'aveva cacciata sotto due piedidi neve. Senza Homoche con il suo naso
vede altrettanto bene che Cristoforo Colombo con il suo ingegnosarei ancoralà a sguazzare nella valanga e a giocare a
rimpiattino con la morte. Diogene con la sua lanterna cercava un uomoio conla mia cercavo una donna; egli ha trovato
il sarcasmoio il lutto. Com'era fredda! Le ho toccato una manouna pietra.Che silenzio in quegli occhi! Come si fa a
essere così stupidi da morire lasciandosi dietro una bambina! Certo adessonon sarà comodo stare in tre in questa
scatola. Un bel guaio! Mi ritrovo con una famiglia! Figlia e fig lio».
Mentre Ursus parlavaHomo era scivolato vicino alla stufa. La mano dellapiccola addormentata penzolava tra la stufa e
la cassapanca. Il lupo si mise a leccare la mano.
Leccava con tanta dolcezza che la piccola non si svegliò.
Ursus si voltò.
«BeneHomo. Io farò da padre e tu da zio».
Poi riprese il suo lavoro filosofico sistemando il fuocosenza interrompereil suo a parte.
«Adozione. Ormai è fatta. Anche Homo è d'accordo».
Si rialzò.
«Vorrei sapere chi è responsabile di quella morte. Uomini? O...».
Guardò in ariaoltre il soffittoe la sua bocca mormorò:
«Sei stato tu?».
Poi abbassò la fronte come sotto un pesoe continuò:
«La notte si è presa la pena di uccidere quella donna».
Rialzando lo sguardo incontrò il volto del ragazzo che si era svegliato e lostava ascoltando. Ursus gli chiese in tono
brusco:
«Cos'hai da ridere?».
Il ragazzo rispose:
«Non sto ridendo».Ursus ebbe un sussultolo esaminò attentamente e insilenzio per qualche istantepoi disse:
«Allora sei terribile».
Durante la notte il baracchino era così poco illuminato al suo interno cheUrsus non aveva ancora visto la faccia del
ragazzo. La luce del giorno gliela mostrò.
Mise le palme delle mani sulle spalle del ragazzoguardò ancora il suovolto con un'attenzione sempre più intensae gli
gridò:
«Non ridere più!».
«Io non rido»disse il bambino.
Ursus ebbe un tremito dalla testa ai piedi.
«Ti dico che ridi».
Poiscuotendo il bambino con un furore che era pietàgli domandò conveemenza:
«Chi te l'ha fatto?».
Il bambino rispose:
«Non capisco cosa volete dire».
«Da quando hai questa specie di riso?»continuò Ursus.
«Sono sempre stato così»disse il bambino.
Ursus si voltò verso la cassapanca dicendo a bassa voce:
«Credevo avessero smesso di fare certe cose».
Facendo molta attenzioneper non svegliarlaprese dal capezzale il libroche aveva messo come cuscino sotto la testa
della piccola.
«Vediamo Conquest»mormorò.
Era un mazzo di in foliorilegati in pergamena tenera. Lo sfogliòcon il pollicesi fermò su una paginaspalancò il libro
sulla stufa e lesse:
«... De Denasatis. Eccolo».
Poi continuò:
«Bucca fissa usque ad auresgenzivis denudatisnasoque murdridatomascaeriset ridebis semper».
«È proprio questo».
Rimise il libro su una delle assiborbottando:
«Questa è un'avventura che sarebbe sconsigliabile approfondire. Restiamo insuperficie. Ridiragazzo mio».
La bambina si svegliò. Come buongiornogridò.
«Subaliadalle il seno»disse Ursus.
La piccola si era messa a sedere. Ursus prese la boccetta dalla stufa egliela diede da succhiare.
In quel momento sorse il sole. Spuntava appena sull'orizzonte. Un raggiorossoentrando dal vetrocadeva sul volto
della bambina girata nella sua direzione. Gli occhi della piccolafissi nelsoleriflettevano come specchi quel cerchio
rosso. Le pupille erano immobilie così pure le palpebre.
«Ah!»esclamò Ursus. «È cieca».
PARTE SECONDA • PER ORDINE DEL RE
LIBRO PRIMO • ETERNA PRESENZA DEL PASSATO: GLI UOMINI RIFLETTONO L'UOMO
I • LORD CLANCHARLIE
I
C'era a quei temp i un vecchio ricordo.
Quel ricordo era lord Linnaeus Clancharlie.
Il barone Linnaeus Clancharliecontemporaneo di Cromwellera uno di queipari d'Inghilterrapoco numerosiva
subito dettoche avevano accettato la repubblica. Questo assenso eraragionevolee a rigore si spiega con il fatto che in
quel momento la repubblica aveva trionfato. Niente di più semplice dunqueche lord Clancharlie restasse con la
repubblica finché questa aveva il sopravvento. Ma dopo la fine dellarivoluzione e la caduta del governo parlamentare
lord Clancharlie aveva persistito. Sarebbe stato facile per un nobilearistocratico come lui rientrare nella ricostituita
camera altadato che i pentimenti sono sempre bene accetti dallerestaurazionie Carlo II si dimostrava un principe
clemente con quelli che facevano ritorno da lui; ma lord Clancharlie nonaveva capito il corso degli avvenimenti.
Mentre la nazione copriva di acclamazioni il re che riprendeva possessodell'Inghilterramentre l'opinione pubblica
pronunciava il suo verdettomentre il popolo esternava i suoi omaggi allamonarchiamentre la dinastia si risollevava
nel bel mezzo di una gloriosa e trionfale palinodiaproprio nell'istante incui il passato diventava avvenire e l'avvenire
diventava passatoquel lord era rimasto refrattario. Aveva distolto losguardo da tutta quella allegria; era andato in
esilio volontario; pur potendo essere un pariaveva preferito essere unproscritto; così erano passati gli anni; erainvecchiato in quella fedeltàverso la repubblica morta. Si era anche coperto del ridicolo che colpiscenaturalmente quel
tipo di atteggiamenti infantili.
Si era ritirato in Svizzera. Viveva in una specie di grande casale sulla rivadel lago di Ginevra. Si era scelto quella
dimora nel più aspro recesso del lagotra Chillondove c'è la prigione diBonnivarde Veveydove si trova la tomba di
Ludlow. Lo circondavano le Alpiseveredense di crepuscolidi venti e dinuvole; viveva làcome perso nelle vaste
tenebre che cadono dalle montagne. Era difficile che qualcuno lo incontrasse.Quell'uomo era fuori dal proprio paese e
quasi fuori dal proprio secolo. Per chi in quel momento era al corrente dicome andavano le cosenon aveva senso
opporsi agli avvenimenti. L'Inghilterra era felice; una restaurazione è comeuna riconciliazione tra sposi; principe e
nazione smettono di dormire in letti separati; cosa c'è di più grazioso eallegro?; la Gran Bretagna raggiava; certo è una
gran cosa avere un rema il loro era un re affascinante; Carlo II eraamabilededito al piacere e al governoe grande
sulle orme di Luigi XIV; era un gentleman e un gentiluomo; Carlo II aveval'ammirazione dei suoi sudditi; aveva fatto
la guerra di Hannoverconoscendone certamente i motivianzi conoscendolisolo lui; aveva venduto Dunkerque alla
Franciaun'operazione di alta politica; i pari democraticidi cuiChamberlayne ha detto: «Quella maledetta repubblica
infettò molti dell'alta nobiltà con il suo fiato puzzolente»avevanoavuto il buon senso di arrendersi all'evidenzadi
appartenere al loro tempoe di riprendersi il proprio seggio nella cameradei nobili; per questo era bastato loro prestare
al re il giuramento di fedeltà. Quando si pensava a tutte queste realtàaquel bel regnoa quel re eccellentea quei
principi augusti che la misericordia divina aveva reso all'amore dei popoli;quando si rifletteva sul fatto che personaggi
considerevolicome Monke più tardi Jeffreyssi erano riavvicinati altronoe che erano stati giustamente ricompensati
per la loro lealtà e il loro zelo con le cariche più importanti e con lemansioni più remunerativee che lord Clancharlie
non poteva non esserne al correnteche dipendeva solo da lui il fatto disedersi gloriosamente accanto a loro per
dividerne gli onoriche l'Inghilterragrazie al suo reera risalita almassimo della prosperitàche Londra era tutta feste e
caroselliche tutti erano ricchi e entusiastiche la corte era galantegaia e superba; seper casolontano da questi
splendoriin una penombra indefinibile come quando si fa nottesi scorgevaquel vecchiovestito come veste il popolo
pallidodistrattocurvoforse sull'orlo della tombain piedi sulla rivadel lagoappena attento alla tempesta e
all'invernoche camminava a casolo sguardo fissoi capelli bianchi mossidal vento dell'ombrasilenziososolitario
meditabondoallora era difficile non sorriderne.
Il profilo di un folle.
Pensando a lord Clancharliea ciò che avrebbe potuto essere e a ciò cheerasorridere diventava una questione
d'indulgenza. Alcuni ridevano apertamente. Altri s'indignavano.
Si capisce come uomini seri fossero scandalizzati da una solitudine cosìinsolente.
Circostanza attenuante: lord Clancharlie non era mai stato un uomointelligente. Su questo erano tutti d'accordo.
II
È spiacevole vedere qualcuno che esercita l'ostinazione. Gli atteggiamentialla Regolo non riscuotono successoanzi
l'opinione pubblica fa dell'ironia.
La caparbietà sembra un rimproveroed è giusto che se ne rida.
Ma sono poi virtù le testardagginile asprezze? Non c'è forse moltaostentazione in certe esibizioni eccessive
dell'abnegazione e dell'onore? Uno spirito da paratapiù che altro. Perchépoi queste esagerazioni della solitudine e
dell'esilio? Non esagerare maiquesta è la massima del saggio. Voleteopporvie va bene; se volete biasimare fatelo
purema con decenzae non dimenticando di gridare viva il re! L'autenticavirtù consiste nella ragionevolezza. Ciò che
cade doveva cadereciò che riesce doveva riuscire. La provvidenza ha le sueragioni; essa corona chi lo merita. Avete la
pretesa di saperne più di lei? Quando gli avvenimenti si sono pronunciatiquando un regime ha rimpiazzato l'altro
quando il successo ha discriminato il vero dal falsoqui la catastrofelàil trionfonon è più possibile dubitarel'uomo
onesto si schiera con chi ha prevalsoe anche se ciò risulta propizio per isuoi beni e per la sua famigliasenza lasciarsi
influenzare da questa considerazionepensando solo all'interesse dellacollettivitàegli dà man forte al vincitore.
Cosa diventerebbe lo Stato se nessuno volesse servire? Tutto dovrebbe dunquefermarsi? Il bravo cittadino sa stare al
suo posto. Sappiate sacrificare le vostre preferenze segrete. Gli impieghibisogna saperli tenere. Qualcuno deve pur
immolarsi. La vera fedeltà consiste nell'essere fedeli alle funzionipubbliche. Se i funzionari pubblici si ritirassero
questa sarebbe la paralisi dello stato. Vi mettete al bandoè una cosapenosa. Un esempio forse? Che vanità! Una sfida?
Che audacia! Ma chi vi credete? Sappiate che valiamo quanto voi. Ma noi nondisertiamonoi. Se lo volessimo
saremmo anche noi inesorabili e indomabilie faremmo cose peggiori di quelleche fate voi. Ma preferiamo essere
intelligenti. Solo perché sono Trimalcionenon mi credete capace di essereCatone! Ma andiamo!
III
Mai situazione fu più chiara e decisiva di quella del 1660. Mai a un uomointelligente s'impose con più evidenza quello
che doveva fare.
L'Inghilterra si era liberata di Cromwell. Sotto la repubblica si eranoverificate molte irregolarità. Era stata creata la
supremazia britannica; con la guerra dei trent'anni si era dominata laGermaniaabbassata la Francia con la Fronda esminuita la Spagna con il duca diBraganza. Cromwell aveva addomesticato Mazarino; nei trattati il protettore
dell'Inghilterra firmava sopra il re di Francia; le Provincie Unite dovevanopagare un'ammenda di otto milionierano
state molestate Algeri e Tunisiconquistata la GiamaicaLisbona umiliataistigata a Barcellona la rivalità francese
messo a Napoli Masaniello; il Portogallo era stato ancorato all'Inghilterra;da Gibilterra a Candia si era fatta pulizia dei
berberi; erano state gettate le fondamenta del dominio marittimo: la vittoriae il commercio; il 10 agosto 1653 la flotta
inglese aveva distrutto Martin Happertz Trompvittorioso in trentatrebattaglieil vecchio ammiraglio che si faceva
chiamare nonno dei marinaie che aveva battuto la flotta spagnola;l'Atlantico era stato sottratto alla marina spagnolail
Pacifico a quella olandeseil Mediterraneo alla marina veneziana econl'atto di navigazioneci si era impadroniti di
tutte le coste; con l'oceano si teneva in pugno il mondo; la bandieraolandese in mare salutava umilmente la bandiera
britannica; la Francianella persona dell'ambasciatore Mancinifacevagenuflessioni davanti a Olivier Cromwell;
Cromwell giocava con Calais e Dunkerque come con due volani su una racchettasola; aveva fatto tremare il continente
dettato la pacedecretato la guerrapiantato su ogni cima la bandierainglese; il solo reggimento dei - fianchi d'acciaio -
del protettorevaleva nell'Europa terrorizzata quanto un'armata; Cromwelldiceva: Esigo che si rispetti la repubblica
inglese come si è rispettata la repubblica romana; più nulla era sacro;c'era libertà di parolalibertà di stampa; si poteva
dire in mezzo alla strada quello che si voleva; si stampava liberamente senzacontrolli e censure; era stato infranto
l'equilibrio dei troni; tutto l'ordine monarchico europeodi cui facevanoparte gli Stuartera stato sconvolto. Ma alla fine
si era usciti da questo odioso regimee l'Inghilterra era stata perdonata.
L'indulgente Carlo II aveva promulgato la dichiarazione di Breda. Avevaconcesso all'Inghilterra l'oblio di un'epoca in
cui il figlio di un birraio di Huntingdon metteva i piedi in testa a LuigiXIV. L'Inghilterra recitava il suo mea culpa e
tirava un respiro di sollievo. I cuoricome abbiamo dettotornavano adistendersi completamente; alla gioia universale
si andavano ad aggiungere le forche dei regicidi. Una restaurazione è unsorriso; ma un po' di forca non stonae poi
bisogna soddisfare la coscienza pubblica. L'indisciplina si era dissoltasistava ricostituendo la lealtà. L'unica ambizione
ormai era di essere dei buoni sudditi. Ci si era riavuti dalle follie dellapolitica; ci si prendeva gioco della rivoluzionesi
canzonava la repubblica e quei tempi singolariquando era normale riempirsila bocca con grandi paroleDiritto
LibertàProgresso; adesso si rideva di quell'enfasi. C'era unammirevole ritorno al buon senso; l'Inghilterra aveva
sognato. Che fortuna essere fuori da quegli smarrimenti! C'è nulla di piùinsensato? Dove si andrebbe a finire se il
primo venuto accampasse diritti? È possibile immaginare che tutti comandino?Si può pensare una città governata dai
cittadini? I cittadini sono un equipaggioma l'equipaggio non è ilcocchiere. Mettere ai voti significa gettare al vento.
Volete che gli stati fluttuino come le nuvole? Non si costruisce l'ordine conil disordine. Se l'architetto è il caos
l'edificio sarà Babele. E poi che tirannia questa pretesa libertà! Iovoglio divertirminon governare. Mi annoia votare; io
voglio ballare. Che provvidenza avere un principe che si incarica di tutto!È davvero generoso il re a prendersi questa
pena per noi! Senza contare che vi è stato educatosa bene di cosa sitratta. Se ne intende. Paceguerralegislazione
finanzeriguardano forse i popoli? Certo il popolo deve pagaredeveservirema deve accontentarsi di questo. Nella
politica ha un posto preciso; è da lui che nascono le due forze dello stato:l'esercito e il bilancio. Non basta essere
contribuente e soldato? C'è bisogno d'altro? È il braccio militare e quellofinanziario. Un ruolo stupendo. C'è chi regna
per lui. Deve pure pagare questo servizio. Imposta e lista civile sono isalari che i popoli pagano e i principi si
guadagnano. Il popolo dà il suo sangue e i suoi soldiin cambio vieneguidato. Volersi condurre da séche idea
bizzarra! Ha bisogno di una guida. Nella sua ignoranza il popolo è cieco.Non hanno un cane i ciechi? Solo che nel caso
del popolo c'è un leoneil reche acconsente a fare da cane. Che bontà!Ma perché il popolo è ignorante? Perché deve
esserlo. L'ignoranza preserva la virtù. Dove non ci sono prospettivenon cisono ambizioni; l'ignorante vive in una notte
provvidenziale chesopprimendo lo sguardosopprime l'avidità. Da quil'innocenza. Chi legge pensachi pensa ragiona.
Il dovere consiste nel non ragionaree anche la felicità. Sono veritàincontestabili. Sopra di esse si fonda la società.
Così in Inghilterra si erano ristabilite le sane dottrine sociali. Così siera riabilitata la nazione. Nello stesso tempo si
tornava alla bella letteratura. Si sdegnava Shakespeare e si ammirava Dryden.Dryden è il più grande poeta inglese e il
più grande del secolodiceva Atterburyil traduttore di Achitophet.Era l'epoca in cui Huetvescovo d'Avranches
scriveva a Saumaiseche aveva fatto all'autore del Paradiso perduto l'onoredi rifiutarlo e d'ingiuriarlo: Come potete
occuparvi di una nullità come quel Milton? Tutto rinasceva e tornava alsuo posto. Dryden in alto e Shakespeare in
bassoCarlo II sul trono. Cromwell sulla forca. L'Inghilterra si rialzavadalle vergogne e dalle stravaganze del passato.
È una gran fortuna per le nazioni che ci sia la monarchia a rimettere inordine lo statoe a riportare il buon gusto nella
letteratura.
È difficile credere che simili benefici possano essere disconosciuti.Voltare le spalle a Carlo IIricompensare con
l'ingratitudine la magnanimità del suo ritorno al trononon è abominevoletutto questo? Lord Linnaeus Clancharlie
aveva procurato un simile dolore alla gente perbene. Disdegnare la felicitàdella patriache aberrazione!
È noto che nel 1650 il parlamento aveva formulato questa espressione: Promettodi restare fedele alla repubblicasenza
resenza sovranosenza signore. Con il pretesto di essersi impegnato inquesto mostruoso giuramentolord Clancharlie
viveva fuori dal regnocredendosi in diritto di essere triste al cospettodell'universale felicità. La sua era la tetra stima
per ciò che non esiste più; un bizzarro attaccamento a cose svanite.
Impossibile scusarlo; i più benevoli lo abbandonavano. A lungo i suoi amicigli avevano fatto l'onore di credere che
fosse entrato nelle file repubblicane per vedere più da vicino il puntodebole della repubblicae così colpirla con
maggior sicurezza quando fosse venuto il giorno del riscatto per la sacracausa del re.
Quelle attese dell'ora utile per colpire il nemico alle spalle fanno partedel concetto di lealtà. Era quanto ci si aspettava
da lord Clancharlie quando si era inclini a giudicarlo favorevolmente. Madavanti a quella strana cocciutagginerepubblicana era stato giocoforzarinunciare a quell'ipotesi benevola. Evidentemente lord Clancharlie ci credevacioè
era un idiota.
La spiegazione degli indulgenti oscillava tra un'ostinazione puerile e unatestarda senilità.
Quelli più severii giustisi spingevano più lontano. Essi tacciavanod'infamia il recidivo. L'imbecillità gode di alcuni
dirittima ci sono anche dei limiti. Si può essere dei brutima non sideve essere ribelli. E poidopo tuttocos'era lord
Clancharlie? Un transfuga. Aveva abbandonato il suo campol'aristocraziaper passare al camp o nemicoil popolo.
Bella fedeltà quel traditore. È vero che tradiva il più forte per esserefedele al più debole; è vero che il campo ripudiato
era quello del vincitoree che il nuovo campo adottato era quello del vinto;è vero che grazie a quel - tradimento -
perdeva tuttoi suoi privilegi politici e il focolare domesticola paria ela patria; e non ci guadagnava che il ridicolo; il
suo unico beneficio era l'esilio. Ma cosa significa? Che era uno sciocco.D'accordo.
Traditore e stupido al tempo stessoè possibile.
Uno può essere sciocco quanto vuolema che non dia il cattivo esempio. Aglisciocchi si chiede solo di essere onesti
dopo di che essi possono aspirare ad essere le basi delle monarchie. Lapochezza di questo Clancharlie era
inimmaginabile. Era rimasto preso nelle vertigini fantasmagoriche dellarivoluzione. Era stato ingannato dalla
repubblicae poi messo fuori. Il suo era un affronto al paese. Unatteggiamento di pura fellonia! La sua assenza era
un'ingiuria. Sembrava che evitasse la felicità pubblica come la peste. Inquell'esilio volontario era come se avesse
cercato rifugio dalla soddisfazione nazionale. Si comportava con lasovranità come con un contagio. Egli era il drappo
nero su quello sterminato tripudio monarchico che voleva far passare perlazzaretto. Via! Recitare quel ruolo sinistro al
di sopra dell'ordine ricostituitodi una nazione risollevatadi unareligione restaurata! Gettare ombra su quella serenità!
Prendere male un'Inghilterra contenta! Essere la macchia scura in quel grancielo azzurro! Essere come una minaccia!
Protestare contro i desideri della nazione! Rifiutare di unirsi al consensouniversale! Sarebbe odiosose non fosse
comico. Quel Clancharlie non aveva capito che ci si poteva smarrire conCromwellma che bis ognava ritornare con
Monk. Guardate Monk. È al comando dell'esercito repubblicano; Carlo IIdall'esilio viene a sapere della sua onestà e gli
scrive; Monkche sa conciliare la virtù con l'astuziaprima dissimulapoiimprovvisamentealla testa delle truppe
depone il parlamento fazioso e ristabilisce il recosì Monk viene fattoduca d'Albermarleha l'onore di aver salvato la
societàdiventa ricchissimodà per sempre lustro alla sua epocae vienefatto cavaliere della Giarrettieracon la
prospettiva di essere sepolto a Westminster. Questa è la gloria di uninglese fedele. Lord Clancharlie non aveva saputo
elevarsi a una tale pratica intelligente del dovere. Si era infatuatodell'immobilità dell'esilio. Si accontentava di frasi
vuote. Era un uomo anchilosato dall'orgoglio. Le parole coscienzadignitàecc.dopotutto sono parole. Bisogna vederne
il fondo.
Quel fondo Clancharlie non l'aveva visto. Era una coscienza miopeprima diagire voleva guardare molto da vicino
l'azione da compiereper sentirne l'odore. Da qui i suoi assurdi disgusti.Non si può essere uomini di stato e avere simili
delicatezze. L'eccesso di coscienza degenera in malattia. Lo scrupolo èmonco davanti allo scettro che deve afferrare e
eunuco davanti alla fortuna da sposare. Diffidate degli scrupoli. Portanolontano. La fedeltà irragionevole scende come
una scala di cantina. Un gradinopoi un altro gradinoe un altro ancoraeci si trova al buio. Quelli abili risalgonogli
ingenui vi restano. Non si deve permettere con leggerezza alla propriacoscienza di diventare estremista. Di passaggio in
passaggio si arriva alle cupe sfumature del pudore politico. Allora si èperduti. Era il caso di lord Clancharlie. Il destino
dei principi è di diventare un baratro.
Passeggiava con le mani dietro la schienalungo il lago di Ginevra; belvantaggio!
A Londra qualche volta si parlava dell'assente. Per l'opinione pubblica sitrattava quasi di un imputato. Se ne discuteva
la difesa e l'accusa. Esaurita la causagli veniva accordato il beneficiodella stupidità.
Molti degli antichi sostenitori dell'ex repubblica avevano aderito agliStuart. Di questo dobbiamo lodarli. È naturale che
un po' lo calunniassero. Gli ostinati non sono graditi dai compiacenti.Persone intelligentiben viste e in ottima
posizione a corteinfastidite da quello spiacevole atteggiamentodicevanovolentieri: Se non ha aderito è perché non lo
hanno pagato abbastanza ecc. - Voleva il posto di cancelliereche ilre ha dato a lord Hyde ecc. - Uno dei suoi - vecchi
amici - si spingeva fino a mormorare: Me l'ha detto lui stesso. Avolte capitavaper quanto Linnaeus Clancharlie
vivesse in solitudineche qualcosa di quelle voci gli giungesseall'orecchiotramite qualche vecchio regicida come
Andrew Broughtonche abitava a Losanna. Clancharlie si limitava ad alzareimpercettibilmente le spallesegno questo
di profondo abbrutimento.
Una volta all'alzata di spalle aggiunse queste paroleappena sussurrate: Compiangoquelli che ci credono.
IV
Carlo IIbuon uomolo disprezzava. La felicità dell'Inghilterra sottoCarlo II era qualcosa di più della felicitàera un
incanto. Una restaurazione è un vecchio quadro annerito che vieneriverniciato; riappare tutto il passato. Tornavano i
vecchi buoni costumile belle donne regnavano e governavano. Evelyn ne hapreso nota; si legge nel suo giornale:
«Lussuriaprofanazionedisprezzo di Dio. Una domenica sera ho visto il recon le sue puttanela Portsmouthla
Clevelandla Mazarin e altre due o tre; tutte quasi nude nella galleria deigiochi». Trapela un po' di cattivo umore da
questo quadro; ma Evelyn era un puritano brontoloneguastato dafantasticherie repubblicane. Non apprezzava il
proficuo esempio dato dai re con quei grandi divertimenti babilonesiche indefinitiva alimentano il lusso. Non capival'utilità dei vizi. Regola: nonestirpate i vizise volete avere delle donne affascinanti. Altrimentisembrerete come quegli
imbecilli che distruggono i bruchipur andando pazzi per le farfalle.
Carlo IIcome abbiamo dettosi accorse appena che esisteva un refrattariochiamato Clancharliema Giacomo II fu più
attento. Carlo II governava a suo modoblandamente; diciamo che non perquesto governava peggio. Capita che un
marinaioa una fune destinata a dominare il ventofaccia un nodo debole elasci così che il vento lo stringa. È questa la
stupidità dell'uragano e del popolo.
Quel nodo largopresto diventato strettofu il regno di Carlo II.
Sotto Giacomo II iniziò lo strangolamento. Strangolamento necessario di ciòche restava della rivoluzione. Giacomo II
ebbe la lodevole ambizione di essere un re efficace. Ai suoi occhi il regnodi Carlo II non era stato che un abbozzo di
restaurazione; Giacomo II volle un ritorno all'ordine ancora più completo.Nel 1660 aveva deplorato che ci si fosse
limitati a impiccare dieci regicidi. Egli fu ben altro restauratoredell'autorità. Instillò vigore a seri principi; fece regnare
quella giustizia che è la sola verache sta al di sopra delle declamazionisentimentalie che prima di tutto si preoccupa
degli interessi della società. Da queste vigili severità si riconosce ilpadre dello stato. Affidò a Jeffreys il potere
giudiziarioe a Kirke le armi. Kirke moltiplicava gli esempi. Un giornoquesto bravo colonnello fece mettere e togliere
la forca per tre volte allo stesso uomoun repubblicanochiedendogli ognivolta: Abiuri la repubblica? Poiché il
disgraziato rispondeva sempre di nolo finirono. - L'ho impiccato quattrovoltedisse Kirke soddisfatto. Il fatto che
tornino i supplizi è un gran segno di forza per il potere. Lady Lylechepur aveva mandato suo figlio in guerra contro
Montmouthavendo nascosto in casa sua due ribellifu messa a morte. Unaltro ribelleessendo stato così onesto da
confessare che una donna anabattista gli aveva dato asilofu graziatoe ladonna fu bruciata viva. Un altro giorno Kirke
fece capire a una città che la sapeva repubblicanaimpiccando diciannoveborghesi. Certo si trattava di rappresaglie del
tutto legittime se si pensa che sotto Cromwell si tagliavano il naso e leorecchie ai santi di pietra nelle chiese. Giacomo
IIche aveva saputo scegliere Jeffreys e Kirkeera un principe imbevuto diautentica religiositàsi mortificava con la
bruttezza delle sue amantiascoltava il padre La Colombièrepredicatoreuntuoso quasi quanto il padre Cheminaisma
con più fuocoe che ebbe l'onore di essere consigliere di Giacomo II nellaprima metà della sua vitae ispiratore di
Marie Alacoque nella seconda. È grazie a questo forte nutrimento religiosoche Giacomo II poté sopportare più tardi
con dignità l'esilioenel suo ritiro di SaintGermaindare lo spettacolodi un re superiore all'avversitàcalmo davanti
alla scrofolosiin conversazione con i gesuiti.
È comprensibile che un simile sovrano dovessealmeno in una certa misurapreoccuparsi di un ribelle come lord
Linnaeus Clancharlie. Dal momento che le parie si trasmettonoereditariamenteesse contengono una certa quantità di
avveniree dunque è evidente che se ci fosse stata qualche precauzione daprendere riguardo a quel lordGiacomo II
non avrebbe esitato.
II • LORD DAVID DIRRY-MOIR
I
Lord Linnaeus Clancharlie non era sempre stato vecchio e proscritto. Avevaconosciuto la giovinezza e la passione.
Sappiamo da Harrison e Pride che Cromwell da giovane aveva amato le donne eil piacerefatto questo che a volte (un
altro aspetto del problema donna) rivela uno spirito sedizioso. Diffidate diuna cintura male allacciata. Male praecintum
juvenem cavete.
Come Cromwellanche lord Clancharlie aveva commesso errori e sregolatezze.Gli si conosceva un figlio naturaleun
maschio. Questi era nato in Inghilterra mentre suo padre partiva perl'esilioproprio quando finiva la repubblica. Perciò
non aveva mai visto suo padre. Il bastardo di lord Clancharlie era cresciutocome paggio alla corte di Carlo II. Lo
chiamavano lord David Dirry-Moir; era lord di cortesiapoiché sua madre erauna dama di qualità. Questa signora
mentre lord Clancharlie si ritirava come un orso in Svizzeradeciseessendobelladi smettere il ritegnoe si fece
perdonare quel primo e rozzo amante con un secondoincontestabilmente piùdocile e persino realistadal momento che
si trattava del re. Per un po' fu l'amante di Carlo IIabbastanza perchésua maestàlusingato di aver ripreso quella bella
donna alla repubblicaconcedesse al piccolo lord Davidfiglio della suaconquistaun incarico di guardia d'onore. Il
bastardo divenne così ufficialecon tavola a cortee di conseguenzastuartista acceso. Per qualche tempo lord David
come guardia d'onorefu uno dei centosettanta che portavano lo spadone; poientrò nella brigata dei pensionatie fu uno
dei quaranta che portano la partigiana dorata. Appartenendo inoltre allatruppa nobile istituita da Enrico VIII come
guardia del corpoebbe il privilegio di posare i piatti sulla tavola del re.Fu così chementre suo padre invecchiava in
esiliolord David prosperò sotto Carlo II.
Dopo di che continuò a prosperare anche sotto Giacomo II.
Il re è mortoviva il reè il non deficit alteraureus.
Fu con l'avvento del duca di York che ottenne il permesso di chiamarsi lordDavid Dirry-Moirda una signoria
lasciatagli dalla madre appena mortasignoria che si trovava nella grandeforesta scozzeselà dove vive Kragl'uccello
che scava col becco il suo nido nel tronco delle querce.
IIGiacomo II era un re con ambizioni da generale. Gli piaceva circondarsi digiovani ufficiali. Si mostrava volentieri a
cavallo in pubblicocon elmo e corazzae con una grande parrucca chestraripava da sotto l'elmo fin sopra la corazza;
sorta di statua equestre dell'imbecillità della guerra. Egli prese insimpatia i modi educati del giovane lord David. E fu
grazie a quel realista che lord David seppe di essere figlio di unrepubblicano; ma un padre rinnegato non nuoce agli
esordi della carriera di un cortigiano. Il re fece di lord David ungentiluomo della camera da lettocon un salario di
mille sterline.
Era una bella promozione. Un gentiluomo di letto dorme tutte le notti vicinoal resu un letto apprestato per l'occasione.
Sono in dodici gentiluomini a darsi il cambio.
In quella posizione lord David divenne il capo dell'addetto all'avena deicavalli del reche guadagna centosessanta lire.
Ebbe sotto di sé i cinque cocchieri del rei cinque postiglioni del reicinque palafrenieri del rei dodici domestici e i
quattro uomini della portantina del re. Fu il responsabile dei sei cavalli dacorsa che il re mantiene a Haymarket e che
costano a sua maestà seicento sterline l'anno. Fece il bello e il cattivotempo nel guardaroba realeche fornisce gli abiti
da cerimonia ai cavalieri della Giarrettiera. Fu salutato con inchini chearrivavano a terra dall'usciere della verga nera
verga che apparteneva al re. L'uscieresotto Giacomo IIera il cavaliereDuppa. Lord David fu riverito dal signor Baker
avvocato della coronae dal signor Brownavvocato del parlamento. Lamagnifica corte d'Inghilterra è un modello
d'ospitalità. Lord David presiedevacome uno dei dodicialle tavole e airicevimenti. Ebbe l'onore di stare in piedi
dietro al re nei giorni dell'offertaquando il re dà alla chiesa il bisanted'orobyzantiume nei giorni del collarequando
il re indossa il collare del suo ordinee nei giorni di comunionequandonessuno si comunica tranne il re e i principi. Fu
lui che il giovedì santo introdusse presso sua maestà i dodici poveri a cuiil re dà tante monete d'argento quanti sono i
suoi annie tanti scellini quanti sono gli anni di regno. Ebbe il compitoquando il re era malatodi chiamare per
assistere sua maestà i due grooms dell'elemosineriache sono pretiimpedendo ai medici di avvicinarsi senza il
permesso del Consiglio di stato. Inoltre fu luogotenente colonnello delreggimento scozzese della guardia realequello
che esegue la marcia scozzese.
Con quel grado fece parecchie campagnemolto valorosamenteperché era unbravo soldato. Era un signore coraggioso
ben fattobellogenerosogrande d'aspetto e di maniere. La sua persona eracome le sue qualità. Era alto di statura così
come era alto di nascita.
Fu quasi a un passo dall'essere nominato groom of the stolecosa chegli avrebbe dato il privilegio di infilare la camicia
al re; ma per questo bisogna essere principi o pari.
Creare un pari non è cosa da poco. Vuol dire creare una pariae ques tosuscita gelosie. È un favore; ma un favore porta
al re un amico e cento nemiciper non dire che l'amico diventa ingrato.
Giacomo IIper ragioni politichedifficilmente creava delle pariema letrasferiva volentieri. Spostare una paria non
turba nessuno. È semplicemente un nome che continua. L'ordine dei pari nerisulta poco turbato.
Alla buona volontà del re non ripugnava affatto introdurre lord DavidDirry-Moir nella camera altapurché ciò
avvenisse tramite una sostituzione di paria. Sua maestà non chiedeva altroche un'occasione per far passare David Dirry-Moir
da lord di cortesia a lord di diritto.
III
L'occasione si presentò.
Un giorno si venne a sapere che al vecchio assentelord LinnaeusClancharlieerano accadute diverse cosee
soprattutto che era morto. La morte ha di positivo per gli uomini che per unpo' fa parlare di loro. Raccontarono ciò che
si sapevao ciò che si credeva di saperedegli ultimi anni di lordLinnaeus. Congetture e leggendeprobabilmente. A
voler dar credito a quei raccontisenza dubbio molto azzardativerso lafine della sua vita lord Clancharlie avrebbe
avuto una tale recrudescenza di repubblicanesimoche era arrivato al puntosi dicevadi sposareper una curiosa
testardaggine da esiliatola figlia di un regicidae se ne precisava ilnome: Ann Bradshawmorta anche lei masi
dicevanon prima di aver messo al mondo un bambinoun maschio chese tuttii dettagli erano esattisarebbe stato il
figlio legittimo e l'erede legale di lord Clancharlie. Quelle diceriemoltovaghesembravano pettegolezzi più che fatti.
Ciò che accadeva in Svizzera era per l'Inghilterra di allora simile a ciòche accade in Cina per l'Inghilterra di oggi. Lord
Clancharlie al momento del suo matrimonio avrebbe avuto cinquantanove annisessanta alla nascita del figlioe
sarebbe morto pochissimo tempo dopolasciando quel bambino orfano di padre edi madre. Tutte cose possibilisenza
dubbioma inverosimili. Si aggiungeva inoltre che il bambino era - bellocome il sole -cosa che si legge in tutti i
racconti di fate. Re Giacomo mise fine a queste vocichiaramente senza alcunfondamentodichiarando un bel mattino
che lord David Dirry-Moir era erede unico e definitivoin mancanza difiglio legittimo e per gentile concessione reale
di lord Linnaeus Clancharliesuo padre naturaledopo aver constatatol'assenza di ogni filiazione e discendenza; quindi
le patenti furono registrate alla camera dei lords. Nelle stesse patenti ilre faceva subentrare lord David Dirry-Moir ai
titolidiritti e prerogative del suddetto defunto lord Linnaeus Clancharliea condizione che lord David sposassequando
ne avesse l'etàuna ragazzaallora ancora bambina di pochi mesiche il reaveva fatto duchessa dalla nascitaper non si
sa quali motivi. Oppurese voleteper motivi anche troppo chiari. Lapiccola veniva chiamata duchessa Josiane.
Era di moda in quei tempi usare nomi spagnoli. Uno dei bastardi di Carlo IIsi chiamava Carlosconte di Plymouth. È
probabile che Josiane fosse la contrazione di Josefa y Ana. Come puòanche darsi che insieme a Josias ci fosse Josiane.
Un gentiluomo di Enrico III si chiamava Josias du Passage.In fondo era aquella piccola duchessa che il re dava la paria di Clancharlie. Era una pari inattesa che ci fosse un pari. Il
pari sarebbe stato suo marito. La paria poggiava su una doppia castellaniala baronia di Clancharlie e quella di
Hunkerville; inoltre i lords Clancharliecome ricompensa per un vecchiofatto d'armi e per concessione realeerano
marchesi di Corleone in Sicilia. I pari d'Inghilterra non possono portaretitoli stranieri; ma vi sono delle eccezioni; così
Henry Arundelbarone Arundel di Wardoureracome lord Cliffordconte delSacro Imperodi cui è principe lord
Cowper; il duca di Hamilton è duca di Châtellerault in Francia; BasilFelldingconte di Denbighin Germania è conte di
Hapsbourgdi Lauffenbourg e di Rheinfelden. Il duca di Marlborough eraprincipe di Mindelheim in Sveviacome il
duca di Wellington era principe di Waterloo in Belgio. Lo stesso lordWellington era duca spagnolo di Ciudad-Rodrigo
e conte portoghese di Vimeira.
C'eranoe ci sono ancora in Inghilterraterre nobili e terre soggette agliobblighi feudali. Tutte le terre dei lords
Clancharlie erano nobili. Terrecastelliborghibalìefeudirenditeallodi e domini facenti parte della paria
Clancharlie-Hunkervilleappartenevano provvisoriamente a lady Josianee ilre dichiarava che dopo aver sposato
Josianelord David Dirry-Moir sarebbe diventato barone Clancharlie.
Oltre all'eredità Clancharlielady Josiane aveva beni personali. Avevagrandi possedimentimolti provenivano dai doni
fatti al duca di York da Madama senza codache significasemplicemente Madama.
Così veniva chiamata Enrichetta d'Inghilterraduchessa d'Orléansla primadama di Francia dopo la regina.
IV
Dopo aver prosperato sotto Carlo e Giacomolord David prosperò sottoGuglielmo. Il suo giacobinismo non si spinse
fino a seguire in esilio Giacomo II. Pur continuando ad amare il suo relegittimoebbe il buon senso di servire
l'usurpatore. Del restoper quanto un po' indisciplinatoera un eccellenteufficiale; passò dall'esercito alla marinae si
distinse nella squadra bianca. Divenne ciò che allora si chiamava un -capitano di fregata leggera -. Questo finì per
renderlo un perfetto gentiluomomolto ardito nell'esibire con eleganza iviziun po' poeta come tuttibuon servitore
dello statobuon domestico del principeassiduo alle festealle serate digalaai risvegli del realle cerimoniealle
battaglieservile quanto occorrevamolto altezzosocon lo sguardo basso openetrante secondo l'oggettoprobo di buon
gradoossequioso e arrogante a propositoistintivamente franco e sinceroma rapido a calarsi di nuovo la maschera
molto attento agli umori del reincurante della punta di una spadasemprepronto a rischiare la vita a un cenno di sua
maestàcon eroismo e indifferenzacapace di qualsiasi scatto d'ira ma dinessuna villaniauomo di corte e di etichetta
fiero di stare in ginocchio nelle grandi occasioni delle cerimoniemonarchicheallegro nel coraggiocortigiano in
superficiepaladino nella sostanzaancora giovane a quarantacinque anni.
Lord David cantava canzoni francesiun modo elegante per esprimerel'allegriache era piaciuto a Carlo II.
Amava l'eloquenza e il parlar tornito. Aveva una grande ammirazione per queicelebri imbonimenti che sono le
Orazioni funebri di Bossuet.
Da parte di madre aveva abbastanza di che viverecirca diecimila sterline direnditacioè un vitalizio di
duecentocinquantamila franchi. Se la cavava facendo debiti. Era insuperabilequanto a magnificenzastravaganza e
originalità. Quando iniziavano a imitarlocambiava moda. A cavallo portavadei comodi stivali di vacchetta rivoltata
con speroni. Possedeva cappelli che nessun'altro avevamerletti incredibilie colletti unici.
III • LA DUCHESSA JOSIANE
I
Verso il 1705benché lady Josiane avesse ventitré anni e lord Davidquarantaquattroessi non si erano ancora sposatie
questo per le migliori ragioni del mondo. Forse si odiavano? AssolutamentenoMa ciò che non può sfuggirvineppure
vi mette fretta. Josiane voleva restare libera. David voleva restare giovane.Avere legami il più tardi possibile gli
sembrava un prolungamento della giovinezza. In quei tempi così galanti c'eraabbondanza di giovani che rimandavano il
matrimonio; si diventava grigi restando damerini; all'inizio con lacomplicità della parruccapoi con l'aiuto della cipria.
A cinquantacinque anni lord Charles Gerrardbarone Gerra rd dei Gerrards diBromleyriempiva Londra delle sue
avventure galanti. La giovane e graziosa duchessa di Buckinghamcontessa diCoventryfaceva pazzie per i
sessantasette anni del bel Thomas Bellasysevisconte Falcomberg. Si citavanoi famosi versi di Corneille settantenne
per una donna di vent'anni: Marquisesi mon visage. Anche le donnegodevano di quei successi autunnaline rendono
testimonianza Ninon e Marion. Quelli erano i modelli.
Josiane e David civettavano con una sfumatura particolare. In realtà non siamavanosi piacevano. A loro bastava
frequentarsi. Perché aver premura di farla finita? I romanzi di alloraesortavano innamorati e fidanzati a quella specie di
apprendistato che era tanto di moda. Josianeper di piùsapendo di esserebastardasi sentiva una principessae
prendeva la faccenda in modo altezzosocon qualche battuta. Lord David lepiaceva. Lord David era belloma questo
era un di più. Lo trovava elegante.
Essere eleganti è tutto. Calibano elegante e magnifico si distacca dalpovero Ariele. Lord David era bellotanto meglio;
il guaio di essere belli è che spesso si è scialbi; lui non lo era.Scommettevatirava di pugilatos'indebitava. Josiane era
molto sensibile ai suoi cavalliai suoi canialle sue perdite al giocoalle sue amanti. Da parte sua lord David subiva ilfascino della duchessaJosianeragazza senza macchia e senza scrupoloalterainaccessibile e ardita.Le inviava dei
sonetti che lei qualche volta leggeva. In quei sonetti diceva che possedereJosiane sarebbe stato come salire sulle stelle
cosa che peraltro non gli impediva di rimandare quell'ascensione sempreall'anno seguente. Egli faceva anticamera
davanti alla porta del cuore di Josianee ciò conveniva a tutti e due. Acorte si ammirava il supremo buon gusto di quei
rinvii. Lady Josiane diceva: è irritante che io sia costretta a sposare lordDavidproprio io che non chiederei di meglio
che essere la sua innamorata.
Josiane era la carne. Niente di più stupendo. Era molto altatroppo alta. Isuoi capelli avevano quella sfumatura che si
potrebbe definire biondo porpora. Era grassafrescarobustadorataconun'audacia e un'intelligenza fuori del comune.
I suoi occhi erano troppo espressivi. Nessun amante; quanto a castitànemmeno a parlarne. Era murata nel suo orgoglio.
Gli uominima via! Per essere degno di lei ci voleva un dioo un mostro. Sela virtù è una parete ripidaJosiane era
tutta la virtù possibilesenza alcuna innocenza. Non aveva avventureperché le disprezzava; ma non si sarebbe offesa se
gliene avessero attribuitepurché fossero bizzarre e alla sua altezza.Teneva poco alla reputazionemolto alla gloria.
Sembrare disponibile ed essere impossibileecco il suo capolavoro. Josianesentiva la propria maestosa materialità. Era
una bellezza ingombrante. Più che affascinareschiacciava. Camminava suicuori. Era terrestre. Mostrandole che aveva
un'anima nel pettol'avrebbero stupita allo stesso modo che se le avesserofatto vedere che aveva le ali sulle spalle.
Dissertava su Locke. Era gentile. Si diceva che sapesse l'arabo.
Essere carne e essere donna sono due cose diverse. Là dove la donna èvulnerabilesotto il profilo della pietàper
esempioche si trasforma così facilmente in amoreJosiane non lo era. Nonche fosse insensibile. L'antico paragone
della carne con il marmo è assolutamente falso. La bellezza della carneconsiste nel non essere affatto marmo; nel
palpitarenel tremarenell'arrossirenel sanguinare; è la bellezza diqualcosa di compatto ma non duro; bianco ma non
freddo; qualcosa che può trasalire e ammalarsi; qualcosa che è vitamentreil marmo è morte. A un certo livello di
bellezza la carne ha quasi diritto alla nudità; il suo abbagliare la coprecome un velo; chi avesse visto Josiane nudane
avrebbe colto le forme come attraverso una dilatazione luminosa. Si sarebbemostrata volentieri a un satiroo a un
eunuco. La sua era una disinvoltura mitologica. Fare della propria nudità unsupplizioeludere Tantaloquesto l'avrebbe
divertita. Il re l'aveva creata duchessaGiove nereide. La strana luce diquella creatura aveva due modi di irradiarsi. Chi
l'ammirava si sentiva diventare pagano e servile. Le sue origini eranol'Oceano e l'essere bastarda. Sembrava che uscisse
da una schiuma. La prima sortita del suo destino era avvenuta sul filo dellacorrentema nel gran mondo regale. C'era in
lei qualcosa dell'ondadel casodella signoria e della tempesta. Eraletterata e studiosa. Mai una passione l'aveva
toccatama lei le aveva sondate tutte. Provava disgusto per lerealizzazionie al tempo stesso le piacevano. Se si fosse
pugnalatanon l'avrebbe fatto che dopocome Lucrezia. C'erano in quellavergine tutte le corruzioni in forma visionaria.
Era un'Astarte virtuale in una Diana reale. Con l'insolenza della sua altanascita era provocante e inavvicinabile. Sapeva
divertirsi peròprocurandosi da sola una caduta. Abitava gloriosamente ilsuo nimboma con la velleità di scendernee
forse con la curiosità di cadere. Era un po' pesante per la sua nuvola. Èpiacevole rischiare. La sfrontatezza dei principi
concede il privilegio di saggiaree là dove una duchessa si diverteunaborghese si perderebbe. Josiane era quasi regina
in tuttonella nascitanella bellezzanell'ironianella luce. Si eraentusiasmata per Louis di Boufflersche spezzava un
ferro di cavallo tra le dita. Rimpiangeva che Ercole fosse morto. Vivevanell'attesa indefinita di un ideale lascivo e
supremo.
Sotto l'aspetto moraleJosiane faceva pensare al verso dell'epistola aiPisoni: Desinit in piscem.
Un bel torso di donna termina in idra.
Aveva un petto nobileuno splendido seno in cui batteva armoniosamente uncuore regaleuno sguardo vivace e
luminosoun viso puro e altero e poichissàsotto quell'acquanellatrasparenza appena intravista e offuscatac'era
qualcosa di soprannaturaleun'estremità ondeggiantedraconiana e deforme.Superba virtù perfezionata in vizi nella
profondità dei sogni.
II
E per di piùpreziosa.
Era di moda.
Ricordiamoci Elisabetta.
Elisabetta ha lasciato un'imp ronta in Inghilterra lunga tre secoli: ilsedicesimoil diciassettesimo e il diciottesimo.
Elisabetta è più che ingleseè anglicana. Di qui il rispetto profondodella chiesa espiscopale per questa regina; rispetto
condiviso dalla chiesa cattolicache lo mescolava a un po' di scomunica. Inbocca a Sisto V che anatemizza Elisabetta
la maledizione diventa madrigale. Un gran cervello di principessadisse. Maria Stuardache si occupava meno della
chiesa e più di femminilità aveva poco rispetto di sua sorella Elisabettae le scrivevada regina a regina e da civetta a
puritana: «La vostra ripugnanza per il matrimonio deriva dal fatto che nonvolete perdere la libertà di farvi corteggiare».
Maria Stuarda usava il ventaglio e Elisabetta la scure. Una partita ineguale.Per il restoentrambe rivaleggiavano in
letteratura. Maria Stuarda componeva versi in francese; Elisabetta traducevaOrazio. Elisabettabruttaaveva deciso di
essere bellaamava le quartine e gli acrosticisi faceva presentare lechiavi delle città da autentici cupidistringeva le
labbra all'italiana e ruotava le pupille alla spagnolanel guardaroba tenevatremila tra abiti e capi di abbigliamentoe traquesti molti costumi da Minervae da Anfitritestimava gli irlandesi per la larghezza delle loro spallecopriva il suo
guardinfante di lustrini e di passequillesadorava le rosebestemmiavaimprecavabatteva i piediprendeva a pugni le
damigelle d'onoremandava al diavolo Dudleypicchiava il cancelliereBurleighche si metteva a piangereil vecchio
scemosputava addosso a Mathewprendeva per il bavero Hattonschiaffeggiava Essexmostrava le cosce a
Bassompierreera vergine.
Aveva fatto per Bassompierre ciò che la regina di Saba aveva fatto perSalomone. Tutto a postodunquela sacra
scrittura aveva creato il precedente. Ciò che è biblicopuò essereanglicano. Il precedente biblico si spinge fino a fare un
bambino che si chiama Ebnehaquem o Melilechetche significa il Figlio delSaggio.
E perché no questi costumi? Il cinismo vale l'ipocrisia.
Oggi l'Inghilterrache ha un Loyola di nome Wesleyabbassa un po' gli occhidavanti a quel passato. Ne è contrariata
ma fiera.
In quei comportamenti c'era il gusto del deformesoprattutto da parte delledonnee in modo particolare da parte di
quelle belle. A che serve essere belle se non si ha un mostriciattolo? A cheserve essere regina se non abbiamo un
bestione che ci dia del tu? Maria Stuarda aveva avuto delle «attenzioni»per un gobbaccio di nome Bizzio. Maria Teresa
di Spagna si era presa qualche «familiarità» con un negro. Da qui la Badessanera. Nelle alcove del gran secolo la
gobba non stonava; ne è testimonio il Maresciallo di Lussemburgo. Eprimadi LussemburgoCondé«quell'ometto
tanto grazioso».
Anche le belle donne potevano averesenza inconvenientiqualche deformità.Era ammesso. Anna Bolena aveva un
seno più grande dell'altrosei dita in una mano e un sopraddente. LaVallière aveva una gamba più lunga dell'altra. Ciò
non impedì a Enrico VIII di fare sciocchezze e a Luigi XIV di impazzire.
Dal punto di vista moralestesse deviazioni. Non c'era quasi donna d'altorango che non fosse un caso teratologico.
Agnese portava in sé Melusina. Erano donne di giorno e arpie di notte. Siandava in piazza per baciare sui pali le teste
tagliate di fresco. Margherita di Valoisun'antenata di quelle raffinateaveva portato alla cinturain scatole di latta
chiuse con il lucchetto e cucite al corpetto della gonnai cuori di tutti isuoi amanti morti. Enrico IV si era nascosto
sotto quel guardinfante.
Nel diciottesimo secolo la duchessa di Berryfiglia del reggenteriassunsein sé tutte queste creaturedando vita a un
modello di oscena regalità.
Inoltre le belle dame sapevano il latino. Dopo il sedicesimo secolo era unsegno di grazia femminile. Jane Grey aveva
spinto l'eleganza fino a sapere l'ebraico.
La duchessa Josiane latineggiava. In piùaltra raffinatezzaera cattolica.In segretodobbiamo aggiungeree più come
suo zio Carlo II che come il padre Giacomo II. Giacomoper il suocattolicesimoaveva perduto la coronama Josiane
non intendeva affatto rischiare la paria. Questo è il motivo per cuicattolica nell'intimità e per i raffinati e le raffinatesi
mostrava protestante in pubblico. Per la canaglia.
È un modo piacevole di intendere la religione; si godono tutti i beneficiconnessi alla chiesa ufficiale episcopalee più
tardi si muorecome Grotiusin odore di cattolicesimo e con l'onore di unamessa detta per voi da padre Petau.
Benché grassa e ben portante Josiane erasottolineamolouna preziosa perfetta.
A volte i suoi modi sonnolenti e voluttuosi di finire strascicando le frasiimitavano l'allungarsi delle zampe di una tigre
che cammina nella giungla.
L'utilità di essere preziosi consiste nel declassare il genere umano.Non gli si concede più l'onore di farne parte.
Prima di tutto tenere le distanze dalla specie umanaecco quello cheimporta.
Quando non si ha l'Olimposi prende l'Hotel di Rambouillet.
Giunone si tramuta in Araminta. Da una pretesa divinità che gli altri nonconcedononasce la smorfiosa. In mancanza di
fulmini si ripiega sull'impertinenza. Il tempio si rattrappisce e diventa unsalottino. Non potendo essere deasi diventa
un idolo.
Inoltre c'è nel prezioso una certa pedanteria che piace alle donne.
La civetta e il pedante sono due esseri simili. La loro vicinanza è visibilenell'uomo fatuo.
La sottigliezza deriva dalla sensualità. La ghiottoneria affetta ladelicatezza. Una smorfia di disgusto si addice alla
cupidigia.
E poi il lato debole della donna si sente protetto da tutta la casisticadella galanteria cheper le preziosesostituisce gli
scrupoli. È una circonvallazione con fossato. Ogni preziosa haun'aria di disgusto. Ciò la protegge.
Si acconsentiràma con disprezzo. Nell'attesa.
Nel proprio intimo Josiane era inquieta. Si sentiva talmente inclineall'impudiciziada essere pudica. La fierezza con cui
i nostri vizi indietreggianoci conduce ai vizi contrari. Era lo sforzoeccessivo per essere casta che la rendeva puritana.
Stare troppo sulla difensiva significa un segreto desiderio di attacco. Iselvaggi non sono severi.
Si rinchiudeva nell'arrogante eccezione del suo rango e della sua nascita purpremeditando forsecome abbiamo detto
qualche improvvisa sortita.
Era l'alba del diciottesimo secolo. L'Inghilterra abbozzava quello che inFrancia era stata la reggenza. Walpole e Dubois
si equivalgono. Marlborough si batteva contro il suo ex re Giacomo II a cuisi dicevaaveva venduto la sorella
Churchill. Si vedeva brillare Bolingbroke e spuntare Richelieu. La galanteriatrovava comodo un certo rimescolarsi dei
ranghi; erano i vizi a procurare l'uguaglianza. Più tardi sarebbero state leidee. L'incanaglirsipreludio aristocratico
dava inizio a ciò che la rivoluzione avrebbe portato a compimento. Non siera troppo lontani da Jélyotte seduto in pienogiornodavanti a tuttisulletto della marchesa d'Epinay. È anche verodal momento che i costumi siriecheggianoche
il sedicesimo secolo aveva visto il berretto da notte di Smeton sul guancialedi Anna Bolena.
Se donna significa peccatocome ha affermato non so più quale conciliomaila donna è stata più donna che in quei
tempi. Maicoprendo la sua fragilità con il suo fascinoe la sua debolezzacon la sua onnipotenzaessa si è fatta
assolvere con tanta imperiosità. Fare del frutto proibito il frutto permessoè la caduta di Eva; ma fare del frutto permesso
il frutto proibito è il suo trionfo. È lì che va a finire. Neldiciottesimo secolo la moglie mette sotto chiave il marito. Si
rinchiude nell'Eden con Satana. Adamo resta fuori.
III
Gli istinti di Josiane la portavano più a darsi con galanteria chelegalmente. Darsi con galanteria è un fatto letterario
ricorda Menalca e Amarillideè quasi un'azione dotta.
Madamigella di Scudéryse si esclude l'attrazione verso il brutto in quantotalenon aveva avuto altri motivi per cedere
a Pélisson.
Ragazze indipendenti e mogli sudditequeste sono le antiche usanze inglesi.Josiane tendeva a spostare più che poteva il
momento di quella soggezione. Che bisognasse sposare lord Daviddal momentoche lo esigeva la volontà del reera
un'indubbia necessitàma che peccato! A Josiane piaceva lord David ma loteneva a distanza. C'era tra loro un tacito
accordo di non concludere e di non rompere. Si eludevano. Questo modo diamarsi facendo un passo avanti e due
indietro è ben espresso dalle danze dell'epocail minuetto e la gavotta.Essere sposati non dona all'aspetto del volto
sciupa i nastri che indossiamoinvecchia. Gli sponsaliuna soluzione didesolante chiarezza. Farsi consegnare una
donna dal notaioche banalità! La brutalità del matrimonio crea situazionidefinitivesopprime la volontàuccide la
libera sceltapossiede una sintassi come la grammaticamette l'ortografiaal posto dell'ispirazionefa dell'amore un
dettatoscompagina quanto c'è di misterioso nella vitainfliggetrasparenza alle funzioni periodiche e fatalidissipa le
nubi che avvolgono l'intimità della donnaattribuisce diritti umilianti perchi li esercita e per chi li subiscerovina
inclinando la bilancia tutta da una partel'affascinante equilibrio tra ilsesso forte e il sesso potentetra la forza e la
bellezzae di uno fa un padronedell'altra una servamentre fuori dalmatrimonio ci sono uno schiavo e una regina. C'è
qualcosa di più volgare che mettere in prosa il letto fino a renderlodecente? È ben stupido togliere all'amore ogni punta
di male!
Lord David diventava maturo. Quarant'anni sono un'età che non passa sottosilenzio. Ma egli non se ne accorgeva. In
effetti sembrava che avesse sempre trent'anni. Trovava più piacevoledesiderare Josiane che possederla. Ne possedeva
altre; non gli mancavano le donne. Da parte sua Josiane sognava.
I sogni erano peggiori.
La duchessa Josiane aveva una particolaritàmeno rara del resto di quantosi credaaveva un occhio azzurro e l'altro
nero. Le sue pupille erano fatte d'amore e d'odiodi felicità e disofferenza. C'erano mescolati in quello sguardo il
giorno e la notte.
La sua ambizione era: rivelarsi capace di cose impossibili.
Un giorno aveva detto a Swift:
«Voialtri immaginate che il vostro disprezzo esista».
Voialtri era il genere umano.
Era papista a fior di pelle. Il suo cattolicesimo non superava la misuranecessaria per essere eleganti. Quello che oggi
sarebbe il puseysmo. Portava pesanti abiti di vellutoo di rasoo di stoffamarezzataalcuni ampi quindici o sedici aune
e con fodere d'oro e d'argentoe con una quantità di nodi di perlealternati a nodi di pietre attorno alla cintura. Abusava
dei galloni. A volte indossava una giacca di panno con la passamaneria di unbaccelliere. Andava a cavallo su una sella
da uomoa dispetto dell'invenzione di selle femminili introdotte inInghilterra nel quattordicesimo secolo da Annala
moglie di Riccardo II. Si lavava il visole bracciale spalle e il senocon zucchero candito diluito nel bianco d'uovo
alla moda castigliana. Quando accanto a lei qualcuno aveva parlato in modobrillanteil suo commento era una risata di
particolare grazia.
Del restonessuna cattiveria. Era piuttosto buona.
IV • MAGISTER ELEGANTIARUM
Naturalmente Josiane si annoiava.
Lord David Dirry-Moir aveva un ruolo di primo piano nella vita della Londraspensierata. Nobility e gentry lo
veneravano.
Riportiamo almeno uno dei titoli di merito di lord David: egli aveva ilcoraggio di mostrarsi con i suoi capelli. Era
iniziata la reazione contro la parrucca. Così come nel 1824 Eugène Devériaosò per primo lasciarsi crescere la barbanel
1702 Price Devereux fu il primo che osò presentarsi in pubblico con la suacapigliatura naturalepur dissimulandola
sotto una sapiente arricciatura. Rischiare la propria capigliatura era quasicome rischiare la testa. L'indignazione fu
universale; tuttavia Price Devereux era visconte Hereforde parid'Inghilterra. Ricevette degli insultied è curioso che
ne valesse la pena. Nel mezzo di quegli schiamazzi apparve improvvisamentelord Davidanche lui con i suoi capelli esenza parrucca. Sono queste le coseche annunciano la fine delle società. Lord David fu biasimato ancor più delvisconte
Hereford. Tenne duro. Price Devereux era stato il primoDavid Dirry-Moir fuil secondo. Qualche volta è più difficile
essere il secondo che il primo. Ci vuole meno genioma più coraggio. Ilprimoebbro per la novitàha potuto ignorare il
pericolo; il secondo vede l'abisso e vi si precipita. L'abisso di non portarepiù la parruccain quello David Dirry-Moir si
era gettato. Più tardi li imitaronodopo quei due rivoluzionari l'audaciadi tenere in testa i propri capelli s'imposecon la
cipria come circostanza attenuante.
Per precisaresia pure di sfuggitaquesto importante fatto storicodiciamoche il vero primato nella guerra della
parrucca apparterrebbe a una reginaCristina di Sveziache indossava abitimaschili e chedal 1680si era mostrata con
i suoi capelli naturalicolor castanoincipriatiritti e senza pettinaturacome quelli di un neonato. Aveva inoltrecome
dice Misson«qualche pelo di barba».
Da parte sua il Papacon la bolla del marzo 1694aveva gettato un po' didiscredito sulla parrucca togliendola dalla
testa dei vescovi e dei pretie ordinando agli ecclesiastici di lasciarsicrescere i capelli.
Lord David dunque non portava la parrucca e indossava stivali di vacchetta.
Queste erano le cose che lo additavano alla pubblica ammirazione. Non c'eraclub che non lo avesse come caponon un
incontro di pugilato dove non si desiderasse averlo per il referee. Refereesignifica arbitraggio.
Aveva redatto gli statuti di molti circoli della high life; avevafondato case di ritrovodi cui unaLady Guineaesisteva
ancora a Pall Mall nel 1772. Lady Guinea era un circolo che pullulavadi giovani lord. Vi si giocava. La posta minima
era un rotolo di cinquanta ghineee sul tavolo non c'erano mai meno diventimila ghinee. Accanto a ciascun giocatore
c'era un tavolino rotondo per appoggiarvi la tazza del tè e la ciotola dilegno dorato per mettervi i rotoli delle ghinee. I
giocatori avevanocome gli sguatteri quando affilano i coltellidellemaniche di cuoio per proteggere i merlettidegli
sparati di cuoio per difendere le gorgieree in testa larghi cappelli dipaglia ricoperti di fiori per riparare gli occhi dalla
forte luce delle lampade e tenere in ordine le arricciature. Portavano lamaschera per non lasciar trasparire le emozioni
soprattutto al gioco del quindici. Indossavano gli abiti alla rovesciaperattirare la buona sorte.
Lord David frequentava il Beefsteak Clubil Surly Club e lo Split-farthingClubil Club dei Rusticoni e il Club dei
Gratta-Soldiil Nodo SigillatoSealed Knotun club di realistie ilMartinus Scribblerusfondato da Swift al posto della
Rotafondata da Milton.
Benché bellofaceva parte del Club dei Brutti. Questo club si consacravaalla deformità. Ci si impegnava a battersi non
per una bella donnama per un uomo brutto. Il salone del club aveva perornamento ritratti orrendi: TersiteTriboulet
DunsHudibrasScarron; sul camino c'era Esopo tra due guerciCoclite eCamoëns; ciascuno dei due era stato scolpito
dalla parte in cui era guercioCoclite all'occhio sinistro e Camoëns aquello destro; e quei due profili privi di occhi
stavano uno di fronte all'altro. Il giorno in cui la bella signora Visartebbe il vaioloil Club dei Brutti fece un brindisi in
suo onore. Questo club fioriva ancora all'inizio del diciannovesimo secolo;aveva inviato un diploma di membro
onorario a Mirabeau.
Dopo la restaurazione di Carlo IIi clubs rivoluzionari erano stati aboliti.Nel vicolo attiguo a Morfields era stata
demolita la taverna sede del Calf's Head Clubil club della Testa diVitellocosì nominato perché il 30 gennaio 1649
giorno in cui fu versato sul patibolo il sangue di Carlo Iproprio lì siera bevuto vino rosso da un cranio di vitelloalla
salute di Cromwell.
Ai clubs repubblicani erano succeduti i clubs monarchici.
Ci si divertiva decentemente.
C'era il She Romps Club. Si prendeva dalla strada una donnauna passanteuna borghesemeno vecchia e meno brutta
possibile: la trascinavano nel club a viva forza e la facevano camminaresulle manicon i piedi in ariail volto coperto
dalla gonne che le ricadevano addosso. Se non ci metteva della buonavolontàsi ricorreva a un po' di scudiscio sulle
parti non coperte. Era colpa sua. Gli scudieri addetti a questo genere dimaneggioerano soprannominati «i saltatori».
C'era il Club dei Lampi di caloremetaforicamente Merry-danses. Vi siinscenavano le danze dei picantes e dei
timtirimbas del Perúeseguite da negri e da bianchesoprattutto laMozamala«cattiva ragazza»danza che culmina con
la danzatrice che si siede su un mucchio di crusca lasciandoquando sirialzaun'impronta callipigia. Vi si
rappresentava un verso di Lucrezio:
Tunc Venus in sylvis jungebat corpora amantum.
C'era l'Hellfire Club«Club delle Fiamme»dove si giocava a essere empi.Era la giostra dei sacrilegi. L'inferno
all'incanto per la bestemmia più grande.
C'era il Club dei Colpi di Testacosì chiamato perché vi si prendevano atestate le persone. Si adocchiava qualche
facchino dal petto largo e dall'aria imbecille. Gli si offrivae se eranecessario lo si costringeva ad accettare un boccale
di birra scuraper lasciarsi dare quattro testate nel petto. E su quello siscommetteva. Una voltauno di quegli uomini
un bravaccio gallese chiamato Gogangerddmorì al terzo colpo di testa. Eraun fatto grave. Ci fu un'inchiestae il giurì
d'accusa emise questo verdetto: «Morto per ingrossamento del cuore causatoda eccesso nel bere». In effetti
Gogangerdd aveva bevuto il boccale di birra scura.
C'era il Fun Club. Funcome cant e humourè untermine particolaredel tutto intraducibile. Il fun sta alla farsa come il
pepe al sale. Entrare in una casarompervi uno specchio costososfregiare iritratti di famigliaavvelenare il cane
mettere un gatto nella volieratutto questo si chiama «dare uno spettacolodi fun». Comunicare una falsa cattiva notizia
per far mettere in lutto qualcuno senza motivoquesto è fun. È stato ilfun a fare un buco quadrato in un Holbein aHampton-Court. Il fun andrebbe fierodi aver rotto il braccio alla Venere di Milo. Sotto Giacomo IIun giovane lord
milionario fece ridere a crepapelle tutta Londra per aver appiccato il fuocodi notte a una capannae lo proclamarono re
del fun. I poveri diavoli della capanna si erano salvati in camicia. Imembri del Fun Clubtutti appartenenti all'alta
aristocraziascorrazzavano per Londra quando i borghesi erano già a lettostrappavano i cardini alle imposte
tagliavano i tubi delle pompesfondavano le cisternestaccavano le insegnesaccheggiavano le coltivazioni
spegnevano i lampionisegavano le travi di sostegno delle casespaccavano ivetri delle finestresoprattutto nei
quartieri poveri. Erano i ricchi a far questo ai miserabili. Non era dunquepossibile nessun reclamo. Si trattava in fondo
di scherzi. Queste consuetudini non sono del tutto scomparse. Qua e là perl'Inghilterra o nei suoi possedimentiper
esempio a Guerneseycapita che qualche volta vi devastino un po' la casa dinottevi rompano un recintovi strappino il
battente dalla porta ecc. Se fossero poveriverrebbero mandati in galera; masi tratta di amabili giovani.
Il club più distinto era presieduto da un imperatore che portava unamezzaluna sulla fronte e si chiamava «il gran
Mohock». Il mohock superava il fun. Il suo programma era: fare il male peril male. Il Mohock Club aveva uno scopo
grandiosonuocere. Per assolvere a questa funzione tutti i mezzi eranobuoni. Diventando mohock si giurava di essere
nocivi. Nuocere ad ogni costonon importa quando e non importa comequestaera la regola. Ogni membro del Mohock
Club doveva avere un talento particolare. Uno era «maestro di danza»cioèfaceva saltellare i contadini
punzecchiandogli i polpacci con la spada. Altri eccellevano nel «farsudare»cioè improvvisavano attorno a uno
straccione qualunque un girotondo di sei o sette gentiluomini che brandivanolo spadone; circondato da ogni lato era
impossibile che lo straccione non voltasse le spalle a qualcuno; ilgentiluomo a cui mostrava le spalle lo castigava con
un colpo di punta che lo faceva piroettare; un altro colpo di punta ai renigli faceva capire che aveva dietro di sé un
personaggio della nobiltàe così di seguitociascuno pungendo al suoturno; quando quell'uomochiuso nel cerchio di
spade e tutto insanguinatoaveva girato e danzato a sufficienzalo facevanobastonare dai lacché per cambiargli il corso
delle idee. Altri «picchiavano il leone»cioè fermavano ridendo unpassantegli spaccavano il naso con un pugno e gli
affondavano i pollici negli occhi. Se gli cavavano gli occhiglielipagavano.
Questi erano i passatempi dei ricchi fannulloni di Londra all'inizio delXVIII secolo. I fannulloni di Parigi ne avevano
altri. Il signore di Charolais scaricava il fucile su un borghese che stavasulla porta di casa. In ogni tempo la gioventù si
è divertita.
Lord David Dirry-Moir apportava in quelle differenti istituzioni volte alpiacere la splendida liberalità della sua
intelligenza. Come qualsiasi altro era capace di dar fuoco allegramente a unacapanna di paglia e di legnoarrostendo un
po' quelli che c'erano dentroma poi gli ricostruiva una casa di pietra. Glicapitò di far ballare sulle mani due donne
dentro lo She Romps Club. Una era ragazzae le diede una dote; l'altra erasposatae fece nominare suo marito
cappellano.
Grazie a lui furono lodevolmente perfezionati i combattimenti dei galli. Erasorprendente vedere lord David mentre
preparava un gallo per il combattimento. I galli si prendono per le pennecome gli uomini per i capelli. Per questo lord
David rendeva il suo gallo più calvo possibile. Gli tagliava con le forbicitutte le penne della coda e tutte quelle del
collodalla testa alle spalle. «Tante di meno per il becco del nemico»diceva. Poi apriva le ali del gallo e spuntava le
penneuna dopo l'altraguarnendo così le ali di dardi. «Queste sono pergli occhi del nemico»diceva. Poi gli sfregava
le zampe con un coltellinogli aguzzava le unghieinfilava nello speronepiù grande uno sperone d'acciaio acuminato e
taglientegli sputava sulla testagli sputava sul collol'ungeva con lasaliva allo stesso modo di come si strofinano con
l'olio gli atletie lasciandolo andarecon un aspetto così terribilegridava: «Ecco come d'un gallo si fa un'aquilae come
un animale da cortile si trasforma in un animale di montagna!».
Lord David assisteva agli incontri di pugilatone era l'autorità vivente.Negli incontri importanti si occupava
personalmente di far piantare i palitendere le corde e fissare il numerodelle tese del quadrato di combattimento. Se
faceva da secondoseguiva passo passo il suo pugilela bottiglia in unamanola spugna nell'altragli gridava «Strike
fair» gli suggeriva le astuziegli dava consigli mentre combattevaloasciugava se sanguinavalo soccorreva quando
cadevalo prendeva sulle ginocchiagli metteva il collo della bottiglia trai dentie con la bocca piena d'acqua lo
spruzzava di una pioggia sottile negli occhi e nelle orecchieuna cosa cherianima persino i moribondi. Se faceva da
arbitrosovrintendeva alla lealtà dei colpiproibiva a chiunquetranneche ai secondidi assistere i combattenti
proclamava sconfitto il campione che non si fosse messo bene in facciaall'avversariostava attento a che la durata delle
riprese non eccedesse il mezzo minutoimpediva il buttingpenalizzava chi colpiva con la testanon permetteva di
colpire chi era caduto a terra. Tutta questa scienza non ne faceva un pedantee nulla toglieva alla sua disinvoltura in
società.
Quando era arbitro di un incontro di pugilato nessuno di quei sostenitoriabbronzatibitorzoluti e villosidi uno o
dell'altro dei contendentisi sarebbe permesso di scavalcare la palizzatadi entrare nel recintodi rompere le cordedi
strappare i pali e d'irrompere con violenza nel combattimento per venire inaiuto ai pugili indeboliti e per rovesciare
l'andamento delle scommesse. Lord David apparteneva al ristretto numero degliarbitri che non si ha il coraggio di
picchiare.
Nessuno sapeva allenare come lui. Se un pugile riusciva ad averlo comeallenatoreera sicuro di vincere. Lord David
sceglieva un Ercolemassiccio come una rocciaalto come una torree loriduceva a un suo bambino. Il problema
consisteva nel far passare quello scoglio umano da un atteggiamento didifesaad uno di attacco. Era la sua specialità.
Una volta adottato il ciclopenon lo lasciava più. Diventava la suanutrice. Gli misurava il vinogli pesava la carnegli
contava le ore di sonno. Fu lui ad inventare la straordinaria dieta peratletirinnovata in seguito da Moreley: al mattino
un uovo crudo e un bicchiere di sherrya mezzogiorno cosciotto al sangue etèalle quattro pane abbrustolito e tèdisera birra chiara e pane tostato.Dopo di che lo spogliavalo massaggiava e lo metteva a letto. Per strada non loperdeva
di vistagli teneva lontano ogni pericoloi cavalli imbizzarritile ruotedelle vetturei soldati ubriachile belle ragazze.
Vegliava sulla sua virtù. Questa sollecitudine materna apportavacontinuamente nuovi ritocchi all'educazione
dell'allievo. Gli insegnava il pugno che spacca i denti e il colpo di polliceche fa schizzare l'occhio. Niente di più
commovente. In questo modo si preparava alla vita politicaa cui più tardisarebbe stato chiamato. Non è cosa da poco
diventare un perfetto gentiluomo.
Lord David Dirry-Moir amava enormemente le esibizioni di stradai palchidelle recitei circhi con gli animali stranile
baracche dei saltimbanchii pagliaccii tartagliai buffonile farseall'aria aperta e i prodigi delle fiere. Il vero signore
sa apprezzare i popolani; per questo lord David bazzicava le taverne e lecorti dei miracoli di Londra e dei Cinque Porti.
Per non compromettere la propria posizione nella squadra bianca quandosecapitavaveniva alle mani con un calafato
o un gabbiererecandosi nei bassifondi indossava una giubba da marinaio. Perqueste trasformazioni gli era utile non
portare la parruccaperchéanche sotto Luigi XIVil popolo avevaconservato i propri capellicome il leone la sua
criniera. In questo modo era libero. Il popolino che lord David incontravanella ressa della strada e a cui si mescolava
lo stimava moltissimo e ignorava che fosse un lord. Lo chiamavanoTom-Jim-Jack. Con questo nome era popolare e
famoso tra la plebaglia. S'incanagliva da padrone. Se capitavafaceva apugni. Questo aspetto della sua vita elegante era
noto a lady Josianeche lo apprezzava molto.
V • LA REGINA ANNA
I
Al di sopra di quella coppia c'era Annaregina d'Inghilterra.
La regina Anna era una donna comune. Era allegrabonariaabbastanzaaugusta. Le sue qualità non riuscivano a
diventare virtùcosì come i suoi difetti non raggiungevano la malvagità.Più che essere grassa era gonfiala sua malizia
era grossolanala sua bontà stupida. Era tenace e debole. Come sposa era diuna infedeltà fedeleavendo dei favoriti che
erano padroni del suo cuoree un consorte padrone del suo letto. Eracristianaeretica e bigotta. Aveva una sola
bellezzail collo robusto di una Niobe. Per il resto il suo corpo era malriuscito. Civettava in modo goffo e onesto.
Aveva la pelle bianca e finee la mostrava volentieri. Fu lei a iniziare lamoda delle collane di grandi perle strette al
collo. Aveva una fronte strettalabbra sensualiguance carnosegli occhigrandila vista corta. La sua miopia si
estendeva anche allo spirito. A parte qualche scoppio di giovialitàpesantequasi come la sua colleraviveva in una
specie di sdegnato silenzio e muto rimprovero. Le sfuggivano parole chebisognava indovinare. Era un insieme di brava
donna e di perfida diavolessa. Amava l'imprevistocome tutte le donne. Annaera la copia appena sgrossata dell'Eva
universale. A questo abbozzo era capitatoper casoil trono. Beveva. Suomarito era un danese di razza.
Torygovernava con gli whigs. Da donnada folle. Dava in escandescenze. Eralitigiosa. Non c'era nessuno più
maldestro di lei negli affari di stato. Lasciava che gli avvenimentiprecipitassero. Tutta la sua politica era folle. La sua
specialità consisteva nel ricavare grandi catastrofi da piccole cause.Quando la prendeva un capriccio d'autorità lo
chiamava: un colpo gobbo.
Con un'aria molto sognante usciva in espressioni di questo tipo: «Nessunpari può stare a capo coperto davanti al re
eccetto Courcybarone Kinsalepari d'Irlanda». Diceva: «Sarebbeun'ingiustizia che mio marito non fosse lord-ammiraglio
dal momento che lo è stato mio padre». Nominò Giorgio di Danimarca altoammiraglio d'Inghilterra «and
of all Her Majesty's Plantations». Emanava cattivo umore incontinuazione; non esprimeva le sue ideele lasciava
trasudare. Quell'oca aveva qualcosa della sfinge.
Non odiava il funlo scherzo pesante e cattivo. Sarebbe stata contenta dimettere la gobba a Apollo. Ma lo avrebbe
lasciato dio. Buonaper principio non gettava nella disperazione nessunomaannoiava tutti quanti. Usava spesso parole
volgari eper poconon avrebbe bestemmiatocome Elisabetta. Di quando inquando estraeva da una tasca da uomo che
aveva nella gonna una scatolina d'argento rotondacesellatasu cui c'era ilsuo ritratto di profilotra le lettere Q.A.
apriva la scatolina e con la punta del dito prendeva un po' di pomata con cuisi tingeva di rosso le labbra. Solo allora
dopo essersi sistemata la boccarideva. Era golosissima di quelle formepiatte di pan pepato della Zelanda. Era
orgogliosa di essere grassa.
Piuttosto puritanaavrebbe tuttavia organizzato volentieri degli spettacoli.Le piaceva l'idea di un'accademia musicale
copiata da quella francese. Nel 1700un francese di nome Forteroche vollecostruire a Parigi un «Circo Reale» che
sarebbe costato quattrocentomila lirema d'Argenson si oppose; questoForteroche allora passò in Inghilterra e propose
alla regina Annache per un istante ne fu entusiastal'idea di costruire aLondra un teatrocompleto di scenografiepiù
bello di quello del re di Franciae con un quarto sotterraneo. ComeLuigi XIVanche Anna desiderava che la sua
carrozza andasse al galoppo. I suoi equipaggi e suoi cambi impiegavano avolte meno di un'ora e un quarto nel tragitto
da Windsor a Londra.
II
Ai tempi di Anna non erano ammesse riunioni senza l'autorizzazione di duegiudici di pace. Dodici persone che si
riunivano anche solo per mangiare ostriche e bere birra scuraeranocolpevoli di fellonia.Sotto questo regnopur relativamente tollerantesifaceva una coscrizione particolarmente violenta per la flotta; triste
prova che l'inglese è più suddito che cittadino. Da secoli il red'Inghilterra seguiva quella procedura tirannica che
smentiva tutte le vecchie esenzioniprovocando il trionfalismo indignatodella Francia. Ciò che diminuisce un po'
questo trionfo è la costatazione che se in Inghilterra c'era la coscrizioneobbligatoria della flottain Francia c'era quella
dei soldati. In tutte le grandi città francesi qualsiasi uomo ancora validoche se ne andasse in giro per i fatti suoicorreva
il rischio di essere gettato dagli arruolatori in una casa detta fornace.Là veniva rinchiuso insieme agli altripoi si
sceglievano quelli abili al servizioe gli arruolatori vendevano queipassanti agli ufficiali. Nel 1695 a Parigi c'erano
trenta fornaci.
Le leggi contro l'Irlandaemanate dalla regina Annafurono atroci.
Anna era nata nel 1664due anni prima dell'incendio di Londraquello cheaveva permesso di dire agli astrologhi - (ce
n'erano ancorane fa fede Luigi XIVche alla nascita fu assistito da unastrologo e fasciato in un oroscopo) - che
essendo «la sorella maggiore del fuoco»sarebbe stata regina. E lodivennegrazie all'astrologia e alla rivoluzione del
1688. Era umiliata di avere per padrino solo l'arcivescovo di Canterbury.Essere figlioccia del papa era ormai
impossibile in Inghilterra. Un semplice primate è un padrino ben mediocre.Anna dovette accontentarsi. Ma era colpa
sua. Perché era protestante?
La Danima rca aveva pagato per la sua verginitàvirginitas emptacome dicono i vecchi documenticon una dotazione
di seimiladuecentocinquanta sterline di renditagarantita dal baliato diWardinbourg e dell'isola di Fehmarn.
Anna seguivasenza convinzione e per abitudinele tradizioni di Guglielmo.Gli inglesisotto quella monarchia nata da
una rivoluzionegodevano di tutta la libertà possibile tra la Torre diLondradove si rinchiudevano gli oratorie la
gognadove si mettevano gli scrittori. Anna parlava un po' in danese neicolloqui riservati al maritoe un po' in francese
in quelli riservati a Bolingbroke. Un vero birignao; masoprattutto a corteera di gran moda parlare francese. Le uniche
battute di spirito erano quelle in francese. Anna si preoccupava dellemonetesoprattutto di quelle di ramedi poco
valore e popolari; ci teneva a farvi una gran figura. Sei tipi di farthingsfurono coniati sotto il suo regno. Sul verso dei
primi tre fece mettere semplicemente un trono; sul verso del quarto volle uncarro trionfalee sul verso del sesto una dea
che teneva in una mano la spada e nell'altra l'olivo con l'esergo Bello etPace. Figlia di Giacomo IIche era ingenuo e
feroceper quanto la riguardava era brutale.
Maal tempo stessoin fondo era dolce. Un'apparente contraddizione. Bastavauna collera per trasformarla. Scaldate lo
zuccherobollirà.
Anna era popolare. L'Inghilterra ama le donne che regnano. Perché? LaFrancia non le vuole. Questo è già un motivo.
Può anche darsi che non ce ne siano altri. Per gli storici inglesiElisabetta è la grandezzaAnna la bontà. Come vi pare.
E sia. Ma nessuna delicatezza in questi regni femminili. I tratti sonopesanti. Una grandezza grossolana e una grossolana
bontà. Quanto alla loro immacolata virtùl'Inghilterra ci tienee noi nonci opponiamo. Elisabetta è una vergine
temperata da Essexe Anna è una sposa complicata da Bolingbroke.
III
I popoli hanno l'abitudine idiota di attribuire al re ciò che fanno. Sibattono. Di chi è la gloria? Del re. Pagano. Ch i è
magnifico? Il re. E al popolo piace che sia così ricco. Il re riceve daipoveri uno scudo e rende loro un soldo. Com'è
generoso! Il colosso piedistallo contempla il pigmeo fardello. Com'è grandeil pigmeo! Mi sta sulle spalle. Un nano ha
un mezzo eccellente per essere più alto di un gigantegli bastaappollaiarsi sulle sue spalle. Ma è singolare proprio che
il gigante lo permetta; che ammiri poi la grandezza del nanoquesto èdavvero stupido. Ingenuità umana.
La statua equestreriservata solo ai rerappresenta molto bene lasovranità; il cavallo è il popolo. Solo che quel cavallo
lentamente si trasforma. All'inizio è un asinoalla fine è un leone.Allora getta a terra il cavalieree sarà il 1642 in
Inghilterra e il 1789 in Franciae qualche volta lo divoracome inInghilterra nel 1649 e in Francia nel 1793.
Che il leone possa ritornare somaro è stupefacentema vero. È accaduto inInghilterra. Ci si era rimessi al basto
dell'idolatria realista. La Queen Anncome abbiamo dettoera popolare. Cosafaceva per meritarselo? Nulla. Nulla
ecco tutto ciò che si chiede al re d'Inghilterra. Per quel nulla egli riceveuna trentina di milioni all'anno. Nel 1705
l'Inghilterrache aveva solo tredici vascelli da guerra sotto Elisabetta etrentasei sotto Giacomo Ine contava
centocinquanta. Gli inglesi avevano tre armatecinquemila uomini inCatalognadiecimila in Portogallocinquantamila
nelle Fiandree inoltre pagavano quaranta milioni all'anno all'Europamonarchica e diplomaticaquesta specie di
puttana che il popolo inglese mantiene da sempre. Avendo votato il parlamentoun prestito patriottico di trentaquattro
milioni di rendite vitalizieci si era affrettati allo scacchiere persottoscriverlo. L'Inghilterra inviava una squadra nelle
Indie Orientali e una squadra sulle coste spagnole al comando dell'ammiraglioLeakesenza contare una riserva di
quattrocento vele al comando dell'ammiraglio Showell. L'Inghilterra si eraannessa la Scozia. Si era tra Hochstett e
Ramilliese una di queste due vittorie lasciava intravedere l'altra.L'Inghilterranella retata di Hochstettaveva fatto
prigionieri ventisette battaglioni e quattro reggimenti di dragoniesottratto cento leghe di territorio alla Francia che
travoltaindietreggiava dal Danubio al Reno. L'Inghilterra allungava le maniverso la Sardegna e le Baleari. Conduceva
trionfalmente nei suoi porti dieci vascelli di linea spagnoli e parecchigaleoni carichi d'oro. Luigi XIV aveva già mezzo
abbandonati la baia e lo stretto di Hudson; si capiva che avrebbe abbandonatoanche l'AcadiaSan Cristoforo e
Terranovae che si sarebbe accontentato che l'Inghilterra permettesse al redi Francia di pescare il merluzzo al capo
Bretone. L'Inghilterra stava per imporgli l'umiliazione di distruggere da séle fortificazioni di Dunkerque. Nel frattempoessa occupava Gibilterra eBarcellona. Che belle imprese! Come non ammirare la regina Anna che si dava lapena di
vivere in quei tempi?
Da un certo punto di vista il regno di Anna sembra un riverbero di quello diLuigi XIV. Per un momento Anna affianca
il re in quel luogo d'incontri che chiamiamo storiae sembra assomigliarglicome un vago riflesso. Anche Annacome
luigioca a fare il grande regno; ha i propri monumentile proprie artileproprie vittoriee capitaniletteratiuna cassa
personale per provvedere agli uomini famosie di fianco a sua maestà unagalleria di capolavori. Anche la sua corte le
fa strascico e ha un aspetto trionfaleun ordine e una regola. È unariproduzione in piccolo di tutti i grandi di Versailles
peraltro non più molto grandi. L'illusione è perfetta; aggiungiamo il Godsave the queen che da allora fu preso a Lullie
il quadro è perfetto. I personaggi ci sono tutti. Cristophe Wren è unMansard più che passabile; Somers vale
Lamoignon. Anna ha un Racine di nome Drydenun Boileau che si chiama Popeun Colbert che è Godolphinun
Louvois che Pembrokee un Turenne che è Marlborough. Dovete tuttaviapensare a parrucche più grandi e a fronti più
corte. L'insieme ha una sua pomposa solennitàWindsor in queste occasioniha quasi l'aria di essere Marly. E tuttavia
ogni cosa è al femminilee il padre Tellier di Anna si chiama SarahJennings. D'altra parte un principio d'ironiache
cinquant'anni dopo diventerà la filosofiacomincia a prendere forma nellaletteraturaed è Swift che smaschera il
Tartufo protestantecosì come il Tartufo cattolico è stato denunciato daMolière. Anche se in quest'epoca l'Inghilterra è
in lite con la Francia e la sconfiggenon cessa d'imitarla e di trarnelustro; sulla facciata dell'Inghilterra batte la luce di
Francia. È un vero peccato che il regno di Anna non sia durato che dodiciannialtrimenti gli inglesi non si farebbero
pregare molto per dire - il secolo di Anna -come noi diciamo - il secolo diLuigi XIV -. Anna fa la sua comparsa nel
1702quando Luigi XIV declina. È una delle tante stranezze della storia chequesto pallido astro sorga proprio quando
tramonta la stella fiammeggiantee che nell'istante in cui la Francia avevail re Solel'Inghilterra abbia avuto la regina
Luna.
Ed ecco un dettaglio che bisogna annotare. Luigi XIVbenché in guerraeramolto ammirato in Inghilterra. È il re che
ci vuole per la Franciadicevano gli inglesi. L'amore per la proprialibertà non è disgiunto negli inglesi da una certa
tolleranza della schiavitù degli altri. Questa benevolenza verso le cateneche tengono avvinto il vicinosi spinge
qualche voltaa un vero e proprio entusiasmo per il despota confinante.
InsommaAnna ha reso felice il suo popolocome dice per tre volteecon una graziosa insistenzaa pagina 6 e 9 della
dedicae a pagina 3 della prefazioneil traduttore francese del libro diBeeverell.
IV
La regina Anna ce l'aveva un po' con la duchessa Josiane per due ragioni.
Primoperché trovava che la duchessa Josiane fosse bella.
Secondoperché trovava bello anche il fidanzato della duchessa Josiane.
A una donna bastano due ragioni per essere gelosa; ma a una regina anche unasola.
Inoltre non le perdonava di essere sua sorella.
Ad Anna non piaceva che le donne fossero belle.
Lo trovava contrario alla moralità.
Quanto a leiera brutta.
Non era stata una scelta tuttavia.
Una parte della sua religiosità veniva da quella bruttezza.
Josianebella e filosofainfastidiva la regina.
Non è piacevole per una regina brutta avere come sorella una bella duchessa.
Ma c'era un altro motivo di lagnanzala nascita improper di Josiane.
Anna era figlia di una semplice ladylegittimamente ma incresciosamentesposata da Giacomo IIquando era duca di
York. Annache aveva nelle vene questo sangue inferiorenon si sentivaregina che a metàe Josianedi nascita
irregolaresottolineava la scorrettezzaminima ma autenticadella nascitadella regina. La figlia nata da un matrimonio
inadeguato vedeva senza troppo piacerepoco distante da séla figliabastarda. C'era in tutto questo un confronto
offensivo. Josiane aveva il diritto di dire ad Anna: mia madre vale quanto lavostra. A corte non lo si dicevama era
chiaro che lo si pensava. Era seccante per la sua regale maestà. Perché poiquesta Josiane? Cosa le era venuto in mente
di nascere? A cosa serviva una Josiane? Certe parentele sono umilianti.
Tuttavia Anna faceva buon viso a Josiane.
Forse l'avrebbe anche amatase non fosse stata sua sorella.
