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Herman Melville

Moby Dick

Frank Stella

The Pequod meets the Jeroboam. Her storyfrom Moby Dick Deckle Edges

Lithographetchingacquaintreliefmezziotint (70.5" x 65 7/8")

1993

 

a cura di

Patrizio Sanasi

 

ETIMOLOGIA ED ESTRATTI

ETIMOLOGIA

(fornita da un tubercolotico fu supplente di ginnasio)

II pallido supplenteliso d'abitidi cuoredi corpo e di cervello: mi paredi averlo davanti. Sempre lì a

spolverare i suoi vecchi lessici e le sue grammatichecon un fazzolettobuffoironicamente abbellito con tutte le gaie

bandiere di tutte le nazioni conosciute del mondo. Amava spolverare levecchie grammatiche; gli ricordava in qualche

modocon discrezionela sua natura mortale.

*

«Quando vi mettete a istruire la genteinsegnando con quale nome vachiamata una balena nella nostra lingua

e tralasciate per ignoranza la lettera H che quasi da sola forma tutto ilsenso della parolapronunciate una cosa che non è

vera.»

Hackluyt

«WHALE... Svedese e danese hval.Questo animale trae il nome dalla rotondità e dal rollìo; perché in danese

hvalt significaarcuato o a volta.»

Dizionario del Webster

«WHALE... Viene più direttamente dall'olandese e dal tedesco Wallen;anglo-sassone Walw-ianrollare

voltolarsi.»

Dizionario del Richardson

* * * Ebraico

$Êyôïò$ Greco

CETUS Latino

WHOEL Anglo-sassone

HVALT Danese

WAL Olandese

HWAL Svedese

WHALE Islandese

WHALE Inglese

BALEINE Francese

BALLENA Spagnolo

PEKEE-NUEE-NUEE Figiano

PEHEE-NUEE-NUEE Erromanghese

ESTRATTI

(forniti da un vice-vice-bibliotecario)

Si vedrà che questo scavatore e lombrìco diligentissimo di un poverodiavolo di vice-vice pare abbia setacciato

tutte le lungheVaticane e bancarelle della terraracimolando ogni dispersaallusione a balene che mai potesse trovare in

ogni sorta di librosacro o profano. Perciò non bisognanon in ogni. casoalmenopigliare le disordinate affermazioni di

questi estratti riguardo a baleneper quanto possano essere autentichepervangelo genuino di cetologia. Anzi. Per

quanto concerne in genere gli autori antichinonché i poeti che quicompaionoquesti estratti hanno valore o attrattiva

solo in quanto ci danno una veloce rassegna a volo d'uccello di tutto ciòche è stato variamente dettopensato

immaginato e cantato riguardo al Leviatano da molti popoli e generazioninoistessi inclusi.

Perciò addiopovero diavolo d'un vice-vice di cui sono glossatore. Tuappartieni a quella genìa terrea e

disperata che nessun vino al mondo potrà mai scaldareper cui persino unpallido sherry sarebbe troppo tinto di rosso;

ma con cui a volte uno ama sederee anche sentirsi un povero disgraziatoediventare conviviale fra le lacrime e dir

loro francamentegli occhi gonfi e i bicchieri vuoticon una malinconia nondel tutto spiacevole: «Lasciate perdere

vice-vice! Quanto più vi sforzate di piacere al mondotanto più restereteper sempre senza un grazie! Magari potessi

sgomberare per voi Hampton Court e le Tuileries! Ma inghiottite le lacrimeein alto i cuori fino all'alberello; perché gli

amici che vi hanno preceduto stanno facendo sgombrare i sette piani delcieloe cacciando finalmente in esilio quei

coccoloni di GabrieleMichele e Raffaele in previsione del vostro arrivo.Quaggiù non avete che cuori infranti da far

tintinnarelassù toccherete bicchieri infrangibili!.3

*

«E Dio creò grandi balene.»

Genesi

«II Leviatano fa luccicare un sentiero dietro di sé;

direste che il mare profondo è canuto.»

Giobbe

«Ora il Signore aveva preparato un gran pesce per inghiottire Giona.»

Giona

«Ecco le navi; ecco quel Leviatano che hai fatto per giocare lì dentro.»

Salmi

«In quel giorno il Signorecon la sua spada grandefortee amarapuniràLeviatano il serpe che trafigge.

Leviatano lo storto serpente; e sgozzerà il dragone che è nel mare.»

Isaia

«E qualunque altra cosa arrivi nel caos della bocca di questo mostrosiabestiabarca o pietragiù se ne va

immediatamente in quella gran lurida strozzae perisce nello sfondato abissodella sua pancia.»

Plutarco di HollandScritti morali

«II Mare Indiano genera la più parte e i più grossi dei pesci cheesistono: tra cui i cetacei o vortici detti Balene

arrivano di lunghezza a quattro jugeri o acri di terra.»

Plinio di Holland

«Eravamo appena avanzati di due giorni sul marequando verso l'alba apparvegran numero di balene e altri

mostri marini. Tra le primeuna ce n'era di mostruosissima taglia... Questaci venne incontro a bocca apertasollevando

ondate da ogni partee sbattendo il mare davanti fino a ridurlo in ischiuma.»

Luciano di TookeLa verace istoria

«Visitò questo paese anche con l'idea di catturare baleneche avevano perdenti ossa di grandissimo valoree

ne portò qualcuno al re... Le balene migliori si prendevano al suo paeseedi queste certune erano lunghe quarantotto

altre cinquanta jarde. E disse di essere uno dei sei che ne avevano uccisosessanta in due giorni.»

Racconto orale di Other o Octherpersonalmente trascritto da Re AlfredoA.D. 890

«E mentre tutte le altre cosebestie o vascelliche entrano lo abissospaventoso della bocca di questo mostro

(la balena) vanno immediatamente perduti e inghiottitiil ghiozzo marino visi ritira con gran sicurezzae vi dorme.»

MontaigneApologià di Raimond Sebond

«Scappiamo! Scappiamo! Mi pigli Satanase questo non è il Leviatanodescritto dal nobile profeta Mosè nella

vita del paziente Giobbe.»

Rabelais

«II fegato di questa balena faceva due carrettate.»

Annali di Stowe

«II gran Leviatano che fa ribollire i mari come pentole.»

Versione dei Salmi di Lord Bacon

«Rispetto al volume mostruoso della balena o orcanulla di sicuro ci èdetto. Diventano estremamente grasse

tanto che da una sola balena si può estrarre una quantità incredibiled'olio.»

Ibid. Storia della vita e morte

«II rimedio sovrano al mondo per una lesione interna è parmacetti.»

Re Enrico

«Molto somigliante a una balena.»

Amleto

«A tal uopo né artené sottile

cura gli valema di ritrovare.4

colui che lo ferìe con dardo vile

ebbe sì lunga pena a cagionare

come balena ferita che al lido fugge pel mare.»

La Regina delle Fate

«Immenso come le baleneil moto dei cui grandi corpi durante una bonacciapuò sconvolgere l'oceano fino a

farlo bollire.»

Sir William DavenantPrefazione a Gondibert

«Cosa sia lo spermacetisi può ben dubitarnevisto che il colto Hosmannusdopo trent'anni di lavoro dice

francamente: Nescioquid sit.»

Sir Thornas Browne«Dello Spermaceti e della Balena Spermaceti». V. il suoV. E.

«Come il Talus di Spencer con la sua frusta moderna

egli minaccia rovina con la sua massiccia coda.

. . . . . .

Porta i loro giavellotti confitti nel fianco

e sulla schiena gli appare una selva di lance.»

WallerBattaglia delle Isole d'Estate

«Ad arte è creato quel gran Leviatanodetto Repubblica o Stato (in latinoCivitas) che è solo un uomo

artificiale.»

Prima frase del Leviathan di Hobbes

«Quello sciocco di Animumana l'inghiottì senza masticarecome se fossestata un'aringa in bocca a una

balena.»

Il Viaggio del Pellegrino

«Quella creatura del mare

Leviatanoche Dio volle immensa

tra quante nuotano l'oceano.»

Paradiso Perduto

«Laggiù il Leviatano

immenso tra le creature viventidisteso

come un promontorio nel maredorme o nuota

e pare terra che si muova; e inala

per le branchiee rigetta col respiro

un mare.»

Ibid.

«Le balene immani che nuotano in un mare d'acquae hanno un mare d'olio chegli nuota dentro.»

FullerLo Stato Sacro e Profano

«Cosìacquattati dietro un promontorio

i Leviatani enormi aspettano la preda:

non dànno cacciainghiottono i pesciolini

che per errore filano in quelle fauci aperte.»

DrydenAnnus Mirabilis

«Mentre la balena galleggia a poppa della navele tagliano la testa e larimorchiano con una barca quanto più

possono a riva; ma si arena in dodici o tredici piedi d'acqua.»

I dieci viaggi di Thomas Edge allo Spitzbergenin Purchass

«Durante il viaggio videro molte balene che giocavano nell'oceanoe sidivertivano a spruzzare l'acqua in aria

attraverso le canne e i buchiche natura ha messo loro sulle spalle.»

Viaggi di Sir Th. Herbert in Asia e in AfricaColl. Harris

«Qui videro mandrie così mostruose di baleneche furono costretti aprocedere con molta cautelaper evitare

di investirle.»

SchoutenSesta Circumnavigazione.5

«Facemmo vela dall'Elbacon vento di NEsulla nave chiamata "II Gionanella Balena"...

C'è chi dice che la balena non può aprire la boccama è una favola...

Spesso si arrampicano sugli alberi per cercare di avvistare una balenaperché il primo che la vede ha un ducato

per ricompensa...

Ho sentito di una balena presa vicino a Shetlandche aveva nello stomacopiù di un barile di aringhe...

Uno dei nostri ramponieri mi disse che una voltaallo Spitzbergencatturòuna balena che era tutta bianca.»

Un viaggio in GroenlandiaA.D. 1671Coll. Harris

«Parecchie balene si sono arenate su questa costa (Fife). Nell'anno 1652 nevenne una lunga ottanta piedidi

quelle a fanonila quale (mi dissero) oltre a una gran quantità d'oliofornì 500 misure d'osso di balena. Le sue

mandibole fanno da cancello nel giardino di Pitferren.»

SibbaldFife e Kinross

«Io stesso mi sono impegnato a vedere se mi è possibile catturare euccidere questa balena spermacetiperché

non ho mai sentito di nessuna di questa specie che venisse uccisa da un uomotanta è la sua ferocia e sveltezza.»

Richard StraffordLettera dalle BermudePhil. Trans. A.D. 1668

«Le balene in mezzo al mare

obbediscono al Signore.»

New England Primer

«Vedemmo anche gran numero di grosse baleneperché ce n'è di più in queimari del Sudal cento per uno si

potrebbe direche non ne abbiamo noi verso il nord.»

Cap. CowleyViaggio intorno al globoA.D. 1729

«... e l'alito della balena si accompagna spesso a un tale fetoreinsopportabileda generare disturbi al cervello.»

UlloaIl Sud America

«A cinquanta silfi sceltidi distinzione speciale

affidiamo l'incarico più importantela sottana.

Spesso abbiamo saputo che quella cinta settemplice ha fallito sebbeneimbottita di cerchi e armata di stecche di balena.»

Riccio Rapito

«Se paragoniamo in fatto di grandezza gli animali terrestri a quelli chedimorano nell'abissotroveremo che al

confronto i primi appaiono spregevoli. La balena è senza dubbio il piùgrande animale della creazione.»

GoldsmithStoria naturale

«Se vi capitasse di scrivere una storia per pesciolinili fareste parlarecome grosse balene.»

Goldsmith a Johnson

«Nel pomeriggio vedemmo qualcosa che pareva uno scoglioma si trovò cheera una balena mortache alcuni

asiatici avevano uccisa e ora la stavano rimorchiando a terra. E pareva checercassero di nascondersi dietro la balena

per evitare di essere visti da noi.»

Viaggi di Cook

«Le balene più grosseraramente hanno il coraggio di assalirle. Hannotanto terrore di certune che quando sono

al largo temono perfino di pronunciarne il nomee portano stercocalcarelegno di ginepro o altra roba simile nelle

barcheper spaventarle e impedire loro di avvicinarsi troppo.»

Lettere di Uno von Troil sul viaggio in Islanda di Banks e Solander nel 1772

«La balena-spermaceti (capodoglio) scoperta dai Nantuckettesi è un animalespedito e ferocee richiede nei

pescatori grande perizia e audacia.»

Memoriale sulle balene di Thomas Jefferson al Ministro francese nel 1778

«E scusatesignorecosa c'è al mondo che l'eguagli?»

Accenno di Edmund Burke in Parlamento all'industria baleniera di Nantucket

«La Spagna... una grande balena arenata sulle coste d'Europa.»

Edmund Burke (in qualche posto).6

«Un decimo ramo del reddito ordinario del reche si dice fondato sullaconsiderazione della sua vigilanza e

protezione dei mari contro pirati e ladroniè il diritto al pesce realecioè alla balena e allo storione. E questise gettati a

riva o catturati lungo la costasono proprietà del re.»

Blackstone

«Ben presto gli equipaggi si danno al gioco della morte:

Rodmond solleva alto l'infallibile

acciaio irto di dentie cerca ogni occasione.»

FalconerIl naufragio

«Splendevano tetticupole e guglie

e razzi salivano da sé

ad appendere una rapida fiamma

attorno alla volta del cielo.

Cosìa paragonare acqua e fuoco

l'oceano in alto serve

spruzzato da una balena

a esprimere gioia ribelle.»

CowperSulla visita della Regina a Londra

«Dieci o quindici galloni di sangue vengono espulsi dal cuore in un solcolpo e con immensa velocità.»

John HunterNotizia sulla dissezione di una balena (di piccola taglia)

«L'aorta di una balena ha un calibro maggiore di quello del tubo principaledelle condutture d'acqua al Ponte di

Londrae l'acqua che passa ruggendo per questo tubo ha meno impeto evelocità del sangue che sprizza dal cuore della

balena.»

Teologia di Paley

«La balena è un animale mammifero senza arti posteriori.»

Barone Cuvier

«A 40 gradi sud avvistammo dei capodoglima non ne catturammo nessuno finoal primo di maggioquando il

mare ne fu coperto.»

ColnettViaggio inteso a estendere la pesca del capodoglio

«Nuotavano sotto di me nel libero elemento

guazzavano e si tuffavano per giocolotta o caccia

pesci d'ogni coloreforma e genere.

Lingua non può dipingerlie nessun marinaio

li ha mai visti: dal pauroso Leviatan

a quei milioni d'infimi che popolano ogni onda.

Raccolti in branchi immensicome isole galleggianti

guidati da istinti misteriosi per quelle regioni

desolate e senz'orma ove li assalgono

da ogni parte nemici voraci

balenepescicanimostri cui armano la mascella e la fronte

spadeseghecorni a spiralezanne adunche.»

MontgomeryII mondo prima del diluvio

«Io pean! Io! Cantate

il re del popolo pinnato.

Balena più possente

non c'è nell'ampio Atlantico;

né pesce di lui più grasso

si avvoltola pei mari del Polo.»

Charles LambTrionfo della balena

«Nell'anno 1690 alcune persone stavano su un'alta collinaa guardare lebalene che lanciavano i loro zampilli e

giocavano tra loroquando qualcuno osservò: Laggiùe additò il marec'è un pascolo verde dove i nipoti dei nostri figli

andranno a cercarsi il pane.»

Obed MacyStoria di Nantucket.7

«Costruii un cottage per Susan e per mee feci un ingresso in forma di arcogoticopiantando per terra la

mandibola di una balena.»

HawthorneRacconti detti due volte

«Venne a ordinare una lapide per il suo primo amoreche era stato ucciso dauna balena nell'Oceano Pacifico

non meno di quaranta anni fa.»

Ibid.

«Nossignoreè una balena franca» rispose Tom: «Ne ho visto la sfiatata;ha lanciato un paio d'arcobaleni che

più graziosi un cristiano non li potrebbe desiderare. È una vera botted'oliol'amica.»

CooperII pilota

«Portarono i giornalie leggemmo nella Gazzetta di Berlino che avevanoportato balene sul palcoscenico.»

EckermannConversazioni con Goethe

«Dio mio! Signor Chaseche succede?» Risposi: «Ci ha sfondati unabalena.»

«Narrazione del naufragio della baleniera Essex di Nantucketassalita einfine distrutta da un grosso

capodoglio nell'Oceano Pacifico». Scritta da Owen Chase di Nantucketufficiale in seconda della suddetta naveNew

York1821

«Una notte un marinaio stava alle sartie

il vento soffiava impetuoso;

un pallido chiaro di luna rifulgeva e si oscurava

e un luccichìo di fosforo saliva dalla scia della balena

che solcava lenta il mare.»

Elizabeth Oakes Smith

«La lenza uscita dalle varie barche impegnate nella cattura di questa solabalena ammontò complessivamente a

10440 jarde o quasi sei miglia inglesi...

A volte la balena scuote nell'aria la sua coda tremendache schioccando comeuna frusta risuona alla distanza

di tre o quattro miglia.»

Scoresby

«Impazzito per il dolore inferto da questi nuovi assaltiil capodoglioinfuriato si rivoltolasolleva la sua testa

enorme e spalancando le mascelle tira morsi a quanto gli sta attorno; siscaglia di testa contro le lancele spinge in

avanti a gran velocità e a volte le distrugge completamente.

... È cosa che meraviglia assaiche si sia trascurata così totalmente ogniosservazione sulle abitudini di un

animale tanto interessantee dal punto di vista commerciale tanto importantequal è il capodoglio; e che esso abbia

suscitato così poca curiosità in quei numerosi e per lo più competentiosservatoriche negli ultimi anni devono avere

avuto le occasioni più frequenti e convenienti di osservare di persona leabitudini di questi animali.»

Thomas BealeStoria del capodoglio1839

«Il Cachalot (capodoglio) non solo è armato meglio della balena vera(balena franca o di Groenlandia)in

quanto possiede un'arma formidabile a ciascuna estremità del corpomadimostra anche con maggiore frequenza una

disposizione a usare queste armi offensivamentee in maniera così abilecoraggiosa e furbescada convincerci a

considerarlo la più pericolosa ad attaccarsi di tutte le specie conosciutedella classe delle balene.»

Frederick Debell BennettViaggio a caccia di balene intorno al globo1840

«13 Ottobre. "Laggiù soffia" venne gridato dalla testa d'albero.

"Posizione?" domandò il capitano.

"Tre quarte a prora sottoventosignore."

"Barra sottoventoalla via!"

"Alla viasignore!"

"Vedetta oh! Vedi sempre la balena?"

"Sissignoresì! Un branco di capodogli! Laggiù soffia! Laggiùsalta!".

"Segnala! Segnala ogni volta!"

"Sissignoresì! Là soffia! Làlàlà soffiasoffiaaa!"

"Che distanza"

"Due miglia e mezzo."

"Per la misera! Così vicino? Tutti in coperta!"»

J. Ross BrowneSchizzi di una crociera a caccia di balene1846.8

«La balenieri Globea bordo della quale accaddero i fatti orribili chestiamo per raccontareapparteneva

all'isola di Nantucket.»

Narrazione dell'ammutinamento del Globefatta dai sopravvissuti Lay eHusseyA.D. 1828

«Una voltainseguito da una balena che aveva feritoper un poco paròl'attacco con una lancia; ma alla fine il

mostro infuriato si scagliò sulla barcae lui e i compagni si salvaronosolo col saltare in acqua appena videro che

l'assalto non poteva evitarsi.»

Giornale missionario di Tyerman e Bennett

«Nantucket stessadisse Mr. Websterè parte peculiare e notevolissimadell'interesse della Nazione. Vi è una

popolazione di otto o novemila personeche vivono qui sul maree cheaggiungono mo lto ogni anno alla ricchezza

nazionalegrazie alla più audace e perseverante delle industrie.»

Resoconto del discorso di Daniel Webster dinanzi al Senato degli Stati Unitisulla richiesta di costruzione di

un frangiflutti a Nantucket1828

«La balena gli si buttò dritta addossoe probabilmente lo uccise in unattimo.»

La balena e i suoi catturatoriovvero Le avventure del baleniere e laBiografia della balena. Compilate

durante la crociera di ritorno del Commodoro Preblea opera del rev. HenryT. Cheever

«Se fai il mimimo rumoreperdio» rispose Samuel«ti mandoall'inferno.»

Vita di Sammel Comstock l'ammutinatoscritta dal fratello William Comstock.Altra versione del racconto

della baleniera Il Globo

«I viaggi degli Olandesi e degli Inglesi nell'Oceano Articoper vedere discoprirvi un passaggio per l'India

sebbene abbiano fallito il loro scopo principalehanno aperto la via aipascoli delle balene.»

McCullochDizionario Commerciale

«Queste cose sono reciproche; la palla rimbalzasolo per saltare di nuovoin avanti; perché ora sembra che con

l'aprire la via alle dimore delle balenei balenieri abbiano scopertoindirettamente nuove vie verso quello stesso

misterioso Passaggio a Nord-Ovest.»

Da «Qualcosa» inedito

«È impossibile incontrare una baleniera sull'oceano senza essere colpitidall'aspetto che ha da vicino. La nave

sotto vele ridottecon le vedette sulle teste d'albero che scrutanoavidamente l'immensa distesa attornoha un'aria

completamente diversa dalle navi impegnate in un viaggio regolare.»

Correnti e caccia alle baleneU.S. Ex. Ex.

«Coloro che viaggiano a piedi nei pressi di Londra e altrove possonoricordare di avere veduto grandi ossa

ricurvepiantate in terra per formare archi sugli ingressio entrate dipergolatie forse sono stati informati che erano

costole di balene.»

Racconti di un viaggiatore baleniere nell'Oceano Artico

«Fu solo al ritorno delle barche dall'inseguimento di queste baleneche ibianchi videro la loro nave catturata

sanguinosamente dai selvaggi ingaggiati nell'equipaggio.»

Resocontodai giornalidella cattura e riconquista della baleniera Hobomack

«È generalmente molto noto che degli equipaggi delle baleniere (americane)pochi tornano sulle navi a bordo

delle quali erano partiti.»

Crociera di una nave baleniera

«All'improvviso una massa immensa emerse dall'acqua e si scagliòverticalmente nell'aria. Era la balena.»

Miriam Coffino Il pescatore di balene

«La balena viene arpionatacerto; ma pensate come ve la cavereste con unpoderoso puledro indomitose

poteste solo applicargli una fune alla radice della coda.»

Capitolo sulla caccia alle balenein Corbe e gallette

«Una volta vidi due di questi mostri (le balene)probabilmente maschio efemminache nuotavano lenti l'uno

dietro l'altroa meno di un tiro di pietra dalla riva (Terra del Fuego) sucui il faggio stendeva i suoi rami.»

DarwinViaggio d'un naturalista.9

«Tutto indietro!» gridò il secondocome nel voltare la testa vide lemandibole spalancate di un grosso

capodoglio vicino alla punta della lanciache minacciava di distruggerla inun istante: «Tutto indietro per l'anima

vostra!»

Whartonl'Uccisore di balene

«Dunque allegriragazzinon vi manchi la lena

se il ramponiere ardito colpisce la balena!»

Canzone di Nantucket

«Oh la brava vecchia balena tra marosi e vento forte

sarà nell'Oceano avìto

un gigante di forzadove vince il più forte

e re del mare infinito.»

Canzone della balena

I • QUALCOSA APPARE IN LONTANANZA

Chiamatemi Ismaele. Qualche anno fa - non importa quando esattamente - avendopoco o nulla in tascae

niente in particolare che riuscisse a interessarmi a terrapensai diandarmene un po' per maree vedere la parte equorea

del mondo. È un modo che ho io di scacciare la tristezzae regolare lacircolazione. Ogni volta che mi ritrovo sulla

bocca una smorfia amara; ogni volta che nell'anima ho un novembre umido estillante; quando mi sorprendo a sostare

senza volerlo davanti ai magazzini di casse da mortoo ad accodarmi a tuttii funerali che incontro; e soprattutto quando

l'ipocondrio riesce a dominarmi tantoche solo un robusto principio moralepuò impedirmi di uscire deciso per strada e

mettermi metodicamente a gettare in terra il cappello alla genteallora mirendo conto che è tempo di mettermi in mare

al più presto: Questo è il mio surrogato della pistola e della. pallottola.Con un gran gesto filosofico Catone si butta sulla

spada: io zitto zitto m'imbarco. E non c'è niente di strano. Se soltanto losapesseroprima o poi quasi tutti nutrono

ciascuno a suo modosu per giù gli stessi miei sentimenti per l'oceano.

Eccovi dunque l'insulare città dei Manhattanesitutta cinta dalle banchinecome le isole indiane dai banchi di

coralli: il commercio l'avvolge con la sua risacca A destra o a manca lestrade portano verso l'acqua. La punta estrema

della città è la Battery: quella nobile mole è bagnata da onde erinfrescata da brezze che poche ore prima erano dove la

terra è invisibile. Guardate lì le folle dei contemplatori dell'acqua.

Camminate ai margini della città in un sognante pomeriggio domenicale.Andate da Corlears Hook a Coenties

Slipe di là per Whitehall verso nord. Che cosa vedete? Piazzati comesentinelle silenziose tutt'intorno all'abitato

stanno migliaia e migliaia di mortali impietrati in sogni oceanici Alcuniappoggiati ai palialtri seduti sulle testate dei

moli; questi spingono lo sguardo oltre le murate di navi che vengono dallaCinaquelli aguzzano gli occhi verso l'alto

nelle attrezzaturecome cercassero di spaziare ancora meglio sul mare. Masono tutti gente di terrauomini rinserrati nei

giorni feriali tra cannicci e intonachilegati ai banchiinchiodati agliscanniribaditi alle scrivanie. Che significa allora?

I prati verdi sono scomparsi? Che fa qui questa gente?

Ma guardate! Arrivano altri gruppi che marciano dritti all'acqua comevolessero tuffarsi. Strano! Niente li

soddisfa se non il limite estremo della terraoziare a riparo del ventoall'ombra di quei magazzininon basta. No.

Debbono andare vicino all'acquaquant'è possibile senza cascarci dentro. Edeccoli là piantati per miglia e migliaper

leghe. Gente dell'entroterra tuttivengono da traverse e vicolistrade evialida nord e suddall'est e dall'ovest. Ma qui

si ritrovano tutti quanti. Ditemiè la forza magnetica degli aghi dibussola di tutte quelle naviforseche li attira qui?

Ancora. Sietediciamoin campagnasu qualche altipiano ricco di laghi.Prendete un sentiero qualunquee

nove volte su dieci vi porta giù in una valletta e vi lascia lìdove lacorrente ristagna. C'è qualcosa di magico in

quell'acqua. Prendete il più distratto degli uomini quand'è sprofondato neisuoi sogni: mettetelo in piedimettete i piedi

in movimentoed egli vi porterà infallibilmente all'acquase acqua c'è intutta la zona. Provateloquesto esperimentose

mai vi trovaste morti di sete nel gran deserto americanosempre che lavostra carovana sia fornita di un professore di

metafisica. Sicurocome tutti sannomeditazione e acqua sono sposate ineterno.

Ma prendiamo un artista. Egli vuole dipingervi il più fantasticoil piùombrosoil più quietoil più incantevole

tratto di paesaggio romantico di tutta la valle del Saco. Qual è l'elementoprincipale che adopera? Là si rizzano gli

alberiognuno col tronco vuoto quasi ci fosse dentro un eremita col suocrocefisso; e qui dorme il prato e lì dorme il

brancoe dalla casetta laggiù si alza un fumo sonnacchioso. E un camminosinuoso s'addentra in remote selvee

raggiunge i sovrastanti sproni de' monti bagnati nell'azzurro dei loropendìi. Ma per quanto la scena appaia così

immersa nell'estasie il pino lasci cadere i suoi sospiri come foglie sulcapo di quei pastoretutto sarebbe inutile se

l'occhio del pastore non fosse cucito alla corrente magica che ha davanti.Andate a vedere le praterie in giugnoquando

per ventine e ventine di miglia si cammina affondando fino ai ginocchi neigigli screziati: qual è l'unico incanto che

manca? L'acqua. Non c'è una goccia d'acqua lì attorno! Se il Niagara fossesolo una cateratta di sabbiafareste miglia

per andarlo a vedere? Perché mai quel povero poeta del Tennesseenelricevere all'improvviso due manciate d'argento

rimase in dubbio se comprarsi un pastrano di cui aveva seriamente bisognooinvestire i soldi in un viaggio a piedi alla.10

spiaggia di Rockaway? Perché quasi ogni ragazzo sano e robustocon dentroun'anima sana e robustaammattisce

prima o poi dalla voglia d'imbarcarsi? Perché voi stessial primo viaggiofatto da passeggeriavete avvertito un tale

brivido misterioso al sentire che voi e la nave avevate perso di vista laterra? Perché gli antichi Persiani consideravano

sacro il mare? E perché i Greci gli assegnarono un dio a partee fratellodello stesso Giove? Certo tutto ciò non è senza

significato. E ancora più profondo è il significato di quella storia diNarcisoche non potendo afferrare l'immagine

tormentosa e gentile che vedeva nella fontevi si tuffò e morì annegato.Ma quell'immagine la vediamo noi stessi in tutti

i fiumi e gli oceani. È l'immagine del fantasma inafferrabile della vita; equesto è la chiave di tutto.

Oraquando io dico che ho l'abitudine di mettermi in mare ogni volta checomincio a vederci appannatoe

divento troppo cosciente dei miei polmoninon vorrei si inferisse che io miimbarchi mai come passeggero. Perché a

imbarcarsi da passeggero bisogna avere per forza un portafoglie unportafogli non è che uno straccio se non c'è

qualcosa dentro. Inoltre i passeggeri prendono il mal di marediventanoirascibilinon dormono la nottee in genere

non si divertono gran che: noio non vado mai come passeggero; e nemmenoper quanto sia oramai piuttosto vecchio

del mestieremi metto mai in mare come commodoroo capitanoo cuoco.Lascio la gloria e la distinzione di questi

uffici a chi li gradisce. Da parte mia detesto tutte le onorevoli erispettabili faticheafflizioni e tribolazioni di

qualsivoglia genere. Mi è già sufficiente dover badare a me stessosenzapreoccuparmi di navibrigantinibrigantini a

palogolette o che so io. E in quanto a imbarcarmi da cuoco (sebbenericonosca in questo una gloria considerevole

visto che il cuoco a bordo è in certo senso un ufficiale) pureinsommaarrostire polli non mi ha mai attirato; per quanto

una volta che il pollo sia arrostitogiudiziosamente imburrato emagistralmente salato e pepatonon c'è nessuno che

possa parlare di un pollo arrosto con più rispettoper non dire riverenzadi me. È proprio per causa della passione

idolatra degli Egiziani antichi per l'ibis al forno e l'ippopotamo arrostoche noi oggi vediamo le mummie di queste

creature nei loro forni mostruosile piramidi.

Noquando m'imbarcom'imbarco da marinaio sempliceproprio davantiall'alberogiù a piombo nel castello

su in cima alla testa d'alberetto. È vero che il più delle volte mi fannosfacchinare e saltare da una manovra all'altra

come un grillo in un prato di maggio. E questa storiadapprimaè piuttostosgradevole; ti tocca nell'onorespecie se si

proviene da qualche vecchia famiglia ben radicatai Van RenselaeriRandolph o gli Hardicanute. E più che maise

proprio prima di cacciare le mani nel secchio del catrameuno ha vissuto dapadrone facendo il maestro di scuola in

campagnadove anche i più lunghi se la facevano sotto. Da maestro amarinaiocredetemiil passo è fortee per fare

buon viso a quel giochetto ci vuole una potente digestione di Seneca e degliStoici. Ma anche a questocol tempoci si

abitua.

Che importa se qualche vecchia carogna di un capitano mi ordina di prenderela scopa e spazzare i ponti? A

che può ammontare l'offesase la pesiamovoglio diresulla bilancia delNuovo Testamento? Credete che l'arcangelo

Gabriele possa stimarmi di menoperché in quel caso particolare obbediscocon prontezza e rispetto a quel vecchio

tirchio? Chi non è uno schiavo? Ditemelo. E dunqueper quanto i vecchicapitani mi facciano sfacchinareper quanto

mi sbattano intorno a spintoni e manateio ho la soddisfazione di sapere chetutto è secondo giustizia; che ogni altro

uomo viene servitoin un modo o nell'altrosu per giù allo stesso modoosul piano fisico o su quello metafisicovoglio

dire; e così la pestata universale viene trasmessa dall'uno all'altroe lemani di ognuno dovrebbero fregare le scapole

dell'altro con soddisfazione di tutti.

Ancoraio m'imbarco sempre da marinaio perché si fanno un dovere di pagarmiper il disturbomentreche io

sappianon danno mai un soldo ai passeggeri. Al contrarioi passeggeridevono pagare loro. E c'è proprio una gran

differenza tra pagare ed essere pagati. L'atto di pagare è forse il castigopiù seccante che i due ladri del frutteto ci

abbiano lasciato in eredità. Ma esserepagatichec'è di eguale al mondo? La premura affabile con cui un uomo riceve

del denaro è davvero sorprendente se si pensa che noi crediamo cosìprofondamente che il denaro è la radice di tutti i

mali terrenie che per nulla al mondo un uomo danaroso può entrare incielo. Ah con che allegria ci consegniamo alla

perdizione!

E infine io m'imbarco sempre da marinaio per via del sano esercizio edell'aria pura del ponte di prua. Perché

visto che in questo modo i venti di prua sono assai più frequenti dei ventidi poppa (sempre che si rispettiè logicola

massima di Pitagora)così il più delle volte il commodoro sul casseroriceve l'aria di seconda mano dai marinai sul

castello. Egli crede di respirarla per primoma si sbaglia. In modo assaiconsimile il popolo guida i suoi capi in

parecchie altre coseproprio mentre i capi neanche lo sospettano. Ma ilmotivo per cui iodopo avere annusato tante

volte il mare come marinaio mercantiledovessi ora ficcarmi in testa dipartire a caccia di balenea questo l'invisibile

poliziotto dei Fatiche ha l'incarico di sorvegliarmi continuamenteesegretamente mi pedinae influisce su di me in

qualche modo inspiegabilea questo può rispondere lui meglio di chiunquealtro. E senza dubbiola mia partenza per

questo viaggio a balene faceva parte del grande programma della Provvidenzatracciato molto tempo fa. C'entrava come

una specie di breve interludio e di assolo tra numeri molto più lunghi. Iomi figuro che questo punto del programma

dovesse pressappoco suonare così:

Grande e disputata elezione alla Presidenza degli Stati Uniti.

Viaggio a balene di un certo Ismaele.

SANGUINOSA BATTAGLIA NELL'AFGANISTAN..11

Sebbene non sappia dire esattamente perché quei direttori d scenai Fatimi abbiano ingaggiato per questa

parte meschina di un viaggio a caccia di balenequando invece altri venivanodesignati per splendide parti in tragedie

sublimioppure per brevi e facili parti in commedie delicatee per allegreparti di farse - sebbene non sappia dirne la

ragione precisapure adesso che ricordo tutti i particolari mi pare divederci un po' chiaro tra le molle e i motivi che

presentatimi astutamente sotto varie mascheremi spinsero a darmi da fareper recitare la parte che recitai; oltre a

invescarmi nell'illusione che si trattasse di una scelta che risultava dallamia libera e spontanea volontà e dal mio

perspicace giudizio.

Primo tra questi motivi fu l'idea travolgente della stessa grande balena. Unmostro così portentoso e arcano

destava tutta la mia curiosità. Poi i mari deserti e lontani dove rollava lasua massacome un'isola; i pericoli

indescrivibili e sconosciuti della caccia: tutte queste cosee le meraviglieche le accompagnanodi mille aspetti e suoni

patagonicicontribuivano a spingermi verso il mio desiderio. Altri uominiforsenon avrebbero trovato in tutto ciò

nessun motivo di attra zione; ioinvece sono tormentato da un'ansia continuaper le cose lontane. Mi piace navigare su

mari proibiti e scendere su coste barbare. Non ignorando ciò che è benesono svelto nel percepire un orroree tuttavia

se mi è concessonon me ne ritraggo. Perché non è che bene sapere essereamico di tutti gli ospiti del posto in cui si

abita.

Per tutti questi motividunqueil viaggio a caccia di balene mi riuscìgradito. Le grandi chiuse del mondo dei

prodigi si spalancaronoe nelle fantasie sfrenate che mi spingevano al mioscopoa due a due mi nuotarono fino al

profondo dell'animo infinite processioni di balenee in mezzo a tutte ungrande fantasma incappucciatocome una

collina di neve nell'aria.

II·• IL SACCO DA VIAGGIO

Ficcai un paio di camicie nel mio vecchio sacco da viaggiome lo infilaisotto braccioe partii per il Capo

Horn e il Pacifico. Lasciando la buona vecchia Manhattanarrivaipuntualmente a New Bedford. Era un sabato notte in

dicembre. Molto fui deluso nel sapere che il battellino postale per Nantucketera già partitoe che non c'era altro modo

di raggiungere quel posto fino al lunedì.

Siccome molti giovani candidati alle pene e penalità della caccia allabalena si fermano proprio a New Bedford

per imbarcarsi da lì per il loro viaggioconviene forse dichiarare che ioper me non avevo nessuna intenzione di imitarli.

Mi ero già messo in testa di non salpare su un legno che non fosse diNantucketperché a tutto ciò che era connesso con

quella vecchia isola famosa si univa una certa bella fierezzache mi piacevastraordinariamente. Inoltreè vero che di

recente New Bedford è venuta monopolizzando a poco a poco l'industria dellebalenee ormai la povera vecchia

Nantucket le sta indietro di parecchio in questo campoma tuttavia Nantucketè stata il suo grande modellola Tiro di

questa Cartagine; il posto dove venne ad arenarsi la prima balena americanamorta. Da dove se non da Nantucket fecero

le prime sortite nelle loro canoequei balenieri aborigenii Pellirosseper dare la caccia al Leviatano? Da dove se non

ancora da Nantucket salpò quella prima corvetta avventurosacarica inparteo almeno così raccontanodi ciottoli

importati da lanciare alle baleneper vedere se erano abbastanza vicine darischiare una fiocina dal bompresso?

Oraavendo davanti una notteun giornoe una seconda notte a New Bedforfprima di potermi imbarcare per

la mia destinazionemi si presentò il problema di dove mangiare e dormirenel frattempo. Era una notte assai incerta

anzi scurissima e tetracon un freddo da moriree una tristezza. Nonconoscevo anima viva in quel posto. Avevo

scandagliato le tasche con ansiosi ancorottie portato a galla solo pochipezzi d'argento. «Perciòdovunque tu vada

Ismaele» mi dissi mentre me ne stavo fermo in mezzo a una squallida viacol sacco a spallae paragonavo la tenebra a

nord col buio fitto che era a sud«dovunque tu possa decidere nella tuasaggezza di alloggiare stanottemio caro

Ismaelestai attento a chiedere prima il prezzoe non essere troppoesigente.»

Cominciai a girareesitantee passai sotto l'insegna de «Le fiocineincrociate»ma aveva l'aria di un posto

troppo caro e allegro. Più avantidalle rosse finestre illuminate della«Locanda del pesce spada» i venivano raggi così

caldiche pareva avessero sciolto la crosta di neve e ghiaccio davanti allacasaperché in ogni altro punto il gelo

rappreso formava uno strato di dieci polliciduro come l'asfalto: ed eraesasperante quando urtavo col piede quegli

spigoli di sassovisto che per il lungo e spietato servizio le suole deglistivali erano in uno stato pietoso. «Troppo caro e

allegro» pensai di nuovofermandomi un momento a guardare il largoriverbero nella stradae ad ascoltare il suono dei

bicchieri che tintinnavano lì dentro. «Suvai avantiIsmaele» mi dissialla fine: «Non senti? Togliti dall'ingressoche i

tuoi stivali rappezzati ingombrano il passaggio.» E così venni via. Ora peristinto prendevo i vicoli che portavano al

mareperché lìsenza dubbioc'erano le locande più a buon prezzosenon le più allegre.

Che strade squallide! Da tutt'e due i lati non casema blocchi d'oscuritàe qua e là una candelacome un lume

che sbatte in una tomba. A quell'ora di nottel'ultimo giorno dellasettimanaquesta parte dell'abitato era semideserta.

Ma presto raggiunsi una luce fumosa che veniva da un grosso e basso edificiocon la porta aperta in modo invitante.

Aveva un'aria trascuratacome servisse a uso pubblico; cosìentrandoperprima cosa incespicai in un ceneraio nel

vestibolo. «Ah!» pensai«ah!» mentre il nuvolo di polvere quasi mistrozzava«forse queste ceneri vengono da quella

città distruttaGomorra? Fiocine IncrociatePesce Spada... questoalloradev'essere proprio all'insegna della

Trappola.» A ogni modo mi ripresie sentendo uno che gridava lì dentrospinsi e schiusi una seconda porta interna..12

Pareva il gran Parlamento Nero riunito in Tophet. Cento facce di pece sivoltarono a sbirciare dai banchie in

fondosul pulpitoun nero Angelo del Giudizio picchiava su un libro. Erauna chiesa di negrie il testo della predica

trattava dell'oscurità dell'Abissodel piantodei lamentidello stridoredei denti laggiù. «AhIsmaele» brontolai

rinculando«brutto trattamento all'insegna della Trappola!»

Andando avantiarrivai infine a una specie di lume debole che penzolava nonlontano dai bacinisentii un

cigolìo desolato nell'ariae alzando gli occhi vidi un'insegna chedondolava su un usciocon sopra dipinto qualcosa di

bianco che vagamente rassomigliava a un getto alto e dritto di spumanebbiosa; e sottoqueste parole: «Lo sfiatatoio -

Pietro Bara».

Bara? Sfiatatoio? Piuttosto sinistro quel particolare accoppiamentopensai.«Ma si trattadiconodi un nome

comune a Nantuckete penso che questo Pietro sia uno venuto di là.» Vistoche la lampada aveva un aspetto così fiacco

e il postoper l'orasembrava abbastanza tranquilloe la stessa decrepitacasuccia di legno pareva trasferita lì dalle

rovine di qualche zona incendiatae l'insegna faceva oscillando un lamentoche sembrava annunziare miseriapensai

che questo era il luogo ideale per trovarvi alloggio a buon prezzo; e ilmiglior caffè di ceci.

Era un posto davvero bizzarro: una vecchia casa a timpanocon un fianco chepareva paraliticoe pendeva

malinconico. Piantata su una svolta brusca e squallidadove il tempestosovento Euroclidone faceva un ululìo peggiore

che attorno allo sbattuto legno del povero Paolo. EppureEuroclidone è unzeffiro gradevolissimo per chi sta al chiuso

coi piedi al camino che si rosolano beatamente per il letto. «Nel giudicardi quel tempestoso vento chiamato

Euroclidone» dice un antico scrittore (delle cui opere io posseggo l'unicacopia superstite)«mirabile è la differenza se

tu lo consideri da dietro una vitrea finestra su cui il gelo sia tutto dallaparte esterioreo per contrario se tu l'osservi a

traverso quella stelaiata finestra che il gelo copre da ambo i latie di cuila valente Morte è l'unico vetraio.» Proprio

cosìpensai mentre quel passo mi tornava alla memoria. Ragioni benevecchia scrittura gotica. Sicuroquesti occhi

sono le finestre e questo corpo è la casa. Peccatoperòche non abbianotappato le fessure e le crepee ficcato qua e là

un po' di filaccia. Ma è troppo tardi ormai per fare delle migliorie.L'universo è ultimatola cimasa è a postoe i trucioli

rimossi un milione d'anni fa. Il povero Lazzaro là fuoriche sbatte i denticontro la cordonatura del marciapiedi che gli

fa da guancialee scuote i suoi cenci a furia di brividipotrebbe turarsitutt'e due le orecchie con stracci e ficcarsi in

bocca una pannocchia di granturcoma questo non terrebbe fuori il tempestosoEuroclidone. . Euroclidone!» dice il

vecchio Epulone in vestaglia di seta rossa (un'altra ancora più rossa neebbe in seguito): «Puah! Puah! Che bella notte di

gelocome scintilla Orioneche bell'aurora boreale! Parli pure la gente diestivi climi orientali come serre perenni; a me

basta il privilegio di farmi la mia estate col mio carbone.»

Ma che ne pensa Lazzaro? Può scaldarsele lui le mani bluastre alzandoleverso la maestosa aurora boreale?

Non preferirebbeLazzarotrovarsi a Sumatra piuttosto che qui? Nonpreferirebbe forse e di molto stirarsi per quant'è

lungo sulla linea dell'equatoreoppure sìo dei! scendere nello stessoabisso di fuocoper potersi scacciare questo gelo

di dosso?

Orache Lazzaro debba stare lìbuttato sul marciapiedi davanti alla portadi Epuloneè più incredibile che se

un iceberg venisseormeggiato a una delle Molucche. Però anche Epulone vive come uno Zarin unpalazzo di ghiaccio

fatto di sospiri gelatied essendo presidente di una lega control'alcoolismobeve le lacrime tiepide degli orfani.

Ma basta coi piagnistei adesso; stiamo per partire a caccia di balenee dilagnein vistace n'è già in

abbondanza. Raschiamoci il ghiaccio dai piedi gelatie vediamo che razza diposto è questo «Sfiatatoio».

III • ALLO SFIATATOIO

Entrando in quell'incappucciata Locanda dello Sfiatatoio ci si trovava in unvestibolo largobasso e tutto storto

rivestito di antichi pannelli di legno che ricordavano le murate di qualchevecchio legno cassato dai ruoli. Da un lato era

appeso un gran quadro a olio talmente affumicato e sfigurato in tanti modiche a guardarlo in quella luce debole

proveniente da più partiforse si poteva arrivare a capirne il sensosoltanto con un esame accuratouna serie di

sistematiche ispezionie un'inchiesta laboriosa in quei paraggi. Masse cosìincomprensibili di ombre e di buio fittoche

dapprima veniva quasi da pensare che qualche pittore giovane e ambiziosoaltempo delle streghe nel New England

avesse tentato di rappresentare l'affatturamento del Caos. Ma dopo molta eseria riflessione e rinnovati ponzamentie

specialmente dopo avere spalancato il finestrino sul retro del localesiveniva infine alla conclusione che un'idea come

quellaper quanto sconcertantepoteva non essere completamente infondata.

Però ciò che lasciava più perplessi e confusi era la lungaagileportentosa massa nerastra di qualcosa che si

librava al centro del quadrosopra tre vaghe linee azzurre perpendicolariche ondeggiavano in mezzo a un fermento

indefinibile. Un quadro davvero melmosofradicioserpignoda fare perderela testa a un nevrastenico. Eppurein esso

c'era una specie di sublimità indefinitasemiraggiuntainverosimilechesenz'altro vi ci incollava l'occhiofinché senza

volerlo uno giurava a se stesso di scoprire il significato di quella pitturastupefacente. Di tanto in tanto un'idea brillante

ma ahimè ingannevole vi saettava per la mente: «È una tempesta notturnanel Mar Nero. Noè la lotta mostruosa dei

quattro elementi primordiali. O una brughiera devastata. Un inverno artico.È lo spezzarsi dei ghiacci nella fiumana del

Tempo.» Ma alla fine tutte queste fantasie erano sconfitte da quel non soche di misterioso in mezzo al quadro. Una

volta spiegato quellotutto il resto sarebbe stato chiaro. Un momento! Non somiglia vagamente a unpesce gigantesco?

Allo stesso grande Leviatano?.13

Di fatti il progetto dell'artista pareva a questo: ed èper concludereunamia teoria basata in parte sulla

collazione dei pareri di molte anziane persone con le quali ho parlatodell'argomento. Il quadro rappresenta un legno

australe in un grande uragano: la nave mezzo affondata va sbattendo con solovisibili i tre alberi smantellatie una

balena infuriatache voleva saltare netto il bastimentoè ripresanell'atto smisurato di impalarsi sulle tre teste d'albero.

La parete di fronte di questo locale era tutta ricoperta da una selvaggiaesposizione di clave e lance mostruose.

Alcune erano fittamente adorne di denti lucidi che parevano seghe d'avorioaltre impennacchiate di ciuffi di capelli

umani; una era a forma di falcecon un gran manico che s'incurvava come lospicchio prodotto nell'erba fresca da un

falciatore dalle lunghe braccia. A guardarle venivano i brividi: ci sichiedeva quale mostruoso selvaggio e cannibale

potesse mai uscire a mietere morte con un attrezzo così bestiale eraccapricciante. Mescolate con queste c'erano vecchie

lance da balena arrugginite e ramponi tutti spezzati e sformati. Alcune diqueste armi erano celebri. Con questa lancia

una volta oblungaora ferocemente piegata a gomitocinquant'anni fa NathanSwain uccise quindici balene dall'alba al

tramonto. E quella fiocinache ora somiglia a un cavaturacciolifu lanciatanei mari di Giava e portata via da una

balena in fugauccisa anni dopo al largo del Capo Blanco. Il ferro eraentrato la prima volta vicino alla codae come un

ago inquieto che resta nel corpo d'un uomoaveva viaggiato per ben quarantapiedie infine era stato trovato sepolto

nella gobba.

Traversando questo buio vestiboloe proseguendo per un arco dalla voltabassatagliato in quello che

anticamente deve essere stato un gran camino centrale con focolaitutt'intornosi entra nella stanza comune. Che è un

posto ancora più buiocon tali travi basse e massicce in altoe assi cosìvecchi e rugosi di sottoche quasi pareva di

calcare i visceri di qualche vecchia carrettaspecie in una notte comequesta piena di ululicon questa vecchia arca

ammarrata sull'angolo che balla così furiosamente. Da un lato stava untavolo lungobassoa scaffalecoperto di

vetrinette incrinatepiene di rarità polverose raccolte nei cantucci piùlontani di questo vasto mondo. Sporgente

dall'angolo estremo della stanzauna tana di colore scuroil banco dimescitarozzo tentativo di imitare la testa di una

balena franca. Comunque siaecco lì il grande osso arcuato della mascellacosì grande che quasi potrebbe passarci sotto

una carrozza. All'internoscaffali squallidi allineano vecchie caraffebottigliefiaschie dentro quelle mandibole svelte

a distruggerecome un altro Giona maledetto (e così si chiamava in effetti)va sfaccendando un vecchino tutto

avvizzitoche in cambio dei loro denari vende ai marinai deliri e morteacaro prezzo.

Abominevoli sono i bicchieri in cui versa il suo veleno. Quantunque vericilindri all'esternodi dentro gli

infami vetri verdi si gonfiano e si restringono falsamente verso il bassofino a un culo che è una truffa. Rozzi meridiani

parallelibecchettati nel vetroattorniano questi calici da grassatori.Riempi fino a questataccae ilprezzoè appena un

soldo; all'altraancora un soldoe così via fino al pienola misura delCapoche si può ingollare per uno scellino.

Entrando nel locale trovai un gruppo di giovani marinairaggruppati attornoa un tavolo a esaminaresotto un

po' di lucealcuni esemplari di skrimshander.Scovai il padronee quando gli dissi che volevo una camerami rispose

che la casa era piena: non c'era un letto libero. «Ma fermo!» disse poidandosi un picchio in fronte. «Ti va o non ti va di

spartire la coperta d'un ramponiere? Se vai a caccia come credofai bene adabituarti a questa sorta di cose.»

lo gli dissi che spartire un letto non mi era mai piaciuto; che se proprio mitoccava di farlovolevo prima

vedere chi era questo ramponieree insomma se lui (il padrone) non avevaaltro modo di arrangiarmie se il ramponiere

non era proprio sgradevolebe'piuttosto che andare ancora a zonzo in unposto che non conoscevo in una notte così

bruttami sarei contentato di metà della coperta di qualunque personadecente.

«L'avevo immaginato. Benemettiti a sedere. Qualcosa da mangiare? Cena? Lacena sarà pronta subito.»

Mi misi a sedere su una vecchia pancatutta intagliata come una panchinaalla Battery. A una delle punte un

vecchio lupo ruminante la stava decorando ancora di più col coltello aserramanicotutto curvo e concentrato sullo

spazio fra le gambe. Cercava di fare un bastimento che andava a velespiegatema a mio parere stentava a prendere un

vero abbrivo.

Infine quattro o cinque di noi fummo chiamati a mensa nella camera accanto.Era fredda come l'Islanda. Fuoco

non se ne vedeva; il padrone disse che non poteva permetterselo. Non c'eranoche due lugubri candelacce di sego

ognuna avvolta nel suo sudario. Altro non c'era da fare che abbottonarsi igiubbottie portarsi alla bocca tazze di tè

bollente con le dita semicongelate. Ma il vitto era dei più sostanziosi: nonsolo carne e patatema gnocchi di pastabuon

Dio! gnocchi di pasta per cena! Un giovanotto con un pastrano verde siapplicò a questi gnocchi in una maniera

tremenda.

«Giovanotto» disse il padrone«stanotte avrai l'incubosicuro come lamorte.»

Io bisbigliai: «Padroneè lui il ramponiere?»

«Oh no» fececon una certa aria da burla diabolica«il ramponiere è untipo di carnagione scura. Non mangia

mai pastaquellonon mangia altro che bistecchee gli piacciono alsangue.»

«Si strozzi pure» dico io. «Dov'è questo ramponieresi trova quidentro?»

«Sarà qui fra poco» fu la risposta.

Che potevo farciquesto ramponiere «di colorito scuro» cominciava ainsospettirmi. In ogni casopresi una

decisione: se così finiva che dovevamo dormire assiemeprimo a spogliarsied entrare nel letto doveva essere lui.

Finita la cena la comitiva tornò nel bare ionon sapendo in che modooccuparmidecisi di passare da

spettatore il resto della serata.

Dopo un momento sentimmo fuori un gran chiasso. Saltando in piedi il padroneesclamò: «La ciurma

dell'Orca! Stamattina ho visto che era annunziata al largo. Tre anni di maree la stiva piena. Ragazziviva! Adesso

sentiremo le ultime novità dalle Figi.».14

Arrivò dall'ingresso un gran calpestìo di stivali da mare: la porta vennespalancatae ruzzolò dentro una ciurma

davvero selvatica di marinai. Infagottati nei pelosi giacconi da guardialeteste fasciate da sciarpacce di lana tutte

rattoppate e sdrucitele barbe impietrate dai ghiaccioliparevano una tormairruente di orsi del Labrador. Erano appena

sbarcati e questa era la prima casa in cui mettevano piede. Nessunameravigliaquindiche puntassero dritti sulla bocca

di balenail banco dove l'officianteil vecchio Giona piccolo eincartapecoritocominciò subito a mescere in giro

bicchieri pieni. Uno si lamentava di un forte raffreddore alla testae Gionagli versò una pozione bituminosa di gin e

melassa giurando che era il rimedio sovrano per qualunque catarro oinfreddaturadi qualsiasi datanon importa se

preso al largo della costa del Labrador o sopravvento a un'isola di ghiaccio.

Subito la bevanda salì alle testecome fa di solito anche ai più solenniscolatori quando sono sbarcati da poco.

E cominciarono a caracollare per la stanza con fracasso. Però notai che unodi loro si teneva un po' da parte. Era chiaro

che non voleva guastare l'allegria dei compagni con la sua faccia morigeratama nel complesso evitava di fare il

baccano che facevano gli altri. Quest'uomo mi colpì subito; e siccome ipoteri marini avevano stabilito che dovesse

diventare presto mio compagno di bordo (ma solo compagno di sonno per quantoriguarda questa storia)mi proverò qui

a farne una piccola descrizione. Era alto non meno di sei piediaveva spalleimponenti e un torace che pareva un

cassone d'ormeggio. Di rado ho visto un uomo così forzuto. Faccia assaiscura e arsae i dentiper contrastobianchi da

abbagliare; nell'ombra fitta di quegli occhi fluttuavano ricordi che nonparevano rallegrarlo troppo. La sua parlata

denunziava subito un meridionalee la sua bella statura mi diceva che dovevaessere uno dei montanari di alta mole che

vengono dalla catena degli Allegani in Virginia. Quando il chiasso deicompagni raggiunse il colmol'uomo se la

svignò inosservatoe non ne seppi altro finché non me lo ritrovai compagnoin mare. Ma gli altri dopo qualche minuto

notarono la sua assenza. Per qualche motivodovevano averlo tutti in gransimpatiaperché cominciarono a sbraitare:

«Bulkington! Bulkington! Dov'è Bulkington?» e uscirono a precipizio perdargli la caccia.

Adesso erano quasi le novedopo quei baccanali la stanza pareva piombata inun silenzio quasi soprannaturale

e io cominciai a riflettere con soddisfazione su un piccolo piano che m'eravenuto in mente proprio prima che entrassero

i marinai.

A nessuno piace dormire insieme a un altro. Francamente perfino col propriofratello è molto meglio non

dormire. Non so perché ma la gente quando dorme vuol farlo ognuno per contosuo. Quando poi si tratta di dormire con

uno sconosciutoin una locanda che non si conosce di una città dove non siè mai statie questo sconosciuto è un

ramponiereallora le obiezioni si moltiplicano all'infinito. Né ci puòessere ragione al mondo che io marinaio debba più

di qualunque altro dormire a coppia in un solo lettoperché i marinai nondormono a coppia in mare più di quanto lo

facciano i re scapoli a terra. Certodormono tutti assieme in un localemaognuno ha la sua brandasi copre con la sua

coperta e dorme nella sua pelle.

Più riflettevo su questo ramponiere e più detestavo l'idea di dormirciassieme. Era lecito supporre che

trattandosi di un ramponiere la sua biancheriao laneria che fossenonsarebbe stata della più pulitacerto non della più

fina. Cominciavo a torcermi tutto. Per giunta si stava facendo tardie ilmio beneducato ramponiere avrebbe dovuto

essere a casa e in marcia verso il letto. Supponendo ora che venisse acascarmi addosso a mezzanottecome facevo a

sapere da che sporca tana usciva?

«Padroneho cambiato idea per quel ramponiere. A letto con lui non ci vado.Mi arrangio su questa panca.»

«Fa' come credi. Mi dispiace non poterti dare una tovaglia per materassoperché è un tavolaccio schifoso»e

andava tastando bitorzoli e tacche. «Ma aspetta un po'Intaglio. Ho unapialla qui nel bancone. Aspettaaspettache ti

farò stare proprio comodo.» Così dicendo andò a prendere la piallaspolverò prima il banco col suo vecchio fazzoletto

di setae si mise di tutta forza a piallarmi il lettoghignando di continuocome una scimmia. I trucioli volavano a destra

e a mancasinché alla fine il ferro andò a cozzare contro un nodoinestirpabile. Il padrone stava per slogarsi un polsoe

io gli dissi di smetterla per amor di Dio: il letto era già abbastanzasoffice per i miei gustie non vedevo come si potesse

con tutte le piallature del mondo ricavare un fondo di piume da un tavolacciodi pino. Così raccolse i trucioli con un

altro ghignoli buttò nella stufa grande in mezzo alla stanza e se ne andòper i fatti suoilasciandomi a meditare sui miei

guai.

Presi la misura della panca e trovai che era corta di un piede: a questo sirimediava con la sedia. Però era anche

stretta di un piedee l'altra panca del locale era circa quattro pollicipiù alta di quella piallatasicché non era il caso di

accoppiarle. Allora misi la prima panca di fianco lungo il solo tratto dimuro liberolasciando in mezzo un po' di vuoto

per sistemarci la schiena. Ma subito mi resi conto che da quel davanzaleentrava uno spiffero così gelato che non c'era

niente da fareanche perché dalla porta scassata un secondo spiffero venivaincontro al primoe tutti e due assieme

facevano una serie di mulinelli nell'immediata adiacenza del posto dove avevopensato di passare la notte.

Il diavolo si porti quel ramponierepensai. Un momento: forse potevoprevenirlo. Chiudo a chiave la porta di

dentromi ficco a lettolo lascio pestare la porta senza svegliarmi. Nonpareva una cattiva ideama a ripensarci lasciai

perdere. Chi mi assicurava infatti che l'indomani mattinaappena messo ilnaso fuori di camerail ramponiere non fosse

piantato all'ingresso e pronto a lasciarmi per morto?

Per concluderementre tornavo a guardarmi attorno e non vedevo altrapossibilità di passare una notte decente

tranne che nel letto di qualcunocominciai a pensare che dopo tutto i mieipregiudizi contro quel ramponiere ignoto

potevano anche essere ingiustificati. Ora aspetto un pocopensonon puòtardare molto ad arrivare. Gli do una bella

guardatae chi sa che non diventiamo buonissimi amici di letto. Non si puòmai dire.

Il fatto è che gli altri pensionanti continuavano a rientrare unodue o treper volta e se ne andavano a letto; del

mio ramponiere neanche l'ombra..15

«Padrone!» dico«ma che razza di uomo èrientra sempre così tardi?»Ci mancava poco a mezzanotte.

Il padrone rifece la sua risatella magracome divertito assai da ciò chenon riuscivo a capire. «No» rispose«di

solito è un tipo mattiniero. Presto a letto e presto in piedisicuroèuno che piglia pesci. Ma stasera è uscito a svendere

capiscie proprio non mi spiego che diavolo gli fa fare così tarditranneche forse non riesce a smerciare la testa.»

«Smerciare la testa? Ma cos'è questa storia?» Cominciavo ad arrabbiarmiforte. «Padronevuoi dire sul serio

che in questa notte benedetta di sabatoo meglio mattina di domenicaquell'uomo va in giro e si dà da fare per vendersi

la testa?»

«Precisamente» disse il padrone«e io gliel'ho detto che qui non potevafarcela perché il mercato è pieno.»

«Ma di che?» gridai.

«Di testeappunto. Non ci sono troppe teste al mondo?»

«Stammi a sentirepadrone» dissi con assoluta freddezza«megliosmetterla con queste favolenon sono un

fesso.»

«Può darsi.» Prese una scheggia di legno e si appuntò uno stuzzicadenti.«Ma ci scommetto che avrai fessa la

zucca se quello ti sente che gli calunni la testa.»

«Io gliela rompola testa» feci imbestialito da quelle sue assurdità.

«È già rotta» dice.

«Rotta? Rotta hai detto?»

«Sicuroed è per questo che non riesce a venderlacredo.»

«Padrone» dicoe m'avvicino gelido come il monte Ecla in una tormenta.«Padronepiantala di raschiare. Tu e

io dobbiamo spiegarcie subito per giunta. Io vengo alla tua locanda echiedo un letto; tu mi rispondi che puoi darmene

solo metàe l'altra metà è di un certo ramponiere. E su questo ramponiereche ancora non ho visto continui a

raccontarmi storie che sono le più grossolane mistificazioni e provocazionie che finiscono col farmi venire la nausea

per questa persona con cui debbo dormire: che è un rapportopadroneestremamente intimo e confidenziale. Ora ti

domando di parlare chiaroe dirmi chi e che diavolo è questo ramponiere ese posso stare tranquillo sotto ogni punto di

vista passando la notte con lui. E in primo luogo sarai così gentile darimangiarti questa storia della testa: perchése è

veraè prova sicura che questo ramponiere è pazzo da manicomioe non honessuna intenzione di dormi re con un

pazzo; e tu amicodico tupadronetu egregio signoresapendo questo ecercando di convincermi a farloti rendi di

conseguenza passibile di azione penale.»

«Càspita» disse il padrone tirando un gran respiro«questo sì è unpredicozzo per uno che si sbottona di rado.

Ma sta' tranquillonon ti preoccuparequesto ramponiere che ti dicevo èappena arrivato dai mari del Suddove ha

comprato un mucchio di teste imbalsamate della Nuova Zelanda (gran raritàcome sai) e le ha vendute tutte tranne una

e quest'ultima cerca di venderla stanotteperché domani è domenica e nonsarebbe il caso di andare in giro a vendere

teste umane mentre la gente va in chiesa. Ci ha provato domenica scorsa ma lotrattenni proprio mentre uscivacon

quattro teste infilate in uno spago che sul mio onore parevano una filza dicipolle.»

Questo resoconto chiarì il mistero che altrimenti era incomprensibileeprovò che dopo tutto il padrone non

aveva avuto nessuna intenzione di prendermi in giroma d'altra parte chepensare di un ramponiere che la notte di

sabato la passa fuorifino alla santa domenicadandosi da fare per vendereteste di miscredenti mortiche è un vero

lavoro da cannibali?

