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Alain-Fournier
Il Grande Meaulnes
Alain-Fournier Il grande Meaulnes
PARTE PRIMA
1 • IL CONVITTORE
Arrivò a casa nostra una domenica di novembre del 189...
Continuo a dire «a casa nostra» anche se la casa non ci appartiene più.Abbiamo lasciato il paese da quasi quindici
anni e certo non ci torneremo mai più.
Allora abitavamo l'edificio del «Corso Superiore» di Sant'Agata. Mio padreche io chiamavo «Signor Seurel»
come tutti gli altri allievidirigeva tanto il Corso Superioreper ildiploma di maestroquanto il Corso Medio. Mia madre
insegnava nelle classi elementari.
Una lunga casa rossaall'estremità del paesecon cinque porte a vetri erampicanti di vite vergine; un cortile
smisuratocon portico e lavanderiache apriva verso il villaggio un grandeportone; a nord un cancelletto sulla strada per la
stazione distante tre chilometri; a sud e dietrocampigiardiniprati chearrivavano a toccare i sobborghi: ecco l'aspetto
sommario di quella casa dove passai i giorni più tormentosi e dolci dellamia vita dalla quale si gonfiaronoper ritornare poi
a spezzarsi come onde su uno scoglio solitariole nostre avventure.
La vicenda dei trasferimentila decisione di un ispettore o di un prefettoci avevano portato laggiù. Molto tempo
faverso la fine delle vacanzeun carro rusticoche precedeva le nostremasserizieaveva lasciato me e mia madre davanti
al cancelletto arrugginito. Ragazzi che stavano saccheggiando le pesche nelgiardino si erano dileguati senza rumore
attraverso le aperture della siepe. Mia madreche noi chiamavano Milliedaquella massaia metodica che eraentrata subito
nelle stanze piene di paglia e di polvereaveva concluso con disperazionecome del resto ad ogni traslocoche i nostri
mobili non sarebbero mai potuti entrare in una casa costruita a quel modo...Ed era tornata fuori per confidarmi la sua pena.
Mentre parlavami aveva ripulito delicatamente il viso annerito dal viaggio.Poi era rientrata a fare il calcolo di tutte le
aperture da tappare per rendere abitabile l'appartamento... Io intantoconil mio cappellone di paglia a nastriero rimasto là
sulla ghiaia di quel cortile sconosciutoad aspettarea esploraretimidamente intorno ai pozzi e sotto la tettoia.
Così almeno immaginooggiquel nostro arrivo. Perché ogni volta che cercodi recuperare il ricordo sbiadito di
quella prima sera d'attesa nel cortile di Sant'Agatasono altre attese chemi vengono alla memoria; già mi vedo mentre spio
ansiosole mani strette alle sbarre del cancelloqualcuno che dovràpercorrere la strada maestra. Se cerco d'immaginare la
prima notte trascorsa nella mia stanzinafra i granai del primo pianosonoaltre notti che ricordo; non sono più solo in
quella camera; una grande ombra inquieta e familiare scivolava e viene suimuri. Tutto questo scenario tranquillo la scuola
i campi di papà Martinocon i tre nociil giardino invaso fin dallequattroogni giornodalle signore in visita nella mia
memoria è per sempre mossotrasformato dalla presenza di colui chesconvolse tutta la nostra adolescenzache neppure
fuggendo ci ha lasciato la pace.
Eppure abitavamo ormai da dieci anni in quel paesequando arrivò Meaulnes.Avevo quindici anniera una fredda
domenica di novembreil primo giorno d'autunno che rammentasse l'inverno.Durante tutta la giornata Millie aveva
aspettato una vettura dalla stazioneche le doveva portare un cappellinoadatto alla cattiva stagione. Al mattinoaveva
saltato la messa; fino alla predicaseduto nel coro con gli altri ragazziio avevo spiato inquieto dalla parte delle campane
per vederla entrare con il cappellino nuovo.
Nel pomeriggio dovetti andare solo ai vespri.
«Del resto» mi disse lei per consolarmimentre mi puliva il vestito conla mano«anche se il cappello fosse
arrivato in tempoavrei dovuto certo passare tutta la domenica ariadattarlo.»
Spesso le nostre domeniche invernali finivano così. AlI'alba mio padre se neera andato a pescare il luccioin barca
su qualche stagno velato dalla nebbia; e mia madre chiusa fino a notte nellasua stanza buiarimediava i suoi poveri vestiti.
Se ne stava nascosta a quel modo per il timo re che qualche amicapovera mafiera come leila sorprendesse. Quanto a me
terminati i vesprimi mettevo a legge re nella sala da pranzo gelidaaspettando che mia madre aprisse la porta per
mostrarmi come le stava l'abito.
Quella domenicafui trattenuto davanti alla chiesadopo i vesprida un po'di confusione. Attirati da un battesimo
dei ragazzi si erano affollati sotto il portico. Sulla piazzaparecchiuomini del villaggioin uniforme di pompierefatti i
fasci d'armiascoltavanopestando i piedi intirizzitiil brigadiereBoujardon che si smarriva nella sua teoria...
Lo scampanio del battesimo cessò di colpocome un concerto festivo cheavesse sbagliato giorno e luogo;
Boujardon e i suoiil fucile a tracollatrottarono via con la pompa; lividi sparire all'angoloseguiti da quattro ragazzetti
silenziosile grosse scarpe che schiacciavano ramoscelli sulla strada gelatadove non osavo seguirli.
Non restava nient'altro di vivonel paeseche il caffè Danieldovesentivo scoppiare e poi placarsi in un mormorio
sordole discussioni dei bevitori. Stretto al muretto del grande cortile cheseparava la nostra casa dal villaggiomi affrettai
verso il cancelloun po' inquieto per il ritardo.Alain-Fournier Il grandeMeaulnes
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Era semiaperto e mi accorsi subito che stava capitando qualcosa di insolito.
Difatti curva davanti alla porta della stanza da pranzo - la prima dellecinque vetrate che davano sul cortile - una
donna dai capelli grigi cercava di vedere attraverso le tende. Era piccolaportava un cappelluccio di velluto neroall'antica:
un viso magro e delicato ma sconvolto dall'inquietudine. Vedendolanon soche angoscia mi bloccò sul primo gradino
davanti al cancello.
«Mio Diodove sarà andato a finire?» diceva a mezza voce. «Era con me unminuto fa. Ha già fatto il giro della
casaforse è scappato...» e intervallava ogni frase con tre colpettiappena udibili sul vetro.
Nessuno apriva alla sconosciuta. Millie doveva aver ricevuto il cappellinodalla stazione eserrata nella camera
rossascucivacucivaadattava il suo modesto copricapodavanti a un lettodisseminato di vecchi nastri e di piume
appassitesenza sentire nulla... Difattiappena entrai nella sala da pranzoseguito subito dalla visitatricemia madre
comparve reggendosi a due mani sul capo un viluppo di fil di ferronastri epiume ancora in rischioso equilibrio... Mi
sorrisecon i suoi occhi blu affaticati dal lavoro nella poca luce eesclamò: «Guarda! Ti aspettavo per mostrarti...»
Ma si accorse della donna seduta nella poltrona in fon do alla sala e tacquesconcertata. In fretta si tolse il
copricapo eper tutta la scena che seguìse lo tenne contro il pettonelcavo del braccio destrorovesciato come un nido.
La donna dal cappelluccioche aveva fra le ginocchia un ombrello e una borsadi cuoiocominciò a spiegarsi
dondolando adagio la testa e schioccando la lingua come una dama in visita.S'era rinfrancataanzi venendo a parlare del
figlioassunse un'aria di superiorità enigmatica che ci lasciò perplessi.
Loro due erano venutiin vetturadalla Ferté d'Angillonquattordicichilometri da Sant'Agata. Vedova - e molto
riccaalmeno a quanto ci lasciò capire - aveva perduto il minore dei duefiglioliAntoniomorto una sera al ritorno da
scuola a causa di un bagno fatto con il fratello in uno stagno inquinato.Così la madre aveva deciso di mettere Agostinoil
maggiorea pensione da noiperchè frequentasse il Corso Superiore.
Senza indugio cominciò a lodare il convittore che ci portava Non riconoscevopiù in lei la donnetta dai capelli grigi
di poco facurva davanti alla porta con quell'aria supplichevole estralunata di chioccia che abbia smarrito il pulcino più
selvatico della covata. Quel che raccontavapiena di ammirazionedel figliolasciava sorpresi: faceva qualsiasi cosa per lei
certe volte costeggiava scalzo per chilometri e chilometri la riva del fiumesolo per portarle uova di galline d'acquadi
anatre selvatichedisperse fra i canneti... Tendeva anche reti... La nottescorsa aveva trovato nel bosco una fagiana presa al
cappio...
Ioche avevo paura a tornare a casa con uno strappo nella blusafissavoMillie sbalordito.
Mia madre non prestava ascoltoaddirittura fece segno alla signora di starzitta; e deponendo con cura il suo
«nido» sulla tavolasi alzò senza rumorecome per sor prendere qualcuno.
Sulle nostre testedifattiin uno sgabuzzino dove si ficcavano i fuochid'artificio abbrustoliti dell'ultimo quattordici
luglioun passo estraneo andava e veniva con sicurezza facendo vibrare ilsoffittovarcava le tenebrose immensità dei
granai al primo piano e si perdeva finalmente verso le camere dei supplentivuotedove mettevamo il tiglio a seccare e le
mele a maturare.
«Già da un po' avevo sentito questo rumore nelle stanze al pianterreno»disse Millie«e credevo fossi tu
Francescodi ritorno...»
Nessuno fiatò. Stavamo in pieditutti e trecon il cuore che picchiavaquando la porta dei granai che dava sulla
scala di cucina si aprì; qualcuno sceseattraversò la cucinas'inquadrònell'ingresso buio della sala da pranzo.
«Sei tuAgostino?» chiese la signora.
Era un ragazzo alto e grandedi diciassette anni pressappoco. Nell'oscuritàdella notte che scendevaa tutta prima
non vidi di lui che il cappello di feltro da contadino spinto sulla nuca e lablusa nera di scolaro stretta da una cintura;
intravidi anche il suo sorriso...
Lui mi scorse e prima che gli chiedessero qualche spiegazione: «Andiamo incortile?» disse.
Un attimoesitai. Poigiacchè Millie non mi trattenevapresi il berrettoe mi avvicinai a lui. Uscimmo dalla porta
di cucina nel portico già invaso dall'oscurità. Nella luce del crepuscolocamminandoosservavo quel viso angolosoil naso
dirittoil labbro coperto da una lieve peluria.
«Guarda cosa ho trovato nel granaio. Non ci avevi mai guardato?»
Aveva in mano una piccola ruota di legno annerito: tutt'intorno le correvauna frangia di razzi smangiati:
probabilmente era stata il sole o la luna nei fuochi d'artificio delquattordici luglio.
«Due non sono bruciati: adesso però li accendiamo» disse tranquillamentecon l'aria di chi si ripromette di trovare
poi qualche cosa di meglio.
Buttò a terra il cappello e vidi che aveva il cranio completamente rasocome un contadino. Mi fece notare i mon
coni della miccia di carta dei due razziconsumataabbrustolita e poidisertata dalla fiamma. Ficcò nella sabbia il mozzo
della ruotacavò di tasca - con mia grande sorpresaperchè ci eraformalmente proibito - una scatola di fiammiferi e
chinatosi con precauzionediede fuoco alla miccia; poi mi tirò indietroenergicamente per una mano.
Un istante dopomia madre che si affacciava alla porta con la madre diMeaulnesdopo aver discusso e convenuto
il prezzo della pensionevide sprizzare sotto il porticocome soffiando unmanticedue fasci di stelle rosse e bianche; perAlain-Fournier Il grandeMeaulnes
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un secondo le apparve disegnato nella magica luceimmobilestringendo lamano del ragazzo appena comparso...
Anche questa voltanon ebbe il coraggio di dir nulla.
La seraper la cenaalla tavola familiare ci fu un compagno silenzioso chemangiava a testa bassaincurante dei
nostri tre sguardi fissi su di lui.
2 • DOPO LE QUATTRO
Finalloranon sapevo cosa volesse dire correre per le strade con i ragazzidel paese: un dolore alla coscia di cui
soffrii fino al 189... mi aveva reso timido e infelice. Ancora mi vedomentrezampettando penosamente su una gambacerco
di tener dietro ai compagni di scuola scatenati nelle stradette intorno acasa.
Così non mi lasciavano quasi mai usciree ricordo che Millieche andavamolto fiera di mepiù di una volta mi
riportò a casa a furia di scappellotti per avermi sorpreso mentre zoppicavovia con gli sfrenati del villaggio.
L'arrivo di Agostino Meaulnesche combinò con la mia guarigionefu ilprincipio di una vita nuova. Primafinita
la scuolaalle quattrocominciava per me un interminabile pomeriggio disolitudine. Papà trasportava le braci della stufa di
classe nel caminetto della sala da pranzosicché a poco a poco gli ultimiritardatari disertavano l'aula ormai freddadove si
arricciavano vortici di fumo. Ancora qualche giocoqualche corsa nelcortile; poi la notte: i due scolari che avevano fatto
pulizia in classe andavano a prendere sotto il portico berretto e mantellinae filavano viacestino al bracciolasciando il par
tone spalancato...
Allorafinché durava un briciolo di luceio me ne stavo in fondo almunicipiorintanato nella stanza degli archivi
con le mosche mortei manifesti che frusciavano al ventoe leggevosedutosu una vecchia pesaaccanto a una finestra che
si apriva sul giardino.
Col buioquando i cani della fattoria vicina comincia vano ad abbaiare e unriquadro di luce s'accendeva nella
nostra cucinarientravo. Mia madre stava preparando la cena: salivo tregradini della scala del solaiomi sedevo senza una
parola eappoggiando il capo ai ferri gelati della ringhierala guardavomentre accendeva il fuoco della piccola cucina dove
tremava la fiamma di una candela...
Ma è venuto qualcuno a strapparmi a queste semplici delizie di ragazzotimido. Qualcuno ha soffiato sulla candela
che mi illuminava il caro viso materno chinato sul pasto della sera. Qualcunoha spento la lampada intorno alla quale ci
ritrovavamo famiglia felicela seradopo che mio padre aveva messo leimpannate di legno alle porte a vetri: fu Meaulnes
presto ribattezzato dagli altri scolari il gran Meaulnes.
Da quando venne a pensione da noivale a dire dai primi giorni di dicembrela scuola non fu più disertata dopo le
quattro. Finita la lezionemalgrado il freddo che soffia va dalla portasbatacchiatagli strilli di quelli che pulivanoi loro
secchi d'acquauna ventina degli allievi più grandi si accalcavano in aulaintorno a Meaulnes. Erano lunghe discussioni
dispute interminabilinelle quali mi insinuavo con un misto di piacere e diinquietudine.
Meaulnes non parlava: ma era per lui che ogni poco l'uno o l'altro dei piùchiacchieroni si faceva avanti nel gruppo
echiamando a testimoni i compagniin un tu multo di approvazioniraccontava lunghe storie di saccheggiascoltate dagli
altri con un riso silenziosoa bocca aperta.
Appollaiato su un bancoMeaulnes rifletteva facendo dondolare le gambe.Anche lui rideva al momento giustoma
appenacome per riservare i suoi scoppi di riso a qualche storia migliorenota solo a lui. Era ormai notteil bagliore dei
vetri dell'aula non illuminava più il gruppetto confuso dei ragazzi e alloraMeaulnes saltava in piedi e rompendo il circolo
che lo stringevagridava: «Suandiamo.» Tutti quanti gli si affollavanodietro e fino a notte fonda le grida risuonavano lassù
in paese...
Adesso anch'io li accompagnavomi affacciavo con Meaulnes alle stalle deisobborghiquando si mungono le
bestieoppure nelle botteghee dall'oscuritàfra un colpo e l'altro deltelaioil tessitore diceva: «Eccoligli studenti!»
Di solitoall'ora di cenaci trovavamo presso il Corsoda Desnouesilcarradore che faceva anche il maniscalco.
La sua officina era stata un tempo una locandacon gran di porte a duebattenti sempre spalancate. Dalla strada si
sentiva lo stridio del mantice e apparivano al bagliore delle braciinquell'oscurità piena di rintocchicampagnoli che
avevano fermato il carro per scambiare una parolaa volte uno scolaro comenoiappoggiato alla portaintento e silenzioso.
È là che tutto ebbe iniziootto giorni prima di Natale.
3 • «CAPITAVO NELLA BOTTEGA DI UN CESTAIO...»
Era piovuto tutto il giornosolo verso sera aveva smesso: una noia damorire. Durante le ricreazioninessuno era
uscito all'aperto. Si sentiva mio padreil signor Seurelgridare ogni pocoin aula: «Piano con gli zoccoliragazzi!»Alain-Fournier Il grande Meaulnes
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Dopo l'ultima ricreazione ocome dicevamo noidopo l'ultimo «quartod'ora»il signor Seurel che da un po'
andava avanti e indietro tutto pensierososi fermòpicchiò un gran colpocon il righello sul tavolo per far smettere il brusio
confuso di fine lezionequando ormai ci si annoiae domandòin unsilenzio attento:
«Chi vuole andare domani in barroccio con Francesco alla stazioneaprendere i signori Charpentier?»
Erano i nonni: il vecchio Charpentierl'uomo dal mantellone di lana grigiaguardia forestale in pensionecon il
berretto di pelo di coniglio che lui chiamava il suo chepì... I ragazzi loconoscevano bene. Tutte le mattineper fare toletta
attingeva un secchio d'acquadentro il quale stronfiava come un vecchiosoldatostropicciandosi leggermente la barbetta.
Bambini in cerchiole mani allacciate sul dorsolo guardavano con unacuriosità piena di rispetto... Conoscevano anche
nonna Charpentieruna contadina piccoletta dalla cuffia a magliaperchèMillie la conducevaal meno una voltanella
classe dei più piccoli.
Ogni annoqualche giorno prima di Nataleandavamo a prenderli allastazioneal treno delle 4 e 02. Per venirci a
trovarei nonni avevano attraversato tutto il dipartimentocarichi disacchi di castagne e di vettovaglie nataliziedentro
tovaglioli. Non appena i due erano entrati in casaimbacuccatisorridenti eun po' storditici affrettavamo a chiudere tutte le
porte e cominciava così una grande settimana di gioia...
Ma per guidare il barrocciodestinato a portarli a casaci voleva un tiposerioche non ci rovesciasse nel fossoe
anche piuttosto pazienteperché nonno Charpentier bestemmiava volentieri ela nonna non stava mai zitta.
In risposta alla domanda del signor Seurelalmeno dieci voci strillaronoinsieme: «Il gran Meaulnes! Il gran
Meaulnes!»
Ma il signor Seurel fece finta di non sentire. Allora: «Fromentin!»; ealtri: «Gelsomino Delouche!» Il minore dei
Royche si divertiva a scorrazzare nei campi a cavalcioni di una scrofalanciata al galoppogridava con voce acuta: «Io
io!» Dutremblay e Moucheboeuf alzavano appena una mano timida.
Avrei preferito che toccasse a Meaulnes: quel breve viaggio in barrocciotirato da un asino si sarebbe trasformato
in un avvenimento importante. Anche lui lo desideravama se ne stava zittocon aria un poco sdegnosa. Tutti i grandi erano
seduti come lui a rovescio sul bancoi piedi sul sedile come facevamo neimomenti di riposo e di allegria. Coffinla blusa
succintaabbrancato il pilastro di ferro che sosteneva la trave dell'aulacominciava ad arrampicarsi in segno di giubilo. Ma
il signor Seurel ci gelò: «Su! Andrà Moucheboeuf.» Riprendemmo tutti inostri posti in silenzio.
Alle quattrome ne stavo solo con Meaulnes nel gelo del gran cortiledevastato dalla pioggia. Tutti e duesenza
una parolaguardavamo il paese ancora imperlato d'acqua che si asciugavadopo il temporale. Di lì a poco il piccolo Coffin
incappucciatocon un pezzo di pane in manosbucò di casa e rasente i murisi avviò fischiettando alla porta del carradore.
Meaulnes aprì il portonegli dette una voce e un minuto dopo eravamo tuttie tre nel fondo della bottega rossa e calda
traversata a tratti da ventate gelide: io e Coffin seduti vicino alla forgiai piedi infangati fra i trucioli bianchi; Meaulnes
silenziosole mani in tascaaddossato all'anta della porta d'ingresso. Ditanto in tanto passava per via una donna del
villaggio curva contro ventodi ritorno dal macellaioe noi alzavamo gliocchi per vedere chi fosse.
Nessuno parlava. Il maniscalco e il suo aiutante (l'uno tirava il manticel'altro batteva il ferro) buttavano sul muro
grandi ombre violente... Mi ricordo quella sera come una delle grandi seredella mia adolescenza. Provavo un senso confuso
di piacere e di ansia; temevo che il mio compagno mi rubasse la piccola gioiadi andare fino alla stazione con la carretta;
insiemesenza confessarmeloattendevo da lui qualche gesto straordinarioche sconvolgesse ogni cosa.
A intervalliil lavoro calmo e regolare della mascalcia aveva una pausa. Ilmaniscalco lasciava cadere il martello
sull'incudinecon un rintocco pesante e limpido. Osserva va il pezzo diferro che aveva lavoratoavvicinandolo al suo
grembiule di cuoioealzata la testaci dicevatanto per riprender fiato:
«E alloracome vagiovanotti?»
Il suo aiuto restava con la mano alzata alla catena del manticeil pugnosinistro sul fianco e ci guardava ridendo.
Poi riprendeva il frastuono sordo del lavoro.
Durante una di queste pause vedemmo dalla porta aperta Millie che passava nelgran vento carica di pacchettitutta
stretta in uno scialle.
Il maniscalco chiese: «Alloraarriverà presto il signor Charpentier?»
«Domani» risposi«con la nonna. Li andrò a prendere con il barroccio altreno delle 4 e 02.»
«Con il carro di Fromentinvero?»
«Nocon quello di papà Martino» dissi in fretta.
«Alloraaddio ritorno!» scoppiarono a ridere il maniscalco e il suoaiutante.
Questi osservòtanto per dire qualche cosa: «Con la cavalla di Fromentinavreste potuto andarli a prendere a
Vierzondove il treno si ferma mezz'ora: sono quindici chilometri. C'eratempo di ritornare prima ancora che l'asino di
Martino fosse attaccato.»
«Quella sì è una cavalla che fila!» disse l'altro.
«E certo Fromentin la presterebbe volentieri...»
Il discorso finì lì. Di nuovo l'officina fu un luogo pieno di faville erumoredove ognuno si chiudeva nei suoi
pensieri.Alain-Fournier Il grande Meaulnes
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Ma quando venne l'ora di andarsene e io mi alzai facendo segno al granMeaulneslui sul momento non se ne
accorse. Addossato alla portala testa piegatapareva del tutto assorto inquello che era stato detto. Vedendolo così smarrito
nelle sue riflessioni come se guardasse quella gente tranquilla al lavoro dilà da uno sterminato banco di nebbiami venne in
mente di colpo una illustrazione del Robinson Crusoenella quale èrappresentato il ragazzo inglese prima del gran viaggio
«mentre bazzica la bottega di un cestaio...» Ci ho ripensato spessodopo.
4 • L'EVASIONE
Alle due del pomeriggiol'indomanil'aula del Corso Superiore è chiarainmezzo al paesaggio gelatocome una
barca sull'oceano. Non c'è odore di salamoia o di unto come su un battelloda pescama di aringhe arrostite sulla stufa e di
stoffa strinata perché qualcunorientrandos'è scaldato troppo da vicino.
La fine dell'anno è ormai vicina e sono stati distribuiti i quaderni per icompiti. Mentre il signor Seurel scrive i
problemi alla lavagnac'è un silenzio dubbioincrinato da conversazioni avoce bassada piccoli gridi soffocatida frasi
appena incominciatetanto per spaventare il compagno di banco: «Signormaestro! Lui mi...»
Il signor Seurel pensa ad altromentre copia i problemi. Di tanto in tantosi volta a lanciare un'occhiata insieme
severa e distratta. Allora per un secondo quel tramestio sornione smette deltuttoper riprendere subitoda principio basso
bassocome un ronfo sordo.
Solo io sto zittoin mezzo a tutta questa agitazione. Sono sedutoall'estremità di uno dei banchi del quartiere dei
più giovanivicino alla vetratae mi basta alzarmi un poco per vedere ilgiardinolaggiù il ruscello poi i campi.
Ogni tanto mi alzo in punta di piedi e guardo con ansia verso la fattoriadella Buona Stella. Fin dall'inizio della
lezione mi sono accorto che Meaulnes non è rientrato dopo la ricreazione dimezzogiorno. Anche il suo compagno di banco
deve essersene accortoperò non ha detto ancora nullatroppo occupato dalcompito. Ma non appena alzerà il capola
notizia si spargerà per tutta l'aula e qualcunocome al solitosi metteràa gridare a voce alta le prime parole della frase:
«Signor maestro! Meaulnes...
So che Meaulnes se ne è andato. Diciamo meglio: sospetto che abbia tagliatola corda. Subito dopo il pranzodeve
aver saltato il muretto per gettarsi attraverso i campipassare il ruscelloal vecchio ponticello e arrivare alla Buona Stella.
Avrà chiesto la cavalla per andare a prendere i Charpentier. In questomomento è là che e fa attaccare.
La Buona Stellalaggiùdall'altra parte del ruscellosul versante dellacostaè una grande fattoria nascosta d'estate
dagli olmi e dalle querce del cortiledalle siepi verdi; dà su un sentieroche mette capo da un lato alla strada per la stazione
dall'altro a un sobborgo del paese. Dentro gli alti muri sorretti dacontrafforti che sprofondano nel letamela grande fabbrica
feudale in giugno scompare sotto il fogliame e dalla scuola si ode soltantoal tramontoil rotolare dei carri e le grida dei
vaccari. Ma oggi vedo dalla finestraattraverso gli alberi spogliil murogrigio del cortilela porta d'ingresso e quindifra
tronconi di siepeuna striscia del viottolo incanutito dal gelo che portaalla strada della stazione seguendo il ruscello.
Nulla ancora si muovein questo limpido paesaggio d'inverno; niente èancora cambiato.
Qui il signor Seurel ha finito di copiare il secondo problema. Di solito neassegna tre: se oggiper combinazione
ne desse due solamenterisalendo subito in cattedra si accorgerebbedell'assenza di Meaulnes. Allora manderebbe due
ragazzi in paese a cercarloche lo scoverebbero certo prima che la cavallasia attaccata...
Il signor Seureldopo aver copiato il secondo problemalascia cadere ilbraccio affaticato. Poicon mio gran
sollievo va a capo e ricomincia a scrivere dicendo: «Questopoiè ungiochetto da ragazzi...»
... Due sbarrette nereche spuntavano dal muro della Buona Stellacerto ledue stanghe alzate di un carrettosono
scomparse. Sono sicuro ora che laggiù si prepara la partenza di Meaulnes.Ecco la cavalla che si affaccia con la testa e il
pettorale fra i due pilastri dell'ingressopoi si fermamentresenzadubbiosistemano nella parte posteriore del carretto un
altro sedile per i viaggiatori che Meaulnes dovrebbe riportare. Finalmentecavalla e carretto escono adagio dal cortile
spariscono un momento dietro la sieperipassano con andatura sempre lentasul tratto di sentiero brinato che appare tra due
mozziconi della cinta. Riconosco nella figura nera che regge le briglieungomito negligentemente appoggiato sulla banda
del carrocome i contadiniil mio compagno Agostino Meaulnes.
Un momentoe tutto sparisce dietro la siepe. Due uomini rimasti fermi sulportone della Buona Stella per veder
partire il carrettoora si consultano con crescente eccitazione: l'unofacendo portavoce con le manisi decide a chiamare
Meaulnes e poi a staccare qualche passo di corsa sul sentieroalla suavolta... Ma la carretta ha raggiunto la strada della
stazioneormai dal sentiero non debbono più vederlae l'atteggiamento diMeaulnes cambia di colpo. Diritto come un
aurigaun piede puntato avantiscuotendo le briglie a due mani lancia labestia al gran galoppo e dilegua di là dalla salita.
Sul viottolol'uomo che chiamava ha ripreso a correre; l'altro galoppaattraverso i campia quanto pare verso casa nostra.
Di li a qualche minutoproprio mentre il signor Seurel lascia la lavagnastrofinandosi le mani per pulirle dal gesso
e tre voci all'unisono gridano dal fondo dell'aula «Signor maestro! Il granMeaulnes se ne è andato!» l'uomo dal camiciotto
turchino è alla portala spalanca e cavandosi il cappello domanda: «Scusisignorelei ha autorizzato quell'allievo a chiedereAlain-Fournier Il grandeMeaulnes
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la carretta per andare a Vierzon a ricevere i suoi genitori? C'è venuto ildubbio...»
«Assolutamente no» risponde il signor Seurel.
Di colpoin aulail pandemonio. I tre che stanno più vicini alla porta eche di solito hanno il compito di scacciare a
sassate le capre e i porci che entrano in cortilea brucare l'erba stornasono schizzati via. Al picchio brutale dei loro zoccoli
ferrati sul pavimento dell'aula tien dietrofuoriun rumore soffocato dipassi che macinano la sabbia e slittano stridendo alla
curva del cancelletto aperto sulla strada. Tutti gli altri s'ammucchiano allefinestre: alcuni sono montati sui banchi per
vedere meglio.
Troppo tardi: il gran Meaulnes è scappato. «Andrai lo stesso alla stazionecon Moucheboeuf» mi dice il signor
Seurel«Meaulnes non conosce la strada per Vierzonsi smarrirà agliincroci e non arriverà alla stazione per le tre.»
Affacciata alla porta della classe elementare Millie al lunga il collo echiede: «Ma che cosa succede»
Nelle strade del paese la gente comincia già a formare gruppetti. Ilcontadino è sempre làfermoostinatoil
cappello in mano come chi domandi giustizia.
5 • TORNA IL CARRO
Andai alla stazione a prendere i nonni: e quandodopo cenaseduti davantial fuoco cominciarono a raccontare
minutamente tutto quanto era accaduto dopo le ultime vacanzemi accorsi benpresto che non li ascoltavo affatto.
Il cancelletto del cortile non era molto lontano dalla porta della sala dapranzo. Aprendosi cigolava ed ioa sera
durante le nostre veglie campagnoleaspettavo in segreto quel cigolio: gliteneva dietro un rumore di zoccoli picchiati o
stropicciati sulla sogliaa volte un bisbiglio di gente che si concertiprima d'entrare. Poi bussavano. Erano vicinile maestre
insomma qualcuno che veniva a distrarci nella lunga veglia.
Ma quella sera non mi attendevo più nulla dal mondo di fuori. tutti coloroche amavo erano riuniti in casa; e
tuttavia non smettevo di tendere l'orecchio ai rumori della nottediaspettare che la porta si spalancasse.
Il nonnoarruffato di peli e ciglia come un pastore guasconei piedisaldamente piantatiil bastone fra le gambe
piegandosi a picchiare la pipa contro lo stivale approvava con gli occhi unpo' umidi e affettuosi la nonna che par lava del
viaggio e delle sue galline e dei vicini e dei fittavoli che non avevanoancora pagato. Ma chi era più lì?
Mi figuravo il rotolio di un carretto fermato di colpo da vanti alla porta;Meaulnes salterebbe giù ed entrerebbe
come se nulla fosse... O forse andrebbe prima a riportare la cavalla allaBuona Stella; e presto sentirei il suo passo nel la
strada e il cancello aprirsi...
Invecenulla. Il nonno fissava il vuoto e tra un battito e l'altro lepalpebre indugiavano sempre più a lungo sugli
occhicome quando arriva il sonno. La nonnainterdettaripeteva l'ultimafrase che nessuno ascoltava.
«Siete preoccupati per quel ragazzo?» disse finalmente.
Alla stazione l'avevo interrogata senza risultato: non aveva veduto nessunoche somigliasse al gran Meaulnes alla
fermata di Vierzon. Certo il mio amico aveva perso tempo per viail suotentativo era fallito. Sulla carrettellaal ritorno
avevo ruminato la mia delusionementre la nonna chiacchierava conMoucheboeut. Lungo la strada imbiancata dalla gelata
gli uccelli turbinavano intorno alle zampe dell'asinoal suo piccolo trotto.A intervallinella grande calma fredda del
pomeriggio arrivava di lontano il richiamo di una pastora o di un ragazzo chedava la voce al compagnoda un boschetto di
abeti all'altro. Ogni volta trasalivo a quel grido prolungato sui pendiispoglicome fosse la voce di Meaulnes che m'invitasse
a seguirlovia lontano...
Arrivò l'ora di coricarsi che io ero ancora assorto in questi pensieri. Ilnonno si era già ritirato nella camera rossala
camera che faceva da salottorimasta serrata fin dall'altro inverno epperòancora umida e fredda. Per farlo stare a suo agio
avevamo tolto le testiere di pizzo delle poltronearrotolato i tappetispostato in un canto i soprammobili più fragili. Lui
aveva messo il bastone su una seggiolalescarpe sotto una poltrona; spentala candelaci scambiavamo la buonanotte in
piediprima di andarcene a dormirequando un rumore di veicoli ciammutolì. Pareva che due carri venissero l'uno dietro
l'altro al piccolo trotto; rallentarono e alla fine si fermarono sotto lafinestra della sala da pranzo che dava sulla strada ma era
stata murata.
Mio padre intanto aveva preso una lampada e apriva la porta già chiusa achiave; poispalancato il cancellettosi
spinse fino all'orlo degli scalini e alzò il lume più su della testa pervedere chi era. Proprio due carri stavano lì fermiil
cavallo del secondo attaccato dietro al primo: un uomo era saltato a terra edora esitava...
«E questo il Municipio?» chiese facendo un passo avanti. «Mi saprebbe diredove sta il signor Fromentinil fattore
della Buona Stella? Ho trovato il suo carro e la sua cavalla senza guidatorelungo un sentiero vicino alla strada di Saint-Loup
des Bois. Avevo la lanternaho potuto leggere nome e indirizzo sullatarghetta. Dato che passavo di qui gliel'ho
riportato per evitare incidentima ho perduto un bel po' di tempoperò.»
Eravamo sbalorditi. Mio padre si avvicinòilluminò il carretto con lalampada.
«Nessun segno di viaggiatori» continuò l'uomo«neppure una coperta. Labestia è affaticata; zoppica un pochino.»Alain-Fournier Il grande Meaulnes
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Mi ero spinto avanti e osservavo con gli altri quel veicolo disperso che ciritornava come un relitto d'alto mare: il
primo e forse l'unico relitto dell'avventura di Meaulnes.
«Se Fromentin sta lontanocarro e cavalla li lascio a voi» disse l'uomo«Ho perduto già fin troppo tempoa casa
mia saranno m pensiero.»
Mio padre acconsentì. In questo modo avremmo potuto riportare carro e bestiaalla Buona Stella quella sera stessa
senza spiegazioni sull'accaduto. A suo tempo avremmo deciso cosa raccontarealla gente del paese e che cosa scrivere alla
madre di Meaulnes... L'uomo rifiutò il bicchiere che gli offrivamo e frustòvia la sua bestia.
Rientrammo in silenziomentre mio padre riportava il carretto alla fattoria;dalla sua cameradove aveva riacceso
la candelail nonno insisteva: «E allora? È ritornato il nostroviaggiatore?»
Le donne si scambiarono un'occhiata d'intesarapida.
«Ma sìera andato da sua madre. Dormidorminon preoccuparti.»
«Ebbenetanto meglio! Proprio come pensavo» disse il nonno soddisfatto.Spense la candela e si rigirò nel letto
per dormire.
La stessa spiegazione la demmo alla gente del paese. Quanto alla madresidecise che era meglio aspettare un poco
prima di scriverle. Così tenemmo tutta per noi un'inquietudine che durò tregiorni buoni. Rivedo ancora mio padre che
rientra dalla fattoria verso le undicii baffi imperlati dalla guazzanotturnae parla fitto con Millie a voce bassacon i segni
dell'ansia e dell'ira...
6 • BUSSANO AI VETRI
Il quarto giorno fu uno dei più rigidi di quell'inverno. Di mattino prestoi primi arrivati in cortile cercavano di
scaldarsi facendo gli scivoloni intorno al pozzo: aspetta vano che la stufadell'aula fosse accesa per precipitarvisi.
Dietro il portone spiavamo in molti l'arrivo dei ragazzi della campagna.Giungevano con negli occhi ancora il bar
baglio di un viaggio attraverso paesaggi di brinastagni ghiacciatiboschetti donde scatta la lepre... Nei loro camiciotti
restava un sentore di fieno e di stalla che appesantiva l'atmosfera dell'aulaquando si stringevano alla stufa arroventata. Quel
mattinouno di loro aveva portato dentro un canestro uno scoiattoloassiderato scoperto lungo la via; si studiavami ricordo
di appendere per gli unghioli a una trave del portico la bestiolaintirizzita.
Poi cominciò la noiosa lezione invernale...
Un picchio improvviso ai vetri ci fece alzare la testa. Appoggiato alla portavedemmo il gran Meaulnes che si
scuoteva di dosso la brina prima d'entrarea testa altacome abbagliato!
I due più vicini alla porta corsero ad aprire: ci fu sulla soglia una speciedi conciliabolo che non sentimmo e final
mente il fuggitivo si decise a entrare nella scuola.
La ventata di aria fredda del cortile desertoi fili di paglia impigliatinel vestito del gran Meaulnessoprattutto il
suo aspetto di viaggiatore stancoaffamato ma incantato: tutto questosvegliò in noi uno strano movimento di gioia e di
curiosità.
Il signor Seurelche stava dettandoera sceso dalla pedana della cattedra eMeaulnes gli si avvicinava con un piglio
aggressivo. Come mi sembrava belloin quel momentoil mio gran compagnoadispetto dell'aria sfinita e degli occhi
arrossati dalle notti all'aperto.
Marciò fino alla cattedra e con la tranquillità di chi riferisce unainformazione disse: «Eccomi di ritornosignore.»
«Vedo» rispose il signor Seureldopo averlo guardato con curiosità.«Vai a sederti al tuo posto.»
Meaulnes si voltò verso di noiun poco curvocon il sorrisetto ironicodegli scolari indisciplinati più grandi
quando ricevono una punizione e afferrato con una mano il bordo del banco silasciò scivolare sul sedile.
«Prenderai il libro che adesso ti dirò» disse il maestro
tutte le teste continuavano a restare voltate verso Meaulnes - «è intanto ituoi compagni finiranno il dettato.»
La lezione riprese come al solito. Di tanto in tanto Meaulnes si girava dallamia parte poi guardava fuori dalle
finestre il giardino dove niente si muoveva sotto una lanugine bianca e icampi deserti su cui calava di colpo un corvo. In
aulavicino alla stufa arrossatail caldo era soffocante. Il mio compagnoappoggiò i gomiti sul bancola testa fra le mani
come per leggere: ma due volte gli vidi abbassare le palpebre e pensai chestesse per addormentarsi.
«Vorrei andare a lettosignore» disse alla finealzando a metà ilbraccio. «Sono tre notti che non dormo.»
«Vai pure» disse il signor Seurelche voleva soprattutto evitare ogniquestione.
Le teste levatele penne in ariaa malincuore lo vedemmo andarsene con lablusa stazzonata sulla schiena e le
scarpe incrostate di fango.
Come fu lento il viaggio di quella mattina! In vista del mezzogiorno udimmoche il viaggiatorelassùnella
soffittasi preparava a scendere. Per il pranzo lo ritrovai seduto davantial fuocoaccanto ai nonni sbalorditimentre ai
dodici colpi dell'orologio allievi grandi e piccoli sparpagliati nel cortilecoperto di neve guizzavano come ombre davanti allaAlain-Fournier Il grandeMeaulnes
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porta della stanza da pranzo.
Ricordodi quel pastosoltanto un grande silenzio e un grande imbarazzo.Tutto ghiacciava: la tavola d'incerata
senza tovagliail vino freddo nei bicchierila lastra di pietra su cuiposavamo i piedi... Si era deciso di non chiedere nulla al
fuggitivoper non attizzare il suo spirito di rivolta; e lui approfittòdella tregua per non dire una parola.
Come Dio volledopo la fruttaci fu permesso di correre in cortile: cortiledi scuolanel pomeriggiodal quale gli
zoccoli avevano cancellato la neve... cortile anneritodove lo sgelogocciava dalle tettoie... cortile assordato dai giochi e dai
gridi! Meaulnes e io ci mettemmo a correre lungo l'edificio. Già due o treamici del paese si staccavano dagli altri per
raggiungercistrillando di gioiaschizzando mota sotto gli zoccolile maniin tascala sciarpetta al vento: ma il mio
compagno si precipitò nell'aulaseguito da mee serrò la porta a vetriappena in tempo per reggere l'assalto degli
inseguitori. Vetri scossi tintinnarono violentemente con un suono limpidozoccoli scalpitarono sulla soglia; una spinta
curvò la lista di ferro che teneva fermi i due battenti della porta; ma giàMeaulnes aveva girato la chiave della serraturaa
rischio di ferirsi con l'anello scheggiato.
Di solito un comportamento del genere ci indispettiva. D'estatequelli chevenivano lasciati così fuori della porta
correvano in giardino e spesso riuscivano ad arrampicarsi attraverso lefinestre prima che fossero tutte sbarrate. Ma era
dicembrele finestre erano chiuse. Per un poco quelli di fuori fecero forzacontro la portaci ingiuriarono; poiuno alla
voltavoltarono le spalle e se ne andaronorassettandosi le sciarpe.
Nell'aula che odorava di castagne e di vinello c'erano sol tanto duearmatidi scopeche spostavano i banchi. Mi
avvicinai indolentemente alla stufa per scaldarmi aspettando l'ora dellaripresa delle lezionimentre Agostino Meaulnes
frugacchiava nella cattedra e sotto i leggii. Trovò presto un piccoloatlante che si mise a studiare con passionein piedi sulla
pedanai gomiti appoggiati sulla cattedrala testa fra le mani.
Stavo per avvicinarmi a luimettergli una mano sulla spallaseguire sullacarta il viaggio che aveva compiuto
quando di colpo la porta che comunicava con la classe dei più piccoli sispalancò sotto una spinta energica e con grida di
trionfo fece irruzione Gelsomino Dèloucheseguito da un ragazzo del paese eda tre altri della campagna. Certo erano
entrati forzando una delle finestre della classe dei piccoli non ben chiusa.
Delouchesebbene di bassa staturaera uno degli allievi più anziani delCorso Superioreassai geloso del gran
Meaulnes benchè facesse finta di essergli amico. Era luiprima dell'arrivodel nostro convittoreil galletto della classe.
Aveva un viso pallidoscipitoi capelli impastati; figlio unico dellavedova Delouchel'albergatriceposava a uomo e
ripeteva con aria vanitosa quel che dicevano i giocatori di biliardoibevitori di vermouth.
All'irruzioneMeaulnes alzò la testaaggrottò i sopraccigli e gridòmentre i ragazzi si precipitavano verso la stufa
dandosi spintoni: «Insommanon si può stare un momento tranquilliqui.»
«Se non ti vaperchè non sei restato dove eri prima» risposesenzaalzare la testaDeloucheche si sentiva
spalleggiato dai compagni.
Credo che Agostino fosse in quello stato di stanchezza in cui la rabbiatrabocca senza che si riesca a controllarla.
«Tu» disse drizzandosi tutto pallido e chiudendo il libro«tuintantovattene di qui.»
L'altro sogghignò: «Ahsolo perchè sei rimasto tre giorni in libertàcredi di essere il padrone ora?» E coinvolgendo
nel litigio anche gli altri: «Non sei tusaiquello che ci butteràfuori.»
Ma già Meaulnes si era gettato su di lui. Si azzuffaronole maniche dellebluse crepitarono e si scucirono. Solo
Martinouno dei ragazzi di campagna entrati al seguito di Gelsominos'intromise: «Lascialo» ordinòdilatando le narici e
scrollando la testa come un ariete.
Meaulnescon uno spintone lo fece incespicare a braccia aperte fino in mezzoall'aula; poipreso Delouche con una
mano alla collottolaspalancato l'uscio con l'altracercò di buttarlofuori. Quello si aggrappava ai banchipuntava i piedi sul
pavimento con uno stridio di suole ferrate; e in tanto Martinoritrovatol'equilibriotornava alla carica furibondoa
capofitto. Meaulnes lasciò Delouche per affrontare quell'animale e sisarebbe forse trovato in difficoltàse non si fosse
socchiusa la porta che dava sulla nostra abitazioneinquadrando il signorSeurel chevoltato verso la cucinafiniva di
parlare con qualcuno prima di entrare...
Lo scontro finì. I ragazzi che fino all'ultimo avevano evitato diparteggiare si raggrupparono intorno alla stufa a
testa bassa; Meaulnes si sedette al suo bancocon le mani che della blusastrappate all'attaccatura. Quanto a Gelsomino
ancora congestionatolo si sentì gridarenei pochi secondi cheprecedettero il colpo di righellosegnale di inizio della
lezione: «Ahma adesso non sopporta più nulla! Fa il gradasso... Come senon si sapesse dove è stato!»
«Imbecille! Se non lo so neppure io» rispose Meaulnes in un silenzio giàprofondo; poicon una scrollata di spalle
si prese la testa fra le mani e cominciò a studiare la lezione.
7 • IL PANCIOTTO DI SETA
Come ho dettoci faceva da camera una grande soffitta: cioèper metàsoffitta e per metà stanza. Gli alloggi per iAlain-Fournier Il grandeMeaulnes
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supplenti avevano finestrema questonon so perchèprendeva luce da unabbaino. La portache strisciava sul pavimento
non si chiudeva mai del tutto: quando salivamo a dormireriparando con lamano la fiamma della candela insidiata da tutti i
soffi d'aria di quella casa tanto grandecercavamo sempre di chiuderel'uscio ma ogni volta dovevamo darci per vinti. Così
per tutta nottesentiva mo il silenzio dei tre granai stringersi intorno anoiinsinuandosi fin nella nostra camera.
Lì ci ritrovammoio e Agostinola sera di quel giorno d'inverno.
Svelto svelto m'ero tolto i vestiti e li avevo gettati a mucchio su unaseggiola a capo del lettomentre il mio
compagnosenza aprir boccaaveva appena cominciato lentamente a spogliarsi.Lo spiavo attraverso le cortine di cotone
stampato a pampini del letto di ferro su cui mi ero già coricato: si sedevasul suo letto basso e senza cortinepoi si alzava e
passeggiava avanti e indietrocontinuando a svestirsi. La candelaposta suun tavolinetto di vimini intrecciatigettava sul
muro la sua ombra inquieta e gigantesca.