VI • BARKILPHEDRO
È utile conoscere ciò che fanno le personee sorvegliarle un po' è unamisura ragionevole.
Josiane faceva spiare lord David da un suo uomo di fiducia di nomeBarkilphedro.
La regina Annada parte suasi faceva tenere al corrente sui fatti e sulleazioni della duchessa Josianela sorella
bastardae su lord Davidsuo futuro cognato per via di un matrimoniosconvenienteda un uomo su cui poteva contare
pienamenteche si chiamava Barkilphedro.Così questo Barkilphedro avevasottomano una bella tastiera: Josianelord Davidla regina. Un uomo tra duedonne.
Che possibilità di modulazioni! Che amalgama d'anime!
A Barkilphedro non era mai capitata un'occasione così propizia di parlare abassa voce a tre orecchie.
Era un vecchio domestico del duca di York. Aveva tentato la carrieraecclesiasticama aveva fallito. Il duca di York
principe inglese e romanoun insieme di papismo reale e di anglicanesimolegaleaveva il suo seguito cattolico e quello
protestantee avrebbe potuto avviare Barkilphedro nell'una o nell'altragerarchiama non lo giudicò abbastanza cattolico
per farlo elemosinierené abbastanza protestante per farlo cappellano.Così che Barkilphedro tra due religioni si trovò
con l'anima per terra.
Non è poi una brutta posizione per certe anime rettili.
Certe strade non si possono fare che strisciando.
Per molto tempo tutta l'esistenza di Barkilphedro consistette in un'oscura maproficua domesticità. La domesticità è
qualcosama in più egli voleva il potere. Stava quasi per arrivarci quandoGiacomo II cadde. Doveva ricominciare da
capo. Niente da fare sotto l'imbronciato Guglielmo IIIche metteva nel suomodo di regnare un puritanesimo che
scambiava per onestà. Comunque Barkilphedroquando fu detronizzato Giacomoil suo protettorenon andò subito in
miseria. Qualcosa d'indefinibile sopravvive ai principi decadutialimentandoe sostenendo ancora per qualche tempo i
loro parassiti. Il resto della linfa che sta svanendo fa vivere per due o tregiorni le foglie in cima ai rami dell'albero
sradicato; poi improvvisamente la foglia ingiallisce e seccacosì pure ilcortigiano.
Grazie a quell'imbalsamazione che si chiama legittimitàil principebenché caduto e allontanatosopravvive e si
conserva; non capita lo stesso al cortigianoche muore ben più del re. Ilre laggiù è una mummiail cortigiano qui è un
fantasma. Essere l'ombra dell'ombraè l'estrema delle magrezze. DunqueBarkilphedro divenne famelico. Allora imparò
l'arte dei letterati.
Ma lo cacciavano anche dalle cucine. Qualche volta non sapeva dove dormire.«Chi mi darà un tetto?»diceva. E
lottava. Possedeva tutte le doti che la pazienza rivela nei momenti delbisogno. In più egli aveva il talento della termite
sapeva fare un buco dal basso verso l'alto. Aiutandosi con il nome di GiacomoIIcon i ricordicon la fedeltàcon
l'intenerimento ecc.si aprì un varco fino alla duchessa Josiane.
Josiane prese a ben volere quell'uomo che era povero e intelligentedue coseche commuovono. Lo presentò a lord
Dirry-Moirgli diede alloggio nelle sue dipendenzelo tenne come uno dicasafu buona con luie qualche volta perfino
gli parlò. Barkilphedro non ebbe più famené freddo. Josiane gli dava deltu. Era di moda tra le gran dame dare del tu ai
letteratiche lasciavano fare. La marchesa di Mailly riceveva stando a lettoRoyche non aveva mai vistoe gli diceva:
Sei tu che hai fatto l'Annata galante? Buongiorno. Più tardi i letteratirestituirono il tu. Venne il giorno in cui Fabre
d'Églantine disse alla duchessa di Rohan:
«Non sei la Chabot?».
Per Barkilphedro sentirsi dare del tu era un successo. Ne fu rapito. Quellafamiliarità dall'alto in basso rientrava nelle
sue ambizioni.
«Lady Josiane mi dà del tu!»diceva a se stesso. Fregandosi le mani.
Approfittò di questo tu per guadagnare terreno. Divenne assiduo delle stanzeprivate di Josianediscretoinvisibile; la
duchessa si sarebbe quasi spogliata davanti a lui. Ma si trattava di unasituazione precaria. Barkilphedro mirava a
sistemarsi. Con una duchessa si è a metà strada. Una galleria sotterraneache non arrivasse fino alla reginasarebbe stato
un lavoro inutile.
Un giorno Barkilphedro disse a Josiane:
«Vostra grazia vorrebbe fare di me un uomo fortunato?».
«Cosa vuoi?»domandò Josiane.
«Un impiego».
«Un impiego? Tu!».
«Sìsignora».
«Cosa ti viene in mente di chiedere un impiego? Tu non sai fare niente».
«Proprio per questo».
Josiane si mise a ridere.
«Tra le cose che non sai farequale preferiresti?».
«Stappare le bottiglie che vengono dall'oceano».
Josiane rise ancora più forte.
«Ma cosa dici? Tu mi prendi in giro».
«Nosignora».
«Mi voglio divertire prendendoti sul serio»disse la duchessa. «Cosa vuoiessere? Ripeti».
«Stappare le bottiglie che vengono dall'oceano».
«Tutto è possibile a corte. Esiste un impiego simile?».
«Sìsignora».
«Insegnami queste novità. Continua».
«Questo impiego esiste».
«Giuramelo sull'anima che non hai».
«Lo giuro».
«Non ti credo».«Graziesignora».
«Vorresti dunque?... Ricomincia».
«Dissigillare le bottiglie del mare».
«Come lavoro non deve essere molto faticoso. È come pettinare un cavallo dibronzo».
«Quasi».
«Non fare nulla. In effetti questo è il posto che ti ci vuole. È quelloche sai fare».
«Vedete che di qualcosa sono capace».
«Ahquesta poi! Vuoi fare il buffone. Esiste questo posto?».
Barkilphedro assunse un atteggiamento di severa deferenza.
«Signoravoi avete un padre augustoGiacomo IIil ree un cognatoillustreGiorgio di Danimarcaduca di
Cumberland. Vostro padre è stato lord-ammiraglio d'Inghilterravostrocognato lo è tuttora».
«Sono queste le tue novità? Le conosco quanto te».
«Ma ecco ciò che vostra grazia non sa. Ci sono tre tipi di cose in mare:quelle che stanno in fondo all'acquaLagon;
quelle che galleggiano sull'acquaFlotson; e quelle che l'acquarigetta sulla terraJetson».
«E con ciò?».
«Queste tre coseLagonFlotsonJetsonappartengono al lord grandeammiraglio».
«Vai avanti».
«Vostra grazia comprende?».
«No».
«Tutto quello che c'è in mareciò che va a fondociò che galleggia eciò che si arenaappartiene all'ammiraglio
d'Inghilterra».
«Tutto. Bene. E allora?».
«Eccetto lo storioneche appartiene al re».
«Avrei detto che tutto ciò appartenesse a Nettuno».
«Nettuno è un imbecille. Ha abbandonato tutto. Ha permesso che siprendessero tutto gli inglesi».
«Concludi».
«Le prede di mare; è il nome che si dà a queste scoperte».
«Bene».
«È inesauribile. C'è sempre qualcosa che galleggiaqualcosa che approda.È il tributo del mare. Il mare paga l'imposta
all'Inghilterra».
«D'accordo. Ma concludi».
«Vostra grazia comprende che in questo modo l'oceano crea un ufficio».
«E dove?».
«Presso l'Ammiragliato.
«Che ufficio?».
«L'ufficio delle prede di mare».
«Ebbene?».
«L'ufficio si divide in tre settori: LagonFlotsonJetson; e ciascunsettore ha un suo ufficiale».
«Dunque?».
«Una nave in alto mare vuol dare una comunicazione qualsiasi a terrachenaviga a una certa latitudineche ha
incontrato un mostro marinoche è in vista della costache si trova indifficoltàche sta affondandoche è perduta
ecceterail capitano prende una bottigliavi mette dentro un pezzo di cartadove ha scritto la cosa che intende far
saperesigilla il collo e getta la bottiglia in mare. Se la bottiglia va afondociò riguarda l'ufficiale Lagon; se galleggia
riguarda l'ufficiale Flotson; se le onde la portano a terraciò riguardal'ufficiale Jetson».
«E tu vorresti essere l'ufficiale Jetson?».
«Esattamente».
«E questo è quello che tu chiami dissigillare le bottiglie che vengonodall'oceano?».
«Dal momento che esiste il posto».
«Perché vuoi proprio quest'ultimo posto e non gli altri due?».
«Perché in questo momento è vacante».
«In cosa consiste il lavoro?».
«Signoranel 1598 un pescatore di gronghi trovò sulle sabbie della seccadel promontorio di Epidium una bottiglia
incatramatache fu portata alla regina Elisabettae la pergamena che siestrasse da quella bottiglia fece sapere
all'Inghilterra che l'Olanda aveva conquistatosenza dire nienteun paesesconosciutola Novaja ZemljaNova Zemlae
che la conquista aveva avuto luogo nel giugno 1596che in quel paese c'erail pericolo di venir mangiati dagli orsiche
il modo migliore per passarvi l'inverno era indicato su un foglio chiuso inun bossolo di moschettoappeso al camino
della casa in legno costruita nell'isola e abbandonata dagli olandesiormaitutti mortie che quel camino era fatto con
una botte sfondataincassata nel tetto».
«Ho capito poco di questo discorso campato in aria».
«Bene. Elisabetta comprese. Un paese in più per l'Olanda era un paese inmeno per l'Inghilterra. La bottiglia che aveva
dato la notizia diventò una faccenda importante. A partire da quel giornovenne dato ordine a chiunque trovasse unabottiglia sigillata sulla riva delmaredi consegnarla all'ammiraglio d'Inghilterrasotto la minaccia dellaforca. Per aprire
le bottiglie l'ammiraglio incarica un ufficialechese è il casoinformasua maestà del contenuto».
«Arrivano spesso queste bottiglie all'ammiragliato?».
«Di rado. Ma non importa. Il posto c'è. Per questo lavoro ci sono camera ealloggio presso l'ammiragliato».
«E questa trovata per non fare niente quanto la pagano?».
«Cento ghinee all'anno».
«E tu mi disturbi per così poco?».
«Per vivere mi basta».
«Da pezzente».
«Come conviene a quelli come me».
«Cento ghineeniente».
«Quello che v i permette di vivere solo un minutoa noi basta per un anno.È il vantaggio di essere poveri».
«Avrai quel posto».
Otto giorni dopograzie ai buoni favori di Josiane e all'autorevolezza dilord David Dirry-MoirBarkilphedroormai in
salvouscito dalla precarietàfinalmente appoggiato su un terreno solidoalloggiatospesatocon una rendita di cento
ghineesi era installato presso l'ammiragliato.
VII • BARKILPHEDRO SFONDA
C'è una cosa che urge: essere ingrati.
Barkilphedro non si fece pregare.
Avendo ricevuto simili favori da parte di Josianeera naturale che nonpensasse ad altro che a vendicarsene.
Aggiungiamo che Josiane era bellaaltagiovanericcapotenteillustreeche Barkilphedro era bruttopiccolo
vecchiopoveroprotettooscuro. Doveva pur vendicarsi di tutto questo.
Quando si è fatti di tenebrecome si può perdonare una tale luminosità?
Barkilphedro era un irlandese che aveva rinnegato l'Irlanda; brutta razza.
Barkilphedro aveva un punto a suo vantaggio: una pancia smisurata.
Una pancia così passa per segno di bontà. Ma quella pancia era un'altradelle ipocrisie di Barkilphedro. Perché era un
uomo molto malvagio.
Che età aveva Barkilphedro? Nessuna. Aveva l'età necessaria agli scopi delmomento. Le rughe e i capelli grigi ne
facevano un vecchioma quanto a prontezza di mente era giovane. Era svelto epesante; una sorta d'ippopotamo
scimmia. Certamente un realista; ma forse anche repubblicano? Magaricattolico; senza dubbio protestante. A favore
degli Stuartprobabilmente; e dei Brunswickevidentemente. Essere Afavore non è una forza che a patto di essere al
tempo stesso Controe Barkilphedro praticava questa forma disaggezza.
Il lavoro come «stappatore di bottiglie che vengono dall'oceano» non eracosì da poco come poteva apparire dalle parole
di Barkilphedro. I reclamiche oggi verrebbero chiamati proclamidi Garcie-Ferrandez nel suo Carta del mare contro
lo spolio delle navi in seccadetto diritto ai rottamie contro ilsaccheggio dei relitti da parte delle popolazioni
rivierascheavevano suscitato scalpore in Inghilterraapportando ainaufraghi il vantaggio che i loro benieffetti e
proprietàinvece di essere rubati dai contadinivenivano confiscati dallord ammiraglio.
Tutti i rottami che il mare gettava sulla costa inglesemercanziecarcassedi navifagotticasse ecc.appartenevano al
lord ammiraglio; mae qui si mostrava l'importanza del posto sollecitato daBarkilphedroi recipienti galleggiantiche
contenevano messaggi e informazionirichiamavano in modo particolarel'attenzione dell'ammiragliato. I naufragi sono
una grave preoccupazione per l'Inghilterra. Poiché navigare per leisignifica vivereil naufragio è il suo pensiero fisso. Il
mare è una perpetua fonte d'inquietudine per l'Inghilterra. La bottigliettadi vetro che la nave ormai condannata getta
alle ondecontiene un'estrema informazionepreziosa sotto tutti i punti divista. Informazione sul bastimento
informazione sull'equipaggiosul luogol'epoca e le circostanze delnaufragioinforma zione sui venti che hanno
spezzato il vascellosulle correnti che hanno portato la bottigliettagalleggiante sulla costa. L'ufficio occupato da
Barkilphedro è stato soppresso da più di un secoloma aveva un'autenticautilità. L'ultimo titolare fu William Husseydi
Doddington nel Lincoln. L'uomo che reggeva quell'ufficio era una specie direlatore per tutto ciò che riguardava le cose
del mare. Tutti i recipienti chiusi e sigillatibottigliebottigliettegiare ecc.che le onde gettavano sul litorale inglese
gli venivano consegnati; solo lui aveva il diritto di aprirli; era il primoche ne conosceva i segreti; egli li classificava e li
etichettava nel suo archivio; l'espressione mettere una cesta in archivioancora usata nelle isole della Manicaviene da
lì. A dire il vero era stata presa un precauzione. Nessun recipiente potevaessere dissigillato e stappato se non alla
presenza di due giurati dell'ammiragliatotenuti per giuramento al segretoche firmavanocon il titolare dell'ufficio
Jetsonil processo verbale dell'avvenuta apertura. Ma poiché questi giuratierano tenuti al silenzione risultava per
Barkilphedro una certa discrezionalità; dipendeva da luialmeno fino a uncerto puntola decisione di sopprimere un
fatto o di metterlo in risalto.
I fragili relitti erano ben lontani dall'essere rari e insignificanti comeBarkilphedro aveva detto a Josiane. A volte
raggiungevano la terra molto rapidamente; a volte dopo anni. Ciò dipendevadai venti e dalle correnti. Questa usanza di
affidare le bottiglie alla corrente è un po' sorpassatacome quella degliex voto; main quei tempi così religiosichi
stava per morire si avvaleva volentieri di questo mezzo per inviare a Dio eagli uomini il suo ultimo pensierocosì
capitava che l'ammiragliato abbondasse di quei messaggi di mare. Unapergamenaconservata nel castello d'Audlyene(secondo l'antica ortografia)eannotata dal conte di Suffolkgran tesoriere d'Inghilterra sotto Giacomo Irivela che nel
solo 1615 furono portate e registrate nell'archivio del lord ammiraglio bencinquantadue tra fiascheampolle e
bottigliettecontenenti notizie di bastimenti sul punto di affondare.
Gli impieghi di corte sono come le gocce d'oliosi allargano sempre di più.In questo modo il portiere è diventato
cancelliere e il palafreniere è diventato conestabile. Il particolareufficiale incaricato della funzione desiderata e ottenuta
da Barkilphedroera abitualmente un uomo di fiducia. Era stata Elisabetta avolerlo così. Chi a corte dice fiduciadice
intrigoe chi dice intrigo dice carriera. Quel funzionario aveva finito peressere un po' una personalità. Era un dignitario
e prendeva posto subito dopo i due grooms dell'elemosineria. Poteva entrare apalazzomadiciamolosolo attraverso
quella che si chiama «entrata di servizio»humilis introïtusefino alla camera da letto. Perché la prassi voleva che egli
informasse direttamente il requando ne valeva la penadelle sue scoperteche spesso erano molto curiose: testamenti
di persone disperateaddii rivolti alla patriarivelazioni di frodi e dicrimini di marelasciti alla corona ecc.e che
mantenesse l'archivio in comunicazione con la cortee che ogni tantorendesse conto a sua maestà di quel
dissigillamento di bottiglie sinistre. Era il nero gabinetto dell'oceano.
Elisabettache parlava volentieri in latinoera solita domandare a Tainfelddi Coleynel Berkshireche era l'ufficiale
Jetson di quel tempoquando questi le portava qualcuna delle scartoffievenute dal mare: Quid mihi scribit Neptunus?
Cosa mi scrive Nettuno?
Il varco era aperto. La termite era riuscita nel suo intento. Barkilphedroavvicinava la regina.
Era quello che voleva.
Per il proprio vantaggio?
No.
A svantaggio degli altri.
Un piacere più grande.
Nuocere significa godere.
Non è da tutti avere in sé il desiderio di nuocereun desiderio vago maimplacabilee non perderlo mai di vista.
Barkilphedro aveva questa fissazione.
I suoi pensieri erano come la presa del mastino.
Sentirsi inesorabile gli dava un senso di cupa soddisfazione.
Gli bastava avere una preda sotto i denti o nell'anima la certezza di fare ilmale.
Era contento di battere i denti se poteva sperare che anche gli altriavessero freddo.
La cattiveria è una forma di opulenza. Quell'uomo che crediamo poveroe chein effetti lo èpossiede un tesoro in
malignitàe gli va bene così. Basta essere contenti. Giocare un bruttoscherzoche poi è la stessa cosa che giocarne uno
bellovale più del denaro. Il brutto è per chi lo subiscema per chi lofa è bello. Katesbycompagno di Guy Fawkes nel
complotto papista delle polveridiceva: Neppure per un milione disterline vorrei perdermi la scena del parlamento che
va gambe all'aria.
Chi era Barkilphedro? Ciò che vi è di più piccolo e di più terribile. Uninvidioso.
L'invidia ha un posto fisso a corte.
A corte abbondano gli impertinentigli scioperatii ricchi fannulloniaffamati di pettegolezziquelli che cercano l'ago
nel pagliaioi dispettosii beffeggiatori beffeggiatii poveri di spiritotutta gente che ha bisogno della conversazione
con un invidioso.
Che refrigerio sentire parlar male degli altri!
Con l'invidia si fa un'ottima spia.
C'è una profonda analogia tra l'invidiache è un'inclinazione naturaleelo spionaggioche è una funzione sociale. La
spia va a caccia per conto degli altricome il cane; l'invidioso va a cacciaper proprio contocome il gatto.
Un io ferocequesto è l'invidioso.
Altre qualitàBarkilphedro era discretosegretoconcreto. Teneva tuttoper sé e si tormentava nel suo odio. Un'enorme
bassezza implica un'enorme vanità. Piaceva a quelli che riusciva adivertirema era odiato dagli altri; sentiva lo sdegno
di quelli che lo odiavano e il disprezzo di quelli a cui piaceva. Sidominava. Tutte quelle offese ribollivano senza far
rumore nella sua ostile rassegnazione. Era indignatocome se i furfanti neavessero diritto. Covava in silenzio le sue
furie. Il suo talento consisteva nell'ingoiare tutto. Provava sordi corrucciinteriorifrenetiche rabbie sotterraneenere
fiamme soffocatedi cui non ci si accorgeva; era un collerico fumivoro. Lasuperficie era sorridente. Era cortese
premurosoaccomodanteamabilecompiacente. Salutava chiunquee dovunque.Per un soffio di vento s'inchinava fino
a terra. Che fortuna avere un giunco nella colonna vertebrale.
Questi esseri nascosti e velenosi non sono poi così rari come si pensa.Viviamo circondati da questi fruscii sinistri.
Perché i malvagi? Domanda drammatica. Il sognatore se la pone continuamentee il pensatore non la risolve mai.
Perciò lo sguardo dei filosofi è triste e sempre fisso sulla tenebrosamontagna del destinodall'alto della quale il
gigantesco spettro del male lascia cadere manciate di serpenti sulla terra.
Barkilphedro era obeso di corpo ma aveva il volto magro. Il torso grasso e lafaccia ossuta. Aveva le unghie striate e
cortele dita nodosei pollici piattii capelli grossile tempie moltodistanti una dall'altrae una fronte da assassino
larga e bassa. Gli occhi alla cinese nascondevano la pochezza dello sguardosotto il cespuglio delle sopracciglia. Il naso
lungoappuntitogobbo e molletoccava quasi la bocca. Barkilphedroopportunamente vestito da imperatoresarebbe
assomigliato un po' a Domiziano. La sua facciad'un giallo rancidoera comemodellata in una pasta vischiosa; le
guance immobili sembravano di mastice; aveva ogni specie di rughe brutte eribellil'angolo della mascella massiccioilmento pesantel'orecchio plebeo.Quando era rilassatoil labbro superiore visto di profilo era rialzato adangolo acuto e
lasciava scorgere due denti. Sembrava che quei denti vi guardassero. I dentipossono guardaree gli occhi mordere.
Pazienzatemperanzacontinenzariservatezzaritegnoamenitàdeferenzadolcezzacortesiasobrietàcastità
completavano e perfe zionavano Barkilphedro. Egli calunniava quelle virtùper il solo fatto di averle.
In poco tempo Barkilphedro prese piede a corte.
VIII • «INFERI»
A corte si può prendere piede in due modi: all'altezza delle nuvolee si èprincipeschi; nel fangoe si è potenti.
Nel primo caso si fa parte dell'olimpo. Nel secondo si appartiene alguardaroba.
Chi fa parte dell'olimpo non dispone che della folgore; chi appartiene alguardaroba usa la polizia.
Il guardaroba contiene tutti gli strumenti del governoe a volteessendotraditoreanche il castigo. Eliogabalo vi trova
la morte. Allora il suo nome è latrina.
Solitamente è meno tragico. Lì Alberoni ammira Vendôme. Il guardarobadiventa facilmente il luogo dove i personaggi
reali danno udienza. Funge da trono. Luigi XIV vi riceve la duchessa diBorgogna; Filippo V vi sta gomito a gomito con
la regina. Il prete vi ha accesso. Capita che il guardaroba diventi unasuccursale del confessionale.
Per questo a corte ci sono fortune sotterranee. E non sono le menoimportanti.
Se volete essere grande sotto Luigi XIsiate Pierre de Rohanmaresciallo diFrancia; se volete essere influentesiate
Olivier le Daimbarbiere. Se volete la gloria sotto Maria de' MedicisiateSilleryil cancelliere; se volete essere
importantesiate Hannoncameriera. Se volete essere illustre sotto LuigiXVsiate Choiseulil ministro; se volete
essere temutosiate Lebelvalletto. Parlando di Luigi XIVBontemps che glifa il letto è più potente di Louvois che gli
mette insieme l'esercitoe di Turenne che gli procura le vittorie. Toglietea Richelieu il padre Giuseppee di Richelieu
non rimane quasi niente. Scompare il mistero. L'eminenza rossa è superbamal'eminenza grigia è terribile. La forza
dell'essere verme! Tutti i Narvaez amalgamati con tutti gli O' Donnellcombinano meno di sorella Patrocinio.
Una delle condizioni di questo potere èper fare un esempiola piccolezza.Se volete restare fortirestate piccoli. Siate
il nulla. Il serpente che riposacoricato in spire circolarisimboleggiainsieme l'infinito e lo zero.
A Barkilphedro era toccata una di queste fortune viperine.
Era penetrato là dove voleva.
Le bestie piatte entrano dovunque. Luigi XIV aveva le cimici nel letto e igesuiti nella politica.
Nessuna incompatibilità.
In questo mondo tutto si muove come il pendolo. Gravitare vuol direoscillare. Un polo chiama l'altro. Francesco I vuole
Triboulet; Luigi XV vuole Lebel. C'è una profonda affinità tra l'altezzaestrema e l'estrema bassezza.
La bassezza guida. È facile da capire. Chi sta sotto tiene i fili.
Non c'è posizione più comoda.
Si è l'occhioe si ha l'orecchio.
Si è l'occhio del governo.
Si ha l'orecchio del re.
Chi dispone dell'orecchio del re apre e chiude a piacimento la coscienzarealee vi mette ciò che vuole. Lo spirito del re
è il vostro armadio. Se siete straccivendolo è la vostra gerla. L'orecchiodei re non appartiene ai re; è ciò che in fondo
rende quei poveri diavoli così poco responsabili. Chi non è padrone delproprio pensieronon è padrone delle proprie
azioni. Un re obbedisce.
A cosa?
Alla prima anima malvagia che gli sussurra all'orecchio. Scura moscadell'abisso.
Questo sussurrio comanda. Un regno è un dettato.
La voce alta è il sovrano; la voce bassa è la sovranità.
I veri storici sono coloro che in un regno sanno distinguere la voce bassa ecapire ciò che essa suggerisce alla voce alta.
IX • L'ODIO È FORTE COME L'AMORE
Attorno alla regina Anna c'erano parecchie di quelle voci basse. Tra glialtri anche Barkilphedro.
Oltre la reginaegli lavoravainfluenzava e praticava silenziosamente ladyJosiane e lord David. Come abbiamo detto
egli bisbigliava a tre orecchie contemporaneamente. Una in più di Dangeau.Dangeau bisbigliava solo a duequando
facendo la spola tra Luigi XIV innamorato della cognata EnrichettaeEnrichetta innamorata di Luigi XIV suo cognato
confidente di Luigi all'insaputa di Enrichetta e di Enrichetta all'insaputadi Luigiegli dettava le domande e le risposte
standosene nel bel mezzo di quell'amore tra marionette.
Barkilphedro era così sorridentecosì accomodantecosì incapace diprendere le difese di chiunquecosì poco fedele in
fondocosì bruttocosì malvagioche era inevitabile che un personaggioreale arrivasse al punto di non poter più fare a
meno di lui. Quando Anna ebbe assaggiato Barkilphedronon volle altriadulatori. Egli sapeva adularla come adulavano
Luigi il Grandepungendo gli altri. Poiché il re è ignorante - dice madamedi Montchevreuil - schernire i sapienti
diventa un obbligo.
Avvelenare di tanto in tanto le punture è il colmo di quell'arte. A Neronepiace vedere all'opera Locuste.Si penetra facilmente nei palazzi realinel lorointerno di madreporefatto di vie che il cortigiano roditore subito
intuiscepercorrefrugae se è necessario scava. Basta un pretesto perentrare. Barkilphedroche aveva come pretesto
una caricaarrivò in pochissimo tempo ad essere per la regina ciò che eraper la duchessa Josianeun indispensabile
animale domestico. Un giorno azzardò una parola che gli permise di capiresubito chi era la regina; seppe in che conto
andava tenuta la bontà di sua maestà. Alla regina piaceva molto il suo lordstewartWilliam Cavendishduca del
Devonshireun uomo molto imbecille. Questo lordche aveva tutte leonorificenze di Oxford e ignorava l'ortografiaun
bel mattino fece la sciocchezza di morire. Morire è una grande imprudenza acorteperché nessuno si fa più scrupoli nel
parlare di voi. Alla presenza di Barkilphedro la regina si lamentò perquella mortema alla fine esclamò sospirando: «È
un vero peccato che tante virtù fossero al servizio di un'intelligenza cosìmeschina!».
«Dieu veuille avoir son âne!»mormorò sottovoce Barkilphedro infrancese.
La regina sorrise. Barkilphedro prese nota di quel sorriso.
Ne concluse che essere mordaci pagava.
Il suo sarcasmo non ebbe più limiti.
A partire da quel giorno intrufolò la sua curiosità e la sua malignitàdovunque. Lo lasciavano faretanto ne avevano
paura. Chi fa ridere il refa tremare gli altri.
Era un buffone potente.
Ogni giorno avanzava sottoterra. C'era bisogno di Barkilphedro. Più di ungrande lo onorava della sua fiducia
incaricandoloall'occorrenzadi turpi commissioni.
La corte è un ingranaggio. Barkilphedro ne divenne il motore. Avete maiosservato come sia piccola la ruota motrice di
certi meccanismi?
Josiane in particolare utilizzava il suo talento di spiacome abbiamo dettoe nutriva una tale fiducia in lui che non
aveva esitato a consegnargli una delle chiavi segrete del suo appartamentocosì che egli poteva recarsi da lei in
qualsiasi momento. Questa eccessiva confidenza riguardo la propria vitaintima era di moda nel diciassettesimo secolo.
Si chiamava: dare la chiave. Josiane aveva dato due di quelle chiaviconfidenziali: una a lord Davidl'altra a
Barkilphedro.
Del restoarrivare all'improvviso nelle camere da letto non era per queitempi un fatto sorprendente. Ciò dava luogo a
incidenti. La Fertétirando bruscamente le tendine del letto dellasignorina Lafontvi trovò Sainsonmoschettiere nero
ecc.
Barkilphedro eccelleva nel fare quel tipo di perfide scoperte che mettono igrandi nelle mani dei piccoli. Avanzava
tortuosamente nell'ombracon astuta cautela. Come ogni spia che si rispettiaveva la spietatezza del carnefice e la
pazienza del micrografo. Era un cortigiano nato. Non c'è cortigiano che nonsia nottambulo. Il cortigiano si aggira nella
notte dell'onnipotenza. Tiene in mano una lanterna cieca. Illumina ciò chevuole restando nelle tenebre. Non cerca un
uomo con la lanternama una bestia. Troverà il re.
Ai re non piace che quelli attorno a loro vogliano essere grandi. Sonoaffascinati dall'ironia contro gli altri. Il talento di
Barkilphedro consisteva nello sminuire continuamente lords e principi afavore della maestà realeche ne guadagnava in
grandezza.
La chiave familiare che possedeva Barkilphedro era fornita di scontri aciascuna estremitàcosì che poteva aprire gli
appartamenti personali delle due residenze preferite di JosianeHunkerville-House a Londrae Corleone-lodge a
Windsor. I due pala zzi facevano parte dell'eredità Clancharlie.Hunkerville-House confinava con Oldgate. Oldgate era
la porta di Londra da cui si passava venendo da Harwicke dove era possibilevedere una statua di Carlo II con un
angelo dipinto sulla testa e con ai piedi le sculture di un leone e di unliocorno. Da Hunkerville-Housequando soffiava
il vento da estsi poteva sentire lo scampanio di Sainte-Marylebone.Corleone-lodge era un palazzo fiorentino in
mattoni e pietre con un colonnato di marmocostruito su palafitte a Windsorall'estremità del ponte di legno e con uno
dei più superbi cortili d'onore dell'Inghilterra.
In quest'ultimo palazzoattiguo al castello di WindsorJosiane era aportata di mano della regina. Tuttavia a Josiane
piaceva starvi.
L'influenza di Barkilphedro sulla regina aveva messo radicima nullatrapelava al di fuori. Non c'è niente di più difficile
che strappare le erbe cattive da corte; affondano molto nel terreno maesteriormente non offrono alcuna presa. Sarchiare
RoquelaureTriboulet o Brummelè quasi impossibile.
Giorno dopo giornoe sempre di piùla regina Anna prendeva a ben volereBarkilphedro.
Sarah Jennings è celebre; Barkilphedro è sconosciuto; il favore di cuigodette restò oscuro. Il nome di Barkilphedro non
è arrivato fino alla storia. Non tutte le talpe sono prese dal cacciatore.
Barkilphedroun tempo candidato alla carriera ecclesiasticaaveva studiatoun po' di tutto; sfiorare ogni cosa non porta
a nessun risultato. Si può anche essere vittime del omnis res scibilis.Avere sotto il cranio la botte delle Danai è
disgrazia comune a tutta una razza di studiosiche potremmo chiamare glisterili. Niente aveva potuto riempire il
cervello di Barkilphedro.
La mentecome la naturaha orrore del vuoto. La natura riempie il vuoto conl'amore; la mente spesso lo riempie con
l'odio. L'odio colma.
Esiste davvero l'odio per l'odio. L'arte per l'arte è un fatto naturale piùdi quanto si creda.
Si odia. Bisogna pur fare qualcosa.
L'odio gratuitoespressione formidabile. Perché vuol d ire che l'odio trovain sé la propria soddisfazione.
L'orso è contento di leccarsi gli unghioni.Ma non per sempre. Bisognarifornire questi unghioni. Bisogna dar loro qualcosa.
Odiare in modo indistinto è dolce e per qualche tempo può bastare; ma allafine bisogna trovare un oggetto per questo
odio. L'astio nei confronti di tutta la creazione si esaurisce come ognipiacere solitario. L'odio senza oggetto è come un
tiro senza bersaglio. Ciò che rende interessante il gioco è un cuore dacolpire.
Non si può odiare solo per onore. Ci vuole un condimentoun uomounadonnaqualcuno da distruggere.
Josiane fu complice inconsapevole di Barkilphedro e si prestò nel compitosquisito e orribiledi rendergli vivace il
giocodi offrirgli uno scopodi motivare l'odio facendone una passionedidivertire il cacciatore mostrandogli una
preda vivadi far intravedere a chi sta in agguato il tiepido e fumanteribollio del sangue che sta per scorreredi
illuminare l'uccellatore con la credulità inutilmente alata dell'a llodoladi essere una bestia segretamente allevata da uno
spirito per il solo scopo di uccidere.
Il pensiero è un proiettile. Fin dal primo giorno Barkilphedro aveva miratoa Josiane con cattive intenzioni. L'intenzione
e lo schioppo si assomigliano. Barkilphedro si trattenevapuntando contro laduchessa tutta la sua segreta malvagità. Vi
stupisce? Cosa vi ha fatto l'uccello contro cui sparate? È per mangiarlorispondete. Anche Barkilphedro la pensava così.
Josiane non poteva essere colpita al cuoredifficilmente un enigma èvulnerabilema poteva essere raggiunta alla testa
cioè nell'orgoglio.
Là dove si credeva forte era più debole.
Barkilphedro lo aveva capito.
Se Josiane avesse potuto far luce nelle tenebre di Barkilphedrose avessepotuto distinguere ciò che si nascondeva
dietro a quel sorrisoleicosì fieracosì in altoprobabilmente avrebbetremato. Fortunatamentealmeno per la pace dei
suoi sonniignorava del tutto chi era quell'uomo.
L'imprevisto debordanon si sa dove. Le profonde segrete della vita sonodavvero temibili. Non esiste un odio piccolo.
L'odio è sempre enorme. Anche nell'essere più minuto mantiene la suastaturache è quella di un mostro. Un odio vale
tutto quanto l'odio. Un elefante odiato da un formica è in pericolo.
Ancor prima di aver colpitoBarkilphedro assaporava con piacere lamalvagità dell'azione che voleva commettere. Per
il momento ignorava cosa avrebbe fatto contro Josiane. Ma era intenzionato afare qualcosa. Come progetto era già
molto.
Annientare Josiane sarebbe stato un successo eccessivo. Non ci sperava. Maumiliarlagettarla nella desolazionefar
diventar rossi dalla rabbia quegli occhi superbiecco un buon risultato. Cicontava. Tenacecoscienziosofedele nel
tormentare gli altriimplacabilenon per nulla la natura l'aveva fattocosì. Egli voleva scovare il punto debole
nell'armatura dorata di Josianefar sgorgare il sangue di quell'essereimperturbabile. Che vantaggioinsistiamogli
sarebbe venuto? Un enorme vantaggio. Fare del male a chi gli aveva fatto delbene.
Cos'è un invidioso? È un ingrato. Egli detesta la luce che lo illumina e loriscalda. Zoilo odia la fonte delle sue fortune
Omero.
Far subire a Josiane ciò che oggi chiameremmo una vivisezionepoternedisporre mentre si contorce sul tavolo
d'anatomiasezionarla vivaper il piacere di un qualsiasi atto chirurgicodilaniarla da dilettante mentre urlaquesto era
il sogno che affascinava Barkilphedro.
Per arrivare a questo risultato avrebbe dovuto soffrire un po'ma la cosanon gli sarebbe dispiaciuta. Ci si può pizzicare
con la propria tenaglia. Che importa se il coltello piegandosi vi taglia ledita! Rimanere un po' preso nella tortura di
Josiane non lo avrebbe preoccupato. Il carnefice che maneggia il ferrorovente si brucia inevitabilmente anche luima
non vi fa caso. L'altro soffre di piùper questo non si sente nulla. Vedereil suppliziato che si contorce vi toglie il
dolore.
Fai ciò che nuoceavvenga quel che può.
Costruire il male significa accettare una cupa responsabilità. Il pericoloche facciamo correre agli altri rischia di
coinvolgerciperché l'intreccio dei fatti può portare a crolli imprevisti.Ma questo non ferma il vero malvagio.
L'angoscia della vittima diventa il suo piacere. Lo strazio lo solletica;solo nell'orrore il malvagio è contento. Il
riverbero del supplizio è la sua salute. Il duca d'Alba si riscaldava lemani sui roghi. Fuocodolore; riflessopiacere. C'è
da rabbrividire al pensiero che siano possibili simili trasposizioni. Esistein noi un lato tenebroso che non è sondabile.
Supplizio squisitoquesta espressione si trova in Bodinforse con untriplice significato: ricerca del tormentosofferenza
del tormentatovoluttà del tormentatore. Ambizioneappetitoqueste parolesignificano che qualcuno viene sacrificato
perché qualcun'altro ne provi piacere. È ben triste pensare che la speranzapossa avere la forma della perversione.
Volerne a qualcuno significa volere il suo male. Perché non volere il suobene? Forse che la nostra volontà è
essenzialmente malvagia? Una delle più ingrate fatiche del giusto consistenel togliersi ogni volta dall'anima una
cattiveria inesauribile. Quasi tutti i nostri desiderise li esaminiamosono inconfessabili. Per il perfetto malvagioe
questo tipo di orribile perfezione esiste«tanto peggio per gli altri»significa «tanto meglio per me». Oscurità dell'uomo.
Caverne.
Josiane aveva quell'intrepida sicurezza che è data da un orgoglio fattod'ignoranza e di disprezzo per tutto. Le donne
hanno uno straordinario talento nel disprezzare. Disprezzo inconsapevoleinvolontario e fiduciosoecco cos'era Josiane.
Per lei Barkilphedro era quasi un oggetto. Si sarebbe stupita davvero se leavessero detto che esisteva un certo
Barkilphedro.
Andava e veniva ridendodavanti allo sguardo obliquo di quell'uomo.
Egliassortoaspettava l'occasione.Col passare del tempo aumentava la suadeterminazione di gettare la vita di quella donna nella disperazionequalunque
fosse.
Agguato inesorabile.
D'altronde sapeva trovare per se stesso degli eccellenti motivi. Non bisognacredere che i furfanti non si tengano in
considerazione. Essi si giustificano nel corso di alteri monologhie conquale superbia. Ma come! Quella Josiane si era
permessa di fargli l'elemosina! Gli aveva lasciato caderecome se fosse unmendicantepochi quattrini della sua enorme
ricchezza! L'aveva fissato e inchiodato a un posto inutile! Se luiBarkilphedroquasi un uomo di chiesadalle
multiformi e profonde capacitàaveva come compito di registrare dei coccibuoni per grattare la rogna di Giobbese
passava la vita in una topaia d'archivio a stappare seriamente delle stupidebottiglie incrostate con tutto il sudiciume del
maree a decifrare pergamene ammuffiteoscure putrefazionila feccia deitestamenti e chissà quali sciocchezze
illeggibilitutto questo accadeva per colpa di quella Josiane. Ma come! Eaveva il coraggio di dargli del tu!
E non avrebbe dovuto vendicarsi!
Non avrebbe dovuto punire quella razza!
Ahquesta poi! Dunque non c'è più giustizia a questo mo ndo!
X • LO SFAVILLIO CHE VEDREMMO SE L'UOMO FOSSE TRASPARENTE
Come! Quella donnaquella stravagantequella sognatrice lubricaverginefino alla prima occasionequel pezzo di
carne che ancora non si era offertaquella sfrontata con in capo una coronaprincipescaquella Diana orgogliosa non
ancora presa dal primo venutoammettiamoloforsecosì si dice e ci credoin mancanza dell'opportunitàlei bastarda
d'una canaglia di re che non era stato capace di restare al suo postoduchessa per sbaglio chenata nobilesi credeva
una deama che se fosse nata povera sarebbe stata una prostitutaquellacaricatura di ladyladra dei beni di un
proscrittostracciona altezzosaera stata lei che un giorno quando luiBarkilphedronon aveva di che mangiare ed era
senza un tettoaveva avuto l'impudenza di farlo sedere a un angolo della suatavolae poi di cacciarlo in un buco
qualsiasi del suo insopportabile palazzoe dove? Non importa doveforse insoffittaforse in cantinaa chi interessa?
Un po' meglio dei serviun po' peggio dei cavalli! Aveva approfittato dellasua miseriadella miseria di lui
Barkilphedroper affrettarsi a fargli un favorea tradimentocome fanno iricchi per umiliare i poveriper tenerseli
vicino come dei bassotti che si portano al guinzaglio! E cosa le costava poiquel favore? Un favore vale quello che
costa. Le crescevano delle camere in casa. Venire in aiuto di Barkilphedro!Bello sforzo aveva fatto! Aveva rinunciato a
un solo cucchiaio della sua minestra di tartaruga? Si era forse privata diqualcosa in quell'odioso straripare di superfluo?
No. Aveva aggiunto al superfluo una sua vanitàun oggetto di lussounabuona azione come un anello al ditoaveva
soccorso un uomo d'ingegnoprotetto un clergyman! Poteva darsi delle ariedire: sono prodiga in buone azioni
imbocco i letteratili proteggo! Quel miserabile è stato fortunato atrovarmi! Che amica delle arti sono! E tutto questo
per aver fatto preparare una branda in un brutto stanzino sotto il tetto!Quanto al posto all'ammiragliatoquesto lo
doveva proprio a Josianeche diamine! Bell'occupazione! Josiane aveva fattodi Barkilphedro quello che era. Sìed era
un nulla. Meno che nulla. Perché con quel ridicolo incarico egli si sentivapiegatoanchilosato e contraffatto. Cosa
doveva a Josiane? La riconoscenza di un gobbo per la madre che lo ha fattodeforme. Ecco i privilegiatile persone
soddisfattei nuovi ricchii prediletti da una sorte odiosa e matrigna!Mentre luiBarkilphedroun uomo d'ingegnoera
costretto a tirarsi da parte sulle scalea salutare i lacchéa salire lasera un mucchio di gradinie a essere cortese
premurosogentiledeferentegradevolee a tenersi sempre una smorfia dirispetto sul muso! E non c'è di che
schiantare dalla rabbia! E in tutto quel tempo lei si metteva le perle alcollofaceva la smorfiosa con quell'imbecille di
lord David Dirry-Moirla sgualdrina!
Non permettete mai che vi facciano un favore. Ne abuseranno. Non lasciatevicogliere in flagrante delitto d'inedia. Vi
porteranno conforto. Gli era bastato non avere del panee quella donna avevatrovato un pretesto sufficiente per dargli
da mangiare! Ormai era il suo domestico! Un cedimento dello stomaco ed eccoviincatenato per tutta la vita! Essere
riconoscente significa essere sfruttato. I fortunatii potentinonaspettano che il momento in cui voi tendete la mano per
mettervi dentro un soldoe un attimo di viltà da parte vostra per farvischiavie schiavi della peggior specieschiavi
della caritàschiavi costretti ad amare! Che infamia! Che grossolanità!Che affronto alla nostra dignità! È finitaeccovi
condannato per sempre a trovare buono quell'uomo e bella quella donnaarimanere in secondo piano come si addice
agli inferioriad approvaread applaudiread ammiraread incensareaprosternarvia farvi venire i calli sulle
ginocchia a forza di genuflessionia inzuccherare le parole quando vi rodela colleraquando vi tenete nel gozzo grida
di furoree quando sentite dentro una forza selvaggia e una schiuma amarapiù grandi di quelle dell'oceano.
Così i ricchi imprigionano il povero.
La buona azione commessa a vostro danno è un vischio che vi imbratta e viimpantana per sempre.
Un'elemosina è irrimediabile. La riconoscenza paralizza. Il favore aderiscein modo vischioso e ripugnantee vi toglie
ogni libertà di movimento. Lo sanno bene quegli esseri odiosiopulenti erimpinzati che imperversano su di voi con la
loro pietà. Presto fatto. Siete una loro cosa. Vi hanno comprato. Come? Conun osso che hanno preso al loro cane per
darlo a voi. Vi hanno lanciato quell'osso sulla testa. Vi lapidavano mentrevi soccorrevano. Che importa. Avete
rosicchiato l'ossosì o no? Vi hanno dato una cuccia. Dunque ringraziate.Ringraziate per sempre. Adorate i vostri
padroni. Genuflessione infinita. Il favore implica che voi accettiate lavostra inferiorità. Essi esigono che vi sentiate un
povero diavolo e che li riconosciate come dei. Il vostro abbassarvi liinnalza. Il vostro chinarvi li fa più diritti. Nel
suono della loro voce c'è una dolce punta d'impertinenza. Le lorocircostanze familiarimatrimonibattesimila donnaincintale nascitesonotutte cose che vi riguardano. Nasce loro un lupacchiottobenecomporrete unsonetto. La viltà
vi fa poeta. E non ci sarebbe di che far crollare le stelle! Ancora un po' eriuscirebbero a farvi portare le loro scarpe
vecchie!
«Chi è quel tipo che tenete in casamia cara? Com'è brutto! Che razzad'uomo è?».
«Non soè uno scribacchino che mantengo».
Così parlano tra di loro queste oche. E non si curano nemmeno di abbassarela voce. Voi sentite ma non vi muovete
dalla vostra meccanica amabilità. Del restoquando siete malato i padronivi mandano il medico. Non il loro. In quel
caso s'informano sulle vostre condizioni. Non essendo della vostra stessaspecieed essendo inaccessibilisi permettono
di essere affabili. La loro altezza li rende abbordabili. Sanno bene che nonè possibile alcuna parità. A forza di disprezzo
sono educati. A tavola si rivolgono a voi con un piccolo cenno del capo. Avolte conoscono perfino l'ortografia del
vostro nome. Non rivelano la protezione che esercitano su di voi se noncalpestando ingenuamente tutto ciò che avete di
suscettibile e delicato. Vi trattano con bontà!
Non è abbastanza abominevole?
Dunqueera urgente punire quella Josiane. Doveva farle capire con chi avevaa che fare! Ah! Signori ricchi voi
chiamate munificenza il pastone che gettate ai poveri solo perché non poteteconsumare tuttoperché l'opulenza
finirebbe in indigestionedato che i vostri stomaci sono piccoli come inostrie dopo tutto perché è meglio distribuire
gli avanzi piuttosto che perderli. Ah! Voi ci date paneun tettoci date ivestitici date un lavoroe questo vi spinge a
un tal grado di audaciadi folliadi crudeltà e di assurda stupiditàdafarvi credere che noi dobbiamo esservi grati!
Questo pane è un pane da schiaviquesto tetto è la stanza del servoquesti abiti sono livreequesto lavoro è una beffa
pagatad'accordoma vergognosa! Ah! Credete di avere il diritto diumiliarci con vitto e alloggiovoi immaginate che
noi vi siamo debitori e contate sulla nostra riconoscenza! Ma noi vimangeremo la pancia! Ehsì! Vi strapperemo le
budellacara signoravi divoreremo vivacon i denti vi taglieremo i nervidel cuore!
Quella Josiane! Non era un mostro? Che merito aveva? Il suo capolavoro eraconsistito nel venire al mondo per
testimoniare la stupidità del padre e la vergogna della madreci facevaquasi il favore di esisteree questa gentilezza che
era uno scandalo pubblico le veniva pagata milionipossedeva terre ecastelliconigliereriserve di caccialaghiforeste
e che altro? E con tutto ciò era stupida! Le dedicavano dei versi! MentreluiBarkilphedroche aveva studiato e
lavoratoche si era dato da fareche si era ficcato dei gran libri negliocchi e nel cervelloche si era rovinato sui vecchi
testi e sulla scienzache aveva un'intelligenza smisuratain grado dicomandare interi eserciti e di scrivere tragedie
come Otway e Drydensolo che lo avesse volutolui che era nato per essereun imperatoresi era ridotto a permettere
che una nullità totale gli impedisse di crepare di fame! Poteva forsespingersi oltre l'usurpazione di questi ricchi
maledetti figli della fortuna! Fingere di essere generosi con noiproteggerci e sorriderciproprio a noi che volentieri
berremmo il loro sangue per poi leccarci le labbra! Che una miserabile damadi corte disponga dell'odioso potere di
beneficarci e cheal contrarioun uomo superiore sia condannato araccogliere le briciole che cadono da quella mano
c'è forse qualcosa di più spaventosamente ingiusto? E che società quellache arriva a fondarsi su una simile
diseguaglianza e ingiustizia! Non sarebbe il caso di prendere tutto in unavolta e di mandarlo all'ariacosì come vienela
tovaglia con il pranzo e l'orgial'ebbrezza e l'ubriachezzae i convitatiquelli che stanno con i gomiti sulla tavola e
quelli che vi si accucciano sottoe poi gli insolenti che elargiscono e gliidioti che accettanoe risputare tutto in faccia a
Dioe scagliare la terra in cielo! Nell'attesaaffondiamo gli artigli suJosiane.
Questo pensava Barkilphedro. Questi erano i ruggiti che aveva nell'anima. Gliinvidiosi hanno l'abitudine di assolversi
mescolando il risentimento personale ai mali pubblici. In quella feroceintelligenza andava e veniva ogni sorta di
passione selvaggia e odiosa. In un angolo dei vecchi mappamondi del XV secoloc'è un ampio spazio vagosenza forma
e senza nomedove si trovano scritte queste tre parole: Hic sunt leones.Anche nell'uomo c'è un simile angolo scuro. In
qualche parte di noi le passioni si aggirano ringhiandoanche di un certolato scuro della nostra anima si può dire: Qui
ci sono i leoni.
Era del tutto assurdo quell'insieme di ragionamenti primitivi? Mancava forsedi un certo giudizio? Nodobbiamo
ammetterlo.
È spaventoso pensare che il giudizio che ci portiamo dentro non è lagiustizia. Il giudizio è relativo. La giustizia è
l'assoluto. Riflettete sulla differenza tra un giudice e un giusto.
I malvagi malmenano la coscienza con autorità. C'è una vera ginnastica delfalso. Il sofista è un falsarioe se capita
questo falsario sa brutalizzare il buon senso. Il male dispone di una certalogica duttilissimainesorabile e agilissima
con cui eccelle nell'arte di ferireal riparo delle tenebrela verità.Sono i pugni sinistri che Satana dà a Dio.
Quel tale sofistaammirato dagli sciocchinon ha altra gloria che averprocurato dei «lividi» alla coscienza umana.
Il fatto desolante è che Barkilphedro presentiva un fallimento. Stavaintraprendendo un vasto lavoro macosì almeno
temevaper un danno marginale. Essere un uomo corrosivoavere in sé unavolontà d'acciaioun odio adamantino
un'ardente curiosità della catastrofee non avere niente da bruciareniente da decapitareniente da sterminare! Essere
ciò che erauna forza di devastazioneuna vorace animositàun roditoredella felicità altruiessere stato creato - (perché
un creatore esistenon importa se il diavolo o Dio!) - essere stato creatodi sana pianta Barkilphedroper non arrivare a
dare forse che un solo buffetto; è mai possibile! Barkilphedro fallirebbe ilcolpo! Essere una macchina fatta per lanciare
blocchi di rocciae dispiegare tutta la propria forza per fare un bernoccoloin fronte a una smorfiosa! Una catapulta che
fa il danno di un buffetto! Compiere una fatica di Sisifo per un risultato daformica? Sudare tutto il proprio odio quasi
per niente! È abbastanza umiliante quando si è una macchina d'odio capacedi frantumare il mondo! Mettere in
movimento tutti gli ingranaggifare nell'ombra un fracasso da macchina diMarlyper riuscireforsea pizzicare lapunta di un roseo ditino! Girava erigirava dei blocchi per arrivare a increspare un po'forsela piattasuperficie di corte!
È una mania di Dio quella di disperdere senza misura le forze. Una montagnasi muove per mandare all'aria la buca di
una talpa.
E poitrattandosi della corteche è un terreno bizzarronon c'è nientedi più pericoloso che mirare il proprio nemico e
mancarlo. Prima di tutto ciò vi smaschera davanti al vostro nemicoirritandolo; inoltree soprattuttociò dispiace al
padrone. Ai re non vanno le persone maldestre. Niente contusioni; né brutticazzotti. Potete sgozzare chiunquema non
fate sanguinare il naso a nessuno. Chi uccide è abilechi ferisce èinetto. Ai re non piace che si azzoppino i loro
domestici. Non vi perdonano sia che gli incriniate una porcellana sulcaminettoche un cortigiano del loro seguito. La
corte deve restare pulita. Rompete e sostituite; si fa così.
Questo d'altra parte si concilia perfettamente con il gusto per la maldicenzache hanno i principi. Potete parlar malenon
fare il male. Mase voletefatelo in grande.
Pugnalatema non graffiate. A meno che la spilla non sia avvelenata. Questaè una circostanza attenuante. Questo
ricordiamoloera il caso di Barkilphedro.
Ogni pigmeo che odia è la fiala dove sta rinchiuso il drago di Salomone.Fiala microscopicadrago smisurato.
Condensazione formidabile in attesa della gigantesca ora della dilatazione.Noia che la premeditazione dell'esplosione
consola. Il contenuto è più grande del contenente. Un gigante latentechestranezza! Un acaro che racchiude un'idra!
Essere una spaventosa scatola a sorpresaportare in sé Leviathanchevoluttuosa tortura per un nano.
Così niente avrebbe fatto mollare la presa a Barkilphedro. Aspettava il suomomento. Sarebbe arrivato? Che importa.
Lo aspettava. La grande malvagità è fatta d'amor proprio. Scavare buchi efosse sotto una fortuna che a corte sta più in
alto di noiminarla a proprio rischio e pericolopur rimanendo nascostièe va sottolineatouna cosa interessante. Ci si
appassiona a un gioco simile. Ci si fa prendere come se scrivessimo un poemaepico. Essere piccolis simi e affrontare
qualcuno molto più grande è un'azione formidabile. È bello essere la pulcedi un leone.
La bestia superba si sente punta e scatena la sua enorme collera control'atomo. L'incontro con una tigre l'infastidirebbe
di meno. E così i ruoli s'invertono. Il leone porta nella carne l'umiliantepungiglione dell'insettoe la pulce può dire: ho
in me il sangue del leone.
Ma per l'orgoglio di Barkilphedro questo non era che un sollievo a metà.Consolazioni. Palliativi. Punzecchiare è
qualcosama è meglio torturare. Alla mente di Barkilphedro tornavacontinuamente lo spiacevole pensiero checon
ogni probabilitàil suo unico successo sarebbe consistito nello scalfire unpo' l'epidermide di Josiane. Che altro poteva
sperare di piùlui così infimo contro lei così radiosa? Un graffio ètroppo poco per chi vorrebbe tutta la porpora della
scorticatura vivae i ruggiti di una donna più che nudauna donna senzapiù neppure la camicia della pelle! Quando si
hanno simili desideri è increscioso essere impotenti! Ahimè! Niente èperfetto.
Insommasi rassegnava. Non potendo fare di megliosognava il suo sogno ametà. Giocare un brutto tiro è pur sempre
qualcosa.
Che uomoquello che sa vendicarsi di un favore. Di solito l'ingratitudineconsiste nel dimenticare; ma nei campioni del
male diventa furore. L'ingrato volgare è colmo di cenere. Ma cosa riempivaBarkilphedro? Una fornace. Una fornace
murata d'odiodi colleradi silenziodi rancorein attesa del suocombustibileJosiane. Mai un uomo aveva provato
tanto orrore per una donnae senza motivo. Che cosa terribile! Lei era lasua insonniala sua preoccupazioneil suo
tormentola sua rabbia.
Forse ne era un po' innamorato.
XI • BARKILPHEDRO IN AGGUATO
Trovare il punto debole di Josiane e lì colpirla; questa eraper tutti imotivi che abbiamo dettol'imperturbabile volontà
di Barkilphedro.
Volere non basta; bisogna potere.
Da che parte iniziare?
Quello era il problema.
I mascalzoni di poco conto preparano accuratamente il canovaccio del delittoche vogliono commettere. Non si sentono
abbastanza forti per cogliere l'occasione quando si presentaperimpossessarsene con le buone o con le cattivee per
piegarla ai loro progetti. Da qui nascono quei calcoli preliminari che i verimalvagi disprezzano. I veri malvagi sono
sempre prontia prioricon la loro malvagità; si limitano adarmarsi di tutto puntohanno scorte multiformi ecome
Barkilphedrospiano tranquillamente l'occasione. Sanno bene che un pianopreparato in anticipo rischia di non adattarsi
alle situazioni che si presenteranno. Non si comanda alle possibilità e nonsi può fare ciò che si vuole. Non si viene a
patti preventivi col destino. Il domani non ci obbedisce. Il caso è alquantoindisciplinato.
Così gli fanno la postaper domandargli la sua collaborazione senzapreambolisul campo e con autorità. Nessun piano
nessun disegnoniente progettinessuna scarpa già pronta che poil'imprevisto non riesce a calzare. Essi si tuffano a
picco nelle nefandezze. Approfittare con tempestività di qualsiasi fatto chepossa essere d'aiuto dipende da quell'abilità
che distingue il malvagio efficacee che eleva il furfante alla dignità diun demonio. Ci vuole del genio per assecondare
il destino.
Il vero scellerato vi colpisce come una fiondacon il primo sasso che glicapita.
I malfattori abili contano sull'imprevistoattonito aiutante di tanticrimini.
Agguantare l'occasionesaltarle addosso; non c'è altra Poetica in questogenere di talento.Enell'attesasapere con chi si ha a che fare. Sondare ilterreno.
Il terreno di Barkilphedro era la regina Anna.
Barkilphedro era vicino alla regina.
Tanto vicino chea voltecredeva di udire i monologhi di sua maestà.
Qualche volta assistevacome se non ci fossealle conversazioni tra le duesorelle. Non gli veniva proibito di lasciar
cadere una parola. Egli ne approfittava per mostrarsi umile. Era un modo perispirare confidenza.
Fu così che un giornonel giardino di Hampton-Courtstando dietro laduchessache era dietro la reginaudì Anna
mentre sentenziava; seguendo rozzamente la moda.
«Le bestie sono fortunate»diceva la regina«perché non rischiano diandare all'inferno».
«Vi sono già»rispose Josiane.
La rispostache sostituiva bruscamente la filosofia alla religionenonpiacque. Se per caso c'era qualche intenzione
profondaAnna ne rimaneva urtata.
«Mia cara»disse Josiane«noi parliamo dell'Inferno come due sciocche.Domandiamo a Barkilphedro come stanno le
cose. Lui deve intendersene di questi problemi».
«Come diavolo?»domandò Josiane.
«Come bestia»rispose Barkilphedro.
E salutò.
«Signora»disse la regina a Josiane«egli è più in gamba di noi».
Per un uomo come Barkilphedrostare vicino alla regina significava tenerlain pugno. Poteva dire: è mia. Ora gli
mancava l'occasione di servirsene.
Aveva voce a corte. Che cosa superba essere in agguato. Nessuna occasionepoteva sfuggirgli. Più di una volta aveva
provocato il perfido sorriso della regina. Era come avere un permesso dicaccia.
Ma c'erano limiti alla selvaggina? Quel permesso di caccia si sarebbe spintofino a concedergli di spezzare un'ala o una
zampa a qualcuno come la sorella in persona di sua maestà?
Primo punto da chiarire. La regina amava sua sorella?
Un passo falso può rovinare tuttoBarkilphedro stava ad osservare.
Prima di iniziare la partita il giocatore guarda le sue carte. Quali sono lesue possibilità? Barkilphedro incominciò con
l'esaminare l'età delle due donne: Josianeventitré anni; Anna quarantuno.Bene. Le sue carte erano buone.
Il momento in cui la donna smette di contare per primavere e inizia a contareper inverniè irritante. Si cova dentro di sé
un sordo rancore. Le giovani dalla bellezza rigogliosache sono un profumoper gli altriper voi sono spinee di tutte
quelle rose voi non sentite che le punture. È come se tutta quellafreschezza fosse stata presa a voicome se il diminuire
della vostra bellezza dipendesse dal crescere di quella degli altri.
Sfruttare quel cattivo umore segretoapprofondire le rughe di una donna diquarant'anni che è reginaquesta era la
strada maestra di Barkilphedro.
L'invidia è brava nell'eccitare la gelosiacome il topo nel far uscire ilcoccodrillo.
Lo sguardo magistrale di Barkilphedro era incollato su Anna.
Egli guardava dentro la regina come in un'acqua stagnante. Anche le paludihanno una loro trasparenza. Nell'acqua
sporca si vedono i vizi; nell'acqua torbida le inezie. Anna era solo un'acquatorbida.
Nell'ottusità di quel cervello si muovevano embrioni di sentimenti e larvedi idee.
Qualcosa d'indistinto. Contorni appena abbozzati. Erano comunque dellerealtàma informi. La regina pensava questo.
La regina desiderava quest'altro. Era difficile precisare cosa. Non èagevole studiare le trasformazioni confuse che
avvengono nell'acqua stagnante.
La reginadi carattere solitamente ombrosoaveva ogni tanto delle uscitestupide e brusche. A quelle bisognava
attaccarsi. Bisognava coglierla sul fatto.
Cosa provava la regina Anna nel proprio intimo nei confronti della duchessaJosiane? Le voleva bene o l'odiava?
Un bel problema. Barkilphedro se lo pose.
Una volta risoltoci si potrebbe spingere più lontano.
Diverse circostanze fortuite aiutarono Barkilphedro. Ma soprattutto la suatenacia nel restare in agguato.
Da parte del maritoAnna aveva una mezza parentela con la nuova regina diPrussiala moglie del re dai cento
ciambellanidi cui aveva un ritratto dipinto su smaltosecondo ilprocedimento di Turquet de Mayerne. Anche la regina
di Prussia aveva una sorella minore illegittimala baronessa Drika.
Un giorno in cui Barkilphedro era presenteAnna rivolse all'ambasciatore diPrussia alcune domande su quella Drika.
«Passa per ricca?».
«Ricchissima»rispose l'ambasciatore.
«Possiede dei palazzi?».
«Più splendidi di quelli della regina sua sorella».
«Chi deve sposare?».
«Un gran signoreil conte Gormo».
«Bello?».
«Affascinante».
«E lei è giovane?».
«Giovanissima».«Bella come la regina?».
L'ambasciatoreabbassando la vocerispose:
«Più bella».
«Che insolenza»mormorò Barkilphedro.
La regina tacquepoi esclamò:
«Queste bastarde!».
A Barkilphedro non sfuggì quel plurale.
Un'altra voltamentre uscivano dalla cappella e Barkilphedro era vicinissimoalla reginaappena dietro i due grooms
dell'elemosinerialord David Dirry-Moir attraversò alcune file di donnefacendo sensazione per il suo bell'aspetto. Al
suo passaggio si levò un gran clamorele donne esclamavano: «Com'èelegante!» - «Com'è galante!» - «Che
portamento!» - «Com'è bello!».
«Com'è sgradevole!»borbottò la regina.
Barkilphedro udì.
Era chiaro.
Si poteva dunque nuocere alla duchessa senza dispiacere alla regina.
Il primo problema era risolto.
Adesso toccava al secondo.
Come fare per nuocerle?
Che risorsa poteva offrirgli per uno scopo così difficile il suo miserabileimpiego?
Evidentemente nessuna.
XII • SCOZIAIRLANDA E INGHILTERRA
Aggiungiamo un dettaglio: Josiane «aveva la ruota».
È comprensibilese pensiamo cheper quanto illegittimaera pur sempresorella della reginacioè una principessa.
Avere la ruota. Che significa?
Il visconte di Saint John - pronunciate Bolingbroke - scriveva a ThomasLennardconte di Sussex: «Sono due i segni
della grandezza. Avere la ruota in Inghilterra; avere il per inFrancia».
Il perin Franciavoleva dire: quando il re era in viaggioe versosera si era arrivati a destinazioneil furiere di corte
assegnava le camere alle persone del seguito. Alcuni di loro godevano di unimmenso privilegio: «Essi hanno il per»
dice il Giornale Storico dell'anno 1694a pagina 6«il che significa cheil furiere che annota gli alloggi mette un Per
davanti al loro nomecome: Per il signor principe di Soubisementrequando annota l'alloggio di qualcuno che non è
principenon mette il Perma semplicemente il suo nomeper esempio:il duca di Gesvresil duca di Mazarin ecc.». Il
Per su una porta indicava un principe o un favorito. Favoritoè peggiodi principe. Il re concedeva il per come l'ordine
di Santo Spirito o la parìa.
«Avere la ruota» in Inghilterra era un fatto meno di vanità che disostanza. Era il segno di un'autentica familiarità con la
persona regnante. Chiunqueper nascita o per concessionefosse incondizione di ricevere comunicazioni dirette da sua
maestàaveva nel muro della propria camera da letto una ruota con uncampanello. Il campanello suonavala ruota
giravae appariva il messaggio realesu un vassoio d'oro o su un cuscino divellutopoi la ruota si richiudeva. Era una
cosa intima e solenne. Il mistero nell'intimità familiare. La ruota nonserviva ad altro. Il suo scampanellio annunciava
un messaggio del re. Non si vedeva chi lo portava. Del resto si trattavasemplicemente di un paggio del re o della regina.
Leicester aveva la ruota sotto Elisabettae Buckingham sotto Giacomo I.Josianebenché non si possa certo parlare di
una favorital'aveva sotto Anna. Avere la ruota era come essere incomunicazione diretta con il cieloogni tanto Dio in
persona inviava una lettera tramite il suo postino. Era l'eccezione piùinvidiata. Un privilegio che comportava un
maggior servilismo. Si diventava un po' più lacché. A corteciò che elevaabbassa. «Avere la ruota» lo si diceva in
francese; questo particolare dell'etichetta inglese derivava probabilmente dauna vecchia consuetudine francese.
Lady Josianevergine pari come Elisabetta era stata vergine reginaconduceva un'esistenza quasi principescasia in
città che in campagnatenendo una specie di cortedove lord David e moltialtri erano cortigiani. Dal momento che non
erano ancora sposatilord David e lady Josiane potevanosenza coprirsi diridicolomostrarsi insieme in pubblicocosa
che facevano volentieri. Si recavano spesso a teatro e alle corse con lastessa carrozza e nel medesimo palco. A
raffreddarli era proprio quel matrimonionon solo permessoma imposto;insomma trovavano divertente vedersi. Le
libertà che si concedono agli «engaged» hanno frontiere facilmentesuperabili. Essi se ne astenevanoperché ciò che è
facile è di cattivo gusto.
A quel tempo i migliori incontri di pugilato si tenevano a Lambethlaparrocchia dove l'arcivescovo di Canterbury
possiede un palazzobenché vi sia un'aria malsanae una ricca bibliotecachea certe oreè aperta ai galantuomini. Una
voltad'invernoproprio lìin un angolo di prato chiuso a chiaveci fuun combattimento tra due uominia cui assistette
Josianeaccompagnata da David. Aveva domandato: «Sono ammesse le donne?».David aveva risposto: «Sunt foeminae
magnates». Traducendo liberamente: Non le borghesi. Traduzioneletterale: Le gran dame sono una realtà a parte. Una
duchessa entra dovunque. Così lady Josiane assistette all'incontro.
La sola concessione di lady Josiane fu un abito da cavalierecosa molto dimoda a quei tempi. Le donne non
viaggiavano quasi altrimenti. Su sei persone del coach di Windsorerararo che non ci fossero almeno una o due donne
vestite da uomini. Era un segno di gentry.Poiché lord David era incompagnia di una donnaegli non poteva figurare nell'incontropoteva soloassistervi.
Lady Josiane tradiva la sua condizione solo per il fatto di guardareattraverso un occhialinoatteggiamento questo da
signori.
Il «nobile incontro» era presieduto da lord Germainebisnonno o prozio diquel lord Germaine cheverso la fine del
diciottesimo secolofu colonnellofuggì durante una battagliapoi divenneministro della guerra e non sfuggì ai
proiettili del nemico che per cadere sotto i sarcasmi di Sheridancolpi benpiù terribili. C'erano molti gentiluomini che
scommettevano; Harry Bellew di Carletonche aspirava alla paria estinta diBella-Aquacontro Henrylord Hyde
membro del parlamento per il borgo di Dunhividchiamato anche Launceston;l'onorevole Peregrine Bertiemembro
per il borgo di Trurocontro sir Thomas Colepepermembro per Maidstone; il lairddi Lamyrbauche appartiene alla
marca di Lothiamcontro Samuel Trefusisdel borgo di Penryn; sirBartholomew Gracedieudel borgo Saint-Yves
contro il molto onorevole Charles Bodvilleche si chiama lord Robarteseche è Custos Rotulorum della contea di
Cornovaglia. E altri ancora.
I due pugili erano un irlandese di Tipperarychiamato Phelem-ghe-madone dalnome della montagna dove era natoe
uno scozzese chiamato Helmsgail. Erano di fronte due orgogli nazionali.Irlanda e Scozia stavano per picchiarsi; Erin si
preparava a sferrare pugni contro Gajothel. Le scommesse superavano lequarantamila ghineesenza contare le giocate
fisse.
I due campioni erano nudicon calzoncini cortissimi allacciati sui fianchie con stivaletti a suole chiodate allacciati alle
caviglie.
Helmsgaillo scozzeseera un piccoletto di soli diciannove annima con lafronte già piena di cicatrici; per questo era
quotato a due e un terzo. Il mese prima aveva sfondato una costola e cavatogli occhi a un pugile di nome
Sixmileswater; ciò spiegava l'entusiasmo nei suoi confronti. Quelli cheavevano scommesso per lui avevano guadagnato
dodicimila sterline. Oltre alle cicatrici della fronteHelmsgail aveva unamascella fratturata. Egli era svelto e vivace.
Era alto come un donninotarchiatotozzobasso di statura e minacciosoniente era andato perso della stoffa di cui era
fatto; non un muscolo che servisse ad altro tranne che al pugilato. Lacoincisione di quel torso fermolucido e bruno
come il bronzo. Quando sorrideva il suo sorriso si arricchiva dei tre dentiche gli mancavano.
Il suo avversario era grande e largocioè debole.
Era un uomo di quarant'anni. Era alto sei piediaveva il petto di unippopotamo e l'aspetto mite. Un suo pugno avrebbe
spezzato il ponte di una navema non sapeva darlo. L'irlandesePhelem-ghe-madone era soprattutto una superficie e il
suo scopo nel pugilato sembrava piuttosto quello di prendere che di darecolpi. Ci si accorgeva però che sarebbe durato
a lungo. Era una specie di rostbeef poco cottodifficile da addentare eimpossibile da mangiare. Era ciò chein dialetto
si chiama raw fleshcarne cruda. Era strabico. Sembrava rassegnato.
I due uomini avevano trascorso la notte precedente fianco a fianco nellostesso lettodormendo insieme. Ciascuno dei
due aveva bevuto tre dita di Porto dal medesimo bicchiere.
Avevano entrambi un codazzo di sostenitorigente dall'aspetto rudecapacein caso di necessitàdi minacciare gli
arbitri. Tra i sostenitori di Helmsgail si faceva notare John Gromanefamosoperché era in grado di portare un bue sulle
spallee un certo John Bray che un giorno si era preso in spalla dieci moggidi farina da quindici galloni l'unoe in più
anche il mugnaioe aveva fatto con quel carico più di duecento passi. Tra isostenitori di Phelem-ghe-madonelord
Hyde aveva portato da Launceston un certo Kilterche abitava al CastelloVerdee che sapeva lanciare al di sopra della
sua spalla una pietra di venti libbre più in alto della più alta torre delcastello. I tre uominiKilterBray e Gromane
erano della Cornovagliail che fa onore alla contea.
Gli altri sostenitori erano dei bravacci dalle reni robustele gambearcuatecon manacce nodosela faccia stupida
coperti di straccie che non avevano paura di nienteessendo quasi tuttipregiudicati.
Molti erano abilissimi nell'ubriacare gli agenti di polizia. Ogni professionerichiede dei talenti.
Il prato scelto per l'incontro era più lontano del Giardino degli Orsidoveun tempo si facevano combattere gli orsii
tori e i canial di là degli ultimi edifici in costruzionedi fianco airesti del priorato di Santa Maria Over Rydistrutto da
Enrico VIII. Aveva soffiato il vento del nord e aveva brinato; cadeva unapioggia sottile che subito gelava. Tra i signori
presenti i padri di famiglia erano facilmente riconoscibili perché tenevanol'o mbrello aperto.
All'angolo di Phelem-ghe-madone c'era il colonnello Moncreifarbitroe lordDesertumda Kilcarryper tenere il
ginocchio.
Per qualche istante i due pugili restarono immobili nel recinto mentre siregolavano gli orologi. Poi si avvicinarono e si
diedero la mano.
Phelem-ghe-madone disse a Helmsgail: «Preferirei andarmene a casa».
Helmsgail rispose con sincerità: «La gentry non si scomoda pernulla».
Nudi com'erano avevano freddo. Phelem-ghe-madone tremava. Batteva i denti.
Il dottor Eleanor Sharpnipote dell'arcivescovo di Yorkgridò loro:«Picchiateviragazzi. Vi scalderete».
La battuta li sgelò.
Si attaccarono.
Ma nessuno dei due era arrabbiato. Le prime tre riprese furono fiacche. Ilreverendo Dottor Gumdraithuno dei quaranta
membri dell'All Souls Collegesgridò: «Riempiteli di gin!».
Ma i due referees e i due padrinitutti e quattro giudicirispettarono il regolamento. Tuttavia faceva molto freddo.
Si udì gridare: first blood! Si esigeva il primo sangue. Furonoricollocati uno bene in faccia all'altro.Si squadraronosi avvicinaronoallungarono le bracciaincrociarono i pugnipoi indietreggiarono. A un tratto
Helmsgailil piccolosi lanciò in avanti.
Iniziava il vero combattimento.
Phelem-ghe-madone fu colpito in piena frontetra le sopracciglia. Il voltosi riempì di sangue. La folla gridò:
«Helmsgail ha versato il bordeaux!». Applaudirono. Phelem-ghe-madoneruotò le braccia come pale di mulinotirando
colpi a caso.
L'onorevole Peregrine Bertie disse: «Accecato. Ma non ancora cieco».
Allora Helmsgail sentì esplodere da tutte le parti questo incoraggiamento: «Bunghis peepers!». Insomma i due erano
veramente ben sceltie benché il tempo fosse poco propizioera chiaro chel'incontro sarebbe riuscito bene. Il quasi
gigantesco Phelem-ghe-madone scontava gli inconvenienti delle sue doti; simuoveva lentamente. Le sue braccia erano
mazzema il corpo era un sacco. Il piccolo correvacolpivasaltavadigrignava i dentiraddoppiava la forza con la
velocitàconosceva il mestiere. Da una parte il pugno primitivoselvaggiorozzoallo stato brado; dall'altra il pugno
civilizzato. Helmsgail combatteva sia con i nervi che con i muscolicon lasua malvagità oltre che con la forza; Phelem-ghe-
madone era un picchiatore inertegià un po' suonato. La tecnica contro lanatura. L'uomo feroce contro l'uomo
barbaro.
Era evidente che il barbaro sarebbe stato sconfitto. Ma non molto allasvelta. Da qui l'interesse.
Il piccolo contro il grande. Il piccolo è favorito. Il gatto ha ragione delcane. I Golia sono sempre battuti dai Davide.
Una grandine d'incitamenti cadeva sui combattenti: «BravoHelmsgail!Good! Well doneHighlander! NowPhelem!».
E gli amici di Helmsgail gli ripetevano benevolmente quell'esortazione:«Cavagli gli occhi!».
Helmsgsail fece di meglio. Si abbassò bruscamente e si raddrizzò con lasinuosità del rettilecolpendo Phelem-ghe-madone
allo sterno. Il colosso barcollò.
«Colpo irregolare!»gridò il visconte Bernard.
Phelem-ghe-madone si piegò sul ginocchio di Kilter dicendogli: «Comincio ariscaldarmi».
Lord Desertum consultò i referees e disse «Cinque minuti di rond».
Phelem-ghe madone stava male. Kilter gli asciugò il sangue dagli occhi e ilsudore dal corpo con una flanellae gli mise
un collo di bottiglia in bocca. Si era all'undicesimo scontro.Phelem-ghe-madoneoltre alla ferita in fronteaveva il
petto segnato dai colpiil ventre tumefatto e il sincipite contuso.Helmsgail non aveva niente.
Tra i gentiluomini scoppiò un certo tumulto.
Lord Bernard ripeteva: «Co lpo scorretto».
«La scommessa è nulla»disse il laird di Lamyrbau.
«Rivoglio la mia posta»soggiunse sir Thomas Colepeper.
E l'onorevole membro per il borgo Saint-Yvessir Bartholomew Gracedieuaggiunse:
«Restituitemi le mie cinquecento ghineeme ne vado».
«Sospendete l'incontro»gridarono i presenti.
Ma Phelem-ghe-madone si alzò vacillando quasi come un ubriaco e disse:
«Continuiamo l'incontroa una condizione. Anche a me verrà data lapossibilità di tirare un colpo scorretto».
«Concesso»gridarono da ogni parte.
Helmsgail alzò le spalle.
Trascorsi cinque minutisi ricominciò.
Il combattimento per Phelem-ghe-madone era un'agoniaper Helmsgail era ungioco.
Quando si dice la scienza! Il piccoletto trovò il modo di mettere il grandein chancerycioè improvvisamente Helmsgail
prese il testone di Phelem-ghe-madone sotto il braccio sinistrocurvato comeuna morsa d'acciaioe lo tenne sotto
l'ascellacon il collo piegato e la nuca bassamentre gli sfasciavacomodamente la faccia con la destracadendo e
ricadendo come un martello su un chiodoma dal basso in altopartendo dasotto. Quando Phelem-ghe-madone
finalmente liberorisollevò la testanon aveva più volto.
Quello che era stato un nasodue occhi e una boccaaveva ora la forma diuna spugna nerazuppa di sangue. Sputò. Si
videro quattro denti per terra.
Poi cadde. Kilter lo prese sul suo ginocchio.
Helmsgail era stato appena toccato. Aveva qualche livido di nessun conto e ungraffio su una clavicola.
Nessuno aveva più freddo. Helmsgail era dato a sedici e un quarto controPhelem-ghe-madone.
Harry di Carleton esclamò:
«Phelem-ghe-madone è finito. Scommetto su Helmsgail la mia paria diBella-Aqua e il mio titolo di lord Bellow contro
una vecchia parrucca dell'arcivescovo di Canterbury».
«Dai qui il tuo muso»disse Kilter a Phelem-ghe-madone edopo averficcato la flanella insanguinata nella bottiglialo
ripulì con il gin. Riapparve la boccae Phelem-ghe-madone aprì unapalpebra. Le tempie sembravano incrinate.
«Ancora una ripresaamico»disse Kilter. E aggiunse: «Per l'onore delpopolino».
Gallesi e irlandesi s'intendono; tuttavia Phelem-ghe-madone non diede alcunsegno di aver capito.
Phelem-ghe-madone si rialzòsostenuto da Kilter. Era la venticinquesimaripresa. Dal modo in cui quel ciclopegli era
infatti rimasto un occhio solosi rimise in posizionetutti capirono cheera finitae nessuno dubitò che fosse perduto.
Alzò la guardia sopra il mentoe fu la goffaggine di un moribondo.Helmsgailappena sudatogridò: «Scommetto per
me. Mille contro uno».
Helmsgail alzò il braccio e colpìmastranamentecaddero entrambi. Siudì un grugnito di soddisfazione.Era di Phelem-ghe-madonecontento.
Egli aveva approfittato del terribile colpo che Helmsgail gli aveva datosulla testaper rifilargliene unoscorretto
all'ombelico.
Helmsgail a terra rantolava.
I presenti guardarono Helmsgail a terra e dissero: «Ripagato».
Tutti batterono le manianche quelli che avevano perso.
Phelem-ghe-madoneagendo nel suo dirittoaveva restituito scorrettezza perscorrettezza.
Portarono via Helmsgail su una barella. Era chiaro che non si sarebberipreso. Lord Robartes esclamò: «Vinco
milleduecento ghinee». Phelem-ghe-madone sarebbe rimasto evidentementestorpio per tutta la vita.
UscendoJosiane prese il braccio di lord Davidcosa tollerata tra«engaged». Gli disse:
«Molto bello. Ma...».
«Ma cosa?».
«Pensavo che mi avrebbe sollevato dalla noia. E inveceno».
Lord David si fermòguardò Josianechiuse la bocca e gonfiò le guancescuotendo la testavolendo dire: attenzione!
Poi disse alla duchessa:
«Per la noia non c'è che un rimedio».
«Quale?»
«Gwynplaine».
La duchessa domandò:
«Che cos'è Gwynplaine?».
LIBRO SECONDO • GWYNPLAINE E DEA
I • DOVE SI VEDE IL VOLTO DI COLUI DI CUI NON ABBIAMO VISTO ALTRO CHE LEAZIONI
La natura era stata prodiga di favori con Gwynplaine. Lo aveva fornito di unabocca che gli arrivava alle orecchiedi
orecchie che si ripiegavano fin sugli occhidi un naso informe fatto appostaper le acrobazie degli occhiali di un
pagliaccioe di un volto che era impossibile guardare senza ridere.
Come abbiamo dettola natura aveva colmato Gwynplaine di doni. Ma sitrattava proprio della natura?
Non era stata forse aiutata?
Occhi simili a finestriniuno iato come boccauna protuberanza camusa condue fori che erano le nariciil volto
schiacciato e tutto ciò non aveva altro scopo che far ridere. È certo chela natura non produce da sola simili capolavori.
Mail riso è sinonimo di gioia?
Se davanti a quel saltimbanco - perché era un saltimbanco - si lasciava chela prima impressione di allegria svanissee
se si osservava con attenzione quell'uomoera possibile riconoscervi letracce dell'artificio. Un volto così non è casuale
ma voluto. Quel grado di perfezione non è naturale. L'uomo è impotente perquanto riguarda la sua bellezzama può
tutto in fatto di bruttezza. Con il profilo di un ottentotto non farete certoun profilo romanoma da un naso greco potete
ricavarne uno calmucco. Basta cancellare la radice del naso e schiacciare lenarici allargandole. Non per nulla il latino
volgare del Medioevo ha creato il verbo denasare. Dunque Gwynplaine dabambino era risultato tanto degno
d'attenzione da spingere qualcuno a modificargli il volto? Perché no? Forseanche solo a scopo d'esibizione e di
speculazione. Secondo ogni apparenza erano stati abili trafficanti di bambiniche avevano lavorato su quel viso. Era
evidente che una scienza misteriosaprobabilmente occultache stava allachirurgia come l'alchimia sta alla chimica
aveva cesellato quella carnecertamente in età tenerissimae aveva creatopremeditatamente quel viso. Quella scienza
abile nel sezionarenelle ottusioni e nelle legatureaveva spaccato laboccasbrigliato le labbramesso a nudo le
gengivetirato le orecchiestaccato le cartilaginisconvolto lesopracciglia e le guanceallargato il muscolo zigomatico
attenuato sfregi e cicatricirimesso la pelle sulle lesioniconservando sulvolto un'immutabile bocca apertae da quella
scultura stentorea e profonda era uscita la maschera di Gwynplaine.
Non si nasce così.
Comunque fosse andataGwynplaine era riuscito in modo ammirevole. Gwynplaineera il dono fatto dalla provvidenza
alla tristezza degli uomini. Quale provvidenza? C'è forse una provvidenzademoniaca come c'è una provvidenza divina?
Accontentiamoci di porre il problema senza risolverlo.
Gwynplaine era un saltimbanco. Si esibiva in pubblico. Produceva effettiincomparabili. Guariva ogni tipo d'ipocondria
con la sua sola presenza. Chi portava il lutto doveva invece evitarloaltrimentise lo vedevaera costrettopur
nell'imbarazzoa ridere indecentemente. Un giorno arrivò il boiaeGwynplaine lo fece ridere. Vedere Gwynplaine
significava tenersi la pancia dal ridere; se parlavaci si rotolava perterra.
Egli stava al polo opposto della tristezza. Lo spleen era aun'estremitàGwynplaine all'altra.
Così si era procurato rapidamente una soddisfacentissima nomea di uomoorrendo nei luoghi dove si tenevano le fiere e
nei crocevia.
Gwynplaine faceva ridere ridendo. Eppure non rideva. Rideva la sua faccianon il suo pensiero. Quella specie di volto
inaudito che il caso o un'attività particolarmente bizzarra gli avevanoplasmatorideva da solo. Gwynplaine non
c'entrava. L'esterno non dipendeva dall'interno. Non era stato lui a metterequel riso sulla sua frontesulle sue guancesulle sue sopraccigliasulla suaboccae lui non poteva toglierlo. Gli avevano applicato per sempre quel risosul volto.
Era un riso automaticotanto più irresistibile perché pietrificato.Nessuno sfuggiva a quel ghigno. Due sono le
convulsioni comunicative della bocca: il riso e lo sbadiglio. In forza dellamisteriosa operazione che Gwynplaine aveva
subito probabilmente da bambinoogni parte del suo volto contribuiva a quelghignotutta la sua fisionomia vi era
finalizzatacome la ruota che si concentra sul mozzo; tutte le sue emozioniquali che fosseroaumentavano quella
strana espressione di gioiaanzidiciamo megliol'aggravavano. Unostuporeuna sofferenza che avesse provatouna
collera che lo avesse presoun moto di pietànon avrebbero fatto cheaccrescere quell'ilarità muscolare; se avesse
piantoavrebbe riso; e qualunque cosa Gwynplaine facessequalunque cosavolesse o pensasseappena alzava la testa
la follase c'era follaaveva davanti agli occhi quell'apparizioneloscoppio folgorante di quel riso.
Immaginate una testa di Medusa allegra.
Tutto ciò che si aveva in mente era mandato all'aria da quel fattoimprovvisoe bisognava ridere.
Un tempo l'arte antica applicava sul frontone dei teatri greci un'allegramaschera di bronzo. Quella maschera si
chiamava la Commedia. Quel bronzo che sembrava ridere e faceva ridereerapensieroso. In quel volto si condensavano
e si amalgamavano la parodia che finisce in demenzae l'ironia che terminain saggezza; su quella fronte impassibile si
sommavano le preoccupazionile disillusionii disgusti e le tristezzeformando un lugubre risultato: l'allegria; un
angolo della bocca era sollevato per irridere al genere umanol'altro perbestemmiare gli dei; gli uomini si recavano a
confrontare su quell'ideale modello di sarcasmo il proprio esemplared'ironia; e la follaogni volta diversa attorno a quel
riso immutabileandava in estasi davanti alla sepolcrale fissità di quelghigno. Si potrebbe quasi dire che Gwynplaine
non era altro che quella cupa maschera morta della commedia anticacalcatasu un uomo vivo. Egli portava sul collo
l'infernale testo di un'implacabile ilarità. Il riso eternoche fardelloper le spalle di un uomo!
Un riso eterno. Cerchiamo di capire e di spiegare. Se diamo retta aimanicheia volte l'assoluto cedee Dio stesso ha
delle intermittenze. Intendiamoci anche sulla volontà. Che possa essere deltutto impotentenon lo ammettiamo. Ogni
esistenza è simile a una lettera modificata dal poscritto. Il poscritto cheriguardava Gwynplaine consisteva in questo:
con la forza di volontà e concentrandovi tutta la sua attenzionee a pattoche nessuna emozione lo distraesse allentando
l'intensità del suo sforzoegli poteva sospendere l'eterno ghigno della suafacciastendervi una sorta di tragico veloe
allora si smetteva di ridere davanti a luisi rabbrividiva.
Quello sforzoperòGwynplaine non lo faceva quasi maiperché era unafatica dolorosaun'insopportabile tensione.
Bastava d'altronde una minima distrazione o una piccola emozioneperchéquel risocacciato per un momento
riapparisse irresistibile come un riflusso sul suo voltotanto più intensodell'emozionequalunque fosse stata.
Con quell'unico limiteil riso di Gwynplaine era eterno.
Vedere Gwynplaine significava ridere. Dopo aver riso si voltava la testa. Ledonne soprattutto provavano orrore.
Quell'uomo era spaventoso. La convulsione comica era come un tributo dapagare; la si subiva allegramentee in modo
quasi meccanico. Ma una volta che il riso si era raffreddatola vista diGwynplaine diventava insopportabile per una
donnaed era impossibile guardarlo.
Del resto egli era altoben fattoagileper niente deformea parte ilvolto. E questo era un ulteriore indizio tra le
supposizioni che lasciavano intuire in Gwynplaine più una creazioneartificiale che l'opera della natura. Bello nel corpo
probabilmente Gwynplaine era stato bello nel volto. Alla nascita aveva dovutoessere un bamb ino come gli altri. Gli
avevano lasciato intatto il corporitoccando solamente la faccia. Gwynplaineera stato fatto espressamente.
Almeno secondo ogni verosimiglianza.
Gli avevano lasciato i denti. I denti sono indispensabili al riso. Il teschioli conserva.
Aveva dovuto trattarsi di un'operazione spaventosa. Che non se ne ricordassenon significava che non l'avesse subita.
Quella scultura chirurgica non aveva potuto riuscire che su un bambino moltopiccoloe quindi poco consapevole di ciò
che gli capitavaun bambino che avrebbe facilmente scambiato una piaga peruna malattia. Inoltrefin da quei tempi
come si ricorderàerano noti i mezzi per addormentare il paziente esopprimere la sofferenza. Solo che in quell'epoca si
chiamavano magia. Oggi li chia miamo anestesia.
Quelli che lo avevano allevato gli avevano datooltre a quel voltorisorseda ginnasta e da atleta; le sue articolazioni
utilmente slogate e capaci di flettersi in senso inversoavevano ricevuto unallenamento da clown e potevano muoversi
in tutti i sensi come i cardini di una porta. Niente era stato trascuratonella preparazione per farne un saltimbanco.
I suoi capelli erano stati tinti d'ocra per sempre; questo segreto è statoritrovato solo ai giorni nostri. Se ne servono le
belle donne; ciò che un tempo rendeva bruttioggi è stimato utile perabbellire. Gwynplaine aveva i capelli gialli.
Quella tintura per capelliverosimilmente corrosivali aveva lasciatilanosi e ruvidi al tatto. Quella forma ispida e
selvaggiapiù criniera che capigliaturacopriva e nascondeva un cranioprofondofatto per contenere il pensiero.
Qualunque fosse quella operazione che aveva cancellato l'armonia del volto egettato nel disordine la carnenon aveva
intaccato la scatola cranica. L'angolo facciale di Gwynplaine erastraordinariamente possente. Dietro quel riso c'era
un'animae quell'animacome in tutti noiaveva dei sogni.
Del resto quel riso era per Gwynplaine un vero talento. Non poteva farcinullama lo sfruttava. Con quel riso si
guadagnava da vivere. Gwynplaine - certamente sarà stato riconosciuto - eraquel bambino abbandonato in una sera
d'inverno sulla costa di Portlande poi raccolto in una povera carretta aWeymouth.
II • DEAIl bambino era ormai diventato un uomo. Erano trascorsi quindicianni. Era il 1705. Gwynplaine stava per compiere
venticinque anni.
Ursus aveva tenuto con sé i due bambini. Avevano formato un gruppo dinomadi.