«Padronecredimiquesto ramponiere è un tipo pericoloso.»

«Paga puntuale» fu la risposta. «Ma andiamosi fa tardi assaifaimeglio a dare un colpo di coda. È un buon

letto: ci dormimmo io e Sall la notte che ci sposammo. C'è spazio abbastanzaper tirare calci in duein quel letto: è un

lettone onnipotente. Figurati che prima di cambiarlo Sall ci sistemava ibambini ai piediSam e Johnny. Ma una notte

cominciai a stirarmi nel sonnoe non so comeSam andò a finire per terra equasi si ruppe un braccio. Allora Sall disse

che bisognava cambiarlo. Vieni con meche ti do una candela.» Così dicendoaccese una candela e me la porsefacendo

l'atto di passare avanti. Ero ancora incerto. Allora guardò il pendolonell'angolo e sbottò: «Perdio è già domenicanon lo

vedrai quel ramponiere stanotteavrà gettato l'ancora chi sa dove. Camminadunquemuovitino?»

Considerai la cosa un momentoe poi andammo su e mi portò in una stanzucciafredda come un'ostrica e

fornitabisogna dirlodi un letto spettacolosoche quasi potevano starcicomodi quattro ramponieri.

«Ecco qua» disse il padrone piazzando la candela su una cassaccia daviaggio sciancata che faceva doppio

servizio di portacatino e tavolo di centro: «Eccocimettiti in libertà ebuona notte.» Stavo guardando il letto. Mi voltai

ed era sparito.

Ripiegando la coperta mi chinai sul letto. Non era certo fra i più elegantima superò l'esame abbastanza bene.

Poi mi guardai attorno: e oltre alla lettiera e al tavolo di centro non vidialtro che appartenesse al locale tranne una rozza

scansiale quattro murae un parafuoco di carta col disegno di un uomo checolpiva una balena. Di roba che non

apparteneva propriamente alla stanza c'erano una branda affardellata ebuttata per terra in un angoloe un grosso sacco

da marinaio che conteneva il guardaroba del ramponieresenza dubbio al postodi un baule di terraferma. Inoltreun

pacco di esotici uncini d'osso di pesce nello scaffale sul caminoe unalunga fiocina appoggiata alla testiera del letto.

Ma che è quell'affare sulla cassa? Lo presil'avvicinai alla candelalotastail'annusaifeci di tutto per arrivare

a una spiegazione plausibile. Non potrei paragonarlo che a un grosso stoinoornato torno torno di ciondoletti tintinnanti

come gli aghi di porcospino colorati attorno a un mocassino indiano. Alcentro di questa stuoia c'era un buco o fessura

come si trova nei ponci del Sudamerica. Ma era possibile che un ramponieresensato si cacciasse in un tappetino da

ingressoe andasse in giro per una città cristiana con quella roba addosso?Me lo misi per prova e mi oppresse come mi.16

fossi cacciato in una cestaperché era spessoispido in modo incredibilee apparentemente anche umidicciocome se il

ramponiere misterioso l'avesse portato in una giornata di pioggia. Cosìconciato mi avvicinai a un pezzo di specchio

incollato al muroe uno spettacolo simile in vita mia non l'avevo maiveduto. Me lo strappai di dosso con tanta fretta

che mi presi una storta al collo.

Sedetti sulla sponda del letto e cominciai a pensare a questo ramponieresmerciatore di teste e al suo tappeto.

Dopo avere pensato un poco seduto sul lettomi alzaimi tolsi la giubbaemi misi a pensare in mezzo alla camera. Poi

mi tolsi la giacca e pensai un altro poco in maniche di camicia. Macominciando ora a sentire un gran freddomezzo

svestito com'eroe ricordando ciò che aveva detto il padronecheprobabilmente il ramponiere non sarebbe tornato

affatto quella nottevisto che era così tardinon stetti più afrastornarmi: sgusciai da calzoni e stivalisoffiai sulla

candela e mi buttai nel letto mettendomi nelle mani di Dio.

Se il materasso fosse pieno di pannocchie di granturco o d stoviglie rottenon è facile dirloma certo mi rigirai

parecchio e per un bel pezzo non chiusi occhio. Alla fine scivolai in unleggero soporee quasi quasi filavo al largo

verso la terra del Primosonnoquando sentii nel corridoio un passo pesante evidi un filo di luce entrare in camera da

sotto l'uscio.

Dio mi salvipensodev'essere il ramponierequel dannato mercante diteste. Ma rimasi immobile come un

morto e deciso a non fiatare sinché non mi si parlasse. La candela in unamanoe quella famosa testa nell'altralo

sconosciuto entrò in camera e senza guardare al letto posò la candelaparecchio lontano da mein un angolo del

pavimento; quindi si mise a lavorare di dita sui nodi del saccone che comedissi prima stava nella camera. Non vedevo

l'ora di guardarlo in facciama quello la tenne rivolta dall'altro lato pertutto il tempo che rimestò per slacciare la bocca

del sacco. Fatto questoperòsi volsee allora Dio che vista! Una faccia!Era di un colore cupopurpureo e giallastro

tutta chiazzata qua e là di grossi riquadri nericci. Sìera proprio cometemevoun compagno di letto terribile; avrà preso

parte a una rissaè stato massacratoe viene dritto dal chirurgo. Ma inquel momento gli capitò di voltare la faccia alla

luce e vidi benissimo che non potevano assolutamente essere cerottiqueiquadrati neri sulle guance. Erano macchiechi

sa di cosa. Dapprima non ci capivo nientema subito ebbi sentore dellaverità. Ricordai la storia di un biancoanzi

proprio un baleniereche era capitato fra i cannibali ed era stato tatuato.A questo ramponiereconclusinel corso dei

suoi lunghi viaggi sarà capitata la stessa avventura. E dopo tutto che vuoldire? pensai. È solo questione di facciata. Un

uomo può essere onesto sotto qualunque pelle. D'altro canto non sapevospiegarmi quel colorito inumanoquello cioè

delle parti attornoche niente avevano a spartire coi quadrelli deltatuaggio. Certopoteva trattarsi semplicemente d'una

buona mano di abbronzatura tropicalema non avevo mai sentito dire che ilsole forte possa dare a un uomo bianco il

colore della tintura di iodio. Però non ero mai stato nel Sude magarilaggiù il sole produceva sulla pelle questi effetti

straordinari. Bastamentre tutti questi pensieri mi passavano come lampi peril cervelloil ramponiere non si era accorto

di me assolutamente. Ma avendo dopo qualche difficoltà aperto la sua saccasi mise a rovistarci dentro e subito ne tirò

fuori una specie d'ascia di guerrae una bisaccia di foca col pelo. Le misesulla cassaccia in mezzo alla cameraafferrò

la testa neozelandese che era proprio una roba da vomitaree la ficcò nelsacco. Infine si tolse il cappelloun cappello

nuovo di castoroe io trattenni un urlotanta fu la nuova sorpresa. Nonaveva capelli in testao quasiniente altro che

un ciuffetto attorcigliato sul davanti. La testa pelata e rossiccia eraprecisa identica una testa di morto ammuffita. Se non

si fosse trovato fra me e la portami sarei buttato fuori più in fretta chenon abbia mai buttato giù un pranzo.

Ebbi anzi lo stesso l'idea di calarmi dalla finestrama eravamo al secondopianoall'interno. Non sono un

vigliaccoma non sapevo più assolutamente cosa pensare di quel rossofarabutto mercante di teste umane. L'ignoranza è

madre della paurae trovandomi completamente confuso e rimbambito di frontea questo strano tipolo confessone

ebbi paura come se il demonio stesso avesse fatto irruzione in piena nottenella mia camera. Ne avevo tanta pauradi

fattiche non avevo neanche il coraggio di parlargli e di esigere unaspiegazione soddisfacente su quelle sue incredibili

qualità.

Intanto quello continuava l'operazione di spogliarsie infine mostrò ilpetto e le braccia. Quant'è vero che son

vivoqueste sue parti nascoste erano tutte marcate con gli stessi scacchiche aveva in faccia; la schiena puretutta a

quadrelli neri; pareva che avesse combattuto in qualche guerra dei trent'annie ne scappasse proprio allora con una

camicia di cerotti. Non solopersino le gambe aveva marcatecome se unbranco di rane verdiscure stessero

arrampicandosi sopra tronchetti di palme. Ormai non c'era dubbio che costuidoveva essere qualche selvaggio

abominevoleimbarcato su una baleniera nei mari del Sud e quindi sbarcato suquesta terra cristiana. A pensarci mi

venivano i brividi. E per giunta un mercante di testemagari le teste deisuoi fratelli. Magari s'incapricciava della mia...

per Dio! Guarda che mannaia!

Neanche il tempo di rabbrividire ebbiche il selvaggio si mise a farequalcosa che ipnotizzò la mia attenzione

completamentee mi persuase che doveva essere proprio un senzadio. Si eraavvicinato al gabbanomantello o giaccone

di lana pesante che aveva appeso a una sediae frugando nelle tasche netirò fuori una curiosa figuretta sgorbiacon una

gobba sul dorso e il colore preciso di un neonato congolese di tre giorni.Ricordando la testa imbalsamataquasi pensai

dapprima che quel manichino nero fosse un bambino autentico conservato inqualche maniera simile. Ma vedendo che

non pareva flessibile affattoe luccicava come un pezzo di avorio lustratoconclusi che doveva essere solo un idolo di

legnoe così infatti risultò. Perché ora il selvaggio va al camino vuototoglie il parafuoco di cartae piazza quella goffa

cosina tra gli alaridritta come un birillo. Gli stipiti del camino e imattoni lì dentro erano tutti neri di fuliggineperciò

pensai che quel focolare era proprio il tempietto che ci volevalacappelluccia adattissima al suo idolo congolese.

Ora strizzavo forte gli occhi verso la figura seminascostae nello stessotempo stavo sulle spineper vedere

come andasse a finire. Quello cava anzitutto un paio di manciate di truciolidalla tasca del gabbanoe li sistema con cura.17

davanti al feticcio; poi ci mette sopra una scaglia di gallettaaccosta lafiamma della candela e accende i trucioli in un

bel fuoco sacrificale. Quindi diteggia svelto tra la fiammaritrae ancorapiù svelto le dita come se le avesse scottate

malamentee alla fine riesce ad acchiappare la galletta; ne soffia via unpo' di cociore o di ceneree ne fa una cortese

offerta al negretto. Ma quel diavoletto non parve gradire per niente un tipodi alimentazione così asciutto: nemmeno

mosse le labbra. Tutte queste buffonerie furono accompagnate da suonigutturali ancora più strambi da parte del fedele

che pareva pregare in cantilena o cantare qualche salmodia paganafacendointanto con la faccia le smorfie più

innaturali. Alla finespegnendo il fuocosollevò l'idolo senza troppecerimonie e lo rificcò nella tasca del mantellocon

la noncuranza di un cacciatore che insacca una beccaccia morta.

Tutti questi strani procedimenti aumentavano la mia preoccupazionee vedendoora da certi chiari sintomi che

quello stava per finire le sue faccende e saltare a lettopensai che era ilmomentoora o mai piùprima che spegnesse la

lucedi rompere l'incanto che mi aveva paralizzato così a lungo.

Ma il tempo che mi ci volle a decidere cosa dire mi fu fatale. Presa daltavolo l'accetta di guerra egli ne guardò

per un attimo la testae accostandola alla fiamma con la bocca al manico netirò grandi nuvole di fumo di tabacco.

L'attimo dopo la candela era spenta e questo cannibale ferocela scure tra identimi balzò nel tetto. Io senza più

potermi trattenere gridaie con un improvviso grugnito di stupore quellocominciò a palparmi.

Balbettando qualcosanon so cherotolai contro il muro e lo scongiuraichiunque o qualunque cosa fossedi

star buono e lasciarmi alzare e riaccendere la candela. Ma le sue rispostegutturali mi fecero subito capire che egli

afferrava malissimo ciò che gli dicevo.

«Chi diavolo?» disse infine«tu no parlaredannazioneio ammazzo!» Ela mannaia accesa cominciò a

svolazzarmi attorno nel buio.

«Padroneper amor di DioPietro Bara!» gridai. «Padrone! Allarme! Bara!Angeli! Aiuto!»

«Parla! Dici chi seio diavolo ammazzo!» ringhiò di nuovo il cannibalementre i suoi paurosi svolazzi con

l'ascia mi spargevano addosso le ceneri di tabacco ardentitanto checredetti che la biancheria mi stesse per pigliar

fuoco. Ma grazie a Dio in quel momento il padrone entrò in camera con lacandela in manoe con un salto dal letto gli

corsi incontro.

«Andiamoniente paura» disse ricominciando a ghignare. «Queequeg qui nonè capace di torcerti un capello.»

«E smettila di ghignare» urlai. «E perché non mi hai detto che questoramponiere dell'inferno era un

cannibale?»

«Ma credevo che lo sapessi... non ti ho detto che era fuori a smerciarteste? Be'un altro colpo di pinnee torna

a dormire. Queequegsenti: tu capisci meio capiscio te: questo uomo dormete. Capisci me?

«Me capire molto» grugnì Queequeg tirando alla pipa e alzandosi a sederesul letto.

«Tu dentro» aggiunse facendomi cenno con la scure di guerra e buttando daun lato la sua roba. E in realtà lo

fece in una maniera non solo civile ma veramente cortese e caritatevole.Stetti a guardarlo un momento. Con tutti i suoi

tatuaggiera in complesso un cannibale pulito e di aspetto gradevole. Che ètutto questo chiasso che ho fattodico a me

stesso: costui è un essere umano proprio come meed ha tanto motivo ditemermi come io di temere lui. Meglio dormire

con un cannibale sobrio che con un cristiano ubriaco.

«Padronedigli di mettere via l'ascia o pipa o quello che siainsommadigli di smettere di fumare e andrò sotto

con lui. Non mi piace avere a letto uno che fuma. È pericoloso. Per giuntanon sono assicurato.»

Glielo dissee Queequeg subito consentìe di nuovo mi accennò gentilmentedi mettermi a lettorotolandosi

tutto da una parte come per dire: Non ti sfioro nemmeno una gamba.»

«Buona nottepadrone» dissi«puoi andare.»

Mi ficcai sotto: mai dormito meglio in vita mia.

IV • LA COPERTA

Svegliandomi la mattina dopo verso l'albatrovai che Queequeg mi avevagettato un braccio addosso nel modo

più affezionato e tenero. Si poteva pensare che ero sua moglie. La copertaera a mosaicopiena di buffi quadretti e

triangolini di molti colorie quel suo braccio tatuato col disegno di unosterminato labirinto cretesedove non c'erano

due pezzi dello stesso tono (questo era dovutocredoal fatto che quandoera in mare egli esponeva il braccio senza

metodo al sole e all'ombracon le maniche rimboccate ora molto e ora poco)quel suo bracciodicosomigliava preciso

a una striscia di quella trapunta colorata. Anzisiccome il braccio riposavain parte sulla coperta quando apersi gli

occhiriuscii appena a distinguerlotanto si mescolavano i colorie soloperché ne sentivo il peso e la pressione

m'accorsi che Queequeg mi teneva abbracciato.

Le mie impressioni erano strane. Vediamo se so spiegarle. Da bambinoricordobenemi era capitato un fatto

abbastanza simile: se poi fu realtà o sogno non sono mai riuscito a capirloperfettamente. Si trattò di questo. Avevo fatto

qualche monelleria: se non erroavevo tentato di arrampicarmi per il caminocome avevo visto fare qualche giorno

prima a un piccolo spazzacamino. Mia matrignache per un motivo o perl'altro stava sempre a suonarmele con la frusta

e a mandarmi a letto senza cenamia matrigna mi tirò giù per le gambe e mispedì a lettomalgrado fossero solo le due

del pomeriggio del ventuno giugnoche nel nostro emisfero è il giorno piùlungo dell'anno. Ero disperato. Ma c'era poco.18

da faree così me ne salii nella mia stanzetta al terzo pianomi svestiiil più adagio possibile per ammazzare un po' di

tempoe con un sospiro amaro mi cacciai tra le lenzuola.

Me ne stavo lì stesoe calcolavo con malinconia profonda che dovevanopassare sedici ore piene prima che

potessi sperare una risurrezione. Sedici ore a letto! A pensarci mi dolevanole reni. E inoltre il giorno era così luminoso:

il sole entrava sfavillante dalla finestraun gran trepestio di carrozze perle stradee il suono di voci gaie per tutta la

casa. Mi sentivo sempre peggio; alla fine mi alzaimi rivestiie scendendopiano piano con le calze ai piedi andai a

cercare mia matrigna e all'improvviso mi gettai ai suoi piedisupplicandoladi darmi come favore speciale una buona

pestata per la mia cattiva azione; qualunque cosa insommatranne checondannarmi a restare a letto per tanto tempo

insopportabile. Ma quella donna era la migliorela più scrupolosa matrignadel mondo. Dovetti tornare su nella mia

camera. Per parecchie ore rimasi distesocompletamente sveglioe mi sentivopeggio assai che non mi sia mai

successoneanche nelle maggiori disgrazie che ho avuto in seguito. Infinecaddiimmaginoin un torpore penoso da

incubo; e uscendone a poco a pocoancora mezzo affogato nei sogniapersigli occhi e la camera già assolata era adesso

avvolta nel buio della notte. Subito mi sentii percorrere tutto da unascossa. Non si vedeva nientenon si sentiva niente;

ma mi parve che una mano soprannaturale mi stringesse la mano. Il mio bracciopendeva lungo la copertae la forma o

fantasima silenziosaindefinibileinimmaginabile a cui apparteneva la manopareva sedermi vicino sulla sponda del

letto. Per ciò che mi parve una durata di secoli e secoli stetti cosìagghiacciato dalle paure più tremendee non osavo

ritirare la manoeppure pensavo continuamente chesolo a poterla muovere diun pollice appenal'orribile incantesimo

si sarebbe spezzato. Non so come questa sensazionealla finesvanì via. Masvegliandomi al mattino; di colpo ricordai

tutto con un brividoe per giorni e settimane e mesi mi perdetti intentativi angosciosi di spiegare quel mistero. Perfino

oggi mi capita di ricominciare a pensarci.

Orase togliamo quello spavento terribilele mie sensazioni a sentirequella mano soprannaturale nella mia

somigliavano assai nella loro stranezza a ciò che provai svegliandomi evedendomi addosso il braccio pagano di

Queequeg. Ma infine tutti gli avvenimenti della notte scorsa riconfluironoquietiuno per unoin una realtà precisae

allora avvertii solamente il lato comico di quell'impiccio. Perché piùtentavo di smuovergli il braccio e sciogliere la sua

stretta matrimonialee più lui addormentato com'era si avviticchiavacomese niente ci potesse dividere tranne la morte.

Allora cercai di svegliarlo: «Queequeg!»ma la sola risposta fu un ronfio.Mi rivoltaiche mi sentivo la gola chiusa in

un collare da cavalloe all'improvviso mi sentii graffiare un poco. Butto lacoperta da un latoe vedo la mannaia

assopita a fianco del selvaggiocome un bimbo dal faccino affilato. Guardache seccaturapensai: a letto in pieno

giornoa casa di sconosciutiassieme a un cannibale e a un'ascia di guerra.«Queequeg! Per amor di DioQueequeg

svegliati!» Finalmentea furia di contorsioni e strepiti e proteste per lasconvenienza di tenere abbracciato un maschio

in quella maniera coniugaleriuscii a strappargli un grugnito. Subitoritirò il bracciosi scrollò tutto come un cane di

Terranova che esce dall'acquasi mise a sedere a letto impalato come unbastonee mi guardava e si strofinava gli occhi

come non ricordasse bene in che modo gli ero capitato in lettosebbene apoco a poco pareva albeggiargli dentro una

vaga coscienza di saperne qualcosa. Intanto io stavo fermo e me lo studiavome lo studiavo accuratamente quel tipo

così buffoperché ormai non avevo nessuna seria apprensione. Bastaquandoparve giunto a una qualche conclusione

sulla natura del suo compagno di lenzuoloe si fu per così direriconciliato col fattol'amico balzò a terra e a forza di

cenni e rumori mi fece capire che voleva vestirsi per primose non avevoniente in contrarioe io mi potevo vestire

dopocon tutta la camera a disposizione. Queequegpensaiviste lecircostanze questa è una proposta civilissima. La

veritàdite ciò che voleteè che questi selvaggi hanno un senso innatodi delicatezza. È incredibile come siano garbati

per costituzione. Faccio questo complimento speciale a Queequeg perché mitrattò con tanta civiltà e considerazione

mentre io mi comportai da grandissimo maleducatopiantandogli addosso gliocchi e spiando tutti i suoi gesti durante la

tolettamostrandomi insomma più curioso che educato. Però un uomo comeQueequeg non si vede tutti i giorni. Non c'è

dubbio che lui e le sue abitudini meritavano un'attenzione speciale.

Cominciò a vestirsi dalla cimamettendosi in testa il cappello di castoroche per inciso era altissimoe poi

ancora privo di pantalonisi mise a caccia degli stivali. Che diavolovolesse fare non soma la mossa seguente fu di

schiacciarsistivali in mano e cappello in testasotto il letto; e daglisforzi e dagli ansiti violenti che faceva dedussi che

si affannava a mettersi le calzatureper quantoche io sappianessunalegge di convenienza richiede che uno si apparti

per calzare gli stivali. Ma Queequegvedeteera una creatura ditransizione: né bruco né farfalla. Aveva solo quel tanto

di civiltà sufficiente a sfoggiare la sua natura diversa nelle maniere piùstrane. La sua educazione non era ancora

terminata. Era senza diplomi. Se non fosse stato un pochino civilemoltoprobabilmente avrebbe evitato del tutto la

seccatura di usare stivali; ma d'altra partese non fosse stato ancora unpo' selvaggionon si sarebbe mai sognato di

ficcarsi sotto il letto per metterseli ai piedi. Alla fine emerse colcappello tutto ammaccatoschiacciato sugli occhie si

mise a zoppicare e cigolare per la stanza. Pareva chenon trovandosi moltoabituato a portare stivaliquel suo paio di

vacchetta umida e grinzosaprobabilmente neanche fatti su misuralopizzicassero e tormentassero alquanto di primo

acchito in quel mattino velenoso.

E oravedendo che non c'erano tendine alla finestrae per la strettezza delvicolo la casa di fronte godeva di

una bella vista nella nostra camerae rendendomi sempre più conto dellafigura indecorosa che faceva Queequeg a

starsene in giro con addosso poco più del cappello e degli stivalilopregai come meglio mi riuscì di accelerare un poco

la sua tolettae soprattutto di infilarsi i pantaloni al più presto.Accondiscese e passò a lavarsi. A quell'ora di mattina

ogni cristiano si sarebbe lavata la faccia. Queequegcon mia grandesorpresasi contentò di limitare le abluzioni al

toracealle braccia e alle mani. Poi s'infilò il panciottoagguantò unpezzo di sapone sul tavolo portacatinolo tuffò

nell'acqua e cominciò a insaponarsi la faccia. Seguivo le sue mosse pervedere dove teneva il rasoioquando quello.19

figurateviva a prendere il rampone vicino al lettosfila la lunga asta dilegnosfodera la cimal'affila un poco sullo

stivaleva a piazzarsi davanti al pezzo di specchio sul muro e comincia unavigorosa raschiatura o piuttosto fiocinatura

delle ganasce. PensoQueequegques to si chiama fare uso delle ottime lamedi Rogers. Ma in seguito l'operazione mi

sorprese menoquando seppi che acciaio di prim'ordine forma la testa di unramponee come siano mantenuti sempre

affilatissimi i due lunghi tagli dritti.

Il resto della toletta fu presto ultimatoe Queequeg marciò fuori cameracon passo superboavvolto nel grande

gabbano da pilotae il rampone brandito come un bastone di maresciallo.

V • A COLAZIONE

Seguii presto il suo esempioe sceso al bar avvicinai con molta cordialitàfaccia di ghignoil padrone. Con lui

non ce l'avevo davveroanche se si era divertito parecchio alle mie spallecon questa storia del mio compagno di letto.

Ma una buona risata è una gran bella cosae una bella cosa piuttosto rara.Questo è il vero peccato. Perciò se

un uomo ha la fortuna di avere addosso ciò che serve a un altro per farsiuna buona risatanon abbia esitazionema si

disponga allegramente a impiegarsi e a farsi impiegare a quello scopo. E chisi porta addosso qualche generosa esca alle

risateè un uomo che vale più di quanto non si pensi. Ci potetescommettere.

Ora la stanza del bar era piena dei pensionanti arrivati la notte prima.Ancora non li avevo studiati bene. Erano

quasi tutti balenieri: primisecondi e terzi ufficiali di copertacarpentieribottaifabbrifiocinatori e guardianiuna folla

bruciata e muscolosa con le barbe a boscagliauna banda pelosa e irsutatutti coi giubboni di mare per abiti da

passeggio.

Si capiva a prima vista da quanto tempo ciascuno era a terra. La ganascia diquel giovanotto che scoppia di

salute ha la tinta di una pera rosolata dal solee si direbbe che ha lostesso profumo di muschio: sarà tornato al massimo

tre giorni fa da un viaggio alle Indie. Quell'uomo che gli sta accanto sembrapiù chiaro di qualche sfumatura; ha quasi

un riflessodireidi legno satinato. Nel colorito di un terzo perdura unatintarella tropicalema già un po' scolorita:

senza dubbio è a terra da settimane. Ma dove trovare una guancia come quelladi Queequeg? Striata di tinte variecome

la fiancata ovest delle Andepareva esibire in una singola rassegna zone ezone di climi contrastanti.

«Si mangiaoh!» gridò ora il padrone spalancando una portae tuttientrammo a far colazione.

Dicono che la gente che ha visto il mondo diventa più spigliata di maniereperfettamente disinvolta in

compagnia. Non sempredirei: Ledyardil gran viaggiatore della NuovaInghilterrae Mungo Park lo scozzesetra tutti

gli uomini furono i meno spigliati in un salotto. Ma forse la semplicetraversata della Siberia in una slitta tirata da cani

come fece Ledyardo la lunga passeggiata solitaria a pancia vuota nel cuoredell'Africa nerache fu la massima impresa

del povero Mungoforse questo tipo di viaggiodiconon è la manieramigliore di farsi una gran rifinitura mondana.

Eppure questa è una cosa chein generela si trova dovunque.

Questi pensieriproprio quisono occasionati dal fatto che messici a tavolatutti quantie mentre mi preparavo

a sentire qualche bel racconto di balenecon mia non poca sorpresa quasitutti mantennero un silenzio profondo. Non

soloma avevano un'aria impacciata. Sicuroavevo davanti una muta di lupimarinimolti dei quali avevano abbordato

senza la minima timidezza grandi balenein mezzo a oceani completamentesconosciutie le avevano duellate a morte

senza battere ciglioeppure se ne stavano qui a mangiare assiemetuttidello stesso mestieretutti di gusto affine

sbirciandosi l'un l'altro come pecorecome non si fossero mai allontanati danon so che ovile sperduto fra le Montagne

Verdi. Uno spettacolo buffoquesti orsacci pieni di rossoriquestiammazzabalene intimiditi.

Ma quanto a Queequegebbene Queequeg sedeva in mezzo a loroe percombinazione si era perfino piazzato a

capo tavolafreddo come un pezzo di ghiaccio. Certose parliamo diraffinatezzaposso dire poco a suo favore. Il suo

più sfegatato ammiratore non avrebbe potuto pienamente giustificare la suamaniera di portami la fiocina a colazione e

di usarvela senza tante cerimonieallungandola sopra la tavola a rischioimmediato di parecchie testeper arraffiarsi le

bistecche. Ma questo lo faceva certo con molto distaccoe ognuno sa che agiudizio dei piùfare una cosa con distacco

vuol dire farla con educazione.

Ma sorvoliamo su tutte le stravaganze di Queequeg a colazione: come scansavail caffè e i panini caldi e

concentrava tutta la sua attenzione sulle bistecche al sangue. Basti direchefinita la colazionesi ritirò con gli altri nella

sala comuneaccese la sua scure-pipae rimase lì seduto a fumare edigerire beatamente col suo cappello inseparabile in

testamentre io uscivo a farmi due passi.

VI·• LA STRADA

Se ero rimasto sbalorditola prima volta che mi era apparso un barbaro comeQueequeg che circolava tra

l'educata società di una città civilequella meraviglia svaporò subitoquando uscii per la prima volta a fare due passi di

giorno per le strade di New Bedford.

Nelle vie movimentate vicino agli scaliogni porto di mare importante offrespesso alla vista i più straordinari

esemplari di gente forestiera. Perfino a Broadway o a Chestnut Streetavolte marinai mediterranei urtano di gomito le.20

signore spaventate. Regent Street non è ignota a Lascari e Malesi; e aBombaynel campo d'Apollospesso Yankees in

carne e ossa hanno messo fifa a quelli del posto. Ma New Bedford batte ogniWater Street o Wapping; perché nei posti

summenzionati si vedono solo marinaimentre a New Bedford cannibaliautentici si fermano a chiacchierare agli angoli

delle vieveri selvaggi insommaché molti portano ancora sulle ossa carnenon battezzata. Chi viene da fuori resta a

bocca aperta.

Ma oltre ai figianitongatabuarierromanghesipannangiani e brighggianiea parte i selvaggi esemplari della

baleneria che vanno barcollando per le strade senza che nessuno ti facciacasosi vedono altri spettacoli ancora più

curiosicertamente più comici. Arrivano ogni settimana in questa cittàgrande numero di pivelli dal Vermont o dal New

Hampshiretutti bramosi di lucro e gloria nella pesca. I più son giovanottidi ossatura gagliardagente che ha abbattuto

foreste e ora vuole buttare la scure e acchiappare la lancia da balena. Moltisono verdi come le Montagne Verdi da dove

vengono. In certe cosevi paiono nati un'ora prima e non più. Ma guardatequel tale che doppia l'angolo a passo di

parata: cappello di castorogiacca a coda di rondine stretta da un cinturonealla marinaracoltello a lama fissa con

fodero. Ed eccone un altro col cappello d'incerata e il mantello dibambagina.

Un dandy cittadino non regge mai al confronto con uno di campagnauno che ècafone sul seriodicouno che

durante la canicola è capace di mietere il suo ettaro coi guanti di caprettoper paura di abbronzarsi le mani. Ora quando

uno così si mette in testa di farsi una chiara famaed entra nel granconsorzio della baleneriadovreste vedere le

comicità che commette quando è arrivato al porto d'imbarco. Ordina ilcorredoe pretende bottoni a campana per i

panciotti e bretelle per i calzoni di tela. Poveraccioche boccate di velenoquando le bretelle salteranno alla prima

burrascae si vedrà buttatobretellebottoni e tuttodentro la goladella tempesta.

Ma non bisogna credere che questa famosa città ha da mostrare ai turistisolamente ramponiericannibali e

cafoni. Niente affatto. Peròche posto buffo questa New Bedford. Se non eraper noi balenierioggi questo pezzo di

terra sarebbe in condizioni da piangereproprio come la costa del Labrador.Così com'èci sono parti alle spalle

dell'abitato che fanno spaventotanto paiono tutt'osso. La città in sé èforse il posto più simpatico per viverci di tutta la

Nuova Inghilterra. È il paese dell'oliod'accordoma non come Canaanpaeseanchedel grano e del vino. Per le vie

non scorre lattee nemmeno le lastricano a primavera con uova fresche. Maciò nonostante non c'è posto in tutta

l'America dove si trovano più case dall'aspetto patrizioparchi e giardinipiù opulentidi New Bedford. Da dove sono

venuti? Come hanno attecchito su questa che una volta era una scarna scoriadi terra?

Andate a guardare i simbolici ramponi di ferro attorno a quel palazzomagnificoe troverete la risposta. Sicuro:

tutte queste belle case e giardini fioriti sono venuti dall'AtlanticodalPacifico e dall'Oceano Indiano. Sono stati

infiocinati e tirati qui a secco tutti quanti dal fondo del mare. Lo stessoHerr Alexander non potrebbe fare cosa più

mirabile.

Dicono che a New Bedford i padri danno balene in dote alle figliee spartonoil patrimonio fra i nipoti con

qualche porco marino a testa. Bisogna andare a New Bedford per vedere unmatrimonio coi fiocchiperché ogni casa

diconoha depositi d'olioe ogni notte bruciano il tempo spensierati concandele di spermaceti.

D'estate la città fa piacere a vedersipiena di aceri magnificilunghiviali di verde e d'oro. E in agostoalti

nell'ariagli ippocastani belli e generosicome candelabrioffrono alpassante dritti coni affusolati di fiori compatti.

Così onnipotente è l'arteche in parecchi quartieri di New Bedford hasoprapposto terrazze smaglianti di fiori sulle

rocce secche di scarto che buttarono via l'ultimo giorno della creazione.

E le donne di New Bedford sbocciano come le loro rose rosse. Ma le rose siaprono solo d'estatementre

l'incarnato bellissimo di quelle guance è eterno come la luce del sole nelsettimo cielo. Trovare fiori così in altri posti

non si puòtranne a Salemdovemi diconole ragazze hanno un profumotale nel fiatoche i loro innamorati marini le

annusano a miglia di lontananza da terracome se accostassero le profumateMolucche e non le sabbie puritane.

VII • LA CAPPELLA

Sempre a New Bedford si trova una cappella del Balenieree pochi sono ipescatori sul punto di partire per

l'Oceano Indiano o il Pacificoche per quante noie abbiano in testa manchinodi farvi una visita domenicale. Non io

certo.

Tornato dal mio primo giretto mattutinouscii di nuovo con questo specialeproposito. Il tempo era passato da

un freddo sereno e pulito alla nebbia e al nevischio violento. Mi strinsiaddosso il giaccone peloso di quel panno

chiamato pelle d'orsoe mi apersi un varco tra la bufera cocciuta. Entrandotrovai una piccola congrega sparsa di

marinai e di mogli e vedove di marinai. Regnava un silenzio oppressorottosolo ogni tanto dalle strida della tempesta.

Ogni muto fedele pareva sedere apposta lontano dagli altricome se ognidolore fosse insulare e incomunicabile. Il

cappellano non era ancora arrivato; e queste isole di uomini e donne senzaparola sedevano lì con gli sguardi inchiodati

a certe lapidette di marmocoi bordi nerimurate nella parete ai due latidel pulpito. Tre di esse dicevano più o meno

cosìma non pretendo citare:

Consacrata

alla memoria

di.21

JOHN TALBOT

che all'età di diciott'anni fu perduto in mare

vicino all'isola della Desolazioneal largo della Patagonia

il 1° novembre 1836.

Questa lapide alla sua memoria

la sorella pose.

*

Consacrata

alla memoria

di

ROBERT LONGWILLIS ELLERY

NATHAN COLEMANWALTER CANNYSETH MACY

E SAMUEL GLEIG

formanti l'equipaggio di una lancia

della

NAVE ELISA

portati via da una balena

nelle acque di pesca del Pacifico

il 31 dicembre 1839.

Questo marmo posero

i compagni sopravvissuti.

Consacrata

alla memoria

del fu

CAPITANO EZEKIEL HARDY

che sulla prua della lancia

fu ucciso

da un capodoglio sulle coste del Giappone

il 3 agosto 1833.

Questa lapide dedica

alla memoria

la vedova.

Scrollai il nevischio dal cappello e dalla giubba incrostati di gelosedettivicino alla portae rigirandomi fui

meravigliato di vedermi accanto Queequeg. Commosso dalla solennità dellascenaaveva un'aria intronatauno sguardo

incredulo e incuriosito. Questo selvaggio fu l'unica persona tra i presentiche parve notare il mio ingressoperché era

l'unico a non sapere leggeree quindi non stava leggendo quelle iscrizionigelide sul muro. Se in quella congregazione

si trovava qualche parente dei marinai i cui nomi apparivano là non sapevo;ma sono tante le disgrazie della pesca di cui

non resta memoriae parecchie delle donne presenti avevano cosìevidentemente l'aspetto se non l'addobbo di qualche

pena incessanteche sono sicuro che lìdavanti a mestava radunata gentedal cuore ancora malatoin cui la vista di

quelle lapidi tetre faceva sanguinare di nuovosimpateticamentele vecchieferite.

Voi che avete morti seppelliti sotto l'erba verdeche stando tra i fioripotete dire: Quiqui giace il mio carovoi

non sapete che desolazione cova in petti come quelli. Che vuoti amari in queimarmi bordati di nero che non coprono

ceneri! Che disperazione in quelle scritte immutabili! che privazioni mortalie infedeltà non volute in quelle righe che

paiono rosicchiare ogni fedee rifiutare la resurrezione a degli esserimorti chi sa dovesenza tomba. Invece di qui

queste lapidipotrebbero stare benissimo nella caverna di Elefanta.

In quale censimento di creature vive sono inclusi i morti dell'umanità?Perché un proverbio universale dice di

loro che essi non raccontano nientesebbene abbiano più segreti da diredelle Sabbie di Goodwin? Perché mai al nome

dell'uomo che se ne andò ieri all'altro mondo noi premettiamo una parolacosì significativa e infedeleeppure non gli

diamo lo stesso nome se egli parte soltanto per le Indie più remote diquesta viva terra? Perché le compagnie di

assicurazione sulla vita pagano premi di morte su gente immortale? In cheparalisi eterna e immobilein che estasi

mortale e disperata giace ancora l'antico Adamo che è morto da ben sessantasecoli? Com'è che rifiutiamo sempre di

ricevere conforto per la perdita di genteche pure secondo noi vivono in unabeatitudine indicibile? E perché tutti i vivi

si sforzano talmente per fare tacere tutti i mortitanto che basta il rumoredi uno che bussa in una tomba per terrorizzare

un'intera città? Tutte queste cose non sono senza significato.

Ma la fedecome uno sciacallosi nutre in mezzo alle tombee perfino daquesti dubbi cadaverici estrae la sua

speranza più vitale.

Non c'è bisogno di dire con quale impressionealla vigilia di un viaggio aNantucketio guardavo quelle

tavolette di marmoe leggevo alla luce fuligginosa di quel giorno abbuiato etriste il destino dei balenieri che mi

avevano preceduto. SicuroIsmaeleti può toccare la stessa sorte. Ma nonso perchémi tornò l'allegria. Incentivi

affascinanti all'imbarcoforsebuone probabilità di promozione. Come no:una lancia che si sfondae ho il brevetto.22

d'immortale in tasca. Sìc'è la morte di mezzo in ques to lavoro con lebaleneun modo caotico e incredibilmente veloce

di impacchettare un uomo per l'Eternità. Ma con questo? Ho l'impressione cheabbiamo travisato in maniera madornale

questa storia della vita e della morte. Ho il sospetto che ciò che chiamanola mia ombra qui sulla terrasia la mia

sostanza vera. Ho l'idea che nel guardare alle cose spirituali siamo troppocome l'ostricache osserva il sole attraverso

l'acquae ritiene quel liquido denso la più fine delle atmosfere. Credoproprio che il mio corpo sia soltanto la feccia

della mia essenza migliore. In verità si prenda questo mio corpo chi vuolese lo prenda purenon è affatto me stesso. E

allora tre evviva a Nantucket; e mi si sfondi pure la lanciao mi si sfondila pancia quando ha da essereperché di

sfondarmi l'anima neanche Giove è capace.

VIII • IL PULPITO

Non ero seduto da moltoquando entrò uno con un che di venerabile nella suaprestanza; e appena la porta

spinta dal temporale gli sbatté alle spalleun rapido e rispettosoocchieggiare di tutta la congregazione bastò a provare

che questo vecchio imponente era il cappellano. Sicuroil famoso padreMapplecome lo chiamavano i balenieri in

mezzo ai quali era popolarissimo. Da giovane era stato marinaio e ramponierema ormai da molti anni dedicava la sua

vita al sacerdozio. Al tempo di cui scrivopadre Mapple era nel forteinverno di una vecchiaia senza acciacchiquel tipo

di vecchiaia che pare vuole sfociare in una seconda fioritura di gioventùperché tra tutte le fessure delle sue rughe

affioravano teneri sprazzi di un nuovo sboccio imminente: il verde dellaprimavera che sbuca perfino di sotto la neve di

febbraio. Se uno aveva sentito raccontare la sua storianon poteva vedereper la prima volta padre Mapple senza il

massimo interesseperché in lui come sacerdote c'erano alcune radicatepeculiarità da imputarsi a quell'avventurosa vita

di marinaio che aveva condotto. Quando entrònotai che non portava ombrelloe certo non era arrivato in carrozza

perché il cappello di cerata gli buttava neve fusa come una grondaiae ilgran gabbano da pilota pareva quasi tirarlo a

terratanto era il peso dell'acqua che aveva bevuto. Comunquecappellogabbano e soprascarpe se li tolse uno per uno

e li appese in un angolino accanto all'uscio; dopodichéabbigliato in mododecorosos'avvicinò quieto al pulpito.

Questo era altissimo come sono in genere i pulpiti alla maniera anticacosìalto che una scala normale avrebbe

ristretto seriamentecol suo lungo angolo col pavimentolo spazio giàlimitato della cappella; sicché pare che

l'architetto aveva seguito un suggerimento di padre Mapple e ultimato ilpulpito senza scalausando per surrogato una

scaletta di legno a piombocome quelle che si usano in mare per salire dauna barca a bordo di un bastimento. La

moglie di un capitano baleniere aveva offerto alla cappella un bel paio diguardamani di lana rossa per questa scaletta

che già aveva una bella testata ed era stata dipinta di un colore di mogano:considerato il tipo di cappellatutto il

congegno non sembrava affatto di cattivo gusto. Fermandosi un momento aipiedi della scalae afferrando con tutte e

due le mani i pomi ornamentali del corrimanopadre Mapple dette un'occhiatain sue poi con una destrezza da vero

marinaioma sempre pieno di rispettosi tirò su a forza di mani come se siarrampicasse sulla coffa di maestra della sua

nave.

Le parti a perpendicolo di questa scalacome succede di solito nelle scalependentierano di cavo rivestito di

pannoe solo i piuoli erano di legnosicché a ogni scalino c'era unasnodatura. A prima occhiata non mi era sfuggito

che queste giuntureadatte senza dubbio su una naveparevano inutili nelcaso presente. Non mi aspettavo infatti di

vedere il padre Mapplenon appena in cimavoltarsi con flemma e sporgendosidal pulpito tirare su la scaletta

deliberatamenteun piolo dopo l'altrofinché tutto l'attrezzo non furitiratolasciandolo inespugnabile nella sua piccola

Quebec.

Mi misi un poco a rifletteree non riuscivo a capire bene perché l'avevafatto. Padre Mapple aveva una

riputazione così larga di uomo sincero e santoche non potevo sospettarlodi corteggiare la notorietà con simili trucchi

da palcoscenico. Nopensaici dev'essere qualche ragione seriala cosadeve anzi avere qualche significato riposto.

Saràallorachecon questo gesto di isolani nella materia egli indica ilsuo temporaneo ritiro spirituale da tutti i vincoli

e rapporti esterni col mondo? È logicoperché questo pulpitopieno dellacarne e del vino del Verboper il servo fedele

di Dio è una fortezza autarchicaun alto Ehrenbreitsteincon una fonteperenne dentro le mura.

Ma la scala di corda non era l'unica nota paradossale del posto che siriallacciasse ai vecchi viaggi marittimi del

cappellano. Il muro alle spalle del pulpitotra i cenotafi di marmo a destrae a mancaera abbellito da una vasta pittura

rappresentante una valorosa nave che teneva testa a un uragano terribilesopravvento a una costa di rocce nere e

frangenti bianchi come neve. Ma in altosopra la nuvolaglia in fuga e icumuli che rotolavano oscurifluttuava

un'isoletta di luce da cui raggiava una faccia d'angelo; e questa faccialuminosa proiettava una macchia nettissima di

splendore sulla tolda sballottata del legnoun po' come la lastra d'argentoche ora è inserita nel tavolato della Victory

dove cadde Nelson. «Ah nobile nave» pareva dire l'angelo«resistiresisti nobile nave e tieni la tua rotta a ogni costo

perché il soleguardasta per romperele nuvole rotolano viail piùpuro azzurro è vicino.»

E neanche il pulpito stesso era senza tracce di quel gusto marino che avevadato forma alla scala e al dipinto.

La sua fronte a pannelli era come una prua piatta e larga di navee la SacraBibbia era appoggiata a una voluta

sporgenteche di una nave imitava il rostro a violino.

E come trovare qualcosa più piena di significato? Perché il pulpito èsempre la parte prodiera della terra; tutto

il resto vien dietro; il pulpito guida il mondo. È di lì che si avvistal'uragano dell'ira fulminea di Dioè la prua deve.23

resistere al primo urto. È di lìche si invoca il Dio delle brezze amicheo avverseperché mandi venti favorevoli. Sicuro

il mondo è una nave al suo viaggio di andatanon un viaggio completo. E ilpulpito è la prua.

IX • LA PREDICA

Padre Mapple si alzòe con un tono autorevole ma cortese e modesto ordinòal pubblico sparso di riunirsi.

«Banda drittalaggiùtutti a babordo. Banda sinistra a tribordo! Inmezzoin mezzo!»

Ci fu tra i banchi un trapestio soffocato di pesanti stivali da maree unfruscio ancora più sommesso di scarpe

femminilie tutto si zittì di nuovoe ogni occhio sul predicatore.

Per un poco stette immobile. Poiinginocchiandosi a prua del pulpitoincrociò sul petto le manone abbronzate

rovesciò la testa a occhi chiusi e profferì un'orazione con un fervorecosì profondo che parve genuflesso in preghiera in

fondo al mare.

Finita questacon lunghe e solenni cadenzecome il continuo rintocco dellacampana su una nave che affonda

in mezzo alla nebbiaproprio con un tono così cominciò a leggere l'innoche segue; ma verso le ultime strofe cambiò

vocee scoppiò in uno scampanio di gioia e di esultanza:

Le costole e gli orrori dentro la balena

m'inarcarono addosso un buio sinistro

tutte le onde di Dio fluttuarono nel sole

sprofondandomi giù verso il giudizio.

Vidi aprirsi la strozza dell'inferno

con dentro peneinfinite tribolazioni;

solo chi le ha provate può parlarne;

e io precipitavo nella disperazione.

Nell'angoscia nera chiamai il mio Dio

se mio ancora lo potevo pensare

Egli chinò l'orecchio ai miei lamenti

e la balena non mi tenne più in carcere.

Egli corse rapido a darmi aiuto

come portato da un radioso delfino;

tremenda ma fulgida come un lampo brillò

la faccia del mio salvatore Iddio.

Il mio canto ricorderà per sempre

quell'ora terribilequell'ora piena di gioia:

ne dò la gloria al mio Signore

Sua è la potenza e la misericordia.

Quasi tutti si unirono a cantaree l'inno si gonfiava sugli ululati dellatempesta. Seguì una breve pausa; il

predicatore voltò lentamente le pagine della Bibbiae alla fineposando lamano a segnare la pagina giustadisse:

«Amati compagni di viaggiomano all'ultimo versetto del primo capitolo diGiona: "E Dio aveva preparato un gran

pesce per inghiottire Giona."

«Compagniquesto libro che ha solo quattro capitolisolo quattro filacciè uno dei legnoli più piccoli nel

potente cavo delle Scritture. Con tutto ciòche abissi dell'animascandaglia la lunga sagola di Giona! Che lezione

pregnante ci dà questo profeta! Che cosa nobile è quel cantico nel ventredel pescecome un gran cavallone tremendo e

grandioso! Sentiamo il flusso montare su di noiaffondiamo con lui fino alfondo velloso delle acquele alghe e tutta la

melma del mare ci avvolgono! Ma cos'è questa lezione che ci insegna il librodi Giona? Compagniè una lezione a due

cavi: una lezione a noi tutti come peccatorie una lezione a me come pilotadel Dio vivente. In quanto peccatori è una

lezione per tutti noiperché è la storia del peccatodella durezza dicuoredelle paure improvvise del castigo rapidodel

pentimentodelle preghieree finalmente della liberazione e della felicitàdi Giona. Come avviene per tutti gli uomini

che peccanoil peccato di questo figlio di Amittai fu nella suadisubbidienza cosciente al comando di Dio (lasciamo

stare per ora cosa fu quel comando e come venne impartito)un comando cheegli trovò duro. Ma tutte le cose che Dio

vuole da noi sono dure a farsiricordàtelo: è per questo che Egli cicomandail più delle volteinvece di tentare la

persuasione. E se obbediamo a Dio dobbiamo disubbidire a noi stessi: ed è inquesta disubbidienza a noi stessi che

consiste la difficoltà di obbedire a Dio.

«Con questo peccato di disubbidienza dentroGiona vuole schernire Iddioancora più cercando di sfuggirGli.

Egli crede che un bastimento fatto dagli uomini lo potrà portare in paesidove non Dio regnama soltanto i comandanti.24

di questa terra. Se ne va girando come un ladro per i moli di Joppae cercauna nave che sia diretta a Tarsis. Qui forse si

nasconde un senso che finora è rimasto inosservato. Per quanto ne sappiamoTarsis non poteva essere altro che la

moderna città di Cadice. Questa è l'opinione dei dotti. E dov'è Cadicecompagni? Cadice è nella Spagna; tanto lontana

per acqua da Joppaquanto Giona poteva in ogni caso navigare a quei tempiantichiché l'Atlantico era un mare quasi

sconosciuto. Perché Joppacompagni di bordola moderna Giaffaè sullaestrema costa orientale del Mediterraneola

costa di Siria; e Tarsis o Cadice a più di duemila miglia a occidenteappena fuori lo stretto di Gibilterra. Non vedete

alloracompagniche Giona cercava di fuggire da Dio per quanto è larga laterra? Disgraziato! Uomo schifosodegno di

tutto il disprezzoche col cappello sul naso e l'occhio colpevole cerca disfuggire al Dio suoe striscia in mezzo alla

confusione del porto come un vile scassinatore che ha fretta di trovare unpassaggio. Il suo aspetto è così scompigliato e

criminosoche se ci fossero stati poliziotti a quei tempiper il solosospetto di qualcosa di sporco Giona sarebbe stato

arrestato prima di mettere piede su un ponte. È così chiaro che fugge! Nonha bagaglicappellieravaligia o sacco da

viaggionon ha amici che lo accompagnino alla banchina per dirgli addio.Alla finedopo molte caute ricerchetrova il

bastimento di Tarsis che imbarca gli ultimi colli; e mentre sale a bordo perandare in cabina a trovare il capitanotutti i

marinai smettono per un momento di issare le merci per osservare l'occhiomaligno dello sconosciuto. Giona se ne

accorgema inutilmente cerca di darsi un'aria disinvolta e sicurainutilmente prova il suo miserabile sorriso. Una

repulsione istintiva e violenta per quell'uomo convince i marinai che eglinon può essere innocente. Scherzando a modo

loroma in fondo con serietàuno mormora all'altro: Jackquesto qui haderubato una vedovaoppure: "Guardalo bene

Joe: è un bigamo"o ancora: "Harryvecchio mioho l'impressioneche questo è l'adultero scappato di galera nella

vecchia Gomorraoppure uno degli assassini che vanno cercando aSodoma." Un altro corre a leggere l'avviso attaccato

al palosulla panchina a cui è ammarrata la naveche offre cinquecentomonete d'oro per la cattura di un parricida e

porta i connotati del ricercato. Leggee va con gli occhi da Gionaall'affissomentre tutti d'accordo i compagni fanno

ressa attorno a Gionapronti a mettergli le mani addosso. Il povero Gionatremasi raccoglie in faccia tutto il suo

coraggioe riesce solo a sembrare ancora più vigliacco. Non vuolericonoscersi malfidoma basta già questo a destare

molti sospetti. Così fa come puòe quando i marinai trovano che non èl'uomo ricercato lo lasciano passaree lui scende

in cabina.

«"Chi è?" urla il capitano che sgobba alla scrivania a prepararein gran fretta le carte per la dogana: "Chi è?"

Ahquesta domanda innocuaper Giona è uno strazio! Un momentoè quasisul punto di voltare le spalle e tornare a

fuggire. Ma si riprende. "Vorrei un passaggio per Tarsis su questa nave;quando si partecapitano?" Finoracon tante

cose da fareil capitano non aveva alzato gli occhianche se Giona glistava ormai davanti. Ma appena sente quella

voce vuota gli lancia un'occhiata piena di sospetto. "Salpiamo con lamarea" risponde alla fine lentamentefissandolo

sempre. "Non più prestocapitano?" "È presto abbastanza perogni passeggero che ha la coscienza pulita." AhGiona

un'altra pugnalata! Ma Giona si affretta a distrarre il capitano da quellatraccia. "Parto con voi" dice"quant'è il

passaggio? Pago subito." Compagniè scritto proprio cosìconprecisionecome una cosa da non trascurarsi in questa

storia"che egli pagò la tariffa" prima che il legno salpasse. Eciòpreso nel contestoè pieno di significato.

«Oracompagniil capitano di Giona era di quelli che con la loro furbiziacapiscono subito se uno è poco

pulito. ma per cupidigia smascherano soltanto i poveracci. In questo mondocompagniil peccato che paga può

viaggiare liberamente e senza passaportomentre la virtùse è poveraviene fermata a ogni frontiera. Così il capitano si

prepara a sperimentare quant'è fonda la borsa di Gionaprima di dirgli infaccia cosa pensa. Gli domanda il triplo del

prezzo ordinarioe l'altro accetta. Allora il capitano scopre per sicuro cheGiona è un fuggiascoma nello stesso tempo

decide di aiutare una fuga che si lascia dietro una scia d'oro. Eppurequando Giona tira fuori lealmente la borsa

prudenti sospetti molestano ancora il capitano. Fa suonare ogni moneta pervedere se è falsa. "Non è un falsario

comunque" dice tra sée Giona viene registrato come passeggero."Mostratemi la cabinacapitano" dice ora Giona.

"Sono stanco del viaggio. Ho bisogno di sonno." "Ti si leggein faccia" dice il capitano"ecco la cabina." Giona entra e

vorrebbe serrare la portama la serratura non ha chiave. Sentendoloarmeggiare lì come uno scemoil capitano ride

sotto i baffi e brontola qualcosa sulle porte delle celle in carcereche nonsi possono mai chiudere dall'interno. Tutto

vestito e impolverato com'è Giona si butta nella cuccettae trova che ilsoffitto della piccola cabina quasi gli poggia

sulla fronte. L'aria è viziatavi respira a fatica. Allorain quel bucostrettoe immerso per giunta sotto la linea d'acqua

della naveGiona ha il presentimento di quell'ora soffocantequando labalena lo terrà nella cella più stretta dei suoi

visceri.

Avvitata al muro nel suo asseuna lucerna pensile oscilla appena appena nellocalee sbandando la nave verso

il molo per il peso degli ultimi collila lucernafiamma e tuttoperquanto si muova un tantinomantiene però

un'inclinazione costante rispetto alla cabina; ma in realtàin séèdritta in modo infallibilee solo rende evidenti i piani

falsi e bugiardi in mezzo a cui penzola. Questa lucerna allarma e spaventaGiona. Mentre è steso nella cuccetta e i suoi

occhi tormentati vanno girando per il localequesto fuggiasco sinora cosìfortunato non trova rifugio per il suo sguardo

senza pace.

Ma la contraddizione della lampada lo atterrisce sempre più. Il pavimentoil soffitto e la parete sono tutti di

sbieco. "Oh!" geme"così pende dentro di me la miacoscienza! Brucia dritta verso l'altoma le stanze dell'anima sono

tutte storte!"

«Come uno che dopo una notte di ubriachezza e di schiamazzi si affrettaverso il lettoancora vacillante ma

punto continuamente dalla coscienzasimile al cavallo romano da corsa cui isalti cacciano ancora più addentro nelle

carni i puntali d'acciaio; o come uno che in quella condizione miserabilecontinua a rivoltolarsi stordito dal dolore

pregando Dio che lo annienti finché l'accesso non è passatoe alla finenel turbine di sofferenza che sentelo invade un.25

torpore profondoil torpore della morte per dissanguamento (perché laferita è la coscienza e non c'è niente che può

farla stagnare"cosìdopo atroci convulsioni nella cuccettal'enormepesante miseria di Giona lo trascina giù ad

affogarsi nel sonno.

«E intanto è venuta l'alta mareasi levano gli ormeggie dalla banchinadesertasenza salutila nave per Tarsis

scivola tutta sbandando verso il mare aperto. Quella naveamici mieifu ilprimo contrabbandiere della storia! Il

contrabbando era Giona. Ma il mare si ribella; non vuole portare il caricomaledetto. Si scatena una tempesta terribilela

nave rischia di cedere. Ma ora che il nostromo chiama tutti a sgravarlamentre casseballe e giare saltano con fracasso

le muratee il vento stride e gli uomini urlano e ogni tavola rintrona dipiedi che pestano proprio sulla testa di Gionain

mezzo a tutto questo tumulto rabbioso Giona dorme il suo sonno osceno. Nonvede il cielo nero e il mare in furianon

sente le travi che tentennanoe non si sogna neanche di sentire o di temerel'impeto lontano della grande balena che

proprio in quel momento fende il mare con la bocca apertaa caccia di lui.Proprio cosìcompagni: Giona era andato giù

nei fianchi della nave (era nella cuccetta in cabinacome ho detto) edormiva forte. Ma il capitano atterrito viene a

cercarlo e gli sbraita nell'orecchio morto: "Che credi di faretuaddormentato! Alzati! " Strappato al suo letargo da quel

grido paurosoGiona si alza barcollandosale incespicando in copertasiafferra a una sartia per guardare il mare. Ma in

quel momento un'ondata felina scavalca le murategli salta addosso. Ondadopo onda balza così nella navee non

trovando sfogo rapido corre muggendo da prua a poppaal punto che i marinairischiano di annegare pur essendo a

galla. E ogni volta che la luna bianca mostra la sua faccia atterrita daiburroni ripidi nel buio lassùGiona vede sempre il

bompresso puntare dritto in alto nel rinculoe subito riabbattersiall'ingiù verso il fondo sconvolto.

«Terrori su terrori gli corrono urlanti per l'anima. In tutti i suoiatteggiamenti di paurail fuggiasco da Dio si

svela ora troppo chiaramente. I marinai se ne accorgonoi loro sospetti sifanno sempre più certie alla fineper vederci

proprio chiaro rimettendo tutto nelle mani dell'Altissimocominciano atirare a sortecosì da scoprire per colpa di chi

gli è venuta addosso quella gran tempesta. La sorte cade su Giona. Alloracon che furia lo assaltano di domande: "Che

mestiere fai? Da dove vieni? Di che paese sei? Di che stirpe?" Ma notateoracompagniil contegno del povero Giona. I

marinai eccitati gli domandano solo chi è e da dove vienee invece ricevononon soltanto la risposta a quelle domande

ma anche un'altra rispostaa una domanda che non gli avevano fatta. Maquesta risposta non sollecitata la strappa a

Giona la dura mano di Dio che è sopra di lui.

«Sono un ebreo» grida e poi: "Temo il Signore Dio dei Cieli che hafatto il mare e la terra!" Lo temiGiona?

Certoavevi proprio ragione di temerloallorail Signore Iddio! E di colposi mette a fare una confessione completaper

cui i marinai sono ancora più atterritima sempre disposti a compiangerlo.Perché quando Gionasenza implorare

ancora la misericordia di Diovisto che sapeva anche troppo bene l'oscuritàdei propri meritiquando l'infelice Giona

grida loro di prenderlo e buttarlo in mareperché sapeva che era colpa suase quella gran tempesta li aveva coltiquelli

gli voltano le spalle per pietà e cercano di salvare la nave con altrimezzi. Ma tutto è inutile. Il temporale indignato urla

più forte. Alloradi controvogliauna mano levata a invocare Dioconl'altra afferrano Giona.

E ora vedete Giona sollevato come un'ancora e lasciato cadere in mare; eimmediatamente dall'est una bonaccia

oleosa viene fluttuando sul maree il mare è fermoe Giona si porta giùla burrasca lasciandosi dietro l'acqua cheta.

Scende nel cuore vorticoso di uno sconvolgimento così scatenatoche appenasi rende conto dell'attimo in cui

ribollendo cade nelle fauci spalancate che lo aspettano; e la balena fascattare tutti i suoi denti d'avoriocome tanti

bianchi chiavistellisulla sua prigione. Allora Giona pregò il Signore dalventre del pesce. Ma notate la sua preghierae

imparate una grave lezione. Pieno di peccati com'eraGiona non piange négeme per ottenere subito la libertà. Egli

sente che la sua terribile punizione è giusta. Lascia a Dio tutta la suasalvezza contentandosi di questoche malgrado

tutte le sue pene e afflizioni egli possa ancora vedere il Suo santo tempio.E questocompagniè pentimento vero e

pieno di fedeche non grida al perdono ma è grato del castigo. E quantopiacesse a Dio questa condotta di Gionalo

dimostra la sua conclusiva liberazione dalla balena e dal mare. Compagni diviaggionon vi metto davanti Giona per

copiarne il peccatoma ve lo metto davanti come modello di pentimento. Nonpeccate. Ma se vi capitastate attenti a

pentirvene come Giona.»

Mentre diceva queste parolegli ululati della bufera che infuriava lì fuoriparevano dare al predicatore più

forza. Nel descrivere la tempesta di Gionapareva lui stesso sbattuto da unatempesta. Il suo gran petto si gonfiava come

per un maremotole braccia che buttava qua e là parevano gli elementinell'atto di azzuffarsie i tuoni che rotolavano

fuori dalla sua fronte brunae la luce che gli saltava dagli occhilofacevano guardare dai suoi ingenui ascoltatori con

un improvviso timore che non avevano mai provato.

Un momento di calma venne ora nel suo aspettomentre in silenzio tornava avoltare le pagine del Libro; e alla

finerestando per un attimo fermo a occhi chiusiparve comunicare con Dio econ se stesso.

Poi si sporse di nuovo verso il pubblicoe chinando la testa in giùconun'aria della più profonda ma virile

umiltàdisse queste parole: «CompagniDio ha gettato solo una mano su divoi; tutte e due le sue mani mi schiacciano.

Vi ho lettoa quella luce debole che posso averela lezione che Gionainsegna a tutti i peccatori; e quindi a voie più

ancora a meperché io sono più peccatore di voi. E ora con quanta gioiascenderei da questa testa d'albero per sedermi

sui boccaporti dove voi sedetee ascoltare come fate voimentre qualcuno divoi legge a me quell'altra e più terribile

lezione che Giona insegna a mea me come pilota del Dio vivente. Comeessendo un pilota-profeta consacratoo

annunziatore di cose veree comandato dal Signore di fare risuonare quelleverità sgradite alle orecchie di una Ninive

malvagiaGiona sbigottito dalle inimicizie che avrebbe suscitato voltò lespalle alla sua missione e tentò di sfuggire al

suo dovere e al suo Dio imbarcandosi a Joppa. Ma Dio è dappertutto; a Tarsisnon arrivò mai. Come abbiamo vistoDio

gli venne addosso nella balena e lo inghiottì dentro baratri viventi digiudizioe con guizzi veloci lo trascinò giù «nel.26

cuore dei mari» dove i mulinanti abissi lo succhiarono al fondo perdiecimila tese«le alghe gli fasciarono la testa» e

tutto il mare delle sventure gli rotolò addosso. Eppure anche allorafuoriportata da ogni scandaglio"dalla pancia

dell'inferno"quando la balena andò a posarsi sulle ossature piùprofonde dell'oceanoanche allora Dio udì il profeta

inabissato e pentito gridare. Allora Dio parlò al pesce; e dal buio e dalfreddo raccapricciante del mare la balena salì a

colpi di coda verso il sole tiepido e gradevole e tutte le delizie dell'ariae della terra; e "vomitò Giona sulla terra

asciutta" quando la parola del Signore suonò ancora una volta; e Gionapesto e graffiatole orecchie come due

conchiglie ancora piene del mormorio infinito dell'oceanoGiona fece lavolontà dell'Onnipotente. E che cosa era questa

volontàcompagni? Predicare la Verità in faccia alla Menzogna. Questo era!