All'opposto di ciò che avevo fatto ioMeaulnes ripiegava e sistemava benbene i suoi vestitiseppure con aria
distratta e amareggiata. Eccolo appoggiare su una sedia (lo rivedo) la grossacintura; ripiegare sulla spalliera la blusa nera
tutta sporca e stropicciata; togliersi una specie di giubba spessa e turchinache portava sotto la blusa e piegarsi per stenderla
a piedi del lettogirandomi la schiena... Ma quando si raddrizzò e sivoltò di nuovo dalla mia partemi accorsi che al posto
del panciotto con i bottoni di rame che era di prescrizione sotto la giubbaportava un curioso panciotto di setalargamente
apertofermato in basso da una fila fitta di bottoncini di madreperla.
Era un capo di vestiario davvero incantevolecome dovevano portarne igiovanotti che ballavano con le nostre
nonnenelle feste del milleottocentotrenta.
Ancora lo ricordoscolaro grandeun po' rusticoa testa nuda (aveva posatocon cura il berretto sugli altri abiti) -
viso tanto giovaneaudaceeppure già tanto indurito. Aveva ricominciato ilsuo andirivieni attraverso la cameramentre si
sbottonava quell'indumento enigmatico non certo suo: ed era curioso vederloin maniche di camiciai pantaloni troppo corti
le scarpe infangatetrafficare con quel panciotto da marchese.
Appena l'ebbe toccatouscì di colpo dalle sue fantasticheriesi voltòverso di me guardandomi con inquietudine.
Mi scappava da rideree lui sorrise insieme con merischiarandosi in viso.
«Che cos'èdimmi?» chiesi a voce bassafacendomi coraggio. «Dove l'haipreso?»
Il suo sorriso si spense subito. Si strofinò due volte la mano sul craniorasoe improvvisamentecome non potesse
più resistere a un desiderioinfilò di nuovo su quel corsetto raffinato lagiubbariabbottonandola accuratamentee la blusa
spiegazzata; esitò un momentoguardandomi di sbieco... Infine si sedettesul bordo del lettosi tolse le scarpe che fecero un
gran rumore sull'impiantito evestito come un soldato in all'ertasisdraiò e soffiò sulla candela.
A metà della notte mi svegliai di schianto. Meaulnesritto in mezzo allacameracon il berretto in testacercava
qualche cosa sull'attaccapanni - una mantellina che si gettò sulle spalle...Tutto buio nella stanzaneppure quel lucore
provocato a volte dal riflesso della neve; un vento gelido e nero soffiavanel giardino senza vitasui tetti.
Mi alzai sul gomito e dissi con voce soffocata: a Meaulnes? te ne vai dinuovo?»
Non rispose. Alloratutto rimescolatodissi: «Va benevengo anch'io. Deviportarmi con te.» E saltai giù.
Lui mi si avvicinòmi prese per un bracciocostringendomi a sedere sulletto e mi sussurrò:
«Non posso prenderti con meFrancesco. Se sapessi bene la stradaallorasì potresti accompagnarmi... Ma prima
debbo ritrovare la via sulla carta e non ci sono ancora riuscito.» «Macosì non puoi andare neanche tu.»
«È veroè inutile...» riconobbe scoraggiato. «Sutorna a dormire. Tiprometto di non partire senza di te.»
E ricominciò ad andare avanti e indietro nella camera. Non osava più aprirbocca. Passeggiavasi fermava
riprendeva più in frettacome quando si cercano o si passano in rivistanella mente i ricordisi confrontanosi calcola e
d'improvviso sembra di aver trovato; ma noil filo viene abbandonato e siriprende a cercare...
Non fu quella la sola notte chedestato dal rumore dei suoi passilosorpresiverso l'una del mattino a passeggiare
per la camera o per i granai - come quei vecchi marinai che non hanno potutoperdere l'abitudine di fare il quarto di guardia
e che perfino nei poderetti di Bretagna dove si sono ritiratisi levano e sivestono all'ora stabilita dal regolamento per
vigilare la notte di terra.
Due o tre volte fui così svegliatoin gennaio e nella prima quindicina difebbraio. Il gran Meaulnes era là diritto
completamente vestitola mantellina indossopronto per partirema poi sifermavaesitava all'orlo di quel paese misterioso
dove già una volta ci era sfuggito. Sul punto di alzare il saliscendi dellaporta delle scale e di dileguarsi per la porta della
cucina che avrebbe facilmente aperta senza farsi sentire da nessunoMeaulnesdava indietro ancora una volta... Poi per
lunghe ore nel profondo della nottemisurava con passo febbrile i granaidesertipensandopensando...
Finalmente una notteverso il 15 di febbraiofu lui a svegliarmi mettendomidelicatamente una mano sulla spalla.
Era stata una giornata tempestosa. Meaulnesche disertava del tutto i giochidei compagniera rimasto seduto al
suo bancodurante l'ultima ricreazione del pomeriggioassorbito a stendereuna misteriosa piantina che seguiva con il dito e
calcolava a lungo sulla carta geografica dello Cher. Fra il cortile e l'aulac'era un viavai senza fine: schiocca vano zoccolici
si inseguiva di banco in bancoscavalcando con un salto tavoli e cattedra...Tutti sapevano che non era consigliabile
avvicinare Meaulnes quando era così occupato; tuttaviaprolungandosi laricreazionedue o tre ragazzi del paese gli si
avvicinaronoper giocoa gran passi e spiarono sopra la spalla: anziunodi essi arrivò al punto di spingere gli altri addossoAlain-Fournier Ilgrande Meaulnes
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a Meaulnes. Lui chiuse di colpo l'atlantenascose il foglioe acciuffòl'ultimo dei tre ragazzi (gli altri due erano riusciti a
filare).
... Era quel dispettoso di Giraudat che cominciò una lagnacercò discalciare e alla finebuttato fuori dal gran
Meaulnesgli gridò rabbiosamente: «Brutto vigliacco! Lo credo che ti sonotutti controche ti vogliono fare la guerra!»
Seguì un fiotto d'ingiurie alle quali rispondemmosenza nemmeno capir beneciò che volesse dire. Proprio io
gridavo più forte; ormai avevo preso le parti del gran Meaulnes. Fra noic'era una sorta di patto: mi aveva promesso di
portarmi con sèsenza opporrecome tuttiche «non ce l'avrei fatta» equesto bastava a legarmi a lui per sempre. Pensavo
continuamente a quel suo viaggio misterioso ed ero convinto che avesseincontrato una ragazzacerto molto più bella di
tutte le ragazze del paesepiù bella di Giovannache intravedevamo per ilbuco della serratura nel giardino delle monache;
più bella di Maddalenala figlia del fornaiotutta rosea e bionda; e diJennyla figlia dei signori del paeseincantevole ma
pazzaepperò sempre chiusa in casa. A una ragazzasenza dubbiopensavaogni nottecome un eroe di romanzo. Così
avevo deciso di farmi coraggio e parlargliene la prima volta che mi avessesvegliato.
Dopo quel nuovo scontroalle quattro del pomeriggio stavamo tutti e dueraccogliendo gli arnesi da giardinaggio
vanghette e picconi adoperati per scavare buchequando sentimmo grida dallastrada: una banda di ragazzi e monelli in fila
per quattroche sfilavano al passocome una compagnia inquadrata allaperfezionesotto il comando di DeloucheDaniel
Giraudat e di un quarto che non conoscevamo. Ci avevano visto e ci facevanouna bella urlata.
Tutto il paese era dunque contro di noi e preparava qualche spasso bellicosodal quale restavamo esclusi.
ZittoMeaulnes ripose sotto la tettoia la vanga e la zappa che aveva sullespalle. Ma a mezzanotte fui svegliato di
soprassalto dal tocco della sua mano sul braccio.
«Alzati» mi disse. «Partiamo.»
«Adesso sai la strada fino in fondo?»
«Ne so una buona parte: per il resto bisognerà arrangiarsi» disse a dentistretti.
«SentiMeaulnes» dissi alzandomi a sedere. «Senti. C'è una cosa sola dafare: dobbiamo cercare tutti e due
insiemedi giornoil tratto di strada che ci mancaservendoci del tuoschizzo.»
«Ma è molto lontano da qui.»
«Beneci andremo in carrettoquest'estatequando le giornate saranno piùlunghe.»
Un lungo silenzio significò che accettava.
«Poiinsiemecercheremo di trovare la ragazza che amiMeaulnes»aggiunsi finalmente. «Dimmi chi èparlami
di lei.»
Si sedette ai piedi del letto: nell'ombravedevo la sua testa chinalebraccia consertei ginocchi. Poi tirò un
profondo respirocome chi abbia da tempo qualcosa sul cuore e finalmentepossa confidare il suo segreto...
8 • L'AVVENTURA
Quella notte il mio amico non mi raccontò tutto ciò che gli accadde duranteil viaggio: e anche quando
nell'angoscia dei giorni di cui diròsi decise a confidarsi interamentequesto restò a lungo il grande segreto delle nostre
adolescenze. Ma oggi che tutto è finitoche di tanto maledi tanto benenon rimane che cenereposso raccontare la sua
avventura singolare.
All'una e mezzo di quel pomeriggio gelato Meaulnes mi se di buon passo lacavalla: non c'era poi molto tempo a
disposizione. Allora si divertiva semplicemente all'idea della nostrasorpresa quando fosse ricomparsoalle quattro
conducendo seco sul carro i nonni Charpentier. In quel momentocertononaveva altro scopo.
Dopo un pocointirizzito dal freddosi avvolse intorno alle gambe unacoperta che aveva rifiutato ma che quelli
della Buona Stella avevano voluto mettere a forza sul carro. Alle dueMeaulnes attraversò il borgo di La Motte: non era mai
capitato in un paese durante le ore di lezione e lo divertì vederlo cosìdesertoaddormentato: era molto se di tanto in tanto
una tendina veniva sollevatamostrando la testa di qualche donna curiosa.
All'uscita da La Mottesubito dopo la scuolaMeaulnes esitò a un bivio ecredette di ricordarsi che per andare a
Vierzon bisognava voltare a sinistra. Non c'era nessuno che potesse dargliun'indicazione: così rimise al trotto la cavalla
sulla strada ormai angusta e mal selciata. Per un poco fiancheggiò un boscodi abeti poi incrociò finalmente un carrettiere al
quale chiesefacendo portavoce con le manise andava bene per Vierzon. Lacavallafacendo forza alle redinitirava avanti
a trottare; l'uomo evidentemente non intese la domanda: gridò qualche cosaaccompagnandola
con un gesto vago; e Meaulnes proseguì comunque la sua strada.
Fu ancora la vasta campagna gelatadove nulla si muovevasvegliaval'occhio; solo a volte una gazzaspaventata
dal carrostaccava il volo per posarsi più lontano su un olmo scapitozzato.Il viaggiatore si era buttato sulle spalle la
copertacome una cappa. A gambe disteseappoggiato con il gomito a unafiancata del carrettodovette assopirsi per unAlain-Fournier Il grandeMeaulnes
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buon tratto...
Lo destò il freddo che penetrava adesso anche la coperta e Meaulnes siaccorse che il paesaggio era cambiato.
Niente più orizzonti lontaniquel gran cielo bianco dove l'occhio siperdevama praticelli ancora verdifra alti recinti. A
destra e a sinistra l'acqua dei fossati scorreva sotto il ghiaccio. Tuttoannunziava la vicinanza di un corso d'acqua.
Fiancheggiata da siepi altela strada non era più che un sentierounoscasso.
La cavalla da un po' aveva smesso di trottare. Meaulnes schioccando la frustavolle farle riprendere andatura ma la
bestia continuò ad andare al passo adagio adagio; Meaulnessporgendosi difiancole mani sulla sponda anteriore del carro
si accorse che zoppicava da una zampa di dietroe subito saltò a terrapreoccupato. «Non arriveremo mai a Vierzon in
tempo per il treno» disse a mezza voce. Non osava formulare il pensieropiù inquietante: che aveva sbagliato strada e che
quella non era per nulla la via di Vierzon.
Esaminò a lungo il piede della cavallasenza scoprirvi traccia di ferita.Timorosala bestia alzava la zampa quando
Meaulnes cercava di palpargliela e grattava il suolo con lo zoccolo pesante eincerto. Finalmente capì che la tormentava solo
un sassolino finito nello zoccolo. Pratico com'era di animaliMeaulnes siaccucciò per prendere con la sinistra la zampa
destra e mettersela fra le ginocchia ma il carro lo impacciava. Due volte lacavalla gli sfuggìavanzando di qualche metro: il
montatoio lo colpì alla testa e la ruota gli urtò il ginocchio. Meaulness'ostinava e finì per avere la meglio sulla bestia
impaurita; ma il sasso era conficcato troppo in profondo e fu necessariousare il coltello da contadino per venirne a capo.
Quand'ebbe finito e alzò finalmente la testaun po' storditogli occhivelatiscoprì con stupore che si faceva notte.
Chiunque altro al posto di Meaulnes sarebbe tornato indietro: era l'unicomodo per non smarrirsi ancora di più.
Meaulnes però si disse che doveva armai essere ben distante da La Motte; perdi più la cavalla poteva aver infilato una via
traversa mentre lui dormiva; e finalmenteil sentiero su cui si trovavadoveva pur condurre a qualche villaggio. A parte
queste ragioniil ragazzoarrampicandosi sul carro mentre la bestiaimpaziente faceva forza sulle brigliesentiva montare
dentro di sè un desiderio esasperato di far qualche cosadi giungere inqualche postoa dispetto di ogni ostacolo.
Frustò la cavalla che scattò avanti riattaccando un gran trotto.L'oscurità aumentavail sentiero sconvolto lasciava
giusto il passaggio per il carro. Di tanto in tanto un ramo secco della siepes'impigliava nei raggi della ruota spezzandosi con
un rumore netto... Quando fu buiodi colpo Meaulnes pensòcon una strettaal cuorealla stanza da pranzo di Sant'Agata
dove a quell'ora eravamo certo tutti riuniti. Poilo punse la collera; poil'orgogliola gioia profonda di aver trovato la libertà
cosìsenza averlo voluto...
9 • UNA SOSTA
La cavallad'improvvisorallentò quasi inciampasse nell'ombra; Meaulnes lavide piegare in avanti e rialzare due
volte il muso; poi si fermò nettole froge basse come per annusare.D'intorno agli zoccoli della bestia veniva uno
sciacquattio. Difatti un ruscello tagliava il sentiero; d'estate dovevaesserci un guadoma adesso la corrente era tanto forte
che non s'era formata una crosta di ghiaccio e sarebbe stato rischiosospingersi più avanti.
Meaulnes tirò piano le briglie per arretrare di qualche passo e poi si alzòin piedi sul carropiuttosto perplesso Fu
allora chefra i ramivide della luce: non doveva distare più di due o treprati dal sentiero...
Saltò giù dal carro e fece rinculare la cavalla parlandole dolcemente pertranquillizzarlaper calmare le sue brusche
e inquiete testate: «Su vecchia miasu! Non si andrà più avanti per ora eintanto sapremo dove siamo capitati.»
Spinse lo steccato semiaperto di un praticello che fiancheggiava il sentieroe vi fece passare carro e cavalla. I piedi
affondavano nell'erba molleil veicolo sobbalzava senza rumore; accostandoil capo al muso della bestiane sentiva il
caloreil soffio ruvido del fiato Meaulnes la condusse fino all'estremitàdel pratole gettò sul dorso la copertapoiscostati i
rami della recinzionevide ancora la luceche veniva da una casa isolata.
Bisognò ancora attraversare tre pratisaltar via un corso d'acquatraditorecon il rischio di finirci dentro con tutti e
due i piedi... Finalmentecon un ultimo balzo dalla cima di una scarpataapprodò al cortile di una casa contadina. Un maiale
grugniva nel suo stabbio; udendo i passi sulla terra gelataun cane si misead abbaiare furiosamente.
Il battente della porta era spalancatoil chiarore visto da Meaulnes eraquello di un fuoco di fascine nel caminetto.
Non c'era altra luce. Nella casauna donna si alzò avvicinandosi allaportaper nulla spaventata. L'orologio a contrappeso
suonò proprio allora le sette e mezzo.
«Chiedo scusabrava donna» disse Meaulnes«ma temo proprio di avercalpestato i suoi crisantemi...»
Lei lo guardavaimmobilecon una scodella in mano.
«Difatti» disse«in cortile fa così buio che sfido a vedere dove simette il piede.»
Nel silenzio che seguì Meaulnessempre in piediguardò i muri tappezzatidi giornali illustraticome in un'osteria
e il tavolo su cui spiccava un cappello d'uomo.
«Il padrone non c'è?» chiese sedendosi.Alain-Fournier Il grandeMeaulnes
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«Sarà qui fra un momento» la donna aveva ripreso confidenza. «È andatoa prendere una fascina.»
«Non è che abbia bisogno di lui» continuò il ragazzoavvicinando lasedia al fuoco. «Il fatto è che siamo un
gruppo di cacciatori alla posta qui intorno e così sono venuto a chiedere didarci un poco di pane.»
Lo sapeva beneil gran Meaulnesche con la gente di campagnae tanto piùin una fattoria isolataci vuol molta
discrezioneperfino politica; soprattuttomai lasciar capire che non si èdei luoghi.
«Pane?» disse lei. «Non possiamo dargliene: il fornaioche di solitopassa tutti i martedìoggi non è venuto.»
Agostino si spaventò: per un momento aveva sperato di non essere distante daun villaggio.
«Il fornaiodi che paese?»
«Ma s'intende: il fornaio del Vieux-Nançay» rispose la donna stupita.
«A che distanza da qui si trovadi precisoil Vieux-Nançay?» continuòMeaulnesmolto inquieto.
«Seguendo la stradanon saprei dirglielo bene; ma con la scorciatoiasonotre leghe e mezzo.» E cominciò a
raccontare che lì stava a servizio sua figliache veniva a piedi a trovarlaogni prima domenica del mese e che i suoi
padroni...
Ma Meaulnestutto scombussolatol'interruppe per chiedere: «IlVieux-Nançay è il paese più vicino?»
«Mai piùè le Landesa cinque chilometri. Però non ci sono nè botteghenè fornai: solo un mercatino ogni anno
alla festa di San Martino.»
Meaulnes non aveva mai sentito parlare delle Landes. Dunque s'era smarrito aquel punto! C'era quasi da riderne.
Ma la donnache stava lavando la scodella nell'acquaiosi voltò a suavolta incuriosita e disse adagioguardandolo bene in
faccia: «Ma lei non è mica di quivero?»
Proprio allora un contadino già avanti in età si affacciò alla porta conuna bracciata di legna che gettò a terra. A
voce altissimacome a un sordola donna gli spiegò quel che voleva ilragazzo.
«Benebene. È facile» disse semplicemente. «Ma si avvicini al fuococosì non si scalderà mai.»
Un momento dopo stavano tutti e due davanti agli alari; il vecchio spezzava irami per gettarli sul fuocoMeaulnes
mangiava una tazza di latte con il pane che gli era stata offerta. Incantatodi essere giunto a quella semplice casa dopo tante
inquietudiniconvinto che la sua bizzarra avventura fosse ormai finitailnostro viaggiatore progettava già fra sè di ritornare
più tardi con i compagni a far visita a gente così ospitale. Non immaginavache quella era appena una sostache di lì a poco
si sarebbe dovuto rimettere in cammino.
Dopo qualche tempo Meaulnes chiese che gli indicassero la strada per LaMotte: e ricorrendo a un poco di verità
spiegò che con il suo carretto si era separato dagli altri cacciatori e cheadesso si trovava del tutto smarrito.
Allora l'uomo e la donna insistettero tanto perchè restasse a dormire daloro ripartendo solo a giornoche Meaulnes
finì per accettare e uscì per prendere la cavalla e portarla nella stalla.
«Attento alle buche del sentiero» l'ammonì l'uomo.
Meaulnes non si sentì di dirgli che non era venuto affatto lungo ilsentiero. Fu sul punto di chiedere a quel
bravuomo di accompagnarlo: esitò un momento sulla portatanto indeciso dabarcollarequasi. Poi si gettò fuori nel buio
del cortile.
10 • L'OVILE
Per orizzontarsis'arrampicò sulla scarpata dalla quale era saltato.
Adagio e con difficoltàcome nel cammino d'andatasi inoltrò fra erbe edacqueoltre chiuse di salicie andò a
cercare il carretto in fondo al prato dove l'aveva lasciato. Ma non c'erapiù... Immobilecon le tempie che battevanosi
sforzò di ascoltare tutti i lievi rumori notturnisembrandogli ad ogniistante di sentir risuonare lì vicino i finimenti della
cavalla. Nulla... Fece il giro del prato; lo steccato era per metà apertoper metà rovesciatocome schiacciato dalla ruota di
un veicolo. La cavalla doveva essersela battuta per di làtutta sola.
Meaulnes fece qualche passo lungo il sentiero e inciampò nella coperta certocaduta dal dorso della bestia; ne
concluse che la cavalla era scappata in quella direzione. Alloraspiccò lacorsa.
Correva alla ciecaspinto solo dalla volontà ostinata e folle diraggiungere la carrettail viso infiammatotutto
invaso da quel desiderio panico che assomigliava alla paura; incespicando atratti nelle carreggiate. In quel buio assoluto
alle curve urtava contro i recinti etroppo sfinito ormai per fermarsi intempofiniva fra i pruni a braccia avantistraziandosi
le mani messe a difesa del viso. Talvolta si fermavaascoltavapoiriprendeva la corsa. Per un momento credette di sentire il
rumore di una vettura; era solo un barroccio che traballava lontanissimosuuna strada a sinistra...
Alla fine il ginocchio colpito dal montatoio cominciò a fargli tanto maleche fu costretto a fermarsila gamba
irrigidita. Allora si disse che se la cavalla non fosse corsa via al grangaloppo a quest'ora l'avrebbe già raggiunta; e poi che
un carretto non va perduto tanto facilmentequalcuno avrebbe ben finito perritrovarlo. Tutto sommatodecise di tornareAlain-Fournier Il grande Meaulnes
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indietrosfinito dalla rabbiatrascinandosi a fatica.
Dopo un bel po' di camminogli parve di ritrovarsi nei luoghi che avevalasciato: ecco la luce della casetta che
cercava; un viottolo sprofondato dai passi si apriva nella siepe: «Ecco ilsentiero di cui parlava il vecchiosi disse Agostino
avviandovisiben contento di non dover più scavalcare siepi e superarescarpate. Di lì a pocoil viottolo piegava a sinistrae
la luce parve spostarsi dolcemente verso destra; cosìarrivato a unincrocioimpaziente di raggiungere la casettaMeaulnes
infilò senza starci a pensare uno stradino che sembrava condurvi diretto. Maaveva fatto qualche passo appena in questa
direzione che la luce scomparve: l'aveva nascosta una siepe? o i duecontadinistufi di aspettareavevano serrato le
imposte? Facendosi animolo scolaro si gettò per i campipuntandodirettamente verso il luogo dove fino a qualche istante
prima brillava la luce. Ma superato ancora un recintosi ritrovò su unsentiero sconosciuto...
Cosìa poco a pocola pista del gran Meaulnes s'ingarbugliava e sispezzava il legame con tutti quelli che egli
aveva lasciato.
Ormai scoraggiatoquasi senza forzedecisein tanta disperazionediseguire quel sentiero fino alla fine. Cento
passi più avantiil viottolo metteva capo a una prateria grigiavi siintravedevano sparsamente ombre che dovevano essere
ginepri e una costruzione scura in una piega del terreno. Meaulnes vi siavvicinò: era solo una specie di grande ricovero per
il bestiameun ovile abbandonato. La porta cedette cigolando; un filo dilunaquando il vento spazzava via le nubicolava
dagli interstizi dell'assito. Dovunqueun odore di muffa.
Senza cercare altroMeaulnes si coricò sulla paglia umidaun gomitopuntato a terrala testa nella mano. Sfibbiò la
cinturasi raggomitolò nella blusacon le ginocchia raccolte contro ilventre. Gli venne in mente allora la coperta della
cavallache aveva abbandonato sul viottolo e si sentì tanto infelicetantorabbioso contro se stesso da mettersi quasi a
piangere...
Cosìsi studiò di pensare ad altro. Intirizzito fino al midollosiricordò di un sogno - una visionepiuttostodella
prima infanziadi cui non aveva mai parlato a nessuno: una mattinainvecedi svegliarsi nella sua cameradove stavano
appesi calzoncini e giubbesi era trovato in una grande stanza verdeconuna tappezzeria che imitava il fogliame. Fiottava
una luce così dolce che pareva di poterla assaporare. Vicino a una finestrauna ragazza cuciva voltandogli le spallecome in
attesa del suo risveglio... Allora non aveva avuto la forza di scendere dalletto per entrare in quella casa incantata. Si era
riaddormentato... Ma la prossima voltaparola! si sarebbe alzato. Domattinaforse ! ...
11 • IL DOMINIO MISTERIOSO
Alle prime luci si rimise in cammino. Ma il ginocchio gonfio gli faceva malecostringendolo ogni poco a fermarsi
e a sedersi a terra tanto era acuto il dolore. Quei luoghi del resto erano ipiù desolati della Sologne; in tutta la mattinata vide
solodi lontanouna pastora che conduceva il suo gregge: invano le detteuna vocecercò di raggiunger la di corsalei
dileguò senza udirlo.
Meaulnes continuò egualmente il cammino in quella direzionecon unalentezza desolante. Non un tettonon
un'anima vivaneppure il grido di un chiurlo nei canneti della palude. E suquesta solitudine assoluta un sole decembrino
nitido e glaciale.
Erano forse le tre del pomeriggio quando finalmenteal disopra di un boscodi abetivide spuntare la guglia di una
torretta grigia. «Un vecchio castello abbandonato» si disse«unacolombaia vuota!» E senza affrettarsi continuò la marcia.
All'angolo del bosco sfociavafra due pali bianchiun viale e Meaulnes visi infilò. Ma dopo pochi passi si fermòsorpreso
sconvolto da un'emozione inspiegabile. È verocamminava sempre a faticailvento gelato gli screpolava le labbraa tratti
lo lasciava senza fiato; eppure una gioia straordinaria si gonfiava dentro diluiuna tranquillità completa che quasi stordiva
la certezza che la meta era raggiunta e che ora non c'era altro chefelicità. Cosìun tempola vigilia delle grandi feste
d'estateper poco non veniva meno quandoal cadere della nottepiantavanogli abeti per le strade del paese e il riquadro
della sua finestra era invaso dai rami.
«Tutta questa gioia» si disse«solo perchè arrivo a una vecchiacolombaiaabitata da gufi e spifferi d'aria!»
Indispettito con se stessosi fermò chiedendosi se non fosse meglio faredietrofront e continuare fino al villaggio
più vicino. Se ne stava pensierosoa testa bassada qualche istantequando si accorse a un tratto che il viale era stato
spazzato a grandi colpi di scopa regolaricome al suo paese in occasionedelle feste. Eccolo su un viale simile allo stradone
della Fertéil mattino dell'Assunzione! Gli fosse comparsa davantidall'angolo della stradauna folla in abito da festa
dentro un polveronecome in giugnonon ne sarebbe certo rimasto piùsorpreso.
«Possibile? che facciano una festa in questo deserto?» si chiese.
Andò avanti fino alla prima curva e sentì un rumore di voci che siavvicinavano; allora si gettò nel folto dei giovani
abeti fronzutisi rannicchiò e tese l'orecchiotrattenendo il fiato. Eranovoci infantili. Un gruppetto di ragazzi gli passò
vicino: qualcuno d'essiprobabilmente una bimbaparlava con tono cosìgiudizioso e accorto che Meaulnes non potè evitare
di sorridere benchè non capisse del tutto il senso del discorso:Alain-FournierIl grande Meaulnes
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«C'è solo una cosa che mi preoccupa» Diceva«il problema dei cavalli.Per esempionon ci sarà verso di impedire
a Daniele di montare il grande pony giallo!»
«Nessuno me lo impedirà mai!» rispose la voce petulante di un ragazzino.«Del restonon abbiamo il permesso di
fare tuttoanche di farci del malese vogliamo?»
Le voci si allontanarono mentre sopraggiungeva già un nuovo gruppo dibambini.
«Se il ghiaccio si scioglie» diceva una bimbetta«domattina andremo inbarca.»
«Ma ci lasceranno andare?» disse un'altra.
«Sai bene che la festa l'organizziamo come piace a noi.»
«E se Frantz torna già staseracon la fidanzata?»
«Ebbene! Farà quello che vorremo noi!»
«Si tratta di un matrimonionon c'è dubbio» si disse Agostino. «Ma sonoi ragazzi a dettar legge qui? Strano
posto!»
Decise di uscire dal nascondiglio per chiedere ai ragazzi dove trovare damangiare e da bere; si alzò in piedi e vide
l'ultimo gruppo che si allontanava. Erano tre fanciulle con tunichette chearrivavano al ginocchioe graziosi cappelli a
nastri; una piuma bianca spenzolava sul collo a tutte e tre. Unamezzagiratachina un po' in avantiascoltava la compagna
che le dava spiegazioni alzando il dito.
«Le spaventerei» si disse Meaulnesdando un'occhiata alla sua blusarustica tutta strappata e al goffo cinturone di
collegiale di Sant'Agata.
Nel timore che i ragazzi potessero incontrarlo ritornando per il vialecontinuò ad avanzare fra gli abeti in direzione
della «colombaia»senza stare troppo a pensare a ciò che avrebbe chiestouna volta là. Ai margini del boscopoco dopogli
sbarrò la strada un muretto muschioso. Al di làfra il muro e ledipendenze della proprietàun cortile lungo e stretto era
zeppo di carrozzecome la carte di una locanda in giorno di fiera. Se nevedevano di ogni genere e forma: piccole carrozze
eleganti a quattro postile stanghe all'aria; giardiniere; vetture dei tempidei Borboni con cielo a modanature; perfino
vecchie berline con i vetri alzati.
Meaulnesnascosto dietro gli abetiper paura che lo ve desseroguardavatutta quella baraondaquando scorse
dall'altra parte del cortileproprio sopra il sedile di un'alta giardinierala finestra di un rustico socchiusa. Una volta due
sbarre di ferrocome quelle che si vedono alle impannate sempre chiuse dellescuderiesul retro delle proprietàdovevano
tappare quell'apertura; ma il tempo le aveva sconficcate.
«Entrerò di lì» si disse Meaulnes«dormirò sul fieno e ripartiròall'albasenza spaventare quelle belle bambine.»
Scavalcò il muro a fatica per via del ginocchio ferito e saltando da unacarrozza all'altradal sedile di una
giardiniera al tetto di una berlinaarrivò alla finestra e ne spalancòl'imposta senza rumorecome una porta.
Non era un fienile ma uno stanzone bassoche doveva servire da camera daletto. Nella semioscurità del crepuscolo
invernaleil tavoloil caminettoperfino le poltrone apparivano carichi dienormi vasininnoli preziosivecchie armi. In
fondo alla stanzaun tendaggio nascondeva presumibilmente un'alcova.
Meaulnes aveva richiuso la finestrasia per il freddosia per timored'esser scorto da fuori. Andò a sollevare il
tendaggio in fondo alla stanza e vide un gran lettobassocoperto di vecchilibri dal taglio doratoliuti dalle corde spezzate
candelabributtati lì alla rinfusa. Spinse tutti questi oggetti nel fondodell'alcova e si stese sul letto per riposare e insieme
riflettere sulla strana avventura nella quale si era invischiato.
Un silenzio profondo dominava su tutto; solo a tratti arrivavano i gemiti delgran vento di dicembre.
E Meaulnessdraiatocominciava a chiedersi sea dispetto di tutti queicuriosi incontridelle voci infantili nel
vialedelle carrozze stipatequella non fosse poisemplicementeunabicocca abbandonata nella solitudine dell'inverno
come aveva creduto da principio.
Poi gli parve che il vento portasse il suono di una musica lontanacome unricordo pieno di fascino e di rimpianto.
Rammentò quando sua madreancora giovanesi sedeva al piano in salottonel pomeriggio; e luizittodietro la porta del
giardinoascoltava fino a sera...
«Non si direbbe che qualcuno stia suonando il pianochissà dove?» pensò.Ma lasciò la domanda senza risposta.
Sfinitoil sonno lo prese subito...
12 • LA STANZA DI WELLINGTON
Era notte quando si destò. Intirizzitosi rivoltolò sul giacigliospiegazzando e arrotolando sotto di sè la blusa nera.
Una debole luminosità glauca tingeva le cortine dell'alcova.
Meaulnes si sedette sul letto e sporse la testa fra le cortine. Qualcunoaveva spalancato la finestra e appeso
nell'apertura due lanterne veneziane verdi.
Meaulnes ebbe appena il tempo di gettare un'occhiatache udì sulpianerottolo dei passi soffocati e un parlottare aAlain-Fournier Il grandeMeaulnes
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bassa voce. Si rituffò nell'alcova e le sue scarpe chiodate urtaronofacendolo risuonareuno degli oggetti di bronzo che
aveva ammucchiato contro il muro. Per un momentopreoccupatetrattenne ilrespiro. Lo scalpiccio si avvicinòdue ombre
scivolarono nella stanza.
«Non far rumore» ammoniva uno.
«Ahma è tempo che si svegli» ribatteva il secondo.
«Hai addobbato la sua stanza?»
«Ma certocome tutte le altre.»
Il vento sbattè l'imposta spalancata.
«Guarda» disse il primo«non hai neppure chiuso la finestra e il ventoha già spento una lanterna. Bisognerà
riaccenderla.»
«Bah» rispose l'altrocon il tono di chi cede di colpo a una scoraggiatapigrizia«a che servono tutte queste
luminarie dal lato della campagnabisognerebbe dire dal lato del deserto?Nessuno le vede.»
«Nessuno? Ma per buona parte della notte arriverà ancora gente. E dilontanovenendo per la strada con le loro
vetturesi rallegreranno nel vedere i nostri lampioni.»
Meaulnes udì lo scrocchio di un fiammifero. L'ultimo a parlareche parevail caporipigliò strascicando la voce
come un becchino di Shakespeare:
«E tu metti delle lanterne verdi nella stanza di Wellington! Magari lemetteresti pure rosse... proprio non ne sai più
di me...» Silenzio.
«... Wellington non era americano? e allora! Forse che il verde è un coloreamericano? Dovresti saperlotuil
commedianteuno che ha viaggiato.»
«Proprio!» rispose il «commediante»«viaggiatoeh? Sìho viaggiato!ma non ho veduto niente. Cosa vuoi vedere
inscatolato in un carrozzone?»
Cautamente Meaulnes sbirciò fra le cortine.
Quello che dava ordini era un omaccione a capo scopertoavviluppato in ungrande tabarro; aveva in mano una
lunga pertica cui erano appese lanterne multicolorie tutto pacificolegambe accavallateguardava il compagno darsi da
fare.
Quanto al commedianteera il figuro più miserando che si possa immaginare:lungomagroscosso da brividigli
occhi verdicci e loschii baffi spioventi sulla bocca sdentata gli facevanouna faccia da annegato che sbava acqua. Era in
maniche di camicia e batteva i denti. Nelle parolenei gestisi svelava ilpiù completo disprezzo di se stesso.
Dopo aver riflettuto un momentotra amaro e sardonicosi accostò alcompagno e spalancando le braccia gli
confidò: «Che vuoi che ti dica? Non mi so capacitare che siano venuti acercare dei rifiuti come noi per servire in una festa
come questa! Ecco quel che pensoamico!»
L'omaccione non badò neanche a questo sfogocontinuando a sorvegliare illavorole gambe sempre accavallate;
poi sbadigliòstronfiò e voltandosila pertica in spallasi avviòdicendo: «In marcia. E ora di vestirsi per il pranzo.»
L'altro lo seguì ma passando davanti all'alcova contraffece una riverenza econ intonazione beffarda recitò:
«Bell'Addormentatosusi sveglisi vesta da marchese anche se è unoscalcagnato come me; e venga giù alla festa in
costumeperchè così piace a questi signorini e a queste madamigelle.»
Poisul tono di un imbonimento volgarecon un'ultima riverenza: «L'amicoMaloyauaddetto alle cucinefarà la
parte di Arlecchino e il suo umile servitore quella di Pierrot.»
13 • LA STRANA FESTA
Non appena se ne furono andatiMeaulnes uscì dal suo nascondiglio: sisentiva i piedi di ghiacciole giunture
irrigidite; ma era riposato e il ginocchio pareva guarito.
«Scendere a pranzo?» pensò. «Ma sicuro: sarò semplicemente un invitatodel quale tutti hanno dimenticato il
nome. Del restonon sono mica un intruso qui: intanto non c'è dubbio che ilsignor Maloyau e il suo amico mi
aspettavano...»
Fuori dal buio fitto dell'alcovale lanterne verdi facevano abbastanzachiaro per vedere distintamente nella stanza.
Lo zingaro l'aveva «addobbata». Mantelli pendevano dagli attaccapanni; sulmarmo incrinato da una toletta
massiccia c'era tutto quanto poteva servire per trasformare in moscardinoanche chi avesse passato la notte prima in un ovile
abbandonato; sulla mensola del caminettofiammiferi e un gran candeliere. Manon avevano dato la cera al pavimento; e
Meaulnes avvertì sotto le suole sabbia e calcinacci. Ancora la sensazione diessere in una casa da tempo abbandonata. Nel
dirigersi verso il caminettoper poco non inciampò in una pila di scatoledi cartone grandi e piccole: tese il braccioaccese
la candelapoi tolse i coperchi e si chinò a guardare.
Erano abiti di giovani d'altri tempigiubbe dal collo di velluto altosquisiti panciotti molto scollatilunghissimeAlain-Fournier Il grandeMeaulnes
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cravatte bianche e scarpini di vernice del principio di secolo. Meaulnes nonsi azzardava a toccarli neppure con un dito; ma
dopo essersi lavato rabbrividendosi buttò un ampio mantello sulla blusa discolaro rialzando il colletto pieghettatosostituì
i suoi scarponi chiodati con un paio di scarpini di vernice e fu pronto ascenderea testa scoperta.
Senza incontrare nessuno arrivò in fondo a una scaletta di legnoin unangolo oscuro del cortile. Il soffio gelato
della notte gli battè sul visosollevò una falda del mantello. Meaulnesfece qualche passo: al leggero chiarore del cielo potè
subito distinguere l'aspetto dei luoghi. Era un piccolo cortile delimitatodai rustici. Tutto vi si mostrava decrepito e cadente.
Squarci sgangherati sbadigliavano in fondo alle scaleperchè i battentidelle porte erano scomparsi da gran tempo; nessuno
aveva pensato a sostituire i vetri rotti alle finestreche facevano buchineri nei muri. Eppure tutte queste catapecchie
avevano non so che aria di festa. Un riflesso colorato guizzava nelle stanzebasse: anche qui avevano certo acceso delle
lanternedal lato della campagna. Il suolo era stato spazzato; l'erbaccestrappate. Infinetendendo l'orecchioa Meaulnes
sembrò di udire un cantovoci di ragazzi e giovinettelaggiù verso lesagome confuse degli edificidove il vento scuoteva i
rami davanti alle aperture rosa verdi e azzurrine delle finestre.
Stava lì con l'orecchio tesocome un cacciatoreavvolto nel suomantelloneun poco curvo in avantiquando un
giovinetto stupefacente venne fuori dall'edificio più vicinoche avevacreduto deserto.
Portava un cilindro molto svasato che brillava nella notte come fossed'argento; una giubba dal colletto altissimo
sulla nucaun panciotto scollatopantaloni con staffe. Questo damerinodiforse quindici annicamminava sulla punta dei
piedi come fosse sollevato dagli elastici dei pantaloni ma con sveltezzaeccezionale. Salutò al passaggio Meaulnessenza
fermarsicon gesto ampio e meccanicopoi scomparve nel buioin direzionedell'edificio centralefattoriacastello o badia
che fosseche con la sua guglia aveva guidato lo scolaro all'inizio delpomeriggio.
Il nostro eroe esitò un momento poi seguì il singolare personaggio.Attraversarono un'ampia corte che era anche
giardinopassarono in mezzo a macchionicosteggiarono un vivaio recinto dauna palizzataun pozzo e si trovarono
all'ingresso dell'edificio centrale.
Una pesante porta di legno ad arcochiodata come la porta di un presbiterioera socchiusa. Il damerino vi si infilò
Meaulnes gli tenne dietro e dai primi passi nel corridoiosenza che nessunocomparissefu avvolto da un brusio di risatedi
cantidi richiamidi inseguimenti.
In fondoun corridoio trasversale tagliava il primo. Meaulnes era incerto seproseguire e aprire una delle porte
dietro le quali udiva un rumore di vociquando laggiù guizzarono dueragazzine che si rincorrevano. Meaulnes si lanciò
silenziosamente per raggiungerlevederle. Lo scatto di una porta che sispalancadue visucci quindicenni che l'aria
pungente della sera e la corsa hanno tinto di rosasotto due grandi cappottea nastrie poi tutto sta per confondersi in un
violento barbaglio.
Un istante: piroettano su se stessescherzando; le ampie gonne leggere sialzanosi gonfiano; s'intravede il pizzo
delle mutande lunghecosì buffe e graziose; poi tutte e duecon un'ultimagiravoltabalzano nella stanza e chiudono la
porta.
Meaulnes resta abbagliato e incertonel corridoio buio. Adesso ha paura divenire sorpreso: il suo comportamento
impacciatogoffolo farebbe certo prendere per un ladro. Già sta pertornare deciso verso l'uscitaquandoin fondo al
corridoioecco ancora rumore di passi e di voci infantili: sono dueragazzetti che avanzano chiacchierando.
«Si va subito a tavola?» chiede loro Meaulnes con gran facciatosta.
«Vieni con noi» risponde il più grande«ti ci portiamo.»
E lo prendono per mano con quella confidenza e quel bisogno di far subitoamicizia dei ragazzialla vigilia di una
grande festa. Sonoprobabilmentefigli di contadini. Gli hanno messo gliabiti della domenica: calzoncini a metà gamba
che lasciano vedere le calze di lana spessa e gli scarponiun giubbettino divelluto azzurroberretto dello stesso colore e un
fiocco bianco per cravatta.
«Ma tula conosci?» chiede l'uno al compagno.
«La mamma» dice il più piccolotestolina rotondaocchi candidi«mi hadetto che portava un abito nero con il
collarino e che assomigliava a un grazioso Pierrot.»
«Chi ?» chiede Meaulnes.
«Ma come! La fidanzata che Frantz è andato a prendere...»
Prima che il giovane possa ribatteresono tutti e tre alla porta di unsalone dove è acceso un bel fuoco. Delle assi
collocate su cavalletti fanno da tavolacoperte di candide tovaglie; e gentedi ogni tipo vi sta cenando compitamente.
14 • LA STRANA FESTA (seguito)
Erain quel salone dal soffitto bassoun pranzo come quelli dati la vigiliadelle nozze in onore dei parenti venuti da
molto lontano. I due ragazzini avevano lasciato le mani di Meaulnes correndosubito nella stanza accantodalla quale
venivano voci infantili e il fracasso dei cucchiai sui piatti. Meaulnesspeditosenza nessun imbarazzoscavalcò una panca eAlain-Fournier Ilgrande Meaulnes
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si trovò seduto accanto a due vecchie contadine. Attaccò subito a mangiarecon un appetito feroce; fu solo dopo un poco che
alzò la testa per osservare i convitati e ascoltarli.
Del restola conversazione era rada. Tutta quella gente sembrava conoscersiappena. Alcunicertoerano venuti
dalle campagne più sperdutealtrida paesi lontani. Seduti qua e là aitavoli c'erano vecchi dai favoriti e altri accuratamente
rasatiforse degli ex marinai. Vicino a costoro mangiavano altri vecchi deltutto simili: stessa faccia conciatastessi occhi
acuti sotto sopraccigli a cespugliostesse cravatte sottili come stringhe...Ma poi si capiva facilmente che questi non
avevano mai navigato più in là di casa loro; e avevano sì beccheggiatorullato migliaia di volte sotto i rovesci di pioggia e il
ventoma in quell'aspro viaggio senza pericoli che è fare il solco finoall'estremità del campo poi voltare l'aratro e
ricominciare nel senso opposto... Le donne erano poche; qualche contadinaanziana con il viso rotondovizzo come una
melasotto cuffie a cannoncini.
Con tutti questi commensali Meaulnes si sentiva ormai perfettamente a suoagio e in confidenza. Egli stesso spiegò
cosìpiù tarditale sensazione: quando si è commesso qualcosad'imperdonabiledicevasi pensa a voltenel pieno
dell'amarezza: «E tuttavia c'è nel mondo gente che saprebbe perdonarmi.»Ci si raffigura allora dei vecchidei nonni
indulgenticonvinti in anticipo che tutto quel che fate è ben fatto. Senzadubbio i convitati di quella sala erano stati scelti fra
gente di quella pasta. Gli altripoierano adolescentibambini...
Intantoaccanto a Meaulnes le due vecchie parlavano:
«Nel migliore dei casi» diceva la più anzianacon una voce bizzarrastridulache cercava invano di addolcireai
fidanzati non arriveranno prima delle tre di domani.
«Sta' zittami faresti venire una rabbia...!» rispondeva l'altra senzascaldarsi affatto. Costei inalberava un
cappelluccio a maglia.
«Facciamo il conto!» riattaccò la primatranquilla.
«Un'ora e mezzo di ferrovia da Bourges a Vierzonsette leghe in carrozza daVierzon a qui...»
La discussione proseguì. Meaulnes non ne perdeva una parola. Grazie a questoplacido battibeccocominciava a
vederci chiaro: Frantz de Galaisil signorino del castello- forse studenteo marinaio o magari guardiamarinachissà... - era
andato a Bourges per prendervi la promessa sposa. Costuiche doveva esseremolto giovane e bizzarrofaceva filare tutto a
suo capriccio (cosa strana!) nel Dominio. Aveva voluto che la casa destinataad accogliere la sua fidanzataassomigliasse a
un palazzo in festa; e per celebrare l'arrivo della fanciullaaveva invitatolui stesso tutti quei ragazziquei vecchi
bonaccioni. La discussione fra le due donne aveva almeno chiarito questifatti. Tutto il resto lo lasciavano avvolto di mistero
e ribattevano ostinatamente sul problema del ritorno dei fidanzati. L'unaparlava dell'indomani mattinal'altra del
pomeriggio.
«Mia cara Moinelletu sei la solita scervellata» diceva la più giovanecalma calma.
«E tumia povera Adelela stessa ostinata. Erano quattro anni che non civedevamoma non sei cambiata»
rispondeva l'altra scrollando le spallema con la voce più pacifica diquesto mondo. Così continuavano il battibecco ma
senz'astio. Meaulnes intervennesperando di apprendere qualcosa di più:
«È poi così graziosa come si dicela fidanzata di Frantz?»
Le donne si voltarono a guardarlointerdette. Nessunoall'infuori diFrantzaveva visto la ragazza; luitornando da
Tolonel'aveva incontratatutta disperatanei giardini di Bourgeschiamati «Paludi»: il padreun tessitorel'aveva cacciata
di casa. Era molto graziosa e Frantz aveva deciso sui due piedi di sposarla.Certouna storia curiosa: ma il signor de Galais
suo padree sua sorella Yvonne gli avevano sempre concesso tutto!