Ursus e Homo erano invecchiati. Ursus era diventato del tutto calvo. Il luposi era fatto grigio. La vita dei lupi non ha un
termine fisso come quella dei cani. Secondo Molinci sono lupi che vivonoottant'annitra cui il piccolo koupara
cavioe voruse il lupo odorosocanis nubilus di Say.
La piccola trovata sulla donna morta ora era una creatura di sedici annialtapallidacon i capelli bruniesilefragile
tanto delicata da sembrare che tremassesuggeriva il timore di farle delmaledi una bellezza ammirevolegli occhi
pieni di lucecieca.
Quella fatale notte d'inverno che aveva abbattuto la mendicante e la suabambina nella neveaveva fatto un colpo
doppio. Aveva ucciso la madre e accecato la figlia.
L'amaurosi aveva paralizzato per sempre le pupille della bambinadiventataormai donna. Sul visoche non lasciava
passare la lucegli angoli delle labbra tristemente abbassati esprimevano unamaro disappunto. Gli occhigrandi e
chiariavevano la stranezza di essere spenti per leima di brillare per glialtri. Torce misteriosamente accese non
illuminavano che l'esterno. Emanava lucelei che non ne aveva. Quegli occhimorti risplendevano. Quella prigioniera
delle tenebre rischiarava l'oscurità dove si trovava. Dal fondo della suaincurabile oscuritàda dietro quel muro nero che
chiamiamo cecitàera radiosa. Non vedeva il sole fuori di séma in lei sipoteva vedere l'anima.
Il suo sguardo morto aveva non so quale fissità celeste.
Era la nottee da quell'ombra di cui era irrimediabilmente intrisauscivacome un astro.
Ursusche aveva la mania dei nomi latinil'aveva battezzata Dea. Si era unpo' consultato con il suo lupo; gli aveva
detto: «Tu rappresenti l'uomoio rappresento la bestia; noi siamo il mondodi quaggiù; la piccola rappresenterà il
mondo di lassù. Tanta debolezza è l'onnipotenza. In questo modo l'interouniversoumanitàbestialitàdivinitàsarà nel
nostro baracchino». Il lupo non aveva fatto obiezioni.
Fu così che la trovatella si chiamò Dea.
Quanto a GwynplaineUrsus non aveva dovuto darsi la pena di inventargli unnome. Il mattino stesso del giorno in cui
aveva constatato lo sfiguramento del bambino e la cecità della piccolaaveva domandato: «Come ti chiamiboy?». E il
ragazzo aveva risposto: «Mi chiamano Gwynplaine».
«Vada per Gwynplaine»aveva detto Ursus.
Dea assisteva Gwynplaine nei suoi esercizi.
Se la miseria umana potesse essere riassuntalo sarebbe stata da Gwynplainee da Dea. Ciasuno dei due sembrava
essere nato nello scomparto di un sepolcro; Gwynplaine nell'orroreDea nelbuio. Le loro esistenze erano fatte con
tenebre di specie diverseprese dai due lati formidabili della notte. Quelletenebre che Dea aveva dentro di sé
Gwynplaine le portava addosso. In Dea c'era qualcosa del fantasmainGwynplaine qualcosa dello spettro. Dea dava nel
lugubreGwynplaine nel peggio. Gwynplaineche poteva vedereaveva lastraziante possibilità di paragonarsi agli altri
uominicosa che la cecità impediva a Dea. Orain una situazione comequella di Gwynplainee ammettendo che
cercasse di rendersene contoparagonarsi significava non comprendersi più.Averecome Deauno sguardo vuoto da
cui il mondo è assenteè suprema sventuraminore tuttavia di quell'altra:essere l'enigma di se stesso; e sentire la
propria assenza; vedere l'universo e non vedersi. Dea aveva il velo dellanotteGwynplaine la maschera del suo volto.
Cosa inesprimibileGwynplaine era mascherato con la propria carne. Ignoravaquale fosse il suo viso. Un profilo
svanito. Gli avevano messo addosso una falsa copia. Il suo volto era unascomparsa. La testa vivevala faccia era morta.
Non ricordava di averla vista. Per Dea e per Gwynplaine il genere umano eraun fatto che riguardava la realtà esterna;
essi ne erano lontani; lei era solalui era solo; l'isolamento di Dea erafunebrenon vedeva nulla; l'isolamento di
Gwynplaine era sinistroegli vedeva tutto. Per Dea la creazione nonoltrepassava l'udito e il tatto; la realtà era limitata
brevesubito finita; il suo unico infinito era l'ombra. Per Gwynplainevivere significava avere sempre la folla davanti e
fuori di sé. Dea era la proscritta della luce; Gwynplaine l'escluso dallavita. Erano certamente disperati. Avevano
toccato il fondo di ogni possibile calamità. Vi erano dentro entrambi. Unosservatore che li avesse guardati avrebbe
sentito la sua immaginazione tramutarsi in un'incommensurabile pietà. Quantosoffrivano? Il decreto dell'infelicità
pesava visibilmente su quei due esseri umanie mai la fatalità avevacombinato per due creature innocenti un simile
destino di tortura e una simile vita d'inferno.
Essi erano in paradiso.
Si amavano.
Gwynplaine adorava Dea. Dea idolatrava Gwynplaine.
«Sei così bello!»gli diceva.
III • OCULOS NON HABETET VIDET
Una sola donna sulla terra vedeva Gwynplaine. Era quella cieca.
Ciò che Gwynplaine era stato per leilo aveva saputo da Ursusa cuiGwynplaine aveva raccontato la sua dura marcia
da Portland a Weymouthe le agonie legate al suo abbandono. Sapeva chepiccolissimaquasi in punto di morte sopra
la madre ormai mortamentre succhiava da un cadavereuna creatura poco piùgrande di lei l'aveva raccolta; sapeva che
quella creaturaeliminata e come sepolta sotto il cupo rifiutodell'universoaveva udito il suo grido; che quell'essere che
nessuno ascoltaval'aveva ascoltata; che un bambino isolatodebolerespintosenza un punto d'appoggio sulla terrache si trascinava nel desertosfinito per lo sforzospezzatoaveva accettato dalle mani della notte ilfardello di un altro
piccolo; sapeva che proprio luiche non si aspettava nulla da quell'oscuradistribuzione che chiamiamo sortesi era fatto
carico di un destino; chepovertàangoscia e sconforto qual eraavevasaputo mutarsi in provvidenza; chequando il
cielo si era chiusoegli aveva aperto il suo cuore; cheperdutoavevasalvato; chesenza tetto e rifugiosi era fatto
asilo; che era diventato madre e nutrice; chepur essendo solo al mondoaveva risposto all'abbandono con un'adozione;
chenel fitto delle tenebreaveva dato un esempio; chenon essendoabbastanza oppressosi era caricato della miseria
di un altro; chesu quella terra dove sembrava che non ci fosse niente perluiegli aveva scoperto il dovere; chelà dove
tutti avrebbero esitatoegli era avanzato; chelà dove tutti si sarebberotirati indietroegli aveva dato il suo assenso; che
aveva messo la mano sull'apertura del sepolcro e ne aveva strappato leiDea;cheseminudole aveva dato i suoi stracci
perché lei aveva freddo; cheaffamatosi era preoccupato di darle da beree da mangiare; che per quella piccolalui
piccolo si era battuto contro la morte; l'aveva combattuta in ogni sua formasotto forma d'inverno e di nevesotto forma
di solitudinesotto forma di terroredi freddodi fame e di setesottoforma d'uragano; che per leiDeaquel titano di
dieci anni aveva dato battaglia all'immensità della notte. Sapeva che eglida bambinoaveva fatto tutto questoe che
orauomoera la forza della sua debolezzala ricchezza della sua povertàla guarigione della sua malattialo sguardo
della sua cecità. Attraverso gli spessori dell'ignoto da cui si sentivaisolatadistingueva nettamente quella devozione
quell'abnegazionequel coraggio. Nella regione dell'immateriale l'eroismo haun suo contorno. Essa percepiva quel
contorno sublime; nell'inesprimibile astrazione dove vive un pensiero nonrischiarato dal soleessa coglieva il
misterioso profilo della virtù. Attorniata da scure cose in movimentounicasensazione che aveva della realtà
nell'inquieta tranquillità di creatura passivasempre all'erta per ipossibili pericoliin quella sensazione di essere
indifesa che costituisce la vita del ciecoessa sentiva al di sopra di séGwynplaineGwynplaine mai indifferentemai
assentemai sfuggenteGwynplaine teneroservizievole e dolce; Dea fremevaper il senso di sicurezza e per la
riconoscenzala sua ansia confortata si faceva estasie dallo zenit del suoabissodagli occhi pieni di tenebre
contemplava la luce profonda di quella bontà.
Il sole dell'ideale è la bontà; Gwynplaine abbagliava Dea.
Per la follache ha troppe teste per riuscire a pensaree troppi occhi perpoter vedereper la folla chesuperficie essa
stessasi ferma alle superficiGwynplaine era un clownun giocoliereunsaltimbancoun essere grottescopoco più e
poco meno di una bestia. La folla non conosceva che il suo volto.
Per DeaGwynplaine era il salvatore che l'aveva raccolta dalla tomba eportata fuoricolui che la consolava rendendole
la vita accettabileil liberatore che la teneva per mano nel labirinto dellacecità; Gwynplaine era il fratellol'amicola
guidail sostegnoil suo simile celestelo sposo alato e raggiantee làdove la folla vedeva il mostrolei vedeva
l'arcangelo.
Perché Deaciecane vedeva l'anima.
IV • UNA COPPIA BENE ASSORTITA
Ursusche era un filosofocapiva. Egli approvava il fascino sentito da Dea.
«Leiche è ciecavede l'invisibile».
Diceva anche:
«La coscienza è visione».
Guardando Gwynplaineborbottava:
«Semimostroma semidio».
Gwynplaineda parte suaera inebriato di Dea. Esiste un occhio invisibilelo spiritoe un occhio visibilela pupilla.
Egli la guardava con l'occhio visibile. Dea era abbagliata da una formaidealeGwynplaine era abbagliato dalla realtà.
Gwynplaine non era bruttoera spaventoso; egli aveva davanti a sé il suoopposto. Dea era soave quanto egli era
terribile. Egli era l'orrorelei la grazia. C'era qualcosa del sogno in Dea.Sembrava un sogno che fosse diventato un po'
corpo. In tutta la sua personanella sua figura eolicanel corpo sottile eflessuoso come un giunconelle spalle dotate
forse d'invisibili alinelle curve discrete del suo profilo che alludevanoal sessoparlando più all'anima che ai sensi
nella bianca trasparenza della sua pellenella solenne e serena cecità delsuo sguardodivinamente chiuso alla terra
nella sacra innocenza del suo sorrisoin tutto ciò la sua squisitasomiglianza con gli angeli non toglieva nulla alla sua
femminilità.
Gwynplainecome abbiamo dettosi paragonavae paragonava Dea.
La sua esistenzaquale ormai erarisultava da una doppiainaudita scelta.Era il punto d'intersezione di un raggio che
veniva dal basso e di uno che veniva dall'altodel raggio nero e di quellobianco. La stessa briciola può essere beccata
contemporaneamente dal becco del male e da quello del beneuno che mordel'altro che bacia. Gwynplaine era quella
briciolaatomo martoriato e accarezzato. Gwynplaine era il risultato di unafatalità complicata dalla provvidenza. La
sciagura aveva puntato il dito su di luima anche la fortuna. La sua stranasorte era fatta di due destini opposti.
Pendevano su di lui l'anatema e la benedizione. La sua era una sventurataelezione. Chi era? Non lo sapeva. Quando si
guardavavedeva uno sconosciuto. Ma era uno sconosciuto mostruoso.Gwynplaine viveva una specie di decapitazione
con un volto che non gli apparteneva. Quel volto era così spaventoso chedivertiva. Un pagliaccio infernale. Era il
naufragio dei lineamenti umani nel mascherone bestiale. Mai si era vista unapiù completa eclisse dell'uomo su un volto
umanomai una parodia era stata più perfettamai abbozzo più tremendoaveva sghignazzato in un incubomai tutto ciò
che può ripugnare a una donna era stato messo insieme in modo più odioso inun uomo; quel cuore disgraziatocalunniato dalla maschera di quella facciasembrava condannato per sempre alla solitudinesotto la pietra tombale del
volto. Ebbeneno! Là dove si era prodigata un'ignota malvagitàun'invisibile bontà si era a sua volta impegnata. In quel
povero miserabileimprovvisamente risollevatoaccanto a tutto ciò cheripugna essa aveva messo ciò che attiranello
scoglio la calamitaverso quel derelitto aveva fatto accorrere ad alispiegate un'animaaveva incaricato una colomba di
consolare quell'uomo stroncatofacendo sì che la bellezza adorasse ladeformità.
Perché ciò fosse possibileera necessario che la bella non vedesse losfigurato. Per quella fortuna era inevitabile quella
disgrazia. La provvidenza aveva reso Dea cieca.
Gwynplaine si sentiva vagamente oggetto di una redenzione. Perché lapersecuzione? Lo ignorava. Perché il riscatto?
Lo ignorava. Sulla sua rovina si era posata un'aureola; era tutto quello chesapeva. Quando Gwynplaine si era fatto un
po' più grandeUrsus gli aveva letto e spiegato il testo del dottorConquest de Denasatis ein un altro in-folioHugo
Plagonil brano nares habens mutilas; maprudentementeUrsus siera astenuto dal fare ipotesiguardandosi dal trarre
qualsiasi conclusione. Era possibile ogni supposizionel'infanzia diGwynplaine era stata probabilmente violentata; ma
l'unica certezza per Gwynplaine era il risultato. Il suo destino era divivere marchiato. Perché quel marchio? Non c'era
risposta. Silenzio e solitudine attorno a Gwynplaine. Nelle congetture che sipotevano formulare su quella tragica realtà
tutto era sfuggenteniente era certo tranne quel fatto terribile. In quellostato di prostrazione appariva Dea; una sorta di
mediazione celeste tra Gwynplaine e la disperazione. Egli percepivacommossoe come riscaldatola squisita dolcezza
di quella giovane rivolta verso il suo orrore; uno stupore paradisiacoaddolciva quella faccia draconiana; fatto per
l'orroreegli godeva della prodigiosa eccezione di essere ammirato e adoratoattraverso una luce idealeemostro
sentiva su di sé la contemplazione di una stella.
Gwynplaine e Dea formavano una coppiae quei due cuori patetici siadoravano. Un nido e due uccelli; quella era la
loro storia. Erano rientrati nella legge universale che esige di piacersidicercarsi e di trovarsi.
Così l'odio si era sbagliato. I persecutori di Gwynplainechiunque fosseroda qualunque parte venisse il loro
enigmatico accanimentoavevano fallito lo scopo. Avevano voluto creare undisperatone avevano fatto un uomo
estasiato. Lo avevano fidanzato in anticipo a una ferita che lo avrebbeguarito. Lo avevano predestinato ad essere
consolato da un'afflizione. La tenaglia del carnefice si era mutata in unadolce mano di donna. Gwynplaine era orribile
artificialmente orribilefatto orribile dalla mano degli uomini; avevanosperato di isolarlo per sempreprima dalla
famigliase aveva una famigliapoi dall'umanità; bambinone avevano fattouna rovinama la natura aveva ripreso con
sé quella rovinacome riprende tutte le rovine; la natura aveva consolatoquella solitudinecome consola tutte le
solitudini; la natura soccorre tutti quelli che sono abbandonati; là dovemanca tuttoessa si dà interamente; essa torna a
fiorire e rinverdisce su tutte le rovine; essache ha l'edera per le pietreper gli uomini ha l'amore.
Profonda generosità dell'o mbra.
V • L'AZZURRO NEL NERO
Così quei due sventurati vivevano uno per l'altroDea sorrettaGwynplaineaccettato.
L'orfana con l'orfano. L'inferma con il deforme.
Quelle vedovanze si sposavano.
Da quelle due forme di disperazione saliva l'ineffabile gesto del renderegrazie. Ringraziavano.
Chi?
La scura immensità.
Ringraziare qualcosa davanti a séè sufficiente. Rendere grazie è ungesto con le alie va dove deve andare. La vostra
preghiera ne sa più di voi.
Quanti uominicredendo di pregare Giovehanno pregato Jehova! Quanti diquelli che si affidano agli amuleti vengono
ascoltati dall'infinito! Quanti atei non si accorgono cheper il solo fattodi essere buoni e tristiessi pregano Dio!.
Gwynplaine e Dea erano riconoscenti.
La deformità significa l'espulsione. La cecità è un precipizio.
L'espulsione era adottata; il precipizio reso abitabile.
Gwynplaine vedeva scendere verso di sé in piena lucein una messa in scenadel destino che sembrava la prospettiva di
un sognouna bianca nube di bellezza sotto forma di donnauna radiosavisione in cui c'era un cuoree quella visione
quasi nube e pur donnalo stringevala visione lo abbracciavail cuore glivoleva bene; Gwynplaine non era più
deformeperché era amato; una rosa che chiedeva in matrimo nio un brucointuendo in quel bruco la divina farfalla;
Gwynplaineil reiettoera stato scelto.
Tutto sta nell'avere il necessario. Gwynplaine l'aveva. E anche Dea.
La sua abiezione di sfiguratoalleggerita e come sublimatasi dilatava inebbrezzain estasiin fede; e nella notte una
mano veniva incontro alla triste esitazione della cieca.
Due sventure penetravano nell'idealeassorbendosi reciprocamente. Dueesclusioni si accettavano. Due lacune
combinandosi si completavano. Li legava ciò che mancava loro. Dove uno erapoverol'altro era ricco. La disgrazia di
uno era tesoro per l'altro. Se Dea non fosse stata cieca avrebbe sceltoGwynplaine? Se Gwynplaine non fosse stato
sfiguratoavrebbe preferito Dea? Lei probabilmente non avrebbe volutosaperne di un deformené lui di un'inferma.
Che fortuna per Dea che Gwynplaine fosse orribile! E per Gwynplaine che Deafosse cieca! Fuori dal quell'assortimento
provvidenzialeessi erano impossibili. Il loro amore riposava su unprodigioso bisogno uno dell'altro. Gwynplainesalvava DeaDea salvavaGwynplaine. Un'unione fatta dell'incontro tra due miserie. L'abbraccio di dueesseri inghiottiti
dall'abisso. Niente di più strettoniente di più disperatoniente di piùsquisito.
Gwynplaine pensava:
«Cosa sarei senza di lei!».
Dea pensava:
«Cosa sarei senza di lui!».
I due esilii finivano in una patria; quelle due incurabili fatalitàilmarchio di Gwynplaine e la cecità di Deasi univano
nella gioia. Erano contentinon immaginavano niente al di là di se stessi;parlarsi era una deliziaavvicinarsi una
beatitudine; a forza d'intuizione reciproca erano arrivati a fantasticareinsieme; avevano gli stessi pensieri. Quando
Gwynplaine camminavaDea credeva di udire il passo dell'apoteosi. Sistringevano uno all'altro in un chiaroscuro
siderale pieno di profumilucimusichearchitetture luminosesogni; siappartenevano; sapevano che sarebbero stati
insieme per sempre nella stessa gioia e nella stessa estasi; niente erastrano come quell'Eden costruito da due dannati.
Erano felici oltre ogni dire.
Del loro inferno avevano fatto il cielo; tale è il tuo potereamore!
Dea sentiva ridere Gwynplaine. Gwynplaine vedeva sorridere Dea.
Così avevano trovato la felicità idealerealizzato la gioia perfetta dellavitarisolto il misterioso problema della felicità.
E chi erano? Due miserabili.
Per Gwynplaine Dea era lo splendore. Per Dea Gwynplaine era la presenza.
La presenzamistero profondo che divinizza l'invisibile facendone scaturireun altro misterola fiducia. Questo è il
nocciolo delle religioni. Ma questo nocciolo è sufficiente. Non si vedel'immensità dell'essere necessario; la si sente.
Gwynplaine era la religione di Dea.
A voltepazza d'amoresi metteva in ginocchio davanti a luicome una bellasacerdotessa in adorazione di un luminoso
gnomo di pagoda.
Immaginatevi l'abissoe in mezzo all'abisso un'oasi di lucee nell'oasiquei due esseri fuori dalla vitache si
abbagliavano l'un l'altro.
L'incomparabile purezza di quegli amori. Dea ignorava cosa fosse un bacioanche se forse lo desiderava; perché la
cecitàsoprattutto quella di una donnaha i suoi sogni ebenché tremanteall'avvicinarsi dell'ignotonon lo odia del
tutto. Quanto a Gwynplainei fremiti della giovinezza lo rendevanopensieroso; più si sentiva ebbropiù era timido;
tutto gli sarebbe stato permesso con quella compagna d'infanziache ignoravala colpa e la lucecon quella cieca che
vedeva solo una cosal'adorazione che provava per lui. Ma gli sarebbesembrato un furto quello che lei gli avrebbe dato;
si rassegnava ad amare con soddisfatta melanconiain modo angelicoe laconsapevolezza della sua deformità si
risolveva in un nobile pudore.
Quei due esseri felici abitavano l'ideale. In esso erano sposidistanti comele sfere. Si scambiavano nell'azzurro
l'effluvio profondo che nell'infinito si chiama attrazionee sulla terrasesso. Le loro anime si baciavano.
Avevano sempre vissuto in comune. Non si conoscevano che insieme. L'infanziadi Dea aveva coinciso con
l'adolescenza di Gwynplaine. Erano cresciuti fianco a fianco. Per molto tempoavevano dormito nel medesimo lettoil
baracchino non era certo una vasta camera da letto. Essi sulla cassapancaUrsus sul pavimento; si arrangiavano così.
Poi un bel giornoquando Dea era ancora piccolaGwynplaine si era accortodi essere grandee fu l'uomo a vergognarsi
per primo. Aveva detto a Ursus: voglio dormire per terra anch'io. Eallaserasi era steso sulla pelle d'orso accanto al
vecchio. Allora Dea aveva pianto. Aveva reclamato il suo compagno di letto.Ma Gwynplaineinquieto perché aveva
cominciato ad amareaveva resistito. Da quel momento si era messo a dormiresul pavimento con Ursus. D'estatenelle
notti serenedormiva fuori con Homo. A tredici anni Dea non si era ancorarassegnata. Spesso di sera diceva:
Gwynplainevieni accanto a me; così riuscirò a dormire. Il suo sonnoinnocente aveva bisogno di un uomo vicino.
Nudità significa vedersi nudo; essa ignorava dunque la nudità. Ingenuitàda Arcadia o da Otaiti. Dea primitiva rendeva
selvatico Gwynplaine. Capitava a volte che Deagià quasi giovinettasipettinasse i lunghi capelli seduta sul lettola
camicia in disordine e mezza fuorilasciando vedere l'abbozzo della statuafemminile e un vago profilo d'Evae allora
chiamava Gwynplaine. Gwynplaine arrossivaabbassava gli occhi non sapendoche fare davanti all'ingenuità di quella
carnebalbettavavolgeva il capos'impauriva e se ne andavae quel Dafnedelle tenebre fuggiva davanti a quella Cloe
dell'ombra.
Questo era l'idillio fiorito nella tragedia.
Ursus diceva loro:
«Amatevisciocchi!».
VI • URSUS ISTITUTORE E URSUS TUTORE
«Uno di questi giorni giocherò loro un brutto tiro. Li sposerò»soggiungeva Ursus.
Ursus filosofeggiava con Gwynplaine sull'amore. Gli diceva:
«L'amoresai come fa Dio ad accendere questo tipo di fuoco? Mette la donnain bassoil diavolo in mezzo e l'uomo sul
diavolo. Un fiammiferocioè uno sguardoe tutto prende fuoco».
«Uno sguardo non è necessario»rispondeva Gwynplainepensando a Dea.
«Ingenuo!»replicava Ursus. «Forse che le anime per guardarsi hannobisogno di occhi?».In certi casi Ursus era più benevolo. Capitava cheGwynplainepazzo di Dea fino a incupirsievitasse Ursus come un
testimonio. Un giorno Ursus gli disse:
«Bah! Non ti preoccupare. In amore il gallo viene fuori».
«Ma l'aquila si nasconde»rispose Gwynplaine.
Altre volteUrsus commentava tra sé e sé:
«Forse sarebbe prudente mettere dei bastoni tra le ruote del carro diCiterea. Si amano troppo. Potrebbero esserci degli
inconvenienti. Provvediamo all'incendio. Moderiamo i loro cuori».
Così Ursus ricorreva a consigli di questo genereparlando a Gwynplainementre Dea dormivae a Deaquando
Gwynplaine era da un'altra parte:
«Deanon devi legarti troppo a Gwynplaine. È pericoloso vivere di unaltro. L'egoismo è la miglior radice della felicità.
Gli uominiecco cosa sfugge alle donne. E poiGwynplaine può finire conl'infatuarsi. Ha tanto successo! Non puoi
immaginare quanto successo ha!».
«Gwynplainenon ci si deve affidare alle sproporzioni. Troppa bruttezza dauna parte e troppa bellezza dall'altrac'è da
pensarci. Modera il tuo ardoreboy. Non ti entusiasmare troppo per Dea.Credi davvero di andare bene per lei?
Considera la tua deformità e la sua perfezione. Guarda la distanza che c'ètra lei e te. Lei ha tuttoquesta Dea! La pelle
biancae i capellilabbra come fragolee il suo piede! Per non dire dellemani! La linea squisita delle spalleil volto
sublimequando cammina emana lucee il fascino della sua voce profonda! Epensare che con tutto ciò è una donna!
Non è così stupida da essere un angelo. È la bellezza assoluta. Se vuoicalmartiripeti a te stesso queste cose».
Ciò non faceva che raddoppiare l'amore tra Dea e Gwynplainee Ursus sistupiva del suo insuccessoun po' come se
uno dicesse:
«Questa è bellaper quanto getti olio sul fuoconon riesco a spegnerlo».
Ma voleva proprio spegnerlio almeno raffreddarli? Nocerto. Se ci fosseriuscitosarebbe rimasto ben male. In fondo
era conquistato da quell'amore che era fiamma per loro e calore per lui.
Ma bisogna pur stuzzicare un po' ciò che ci piace. Fare questo tipo didispetti è quello che gli uomini definiscono
saggezza.
Per Gwynplaine e per Dea Ursus era stato come un padre e una madre. Purmormorandoli aveva allevati; li aveva
nutriti continuando a brontolare. L'adozione aveva reso più pesante lacarrettaegli aveva dovuto affiancarsi più spesso
a Homo per trainarla.
Quandopassati i primi anniGwynplaine fu più grande e Ursus ormaivecchiotoccò a Gwynplaine trascinare Ursus.
Ursusvedendo crescere Gwynplaineaveva sentenziato a proposito della suadeformità: Hanno fatto la tua fortuna.
Quella famiglia composta da un vecchioda due ragazzi e da un lupovagabondando qua e làaveva formato un gruppo
sempre più unito.
La vita errante non aveva impedito l'educazione. Andare in giro significacrescerediceva Ursus. Dal momento che
Gwynplaine era stato fatto evidentemente per essere «mostrato nelle fiere»Ursus lo aveva addestrato come
saltimbancoma si era sforzato d'inculcare in quel saltimbanco scienza esaggezza. Ursuscontemplando l'incredibile
maschera di Gwynplaineborbottava: «Un lavoro ben iniziato». Per questol'aveva completato con tutti gli ornamenti
della filosofia e del sapere.
Ripeteva spesso a Gwynplaine: «Sii un filosofo. La saggezza portal'invulnerabilità. Guardaminon ho mai pianto. Per
merito della saggezza. Credi che se avessi voluto piangere me ne sarebbemancata l'occasione?».
Durante questi monologhiche solo il lupo ascoltavaUrsus diceva: «AGwynplaine ho insegnato Tuttocompreso il
latinoe a Dea Nientecompresa la musica». Aveva insegnato a cantare atutti e due. Egli stesso era bravo con la «muse
de blé»un piccolo flauto di quei tempi. La suonava piacevolmentecosìcome la «chiffonie»una specie di ghironda da
mendicantiche la cronaca di Bertrand Duguesclin definisce «strumentovagabondo»e che sta alla base della sinfonia.
Quella musica attirava la genteUrsusmostrando alla folla la«chiffonie»diceva: «In latino si chiama organistrum».
Aveva insegnato a cantare a Dea e a Gwynplainesecondo il metodo di Orfeo edi Egidio Binchois. Più volte aveva
interrotto le lezioni gridando entusiasta: «Orfeomusicista della Grecia!Binchoismusicista della Piccardia!».
Quei problemi educativi così accurati non avevano impegnato i due ragazzi alpunto di impedir loro d'amarsi. Erano
cresciuti mescolando i loro cuoricome due arboscelli piantati vicino chediventando alberimescolano i loro rami.
«Va bene»mormorava Ursus«li farò sposare».
E in disparte brontolava:
«Mi annoiano con il loro amore».
Quel po' di passato che avevanonon esisteva per Gwynplaine e per Dea. Neconoscevano solo ciò che Ursus aveva
raccontato. Lo chiamavano «Padre».
Ciò che Gwynplaine ricordava della sua infanzia era un passaggio di demonisulla sua culla. Aveva l'impressione di
essere stato calpestato nell'oscurità da piedi deformi. Era accaduto perespressa volontà o per caso? Lo ignorava. Ciò
che invece ricordava chiaramente e nei minimi particolariera la tragicaavventura del suo abbandono. Ma la scoperta di
Dea sostituiva per lui quella lugubre notte con un evento radioso.
La memoria di Dea era ancor più vaga di quella di Gwynplaine. Era cosìpiccola che ogni ricordo si era dissolto.
Pensava a sua madre come a una cosa fredda. Aveva visto il sole? Forse.Faceva ogni sforzo per rituffare la sua mente
in quell'evanescenza che aveva alle spalle. Il sole? Cos'era? Ricordavaqualcosa di caldo e luminoso che Gwynplaine
aveva sostituito.Parlavano a voce bassa. Certo tubare è la cosa piùimportante sulla terra. Dea diceva a Gwynplaine: «La luce è quando
tu parli».
Una voltanon riuscendo a trattenersiGwynplaineche aveva scorto ilbraccio di Dea attraverso la manica di mussola
sfiorò con le labbra quella trasparenza. Bocca deformebacio ideale. Deaavvertì un'estasi profonda. Si fece d'un rosso
pallido. Il bacio del mostro evocò l'aurora su quella fronte bella e pienadi notte. Ma Gwynplaine sospirò come
terrorizzatoe quando la scollatura di Dea si schiusenon poté impedirsidi guardareattraverso quello spiraglio di
paradisole candide forme.
Dea sollevò la manica etendendo a Gwynplaine il braccio nudogli disse:«Ancora!». Gwynplaine non seppe cavarsela
che fuggendo.
Il giorno dopo il gioco ricominciò con delle varianti. Scivolare celeste neldolce abisso dell'amore.
Sono cose di cui il buon Dionella sua qualità di vecchio filosofosorride.
VII • LA CECITÀ IMPARTISCE LEZIONI DI CHIAROVEGGENZA
Qualche volta Gwynplaine si rimproverava. Faceva della propria felicità uncaso di coscienza. Pensava che lasciarsi
amare da quella donna che non poteva vederlovoleva dire ingannarla. Cosaavrebbe detto se improvvisamente i suoi
occhi si fossero aperti? Come l'avrebbe respinta ciò che l'attirava! Comesarebbe indietreggiata davanti a quell'amante
spaventoso! Che grido! E le mani a proteggere il viso! Che fuga! Un penososcrupolo lo tormentava. Diceva a se stesso
cheessendo un mostronon aveva diritto all'amore. Idra idolatrata da unastroera suo dovere illuminare quella stella
cieca.
Una volta disse a Dea:
«Tu sai che io sono molto brutto».
«So che sei sublime»rispose lei.
«Quando senti che tutti ridono»continuò«ridono di meperché sonoorribile».
«Ti amo»gli disse Dea.
Dopo una pausa di silenzioessa aggiunse: «Ero preda della morte; tu mi hairiportato in vita. Proprio tuche sei il mio
cielo. Dammi la manolascia che tocchi il mio Dio!».
Le loro mani si cercarono e si strinseroessi non dissero più una parolaresi silenziosi dalla pienezza del loro amore.
Ursusburberoaveva udito. Il giorno dopoappena furono tutti e treinsiemedisse:
«Del restoanche Dea è brutta».
Le sue parole non sortirono alcun effetto. Dea e Gwynplaine non stavanoascoltando. Assorti uno nell'altro
difficilmente percepivano gli epifenomeni di Ursus. La profondità di Ursusera in pura perdita.
Questa volta tuttaviala sua cauta osservazione «anche Dea è brutta»rivelava in luiuomo dottouna certa conoscenza
della donna. È certo che Gwynplaineper pura lealtàaveva commessoun'imprudenza. Dire a una donna qualsiasi o a
qualunque altra cieca che non fosse Dea: Io sono bruttoavrebbepotuto essere pericoloso. Essere ciechi e innamorati
significa essere doppiamente ciechi. In quelle condizioni si sogna;l'illusione è il pane del sogno; togliere all'amore
l'illusione vuol dire togliergli il nutrimento. Esso si forma con ogni tipodi entusiasmo; con l'ammirazione fisica non
meno che con quella morale. D'altra parte non bisogna mai rivolgersi a unadonna con espressioni difficili. La donna vi
costruisce dei sogni. Spesso sono sogni sbagliati. Un enigma può danneggiareuna fantasticheria. La ripercussione di
una parola lasciata cadere disgrega ciò che stava insieme. Capita chesenzasapere comeun cuore colpito oscuramente
da una parola detta per casosi svuoti insensibilmente. L'amante si accorgeche la sua felicità è diminuita. Nulla è più
temibile della lenta trasudazione di un vaso incrinato.
Fortunatamente Dea non era di quell'argilla. Non era fatta della pasta ditutte le altre donne. La natura di Dea era
particolare. Il corpo era fragilema il cuore no. Al fondo del suo esserec'era una divina perseveranza nell'amore.
L'unico segno lasciato in lei dalle parole di Gwynplaine fu che un giorno sene uscì con questa osservazione:
«Cosa significa essere brutto? Significa fare del male. Ma Gwynplaine non fache il bene. Dunque è bello».
Poisempre con quell'aria di fare domandetipica dei bambini e dei ciechicontinuò:
«Vedere? Cosa vuol dire per voi vedere? Io non vedoio so. Mi pare chequesto vedere nasconda».
«Cosa vuoi dire?»domandò Gwynplaine.
«Vedere è qualcosa che nasconde la verità»rispose Dea.
«No»disse Gwynplaine.
«Ma sì!»replicò Dea. «Dal momento che tu dici di essere brutto».
Si fermò un istante a pensare e disse:
«Bugiardo!».
E Gwynplaine provò la gioia di aver confessato e di non essere creduto. Lasua coscienza era a postoe il suo amore
anche.
In questo modo erano arrivatilei a sedici annilui quasi a venticinque.
Non si erano «spinti oltre»come si direbbe oggirispetto al primogiorno. Tutt'altrodal momento checome si
ricorderàavevano già avuto la loro notte di nozzelei a nove mesilui adieci anni. Nel loro amore si prolungava una
specie di santa infanzia; così l'usignolo a volte si attarda nel suo cantonotturno fino all'aurora.
Le loro carezze non andavano oltre le mani che si stringevanoe qualchevolta lo sfiorarsi di un braccio nudo. Bastava
loro il balbettio di una dolce voluttà.Ventiquattro annisedici anni.Questo fece sì che un mattino Ursusche non aveva dimenticato il proposito di«giocare
un brutto tiro»disse loro:
«Uno di questi giorni sceglierete una religione».
«Perché?»domandò Gwynplaine.
«Per sposarvi».
«Ma siamo già sposati»replicò Dea.
Dea non capiva come si potesse essere marito e moglie più di quanto lofossero.
A Ursus in fondo non dispiaceva quell'accontentarsi chimerico e verginalequell'ingenuo appagamento da anima a
animaquel celibato preso per matrimonio. Se diceva il contrarioeraperché bisogna pur dire qualcosa. Ma il medico in
lui trovava che Dea fossese non troppo giovanealmeno troppo delicata efragile per quello che egli chiamava
«l'imeneo in carne ed ossa».
Per quello c'era sempre tempo.
E poinon erano forse già sposati? Se da qualche parte esistel'indissolubilenon era in quell'unione di Gwynplaine e
Dea? Era ammirevole che la sventura li avesse adorabilmente gettati l'unonelle braccia dell'altro. E come se quel
primitivo legame non bastassealla sventura si era aggiuntoavvolto estrettol'amore. Quale forza potrà mai rompere la
catena di ferro consolidata da un nodo di fiori?
Erano davvero inseparabili.
Dea aveva la bellezza; Gwynplaine la luce. Ciascuno portava la propria dote;non erano solo in dueerano una coppia;
soltando l'innocenza li separavaostacolo sacro.
Tuttaviaper quanto Gwynplaine sognasse e fosse assorto nella contemplazionedi Dea e nell'interiorità spirituale del
suo amoreegli era un uomo. Non si sfugge alla fatalità delle leggi. Cometutta la naturaanch'egli subiva gli oscuri
fermenti voluti dal creatore. Erano questi che a voltequando appariva inpubblicogli facevano guardare le donne
mescolate alla folla; ma egli ritirava subito quello sguardo colpevolee siaffrettava a chiudersipentitonella sua
anima.
Dobbiamo dire che gli mancava qualsiasi incoraggiamento. Sul volto di tuttele donne che guardavaegli scorgeva
l'avversionel'antipatiala ripugnanzail rifiuto. Era chiaro che per luinon c'era che Dea. Ciò l'aiutava a pentirsi.
VIII • NON SOLO LA FELICITÀ MA ANCHE LA PROSPERITÀ
Quante cose vere nelle favole! La bruciatura del diavolo invisibile che vitocca è il rimorso di un cattivo pensiero.
Gwynplaine non manifestava cattivi pensieri e non aveva mai rimorsi. Maqualche volta aveva rimpianti.
Vaghe brume della coscienza.
Di che si trattava? Di niente.
La loro felicità era completa. Completa al punto da non essere nemmeno piùpoveri.
Dal 1689 al 1704 aveva avuto luogo una trasfigurazione.
In quell'anno 1704capitava a volte che al cader della sera un furgonegrande e pesantetirato da due robusti cavalli
facesse il suo ingresso in una delle tante cittadine del litorale.Assomigliava allo scafo di una nave rovesciatacon la
chiglia per tettoil ponte per pavimentoil tutto su quattro ruote. Leruote erano uguali e alte come quelle di un
carromatto. Ruotetimone e furgone era tutto intonacato di verdeconun'armoniosa gradazione delle sfumature che
andava dal verde bottiglia delle ruote al verde mela del tetto. Quel coloreverde aveva finito con attirare l'attenzione su
quella vettura che era conosciuta nei luoghi dove si tenevano le fiere; lachiamavano la Green-Boxche significa
Scatola-Verde. La Green-Box aveva due sole finestreuna a ciascunaestremitàe sulla parte posteriore una porta con
predellino. Da un tubo nel tettodipinto di verde come tutto il restousciva del fumo. Quella casa ambulante era sempre
verniciata di fresco e lavata. Davantisu uno strapuntino fissato alfurgonecon la finestra che faceva da portapiù alte
della groppa dei cavallidi fianco a un vecchio che teneva le briglieguidando gli animalic'erano due girovaghecioè
zingarevestite da deeche suonavano una tromba. I borghesistupiticontemplavano e facevano commenti su quella
macchina che sobbalzava fieramente.
Si trattava dell'antica dimora di Ursusche il successo aveva ingranditoedi un piccolo palco promosso a teatro.
Incatenato sotto il furgone c'era un essere a metà tra il cane e il lupo.Era Homo.
Il vecchio cocchiere che guidava i hackneys era il filosofo inpersona.
Da dove veniva quella promozione di una miserabile casupola in berlinaolimpica?
Veniva dal fatto che Gwynplaine era celebre.
Era grazie a un autentico fiuto per ciò che è necessario ad avere successotra gli uominiche Ursus aveva detto a
Gwynplaine: hanno fatto la tua fortuna.
Ursuscome si ricorderàaveva preso Gwynplaine come proprio allievo.Sconosciuti avevano lavorato quel volto. Egli
ne aveva lavorato l'intelligenzae dietro quella maschera così riuscita viaveva messo quanto più pensiero poteva.
Quando gli sembrò che il ragazzoessendo cresciutofosse prontolo fecedebuttare sulla scenacioè davanti al
baracchino. Quell'apparizione aveva avuto un effetto straordinario. Ipassanti lo avevano subito ammirato. Mai si era
visto qualcosa di simile a quella sorprendente contraffazione del riso.Nessuno sapeva come si fosse ottenuto quel
miracolo d'ilarità contagiosaalcuni pensavano che si trattasse di unfenomeno naturalealtri di qualcosa di artificialee
mescolandosi congetture e realtàdovunquenei crocevianei mercatineiluoghi dove si tenevano fiere e festela folla
si accalcava attorno a Gwynplaine.Grazie a quella - great attraction -nellapovera scarsella di quel gruppo di nomadi era cadutadapprima una pioggia di
centesimipoi di grosse monete e infine di scellini. Esaurita la curiositàin un luogopassavano ad un altro. Rotolare non
arricchisce una pietrama può arricchire una carretta; e di anno in annodi città in cittàcon il crescere della statura e
della bruttezza di Gwynplaineera arrivata la fortuna predetta da Ursus.
«Ti hanno reso un bel servizioragazzo mio!»diceva Ursus.
Quella - fortuna - aveva permesso a Ursusche amministrava il successo diGwynplainedi costruirsi la carretta dei suoi
sognicioè un furgone grande abbastanza per trasportare un teatroe potercosì seminare scienza e arte ad ogni crocevia.
InoltreUrsus aveva potuto aggiungere al gruppo composto da luida Homoda Gwynplaine e da Deadue cavalli e due
donne chenella compagniacome abbiamo dettofacevano le dee e le serve.Ogni baracca di giocolieria quei tempi
aveva il suo frontespizio mitologico. «Siamo un tempio di girovaghi»diceva Ursus.
Le due girovagheraccolte dal filosofo nella baraonda di nomadi dei borghi edei sobborghierano brutte e giovanie
Ursus aveva imposto loro i nomi di Febe e Venere. Leggete: Fibi e Vinos.Dato che dobbiamo conformarci alla
pronuncia inglese.
Febe si occupava della cucina e Venere sgobbava nel tempio.
Inoltrequando c'era spettacolovestivano Dea.
Al di fuori di quella che èper i giocolieri come per i principi- la vitapubblica -Deacome Febi e Venereindossava
una gonna fiorentina di tela a fiori e un capingot senza manichechelasciava libere le braccia. Ursus e Gwynplaine
portavano capingot da uomo ecome i marinai delle navi da guerradelle granbraghe alla marinara. Inoltre per gli
esercizi e i lavori faticosiGwynplaine tenevaintorno al collo e sullespalleuna schiavina di cuoio. Egli si prendeva
cura dei cavalli. Ursus e Homo si prendevano cura uno dell'altro.
Dea si era talmente abituata alla Green-Box che andava e veniva all'internodi quella casa ambulante in modo quasi
naturalecome se ci vedesse.
Se uno sguardo avesse potuto penetrare nella struttura intima e nellasistemazione di quell'edificio ambulanteavrebbe
scorto in un angoloancorato alle pareti e immobile sulle sue quattro ruotel'antico baracchino di Ursus messo a riposo
a cui era concesso d'arrugginire e ormai dispensato dal macinare stradacosì come Homo era dispensato dal trainare.
Il baracchinocacciato in un angolo sul fondoa destra della portaservivada camera e da guardaroba a Ursus e a
Gwynplaine. Adesso conteneva due letti. Nell'angolo di fronte c'era lacucina.
Una nave non viene sistemata in modo più sobrio e più preciso di quantofosse la sistemazione interna della Green-Box.
Ogni cosa aveva un postoin un ordine previsto e voluto.
La berlina era divisa in tre scompartimenti separati. Gli scompartimenticomunicavano per mezzo di aperture prive di
porte. Un pezzo di stoffa attaccata in alto faceva da chiusura. Ilcompartimento posteriore era l'alloggio degli uominiil
compartimento anteriore era l'alloggio delle donnequello di mezzocheseparava i due sessiera il teatro. Gli strumenti
d'orchestra e i macchinari erano in cucina. Un soppalco nella curvatura deltetto conteneva gli scenarie aprendo una
botola nel soppalco si scoprivano le lampade che servivano per certi giochid'illuminazione.
Ursus era il poeta di quei giochi. Era lui l'autore delle rappresentazioni.
Era molto ingegnososapeva fare giochi d'abilità molto singolari. Oltrel'imitazione delle vocisi esibiva in ogni sorta di
meraviglieeffetti di luce e d'oscuritànumeri e parole a volontà cheapparivano spontaneamente su una paretevolti che
svanivano confusi nel chiaroscuroe una quantità di bizzarrie in mezzo acui egli sembrava meditareincurante della
folla meravigliata.
Un giorno Gwynplaine gli aveva detto:
«Padremi sembrate uno stregone».
E Ursus aveva risposto:
«Questo forse dipende dal fatto che lo sono».
La Green-Boxcostruita su un sapiente progetto di Ursuspresentava unaraffinatezza ingegnosa: tra le ruote anteriori e
quelle posterioriil pannello centrale della facciata di sinistra girava suuna cernieragrazie a un gioco di catene e
puleggeabbattendosi a comando come un ponte levatoio. Scendendo liberavatre supporti di ferro a cardini chementre
il pannello si abbassavasi mantenevano verticaliposandosi alla fine perterra dritti come le gambe di un tavolo
sostenendo cosìrialzato dal selciatoil pannello che era diventatoorizzontale come un palco.
Contemporaneamente appariva il teatrocompleto di ripiano in funzione diproscenio. Quel vano era del tutto simile a
una bocca dell'infernoalmeno secondo i predicatori puritani che sitrovavano in giro e che se ne allontanavano
inorriditi. È probabile che Solone abbia preso a bastonate Tespi proprio perun'empia invenzione del genere.
D'altra parte Tespi è durato più a lungo di quanto non si creda. Ilcarro-teatro esiste ancora. È sullo stesso tipo di teatri
ambulanti che nel sedicesimo e nel diciassettesimo secolo furonorappresentati in Inghilterra i balletti e le ballate di
Amner e di Pilkingtonin Francia le pastorali di Gilbert Colinin Fiandradurante le feste popolarii doppi cori di
Clémentdetto Non Papain Germania l'Adamo e Eva di Theilese in Italiale esibizioni veneziane di Animuccia e di
Ca-Fossisle Selve di Gesualdoprincipe di Venosail Satiro diLaura Guidiccionila Disperazione di Filenola Morte
di Ugolino di Vincenzo Galileipadre dell'astronomoil quale VincenzoGalilei cantava da sé la propria musica
accompagnandosi con la viola da gambae tutti quei primi saggi d'operaitaliana chedal 1580hanno sostituito la libera
ispirazione al genere madrigalesco.
Il carro color speranza che trasportava UrsusGwynplaine e le lororicchezzee in testa al quale Fibi e Vinos suonavano
come due celebri trombettistifaceva parte di tutto quell'insiemeletterario-zingaresco. Né Tespi avrebbe sconfessato
Ursusné Congrio Gwynplaine.Quando arrivavano nelle piazze dei villaggi edelle cittàtra una fanfara a l'altra di Fibi e VinosUrsus commentava le
due trombe con notizie istruttive.
«Questa è una sinfonia gregoriana»esclamava. «Bravi borghesiilsacramentario gregorianoche è stato un grande
progressosi è scontrato in Italia con il rito ambrosianoe in Spagna conil rito mozarabicoe ne ha trionfato a stento».
Dopo di che la Green-Box si fermava in un luogo qualunquescelto da Ursusevenuta la serail pannello proscenio si
abbassavail teatro si apriva e cominciava la rappresentazione.
Il teatro della Green-Box raffigurava un paesaggio dipinto da Ursusche nonsapeva dipingerecosì che il paesaggio
poteva benissimo rappresentare un sotterraneo.
Il siparioche noi chiamiamo teloneera una tenda di seta a quadri conforti contrasti.
Il pubblico stava fuorisulla stradain piazzadisposto a semicerchiodavanti allo spettacolosotto il solesotto gli
acquazzonicosa che rendeva la pioggia meno piacevole per i teatri di queitempi di quanto non lo sia per i nostri.
Quando era possibilele rappresentazioni venivano date in un cortiled'albergocosì da avere tante file di palchi quanti
erano i piani delle finestre. In questo modoessendo il teatro più chiusoil pubblico pagava di più.
Ursus era dovunquesi occupava dei copionidella compagniadella cucinadell'orchestra. Vinos picchiava sul
tamburomaneggiando a meraviglia le bacchettee Fibi pizzicava una speciedi chitarra. Il lupo era stato promosso
comparsa. Faceva decisamente parte della «compagnia»eall'occasionerecitava delle piccole parti. Spessoquando
Ursus e Homo facevano la loro comparsa fianco a fianco nel teatroUrsusnella sua pelle d'orso ben allacciataHomo
ancor meglio sistemato nella sua pelle di luponon si capiva chi dei duefosse la bestia; Ursus ne era lusingato.
IX • STRAVAGANZE CHE LE PERSONE SENZA GUSTO CHIAMANO POESIA
Le commedie di Ursus erano «interludi»genere che oggi è un po' passatodi moda. Una di queste commedieche non è
arrivata fino a noiera intitolata Ursus Rursus. Probabilmente eglivi recitava il ruolo principale. Una finta uscita seguita
da un ritorno ne costituiva il verosimile soggettolodevolmente sobrio.
A volte il titolo degli interludi di Ursus era in latinocome si vedementre la poesia era spesso in spagnolo. I versi
spagnoli di Ursus erano in rimacome quasi tutti i sonetti castigliani diquel tempo. Ciò non disturbava il popolo. Lo
spagnolo era allora una lingua correntee i marinai inglesi parlavanocastigliano come i soldati romani parlavano
cartaginese. Pensate a Plauto. D'altra parte la lingua latinao un'altra chepure l'uditorio non capissenon dava fastidio a
nessunosia a teatro che a messa. Se la cavavano accompagnandolaallegramente con parole che conoscevano. La
nostra vecchia Francia d'un tempo aveva in particolare quella strana manieradi essere devota. In chiesasu un
Immolatusi fedeli cantavano Liesse pendraie su un SanctusBaise-moima mie. Ci fu bisogno del concilio di Trento
per porre fine a simili licenze.
Proprio per Gwynplaine Ursus aveva composto un interludio di cui erasoddisfatto. Era la sua opera principale. Vi
aveva messo tutto se stesso. Darsi completamente in ciò che si fa è iltrionfo di chiunque crei. Il rospo che fa un altro
rospo fa un capolavoro. Ne dubitate? Provate a fare altrettanto.
Ursus aveva intensamente rifinito quell'interludio. Il canovaccio eraintitolato: La sconfitta del caos.
Ecco di cosa si trattava:
Un effetto notte. Nel momento in cui la tenda si aprivala folla ammassatadavanti alla Green-Box vedeva solo del nero.
In quel nero si muovevano come rettili tre forme indistinteun lupoun orsoe un uomo. Il lupo era il lupo. Ursus faceva
l'orsoGwynplaine l'uomo. Il lupo e l'orso rappresentavano le forze ferocidella naturagli appetiti incoscientila
selvaggia oscuritàe si avventavano tutti e due su Gwynplaineraffigurandola lotta del caos contro l'uomo. Non si
distinguevano le facce. Gwynplaine si dibatteva sotto un sudarioaveva ilvolto coperto da una folta capigliatura
spiovente. Comunque tutto era avvolto dalle tenebre. L'orso ringhiavaillupo digrignava i denti e l'uomo gridava.
L'uomo aveva la peggioi due animali stavano per sopraffarlo; egli invocavaaiuto e soccorsolanciava un richiamo
nelle profondità dell'ignoto. Rantolava. Si assisteva all'agonia diquell'uomo informeappena distinguibile dai bruti;
l'effetto era lugubrela folla guardava col fiato sospeso; ancora un istantee le belve avrebbero trionfatoil caos avrebbe
riassorbito l'uomo. Lottagridaurlae improvvisamente il silenzio.Dall'ombra veniva un canto. Era passato un soffio
si udiva una voce. Musiche misteriose fluttuavanoaccompagnando quel cantodell'invisibilee di colposenza che si
capisse da dove e comesorgeva qualcosa di bianco. Quel bianco era una lucequella luce era una donnaquella donna
era spirito. Deacalmacandidabellaesemplare per serenità e dolcezzaappariva al centro di una nuvola. Un profilo
chiaro nell'aurora. Quella voce era lei. Voce leggeraprofondaineffabile.Da invisibile fattasi visibileessa cantava
nell'alba. Era come udire il canto di un angelo o l'inno di un uccello. Alsuo apparire l'uomo si drizzava nello scintillio
di un lampoe colpiva con i pugni le due bestieatterrandole.
Allora la visionecon uno scarto difficile da comprenderee dunque tantopiù ammiratocantava questi versi in uno
spagnolo sufficientemente puro per essere capito dai marinai inglesi chel'ascoltavano:
Ora! Hora!
De palabra
Nace razon
Da luze el son.
Poiabbassando gli occhi al di sotto del piano dove si trovavacome se cifosse un abissoriprendeva:Noche quita te de alli
El alba canta hallali.
A mano a mano che ella cantava l'uomo si ergeva sempre di più ementreprima giacevaora stava in ginocchiocon le
mani alzate verso la visionele ginocchia sulle bestie immobili e comefolgorate. Leirivolta verso di luicontinuava:
Es menester a cielos ir
Y tu que llorabsa reir.
Eavvicinandosi con la maestà di una stellaaggiungeva:
Gebra barzon!
Dexamonstro
A tu negro
Caparazon.
E gli posava la mano sulla fronte.
Allora si levava un'altra vocepiù profonda e dunque ancora più dolceassorta e desolatadi una gravità tenera e
indomitaera il canto dell'uomo che rispondeva al canto delle stelle.Gwynplainesempre inginocchiato nell'oscurità
sull'orso e sul lupo ormai vinticon il capo sotto la mano di Deacantava:
O ven! ama!
Eres alma
Soy corazon.
E all'improvvisoin quell'ombraun fascio di luce colpiva Gwynplaine inpieno volto.
Si vedeva il mostro sbocciare dalle tenebre.
È impossibile descrivere la commozione della folla. Sorgeva un sole chestava ridendoquesto era l'effetto. Il riso nasce
da ciò che è imprevedibilee niente era meno prevedibile di quell'epilogo.L'emozione provocata da quello schiaffo di
luce sulla maschera buffa e terribile era incomparabile. Si rideva di quelriso; dovunquein altoin bassodavantiin
fondouominidonnei vecchi calvii volti rosei dei bambinii buoniicattiviquelli allegri e quelli tristitutti; e
perfino i passanti sulla stradache non potevano vedereal suono di quellerisateridevano. E il riso finiva in un batter
di mani e di piedi. Quando la tenda si chiudevachiamavano a gran voceGwynplaine. Il successo era enorme. Avete
visto La sconfitta del caos? Tutti accorrevano da Gwynplaine. Glispensierati andavano per riderei melanconici
andavano per riderequelli con la coscienza sporca andavano per ridere. Eraun riso così irresistibile chea voltepoteva
sembrare insano. Ma se c'è una peste che l'uomo non si sogna di fuggirequesta è il contagio della gioia. Il successo
comunque non andava oltre la cerchia del popolino. Una grande folla significapopolo minuto. Si assisteva a La
sconfitta del caos per un penny. Il bel mondo non va là dove si spendesolo un soldo.
Ursus non disprezzava affatto la sua operache aveva covato tanto a lungo.
«È del tipo di quelle di un certo Shakespeare»diceva con modestia.
La sovrapposizione di Dea a Gwynplaine aggiungeva qualcosa di inesprimibilealla scena. Quella figura bianca accanto
a uno gnomo rappresentava qualcosa come lo stupore divino. Il popolo guardavaDea con una specie di misteriosa
ansietà. Essa aveva la suprema e indefinibile qualità della vergine e dellasacerdotessache ignora l'uomo ma conosce
Dio. Si vedeva che era ciecae si avvertiva che era veggente. Sembrava rittasulla soglia del soprannaturale. Si mostrava
per metà nella nostra lucee per metà nell'altra. Veniva per lavoraresulla terra nel modo in cui lavora il cielocon
l'aurora. Trovava un'idra e ne faceva un'anima. Il suo aspetto era quello diuna potenza creatriceprovava uno stupore
soddisfatto per la sua creazione; era come se sul suo viso adorabilmentesmarrito ci fosse la volontà della causa e la
sorpresa del risultato. Si sentiva che amava il suo mostro. Ma sapeva che eraun mostro? Sìpoiché lo toccava. Nodal
momento che lo accettava. Tutta quella notte e tutto quel giorno mescolati sirisolvevanonell'anima dello spettatorein
un chiaroscuro dove apparivano prospettive infinite. Come possa la divinitàaderire all'abbozzocome si compia la
penetrazione dell'anima nella materiacome il raggio di sole sia un cordoneombelicalecome possa trasfigurarsi chi è
sfiguratocome l'informe diventi paradisiacotutti questi misteri appenaintravisti aggravavano di un'emozione quasi
cosmica le convulsioni d'ilarità provocate da Gwynplaine. Senzaapprofondireperché agli spettatori non piace
l'approfondimentopure essi avvertivano qualcosa al di là di ciò chevedevanoe quello strano spettacolo aveva la
trasparenza di un avatar.
Quanto a Deaciò che provava sfugge alla parola umana. Si sentivacircondata da una follasenza sapere cosa fosse una
folla. Udiva del rumoreed è tutto. Per lei la folla era un soffio; e infondo non è che questo. Le generazioni sono un
passare di fiati. L'uomo respirainspirando e espirando. In mezzo a quellafolla Dea si sentiva solarabbrividiva come in
bilico sopra un precipizio. A un trattonel turbamento che prova l'innocentein pericolopronto ad accusare l'ignoto
nell'insoddisfazione per la probabile cadutaDeache tuttavia rimanevaserena e superiore alla vaga angoscia per il
pericolopur fremendo interiormente a causa del suo isolamentoritrovavacertezza e sostegno; tornava ad afferrare ilsuo filo di salvezza inquell'universo di tenebreposava la mano sulla forte testa di Gwynplaine. Gioiainaudita!
Appoggiava le rosee dita su una foresta di capelli crespi. Toccare la lanarisveglia una sensazione di dolcezza. Dea
toccava un montone sapendo che era un leone. Il cuore le si scioglieva in unamore ineffabile. Si sentiva fuori pericolo
trovava il salvatore. Il pubblico credeva di assistere al contrario. Per glispettatori era Gwynplaine la creatura salvatae
Dea il salvatore. Che importa! Pensava Ursusche vedeva nel cuore di Dea. EDearassicurataconsolatain estasi
adorava un angelomentre il popolo contemplava un mostrosubendo anch'essocon un fascino di senso opposto
quello smisurato e prometeico riso.
Il vero amore non si stanca. Essendo puramente spirituale non puòintiepidirsi. La brace si copre di cenerema non la
stella. Quelle impressioni squisite si rinnovavano ogni sera per Deaed erapronta a piangere di tenerezza mentre gli
altri si torcevano dal ridere. Intorno a lei erano tutti allegrima leileiera felice.
Del resto quell'allegria dovuta al ghigno imprevisto e stupefacente diGwynplainenon era certo voluta da Ursus.
Avrebbe preferito il sorriso alla risatae un'ammirazione più letteraria.Ma il trionfo consola. Egli trovava modo di
riconciliarsi tutte le sere con quel successo eccessivocontando quante piledi farthings occorrevano per fare degli
scellinie quante di scellini per fare delle sterline. E poipensava chequando tutto quel ridere fosse passato qualcosa de
La sconfitta del caos sarebbe rimasto in fondo ai cuori. Forse non sisbagliava del tutto; l'assestamento di un'opera
avviene nel pubblico. La verità è che il popolinoche prestava attenzioneal lupoall'orsoall'uomo e poi alla musicaa
quelle urla domate da un'armoniaa quella notte messa in fuga dall'albaalcanto che sprigionava luceaccettava con
una simpatia confusa e profondae anche con un certo rispetto inteneritoilpoema drammatico La sconfitta del caos
quella vittoria dello spirito sulla materiache terminava nella gioiadell'uomo.
Erano i piaceri grossolani del popolo.
Gli bastavano. Il popolo non aveva i mezzi per andare ai - nobili incontri -della gentrye non poteva scommettere mille
ghinee su Helmsgail contro Phelem-ghe-madonecome facevano i signori e igentiluomini.
X • COLPO D'OCCHIO DI CHI È FUORI DAL MONDO SULLE COSE E SUGLI UOMINI
L'uomo non pensa che a vendicarsi del piacere che gli si procura. Da qui ildisprezzo per il commediante.
A questo essere che mi affascinami divertemi distraemi educam'incantami consolami istilla l'idealemi è
piacevolmente utileche male posso fare? L'umiliazione. Il disprezzoche èlo schiaffo dato a distanza.
Schiaffeggiamolo. Mi piacedunque è vile. Mi servedunque lo odio. Datemiuna pietra che gliela tiro. Dammi la tua
prete. E la tuafilosofo. Bossuetscomunicalo. Rousseauinsultalo.Oratoresputagli addosso i sassi della tua bocca. Su
fanne una delle tue. Lapidiamo l'alberoammacchiamo il fruttoe poimangiamolo. Bravo! Eabbasso! Recitare i versi
dei poeti significa essere appestati. Vaistrione! Mettiamolo alla gogna delsuo successo. Completiamo il suo trionfo
con schiamazzi. Che raccolga folla e generi solitudine. Così le classiricchedette classi altehanno inventato per il
commediante un'originale forma di isolamentol'applauso.
Il popolino è meno feroce. Non odiava affatto Gwynplaine. Né lodisprezzava. Solo che l'ultimo calafato dell'ultimo
equipaggio dell'ultima caracca ormeggiata nell'ultimo porto dell'Inghilterrasi considerava incommensurabilmente
superiore a questo intrattenitore «della canaglia»ed era convinto che uncalafato è tanto superiore a un saltimbanco
quanto un lord a un calafato.
Come tutti i commediantiGwynplaine era dunque applaudito e isolato. Delrestoa questo mondo ogni successo è un
crimine e va espiato. Ogni medaglia ha il suo rovescio.
Per Gwynplaine non c'erano rovesci. Nel senso che gli piacevano entrambi gliaspetti del suo successo. Era contento
degli applausi e dell'isolamento. Gli applausi lo rendevano ricco;l'isolamento gli dava la felicità.
Ricchezzain questi bassifondivuol dire non essere più miserabili. Vuoldire non avere più buchi nei vestitiné freddo
il focolarené vuoto lo stomaco. Significa mangiare quando si ha appetito ebere quando si ha sete. Significa avere tutto
il necessariocompresa una moneta da dare al povero. Gwynplaine possedevaquesta ricchezza indigentesufficiente per
essere liberi.
Per quanto riguarda l'animaegli era ricchissimo. Aveva l'amore. Cosa potevadesiderare?
Non desiderava nulla.
Si sarebbe almeno potuto offrirgli qualcosa per la sua deformità. Comel'avrebbe respinta! Abbandonare la maschera per
riprendere il proprio voltotornare ciò che forse era statobello eaffascinantenon l'avrebbe certamente voluto! E con
cosa avrebbe mantenuto Dea? Che ne sarebbe stato della povera e dolce ciecache lo amava? Senza il ghigno che faceva
di lui un clown unicosarebbe stato un saltimbanco qualsiasil'ultimo degliequilibristiuno che raccattava spiccioli
nelle fessure del selciatoe forse Dea non avrebbe avuto pane tutti igiorni! Era con tenero orgoglio che egli si sentiva il
protettore di quell'inferma celeste. NotteSolitudineMiseriaImpotenzaIgnoranzaFame e Setele sette fauci
spalancate della miseria si drizzavano attorno a leied egli era San Giorgioche lotta con il drago. E trionfava sulla
miseria. Come? Con la sua deformità. La deformità lo faceva utilesoccorrevolevittoriosogrande. Non aveva che da
mostrarsi per attirare il denaro. Era il signore delle folle; sapeva diessere il sovrano della plebaglia. Tutto egli poteva
per Dea. Provvedeva alle sue necessità; accontentava i suoi desiderile suevogliele sue fantasienei limiti di quanto
può augurarsi una cieca. Gwynplaine e Deacome abbiamo già dettoeranouno la provvidenza dell'altro. Egli si sentiva
sollevato dalle sue alilei si sentiva portata dalle sue braccia. Non c'èniente di più dolce che proteggere chi vi amadare
il necessario a chi vi fa dono delle stelle. Gwynplaine godeva di questasuprema felicità. La doveva alla sua deformità.
Quella deformità che lo rendeva superiore a tutti. Tramite essa siguadagnava la vitae la guadagnava anche per gli altri;tramite essa eraindipendenteliberofamosointimamente soddisfattofiero. In quelladeformità era inaccessibile. La
fatalità non poteva nulla contro di luidopo il colpo in cui si eraesaurita dando inizio al suo trionfo. Quel fondo di
disgrazia si era trasformato in vetta elisea. Gwynplaine era rimastoimprigionato nella deformitàma insieme a Dea.
Eracome abbiamo dettouna prigione in paradiso. Tra loro e il mondo deivivi c'era una muraglia. Meglio così. Quella
muraglia li rinchiudeva e li proteggeva al tempo stesso. Cosa si poteva farecontro Dea o contro Gwynplainecon una
simile recinzione attorno che li separava dalla vita? Togliere a lui ilsuccesso? Impossibile. Avrebbero dovuto togliergli
la faccia. Togliergli l'amore? Impossibile. Dea non lo vedeva. La cecità diDea era divinamente incurabile. Quali erano
gli inconvenienti della deformità per Gwynplaine? Non ce n'erano. E ivantaggi? Tutti. Era amato malgrado quell'orrore
e forse proprio a causa di esso. Infermità e deformità si eranoistintivamente avvicinate e accoppiate. Non è forse tutto
essere amati? Gwynplaine pensava ai suoi sfregi con riconoscenza. In quellestimmate era stato benedetto. Lo sentiva
con gioia impagabile e eterna. Che fortuna che quel dono fosse irrimediabile!Finché ci fossero stati crocicchifiere
strade davanti a ségente sulla terra e cielo in altosarebbe stato sicurodi viverea Dea non sarebbe mancato nullasi
sarebbero amati! Gwynplaine non avrebbe cambiato il proprio volto con quellodi Apollo. La forma della sua felicità era
il suo essere mostruoso.
Perciò all'inizio dicevamo che il destino l'aveva esaudito. Il reprobo eraun eletto.
Era così felice che compiangeva gli uomini che aveva attorno. Non glimancava certo la pietà. Per istinto comunque
guardava un po' quello che succedeva all'esternoperché nessun uomo ètutto d'un pezzo e la natura non è un'astrazione;
egli viveva nell'estasi di quell'isolamentoma ogni tanto alzava la testa aldi sopra del muro. Dopo essersi confrontato
rientrava con maggior gioia nel suo isolamento accanto a Dea.
Cosa vedeva attorno a sé? Chi erano tutti quelli che la sua esistenza danomade gli mostrava ogni giorno in campioni
diversi? Folle sempre nuovema sempre la stessa moltitudine. Sempre nuovivoltisempre le stesse sventure. Una
promiscuità di rovine. Ogni sera tutti i tipi di fatalità sociale facevanocerchio attorno alla sua felicità.
La Green-Box era popolare.
I prezzi bassi richiamano la classe bassa. Da lui andavano i deboliipoverii piccoli. Si recavano da Gwynplaine come
a bere del gin. Ci si comprava due soldi d'oblio. Dall'alto del suo palcoGwynplaine passava in rivista quel popolo
grigio. Il suo spirito si riempiva di tutte le apparizioni successive diun'immensa miseria. La fisionomia dell'uomo è fatta
dalla coscienza e dalla vitaed è il risultato di una quantità di segnimisteriosi. Non una sofferenzanon una colleranon
un'ignominianon una disperazione che per Gwynplaine non fosse una ruga. Lebocche di quei bambini non avevano
mangiato. Quell'uomo era un padrequella donna era una madree dietro loros'indovinavano famiglie distrutte. Quel
volto usciva dal vizio per entrare nel delitto; e se ne capivano i motivi:ignoranza e indigenza. Quell'altro rivelava
l'impronta di un'originaria bontàcancellata dallo sfinimento sociale efattasi odio. Sulla fronte di quella donna vecchia
si vedeva la fame; sulla fronte di quella giovinetta si vedeva laprostituzione. Le circostanze erano le stessema la
giovane aveva una risorsae questo le rendeva più lugubri. In quellaconfusione c'erano bracciama nessun attrezzo; i
lavoratori non domandavano di meglioma non c'era lavoro. A volte accanto aun operaio veniva a sedersi un soldatoa
volte un invalidoe Gwynplaine scorgeva lo spettro della guerra. QuiGwynplaine leggeva la disoccupazionelà lo
sfruttamentolà la servitù. Su certe fronti constatava quasi un ritornoall'animalitàil lento ritorno dell'uomo alla bestia è
il risultato della pressione verso il basso esercitata dall'oscura pesantezzadella felicità di chi sta in alto. In quelle
tenebre c'era per Gwynplaine uno spiraglio. Un giorno di sofferenza avevaprocurato a lui e a Dea la felicità. Tutto il
resto era dannazione. Gwynplaine sentiva sopra di sé lo scalpiccio svagatodei potentidei ricchidei magnificidei
grandidegli eletti dalla fortuna; sottodistingueva la massa di faccepallide dei diseredati; vedeva se stesso e Deacon
la loro piccola felicitàcosì incommensurabiletra due mondi; in altoilmondo che andava e venivaliberoallegro
danzanteil mondo di quelli che calpestano; in basso il mondo di quellicalpestati. Una fatalità che indica la profondità
del male socialela luce che schiaccia l'ombra! Gwynplaine prendeva atto diquel lutto. Come! Un simile destino da
rettile! L'uomo che si trascina così! Una tale aderenza alla polvere e alfangoun simile disgustouna simile
abdicazionee una tale abiezione che vien voglia di metterci il piede sopra!Di quale farfalla dunque la vita umana è il
bruco? Come! Nella folla che ha fame e che ignoradovunque e davanti atuttiil punto interrogativo del delitto o della
vergogna! L'inflessibilità delle leggi che produce l'ammollimento dellecoscienze! Un bambino che cresce solo per
rimpicciolire! Una vergine che cresce per vendersi! Una rosa che nasce per labava! A volte i suoi occhiincuriositi e
commossicercavano di vedere fino in fondo a quell'oscuritàdoveagonizzavano tanti inutili sforzi e dove lottavano
tanti sfinimentifamiglie divorate dalla societàcostumi torturati dalleleggipiaghe incancrenite dalle punizioni
miserie rose dalle imposteintelligenze alla derivainghiottitedall'ignoranzazattere in pericolo cariche d'affamati
guerrecarestierantoligridasparizioni; ed egli provava un'indefinibileemozione davanti a quella straziante angoscia
universale. Poteva vedere tutta la schiuma dell'infelicità sulla cupaconfusione umana. Egli era in portoguardava il
naufragio attorno a sé. A volte si prendeva tra le mani il volto sfiguratoe pensava.
Che follia essere felice! Che sogni! Gli venivano certe idee. L'assurdo gliattraversava il cervello. Poiché una volta
aveva soccorso un bambino si sentiva portato a soccorrere il mondo. Le nubidella fantasticheria facevano velo qualche
volta alla sua stessa situazione; perdeva il senso della proporzione fino adirsi: «Cosa si potrebbe fare per questo popolo
disgraziato?». Gli capitava di essere tanto assorto da dirlo a voce alta.Allora Ursusalzando le spallelo guardava fisso.
E Gwynplaine continuava a sognare: «Oh! Se fossi potentesaprei ben andarein aiuto ai disgraziati! Ma chi sono io?
Un atomo. Cosa posso fare? Nulla».
Si sbagliava. Egli poteva molto per gli infelici. Li faceva ridere.
Ecome abbiamo dettofar ridere significa far dimenticare.Quale migliorbenefattore su questa terra di chi regala l'oblio!
XI • GWYNPLAINE È NEL GIUSTOURSUS NEL VERO
Un filosofo è una spia. Ursusa caccia di sognistudiava il suo allievo. Inostri soliloqui producono un vago riverbero
sulla nostra fronteche non sfugge allo sguardo del fisionomista. PerciòUrsus conosceva tutto quello che passava per la
testa di Gwynplaine. Un giorno che Gwynplaine stava meditandoUrsustirandolo per il capingotesclamò:
«Come osservatore mi sembri stupido! Stai attentociò non ti riguarda. Tudevi pensare a una cosa solaamare Dea. La
tua felicità è fatta di due fortune; la prima è che la folla vede il tuomuso; la seconda che Dea non lo vede. Tu non hai
nessun diritto a questa felicità. Nessuna donna vedendo la tua boccaaccetterebbe i tuoi baci. La bocca che fa la tua
fortunala faccia che ti fa ricconon ti appartengono. Non eri nato conquel volto. L'hai rubato alla smorfia che sta in
fondo all'infinito. Hai rubato la maschera al diavolo. Sei orribileaccontentati di questa fortuna. A questo mondoche
per altro è ben fattoci sono quelli felici per diritto e quelli felici percaso. Tu sei uno di quelli felici per caso. Tu sei in
un sotterraneo dove si è impigliata una stella. Quella povera stella è tua.Non uscire dal tuo sotterraneotieniti la tua
stellaspecie di ragno! Nella tua tela c'è la rosseggiante Venere. Fammi ilpiacere di essere soddisfatto. Vedo che ti
perdi in fantasticherieè una cosa idiota. Ascoltati parlerò nellalingua della vera poesia: se Dea mangerà fette di
manzo e cotolette di montonein sei mesi diventerà forte come una turca;sposala subitoe dalle un figliodue figlitre
figliuna sfilza di figli. Ecco quella che per me è la vera filosofia.Inoltre si è felicicosa da non disprezzare. Avere dei
bambiniquesto è il bello. Abbi dei marmocchipuliscilisoffia loro ilnasomettili a lettoimbrattali e sbrattaliche
tutto ciò ti brulichi attorno; se ridonobene; se urlanomeglio; gridaresignifica vivere; guardali succhiare a sei mesi
andare a carponi a un annocamminare a duesvilupparsi a quindiciamare aventi. Chi ha di queste gioieha tutto. Io
non sono riuscito ad avere tutto ciòper questo sono un bruto. Il buon Diocompositore di belle poesieil primo tra i
letteratiha dettato al suo collaboratore Mosè: Moltiplicatevi! Eccoil testo. Moltiplicatianimale! Quanto al mondoè
quello che è; non ha certo bisogno di te per andare male. Lascia perdere.Non ti curare di quello che c'è fuori. Lascia in
pace l'orizzonte. Un commediante è fatto per essere guardatonon perguardare. Sai cosa c'è fuori? Quelli felici per
diritto. Te lo ripetotu sei felice per caso. Tu rubi la felicità cheappartiene a loro. Essi sono i legittimi proprietaritu sei
l'intrusotu vivi in concubinaggio con la sorte. Cosa vuoi di più di quelloche hai? Che Schiboleth mi aiuti! Questo
scavezzacollo è un furfante. Eppure moltiplicarsi con Dea deve esserepiacevole. Una simile felicità sembra una truffa.
Chiper concessione del cieloè felice quaggiùnon ama che quelli sottodi lui si permettano tanta gioia. Se ti
domandassero: che diritto hai di essere felice? Tu non sapresti cosarispondere. Tu non hai il permessoloro sì. Giove
AllahVisnùSabaothnon importaha dato loro il lasciapassare per lafelicità. Temili. Non occuparti di lorose non
vuoi che essi si occupino di te. Sai cos'èmiserabileun fortunato perdiritto? È un essere terribileè un lord. Ah! Un
lordecco uno che ha dovuto brigare nell'ignoto regno del diavolo prima divenire al mondoper entrare nella vita da
una porta simile! Quanto deve essergli costato nascere! È stata la sua unicafaticamasanto cielo! Non da poco!
Ottenere dal destinobel tanghero di ciecoche vi faccia subitofin dallacullapadrone di uomini! Corrompere questo
bigliettario per farvi dare il posto migliore per lo spettacolo! Leggi ilpromemoria che si trova nel baracchino che ho
messo a riposoleggi il breviario della mia saggezza e vedrai cos'è unlord. Il lord è uno che ha tutto e che è tutto. Lord
è chi si pone al di sopra della propria natura; un lord è chipur essendogiovanepossiede i diritti della vecchiaia e
quando è vecchiopossiede le fortune della gioventùvizioso è rispettatodalla gente per benecodardo comanda ai
coraggiosifannullone gode il frutto del lavoro altruiignorante ha ildiploma di Cambridge e di Oxfordstupido è
ammirato dai poetibrutto le donne gli sorridonoTersite ha l'elmod'Achillelepre la pelle del leone. Non
fraintenderminon voglio dire che un lord debba essere necessariamenteignorantevilebruttostupido e vecchio; dico
solo che può essere tutto ciò senza riceverne danno. Al contrario. I lordssono principi. Il re d'Inghilterra non è che un
lordil primo signore della signoria; è tutto quima è molto. Un tempo ire si chiamavano lords; il lord di Danimarcail
lord d'Irlandail lord delle Isole. Il lord di Norvegia si è chiamato resolo dopo trecento anni. Lucioil più antico re
d'Inghilterrariceveva da San Telesforo l'appellativo milord Lucius.I lords sono paricioè uguali. A chi? Al re. Non
commetterò certo l'errore di confondere i lords con il parlamento. Isassoniprima della conquistaavevano chiamato
l'assemblea del popolo wittenagemotdopo la conquista i normanni lachiamarono parliamentum. Poco a poco il popolo
fu messo alla porta. Le lettere chiuse del reche convocavano i comuniuntempo portavano ad consilium impedendum
oggi portano ad consentiendum. I comuni hanno il diritto diacconsentire. Sono liberi di dire sì. I pari possono dire no. E
la prova sta nel fatto che l'hanno detto. I pari possono tagliare la testa alreil popolo no. Il colpo di scure su Carlo I è
una prevaricazionenon sul rema sui pariperciò hanno fatto bene adimpiccare la carcassa di Cromwell. I lords hanno
il potereperché? Perché sono ricchi. Chi ha sfogliato il Doomsday-book?Esso è la prova che i lords sono i proprietari
dell'Inghilterraè il registro dei beni dei sudditi istituito sottoGuglielmo il Conquistatoreed è custodito dal cancelliere
dello scacchiere. Se si vuole copiarne qualcosasi devono pagare quattrosoldi a riga. È un bel libro. Sai che sono stato
maestro di casa presso un lord che si chiamava Marmaduke e che aveva unarendita di novecentomila franchi francesi
all'anno? Lascia perdererazza di cretino. Non sai che solo con i coniglidelle garenne del conte Lindsey si potrebbe
nutrire tutta la canaglia dei Cinque Porti? Ma provate a toccarli. Fannopresto. Tutti i bracconieri vengono impiccati. Per
due lunghe orecchie pelose che uscivano dal suo carniereho vis to appenderealla forca un padre di sei figli. Questa è la
signoria. Il coniglio di un lord vale più di un uomo del buon Dio. Capiscichi sono i signorimanigoldo? E noi
dobbiamo accettarli. Ma se anche non li potessimo sopportareche dannogliene verrebbe? Il popolo che contesta!
Neppure Plauto riuscirebbe a far ridere allo stesso modo. Sarebbe divertentese un filosofo consigliasse a quel poverodiavolo di popolo di protestare controil numero e la forza dei lords. Come far discutere da un bruco la zamp a di un
elefante. Un giorno ho visto un ippopotamo che camminava su una tana ditalpe; schiacciava tutto; era innocente. Non
sapeva neppure che ci fossero talpequel bonaccione di mastodonte. Mio carole talpe schiacciate sono il genere
umano. Schiacciare è una legge. Credi forse che la talpa stessa non schiaccinulla? Essa è mastodontica per l'acaroche
a sua volta lo è per il volvoce. Ma smettiamola di discutere. Ragazzo miole carrozze esistono. Dentro ci stanno i lords
sotto le ruote ci sta il popoloil saggio si fa da parte. Spostati e lasciapassare. Quanto a meamo i lordsma li evito. Ho
vissuto con uno di loro. Per la bellezza dei miei ricordi è sufficiente. Miricordo il suo castellouna gloria avvolta dalle
nuvole. I miei sogni ormai guardano al passato. Niente è paragonabile aMarmaduke-Lodge per grandezzabellezza di
simmetriaricchezza d'entrateper ornamenti e orpelli dell'edificio. Delresto le casegli edifici e i palazzi dei lords
offrono una raccolta di quanto c'è di più grande e magnifico in questofiorente regno. Amo i nostri signori. Li ringrazio
di essere ricchipotenti e prosperi. Ioche sono vestito di tenebreguardocon interesse e piacere a quel pezzo d'azzurro
celestiale che è un lord. Si entrava a Marmaduke-Lodge attraverso una cortespaziosissima che formava un quadrato
diviso in otto riquadri minoriseparati da balaustree che aveva un largoviale libero da ogni lato e una superba fontana
esagonale in mezzocon due vaschesormontata da una cupola costruita aregola d'artesospesa su sei colonne. Là ho
conosciuto un dotto francesel'abate di Crosche apparteneva all'ordine deiGiacobini della via Saint-Jaques. A
Marmaduke-Lodge c'era metà della biblioteca di Erpeniusl'altra si trovanella sala di teologia di Cambridge. Vi
leggevo i libri seduto sotto un leggiadro portale. Sono cose che di solitovedono solo pochi viaggiatori curiosi. Sai tu
ridicolo boyche monsignor William Northche è lord Grey di Rollestoneche siede al quattordicesimo posto nel
banco dei baronipossiede più alberi di alto fusto sulla sua montagna diquanti sono i capelli della tua orribile zucca?
Sai che lord Norreys di Rycottcioè il conte d'Abingdonha un mastioquadrato alto duecento piedi che reca il motto:
Virtus ariete fortiorche sembra voler dire: la virtù è più fortedi un montonema cheimbecille che seisignifica: Il
coraggio vale più di una macchina da guerra? Sìio onoroaccettorispetto e riverisco i nostri signori. Sono i lords che
insieme alla maestà realelavorano per procurare e conservare il benesseredella nazione. La loro consumata saggezza
brilla nelle circostanze difficili. Vorrei ben vedere che non avessero lapreminenza su tutti. Certo che l'hanno. Ciò che in
Germania chiamano principatoe grandezza in Spagnasi chiama paria inInghilterra e in Francia. Dal momento che
c'erano motivi per giudicare piuttosto miserabile questo mondoDiotoccatonel vivoha voluto dimostrare che sapeva
fare anche delle persone felicie ha creato i lordsper dare soddisfazioneai filosofi. Quella creazione corregge l'altra e
mette Dio fuori discussione. Per lui è stata una soluzione decorosa per unasituazione imbarazzante. I grandi sono
grandi. Parlando di se stesso un pari dice noi. Un pari è un plurale.Il re definisce i pari consanguinei nostri. I pari hanno
fatto una quantità di leggi saggetra le altre quella che condanna a mortel'uomo che taglia un pioppo di tre anni. La loro
supremazia è tale che hanno una lingua tutta loro. In stile araldico ilneroche si chiama sable per i nobili comuniviene
detto saturne dai principi e diamant dai pari. Polvere didiamantenotte stellataquesto è il nero degli uomini felici. E
anche tra di loroquesti gran signoririspettano le sfumature. Un baronenon può lavarsi con un visconte senza il suo
permesso. Queste sono le cose eccellenti che conservano le nazioni. Non èforse bello per un popolo avere venticinque
duchicinque marchesisettantasei continove visconti e sessantun baroniper un totale di centosettantasei parialcuni
Graziealtri Signorie? E se con tutto ciòqua e là ci fossero anche deglistracci? Non può essere tutto oro. Vada per lo
straccio; non c'è anche la porpora? L'una riscatta l'altro. Bisogna pureusare qualcosa per costruire qualcos'altro. Ebbene
sìci sono gli indigentibella scoperta! Essi rinsaldano la felicità deiricchi. Per tutti i diavoli! I nostri lords sono la
nostra gloria. Solo la muta di Charles Mohunbarone Mohuncosta quantol'ospedale dei lebbrosi di Mooregate e
quanto l'ospedale di Cristofondato per i bambini di Edoardo VI nel 1553.Thomas Osborneduca di Leedsspende
cinquemila ghinee d'oro all'anno solo per le sue livree. I grandi di Spagnahanno un tutorenominato dal reche gli
impedisce di rovinarsi. Una vigliaccheria. I nostri lords sono stravaganti emagnifici. È una cosa che tengo in
considerazione. Non blateriamo come gli invidiosi. Sono grato al passaggio diuna bella visione. Non ho la lucema ho
il riflesso. Riflesso dei miei stivalidirai tu. Va' al diavolo. Io sono unGiobbe che è felice di contemplare Trimalcione.
Oh! Che bel pianeta radioso là in alto! È pur qualcosa godere del chiaro diluna. Sopprimere i lords è un'idea che
neppure Oresteper quanto folleoserebbe sostenere. Dire che i lords sononocivi o inutili è come dire che dobbiamo
scuotere gli stati dalle fondamentae che gli uomini non sono fatti pervivere come i greggibrucando l'erba e presi a
morsi dal cane. Il prato è tosato dal montonee il montone è tosato dalpastore. Cosa c'è di più giusto? A tosatore
tosatore e mezzo. Per metutto mi va bene; io sono un filosofotengo allavita come una mosca. La vita non è che un
luogo di passaggio. Quando penso che Henry Bowes Howardconte di Berkshirepossiede nelle sue scuderie
ventiquattro carrozze di galauna con i finimenti d'argento e un'altra con ifinimenti d'oro! Dio mioso bene che non
tutti hanno ventiquattro carrozze di galama non per questo bisognareclamare. Hai avuto freddo una notteed ecconon
ci sei che tu! Anche altri hanno freddo e fame. Ma lo sai che senza quelfreddo Dea non sarebbe ciecae che se non
fosse cieca non ti amerebbe! Ragionaignorante! E poise il primo che passasi lamentasseche bel baccano. Silenzio
ecco la regola. Sono convinto che il buon Dio ordina ai dannati di tacerealtrimenti Dio stesso sarebbe condannato a
udire un grido eterno. La felicità dell'Olimpo vale il silenzio del Cocito.Dunque tacipopolo. Io faccio di meglio
approvo e ammiro. Poco fa enumeravo i lordsma bisogna aggiungere duearcivescovi e ventiquattro vescovi! Quando
ci pensoin realtàmi commuovo. Mi ricordo di aver visto in casadell'esattore del reverendo decano di Raphoeche
appartiene sia alla signoria che alla chiesaun'enorme quantità del piùbel grano preso ai contadini dei dintorni e che
l'esattore non si era dato la pena di far maturare. Ciò gli lasciava iltempo di pregare Dio. Sai che lord Marmadukeil
mio padroneera lord gran tesoriere d'Irlanda e alto siniscalco dellasovranità di Knaresburgnella contea di York? Sai
che il lord alto ciambellanoche è un ufficio ereditario nella famiglia deiduchi d'Ancasterveste il re nel giornodell'incoronazione e riceve per la suafatica quaranta aune di velluto cremisipiù il letto dove ha dormito il re; eche
l'usciere della verga nera è il suo deputato? Vorrei proprio vederticontestare il fatto che il più antico visconte
d'Inghilterra è sir Robert Brentcreato visconte da Enrico V. Tutti ititoli dei lords rimandano a una sovranità su una
terraeccetto il conte Riversche ha per titolo il nome della sua famiglia.Che meraviglia il loro diritto di tassare gli
altrie di prelevareper esempiocome in questo momentoquattro scellinisu ogni sterlina di renditaconsuetudine
prorogata per un annoe tutte quelle belle imposte sulla distillazione deiliquorie i balzelli sul vino e sulla birrasul
tonnellaggio e sul pesaggiosul sidrosul sidro di peresul mumsulmaltosull'orzo lavorato e sul carbon fossilee su
cento altre cose simili! Inchinia moci alla realtà. Il clero stesso dipendedai lords. Il vescovo di Man è suddito del conte
di Derby. I lords hanno bestie feroci personali da mettere nei loro emblemi.Non avendone Dio fatte abbastanzane
inventano di nuove. Essi hanno creato il cinghiale araldicoche è tanto aldi sopra del cinghiale comunequanto il
cinghiale lo è del maialee il signore del prete. Essi hanno creato ilgrifoneche è aquila per i leoni e leone per le aquile
e che fa paura ai leoni con le sue alie alle aquile con la sua criniera.Essi hanno il biscioneil liocornoil serpentela
salamandrala tarasqueil dragoil dragonel'ippogrifo. Tutto ciòa noi procura terrorema per loro è ornamento e
contorno. Essi hanno un serraglio chiamato blasonedove ruggiscono mostriignoti. Non esiste foresta paragonabile al
loro orgoglio per i prodigi imprevedibili. La loro vanità è piena difantasmi che vi passeggiano come in una notte
sublimefantasmi in armicon elmocorazzasperonicon lo scettro delcomando in mano e che dicono con voce grave:
«Noi siamo gli avi!». Gli scarabei mangiano le radicile panoplie mangianoil popolo. Perché no! Vogliamo cambiare le
leggi? La signoria fa parte dell'ordine. Lo sai che in Scozia c'è un ducache può galoppare per trenta leghe senza uscire
dai suoi possedimenti? Lo sai che il lord arcivescovo di Canterbury ha unmilione di franchi di rendita? Lo sai che sua
maestà ha settecentomila sterline all'anno di lista civilesenza contare icastellile forestei dominii feudile tenutegli
allodile prebendele decimei beneficile confische e le ammendechepassano il milione di sterline? Chi non si
accontenta è ben difficile».
«Sì»mormorò pensieroso Gwynplaine«il paradiso dei ricchi è fattocon l'inferno dei poveri».
XII • URSUS POETA HA LA MEGLIO SU URSUS FILOSOFO
Poi entrò Dea; la guardòe non vide altro che lei. L'amore è così; perun momento si può essere invasi dall'ossessione di
un pensiero qualunque; arriva la donna che si ama e dissolve bruscamentetutto ciò che è estraneo alla sua presenza
senza sospettare che forse cancella in noi un mondo intero.
Raccontiamo un particolare. In La sconfitta del caos c'era una parolamonstrorivolta a Gwynplaineche non piaceva a
Dea. Qualche voltacon quel po' di spagnolo che a quei tempi tutticonoscevanoessa faceva il piccolo colpo di testa di
sostituirlo con quieroche significa lo desidero. Ursustolleravanon senza impazienzaquelle alterazioni del testo.
Avrebbe volentieri detto a Deacome ai giorni nostri Moessard a Visot: Tumanchi di rispetto al repertorio.
«L'uomo che ride». Sotto questa forma si era imposta la celebrità diGwynplaine. Il suo nomeGwynplainepressoché
sconosciutoera scomparso dietro quel soprannomecome la faccia sotto ilriso. La sua popolaritàcome il suo volto
era una maschera.
Il suo nome era comunque leggibile su un grosso cartello affisso sul davantidella Green-Boxche offriva alla folla
questa iscrizioneredatta da Ursus:
«Qui si può vedere Gwynplaineabbandonato all'età di dieci anninellanotte del 29 gennaio 1690da scellerati
comprachicosa Portlandsulla riva del mareormai diventato grande e cheoggi tutti chiamano: L'UOMO CHE RIDE».
L'esistenza dei saltimbanchi era simile a quella dei lebbrosi in unlazzaretto e dei fortunati in Atlantide. Ogni giorno
dovevano bruscamente passare dalla più rumorosa esibizione di fiera allapiù totale astrazione. Tutte le sere uscivano da
quel mondo. Se ne andavano come morti. Pronti a rinascere il giorno dopo. Ilcommediante è un faro a intermittenza
apparepoi spariscee per il pubblico esiste solo come fantasma e bagliorein questa vita di fari girevoli.