Questacompagniquesta è l'altra lezionee guai al pilota del Dio viventeche la trascura. Guai a chi si fa

distrarre nel mondo dal dovere evangelico! Guai a chi cerca di versare oliosulle acque quando Dio le ha fermentate

nella bufera! Guai a chi cerca di piacere invece che atterrireguai a chipensa più al suo buon nome che al bene! Guai a

chi in questo mondo non corteggia il disonore! Guai a chi non vuol esseresinceroanche se essere falso è la salvezza!

Sìguai a chicome dice il gran Pilota Paolomentre predica agli altri èlui stesso un naufrago!»

Si accasciò e per un momento parve smarrirsi. Poi alzando di nuovo il visoalla folla mostrò negli occhi una

gioia profondae nello stesso tempo gridò con un entusiasmo più che umano;«Ma compagni.! A sopravvento d'ogni

pena è una gioia sicurae la cima di quella gioia è più alta di quantonon è basso il fondo del dolore. Il pomo di maestra

non è più alto di quant'è bassa la controchiglia? Gioia all'uomoaltaaltissima e interiore gioiache contro gli dei e i

commodori superbi di questo mondo oppone sempre il proprio io inesorabile.Gioia a chi si regge ancora sulle forti

braccia quando la nave di questo mondo vile e traditore gli è sprofondatasotto. Gioia a chi nella verità non dà quartiere

e uccidebruciadistrugge ogni peccato anche se deve stanarlo da sotto letoghe dei giudici e dei senatori. Gioiala gioia

dell'alberetto a chi non riconosce legge o signoretranne il Signore Diosuoed è patriota soltanto del Cielo. Gioia a

colui che tutte le ondate dei flutti dei mari delle folle violente nonpossono mai smuovere da questa sicura Chiglia dei

Secoli. E gioia e delizia eterna a chi arrivato al riposo può dire col suoultimo respiro: Padreche soprattutto mi sei

conosciuto per la Tua sferzaio muoio qui mortale o immortale. Ho lottatoper essere Tuopiù che di questo mondo o di

me stesso. Eppure questo è niente. Lascio a Te l'eternità. Perché cosa maiè l'uomo che egli debba vivere a lungo come

il suo Dio?»

Senza dire altrofece pian piano un segno di benedizionesi coperse lafaccia con le mani; e rimase così

inginocchiatofinché tutti se ne andarono e restò solo.

X • UN AMICO DEL CUORE

Quando tornai dalla cappella alla locanda dello Sfiatatoiovi trovaiQueequeg tutto solo. Se n'era andato di

chiesa un po' prima della benedizione. Sedeva sulla panca davanti al fuococoi piedi alla bocca della stufae con una

mano teneva vicino al naso il suo idoletto nerofissandolo in faccia conmolta attenzione e raschiandogli delicatamente

il naso col coltello a mollamentre canterellava tra sé alla sua manierapagana.

Ma vistosi interrotto mise la statuetta da partee dopo un poco si accostòalla tavolavi prese un grosso libro

se lo piazzò sul ventre e cominciò a contarne le pagine con gesti fermi eregolari. Dopo ogni cinquanta paginemi

parvesi fermava un momentosi guardava attorno con uno sguardo da idiotae sbottava in un lungo e gorgogliante

fischio di stupore. Poi ricominciava con le altre cinquantae pareva cheattaccasse ogni volta col numero unocome

incapace di contare oltre la cinquantina. E il suo stupore per tantamoltitudine di pagine pareva provocato dalla scoperta

di tante cinquantine tutte assieme.

Mi sedetti a guardarlo con molto interesse. Selvaggio come eracon la faccia(almeno per i miei gusti)

schifosamente sfregiatapure aveva un qualche cosa nella fisionomia che nondispiaceva affatto. L'anima non si

nasconde. Sotto quei suoi tatuaggi snaturati mi pareva di vedere le tracce diun cuore semplice e onesto; e nei suoi occhi

grandi e profondineri come la pece e pieni di coraggioapparivano segni diun animo capace di sfidare mille diavoli. E

per giunta quel pagano aveva non so che aria nobileche neanche la suagoffaggine riusciva a sfigurare completamente.

Aveva l'aspetto di uno che non ha mai strisciato e mai avuto creditori.Magari era il fatto che avendo la testa rasatala

fronte gli saltava fuori bella lucida e nudae pareva più larga che sotto icapelli: non mi azzardo a dare un giudizioma

certo dal punto di vista frenologico aveva una testa eccellente. Potràsembrare rid icoloma mi ricordava quella del

generale Washington ritratto nei busti popolari. Lo stesso lungo pendio chedegrada con bella regolarità di sopra le

cigliae parimenti queste ultime assai sporgenticome due lunghi promontoricon boschi fitti in cima. Queequeg era lo

sviluppo cannibalesco di George Washington.

Mentre lo esaminavo cosìcon attenzioneun po' fingendo di stare aguardare l'acquazzone dalla finestraegli

non mostrò affatto di notare la mia presenza né si prese il disturbo didarmi anche una sola occhiata; pareva tutto

occupato a contare le pagine di quel libro meraviglioso. Visto che la notteprima avevamo dormito assieme con estrema

affabilitàe considerando soprattutto quell'affettuoso braccio che mi erotrovato addosso svegliandomi la mattinatrovai

molto strana questa sua indifferenza. Ma i selvaggi sono esseri strani; certevolte non si sa proprio come prenderli.

Dapprima ti intimidiscono; la loro quieta e semplice capacità di dominarsipare una saggezza socratica. Avevo anche

notato che Queequeg non bazzicava maio pochissimogli altri marinai dellalocanda. Non tentava mai nessun

approccio e non pareva avere nessun desiderio di allargare la cerchia dellesue conoscenze. Mi pareva assai eccentrico.27

tutto questoeppure a ripensarci aveva dentro qualcosa di quasi sublime.Figuratevi un uomo lontano da casa un

ventimila miglia (per la via del Capo Horndicoche per lui era l'unicomodo di arrivarci)buttato fra gente così

estranea come fosse capitato sul pianeta Giovee che ciononostante parevaperfettamente a suo agiomanteneva la

massima serenitàsi contentava della compagnia di se stesso e a se stessoera sempre uguale. Questo sì che vuol dire

possedere un bel pizzico di filosofiaper quanto senza dubbioQueequeg nonaveva mai sentito parlare di una cosa

simile. Ma forse per essere veri filosofi noi mortali non dovremmo esserecoscienti di vivere e di lottare da filosofi.

Appena sento che questo o quello si dichiara filosofo ne concludo checomela vecchia dispepticadeve aver rotto il suo

digeritore.

Mentre sedevo lì nella stanza che si era spopolatae il fuoco bruciavalento in quella fase tenera quando

scaldata l'aria con la prima vampatanon fa che rosseggiare per farsi goderecon gli occhie le ombre e i fantasmi della

sera si raccoglievano attorno alle finestre e si chinavano dentro a sbirciarenoi duesoli e mutie fuori la tempesta

rimbombava in solenni crescendi e smorzaturecominciai ad avvertire stranesensazioni. Mi sentivo sciogliere dentro.

Non più il mio cuore a pezzi e la mia mano furiosa si rivoltavano contro unmondo di lupi. Questo selvaggio lenitivo me

lo aveva redento. Stava lì sedutoe la sua stessa indifferenza denunziavauna natura che non nascondeva civili ipocrisie

né inganni soavi. Era un selvaggio. A vederloera il colmo deglispettacoli; eppure cominciavo a sentirmi attratto

misteriosamente verso di lui. E quelle stesse cose che a tanti altri potevanoparere ripugnantierano proprio le calamite

che mi attiravano. Voglio provare un amico paganopensaivisto che labontà cristiana si è dimostrata nient'altro che

vuota cortesia. Tirai accanto a lui la pancae gli feci segni e cenniamichevolicercando di parlargli come meglio

potevo. Dapprima badò poco a quegli approcci; poiquando accennai alle suedelicatezze della notte primasi diede da

fare per domandarmi se dovevamo ancora dormire assieme. Gli dissi di sìemi sembrò soddisfatto e forse un poco

lusingato.

Allora cominciammo a sfogliare assieme il libroe mi sforzai di spiegarglilo scopo dei caratteri a stampa e il

significato delle poche vignette che c'erano. Così catturai presto la suaattenzionee di lì passammo a ciarlare bene o

male sulle varie cose che c'erano da vedere in quella famosa città. Gliproposi una fumata sociale; lui tirò fuori l'ascia e

la borsa del tabacco e mi offrì tranquillamente una boccata. Dopo di che cimettemmo a scambiare boccate da quella sua

pipa selvaggiafacendola passare regolarmente dall'uno all'altro.

Se nel suo petto pagano covava ancora qualche ghiacciolo d'indifferenza neimiei riguardiquesta fumata

piacevole e cordiale che facemmo lo sciolse subito e ci lasciò vecchi amici.Mi si affezionòcredoin modo naturale e

spontaneoproprio come io a lui; e quando la fumata finìincollò lafronte alla miami abbracciò alla vitae disse che

da quel momento eravamo maritati: che è un'espressione del suo paese perdire che eravamo amici del cuore; e se era

necessario era pronto a crepare per me. Orain un compaesanoquestafiammata improvvis a d'affetto poteva sembrare

troppo prematurasospetta assai insomma. Ma per questo selvaggio ingenuoquelle vecchie regole non valevano affatto.

Dopo la cena e un'altra conversazione-fumata in societàce ne andammo incamera assieme. Mi fece un regalo

della sua testa imbalsamataprese l'enorme borsa del tabacco e frugandocidentro ne cavò circa trenta dollari d'argento

li sparse sul tavololi divise meccanicamente in due mucchi ugualinespinse uno verso di me e disse che era mio.

Stavo per protestarema mi fece tacere versandomeli nelle tasche deipantaloni. Ve li lasciai. Poi si preparò alle

devozioni seralitirò fuori l'idolo e spostò il parafuoco di carta. Dacerti segni e sintomi mi parve di capire che teneva

molto a farmi partecipare alla cerimonia; ma io sapevo bene cosa veniva dopoe stetti un poco a pensare se dovevo

accettare o meno nel caso mi invitasse.

Ero un buon cristiano; nato e cresciuto nel seno dell'infallibile ChiesaPresbiteriana. Come potevo allora unirmi

a questo selvaggio idolatra nell'adorazione del suo pezzo di legno? Mapensaiche cos'è un culto? Credi davvero

Ismaeleche il Dio magnanimo del cielo e della terra (pagani e tutti quantiinclusi) può essere mai geloso di un

insignificante pezzetto di legno nero? È impossibile. Allora cos'è ilculto? Fare la volontà di Dio. Questo vuol dire culto.

E che cos'è la volontà di Dio? Fare agli altri quello che mi piacerebbeavere fatto dagli altriquesta è la volontà di Dio.

Ora Queequeg è il mio prossimo. E cosa vorrei che facesse per me questoQueequeg? È logicounirsi a me nella mia

speciale forma di culto presbiteriana. Di conseguenzadebbo unirmi a luinella sua; ergodebbo diventare idolatra. Così

diedi fuoco ai truciolil'aiutai a piazzare in piedi l'idoletto innocentegli offersi assieme a Queequeg gallette bruciate

gli feci due o tre salamelecchigli baciai il nasoe fatto questo cispogliammo e andammo a letto in pace con la nostra

coscienza e con tutto il mondo. Ma non ci addormentammo senza prima farequattro chiacchiere.

Perché non lo soma non c'è posto migliore di un letto per le confidenzetra amici. Marito e mogliediconoè lì

che si scoprono a vicenda il fondo dell'anima. E spesso certe vecchie coppiese ne stanno distese a chiacchierare dei

tempi passati fino quasi al mattino. Cosìquella voltanella luna di mieledei nostri cuorice ne stemmo allungati io e

Queequeg: proprio una coppia amabile e amorosa.

XI • CAMICIA DA NOTTE

Eravamo stati a letto in questo modoun po' chiacchierando e un po'sonnecchiandocon Queequeg che a tratti

buttava le sue gambe scure e tatuate sopra le mietanto ci sentivamo liberidisinvolti e pienamente amiciquando alla

fine a causa delle nostre chiacchiere quel poco di sonno che ci restava se neandò completamentee ci venne voglia di

alzarcianche se l'albaancoraera abbastanza lontana..28

Insomma ci sentimmo svegli assai; tanto che la posizione distesa cominciò astancarcie a poco a poco ci

ritrovammo seduti a lettole coperte ben rincalzate attornoappoggiati allaspallierale quattro ginocchia alzate e strette

assieme e i due nasi che sfioravano le ginocchia come se le nostre rotulefossero scaldini. Stavamo benonetutti caldi

tanto più che fuori faceva un freddo cane; anche fuori della coperturaadire la veritàperché nella camera non c'era

fuoco. E dico tanto piùperché se si vuole avere davvero un bel caldo incorpoqualche pezzetto di quest'ultimo

dev'essere freddo: ché ogni qualità al mondo è tale solamente percontrasto. Niente esiste in se stesso. Se vi credete di

stare proprio bene dappertuttoe di esserlo stati per un pezzoallora nonsi può dire che state ancora benone. Ma se

come me e Queequeg in quel lettoavete la punta del naso e il cocuzzoloappena appena congelatiallora nel complesso

potete dire di sentire un caldo deliziosoun caldo inequivocabile. Perquesto motivo il posto dove si dorme non

dovrebbe mai avere un fuocoche è una delle scomodità di lusso dei ricchi.Anzi in questo caso il colmo della

raffinatezza è di non avere niente tranne la coperta tra voi col vostrocalduccio e il gelo dell'aria esterna. Allora siete

proprio come l'unica favilla calda nel cuore di un cristallo polare.

Eravamo rimasti accovacciati così per un pocoquando all'improvviso mivenne in testa di aprire gli occhi:

perché quando sono tra le lenzuoladi giorno o di nottesveglio oaddormentatoho l'abitudine di tenere sempre gli

occhi chiusi in modo da rendere più concentrato il piacere di stare a letto.Di fattinessuno può mai avvertire bene la

propria identità se non ha gli occhi chiusi; come se il buio fosse davverol'elemento proprio della nostra essenzaanche

se la luce è più congeniale alla nostra parte di fango. Aperti gli occhidunquee uscito da quel buio piacevole e

volontario nella tenebra forzosa e sgarbata della cieca mezzanotte che mistava attornoprovai una sgradevole

repulsione. E non trovai niente da obiettare al suggerimento di Queequegcheforse era meglio accendere qualche cosa

dato che ormai eravamo completamente sveglie per giunta gli era venuto ungran desiderio di tirare qualche boccata in

pace dalla sua mannaia. Debbo dire che sebbene la notte prima il suo fumare aletto mi aveva dato un forte fastidio

guardate come diventano elastici i nostri pregiudizi più rigidi appenal'amore viene a piegarli. Adesso niente mi piaceva

di più che vedere Queequeg che mi fumava vicinoanche a lettoperchéallora mi pareva pieno di tanta serena gioia

casalinga; ormai la polizza d'assicurazione del padrone di casa non mipreoccupava eccessivamente. Ero solo sensibile

alla soddisfazione intima e intensa di dividere una pipa e una coperta con unvero amico. Coi nostri giacconi pelosi tirati

sulle spalle facevamo circolare l'asciafinché sulle nostre teste crebbe unpendulo azzurro baldacchino di fumo

illuminato dalla fiamma del lume che avevamo riacceso.

Forsenon soquel baldacchino ondeggiante si portò via il selvaggio versopaesi remotima ora Queequeg si

mise a parlare dell'isola dove era nato; e iocurioso di sentire la suastorialo pregai di continuare il racconto. Accettò

volentieri. A quel tempoparecchie delle cose che diceva le capivo appenama quello che imparai dopoquando mi

abituai meglio alla sua maniera spezzata di parlaremi permette adesso diriferire tutta la sua storia. Spero venga bene

nel semplice scheletro che ne do.

XII • BIOGRAFICO

Queequeg era nato a Kokovokoisola lontanissimaverso sudovest. Non èsegnata in nessuna carta: i posti veri

non lo sono mai.

Quand'era un selvaggetto appena uscito dall'uovo e scorrazzava per i boschinatii con uno straccio d'erba

addossoche le capre gli venivano dietro per brucarlo come fosse unalberuccio verdegià allora nel cuore ambizioso di

Queequeg covava un forte desiderio di vederedel mondo cris tianoqualcosadi più che uno o due esemplari di

baleniere. Suo padre era un Gran Capoun re; suo zio un Gran Sacerdote; edal lato materno vantava zie che erano

mogli di guerrieri invincibili. C'era sangue eccellente nelle sue vene: robareale. Ma purtroppotemoviziato dalla

propensione cannibalesca che egli nutrì nella sua ignorante gioventù.

Una nave di Sag Harbor capitò nella baia di suo padree Queequeg domandòun passaggio per le terre

cristiane. Ma la naveche aveva l'equipaggio al completorespinse la suarichiesta; e tutta l'autorità di suo padre non

servì a niente. Ma Queequeg fece a se stesso una promessa solenne. Solonella sua canoaremò fino a uno stretto

lontano che la nave doveva traversare per forza nel lasciare l'isola. Da unlato c'era una scogliera di corallodall'altro

una bassa lingua di terra coperta di boschetti di mangrovie che crescevanonell'acqua. Nascosta fra gli arbusti la canoa

sempre a galla e con la prua verso il maresedette a poppala pagaia prontaalla manoe quando la nave gli scivolò

davanti guizzò fuori come un lamporaggiunse la muratacon una pedataall'indietro rovesciò e affondò l'imbarcazione

si arrampicò per le catene e buttandosi lungo sul ponte si afferròall'anello di un bollone e giurò di non mollarlo anche

se lo facevano a pezzi.

Il capitano minacciò di farlo buttare fuori bordoma fu inutile; gli tennesospesa una sciabola sui polsi:

Queequeg era figlio di ree Queequeg non si smosse. Infinecolpito da queldisperato sangue freddo e da quel desiderio

selvaggio di vedere il mondo cristianoil capitano si commossee gliassicurò che poteva restare tranquillo. Però quel

magnifico selvaggioquel Principe di Galles marino non vide mai la cabinadel comandante. Lo misero giù tra i marinai

e ne fecero un baleniere. Ma come lo Zar Pietro che accettava di sgobbare neicantieri delle città straniereQueequeg

non sdegnò nessuna apparente ignominiase con essa poteva guadagnarsi lapossibilità tanto desiderata di illuminare i

suoi compaesani ignoranti. Perché in fondo in fondocosì mi disseeraspinto da un gran desiderio di imparare dai

cristiani le arti con cui rendere la sua gente più felice di primaesoprattutto migliore di prima. Ma purtroppo il modo di.29

vivere dei balenieri lo persuase presto che perfino i cristiani potevanoessere e miserabili e malvagiinfinitamente più di

tutti i pagani di suo padre. Arrivato infine alla vecchia Sag Marborvistociò che vi facevano i marinaidi lì venuto a

Nantucket e constatato come quelli spendevano le paghe anche lìil poveroQueequeg si riconobbe sconfitto. Pensò: è

cattivo il mondosotto tutti i meridiani. Morirò pagano.

E cosìvecchio idolatra in fondo al cuorepure viveva fra questicristianivestiva come loroe cercava di

parlare quella loro linguaccia. Perciò aveva quei modi stranisebbene ormaiera via da casa da parecchio tempo.

Gli domandai a cenni se non aveva l'intenzione di tornarci e farsiincoronarevisto che ormai suo padre poteva

considerarlo sotto terradebole e decrepito com'era l'ultima volta che avevaricevuto sue notizie. Rispose nonon

ancora; ma aveva pauraaggiunseche il Cristianesimo o piuttosto icristiani lo avevano reso indegno di ascendere il

trono puro e immacolato dei trenta re pagani che lo avevano preceduto. Peròtra non moltodicesarebbe tornato

indietronon appena si fosse sentito ribattezzato. Comunque per il momentovoleva girare i mari e spassarsela in tutti e

quattro gli oceani. Avevano fatto di lui un ramponieree quel ferro uncinatoera adesso il suo scettro.

Gli domandai quali piani aveva per il prossimo futuro. Rispose: tornare aimbarcarsi col solito impiego. Allora

gli dissi che anch'io ero partito per balenee lo informai della miaintenzione di salpare da Nantucketche per un

baleniere coraggioso era il porto più promettente da cui imbarcarsi. Eglidecise subito di venire con me all'isola

imbarcarsi sullo stesso vascellofarsi mettere nello stesso quartonellastessa barca e alla stessa mia mensainsomma di

dividere ogni mia sorte. Con tutte e due le mie mani nelle suevolevabuttarsi coraggiosamente in qualsiasi pentola ci

preparassero questo e l'altro mondo. E io accettai tutto con gioia: perché aparte l'affetto che ora sentivo per Queequeg

costui era un ramponiere esperto e come tale non poteva non riuscire moltoutile a uno come mecompletamente al buio

dei misteri della cacciaper quanto pratico assai di mare dal punto di vistamercantile.

Finita la sua storia con l'ultimo sbuffo della pipaQueequeg mi abbracciòpigiò la fronte contro la miae

spenta la luce ruzzolammo via uno da un lato e uno dall'altro e ben presto ciaddormentammo.

XIII • CARRIOLA

L'indomani mattinalunedìdopo avere ceduto come reggiparrucca a unbarbiere la testa imbalsamataregolai

il conto mio e del collegausando però i soldi di quest'ultimo. Ilsarcastico padronee anche i pensionantiparvero

molto divertiti dall'amicizia improvvisa che era nata fra me e Queequeg;sopratutto perché le panzane del padrone sul

suo conto mi avevano allarmato tantoprimaproprio riguardo alla personache adesso mi ero presa per compagno.

Prendemmo in prestito una carriolacaricammo la nostra robacompreso il miopovero sacco da viaggiola

sacca di tela e la branda di Queequege ce ne andammo giù verso il«Muschio»la piccola goletta postale per Nantucket

ormeggiata al molo. Al nostro passaggio la gente sgranava gli occhinontanto per Queequeg (perché erano abituati a

vedersi nelle strade cannibali come lui) ma perché ci vedevano assieme intanta confidenza. Noi continuammo a

spingere la carriola a turno senza farci casoQueequeg fermandosi ogni tantoper aggiustare il fodero sugli uncini del

rampone. Gli domandai perché si portava dietro a riva una cosa tantoingombrantee se ogni nave baleniera non

provvedeva a fornire i propri ramponi. A questo in sostanza rispose sìciòche dicevo era esattoma lui aveva un

attaccamento particolare al suo ramponeperché era di materia sicuraprovato in molti combattimenti mortalie

conoscitore profondo dei cuori delle balene. Insommacome in terrafermamolti mietitori e falciatori vanno ai prati

padronali armati delle proprie falcianche se non sono obbligati affatto afornirlecosì Queequeg per ragioni private

preferiva il proprio rampone.

Togliendomi di mano la carriola mi raccontò una buffa storia a propositodella prima volta che aveva visto un

aggeggio simile. Era successo a Sag Harbor. Pare che i proprietari della suanave gliene avessero imprestata una per

trasportare alla pensione il suo pesante cassone da viaggio. Per non darel'impressione che non ne avesse mai viste

sebbene in realtà non avesse la minima idea sul modo preciso di usare lacarriolaQueequeg ci mette sopra il cassonelo

lega strettopoi si carica tutto sulle spalle e s'incammina per il molo.«Ma come» dico«Queequegti pensavo più

furbo. E la gente non rideva?»

Allora mi raccontò un'altra storia. Pare chegli abitanti della sua isoladi Rokovokoper le feste di nozze

spremono l'acqua fragrante delle noci di cocco ancora verdi in una grossazucca dipintacome fosse una coppa da

punch; equesto recipiente costituisce sempre l'ornamento centrale della stuoiaintrecciata su cui si tiene il festino. Ora

non so che grosso mercantile attraccò una volta a Rokovokoe il comandante- che a quanto pare era un gentiluomo

assai solenne e meticolosoalmeno per un capitano di mare -il comandantefu invitato alle nozze della sorella di

Queequeguna graziosa principessina che compiva appena i dieci anni. Bastaquando tutti gli ospiti furono riuniti nella

casa di bambù della sposaentra il capitanoviene scortato al postod'onoree si piazza di fronte al recipiente tra il Gran

Sacerdote e Sua Maestà il Repadre di Queequeg. Recitata la preghiera diringraziamento (perché quella gente ne ha

una proprio come noisebbene Queequeg mi spiegò che al contrario di noiche in quella occasione abbassiamo gli

occhi al piattoloro invece fanno come le anatree guardano in sù al grandatore di ogni festino)recitata come dicevo

questa preghierail Gran Sacerdote apre il banchetto col rito usatonell'isola da tempo immemorabilecioè tuffando

nella bacinella le dita consacrate e atte a consacrareprima che la bevandabenedetta sia fatta circolare. Vedendosi

piazzato accanto al preteosservando la cerimonia e pensandocome capitanodi navedi avere senz'altro la precedenza

sul semplice re di un'isolasopratutto poi in casa suail capitano si metteimperturbabile a lavarsi le mani nel bacile del.30

punchprendendolo credo per una grossa vaschetta lavadita. «Ora» dice Queequeg«che crediche i nostri non

ridevano?»

Alla finepagato il biglietto e sistemato il bagagliomettemmo piede sullagoletta. Questaissate le vele

scivolò giù per l'Acushnet. Da un lato New Bedford si alzò con i suoiterrazzi di stradee gli alberi ghiacciati tutti

scintillanti nell'aria chiara e fredda. Alte colline e montagne di botti subotti erano ammassate sui molie le baleniere

vagabonde della terra stavano fianco a fianco nel silenziofinalmente benormeggiate; ma da altre veniva un fracasso di

mastri d'ascia e di bottaiconfuso ai rumori di fuochi e fucine persciogliere la pecetutti preannunci che si preparavano

nuove crociere; che un viaggio lungo e pieno di pericoli era finito soloperché ne cominciasse un secondoe finito il

secondo ne sarebbe cominciato un terzoe così via per sempre. Come è nellanatura interminabileanzi intollerabiledi

ogni sforzo terreno.

Appena guadagnato il mare più apertola brezza tonificante inforzò; ilpiccolo Muschio scosse la viva schiuma

dalla prua come un puledrino i suoi sbruffi. Come annusai quell'ariaselvaggia! Come disprezzai quella terra chiusa

quella comune stradona tutta intaccata dai segni di zoccoli e tacchi servili.E mi voltai a guardare con meravig lia la

magnanimità del mare che non ammette ricordi.

Alla stessa fonte di schiuma Queequeg pareva bere e barcollare con me. Le suenarici brune si dilatavano

mostrava i denti aguzzi e levigati. Balzavamo sempre in avanti; e raggiuntoil largo il Muschio rese omaggio alle

raffichesvelto abbassò a tuffo la fronte come uno schiavo davanti alSultano. Piegandoci su un fianco saettavamo di

sbiecoogni cordame tintinnava come un cavo di metalloe i due alberislanciati si flettevano come canne indianea

terrain mezzo al ciclone. Eravamo così pieni di questa scena turbinantementre ci reggevamo in piedi accanto al

bompresso che calava a precipizioche non avvertimmo per un pezzo leocchiate beffarde dei passeggeriun pugno di

novellini che si meravigliavano di vedere due esseri umani in tantadomestichezzacome se un bianco potesse avere in

se stesso più dignità di un negro imbiancato. Ma tra loro c'erano alcunizoticoni e imbecilli che per la loro ignoranza

crassa parevano venire dal centro e cuore di ogni buio. Queequeg colse uno diquesti coglioncelli a fargli il verso alle

spalle. Temetti che per quell'idiota fosse giunta l'ora del giudizio. Ilrobusto selvaggio si sbarazzò del ramponeprese

l'amico tra le braccia e lo buttò in aria di pesocon un'abilità e unaforza quasi da miracolo. Poi con una leggera bussata

in poppa a metà del salto mortalelo fece atterrare in piedicoi polmoniche gli scoppiavanomentre Queequeg

voltandogli le spalle accendeva la sua pipa di guerra e me la passava per unaboccata.

«Hapitanohapitano!» strillò quel fesso correndo verso l'ufficiale.«Hapitanohapitanoc'è il demonio!»

«Ehi tuamico!» gridò il capitano che pareva un'aringa salataavanzandosu Queequeg. «Che diavolo hai in

testa? Lo sai che lo potevi ammazzare?»

Queequeg si voltò verso di me placidamente: «Cosa dice?»

«Dice» risposi«che rischiavi di ammazzare quello lì»e indicai ilpivellino che ancora tremava.

«Ammazzare?» esclamò Queequege torse la faccia tatuata in una smorfiaultraterrena di disprezzo. «Ah

quella minutaglia? Queequeg non ammazza minutaglia. Queequeg ammazza grossabalena!»

«Senti qua» ruggì il capitano«io ammazzo tepezzo di cannibalesefai un altro dei tuoi scherzetti a bordo.

Perciò apri bene gli occhi.»

Ma proprio in quel momento toccò al capitano aprire bene tutti e due gliocchi. Lo sforzo potente sulla vela

maestra aveva spezzato la scottae la terribile boma volava da un latoall'altrospazzando letteralmente tutta la parte

poppiera del ponte. Quel poveraccio che Queequeg aveva tanto maltrattatofinì fuori bordo. Tutti i marinai furono presi

dal panico. E tentare di afferrare la trave per bloccarla sembrava pazzia.Volava da destra a sinistrae viceversaquasi

nello stesso istantee a ogni momento pareva che stesse per saltare in millepezzi. Nessuno faceva nientee niente

pareva che ci fosse da fare; quelli sul ponte si precipitarono a pruaestavano paralizzati a fissare la boma come fosse la

ganascia di una balena impazzita. In mezzo a questa costernazione Queequeg sibuttò svelto in ginocchioe strisciando

sotto l'arco della boma afferrò di scatto un cavone assicurò una cimaalla muratae roteando l'altro come un laccio

accalappiò la boma che gli spazzava sul capo; cosìal balzo seguentel'albero fu intrappolato e tutto fu al sicuro. La

goletta fu messa controventoe mentre i marinai preparavano la lancia dipoppa Queequegnudo fino alla cintolasaettò

dalla banda col lungovivo arco d'un salto. Per tre minuti o più fu vistonuotare come un canebuttando dritte in avanti

le lunghe braccia e mostrando a turno le spalle robuste in mezzo alla schiumagelida. Guardavo quell'uomo nobile e

gloriosoma non vedevo nessuno che potesse salvare. L'imbecille era colato apicco. Ma orascattando su dall'acqua a

perpendicoloQueequeg si guardò fulmineo attorno e parve rendersi conto dicome stavano le cose. Si tuffò e

scomparve. Qualche altro minuto e riemerseun braccio ancora teso nellabracciatae l'altro che trascinava una forma

esanime. La barca li ripescò subito. Il povero zuccone fu rianimato. Tuttiproclamarono Queequeg un tipo in gamba. Il

capitano gli fece le sue scuse. Da quel momento mi attaccai a lui comeun'ostrica: finquandocioèil povero Queequeg

fece il suo ultimo tuffo.

Ma si è mai visto un uomo così incosciente? Non parve pensare affatto diessersi meritata una medaglia al

valore civile. Domandò solo un po' d'acquadell'acqua frescaqualcosa perlevarsi di dosso il sale. Ciò fatto indossò

vestiti asciuttiaccese la pipasi appoggiò alla muratae dandoun'occhiata tranquilla a chi gli stava attorno pareva dire

a se stesso: «Questo mondo è una mutuauna società per azionisottotutti i climi. E a noi cannibali tocca aiutare questi

cristiani.»

XIV • NANTUCKET.31

Durante la traversata non successe più niente che vale la pena dimenzionare; così dopo una bella corsa

arrivammo senza incidenti a Nantucket.

Nantucket! Prendete la carta geografica e cercatela. Osservate come se ne stain un vero e proprio angolino del

mondo: lìlontana dalla costapiù solitaria del faro di Eddystone.Guardatela: una pura e semplice collinucciauna

spalla di sabbia; tutta spiaggiasenza sfondo. C'è più sabbia lì diquanta ne potete usare in vent'anni per surrogato della

carta assorbente. Qualche spiritoso vi dirà che le erbaccelaggiùve ledebbono coltivare perché da sole non crescono;

che importano cardi dal Canadà; che un tappo per fermare la perdita d'unbarile d'olio debbono mandarlo a cercare

oltremare; che a Nantucket portano in giro i pezzi di legno come a Roma leschegge autentiche della santa croce; che la

gente pianta funghi velenosi davanti a casa per mettervisi all'ombrad'estate; che un filo d'erba fa un'oasitre fili a un

giorno di marcia una prateria; che vi si calzano scarpe da sabbie mobiliunpo' come in Lapponia le scarpacce da neve;

che vi si vive così chiusirecintiinserrati da ogni parteavvolti eradicalmente isolati dall'oceanoche a volte perfino

alle sedie e alle tavole si trovano attaccate piccole arsellecome ai dorsidelle testuggini marine. Ma queste esagerazioni

provano soltanto che Nantucket non è l'Illinois.

E ora considerate la meravigliosa leggenda di come l'isola fu incivilita daipellirosse. La tradizione è questa.

Nei tempi antichi un'aquila calò sulla costa del New England e si portò vianegli artigli un bambino indiano. Con alti

pianti i genitori videro il loro bimbo perdersi di vista sull'ampio mare.Decisero di andargli dietro nella stessa direzione.

Salpando sulle canoedopo una traversata pericolosa scopersero l'isolae vitrovarono un cestino d'avorio vuoto: lo

scheletro del povero bambino indiano.

E allora non c'è da stupirsi se questi uomini di Nantucketnati su unaspiaggiasi diano al mare per

guadagnarsi da vivere! Dapprima raccolsero granchi e arselle nella sabbia;fattisi più intraprendentiscesero in acqua

con reti per sgombri; diventati più espertisi spinsero fuori con le barchea pescare merluzzi; e alla finelanciando sul

mare una flotta di grandi naviesplorarono quel mondo d'acqualo fasciaronocon una cintura continua di viaggisi

affacciarono allo stretto di Bering; e in tutte le stagioni e in tutti glioceani dichiararono guerra eterna alla più potente

massa animata che sia sopravvissuta al diluviola più mostruosala piùsimile a una montagna. Quell'Imalaia di un

mastodonte d'acqua salata che è dotato di tale incredibile forzaincoscienteche persino i suoi momenti di panico vanno

temuti più dei suoi assalti più audaci e maliziosi.

E così questa nuda gente di Nantucketquesti eremiti del mareuscendo inacqua dal loro formicaio hanno

invaso e domato il mondo marino come tanti Alessandrispartendosi l'oceanoAtlanticoil Pacifico e l'Indiano come

fecero con la Polonia le tre potenze corsare. Se anche l'America aggiungesseil Messico al Texas e ammucchiasse Cuba

sul Canadàse gli Inglesi invadessero tutta l'India e facessero sventolaredal sole la loro bandiera di fiammasempre due

terzi di questo globo terraqueo restano al Nantuckettese. Perché il mare èroba suaegli lo possiede come gli imperatori

posseggono gli imperie su di esso gli altri marinai hanno solo diritto ditransito. Le navi da carico sono solo ponti

allungabiliquelle da guerra fortezze galleggiantie perfino le navi piratee corsaresebbene battano il mare come i ladri

di passo le stradenon fanno che saccheggiare altre navialtri frammenti diterra come loroe non cercano di trarre da

vivere dallo stesso abisso senza fondo. L'uomo di Nantucket e lui solorisiede nel mare e vi si sfrena; egli solosecondo

la parola della Bibbiavi scende nelle navie lo ara su e giù come lapropria piantagione privata. Quella è la sua casalì

è il suo lavoroe non lo potrebbe interrompere un altro diluvio di Noè chetravolgesse tutti i milioni della Cina. Egli

vive sul mare come i galli di prateria nella prateria; si nasconde tra leondate e le scala come i cacciatori di camosci

scalano le Alpi. Per anni non conosce terra; sicchéquando finalmente viarrivaessa ha per lui il profumo di un altro

mondopiù strano di quello della luna a uno che viene dalla terra. Come ilgabbiano senza patria che al tramonto ripiega

le ali e le onde gli fanno da cullacosì quando cala la notte l'uomo diNantucketlontanissimo da terraripiega le vele e

si dispone al riposomentre sotto il guanciale gli irrompono mandrie ditrichechi e di balene.

XV • ZUPPA DI PESCE

Era già quasi notte quando il piccolo Muschio calò quieto quieto l'ancorae Queequeg e io scendemmo a terra;

di modo ché per quel giorno non c'era più tempo di far nientecioè a direniente tranne andare a cena e a letto. Il

padrone della Locanda dello Sfiatatoio ci aveva indirizzato a suo cuginoHosea Hussey dei Raffinatoiche a suo dire

possedeva uno degli alberghi meglio tenuti di tutta Nantuckete per di piùci aveva assicurato che «cugino Hosea»

come lo chiamavaera famoso per le sue zuppe di pesce. Insommaci avevafatto capire chiaronon potevamo fare di

meglio che provare la marmitta all'insegna delle Marmitte. Ma le indicazioniche ci aveva datodi tenere a tribordo un

magazzino giallo fino ad avvistare a babordo una chiesa biancapoi tenerquesta sempre a babordo sino a fare un angolo

alla dritta di tre quartee quindi domandare la strada al primo che cicapitavaqueste sue indicazioni tortuosealle

primeci confusero non poco; sopratutto visto cheper cominciareQueequeginsisteva a dire che il magazzino giallo

(nostro primo punto di partenza) dovevamo lasciarcelo a babordomentre ioavevo capito che il padrone diceva a mano

dritta. A ogni modoa forza di gironzolare un pochino al buiobussando quae là all'uscio di qualche pacifico cittadino

per domandare la stradaarrivammo finalmente davanti a qualcosa che nonpoteva lasciare dubbi..32

Due pentoloni di legno enormidipinti di neroe appesi a orecchie d'asinopendevano dalle barre di un vecchio

alberetto piantato di fronte a un uscio decrepito. I corni delle crocetteerano stati segati via da una partesicché l'antico

albero somigliava non poco a una forca. Sarà che allora ero troppo sensibilea certe impressionima non potei

impedirmi di fissare quella forca con un vago presentimento. Avvertivo allanuca una specie di crampo nell'alzare la

testa per guardare i due corni superstiti: sissignoridueuno per Queequege uno per me. È di malauguriopensai. Una

bara per albergo nel mettere piede al mio primo porto balenierolapidimortuarie che mi guardano nella cappella del

balenieree qui un patibolo! E per giunta un paio di smisurate marmittenereche forse volevano suggerire oblique

allusioni all'Inferno.

Da queste riflessioni mi distrasse la vista di una femmina lentigginosacoicapelli gialli e una gialla veste

piazzata sulla veranda dell'osteria sotto una lanterna dalla smorta lucerossa che oscillava lì sottoe somigliava assai a

un occhio malato. Questa donna redarguiva vivacemente un uomo che aveva unacamicia di lana paonazza.

«Muoviti» gli diceva«o ti do una strigliata!»

«AndiamoQueequeg» dico io«ci siamo. Quella è Mrs. Hussey.»

E così era. Mr. Hosea Hussey era fuori casama lasciava Mrs. Hussey deltutto competente a badare a ogni

faccenda. Avendo manifestato il nostro desiderio di avere una cena e unlettoMrs. Hussey rinviò per il momento ogni

ulteriore sgridata e ci scortò in una camerinaci fece sedere a un tavolocosparso degli avanzi di un pasto recentee ci

investì per dire: «Cozza o merluzzo?»

«Merluzzo in che sensosignora?» dissi io con molta educazione.

«Cozza o merluzzo?» ripeté.

«Cozza per cena? Cozza fresca? È questo che volete dire Mrs. Hussey?»dissi. «Non vi pare un'accoglienza

piuttosto gelidina e appiccicaticcia d'invernoMrs. Hussey?»

Ma per la fretta che aveva di ricominciare a strapazzare quel tipo dallacamicia paonazzache aspettava la

gragnuola all'ingressoe come non udisse altro che la parola «cozza»Mrs.Hussey si affrettò verso una porta aperta che

dava in cucina e sparì vociando: «Cozza per due.»

«Queequeg» dico«ti pare possibile cavare una cena per due da unasingola cozza?»

Ma un vapore caldo e appetitoso che usciva di cucina servì a smentire laprospettiva in apparenza poco allegra

che avevamo davanti. E quando poi arrivò la zuppa fumanteil mistero vennedeliziosamente chiarito. Dolci amici

aprite bene le orecchie! Era una zuppa di piccole cozze succoseappena piùgrosse delle nocciòlemescolate con

gallette peste e porco salato affettato a scaglie sottiliil tuttoarricchito di burro e abbondantemente condito con pepe e

sale. Avendoci il gelido viaggio stimolato gli appetitie Queequeg inspecial mo do vedendosi davanti il piatto che

preferivae poiché infine la zuppa era veramente straordinariaripulimmotutto in un attimo; dopo di chestirandomi la

schiena un momento e ricordando la chiamata a cozze di Mrs. Husseymi vennel'idea di fare un piccolo esperimento.

Mi avvicinai alla porta della cucinapronunciai con enfasi la parola«merluzzo»e tornai al mio posto. Qualche minuto

dopo quel vapore gustoso tornò a farsi sentirema con un aroma diversoein poco tempo ci fu messa davanti una

magnifica zuppa di merluzzo.

Ci rimettemmo al lavoro tuffando i cucchiai nella scodellae intantopensavochi sa se questa roba influisce

davvero sulla testa. Mi pare che quiper insultoti chiamano testa dizuppa: «Ma guarda un po'Queequeghai

un'anguilla viva nel piatto. Dov'è il rampone?»

Di tutti i posti pescosi pescosissima era la Locanda delle Marmitteche benmeritava il suo nomevisto che le

marmitte vi stavano sempre a cucinare zuppe di pesce. Zuppa a colazionezuppa a pranzozuppa a cenache quasi

cominci a guardarti addosso per vedere se le lische ti spuntano dal vestito.Lo spiazzo davanti alla casa era pavimentato

di gusci di cozze. Mrs. Hussey portava una collana di vertebre di merluzzotirate a lucidoe Hosea Hussey aveva i libri

dei conti rilegati in vecchia pelle di pescecane finissima. Perfino il latteaveva un sapore di pesce che non sapevo

spiegarmi affattofinché una mattinanel fare due passi lungo la spiaggiain mezzo a certe barche di pescatorinon vidi

la mucca pezzata di Hosea che mangiava resti di pescee marciava sullasabbia con ciascuno dei quattro zoccoli infilato

nella testa decapitata di un merluzzoe giuro che parevano ciabatte.

Finita la cena ricevemmo da Mrs. Hussey una candelae delle istruzioni sullastrada più corta per andare a

letto. Ma mentre Queequeg stava per precedermi sulla scalala signoraallungò un braccio e gli domandò il rampone: in

casa sua non voleva ramponi in camera. «Ma perché?» dico«ogni verobaleniere dorme col suo rampone. Che c'è di

male?» «C'è di male che è pericoloso» dice. «Da quando il giovaneStiggsdi ritorno da quel suo viaggio disgraziato

che stette via quattr'anni e mezzo per soli tre barili d'oliofu trovatomorto col rampone nei fianchi qui sù al primo piano

nelle stanze di dietroda allora non permetto che i clienti portino nellemie camere armi così pericolosedi notte. Perciò

Mr. Queequeg (il nome l'aveva imparato) questo ferro lo prendo ioe ve loconservo fino a domani mattina. Ma per la

zuppa: cozza o merluzzo domattina a colazionegiovanotti?»

«L'una e l'altro» dico; «e un paio d'aringhe affumicate tanto percambiare.»

XVI • LA NAVE

A letto facemmo i piani per il giorno seguente. Ma con mia sorpresa e nonpoca preoccupazioneQueequeg mi

fece ora capire che aveva consultato Yojo (il nome del suo deuccio nero) conmolta cura; e Yojo gli aveva ripetuto due.33

o tre voltecon ogni possibile insistenzache invece di andare al portoassieme e scegliere di comune accordo una delle

baleniereinvece di fare cosìinsommaYojo gli aveva ordinato severamenteche la scelta della nave doveva cadere

solo su di me. Tanto più che Yojo ci voleva favoriree a questo scopo avevagià trovato un vascello che ioIsmaele

lasciato a me stessomi sarei visto davanti infallibilmenteproprio comeper caso. E in questo vascello avrei dovuto

subito trovare ingaggiosenza preoccuparmi di Queequeg per il momento.

Ho dimenticato di dire che in molti casi Queequeg aveva una grande fiducianell'eccellenza del giudizio di

Yojo e nella sua sorprendente abilità di prevedere le cose. E avevaparecchia stima di lui come dio di tipo piuttosto

bonarioche nel complessoforseaveva sempre ottime intenzioni; ma nonsempre riusciva nei suoi disegni benevoli.

Oraquesto piano di Queequego piuttosto di Yojosulla scelta del nostrolegno non mi garbava per niente

questo piano. Avevo contato non poco sulla sagacia di Queequeg per indicarela baleniera più adatta a portare con

sicurezza noi e la nostra buona sorte. Ma siccome tutte le mie proteste nonebbero su Queequeg il minimo effettofui

obbligato ad accettare; e perciò mi preparai a occuparmi della cosa con unacerta decisione e slancio spicci e sbrigativi

in modo da sistemare subito questo affaruccio nostro. L'indomani mattinadibuon'oralasciai Queequeg chiuso con

Yojo nella nostra piccola cameravisto che per loro dueall'apparenzaquella giornata era una specie di quaresimao

Ramadano giorno di digiunoumiliazione e preghiera. Cosa esattamente nonriuscii mai a scoprirlo. Per quanto mi ci

mettessi varie voltenon sono mai riuscito a imparare le sue liturgie e isuoi trentanove articoli. Lasciai dunquecome

dicevoQueequeg a digiunare sulla sua pipa di combattimentoe Yojo ascaldarsi alla fiamma lustrale dei truciolie

salpai per i moli. Dopo lunghi giri e rigiri e molte domande a destra e amancavenni a sapere che c'erano in

allestimento tre navi per crociere di tre anni: la Diavolessail Bocconcino eil Pequod.Diavolessa non so dove l'abbiano

pescato; Bocconcino è ovvio; e Pequodcome ricorderete senza dubbioera ilnome d'una famosa tribù di indiani del

Massachusettsora estinti come gli antichi Medi. Mi misi a girareocchieggiando e scrutando attorno alla Diavolessada

quella feci una capatina al Bocconcinoe finalmente salii a bordo delPequoddetti qualche occhiata attorno e decisi che

questa era la nave fatta per noi.

Per quanto ne somagari avete visto parecchie navi strane nella vostra vita:trabaccoli a punta quadra

mastodontiche giunche giapponesigaleotte a mastello da burro o che so io;ma sul mio onore non avete mai visto un

legnaccio così straordinario come questo vecchio ineffabile Pequod. Era unanave di scuola anticadirei piuttosto

piccolacon una certa aria vecchia di mobile dai piedi ad artiglio.Stagionato e patinato dai tifoni e dalle bonacce di tutti

e quattro gli oceaniil suo vecchio scafo aveva il colorito bruno dellafaccia di un granatiere francese che ha combattuto

sia in Egitto che in Siberia. La sua prua venerabile pareva barbuta. Glialberitagliati chi sa dovesulle coste del

Giapponedopo che i tronchi originali si erano persi fuoribordo in qualchetempestagli alberi si rizzavano stecchiti

come le spine dorsali dei tre antichi re a Colonia. I suoi ponti decrepitierano consunti e cisposi come la lastra

insanguinata da Beckett e venerata dai pellegrini nella Cattedrale diCanterbury. Ma a tutti questi aspetti d'antiquariato

si aggiungevano caratteristiche nuove e sorprendentiche avevano a che farecon il mestiere selvaggio cui la nave era

servita per più di mezzo secolo. Il vecchio capitano Pelegsuo secondo permolti anni prima di assumere il comando di

un altro bastimento di sua proprietàe ora marinaio a riposo e uno deiprincipali proprietari del Pequodquesto vecchio

Peleg durante il suo periodo di servizio aveva sviluppato la originarianatura grottesca del legnoe l'aveva tutto

intarsiatocon tale bizzarria di materiali e di trovate da non trovarparagone tranne che negli intagli sullo scudo e sulla

lettiera di ThorkillHake. La nave era tutta abbigliata come qualcuno deibarbarici imperatori di Etiopiail collo

appesantito da pendagli di avorio levigato. Era un trofeo di trofei. Unnatante cannibale che si adornava delle ossa dei

nemici. Tutt'intornoi parapetti aperti e senza pannelli erano guarniti intutta la loro lunghezzacome fossero un'unica

mandibolacoi lunghi denti aguzzi del capodogliolà inseriti come caviglieper assicurarvi i suoi vecchi tendini e nervi

di canapa. Quei nervi non scorrevano in bozzelli volgari di legno terrestrema filavano lesti su pulegge di avorio

marino. Disprezzando una ruota a manubri per il suo venerando timoneilPequod sfoggiava una barrae quella barra

era un'unica massa stranamente tagliata dalla mandibola stretta e lunga delsuo nemico ancestrale. Il timoniere che

governava con quella barra in una tempesta si sentiva come il tartaro chefrena il cavallo impetuoso afferrandolo alla

bocca. Un nobile legnoma in certo senso un legno assai triste. Tutte lecose nobili sono velate di tristezza.

Oraquando scrutai sul cassero in cerca di uno dei principaliin modo dapropormi candidato al viaggio

dapprima non vidi nessuno; ma non poteva certo sfuggirmi una strana specie ditendao piuttosto capanna indiana

piantata subito alle spalle dell'albero maestro. Pareva una strutturaprovvisoriausata soltanto durante lo scalo. Aveva

forma di conoera alta circa dieci piedied era fatta con le lunghe egrosse scaglie flessibili di osso nero prese dalla

parte media e superiore delle mascelle d'una balena franca. Piantate acerchia sulla coperta dalla parte largae allacciate

assiemequeste scaglie erano piegate l'una contro l'altra e unite in cima inuna punta a ciuffodove le fibre pelose

sciolte andavano ondeggiando come il ciuffo sulla zucca di qualche vecchioSachem dei Pottowottamie. Una apertura

triangolare guardava a pruae quindi chi stava dentro dominava tutta latolda sul davanti.

E alla fine scovaimezzo nascosto in quello strano alloggiouno cheall'aspetto pareva autorevole. Essendosi

fatto mezzogiorno e sospesi i lavori a bordocostui si godeva ora una pausaalle fatiche del comando. Stava seduto su

una seggiola di quercia di stile antiquatotutta grinzosa di strani intagli;e il fondo era fatto con una rete robusta di

quella stessa materia elastica di cui era fatta la capanna.

Forse non c'era niente di troppo singolare nell'aspetto di quell'anziano cheavevo davanti: era abbronzato e

robusto come tanti vecchi marinaie pesantemente infagottato in un gabbanoazzurro tagliato alla moda dei quacqueri;

solo aveva attorno agli occhi un ordito fine e quasi microscopico diminutissime rughe che dovevano essere causate dal.34

suo continuo esporsi a pesanti burrascheguardando sempre a sopravventoperché questo fa raggrinzire i muscoli

attorno agli occhi. Delle rughe così permettono un magnifico cipiglio.

«Siete voi il capitano del Pequod?» dissi avvicinandomi alla porta dellatenda.

«Ammesso che io sia il capitano del Pequodcos'è che ti serve?» domandòlui.

«Pensavo di imbarcarmi.»

«Ahàpensavi d'imbarcartivero? Vedo che non sei di Nantucket. Sei maistato in una lancia sfondata?»

«Nossignoremai.»

«Non sai niente di balenescommetto: no?»

«Nossignorenientema sono certo che imparo presto. Ho fatto parecchiviaggi nel servizio mercantilee

credo...»

«Al demonio il servizio mercantile. Con me non attacca. La vedi quellagamba? Te la stacco dal deretano se mi

parli di nuovo del servizio mercantile. Servizio mercantile! Immagino che tisenti chi sa cheperché hai lavorato sui

mercantili. Ma corpo d'una balena! giovanottocome mai ti è venuta l'ideadi fare il baleniereeh? Pare un po' sospetto

noeh? Non hai fatto il pirata per caso? O graffiato qualcosa all'ultimocapitanoeh? Non hai mica l'intenzione di fare la

pelle ai superiori una volta in mare?»

Io mi protestai innocente di tutte quelle accuse. Capivo che sotto lamaschera di quelle insinuazioni semiserie

il vecchiaccio era pieno di pregiudizi isolanida buon nantuckettese equacquero; e diffidava non poco di tutti i

forestieri che non arrivassero da Cape Cod o dal Vigneto.

«Ma com'è che ti è venuta l'idea di fare il baleniere? Voglio saperloprima di decidere se prenderti o meno.»

«Be'signorevoglio vedere che cos'è questa caccia. Voglio vedere ilmondo.»

«Ah vuoi vedere la caccia? E il capitano Achab ti è mai capitato divederlo?»

«Chi è il capitano Achabsignore?»

«Giàgiàme l'aspettavo. Il capitano Achab è il capitano di questanave.»

«Allora mi sono sbagliato. Credevo di parlare col capitano in persona.»

«Invece stai parlando col capitano Peleg: ecco con chi parligiovanotto. Ioe il capitano Bildad pensiamo a

equipaggiare il Pequod per il viaggioe fornirgli ciò che serve compresa laciurma. Siamo comproprietari e agenti. Ma

come stavo dicendose è proprio vero che vuoi sapere cos'è la cacciatiposso dare il modo di scoprirlo prima che ti ci

leghi le mani e non puoi più fare marcia indietro. Da' un'occhiata alcapitano Achabgiovanotto. Vedrai che ha una

gamba sola.»

«Volete dire che ha perso l'altra a causa di una balena?»

«A causa d'una balena? Avvicinatigiovanotto: gliel'ha mangiatamasticatastritolata il più mostruoso

spermaceti che ha mai azzannato una lancia. Ahah!»

Mi allarmai un po' a tanta furiae forse un pochino mi commosse pure ildolore sincero della sua ultima

esclamazionema risposi quanto più calmo mi fu possibile: «Signorequelloche dite è verissimo; ma non potevo sapere

che quella particolare balena avesse una ferocia così speciale. Dovevocapirlocertodal semplice fatto della disgrazia.»

«Stammi a sentiregiovanottoi tuoi polmoni sono piuttosto fiacchicapisci; non hai per niente una voce da

pescecane. Sei sicuro di essere stato già in mare? Proprio sicuro?»

«Signore» dico io«mi pareva di aver detto che ho fatto quattro viagginella marina...»

«Orza via! Ricorda che ti dissi sui mercantili; non mi provocare perché nonlo sopporto. Cerchiamo invece di

capirci. Ti ho dato un'idea della caccia a balene. Ti ci senti ancoraportato?»

«Sissignore.»

«Benissimo. E te la senti di piantare un rampone in gola a una balena viva epoi saltarci dietro? Rispondi

presto!»

«Sissignorese è proprio assolutamente indispensabile; se non ne possofare a menovoglio dire. Ma non mi

pare possibile.»

«Benebenissimo. Alloradicevivuoi andare a balene per vedere coi tuoiocchi di che si trattae inoltre ci

vuoi andare anche per vedere il mondo. Ho capito bene? Mi pareva. E allorafai qualche passo avantiverso pruada'

un'occhiata a sopravventoe poi torna a dirmi che cosa ci hai visto.»

Rimasi un momento perplesso a quella curiosa richiesta. Non sapevo bene comeprenderlaper scherzo o sul

serio. Ma il capitano Peleg mi spedì all'incarico concentrando tutte le suezampe d'oca in una sola occhiataccia.

Andai avantiguardai oltre la rembatae mi accorsi che ora la navegirandosull'ancora per la marea che

montavapuntava di sbieco verso il mare aperto. La vista era sconfinatamatroppo monotona e scoraggiante. Non

riuscivo a scoprirvi la minima varietà.

«Be'riferisci» disse Peleg quando fui di ritorno. «Che hai visto?»

«Non molto» dico io«nient'altro che acqua. Orizzonte in abbondanzacomunquee una burrasca che si

preparacredo.»

«Ebbeneche ne pensi allora di questo mondo che vuoi vedere? Vuoi doppiareil Capo Horn per vederne

ancora? Non puoi vederlo da dove ti trovi?»

Ci restai un po' male; ma a caccia dovevo andarcia ogni costo; e il Pequodcome nave era quanto di meglio si

poteva trovare: la più bella navea mio avviso. E tutto questo lo dissi aPeleg. Vedendomi così ostinatosi dichiarò

disposto a ingaggiarmi.

«Anzipuoi firmare subito» aggiunse«muoviti.» Così dicendo mi fecestrada sottocopertain cabina..35

Seduto sull'arcaccia era una figura che mi parve così strana da lasciare abocca aperta. Seppi poi che era il

capitano Bildadche col capitano Peleg era tra i maggiori proprietari dellanave; le altre azionicome capita spesso in

questi portiappartenevano a un mucchio di vecchi pensionativedoveorfanie minorenni sotto tutela legaleognuno

dei quali si trovava a essere proprietariosulla navedel valore circa diuna bittad'un piede di tavolao di un chiodo o

due. La gente a Nantucket investe il proprio denaro nelle baleniere come voiinvestite il vostro in titoli ufficiali di stato

che danno un buon interesse.

Ora Bildadcome Peleg e in effetti molti altri a Nantucketera unquacqueroperché l'isola in origine era stata

colonizzata da questa setta; e fino a oggi i suoi abitanti conservano disolitoin misura non comunele caratteristiche dei

quacquerianche se poco o molto e variamente modificate da fattoricompletamente estranei ed eterogenei. Perché

alcuni di questi quacqueri sono i più sanguinari di tutti i marinai ecacciatori di balene. Sono quacqueri da

combattimento. Sono quacqueri a oltranza.

Sicchétra di loroci sono esempi di uomini chiamati con nomi biblici(secondo un'abitudine curiosamente

diffusa nell'isola) i quali nell'infanzia hanno assimilato spontaneamente ilsolenne e drammatico tu e te del parlare

quacquero. Ma l'avventura spericolatasfrenata e temeraria che è stata poila loro vita ha stranamente mescolato in loro

con quei caratteri mai perdutimille altri slanci violenti dell'animo chenon sarebbero indegni di un re del mare

scandinavoo di un poetico idolatra romano. E quando queste cose siassommano in un uomo che la natura ha dotato di

forza eccezionaledi un cervello a forma di sfera e di un cuore pesanteunuomo che la quiete e la solitudine di tante

lunghe veglie notturne nelle acque più lontanesotto costellazioni maiviste qui a settentrionehanno portato a pensare

in modo indipendente e senza tradizioniun uomo che ha ricevuto direttamentetutte le impressioni dolci e selvagge

della natura dal seno verginecedevole e fiducioso di leie che sopratuttoda leie solo con qualche aiuto di vantaggi

casualiha imparato una lingua alteraaudace e nervosaquell'uomo saràun'eccezione in tutto il censimento di un

paese: una figura potente da rappresentazione anticaun essere destinato adalte tragedie. E non lo sminuirà affattose lo

consideriamo dal punto di vista drammaticoche per nascita o altrecircostanze abbia nel fondo della propria natura ciò

che sembra una morbosità dominante e semintenzionale. Perché tutti i grandiuomini tragici lo sono per via di qualcosa

di anormale. Puoi starne sicurotu giovane ambiziosoche ogni grandezzamortale non è che malattia. Ma per ora non

abbiamo a che fare con un uomo simile. Anzi con uno assai diversoe chetuttaviase qualcosa ha di eccentricolo

deriva sempre da un'altra faccia della natura quacqueramodificata dacircostanze individuali.

Come il capitano Pelegil capitano Bildad era un agiato baleniere a riposo.Ma diversamente dal capitano

Pelegche non dava una cicca per tutte quelle cose che sono chiamate seriee anzi proprio queste cose serie le

considerava le più grandi delle sciocchezzeil capitano Bildad era statoeducato fin da principio secondo la setta più

rigorosa del quacquerismo di Nantucket. Non soloma poi la sua vitaoceanicae la vista di molte creature isolane

amabili e nudeal di là del Capotutto ciò non aveva potuto smuovere diun pollice quel quacquero purosanguenon gli

aveva nemmeno cambiato una grinza al panciotto. E peròcon tuttapertinaciac'era un certo difetto di coerenza comune

nell'ottimo capitano Bildad. Sebbene rifiutasse per scrupoli di coscienza diportare armi contro invasori di terraferma

egli stesso aveva invaso illimitatamente l'Atlantico e il Pacifico; e sebbenenemico giurato di ogni spargimento di

sanguenel suo stretto giubbotto aveva spillato lui stesso botti su botti disangue leviatanico. Ora non so come adesso

nella sera contemplativa dei giorni suoiil pio Bildad conciliasse questecose nel ricordoma non pareva frastornarsene

troppoe con ogni probabilità era arrivato da molto tempo alla conclusionesaggia e ragionevole che la religione di un

uomo è una cosae questo mondo pratico un'altra. Il mondo paga dividendi.Sollevandosi da piccolo mozzo in

calzoncini del fustagno più frusto a ramponiere dal largo panciotto a ventredi pescee da lì a capobarcaa primo

ufficialea capitanoe infine a proprietario di bastimentiBildad avevacome ho accennatoconcluso la sua carriera

avventurosa ritirandosi completamente dalla vita attiva alla rispettabileetà di sessant'annie dedicando il resto dei suoi

giorni al pacifico incasso dei suoi ben meritati redditi.

Ora Bildadmi rincresce dirloaveva fama di essere un vecchio spilorcioincorreggibilee nei tempi che ancora

navigavaun capoccia acido e duro. Mi dissero a Nantuckete certo ècuriosoche quando fu al comando della vecchia

baleniera Categutal ritorno quasi tutto l'equipaggio dovette essere trasportato all'ospedaletanto era malconcio e

stremato. Per essere un uomo pioe specialmente quacqueroè certo che adire poco era un po' duro di cuore. Però non

soleva mai bestemmiare contro i marinaidicevano; ma riusciva a cavarne lostesso una quantità sproporzionata di

lavoro durospietato e crudele. Quando Bildad era primo ufficialeaverepuntato addosso quel suo occhio scolorito vi

faceva sentire i nervi a fior di pelle finché non vi riusciva di afferrarequalcosaun martelloun punteruoloe buttarvi a

lavorare come pazzi a qualcosanon importa quale. L'indolenza e la pigriziagli morivano davanti. La sua stessa figura

era l'incarnazione precisa del suo carattere utilitario. Sul corpo lungo esegaligno non portava carne di scorta e neanche

barba superfluaperché il suo mento aveva appiccicata una leggera peluriaeconomicacome il pelo frusto del suo

cappello a larghe falde.

Questa era la persona che vidi seduta sullo specchio di poppa quando scesi incabina dietro al capitano Peleg.

Lo spazio tra i ponti era piccoloe là in mezzo sedeva impettito il vecchioBildad: sedeva sempre così senza appoggiarsi

maie ciò per risparmiare le falde della giubba. Il cappellaccio era lìaccanto; le gambe erano incrociate come stecchi

l'abito scialbo era abbottonato fino al mentoe con gli occhiali al nasoegli pareva tutto assorto nella lettura di un

pesante volume.

«Bildad» gridò il capitano Peleg«ci siamo daccapoeh? Ormai sono piùdi trent'anni che studi quella Bibbia

sul mio onore. A che punto seiBildad?».36

Come abituato da parecchio al linguaggio profano del vecchio collegaBildadalzò gli occhi tranquillosenza

fare caso all'ultima irriverenzae vedendomi occhieggiò di nuovointerrogativamente verso Peleg.

«Dice che vuole aggregarsiBildad» disse Peleg. «Vuole firmarel'imbarco.»

«Sul serio?» disse Bildad con voce sordavoltandosi a guardarmi.

«Ci puoi contare» dissi senza accorgermenetanto era quacquero.

«Che ne pensiBildad?» domandò Peleg.

«Passi» fece Bildad guardandomie ricominciò a compitare il suo librocon un brontolìo che si sentiva

benissimo.

Mi parve il vecchio quacquero più buffo che avessi mai vistosopratuttoperché il suo amico ed ex collega

Peleg sembrava un rompiscatole così eccezionale. Comunque non dissi nientedetti solo una buona guardata attorno.