Meaulnes si preparava ad avanzare cautamente altre domandequando sullaporta comparve un'amabile coppia:
una ragazza di sedici anni con un corpetto di velluto e una gonna a grandivolanti; un giovanetto in giubba dal colletto alto e
pantaloni a elastico. Scivolarono via attraverso la sala a passo di danza;altri seguirono; altri ancoracorrendogridando
incalzati da un pierrot alto e lividoche aveva le maniche troppo lungheuncalottino nero e il sorriso sdentato. Correva
goffamentecome se ad ogni passo dovesse spiccare un salto e agitava lelunghe maniche vuote. Le ragazzine ne avevano
un poco paurai ragazzi gli stringevano la manoi bambini lo inseguivanocon strilli acutipazzi di gioia. Sfiorandolo
guardò Meaulnes con occhi vitrei e lo scolaro credette di riconoscereoraben rasatoil compagno del signor Maloyaulo
zingaro che poco prima andava ad appendere le lanterne.
La cena era finita. Tutti si alzarono.
Nei corridoi si facevano balli in tondo e farandole; veniva da chissà dovel'aria di un minuetto... Meaulnesil
colletto del mantello che gli nascondeva a metà la faccia come una gorgierasi sentiva un altro. Preso anche lui dalla voglia
di divertirsicominciò a inseguire il lungo pierrot per i corridoi come frale quinte di un teatro dove lo spettacolo sia
traboccato dalla scena dappertutto. Cosìfino al termine della nottes'imbrancò con una folla allegratravestita in modo
stravagante. A volteaperta una portasi trovava in una stanza dovefacevano proiezioni con la lanterna magica; bambini
applaudivano rumorosamente... A volte attaccava discorso nell'angolo di unsalone dove si ballavacon qualche dandy e
s'informava in fretta sui costumi che verrebbero indossati nei prossimigiorni...
Angosciatoalla fineda tutta quella spensieratezza che gli si offrivasempre timoroso che il mantello schiudendosiAlain-Fournier Il grande Meaulnes
19
lasciasse intravedere la blusa di scolaroMeaulnes riparò per un poco nellazona più quieta e buia dell'edificio: si udiva
soltanto il suono felpato di un piano.
Entrò in una stanza silenziosauna sala da pranzo illuminata da una lampadaa sospensione. Anche qui si svolgeva
una festama per i più piccoli.
Alcuniseduti su poufssfogliavano album aperti sulle ginocchia;altriaccoccolati a terra davanti a una seggiola
disponevano figurine sul sediletutti assorti; altrivicini al fuocostavano fermisilenziosi ascoltandonella casa sterminata
i rumori lontani della festa.
Una porta di questa sala era spalancata: dalla stanza vicina veniva il suonodi un piano. Meaulnes sporse la testa
incuriosito. In una specie di piccolo salottouna donna o una giovinettavoltando il dorsoun gran mantello marrone sulle
spallesuonava con molta dolcezza arie di danza e canzoncine. Sul divano afiancosei o sette fra bimbi e bimbe
ascoltavanocomposti come in un quadrettobuoni come tutti i piccoli quandos'è fatto tardi. Solodi tanto in tantouno di
essipuntando le bracciasi tirava suscivolava a terra e passava nellasala da pranzo: uno dei bimbi che avevano smesso di
guardare le figure veniva a prendere il suo posto...
Dopo quella festacerto incantevole ma febbrile e un po' pazzadurante laquale lui stesso aveva inseguito
sfrenatamente il grande pierrotMeaulnes fondeva ora in una quieta felicita.
Senza rumorementre la giovinetta continuava a suonaretornò nella sala dapranzosi sedette eaperto uno dei
volumi rossi sparpagliati sul tavolocominciò a leggere soprapensiero.
Quasi subito un bimbo seduto a terra si avvicinògli si attaccò al braccioe montò sulle ginocchia per guardare il
libro insieme con lui; un altro fece lo stesso dall'altra parte. Allora fu unsogno già fatto in tempi lontani. Meaulnes potè
fantasticare a lungo di essere nella sua casasposatoin una seratranquillae che fosse sua moglie quell'essere incantevole e
sconosciuto che suonava il pianolì accanto...
15 • L'INCONTRO
La mattina dopo Meaulnes fu in piedi fra i primi. Come gli avevano suggeritoindossò un semplice abito neroalla
moda di un tempo: giacca stretta alla vita con maniche a sbuffopanciotto adoppio pettopantaloni a campana che Si
allargavano fino a coprire le scarpe elegantie cilindro.
Il cortile era ancora deserto quando scese. Meaulnes fece qualche passo e sitrovò dentro una giornata di primavera.
Fudifattiil mattino più dolce di tutto quell'inverno. C'era sole come alprincipio d'aprile. Il ghiaccio si scioglieval'erba
bagnata splendeva come imperlata di rugiada. Uccelletti cantavano suglialberi e a intervalli un vento tiepido sfiorava il
viso.
Meaulnes fece come tutti gli ospiti che si destano prima del padrone di casa.Uscì nel cortile della proprietà
aspettandosi che da un momento all'altro una voce affabile e gaia dicessealle sue spalle:
«Diggià in piediAgostino?»
Ma camminò per un bel pezzo solo attraverso il giardino e il cortile.Laggiùnell'edificio principalenessun segno
di vitanè alle finestre nè sulla torretta. Però i battenti della portadi legno erano già aperti; e un raggio di sole accendeva un
barbaglio su una delle finestre più altecome d'estate nel primo mattino.
Meaulnes vedeva per la prima volta alla luce l'interno della tenuta. I restidi un muro dividevano il giardino
malconcio dal cortile da poco cosparso di sabbia e rastrellato. In fondo airustici dove abitavastavano le stalle tirate su con
un piacevole disordine che moltiplicava gli angolini coperti da arbustiselvatici e da vite vergine. I boschi di abeti venivano
a frangersi fin sull'orlo della tenutanascondendola alla pianuratutt'intorno salvo a orientedove apparivano colline azzurre
fitte di roccioni e di abeti.
Nel giardinoMeaulnes si affacciò all'instabile steccato che circondava ilvivaio; sui vivagni restava uno strato
sottile di ghiaccioincrespato come schiuma... Si vide riflesso nell'acquacome chinato sul cielonelle vesti di uno studente
romanticoe gli parve di vedere un altro Meaulnes; non più lo scolarofuggito su una carretta da contadinima un
personaggio affascinante e romanzescoun eroe da libro.
Si affrettò verso l'edificio principale perchè aveva fame. Nel salone doveaveva cenato la sera primauna contadina
apparecchiava. Meaulnes si sedette davanti a una delle tazze disposte sullatovaglia e lei gli versò il caffè dicendo:
«È il primosignore.»
Non rispose nel timore di essere riconosciuto subito come un intruso. Chiesesolo a che ora sarebbe partito il
battello per la gita fissata per il mattino.
«Non prima di mezz'orasignore» rispose la donna. «Ancora non è scesonessuno.»
Così continuò i suoi giri intorno alla casa padronaleche aveva aliasimmetrichecome una chiesaalla ricerca
dell'imbarcadero. Svoltata l'ala sudgli apparvero di colpo i canneti aperdita d'occhiotutto un paesaggio. Da questo lato
l'acqua degli stagni arrivava a bagnare la base dei muri; davanti a parecchieporte balconcini di legno si spingevano sulloAlain-Fournier Il grandeMeaulnes
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sciacquio delle onde.
Non sapeva che fare; per un bel po' camminò lungo la riva coperta di sabbiacome un'alzaia. Stava osservando con
curiosità le grandi porte vetrate coperte di sudicio che davano su stanze insfacelo o abbandonatesu sgabuzzini stipati di
carriolearnesi arrugginitivasi da fiori a pezziquando all'estremitàdell'edificio si sentì uno scricchiolio di passi sulla
sabbia.
Erano due donneuna molto vecchia e incurvata; l'altrauna ragazza bionda eslanciata: dopo la mascherata della
sera primail suo abito grazioso sembrò a Meaulnes straordinario.
Le due si fermarono un momento a guardare il paesaggiomentre Meaulnesdiceva fra sècon uno stupore che più
tardi gli sembrò così rozzo: «Ecco una ragazza eccentrica per davvero -magari un'attrice scritturata per la festa.»
Intanto le due donne gli passavano vicino; Meaulnesimmobilefissò laragazza. Quante voltepiù tardi
addormentandosi dopo aver invano cercato di richiamare alla memoria quel visoincantevole scancellatovedeva in sogno
schiere di giovinette simili. Una aveva un cappello come il suoun'altra ilriserbo un po' malinconico; un'altra ancora lo
sguardo limpido; o la figura sottile; o gli occhi azzurri: ma nessuna era maileila gran giovinetta.
Meaulnes fece in tempo a vederesotto pesanti capelli biondiun viso dailineamenti minuti ma disegnati con una
delicatezza quasi dolorosa. E quando già gli era passata davantisi accorseche il suo abito era il più semplice e adatto che si
potesse desiderare.
Stava chiedendosiincertose accompagnarle o noquando la ragazzavoltandosi appena verso di luidisse alla
compagna:
«Il battello non dovrebbe tardareadessonon è vero?»
Meaulnes le seguì. La vecchia signoratremulacurvanon smetteva diparlare allegramente e di ridere; la ragazza
rispondeva con dolcezza. Quando scesero all'imbarcadero ebbe ancora quellosguardo candido e graveche pareva dire:
«Chi sei? Che fai qui? Non ti conoscoeppure mi sembra di conoscerti.»
Altri invitati stavano adesso in attesasparpagliati tra gli alberi. Trebattelli da diporto accostavanoper imbarcare i
gitanti. Al passaggio delle due donneche erano a quanto pare la castellanae sua figliai giovani facevano un saluto
profondole ragazze s'inchinavano. Strana mattina! E strana gente! Facevafreddoa dispetto del sole invernale e le donne si
avvolgevano intorno alla gola quei boa di piume allora tanto alla moda...
La vecchia signora rimase a terra e Meaulnesnon sapeva neppure comecapitò sullo stesso battello della giovane
castellana. Andò ad appoggiarsi al parapetto del pontetenendo fermo conuna mano il cappello nel gran vento e così potè
guardare a sazietà la ragazza che si era seduta al riparo. Anche lei loguardava; rispondeva alle compagnesorrideva poi
posava con dolcezza gli occhi turchini su di luimordendosi appena illabbro.
Un gran silenzio dominava le rive vicine. Il battello filava con un calmorumore di macchina e d'acqua. Ci si
poteva credere nel cuore dell'estate: si sarebbe approdatiparevaal belgiardino di qualche villa di campagna; la ragazza
passeggerebbe riparandosi con un ombrellino biancofino a sera si sentirebbeil gemito delle tortore... Ma una brusca raffica
gelata ricordava il dicembre agli invitati della strana festa.
Attraccarono davanti a un boschetto di abeti. I passeggeri dovetteroattendere qualche istante sull'imbarcadero
stretti gli uni agli altriche un battelliere aprisse il catenaccio delcancelletto... Con che turbamentoin seguitorammentava
l'istante in cuisulla riva dello stagnoaveva avuto vicinissimo il visoormai perdutodella ragazza! Aveva divorato con gli
occhi quel profilo così purofin quasi a riempirseli di lacrime. Ericordava di aver vistocome un gentile segreto che lei gli
avesse confidatoqualche grano di cipria sulla sua gota...
Una volta a terratutto avvenne come in un sogno. I ragazzi correvano viagridando allegrigruppi si formavano e
si sparpagliavano fra i boschi; Meaulnes seguì il viale lungo il qualedieci passi più avanticamminava la ragazza. Le arrivò
vicino senza aver avuto il tempo di riflettere:
«Lei è bella» disse semplicemente.
Ma la ragazza affrettò il passo esenza rispondereprese un vialelaterale. Altri gitanti correvanogiocavano per i
vialiognuno muovendosi a suo piacereguidato soltanto dalla liberafantasia. Il giovane si rimproverava aspramente quella
che ora chiamava la sua goffagginela sua grossolanitàla sua stupidità.Tirava avanti a casoconvinto che non avrebbe più
riveduto la graziosa creaturaquando di colpo se la vide venire incontrocostretta a passargli vicino nel sentiero angusto.
Scostava con le mani senza guanti le pieghe del gran mantello; portavascarpette nere molto scollate e le sue caviglie erano
così fragili che a tratti si piegavanoquasi facendo temere che sispezzassero.
Questa volta Meaulnes la salutò dicendo a bassa voce:
«Mi perdona?»
«Le perdono» rispose la ragazza gravemente. «Ma bisogna che raggiunga ibambinisono loro i padronioggi.
Addio.»
Agostino la pregò di fermarsi un momento ancora. Le parlava in modo goffoma con tono così turbatocon tale
smarrimentoche la ragazza rallentò il passo e l'ascoltò.
«Non so neppure chi lei sia» disse alla fine.
Pronunciava ogni parola con intonazione ugualeaccentandola allo stessomodoma con più dolcezza l'ultima... PoiAlain-Fournier Il grande Meaulnes
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il suo viso tornava immobilele labbra mordicchiate e gli occhi turchinifissavano lontano.
«Neppure io conosco il suo nome» rispose Meaulnes.
Andavano lungo un viale aperto: a poca distanza si vedevano gli invitatistiparsi intorno a una casetta solitaria in
piena campagna.
«Ecco la "casa di Frantz"» disse la ragazza. «Debbolasciarla...»
Indugiòlo guardò un momento con un sorrisodisse:
«Il mio nome? Sono la signorina Yvonne de Galais...» E scappò via.
La «casa di Frantz»alloraera disabitata. Ma Meaulnes la trovò zeppa diinvitati fino al solaio. Del resto non ebbe
neppure il tempo di esaminare i luoghi: ci fu una frettolosa colazionefreddaportata dai battellicerto non adatta alla
stagionema così avevano voluto i bambinidi sicuro; e si ripartì.Meaulnes si avvicinò alla signorina de Galais non appena
uscì e riattaccandosi a ciò che lei aveva detto poco primaosservò:
«Il nome che le davo io era più bello.»
«Come? Che nome?» disse la ragazza sempre con la stessa gravità.
Ma Meaulnes ebbe timore di aver detto una sciocchezza e non rispose.
«Io mi chiamo Agostino Meaulnes» continuò poi«e sono studente.»
«Oh! Lei studia?» disse la ragazza. Rimasero a parlare un momento ancora.Parlarono adagiocon piacere - con
amicizia Poi l'atteggiamento della ragazza cambiò: meno distaccata e menograveadesso si mostrava però più inquieta.
Sembrava che avesse paura di ciò che Meaulnes stava per dire e ne fossesgomentata fin da ora. Tutta un fremito accanto a
luipareva una rondine posatasi un momento a terra che già trema daldesiderio di riprendere il volo.
«A che scopo? A che scopo?» ribatteva con dolcezza ai progetti di Meaulnes.Ma quando finalmente osò
domandarle il permesso di tornare un giorno in quel bel dominiorisposesemplicemente:
«L'aspetterò.»
Erano in vista dell'imbarcadero. La ragazza si fermò di colpo e disse conaria pensierosa:
«Siamo due ragazzi: abbiamo fatto una pazzia. Questa volta non dobbiamosalire sullo stesso battello. Addionon
mi segua.»
Meaulnes restò interdettovedendola andar via; poi riprese a camminare.Allora la giovinettadi lontanoprima di
perdersi di nuovo nella folla degli invitatisi fermò evoltandosi versodi luilo fissò a lungoper la prima volta. Un
estremo segno d'addio? un divieto di accompagnarla? o forse aveva ancoraqualche cosa da dirgli?
Rientrati nella tenutacominciò su un gran pendio erboso dietro la fattoriala corsa dei poniesultima parte della
festa. Secondo le previsionii fidanzati dovevano giungere in tempo perassistervianzi sarebbe stato Frantz a dirigere ogni
cosa.
Invece bisognò cominciare senza di lui. I ragazzi in abito da fantinoleragazze vestite da amazzonemontavano gli
uni ponies vivaci tutti nastrile altre cavalloni docili. Fra gridarisatescommesseviolenti scampaniipareva di essere sul
tappeto verde e ben raso di un minuscolo ippodromo.
Meaulnes riconobbe Daniele e le ragazzine dai cappellini piumatiche avevaudito parlare il giorno prima lungo il
viale del bosco... Ma il resto dello spettacolo lo persetroppo ansioso diritrovare in mezzo alla folla il grazioso cappellino a
rose e il gran mantello marrone. Ma la signorina de Galais non comparve. Lacercò ancora quando una grandinata di colpi di
campana e grida di gioia segnarono la fine delle corse. Una ragazzina chemontava una vecchia cavalla bianca aveva vinto
e passava trionfante sulla sua cavalcaturail pennacchio del cappello alvento.
Poi di colpo fu silenzio. I giochi erano finiti e Frantz non era ancoratornato. Ci furono momenti di incertezza
conciliaboli imbarazzati: infinea gruppigli invitati rientrarono peraspettareinquieti e silenziosiil ritorno del fidanzato.
16 • FRANTZ DE GALAIS
La corsa era finita troppo presto. Erano le quattro e mezzo e faceva ancorachiaroquando Meaulnes si ritrovò nella
sua camerala testa stordita dagli eventi di quella giornata straordinaria.Si sedette alla tavola senza saper che fare
aspettando l'ora della cena e la festa che doveva seguire.
Si era alzato di nuovo il vento forte della prima sera: rumoreggiava come untorrente o passava via con il sibilo
sostenuto di una cascata. La serranda che chiudeva il camino vibrava aintervalli.
Per la prima volta Meaulnes sentiva quella leggera angoscia che prende allafine delle giornate troppo felici. Per un
momento pensò di accendere il fuoco; ma non riuscì a sollevare la serrandaarrugginita. Allora si mise a fare ordine nella
stanza; appese i suoi abiti eleganti all'attaccapanniallineò lungo i murile seggiolecome se volesse preparare tutto per un
lungo soggiorno.Alain-Fournier Il grande Meaulnes
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Peròpensando che doveva tenersi sempre pronto a partiredispose anche conmolta cura sullo schienale di una
sedia la sua blusa e gli altri indumenti da collegialecome una tenuta daviaggio; sotto la seggiola mise gli scarponi chiodati
ancora sporchi di fango.
Poi tornò a sederepiù tranquillogirò un'occhiata sulla sua tana messain ordine.
A tratti una goccia di pioggia rigava il vetro della finestra che dava sulcortile delle carrozze e sul bosco di abeti.
Rasserenatoora che aveva riordinato l'appartamentoil ragazzo si sentivadel tutto felice. Era làmisteriosostranieronel
grembo di un mondo sconosciutonella camera che aveva scelto. Ciò che avevaottenuto superava ogni sua speranza. E
adesso bastava alla sua gioia ricordare quel viso di giovinettavoltatoverso di luinel gran vento...
Mentre sognava ad occhi aperti si era fatta notte e lui non aveva nemmenopensato ad accendere le candele. Una
ventata fece sbattere la porta della stanza di dietroche comunicava con lasua e che dava pure sul cortile delle carrozze.
Meaulnes si alzò per chiuderlaquando scorse nella. stanza un chiarore comedi candela accesa sulla tavola. Fece capolino
dalla porta semiaperta. Qualcuno era entratocerto dalla finestrae andavaavanti e indietro a passi silenziosi. Era molto
giovane da quanto si poteva vedere. Senza cappelloun mantello da viaggiosulle spallecamminava senza interruzione
come smarrito in un dolore insopportabile. L'aria dalla finestra che avevalasciato spalancatagli faceva sventolare la
mantellina ead ogni passaggio davanti alla lucelampeggiavano i bottonidorati della sua giubba elegante.
Fischiettava qualcosa fra i dentiuna specie di motivo marinarocomecantano per rallegrarsi i marinai e le ragazze
delle bettole nei porti...
A un certo punto troncò a mezzo quel suo va e vieni agitato e si chinòsulla tavola per frugare in una scatola e
cavarne parecchi fogli... Nel bagliore della candela Meaulnes vide un profilomolto delicatoaquilinosenza baffisotto una
folta capigliatura divisa da una riga in parte. Il ragazzo aveva smesso difischiettare: pallidissimole labbra semiaperte
pareva faticasse a respirarecome per un violento colpo al cuore.
Meaulnes era incerto se ritirarsi discretamente o farsi avantimettergli unamano sulla spalla con dolcezza d'amico
e parlargli. Ma l'altro alzò il capo e lo vide; lo considerò un momentoattentamentesenza stuporee avvicinandoglisi disse
con voce che si studiava di rendere ferma:
«Signorenon la conoscoma sono contento che lei sia qui. Così lespiegherò... Ecco...»
Pareva del tutto fuori di sè. Dicendo «ecco»prese Meaulnes per il baverodella giaccacome per fermare la sua
attenzione. Poi girò la testa verso la finestraquasi per riflettere suquel che stava per direbattè le palpebree Meaulnes capì
che aveva una gran voglia di piangere.
Ringoiò subito tutta questa angoscia puerile esempre fissando la finestracontinuò con voce alterata:
«Ebbeneecco: è finita; la festa è finita. Può scendere e dirlo a tutti.Sono tornato solo: la mia fidanzata non verrà
più. Per scrupoloper timoreper poca fede... Del restosignorelespiegherò...»
Ma non fu capace di continuare; tutto il suo viso s'increspò. Non dissenulla. Si girò brusco e si rifugiò nell'ombra
ad aprire e a chiudere cassetti pieni di abiti e libri.
«Mi preparo a ripartire» disse. «Non voglio essere disturbato.»
E buttò sulla tavola vari oggettiun nécessaire per la tolettaunapistola...
E Meaulnessconvoltose ne uscìsenza il coraggio di dirgli una parolastringergli la mano.
Da bassosembravano aver fiutato già qualche cosa: quasi tutte le ragazzeavevano cambiato d'abito. Nell'edificio
principale era stata servita la cenama frettolosamentedisordinatamentecome quando si sta per partire.
C'era flusso e riflusso fra la grande cucina-sala da pranzo e le camere deipiani superiorile scuderie. Quelli che
avevano finito di mangiare formavano gruppetti per scambiarsi gli ultimisaluti.
«Che succede?» chiese Meaulnes a un giovane campagnolo che si sbrigava amangiareil cappello di feltro in testa
il tovagliolo ficcato nel panciotto.
«Ce ne andiamo» rispose quello. «È stato deciso così tutt'a un tratto.Alle cinque tutti noi invitati ci siamo trovati
soli. Ormai avevamo aspettato fino all'ultimo. Impossibile che i fidanzatiarrivassero. Qualcuno ha detto: E se ce ne
andassimo? Così tutti si sono preparati a sgomberare.»
Meaulnes non gli rispose. Adessoche importava più andarsene? Non eraarrivato al termine dell'avventura? Non
aveva forse ottenutoquesta voltatutto ciò che desiderava? C'era statosì e no il tempo di richiamare con calma alla
memoria tutta la deliziosa conversazione del mattino. Per orapartire; mapresto sarebbe tornato - e stavolta senza inganno.
«Se vuoi venire con noi» proseguì il ragazzo che aveva la sua età«sbrigati a cambiarti. Attacchiamo fra pochi
minuti.»
Meaulnes se ne andò in frettalasciando a mezzo la cena e senza curarsi didire agli invitati quanto sapeva. Il parco
il giardinoil cortile erano immersi in una oscurità fitta. Nessunalanterna alle finestrequesta notte. Ma dopo tutto quella
cena assomigliava ancora all'ultimo banchetto di nozze: così gli invitatipiù rozziche probabilmente avevano bevuto
s'erano messi a cantare. Mentre si allontanavaMeaulnes sentiva crescere leloro canzoni da bettola in quel parco che per
due giorni era stato il luogo di tanta graziadi tanta meraviglia. Eral'inizio del disordinedella decadenza. Passò vicino al
vivaio dove s'era rispecchiatosoltanto quella mattina. Come tutto parevagià mutato... - e quella canzoneripresa in coro
che arrivava a folate:Alain-Fournier Il grande Meaulnes
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Donde vienisfrontatella?
Hai la cuffia stracciata
la chioma scompigliata...
e quest'altrapoi:
Ohscarpette rosse...
Addiomiei amori...
Ohscarpette rosse...
Addioper sempre!
Quando fu al piede della scala della sua casa isolataqualcuno scendendo infuria lo urtò nell'ombra e disse:
«Addiosignore !»
E ravvoltolandosi nella mantellina da viaggiocome se gelassescomparve.Era Frantz de Galais.
La candela che Frantz aveva lasciato nella sua camera ardeva ancora. Tuttoera in ordine: c'era soltanto un foglio di
carta da lettere lasciato ben in evidenza con queste parole:
«La mia fidanzata è fuggitafacendomi dire che non può diventare miamoglie; che è una sartinanon una
principessa. Non so che sarà di me. Me ne vado. Non ho più voglia divivere. Yvonne mi perdoni se non le dico addio ma
anche lei non potrebbe fare nulla per me...»
La candela era consumata: la fiamma ballòs'abbassò per un momento e sispense. Meaulnes tornò nella propria
camera e chiuse la porta. Malgrado il buio riconobbe uno per uno gli oggettiche aveva messo in ordine poche ore prima
quando fuori c'era la luce e in lui la felicità. Capo per caporitrovò isuoi vecchi abiti sdruciticome amici fedelidagli
scarponi alla rozza cintura con la fibbia di rame. Si spogliò e si rivestìin fretta ma distrattamentelasciò sulla sedia gli abiti
presi in prestito ma scambiò per errore il panciotto.
Nel cortile delle vetturesotto le finestrec'era adesso un gran trambusto.Chi tiravachi chiamavachi spingeva
ognuno voleva svincolare il suo veicolo dall'inestricabile garbuglio chel'imprigionava. A intervalli qualcuno saliva in serpa
a un carrosul copertone di una grande carretta e girava intorno lalanterna. Lo sprazzo di luce colpiva la finestra: per un
momentointorno a Meaulnes la stanza ormai familiarecon tutte le suesuppellettili amichepalpitavatornava viva...
E cosìchiudendo con cura la portalasciò quel luogo misteriosochecerto non avrebbe mai più riveduto.
17 • LA STRANA FESTA (fine)
Diggià una fila di vetture andava adagio nel buio verso il cancello che siapriva sul bosco. In cima alla fila un uomo
vestito di pelle di caprauna lanterna in manoteneva per la briglia ilcavallo della prima carrozza.
Meaulnes aveva fretta di trovare qualcuno cui affidarsi. Era impaziente dipartire: temevasotto sottodi trovarsi
d'un tratto solo nel Dominiosmascherato nel suo inganno.
Arrivò davanti all'edificio principale dove i vetturini bilanciavano ilcarico delle ultime vetturecostringendo i
viaggiatori ad alzarsi per avvicinare o distanziare i sedili; le ragazzeimbozzolate negli sciallisi tiravano su con un certo
imbarazzolasciando scivolare le coperte dalle ginocchia; volti inquieti sichinavano nel riverbero delle lanterne.
Fra quei vetturali Meaulnes riconobbe il giovane campagnolo che poco prima siera offerto di portarlo con sè.
«Posso salire?» gli chiese.
«Dove vaiamico?» rispose l'altro senza riconoscerlo.
«Dalle parti di Sant'Agata.»
«Allora chiedi un passaggio a Maritain.»
Ed eccolo cercare fra gli ultimi viaggiatori questo Maritain mai visto. Glidissero che era uno dei bevitori che
cantavano in cucina.
«È un mattacchione» spiegarono. «Alle tre del mattino sarà ancoralì.»
Meaulnes pensò un momento alla ragazza inquietafebbriletormentatadall'angosciache avrebbe dovuto udire
nella tenutafino a notte inoltratai canti di quei contadini ubriachi.Qual era la sua camera? Quale la sua finestrain quegli
edifici enigmatici? Ma indugiare non serviva a nulla: bisognava andarsene.Una volta tornato a Sant'Agatatutto sarebbe
stato più chiaro; non sarebbe più uno scolaro sfuggito alla sorveglianza; epotrebbe di nuovo pensare alla giovane castellana.
Una dopo l'altrale vetture se ne andavano; le ruote stridevano sulla sabbiadel viale. Svoltavano e scomparivano
nella nottecariche di donne imbacuccatedi bambini già mezzo addormentatidentro gli scialli. Ancora una grande vettura;
una giardinierasulla quale le donne stavano strette spalla a spalla;Meaulnes restò perplesso sulla soglia della casa. OrmaiAlain-Fournier Ilgrande Meaulnes
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non c'era più che una vecchia berlinacondotta da un contadino incamiciotto.
«Salga» disse in risposta alle spiegazioni di Agostino«andiamo proprioin quella direzione.»
Meaulnes aprì a fatica lo sportello di quel veicolo decrepitofacendotraballare i vetri e stridere i cardini. In un
angolo del sedile dormivano due bimbimaschio e femmina. Si destarono alrumore e al freddosi stiraronodiedero
un'occhiata incerta poi con un brivido si rincantucciarono nel loro angolinoe ripresero il sonno...
Ma già la vecchia carrozza s'era messa in moto. Meaulnes richiuse adagio esi sistemò con cautela nell'angolo
opposto; poiavidamentecercò di distinguereattraverso il vetro delfinestrinoi luoghi che stava per lasciarela strada da
cui era venuto: intuìmalgrado il buioche la carrozza attraversava ilcortile e il giardinopassava davanti alla scala che
conduceva alla sua camerasuperava il cancello e usciva dal Dominio perentrare nei boschi. Lungo i vetri fuggivano le
ombre confuse dei vecchi abeti.
«Forse incontreremo Frantz de Galais» si diceva Meaulnescon un po' dibatticuore.
D'improvviso la vettura ebbe uno scartoper evitare un ostacolo sullostretto sentiero. Era (per quanto si
intravedeva delle sue strutture massiccenel buio) un carrozzone disaltimbanchi fermo quasi nel mezzo della strada;
probabilmente era rimasto làdurante gli ultimi giorninelle vicinanzedella festa.
Superato l'ostacoloripreso il trottoMeaulnes cominciava ad essere stancodi guardare dal finestrinonel vano
tentativo di penetrare l'oscuritàquando d'improvvisonel profondo delboscobrillò un lampo seguito da una detonazione.
I cavalli partirono al galopposenza che Meaulnes riuscisse a capire se ilcocchiere in camiciotto cercasse di
frenarli o al contrario li stimolasse alla corsa. Voleva aprire lo sportelloe poichè la maniglia era all'esternoprovò ad
abbassare il vetroma senza riuscirvilo scosse... I bambini ridestatisistringevano spauriti l'uno all'altrasenza parlare.
Mentre scrollava il vetroil viso incollato al finestrinointravidegraziea un gomito della stradauna forma bianca in corsa.
Era il grande pierrot della festalo zingaro ancora in costume chefantomatico e stravoltoportava fra le braccia un corpo
umano stringendoselo al petto. Poi tutto sparì.
Nella vettura lanciata al galoppo attraverso la nottei bimbi si eranoriaddormentati. Nessuno cui parlare dei fatti
singolari di quei due giorni. Dopo aver più e più volte ripercorso fra sèciò che aveva visto e uditovinto dalla fatica e dalla
penail ragazzo cedette anche lui al sonnocome un bimbo triste...
... Non era ancora l'alba che Meaulnes si destò: la vettura era fermaqualcuno picchiava al finestrino. Il vetturale
aprì con sforzo lo sportello e gridòmentre il vento freddo della nottegelava lo scolaro fino alle ossa:
«Bisogna che scenda qui. Fa giorno. Noi gireremo per la traversa. Sant'Agatanon è lontana.»
Ancora raggomitolatoMeaulnes obbedìcercò con un gesto vago e meccanicoil berretto che era finito sotto i piedi
dei bimbi addormentatinell'angolo più oscuro della vetturapoi si curvòe scese.
«Alloraarrivederci» disse l'uomo rimontando a cassetta. «Deve fare solosei chilometri. Ecco làal margine della
stradala pietra miliare.»
Meaulnesche non si era ancora strappato al sonnos'avviò pesantementeminacciando di crollare in avantiverso il
paracarro e vi si sedettebraccia consertetesta piegatacome perriaddormentarsi.
«Ahno» gridò il vetturale. «Non deve riaddormentarsi qui: è troppofreddo. Susu cammini un poco...»
Traballando come un ubriacole mani in tascale spalle incurvateilragazzo s'incamminò adagio verso Sant'Agata;
mentre la vetturaultimo segno della festa misteriosalasciava la stradaselciata con sobbalzi silenziosi sull'erba della
traversa.
Ora non si vedeva altro che il cappello del guidatore danzare al di sopradelle siepi...
PARTE SECONDA
1 • IL GRANDE GIOCO
Il vento forte e il freddola pioggia o la nevel'impossibilità dicondurre a termine lunghe ricerche impedirono a
Meaulnes e a me di riparlare del Paese perduto prima della fine dell'inverno.Impossibile dare inizio a qualche cosa di serio
durante quelle corte giornate di febbraioquei giovedì solcati da temporaliche si concludevano regolarmenteverso le
cinquecon una tetra pioggia gelata. A ricordarci l'avventura di Meaulnesc'era solo questo fatto curioso: che dal
pomeriggio del suo ritorno non avevamo più amici. Durante le ricreazioni sifacevano gli stessi giochi di primama
Gelsomino non rivolgeva più la parola al gran Meaulnes. A seraspazzatal'aulail cortile si svuotava come ai tempi in cui
ero solo e io vedevo il mio compagno vagare dal giardino al porticato e dalcortile alla stanza da pranzo.
Il giovedì mattinaognuno sistemato alla cattedra di una delle due auleleggevamo Rousseau e Paul-Louis Courier
scovati negli armadi a murofra grammatiche d'inglese e fascicoli di musicaricopiati con grafia finissima. Nel pomeriggioAlain-Fournier Il grandeMeaulnes
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qualche visita ci spingeva a disertare la casa; e tornavamo a riparare nellascuola... A volte sentivamo gruppi di scolari più
grandi fermarsi un momentocome per casodavanti al portone principaleurtarlo in certi loro giochi militareschi e poi
andarsene... Questa vita malinconica continuò fino alla fine di febbraio.Cominciavo a credere che Meaulnes avesse ormai
scordato tuttoquando un'avventurapiù singolare delle altrevenne amostrarmi che mi ero sbagliatoche una crisi violenta
si preparava sotto la superficie smorta di quella vita invernale.
Fu proprio un giovedì seraverso la fine del meseche arrivò fino a noiil primo segno dello strano Dominiola
prima onda di quella avventura cui non facevamo più cenno. Eravamo riuniti aveglia: ripartiti i nonnic'erano solo Millie e
mio padreignari della sorda ostilità che aveva di viso l'intera scolarescain due clan.
Alle ottoMillieaprendo la porta per spazzar fuori i resti della cenaesclamò: «Ah!» con voce così chiara che ci
avvicinammo a guardare. Uno strato di neve copriva la soglia... Era moltoscuro e io feci qualche passo nel cortile per
saggiare se lo strato fosse profondo. Sentii fiocchi leggeri che misfioravano il viso e subito si scioglievano. Fui fatto
rientrare in fretta e Millie freddolosa richiuse la porta.
Alle nove ci preparavamo ad andare a letto; mia madre aveva già preso lalampadaquando si sentirono chiara
mente due picchi sferrati con la massima energia al porto ne all'estremitàdel cortile. Millie posò di nuovo la lampada sulla
tavola e tutti restammo in piedisospesicon le orecchie tese.
Neanche da pensare di andare a vedere che fosse: già a metà cortile lalampada si sarebbe spenta e il vetro rotto. Un
breve silenzio e mio padre cominciava a dire: «Era senza dubbio...»quandoproprio sotto la finestra della stanza da pranzo
che davacome ho già dettosulla strada per la stazionerisuonò unfischiostridulo e lunghissimoche si dovette udire fin
sulla strada della chiesa. Subito dopodi là dalla finestrascoppiaronoappena attutite dai vetrigrida acute lanciate da gente
issatasi a forza di braccia sul davanzale:
«Portatelo qui ! Portatelo qui !»
Dall'altra estremità dell'edificio risposero uguali grida. Questi eranocerto passati dal podere di papà Martino
arrampicandosi sul muretto che separava il campo dal nostro cortile.
Poi lanciate ogni volta da otto o dieci voci contraffattele grida di:«Portatelo qui!» esplosero via via - sul tetto del
magazzinoraggiunto probabilmente scalando un mucchio di fascine appoggiatoal muro esterno sul muricciolo che
collegava il porticato al portone e la cui sommità arrotondata consentiva distare comodamente a cavalcioni - sulla
cancellata lungo la strada per la stazioneche si poteva scavalcare contutta facilità... Infineda dietronel giardinoecco
arrivarecon uguale fracassoun gruppetto di ritardatariche strillavanostavolta: «All'abbordaggio!»
E noi sentimmo l'eco delle loro grida risuonare nelle aule vuotedoveavevano aperto le finestre.
Io e Meaulnes conoscevamo così bene corridoi e svolte di quella casasterminatada aver sotto gli occhicome su
una piantatutti i punti nei quali quegli sconosciuti stava no preparandol'attacco.
Veramente soltanto in un primo momento ci spaventammo: il fischio ci fecepensare tutti e quattro a un assalto di
vagabondi e di zingari. Proprio da quindici giornisulla piazza dietro lachiesabazzicavano un tipaccio alto e un ragazzo
dalla testa fasciata. Inoltrepresso carradori e maniscalchi lavoravanooperai venuti di fuori.
Ma udite le grida degli aggressorici persuademmo che si trattava di gentedel paese - giovaniprobabilmente.
Certo nella banda che si buttava all'assalto di casa nostra comeall'abbordaggio di una nave si erano intrufolati anche dei
ragazzi - li tradivano le voci stridule.
«Ah ! insommaquesto poi...» esclamò mio padre. E Millie chiese piano:
«Ma che vuol dire tutto ciò?»
Poi di colpo le voci al portone e sulla cancellata - quindi quelle dellefinestre - tacquero. Due fischi si alzarono di là
dai vetri. Gli urli di quelli che si erano apollaiati sul magazzino e degliassalitori del giardino si smorzarono
progressivamente poi cessarono; lungo il muro della sala da pranzo ci fu ilfruscio di tutta la truppa che si ritirava in fretta
con uno scalpicciare attutito dalla neve.
Qualcuno era sopravvenutoevidentementea disturbarli. Avevano pensatoaquell'ora di notte in cui tutti
dormivanodi sferrare con sicurezza il loro assalto contro una casa isolataall'uscita del paese. Ma ecco che il loro piano di
battaglia era buttato all'aria.
Ci eravamo appena riavuti - l'attacco era stato improvvisoun abbordaggioben condotto - e ci preparavamo a
uscirequando si sentì una voce nota chiamare dal cancelletto:
«Signor Seurel! Signor Seurel!»
Era Pasquieril macellaio. Piccolotozzostrofinò gli zoccoli sullasogliascrollò il camiciotto impolverato di neve
ed entrò. Si dava il tono astuto e allarmato di chi abbia colto tutto ilsegreto di un imbroglio tenebroso:
«Stavo nel mio cortile che dà sulla piazza del Crocicchioper chiudere lastalla dei capretti. A un bel mo mento
che cosa ti vedoin mezzo alla neve? due lungagnoni che avevano l'aria difar da sentinelle o di spiare. Stavano vicino alla
Croce. Mi muovo; faccio qualche passoe hop! eccoli che se ne scappano digaloppo verso casa vostra. Ahnon ho mica
esitatoho preso la lanterna e mi sono detto: Andiamo a raccontare tutto alsignor Seurel...»
Ed ecco che riattacca il suo racconto: «Stavo nel cortile dietro la miacasa...» Alloragli offriamo un liquore che
accettae gli chiediamo particolariche non è in grado di dare.Alain-FournierIl grande Meaulnes
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Non aveva visto nullaarrivando a casa nostra. Tutti gli assalitoriavvertiti dalle due sentinelle che lui aveva
allarmatosi erano subito dileguati. Quanto poi all'identità di quellestaffette...
«Può darsi che fossero degli zingari» suggeriva. «È più di un mese cheson qui ad aspettare che torni il bel tempo
per il loro spettacolo e vuoi che non abbiano macchinato qualche colpaccio?»
Tutto ciò non ci faceva fare un passo: restavamo lì in piediperplessimentre il macellaio sorseggiava il liquore e
di nuovoa gestiriattaccava il suo raccontoquando Meaulnesche avevaascoltato finallora con molta attenzioneprese da
terra la lanterna e decise:
«Bisogna andare a vedere !»
Spalancò la porta e mio padreil signor Pasquier ed io lo seguimmo.
Milliegià rassicurata dalla scomparsa degli assalitorie per sua naturaassai poco curiosacome tutte le persone
meticolose e ordinatedichiarò:
«Andate purese vi piace. Ma chiudete la porta e prendete la chiave. Perconto mio vado a letto. Lascerò la
lampada accesa.»
2 • CADIAMO IN UNA IMBOSCATA
Ci incamminammo sulla nevein un silenzio assoluto. Meaulnes stava in testaproiettando avanti il ventaglio di
luce della sua lanterna ingraticciata... Eravamo appena usciti dal portoneche da dietro la pesa municipaleaddossata al
muro del nostro porticoschizzarono viacome perniciotti sorpresidue tipiincappucciati. Fosse beffao la gioia provocata
dallo strano gioco cui partecipavano o ancora l'eccitazione nervosa e lapaura di venir acciuffatispiccando la corsa
gridarono due o tre parole miste a risate.
Meaulnes lasciò andare la lanterna nella nevegridandomi:
«SeguimiFrancesco!...»
E piantati lì i due uomini troppo anziani per affrontare una corsa simileci lanciammo alle calcagna delle due
ombre chedopo avere costeggiato la parte bassa del paeselungo il sentierodel vecchio ponticellorisalirono
deliberatamente verso la chiesa. Correvano con regolaritàsenza troppafuria e noi non facevamo fatica a seguirli.
Traversarono la strada della chiesatutta addormentata nel silenzioes'infilarono nel dedalo di stradette e vicoli ciechi
dietro il cimitero.
Era un quartiere di bracciantidi cucitricidi tessitorichiamato «GliAngolini». Lo conoscevamo poco e non vi
eravamo mai capitati di notte. Di giorno era deserto: via i bracciantiitessitori serrati nei loro buchi; e in quella notte di gran
silenziopoisembrava ancor più abbandonatopiù sepolto nel sonno deglialtri quartieri del paese. Nessuna possibilità
dunque che qualcuno venisse a darci man forte.
Io conoscevo solo una stradafra quelle casucce sparpagliate a caso comescatole di cartone: quella che conduceva
alla cucitrice chiamata «la Muta». Bisognava fare prima una discesa moltoripida lastricata solo a trattipoi voltare due o tre
volte fra cortiletti di tessitori e stalle vuotefino ad arrivare a un largovicolo sbarrato al fondo dal cortile di una fattoria
abbandonata da tempo... In casa della Mutamentre lei attaccava con miamadre una conversazione silenziosacon gran
sfarfallio di ditainterrotta solo da mugoliipotevo scorgere dallafinestra il muraglione della fattoriache era l'ultima
fabbrica da questa parte del villaggioe la cancellata sempre chiusa delcortilesenza pagliadesolato...
I due presero proprio questa strada. A ogni svolta temevamo di perderli macon mia sorpresaarrivavamo sempre
al cantone della viuzza successiva prima che essi l'avessero lasciata. Conmia sorpresadico: perchè ciò non sarebbe stato
possibiletanto erano corti quei vicolise i due non avessero rallentatoogni volta che noi stavamo per perderli di vista.
Finalmentesenza esitazionisi gettarono nella stradetta che portava dallaMuta e io gridai a Meaulnes:
«Li abbiamo presiè un vicolo cieco!»
In realtàloro avevano preso noi... Ci avevano condotti proprio doveavevano voluto. Arrivati sotto il muroci
fecero fronte risolutamente e uno di essi lanciò quel fischio già udito duevolte nella serata.
Subitouna decina di ragazzi saltarono fuori dal cortile della fattoriaabbandonatadove evidentemente si erano
messi in agguato. Erano tutti incappucciatii visi affondati nellesciarpe...
Sapevamo bene chi erano ma eravamo decisi a non fiata re con il signorSeurel: i fatti nostri non lo riguardavano.
C'erano DeloucheDionigiGiraudattutti gli altri. Nella mischiariconoscemmo la loro maniera di battersile loro voci
strozzate. Ma c'era un fatto inquietanteche sembrava quasi spaventareMeaulnes: la presenza di uno sconosciutoil capoin
apparenza...
Costui non si era azzuffato con Meaulnes: sorvegliava le mosse dei suoisoldati messi in un duro impegno che
trascinati nella nevegli abiti a brandellisi accanivano contro il ragazzoansante. Due si erano occupati di memi avevano
immobilizzato a fatica giacchè mi divincolavo come un demonio. Ero con leginocchia a terraseduto sui calcagnile
braccia tirate dietro il dorsoe guardavo la scena con una curiosità vivamista a paura.Alain-Fournier Il grande Meaulnes
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Meaulnes si era liberato di quattro ragazzi del Corso Superiore che gli sierano aggrappati alla blusaproiettando li
nella neve con una brusca giravolta... Saldo sulle gambelo sconosciutoseguiva attento ma molto calmo la battaglia
ripetendo a tratti con voce scandita:
«Su... Coraggio... Di nuovo. Go onmy boys.»
Era luinon c'è dubbioche comandava... Ma da dove veniva? Dovein chemodo aveva preparato i suoi alla
battaglia? Restava un mistero per noi. Anche luicome gli altrieraimbacuccato in una sciarpa ma quando Meaulnes
liberatosi dagli avversariavanzò minacciosamente verso di luiilmovimento che fece per vederci meglio e fronteggiare la
situazione scoprì un lembo delle bende bianche che gli fasciavano la testa.
Proprio in quel momento gridai a Meaulnes:
«Attento alle spalle! Ne arriva un altro.»
Non ebbe il tempo di voltarsi che dalla cancellata alle spalle schizzò fuoriun diavolaccio chegettando destramente
al collo del mio amico la sua sciarpalo rovesciò a terra. Intantoiquattro avversari che Meaulnes aveva mandato a baciar la
neve tornavano alla carica per immobilizzarlogli legavano le braccia conuna cordale gambe con una sciarpa; e il giovane
dalla testa bendata gli frugava nelle tasche... L'ultimo personaggiol'uomodal laccioaveva acceso un mozzicone di
candelariparandola con la manoe quando trovava una nuova carta il capo siavvicinava alla luce per decifrarla. Alla fine
spiegò quella specie di pianta fitta di iscrizioni cui Meaulnes avevalavorato fino dal suo ritornoed esclamò con gioia:
«Questa volta l'abbiamo. Ecco la carta! Ecco la guida! Adesso si vedrà sequesto signorino è andato davvero dove
penso...»
Il suo seguace spense la candela. Raccolsero berretti e cinturedileguaronoin silenzio come erano venutilasciando
mi libero di slegare in fretta il mio amico.
«Non andrà lontanocon quella carta» disse Meaulnes rialzandosi.