Alla strada seguiva la clausura. Appena lo spettacolo era finitomentrel'uditorio si disperdeva e il mormorio di
soddisfazione della folla si scioglieva nell'intrico delle viela Green-Boxritirava il suo pannello come una fortezza il
ponte levatoioe ogni comunicazione con il genere umano era interrotta. Dauna parte l'universodall'altra la baracca;
ma nella baracca c'erano la libertàla buona coscienzail coraggioladedizionel'innocenzala felicitàl'amoretutte le
costellazioni.
Erano sedute una accanto all'altra la cecità vedente e la deformità amatastringendosi la manocon le fronti che si
toccavanomentreebbresi parlavano a bassa voce.
Lo scompartimento di mezzo era utilizzato in due modi: come teatro dalpubblicoe come sala da pranzo dagli attori.
Ursussempre felice di fare paragonisfruttava la diversità di questiscopi per assimilare lo scompartimento centrale
all'arradash di una capanna abissina.
Ursus contava gli incassidopo di che cenavano. Per l'amore tutto siidealizzabere e mangiare insiemequando si è
innamoratipermette ogni sorta di promiscuità dolci e furtivee ogniboccone diventa un bacio. Si beve birra o vino
dallo stesso bicchierecome si berrebbe la rugiada dallo stesso giglio. Dueanime durante l'agape hanno la medesima
grazia di due uccelli. Gwynplaine serviva Deale tagliava le porzionileversava da berele si avvicinava anche troppo.
«Hum!»diceva Ursuse finiva col volgeresuo malgradoil brontolio insorriso.
Il luposotto la tavolacenavaignorando tutto ciò che non era il suoosso.
Vinos e Fibi dividevano con loro il pastoma senza disturbare. Quelle duevagabonderimaste mezzo selvagge e
primitivetra loro parlavano la lingua dei nomadi.Poi Dea rientrava nelgineceo con Fibi e VinosUrsus incatenava Homo sotto la Green-Box e Gwynplainesi occupava
dei cavallitrasformandosi da amante in palafrenierecome se fosse stato uneroe di Omero o un paladino di
Carlomagno. A mezzanotte dormivano tuttitranne il lupo che ogni tantocompreso nella sua responsabilitàapriva un
occhio.
Il giorno dopoappena sveglisi ritrovavano; facevano colazione insiemedisolito con prosciutto e tè; l'uso del tè in
Inghilterra data dal 1678. Poi Deaseguendo la consuetudine spagnola e suconsiglio di Ursusche la trovava delicata
dormiva per qualche oramentre Gwynplaine e Ursus sbrigavano tutti i piccolilavoridentro e fuori il carrozzoneche
sono richiesti dalla vita nomade.
Accadeva di rado che Gwynplaine si avventurasse fuori dalla Green-Boxtranneche per strade deserte e località
solitarie. Nelle città usciva solo di nottenascosto sotto un largocappello tirato sugli occhicosì da non mostrare il volto
per strada.
A viso scoperto lo si vedeva solo in teatro.
Del resto la Green-Box aveva frequentato poche città; Gwynplaine aventiquattro anni non aveva visto città più grandi
dei Cinque Porti. La sua fama tuttavia cresceva. Cominciava a sopravanzare ilpopolinosalendo più in alto. Tra gli
appassionati di stranezze da fiera e i cacciatori di curiosità e prodigisiera sparsa la voce che esisteva da qualche parte
una maschera straordinariache conduceva una vita errabondaora quioralà. Se ne parlavala si cercavaci si
chiedeva: dov'e? L'Uomo che ride stava diventando decisamente famoso. Neveniva un certo lustro anche a La sconfitta
del caos.
A tal punto che un giorno Ursusambiziosodisse: «Dobbiamo andare aLondra».
LIBRO TERZO • INIZIO DELL'INCRINATURA
I • L'INN TADCASTER
A quell'epoca Londra aveva un solo ponteil Ponte di Londrasu cui c'eranodelle case. Il ponte collegava Londra con
Southwarkun sobborgo pavimentato e lastricato con i ciottoli del Tamigitutto vicoli e viuzzecon passaggi molto
stretti ecome la cittàcon una gran quantità di costruzionialloggi ebaracche di legnoun'accozzaglia infiammabile
vero regno degli incendi. Il 1666 l'aveva dimostrato.
Southwark allora si pronunciava Soudric; oggi si pronuncia più o menoSousourc. Comunque il modo migliore per
pronunciare i nomi inglesi resta quello di non pronunciarli affatto. Cosìper Southampton dite Stpntn.
A quel tempo Chatam si pronunciava Je t'aime.
Il Southwark di allora assomiglia al Southwark di oggi come Vaugirardassomiglia a Marsiglia. Era un borgo; è una
città. Tuttavia c'era un gran traffico d'imbarcazioni. Lungo un vecchio eciclopico muro sul Tamigi erano infissi gli
anelli dove ormeggiavano i battelli fluviali. Il muro si chiamava murod'Effroco Effroc-Stone. Ai tempi in cui York era
sassone si chiamava Effroc. La leggenda narrava che un duca d'Effroc si eraannegato ai piedi di quel muro. Quell'acqua
in effetti era abbastanza profonda per un duca. Con la bassa marea c'eranoancora sei braccia buone. Le ottime
condizioni di quella piccola fonda attiravano anche le imbarcazioni di maree la vecchia pancia olandesedetta la
Vograatormeggiava all'Effroc-Stone. Una volta alla settimana la Vograatfaceva la traversata diretta da Londra a
Rotterdam e da Rotterdam a Londra. Altri battelli partivano due volte algiornosia per Deptfortsia per Greenwichsia
per Gravesenddiscendendo con una marea e risalendo con l'altra. Perarrivare fino a Gravesendbenché fossero venti
migliaci volevano sei ore.
La Vograat era uno di quei modelli che al giorno d'oggi si vedono soloal museo della marina. Quella nave era un po'
una giunca. In quei tempimentre la Francia copiava la Grecial'Olandacopiava la Cina. La Vograatpesante scafo a
due alberiera a compartimenti stagni perpendicolaricon una cabina moltoprofonda al centro del bastimento e due
ponti di copertauno a prua e l'altro a poppadue pontonicome neivascelli di ferro a torrette di oggiparticola re questo
che aveva il vantaggio di diminuire la presa delle onde sulla nave con ilmare grossoma che presentava l'inconveniente
di esporre l'equipaggio ai colpi di marea causa della mancanza diparapetto. Non c'era niente che potesse trattenere a
bordo chi stava per cadere. Da qui le frequenti cadute e le perdite d'uominiche hanno spinto ad abbandonare questo
modello. La Vograat andava direttamente in Olandasenza neppure farescalo a Gravesend.
Un'antica balza di pietrain roccia e muraturacosteggiava in bassol'Effroc-Stoneed essendo praticabile con ogni tipo
di marefacilitava l'approdo dei battelli ormeggiati al muro. Ogni tanto nelmuro si aprivano delle scalinate. Esso
indicava la punta sud di Southwark. Un terrapieno permetteva ai passanti diappoggiarsi con i gomiti in cima all'Effroc-Stone
come sul parapetto di un lungofiume. Di là si vedeva il Tamigi. Dall'altraparte del corso d'acqua finiva Londra.
Non c'erano che campi.
A monte dell'Effroc-Stonelà dove il Tamigi fa un gomitoquasi di fronteal palazzo di Saint-Jamesdietro Lambeth-House
non lontano dalla passeggiata chiamata allora Foxhall (vaux-allprobabilmente)tra un laboratorio dove
facevano la porcellana e una vetreria dove si facevano bottiglie dipintec'era uno di quei vasti terreni incolti dove cresce
l'erbache un tempo in Francia chiamavano culture e maglie in Inghilterrabowling-greens. Di bowling-greentappeto
verde per giocarci una boccianoi abbiamo fatto boulingrin. Oggi queltipo di prato lo teniamo in casa; solo che lo
mettiamo su un tavoloè di panno invece che d'erbae lo chiamiamobiliardo.Per altro non si vede perchéavendo boulevard (boccia verde)che equivale a bowling-greenci siamo dati boulingrin.
È sorprendente che un personaggio grave come il dizionario si conceda certiinutili lussi.
Il bowling-green di Southwark si chiamava Tarrinzeau-fieldperché un tempoera appartenuto ai baroni Hastingsche
sono baroni di Tarrinzeau e di Mauchline. Dai lords Hastings ilTarrinzeau-field era passato ai lords Tadcasterche lo
avevano sfruttato come luogo pubblicocome più tardi un duca d'Orléans hasfruttato il Palais -Royal. Poi il Tarrinzeau
era diventato pascolo comune e proprietà parrocchiale.
Il Tarrinzeau-field era una sorta di area permanente per le fiereaffollatodi prestigiatoriequilibristigiocolieribande
sui palchie sempre pieno di imbecilli che «vengono a guardare ildiavolo»come diceva l'arcivescovo Sharp. Guardare
il diavolo significa andare agli spettacoli.
Diversi innsche catturavano il pubblico e poi lo spedivano in quei teatriall'apertosi affacciavano su quella piazza in
festa tutto l'anno e vi facevano fortuna. Gli inns erano semplici botteguccefrequentate solo di giorno. Alla sera il
taverniere si metteva in tasca la chiave della taverna e se ne andava. Solouno di quegli inns era una casa. Non c'era altra
abitazione in tutto il bowling-greenle baracche di quell'area fieristicapotevano sempre sparire da un momento all'altro
data la mancanza di autorizzazioni e il vagabondaggio di tutti queisaltimbanchi. La vita dei giocolieri non mette radici.
Questo innchiamato l'inn Tadcasterdal nome degli antichi signoripiùalbergo che tavernae più locanda che albergo
aveva un portone e un gran cortile.
Il portoneche dava dal cortile sulla piazzaera la porta legittimadell'albergo Tadcastercon a fianco una porta bastarda
che era quella da cui però si entrava. Chi dice bastarda dice preferita.Quella porticina era la sola da cui si passasse. Essa
dava nella bettola vera e propriache era un vasto tugurio affumicatocontavoli e un soffitto basso. Al primo piano
c'era una finestra alla cui inferriata era stata messa a spenzolare l'insegnadell'inn. Il portonesprangato e bloccato con il
catenacciorestava perennemente chiuso.
Per entrare nel cortile bisognava passare per la bettola.
Nell'inn Tadcaster c'erano un padrone e un boy. Il padrone si chiamava padronNicless. Il boy si chiamava Govicum.
Padron Nicless - Nicolasenza dubbioche con la pronuncia inglese diventaNicless - era un vedovo avaro e
tremebondomolto rispettoso delle leggi. Per il resto aveva le sopraccigliae le mani pelose. Quanto al garzone di
quattordici anniche versava da bere e rispondeva al nome di Govicumera untestone allegro con un grembiule. Era
rapato a zerosegno di servitù.
Dormiva al pianterrenoin un bugigattolo dove un tempo ci stava un cane. Ilbugigattolo prendeva luce da un finestrino
che dava sul bowling-green.
II • ELOQUENZA ALL'APERTO
Una sera che tirava un gran vento piuttosto freddoe dunque con tutte leragioni del mondo di affrettarsi per la strada
un uomo che passava nel Tarrinzeau-field si fermò improvvisamente sotto ilmuro dell'albergo Tadcaster. Si era sul
finire dell'inverno 1704-1705. Quell'uomo era ves tito da marinaioera altoe di bell'aspettocosa questa obbligatoria per
chi frequenta la corte ma non proibita al popolo. Perché si era fermato? Perascoltare. Cosa ascoltava? La voce di
qualcuno che probabilmente parlava in un cortile dall'altra parte del murouna voce un po' senileeppure abbastanza
forte da raggiungere quelli che passavano per la strada. Dallo stesso luogoda cui arringava la voce veniva un rumore di
folla. La voce diceva:
«Eccomi a voiuomini e donne di Londra. Sono contento che siate inglesi.Siete un gran popolo. Anzisiete un gran
popolino. I vostri pugni sono ancora più belli delle vostre spade. Avetesempre appetito. Siete una nazione che mangia
la altre. Splendida funzione. Questo risucchiare il mondo fa dell'Inghilterraun caso a parte. La vostra stupefacente
singolarità si manifesta in politica e in filosofianel maneggiare lecoloniei popoli e i commercie nella capacità di
arrecare agli altri un male che in realtà è bene. Si avvicina il momento incui ci saranno due cartelli sulla terra; su uno
leggeremo: Da questa parte gli uomini; sull'altro: Da questa partegli Inglesi. Dico questo per vostra maggior gloriaio
che non sono né inglesené uomoavendo l'onore di essere un dottore.Questo è pacifico. Gentlemenio insegno. Cosa?
Due specie di cosequelle che conoscoe quelle che ignoro. Vendo intrugli eregalo idee. Avvicinatevi e state a sentire.
È la scienza che vi invita. Aprite le orecchie. Se sono piccole vi entreràpoca verità; se sono grandi vi entrerà molta
stupidità. Attenzionedunque. Io insegno la Pseudoxia Epidemica. Ho uncompagno che fa riderequanto a meio
faccio pensare. Viviamo insiemeperché il riso e la conoscenza vengonodalla stessa famiglia. Quando chiedevano a
Democrito: Perché siete saggio? Egli rispondeva: Perché rido. E se qualcunomi domandasse: Perché ridi? Risponderei:
Perché sono saggio. D'altra parteio non rido. Io correggo gli erroripopolari. Mi impegno a pulire le vostre intelligenze.
Sono sporche. Dio permette che il popolo s'inganni e sia ingannato. Nondobbiamo avere degli stupidi pudori; confesso
francamente di credere in Dioanche quando ha torto. Solo che quando vedodel sudiciume- e gli errori sono
sudiciume - lo scopo via. Come faccio a sapere quello che so? Ciò riguardasolo me. Ciascuno prende la scienza come
può. Lattanzio interrogava una testa in bronzo di Virgilioche glirispondeva; Silvestro II parlava con gli uccelli; erano
gli uccelli che parlavanoo il papa che cinguettava? Problemi. Il bambinomorto del rabbino Eléazar discuteva con
Sant'Agostino. Detto tra di noidubito di questi fattieccetto l'ultimo.Quel bambino morto parlavava bene; ma sotto la
lingua teneva una lamina d'oro dove erano incise diverse costellazioni.Dunque barava. Il fatto si spiega. Guardate la
mia moderazione. Distinguo il vero dal falso. Ed eccovi altri errori in cuivoipoveri popolanicertamente credetee dai
quali voglio liberarvi. Dioscoride credeva che nel giusquiamo ci fosse undioCrisippo nella cinoglossaGiuseppe nella
barranaOmero nell'aglio dorato. Si sbagliavano tutti. In quelle erbe nonc'è un dioc'è un demone. Io me ne sonoaccorto. Non è vero che il serpenteche tentò Eva avessecome Cadmoun volto umano. Garcias de HortoCadamosto e
Jean Hugoarcivescovo di Trevirinegano che basti segare un albero perprendere un elefante. Condivido la loro
opinione. Cittadinidietro le false convinzioni ci sono le trame diLucifero. Nel regno di un simile principe è inevitabile
che appaiano meteore di errori e di perdizione. PopoloClaudius Pulcher nonmorì perché i polli si rifiutarono di uscire
dal pollaio; la verità è che Luciferoavendo previsto la morte di ClaudiusPulcherfece in modo d'impedire a quegli
animali di mangiare. Era lodevole che Belzebù concedesse all'imperatoreVespasiano la facoltà di raddrizzare gli storpi
e di restituire la vista ai ciechi toccandolima i motivi di quell'azioneerano riprovevoli. Gentlemendiffidate dei falsi
sapienti che si servono della radice di brionia e della vite biancae chefanno dei colliri con miele e sangue di gallo.
State in guardia dalle menzogne. Non è esatto che Orione sia nato da unbisogno naturale di Giove; la verità è che fu
Mercurio a produrre quell'astro in quel modo. Non è vero che Adamo avesse unombelico. Quando San Giorgio ha
ucciso il drago non aveva con sé la figlia di un santo. San Gerolamo nel suostudio non aveva un pendolo sopra il
caminetto; prima di tutto perchétrovandosi in una grottanon aveva unostudio; poi perché non aveva caminetti; infine
perché non esistevano ancora i pendoli. Rettifichiamo. Rettifichiamo. Opagani che mi ascoltatese qualcuno vi dice che
a chi fiuta la valeriana nasce una lucertola nel cervelloche il bueputrefacendosi si muta in api e il cavallo in calabroni
che l'uomo pesa più da morto che da vivoche il sangue di caprone dissolvelo smeraldoche un brucouna moscaun
ragnovisti sullo stesso alberoannunciano la famela guerra e la pesteche un verme che si trova nella testa del
capriolo guarisce il mal caducoebbene non credetecisono errori. Eccoinvece delle verità: la pelle del vitello marino
protegge dal fulmine; il rospo si nutre di terrae ciò gli procura unapietra nella testa; la rosa di Gerico fiorisce la vigilia
di Natale; i serpenti non sopportano l'ombra del frassino; l'elefantenonavendo giuntureè costretto a dormire in piedi
contro un albero; fate covare da un rospo un uovo di gallone verrà fuoriuno scorpione che vi darà una salamandra; un
cieco riacquista la vista mettendo una mano sul lato sinistro dell'altare el'altra mano sugli occhi; la verginità non
esclude la maternità. Brava gentenutritevi di queste evidenze. Con ciòvoi potete credere in Dio in due modio come
la sete crede nell'aranciao come l'asino crede nella frusta. E adesso vipresenterò il mio personale.
Qui un colpo di vento fortissimo scosse gli stipiti e le imposte dell'innche era una casa isolata. Ci fu come un lungo
mormorio celeste. L'oratore attese un istantepoi riprese il discorso.
«Interruzione. Bene. Parlaaquilone. Gentlemennon mi arrabbio. Il ventoè loquace come tutti i solitari. Non c'è
nessuno che gli tenga compagnia lassù. Allora chiacchiera. Riprendo il filo.Potete qui vedere una compagnia di artisti.
Siamo in quattro. A lupo principium. Comincerò dal mio amico lupo.Non nasconde di essere un lupo. Guardatelo. Egli
è istruitograve e sagace. Forse per un istante la provvidenza ha avutol'idea di farne un dottore universitario; ma per
questo è necessario essere un po' bestieed egli non lo è affatto.Aggiungerò che è senza pregiudizi e per niente
aristocratico. Se capitaparla con una cagnalui che avrebbe diritto a unalupa. Se ha avuto dei delfiniquesti
probabilmente uniscono ai graziosi guaiti della madre l'ululato del padre.Perché lui ulula. Bisogna ululare con gli
uomini. Sa anche abbaiareper accondiscendenza verso la civiltà. Magnanimoaddolcimento. Homo è un cane portato a
perfezione. Veneriamo il cane. Il cane - che strana bestia! - suda sullalingua e sorride con la coda. GentlemenHomo
eguaglia in saggezza e sorpassa in cordialità il lupo senza pelo delMessicoil meraviglioso xoloitzeniski. Inoltre è
umile. Ha la modestia di un lupo utile agli uomini. Egli è silenziosamentesoccorrevole e caritatevole. La sua zampa
sinistra ignora la buona azione fatta dalla sua zampa destra. Tali sono isuoi meriti. Di quest'altro secondo amico dirò
solo una cosa: è un mostro. Lo ammirerete. Fu abbandonato un tempo daipirati in riva all'oceano selvaggio. Questa è
una cieca. È forse un'eccezione? No. Tutti noi siamo ciechi. L'avaro ècieco; egli vede l'oro ma non vede la ricchezza. Il
prodigo è cieco; egli vede l'inizio ma non la fine. La civettuola è cieca;non vede le proprie rughe. Il saggio è cieco; egli
non vede la sua ignoranza. Il galantuomo è cieco; egli non vede il furfante.Il furfante è cieco; egli non vede Dio. Dio è
cieco; il giorno in cui ha creato il mondo non ha visto che il diavolo ci siera ficcato dentro. Anch'io sono cieco; parlo e
non vedo che siete sordi. Questa cieca che ci accompagna è una misteriosasacerdotessa. Vesta le avrebbe affidato il suo
tizzone. Nel suo carattere ci sono oscurità dolci come gli iati che siaprono nella lana di un montone. Credo sia figlia di
rema non lo affermo. La diffidenza è un lodevole attributo della saggezza.Quanto a meio cavillo e somministro
medicine. Medito e medico. Chirurgus sum. Guarisco febbrimiasmi epesti. Quasi tutte le nostre flemmasie e
sofferenze sono esutori eben curateci risparmiano gentilmente mali benpeggiori. Tuttavia non vi consiglio di avere
l'antracealtrimenti detto carbonchio. È una stupida malattia che non servea niente. Se ne muorema è tutto qui. Io non
sono né incolto né rustico. Onoro l'eloquenza e la poesiae vivo conqueste dee in un'innocente intimità. Concludo con
una raccomandazione. Gentlemen e gentlewomencoltivate in voinella vostraparte luminosala virtùla modestiala
probitàla giustizia e l'amore. In questo modo ciascuno potrà averequaggiù il suo piccolo vaso di fiori alla finestra.
Milords e signoriho finito. Lo spettacolo sta per incominciare».
L'uomo che probabilmente era un marinaioe che ascoltava dall'esternoentrò nella sala bassa dell'innl'attraversòpagò
le poche monete che gli avevano chiestopenetrò in un cortile pieno dipubblicoscorse in fondo al cortile una baracca
su ruotetutta quanta apertae vide su quel palco un vecchio vestito conuna pelle d'orsoun giovane che sembrava una
mascherauna ragazza cieca e un lupo.
«Vivaddio!»esclamò. «Ecco dei tipi davvero straordinari».
III • DOVE RIAPPARE IL PASSANTLa Green-Boxche abbiamo appenariconosciutoera arrivata a Londra. Si era stabilita a Southwark . Ursus erastato
attirato dal bowling-greendove il vantaggio maggiore consisteva nel fattoche la fiera non vi mancava maineppure in
inverno.
Ursus aveva visto con piacere il duomo di San Paolo.
Londradopo tuttoè una città non male. Ci vuole del coraggio perdedicare una cattedrale a San Paolo. Il vero santo da
cattedrale è San Pietro. San Paolo è sospetto d'immaginazione ein materiaecclesiasticaimmaginazione significa
eresia. La santità di San Paolo ha bisogno di circostanze attenuanti. Egliè entrato in cielo dalla porta degli artisti.
Una cattedrale è un'insegna. San Pietro vuol dire Romala città del dogma;San Paolo rappresenta Londrala città dello
scisma.
La filosofia di Ursus aveva braccia tanto grandi da comprendere tuttoedegli era un uomo capace di apprezzare quelle
sfumaturee forse Londra lo attirava per una certa sua propensione verso SanPaolo.
La scelta di Ursus era caduta sul grande cortile dell'inn Tadcaster. LaGreen-Box sembrava fatta per quel cortile; era un
teatro già costruito. Era un cortile quadratocon edifici su tre latiunmuro di rimpetto ai piani a cui si addossò la
Green-Boxche era potuta entrare grazie alle vaste dimensioni del portone.Un grande balcone di legnocoperto da una
tettoia e sostenuto da paliserviva le camere del primo piano ed era fissatoai tre lati delle facciate interne del cortile con
due curve ad angolo retto. Le finestre del pian terreno facevano da palchi diplateail selciato del cortile da plateae il
balcone da balconata. La Green-Boxsistemata contro il muroaveva davanti asé una bella sala per spettacoli. Tutto ciò
assomigliava molto al Globodove furono dati OtelloRe Lear eLa Tempesta.
In un angolinodietro la Green-Boxc'era una scuderia. Ursus aveva presoaccordi con il tavernierepadron Nicless
cheossequioso delle leggiaveva accettato il lupo solo per una cifrasuperiore. Il cartello «GWYNPLAINE - L'UOMO
CHE RIDE»staccato dalla Green-Boxera stato attaccato vicino all'insegnadell'inn. La sala della bettola avevacome
si ricorderàuna porta interna che dava sul cortile. Accanto alla portas'imp rovvisòcon una botte sventratauna loggetta
per la - bigliettaria - che a volte era Fibia volte Vinos. Più o meno comeoggi. Chi entra paga. Sotto la scritta L'UOMO
CHE RIDEfu appesa a due chiodi un'asse dipinta di bianco che riportavascritto col carbone a grandi caratteriil titolo
della famosa commedia di UrsusLa sconfitta del caos.
Al centro della balconataproprio in faccia alla Green-Boxavevanoriservato «alla nobiltà»uno scompartimento
separato da due tramezzila cui entrata principale era un porta-finestra.
Era abbastanza largo da contenere dieci spettatori disposti su due file.
«Siamo a Londra»aveva detto Ursus«dobbiamo aspettarci della gentry».
Aveva fatto arredare quel «palco»con le migliori sedie dell'inne nelcentro aveva sistemato una grande poltrona di
velluto d'Utrecht color botton d'orocon ricami rossinel caso venissequalche moglie d'alderman.
Le rappresentazioni erano cominciate.
Si riempì subito di folla.
Ma lo scompartimento per la nobiltà rimase vuoto.
A parte ciòil successo fu tale che non se ne ricordava uno simile amemoria di saltimbanco. Tutto Southwark era
accorso in massa per ammirare l'Uomo che Ride.
Pagliacci e giocolieri del Tarrinzeau-field rimasero sconvolti da Gwynplaine.Uno sparviero che si avventa su una
gabbia di cardellini beccando il loro mangimetale fu l'effetto. Gwynplainedivorò loro il pubblico.
Oltre al popolo minuto dei mangiatori di spade e dei commediantic'erano sulbowling-green degli autentici spettacoli.
C'era un circo di donne che risuonava dal mattino alla sera degli stupendisuoni di ogni tipo di strumentisalteri
tamburiribechesonaglitimpanioboichitarregighemusettecornamusecornette di Germaniazufoli d'Inghilterra
flauti silvestrisiringheflauti e flauti a becco.
Sotto una larga tenda rotonda c'erano saltatori superiori ai nostri attualicorridori dei PireneiDulmaBordenave e
Meylongache scendono dal picco di Pierrefitte al pianoro di Limaçonchevuol dire quasi precipitare. C'era un
serraglio ambulante dove si poteva vedere una tigre buffa chesferzata daldomatorecercava di afferrare la frusta e di
inghiottirne lo sverzino. Anche questo spettacolo comico a base di fauci eartigli fu eclissato.
Curiositàapplausiincassifollal'Uomo che Ride si prese tutto. Avvennein un batter d'occhi. Non ci fu che la Green-Box.
«Sconfitta del Caos è vittoria del Caos»disse Ursusattribuendosi metàdel successo di Gwynplainee tirando la
tovaglia dalla sua partecome si dice nel gergo degli attori.
Il successo di Gwynplaine fu strepitoso. Tuttavia rimase locale. Non èfacile per una reputazione attraversare l'acqua. Il
nome di Shakespeare ha impiegato centotrent'anni per venire dall'Inghilterraalla Francia; l'acqua è una muragliae se
Voltaire non lo avesse aiutatocosa che in seguito ha molto rimpiantopuòdarsi che Shakespeare sarebbe ancor oggi
dall'altra parte del muroin Inghilterraprigioniero di una gloriainsulare.
La gloria di Gwynplaine non oltrepassò il ponte di Londra. Non raggiunse ledimensioni dei successi delle grandi città.
Almeno nei primi tempi. Ma Southwark può bastare per l'ambizione di unclown. Ursus diceva: «La borsa degli incassi
ingrossa a vista d'occhiocome una ragazza che ha commesso un errore».
Si recitava Ursus Rursus e La sconfitta del caos.
Negli intervalli Ursus provava le sue qualità di engastrimita esibendosi inun ventriloquio sublime; imitava tutte le voci
che venivano dall'uditorioun cantoun gridoal punto da sbalordire per lasomiglianza proprio quello che aveva
cantato o gridatoe a volte riproduceva il brusio del pubblicorumoreggiando come se fosse un mucchio di gente. Un
talento davvero notevole.EInoltrel'abbiamo vistoera capace di arringarela folla come Ciceronevendeva intruglisi occupava delle malattie e in
più guariva i malati.
Southwark ne era soggiogata.
Ursus era contento degli applausi di Southwarkma non se ne stupiva.
«Sono gli antichi trinovanti»diceva.
E aggiungeva:
«Ma non li confondo certoper la delicatezza di gustocon gli atrebati chehanno popolato Berksi belgi che hanno
abitato il Somersete i parigini che hanno fondato York».
Ad ogni rappresentazione il cortile dell'inntrasformato in plateasiriempiva di un uditorio straccione ed entusiasta.
Erano barcaioliportantinimastri d'asciapiloti di battelli fluvialimarinai appena sbarcatipronti a consumare la paga
in gozzoviglie e in donne. Vi erano sgherriruffiani e guardie nerecioèsoldati condannatiper qualche mancanza
disciplinarea portare l'abito rosso rivoltato dalla parte foderata in neroe chiamati per questo blackquardsda cui viene
il nostro blagueurs. Tutto ciò affluiva dalla strada nel teatro e poirifluiva dal teatro nella sala dove si beveva. Bere
bicchieri di birra non nuoceva al successo.
Tra quella genteche siamo soliti chiamare «feccia»c'era un uomo piùalto degli altripiù grandepiù fortemeno
poveropiù quadrato di spallevestito come il popoloma non lacerochesi entusiasmava in modo fragorosofacendosi
largo a colpi di pugnocon una parrucca scarruffataimprecandogridandoschernendoper nulla sporcoe se capitava
pronto ad ammaccare un occhio o a pagare da bere.
Quello spettatore era il passante di cui poco fa abbiamo udito l'esclamazioned'entusiasmo.
Da vero intenditore era rimasto subito affascinato dall'Uomo che Ridee loaveva adottato. Non andava a tutte le
rappresentazioni. Maquando vi si recavaegli era il «trainer»delpubblico; gli applausi diventavano acclamazioni; non
si può dire che il successo arrivasse ai fregiperché non ce n'eranomaalle nuvole sì. (Quelle nuvole peròvista la
mancanza di un soffittoannaffiavano qualche volta il capolavoro di Ursus).
Accadde dunque che Ursus notò quell'uomo e che Gwynplaine lo guardò.
Per quanto sconosciuto era davvero un bell'amico!
Ursus e Gwynplaine vollero conoscerloo sapere almeno chi fosse.
Una sera che Ursus si trovava vicino alla quintacioè la porta di cucinadella Green-Boxavendo per caso accanto a sé
padron Niclessl'ostegli domandò:
«Conoscete quell'uomo?».
«Certo».
«Chi è?».
«Un marinaio».
«Come si chiama?»intervenne Gwynplaine.
«Tom-Jim-Jack»rispose l'oste.
Poimentre scendeva dal predellino della parte posteriore della Green-Boxper rientrare nell'innpadron Nicless lasciò
cadere questa profondissima riflessione:
«Peccato che non sia un lord! Sarebbe una formidabile canaglia».
Del restobenché installato in una locandail gruppo della Green-Box nonaveva per niente modificato le sue abitudini e
manteneva il proprio isolamento. A parte qualche parola scambiata ogni tantocon l'osteessi non si mescolavano agli
ospitiabituali o di passaggiodell'albergocontinuando a vivere tra diloro.
Da quando si trovavano a SouthwarkGwynplaine aveva preso l'abitudinedopolo spettacolodopo che uomini e
cavalli avevano cenatomentre Ursus e Dea se ne andavano a letto ciascunonel suo angolodi andare a respirare un po'
d'aria nel bowling-greentra le undici e mezzanotte. Una vaga tristezzadell'anima ci spinge alle passeggiate notturne e a
bighellonare sotto le stelle; la giovinezza è un'attesa misteriosa; perquesto si cammina volentieri di nottesenza scopo.
A quell'ora non c'era più nessuno nell'area della fieraal massimo qualcheubriaco che barcollavasagome oscillanti
negli angoli bui; le osterie vuote si chiudevanovenivano spente le lucinella sala bassa dell'albergo Tadcastersolo in
qualche angolo un'ultima candela illuminava l'ultimo bevitoreun chiaroreindistinto usciva dagli stipiti appena
socchiusi dell'inne Gwynplainepensierosocontentosognantefelice perun'oscuradivina felicitàandava e veniva
davanti a quella porta accostata. A cosa pensava? A Deaa nientea tuttoacose profonde. Non si allontanava molto
dall'albergotrattenuto come da un filo vicino a Dea. Gli bastava farequalche passo fuori.
Poiquando rientravatrovava tutta la Green-Box addormentatae siaddormentava a sua volta.
IV • I CONTRARI FRATERNIZZANO NELL'ODIO
Il successo non è amatosoprattutto da quelli che manda in rovina. È raroche le prede adorino i predatori. L'Uomo che
Ride faceva decisamente notizia. I giocolieri dei dintorni erano indignati.Un successo teatrale è un sifonepompa la
folla facendo il vuoto attorno a sé. La bottega di fronte è spacciata.All'impennata degli incassi della Green-Box aveva
corrispostocome abbiamo dettoun calo immediato degli incassi dei vicini.Improvvisamente gli spettacoli fino ad
allora in auge vennero disertati. Fu come una magra che si presentava insenso inversoma con un accordo perfettoqui
la pienalà la diminuzione. È tipico dei teatri questo effetto marea; nonvi può essere l'alta in un luogose non c'è la
bassa in un altro. Il formicaio della fierache esibiva talenti e fanfaresui palchi circostantivedendosi rovinato
dall'Uomo che Ridefu preso dalla disperazionema rimase abbagliato. Nonc'era un buffoneun clown o un giocoliereche non invidiasse Gwynplaine. Ecconeuno che è contento di avere un grugno da bestia feroce! Madri che erano
danzatrici e funambolee che avevano dei figli graziosili guardavanoincolleritee additando Gwynplainedicevano:
«Che peccato che tu non abbia un volto come quello!». Qualcuna picchiava ilproprio bambino dalla rabbia di trovarlo
bello. Più d'unase avesse saputo come fareavrebbe arrangiato il figlio«alla Gwynplaine». Una testa d'angelo che non
rende niente non vale certo una faccia da diavolo che produce soldi. Ungiorno si sentì la madre di un piccoloche era
una grazia di cherubino e che recitava la parte di Cupidoesclamare: «Inostri figli non sono venuti bene. Solo
Gwynplaine è riuscito». Poimostrando i pugni al figlioaveva aggiunto:«Se conoscessi tuo padregli farei una
scenata!».
Gwynplaine era la gallina dalle uova d'oro. Che fenomeno meraviglioso! Era unsolo grido in tutte le baracche. I
saltimbanchientusiasti ed esasperaticontemplavano Gwynplaine digrignandoi denti. La rabbia in ammirazione si
chiama invidia. Allora diventa urlo. Tentarono di disturbare La sconfittadel caoscomplottaronofischiarono
brontolaronoschiamazzarono. Ciò divenne per Ursus tema di ulterioriarringhe ortensiane al popolinoe per l'amico
Tom-Jim-Jack lo spunto per menare qualche pugnodi quelli che riportanol'ordine. I pugni di Tom-Jim-Jack finirono
per farlo notare da Gwynplaine ed entrare nella stima di Ursus. Da lontanocomunque; perché il gruppo della Green-Box
bastava a se stessotenendosi in dispartee quanto a Tom-Jim-Jackquelleader della canagliadava l'impressione
di essere una sorta di supremo sgherrosenza legamisenza rapporti intimirompitore di vetrisobillatoreche appariva
scomparivacompagno di tuttiamico di nessuno.
L'invidia che si era scatenata contro Gwynplaine non si diede vinta per glischiaffi di Tom-Jim-Jack. Avendo fallito il
loro scopo gli schiamazzii saltimbanchi del Tarrinzeau-field redassero unasupplica. Si rivolsero all'autorità. È la prassi
consueta. Se il successo di qualcuno ci infastidiscesi aizza la follapois'invoca il magistrato.
Ai giocolieri si unirono i reverendi. L'Uomo che Ride aveva inferto un durocolpo alle loro prediche. Non si erano
svuotate solo le baracchema anche le chiese. Le cappelle delle cinqueparrocchie di Southwark non avevano più
uditori. Si abbandonava il sermone per andare da Gwynplaine. La sconfittadel caosla Green-Boxl'Uomo che Ride
tutti questi abomini di Baal avevano la meglio sull'eloquenza del pulpito. Lavoce che arringa nel desertovox clamantis
in desertonon può essere contentae si rivolge volentieri al governo.I pastori delle cinque parrocchie si lamentarono
con il vescovo di Londrae questi si lamentò con sua maestà.
Le lagnanze dei giocolieri si fondavano sulla religione. Essi ne denunciaronol'oltraggio. Denunciarono Gwynplaine
come stregone e Ursus come empio.
I reverendida parte loroinvocavano l'ordine sociale. Difendevano a spadatratta gli atti del parlamento violati
mettendo da parte l'ortodossia. Era più da furbi. Perché si era ai tempi diLockemorto da appena sei mesiil 28 ottobre
1704e stava iniziando lo scetticismoche Bolingbroke avrebbe suggerito aVoltaire. Più tardi sarebbe arrivato Wesley
a restaurare la Bibbiacome Loyola ha restaurato il papismo.
Così la Green-Box era battuta in breccia su due fronti: dai giocolieri innome del pentateucodai cappellani in nome dei
regolamenti di polizia. Da una parte il cielodall'altra l'amministrazioneurbanai reverendi che difendevano
l'amministrazione urbanai saltimbanchi che difendevano il cielo. LaGreen-Box veniva denunciata dai preti come un
intralcioe dai pagliacci come sacrilega.
C'era un pretesto? Offriva qualche appiglio? Sì. Qual era il suo reato?Questo: essa aveva un lupo. Un lupo in
Inghilterra è proscritto. Un mastinopassi; ma un lupono. L'Inghilterratollera il cane che abbaiama non quello che
ulula; sfumatura tra il cortile e la foresta. I rettori e i vicari dellecinque parrocchie di Southwark si richiamavanonelle
loro istanzeai numerosi statuti reali e parlamentari che mettevano il lupofuori legge. Per finire invocavano
l'incarcerazione di Gwynplaine e la cattura del lupoo almeno l'espulsione.Era questione d'interesse pubblicodi rischi
per i passanti ecc. Dopodiché si appellavano alla Facoltà di Medicina.Citavano la sentenza del collegio degli Ottanta
medici di Londradotta istituzione voluta da Enrico VIIIche possiede unsigillo come lo statoche eleva i malati alla
dignità di imputatiche ha il diritto di imprigionare coloro che infrangonole sue leggi o contravvengono alle sue
ordinanzee chetra gli altri accertamenti utili per la salute deicittadiniha accertato definitivamente questo fatto
scientifico: Se un lupo vede un uomo per primol'uomo diventa rauco pertutta la vita. Inoltre c'è la possibilità di venire
morsi.
Dunque il pretesto era Homo.
Ursus era venuto a sapere di quelle mene dall'oste. Era preoccupato. Avevapaura di quei due artiglila polizia e la
giustizia. Per temere la magistratura è sufficiente avere timore; non ènecessario essere colpevoli. Ursus non si augurava
certo d'incontrare sceriffiprevostibalivi e coroners. Egli non avevafretta di vedere da vicino quei volti ufficiali. Era
curioso di vedere magistrati come la lepre di vedere cani da caccia.
Cominciava a pentirsi di essere venuto a Londra.
«Il meglio è nemico del bene»mormorava tra sé. «Pensavo che questoproverbio non avesse sensoma avevo torto. Le
verità stupide sono le uniche vere».
Contro una coalizione di simili poterisaltimbanchi che abbracciavano lacausa della religionecappellani che
s'indignavano in nome della medicinala povera Green-Boxsospettata distregoneria in Gwynplaine e d'idrofobia in
Homonon aveva dalla sua parte che una cosache però in Inghilterra è unagrande forzal'inerzia municipale. È dal
lasciar correre locale che è venuta fuori la libertà inglese. La libertàin Inghilterra si comporta come il mare che la
circonda. È una marea. A poco a poco i costumi sommergono le leggi. Unaspaventosa legislazione inghiottitala
consuetudine che sovrastaun codice feroce che ancora si vede sotto latrasparenza di una libertà sconfinataecco
l'Inghilterra.L'Uomo che RideLa sconfitta del caosHomopotevanoavere contro i giocolierii predicatorii vescovila camera dei
comunila camera dei lordssua maestàe Londrae tutta l'Inghilterraeppure restarsene tranquilli finché Southwark
fosse rimasta con loro. La Green-Box era il divertimento preferito delsobborgoe l'autorità locale sembrava
indifferente. Indifferenzain Inghilterrasignifica protezione. Fin quandolo sceriffo della contea di Surreya cui fa capo
Southwarknon si fosse mossoUrsus avrebbe respirato e Homo avrebbe potutodormire fra due guanciali da lupo.
A condizione che il corso degli avvenimenti non accelerassequesti odifavorivano il successo. Per il momento la
Green-Box non se la passava male. Al contrario. Era trapelato nel pubblicoche erano in atto degli intrighi. L'Uomo che
Ride ne aveva guadagnato in popolarità. La folla ha fiuto per le cosedenunciate e le prende in simpatia. Essere sospetto
è una raccomandazione. Istintivamente il popolo adotta ciò che l'Indiceminaccia. La cosa denunciata ha la parvenza del
frutto proibito; ci si affretta a morderlo. E poiun applauso che punzecchiaqualcunosoprattutto quando questo
qualcuno è l'autoritàè piacevole. Essere solidali con l'oppressotrascorrendo una gradevole seratae opporsi
all'oppressoreè un fatto positivo. Divertendosi si protegge. Aggiungiamoche le baracche degli spettacoli del bowling-green
continuavano a fare schiamazzi e a complottare contro l'Uomo che Ride. Nientedi meglio per il successo. I
nemici fanno un chiasso efficaceche acuisce e ravviva il trionfo. Si stancapiù facilmente un amico di lodare che un
nemico di ingiuriare. Ingiuriare non vuol dire nuocere. Ecco una cosa che inemici ignorano. Essi non possono fare a
meno di insultarein questo risultano utili. La loro impossibilità ditacere tiene sveglio l'interesse pubblico. La folla che
as sisteva a La sconfitta del caosdiventava sempre più numerosa.Ursus teneva per sé ciò che gli diceva padron Nicless
degli intrighi e delle lamentele in alto loconon ne parlava a Gwynplaineper non turbare la serenità delle
rappresentazioni con quelle preoccupazioni. Se fosse arrivata qualchedisgrazial'avrebbero saputa anche troppo presto.
V • IL WAPENTAKE
Tuttavia una volta credette di dover derogare a quella prudenza in nome dellaprudenza stessae stimò utile tentar
d'inquietare un po' Gwynplaine. È vero che si trattava di una cosa moltopiù gravesecondo Ursusdei complotti di fiera
e di chiesa. Gwynplaineraccogliendo da terra un farthing che era cadutomentre contavano l'incassosi era messo ad
esaminarlo edavanti all'osteaveva sottolineato il contrasto tra ilfarthingche rappresentava la miseria del popoloe
l'imp ronta del volto di Annache rappresentava la magnificenza parassitadel tronoparole che suonavano male. Quelle
paroleripetute da padron Niclessavevano girato così tanto da ritornare aUrsus sulle labbra di Fibi e di Vinos. A Ursus
venne la febbre. Parole sediziose. Lesa maestà. Ammonì duramenteGwynplaine.
«Stai attento a quello che ti esce dal becco. C'è una regola per i grandi:non far nulla; e una regola per i piccoli: non dir
nulla. Il povero ha un solo amicoil silenzio. Non ha che un monosillabo dapronunciare: sì. Approvare e acconsentireè
tutto il suo diritto. Sìal giudice. Sìal re. Se ai grandi sembragiustoci danno delle bastonatene ho ricevute anch'ioè
una loro prerogativae la loro grandezza non diminuisce certo perché cirompono le ossa. L'ossifrago è una specie di
aquila. Veneriamo lo scettroche è il primo tra i bastoni. Rispetto èprudenzabassezza è egoismo. Chi reca oltraggio al
suo re corre lo stesso pericolo di una ragazza che tagliasse temerariamentela criniera a un leone. Mi dicono che hai
sparlato a proposito del farthingche equivale a un liardodicendo male diquesta augusta medaglia grazie alla quale al
mercato ci concedono mezzo quarto di un'aringa salata. Fai attenzione.Diventa serio. Impara che esistono le punizioni.
Assimila le verità della legge. Sei in un paese dove chi sega un alberellodi tre anni viene tranquillamente condotto alla
forca. Ai bestemmiatori si mettono i ceppi ai piedi. L'ubriaco viene chiusoin una botte sfondata nella parte inferiore
così che possa camminarecon un foro in cima al barile per fargli passarela testae due buchi nel cocchiume per le
maniin modo che non possa coricarsi. Chi colpisce qualcuno nella sala diWestminster finisce in prigione per tutta la
sua vitae gli vengono confiscati i beni. Chi colpisce qualcuno nel palazzoreale ha la mano destra tagliata. Un buffetto
su un naso che poi sanguinaed eccoti monco. Chi è trovato colpevoled'eresia nella corte di un vescovoè bruciato
vivo. Non aveva poi fatto niente di particolare Cuthbert Simpsonche fusquartato all'arganello. Tre anni fanel 1702
non è passato molto tempo come vediun disgraziato di nome Daniel de Foeche aveva avuto l'audacia di stampare i
nomi dei membri dei comuni che il giorno prima avevano preso la parola inparlamentoè stato esposto alla gogna. Chi
è accusato di fellonia nei confronti di sua maestàviene sventrato vivo egli strappano il cuorecon cui lo schiaffeggiano
sulle guance. Mettiti in testa questi rudimenti del diritto e dellagiustizia. Non permettersi di aprire boccae al più
piccolo segno di pericolosquagliarsela; in questo consiste il mio coraggioe questo consiglio. In fatto di temerarietà
imita gli uccellie in fatto di chiacchiereimita i pesci. Del restol'Inghilterra ha una legislazione ammirevolemolto
moderata».
Dopo aver terminato i suoi ammonimentiUrsus rimase preoccupato ancora perqualche tempo; Gwynplaine per niente.
La giovinezza è intrepida perché manca di esperienza. Sembrò tuttavia cheGwynplaine avesse ragione di essere
tranquilloperché le settimane trascorsero pacificamentecome se le parolesulla regina non dovessero aver seguito.
Ursusormai lo sappiamonon era apaticoesimile a un capriolo all'ertastava in guardia da tutti i lati.
Un giornopoco tempo dopo la ramanzina a Gwynplaineguardando dalfinestrino sul muro che dava sulla stradaUrsus
impallidì.
«Gwynplaine!».
«Cosa c'e?».
«Guarda».
«Dove?».
«Nella piazza».«E allora?».
«Vedi quel passante?».
«Quello vestito di nero?».
«Sì».
«Che tiene una specie di mazza in mano?».
«Sì».
«Ebbene?».
«EbbeneGwynplainequell'uomo è il wapentake».
«Cos'è il wapentake?».
«È il balivo della centuria».
«E cos'è il balivo della centuria?».
«È il praepositus hundredi».
«Che significa praepositus hundredi?».
«È un ufficiale terribile».
«Cosa tiene in mano?».
«L'iron-weapon».
«Cos'è l'iron-weapon?».
«È un affare di ferro».
«Che se ne fa?».
«Prima di tutto vi giura sopra. Proprio per questo lo chiamano wapentake».
«E poi?».
«Poi ti tocca».
«Con cosa?».
«Con l'iron-weapon».
«Il wapentake ti tocca con l'iron-weapon?».
«Sì».
«E che significa?».
«Significa: seguimi».
«E bisogna seguirlo?».
«Sì».
«Dove?».
«Che ne so io?».
«Ma dice dove ti porta?».
«No».
«Ma si può domandarglielo?».
«No».
«Come?».
«Egli non dice nullae tu non devi dirgli nulla».
«Ma ...».
«Ti tocca con l'iron-weapontutto qui. Devi camminare».
«Ma dove?».
«Dietro a lui».
«Ma dove?».
«Dove gli pareGwynplaine».
«E se si resiste?».
«Si viene impiccati».
Ursus tornò a guardare dal finestrinorespirò profondamentee disse:
«Sia ringraziato Dioè passato! Non viene da noi».
È probabile che Ursus si fosse spaventato più del dovuto per le voci e ipossibili rapporti riguardo le parole sconsiderate
di Gwynplaine.
Padron Niclessche le aveva uditenon aveva alcun interesse a comprometterequei poveracci della Green-Box. A causa
dell'Uomo che Ride gli veniva in tasca una piccola fortuna. La sconfittadel caos aveva due conseguenze; mentre nella
Green-Box faceva trionfare l'artenella bettola faceva prosperarel'ubriachezza.
VI • IL TOPO INTERROGATO DAI GATTI
Ursus si allarmò anche un'altra voltain modo davvero terribile. In quelcaso si trattava di lui in persona. Fu costretto a
presentarsi a Bishopsgatedavanti a una commissione composta da tre faccesgradevoli. Quelle tre facce erano tre
dottoripreposti qualificati; uno era dottore in teologiadelegato deldecano di Westminsterl'altro un dottore in
medicinadelegato del collegio degli Ottantail terzo era dottore in storiae diritto civiledelegato del collegio di
Gresham. I tre esperti in omni re scibili esercitavano compiti dipolizia sulle parole pronunciate in pubblico in tutto il
territorio delle centotrenta parrocchie di Londradelle settantatré diMiddlesex eper estensionedelle cinque diSouthwark. Le giurisdizioniteologali esistono ancora in Inghilterrae imperversano utilmente. Il 23dicembre 1868per
sentenza della corte degli Archiconfermata da un decreto dei lords delconsiglio privatoil reverendo Mackonochie è
stato condannato al biasimooltre alle speseper aver acceso delle candelesu un tavolo. La liturgia non scherza.
Dunque un bel giorno Ursus ricevette dai dottori delegati un ordine dicomparizione chefortunatamentegli fu
consegnato di personacosì che poté tenerlo nascosto. Obbedìall'ingiunzione senza dir nullafremendo al pensiero che
lo potessero considerare uno che dava adito al sospetto di essereforseinqualche misuraun temerario. Luiche tanto
raccomandava il silenzio agli altrieccolo a una dura lezione. Garrulesana te ipsum.
I tre dottori preposti e delegati sedevano a Bishopsgatein fondo a una saladel piano terrasu tre sedie con i braccioli di
cuoio nerocon i tre busti di MinosseEaco e Radamante incassati nel murosopra la loro testauna tavola davanti e un
seggiolino ai loro piedi.
Ursusintrodotto da uno sgherro pacifico e severoentròli vide e lìsudue pieditra sé e séaffibbiò a ciascuno di loro
il nome del giudice infernale che aveva sopra la testa.
Minosseil primo dei treil preposto alla teologiagli fece segno disedersi sul seggiolino.
Ursus salutò correttamenteinchinandosi fino a terra eben sapendo che gliorsi si prendono con il miele e i dottori con
il latinodisserimanendo piegato in due in segno di rispetto:
«Tres faciunt capitulum».
E a testa bassapoiché la modestia disarmaandò a sedersi sullo sgabello.
Ciascuno dei tre dottori aveva davanti a sé sulla tavola un plico di appuntiche sfogliava.
Incominciò Minosse:
«Voi parlate in pubblico?».
«Sì»rispose Ursus.
«Con quale diritto?».
«Sono un filosofo».
«Questo non è un diritto».
«Sono anche un saltimbanco»disse Ursus.
«Allora è diverso».
Ursus sospiròma umilmente. Minosse riprese:
«Come saltimbanco potete parlarema come filosofo dovete tacere».
«Mi sforzerò»disse Ursus.
E tra sé e sé rifletteva: «Io posso parlarema devo tacere. Una bellacomplicazione».
Era molto spaventato.
Il preposto a Dio continuò:
«Voi dite cose che suonano male. Voi oltraggiate la religione. Voi negate leverità più evidenti. Voi diffondete errori
rivoltanti. Per esempioavete detto che la verginità esclude lamaternità».
Ursus alzò lentamente gli occhi.
«Non ho detto questo. Ho detto che la maternità esclude la verginità».
Minosse si fece pensieroso e borbottò:
«In effetti è il contrario».
Era la stessa cosa. Ma Ursus aveva parato il primo colpo.
Minossemeditando la risposta di Ursussprofondò negli abissi della suaimbecillitàprovocando una pausa di silenzio.
Il preposto alla storiaquello che per Ursus era Radamantemascherò loscacco di Minosse con questa domanda:
«Accusatole vostre imprudenze e i vostri errori sono di ogni tipo. Voiavete negato che la battaglia di Farsalo sia stata
persa perché Bruto e Cassio avevano incontrato un negro».
«Ho detto»mormorò Ursus«che ciò dipendeva anche dal fatto che Cesareera un condottiero migliore».
L'uomo della storia passò senza soluzione di continuità alla mitologia.
«Voi avete giustificato le infamie di Atteone».
«Ritengo che un uomo»insinuò Ursus«non sia disonorato per aver vistouna donna nuda».
«E avete torto»disse il giudice con severità.
Radamante rientrò nella storia.
«A proposito dei casi toccati alla cavalleria di Mitridatevoi avetecontestato le virtù delle erbe e delle piante. Avete
negato che un'erba come la securiduca possa far cadere i ferri dei cavalli».
«Scusate»rispose Ursus«io ho detto che ciò non era possibile cheall'erba sferra-cavallo. Non nego la virtù di nessuna
erba».
E aggiunse sottovoce:
«Né di nessuna donna».
Con quella postilla aggiunta alla rispostaUrsus dimostrava a se stesso cheper quanto inquietonon era disarcionato.
Ursus era un insieme di terrore e presenza di spirito.
«Insisto»riprese Radamante. «Voi avete dichiarato che fu un'ingenuitàda parte di Scipionequando volle aprire le
porte di Cartagineprendere per chiave l'erba Aethiopisperché l'erbaAethiopis non ha la proprietà di rompere le
serrature».
«Ho detto semplicemente che avrebbe fatto meglio a servirsi dell'erbaLunaria».
«È un'opinione»mormorò Radamantetoccato a sua volta.E l'uomo dellastoria tacque. Minossel'uomo della teologiaripresosiinterrogò nuovamenteUrsus. Aveva avuto il
tempo di consultare il plico di appunti.
«Voi avete messo l'orpimento tra i prodotti arsenicalie avete sostenutoche con l'orpimento si può avvelenare. La
Bibbia lo nega».
«La Bibbia lo nega»sospirò Ursus«ma l'arsenico lo afferma».
Il personaggio in cui Ursus vedeva Eacoe che era il preposto alla medicinanon aveva ancora parlatoma ora
intervenne eguardando con insistenza Ursus dall'altogli occhi fieramentesocchiusidisse: «La risposta non è
stupida».
Ursus ringraziò con il suo sorriso più mesto.
Minosse fece una smorfia spaventosa.
«Continuiamo»riprese Minosse. «Rispondete. Avete detto che è falso cheil basilisco sia il re dei serpenti sotto il nome
di Cocatrix».
«Molto reverendo»disse Ursus«ho così poco voluto nuocere albasiliscoche ho detto essere certo che ha una testa
d'uomo».
«Ammettiamolo»replicò severamente Minosse«ma avete aggiunto chePoerius ne aveva visto uno con la testa di
falco. Potreste provarlo?».
«Difficilmente»disse Ursus.
Qui perse un po' terreno.
Minosseper non lasciarsi sfuggire il vantaggioinsistette.
«Voi avete detto che un ebreo che si fa cristiano puzza».
«Ma ho aggiunto che puzza anche un cristiano che si fa ebreo».
Minosse diede un'occhiata al plico delle accuse.
«Voi affermate e diffondete cose inverosimili. Avete detto che Eliano avevavisto un elefante che scriveva sentenze».
«Nomolto reverendo. Ho detto solo che Oppiano aveva sentito un ippopotamoche discuteva un problema di filosofia».
«Voi avete dichiarato che non è vero che un piatto di legno di faggio siriempie da solo di tutti i cibi desiderabili».
«Ho detto che perché abbia una simile virtù bisogna che vi sia stato datodal diavolo».
«Dato a me?».
«Noa mereverendo! Anzia nessuno! A tutti!».
E dentro di sé Ursus pensò: Non so più quel che dico. Ma per quanto grandefosse il suo turbamentoesteriormente non
era un gran che visibile. Ursus stava lottando.
«Tutto ciò»ricominciò Minosse«implica una certa fede nel diavolo».
Ursus resistette.
«Molto reverendonon sono miscredente nei confronti del diavolo. La fedenel diavolo è il rovescio della fede in Dio.
Una prova l'altra. Chi non crede almeno un po' nel diavolonon può crederemolto in Dio. Chi crede nel sole deve
credere nell'ombra. Il diavolo è la notte di Dio. Che cos'è la notte? Laprova del giorno».
Ursus stava improvvisando un'insondabile combinazione di filosofia e direligione. Minosse tornò pensieroso e si rituffò
nel silenzio.
Ursus riprese fiato ancora una volta.
All'improvviso venne attaccato. Eacoil delegato della medicinache avevaappena difeso con sdegno Ursus dal
preposto alla teologiasi trasformò d'un tratto da difensore in accusatore.Appoggiò il pugno chiuso sull'incartamento
che era spesso e voluminoso. Da lui Ursus ricevette in pieno petto questaapostrofe:
«È provato che il cristallo è ghiaccio sublimato e che il diamante ècristallo sublimato; è accertato che il ghiaccio
impiega mille anni a diventare cristalloe il cristallo mille secoli adiventare diamante. Voi l'avete negato».
«No»replicò Ursus tristemente. «Ho detto soltanto che in mille anni ilghiaccio aveva il tempo di fonderee che mille
secoli non sono facili da contare».
L'interrogatorio continuòdomande e risposte davano un clicchettio dispade.
«Voi avete negato che le piante possano parlare».
«Per niente. Solo che è necessario che siano sotto una forca».
«Ammettete che la mandragora grida?».
«Noma canta».
«Voi avete negato che il quarto dito della mano sinistra abbia una virtùcordiale».
«Ho detto soltanto che starnutire a sinistra porta sfortuna».
«Voi avete parlato della fenice in modo temerario e ingiurioso».
«Dotto giudiceho semplicemente detto che quando Plutarco ha scritto che ilcervello della fenice era un boccone
delicatoma che causava dei mal di testaha esageratodal momento che lafenice non è mai esistita».
«Discorso insensato. Il cinnamalco che fa il suo nido con bastoncini dicannellail rintace che serviva a Parsate per i
suoi avvelenamentiil manucodiatecioè l'uccello del paradisoe lasemendache ha un becco con tre cannesono stati
scambiati a torto per la fenice; ma la fenice è esistita».
«Non mi oppongo».
«Voi siete un asino».
«Non chiedo di meglio».«Avete ammesso che il sambuco guarisce laschinanziama aggiungendo che ciò non dipende dal fatto che nella sua
radice c'è un'escrescenza fatata».
«Ho detto che accadeva perché Giuda si era impiccato a un sambuco».
«Opinione plausibile»borbottò il teologo Minossecontento dipunzecchiare a sua volta il medico Eaco.
L'arroganza offesa diventa subito collera. Eaco si accanì.
«Uomo nomadevoi non errate solo con i piedima anche con l'intelletto. Levostre tendenze sono sorprendentemente
sospette. Voi rasentate la stregoneria. Voi siete in relazione con animalisconosciuti. Voi parlate al popolino di cose che
esistono solo per voie di natura ignotacome l'hoemorrhous».
«L'hoemorrhous è una vipera che fu vista da Tremellio».
La risposta produsse un certo smarrimento nella scienza collerica del dottorEaco.
Ursus aggiunse:
«L'hoemorrhous è reale almeno quanto la iena odorosa e lo zibettodescritto da Castellus».
Eaco se la cavò con una carica a fondo.
«Ecco le testuali e diaboliche parole che avete usato. Ascoltate».
L'occhio sull'incartamentoEaco lesse:
«Due piantela talassigle e l'aglafotosono luminose di sera. Di giornofioristelle la notte».
E guardando fisso Ursus:
«Cosa avete da dire?».
Ursus rispose:
«Ogni pianta è lampada. Il profumo è luce».
Eaco sfogliò qualche altra pagina.
«Voi avete negato che le vescicole di lontra fossero equivalenti alcastoreo».
«Mi sono limitato a dire che forse bisognava diffidare di Ezio su questopunto».
Eaco diventò furibondo.
«Voi esercitate la medicina?».
«Mi esercito nella medicina»sospirò timidamente Ursus.
«Sui vivi?».
«Più che sui morti»disse Ursus.
Le risposte di Ursus erano solide ma banali; una mistura ammirevole dominatadalla soavità. Egli parlava con tanta
dolcezza che il dottor Eaco sentì il bisogno d'insultarlo.
«Cosa state tubando?»disse sgarbatamente.
Ursusstupitosi limitò a rispondere:
«I giovani tubano ma i vecchi gemono. Ahimè! Io gemo».
Eaco replicò»:
«Ritenetevi avvisato: se un ammalato curato da voi muoresarete condannatoa morte».
Ursus azzardò una domanda.
«E se guarisce?».
«In questo caso»rispose il dottoreaddolcendo la voce«saretecondannato a morte ugualmente».
«Non c'è una gran differenza»disse Ursus.
Il dottore riprese:
«Se ci scappa il mortosi punisce l'ignoranza. Se si dà guarigionesipunisce la tracotanza. La forca in entrambi i casi».
«Ignoravo il dettaglio»mormorò Ursus. «Vi ringrazio per l'informazione.Non si è mai finito di conoscere tutte le
bellezze della legge».
«Badate a voi».
«Scrupolosamente»disse Ursus.
«Noi sappiamo sempre quello che fate».
«Io no»pensò Ursus.
«Potremmo mandarvi in prigione».
«Comincio ad accorgermenesignori».
«Voi non potete negare le vostre contravvenzioni e i vostri sconfinamenti».
«La mia filosofia domanda perdono».
«Vi si attribuiscono gesti audaci».
«Mi si fa un torto enorme».
«Si dice che guarite gli ammalati».
«Sono vittima di calunnie».
Le tre paia di terribili sopracciglia puntate su Ursus si aggrondarono; letre facce sapienti si accostarono e si misero a
bisbigliare. Ursus credette di vedere un vago abbozzo di berretto d'asino suquelle tre teste autorevoli; l'intimo e
competente borbottio di quella trinità durò qualche minutomentre Ursusprovava tutto il gelo e tutte le braci
dell'angoscia; finalmente Minosseche era il presidentesi girò verso dilui e con un'aria furiosa gli disse:
«Andatevene».
Ursus ebbe un po' la stessa sensazione di Giona quando uscì dal ventre dellabalena.
Minosse proseguì:«Vi rilasciamo!».
Ursus si disse:
«Non ci casco più! Addio medicina!».
E sempre dentro di sé aggiunse:
«D'ora in poi avrò cura di lasciar crepare la gente».
Piegato in duesalutò tuttii dottorii bustiil tavolo e i muripoi sidiresse camminando all'indietro verso la portae
sparì quasi fosse un'ombra che si dissolve.
Uscì dalla sala lentamentecome un innocentema dalla strada fuggì velocecome un colpevole. Avere a che fare con gli
uomini di legge comporta tali stranezze e oscurità cheanche se assolticisi sente evasi.
Sempre fuggendobrontolava:
«L'ho scampata bella. Io sono un sapiente selvaticoloro sono sapientidomestici. I dottori se la prendono con i dotti. La
falsa scienza è l'escremento di quella vera; viene usata per rovinare ifilosofi. I filosofigenerando i sofisticausano la
propria disgrazia. Dallo sterco del tordo nasce il vischiocon il quale sifa la paniae con questa si prende il tordo.
Turdus sibi malum cacat».
Non diciamo che Ursus era lezioso. Egli aveva la sfrontatezza di servirsidelle parole che rendevano il suo pensiero.
Non aveva più gusto di Voltaire.
Ursus fece ritorno alla Green-Boxraccontò a padron Nicless di aver persotempo dietro una bella donnasenza aprir
bocca sulla sua avventura.
Solo di sera bisbigliò a Homo:
«Sappilo. Ho battuto le tre teste di Cerbero».
VII • CHE MOTIVI PUÒ AVERE UNA QUADRUPLA PER ANDARE AD ABBASSARSI TRA ISOLDONI?
Sopraggiunse un diversivo.
L'inn Tadcaster era sempre più una fucina d'allegria e di risate. Il piùgaio dei tumulti. L'oste e il suo boy non ce la
facevano a versare la birra chiaraquella scurae a servirle. Di serainquella sala bassacon tutte le finestre illuminate
non c'era un tavolo vuoto. Cantavanogridavano; il grandevecchio focolarea semicatinochiuso in una grata di ferro e
zeppo di carboneavvampava. Era la casa del fuoco e del fracasso.
In cortilecioè nel teatroc'era ancora più folla.
Il sobborgo di Southwark forniva una tale quantità di pubblico allerappresentazioni de La sconfitta del caos chenon
appena si alzava il sipariocioè appena veniva abbassato il pannello dellaGreen-Boxera impossibile trovare un posto.
Le finestre rigurgitavano di spettatori; il balcone straripava. Le selci delcortile erano invisibilial loro posto altrettanti
volti.
Solo lo scompartimento per la nobiltà rimaneva sempre vuoto.
Così accadeva che lìal centro del balconeci fosse un buco nerochecon una metafora del gergo teatralesi chiama «il
forno». Nessuno. Folla ovunquefuorché là.
Una seraci fu qualcuno.
Era un sabatogiorno in cui gli inglesi hanno fretta di divertirsidovendoannoiarsi la domenica. La sala era al
completo.
Noi diciamo sala. Persino Shakespeare per molto tempo ha avuto cometeatro il cortile di un'osteriae la chiamava sala.
Hall.
Nel momento in cui la tenda si aprì sul prologo de La sconfitta del caosquando UrsusHomo e Gwynplaine erano già
in scenaUrsuscome al solitodiede un'occhiata all'uditorio e rimase distucco.
Lo scompartimento «per la nobiltà»era occupato.
C'era una donna sedutasolain mezzo al palcosulla poltrona di vellutod'Utrecht.
Pur essendo sola riempiva il palco.
Ci sono creature luminose. Quella donna emanava lucecome Deaanche se inmodo diverso. Dea era pallidaquella
donna era dorata. Dea era l'albaquella donna era l'aurora. Dea era bellaquella donna era superba. Dea era l'innocenza
il candorela purezzal'alabastro; quella donna era la porporae si capivache non temeva il rossore. Raggiava ben oltre
il palcoed ella sedeva al centroimmobilenell'indefinibile compattezzadegli idoli.
In mezzo a quella folla sordida essa aveva il supremo splendore delcarbonchioinondava di luce il popolo eal tempo
stessolo affondava nell'ombrae tutte quelle facce scure subivano la suaeclisse. Quello splendore cancellava tutto.
Tutti gli occhi la guardavano.
Tom-Jim-Jack era confuso nella calca. Come gli altri anche lui spariva nelnimbo di quell'essere radioso.
Da principio la donna assorbì l'attenzione del pubblicofacendo concorrenzaallo spettacoloe danneggiò un po' i primi
effetti de La sconfitta del caos.
Per quanto sembrasse un sognoper quelli che le stavano vicino era benreale. Era proprio una donna. Forse anche
troppo donna. Era alta e robustae mostrava quanto più poteva la suamagnifica nudità. Portava grandi orecchini di
perlemescolate a quei gioielli bizzarri detti chiavi d'Inghilterra.Indossava un abito di mussolina del Siam ricamata in
oro anticoun gran lussoperché uno di quei vestiti di mussolina valevaallora seicento scudi. Un grosso fermaglio di
diamanti le chiudeva la camicia che le si vedeva affiorare all'altezza delsenosecondo la moda lasciva del tempo; la
camicia era in tela di Frisala stessa di cui erano fatte le lenzuola diAnna d'Austriacosì sottili da passare attraverso unanello. La donna avevacome una corazza di rubinialcuni rotondie pietre preziose cucite un po'dovunque sul corpetto.
Inoltre le sopracciglia scurite con l'inchiostro di Chinae le bracciaigomitile spalleil mentosotto le naricila parte
superiore delle palpebreil lobo delle orecchieil palmo delle manilapunta delle ditatutto era cosparso di belletto e
aveva un pizzico di rosso provocante. E su tutto l'implacabile volontà diessere bella. Lo era in modo selvaggio. Era una
panterama avrebbe potuto essere una gattae accarezzare. Aveva un occhioazzurroe uno nero.
Gwynplainecome Ursusguardava attentamente quella donna.
La Green-Box era un po' uno spettacolo di fantasmagoriee La sconfittadel caos era più un sogno che un lavoro
teatraleessi erano abituati a produrre sul pubblico l'effetto di unavisione; questa volta invece l'effetto visione toccava a
lorola sala sorprendeva il teatroed erano loro a rimanere stupefatti. Ilfascino rimbalzava su di essi.
Quella donna li guardavaed essi la guardavano.
Per loroalla distanza in cui si trovavanoe nella foschia luminosaprodotta dalla penombra del teatroi particolari
andavano persi; era come un'allucinazione. Era certo una donnama non eraanche una chimera? L'irrompere di quella
luce nella loro oscuritàli lasciava allibiti. Era come la comparsa di unpianeta sconosciuto. Ciò veniva dal mondo dei
felici. L'irradiazione ingigantiva quella figura. La donna aveva su di sédei bagliori notturniun'intera via lattea. Le
pietre sembravano stelle. Il fermaglio di diamanti era forse una pleiade. Lasplendida forma del suo seno sembrava
soprannaturale. Si sentivaguardando quella creatura astraleil momentaneoe gelido contatto delle terre felici. Quel
volto di una serenità inesorabile apparteneva alle profondità del paradisoe si chinava sulla misera Green-Box e sul suo
miserabile pubblico. Una curiosità superiore che voleva soddisfarsi e cheal tempo stessoalimentava la curiosità
popolare. I cieli permettevano alla terra di guardarli.
UrsusGwynplaineVinosFibila follatutti erano rimasti abbagliatitranne Deanell'ignoranza della sua notte.
Quella presenza era come un'apparizionema quella figura non realizzavanessuna di quelle idee che di solito suscita la
parola apparizione; essa non aveva nulla di diafanodi indecisodifluttuante; niente di vaporoso; era un'apparizione
rosea e frescabenportante. E tuttavianelle condizioni di visuale dove sitrovavano Ursus e Gwynplaineera pur
sempre una visione. I grassi fantasmi che chiamiamo vampiriesistono. Labella regina chea sua voltaè una visione
per la follae che mangia trenta milioni all'anno al popolo dei poverihal'identica salute.
Nella penombra dietro la donna si scorgeva il suo mozzoel mozounometto infantilebianco e graziosodall'aspetto
serio. A quei tempi era di moda avere un groom molto giovane e molto serio.Il mozzo era vestitocalzato e con il capo
coperto di velluti rosso fuocoe sul berretto gallonato d'oro aveva unciuffo di piume di tessitoreche è un segno che
distingue i domestici d'alto grado e vuol dire che si è il valletto di unagran dama.
Il lacché fa parte del signoreed era impossibile non accorgersi di quelpaggio reggicoda nell'ombra della donna. Spesso
la memoria prende appunti a nostra insaputa; esenza che Gwynplaine ne fosseconsapevolequelle guance rotonde
l'espressione seriail berretto gallonato e il ciuffo di piume del mozzodella dama lasciarono una certa traccia nella sua
mente. Il groom d'altra parte non faceva niente per farsi guardare; attirarel'attenzione significa mancare di rispetto; egli
stava passivamente in piedi in fondo al palcoappartato per quanto gli erapermesso dalla porta chiusa.
Benché il suo muchacho reggicoda fosse lìnon per questo la donna era menosola nello scompartimentodato che un
valletto non conta.
Il diversivo causato da quella spettatrice che sembrava una protagonistafuimponentema l'epilogo de La sconfitta del
caos fu ancora più imp onente. L'impressionecome semprefuirresistibile. Forsea causa di quella radiosa spettatrice
ci fu nella sala un sovrappiù di elettricitàdel resto capita che lospettatore si aggiunga allo spettacolo. La contagiosa
risata di Gwynplaine trionfò più che mai. L'uditorio scoppiò inun'indescrivibile epilessia d'ilaritàsu tutti si ergeva la
sonora e inconfondibile risata di Tom-Jim-Jack.
La donna sconosciutache assisteva allo spettacolo con l'immobilità di unastatua e con occhi spettralifu la sola a non
ridere.
Uno spettroma luminoso.
Finita la rappresentazioneil pannello venne ritirato e nella Green-Boxtornò l'intimitàUrsus aprì la borsa degli incassi
e la vuotò sul tavolo da pranzo. C'era un mucchio di soldoni tra cui brillòimprovvisamente un'oncia d'oro di Spagna.
«Lei!»esclamò Ursus.
L'oncia d'oro in mezzo ai soldi coperti di verderame era in effetti comequella donna in mezzo al popolo.
«Ha pagato il suo posto una quadrupla!»riprese Ursus esaltato.
In quel momento entrò nella Green-Box l'ostepassò il braccio nellafinestra posterioreaprì il finestrino che si trovava
nel muro a cui era addossato la Green-Boxfinestrino che abbiamo giànominato e che permetteva di guardare nella
piazzaessendo alla stessa altezza della finestrapoiin silenziofececenno a Ursus di dare un'occhiata fuori. Una
carrozzaimpennacchiata di lacché piumati che reggevano torcee conmagnifici cavallisi allontanava al gran trotto.
Ursusprendendo rispettosamente la quadrupla tra il pollice e l'indicelamostrò a padron Nicless e disse:
«È una dea».
Poi lo sguardo gli cadde sulla carrozza che stava per girare l'angolo dellapiazzae sull'imperiale da cui le torce dei
valletti rischiaravano una corona d'oro con otto fioroni.
Esclamò: «Ancor di più. È una duchessa».
La carrozza scomparve. Il rumore delle ruote si spense.
Per qualche istante Ursus restò soprapensierofacendo con le ditadiventate un ostensoriol'elevazione della quadrupla
così come si fa l'elevazione dell'ostia.Poi la posò sul tavolo econtinuando a contemplarlasi mise a parlare della «dama». L'oste ribatteva.Era una duchessa.
Sì. Ne conoscevano il titolo. Ma il nome? Lo ignoravano. Padron Niclessaveva visto da vicino la carrozzacoperta di
stemmie i lacchétutti gallonati. Il cocchiere aveva una parrucca chesembrava di vedere un lord cancelliere. La
carrozza era di un modello raroche in Spagna chiamano coche-tumbonuuno splendido esemplare a coperchio
tombalemagnifico supporto per una corona. Il mozzo era un tipo cosìpiccolo che poteva star seduto sul predellino
della carrozza che sporgeva dalla portiera. Questi esseri graziosi vengonoimpiegati per reggere lo strascico delle dame;
ne portano anche i messaggi. E si era fatto caso al ciuffo di piume ditessitore di quel mozzo? Ecco la grandezza. C'è
una multa per chi porta quelle piume senza averne diritto. Padron Niclessaveva guardato da vicino anche la dama. Una
specie di regina. Una gran ricchezza procura anche la bellezza. La pelle èpiù biancal'occhio più fierol'andatura più
nobilela grazia più insolente. Non c'è nulla che eguagli l'impertinenteeleganza di quelle mani che non lavorano.
Padron Nicless raccontava la magnificenza di quella carne biancadelle suevene azzurree il collole spallele braccia
il belletto dovunquegli orecchini di perlela pettinatura con la polvered'oroquella profusione di pietredi rubinidi
diamanti.
«Ma che brillano meno degli occhi»mormorò Ursus. Gwynplaine taceva.
Dea ascoltava.
«E volete sapere la cosa più incredibile?»disse l'oste. «Cosa?»domandò Ursus.
«L'ho vista salire in carrozza».
«E allora?».
«Non è salita da sola».
«Bah!».
«Qualcuno è salito con lei».
«Chi?».
«Indovinate».
«Il re?»disse Ursus.
«Prima di tutto»disse padron Nicless«per ora non abbiamo un re. Nonsiamo sotto un re. Indovinate chi è salito nella
carrozza della duchessa».
«Giove»disse Ursus.
«Tom-Jim-Jack»rispose l'oste.
Gwynplaineche fino a quel momento non aveva aperto boccaruppe ilsilenzio.
«Tom-Jim-Jack!»esclamò.
Ci fu una pausa di stupore durante la quale si poté sentire Dea che diceva abassa voce:
«Non si potrebbe impedire a quella donna di venire?».
VIII • SINTOMI DI AVVELENAMENTO
- L'apparizione - non tornò.
Essa non tornò nella salama tornò nella mente di Gwynplaine.
In qualche misura Gwynplaine ne era rimasto turbato.
Per la prima volta in vita sua gli sembrò di aver visto una donna.
Ebbe subito la debolezza di lasciarsi andare a strani pensieri. Bisogna stareattenti a che la fantasticheria non s'imponga.
Fantasticare ha il mistero e la sottigliezza di un odore. È per il pensierociò che il profumo è per la tuberosa. A volte è la
dilatazione di un'idea velenosae possiede la penetrazione del fumo. Ci sipuò avvelenare con le fantasticherie come con
i fiori. Suicidio inebriantesquisitamente sinistro.
L'anima si suicida con i cattivi pensieri. Ecco l'avvelenamento. Fantasticareattiralusingaallettaavvinceinfine fa di
voi il suo complice. Vi mette a parte delle truffe che ordisce ai danni dellacoscienza. Vi seduce. Poi vi corrompe. Si
può dire della fantasticheria ciò che si dice del gioco. Si incomincia conl'essere ingannati e si finisce con l'ingannare.
Gwynplaine fantasticò.
Non aveva mai visto la Donna.
In ogni donna del popolo ne aveva visto l'ombral'anima in Dea.
Ora ne aveva visto la realtà.
Una pelle tiepida e vivasotto cui si sentiva scorrere un sangueappassionatoprofili con la precisione del marmo e
ondulati come l'ondaun viso altero e impassibileche respingeva eattiravaun concentrato di splendorecapelli
colorati come il riflesso di un incendiol'intrigo di un abbigliamento cheaveva e procurava brividi di voluttàuna vaga
nudità che tradiva il desiderio sdegnoso di essere posseduta a distanzadalla follauna civetteria inespugnabileil fascino
dell'impenetrabilela tentazione condita con il baluginio della perdizioneuna promessa per i sensi e una minaccia per
lo spiritodoppia ansietàdesiderio e timore. Questo aveva visto. Avevavisto una donna.
Aveva visto qualcosa di più e qualcosa di meno di una donnauna femmina.
E al tempo stesso una creatura dell'Olimpo.
La femmina di Dio.
Gli era apparso il mistero del sesso.
E dove? Nell'inaccessibile.
A una distanza infinita.Ironia del destinol'animaquesta cosa celesteegli la possedevala teneva in manoera Dea; ma il sessoquesta cosa
terrenaegli la scorgeva nelle profondità del cieloed era quella donna.
Una duchessa.
Più che una deaaveva detto Ursus.
Che abisso!
Davanti a una simile scalata il sogno stesso indietreggiava.
Sarebbe stato così folle da pensare alla sconosciuta? Si dibatteva.
Egli ricordava tutto quello che Ursus gli aveva detto a proposito di quelleesistenze elevatequasi regali; le divagazioni
del filosofoche gli erano sembrate inutilidiventavano ora punti fermidella sua meditazione; spesso nella memoria la
superficie dell'oblio è sottilissimaequando capitaci lasciaimprovvisamente vedere quello che c'è sotto; si
immaginava il mondo augusto dell'aristocraziaa cui apparteneva quelladonnainesorabilmente sovrapposto all'infimo
mondo del popoloa cui egli apparteneva. Ma apparteneva poi lui al popolo?Non era forseluiil saltimbancopiù sotto
di ciò che sta sotto? Per la prima volta da quando aveva l'età dellaragionesi sentì stringere vagamente il cuore all'idea
delle sue umili originidi quella che oggi chiameremmo: la sua inferiorità.Le descrizioni e le enumerazioni di Ursusi
suoi inventari liricii ditirambi sui castellisui parchisui gettid'acqua e sui colonnatil'ostentazione della ricchezza e
del potererivivevano nei pensieri di Gwynplaine con il rilievo di unarealtà mescolata alle nuvole. Aveva l'ossessione
di quello zenit. Gli sembrava una chimera che un uomo potesse essere un lord.E tuttavia accadeva. Era incredibile. I
lords esistevano. Ma erano fatti di carne e di ossa come noi? C'era dadubitarne. Egli si sentiva nelle profondità
dell'ombracon una muraglia attornoe da una suprema lontananza scorgevasopra la propria testacome dall'apertura
di un pozzo in fondo a cui si trovassequell'abbagliante confusione diazzurrofigure e raggi che è l'Olimpo. In mezzo a
quella gloria risplendeva la duchessa.
Provava un bizzarro bisogno di quella donnacomplicato d'impossibilità.
E questo straziante controsenso gli si agitava incessantemente nello spiritocontro la sua volontà: vedere accanto a sé
alla sua portatanell'angusta e tangibile realtàl'animaenell'inafferrabilein fondo all'idealela carne.
Nessuno di questi pensieri arrivava a prendere in lui una forma precisa.C'era in lui una gran nebbia. Fluttuava e
cambiava contorno ad ogni istante. Ma si trattava di una oscurità profonda.
D'altra parteneppure per un attimo lo sfiorò l'idea di poter concluderequalcosa. Nemmeno in sogno tentò di salire fino
alla duchessa. Fortunatamente.
Il tremito di quelle scaleuna volta che vi si è messo il piede soprapuòrestarvi per sempre nel cervello; si crede di
raggiungere l'Olimpoe si arriva a Bedlam. Un desiderio preciso che avessepreso forma in luil'avrebbe atterrito. Ma
non provò niente di simile.
E poiavrebbe mai rivisto quella donna? Probabilmente no. Invaghirsi di unaluce che passa all'orizzontenon c'è follia
che si spinga fin lì. A rigore è comprensibile che si possano fare gliocchi dolci a una stellala si rivederiappareè
fissa. Ma ci si può innamorare di un lampo?
Aveva un va e vieni di sogni. L'idolo in fondo al palcomaestoso e galantesfumava luminosamente nel turbine delle
sue ideepoi spariva. Ci pensavanon ci pensavasi occupava d'altrotornava a pensarci. Ne subiva il dondolioniente
di più.
Ciò gli impedì di dormire per molte notti. L'insonnia è piena di sogniquanto il sonno.
È quasi impossibile esprimere esattamente le evoluzioni astruse cheavvengono nel cervello. Le parole hanno
l'inconveniente di un contorno più preciso delle idee. Tutte le idee siconfondono ai loro bordi; non così le parole. A
loro sfugge sempre una certa complessità dell'anima. L'espressione ha dellefrontiereil pensiero non ne ha.
La nostra cupa immensità interiore è tale che ciò che accadeva aGwynplaine riguardava appenanel suo pensieroDea.
Dea rimaneva al centro della sua mentesacra. Niente le si potevaavvicinare.
E tuttavia le contraddizioni sono l'animo umanostava vivendo un conflitto.Ne aveva coscienza? Al limite sì.
Egli sentiva nell'intimo di se stessolà dove sono possibili leincrinaturee tutti abbiamo un simile angoloun urto di
velleità. Per Ursus sarebbe stato chiaro; per Gwynplaine era confuso.
Due istinti lottavano in luil'ideale e il sesso. Non sono rare queste lottetra l'angelo bianco e l'angelo nero sul ponte
dell'abisso.
Alla fine l'angelo nero fu gettato giù.
Un giornoall'improvvisoGwynplaine cessò di pensare alla donnasconosciuta.
La lotta tra i due principiil duello tra il suo lato terreno e il suo latocelestesi era svolto nei suoi reconditi più oscurie
a tali profondità che egli non se n'era accorto che in modo moltoindistinto.
Ciò che è certo è che non aveva smesso un attimo di adorare Dea.
Molto dentro di lui si era verificato un disordineil sangue aveva avuto lafebbrema ora era finita. Non restava che
Dea.
Lo stesso Gwynplaine sarebbe rimasto molto stupito se gli avessero detto cheDeaper un attimoera stata in pericolo.
In una o due settimane il fantasma che era sembrato minacciare quelle animescomparve.
In Gwynplaine non ci fu più che il cuorecome focolaree l'amore comefiamma.
Del restol'abbiamo già detto«la duchessa» non era tornata.
Ursus lo trovò normale. La «dama della quadrupla» è un fenomeno. Entrapagae si dilegua. Troppo bello se tornasse.
Quanto a Deanon fece neppure un'allusione alla donna che era passata. Forseascoltavae i sospiri di Ursus la
informavano abbastanzacome pure qualche esclamazione significativaqua elàdel tipo: non si possono avere onced'oro tutti i giorni! Ma nonparlò più della donna. Era un istinto profondo. L'anima sa prendere certeoscure precauzioni
nel cui segreto non sempre è se stessa. Tacere di qualcuno è comeallontanarlo. Chiedendone notizie si teme di
evocarlo. Gli si oppone il silenzio come si chiuderebbe una porta.
L'incidente fu dimenticato.
Ma era stato qualcosa? Era esistito? Era possibile dire che tra Gwynplaine eDea era fluttuata un'ombra? Dea lo
ignoravae Gwynplaine anche. No. Non era accaduto nulla. La stessa duchessasfumava in una prospettiva lontana
come un'illusione. Gwynplaine aveva attraversato nient'altro che un attimo disognoed ora ne era fuori. Il dissolversi di
una fantasticheriacome quello della nebbianon lascia traccia equando lanube passanon c'è meno amore nel cuore
che sole in cielo.
IX • ABYSSUS ABYSSUM VOCAT
Anche Tom-Jim-Jack scomparve. Improvvisamente smise di venire nell'innTadcaster.
Quelli che erano in condizione di vedere i due aspetti della vita mondana deigrandi signori di Londra notarono forse
chenello stesso periodola Gazzetta della Settimana annunciòtra dueestratti di registri di parrocchiala «partenza di
lord David Dirry-Moir cheper ordine di sua maestàtornava al comandodella sua fregata nella squadra biancain
crociera lungo le coste olandesi».
Ursus si accorse che Tom-Jim-Jack non veniva più; se ne preoccupòmoltissimo. Tom-Jim-Jack non si era più fatto
vedere dal giorno in cui era partito nella stessa carrozza della dama dellaquadrupla. Era certo un bel enigma quel Tom-Jim-
Jack che si portava via le duchesse a braccia tese! Che riflessioniinteressanti da fare! Che interrogativi da porre!
Quante cose da dire! Ecco perché Ursus non disse una parola.
Ursusche aveva vissutosapeva come ci si possa scottare con le curiositàtemerarie. La curiosità deve sempre essere
proporzionata al curioso. Ad ascoltare si rischia l'orecchio; a spiaresirischia l'occhio. La prudenza consiste nel non
sentire e nel non vedere niente. Tom-Jim-Jack era salito nella carrozzaprincipescal'oste ne era stato testimone. Quel
marinaio seduto accanto alla lady aveva qualcosa di prodigiosoche rendevaUrsus molto circospetto. I capricci di quelli
che stanno in alto devono essere sacri per quelli che stanno in basso. Lacosa migliore da fare per quella specie di rettili
che chiamiamo poveriquando vedono qualcosa di straordinarioè dirintanarsi nel loro buco. Starsene quatti è una
forza. Se non avete la fortuna di essere ciechichiudete gli occhi; e se nonavete il dono di essere sorditappatevi le
orecchie; se poi vi manca la perfezione di essere mutiparalizzate la vostralingua. I grandi sono ciò che voglionoi
piccoli ciò che possonolasciamo perdere l'ignoto. Non importuniamo lamitologia; non infastidiamo le apparenze;
portiamo un rispetto profondo per i simulacri. Non facciamo pettegolezzisulle disgrazie e sulle fortune che avvengono
nelle regioni superiori per motivi che ignoriamo. La maggior parte dellevolte si trattaper noi meschinidi semplici
illusioni ottiche. Le metamorfosi riguardano gli dèi; le trasformazioni e ledisgregazioni di eventuali persone importanti
che fluttuano sopra di noisono nuvole che non possiamo capire e che èpericoloso studiare. Un'eccessiva attenzione
irrita gli abitanti dell'Olimpo mentre si divertono con le loro fantasticheevoluzionie un colpo di tuono potrebbe farvi
capire che il toro che esaminate con troppa curiosità è Giove. Nonschiudiamo le pieghe del mantello color muraglia di
quei terribili potenti. Indifferenza è intelligenza. Non muoveteviè tantasalute. Fate il mortonon vi uccideranno. È la
saggezza dell'insetto. Ursus la praticava.
L'osteincuriositoun giorno domandò a Ursus:
«Sapete che non si vede più Tom-Jim-Jack?».
«Toh»disse Ursus«non l'avevo notato».
Padron Nicless fece sottovoce una riflessione che riguardava senza dubbio lostrano accostamento della carrozza ducale
e di Tom-Jim-Jackun'osservazione probabilmente irriguardosa e pericolosache Ursus ebbe cura di non ascoltare.
Ursus tuttavia era troppo artista per non rimpiangere Tom-Jim-Jack. Provò uncerto disappunto. Disse ciò che provava
solo a Homoche era l'unico a cui potesse confidarsisicuro della suadiscrezione. Mormorò a bassa voce nell'orecchio
del lupo:
«Da quando Tom-Jim-Jack non viene piùavverto una sensazione di vuoto comeuomoe di freddo come poeta».
Lo sfogo nel cuore di un amico risollevò Ursus.
Con Gwynplaine fu una tombae questidal canto suonon fece alcunaallusione a Tom-Jim-Jack.
In effetti Tom-Jim-Jack importava ben poco a Gwynplaineche era tuttoassorto in Dea. Un oblio sempre più fitto era
sceso su Gwynplaine. Dea non si era neppure accorta di quel vago smarrimento.Nello stesso tempo non si sentiva più
parlare di complotti e lamentele contro l'Uomo che Ride. Sembrava che gli odiavessero mollato la presa. Tutto era
tornato tranquillo dentro e attorno alla Green-Box. Non più ostentazionené istrioniné preti. Non più brontolii
manifesti. Ottenevano successo ma senza minacce. Il destino concede similiserenità improvvise. La splendida felicità
di Gwynplaine e di Dea eraper il momentoassolutamente priva di ombre. Apoco a poco era cresciuta fino al punto in
cui è impossibile andare oltre. Una parola esprime questo tipo disituazioni: l'apogeo. Come il mareanche la felicità
arriva al suo massimo. Ciò che inquieta quelli che sono perfettamentefeliciè il fatto che il marepoiridiscende.
Ci sono due modi di essere inaccessibililo stare molto in altoe lo staremolto in basso. Forse il secondo è desiderabile
quanto il primo. L'infusorio sfugge all'annientamento più facilmente diquanto l'aquila non sfugga alla freccia. Se
qualcuno a questo mondo godeva della sicurezza derivante dall'essere piccolol'abbiamo già osservatoquesti erano
Gwynplaine e Dea; e mai era stata così completa. Essi vivevano sempre dipiù uno per l'altroed entrambi vivevano
nell'estasi. Il cuore si satura d'amore come se questo fosse un sale divinoche lo conserva; da qui l'incorruttibileaderenza di quelli che si sono amati findall'alba della vitae la freschezza di quei vecchi amori che continuano.Esiste
un'imbalsamazione dell'amore. Filemone e Bauci sono fatti di Dafni e Cloe.Era quello il tipo di vecchiaiasomiglianza
di sera e aurorache evidentemente era riservato a Gwynplaine e Dea.Nell'attesaerano giovani.
Ursus guardava a quell'amore con l'occhio del medico. D'altra parte avevaquello che a quei tempi si diceva «lo sguardo
d'Ippocrate». Fissava su Deafragile e pallidail suo occhio sagaceborbottando: «È una gran fortuna che sia felice!».
Altre volte diceva: «È ben felice per la salute che ha».
Scuoteva la testae qualche volta leggeva Avicennatradotto da VopiscusFortunatusLovanio1650un vecchio libro
che consultava là dove parlava dei «disturbi cardiaci».