Intanto Peleg aprì una cassatirò fuori il contrattosi mise davantipenna e inchiostro e sedette a un tavolino. Cominciai

a pensare che era tempo di decidere a quali condizioni ero disposto adaccettare l'ingaggio. Sapevo già che in quel

mestiere non pagavano stipendima tutti gli uominicompreso il capitanoricevevano certe quote dei profitti chiamate

layse chequeste lays opercentuali erano proporzionate all'importanza delle rispettive mansioni abordo. E mi rendevo

conto che essendo nuovo al mestiere la mia percentuale non poteva essere granche. Ma considerando che avevo

qualche esperienza di maresapevo governare una naveimpiombare una cima ecosì vianon dubitavoda quanto

avevo sentito direche mi avrebbero offerto almeno la 275esima quotacioèa dire la duecentosettantacinquesima quota-parte

dei profitti netti del viaggioquali che potessero essere. Certo la 275esimaera ciò che viene chiamato una quota

piuttosto lungama era meglio di niente; e se il viaggio ci andava benepotevo anche arrivare arifarmi dei vestiti che ci

avrei consumatoper non parlare dei tre anni di manzo e alloggio che non mivenivano a costare un soldo.

Direte forse che questo non era il modo migliore per accumulare una fortunada principi: e così era infatti

proprio il peggiore dei modi. Ma io sono di quelli che tengono poco allefortune principesche; a me basta e soverchia se

la gente è disposta a darmi da mangiare e dormire finché mi trattengo aquesta brutta insegna del Temporale. Tutto

sommatoero persuaso che la 275esima era più o meno ciò che mi spettava.Ma non mi sarei meravigliato se mi

offrivano la 200esimadato che ero un fusto.

D'altra parte c'era una cosa che mi rendeva un po' pessimista sulleprobabilità di ottenere una parte abbondante

dei profitti.

Avevo sentito certe storiea terrasul capitano Peleg e sul suoincomprensibile amico il vecchio Bildad: e cioè

che loro due erano i proprietari principali del Pequode perciò gli altriproprietari più sparpagliati e trascurabili

lasciavano a quei due quasi tutta l'amministrazione della nave. E avevo uncerto quale sospetto che quel vecchio

miserabile di Bildad avesse molta voce in capitolo su questioni d'ingaggio;dato specialmente che me lo trovavo a bordo

del Pequodpiazzato comodamente in cabina e occupato a leggere Bibbie comedavanti al proprio focolare. Oramentre

Peleg cercava inutilmente di rifare la punta a una penna con un coltelloBildad con mia somma sorpresail vecchio

Bildad che pure doveva essere parte interessatissima alla transazionemancopareva vedercima continuava a biascicare

dal libro a se stesso: «Non mettere a parte tesori su questa terradove iltarlo...»

«Alloracapitano Bildad» interruppe Peleg«cosa diciche parte glidiamo a questo giovanotto?»

«Lo sai meglio di me» fu la risposta sepolcrale«lasettecentosettantasettesima non sarebbe troppoti pare?...

dove tarlo e ruggine corromponobensì metti da parte...»

Bella partepensaiparte da cani! La settecentosettantasettesima! Benevecchio Bildadhai proprio deciso che

almeno io non avrò molto da mettere a parte in questo mondo corrotto datarli e ruggine. Quella sì era una parte

straordinariamente lunganon c'era che dire; e se la lunghezza della cifra poteva ingannare a prima vistauno di

terrafermala benché minima riflessione bastava a chiarire cheper quantosettecentosettantasette sia un bel numerone

quando ci si appiccica un -esimo si viene a scopriredicoche lasettecentosettantasettesima parte di un quattrinaccio è

moltomolto meno di settecentosettantasette dobloni d'oro. Questo mi passòper la testa.

«Ma ti possa accecareBildad!» gridò Peleg«vuoi truffare questogiovinotto forse? Dobbiamo dargli di più.»

«Settecentosettantasettesima» disse di nuovo Bildad senza alzare gliocchipoi continuò a brontolare:

«...poiché dove sta il tuo tesorolì sta anche il tuo cuore.»

«Io segno trecento» disse Peleg«lo sentiBildad? Dico la trecentesimaparte.»

Bildad posò il libro e si voltò solennemente: «Capitano Pelegtu hai uncuore generoso. Ma devi considerare la

responsabilità che hai verso gli altri proprietari di questa nave: molti diessi vedove e orfani. Se ricompensiamo troppo

abbondantemente i servizi di questo giovanottorischiamo di togliere il panedi bocca a quelle vedove e a quegli orfani.

La settecentosettantasettesimacapitano Peleg.»

«Ma Bildad!» ruggì Pelegalzandosi in piedi di scatto e muovendosirumorosamente per la cabina«Bildad

maledizionea darti retta in queste coseavrei da anni la coscienza cosìpesante da mandare a picco la nave più grossa di

quelle che doppiano il Capo.»

«Capitano Peleg» fece Bildad in tono fermo«la tua coscienzaper quantone sopuò pescare dieci pollici o

dieci tese. Ma visto che sei ancora un imp enitentecapitano Pelegtemoassai che faccia acqua; e che alla fine ti

sprofondi nell'abisso di fuococapitano Peleg.»

«Che abisso e abisso! Tu m'insultivecchio miom'insulti oltre ognisopportazione. Dire in faccia a un cristiano

che se ne andrà all'inferno è un'offesa diabolica. Sangue di una balena!Dillo di nuovoBildadschiodami l'animae io

iosul mio onore! m'inghiotto un caprone vivopelocornatutto! Escidalla cabinaipocritafiglio consunto di un

cannonaccio falso: fuori dai piedi!».37

Gridando queste minaccetentò di scagliarsi su Bildadma questi lo schivòal momento con una scivolata

obliquameravigliosamente veloce.

Ioallarmato da quel litigio terribile tra i due maggiori proprietari eresponsabili della navee mezzo invogliato

a rinunciare del tutto a imbarcarmi su un legno che aveva padroni ecomandanti provvisori così discutibilimi scansai

dalla porta per lasciare via libera a Bildad: ero sicuro che non vedeva l'oradi sparire davanti alla rabbia scatenata di

Peleg. Invececon gran mia sorpresatornò a sedere placidamentesull'arcacciae pareva non avesse la minima

intenzione di battere in ritirata. Era proprio abituatosembravaai modi difare di quell'impenitente di Peleg. Quanto a

Pelegdopo che si fu sfogato in quella manieraparve non avere più rabbiain corpoe anche lui sedette come un

agnellosebbene con qualche scossonecome avesse ancora il nervoso.«Fiu!» sibilò alla fine: «la burrasca è passata

sottoventopare. Bildaduna volta sapevi affilare una lancia. Fammi lapunta a questa pennavuoi? Ho il coltello che ha

bisogno di una passata di mola. Basta così. Ti ringrazioBildad. Alloragiovanotto mioti chiami Ismaele hai detto?

Benissimoeccoti registratoIsmaeleper la trecentesima parte.»

«Capitano Peleg» dico«ho un amico che vuole imbarcarsi anche lui. Loposso portare domattina?»

«Ma sicuro» dice Peleg«portalo purecosì gli diamo un'occhiata.»

«Che quota pretende?» gemette Bildad alzando gli occhi dal libro nel qualesi era andato sprofondando di

nuovo.

«Non te ne immischiareohBildad» dice Peleg. E a me: «Conosce ilmestiere?»

«Capitanole balene che ha ammazzato non le posso neanche contare.»

«Be'in questo caso portalo.»

Firmai le carte e me ne andaisicurissimo di avere impiegato bene lamattinatae che il Pequod era proprio la

nave procurata da Yojo per farci doppiare il Capoa Queequeg e alsottoscritto.

Ma non ero arrivato lontanoquando cominciai a rendermi conto di non sapereancora chi era il comandante

sotto cui dovevo fare vela. Vero è che in parecchi casi una baleniera puòvenire completamente armata e prendere a

bordo tutta la ciurmaprima che il capitano venga alla vistae cioè arrivia prendere il comando. Perché questi viaggi

spesso si prolungano tantoe gli intervalli a terra e a casa propria sonocosì sproporzionatamente cortiche se il capitano

ha famigliaoppure è vincolato da altri legami del generenon si preoccupacerto del suo bastimento in portoma lo

affida ai proprietari finché tutto è pronto per la partenza. Però èsempre meglio dargli un'occhiataal capitanoprima di

metterglisi in mano senza scampo. Perciò tornai indietro e avvicinai ilcapitano Pelegper chiedere dove potevo trovare

il capitano Achab.

«E cosa vuoi dal capitano Achab? Tutto è sistemato; hai l'ingaggio.»

«Sìma lo vorrei vedere.»

«Be'non credo sarà facile al momento. Non so esattamente che gli capitama sta chiuso in casa. Malatopare;

ma non ne ha l'aria. Di fatto non è malato; ma d'altro canto non sta neanchebene. Insommagiovanottoa vederlo non

sempre ci riesco iosicché non credo ci riuscirai tu. È un tipo strano ilcapitano Achabcosì dicono: ma un brav'uomo.

Ehvedrai che ti piacerànon aver pauranon aver paura. È un grand'uomonon bazzica in chiesa ma è un padreternoil

capitano Achab. Non parla molto ma quando parla vale la pena di sentirlo. Seipreavvisatoricordalo: Achab è fuori

classeAchab è stato all'università oltre che in mezzo ai cannibalied èabituato a cose più serie e spettacolose che le

ondateed ha piantato quella sua lancia furiosa dentro nemici più forti epiù straordinari delle balene. La sua lancia

sissignoreè la più affilata e sicura di tutta l'isola. Non è mica ilcapitano Bildadquelloe nemmeno il capitano Peleg.

Quello è Achabragazzo mio. E anticamente Achabcome m'insegniera un recon tanto di corona.»

«E anche una gran carogna. Quando lo ammazzaronoquel re cattivoil sanguenon se lo leccarono i cani?»

«Vieni quiavvicinatiavvicinati» disse Peleg con un'espressione infaccia che quasi mi spaventò. «Senti

giovanottonon dire mai una cosa simile a bordo del Pequod. Non dirla mai innessun posto. Il capitano Achab non se

l'è messo lui quel nome. È stato un capriccio ignorante e cretino di suamadre vedovache era pazzae morì quando lui

aveva appena dodici mesi. Ma quella vecchia indiana Tistigal Capo Allegroha detto che il nome in un modo o

nell'altro si sarebbe mostrato profetico. E forse altri stupidi come lei tipossono dire la stessa cosa. Io ti voglio

preavvisare. È una menzogna. Lo conosco beneil capitano Achab; hoviaggiato con lui come secondoanni fa; so che

tipo è: un brav'uomo; non un brav'uomo pio come Bildad ma un brav'uomo senzapeli in boccaun po' come me: solo

più grande. Sicurosicuroso che non è stato mai un tipo troppo allegroe so che durante questo viaggio di ritornoper

un po' di tempoaveva un po' perso la testa. Ma erano le fitte pungenti delmoncherino aperto che lo riducevano così

come tutti hanno potuto vedere. So pure che da quando nell'ultimo viaggioperdette la gamba per colpa di quella

maledetta balenagli è venuto una specie di malumoreun malumoredisperatoche a volte lo fa diventare selvaggio.

Ma sono cose che passano. E una volta per sempregiovanottolasciati dire eassicurare che è meglio andare con un

buon capitano col musoche non con un cattivo che è sempre allegro. E orati saluto; e non essere ingiusto col capitano

Achab perché ha la disgrazia di avere il nome di un farabutto. Inoltrefiglio miolui ha moglie. Non sono ancora tre

viaggi che l'ha sposata. Una brava ragazzapiena di rassegnazione.Ricordatelo: da questa brava ragazza il vecchio ha

avuto un bambino. Puoi credere ancora che in lui ci può essere qualche cosadi maleseria e senza rimedio? Nono

figlio mio: Achab lo puoi fulminareAchab lo puoi abbatterema resta sempreun uomo.»

Me ne venni via impensierito; ciò che ero venuto a sapere per puro caso delcapitano mi faceva sentireper lui

una specie di pena imprecisata e struggente. E in certo sensoalloraprovavo per lui simpatia e dolorema perché non lo

sotranne che non fosse per quella sua perdita crudele della gamba. D'altraparte provavo anch'ioal suo pensierouna

specie di sacra paura; ma questa strana paura che non riesco assolutamente aprecisare non era esattamente paura. Non.38

lo so cos'era. Ma la sentivo; eppure non me lo rendeva antipatico. Soloconoscendolo pocociò che pareva in lui

misterioso mi dava fastidio. Bastaalla fine i miei pensieri si mosseroverso altre direzionie per allora Achab l'oscuro

mi scivolò di mente.

XVII • IL RAMADAN

Visto che il Ramadan o Digiuno e Umiliazione di Queequeg doveva durare tuttoil giornopensai che era

meglio non disturbarlo prima di sera. Io nutro infatti il massimo rispettoverso gli obblighi religiosi di ognunosenza

tenere conto del loro grado di comicitàe sarei incapace di prendere allaleggera perfino una congregazione di formiche

che adori un fungo velenoso; oppure quelle altre creature di certe zone dellanostra terrale quali con un grado di

servilismo che non ha precedente alcuno su altri pianeti s'inchinano davantial busto di un fu proprietario terriero

puramente a motivo dei possedimenti sproporzionati che vengono ancora fruitie dati in affitto a nome suo.

Perdincinoi buoni Presbiteriani dovremmo essere caritatevoli in questecosee non crederci così largamente

superiori agli altri mortalipagani o altro che sianoa causa delle loroidee un po' matte in proposito. Ecco lì Queequeg

ad esempioche certo aveva le idee più assurde su Yojo e il suo Ramadan: macon questo? Queequeg credeva di sapere

cosa stava facendoimmagino; ne pareva soddisfatto. E quindi lasciamolo inpace. Tutti i nostri sforzi di persuaderlo

non servirebbero a niente; lasciamolo in paceperdincie il Cielo abbiapietà di tutti noipresbiteriani o paganiperché

tutti in un modo o nell'altro abbiamo il cervello terribilmente bacatoe unserio bisogno di riparazioni.

Verso seraquando fui convinto che ogni cerimonia e rito dovevano essereterminatiandai su in camera e

bussai alla porta. Non rispose nessuno. Cercai di aprirema era chiuso didentro. «Queequeg» sussurrai dentro il buco

della serratura. Tutto era silenzio. «EhiQueequeg! Perché non ris pondi?Sono ioIsmaele.» Tutto muto come prima.

Cominciai a preoccuparmi. Gli avevo dato un mucchio di tempo; temevo glifosse preso un colpo apoplettico. Guardai

attraverso il buco della serraturama l'uscio guardava un angolo morto dellacamerae lo scorcio dal buco era tutto

storto e sinistro. Potevo solo vedere una parte del lettodal lato deipiedie una striscia di paretenient'altro. Mi sorprese

vedere appoggiata al muro l'asta di legno del rampone di Queequegche lapadrona gli aveva tolto la sera primaavanti

di salire in camera. Stranopensai; a ogni modose il rampone è làvistoche lui non esce quasi mai senzal'amico

dev'esserci: non si sbaglia.

«Queequeg! Queequeg!» Tutto muto. Dev'essere successo qualcosa. Un colpoapoplettico! Tentai di forzare

l'uscioma quellotestardoresisteva. Corsi giù ed esposi in fretta imiei timori alla prima persona che incontraila

cameriera. «Eccoecco!» strillò«sapevo che era successa qualche cosa.Sono andata per fare il letto dopo colazione e

la porta era chiusaneanche un topo si sentivae da allora è stato semprecosì zitto. Ma forsecredevoeravate usciti

tutti e duee avevate chiuso dentro il bagaglio per sicurezza. O Dioo Diopadrona! Signora! Un uomo ammazzato!

Mrs. Hussey! Un colpo!» Così gridando corse in cucinae io dietro.

Saltò fuori Mrs. Husseycon un barattolo di senape in una manoe l'ampolladell'aceto nell'altra: l'avevamo

interrotta mentre badava ai condimenti e strapazzava nel contempo ilservitorello nero.

«La legnaia!» gridai. «Da dove si passa? Spicciateviper amor di Dioportate qualcosa per sfondare la porta.

L'ascia! L'ascia! Ha avuto un colpoè sicuro.» Così dicendo correvo sopradi nuovo a mani vuotesenza nessun metodo.

Ma quella mi schiaffò davanti la senapel'acetierae tutto il pepe del suogrugno.

«Che ti prendegiovanotto?»

«Procuratemi un'ascia! Per l'amor di Diomandate qualcuno dal dottorementre io scasso la porta.»

«Un momento» disse la padrona posando in fretta l'acetiera per avere unamano libera. «Un momento. Vuoi

dire che scassi una delle mie porte?» Intanto mi afferrò il braccio: «Mache hai? Che ti succedemarinaio?»

Le presentai tutto il caso nel modo più breve e calmo possibile. Quella sipicchiò d'istinto l'acetiera su una

fiancata del nasostette un momento a ruminare e poi esclamò: «Nononl'ho più visto da quando l'ho messo da parte.»

Corse al ripostiglio che c'era sotto il pianerottolo della scaladetteun'occhiatae tornando mi disse che il rampone di

Queequeg non c'era più. «Si è ammazzato!» gridò. «Ci siamo di nuovocome quel disgraziato di Stiggs. Un'altra

imbottita rovinata. Dio abbia pietà di sua madre! Sarà la rovina diquest'albergo. Ha una sorella questo poverino? Dove

abita? Bettycorri da Snarles il pittoree digli di farmi un cartellocosì: "Vietato ammazzarsi e fumare in sala"; tanto

vale prendere due piccioni con una fava. Un suicida! Dio perdoni la suaanima. Ma che è questo fracasso? Ehi

giovanottoferma!»

E correndomi appresso mi acchiappò mentre tentavo di nuovo di forzare laporta.

«Questo non te lo lascio fare. Non voglio avere la casa rovinata. Va' acercare un ferraioce n'è uno a un

miglio. Ma aspetta!» e si cacciò la mano in tasca. «Questa chiave qui deveandar benecredo. Vediamo.» Così dicendo

la fece girare nella serraturama ahimèrestava sempre la stanga cheQueequeg aveva dato per aggiunta.

«Dovrò sfondarla» dissie stavo per rinculare un po' nella anticameraper pigliare slancioquando la padrona

mi riafferrò e tornò a giurare che non le avrei fracassato la casa; diediuno strappoe con un rapido slancio mi gettai di

peso contro il bersaglio.

La porta si spalancò con un rumore di catastrofe; sbattendo al murolamaniglia mandò la calcina fino al

soffitto. E lìper Dioapparve Queequegperfettamente tranquillo eraccoltoaccoccolato sulle natiche proprio in mezzo.39

alla camera con Yojo sulla cocuzza. Non guardava né di qua né di làmasedeva come una statua di legnoquasi senza

un sintomo di vita.

«Queequeg» dico avvicinandomi«che diavolo haiQueequeg?»

«Non è rimasto tutto il giorno a sedere cosìvero?» fece la padrona.

Ma per quanto dicessimonon si riusciva a cavargli una parola. Quasi miveniva di dargli uno spintone per

fargli cambiare posatanto la sua pareva sforzatapenosainnaturale: danon potersi guardare. Datosopratuttoche con

ogni probabilità era rimasto piantato in quel modo per più di otto o diecioree senza pasti per giunta.

«Mrs. Hussey» dissi«a ogni modo è vivo. Perciòse non vi dispiacelasciateci soli. Ci penso io a queste

stramberie.»

Chiusa la porta dietro alla padronatentai di convincere Queequeg a prendereuna sedia: niente da fare. Restava

fermo lìe malgrado provassi garbatezze e blandizietutto quello che seppefare fu di non muoversi di un ditonon dire

una sola parolae neanche guardarmioppure dare il minimo segno che si eraaccorto della mia presenza.

Chi sapensaise questo non fa parte del suo Ramadan; magari nell'isola suadigiunano cosìsulle natiche.

Dev'essere questo; ma sicuroè parte del suo credoimmagino. E alloralasciamolo in pace. Non c'è dubbio che prima o

poi si dovrà alzare. Grazie a Dio non può durare per sempre. Il suo Ramadanviene solo una volta all'annoe anzi

sospetto che a volte ne salti qualcuno.

Scesi per cenare. E poi restai un bel po' a sentire le lungaggini di certimarinai appena arrivati da quello che

chiamano un viaggio al budinocioè a dire una breve crociera a caccia dibalene su un brigantino o una golettalimitata

al solo Atlantico e a nord dell'Equatore. Dopo avere ascoltato questibudinisti fin quasi alle undicirifeci le scale per

andare a dormireormai certissimo che Queequega quell'oradoveva averefinito il suo Ramadan. Ma neanche per

sogno: era lì proprio dove lo avevo lasciato; non si era mosso di unpollice. Allora cominciai a infastidirmi.

Francamentemi pareva una cosa insensata e pazza starsene seduti sullenatiche per tutto un giorno e metà della notte

in una camera gelidae con un pezzo di legno sulla testa.

«In nome del cieloQueequegalzati e datti una scrollata. Alzati e mangiaqualcosa. Morirai di fame. Ti

ammazzeraiQueequeg.» Ma non rispondeva una parola.

Allora mi persuasi che era inutilee decisi di andare a letto a dormire:certo non poteva tardare molto a venirmi

dietro. Ma prima di mettermi sotto presi la mia giubba pesante e glielabuttai sulle spalleperché si profilava una notte

glacialee addosso non aveva altro che la casacca ordinaria. Per un pocoper quanti sforzi facessinon mi riuscì

neanche di appisolarmi. Avevo spento la candela: e il semplice pensiero diQueequeg che stava a meno di quattro metri

seduto in quella posizione scomodatutto solo nel freddo e nel buio mi davaproprio il malessere. Pensatedormire tutta

una notte nella stessa camera con un pagano completamente sveglioche siedesul deretano nel suo triste

incomprensibile Ramadan.

Ma bene o male infine caddi assopito e non pensai più a niente finoall'albaquandospingendo l'occhio oltre la

spondalo rivedo lì accovacciatocome fosse avvitato al pavimento. Maappena il primo raggio di sole entrò dalla

finestra balzò in piedicon le giunture irrigidite e scricchiolanti ma conun bel sorriso in faccia; mi si avvicinò

zoppicandomi dette una sfregatina di frontee disse che il Ramadan erafinito.

Oracome ho già asseritonon ho niente da dire contro la religione dinessunoqualunque siafintanto che

questa persona non si metta ad ammazzare e insultare nessun altro perchéquest'altro individuo non ci crede pure lui. Ma

quando la religione di un uomo diviene pazzia autenticaquando si trasformain vera e propria torturae insomma rende

questa terra nostra una scomodissima locandaallora mi pare proprio ilmomento di pigliare a parte quell'individuo e

farsi una piccola discussione.

E proprio così feci ora con Queequeg. «Queequeg» dico«vieni qua oramettiti a lettostenditi e sta' a

sentire.» Poi attaccaicominciando dal sorgere e sviluppo delle religioniprimitivee via via scendendo fino alle varie

religioni del giorno d'oggie sforzandomi per tutto il tempo di farglicapire che tutte queste quaresimetutti questi

ramadan e questi prolungati accosciamenti in camere squallide e fredde eranovere stupidagginidannosi alla salute

inutili all'animae insomma contrari alle ovvie leggi dell'igiene e del buonsenso. Gli dissi inoltreche essendo lui in

altre cose un selvaggio così intelligente e sennatomi spiacevamispiaceva molto trovarlo ora così deplorevole e

dissennato a proposito di questo suo ridicolo Ramadan. Per giuntaragionaiil digiuno fiacca il corpo; quindi anche lo

spirito cede; e tutti i pensieri nati da un digiuno saranno necessariamentepensieri di magro. Questa è la ragione per cui

molti bigotti dispeptici hanno idee così malinconiche sulla vita futura.«InsommaQueequeg» dico in modo un po'

digressivo«l'inferno è un'idea nata in origine dall'indigestione di unpasticcio di mele; e perpetuata da allora per via

delle dispepsie ereditarie causate dai Ramadan.»

Poi gli domandai se non aveva mai sofferto di cattiva digestioneporgendol'idea in maniera assai chiarain

modo che potesse afferrarla. Disse di no; solo in un caso memorabile. Fu dopoun gran festinodato dal re padre suo per

avere vinto una grossa battagliaquando cinquanta nemici erano statiammazzati verso le due del pomeriggioe bolliti e

mangiati tutti la sera stessa.

«BastaQueequeg» dissi rabbrividendo«non voglio sapere altro.»Immaginavo il resto senza bisogno di altri

cenni. Avevo incontrato un marinaio che era capitato proprio su quell'isolae mi aveva detto che vinta una grossa

battaglia usavano arrostire tutti i morti ammazzati nel cortile o giardinodel vincitore; poiuno a unoli disponevano su

grossi taglieri di legnoli guarnivano torno torno come risotti pilaf dinoci di cocco e frutta dell'albero del paneun po'

di prezzemolo in boccae via con gli auguri del vincitore a tutti i suoiamiciesattamente come se quei regali fossero

tanti tacchini di Natale..40

Tutto sommato non credo che i miei pensieri sulla religione fecero moltoeffetto su Queequeg. Anzitutto

perché pareva un po' duro d'orecchio su questo importante argomentose nonveniva considerato dal suo punto di vista.

In secondo luogo non riuscì ad afferrare più di un terzo di quello chedicevoper quanto lo porgessi con semplicità. E

finalmentesulla vera religionepensava senza dubbio di saperne un saccopiù di me. Mi guardava con un misto di

premuracondiscendenza e pietàcome stesse pensando che era un veropeccato che un giovanotto così intelligente

dovesse andare tanto irremissibilmente perduto per l'evangelica pietà deipagani.

Finalmente ci alzammoci vestimmoe dopo che Queequeg ebbe divorato unacolazione mostruosa di zuppe di

ogni generein modo che la padrona non dovesse guadagnarci troppo per ilRamadanuscimmo per imbarcarci sul

Pequodsenza frettapulendoci i denti con lische di passera.

XVIII • LA SUA FIRMA

Mentre camminavamo verso l'estremità del molo dov'era la naveio e Queequegcol suo ramponeil capitano

Peleg ci chiamò dal capanno con la sua voce sgraziataper dirci che nons'aspettava che il mio amico fosse un

cannibale. Poi dichiarò che non voleva cannibali a bordo se prima non glimostravano le carte.

«Che significacapitano Peleg?» dissi salendo a bordo con un salto elasciando il mio compagno sulla

banchina.

«Significa» rispose«che deve mostrarmi i documenti.»

«Sicuro» disse il capitano Bildad con la sua voce cavernosacacciandofuori la testa dal capanno dietro a

quella di Peleg. «Deve dimostrare che è convertito. Figlio delle tenebre»aggiunse rivolgendosi a Queequeg«sei in

comunione con qualche chiesa cristianaal presente?»

«Sicuro» dico io. «è membro della Prima Chiesa Congregazionale.» Siadetto qui che molti selvaggi tatuati

imbarcati su navi di Nantucketfinivano per aggregarsi a qualche chiesa.

«La Prima Chiesa Congregazionale!» gridò Bildad«qualequella che siriunisce all'oratorio del diacono

Deuteronomy Coleman?» Così dicendo si levò gli occhialili strofinò colsuo gran fazzoletto di cotone a colorie

rimettendoli con molta cura uscì dal capannosi appoggiò tutto stecchitoal parapetto e squadrò Queequeg a lungo.

«E da quando sta con loro?» domandò poivoltandosi dalla mia parte. «Nonda moltodireig iovanotto.»

«No» disse Peleg«e neanche direi che è stato battezzato bene. Se no ilsacramento gli avrebbe lavato dalla

faccia un po' di quel blu del demonio.»

«Dimmi un po'!» urlò Bildad. «È questo filisteo un membro regolare dellachiesa del diacono Deuteronomy?

Non l'ho mai visto entrarci; e dire che ci passo ogni santo giorno.»

«Io non so proprio niente di questo diacono e delle sue riunioni»rispondo. «Tutto quello che so è che

Queequeg qui presenteè nato membro della Prima Chiesa Congregazionale.Anzi lui stessoQueequegè già diacono.»

«Giovanotto» disse Bildad severamente«mi stai prendendo in giro.Spiegati tugiovane Ittita. Qual è questa

chiesa? Rispondi.»

Trovandomi alle stretterisposi così: «Signoremi riferivo a quellavecchia Chiesa Cattolica a cui

apparteniamovoiioil capitano Peleg quassù e Queequeg laggiùe tuttiquanti noi e ogni figlio di donna e ogni anima

vivala grande e sempiterna prima congrega di tutto questo mondo di Dio. Adessa apparteniamo tuttianche se

qualcuno di noi coltiva qualche ghiribizzo che però non tocca affatto lafede generale. E in questa ultima ci diamo tutti

la mano.»

«Ci impiombiamovuoi direci impiombiamo la mano!» strillò Pelegavvicinandosi. «Giovanottofaresti

meglio a imbarcarti come missionario invece che come marinaio semplice. Nonho mai sentito un sermone più bello. E

il diacono Deuteronomy... ma che diconeanche padre Mappleche qualcosavaleti può battere. Vieni suvienilascia

perdere le carte. Aspettadi' a Quohog làcom'è che si chiama? Di' aQuohog di venire sù. Corpo di un'ancoraquello sì

che è un rampone. Roba finadireie sa anche tenerlo in mano. Dico a teQuohogo come ti chiamisei mai stato in

punta a una lancia? Hai mai colpito un pesce?»

Con quel suo fare da selvaggiosenza dire parolaQueequeg saltò sullamurata e da lì sulla prua d'una lancia

che pendeva alla banda. Poi puntò il ginocchio sinistrobilanciò ilramponee urlò qualche cosa che poteva significare:

«Capitanovedere piccola goccia catrame laggiù su acquavedere? Benepensare lei occhio di balenavia!» E

prendendo la mira in un attimo scagliò il ferro proprio sul cappellaccio diBildaddritto attraverso la coperta. La

macchia brillante di catrame sparì.

«Ora» disse Queequeg ritirando tranquillamente la lenza«supponiamo leiocchio di balena. Ebbenequella

balena morta.»

«Fai prestoBildad» disse Peleg al socioche atterrito dal passaggiovelocissimo di quel rampone volante si

era ritirato verso la cabina«Bildaddico a tefai prestova' a prendereun contratto. Dobbiamo mettere questo

HedgehogQuohog voglio direin una delle lance. SentiQuohogti diamo lanovantesima parteed è più di quanto

abbiamo dato finora a qualsiasi ramponiere di Nantucket.»

Così andammo giù in cabinae con mia grande gioia Queequeg venne arruolatonella ciurma della mia stessa

nave..41

Esauriti i preliminarie quando Peleg ebbe preparato tutto per la firmasirivolse a me: «Penso che Quohog qui

non sa scriveremi sbaglio? Dico a teQuohogti prenda un colpo! Firmi coltuo nome o fai un segno?»

Ma a questa domanda Queequegche già due o tre volte aveva preso parte asimili cerimonienon parve

imbarazzato affatto. Prese la penna che gli offrivano e copiò sulla cartaal posto giustoil duplicato esatto di una buffa

figura rotonda che aveva tatuata sul braccio; sicchéper via dell'erroreostinato del capitano Peleg riguardo al suo

appellativoil risultato fu più o meno questo:

Quohog

il suo † segno.

Intanto il capitano Bildad sedeva fissando Queequeg con occhio fermo eseveroe alla fine alzandosi

solennemente e frugando nelle immense tasche del suo dimesso cappotto alarghe faldecavò un fascio di opuscolie

scegliendone uno intitolato «Arriva l'Ultimo Giornoo Non c'è Temp o daPerdere» lo mise in mano a Queequege poi

afferrando opuscolo e mani con tutt'e due le suelo fissò intensamentenegli occhi e disse: «Figlio della tenebradebbo

fare teco il mio dovere; sono comproprietario di questa navee mi sentoresponsabile per le anime di tutto l'equipaggio;

se ancora sei attaccato alle tue abitudini paganeil che temo moltotiscongiuronon restare per sempre uno schiavo di

Belial. Scaccia l'idolo Bell e il dragone schifosofuggi l'ira che verràaprili gli occhiaprilioh! misericordia divina!

manovra al largo dal precipizio!»

Un po' di sale marino restava ancora appiccicato al linguaggio del vecchioBildad; e frasi bibliche e caserecce

vi erano mescolate a casaccio.

«Basta oraBildadbastabasta di rovinare il nostro ramponiere» gridòPeleg. «I ramponieri devoti non sono

mai stati buoni cacciatori: gli toglie di dentro il pescecanee unramponiere non vale un soldo se non è un po'

pescecane. Quel giovanottoNat Swaineper esempiouna volta era il piùbravo capobarca di Nantucket e del Vigneto;

entrò nella congrega e non fece più niente di buono. Gli venne un talepanico per la sua anima fetenteche davanti alle

balene rinculava e svicolavaper paura di sorprese nel caso lo sfondassero espedissero a Davy Jones.»

«Peleg! Peleg!» disse Bildad alzando occhi e mani«tu stesso come iostesso hai visto molti pericoli; tu lo sai

Pelegche vuol dire avere la paura della morte; com'è che puoi sproloquiarein questo modo così empio. Tu smentisci il

tuo stesso cuorePeleg. Ma dimmiquando questo Pequod qui perse tutti e tregli alberi in quel tifone lungo le coste

giapponesiquella volta che eri secondo con Achabnon hai pensato allaMorte e al Giudizio in quei momenti?»

«Ma sentitelosentitelo!» gridò Peleg marciando per la cabina e cacciandole mani fino al fondo delle tasche.

«Sentitelo tutti. Ma pensate! Quando ci pareva di affondare da un momentoall'altro! La Morte e il Giudizioin quei

momenti? Davveroeh? Con tutti e tre gli alberi che facevano un fracassod'inferno contro la fiancatae ogni colpo di

mare che ci inondava da prua a poppa. La Morte e il Giudizio? No! Non c'eratempo di pensare alla morte in quei

momenti. Alla vita pensavamoil capitano e ioe a come salvare tuttiquantia come alzare alberi di fortunaa come

arrivare al porto più vicino: a questo stavo pensando.»

Bildad non disse altro. Si abbottonò il gabbano e uscì in coperta a granpassi. E noi dietro. S'era piantato lì a

sorvegliare zitto zitto certi velai che stavano ricucendo una gabbia alcentro del ponte. Ogni tanto si chinava a raccattare

un pezzo di tela o a ricuperare una cima di spago incatramatoche se nopoteva andare sprecata.

XIX • IL PROFETA

«Compagnivi siete imbarcati su quello?»

Queequeg e io avevamo appena lasciato il Pequod e ci allontanavamo dall'acquacon comodociascuno preso

momentaneamente dai suoi pensieriquando quelle parole ci furono rivolte dauno sconosciutoche ci si era fermato

davantie col grosso indice additava il bastimento in questione. Vestiva dastraccionecon la giubba scoloritai calzoni

rappezzatie uno sbrindello nero attorno al collo. Un vaiolo fitto gli eracolato sulla faccia in tutte le direzionie l'aveva

scanalata come il torturato letto di un torrente quando le acque impetuose sisono asciugate.

«Vi siete imbarcati lì?» disse di nuovo.

«Volete dire il Pequodsuppongo» risposi cercando di guadagnar tempo perpotergli dare un'occhiata comoda.

«Sicuroil Pequod: quello lì»e tirando indietro tutto quanto il bracciolo ricacciò avanti di colpocol dito

puntato e rigido come una baionetta in pieno sul bersaglio.

«Sìabbiamo appena firmato.»

«E non diceva nienteil contrattodell'anima vostra?»

«Di che cosa?»

«Ahforse neanche ce l'avete» disse l'uomo rapidamente. «Ma niente distranone conosco di tipi senza:

buona fortuna a loro. E stanno anche meglio. L'anima è come la quinta ruotaper un carro.»

«Ma che diavolo diciamico?»

«Quello lì comunquene ha abbastanza per compensare ogni scarsezza delgenere» disse lo sconosciuto con

irruenzacalando nervosamente sulle due prime parole..42

«Queequegandiamocene» dico«questo qui è scappato chissà da dove.Parla di cose e di gente che non

conosciamo.»

«Un momento!» gridò lo sconosciuto. «Avete ragione voi. Ancora nonl'avete visto il Tuonacciovero?»

«Chi è il Tuonaccio?» dissi. Ero di nuovo inchiodato da quella suaviolenza allucinata.

«Il capitano Achab.»

«Il capitano della nostra naveil Pequod?»

«Appunto. Tra noi vecchiqualcuno lo chiama così. Non lo avete ancoravistono?»

«Nonon lo abbiamo visto. Dicono che è malatoma ora sta meglioe traqualche giorno sarà guarito.»

«Guarito lui?» E fece una gran risata di scherno. «Credete a me: quando ilcapitano Achab sarà guaritoquesto

braccio sinistro diventerà il mio braccio destro. Non prima.»

«Ma che ne sapete di lui?»

«E a voi che hanno detto di lui? Rispondetemi.»

«Non ci hanno detto gran che. So solamente che è un buon cacciatore e unbuon capitano per l'equipaggio.»

«È veroè vero; l'uno e l'altro. Non è sbagliato. Ma quando dà unordinebisogna fare salti. Un saltoe un

ringhio. Un ringhioe via di corsa: questa è la legge di Achab. Ma non vihanno detto niente su cosa gli successe al

largo di Capo Hornmolto tempo faquando restò come morto per tre giorni etre notti? E della zuffa tremenda con lo

spagnolo davanti a un altare a Santadi questo non vi hanno detto niente?Non v'han detto niente di quando sputò in una

coppa d'argento? E neanche della gamba che perse nell'ultimo viaggiosecondola profezia? Di queste e altre cose non

avete sentito una parolavero? Nonon credo. Com'era possibile? Chi ne saniente? Tutta Nantucket no di certo. Però

forse avete sentito parlare della gamba e di come la perse. Eh? Questol'avete sentitoci scommetto. Ma sicuroquesto

lo sanno quasi tutti; sannovoglio direche ha una gamba sola. E che unospermaceti gli portò via l'altra.»

«Amico» dissi«a che cosa volete arrivare con tutte queste chiacchierenon lo soe neanche me ne importa

molto; perché mi pare che avete qualche danno in testa. Ma se state parlandodel capitano Achab di quella nave lìil

Pequodallora vi posso dire che so tutto sulla gamba e su come la perse.»

«Tuttoeh? Ne siete sicuro? Tutto quanto?»

«Ne sono sicuro.»

Col dito puntato e l'occhio fisso sul Pequodquella specie di accattones'impietrò un momentocome in un

tormentato sogno a occhi aperti; poi trasalì appenasi voltò e disse: «Visiete ingaggiatino? Nero su bianco? Ebbene

quello che è firmato è firmatoe quello che dev'essere sarà; del restoforsedopo tutto non succederà niente. Comunque

è già tutto fissato e dispostoe qualcuno deve pure andarci con luipenso. Tanto valgono questi come altriDio ne abbia

misericordia! Buongiorno a voicomp agnibuongiorno; il cielo ineffabile vibenedica; mi dispiace di avervi trattenuti.»

«Senti quiamico» ribatto«se hai qualcosa d'importante da dircifuorila notizia. Ma se stai solo cercando di

gabbarcihai sbagliato gioco. E questo è tutto.»

«Molto ben dettomi piace sentir parlare così. Siete proprio l'uomo checerca luivoi e quelli come voi.

Buongiorno a voicompagnibuongiorno! Ohquando siete lìdite che hodeciso di non essere nel mazzo.»

«Eh noamicoin questo modo non c'imbrogli! No di sicuro. È troppo faciledarsi l'aria di avere chissà che

segreto.»

«Salute a voicompagnie buongiorno!.»

«Giorno è di sicuro» ribatto. «MuoviamociQueequeglasciamolo perderequesto pazzo. Un momento. Mi

vuoi dire come ti chiami?»

«Elia.»

Elia! pensai; e ce ne andammo facendo i nostri commenticiascuno a modo suosu quel vecchio marinaio a

brindelli. E decidemmo che era solo uno spaccone che voleva fare lospauracchio. Ma non s'era andati più di cento

jardea occhio e crocequando svoltammo all'angolo e nel voltarmi indietrochi vedoElia che ci veniva appressosia

pure a distanza. Non so perchérivederlo mi sconcertòtanto che non dissiniente a Queequegma tirai avanti col mio

amicoimpaziente di vedere se quello svoltava allo stesso angolo. Svoltòdifatti. Allora mi persuasi che ci stava

pedinandoma a quale scopo non riuscivo assolutamente a capirlo. E oraquesto fattoassieme a quella sua chiacchierata

equivocacamuffataun po' accenni e un po' fatti precisicominciò a farminascere in mente ogni specie di vaghe

supposizioni e mezze pauretutte riguardo al Pequodal capitano Achaballagamba persaall'accesso che aveva avuto

al Capo Hornalla coppa d'argentoe poi a quello che il capitano Pelegaveva detto di lui mentre lasciavo il bastimento

il giorno primae alla profezia dell'indiana Tistig e al viaggio per cui cieravamo impegnati e a cento altre cose poco

chiare.

Ero deciso a scoprire con certezza se quel pidocchioso di Elia ci stava o nopedinandoperciò traversai con

Queequeg la strada e tornammo indietro sull'altro lato. Ma Elia tirò avantisenza dare segno di vederci. Questo mi

tranquillizzò. E ancora una voltae a mio avviso per semprelo giudicai incuor mio uno spaccone.

XX • TUTTI AFFACCENDATI

Passarono un giorno o duee c'era un gran da fare a bordo del Pequod. Nonsolo si riparavano le vele vecchie

ma ne arrivavano di nuovee pezze di telae rotoli di cordame: insommatutto indicava che i preparativi del viaggio.43

erano sul punto di finire. Il capitano Peleg non scendeva a terra quasi mai:stava piazzato nel capanno indiano tenendo i

marinai sotto il suo occhio di falco. Bildad faceva tutte le compere eprovvigioni ai magazzini. E gli uomini assegnati

alla stiva o all'alberatura lavoravano fino a tarda notte.

Il giorno dopo che Queequeg firmò il contrattofu passata voce a tutte lelocande dove alloggiava la ciurma che

i bauli dovevano trovarsi a bordo prima di seradato che il bastimentopoteva salpare da un momento all'altro. Perciò

Queequeg e io portammo giù la robama decidendo di dormire a terra finoall'ultimo. Sembra d'altra parte che in questi

casi danno sempre un preavviso lunghissimo. La nave non si mosse per parecchigiorni. E non c'è da meravigliarsi: c'era

un mucchio di cose da faree un mucchio incalcolabile di cose da pensareprima che il Pequod fosse equipaggiato a

dovere.

Si sa quante infinite cose sono indispensabili a chi tiene casa: lettipentolecoltelli e forchettepale e molle

tovagliolischiaccianoci e via di questo passo. Lo stesso preciso per unviaggio a baleneche significa tenere casa aperta

per tre anni in pieno oceanolontano da droghierefruttivendolodottorepanettiere e banchiere. Questo è senz'altro

vero anche per i mercantilima assolutamente non allo stesso grado dellebaleniere. Perchéa parte la lunga durata di un

viaggio a caccia di balenee i molti oggetti che servono alla pesca e non sipossono sostituire nei porti lontani che di

solito si toccanobisogna ricordarsi che tra tutte le navi le baleniere sonole più esposte a incidenti di ogni genere

specie alla distruzione e perdita proprio di quelle cose su cui sopratutto sifonda la riuscita del viaggio. Quindi lance di

scortapennoni di scortalenze e ramponi di scorta e quasi ogni cosa discorta tranne un capitano di ricambio e un

duplicato di nave.

Quando noi due eravamo arrivati all'isolasul Pequod lo stivaggio piùpesante era quasi terminato: compresi

panecarneacquacombustibilee cerchi e doghe di ferro. Ma come dicevoper un po' continuarono a procurare e

portare a bordo un mucchio di varia altra roba grossa e piccola.

Tra quelli che facevano quest'andirivieni spiccava la sorella del capitanoBildaduna vecchietta sparutadi

spirito infaticabile e straordinariamente decisoma anche di molto buoncuore. Per quanto dipendeva da leipareva

risoluta a che niente dovesse mancare sul Pequod una volta al largo. Arrivavaa bordo ora con una giara di sottaceti per

il cambusiereora con un fascio di penne d'oca per la scrivania del primoufficialedove costui teneva il giornale di

bordoe ora con un rotolo di flanella per le reni di qualche reumatico. Mainessuna donna meritò meglio il suo nome

che era Carità: Zia Caritàcome la chiamavano tutti. E come una suora dicarità questa caritatevole zia Carità si

affaccendava a destra e a mancapronta a voltare la mano e il cuore a ognicosa che promettesse di procurare sicurezza

comodità e consolazione a tutti quelli d'una nave in cui era interessato ilsuo amato fratello Bildade nella quale aveva

investito lei stessa un paio di ventine di dollari dai suoi attenti risparmi.

Peròc'era da restare a bocca aperta a vedere questa quacquera dal cuored'oro arrivare a bordocome fece

l'ultimo giornocon un lungo mestolo da olio in una manoe nell'altra unalancia da balene ancora più lunga. E neanche

Bildad stesso e nemmeno Peleg restavano indietro. Quanto a Bildadsi portavaaddosso una lunga lista di articoli che

mancavanoe ad ogni nuovo arrivo scaricava un segno sul foglio a frontedell'articolo. Pelegogni tantostrisciava fuori

dalla sua tana d'osso di balenae sbraitava agli uomini giù pei boccaportisbraitava a quelli che attrezzavano in testa

all'alberoe infine tornava sbraitando nel capanno.

Durante questi giorni di preparativi Queequeg e io visitammo spesso ilbastimentoe ogni volta domandavo

notizie del capitano Achabcome stava e quando veniva a bordo della suanave. A queste domande rispondevano che

migliorava sempreche lo aspettavano a bordo di giorno in giornoe cheintanto i due capitaniPeleg e Bildad

badavano loro a quanto era necessario per preparare la nave al viaggio. Fossistato proprio sincero con me stessoavrei

letto assai chiaramente nel cuore mio che mi piaceva poco venire spedito inquesta maniera per un viaggio così lungo

senza posare gli occhi nemmeno una volta sull'uomo che appena usciti al largodoveva diventaredi questo viaggioil

dittatore assoluto. Ma qualche volta succede che quando uno annusa qualcosache non vase già si è impegolato nella

faccendasi sforza senza rendersi conto di nascondere i sospetti perfino ase stesso. A mepiù o menosuccedeva

questo. Non dissi niente e cercai di non pensarci.

Finalmente annunziarono che il giorno dopoa un'ora imprecisatail legnoavrebbe salpato sicuramente. Così

l'indomani mattinaQueequeg e io ci muovemmo prestissimo.

XXI • CI S'IMBARCA

Erano quasi le sei ma l'alba appariva a stentogrigianebbiosaquando ciavvicinammo al molo.

«Qualcuno corre lì avantise vedo bene» dissi a Queequeg«ombre nonpossono essere; si vede che parte

proprio al levare del sole: muoviamoci!»

«Fermi là!» gridò una vocee nello stesso tempo il suo proprietario cispuntò dietro e posò una mano sulla

spalla a ciascuno di noi. Poi cacciandosi in mezzo stette un po' curvo inavantinel crepuscolo incertocome un matto

strizzando gli occhi tra me e Queequeg. Era Elia.

«Si va a bordo?»

«Mani a postoprego» dissi.

«Senti» disse Queequeg scrollandosi«va' via.»

«Allora non v'imbarcate?».44

«Sicuro» dico«ma a voi che importa? Signor Eliasapete che viconsidero piuttosto insolente?»

«Nonononon me ne rendevo conto» disse Eliae continuava a guardareora me ora Queequeg in un modo

lentopensierosoassolutamente incomprensibile.

«Elia» dico«fate un favore a me e all'amico mio: andatevene. Siamo inpartenza per l'oceano Indiano e per

l'oceano Pacifico. Non abbiamo tempo da perdere.»

«Davveroeh? Tornate prima di colazione?»

«È pazzoQueequeg» dico«muoviamoci.»

«Olà!» gridò Elia da fermoquando ebbimo fatto qualche passo.

«Non dargli rettaQueequeg. Andiamo.»

Ma quello ci tornò dietro piano pianoe battendomi di colpo la mano sullaspalla: «Avete visto niente che

sembrasse uomini che andavano verso la navepoco fa?»

Io gli risposicolpito da quella domanda chiara e precisa: «Sìmi èparso di vedere quattro o cinque uomini.

Ma era troppo scuro per essere certi.

«Molto scuromolto scuro» disse Elia«buongiorno.»

Lo lasciammo di nuovo; ma ci venne dietro in silenzio ancora una voltaetoccandomi di nuovo la spalla:

«Provate a ritrovarli adessose volete.»

«Ritrovare chi?»

«Buongiorno a voibuongiorno!» risposee tornò a scostarsi. «Oh! Volevomettervi in guardiama lasciamo

perderelasciamo perdere: è tutto lo stessotutto in famiglia per giunta.Freddo cane stamattinano? Statevi bene. Non

ci rivedremo molto prestosuppongo. Tranne che non vi veda davanti al GranGiurì.» E con queste parole squilibrate se

ne andò definitivamentelasciandomi lì per lì sbalordito perquell'impudenza da manicomio.

Infinequando mettemmo piede sul Pequodtrovammo tutto in profondosilenzio: non un'anima in giro. La

porta della cabina era serrata di dentroi boccaporti chiusi e ingombri dirotoli di sartiame. Andando avanti al castello di

prua trovammo aperto il piano scorrevole della botola. Vedendo luce dentroscendemmoe vi trovammo solo un

vecchio attrezzatore avvolto in un giaccotto lacero. Era buttato per lungo sudue cassea faccia in sottonascosta fra le

braccia incrociate. Era nel più profondo del sonno.

«Queequeg dove si saranno cacciati quei marinai che abbiamo visto?» dissiguardando incerto l'uomo che

dormiva. Ma sul molopareQueequeg non si era accorto di niente; e perciòpensai quasi di avere avuto qualche

illusione otticama c'era la domanda di Eliache allora non si spiegavapiù. Mi tolsi tutto di mente; e guardando di

nuovo quello che dormivasuggerii a Queequegper ridereche forse eranostro dovere di vegliare quel morto.

Prendessequindila posizione adatta. Queequeg posò la mano sul sederedell'addormentatocome per sentire se era

abbastanza mollee poi senza altre storie ci si sedette sopra tranquillo.

«Queequeg» dico«per l'anima! Non sedere lì sopra.»

«Ohsedile molto buono» dice Queequeg«modo paese mionon danneggiarefaccia.»

«Faccia! Lo chiami faccia? Allora ha proprio un'aria benevola. Ma comerespira forte! Fa sforzi per alzarsi.

ToglitiQueequegsei pesante; gli pesti la faccia a quel disgraziato.Queequeglevatiguarda che ti butta per terra. È

strano che non si sveglia.»

Queequeg si mise appena più in là della testa di quello che dormivaeaccese la sua pipa da guerra. Io sedetti ai

piedi. Continuammo a passarci la pipa dall'uno all'altrosul corpodell'addormentato. Intanto gli facevo domande in quel

suo modo smozzicatoe Queequeg mi diede a capire che al suo paesea causadella mancanza di ogni genere di sofà o

divanii rei capi e i pezzi grossi in genere avevano l'abitudine di tenereall'ingrasso come ottomana qualcuno delle

classi più umili. Sicchéper ammobiliare bene la casa da quel punto divistabastava solo comprare otto o nove poltroni

e distribuirli attorno fra le porte e nelle alcove. La soluzioneinoltreera molto conveniente per una scampagnatamolto

più conveniente di quelle sedie da giardino che si trasformano in bastoni dapasseggio. All'occasioneun capo chiamava

il servo e lo pregava di far divano di sé all'ombra di un alberoo magariin qualche pantano.

Queequegmentre raccontava queste coseogni volta che riceveva da me lapipa mannaiane faceva roteare

quest'ultima faccia sulla testa di quello che dormiva.

«Perché fai cosìQueequeg?»

«Molto facile ammazzareohmolto facile!»

E stava per passare a qualche reminiscenza brutale a proposito dellapipa-accettache pareva avesse in ambo le

sue accezioni spaccato crani ai suoi nemici e lenito a lui l'animoquandofummo costretti a interessarci direttamente

all'attrezzatore che dormiva. Il fumo acre che ormai riempiva quasicompletamente quella ristretta buca cominciava a

fargli effetto. Respirava come avesse un bavaglioparve avere noie al nasosi rivoltò una o due voltepoi si alzò a

sedere e si strofinò gli occhi.

«Ohé!» esalò finalmente«chi sietepipaioli?»

«Dell'equipaggio» dissi«quando si parte?»

«Giàgià. Partite con questavero? Salpa oggi. Il capitano è salitoieri notte.»

«Che Capitano? Achab?»

«Sicuro. Chi altro?»

Stavo per fargli qualche altra domanda su Achab quando sentimmo rumore incoperta.

«Oibò! Starbuck si muove» disse l'attrezzatore«è un primo in gambaquello. Brav'uomoe uomo di chiesa.

Ma ora muoviamoci: all'opera!» Così dicendo salì sul pontee noidietro..45

Ormai era mattino chiaro. Presto la ciurma arrivòa duea tre. Gliattrezzatori si misero al lavoro. Gli ufficiali

si fecero in quattroe parecchi di quelli di terra si diedero da fare perportare a bordo varie ultime cose. E intanto il

capitano Achab restava invisibilerinchiuso nella cabina.

XXII • NATALE ALLEGRO

Finalmenteverso mezzogiornofurono licenziati gli attrezzatoriil Pequodvenne scostato a rimorchio dal

moloe la zia Caritàsempre premurosavenne in una lancia coi suoi ultimiregali: una berretta da notte per il secondo

ufficiale Stubbche era suo cognatoe una Bibbia di riserva per ildispensiere. Dopo di che i due capitaniPeleg e

Bildaduscirono di cabinae rivolgendosi al primo ufficialePeleg disse:

«Allorasignor Starbucksiete sicuro che tutto è in regola? Il capitanoAchab è prontogli ho parlato ora.

Nient'altro da terraeh? Benetutti in coperta allora. Radunateli qui apoppaper l'animaccia loro!»

«Non c'è bisogno di bestemmiarePeleganche se c'è molta fretta» disseBildad«ma sbrigatiamico Starbuck

fa' come ti abbia mo detto.»

Strano. Stavamo per partiree Bildad e Peleg spadroneggiavano sul casseroché pareva dovessero comandare

assieme sul mare esattamente come s'era visto che facevano in porto. E inquanto al capitano Achab ancora non dava

segno di vita; solo avevano detto che era nella cabina. Peròfatto stavache la sua presenza non era necessaria per niente

a. far salpare la nave e pilotarla in mare aperto. Questoin realtànonera affare suo ma del pilota; e inoltre dicevano che

il capitano non si era ancora ristabilito completamente: per questo restavasotto coperta. E tutto ciò in fondo era

abbastanza naturale. Anzi nel servizio mercantile parecchi capitani non sifanno mai vedere in coperta fino a parecchio

tempo dopo che si è levata l'ancora; stanno a tavola in cabinaper ilbanchetto di addio con gli amici di terraprima che

questi se ne vadano con il pilota.

Comunque mancava il tempo da dedicare al problemaperché ora il capitanoPeleg era tutto argento vivo.

Quanto a chiacchiere e ordini faceva quasi tutto luie non Bildad.

«Tutti a poppafigli di scapoli» gridava mentre i marinai tardavanovicino all'albero maestro. «Signor

Starbuckspingeteli a poppa.»

«Abbattete la tenda!» ordinò poi. Il tendone di osso di balenaho dettonon veniva mai drizzato che in portoe

da trent'annia bordo del Pequodera risaputo che l'ordine di abbattere latenda veniva subito prima quello di tirare su

l'ancora.

«Pronti all'argano! Sangue d'un baleno! Presto!» fu il comando seguente; el'equipaggio si precip itò alle

stanghe.

Oranel salpareil posto che di solito occupa il pilota è la parteprodiera. E lì Bildadche bisogna sapere era

assieme a Pelegoltre a tante altre coseanche uno dei piloti patentati delporto (e si pensava che si fosse fatto fare

pilota per sparagnare il pilotaggio di Nantucket a tutte le navi di cui eraazionistaperché non pilotava mai altri

bastimenti)Bildaddicoappariva ora tutto indaffarato a guardare giù daprua se spuntava l'ancorae a cantare ciò che

pareva la strofa lugubre di un salmo per rallegrare gli uomini all'arganoche invecee con gran passionesi erano messi

a ruggire una specie di coro sulle puttane di Booble Alley. E dire cheneanche tre giorni prima Bildad li aveva avvisati

che nessun canto profano era permesso a bordo del Pequodsopratutto allapartenza; e Carità sua sorella aveva messo

una piccola e pregevole copia di Watts nella cuccetta di ogni marinaio.

Intanto il capitano Pelegche sorvegliava l'altro settorescuoiava santi apoppa nel modo più spaventoso. Quasi

pensavo che voleva mandare a picco la nave prima che l'ancora venisse su;involontariamente mi fermai sulla stangae

dissi di fermarsi a Queequegpensando ai pericoli che tutti e due correvamoa cominciare il viaggio con un simile

diavolo per pilota. Ma mi confortava il pensiero che il pio Bildad potevaoffrire qualche speranza di salvezza

nonostante la sua settecentosettantasettesima partequando di colpo accusaiun forte spintone nel sederee girandomi

restai terrorizzato a vedere Peleg che ritraeva la gamba dalle mie immediatevicinanze. Questa fu la mia prima pedata.

«È così che issano l'ancora nel servizio mercantile?» sbraitò. «Scattacastronescatta e ròmpiti la schiena!

Perché non scattatedicotutti quantiscattate! ScattaQuohag! Basetterossescatta! Scattaberetta scozzese! Scatta

braghe verdi! Avantiscattate tuttivi schiattino gli occhi!» Cosìdicendo girava attorno all'argano usando qua e là la

gamba senza nessuna economiamentre Bildad continuava imperturbabile a dareil tempo col suo salmo. Pensaideve

aver bevuto parecchio oggi il capitano Peleg.

Finalmente tirammo su l'ancorale vele vennero spiegatee scivolammo fuori.Fu un cortofreddo Natale; e

quando la breve giornata nordica si mescolò nella notteci trovammo quasial largo su un oceano invernalei cui gelidi

spruzzi ci rivestivano di ghiaccio come di un'armatura lucente. Le lunghefila di denti sui parapetti luccicavano alla

lunae grandi ghiaccioli ricurvi pendevano dalla pruacome le bianche zanned'avorio di qualche mostruoso elefante.

Visto che faceva da pilotalo scheletrico Bildad comandava il primo quartodi guardia; e ogni tantocome il

vecchio bastimento tuffava forte di prua nelle acque verdi e s'irrorava tuttodi quei brividi di geloe i venti urlavano e il

cordame vibravasi sentivano le sue note ferme:

Dolci campi oltre il gonfio Giordano

sparsi di verde vivo. Così Cana.46

ai tempi antichi apparve a Israele.

E in mezzo rotolava la fiumana.

Mai quelle parole soavi erano suonate al mio orecchio più soavi di allora.Erano piene di speranza e di

esaudimento. Nonostante quella notte rigida d'inverno sull'Atlanticoinfuriatononostante i miei piedi fradici e la giubba

ancora più inzuppatac'erano sempreo almeno lo credevo alloramoltiporti ridenti da qualche partee prati e radure

dove la primavera era così eternache l'erba spuntata ad aprile vi duravafresca e intatta fino a metà dell'estate.

Poi fummo tanto al largo che non ci fu più bisogno dei piloti. La tozzabarca a vela che ci aveva accompagnati

cominciò ad accostarsi alla fiancata.

Fu stranoe certo non sgradevolevedere come Peleg e Bildad si commossero aquesto puntospecie il

capitano Bildad. Perché detestava di andarsene ancora; detestava proprio dilasciare un bastimento in partenza per un

viaggio così lungocosì pericolosoal di là di tutti e due i Capitempestosi; un bastimento in cui erano investite alcune

migliaia di quei suoi dollari guadagnati con tanta fatica; un bastimento sulquale partiva come capitano un vecchio

collegaun uomo che aveva quasi la sua etàe che se ne andava ancora unavolta ad affrontare tutti gli orrori di certe

mandibole senza misericordia. Detestava l'idea di dire addio a una cosa cheper lui traboccava tutta di affetti; e perciò

perse molto tempoil povero vecchio. Misurò con ansia la coperta; scese dicorsa in cabina a dirvi un'ultima parola di

addio; tornò in coperta e guardò sovravventoguardò verso infuoriall'acqua immensasenza confini se non i

lontanissimiinvisibili continenti dell'Est; guardò verso terraguardònell'ariaguardò a destra e a mancadappertutto e

in nessun posto. E alla finearrotolando meccanicamente un cavo sul suocavicchiocon un gesto convulso acchiappò

per mano il robusto Pelegalzò la lanternae per un momento gli piantògli occhi in faccia con aria eroicacome per

dire: «Ce la faccio comunqueamico. Ce la faccio.»

Quanto a luiPelegse l'era presa con più filosofia. Però malgrado lafilosofiaquando la lanterna s'avvicinò

troppouna lacrima gli luccicava nell'occhio. E anche lui trottò non pocofra ponte e cabinauna parola laggiù e una

quassù col primo ufficiale Starbuck.

Ma alla fine si rivolse al collega con una certa aria decisa: «CapitanoBildad. Avantivecchio miobisogna

andare. Volta il pennone di maestra! Ohla barca! Pronti ad accostare dibanda! Piano! Piano! Suvecchio miodici

l'ultima. Buona fortunaStarbuck. Buona fortunasignor Stubb. Buonafortunasignor Flask; addio e buona fortuna a

tutti voie fra tre anni come oggi ci sarà per voi una cena calda che fumaa Nantucket la vecchia. Salute e addio!»

«Dio vi benedica e vi tenga sotto la Sua santa protezioneragazzi»mormorò il vecchio Bildad quasi

balbettando. «Spero avrete bel tempo orache il capitano Achab si muovapresto fra di voi; un bel sole è tutto quello che

gli servee ne avrete da vendere nel viaggio ai tropici che fate. Stateattenti nella cacciaufficiali. Non sfondate barche

senza necessitàramponieri; il buon cedro bianco è salito del tre percento quest'anno. E non dimenticate le vostre

preghiere. Signor Starbuckattento al bottaio: non sprechi le doghe diriserva. Ohle aguglie sono nel cassone verde!

Non cacciate troppo nei giorni di domenicaragazzi; ma però non fateviscappare una buona occasioneche sarebbe

rifiutare la grazia di Dio. Occhio alla botte della melassasignor Stubb: mipare che perde un poco. Signor Flaskse

toccate le isoleattento a non fornicare. Addioaddio! Quel formaggiosignor Starbucknon tenetelo troppo nella stiva

che si rovina. E mi raccomando col burro! Venti centesimi alla libbra èstatoe attenti che...»

«Muoviamocimuoviamoci Bildad; basta con le chiacchierevia!» e gli detteuno spintone verso la bandae

tutti e due saltarono in barca.

Nave e barca si scostarono. La brezza notturnaumida e freddasoffiò dimezzoun gabbiano passò stridendo

e i due scafi rollarono paurosamente. Lanciammo tre urrà col cuore pesantee ci tuffammo alla ciecacome il destinoin

quell'Atlantico selvaggio.

XXIII • LA COSTA A SOTTOVENTO

Qualche capitolo addietro si è parlato di un certo Bulkingtonun marinaioaltoappena sbarcatoche

incontrammo a New Bedford nella locanda.