Ci rimettemmo in cammino adagioperchè zoppicava un po'. Nella strada dellachiesa ritrovammo il signor Seurel
e Pasquier:
«Non avete visto niente?» dissero. «Neppure noi!»
La notte era così buia che non si accorsero di nulla. Il macellaio cilasciò e il signor Seurel rientrò in fretta a
dormire.
Ma noi: noi duelassù nella nostra cameraalla luce di una lampadalasciata da Millierestammo fino a tardi a
rimettere in sesto le bluse strappatea parlare piano di quel che eraavvenutocome due compagni d'armi la sera di una
battaglia perduta...
3 • LO ZINGARO A SCUOLA
Il risvegliocome fu duro l'indomani. Alle otto e mezzoquando il signorSeurel stava per dare il segnale di
ingresso in aulaarrivammo senza fiato per metterci in fila. Eravamo inritardo e così c'infilammo dove capitavama di
solito il gran Meaulnes era il primo della lunga fila di solaristrettigomito a gomitocarichi di libriquaderni e penneche il
signor Seurel passava in rivista.
Mi stupì la premura con cuizitti zittici fecero posto nel mezzo dellafila; e mentre il signor Seurelritardando di
qualche secondo l'entrata in aulaesaminava il gran Meaulnesio sporsicurioso la testacercando a destra e a sinistra i visi
dei nostri nemici della sera prima.
Per primo vidi proprio quello cui non avevo smesso di pensare ma l'ultimo chemi sarei aspettato di vedere lì. Stava
al posto solito di Meaulnesin cima alla filaun piede sul gradino dipietrauna spalla e l'angolo della cartella che portava
sulla schiena poggiati allo stipite della porta. Il viso delicatopallidissimoappena picchiettato di lentigginiera voltato
verso di noi con una sorta di curiosità sprezzante e divertita. La testa etutta una parte della faccia erano avvolte in bende
bianche. Riconobbi il capo della bandail giovane zingaro che ci avevaportato via le carte.
Ma già si entrava e ognuno prendeva posto. Il nuovo allievo si sedettevicino al pilastroalla sinistra del lungo
banco del quale Meaulnes occupava il primo posto a destra. GiraudatDelouchee gli altri tre del primo banco si erano stretti
gli uni agli altri per fargli postocome se tutto fosse stato combinatoprima...
Spesso d'inverno capitavano così fra noi allievi occasionalimarinaibloccati dai ghiacci sul canaleapprendisti
viaggiatori fermati dalla neve. Venivano a lezione due giorni. un mesedirado più a lungo... Fatti segno alla curiosità per la
prima oraerano presto dimenticati e rapidamente inghiottiti dalla folladegli scolari regolari.
Ma questo non era uno che si potesse dimenticare tanto presto. Ancora loricordocreatura bizzarrae tutti i tesori
strabilianti contenuti nella cartella che portava in spalla. Prima di tuttole penne «con veduta»che tirò fuori per il dettato.
In un foro dell'asticciolachiudendo un occhio si vedeva apparirea lineeun po' confuse e ingranditela basilica di Lourdes
o qualche monumento sconosciuto. Lo zingaro scelse una penna per sè e lealtre passarono subito di mano in mano. Poi
toccò a un astuccio cinese pieno di compassi e di certi arnesi curiosi chepartirono verso il banco di sinistrascivolando allaAlain-Fournier Il grandeMeaulnes
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chetichella di mano in manosotto i quaderniin modo che il signor Seurelnon si accorgesse di nulla.
Passarono anche libri nuovidei quali avevo letto cupidamente i titoli sullecopertine dei pochi volumi della nostra
biblioteca: Lo scoglio dei gabbianiIl mio amico Benedetto... Alcunisfogliavano con una manosulle ginocchiaquei
volumi venuti da chissà doveforse rubatie con l'altra scrivevano ildettato. Altri facevano ruotare i compassi sul fondo
delle scansie. Altri ancoramentre il signor Seurelnel suo avanti eindietro fra la cattedra e la finestravoltava il dorso
continuando a dettarechiudevano in fretta un occhio e appiccicavano l'altroall'immagine verdolina e traforata di Notre-Dame
di Parigi. Intanto il nuovo allievopenna in manoil profilo delicatamentedisegnato contro il pilastro grigiostrizzava
l'occhiobeato di tutto quel gioco furtivo che si componeva intorno a lui.
A poco a pocoperòla classe intera cominciò a farsi in quieta: glioggetti che ci si passava via viaarrivavano uno
dopo l'altro fra le mani del gran Meaulnes chenegligentementesenzaneppure un'occhiatali metteva da parte. Ce ne fu
presto una pilageometrica e variopintacome ai piedi della donna cherappresenta la Scienza nelle figurazioni allegoriche.
Prima o poi il signor Seurel si sarebbe accorto per forza di quellaesibizione insolitaavrebbe scoperto tutto il traffico. Già
pensava probabilmente a fare un'inchiesta sugli avvenimenti della notte. Lapresenza dello zingaro avrebbe facilitato il suo
compito...
Difatti presto si fermòstupefattodavanti al gran Meaulnes.
«Di chi è tutta questa roba?» domandòindicando «questa roba» con lacosta del libro chiusodentro il quale aveva
infilato l'indice.
«Non lo so» rispose Meaulnesbruscosenza alzare la testa.
Ma il nuovo scolaro intervenne:
«È mia» disse.
E aggiunsecon un gesto ampio ed elegante da giovin signoreal quale ilvecchio insegnante non seppe resistere:
«Ma la metto a sua disposizionesignor maestrose vuole guardare.»
Allora in pochi secondisenza fracassoquasi per non turbare l'atmosferainsolita che si era creatatutta la classe si
raccolse curiosa intorno all'insegnante che piegava su quel tesoro la testacalva fra qualche ciuffo ricciutoe il ragazzo
smorto che forniva le spiegazioni necessarie con un'aria di calmo trionfo. Eintantozitto e solitario nel suo bancoil gran
Meaulnes aveva aperto il quaderno di brutta e tutto accigliato si dedicavaalla soluzione di un difficile problema.
La ricreazione ci colse mentre eravamo così occupati. Il dettato non erafinitoil disordine dominava in classe. Per
dirla tuttaera dal mattino che durava la ricreazione.
Alle dieci e mezzodunquequando il cortile tetro e fangoso fu invaso dagliscolarici accorgemmo presto che un
nuovo padrone regnava sui giochi.
Fra tutti i nuovi divertimenti che lo zingaro ci fece conoscere fin da quelmattinoricordo solo il più violento: una
specie di torneo nel quale gli scolari più grandi facevano da cavalliportando sulle spalle i più giovani.
Divisi in due gruppi che prendevano la corsa dalle due estremità delcortilecaricavano gli uni contro gli altri
cercando di scaraventare a terra l'avversario con la violenza dell'urtomentre i cavalieriservendosi di sciarpe come di lacci
o delle braccia stese come di lancesi studiavano di disarcionare i rivali.Alcuni schivavano l'urtomandando gli avversari
sbilanciati a rotolare nel fangoil cavaliere sotto la sua cavalcatura;altridisarcionati a metà venivano riacciuffati per le
gambe dal cavallo eintestarditi nel la lottarimontavano sulle spalle.Cavalcando il grosso Delageche aveva un corpaccio
smisuratopelo rosso e orecchie a sventolalo snello cavaliere dalla testabendata stimolava le due schiere rivali
punzecchiando malignamente la sua cavalcatura e ridendo a piena gola.
In un primo tempoAgostinoritto sulla soglia dell'aulasorvegliava dimalumore questi giochi. E io stavo accanto
a luiindeciso.
«È un furbone» diceva fra i dentile mani in tasca. «Eccovenire quifin da stamaneera il solo modo per sfuggire
a ogni sospetto. E il signor Seurel c'è cascato!»
Restò li per un bel po'la testa rapata al ventoa mugugnare contro quelcommediante che voleva far storpiare i
ragazzi che aveva comandato poco tempo prima. Ed ioquieto come erononpotevo che approvarlo...
Via il maestrodovunquein ogni angolo continuava la battaglia: i piùpiccoli avevano finito per saltare gli uni in
groppa agli altri e correvano e stramazzavano prima ancora di essere urtatidall'avversario... Ben presto restò in piediin
mezzo al cortilesolo un gruppetto accanito e vorticanteda cui spuntava atratti la benda bianca del nuovo capo.
Allora il gran Meaulnes non potè più resistere. Si curvòle mani sullecoscegridandomi:
«AvantiFrancesco!»
Mi sorprese la decisione improvvisama saltai comunque senza esitare sullesue spalle e un istante dopo eravamo
nel pieno della mischiamentre la maggioranza dei combat tentisgominatise la squagliavano strillando:
«Ecco Meaulnes! Arriva il gran Meaulnes!»
Meaulnes cominciò a girare su se stessoin mezzo ai superstitie intantomi diceva:
«Stendi le braccia: acchiappali come ho fatto stanotte.»
Ed ioubriacato dalla lottasicuro del trionfoafferravo al volo i ragazziche si dibattevanopencolavano un attimo
sulle spalle dei più grandi e rovinavano nel fango. Un batter d'occhioenon restò in piedi che il nuovo scolaroin groppa aAlain-Fournier Il grandeMeaulnes
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Delage; ma questiniente affatto desideroso di attaccar la lotta conAgostinosi raddrizzò con un gran colpo di reni e
scodellò giù il cavaliere bianco.
Con una mano sulla spalla della sua cavalcatura come un capitano tiene per ilmorso il suo cavalloil ragazzo
dirittoguardò il gran Meaulnes con una punta di stupore e con moltaammirazione:
«Finalmente !» disse.
Ma proprio allora suonò la campanadisperdendo gli allievi che avevanofatto gruppo intorno a noiaspettandosi
una scena curiosa. E Meaulnesindispettito di non aver potuto scavalcare ilrivalegirò le spalle dicendo di malumore:
«Sarà per un'altra volta!»
Fino a mezzogiorno la lezione prosegui come alla vigilia delle vacanzeconintermezzi piacevoli e chiacchiere che
avevano per centro lo scolaro-saltimbanco.
Questi spiegava chebloccati nel villaggio dal freddodato che non sipoteva neppure pensare di metter su degli
spettacoli serali che non avrebbero attirato anima vivaavevano poi decisocosi: lui sarebbe andato a scuola per far qualcosa
durante il giornoe il suo compagno avrebbe avuto cura degli uccelli esoticie della capra sapiente. Poi raccontava dei loro
viaggi nei paesi all'intornogli acquazzoni che si rovesciano sul tetto dizinco del carrozzonee bisogna scendere quando c'è
una salita per spingere le ruote. Gli scolari che stavano in fondo lasciavanoil banco per ascoltare da vicino; i più pratici
approfittavano dell'occasione per scaldarsi alla stufa. Ma presto lacuriosità li vinceva e anche loro si avvicinavano al
gruppo dove si parlava e tendevano l'orecchiotuttavia conservandosi ilposto con una mano sul ripiano della stufa.
«E di che vivete?» chiese il signor Seurelche seguiva la chiacchieratacon la curiosità un poco puerile del maestro
di scuolae faceva un mucchio di domande.
Il ragazzo esitò un momentocome se non si fosse mai preoccupato di questoparticolare.
«Ma di quello che abbiamo guadagnato l'altro autunnopenso» rispose. «EGanache che paga i conti.»
Nessuno gli chiese chi fosse Ganache.
Ma io pensai al lungo figuro che la sera prima aveva attaccato a tradimentoMeaulnes e l'aveva abbattuto...
4 • DOVE SI PARLA DEL DOMINIO MISTERIOSO
Il pomeriggio riportò gli stessi piacerilo stesso disordine e gli stessisotterfugi durante tutta la lezione. Lo zingaro
aveva con sè altri oggetti preziosiconchigliegiocattolicanzoni e finouno scimmiottino che graffiava chetamente l'interno
della cartella-carniere... Ogni poco il signor Seurel doveva interrompersiper esaminare ciò che quel furbo cavava fuori dalla
borsa... Suonarono le quattroe Meaulnes era il solo ad aver finito il suoproblema.
Uscimmo senza fretta. Insommanon c'era più ormai fra le ore di lezione edi ricreazione quel confine rigoroso che
rendeva la vita scolastica semplice e ben regolataquasi col ritmo delgiorno e della notte. Ci scordammo perfino di
designare come al solito al signor Seurelverso le quattro meno diecii dueche dovevano restare in aula per il servizio di
ramazza. Prima non mancavamo mai di farloera un modo di annunziare eaffrettare la fine della lezione.
Per caso quello era il giorno del gran Meaulnes; e fin dal mattinoparlandocon lo zingarolo avevo avvisato che i
nuovi venuti erano sempre designati d'ufficio come aiutanti alle pulizieilgiorno del loro ingresso a scuola.
Meaulnes tornò in aula subito dopo essere andato a prendere il pane dellamerenda. Lo zingaro invece si fece
aspettare un bel po' e arrivò per ultimocorrendoquando già facevabuio...
«Tu resterai con me in aula» mi aveva detto Meaulnes«ementre loterrò strettogli riprenderai la piantina che mi
ha rubato.»
Così m'ero seduto su una tavoluccia sotto la finestraapprofittandodell'ultimo chiarore per leggere. Li vidi tutti e
due spostare i banchi senza scambiare parola - il gran Meaulnes zitto earcignola blusa nera abbottonata con tre bottoni sul
dorso e stretta dalla cintura; l'altro delicato
nervosola testa fasciata come quella di un ferito. Aveva addosso unsoprabito malconciocon strappi che prima
non avevo notato. Spinto da uno zelo quasi ferocesollevava e spingeva via ibanchi con furia forsennatacon l'ombra di un
sorriso. Si sarebbe detto che giocasse a un gioco straordinariodi cui noinon conoscevamo la chiave.
Arrivarono così fin nell'angolo più buio dell'aulaper spostare l'ultimobanco.
Qui Meaulnesin un attimoavrebbe potuto buttare a terra l'avversario senzache nessuno fuori potesse vederlo o
sentirlo dalle finestre. Non mi pareva possibile che si la sciasse sfuggireuna occasione simile.
Una volta tornati vicino alla portal'altro se la sarebbe squagliata da unmomento all'altrocon il pretesto che ormai
il lavoro era finitoe addio! non l'avremmo più visto. E addio allapiantinaa tutte le informazioni che Meaulnes aveva tanto
faticato a raccogliereriunireintegrare... Di secondo in secondo aspettavodal mio compagno un segnoun gesto che
annunziasse l'inizio della battaglia ma Meaulnes non si muoveva. Solo ognitanto fissava con una strana intensità e un'aria
interrogativa la fasciatura dello zingaro chenella penombra del crepuscolomostrava grandi chiazze scure.Alain-Fournier Il grande Meaulnes
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L'ultimo banco fu spostato senza che succedesse nulla. Ma proprio mentreritornavano entrambi verso l'uscita
dell'aula per dare un ultimo colpo di scopa alla sogliaMeaulnes dissepianola testa bassasenza guardare il suo rivale:
«La sua benda è rossa di sangue e gli abiti tutti stracciati.»
L'altro lo fissò un momento non tanto sorpreso da queste parole quantocommosso a fondo nel sentirgliele dire.
«Volevano strapparmi la sua piantinapoco fasulla piazza» rispose.«Quando hanno saputo che tornavo qui per
spazzare l'aulahanno capito che avrei fatto la pace con voialtri e mi sisono rivoltati contro. Ma l'ho salvato lo stesso»
aggiunse con fierezzatendendo a Meaulnes il prezioso foglio ripiegato.
Meaulnes si girò adagio dalla mia parte.
«Hai sentito?» disse. «Si è battutoè rimasto ferito per noie intantonoi gli tendevamo un tranello!»
Poi abbandonando il «lei» insolito fra gli allievi di Sant'Agataaggiunse:
«Sei un vero camerata»e gli tese la mano.
L'altro la prese e restò zitto un momentomolto commossola voce strozzatain gola... Ma subito continuòacceso
di curiosità:
«Cosìmi tendevate un tranello! È buffo! Io l'avevo immaginato e midicevo: come saranno sorpresi quandodopo
avermi ritolto la cartasi accorgeranno che l'ho completata...»
«Completata?»
«Ohun momento! non del tutto...»
Poilasciato quel tono allegroaggiunse gravementeavvicinandosi a noi:
«Meaulnesè ora che te lo dica: anch'io sono capitato dove sei stato tu.Anch'io ho partecipato a quella festa
singolare. Cosìquando i ragazzi della scuola mi hanno parlato della tuaavventura misteriosaho subito pensato che si
trattava del vecchio dominio perduto. Per esserne sicuro ti ho rubato lapiantina... Ma anch'iocome teignoro il nome di
quel castello; non saprei ritornarci; non conosco tutta la strada che di quipotrebbe condurti laggiù.»
Con che slanciocon che curiosità ardentecon che amicizia ci stringemmo alui! Meaulnes lo interrogava avida
mente... Ci pareva che incalzando con tanta insistenza il nostro nuovo amicosaremmo riusciti a fargli dire anche ciò che
pretendeva di non sapere.
«Vedretevedrete» rispondeva il ragazzotra infastidito e imbarazzato.«Ho segnato sulla carta alcune indicazioni
che non avevate... «tutto quanto ho potuto fare.»
Poivedendoci così pieni di ammirazione e di entusiasmo:
«Ah» disse con malinconica fierezzaa preferisco dirvelo: non sono unragazzo come gli altri. Tre mesi fa ho
voluto piantarmi una pallottola nella testa ed ecco il perchè di questabenda sulla frontecome una guardia nazionale della
Sennanel 1870...»
«E staseramentre lottavila ferita si è riaperta» disse Meaulnes conaccento affettuoso.
Ma l'altro senza badarglicontinuò con un po' di enfasi:
«Volevo morire: e visto che non ci sono riuscitocontinuerò a viveremasolo per giococome un bambinocome
uno zingaro. Ho lasciato tutto. Non ho più nè padrenè sorellanè casanè amore.. Più nullafuorchè compagni di
passatempi!»
«Compagni di questo tipo ti hanno già tradito» dissi.
«Si» rispose tutto animato. «La colpa è di un certo Delouche. Haindovinato che mi preparavo a fare causa
comune con voie ha demoralizzato la banda che tenevo così bene in mano.Avete visto l'assalto di ieri seracome era
condottocome ha funzionato. Da un pezzo non avevo combinato un colpo meglioriuscito...»
Si fermò pensieroso un momento e aggiunseper toglierci ogni illusione sulsuo conto:
«Se adesso sono venuto dalla vostra parteè perchè ci si può divertiremolto di più con voi che con tutto il resto
degli altri - me ne sono accorto stamane. Soprattutto non posso soffrire quelDelouche. Che ideafar l'uomo a diciassette
anni! Niente mi ripugna di più... Credi che arriveremo a ripizzicarlo?»
«Certo» disse Meaulnes. «Ma resterai con noi per molto?»
«Non so. Lo vorrei tanto: sono così solo. Non ho che Ganache...»
Tutta la sua eccitazionetutta l'allegria erano cadute di colpo. Per unmomento riaffogò in quella disperazione che
certo un giorno doveva averlo spinto a tentare di uccidersi.
«Siatemi amici» disse all'improvviso. «Vedeteconosco il vostro segretoe l'ho difeso contro tutti. Posso rimettervi
in traccia di ciò che avete perduto...»
Poi aggiunse quasi con solennità:
«Siatemi amici per il giorno in cui sarò ancora a un palmo dall'infernocome mi è già accaduto... Giuratemi che
risponderete quando vi chiamerò - quando vi chiamerò così...» (e lanciòuno strano gridouna specie di: Uh-uh!...) «Tu
Meaulnesgiura per primo!»
Giurammo: eravamo ragazzitutto ciò che appariva più solenne e serio delsolito ci affascinava.
«In cambio» aggiunse«ecco tutto quello che posso darvi: I'indirizzodella casa di Parigi dove la ragazza del
castello passa di solito le feste di Pasqua e di Pentecosteil mese digiugno e a volte una parte dell'inverno.»Alain-Fournier Il grande Meaulnes
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Proprio allora una voce sconosciuta chiamò più volte dal portoneprincipalenella notte. Capimmo che era
Ganachelo zingaroche non osava o non sapeva come attraversare il cortile.Con voce incalzanteansiosachiamava ora
forteora piano:
«Uh-uh! Uh-uh!»
«Di'di' presto!» gridò Meaulnes al ragazzo che aveva sobbalzato e sirassettava il vestito per andarsene.
Ci diede in fretta l'indirizzo di Parigiche ripetemmo a voce bassa.
Poi corse a raggiungere nel buio il suo compagno al cancellolasciandoci inun turbamento indicibile.
5 • L'UOMO DALLE SCARPE DI CORDA
Quella notteverso le tre del mattinola vedova Delouchela locandierache stava proprio nel centro del paesesi
alzò per accendere il fuoco. Dumasil cognato che abitava con leidovevamettersi in strada alle quattro e la poveracciala
mano destra raggrinzita da una vecchia bruciaturasi dava da fare nellacucina buia per preparare il caffè. Era freddo. La
donna si buttò sulla camiciola un vecchio scialle poila candela accesa inuna manoalzando con l'altra - la malconcia - il
grembiule a riparare la fiammaattraversò il cortile ingombro di bottiglievuote e di casse di saponee aprì la porticina della
legnaiache serviva anche da pollaioper prendere un po' di sterpi... Maaveva appena spinto l'uscio chesbucando dal buio
pestouno sconosciutocon una sberrettata che ronzò nell'aria tanto eraviolentaspense la candelabuttò a terra la donna e
se la squagliò a gran velocitàmentre galli e gallineimpazzitialzavanouno schiamazzo d'inferno.
L'uomo portava via in un sacco - come la vedova Deloucherimessasi in piedidoveva constatare un momento
dopo - una dozzina dei pollastri migliori.
Alle grida della cognataDumas accorse. Accertò che il marioloperentrareaveva dovuto aprire con una chiave
falsa la porticina del cortile e poi era fuggitosenza richiudereper lastessa via. Subitoda uomo abituato ad aver a che fare
con bracconieri e ladruncoliprese la lanterna del suo carro earmato difucilecercò di seguire le tracce del ladrotracce
tuttavia molto incerte - l'uomo calzava probabilmente scarpette di corda -che lo condussero lungo la strada per la stazione
perdendosi poi davanti alla staccionata di un prato. Costretto a sospenderele ricercheDumas alzò la testasi fermò... e udì
lontanosulla stradail fracasso di un carro che fuggiva al gran galoppo...
A sua voltaGelsomino Deloucheil figlio della vedovasi era alzato ed erauscito in ciabatteuna mantellina
buttata alla svelta sulle spalleper una ricognizione in paese. Tuttodormivaaffondato nell'oscurità e nel silenzio profondo
che precedono le prime luci del giorno. Arrivato al crocicchioudìsoltantocome suo ziomolto lontanosulla collina dei
Riaudesil rumore di un veicolo tirato da un cavallo che doveva andare algaloppo sfrenato. Furbastro e spaccone com'era
si dissee ce lo ripeteva più tardi arrotando in modo insopportabile laerrealla maniera di Montluçon:
«Quelli si sono diretti verso la stazionema non è mica detto che non nepeschi degli altridalla parte opposta del
paese.»
E tornò indietroverso la chiesanel silenzio notturno.
In piazzauna luce brillava nel carrozzone degli zingari. Certo qualcunostava male. Delouche stava per avvicinarsi
e chiedere notiziequando un'ombra silenziosaun'ombra calzata di scarpe dicordasbucò dagli «Angolini» e galoppò senza
badare a nullaverso la scaletta del carrozzone...
«Allora ! che succede?»
L'altro si fermòfantasma arruffato e sdentatolo fissò con una poverasmorfia di spavento e di affannoe rispose
senza fiato:
«Il mio amico sta male... Si è pestato ieri sera e la piaga si èriaperta... Sono andato a cercare una suora.»
Difattitornandosene a letto pieno di curiositàGelsomino Deloucheincrociòa metà del paeseuna monaca che
camminava in fretta.
L'indomani mattinaparecchi abitanti di Sant'Agata si affacciarono alla loroporta mostrando tutti gli stessi occhi
gonfi e pesti per una notte insonne. Fu un coro di indignazione generale cheguizzò per tutto il paese come una striscia di
polvere.
Da Giraudatverso le due del mattino avevano sentito fermarsi unacarrettella su cui qualcuno caricava in furia
fagotti che facevano un tonfo morbido. In casa c'erano solo due donne che nonavevano avuto il coraggio di muoversi.
Venuto il giornoaprendo il pollaioavevano capito che quei fagotti nonerano altro che conigli e pollastri... Milliedurante
la prima ricreazionescoprì davanti alla porta della lavanderia parecchifiammiferi bruciati. Se ne dedusse chenon bene
informati su casa nostranon erano riusciti a entrare... Da PerreuxdaBoujardonda Clément parevain un primo tempo
che avessero portato via anche i maialima le bestie vennero poi ritrovatenel corso della mattinatain vari ortiintente a
dissotterrare l'insalata. Tutto il branco aveva approfittato dell'occasione edell'uscio aperto per una passeggiatina notturna...
Quasi dovunque erano spariti polli; ma non basta. La fornaiala signoraPignotche non allevava pollamesi lamentò per
tutto il giorno che le avevano rubato il mestolo e una libbra di indacomail misfatto non venne mai provato nè iscritto sulAlain-Fournier Il grandeMeaulnes
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processo verbale !...
Smarrimentotimorecicalio riempirono tutta la mattinata. In aulaGelsomino raccontò la sua avventura notturna:
«Ahsono furbi!» diceva. «Ma se lo zio ne avesse pescato unodiavolo!l'ha detto: "Lo impallinavo come un
coniglio!"»
Poifissandociaggiunse:
«Buon per lui che non abbia incontrato Ganache; capace di sparargli addosso.Sono tutti della stessa razzadicee
anche Dessaigne è di questo parere.»
Tuttavia nessuno pensò di molestare i nostri nuovi amici. Solo la sera delgiorno dopo Gelsomino fece notare a suo
zio che Ganache portava scarpette di cordacome il ladro. Convennero chevaleva la pena di parlarne ai gendarmi. Così
decisero in gran segreto di andarealla prima occasionenel capoluogo delcircondario per avvertire il brigadiere della
gendarmeria.
Nei giorni seguentiil giovane zingaroche soffriva per la ferita riapertanon comparve a scuola.
A sera ci aggiravamo nella piazza della chiesa solo per vedere la lampadadietro la tendina rossa del carrozzone.
Angosciati e febbrilirestavamo lìsenza azzardare di avvicinarci a quellacatapecchia che ai nostri occhi era diventata il
varco misteriosol'ingresso al Paese perduto.
6 • UN LITIGIO FRA LE QUINTE
Ansietà e turbamentitanti e così diversinon avevano permessonegliultimi giorni che ci accorgessimo che marzo
era arrivato e il vento si era fatto dolce. Ma il terzo giorno dopol'avventurasceso in cortiledi colpo seppi che era
primavera. Una brezza delicata tracimava dal muro come un'acqua tiepida; unapioggia silenziosa durante la notte aveva
lavato le peonie; dal giardinola terra smossa mandava un odore forte esull'albero vicino alla finestra un uccello tentava il
canto...
Durante la prima ricreazioneMeaulnes propose di provare subito l'itinerarioche lo zingaro-scolaro aveva precisato
con le sue indicazioni. A fatica lo convinsi ad aspettare la ricomparsa delnostro amico e che il bel tempo fosse divenuto
stabile... che tutti i pruni di Sant'Agata fossero fioriti. Parlavamoaddossati al muretto della stradinale mani in saccocciale
teste nudee il vento un momento ci faceva rabbrividire di freddo e subitodopocon un soffio tiepidoridestava dentronel
profondonon so che antico entusiasmo. Ah! fratelloamicovagabondocomeeravamo certitutti e dueche la felicità
fosse a portata di manoche bastasse mettersi in via per raggiungerla!
A mezzogiorno e mezzodurante il pranzosentimmo rullare un tamburo sullapiazza del crocicchio. In un attimo
eravamo sulla soglia del cancellettoi tovaglioli in mano... Ganacheannunciava per le otto di sera«dato il bel tempo»un
grande spettacolo sulla piazza della chiesa. In ogni caso«per premunirsicontro la pioggia»avrebbero alzato una tenda.
Veniva poi un lungo programma fitto di attrazioniche il vento si portòvia: trasentimmo qualcosa come «pantomime...
canzoni... fantasie equestri...»il tutto accompagnato da nuovi rulli ditamburo.
Durante tutta la cenala grancassa tuonò sotto le nostre finestre perannunciare lo spettacolofacendo tremare i
vetri. Poco dopopassaronoin un brusio di chiacchierequelli deisobborghiche si dirigevano a gruppetti verso la piazza
della chiesa. E noi duelà! costretti a tavolatrepestando perl'impazienza. Finalmenteverso le nove uno stropiccio di piedi
e risate soffocate dalla parte del cancelletto: le maestrine venivano aprenderci. Nel buio già fittopartimmo in gruppo verso
il luogo della rappresentazione. Di lontano il muro della chiesa parevailluminato da un gran falò. Due lanterne accese
davanti alla porta della baracca ondeggiavano al vento...
Dentro era stata sistemata una gradinatacome in un circo. Il signor Seurelle maestrineMeaulnes ed io ci
sedemmo sui gradini più bassi. Nella memoriaquel luogoche pure dovevaessere angustomi appare come un vero circo
con grandi toppe d'ombra dove si erano distribuiti la signora Pignot lafornaiaFernanda la droghierale ragazze del paesei
lavoranti del maniscalcosignoreragazzetticontadinie altri ancora.
Si era già a metà dello spettacolo. Sulla pista una capretta ammaestratachedocilissimasi teneva in equilibrio
prima su quattro bicchieripoi su duepoi su uno solo. Ganache la comandavaadagio con colpetti di bacchettafissandoci
con aria inquietala bocca semiapertagli occhi spenti.
Vicino ad altri due fanalidove la pista comunicava con il carrozzonericonoscemmo poiseduto su uno sgabello
il direttore degli eserciziil nostro amico in calzamaglia nerala frontefasciata.
Ci eravamo appena accomodati che sbucò sulla pista un cavallino tutto paratoal quale il nostro amico ferito fece
fare parecchi giri; si fermava sempre davanti a uno di noi quando si trattavadi indicare fra il pubblico il più simpatico o il
più coraggiosoma sempre davanti alla signora Pignot quando era la voltadel più bugiardodel più tirato o del «più
innamorato». Allora erano risatestrillidei «qua! qua!» degni di unbranco d'oche inseguito da un cane !...
Durante l'intervalloil direttore dei giochi si fermò un momento a parlarecon il signor Seurelche non ne sarebbeAlain-Fournier Il grande Meaulnes
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stato più orgoglioso se avesse chiacchierato con Talma e Léotard; noi poiascoltavamo con un interesse appassionato tutto
ciò che diceva: della ferita - rimarginata; dello spettacolo - preparatonelle lunghe giornate invernali; della partenza - che
non avverrebbe prima della fine del meseperchè progettavano di darspettacolo fino ad allora con nuovi numeri.
Doveva chiudere la serata una grande pantomima.
Al termine dell'intervalloil nostro amico ci lasciò e per raggiungerel'ingresso del carrozzone dovette attraversare
un gruppetto di persone che avevano invaso la pistafra le quali scorgemmoimprovvisamente Gelsomino Delouche. Donne
e ragazze si scostaronoconquistate da quella maglia neradal pigliobizzarro ed eroico del giovane ferito. Quanto a
Gelsominoche sembrava appena tornato da un viaggio e chiacchierava a bassavoce ma concitatamente con la signora
Pignotè chiaro che una cinturaun colletto basso e dei pantaloni acampana gli avrebbero fatto più colpo... Stava lài
pollici ficcati sotto i risvolti della giacchettacon un'aria insieme disufficienza balorda e di imbarazzo. Quando lo zingaro
gli passò vicinocon un gesto di stizza disse forte alla signora Pignotqualcosa che non udiima certo un'ingiuriauna
provocazione diretta al nostro amico. Doveva essere qualcosa di grave eimprevistoperchè il ragazzo si girò a fissare
Gelsomino cheper darsi un contegnoghignavatoccava col gomito quelli chegli stavano intornoquasi per farsene degli
alleati... Tuttodel restodurò pochi secondi. Senza dubbio fui il solodel nostro gruppoad accorgermene.
Il direttore dei giochi raggiunse il compagno dietro la tenda che chiudeval'ingresso del carrozzone. Tutti ripresero
il loro posto sulle gradinateaspettandosi l'inizio della seconda partedello spettacolo; si fece un gran silenzio. Allora
mentre si smorzavano le ultime chiacchiere scambiate a bassa voceda dietrola tenda venne il suono di un litigio. Non si
capivano le parolema le due voci erano riconoscibiliquella dell'uomo altoe quella del ragazzo - la prima che spiegavasi
giustificava; l'altra che sgridavatriste e sdegnata nello stesso tempo:
«Madisgraziatoperchè non dirmi che...»
Non udimmo il seguitosebbene tendessimo tutti l'orecchio. Poidi colposilenzio. Il litigio dovette continuare
sottovoce; e intanto i ragazzini delle gradinate più altegiù a gridare:«Lucesipario!» e a pestare i piedi.
7 • LO ZINGARO SI TOGLIE LA BENDA
Finalmentefra i lembi della tenda s'insinuò adagio il volto -impiastricciatofitto di rugheaperto ora all'allegria
ora all'inquietudine- di un pierrot dinoccolatoche pareva fatto di trepezzi male articolati; tutto raggrinchiato sul ventre
come per il travaglio di una colicaavanzava in punta di piedi con prudenzae timore esageratile mani impegolate nelle
maniche troppo lunghe che spazzavano la pista.
Non saprei più direoggiil soggetto della sua pantomima. Ricordo appenachefin dalla prima apparizionedopo
vanifrenetici sforzi per restare in piedirovinò a terra. Aveva un belrialzarsi: era più forte di lui; ogni volta ricadevasenza
interruzione. Inciampicava in quattro sedie alla volta. Travolgeva nel suocapitombolo un tavolo enorme collocato nella
pista. Finì poi lungo disteso di là dalla barriera del circosui piedidegli spettatori. Due aiutanti scelti fra il pubblico si
davano un gran daffare a tirarlo per i piedi e a rimetterlo dirittofaticosamente. E lui ogni volta che cascava gettava un
gridolinoogni volta diversoinsopportabilenel quale si mischiavanoangoscia e compiacimento. Alla finearrampicatosi
su una piramide di seggiolesi lasciò andar giùuna caduta spettacolare elentissimatutta accompagnata da un ululato di
trionfolacerante e pateticomentre le donne spaurite mandavano strilli.
Per la seconda parte della pantomimala memoria mi presentanon so perchèil «povero pierrot che cade»
occupato a tirar fuori da una manica una bambolina imbottita di crusca e amimare con questa una scena tragicomica. Alla
finele fece schizzare fuori dalla bocca tutta la crusca che aveva nellapancia; poicacciando guaiti di penala rimpinzò di
pappa e al culmine della scenaquando gli spettatoria bocca apertanonstaccavano gli occhi dalla figliolina del povero
pierrottutta appiccicaticcia e gonfia da scoppiarebruscamente la preseper un braccio e la scagliò violentemente al disopra
della plateain faccia a Gelsomino Delouche. Però il fagotto gli sfioròsolo l'orecchio e andò a schiacciarsi sul petto della
signora Pignotproprio sotto la gola. La fornaia lanciò uno strillo e silasciò andare all'indietro con tanto impetoimitata
dalle vicine di postoche la panca si schiantò mandando a gambe all'aria lafornaiaFernandala vedova Delouche e altre
venti personefra risagrida e applausimentre il pagliaccioprostratosicon la faccia a terrasi raddrizzava a salutare e
diceva:
«Signore e signoriabbiamo l'onore di ringraziarvi!»
In quel preciso momentotra quella babeleil gran Meaulnesrimasto zittodall'inizio della pantomimasempre più
assorto di minuto in minutosi levò di scattopigliandomi per il bracciocome se non riuscisse a dominarsi e mi gridò:
«Guarda lo zingaroguardalo! L'ho riconosciutofinalmente.»
Come se da lungo tempoa mia insaputaquesto pensiero avesse covato in measpettando solo il momento di
esplodereseppi ancora prima di guardare! Diritto presso un fanaleall'ingresso del carrozzoneil ragazzo sconosciuto si era
tolto la benda e gettato sulle spalle una mantellina. Nella luce fumosa dellalanterna come una volta al lume di candela nella
stanza del Dominioappariva un profilo delicatoaquilinoimberbe. Pallidole labbra socchiuseil ragazzo sfogliavaAlain-Fournier Il grande Meaulnes
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frettolosamente una specie di album rossoche doveva essere un atlantetascabile. Salvo una cicatrice che gli attraversava la
tempia per scomparire sotto i capelliera luicome me l'aveva descrittoaccuratamente il gran Meaulnesluiil fidanzato del
Dominio sconosciuto.
Senza dubbio si era tolto la benda per farsi riconoscere da noi. Ma appena ilgran Meaulnes saltò in piedi e lanciò
quel gridoil ragazzo rientrò nel carrozzonedopo averci rivoltoun'occhiata d'intesa e quel sorriso un po' vago e tristecui ci
aveva abituati.
«E l'altro!» diceva Meaulnes tutto febbrile. «Come ho fatto a nonriconoscerlo subito! È il pierrot della festa
laggiù...»
Cominciò a scendere la gradinata alla sua volta. Ma già Ganache avevaserrato tutti i passaggi alla pistaspegneva
l'uno dopo l'altro i quattro lampioni del circoe ormai la folla citrascinava con sènel suo lento efflussoincanalati fra le
panche parallelenell'ombrascalpitanti per l'impazienza.
Appena fuoriil gran Meaulnes si precipitò verso il carrozzonesalì lascalettabussò alla porticina; ma tutto era
piè sbarrato. Certo nel carrozzone con le tendecome in quello riservato alcavallinoalla capra e agli uccelli ammaestrati
tutti si erano già ritirati a dormire.
8 • I GENDARMI!
Ci toccò raggiungere il gruppo dei grandisignori e signoreche tornavanoverso la scuola attraverso le stradette
buie. Adesso capivamo tutto. La grande sagoma bianca chel'ultima sera dellafestaMeaulnes aveva visto guizzare fra gli
alberi non era altri che Ganacheil quale aveva raccolto il giovanefidanzato disperato ed era fuggito con lui. L'altro aveva
accettato quell'esistenza selvaticafatta di rischidi giochidiavventure: gli era certo sembrato di ritornare all'infanzia...
Frantz de Galais ci aveva nascosto finallora il suo nome e aveva finto di nonsapere la strada per arrivare al
Dominio certo temendo di essere costretto a ritornare a casa: ma perchèquella sera improvvisamente aveva voluto rivelarsi
a noi e lasciarci intuire tutta la verità?...
Quanti mai progetti non andava architettando il gran Meaulnesmentre lefrotte degli spettatori si disperdevano
adagio in paese! Decise subito chel'indomani mattinaun giovedìsarebbeandato da Frantze insieme sarebbero partiti per
il Dominiolaggiù! Delizioso viaggio sulla strada ammollata! Frantz avrebbespiegato tutto; tutto si sarebbe aggiustatoe
l'avventura meravigliosa ricomincerebbe dove si era interrotta.
Io camminavo nel buio e il cuore mi traboccava non so perchè. Tutto parevavolere contribuire alla mia gioiadal
sottile piacere che mi dava l'imminenza del giovedìalla sorprendentescoperta che avevamo appena fattoalla gran fortuna
capitata. Ricordo chein un improvviso slancio del cuoremi avvicinai allapiù bruttina delle figlie del notaio alla quale mi
toccava a volte di offrire il braccioun vero supplizio!e spontaneamentele porsi la mano.
Ricordi amari! Inutili speranze crollate!
La mattina dopoalle ottoquando arrivammo tutti e due sulla piazza dellachiesale scarpe lucidissimele fibbie
della cintura forbitei berretti nuoviMeaulnesche fino a quel momentofaceva fatica a trattenere il sorriso guardandomi
gettò un grido e si buttò verso la piazza vuota... Dove prima stavano labaracca e i carri adesso c'erano solo un vaso rotto e
degli stracci. Gli zingari se ne erano andati.
Il venticello ci si gelò addosso. Mi pareva che ad ogni passo dovessimoinciampare sulla dura superficie sassosa
della piazza e cader distesi. Meaulnes fuori di sè accennò due volte abuttarsi prima sulla via del Vieux-Nançaypoi su
quella di Saint-Loup des Bois. Fece solecchio con la manosperando per unmomento che i nostri amici fossero appena
partiti. Ma che fare? Dieci solchi di carri si intrecciavano sul!a piazza perandare poi a perdersi sulla strada dal fondo
pietroso. Dovemmo rassegnarci a restar lìimpotenti.
Mentre ritornavamo attraverso il paese che si apriva alla mattina delgiovedìquattro gendarmi a cavalloavvisati la
sera prima da Delouchepiombarono al galoppo in piazza sparpagliandosi poiper le stradeper bloccare ogni uscitacome
dragoni in ricognizione in un villaggio... Troppo tardiperò. Ganacheilladro di pollise l'era battuta con il compagno. I
gendarmi non trovarono nessunonè Ganache nè i complici che avevanocaricato sulla carretta i capponi che lui via via
strozzava. Frantzmesso sull'avviso dalle parole imprudenti di Gelsominodoveva aver capito subito di che cosa vivessero
lui e il compagnoquando la cassa del carrozzone era vuota; infuriato evergognosoaveva stabilito sui due piedi un
itinerario e deciso di sgombrare il campo prima dell'arrivo dei gendarmi. Mapoichè non aveva più ragione di temere che
tentassero di riportarlo alla casa paternaprima di scomparire aveva volutomostrarsi a noi senza benda.
Solo una cosa non fu mai chiara: come aveva fatto Ganache a saccheggiare icortili e nello stesso tempo andare in
cerca della suora per l'amico febbricitante? Ma non era proprio questa laverità di quel povero diavolo? Ladro e vagabondo
da un latocuor d'oro dall'altro.Alain-Fournier Il grande Meaulnes
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9 • ALLA RICERCA DEL SENTIERO PERDUTO
Mentre rientravamoil sole disperdeva la lieve bruma del mattino: lemassaiesulla porta di casascuotevano i
tappeti o chiacchieravano; e per i campi e i boschi fuori dal paesecominciava la più luminosa mattinata di primavera che io
ricordi.
Gli allievi più grandi dovevano venire tutti quel giovedì verso le otto perpreparare gli uni il diploma di Studi
Superiorigli altri il concorso di ammissione alla Scuola Normale. Ma quandonoi ci arrivammo (Meaulnes in preda a un
rammarico e a un'agitazione che non lo lasciava un momento fermoio assaidepresso) l'aula era vuota... Un raggio limpido
di sole scivolava sulla superficie tarlata di un banco e sulla vernicescrepolata di un mappamondo.
Impossibile resistere làdavanti a un libroa ruminare la nostradelusionementre tutto ci chiamava fuori: le
evoluzioni degli uccelli sui rami che sfioravano la finestrala fuga deglialtri verso prati e boschisoprattutto il desiderio
impaziente di tentare al più presto quell'itinerario incompleto che lozingaro aveva controllatoultima risorsa della nostra
borsa ormai vuotaultima chiave del mazzodopo che le altre erano statesaggiate invano... Questo andava al di là delle
nostre forze! Meaulnes passeggiava in lungo e in largosi avvicinava allafinestra gettando un'occhiata nel giardinopoi
tornava indietro e guardava verso il paesecome aspettando qualcuno che nonsarebbe certo venuto.
«Ho idea» disse alla fine«ho idea che non sia poi così lontano comepensiamo...
«Frantz ha cancellato sulla mia piantina tutto un pezzo di strada che avevodisegnato.
«Forse vuol dire che la cavalla ha fattomentre dormivoun bel giroinutile...»
Stavo seduto sull'angolo di un gran tavoloun piede a terra l'altropenzolonila testa bassascoraggiato e incapace
di escogitare qualcosa.
«Però» dissi«al ritornocon la berlinail viaggio è durato tuttanotte.»
«Siamo partiti a mezzanotte» rispose Meaulnes con vivacità«e mi hannolasciato alle quattro del mattinocirca
sei chilometri a ovest di Sant'Agatamentre io all'andata avevo infilato lastrada della stazionea est. Dunque bisogna
togliere quei sei chilometri fra Sant'Agata e il paese perduto. In realtà mipare che uscendo dal bosco comunale non si sia a
più di due leghe dal posto che cerchiamo.»
«Proprio le due leghe che mancano sulla tua carta.»
«È vero. Ed è anche vero che la fine del bosco è a una lega e mezzo daquima un buon camminatore può farcela in
una mattinata...»
Proprio allora arrivò Moucheboeufche aveva l'abitudine indisponente diposare a ottimo scolaro non già
sgobbando più degli altri ma mettendosi in mostra in circostanze comequesta.
«Lo sapevo» esclamò trionfante«che avrei trovato solo voi due. Tuttigli altri se ne sono andati nel bosco
comunaleGelsomino Delouche in testache sa dove trovare i nidi.»
E per farsi bello cominciò a riferire come avevano preso in giro la scuolail signor Seurel e noi mentre decidevano
la scappata.
«Se sono nel boscoli vedrò certamente passando» disse Meaulnes. «Civado anch'io. Tornerò verso mezzogiorno
e mezzo.»
Moucheboeuf restò di sasso.
«Tu non vieni?» mi chiese Agostinofermandosi un istante sulla portasemiapertadalla quale entrò nella stanza
grigiacon un buffo di aria intiepidita dal soleun guazzabuglio di trillirichiamipigoliiil tonfo di un secchio sulla vera di
un pozzolo schiocco remoto di una frusta.
«No» risposi sebbene la tentazione fosse forte«non posso per via delsignor Seurel. Ma fa' presto. Ti aspetterò
con impazienza.»
Fece un cenno vago e corse via rapidopieno di speranze.
Alle dieci arrivò il signor Seurelche aveva lasciato l'abito di alpaganero per un giaccone da pescatore con grandi
tasche abbottonateun cappello di paglia e bassi gambali di vernice chefermavano i pantaloni alla caviglia. Credo che non
si stupisse affatto di non trovar nessuno. Non dette retta a Moucheboeuf chegli ripeteva che i ragazzi avevano gridato: «Se
ha bisogno di noici venga a cercare!» e ordinò senz'altro: «Prendete lavostra robai berretti e andiamo a snidarli... Ce la
farai a camminare fin làFrancesco?»
Dissi di sì e partimmo.
Si stabilì che Moucheboeuf avrebbe fatto da guida e da richiamo al signorSeurel... Vale a dire che conoscendo le
macchie dove erano i cacciatori di nidiavrebbe dovuto di tanto in tantogridare a gran voce:
«Ehi! Olà! Giraudat! Delouche! Dove siete?... Ce ne so no ?... Ne avetetrovati ?...»
Io invece con mia grande soddisfazionefui incaricato di seguire il margineorientale del bosconel caso che i
fuggiaschi tentassero di battersela da questo lato.