Dea si stancava facilmentesudava e si assopivaecome si ricorderàfaceva una siesta durante il giorno. Una voltache
se ne stava così addormentatadistesa sulla pelle d'orsomentre Gwynplainenon c'eraUrsus si chinò dolcemente e
appoggiò l'orecchio sul seno di Deadalla parte del cuore. Per qualcheistante sembrò stare in ascoltopoi si rialzò e
mormorò: «Non deve avere scosse. L'incrinatura si approfondirebbe moltorapidamente».
La folla continuava ad affluire alle rappresentazioni de La sconfitta delcaos. Il successo dell'Uomo che Ride sembrava
inesauribile. Tutti accorrevano; non più solo Southwarkma un po' anche daLondra. Il pubblico cominciava anche a
cambiare; non erano più solo marinai e cocchieri; secondo padron Niclessesperto della plebagliasi univano ora al
popolino dei gentiluomini e dei baronettitravestiti da popolani. Iltravestimento è uno dei piaceri dell'orgoglioed era
allora di gran moda. L'aristocrazia mescolata alla mob era un buonsegnoed era l'indice di un successo che si allargava
raggiungendo Londra. La gloria di Gwynplaine aveva fatto decisamente il suoingresso nel grande pubblico. Il fatto era
incontestabile. A Londra non si parlava d'altro che dell'Uomo che Ride. Se neparlava perfino al Mohock-Club
frequentato dai lords.
Di tutto questo nella Green-Box non sapevano nulla; si accontentavano diessere felici. Per Dea l'ebbrezza consisteva
nel toccare tutte le sere i capelli fulvi e crespi di Gwynplaine. In amorenon c'è niente come le abitudini. Tutta la vita vi
si concentra. L'astro che riappare è un'abitudine dell'universo. Lacreazione non è altro che un'innamoratae il sole è il
suo amante.
La luce è l'abbagliante cariatide che sostiene il mondo. Ogni giornodurante un minuto sublimela terraricoperta di
nottesi appoggia al sole che sorge. Deaciecasentiva lo stesso ritornodi calore e di speranza dentro di sé nell'attimo
in cui posava la mano sulla testa di Gwynplaine.
Essere due creature tenebrose che si adoranoamarsi nella pienezza delsilenzioci si potrebbe accontentare di
un'eternità da passare a quel modo.
Una sera Gwynplainesentendo in sé quell'eccesso di felicità checomel'ebbrezza dei profumicausa una specie di
divino ma lessereandava a spasso per il pratocome faceva di solito dopola fine dello spettacoloa un centinaio di
passi dalla Green-Box. In queste ore dilatate ci si libera dellasovrabbondanza del cuore. La notte era nera e tersa; le
stelle brillavano. Tutto il campo della fiera era desertonon c'erano chesonno e oblio nelle baracche sparse attorno al
Tarrinzeau-field.
Solo una luce non era spentaera la lanterna dell'inn Tadcastersocchiusoche attendeva il rientro di Gwynplaine.
Era appena suonata mezzanotte nelle cinque parrocchie di Southwarkcon pausee differenze di voce da una campana
all'altra.
Gwynplaine pensava a Dea. A che altro avrebbe dovuto pensare? Ma quella seraeccezionalmente turbatoaffascinato e
angosciato al tempo stessoegli pensava a Dea come un uomo pensa a unadonna. Se lo rimproverava. Era avvilente.
Iniziava in lui il sordo attacco dello sposo. Impazienza dolce e imperiosa.Varcava la frontiera invisibile; di qua c'è la
verginedi là la donna. Si interrogava ansiosamente; potremmo dire chearrossiva interiormente.
Il Gwynplaine dei primi anni si era a poco a poco trasformatonell'incoscienzacrescendo misteriosamente. L'antico
adolescente pudico sentiva i turbamenti dell'inquietudine. Noi abbiamo unorecchio di luce a cui parla lo spiritoe un
orecchio d'oscurità a cui parla l'istinto. In questo orecchio cheamplificavavoci sconosciute gli facevano le loro offerte.
Per quanto sia puro il giovane che sogna l'amoreun certo ingombro dellacarne finisce sempre per mettersi tra lui e il
suo sogno. Le intenzioni perdono la loro trasparenza. L'inconfessabiledettame della natura fa il suo ingresso nella
coscienza. Gwynplaine sperimentava quell'appetito materialesede di tutte letentazioniche a Dea mancava quasi del
tutto. Preso dalla febbreche gli sembrava malsanatrasfigurava Deainmodo forse pericolosotentando di forzare
quella forma serafica fino all'immagine della donna. È di tedonnacheabbiamo bisogno.
Troppo paradisol'amore lo rifiuta. Ha bisogno di pelle febbricitantediemozionidi baci elettrici e irreparabilidi
capelli scioltidella stretta risolutrice. Ciò che è sidereo imbarazza.L'etereo pesa. Un eccesso di cielo in amore è come
un eccesso di combustibile nel fuoco; la fiamma ne soffre. Dea afferrabile epresal'accostamento vertiginoso che fonde
in due esseri l'ignoto della creazione. Gwynplainesconvoltoavevaquest'incubo squisito. Una donna? Sentiva dentro di
sé il grido profondo della natura. Sognante Pigmalione modellava una Galateacelestein fondo all'anima si esercitava
in temerari ritocchi al casto profilo di Dea; profilo troppo celeste e nonabbastanza edenico; perché l'Eden è Eva; e Eva
è una femminauna madre fatta di carneuna nutrice terrestreil sacroventre delle generazionila mammella di latte
inesauribilela ninnananna del mondo appena nato; ma il seno esclude le ali.Tuttavia nelle fantasie di Gwynplainefino
ad alloraDea era rimasta al di sopra della carne. In quel momentosmarritotentava con il pensiero di farvela
ridiscenderetirando quel filoil sessoche tiene legate alla terra tuttele fanciulle. Nessuno di quegli uccelli si libera.
Dea non faceva eccezionenon più di un'altrae Gwynplainepur nonconfessandolo che a metàdesiderava vagamente
che vi si sottomettesse. Lo desiderava anche contro se stessocon continuericadute. S'immaginava una Dea umanizzata.
Arrivava a formulare un'idea inaudita: Dea non più creatura di sola estasima di voluttà; Dea con la testa sul guanciale.Provava vergogna di quellausurpazione visionaria; era come una volontà di profanazione; resisteva aquell'ossessione;
se ne allontanavapoi vi tornava; gli sembrava di commettere un attentato alpudore. Per lui Dea era una nube.
Fremendoegli scostava quella nube come se sollevasse una camicia. Eraaprile.
Sono le fantasticherie della colonna vertebrale.
Camminava a casodondolando distrattamentecome capita quando si è soli.Non avere nessuno attorno aiuta a
divagare. Dove andava il suo pensiero? Non lo avrebbe confessato neppure a sestesso. Verso il cielo? No. In un letto. E
voi stelle lo stavate a guardare.
Perché si dice un innamorato? Dovremmo dire un posseduto. Essere possedutidal demonio è l'eccezione; ma essere
posseduti da una donna è la regola. Tutti gli uomini subiscono questaalienazione di se stessi. Che strega una bella
donna! Il vero nome dell'amore è prigionia.
È l'anima di una donna che ci imprigiona. E anche la sua carne. Qualchevolta più la carne che l'anima. L'anima ama; la
carne è l'amante.
Ci sono delle calunnie sul demonio. Non è stato lui a tentare Eva. È stataEva che lo ha tentato. Ha iniziato la donna.
Lucifero passava tranquillo. Ha visto la donna. È diventato Satana.
La carne è l'ignoto che prende il sopravvento. Essa provocacuriosamentecon il pudore. Nulla di più conturbante. Essa
si vergognala sfrontata.
In quel momento ciò che agitava e possedeva Gwynplaine era lo spaventosoamore per la superficie. È il temibile
momento in cui si vuole la nudità. È possibile scivolare nella colpa. Qualitenebre nel candore di Venere!
C'era qualcosa in Gwynplaine che chiamava a gran voce DeaDea fanciullaDeametà di un uomo. Dea carne e fiamma.
Dea seno nudo. Egli scacciava quasi l'angelo. Crisi misteriosa che ogni amoredeve attraversarecon grave pericolo per
l'ideale. È la premeditazione del creato.
Istante di corruzione celeste.
L'amore di Gwynplaine per Dea diventava nuziale. L'amore verginale è solo unfase transitoria. Era arrivato il
momento. Gwynplaine aveva bisogno di quella donna.
Egli aveva bisogno di una donna.
China di cui non si vede che il primo piano.
Il richiamo indistinto della natura è inesorabile.
La donna nella sua interezzache abisso!
Fortunatamente per luiGwynplaine non aveva altre donne se non Dea. La solache desiderasse. La sola che potesse
desiderarlo.
Gwynplaine provava quel vago fremito che è il richiamo vitale dell'infinito.
Aggiungete l'aggravante della primavera. Respirava gli effluvi senza nomedell'oscurità siderale. Camminava
deliziosamente incantato. I profumi erranti della linfa all'operaleinebrianti irradiazioni che fluttuano nell'ombrail
lontano dischiudersi dei fiori notturnila complicità dei piccoli nidinascostiil brusio delle acque e delle foglieil
sospiro delle cosela freschezzail teporetutto il misterioso risvegliodi aprile e di maggiosono la sessualità immensa
sparsache suggerisce sottovoce la voluttàuna vertiginosa provocazioneche fa balbettare l'anima. L'ideale
ammutolisce.
Chi avesse visto camminare Gwynplaine avrebbe pensato: ecco un ubriaco!
Era come se vacillasse sotto il peso del cuoredella primavera e dellanotte.
C'era una tale solitudine nel bowling-green cheogni tantoparlava ad altavoce.
Non sentirsi ascoltati spinge a parlare.
Camminava a passi lentila testa bassale mani dietro la schienalasinistra nella destrale dita aperte.
A un tratto sentì come se qualcosa gli scivolasse tra le dita socchiuse einerti.
Si voltò di scatto.
In mano aveva un foglio di cartae un uomo davanti a sé.
Era l'uomo che gli aveva messo la carta tra le ditaarrivandogli allespallecauto come un gatto.
La carta era una lettera.
L'uomoabbastanza illuminato in quella penombra di stelleera piccolograssocciogiovaneseriovestito con una
livrea rosso fiammavisibile dall'alto in basso attraverso la spaccaturaverticale di un lungo soprabito grigio che allora
veniva chiamato capenocheparola spagnola contratta che vuol direcappa notturna. In testa portava una gorra cremisi
simile a uno zucchetto cardinalizio con un gallone per indicarne lacondizione di domestico. Sullo zucchetto era visibile
un mazzetto di piume di tessitore.
Stava immobile davanti a Gwynplaine. Poteva essere l'immagine di un sogno.
Gwynplaine riconobbe il mozzo della duchessa.
Prima che Gwynplaine potesse gettare un grido di sorpresaudì la vocestridula del mozzo infantile e femminile al
tempo stessoche gli diceva:
«Trovatevi domani a quest'ora all'inizio del ponte di Londra. Ci saròanch'io e vi accompagnerò».
«Dove?»domandò Gwynplaine.
«Dove siete atteso».
Gwynplaine abbassò lo sguardo sulla lettera che teneva senza accorgersene inmano.
Quando alzò lo sguardoil mozzo non c'era più.In fondo al campo dellafiera era vagamente visibile una forma scura che rimpiccioliva alla svelta. Erail piccolo lacché
che se ne andava. Voltò all'angolo di una stradae non vi fu più animaviva.
Gwynplaine guardò scomparire il mozzopoi guardò la lettera. Ci sonomomenti nella vita in cui ciò che vi capita
sembra non riguardarvi; per un po' di tempo lo stupore vi tiene lontani dalfatto. Gwynplaine avvicinò la lettera agli
occhi come per leggerla; solo allora si accorse che non poteva leggerla perdue motivi: prima di tutto perché non l'aveva
aperta; poi perché era notte. Passarono diversi minuti prima che si rendesseconto che nell'inn c'era una lanterna. Fece
qualche passoma di latocome se non sapesse dove andare. Un sonnambuloacui un fantasma abbia consegnato una
letteracammina allo stesso modo.
Alla fine si decisecorse più che dirigersi verso l'innsi mise nel raggiodi luce che usciva dalla porta socchiusaea
quel chiaroreesaminò ancora una volta la lettera chiusa. Nessuna improntaera visibile sul sigilloe sulla busta c'era
scritto: A Gwynplaine. Ruppe il sigillolacerò la bustaspiegò laletterala mise in piena luceed ecco ciò che lesse:
«Tu sei orribilee io sono bella. Tu sei un istrionee io sono unaduchessa. Io sono la primae tu sei l'ultimo. Ti voglio.
Ti amo. Vieni».
LIBRO QUARTO • IL SOTTERRANEO PENALE
I • LA TENTAZIONE DI SAN GWYNPLAINE
A volte il guizzo di una fiamma è una semplice puntura nelle tenebrealtrevolte accende un vulcano.
Vi sono scintille enormi.
Gwynplaine lesse la letterapoi la rilesse. C'era proprio scritto: Ti amo!
In breve fu pieno di paure.
La p rima fu di credersi pazzo.
Ma egli era pazzo. Questo era certo. Ciò che aveva visto non era reale. Leombre del crepuscolo si prendevano gioco di
lui di quel miserabile che era. L'omino scarlatto era l'abbaglio di unavisione. Capita che la nottequesto nulla
condensato in fiammavoglia ridere di voi. Cosìdopo averlo beffatol'essere illusorio era scomparsolasciando dietro
di sé Gwynplaine pazzo. Le ombre fanno di queste cose.
La seconda paura fu di constatare che non aveva affatto perso la sua ragione.
Una visione? Ma no. E quella letteraallora? Non teneva forse una lettera inmano? Non c'era lì una bustaun sigillo
della cartaparole scritte? Ignora per caso da dove venga tutto ciò?Nessuna oscurità in quell'avventura. Qualcuno ha
preso penna e inchiostro e ha scritto. Ha acceso una candela e ha sigillatocon la ceralacca. Non c'è il suo nome sulla
lettera? A Gwynplaine. La carta è profumata. Tutto è chiaro. Quantoall'ominoGwynplaine lo conosce. Il nano è un
groom. Il bagliore è una livrea. Il groom ha dato appuntamento a Gwynplaineper il giorno dopoalla stessa ora
all'inizio del ponte di Londra. Forse che il ponte di Londra è un'illusione?Nonoè tutto logico. Non c'è ombra di
delirio. È tutto vero. Gwynplaine è perfettamente lucido. Non si tratta diun'improvvisa fantasmagoria che è venuta a
decomporsi sopra la sua testae che dileguandosi si è dissipata; è unfatto che gli sta capitando. NoGwynplaine non è
pazzo. Gwynplaine non sogna. E rileggeva la lettera.
Va beneè così. Ma allora?
Allora è formidabile.
C'è una donna che lo vuole.
Una donna che lo vuole! In questo caso nessuno pronunci mai più la parola:incredibile. Una donna lo vuole! Una donna
che lo ha visto in volto! Una donna che non è cieca! E che donna è? Brutta?No. Una bella donna. Una zingara? No.
Una duchessa.
Cosa c'era dietroche senso aveva? Un trionfo molto pericoloso! Ma come nongettarvisi a capofitto?
Sì! Quella donna! La sirenal'apparizionela ladyla spettatrice di quelpalco da sognola raggiante creatura delle
tenebre! Sìera lei. Era proprio lei.
L'incendio scoppiato in lui cominciava a crepitare da tutte le parti. Eraquella strana sconosciuta! La stessa che l'aveva
tanto turbato! E riapparvero quei primitumultuosi pensieri sulla donnamacome riscaldati da quel cupo fuoco. L'oblio
non è che un palinsesto. Basta un incidente e tutte le cancellature tornanoa vivere nelle interlinee di una stupefatta
memoria. Gwynplaine credeva di aver allontanato quel viso dalla sua mentemave lo ritrovavalei vi si era impressasi
era fatta una nicchia in quel cervello inconsapevolela cui unica colpa eradi aver sognato. A sua insaputala
fantasticheria si era incisa in profonditàaveva guadagnato terreno. Ora uncerto male era compiuto. E tutto quel
fantasticareforse ormai irreparabileegli lo stava riprendendo con furore.
Come! Lo si voleva! Come! La principessa scendeva dal suo tronol'idolo dalsuo altarela statua dal piedistalloil
fantasma dalla nube! Come! Dal fondo dell'impossibile arrivava la chimera!Come! Quella suprema divinitàcome!
Quella irradiazionecome! Quella nereide tutta scintillante di pietrepreziosecome! Quella bellezza eccelsa e
inabbordabileche si chinava su Gwynplaine dall'alto di un'erta radiosa!Come! Fermava il suo carro d'aurora
equipaggiato di tortore e draghisopra Gwynplainee gli diceva: Vieni!Come! LuiGwynplaineaveva la gloria
terribile di essere l'oggetto di una tale discesa dell'empireo! Quella donnase è possibile chiamare in questo modo una
forma siderea e sovranaquella donna si offrivasi davasi abbandonava!Vertigine! L'Olimpo si prostituiva! A chi? A
luiGwynplaine! Braccia di cortigiana si aprivano nel nimbo per stringerlocontro un seno di dea! E ciò senza macchia.Le maestà non degradano. La lucelava gli dei. E la dea che si recava da lui sapeva quello che faceva. Nonignorava
l'orrore incarnato da Gwynplaine. Aveva visto la maschera del volto diGwynplaine! Ma la maschera non la feceva
arretrare. Gwynplaine era amato nonostante ciò.
Una cosa che andava oltre ogni sognoegli era amato proprio per questo!Lungi dal respingere la deaquella maschera
l'attirava! Gwynplaine era più che amatoegli era desiderato. Era più cheaccettatoegli era scelto. Luiscelto!
Come! Là dove quella donna vivevain quell'ambiente regale che risplendevad'irresponsabilità e di potere del tutto
arbitrarioc'erano dei principie lei poteva prendere un principe; c'eranodei lordse lei poteva prendere un lord; c'erano
uomini belliaffascinantisuperbipoteva prendere un Adone. E chisceglieva? Un miserabile! Poteva scegliere tra
meteore e folgori il gigantesco serafino dalle sei alie invece sceglieva lalarva che strisciava nel fango. Da una parte le
altezze e le signorietutta la grandezzatutta l'opulenzatutta la gloria;dall'altraun saltimbanco. E il saltimbanco aveva
la meglio! Che bilancia c'era dunque nel cuore di quella donna? Con che pesomisurava il suo amore? Quella donna si
toglieva dalla fronte il cappello ducale per gettarlo sul palco di un clown!Quella donna si toglieva dalla testa l'aureola
dell'Olimpo per metterla sul cranio irto di uno gnomo! Un indefinibilecapovolgimento del mondoun brulichio d'insetti
in altole costellazioni in bassoinghiottiva Gwynplainesmarrito in uncrollo di lucefacendogli un nimbo nella cloaca.
Un'onnipotenteribelle alla bellezza e allo splendoresi dava al dannatodella nottepreferiva Gwynplaine ad Antinoo
era colta da un accesso di curiosità davanti alle tenebree vi discendevae da quella abdicazione di una divinità usciva
prodigiosamente coronatala regalità di un miserabile. «Tu sei orribile.Ti amo». Quelle parole colpivano Gwynplaine
all'indirizzo di un orrendo orgoglio. L'orgoglioecco il tallone vulnerabiledi tutti gli eroi. Gwynplaine era lusingato
nella sua vanità di mostro. Era come essere deforme che veniva amato. Ancheluiquantoe forse più dei Giove e degli
Apolloera l'eccezione. Si sentiva sovrumanoe talmente mostro da essere undio. Spaventoso abbaglio.
Ma orachi era quella donna? Cosa sapeva di lei? Tutto e niente. Era unaduchessaquesto lo sapeva; sapeva che era
bellache era riccache aveva livreelacchépaggie gente che correvacon le fiaccole attorno alla sua carrozza
coronata. Sapeva che era innamo rata di luio almeno che glielo diceva.Ignorava il resto. Conosceva il suo titolo ma
non il suo nome. Conosceva i suoi pensierima non sapeva nulla della suavita. Era sposatavedovaragazza? Era
libera? Aveva dei doveri verso qualcuno? A che famiglia apparteneva? C'eranoattorno a lei trappoleinsidiescogli?
Gwynplaine non sospettava nemmeno cosa fosse la galanteria nelle regionidegli alti oziné che su quelle cime ci
fossero antri dove creature affascinanti e feroci sognanocircondate damucchi d'ossa di amori già consumatiné in
quali prove tragicamente ciniche possa risolversi la noia di una donna che sicrede superiore all'uomo; non c'era nulla
nel suo spirito che potesse servirgli per tessere congetturesi è maleinformati nel sottosuolo sociale in cui viveva;
tuttavia vedeva dell'ombra. Si rendeva conto che tutta quella luce era scura?Capiva forse? No. Intuiva? Ancor meno.
Cosa c'era dietro quella lettera? Un'apertura a due battentieal tempostessoun'inquietante chiusura. Da un lato la
confessione. Dall'altro l'enigma.
La confessione e l'enigmadue boccheuna che provocal'altra che minacciaed entrambe pronunciano la medesima
parola: Osa!
Mai il perfido caso aveva preso meglio le sue misuremandando a miglioreffetto una tentazione. Gwynplainein
subbuglio per la primavera e per il rigoglio della linfa universalestavaper sognare la carne. Il vecchioinsopprimibile
uomo su cui nessuno di noi trionfasi risvegliava in quell'efebo maturoancora adolescente a ventiquattro anni. Proprio
in quel momentonell'attimo più inquieto della crisigli veniva fattaquell'offertae davanti a lui si ergevaabbagliante
il seno nudo della sfinge. La gioventù è un piano inclinato. Gwynplainevacillavalo spingevano. Chi? La stagione.
Chi? La notte. Chi? Quella donna. Se non ci fosse il mese d'aprilesaremmomolto più virtuosi. I cespugli in fioreun
mucchio di complici! L'amore è il ladrola primavera è il ricettatore.
Gwynplaine era sconvolto.
C'è come un fumo del male che precede la colpairrespirabile per lacoscienza. L'onestà che viene tentata prova l'oscura
nausea dell'inferno. Ciò che si schiude emana un'esalazione che mettesull'avviso i forti e stordisce i deboli. Gwynplaine
sentiva quel malessere misterioso.
Dilemmi fugaci e ostinati gli fluttuavano davanti. La colpache si offrivacon ostinazioneprendeva forma. Il giorno
dopomezzanotteil ponte di Londrail paggio! Sarebbe andato? Sì! Gridavala carne. No! Gridava l'anima.
Tuttaviadiciamoloper quanto in un primo momento possa sembrare singolarequella domanda: - sarebbe andato? -
egli non se la pose in modo distinto neppure una volta. Le azioni riprovevolihanno spazi riservati. Come l'acquavite
troppo fortenon si possono bere tutte d'un fiato. Si posa il bicchieresivedrà più tardila prima goccia ha già un sapore
strano.
È fuori dubbio che egli si sentiva spinto alle spalle verso l'ignoto.
E fremeva. Intravedeva l'orlo della rovina. E si gettava indietroafferratonuovamente da ogni parte dallo spavento.
Chiudeva gli occhi. Si sforzava di negare davanti a se stessoquell'avventurae di rimettere in discussione la propria
ragione. Evidentemente era la cosa migliore. La cosa più saggia da fare eradi credersi pazzo.
Febbre fatale. Ogni uomo sorpreso dall'imprevisto ha conosciuto nel corsodella vita queste tragiche pulsazioni.
L'osservatore ascolta sempre con ansia il cupo risuonare dei colpi d'arietedel destino contro una coscienza.
Ahimè! Gwynplaine s'interrogava. Là dove il dovere è indiscutibileporsidelle domande è già una disfatta.
D'altra parteed è un dettaglio non da pocola sfrontatezza diquell'avventurache forse avrebbe colpito un uomo
corrottonon lo stupiva. Ignorava il cinismo. Né lo toccava quell'idea diprostituzione a cui abbiamo accennato più
sopra. Gli mancava la forza di concepirla. Era troppo puro per ammettereipotesi complicate. Di quella donna non
vedeva che la grandezza. Ahimè! Ne era lusingato. La sua vanità prendevaatto dalla sua vittoria. Avrebbe avutobisogno di molta più intelligenza diquanta non ne ha l'innocenteper sospettare di essere l'oggetto meno di unamore
che di una spudoratezza. Accanto a: Ti amoegli non scorgeva lospaventoso correttivo: Ti voglio.
Gli sfuggiva il lato bestiale della dea.
La mente può subire delle invasioni. L'anima ha i suoi vandalii cattivipensieriche arrivano per devastare la nostra
virtù. Mille idee si precipitavano in senso inverso su Gwynplaineuna dopol'altraa volte tutte insieme. Poi scendevano
in lui dei silenzi. Allora si prendeva la testa fra le maniin una specie dilugubre concentrazionesimile alla
contemplazione di un paesaggio notturno.
Improvvisamente si accorse di non pensare più. Il suo fantasticare eraarrivato a quel punto nero dove tutto scompare.
Notò anche che non era rientrato. Potevano essere le due del mattino.
Mise la lettera che gli aveva portato il paggio nella tasca lateralemaaccorgendosi che era sul cuorela tolse di lì
l'infilòtutta spiegazzatanel primo taschino delle brache che gli venne atiropoi si diresse verso la locandavi penetrò
in silenziosenza svegliare il piccolo Govicum che lo aspettavamorto disonnosu un tavolocon le braccia per cuscini
richiuse la portaaccese una candela alla lanterna dell'albergotirò ilcatenacciodiede un giro di chiave alla serratura
prese automaticamente le precauzioni di un uomo che rientra tardirisalì lascaletta della Green-Boxscivolò nel
vecchio baracchino che gli serviva da cameraguardò Ursus che dormivasoffiò sulla candelama non si coricò.
Passò così un'ora. Infinestancopensando che letto vuol dire sonnoappoggiò la testa sul cuscinosenza spogliarsie
fece all'oscurità la concessione di chiudere gli occhi; ma la tempestad'emozioni non cessava un attimo d'assalirlo.
L'insonnia è la sevizia della notte sull'uomo. Gwynplaine soffriva molto.Per la prima volta in vita sua non era contento
di sé. Un dolore intimo confuso con la soddisfazione della sua vanità. Chefare? Venne l'alba. Sentì Ursus che si alzava
ma non aprì le palpebre. Nessuna tregua comunque. Pensava a quella lettera.Tutte quelle parole gli tornavano in una
sorta di caos. Sotto l'impulso di certi soffi violenti che vengonodall'interno dell'animail pensiero è come un liquido.
Esso entra in convulsionisi sollevae ne esce qualcosa di simile al sordoruggito dell'onda. Flussoriflussoscosse
turbiniiesitazioni dei flutti davanti allo scogliograndine e pioggianuvole con squarci abbagliantistrappi miserabili
di un'inutile schiumafolli impennate subito rovinateimmensi sforzi vaniil naufragio che appare da tutte le parti
ombra e dispersionetutto ciò si trova nell'abisso come nell'uomo.Gwynplaine era in preda a quella tormenta.
Al culmine dell'angosciale palpebre sempre chiusesentì una voce chediceva: DormiGwynplaine? Aprì gli occhi con
un soprassaltoe si levò a sederela porta del baracchino guardaroba erasocchiusanello spiraglio appariva Dea. Essa
aveva sugli occhi e sulle labbra il suo ineffabile sorriso. Era dritta eaffascinante nell'inconsapevole serenità del suo
splendore. Ci fu come una pausa sacra. Gwynplaine la contemplòtrasalendoammirato e risvegliato; risvegliato da
cosa? Dal sonno? Nodall'insonnia. Era leiera Dea; e d'un tratto sentìsvanire insensibilmentenel più profondo del suo
esserela tempestae sentì la sublime discesa del bene sul male; sirealizzò il prodigio dello sguardo celestequella
ciecadolce e luminosaaveva dissipatocon la sua sola presenzatutte leombre che c'erano in luila cortina di nuvole
si scostò da quell'anima come tirata da una mano invisibilee Gwynplaineper un incantesimo celesteebbe nella
coscienza un ritorno d'azzurro. Fu di nuovograzie alla virtù diquell'angeloil grandebuono e innocente Gwynplaine.
L'animacome la creazioneviene a questi confronti misteriosi; tutti e duetacevanoleila luceluil'abissolei divina
lui placato; e al di sopra del cuore in tempesta di GwynplaineDearisplendeva con l'inesprimibile effetto della stella del
mattino.
II • DAL PIACEVOLE AL SEVERO
Com'è semplice un miracolo! Nella Green-Box era l'ora di colazionee Deaveniva con tutta semplicità a vedere perché
Gwynplaine non arrivasse al loro piccolo tavolo del mattino.
«Tu!»esclamò Gwynplainee non ci fu altro da dire. Non ebbe più altroorizzonte o visione che il cielo dov'era Dea.
Chi non ha vistodopo l'uraganol'improvviso sorriso del marenon puòcapire quel tipo di sollievo. Nulla si calma più
rapidamente degli abissi. Ciò dipende dalla loro facilità d'inghiottire.Così è il cuore umano. Non sempretuttavia.
Dea non aveva che da mostrarsitutta la luce che c'era in Gwynplaine uscivae andava da leie dietro Gwynplaine
stupitonon restava che una fuga di fantasmi. Che pace porta l'adorazione!
Dopo qualche istante erano tutti e due sedutiuno davanti all'altrotraloro c'era UrsusHomo stava ai loro piedi. Sulla
tavola c'era la teierasotto cui ardeva il fornellino. Fibi e Vinos eranofuori a sbrigare le loro faccende.
La colazionecome la cenaveniva consumata nel compartimento centrale. Latavolastrettissimaera disposta in modo
tale che Dea voltava le spalle all'apertura della parete divisoriache erain corrispondenza della porta d'entrata della
Green-Box.
Le loro ginocchia si toccavano. Gwynplaine versava il tè a Dea.
Dea soffiava con grazia sulla tazza. Improvvisamente starnutì. Proprio inquel momento si era formato sopra la fiamma
del fornellino un po' di fumo che si stava disperdendoe c'era della cartache ricadeva in cenere. Era quel fumo che
aveva fatto starnutire Dea.
«Cos'è?»domandò Dea.
«Niente»rispose Gwynplaine.
E sorrise.
Aveva bruciato la lettera della duchessa.
L'angelo custode della donna amata è la coscienza dell'uomo che l'ama.
Liberatosi della letteraGwynplaine si sentì stranamente sollevatoavvertì la propria onestà come l'aquila le sue ali.Gli sembrò che latentazione se ne andasse con il fumoe che con la carta anche la duchessaricadesse in cenere.
Scambiandosi le tazzebevendo a turno nella stessaessi parlavano.Chiacchierio d'innamoraticinguettio di passeri.
Puerilità degne di Mamma Oca e d'Omero. Due cuori che si amanonon andateoltre a cercare la poesia; un dialogo di
bacinon cercate altrove la musica.
«Sai una cosa?».
«No».
«Gwynplaineho sognato che eravamo animalie che avevamo le ali».
«Alidunque uccelli»mormorò Gwynplaine.
«Animalidunque angeli»borbottò Ursus.
La conversazione continuava.
«Se tu non esistessiGwynplaine...».
«Ebbene?».
«Vorrebbe dire che non esiste Dio».
«Il tè è troppo caldo. Ti scotteraiDea».
«Soffia sulla mia tazza».
«Come sei bella questa mattina!».
«Pensa che devo dirti un mucchio di cose».
«Parla».
«Ti amo!».
«E io ti adoro!».
E a parte Ursus diceva: «Perdioecco dei puri».
Per chi si ama i silenzi sono qualcosa di squisito. L'amore si accumulaperpoi scoppiare dolcemente.
Dopo una pausa Dea esclamò: «Se tu sapessi! Quando di sera recitiamonell'istante in cui la mia mano tocca la tua
fronte... Oh! La tua nobile testaGwynplaine!... nell'istante in cui sento ituoi capelli sotto le ditaè un brividoprovo
una gioia celestemi dico: Nel buio mondo che mi racchiudein questouniverso di solitudinein quest'immensascura
rovina dove mi trovonello spaventoso tremore mio e di tuttoho un puntod'appoggioeccolo. È lui. - Sei tu».
«Ohtu mi ami»disse Gwynplaine. «Anch'io non ho che te al mondo. Tu seitutto per me. Deache vuoi che faccia?
Desideri qualcosa? Di cosa hai bisogno?».
Dea rispose: «Non so. Io sono felice».
«Oh!»soggiunse Gwynplaine«noi siamo felici!».
Ursus alzò la voce con tono severo:
«Ah! Voi siete felici. È un'infrazione. Vi ho già avvertiti. Ah! Voi sietefelici! Alloracercate di non farvi vedere. Non
siate invadenti. La felicitàecco una cosa che deve rintanarsi. Fateviancora più piccoli di quanto già non sietese vi
riesce. Dio misura la grandezza della felicità dalla piccolezza di quelliche sono felici. Le persone contente devono
nascondersicome fanno i malfattori. Ah! Voi sprizzate lucemaledetteluccioleper tutti i diavolivi metteranno i piedi
addossoe avranno ragione. Cosa sono tutti questi vezzi? Non sono mica unabeghina con l'incarico di controllare gli
innamorati che si sbaciucchiano. Mi avete stancato! Andate al diavolo!».
E sentendo che la durezza dei suoi toni si ammorbidiva fino ad intenerirsisoffocò l'emozione sbuffando e borbottando.
«Padre»disse Dea«perché fate la voce grossa?».
«Perché non mi va che si sia troppo felici»rispose Ursus.
E qui Homo fece eco a Ursus. Si udì un brontolio proprio sotto i piedi deidue innamorati.
Ursus si chinò e mise una mano sulla testa di Homo.
«Dunqueanche tu sei di cattivo umore. Stai ringhiando. Rizzi i peli sullatua zucca di lupo. Non ti piacciono le
passioncelle. Perché sei saggio. Non fa nientetaci. Ormai hai parlatohaidetto la tuabene; ora zitto».
Il lupo brontolò di nuovo.
Ursus lo guardò sotto la tavola.
«Stai buonoHomo! Vianon insisterefilosofo!».
Ma il lupo si alzòmostrando i denti in direzione della porta.
«Ma cos'hai?»disse Ursus.
E afferrò Homo per la collottola.
Dea non faceva attenzione ai ringhi del lupoassorta nei suoi pensieriassaporava dentro di sé il suono della voce di
Gwynplainee tacevain quella specie di estasi tipica dei ciechiche avolte sembra dar loro un canto da ascoltare
interiormentecome per sostituire con una musica ideale la luce di cui sonoprivi. La cecità è un sotterraneo da dove si
ode la profonda armonia dell'eterno.
Mentre Ursus abbassava la testa per rivolgersi a HomoGwynplaine avevaalzato lo sguardo.
Stava per bere una tazza di tèma non la bevve; la posò invece sullatavola con la lentezza di una molla che si distende
le dita rimasero aperte ed egli s'immobilizzòl'occhio fissosenzarespirare.
Alle spalle di Dea c'era un uomoin piedi nel riquadro della porta. L'uomoera vestito di nerocon una cappa da
tribunale. Portava in mano un bastone di ferro scolpito in forma di coronaalle due estremità.
Il bastone era corto e massiccio.
Ci si immagini la Medusa che infila la testa tra due rami del paradiso.Ursusche aveva avvertito la presenza del nuovo venutoe aveva alzato la testasenzalasciare Homoriconobbe quel
temibile personaggio.
Fu scosso da un tremitodalla testa ai piedi.
Disse all'orecchio di Gwynplaine:
«È il wapentake».
Gwynplaine si ricordò.
Stava per sfuggirgli un moto di sorpresama si trattenne.
Quel bastone di ferro in forma di corona alle due estremità eral'iron-weapon.
Era dall'iron-weaponsu cui prestavano giuramento gli ufficiali di giustiziaurbana entrando in caricache derivava la
qualifica degli antichi wapentakes della polizia inglese.
Dietro l'uomo con la parruccanella penombras'intravedeva l'ostecosternato.
L'uomosenza dire una parolavera personificazione della muta Themis dicui parlavano le vecchie carteabbassò il
braccio destroscavalcando la splendida Deae toccò con il bastone diferro la spalla di Gwynplainementrecon il
pollice della mano sinistraindicava la porta della Green-Box che aveva allespalle. Quel doppio gestotanto più
imperioso in quanto eseguito in silenziovoleva dire: Seguitemi.
Pro signo exeundisursum trahedice il cartulario normanno.
L'individuo su cui si era posato l'iron-weapon non aveva altro diritto cheubbidire. Nessuna replica a quell'ordine muto.
Le severe disposizioni penali inglesi minacciavano i renitenti.
Al rigido tocco della leggeGwynplaine sussultòpoi rimase comepietrificato.
Se invece di essere stato semplicemente sfiorato sulla spalla dal bastone diferrone avesse ricevuto un forte colpo in
testanon sarebbe rimasto più stordito. Si vedeva costretto a seguirel'ufficiale di polizia. Ma perché? Non capiva.
Ursusche pure era a sua volta turbato e angosciatosospettava qualcosa dimolto chiaro. Pensava ai concorrenti
giocolieri e predicatorialla Green-Box denunciataa quel delinquente dilupoa quando aveva avuto a che fare con i tre
interrogatori del Bishopsgate; e inoltrechissàforsema sarebbe statospaventosoalle chiacchiere fuori luogo e
sediziose di Gwynplaineche riguardavano l'autorità reale. Tremava tutto.
Dea sorrideva.
Né Gwynplainené Ursus pronunciarono una parola. Ebbero tutti e due lastessa idea: non impressionare Dea. Forse
anche il lupo era d'accordoperché aveva smesso di ringhiare. È anche veroche Ursus non lo mollava.
Comunque Homose ce n'era bisognosapeva essere prudente. Chi non ha notatocerte intelligenti preoccupazioni negli
animali?
Forsenella misura in cui un lupo può capire gli uominisi sentivaproscritto.
Gwynplaine si alzò.
Non era possibile fare resistenzaGwynplaine lo sapeva beneegli siricordava le parole di Ursusnon doveva fare
domande.
Rimase in piedi davanti al wapentake.
Il wapentake gli tolse il weapon dalla spallaritirò il bastone di ferrotenendolo diritto in posizione di comandoun gesto
tipico della polizia che allora tutti capivanoe che voleva dire:
«Questo uomo mi seguae nessun altro. Rimanete tutti dove siete.Silenzio».
Non erano ammessi i curiosi. In ogni tempo la polizia ha avuto un debole peri riti della clausura.
Quel genere di arresto era qualificato come «sequestro di persona».
Il wapentakecon un solo movimentocome un automa che giri su se stessosivoltò econ passo lento e solennesi
diresse verso l'uscita della Green-Box.
Gwynplaine guardò Ursus.
Ursus assunse quell'atteggiamentospalle alzategomiti ai fianchi e maniapertesopracciglia aggrottate come galloni
che significa: sottomissione all'ignoto.
Gwynplaine guardò Dea. Era immersa nei propri pensieri e continuava asorridere. Egli posò la punta delle dita sulle
labbra di leiinviandole un ineffabile bacio.
Ursusche le spalle voltate del wapentake avevano alleggerito di una certaquantità di terroreapprofittò di quel
momento per sussurrare all'orecchio di Gwynplaine:
«Non parlare prima che ti interroghinone va della tua vita!».
Gwynplainecon quella preoccupazione di non far rumore che si ha nellacamera di un malatoprese dalla parete
divisoria il cappello e il mantellosi avvolse nel mantello fino agli occhie si tirò il cappello sulla fronte; poiché non si
era coricatoegli indossava ancora i suoi abiti da lavoro e portava al collola schiavina di cuoio; guardò ancora una volta
Dea; il wapentakegiunto alla porta esterna della Green-Boxalzò ilbastone e cominciò a scendere la scaletta d'uscita;
allora Gwynplaine si mossecome se quell'uomo lo trascinasse con una catenainvisibile; Ursus guardò Gwynplaine
uscire dalla Green-Box; in quel momento Homo abbozzò un ringhio lamentosoma Ursus lo tenne a badae gli disse
sottovoce: Tornerà.
Intanto nel cortile padron Niclesscon un gesto servile e imperiososoffocava sulle bocche le grida di stupore di Vinos
e di Fibiche assistevano sconsolate alla cattura di Gwynplainecon tantodi abiti a lutto e di bastone di ferro del
wapentake.
Le due ragazze erano pietrificate. Atteggiate a stalattiti.
Govicumsbalorditoguardava con gli occhi sbarrati da una finestrasocchiusaIl wapentake precedeva di qualche passo Gwynplaine senza voltarsi esenza guardarlocon quella gelida tranquillità
data dalla certezza di essere la legge.
Tutti e due passarono per il cortile in un silenzio sepolcraleattraversarono la buia sala della bettola e sbucarono sulla
piazza. Là trovarono qualche passante che si accalcava davanti alla portadell'albergo e il giustiziere-quorum alla testa
di un drappello di polizia. I curiosistupefattisi allontanarono insilenziofacendosi da partecon la tipica disciplina
inglesealla vista del bastone del conestabile; il wapentake si avviò versoquelle stradine dette allora Little Strandche
costeggiavano il Tamigi; e Gwynplainecon a destra e a sinistra gli uominidel giustiziere-quorum allineati in doppia
filapallidosi allontanò lentamente dall'innsenza fare un gestosenzaalcun movimento che non fossero i passi
coperto dal suo mantello come da un sudariocamminando muto dietro aquell'uomo taciturnouna statua al seguito di
uno spettro.
III • LEXREXFEX
L'arresto senza giustificazioniche stupirebbe non poco un inglese delgiorno d'oggiera una pratica di polizia molto
usata allora in Gran Bretagna. Vi si ricorse in modo particolare per quellefaccende delicate alle qualiin Francia
provvedevano le lettres de cachete ciò a dispetto dell'habeascorpus fino a Giorgio IIe una delle accuse da cui dovette
difendersi Walpole fu proprio di aver fattoo lasciatoarrestare in questomodo Neuhoff. L'accusaprobabilmentenon
era molto fondataperché Neuhoffre di Corsicafu incarcerato dai suoicreditori.
I mandati d'arresto occultidi cui la Santa Voehme in Germania aveva fattolargo usoerano ammessi dalle consuetudini
tedesche che stavano alla base di una metà delle vecchie leggi inglesieraccomandatiin certi casidalle consuetudini
normanneche stavano alla base dell'altra metà. Il capo della polizia delpalazzo di Giustiniano si chiamava «il
silenziario imperiale»silentiarius imperialis. I magistrati inglesiche praticavano questa specie di arresti si basavano su
numerosi testi normanni: - Canes latrantsergentes silent. - Sergenteragereid est tacere. - Citavano Lundulphus
Sagaxparagrafo 16: - Facit imperator silentium. - Citavano la cartadi re Filippodel 1307: - Multos tenebimos
bastonerios quiobmutescentessergentare valeant. - Citavano glistatuti di Enrico I d'Inghilterracapitolo LIII: - Surge
signo jussus. Taciturnior esto. Hoc est esse in captione regis. - Sivalevano in special modo di questa prescrizione
considerata come facente parte delle antiche franchigie feudalidell'Inghilterra: «Dai visconti dipendono i sergenti di
spadache devono giustiziare virtuosamente con la spada tutti quelli cheseguono cattive compagniepersone accusate
di delittievasi e messi al bando... e li devono arrestare con fermezza ediscrezionecosì che la brava gente pacifica sia
protetta senza fracasso e i malfattori siano spaventati». Essere arrestatoin questo modo voleva dire essere preso «con la
lama della spada» (Vetus consuetudo NormanniaeMS. I part. Sez. Icap. II). I giureconsulti invocavano inoltrein
Charta Ludovici Hutini pro normannisil capitolo servientes spathae.I servientes spathaenel graduale avvicinarsi
della bassa latinità ai nostri idiomisono diventati sergentes spadae.
Gli arresti silenziosi erano il contrario delle gazzarre dei linciaggiesuggerivano che conveniva tacere finché si fosse
fatta luce su certi punti oscuri.
Essi volevano dire: questioni riservate.
Essi suggerivano che nell'operazione di polizia c'era una certa presenzadella ragion di stato.
Il termine di diritto privateche significa a porte chiuseèappunto applicabile a quel genere di arresti.
Fu in questo modo che Edoardo IIIsecondo alcuni annalistifece arrestareMortimer nel letto della madre Isabella di
Francia. Possiamo dubitarnedal momento che Mortimerprima d'esserecatturatosostenne l'assedio della sua città.
Warwickil creatore di repraticava volentieri questo modo di «attirare lagente».
Cromwell l'impiegava soprattutto nel Connaugh; e fu appunto con questaprecauzione del silenzio che venne arrestato
nel Kilmacaugh Trailie-Arckloparente del conte di Ormond.
Gli arresti eseguiti con un semplice gesto giudiziario rappresentavano piùun mandato di comparizione che di arresto.
A volte non erano che espedienti per raccogliere informazionie anziimplicavanoper via del silenzio imposto a tutti
un certo riguardo per la persona catturata.
Ma per il popolopoco al corrente delle sfumatureessi eranoparticolarmente terrificanti.
Non dobbiamo dimenticare che l'Inghilterra non era nel 1705ma neppure moltopiù tardiciò che è ai giorni nostri.
Tutto era confuso e talvolta molto opprimente; Daniel de Foeche avevaassaggiato la gognadà un'ideada qualche
partedell'ordine sociale inglesecon queste parole: «le mani di ferrodella legge». Ma non c'era solo la leggec'era
anche l'arbitrio. Ricordiamoci Steele cacciato dal parlamentoLocke cacciatodalla cattedra; Hobbes e Gibboncostretti
a fuggire; Charles ChurchillHumePriestly perseguitati; John Wilkesrinchiuso nella Torre. Se ci mettiamo a elencare
le vittime dello statuto seditious libelil conto sarà lungo.L'Inquisizione si era diffusa un po' per tutta Europa; i suoi
metodi polizieschi facevano scuola. In Inghilterra era possibile un mostruosoattentato a tutti i diritti; ricordiamo il
Gazetier cuirassé. In pieno secolo XVIIILuigi XV faceva rapire aPiccadilly gli scrittori che non gli andavano. È vero
che Giorgio III faceva arrestare in Francia il pretendente nel bel mezzodella sala dell'Opera. Erano due braccia molto
lunghe; il braccio del re di Francia arrivava fino a Londrae quello del red'Inghilterra fino a Parigi. Questa era la
libertà.
Aggiungiamo che all'interno delle prigioni si veniva giustiziati facilmente;un espediente alternato al supplizio; odioso
espediente a cui in questo momento l'Inghilterra sta ritornando; cosìfacendo essa dà al mondo lo spettacolo davvero
singolare di un grande popolo chevolendo miglioraresceglie il peggioeche avendo davanti a séda una parte il
passatodall'altra il progressosbaglia voltoe prende la notte per ilgiorno..IV • URSUS SPIA LA POLIZIA
Come abbiamo dettosecondo le severissime leggi della polizia di quei tempil'ingiunzione rivolta a un individuo di
seguire il wapentake implicavaper tutti quelli che erano presentil'ordinedi non muoversi.
Qualche curiosotuttaviasi ostinò ad accompagnare da lontano il corteoche portava con sé Gwynplaine.
Ursus era uno di quelli.
Ursus era rimasto pietrificatoper quanto si abbia diritto ad esserlo. Matante volte assalito dagli imprevisti di una vita
vagabonda e dalle disgrazie dell'inattesoUrsus avevacome una nave daguerrail suo assetto di combattimentoin
grado di chiamare ai posti di battaglia tutto l'equipaggiocioè tutta lasua intelligenza.
Si liberò alla svelta da quello stato di paralisie si mise a riflettere.Non era più tempo di commuoversima di affrontare
la situazione.
Chiunque non sia imbecille ha il dovere di affrontare l'evenienza.
Non cercare di comprenderema agire. Subito. Ursus s'interrogò.
Cosa si doveva fare?
Partito GwynplaineUrsus si trovò fra due timori: quello per Gwynplaineche gli suggeriva di seguirloe quello per se
stessoche gli diceva di restare.
Ursus era intrepido come una mosca e impassibile come una sensitiva. Tremavain modo indescrivibile. Prese tuttavia
l'eroica decisione di sfidare la legge e di seguire il wapentakea tal puntoera inquieto per la sorte di Gwynplaine.
Bisognava che avesse una bella paura per avere tanto coraggio.
A che atti di valore lo spavento può spingere una lepre!
Il camoscio terrorizzato salta i precipizi. Essere spaventati finoall'imprudenza è una delle forme della paura.
Gwynplaine era stato prelevato più che arrestato. L'operazione di poliziaera stata eseguita così rapidamente che il
campo della fieracomunque poco frequentato a quell'ora del mattinonon neera rimasto gran che turbato. Quasi
nessuno nelle baracche del Tarrinzeau-field dubitava che il wapentake fossevenuto a cercare l'Uomo che Ride. Perciò
la folla era poco numerosa.
Gwynplainegrazie al mantello e al feltro che quasi si riunivano sul suovisonon poteva essere riconosciuto dai passati.
Prima di uscire dietro a GwynplaineUrsus prese una precauzione. Chiamò aparte padron Niclessil boy GovicumFibi
e Vinose ingiunse loro il silenzio più assoluto davanti a Deache nonsapeva nulla; dovevano aver cura di non
spifferare una sola parola che potesse farle sospettare quanto era accaduto;dovevano spiegare l'assenza di Gwynplaine e
di Ursus con qualche motivo legato alle faccende della Green-Box; d'altrapartepresto sarebbe giunta l'ora del riposo
pomeridiano di Deaeprima che si svegliasseluiUrsussarebbe stato diritorno con Gwynplainedal momento che
tutto ciò non era che un malintesoun mistakecome dicono in Inghilterra;non avrebbero avuto difficoltàlui e
Gwynplainea convincere i giudici e la polizia; avrebbero fatto toccare conmano l'equivocoe in breve tempo
sarebbero tornati tutti e due. Soprattutto che nessuno dicesse nulla a Dea.Fatte queste raccomandazionipartì.
Ursus riuscì a seguire Gwynplaine senza essere notato. Benché si tenesse ilpiù lontano possibilefece in modo di non
perderlo di vista. L'audacia negli agguati è il capolavoro dei timidi.
Dopo tuttoe per quanto solenne fosse la messinscenaforse per Gwynplainesi trattava solo di una citazione a
comparire davanti a un semplice magistrato di poliziaper un'infrazione dipoco conto.
Ursus andava dicendosi che la questione si sarebbe risolta subito.
Il chiarimento sarebbe avvenuto sotto i suoi stessi occhia seconda delladirezione che avrebbe preso il drappello che
custodiva Gwynplaine quandoarrivato ai confini del Tarrinzeaufieldavrebbero imboccato le viuzze del Little Strand.
Se svoltavano a sinistravoleva dire che portavano Gwynplaine al municipiodi Southwark. Poco da temere in quel
caso; qualche piccola infrazione municipaleun ammonimento del magistratodue o tre scellini d'ammendapoi
Gwynplaine sarebbe stato rilasciatoe la rappresentazione de La sconfittadel caos avrebbe avuto luogo la sera stessa
come al solito. Nessuno si sarebbe accorto di niente.
Se il drappello voltava a destrala faccenda si faceva seria.
Da quelle parti c'erano luoghi severi.
Nel momento in cui il wapentakeche comandava le due file di sbirri in mezzoai quali camminava Gwynplainearrivò
alle stradineUrsussenza fiatostette a guardare. Ci sono momenti in cuil'uomo è tutt'occhi.
Da che parte sarebbero andati?
Voltarono a destra.
Ursusvacillando per lo spaventosi appoggiò a un muro per non cadere.
Non c'è nulla di più ipocrita che dire a se stessi: Vorrei sapere comeregolarmi. In fondo non lo vogliamo affatto.
Abbiamo una gran paura. All'angoscia si aggiunge un oscuro sforzo per nonconcludere niente. Non abbiamo il
coraggio di confessarloma ci tireremmo volentieri indietroe quando inveceavanziamoce lo rimproveriamo.
È quanto fece Ursus. Pensò rabbrividendo:
«Si sta mettendo male. L'avrei saputo sempre troppo presto. A cosa serveseguire Gwynplaine?».
Fatta questa riflessionee poiché l'uomo non è che contraddizioneallungò il passo edominando l'ansiasi affrettò per
avvicinarsi al drappellocosì da impedire che si rompesse il filo cheneldedalo delle vie di Southwarklo legava a
Gwynplaine.
Il corteo poliziesco non poteva andare in frettaa causa della suasolennità.Era aperto dal wapentake.
Lo chiudeva il giustiziere-quorum.
Quest'ordine implicava una certa lentezza.
Nel giustiziere-quorum rifulgeva tutta la maestà possibile di un assistentegiudiziario. La sua divisa stava a metà tra lo
splendido abbigliamento del dottore in musica di Oxford e la tenuta sobria enera del dottore di teologia di Cambridge.
Egli indossava abiti da gentiluomo sotto un lungo godebertche è unmantello foderato con pelliccia di lepre norvegese.
Per metà era gotico e per l'altra metà modernopoiché aveva una parruccacome Lamoignon e delle maniche alla turca
come Tristano l'Eremita. Il suo grosso occhio rotondo covava Gwynplaine conla fissità del gufo. Marciava a passo
cadenzato. Impossibile vedere un tipo più truce.
Ursusche per un momento si era perso nella matassa aggrovigliata dellestradinein prossimità di Sainte-Marie Over-Ry
si ricongiunse al corteo chefortunatamenteaveva perso tempo nel porticodella chiesa a causa di una rissa tra
bambini e caniun incidente abituale nelle strade di Londradogs and boysdicevano i vecchi registri di poliziache
mettono i cani prima dei bambini.
Poiché un uomo che veniva condotto dagli agenti di polizia davanti almagistrato eradopo tuttoun avvenimento
normalissimoe d'altra parte ognuno ha i suoi affari da curarei curiosi sierano dispersi. Sulle tracce di Gwynplaine era
rimasto solo Ursus.
Passarono davanti alle due cappelle che sorgevano una di fronte all'altraquella dei Recreative Religionists e quella
della Ligue Halleluiahdue sette di allora che esistono ancor oggi.
Poi il corteo serpeggiò di viuzza in viuzzascegliendo di preferenza leroads non ancora pavimentatei rows dove
cresceva l'erba e le lanes desertefacendo molti zig zag.
Finalmente si arrestò.
Si trovavano in una stradina angusta. Non c'erano casea parte quelle due otre catapecchie all'inizio. La stradina era
fatta di due muriuno a sinistrabasso; l'altro a destraalto. La muragliapiù alta era nera e costruita alla sassonecon
merliscorpioni e riquadri di grosse grate che chiudevano strette bocche dilupo. Non c'erano finestre; soloqua e là
delle fessureche erano gli antichi alloggi di cannoni e archibugi. Ai piedidella muraglia era visibile uno sportellino
bassissimocome il buco nelle trappole per topi.
Lo sportelloincassato in un pesante arco di pietra a tutto sestoaveva unospioncino a grataun battente massicciouna
grande serraturadei cardini robusti e nodosiun'armatura di chiodiunacorazza di lamine pitturateed era fatto più di
ferro che di legno.
Nessuno nella stradina. Nessun negozionessun passante. Ma si udiva unrumore costante e molto vicinocome se la
stradina fosse stata parallela a un torrente. Era un chiasso di voci e divetture. Molto probabilmente dall'altra parte
dell'edificio nero c'era una grande stradasenza dubbio l'arteria principaledi Southwarkche a un'estremità si
congiungeva con la via di Canterburye all'altra con il ponte di Londra.
Se ci fosse stato qualcuno di guardiaper tutta la lunghezza della stradinaoltre al corteo che avvolgeva Gwynplaine
non avrebbe visto altro volto d'uomo tranne il pallido profilo di Ursuschesi era arrischiato a sporgersi nella penombra
di un angolo di murocon la voglia e la paura di vedere. Egli si eraappostato in una rientranza della viache in quel
punto faceva come uno zig-zag.
Il drappello si raggruppò davanti allo sportello.
Gwynplaine si trovava al centro del gruppoma ora aveva dietro di sé ilwapentake con il suo bastone di ferro.
Il giustiziere-quorum sollevò il battente e diede tre colpi.
Lo spioncino si aprì.
Il giustiziere-quorum disse:
«In nome di sua maestà».
La pesante porta di quercia e di ferro girò sui cardiniapparve un'aperturalivida e freddasimile alla bocca di un antro.
Una volta orrenda si allungava nell'ombra.
Ursus vide Gwynplaine sparire là sotto.
V • BRUTTO LUOGO
Il wapentake entrò dopo Gwynplaine.
Poi il giustiziere-quorum.
Poi tutto il drappello.
Lo sportello si richiuse.
La pesante porta tornò a sistemarsi ermeticamente nei suoi stipiti dipietrasenza che si vedesse chi l'aveva aperta e chi
la chiudeva. Sembrava che i chiavistelli rientrassero da soli nei loroalveoli. Nelle vecchissime prigioni correzionali ci
sono ancora simili meccanismi inventati dall'antica arte dell'intimidazione.Una porta di cui non si vedeva il portiere.
Ciò faceva della soglia della prigione la soglia della tomba.
Quello sportello era la porta di servizio del carcere di Southwark.
Non c'era nulla in quell'edificio tarlato e scostante che smentisse l'aspettospiacevole tipico di una prigione.
Il carcere di Southwark era un tempio paganocostruito dai vecchicattieuchlans per i Mogonsche sono antiche divinità
inglesidiventato palazzo per Etelulfo e fortezza per sant'Edoardoinseguito elevato alla dignità di prigione nel 1199 da
Giovanni Senza Terra. Il carcereun tempo attraversato da una stradacomeChenonceaux è attraversata da un fiumeper un secolo o due era stato una gatecioè una porta del sobborgo; poi il passaggio era stato murato. Ci sono ancorain
Inghilterra prigioni di quel genere; così a Londra c'è Newgate; Westgate aCanterbury; Canongate a Edinburgo. Anche
in Francia la Bastigliaoriginariamenteera una porta.
Quasi tutti i carceri inglesi avevano lo stesso aspettoun gran muro esternoedentroun alveare di segrete. Nulla è
funebre come queste prigioni gotichedove il ragno e la giustizia tendono leloro telee dove il raggio di John Howard
non era ancora penetrato. Tuttecome l'antica geenna di Bruxellesavrebberopotuto essere chiamate Treurenbergcasa
delle lacrime.
Davanti a queste costruzioni truci e spietate si provava la stessa angosciache sentivano gli antichi navigatori davanti
agli inferni di schiavi di cui parla Plautoisole che risuonavano di ferriferricrepiditaeinsulaequando capitava loro di
passare a una distanza sufficiente per udire il rumore delle catene.
Il carcere di Southwarkluogo di antichi esorcismi e tormentiinizialmenteaveva la specialità degli stregonicome
dimostrano questi due versi incisi su una pietra logoraproprio sopra losportello:
Sunt arreptitii vexati daemone multo.
Est energumenos quem daemon possidet unus.
Versi che fissano la delicata sfumatura tra l'indemoniato e l'energumeno.
Sopra l'iscrizionecome segno della capacità di comminare le pene capitaliera stata inchiodata orizzontalmente una
scala di pietrache un tempo era di legnoma che era diventata di pietraper essere stata sepolta nella terra pietrificante
di un luogo chiamato Aspley-Gowisvicino all'abbazia di Woburn. La prigionedi Southwarkoggi demolitadava su
due stradechecome gateun tempo aveva messo in comunicazioneeaveva due porte: la porta d'onore sulla strada più
grandedestinata alle autorità; e la porta dolorosa sulla stradinariservata agli altri mortali. Ma anche ai morti; perché
quando un prigioniero moriva nel carcereil cadavere usciva da quella porta.Una liberazione come un'altra.
La morte non è che la scarcerazione nell'infinito.
Proprio dall'ingresso doloroso Gwynplaine era stato appena introdotto nellaprigione.
Quella stradinacome abbiamo dettonon era altro che un viottolo selciatochiuso tra due muri paralleli. A Bruxelles
c'è qualcosa di simileil passaggio detto: Via per una persona. Idue muri erano diseguali; il muro alto era la prigioneil
muro basso era il cimitero. Questo murorecinzione della camera mortuariadel carcerenon superava la statura di un
uomo. Vi si apriva una portadi fronte allo sportello del carcere. I mortinon si dovevano scomodarebastava loro
attraversare la strada. Se si costeggiava il muro per una ventina di passisi arrivava all'entrata del cimitero. Sulla
muraglia più alta era stata fissata una scala patibolaredalla parteoppostasulla muraglia bassac'era scolpito un
teschio. Nessuno dei due muri era tale da rallegrare l'altro.
VI • QUALI MAGISTRATURE C'ERANO SOTTO LE PARRUCCHE D'UN TEMPO
Chi in quel momento avesse guardato la facciata dall'altra parte dellaprigioneavrebbe visto la strada principale di
Southwark e avrebbe potuto notareferma davanti alla porta monumentale eufficiale del carcereuna vettura da
viaggioriconoscibile per i suoi «posti in carrozza»che oggi chiameremmocabriolet. La vettura era attorniata da un
gruppo di curiosi. Era blasonatae se n'era visto scendere un personaggioche era entrato nella prigione; probabilmente
un magistratopensava la folla; perché spesso in Inghilterra i magistratierano nobili e avevano quasi sempre il «diritto
di portar lo stemma». In Francia blasone e toga erano quasi inconciliabili;il duca di Saint-Simonparlando dei
magistratidisse: «quella gente». In Inghilterra non era affattodisonorevole per un gentiluomo essere giudice.
In Inghilterra esiste il magistrato ambulante; si chiama «giudice dicircuito»niente di più normale dunque che vedere in
quella carrozza la vettura di un magistrato impegnato nel suo giro. Ciò chenon era facile da spiegare era perché quel
probabile magistrato fosse scesonon dalla vetturama dal sedile anterioreche non è certo il posto abituale del padrone.
Altra stranezza: a quei tempiin Inghilterrasi viaggiava in due modi«con la diligenza»pagando uno scellino ogni
cinque migliao con la posta rapidaal costo di tre soldi al miglio equattro soldi al postiglione per ogni posta; una
vettura padronale che si prendesse il ghiribizzo di viaggiare con cavalli dapostapagava per ogni cavallo e per ogni
migliotanti scellini quanti soldi avrebbe pagato un cavaliere che fossericorso alla normale vettura di posta; orala
vettura ferma davanti al carcere di Southwarkera equipaggiata con quattrocavalli e due postiglioniun lusso davvero
principesco. Infinecircostanza che portava ulteriore sconcerto nellesupposizionila vettura era scrupolosamente
chiusa. Sollevati i pesanti pannelli. I vetri erano coperti da ante; otturataogni apertura da dove avrebbe potuto penetrare
lo sguardo; dal di fuori era impossibile vedere dentroed è probabile chedall'interno non si potesse guardar fuori.
D'altra parte non sembrava che nella vettura ci fosse qualcuno.
Poiché Southwark si trova nel Surreyla prigione di Southwark dipendevadallo sceriffo dalla contea di Surrey. La
distinzione tra varie giurisdizioni era molto frequente in Inghilterra.Cosìper esempiosi supponeva che la Torre di
Londra non si situasse in alcuna contea; ciò significa cheda un punto divista legaleessa era come sospesa in aria. La
Torre non riconosceva altra autorità giuridica che il suo conestabiledenominato custos turris. La Torre aveva una
propria giurisdizioneuna propria chiesauna corte di giustizia e unparticolare governo. L'autorità del custoso
conestabilesi estendeva fuori di Londra su ventun hamletstraducete: frazioni. Dal momento che in Gran Bretagna le
particolarità legali si innestano una sull'altrala funzione di maestrocannoniere d'Inghilterra dipendeva dalla Torre di
Londra.Altre consuetudini legali sembrano ancora più bizzarre. Così lacorte dell'ammiragliato inglese consulta e applica le
leggi di Rodi e di Oleron (un'isola francese che è stata inglese).
Lo sceriffo di una provincia era molto considerato. Era sempre scudieroequalche volta cavaliere. Nei vecchi
documenti veniva qualificato spectabilis; «uomo di riguardo». Untitolo intermedio tra illustris e clarissimusmeno del
primopiù del secondo. Un tempo gli sceriffi delle contee erano scelti dalpopolo; ma Edoardo IIedopo di luiEnrico
IVavevano attribuito quel diritto di nomina alla coronae così glisceriffi erano diventati un'emanazione reale. Tutti
ricevevano la loro commissione da sua maestàtranne lo sceriffo diWestmorelandla cui carica è ereditariae gli
sceriffi di Londra e di Middlesexche venivano eletti dalla livery nellaCommonhall. Gli sceriffi di Galles e di Chester
possedevano certe prerogative fiscali. Tutte queste cariche sussistono ancorain Inghilterramalogorate a poco a poco
dall'attrito dei costumi e delle ideenon hanno più la stessa fisionomia diun tempo. Lo sceriffo della contea aveva il
compito di scortare e di proteggere i «giudici itineranti».
Così come ci sono due bracciaegli aveva due ufficiali: il sotto-sceriffosuo braccio destroe il giustiziere-quorumsuo
braccio sinistro. Il giustiziere-quorumassistito dal balivo della centuriadetto wapentakefaceva arrestareinterrogava
esotto la responsabilità dello sceriffometteva in prigioneaffinchéfossero giudicati dai giudici di circuitoi ladrigli
assassinii facinorosii vagabondi e ogni tipo di felloni. La sfumatura trail sotto-sceriffo e il giustiziere-quorumnelle
loro funzioni gerarchiche rispetto allo sceriffoconsiste nel fatto che ilsotto-sceriffo accompagnavamentre il
giustiziere-quorum assisteva. Lo sceriffo reggeva due corti: una sedentaria ecentralela County-courte una itinerante
la Scheriff-turn. Rappresentava così l'unità e l'ubiquità. Come giudicepoteva farsi aiutare e informarenelle litida un
ufficiale della cuffiadetto sergens coifaeche è un ufficialegiudiziario e chesotto il berretto neroporta una cuffia di
tela bianca di Cambrai. Lo sceriffo sgomberava i carceri giudiziari; quandoarrivava in una città di provincia aveva il
diritto di liquidare in modo sommario i prigioniericon il risultato diliberarlio di impiccarliatto che veniva definito
«liberazione del carcere»goal delivery. Lo sceriffo presentava ilbill di accusazione ai ventiquattro giurati dell'accusa;
se erano d'accordo scrivevano in calce: billa vera; se lodisapprovavanoscrivevano: ignoramus; in questo caso l'accusa
era annullata e lo sceriffo aveva il privilegio di stracciare il bill. Sedurante il giudizio un giurato morival'accusatoper
leggeveniva assolto e dichiarato innocentee lo sceriffo che aveva avutoil privilegio di arrestare l'accusatoaveva ora
il privilegio di rimetterlo in libertà. Ma ciò che faceva stimare e temerein modo singolare lo sceriffoera l'incarico di
eseguire tutti gli ordini di sua maestà; un potere formidabile. Inqueste formule si annida l'arbitrio. Al seguito dello
sceriffo c'erano gli ufficiali detti verdeors e i coronersinoltre glidavano una mano gli addetti al mercatoper non dire
del bellissimo codazzo di uomini a cavallo e di domestici. Lo sceriffodiceChamberlayneè «la vita della Giustizia
della Legge e della Contea».
In Inghilterra un'invisibile demolizione polverizza e disgrega continuamentele leggi e i costumi. Ai nostri giorni
torniamo a ripeterloné lo sceriffoné il wapentakené il giustiziere-quorum assolverebbero ai loro compiti come a quei
tempi. C'era nell'antica Inghilterra una certa confusione dei poterie lacattiva definizione degli ambiti si risolveva in
prevaricazioni oggi impossibili. La promiscuità tra polizia e giustizia èfinita. Sono rimasti i nomima le funzioni si
sono modificate. Pensiamo che anche la parola wapentake abbia cambiatosignificato. Alludeva a una magistraturaora
denota una divisione territoriale; specificava il centenariospecifica ilcantone (centum).
Del restoin quell'epocalo sceriffo della contea riunivacon qualcosa dipiù e qualcosa di menoe condensava nella
sua autoritàal tempo stesso regale e municipalei due magistrati che unavolta in Francia erano chiamati Luogotenente
civile di Parigi e Luogotenente di polizia. Questa vecchia annotazione dipolizia definisce molto bene il Luogotenente
civile di Parigi: «Il signor luogotenente civile non odia le litidomesticheperché il bottino è sempre suo» (22 luglio
1704). Quanto al luogotenente di poliziapersonaggio inquietantedai centoinafferrabili voltitrova la sua migliore
incarnazione in René d'Argensonchesecondo Saint-Simonportava sullafaccia un miscuglio dei tre giudici infernali.
Quegli stessi giudici infernali che abbiamo visto nella Bishopsgate diLondra.
VII • FREMITO
Quando Gwynplaine sentì chiudersi lo sportello con tutto il cigolio dei suoichiavistellitrasalì. Gli sembrò che la porta
che si era appena chiusamettesse in comunicazione la luce con le tenebrerivolta da una parte sul brulichio terrestre
dall'altra sul mo ndo dei mortie gli sembrò ormai di essersi lasciate allespalle tutte le cose illuminate dal solee di aver
varcato la frontiera della vitae di esserne fuori. Provò una stretta alcuore. Che ne sarebbe stato di lui? Cosa voleva dire
tutto ciò?
Dove si trovava?
Non vedeva nulla attorno a sé; era immerso nel buio. La porta chiudendosil'aveva momentaneamente accecato. Anche
il finestrinocome la portaera chiuso. Nessuno spiraglionessunalanterna. Una precauzione di quei tempi. Era proibito
illuminare l'accesso interno delle prigionicosì che i nuovi arrivati nonpotessero osservare nulla.
Tendendo le maniGwynplaine toccò il muroa destra e a sinistra; sitrovava in un corridoio. A poco a poco quella luce
di cantinache non si sa da dove filtri e che fluttua nei luoghi oscurie acui si adattano le pupillegli fece distinguere
qua e là un lineamentoe il corridoio davanti a lui prese vagamente forma.
Gwynplaineche non era mai venuto a contatto con la durezza delle leggisenon attraverso le esagerazioni di Ursussi
sentì come afferrato da un'enorme mano nera. È spaventoso essere in baliadei misteri della legge. Si può affrontare
qualsiasi cosama davanti alla giustizia si è presi da sconcerto. Perché?Ciò dipende dal carattere crepuscolare della
giustizia umanain cui il giudice si muove a tentoni. Gwynplaine ricordavaquanto Ursus gli aveva detto sulla necessitàdel silenzio; egli voleva rivedereDea; nella sua situazione c'era pur sempre qualcosa di discrezionale che eglinon
voleva irritare. Voler chiarirea voltesignifica peggiorare. Per altroversotuttaviala pressione di quell'avventura era
così forte che finì per cederee non poté trattenere una domanda.
«Signori»domandò«dove mi conducete?».
Nessuno gli rispose.
Era la norma di quegli arresti silenziosie il testo normanno è categorico:A silentiariis ostio praepositis introducti sunt.
Quel silenzio raggelò Gwynplaine. Fino a quel momento si era creduto forte;bastava a se stesso; bastare a se stessi
significava essere forti. Aveva vissuto isolato dal mondocredendo chesolitudine volesse dire inespugnabilità. Ed ecco
che a un tratto doveva sopportare la forza orrenda della collettività. Inche modo cavarsela con l'orribile anonimato della
legge? Sotto quell'enigma si sentiva venir meno. Era un tipo di paura nuovoquello che aveva trovato il punto debole
della sua armatura. E poiegli non aveva dormitoné mangiato; aveva appenainumidito le labbra in una tazza di tè.
Aveva delirato tutta la nottee quella febbre non gli era passata. Avevaseteforse aveva fame. Quando lo stomaco è
insoddisfattorovina tutto. Dalla sera prima non aveva tregua. Le emozioniche lo tormentavano erano le stesse che lo
sostenevano; senza l'uragano la vela è uno straccio. Ma sentiva dentro disé la profonda debolezza dello straccio che il
vento gonfia fino a lacerarlo. Sentiva sopraggiungereil cedimento. Stavaforse per cadere privo di conoscenza sul
selciato? Svenire è la risorsa della donna e l'umiliazione dell'uomo. Siirrigidiva e tremava.
Aveva la sensazione di perdere il controllo.
VIII • GEMITO
S'incamminarono.
Si inoltrarono nel corridoio.
Nessuna cancelleria. Nessun ufficio con registri. Le prigioni di quei tempinon amavano la burocrazia. Si
accontentavano di richiudersi su di voispesso senza sapere perché. Essereuna prigione e avere dei prigioniericiò
bastava loro.
Il corteo si era dovuto allungareprendendo la forma del corridoio.Camminavano quasi uno dietro l'altro; in testa c'era
il wapentakepoi veniva Gwynplainepoi il giustiziere-quorum; poi gliagenti di poliziache avanzavano compatti
chiudendo il corridoio dietro Gwynplaine come un tampone. Il corridoio sirestringeva; adesso Gwynplaine toccava il
muro con i gomiti; ogni tanto nella volta di pietre e cemento c'erano degliarchi di granito in rilievo che formavano delle
strozzature; per passare bisognava abbassare la testa; non era possibilecorrere in quel corridoio; una fuga avrebbe
dovuto avvenire camminando lentamente; quel budello faceva delle curve; leviscere sono sempre tortuosequelle di
una prigione come quelle di un uomo; qua e làa destra e a sinistrac'erano delle fenditure nel muroriquadri muniti di
grosse inferriate che lasciavano intravedere delle scalealcune chesalivanoaltre che sprofondavano. Arrivarono
davanti a una porta chiusala porta si aprìpassaronosi richiuse. Poitrovarono una seconda porta che cedette loro il
passaggiopoi una terzache girò come le altre sui cardini. Sembrava chele porte si aprissero e si chiudessero da sole.
Non si vedeva nessuno. Mentre il corridoio si restringevala volta siabbassavae non era più possibile comminare se
non con la testa china. Il muro trasudava; dalla volta cadevano gocced'acqua; il pavimento che lastricava il corridoio
era vischioso come un intestino. Quella specie di pallore diffuso che fungevada illuminazione diventava sempre più
opaco; mancava l'aria. La circostanza più lugubre consisteva nel fatto chestavano scendendo.
Bisognava fare attenzione per accorgersi che si scendeva. Un lieve pendionell'oscuritàha qualcosa di sinistro. Non c'è
niente di più spaventoso di quanto ci attendeal buiodopo un insensibilependio.
Scendere significa entrare nel terribile ignoto.
Da quanto camminavano a quel modo? Gwynplaine non avrebbe saputo dirlo.
Quando si passa sotto il torchio dell'angoscia i minuti si allungano adismisura.
All'improvviso si fermarono.
L'oscurità era fitta.
Il corridoio si allargava un po'.
Gwynplaine udì come il rumore vicinissimo di un gong cinese; il colpobattuto sul diaframma dell'abisso.
Era stato il wapentakeche aveva colpito con il suo bastone una lastra diferro.
Quella lastra era una porta.
Non una porta che girama una porta che si alza e si abbassa. Quasi come unasaracinesca.
Ci fu lo stridio di qualcosa che scivola lungo una scanalaturapoiGwynplaine ebbe improvvisamente davanti agli occhi
un pezzo di luce quadrata.
La lastra era salita in una fessura della volta allo stesso modo in cui sisolleva la parete di una trappola per topi.
C'era un'apertura.
Quella luce non era luce; era un chiarore. Ma per la pupilla dilatata diGwynplaine quel chiarore pallido e improvviso fu
come lo schiocco di un lampo.
Passò un po' di tempo prima di vedere qualcosa. Discernerequando si èabbagliatiè difficile come vedere di notte.
Poiper gradila pupilla si adattò alla luce come si era adattataall'oscurità; riuscì a distinguere; la luce cheall'iniziogli
era sembrata troppo fortesi affievolì nella pupilla sino a tornare livida;si arrischiò a guardare nell'apertura che gli si
era spalancata davantie ciò che vide fu spaventoso.Ai suoi piedi unaventina di gradinialtistretticonsuntiquasi a piccosenza ringhiera néa destra né a sinistra
entravano in un sotterraneo molto profondoaffondandovi come una specie dicresta di pietra simile a un lembo di muro
ugnato a scala. Conducevano fino in basso.
Il sotterraneo era rotondocon volta a ogiva ad arco rampantee ciò acausa di un difetto nel livello delle imposte
sconnessione comune a tutti i sotterranei sui quali si sono ammucchiatiedifici molto pesanti.
La specie di apertura che faceva da portae che la lastra di ferro avevasopertoproprio là dove iniziava la scalaera
intagliata nella voltacosì che lo sguardoda quell'altezzaaffondava nelsotterraneo come in un pozzo.
Il sotterraneo era vastoe se si trattava del fondo di un pozzoera ilfondo di un pozzo ciclopico. L'idea suscitata dalla
vecchia espressione «il fondo di una fossa» poteva riferirsi a quelsotterraneo solo a condizione di immaginare una fossa
di leoni o di tigri.
Il sotterraneo non aveva pavimento né era lastricato. Aveva per suolo laterra umida e fredda dei luoghi profondi.
In mezzo al sotterraneo c'erano quattro colonne basse e sformatechesostenevano un vestibolo pesantemente ogivalele
cui quattro nervaturericongiungendosi all'interno del vestibolodisegnavano come la parte interna di una mitra. Il
vestibolosimile ai pinnacoli sotto cui un tempo si mettevano i sarcofaghisaliva fino alla volta e faceva una specie di
camera centrale nel sotterraneosempre che si possa chiamare camera uncompartimento aperto su tutti i latie con
quattro pilastri al posto dei muri.
Dalla chiave di volta del vestibolo pendeva una lanterna di ramerotonda emunita di grata come la finestra di una
prigione. La lanterna spandeva attorno a sésui pilastrosulle volte e sulmuro circolare che si intravedeva vagamente
dietro i pilastriuna luce lividatagliata da strisce d'ombra.
Era la luce che aveva inizialmente abbagliato Gwynplaine. Ma ora per lui erasolo un confuso chiarore rossastro.
Nel sotterraneo non c'erano altre luci. Nessuna finestrané portanéspiraglio.
Tra i quattro pilastriprecisamente sotto la lanternalá dove c'era piùluceuna forma bianca e terribile era fissata
orizzontalmente al suolo.
Era sdraiato sul dorso. Si vedeva una testa con gli occhi chiusiun corpocon il torso che spariva sotto un mucchio
informequattro arti attaccati al torso come una croce di Sant'Andrea etirati verso i quattro pilastri da quattro catene
legate ai piedi e alle mani. Le catene terminavano con un anello di ferrofissato alla base di ogni colonna. La forma
immobilizzata nell'atroce posizione dello squartamentoaveva il gelidolivore del cadavere. Era nudo; era un uomo.
Gwynplainepietrificatoin piedi in cima alla scalaguardava.
A un tratto udì un rantolo.
Quel cadavere era vivo.
Vicinissimi allo spettroin una delle ogive del vestiboloc'erano dueuomini ritti ai lati di una grande poltrona a
bracciuolisbalzata in una pietra larga e piattai due erano vestiti dilunghi e neri sudarie nella poltrona era seduto un
vecchioavvolto in una veste rossapallidoimmobilesinistrocon in manoun mazzo di rose.
Quel mazzo di rose avrebbe messo sull'avviso chiunque fosse stato menoignorante di Gwynplaine. Era una
caratteristica del magistrato regio e municipale quella di giudicare con unfascio di fiori. Il lord-sindaco di Londra
giudica ancora a quel modo. Aiutare i giudici a giudicareecco il compitodelle prime rose della stagione.
Il vecchio seduto nella poltrona era lo sceriffo della contea di Surrey.
Aveva la maestosa rigidità di un Romano rivestito delle insegne augustali.
La poltrona era l'unico sedile che ci fosse nel sotterraneo.
Accanto alla poltrona si vedeva una tavola coperta di carte e di librisullatavola c'era la lunga bacchetta bianca dello
sceriffo.
Gli uomini in piedi alla sinistra e alla destra dello sceriffo erano duedottoriuno in medicinal'altro in legge; questo era
riconoscibile per la sua cuffia da ufficiale giudiziario messa sullaparrucca. Tutti e due avevano una veste nerauno da
giudicel'altro da medico. Questo genere d'uomini porta il lutto per i mortidi cui è causa.
Dietro lo sceriffoal bordo del gradino formato dalla pietra piattastavarannicchiato un cancelliere con la parrucca
rotondache si teneva vicino a uno scrittoio appoggiato alla pietra con unacartella di cartone sulle ginocchiae un
foglio di pergamena sulla cartella; l'uomocon la penna in manoeranell'atteggiamento di chi è pronto a scrivere.
Il cancelliere apparteneva ai cancellieri guardasacchi; come rivelavauna borsa ai suoi piedi. Quelle borseusate un
tempo nei processierano dette «sacchi di giustizia».
Addossato a uno dei pilastri c'era un uomo a braccia incrociatetuttovestito di cuoio. Era l'assistente del boia.
Quegli uomini sembravano incantati nel loro atteggiamento funebre attornoall'uomo in catene. Nessuno si muoveva né
parlava.
Su tutto aleggiava una calma mostruosa.
Quella che Gwynplaine vedevaera un sotterraneo penale. I sotterraneiabbondavano in Inghilterra. La cripta della
Beauchamp Tower è servita a lungo per quell'usocosì come il sotterraneodella Lollard's Prison. Apparteneva a questo
tipo di recessi il «les vault de Lady Place» di Londraancor oggivisibile. In quest'ultima camera c'era un camino per
scaldare i ferrise ce ne fosse stato bisogno.
Tutte le prigioni del tempo di King-Johntra cui il carcere di Southwarkavevano il loro sotterraneo penale.
Ciò a cui stiamo per assistere eraa quei tempicosa comune inInghilterraea rigor di terminiseguendo la procedura
criminalepotrebbe accadere ancor oggi; perché quelle leggi esistonosempre. L'Inghilterra offre il curioso spettacolo di
un codice barbaro che vive in perfetto accordo con la libertà. L'accoppiataconfessiamoloè eccellente.Qualche sospettotuttavianon sarebbe fuoriluogo. Se sopravvenisse una crisinon sarebbe impossibile una
recrudescenza penale. La legislazione inglese è una tigre addomesticata.Ritira gli artiglima non li ha mai persi.
Saggezza sarebbe tagliare le unghie alle leggi.
Si può quasi dire che la legge ignori il diritto. Da una parte c'è ilsistema penaledall'altra l'umanità. I filosofi
protestano; ma deve passare ancora molto tempo prima che la giustizia degliuomini si ricongiunga alla giustizia.
Rispettare la legge; è la parola d'ordine inglese. In Inghilterra le leggisono così venerateche non vengono mai
abrogate. Ci si può sottrarre a quella venerazione solo non applicandole.Una vecchia legge cade in disuso come una
donna vecchia; ma non per questo si uccidono le vecchie. Si smette difrequentarleecco tutto. Libere poi loro di
credersi sempre belle e giovani. Si permette loro di sognare di esistere.Questa gentilezza si chiama rispetto.
La consuetudine normanna ha un bel po' di rughe; ma ciò non impedisce algiudice inglese di farle ancora gli occhi
dolci. Se è normannaanche un'atroce anticaglia viene affettuosamenteconservata. Cosa c'è di più feroce della forca?
Nel 1867 un uomo è stato condannato ad essere tagliato in quattro pezzi peroffrirli a una donnala regina.
Del resto in Inghilterra non è mai esistita la tortura. Lo dice la storia.È bello l'aplomb della storia.
Matteo di Westminster prende atto del fatto che «la legge sassoneclementissima e bonaria» non puniva con la morte i
criminalie aggiunge: «Ci si limitava a tagliar loro il nasoa cavare gliocchie a strappare le parti che distinguono il
sesso». Nient'altro!
Gwynplainein cima alla scalasconvoltocominciava a tremare in tutte lemembra. Era percorso da ogni tipo di
brivido. Cercava di ricordarsi quali delitti potesse aver commesso. Alsilenzio del wapentake era subentrata la visione di
un supplizio. Era un passo avantima un passo tragico. Vedeva oscurarsisempre di più quel cupo enigma legale di cui
si sentiva vittima.
La forma umana distesa per terra rantolò una seconda volta.
Gwynplaine ebbe l'impressione che lo spingessero adagio sulla spalla.
Era il wapentake.
Gwynplaine comprese che doveva scendere.
Obbedì.
S'inoltrògradino dopo gradinogiù per la scala. Il piano d'appoggio deigradini era molto strettoalto otto o nove
pollici. E nessuna ringhiera. Si poteva scendere solo con precauzione. Ilwapentake scendeva dietro Gwynplaine
tenendo due gradini di distanzacon l'iron-weapon dirittoe dietro ilwapentakealla stessa distanzaveniva il
giustiziere-quorum.
Gwynplainescendendo la scalaaveva l'impressione che anche la speranzavenisse inghiottita. Passo dopo passouna
morte. Ogni scalino che superavaveniva meno in lui la luce. Arrivòsemprepiù pallidoin fondo alla scala.
Quella specie di larvaprostrata e incatenata ai quattro pilastri continuavaa rantolare.
Dalla penombra arrivò una voce:
«Avvicinatevi».
Era lo sceriffo che si rivolgeva a Gwynplaine.
Gwynplaine fece un passo.
«Più vicino»disse la voce.
Gwynplaine fece ancora un passo.
«Ancora più vicino»continuò lo sceriffo.
Il giustiziere-quorum mormorò all'orecchio di Gwynplaine in modo cosìgraveche ne risultò un borbottio solenne:
«Siete davanti allo sceriffo della contea di Surrey».
Gwynplaine avanzò fino al suppliziato che scorgeva disteso al centro delsotterraneo. Il wapentake e il giustiziere -quorum
restarono dov'eranolasciando che Gwynplaine avanzasse da solo.
Quando Gwynplainegiunto fin sotto il vestibolovide da vicino quella cosamiserabile che fino ad allora non aveva
scorto che in lontananzaquella cosa che era un uomo vivola paura si mutòin terrore.
L'uomo legato al suolo era assolutamente nudonon fosse stato per lostraccio odiosamente pudico che potremmo
chiamare la foglia di fico del supplizioche era poi il succingulum deiRomani e il christipannus dei gotida cui è
derivatonel nostro vecchio gergo gallicoil cripagne. Gesùnudosulla crocenon aveva che quello straccio.
Il disgraziatoche Gwynplaine aveva davantisembrava un uomo tra icinquanta e i sessanta. Era calvo. Aveva il mento
ispido di peli bianchi. Aveva gli occhi chiusi e la bocca aperta. Gli sivedevano tutti i denti. La faccia magra e ossuta
assomigliava a un teschio. Le braccia e le gambeassicurate con le catene aiquattro pali di pietraformavano una X. Sul
petto e sul ventre aveva una placca di ferroe sulla placca eranoammonticchiate cinque o sei grosse pietre. Il rantolo a
volte era un soffioa volte un ruggito.
Lo sceriffosenza lasciare il mazzo di rosecon la mano rimasta liberaprese dalla tavola la bacchetta bianca e l'alzò
dicendo: «Obbedienza a sua maestà».
Poi rimise la bacchetta sulla tavola.
Quindicon la lentezza di un rintocco a mortosenza un gestoimmobile comequel disgraziatolo sceriffoa voce alta
disse:
«Uomo qui in cateneascoltate per l'ultima volta la voce della giustizia.Siete stato tirato fuori dalla segreta e portato in
questo carcere. Debitamente interrogato e nelle forme voluteformaliisverbis pressussenza tener conto di ciò che vi è
stato letto e comunicatoe che sta per esservi ripetutovoi vi siete chiusonel vostro silenziorifiutandovi di rispondereal giudicemosso da una malvagiae perversa tenacità. Ciò costituisce un detestabile libertinaggioeconfiguratra le
azioni punibili di cashlitil delittuoso crimine d'oversenesse».
L'ufficiale con la cuffiain piedi a destra dello sceriffointerrompendocon un'indifferenza che aveva qualcosa di
funebredisse:
«Overhernessa. Leggi di Alfred e di Godrun. Capitolo sei».
Lo sceriffo continuò.
«La legge è venerata da tuttieccetto che dai ladroni che infestano iboschi dove le cerve fanno i loro piccoli».
Come una campana che risponde ad un'altral'ufficiale disse:
«Qui faciunt vastum in foresta ubi damae solent founinare».
«Colui che rifiuta di rispondere al magistrato»disse lo sceriffo«èsospettato di ogni vizio. Viene ritenuto capace di
tutti i mali».
Intervenne l'ufficiale:
«Prodigusdevoratorprofusussalaxruffianusebrosiusluxuriosussimulatorconsumptor patrimoniielluoambro
et gluto».
«Tutti i vizi»disse lo sceriffo«suppongono tutti i reati. Chi nonconfessa nulla confessa tutto. Chi tace alle domande
del giudice è di fatto bugiardo e parricida».
«Mendax et parricida»disse l'ufficiale.
Lo sceriffo disse:
«Uomonon è lecito rendersi assente con il silenzio. Il falso contumaceferisce la legge. Egli è come Diomede che ferì
una dea. Il silenzio davanti alla giustizia è una forma di ribellione.Lesa-giustizia significa lesa-maestà. Nulla di più
odioso e di più temerario. Chi si sottrae all'interrogatorio deruba laverità La legge lo ha previsto. In simili casi gli
inglesiin ogni tempohanno goduto del diritto di fossadi forca e dicatene».
«Anglica chartaanno 1088»disse l'ufficiale.
Esempre con la stessa rigida gravitàl'ufficiale aggiunse:
«Ferrumet fossamet furcascum aliis libertatibus».
Lo sceriffo continuò:
«Per questouomopoiché non avete voluto desistere dal silenziobenchésano di mente e perfettamente informato su
ciò che vi richiede la giustiziapoiché siete diabolicamente refrattarioavete dovuto essere messo alla geennaeai
termini degli statuti criminalisiete stato provato con il tormento detto la"pena forte e dura". Ecco ciò che vi è stato
fatto. La legge esige che ve ne informi in modo veritiero. Siete statoportato in questo sotterraneospogliato dei vostri
abitidisteso a terra sul dorsonudole vostre quattro membra sono statetese e legate alle quattro colonne della leggevi
è stata sistemata una tavola di ferro sul ventree vi sono state messe sulcorpo tutte le pietre che potete portare. - E
anche di più - dice la legge».
«Plusque»confermò l'ufficiale.
Lo sceriffo continuò:
«In questa situazionee prima di prolungare la provaio sceriffo dellacontea di Surreyvi ho ripetutamente ingiunto di
rispondere e di parlaree voi avete satanicamente perseverato nel silenziobenché sotto torturain cateneai ceppi
legato e ai ferri».
«Attachiamenta legalia»disse l'ufficiale.
«A causa del vostro rifiuto e ostinazione»disse lo sceriffo«essendogiustamente stabilito che opporsi alla legge
equivale alla ribellione del criminalela prova è continuatacomeprescrivono gli editti e i testi. Il primo giorno non vi è
stato dato da bere né da mangiare».
«Hoc est super jejunare»disse l'ufficiale.
Seguì un silenzio. Si udiva lo spaventoso respiro sibilante dell'uomo sottoil mucchio di p ietre.
L'ufficiale giudiziario terminò il suo intervento:
«Adde augmentum abstinentiae ciborum diminutione. Consuetudo britannicaarticolo cinquecentoquattro».
I due uominilo sceriffo e l'ufficialesi alternavano; niente di più cupodi quella imperturbabile monotonia; una voce
lugubre che rispondeva a una voce sinistra; si sarebbero detti il prete e ildiacono del suppliziocelebravano la feroce
messa della legge.
Lo sceriffo ricominciò:
«Il primo giorno non vi è stato dato da bere né da mangiare. Il secondogiorno vi è stato dato da mangiare ma non da
bere; vi hanno messo tra i denti tre bocconi di pane d'orzo. Il terzo giornovi hanno dato da bere ma non da mangiare. Vi
hanno versato in boccaa tre riprese e in tre bicchieriuna pinta d'acquapresa dal rivolo di scolo della prigione. È
arrivato il quarto giorno. Oggi. Orase continuate a non risponderesareteabbandonato finché non morirete. Così vuole
la giustizia».