Quella notte gelida d'invernoquando il Pequod spinse la prua vendicatricenelle onde fredde e malignechi

mai dovevo vedere al timoneBulkington! Considerai con simpatiama constupore e paura riverenzialequest'uomo

che in pieno invernoappena tornato da un viaggio di quattr'anni cosìpericolosopoteva senza pace rimettersi in mare

per un altro ciclo di tempeste. La terra pareva bruciargli sotto i piedi. Lecose più degne di ammirazione sono quelle che

non si possono esprimerei ricordi indimenticabili non fanno scrivereepitaffi: queste quattro dita di capitolo sono la

tomba senza lapide di Bulkington. Dico solo questo: la sua sorte fu quella diuna nave sbattuta dalla tempestache vaga

miseramente lungo una costa a sottovento. Il porto le darebbe riparoilporto è misericordiosonel porto c'è salvezza

comoditàun focolareuna cenadelle coperte caldedegli amicituttociò che è gradito a noi poveri mortali. Ma in una

tempesta il portola terraè il pericolo più terribile per una nave. Essadeve fuggire ogni ospitalità; un solo contatto

della terraanche solo una carezza alla chigliala farebbe rabbrividire dacima a fondo. Con tutte le sue forzela nave

spiega ogni vela per scostarsi. E nel farlocombatte proprio contro queiventi che la vorrebbero spingere verso casava

cercando di nuovo tutta la mancanza di terra di quel mare infuriato. Si gettanel pericolo disperatamenteper amore di

un riparo. E il suo unico amico è il suo nemico più feroce..47

Tu lo capisciBulkington? Pare che tu veda qualche barlume di quella veritàinsopportabile agli uominiche

ogni pensiero profondo e serio non è che uno sforzo coraggioso dell'animaper tenersi la libertà aperta del suo mare;

mentre i venti più aspri del cielo e della terra cospirano per gettarlasulla costa insidiosa e servile.

Ma la verità più altasenza riveindicibile come Dioè soltantonell'assenza di terra: e allora meglio subissarsi

in quell'infinito ululìopiuttosto che essere sbattuti vergognosamente asottoventoanche se in questo è la salvezza.

Perchéa quel puntochi vorrebbe strisciare a terra come un verme? Davveroil terribile è senza fondo. Ed è possibile

che tutta questa agonia sia inutile? CoraggioBulkingtoncoraggio! Stringii dentisemidio. Dalle sferzate d'acqua della

tua morte nell'oceano si scaglia in altoa perpendicolola tuadeificazione.

XXIV • IL DIFENSORE

E ora che Queequeg e io ci siamo bell'e imbarcati in questo lavoro dibalenierie visto che oggigiorno questo

lavorotra la gente di terraè considerato in certo qual modoun'occupazione piuttosto impoetica e sconvenientemi

preme assai di convincere voivoi di terradel torto che in questa manierafate a noi cacciatori di balene.

In primo luogopuò sembrare quasi superfluo ribadire chein genereilmestiere del cacciatore di balene non

viene messo sullo stesso piano di quelle che si chiamano le professioniliberali. Se un estraneo fosse presentato in uno

qualunque dei circoli misti di una cittàe vi fosse presentatodiciamocome ramponiereciò aumenterebbe ben poco la

stima generale dei suoi meriti; e se volendo emulare gli ufficiali di marinaquel tale aggiungesse le iniziali P.d.C. (Pesca

dei Capodogli) sul biglietto da visitala sua condotta verrebbe giudicataquanto mai presuntuosa e ridicola.

Senza dubbiouno dei motivi principali per cui il mondo si rifiuta dirispettare noi balenieri è questo: la gente

crede chenel migliore dei casila nostra vocazione ci porta a un lavoro damacellaioe che quando ci diamo dentro sul

seriosiamo circondati da ogni genere di sporcizie. Macellai siamoquestoè innegabile. Però macellai sono stati puree

macellai della marca più sanguinariatutti i marziali condottieri che ilmondo senza eccezioni si gode di onorare. E

quanto alla questione della pretesa sporcizia del nostro mestieresaretepresto iniziati a certi fatti sinora ignorati quasi

del tuttoi quali nell'assieme piazzeranno trionfalmente la nave balenieraalmeno quella da capodoglitra le cose più

pulite di questo mondo senza macchia. Ma anche ammettendo che l'accusa inquestione sia giusta: quali ponti di

balenieraper quanto viscidi e confusionaripossono paragonarsi al carnaioinnominabile di quei campi di battagliada

cui tanti soldati tornano a ingerire gli applausi di tutte le signore? E seè l'idea del pericolo che rinforza tanto il concetto

che ha la gente della professione del soldatolasciatevi assicurare diquesto: parecchi di quei veterani che hanno

marciato spensierati contro un fortiliziofarebbero subito dietro-frontall'apparizione della gran coda del capodoglio

che sventaglia l'aria a mulinelli sulla loro testa. Perché le paurecomprensibili dell'uomo sono ben pocorispetto ai

terrori e prodigi insieme concatenati di Dio.

Peròsebbene il mondo ci disprezzinoi cacciatori di balenepure senzasaperlo ci tributa l'o maggio più

profondo; sicuroun'adorazione inesauribile! Visto che quasi tutti glistoppinile lucerne e le candele che bruciano torno

torno per il mondobruciano alla nostra gloria come davanti a tanti altari!

Ma considerate il caso sotto altre lucipesatelo con ogni sorta di bilancecercate di vedere ciò che siamo e ciò

che siamo statinoi della caccia alle balene.

Perché gli olandesi al tempo di De Witt avevano ammiragli nelle flottebaleniere? Perché Luigi XVI di Francia

armò di tasca propria navi baleniere a Dunkerquee invitò gentilmente inquella città una quarantina di famiglie dalla

nostra isola di Nantucket? Perché mai l'Inghilterratra il 1750 e il 1788pagò in premi ai suoi cacciatori più di un

milione di sterline? E infine come si spiega che oggi noi balenieri d'Americasuperiamo come numero tutti assieme gli

altri balenieri del mondoabbiamo una flotta di settecento e più naviequipaggiate da diciottomila uominiche bruciano

ogni anno quattro milioni di dollarinavi che valgono venti milioni allapartenza e importano anno per anno un ben

mietuto raccolto di sette milioni di dollari? Come si spiega tutto questosenon c'è qualcosa di potente nel nostro

mestiere?

Ma tutto ciò non è neanche la metà: sentite il resto.

Francamenteio sostengo che un esperto delle cose del mondo non puòperl'anima suaindicare entro gli

ultimi sessant'anni un solo influsso pacifico che abbia più potenzialmenteoperato su tutto il vasto mondopreso in un

blocco solodell'alto e potente mestiere di cacciar balene. Per un verso oper l'altroesso ha provocato fatti così notevoli

in se stessie di tanto e continuo peso nelle loro conseguenzeche labaleneria possiamo davvero vederla come quella

madre egiziana che partoriva dal ventre suo prole già bell'e incinta essastessa. Enumerare tutte queste cose sarebbe un

compito disperatoinfinito: ne basti una manciata. Ormai da molti anni lanave baleniera è stata una pioniera nell'andare

scovando le parti più lontane e meno conosciute della terra. Ha esploratomari e arcipelaghi che non avevano cartedove

nessun Cook e nessun Vancouver avevano mai messo naso. Se oggigiorno le navida guerra americane o europee stanno

pacificamente alla fonda in porti una volta selvaggidovrebbero spararesalve in onore e gloria della baleniera che per

prima indicò loro la stradae per prima mediò tra di loro e i selvaggi. Lagente può vantare quanto vuole gli eroi delle

spedizioni di esploratorii vari Cook e Krusenstern: ma io dico che ventinedi capitani anonimi partirono da Nantucket

che furono altrettanto e più grandi dei vari Cook e Krusenstern. Perché amani vuote e senza speranza di aiutinelle

acque barbare dei pescicani e lungo le spiagge d'isole sconosciute dizagagliecombatterono contro prodigi e terrori

vergini che Cook con tutti i suoi fucilieri di marina e i suoi moschettiavrebbe volentieri fatto a meno di sfidare. Tutto.48

ciò di cui si fa tanto chiasso nei vecchi viaggi ai mari del Sudtuttequelle cose non eranoper i nostri eroici

nantuckettesiche i triti fatti di ogni giorno. E spessoavventure allequali Vancouver dedica tre capitoliquegli uomini

le ritenevano indegne di venire segnate sul giornale di bordo. Ah il mondo!Che mondo!

Fino a quando la caccia non doppiò il Capo Horntra l'Europa e la lungasfilza di ricchissime province

spagnole della costa pacifica non correvano commerci se non colonialiequasi nessuno scambio se non di tipo

coloniale. Fu il baleniere che per primo si apri un varco nella gelosapolitica della corona di Spagna riguardo a quelle

colonie; e se avessi spazio potrei mostrare chiaro e tondo come da queibalenieri discese alla fine la liberazione del

Perùdel Cile e della Bolivia dal giogo della vecchia Spagnael'istituzione della democrazia eterna da quelle parti.

Quella grande America sul rovescio del globol'Australiafu un dono delbaleniere al mondo dei lumi. Dopo

che un olandese l'ebbe scoperta per sbaglioa lungo tutte le altre navievitarono come la peste quelle spiagge barbare:

ma la baleniera vi approdò. La baleniera è la vera madre di quella coloniaora potente. E per giunta nell'infanzia dei

primi assestamentisvariate volte gli emigranti si salvarono dalla morte difame grazie alle benigne gallette della

baleniera che per fortuna gettava l'ancora nelle loro acque. Le isoleinnumerevoli di tutta la Polinesia ammettono la

medesima veritàe fanno atto di omaggio commerciale alla baleniera cheaprì la strada al missionario e al mercantee in

parecchi casi portò i primi missionari alle loro destinazioni. Se quellaterra chiusa a doppia mandatail Giappone

diventerà mai ospitaleil merito ne andrà solamente alla balenierachegià vi bussa alla porta.

Orase di fronte a tutto ciò vi intestate a dichiarare che la caccia dellebalene non è nobilitata da nessun

aggancio esteticosu questo sono pronto a correre cinquanta lance e alasciarvi ogni volta per terra con l'elmo a pezzi.

La balenadiretenon ha scrittori famosie la sua caccia nessun famosocronista.

La balena nessuno scrittore famoso? La caccia nessun cronista di fama? Machi scrisse il primo rapporto sul

nostro Leviatano? Chi se non il potente Giobbe? E chi compose la prima storiadi una crociera a caccia di balene?

Nientedimeno che un principe come Alfredo il Grandeche mise su carta con lasua penna regale le parole di Other il

norvegeseun cacciatore di balene di quei tempi. E chi pronunciò il nostrofulgido elogio in Parlamento? Edmund

Burke in persona!

D'accordo. Però i balenieri stessi sono dei poveri diavolinon hanno sanguefino nelle vene.

Non hanno sangue fino? Mase hanno qualcosa di meglio del sangue realenelle vene! La nonna di Benjamin

Franklin fu Mary Morrelpoi coniugata Folgeruna dei vecchi coloni diNantuckete capostipite di una lunga sfilza di

Folger e ramponieri (tutti parenti e compari del nobile Benjamin) che ancoraoggi scagliano il ferro a uncino da un

angolo all'altro del mondo.

Veroverissimo; e però tutti ammettono che insomma la caccia alla balenanon è una cosa rispettabile.

Non è rispettabile? Èimperiale la caccia! L'antica legge statutaria inglese chiama la balena «pescedel Re».

Sìma è solo questione di parole! La balena stessa non ha mai figurato innessuna maniera grandiosa e

imponente.

La balena non ha mai figurato in maniera imponente? Inuno dei trionfi grandiosi concessi a un generale

romano al suo rientro nella capitale del mondole ossa di una balenaportate fin dalla costa della Siriaerano l'oggetto

più cospicuo di tutto quel sonoro corteo.

Siavisto che lo citate; ma dite quello che voletenella baleneria non c'èvera dignità.

No? Ladignità della nostra vocazione l'attesta il cielo medesimo. Cetus è unacostellazione australe! Non dico

altro. Calcatevi il cappello in testa in presenza dello Zare scappellatevidavanti a Queequeg! Non ho altro da

aggiungere. Conosco uno che in vita sua ha preso trecentocinquanta balene.Quest'uomo lo ritengo più onorevole di

quel gran capitano antico che si vantava di avere espugnato altrettantecittà.

E in quanto a mese per eventualità c'è ancora nel sottoscritto qualcheprimizia di cui nessuno s'è accorto; se

mai meriterò quel po' di fama vera cui non senza ragione aspiroin questomondo piccolo ma tanto zitto; se in futuro

riuscirò a fare qualcosa chetutto consideratoè meglio aver fatto cheaver lasciato perdere; se alla mia morte i miei

esecutorio più precisamente i miei creditoritroveranno qualchemanoscritto pregevole nella scrivaniaallora qui

preventivamentene ascrivo tutto l'onore e la gloria alla baleneria. Perchéuna nave baleniera fu la mia Yale e la mia

Harvard.

XXV • POSCRITTO

A favore della dignità della caccia vorrei mettere avanti solo fattiprovati. Ma un difensore che schiera a

battaglia i suoi fattie poi lascia fuori completamente una congettura nonirragionevolela quale potrebbe appoggiare la

causa con efficaciaun difensore così non sarebbe forse criticabile?

È risaputo che all'incoronazione di re e regineanche al giorno d'oggicostoro vengono sottoposti a una certa

procedura curiosache vuole condirli per le loro funzioni. C'è unacosidetta saliera di statoe può anche esserci un'oliera

di stato. Come usano il sale con precisionenon lo so. Però sono certo chela testa d'un re viene oliata solennemente per

l'incoronazioneproprio come una testa d'insalata. Magari sarà per farnegirare bene il congegno internocome si fa con

le macchine. Ma qui si potrebbe ruminare a lungo sull'intimo decoro di questaprocedura regaleperché nella vita

comune un individuo che si unta i capelli e puzza palesemente perquell'unzionelo stimiamo poco o niente. A dire la.49

verità un uomo maturo che usa olio per capellia meno che non lo faccia percuradeve averci in testa qualche punto

deboleprobabilmente. E come regola generalepreso tutto assiemenon puòvalere molto.

Ma qui l'unico punto da considerare è questo: che tipo di olio usano per leincoronazioni? Olio d'oliva non può

essere certoné olio di cocconé olio di ricino o d'orsoe neppure dibalena franca o di fegato di merluzzo. Cosa può

essere allora se non spermaceti allo stato grezzo e incontaminatol'oliopiù squisito di tutti?

Ma pensatecileali Britanni! Siamo noi balenieri a fornirvi la materia primaper incoronare re e regine!

XXVI • CAVALIERI E SCUDIERI

Il primo ufficiale del Pequod era Starbucknativo di Nantucket e quacqueroper tradizione di famiglia. Un

uomo lungo e serionato su una costaccia ghiacciata ma bene adattoavederloa sopportare climi caldiché la carne

sua era dura come la galletta biscottata. Trasferito alle Indieil suosangue vivo non sarebbe andato a male come birra in

bottiglia. Doveva essere nato in qualche periodo di siccità e carestiatotaleoppure in una di quelle giornate di digiuno

per cui la sua terra è famosa. Trenta estati seccagne aveva visto finoranon di più; e gli avevano asciugate in corpo tutte

le superfluità. Ma questodiciamo così il suo affilamentonon parevasegno di assilli o preoccupazioni che lo

rosicavanoe neanche il sintomo di qualche acciacco fisico. Erasemplicemente l'uomo che si condensava. D'aspetto

non era affatto malaticcioal contrario. La pelle fitta e pulita gli stavaaddosso a meraviglia; così calzato stretto e

imbalsamato dalla salute e forza che aveva di dentrocome un egizianorisuscitatoquesto Starbuck pareva capace di

durare per epoche interee di durare sempre come adesso; perchéci fosseneve polare o sole torridola sua vitalità

interna come un cronometro brevettato era garantita per tutte le temperature.Se uno lo guardava negli occhipareva di

vederci ancora le immagini di quei mille e mille pericoli che avevaaffrontato con calma per tutta la vita. Un uomo

quadratoun uomo di ferrola cui vita per la massima parte era tutto unballo energico e pieno d'azionee non un

capitolo addomesticato di parole. E perònonostante tutta questa sua bellaforza e misurac'erano in lui certe qualità che

a volte influenzavanoe in certi casi parevano quasi sbilanciare tutto ilresto. Era scrupoloso in maniera non comune per

un marinaioe pieno di profonda religiosità; perciò la solitudineselvaggia della sua vita sulle acque lo faceva

propendere assai verso la superstizionema quel genere di superstizione chein certi organismi pare in qualche modo

nascere piuttosto dall'intelligenza che dall'ignoranza. Avvertiva presagiesterni e presentimenti dell'animo. A volte

queste cose piegavano il ferro massiccio della sua coscienza. Ma più spessoi ricordi lontani della giovane moglie e del

figlio nella casa di Capo Cod tendevano a torcerlo maggiormente dalla suanatura rozzae a esporlo ancora di più a

quegli influssi nascostiche in certi uomini onesti frenano l'impetoscatenato del coraggio posseduto tanto spesso da

altri nei momenti più pericolosi della caccia. «Non voglio nella miabarca» diceva Starbuck«chi non ha paura della

balena.» E pareva intendere con questo che non solo il coraggio più fidatoe fruttuoso è quello che nasce dal giusto

concetto del pericolo che s'incontrama che uno che non ha affatto paura èun compagno assai più pericoloso di un

vigliacco.

«E già» diceva Stubbil secondo«questo Starbuck è l'uomo piùprudente che potete trovare nel nostro

mestiere.» Ma vedremo fra poco che cosa in effetti significa la parola«prudente» quando è usata da uno come Stubbo

da ogni altro cacciatore di balenequasi.

Starbuck non faceva crociate contro i rischi; in lui il coraggio non era unsentimentoma una cosa che gli era

semplicemente utilee sempre sotto mano in tutte le occasioni pratiche dellavita. E poi forse pensava che in quel suo

mestiere il coraggio era uno dei principali articoli dell'equipaggiamento diuna balenieracome la carne e il panecose

che è stupido sprecare. Perciò non gli piaceva ammainare dietro a balenedopo il tramontoe neppure ostinarsi contro un

pesce che si ostinava troppo a resistergli. Perchépensava Starbuckiosono qua su questo mare pernicioso ad

ammazzare balene per guadagnarmi la vitae non per obbligarle ad ammazzareme per difendere la loro. Lo sapeva

bene che centinaia di uomini erano stati ammazzati così. Che fine avevafatto suo padre? Dove si trovavano adesso le

carni massacrate di suo fratelloin quegli abissi senza fondo?

Con ricordi come questie per giuntacome ho dettocon una natura un po'superstiziosadoveva averne di

coraggioStarbuckse poteva mostrarne ancora. Ma non si può pretenderetroppo dalla natura: in un uomo così fatto

coi ricordi e le esperienze terribili che avevasarebbe stato proprioinnaturale se queste cose non avessero prodotto alla

lunga un elementoche al momento opportuno doveva saltare fuori e bruciaretutto il suo coraggio. Coraggio ne aveva

di sicuro; ma era massimamente quella sorta di coraggio che in certi uominidi fegato resiste magnificamente quando si

tratta di affrontare le ondatei ventile baleneo altri degli orroribruti che al mondo son cose comunima non sa

resistere a quegli spaventi più terribiliperché sono più dello spiritoche a volte si addensano minacciosi sul viso

infuriato di un potente.

Ma se la storia che vi narro dovesse mostraredove che siala degradazionecompleta della forza del povero

Starbuckmi mancherebbe il cuore di scriverla; perché raccontare lo sfacelodel valore in un'anima è una cosa molto

tristeanzi impressionante. Gli uomini possono sembrare detestabili comepopoli o come società per azionipossono

essere farabuttiidioti o assassinipossono avere un'aria ignobile ocadaverica; ma l'uomol'uomo ideale è così nobile e

belloè così grande e luminoso fra le creatureche sopra ogni sua macchiad'ignominia i suoi compagni dovrebbero

correre a buttare i loro mantelli più preziosi. Quella virilità immacolatache ci sentiamo dentrotanto in profondo che

resta intatta anche quando ne sembra perduta ogni apparenzasanguina conl'angoscia più tagliente alla nuda vista di un.50

uomo che ha perduto il suo valore. A una vista così vergognosa neanchel'uomo pio riesce a soffocare del tutto i suoi

rimproveri alle stelle consenzienti. Però questa dignità sacra di cui parlonon è quella dei re e degli abitima quella

dignità generosa che non s'investe di panni. La vedrai lucente nel braccioche alza un piccone o pianta una caviglia; è

quella dignità democratica che si irradia senza fine su tutta la ciurma daDioda Lui stessoil grande e solo Dio che è

centro e circonferenza di ogni democrazia: è la Sua onnipresenza e la nostrauguaglianza divina.

E quindise d'ora in avanti attribuirò qualità elevateper quanto oscureai marinai più miserabiliai rinnegati

ai reiettie intesserò attorno a loro tragiche grazie; se perfino il piùtriste e forse il più degradato di loro riuscirà qualche

volta ad alzarsi fino alle cime più alte; se toccherò il braccio di uno chelavora con un po' di luce eterea e spiegherò un

arcobaleno sul suo tramonto disastrososostienimi tu in questo contro tuttii critici del mondotu Spirito giusto

dell'Uguaglianzache hai steso su tutta la mia specie lo stesso mantelloreale di umanità! Sostienimi tugrande Dio

democraticoche non hai rifiutato la perla pallida della poesia a Bunyanannerito dal carceretu che hai vestito di

lamine martellate due volte di oro finissimo il braccio monco e indigente delvecchio Cervantestu che hai raccattato tra

i sassi Andrew Jackson e lo hai scagliato su un cavallo di guerra e saettatopiù in alto di un trono! Tu che in ogni tua

potente marcia sulla terra scegli sempre i tuoi campioni più eletti tra ilpopolo regalesostienimi tu Signore.

XXVII • CAVALIERI E SCUDIERI

Il secondo ufficiale era Stubb. Era nato a Capo Code perciò secondo l'usolocale lo chiamavano Capocodino.

Uno spensierato né valoroso né vigliaccoche pigliava i rischi comevenivano con aria strafottentee quando nella

caccia il pericolo gli era più vicinosi sbrigava il suo lavoro calmo econcentrato come un falegname ingaggiato per

l'annata. Buontemponespontaneo e noncurantepresiedeva alla sua barca comese lo scontro più micidiale non fosse

che un pranzoe la sua ciurmatutti invitati. Nel sistemare comodamente ilsuo angolo di barca era meticoloso come un

vecchio cocchiere quando fa comoda la sua cassetta. E quand'era sulla balenaproprio nella stretta mortale della zuffa

maneggiava la lancia con crudeltà fredda e spigliatacome un calderaio ilmartellofischiettando. Canticchiava le sue

vecchie arie ballabili fianco a fianco col mostro più esasperato. La lungaabitudineper Stubbaveva cambiato in una

poltrona le mandibole della morte. Che cosa pensasse della morte stessa nonlo so. Che mai ci pensassesarebbe da

discutere. Ma se per caso dopo un buon pasto gli capitò mai di buttarvi unpensierosenza dubbio la prese da buon

marinaiocome una specie di segnale di guardia a montare sue darci sotto asbrigare qualcosa che si sarebbe capita a

comando effettuatonon prima.

Ciò che forsetra l'altrofaceva di Stubb un uomo così strafottente esenza paureche se la trottava con tanta

allegria col peso della vita addossoin un mondo pieno di merciai tetritutti piegati a terra dai loro fagotti; ciò che lo

aiutava a portarsi attorno quel suo buonumore quasi empiodoveva essere lasua pipa. Perchécome il suo nasola sua

corta pipetta nera era una delle fattezze ordinarie della sua faccia. Eraquasi più probabile vederlo saltar fuori dalla

cuccetta senza nasopiuttosto che senza pipa. Lì dentro aveva tutta unafila di pipe cariche infilate in un portapipe a

stretta portata di manoe ogni volta che andava a letto le fumava tutte diseguitoaccendendole l'una dall'altra fino al

termine della raccoltae poi ricaricandole perché fossero di nuovo pronte.Perché per prima cosaquando Stubb si

vestivainvece di cacciare le gambe nelle brachesi cacciava la pipa inbocca.

Io credo che questo eterno fumare dev'essere stata almeno una delle causedella sua indole speciale. Ognuno sa

infatti che a questo mondo l'ariain terra o in mareè terribilmenteinfetta dalle miserie indicibili del numero sterminato

di uomini che sono morti cacciandola dai polmoni; e come in tempo di coleraqualcuno va in giro con un fazzoletto

canforato sulla boccaallo stesso modo il fumo del tabacco di Stubb puòavere operato come una specie di disinfettante

contro tutti i triboli umani.

Il terzo ufficiale era Flasknativo di Tisbury nel Vigneto di Marta. Ungiovanotto cortotarchiatorosso di

facciamolto bellicoso con le balenecome se fosse persuaso che i grandiLeviatani gli si fossero messi contro per fatto

personale ed ereditarioe che quindi per lui era una specie di punto d'onoredistruggerli ogni volta che li incontrava. Era

così totalmente negato a ogni senso di riverenza per le tante meravigliedella loro massa maestosa e delle loro abitudini

misteriosee così morto alla benché minima paura di qualche possibilitàdi pericolo nel loro incontroche nella sua

modesta opinione la balena stupenda non era che una specie di topoo diciamoun sorcio d'acqua ingigantitoche

richiedeva solo un po' di furbizia e qualche erogazione di tempo e di faticaper poterlo ammazzare e bollire. Questa sua

mancanza di paurainvolontaria e ignorantelo faceva un po' spiritoso neiriguardi delle balene. Seguiva questi pesci

per divertimento; e un viaggio di tre anni oltre il Capo Horn per lui erasolo un bel gioco che durava tanto. Come i

chiodi di un carpentiere si dividono in chiodi fatti a mano o a stampocosìsi potrebbe dividere l'umanità. Il piccolo

Flask era uno di quelli battuti a manofatti per tenere bene e durare alungo. Lo chiamavano il Monaco a bordo del

Pequodperché di forma si poteva proprio paragonarlo a quel legno corto esquadrato conosciuto con quel nome sulle

baleniere articheche per mezzo di molti pezzi laterali inseriti a raggieraserve a irrobustire la nave contro i cozzi gelidi

di quei mari d'ariete.

Ora questi tre ufficialiStarbuckStubb e Flaskerano pezzi grossi. Eranoloro che per legge rispettata da tutti

comandavano tre delle lance del Pequod come capibarca. In quel grande ordinedi combattimento in cui il capitano

Achab avrebbe probabilmente schierato le sue forze per gettarsi sulle balenequesti tre capibarca erano come capitani di.51

compagniao meglioessendo armati di lunghe taglienti lance da balenaerano come un terzetto scelto di lancieri

proprio come i ramponieri erano i tiratori di giavellotto.

E siccome in questo mestiere famoso ogni ufficiale o capobarcacome unantico cavaliere goticoè sempre

accompagnato dal suo pilota o ramponiereche in certi casi gli passaun'altra lanciaquando la prima si è storta o

piegata malamente nell'urto. E siccome inoltre fra questi due esistegeneralmente una stretta intimità e amicizia

conviene proprio a questo punto precisare chi erano i ramponieri del Pequod ea quale capoccia apparteneva ciascuno di

loro.

Primo tra tutti c'era Queequegche il primo ufficiale Starbuck si era sceltoper scudiero. Ma Queequeg già lo

conosciamo.

Poi veniva Tashtegoun indiano purosangue del Capo Allegroil promontoriopiù a tramontana del Vigneto di

Martadove ancora esiste l'ultimo rimasuglio di un villaggio di uominirossiche da molto tempo ha fornito parecchi dei

suoi ramponieri più audaci all'isola vicina di Nantucket. Nella pesca lichiamano di solito col nome genetico di

Capiallegri. Tashtego aveva capelli lunghisottili e nerissimizigomi altie occhi neri tondeggiantiche per un pellerossa

erano di grandezza orientalema antartici nell'espressione scintillante.Tutto questo bastava a dichiararlo erede del

sangue incontaminato di quei superbi guerrieri e cacciatori che avevanoscorrazzato con l'arco in pugno le foreste

aborigene del continente alla ricerca della grande alce del New England. Maora Tashtego non annusava più le peste

degli animali selvaggi nei boschicacciava sulla scia delle grandi balenedel maree il rampone sicuro del figlio

rimpiazzava degnamente la freccia infallibile dei padri. Guardando la fulvarobustezza delle sue leste membra di serpe

veniva quasi di credere alle superstizioni di alcuni dei primi puritanie unpo' ci si convinceva che questo indiano

selvaggio era figlio del Principe dei Poteri dell'Aria. Tashtego era loscudiero del secondo ufficiale Stubb.

Terzo tra i ramponieri era Daggooun selvaggio gigantesconero come ilcarbonecon un passo leonino:

pareva un Assuero. Dalle orecchie gli pendevano due cerchi d'orocosìgrossi che i marinai li chiamavano perni ad

anello e parlavano di assicurarvi le drizze di gabbia. In gioventù Daggoo siera imbarcato di propria volontà su una

baleniera ancorata in una baia solitaria della costa dove era nato. E siccomenon conosceva altro del mondo che l'Africa

Nantucket e i porti pagani più frequentati dai balenierie ormai avevafatto per anni quel mestiere audace su navi di

proprietari che contrariamente al solito badavano a che specie d'uomini simettevano a bordoDaggoo conservava tutte

le sue virtù barbariche: dritto come una giraffasi aggirava per i ponti intutta la pompa dei suoi sei piedi e cinquecon

le calze. A guardarlo si provava un'umiltà corporale; e un bianco che glistava davanti pareva una bandiera bianca

venuta a implorare tregua a una fortezza. Strano a dirsiquesto negroimperialequesto Daggoo Assueroera lo scudiero

del piccolo Flaskche accanto a lui pareva una pedina. In quanto al restodella compagniasia detto che oggigiorno non

uno su due delle molte migliaia di marinai semplici impiegati nella baleneriaamericana sono nati in Americasebbene

lo sono quasi tutti gli ufficiali. In questo la pesca americana delle baleneè uguale all'esercitoalla marina da guerra e

mercantilee alla mano d'opera impiegata in America alla costruzione dicanali e ferrovie. Ugualedicoperché in tutti

questi casi gli americani di nascita forniscono generosamente il cervelloeil resto del mondo i muscolicon altrettanta

generosità. Non pochi di questi marinai delle baleniere sono delle Azzorredove le navi di Nantucket si fermano spesso

lungo il viaggio d'andata per ingrossare gli equipaggi coi forzuti paesani diquelle coste di pietra. Proprio come le

baleniere di Groenlandiache facendo vela da Hull o da Londra gettanol'ancora alle isole Shetland per completare gli

ingaggie poi si riscaricano sulla via del ritorno. Perché non si samapare che gli isolani risultano i balenieri migliori.

Sul Pequod erano quasi tutti isolanie isolati puresecondo meperché nonaccettavano il continente comune degli

uominie ognuno viveva su un proprio continente separato. Ma adesso che sierano federati su una chiglia sola facevano

proprio un bel mazzoquesti isolati: una deputazione come quella diAnacarsis Clootzvenuta da tutte le isole del mare

e da tutti i cantoni della terraper accompagnare il vecchio Achab sul suoPequod a sottoporre i lamenti del mondo a

quel tribunale da cui non si torna mai in molti. Il piccolo Pipil negrettoquello dell'Alabamanon ce la fece a tornare.

Eh no! Anzi lui partì primapovero ragazzo. Tra poco lo vedrete battere ilsuo tamburo sul tetro castello di prua. Sarà il

preambolo di quel momento eternoquando lo chiamarono lassùsul casserograndee gli ordinarono di intonare con gli

angeli e di battere a gloria il suo strumento. Qui lo avevano chiamatovigliaccolassù lo salutarono eroe.

XXVIII • ACHAB

Per parecchi giorni dopo che lasciammo Nantucket il capitano Achab non sifece mai vivo sopracoperta. Gli

ufficiali si davano regolarmente il cambio alla guardiae nientecontraddiceva l'impressione che fossero gli unici

comandanti della nave; peròa volteuscivano di cabina con ordini cosìimprovvisi e perentoriche in fondo era

evidente che comandavano solo a nome di un altro. Sicuroil loro sommosovrano e dittatore stava lì dentroanche se

finora invisibile a ogni occhio non autorizzato a penetrare nel ricetto orasacrosanto della cabina.

Ogni volta che salivo sul ponte dai miei turni sottocopertagettavo subitoun'occhiata a poppa per vedere se

c'era qualche faccia nuova; perché oranella segregazione del marele mieprime vaghe preoccupazioni per il fatto di

non conoscere il capitano diventavano quasi una fissazione. E questaavoltesi aggravava stranamente al ricordo dello

sproloquio diabolico di quel pidocchioso di Eliache mio malgrado mi tornavain mente con una forza suasiva che

prima non vi avrei mai immaginato. Quando ero d'umore diverso mi sentivoquasi disposto a sorridere delle stramberie

solenni di quel buffo profeta dei moli; ora non mi riusciva più di prenderlealla leggera. Ma quali che fosserodiciamo.52

cosìle mie paure e le mie ansieogni volta che mi capitava di guardarmiattorno sulla nave mi pareva che questi

sentimenti non avessero nessuna giustificazione. Certo che i ramponieri colgrosso della ciurma erano un'ibrida banda di

senza dioassai più selvaggia di qualsiasi equipaggio dei pacificimercantili che le mie esperienze precedenti mi

avevano fatto conoscere; ma io questo lo imputavoe giustamenteallasingolarità selvatica che era nella natura stessa

di quel brutto mestiere scandinavo in cui mi ero buttato così di peso.Sopratutto era la fisionomia dei tre ufficiali in capo

che serviva più energicamente a calmare quei vaghi sospettie a immetterefiducia e buonumore in ogni mia previsione

del viaggio. Tre ufficiali e uomini di mare più bravi e idoneiognuno a suomodonon era facile trovarlied erano tutti

quanti americani: uno di Nantucketuno del Vigneto e uno del Capo. Oraessendo Natale quando la nave uscì di porto

per un poco ebbimo un freddo taglientepolarebenché ce ne allontanassimosempre verso sude a ogni grado e minuto

di latitudine che guadagnavamo ci lasciassimo a poco a poco alle spallequell'inverno spietato e tutto il suo clima

insopportabile. Fu in una di queste mattinate di trapassomeno opprimenti masempre abbastanza grige e tetrementre

col vento favorevole la nave fendeva le acque nella sua triste corsaconbalzi che sapevano di vendettache nel salire in

coperta all'appello del primo turno di guardiaappena puntai gli occhi alcoronamento un presagio mi fece rabbrividire.

La realtà eccedeva le mie aspettazioni: il capitano Achab era sul cassero.

All'aspetto non mostrava segno riconoscibile di malattiae neanche pareva inconvalescenza. Aveva l'aria di

uno staccato dal rogo mentre che il fuoco gli copre e devasta le carnimasenza consumarle o rubare nemmeno un

briciolo della loro durezza fitta e matura. Tutta la sua figura alta e grandepareva fatta di bronzo massiccio e gettata in

uno stampo inalterabilecome il Perseo fuso da Cellini. Tra i capelli grigisi faceva strada un segno sottile come una

bacchettadi un biancore lividoe gli scendeva su un lato della faccia edel collo scuri e bruciacchiatifinché spariva nel

vestito. Somigliava alla cicatrice perpendicolare prodotta a volte nel troncoalto e dritto di un grande alberoquando il

fulmine vi guizza sopra lacerantee senza svellere un solo rametto spella escava la corteccia da cima a fondo prima di

scaricarsi per terralasciandolo vivo e verde ma segnato. Nessuno sapeva concertezza se quel segno era nato con luio

se era la cicatrice di qualche ferita tremenda. Come per un tacito accordodurante tutto il viaggio nessuno quasi ne parlò

maie meno di tutti gli ufficiali. Ma una volta il compagno anziano cheTashtego aveva tra la ciurmaun vecchio

indiano superstizioso del Capo Allegroasserì che Achab era stato marcato aquel modo non prima dei quarant'annie

che lo sfregio gli era stato fatto non da un uomo in qualche rissa furiosama in una zuffa contro gli elementiin mare.

Però questa insinuazione maligna parve smentita implicitamente da ciò checi disse un grigio isolano di Manun

vecchio sepolcrale che prima d'ora non era mai partito da Nantuckete quindinon aveva mai veduto quel terribile

Achab. Ma le vecchie costumanze della gente di marele sue antichissimesuperstizionifacevano apparire questo

vecchio agli occhi di tutti un uomo dotato di capacità soprannaturalid'intendere. E nessuno dei marinai bianchi provò

seriamente a contraddirloquando disse che se mai un giorno il capitanoAchab dovesse venire composto in pace per il

funeralee forse questosussurrònon sarebbe mai successoallora lapersona incaricata di quell'ultimo ufficio funebre

gli avrebbe trovato addosso un marchio di nascitadalla nuca alla pianta delpiede.

Restai così impressionato da tutta l'aria torva di Achab e da quello sfregiolivido che lo rigavache quasi non

notaidapprimacome quella sua aria losca e insopportabile fosse dovuta ingran parte a quella barbara gamba bianca

sulla quale si appoggiava a metà. Avevo già saputo che quest'arto d'avorioglielo avevano costruito in mare dall'osso

levigato di una mascella di capodoglio. «Sìl'hanno disalberato al largodel Giappone» aveva detto una volta il vecchio

indiano del Capo. «Ma ha fatto come il suo bastimentoha imbarcato un altroalbero senza tornare a casa. Ne ha tutto un

fascio.»

Mi colpì lo strano modo in cui stava dritto. Ai due lati del casseroproprio sotto le sartie di mezzanac'era un

buco di trapano sul tavolatoprofondo mezzo pollice a occhio e croce.

Con la gamba d'osso piantata in quel buco e un braccio alzato per reggersi auna sartiail capitano Achab se ne

stava impalato guardando fisso al largooltre la prua che beccheggiavaeternamente. Nella dedizione ferma e temeraria

di quello sguardo c'era una forza pura e infinitauna volontà quietainvincibile. Non diceva una parola e i suoi ufficiali

non fiatavano; ma tradivano chiaramente nelle loro espressioninei lorominimi gesti la coscienza inquietase non

penosadi trovarsi sotto l'occhio corrucciato del padrone. E non solo: queltriste Achab stava davanti a loro con una

crocifissione in facciacon tutta la dignità augustaimperiosa eindicibile di un grande dolore.

Si ritirò in cabina quasi subitoquella prima volta che apparì all'ariaaperta. Ma dopo quella mattina lo

vedemmo ogni giornoo piantato sul suo pernoo seduto su uno sgabellod'avorio che avevao mentre passeggiava

pesantemente sulla coperta. Man mano che il cielo si faceva meno cupo e anzicominciava ad addolcirsianche lui se ne

restava chiuso sempre di menocome se soltanto lo squallore del mareinvernale lo avesse tenuto così segregato da

quando la nave aveva lasciato terra. E a poco a poco finì che stava quasisempre all'aperto; ma sinoraa giudicare da

quello che diceva o faceva sul ponte finalmente assolatovi pareva inutilecome un albero di troppo. Ma per il momento

il Pequod stava facendo solo una traversata. La vera caccia sarebbecominciata dopoe a quasi tutti i preparativi che

richiedevano sorveglianza bastava l'occhio degli ufficiali. Sicchéper ilmomentoc'era poco o nulla attorno che potesse

impegnare o distrarre Achab da se stessoin modo da cacciare almeno per unpoco le nuvole che gli si ammucchiavano

a strati sulla frontecome sempre si addensano attorno alle cime più alte.

Ma non passò molto che la tiepida e soave malìa del dolce clima da vacanzaa cui eravamo arrivati parve

sottrarlo a poco a poco al suo malumore. Come quando aprile e maggioballerine dalle guance rossetornano

salterellando nei tetri boschi invernalie persino la vecchia quercia piùnudala più rugosa e spaccata dal fulmine

s'invoglia a mettere fuori almeno qualche germoglio verde per ricevere quellevisitatrici festosecosì Achaballa finesi.53

convinse a rispondere un poco alle tentazioni scherzose di quell'ariaadolescente. E più di una volta si lasciò spuntare in

facciacome un germoglio timidoun'espressione che in qualsiasi altro uomosarebbe sboccata presto in un sorriso.

XXIX • ENTRA ACHAB. S TUBB GLI PARLA

Passarono alcuni giornie lasciatesi alle spalle nevi e montagne dighiaccioil Pequod andava ora rollando

nella primavera radiosa di Quitoche in mare regna quasi perenne sullasoglia dell'agosto eterno del tropico. I giorni

appena tiepidilimpidisonoriprofumativividi e ricolmi parevano coppedi cristallo traboccanti di sorbetto persiano

fioccato di neve alla rosa. Le notti stellate e maestose erano come damesuperbe in vesti di velluto tempestate di gioielli

che tenevano viva in casanel loro orgoglio solitariola memoria dei baroniandati a lontane conquistei soli con gli

elmetti d'oro. Per uno che volesse dormireera difficile scegliere tragiorni così amabili e notti così seducenti. Ma tutte

le malìe di quel clima immutabile non si limitavano a prestare nuove forze eincanti al mondo esterno. Assalivano

l'animo di dentrospecie quando venivano le ore dolci e serene della sera;allora la memoria gettava i suoi cristalli

come il ghiaccio limpido che ama formarsi sopratutto nei crepuscoli felpati.E tutti questi influssi sottili operavano

sempre più sulla complessione di Achab.

La vecchiaia è sempre insonne; come se l'uomopiù è stato legato allavitameno si cura di ciò che somiglia

alla morte. Tra i capitani di maresono le vecchie barbe grige che lascianola cuccetta più spessoper salire a dare

un'occhiata sul ponte avvolto nella notte. Così faceva Achab; solo che direcente pareva vivere tanto all'aria apertache

a dire il vero le sue scappate le faceva giù in cabinapiuttosto che dallacabina sul ponte. «Per un vecchio capitano come

me» soleva brontolare a se stesso«calarsi in questa botola strettaperandare a un letto che pare una fossaè come

scendere nella propria tomba.»

Così quasi ogni ventiquattr'orequando i quarti di notte erano al loroposto e il branco di sopra vegliava i sonni

del branco di sottoquando i marinai che avevano da tirare un cavo suicastello non lo buttavano senza garbocome di

giornoma lo mettevano giù con una certa cautelaper paura di disturbareil sonno leggero dei compagniquando questa

specie di calma stabile cominciava a imporsiil timoniere di solito fissavamuto il portello della cabina. Dopo un poco

ecco spuntare il vecchiola mano aggrappata alla ringhiera di ferro peraiutare i suoi movimenti di storpio. Qualche po'

di considerazione umana gli era rimastaperché quando usciva a quell'oradi solito evitava di perlustrare il cassero: per

i suoi ufficiali affaticatiche cercavano riposo a meno di sei pollici dalsuo calcagno d'avorioil colpo secco e lo strepito

di quel passo osseo avrebbe avuto una tale ecoche avrebbero sognato dentidi pescicani che li stritolavano. Ma una

volta il suo malumore fu troppo forte per lasciargli quei comuni riguardi. Ementre misurava la nave dal coronamento

all'albero maestro con quel passo massiccioStubbl'eccentrico ufficiale insecondamontò sù e in tono incertometà di

fastidio e metà di scherzo malsicurogli fece capire che se al capitanoAchab piaceva passeggiare sul tavolato nessuno

gli poteva dire di no; ma che si poteva trovare qualche modo di attutire ilrumore: e a bassa voceesitandoaccennò a un

tampone di stoppa in cui si poteva inserire il calcagno d'avorio. EhStubb!Si vede che non conoscevi Achab.

«Stubb» disse Achab«mi prendi per una palla da cannoneper conciarmi aquel modo? Ma che sto a

discuterepensala come preferisci e vattene giù nella fossadove la gentecome te dorme fasciata nel lenzuolo. Come i

mortiper abituarsi al lenzuolo che la fascerà sottoterra. Giùcanealcanile!»

A quel finale così imprevisto e così pieno di disprezzoStubb dette unoscossone e per un momento restò senza

parole. Poi disse eccitato: «Capitanonon sono abituato a sentirmi parlarein questo modoe non mi va proprio per

nientesignor capitano.»

«Basta!» ruggì Achab a denti strettie s'allontanò di colpocome aevitare un impulso di rabbia.

Stubb si era fatto coraggio. «Nossignorenon ho finito» disse«non mifarò chiamare un cane senza protestare

signor capitano.»

«E allora ti chiamo dieci volte asinomulo e somaro. Levati dai piedio tispazzo via dalla terra!»

E gli andò addosso con un'aria così terribileche Stubb senza volerlobatté in ritirata.

«Non sono mai stato trattato così senza rispondere a pugni» grugnivaStubb nel trovarsi a scendere per la

botola della cabina. «È davvero strano. FermatiStubb. Non so perchéoranon riesco a capire se devo tornare su a

pestarlooppure - ma che diavolo mi succede? - oppure buttarmi quiginocchioni a pregare per lui. Sicuroè questo che

mi veniva in mente; sarebbe la prima volta che dico un padrenostro. Ècuriosoè proprio curioso. E anche lui è curioso

assai: giuro che a prenderlo da prua a poppaè il vecchio più curioso colquale ho mai navigato. Mandava lampicon

quegli occhiacci che parevano foconi! Sarà pazzo? A ogni modo ha qualcosache gli pesa in testacom'è sicuro che un

pontequando si spaccaha qualcosa addosso. Ormai non sta nel letto più ditre ore su ventiquattroe non dorme

neanche. Quello gnocco del cambusiere mi ha detto che la mattina gli trovasempre la branda che è uno scompigliole

coperte pestele lenzuola ai piediil copriletto che pare fatto a nodieil cuscino caldo da fare pauracome se avesse

toccato un mattone rovente. Un vecchio in fregola! Credo che ha quella cosache a terra chiamano coscienzache è una

specie di morbo pilettico peggio di un male di denti. Insommanon so che èma il Signore mi guardi dal pigliarlo. Ed è

pure pieno di indovinelli: chi lo sa che va a farci ogni notte nella stivase è vero quello che Farinata sospetta; che va a

farci vorrei saperechi è che gli dà appuntamenti nella stiva. Dicononè curioso? Non si sa mai. È un vecchio trucco.

Casco dal sonno. Il diavolo mi fulmini se non vale la pena di nascere soloper pigliare sonno subito. E ora che ci penso

è la prima cosacircache fanno i bambini: anche questo è piuttostocurioso. Morte subitaneatutto è curioso se uno ci.54

pensa. Però tutto ciò è contro i miei principi. Il mio undicesimocomandamento è non pensaree il dodicesimo è dormi

finché puoi. Mi sono appisolato di nuovo. Ma come è possibilemi hachiamato cane! Sangue di Giuda! Mi ha detto

asino dieci voltee su questo un sacco di somari. Mi poteva benissimoprendere a pedate. E forse me l'ha datauna

pedatae io non me ne sono accortotanto mi aveva spaventato con quellafaccia brutta. Chi lo sa perché. Luceva come

un osso bruciato. Che diavolo mi sta succedendo? Non mi reggo in piedi.Azzuffarmi col vecchio mi ha come rivoltato

tutto. Per Dioma forse avrò sognato.

Ma come può esserecome è possibile. Bastal'unica cosa è mettere tuttoda canto. A ninnananna! Vediamo

come questo mago fetente se la ripensa di giorno.»

XXX • LA PIPA

Quando Stubb se ne andò Achab rimase per un poco curvo sulla murata; poicome soleva fare di recente

chiamò uno della guardia e lo mandò giù a prendergli lo sgabello d'avorioe anche la pipa. L'accese alla lanterna della

chiesuolapiazzò lo sgabello a sopravvento e si sedette a fumare.

Al tempo degli antichi norvegesi i troni dei re di Danimarca appassionati dimare erano fattidice la tradizione

con la zanna del narvalo. Come si poteva guardare Achaballoraseduto suquel treppiedi d'ossasenza pensare alla

regalità di cui quel sedile era simbolo? Un Khan del tavolatoun re delmare e un gran signore di balene: questo era

Achab.

Passò qualche minuto. Il fumo denso gli usciva di bocca in sbuffi continui efittiche il vento gli risoffiava in

faccia. Alla fine si levò la canna di bocca e cominciò a parlare da solo:«Ma comeil fumo non mi rasserena più. Deve

andarmi proprio malecara pipase il tuo incanto è sparito! Sono stato quia stancarmi senza rendermene contoinvece

di provare piacere. Proprio cosìe per tutto il tempo ho fumato controventocome un idiota; controvento e tirando coi

nervicome una balena in agoniaché le mie ultime sfiatate sono le piùforti e le più tormentose. Ma perché uso questa

pipa? È una cosa fatta per chi è serenoper mandare il suo fumo bianco egentile in mezzo a dei quieti capelli bianchie

non tra ciuffi spelacchiatigrigi come il ferrocome questi miei. Nonvoglio più fumare...»

Buttò in acqua la pipa ancora accesa. La brace fischiò tra le onde. E nellostesso momento la navecon un

balzosi lasciò dietro la bolla che la pipa fece affondando. Achab si tiròil cappello sul naso e cominciò a misurare il

ponte come un ladro.

XXXI • LA REGINA MAB

La mattina dopo Stubb abbordò Flask.

«Monaco mioun sogno così curioso non l'ho fatto mai. Sai la gamba delvecchiobenesognai che con quella

mi prendeva a pedate. E quando cercai di ridargli la bottavecchietto miosul mio onorenel dare la pedata mi partì una

gamba. Poi tutto di colpo Achab era diventato una piramide! E io che laprendevo a pedate: roba da manicomio. Ma

quello che è più curiosoFlasklo sai com'è curioso ogni sognocontutta la rabbia che avevo in corponon so comemi

pareva di pensare che tutto considerato non era un vero insulto quella pedatadi Achab. "Ma via" pensavo"perché tutto

questo chiasso. Non è una gamba veraè una gamba falsa." E c'è unabella differenza tra una calcagnata viva e una

morta. Per questo un colpo con una manoFlaskè cinquanta volte piùbestiale da incassare di un colpo di bastone. La

parte vivaè quella che fa viva l'offesacaro mio. E dico a me stessointantopensaintanto che come un deficiente mi

rompevo le dita dei piedi contro quella dannata piramideperché era tuttouna gran confusione; intantocome dicevo

dico a me stesso: "Che cosa è in fondo la gamba se non un bastoneunbastone d'osso di balena. Ma sicuro" penso"è

stata nient'altro che una bastonata per scherzoanzi più esattamenteun'ossata di balena che mi ha datonon una pedata

vigliacca. E per giunta" penso"basta dargli un'occhiata; dico lacimala parte del piedenon è altro che un puntino.

Mentre se un campagnolo me ne avesse data una col suo piedaccioquellosarebbe sul serio un insulto infernale. E

invece questo insulto quia colpi di limaè ridotto a una meschinapunta." Ma ora viene la parte più bellaFlask. Mentre

prendevo a calci quella cosauna specie di vecchio tritonecoi capelli ditasso e una gobba sulla schienami prende per

le spalle e mi fa fare un mezzo giro. "Che vuoi fare?" dice. Mondoboia! che fifa caro mio. Aveva una faccia! Ma

comunqueun minutoe mi rifeci coraggio: "Che voglio fare?" dico"e che cosa ve ne frega vorrei saperesignor

Gobboni. Ne volete una voi?" Per il PadreternoFlasknon l'avevoneanche detto e quello mi volta il sederesi piega

tira su un ciuffo d'alga che aveva come straccioe che ti credi che vedo?Per la miseria! Mio caroaveva il didietro tutto

piantato di caviglie con la punta in fuori. Dico io ripensandoci: "Credoche non ti piglio a pedatevecchio mio." "Bravo

Stubb" dice"bravo Stubb"e continua a brontolarlo perun'oracome una strega che mi si mangia le gengive al fuoco.

Vedendo che non aveva intenzione di piantarla con quel bravo StubbbravoStubbpensai che intanto potevo riprendere

a calci la piramide. Ma neanche avevo alzato il piede che quello sbraita:"Basta con questi calci!" "Ohè!" dico"che ti

prende oravecchietto?" "Senti qua" dice"ragioniamoquest'offesa. Il capitano Achab ti ha dato una pedatavero?"

"Per l'appunto" dico"proprio in questo posto.""Benissimo" dice"con la gamba d'avorioo mi sbaglio?""Sìsì" dico.

"Benema allora" dice"bravo Stubbdi che ti lamenti? Lapedata mancava di affetto forse? Mica ti ha preso a calci.55

con un piede d'abete comune. NossignoreStubbti ha preso a calci ungrand'uomoe con una bella gamba d'avorio. È

un onoreStubbio la penso così. Stammi a sentirebravo Stubb.Nell'Inghilterra antica i più grandi baroni giudicavano

una grossa gloria venire presi a schiaffi dalla regina: come fosse diventarecavalieri della giarrettiera; tu inveceStubb

ti puoi vantare di essere stato preso a pedate dal vecchio Achabe con ciòdi essere diventato saggio. Ricorda questo che

ti dico: da luifatti prendere a calciritieni questi calci come tantionorie non restituirli per nessuna ragione. Perché

non ce la potresti mai faresaggio Stubb. La vedi quella piramideno?"E con questo sembrò all'improvvisonon so

comein un modo stranoandarsene a nuoto nell'aria. Detti una russatamirivoltaie mi ritrovai nella branda. Allora

che ne pensi di questo sognoFlask?»

«Non te lo so dire. Però mi pare una coglioneria.»

«Sarà. Sarà come pensi. Però mi ha insegnato qualcosaFlask. Lo vediAchab laggiùche guarda storto fuori

poppa? Benela cosa migliore che puoi fareFlaskè di lasciarlo in pacequel vecchio. Non gli parlare maiqualunque

cosa dice. Ohè! Cos'è che grida? Zitti!»

«Vedetteoh! Occhiotutti quanti! Ci sono balene qui attorno! Se ne vedeteuna biancaspaccatevi il petto a

gridarlo!»

«Che ne dici di questo oraFlask? Non ti pare che c'è un pizzico diqualche cosa che non persuadeo mi

sbaglio? Una balena biancal'hai sentito vecchio mio? Credi a mec'èqualcosa di speciale nell'aria. Ci puoi

scommettereFlask. Quello lì ha in testa cose che puzzano di sangue. Maacqua in bocca. Viene da questa parte.»

XXXII • CETOLOGIA

Già siamo lanciati coraggiosamente sui mari. Presto ci perderemo nei lorospazi immensisenza coste o riparo.

Prima che succeda questoprima che lo scafo barbuto del Pequod rolli fiancoa fianco coi corpacci ricoperti di crostacei

delle balenesarà bene parlare anzitutto di qualcosa che è quasiindispensabile per capire e apprezzare pienamente ciò

che in particolare si dirà dei leviatanie altri accenni di ogni specie cheseguiranno.

In certo sensoè una rassegna sistematica della balena in tutti i suoigeneri che vorrei mettervi sotto gli occhi.

Ma non è cosa facile. Significa voler classificarené più né menoglielementi del caos. Sentite ciò che hanno scritto di

recente le maggiori autorità.

Scrive il capitano Scoresby nell'anno di grazia 1820: «Non c'è ramo dellaZoologia tanto complicato come

quello che si chiama Cetologia.»

«Se anche ne fossi capacenon è mia intenzione imbarcarmi nella ricercadel metodo giusto per dividere i

cetacei in gruppi e famiglie... Una confusione spaventosa regna tra glistudiosi di questo animale (il capodoglio)»

afferma il chirurgo Beale nell'anno 1839.

«Impossibile condurre una ricerca in acque senza fondo.» «Un veloimpenetrabile copre la nostra conoscenza

dei cetacei.» «È un campo seminato di spine.» «Tutte queste notizieincomplete non servono che a tormentare noi

naturalisti.» Così parlano delle balene il grande Cuviere John HuntereLessonluminari della zoologia e

dell'anatomia. Peròdi vera conoscenza ce n'è pocama di libri ce n'è aiosa; e cosi è in grado minore per la cetologia o

scienza delle balene. Molti sono quellipiccoli e grandiantichi e modernidi terra o di mareche poco o molto hanno

scritto sulla balena. Citiamone una manciata: gli Autori della BibbiaAristotelePlinioAldrovandiSir Thomas

BrowneGesnerRayLinneoRondoletiusWilloughbyGreenArtediSibbaldBrissonMartenLacépède

BonneterreDesmarestil barone CuvierFrederick CuvierJohn HunterOwenScoresbyBealeBennettJ. Ross

Brownel'autore di MiriamCoffinOlmsteade il reverendo T. Cheever. Ma con quali risultati generici tutticostoro

hanno scrittove lo dicono gli estratti che ho citato.

Delle persone comprese in questo elenco di autorisolo quelli che vengonodopo Owen hanno visto mai una

balena vivae uno solo di loro fu un vero baleniere e ramponiere diprofessione: cioè a dire il capitano Scoresby. Nel

campo specifico della balena di Groenlandia o balena francaegli è lamassima autorità che ci sia. Ma Scoresby non

seppe nientee niente ci dicedel grande capodogliodi fronte al quale labalena di Groenlandia quasi non merita di

venire nominata. Anzi voglio dire qui che la balena di Groenlandia usurpa iltrono dei mari. Non è neanche la più grossa

delle balenein realtà. Ma la sua usurpazione è stata ammessa da tutti percausa dell'antica priorità delle sue pretesee

della profonda ignoranza chefino a una settantina d'anni facopriva ilcapodogliobestia allora favolosa e

completamente sconosciuta. Ancora ai nostri giorni questa ignoranza regnadappertuttotranne che in qualche raro

eremo scientifico e nei porti balenieri. Se andate a leggere quasi tutte leallusioni leviataniche dei grandi poeti del

passatovi convincerete che la balena di Groenlandia era per loro il monarcadei marisenza un solo rivale. Ma alla fine

è arrivato il momento di fare un nuovo proclama. Qui è Charing Cross:Ascoltatebuona gente! La balena di

Groenlandia è deposta; il readessoè il gran capodoglio.

Ci sono due soli libri al mondo che in qualche modo aspirano a mettervidavanti agli occhi il capodoglio vivo

e che riescono nei loro sforzi sia pure in minimo grado. Sono quelli di Bealee di Bennetttutt'e dueai loro tempi

chirurgi sulle baleniere inglesi che battevano i mari del Sude tutti e dueuomini accurati e attendibili. Nei loro volumi

le parti di prima mano che riguardano il capodoglio sono per forza di coseristrettema quello che c'è è di qualità

eccellentesebbene limitato essenzialmente alla descrizione scientifica. Delresto finora il capodoglioscientificamente.56

o poeticamente che sianon esiste intero in nessuna letteratura. La suamolto più di quella di ogni altra balena pregiata

è una biografia da scrivere.

Ora le varie specie di balena hanno bisogno di una qualche classificazionegenerale che sia accessibile a tutti

sia pure solo uno schema provvisorio per il momentoche in seguito futuriricercatori potranno riempire in tutti i suoi

scomparti. E siccome nessuno meglio di me si fa avanti per prendere in manoquest'operaoffro i miei poveri sforzi.

Non prometto niente di completoperché ogni cosa umana che si credecompletaappunto per questo dev'essere

sicuramente difettosa. Né pretendo di dare una descrizione anatomica minutadelle varie speciee neanchealmeno in

questa sedegran che di qualsiasi descrizione. Il mio scopo qui èsemplicemente di buttar giù un abbozzo di sistema

cetologico. Sono l'architetto insommanon il costruttore.

Ma è un compito pesanteperfino per un normale smistatore di lettere in unufficio postale. Andare a tastoni

dietro a balene fino in fondo al marecacciare le mani nelle fondamentanelcostato e nel bacino stesso del mondodi

cui non c'è lingua che possa parlareè cosa che fa spavento. Chi sono ioper presumere di pigliare all'amo il naso del

Leviatano? I sarcasmi terribili del libro di Giobbe potrebbero davveroatterrirmi: «Farà luiil Leviatanoun patto con

te? Eccola speranza di pigliarlo è vana!» Ma io ho nuotato perbiblioteche e navigato per oceani; ho avuto a che fare

con balene proprio con queste mani. Faccio sul serioioe mi ci provo.Passiamo a definire alcune premesse.

Primo: lo stato incerto e indefinito di questa scienza della cetologia ègià attestato all'introito dal fatto che in

certi ambienti è tuttora un punto controverso se la balena è un pesce. Nelsuo Sistemadella Naturaanno 1776Linneo

dichiara: «E perciò distinguo le balene dai pesci.» Però mi risulta chefino all'anno 1850 pescicani e alosesalacche e

aringhe si trovano ancoracontro il verdetto esplicito di Linneoa dividerecol Leviatano il possesso dei mari.

Il motivo per cui Linneo avrebbe voluto bandire le balene dalle acqueloespone lui stesso come segue: «A

causa del loro cuore caldo e bilocularedei polmonidelle palpebre mobilidelle orecchie cavedel penemintrantem

feminam mammis lactantem »e infine «exlege naturae jure meritoque.»Su tutto ciò consultai i miei amici Simeon

Macey e Charley Coffin di Nantuckettutti e due miei compagni di mensa in uncerto viaggioe tutti e due si trovarono

d'accordo nel dire che le ragioni esposte erano assolutamente insufficienti.Anzi Charley insinuò in modo irriverente che

erano minchionerie.

Sia dunque chiaro che scartando ogni discussione io accetto il buon principioantico che la balena è un pescee

a mio sostegno invoco il santo Giona. Fissato questo punto fondamentaleilsecondo è vedere per quali motivi la balena

differisce dagli altri pesci. SopraLinneo vi ha dato quei suoi dati. Sitratta insomma di questo: polmoni e sangue caldo

mentre tutti gli altri pesci polmoni non ne hannoe il sangue ce l'hannofreddo.

Secondo: come definiremo la balena dal punto di vista delle sue più vistosecaratteristiche esternein modo da

classificarla con la massima evidenza una volta per sempre? Alloraper farlacortauna balena è unpesce che sfiata

acquaed ha la coda orizzontale.È il suo ritratto. Per quanto stiticaquesta definizione è il risultato dilunghe

riflessioni. Un trichecodifattisfiata quasi come la balenama iltricheco non è un pesce bensì un anfibio. Ma quella

che è ancora più cogente è l'ultima parte della definizioneaccoppiatacom'è alla prima. Quasi tutti devono avere notato

che ognuno dei pesci noti alla gente di terra ha la coda non piattamaverticalecioè una coda che va da su in giù.

Mentre fra i pesci che sputano acqua la coda può avere una forma similemaassume invariabilmente una posizione

orizzontale.

La definizione che ho dato di ciò che è una balena non escludeassolutamente dalla confraternita leviatanica

qualsiasi creatura del mare sinora identificata con la balena dai marinaimeglio informati di Nantucket; né d'altra parte

vi include quei pesci che finora ne sono stati considerati estranei con buoneragioni. E quindi in una proposta di sistema

cetologico come questa vanno inclusi tutti i pesci minori che sfiatano ehanno code orizzontali. Ecco dunque le grandi

divisioni di tutta l'armata delle balene.

Primo: secondo le grandezze io divido le balene in tre principali LIBRI(suddivisi in Capitoli)e questi le

includeranno tuttegrosse e piccole.

I. La BalenaIn-Folio. II. LaBalena In-Ottavo.III. La BalenaIn-Dodicesimo.

Come tipo di In-Folio presentoil Capodoglio;di In-Ottavol'Orca;e di In-Dodicesimoil Porcomarino.

IN-FOLIO. Tra questi includo i seguenti capitoli: I. IlCapodoglio; II.La Balena Franca;III. LaBalenottera;

IV. LaMegattera; V. LaBalena a dorso di rasoio;VI. La BalenaPancia-di-zolfo.

LIBRO I (In-Folio)Capitolo I (Capodoglio).Questa balenavagamente conosciuta dagli antichi inglesi coi

nomi di Balena Trumpa o di Fisiterio oppure di Balena a testa di incudineèl'attuale Cachalot dei francesiil Pottfisch

dei tedeschi e il Macrocephalus dei Motti Lunghi. È senza dubbio il piùgrosso abitatore del mondola più formidabile a

sfidarsi di tutte le balenela più maestosa d'aspettoe infine di granlunga la più pregiata in commercioessendo la sola

creatura da cui si ricava quella sostanza preziosa che è lo spermaceti. Masu ogni sua qualità mi dilungherò in parecchi

altri punti; per il momento mi voglio occupare sopratutto del nome.Considerato filologicamente è assurdo. Qualche

secolo faquando il capodoglio era quasi completamente sconosciuto nei suoicaratteri specificie il suo olio era

ricavato solo accidentalmente da qualche pesce che si arenavaa quei tempisi credevapareche lo spermaceti

provenisse da una balena uguale a quella che allora gli inglesi chiamavano labalena franca o di Groenlandia. E si

pensava pure che questo spermaceti non era che quel fluido vivificante dellabalena franca indicato letteralmente dalla

prima metà della parola. Per di più alloralo spermaceti era rarissimoné si usava per l'illuminazione ma solo come

unguento e medicinale. Si trovava solo in farmaciacome oggi si compra unoncia di rabarbaro. Penso che quandopiù

tardisi conobbe la vera natura dello spermacetii commercianti mantenneroquel suo vecchio nomesenza dubbio per.57

aumentarne il valore con quella curiosa allusione alla sua rarità. E cosìdovette finire che l'appellativo passò alla balena

da cui in realtà veniva questo spermaceti.