Orasecondo la piantina corretta dallo zingaro e che avevamo studiatoinfinite volterisultava che un sentiero di
terra battuta partiva da questo margine del bosco in direzione del Dominio.Se l'avessi scoperto quella mattina!... Quasi miAlain-Fournier Il grandeMeaulnes
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andavo convincendo cheprima di mezzodìsarei stato sulla strada per ilcastello perduto...
Che passeggiata incantevole!... Passato il Ciglionecosteggiato il Mulinolasciai i miei due compagniil signor
Seurel che pareva bardato per la guerra - credo si fosse messo in tasca unavecchia pistola - e quel traditore di Moucheboeuf.
Prendendo una scorciatoia arrivai presto al margine del bosco - solo nellacampagna per la prima volta nella mia vitacome
una pattuglia che il suo caporale ha perso di vista.
Eccomi dunquepensovicino a quella felicità misteriosa che Meaulnes haintravisto un giorno. Ho tutta la mattina
per esplorare il margine del boscoil luogo più fresco e misterioso ditutta la regionee intanto anche il mio gran fratello è
andato alla scoperta. Cammino come nel letto di un ruscello prosciugatopasso sotto i rami bassi di alberi che non conosco
ma che debbono essere ontani. Poco fa ho saltato una chiusa alla fine delsentiero e sono finito in questo fiume d'erba verde
che scorre sotto le fogliedove sfioro di tanto in tanto le orticheschiaccio l'alta valeriana.
A volte il mio piede incontra un banco di sabbia fine. E nel silenzio sentoun uccello - io immagino che sia un
usignoloma certo sbagliocantano solo a sera - un uccello che ripeteostinatamente la stessa frase musicale: voce del
mattinoparola nell'ombradelizioso invito al viaggio fra gli ontani.Invisibiletestardosembra mi accompagni sotto la
volta di foglie.
Eccomi per la prima volta anch'io sulla strada dell'avventura. Non cerco piùconchiglie abbandonate dalle acque
sotto la guida del signor Seurelnè orchidi sconosciuti al maestroeneppurecome capitava spesso nel campo di papà
Martinoquella fonte ormai asciuttaprofondadifesa da un'ingraticciata esepolta sotto un tale groviglio di erbacce che ogni
volta ci voleva più tempo a trovarla... Cerco qualche cosa ancor piùmisteriosa: l'ingresso di cui si parla nei libriil vecchio
passaggio ostruito che il principerotto dalla faticanon ha saputotrovare. Quello che si scopre nell'ora più persa della
mattinataquando ormai da un pezzo ci si è dimenticati che stanno persuonare le undicimezzogiorno... E di colponel
folto del fogliamescostando i ramiquando le mani incerte apronoall'altezza del viso un pertugio sbilencoeccolo apparire
come una lunga galleria ombrosa che finiscelontanissimocon un disco diluce.
Ma mentre spero e fantastico cosìsbocco improvvisamente in una specie diradurache non è poi altro che un
prato. Senza accorgermenesono arrivato al confine delle terre comunalicheavevo sempre creduto molto distante. Ecco
alla mia destratra mucchi di legnanell'ombra ronzantela casetta delguardiano. Due paia di calze sono ad asciugare sul
davanzale della finestra. In passatoquando arrivavamo all'entrata delboscodicevamo sempreindicando un puntino
luminoso in fondo in fondo all'interminabile passaggio oscuro: «Laggiù èla casa del guardiano; la casa di Baladier.» Ma
non ci eravamo mai spinti fin là. A volte sentivamo direcome si trattassedi una spedizione vera e propria: «È arrivato fino
alla casa del guardiano!...»
Stavolta sono giunto fino alla casa di Baladiere non ho trovato nulla.
La gamba malata e il caldoche finallora non avevo sentitocominciavano adarmi noia; temevo già di dover fare
tutto solo la strada del ritornoquando udii poco lontano il richiamo delsignor Seurella voce di Moucheboeuf e poi altre
voci che mi chiamavano...
Era un gruppo di sei «grandi» in mezzo ai quali l'unica faccia trionfanteera quella di Moucheboeufil traditore:
GiraudatAubergerDelage e altri... Grazie al «richiamo» rappresentato daMoucheboeufalcuni erano stati sorpresi su una
pianta di visciole in mezzo a una radura; altri mentre snidavano dei picchiverdi. Quel balordaccio di Giraudatdagli occhi
gonfi e dalla giubba luridas'era nascosto i piccoli in pettofra pelle ecamicia. Altri due erano riusciti a battersela
all'avvicinarsi del signor Seurel: probabilmente Delouche e il piccoloCoffin. Da principio quelli avevano risposto
canzonando «Mouchevache» fino a rintronarne il boscoe allora luiindispettitocredendosi sicuro del fatto suoaveva detto
imprudentemente:
«Ormaisapetenon vi resta che venir giù! C'è qui il signor Seurel...»
Di colpo si era fatto un gran silenzio; poi i due avevano preso la fuga per iboschi senza far rumore. E dato che
conoscevano a menadito i luoghinon c'era neanche da pensare diriacciuffarli. Neppure del gran Meaulnes si sapeva nulla;
nessuno aveva udito la sua voce: sicchè si dovette abbandonare ogni ricerca.
A mezzogiorno passato riprendemmo la strada per Sant'Agataadagioa testabassasfiancati e coperti di terriccio.
All'uscita dal bosco sulla strada asciuttadopo aver scosso il fango dallescarpeci accorgemmo che il sole comincia va a
picchiare. Finitoil mattino primaverilecosì limpido e fresco; già sisentivano i rumori del pomeriggio. A trattiun gallo
cantavacanto desolato! Nelle fattorie deserte lungo la strada. Dopo ladiscesa del Ciglione ci fermammo un momento a
parlare con dei contadini che avevano ripreso il lavoro dopo il pasto.Stavano appoggiati a una staccionata e il signor Seurel
spiegava loro:
«Ahdei veri monelli! Per esempioguardate Giraudat: s'è ficcato gliuccellini nella camicia e quelli gli hanno fatto
dentro tutti i loro comodi. Bella pulizia!...»
Ma a me pareva che i contadini ridessero anche della mia disfatta. Ridevanoscuotendo la testama senza dare poi
tutti i torti a quei ragazzi che conoscevano bene. Quando il signor Seurelriprese la guida della colonnaci confidarono:
«È passato anche un altrouno dei grandisapete... Tornandodeve averincontrato il carro dei Granai e si deve
esser fatto prendere su. È smontato proprio quidove comincia il viottoloper i Granaitutto sporco e stracciato. Gli abbiamoAlain-Fournier Il grandeMeaulnes
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detto di avervi visto passare stamane ma che non eravate ancora tornati: ecosì ha continuato adagio la strada verso
Sant'Agata.»
Difattiil gran Meaulnes ci aspettava seduto sulla spalletta del ponte delCiglionedistrutto dalla fatica. Alle
domande del signor Seurel rispose che anche lui si era messo in caccia degliscolari fuggiaschi. Alla domanda che gli feci
sottovocereplicò soltantocon un cenno desolato del capo:
«Macchè! Nienteniente del genere!»
Dopo pranzosi sedette a uno dei tavolininell'aula chiusaspazio cavo ebuio dentro il paese solaree dormì a
lungo con la testa appoggiata sul braccioun sonno tetro e pesante. A seradopo aver riflettuto per un po'come per
prendere una decisione importantesi mise a scrivere alla madre. È tuttoquanto mi ricordo di quella fine malinconica di una
giornata di sconfitta.
10 • IL BUCATO
Troppo presto avevamo salutato la venuta della primavera. Lunedì pomeriggioci venne voglia di fare i compiti
subito dopo le quattrocome d'estatee per vederci meglio portammo duetavoloni nel cortile. Ma il tempo si oscurò quasi
subito; cadde un gocciolone sul quaderno; così rientrammo in fretta. Nellagrande sala buiaguardavamo senza parlare
attraverso le ampie finestre la fuga disordinata delle nuvole.
Allora Meaulnesanche lui con gli occhi al cielola mano sulla manigliadella finestrasi lasciò andare a direquasi
irritato per il rimpianto che lo rodeva:
"Ahcorrevano in ben altro modo le nuvole quando io ero in strada conla carretta della Buona Stella."
"Che strada?" chiese Gelsomino.
Meaulnes non rispose.
"A me" dissi per deviare il discorso"sarebbe piaciutomoltissimo viaggiare in carretta con un tempo similesotto
la pioggiaal riparo di un bell'ombrellone."
"E magari leggere per tutta la stradacome se fossi in una stanza"aggiunse un altro.
"Non pioveva e io non avevo voglia di leggere" rispose Meaulnes"non pensavo che a guardare i posti."
Ma quando Giraudata sua voltachiese che posti fosseroMeaulnes siazzittì un'altra volta. E Gelsomino:
"Soso... Sempre la famosa avventura!..."
Aveva parlato con un tono conciliante e autorevolecome se anche lui fosse aparte del segreto. Fatica sprecata; i
suoi assaggi finirono nel vuoto; si faceva notte e tutti se ne andarono dicorsa sotto l'acquazzonela blusa tirata sul capo.
Fino al giovedì seguente continuò a piovere. E fu un giovedì ancora piùtriste di quello che lo aveva preceduto.
Tutta la campagna bagnava in una specie di bruma gelida come nel peggiodell'inverno.
Millietratta in inganno dal sole della settimana primaaveva fatto ilbucato ma non c'era neanche da pensare di
metterlo ad asciugare sulle siepi del giardino o sulle corde del granaiotanto l'aria era fredda e umida.
Discutendone con il signor Seurel le venne l'idea di stendere il bucato inaula (era giovedì) e di fare andare al
massimo la stufa. Per risparmiare il fuoco in cucina e nella salail pranzosarebbe stato preparato sulla stufa e noi avremmo
passato tutta la giornata nella grande aula.
Dapprima - ero tanto giovane ancora - questa novità mi parve una festa.
Triste festa!... Il bucato si prendeva tutto il calore della stufa e in aulafaceva un gran freddo. In cortilecadeva
senza interruzione una fiacca pioggerella invernale. Eppure proprio lìfindalle nove del mattinoritrovai il gran Meaulnes
divorato dalla noia. Il capo appoggiato alle sbarre del grande cancellosenza una parolaguardavamo in cima al paeseal
arocicchioil corteo di un funerale che veniva dalla campagna. La bara fuscaricata dalla carretta tirata dai buoi e posata su
una pietra sotto la grande croce dove qualche tempo prima il macellaio avevasorpreso le sentinelle dello zingaro. Dov'era
adesso il giovane capitano che conduceva così bene l'attacco?... Il prete ei cantori si disposero come d'uso davanti alla bara
e il triste salmodiare arrivava fino a noi. Quello sarebbe statolosapevamol'unico spettacolo di una giornata destinata a
scolare via come un rivolo d'acqua giallastra in un canale.
"E adesso" disse a un tratto Meaulnes"vado a preparare ilbagaglio. Tanto vale che te lo dicaSeurel: giovedì
passato ho scritto a mia madre chiedendole di finire gli studi a Parigi. Oggiparto."
Continuava a guardare dalla parte del paesele mani appoggiate alle sbarreall'altezza della testa. Inutile chiedergli
se sua madreche era ricca e accontentava tutti i suoi capriccil'avessesoddisfatto anche stavolta. Inutile anche chiedergli
perchè volesse tutto a un tratto andare a Parigi.
Ma certo lui provava un inquieto rimpianto nel lasciare il caro paese diSant'Agata donde era partito per la sua
avventura Quanto a mem'invadeva adesso una desolazione profonda.
"Pasqua è vicina!" mi disse sospirandoa mo' di spiegazione.
"Quando l'avrai trovata laggiùmi scriverainon è vero?" glichiesi.Alain-Fournier Il grande Meaulnes
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"Ma certoprometto. Non sei il mio amicoil mio fratello?..."
E mi mise una mano sulla spalla.
Pian piano mi rendevo conto che era ormai finitadal momento che volevaterminare gli studi a Parigi; mai più
avrei avuto a fianco il grande amico.
Unica speranza di ritrovarciquella casa di Parigi dove durava una tracciadell'avventura svanita... Ma guardando
Meaulnes e vedendolo così tristeche povera speranza diventava quellaperme!
I miei furono avvertiti: il signor Seurel fece le meraviglie ma poi sirassegnò presto alle ragioni di Agostino; Millie
da padrona di casaera desolata soprattutto all'idea che la madre diMeaulnes avrebbe trovato la casa in un disordine
insolito... I bagagli furono presto fattiahimè. Ripescammo nel sottoscalale sue scarpe della festa; nell'armadioun po' di
biancheria; poi quaderni e libri di scuola - tutto quello che un giovane didiciotto anni possiede al mondo.
A mezzogiorno arrivò in carrozza la signora Meaulnes. Pranzò al caffèDaniel insieme con Agostino e lo portò via
quasi senza dare spiegazioninon appena il cavallo fu rigovernato eattaccato. Dalla portali salutammo; e la carrozza
scomparve alla volta del crocicchio.
Millie si pulì i piedi davanti alla porta e rientrò nella sala da pranzofredda per rimettere in ordine. Ed io... Per la
prima volta da molti mesi mi trovavo solo davanti a un lungo pomeriggio digiovedì - sentendo che con quella vecchia
carrozza la mia adolescenza se n'era andata per sempre.
11 • TRADISCO
Che fare?
La bruma s'alzava un pocoe pareva che il sole dovesse mostrarsi da unmomento all'altro.
Sbatteva una porta nella casa. Poi tornava il silenzio. Di tanto in tanto miopadre attraversava il cortile per riempire
un secchio di carbone e rimpinzarne la stufa. Guardavo i lenzuoli bianchimessi ad asciugare sulle corde e non mi sentivo
proprio di rientrare in quel locale tetrotrasformato in essiccatoiodovemi sarei trovato alle prese con l'esame di fine
d'annoquel concorso di ammissione alla Scuola Normale che ormai dovevaessere la mia sola preoccupazione.
Era stranoma alla noia che mi affliggeva si mescolava non so che sensazionedi libertà. Scomparso Meaulnes
ormai chiusa e fallita l'avventurami pareva almeno di essermi liberato daquella bizzarra inquietudineda quell'impegno
misterioso che mi impedivano di agire come tutti. Scomparso Meaulnesnon eropiù il suo compagno d'avventureil fratello
di quel cercatore di piste; ritornavo ad essere un ragazzo di paesesimileagli altri. Era facilebastava che seguissi la mia
inclinazione naturale.
Il più giovane dei Roy passò nella strada piena di fango facendo roteareuna cordicella con all'estremità tre
castagne e scagliandole in ariafinchè ricaddero nel cortile. Non sapevoproprio come impiegare il tempo e così mi divertii a
rilanciargli due o tre volte le sue castagne di là dal muro.
Ma di colpo Roy abbandonò il gioco infantile per correre verso una carrettache risaliva il sentiero del vecchio
ponticello. Svelto svelto si arrampicò dietrosenza bisogno che il veicolosi fermasse. Riconobbi la carrettella di Delouche e
il suo cavallo. Guidava Gelsomino; il grosso Boujardon stava in piedi:tornavano tutti e due dai prati.
«Vieni con noiFrancesco!» gridò Gelsominoche certo ormai sapeva dellapartenza di Meaulnes.
Su! Senza dir niente in casamontai sulla carretta traballante restandomenein piedi come gli altriappoggiato a una
sponda. Ce ne andammo dalla vedova Delouche...
Eccoci nel retrobottega della vedovache fa tanto da droghiera quanto daalbergatrice. Un raggio di sole pallido da
una finestra bassa picchia sulle scatole di latta e sui barili di aceto.Grande e grossoBoujardon sta seduto sul davanzale
rivolto a noi e con la risata larga di un ghiottone trangugia biscotti. Aportata di mano su un barilec'è la scatola aperta e
incominciata. I1 piccolo Roy squittisce di piacere. Una specie di intimitàdi cattiva lega si è stabilita fra noi. Ormailo vedo
Gelsomino e Boujardon saranno i miei compagni. La mia vita è cambiata dicolpo. Mi sembra che Meaulnes se ne sia
andato da non so quanto e che la sua avventura sia una vecchia storiamalinconicama finita per sempre.
Il piccolo Roy ha scovato sotto uno scaffale una bottiglia di liquore giàcominciata. Delouche ce ne offre un
bicchierino ma poichè di bicchieri ce n'è uno solobeviamo tutti nellostesso. Mi servono per primocon una certa
condiscendenza come se non fossi abituato a questi usi da cacciatori econtadini... Mi sento un poco imbarazzato. Così
quando il discorso cade su Meaulnesper dissipare questo disagio e ritrovarela disinvolturami viene voglia di far sapere
che conosco la sua storiadi raccontarne un po'. Che male gliene puòvenirese ormai qui le sue avventure sono finite?...
Ma forsequesta storianon so raccontarla? Certo è che non fa l'effettoche mi aspettavo.
I miei compagnida buoni paesani che non si lasciano meravigliare da nullanon mostrano sorpresa per tanto poco.
«Era un matrimonioecco tutto» dice Boujardon.Alain-Fournier Il grandeMeaulnes
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Delouche poia Préverangene ha visto uno ancora più bizzarro.
Il castello? Certo ci sono degli abitanti del paese che ne hanno sentitoparlare.
La ragazza? Meaulnes se la sposerà dopo il servizio militare.
«Avrebbe dovuto parlarcene» aggiunge qualcuno«e mostrarci la suapiantinainvece di confidare tutto a uno
zingaro!...»
Sono intrigato per il mio insuccesso e allora voglio approfittaredell'occasione per pungere la loro curiosità: mi
decido a spiegare chi era lo zingarodonde venivail suo destinoinsolito... Boujardon e Delouche non mi danno retta: «La
colpa è tutta sua. È lui che ha fatto diventare Meaulnes così scontroso;Meaulnes che era un tale compagnone! Lui che ha
organizzato tutte quelle stupidaggini di attacchi notturni e di abbordaggidopo averci tutti irreggimentati come in un reparto
di scolari...»
«Sai» fa Gelsomino fissando Boujardon e dondolando adagio la testa«hoproprio fatto bene a denunciarlo ai
gendarmi. Ecco un tipo che ha fatto danno al paese e ne avrebbe fattoancora!...»
Anch'io sono quasi d'accordo con loro: tutto avrebbe preso certo un'altrapiega se avessimo affrontato la questione
in modo meno misterioso e tragico. L'influenza di quel Frantz ha guastatotutto...
Ma proprio mentre sono assorto in queste riflessionisi sente in bottega unimprovviso rumore. Gelsomino
Delouche nasconde in fretta la bottiglia di liquore dietro una botte; ilgrosso Boujardon salta giù a precipizio dalla finestra
mette un piede su una bottiglia vuota e polverosa che rotola viae lui perdue volte rischia di andar lungo disteso. Il piccolo
Roysoffocando dalle risali spinge di spalle per uscire più in fretta.
Me la do a gambe con lorosenza capire bene cosa sta succedendo;attraversiamo il cortile e ci arrampichiamo sul
la scala di un fienile. Sento una voce femminile che ci tratta da marioli!...
«E chi pensava che sarebbe ritornata così presto» dice Gelsomino a bassavoce.
Solo ora capisco che ci eravamo intrufolati là di contrabbandoa rubaredolci e liquori. Sono deluso come quel
naufrago che credeva di parlare con un uomo e tutto a un tratto scopre che sitratta di una scimmia. Adesso non desidero che
lasciare il fieniletanto è il disgusto per queste avventure. Del restoviene notte... Mi fanno passare dalla parte posteriore
attraversare due giardinicosteggiare uno stagno; mi ritrovo nella stradaammollatafangosa sotto i riflessi del caffè Daniel.
Non sono certo fiero del mio pomeriggio. Eccomi al crocicchio. Mio malgradodi colporiappare alla svolta un viso
fraterno e amaro che mi sorride; un ultimo cenno della mano - e la vetturascompare...
Un vento ghiaccio mi fa schioccare addosso la blusalo stesso vento diquesto inverno così drammatico e bello.
Già tutto mi sembra meno facile. Nella grande aula dove mi aspettano a cenabrusche correnti d'aria solcano il debole
calore mandato dalla stufa. Batto i denti mentre mi vanno rimproverando ilmio pomeriggio di vagabondaggi. Adesso che
rientro nella vita regolarecome per il passatonon ho neppure il confortodi sedermi a tavola e di ritrovare il mio posto
solito. Stasera la tavola non è stata preparata; ognuno mangia con i piattisulle ginocchiadove puònell'aula semibuia.
Ingozzo senza dir nulla la focaccia messa a cuocere sulla stufache dovevaessere il risarcimento per questo giovedì passato
nella scuola e che si è bruciacchiata sul coperchio arroventato.
A serasolo nella mia camerami corico subito per soffocare i rimorsi chevengono su dalla mia tristezza profonda.
Ma per due volte mi svegliodurante la notte: mi pare prima di sentire loscricchiolio del letto vicinodove Meaulnes di
solito si rigirava all'improvvisocon un colpo solo; poiil suo passoleggero di cacciatore alla postalaggiùattraverso i
solai...
12 • LE TRE LETTERE DI MEAULNES
In vita mia ho ricevuto da Meaulnes solo tre lettere; le ho ancorain uncassetto del comò. Ogni volta che le
rileggoritrovo la stessa tristezza di allora.
La prima mi arrivò due giorni dopo la sua partenza.
Caro Francesco
oggiappena arrivato a Parigisono corso davanti alla casa che tu sai.
Non ho visto niente. Non c'era nessunonon ci sarà mai nessuno.
La casa di cui parlava Frantz è una piccola costruzione a un piano. Lacamera della signorina de Galais dev'essere
di sopra. Le finestre superiori sono nascoste dagli alberi ma stando sulmarciapiede si vedono benissimo. Tutte le tende sono
tirate e bisognerebbe esser pazzi per sperare che un bel giornofra quelletende scostatepossa apparire il viso di Yvonne de
Galais.
La casa è su un boulevard... Veniva giù una pioggerellina sugli alberi giàverdi. Si sentiva la campanella cristallina
dei tram che passavano senza sosta.
Per quasi due ore ho camminato avanti e indietro sotto la finestra. C'è unospaccio di vini e ci sono entrato a bereAlain-Fournier Il grande Meaulnes
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perchè non mi prendessero per un malandrino che prepara un colpo. Poi horicominciato quella posta disperata.
Si è fatto notte. Le finestre si sono accese un po' dappertuttomeno che inquella casa. Indubbiamentenon c'è
nessuno. Eppure Pasqua s'avvicina.
Proprio mentre stavo per andarmeneuna ragazza o una giovane donna - non so- è venuta a sedersi su una delle
panchine bagnate di pioggia. Era vestita di nerocon un collettino biancobianco. Quando sono venuto vialei era ancora là
immobilemalgrado il freddo della sera; aspettava non so chenon so chi.Vedi che Parigi è piena di pazzi come me.
Agostino.
Passò il tempo. Aspettai inutilmente una parola di Agostino il lunedì diPasqua e nei giorni seguenti - quei giorni
così quieti dopo la gran febbre pasqualeche pare non resti altro cheaspettare l'estate. Giugno portò tempo di esami e un
caldo tremendo che gravava con un vapore soffocante su tutto il paesesenzaun soffio di vento a dissi parlo. La notte non
dava fresconessun sollievo al supplizio. Proprio durante questoinsopportabile giugno mi arrivò la seconda lettera di
Meaulnes.
Giugno 189...
Carissimo
stavolta ogni speranza è perduta. Lo so da ieri sera e il doloreche sulprincipio non avevo quasi avvertitoadesso
cresce smisuratamente.
Tutte le sere andavo a sedermi su quella panchinaa spiarea fantasticarea speraremalgrado tutto.
Ieridopo cenala sera era buia e soffocante. Della gente chiacchierava sulmarciapiedesotto gli alberi. Sopra il
fogliame scuroche le lampade alonavano di verdegli appartamenti deisecondi e dei terzi piani erano illuminati. Qua e là
una finestra spalancata sull'estate... Si vedeva sulla tavola la lampadaaccesache ricacciava appena tutt'intorno il buio caldo
di giugno; l'occhio arrivava fin quasi in fondo alla stanza... Ahse anchela finestra buia di Yvonne de Galais si fosse accesa
credo che avrei trovato il coraggio di salirebussareentrare...
La ragazza di cui t'ho parlato era ancora làin attesa come me. Ho pensatoche forse conosceva la casa e glielo ho
chiesto.
«So che una volta una ragazza e suo fratello venivano a passare qui levacanze» ha risposto. «Ma mi hanno detto
che il fratello è fuggito dalla casa dei suoi e non è stato più ritrovatoe che la ragazza s'è sposata. Questo spiega perchè
l'appartamento è chiuso.»
Me ne sono andato. Dopo dieci passi ho inciampato nel marciapiede e per poconon sono caduto. La notte - la notte
scorsa - quando finalmente donne e bambini hanno fatto silenzio nel cortileper lasciarmi dormireho incominciato a sentire
le carrozze che passavano per strada. Ne passava una di tanto in tanto: maquando s'era dileguatamio malgrado cominciavo
a tendere l'orecchio per la seguente: i sonagliil picchio degli zoccolisull'asfalto... E tutto mi ripeteva: la città è vuotail tuo
amore perdutola notte senza finel'estatela febbre... Seurelamico miosono davvero disperato.
Agostino
Lettere che confidavano pocomalgrado le apparenze! Meaulnes non mi dicevanè perchè era rimasto zitto tanto
tempo nè che cosa pensava di fare adesso. Mi parve che volesse rompere conmeora che la sua avventura era finita? come
rompeva con il suo passato. Invano gli scrissinon ebbi più risposta. Solodue righe di congratulazioni quando ottenni il
diploma inferiore. In settembre seppi da un compagno di scuola che Meaulnesera venuto in vacanza presso la madre a La
Ferté-d'Angillon. Ma noi quell'anno dovemmo passare l'estate dallo zioFlorentin del Vieux-Nançayche ci aveva invitato; e
Meaulnes ripartì per Parigi senza che potessi vederlo.
Riaperte le scuoleproprio verso la fine di novembrementre preparavo conuna sorta di tetro accanimento il
diploma superiore contando così di diventare maestro l'anno doposenzadover passare per la Scuola Normale di Bourges
ricevetti l'ultima delle tre lettere inviatemi da Meaulnes.
Passo ancora sotto quella finestra- scriveva. - Aspetto ancorama senzanessuna speranzaper pura follia. Quando
viene la nottein queste fredde domeniche d'autunnonon so decidermi arientrarea serrare le imposte della mia stanza
senza tornare ancora una volta laggiùnella strada gelata.
Sono come quella pazza di Sant'Agata che ogni minuto correva sulla porta eriparandosi gli occhi con la mano
guardava verso la stazioneper vedere se tornava suo figlioormai morto.
Seduto sulla panchinadesolatoi denti che battonocedo alla fantasia chequalcuno stia per prendermi tenera
mente per un braccio... Mi girerei; e lei sarebbe lì. «Ho fatto un pocotardi» direbbe semplicementee ogni angoscia e follia
svanirebbe. Ecco che entriamo in casa. La sua pelliccia è fitta dighiacciolila sua veletta imperlata; porta con sè l'odore
della nebbia di fuori; e quando si avvicina al fuocovedo i capelli biondibrinatiil bel profilo dalla linea così dolce inclinato
verso la fiamma...
Ahimè! La finestra resta accecata dalla tendina bianca. E se anche laragazza del Dominio perduto ora la
spalancassenon avrei più nulla da dirle.Alain-Fournier Il grandeMeaulnes
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La nostra avventura è terminata. L'inverno di quest'anno è morto come latomba. Forse quando moriremoforse sol
tanto la morte potrà darci la chiave e il seguito e la fine di questaavventura mancata.
Seurelqualche tempo fa ti chiedevo di pensare a me. Adessoinveceèmeglio dimenticarmi; meglio dimenticare
tutto.
A. M.
Venne un nuovo invernocosì morto come l'altro era stato vivodi una vitamisteriosa: la piazza della chiesa senza
zingari; il cortile della scuola disertato alle quattro... l'aula dovestudiavo tutto solo e svogliato... In febbraioper la prima
volta in quell'invernocadde la neveseppellendo per sempre il nostroromanzo dell'anno passatocon fondendo le piste
cancellando l'ultima traccia. Ecome mi aveva chiesto Meaulnes nella sualetteraio cercai di dimenticare.
PARTE TERZA
1 • IL BAGNO
Fumare sigarettebagnarsi i capelli con acqua zuccherata per arricciarlibaciare per i sentieri le ragazze del Corso
di complemento e gridare da dietro la siepe «cappellona!» alla suora chepassaquesti gli svaghi dei ragazzacci del paese.
Del resto a vent'anni i ragazzacci di questo tipo possono benissimocorreggersi e trasformarsi a volte in giovani posati. Più
grave il caso quando il ragazzaccio ha un aspetto già un po' vecchio esfattoquando mette il naso nei maneggi equivoci
delle donne del paesequando racconta mille stupidaggini a proposito diGilberta Poquelin tanto per far ridere i compagni. E
tuttaviail caso non è ancora disperato...
Questo era il caso di Gelsomino Delouche. Lui continuava a seguirenon soperchèma certo senza nessuna
intenzione di far l'esameil Corso Superiorequando tutti si auguravano chel'abbandonasse. E intanto imparava il mestiere
con lo zio Dumasche faceva il gessaiolo. Ben presto Gelsomino DeloucheBoujardon e Dionigiun ragazzo mitefiglio
dell'assistentefurono gli unici «grandi» con i quali stessi volentieriproprio perchè erano «dei tempi di Meaulnes».
D'altro canto Delouche desiderava sinceramente essermi amico. La verità èchenemico un tempo del gran
Meaulnesavrebbe voluto esser lui il gran Meaulnes della nostra scuola;perlomeno rimpiangeva forse di non esser stato il
suo braccio destro. Meno opaco di Boujardoncredo che avvertisse tuttaquella parte di straordinario che Meaulnes aveva
introdotto nella nostra vita. Spesso lo sentivo ripetere: «Proprio cosìdiceva il gran Meaulnes...» oppure: «Ahil gran
Meaulnes diceva...»
Gelsominooltre ad essere più uomo di tutti noidisponeva di preziosimezzi di svago che consacravano la sua
superiorità: un cane di razza incertadal lungo pelo biancoche rispondevaall'antipatico nome di Bécali e riporta va i sassi
lanciati lontanosenza mostrare disposizioni più precise per qualche altrosport; una vecchia bicicletta d'occasionesulla
qualedopo le lezionici Lasciava montare qualche voltama di preferenzariservata all'addestramento delle ragazze del
paese; infinepiù prezioso di tuttoun asinello bianco e cieco che sipoteva attaccare a qualsiasi veicolo.
Era l'asinello di Dumasche però lo prestava a Gelsominol'estatequandoandavamo a fare il bagno nello Cher.
Per l'occasionela madre di Gelsomino ci forniva una bottiglia di limonatache ficcavamo sotto il sedileinsieme con le
mutandine da bagno tutte stecchite. Poi viaotto o dieci allievi piùanziani del corsoaccompagnati dal signor Seurelchi a
piedichi arrampicato sul carretto tirato dall'asinelloche lasciavamo allafattoria di Grand'Fonsquando il sentiero per il
fiume si faceva troppo tormentato.
Posso ricordare fin i più minuti particolari di una passeggiata di questotipocon l'asino di Gelsomino che portava
allo Cher mutandinefagottilimonata e il signor Seurele noi cheseguivamo a piedi. Era agostoavevamo fatto gli esami.
Sbarazzati di quell'incuboci pareva che l'estatela felicitàfosserotutte nostre e andavamo avanti cantandosmemoratinel
primo pomeriggio di un bel giovedì.
All'andatasolo un'ombra turbò quel quadretto ingenuo. Vedemmo GilbertaPoquelin che ci camminava avantila
vita sveltauna gonna già lungascarpe altel'aria tenera e sfacciata diuna ragazzina che si fa donna. Lasciò la strada e
imboccò un sentiero che svoltavacerto per andare a cercare latte. Ilpiccolo Goffin subito propose a Gelsmino di andarle
dietro.
«Non sarebbe la prima volta che la bacerei...» disse l'altro. E cominciò adirne d'ogni colore su lei e le sue amiche
mentre tutto il gruppettocome per una sfidainfilava il sentierolasciando andare avanti per la strada il signor Seurelcon
la carretta e l'asino. Una volta sul sentieroperòil drappello fecepresto a scompaginarsi. Delouche stesso non pareva
troppo disposto ad abbordare in nostra presenza la ragazza che filava viasveltae non le si avvicinava a meno di cinquanta
metri. Qualche chicchirichìqualche chioccoliotimidi fischi galantiepoi tornammo indietroun po' a disagioAlain-Fournier Il grande Meaulnes
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abbandonando l'impresa. Sulla stradain pieno soleci toccò correre.Nessuno cantava più.
Ci svestimmo per mettere il costume fra i salici secchi che bordavano loCher; ci riparavano dagli sguardi ma non
dal sole. Con i piedi nella sabbia e nel fango disseccatopensavamo soloalla bottiglia di limonata della vedova Delouche
messa a gelare nella fonte di Grand'Fonsscavata nella riva stessa delfiume. Sul fondo si vedevano sempre delle erbe
verdognole e due o tre bestioline simili a millepiedi: ma l'acqua era cosìlimpida che i pescatori s'inginocchiavano per bere
senza esitazionele mani poggiate sui bordi.
Quel giornoahimèandò come al solito... Rivestitici mettevamo incircoloseduti a terra a gambe incrociateper
dividerci la limonata ghiacciata in due rozzi bicchieri senza stelo: ma dopoaver invitato il signor Seurel a servirsinon
restava per noi che un po' di schiuma che pizzicava la gola e serviva solo astuzzicare la sete. Alloraa turnoandavamo alla
fontana tanto disprezzatae chinavamo adagio la faccia sulla superficie diquell'acqua pura. Però non tutti erano abituati a
quei sistemi campagnoli. Molticome menon riuscivano a dissetarsi; chidetestava l'acqua; chi si sentiva un nodo in gola
per la paura di ingoiare un millepiedi; chiingannato dalla grandetrasparenza dell'acqua immobilesenza prendere bene le
distanzetuffava metà della faccia e aspirava per il naso un liquido chepizzicavabruciava; chifinalmenteper tutti questi
motivi insieme... Eppure! ci pareva chesu quelle sponde bruciate delloChertutta la frescura della terra si fosse raccolta lì.
E anche orami basta sentir dire «fontana»dovunqueed eccoè a quellache comincio a pensare.
Tornammo a scurodapprima spensierati come all'andata. Il viottolo diGrand'Fonsche risaliva verso la strada
d'inverno era un ruscellod'estate uno scoscendimento impraticabiletormentato da buche e radici enorminell'ombra di
grandi spalliere d'alberi. Un gruppo di bagnanti vi si incamminòcosì pergioco. Ma noiil signor SeurelGelsominoe
parecchi altriseguimmo il sentiero più agevoledal fondo di sabbiaparallelo al primoche costeggiava il campo vicino.
Sentivamo gli altri parlare e ridereora accanto ora più in bassoinvisibili nell'ombramentre Delouche raccontava le sue
storielle pepate... Sulle cime degli alberi della grande spallieracrepitavano gli insetti notturniun brulichio continuo intorno
alle frange del fogliamecontro il cielo chiaro. A volte uno di essipiombava giù di colpo e il suo ronzo diventava uno
stridio. - Bella sera d'estatecalma!... Ritorno da una povera gita incampagnavuoto di speranze ma anche di desideri... Fu
ancora Gelsomino a turbaresenza volerloquesta pace...
Quando arrivammo in cima al pendiodove restano due vecchi massirelittosi dicedi una roccafortecominciò a
parlare delle tenute che aveva visitato e specialmente di una quasi del tuttoabbandonata nei pressi del Vieux-Nançay: la
tenuta delle Sablonnières. Con quel suo accento alverniate che arrotondapomposamente certe parole e altre ne abbrevia con
affettazioneraccontava di aver vistoanni primanella cappella in rovinadi quella vecchia proprietàuna lapide con queste
parole incise:
Qui giace il cavaliere Galois
fedele a Dioal Re e alla sua Bella.
«Ahbenedavvero!» borbottava il signor Seurelalzando le spalleun po'seccato della piega della conversazione
ma non contrariodopo tuttoa lasciarci parlare come degli uomini.
Allora Gelsomino continuò a descrivere il castello come ci avesse passato lavita.
Spessodi ritorno dal Vieux-Nançaylui e Dumas erano rimasti colpiti dallaantica torretta grigia che spuntava al di
sopra degli abeti. Là in mezzo ai boschi c'era un labirinto di costruzionidiroccate cui si poteva dare un'occhiata in assenza
dei padroni. Un giornoun guardiano della proprietàche avevano fattosalire sul carroli aveva condotti in quel curioso
Dominio. Dopo di allora peròtutto era stato buttato giù; non restavaaltro che la fattoria e un casino di campagna. Lì
abitava sempre la stessa gente: un vecchio ufficiale a riposomezzorovinatoe sua figlia.
Parlava... Parlava... Io ascoltavo con attenzione epur senza averne pienacoscienzasentivo che era qualche cosa
che conoscevo bene; quando di colpocon semplicitàcome avviene per tuttociò ch'è straordinarioGelsomino si girò verso
di me e mi toccò il bracciocolpito da un'idea improvvisa:
«Ma guardaadesso che ci penso» disse«è proprio là che Meaulnes -saiil gran Meaulnes - deve essere
capitato.»
«Sicuro» continuòvisto che non rispondevo«mi ricordo che ilguardiano parlava di un figlioun tipo eccentrico
con idee stravaganti...»
Non gli davo più ascoltopersuaso fin dal principio che aveva indovinato eche oraperduto Meaulnesperduta
ogni speranzadavanti a me si aprivachiara e facile come una stradafamiliarela via per il Dominio senza nome.
2 • DA FLORENTIN
Quanto ero stato tristechiusosognatoretanto risoluto diventai ecomediciamo noi«spiccio» appena mi accorsi
che ormai dipendeva da me la conclusione di quella avventura tantoimportante.Alain-Fournier Il grande Meaulnes
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Credo che fu proprio da quella sera che il ginocchio smise una volta persempre di farmi male.
Al Vieux-Nançaycomune cui apparteneva la tenuta delle Sablonnièresabitava tutta la famiglia di mio padrein
particolare lo zio Florentinun commerciante in casa del quale passavamoqualche volta la fine di settembre. Poichè non
avevo esaminon vidi motivo di aspettare e ottenni di andare subito atrovare lo zio. Però decisi di non dir nulla a Meaulnes
finchè non fossi proprio sicuro di potergli dare una buona notizia: difattiperchè strapparlo alla sua disperazione se dovevo
poi ricacciarvelomagari ancora più a fondo?
A lungo il Vieux-Nançay era stato il mio luogo preferitoil paese dellafine delle vacanzedove arrivavamo molto
di radoquando si trovava una vettura di nolo per portarci. In passatoc'erano stati contrasti con il ramo della famiglia che
viveva laggiù e certo per questo Millie si faceva tanto pregare ogni voltache si trattava di prendere la vettura. Ma a me che
importavano quegli screzi!... E appena arrivato mi perdevo beatamentetravolto da un'ondata di ziicugini e cugineda
un'esistenza fatta di mille occupazioni gradevolidi piaceri che miaffascinavano.
Eravamo di solito ospiti dello zio Florentin e della zia Giuliache avevanoun ragazzo della mia etàil cugino
Firmino e otto figliele maggiori: Maria Luisa e Carlottasui diciassette equindici anni. Gestivano un grande magazzino
all'ingresso di quel paese della Solognedavanti alla chiesa - un vero bazarche riforniva tutti i cacciatori-gentiluomini di
quella regione perdutatagliati fuori dal mondo a trenta chilometri dallastazione più vicina.
Il bazarcon i banconi di drogheria e di tessutidava con parecchiefinestre sulla strada e con una porta a vetri sulla
piazza della chiesa. In tutta la bottegaperòcosa che potrà sorprenderesebbene fosse piuttosto normale in un paese tanto
poveroil pavimento era di terra battuta.
Il retrobottega era formato da sei stanzeciascuna stipata di unaparticolare merce: c'era la stanza dei cappelli
quella degli arnesi da giardinoquella delle lanterne... e così via. Quandoero bambinosperdendomi in quel labirinto di
oggetti da bazarmi pareva che non sarei mai arrivato a dar fondoconl'occhioa tutte le meraviglie. E ancora a quell'epoca
vere vacanze mi sembravano solo quelle passate lì.
La famiglia dello zio viveva in una cucina assai vastache dava sullabottega - cucina dove alla fine di settembre
divampavano grandi fuochi allegridove cacciatori e bracconierivenuti avendere selvaggina allo ziosi facevano portare
da bere al mattino prestomentre le ragazzegià in piedicorrevanostrillavanosi spruzzavano l'un l'altra un po' di profumo
sui capelli lisci. Al murovecchie fotografiegruppi scolastici ormaiingialliti mostravano mio padre fra i compagni della
Scuola Normale - e si stentava a riconoscerlo in uniforme...
Qui passavamo le mattine; o nel cortile dove Florentin coltivava dalie eallevava galline faraone; dove tostavamo il
caffèseduti su scatole di sapone; dove aprivamo le casse zeppe di oggettidiversitutti bene imballati (e a volte non
sapevamo neppure che nome avessero...).
Durante tutto il giornoil bazar era affollato da contadini o cocchieri deicastelli vicini. Davanti alla porta a vetri si
fermavanotutte fradicie per la nebbiolina di settembrele carrette venutedalla campagna. Dalla cucina drizzavamo le
orecchie per sentire quello che dicevano le contadinecuriosi dei loropettegolezzi...
Ma venuta la seradopo le ottoquando a lume di lanterna portavano la biadaai cavalli dalle groppe vaporanti nelle
scuderie- tutta la bottega era nostra!
Maria Luisala maggiore d'età delle cuginema la più piccolinaeraoccupata a ripiegare e a mettere in ordine le
pezze in bottegae ci chiamava a farle compagnia. Allora io e Firmino etutte le altre ragazze irrompevamo nello stanzone
sotto le lampade da locanda: facevamo prillare i macinini da caffèimprovvisavamo prove di forza sui banchi; a volte
Firmino correva a pescare in solaio un trombo ne decrepitolebbroso diverderameperchè il pavimento di terra battuta ci
faceva venir voglia di ballare...
Arrossisco ancora al pensiero chedurante gli anni precedentila signorinade Galais sarebbe potuta capitare lì a
sorprenderci in questi svaghi puerili... Invece fu poco prima di notteunasera di quell'agostoche la vidi per la prima volta
mentre stavo chiacchierando in santa pace con Maria Luisa e Firmino...
Fin dalla sera del mio arrivo a Vieux-Nançay avevo chiesto notizie dellatenuta delle Sablonnières allo zio
Florentin.
«Ormainon è più una tenuta» mi aveva detto. «Hanno venduto tutto equelli che hanno compratodei cacciatori
hanno fatto buttar giù i vecchi edifici per aver più spazio per la caccia;il cortile padronale è ridotto a una selva di eriche e
giunchi. I vecchi proprietari hanno tenuto solo una casetta a un piano e lafattoria. Certo avrai l'occasione di incontrare la
signorina de Galaisqui; viene lei stessa a fare comperea cavallo o incarrozzasempre con il medesimo cavalloperòil
vecchio Belisario... Ma! Cavallo e carrozza si valgonoperbizzarria!»
Ero tanto turbato che non sapevo neppure che altro domandare per saperne dipiù.
«Ma non erano ricchi?»
«Sìil signor de Galais dava feste per far piacere al figlioun ragazzostranocon idee stravaganti. Pur di distrarlo
s'arrampicava sugli specchi. Invitava ragazze e ragazzi da Parigi e da altriposti...
«Le Sablonnières andavano in rovinala signora de Galais stava per moriree ancora si davano da fare per
divertirloper soddisfare tutte le sue fantasie. Proprio l'inverno scorso -nodue inverni fadettero una grandiosa festa in
costume. Metà degli invitati venivano da Parigimetà erano contadini.Avevano comperato o preso a nolo non so quantiAlain-Fournier Il grandeMeaulnes
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costumi meravigliosigiochicavallibattelli: tutto per far divertireFrantz de Galais. Dicevano che stava per sposarsi e che
quella era la festa di nozze. Ma era troppo giovane. Tutto andò all'ariaall'improvviso; lui scomparve e non se ne seppe più
nulla... La signora è mortacosì la signorina de Galais si è trovatatutta sola con il padrevecchio ufficiaie di marina.»
«Non si è sposata?» gli domandai alla fine.
«Nonon ne ho sentito parlare» mi rispose. «Per casosaresti tu unpretendente?»
Sconcertatomi affrettai a confessarglinel modo più spiccio e discretoche forse Agostino Meaulnesil mio
migliore amicopoteva esserlo.
«Ah» disse Florentin con un sorriso. «Se non bada alla dotequesto è unottimo partito... Vuoi che ne parli al
signor de Galais? Qualche volta capita ancora qui a comprare pallini dacacciae io gli offro sempre la mia grappa
stagionata.»
Lo pregai subito di non farne nulladi aspettare. Io stesso non volliavvertire Meaulnes. Troppe coincidenze
fortunateper non provarne un po' d'inquietudine: un'inquietudine che misuggeriva di non dir nulla a Meaulnesalmeno non
prima di aver visto la ragazza.
Non dovetti aspettare molto. L'indomanipoco prima di cena: con la notteveniva giù una brezza pungente più
adatta al settembre che all'agosto. Io e Firminoimmaginando che la bottegafosse vuota di avventorieravamo capitati a far
visita a Maria Luisa e a Carlotta. Avevo confidato loro il segreto che miaveva portato al Vieux-Nançay così in anticipo.
Appoggiati con i gomiti al banco o seduti sul legno inceratole mani sottole cosceci davamo a vicenda notizie sulla
misteriosa ragazza - ahimèpoca cosa! - quando un rumore di ruote ci fecevoltare.
«Eccolaè lei» mi bisbigliarono. Un istante dopoun insieme piuttostostrano si fermava davanti alla porta a vetri:
una vecchia carrozza di campagnadai fianchi rigonfi e il tetto tuttomodanaturecome non se n'erano mai viste da quelle
parti; un cavallo bianco altrettanto vecchioche pareva sempre nell'atto dibrucare qualche ciuffo d'erba sulla stradatanto
camminava a testa bassa; e sul sedile - lo dico con tutta l'ingenuità delmio cuorema so bene ciò che dico - forse la ragazza
più bella che sia mai comparsa al mondo.
Non mi è mai capitato di trovare tanta grazia mischiata a tanta serietà.L'abito la faceva così sottile da apparire
addirittura fragile. Portava un gran mantello marrone che si tolse entrando.Mi parve la più pensosa delle ragazzela più
delicata delle donne. Folti capelli biondi pesavano sulla sua fronte e sulsuo visodelineatomodellato con finezza estrema.