L'ufficialesempre pronto alla replicaapprovò:
«Mors rei homagium est bonae legi».
«E mentre vi sentirete morire miseramente»riprese lo sceriffo«nessunovi assisteràanche se vi uscisse il sangue dalla
goladalla barba e dalle ascellee da tutte le aperture del corpodallabocca fino ai reni».
«A throtebolla»disse l'ufficiale«et pabus et subhirciset agrugno usque ad crupponum».
Lo sceriffo continuò:«Fate attenzioneuomo. Perché il seguito viriguarda. Se rinunciate al vostro esecrabile silenzio e confessatesarete
soltanto impiccatoe avrete diritto al meldefeohche è una somma didenaro».
«Damnus confitens»disse l'ufficiale«habeat le meldefeoh. LegesInaecapitolo ventesimo».
«Questa somma»insistette lo sceriffo«vi sarà pagata in doitkinssuskins e galihalpensunico caso in cui questa
moneta possa essere impiegataai termini dello statuto abrogativoannoterzo di Enrico quintoe avrete diritto a godere
dello scortum ante morteme quindi sarete strangolato alla forca.Questi sono i vantaggi della confessione. Desiderate
rispondere alla giustizia?».
Lo sceriffo tacque e attese. Il disgraziato non si mosse.
Lo sceriffo continuò:
«Uomoil silenzio è un rifugio dove c'è più pericolo che salvezza. Latestardaggine è dannata e scellerata. Chi tace
davanti alla giustizia è fellone verso la corona. Non insistete in questadisobbedienza non filiale. Pensate a sua maestà.
Non fate resistenza alla nostra graziosa regina. Quando io vi parlorispondetele. Siate un suddito leale».
Il disgraziato rantolò.
Lo sceriffo riprese:
«Eccoci dunquedopo le prime settantadue ore della provaal quarto giorno.È il giorno decisivouomo. La legge fissa
il confronto al quarto giorno».
«Quarta diefrontem ad frontem adduce»borbottò l'ufficiale.
«La saggezza della legge»continuò lo sceriffo«ha scelto quest'oraestrema per ottenere quello che i nostri avi
chiamavano "il giudizio con il freddo mortale"dato che in quelmomento gli uomini vengono creduti per il loro sì e per
il loro no».
L'ufficiale giudiziario proseguì:
«Judicium pro frodmortellquod homines credenti sint per suum ya et persuum na. Carta del re Adelstan. Primo tomo
pagina centosettantatré».
Dopo un istante d'attesalo sceriffo chinò sul disgraziato la sua facciasevera.
«Uomo disteso a terra...».
Fece una pausa.
«Uomo»gridò«mi ascoltate?».
L'uomo non si mosse.
«In nome della legge»disse lo sceriffo«aprite gli occhi».
Le palpebre dell'uomo rimasero chiuse.
Lo sceriffo si voltò verso il medico in piedi alla sua sinistra.
«Dottorefate la diagnosi».
«Probeda diagnosticum»disse l'ufficiale.
Il medico scese dalla lastra di pietra con una pedante rigiditàsi accostòall'uomosi chinòmise l'orecchio vicino alla
bocca del disgraziatogli sentì le pulsazioni al polsoall'ascella e allacosciae poi si rialzò.
«Allora?»disse lo sceriffo.
«Può ancora ascoltare»disse il medico.
«Vede?»domandò lo sceriffo.
Il medico rispose:
«Può vedere».
A un cenno dello sceriffoil giustiziere-quorum e il wapentake si feceroavanti. Il wapentake si mise vicino alla testa del
poveretto; il wapentake si fermò dietro a Gwynplaine.
Il medico fece un passo indietro verso i pilastri.
Allora lo sceriffoalzando il mazzo di rose come un prete alza l'aspensoriosi rivolse al disgraziato a voce altain tutta
la sua imponenza:
«Parlamiserabile! La legge ti supplica prima di annientarti. Vuoi fartipassare per mutopensa alla tomba che è muta
davvero; vuoi sembrare sordopensa alla sordità della dannazione. Pensaalla morte che è peggio di te. Riflettistai per
essere abbandonato in questa segreta. Ascoltamio similesono un uomo comete! Ascoltafratelloanch'io sono un
cristiano! Ascoltafiglio mioio sono vecchio! Guardati da meperché iosono il padrone della tua sofferenzae tra
poco sarò orribile. L'orrore della legge causa la maestà del giudice. Pensache io stesso tremo davanti a me. Sono
costernato dal mio potere. Non mi spingere agli estremi. Mi sento colmo dellasanta cattiveria del castigo. Abbi dunque
o sventuratoil salutare e onesto timore della giustiziae obbediscimi. Ègiunta l'ora del confrontodevi rispondere. Non
ostinarti a resistere. Non metterti nell'irrevocabile. Pensa che spetta a meconcludere. Mezzo cadavereascolta! A meno
che non ti piaccia spirare qui impiegando oregiorni e settimaneeagonizzare tutto il tempo di una spaventosa agonia
tra fame e fecisotto il peso di queste pietresolo nel sotterraneoabbandonatodimenticatoannullatodato in pasto ai
topi e alle donnolemorsicato dalle bestie delle tenebrementre gli altriandranno e verrannocompreranno e
venderannomentre le vetture correranno sulla strada sopra la tua testa; ameno che non ti convenga rantolare senza
remissione in fondo a questa disperazionedigrignando i dentipiangendoimprecandosenza un medico che rechi
conforto alle tue feritesenza un prete che porga il bicchiere d'acquadivina alla tua anima; oh! A meno che tu non
voglia sentire affiorare sulle labbra la spaventosa schiuma del sepolcrooh!Ti prego e ti scongiuroascoltami! Ti
chiamo in tuo soccorsoabbi pietà di te stessofai ciò che ti si domandacedi alla giustiziaobbediscivolta il capoapri
gli occhie di' se riconosci quest'uomo!».Il disgraziato non girò la testae non aprì gli occhi.
Lo sceriffo diede un'occhiata al giustiziere-quorum e al wapentake.
Il giustiziere-quorum tolse a Gwynplaine il cappello e il mantellolo preseper le spalle e gli mise il volto sotto la luce
dalla parte dell'uomo incatenato. Il viso di Gwynplaine si stagliò in tuttaquell'ombracon il suo strano rilievoin piena
luce.
Nello stesso tempo il wapentake si chinòafferrò per le tempie la testadel disgraziatogirò quella testa inerte verso
Gwynplainee con i pollici e gli indici scostò le palpebre chiuse.Apparvero gli occhi truci di quell'uomo.
Il poveretto vide Gwynplaine.
Alloraalzando da solo la testa e spalancando gli occhilo guardò.
Trasalìper quanto ciò sia possibile a chi ha una montagna sul pettoegridò:
«È lui! È lui!».
E scoppiò in una terribile risata.
«È lui!»ripeté.
Poi lasciò ricadere la testa al suolo e richiuse gli occhi.
«Cancellierescrivete»disse lo sceriffo.
Gwynplainebenché terrorizzatofino a quel momento aveva mostrato unacerta fermezza. Ma il grido di quel
disgraziato: È lui! lo sconvolse. Quel: Cancellierescrivetelo gelò. Gli sembrò di capire che uno scellerato lo
trascinava nel suo destinosenza che luiGwynplainepotesse intuireperchée che l'incomprensibile confessione di
quell'uomo si chiudeva su lui come la cerniera di una gogna. Si videattaccato con quell'uomo alla stessa gogna a due
pali gemelli. Gwynplaine si sentì mancare dallo spavento e si dibatté. Simise a balbettare frasi incoerenticon il
profondo turbamento dell'innocenzaefremendoatterritoperdutogridòle prime cose che gli venivanoe tutte quelle
parole angosciose che sembravano proiettili insensati.
«Non è vero. Non sono io. Non conosco quest'uomo. Non può conoscermiperché io non lo conosco. Mi attende lo
spettacolo di questa sera. Cosa volete da me? Voglio la mia libertà. E nonbasta. Perché sono stato portato in questo
sotterraneo? Allora non ci sono più leggi. Signor giudicelo ripetononsono io. Sono innocente di qualsiasi cosa si
possa dire. Se non lo so io. Voglio andarmene. Non è giusto. Non c'è nullatra quell'uomo e me. Potete informarvi. La
mia vita è trasparente. Sono stato preso come se fossi un ladro. Perché inquesto modo? E quell'uomocome faccio a
sapere chi è? Sono un ambulante che recita farse nelle fiere e nei mercati.Sono l'Uomo che Ride. Un mucchio di gente
è venuta a vedermi. Stiamo nel Tarrinzeau-field. Sono quindici anni chefaccio il mio mestiere onestamente. Ho
venticinque anni. Abito presso l'inn Tadcaster. Mi chiamo Gwynplaine. Fatemila grazia di lasciarmi andar via di qui
signor giudice. Non si deve abusare della meschinità di noi disgraziati.Abbiate pietà di un uomo che non ha fatto nulla
che è indifeso e senza protezione. Davanti a voi c'è un poverosaltimbanco».
«Io ho davanti a me»disse lo sceriffo«lord Fermain ClancharliebaroneClancharlie e Hunkervillemarchese di
Corleone in Siciliapari d'Inghilterra».
Lo sceriffo si alzòe indicando la sua poltrona a Gwynplaineaggiunse:
«Mylordvoglia la signoria vostra sedersi».
LIBRO QUINTO • IL MARE E IL DESTINO SI AGITANO SOTTO LO STESSO SOFFIO
I • SOLIDITÀ DELLE COSE FRAGILI
A volte il destino ci dà un bicchiere di follia da bere. Una mano esce dallanuvolae all'improvviso ci offre un'oscura
coppa che contiene una forma sconosciuta di ebbrezza.
Gwynplaine non capì.
Si voltòper vedere a chi stesse parlando lo sceriffo.
L'orecchio non percepisce il suono troppo acuto; l'intelligenza nonpercepisce un'emozione troppo acuta. C'è un limite
alla comprensione come alla percezione.
Il wapentake e il giustiziere-quorum si avvicinarono a Gwynplaine e lopresero sotto braccioed egli sentì che lo
mettevano a sedere nella poltrona da cui si era alzato lo sceriffo.
Lasciò faresenza capire come potesse accadere una cosa simile.
Quando Gwynplaine fu sedutoil giustiziere-quorum e il wapentake arretraronodi qualche passomettendosi dritti e
immobili dietro la poltrona.
Allora lo sceriffo posò il mazzo di rose sulla pietrasi mise gli occhialiche gli allungava il cancelliereestrasse
dall'incartamento che ingombrava il tavolo un foglio di pergamena macchiatoingiallitoammuffitorosicchiato e qua e
là strappatoche sembrava essere stato piegato più voltecon un latocoperto di scritturaein piedi sotto la luce della
lanternaavvicinando il foglio agli occhicon la sua voce più solennelesse:
«In nome del Padredel Figlio e dello Spirito-Santo.
«Oggi ventinove gennaio milleseicentonovanta di Nostro Signore.
«Un bambino di dieci anni è stato crudelmente abbandonato sulla costadeserta di Portlandcon l'intenzione di lasciarlo
morire di famedi freddo e di solitudine.
«Il bambino è stato venduto all'età di due anni per ordine di sua maestàgraziosissima re Giacomo secondo.«Il bambino è lord Fermain Clancharlieunicofiglio legittimo di lord Linnaeus Clancharliebarone Clancharlie e
Hunkervillemarchese di Corleone in Italiapari del regno d'Inghilterradefuntoe di Anna Bradshawsua sposa
defunta.
«Il bambino è l'erede dei beni e dei titoli di suo padre. Per questo èstato vendutomutilatosfigurato e fatto scomparire
per volontà di sua maestà graziosissima.
«Il bambino è stato allevato e addestrato per fare il saltimbanco neimercati e nelle fiere.
«È stato venduto all'età di due anni dopo la morte del signore suo padree al re sono state date dieci sterline per
l'acquisto del bambinooltre che per varie concessionitolleranze eimmunità.
«Lord Fermain Clancharlie è stato acquistato all'età di due anni da mesottoscrittoche compilo queste righema
mutilato e sfigurato da un fiammingo di Fiandra chiamato Hardquanonneche èl'unico che conosca i segreti e i
procedimenti del dottor Conquest.
«Il bambino era da noi destinato a essere una maschera ridente. Mascaridens.
«Per questo motivo Hardquanonne gli ha praticato l'operazione Bucca fissausque ad auresche stampa sul volto un riso
eterno.
«Il bambinoessendo stato addormentato e reso insensibile durantel'operazione con un sistema noto solo a
Hardquanonneignora di avere subito un tale intervento.
«Egli ignora di essere lord Clancharlie.
«Egli risponde al nome di Gwynplaine.
«Ciò dipende dal fatto che quando è stato venduto e acquistato era moltopiccolo e aveva poca memoriaavendo appena
due anni.
«Hardquanonne è il solo che sappia eseguire l'operazione Bucca fissae questo bambino è il solo essere vivente a cui sia
stata fatta.
«Questa operazione è unica e particolarea tal punto chepure dopo lunghianniil bambinoanche se ormai fosse un
vecchio invece di un bambinoe i suoi capelli neri fossero diventatibianchiverrebbe immediatamente riconosciuto da
Hardquanonne.
«Nel momento in cui scriviamoHardquanonneche conosce bene questi fattiper avervi partecipato come principale
autoreè detenuto nelle prigioni di sua altezza il principe d'Orangecomunemente chiamato Guglielmo III.
Hardquanonne è stato catturato e arrestato come appartenente ai cosiddettiComprachicos o Cheylas. Egli è rinchiuso
nel torrione di Chatam.
«Il bambino ci è stato venduto e consegnato in Svizzera vicino al lago diGinevratra Losanna e Veveynella casa
stessa dove erano morti suo padre e sua madreconformemente agli ordini delredal domestico del defunto lord
Linnaeuschepoco dopoè morto come i suoi padronicosì che questafaccenda delicata e segreta è sconosciuta in
questo momento a tutti tranne che a Hardquanonneche si trova nel carcere diChatame a noiche stiamo per morire.
«Noi sottoscritti per otto anni abbiamo allevato e custodito il piccolosignore che abbiamo comprato dal reper trarne
vantaggio nel nostro commercio.
«Oggial calar della nottefuggendo dall'Inghilterra per non dovercondividere la sorte di Hardquanonneper viltà e
timorea causa delle proibizioni e delle condanne penali emanate dalparlamentoabbiamo abbandonato il bambino
detto Gwynplaineche è lord Fermain Clancharliesulla costa di Portland.
«Oranoi abbiamo giurato di mantenere il segreto al rema non a Dio.
«Questa notteassaliti in mare da una violenta tempesta voluta dallaprovvidenzadisperati e in pericoloinginocchiati
davanti a chi può salvare le nostre vite e che forse vorrà salvare lenostre animenon aspettandoci più nulla dagli uomini
ma temendo tutto da Dioavendo come àncora e risorsa il pentimento per lenostre cattive azionirassegnati a morire e
paghi se daremo soddisfazione alla giustizia celesteumilipenitenti ebattendoci il pettorendiamo questa
dichiarazioneaffidandola e rimettendola alla furia del mare perché nefaccia un buon uso secondo la volontà di Dio. E
che la Santa Vergine ci aiuti. Così sia. E abbiamo firmato».
Lo sceriffointerrompendosidisse:
«Ecco le firme. Tutte di calligrafie diverse».
E ricominciò a leggere:
«Dottor Gernardus Geestemunde. - Asuncion. - Una crocee a fianco: BarbaraFermoydell'isola Tyrryfnelle Ebudi. -
Gaïzdorracapitano. - Giangirate. - Jaques Quatourzedetto il Narbonese. -Luc-Pierre Capgaroupedel bagno penale di
Mahon».
Lo sceriffofermandosi ancoradisse:
«Nota scritta dalla stessa mano del testo e della prima firma».
Poi lesse:
«Dei tre uomini d'equipaggioavendo il mare portato via il padrone conun'ondanon restano che due. E hanno firmato.
Galdeazun. - Ave Marialadro».
Lo sceriffoalternando la lettura alle interruzionicontinuò:
«In fondo al foglio c'è scritto: - In marea bordo della Matutinaorca di Biscagliadel golfo di Pasages -».
«Questo foglio»aggiunse lo sceriffo«è una pergamena di cancelleriacon la filigrana di re Giacomo secondo. In
margine alla dichiarazionee con la medesima calligrafiac'è questa nota:- La presente dichiarazione l'abbiamo scritta
sul retro dell'ordine che ci era stato dato per giustificare il nostroacquisto del bambino. Basta voltare il fogliosi vedrà
l'ordine -».Lo sceriffo voltò la pergamena e l'alzò con la mano destraesponendola alla luce. Si vide una pagina biancase
l'espressione pagina bianca è riferibile a una tale mu ffae in mezzo allapagina tre parole; due in latinojussu regise
una firmaJeffreys.
«Jussu regis. Jeffreys»disse lo sceriffopassando da un tono di vocegrave a uno alto.
Gwynplaine era come un uomo a cui sia appena caduta in testa una tegola delpalazzo dei sogni.
Si mise a parlare come in uno stato d'incoscienza:
«Gernardussìil dottore. Un uomo vecchio e triste. Ne avevo paura. Ilcapitano Gaïzdorracioè il capo. C'erano delle
donneAsuncione l'altra. E poi il provenzale. Era Capgaroupe. Beveva dauna bottiglia piattasu cui c'era un nome
scritto in rosso».
«Eccola»disse lo sceriffo.
E posò sul tavolo una cosa che il cancelliere aveva estratto dalla borsa digiustizia.
Era una fiasca ad anserivestita di vimini. Si vedeva che quella bottigliaaveva corso delle avventure. Doveva essere
rimasta nell'acqua. Vi aderivano conchiglie e conferve. Era incrostata edamascata con tutte le ruggini dell'oceano. Il
collo aveva un collare di catrame che indicava come fosse stata tappataermeticamente. Adesso era dissigillata e aperta.
Tuttavia nel collo era stato rimessa una specie di tampone di cordacatramatache era stato il tappo.
«In questa bottiglia»disse lo sceriffo«quegli uomini che stavano permorire avevano rinchiuso la dichiarazione che
abbiamo letto. Questo messaggioindirizzato alla giustiziale è statofedelmente consegnato dal mare».
Lo sceriffoaccrescendo la maestà della sua intonazionecontinuò:
«Come il monte Harrow eccelle per il grano e fornisce il fior fiore dellafarina con cui si cuoce il pane della mensa
realecosì il mare rende all'Inghilterra ogni servizio possibilee quandoun lord si perdelo ritrova e lo riporta».
Poi continuò:
«In effetti su questa fiasca c'è un nome scritto in rosso».
E alzando la voce si voltò verso il disgraziato immobile:
«Ecco il vostro nomequi presente malfattore. Perché tali sono le oscurevie attraverso cui la veritàinghiottita
dall'abisso delle azioni umanerisale dal fondo alla superficie».
Lo sceriffo prese la fiasca e mostrò alla luce un lato del relitto che erastato pulitoprobabilmente per le necessità della
giustizia. Nell'intreccio dei vimini era visibile la serpentina di un piccolofilo di giunco rossodivenuto a tratti nero ad
opera dell'acqua e del tempo. Il giuncomalgrado qualche rotturadisegnavadistintamente nei vimini queste dodici
lettere: Hardquanonne.
Allora lo scerifforiprendendo quel particolare tono di voce che nonassomiglia a nullae che si potrebbe definire il
tono della giustiziasi voltò verso il disgraziato:
«Hardquanonne! La prima volta che questa fiascasu cui c'è il vostro nomevi è stata mostrata e presentata da noi
sceriffovoi l'avete subito e volentieri riconosciuta come vostra; poiavendovi lettonei suoi termini esattila
pergamena che vi era stata piegata e rinchiusanon avete più volutoparlareenella speranzasenza dubbioche il
bambino abbandonato non venisse ritrovato e di poter dunque sfuggire allapenavi siete rifiutato di rispondere. In
seguito a questo rifiuto vi è stata comminata la pena forte e durae vi èstata letta per la seconda volta la già nominata
pergamenache contiene la dichiarazione e la confessione dei vostricomplici. Inutilmente. Ma oggiquarto giorno
giorno destinato dalla legge al confrontomesso alla presenza di colui chefu abbandonato a Portland il ventinove
gennaio milleseicentonovantaè venuta meno in voi quella diabolicasperanzae avete rotto il silenzio riconoscendo la
vostra vittima...».
Il disgraziato aprì gli occhialzò la testae con quello strano suono divoce che dà l'agoniacon un'indefinibile calma
presente nel suo rantolarepronunciando tragicamente da sotto quel mucchiodi pietre parole che lo costringevano ogni
volta a sollevare quella specie di lastra tombaleiniziò a dire:
«Ho giurato di serbare il segretoe ho mantenuto la promessa più che hopotuto. Gli uomini tetri sono uomini fedelie
anche all'inferno c'è l'onestà. Oggi il silenzio è diventato inutile.Bene. Per questo parlo. Ebbenesì. È lui. L'abbiamo
fatto in due: il re con la sua volontàio con la mia arte».
Eguardando Gwynplaineaggiunse:
«Ora ridi per sempre».
E lui stesso si mise a ridere.
Questa seconda risataancora più feroce della primaavrebbe potuto esserescambiata per un singhiozzo.
Il riso cessòe l'uomo ricadde a terra. Le palpebre si richiusero.
Lo sceriffoche aveva lasciato parlare il suppliziatoproseguì:
«Prendiamo atto di tutto ciò».
Diede al cancelliere il tempo di scriverepoi disse:
«Hardquanonneai termini di leggedopo il risultato del confrontodopouna terza lettura della dichiarazione dei vostri
compliciconfermata ormai e riconosciuta per vostra ammissionedopo lavostra reiterata confessionesarete liberato
dagli impedimentie affidato alla volontà di sua maestà per essereimpiccato come plagiario».
«Plagiario»disse l'ufficiale dalla cuffia. «Cioè compratore e venditoredi bambini. Legge visigotalibro settimotitolo
terzoparagrafo Usurpaverit; e Legge salicatitolo quarantunoparagrafo secondo; e Legge dei Frisonititolo ventuno
De Plagio. E Alessandro Nequam dice: Qui pueros vendisplagiarius esttibi nomen».
Lo sceriffo posò la pergamena sul tavolosi tolse gli occhialiriprese ilmazzoe disse:
«Fine della pena forte e dura. Hardquanonneringraziate sua maestà».Conun cenno il giustiziere-quorum fece venire l'uomo vestito di cuoio.
L'uomochecome dicono le vecchie carteera un aiutante del boia«groomdi forca»andò da quel disgraziatogli
tolse una dopo l'altra le pietre che aveva sul ventresollevò la lastra diferro che lasciò vedere le costole deformate di
quel miserabilepoi liberò i polsi e le caviglie dai quattro collari che lolegavano ai pilastri.
Il disgraziatosenza le pietre e libero dalle catenerimase disteso aterragli occhi chiusile braccia e le gambe
divaricatecome un crocefisso schiodato.
«Hardquanonne»disse lo sceriffo«alzatevi».
Il disgraziato non si mosse.
Il groom di forca gli prese una mano e la lasciò; la mano ricadde. Anchel'altra manosollevataricadde. L'aiutante del
boia prese un piedepoi l'altroi talloni ricaddero con un tonfo a terra.Le dita delle mani e quelle dei piedi rimasero
inerti e immobili. I piedi nudi di un corpo che giace sembrano irti.
Il medico si avvicinòestrasse da una tasca del suo abito un piccolospecchio d'acciaio e lo mise davanti alla bocca
aperta di Hardquanonne; poi con un dito gli aprì le palpebre. Non siriabbassarono. Le pupille vitree restarono fisse.
Il medico si rialzò e disse:
«È morto». Poi soggiunse: «Ha risoe questo l'ha ucciso».
«Poco importa»disse lo sceriffo. «Vivere o moriredopo la confessioneè solo una formalità».
Poiindicando Hardquanonne con un movimento del suo mazzo di roselosceriffo ordinò al wapentake:
«Carcassa da portar via questa notte».
Il wapentake assentì con un cenno del capo.
E lo sceriffo aggiunse:
«Il cimitero della prigione è di fronte».
Il wapentake fece un nuovo cenno d'assenso.
Il cancelliere scriveva.
Lo sceriffotenendo nella mano sinistra il mazzoprese con l'altra mano labacchetta biancasi mise ritto davanti a
Gwynplaine sempre sedutogli fece un profondo inchinopoicon un altrogesto solennegettò la testa indietro e
guardando Gwynplaine in facciagli disse:
«A voi qui presentenoiFilippo Denzill Parsoncavalieresceriffo dellacontea di Surreyassistito da Aubrie
Docminiquescudieroaiutante e cancellieree dai nostri ufficialiordinaridebitamente munito di ordini diretti e
speciali di sua maestàin virtù del nostro mandato e dei diritti e doveriinerenti alla nostra caricae con il permesso del
lord cancelliere d'Inghilterraredatti i processi verbali e presone attovisti i referti comunicati dall'ammiragliatodopo
verifica degli attestati e delle firmedopo aver letto e ascoltato ledichiarazioniespletato il confrontoavendo
completatoesaurito e condotto a buon termine le costatazioni e leinformazioni legalivi notifichiamo e dichiariamo
affinché ne segua ciò che deveche voi siete Fermain ClancharliebaroneClancharlie e Hunkervillemarchese di
Corleone in Siciliapari d'Inghilterrae che Dio protegga vostrasignoria».
Poi s'inchinò.
L'ufficiale giudiziarioil dottoreil giustiziere -quorumil wapentakeilcancellieretutti gli assistentieccetto il boia
rinnovarono l'inchino ancora più profondamentee si abbassarono fino aterra davanti a Gwynplaine.
«Questa poi»gridò Gwynplaine«risvegliatemi!».
E si alzò in piedipallidissimo.
«Vengo infatti a risvegliarvi»disse una voce che non si era ancora udita.
Un uomo uscì da dietro uno dei pilastri. Dal momento che nessuno erapenetrato nel sotterraneo da quando la lastra di
ferro aveva lasciato libero il passaggio al corteo di poliziaera evidenteche quell'uomo se ne stava nell'ombra da prima
dell'ingresso di Gwynplaineche era un osservatore ufficialee che facevaparte del suo dovere e della sua funzione
rimanere lì. L'uomo era grosso e rotondettoin parrucca di corte e con unmantello da viaggiopiù vecchio che giovane
e molto corretto.
Salutò Gwynplaine in modo rispettoso e disinvoltocon l'eleganza delgentiluomo di palazzoe senza la rozzezza del
magistrato.
«Sì»disse«sono venuto per risvegliarvi. State dormendo da venticinqueanni. Siete in un sognoma bisogna uscirne.
Vi credete Gwynplainesiete Clancharlie. Credete di essere un popolanoappartenete all'aristocrazia. Vi credete ultimo
siete il primo. Vi credete istrionesiete senatore. Vi credete poverosietericchissimo. Vi credete piccolosiete grande.
«Risvegliatevimylord!».
Gwynplanea voce bassissima e con un certo terroremormorò:
«Che significa tutto ciò?».
«Ciò significamylord»rispose l'uomo grosso«che io mi chiamoBarkilphedroche sono ufficiale dell'ammiragliato
che questo relittola fiasca di Hardquanonneè stato trovato sulla rivadel mareche mi è stato portato affinché io lo
dissigillassicome prescrive ed esige la mia caricache l'ho aperto allapresenza di due giurati dell'ufficio Jetson
entrambi membri del parlamentoWilliam Blathwaithper la città di BatheThomas Jervoise per Southamptonche i
due giurati hanno descritto e attestato il contenuto della fiascae firmatoil processo verbale d'aperturacongiuntamente
a meche ho fatto il mio rapporto a sua maestàcheper ordine dellareginatutte le formalità legali necessarie sono
state adempiute con la discrezione richiesta da una materia così delicataeche l'ultimail confrontoha appena avuto
luogo; ciò significa che avete un milione di rendita; ciò significa che voisiete lord del Regno Unito della GranBretagnalegislatore e giudicegiudicesupremolegislatore sovranovestito di porpora e di ermellinouguale ai
principisimile agli imperatoriche portate sulla testa la corona dei parie che sposerete una duchessafiglia di re».
Quella trasfigura zione si abbatteva su di lui come un colpo di fulmineGwynplaine svenne.
II • CIÒ CHE ERRA NON SBAGLIA
La storia era cominciata con un soldato che aveva trovato una bottiglia inriva al mare.
Raccontiamo il fatto.
Ad ogni fatto è legato un ingranaggio.
Un giornouno dei quattro cannonieri della guarnigione del castello diCalshor aveva raccolto nella sabbiadurante la
bassa mareauna fiasca di vimini gettata dal flusso. La fiascatuttaammuffitaera chiusa da un tappo incatramato. Il
soldato aveva portato il relitto al colonnello del castelloe il colonnellol'aveva trasmesso all'ammiraglio d'Inghilterra.
L'ammiraglio era poi l'ammiragliato; e l'ammiragliatoper quanto riguardavai relittiera Barkilphedro. Barkilphedro
aveva aperto e stappato la fiascae l'aveva portata alla regina. La reginaaveva immediatamente provveduto. Erano stati
informati e consultati due notevoli consiglieriil lord cancelliere cheperleggeè «custode della coscienza del re
d'Inghilterra»e il lord marescialloche è «giudice delle armi e delladiscendenza della nobiltà». Thomas Howardduca
di Norfolkpari cattolicoche era alto maresciallo ereditariod'Inghilterraaveva fatto dire dal suo deputatoconte
maresciallo Henri Howardconte di Bindonche avrebbe condiviso l'opinionedel lord cancelliere. Quanto al lord
cancelliereera William Cowper. Non dobbiamo confondere questo cancellierecon il suo omonimo e contemporaneo
William Cowperl'anatomista commentatore di Bidlooche pubblicò inInghilterra il Trattato dei muscoliquasi nello
stesso periodo in cui Étienne Abeille pubblicava in Francia La storiadelle ossa; un chirurgo va distinto da un lord. Lord
William Cowper era celebre perchéa proposito del caso di Talbot Yelvertonvisconte Longuevilleaveva sentenziato:
«che davanti alla costituzione inglesela restaurazione di un pari contapiù della restaurazione di un re». La fiasca
trovata a Calshor aveva enormemente risvegliato la sua attenzione. L'autoredi una massima non si lascia sfuggire
l'occasione per applicarla. Si trattava di restaurare un pari. Erano statefatte delle ricerche. Gwynplaineche teneva
cartello sulla stradaera facilmente rintracciabile. Anche Hardquanonne.Egli non era morto. La prigione fa marcire
l'uomoma lo conservasempre che custodire significhi conservare. Raramentegli uomini affidati alle bastiglie
venivano disturbati. Non si cambiava carcere più di quanto non si cambitomba. Hardquanonne era ancora nel torrione
di Chatam. Non avevano che da mettergli le mani sopra. Lo trasferirono daChatham a Londra. Contemporaneamente
presero informazioni in Svizzera. Si accertò che i fatti erano esatti. Nellecancellerie localia Veveya Losannafecero
richiedere il certificato di matrimonio di lord Linnaeus in esiliol'atto dinascita del bambinogli atti di decesso del
padre e della madreil tutto in due copie conformidebitamente autenticate«in caso di necessità». Ogni cosa avvenne
nel massimo segretocon ciò che allora si chiamava la rapidità realee con quel «silenzio di talpa» raccomandato e
praticato da Baconee più tardi codificato in legge da Blackstone per gliaffari di cancelleria e di statoe per qualsiasi
cosa definibile come senatoriale.
Furono verificati lo jussu regis e la firma Jeffreys. Per chiha studiato la patologia di quei capricci detti «beneplaciti»lo
jussu regis è molto semplice. Perché Giacomo II chea quanto pareavrebbe dovuto nascondere quegli attine aveva
lasciato tracce scrittecon il rischio di comprometterne la riuscita?Cinismo. Altezzosa indifferenza. Ah! Voi credete
che solo le puttane manchino di pudore! Anche la ragion di stato non ne ha. Etse cupit ante videri. Vantarsi dei propri
criminiecco cos'è la storia. Il re si tatua come il forzato. È nelproprio interesse sfuggire al gendarme e alla storiama
ciò sarebbe offensivosi desidera invece essere noti e riconosciuti.Guardate il mio braccioosservate questo disegno
un tempio dell'amore e un cuore infiammato trapassato da una frecciasonoioLacenaire. Jussu regis. Io sono Giacomo
II. Si compie una cattiva azioneci si mette sopra il marchio. Perfezionarsicon la sfrontatezzadenunciarsi da soli
rendere eterno il proprio misfattoquesta è l'insolente bravata delmalfattore. Cristina cattura Monaldeschilo fa
confessare e assassinarepoi dice: Io sono regina di Svezia presso il redi Francia. C'è il tiranno che si nascondecome
Tiberioe il tiranno che si vantacome Filippo II. Uno è scorpionel'altro è leopardo. Giacomo II apparteneva a
quest'ultima specie. Eglicome si saaveva un volto aperto e allegrodifferente in questo da Filippo II. Filippo era
lugubreGiacomo era giovale. Comunque feroci. Giacomo II era la tigrebonacciona. Egli eracome Filippo II
perfettamente tranquillo riguardo ai suoi misfatti. Era mostro per grazia diDio. Non doveva dissimulare né attenuare
nullai suoi erano assassinii per diritto divino. Anche lui si sarebbelasciati volentieri alle spalle gli archivi di Simanca
con tutti i suoi delitti numeratidataticlassificatietichettati e messiin ordineciascuno nel suo compartimentocome i
veleni nel laboratorio di un farmacista. Firmare i propri crimini è un gestoda re.
Ogni azione commessa è una tratta emessa sul grande pagatore ignorato.Questa era scaduta con la sinistra girata Jussu
regis.
La regina Annache per un certo verso non era una donnadato che sapevamantenere un segretoaveva richiesto al lord
cancellieresu quel grave affareun rapporto confidenzialedetto«rapporto all'orecchio del re». Le monarchie hanno
sempre fatto uso di questo tipo di rapporti. A Vienna c'era il consiglieredell'orecchiopersonaggio aulico. Si trattava di
un'antica dignità carolingial'auricolarius dei vecchi documentipalatini. Colui che parla a bassa voce all'imperatore.
Williambarone Cowpercancelliere d'Inghilterrache godeva della fiduciadella reginaperché era miope come lei
anzi di piùaveva redatto una memoria che cominciava così: «Agli ordinidi Salomone c'erano due uccelliun'upupa
l'hudbudche parlava tutte le linguee un'aquilail simougankache con lesue ali copriva d'ombra una carovana di
ventimila uomini. Allo stesso modoanche se in forma diversalaprovvidenza» ecc. Il lord cancelliere prendeva atto diun erede di paria rapitoe mutilatopoi ritrovato. Egli non biasimava affatto Giacomo IIche dopo tuttoera il padre della
regina. Lo capiva persino. Prima di tuttoci sono le vecchie massimemonarchiche. E senioratu eripimus. In roturagio
cadat. In secondo luogo esiste un regio diritto di mutilazione.Chamberlayne lo ha constatato. Corpora et bona
nostrorum subjectorum nostra suntha detto Giacomo Idi gloriosa edotta memoria. Sono stati cavati gli occhi anche a
duchi di sangue reale per il bene del regno. Alcuni principitroppo vicinial tronosono stati utilmente soffocati tra due
materassiil fatto passò per apoplessia. Orasoffocare è più chemutilare. Il re di Tunisi ha strappato gli occhi a suo
padreMuley-Assemma i suoi ambasciatori sono stati ricevuti ugualmentedall'imperatore. Dunque il re può ordinare
una soppressione di membro come una soppressione di stato ecc.è legaleecc. Ma una legalità non distrugge l'altra. «Se
l'annegato ritorna a galla e non è mortoè Dio che ritocca l'azione delre. Se si ritrova l'eredegli sia restituita la corona.
Così si fece per lord Allare di Northumbreche era stato anche luisaltimbanco. Così bisogna fare per Gwynplaine
anche lui recioè mylord. La bassezza del lavoro fatto e subito per forzamaggiore non macchia il blasone; ne fa fede
Abdolonimoche era re e che fu giardiniere; Giuseppeche era santo e che fufalegname; Apolloche era un dio e che fu
pastore. «In breveil dotto cancelliere si pronunciava a favore dellareintegrazione in tutti i suoi beni e titoli di Fermain
lord Clancharliechiamato con il falso nome di Gwynplaine«alla solacondizione che venisse messo a confronto con il
malfattore Hardquanonnee da lui riconosciuto». E con questo ilcancellierecustode costituzionale della coscienza
realela rassicurava.
Il lord cancelliere ricordava nel post-scriptum chenel caso in cuiHardquanonne rifiutasse di risponderedoveva
essergli applicata la «pena forte e dura»nel qual casoper raggiungereil periodo detto di frodmortellvoluto dalla carta
di re Adelstanil confronto doveva aver luogo il quarto giorno; ciòpurtroppo presenta il piccolo inconveniente chese il
disgraziato muore il secondo o il terzo giornoil confronto diventadifficile; ma la legge deve essere applicata. Gli
inconvenienti della legge fanno parte della legge.
D'altra partesecondo il lord cancellierenon c'erano dubbi sulriconoscimento di Gwynplaine da parte di
Hardquanonne.
Annaabbastanza al corrente della deformità di Gwynplainenon volendo fartorto a sua sorellaa cui erano passati i
beni dei Clancharliedecise con piacere che la duchessa Josiane sarebbeandata sposa al nuovo lordcioè a Gwynplaine.
La reintegrazione di lord Fermain Clancharlie era del resto un caso moltosemplicepoiché l'erede era legittimo e
diretto. La camera dei lords andava consultata solo per le filiazioni dubbieo per le parie «in abeyance» rivendicate da
collaterali. Cosìsenza risalire più indietroessa fu convocata nel 1782per la baronia di Sidneyreclamata da Elisabeth
Perry; nel 1798per la baronia di Beaumontreclamata da Thomas Stapleton;nel 1803 per la baronia di Chandos
reclamata dal reverendo Tymewell Brydges; nel 1813 per la paria-contea diBanburyreclamata dal luogotenente
generale Knollys ecc.main questo casoniente di simile. Nessun litigio;una legittimità evidente; un diritto chiaro e
certo; non c'era alcun motivo per investirne la camerae la reginaassistita dal lord cancelliereera sufficiente per
riconoscere e ammettere il nuovo lord.
Barkilphedro condusse il gioco.
Grazie a lui la faccenda rimase talmente clandestinail segreto fu cosìermeticamente mantenutoche né Josianené lord
David ebbero sentore del fatto prodigioso che si stava tramando a loro danno.Josianemolto alterasi circondava di
bastioni che la isolavano facilmente. Quanto a lord Davidlo mandarono inmare sulle coste di Fiandra. Stava per
perdere la lordship e non lo sospettava minimamente. Notiamo un particolare.Accadde che a dieci leghe da dove era
alla fonda la squadra navale comandata da lord Davidun capitanodi nomeHalyburtonforzasse il blocco della flotta
francese. Il conte di Pembrokepresidente del consiglioappoggiò unapromozione a contrammiraglio di questo
capitano HalyburtonAnna radiò Halyburton e mise al suo posto lord DavidDirry-Moircosì che a lord Davidquando
avesse appreso di non essere più parirestasse almeno la consolazione diessere contrammiraglio.
Anna si sentiva soddisfatta. Un marito orribile per sua sorellaun bel gradoper lord David. Malizia e bontà.
Sua maestà stava per dar spettacolo. Inoltre diceva a se stessa che riparavaun abuso di potere del suo augusto genitore
che restituiva un membro alla pariache agiva da grande reginacheproteggeva l'innocenza facendo la volontà di Dio
che la provvidenzanelle sue sante e impenetrabili vieecc. È davverodolce compiere un atto di giustizia che torna
spiacevole a qualcuno che non amiamo.
D'altra partealla regina era bastato sapere che il futuro marito dellasorella era deforme. Ma in che modo era deforme
quel Gwyplaineche tipo di bruttezza aveva? Barkilphedro non aveva ritenutonecessario informare la reginae Anna
non si era degnata di chiederlo. Profondità del disdegno reale. Cheimportanza aveva poi? La camera dei lords non
poteva che essere riconoscente. Il lord cancellierel'oracoloavevaparlato. Ripristinare un pari significa restaurare tutta
la paria. In questa occasione la corona si mostrava una buona e rispettosacustode dei privilegi della paria. Qualunque
volto avesse il nuovo lordun volto non è un'obbiezione a un diritto. Annasi disse più o meno tutto ciò e andò diritta al
proprio scopoquel grande e femminile scopo che consiste nel togliersi unasoddisfazione.
La regina si trovava allora a Windsorfatto questo che frapponeva una certadistanza tra gli intrighi di corte e il
pubblico.
Solo chi era strettamente indispensabile fu messo al corrente di quelsegreto. Quanto a Barkilphedrone era felicissimo
una circostanza che aggiunse al suo volto un'espressione lugubre.
Non c'è nulla a questo mondo che possa essere più orribile della gioia.
Egli conobbe la voluttà di assaggiare per primo la fiasca di Hardquanonne.Non ne restò sorpresosolo una mente
limitata prova stupore. E poinon è vero? Ciò gli era proprio dovutoalui che da tanto tempo montava la guardia al
caso. Dal momento che aspettavabisognava pure che arrivasse qualcosa.Il nilmirari faceva parte del suo contegno. Perché in fondodiciamolosi erameravigliato. Se qualcuno avesse potuto
togliergli la maschera che egli metteva sulla coscienzapersino davanti aDioavrebbe trovato quanto segue: proprio
allora Barkilphedro iniziava a convincersi che gli sarebbe stato del tuttoimpossibileessendo un nemico intimo e
infimoprodurre una frattura nella superiore esistenza della duchessaJosiane. Da qui un frenetico accesso di animosità
nascosta. Era arrivato a quella forma di parossismo che si chiamascoraggiamento. Tanto più furioso in quanto era
disperato. Mordere il frenotragica verità dell'espressione! Un malvagioche mordeva l'impotenza. Barkilphedro era
arrivato forse al punto di rinunciarenon a volere il male di Josianema arealizzarlonon alla rabbiama al morso.
Eppureche smacco abbandonare la presa! Dover rinfoderare l'odio come unpugnale da museo! Una dura umiliazione.
Ma all'improvvisoal momento opportuno- l'universo nel suo immenso spiritod'avventura si diletta di simili
coincidenze - di onda in onda gli arrivò tra le mani la fiasca diHardquanonne. C'è nell'ignoto qualcosa di addomesticato
che semb ra alle dipendenze del male. Barkilphedroassistito da duetestimoni qualsiasiindifferenti giurati
dell'ammiragliatostappa la fiascatrova la pergamenala dispiegalegge... Ci si immagini che mostruosa radiosità!
È curioso pensare che il mareil ventogli spazii flussi e riflussiletempestele bonaccele raffichepossano darsi
tanta pena per rendere contento un malvagio. Tutta quella complicità eradurata quindici anni. Opera misteriosa.
Durante quei quindici anni l'oceano non era rimasto un solo minuto inattivo.Le onde si erano passate da una all'altra la
bottiglia galleggiantegli scogli avevano schivato l'urto del vetronessunaincrinatura aveva crepato la fiascanessun
attrito aveva logorato il tappole alghe non avevano fatto marcire i viminile conchiglie non avevano smangiato la
parola Hardquanonnel'acqua non era penetrata nel relittola muffanon aveva dissolto la pergamenal'umidità non
aveva cancellato la scritturaquante cautele non aveva dovuto prenderel'abisso! Cosìquello che Gernardus aveva
gettato nell'ombral'ombra l'aveva consegnato a Barkilphedroe il messaggioinviato a Dio era arrivato al demonio.
C'era stato un abuso di fiducia nell'immensitàe l'oscura ironia che simescola con le cose era riuscita a comp licare
quell'onesto trionfoil bambino perduto Gwynplaine che tornava ad esserelord Clancharliecon una vittoria velenosa
compiendo malvagiamente una buona azionee mettendo la giustizia al serviziodell'iniquità. Riprendere la vittima a
Giacomo II voleva dire dare una preda a Barkilphedro. Sollevare Gwynplainesignificava abbandonare Josiane.
Barkilphedro era riuscito; ed era per questo che nel corso di tanti anni leondei cavallonile rafficheavevano
sballottatoscossospintogettatotormentato e rispettato quella bolla divetrodove c'erano tante esistenze mischiate!
Per questo c'era stato un accordo tra i ventile maree e le tempeste! Lavasta e compiacente agitazione del prodigio per
un miserabile! L'infinito che collabora con un lombrico! Il destino ha diqueste imperscrutabili volontà.
Barkilphedro ebbe un lampo d'orgoglio titanico. Si disse che tutto ciò eraaccaduto nel suo interesse. Si sentì centro e
scopo.
Si sbagliava. Riabilitiamo il caso. Non era quello il vero significato delfatto notevole di cui approfittava l'odio di
Barkilphedro. L'oceano che si faceva padre e madre di un orfanoinviando aisuoi carnefici una tempestaspezzando la
barca che aveva respinto il bambinoinghiottendo le mani giunte deinaufraghirifiutando ogni loro supplica e non
accettando che il loro pentimento; la tempesta che riceveva un deposito dallemani della morte; il robusto naviglio dove
c'era il criminesostituito dalla fragile boccetta dove c'è la riparazione;il mare che cambiava ruolocome una pantera
che diventasse nutricee si metteva a cullarenon il bambinoma il suodestinomentre egli cresceva ignorando tutto
ciò che l'abisso faceva per lui; le ondedove era stata gettata la fiascache vegliavano su quel passato in cui c'era un
avvenire; l'uragano che vi soffiava sopra bonariamente; le correnti chedirigevano il fragile relitto attraverso
l'insondabile itinerario dell'acqua; i riguardi delle alghedei cavallonidegli scoglitutta la vasta schiuma dell'abisso che
prendeva sotto la sua protezione un innocente; l'onda imperturbabile come unacoscienza; il caos che ristabiliva l'ordine;
il mondo delle tenebre che sfociava nella luce; tutta l'ombra finalizzataalla comparsa di un astro: la verità; il proscritto
consolato nella tombal'erede restituito all'ereditàil delitto del reannullatola premeditazione divina obbeditail
piccoloil debolel'abbandonatoche ha per tutore l'infinito; ecco ciòche Barkilphedro avrebbe potuto vedere nelle
circostanze che gli permettevano di trionfare; ecco ciò che non vide. Nondisse certo a se stesso che tutto era accaduto
per Gwynplaine; egli si disse che tutto era stato fatto per Barkilphedro; eche ne valeva la pena. Questi sono i satana.
Del restobisognerebbe avere una scarsa conoscenza della profonda dolcezzaoceanicaper meravigliarsi che un fragile
relitto abbia potuto navigare per quindici anni senza esserne danneggiato.Quindici anniniente. Il 4 ottobre 1867nel
Morbihantra l'isola di Groixla punta della penisola di Graves e loscoglio degli Errantialcuni pescatori di Port-Louis
hanno trovato un'anfora romana del IV secoloricoperta dagli arabeschi delleincrostazioni marine. L'anfora aveva
galleggiato per millecinquecento anni.
Per quanto Barkilphedro avesse voluto apparire flemmaticoil suo stupore erastato uguale solo alla sua gioia.
Tutto si offrivatutto sembrava predisposto. I tronconi dell'avventura cheavrebbe soddisfatto il suo odio erano
anticipatamente sparsialla sua portata. Non aveva che da avvicinarli esaldarli. Una composizione divertente da
eseguire. Cesellatura.
Gwynplaine! Conosceva quel nome. Masca ridens! Come tuttiegli eraandato a vedere l'Uomo che Ride. Aveva letto
l'insegna-cartello affissa all'inn Tadcastercosì come si legge lalocandina di uno spettacolo che attira la folla; l'aveva
notata; se la ricordò subito nei minimi dettaglilibero comunque diverificare in seguito; il cartellonenella sua fulminea
rievocazioneriapparve nelle profondità del suo sguardo e si collocòaccanto alla pergamena dei naufraghicome una
risposta accanto alla domandacome la soluzione accanto all'enigma; e quellerighe: «Qui si vede Gwynplaine
abbandonato all'età di dieci annila notte del 29 gennaio 1690sulla rivadel marea Portland»assunsero ai suoi occhi
un improvviso bagliore d'apocalisse. Ebbe la visione di Mane Thecel Pharesfiammeggianti sopra un imbonimento da
fiera. Quel cumulo di fatti era l'esistenza di Josiane. Crollo improvviso. Ilbambino perduto veniva ritrovato. C'era unlord Clancharlie . David Dirry-Moirera spazzato via. La pariala ricchezzail potereil rangotutto ciò uscivada lord
David per entrare in Gwynplaine. Tuttocastellicacceforestepalazzireggedominiivi compresa Josianeera di
Gwynplaine. E che soluzione per Josiane! Chi le stava davanti ora? Illustre ealtezzosaun istrione; bella e raffinataun
mostro. Si sarebbe mai potuto sperare tanto? La verità è che Barkilphedroera entusiasta. L'infernale munificenza
dell'imprevisto può veramente superare i più odiosi raggiri. Quando larealtà lo vuoleessa sa fare dei capolavori.
Barkilphedro trovò che i suoi sogni erano insignificanti. Aveva di meglio.
Se il mutamento che stava per verificarsi a suo vantaggio si fosse realizzatocontro di luinon per questo egli vi si
sarebbe opposto. Ci sono insetti feroci e disinteressati che pungono pursapendo che di quella puntura moriranno.
Barkilphedro era uno di quegli insetti.
Ma questa volta non poteva vantarsi del disinteresse. Lord David Dirry-Moirnon gli doveva nullamentre lord Fermain
Clancharlie gli avrebbe dovuto tutto. Da protettoBarkilphedro stava perdiventare protettore. E protettore di chi? Di un
pari d'Inghilterra. Avrebbe posseduto un lord! Un lord sarebbe stato una suacreatura! Barkilphedro stava già pensando
come indirizzarlo bene. Quel lord sarebbe stato il cognato morganatico dellaregina! Essendo così brutto sarebbe
piaciuto alla regina almeno quanto sarebbe dispiaciuto a Josiane. In quelclima favorevoleindossando abiti gravi e
modestiBarkilphedro poteva diventare un personaggio. Da sempre si erapensato destinato alla Chiesa. Aveva un vago
desiderio di essere vescovo.
Nel frattempoegli era felice.
Che successo! E come era ben fatto tutto quel lavorio del caso! La suavendettapoiché tutto ciò egli lo chiamava la sua
vendettagli veniva portata mollemente dai flutti. Non invano era rimasto inagguato.
Lui era lo scoglio. Josiane era il relitto. Josiane stava per incagliarsi suBarkilphedro! Che estasi profonda e scellerata.
Egli era bravo in quell'arte che si chiama suggestionee che consiste nelfare nell'animo altrui una piccola incisione
dove si mette un'idea propria; pur tenendosi in dispartee senza aver l'ariad'immischiarsenefece in modo che Josiane
si recasse alla baracca della Green-Boxe che vedesse Gwynplaine. Ciò nonpoteva nuocere. Il saltimbanco visto nella
sua bassezzaun buon ingrediente nella combinazione. Più tardi sarebbestato un giusto condimento.
Egli aveva predisposto tutto in silenzio. Voleva qualcosa d'improvviso. Illavoro svolto poteva essere espresso solo con
queste strane parole: costruire un fulmine a ciel sereno.
Terminati i preliminariegli aveva vigilato affinché tutte le formalitàvolute fossero adempiute nelle forme legali. La
segretezza non ne aveva soffertodal momento che il silenzio era parteintegrante della legge.
Il confronto tra Hardquanonne e Gwynplaine aveva avuto luogo; Barkilphedro viaveva assistito. Ne abbiamo appena
visti gli esiti.
Il giorno stessouna carrozza postale della regina arrivò all'improvviso daparte di sua maestà per cercare lady Josiane a
Londra e condurla a Windsordove in quel momento Anna trascorreva lastagione. Qualcosa suggeriva a Josiane di
disobbedireo almeno di ritardare di un giorno l'atto d'obbedienzarimandando la partenza al giorno dopoma la vita di
corte non ammette simili resistenze. Dovette mettersi subito in camminoabbandonando la residenza di Londra
Hunkerville-Houseper la residenza di WindsorCorleone-lodge.
La duchessa Josiane aveva lasciato Londra nel momento in cui il wapentake sipresentava all'inn Tadcaster per
prelevare Gwynplaine e condurlo nei sotterranei penali di Southwark.
Quando giunse a Windsorl'usciere dalla verga nerache fa la guardia allaporta della camera dei ricevimentila
informò che sua maestà era occupata con il lord cancelliere e non avrebbepotuto riceverla che il giorno dopo; che di
conseguenza doveva restare a Corleone-lodgea disposizione di sua maestàeche sua maestà le avrebbe inviato i suoi
ordini direttamente la mattina successivaal suo risveglio. Josiane feceritorno a casa molto indispettitacenò di cattivo
umoreebbe l'emicraniacongedò tuttieccetto il mozzopoi congedò ancheluie si coricò che faceva ancora giorno.
Arrivandoaveva saputo che l'indomani stesso lord David Dirry-Moir eraatteso a Windsoravendo ricevuto in mare
l'ordine di recarsi dalla regina per prendere degli ordini.
III • «NESSUN UOMO POTREBBE PASSARE IMPROVVISAMENTE DALLA SIBERIA ALSENEGAL SENZA
PERDERE CONOSCENZA» (Humboldt)
Che un uomoanche il più sicuro ed energicosvenga sotto un'improvvisamazzata della fortunanon è un fatto che
deve sorprendere. Un uomo può essere accoppato dall'imprevisto come un buedalla scure. Francesco d'Albescolalo
stesso che strappava dai porti turchi la loro catena di ferroquando divennepaparestò senza conoscenza per un giorno
intero. Orail passo da cardinale a papa è inferiore a quello dasaltimbanco a pari d'Inghilterra.
Nulla è più violento delle rotture d'equilibrio.
Quando Gwynplaine tornò in sé e riaprì gli occhiera notte. Gwynplaine sitrovava in una poltrona in mezzo a una vasta
camera tutta coperta di velluti rossimurisoffitto e pavimento. Sicamminava sul velluto. Accanto a lui c'erain piedia
testa scopertal'uomo dal grosso ventre e con il mantello da viaggio che erasbucato da dietro un pilastro nei sotterranei
di Southwark. Gwynplaine si trovava in quella camera solo con quell'uomo.Allungando un braccio dalla sua poltrona
egli poteva toccare due tavoliciascuno con una girandola di sei candele dicera accese. Su uno dei tavoli c'erano delle
carte e un cofanetto; sull'altro delle provviste: pollo freddovinobrandyil tutto su un vassoio dorato.
Dai vetri di un'alta finestrache andava dal pavimento al soffittoilchiaro cielo di una notte d'aprile lasciava intravedere
all'esterno un semicerchio di colonne attorno a una corte d'onorechiusa daun portale a tre porteuna larghissima e due
basse; il portonemolto grandein mezzo; la porta per i cavalieri a destrameno grande; a sinistra la porta per i pedonipiccola. Le porte erano chiuse dacancelli con le punte che brillavano; la porta centrale era sormontata da unagrande
scultura. Le colonne erano probabilmente in marmo biancocome pure illastricato della corteche dava un'impressione
di neve e checon la sua distesa di lastre orizzontaliincorniciava unmosaico appena distinguibile nell'ombra;
certamente il mosaicovisto alla luce del giornocon i suoi smalti e i suoicolorisi sarebbe rivelato un gigantesco
stemmasecondo il gusto fiorentino. Zig-zag di balaustre che salivano escendevanosegnalando scalinate di terrazze.
Sopra la corte si alzava un'immensa architettura che la notte offuscava. Ilcieloa intervalliera pieno di stellecontro
cui si stagliava il profilo di un palazzo.
Si scorgeva un tetto smisuratofacciate a volutemansarde a visiera comecaschicamini simili a torricornicioni pieni
di dei e dee immobili. Nella penombraattraverso il colonnatozampillavauna di quelle fontane fantasmagorichecon il
loro dolce rumorecheversandosi di vasca in vascamescolano la pioggiaalla cascatacome uno scrigno stracolmoe
disperdono follemente al vento diamanti e perlequasi volessero divertire lestatue che le circondano. Lunghe file di
finestre si profilavanoseparate da panoplie a tutto tondo e da busti supiedistalli. Trofei e morioni dai pennacchi di
pietra si alternavano agli dei sugli acroteri.
In fondo alla camera dove si trovava Gwynplainedi fronte alla finestrasivedevada una parte un camino alto come un
muroe dall'altrasotto un baldacchinouno di quegli spaziosi lettifeudali dove si sale con una scala e dove ci si può
coricare di traverso. Di fianco c'era lo sgabello del letto. Una fila dipoltrone lungo i muri e una di sedie davanti alle
poltrone completavano il mobilio. Il soffitto era a volte di sepolcro; nelcamino ardeva una gran fiamma di fuoco di
legna alla francese; dalla ricchezza delle fiamme e dalle loro striature rosae verdiun esperto avrebbe detto che quel
fuoco era di legna di frassinoun gran lusso; la camera era così grande chele due girandole la lasciavano nell'oscurità.
Qua e là delle portebasse e fluttuantiindicavano l'acceso ad altrecamere. L'insieme aveva l'aspetto quadrato e
massiccio del tempo di Giacomo Iuna moda antiquata e superba. Come iltappeto e la tappezzeriaanche il
baldacchinoil lettolo sgabellole tendeil caminole gualdrappe deitavolile poltronele sedietutto era di velluto
cremisi. Niente orotranne il soffitto. Lìa eguale distanza dai quattroangolisplendeva un enorme scudo rotondo di
metallo sbalzatodove luccicava un abbagliante rilievo di stemmi; traquestisu due blasoni accostatisi distinguevano
un tortiglio baronale e una corona da marchese; era di rame dorato? Erad'argento dorato? Non si capiva. Sembrava
d'oro. E al centro di quel soffitto principescocielo magnifico e oscuroloscudo fiammeggiante aveva tutto il cupo
splendore di un sole nella notte.
Un uomo selvaggio che racchiuda un uomo libero si sente a disagio in unpalazzo quasi quanto in una prigione. Quel
luogo superbo era inquietante. Ogni magnificenza emana qualcosa dispaventoso. Chi poteva abitare quell'augusta
dimora? A quale colosso apparteneva tutta quella grandezza? Di quale leonequel palazzo era l'antro? Gwynplainenon
ancora del tutto svegliosentiva una stretta al cuore.
«Dove mi trovo?»disse.
L'uomo che gli stava davantiin piedirispose:
«Siete in casa vostramylord».
IV • FASCINATION
Ci vuole tempo per tornare a galla.
Gwynplaine era stato gettato in un fondo di stupore.
Non si familiarizza subito con l'ignoto.
Ci sono disfatte nelle idee come nelle armate; la riorganizzazione non èimmediata.
Ci si sente come spersi. Si assiste a una bizzarra dissipazione di se stessi.
Dio è il braccioil caso è la fiondal'uomo è il sasso. Provate aresistere una volta lanciati.
Gwynplainese ci si passa l'espressionerimbalzava da uno stuporeall'altro. Dopo la lettera d'amore della duchessala
rivelazione nel sotterraneo di Southwark.
Quando in un destino ci si mette l'inattesotenetevi prontia un colpo neseguirà un altro. Se quella selvaggia porta si
aprele sorprese vi si precipitano dentro. Una volta aperta la breccia nelvostro murouna calca di avvenimenti andrà ad
ingolfarvisi. Lo straordinario non si scomoda per poco.
Lo straordinario è un'oscurità. Quell'oscurità stava sopra Gwynplaine.Ciò che gli accadeva gli sembrava
incomprensibile. Percepiva tutto attraverso la nebbia che solo un'emozioneprofonda può lasciare nell'intelligenzacome
la polvere di un crollo. La scossa era stata radicale. Niente era chiaro. Etuttaviapoco alla voltatorna la trasparenza.
Attimo dopo attimo diminuisce la densità dello stupore. Gwynplaine era comeuno che stesse ad occhi sbarrati in un
sognoper tentare di scorgerne l'interno. Scomponeva la nubepoi laricomponeva. A tratti si smarriva. Stava subendo
quell'oscillazione della mentetipica degli imprevistichedi volta involtavi spinge a capire e a non capire più. A chi
non è mai capitato di avere un tale bilanciere nel cervello?
Gradatamente il suo pensiero si dilatava nelle tenebre dell'incidentecomela pupilla nelle tenebre del sotterraneo di
Southwark. La difficoltà consisteva nell'arrivare a separare almeno un po'le tante sensazioni che si erano accumulate.
Perché possa verificarsi quella combustione di idee inquietedettacomprensioneoccorre che ci sia dell'aria tra le
emozioni. Qui l'aria mancava. L'avvenimentoper così direnon erarespirabile. Entrando nel terrificante sotterraneo di
SouthwarkGwynplaine si era visto messo alla gogna dei forzati; invece gliavevano posto sul capo la corona dei pari.
Com'era possibile? Non c'era spazio sufficiente tra ciò che Gwynplaine avevatemuto e ciò che gli era capitato; tutto siera succeduto in modo troppo rapidotroppo bruscamente lo spavento si era mutato in altrotroppo per essere anche
chiaro. I due estremi erano eccessivamente stretti uno contro l'altro.Gwynplaine si sforzava di sottrarsi a quella morsa.
Taceva. È l'istinto dei grandi stuporiche stanno sulla difensiva più diquanto si creda. Chi non dice nulla è pronto a
tutto. Una parola che vi sfuggee viene afferrata dall'ingranaggiosconosciutopuò tirarvi tutto intero fra chissà quali
ruote.
I piccoli hanno paura di essere schiacciati. La folla teme sempre che levengano messi i piedi sopra. Gwynplaine era
appartenuto molto tempo a quella folla.
C'è un'espressione che rende bene una caratteristica inquietudine umana:stare in attesa. Gwynplaine si trovava in quella
situazione. Non si è ancora trovato l'equilibrio con ciò che sta peraccadere. Sorvegliamo qualcosa che avrà un seguito.
Siamo vagamente attenti. Siamo in attesa. Di cosa? Non lo sappiamo. Di chi?Guardiamo.
L'uomo dal grosso ventre ripeté:
«Siete in casa vostramylord».
Gwynplaine si toccò. Quando qualcosa ci sorprendeprima guardiamo perassicurarci che le cose esistonopoi ci
tocchiamoper assicurarci che esistiamo noi. Era a lui che stavano parlando;ma lui era un altro. Egli non aveva più il
suo capingot e la sua schiavina di cuoio. Indossava un giubbetto di pannoargentatoe un abito di raso cheal tatto
appariva ricamato; nella tasca del giubbetto avvertiva una grossa borsapiena. Larghe brache di velluto coprivano i suoi
stretti e attillati pantaloni da clown; aveva delle scarpe con alti tacchirossi. Mentre lo trasportavano nel palazzogli
avevano cambiato gli abiti.
L'uomo continuò:
«Che vostra signoria si degni di ricordare che il mio nome è Barkilphedro.Sono un impiegato dell'ammiragliato. Io ho
aperto la fiasca di Hardquanonne e ne ho fatto uscire il vostro destino. Allostesso modo di comenelle favole arabeun
pescatore fa uscire un gigante da una bottiglia».
Gwynplaine fissò i suoi occhi su quel viso sorridente che gli stavaparlando.
Barkilphedro continuò:
«Oltre a questo palazzomylordvoi possedete HunkervilleHouseche èancora più grande. Voi possedete Clancharlie -castle
sede della vostra pariache è una fortezza del tempo di Edoardo il Vecchio.Vi appartengono diciannove balie
con villaggi e contadini. Ciò mette sotto le vostre insegne di lord e dinobleman circa ottantamila vassalli e servi
demaniali. A Clancharlie siete giudicegiudice di tuttodei beni e dellepersonee tenete corte da barone. Il re vi è
superiore solo nel diritto di battere moneta. Il reche la legge normannadefinisce chief-seniorha diritto di giudicareha
diritto di corte e di conio. Conio significa moneta. Tranne quest'ultimodirittovoi siete re nella vostra signoriacome
egli lo è nel suo reame. Come barone voi avete diritto a una forca conquattro pilastri in Inghilterrae come marchese a
una forca con sette pali in Siciliapoiché la giustizia del semplicesignore ha due pilastriquella del castellano tree
quella del duca otto. Nei vecchi documenti di Nortumbria siete chiamatoprincipe. Siete imparentato in Irlanda con i
visconti Valentiache sono Powere in Scozia con i conti d'Umfravillechesono Angus. Siete capo di un clan come
CampbellArd mannach e Mac-Callumore. Avete otto castellanieReculverBuxtonHell-KertersHombleMoricambe
GumdraithTrenwardraith e altre. Avete un diritto sulle torbiere diPillinmore e sulle cave d'alabastro di Trent; inoltre
avete tutto il paese di Pennethchasee una montagna con un'antica città incima. La città si chiama Vinecauton; la
montagna si chiama Moil-enlli. Tutto ciò vi procura una rendita diquarantamila sterlinecioè quaranta volte la rendita
di venticinquemila franchi di cui si accontenta un francese».
Mentre Barkilphedro parlavaGwynplainein un crescendo di stuporesiricordava. Il ricordo è una voragine che una
sola parola può smuovere fino in fondo. Gwynplaine conosceva tutti quei nomipronunciati da Barkilphedro. Essi erano
scritti nelle ultime righe dei due manifesti che tappezzavano il baracchinodove era trascorsa la sua infanziaea forza
di avervi lasciato scorrere sopra macchinalmente lo sguardoli avevaimparati a memoria. Arrivandoorfano
abbandonatonella carretta di Weymouthvi aveva trovato ad attenderlol'inventario della sua ereditàe quando al
mattino il poveretto si svegliavail suo sguardo svagato e distrattosillabava per prime due cose: la sua signoria e la sua
paria. Curioso particolare che andava ad aggiungersi a tutte le altresorprese: per quindici annivagando di crocevia in
croceviaclown su un palco di nomadimentre si guadagnava il pane giornodopo giornoraccogliendo spiccioli e
vivendo di bricioleegli aveva viaggiato con la sua fortuna affissa sullasua miseria.
Barkilphedro toccò con l'indice il cofanetto che stava sulla tavola:
«Mylordquesto cofanetto contiene duemila guinee che sua maestà graziosala regina vi manda per le vostre prime
necessità».
Gwynplaine si mosse.
«Saranno per mio padre Ursus»disse.
«Va benemylord»disse Barkilphedro. «Ursusall'inn Tadcaster. Glieliporterà l'ufficiale dalla cuffia che ci ha
accompagnato fin qui e che sta per ripartire. Forse andrò io stesso aLondra. In questo caso me ne incarico io».
«Glieli porterò io»replicò Gwynplaine.
Barkilphedro smise di sorrideree disse:
«Impossibile».
L'inflessione di voce di Barkilphedro era di quelle che sottolineano quelloche si sta dicendo. Stette in silenziocome
per mettere un punto dopo la parola che aveva pronunciato. Poicon ilparticolare tono rispettoso del servitore che si
sente padroneaggiunse:«Mylordvoi siete quia ventitre miglia da Londranella vostra residenza di cortea Corleone-lodgecontigua al
castello reale di Windsor. Nessuno sa che siete qui. Siete stato trasportatoin una carrozza chiusa che vi attendeva sulla
porta del carcere di Southwark. Gli uomini che vi hanno introdotto in questopalazzo ignorano la vostra identitàma
conoscono mee ciò basta loro. Avete potuto essere condotto fino a questoappartamento grazie a una chiave segreta
che io posseggo. Ci sono in casa persone che dormonoe non è l'ora disvegliare la gente. Perciò abbiamo tempo per
una spiegazione che comunque sarà breve. Ve la darò. Ho l'incarico da suamaestà».
Barkilphedro si mise a scartabellare un fascio di incartamenti che stavanovicino al cofanetto.
«Mylordecco la vostra lettera patente di pari. Ecco il brevetto del vostromarchesato siciliano. Ecco le pergamene e i
diplomi delle vostre otto baronie con i sigilli di undici reda Baldretredel Kentfino a Giacomo VI e Ire d'Inghilterra
e di Scozia. Ecco le vostre lettere di precedenza. Ecco i vostri contratti direndita e i titoli e le descrizioni dei vostri
feudiallodidipendenzepaesi e domini. Sopra la vostra testain quelblasone sul soffittoci sono le vostre due corone
il tortiglio baronale con perle e il cerchio a fioroni di marchese. Quiaccantonel vostro guardarobac'è il vostro abito da
pari in velluto rosso con strisce d'ermellino. Oggi stessoqualche ora fail lord cancelliere e il deputato conte
maresciallo d'Inghilterrainformati del risultato del vostro confronto conil comprachicos Hardquanonnehanno preso
ordini da sua maestà. Sua maestà ha firmato secondo la sua volontàche èpoi la legge stessa. Ogni formalità è stata
adempiuta. Domaninon più tardi di domanivoi sarete ammesso alla cameradei lords; da alcuni giorni vi si sta
deliberando a proposito di una legge presentata dalla corona e che ha peroggetto l'aumento di centomila sterlinecioè
due milioni e cinquecentomila lire francesidella dotazione annuale del ducadi Cumberlandmarito della regina; voi
potrete prendere parte alla discussione».
Barkilphedro s'interrupperespirò lentamentee proseguì:
«E tuttavia nulla è ancora deciso. Non si è pari d'Inghilterra malgrado sestessi. Tutto può annullarsi e scomparirese
non comprendete. Capita in politica che un fatto si dilegui prima di vederela luce. Mylordin questo momento voi siete
ancora avvolto nel silenzio. La camera dei lords sarà informata solo domani.Su tutta la vostra vicenda è stato
mantenuto il segreto per ragioni di statoe le ragioni di stato sono cosìpotenti che le persone responsabilile sole che in
questo momento sappiano della vostra esistenza e dei vostri dirittiqualoravenisse loro comandato di dimenticare tutto
lo farebbero immediatamente. Ciò che è nella nottenella notte puòrestare. È facile cancellarvi. Ciò è tanto più facile in
quanto voi avete un fratellofiglio naturale di vostro padre e di una donnachedurante l'esilio di vostro padreè stata
l'amante del re Carlo IIil che rende vostro fratello ben accolto a corte;oraè proprio a vostro fratelloper quanto
bastardoche andrebbe la vostra paria. Volete questo? Non penso. Ebbenetutto dipende da voi. Bisogna obbedire alla
regina. Voi non lascerete la residenza che domanisu una vettura di suamaestàe per recarvi alla camera dei lords.
Mylordvolete essere pari d'Inghilterrasì o no? La regina ha dei progettisu di voi. Vi destina a una parentela quasi
reale. Lord Fermain Clancharliequesto è il momento decisivo. Il destinonon apre una porta senza chiuderne un'altra.
Dopo aver fatto un passo in avantinon è possibile farne uno indietro. Chientra nella trasfigurazione si lascia alle spalle
un dissolvimento. MylordGwynplaine è morto. Capite?».
Gwynplaine tremò dalla testa ai piedipoi si riprese.
«Sì»disse.
Barkilphedro sorriseprese il cofanetto sotto il suo mantelloe uscì.
V • SI CREDE DI RICORDARESI DIMENTICA
Cosa sono questi strani cambiamenti visibili che avvengono nell'anima umana?
Gwynplaine era stato al tempo stesso sollevato su una cima e precipitato inun abisso.
Provava le vertigini.
Vertigini doppie.
La vertigine della salita e quella della caduta.
Combinazione fatale.
Si era accorto di salirema non di cadere.
È una cosa spaventosa vedere un nuovo orizzonte.
Una prospettiva suggerisce dei consigli. Non sempre buoni.
Davanti a lui si era aperta una nube favolosaforse una trappolachelacerandosi aveva mostrato un azzurro profondo.
Così profondo da essere scuro.
Egli era sulla montagna da cui si vedono i regni della terra.
Una montagna tanto più terribilein quanto non esiste. Chi sta su quellacimavive in un sogno.
La tentazione dell'abisso è così potente che l'infernosu quella vettaspera di corrompere il paradisoe il diavolo vi
porta Dio stesso.
Sedurre l'eternitàche curiosa speranza!
Là dove satana tenta Gesùcome potrebbe un uomo lottare?
Palazzicastellipoterericchezzatutte le felicità umane a perditad'occhio attorno a séun mappamondo di piaceri in
mostra sull'orizzonteuna specie di radiosa geografia di cui si è ilcentro; miraggio pericoloso.
Immaginiamo il turbamento di una simile visione sopraggiunta senza aver primavarcato scalini preliminarisenza
precauzionesenza transizione.Un uomo si addormenta in un buco di talpa e sisveglia sulla punta del campanile di Strasburgo; là si trovava
Gwynplaine.
La vertigine è come una formidabile lucidità. Soprattutto quella cheportandovi contemporaneamente verso il giorno e
verso la notteè composta di due vortici contrari.
Si vede troppoma non abbastanza.
Si vede tuttoe niente.
Si è ciò che l'autore di questo libro da qualche parte ha chiamato «ilcieco abbagliato».
Gwynplainerimasto solosi mise a camminare a grandi passi. Tutte leesplosioni sono precedute da un simile
ribollimento.
Attraverso quell'agitazionenell'impossibilità di rimanere fermoeglirifletteva. Quel ribollio era una liquidazione.
Chiamava a raccolta i suoi ricordi. È davvero sorprendente come si siaascoltato con attenzione ciò che crediamo di
avere appena inteso! La dichiarazione dei naufraghi letta dallo sceriffo nelsotterraneo di Southwark gli ritornava
perfettamente chiara e intellegibile; se ne ricordava ogni singola parola; virivedeva sotto tutta la sua infanzia.
All'improvviso si fermòcon le mani dietro la schienaguardando ilsoffittoil cieloqualsiasi cosa fosse in alto.
«Vendetta!»disse.
Fu come se avesse messo la testa fuori dall'acqua. Gli sembrò di vederetuttoil passatol'avvenireil presentesotto
l'influsso di una chiarezza improvvisa.
«Ah!»gridò. Perché nelle sue profondità anche il pensiero grida. «Ah!Era così! Io ero lord. Tutto è chiaro. Ah! Mi
hanno rubatotraditoperdutodiseredatoabbandonatoassassinato! Ilcadavere del mio destino ha fluttuato per
quindici anni sul maree d'un tratto ha toccato terrae si è alzato inpiedivivo! Io rinasco. Io nasco! Ho pur sentito
palpitare sotto i miei stracci qualcosa di diverso da un miserabileequando mi voltavo a considerare gli uominimi
accorgevo che essi erano il greggee che io non ero il canema il pastore!Pastori di popoliconduttori d'uominiguide e
padroniecco cos'erano i miei avi; e ciò che essi eranoio lo sono! Iosono un gentiluomoe ho una spada; sono un
baronee ho un elmo; sono marchesee ho un pennacchio; io sono un parieho una corona. Ah! Mi avevano preso tutto
ciò! Ero cittadino della lucee mi avevano fatto cittadino delle tenebre.Quelli che avevano proscritto il padre hanno
venduto il figlio. Quando mio padre morìgli tirarono via da sotto la testala pietra dell'esilio che gli faceva da cuscino
per mettermela al colloe mi gettarono nella fogna. Oh! Quei banditi chehanno torturato la mia infanziasìsi agitano
levandosi dal fondo della mia memoriasìli rivedo. Sono stato il pezzo dicarne che uno stormo di corvi ha beccato su
una tomba. Ho sanguinato e gridato sotto tutte quelle orribili figure. Ah!Là dunque mi avevano precipitatoschiacciato
da quelli che vanno e vengonocalpestato da tuttisotto l'ultimorappresentante del genere umanopiù in basso del
servopiù in basso del domesticopiù in basso del garzonepiù in bassodello schiavolà dove il caos diventa cloacaal
limite di ciò che sparisce! È da là che esco! È da là che risalgo! È dalà che risuscito! Eccomi. Vendetta!».
Si sedettesi rialzòsi prese la testa tra le manisi rimise a camminaree continuò quel tempestoso monologo:
«Dove sono? Sulla cima! Dove sono appena caduto? Sulla cima! Questo apicela grandezzaquesta cupola del mondo
l'onnipotenzaè casa mia. Questo tempio nell'ariaio sono uno dei suoidei! Io abito nell'inaccessibile. Questa altezza
che guardavo dal bassoe da dove scendevano tanti raggi da dover chiuderegli occhiquesta signoria inespugnabile
questa imprendibile fortezza dei beatieccoio vi entro. Ci sono. Ne faccioparte. Ah! Definitivo giro della ruota! Ero in
bassosono in alto. In altoper sempre! Eccomi lordavrò un mantelloscarlattodei fioroni sul capoassisterò
all'incoronazione dei represteranno giuramento nelle mie manisarògiudice di ministri e di principiesisterò. Dalle
profondità dove mi avevano gettato schizzo fino allo zenit. Ho pala zzi incittà e in campagnacasegiardinicacce
forestecarrozzemilionidarò delle festefarò delle leggisceglieròtra gioie e piacerie Gwynplaineil vagabondoche
non aveva il diritto di cogliere un fiore nell'erbapotrà cogliere gliastri nel cielo».
Funebre rientro dell'ombra in un'anima. Così si realizzava in quelGwynplaine che era stato un eroee chediciamolo
forse non aveva cessato di esserlola sostituzione della grandezza moralecon la grandezza materiale. Lugubre
transizione. Effrazione della virtù ad opera di uno stuolo di demoni chepassa. Agguato alla debolezza umana. Tutte le
cose inferiori che vengono dette superioriambizionilosche volontàdell'istintopassioniaviditàche la purificazione
del dolore aveva tenute lontano da Gwynplaineriprendevano tumultuosamentepossesso di quel cuore generoso. E da
dove veniva tutto ciò? Dal ritrovamento di una pergamena in un relittotrasportato dal mare. Una coscienza violata dal
casoanche questo è possibile.
Gwynplaine beveva a piena gola l'orgoglioe ciò gli oscurava l'anima. Cosìè quel tragico vino.
Lo stordimento l'invadeva; più che acconsentirvilo assaporava. Conseguenzadi una lunga sete. Si è davvero complici
della coppa in cui si perde la ragione? Egli aveva sempre vagamentedesiderato tutto ciò. Guardava incessantemente
dalla parte dei grandi: guardare significa desiderare. Non per nullal'aquilotto nasce nell'aria.
Essere lord. Adessoin certi momentilo trovava naturale.
Erano trascorse poche orema ieri era un passato ormai lontano!
Gwynplaine era caduto nell'imboscata del meglionemico del bene.
Sfortunato colui di cui si dice: è fortunato!
È più facile resistere all'avversità che alla prosperità. Si scampa allacattiva sorte più integri che alla buona. Cariddi è la
miseriama Scilla è la ricchezza. Chi resse al fulminecadde abbagliato.Tuche non ti lasciavi impressionare dal
precipiziotemi di essere portato dalle legioni d'ali della nuvola e delsogno. L'ascensione ti solleverà e ti rimpicciolirà.
L'apoteosi ha il sinistro potere di abbattere.Non è facile conoscersi nellabuona sorte. Il caso è solo un travestimento. Nulla inganna come quel volto. Èforse la
Provvidenza? È la Fatalità?
Un chiarore può non essere un chiarore. Perché la luce è veritàma unbagliore può essere una perfidia. Voi pensate che
illuminie invece noincendia.
È notte; una mano posa una candelavile sego divenuto stellasull'orlo diun varco nelle tenebre. La falena vi si reca.
In che misura è responsabile?
La vista del fuoco affascina la falena come la vista del serpente affascinal'uccello.
È possibile che la falena e l'uccello resistano? È possibile che la fogliadisobbedisca al vento? È possibile che la pietra
non segua la gravitazione?
Problemi fisiciche sono anche problemi morali.
Dopo la lettera della duchessa Gwynplaine si era ripreso. C'erano in lui deilegami profondi che avevano resistito. Ma le
burraschedopo aver esaurito il vento una parte dell'orizzontericomincianodall'altrae anche il destinocome la
naturaè capace di accanirsi. Il primo colpo scuoteil secondo sradica.
Ahimè! Come cadono le querce?
Cosìcolui che bambino di dieci annisolo sulla scogliera di Portlandpronto a lottareguardava intensamente i nemici
con cui avrebbe avuto a che farela raffica che trascinava via la nave sucui contava d'imbarcarsil'abisso che gli
sottraeva quella tavola di salvezzail vuoto spalancato che minacciavaindietreggiandola terra che gli rifiutava un
riparolo zenit che gli rifiutava una stellala solitudine senza pietàl'oscurità impenetrabilel'oceanoil cieloinfinite
violenze da una parteinfiniti enigmi dall'altra; colui che non avevatremato né era venuto meno davanti all'enorme
ostilità dell'ignoto; colui chepiccolissimoaveva tenuto testa alla nottecome l'antico Ercole aveva tenuto testa alla
morte; colui chein quello smisurato conflittoaveva sfidato ogni tipo disorte adottandolui infanteun altro infantee
caricandosi di un fardellolui così stanco e fragilefavorendo i morsialla sua debolezzatogliendo lui stesso le
museruole ai mostri dell'ombra in agguato attorno a lui; colui chedomatoreprecoceavevafin dai suoi primi passi
fuori dalla cullasubito accettato il corpo a corpo con il destino; coluiche l'impari lotta non aveva trattenuto; colui che
vedendo improvvisamente e paurosamente sparire attorno a sé il genere umanoaveva accettato questa eclissi
continuando orgogliosamente il suo cammino; colui che aveva coraggiosamentesopportato il freddola setela fa me;
colui chepigmeo per la staturaera stato un colosso nell'anima; ilGwynplaine che aveva vinto l'immenso vento
dell'abisso nella sua duplice formala tempesta e la miseriavacillava alsemplice soffio della vanità!
Così la Fatalitàquando esaurisce le difficoltàle miseriele tempestei ruggitile catastrofile agoniecontro un uomo
che rimane in piediallora si mette a sorrideree quell'uomoimprovvisamente ebbrovacilla.
Il sorriso della Fatalità. Riusciamo a immaginare qualcosa di piùterribile? È l'ultima risorsa dell'impietoso tentatore
d'uomini. A volte la tigre del destino ritira gli artigli. Temibilepreparativo. Orribile dolcezza del mostro.
È un'esperienza comune che crescendo ci s'indebolisce. Un improvvisosviluppo altera e dà la febbre.
Nel cervello di Gwynplaine c'era il turbinio vertiginoso di una folla dinovitàtutto il chiaroscuro della metamorfosi
certi strani confrontil'urto tra il passato e l'avveniredue Gwynplainelui stesso divenuto doppio; alle spalle un
bambino cenciosouscito dalla nottevagabondotremanteaffamatodestinato a far ridere; davantiun signore
smagliantefastososuperboche abbagliava Londra. Spogliandosi di uno siamalgamava all'altro. Usciva dal
saltimbanco ed entrava nel lord. Tali cambiamenti di pelle sono a voltecambiamenti d'anima. In alcuni momenti tutto
ciò assomigliava troppo a un sogno. Una complessità buona e cattiva.Pensava a suo padre. Una cosa strazianteun
padre che è uno sconosciuto. Si sforzava di pensarlo. Pensava anche a quelfratello di cui gli avevano parlato. Dunque
aveva una famiglia! Come! LuiGwynplaineaveva una famiglia! Si perdeva inun mucchio di fantasticherie. Aveva
visioni di magnificenze; passavano davanti a lui sconosciute solennità informa di nuvole; udiva il suono delle fanfare.
«E poi»diceva«sarò eloquente».
E s'immaginava uno splendido ingresso alla camera dei lords. Sarebbe arrivatopieno di cose nuove. Cosa non aveva da
dire! Che provvista aveva fatto! Il vantaggio di esserein mezzo a tuttiloroquello che ha vistotoccatosubito
soffertoe di poter gridare loro: Io sono stato vicino a tutto ciò da cuivoi siete lontani! Avrebbe gettato la realtà in
faccia a quei patrizi pieni d'illusionied essi avrebbero trematoperchédiceva la veritàe avrebbero applauditoperché
era grande. Si sarebbe levato tra quei potentiancor più potente di loro;sarebbe apparso come il porta fiaccolaperché
avrebbe mostrato la veritàe come il portatore di spadaperché avrebbemostrato la giustizia. Che trionfo!
E sempre dedicandosi a quelle costruzioni nel suo animolucido e confuso altempo stessoaveva dei sussulti di delirio
si accasciava nella prima poltrona che gli capitavasi assopivaaveva deisoprassalti. Andavavenivaguardava il
soffittoesaminava le coronestudiava vagamente i geroglifici del blasonepalpava i velluti sul murospostava le sedie
rigirava le pergameneleggeva i nomisillabava i titoliBuxtonHombleGumdraithHunkervilleClancharlie
confrontava le cere dei timbritastava le trecce di seta dei sigilli realisi avvicinava alla finestraascoltava lo zampillio
della fontanacontemplava le statuecontava con pazienza da sonnambulo lecolonne di marmoe diceva: È così.
E si toccava l'abito di rasoe si domandava:
«Ma sono io? Sì».
Era in piena tempesta interiore.
Sentiva in quella tempesta la debolezza e la fatica? Bevvemangiòdormì?Se lo fecenon se ne accorse. In certe
situazioni violente gli istinti si soddisfano senza bisogno della ragione. Epoi la sua ragione era più un vago fumo che
ragione. Quando il fiammeggiare nero dell'eruzione deborda attraverso ilpozzo turbinosoha forse coscienza il cratere
dei greggi che pascolano ai piedi della montagna?Passarono le ore.
Apparve l'alba e si fece giorno. Un raggio bianco penetrò nella cameraentrando al tempo stesso nell'anima di
Gwynplaine.
«E Dea!»gli disse la luce.
LIBRO SESTO • ASPETTI VARI D'URSUS
I • CIÒ CHE DICE IL MISANTROPO
Dopo che Ursus vide Gwynplaine sprofondare sotto la porta del carcere diSouthwarkrestòstravoltonell'angolino
dove si era messo in osservazione. Gli rimasero a lungo nelle orecchie glistridii di serrature e chiavistelliche sembrano
l'urlo di gioia della prigione mentre divora un miserabile. Attese. Cosa?Spiò. Cosa? Quelle porte inesorabiliuna volta
chiusenon si riaprono subito; a causa del loro ristagno nelle tenebre essesono anchilosate e i loro movimenti sono
difficilisoprattutto quando si tratta di liberare; entrarepassi; uscireè difficile. Ursus lo sapeva. Ma aspettare non è una
cosa che si sia liberi di smettere quando si vuole; si aspetta nostromalgrado; le azioni che compiamo emanano una
forza acquisita che persiste anche quando non c'è più l'oggettoche cipossiede e ci occupaobbligandoci ancora per un
po' a continuare ciò che ormai è senza scopo. L'appostarsiinutileatteggiamento insensato che noi tuttiall'occasione
abbiamo tenuto; una perdita di tempo istintiva per chiunque sia interessato auna cosa scomparsa. Nessuno sfugge a
simili fissazioni. Ci si ostina con una sorta di accanimento distratto. Nonsappiamo perché restiamo lì dove siamoma
non ci muoviamo. Ciò che abbiamo iniziato attivamentelo continuiamo inmodo passivo. Una caparbietà spossante da
cui si esce prostrati. Anche Ursusper quanto diverso dagli altririmasecome il primo venutoinchiodato sul posto da
quella vigile fantasticheria dove ci getta un avvenimento che può tutto sunoima su cui noi non possiamo nulla. Egli
considerava ora unaora l'altra delle due muraglie nerea volte quellabassaa volte quella altaa volte la porta con la
scala da forcaa volte la porta con il teschio; egli era come stretto nellamorsa composta da una prigione e da un
cimitero. Quella strada evitata e impopolare aveva così pochi passanti chenessuno notò Ursus.
Alla fine uscì dal cantuccio che l'ospitavauna specie di garittaimprovvisata dove stava di vedettae se ne andò a passi
lenti. Aveva montato la guardia così a lungo che il giorno stava finendo.Ogni tanto girava il collo guardando lo
spaventoso sportello dove era entrato Gwynplaine. Aveva l'occhio vitreo eimbambolato. Arrivò in cima alla stradina
prese un'altra viapoi un'altra ancoraritrovando pressappoco lo stessotragitto che aveva percorso qualche ora prima . A
intervalli si voltavacome se potesse ancora vedere la porta della prigionebenché non si trovasse più nella via del
carcere. Poco a poco si riavvicinava al Tarrinzeau-field. I lanes checonducevano al campo della fiera erano dei sentieri
deserti tra giardini recintati. Egli camminava curvolungo siepi e fossati.A un tratto si fermòsi raddrizzòe gridò:
«Tanto meglio!».
Contemporaneamente si diede due pugni sulle cosceil che sta ad indicare unuomo che giudica le cose come bisogna
giudicarle.
E si mise a borbottare tra pelle e pellecon improvvisi scoppi di voce:
«Ben fatto! Ah! Pezzente! Brigante! Mascalzone! Buono a nulla! Sedizioso!Sono le sue idee sul governo che l'hanno
portato là. È un ribelle. Mi tenevo in casa un ribelle. Me ne sonoliberato. Sono stato fortunato. Ci comprometteva.
Schiaffato in galera! Ah! Tanto meglio! Eccellenza delle leggi. Ah! Cheingrato! E io che l'avevo allevato! Ecco a cosa
serve darsi pena! Che bisogno aveva di parlare e di ragionare? Si èimmischiato in affari di stato! Vi dico io!
Maneggiando delle monete si è messo a blaterare sull'impostasui poverisul popolosu ciò che non lo riguardava! Si è
permesso delle riflessioni sui pence! Ha commentato con cattiveria e maliziail rame della moneta del regno! Ha
insultato i quattrini di sua maestà! Un farthing è come la regina! La sacraeffigieper tutti i diavolila sacra effigie. C'è
o non c'è una regina? Rispettiamo il suo verderame. Tutto è collegato in ungoverno. Bisogna saperlo. Io ho vissuto.
Conosco come vanno le cose. Mi si potrà dire: Ma voi dunque rinunciate allapolitica? Amici mieiio mi curo della
politica come del pelaccio di un asino. Un giorno ho ricevuto un colpo dibastone da un baronetto. Mi sono detto:
Questo è sufficienteho capito la politica. Il popolo ha un solo liardolodàla regina lo prendeil popolo ringrazia.
Niente di più semplice. Il resto riguarda i lords. Le loro signorielordsspirituali e temporali. Ah! Gwynplaine è sotto
chiave! Ah! Sta in galera! È giusto. È equouna cosa eccellentemeritatae legittima. Colpa sua. È proibito
chiacchierare. Sei forse un lordimbecille? Il wapentake l'ha presoilgiustiziere -quorum l'ha portato vialo sceriffo lo
tiene. In questo momento qualche ufficiale dalla cuffia lo sta spulciando.Quella è gente brava a spellarti i crimini!
Sbattuto dentrorazza di stupido! Tanto peggio per luitanto meglio per me!Parola miasono contento. Confesso
apertamente di avere fortuna. Sono stato ben stravagante a raccattare ilpiccolo e la piccola! Stavamo così tranquilli
primaHomo e io! Che cosa sono venuti a fare nella mia baracca quei duefurfanti? Li ho covati abbastanza quando
erano marmocchi! Li ho abbastanza trainati con la mia cinghia! Belsalvataggio! Luibrutto da far pauraleicieca da
tutti e due gli occhi! Privatevi dunque di tutto! Ho spremuto abbastanza lafamiglia per loro! Cresconofanno l'amore!