LIBRO I (In-Folio)Capitolo II (BalenaFranca). È ilpiù rispettabile dei Leviatani da un solo punto di vista:

perché è il primo a cui l'uomo dette regolarmente la caccia. Fornisce ilprodotto noto comunemente come osso di balena

o fanonee l'olio chiamato specificamente «olio di balena»che incommercio è articolo inferiore. I pescatori la

chiamano senza discriminazioni con tutti i seguenti nomi: balenabalena diGroenlandiabalena nera o grandebalena

vera e balena franca. Ma l'identità della specie battezzata con tantavarietà resta oscura parecchio. E allora qual è la

balena che io includo nella specie seconda dei miei in-folio? È il grandeMysticetus dei naturalisti inglesila balena di

Groenlandia dei balenieri inglesila Baleine ordinaire di quelli francesila Growlands Walfish degli svedesi. È la balena

che da più di due secoli gli olandesi e gli inglesi cacciano nei mariarticila balena che da lungo tempo i pescatori

americani hanno inseguita nell'Oceano Indianosui banchi del Brasilesullacosta del Nord-Ovest e in varie altre parti

del mondo da loro indicate come i campi di caccia della balena franca.

Alcuni pretendono di vedere una differenza tra la balena di Groenlandia degliinglesi e la balena franca degli

americani. Ma esse collimano perfettamente in tutte le loro caratteristichemaggiorie ancora nessuno ha mostrato un

solo dato preciso su cui fondare una distinzione netta. È a causa delle lorosuddivisioni infinitebasate sulle differenze

più inconcludentiche certe sezioni della storia naturale diventano cosìimbrogliate da far vomitare. Della balena franca

tratterò a lungo in altro luogoquando darò chiarimenti sul capodoglio.

LIBRO I (In-Folio)Capitolo III (Balenottera).In questo gruppo colloco un mostro chesotto i vari nomi di

BalenotteraAltospruzzo o Lungo Johnè stato avvistato quasi in tutti imari; è di solito la balena il cui lontano zampillo

scorgono così spesso i passeggeri che traversano l'Atlantico sui postali diNew York. Per la lunghezza che raggiunge e

per i fanoni la balenottera somiglia alla balena francama è meno imponentedi vita e di colore più chiarovicino

all'oliva. Le sue grosse labbra somigliano a cavi formati dalle pieghe digrandi rughe che si attorcigliano di sghembo.

Ciò che più la distinguela pinna da cui deriva il nomeè spesso assaivistosa. Questa pinna è lunga un tre o quattro

piedi e le spunta verticalmente sul dietro del dorsocon la sua forma atriangolo e la sua punta assai aguzza. Anche

quando non si vede neanche un centimetro dell'animalea volte si avvistachiara mente questa pinna isolata che emerge a

pelo d'acqua. Quando il mare è abbastanza calmo e appena s'increspa adanellie questa pinna si rizza come l'asta di una

meridiana e getta ombra su quella superficie rugosaproprio si direbbe cheil cerchio d'acqua attorno somigli un poco a

un quadrante col suo ferroe i segni ondulati delle ore scolpite sopra. Suquel quadrante di Ahaz l'ombra è così volubile.

La balenottera non è gregaria. Pare che odii le balene come certi uominiodiano i loro simili. Timidissimasempre in

viaggio da solaaffiora all'improvviso nelle acque più solitarie e lugubricol suo unico zampillo alto e dritto che si leva

come una lunga lancia misantropica in mezzo a una piana deserta. Dotato ditale meravigliosa potenza e velocità nel

nuoto da sfidare finora qualsiasi inseguimento dell'uomoquesto leviatanopare il Caino bandito e inafferrabile della sua

razzache porta come marchio quello stilo sul dorso. Perché ha fanoni inboccaspesso la balenottera è inclusa con la

balena franca in una famiglia teorica detta delle balene d'ossocioè balenecoi fanoni. Di queste cosidette balene d'osso

pare ce ne siano parecchie varietàper lo più quasi sconosciutecomunque:balene dal nasone e balene a beccobalene a

testa di piccone e balene a gobbabalene a mandibola sporgente e balene arostroquesti sono i nomi che i pescatori

danno a qualche specie.

A proposito di questo termine di balene d'osso è molto importante ricordareche questo nominativo può essere

utile per facilitare l'accenno a certi gruppi di balenema è assurdotentare una chiara classificazione leviatanica

fondandola su fanonigobbepinne o dentianche se queste parti o fattezzedi spicco paiono ovviamente adatte a fornire

la base di un perfetto sistema cetologico meglio di qualsiasi altro caratterefisico che la balena presenta nelle sue varietà.

Perché? Perché i fanonila gobbala pinna dorsale e i denti sono cose lecui peculiarità sono disseminate a casaccio tra

ogni genere di balenasenza nessun rapporto con quella che può essere laloro conformazione in altre e più essenziali

particolarità. Così il capodoglio e la megattera hanno tutt'e due la gobbama la somiglianza finisce qui. A sua volta la

megattera ha i fanoni come la balena di Groenlandiama anche loro non hannoaltre cose in comune. E lo stesso

succede con le altre parti di cui ho accennato. In parecchie specie di baleneesse formano combinazioni così irregolari

oppure così irregolari eccezioni quando si presenta un caso singolodascoraggiare senz'altro ogni metodo generale che

sia fondato su una base simile. Su questo scoglio è venuto a rompersi lecostole ogni specialista di balene.

Ma forse qualcuno può pensare che nelle parti interne della balenanellasua anatomialì almeno dovremmo

trovare il modo giusto di classificarle. Nossignori. Nell'anatomia dellabalena groenlandeseper esempioche c'è di più

singolare dei fanoni? Eppure abbiamo visto che per mezzo dei fanoni èimpossibile classificare correttamente quella

balena. E se scendete nelle budella dei vari leviatanibenenon vi trovateniente che sia utile al classificatore la

cinquantesima parte dei caratteri esterni già ricordati. Allora che resta dafare? Niente altro che prendere le balene di

corpoin tutta la loro massa generosa e classificarle coraggiosamente inquella maniera. E questo è il sistema

bibliografico qui adottatoed è l'unico e solo che possa riuscire perchéè l'unico che si può usare in pratica.

Continuando:

LIBRO I (InFolio)Capitolo IV (Megattera).Questa balena si vede spesso lungo la costa dell'America

settentrionale. Spesso vi è stata catturata e rimorchiata in porto. Portaaddosso un gran fagottocome un venditore

ambulante; anzi la potremmo chiamare la balena «elefante col castello». Aogni modo quel suo nome popolare non la

distingue abbastanzaperché il capodoglio pure ha la gobbaanche se piùpiccola. Il suo olio non è molto pregiato. Ha

fanoni. Di tutte le balene è la più spensierata e allegronae di solito fapiù schiuma gaia e acqua bianca di tutte le altre..58

LIBRO I (In-Folio)Capitolo V (Dorsodi rasoio). Diquesta balenaoltre il nomesi conosce poco. L'ho vista

a distanzaal largo del Capo Horn. Schiva di naturaelude cacciatori efilosofi naturali. Non è una vigliaccaperò di se

stessa non ha mai mostrato che il dorsoil quale si alza come un lungocrinale affilato. Lasciamola andare. So poco altro

di lei. E nessuno ne sa di più.

LIBRO I (In-Folio)Capitolo VI (Pancia-di-zolfo).Un'altra signora riservatacon una pancia di zolfo che

senza dubbio si è fatta strisciando sulle tegole dei Tartaro in qualcuno deisuoi tuffi più profondi. La si vede raramente;

io almeno non l'ho mai vista che nei mari più remoti del Sude sempre adistanza troppo grande per studiarne la figura.

Non le si dà mai la caccia: si porterebbe via intere cordate di lenza. Dilei si dicono meraviglie. Addiopancia di zolfo!

Non so dire altro che il veroe il più vecchio dei Nantuckettesi nonavrebbe niente da aggiungere.

Così finisce il primo libro (In-Folio)e ora comincia il secondo (In-Ottavo).

IN-OTTAVO. Questo libro abbraccia le balene di media grandezzatra le qualial momento possiamo

enumerare: I. L'Orca.II. Il Pesce nero.III. Il Narvalo.IV. La Volpe dimare. V. L'Assassino.

LIBRO II (In-Ottavo)Capitolo I (Orca).Questo pesce il cui respiro o piuttosto sfiato rumoroso ha fornito un

proverbio a quelli di terraè un abitante degli abissi assai benconosciutoperò di solito non è classificato tra le balene.

Ma siccome possiede tutti i maggiori tratti caratteristici del leviatanolamaggior parte dei naturalisti l'hanno

riconosciuto per tale. Ha un discreto formato in-ottavovariando inlunghezza dai quindici ai venti piedie con

dimensioni proporzionate di cinta. Nuota in branchi; non viene mai cacciatodi regolaper quanto abbia olio in quantità

notevole e ottimo per l'illuminazione. Certi pescatori considerano la suaapparizione come un preavviso dell'arrivo del

gran capodoglio.

LIBRO II (In-Ottavo)Capitolo II (Pescenero). Di tuttiquesti pesci do i nomi che usano i pescatoriche sono

di solito i migliori. Quando capita che un nome sia vago o inespressivolodico e ne suggerisco un altro. È ciò che

faccio adesso a proposito di questo cosidetto pesce neroperché il nero èla regola per quasi tutte le balene. Perciòse

voletechiamatelo il pesce-jena. La sua voracità è arcinotae per ilfatto che ha gli angoli interni delle labbra voltati

all'insùesso porta in faccia un eterno ghigno mefistofelico. Questa balenaè lunga in media sedici o diciotto piedi. Si

trova quasi in ogni latitudine. Ha un modo specialenuotandodi mostrare lapinna dorsale a uncinoche un po' somiglia

a un naso romano. Quando non hanno di meglio per le mania volte icacciatori di balene catturano la jenaper tener su

la riserva d'olio ordinario per usi domestici: come certi padroni di casafrugaliche quando non c'è gente in casa

bruciano sego nauseante invece di cera profumata. E sebbene il loro grassosia molto sottilealcune di queste balene vi

rendono più di trenta galloni d'olio.

LIBRO II (In-Ottavo)Capitolo III (Narvalo).Ossia balena dalla narice. Un altro esempio di balena dal nome

curiosocosì chiamata immagino perché dapprima il suo tipico corno vennescambiato per un naso a punta.

Quest'animale è lungo circa sedici piedimentre il corno raggiunge in mediacinque piedia volte supera i dieci e arriva

perfino ai quindici. Strettamente parlando questo corno è semplicemente unalunga zanna che spunta dalla mascella

secondo una linea un po' più bassa dell'orizzontale. Ma si trova solo dallato sinistro e il risultato è bruttoperché dà al

suo proprietario un po' l'aria goffa di un mancino. Cosa ci stia a fareesattamente questo corno o lancia d'avorio non è

facile dirlo. Che sia usato come la lama del pesce spada e del pesce becconon risultasebbene qualche marinaio mi dice

che il narvalo l'adopera come rastrello per cercare cibo sfruconando il fondodel mare. Charley Coffin diceva che serve

per fare buchi nel ghiaccio il narvalo sale a galla nelle acque del pololetrova foderate di ghiacciocaccia sù il corno e

lo spezza. Ma non c'è modo di provare che l'una o l'altra ipotesi siagiusta. Quanto a me non lo so come il narvalo usa in

realtà questo corno unilateralema comunque stiano le cosepenso che glisarebbe certo assai utile come tagliacarteper

leggere opuscoli. Il narvalo l'ho sentito chiamare la balena zannutalabalena cornuta e la balena unicorna. È certo un

esempio curioso di quell'unicornismo che si ritrova in quasi tutti i regnidella natura animata. Da certi antichi autori di

clausura ho saputo che proprio questo corno dell'unicorno di mare eraconsiderato anticamente il grande antidoto contro

i velenie come tale i suoi preparati toccavano prezzi favolosi. Venivaanche distillato in sali volatili per gli svenimenti

delle signorecosì come le corna del cervo maschio vengono manifatturate incarbonato d'ammonio. Anticamente il

corno di narvalo era considerato in se stesso un oggetto di grandecuriosità. Il mio libro gotico mi dice che Sir Martin

Frobisheral ritorno dal viaggio quando la Regina Betta gli fece un galantesaluto con la mano ingioiellata da una

finestra di Greenwich Palacementre lui scendeva il Tamigi sul suo baldoveliero«quando Sir Martin tornò da quel

viaggio» dice Lettera Nera«piegate le ginocchia offrì a Sua Altezza uncorno di narvalo di prodigiosa lunghezzache

poi per gran tempo restò appeso al castello di Wìndsor.» Un autoreirlandese asserisce che il Conte di Leicester

ginocchionisimilmente offrì a Sua Altezza un altro cornoappartenente auna bestia terrestre di razza unicorna.

Il narvalo ha un aspetto assai pittorescoquasi di leopardoperché è diun color base bianco latteo picchiettato

di macchie nere tonde e oblunghe. Il suo olio è di primissima qualitàlimpido e fine; ma il pesce ne ha pocoe viene

cacciato raramente. Si trova sopratutto nei mari attorno ai poli.

LIBRO II (In-Ottavo)Capitolo IV (Assassino).Di questa balena sa ben poco l'uomo di Nantuckete niente di

niente il naturalista di professione. Da quello che ne ho visto a distanzadirei che era più o meno grossa come un'orca. È

molto feroceuna specie di pesce delle Figi. Certe volte s'attacca al labbrodella gran balena in-folio e vi resta

appiccicata come una mignattafinché il bruto potente muore tra i tormenti.Non si caccia mai l'assassino. Non ho mai

saputo che razza d'olio può avere. Si può fare obiezione al nome imposto aquesta balenaa causa del suo carattere

vago. Siamo tutti assassinia terra e in acquaBonaparti e pescicaniinclusi.

LIBRO II (In-Ottavo)Capitolo V (Volpedi mare).Questo signore è famoso per la sua codache usa come

ferula per flagellare i suoi nemici. Sale addosso alla balena In-Folioementre quella nuotalui si paga il passaggio.59

frustandola; come fanno certi maestri di scuolache al mondo sbarcano illunario con simili sistemi. Di lui si sa meno

ancora che dell'assassino. Tutti e due sono fuorileggeperfino nei marisenza legge.

Così finisce il secondo libro (In-Ottavo)e comincia il libro terzo (In-Dodicesimo).

IN-DODICESIMO. Vi sono incluse le balene più piccole: I. LaFocena urrà.II. La Focenaalgerina. III. La

Focena melliflua.

A quelli che non hanno avuto modo di studiare l'argomento in modo specialepotrà forse parere strano che

pesci lunghi di solito non più di quattro o cinque piedi vengano schieratitra le BALENE: una parola che alla gente

comune dà sempre l'idea di qualcosa d'immenso. Ma gli animali qui sopraelencati come in-dodicesimi sono balene

senza falloin termini della mia definizione di ciò che è una balena: unpesce cioè che sfiata e con la coda orizzontale.

LIBRO III (In-Dodicesimo)Capitolo I (Focenaurrà). Questoè il porco marino comuneche si trova quasi

dappertutto. Il nome gliel'ho dato io; perché di focene ce n'è più di untipoe qualcosa bisogna pure farla per

distinguerle. Questa la chiamo così perché nuota sempre in branchi allegriche sulla distesa del mare continuano a

catapultarsi nel cielo come berretti sulla folla del Quattro Luglio. La loroapparizionegeneralmenteè salutata con gioia

dai marinai. Piene di umore gaiosbucano invariabilmente dalle onde briose asopravvento. Sono i giovanotti che vanno

sempre col vento in poppa. E sono considerate di buon augurio. E se voistessi non riuscite a gridare tre urrà alla vista di

questi pesci vivaciche il cielo vi aiuti: vi manca lo spirito dell'onestaallegria. Una focena urrà ben nutrita e pienotta vi

renderà un buon gallone di ottimo olio. Ma il liquido fine e delicato che siestrae dalle sue mascelle è straordinariamente

pregiato. Ne fanno uso gioiellieri e orologiai. I marinai lo mettono sullecoti. La carne di focena è un buon piattosi sa.

Forse non avete mai pensato che una focena sfiata. In realtàfa unozampillo così piccolo che non è molto facile notarlo.

Ma la prossima volta che vi capita state attentie vedrete in miniatura ilgran capodoglio in persona.

LIBRO III (In-Dodicesimo)Capitolo II (Focenaalgerina). Unpirata. Ferocissima. Si trovacredosolo nel

Pacifico. È un po più grossa della focena urràma di forma molto simile.Provocatasi butta sul pescecane. Ho

ammainato per essa parecchie voltema finora non l'ho vista mai catturare.

LIBRO III (In-Dodicesimo)Capitolo III (Focenamelliflua). Èil tipo più grosso di porco marinoe per quanto

si sa si trova soltanto nel Pacifico. L'unico nome col quale è stata finorachiamata in inglese è quello dei balenieri:

focena della balena francaper il fatto che si trova specialmente nellevicinanze di quelle in-folio. Di forma è un po'

diversa dalla focena urrà: ha la pancia meno rotonda e gioviale. Alcontrarioha una figura distintada persona per bene.

Non ha pinne sul dorsomentre le hanno quasi tutte le altre focenema hauna bella coda e occhi indiani sentimentali

color nocciola. Però la bocca melliflua rovina tutto. Per tutto il dorsofino alle pinne laterali è di un nero cupo. Ma una

linea di demarcazionenetta come il segno sullo scafo di una nave che èchiamato «cinta brillante»la riga da prua a

poppa con due colori distintinero sopra e bianco sotto. Il bianco comprendeparte della testa e tutta la boccae gli dà

l'aria di uno che sta scappando da una criminosa visita a un sacco di farina.Un'aria assai abietta e infarinata! L'olio è

molto vicino a quello della focena comune.

* * *

Oltre l'In-Dodicesimo questa classifica non arrivavisto che la focena è lapiù piccola delle balene. Qui sopra

avete tutti i più importanti leviatani. C'è poi una marmaglia di baleneincertefugaci e semifavoloseche da baleniere

americano conosco per reputazione ma non personalmente. Le enuncerò coi nomiche hanno sul castellodato che forse

un elenco può essere utile a quei ricercatori futuri che potranno completareciò che qui ho solo cominciato. Se una

qualunque delle balene che seguono verrà catturata e studiata d'ora inavantila si potrà quindi incorporare facilmente in

questo sistemasecondo la sua grandezza di in -foliooppure in -ottavo oin-dodicesimo: balena dal naso a bottiglia

balena trinellabalena a testa di budinobalena promontoriobalena pilotabalena cannonebalena scheletrobalena

ramatabalena elefantebalena icebergbalena Quogbalena azzurraecc. Dafonti islandesiolandesi e antiche inglesi

si potrebbero citare altri elenchi di balene incertegratificate di ognirazza di nomi strani. Ma le ometto come

assolutamente antiquatee mi resta il sospetto che siano meri suoni pieni dileviatanesimo ma che non significano

niente.

Per concludere: è stato detto al principio che questo sistema non lo sipoteva completare qui e subito. È più che

evidente che ho mantenuto la parola. Ma per ora lo lascio cosìmezzofinitoil mio sistema di cetologiaproprio come

fu lasciata la gran Cattedrale di Coloniacon la gru ancora piantata in cimaalla mezza torre. Perché le piccole

costruzioni le possono finire i loro primi architetti; ma le opere grandileverelasciano sempre la cimasa ai posteri. E

Dio mi guardi dal completare qualcosa. Tutto questo libro non è che unabbozzoanzi l'abbozzo di un abbozzo. Oh

tempoforzaquattrini e pazienza!

XXXIII • LO «SPECKSYNDER»

A proposito degli ufficiali d'una balenierasarà il caso di notare qui unapiccola comune caratteristica di bordo

che nasce dall'esistenza di una classe ramponiera di ufficialisconosciutanaturalmente in ogni altro ramo della

marineria.

La grande importanza che si dà alla mansione del ramponiere è provata dalfatto che in originenella vecchia

baleneria olandese di due o più secoli fail comando di una nave non erainteramente affidato alla persona che ora si

chiama il capitanoma era diviso fra questi e un ufficiale chiamato lo«Specksynder». Letteralmente la parola significa.60

l'uomo che taglia il grasso; ma l'usocol tempole diede il significato dicapo ramponiere. A quei tempi l'autorità del

capitano si limitava alla navigazione e al governo generale del bastimentomentre nel servizio caccia con tutti i suoi

annessi e connessi regnava supremo lo Specksynder o capo ramponiere. Questoantico grado olandese si conserva

ancora sotto il nome corrotto di «Specksioneer» nella Pesca inglese diGroenlandiama la sua dignità originaria è

tristemente scorciata. Al giorno d'oggi ha il semplice rango di un rampoliereanzianoe come tale non è che uno dei

minori subalterni del capitano. Con tutto ciòvisto che il successo delviaggio dipende in gran parte dal buon

comportamento dei ramponierie visto che nella pesca americana costoro nonsono solamente ufficiali di riguardo nelle

loro barchema in certi casi comandano anche sul ponte (come nei quarti dinotte in zone di caccia) allora la grande

norma politica del mare esige che essi vivano nominalmente separati daimarinai semplicie siano distinti in qualche

modo come loro superiori nel mestiere; anche se poitra di lorosi mettonosempre alla pari.

Ora la gran distinzione tra ufficiale e marinaio in mare è la seguente: ilprimo vive a poppa e l'altro a prua. Per

cuisia sulle baleniere che sui mercantiligli ufficiali vengonoacquartierati col capitano. E così anche sulla maggior

parte delle baleniere americane i ramponieri alloggiano nella parte poppiera:vale a dire che consumano i pasti nella

cabina del capitano e dormono in un locale che indirettamente comunica conquella.

Si pensi alla durata di un viaggio a balene nei mari del Sudche è di moltoil più lungo di tutti i viaggi fatti

dall'uomo oggigiorno o sempre; ai pericoli che lo accompagnano; allacomunanza d'interesse che prevale in un gruppo

dove tuttigrossi e piccolidipendono per i loro profitti non da stipendifissi ma dalla fortuna comunee anche dalla

vigilanzadal coraggio e dalla fatica di tutti. Tutte queste coseèchiaroin certi casi tendono a generare una disciplina

meno rigorosa di quella solita ai mercantili. Con tutto ciòe anche se avolte i balenieri possono convivere come

qualche famiglia primitiva della Mesopotamiasuccede raramente che sitrascurie mai che si tralasci del tutto

l'etichetta cerimoniosa del cassero. In realtà sono molte le navi diNantucket sulle quali si vede il comandante misurare

il cassero con un'ariache più solenne non si può trovare in nessunaflotta da guerra; anzi che estorce quasi tanto

omaggio esteriore che se avesse addosso la porpora imperiale e non la piùcenciosa delle giubbe da pilota.

Certo il nostro tetro capitano era l'uomo meno soggetto a un genere dipresunzione così vuota. L'unico omaggio

che richiedeva era l'obbedienza assoluta e istantanea. Non pretendeva danessuno che si levasse le scarpe dai piedi

prima di montare sui cassero. E ci furono volte anziche per circostanzeparticolari legate a certi fatti che preciserò poi

egli si rivolse agli uomini in termini poco tradizionalio in modo bonario oin terrorem oin altra maniera. Eppure lo

stesso Achab non trascurava affatto le formalità e le usanze che dominano inmare.

E forsealla finenon vi sfuggirà che qualche volta dietro a queste formee usanze eglidiciamosi

mascherava; le usava insomma di passata per fini diversi e più privati diquelli cui esse dovevano servire

legittimamente. Quel certo sultanesimo del suo cervelloche altrimenti ingran parte non si sarebbe potuto manifestare

appunto attraverso le formalità questo sultanesimo s'incarnava in unadittatura alla quale non c'era modo di resistere.

Difattiqualunque può essere la superiorità di cervello di un uomoinpratica non si può mai comandare efficacemente

il prossimo senza l'aiuto esterno di qualche artifizio o trinceramentochein se stesso è sempre più o meno gretto e

basso. Ed è questo che tiene sempre lontani dalle campagne elettorali i veriprincipi del Sacro Romano Impero; e fa sì

che i più alti onori che questo nostro mondo può dare vadano a quelli chesi rendono famosi più per la loro infinita

inferiorità a quello scelto e segreto manipolo dell'Apatia Divinache nonper la loro indubbia superiorità rispetto al

livello morto della massa. Ma questi piccoli trucchi hanno tanta efficaciaquando sono investiti in pieno dal fanatismo

politicoche in certi casi hanno messo la corona in testa perfino aimbecilli e idioti. E quandocome nel caso dello Zar

Nicolala corona di un impero geografico rende imperiale il cervello checircondala plebe si appiattisce avvilita come

una massa di pecore davanti a quella terribile concentrazione di poteri. El'autore tragico che vuole dipingere

l'indomabilità umana nella sua pienezza e nel suo slancio più immediatonon dimenticherà certo un dettaglio come

questo cui abbiamo accennatoche fra l'altro è così importante anche perla sua arte.

Ma Achabil mio capitanomi sta sempre davanti in tutta la sua aria truce erozza di Nantucket. Parlando di re

e imperatorinon devo far dimenticare che io scrivo solo di un poverovecchio cacciatore di balene come lui; e quindi

non posso usare nessuno degli addobbi e dei fronzoli esterni della regalità.Quello che ha di grande Achab bisognerà per

forza tirarlo giù dai cieliandarlo a pescare in fondo ai marie farlod'aria impalpabile.

XXXIV • LA MENSA

È mezzogiorno. E Farinatail dispensieresporgendo la pallida faccia apagnotta dalla botola della cabina

annunzia il pranzo al suo signore e padrone. Seduto a sottovento nella lanciadi poppaquesti ha appena preso la

posizione del sole; e ora è tutto assorto a calcolare la latitudine sullaliscia tavoletta a forma di medaglione che porta

apposta per quella faccenda di ogni giorno sulla parte superiore della suagamba d'avorio. Dal modo in cui trascura

completamente l'annunziosi direbbe che il tetro Achab non ha udito il suoservo. Ma di colpo si aggrappa alle sartie di

mezzanasi fa scivolare sul pontee dicendo con voce piatta e senz'anima:«Pranzosignor Starbuck»sparisce nella

cabina.

Quando l'ultima eco del passo del sultano è svanitae il suo primo emiroStarbuck ha ogni ragione di credere

che si sia già seduto a tavolaallora Starbuck esce dal suo torporefaqualche giro per il pontee dopo un'occhiata grave

dentro la chiesuoladice con una punta di buonumore: «PranzosignorStubb»e scende per la botola. Il secondo emiro.61

perde un po' di tempo attorno al sartiamee poi dando una scossetta albraccio maestroper vedere se tutto è in ordine

con quel cavo importantesi addossa anche lui la vecchia croce e con unosvelto «Pranzosignor Flask» segue chi l'ha

preceduto.

Ma ora il terzo emiroche si vede tutto solo sul casseropare sollevato daqualche strano ritegno. Con ogni

sorta di smorfie comincia ad ammiccare in ogni direzionebutta via le scarpecon due scalciatee si dà a una violenta

ma muta raffica di danza proprio sulla testa del Gran Turco; poiscagliandocon un abile colpo il berretto sulla coffa di

mezzana come fosse la sua mensolava giù canticchiandoalmeno finchéresta visibile dal pontee rovescia ogni

abitudine processionale chiudendo il corteo a suon di musica. Ma una voltasottoprima di mettere piede sulla soglia

della cabinasi carica una faccia completamente diversa. Poi il piccoloFlask giocondo e ribelle entra al cospetto del re

Achab nelle vesti di Abjectus lo schiavo.

Non ultima fra le stranezze prodotte dalla forte artificiosità delle usanzedi mare è che mentre all'aria aperta del

ponte ci sono ufficiali cheprovocatitengono testa al comandante conabbastanza sprezzo e coraggiose un minuto

dopo questi stessi ufficiali scendono per il solito pranzo nella cabina diquello stesso comandantenove volte su dieci

ecco spuntargli in faccia quell'aria inoffensivaper non dire supplichevolee untuosaverso chi siede a capotavola. È una

cosa stupefacente e a volte comicissima. Perché questo cambiamento? Èdifficile spiegarlo? Forse no. Essere stato nei

panni di Baldassare re di Babiloniaed averlo fatto non in modo altezzoso magentilein questo certo c'è una punta di

umana grandezza. Ma uno che a casa propria presiede a una tavolata d'ospiticon spirito davvero regale e intelligentein

quel momento la vince su Baldassare per potere indiscusso e capacità diinfluire sugli altried è perfino più re di lui

visto che Baldassare non era poi questo gran re. Insomma chi anche una solavolta ha offerto un pranzo agli amiciha

assaporato che significa essere Cesare. È una forma stregonesca di zarismosociale a cui proprio non si può resistere.

Orase a queste considerazioni aggiungete la preminenza ufficiale di chicomanda un bastimentoper illazione troverete

la causa di quella caratteristica della vita di mare che ho appena notato.

Al tavolo intarsiato d'avorio Achab presiedeva come un leone marino taciturnoe crinito sulla bianca spiaggia

di un'isola corallinacircondato da cuccioli bellicosi ma sempre deferenti.Ciascuno al suo giusto turnogli ufficiali

aspettavano di essere serviti. Erano come ragazzini davanti ad Achab; eppureAchab con loro non dava segno della

minima arroganza. I loro occhiall'unanimitàerano inchiodati al coltellocol quale il vecchio trinciava il piatto

principale che gli stava davanti. Credo che per nulla al mondo avrebberoprofanato quel momento con la minima

osservazioneneanche su un argomento neutrale come quello del tempo. Nocerto. E quando Achaballungando il

coltello e la forchetta che stringevano la fettina di carnecolmava espingeva verso Starbuck il piattol'ufficiale riceveva

la porzione come un'elemosinala tagliava teneramentetrasaliva un po' seper caso il coltello strideva contro la

stovigliae masticava senza rumore e inghiottiva non senza circospezione.Perché questi pasti in cabina erano come il

banchetto dell'incoronazione a Francofortedove l'imperatore tedesco pranzaarcanamente coi sette elettori imperiali:

pasti solenniin certo sensoconsumati in un silenzio pieno di sacrotimore. Eppure il vecchio Achab non proibiva la

conversazione a tavola; solo che lui stava zitto. E che sollievo per Stubbmezzo soffocato dal bocconequando un topo

faceva un fracasso improvviso nella stiva. E quel poverino di Flask era ilfiglio piccoloil ragazzino di questa spossante

riunione di famiglia. A lui toccavano gli stinchi del manzo salatoa luisarebbero toccate le zampe del pollo. Presumere

di servirsi da séper Flask sarebbe stato come commettere un furtoaggravato. Si fosse servito da sé a quella tavola

senza dubbio non avrebbe osato mostrarsi mai più a testa alta in questomondo onesto. Eppurestrano a dirsiAchab non

glielo aveva mai proibito. E anzi era probabile che se Flask l'avesse fattoAchab non se ne sarebbe nemmeno accorto.

Meno che mai Flask osava servirsi di burro. Forse pensava che i proprietaridella nave glielo proibivano perché gli

poteva aggrumare la carnagione chiara e lucente; o forse che in un viaggiocosì lungo per mari sforniti di negozi il burro

era articolo pregiatoe quindi non per un subalterno come lui: comunquefossequel povero Flask si privava

assolutamente di burro.

Un'altra cosa. Flask è stato l'ultimo a scendere a pranzoe ora è il primoa risalire. Pensate! Perché in questo

modo il pranzo di Flask era malamente pigiato in fatto di tempo. Sia Starbuckche Stubb avevano su di lui un vantaggio

inizialeeppure avevano anche il privilegio di attardarsi in coda. Se appenacapita che Stubbil quale è solo d'un piolo

più in alto di Flaskabbia poco appetito e mostri presto sintomi di avereterminatoallora Flask deve spicciarsie per

quel giorno non mangia più di tre bocconiperché è contro la sacra usanzache Stubb preceda Flask sul ponte. Fu per

questo che una volta Flask ammise in privato che da quando era salito alladignità di ufficiale non aveva più saputo cosa

fosse non avere più o meno fame. Quello che riusciva a mangiare serviva nontanto a levargli la fame ma a

conservargliela perenne. La pace e la sazietàpensava Flasksono fuggiteper sempre dal mio stomaco. Sono ufficiale;

ma con tutta l'anima vorrei stringere in pugno un buon pezzo di manzoall'anticasul castellocome facevo da marinaio

semplice. Eccoli i frutti della promozioneecco la vanità della gloriaecco la pazzia della vita! Per giuntase succedeva

che uno qualunque dei marinai del Pequod avesse una ruggine contro Flask inquanto ufficialetutto ciò che doveva fare

per vendicarsi pienamente era di andare a poppa all'ora di pranzo e dareun'occhiata attraverso l'osteriggio di cabina a

Flask che sedeva istupidito e confuso davanti al terribile Achab.

Ora Achab e i suoi tre ufficiali formavano ciò che si può chiamare la primatavolata della cabina del Pequod.

Dopo la loro uscitache avveniva nell'ordine inverso a quello dell'ingressola tovaglia di tela veniva ripulitao meglio

raggiustata alla spiccia dal pallido cambusiereed erano chiamati al festinoi tre ramponieriche erano gli ultimi a

beneficiarne. Questi trasformavano la nobile e solenne cabina in una speciedi re fettorio posticcio di sguatteri.

La scostumatezza e la disinvoltura assolutamente spensieratela democraziaquasi frenetica di questi individui

inferiorii ramponieri facevano un curioso contrasto con l'imbarazzoinsopportabile e le tirannie invisibili e indicibili.62

della tavola del capitano. Mentre i loro ufficiali parevano temere perfino ilrumore dei cardini delle proprie mascellei

ramponieri masticavano il cibo con tanto gusto che se ne sentiva l'eco.Mangiavano come baronisi riempivano la

pancia come navi indiane che caricano spezie da mattina a sera. Queequeg eTashtego avevano appetiti così

stupefacentiche per riempire i vuoti fatti dal pasto precedentequellafaccia mortigna di Farinata era costretto a portare

in tavola un gran lombo di bue salatoche pareva staccato dalla bestia acolpi d'accetta. E se non era più che sveltose

non saltava come un grilloallora Tashtego aveva un modo poco raffinato diaccelerarlotirandogli una forchetta alle

renia mo' di rampone. E una volta Daggoopreso da un improvviso capriccioaiutò la memoria di Farinata

sollevandolo di peso e schiacciandogli la testa su un gran tagliere di legnomentre Tashtegocoltello alla mano

cominciava a segnare il cerchio che precede lo scalpo. Era un tipetto nervosoe tremebondo di naturaquesto

cambusiere con la faccia a pagnottaprogenie di un panettiere fallito e diun'infermiera d'ospedale. E sia per lo

spettacolo permanente di quel nero e terribile Achabsia per le visiteperiodiche e tumultuose di questi tre selvaggitutta

la vita di Farinata era un continuo battere di denti. Di solitodopo avereprovveduto a fornire i ramponieri di tutto ciò

che volevanoscappava alle loro grinfie nella piccola dispensa adiacenteepieno di paura li sbirciava di tra le imposte

della portafinché tutto non era finito.

Era uno spettacolo vedere Queequeg seduto in faccia a Tashtegoche opponevai suoi denti affilati a quelli

dell'indiano; e di traverso a loroDaggoo seduto sul pavimentoperché asedere sulla panca avrebbe picchiato la testa

piumata come un catafalco contro i bassi correnti della volta. A ognimovimento delle membra colossali faceva tremare

l'ossatura della cabinucciacome un elefante africano che vada a bordo dapasseggero. Ma con tutto ciò il gran negro era

mirabilmente temperatoper non dire schizzinoso. Quasi non veniva da credereche con bocconi relativamente così

piccoli riuscisse a sostentare la vitalità diffusa in un corpo così vastobaronale e superbo. Ma senza dubbio questo

nobile selvaggio ingollava forte l'elemento abbondante dell'ariae per lesue narici divaricate aspirava la vita sublime

dei mondi. Non di carne o di pane sono fatti o nutriti i giganti. Ma Queequegaveva invece nel mangiare uno schiocco

umano e barbarico delle labbra: un suono abbastanza bruttotanto cheFarinatatutto tremanteera tentato di guardarsi

le braccia scheletricheper vedere se c'era segno di denti. E quando poisentiva Tashtego che gli sbraitava di farsi vivo

per portargli via le ossaquell'innocente aveva un attacco epilettico chequasi mandava a pezzi le stoviglie che gli

pendevano dattorno nella dispensa. E le coti che i ramponieri portavano intasca per le lance e le altre armie con le

quali a pranzo solevano affilare i coltelli con ostentazionenemmeno quelsuono raschiante contribuiva certo a

tranquillizzare il povero Farinata. Come poteva dimenticare che ai tempidella sua isola Queequegper dirne unosi era

certo reso colpevole di qualche violenta indiscrezione conviviale? AhimèFarinataè brutto per un cameriere bianco

dover servire dei cannibali! Dovrebbe portare al braccio non un tovagliolo mauno scudo. Comunquealla finecon sua

grande gioiai tre guerrieri d'acqua salata si alzavano e se ne andavano. Ealle sue orecchie creduleche stavano sempre

a macinare favoletutte le loro ossa marziali tintinnavano a ogni passo comescimitarre nei foderi di turchi.

Ma se questi barbari pranzavano in cabina e praticamente ci vivevanopurevisto che erano di abitudini

tutt'altro che sedentarienon ci si trovavano quasi mai tranne all'ora deipasti e un momento prima di andare a dormire

quando l'attraversavano per andare nei loro quartieri.

In questo solo punto pareva che Achab non facesse eccezione rispetto allamaggior parte dei capitani di

baleniere americane. Questicome classetendono piuttosto a pensare che lacabina della nave appartiene loro di diritto

e che solo per cortesia qualcun altro vi può entrare a qualsiasi ora.Sicché a dire proprio la verità gli ufficiali e i

ramponieri del Pequod vivevano più fuori che dentro la cabina. Quando eranodentrolo erano come è dentro casa una

portache viene spinta dentro un attimo e subito dopo ricacciata fuorimacome permanenza risiede all'aria aperta. E

con questo non ci perdevano molto. In cabina non c'era compagnia. Achab erasocialmente inaccessibile. Era incluso di

nome nel censimento della Cristianitàma di fatto vi era sempre estraneo.Viveva nel mondo come l'ultimo degli orsi

feroci viveva nel Missouriquando già vi si erano stabiliti i coloni. Ecome quandofinite la primavera e l'estatequel

selvaggio Logan dei boschi si seppelliva nel cavo di un albero per passarvil'inverno a succhiarsi le zampecosì nella

sua vecchiaia inclementein mezzo alle tempestel'anima di Achab sirichiudeva nel tronco vuoto del corpoper

succhiarsi disperata le zampe della propria tristezza.

XXXV • LA TESTA D'ALBERO

Fu quando il tempo si mise al bello che mi toccòsecondo la dovutarotazione con gli altri marinaiil mio

primo turno in testa all'albero.

Nella maggior parte delle baleniere americanele teste d'albero vengonoguarnite d'uomini quasi al momento

stesso di lasciare il portoanche se poi la nave dovrà viaggiare perquindicimila miglia e più prima di raggiungere le

proprie acque di caccia. E se dopo un viaggio di trequattro o cinque annisi ravvicina a casa con un qualsiasi spazio

vuoto a bordodiciamo pure una fiala vuotaallora le teste d'albero restanoguarnite fino all'ultimo: e la nave non

abbandona del tutto la speranza di catturare ancora una balenafinché lepunte dei suoi alberi non viaggiano tra le vette

del porto.

Orasiccome questa faccenda di stare in testa all'alberoin terra o inmareè un'incombenza antica assai e

interessantediffondiamoci qui un pochino. Mi risulta che i primi adappostarsi su una testa d'albero furono gli antichi

egiziani; in tutte le mie ricercheinfattinon trovo nessuno che lipreceda. Vero è che i loro progenitoriquelli che.63

costruirono Babeledovettero indubbiamente avere l'intenzionecon quellatorredi alzare la più alta testa d'albero di

tutta l'Asia e l'Africa. Ma bisogna aggiungere che prima di piazzarvi in cimala formaggettaquel loro alberone di pietra

cascò di bordo nella burrasca terribile dell'ira di Dio: e quindi non sipuò dare a questi costruttori di Babele la

precedenza sugli egiziani. E che gli egizi fossero un popolo di abitatori diteste d'albero è asserzione basata sull'opinione

unanime degli archeologi che le prime piramidi furono costruite a scopid'astronomia: teoria singolarmente confortata

dalla particolare forma a scalinata di tutti e quattro i lati di quegliedifici; grazie alla quale formae con levate di gambe

d'una lunghezza impressionantequei vecchi astronomi solevano montare incima e segnalare urlando le stelle nuove

proprio come le vedette di una nave moderna segnalano una vela o una balenaappena comparsa all'orizzonte. Nel Santo

Stilitail famoso eremita cristiano dell'antichitàche si costruì neldeserto un'alta colonna di pietra e sulla sua cima

passò tutta l'ultima parte della vitaissandosi il mangiare da terra con unparancoin lui abbiamo un esempio

memorabile di valoroso abitatore di teste d'alberoche non si lasciòsmuovere dal suo posto da nebbie o geloné da

pioggegrandine o nevischioma affrontando tutto arditamente finoall'ultimofinì col morire letteralmente sul lavoro.

Quanto ai moderni abitatori di teste d'alberone troviamo soltanto unasfilza senza vita: meri uomini di pietraferro o

bronzomagari capacissimi di fare fronte a una forte burrascamaassolutamente inetti al compito di segnalare gridando

caso mai avvistassero qualche cosa d'insolito. C'è ad esempio Napoleonechese ne sta ritto a braccia conserte in cima

alla colonna di Vendômea più di centocinquanta piedi in ariae ormai nonsi preoccupa di chi governa i ponti giù in

bassoLuigi FilippoLouis Blanc o Luigi il Diavolo. Il grande Washingtonanche lui se ne sta sublime in vetta al suo

albero maestro a Baltimorae la sua colonna è come una colonna d'Ercolesegna il punto della grandezza umana oltre il

quale son pochi quelli che passano. E poi l'ammiraglio Nelsonsu un arganodi ferro da cannoneguarnisce la sua testa

d'albero a Trafalgar Square. Perfino quando è più eclissato da quel granfumo di Londraci resta sempre un segno che lì

si nasconde un eroeperché dove c'è fumo c'è arrosto. Ma né il granWashington né Napoleone né Nelson rispondono

mai a un solo richiamo dal bassoper quanto li si implori disperatamente didare l'aiuto dei loro consigli ai desolati ponti

sui quali guardano. E dire che probabilmente quei loro spiriti penetrano lagran foschìa del futuroe vedono quali sono i

bassifondi e gli scogli che andrebbero evitati.

Forse può parere illegittimo appaiare in qualsiasi maniera le vedette diterra con quelle di mare; ma in effetti

non lo èe lo dimostra chiaramente un dato per cui è responsabile ObedMacyl'unico storico di Nantucket. L'illustre

Obed ci racconta che nei primordi della baleneriaprima che navi venisserolanciate regolarmente per inseguire la

predala gente dell'isola alzava alte pertiche lungo la costae le vedettevi salivano in cima per mezzo di castagnole

inchiodateun po' come fanno i polli per salire in pollaio. Qualche anno faquesto stesso sistema fu adottato dai

balenieri della Baia di Nuova Zelanda: appena avvistata la predaavvertivanole lance già bell'e pronte a riva. Ma ora

quest'usanza è passata di modaperciò torniamo all'unica testa d'alberovera e propriaquella di una baleniera in mare.

Le tre teste sono tenute guarnite dall'alba al tramonto; i marinai seguonoturni regolaricome alla barrae si danno il

cambio ogni due ore. Nel clima sereno dei tropici la testa d'albero èestremamente piacevoleanzi deliziosa per un tipo

sognatore e contemplativo. State lassùun centinaio di piedi sopra lacoperta silenziosae fate grandi balzi sull'abisso

come se gli alberi fossero trampoli giganteschimentre sotto di voie percosì dire tra le vostre gambenuotano i mostri

più smisurati del mareproprio come le navi passavano una volta fra glistivali del famoso colosso nella vecchia Rodi.

Ve ne state lassù perduto nella distesa infinita del maree nulla èimbronciato tranne le onde. La nave rolla indolente

come in un'estasigli alisei soffiano assonnatiogni cosa vi scioglie inlanguore. Quasi semprein questa vita di

baleniere ai tropicivi avvolge una sublime mancanza di avvenimenti. Nonsentite notizienon leggete giornalinessuna

edizione straordinaria con resoconti impressionanti di banalità vi dà falsee inutili eccitazioni; non udite parlare di

dispiaceri domesticidi cauzioni fallimentaridi cadute di borsanon avetemai il fastidio di pensare a cosa mangerete a

pranzovisto che per tre anni e più tutti i vostri pasti son belli estivati nei barili e la lista è immutabile.

In una di queste baleniere australidurante un viaggio che come di solitodura tre o quattro annila somma di

tutte le ore che passate in testa all'albero può arrivare a parecchi mesi.Ed è assai deplorevole che il posto cui dedicate

una parte così ampia di tutta la vostra vita sia così squallido e privo ditutto ciò che ricordi una dimora comodao sia

adatto a produrre una localizzazione gradevole dei sentimenticome s'addicea un lettouna brandaun catalettouna

garittaun pulpitouna carrozza o qualsiasi altro insomma di quei piccoli ecomodi congegni in cui gli uomini si isolano

temporaneamente. Il vostro posatoio più abituale è la testa dell'alberettodove vi reggete in piedi su due sottili aste

parallelequasi esclusive alle balenierechiamate le crocette d'alberetto.Quisballottato dal mareil principiante si sente

comodo più o meno come a stare dritto sulle corna d'un toro. Naturalmentese fa freddo potete portarvi sù la casasotto

forma di un pastrano da guardia; ma propriamente parlando il pastrano piùpesante non funziona da casa più del corpo

spogliato: in quanto checome l'animache è incollata all'interno del suotabernacolo carnale e non vi si può muovere in

libertàe neanche uscire fuori senza grave rischio di restarci (come quelpellegrino ignorante che traversa le Alpi

d'invernoin mezzo alla neve)così un pastrano da guardia non è tanto unacasa quanto una semplice busta o pelle

addizionale che vi veste. Non si può mettersi in corpo uno scaffale o uncassettonee per lo stesso motivo non si può

fare del proprio pastrano un comodo stanzino.

A questo proposito bisogna proprio deplorare il fatto che le teste d'alberodi una baleniera del sud sono

sprovviste di quelle invidiabili piccole tende o pulpitichiamati «nidi dicornacchia»in cui le vedette di una baleniera

groenlandese trovano protezione dalle intemperie dei mari artici. In quelcasalingo racconto del capitano Sleet che è

intitolato «Un viaggio tra gli iceberg alla ricerca della balenagroenlandesee incidentalmente alla riscoperta delle

perdute colonie islandesi della vecchia Groenlandia»in quel volumeammirevolea tutti quelli che sono stati su una

testa d'albero viene fornito un resoconto pieno di garbati dettagli del nidodi cornacchiaallora inventato di recente.64

istallato sul Ghiacciaioche era il nome dell'ottimo bastimento del capitanoSleet. L'aveva chiamato «nido di cornacchia

di Sleet»in suo proprio onorevisto che era stato lui a inventarlo e aregistrarne il brevetto. Ed era anche esente da ogni

delicatezza ridicola e falsae affermava che se diamo i nostri nomi aifiglidi cui come padri siamo gli inventori

originali e patentatiallo stesso modo dobbiamo dare il nostro nome aqualsiasi altro apparecchio ci capiti di inventare.

Di formail nido di Sleet somiglia un po' a un grosso fusto o tubo; però èaperto di sopradove è provvisto di uno

schermo laterale movibile da tenere a sopravvento della testa durante leburrasche forti. Essendo fissato alla cima

dell'alberovi si accede di sotto per un piccolo trabocchetto. Nella partedorsalecioè quella verso poppac'è un comodo

sedilecon sotto un cassettone per gli ombrellile sciarpe e le giacche. Difronte c'è una rete di cuoio in cui tenere il

portavocela pipail cannocchiale e altri strumenti nautici. Quando ilcapitano Sleet in persona guarniva la testa

d'albero in questo suo nido di cornacchiadice che aveva sempre un fucile(sistemato anche questo nella rete)con

relativa fiasca di polvere e dose di palliniallo scopo di stecchire qualchefortuito narvalo o qualche vagabondo

unicorno marino di quelli che infestavano i mari; ché sparargli con successodal ponte non si puòper via della

resistenza dell'acquama sparargli di sopra è un'altra faccenda. Ora nonc'è dubbio che venirci a raccontarecome fa il

capitano Sleettutti i piccoli e minuti conforti del suo nido di cornacchiaè stata opera d'amore. Peròquantunque il

capitano la faccia così lunga su molte di queste comoditàe ci offra unresoconto assai scientifico degli esperimenti fatti

nel nido con una bussoletta che vi teneva per neutralizzare gli erroririsultanti da ciò che si chiama l'attrazione locale di

ogni calamita di chiesuolaerrori da ascriversi alla vicinanza orizzontaledel ferro nel tavolatoe forse nel caso del

Ghiacciaio al fatto che c'erano tra la ciurma parecchi fabbri rovinati; dicoche quantunque il capitano sia qui molto

discreto e scientificopure con tutte le sue dotte «deviazioni dichiesuola»«osservazioni azimutali della bussola» ed

«errori di approssimazione»il capitano Sleet sa benissimo che non eratanto immerso in queste profonde meditazioni

magnetiche da non sentirsi attratto di quando in quando dalle lusinghe diquella fiaschetta ben colmacosì

graziosamente riposta a un lato del nido e a facile portata di mano. Ioammiro infinitamente e perfino amo nel

complesso questo coraggiosoonesto e colto capitanoma non posso propriodigerire il suo silenzio assoluto sulla

fiascaconsiderando quale amica fedele e consolatrice dev'essere stata perluimentre stava lassù a studiar matematiche

coi mezzi guanti e il cappuccionel suo nido d'uccello a tre o quattropertiche dal polo.

Ma se noi balenieri del sud non siamo così comodamente riparati in cimaall'albero come il capitano Sleet e i

suoi groenlandesiquesto svantaggio è fortemente compensato dalla serenitàassai diversa di quei mari seducenti nei

quali noi pescatori del sud galleggiamo quasi di continuo. Io per esempioavevo l'abitudine di non prendermela calda

affatto sull'attrezzaturatrattenendomi in coffa per fare quattrochiacchiere con Queequeg o chiunque trovavo lassù fuori

servizio. Poi salendo un altro pocoe gettando pigramente una gamba sulpennone di gabbiadavo una prima occhiata ai

pascoli d'acquae così finalmente montavo alla mia ultima destinazione.

A questo punto vorrei liberarmi la coscienzariconoscendo francamente che lamia guardia era piuttosto magra.

Col problema dell'universo che mi si rimescolava dentrocome potevolasciato solo a un'altezza che genera tanti

pensiericome potevo rispettare se non alla meno peggio gli obblighi sancitidai regolamenti di ogni baleniera: «Stai

all'erta e segnala ogni volta»?

E qui voglio anche rivolgervi un avvertimento pateticoarmatori diNantucket! Attenti a non arruolare tra la

vostra vigile mano d'opera nessun giovanotto con la faccia secca e l'occhiovuotodedito a meditazioni intempestive

che si presenta all'imbarco col Fedone in testa invece del Bowditch. Datemirettaguardatevi da tipi simili. Le balene

bisogna vederle per ucciderle; questo giovane platonista dagli occhi acaverna vi rimorchierà dieci volte attorno al

mondo senza arricchirvi di una pinta d'olio. E quest'avvertimento non èaffatto superfluo. Perché ai nostri tempi la

baleneria serve da asilo a molti giovanotti romanticimalinconiosicon latesta fra le nuvolenauseati delle pesanti

preoccupazioni del mondoche vanno cercando emozioni nel catrame e nelgrasso di balena. Non di rado il giovane

Aroldo si va ad appollaiare sulla testa d'albero di qualche balenierafrustrata e senza fortunae attacca la sua tetra lagna:

«Rollaprofondoscuro oceano azzurrorolla!

Diecimila cacciatori di grasso ti battono invano.»

Molto spesso i capitani di queste navi se la pigliano con quei giovanifilosofi sventatie li accusano di scarso

«interesse» al viaggioe gli fanno capire che sono tanto disperatamentesordi a ogni ambizione onestache in fondo al

cuore le balene preferirebbero non vederle che viceversa. Ma tutto èinutile; questi giovani platonisti si sono messi in

testa di non vederci benedi essere miopie allora perché sforzare ilnervo ottico? Il binocolo l'hanno lasciato a casa.

«Ma brutta scimmia» diceva un ramponiere a uno di questi signorini«sonoquasi tre anni che incrociamo e

ancora non hai visto una balena. Quando ci sei tu sull'alberodiventano piùrare dei denti di gallina.» E forse era proprio

così. O forse all'orizzonte ne erano passate a torme; ma il ritmo chemescola onde e pensieri ha fatto scivolare come

l'oppio quel giovane assente in una tale apatìa di sogni vuoti e ignarichealla fine egli perde la sua identità. Quel

mistico oceano ai suoi piedilo prende per l'immagine visibile diquell'anima profondaazzurrainfinita che pervade

l'umanità e la natura. E ogni cosa stranaappena intravistasgusciantebella che lo eludeogni cosa che vede e non vede

alzarsi come la pinna di qualche sagoma inafferrabilegli parel'incarnazione di quei pensieri sfuggenti che popolano

l'animo soltanto come rapide forme in un eterno volo. In questo stato d'animoincantato lo spirito rifluisce al punto da

dove uscìsi diffonde attraverso il tempo e lo spazio; e forma infinecomele ceneri panteistiche di Cranmer disperse

negli elementiuna parte di tutte le spiagge per tutta la curva delmondo..65

E ora in te non c'è altra vita che quel dondolìo impresso dalla nave cheappena si cullache alla nave viene dal

maree al mare dalle maree inscrutabili di Dio. Ma mentre questo sonnoquesto sogno ti è sopramuovi di un pollice il

piede o la manolascia un attimo la presae l'identità ti ritorna interrore. Pendi su vortici cartesiani. E magaria

mezzogiornoin uno splendore di tempocon un urlo soffocato piombiattraverso l'aria trasparente nel mare estivoe

non torni a galla mai più. Stateci bene attentivoi panteisti.

XXXVI • IL CASSERO

(Entra Achab; poi tutti.)

Non molto tempo dopo l'affare della pipauna mattina appena finita lacolazioneAchab salì al suo solito in

coperta per la scaletta della cabina. A quell'ora quasi tutti i capitani dimare usano passeggiare sul pontecome

signorotti di campagna che dopo merenda fanno un giretto in giardino.

Presto si sentì il battito regolare del suo piede d'osso che andava su egiù per la solita rondasu tavole ormai

così abituate al suo passo che erano tutte intaccate come rocce geologichedal marchio particolare della sua andatura. E

a guardare attentamente quella fronte venata e intaccataanche lì sivedevano impronte ancora più strane: le orme di

quell'unico suo pensiero che non aveva sonno o requie.

Ma questa volta le tacche parevano più profondee anche il suo passonervosoquella mattinalasciava un

segno più marcato. E Achab era così invaso dalla sua ideache a ognivoltata uguale che facevaora all'albero maestro e

ora alla chiesuolasi poteva. quasi vedere quell'idea rivoltarsi e camminareassieme a lui; e davvero lo possedeva tanto

da sembrare a momenti la forma interiore di ogni suo movimento esterno.

«Lo vediFlask?» bisbigliò Stubb. «Il pulcino che ha dentro becca ilguscio. Presto verrà fuori.»

Le ore passavano. Achab s'era chiuso in cabina e subito dopo s'era rimesso apasseggiare sul ponte con la stessa

aria esaltata.

La giornata stava per finire. All'improvviso s'inchiodò vicino alla muratacacciò la gamba d'osso nel buco di

trivellocon una mano s'appigliò a una sartia e ordinò a Stubb dimandargli tutti a poppa.

«Capitano?» fece il secondostrabiliato da quell'ordine che a bordo non sidà quasi maitranne che in casi

d'emergenza.

«Manda tutti a poppa» ripeté Achab. «Vedette oh! A basso!»

Quando tutto l'equipaggio fu riunitoe ognuno stava a guardarlo curioso enon senza apprensioneché la sua

faccia non era diversa dall'orizzonte quando si alza un fortunaleAchabdette un'occhiata svelta oltre le muratee poi

saettando gli occhi tra gli uomini si mosse dal suo posto. Come se non avesseun'anima attornoriprese pesantemente ad

andare su e giù per la coperta. E continuava a marciare a testa china e colcappello schiacciato a metà sul naso

incurante dei brontolii di sorpresa dei marinaifinché Stubb sussurròcautamente a Flask che Achab doveva averli

chiamati per assistere a una impresa podistica. Ma non durò a lungo.Fermandosi con violenza gridò:

«Cosa fate quando vedete una balenamarinai?»

Impulsivamenteuna ventina di voci gridarono tutte assieme: «Lasegnaliamo!»

«Bene!» urlò Achab con un tono di selvaggia approvazionenotando ilcalore spontaneo in cui li aveva gettati

magneticamentequella domanda inattesa.

«E che fate poimarinai?»

«Ammainiamoe alla caccia!»

«E a che canto vogateragazzi?»

«Balena morta o lancia a picco!»

A ogni urloil viso del vecchio assumeva sempre più un aspetto strano eselvaggio di approvazione e di gioia.

E intanto i marinai cominciavano a guardarsi incuriositicome sorpresi daquel loro stesso esaltarsi per delle domande

che apparivano così oziose.

Ma appena Achab ricominciò a parlare tornarono a fissarlo tutti avidi. Siera voltato a metà sul suo pernoe

con una mano alzata stringeva strettaquasi convulsamenteuna sartia:

«Tutti voi di vedetta mi avete già sentito dare ordini riguardo a unabalena bianca. Guardate qua! Vedete

quest'oncia d'oro spagnola?» e alzò al sole una grossa moneta luccicante:«Vale sedici dollariragazzi. La vedete?

Signor Starbuckdatemi quella mazza.»

Mentre l'ufficiale prendeva il martelloAcbab senza dire niente strofinavapian piano il pezzo d'oro sulle falde

della giacca come per farlo più lustro. E intanto cantarellava tra sé abassa vocesenza paroleproducendo un suono

soffocato e indistinto così stranoche pareva il ronzare meccanicodell'orgasmo che aveva dentro.

Avuta la mazza da Starbuck l'alzò e camminò verso l'albero maestromostrando la moneta d'oro con l'altra

manoe gridando a piena voce: «Chi di voi mi segnala una balena con latesta biancala fronte rugosa e la mandibola

stortachi di voi avvista questa balena bianca con tre buchi nella pinnadestra della codaguardate! Chi segnala questa

balena avrà quest'oncia d'ororagazzi!»

«Urrà! Urrà!» gridarono i marinaie agitando i cappelli d'inceratafesteggiavano i colpi che inchiodavano l'oro

sull'albero..66

«Una balena biancaripeto.» tornò a dire Achab gettando via la mazza«una balena bianca. Tenete gli occhi

apertimarinai. Attenti all'acqua bianca. Anche se vedete una bollasegnalate.»

Intanto TashtegoDaggoo e Queequeg avevano assistito alla scena ancora piùsorpresi e interessati degli altrie

a sentire parlare d'una fronte rugosa e d'una mandibola storta avevanotrasalitocome se ciascuno per suo conto avesse

ricordato qualche fatto particolare.

«Capitano Achab» disse Tashtego«questa balena bianca dev'essere quellache certuni chiamano Moby Dick.»

«Moby Dick?» gridò Achab. «Allora conosci la balena biancaTash?»

«Capitanosbatte la coda in modo un po' curioso prima di tuffarsi?»domandò il Capo Allegro come

riflettendo.

«E ha pure uno sfiato curioso» disse Daggoo«molto denso anche per unospermaceti e violentissimo

capitano?»

Allora Queequeg gridò in modo sconnesso: «E ha unoduetreahmoltiferri nella pelle purecapitano? Tutti

torti storciuti come un... come un...» E balbettava forte cercando laparolae avvitava una mano in aria come a stappare

un fiasco:

«Come un... come un...»

«Come un cavatappi!» gridò Achab. «Ma sicuroQueequegce l'ha dentrotutti storti e piegatii ramponi;

Daggoohai ragioneha una sfiatata come un covone di frumentoe biancacome un mucchio della nostra lana a

Nantucket dopo la tosatura; ed è veroTashtegoche sbatte la coda come unfiocco strappato dalla burrasca. Morte e

demoni! È Moby Dick che avete vistoragazzi! Moby Dickproprio MobyDick!»

«Capitano Achab» disse Starbuckche finora aveva guardato il suosuperiore sempre più sbalorditocome

Stubb e Flaskma adesso pareva colpito da un'idea che in qualche modospiegava tutto: «Capitano Achabho sentito

parlare di Moby Dick. Ma non è stato Moby Dick a mozzarti la gamba?»

«Chi te l'ha detto?» gridò Achab. Parve esitare: «Ma sìStarbuck. Masìamici mieitutti quanti. È stato lui a

disalberarmilui a regalarmi questo tronco morto su cui ora mi reggo. Masìma sì!» gridò con un singhiozzo terribile

forteanimalesco come quello di un alce colpito al cuore: «Ma sìma sìè stata quella maledetta balena bianca che mi

ha smantellato e mi ha ridotto per sempre un povero buono a niente!»Cominciò a sbattere le braccia e a imprecare

paurosamente: «Ma sìma sì!» gridava. «E io l'andrò a scovare dietroal Capo di Buona Speranza e al Capo Horn e al

Maelstrom e alle fiamme della perdizione prima di perdonargliela. Ed è perquesto che vi siete imbarcatimarinai! Per

cacciare quella balena bianca su tutti e due i lati del continente e in ogniparte del mondoper fargli sfiatare sangue

neroper buttarla a pinne in aria. Che ne diteragazzici facciamo subitouna stretta di mano? Mi sembrate gente di

fegato.»

«Sìsì!» gridarono i ramponieri e i marinai affollandosi attorno alvecchio invasato. «Occhio acuto alla balena

biancalancia acuta per Moby Dick!»

«Dio vi benedica»e non si capiva se piangeva o urlava«Dio vi benedicaragazzi. Dispensiere! Va' a prendere

la misura grande del grog. Ma perché quella faccia lungasignor Starbuck:non vuoi dargli la cacciatualla balena

bianca? Non te la senti di affrontare Moby Dick?»

«Capitano Achabme la sento di affrontare la sua mascella stortae anchequelle della mortese capita per via

del mestiere che facciamo. Ma io qui sono venuto a cacciare balene e non afare vendetta al comandante. Quante botti

renderà la tua vendetta se mai l'avraicapitano Achab? Non ti frutteràmolto sul mercato di Nantucket.»

«Uh! Il mercato di Nantucket! AvvicìnatiStarbuck. Con te bisogna andareun po' più a fondo. Caro miose il

denaro ha da essere la misurae poniamo che i contabili hanno stimato ilmondo come fosse una bancafasciandolo di

ghineeuna ogni terzo di polliceallora sì che la mia vendetta mifrutterà un bel premioda questo punto di vista!»

«Si picchia il petto» bisbigliò Stubb. «Che significa? Mi pare che suonaprofondo ma vuoto.»

«Vendetta su un bruto senz'anima!» esclamò Starbuck. «Su un bruto che ticolpì solo per il più cieco istinto!