Sulla carnagione purissimal'estate aveva messo due tocchi rosati... Nontrovavo che un difetto a tanta bellezza: nei
momenti di malinconiadi abbandono o anche solo di meditazionequel visointatto si marezzava leggermente di rosso
come capita a certi malati gravi dei quali nessuno sospetta lo stato. Alloral'ammirazione di chi la guardava cedeva a una
sorta di compassionetanto più amara quanto più inattesa.
Ecco almeno quello che credetti di scoprirementre scendeva adagio dallacarrozza e Maria Luisapresentandomi
con disinvolturami invitava a parlarle.
Le avevano offerto una seggiola tutta lustra e lei si sedetteil dorso albanconementre noi restavamo in piedi.
Pareva che conoscesse benissimo la bottega e che le piacesse. Subitoavvisataarrivò la zia Giulia e attaccando a parlare
piena di buonsensole mani allacciate sul ventrecon scrollatine della suatesta di contadina-commerciante coperta da una
cuffia biancaritardò il momento - che mi faceva un po' tremare - del miocolloquio con la ragazza...
Ma tutto fu molto semplice.
«Cosìsarà presto maestro?» mi chiese la signorina de Galais.
La zia stava accendendo sulle nostre teste la lampada di porcellana cherischiarava mitemente la bottega. Vedevo il
dolce viso infantile della ragazzagli occhi turchini così ingenui e tantopiù mi meravigliava la voce nitida e grave. Quando
finiva di parlare i suoi occhi guardavano altrovenon li spostava piùfinchè non veniva la risposta; e si mordicchiava appena
il labbro.
«Anch'io insegnereise il signor de Galais me lo permettesse!» disse.«Insegnerei ai più piccolicome fa sua
madre...»
E sorrisefacendomi capire così che i miei cugini le avevano parlato di me.
«Il fatto è» continuò«che gli abitanti del paese sono sempre gentiliaffettuosiservizievoli. Io gli voglio molto
benema così che merito c'è ad amarli?... Con le maestreinvecesonogrettidiffidentinevvero? Storie a non finire di
penne smarritedi quaderni troppo caridi allievi che non imparano...Ebbeneio contrasterei con loro e loro mi vorrebbero
bene lo stesso. Sarebbe molto più difficile...»
E senza sorridere riprese la sua aria pensosa e insieme puerilel'immobilesguardo turchino.
Ci sentivamo tutti un po' imbarazzati da quella naturalezza semplice neltoccare argomenti così delicaticiò che è
segretosottilee di cui solo nei libri si discorre così bene. Un momentodi silenzio; poi adagiouna conversazione si
avviò...
Ma la ragazza continuòcon una punta di rimpianto e di rancore controqualcosa di oscuro nella sua vita:
«E poiinsegnerei ai bambini ad essere savidi una saggezza che conoscobene. Non gli insegnerei a volersene
andare per il mondocome farà certo leisignor Seurelnon appena saràsupplente; gli insegnerei a trovare quella felicitàAlain-Fournier Il grandeMeaulnes
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che ci sta vicinosenza che ce ne accorgiamo...»
Maria Luisa e Firmino erano perplessi non meno di me. Restammo zitti. Leidovette avvertire il nostro imbarazzo
perchè si interruppesi morse il labbroabbassò la testa e quindisorrisecome se volesse prenderci in giro:
«Così» disse«c'è magari qualche giovanotto un po' pazzo che mi cercain capo al mondomentre io sono qui
nella bottega di Florentinsotto questa lampadacon il mio vecchio cavalloalla porta. Se quel giovane mi vedesse non
crederebbe ai suoi occhidi sicuro...»
Davanti a quel sorrisopresi coraggio e mi parve tempo di diresorridendo amia volta:
«E non può darsi che quel giovanotto un po' pazzo io lo conosca?»
Mi fissò con un soprassalto. Ma proprio allora il campanello della portasuonò; entrarono due donne con dei
panieri.
«Venite nella stanza da pranzostarete più tranquilli» disse la ziaspingendo la porta della cucina.
E siccome la signorina de Galais si schermiva e voleva andarsene subitoaggiunse:
«C'è il signor de Galais a far due chiacchiere con Florentin presso ilfuoco.»
Anche d'agostonella grande cucina c'era sempre una fascina di abete chebruciava scoppiettando. Era accesa
anche qui una lampada di porcellana e un vecchio dal viso mite ben raso eincavatostava seduto accanto a zio Florentin
davanti a due bicchierini di grappasenza quasi aprir boccacome un uomooppresso dall'età e dai ricordi.
Florentin ci accolse con entusiasmo.
«Francesco!» gridò con la voce robusta di un mercante girovagocome sefra lui e me ci fosse un fiume o parecchi
ettari di terreno«per giovedì prossimo ho organizzato una bella gitasulle rive dello Cher. Si potrà cacciarepescare
ballarefare il bagno!... Signorinalei verrà a cavallo; siamo d'accordocon il signor de Galais. Ho sistemato tutto.»
«E poiFrancesco» aggiunsecome se gli venisse in mente solo allora«potresti portare anche il tuo amico
Meaulnes... si chiama ben Meaulnesnon è vero?»
La signorina de Galais si era alzatamolto pallida tutta d'un colpo. Proprioallora mi ricordai che Meaulnesquel
giornopresso il lago dello strano Dominiole aveva detto il suo nome...
Quando mi tese la mano per salutarmiera nata fra noi una intesa segretapiù chiara d'ogni parolae che solo la
morte doveva rompereun'amicizia più patetica di un grande amore.
... L'indomanialle quattro del mattinoFirmino bussò alla porta dellacameretta dove dormivonel cortile delle
faraone. Era ancora buio e faticai a trovare i miei indumenti sulla tavolazeppa di candelieri di rame e di statuette di santi
tutte nuoveche i miei avevano pescato nella bottega per arredarmi lastanzala vigilia del mio arrivo. Sentivoin cortile
Firmino che gonfiava le gomme della biciclettala zia in cucina cheattizzava il fuoco. Il sole si mostrava appena quando
partii. Ma mi aspettava una giornata piena; avrei pranzato a Sant'Agataperavvertire della mia assenza prolungatapoi
continuando il viaggiosa rei arrivatoprima di seraalla Fertéd'Angillona casa del mio amico Agostino Meaulnes.
3 • UN'APPARIZIONE
Non avevo mai fatto lunghe corse in bicicletta: questa era la prima. Però daun bel pezzoa dispetto del mio
ginocchio malatoGelsomino mi aveva insegnato di nascosto ad andarci. Se labicicletta è un mezzo di divertimento per un
ragazzo normaleche cosa non doveva apparire a un poveraccio come mechesoltanto poco tempo primain un bagno di
sudoretrascinava faticosamente la gamba dopo tre o quattro chilometri!...Buttarsi giù per i pendii tuffandosi negli
avvallamenti del terrenoscoprire quasi di volo le prospettive remote dellastrada che si schiudonosbocciano come ti
avvicini; traversare d'un lampo un villaggio portandotelo via tutto inun'occhiata... Solo in sogno avevo finallora conosciuto
una corsa così incantevole e lieve. Anche le salite le attaccavo di slancioEra la strada che conduceva al paese di Meaulnes
inutile dirloche io bevevo cosìtutto d'un fiato...
«Poco dopo l'entrata del paese» mi diceva Meaulnesquando me lodescriveva«c'è una gran ruota a pale mosse
dal vento...» Non sapeva a che servisse o forse faceva finta di non saperlotanto per stuzzicare la mia curiosità.
Solo verso il tramonto di quella giornata di fine agosto vidi finalmentemossa dal vento in una sterminata prateria
la gran ruota che probabilmente serviva a pompare l'acqua per una fattoriavicina. Di là dai pioppi del prato apparivano già i
sobborghi. Man mano che percorrevo la gran curva della strada che costeggiavaun ruscelloil paese mi si schiudeva
davanti... Arrivato al ponteecco infine la strada principale del villaggio.
Vacche pascolavanoinvisibili fra i canneti della prateria; mi arrivava ilsuono dei campanaccimentresmontato di
biciclettale mani sul manubrioguardavo quel mondo dove portavo unanotizia tanto importante. Le casecui si accedeva
attraverso un ponticello di legnostavano tutte allineate lungo un canaleche costeggiava la stradabarche amarrate nella
sera tranquillacon le vele ammainate. Era l'ora in cui s'accende un fuocoin ogni cucina.
Allora il timore e non so che confuso rimorso di turbare tanta pace mitolsero quasi tutto il coraggio. E proprio ad
aumentare quella debolezza improvvisami ricordai che la zia Moinel abitavalìsu una piazzetta della Ferté-d'Angillon.Alain-Fournier Il grandeMeaulnes
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Era una mia prozia. Tutti i suoi figli erano morti: io avevo conosciuto ilminoreErnestoun ragazzo grande e
grosso che studiava da maestro. Mio prozio Moinelil vecchio cancelliereloaveva seguito di lì a poco. Così la zia era
rimasta sola sola nella sua casuccia stravagantedove i tappeti erano fattidi ritagli cuciti insiemei tavoli rigurgitavano di
gallettigalline e gatti di carta - ma dove i muri erano tappezzati didiplomi ingiallitidi ritratti di defuntidi medaglioni
incorniciati da trecce di capelli.
Eppure con tutti i suoi lutti e le sue amarezzela zia era la stravaganza el'allegria in persona. Appena rintracciata la
piazzetta su cui dava la casala chiamai a voce alta dalla porta semiapertae subitodal fondo delle tre stanze messe
d'infilatasentii un gridolino acuto:
«Ehilà! Santo Dio!»
La zia rovesciò sul fuoco il caffè - ma poiun caffè a quell'ora? - evenne fuori... Stava tutta inarcata all'indietro e
portava in capoproprio sul cocuzzoloqualcosa di mezzo fra il cappellolacuffia e il cappucciosopra una fronte enorme e
tutta bozzeun po' di mongola un po' di ottentotta: e rideva a scattimostrando quel che restava di una dentatura minuta.
Mentre l'abbracciavo mi afferrò in frettagoffamentela mano che tenevodietro la schiena e con un maneggio
misterioso del tutto inutile visto che eravamo noi due solimi ci fecescivolare una monetina che non ebbi il coraggio di
guardare: doveva essere un franco... Feci l'atto di chiedere spiegazioni o diringraziarema lei mi dette una pacca gridando:
«Ma va' ! So ben io cos'è!»
Era sempre stata poverasempre costretta a prendere a prestito e tuttaviasempre pronta a spendere. «Sono sempre
stata sciocca e disgraziata» diceva senza amarezzacon la sua voce difalsetto.
Convinta che il problema del denaro angustiasse anche me come leinon milasciava neanche tirare il fiato e subito
mi ficcava in mano i pochi soldi risparmiati nella giornata. Anche inseguitofu sempre così che mi accolse.
Il pranzo fu strano - insieme triste e bizzarro - quanto l'accoglienza. Lazia teneva sempre una candela a portata di
manoe ora se la portava via lasciandomi allo scuroora la posava sullatavolina apparecchiata con stoviglie sbrecciate o
crepate.
«A quella» diceva«i prussiani hanno rotto i manicinel settantaperchè non potevano portarsela via.»
Solo allorarivedendo quella brocca dalla tragica storiami venne in menteche già un'altra voltatempo faavevo
mangiato e dormito lì. Mio padre mi conduceva nell'Yonne da uno specialistache avrebbe dovuto guarire il mio ginocchio.
C'era da prendere un rapido che passava prima di giorno... Rammento lamalinconica cena di allorai racconti del vecchio
cancelliere seduto davanti alla bottiglia di vino rosatoi gomiti sullatavola.
Ricordavo anche i miei terrori... Dopo cenala prozia aveva preso mio padreda partedavanti al fuoco per
raccontargli una storia di spiriti. «Mi volto e... Ahcaro il mio Luigiche cosa vedo ? una piccola donna tutta grigia..»
Dicevano tutti che aveva la testa zeppa di queste sciocchezze terrificanti.
Ed ecco che quella serafinita la cenaquandostanco per il viaggio inbiciclettami coricai nella gran camera
matrimoniale con indosso una camicia da notte a quadretti dello zio Moinellei venne a sedersi al capezzale e cominciò a
direcol tono più misterioso e la voce più stridula:
«Mio caro Francescodevo raccontarti quello che non ho mai detto anessuno...»
Pensai: «Andiamo bene: eccomi terrorizzato per tutta la notte come diecianni fa!...»
E mi disposi ad ascoltare. Lei scuoteva la testaguardando diritto inavanticome se raccontasse la storia a se
stessa.
«Tornavo da una festa con Moinelil primo matrimonio cui avevamo assistitodopo la morte del povero Ernesto; e
vi avevo trovato mia sorella Adeleche non vedevo da quattro anni! Unvecchio amico di Moineluno molto riccol'aveva
invitato alle nozze del figlionella proprietà delle Sablonnières. Avevamopreso a nolo una vetturauna bella spesa! e
tornavamo indietro verso le sette del mattinoin pieno inverno. Il sole sistava levandonon c'era anima viva. Tutt'a un
trattocosa non ti vedo davanti a noisulla strada? Un uomo minutounragazzobello come un angeloimmobileche ci
guardava venire avanti. Marmano che ci avvicinavamo. potevamo scorrere lasua facciacosì graziosama così sbiancata
da fare perfino paura...!
«Afferro Moinel per il braccio: tremavo come una foglia: credevo che fosseaddirittura il Buon Dio!... E gli dico
"Guarda! Un'apparizione!"
«Lui a bassa voce. furibondo ribattè: "Certo che l'ho visto! Piantalachiacchierona...!"
«Non sapevo che fare: e proprio allora il cavallo si è fermato... Visto davicino. lo sconosciuto mostrava un volto
spettrale la fronte in sudore. un berretto sudiciopantaloni lunghi. Dissecon voce dolce:
«"Non sono un uomosono una ragazza. Sono scappata e non ne possopiù. Non mi dareste un passaggio sulla
vostra carrozzasignori?"
«L'abbiamo fatta subito salire. Appena sedutaè svenuta. E indovina un po'di chi si trattava? Della fidanzata del
giovanotto delle SablonnièresFrantz de Galaisalle cui nozze eravamostati invitati!»
«Ma non ci sono state nozze» dissi«dato che la ragazza è scappata!»
«Certo che no» disse lei guardandomi tutta perplessa. «Non ci furononozze. Quella sciocchina s'era fitta in capo
mille stupidaggini che poi ci raccontò. Era figlia di un povero tessitore esi era convinta che tanta felicità fosse impossibile;Alain-Fournier Ilgrande Meaulnes
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che il fidanzato fosse troppo giovane per lei; che tutte le meraviglie chedescriveva fossero immaginarie: così quando
finalmente Frantz è venuto a prenderlaValentina ha avuto paura. Frantzpasseggiava con lei e la sorella nel giardino
dell'Arcivescovado a Bourgessebbene fosse freddocon un gran vento. Ilragazzocerto per gentilezza e magari proprio
perchè amava la più giovaneera pieno di attenzioni per l'altra sorella.Così la mia sciocchina s'è messa in testa nonsochè;
ha detto che andava a casa a prendere uno scialle; làper essere piùsicura che nessuno la ripescasseha indossato abiti
maschili e si è messa a piedi sulla strada di Parigi.
«Al fidanzato ha lasciato una lettera dicendogli che andava a raggiungere ungiovane di cui era innamorata. E non
era mica vero...
«"Sono più felice di essermi sacrificata" mi diceva"chese fossi sua moglie..."
«Sicurosciocca: ma intanto lui non aveva affatto l'intenzione di sposarela sorella; s'è sparatohanno visto il
sangue nel boscoperò il suo corpo non è stato mai trovato.»
«Che ne avete fatto di quella disgraziata?»
«Le abbiamo fatto bere un goccioprima di tutto. Poi l'abbiamo sfamata earrivati a casas'è addormentata accanto
al fuoco. È restata da noi per buona parte dell'inverno. Durante lagiornatafinchè faceva chiarotagliava e cuciva abiti
adattava cappellinipuliva la casa con una specie di frenesia. È stata leia riappiccicare tutta la tappezzerialàvedi. E da
quando è stata qui le rondini fanno i nidi fuori. Ma a seraterminati ilavoritrovava sempre un pretesto per uscire in
giardino o in cortile o sulla portaanche se faceva un freddo da spaccar lepietre. La sorprendevamo lìin pieditutta in
lacrime.
«"E allora? Cosa c'è ancora? Sentiamo!"
«"Nientesignora Moinel!"
«E rientrava. I vicini dicevano: "Ha messo la mano su una domestica bengraziosasignora Moinel."
«Malgrado le nostre preghierein marzo ha voluto continuare il viaggioverso Parigi; le ho regalato qualche abito
aggiustato. Moinel le ha pagato il biglietto per il treno e dato un po' didenaro.
«Non ci ha dimenticati; fa la sarta a Parigidalle parti di Notre-Dame escrive ancora per chiedere se sappiamo
qualcosa delle Sablonnières. Per liberarla da questa idea fissauna voltaper tutte le ho risposto che la proprietà era stata
vendutae demolitail giovanotto scomparso per semprela ragazza sposata.In fondocredo che sia la verità. Da allora
Valentina scrive molto più di rado...»
Non era una storia di fantasmi che raccontava la zia Moinel con quella vocinastridente fatta apposta per storie del
genere. Tuttavia io mi sentivo proprio male. Il fatto è che avevamo giuratoa Frantz di aiutarlo come fratelli ed ecco che ne
avevo l'occasione...
Ma era proprio quello il momento di turbare la gioia che avrei portato aMeaulnes l'indomanirivelandogli quel che
avevo saputo? A che scopo buttarlo in una impresa davvero impossibile? Certoavevamo l'indirizzo della ragazza; ma dove
pescare lo zingaro che se ne andava in giro per il mondo?... Lasciamo i pazzicon i pazzipensai. Delouche e Boujardon non
avevano tutti i torti: quanto male non ci ha fatto questo Frantzpersonaggioda romanzo! Decisi di non aprire bocca finchè
non avessi visto il matrimonio di Agostino Meaulnes e della signorina deGalais.
Preso questo partitoprovavo però la sgradevole impressione di un cattivopresagio - impressione assurda che mi
affrettai a scacciare.
La candela era ormai consumata; una zanzara ronzava; ma la zia Moinelchinasotto la cuffia di velluto che si
toglieva solo per dormirei gomiti sui ginocchiriattaccava con la suastoria... A trattialzava bruscamente la testa e mi
guardavaper studiare le mie impressioni o forse per vedere se dormivo. Allafine ipocritamente poggiai la testa sul cuscino
chiusi gli occhi e feci finta d'assopirmi.
«Ma tu dormi...» disse la zia con tono più sordo e un po' deluso.
Mi fece pena e protestai:
«Ma noziati assicuro...»
«Ma sì» disse. «Del resto ti capiscotutto questo non ti interessa.Parlo di gente che non hai mai visto...» Fui vile
estavoltanon risposi.
4 • IL GRANDE ANNUNZIO
La mattina dopoquando arrivai sulla strada principale faceva un così beltempoproprio da vacanzec'era tanta
quietecon rumori tranquilli e familiari per tutto il paeseche riacquistail'allegra sicurezza di chi porta buone notizie...
Agostino e sua madre stavano nel vecchio edificio delle scuole. Alla mortedel padrein pensione da un bel po' di
tempo e arricchito da una ereditàMeaulnes aveva voluto che comperassero lascuola dove il vecchio maestro aveva
insegnato per vent'annidove lui stesso aveva imparato a leggere. Non eracerto una casa di aspetto molto piacevole: grossaAlain-Fournier Il grandeMeaulnes
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squadrata come un municipio (lo era stata in passato); le finestre delpianterreno che davano sulla strada erano tanto alte che
nessuno vi si affacciava mai; e il cortile sul retrosenza un alberosbarrato verso la campagna da un alto porticatoera il
cortile di scuola più arido e pelato che mi fosse mai capitato di vedere...
Nel corridoio accidentato sul quale si aprivano quattro portetrovai lamadre di Meaulnesche rientrava dal
giardino con un fagotto di biancheriamessa evidentemente ad asciugare findalle prime ore di quella lunga mattina di
vacanza. I suoi capelli grigi erano scompigliati e le ricade vano a ciocchesul viso dai lineamenti regolari sotto la cuffia
d'altri tempi ma gonfio e affaticato come dopo una notte di insonnia; eteneva la testa bassacon aria malinconica e
pensierosa.
Ma non appena mi vide mi riconobbe e sorrise:
«Arrivi a tempo» disse. «Vediporto dentro la biancheria messa adasciugare per la partenza di Agostino. Tutta
notte non ho fatto altro che mettere a posto i suoi conti e preparargli laroba. Il treno parte alle cinque ma fa remo in tempo a
tutto...»
Parevatanta era la sua sicurezzache avesse preso lei stessa questadecisione: e invece non sapeva certamente
neppure dove Meaulnes sarebbe andato.
«Vaivai su» mi disse«lo troverai nel municipio a scrivere.»
Montai di volo la scalaaprii la porta a destrache portava ancora lascritta «Municipio» e mi trovai in un salone
con quattro finestredue sul paese e due sulla campagnae ai muri iritratti ingialliti dei presidenti Grévy e Carnot. In fondo
su una lunga pedanadavanti a una tavola coperta di verdec'erano ancora iseggi dei consiglieri municipali. Seduto al
centro su una vecchia poltronaquel la del sindacoMeaulnes scrivevaintingendo la penna in un calamaio di maiolica a
forma di cuorecome non se ne vedono più. Quiin questo luogo che parevafatto su misura per un signorotto di paese
Meaulnes si rifugiava nelle sue lunghe vacanzequando non era in giro per lacampagna...
Mi riconobbe e si alzò ma non con lo slancio che avevo immaginato:
«Seurel!» disse appenacon profondo stupore.
Lo stesso ragazzo altodal viso ossutodal cranio rapatocon un principiodi baffi disordinati. E sempre quello
sguardo aperto... Ma adesso sul fuoco degli anni passati sembrava sceso comeun velo di brumache solo a tratti la vecchia
grande passione dissipava...
Pareva assai imbarazzato dalla mia presenza. Ero saltato con un balzo sullapedana mastrano a dirsilui non pensò
nemmeno a darmi la mano. Si era girato verso di mele mani dietro il dorsospingendosi all'indietro contro la tavolaun'aria
di grande impaccio. Mi guardava senza veder migià tutto assorto in ciòche si preparava a dire. Lento a parlare come tutti i
solitarii cacciatori e gli uomini d'avventuracome sempre aveva preso unadecisione prima ancora di trovare le parole per
spiegarla. E solo ora che stavo davanti a lui cominciava a ruminare a faticail discorso necessario.
Intanto gli raccontavo allegramente com'ero arrivato fin lìdove avevopassato la notte e come mi aveva sorpreso
vedere la signora Meaulnes che preparava tutto per il viaggio del figlio...
«Ah! Ti ha detto?...» chiese.
«Sì. Non un viaggio lungom'immagino?» «Sìinvece. Un viaggio moltolungo.»
Sconcertato per un attimogiacchè sapevo che fra un minutocon una solaparola avrei buttato all'aria quella
decisione incomprensibilemi azzittiinon sapendo come cominciare la miamissione.
Ma fu lui a parlarecome chi voglia giustificarsi.
«Seurel!» disse«tu sai cosa significava per me la singolare avventura diSant'Agata: era la mia ragione di vita e di
speranza. Perduta quella speranzache cosa poteva esse re di me? Come viverealla maniera degli altri?...
«Eppure ho cercato di vivere laggiùa Parigiquando mi sono reso contoche tutto era finito e che non valeva
neppure più la pena di cercare il Dominio perduto... Ma chi ha toccato unavolta il paradisocome potrebbe poi con tentarsi
della vita di tutti i giorni? Quel che è felicità per gli altriper me erauna beffa amara. E quando un giornocon la massima
sincerità di propositomi sono messo a fare come gli altriquel giorno misono guadagnato solo rimorsi che dureranno a
lungo...»
Seduto su un seggio della pedanalo ascoltavo a testa bassasenzaguardarloe non sapevo che pensare di quelle
confuse spiegazioni:
«InsommaMeaulnes» dissi«spiegati meglio! Perchè questo viaggio? Deviriparare a una colpa? o mantenere una
promessa?»
«Ebbenesì» rispose. «Ti ricordi della promessa fatta a Frantz?»
«Ah» dissi rassicurato«si tratta solo di questo?»
«Di questo. E forse anche di una colpa da riparare. L'una cosa el'altra...»
Ci fu un silenzio durante il quale decisi di cominciare a parlare e preparaile parole...
«C'è solo una spiegazioneper me» disse. «Certoavrei voluto rivedereuna volta ancora la signorina de Galais
rivederla soltanto... Ma ora lo so: quando scopersi il Dominio senza nome eroin uno stato così alto di perfezione e di
purezza che non toccherò mai più. Solo nella mortete l'ho scritto ungiornoricordi?ritroverò forse la bellezza di allora...»
Poi cambiò tono per riprendere con una strana eccitazionefacendosi vicino:Alain-FournierIl grande Meaulnes
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«Ma sentiSeurel! Questa nuova vicenda e questo lungo viaggiola colpa cheho commesso e debbo ripararetutto
ciòin certo sensoè la mia vecchia avventura che continua...»
Fece una pausa cercando a fatica di raccogliere i ricordi. Mi ero lasciatosfuggire l'occasione precedentema per
nulla al mondo avrei perduto questacosì parlai - troppo prestoe piùtardi dovetti pentirmi amaramente di non aver
aspettato la sua confessione.
Buttai dunque là la frase preparata per qualche minuto primache adesso nonandava più bene. Senza un gesto
alzando appena la testadissi:
«E se ti dicessi che ogni speranza non è perduta?»
Meaulnes mi guardò poi stornò bruscamente gli occhi ed arrossì come non homai veduto arrossire nessuno: un
fiotto di sangue che doveva picchiargli furiosamente alle tempie...
«Che vuoi dire?» domandò poicon voce appena intelligibile.
Allora di colpo gli dissi tutto ciò che sapevoquello che avevo fatto ecomegiratasi la sortefosse quasi la stessa
Yvonne de Galais a mandarmi a lui.
Meaulnes era diventato molto pallido: ascoltò tutto il racconto in silenziola testa un po' incassata fra le spalle
come chi è stato sorpreso e non sa come difendersiripararsi o fuggire;solo una voltaricordomi interruppe. Gli stavo
raccontandotra l'altroche tutti gli edifici delle Sa blonnières eranostati buttati giù e che il Dominio di un tempo non
esisteva più:
«Ahvedi bene...» disse (quasi cogliesse l'occasione per giustificare ilsuo atteggiamento e la disperazione cui si
era abbandonato)«vedi bene: non c'è più nulla...»
Per finirecerto chemostrandogli come tutto era sempliceavrei spazzatovia ogni doloregli dissi che lo zio
Florentin aveva organizzato una gita in campagnacui avrebbe partecipato acavallo la signorina de Galais e alla quale
naturalmente lui stesso era invitato... Meaulnes appariva del tutto smarritoe continuava a tacere.
«Bisogna subito disdire il tuo viaggio» dissi impaziente. «Andiamo adavvertire tua madre...»
Mentre scendevamo insieme: «Questa gita in campagna» mi chiese Meaulnesesitando«debbo proprio andarci
allora ?»
«Ma insomma!» risposi. «Non si discute nemmeno.»
Aveva l'aria di uno che venga spinto alle spalle.
DabbassoAgostino avvertì la signora Meaulnes che avrei pranzatocenato edormito da loro: la mattina dopo lui
stesso avrebbe preso a nolo una bicicletta per accompagnarmi alVieux-Nançay.
«Benissimo» disse la signora Meaulnes accennando con la testa come sequeste notizie confermassero tutte le sue
previsioni.
Mi sedetti nella piccola sala da pranzosotto i calendari a coloriipugnali lavorati e gli otri sudanesiricordi di
viaggio di un fratello del signor Meaulnesche aveva prestato servizio nellamarina da sbarco...
Prima del pranzo Agostino mi lasciò un momento e dal la camera vicinadovesua madre aveva preparato i bagagli
sentii che dicevaabbassando la vocedi non disfare la valigia: potevadarsi che il viaggio fosse solo rimandato...
5 • LA GITA
Faticai a tener dietro ad Agostino sulla strada del Vieux Nançay: filavacome un corridore e non scendeva di
bicicletta ai piedi delle salite. All'esitazione inspiegabile del giornoprima si erano sostituiti una eccitazioneun nervo sismo
una furia di arrivare al più presto che mi inquietavano un po'. Anche a casadello zio Meaulnes mostrò la stessa impazienza
senza riuscire a interessarsi a niente finchèalle dieci della mattinadoponon montammo tutti in carrozzapronti a partire
alla volta del fiume.
Era la fine d'agostol'estate declinava. Già i ricci vuoti caduti daicastagni ingialliti cominciavano a coprire le
strade bianche di polvere. Il viaggio non era lungo: la nostra metalafattoria dei Salicivicino allo Chernon distava più di
due chilometri dalle Sablonnières. Di tanto in tanto incontravamo lecarrozze di altri invitati e anche giovani a cavalloche
Florentin si era preso la libertà di invitare a nome del signor de Galais...Come in un giorno lontanosi era cercato di
mischiare ricchi e poveriproprietari e contadini. Così vedemmo arrivare inbicicletta Gelsomino Deloucheche aveva da
poco conosciuto mio zio tramite Baladieril guardaboschi.
«Eccolo» disse Meaulnes quando lo vide«eccolo quel lo che aveva lachiave di tuttomentre noi andavamo alla
ricerca fino a Parigi. Una cosa da far cadere le braccia!»
Ogni volta che lo guardavail suo rancore cresceva. L'altroche invececredeva di aver diritto alla nostra
gratitudinescortò da vicino la carrozza su cui eravamofino all'arrivo.Si era buttatopoveraccioa far spese per il suo
guardarobama senza gran costrutto: le falde della sua giacchetta logorasbatacchiavano sul parafango della bicicletta...
A dispetto di tutti gli sforzi per essere gradevolequella facciasciupacchiata e invecchiata anzi tempo non riuscivaAlain-Fournier Il grandeMeaulnes
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a piacere. A me faceva piuttosto una confusa pietà. Ma di chi non avreiavuto pietàquel giorno?...
Non richiamo mai alla memoria quella gita senza un rimpianto oscurounaspecie di soffocazione. Mi ero
immaginato quella giornata così piena di gioia! Tutto sembrava così bencombinato perchè fossimo felici! E invecequanto
poco lo fummo!...
Eppure le rive dello Cher incantavano. Dove ci fermammoil pendio dolce siripartiva in scampoli di erba verdein
salceti divisi l'uno dall'altro da siepicome minuscoli giardini. Sull'altrarivacolline grigiescosceseirte di spuntoni; sulle
più lontanefra gli abetil'occhio scopriva piccoli castelli romantici conla torretta. Nella distanzaa trattiabbaiavano i cani
del castello di Préveranges.
Eravamo arrivati fin lì attraverso un dedalo di sentieriora fitti dighiaia biancaora coperti di sabbiasentieri che
in vicinanza del fiume le sorgenti trasformavano in ruscelli. Mentrepassavamoi rami del ribes selvatico ci agganciavano
per la manica. Ora ci tuffavamo nell'ombrosità fresca dei burroncelliorainvecesboccando all'apertoci bagnava la luce
limpida di tutta la vallata. Lontanosull'altra rivamentre ciavvicinavamoun uomo inerpicato sulle rocce tendeva lenze
con gesto misurato. Che dolcezzamio Dio!
Ci accomodammo su un prato difeso da un boschetto di betulle. Era un granprato rasol'idealeparevaper
giocarvi senza fine.
I cavalli vennero staccati e portati nella fattoria. Cominciammo ad aprire leceste dei cibi nel boscoe a sistemare
sul prato i tavolini pieghevoli portati dallo zio.
Adesso occorrevano volontari da postare all'imbocco della strada vicinainmodo che avvistassero gli ultimi
arrivati e indicassero loro dove eravamo. Mi offrii subito; Meaulnes vennecon me e così andammo a metterci vicino al
ponte sospesodove s'incrociavano parecchi sentieri e il viale che portavaalle Sablonnières.
Aspettavamo passeggiando avanti e indietroparlando del passatocercando didistrarci alla benemeglio. Ecco
ancora una vettura dal Vieux-Nançaycontadini che non cono sciamocon unaragazza tutta nastri. Poi più nulla. Cioèsì
tre bambini su una carrozzella tirata da un asinoi figli dell'exgiardiniere delle Sablonnières.
«Mi pare di riconoscerli» disse Meaulnes. «Ma sìfurono loro aprendermi per manoallorala prima sera di festa
e a portarmi a cena...»
Ma adesso l'asino non voleva più andare avanti: i bambini scesero ecominciarono a punzecchiarloa tirarloa
picchiarlo con quanta forza avevano; »nomi sono sbagliato» disseMeaulnes deluso...
Chiesi ai ragazzi se avevano incontrato per strada il signore e la signorinade Galais. Uno di loro disse di non
saperlo; l'altro: »Credo di sìsignore.» Non ne sapevamo molto più diprima.
Finalmente i tre scesero verso il pratotirando l'asino per la briglia espingendo la carrozzella; e noi
ricominciammo ad aspettare. Meaulnes guardava fisso la svolta del viale perle Sablonnièresspiando quasi con terrore
l'arrivo della ragazza che in passato aveva tanto cercato. Si era impadronitodi lui un nervosismo singolare e perfino comico
che lui scaricava su Gelsomino. Dal ciglione su cui ci eravamo arrampicatiper dominare il vialevedevamogiù sul prato
un gruppo di invitati in mezzo ai quali Gelsomino si sforzava di fare la suabella figura.
«Guarda come declamal'imbecille» mi diceva Meaulnes.
«Ma lascialo stare» gli rispondevo io. «Fa quello che puòpoveraccio.»
Agostino non si placava. Laggiùuna lepre o uno scoiattolo era sbucatafuori da un forteto; per darsi un contegno
Gelsomino abbozzò il gesto d'inseguirla:
«Ahma bene! Adesso correanche...» disse Meaulnescome se questaaudacia superasse le altre. Stavolta non
potei fare a meno di ridere e Meaulnes mi imitò; ma fu solo un lampo.
Passò un altro quarto d'ora:
«E se non venisse?» chiese Meaulnes.
«Ma ha promesso» gli risposi. «Abbi un po' di pazienzadunque.»
Riprese a guardare. Poiincapace di sopportare ancora quella attesaangosciosa:
«Senti» mi disse. «Io vado giù con gli altri. Non so bene cosa congiuricontro di me: ma sento che se resto qui lei
non verrà mai - che è impossibile vederla comparire da un momento all'altroall'estremità del sentiero.»
E si avviò verso il pratolasciandomi solo. Camminai per un centinaio dimetri sul sentieroper ingannare il tempo.
E alla prima svolta vidi Yvonne de Galaische montava all'amazzone il suovecchio cavallo biancocosì vispo quel mattino
da costringerla a tirare le redini perchè non par tisse al trotto. A fiancodel cavallo camminava faticosa mentein silenzioil
signor de Galais. Certo durante la strada i due dovevano essersi dato ilcambiovalendosi a turno di quel vecchio cavallo.
Vedendomi solola ragazza sorrisebalzò svelta a terra elasciate leredini al padrevenne verso di me che mi
affrettavo:
«Sono proprio - contenta di trovarla solo» disse. «Non voglio che nessunaltro veda il mio vecchio Belisario e non
voglio neppure metterlo con gli altri cavalli. Prima di tutto è troppovecchio e sfiancato; poi ho sempre paura che gli
facciano male. È l'unico che mi azzardi a montare e quando sarà morto nonandrò più a cavallo...
«Sentivo nella signorina de Galaiscome in Meaulnessotto la scorza di unaamabile vivacitàdi una grazia inAlain-Fournier Il grande Meaulnes
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apparenza tranquillala punta dell'impazienza o addirittura dell'ansietà.Parlava più in fretta del solito e se le guance erano
rosseun intenso pallore intorno agli occhisulla frontescopriva tutto ilsuo turbamento.
Decidemmo di legare Belisario a un albero del boschetto vicino allastrada. Il signor de Galaissenza aprir bocca
come semprecavò dalla tasca della sella una cavezza e legò l'animale - unpo' troppo bassomi parve. Io promisi che avrei
fatto mandare subito dalla fattoria fienoavenapaglia...
Così la signorina de Galais giunse sul prato proprio come un giorno(m'immagino) era scesa verso la sponda del
lago e Meaulnes l'aveva vista per la prima volta.
Avanzava verso gli invitati dando il braccio al padre e scostando con la manosinistra un lembo del gran mantello
che l'avvolgevafiguretta grave e puerile a un tempo. Le stavo a fianco.Tutti glí invitatiprima dispersi o intenti ai giochi
lontanosi erano alzati e radunati per salutarla; ci fu un momento disilenziomentre la guardavano venire avanti.
Meaulnes era nel gruppo dei ragazzi e solo l'alta statura poteva farlodistinguere: del resto c'erano lì giovanotti alti
almeno quanto lui. Non fece un gestonon mosse un passoniente che potesserichiamare l'attenzione su di lui. Lo vedevo
vestito di grigioimmobilefissarecome tuttila bella ragazza cheavanzava. Tuttavia a un certo punto si era passata la
mano sul cranio nudocon gesto automatico c imbarazzatocome per nasconderela sua rozza testa di contadino fra tutti
quei capi ben ravviati.
Poi il gruppo circondò la signorina de Galais. Furono presentati i ragazzi ele ragazze che lei non conosceva
ancora... Stava per venire la volta del mio amicoio mi sentivo turbato nonmeno di lui e mi preparavo a fare la
presentazione.
Ma prima che aprissi boccala ragazza si mosse verso di lui con unadecisione e una serietà incantevoli:
«Riconosco Agostino Meaulnes» disse; e gli diede la mano.
6 • LA GITA (fine)
Quasi subito nuovi arrivati si avvicinarono per salutare Yvonne de Galais e idue vennero separati. Per un caso
sfortunatonon riuscirono a ritrovarsi alla stessa tavola per il pranzo. MaMeaulnes pareva aver ripreso fiducia e coraggio.
più di una volta ioche ero finito fra Delouche e il signor de Galaisvidiche l'amico mi faceva di lontanocon la manoun
segno d'affetto.
Solo verso la fine del pomeriggioquando giochiconversazionigiri inbarca sul laghetto vicino si erano
organizzati un po' dappertuttoMeaulnes si trovò di nuovo faccia a facciacon la ragazza. Stavamo chiacchierando con
Deloucheseduti sulle seggiole pieghevoli che avevamo portatoquando Yvonnede Galais lasciò bruscamente un gruppetto
di ragazzi che evidentemente l'annoiavanoe ci si avvicinòchiedendociperchè mai non uscivamo in barca sul lago come gli
altri.
«Abbiamo fatto un giro o due questo pomeriggio» risposi. «Ma è cosìmonotono che ci siamo stancati presto.»
«Beneperchè non andare al fiume?» insistette lei.
«La corrente è troppo fortesi rischia d'esser portati via.»
«Ci vorrebbe» disse Meaulnes«una barca a motore o un vaporetto comequello di una volta.» «Non l'abbiamo
più» disse Yvonne a voce bassa. «È stato venduto.»
Ci fu un silenzio pieno d'imbarazzo. Gelsomino ne approfittò per annunciarciche andava in cerca del signor de
Galais. «Saprò scovarlo» disse.
Scherzi del caso! Quelle due creature così dissimili avevano fraternizzato edal mattino non si lasciavano un
momento. Il signor de Galais mi aveva preso da parte un momentonelpomeriggioper dirmi che avevo in Gelsomino un
amico pieno di delicatezzadi rispettoe di mille qualità. Forse si eraspinto fino a confidargli il segreto dell'esistenza di
Belisario e il suo nascondiglio.
Avevo pensato di andarmene anch'ioma sentivo che i due ragazzi erano cosìimbarazzaticosì angustiati l'uno di
fronte all'altrache mi parve meglio non farlo...
Ma tanta discrezione da parte di Gelsomino e tanta prudenza da parte mia nonservirono a molto. Avevano
cominciato a parlare. Ma sempre Meaulnescon una ostinazione certoinvolontariatornava a tutte quelle meraviglie di un
tempo. E ogni volta la ragazzatormentatadoveva ripetergli che tutto erascomparso: abbattutala vecchia casa così
bizzarra e piena di rigiri; prosciugato e colmatoil grande stagno; edispersii fanciulli dagli splendidi costumi...
«Ah» diceva Meaulnes con un soffio disperatocome se ognuna di questescomparse gli desse ragione contro
Yvonne o contro di me...
Camminavamo fianco a fianco... Inutilmente cercavo di trovare diversivi allatristezza che ci invadevatutti e tre.
Bruscamentecon una domanda Meaulnes tornava alla sua idea fissa. Chiedevanotizie su tutto ciò che aveva visto allora: le
bambineil cocchiere della vecchia berlinai ponies della corsa.«... Anche i ponies venduti? Non ci sono più cavalli nel
Dominio?...»Alain-Fournier Il grande Meaulnes
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Lei disse di noe tacque di Belisario.
Allora Meaulnes cominciò a evocare gli oggetti della sua camera: icandelabriil grande specchioil vecchio liuto
dalle corde spezzate... Chiedeva cos'era accaduto di tutto questocon stranapassionecome se volesse persuadersi che
niente più sopravviveva della sua splendida avventurache la ragazza (comeun palombarociottoli e alghe dal fondo del
mare) non poteva più portargli un relitto capace di provare che non avevanosognato entrambi...
La signorina de Galais ed io non riuscimmo a trattenere un sorrisomalinconico: e lei si decise a precisare:
«Non rivedrà il bel castello che il signor de Galais e io avevamo preparatoper il povero Frantz.
«Abbiamo passato tutta la vita a contentarlo. Era un essere così bizzarrocosì affascinante! Ma tutto è scomparso
con lui la sera del mancato fidanzamento.
«Il signor de Galais era già rovinatosenza che noi ne sapessimo nulla.Frantz aveva fatto dei debiti e quando
seppero che era scomparsoi suoi compagni di un tempo vennero da noi areclamarne il pagamento. Siamo diventati poveri;
la signora de Galais è morta e abbiamo perso tutti gli amici in un batterd'occhio.
«Se Frantz non fosse morto e tornasse. Se riacquistasse amici e fidanzataesi facesse il matrimonio buttato all'aria;
alloraforsetutto tornerebbe come prima. Ma il passatopuò rinascere?»
«Chissà!» disse Meaulnes pensieroso. E non chiese altro.
Camminavamo tutti e tresenza rumoresull'erba corta e già un po'ingiallita; Agostino aveva vicinoalla destrala
ragazza creduta persa per sempre. Per rispondere alle sue amare domandeYvonne voltava adagio verso di lui il bel volto
affannato; e una voltanel parlargligli posò teneramente la mano su unbraccio con un gesto pieno di fiducia e debolezza.
Perchè il gran Meaulnes ora sembrava uno stranierouno che non ha trovatociò che cercava e disprezza tutto il resto? Tanta
felicitàsolo tre anni primanon avrebbe potuto reggerla senza tremare osmarrirsi. Donde venivano dunque questo vuoto
questo distaccoquesta incapacità di essere felice che c'erano in luiadesso?
Eravamo arrivati presso il boschetto dovela mattinail signor de Galaisaveva legato Belisario; il sole al tramonto
allungava le nostre ombre sull'erba; dall'estremo del prato ci arrivavano levoci dei giocatori e delle ragazzinefelpate dalla
distanza in un ronzio beato. Stavamo zitti in quella calma mirabilequandosentimmo cantare dall'altra parte del bosconella
direzione della fattoria in riva al fiume. Era la voce giovane e remota diqualcuno che conduceva le bestie a bereun motivo
ritmato come una danza ma che l'uomo allentava e rendeva languido come unaballata antica e triste:
Ohscarpette rosse...
Addiomiei amori!
Ohscarpette rosse...
Addio per sempre!
Meaulnes aveva alzato il capo in ascolto. Era una delle arie che cantavano icontadini attardatisi nel Dominio senza
nomel'ultima sera della festaquando già tutto era precipitato... Solo unricordo - il più povero - di quei bei giorni
irrecuperabili.
«Lo sentite?» disse Meaulnes a mezza voce. «Vado a vedere chi è.» Esubito si lanciò nel boschetto. Quasi nello
stesso istante la voce tacque; per un momento sentimmo ancora l'uomo chefischiava alle bestie conducendole via; poi più
nulla...
Guardai la ragazza. Pensierosaabbattutateneva gli occhi fissi sulboschetto entro il quale Meaulnes era appena
scomparso. Quante voltein seguitodoveva fissare cosìtutt'assortailvarco da cui il gran Meaulnes se ne sarebbe andato
per sempre!
Poi si voltò verso di me e disse con dolore:
«Non è felice.»
E aggiunse:
«E forse non posso fare nulla per lui...»
Esitavo a risponderetemendo che Meaulnesraggiunta in due salti lafattoria e probabilmente già di ritorno per il
boscosorprendesse la nostra conversazione. Tuttavia volevo farle coraggio;dirle di imporsi un po' senza timore a questo
gran ragazzo; che certo un segreto lo angustiava e che spontaneamente non sisarebbe mai aperto nè a lei nè a nessun altro -
ma di colpodall'estremità del bosco venne un grido; poi lo scalpitio di uncavallo che spara calci e le grida tronche di un
litigio... Capii subito che era capitato qualche cosa al vecchio Belisarioe corsi verso l'origine di tutto quel baccano. La
signorina de Galais mi seguì di lontano. Dal prato dovevano aver notato lenostre mosse perchèmentre entravo nel
boschettosentii voci di gente che accorreva.
Il vecchio Belisarioimpastoiato troppo bassosi era impigliatonella cavezza con una gamba anteriore; si era
tenuto quieto fin quando il signor de Galais e Delouchepasseggiandogli sierano avvicinati; allora spaventatoeccitato
dalla quantità insolita di avena che gli avevano datosi era dibattuto conviolenza; i due avevano cercato di scioglierlo ma in
modo inabilecon il solo risultato di impacciarlo ancor di più e dirischiare qualche pericoloso colpo di zoccolo. Per caso
Meaulnesdi ritorno dalla fattoriaera capitato lì proprio allora.Infuriato dalla loro inettitudineli aveva spinti via con unAlain-FournierIl grande Meaulnes
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urtonemandandoli quasi a rotolare fra i cespugli. Poi cauto ma rapido avevasciolto Belisario. Troppo tardiil male era
ormai fatto; il cavallo doveva avere un tendine strappato o forse qualchefratturaperchè stava lì avvilito a testa bassa
tremandola sella allentatauna zampa ripiegata sotto la pancia. Meaulneschinolo palpava e lo esaminava in silenzio.
Quando rialzò la testac'eravamo quasi tuttima lui non vide nessuno. Erarosso di rabbia.
«Mi chiedo chi è che l'ha legato a questo modo!» gridò. «E per di piùgli ha lasciato la sella indosso per tutto il
giorno! E poi ci vuole un bel coraggio a sellare questo ronzinobuono almassimo per una carretta.»