Flirtations tra invalidia questo eravamo. Il rospo e la talpaidillio. Equesto in casa mia. La giustizia doveva porre fine
a tutto ciò. Il rospo ha parlato di politicabene. Eccomene liberato.Quando è arrivato il wapentakeall'inizio sono stato
stupidosi dubita sempre della felicitànon credevo a quello che vedevoera impossibileera un incuboera una farsa
messa in piedi dal sogno. E invece noniente di più reale. Una cosaconcreta. Gwynplaine è davvero in prigione. Un
colpo della provvidenza. Graziebuona signora. È il chiasso che faceva quelmostro che ha attirato l'attenzione sulla miaimpresafacendo denunciare il miopovero lupo! Gwynplaine se n'è andato! Mi sono sbarazzato di tutti e due. Due
piccioni con una fava. Perché Dea ne morrà. Quando non vedrà piùGwynplaine - lo vedela stupida! - non avrà più
motivo di esisteree si dirà: Cosa ci faccio a questo mondo? E se neandràanche lei. Buon viaggio. Al diavolo tutt'e
due. Li ho sempre detestati! Che crepiDea. Ah! Come sono contento!».
II • CIÒ CHE FA
Raggiunse l'inn Tadcaster.
Suonavano le sei e mezzala mezza dopo le seicome dicono gli inglesi.Mancava poco al crepuscolo.
Padron Nicless stava sulla soglia. La costernazione che aveva sul volto dalmattino non era ancora riuscita a dissolversi
era rimasto un impietrito stupore.
Appena vide Ursus da lontanogridò:
«E allora?».
«Allora cosa?».
«Gwynplaine torna? Sarebbe ora. Tra poco sarà qui il pubblico. Ci saràquesta sera lo spettacolo dell'Uomo che Ride?».
«Sono io l'Uomo che Ride»disse Ursus.
E guardò l'oste con un ghigno luminoso.
Poi salì difilato al primo pianoaprì la finestra accanto all'insegnadell'innsi sporseallungò la manospinse il cartello
di Gwynplaine - l'Uomo che Ridee la locandina de La sconfitta del caosschiodò l'unostrappò l'altrosi mise le due
assi sotto braccio e ridiscese.
Padron Nicless lo seguì con lo sguardo.
«Perché li staccate?».
Ursus scoppiò a ridere una seconda volta.
«Perché ridete?»continuò l'oste.
«Mi ritiro a vita privata».
Padron Nicless capìe diede ordine al suo luogotenenteil boy Govicumdiavvertire chiunque si presentasse che quella
sera non ci sarebbe stata rappresentazione. Tolse dalla porta labotte-botteghino dove s'incassavano i soldi e la spinse in
un angolo della sala bassa.
Un momento dopo Ursus saliva nella Green-Box.
Appoggiò in un angolo le due scritteed entrò in quello che egli chiamava«il padiglione delle donne».
Dea dormiva.
Era sul lettotutta vestita e con il corpetto slacciato come durante lasiesta.
Accanto a lei c'erano Vinos e Fibiseduteuna su uno sgabellol'altra perterrapensierose.
Malgrado l'ora avanzataesse non avevano indossato le maglie da deesegnoquesto di un profondo scoraggiamento.
Erano rimaste infagottate nel loro scialletto di lana e nella gonna di telagrezza.
Ursus osservò Dea.
«Si prepara a un sonno più lungo»mormorò.
Poi si rivolse a Fibi e Vinos.
«Volete saperlo? La musica è finita. Potete mettere le vostre trombe nelcassetto. Avete fatto bene a non bardarvi da
dee. Così siete ben bruttema avete fatto bene. Tenete da parte le vostresottane di cenci. Nessuna rappresentazione
questa sera. Né domaniné dopodomani. Basta Gwynplaine. Gwynplaine hachiusoparola mia».
E si rimise a guardare Dea.
«Che colpo sarà per lei! Sarà come quando si soffia su una candela».
Gonfiò le guance.
«Fouhh! Più niente».
Diede una piccola risata secca.
«Senza Gwynplaineper leivorrà dire senza tutto. Come se io perdessiHomo. Peggio. Sarà più sola di chiunque altro. I
ciechi sguazzano nella tristezza più di noi».
Andò alla finestrella sul fondo.
«Come si allungano le giornate! Alle sette ci si vede ancora. Tuttaviaaccendiamo lo stoppino».
Batté l'acciarino e accese la lanterna che pendeva dal soffitto dellaGreen-Box.
Si chinò su Dea.
«Prenderà freddo. Donnele avete slacciato troppo il corpetto. C'è ilproverbio francese:
On est en avril
N'ôte pas un fil
Vide brillare una spilla per terrala raccolse e l'appuntò sulla manica.Poigesticolandomisurò a grandi passi la Green-Box.
«Sono in pieno possesso delle mie facoltà. Io sono lucidoarcilucido.Ritengo questo avvenimento normalissimo e
approvo quello che sta accadendo. Quando si risveglieràle racconterò comesono andati i fatti. La catastrofe non si farà
attendere. Basta Gwynplaine. Buona sera Dea. Come si è tutto ben sistemato!Gwynplaine in prigione. Dea al cimitero.Staranno uno di fronte all'altro. Danzamacabra. Due destini che tornano dietro le quinte. Riponiamo i costumi.
Chiudiamo la valigia. Valigiacioè bara. Non si sono incontrate quelle duecreature. Dea senza gli occhiGwynplaine
senza volto. Lassù il buon Dio renderà la luce a Dea e la bellezza aGwynplaine. La morte mette in ordine. Tutto a
posto. FibiVinosappendete i vostri tamburelli al collo. Il vostro talentoper il fracasso si arruggineràbelle mie. Niente
più reciteniente più trombe. La sconfitta del caos è sconfitta.L'Uomo che Ride è bruciato. Taratantara è morto. Dea
continua a dormire. E fa bene. Al suo posto io non mi risveglierei. Bah!Presto si riaddormenterà. Non ci mette molto
un'allodola come questa a morire. Ecco cosa significa occuparsi di politica.Una bella lezione! E come hanno ragione i
governi. Gwynplaine dallo sceriffo. Dea dal becchino. Parallelismo. Simmetriaistruttiva. Spero che l'oste abbia sbarrato
la porta. Questa sera moriremo tra noiin famiglia. Non ioné Homo. Dea.Continuerò a far andare questo trabiccolo. Io
appartengo ai meandri del vagabondaggio. Congederò le due ragazze. Non neterrò nemmeno una. Ho la tendenza ad
essere un vecchio debosciato. Una serva in casa di un libertino è come panein tavola. Non voglio tentazioni. Non ho
più l'età. Turpe senilis amor. Continuerò la mia strada solo conHomo. Homo si stupirà! Dov'è Gwynplaine? Dov'è
Dea? Vecchio compagnorieccoci insieme. Per la pestene sono felicissimo.Le loro bucoliche mi pesavano. Ah!
Quello scellerato di Gwynplaine che non torna! Ci pianta qui. Bene. Adessotocca a Dea. Non sarà una cosa lunga. Mi
piacciono le cose compiute. Non darò certo un buffetto sulla punta del nasoal diavolo per impedirle di crepare. Crepa
mi senti! Ah! Si risveglia!».
Dea sollevò le palpebre; perché molti ciechi chiudono gli occhi quandodormono. Il suo dolce viso smemorato
manteneva tutto il suo splendore.
«Lei sorride»mormorò Ursus«e io rido. Va bene così».
Dea chiamò.
«Fibi! Vinos! Deve essere l'ora della rappresentazione. Credo di averdormito mo lto. Venite a vestirmi».
Né Fibiné Vinos si mossero.
Tuttavia l'ineffabile sguardo da cieca di Dea incontrò la pupilla di Ursus.Egli trasalì.
«Allora!»gridò. «Cosa state facendo? VinosFibinon sentite la vostrapadrona? Siete sorde? Presto! Lo spettacolo sta
per iniziare».
Le due donne guardarono stupite Ursus.
Ursus gridò.
«Non vedete il pubblico che sta entrando. Fibivesti Dea. Vinossuona iltamburo».
Fibi era l'obbedienza. Vinos la passività. Erano entrambe personificazionidella sottomissione. Ursusil loro padrone
gli era sempre sembrato un enigma. Non essere mai capiti è una ragione peressere sempre obbediti. Pensarono
semplicemente che fosse diventato pazzoed eseguirono l'ordine. Fibi staccòdal muro il costume e Vinos il tamburo.
Fib i cominciò a vestire Dea. Ursus abbassò la portiera del gineceo edadietro la tendacontinuò:
«GuardaGwynplaine! Più di metà del cortile è già pieno di folla. Neivomitori si spingono. Che folla! Che ne dici di
Fibi e di Vinos che sembrava non se ne fossero accorte? Come sono stupidequeste zingare! Che bestie in Egitto! Non
sollevare la portiera. Sii pudico. Dea si veste».
Fece una pausae all'improvviso si udì questa esclamazione:
«Come è bella Dea!».
Era la voce di Gwynplaine. Fibi e Vinos sobbalzarono e si voltarono. Era lavoce di Gwynplainema sulla bocca di
Ursus.
Ursusda uno spiraglio della portieracon un cenno proibì loro distupirsi.
Continuò con la voce di Gwynplaine:
«Angelo!».
Poi replicò con la voce di Ursus:
«Dea un angelo! Tu sei pazzoGwynplaine. L'unico mammifero volante è ilpipistrello».
E aggiunse: «DaiGwynplainevai a liberare Homo. È una cosa piùragionevole».
Quindi scese la scala sul retro della Green-Boxmolto rapidamentecomefaceva Gwynplaine. L'imitazione di un
rumore che Dea poté udire.
Nel cortile vide il boy ozioso e incuriosito per tutta quella faccenda.
«Dammi le mani»gli disse a voce molto bassa.
E vi versò una manciata di soldi.
Govicum si intenerì a quella generosità.
Ursus gli bisbigliò all'orecchio:
«Boymettiti in cortilesaltaballabattiurlastrillafischiagorgheggianitrisciapplaudipesta i piediscoppia a
ridererompi qualcosa».
Padron Niclessumiliato e indispettito di dover vedere la gente venuta perl'Uomo che Ride tornare sui propri passi
rifluendo verso le altre baracche del campo della fieraaveva chiuso laporta dell'inn; quella sera aveva perfino
rinunciato a dar da bereper evitare domande fastidiose; edal momento chenon c'era nulla da fare a causa della
mancata rappresentazioneguardava nel cortile dall'alto del balconecon lacandela in mano. Ursususando la
precauzione di parlare con le palme delle mani ai lati della boccacon lavoce tra parentesigli gridò:
«Gentlemanfate come il vostro boyguaiteabbaiateurlate».
Poi risalì nella Green-Box e disse al lupo:
«Parla più che puoi».E a voce alta:
«C'è troppa gente. Sarà uno spettacolo movimentato».
Intanto Vinos picchiava sul tamburo.
Ursus aggiunse:
«Dea è vestita. Si può cominciare. Mi spiace di aver lasciato entraretanto pubblico. Come sono ammucchiati! Ma
guardaGwynplaine! Ce n'è di folla scatenata! Scommetto che oggi facciamol'incasso più alto. Andiamo bellezze
musica! Vieni quiFibiprendi la tua tromba. BeneVinospesta il tuotamburo. Mollagli un sacco di botte. Fibimettiti
in posa da Fama. Signorinenon siete abbastanza nude. Toglietevi legiacchette. Cotone al posto della tela. Al pubblico
piacciono le forme femminili. Lasciamo tuonare i moralisti. Un po'd'indecenzaper tutti i diavoli. Siamo voluttuosi.
Buttatevi in folli melodie. Sbuffatestrombazzatecrepitatesuonate lafanfarasuonate il tamburo! Quanta gente
povero il mio Gwynplaine!».
Si interruppe:
«Gwynplaineaiutami. Abbassiamo il pannello».
Intanto spiegò il fazzoletto.
«Ma prima lasciami muggire nei miei stracci».
E si soffiò energicamente il nasocome deve fare sempre un engastrimita.Rimesso in tasca il fazzolettotolse le
chiavette dal meccanismo di puleggeche diede il suo solito stridio. Ilpannello si abbassò.
«Gwynplaineè inutile scostare la tenda. Teniamola finché inizia larappresentazione. Non staremmo più tranquilli. E
voivenite tutte e due sul proscenio. Musicasignorine! Pum! Pum! Pum! Lacompagnia è ben assortita. È la feccia del
popolo. Che plebagliaDio mio!».
Le due vagabondeobbedienti come brutisi misero con gli strumenti al lorosolito posto ai due angoli del pannello
abbassato.
Allora Ursus fu straordinario. Non era più un uomoma una folla. Costrettoa fare il pieno con il vuotochiamò in aiuto
un prodigioso talento da ventriloquo. Tutta l'orchestra di voci umane ebestiali che aveva dentro di sé si mise in azione
contemporaneamente. Divenne una legione. Chi avesse chiuso gli occhiavrebbecreduto di trovarsi in una piazza
pubblica durante un giorno di festa o di sommossa. Il turbinio di frasispezzate e di clamori che usciva da Ursus cantava
schiamazzavachiacchieravatossivasputavastarnutivaannusava tabaccodialogavafaceva domande e rispostee
tutto insieme. Le sillabe appena abbozzate rientravano le une sulle altre. Inquel cortile dove non c'era nullasi udivano
donneuominibambini. Era la viva confusione del baccano. In mezzo a quelfracasso serpeggiavano come in un fumo
delle strane cacofonieil chiocciare di uccelliuno sbuffare di gattivagiti di bambini che ciucciano. Si distingueva la
raucedine degli ubriachi. Da sotto i piedi della gente veniva il brontolioscontento dei cani. Arrivavano voci da vicino e
da lontanodall'alto e dal bassodalle prime file come dalle ultime.L'insieme era un rumoreil dettaglio era un grido.
Ursus dava pugnipedatelanciava la voce fino in fondo al cortilepoi lafaceva tornare da sotto terra. Una tempesta
familiare. Passava dal mormorio al rumoredal rumore al tumultodal tumultoall'uragano. Era se stesso e tutti.
Soliloquio poliglotta. Come ci sono false prospettive per la vistacosì cene sono per l'udito. Ciò che Proteo faceva per
lo sguardoUrsus lo faceva per l'orecchio. Nulla di più stupefacente diquella contraffazione di una moltitudine. Ogni
tanto scostava la portiera del gineceo e guardava Dea. Dea ascoltava.
Da parte sua il boynel cortileimperversava.
Vinos e Fibi si spolmonavano coscienziosamente nelle trombe e si dimenavanosui tamburi. Padron Niclessunico
spettatoresi spiegava tranquillamente tutto ciòcome le due donne delrestocon la follia di Ursusgrigiastro
particolare della sua malinconia. Il buon oste borbottava: Che disordine! Edera seriocome a chi venga in mente che vi
sono pur delle leggi.
Govicumpreso dall'idea di contribuire al disordinesi agitava quasi quantoUrsus. Si divertiva. Non solosi
guadagnava i soldi ricevuti.
Homo era pensieroso.
Alla confusione Ursus mescolava anche le parole.
«Gwynplaineci sono i soliti provocatori. I nostri concorrenti cercano dirovinare i nostri successi. Gli schiamazzi sono
il condimento del trionfo. E poi la gente è troppo numerosa. Non stannocomodi. I gomiti del vicino non favoriscono la
benevolenza. Purché non rompano le panche! Saremo in balia di una massa disconsiderati. Ah! Se ci fosse il nostro
amico Tom-Jim-Jack! Ma non viene più. Guarda tutte quelle testeunasull'altra. Quelli in piedi non hanno l'aria
contentabenché stare in piedisecondo Galenosia un movimento che quelgrand'uomo chiama «movimento tonico».
Abbrevieremo lo spettacolo. Sulla locandina c'è solo La sconfitta del caosnon reciteremo Ursus rursus. Tanto di
guadagnato. Che chiasso. O cieca turbolenza delle masse! Provocherannoqualche danno! Non si può andare avanti così.
Non potremmo recitare. Non si capirebbe una parola della commedia. Vado afargli una predica. Gwynplainescosta un
po' la tenda. Cittadini...». A questo punto Ursus gridòrivolto a sestessocon voce febbrile e acuta:
«Abbasso il vecchio!».
Poi riprese con la sua voce:
«Mi pare che il popolo mi stia insultando. Cicerone ha ragione: plebsfex urbis. Non importaammoniamo il mob. Farò
fatica a farmi sentire. Tuttavia parlerò. Uomofa' il tuo dovere.Gwynplaineguarda un po' quella megera che ringhia
laggiù».
Ursus si fermò e fece un ringhio. Homoprovocatone aggiunse un secondoeGovicum un terzo.
Ursus continuò:«Le donne sono peggio degli uomini. Non è il momentogiusto. Non importavediamo che potere ha un discorso.
L'eloquenza va sempre bene. AscoltaGwynplainequesto esordio insinuante. -Cittadine e cittadinisono iol'orso. Mi
tolgo la testa per parlarvi. Chiedo umilmente silenzio».
Ursus prestò alla folla questo grido:
«Grumphll!».
E proseguì:
«Io venero il mio pubblico. Grumphll è un epifonema come un altro. Salvepopolo brulicante. Non metto minimamente
in dubbio che facciate tutti parte della canaglia. Ma ciò non toglie nullaalla mia stima. Una stima giustificata. Io provo
il più profondo rispetto per i signori sacripanti che mi onorano della loropresenza. Ci sono tra voi esseri deformila
cosa non mi offende. I signori zoppi e i signori gobbi rientrano nellanatura. Il cammello è gobbo; il bisonte ha il dorso
gonfio; il tasso è più corto di gambe a sinistra che a destra; il fatto èregistrato da Aristotele nel suo trattato sulla
deambulazione degli animali. Quelli tra voi che hanno due camiciene portanouna sul dorsoe l'altra la tengono
dall'usuraio. So che è normale. Albuquerque impegnava i baffie San Dionigil'aureola. Gli ebrei prestavano anche
sull'aureola. Grandi esempi. Avere debiti significa pur sempre averequalcosa. Riverisco in voi gli straccioni».
Ursus interruppe se stesso con voce da basso profondo:
«Tre volte asino».
E si rispose con il suo tono più educato:
«D'accordo. Sono un sapiente. Me ne scuso come posso. Provo un disprezzoscientifico per la scienza. Ci si nutre con
l'ignoranza; la scienza è invece una realtà con cui si digiuna. In generalesi è obbligati a scegliere: essere sapienti e
dimagrire; brucare ed essere un asino. Cittadinibrucate! La scienza nonvale un buon boccone. Preferisco mangiare del
lombo piuttosto di sapere che si chiama muscolo psoas. Ho un solo merito. Ilciglio asciutto. Così come mi vedetenon
ho mai pianto. Bisogna anche dire che non sono mai stato contento. Mai.Neppure di me. Io mi disprezzo. Ma
sottopongo ai qui presenti membri dell'opposizione questo fatto: se Ursus nonè che un sapienteGwynplaine è un
artista».
Sbuffò nuovamente:
«Grumphll!».
Poi riprese:
«Ancora Gru mphll! Ma questa è un'obiezione. Ciò nondimeno passo oltre. EGwynplainesignori e signoreha vicino a
sé un altro artistasi tratta di quel personaggio distinto e villoso che ciaccompagnasua signoria Homoantico cane
selvaggiooggi lupo civilizzato e suddito fedele di sua maestà. Homo è unmimo dal talento duttile e superiore. State
attenti e raccolti. Tra poco vedrete recitare Homo e Gwynplainebisognaonorare l'arte. Ciò distingue le grandi nazioni.
Siete uomini dei boschi? Bene. In questo casosylvae sint consule dignae.Due artisti valgono pur un console. Ecco. Mi
hanno gettato un torsolo di cavolo. Ma non sono stato toccato. Questo non miimpedirà di parlare. Al contrario. Il
pericolo schivato è chiacchierone. Garrula periculadice Giovenale.Popolotra voi ci sono degli ubriaconie anche
delle ubriacone. Molto bene. Gli uomini puzzanole donne sono laide. Avetele migliori ragioni del mondo per
ammassarvi quisu questi banchi d'osteriala disoccupazionela pigriziauna pausa tra due furtiil porterl'alelo stout
il maltoil brandyil gine l'attrazione di un sesso verso l'altro.Splendido. Uno spirito portato per lo scherzo troverebbe
qui un buon materiale. Ma io me ne astengo. Passi per la lussuria. Tuttaviaè necessario che l'orgia si dia un contegno.
Voi siete allegrima rumorosi. Siete abili nell'imitare i versi deglianimali; ma che direste sementre parlate d'amore
con una lady in una bettolaio passassi il mio tempo ad abbaiarvi lìvicino? Vi darebbe fastidio. Ebbeneci date fastidio.
Vi autorizzo a tacere. L'arte è rispettabile come il vizio. Vi dico paroleoneste».
Quindi si apostrofò:
«Che la febbre ti strozzi con le tue sopracciglia di spighe di segala!».
E replicò:
«Onorevoli signorilasciamo tranquille le spighe di segala. È una veraempietà fare violenza ai vegetali per trovar loro
qualche somiglianza con gli uomini o con gli animali. Per non dire che lafebbre non strangola. Una metafora sbagliata.
Di graziafate silenzio! Permettete che ve lo si dicavi manca un po' diquella superiorità che caratterizza il vero
gentiluomo inglese. Constato che quelli tra voi con le scarpe che lascianopassare gli allucine approfittano per mettere i
piedi sulle spalle degli spettatori che hanno davantiuna circostanza cheespone le signore a costatare come le suole si
rompano sempre là dove c'è la punta dell'osso metatarsico. Fate vedere unpo' meno i vostri piedi e un po' di più le
vostre mani. Vedo da qui dei furfanti che affondano le loro sgrinfieingegnose nelle tasche degli imbecilli che hanno
accanto. Cari pickpocketsun po' di pudore! Prendete a pugni il prossimosevoletema non svaligiatelo. Infastidirete
meno la gente ammaccandogli un occhioche fregandogli un soldo. Danneggiatepure il naso. I borghesi tengono più al
proprio denaro che alla propria bellezza. Per il resto vogliate gradire lemie espressioni di simpatia. Non sono tanto
pedante da biasimare i borsaioli. Il male esiste. Ciascuno lo sopporta eciascuno lo fa. Nessuno è esente dal vermicaio
dei propri peccati. E non parlo che di quello. Non abbiamo tutti i nostripruriti? Dio si gratta dove sente il diavolo.
Anch'io ho dei peccati. Plaudite cives».
Ursus si esibì in un lungo groan che sovrastò con queste parolefinali:
«Mylords e signorivedo che il mio discorso ha avuto la fortuna di nonpiacervi. Per il momento mi congedo dai vostri
schiamazzi. Adesso mi rimetto la testalo spettacolo sta per iniziare».
Abbandonò il tono oratorio per quello familiare.«Richiudi il telone.Prendiamo respiro. Sono stato mellifluo. Ho parlato bene. Li ho chiamati mylordse signori.
Linguaggio vellutatoma inutile. Che ne dici di tutta questa canagliaGwynplaine? Come è facile rendersi conto dei
mali che l'Inghilterra ha dovuto sopportare in quarant'anni a causa delfurore di quegli spiriti pungenti e maliziosi! Gli
antichi inglesi erano bellicosiquesti sono melanconici e esaltatie sivantano di disprezzare le leggi e di misconoscere
l'autorità reale. Ho fatto tutto quello che può fare l'eloquenza umana.Sono stato prodigo con loro di metonimie graziose
come le guance in fiore di un adolescente. Si sono addolciti? Ne dubito. Cosaci si può aspettare da un popolo che
mangia in modo così straordinarioe che si rimpinza di tabaccoal puntoche gli scrittori stessi in questo paese
compongono le loro opere con la pipa in bocca! Non importafacciamo lanostra recita».
Si sentirono gli anelli del tendone scivolare sull'asta di ferro. Iltambureggiamento delle zingare cessò. Ursus staccò dal
muro la ghirondaeseguì il preludiodisse a mezza voce: VeroGwynplaineche mistero! Poi si urtò con il lupo.
Intantoinsieme alla ghirondaegli aveva tolto dal chiodo una parruccamolto ispidae l'aveva gettata in un angolo del
pavimento a portata di mano.
La rappresentazione de La sconfitta del caos ebbe luogo quasi come alsolitomeno gli effetti di luce azzurra e quelli
d'illuminazione. Il lupo recitava in perfetta buona fede. Al momento giustoDea fece la sua apparizionee con la sua
voce tremante e divina evocò Gwynplaine. Allungò il bracciocercandoquella testa...
Ursus si lanciò sulla parruccal'arruffòse la mise in testae spinseadagiotrattenendo il respirola sua testa resa così
ricciuta sotto la mano di Dea.
Poifacendo appello a tutta la sua arte e imitando la voce di Gwynplainecantò con indicibile amore la risposta del
mostro al richiamo dello spirito.
L'imitazione fu così perfetta cheanche questa voltale due zingarecercarono con gli occhi Gwynplainestupite di
sentirlo senza vederlo.
Govicummeravigliatobatté i piediapplaudìbatté le manifece unfracasso olimpicoe rise da solo come se fosse un
intero gruppo di dei. Il boydiciamolomostrò un raro talento dispettatore.
Fibi e Vinosautomi di cui Ursus spingeva le mollefecero il solito baccanocon i loro strumentiottone e pelle d'asino
mescolatibaccano che segnò la fine della rappresentazioneaccompagnandola partenza del pubblico.
Ursus si rialzò sudato.
Disse sottovoce a Homo: «Tu capisci che si trattava di guadagnare tempo.Credo che ci siamo riusciti. Non me la sono
cavata maleanche se avevo tutto il diritto di sentirmi smarrito. Gwynplainepuò ancora tornare da qui a domani. Era
inutile uccidere subito Dea. Adesso ti spiego».
Si tolse la parrucca e si asciugò la fronte.
«Sono un ventriloquo di genio»mormorò. «Che talento ho avuto! Houguagliato Brabantel'engastrimita del re di
FranciaFrancesco I. Dea è convinta che Gwynplaine sia qui».
«Ursus»disse Dea«dov'è Gwynplaine?».
Ursus si voltò con un soprassalto.
Dea era rimasta in fondo al teatroin piedi sotto la lanterna che pendevadal soffitto. Era pallidad'un pallore d'ombra.
Con un sorriso ineffabile e disperato soggiunse.
«Lo so. Ci ha lasciati. È partito. Sapevo che aveva le ali».
Poialzando verso l'infinito i suoi occhi bianchiaggiunse:
«Quando tocca a me?».
III • COMPLICAZIONI
Ursus rimase interdetto.
Non si era fatto illusioni.
Aveva sbagliato come ventriloquo? No di certo. Era riuscito a ingannare Fibie Vinosche avevano gli occhima non
Deache era cieca. Il fatto è che Fibi e Vinos avevano solo le pupilletrasparentimentre Dea vedeva con il cuore.
Non seppe rispondere. E tra sé e sé pensò: Bos in lingua. L'uomointerdetto ha un bue sulla lingua.
In certe emozioni complessel'umiliazione è il primo sentimento che appare.Ursus pensò:
«Ho sprecato le mie onomatopee».
E come ogni sognatore spinto ai piedi del muro dell'espedienteprese aingiuriarsi:
«Bello scivolone. Ho sfruttato per niente l'arte dell'imitazione. Che saràdi noiora?».
Guardò Dea. Essa tacevaimpallidendo sempre di piùsenza fare un sologesto. Il suo sguardo rimase perdutofisso
nelle profondità.
Capitò a proposito un incidente.
Ursus vide padron Nicless in cortilecon una candela in manoche gli facevasegno.
Padron Nicless non aveva assistito alla conclusione di quella specie dicommedia fantasma recitata da Ursus. Ciò
dipendeva dal fatto che avevano bussato alla porta dell'inn. Padron Niclessera andato ad aprire. Avevano bussato due
voltee padron Nicless per due volte si era eclissato. Ursusassorto nelsuo monologo a cento vocinon se n'era accorto.
Al richiamo silenzioso di padron NiclessUrsus scese.
Si avvicinò all'oste.
Ursus mise un dito sulla bocca. Padron Nicless mise a sua volta un dito sullabocca.
Tutti e due rimasero a guardarsi.Ciascuno sembrava dire all'altro: parliamopurema taciamo.
L'oste aprì in silenzio la porta della sala bassa dell'inn.
Padron Nicless entròpoi entrò Ursus. Non c'erano che loro due. Porta eimposte della facciata che dava sulla strada
erano chiuse.
L'oste spinse dietro di sé la porta che dava sul cortileche si chiuse sulnaso del curioso Govicum.
Padron Nicless appoggiò la candela su un tavolo.
Iniziarono a parlare. Sottovocecome sussurrando.
«Padron Ursus...».
«Padron Nicless?».
«Credo di aver capito».
«Bah!».
«Avete voluto far credere alla povera cieca che tutto andava come alsolito».
«Nessuna legge proibisce di essere ventriloqui».
«Voi avete del talento».
«No».
«È prodigioso fino a che punto arrivate a fare quello che volete».
«Vi dico di no».
«Ora vi devo parlare».
«Si tratta di politica?».
«Non so niente di politica».
«Perché in quel caso non vi ascolterei».
«Ecco. Mentre voi facevate da solo sia gli attori che il pubblicohannobussato alla porta dell'osteria».
«Hanno bussato?».
«Sì».
«Non mi piace».
«Neanche a me».
«E poi?».
«E poi ho aperto».
«Chi bussava?».
«Uno che mi ha parlato».
«Cos'ha detto?».
«Io sono stato a sentire».
«Cosa gli avete risposto?».
«Niente. Sono tornato a vedervi recitare».
«E poi?».
«Poi hanno bussato una seconda volta».
«Chi? Lo stesso?».
«No. Un altro».
«Anche questo vi ha parlato?».
«Nonon mi ha detto niente».
«Meglio così».
«Non sono della stessa idea».
«Spiegatevipadron Nicless».
«Indovinate chi mi ha parlato la prima volta».
«Non ho tempo per essere Edipo».
«Era il padrone del circo».
«Quello qui accanto?».
«Sì».
«Dove c'è tutta quella musica scatenata?».
«Sìscatenata».
«Benepadron Ursusvuole farvi delle offerte».
«Delle offerte?».
«Delle offerte».
«Perché?».
«Perché sì».
«Voipadron Niclessavete su di me il vantaggio di aver capito il mioenigma di poco famentre iooranon
comprendo il vostro».
«Il padrone del circo mi ha incaricato di dirvi che questa mattina avevavisto passare il codazzo di poliziae che luiil
padrone del circovolendo mostrarvi che vi è amicovi offre di comprarviper cinquanta sterline in contantila vostra
berlinala Green-Boxi due cavallile trombe con le donne che le suonanola commedia con la cieca che cantail lupo
e anche voi».
Ursus sorrise in modo altezzoso.«Padrone dell'inn Tadcasterdirete alpadrone del circo che Gwynplaine tornerà».
L'oste prese da una sedia una cosa che stava avvolta nell'oscurità e sivoltò verso Ursuscon le braccia alzatelasciando
penzolare da una mano un mantelloe dall'altra una schiavina di cuoiouncappello di feltro e un capingot.
Padron Nicless disse:
«L'uomo che ha bussato la seconda volta era uno della poliziaè entrato eduscito senza dire una parolae ha portato
questo».
Ursus riconobbe la schiavinail capingotil cappello e il mantello diGwynplaine.
IV • «MOENIBUS SURDIS CAMPANA MUTA»
Ursus palpò il feltro del cappellola stoffa del mantellola lana delcapingotil cuoio della schiavinae non poté
dubitare dell'identità di quegli abiti smessi; con un gesto breve eimperiososenza dire una parolaindicò a padron
Nicless la porta dell'inn.
Padron Nicless aprì.
Ursus si precipitò fuori dalla taverna.
Padron Nicless lo seguì con lo sguardo e vide Ursus correreper quanto erapossibile alle sue vecchie gambenella
direzione che al mattino aveva preso il wapentake portandosi via Gwynplaine.Un quarto d'ora dopoUrsus arrivava
trafelato nella stradina dove c'era lo sportello sul retro della prigione diSouthwartke dove aveva già trascorso tante ore
in osservazione.
La stradicciola non aveva certo bisogno che fosse mezzanotte per esseredeserta. Mase di giorno era tristedi notte era
inquietante. Passata una certa oranessuno si sarebbe azzardato a mettervipiede. C'era come la paura che i due muri si
avvicinassero e il timorese al carcere e al cimitero fosse venuta voglia diabbracciarsidi rimanere schiacciati da
quell'abbraccio. Conseguenze della notte. I salici mutilati della viuzzaVauverta Parigigodevano della stessa cattiva
reputazione. Si diceva che quei moncherini d'alberidi nottesi mutasseroin grandi mani che afferravano i passanti.
Istintivamente la gente di Southwark evitavacome abbiamo dettoquellastrada che correva tra la prigione e il cimitero.
Un temp o essa era sbarratala notteda una catena di ferro. Una cosainutileperché la catena migliore per chiudere
quella strada era la paura che incuteva.
Ursus la imboccò risolutamente.
Cosa aveva in mente? Niente.
Egli andava in quella strada per avere informazioni. Avrebbe bussato allaporta del carcere? No di certo. Mai gli sarebbe
passata per la testa un'idea così inutile e spaventosa. Cercare d'introdursilà dentro per chiedere informazioni? Che
follia! Le prigioni non si aprono né per chi vuole uscirené per chi vuoleentrare. I loro cardini girano solo sulla legge.
Ursus lo sapeva. Cosa ci andava a fare dunque in quella strada? Ci andava pervedere. Vedere cosa? Niente. Non si sa.
Il possibile. Trovarsi davanti alla porta dove Gwynplaine era scomparsoeragià qualcosa. Capita che il muro più nero e
refrattario si metta a parlaree dalle pietre esca un chiarore. A volte daun cumulo cupo e compatto trasuda una vaga
luce. Esaminare l'involucro di un fatto può essere utile per comprenderlo.Tutti abbiamo questo istinto di lasciare tra noi
e il fatto che ci interessa solo il minimo spessore possibile. Per questoUrsus era tornato nella stradina dove c'era
l'entrata secondaria del carcere.
Nel momento in cui imboccò la stradinaegli udì il rintocco di unacampanapoi ne udì un altro.
«Toh»pensò«è già mezzanotte?».
Automaticamente si mise a contare:
«Trequattrocinque».
Pensò:
«Come sono distanziati i rintocchi di questa campana! Che lentezza! - Sei.Sette».
E fece questa osservazione:
«Che suono lamentoso! - Ottonove. - Ah! Niente di più semplice. Unorologio s'intristisce a stare in una prigione. -
Dieci. - E poilà c'è il cimitero. Questa campana batte l'ora per i vivie l'eternità per i morti. - Undici. - Ahimè! Battere
l'ora per chi non è libero è lo stesso che battere l'eternità! Dodici».
Si fermò.
«Sìè mezzanotte».
La campana suonò un tredicesimo colpo.
Ursus trasalì.
«Tredici!».
Ci fu un quattordicesimo rintocco. Poi un quindicesimo.
«Cosa significa?».
I rintocchi continuarono a lunghi intervalli. Ursus ascoltava.
«Non è la campana di un orologio. È la campana Muta. Per questo dicevo:Come batte a lungo mezzanotte! Questa
campana non batte l'orasuona soltanto. Che succede di sinistro?».
Un tempo tutte le prigionicome tutti i monasteriavevano una campana detta«muta»riservata per le circostanze tristi.
La muta era una campana che rintoccava con un suono molto basso e chesembrava facesse il possibile per non essere
udita.Ursus aveva riguadagnato l'angolino comodo per stare di guardiadacuiper una gran parte della giornataaveva potuto
spiare la prigione.
I rintocchi si succedevanoa lugubre distanza uno dall'altro.
Una campana a morto fa una brutta punteggiatura nello spazio. Essa segnanelle preoccupazioni di tutti dei funebri
capoversi. Una campana che suona a morto sembra il rantolo di un uomo.Annuncio d'agonia. Se qua e là nelle case
attorno a quella campana in movimento ci sono sogni sparsi e in attesaquelrintocco funebre li taglia in rigidi tronconi.
Il vago fantasticare è come un rifugio; c'è qualcosa diffuso nell'angosciache permette alla speranza di farsi largo; il
rintocco funebredesolantepuntualizza. Esso sopprime quella diffusioneenel torbido in cui l'inquietudine cerca di
restare sospesaprovoca dei precipitati. Il rintocco funebre parla aciascuno nel senso del suo dolore o della sua paura.
Una campana tragicae ciò vi riguarda. Avvertimento. Nulla di più cupo delmonologo su cui cade quella cadenza.
L'identico ritornare indica un'intenzione. Cosa vuole forgiare la campanaquesto martello sull'incudine del pensiero?
Ursusconfusamentecontavabenché ciò non avesse alcun sensoirintocchi funebri. Sentendosi scivolareegli si
sforzava di non abbozzare ipotesi. Le ipotesi sono un piano inclinato che cispinge inutilmente troppo lontano. E
tuttaviache significava quella campana?
Guardava nell'oscurità in direzione della porta della prigione.
Improvvisamentein quel punto stesso che faceva come una specie di buconeroapparve qualcosa di rosso. Il rossore si
fece più grande e divenne una luce.
Nulla di vago in quel rossore. Prese subito forma e angoli. La porta dellaprigione aveva girato sui cardini. Il rossore ne
disegnava la cèntina e gli stipiti.
La porta era più socchiusa che aperta. Una prigione non si apresbadiglia.Forse di noia.
Lo sportello lasciò passare un uomo con una torcia in mano.
La campana non smetteva. Ursus si sentì preso da due forme di attesa; simise in guardial'orecchio ai rintocchi funebri
l'occhio alla torcia.
Dopo quell'uomo la portache era solo socchiusasi spalancò del tuttolasciando uscire altri due uominie poi un
quarto. Il quarto era il wapentakeben visibile alla luce della torcia. Egliteneva in pugno il suo bastone di ferro.
Al seguito del wapentake sfilaronospuntando da sotto lo sportellouominisilenziosidue a duein ordinecon la
rigidità di una fila di pali che camminassero.
Il corteo notturno superava la porticina a coppiecome i penitenti in unaprocessionesenza soluzione di continuitàcon
la lugubre preoccupazione di non fare rumoregravementequasi con dolcezza.La stessa precauzione di un serpente
che esce dalla sua tana.
La torcia metteva in risalto i profili e i gesti. Profili ferocigestitetri.
Ursus riconobbe tutti i volti degli uomini della polizia cheal mattinoavevano portato via Gwynplaine.
Nessun dubbio. Erano gli stessi. Riapparivano.
Evidentemente anche Gwynplaine sarebbe riapparso.
Lo avevano condotto là; lo stavano riportando.
Era chiaro. Le pupille di Ursus diventarono ancora più fisse. Avrebberorimesso Gwynplaine in libertà?
La doppia fila di poliziotti scorreva sotto quella volta bassa moltolentamentequasi goccia a goccia. Sembrava che la
campanamai fermasegnasse loro il passo. Una volta che il corteo fu uscitodalla prigionemostrando le spalle a Ursus
voltò a destranel tratto di strada opposto a quello dove egli eraappostato.
Sotto lo sportello brillò una seconda torcia.
Era il segno della fine del corteo.
Ursus stava per vedere ciò che portavano via. Il prigioniero. L'uomo.
Ursus stava per vedere Gwynplaine.
Ciò che portavano con sé apparve.
Era una bara.
Quattro uomini portavano una bara coperta da un drappo nero.
Dietro loro veniva un uomo con un badile sulla spalla.
Chiudeva il corteo una terza torcia accesatenuta da un personaggio cheleggeva in un libroe che doveva essere il
cappellano.
La bara si allineò al corteo di polizia che aveva voltato a destra.
In quello stesso momento la testa del corteo si fermò.
Ursus udì stridere una chiave.
Di fronte alla prigionenel muro basso che costeggiava l'altro lato dellastradaapparve una seconda porta illuminata da
una torcia.
La portasu cui era visibile un teschioera quella del cimitero.
Il wapentake s'introdusse in quell'apertura seguito dagli altri uominiallaprima torcia seguì la seconda; il corteo vi
scomparverimpicciolendo come un rettile che s'intanatutta la fila deipoliziotti penetrò nell'oscurità che stava al di là
della portapoi la barapoi l'uomo con il badilepoi il cappellano con latorcia e il libroinfine la porta si richiuse.
Non rimase altro che un vago chiarore sopra un muro.
Si udì un bisbigliopoi dei colpi sordi.
Si trattava certo del cappellano e del becchinoche gettavano sulla barauno versetti di preghieral'a ltro palate di terra.
Il bisbiglio cessòcessarono i colpi sordi.Qualcosa si mossele torcebrillaronosotto la porta nuovamente aperta del cimitero ripassò il wapentaketenendo alto
il weapone ritornò il cappellano con il suo libroil becchino con ilbadileriapparve il corteosenza la barala doppia
fila d'uomini rifece lo stesso tragitto tra le due porte nello stessosilenziola porta del cimitero si richiusela porta della
prigione si riaprìil chiarore stagliò la volta sepolcrale dellosportellosi distinse vagamente il buio corridoiosi offrì
allo sguardo la fitta e profonda notte del carceree l'intera apparizionerientrò nell'ombra. Il rintocco funebre si spense.
Su tutto si chiuse il silenziosinistra serratura delle tenebre.
Non rimase altro dell'apparizione.
Un passaggio di spettri che si dissolve.
Gli accostamenti che coincidono logicamente finiscono per costruire qualchecosa che assomiglia all'evidenza. A
Gwynplaine arrestatoalla forma silenziosa del suo arrestoai suoi abitiriportati dal poliziottoai rintocchi funebri della
prigione dove era stato condottoveniva ad aggiungersidiciamo meglioacoinciderequella tragica cosaquella bara
sepolta.
«È morto!»esclamò Ursus.
Cadde a sedere su un cippo.
«Morto! L'hanno ucciso! Gwynplaine! Il mio bambino! Mio figlio!».
E scoppiò in singhiozzi.
V • LA RAGIONE DI STATO LAVORA IN PICCOLO COME IN GRANDE
Ursus si vantavaahimèdi non aver mai pianto. Il sacchetto lacrimale erapieno. Una tale scortadovegoccia a goccia
dolore dopo doloresi è accumulata tutta una lunga esistenzanon si vuotain un istante. Ursus singhiozzò a lungo.
La prima lacrima è una puntura. Pianse su Gwynplainesu Deasu luiUrsussu Homo. Pianse come un bambino.
Pianse come un vecchio. Pianse per tutto ciò di cui aveva riso. Pagò gliarretrati. Il diritto di un uomo alle lacrime non
cade in prescrizione.
D'altra parteil morto che avevano appena sotterrato era Hardquanonne; maUrsus non era costretto a saperlo.
Passarono molte ore.
Cominciò a spuntare il giorno; la pallida tovaglia del mattinovagamentepieghettata d'ombrasi stese sul bowling-green.
L'alba sbiancò la facciata dell'inn Tadcaster. Padron Nicless non era andatoa letto; capita che lo stesso
avvenimento generi diverse insonnie.
Le catastrofi irradiano in tutte le direzioni. Gettate una pietra in acquaecontate gli schizzi.
Padron Nicless si sentiva colpito. È molto sgradevole correre pericoli incasa propria. Padron Niclessnon molto
rassicurato e sospettando delle complicazionirifletteva. Si rammaricava diaver accolto in casa «quella gente». - Se lo
avesse immaginato! - Avrebbero finito con il procurargli qualche guaio. Eoracome fare a mandarli via? - Aveva un
contratto d'affitto con Ursus. - Che fortuna sbarazzarsene! - A cosaappigliarsi per cacciarli?
Improvvisamente bussarono con impeto alla porta dell'inncosa che inInghilterra annuncia l'arrivo di «qualcuno». La
gamma dei colpi infatti corrisponde alla scala gerarchica.
Non erano certo i colpi di un lordbensì quelli di un magistrato.
L'ostetremandosocchiuse il finestrino.
C'era proprio un magistrato. Padron Nicless scorse sulla portaalla lucedell'albaun drappello di polizia in testa al quale
spiccavano due uominidi cui uno era il giustiziere -quorum.
Padron Niclessche il mattino prima aveva visto il giustiziere -quorumloriconobbe.
Non conosceva l'altro uomo.
Era un gentleman grassodal volto cereoin parrucca da società e mantelloda viaggio.
Padron Nicless aveva una gran paura del primo di quei personaggiilgiustiziere-quorum. Se padron Nicless avesse
frequentato la corteavrebbe avuto ancora più paura del secondopoiché sitrattava di Barkilphedro.
Uno degli uomini del drappello picchiò una seconda volta alla portaviolentemente.
L'osteche aveva la fronte tutta sudata per la pauraaprì.
Il giustiziere-quorumcon il tono di chi fa parte della polizia e conosce ivagabondialzò la voce e domandò
severamente:
«Padron Ursus?».
L'ostecon il berretto in manorispose:
«Vostro onoresta qui».
«Lo so»disse il giustiziere.
«Certovostro onore».
«Fatelo venire».
«Non c'èvostro onore».
«Dov'è?».
«Non lo so».
«Come mai?».
«Non è rientrato».
«È dunque uscito presto?».
«No. È uscito molto tardi».«Questi vagabondi!»riprese il giustiziere.
«Vostro onore»disse piano padron Nicless«eccolo».
In effetti Ursus faceva la sua comparsa alla svolta del muro. Arrivava inquel momento all'inn. Egli aveva trascorso
quasi tutta la notte tra il carceredovea mezzogiornoaveva visto entrareGwynplainee il cimiterodovea
mezzanotteaveva sentito riempire una fossa. Aveva il pallore dellatristezza e quello del crepuscolo.
L'albache è luce allo stato di larvalascia le formeanche quelle che simuovonoimmerse nella diffusione della notte.
Ursuspallido e attonitocamminava lentamentecome il personaggio di unsogno.
Nella totale distrazione dell'angoscia egli se n'era andato dall'inn a testanuda. Non si era neppure accorto di non avere il
cappello. I pochi capelli grigi al vento. Gli occhi erano aperti ma sembravache non vedessero. Capita di dormire
quando si è sveglie di essere svegli mentre si dorme. Ursus aveval'aspetto di un pazzo.
«Padron Ursus»gridò l'oste«venite. Le signorie loro desideranoparlarvi».
Padron Niclessil cui unico intento era di ammansire la situazionesilasciò sfuggire quel «signorie loro»
rammaricandosene al tempo stessoperché il pluralerispettoso per ilgruppoavrebbe forse potuto offendere il capo
confuso in quel modo con i suoi subordinati.
Ursus sussultò come un uomo caduto dal letto dove dormiva profondamente.
«Che c'è?»disse.
E si accorse della poliziae del magistrato che la guidava.
Fu una nuova e dura scossa.
Prima il wapentakeora il giustiziere-quorum. Sembrava che uno lo gettasseall'altro. Questo ricorda antichi racconti di
scogli.
Il giustiziere-quorum gli fece segno d'entrare nella taverna.
Ursus obbedì.
Govicumche si era appena alzato e scopava la salasi ficcò in un angolodietro i tavoliripose la scopa e trattenne il
respiro. Si mise le mani nei capelli e si grattò distrattamentesegno cheseguiva con attenzione gli avvenimenti.
Il giustiziere -quorum si sedette su una pancadavanti a un tavolo;Barkilphedro prese una sedia. Ursus e padron Nicless
restarono in piedi. Quelli della polizialasciati fuorisi ammassaronodavanti alla porta chiusa.
Il giustiziere-quorum fissò il suo sguardo legale su Ursuspoi disse:
«Voi avete un lupo».
Ursus rispose:
«Non del tutto».
«Voi avete un lupo»riprese il giustizieresottolineando la parola«lupo» con un tono che non ammetteva repliche.
Ursus rispose:
«Il fatto è che...».
Quindi tacque.
«Delitto»replicò il giustiziere.
Ursus tentò questa difesa:
«È il mio servo».
Il giustiziere posò la mano sulla tavola con le dita ben apertein un belgesto d'autorità.
«Buffonedomani a quest'ora voi e il vostro lupo avrete lasciatol'Inghilterra. Altrimenti il lupo sarà catturatoportato
alla cancelleriae ucciso».
«Un altro assassinio»pensò Ursus. Ma non disse una parolaaccontentandosi di tremare in tutto il corpo.
«Avete capito?»proseguì il giustiziere.
Ursus annuì con un cenno del capo.
Il giustiziere insistette.
«Ucciso».
Ci fu una pausa di silenzio.
«Strangolatoo annegato».
Il giustiziere-quorum guardò Ursus.
«E voi in prigione».
Ursus mormorò:
«Signor giudice...».
«Partite prima di domani mattina. Altrimentiquesti sono gli ordini».
«Signor giudice...».
«Cosa?».
«Dobbiamo lasciare l'Inghilterralui e io!».
«Sì».
«Oggi?».
«Oggi».
«Come faremo?».
Padron Nicless era felice. Quel magistrato di cui aveva avuto pauravenivain suo aiuto. La polizia diventava sua amica
amica di Nicless. Essa lo liberava da «quella gente». Gli portava il mezzoche aveva cercato. Quell'Ursus che egli
voleva congedarela polizia lo cacciava. Forza maggiore. Niente daobiettare. In estasiegli intervenne:«Vostro onorequest'uomo...».
Indicava Ursus con il dito.
«... Quest'uomo chiede come fare per lasciare l'Inghilterra oggi? Niente dipiù semplice. Ogni giorno e ogni notte ci
sono battelli in partenzaormeggiati sul Tamigida una parte e dall'altradel ponte di Londra. Dall'Inghilterra si
raggiunge la Danimarcal'Olandala Spagnasi va dovunquetranne che inFranciaa causa della guerra. Questa notte
partiranno diverse naviverso l'una del mattinoche è l'ora della marea.Tra le altre la Vograat di Rotterdam».
Il giustiziere-quorum mosse una spalla in direzione di Ursus:
«Va bene. Partite con la prima nave. Con la Vograat».
«Signor giudice...»disse Ursus.
«Ebbene?».
«Signor giudicesecome altre volteio non avessi che il mio baracchinosu ruotesarebbe possibile. Ci starebbe su una
nave. Ma...».
«Ma cosa?».
«Il fatto è che io ho la Green-Boxche è un carrozzone con due cavallieper quanto sia larga una navenon riuscirà mai
ad entrarvi».
«Cosa m'interessa?»disse il giustiziere. «Il lupo verrà ucciso».
Ursusfrementesi sentì in balìa di una mano di ghiaccio. «Chemostri!»pensò. «Non sanno far altro che uccidere».
L'oste sorrisee si rivolse a Ursus.
«Padron Ursusvi hanno fatto un'offerta».
«Chi?».
«Un'offerta per la vettura. Un'offerta per i due cavalli. Un'offerta per ledue zingare. Un'offerta ...».
«Chi?»ripeté Ursus.
«Il padrone del circo qui accanto».
«È vero».
Ursus ricordò.
Padron Nicless si voltò verso il giustiziere -quorum.
«Vostro onorel'affare può essere concluso oggi stesso. Il proprietariodel circo qui accanto vuole acquistare il
carrozzone e i due cavalli».
«Il proprietario del circo fa bene»disse il giustiziere«perché gliserviranno. Una vettura e dei cavalligli faranno
comodo. Anche lui partirà oggi. I reverendi della parrocchia di Southwark sisono lamentati dell'osceno fracasso del
Tarrinzeaufield. Lo sceriffo ha preso dei provvedimenti. Entro questa seranon ci sarà più una sola baracca di giocolieri
su questa piazza. Fine degli scandali. L'onorevole gentleman che ci onoradella sua presenza...».
Il giustiziere-quorum s'interruppe con un inchino a Barkilphedrochecontraccambiò.
«... L'onorevole gentleman che ci onora della sua presenza è arrivatoquesta notte da Windsor. Egli porta degli ordini.
Sua maestà ha detto: Bisogna fare pulizia».
Ursusdurante le lunghe meditazioni della nottesi era posto delle domande.Dopo tuttoegli aveva visto solo una bara.
Era sicuro che dentro ci fosse Gwynplaine? Potevano esserci a questo mondoaltri morti che non fossero Gwynplaine.
Un feretro che passa non è un morto con un nome. Dopo l'arresto diGwynplaine c'era stata una sepoltura. Ciò non
provava nulla. Post hocnon propter hoc ecc. Ursus aveva ricominciatoa dubitare. La speranza brucia e luccica
sull'angoscia come la nafta sull'acqua. Questa fiamma galleggiante fluttuaeternamente sul dolore umano. Ursus aveva
finito per dirsi: «Può darsi che abbiano sepolto Gwynplainema non ècerto. Chi lo sa? Forse Gwynplaine è ancora
vivo».
Ursus s'inchinò davanti al giustiziere.
«Onorevole giudicepartirò. Noi partiremo. Si partirà. Con la Vograat.Per Rotterdam. Obbedisco. Venderò la Green-Box
i cavallile trombele donne d'Egitto. Ma c'è un mio compagno che nonposso lasciare. Gwynplaine...».
«Gwynplaine è morto»disse una voce.
Ursus sentì la pelle gelarsicome se ci fosse passato sopra un rettile. Erala voce di Barkilphedro.
L'ultimo barlume si spegneva. Più nessun dubbio. Gwynplaine era morto.
Quel tipo doveva saperlo. Era abbastanza sinistro per una cosa simile.
Ursus fece un inchino.
Padron Niclessse si esclude la viltàera un gran buon uomo. Main predaallo spaventodiventava atroce. Il colmo
della ferocia è la paura.
Borbottò: «Semplificazione».
E si fregò le mani alle spalle di Ursuscome fanno gli egoisti volendodire: «Me ne sono liberato!». Così sembra che
abbia fatto Ponzio Pilato sopra la bacinella.
Ursusoppressoteneva la testa bassa. La sentenza di Gwynplaine era stataeseguita: la morte; equanto a luigli era
stata notificata la sua condanna: l'esilio. Non restava che obbedire.Pensava.
Sentì che gli toccavano il gomito. Era l'altrol'accolito delgiustiziere-quorum. Ursus trasalì.
La voce che aveva detto: Gwynplaine è mortogli bis bigliòall'orecchio:
«Ecco dieci sterline che vi manda uno che vi vuole bene».
E Barkilphedro posò una piccola borsa sul tavolo davanti a Ursus.
Si ricorderà il cofanetto che Barkilphedro aveva portato via.Dieci ghinee suduemila era tutto quello che poteva fare Barkilphedro. In coscienzaerasufficiente. Se avesse dato di
piùci avrebbe rimesso. Si era presa la briga di trovare un lordnecominciava lo sfruttamentoera giusto che la prima
rendita gli appartenesse. Chi vedesse in questo una meschinitàsarebbe nelproprio dirittoma avrebbe torto di
meravigliarsi. A Barkilphedro piaceva il denarosoprattutto quello rubato.Nell'invidioso c'è l'avaro. Barkilphedro non
era senza difetti. Commettere dei crimini non impedisce di avere dei vizi.Anche le tigri hanno i pidocchi.
Del restoera la scuola di Bacone.
Barkilphedro si voltò verso il giustiziere -quorum e gli disse:
«Signorevogliate concludere. Ho molta fretta. Mi attende una diligenzaequipaggiata con i cavalli di sua maestà.
Bisogna che ripartaventre a terraper Windsore che ci arrivi prima delledue. Devo rendere conto e prendere ordini».
Il giustiziere-quorum si alzò.
Andò alla portache era chiusa solo con la stanghettal'aprìguardòsenza dire una parolagli uomini della poliziae
dall'indice gli scaturì un lampo d'autorità. Tutto il gruppo entròinquel silenzio che lascia intravedere l'avvicinarsi di
qualcosa d'importante.
Padron Niclesssoddisfatto per quel rapido scioglimento che tagliava cortoad ogni complicazionefelice per essere
fuori da quella matassa ingarbugliatavedendo quello spiegamento diufficiali di poliziatemette che arrestassero Ursus
in casa sua. Due arrestiuno dopo l'altronella sua casaquello diGwynplaine e poi quello di Ursusciò poteva nuocere
alla tavernaai bevitori non piace essere disturbati dalla polizia. Sidoveva intervenire con le forme di una supplica
corretta e generosa. Padron Nicless volse verso il giustiziere -quorum la suafaccia sorridentedove il rispetto temperava
la confidenza:
«Vostro onorefaccio osservare a vostro onore che gli onorevoli signoriufficiali non sono affatto indispensabilidal
momento che il lupo colpevole sta per essere portato fuori dall'Inghilterrae che il detto Ursus non fa resistenzae che
gli ordini di vostro onore sono puntualmente eseguiti. Vostro onore vorràconsiderare che le lodevoli azioni di polizia
così necessarie al bene del regnorecano danno a un'impresae che la miacasa è innocente. Spazzati via i saltimbanchi
della Green-Boxcome dice sua maestà la reginaqui non vedo più nessuncriminalepoiché non penso che la ragazza
cieca e le due zingare siano delinquentiperciò implorerei vostro onore divoler abbreviare la sua augusta visita e di
congedare questi degni signori che sono entratinon avendo nulla da fare incasa miae se vostro onore mi permettesse
di provare la giustezza di ciò che dico sotto la forma di un'umile domandaio metterei in risalto l'inutilità della presenza
di questi venerandi signori chiedendo a vostro onore: Poiché il detto Ursusobbedisce e partechi devono arrestare
qui?».
«Voi»disse il giustiziere.
Non si discute con un colpo di spada che vi passa da parte a parte. PadronNicless si accasciòatterritosu un tavolo
una panca qualsiasi.
Il giustiziere alzò a tal punto la voce chese ci fosse stato qualcunosulla piazzal'avrebbe sentito.
«Padron Nicless Plumptreoste di questa tavernaquesto è l'ultimo puntoda regolare. Il buffone e il lupo sono dei
vagabondi. Essi vengono cacciati. Ma il più colpevole siete voi. È in casavostracon il vostro consensoche la legge è
stata violatae voiuomo munito di patenteinvestito di unaresponsabilità pubblicavoi avete permesso allo scandalo di
istallarsi nella vostra casa. Padron Niclessla licenza vi viene ritiratapagherete un'ammenda e ve ne andrete in
prigione».
I poliziotti circondarono l'oste.
Il giustiziereindicando Govicumproseguì:
«Quel ragazzovostro compliceè in arresto».
La mano di un ufficiale si abbatté sul bavero di Govicumche guardòl'ufficiale con curiosità. Il boynon molto
spaventatocapiva pocoaveva già visto più di un fatto singolaree sichiedeva se non fosse il seguito della commedia.
Il giustiziere-quorum si calcò il cappello in testaincrociò le mani sulventreche è il colmo della maestàe aggiunse:
«È stabilitopadron Niclesssarete portato in prigione e messo nellesegrete. Voi e il boy. E questa casal'inn Tadcaster
resterà chiusacondannata e sigillata. Per dare un esempio. E con questoseguiteci».
LIBRO SETTIMO • LA TITANA
I • RISVEGLIO
«E Dea!».
A Gwynplaine chementre si svolgevano le vicende dell'inn Tadcasterguardava sorgere il giorno da Corleone-lodge
sembrò che quel grido venisse da fuori; ma quel grido era dentro di lui.
Chi non ha inteso i profondi clamori dell'anima?
E poi si stava facendo giorno.
L'aurora è una voce.
A cosa servirebbe il sole se non a risvegliare la coscienza dal suo tetrosonno?
Luce e virtù appartengono alla stessa specie.Che Dio si chiami Cristo oAmorec'è sempre un'ora in cui viene dimenticatoanche dai migliori; tuttinoiperfino i
santiabbiamo bisogno di una voce che ci faccia ricordaree nell'alba è ilsublime consigliere che ci parla. La coscienza
grida davanti al dovere come il gallo davanti al sole.
Il caos del nostro cuore ode il Fiat lux.
Gwynplaine - continueremo a chiamarlo così; Clancharlie è un lordGwynplaine un uomo - Gwynplaine fu come
resuscitato.
Era tempo che l'arteria fosse legata.
C'era in lui una fuoriuscita di onestà.
«E Dea?»disse.
E avvertì nelle vene come una generosa trasfusione. Qualcosa di salubre siriversava tumultuosamente in lui. L'irruzione
violenta dei buoni pensieri è il ritorno a casa di qualcuno che non ha lachiavee che scavalca onestamente il proprio
muro. Si scalaè veroma il bene. E c'è effrazionema del male.
«Dea! Dea! Dea!»ripeté.
Era il suo cuore che gli s'imponeva.
Domandò ad alta voce:
«Dove sei?».
Quasi stupito di non sentire una risposta.
Guardando il soffitto e i muricon lo smarrimento della ragione che tornavacontinuò:
«Dove sei? Dove sono?».
E in quella camerain quella gabbiariprese a camminare come un animaleselvaggio rinchiuso.
«Dove sono? A Windsor. E tu? A Southwark. Ah! Mio Dio! È la prima volta chesiamo lontani. Chi ha scavato questo
vuoto? Io quitu là! Oh! Non è possibile. Non accadrà. Cosa mi hannofatto?».
Si fermò.
«Chi mi ha parlato dunque della regina? Lo conoscevo? Cambiato! Io cambiato!Perché? Perché sono un lord. Sai Dea
cosa significa? Che tu sei una lady. È incredibile come possono capitarecerte cose. Questa poi! Devo ritrovare la mia
strada. Mi hanno forse rovinato? C'è un uomo che mi ha parlato con ariasinistra. Ricordo le parole che mi ha detto:
Mylordper una porta che si apreun'altra si chiude. Ciò che vi lasciatealle spalle non esiste più. - Detto in altro modo:
Voi siete un vile! Quell'uomoquel miserabile! Mi ha parlato mentre non eroancora sveglio. Ha approfittato del mio
primo momento di stupore. Ero come la sua preda. Dove si trovache lo voglioinsultare! Mi parlava con il tetro sorriso
del sogno. Ah! Sto tornando in me stesso! Bene. Si sbagliano se credono difare ciò che vogliono di lord Clancharlie!
Pari d'Inghilterrasìma con una pari di nome Dea. Mettere dellecondizioni! Come se potessi accettarne! La regina?
Che m'importa della regina? Non l'ho mai vista. Non voglio certo essere lordper diventare uno schiavo. Entro libero nel
potere. Credono forse di avermi tolto le catene per niente? Mi hanno scioltola museruolaecco tutto. Dea! Ursus!
Staremo insieme. Ciò che eravatelo ero anch'io. Ciò che sonolo sieteanche voi. Venite! No. Verrò io! Subito. Subito!
Ho aspettato anche troppo. Cosa penseranno non vedendomi tornare? Denaro! Sepenso che non gli ho mandato che del
denaro! Io dovevo andare. Ricordoquell'uomo mi ha detto che non potevouscire da qui. La vedremo. Prestouna
vettura! Una vettura! Attaccate i cavalli. Andrò a cercarli. Dove sono idomestici? Se c'e un signoreci saranno pure dei
domestici. Io qui sono il padrone. Questa è casa mia. E piegherò ichiavistellispezzerò le serraturesfonderò le porte a
calci. Che si provino a sbarrarmi il camminoli passerò con la mia spadadato che ora possiedo una spada. Voglio
vedere chi mi resisterà. Ho una donna che si chiama Dea. E un padre di nomeUrsus. Ho per casa un palazzo e ne faccio
dono a Ursus. Il mio nome è un diadema e lo regalo a Dea. Presto! Subito!Deaeccomi! Ah! Tra poco avrò colmato la
distanzava!».
Ealzando la prima portiera che gli capitòuscì con impeto dalla stanza.
Si trovò in un corridoio.
Andò avanti.
Trovò un altro corridoio.
Tutte le porte erano aperte.
Camminò a casoda una camera all'altracorridoio dopo corridoioallaricerca dell'uscita.
II • COME UN PALAZZO PUÒ ASSOMIGLIARE A UN BOSCO
I palazzi all'italianae Corleone-lodge era tra questiavevano pochissimeporte. Erano tutti tendaggiportiere
tappezzerie.
Non c'era palazzo in quell'epoca che non fosseal proprio internosingolarmente affollato di camere e corridoiin
un'abbondanza di fasto; doraturemarmirivestimenti di legno intagliatosete orientali; con angoli di riguardo immersi
nell'oscuritàe altri pieni di luce. Erano abbaini ricchi e allegriridotti verniciatirivestiti di maioliche olandesi o di
azulejos del Portogalloalti vani di finestre disegnati come soppalchistanzini completamente di vetrograziose lanterne
abitabili. Anche le cavità dei murivuotati del loro spessoreeranoabitabili. Qua e là c'erano dei localini che fungevano
da guardaroba. Venivano chiamati «i piccoli appartamenti». Lì sicommettevano i delitti.
Era comodose c'era da uccidere il duca di Guisa o da traviare la graziosapresidentessa di Sylvecaneopiù tardida
soffocare le grida delle piccole rapite da Lebel. Abitazione complicataincomprensibile per il primo venuto. Luogo di
rapimenti; fondo ignorato dove si concludevano le sparizioni. Lìin quelleeleganti caverneprincipi e signorideponevano il loro bottino; il conte diCharolais vi nascondeva madame Courchampmoglie del magistrato alle istanze;
il signore di Monthulé vi nascondeva la figlia di Haudryil fittavolo dellaCroix Saint-Lenfroy; il principe di Conti vi
nascondeva le due belle fornaie dell'Ile-Adam; il duca di Buckingham vinascondeva la povera Pennywell ecc. Le cose
che si facevano là erano di quelle checome dice la legge romanasi fanno viclam et precariocon la forza
segretamente e per poco tempo. Chi c'eravi restava a piacimento delpadrone. C'erano botole dorate. A metà tra il
chiostro e il serraglio. Scale che giravanosalivanoscendevano. Unaspirale di camere una nell'altra vi riportava al
punto di partenza. Una galleria finiva in oratorio. Un confessionales'innestava in un'alcova. Le ramificazioni dei coralli
e le cavità delle spugne erano probabilmente servite da modello allearchitetture dei «piccoli appartamenti» reali e
signorili. Le diramazioni erano inestricabili. Ritratti che ruotavano suaperture facevano da entrate e da uscite. Era tutto
un macchinario. Non poteva essere altrimentidato che vi si recitavano deidrammi. I piani di quell'alveare andavano
dalle cantine alle mansarde. Bizzarra madrepora incrostata in tutti ipalazzia cominciare da Versaillese che era quasi
l'abitazione dei pigmei nella dimora dei titani. Corridoirepositorinidialveolinascondigli. Buchi d'ogni tipo dove si
cacciavano le miserie dei grandi.
Quei luoghimurature serpeggiantirisvegliavano idee di giochidi occhibendatidi mani a tentonidi risate contenute
mosca ciecarimpiattino; e al tempo stesso facevano pensare agli AtridiaiPlantagenetiai Mediciai selvaggi cavalieri
d'Elza Rizzioa Monaldeschia spade che inseguivano un fuggiasco dicamera in camera.
Anche l'Antichità conosceva simili misteriose abitazionidove il lussoconveniva agli orrori. Ne è stato conservato un
modello sotto terrain certi sepolcri egizianiper esempio nella cripta delre Psammetescoperta da Passalacqua. C'è
negli antichi poeti l'orrore di queste costruzioni sospette. Errorcircumflexuslocus implicitus gyris.
Gwynplaine si trovava nei piccoli appartamenti di Corleone-lodge. Egli avevala febbre di partiredi essere fuoridi
rivedere Dea. Quel groviglio di corridoi e di celledi porte nascostediporte imprevistelo bloccava e lo faceva
rallentare. Avrebbe voluto correreera costretto a vagare. Credeva di doverspingere solo una portaaveva una matassa
da sbrogliare.
Dopo una cameraun'altra. Poi incroci di salotti.
Non incontrava un solo essere vivente. Stava in ascolto. Nessun movimento.
A tratti gli pareva di tornare sui propri passi.
A volte gli sembrava di vedere qualcuno venirgli incontro. Non c'era nessuno.Era luiin uno specchiovestito da gran
signore.
Era luicontro ogni apparenza. Si riconoscevama non subito.
Camminavaprendendo tutti i passaggi che gli si offrivano.
Si avventurava nei meandri di un'architettura intima; là uno stanzinodipinto e scolpito in modo civettuoloun po'
osceno ma molto discreto; qui una cappella equivoca tutta a squame dimadreperla e di smaltocon avori fatti per essere
guardati con la lentecome i coperchi delle tabacchiere; là uno di queipreziosi gabinetti fiorentiniconcepiti per le
ipocondrie delle donneche da allora vennero chiamati boudoirs.Dovunquesui soffittisui muriperfino sui pavimenti
c'erano raffigurazioni in velluto o in metallo di uccelli e di alberivegetazioni stravaganti avvolte nelle perlebozze di
passamanerietovaglie di giaiettoguerrierireginesirene con il ventrecorazzato dell'idra. Le ugnature dei cristalli
sfaccettati aggiungevano effetti di prismi a effetti di riflessi. Lapaccottiglia faceva da pietre preziose. Si vedevano
scintillare buie rientranze. Non si capiva se tutte quelle sfaccettatureluminosedove gli smeraldi si mischiavano con gli
ori dell'aurora e dove fluttuavano nuvole iridatefossero specchimicroscopici o smisurate acquemarine. Un'enorme
delicata magnificenza. Il più piccolo dei palazzia meno che non fosse ilpiù colossale degli scrigni. Una casa per Mab
o un gioiello per Gea. Gwynplaine cercava l'uscita.
Non riusciva a trovarla. Impossibile orientarsi. Nulla è più inebriantedell'opulenza quando la si vede per la prima volta.
Oltretutto era un labirinto. Ad ogni passo c'era qualche magnificenza che loostacolava. Tutto sembrava opporsi alla sua
partenza. Tutto aveva l'aria di non volerlo lasciare. Si trovava comeinvischiato nelle meraviglie. Si sentiva preso e
trattenuto.
«Che orribile palazzo!»pensava.
Si aggirava per quel dedaloinquietochiedendosi cosa volesse diresefosse in prigioneirritandosidesiderando l'aria
libera. Ripeteva: Dea! Dea! Come tenendo il filo che non bisogna lasciarrompere e che vi farà uscire.
A volte chiamava:
«Ehi! C'è qualcuno!».
Nessuna risposta.
Quelle camere non finivano. Era desertosilenziososplendidosinistro.
Così immaginiamo i castelli incantati.
Prese di calore nascoste mantenevano in quei corridoi e in quelle stanze unatemperatura estiva. Sembrava che un mago
avesse catturato il mese di giugno e lo avesse rinchiuso in quel labirinto. Atratti c'era un buon odore. Si attraversavano
zaffate di profumocome se ci fossero dei fiori invisibili. Faceva caldo.Tappeti dovunque. Si sarebbe potuto andare in
giro nudi.
Gwynplaine guardava dalle finestre. Il paesaggio cambiava. Ora vedeva deigiardinipieni di freschezze primaverili e
mattutineora nuove facciate con altre statueora patii alla spagnolacioè piccoli cortili quadrangolari tra grandi
costruzionilastricatiammuffiti e freddi; a volte un fiume che era ilTamigia volte una grande torre che era Windsor.
Fuoriessendo mattino prestonon c'erano passanti.
Egli si fermava. Stava in ascolto.«Oh! Me ne andrò»diceva.«Raggiungerò Dea. Non mi tratterranno con la forza. Guai a chi volesseimpedirmi
d'uscire! Che cos'è quella grande torre? Se anche ci fosse un giganteuncane infernaleun dragoa sbarrare la porta di
questo palazzo stregatoio lo sterminerei. Divorerei un'armata. Dea! Dea!».
Improvvisamente udì un rumorepiccolomolto debole. Sembrava acqua chescorre.
Si trovava in una galleria strettascurache era chiusa da una tenda divisain duea pochi passi da lui.
Si avvicinò alla tendala scostòentrò.
Penetrò nell'inatteso.
III • EVA
Una sala ottogonalecon una volta a manico di panieresenza finestrerischiarata da una luce che veniva dall'altotutta
rivestitamuropavimento e voltadi marmo color fiore di pesco; in mezzoalla sala un baldacchino a pinnacolo in
marmo color drappo mortuariocon colonne tortilinell'affascinantepesantezza dello stile elisabettianocopriva
d'ombra una vasca da bagno dello stesso marmo nero; in mezzo alla vasca unozampillo sottile d'acqua profumata e
tiepida che riempiva con dolce lentezza il bacino; ecco quello che gli sipresentava davanti agli occhi. Il nero di quel
bagno era concepito per far risplendere il candore.
Era quella l'acqua che aveva udito scorrere. Una fuoriuscitapredisposta aun certo livello della vascanon permetteva
all'acqua di debordare. La vasca fumavama così poco che c'era solo un velodi vapore sul marmo. Il fragile getto
d'acqua era come una flessibile verga d'acciaio che si piegava al minimosoffio.
Nessun mobile. Tranne uno di quei lettiniposto accanto alla vascadotatidi cuscinoe abbastanza lunghi perché una
donna che vi si distenda sopra possa tenere ai suoi piedi il cane o l'amante;da qui l'espressione can-al-piéda cui
abbiamo tratto canapé.
Era una sedia a sdraio spagnoladal momento che la parte inferiore erad'argento. I cuscini e l'imbottitura erano di seta
bianca e lucida.
Dall'altra parte della vasca si ergevaaddossata al muroun'alta scansia dabagno in argento massicciocon tutte le sue
suppellettiliein mezzootto specchietti veneziani sistemati inun'intelaiatura d'argento e raffiguranti una finestra.
Dall'angolo di muro smussato più vicino al canapé era stato ricavato unvano quadrato che sembrava un abbaino e che
era chiuso da un pannello fatto con una lastra d'argento dorato. Il pannelloaveva i cardini come un'imposta. Sull'argento
doratoniellata e dorata a sua voltabrillava una corona reale. Sopra ilpannelloappeso e fissato al muroc'era un
campanello d'argento doratoo addirittura d'oro.
Di fronte all'entrata di questa salain faccia a Gwynplaineche si erafermato di colpomancava l'angolo smussato di
marmo. Al suo posto c'era un'apertura della stessa dimensione che arrivavafino alla voltachiusa da una tela argentata
alta e larga.
La teladi una sottigliezza da favolaera trasparente. Vi si poteva vedereattraverso.
Al centro della teladove di solito c'è il ragnoGwynplaine vide qualcosadi formidabileuna donna nuda.
Non nuda alla lettera. La donna era vestita. Vestita dalla testa ai piedi. Laveste era una camicia lunghissimacome le
vesti degli angeli nei dipinti sacrima così sottile da sembrare bagnata.Quella quasi nudità di donna era più infida e più
pericolosa di una nudità schietta. La storia ha registrato processioni diprincipesse e gran dame tra due file di monaci
quandocon il pretesto dei piedi nudi e dell'umiltàla duchessa diMontpensier si mostrava a tutta Parigi con una
camicia di pizzo. Correttivo: un cero in mano.
La tela argentatadiafana come un vetroera una tenda. Era fissata solo inalto e poteva essere alzata. Essa separava la
sala di marmoche era una camera da bagnoda un'altra stanzache era lastanza da letto. Questa stanzapiccolissima
era una specie di grotta degli specchi. Specchi veneziani dovunquecontiguimessi a poliedrouniti con bastoncini
doratiriflettevano il letto che si trovava nel centro. Sul lettod'argentocome il bagno e il canapéera coricata una
donna. Dormiva.
Dormiva con la testa rovesciataun piede respingeva le copertecome lasuccube sopra cui battono le ali del sogno.
Il cuscino merlettato era caduto a terra sul tappeto.
Tra la sua nudità e lo sguardo c'erano due ostacolila camicia e la tendadi organza argentatadue trasparenze. La
stanzapiù alcova che stanzaera illuminata con discrezione dal riflessodella camera da bagno. Se la donna non aveva
pudorene aveva la luce.
Il letto non aveva colonnené baldacchinoné cielocosì che la donnaquando apriva gli occhipoteva vedersi mille
volte nuda negli specchi che le stavano sopra la testa.
Le lenzuola erano disordinate come un sonno agitato. La bellezza deidrappeggi indicava la finezza della tela. A quei
tempi una reginapensando alla dannaziones'immaginava che l'inferno fosseun letto con lenzuola grossolane.
D'altra parte la moda di dormire nudi veniva dall'Italiae risaliva aiRomani. Sub clara nuda lucernadice Orazio.
Una veste da camera di una strana setacertamente cineseperché tra lepieghe s'intravedeva una grande lucertola d'oro
era abbandonata ai piedi del letto.
Al di là del lettoin fondo all'alcovac'era probabilmente una portaoccultata e rivelata da un grande specchio su cui
erano dipinti dei pavoni e dei cigni. In quella stanza immersa nell'ombratutto luccicava. Gli spazi tra i cristalli e le
dorature erano rivestiti di quella materia brillante che a Venezia chiamano«fiele di vetro».
Al capezza le del letto era fissato un leggio d'argento a tasselli girevoli econ dei candelabri inamovibilisu cui si poteva
vedere un libro aperto chein cima alle pagineportava a grandi lettererosse questo titolo: Alcoranus Mahumedis.Gwynplaine non poteva vederenessuno di quei dettagli. Ma vedeva bene la donna.
Era pietrificato e sconvolto al tempo stesso; una contraddizione che comunqueè possibile.
Egli riconosceva quella donna.
Ella aveva gli occhi chiusi e il volto girato verso di lui.
Era la duchessa.
Leil'essere misterioso in cui si confondevano tutti gli splendoridell'ignotoquella che gli aveva fatto fare tanti sogni
inconfessabiliquella che gli aveva scritto una lettera tanto strana! Lasola donna al mondo di cui egli potesse dire: Mi
ha visto e mi desidera! Egli aveva cacciato i sogni e bruciato la lettera.Aveva relegato quella donna il più lontano
possibile dalla sua immaginazione e dalla sua memoria; non ci pensava più;l'aveva dimenticata...
La rivedeva!
La rivedeva terribile
Una donna nuda è una donna armata.
Egli non respirava più. Si sentiva sollevato e spinto come in un nimbo. Laguardava. Quella donna era davanti a lui!
Com'era possibile?
A teatro duchessa. Quinereidenaiadefata. Sempre apparizione.
Tentò di fuggirema sentì che non era possibile. I suoi sguardi eranodivenuti due catene che lo tenevano legato a quella
visione.
Era una sgualdrina? Una vergine? Tutte e due. Messalinaforse presentenell'invisibiledoveva sorriderementre Diana
vegliava. Su quella bellezza c'era la luce dell'inaccessibile. Nessunapurezza era paragonabile a quella forma casta e
altera. Certe nevi incontaminate sono riconoscibili. Quella donna aveva ilsacro candore dello Jungfrau. Ciò che
emanava da quella fronte incoscienteda quei capelli d'oro sparsidalleciglia abbassatedalle vene azzurre appena
visibilidalle scultoree rotondità dei senidai fianchi e dalle ginocchiache affioravano modellando la camicia rosaera
la divinità di un sonno augusto. La mancanza di pudore si dissolveva inluminosità. Quella creatura portava la sua
nudità così tranquillamente come se accampasse qualche diritto sul cinismodivinoaveva la sicurezza di una dea che
diventa figlia dell'abissoe che può dire all'oceano: Padre! E si offrivasuperbamente inabbordabilea tutto ciò che
passava: agli sguardiai desiderialla demenzaai sognicosì fieramenteassopita su quel letto di boudoir come Venere
nell'immensità della schiuma.
Si era addormentata di notte e ora prolungava il suo sonno in pieno giorno;un abbandono iniziato nelle tenebre e
proseguito nella luce.
Gwynplaine fremeva. Era in ammirazione.
Un'ammirazione insana che lo prendeva troppo.
Egli aveva paura.
La scatola a sorpresa del destino non si esaurisce. Gwynplaine aveva credutodi essere alla fine. E invece ricominciava.
Che cos'erano tutti quei lampi che si abbattevano sulla sua testa senzatregua e chealla finecome una suprema
folgorazionegli mettevano davantimentre fremeva tuttouna deaaddormentata? Che cos'erano quegli spiragli che si
aprivano uno dopo l'altro nel cieloe da dove finiva per usciredesiderabile e temibileil suo sogno? Che cos'erano
quelle blandizie dello sconosciuto tentatore che gli portavanouna dopol'altravaghe aspirazionivelleità confusefino
ai cattivi pensieri divenuti carne vivache lo schiacciavano sottol'ebbrezza di una serie di realtà venute
dall'impossibile? C'era forse una cospirazione dell'ombra contro di luimiserabilee che fine avrebbe fatto attorniato da
tutti quei sorrisi di una sinistra fortuna? Che cos'era quella vertiginepremeditata? E quella donna! Là! Perché? Come?
Nessuna spiegazione. Perché proprio lui? Perché lei? Era stato creatoespressamente pari d'Inghilterra per quella
duchessa? Chi li portava a quel modo uno verso l'altro? Chi era lo sciocco?Chi la vittima? Della buona fede di chi si
stava abusando? Si voleva ingannare Dio? Tutte queste cose non eranodistinteegli le intravedeva piuttosto come
attraverso un passaggio di nuvole nere nel suo cervello. Quell'abitazionemagica e malevolaquello strano palazzo
tenace come una prigionefaceva parte del complotto? Gwynplaine subiva unaspecie di riassorbimento. Oscure forze lo
legavano misteriosamente. Una gravitazione lo incatenava. Un travaso divolontà lo stava abbandonando. A cosa
aggrapparsi? Egli era sconvolto e affascinato. Questa volta si sentivairrimediabilmente pazzo. Quella scura caduta a
picco nell'abbagliante precipizio continuava.
La donna dormiva.
Cresceva in lui il turbamentonon si trattava più di una ladydi unaduchessadi una dama; era una donna.
Nell'uomo le deviazioni sono allo stato latente. I vizi seguono nel nostroorganismo un tracciato predisposto. Anche se
innocenti e in apparenza puric'è in noi tutto questo. Essere senza macchianon significa essere senza difetti. L'amore è
una legge. La voluttà è una trappola. C'è l'ebbrezzae c'èl'ubriachezza. L'ebbrezza di volere una donnal'ubriachezza di
volere la donna.
Gwynplainefuori di sétremava.
Che fare contro quell'incontro? Non i flutti delle stoffenon le sericheampiezzenon la civettuola prolissità
dell'abbigliamentonessuna esagerazione galante che coprisse e mostrassenessuna nube. Solo la temibile coincisione
della nudità. Una sorta di misteriosa ingiunzioneun'edenica sfrontatezza.Tutto il lato tenebroso dell'uomo che
prendeva il sopravvento. Eva peggio di Satana. L'umano e il sovrumanoamalgamati. Estasi inquietanteil cui scopo è il
brutale trionfo dell'istinto sul dovere. Il sovrano profilo della bellezza èimperioso. Quando esce dall'ideale e si degna di
essere realecostituisce per l'uomo una vicinanza funesta.Ogni tanto laduchessa si spostava mollemente sul lettocon i vaghi movimenti di un vaporenel cielocambiando
atteggiamentocome la nuvola cambia forma. Ondeggiavacomponendo escomponendo curve seducenti. La donna
possiede tutta la flessibilità dell'acqua. Come l'acquala duchessa avevaqualcosa d'inafferrabile. Strano a dirsima essa
era làcarne visibileeppure rimaneva una chimera. Palpabilesembravalontana. Gwynplainepallido e costernatola
contemplava. Ascoltava i palpiti di quel seno e gli sembrava di udire ilrespiro di un fantasma. Si sentiva attrattosi
dibatteva. Che fare contro di lei? Che fare contro se stesso?
Tutto poteva aspettarsitranne quello. Aveva messo nel conto un feroceguardiano sulla portaun furioso mostro
carceriere da combattere. Aveva previsto Cerbero; trovava Ebe.
Una donna nuda. Una donna addormentata.
Che tetra lotta.
Chiudeva le palpebre. Un eccesso di aurora fa male agli occhi. Ma attraversole palpebre chiuse la rivedeva subito. Più
tenebrosaugualmente bella.
Fuggirenon è facile. Aveva tentatonon avea potuto. Egli era radicatocome capita nei sogni. Quando vorremmo
indietreggiarela tentazione inchioda i nostri piedi al suolo. È possibileavanzarema non andare indietro. Le invisibili
braccia della colpa escono da terra e ci trascinano giù.
Credere che l'emozione si attenui è un luogo comune. Nulla di più falso. Ècome se si dicesse che una piagasotto lo
sgocciolare dell'acido nitricosi acquieta e si lenisceo che losquartamento rende indifferente Damiens.
La verità è che ad ogni incalzare la sensazione si fa più acuta.
Di stupore in stuporeGwynplaine era arrivato al parossismo. Sotto tuttoquello stupore il vaso della sua ragione
traboccava. Egli sentiva in sé uno spaventoso risveglio.
Non aveva più bussola. La sola certezza davanti a lui era quella donna. Glisi schiudeva una qualche irrimediabile
felicitàsimile a un naufragio. Nessuna direzione possibile. Solo unacorrente irresistibilee lo scoglio. Ma non uno
scoglio di rocciauna sirena. In fondo all'abisso c'è una calamita.Gwynplaine avrebbe voluto sottrarsi a quell'attrazione
ma come? Non sentiva più punti d'appoggio. La fluttuazione umana èinfinita. Un uomo può essere smantellato come
una nave. L'ancora è la coscienza. Malugubre circostanzala coscienzapuò spezzarsi.
Non gli restava neppure quella risorsa: «Sono terribilmente sfigurato. Mirespingerà». Quella donna gli aveva scritto
che lo amava.
C'è in tutte le crisi un momento in cui si è in bilico. Quando propendiamoverso il male piuttosto che appoggiarci al
benequella quantità di noi che è sospesa sulla colpa finisce con avere lameglio e ci fa precipitare. Era giunto per
Gwynplaine quel triste momento?
Come sfuggirvi?
Dunque era lei! La duchessa! Quella donna! Egli l'aveva davanti a séinquella camerain quel luogo deserto
addormentataabbandonatasola. Era a sua discrezioneera in suo potere.
La duchessa!
Avete visto una stella nelle profondità degli spazi. L'avete ammirata. Ècosì lontana! Cosa temere da una stella fissa?
Un giornouna nottela vedete spostarsi. Distinguete come un brivido diluce attorno a lei. Quell'astroche credevate
impassibilesi muove. Non è una stellaè una cometa. È l'immensaincendiaria del cielo. L'astro cammina
s'ingrandiscescuote la sua chioma purpureadiventa enorme. Si dirige nellavostra direzione. Oh terroreviene da voi!
La cometa vi conoscela cometa vi desiderala cometa vi vuole. Spaventosoincontro celeste. Ciò che vi raggiunge è
l'eccesso di lucel'accecamento; l'eccesso di vitala morte. Voi rifiutatela proposta dello zenit. Voi respingete l'offerta
d'amore dell'abisso. Vi mettete le mani sulle palpebrevi nascondetevisottraetevi credete in salvo. Poi riaprite gli
occhi... La temibile stella è là. Non è più una stellaè un mondo. Unmondo sconosciuto. Un mondo di lava e di brace.
Un prodigio divoratore di profondità. Essa riempie il cielo. Non c'è chelei. Il carbonchio delle infinite profondità
diamante in lontananzada vicino è una fornace. Voi siete nelle sue fiamme.
E iniziate a sentire la vostra combustione con un calore paradisiaco.
IV • SATANA
Ad un tratto l'addormentata si svegliò. Si mise a sedere con una maestositàbrusca e armoniosa; i suoi biondi capelli di
seta molle si sparsero con dolce tumulto sulle reni; la camicia cadendolasciò vedere ampiamente le spalle; si toccòcon
la mano delicatal'alluce roseoguardando per qualche istante il piedenudodegno di essere adorato da Pericle e
copiato da Fidia; poi si stiròsbadigliando come una tigre al sorgere delsole.
È probabile che Gwynplaine respirasse a faticacome quando si trattiene ilrespiro.
«C'è qualcuno?»chiese la donna.
Lo disse senza smettere di sbadigliarecon una grazia estrema.
Gwynplaine udì quella voce che non conosceva. La voce di una maliarda; unaccento deliziosamente altezzoso; il tono
carezzevole che mitiga l'abitudine al comando.
Nello stesso tempomettendosi sulle ginocchia (c'è una statua anticainginocchiata a quel modo tra le mille trasparenze
delle pieghe)avvicinò a sé la veste da camera e uscì dal lettonuda ein piedisolo il tempo di veder passare una
frecciapoi subito avvolta. In un batter d'occhio la veste di seta lacoprì. Le lunghissime maniche le nascondevano le
mani. Non si vedeva che la punta delle dita dei piedibianchicon unghiepiccolecome i piedi dei bambini.Si tolse dalle spalle un fiotto di capelli chericaddero sulla vestepoi corse dietro al lettoin fondo all'alcovaeappoggiò
l'orecchio allo specchio dipinto che verosimilmente occultava una porta.
Picchiò contro il vetro con il piccolo gomito dell'indice piegato.
«C'è qualcuno? Lord David! Siete già qui? Ma che ore sono? Sei tuBarkilphedro?».
Si voltò.
«Ma no. Non è da questa parte. C'è qualcuno nella camera da bagno? Marispondete dunque! Noin realtà nessuno può
venire da lì».
Andò alla tenda di tela argentatal'aprì con la punta del piedelascostò con un movimento della spallae entrò nella
camera di marmo.
Gwynplaine sentì il freddo dell'agonia. Non aveva scampo. Era troppo tardiper fuggire. Comunque non ne avrebbe
avuto la forza. Avrebbe voluto che il pavimento si spalancasse persprofondare sotto terra. Non c'era mezzo di non
essere visti.
Lo vide.
Lo guardòincredibilmente sconcertatama senza trasalirecon unasfumatura di contentezza e di disprezzo:
«Toh»disse«Gwynplaine!».
Poiimprovvisamentecon un balzo violentoperché quella gatta era unapanteragli si gettò al collo.
Gli strinse la testa tra le braccia nude da cuinello slancioeranoscivolate le maniche.
E respingendolo di colpoabbattendo sulle spalle di Gwynplaine le piccolemani come fossero artiglilei in piedi
davanti a luilui in piedi davanti a leisi mise a osservarlo in modostrano.
Lo sguardocon aria fatalecon i suoi occhi d'Aldebaranuno sguardoambiguocon qualcosa di torbido e di sidereo.
Gwynplaine contemplava quelle pupilleuna azzurra e una neracome persosotto la doppia fissità di quello sguardo
celestiale e infernale. Uomo e donna si rimbalzavano quel sinistro splendore.Erano affascinati uno dall'altrolei dalla
deformitàlui dalla bellezzaentrambi dall'orrore.
Egli tacevacome sotto un peso impossibile da sollevare. La donna esclamò:«Sei intelligente. Sei venuto. Hai saputo
che ero stata costretta a partire da Londra. Mi hai seguito. Hai fatto bene.È straordinario che tu sia qui».
Possedersi reciprocamente fa scaturire una specie di lampo. Gwynplainecheavvertiva il vago timore di una primitiva
onestàindietreggiòma le unghie rosa contratte sulla sua spalla lotrattenevano. Qualcosa d'inesorabile prendeva forma.
Si trovava nell'antro della donna belvabelva egli stesso.
La donna continuò:
«Quella stupida di Annasai? La reginaè lei che mi ha fatto venire aWindsor senza che io sappia perché. Quando sono
arrivatalei era occupata con quell'idiota del suo cancelliere. Ma come haifatto per arrivare fino a me? Ecco quello che
per me significa essere uomini. Ostacoli. Non esistono. Si viene chiamatisiaccorre. Ti sei informato? Penso che tu
sapessi che sono la duchessa Josiane. Chi ti ha introdotto? È statocertamente il mozzo. È intelligente. Gli darò cento
guinee. Come hai fatto? Dimmelo. Nonon dirmelo. Non voglio saperlo. Lespiegazioni sminuiscono. Ti preferisco
sorprendente. Sei abbastanza mostruoso da essere meraviglioso. Tu cadidall'Empireoeccooppure sali dal terzo piano
dei sotterranei attraverso la botola dell'Erebo. Niente di più sempliceoil soffitto si è dischiuso o il pavimento si è
aperto. Tu non puoi arrivare che scendendo dalle nuvole e salendo in unfiammeggiare di zolfo. Meriti di entrare come
gli dèi. Ho decisotu sei il mio amante».
Gwynplainecosternatoascoltavasentendo la ragione vacillare sempre dipiù. Era finita. Impossibile dubitarne. La
donna confermava la lettera della notte. LuiGwynplaineera l'amante di unaduchessaun amante riamato! Lo
smisurato orgoglio dalle mille teste tetre si rigirava in quel cuoredisgraziato.