Ma è una pazzia! Capitano Achabsuona blasfemo odiare una creaturaincosciente.

«Stammi a sentire di nuovo. Andiamo ancora un po' più a fondo. Tutti glioggetti visibiliamicosono solo

maschere di cartone. Ma in ogni cosa che succedenell'azione vivanel fattoprecisolìc'è qualche cosa di sconosciuto

ma sempre ragionevole che sporge il profilo della faccia da sotto la mascheracieca. Se l'uomo vuole colpiredeve

colpire la maschera! Come può evadere il carcerato se non forza il muro? Perme la balena bianca è quel muro. Me

l'hanno spinto accanto. Qualche volta penso che lì dietro non c'è niente.Ma è sempre abbastanza. Mi chiama alla prova.

Mi opprime. In essa vedo una forza che è un oltraggiocon una maliziainscrutabile che l'innerva. Quella cosa

incomprensibile è sopratutto ciò che odio. Forse la balena bianca è ilmandatarioe forse è il mandantema io gli

rovescerò addosso questo mio odio. Non mi parlare di blasfemiaamico;colpirei il sole se mi offendesse. Perché se il

sole potesse offendermiio potrei colpirlo; perché c'è sempre una speciedi lealtà nel giocoe la rivalità presiede su tutta

la creazione. Ma io non mi sento soggetto neanche a questa lealtà. Chi èsopra di me? La verità non ha limiti. Non mi

guardare così! Uno sguardo stupido è più insopportabile dell'occhiata diun demonio! Eccoadesso arrossisci e diventi

pallido: il mio calore ti ha fusoora bruci di rabbia. ViaStarbuckciòche è detto con rabbia si disdice da sé. Le parole

arrabbiate di certi uomini sono poca offesa. Non volevo provocarti.Scordiamole. Guarda lìvedi quelle facce turche

tutte chiazzate dal solequadri dipinti dalla luceche vivono e respirano?I leopardi paganicose senza pensiero e senza

cultoche esistonoe cercanoe non danno ragioni per la torrida vita chesentono. La ciurmaamico miola ciurma!

Non sono tutti dal primo all'ultimo con Achabin questa faccenda dellabalena? Guarda Stubb. Ride! Guarda laggiù

quel cileno! A pensarci respira come un animale. Resistere dritta in mezzoall'uraganola tua pianticella sola e sbattuta.67

non lo puòStarbuck. E cos'è in fondo? Pensaci. Si tratta solo di dare unamano a colpire una pinna. Per Starbuck è cosa

da niente. Che altro c'è? In questa impresucciadunquela lancia miglioredi Nantucket non si tirerà certo indietro

quando ogni mano di castello ha afferrato una cote. Ahcominci a sentirtieccitatolo vedo! L'ondata ti porta. Parladici

qualcosa. Capiscocapisco. Allora il tuo silenzio è quello che vuoi dire. (Aparte):Qualcosa è pure partito dalle mie

narici gonfiee l'ha aspirato nei polmoni. Ora Starbuck è mio. E non puòpiù resistermi senza slealtà.»

«Dio mi protegga! Ci protegga tutti!» mormorò Starbuck a bassa voce.

Ma nella sua contentezza per la magicamuta capitolazione del secondoAchabnon sentì quell'invocazione

profeticanon sentì la bassa risata dalla stivae nemmeno le presaghevibrazioni del vento tra le sartie e il botto vuoto

delle vele contro gli alberi mentre s'accasciavano per un attimo. Perchésubito gli occhi abbattuti di Starbuck si

riaccesero dell'ostinazione della vitala risata sotterranea si spenseilvento si rimise a soffiare e si gonfiarono le vele e

la nave vibrò e rollò come prima. Se gli ammonimenti e gli avvertimenti sifermasseroquando vengono! Ma voi ombre

siete piuttosto presagi che ammonizioni. E non tanto presagi dall'esternoquanto verifiche di ciò che è già avvenuto

nell'intimo. Poche cose esteriori ci forzanoma le necessità più profondedel nostro essere ci spingono sempre avanti.

«La misura! La misura del grog!» gridò Achab.

Ricevuto il peltro ricolmo e voltandosi ai ramponieri ordinò di tirare fuorile armi. Poi li allineò davanti a sé

vicino all'arganociascuno col suo rampone. E mentre i tre ufficiali glistavano a fianco con le lancee il resto

dell'equipaggio faceva cerchio attorno al gruppostette per un momento afissare ciascuno dei suoi con uno sguardo

tagliente. E quegli occhi sfrenati incontrarono i suoi come gli occhiiniettati di sangue dei lupi della prateria incontrano

gli occhi del capoprima che si scagli alla loro testa sulla traccia delbestionema solo per andare a cadere nella trappola

nascosta dell'indiano.

«Bevi e passa!» gridò porgendo al più vicino il vaso pesante. «Fategirare! Sorsi brevie inghiottite adagio

ragazzi: è più caldo del piede di Satana. Cosìcosì: benissimo. Vadentro a spirali e si biforca negli occhi che azzannano

come serpi. Ben fatto! È quasi secco Di lì è andato e di qua torna. Dammiqua: un bel vuoto! Ragazzisiete come gli

anni. La vita piena s'inghiotte e se ne va in questo modo. Riempidispensiere!

«E ora attenzionemiei bravi. Vi ho radunati tutti attorno a quest'argano.Voi qui di fiancoufficialicon le

lance. Voi làramponiericoi ferri. E voi forti marinai attornoincerchioche io possa in qualche modo farmi rivivere

davanti un nobile rito dei miei antenati balenieri. Amicivedrete che...ehiragazzodi ritorno? Più presto d'un soldo

falso. Dammi qua. Ma se tu non fossi il diavoletto di san Vito questo vasosarebbe di nuovo pieno fino all'orlo. Via

peste!

«Fatevi avantiufficiali! Incrociate bene le lance qui davanti.Splendidamente! Fatemi toccare l'asse.» Dicendo

così stese il braccio e afferrò nel punto d'incrocio le tre lanceorizzontali e disposte a raggierae nel farlo

all'improvvisodette loro uno strattone nervosoguardando fisso da Starbucka Stubbda Stubb a Flask. Pareva che con

una sua misteriosa forza di volontà desiderasse investirli dello stessosentimento infuocato che premeva nella bottiglia

di Leyda della sua vita magnetica. Davanti alla violenza sostenuta del suoaspetto mistico i tre ufficiali si sgomentarono.

Stubb e Flask guardarono da un'altra partee si chinarono gli occhi onestidi Starbuck.

«È inutile!» gridò Achab. «Ma forse così è bene. Se aveste preso inpieno la scossa anche una volta solaallora

forseè la mia carica che se ne sarebbe andata. Forseanzisareste mortidi colpo. E forse non ne avete bisogno. Giù le

lance! E oraufficialivi nomino tutti e tre coppieri di questi mieiconsanguinei paganiquesti tre onoratissimi

gentiluomini e nobiluominii miei coraggiosi ramponieri. L'incarico vi garbapoco? Ma comese il Papa stesso lava i

piedi ai mendicanti adoperando la tiara come brocca! Miei diletti cardinali!La vostra stessa condiscendenzaecco ciò

che vi piegherà a questo compito. Tagliate le legature e levate le asteramponieri!»

I tre ubbidirono in silenzio e gli presentarono il ferro staccato deiramponilungo quasi tre piedia punte in

alto.

«Non pugnalatemi coi vostri acciai aguzzirivoltatelirivoltateli! Non neavete mai visto il fondo a tazza?

Voltate in sù la cavità! Così va bene. Oracoppieriavanzate. I ferri!Prendeteli in mano e reggeteli mentre li riempio!»

E muovendo piano da un ufficiale all'altro colmò il cavo dei ramponi colliquido ardente del vaso.

«E oratre a treconsegnate le coppe micidiali! Datelevoi che sieteormai legati in questo patto indissolubile.

AhStarbuck! La cosa è fatta! Quel sole ora aspetta di ratificarla. Beveteramponieribevete e giuratevoi che guarnite

a prua la lancia esiziale: morte a Moby Dick! Dio ci perseguiti tutti se noncacceremo Moby Dick fino alla morte!»

Alzarono le lunghe tazze dai denti d'acciaio e con grida e maledizioni allabalena bianca ingollarono l'alcool tutti allo

stesso tempocon un sibilo. Starbuck impallidìsi voltòed ebbe unbrivido. Ancora una voltae fu l'ultimail recipiente

fece il giro dell'equipaggio frenetico. Poia un cenno della sua manoliberatutti si disperseroe Achab si ritirò nella sua

cabina.

XXXVII • TRAMONTO

(La cabinavicino alle finestre di poppa. Achab siede solo e guarda fuori.)

Mi lascio dietro una scia bianca e torbida; acque pallidefacce piùpallidedovunque vada. Le onde invidiose si

gonfiano ai lati per coprire la mia traccia. Facciano: ma prima io passo..68

Laggiùagli orli del calice sempre ricolmole acque tiepide arrossisconocome il vino. La fronte d'oro

scandaglia l'azzurro. Il sole che si tuffasceso lentamente dal meriggiovagiù. E la mia anima sale. Stanca dell'erta che

non ha mai fine. È dunque troppo pesante la corona che portoquesta miacorona di ferro di Lombardia? Eppure splende

di tante gemme. Io che la porto non vedo i suoi lampeggiamenti lontanimasento oscuramente di portare una cosa che

abbaglia e confonde. È ferrolo so: non oro. Ed è anche spaccatalosento. Il suo bordo intaccato mi tortura tanto che il

mio cervello sembra pulsare contro il metallo vivo. Sicuroè un craniod'acciaioil mio; di quelli che scendono senza

elmo nella zuffa più massacrante.

Arsura sulla mia fronte? Oh ci fu un tempo che l'alba mi stimolavagenerosamente e il tramonto mi dava

sollievo. Ora non più. Questa luce bella non illumina me; ogni bellezza perme è angosciaperché non provo più gioia.

So percepire il sublimee mi manca la bassa capacità della gioia. Sonodannato nel modo più sottile e perversodannato

in mezzo al paradiso! Buona notte! Buona notte!

(Agita la mano e si stacca dalla finestra.)

Non è stato troppo difficile. Sapevo di trovarne almeno uno testardo. Ma lamia unica ruota dentata s'adatta a

tutte le loro ruotee girano. O se volete mi stanno davanti come tantimucchietti di polveree io ne sono la miccia. Ohè

duro che per accendere gli altri anche la miccia debba andare distrutta! Ciòche è osatol'ho voluto; e ciò che ho voluto

lo farò! Mi credono pazzo: Starbuck mi crede pazzo; ma io sono demoniacoiosono la pazzia impazzita. Quella pazzia

selvaggia che è calma solo per capire se stessa! La profezia ha detto chesarei stato smembratoe difatti! Ho perso

questa gamba. Io ora profetizzo che smembrerò il mio mutilatore. E perciòil profeta e l'esecutore siano la stessa

persona. Questo è più di quanto avete saputo mai fare voigrandi dei. Viurlo e fischio in facciavoi pugilivoi giocatori

di cricketvoi Burke e Bendigo ma sordi e orbi! Non farò come i ragazzinidi scuola che dicono ai prepotenti: Trovatene

uno grosso come voinon state a picchiare me! Novoi mi avete messo a terrae io sono in piedi di nuovosiete voi che

siete scappati a nascondervi. Uscite da dietro i vostri sacchi di cotonecheio non ho fucile lungo per raggiungervi.

Venitevi presento i miei ossequivenite a vedere se potete farmi cambiarestrada. Farmi cambiare strada? No che non

ne siete capacise non cambiando strada voi stessi! È qui che l'uomo vitiene. Farmi cambiare strada? La strada che

porta al mio scopo immutabile è attrezzata con rotaie di ferroe la miaanima è scanalata per correrci sopra. Mi getto

senza sbagliare su precipizi senza fondoattraverso i cuori scavati dellemontagnesotto i letti dei torrenti. Niente può

fare da ostacoloniente può torcere una strada di ferro!

XXXVIII • CREPUSCOLO

(Accanto all'albero maestro. Starbuck vi è appoggiato.)

La mia anima ha trovato più che un'egualeha trovato un tirannoe unpazzo. Assillo insopportabileche in

questo campo un uomo sano debba gettare le armi! Ma egli ha scavato a fondoha bruciato tutta la mia ragione. Credo

di vedere la sua intenzione empiama sento che debbo aiutarlo. Che io vogliao noqualcosa di inspiegabile mi ha

legato a luie mi trascina con un cavo che non ho coltello per tagliare.Vecchio orribile! «Chi è superiore a lui» grida:

sicurosarebbe democratico con tutti quelli in altoe guarda cometiranneggia quelli in basso! Ohvedo chiaramente il

mio compito miserabile: obbedire ribellandomie ancora peggio odiare con unfilo di pietà! Perché gli leggo negli occhi

non so che dolore sinistro che mi brucerebbese l'avessi io. Eppure c'èqualche speranza. Il tempo e il mare passano

lenti e vasti. La balena odiata può nuotare in tutto il mondo dell'acquacome il pesciolino dorato nella sua bolla di vetro.

Il suo proposito blasfemo Dio può debellarlo. Mi rifarei coraggiose nonavessi il cuore come piombo. Ma tutto il mio

meccanismo si è scaricato; e non ho più chiave per risollevare il cuoreche è il peso che regola tutto.

(Un'ondata di chiasso dal castello di prua.)

Mio Dioviaggiare con una simile ciurma di miscredentiche quasi non paiononati da madri umane! Figliati

chi sa dove da questo mare di pescecani. La balena bianca è il loro dio.Senti che orge infernali! Baldoria a pruae

silenzio assoluto a poppa. Come la vitadirei. Avanti nel mare luccicantesaetta la prua allegracorazzata e beffardama

solo per trascinarsi dietro il nero Achab rinchiuso ad arrovellarsi nellacabina di poppapiantata sull'acqua morta della

stiae inseguita dai suoi gorgogliamenti belluini. Quel lungo ululìo mi farabbrividire! Un po' di silenziobeonie

mettete una guardia! Ah vitaè in un'ora come questaquando l'anima èbattuta e si aggrappa alla ragionequando

creature sfrenate e bestiali calano per sfamarsiah vita! è adesso chesento l'orrore che ti nascondi dentro! Ma non in

meio ne resto fuorie con questo conforto di sentirmi umano tenteròancora di combattervifantasmi sinistri del futuro!

E voi santi influssi statemi accantosostenetemi e correggetemi.

XXXIX • PRIMO TURNO DI NOTTE

Coffa di trinchetto.

(Stubb solomentre rassetta un braccio.)

Ah! Ah! Ah! hem! Così la gola va meglio. Ci ho pensato da ieri e questo ahah è il risultato finale. E perché?

Perché una risata è la risposta più saggia e più naturale a tutto ciòche è bislacco..69

E succeda quel che deve succedereci resta sempre un confortoe questoconforto infallibile è che tutto è

predestinato. Non ho sentito tutto il suo discorso a Starbuckma dopoalmio modesto occhioStarbuck aveva un po'

l'aria di sentirsi come mi sentivo io l'altra sera. Scommetto che il vecchioMogol ha sistemato pure lui. L'avevo capita

iolo sapevo; se avessi avuto quel dono lo potevo senz'altro predire: quandoho dato un'occhiata al suo cranio l'ho visto.

Ebbene Stubbsaggio Stubb (questo è il mio titolo)bene Stubbe con ciòStubb? Ecco una carcassa. Non so cosa potrà

succederema comunque sia ci andrò incontro ridendo. C'è un ghigno cosìcomico in tutti i vostri errori! Mi sento in

vena di scherzare. Tra la! Lallara la! Chi sa che sta facendo a casa la miaperuccia succosa. Piange l'anima sua? O dà

una festicciola per gli ultimi ramp onieri in arrivoci scommettoallegracome un pennello di fregataproprio come me!

Lallera! Tra la! Oè...

Stasera berremo coi cuori leggeri

all'amoresvagati e svolazzanti

come bolle che nuotano in cima al bicchiere

e scoppiano sul labbro agli amanti.

Una strofa gagliarda! Chi chiama? Signor Starbuck? Sissignoresissignore... (Aparte) È miosuperiore ma anche lui ha

il suo se non mi sbaglio. Sissignoresissignoreho finito. Vengo.

XL • MEZZANOTTECASTELLO DI PRUA

RAMPONIERI E MARINAI

(La vela di trinchetto si solleva e appare la guardia che gironzolasifermasi appoggia e si sdraia in vari

atteggiamenti. Tutti cantano in coro.)

Salute e addio a voisignore spagnole!

Salute e addio a voisignore di Spagna!

Comanda il capitano...

PRIMO MARINAIO DI NANTUCKET

Oèragazzi! non fate i sentimentali: fa male alla digestione! Prendete untonicotutti con me!

(Cantae tutti si uniscono)

Il capitano stava sopra il ponte

col cannocchiale in mano

guardando le belle balene

che da ogni lato soffiavano.

Le secchie nelle lance oèragazzi

e tutti pronti ai bracci

e avremo una bella balena

purché ognuno si sbracci!

Perciò allegriragazzinon vi manchi la lena

mentre il buon ramponiere colpisce la balena!

VOCE DEL SECONDO DAL CASSERO

Ohdi prua! Otto tocchi!

SECONDO MARINAIO DI NANTUCKET

Basta col coro! Otto tocchioh! Hai sentitocampanaro? Otto tocchi allacampanaPip! Ehi moretto! Chiamo

io la guardia. Ho la bocca adattala bocca a barile. Ecco qua. (Cacciala testa nel portello)Guardia a tribo-o-or-doo!

Oè! Otto tocchi! là sotto! Sveglia!

MARINAIO OLANDESE

Gran dormita stanottecompagno: notte grassa. Tutto merito del vino delnostro vecchio Mogol: qualcuno lo

ammazzaqualcuno gli dà l'argento vivo. Noi cantiamoquelli dormono:sicurostesi laggiù come botti di fondo. Dagli

di nuovo! Tieniprendi questa travasatricee strillaci dentro. Digli che lasmettano di sognare ragazze. Digli che è la

resurrezione della carne: un bacio d'addio e via per il giudizio. Così vabene. Così bisogna fare! Non te la sei rovinata

la golacol burro di Amsterdam.

MARINAIO FRANCESE

Sentiteragazzi! Facciamo due salti prima di buttare l'ancora nella baia diCopertura. Che ne dite? Ecco che

arriva l'altro turno. Pronti con le gambe! PipPippettoevviva iltamburello!.70

PIP

(torvo e assonnato)

Non so dov'è.

MARINAIO FRANCESE

Batti la pancia allora e dimena le orecchie. Saltate ragazziavanti!Allegria ci vuole. Urrà! Porco mondonon

avete fiato? Formate ora fila indianae via a passo doppio! Buttateviavanti! Gambe! Gambe!

MARINAIO ISLANDESE

Non mi piace la pistaamico: troppo elastica per i miei gusti. Sono abituatoal ghiaccio. Spiacente di buttare

acqua fredda sull'argomentoma mi devi esentare.

MARINAIO MALTESE

E anche me. Dove sono queste ragazze? Solo uno scemo si prende la manosinistra nella destra per dirsi:

«Come sta?» Ballerine! Per me ci vogliono ballerine!

MARINAIO SICILIANO

Sicuroragazze e un prato. Allora sì che mi metto a saltare! Co me ungrillo!

MARINAIO DI LONG-ISLAND

Va beneva benemusonici bastiamo noi. Zappa finché puoidico io. Tuttele gambe vanno presto alla

mietitura. Aharriva la musica! Sotto!

MARINAIO DELLE AZZORRE

(sale da basso e getta il tamburo attraverso la botola)

EccotiPipe là ci sono le bitte dell'argano: monta su! Avantiragazzi!

(Metà dei marinai ballano al suono del tamburo. Alcuni scendonosottocoperta. Altri dormono e si stirano tra i rotoli di

cordame. Bestemmie in abbondanza.)

MARINAIO DELLE AZZORRE

(ballando)

ForzaPip! Batticampanaro! Picchiapiccasbattischianta campanaro! Fa'scintillespacca i sonagli!

PIP

I sonagliproprio! Ecco un altro che salta a forza di picchiare.

MARINAIO CINESE

Allora suona coi denti e sotto a picchiarescampana come una pagoda.

MARINAIO FRANCESE

Mattacchione! Alza il cerchioPipche ci salto! Strappate i fiocchifatevia pezzi!

TASHTEGO

(fumando tranquillamente)

Vero uomo bianco. Lo chiama divertirsiquesto: bah! Io risparmio sudore.

VECCHIO MARINAIO DI MAN

Chissà se questi matti si rendono conto di cosa stanno ballando. Ti balleròsulla tombati ballerò sì. È l'insulto

più grave delle falene di notteche battono controvento alle cantonate. OCristose penso! Flotte verdiciurme coi crani

tutti verdastri! Lasciamo perdere. Magari tutto il mondo è una pallacomedicono gli scienziatiperciò è giusto che

rotoli e balli. Ballateragazzisiete giovani. Come io una volta.

TERZO MARINAIO DI NANTUCKET

Un po' di respiro oh! Che diavolo! Così è peggio che vogare alla balena inbonaccia. Dacci una boccataTash.

(Smettono di ballare e si raggruppano qua e là. Intanto il cielo si fa buio.Si alza il vento.)

MARINAIO DI LASHKAR

Per Brama! ragazzic'è da ammainare presto! Il figlio del cieloil Gangegonfiato è diventato vento! E Siva

mostra la faccia nera.

MARINAIO MALTESE.71

(si sdraia e scuote il berretto)

Sono le onde orale pecorelleche si mettono a fare il passo doppio. Frapoco sbatteranno le nappine. Magari

tutte quelle ondacce fossero femmine! Mi affoghereici farei assieme lascivolata per sempre! Non c'è niente di più

bello sulla terra e neanche in cielo forse: quelle poppe calde e ballerineche si vedono e non si vedonoquelle braccia

alzate che difendono uva maturauva che scoppia.

MARINAIO SICILIANO

(si sdraia)

Non me lo dire! Pensa: corpi che si avviticchiano e vanno dondolandotuttivergognosettitutti palpitanti!

Labbracuori e renitutti che si vanno sfregandotocca e ritocca senzafine! Senza assaporarebadase no ti viene il

sazio. Ehpagano? (glidà un colpo di gomito)

MARINAIO DI TAHITI

(sdraiato su una stuoia)

O santa nudità delle nostre ragazze che ballano la Hivahiva! Tahiti coi tuoiveli bassi e le alte palme! Riposo

ancora sulla tua stuoiama il tuo terreno morbido è scivolato via. Ti hovista intrecciare nel boscostuoia. Eri verde il

primo giorno che ti portai viaora sei tutta logora e secca. Poveri noinétu né io sopportiamo il cambiamento. Che ne

direstise potessimo trapiantarci di nuovo sotto quei cieli? Mi pare disentire il muggito dell'acqua che scende dal picco

delle lance di Pirohiteequando balza giù per gli anfratti e affoga ivillaggi. Arriva la bufera! Sùdorso mioe teniamole

testa! (balzain piedi)

MARINAIO PORTOGHESE

Come rolla! Che cozzi alle fiancate! Pronti a terzarolareragazzi! Adesso iventi incrociano giusto le spadetra

poco attaccheranno con gli affondialla disperata.

MARINAIO DANESE

Crocchiacrocchiatrabiccolo! Finché crocchi tieni! Molto bene! Quelsecondo ti fa tenere duro. Non ha paura

lui. È come il forte nell'isola in mezzo al Kattegatmesso lì adazzuffarsi col Balticocoi cannoni sbattuti dalla burrasca

incrostati di sale!

QUARTO MARINAIO DI NANTUCKET

Ha i suoi ordininon te lo scordare. Ho sentito il vecchio dirgli chebisogna sempre ammazzare la rafficaun

po' come spaccano la tromba marina con una pistolettata; sparagli dentro lanave a bruciapelo!

MARINAIO INGLESE

Canchero! Quel vecchio è un gran lupo marino! E noi siamo quelli giusti perscovargli la sua balena!

TUTTI

Sicuro! Sicuro!

VECCHIO MARINAIO DI MAN

Come sbatacchiano quei tre pini! Direi che i pini sono i più duri atrapiantaree qui la sola terra è questa melma

dannata di ciurma. Barra drittatimoniere! Reggi forte. Con un tempacciocosìa terrai cuori forti si spezzanoe le

chiglie si spaccano nel mare. Il nostro capitano ha il suo marchio difabbrica; guardate lìragazzice n'è un altro in

cielo. Come una lividuravedete? E tutto il resto di pece.

DAGGOO

E con ciò? Chi ha paura del nero ha paura di meche sono un blocco di nero.

MARINAIO SPAGNOLO

(A parte:)Ahvuole fare il bravaccio! La vecchia ruggine mi smuove i nervi. (Vieneavanti.)Sicuro

ramponierela tua razza è la faccia nera dell'umanitànon c'è dubbio.Nera come il diavoloanzi. Senza offesa.

DAGGOO

(torvo)

Senza offesa.

MARINAIO DI SANT'JAGO

Quello spagnolo è pazzo o ubriaco. Ma ubriaco non può essere. Tranne chesolo per lui l'acqua di fuoco del

vecchio ritarda a fare effetto.

QUINTO MARINAIO DI NANTUCKET.72

Che succedelampeggia? Sìè il lampo.

MARINAIO SPAGNOLO

No. È Daggoo che mostra i denti.

DAGGOO

(si slancia)

Ingoia i tuoinano! Pelle bianca e fegato bianco!

MARINAIO SPAGNOLO

(facendogli fronte)

Ti do una coltellata di cuore! Corpo grosso e cervello piccolo!

TUTTI

Una rissa! Una rissa!

TASHTEGO

(emette uno sbuffo di fumo)

Rissa quaggiù e rissa lassù. Dei e uomini. Tutti rissaioli. Bah!

MARINAIO DI BELFAST

Una rissauna vera rissa! Benedetta la Vergineuna rissa! Sotto! Forza!

MARINAIO INGLESE

Lealtà! Via il coltello allo spagnolo! Fate cerchiofate cerchio!

VECCHIO MARINAIO DI MAN

Ecco fatto. Là! Come l'orizzonte. In quel cerchio Caino ammazzò Abele. Unbel lavorettoun lavoro giusto

no? E alloraDioperché hai fatto quel cerchio?

VOCE DELL'UFFICIALE DAL CASSERO

Pronti alle gabbie! Imbroglia velacciovelaccino e belvedere! Pronti aterzarolare le gabbie!

TUTTI

La raffica! La raffica! Saltiamobelli! (sidisperdono)

PIP

(si raggomitola sotto l'argano)

Belli? Dio ce ne guardi! Criccrac! Addio straglio di fiocco! Baang!Signore! Più giùPiparriva il pennone di

controvelaccino! Peggio che al bosco quando tira ventol'ultimo giornodell'anno. Chi andrebbe sù per castagne? Ma

eccoli che scappano bestemmiandoe io resto qui. Buon viaggio a lorochepartono per l'altro mondo. Teniamoci forte.

Crispinoche vento! Ma quelle nuvole lassù sono peggio ancorasono leventate bianchequelle lassù. Ventate bianche?

Balena biancabrr! Ho sentito tutte le loro chiacchiere poco fae dellabalena biancabrr! ne hanno parlato solo una

volta! E solo stasera. Mi fa tintinnare tutto come il mio tamburo.Quell'anaconda d'un vecchio gli ha fatto giurare di

darle la caccia! Grosso Dio biancoche sei lassù in qualche posto nel buioabbi pietà di questo piccolo negro qui sotto.

Proteggilo da tutti quelli che non hanno cuore per avere paura.

XLI • MOBY DICK

IoIsmaeleero uno di quella ciurma. Avevo gridato con gli altricon glialtri mi ero legato nel giuramento. E

avevo gridato più forteavevo pestato e ribadito di più il mio giuramentoa causa del terrore che avevo nell'anima. Mi

ero sentito attratto da un impulso selvaggio e irrazionale: l'odioinestinguibile di Achab pareva fosse divenuto il mio

odio. Ascoltavo con avidità la storia del mostro assassinocontro il qualeio e tutti gli altri avevamo giurato guerra e

vendetta.

Da qualche temposebbene solo a periodila solitaria balena bianca avevabattuto i mari selvaggi dove si

spingonoper lo piùi cacciatori di capodogli. Ma di questi non tuttisapevano della sua esistenza. Solo pochi

relativamentel'avevano vista e riconosciuta; e il numero di quelli chefinora l'avevano davvero attaccata sapendo la sua

storia era assai piccolo. Perché le baleniere vanno incrociando in grannumerosparpagliate in disordine per tutti i mari

della terrae molte di esse spingono azzardosamente le loro ricerche sottolatitudini desolatesicché per dodici mesi di

fila o più non incontrano quasi mai una sola vela che porti notizie; e ognisingolo viaggio è lunghissimoe irregolari le.73

partenze dai porti. Tutte queste cosee altre cause dirette e indiretteimpedirono a lungo la diffusione tra tutta la flotta

baleniera del mondo di notizie precise e specifiche attorno a Moby Dick.Questo soltanto si sapeva di sicuroche vari

bastimenti riferivano di avere incontratoin questa o quella data o sottovari meridianiun capodoglio di grandezza e

malvagità eccezionaliun bestione che aveva provocato danni gravissimi aisuoi assalitori e poi era riuscito a fare

perdere ogni sua traccia. Per certuniinsommanon era un'ipotesi azzardatapensare che la balena in questione non

poteva essere che Moby Dick. Ma siccome di recente nella pesca dei capodoglisi erano verificati dei casi numerosi e

frequenti di bestie assalite che mostravano grande ferociaastuzia emalvagitàpoteva succedere che certi cacciatoriper

caso e senza conoscerlosi scontravano con Moby Dicke di solito poi sicontentavano di attribuire l'eccezionale

spavento che esso incuteva piùdiciamoal carattere rischioso della pescaal capodoglio in genereche non a una causa

particolare. E in questo modoin sostanzala gente aveva spiegato finora loscontro disastroso fra Achab e la balena.

E quelli che avevano già sentito parlare della balena bianca e poil'avvistavano per casodapprima avevano

ammainato per darle la caccia impavidi e audaciproprio come si trattasse diuna balena qualunque di quella specie. Ma

a lungo andare questi attacchi si erano risolti in tante calamità che non silimitavano a qualche slogatura di polsi o di

cavigliea qualche braccio rottoa qualche amputazione per un morsomaavevano vere e proprie conseguenze mortali;

e il ripetersi di questi disastricon l'orrore che s'andava accatastando suMoby Dickquesto rinnovarsi di lutti aveva

contribuito molto a fiaccare il coraggio di tanti bravi cacciatori ai cuiorecchifinalmenteera arrivata la storia della

balena bianca.

E non mancarono frottole di ogni genereesagerazioni che resero ancora piùterribili i resoconti fedeli di questi

scontri luttuosi. Le leggende vengono fuori spontaneamente dalla materiastessa di ogni fatto che terrorizza e

sbalordiscecome le muffe che nascono dall'albero ferito. Ma nella vita dimare le fandonieappena trovano una

qualche verità a cui appigliarsiabbondano assai più che sulla terraferma.E come in questo il mare supera la terracosì

la pesca alla balena batte ogni altro genere di vita sul mare per la naturapaurosa e sbalorditiva delle dicerie che qualche

volta vi circolano. Nel loro complessodifattii balenieri non sono immunidall'ignoranza e dalla natura superstiziosa

che sono ereditarie tra i marinai; ma per di piùtra tutti i marinaiessisono senza dubbio quelli che vengono spinti più

direttamente a contatto con tutti i più sbalorditivi terrori del mare: nonsolo guardano faccia a faccia le sue più grandi

meravigliema le debbono combatteremano contro fauci. Il baleniere è soloin acque così solitarieche anche a

veleggiare per mille miglia e oltrepassare mille terre non si potrebbetrovare una sola pietra di focolare scolpitao altro

di ospitale sotto quella faccia del sole. In quelle longitudini e latitudinie con un mestiere come il suoegli è circondato

da influssi che mirano tutti a impregnare la sua fantasia di potentiallucinazioni.

Nessuna meraviglia allorache gonfiandosi sempre più per il loro stessopassaggio su spazi d'acqua così vasti

le voci fiorite sulla balena bianca finissero per assorbire ogni sorta dispunti malsanidi accenni informi e abortivi a

cause soprannaturaliche in conclusione attribuivano a Moby Dick terrorinuovi e non derivati da cosa visibile. Sicché

spesso quel nome finiva col suscitare un tale panicoche pochi di queicacciatori ai cui orecchi la balena bianca era

arrivata per quelle trafileavevano ormai la voglia di affrontare laminaccia della sua mandibola.

Ma vi erano anche in gioco altri e più vitali influssi pratici. L'anticoprestigio del capodogliodistinto con

terrore da ogni altra specie di leviatanonon si è spento neppure ogginella mente del baleniere. Sarà per inesperienza

professionaleo per incompetenza o per timorema anche oggi tra di loroc'è gente chesebbene abbastanza coraggiosa

e astuta nell'assalire la balena franca o di Groenlandiaforse rifiuterebbeuno scontro col capodoglio. A ogni modo c'è

un mucchio di balenierispecie tra i popoli che non battono bandieraamericanache non hanno mai dato battaglia al

capodoglio; e tutto ciò che sanno di esso è che si tratta di un mostroignobile cacciato anticamente nel Nord. Seduti sui

boccaporticostoro ascolteranno le storie strane e selvagge della baleneriaaustrale con la curiosità e la paura dei

bambini attorno al focolare. E il primato di terrore del gran capodoglioinnessun posto è più sentito e compreso meglio

che a bordo di quelle prue che lo evitano.

E come se la realtà della sua potenzaoggi comprovatagli avesse buttatodavanti un'ombra già ai tempi antichi

delle leggendetroviamo dei naturalisti da bibliotecaOlassen e Povelsoniquali asseriscono che il capodoglio è non

solo il terrore di ogni altra creatura marinama anche una bestia di ferociacosì incredibile da avere una sete continua di

sangue umano. Queste e simili congetture non spariscono nemmeno se arriviamoa tempi recenti come quelli di Cuvier.

Nella sua Storia Naturaleinfattilo stesso Baron afferma che alla vistadel capodoglio tutti gli altri pesciinclusi i

pescicanivengono «presi dal più vivo sgomento» e «spesso nellaprecipitazione di scappare vanno a sbattere contro gli

scogli con tale violenza da trovare morte subitanea». Certo le esperienzeche si hanno di solito nella pesca apportano

qualche correzione a dicerie come queste; ma poi i cacciatori incappano inqualche esperienza di mestiere che riaccende

nel loro animo una fede superstiziosa in quelle opinioni e le fa apparirepiù che mai terribilie rende verosimili anche le

sanguinarie affermazioni di Povelson.

Perciò parecchi pescatoriatterriti dalle cose stupefacenti che si dicevanodi Moby Dickricordavano i primi

tempi della pesca al capodoglioquando era spesso difficile persuadere degliesperti cacciatori di balene franche a

ingolfarsi nei rischi di questa caccia nuova e temeraria; perché quelliribattevano che altri leviatani potevano venire

inseguiti con qualche speranza di successoma dare la caccia o gettare unalancia a un fantasma come un capodoglio

non era cosa da uomini. E se uno ci provavaveniva strappato senza scampodal mondo e gettato di botto nell'eternità.

Su questo si possono consultare alcuni documenti interessanti.

Ma con tutto ciò si trovava qualcuno disposto a infischiarsi di ogni cosa edare la caccia a Moby Dick; e altri

assai più numerosi che ne avevano sentito parlare per casosolo vagamente ein maniera indirettasenza dettagli precisi.74

di disastri sicuri e senza accompagnamento di superstizionie quindi avevanoabbastanza fegato per non scappare se

l'avessero incontrato.

Una delle idee strampalate a cui ho allusoche alla fine nel cervello deifanatici si accoppiavano alla balena

biancaera l'opinione soprannaturale che Moby Dick avesse il potere dellaubiquitàche insomma lo avessero visto

davvero a latitudini opposte proprio nel medesimo tempo.

Creduli come dovevano essere quei cervellil'idea non era completamentepriva di qualche ombra di

probabilità superstiziosa. Visto che i segreti delle correnti marine non sisono ancora svelati neanche ai ricercatori più

coltile vie nascoste che segue il capodoglio in immersione rimangono ingran parte inspiegabili ai suoi inseguitori; e di

tanto in tanto hanno suscitato le speculazioni più strane e contradittoriesopratutto per quanto riguarda la maniera

misteriosa con cuisceso a grande profonditàesso si trasferisce convelocità incredibile a distanze grandissime.

È una cosa ben nota alle baleniere americane e inglesie per giuntatestimoniata autorevolmente da Scoresby

anni fache all'estremo nord del Pacifico sono state catturate balene cheavevano in corpo punte di arpioni lanciati nei

mari della Groenlandia. Altrettanto sicuro è che in alcuni di questi casi èstato appurato che l'intervallo di tempo tra i

due attacchi non poteva avere superato troppi giorni. Di quiper deduzionequalche baleniere ha creduto che il

Passaggio a NordOvestvecchio problema per l'uomonon lo era mai stato perla balena. Ecco che nell'esperienza

concreta di uomini vivi si attuava l'antica leggenda misteriosa del monteStrellosituato nell'interno del Portogallo

presso la cui cimadicevanoc'era un lago in cui affioravano relitti dibastimenti; o quella storia ancora più stupefacente

della fonte siracusana di Aretusale cui acque si credevano venute dallaTerrasanta per un passaggio sotterraneo; e

queste storie favolose erano quasi del tutto eguagliate dalle realtà delcacciatore di balene.

Costretti dunque a vivere tra fatti così stupefacentie sapendo che labalena bianca era sempre scampata a ogni

attacco temerarionon c'è da meravigliarsi molto se qualche baleniere sidimostrava ancora più superstiziosoe

affermava che Moby Dick non solo possedeva l'ubiquità ma era immortale(perché l'immortalità non è che ubiquità nel

tempo); per quanto gli piantassero nei fianchi foreste di lancese nesarebbe andato sempre illeso; e anzise mai si

poteva riuscire a fargli sputare sangue grumosoquella vista sarebbe statanient'altro che una allucinazione: a centinaia

di leghe di distanzanell'acqua incruentasi sarebbe visto di nuovo il suospruzzo immacolato.

Ma anche lasciando da parte queste supposizioni soprannaturalinel carattereinnegabile del mostro come

creatura di questa terra c'era abbastanza da colpire l'immaginazione con unaforza non comune. Perché ciò che lo

distingueva dagli altri capodogli non era tanto la sua dimensioneeccezionalequantocome si è accennato altrovela

sua strana fronte grinzosa e bianca come la nevee un'alta gobba bianca aforma di piramide. Questi erano i suoi

caratteri più vistosii segni coi qualiperfino nei mari sconfinati esconosciutirivelava a grande distanza la sua identità

a quelli che lo conoscevano.

Il resto del suo corpo era così striatomaculato e screziato dello stessocolore nebbiosoche alla fine s'era

guadagnato quel suo nome tutto speciale di balena biancaun nome che inrealtà era giustificato letteralmente dal suo

aspetto luminosoquando lo si vedeva scivolare in pieno meriggio per un mareazzurro cupolasciandosi dietro una scia

di schiuma cremosacome una via latteatutta punteggiata di scintilled'oro.

E ciò che rendeva la balena una creatura terribile non era tanto la suagrandezza eccezionale o quel colore

impressionantee nemmeno la sua mascella deformequanto la cattiveriaintelligente e inaudita che stando a certi

resoconti precisi essa aveva mostrato più e più volte nei suoi attacchi.Erano sopratutto le sue perfide fughe che

sgomentavanoforse più di ogni altra cosa. Quando batteva in ritiratadavanti ai suoi inseguitori esultanticon ogni

sintomo apparente di timorediverse volte si diceva che si era rivoltata dicolpo per piombare addosso alle barcheo

facendole a pezzi o ricacciando i pescatori terrorizzati verso la nave.

Già la sua caccia aveva fruttato parecchi disastri. Certo disgrazie similidi cui a terra si parlava poconon

erano affatto rare nella pesca alla balena; ma nella maggior parte dei casila feroce premeditazione della balena bianca

pareva così infernaleche le mutilazioni e le morti che causava non sipotevano considerare interamente inflitte da una

creatura bruta.

Immaginate perciò a che grado di smania e di furore venivano spinti glianimi dei cacciatori più disperati

quando scansavano a furia di braccia i grumi biancastri dell'ira paurosadella balenain mezzo ai frammenti delle barche

stritolatetra membra che andavano a fondostrappate ai compagnienuotavano nella luce del soleserenaesasperante

che continuava a sorridere come a una nascita o a un matrimonio.

Un capitanotrovandosi attorno le sue tre lance sfondate e remi e uomini chepiroettavano nei gorghiaveva

afferrato il coltello da lenza dalla prua spaccata e si era buttato sullabestiacome un duellista dell'Arkansas sul suo

avversariotentando ciecamentecon una lama di sei pollicidi raggiungerela vita del mostro che era profonda una tesa.

Quel capitano era Achab. E fu allora che menandogli di sotto all'improvvisola sua mandibola a roncone Moby Dick gli

aveva falciato la gambacome fa il mietitore con un filo d'erba ai campi.Nessun turco di quelli col turbantenessun

prezzolato veneziano o malese avrebbe potuto colpirlo con più apparentemalizia. C'era dunque ben poco da dubitare

che dopo quello scontro quasi mortale Achab avesse nutrito un continuodesiderio selvaggio di vendicarsi della balena.

Un desiderio tanto più accanito perché nella sua smania morbosa egli eraarrivato al punto da identificare con la bestia

non solo tutti i suoi mali fisicima ogni sua esasperazione intellettuale espirituale. La balena bianca gli nuotava davanti

agli occhi come l'incarnazione ossessiva di tutte quelle forze del male dacui certi uomini profondi si sentono azzannare

nel proprio intimofinché si riducono a vivere con mezzo cuore e mezzopolmone. Quella malvagità inafferrabile che è

esistita fino dal principioal cui regno perfino i cristiani d'oggiattribuiscono metà dei mondie che gli antichi Ofiti

dell'oriente veneravano nel loro demonio di pietraAchab non cadeva inginocchio per adorarla come loroma ne.75

trasferiva allucinato l'idea nell'aborrita balena bianca e le si piantavacontrocosì mutilato com'era. Tutto ciò che

sconvolge e tormenta di più tutto quel che rimescola la feccia delle coseogni verità farcita di maliziaogni cosa che

spezza i tendini e coagula il cervellotutti i subdoli demonismi della vitae del pensieroogni male insommaper

quell'insensato di Achabera personificato in modo visibile e resoraggiungibile praticamente in Moby Dick. Sulla

gobba bianca della balena ammucchiava il peso di tutta la rabbiadi tuttol'odio sentiti dalla sua razza fino da Adamo.

Poicome se avesse un mortaio in pettole sparava addosso il cuore rovente.

È improbabile che questa monomania fosse cominciata in lui proprio nelmomento in cui il suo corpo veniva

mutilato. In quel momentogettandosi contro il mostro col coltello in pugnoaveva solo scatenato in sé un'improvvisa e

appassionata avversione fisica; e quando ricevette il colpo che lo mutilòsentì probabilmente soltanto l'atroce strappo

nella carnee nient'altro. Ma quandoobbligato da quello scontro ariprendere la via di casaper lunghi giorni e

settimane e mesi Achab e l'angoscia giacquero insieme su un'unica brandaedoppiarono nel cuore dell'inverno quel

tetro e ululante Capo di Patagoniafu allora che il corpo squarciato el'anima ferita sanguinarono l'uno nell'altroe

mescolandosi così lo fecero impazzire. Che l'ossessione finale l'abbia presosoltanto alloradurante il viaggio di ritorno

dopo la zuffapare assolutamente certo per il fatto che a intervallidurante la traversataAchab fu in preda a una pazzia

furiosa; sebbene gli mancasse una gambanel suo petto da statua egiziana glirestava tanta forza vitaleresa ancora più

intensa dal delirioche i suoi ufficiali furono costretti a legarlo forteproprio mentre era in navigazionee lasciarlo

vaneggiare nella sua branda. Nella camicia di forza dondolò al ballo pazzodelle burrasche. E quando la naveentrando

in latitudini più sopportabilispiegò i leggeri coltellacci e fluttuò neiplacidi tropiciquando secondo ogni apparenza il

delirio del vecchio pareva fosse rimasto indietro assieme alle acque alte delCapo Horned egli uscì dalla sua tana

oscura nella letizia dell'aria e della luceperfino quando mostrò quellasua fronte ferma e raccoltasolo un po' pallidae

diede di nuovo i suoi ordini pacatisicché gli ufficiali ringraziaronoIddio perché finalmente quella terribile pazzia era

superatasempre Achabnel suo profondocontinuò a farneticare. La pazziaumana è spesso una cosa scaltra e

terribilmente felina. Quando pensi che se ne sia andatapuò darsi che sisia soltanto trasformata in qualche forma ancora

più subdola. La pazzia totale di Achab non si spensema si ritirò nelfondo senza perdere forzacome lo Hudson

quando quel nobile figlio del Nord scorre stretto ma profondissimo dentro lagola degli Altipiani. Ma come nel fluire

ristretto della sua ossessione non si era perduto un briciolo della granpazzia di Achabcosì in questa sua totale pazzia

non si era spenta neanche una favilla della grande intelligenza che gli eranaturale. Ciò che era prima un agente vivo

diventò adesso un vivo strumento. Se mi si concede un'immagine cosìavventatala sua peculiare demenza diede

l'assalto alla sua salute complessivala espugnòe concentrò il tiro ditutti i suoi cannoni sull'unico suo pazzo bersaglio.

Sicché Achab non aveva perduto affatto la sua forzae anzi possedeva oraper quell'unico scopoun'energia mille volte

maggiore di quella che mai aveva diretto da sano verso un unico oggettoragionevole.

Questo è già impressionante: ma non si era ancora detto nulla del lato piùvastopiù cupopiù profondo di

Achab. Del resto è inutile volgarizzare una cosa profondae ogni verità èprofonda. Voi animi più nobili e tristi

scendete per quel cammino sinuoso che sprofonda partendo dal cuore stesso diquesto Hotel de Cluny irto di punte dove

tutti viviamo. Per quanto sia grandioso e ammirevoleuscitene e avviatevi aquelle grandi sale romane delle termedove

a gran profonditàsotto le torri fantastiche della scorza terrenalaradice della grandezza dell'uomotutta la sua essenza

tremenda campeggia barbutareliquia sepolta sotto antiche rovineposta suun trono di statue spezzate. Cosìcon un

trono in frantumii grandi dei scherniscono quel re prigioniero. Ed egli stapaziente come una cariatidereggendo sulla

fronte gelida le trabeazioni ammucchiate dei secoli. Fate la strada tortuosafino a laggiùanimi più orgogliosi e più tristi

interrogate quel re orgoglioso e triste! Ha quasi un'aria di famiglia!Sicuroè stato lui a generarvigiovani eredi in

esilioe solo dal vostro avo funereo vi potrà venire l'antico segreto distato.

Ora in cuor suo Achab aveva qualche sospetto di questoe cioè: tutti i mieimezzi sono saniil mio movente e

il mio fine sono pazzi. Ma incapace di sopprimere o mutare o evitare i fattiera però cosciente di avere simulato a lungo

davanti agli uomini. E in qualche modo lo faceva ancora. Ma il suocomportamento falso era soggetto soltanto alla sua

percezionenon alla sua volontà cosciente. Eppure ci riusciva così beneafingereche quando con la sua gamba

d'avorio scese finalmente a terranessuno a Nantucket vide altro in lui cheun dolore naturalee fino all'animaper la

disgrazia terribile che gli era successa.

Quando si seppe con certezza del suo delirio in mareanche questo venneattribuito da tutti a una causa simile.

E così pure la nuova profonda tristezza che da allora gli gravò sempresulla frontefino al giorno che Achab salpò sul

Pequod per questo viaggio. E non è troppo azzardato pensare che invece diconsiderarlo poco idoneo a un'altra crociera

a causa di quei sintomi così cupila gente calcolatrice di quell'isolaprudente fosse invece disposta a pensare che proprio

per quelle ragioni Achab era meglio qualificatoe preparato a dovereper unlavoro così pieno di furore e di ferocia

come la caccia sanguinaria alle balene. Roso di dentro e bruciacchiato difuorilacerato di continuo dalle zanne di

qualche idea incurabile: un uomo cosìa trovarlosarebbe il vero tipofatto per scagliare il rampone e alzare la lancia

contro il più terrificante dei bruti. E se per qualche motivo lo si dovesseconsiderare inabile nel fisicoparrebbe sempre

adatto in modo superlativo a eccitare e aizzare i suoi subalterniall'attacco. Comunque sia è certo che Achabcon tutta la

sua pazza furia serrata e sprangata nel segreto dell'animoera partito diproposito per questo viaggio con l'unica e

maniaca intenzione di dare la caccia alla balena bianca. Se qualcuno dei suoivecchi conoscenti di terra avesse appena

sospettato ciò che egli covava dentrocon che fretta le loro rette animesbigottite avrebbero strappato la nave a un uomo

così diabolico! Tutto ciò che volevano era una crociera vantaggiosaunutile da contarsi in dollari di zecca. Ciò che

voleva lui era una vendetta temerariaspietataultraterrena..76

Ecco dunque: un vecchio grigio ed empio inseguiva maledicendo attorno allaterra una balena di Giobbee per

giunta alla testa di una ciurma fatta sopratutto di bastardi rinnegatidireprobi e di cannibali; un gruppo di uomini

indebolitoanzidall'insufficienza dell'onestà o virtù isolata e senzaaltri aiuti di Starbuckdalla noncuranza e

dall'indifferenza così impassibili e spensierate di Stubbe dallamediocrità di cui Flask era tutto imbevuto. Un

equipaggio similee con simili ufficialipareva scelto e assortito appostada qualche fato diabolico per aiutare Achab

nella sua vendetta maniaca. Come mai rispondessero tanto alla rabbia delvecchioquale incantesimo malvagio si fosse

impossessato delle loro animetanto che a volte quell'odio pareva quasi unloro odio e la balena bianca un nemico che

anche loro non potevano soffrire; come mai fu possibile tutto questoe ciòche era per loro la balenae perché anche nel

loro inconscio la bestia poté presentarsi in qualche modo misterioso einsospettato come il gran demonio che scivola per

i mari della vitaper spiegare tutto questo bisognerebbe tuffarsi più afondo di quanto non sa fare Ismaele. Quel

minatore sotterraneo che lavora in tutti noicome è possibile diredalrumore sempre diverso e soffocato che fa il suo

picconedove conduce il suo pozzo? Chi non sente il braccio irresistibileche ci trascina? Quale battello può starsene

fermose una corazzata lo rimorchia? Quanto a mecedetti al rilassamentodel tempo e del luogo; ma mentre ero anch'io

tutto preso dalla smania di affrontare la balenanon riuscivo a vedere altroin quel bruto che il male più funesto.

XLII • LA BIANCHEZZA DELLA BALENA

Cosa fosse per Achab la balena biancal'ho accennato; resta ancora da direciò chea volteessa era per me.

A parte quelle riflessioni più ovvie che ogni tanto non potevano non destaredelle apprensioni nell'animo di

qualsiasi personaMoby Dick mi suscitava un altro pensieroo piuttosto unorrore vago e senza nomecosì intenso a

volte da soverchiare tutto il resto; e tuttavia così misterioso e quasiineffabile che a momenti dispero di poterlo

esprimere in una forma comprensibile. Era la bianchezza della balena chesopratutto mi atterriva. Ma come sperare di

spiegarmi? Eppuresia anche in modo confuso e disordinatodebbo spiegarmialtrimenti tutti questi capitoli potrebbero

essere inutili.

Si sain molti oggetti naturali la bianchezza aumenta e raffina la bellezzacome se le impartisse qualche sua

speciale virtù: come nei marminelle cameliee nelle perle. In certo modovari popoli hanno riconosciuto in questo

colore una qualche preminenza regale. Perfino i barbarici e fastosi antichire di Pegu consideravano il titolo di «Signore

degli Elefanti Bianchi» al di sopra di tutti gli altri attributimagniloquenti di dominio; e così oggi i re del Siam

dispiegano quel quadrupede niveo nello stendardo realela bandiera diHannover porta l'unica figura di un destriero

bianchissimoe il grande impero cesareo d'Austriaerede del dominio diRomaha per colore la stessa tinta imperiale.

Anzi questa supremazia vige nella stessa razza umanadando all'uomo biancoun'autorità ideale sopra ogni stirpe bruna.

Per giuntapoila bianchezza è diventata perfino un simbolo di gioiaperché tra i romani una pietra bianca segnava un

giorno gaioe altri uomini hanno preferito e scelto quel colore per farnel'emblema di molte cose nobili e commoventi

come l'innocenza delle spose e la benignità della vecchiaia. Per ipellirosse d'Americail dono di una cintura di

conchiglie bianche era il più profondo pegno d'onore. In molte terrelabianchezza rappresenta simbolicamente la

maestà della giustizia nell'ermellino del giudiceed è quotidiano tributoalla dignità dei re e delle reginetirati da

candidi cavalli. Perfino nei più profondi misteri delle grandi religioniilbianco è stato fatto simbolo della purezza e

della potenza divine: per gli adoratori del fuoco persianila fiamma biancaa due punte era la più santa sugli altari; nei

miti greciil grande Giove in persona s'incarna nel toro candido; per inobili irochesiil sacrificio invernale del sacro

cane bianco era la festa di gran lunga più solenne della loro teologiaperché quella creatura immacolata e fedele la

ritenevano il messaggero più puro che potessero inviare al Grande Spiritocon le annue proteste di fedeltà. Ed è vero

inoltre che tutti i sacerdoti cristiani ricavano direttamente dalla parolalatina che significa bianco il nome di una parte

del loro abito sacroil camice o tunicaportato sopra la sottana. È veroche tra le sacre cerimonie della fede Romana il

bianco è specialmente impiegato per celebrare la passione di Nostro Signore.È vero che nella Visione di San Giovanni i

redenti portano vesti bianchee i ventiquattro anziani stanno vestiti dibianco davanti al gran trono candidoe il Santo

che vi siede è bianco come la lana. Eppurenonostante questa montagna diassociazioni con tutto ciò che è soave e

venerabile e sublimesempre nell'idea più profonda di questo colore siacquatta un che di ambiguoche incute più

panico all'anima di quel rosso che ci atterrisce nel sangue.

È questa qualità inafferrabile che rende l'idea della bianchezzaquando èseparata da associazioni più benigne e

accoppiata con un oggetto qualunque che sia terribile in se stessocapace diaccrescere quel terrore fino all'estremo. Ne

sono prova l'orso bianco polare e lo squalo bianco dei tropici; cos'altro senon la loro bianchezza soffice e fioccosa li

rende quegli orrori ultraterreni che sono? È quella bianchezza spettrale cheimpartisce una bonarietà così orrendapiù

ancora ripugnante che spaventosaalla fissità ottusa del loro aspetto.Tanto che nemmeno la tigre con le sue zanne

ferociavvolta nel suo mantello araldicopuò scalzare a un uomo ilcoraggio meglio dell'orso e del pescecane dal

sudario bianco.

Pensate all'albatro: da dove vengono quelle nuvole di stupore spirituale e dipallido terrore in mezzo alle quali

in ogni fantasiavola quel bianco fantasma? Non fu Coleridge il primo aoperare quell'incantesimoma la grande e

severa artista di Diola Natura.

Famosissima nei nostri annali del West e fra le tradizioni indiane e laleggenda del cavallo bianco delle

praterie: un magnifico corsiero bianco lattedai grandi occhila testaminutail petto ampio e la dignità di mille re nel.77

suo portamento superbo e sprezzante. Era il Serse eletto di grandi mandrie dicavalli selvaggii cui pascoli a quei tempi

erano recintati solo dalle Montagne Rocciose e dagli Allegani. Fulgidoallaloro testaegli li guidava verso l'Ovest

come quella stella eletta che ogni sera guida gli eserciti della luce. Lacascata fiammeggiante della sua crinierala

cometa falcata della coda lo ornavano di finimenti più splendidi di quelliche avrebbero potuto fornirgli orefici o

argentieri. Un'immagine veramente imperiale e angelica di quel mondo ancoraintatto dell'Ovestche agli occhi dei

vecchi cacciatori e trappolatori faceva rivivere le glorie dei tempiprimordialiquando Adamo vi camminava maestoso

come un dioampio di petto e senza paura come questo cavallo poderoso.Marciando tra i suoi aiutanti e maresciallia

capo di schiere innumerevoli che come un Ohio si rovesciavano senza finesulle pianureoppure al galoppopassando in

rivista i suoi sudditi che brucavano tutt'intorno fino all'orizzontementrele froge calde rosseggiavano tra il suo fresco

candorecomunque si presentasseil cavallo bianco era sempreper gliindiani più coraggiosil'oggetto di tremante

reverenza e paura. Né si può mettere in dubbioda ciò che la leggenda citramanda su questo nobile cavalloche

essenzialmente era la sua spirituale bianchezza a dargli quell'aura didivinitàe che questa sua aura sacrale imponeva

una venerazione religiosama nello stesso tempo forzava a sentire non so cheterrore inesprimibile.

Ma ci sono altri casi in cui la bianchezza perde completamente quella stranaaggiunta di sublimità che l'informa

nel cavallo bianco e nell'albatro.

In un uomo albinocosa c'è che ripugna in modo così particolare e spessooffende l'occhiotanto che a volte

egli è aborrito perfino da amici e familiari? È la bianchezza che lo fasciae che si esprime nel nome che porta. L'albino

non è meno ben fatto degli altrinon ha alcuna sostanziale deformitàeppure basta quella bianchezza che lo copre tutto

a renderlochi sa perchépiù orribile del più orrendo aborto. Comespiegarlo?

E ci sono poi altri campi in cui la naturanei suoi effetti meno vistosi manon meno maligninon manca di

aggiungere alle proprie forze questo supremo attributo del terribile. A causadel suo aspetto nevosolo spettro guantato

di ferro dei mari del Sud è chiamato Raffica Bianca. Né l'arte dell'umanamalizia ha trascurato un ausiliare così potente

in alcuni casi della storia. Ed esso raddoppia l'impressione paurosa che cilascia quell'episodio di Froissartin cui i

terribili Cappucci Bianchi di Ghentmascherati col simbolo niveo della lorofazioneassassinano il loro balivo sulla

piazza del mercato.

E in certe cose la stessa comune ed ereditaria esperienza di tutto il genereumano riconferma la natura

soprannaturale di questo colore. Certo non si può mettere in dubbio che neimorti la qualità visibile che più ci atterrisce

è il pallore marmoreo dei loro aspetti; quel pallore che davvero parrebbe ilsimbolo dello sbigottimento ispirato dall'al di

làe insieme di questa nostra trepidazione mortale. E da quel pallore deimorti prendiamo in prestito il colore simbolico

del sudario in cui li fasciamo. Ne mmeno nelle nostre superstizioni cidimentichiamo di gettare lo stesso mantello di

neve attorno ai fantasmi: tutti appaiono in una nebbia lattiginosa. Sicuroementre siamo soggetti a queste paure

aggiungiamo che lo stesso re del terrorecom'è personificatodall'evangelistamonta un cavallo pallido.

Perciòsebbene in diversi stati d'animo l'uomo si compiaccia disimboleggiare col bianco tante cose delicate o

grandiosenessuno può negare che nel suo più profondoideale significatola bianchezza evochi nell'anima come uno

strano fantasma.

Ma anche ad accettare questo punto senza dissensicome possiamo spiegarloumanamente? Analizzarlo

sembrerebbe impossibile. E alloracitando alcuni dei casi in cui labianchezzatemporaneamente spogliata in tutto o in

gran parte di ogni diretta associazione che le impartisca un che diterribilecomunque esercita su noi in un modo o

nell'altro la medesima stregoneriaforse possiamo sperare di imbatterci inqualche indizio che porti alla causa nascosta

che cerchiamo.

Proviamoci. Ma in un problema come questoacume esige acume. In questiambientici vuole fantasia per

venirci appresso. Certoalmeno qualcuna delle impressioni fantastiche di cuiparleremoquasi tutti possono averla

provata; ma forseal momentosolo pochi ne sono stati coscienti in pienoequindi può darsi che ora non se la

ricordino.

Perché mai all'uomo idealista per naturache sappia ben poco sul caratterespecifico di quella ricorrenzala

pura e semplice menzione di Whitsuntide introduce nell'animo tanteprocessioni lunghetetre e silenziose di pellegrini

dal passo lento e abbattutoe incappucciati di neve fresca? E perché alprotestante degli stati centrali d'Americache sia

incolto e ingenuola menzione casuale di un frate biancoo di una monacabiancaevoca in mente una statua cieca?

E che cos'ha la Torre Bianca di Londra (a parte le tradizioni di guerrieri edi re che vi sono stati rinchiusiche

non bastano a spiegare la cosa) perché essa colpisca la fantasia di unAmericano sedentario assai più delle altre

costruzioni storiche lì accantola Torre Byward o la stessa TorreSanguinosa? E quelle torri più sublimii Monti

Bianchi del New Hampshire da dove mai vieneappena se ne dica il nome inparticolari stati d'animoquel gigantesco

fantasma che si posa sull'animamentre l'idea della Catena Azzurra dellaVirginia ci immerge in un sogno di cose

lontanerugiadose e soavi? E perchélasciando da parte latitudini elongitudiniil nome del Mar Bianco esercita un tale

influsso spettrale sulla fantasiamentre quello del Mar Giallo ci culla conpensieri terreni di lunghie mollie laccati

pomeriggi sulle ondeseguiti dai tramonti più splendidi eppure sonnolenti?O per scegliere un esempio completamente

irrealepuramente destinato alla fantasiaperché leggendo nelle antichefiabe dell'Europa centrale dell'«uomo alto e

pallido» delle foreste dello Hartzil cui pallore immutabile va scivolandosenza fruscio per il verde dei boschiperché

questo fantasma è più terribile di tutti i demoni schiamazzanti delBlocksberg?

E non è soltanto il ricordo dei terremoti distruttori di cattedraliné glistampedi del suo mare pazzoné la

mancanza di lacrime dei cieli aridi da cui non scende mai pioggiané lavista della sua immensa distesa di guglie

contortedi coronamenti strappatidi croci che pendono come i pennoniripiegati di flotte all'ancorané i viali suburbani.78

di mura che posano l'uno sull'altro come un mazzo di carte sparsenon sonosoltanto queste cose che fanno di Lima

arida la città più strana e più triste che ci sia. Perché Lima ha presoil velo bianco; e c'è un orrore più grande in questa

bianchezza del suo dolore. Antica come Pizarroquesta bianchezza mantienesempre fresche le sue rovine; non ammette

il verde gaio della decadenza completae sparge sui bastioni diroccati ilpallore rigido dell'apoplessia che paralizza le

sue stesse distorsioni.

So bene che la mente comune non riconosce che questo fenomeno dellabianchezza è la causa principale che

aumenta il terrore di cose già terribili; e chi manca di fantasia non haaffatto paura di certi oggetti apparenti che per altri

sono orribili solo perché presentano quel fenomenosopratutto se esso simanifesta in una forma che tende al silenzio o

all'astrazione. Ciò che voglio dire con queste due cose può essere forsechiaritorispettivamentedagli esempi che

seguono.

Primo: il marinaio che accosta una terra sconosciutase di notte senteruggire i frangenti. comincia a stare

all'erta e prova quel tanto di paura che serve ad aguzzare ogni sua facoltà.Ma ponete il caso che in una situazione

identica egli venga chiamato sù dalla branda a mezzanotteper vedere lanave che scivola su un mare bianco come il

lattecome se tanti branchi di strigliati orsi bianchi fossero scesi anuotargli attorno dai promontori circostanti. Allora

egli proverà uno spavento muto e superstizioso. Il fantasma velato delleacque bianche gli riuscirà orribile come un vero

spettro. E invano lo scandaglio lo assicura che i bassifondi sono semprelontani; cuore e barra cadono assieme; non

trova riposo finchésottonon gli torna l'acqua azzurra. Eppure dov'è ilmarinaio che ti confesserà: «Non era tanto la

paura di urtare qualche scoglio invisibilesignorequanto la paura diquella bianchezza schifosa a mettermi tutto

sottosopra»?