Delouche volle metter boccaprendere su di sè tutta la responsabilità.
«Ma sta' zitto tu! È sempre colpa tua. Ti ho vedutosaitirarestupidamente la cavezza per liberarlo.»
E chinatosi di nuovo cominciò a massaggiare il garetto del cavallo con lamano aperta.
Il signor de Galaische non aveva ancora detto nullaebbe la cattiva ideadi rompere il suo silenzioe balbettò:
«Gli ufficiali di marina hanno l'abitudine... Il mio cavallo...»
«Ahè suo?» disse Meaulnes un po' più calmo ma sempre rosso in visovoltandosi verso il vecchio.
Pensai che avrebbe cambiato tonofatto delle scuse. Meaulnes sbuffò eallora mi accorsi che trovava un amaro
desolato piacere a peggiorare la situazionea buttare tutto all'ariadicendo con insolenza:
«Bene! Non le faccio i miei complimenti.»
Qualcuno propose:
«Forsecon un po' di acqua fresca... Facendolo bagnare nel fiume...»
«Bisogna condurre via subito questo vecchio cavallo» disse Meaulnes senzarispondere«finchè è ancora in grado
di camminare - e non c'è mica tempo da perdere! - metterlo nella stalla enon cavarlo mai più di lì.»
Parecchi giovanotti si fecero avanti per la bisogna. Ma la signorina deGalais li ricusò con grandi ringraziamenti. Il
viso in fiammesul punto di scoppiare in lacrimesalutò tuttiancheMeaulnes chesconcertatonon aveva coraggio di
guardarla. Prese la bestia per le redinicome si prende uno per manopiùper sentirsi vicina all'animale che per guidarlo...
Sul sentiero delle Sablonnières il vento di quella fine d'estate era tantotiepido che pareva d'essere in maggio; il fogliame
delle siepi tremolava al soffio del sud... La vedemmo partire cosìilbraccio che usciva dal mantellostringendo nella
piccola mano le redini di grosso cuoio. Suo padre le camminava a faticaaccanto...
Malinconica fine di pomeriggio! Adagio adagio raccogliemmo cestivasellameripiegammo le sediesmontammo
i tavolini; una dopo l'altra filarono via le carrozze zeppe di gente e dibagaglicon gran sventolio di cappelli e fazzoletti. Noi
restammo ultimi sul prato con lo zio Florentinche in silenzio rimasticavacome noi rammarico e delusione.
Poi anche noi ci muovemmo velocicon la nostra carrozza ben molleggiatatirata dal nostro bel sauro. Le ruote
stridettero nella sabbia della curva e presto io e Meaulnesseduti sulsedile posteriorevedemmo sparire lungo la strada
l'imbocco della scorciatoia che avevano preso il vecchio Belisario e isuoi padroni...
Allora il mio compagno - la persona al mondo meno incline alle lacrimevoltò di colpo verso di me un viso
stravolto da un pianto irrefrenabile.
«Fermiper favore» disse toccando la spalla allo zio Florentin. «Nonpreoccupatevi per me. Tornerò per conto mio
a piedi.»
E appoggiandosi con una mano al parafangosaltò a terra. Sotto i nostriocchi stupefattifece dietrofrontsi mise a
correre e galoppò fino al sentiero che avevamo da poco superatoil sentierodelle Sablonnières. Certo arrivò al Dominio
seguendo quel viale di abeti che aveva percorso un giornodovevagabondonascosto tra le frondeaveva ascoltato i
discorsi misteriosi di quei bambini graziosi e sconosciuti...
La sera stessafra i singhiozzichiese la mano della signorina de Galais.
7 • IL GIORNO DELLE NOZZE
È un giovedì di primo febbraioun bel pomeriggio di giovedì gelato epieno di vento. Sono le tre e mezzole
quattro... Sulle siepifuori dei villaggi i bucati fin da mezzogiorno stannoad asciugare al vento. In ogni casail fuoco della
stanza da pranzo accende riverberi su un mucchio di giocattoli abbandonati.Stanco di giocareil bambino s'è seduto vicino
alla madre e si fa raccontare del giorno del suo matrimonio...
Chi non vuol essere felicesalga in soffitta e ascolterà fino a sera sibilie gemiti di naufragi; oppure esca sulla
stradadove il vento gli incollerà la sciarpa sulla bocca come un baciocaldo e improvviso che lo farà piangere. Ma per chi è
attratto dalla felicitàc'èlungo un sentiero fangosola casa delleSablonnièresdove il mio amico Meaulnes è entrato con
Yvonne de Galaissua moglie da mezzogiorno.
Il fidanzamento è durato cinque mesicinque mesi sereni quanto era statotempestoso il ritrovamento. Meaulnes
veniva spesso alle Sablonnières in bicicletta o in carretto. Più di duevolte la settimanala signorina de Galaisseduta a
leggere o a cucire presso la gran finestra che guarda la landa e gli abetiha visto d'improvviso la sua sagoma alta passare
veloce dietro le tendine: infatti lui viene sempre dal viale più lungo cheprese un tempo. Ma questa è la sola allusione -Alain-Fournier Il grandeMeaulnes
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silenziosa - al passato. La felicità sembra aver placato la sua stranainquietudine.
Piccoli fatti hanno segnato il cammino di questi cinque mesi così calmi.Sono diventato maestro nella frazione di
Saint-Benoist-des-Champs. Saint-Benoist non è un villaggiosolo fattoriesparpagliate nella campagna e una scuola isolata
su un pendio ai margini della strada. Faccio una vita davvero solitaria; matagliando per i campibastano tre quarti d'ora di
cammino per arrivare alle Sablonnières.
Delouche ora vive con suo zioche fa l'imprenditore edile al Vieux-Nançay epresto diventerà lui il padrone. Viene
spesso a trovarmi. Meaulnespregato dalla signorina de Galaislo trattaadesso con molta cordialità.
Tutto ciò spiega perchéalle quattro del pomeriggionoi due siamo ancoralà a gironzolarementre gli invitati al
matrimonio se ne sono già andati.
Il matrimonio è stato celebrato a mezzogiornocon il maggior riserbopossibilenella vecchia cappella delle
Sablonnières che non è stata demolitaseminascosta dagli abeti sulversante della collina vicina. Dopo un pranzo sveltola
madre di Meaulnesil signor Seurel e MillieFlorentin e gli altri sonorisaliti in carrozza. Siamo restati solo io e
Gelsomino...
Passeggiamo lungo i margini dei boschi che si stendono dietro leSablonnièresa fianco della grande spianata
incolta occupata un tempo dalle costruzioni del Dominiooggi abbattute. Nonce lo confessiamonon sappiamo neppure
perchèma siamo pieni di inquietudine. Invano cerchiamo di stornare ilpensierodi ingannare l'angoscia mostrandoci l'un
l'altrodurante. Ia passeggiata oziosale tane delle lepri e i piccolisolchi che i conigli hanno aperto da poco nella sabbia...
una trappola... le tracce di un bracconiere... Ma sempre torniamo aquell'orlo del boschetto dal quale si vede la casa
silenziosa e serata...
Sotto la grande finestra che dà sugli abetic'è una balconata di legnoinvasa dalle erbe selvatiche schiacciate giù
dal vento. Un bagliore di fuoco acceso si riflette sulla crociera dellafinestra. A trattipassa un'ombra. Intornonei campi
nell'ortonell'unica fattoria che resti dei vecchi annessisilenzio esolitudine. I contadini sono al villaggioa bere alla salute
dei padroni:
A tratti il vento ci bagna il viso con un pulviscolo umido che è quasipioggia e ci porta il suono disperso di un
pianoforte. Laggiùnella casa serrataqualcuno suona. Mi fermo un momentoper ascoltare in silenzio. Dapprima è come
una voce tremula chelontano lontanoosa appena dire la sua gioia... È ilriso di una bimba che è andata a prendere tutti i
giocattoli in camera sua e li sparpaglia davanti al suo piccolo amico...Penso anche alla gioia ancora timida di una donna che
sfoggia un bell'abito nuovo e non è sicura che piacerà... Questo motivo chenon conosco è pure una preghierauna supplica
alla felicità perchè non sia troppo crudeleun saluto e quasi unprosternarsi davanti alla felicità...
Penso: «Finalmente sono felici. Meaulnes è là vicino a lei...»
Saperloesserne certobasta alla felicità completa del buon ragazzo chesono.
Proprio in quellamentre sto tutto assortoil viso bagnato dal vento dellapianura come da uno schizzo marino
sento che qualcuno mi tocca la spalla.
«Ascolta!» dice Gelsomino a bassa voce.
Lo guardo. Lui mi fa segno di non muovermi; fermola testa un po' piegatala fronte corrugataascolta...
8 • IL RICHIAMO DI FRANTZ
Uh-uh !
Stavoltaho sentito. È un segnaleun richiamo su due notealta e bassache ho udito già in passato... Eccomi
ricordo: è l'ululato del saltimbanco alto quando dava una voce al suogiovane compagno dal portone della scuola. È il
richiamo cui Frantz ci ha fatto giurare di rispondere dovunque e in ognimomento. Ma che vuole luiquiin un giorno come
questo?
«Viene dalla grande abetaia a sinistra» dico a mezza voce. «Dev'essere unbracconiere.»
Gelsomino scuote il capo:
«Sai bene che no» dice.
Poi più basso:
«Sono nella zonatutti e dueda stamattina. Alle undici ho sorpresoGanache che spiava da un campo vicino alla
cappella. Appena m'ha visto ha tagliato la corda. Devono essere venuti dilontanoforse in biciclettaperchè era coperto di
fango fino alle spalle...»
«Ma che vogliono?»
«Non so. Ma certo bisogna mandarli via. Se li lasciamo ronzare qui intornotutte le vecchie pazzie
ricominceranno...»
Senza dirlosono d'accordo con lui.
«Meglio di tutto» dico«sarebbe raggiungerlisentire che vogliono efargli intendere ragione.»Alain-Fournier Il grande Meaulnes
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Adagiosenza far strepitosgusciamocurvandociattraverso il bosco finoalla grande abetaia da cui proviene a
intervalli regolari quel grido lungo che in sè non è certo più lugubre diqualsiasi altroma che ci sembraa tutti e duedi
sinistro augurio.
È difficile sorprendere qualcuno e avanzare senza essere visti in questaparte dell'abetaiadove l'occhio si spinge
liberamente lungo i colonnati regolari dei tronchi. Non ci proviamo nemmeno.Mi apposto a un angolo del bosco
Gelsomino a quello oppostocosì da sorvegliare dal di fuoricome meduelati del rettangolo e da non lasciarsi sfuggire gli
zingari senza dar l'allarme. Disposte così le coseattacco con la mia partedi esploratore pacifico e chiamo:
«Frantz!
«... Franrz! Non temere! Sono ioSeurel; ti vorrei parlare...»
Un momento di silenzio; sto per ricominciare a chiamarequando dal centrodell'abetaiadove non arriva bene il
mio sguardouna voce comanda:
«Resta dove sei: ora viene.»
A poco a pocoframmezzo i grandi abeti che sembrano chiudersi per effettodella prospettivadistinguo la figura
del giovane che si avvicina. È infangato e malvestito; due molle gli fermanoi pantaloni alla cavigliaun vecchio berretto di
marina è ficcato sui capelli troppo lunghi; adesso posso vedere il suo voltosmagrito... Pare che abbia pianto.
Mi si avvicina risolutochiedendo con aria di grande insolenza:
«Che cosa vuoi?»
«E tuFrantzcosa fai qui? Perchè vieni a turbare chi è felice? Cos'haida chiedere? Dillo.»
Preso così di petto arrossisce un pocobalbetta e sa dire soltanto:
«Io... io sono infelice.»
Poi scoppia in amari singhiozzila testa sul braccioappoggiato a untronco. Abbiamo fatto qualche passo
nell'abetaiadove c'è un perfetto silenzio: neppure la voce del ventocuifanno riparo sul margine i grandi abeti. Fra i tronchi
disposti a intervalli regolari risuonano di nuovo e si spengono queisinghiozzi soffocati. Aspetto che la crisi si calmi e poi
dicomettendogli la mano sulla spalla:
«Frantzadesso verrai con me. Ti accompagnerò da loro. Sarai accolto comeil figliol prodigo ritrovato e tutto
andrà a posto.»
Ma lui non voleva saperne. Disperatotestardo. riattaccava con vocesoffocata dalle lacrime:
«Così Meaulnes non si cura più di me? Perchè non risponde quando lochiamo? Perchè non mantiene la sua
promessa?»
«AndiamoFrantz» risposi. «Il tempo delle fantasticheriedelleragazzate è finito. Non vorrai turbare con le tue
pazzie la felicità di quelli che ami: tua sorella e Agostino Meaulnes.»
«Ma soltanto lui può salvarmilo sai bene. Solo lui è in grado diritrovare la traccia che cerco. Sono quasi tre anni
che Ganache ed io battiamo inutilmente la Francia intera. Ormai non avevoaltra speranza che il tuo amico. Ed ecco che non
mi risponde più. Ha ritrovato il suo amorelui. Perchè ora non pensa anchea me? Deve mettersi in viaggioYvonne lo
lascerà certo partire... Non mi ha mai rifiutato nulla.»
Mostrava un viso coperto di polvere e di fango che le lacrime avevano striatodi luridi solchiun viso di vecchio
ragazzo sfinito e sconfitto. I suoi occhi erano orlati di rosso; il mentoispido; i capelli troppo lunghi gli scendevano sul
colletto sporco. Batteva i dentile mani affondate nelle tasche. Dov'erafinito il principe ragazzo in cenci del passato? Certo
nel cuore era rimasto più ragazzo che mai: imperiosobizzarroe poi subitodisperato. Ma questi modi puerili diventavano
quasi insopportabili in quel giovane che già cominciava ad appassire...Prima c'era in lui un tale splendore di giovinezza che
ogni pazzia al mondo pareva gli fosse lecita. Adesso ci si sentiva spintiinun primo momentoa compiangerlo per la sua
vita fallitama poi a rimproverargli quella parte assurda di giovane eroeromantico in cui s'intestardiva... Finii per pensare
quasi mio malgradoche il nostro bel Frantz dai patetici amori si era certodovuto ridurre al furto per viveretale e quale il
suo compagno Ganache... Ecco dove era finito tutto quell'orgoglio !
«E se ti prometto» dissi finalmentedopo aver riflettuto«che Meaulnesfra qualche giorno si metterà in caccia
per tesoltanto per te?...»
«E riuscirànon è vero? Ne sei sicuro?» mi chiese battendo i denti.
«Credo di sì. Tutto diventa possibilecon lui!»
«E come farò a sapere? Chi mi avviserà?»
«Ritorna qui esattamente fra un annoalla stessa o troverai la ragazza cheami.»
Così dicendonon pensavo certo a turbare gli sposi freschi ma a interrogarela zia Moinel e a far ricerche io stesso
per rintracciare la ragazza.
Lo zingaro mi fissava negli occhi con una intensità di fiducia davverocommovente. Quindici anniaveva ancora
malgrado tuttosolo quindici anni ! - l'età nostraa Sant'Agatala serache ci eravamo fermati a pulire l'aula e facemmo tutti
e tre quel solenne giuramento infantile.
La disperazione lo riprese quando si vide costretto a dire:
«Va benece ne andiamo.»Alain-Fournier Il grande Meaulnes
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Girò lo sguardocerto con una gran stretta al cuoresu tutti quei boschiintorno che si preparava a lasciare
nuovamente.
«Fra tre giorni saremo sulle strade della Germania» disse «Abbiamolasciato il nostro carriaggio molto lontano e
camminato senza soste per trenta ore. Credevamo di arrivare in tempo aprendere con noi Meaulnes prima del matrimonio e
a cominciare insieme le ricerche della mia fidanzatacome lui ha cercato ilDominio delle Sablonnières.»
Poicedendo ancora alla sua protervia puerile:
«Richiama il tuo Delouche» disse andandosene. «Se lo incontrassisarebbero guai.»
Vidi cancellarsifra gli abetila sua figura grigia. Chiamai Gelsomino e ciriavviammo al nostro posto di
osservazione. Ma quasi subito apparvelaggiùAgostino Meaulnes che serravale imposte della casa con un atteggiamento
così strano che ci colpì.
9 • GENTE FELICE
Solo più tardi ho saputo in ogni particolare quello che era accadutolaggiù...
Fin dal primo pomeriggionel salone delle SablonnièresMeaulnes e suamoglieche continuo a chiamare
signorina de Galaissono rimasti del tutto soli. Dopo che gli in vitati sene sono andatiil vecchio signor de Galais ha aperto
la portalasciando per un momento entrare il gran vento nella casaaempirla di gemiti; poi si è avviato verso il Vieux-Nançay
donde ritornerà solo all'ora di cena per chiudere tutto a chiave e dareordini alla fattoria. Adesso ai due giovani non
arriva più nessun rumore da fuori. Solodalla parte della landaun ramo dirosaio spoglio picchietta contro i vetri. Simili a
passeggeri di un battello alla derivasonodentro a quel gran ventoinvernaledue innamorati chiusi nella loro felicità.
«Sembra che il fuoco voglia spegnersi» disse la signorina de Galais e feceil gesto di prendere un ceppo dalla
cassetta della legna. Ma Meaulnes fu più svelto e gettò lui stesso il legnosul fuoco.
Poi prese la mano tesa della ragazza e restarono così in piedil'unodavanti all'altracome ammutoliti da qualcosa
di grande e sorprendente che non si arriva a esprimere.
Il vento infuriava con il fracasso di un fiume in piena.
A tratti una goccia di pioggia rigava diagonalmente il vetrocome ilfinestrino di un treno.
Allora la ragazza corse via dalla porta del corridoiocon un sorrisomisterioso. Agostino rimase solo per un
momento nella semioscurità... Il tic tac di una pendola ricordava la stanzada pranzo di Sant'Agata... Certo pensò: «È questa
dunquela casa tanto cercata; il corridoio un tempo pieno di bisbigli e distrani movimenti...»
Proprio allora dovette udire - la signorina de Galais mi disse poi di averlosentito lei pure - il primo richiamo di
Frantzpoco lontano.
Inutilmente allora Yvonne gli mise sotto gli occhi tutte le meraviglie dellequali era tornata carica: i giocattolile
fotografie di quando era bambina: lei vestita da cantinieralei e Frantzsulle ginocchia della mammacosì graziosa... eppoi
quel che restava degli abitucci da brava ragazzina di un tempo: «anchequellisaiche portavo pressappoco quando tu stavi
per conoscermiquando arrivasti alla scuola di Sant'Agatacredo...»Meaulnes non vedevanon ascoltava nulla.
Tuttavia per un momento sembrò ripreso dal pensiero della sua straordinariainimmaginabile felicità:
«Tu sei qui» disse con voce soffocatacome se queste semplici parole glidessero la vertigine«passi accanto alla
tavolala tua mano ci si ferma un momento...»
E poi:
«Mia madrequando era ancora giovanepiegava proprio così un pochino ilbusto per parlarmi... E quando si
sedeva al piano...»
Allora la signorina de Galais propose di suonare prima che fosse notte. Maera scuro in quell'angolo del salone e
bisognò accendere una lampada. Il paralume accentuava l'alone roseo chesegnava le gote della ragazza e che era il segno di
una grande inquietudine...
Intanto laggiùal margine del boscoio tendevo l'orecchio alla musicatremula del ventopresto rotta dal secondo
richiamo dei due folliavvicinatisi fra gli abeti.
A lungo Meaulnes stette ad ascoltare la ragazzain silenzioguardando fuoridella finestra. Più volte si girò verso
quel dolce viso fragile e angosciato. Poi si avvicinò a Yvonne e le misedelicatamente una mano sulla spalla. Lei sentì quasi
sulla nuca la dolcezza di quella carezza alla quale come avrebbe voluto saperrispondere!
«È sera» disse alla fine Meaulnes. «Vado a chiudere le imposte. Macontinua a suonare...»
Che cosa avvenne allora in quel suo cuore confuso e ribelle? Me lo sonospesso domandatoma l'ho saputo solo
quando era troppo tardi. Rimorsi sepolti nel fondo? Rimpianti inspiegabili?Timore di vedersi svanire di tra le mani quella
felicità inaudita cui si aggrappava? E allora la tentazione terribile digettar viadi spezzare subito quel la cosa meravigliosa
appena conquistata?Alain-Fournier Il grande Meaulnes
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Uscì adagiosenza rumoredopo un'ultima occhiata alla giovane moglie. Dalmargine del bosco lo vedemmo
chiudere con qualche esitazione un'imposta poi guardare distrattamente versodi noiserrare un'altra imposta e di colpo
mettersi a correre nella nostra direzione. Ci arrivò vicino prima chepotessimo pensare a nasconderci meglio. Ci vide
proprio mentre stava per scavalcare una bassa siepe piantata di recentechesegnava il confine di un pratoe trabalzò.
Ricordo il suo aspetto stravoltol'aria di bestia in seguita. Finse ditornare indietro per passare la siepe dalla parte del
rigagnolo.
Lo chiamai:
«Meaulnes!... Agostino!...»
Ma lui non voltava neppure la testa. Alloraconvinto che soltanto questopotesse trattenerlo:
«C'è qui Frantz» gridai. «Fermati!»
Finalmente si fermò. Ansimandosenza lasciarmi il tempo di preparare la miaversionedisse:
«È qui! Che vuole?»
»È infelice» risposi. «Veniva a chiedere il tuo aiuto per ritrovare quelche ha perduto.»
«Ah» disse abbassando la testa. «Me lo immaginavo. Avevo un bel cercaredi soffocare questo pensiero... Ma
dov'è? Di' presto.»
Gli spiegai che Frantz era partito e che ormai non si poteva certo piùraggiungerlo. Meaulnes restò molto deluso.
Esitòfece due o tre passisi fermò di nuovo. Pareva terribilmenteincerto e angosciato. Gli dissi della promessa fatta a
nome suo a Frantz e che gli avevo dato appuntamento in quello stesso luogodi lì a un anno.
Agostinodi solito tanto calmoera adesso eccezionalmente nervoso eimpaziente:
«Ah! Perchè l'hai fatto!» disse. «Sìcertoio posso salvarloma deveessere orasubito. Debbo vederloparlargli
farmi perdonare e riparare a tutto ciò che... Altri menticome possotornare laggiù...»
E si girò verso la casa delle Sablonnières.
«Così» dissi«per una promessa da ragazzo che gli hai fattoti preparia distruggere la tua felicità.»
»Ah! se fosse solo quella promessa» osservò.
Capii così che qualche altra cosa legava i due giovanisenza poterla peròindovinare.
«Ad ogni modo» dissi«è tardi per corrergli dietro. Sono già inviaggio per la Germania.»
Stava per rispondere quando una creatura scapigliatain disordinesmarritaapparve in mezzo a noi: era la
signorina de Galais. Certo aveva corso perchè il suo viso era bagnato disudore; ed era anche cadutaferendosiperchè
aveva una scorticatura sopra l'occhio destro e sangue raggrumato fra icapelli.
Nei quartieri poveri di Parigi mi è capitato di vedere a un tratto unacoppia coniugale che tutti credevano felice
unitaonestatrascinata da un litigio per la viadivisa a fatica dagliassenti intervenuti nella lotta. Di colpolo scandalo è
scoppiatopoco importa quandoal momento di mettersi a tavolaprima dellapasseggiata della domenicaproprio mentre ci
si preparava a festeggiare il bimbo più piccolo... - e adesso tutto èscordatodistrutto. In tanto scompigliomarito e moglie
sono soltanto due indemoniati che fanno pietà e i ragazzi piangendo gli sigettano controli abbracciano strettili supplicano
di tacere e di non picchiarsi più.
La signorina de Galaisquando corse verso Meaulnesmi ricordò proprio unodi questi bambiniun povero bimbo
atterrito. Credo che se anche tutti i suoi amicitutto un paeseil mondointero fossero stati lì a guardarlasi sarebbe
precipitata lo stessosarebbe caduta lo stessoin disordinesporca dilacrime e di fango.
Ma quando capì che Meaulnes era proprio lìche alme no per questa voltanon l'avrebbe abbandonatainfilò un
braccio nel suopoi non potè fare a meno di sorridere fra le lacrimeproprio come un bambino. Non dissero nulla nè l'uno
nè l'altra. Ma quando lei cavò fuori il fazzolettoMeaulnes glielo presedi mano delicatamente e con gran cura e attenzione
asciugò il sangue che le macchiava i capelli.
«Ora dobbiamo rientrare» disse.
Li lasciai tornare tutti e duenel gran vento limpido della sera d'invernoche frustava i visi - lui che l'aiutava con la
mano nei tratti più disagevoli; lei che sorrideva e si affrettava - verso lacasa per un momento abbandonata.
10 • LA «CASA DI FRANTZ»
Tutto l'indomaniniente affatto rassicuratopunto da una inquietudine sordache la conclusione felice del tram
busto della vigilia non bastava a dissiparemi toccò restar chiuso ascuola. Ma subito dopo l'ora di «studio» che tiene dietro
alla lezione pomeridianami misi in cammino per le Sablonnières. Facevabuio quando arrivai nel viale degli abeti che
portava alla casa. Tutte le imposte erano serrate. Ebbi timore di riuscireimportunopresentandomi a quell'ora l'indomani di
un matrimonio; così rimasi fino assai tardi a gironzolare ai margini delgiardino e nei campi vicinisempre sperando di
vedere qualcuno uscire dalla casa sbarrata... Inutile speranza. Neppure nellafattoria lì presso c'era segno di vita. Dovetti
rientrare a casa angustiato dalle più oscure fantasie.Alain-Fournier Ilgrande Meaulnes
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La stessa incertezza l'indomanisabato. Verso sera presi in fretta mantellobastoneun pezzo di pane da mangiare
per viae arrivando quando era già notte trovai le Sablonnières tuttesbarrate come il giorno prima... Un filo di luce al primo
piano; ma nessun rumorenon un movimento... Però dal cortile stavolta vidila porta della fattoria apertail fuoco acceso
nella gran cucina e sentii il rumore consueto di passi e voci all'ora dicena. Ne fui confortato ma certo non illuminato. Non
potevo dir nulla nè chiedere nulla a quella gente Così tornai ancora aspiaread aspettare invanosempre illudendomi di
vedere aprirsi una porta e comparire finalmente l'alta figura di Agostino.
Solo domenica pomeriggio decisi di suonare alla porta delle Sablonnières.Mentre montavo i pendii spoglisentivo
rintoccare lontano i vespri della domenica invernale. Provavo un senso disolitudine e di desolazionenon so che triste
presentimento mi guadagnava. Così non fui tanto sorpreso quando alla miascampanellata comparve solo il signor de Galais
che mi parlò a bassa voce: Yvonne de Galais era a letto con una fortefebbre; Meaulnes era dovuto partire fin dalla mattina
di venerdì per un lungo viaggio; non si sapeva quando sarebbe tornato...
Il vecchiomolto imbarazzato e abbattutonon mi disse di entrare ed io micongedai subito. Chiusa la portarimasi
per un momento sulla sogliail cuore strettoprofondamente smarritoaguardare senza sapere perchè un ramo di glicine
disseccato che oscillava tristemente al vento in un raggio di sole.
Cosìdunqueil rimorso segreto che Meaulnes portava in sè fin dal tempodi Parigi era stato più forte; e il mio
grande amicoalla fineera dovuto fuggire lontano da quella felicità chelo invischiava...
Ogni giovedì e ogni domenica tornai a chiedere notizie di Yvonne de Galaisfinchè una seraormai convalescente
lei mi fece dire di entrare. La trovai seduta accanto al fuoconel saloneche dava con un'ampia finestra fino a terra sui campi
e i boschi. Non era pallida come m'immaginavoanzi tutta infocata da chiazzerosse sotto gli occhie tutta agitata. Sebbene
ancora molto debolesi era voluta vestire come per uscire. Parlava poco mapronunciava ogni frase con straordinaria
animazionequasi per persuadere se stessa che la felicità non si era ancoradileguata... Non ricordo quello che dicemmo. So
soltanto che a un certo punto chiesi esitando quando sarebbe tornatoMeaulnes.
«Non so quando tornerà» rispose lei vivacemente.
C'era nei suoi occhi una preghiera e io non volli chiedere di più.
Tornai spesso a trovarla. Spesso parlai con lei vicino al fuocoin quelsalone dal soffitto basso dove il buio veniva
più presto che in qualsiasi altro posto. Yvonne non parla va mai di sè nèdel suo dolore nascostoma non era mai sazia di
sentire da me i particolari della nostra vita di scolari a Sant'Agata.
Ascoltava con un'aria tutta seria e dolcecon un interesse che avrei dettomaternola storia delle nostre angosce e
avventure puerili. Non si stupiva maineppure davanti alle ragazzate piùrischiosepiù spinte. Questa tenerezza premurosa
che le veniva dal signor de Galaisle deplorevoli avventure del fratello nonl'avevano stancata. Il solo rimpianto che le
ispirava il passatocredoera di non essere stata una confidente abbastanzaintima per suo fratello seal momento della
grande delusionequesti non aveva avuto il coraggio di dir nulla neppure alei e si era dato perduto senza scampo. Se ci
pensoera ben pesante il compito che aveva assunto la giovane donna -rischiosoquello di secondare una creatura sfrenata
e fantastica come il fratello - schiacciante addiritturaquello di votarsi aun cuore avventuroso come l'amico mioil gran
Meaulnes.
La fede che conservava nelle fantasie infantili del fratellola cura con cuicercava di preservare almeno i resti di
quel sogno dentro il quale era vissuto fino a vent'anniYvonne me le provòun giorno nella maniera più toccante e direi
quasi più misteriosa.
Capitò una sera di aprile desolata come una fine d'autunno. Da un mese circafaceva una dolce primavera anticipata
e la ragazza aveva ricominciato le lunghe passeggiate predilette in compagniadel signor de Galais. Quel giorno però il
vecchio era stanco ed io invece non avevo impegni: così lei mi chiese diaccompagnarlasebbene il tempo minacciasse. A
più di mezza lega dalle Sablonnièresmentre costeggiavamo lo stagnoiltemporale ci piombò addosso con pioggia e
grandine. Sotto la tettoia dove ci eravamo riparati dal rovesciointerminabilestavamo in piedi l'uno accanto all'altragelati
dal ventopensierosidavanti a un paesaggio intorbidato. La rivedonell'abito sobrio ed elegantetutta sbattutatutta in
tormento.
«Bisogna tornare a casa» diceva. «Siamo ormai fuori da tanto tempo.Chissà che cosa è accaduto.»
Macon mio grande stuporequando potemmo finalmente lasciare il riparoinvece di tornare verso le
Sablonnièresproseguì il cammino invitandomi a seguirla. Dopo un bel po'di camminoarrivammo davanti a una casa che
non conoscevoisolata al margine di un sentiero sterrato che doveva portareverso Préveranges. Era una casetta borghese
con il tetto di ardesianon diversa dal tipo di edificio comune in quellazona se non per esser così isolata e fuori mano.
A vedere Yvonne de Galais si sarebbe detto che quella casa fosse nostra e chel'avessimo lasciata per un lungo
viaggio: chinandosi un po' aprì un cancelletto e subito ispezionò con unosguardo inquieto quel luogo abbandonato. Il gran
cortile erboso dovesi capivai ragazzi erano venuti a giocare negliinterminabili pomeriggi di fine invernoera sconvolto
dal temporale. Un cerchio affondava in una pozzanghera. Nelle aiuoleseminate a fiori e piselli dai ragazzinon restavano
piùdopo quel rovescio d'acquache scie di ghiaietta bianca. Alla finescoprimmorannicchiata contro una delle porte
infradiciateuna covata di pulcini zuppi fino alle ossa. Erano morti quasitutti sotto le ali intirizzitele piume sciupate dellaAlain-Fournier Ilgrande Meaulnes
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chioccia.
Davanti a questo spettacolo miserando la giovane donna mandò un gridosoffocato. Senza badare al bagnato e al
fango si chinò a separare i pulcini ancora vivi da quelli morti e liraccolse in una falda del suo mantello. Poi entrammo nella
casetta di cui aveva la chiave. Quattro porte davano su un corridoio strettodove subito il vento s'ingolfò con un sibilo.
Yvonne de Galais aprì la prima a destrafacendomi entrare in una camerabuia: dopo un momento di esitazione distinsi una
grande specchiera e un lettuccio ricoperto di un piumino di seta rossacomeusa in campagna. Yvonnedopo aver rovistato
un poco nel resto dell'appartamentoricomparve con una cesta imbottita dipiumedove aveva sistemato i pulcini malconci e
la fece scivolare con ogni cura sotto il piumino. Un debole raggio di soleil primo e l'ultimo di quella giornatafaceva più
scialbi i nostri visipiù scuro il tramontoe noi stavamo lànellastrana casadirittiintirizziti e angosciati.
Ogni momentoYvonne andava a dare un'occhiata al nido palpitantene cavavaun pulcino morto per impedire che
contagiasse gli altri. E ogni volta ci pareva che qualcosa di misteriosoungran vento irrotto dalle finestrelle sfondate del
solaio o un ignoto dolore puerile gemesse piano piano.
«Questa» disse infine la mia compagna«era la casa di Frantz quando erapiccolo. Aveva voluto una casa tutta per
sèlontano dagli altridove venire a giocaredivertirsivi vere quandogli piacesse. Mio padre aveva trovato così bizzarro
così divertente questo capriccio che non aveva saputo dir di no. Quando neaveva vogliaun giovedìuna domenicanon
importaFrantz se ne andava nella sua casa come un adulto. I ragazzi dellefattorie vicine venivano a giocare con lui
I'aiutavano a tenere la casaa coltivare il giardino. Che gioco stupendo! Ea seranon aveva mica paura di dormire tutto
solo! Noioh noi lo ammiravamo tanto che non ci passava neppure per la mentedi essere inquieti.
«Adessoda un bel po' di tempo» continuò sospirando«la casa è vuota.Il signor de Galaisormai vecchio e di
struttonon ha fatto più nulla per ritrovare o richiamare a sè miofratello. Del restoche potrebbe fare?
«Io passo spesso di qui. I ragazzi dei contadini qui in torno continuano agiocare nel cortile come un tempo. A
volte mi piace fingere che siano i vecchi amici di Frantz; che lui sia ancoraun ragazzo e stia per tornare da un momento
all'altro con la fidanzata che si era scelta.
«Questi ragazzi mi conoscono bene. Io gioco con loro. La covata di pulciniera nostra...»
Perchè mi confidasse questo grande dolore sempre taciutoil rimpianto diaver perduto un fratello così pazzo
affascinanteammiratoerano stati necessari dunque un rovescio d'acqua equel piccolo disastro. L'ascoltavo senza aprir
boccail cuore gonfio di singhiozzi...
Chiusi porte e cancellorimessi i pulcini nel casotto di assi dietro lacasaYvonne riprese malinconicamente il mio
braccio e rientrammo.
Passarono mesisettimane. Giorni ormai lontani! Felicità perduta! Colei chefu la fatala principessal'amore
misterioso della nostra adolescenzatoccava a me di prenderla al bracciodilenirle per quanto possibile il dolorementre lui
era fuggito via. Che potrei dire ora di quel periododi quelle conversazioniseralidopo le lezioni che tenevo a Saint-Benoist-
des-Champsdelle passeggiate durante le quali il solo argomento cheevitavamo era proprio quello di cui avremmo
dovuto parlare? Non me ne resta altro ricordo che quellogiàsemicancellatodi un bel viso smagritodi due occhi che
calano adagio le palpebre mentre mi guardanocome per non vedere più che unmondo interiore.
Così sono stato il suo compagno fedele - compagno in una attesa della qualenon parlavamo - per tutta una
primavera e un'estate che non si ripeteranno mai più. Spesso nel pomeriggioritornammo alla casa di Frantz. Lei apriva le
porte per dare ariaperchè niente sapesse di muffa quando la giovane coppiasarebbe tornata; teneva dietro ai polli già un po'
inselvatichitiche razzolavano nel cortile. Il giovedì o la domenicaanimavamo i giochi dei bimbi dei dintornie le loro
gridale loro risatein quella solitudinerendevano ancora più desolatapiù vuota la casetta abbandonata.
11 • CONVERSAZIONE SOTTO LA PIOGGIA
L'agostomese di vacanzemi allontanò dalle Sablonnières e da Yvonne.Dovetti passare a Sant'Agata i miei due
mesi di ferie. Così rividi il gran cortile aridoil porticol'aulavuota... Tutto parlava del gran Meaulnestutto traboccava dei
ricordi della nostra adolescenza ormai finita. Durante quei giorni doratiinterminabilimi chiudevocome un tempo prima
dell'arrivo di Meaulnesnell'archivionelle aule deserte. Leggevoscrivevoricordavo... Mio padre era via a pesca. Millie
cuciva o suonava il piano in salottocome una volta... Nel silenzio completodell'auladove le coroncine di carta verde
stracciatele copertine dei libri-premiole lavagne nettatetutto dicevache l'annata scolastica era finita e le premiazioni
fattetutto aspettava l'autunnola ripresa delle lezioni a ottobrelenuove fatiche - io pensavo che anche la nostra giovinezza
era finita e la felicità sfuggita; anch'io aspettavo di riprendere le mievisite alle Sablonnières e la ricomparsa di Agostino
che forse non sarebbe tornato mai più...
C'era però una lieta novitàe la dissi a Millie quando si decise ainterrogarmi sulla giovane sposa. Temevo le sue
domandeil modoa un tempo candido e maliziosodi mettere improvvisamentein imbarazzo la genteandando diritta a
scovare il pensiero più geloso. Tagliai corto a tutto annunziando che lamoglie del mio amico Meaulnes sarebbe stata madreAlain-Fournier Il grandeMeaulnes
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in ottobre.
Fra me e me rievocai il giorno in cui Yvonne de Galais mi aveva lasciatointuire questa grande novità. C'era stato
un momento di silenzio; da parte miaun lieve imbarazzotutto maschile. Esubitosventatamenteper dissiparloavevo
detto - accorgendomi troppo tardi del dramma che così andavo a riattizzare:
«Devi essere molto felice.»
Ma leisenza nessuna riservasenza rimpianto o rimorso o rancoreavevarisposto con un bel sorriso di gioia:
«Certomolto felice.»
Durante l'ultima settimana di vacanzeche è in generale la più bella epoeticasettimana di acquazzonisettimana
in cui si comincia ad accendere il fuocoche io di solito impiegavo acacciare fra le abetaie nere e fradicie del Vieux-Nançay
mi preparai a rientrare direttamente a Saint-Benoist-des-Champs. Firminolazia Giuliale mie cugine del Vieux-Nançay
mi avrebbero assediato di domande alle quali non avevo nessuna voglia dirispondere. Così stavolta rinunciai a fare
per otto giorni la vita eccitante del cacciatore rustico e rientrai nella miacasa di maestro quattro giorni prima della ripresa
delle lezioni.
Arrivai prima di notte nel cortile già coperto di foglie gialle. Ripartitoil vetturaleaprii con poca allegrianella
stanza da pranzo piena d'echiche sapeva di rinchiusoil pacchetto di cibipreparato da mia madre... Mangiai qualcosa di
malavoglia e poi impazienteansiosomi buttai sulle spalle il mantello evia per una sgambata febbrile che mi condusse
diritto alle Sablonnières.
Non volevofin dalla prima serainsinuarmi come un intruso Peròpiùaudace che in febbraiodopo aver girato e
rigirato intorno alla proprietà (solo la finestra della stanza di Yvonne erailluminata) scavalcaisul retrola siepe del
giardino e mi sedetti su una panchinanella prima ombrafelice per il solofatto di essere làvicino a quanto mi
appassionava e turbava di più al mondo.
Faceva nottecominciava a cadere una pioggerella fine. A testa bassaguardavodistrattole scarpe che si
ammollavano pian piano e diventavano lucide d'acqua. Adagio mi risucchiava ilbuio e il freddo si impadroniva di me senza
però interrompere le fantasticherie. Con malinconica tenerezza pensavo aisentieri fangosi di Sant'Agata in quella sera di
fine settembre; immaginavo la piazza nebbiosail garzone del macellaio chefischietta mentre si avvia alla pompail caffè
pieno di lucil'allegro carico di viaggiatori sotto un guscio di ombrelliaperti che approdava prima della fine delle vacanze
dallo zio Florentin... Mi dicevo tristemente: che importa tutta questafelicitàdal momento che Meaulnesil mio amicoe
sua moglie non possono parteciparvi...
Fu allora chealzando la testala vidi a due passi da me. Le sue scarpettefacevano sulla sabbia un rumore lieve che
avevo preso per quello delle gocce d'acqua della siepe. Portava sulla testa esulle spalle un grande scialle di lana nera e la
pioggerella le imperlava i capelli sulla fronte. Certo doveva avermi vistodalla finestra della sua camera che dava sul
giardinoe adesso veniva verso di me. Faceva così anche mia madreuntempoche veniva a cercarmi tutta inquieta per
dirmi: «È ora di rientrare»matrovando gusto a questa passeggiata sottola pioggia notturnadiceva soltanto teneramente:
«Prenderai freddo»e restava con me a parlare per un bel po'...
Yvonne de Galais mi porse una mano che bruciava erinunziando a farmientrare alle Sablonnièressi sedette sulla
panchina rosicchiata dal muschio e dal verderamescegliendo la parte menobagnata; ioin piediun ginocchio puntato sulla
panchinami curvavo verso di lei per ascoltarla.
Cominciò sgridandomi amichevolmente di aver accorciato così le vacanze:
«Ma dovevo pur tornare al più presto per farti compagnia» risposi.
«È vero» disse sospirandocon voce quasi soffocata«sono ancora sola.Agostino non è tornato...»
Credetti di intendere in quel sospiro un rimpiantoun rimprovero represso ecominciai a dire:
«Un cervello così nobile e così pieno di follie! Forse la sete d'avventuraè stata più forte di tutto...»
Ma lei mi interruppee fu proprio lìquella serache per la prima el'ultima volta mi parlò di Meaulnes.
«Non dir cosìFrancescoamico mio» mormorò. «Solo noi - io sola sonocolpevole. Pensa a quel che abbiamo
fatto...
«Gli abbiamo detto: "Eccoti la felicitàecco ciò che hai cercato pertutta la giovinezzaecco la ragazza che stava in
cima ai tuoi sogni!"»
«Come pretendere chespinto così alle spallenon fosse preso daesitazionepoi da timoreinfine da terrore e non
cedesse alla tentazione di salvarsi nella fuga?»
«Yvonne» dissi piano«sai bene che eri tu quella felicitàquellaragazza...»
«Ahimè» sospirò. «Come ho potuto avereanche per un solo istantetanta presunzione: è qui la causa di tutto.
«Ti dicevo: "Forse non posso far nulla per lui." Ma nel fondopensavo: "Poichè mi ha tanto cercata e poichè l'amo
debbo pur essere la sua felicità." Ma quando me lo sono visto vicinopieno di febbredi inquietudinedi rimorsi misteriosi
ho capito che ero solo una povera donna come le altre...
«"Non sono degno di te" continuava a dire luiquando vennel'alba dopo la notte di nozze.
«Cercavo di consolarlodi rassicurarlo: niente lo calmava. Allora gli hodetto: "Se devi partirese io sono venutaAlain-Fournier Il grandeMeaulnes
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da te nel momento in cui niente può farti felicese devi lasciarmi adessoper tornare poi finalmente serenosono io che ti
chiedo di partire..."»
Nell'ombrami accorsi che aveva alzato gli occhi e mi guardava. Era unaconfessionequestae ora aspettava con
ansia che l'approvassi o la condannassi. Ma che potevo dire? Dentro di mecertorivedevo il gran Meaulnes di una volta
malaccorto e ribelleche preferiva sempre venir punito piuttosto chedomandar scusa o chiedere un permesso sicuro. Certo
Yvonne de Galais avrebbe dovuto fargli violenzaprendergli la testa fra lemanidirgli: «Che importa quello che hai fatto? ti
amo; forse che tutti gli uomini non sono peccatori?» Certoper generositàper spirito di sacrificio aveva commesso il grosso
errore di ributtarlo sulla strada delle avventure... Ma come biasimare tantabontàtanto amore !...
Un lungo silenzio: sconvolti fino in fondo al cuoresentivamo la pioggiagelida gocciolare dalle siepi e dai rami.
«Cosìal mattinose ne è andato» continuò lei. «Più nulla ciseparava ormai. Mi ha baciata così come un marito
che lascia la giovane moglie per un lungo viaggio...»
Si era alzata. Presi nella mia la sua mano febbricitantepoi il braccio;risalimmo il viale nella profonda oscurità.
«E non ti ha mai scritto?» chiesi.
«Mai» rispose.
Alloracolti entrambi dal pensiero della vita d'avventure
che doveva condurre adesso sulle vie di Francia o di Germaniacominciammo aparlare di lui come non avevamo
mai fatto prima. Tornavano a mente particolari dimenticatiimpressioni delpassatomentre adagio risalivamo verso casa
fermandoci lungamente quasi a ogni passo per meglio scambiarci i ricordi... Alungofinchè arrivammo al recinto del
giardinoascoltai nel buio la cara voce soffocata della giovane donna; eanch'ioripreso dall'antico entusiasmole parlai
senza stancarmicon profondo slancio di affettodi colui che ci avevaabbandonati...
12 • IL FARDELLO
Le lezioni dovevano riprendere lunedì. Sabato pomeriggioverso le cinqueuna donna del Dominio arrivò nel
cortile della scuola dove stavo segando legna per l'invernoe mi annunziòche era nata una bimba alle Sablonnières. Il parto
era stato difficile. Alle nove di sera avevano dovuto mandare a chiamare lalevatrice di Préveranges; a mezza nottealtra
corsa per il dottore di Vierzon. Questi era stato costretto a ricorrere aiferri. La piccola era rimasta ferita alla testa e piangeva
molto però sembrava perfettamente vi tale. Yvonne de Galais era molto deboleadessoma aveva sopportato tutto con un
coraggio straordinario.
Piantai lì il lavorocorsi a infilarmi un'altra giubba efelicetuttosommatodella notiziaseguii la donna alle
Sablonnières.
Montai adagio la scaletta di legno che portava al primo pianonel timore chel'una o l'altra delle due ferite
dormisse. Il signor de Galaisstanco ma beatomi fece pa sare nella stanzadove avevano sistemato per il momento la culla
avvolta nei veli.
Non ero mai entrato nella casa dove fosse appena nato un bimbo: che eventobizzarromisterioso e bello! Era una
serata così splendida - una vera sera d'estate - che il signor de Galais nonesitò ad aprire la finestra che dava sul cortile.
Appoggiato al davanzale al mio fiancomi raccontavaesausto e feliceildramma di quella notte; ascoltandolosentivo in
modo confuso che qualcunoun altroera con noi adessonella stanza...
Sotto i veli qualcuno si mise a piangere con un suono aspro e continuo...Allora il signor de Galais mi disse a
mezza voce:
«È la ferita alla testa che la fa strillare.»