La vanitàche è un'enorme forza dentro di noipuò essere contro di noi.
La duchessa proseguì:
«Poiché tu sei quivuol dire che così deve essere. Non voglio saperealtro. C'è qualcuno in altoo in bassoche ci getta
uno verso l'altro. Fidanzamento dello Stige e dell'Aurora. Fidanzamentosfrenato fuori da tutte le leggi! Il giorno in cui
ti ho vistoho detto: - È lui. Lo riconosco. È il mostro dei miei sogni.Sarà mio. - Il destino va aiutato. Per questo ti ho
scritto. Una domanda soltanto: Gwynplainetu credi alla predestinazione? Ioci credodopo aver letto in Cicerone il
sogno di Scipione. Tohnon l'avevo notato. Un abito da gentiluomo. Ti seivestito da signore. E perché no? Sei un
saltimbanco. Un motivo di più. Un giocoliere vale un lord. E poicosa sonoi lords? Dei clowns. Hai una nobile figura
sei fatto molto bene. È inaudito che tu sia qui! Quando sei arrivato? Daquanto tempo sei lì? Mi hai visto nuda? Sono
bellanon è vero? Stavo per fare il bagno. Oh! Ti amo. Hai letto la mialettera! L'hai letta da solo? O te l'hanno letta?
Sai leggere? Devi essere ignorante. Io ti faccio delle domandema tu nonrispondi. Non mi piace il suono della tua voce.
È dolce. Una creatura incomparabile come te non dovrebbe parlaremaringhiare. Tu canti in modo armonioso. Odio
ciò. È la sola cosa di te che non mi piace. Il resto è formidabiletuttoil resto è superbo. In India tu saresti un dio. Hai
sulla faccia quel riso spaventoso fin dalla nascita? Non credovero? Ècertamente una mutilazione penale. Voglio
sperare che tu abbia commesso qualche crimine. Vieni tra le mie braccia».
Si lasciò cadere sul canapé e lo trascinò accanto a sé. Si trovarono unovicino all'altro senza sapere come. Ciò che la
donna diceva passava come un gran vento su Gwynplaine. Egli percepiva appenail significato di quel turbinio
forsennato di parole. Negli occhi di lei c'era una grande ammirazione.Parlava in modo tumultuosofreneticamentecon
una voce folle di dolcezza. Le sue parole erano musicama per Gwynplainequella musica era una tempesta.
Lo guardò ancorafissamente.«Vicino a te mi sento degradatache gioia!Com'è insipido essere altezza! Niente di più faticoso che essere augusta. È
riposante scadere. Sono così satura di rispetto che sento bisogno deldisprezzo. Noi siamo tutte un po' stravagantia
cominciare da VenereCleopatrale signore de Chevreuse e de Longuevilleper finire con me. Ti sfoggeròlo prometto.
Ecco un amorino che ammaccherà la reale famiglia degli Stuart a cuiappartengo. Ah! Respiro! Ho trovato la via
d'uscita. Sono fuori dalla maestà. Essere declassata significa esserelibera. Rompere tuttosfidare tuttofare tutto e tutto
disfarequesto è vivere. Ascoltati amo».
S'interruppe con uno spaventoso sorriso.
«Non ti amo solo perché sei deformema perché sei di bassa condizione.Amo il mostro e l'istrione. Lo straordinario
sapore di un amante umiliatoschernitogrottescoorribileche si esponealle risate su quella gogna che chiamate teatro.
Significa mordere il frutto dell'abisso. Un amante infamante è squisito.Avere sotto i denti la mela dell'inferno invece di
quella del paradisoecco ciò che mi tentaqueste sono la mia fame e la miasetee io sono questa Eva. L'Eva dell'abisso.
E tuforse senza saperlosei un demone. Mi sono conservata per la mascheradi un sogno. Tu sei un burattino i cui fili
stanno in mano a uno spettro. Tu sei la visione della grande risatainfernale. Tu sei l'amante che attendevo. Avevo
bisogno di un amore come quelli delle Medee e delle Canidie. Ero sicura chemi sarebbe capitata una di quelle infinite
avventure della notte. Tu sei ciò che volevo. Ma io ti dico un mucchio dicose che tu non puoi capire. Gwynplaine
nessuno mi ha possedutoio mi do a te pura come la brace ardente. Tuevidentemente non mi credima se tu sapessi
come mi è indifferente!».
Le sue parole erano una confusa eruzione. Bisognerebbe pungere i fianchidell'Etna per avere un'idea di quel getto di
fiamma.
«Signora...»balbettò Gwynplaine.
Gli mise una mano sulla bocca.
«Silenzio! Io ti contemplo. Gwynplaineio sono l'immacolata sfrenata. Sonola vestale baccante. Nessun uomo mi ha
conosciutae potrei essere Pizia a Delfie potrei avere sotto il miotallone nudo il tripode di bronzo dove i sacerdoticon
i gomiti sulla pelle di Pitonebisbigliano domande al dio invisibile. Il miocuore è di pietrama assomiglia a quei sassi
misteriosi che il mare fa rotolare fino ai piedi della roccia Huntly Nabballa foce della Theese nei qualiuna volta
rottisi trova un serpente. Quel serpente è il mio amore. Un amoreonnipotente se ti ha fatto venire. C'era tra noi una
distanza impossibile. Io ero in Sirio e tu in Allioth. Tu hai compiuto unasmisurata traversataed eccoti. Bene. Taci e
prendimi».
Tacque. Egli rabbrividiva. Lei tornò a sorridere.
«VediGwynplainesognare vuol dire creare. Un desiderio è un richiamo.Chi costruisce chimere provoca la realtà.
L'ombra onnipotente e terribile non si lascia sfidare. Ci soddisfa. Eccoti.Oserò perdermi? Sì. Oserò essere la tua
amantela tua concubinala tua schiavaun tuo oggetto? Con gioia.Gwynplaineio sono la donna. La donnaargilla che
desidera essere fango. Ho bisogno di disprezzarmi. Ciò rende più saporitol'orgoglio. La grandezza è composta dalla
bassezza. Niente si combina meglio. Disprezzamitu che sei disprezzato.L'avvilimento sotto l'avvilimentoche voluttà!
Io colgo il doppio fiore dell'ignominia! Calpestami. Mi amerai meglio. Lo sobene. Sai perché ti idolatro? Perché ti
disprezzo. Sei così al di sotto di me che ti pongo su un altare. Mescolarel'alto con il basso è il caose il caos mi piace.
Tutto inizia e finisce con il caos. Che cos'è il caos? Un'immensa sporcizia.E con questa sporcizia Dio ha fatto la lucee
con questa fogna Dio ha fatto il mondo. Tu non sai fino a che punto io sonoperversa. Imbratta un astro con il fango
sarò io».
Così parlava quella donna formidabilee attraverso la veste disfattamostrava il suo nudo seno di vergine.
Poi proseguì:
«Lupa per tuttiper te cagna. Come si stupiranno! Lo stupore degliimbecilli è dolce. Io mi capisco. Sono una dea?
Anfitrite si è data al Ciclope. Fluctivoma Amphitrite. Sono una fata?Urgele si è concessa a Bugryl'androttero dalle
otto mani palmate. Sono una principessa? Maria Stuarda ha avuto Rizzio. Trebelletre mostri. Io sono più grande di
loroperché tu sei peggiore. Gwynplainenoi siamo fatti uno per l'altro.La tua mostruosità è esteriorela mia è
interiore. Per questo ti amo. Un capriccioe sia. Che cos'è l'uragano? Uncapriccio. C'è un'affinità siderea tra noi;
apparteniamo entrambi alla nottetu per la facciaio per l'intelligenza. Tumi crei a tua volta. Tu arrivied ecco la mia
anima esternata. Non la conoscevo. È stupefacente. La tua vicinanza fauscire da meche sono una deal'idra. Tu mi
riveli la mia vera natura. Tu mi porti alla scoperta di me stessa. Guardacome ti assomiglio. Guarda in me come in uno
specchio. Il tuo volto è la mia anima. Non sapevo di essere terribile fino aquel punto. Dunque anch'io sono un mostro!
O Gwynplainetu mi sottrai alla noia».
Ebbe una strana risata da bambinosi accostò al suo orecchio e glisussurrò:
«Vuoi vedere una donna impazzita? Eccomi».
Il suo sguardo penetrò Gwynplaine. Uno sguardo è un filtro. La sua vesteera pericolosamente scomposta. Un'estasi
cieca e bestiale invadeva Gwynplaine. C'era dell'agonia in quell'estasi.
Mentre la donna parlava egli sentiva come degli schizzi di fuoco. Sentivasgorgare l'irreparabile. Non aveva più la forza
di dire una parola. La donna s'interrompeva e lo osservava: «O mostro!»mormorava. Come una selvaggia.
All'improvviso gli afferrò le mani.
«Gwynplaineio sono il trono e tu il palco dei ciarlatani. Mettiamoci allostesso livello. Ah! Sono feliceeccomi caduta.
Vorrei che tutti potessero sapere fino a che punto sono abietta. Siprosternerebbero maggiormenteperché più provano
orrorepiù strisciano. Il genere umano è fatto così. Ostile ma rettile.Drago e verme. Oh! Sono depravata come gli dei.
Non mi si potrà più negare d'essere la bastarda di un re. Mi comporto daregina. Chi era Rodope? Una regina che amòPteol'uomo con la testa di uncoccodrillo. Costruì in suo onore la terza piramide. Pentesilea ha amato ilcentauroche si
chiama Sagittarioe che è una costellazione. E che ne dici d'Annad'Austria? Non era abbastanza brutto Mazarino! Tu
non sei bruttotu sei deforme. Chi è brutto è piccolochi è deforme ègrande. Il brutto è la smorfia del diavolo alle
spalle del bello. Il deforme è il rovescio del sublime. È l'altro lato.L'Olimpo ha due versanti; unoin piena lucedà
Apollo; l'altronella nottedà Polifemo. Tu sei Titano. Nella forestasaresti BehemothLeviatano nell'oceanoTifone
nella cloaca. Tu sei supremo. La tua deformità è sfolgorante. Il tuo voltoè stato rovinato da un fulmine. Sulla tua faccia
c'è l'adirata torsione di un grande pugno di fiamma. Ti ha modellato ed èpassato oltre. Una vasta e oscura collerain un
accesso di rabbiaha invischiato la tua anima sotto quello spaventoso voltosovrumano. L'inferno è un braciere penale
dove si arroventa il ferro incandescente della Fatalità; è il ferro che tiha marchiato. Amarti vuol dire comprendere la
grandezza. È il mio trionfo. Bella fatica essere innamorata di Apollo! Lagloria si misura sulla capacità di stupire. Ti
amo. Ho sognato di te per notti e notti! Questo palazzo mi appartiene. Vedraii miei giardini. Ci sono sorgenti sotto le
fogliegrotte dove ci si può abbracciaree bellissimi gruppi marmorei delcavalier Bernini. E che fiori! Troppi. In
primavera è tutto un incendio di rose. Ti ho già detto che la regina è miasorella? Fai di me ciò che vorrai. Io sono fatta
perché Giove mi baci i piedi e Satana mi sputi sul viso. Sei religioso? Iosono papista. Mio padre Giacomo II è morto in
Francia con un mucchio di gesuiti attorno a sé. Non ho mai sentito quelloche provo vicino a te. Oh! Vorrei stare con te
la seramentre suonano un po' di musicatutti e due appoggiati allo stessocuscinosotto la tenda di porpora di una
galea d'oroimmersi nelle infinite dolcezze del mare. Insultami. Picchiami.Puniscimi. Trattami come una sgualdrina. Ti
adoro».
Le carezze possono ruggire. Ne dubitate? Entrate nella gabbia dei leoni.Quella donna aveva in sé l'orrore e la grazia.
Nulla di più tragico. Si sentivano gli artigli e il velluto. Era l'attaccodi un felino soffuso di arrendevolezza.
Quell'alternanza era un gioco assassino. L'idolatria di quella donna erainsolente. Il risultatoun contagio demente.
Linguaggio fataleineffabilmente violento e dolce. L'insulto non erainsulto. L'adorazione era oltraggio. Lo schiaffo
divinizzava. Il tono imprimeva alla furia delle sue parole d'amore unagrandezza prometeica. Le feste della Grande Dea
cantate da Eschilodavano alle donne in cerca dei satiri sotto le stellequella cupa ed epica rabbia. Quei parossismi
complicavano le danze tenebrose sotto i rami di Dodona. La donna eratrasfiguratase è possibile una trasfigurazione
opposta a quella del cielo. I suoi capelli fremevano come una criniera; laveste si chiudevapoi si apriva; nulla di più
seducente di quel seno da cui uscivano grida selvaggei raggi del suo occhioazzurro si univano al fiammeggiare
dell'occhio nero; era soprannaturale. Gwynplaine si sentiva venir menovintodalla profonda penetrazione di
quell'incontro.
«Ti amo!»esclamò la donna.
E lo morse con un bacio.
Le nuvole che Omero stende su Giove e Giunone stavano forse per rendersinecessarie per Gwynplaine e Josiane. Per
Gwynplaine era un fatto squisito e sfolgorante essere amato da una donna cheaveva gli occhi e poteva dunque vederlo
sentire sulla sua bocca informe la pressione di quelle labbra divine. Davantia quella donna piena d'enigmi egli sentiva
che tutto svaniva dentro di lui. Il ricordo di Deain quell'ombrasidibatteva con piccole grida. C'è un bassorilievo
antico che rappresenta la sfinge mentre mangia un amorino; le ali di queldolce essere celestiale sanguinano in quel
sorriso di denti feroci.
Gwynplaine amava quella donna? Forse l'uomocome la terraha due poli?Siamo la sfera che gira sull'inesorabile asse
astro da lontanofango da vicinodove si alternano il giorno e la notte? Cisono due facce del cuoreuna che ama nella
lucel'altra che ama nelle tenebre? Qui la donna raggio; là la donnacloaca. L'angelo è necessario. Forse anche il
demonio è necessario? C'è un'ala di pipis trello per l'anima? È dunquefatale che l'ora del crepuscolo suoni per tutti? La
colpa è parte integrante e non eliminabile del nostro destino? Fa il maletutt'uno con la nostra natura? Forse la colpa è
un debito che dobbiamo pagare? Fremiti profondi.
E tuttavia una voce ci dice che la debolezza è un crimine. Non si può direciò che provava Gwynplainela carnela vita
il terrorela voluttàun'ebbrezza che lo schiacciavae tutta la vergognache c'è nell'orgoglio. Stava per soccombere?
La donna ripeté: «Ti amo!».
E lo strinse freneticamente al petto.
Gwynplaine ansimava.
A un trattovicinissimo a lorovibrò un piccolo scampanellio fermo echiaro. Era il campanello fissato al muro che
tintinnava. La duchessa voltò la testa e disse:
«Cosa vuole?».
Quindi il pannello d'argentoornato di una corona realesi aprìbruscamentecon il rumore di una botola a molla.
Apparve l'interno di una ruota tappezzata di velluto blu principecon unalettera su un piatto d'oro.
Era una lettera voluminosa e quadratamessa in modo da mostrare il sigilloche era una grande impronta su cera
vermiglia. Il campanello continuava a suonare.
Il pannello aperto toccava quasi il canapé dove i due erano seduti. Laduchessachinandosi e tenendosi con un braccio
al collo di Gwynplaineallungò l'altro braccioprese la lettera dal piattoe spinse il pannello. La ruota si chiuse e il
campanello tacque.
La duchessa spezzò la cera tra le ditaaprì la busta e ne estrasse i dueplichi che contenevagettando la busta a terraai
piedi di Gwynplaine.
Il sigillo di cerapur essendo spezzatoera decifrabilee Gwynplaineriuscì a distinguervi una corona reale con sopra la
lettera A.La busta strappata mostrava i due laticosì che era possibileleggere l'intestazione: A sua grazia la duchessa Josiane.
I due plichi contenuti nella busta erano una pergamena e una velina. Lapergamena era grandela velina piccola. Sulla
pergamena era impresso un sigillo largo da cancelleriain quella cera verdedetta cera signorile. La duchessatutta
palpitantegli occhi persi nell'estasiebbe un'impercettibile smorfia didisappunto.
«Ah!»disse. «Che cosa mi manda? Degli scartafacci! Quellaguastafeste!».
Elasciando da parte la pergamenadischiuse la velina.
«È la sua scrittura. La scrittura di mia sorella. Mi stanca». Gwynplaineti avevo domandato se sapevi leggere. Sai
leggere?».
Gwynplaine fece segno di sì con la testa.
Josiane si stese sul canapéquasi come una donna che volesse dormirenascose con cura i piedi sotto la veste e le
braccia sotto le manichecon un pudore bizzarropur lasciando vedere ilsenopoiavvolgendo Gwynplaine in uno
sguardo appassionatogli tese la velina.
«EbbeneGwynplainetu mi appartieni. Comincia il tuo servizio. Leggimimio caroquello che mi scrive la regina».
Gwynplaine prese la velinadisfò il plico econ voce tutta tremantelesse:
«Signora
Noi vi mandiamo graziosamente la copia qui unita di un processo verbalecertificato e firmato dal nostro servitore
William Cowperlord-cancelliere del regno d'Inghilterrada cui risultaquesto fatto considerevoleche il figlio legittimo
di lord Linnaeus Clancharlie è stato riconosciuto e ritrovatosotto il nomedi Gwynplainementre conduceva una vita
indegnada ambulante e vagabondotra saltimbanchi e giocolie ri. Questasoppressione di condizione risale alla sua più
tenera età. Come conseguenza delle leggi del regnoe in virtù del suodiritto ereditariolord Fermain Clancharliefiglio
di lord Linnaeussarà ammesso e reintegratooggi stessonella camera deilords. Per questovolendo usarvi riguardo e
mantenervi la trasmissione dei beni e dei domini dei lords ClancharlieHunkervillenoi lo sostituiamo nelle vostre
buone grazie a lord David Dirry-Moir. Noi abbiamo fatto condurre lord Fermainnella vostra residenza di Corleone-lodge;
noi ordiniamo e vogliamocome regina e sorellache il suddetto lord FermainClancharliefino ad oggi chiamato
Gwynplainesia vostro maritoe voi lo sposeretecosì è la nostravolontà reale».
Mentre Gwynplaine leggevacon intonazioni che vacillavano quasi ad ogniparolala duchessasollevata dal cuscino
sul canapéascoltavacon lo sguardo fisso. Quando Gwynplaine ebbe finitogli strappò la lettera.
«ANNAREGINA»disseleggendo la firmain tono trasognato.
Poi raccolse da terra la pergamena che aveva gettata e vi fece scorrere sopralo sguardo. Era la dichiarazione dei
naufraghi della Matutinacopiata su un processo verbale firmato dallosceriffo di Southwark e dal lord cancelliere.
Dopo aver letto il processo verbalerilesse il messaggio della regina. Poidisse:
«Bene».
Ecalmamostrando con il dito a Gwynplaine la portiera della galleria dacui era entratodisse:
«Uscite».
Gwynplainepietrificatorimase immobile. Continuò alloracon tonoglaciale:
«Dal momento che siete mio maritouscite».
Gwynplainesenza parolagli occhi bassi come un colpevolenon si muoveva.
Ella aggiunse:
«Non avete il diritto di essere qui. Questo è il posto del mio amante».
Gwynplaine era come inchiodato.
«Bene»disse la donna. «Me ne andrò io. Ah! Siete mio marito! Niente dimeglio. Io vi odio».
E alzandosilasciando nell'aria un altezzoso gesto d'addionon si sa a chiuscì.
La portiera della galleria si richiuse su di lei.
V • SI RICONOSCONOMA NON SI CONOSCONO
Gwynplaine restò solo.
Solo davanti a quella vasca da bagno tiepida e a quel letto disfatto.
Le sue idee erano completamente polverizzate. Ciò che pensava non avevanulla in comune con il pensiero. Era una
diffusioneuna dispersionel'angoscia di vivere qualcosa d'incomprensibile.Sentiva come il terrore di un sogno.
Non è semplice entrare in mondi sconosciuti.
Dalla lettera della duchessaportata dal mozzoera iniziata per Gwynplaineuna serie di ore sorprendentisempre meno
comprensibili. Fino a quel momento egli si era mosso in un sognoma nonaveva perso la vista. Ora invece andava a
tentoni.
Non pensava. Non faceva supposizioni. Subiva.
Restava seduto sul canapélà dove l'aveva lasciato la duchessa.
Improvvisamente ci fu in quell'ombra un rumore di passi. Erano i passi di unuomo. Venivano dalla parte opposta della
galleria da cui era uscita la duchessa. L'uomo si avvicinavase ne udiva ilrumore sordo ma distinto. Gwynplaineper
quanto assortotese l'orecchio.
Ad un trattooltre la tenda argentata che la duchessa aveva lasciatasocchiusadietro il lettosi spalancò la porta che era
facilmente intuibile sotto lo specchio dipintoe una voce maschile eallegrache cantava a pieni polmoniriversò nella
camera degli specchi il ritornello di una vecchia canzone francese:Sulmucchio di letame tre maialini
bestemmiavano come facchini.
Entrò un uomo.
L'uomoche aveva la spada al fianco e teneva in mano un cappello piumato concordoncino e coccardaera vestito con
un magnifico abito da marinaiotutto gallonato.
Gwynplaine si alzòcome se fosse stata una molla a metterlo in piedi.
Riconobbe l'uomo e ne fu riconosciuto.
Dalle loro bocche stupite sfuggirono contemporaneamente queste dueesclamazioni:
«Gwynplaine!».
«Tom-Jim-Jack!».
L'uomo con il cappello piumato camminò verso Gwynplaineche incrociò lebraccia.
«Cosa fai quiGwynplaine?».
«E tuTom-Jim-Jackda dove vieni?».
«Ah! Capisco. Josiane! Un capriccio. Un saltimbanco che è anche un mostroè troppo bello per resistervi. Ti sei
travestito per venire quiGwynplaine».
«Anche tuTom-Jim-Jack».
«Gwynplainecosa significa questo abito da signore?».
«Tom-Jim-Jackcosa significa questo abito da ufficiale?».
«Gwynplaineio non rispondo alle domande».
«Neppure ioTom-Jim-Jack».
«Gwynplaineio non mi chiamo Tom-Jim-Jack».
«Tom-Jim-Jackio non mi chiamo Gwynplaine».
«Gwynplainequi io sono a casa mia».
«Qui sono a casa miaTom-Jim-Jack».
«Ti proibisco di farmi eco. Tu avrai l'ironiama io ho il mio bastone.Bando alle tue pagliacciatemiserabile buffone».
Gwynplaine impallidì.
«Tu sei un buffone! E mi renderai conto di questo insulto».
«Nella tua baraccafinché vorrai. A pugni».
«Quie con la spada».
«Amico Gwynplainela spada è una cosa da gentiluomini. Mi batto solo con imiei pari. Siamo uguali per i pugni
diversi per la spada. All'inn Tadcaster Tom-Jim-Jack può fare a pugni conGwynplaine. A Windsor è diverso. Sappi che
sono contrammiraglio».
«E io pari d'Inghilterra».
L'uomo che Gwynplaine conosceva come Tom-Jim-Jack scoppiò a ridere.
«E perché non re? Del restohai ragione. Un istrione è un po' tutto.Dimmi che sei Teseoduca d'Atene».
«Io sono pari d'Inghilterrae noi ci batteremo».
«Gwynplainestai esagerando. Non scherzare con chi ti può far frustare. Iosono lord David Dirry-Moir».
«E io lord Clancharlie».
Lord David scoppiò a ridere una seconda volta.
«Ben trovata. Gwynplaine è lord Clancharlie. Questo è infatti il nome chebisogna avere per possedere Josiane. Ascolta
ti perdono. E sai perché? Perché siamo i due amanti».
La portiera della galleria si scostòe una voce disse:
«Voi siete i due maritimiei signori».
Si voltarono entrambi.
«Barkilphedro!»esclamò lord David.
Si trattava in effetti di Barkilphedro.
S'inchinò profondamente ai due lords con un sorriso. Qualche passo dietro dilui si scorgeva un gentiluomo dal volto
rispettoso e severocon una bacchetta nera in mano.
Il gentiluomo si fece avanticompì tre riverenze in direzione diGwynplainee gli disse:
«Mylordio sono l'usciere della verga nera. Vengo a cercare la signoriavostraconformemente agli ordini di sua
maestà».
LIBRO OTTAVO • IL CAMPIDOGLIO E I SUOI DINTORNI
I • DISSEZIONE DI COSE REALI
La temibile ascesa che già da tante ore abbagliava in modi diversiGwynplainee che l'aveva portato a Windsorlo
riportò a Londra.
Le realtà visionarie si succedevano davanti a lui senza soluzione dicontinuità.Non c'era mezzo di sottrarvisi. Appena una lo abbandonaval'altralo riprendeva.
Egli non aveva il tempo di respirare.
Chi ha visto un giocoliere ha visto la sorte. Le palle che cadonosalgono ericadononon sono altro che gli uomini nella
mano del destino.
Palle e giocattoli.
La sera di quello stesso giorno Gwynplaine si trovava in un luogostraordinario.
Era seduto sopra un seggio ornato di fiordalisi. Sugli abiti di seta portavauna veste di velluto scarlatto foderata di
taffetà biancocon una mantelletta d'ermellino esulle spalledue strisced'ermellino orlate d'oro.
Attorno a lui c'erano uomini di tutte le etàgiovani e vecchiseduti comelui sui fiordalisi e come lui vestiti di ermellino
e di porpora.
Davanti a sé vedeva altri uominiin ginocchio. Questi avevano delle vestidi seta nera. Alcuni di loro scrivevano.
Di fronte a sépoco lontanoegli vedeva degli scaliniun palcounbaldacchinoun grande stemma che scintillava tra un
leone e un liocornoesotto il baldacchinosul palcoin cima agliscaliniaddossata allo stemmauna poltrona dorata e
coronata. Era un trono.
Il trono della Gran Bretagna. Gwynplaine sedevacome parinella camera deipari d'Inghilterra.
Com'era avvenuto questo ingresso di Gwynplaine nella camera dei lords?Raccontiamolo.
Per tutto il giornodal mattino fino alla serada Windsor fino a LondradaCorleone-lodge fino a Westminster-hall
aveva salito un gradino dopo l'altro. E ad ogni gradino un nuovo stordimento.
Lo avevano portato a Windsor con le carrozze della reginae con la scortadovuta a un pari. La guardia d'onore
assomiglia molto alla guardia che sorveglia.
Quel giornocoloro che abitavano lungo la strada da Windsor a Londra viderouna cavalcata al galoppo di gentiluomini
al servizio di sua maestàche accompagnavano due diligenze reali da viaggioguidate a spron battuto. Nella prima era
seduto l'usciere dalla verga neracon la bacchetta in mano. Nella seconda sidistingueva un largo cappello con piume
bianche che lasciava in ombra un volto invisibile. Chi stava passando? Unprincipe? Un prigioniero?
Era Gwynplaine.
Tutto stava ad indicare che qualcuno veniva condotto alla torre di Londraameno che non lo portassero alla camera dei
pari.
La regina aveva fatto le cose bene. Aveva dato una scorta del suo serviziopersonaletrattandosi del futuro marito della
sorella.
L'ufficiale dell'usciere dalla verga nera cavalcava in testa al corteo.
L'usciere dalla verga nera tenevasu uno strapuntino della sua carrozzauncuscino di tessuto argentato. Sul cuscino
c'era un portafoglio nero con impressa una corona reale.
Le due carrozze e la scorta si fermarono a Brentfordultima posta prima diLondra.
C'era ad attenderli una carrozza a scaglie equipaggiata con quattro cavalliquattro lacchè dietrodue postiglioni davanti
e un cocchiere con parrucca. Ruotepredellefinimentitimonetutto iltreno della carrozza era dorato. I cavalli erano
bardati d'argento.
La linea di quel cocchio di gala era straordinariamente alterae avrebbefatto una magnifica figura tra le cinquantun
carrozze celebri di cui Roubo ci ha lasciato i ritratti.
L'usciere dalla verga nera scese a terracome il suo ufficiale.
L'ufficiale dell'usciere ritirò dallo strapuntino della carrozza da viaggioil cuscino di stoffa argentata su cui c'era il
portafoglio con la coronalo prese tra le manie rimase in piedi dietrol'usciere.
L'usciere dalla verga nera aprì lo sportello della carrozzache era vuotapoi lo sportello della diligenza dove c'era
Gwynplaineeabbassando lo sguardoinvitò rispettosamente Gwynplaine aprendere posto in carrozza.
Gwynplaine scese dalla diligenza e salì sulla carrozza.
L'usciere con la sua vergae l'ufficiale con il cuscino salirono dopo diluioccupando il sedile bassoche negli antichi
cocchi da cerimonia era riservato ai paggi.
La carrozzaall'internoera tappezzata di raso bianco guarnito con tele diBinche a creste e ghiande d'argento. Il soffitto
era blasonato.
I postiglioni delle due diligenze che avevano abbandonato indossavano lacasacca reale. Il cocchierei postiglioni e i
lacchè della carrozza in cui erano salitiavevano un'altra livreadavveromagnifica.
Gwynplainepur essendo immerso in quel sonnambulismo che lo aveva quasiannientatonotò il fasto di quel
servidorame e chiese all'usciere dalla verga nera:
«Che tipo di livrea è?».
L'usciere dalla verga nera rispose:
«La vostramylord».
Quel giorno la camera dei lords aveva una seduta serale. Curia erat serenadicono i vecchi processi verbali. La vita
parlamentare inglese è facilmente una vita notturna. Si sa che a Sheridancapitò una volta di iniziare un discorso a
mezzanotte e di terminarlo all'alba.
Le due vetture da viaggio ritornarono vuote a Windsor; la carrozza dove sitrovava Gwynplaine si diresse invece verso
Londra.
La carrozza di scaglie a quattro cavalli andò al passo da Bentford a Londra.Lo esigeva la dignità della parrucca del
cocchiere.Il cerimoniale s'impadroniva di Gwynplaine nell'aspetto solenne diquel cocchiere.
Quei ritardidel restosecondo ogni apparenzaerano calcolati. Più tardine vedremo il probabile motivo.
Non era ancora nottema ci mancava pocoquando la carrozza a scaglie siarrestò davanti alla King's Gateuna pesante
porta schiacciata tra due torrette che metteva in comunicazione White-Hallcon Westminster.
Il gruppo dei gentiluomini di corte si strinse attorno alla carrozza.
Uno dei domestici che si trovavano sulla parte posteriore balzò a terra eaprì lo sportello.
L'usciere dalla verga neraseguito dall'ufficiale che portava il cuscinouscì dalla carrozza e disse a Gwynplaine:
«Mylorddegnatevi di scendere. Voglia la signoria vostra tenere il cappelloin testa».
Sotto il mantello da viaggio Gwynplaine portava l'abito di seta che non siera tolto dal giorno prima. Non aveva spada.
Lasciò il mantello nella carrozza.
Sotto il passo carraio della King's Gatec'era una piccola porta lateralesopraelevata di qualche gradino.
Per quanto riguarda il cerimoniale precedere è segno di rispetto.
L'usciere dalla verga neraprecedendo il suo ufficialecamminava davanti atutti.
Poi veniva Gwynplaine.
Salirono il gradino ed entrarono sotto la porta laterale.
Poco dopo si trovarono in una stanza rotonda e largacon un pilastro inmezzola parte inferiore di una torrettaun
salone da piano terrainsommache prendeva luce da ogive strette comefinestrelle absidalie che doveva essere buio
anche in pieno mezzogiorno. Poca lucea voltecontribuisce alla solennità.L'oscurità è maestosa.
In quella stanza c'erano tredici uomini in piedi. Tre davantisei in secondafilaquattro dietro.
Uno dei primi tre aveva una cotta di velluto rosagli altri due avevanocotte rossema di raso. Tutti e tre avevano le
armi d'Inghilterra ricamate sulla spalla.
I sei della seconda fila indossavano dalmatiche in stoffa marezzata biancaciascuno con un differente blasone sul petto.
Gli ultimi quattrotutti in stoffa marezzata nerasi distinguevano unodall'altroil primo per una cappa azzurrail
secondo per un San Giorgio scarlatto sullo stomacoil terzo per due crocicremisi ricamate sul petto e sulle spalleil
quarto per un collare di pelliccia nera detta pelle di zibellino. Tuttiportavano la parruccaerano a testa scoperta e
avevano una spada al fianco.
I loro volti nella penombra erano appena distinguibili. Essi non potevanovedere la faccia di Gwynplaine.
L'usciere dalla verga nera alzò la sua bacchetta e disse:
«Mylord Fermain Clancharliebarone Clancharlie e Hunkervilleiouscieredalla verga neraprimo ufficiale della
camera di presenzaaffido la signoria vostra a Jarretièreprimo araldod'Inghilterra».
Il personaggio in cotta di vellutolasciandosi dietro gli altris'inchinòfino a terra davanti a Gwynplaine e disse:
«Mylord Fermain Clancharlieio sono Jarretièreprimo araldod'Inghilterra. Sono l'ufficiale creato e incoronato da sua
grazia il duca di Norfolkconte maresciallo ereditario. Ho giuratoobbedienza al reai pari e ai cavalieri della
Giarrettiera. Il giorno della mia incoronazionequando il conte maresciallod'Inghilterra mi ha versato un bicchiere di
vino sulla testaho giurato solennemente di servire la nobiltàdi evitarela compagnia di uomini di cattiva reputazione
di scusare piuttosto che biasimare le persone di qualitàe di assistere levedove e le vergini. Io ho l'incarico di
sovrintendere alle cerimonie di sepoltura dei parie mi preoccupo diconservare i loro stemmi. Mi metto agli ordini di
vostra signoria».
Il primo degli altri due in cotta di raso fece una riverenza e disse:
«Mylordio sono Clarencesecondo araldo d'Inghilterra. Sono l'ufficialeaddetto alla sepoltura dei nobili al di sotto dei
pari. Mi metto agli ordini di vostra signoria».
L'altro uomo in cotta di raso fece un inchino e disse:
«Mylordio sono Norroyterzo araldo d'Inghilterra. Mi metto agli ordini divostra signoria».
I sei della seconda filaimmobili e senza inchinarsifecero un passo.
Il primo alla destra di Gwynplaine disse:
«Mylordnoi siamo i sei duchi d'armi d'Inghilterra. Io sono York».
Poi ciascun araldo o duca d'armia turnoprese la parola presentandosi.
«Io sono Lancaster».
«Io sono Richmond».
«Io sono Chester».
«Io sono Somerset».
«Io sono Windsor».
Essi portavano sul petto i blasoni delle contee e delle città di cui avevanoil nome.
I quattro vestiti di nerodietro gli araldistavano in silenzio.
Il primo araldo Jarretière li indicò a Gwynplaine e disse:
«Mylordecco i quattro assistenti degli araldi».
«Mantello azzurro».
L'uomo con la cappa azzurra salutò con la testa.
«Dragone rosso».
L'uomo con San Giorgio s'inchinò.
«Rossa-Croce».
L'uomo con le croci rosse s'inchinò.«Impellicciato».
L'uomo con la pelliccia di zibellino s'inchinò.
A un cenno del primo araldoil primo degli assistentiMantello azzurroavanzò e prese dalle mani dell'ufficiale
dell'usciere il cuscino di stoffa argentata e il portafoglio con la corona.
Il primo araldo disse all'usciere dalla verga nera:
«Così sia. Dichiaro a vostro onore di aver accolto sua signoria».
Questi cerimoniali d'etichettae altri che seguirannofacevano partedell'antico cerimoniale anteriore a Enrico VIIIche
Annaper un certo tempotentò di far rivivere. Oggi non rimane nulla ditutto ciò. Eppure la camera dei lords si crede
immutabile; e se qualcosa d'immemorabile esisteè proprio qui.
Tuttavia cambia. E pur si muove.
Che ne è statoper esempiodel may polel'albero di maggio che lacittà di Londra piantava dove passavano i pari
diretti al parlamento? L'ultimo a fare la sua parte è stato eretto nel 1713.In seguito il may pole è scomparso. È andato in
disuso.
L'immobilità è l'apparenza; la realtà è il mutamento. Prendete il titolodi Albemarle. Sembra eterno. Sotto questo titolo
sono passate sei famiglieOdoMandevilleBéthunePlantagenêtBeauchampMonk. Sotto il titolo di Leicester si sono
succeduti cinque diversi nomiBeaumontBrewoseDudleySidneyCoke. SottoLincolnsei. Sotto Pembrokesette
ecc. Le famiglie cambiano sotto titoli che non si muovono. Lo storicosuperficiale crede all'immutabilità. In fondonulla
dura. L'uomo non può essere che il flutto. L'umanità è l'onda.
Le aristocrazie si vantano di ciò che per le donne è un'umiliazione:invecchiare; ma sia le donne che le aristocrazie
hanno la stessa illusione: quella d i conservarsi.
Forse la camera dei lords non si riconoscerà in quanto abbiamo già letto ein quello che leggeremoun po' come chi è
stata una bella donna e non ammette le rughe. Lo specchio è un vecchioaccusatoe si rassegna.
La rassomiglianzaecco il dovere dello storico.
Il primo araldo si rivolse a Gwynplaine.
«Vogliate seguirmimylord».
Poi aggiunse:
«S'inchineranno. Vostra signoria solleverà solo il bordo del cappello».
E si diressero in corteo verso una porta che stava sul fondo della salarotonda.
L'usciere dalla verga nera apriva la fila.
Seguivano Mantello azzurroche portava il cuscino; poi il primo araldo;dietro il primo araldo veniva Gwynplainecon
il cappello in testa.
Gli altriaraldi e assistentirestarono nella sala rotonda.
Gwynpla inepreceduto dall'usciere dalla verga nera e sotto la guidadell'araldoseguìdi sala in salaun itinerario che
oggi sarebbe impossibile ripercorrereperché l'antica dimora del parlamentoinglese è stata demolita.
Attraversòtra l'altroquella came ra di Stato gotica dove aveva avutoluogo l'incontro supremo tra Giacomo II e
Monmouthche aveva visto l'inutile inginocchiarsi del vile nipote davantiallo zio feroce. Tutto attorno alle pareti di
quella camera erano collocatiin ordine cronologicocon nomi e blasoninove ritratti a figura intera di antichi pari: lord
Nansladron1305. Lord Baliol1306. Lord Benestede1314. Lord Cantilupe1356. Lord Montbegon1357. Lord
Tibotot1372. Lord Zouch of Codnor1615. Lord Bella-Aquasenza data. LordHarren and Surreyconte di Blois
senza data.
Poiché si era fatta nottedi quando in quando c'erano delle lampade nellegallerie. Nelle saleilluminate quasi come le
navate laterali delle chiesec'erano dei lampadari di rame con candele dicera accese.
Vi si incontravano solo le persone addette.
In una camera che il corteo attraversòc'eranoin piedila testa china insegno di rispettoi quattro scrivani del sigillo e
lo scrivano delle carte di stato.
In un'altra c'era l'onorevole Philip Sydenhamcavaliere banderesesignoredi Brympton nel Somerset. Il cavaliere
banderese è quel cavaliere che il re crea in guerra sotto la bandiera realespiegata.
In un'altra ancora c'era il più antico baronetto inglesesir Edmund Bacondi Suffolkerede di sir Nicholasche aveva la
qualifica di primus baronetorum Angliae. Dietro a sir Edmund c'era ilsuo arcifer che gli teneva l'archibugioe lo
scudiero con le armi d'Ulsterperché i baronetti erano i difensori natidella contea d'Ulster in Irlanda.
In un'altra camera c'era il cancelliere dello scacchiereaccompagnato daiquattro maestri contabili e dai due deputati del
lord ciambellano incaricati di segnare le imposte. Poi il maestro dellamonetache aveva nella mano aperta una sterlina
fatta al torniocome si usa per i pounds. Gli otto personaggi s'inchinaronoal passaggio del nuovo lord.
All'entrata del corridoioricoperto da una stuoiache metteva incomunicazione la camera bassa con la camera alta
Gwynplaine fu salutato da sir Thomas Mansell di Margamamministratore dellacasa della regina e membro del
parlamento per Glamorgan; eall'uscitada una deputazione «uno su due»dei baroni dei Cinque Portischierati alla sua
destra e alla sua sinistraquattro per parteessendo i Cinque Porti otto.William Ashburnham lo salutò per Hastings
Mattew Aylmor per DouvresJosias Burchett per Sandwichsir Philip Botelerper HyetJohn Brewer per New Rumney
Edward Southwell per la città di RyeJames Hayes per la città diWinchelseae George Nailor per la città di Seaford.
Il primo araldopoiché Gwynplaine stava per restituire il salutogliricordò sottovoce il cerimoniale.
«Solo l'orlo del cappellomylord».
Gwynplaine fece come gli era stato detto.Arrivò nella camera dipintadovenon c'erano dipintia parte qualche volto di santotra cui sant'Edoardosottole
curvature delle alte finestre ogivalitagliate in due dal pavimentodi cuiWestminster-Hall occupava la parte inferioree
la camera dipinta quella superiore.
Al di qua della balaustra di legnoche attraversava da una parte all'altrala camera dipintastavano i tre segretari di
Statouomini di grande considerazione. Il primo di questi ufficiali avevacompetenza sul sud dell'Inghilterral'Irlanda e
le coloniepiù la Franciala Svizzeral'Italiala Spagnail Portogalloe la Turchia. Il secondo si occupava del nord
dell'Inghilterracon la sorveglianza sui Paesi Bassila GermanialaDanimarcala Sveziala Polonia e la Moscovia. Il
terzoscozzeseaveva la Scozia. I primi due erano inglesi. Uno eral'onorevole Robert Harleymembro del parlamento
per la città di New-Radnor. Era presente un deputato scozzeseMungo Grahamesquireparente del duca di Montrose.
Tutti salutarono Gwynplaine in silenzio.
Gwynplaine si toccò l'orlo del cappello.
L'addetto alla balaustra alzò la sbarra di legno a cardine che permetteval'ingresso al fondo della camera dipintadove
c'era una lunga tavola coperta da un drappo verderiservata esclusivamenteai lords.
Sulla tavola c'era un candelabro acceso.
Gwynplainepreceduto dall'usciere dalla verga nerada Mantello azzurro e daJarretièreentrò in quel settore esclusivo.
L'addetto alla balaustra richiuse l'entrata dietro Gwynplaine.
Appena varcata la balaustrail primo araldo si fermò.
La camera dipinta era spaziosa.
Si scorgevano in fondo due vecchiin piedi sotto lo scudo reale che stavatra le due finestreindossavano vesti di velluto
rosso con due strisce d'ermellino ornate di galloni dorati sulla spallaecon cappelli a piume bianche sopra le parrucche.
Dall'apertura delle vesti s'intravedeva l'abito di seta e l'impugnatura dellaspada.
Dietro loro c'era un uomoimmobilevestito in stoffa marezzata neracheteneva alta una grande mazza d'oro
sormontata da un leone coronato.
Era il mazziere dei pari d'Inghilterra.
Il leone è la loro insegna: E i leoni sono i Baroni e i Pari dice lacronaca manoscritta di Bertrand Duguesclin.
Il primo araldo indicò a Gwynplaine i due personaggi in abito di velluto egli disse all'orecchio:
«Mylordsono vostri pari. Renderete il saluto nello stesso modo in cui visarà fatto. Le signorie qui presenti sono baroni
e vostri padrini designati dal lord cancelliere. Essi sono molto vecchi equasi ciechi. Spetta a loro introdurvi nella
camera dei lords. Il primo è Charles Mildmaylord Fitzwaltersesto signoreal banco dei baroniil secondo è Augustus
Arundellord Arundel di Trericetrentottesimo signore al banco deibaroni».
Il primo araldofacendo un passo verso i due vecchialzò la voce:
«Fermain Clancharliebarone Hunkervillemarchese di Corleone in Siciliasaluta le signorie vostre».
I due lords sollevarono i cappelli sopra la testa di tutta la lunghezza delbracciopoi se li rimisero.
Gwynplaine restituì il saluto allo stesso modo.
L'usciere dalla verga nera si fece avantipoi Mantello azzurropoiJarretière.
Il mazziere andò a mettersi davanti a Gwynplainei due lords ai fianchilord Fitzwalter alla destra e lord Arundel di
Trerice alla sinistra. Lord Arundel era molto cadenteil più vecchio deidue. Morì l'anno dopolasciando a suo nipote
Johnminorennela parìachedel restodoveva estinguersi nel 1768.
Il corteo uscì dalla camera dipinta e prese una galleria a pilastri doveadogni pilastrosi alternavano come sentinelle
dei soldati inglesi armati di partigiana e degli alabardieri scozzesi.
Gli alabardieri scozzesi costituivano quel magnifico reparto con le gambenude chepiù tardiavrebbe degnamente
fronteggiato la cavalleria francese e quei corazzieri del re a cui il lorocolonnello diceva: Signoriassicuratevi i cappelli
stiamo per avere l'onore di caricare.
Il capitano dei soldati con la partigiana e il capitano degli alabardieriresero a Gwynplaine e ai due lords padrini il saluto
con la spada. I soldati salutaronogli uni con la partigianagli altri conl'alabarda.
In fondo alla galleria risplendeva una grande portacosì magnifica che idue battenti sembravano due lame d'oro.
Ai lati della porta c'erano due uomini immobili. Dalla loro livrea sipotevano riconoscere come door-keepers
«guardaporte».
Poco prima d'arrivare a quella portala galleria si allargava in un emicicloa vetrate.
Nell'emiciclosu una poltrona con una smisurata spallieraera seduto unpersonaggio augusto per l'enormità della sua
veste e della parrucca. Si trattava di W illiam Cowperlord cancelliered'Inghilterra.
La sua qualità consisteva nell'essere più infermo del re. William Cowperera miopeanche Anna lo erama meno. La
vista corta di William Cowper piacque alla miopia di sua maestàe fece sìche la regina lo scegliesse come cancelliere e
custode della coscienza reale.
William Cowper aveva il labbro superiore sottile e il labbro inferioregrossosegno questo di una mezza bontà.
L'emiciclo a vetrate era illuminato da una lampada posta sul soffitto.
Il lord cancellieregrave nella sua alta poltronaaveva alla sua destra untavolo a cui era seduto lo scrivano della corona
e alla sua sinistra un tavolo a cui era seduto lo scrivano del parlamento.
Ciascuno dei due scrivani teneva davanti a sé un registro aperto el'occorrente da scrivania.
Dietro la poltrona del lord cancelliere c'era il suo mazziereche portava lamazza coronata. C'erano anche il reggi-coda
e il porta-borsacon una grande parrucca. Tutte queste cariche esistonoancora.Su una credenza vicina alla poltrona c'era una spada con l'impugnaturad'orocon il fodero e il cinturone di velluto color
fuoco.
Dietro lo scrivano della corona c'era un ufficialein piediche teneva contutte e due le mani una veste ben apertala
veste dell'incoronazione.
Dietro lo scrivano del parlamento c'era un altro ufficiale che tenevaspiegata un'altra vestequella del parlamento.
Gli abititutti e due in velluto cremisi foderato di taffetà biancocondue strisce d'ermellino con ornature d'oro sulle
spalleerano ugualitranne per il fatto che il rocchetto d'ermellinodell'incoronazione era più largo.
Un terzo ufficialeil «librarian»portava su un cuscinetto in cuoio diFiandra il red-bookun libriccino rilegato in
marocchino rosso che conteneva l'elenco dei pari e dei comunioltre adalcune pagine bianche e a una matita che era
usanza consegnare ad ogni nuovo membro che entrasse in parlamento.
Il corteo in forma di processioneche chiudeva Gwynplaine tra i due parisuoi padrinisi fermò davanti alla poltrona del
lord cancelliere.
I due lords padrini si tolsero i cappelli. Gwynplaine fece come loro.
Il primo araldo ricevette dalle mani di Mantello azzurro il cuscino di stoffaargentatas'inginocchiòe presentò al lord
cancelliere il portafoglio nero che stava sul cuscino.
Il lord cancelliere prese il portafoglio e lo diede allo scrivano delparlamento. Lo scrivano lo ricevette secondo il
cerimonialepoi tornò a sedere.
Lo scrivano del parlamento aprì il portafoglio e si alzò.
Il portafoglio conteneva i due messaggi d'obbligola patente realeindirizzata alla camera dei lordse l'ingiunzione di
occupare il seggio rivolta al nuovo pari.
Lo scrivanoin piedilesse a voce alta i due messaggi con rispettosalentezza.
L'ingiunzione di occupare il seggio diretta a lord Fermain Clancharlie siconcludeva con la nota formula: «Noi vi
ingiungiamo rigorosamentein nome della fede e della fedeltà che ci dovetedi venire a prendere di persona il vostro
posto tra i prelati e i pari che siedono nel nostro parlamento a Westminstercosì che diate il vostro consigliocon onore
e coscienzasugli affari del regno e della chiesa».
Quando la lettura dei messaggi fu terminatail lord cancelliere fece sentirela sua voce.
«È dato atto alla corona. Lord Fermain Clancharlierinuncia la signoravostra alla transustanziazioneall'adorazione dei
santi e alla messa?».
Gwynplaine fece un inchino.
«Prendiamone atto»disse il lord cancelliere.
E lo scrivano del parlamento ribadì:
«Sua signoria ne ha preso atto».
Il lord cancelliere aggiunse:
«Mylord Fermain Clancharliepotete prendere posto».
«Così sia»dissero i due padrini.
Il primo araldo si rialzòprese la spada dalla credenza e ne allacciò ilcinturone alla vita di Gwynplaine.
«Ciò fatto - dicono i vecchi documenti normanni - il pari prende la spada esale ai seggi alti per assistere all'udienza».
Gwynplaine udì dietro di sé qualcuno che gli diceva:
«Rivesto vostra signoria con la veste del parlamento».
E al tempo stesso l'ufficiale che gli parlava e che teneva la vesteglielapassòannodandogli al collo il nastro nero del
rocchetto d'ermellino.
Ora Gwynplainecon la veste di porpora sulle spalle e la spada d'oro alfiancoera simile ai due lords che gli stavano a
destra e a sinistra.
Il librarian gli mostrò il red-book e glielo mise nella tasca dell'abito.
Il primo araldo gli sussurrò all'orecchio:
«Mylordentrandosaluterete la sedia reale».
La sedia reale è il trono.
Intanto i sue scrivani scrivevanociascuno al suo tavolouno sul registrodella coronal'altro sul registro del parlamento.
Tutti e dueuno dopo l'altrolo scrivano della corona per primoportaronoi loro libri al lord cancelliereche firmò.
Dopo aver firmato i due registriil lord cancelliere si alzò:
«Lord Fermain Clancharliebarone Clancharliebarone Hunkervillemarchesedi Corleone in Italiasiate il benvenuto
tra i vostri parii lords spirituali e temporali della Gran Bretagna».
I due padrini di Gwynplaine gli toccarono la spalla. Egli si voltò.
E la grande porta dorata in fondo alla galleria aprì i suoi due battenti.
Era la porta della camera dei pari d'Inghilterra.
Non erano trascorse trentasei ore da quando Gwynplainecircondato da benaltro corteoaveva visto aprirsi davanti a lui
la porta di ferro del carcere di Southwark.
Tremenda rapidità di tutte quelle nuvole sulla sua testa; nuvole che eranoavvenimenti; rapidità che era un vero e
proprio assalto.
II • IMPARZIALITÀLa creazione di una forma d'eguaglianza con il redettaparìafu un'inutile finzione nelle epoche barbare. Questo
rudimentale espediente politico produsse risultati differenti in Francia e inInghilterra. In Francia il pari fu un finto re; in
Inghilterra fu un principe autentico. Meno grande che in Franciama piùreale. Si potrebbe dire: minore ma peggiore.
La parìa è nata in Francia. L'epoca non è sicura; secondo la leggendasotto Carlo Magno; sotto Roberto il Saggio per la
storia. La storia non è più sicura di quello che dice di quanto lo sia laleggenda. Favin scrive: «Il re di Francia volle
attirare a sé i grandi del suo stato con il magnifico titolo di Paricomese fossero uguali a lui».
La parìa si biforcò prestissimopassando dalla Francia all'Inghilterra.
La parìa inglese è stata un grande fattoquasi una grande cosa. Il suoprecedente è stato il wittenagemont sassone. Il
thane danese e il valvassore normanno si fusero nel barone. Barone è lastessa cosa di virche in spagnolo si traduce
varone che significa uomo per eccellenza. Dal 1075 i baroni si fannosentire dal re. E che re! Guglielmo il
Conquistatore. Nel 1086 fondano la feudalitàquesto fondamento è il Doomsday-book«Libro del Giudizio
Universale». Sotto Giovanni senza Terraconflitto; la signoria francesetratta altezzosamente la Gran Bretagnae la
parìa francese manda sotto processo il re d'Inghilterra. Indignazione deibaroni inglesi. Alla consacrazione di Filippo
Augusto il re d'Inghilterra portavacome duca di Normandiala primabandiera quadratae il duca di Guienna la
seconda. Proprio contro questo re vassallo dello straniero scoppia la«guerra dei signori». I baroni impongono al
miserabile re Giovanni la Grande Cartada cui viene la camera dei lords. Ilpapa si schiera dalla parte del re e
scomunica i lords. La data è il 1215e il papa è Innocente IIIchescriveva il Veni sancte Spiritus e mandava a Giovanni
senza Terra le quattro virtù cardinali sotto forma di quattro anelli d'oro.I lords non desistono. Un lungo duello che
durerà per molte generazioni. Pembroke lotta. Il 1248 è l'anno delle«Provvigioni di Oxford». Ventiquattro baroni
limitano il relo mettono in discussione e nominanoper farli parteciparealla contesa che si è allargataun cavaliere per
ogni contea. È l'alba dei comuni. Più tardiai lords si aggiunsero duecittadini per ogni città e due borghesi per ogni
borgo. Da ciò dipende il fatto chefino ad Elisabettai pari giudicaronola validità delle elezioni dei comuni. Dalla loro
giurisdizione nacque il detto: «I deputati devono essere nominati senza letre P: sine Precesine Pretiosine Poculo».
Ciò non impedì il fenomeno delle città decadute. Nel 1293 la corte deipari di Francia poteva ancora giudicare il re
d'Inghilterrae Filippo il Bello citava in giudizio Edoardo I. Edoardo I eraquel re che ordinava a suo figlio di farlo
bollire dopo che fosse morto e di portarne le ossa in guerra. Sotto quellefollie reali i lords sentono il bisogno di
rafforzare il parlamento; e lo dividono in due camere. La camera alta e lacamera bassa. I lords tutelano con arroganza la
loro supremazia. «Se capita che uno dei comuni sia così ardito da parlaresfavorevolmente della camera dei lordslo si
porti in giudizio per punirloe in alcuni casi per inviarlo alla Torre».Identica distinzione nel voto. Alla camera dei lords
si vota uno per voltaa partire dall'ultimo baronedetto «il cadetto».Ciascun pari interpellato risponde contento o non
contento. Ai comuni votano tutti insiemecon un SÌ o un NOcome ungregge. I comuni danno un'indicazionei pari
giudicano. I paridisprezzando i numeridelegano ai comunichedeciderannola sorveglianza dello scacchierecosì
chiamatosecondo alcunidal tappeto del tavolo che rappresenta una scacchierasecondo altri dai cassetti del vecchio
armadio dovedietro una grata di ferroc'era il tesoro dei red'Inghilterra. Il Registro annuale«Year-book»data dalla
fine del XIII secolo. Durante la guerra delle Due Rose si avverte il peso deilordssia da parte di John de Gautduca di
Lancastersia da parte di Edmundduca di York. Wat-Tyleri LollardsWarwickil costruttore di retutta questa
anarchia madre da cui verrà l'emancipazioneha come punto d'appoggiopalese o segretola feudalità inglese. I lords
invidiano utilmente il trono; invidiare significa sorvegliare; essicircoscrivono l'iniziativa realeriducono i casi di alto
tradimentosuscitano dei falsi Riccardi contro Enrico IVdiventano arbitrigiudicano la questione delle tre corone tra il
duca di York e Margherita d'Angiòequando occorrearruolano eserciti efanno le loro battaglieShrewsbury
TewkesburySaint-Albana volte perdendolea volte vincendole. Già nelXIII secolo avevano ottenuto la vittoria di
Lewescacciando dal regno i quattro fratelli del rei bastardi di Isabellae del conte della Marcatutti e quattro usurai
che sfruttavano i cristiani per me zzo degli ebrei; principi per un verso efurfanti per l'altrouna cosa che si è rivista più
tardima che a quei tempi non era molto stimata. Fino al XV secolosopravvive nel re d'Inghilterra il duca normannoe
gli atti del parlamento sono redatti in francese. A partire da Enrico VIIper volontà dei lordsvengono redatti in inglese.
Grazie ai lords l'Inghilterrabrettone sotto Uther Pendragonromana sottoCesaresassone sotto l'ettarchiadanese sotto
Haroldnormanna dopo Guglielmodiventa inglese. Poi diventerà anglicana.Avere una propria religione è una gran
forza. Un papa esterno limita la vita nazionale. Una mecca è una piovra. Nel1534Londra congeda Romala parìa
adotta la riforma e i lords accettano Lutero. Replica alla scomunica del1215. Ciò conveniva a Enrico VIIImasotto
altri punti di vistai lords gli davano fastidio. La camera dei lordsdavanti a Enrico VIII era come un bulldog davanti a
un orso. Quando Wolsey ruba White-Hall alla nazionee quando Enrico VIIIruba White-Hall a Wolseychi ringhia?
Quattro lordsDarcie di ChichesterSaint-John di BletsoMountjoye eMounteagle (che sono nomi normanni). Il re
usurpa. La parìa sconfina. L'eredità contiene l'incorruttibilità; da quil'insubordinazione dei lords. Perfino davanti ad
Elisabetta i baroni si agitano. Ne derivano i supplizi di Durham. Quellasottana tirannica è macchiata di sangue.
Elisabetta è un guardinfante sotto cui c'è il ceppo delle esecuzioni.Elisabetta riunisce il parlamento meno che può
riducendo la camera dei lords a sessantacinque membridi cui uno solomarcheseWestminstere neppure un duca.
D'altra parte i re di Francia erano ugualmente gelosi e attuavano la stessaeliminazione. Sotto Enrico III non c'erano che
otto ducati parìeed era solo con grande disappunto del re che il barone diMantesil barone di Coucyil barone di
Coulommiersil barone di Châteauneuf-in-Timeraisil barone della Fère inTardenoisil barone di Mortagnee pochi
altri ancoracontinuavano ad essere baroni pari di Francia. In Inghilterrala corona lasciava volentieri che le parìe si
estinguessero; sotto Annaper non citare che un esempiodal XII secololeestinzioni avevano finito con l'assommare a
cinquecentosessantacinque parìe abolite. La guerra delle Due Rose aveva datoinizio all'estirpazione dei duchicheMaria Tudor aveva completato a colpid'ascia. Significava decapitare la nobiltà. Tagliare un duca vuol dire tagliarela
testa. Senza dubbio una buona politicama è meglio corrompere che tagliare.È ciò che pensò Giacomo I. Egli restaurò
il ducato. Fece duca il suo favorito Villiersche l'aveva fatto porco.Trasformazione del duca feudale in duca cortigiano.
Ciò prolifererà. Carlo II farà duchesse due sue amantiBarbara diSouthampton e Luisa di Quérouel. Sotto Anna ci
saranno venticinque duchidi cui tre stranieriCumberlandCambridge eSchonberg. Questi procedimenti di corte
inventati da Giacomo Ihanno buon esito? No. La camera dei lords si sentemanipolata con l'intrigo e si irrita. Si irrita
contro Giacomo Isi irrita contro Carlo I chesia detto di passaggiohacontribuito forse all'uccisione di suo padre
come Maria dei Medici ha contribuito forse a quella di suo marito. Rotturatra Carlo I e la parìa. I lordsche al tempo di
Giacomo I avevano mandato sotto processo il reato di concussione nellapersona di Baconeal tempo di Carlo I
processano il reato di tradimento nella persona di Stafford. Avevanocondannato Baconecondannano Stafford. Il primo
aveva perso l'onoreil secondo perde la vita. Carlo I viene decapitato unaprima volta nella persona di Stafford. I lords
danno man forte ai comuni. Il re convoca il parlamento a Oxfordlarivoluzione lo convoca a Londra; quarantatre pari
vanno con il reventidue con la repubblica. Da questa accettazione delpopolo da parte dei lords viene il bill dei diritti
abbozzo dei nostri diritti dell'uomoombra vaga che dal fondodell'avvenire la Rivoluzione francese proietta su quella
inglese.
Questi sono i benefici. Sia pure involontari. E pagati a caro prezzoperchéla parìa è un enorme parassita. Ma benefici
considerevoli. L'opera dispotica di Luigi XIdi Richelieu e di Luigi XIVlacostruzione di un sultanol'umiliazione
scambiata con l'uguaglianzalo scettro che bastonale moltitudini livellatedall'assoggettamentotutto questo lavoro
turco fatto in Franciai lords l'hanno impedito in Inghilterra. Essi hannofatto dell'aristocrazia un muroarginando il re
da una parte e proteggendo il popolo dall'altra. Essi riscattano la loroarroganza verso il popolo con la loro insolenza
verso il re. Simonconte di Leicesterdiceva a Enrico III: Retu haimentito. I lords impongono servitù alla corona; essi
offendono il re nella sua sensibilitànella caccia. Qualsiasi lordpassando per un parco realeha il diritto di uccidere un
daino. A casa del re il lord è a casa sua. Si deve alla camera dei lords seè previsto che il re paghi per la torre di Londra
una tariffa di dodici sterline alla settimananon più di un pari. Le sideve anche di aver tolto la corona al re. I lords
hanno destituito Giovanni senza Terradegradato Edoardo IIdeposto RiccardoIIstroncato Enrico IVrendendo
possibile Cromwell. Che Luigi XIV c'era in Carlo I! Grazie a Cromwell non siè manifestato. D'altra partediciamolo di
passaggiones suno storico ha fatto attenzione alla circostanza che lostesso Cromwell aspirava alla parìa; fu questo che
lo spinse a sposare Elisabetta Bourchierdiscendente ed erede di unCromwelllord Bourchierla cui paria si era estinta
nel 1471e di un Bourchierlord Robesartaltra parìa estinta nel 1429.Seguendo il temibile crescendo degli
avvenimentitrovò più semplice dominare attraverso un re soppresso che permezzo di una parìa reclamata. Il re era
colpito dal cerimonialea volte sinistrodei lords. I due porta-spada dellaTorreche stavano in piedicon l'ascia in
spallaa destra e a sinistra del pari accusato e condotto in giudizioeranopronti per il re non meno che per qualsiasi
altro lord. Per cinque secoli l'antica camera dei lords ha avuto una regolae l'ha seguita inflessibilmente. Si possono
contare i suoi giorni di distrazione e di debolezzacomeper esempioinquel curioso frangentequando si lasciò
sedurre dalla galeazza carica di formaggiprosciutti e vini greci che leinviò Giulio II. L'aristocrazia inglese era
inquietaaltezzosairriducibileattentapatriotticamente diffidente. Fulei chealla fine del XVII secolocon il decimo
decreto dell'anno 1694tolse al borgo di Stockbridgea Southamptonildiritto di essere rappresentato in parlamento
costringendo i comuni ad annullare l'elezione di quel borgomacchiata difrode papista. Essa aveva imposto il
giuramento a Giacomoduca di Yorke al suo rifiuto lo aveva escluso daltrono. Ciò nonostante egli regnòma i lords
fin irono con l'impadronirsene e cacciarlo. Questa aristocrazia ha avutodurante la sua lunga esistenza qualche istinto di
progresso. Ha sempre sprigionato una certa quantità apprezzabile di luceeccetto che nel finalecioè ora. Sotto
Giacomo IIessa conservava nella camera bassa la proporzione ditrecentoquarantasei borghesi contro novantadue
cavalieri; i sedici baroni di cortesia dei Cinque Porti erano più checontrobilanciati dai cinquanta cittadini di venticinque
città. Pur essendo molto portata per la corruzione ed egoistaquestaaristocrazia era capacein certe occasionidi una
singolare imparzialità. La si giudica con durezza. La storia riserva i suoifavori ai comuni; è una cosa discutibile. Noi
pensiamo che il ruolo dei lords sia stato grandissimo . Oligarchia significaindipendenzaallo stato barbaroma pur
sempre indipendenza. Guardate la Polonianominalmente è un regnoma nellarealtà è una repubblica. I pari inglesi
tenevano il trono in uno stato di sospetto e sotto tutela. In più diun'occasionemeglio dei comunii lords sapevano
rendersi spiacevoli. Essi davano scacco al re. Cosìin quel memorabile1694i parlamenti triennalirespinti dai comuni
perché Guglielmo III non li volevafurono votati dai pari. Guglielmo IIIirritatotolse al conte di Bath il castello di
Pendennise tutte le cariche al visconte Mordaunt. La camera dei lords erala repubblica di Venezia nel cuore della
sovranità inglese. Il suo scopo era di ridurre il re alla condizione didogee grazie ad essa la nazione si è accresciuta a
detrimento del re.
La sovranità lo capiva e odiava la parìa. Entrambi cercavano di sminuirsi.Quelle diminuzioni andavano a vantaggio del
popolo. Quei due poteri ciechimonarchia e oligarchianon si accorgevano dilavorare per un terzola democrazia. Che
piacere fu per la cortenell'ultimo secolopoter impiccare un parilordFerrers!
Comunque lo impiccarono con una corda di seta. Una vera squisitezza.
In Francia non avrebbero mai impiccato un pari. L'orgogliosa osservazione fudel duca di Richelieu. D'accordo.
L'avrebbero decapitato. Una squisitezza ancora più grande.Montmorency-Tancarville firmava: Pari di Francia e
d'Inghilterramettendo così la parìa inglese al secondo posto. I parifrancesi erano più in alto ma meno potentipiù
sensibili al rango che all'autoritàalle questioni di precedenza che alpotere. Tra loro e i lords c'era la sfumatura che
distingue la vanità dell'orgoglio. Per i pari francesi il grosso problemaera di avere la precedenza sui principi stranieriprecedere i grandi di Spagnaprimeggiare sui patrizi veneziani; far sedere sui seggi più bassi delparlamento i
marescialli di Franciail conestabile e l'ammiraglio francesefosse pureconte di Tolosa e figlio di Luigi XIV;
distinguere tra ducati maschi e ducati femmine; mantenere le distanze tra unacontea semplice come Armagnac o Albret
e una contea-parìa come Évreuxavere il diritto di portarein certi casil'insegna di Cavaliere del Santo Spirito o il vello
d'oro a venticinque anni; controbilanciare il duca di Trémoilleil paripiù vecchio presso il recon il duca d'Uzèsil pari
più vecchio del parlamento; pretendere tanti paggi e tanti cavalli allacarrozza come un elettore; farsi dire monsignore
dal primo presidente; discutere se il duca del Maine abbia il titolo di paricome conte di Eudal 1458; attraversare la
grande camera diagonalmente o lungo i lati. Un grosso problema per i lordsera l'atto di navigazioneil giuramento
l'arruolamento dell'Europa al servizio dell'Inghilterrail dominio sui maril'espulsione degli Stuartsla guerra alla
Francia. Quiprima di tuttol'etichetta; làprima di tuttol'impero. Aipari d'Inghilterra rimaneva la predaa quelli
francesi l'ombra.
Insommala camera dei lords inglesi è stato un punto di partenza; per laciviltà è una cosa immensa. Essa ha avuto
l'onore di dare inizio a una nazione. È stata la prima incarnazionedell'unità popolare. Quella forza oscura e onnipotente
che è la resistenza inglese è nata nella camera dei lords. I baroniconuna serie di atti concreti contro il principehanno
preparato la detronizzazione definitiva. Oggi la camera dei lords è un po'stupita e rattristata per ciò che ha fatto senza
volerlo e senza saperlo. Tanto più che ciò è irrevocabile. Cosa sono leconcessioni? Delle restituzioni. E le nazioni lo
sanno bene. Io concedodice il re. Io riprendodice il popolo. La cameradei lords credeva di creare il privilegio dei
pariha prodotto invece il diritto dei cittadini. L'aristocraziaquestoavvoltoioha covato un uovo d'aquila: la libertà.
Oggi l'uovo si è apertol'aquila volal'avvoltoio muore.
L'aristocrazia agonizzal'Inghilterra cresce.
Ma siamo giusti nei confronti dell'aristocrazia. Essa ha contribuito adequilibrare la sovranità; ha fatto da contrappeso.
Ha ostacolato il dispotismo; è stata una barriera.
Ringraziamola e seppelliamola.
III • LA VECCHIA SALA
Accanto all'abbazia di Westminster c'era un antico palazzo normanno che fubruciato sotto Enrico VIII. Ne rimasero
due ali. Edoardo VI mise in una la camera dei lordsnell'altra la camera deicomuni.
Né le due aliné le due saleesistono più; è tutto ricostruito.
L'abbiamo detto e bisogna ribadirlola camera dei lords di oggi e la cameradei lords di un tempo non hanno nulla in
comune. Con la demolizione dell'antico palazzo si sono demoliti un po' anchegli antichi costumi. I colpi di piccone sui
monumenti non restano senza conseguenze sulle usanze e sui codici. Per ognivecchia pietra che cadecade anche una
vecchia legge. Mettete in una sala rotonda un senato che stava in una salaquadratadiventerà diverso. La conchiglia che
cambia deforma il mollusco.
Se volete conservare una cosa vecchiaumana o divinacodice o dogmapatriziato o sacerdozionon rinnovatene
nienteneppure l'involucro. Piuttosto rattoppate. Come il gesuitismoche èuna pezza applicata al cattolicesimo.
Comportatevi con gli edifici come con le istituzioni.
Le ombre devono abitare le rovine. Le potenze decrepite non si sentono a loroagio nelle abitazioni decorate di fresco.
Per is tituzioni a brandelli ci vogliono stamberghe.
Far vedere l'interno della camera dei lords di un temposignifica mostrarel'ignoto. La storia è la notte. Per la storia non
esistono cose secondarie. Ciò che non è più sul palcoscenicorimpicciolisce e si oscura immediatamente. Tolto lo
scenariocancellazioneoblio. Il sinonimo di Passato è Ignorato.
I pari d'Inghilterracome corte di giustiziasedevano nella sala grande diWestminstere come alta camera legislativa in
una sala speciale chiamata «casa dei lords»house of the lords.
Oltre alla corte dei pari d'Inghilterrache si riunisce solo se convocatadalla coronaanche i due grandi tribunali inglesi
inferiori alla corte dei pari ma superiori a qualsiasi altra giurisdizionesedevano nella sala grande di Westminster. Essi
occupavano due settori contiguinei posti d'onore della sala. Il primotribunale era la corte del seggio realeche il re era
tenuto a presiedere; il secondo era la corte di cancelleriapresieduta dalcancelliere. Uno era corte di giustizial'altro era
corte di misericordia. Era il cancelliere che suggeriva al re le grazie daconcedereraramente. Le due cortiche esistono
ancorainterpretavano la legislazionee un po' anche la rifacevano; l'artedel giudice consiste nel trasformare il codice
in giurisprudenza. Un lavoro in cui l'equità fa quello che può. Lalegislazione dunque veniva prodotta e applicata in quel
luogo severola sala grande di Westminster. La volta della sala era dicastagno così che non potevano formarsi le
ragnateleessendo sufficiente che queste si formino nelle leggi.
Una seduta come corte e una seduta come camera sono due cose diverse. Questadualità costituisce il potere supremo. Il
lungo parlamentoche iniziò il 3 novembre 1640avvertì il bisognorivoluzionario di questa doppia spada.
Dichiarandosi perciòcome una camera dei paripotere giudiziario e poterelegislativo al tempo stesso.
Questo doppio potere era immemorabile nella camera dei lords. Lo abbiamodetto: come giudicii lords occupavano
Westminster-Hallcome legislatoriavevano un'altra sala.
L'altra salapropriamente detta camera dei lordsera oblunga e stretta.Come illuminazione aveva quattro finestre
profondamente intagliate nella travaturache ricevevano luce dal tettoinoltresopra il baldacchino realec'era un
occhio di bue a sei vetricon tende; di sera non c'era altra illuminazioneche quella di dodici piccoli candelabri applicatialle pareti. La sala del senatodi Venezia era ancora meno illuminata. Ai gufi dell'onnipotenza un po' d'ombranon
dispiace.
Lungo la sala in cui si riunivano i lords girava un'alta volta a cassonidoratidisposti su piani poliedrici. I comuni
avevano invece un soffitto piatto; nell'architettura monarchica tutto ha unsenso. Ad un'estremità della lunga sala dei
lords c'era la porta; all'altra estremitàproprio di fronteil trono. Lasbarra a pochi passi dalla porta era una specie di
taglio trasversalecome una frontiera che indicava il luogo dove finisce ilpopolo e inizia la signoria. Un camino a
destra del tronocon un pinnacolo blasonatopresentava due bassorilievi inmarmoraffigurantiuna la vittoria di
Cuthwolph sui bretoni nel 572l'altro la pianta del borgo di Dunstablecheha solo quattro stradeparallele alle quattro
parti del mondo. Tre scalini rialzavano il trono. Il trono era chiamato«sedia reale». Sulle due pareti opposte si
allungavain una successione di quadriun vasto arazzo che Elisabetta avevadonato ai lordse che rappresentava tutte
le vicende dell'Armadadalla partenza dalla Spagna fino al naufragio davantiall'Inghilterra. Gli alti castelli delle navi
erano tessuti con fili d'oro e d'argento checol passare del temposi eranoanneriti. Lungo l'arazzointerrotto di quando
in quando dai candelabrierano addossatealla destra del trono tre file dibanchi per i vescovie alla sinistra tre file di
banchi per duchimarchesi e contitutte su gradini e separate da predelle.Sui tre banchi del primo settore erano seduti i
duchi; sui tre banchi del secondoi marchesi; sui tre banchi del terzoiconti. Il banco dei viscontiin squadraera di
fronte al tronoe dietrotra i visconti e la sbarrac'erano due banchi peri baroni. Sul banco altoa destra del trono
c'erano i due arcivescoviCanterbury e York; sul banco di mezzo c'erano trevescoviLondraDurham e Winchester; gli
altri vescovi stavano sul banco in basso. Tra l'arcivescovo di Canterbury egli altri vescovi c'è questa notevole
differenzache egli è vescovo per divina provvidenzamentre glialtri lo sono per concessione divina. A destra del trono
era visibile una sedia per il principe di Gallesa sinistra alcuniseggiolini pieghevoli per i duchi realie dietro quei
seggiolini un gradino per i pari minorenniche non potevano ancorapartecipare alle sedute della camera. Molti
fiordalisi dovunque; e il grande stemma d'Inghilterra sulle quattro paretial di sopra dei pari ma al di sopra anche del re.
I figli dei pari e gli eredi di parìa assistevano alle delibere in piedidietro il tronotra il baldacchino e il muro. Il trono in
fondo esui tre lati della salale tre file di banchi dei parilasciavanolibero un largo spazio quadrato. Nel quadrato
ricoperto dal tappeto di statocon i blasoni d'Inghilterrac'erano quattrocuscini di lanauno davanti al tronodove
sedeva il cancellieretra la mazza e il sigillo; uno davanti ai vescovidove sedevano i giudici consiglieri di statoche
partecipavano alle sedute ma non potevano parlare; uno davanti a duchimarchesi e contidove sedevano i segretari di
Stato; uno davanti ai visconti e ai baronidove erano seduti lo scrivanodella corona e lo scrivano del parlamentoe su
cuistando in ginocchioscrivevano i due sotto scrivani. Al centro delquadrato era visibile una larga tavola ricoperta da
un drappocarica di praticheregistrilibricon massicci calamaid'oreficeria e alti candelieri ai quattro angoli. I pari
prendevano parte alla seduta in ordine cronologicociascuno secondo la datadi creazione della parìa. Il posto nelle file
dipendeva dal titolo ea parità di titolodall'anzianità. L'usciere dallaverga nera stava alla sbarrain piedicon la
bacchetta in mano. All'interno della porta c'era l'ufficiale dell'usciereall'esterno il banditore dalla verga nerache aveva
l'incarico di aprire le sedute della corte di giustizia al grido: Oyez!In franceselanciato tre voltecalcando solennemente
la voce sulla prima sillaba. Vicino al banditorel'ufficiale porta mazza delcancelliere.
Durante le cerimonie reali i pari temporali tenevano la corona in testaipari spirituali la mitra.
Gli arcivescovi portavano la mitra a forma di corona ducalementre i vescovidella fila dopo quella dei visconti
portavano la mitra a forma di tortiglio baronale.
Curiosa osservazioneche può essere istruttivaquel quadrato formato daltronodai vescovi e dai baronie nel quale ci
sono dei magistrati in ginocchioera l'antico parlamento francese sotto ledue prime stirpi. L'autorità si presenta sotto le
stesse forme in Francia e in Inghilterra. Hincomarnel de ordinationesacri palatiidescrive nell'853 una seduta della
camera dei lords a Westminster del XVIII secolo. Una sorta di bizzarroprocesso verbale fatto con novecento anni
d'anticipo.
Che cos'è la storia? Un'eco del passato nell'avvenire. Un riflessodell'avvenire sul passato.
La riunione del parlamento era obbligatoria solo ogni sette anni.
I lords deliberavano in segretoa porte chiuse. Le sedute dei comuni eranopubbliche. La pubblicità sembrava una
diminuzione.
Il numero dei lords era illimitato. Nominare dei lords era una minaccia dellacorona. Un mezzo per governare.
All'inizio del XVIII secolo la camera dei lords era già abbastanza numerosa.In seguito è cresciuta ancora. Diluire
l'aristocrazia è un modo di far politica. Forse Elisabetta commise un errorecondensando la parìa in sessantacinque
lords. La signoria meno è numerosapiù è intensa. Più membri ci sononelle assembleemeno teste ci sono. Giacomo II
l'aveva capitoportando la camera alta a centottantotto lords;centottantaseise si escludono da quelle parìe le due
duchesse dell'alcova realePortsmouth e Cleveland. Sotto Anna il totale deilordsivi compresi i vescoviera di
duecentosette.
Senza contare il duca di Cumberlandmarito della reginac'erano venticinqueduchidi cui il primoNorfolknon aveva
seggioin quanto cattolicoe di cui l'ultimoCambridgeprincipe elettoredi Hannoverpartecipavabenché straniero.
Dal momento che Winchesterritenuto primo e solo marchese d'Inghilterracome Astorgache era il solo marchese di
Spagnaera assenteessendo giacobitac'erano in tutto cinque marchesidicui il primo era Lindsey e l'ultimo Lothian;
settantanove contidi cui il primo era Derby e l'ultimo Islay; noveviscontidi cui il primo era Hereford e l'ultimo
Lonsdale; e sessantadue baronidi cui il primo era Abergaveny e l'ultimoHervey. Lord Herveyessendo l'ultimo
baroneera quello che veniva chiamato «il cadetto» della camera. Derbycheessendo superato da OxfordShrewsbury
e Kentera solo il quarto sotto Giacomo IIsotto Anna era diventato ilprimo dei conti. Due nomi di cancellieri eranoscomparsi dalla lista dei baroni:Verulamsotto il quale la storia ritrova Baconee Wemsotto il quale lastoria ritrova
Jeffreys. BaconeJeffreysnomi diversi ma egualmente sinistri. Nel 1705 iventisei vescovi erano solo venticinque
essendo vacante il seggio di Chester. Tra i vescovi qualcuno era davvero ungran signore; così William Talbotvescovo
di Oxfordcapo del ramo protestante del suo casato. Altri erano eminentidottoricome John Sharparcivescovo di
Yorkantico decano di Norwick; il poeta Thomas Sprattvescovo di Rochesterun buonuomo apopletticoe il vescovo
di Lincolnche sarebbe morto arcivescovo di CanterburyWakel'avversariodi Bossuet.
Nelle grandi occasioniquando c'era da ricevere delle comunicazioni dallacorona nella camera altatutta quella augusta
moltitudinein togain parruccacon cuffie da prelato o cappelli piumatischierava e disponeva le sue file di teste nella
sala dei parilungo quelle pareti dove si poteva vagamente vedere latempesta che sterminava l'Armada. Sottinteso: una
Tempesta agli ordini dell'Inghilterra.
IV • LA VECCHIA CAMERA
Tutta la cerimonia dell'investitura di Gwynplainedall'entrata sotto laKing's Gate fino al giuramento reso nell'emiciclo
a vetratesi era svolta in una specie di penombra.
Lord William Cowper non aveva permesso che venissero fornitia luicancelliere d'Inghilterradettagli troppo
circostanziati sul volto sfigurato di lord Fermain Clancharlieritenendoindegno venire a sapere che un pari non era
belloe sentendosi inoltre sminuito dalla sfacciataggine di un inferiore chegli avesse portato informazioni di quella
natura. Non ci sono dubbi che un uomo del popolo dice con piacere: quelprincipe è gobbo. Per un lorddunquela
deformità è offensiva. Alle poche parole che a tal proposito gli avevadetto la reginail lord cancelliere si era limitato a
rispondere: Il volto di un signore è la sua signoria. Dai processiverbali che aveva dovuto verificare e autenticareegli
avevasia pur sommariamentecapito. Perciò aveva preso delle precauzioni.
Il volto del nuovo lordal suo ingresso nella cameraavrebbe potuto causareun po' di sensazione. Era necessario porvi
rimedio. Il lord cancelliere aveva preso le sue misure. L'idea fissa e laregola di condotta delle persone serie consiste nel
fare meno rumore possibile. L'odio per gli incidenti fa parte della serietà.Era necessario fare in modo che l'ammissione
di Gwynplaine avvenisse senza inconvenienticome quella di qualsiasi altroerede di parìa.
Per questo il lord cancelliere aveva predisposto per l'accoglienza di lordFermain Clancharlie una seduta serale. Essendo
poi il cancelliere portierequodammodo ostiariusdicono le legginormannejanuarum cancellorumque potestasdice
Tertullianoegli può svolgere le sue funzioni sulla sogliafuori dallacamerae lord William Cowper si era valso del suo
diritto per adempierenell'emiciclo a vetratealle formalitàdell'investitura di lord Fermain Clancharlie. Inoltreegli
aveva anticipato l'oracosì che il nuovo pari potesse fare il suo ingressonella camera prima ancora che la seduta fosse
cominciata.
Riguardo all'investitura di un pari sulla sogliafuori dalla camerac'eranodei precedenti. Il primo barone ereditario
creato per mezzo della patenteJohn de Beauchampdi Holtcastlevoluto daRiccardo IInel 1387barone di
Kidderminsterfu appunto ricevuto in quel modo.
D'altra parterinnovando quel precedenteil lord cancelliere si metteva indifficoltà da solocome avrebbe dimostrato
due anni dopol'inconveniente dell'ingresso nella camera dei lords delvisconte Newhaven.
Lord William Cowper era miopecome abbiamo dettoperciò si accorse appenadella deformità di Gwynplaine: i due
lords padrini non se ne accorsero per niente. Erano due vecchi quasi ciechi.
Il lord cancelliere li aveva scelti appositamente.
Ma c'è di piùpoiché il lord cancelliere non aveva notato che la staturae la prestanza di Gwynplainelo aveva trovato
«di ottimo aspetto».
Aggiungiamo che Barkilphedroinformato di tuttoda quella spia che eraedeciso a portare a termine la sua
macchinazionedurante i suoi discorsi ufficiali alla presenza del lordcancelliere aveva in qualche misura attenuato la
deformità di lord Fermain Clancharliesottolineando il particolare cheGwynplaine era in gradoquando lo volevadi
annullare quell'espressione di risofacendo tornar serio il suo voltosfigurato. Barkilphedroprobabilmenteaveva
esagerato quella facoltà. E poidal punto di vista aristocraticocheimportanza aveva? Lord William Cowper non era
forse il cancelliere che aveva coniato la massima: La restaurazione di unpari inglese vale più di quella di un re? Senza
dubbio bellezza e dignità dovrebbero essere inseparabiliè seccante che unlord sia deformeè un vero oltraggio del
caso; mainsistiamocome può ciò sminuire il diritto? Il lord cancelliereprendeva delle precauzionie a ragionema
dopo tuttocon o senza precauzionichi poteva impedire a un pari di entrarenella camera dei pari? La signoria e la
sovranità non sono superiori alla deformità e alla menomazione? Insiemealla parìa non si ereditava anche un grido
beluino nell'antica famiglia dei Cuminconti di Buchanestintasi nel 1347a tal punto che il pari di Scozia era
riconosciuto proprio da quel grido di tigre? Le orribili macchie di sanguesul volto impedirono a Cesare Borgia di essere
il duca di Valentino? Forse la cecità impedì a Giovanni di Lussemburgo diessere re di Boemia? La gobba impedì a
Riccardo III di essere re d'Inghilterra? A voler guardare bene le cosel'infermità e la bruttezzaaccettate con superba
indifferenzalungi dal negare la grandezzala riaffermano e latestimoniano. La maestà della signoria è tale che la
deformità non la turba. Questo è l'altro aspetto della questionee non èil minore. Come si vedenulla poteva ostacolare
l'ammissione di Gwynplainee le prudenti precauzioni del lord cancelliereutili dal meschino punto di vista della
prudenzaerano un vero lusso dal superiore punto di vista dei principiaristocratici.
Quando i door-keepers avevano spalancato davanti a Gwynplaine i due battentidella grande portanella sala c'era
appena qualche lord. Quei lords erano quasi tutti vecchi. I vecchi sonopuntuali nelle assembleequanto assidui pressole donne. Al banco dei duchi sene vedevano solo dueuno tutto biancol'altro grigioThomas Osborneduca diLeeds
e Schonbergfiglio di quello Schonbergtedesco di nascitafrancese per ilbastone di marescialloe inglese per la parìa
checacciato dall'editto di Nantesdopo aver partecipato alla guerra control'Inghilterra come francesepartecipò alla
guerra contro la Francia come inglese. Al banco dei lords spirituali nonc'era che l'arcivescovo di Canterburyprimate
d'Inghilterrache sedeva in altomentre in basso c'era il dottor SimonPatrickvescovo d'Elyche conversava con
Evelyn Pierrepontmarchese di Dorchesterche gli stava spiegando ladifferenza tra un gabbione e una cortinae tra
palizzate e palizzile palizzate essendo una fila di pali posti davanti alletende per proteggere l'accampamentoe i
palizzi una gorgiera di pioli appuntiti messi sotto il parapetto di unafortezza per impedire la scalata degli assedianti e la
diserzione degli assediati; il marchese insegnava al vescovo come si muniscedi palizzi una ridottasistemando i pioli
metà dentro e metà fuori dal terreno. Thomas Thynevisconte Weymouthsiera avvicinato a un candelabro per
esaminare un progetto del suo architetto riguardo al giardino di Long Leatenel Wiltshireper fare un tappeto d'«erba
rasa»con quadrati di sabbia gialladi sabbia rossaconchiglie d'acquadolce e polvere di carbon fossile. Il banco dei
visconti era affollato da vecchi lordsEssexOssulstonePeregrineOsborneWilliam Zulesteinconte di Rochforte tra
loro anche qualcuno di quei giovani che non portavano la parruccae cheattorniavano Price Devereuxvisconte
Hereforddiscutendo se un'infusione di agrifoglio degli Appalachi fosse daconsiderarsi tè. «Poco ci manca»diceva
Osborne. «Del tutto»diceva Essex. La discussione era seguita conattenzione da Pawlet di Saint-Johncugino di quel
Bolingbroke di cui più tardi Voltaire è stato un po' allievo; si puòinfatti dire che Voltaire sia stato iniziato da padre
Poréee terminato dal Bolingbroke. Al banco dei marchesi c'era Thomas deGreymarchese di Kentlord ciambellano
della reginache asseriva davanti a Robert Bertiemarchese di Lindseylordciambellano d'Inghilterrache il primo
premio della grande lotteria inglese del 1614 era stato vinto da duerifugiati francesiil signor Lecoqgià consigliere al
parlamento di Parigie il signor Ravenelun gentiluomo bretone. Il conte diWymes leggeva un libro intitolato: Curiose
abitudini degli oracoli delle sibille. John Campbellconte di Greenwichfamoso per la lunghezza del suo mento e
l'allegria dei suoi ottantasette anniscriveva all'amante. Lord Chandos sicurava le unghie. Poiché si sarebbe trattato di
una seduta realecon commissari rappresentanti della coronadue assistentidoor-keepers collocarono davanti al trono
un banco di velluto color fuoco. Sul secondo cuscino di lana era seduto ilmaestro dei ruolisacrorum scriniorum
magisterche risiedeva allora nell'antica casa degli ebrei convertiti.Sul quarto cuscino c'erano i due sotto scrivani in
ginocchio che sfogliavano i registri.
Mentre il lord cancelliere prendeva posto sul primo cuscino di lanaifunzionari della camera raggiungevano le loro
posizionichi sedutochi in piedie l'arcivescovo di Canterbury si alzavaper dire la preghieradando inizio alla seduta.
Gwynplaine era già entrato da qualche temposenza che nessuno ci avessefatto caso; il secondo banco dei baronidove
c'era il suo postoera vicino alla sbarraegli non aveva dovuto fare chepochi passi. I due lords padrini si erano seduti
uno alla sua destra e uno alla sua sinistraquasi nascondendo il nuovovenuto. Poiché nessuno era stato avvisatolo
scrivano del parlamento aveva letto a bassa vocequasi sussurrandolelecomunicazioni riguardanti il nuovo lorde il
lord cancelliere aveva proclamato la sua ammissione in mezzo a quella che iresoconti chiamano «l'indifferenza
generale». Stavano tutti parlando. C'era nella camera quel rumore cheaccompagna tutte le decisioni crepuscolari delle
assembleedecisioni di cui qualche voltapiù tardiesse si stupiscono.
Gwynplaine si era sedutoin silenzioa capo scopertotra i due anzianiparilord Fitzwalter e lord Arundel.
Quando era entratoseguendo la raccomandazione del primo araldoche i duelords padrini gli avevano ripetutoegli si
era inchinato davanti alla «sedia reale».
Dunqueera fatta. Egli era lord.
Egli stava con i piedi sopra quella cima incredibilesotto il cui riverberoaveva vis to per tutta la vita il suo maestro
Ursuschinarsi in preda allo spavento.
Egli si trovava nel luogo più luminoso e più cupo dell'Inghilterra.
La vecchia cima del monte feudale che da dieci secoli la storia e l'Europaguardavano. Spaventosa aureola di un mondo
di tenebre.
Egli era entrato in quell'aureola. Un ingresso irrevocabile.
Lì era a casa propria.
A casa sul suo seggiocome il re sul proprio.
Ormai c'erae nulla poteva far sì che non ci fosse.
La corona reale che vedeva sotto il baldacchino era sorella della sua corona.Egli era pari di quel trono.
Egli era la signoria davanti alla maestà. Inferiorema simile.
Che cos'era ieri? Un istrione. E oggi? Un principe.
Ierinulla. Oggitutto.
Era il brusco confronto di miseria e potereche si affrontavano faccia afaccia in fondo a un'animain un destinoe che
improvvisamente diventavano le due metà di una sola coscienza.
Erano due spettril'avversità e la prosperitàche prendevano possesso diuna stessa animatirandola ciascuno dalla sua
parte. La patetica spartizione di un'intelligenzadi una volontàdi uncervellotra quei due fratelli nemiciil fantasma
povero e il fantasma ricco. Abele e Caino nello stesso uomo.
V • CHIACCHIERATE ALTEREA poco a poco i banchi della camera si riempirono.I lords cominciavano ad arrivare. L'ordine del giorno riguardava il
voto sul bill che aumentava di centomila sterline la dotazione annuale diGiorgio di Danimarcaduca di Cumberland
marito della regina. Inoltre erano stati annunciati alcuni bills approvati dasua maestàche sarebbero stati consegnati alla
camera da commissari della corona con potere e incarico di sancirliil chefaceva di quella seduta una seduta reale.
Sull'abito da corte o da città i pari indossavano la veste parlamentare. Lavestesimile a quella di Gwynplaineera