Con un gesto meccanico - si capiva che lo faceva fin dal mattino e ormai neaveva preso l'abitudine - cominciò a
cullare quel bozzolo di veli«Ride già» disse«e afferra il dito. Nonl'ha vista?»
Aprì le tendine e vidi una faccina rossa e tumefattaun piccolo craniobislungo e deformato dai ferri.
«Non è niente» disse il signor de Galais«il medico ha assicurato cheandrà tutto a posto da sè... Le dia il dito da
stringere.»
Eccoscoprivo un mondo ignorato. Avevo il cuore gonfio di una gioia stranafinallora ignota...
Il signor de Galais socchiuse cautamente la porta della camera di Yvonne: nonera addormentata.
«Può entrare» mi disse.
Era supinail viso infiammato fra i biondi capelli sparpagliati. Mi tese lamanocon un sorriso sfinito. Le feci
qualche complimento per la bimbae leicon voce un po' rauca e unaruvidezza insolita - la ruvidezza di chi ha sostenuto
una dura battaglia - disse sorridendo:
«Sìma me l'hanno massacrata.»
Dovetti andarmene presto per non stancarla.
L'indomanidomenicanel pomeriggiomi affrettai alle Sablonnières conun'impazienza quasi festosa. Sulla portaAlain-Fournier Il grande Meaulnes
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un cartello fissato con delle puntine mi bloccò il gesto:
Si prega di non suonare.
Non immaginavo di che si trattasse. Bussai forte. Da dentrouno scalpicciosoffocato: qualcuno che non conoscevo
- era il dottore di Vierzon - mi aperse.
«Allora? Che succede?» chiesi forte.
«Stt! Stt!» ribattè a voce bassaseccato. «La piccola stanotte è statalì lì per moriree la madre sta molto male.»
Tutto smarrito lo seguii in punta di piedi fino al primo piano. La bimbaaddormentata nella cullaera pallidissi ma
bianca come una morticina. Il medico pensava che si sarebbe salvata. Quantoalla madrenon si impegnava... Mi fece
lunghe spiegazionicome al solo amico di famiglia. Parlò di congestionepolmonaredi embolia. Esitavanon era sicuro... Il
signor de Galais entròstravolto e vacillante: due giorni l'avevanoinvecchiato paurosamente.
Mi condusse nella camera di Yvonne senza neppure saper bene ciò che faceva:
«Non bisogna» bisbigliò«non bisogna spaventarla; il medico ha ordinatodi dirle che va tutto bene.»
Il viso imporporatoYvonne de Galais era stesa con la testa abbandonata comeil giorno prima. Gote e fronte di un
rosso mattonegli occhi a tratti rovesciati come chi soffochisi difendevadalla morte con un coraggio e una dolcezza
indicibili.
Non poteva parlarema mi diede la mano scottante con un tale slancio diamicizia che mi vennero le lacrime agli
occhi.
«Bene! Bene!» disse il signor de Galais a voce altacon un'orribilegaiezza quasi demente. «Vede che per essere
malata non ha mica una cattiva cera!»
Non sapevo cosa rispondere e continuavo a stringere nella mia la manoterribilmente calda della giovane donna
morente...
Yvonne fece uno sforzo per dirmi qualcosaper chiedermi chissà che; girògli occhi verso di me poi verso la
finestraquasi volesse dirmi di andare fuori a cercare qualcuno... Ma leprese un'atroce crisi di soffocamento; i begli occhi
turchini cheper un momentomi avevano gettato quel drammatico richiamosistravolsero; gote e fronte illividirono
mentre si dibatteva appenaquasi per dominare fino in fondo angoscia edisperazione. Medico e donne accorsero con la
bombola d'ossigenopanniflaconi; e intanto il vecchiochinato su di leigridava - gridava come se lei fosse già lontanacon
voce aspra e tremante: «Non temereYvonne. Non è nulla. Non devi averpaura!»
Poi la crisi si calmò. Yvonne potè respirare un pocoma sempre mezzosoffocatagli occhi bianchila testa
rovesciatasempre lottando ma incapace di uscire dal gorgo che già larisucchiavaanche soltanto un secondoper
guardarmi e parlarmi.
... Non potevo servire a nulla: così decisi di andarmene. Certo sarei potutorimanere ancora un momento; a questo
pensiero un tremendo rimorso mi serra il cuore. Ma che?
Speravo ancoravolevo convincermi che la fine non era così vicina.
Quando fui al margine dell'abetaiadietro la casaripensando allo sguardodi Yvonne verso la finestraesaminai
con l'attenzione di una sentinella o di un cacciatore d'uomini gli anfrattidi quel bosco dove un giorno era sbucato Agostino
e dovel'inverno precedenteera scomparso. Ahimènulla. Non un'ombrasospettaun ramo che oscilla. Ma dopo un po'
laggiùdalla parte della strada di Préverangessentii il tintinniosottile di un campanellino; presto alla svolta comparve un
ragazzo con lo zucchetto rosso e la giubba da scolaroseguito da un prete...Venni viainghiottendo le lacrime.
L'indomani riprendevano le lezioni. Alle sette c'erano già in cortile due otre ragazzi. Esitai a lungo prima di
scendere e mostrarmi. E quando comparvi finalmente e aprii l'aula muffitachiusa da più di due mesiaccadde proprio ciò
che temevo di più al mondo: il più grande degli scolari si staccò dalgruppetto che giocava sotto il portico e mi si avvicinò
per annunziarmi che «la signora giovane delle Sablonnières era morta ilgiorno primaal calare della notte».
Tutto si appannatutto si confonde per me in questo dolore. Adesso mi pareche non potrò trovare mai più la forza
per fare lezione. Soltanto attraversare il cortile brullo della scuola è unafatica che mi spezza i ginocchi. Tutto è penatutto
amarezzaadesso che lei è morta. Il mondo è vuotole vacanze finite.Finitele lunghe scarrozzate avventurose; finitala
festa misteriosa... Tutto torna ad essere come primauna faticauna pena.
Ho detto ai ragazzi che non ci sarà lezione stamane. Se ne vannoagruppettiper comunicare la notizia agli altri
per la campagna. Io invece metto il cappello nerola giacca migliore em'avvio affranto verso le Sablonnières...
... Eccomi davanti alla casa che cercammo con tanto accanimento tre anni fa!In questa casaieri seraè morta
Yvonne de Galaismoglie di Agostino Meaulnes. Chi non sapesselascambierebbe per una cappellaun tale silenzio è
caduto da ieri su questo luogo desolato.
Questodunqueriservava il limpido mattino del ritorno a scuolail perfidosole d'autunno che s'insinua sotto i
rami. Come vincere questo straziante senso di rivoltaquest'onda di piantoche mi soffoca? Avevamo ritrovato la bella
fanciullal'avevamo conquistata. Era diventata la moglie del mio compagno edio l'amavo con una di quelle amicizieAlain-Fournier Il grande Meaulnes
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profonde e segrete che non si confessano. Mi bastava guardarla per esserefelicecome un ragazzo. Forse un giorno avrei
sposato anch'io una ragazza così e a lei per prima avrei dato la grandenotizia tenuta nascosta...
Sulla portavicino al campanelloc'è ancora il cartello di ieri. Nelvestibolo a pianterreno hanno già portato la bara.
La balia della bimba mi viene incontro nella stanza del primo pianomiracconta la fine e mi socchiude piano la porta...
Eccola. Niente più febbre nè lotta; niente più rossore nè attesa... Solosilenzio ein mezzo all'ovattaun visoinsensibile
biancouna fronte mortai capelli fitti e duri.
Accoccolato in un angoloil signor de Galais ci volta le spalle: senzascarpesta frugando con una terribile
ostinazione nel subbuglio dei cassetti strappati fuori da un armadio. Ditanto in tanto ne cava una vecchia fotografia
ingiallita della figlia e una crisi di singhiozzi lo scuote tutto come unacrisi di riso.
Il funerale sarà a mezzogiorno. Il medico teme la rapida decomposizione chesegue a volte le embolie. Perciò il
viso e tutto il corpo sono stati fasciati di ovatta inzuppata di fenolo.
Quando hanno finito di vestirla - le hanno messo il bell'abito di velluto bluricamato di stelline d'argentoma hanno
dovuto schiacciare e gualcire le maniche a sbuffooggi fuori moda - evogliono portare su la barasi accorgono che non
svolterebbe nel corridoio troppo stretto. Dicono che bisogna issarla con unacorda dall'esterno e poi farla scendere nello
stesso modo... Ma il signor de Galaissempre piegato su quel ciarpame allacaccia di chissà quali ricordi perduti
s'intromette con una terribile veemenza.
«Piuttosto» dicecon voce rotta dai singhiozzi e dalla collera«piuttosto che una cosa similela prendo io e la
porto giù con le mie braccia...»
E certo lo farebbea rischio di caderesfinitoa metà strada e rovinaregiù con lei!
Allora mi faccio avantiprendo la sola decisione possibile: con l'aiuto deldottore e di una donnapasso un braccio
sotto la schiena della mortal'altro sotto le gambeme la carico sul petto.Adagiata sul mio braccio sinistrola testa ripiegata
in abbandono sotto il mio mentomi pesa terribilmente sul cuore. Scendoadagioscalino per scalinola lunga scala ripida
mentre dabbasso preparano tutto.
Presto le braccia mi si schiantano per la fatica. Con quel peso sul pettoadogni gradino mi cresce l'affanno.
Stringendo il corpo inerte e pesantechino il mio capo sul suorespiroforte e i capelli biondi mi entrano in bocca - capelli
morti che hanno sapore di terra. Questo sapore di terra e di mortequestopeso sul cuoreecco tutto ciò che mi resta della
grande avventura e di teYvonne de Galaistanto cercata - tanto amata...
13 • IL QUADERNO DEI COMPITI MENSILI
Nella casa piena di malinconici ricordidove le donne non facevano altro checullare e calmare una bimbetta
malatail signor de Galais presto si mise a letto. Con i primi freddidell'inverno si spense in silenzioserenamenteed io
piansi al capezzale di questo vecchio amabileche con la sua indulgenza e lasua fantasiacongiunta a quella del figliuolo
era stato all'origine della nostra vicenda. Per gran fortunamorì senzaassolutamente capire ciò che era accadutoe d'altro
canto mantenendo fino alla fine un silenzio quasi totale. Poichè da temponon aveva più nè parenti nè amici in questa parte
della Franciami nominò nel testamento suo erede universale fino al ritornodi Meaulnescui avrei dovuto render conto di
tuttoposto che tornasse un giorno o l'altro... Ormai abitavo alleSablonnières. Andavo a Saint-Benoist solo per far lezione
partendo al mattino di buonorapranzando a mezzogiorno con qualcosa cheportavo da casa e facevo scaldare sulla stufae
rientrando a sera appena finito il doposcuola. Così potei tenere con me lapiccolaaffidata alle donne della fattoriacosì
soprattuttocrescevano le possibilità di incontrare Agostinose maitornasse un giorno alle Sablonnières.
Non rinunciavo poi all'idea di scovare alla lunga nei mobilinei cassetti dicasa qualche cartaqualche indizio che
mi permettesse di sapere ciò che aveva fatto durante i lunghi anni disilenzio precedenti - e forse di arrivare al motivo della
sua fuga o almeno di ritrovare una traccia... Già avevo frugato senzacostrutto in non so quanti armadi e cassettoniaperto
nei vari ripostigliuno sterminio di vecchie scatole di cartone d'ogniformazeppe di pacchi di lettere e di fotografie
ingiallite della famiglia de Galaiso stipate fino a scoppiare di fioriartificialidi piumedi pennacchidi uccelletti fuori
moda. Ne usciva non so che sentore appassitoche profumo tenue capace diridestare in medi colpoper tutta la giornata
ricordi e rimpiantibloccando ogni ricerca...
Un giorno che avevo vacanza scovai in solaio una vecchia valigetta di porcolunga e schiacciatatutta smangiata
che riconobbi subito: era la valigia dello studente Agostino Meaulnes! Mirimproverai di non aver cominciato di lì le mie
ricerche. Feci saltare facilmente la chiusura arrugginita. La valigia erapiena fino all'orlo dei quaderni e dei libri usati a
Sant'Agata: aritmeticaletteraturaproblemie che altro?... Piùintenerito che curiosocominciai a rovistare fra quella roba
rileggendo i dettati che sapevo ancora a memoriatante volte li avevamoricopiati! «L'acquedotto» di Rousseau
«Un'avventura in Calabria» di P.-L. Courier«Lettera di George Sand a suofiglio»...
C'era anche un «quaderno dei compiti mensili». Me ne meravigliaiperchèquesti quaderni rimanevano in scuola e
gli allievi non li potevano mai portare fuori. Era un quaderno verde tuttoingiallito ai bordi. Il nome dello studenteAgostinoAlain-Fournier Il grandeMeaulnes
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Meaulne
sera scritto sulla copertina in un magnifico carattere rotondo. L'apersi e guardando la data dei compitiaprile189.. mi accorsi che Meaulnes l'aveva incominciato pochi giorni prima dilasciare Sant'Agata. Le prime pagine erano tenute
con la cura religiosa che era d'obbligo quando lavoravamo su questi quaderni.Ma solo tre pagine erano coperte di scrittura
il resto era bianco; ecco perchè Meaulnes l'aveva portato con sè.
Mentreinginocchiato a terraripensavo a queste abitudinia queste normepuerili che pure avevano occupato tanto
posto nella nostra adolescenzaandavo sfogliando con il pollice il quadernolasciato a metà. Così scopersi che dopo quattro
fogli bianchila scrittura riprendeva.
Era ancora la scrittura di Meaulnesma frettolosasommariaappenaleggibile; brevi paragrafi di lunghezza
inegualedivisi da spazi bianchi; a volte solo una frase incompleta; a volteuna data. Fin dalle prime righe credetti di capire
che lì potevano esserci indicazioni sulla vita di Meaulnes a Parigiindizidella pista che cercavo; e scesi nella stanza da
pranzo per esaminare a mio agioalla luce del giornoil bizzarro documento.Era una giornata d'inverno chiara e inquieta.
Ora un sole vivo disegnava la crociera della finestra sulle tende biancheora una ventata improvvisa rovesciava sui vetri uno
scroscio gelato. Proprio davanti a questa finestrapresso il fuocolessiquelle pagine che mi spiegarono molte cose e che
ricopio scrupolosamente qui di seguito...
14 • IL SEGRETO
Sono passato ancora una volta sotto la sua finestra. I vetri sono semprepolverosie accecati dalle tendine doppie.
An che se Yvonne de Galais li aprisseche potrei dirle adesso che èsposata? ... Ed orache fare? Come continuare a vivere?
...
Sabato 13 febbraio. - Mi sono imbattuto di nuovolungo il fiumein quellaragazza che a giugno mi aveva dato
delle informazioni e che aspettava come me davanti alla casa chiusa... Le hoparlato. Mentre camminavamoosservavo di
sfuggita i lievi difetti del suo viso: una rughetta all'angolo delle labbrale gote un po' sciupateuno strato di cipria sulle
narici. Lei si è girata di colpo e guardandomi in facciaforse perchè èpiù bella di fronte che di profilomi ha detto un po'
secca:
«Lei mi diverte molto: assomiglia a un giovanotto che un tempo mi faceva lacorte a Bourges. Anzici- eravamo
fidanzati...»
Poicalata la notteimprovvisamente mi si è avvicinata sul marciapiededeserto e bagnato che riflette il bagliore di
una lampada a gase mi ha chiesto di condurla a teatro staserainsieme conla sorella. Per la prima volta noto che è vestita a
luttocon un cappello da signora troppo severo per il suo viso giovaneunombrellino alto e sottile che sembra un bastone.
Le sono così vicino che abbozzando un gesto le mie unghie graffiano ilcrespo del suo corpetto... Faccio un mucchio di
difficoltà per accontentarlae leioffesavuole correre via. Adesso sonoio che la trattengo e la prego. Allora un operaio che
passa nel buio dice pianoscherzando:
«Non andarepiccinati farebbe del male!»
E noi restiamo lì tutti e dueinterdetti.
A teatro. - Le due ragazzeValentina Blondeaumia amicae sua sorellasono arrivate con dei poveri scialletti.
Valentina è seduta davanti a mee ogni poco si voltainquietacome perchiedersi cosa mai voglia da lei. Ed io
che vicino a lei mi sento quasi felicele rispondo ogni volta con unsorriso.
Intorno c'erano dame troppo scollatee noi ci scherzavamo sopra. Lei primaha sorriso poi ha detto: «Non debbo
prenderle in giroanch'io sono troppo scollata.» E si vedeva chepercambiare tenutaaveva frettolosamente rimboccato
l'orlo della sua modesta camicetta accollata.
C'è in lei non so che di povero e di puerile; nel suo sguardonon so chesofferenza e sfida che mi attira. Accanto a
leila sola persona al mondo che mi abbia saputo dire qualcosa sugliabitanti del Dominiopenso sempre alla mia bizzarra
avventura di un tempo... Ho voluto interrogarla ancora sul villino delboulevard. Ma lei a sua volta mi ha fatto domande
tanto imbarazzanti che non ho saputo risponderle. Sento che oramaisu questoargomentotaceremo tutti e due. Tuttavia so
anche che la rivedrò. Perchèa che scopo? Sono dunque condannato ad andaredietro a chiunque esali il più labileil più
remoto effluvio della mia avventura mancata ?. . .
Mezzanotte. Solonella strada vuotami chiedo che significhi questa nuovastoria singolare. Cammino lungo le
case allineate come scatolonidentro le quali un popolo dorme. Mi ricordoall'improvviso di una decisione presa il mese
scorso: avevo stabilito di andare laggiù a notte fondaverso l'unagiraredietro la villettaaprire la porticina del giardino
entrare come un ladro e cercare un qualsiasi indizio che mi permettesse diritrovare il Dominio perdutoper poterla rivedere
solo rivedere... Ma sono stancoho fame. Avevo anch'io fretta di cambiarmiper il teatro e non ho cenato... Tuttavia
inquietoagitatoresto per un bel po' seduto sul letto prima di coricarmitormentato da un vago rimorso. Perchè ?Alain-Fournier Il grande Meaulnes
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Annoto ancora questo: le due ragazze non hanno voluto che le riaccompagnassia casa né mi hanno detto dove
abitano. Ma io le ho seguite quanto più ho potuto: so che abitano in unastraduccia che svolta vicino a Notre-Dame. Ma a
che numero?... Credo di capire che sono sartine o modiste.
Di nascosto da sua sorellaValentina mi ha dato un appuntamento per giovedìalle quattrodavanti al teatro dove
siamo stati.
«Se non ci fossi domani» mi ha detto«torni venerdìstessa oraosabatoe così di seguito tutti i giorni.»
Giovedì 18 febbraio. - Esco per andare ad aspettarla nel gran vento cheminaccia pioggia. Tutti dicono ogni poco:
finirà per piovere...
Cammino nella semioscurità delle strade con un peso sul cuore. Cade unagoccia d'acqua. Temo la pioggiaun
rovescio le impedirebbe di venire Ma il vento ripiglia e neppure questa voltapiove. Lassùnel grigiore pomeridiano del
cielo - ora spento ora abbagliante - una grande nuvola è stata disfatta dalvento. E io sono qui radicato in un'attesa
meschina...
Davanti al teatro. - Dopo un quarto d'ora sono sicuro che non verrà. Dallungofiume spio di lontano il passaggio
della gente sul ponte da cui sarebbe dovuta venire. Accompagno con l'occhiotutte le ragazze vestite a lutto che vedo
arrivare e provo quasi riconoscenza per quelle che fino al l'ultimofinquando mi sono vicinissimesembrano proprio lei e
mi fanno sperare...
Un'ora di attesa. - Sono stanco. Viene sera e un agente trascina al posto dipolizia vicino un ragazzaccio che gli
vomita addosso con voce soffocata tutti gli insultitutte le oscenitàpossibili. L'agente è furiosolividoammutolito... Sono
appena nell'andito che comincia a menarlo e poi chiude la porta per picchiarecon comodo quel disgraziato... Mi passa per la
testa questo orrendo pensiero: che ho rinunciato al paradiso e sono qui apesticciare impaziente alle porte dell'inferno.
Sfinito dall'attesame ne vado e raggiungo la viuzza strettafra la Senna eNotre-Dame dove so. pressappocoche è
la loro casa. Tutto solovado avanti e indietro. Ogni tanto una domestica ouna massaia esce sotto la pioggerella per fare
acquisti prima di buio... Niente per me quimi allontano... Nella pioggialuminosa che ritarda la notteripasso per il piazzale
dove avevamo appuntamento. C'è più gente di poco fa - una folla nera...
Supposizione - Disperazione - Stanchezza - Mi aggrappo a questo pensiero:domani. Domani andrò ad attenderla
alla stessa oranello stesso posto. Ho furia che arrivi domani. Mi annoia ilpensiero di questa seratapoi della mattinata di
domani che passerò senza far nulla... Ma del restonon è già quasi finitoquesto giorno? ... Tornato a casapresso il fuoco
sento gli strilloni con il giornale della sera. Certo nella sua casa chissàdove dalle parti di Notre Dameanche lei li sente.
Lei... insomma: Valentina.
Questa serata che avrei voluto eluderefinisce per pesarmi in modo strano.Mentre il tempo passae il giorno sta
per chiudersi ed io lo vorrei diggià mortoci sono uomini che in esso hannoriposto ogni speranzaogni amorele forze
estreme. Ci sono uomini agonizzantialtri che temono una scadenza evorrebbero che domani non arrivasse mai; altri ancora
per i quali domani spunterà come un rimorso. Certi sono sfiniti e questanotte non sarà mai abbastanza lunga per dargli tutto
il riposo che occorre. Ed ioche ho buttato la mia giornatacon che dirittooso invocare il domani ?
Venerdì sera. - Avevo pensato di scrivere poi: «Non l'ho più rivista.» Etutto sarebbe stato finito.
Ma oggiarrivando alle quattro all'angolo del teatro: eccola! Sottile etutta seriain neroma con il viso incipriato e
un collarino che la fa assomigliare a un pierrot colpevole. Un'aria insiemedolente e maliziosa.
È venuta a dirmi che vuole piantarmiche non si farà più viva...
Eppurequando arriva la notteeccoci ancora a passeggiare adagio tutti eduevicinisulle ghiaie delle Tuileries.
Lei mi racconta la sua storia ma in modo tanto confuso che capisco poco.Parlando del fidanzato che non ha sposato dice:
«il mio amante»; credo che lo faccia appostaper scandalizzarmiperallontanarmi da lei. Certe sue frasi le trascrivo a
malincuore:
«Non si fidi di me» dice«ho fatto sempre sciocchezze.»
«Ho girato in lungo e in largosempre da sola.»
«Ho ridotto alla disperazione il mio fidanzato. L'ho lasciato perchè mimetteva troppo in alto; mi vedeva solo con
la fantasianon come sono nella realtà. Io ho un mucchio di difetti Saremmostati molto infelici.»
Ad ogni momento la sorprendo a dipingersi peggiore di quello che è. Pensoche voglia provare a se stessa che ebbe
ragionealloraa far la sciocchezza di cui parlache non ha nulla darimpiangere e che non era degna della felicità offerta.
Un'altra volta:
«Quello che mi piace in lei» mi dice fissandomi a lungo«quello che mipiace in leinon so perchèsono i miei
ricordi...»Alain-Fournier Il grande Meaulnes
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Un'altra volta:
«L'amo ancorapiù che lei non pensi.»
Poi bruscamenteinsieme con brutalità e tristezza:
«Ma alla fineche vuole da me? Anche lei mi ama? Anche lei chiederà disposarmi?»
Ho balbettato qualcosa. Non so quel che ho risposto; forse: «Sì.»
Qui questa specie di diario s'interrompeva. Seguivano minute di lettereconfusesemicancellateilleggibili. Che
fidanzamento malsicuro! ... La ragazzapregata da Meaulnesaveva lasciatoil lavoroe lui si occupava dei preparativi del
matrimonio. Masempre riassalito dall'impulso di cercare ancoradi mettersiancora sulla traccia del suo amore perduto
certo era sparito più di una volta; e in quelle lettereangosciatoimbarazzatocercava di giustificarsi davanti a Valentina.
15 • IL SEGRETO (seguito)
Poi il diario riprendeva e Meaulnes vi aveva annotato un soggiorno fatto conla ragazza in campagnanon so dove.
Peròcosa stranaa partire da questo puntoper un segreto pudore forseil diario era così frammentariocosì informe
scarabocchiato alla sveltache mi è toccato riprendere le fila ericostruire tutta questa parte della sua storia.
14 giugno. - Quando si svegliò di primo mattino nella stanza d'albergoilsole accendeva i ricami rossi delle tende
scure. Dei braccianti parlavano a voce alta nella sala dabbassobevendo ilcaffè mattutino: protestavano con frasi rozze ma
senza asprezza contro un padrone. Certo da un po' Meaulnes trasentiva nelsonno questo quieto rumoreperchè sul principio
non vi fece caso. Quella tenda trapunta di grappoli arrossati dal solequelle voci del mattino che arrivavano nella camera
silenziosatutto si mischiava nell'unica impressione di risvegliarsi incampagna all'inizio delizioso delle grandi vacanze.
Meaulnes si alzòbussò piano alla porta della stanza accanto senzaottenere risposta e la socchiuse cautamente.
Vide Valentina e capì donde gli veniva tutta quella tranquilla felicità.Dormiva assolutamente immobile e silenziosasenza
che la si sentisse respirareforse come dorme un uccello. A lungo stette aguardare quel viso giovane dagli occhi chiusiun
viso così calmo che si desiderava di non svegliarlo o turbarlo mai.
Non fece nessun altro movimento per mostrare che non dormiva più: solo aprìgli occhi e lo fissò.
Meaulnes ritornò da lei non appena si fu vestita.
«Siamo in ritardo» lei dissee subito sembrò una massaia nella sua casa.Mise in ordine le camerespazzolò l'abito
che Meaulnes aveva indosso il giorno prima equando dette un'occhiata aipantalonisi disperò: in basso erano tutti
inzaccherati. Ebbe un momento d'incertezza poi con gran curaprima dispazzolarlicominciò a raschiare con un coltello il
primo strato di fango indurito.
«Così facevano i ragazzi di Sant'Agata» disse Meaulnes«quando eranoandati a cacciarsi nel fango.»
«A me l'ha insegnato mia madre» disse Valentina.
... Era proprio così la compagna che doveva sognareprima della suaavventura misteriosaun cacciatore e un
campagnolo come il gran Meaulnes.
15 giugno. - Durante tutto il pranzo alla fattoria doveloro malgradogliamici li avevano fatti invitare
presentandoli come marito e moglielei fu timida come una sposina.
Due candelabri erano accesi alle due estremità della tavola coperta da unatovaglia biancacome per una festa di
nozze campagnola alla buona. In quel fioco chiarorei visipiegandosis'immergevano nell'ombra.
Alla destra di Patrizioil figlio del fattorec'era Valentina poi Meaulnesche stette zitto fino alla finesebbene si
rivolgessero quasi sempre a lui. Da quando aveva decisoper evitarechiacchiere in quel villaggio perdutodi far passare
Valentina per sua mogliel'amareggiava un rimpiantoun rimorsosempre lostesso. Patrizio presiedeva al pranzo da
signorotto campagnolo e Meaulnes pensava: «Sono iosono io che dovreiquesta sera dirigere il mio pranzo di nozze in una
sala come questauna bella sala che conosco così bene.» Valentinaal suofiancorifiutava timidamente tutto quello che le
offrivanopareva una giovane contadina. A ogni nuova offertagettavaun'occhiata al compagnoquasi per trovare riparo sul
suo petto. Da un bel po' Patrizio insisteva perchè vuotasse il bicchiere ealla fine Meaulnes si chinò verso la ragazza e le
disse con dolcezza:
«Bevipiccola Valentina.»
Alloradocile bevve. E Patrizio sorridendo si congratulò con Meaulnes:aveva una moglie davvero obbediente.
Tuttavia Valentina e Meaulnes restavano entrambi zitti e pensierosi. Intantoerano stanchi; i piedi infangatisi e
bagnatisi nella lunga marciadiventavano di ghiaccio sulle pietre ben lavatedella cucina. E poi Meaulnes era obbligato aAlain-Fournier Il grande Meaulnes
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dire ogni poco: «Mia moglie Valentinamia moglie...»
E ogni voltapronunciare con voce soffocata quella paroladavanti a queicontadini che non conoscevain quella
sala buiagli pareva una colpa.
17 giugno. - Il pomeriggio dell'ultimo giorno cominciò male.
Patrizio e sua moglie li accompagnavano a fare una passeggiata. Ma a poco apocosul pendio disegualecoperto
di ericale due coppie finirono per separarsi. Meaulnes e Valentina sisedettero in un boschettofra i ginepri.
Il vento portava gocce di pioggiail cielo era basso. Il pomeriggio avevanon so che sapore amaroil sapore di un
tedio che neppure l'amore poteva dissipare.
Rimasero a lungo nel loro rifugiosotto i ramiparlando poco. Poi ilsoffitto di nuvole si alzòsi fece bello; così
pensarono che adesso tutto sarebbe andato bene.
Cominciarono a parlare d'amore. Valentina parlavaparlava senza sosta...
«Ecco quello che mi prometteva il mio fidanzatoproprio da quel ragazzo cheera: avremmo avuto subito per noi
una casauna specie di capanna sperduta tra i campi. Diceva che era giàpronta. Ci saremmo arrivaticome tornando da un
gran viaggiola sera del nostro matrimonioverso quest'ora già vicina allanotte. E per i sentierinel cortiledei ragazzi
sconosciutinascosti fra i cespuglici avrebbero fatto festa al grido di"Viva gli sposi!". Che pazzienon trovi?»
Meaulnes l'ascoltava perplessoinquieto. In tutto questo sentiva quasi l'ecodi una voce diggià ascoltata. E poi un
vago rimpianto venava l'accento della ragazza mentre raccontava questastoria.
Valentina temette di averlo feritoe gli si rivolse con uno slancioaffettuoso.
«Eccoti» disse«ti voglio dare tutto quello che ho; qualcosa che èstato per me estremamente prezioso... e tu lo
brucerai !»
E fissandolo con ansia cavò di tasca e gli tese un pacchetto di letterelelettere del fidanzato.
Ah! subito riconobbe la scrittura delicata. Còme non averci pensato prima!Era la scrittura di Frantz lo zingarogià
vista tanto tempo fa sul biglietto disperato che aveva lasciato nella stanzadel Dominio...
Adesso camminavano su un viottolo fra le pratoline e i fieni tagliatiobliquamente dal sole delle cinque. Meaulnes
era così intontito dalla sorpresa da non capire ancora che disastro tuttociò significava per lui. Leggeva perchè lei gli aveva
chiesto di leggere. Frasi puerilisentimentalipatetche... Questaperesempionell'ultima lettera:
«Così hai perduto il piccolo cuorecaraimperdonabile Valentina. Che cicapiterà? Ma io poi non sono
superstizioso...»
Meaulnes leggevaaccecato dal rimorso e dalla collerasenza un moto nelviso lividosalvo un tremito convulso
sotto gli occhi. Valentinaallarmatavolle vedere che punto stava leggendocosa lo incolleriva.
«È un ciondolo» spiegò in fretta«che mi aveva regalato facendomigiurare di non lasciarlo mai. Un'altra delle sue
idee pazze.»
Ma così non fece che esasperare Meaulnes.
«Pazze!» disse ficcandosi la lettera in tasca. «Perchè sempre questaparola? Perchè non hai mai voluto credergli?
L'ho conosciutoera il ragazzo più straordinario di questo mondo !»
«L'hai conosciuto» disse lei turbatissima«hai conosciuto Frantz deGalais?»
«Era il mio migliore amicoil mio fratello d'avventureed ecco che io gliporto via la fidanzata!
«Ah» continuò con rabbia«che male ci hai fatto non volendo credere anulla. Sei tu la causa di tutto. Tuche hai
mandato tutto in rovinatutto!...»
Lei fece per parlareper prendergli la manoma Meaulnes la respinsebrutalmente.
«Vattene. Lasciami.»
«Va benequando è così» disse Valentinail viso in fiammebalbettandofra le lacrime«partirò davvero. Tornerò
con mia sorella a Bourgesa casa mia. E se non verrai a cercarmimio padrelo sai vero?è troppo povero per mantenermi
ebbene! tornerò a Parigimi metterò per le strade come ho già fatto unavoltadiventerò certo una donna perdutaadesso che
non ho più un mestiere...»
E scappò via a far le valigie per il trenomentre Meaulnessenza neppurevoltarsi a guardarlacontinuava a
camminare senza meta.
Qui il diario s'interrompeva ancora.
Seguivano altri abbozzi di letterelettere di un uomo in certosmarrito.Ritornato alla Ferté-d'AngillonMeaulnes
scriveva a Valentinaapparentemente per ribadire con ragioni precise ladecisione di non rivederla mai piùin realtàforse
per avere da lei una risposta. In una di queste lettere le chiedeva ciò chenel gran turbamento non aveva pensato di
domandarle subito: sapeva dove fosse il Dominio tanto cercato?... In un'altrala supplicava di riconciliarsi con Frantz de
Galaische avrebbe pensato lui stesso a rintracciare... Non tutte le letteredi cui avevo sott'occhio gli abbozzi erano state
certamente spedite. Ma Meaulnes doveva aver scritto due o tre voltesenzaavere risposta. Quello era stato per lui un
periodo atroce di penosi contrasti interniin completa solitudine. Ormaisvanita la speranza di rivedere Yvonne de GalaisAlain-Fournier Il grandeMeaulnes
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sentiva a poco a poco incrinarsi e cedere la sua grande risoluzione. Dallepagine di diario che seguono - le ultime -
immagino che un mattinoall'inizio delle vacanzedovette noleggiare unabicicletta per andare a Bourges a visitare la
cattedrale.
Era partito prestoseguendo la bella strada che affonda diritta fra iboschialmanaccando per via mille pretesti per
presentarsi decentemente alla ragazza che aveva scacciatosenza chiedereproprio una riconciliazione.
Le ultime quattro pagine che sono riuscito a ricostruireraccontano questoviaggio e quest'ultimo errore...
16 • IL SEGRETO (fine)
25 agosto. - Dall'altra parte di Bourgesin fondo ai sobborghi nuovidopomolte ricerche Meaulnes scoprì la casa
di Valentina Blondeau. Sulla porta una donna - la madre di Valentina - parevain attesa: un viso cordiale di massaia
appesantitosciupato ma ancora bello. Lo guardò con curiosità mentre siavvicinava e quando chiese «se le signorine
Blondeau abitavano li»gli spiegò benevolmente che erano tornate a Parigidal 15 agosto. «Non posso dirle dove sono
andate» aggiunse«ma se scriverà al vecchio indirizzo la lettera saràrispedita.»
Tornando indietro attraverso il piccolo giardinola bicicletta alla manopensava:
«E partita... Tutto è finitoproprio come volevo. Sono stato io acostringerla. "Certo diventerò una donna perduta"
diceva lei. Ed io l'ho precipitataio ho rovinato la fidanzata di Frantz!»
E ripeteva pianocome un pazzo: «Tanto megliotanto meglio!» sicuroinvece che era «tanto peggio» e che prima
di arrivare al cancello avrebbe inciampato e sarebbe crollato in ginocchiosotto gli occhi della donna.
Non pensò neppure a mangiare e si fermò in un caffè per scrivere una lungalettera a Valentinapur di sfogarsipur
di mandar fuori il groppo disperato che lo soffocava. La lettera era tuttapiena di: «Come hai potuto!... Come hai potuto!...
Come hai potuto rassegnarti a tutto ciò!... Come hai potuto perderticosì!»
Poco distantedegli ufficiali bevevano. Uno raccontava rumorosamente unastoria di donne di cui arrivavano
frammenti: »...Io le ho detto... certo che deve conoscermi... gioco tutte lesere con suo marito!» Gli altri ridevano e
sputavano dietro le panche girando appena il capo.
Smunto e sudicio di polvereMeaulnes li guardava come un mendicante. Li videnella fantasiache tenevano
Valentina sulle ginocchia.
Per un pezzo girò in bicicletta intorno alla cattedraleripetendoconfusamente: «Dopotuttosono venuto per la
cattedrale.» In fondo a tutte le viela vedeva balzare in altoenorme eindifferente nel mezzo della piazza deserta. Quelle
strade erano strette e sordide come i vicoli intorno alle chiese deivillaggi; qua e là l'insegna di un luogo equivocola
lanterna rossa... Meaulnes sentiva che il suo dolore si degradava in quelquartiere sudicioviziosostretto sotto il riparo dei
contrafforti della cattedrale come in altre età. Gli montava dentro untimoreun ribrezzo da contadino per quella chiesa di
cittàche porta scolpita nei punti nascosti le immagini di tutti i viziche si alza in mezzo a case malfamateche non ha
rimedio per i dolori d'amore più puri.
Due ragazze passarono tenendosi per la vita e fissandolo con aria sfrontata.Fosse un modo per avvilirsi o per
dimenticarsiper vendicarsi del suo amore o macchiarloMeaulnes le seguiadagio in bicicletta e l'unauna sventurata dai
capelli biondi e radi raccolti in un nodo posticciogli dette appuntamentoper le sei nel Giardino dell'Arcivescovadoil
giardino dove Frantz dava appuntamento a Valentina in una delle sue lettere.
Meaulnes non rifiutòsapendo bene che a quell'ora sarebbe già statolontano da un pezzo. E la ragazza rimase a
lungo a fargli dei vaghi cenni dalla bassa finestra sulla strada in pendio.
Era impaziente di rimettersi in via.
Prima di partirenon potè resistere al triste impulso di passare un'ultimavolta davanti alla casa di Valentina. La
guardò a lungocon tutta l'animafacendosene un bottino dl tristezza. Erauna delle ultime case del sobborgo: più avanti la
via diventava una strada maestra... Di fronteuna toppa di terreno incoltofaceva una specie di piazzetta. Nessuno a]le
finestre o nel cortile. Solo una ragazza sudicia e imbellettata scivolòlungo il murotirandosi dietro due bambini coperti di
stracci.
Qui Valentina aveva avuto la sua infanziaaveva cominciato a guardare ilmondo con occhi giudiziosi e pieni di
confidenza; dietro quelle finestre aveva lavoratocucito. E Frantz avevapercorso quella strada di sobborgo per vederla
sorriderle. Ma adesso tutto era finito. Quel malinconico pomeriggio sembravanon terminare mai e Meaulnes sapeva
soltanto questoche in qualche luogoin quello stesso pomeriggio Valentinaormai perdutarivedeva nella me moria la
piazza scialba dove non sarebbe tornata mai più.Alain-Fournier Il grandeMeaulnes
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Il lungo viaggio di ritorno che l'aspettava: l'ultimo rifugio contro ildolorel'ultima distrazione obbligataprima di
abbandonarvisi del tutto.
Meaulnes riparti. Lungo la stradanella valle graziose case rustichefraalberi e acquespuntavano fuori con le
facciate aguzze coperte di verde. Certo làsui pratiragazze assorteparlavano d'amore. Certo c'erano laggiù delle anime
delle anime belle...
Ma per Meaulnes adesso esisteva un solo amorequell'amore insoddisfatto cosicrudelmente avvilito; e l'unica
ragazza che lui avrebbe dovuto proteggeredifendereproprio quella avevaprecipitato alla rovina.
Poche righe frettolose del diario rivelavano poi che Meaulnes aveva deciso diritrovare Valentina ad ogni costo
prima che fosse troppo tardi. Una data segnata in un angolo mi spingeva acredere che fosse quello il lungo viaggio per cui
si dava da fare la signora Meaulnes quando io ero piombato allaFerté-d'Angillon per buttar tutto all'aria. Un bel mattino di
fine agostonel municipio deserto Meaulnes stava annotando ricordi eprogetti - ed eccoio avevo aperto la porta per
recargli la grande notizia che non attendeva più. Cosi era stato ripresoipnotizzato dalla sua avventura d'un temposenza più
osare far nullaconfessare nulla. Cosi erano cominciati il rimorsoilrimpiantol'affannoora soffocatiora insostenibili
fino al giorno delle nozzequando il richiamo dello zingaro dal bosco gliaveva ricordato in modo teatrale il suo giuramento
giovanile.
Su quello stesso quadernoMeaulnes aveva scarabocchiato in fretta e furiaqualche parolaprima di partire all'alba
- ma per sempre - con il consenso di Yvonne de Galaissposata solo il giornoprima:
«Parto. Debbo trovare le tracce dei due zingari che erano ieri nel bosco diabeti e che si sono rimessi in strada in
bicicletta verso est. Non ritornerò da Yvonne finchè non mi riuscirà diriportare nella "casa di Frantz"Frantz e Valentina
marito e moglie.
«Questo manoscrittocominciato come un diario segreto e diventato unaconfessionesarà proprietàse non torno
del mio amico Francesco Seurel.»
Doveva aver ficcato di furia il quaderno fra gli altrichiudendo a chiave lasua vecchia valigetta di studenteprima
di scomparire.
EPILOGO
Il tempo passò. Avevo ormai perso la speranza di rivede re il mio compagno ei giorni erano tetri nella scuola di
campagnamalinconici nella gran casa deserta. Frantz non era venutoall'appuntamento che gli avevo dato; del re sto la zia
Moinel da un pezzo non sapeva più dove stesse Valentina.
Presto l'unica gioia delle Sablonnières fu la bimba strappata alla morteadessoa fine settembreuna bimba già
robusta e graziosache stava per compiere l'anno. Attaccandosi ai regoli diuna sedia la spingeva da sola cercando di
camminaresenza spaventarsi per le cadutefaceva un chiasso che svegliava alungo gli echi felpati della casa deserta.
Quando la prendevo in braccio perònon voleva mai che la baciassi: congrazia selvatica si divincolavami respingeva
puntandomi sul viso la manina aperta e rideva di gusto. Pareva che tuttaquesta sua gaiezzaquesta violenza puerile stessero
cacciando di casa l'afflizione che vi regna va fin dalla sua nascita. Qualchevolta mi dicevo: «Ma sìanche così rustica
finirà per essere un poco la mia bimba.» Ma la Provvidenza aveva decisoaltrimentiancora una volta.
Alla fine di settembreuna domenica mattinami ero alzato molto prestoprima ancora della contadina che si
occupava della bimba. Dovevo andare a pescare nello Cher con due abitanti diSaint-Benoist c con DeloucheSpesso mi
accordavo con dei vicini per qualche spedizione di frodo: pesca con le manidi nottepesca con il giacchiotutte
proibitissime... Durante l'estatenei giorni liberipartivamo all'alba perrientrare solo a mezzogiorno. Per quasi tutti costoro
era l'unico modo di campare; per meil solo passatempola sola avventurache mi ricordasse le scappate di una volta. Così
avevo finito per prendere gusto a quelle sgambatea quelle ore di pescalungo il fiume e fra i canneti di uno stagno.
Quel mattinodunqueero in piedi alle cinque e mezzo e stavo davanti allacasasotto un portichetto addossato al
muro che divideva il giardino all'inglese delle Sablonnières dall'arto dellafattoriacercando di sbrogliare le reti che avevo
buttato lì in un mucchio il giovedì prima.
Non faceva ancora ben chiaro; era il crepuscolo di un bel mattino disettembree il portico dove stavo sistemando
in fretta e furia i miei arnesi era ancora nella semioscurità.
Lavoravo zitto e assortoquando sentii aprire il cancello e un passoscricchiolare sulla ghiaiaAlain-Fournier Il grande Meaulnes
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«Oh! oh!» dissi fra me. «I miei compagni hanno fatto più presto delprevisto: e io che non sono ancora pronto!...»
Ma l'uomo che era entrato nel cortile non lo conoscevo: per quanto miriusciva di vederesi trattava di un tipo alto
e robustobarbutovestito come un cacciatore o un bracconiere. Invece dicercarmi nel solito luogo dei nostri appuntamenti
che gli altri conoscevano benesi diresse subito alla porta d'ingresso.
«Guarda!» pensai. a Sarà un amico che avranno invitato senza dirmi nulla eche viene in avanscoperta.»
L'uomo tentò adagiosenza rumorela maniglia della porta. Ma io l'avevochiusa uscendo. Ripetè il tentativo alla
porta di cucina. Poidopo un attimo di esitazionevoltò verso di me ilviso preoccupato nella mezza luce. Solo allora
riconobbi il gran Meaulnes.
Per un lungo momento rimasi immobilespaventatodi speratoripreso dicolpo da tutto il dolore che il suo ritorno
riattizzava. Lui era scomparso dietro la casaaveva fatto il giraed era dinuovo lìincerto.
Allora gli andai incontro e senza parlare l'abbracciai singhiozzando. Capìsubito:
«Ah» disse appena«lei è mortanevvero?»
E restò diritto senza muoversi e senza sentir più nullaterribile. Lopresi per un braccio e lo condussi piano verso
casa. Adesso faceva chiaro. Perchè il peggio fosse subito consumatologuidai per la scala alla stanza di Yvonne.
Appena entrato crollò in ginocchio davanti al letto e rimase così per unpezzola testa sepolta fra le braccia.
Alla fine si rialzògli occhi vuotitutto smarritosenza quasi capiredove era. Sempre tenendolo per un braccio
andai ad aprire la porta che comunicava con la stanza della bimba. La piccolasi era svegliata da sola - mentre la balia era
dabbasso - e da sola si era seduta nella cullasi vedeva appena il visinostupito girato verso di noi
«Ecco tua figlia» dissi.
Meaulnes sussultò e mi guardò.
Poi la prese in braccio. Da principio non poteva vederla bene perchè avevagli occhi pieni di lacrime. Cosìper
stornare un poco quel groppo di commozione e quel piantotenendola semprestretta sul pettoappoggiata al braccio destro
si voltò verso di me a testa bassa e disse:
«Li ho riportatigli altri due... Li vedrai a casa loro.»
Difattiquel mattinomentre camminavo pensieroso e quasi felice verso lacasa di Frantzche un giorno Yvonne de
Galais mi aveva mostrato tutta vuotavidi di lontano una specie di giovanemassaia in collettino candidoche spazzava la
sogliasotto gli sguardi curiosi e ammirati dei piccoli vaccari vestiti afesta che andavano a messa...
Intanto la bimba non sopportava più di sentirsi così stretta e mentreAgostinoil viso girato da una parte per
nascondere e frenare le lacrimeseguitava a non guardarlagli dette un grancolpo con la manina sulla bocca barbuta e
umida.
Stavolta il padre alzò a braccia tese la figliala fece saltare e laguardò con una specie di riso. Soddisfattala bimba
battè le mani...
Mi ero tirato un po' indietro per vederli meglio. Un po' deluso e tuttaviaincantatomi rendevo conto che la piccola
aveva finalmente trovato il compagno oscuramente aspettato... La sola gioiache m'avesse lasciatoecco che il gran
Meaulnes era tornato a riprendersela. E già me lo figuravonella notteravvolgere la figlia in un mantello e partirsene con
lei verso nuove avventure..