Secondo: all'indiano nativo del Perù la vista continua delle Andegualdrappate di neve non comunica nessuna

pauraeccetto forse quando va immaginando l'eterno squallore del gelo cheregna a quelle altitudinie forma il pensiero

naturale che sarebbe tremendo smarrirsi in una solitudine così disumana.Quasi lo stesso accade al boscaiolo del West

che osserva con relativa indifferenza una prateria sterminata che il vento hafoderato di nevesenza un'ombra d'albero o

di ramo che spezzi l'estasi paralizzata di quel candore. Non così ilmarinaio che guardi il paesaggio dei mari antartici:

dove a volteper qualche gioco infernale di prestigio dei poteri del gelo edell'ariaegli vedetremante e quasi naufrago

non arcobaleni che portino speranza e conforto alla sua sventurama ciò chepare un cimitero sconfinato che gli

sogghigna coi suoi scarni monumenti di ghiaccio e le sue croci scheggiate.

Ma tu dici: scommetto che questo capitolo di biacca sulla bianchezza non èche una bandiera bianca che sporge

da un'anima codarda; ti arrendi a una fisimaIsmaele.

Dimmiperché quel puledro robustofigliato in qualche valle pacifica delVermontlontanissimo da ogni

animale da predaperché mai nella giornata più piena di solese appenagli scuoti alle spalle una pelle fresca di bufalo

in modo che neanche la veda ma solo ne fiuti il tanfo selvaggio di muschiosi mette a trasalirea sbuffarea strabuzzare

gli occhi e scalpitare preso da una paura frenetica? Nella sua verde terradel nord non allignano in lui ricordi di bestie

sbudellate da animali selvaggisicché la strana muschiosità che annusa nongli può ricordare niente che sia associato a

esperienze passate di pericoli: cosa può saperequesto puledro del NewEnglandsui bisonti neri del lontano Oregon?

In realtà quiperfino in un bruto senza parolatu vedi la conoscenzaistintiva del demonismo del mondo. A

migliaia di miglia dall'Oregongli basta annusare quel puzzo selvaggio e lemandrie di bisonti che spaccano e sgozzano

gli sono addossoproprio come al puledro selvaggio abbandonato nellepraterieche forse in quello stesso momento

esse stanno per ridurre in polvere.

Proprio cosìappuntoi sordi rullii di un mare di lattelo scricchiolaresinistro dei festoni di gelo sulle

montagnee il vagare desolato della neve spazzata dal vento nelle praterietutte queste cose sono per Ismaele ciò che la

pelle di bufalo scossa è per il puledro atterrito.

Nessuno di noi due sa dove si trovino le cose senza nome cui allude il segnomis teriosoma per me come per il

puledroin qualche posto quelle cose debbono esistere. In molti dei suoiaspetti questo mondo visibile pare informato

d'amorema le sue sfere invisibili furono formate nello sgomento.

Però non abbiamo ancora risolto il mis tero di questa bianchezza néscoperto perché abbia un fascino così

potente sull'anima; ecosa più strana e assai più stupefacenteperchémaicome abbiamo vistoessa sia nello stesso

tempo il simbolo più pregnante delle cose dello spiritoanzi il velamestesso della Divinità Cristianamentre poi è

indubbio che opera a fare più terribili le cose che più atterrisconol'uomo.

Forsecon la sua indefinitezzaadombra i vuoti e le immensità crudelidell'universoe così ci pugnala alle

spalle col pensiero dell'annientamento mentre contempliamo gli abissi bianchidella via lattea? Oppure la ragione è che

nella sua essenza la bianchezza non è tanto un colorequanto l'assenzavisibile di ogni colore e nello stesso tempo

l'amalgama di tutti i coloried è per questo motivo che c'è una vacuitàmutapiena di significatoin un gran paesaggio

di neviun omnicolore incolore di ateismo che ci ripugna? E ci viene ancheda pensare a quell'altra teoria dei filosofi

della naturache tutte le altre tinte terreneogni ornamento delicato osolennele sfumature soavi dei cieli e dei boschi

al tramontofino ai velluti aurei delle farfalle e alle guance di farfalladelle ragazzetutte queste cose non sono che

subdoli inganniqualità non inerenti alle sostanze ma solo appiccicate daldi fuori. Sicché tutta questa Natura deificata

non fa che dipingersi proprio come una puttana che copre di vezzi il carnaioche ha dentro. E andando ancora oltre

ricordiamo che il cosmetico misterioso che produce tutte le tinte del mondoil gran principio della lucerimane sempre

in se stesso bianco e incoloree se operasse sulla materia senza unamediazione darebbe a ogni oggettoanche ai

tulipani e alle rosela sua tinta vuota. Quando riflettiamo su tutto questol'universo paralizzato ci sta davanti come un

lebbroso; e come viaggiatori testardi che attraversando la Lapponia rifiutanodi mettersi sugli occhi vetri colorati e.79

colorantil'infelice miscredente si acceca a fissare l'immenso sudariobianco che avvolge attorno a lui tutto il paesaggio.

E di tutte queste cose la balena albina era il simbolo. Perché allora vimeraviglia questa caccia feroce?

XLIII • ASCOLTA!

«Zitto! Hai sentito quel rumoreCabaco?»

Era il turno di mezzanotte: un bel chiaro di luna. I marinai formavano uncordone da una delle botti d'acqua

dolce a metà del ponte al barile vicino al coronamento. A questo modo sipassavano i buglioli per riempire il barile. E

come la maggior parte si trovava nei sacri paraggi del casserostavanoattenti a non parlare e a non stropicciare i piedi.

Da mano a mano i buglioli passavano nel più profondo silenziorotto solo dauno schiocco di vela ogni tantoe dal

fruscìo costante della chiglia che irrompeva senza sosta.

Fu in mezzo a questa quiete che Archyuno del cordonepiazzato accanto alleboccaporte di poppasussurrò

quelle parole al peruviano che gli stava a fianco.

«Zitto! Hai sentitoCabaco?»

«Avantipiglia la secchiaArchy! Che rumore?»

«Di nuovo! Sotto le boccaportenon senti? Un colpo di tosse. Come uno chetossisce.»

«Vada all'inferno! Passami quel bugliolo.»

«Di nuovodi nuovo! E stavolta è come due o tre che si voltano nellecuccette!»

«Caramba! La vuoi smetterecompagno? Sono quelle tre gallette inzuppate chehai mangiato ierserache ti

girano dentronient'altro. Fai attenzione al bugliolo.»

«Sarà come dicicompagno; ma io ho buon orecchio.»

«Sicurosei quello che ha sentito i ferri da calza della vecchia quacqueraa cinquanta miglia da Nantucket! Sei

stato tuno?»

«Ridi pure; vedremo cosa succede. SentiCabaco: c'è qualcuno nella stivache ancora quassù non s'è visto; e

anche mi gioco la testa che il vecchiaccio ne sa qualche cosa. Ho sentitoStubb dire a Flask che c'era qualcosa di simile

in ariauna mattina che erano di turno.»

«Ohil bugliolo!»

XLIV • LA CARTA

Se aveste seguito il capitano Achab in cabina dopo la burrascala notte cheseguì quella selvaggia ratifica del

suo progetto da parte della ciurmal'avreste veduto avvicinarsi all'armadionello specchio di poppatirarne fuori un

grosso rotolo spiegazzato di carte marine ingiallitee aprirsele davanti sultavolo avvitato. E poi l'avreste veduto sedersi

a studiare tutto assorto le varie linee e ombreggiature che vi scorgevaetracciare con matita lenta e sicura altre linee su

spazi che prima erano vuoti. Ogni tanto ricorreva a mucchi di vecchi giornalidi bordo che aveva accantodove erano

annotate le stagioni e i posti in cuinel corso dei viaggi di varie altrenavierano stati catturati o visti dei capodogli.

Mentre lavorava cosìla pesante lampada di peltro sospesa con catene sullasua testa oscillava continuamente

al muoversi della navee di continuo sulla fronte segnata di rughe glipassavano sprazzi di luce e righe d'ombratanto

che quasi pareva che una matita invisibilementre Achab segnava linee erotte sulle carte gualcitegli andasse

tracciando anch'essa linee e rotte sulla carta profondamente incisa dellafronte.

Ma non fu quella l'unica notte in cuinella solitudine della cabinaAchabsi mettesse a meditare sulle sue carte.

Le tirava fuori quasi ogni notte. Quasi ogni notte qualche segno di matitaveniva cancellatoe altri sostituiti. In realtà

con le carte di tutti e quattro gli oceani davantiAchab andava tracciandoun percorso per un dedalo di correnti e di

gorghimirando a rendere più sicuro il successo di quell'idea che gliossessionava l'anima.

Oraa chiunque non conosca bene le abitudini dei cetaceicercare in quelmodo un'unica bestia solitaria negli

oceani senza fondo del nostro pianeta potrebbe sembrare un compito assurdo edisperato. Ma non così pareva ad Achab

che conosceva le leggi di tutte le maree e le correntie calcolando da lìle derive del cibo dei capodoglie tenendo poi

presenti le stagioni regolari e accertate in cui li si poteva cacciare indeterminate latitudinipoteva calcolare con un

grado di probabilità che era quasi certezza il tempo più adatto pertrovarsi in questa o quella zona di caccia alla ricerca

della sua preda.

In realtà l'afflusso periodico dei capodogli in determinate acque è unfatto così assodatoda far pensare a molti

cacciatori che se si potesse studiare e osservare da vicino l'animale neisuoi viaggie confrontare accuratamente i

giornali delle singole crociere dell'intera flotta balenierasi troverebbeche le migrazioni del capodoglio corrispondono

per invariabilità a quelle dei banchi di aringheo ai voli delle rondini.Su queste supposizioni sono stati fatti tentativi per

tracciare elaborate carte migratorie del capodoglio.

Inoltrenel passare da una zona di pascolo a un'altrai capodogliguidatida qualche istinto infallibileo

diciamo piuttosto da qualche segreto avvertimento divinonuotano per lopiùcome dicono i marinaiin vene

viaggiando lungo una data linea oceanica con tale esattezza inflessibilechenessuna nave in base a nessuna carta ha mai.80

percorso la propria rotta con la decima parte di quella precisionemeravigliosa. In questi casi la direzione seguita da

ogni singola balena è dritta come la parallela di un geometrae la balenaavanza in uno spazio strettamente limitato

dalla sua stessa sciadritta e inalterabile; però la vena arbitraria in cuisi dice che in questi casi la bestia nuoti abbraccia

di solito alcune miglia in larghezza (più o menoperché si pensa che lavena possa espandersi o restringersi)ma

comunque non supera mai la portata di vista dalle teste d'albero dellabaleniera che scivola circospetta lungo quella

magica zona. Il risultato è che in determinate stagionientro quellalarghezza e lungo quella venasi possono cercare

con gran fiducia delle balene migranti.

E quindinon solo Achab poteva sperare di incontrare la preda in periodideterminati con sicurezza e in campi

di pascolo diversi e ben conosciutima nell'attraversare le più ampiedistese d'acqua tra quei campi poteva regolare ad

arte la sua corsa in modo da avereanche lungo il tragittouna qualcheprobabilità d'incontrarla.

C'eraa prima vistaun fatto che pareva intralciare il suo disegno folle mametodico. Ma in realtà forse non lo

disturbava. Sebbene i capodogli che hanno istinti gregarii abbiano stagioniregolari per determinate zonetuttavia non si

può dire in genere che le mandrie che quest'anno hanno battutodiciamoquesta latitudine e longitudinerisultino poi le

stesse che vi si sono trovate nella stagione precedente; e anche quidelrestoci sono esempi specifici e indubbi nei

quali si è verificato il contrario. In linea di massima la stessaosservazionese solo ne limitiamo la portatavale per quei

capodogli maturi e anziani che vivono solitarida eremiti. Di modo cheseputacaso Moby Dick era stato visto qualche

anno primaad esempio in quella zona detta delle Seychelles nell'OceanoIndianoo nella Baia del Vulcano lungo la

costa del Giapponeda ciò non seguiva che il Pequodse si fosse trovato inuno di quei punti al momento giusto

avrebbe dovuto incontrarcelo immancabilmente. E lo stesso per qualunque dellealtre zone di pascolo dovea volte

Moby Dick si era fatto vivo. Tutte queste parevano soltanto le sue tappeoccasionali e le sue locande marineper così

direnon i posti dove risiedeva a lungo. E se finora si è detto delleprobabilità che aveva Achab di attuare il suo pianosi

è soltanto alluso a tutte quelle speranze di successo marginali e fuoriprogramma che poteva avere prima di arrivare a un

posto e un tempo determinatinei quali tutte le possibilità sarebberodivenute probabilitàe ogni possibilitàcome

Achab sperava con tutto il cuorequasi una certezza. Quel tempo e quel luogoparticolari erano riassunti in un'unica

definizione tecnica: «la stagione all'Equatore». Perché in quelle acque ein quella stagioneper parecchi anni di seguito

Moby Dick era stato visto soffermarsi regolarmente per un po' di tempocomeil sole nel suo giro annuale si ferma per

un intervallo prefisso in ognuno dei segni dello Zodiaco. Ed era anche làche aveva avuto luogo la maggior parte degli

scontri mortali con la balena bianca; quelle onde erano istoriate con le sueimpresee là si trovava quel punto tragico

dove il vecchio maniaco aveva trovato il pauroso movente della sua vendetta.Ma Achabche nel lanciare in questa

caccia il suo spirito pensoso calcolava tutto con cautela e vigilava senzatreguanon si sarebbe mai permesso di riporre

tutte le sue speranze su quell'unica probabilità culminante di cui si èdettoper quanto essa potesse carezzare quelle

speranze; néinsonne come lo teneva il suo giuramentosarebbe riuscito atenere tanto quieto il proprio cuore da

rinviare ogni ricerca precedente.

Ora il Pequod era partito da Nantucket proprio all'inizio della stagioneequatoriale. E quindi nessuno sforzo

possibile poteva mettere il capitano in grado di fare la grande traversata asuddoppiare il Capo Horne correre per

sessanta gradi di latitudine fino a raggiungere il Pacifico equatoriale intempo per incrociarvi. Bisognava dunque

aspettare la stagione successiva. Ma forse questa data prematura per lapartenza del Pequod era stata scelta bene da

Achabche teneva presente tutto questo complesso di cose. Perché cosìaveva davanti un intervallo di

trecentosessantacinque giorni e nottiun intervallo che invece di sopportarecon impazienza a terra poteva impiegare in

una caccia mista. E forse la balena biancapassando le vacanze in mari assailontani dalle sue zone periodiche di

pascoloavrebbe potuto cacciare fuori la sua fronte grinzosa al largo delGolfo di Persiao nella Baia del Bengala o nei

mari della Cina o in altre acque battute dalla sua specie. Sicché monsonipamperi e aliseilo Harmattan o il Nordovest

tutti i venti tranne il levante e il simun potevano spingere Moby Dick nellascia del Pequod che circumnavigava la terra

a zigzag.

Ma anche ammettendo tutto questose riflettiamo con distacco e cautelanonsembra forse un'idea da

manicomio pensare che nell'oceano immenso una balena solitariasia pure aincontrarlapossa essere individuata dal

suo cacciatorecome se fosse un mufti dalla barba bianca per le arterieaffollate di Costantinopoli? E invece era

possibile. Perché la fronte particolare di Moby Dickbianca come la neveela sua nivea gobba non potevano che essere

inconfondibili. «E non l'ho forse marcatala balena?» brontolava Achab ase stessoquando dopo avere ponzato sulle

sue carte fino a lungo dopo mezzanotte si rovesciava sullo schienale e siperdeva a sognare: «È marcatacome mi può

sfuggire? Le sue grosse pinne sono forate e dentellate come le orecchie diuna pecora smarrita!» E qui la sua mente

malata si metteva a correre a perdifiatofinché lo prendevano la faticalastanchezza di pensaree allora soleva uscire

all'apertosul ponteper vedere di riprendere forza. Dioche estasi ditorture sopporta l'uomo consumato da un unico

insoddisfatto desiderio di vendicarsi! Dorme coi pugni strettie si svegliacoi segni del sangue sulle palme.

C'erano delle notti in cui lo cacciavano dalla branda sogni estenuanti einsopportabilmente realiche

ripigliavano le preoccupazioni del giorno e le sviluppavano tra un cozzare diimpulsi freneticie gliele facevano

vorticare all'infinito nel cervello avvampatofinché lo stesso pulsare delcuore gli diventava un'angoscia insopportabile;

e allora succedeva a volte che questi spasimi dello spirito gli sollevavanol'essere dalle radicie pareva aprirsi in lui un

abisso da cui erompevano fia mme forcute e lampie anime dannate glifacevano segno di saltare giù con loro. Quando

questo inferno dell'anima gli si spalancava sotto i piediun urlo feroceecheggiava per la navee Achab si precipitava

fuori della cabina con gli occhi sbarraticome se fuggisse da un letto infiamme. Eppure questiforseinvece di essere i

sintomi inoccultabili di qualche latente debolezza o paura per le sue stessedecisioninon erano che i segni lampanti.81

dell'intensità di queste ultime. Perché ciò che lo faceva balzareinorridito dalla brandain quelle occasioninon era

quell'Achab pazzoil cacciatore subdolotenace e insaziato della balenabiancache vi si era disteso. La vera causa era

l'animail principio vivente ed eterno che restava in lui; e nel sonnodissociatosi per un tratto dallo spirito individuante

che altre volte lo usava come suo veicolo o agente esternoquesto principiocercava istintivamente di sfuggire alla

vicinanza bruciante dell'essere frenetico di cui per il momento non era piùparte. Ma l'intelletto non esiste se non

collegato con l'anima: e perciò nel caso di Achabche asserviva ognipensiero e ogni fantasia a un solo massimo scopo

quel proposito lottava contro dei e demoni con la mera forza del suo radicatovoleree si trasformava in una sorta di

essere autonomo e indipendente. Poteva anzi vivere e bruciare sinistramentementre la vitalità comune cui era

congiunto fuggiva inorridita da quella creatura illegittima e indesiderata.In realtà lo spirito tormentato che gli ardeva

negli occhiquando l'essere che pareva Achab si lanciava fuori dalla cabinain quel momento non era che una cosa

vuotauna creatura informe che vagava nel sonnoe che era sempre un raggiodi luce viva ma senza un oggetto da

coloraree quindiin se stessaun niente. Dio ti aiutivecchio. I tuoipensieri hanno creato dentro di te una creatura; e

all'uomo che a forza di pensare si trasforma in un Prometeoun avvoltoiodivora il cuore per sempre. Un avvoltoio che è

la stessa creatura che egli crea.

XLV • L'ATTESTATO

Per quello che riguarda la trama di questo libroe a dire il vero anche perciò che tocca indirettamente uno o

due dettagli molto interessanti e curiosi delle abitudini dei capodogliilcapitolo precedentenella sua prima parteè uno

dei più importanti di tutta l'opera. Ma bisognerà sviluppare e spiegareancora il suo tema di centrosia per capirlo

pienamentesia per dissipare ogni incredulità che una profonda ignoranzadell'argomento potrebbe indurre in qualche

cervelloriguardo alla sicura verità dei punti principali di questa storia.

Non è mia intenzione di svolgere con metodo questa parte del mio compito; miaccontenterò di produrre

l'impressione voluta con varie citazioni di fatti checome baleniereconosco o per esperienza personale o per sicura

informazione; e da questi esempicredola conclusione a cui miro scaturiràspontanea.

Anzitutto: so per esperienza personale di tre casi in cui una balenaricevuto un arpione riuscì a svignarselae

dopo un lasso di tempo (tre anni in uno dei casi) fu colpita di nuovo dallastessa mano e uccisa; e allora le vennero

estratti dal corpo due ferritutti e due segnati con la stessa siglaprivata. Tre annidicevopassarono tra i lanci dei due

arpionie forse sarà stato anche di piùperché nel frattempo all'uomoche li lanciò era capitato di fare un viaggio in

Africa su un mercantile; e lì sbarcòsi unì a un gruppo di esploratoriepenetrò assai nell'internoviaggiando per un

periodo di quasi due anni ed esponendosi spesso ai pericoli di serpentiselvaggibestie feroci e miasmi velenosipiù

tutti gli altri soliti rischi che incontra chi viaggia nel cuore di regionisconosciute. Intanto anche la balena che aveva

colpita deve aver fatto i suoi viaggi. Senza dubbio aveva circumnavigato ilglobo tre voltegrattando coi fianchi tutte le

coste dell'Africama inutilmente. L'uomo e la balena s'incontrarono dinuovoe l'uno vinse l'altra. Io stessoripetoho

saputo di tre casi simili a questo; e cioè in due ho visto colpire labalenae al secondo attacco ho visto i due ferri con le

rispettive sigle inciseche poi vennero strappati dal pesce morto. Nel casodei tre annicapitò che io fossi nella lancia

tutte e due le voltela prima e l'ultimae l'ultima volta riconobbichiaramente una strana sorta di enorme neo che la

balena aveva sotto l'occhioe che avevo già notato tre anni prima. Dico treannima furono di più ci scommetto. E

perciò ecco tre esempi della cui verità posso garantire; ma ho sentito dimolti altri casi da persone la cui veridicità in

materia non c'è motivo di mettere in dubbio.

Secondariamente: è ben noto nell'ambiente dei pescatori di capodogliperquanto possa ignorarlo la gente di

terrache si sono avuti diversi memorabili esempi storici di particolaribalene che tuttinell'oceanoe in tempi e luoghi

diversierano capaci di riconoscere. La ragione per cui una balenaparticolare diventava così nota non era solo e

originariamente connessa a delle caratteristiche fisiche che la distinguevanodalle altre balene; perché comunque una

qualsiasi balena possa essere speciale da quel punto di vistai cacciatorimettono subito fine alla sua specialità

uccidendola e mettendola in caldaia per ridurla a un olio di speciale pregio.Nola ragione era questa: in seguito alle

esperienze fatali della cacciasi formava attorno a quella balena una famaterribile di pericolocome attorno a Rinaldo

Rinaldinitanto che moltissimi pescatori si accontentavano di farleriverenza toccandosi semplicemente i cappellacci se

la vedevano galleggiare pigra nei loro paraggisenza cercare di coltivarneuna conoscenza più intima. Come certi poveri

diavoli a terrase hanno la ventura di conoscere qualche pezzo grossoirascibilegli fanno da lontano per via un salutino

discretoperché ad approfondire un po' più la conoscenza hanno paura diricevere qualche pestata sommaria per la loro

presunzione.

Ma non solo ognuna di queste balene famose godette di grande celebritàpersonaleanzi possiamo dire di

rinomanza oceanica; non solo fu famosa in vita e ora è immortale da defuntanei racconti del castello di prua; ma venne

anche ammessa a tutti i dirittiprivilegi e distinzioni di un nomeun nomeinsigne come Cambise o Cesare. Forse che

non andò cosìTimor Tomfamosissimo leviatanoeroso come un icebergcheti acquattasti per tanto tempo

nell'omonimo stretto orientalefacendo una sfiatata che spesso si vedevadalla spiaggia di palme di Ombay? Non andò

cosìJack della Nuova Zelandaterrore di tutti i bastimenti cheincrociavano le scie nei paraggi della Terra del

Tatuaggio? Non fu cosìMorquan Re del Giapponeil cui alto gettodiconoprendeva a volte la forma di una croce di

neve alzata nel cielo? E tuDon Miguelcapodoglio cilenocon la schienasegnata di misteriosi geroglifici come una.82

vecchia testuggine! In semplice prosaecco quattro balene tanto note aglistudiosi di storia cetacea come Mario o Silla a

quelli di storia delle età classiche.

Ma non è tutto. Tom della Nuova Zelanda e Don Migueldopo che a varieriprese ebbero fatto grande strage

fra le barche di diverse navifurono finalmente ricercaticacciatisistematicamenteinseguiti e uccisi da valenti capitani

balenieriche salparono con quella precisa intenzione in menteproprio comeuna volta uscì pei boschi di Narragansett

il capitano Butlercon la ferma intenzione di catturare il famigeratoselvaggio e assassino Annawonil più famoso

guerriero del re indiano Filippo.

Non saprei dove trovare un posto migliore di questo per menzionare una o duealtre cosucceche mi paiono

importanti per affermare sotto ogni rispetto in istampa la credibilità ditutta questa faccenda della balena bianca e specie

della sua catastrofe. Perché questo è uno di quei casi scoraggianti in cuila verità richiede altrettanti puntelli dell'errore.

La gente di terra è per lo più così ignorante di alcune delle più chiaree palpabili meraviglie del mondoche senza

qualche accenno ai nudi fattistorici o nodella baleneriapotrebbe rideredi Moby Dick come se fosse una favola

mostruosao peggio ancoraancora più detestabileun'allegoria schifosa einsopportabile.

Primo: sebbene i più abbiano qualche vaga fuggevole idea dei rischi genericidella pesca grossanon hanno

però affatto un concetto ben fermo e vivo di quei rischi e della frequenzacon la quale ricorrono. Una delle ragioni è

forse che non uno su cinquanta dei disastri effettivi e dei decessi perincidenti di pesca ha una pubblica menzione in

patrianeanche passeggera e subito dimenticata. O forse credete che queldisgraziatoche magari in questo momento è

colto dalla lenza dell'arpione al largo della Nuova Guinea e portato sulfondo dalla balena che si tuffacredete forse che

il nome di quel poveraccio apparirà nel necrologio del giornale cheleggerete domani a colazione? Noperché il servizio

postale tra qui e la Nuova Guinea è molto irregolare. Di fattoavete maisentito sia pure una minima eco di notizie

regolari dirette o indirette dalla Nuova Guinea? Eppure vi dico che in unparticolare viaggio che feci nel Pacifico

scambiammo notizie con trenta navi diversefra le molte altre cheincontrammociascuna delle quali aveva avuto un

morto a bordo per colpa di una balenae alcune più di unoe tre di loroavevano perduto ciascuna l'equipaggio di una

lancia. Per amor di Dio fate economia di lampade e candele! Per ogni galloneche bruciate è stata sparsa almeno una

goccia di sangue umano.

Secondo: certo la gente di terra ha qualche vaga idea che la balena è unanimale enorme con un'enorme forza.

Ma mi sono sempre accorto che quando riferivo loro qualche esempio specificodi questa doppia enormitàquelli

significativamentemi lodavano per il modo spiritoso che avevo diraccontare: quando dichiaro sull'anima mia che non

avevo intenzione di essere spiritoso più di Mosè quando scrisse la storiadelle piaghe d'Egitto.

Ma per fortuna ciò che voglio specificamente provare può essere basato sutestimonianze del tutto indipendenti

dalla mia. Ed è questo: il capodoglio è in certi casi tanto forteintelligente e razionalmente malvagio da sfondare

distruggere completamente e mandare a picco una grossa nave con precisapremeditazione; e ciò che più contaquesto il

capodoglio lo ha fatto.

Primo: nell'anno 1820 la nave Essexcapitano Pollard di Nantucketincrociava nell'Oceano Pacifico. Un

giorno avvistò sfiatateammainò le lance e diede la caccia a una mandriadi capodogli. Ben presto parecchi pesci furono

feritiquando a un tratto un'enorme balena sfuggendo alle lance uscì dalbranco e si lanciò dritta sulla nave. E la sfondò

in modo talecon un colpo di fronte contro lo scafoche in meno di dieciminuti essa si rovesciò e affondò. Neanche

una sola tavola se ne poté trovare. Dopo le più terribili privazionil'equipaggio toccò terra sulle lance. Tornato

finalmente a casail capitano Pollard ripartì per il Pacifico al comando diun'altra navema gli dei tornarono a

naufragarlo su rocce e frangenti sconosciuti; la sua nave fu perdutacompletamente per la seconda voltaed egli subito

giurò di rinunciare ai mari e da allora non li ha più tentati. Oggi ilcapitano Pollard risiede a Nantucket. Ho visto Owen

Chaseche era primo ufficiale dell'Essex al tempo della tragedia; ho lettoil suo racconto semplice e fedeleho

conversato con suo figlioe tutto ciò a poche miglia dalla scena dellacatastrofe.

Secondo: La nave Unionanch'essa di Nantucketandò del tutto perdutanell'anno 1807 al largo delle Azzorre

in un attacco similema i particolari autentici di questa catastrofe non miè mai riuscito di rintracciarlisebbene di tanto

in tanto ne abbia sentito allusioni casuali da parte dei cacciatori dibalene.

Terzo: circa diciotto o vent'anni fa il Commodoro J...che allora comandavauna corvetta americana di prima

classeebbe l'occasione di pranzare con un gruppo di capitani balenieri abordo di una nave di Nantucketnel porto di

Oahu alle Sandwich. Venendosi a parlare di baleneil Commodoro si permise diessere scettico riguardo alla forza

stupefacente attribuita a quei pesci dai signori professionisti presenti. Adesempioegli negò perentoriamente che una

qualunque balena potesse colpire così forte la sua massiccia corvettadacausarle perfino la falla di un ditale d'acqua.

Benissimo. Ma non abbiamo finito. Qualche settimana dopo il Commodoro fecevela per Valparaiso con la sua

invulnerabile unità. Ma per via fu fermato da un maestoso capodogliochegli chiese un colloquio confidenziale di

qualche momento. Il colloquio consistette nel menare una tale botta al legnodel Commodoroche con tutte le sue

pompe in azione egli dovette filare dritto al porto più vicino per carenarsie raddobbare. Non sono un fanaticoma

considero provvidenziale l'intervista del Commodoro con quella balena. Forseche uno spavento simile non convertì

dall'incredulità Saulo di Tarso? Credeteminon si scherza col capodoglio.

Vi rimanderò ora ai Viaggi di Langsdorff per un fatterello in proposito cheè particolarmente interessante al

sottoscritto. Langsdorfftra parentesifu aggregato alla famosa spedizionedi esploratori dell'Ammiraglio russo

Krusenstern all'in izio di questo secolo. Così comincia il capitano il suocapitolo diciassettesimo:

«Al tredici di maggio la nostra nave era pronta a salparee il giorno dopoeravamo in mare apertodiretti a

Ochotsh. Il tempo era bello e chiarissimoma talmente freddo che dovevamotenerci addosso le pelliccie. Per qualche.83

giorno avemmo pochissimo ventoe fu solo il diciannove che si alzò una gaiabrezza di nordovest. Una balena di

eccezionale dimensioneil cui corpo era più grosso della stessa navestavaquasi alla superficiema non venne avvistata

da bordo fino al momento in cui la nave con tutte le vele spiegate le fuquasi addossosicché era impossibile prevenire

l'urto. Ci trovammo così in gravissimo pericoloperché questa bestiagigantescasollevando la schienaalzò la nave di

almeno tre piedi fuori dell'acqua. Gli alberi vacillarono e le vele cadderodi colpomentre noi che eravamo sotto ci

buttammo subito in coperta pensando di avere urtato qualche scoglio; e invecevedemmo il mostro che se ne andava con

la massima gravità e solennità. Il capitano D'Wolf ordinò subito dimettere in azione le pompe per vedere se il

bastimento avesse o meno ricevuto qualche danno nell'urtoma ci accorgemmoche per nostra grande fortuna era

scampato senza il minimo danno.»

Ora il capitano D'Wolf cui si allude qui come comandante della nave è unamericano del New Englandche

dopo una lunga vita di straordinarie avventure come capitano di mare abitaadesso nel villaggio di Dorchester presso

Boston. Io ho l'onore di essere suo nipote. L'ho interrogato minuziosamenteintorno a questo passo del Langsdorff. Egli

ne ha confermato ogni parola. Però la nave non era affatto grossa: era unlegno russo costruito sulla costa siberiana e

acquistato da mio zio dopo che ebbe venduto il vascello con cui era partitoda casa.

In quel libro di avventure all'anticamaschio da cima a fondo e anche pienodi oneste meraviglieche è il

viaggio di Lionel Waferuno dei vecchi compagnoni dell'antico Dampierhotrovato registrata una cosuccia così simile

a quella appena citata dal Langsdorffche non so trattenermi dal ficcarlaqui come esempio di rincalzose ce ne fosse

bisogno.

Lionelpareera in viaggio per «John Ferdinando»come lui chiama lamoderna Juan Fernandez. «Durante il

viaggio di andata» dice«verso le quattro di mattinamentre eravamo acirca centocinquanta leghe dalla terra

americanala nostra nave subì un urto terribileche mise gli uomini intale costernazione da non capire più dove si

trovavano e cosa pensare; anzi ognuno cominciò a prepararsi alla morte. E inverità il cozzo era stato così improvviso e

violento che fummo tutti persuasi di avere dato in uno scoglio; ma quando lasorpresa fu un po' smaltita gettammo lo

scandaglio e sondammoma non trovammo fondo... Il cozzo fu così improvvisoche i cannoni saltarono negli affustie

parecchi degli uomini furono buttati giù dalle brande. Il capitano Davis cheriposava con la testa sul fucile fu buttato

fuori dalla sua cabina!» ContinuandoLionel addebita l'urto a un terremotoe sembra provare l'accusa affermando che

più o meno in quel periodo un gran terremoto fece in realtà gravi dannilungo la costa spagnola. Ma non mi

meraviglierei molto se nel buio di quella prima mattina l'urto fu causatodopo tutto da qualche invisibile balena che

picchiò la chiglia da sotto in sù.

Potrei continuare con parecchi altri esempiche mi sono noti in un modo onell'altrodella grande forza e

malvagità dimostrate a volte dal capodoglio. In più di un caso risulta chenon solo esso ha inseguito fino alla nave le

barche che lo attaccavanoma ha dato la caccia alla stessa nave e tenutotesta a lungo a tutte le lance che gli scagliavano

dai ponti. La nave inglese Pusie Hall può raccontarne una al proposito. Equanto alla forza dell'animalevi posso dire

che ci sono stati casi in cui le lenze agganciate a un capodoglio in fugasono state trasferite alla nave in un momento di

respiro e lì assicuratee la balena ha rimorchiato il grosso scafonell'acqua come un cavallo che si tira via un carro.

Inoltre viene notato molto spesso che se al capodoglio colpito si dà iltempo di riprendersiallora esso il più delle volte

agisce non tanto con cieca furia quanto con testardi e calcolati piani didistruzione; e non è senza eloquente indicazione

del suo carattere chenel venire attaccatospesso spalanca la bocca e latiene così paurosamente aperta per parecchi

minuti di fila. Ma debbo accontentarmi di un'altra sola e conclusivaillustrazioneproprio impressionante e significativa

la quale non potrà non convincervi che non solo l'avvenimento piùmeraviglioso di questo libro è confermato da casi

lampanti avvenuti al giorno d'oggima che questi fatti meravigliosi (cometutti i fatti meravigliosi) sono mere ripetizioni

dei tempi; sicché per la milionesima volta diciamo amen con Salomone: Inverità non c'è niente di nuovo sotto il sole.

Nel sesto secolo di Cristo visse Procopiomagistrato cristiano diCostantinopoliai tempi in cui Giustiniano era

imperatore e Belisario generale. Come molti sanno egli scrisse la storia deisuoi tempiopera in ogni senso di non

comune valore. Dalle migliori autorità egli è stato sempre considerato unostorico quanto mai fededegno ed esente da

esagerazionitranne in uno o due particolari che non hanno niente a che farecon l'argomento che toccheremo.

Benein questa sua storia Procopio ricorda che durante il periodo della suaprefettura a Costantinopolinella

vicina Propontide o Mar di Marmora fu catturato un gran mostro marinoche aintervalliper più di cinquant'anniaveva

distrutto navi in quelle acque. Un fatto così ricordato in una seria operastorica non si contraddice facilmente. E non c'è

nessuna ragione di contraddirlo. Di che specie esattamente fosse questomostro marino non è detto. Ma siccome

distruggeva navie anche per altri motividev'essere stato una balena; e iopropendo assai a credere che fosse un

capodoglio. E vi dico perché. Per molto tempo ho pensato che il capodogliofosse stato sempre sconosciuto nel

Mediterraneo e nelle acque profonde che vi comunicano. Tuttora sono sicuroche quei mari non sono e forse non

possono mai esserefinché le cose mantengono la presente condizioneunposto che il capodoglio in gruppo possa

frequentare. Ma ulteriori ricerche mi hanno provato ultimamente che nei tempimoderni ci sono stati esempi isolati della

presenza di capodogli nel Mediterraneo. Mi dicono da buona fonte che sullacosta di Barberia un certo Commodoro

Davis della Marina da guerra inglese trovò lo scheletro di un capodoglio.Oravisto che una nave da guerra passa con

facilità attraverso i Dardanellianche un capodoglio potrà per la stessastrada passare dal Mediterraneo nella Propontide.

Per quanto mi si dicanella Propontide non si trova ombra di quella sostanzaspeciale detta britche èl'alimento

della balena franca. Ma ho tutte le ragioni per credere che il cibo delcapodogliocalamaro o poliposi nasconde in

fondo a quel mareperché grosse bestiema non le più grosse di quellaspeciesono state trovate alla superficie. Se

allora mettete assieme queste informazioni a doveree ci ragionate unpochino sopravedrete chiaramente se secondo.84

ogni logica umana il mostro marino di Procopioche per mezzo secolo sfondòle navi di un imperatore romano

dev'essere stato con ogni probabilità un capodoglio.

XLVI • CONGETTURE

Sebbeneconsumato dalla fiamma del suo propositoAchab appuntasse ognipensiero e ogni azione alla cattura

finale di Moby Dicke paresse pronto a sacrificare ogni interesse umano aquell'unica passioneforse era d'altro canto

per natura e per abitudinetroppo legato ai costumi di un baleniere valenteper trascurare del tutto gli scopi secondari

del viaggio. O almenose era diversamentevuol dire che c'erano motivimolto più determinanti per lui. Forse sarebbe

andare troppo al sottileanche considerando la sua fissazionesuggerire chel'odio per la balena bianca si fosse esteso in

qualche modo a tutti i capodoglie che più ne uccideva più moltiplicava lapossibilità che la prossima balena che

incontrava fosse quella odiata a cui dava la caccia. Ma se questa ipotesi ètroppo azzardatac'erano sempre altre ragioni

magari non tanto in armonia con quella sua sfrenata passioneche pure nonera del tutto escluso che lo influenzassero.

Per raggiungere il suo scopo Achab aveva bisogno di strumentie di tutti glistrumenti che si adoperano sotto la

luna gli uomini sono i più facili a guastarsi. Egli sapeva per esempio cheper quanto forte fosse sotto certi aspetti il suo

influsso su Starbuckquest'influsso non ne dominava tutto lo spiritopiùdi quanto una mera superiorità fisica non

implichi un dominio intellettuale; perché col puro spirito l'intelletto nonha che una specie di rapporto corporeo. Il corpo

di Starbuck e la volontà forzata di Starbuck appartenevano ad AchabfinchéAchab continuava a magnetizzare il

cervello di Starbuck. Ma egli sapeva che malgrado tutto l'ufficialein fondoall'animadetestava quella sua ricercae

l'avesse potutose ne sarebbe dissociato con gioia e perfino l'avrebbecontrastata. Poteva anche passare un lungo

periodo di tempo prima che apparisse la balena bianca. Durante quel lungointervallo Starbuck poteva sempre tornare a

ribellarsi apertamente contro l'autorità del suo capitanoa meno didistrarlo direttamente con interessi normaliprudenti

e adatti alle circostanze. E non soloma la pazzia astuta di Achab riguardoa Moby Dick non aveva manifestazione più

significativa del suo straordinario buonsenso e acume nel calcolare che perora la caccia doveva essere in qualche modo

spogliata della empietà strana e allucinata che era nella sua natura; chebisognava tenere nascosto nel suo sfondo buio il

pieno orrore del viaggio (perché pochi hanno un coraggio che resista allaprolungata riflessione senza il sollievo

dell'agire)e che quando erano in servizio ai lunghi quarti notturnigliufficiali e i marinai dovevano avere cose più

immediate a cui pensare che non Moby Dick. Perchécertoquella ciurmaferoce aveva salutato l'annunzio della sua

ricerca con avidità e impetoma tutti i marinaidi ogni sortasono più omeno volubili e malfidi. Vivono tra gli elementi

mutevoli e ne respirano l'incostanza; e quando sono adoperati per un qualchescopo lontano e vagoanche se esso alla

fine promette vita e passioneè sopratutto necessario che qualcheinteressequalche occupazione temporanea intervenga

a tenerli salubremente in forma per lo scatto finale.

E Achab non dimenticava un'altra cosa. Nei momenti di forte emozione gliuomini sdegnano ogni

considerazione volgarema quei momenti svaniscono presto. La condizioneorganica e permanente dell'uomo

convenzionalepensava Achabè l'attaccamento al denaro. Ammettiamo che labalena bianca ecciti in pieno i cuori di

questa mia ciurma selvaggiae rimescolandone la ferocia susciti perfino inloro una certa generosità da cavalieri erranti;

peròmentre per amore di essa danno la caccia a Moby Dickdebbono ancheavere cibo per i loro appetiti più comuni e

quotidiani. Perfino i nobili cavallereschi Crociati di un tempo non sicontentavano di traversare duemila miglia di terre

per combattere per il loro santo sepolcrosenza commettere per viagrassazionitagli di borseo altrimenti guadagnarsi

altre pie prerogative. Si fossero tenuti ben stretti al loro ultimo scoporomanticodi quel romantico scopo troppi di essi

avrebbero sentito la nausea. Non voglio privare questi uominipensavi Achabdi ogni speranza di fare soldisicuro

soldi liquidi. Magari adesso lo disprezzanoil liquidoma lasciamo passarequalche mese senza guadagno in vistae

allora proprio questi soldacci assopiti dentro di loro si ammutineranno dicolpo e liquideranno Achab.

E non mancava nemmeno ancora un altro motivo di precauzioneche riguardavapiù personalmente Achab. Per

impulsoprobabilmentee forse un po' troppo prematuramenteaveva rivelatolo scopo primo e privatissimo del viaggio

del Pequod. Achab sapeva benissimo che in questo modo si era espostoindirettamente all'accusa irrefutabile di

usurpazione; e il suo equipaggiose così avesse voluto e ne fosse statocapacepoteva con perfetta impunità sia morale

che legale rifiutargli ogni ulteriore obbedienza e perfino strappargli con laforza il comandoNaturalmente Achab

dev'essere stato ansiosissimo di proteggersi anche dal minimo accenno diquell'accusa di usurpazionee dalle possibili

conseguenze che quell'impressione repressa poteva avere nel guadagnareterreno. Questa protezione poteva solo

offrirgliela il predominio del suo cervellodel suo cuore e del suo pugnosostenuto da una attenzione costanteda un

calcolo minuzioso di ogni minimo influsso atmosferico a cui poteva andaresoggetto il suo equipaggio.

Per tutte queste ragionie per altre forse troppo complesse per essere quiesposteAchab capiva chiaro che gli

toccava in gran parte attenersi ancora allo scopo normale e nominale delviaggio. E non solo gli conveniva rispettare

tutte le abitudini d'usoma sforzarsi di mostrare tutta la sua ben notapassione nell'esercizio ordinario del suo mestiere.

Comunqueora si sentiva spesso la sua voce chiamare le tre teste d'alberoeraccomandare buona vedetta:

perfino un porco di mare doveva venire segnalato. E non passò molto chequesta vigilanza portò frutti.

XLVII • IL PAGLIETTAIO.85

Era un pomeriggio annuvolatoafoso: i marinai si aggiravano pigri sui pontio gettavano occhiate vacanti sul

mare colore di piombo. Queequeg e io eravamo occupati a intrecciare conflemma ciò che si chiama un paglietto a

sciabola per un rinforzo aggiuntivo alla nostra lancia. Così quieta esommessaeppure in certo senso presaga era tutta la

scenae tale ipnotico incanto covava nell'ariache ogni marinaio mutopareva dissolto nel proprio io invisibile.

Io ero l'aiuto o il paggio di Queequegmentre si affaccendava alla stuoia.Continuavo a far passare e ripassare

la riempitura o trama di merlino tra i lunghi fili dell'orditousando lemani come spola; e Queequeg che mi stava a lato

cacciava di tanto in tanto tra i fili la sua pesante sciabola di querciaeguardando pigro verso il largocon fare

noncurante e distratto spingeva a posto le filacce. In quel momentoripetosu tutta la nave e sul mare regnava un'aria

così strana di sognorotta soltanto dal sordo botto periodico dellasciabolache pareva che quello fosse il telaio del

tempoe io stesso una spola dedita meccanicamente a tessere e ritessere iFati. Ecco i fili immobili dell'ordito soggetti

solo a un'unica vibrazionesempre ugualesempre ripetutae quellavibrazione bastava appena a permettere il liquido

incrocio di altri fili coi suoi. Quest'ordito pareva la necessità. E quipensavocon le mie mani manovro la spola e

intreccio il mio destino in questi fili inalterabili. E intanto la sciaboladi Queequegimpulsiva e indifferentecolpiva la

trama ora di striscio ora per stortoora forte ora pianocome capitavaecon questa differenza del colpo conclusivo

produceva un contrasto parallelo nell'aspetto del manufatto terminato. Lasciabola di questo selvaggiopensavoche in

questo modo dà l'ultima forma e foggia alla trama e all'orditoquestasciabola trascurata e indifferente dev'essere il

caso: sìil casoil libero arbitrio e la necessitàper nienteincompatibiliche intrecciandosi lavorano tutti assieme. La

trama dritta della necessità non si lascia sviare dalla sua direzionefinalee anzi con ogni alterna vibrazione tende

soltanto a quella; il libero arbitrio è sempre libero di manovrare la suaspola tra i fili già dati; e il casosebbene costretto

al suo gioco tra le linee dritte della necessitàe diretto obliquamente neisuoi movimenti dal libero arbitriosebbene così

comandato da quei dueil caso li comanda a turnoe dà l'ultimo colpoquello che li formaagli eventi.

* * *

Stavamo così a tessere e ritesserequando trasalii a un suono così stranocosì prolungato e musicalmente

selvaggio e ultraterrenoche il gomitolo del libero arbitrio mi sfuggì dimanoe restai a guardare le nuvole da dove

quella voce scendeva come un'ala. Lassù in alto sulle crocette stava quelmatto d'un Capo AllegroTashtego. Il suo

corpo sporgeva in avanti avidamentela sua mano s'allungava come unabacchetta magicae a brevi improvvisi

intervalli egli continuava le sue grida. Certomagari in quello stessomomento il medesimo suono echeggiava per tutti i

marida centinaia di balenieri in vedetta appollaiati alla stessa altezzanell'aria; ma da pochi di quei polmoni l'antico

grido avrebbe potuto trarre una cadenza così meravigliosa come da quellidell'indiano Tashtego.

Mentre si librava su di noi mezzo sospeso in ariafissando verso l'orizzontecon tanta avidità selvaggialo si

sarebbe detto un qualche profeta o veggente che vedesse le ombre del Destinoe ne annunciasse l'arrivo con quelle grida

sfrenate:

«Laggiù soffia! Laggiùlaggiùlaggiù! Soffia! Laggiù soffia!»

«Da che parte?»

«A sottovento! Due miglia circa! Un branco!»

E subito tutto fu trambusto.

Il capodoglio sfiata come batte un pendolocon la stessa uniformitàcostante e sicura. E da ciò i balenieri

distinguono quel pesce da altre tribù del suo genere.

«Laggiù code!» gridò ora Tashtegoe le balene scomparvero.

«Prestocambusiere!» gridò Achab. «L'oral'ora!»

Farinata corse sottoguardò l'orologio e tornò a riferire il minutoesatto.

La nave fu ora voltata nel senso del vento e andava rollandogli avanti pianopiano. Poiché Tashtego aveva

annunziato che le balene si erano tuffate nuotando a sottoventoeravamosicuri di vedercele riapparire proprio davanti

alla prua. Perché nel nostro caso non poteva entrare in ballo quella curiosaastuzia mostrata a volte dal capodoglioche

si tuffa di testa in una direzione e poi sott'acqua gira su se stesso e nuotaveloce dalla parte opposta. Difatti non c'era

motivo di pensare che i pesci visti da Tashtego avessero avuto alcun timoreo addirittura che sapessero della nostra

vicinanza. Intanto era salito sulla testa d'alberoal posto di Tashtegounodegli uomini addetti alla guardia della nave

cioè di quelli non addetti alle lance. I marinai del trinchetto edell'albero di mezzana erano scesile tinozze della lenza

vennero fissate ai loro postile gru furono sporteil pennone di maestramesso a colloe le tre lance dondolarono sopra

le onde come tre ceste da finocchio di mare su alti scogli. Fuori dallemurate i loro equipaggi smaniosi si afferravano

con una mano alle ringhierecon un piede appoggiato in attesa sul capo dibanda. Così appare la lunga fila di uomini

d'una nave da guerra sul punto di gettarsi a bordo della nave nemica.

Ma in quel momento criticodi botto si sentì un grido che strappò ognisguardo dalle balene. Trasalendotutti

si voltarono a guardare con tanto d'occhi il cupo Achab: era attorniato dacinque scuri fantasmiche parevano appena

allora impastati con l'aria.

XLVIII • LA PRIMA CALATA IN MARE.86

I fantasmicome allora credemmoaleggiavano dall'altra parte del ponteecon muta rapidità liberavano i

paranchi e i nastri della lancia che vi pendeva. Questa lancia l'avevamosempre considerata una delle lance di riserva

anche se tecnicamente si chiamava del capitano perché era appesa a poppaviadel traverso di destra. L'uomo che ora

stava accanto alla sua prua era alto e buio di pellecon un dente bianco chegli sporgeva sinistramente dalle labbra

d'acciaio. Un giaccotto cinese spiegazzato di cotone nero lo rivestivafunereamentee aveva grandi brache nere della

stessa materia scura. Ma a coronare stranamente quelle tinte d'ebano portavaun turbante intrecciatobianco da accecare:

i suoi stessi capellitirati sù e arrotolati più volte sul cranio. Menoscuri d'aspettoi compagni di costui avevano quella

vivida carnagione giallo -tigre peculiare a certi indigeni delle Filippinerazza famigerata per la sua astuzia diabolicache

certi onesti marinai bianchi sospettano di essere una masnada di spieprezzolate e agenti segreti del diavolo loro

padronei cui uffici amministrativi immaginano in qualche altro posto.

Mentre l'equipaggio sbalordito stava ancora a fissare questi sconosciutiAchab gridò al vecchio dal turbante

bianco che li comandava: «Tutto pronto lìFedallah?»

«Pronto» rispose con un mezzo fischio.

«Allora ammaina! Avete capito?» urlò attraverso il ponte. «Ammainalaggiùdico!»

Fu tale il rimbombo della sua voce che malgrado lo stupore gli uominibalzarono sulla ringhierale pulegge

vorticarono nei bozzellie le tre barche piombarono in acqua sballottandomentre con un'audacia destra e spigliata

inconcepibile in qualunque altro mestierei marinai andavano saltando comecapre dal fianco oscillante della nave nelle

barche sbatacchiate lì sotto.

Si erano appena spinti fuori dal sottovento del legnoche un quarto scafosbucato dalla banda a sopravvento

girò attorno alla poppa e mostrò i cinque sconosciuti che vogavano perAchabe questo dritto in piedi a poppa che

sbraitava a StarbuckStubb e Flask di allargarsi in modo da coprire quantopiù acqua era possibile. Ma gli uomini delle

lance avevano inchiodato di nuovo tutti i loro occhi sul nero Fedallah esulla sua ciurmae non obbedirono all'ordine.

«Capitano Achab...?» fece Starbuck.

«Allargate» urlò quello«fate spaziotutte e quattro barche. TuFlaskspingi più a sottovento!»

«Sicurosicurosignore» gridò allegramente il piccolo Monacoe spazzòacqua col suo gran remo da governo.

«Indietro!» fece poi alla ciurma. «Cosìancora! Eccola che soffia drittoa pruaragazzi! Forza!»

«Frègatene di quei tipi gialliArchy.»

«Oh sissignorenon ci faccio caso» disse Archy. «Sapevo già tutto.Forse che non li ho sentiti nella stiva? E

non l'ho detto a lui quiCabaco? Cosa dici oraCabaco? Sono clandestinisignor Flask.»

«Forzaforzabellicuoricini mieiforza figliforza piccini miei!»sospirava dolce e carezzevole Stubb alla sua

ciurmavedendo qualcuno ancora turbato. «Perché non vi rompete i renibimbi miei? Che cos'è che guardatequei

giovanotti in barca? E con questo! Cinque in più a darci una manoda dovevengono vengonopiù siamo meglio ce la

passiamo. Forzaallorafate forzache ve ne frega dello zolfoi diavolisono gente simpatica. Daidaicosì va bene

quella è la palata da mille libbrequella è la palata che tira tutto! Vivala tazza d'oro piena di spermacetipaladini miei!

Tre evvivaragazzitutti tesori! Pianopianonon la prendete caldanonla prendete troppo calda. Ma perché non

spaccate i remifarabutti? Mordete un po'carogne! Sottosottosottoecco: calmicalmi! Cosìcosì! Lungo e robusto.

Dai col remo làvoga! Vi strozzi il diavolocarognemorti di fame:dormite tutti! Piantatela di russaremorti di sonno

e sotto ai remi. Forza vi dico! Ne avete forza? Volete far forza? Dicosangue del ghiozzovolete fare forza? Fate forza e

spaccatevi qualcosaforza e vi schiattino gli occhi! Guardate!» e sistrappò dalla cintola il coltello affilato: «Ogni figlio

di buona madre cacci fuori il coltelloe forza con la lama tra i denti.Cosìcosì. Ora sì che va meglioora sì che fa

scintillemie lame d'ascia! Fatela correrefatela correrecucchiaid'argento! Fatela correremarpioni!»

L'esordio di Stubb al suo equipaggio è qui riportato per esteso perchécostui aveva un modo piuttosto speciale

di rivolgersi a tutti quanti assiemespecie quando inculcava la religionedella voga. Ma non dovete credere da questo

saggio delle sue prediche che egli si arrabbiasse mai sul serio con la suacongrega. Neanche per sogno; e in questo

appunto consisteva la sua principale caratteristica. Gli capitava di direalla ciurma le cose più terribiliin un tono così

stranamente misto di scherzo e di rabbiae la rabbia così dosata solo perpepare lo scherzoche nessun rematore poteva

sentire quelle strambe esortazioni senza buttarsi a remare come un pazzomasempre solo per il puro lato divertente

della cosa. E inoltre Stubb appariva sempre così tranquillo e indolente luistessomanovrava il remo di governo con

tanta fiaccae tirava tali sbadiglispesso a ganasce largheche lasemplice vista di un capo così sbadiglioso faceva sugli

uominiper pura forza di contrastol'effetto di una malìa. E per giuntaStubb apparteneva a quell'originale specie di

umoristi la cui allegria è a volte così ambigua che tutti gli inferioripreferiscono mettersi al sicuro in fatto di obbedirli.

A un segnale di AchabStarbuck si mise a vogare tagliando verso la prua diStubbe quando per quasi un

minuto le due barche si trovarono abbastanza vicineStubb chiamò ilcollega.

«Signor Starbuck! Ohlancia a sinistra! Una parolaper favore!»

«Prego!» rispose Starbuck senza voltarsi di un pollice nel parlareesempre incitando severamente a bassa voce

il suo equipaggioanzi voltando via da Stubb la faccia ferma come un sasso.

«Che ne pensate di quei giovanotti giallisignore?»

«Imbarcati di straforochi sa comeprima di salpare. Forzaforzaragazzi!» in un bisbiglio alla ciurmapoi di

nuovo a voce alta: «Brutto affare signor Stubb! Fatela bollirefatelabollire figlioli! Ma non ci fate casosignor Stubb

s'arrangia tutto. Fateli sudare fortee come finisce si conta. Scattatescattate! Ci sono botti d'olio lì avantisignor Stubb

e per questo siete venuto. Forza ragazzi! È l'oliol'olio che conta! Questoalmeno è doveredovere e guadagno a

braccetto!».87

«Giàgiàme lo figuravo» disse Stubb tra sé quando le barche siscostarono«appena li ho visti me lo sono

figurato. Sicuroed ecco perché scendeva così spesso nella calacomeFarinata ha sospettato da un pezzo. Erano

rintanati lì sotto. E ancora più sotto c'è la balena bianca. E va bened'accordo! Non c'è niente da fare! Benissimo! Sotto

ragazzi! Non è la balena bianca oggi! Dateci sotto!»

Orala comparsa di quei forestieri sconosciuti proprio al momento di calarele barche dal ponte aveva

comprensibilmente risvegliato una specie di apprensione superstiziosa inqualcuno dell'equipaggio. Però si era già

sparsa tra loro la voce della pretesa scoperta di Archye questoanche sein realtà nessuno ci aveva credutoli aveva

preparati un poco alla sorpresaaveva smussato il filo della meraviglia; ecosìanche per il modo tranquillo in cui Stubb

aveva spiegato quella novitàper il momento non si abbandonarono alleproprie superstizioni. Ma la faccenda lasciava

sempre campo abbondante a ogni sorta di ipotesi avventate sul modo precisocon cui quel truce Achab aveva fatto le

cose fin dall'inizio. Quanto a mesenza dire nientemi ricordai di quelleombre misteriose che avevo visto sgusciare a

bordo del Pequod in quell'alba nebbiosa a Nantuckete anche degli accennienigmatici di quell'incomprensibile Elia.

Intanto Achabfuori portata dell'orecchio dei suoi ufficiali perché si eraspostato ancora più a sottovento

correva sempre avanti alle altre lanceil che mostrava che razza di muscoliaveva il suo equipaggio. Quelle sue creature

giallo-tigre parevano tutto acciaio e osso di balena; come cinque magli sidrizzavano e ricadevano con certe bracciate

che facevano saltare la barca sull'acqua a ritmoche pareva un vapore acaldaia sul Mississippi. Quanto a Fedallahche

vedevamo al remo del ramponiereaveva gettato da parte il suo giaccottoneroe il petto nudo e il tronco gli si

stagliavano sopra il capo di banda contro le depressioni alternedell'orizzonte d'acqua; mentre all'altra punta della lancia

Achab pareva uno schermidorecon quel braccio mezzo buttato all'indietro peraria come a controbilanciare ogni

tendenza a incespicaree lo vedevamo maneggiare saldo il remo di governocome aveva fatto mille volte prima che la

balena bianca lo mutilasse. Di colpoil braccio steso fece una mossa curiosae restò fermomentre i remi erano fissati a

picco tutti assieme. Lancia e uomini restarono immobili sul mare. E di colpole tre lance sparse indietro frenarono la

corsa. Le balene si erano immerse irregolarmente nell'azzurrosenza daresegno di movimenti che si potesse vedere da

lontanoma Achab che era più vicino li poteva seguire.

«Ognunoocchio lungo il remo!» gridò Starbuck. «In piediQueequeg!»

Il selvaggio balzò abile sulla cassetta triangolare rialzata a pruaestandoci dritto sopra cominciò a fissare con

occhi pieni di avidità il punto dove avevano visto l'ultima volta la preda.E allo stesso modoin poppadove la barca

aveva un'altra piattaforma triangolare a livello del capo di bandaStarbuckstesso si bilanciava calmo e abile agli

strattoni del suo spicchio di legnoe scrutava in silenzio tutto l'ampioocchio azzurro del mare.

Non molto lontano la barca di Flask stava anch'essa ferma a tenere il fiatocol capoccia issato pericolosamente

in cima al ceppouna specie di palo massiccio piantato nella chiglia ealzato di circa due piedi sul livello della

piattaforma di poppa. Lo si usava per darvi volta alla lenza. La cima non èpiù larga del palmo di una manoe dritto su

una base così Flask pareva appollaiato sulla testa d'albero di qualche navetutta affondata fino ai pomi. Ma il piccolo

Monaco era corto e minutoe nello stesso tempo il monacello era pieno diun'alta e grossa ambizione: sicché questo suo

punto d'appoggio sul ceppo non lo soddisfaceva affatto.

«Non ci vedo a più di tre ondate. Ehipiazza un remoche ci montosopra.»

Al che Daggoocon le mani al capo di banda per reggersiscivolò svelto apoppae alzandosi offrì le sue spalle

maestose come piedestallo.

«Buonissima testa d'alberosignore. Montate?»

«Sicuroe grazie millebell'uomo; solo ti vorrei cinquanta piedi piùalto.»

E allora il gran negro puntò saldamente i piedi contro i due lati dellalanciasi piegò un pocopresentò la palma

piatta al piede di Flaske poi mettendosi la mano di Flask sulla testapiumata e avvertendolo di spiccare un salto quando

dava lo slanciod'un colpo abilissimo si piazzò sulle spallesano e salvoil piccoletto. Ed ecco Flask lassùmentre

Daggoo con un braccio alzato gli forniva un parapetto per appoggiarvisi etenervisi fermo.

È sempre uno spettacolo strano per il novizio vedere con quale abitudinemeravigliosa e spontanea di abilità il

baleniere mantenga una posizione eretta nella lanciaanche quando èsballottato da ondate di fianco le più capricciose e

caotiche. Ancora più strano è vederlonelle stesse circostanzeappollaiato vertiginosamente sul ceppo. Ma lo spettacolo

del piccolo Flask montato sul gigantesco Daggoo era perfino piùstraordinario; perché sostenendosi con una maestà

barbaricaquietaindifferenteincredibilmente disinvoltaa ogni colpo dimare il nobile negro rollava armoniosamente

la sua forma aggraziata. Sulla sua larga schiena lo slavato Flask pareva unfiocco di neve. Il portatore sembrava più

nobile del cavalcatore. E sebbene quel piccolino vivacestrepitante epomposo scalciasse ogni tanto per l'impazienza

neanche una volta più del solito si gonfiava per ciò il petto sovrano delnegro. Così ho visto la Passione e la Vanità

picchiare di calcagni la viva terra magnanimama non per questo la terraalterare le sue maree e le sue stagioni.

Ma il terzo ufficiale Stubb non mostrava simili smanie di guardare al largo.Le balene potevano aver fatto uno

dei loro regolari scandaglinon un tuffo momentaneo per semplice paura. E seera cosìStubbal suo solitoera deciso

ad alleviare con la pipa l'attesa snervante. Se la tolse dal nastro delcappello dove la teneva sempre infilata di sghembo

come una piuma. La caricòe ne pressò la carica con la punta del pollice.Ma aveva appena acceso il fiammifero sulla

ruvida cartavetrata della manoquando il suo ramponiere Tashtegoche avevatenuto gli occhi piantati a sottovento

come due stelle fissedalla sua posizione eretta ricadde sul banco di colporapido come la lucee gridò freneticamente:

«Tutti giùtutti giùforza ai remi! Eccole!»

Uno di terraa quel puntonon avrebbe sbirciato né balene e nemmenol'ombra di un'aringa; non si vedeva

nient'altro che un trattino agitato d'acqua biancoverdicciae lievi sbuffisparsi di vapori che vi si libravano sopra e.88

sfumavano volando a sottoventocome la vaga foschìa che si alza dallaschiuma dei cavalloni. Di colpo l'aria attorno

vibrò e quasi ronzò come su lastre di ferro arroventate. Sottoquell'ondeggiare e arricciarsi dell'atmosferae anche sotto

un sottile strato d'acquale balene nuotavano. Visti prima di ogni altrosegnogli sbuffi di vapore che sfiatavano

parevano le loro staffettei loro battistrada staccati in corsa.

Tutte e quattro le barche si buttarono dietro quel tratto d'acqua e d'ariaagitate. Ma quello pareva proprio deciso

a seminarle; volava via come una massa confusa di bolle trascinata giù perle colline da un torrentaccio veloce.

«Forzaforza bambinelli» sussurrava Starbuck il più piano che potevamacon intensa concisione; e lo

sguardo fisso e acuto che dardeggiava oltre la prua quasi lo si vedevacomedue aghi di una infallibile bussola di

chiesuola. Ma non diceva molto alla ciurmae la ciurma non gli ris pondeva.Soloa trattiil silenzio della barca veniva

lacerato da uno dei suoi speciali sussurriora un aspro comandoora unadolce esortazione.

Il piccolo e rumoroso Monaco era assai diverso: «Cantatedite qualcosabravoni miei! Ruggite e arrancate

fulmini! Mettetemi al seccoal secco su quelle gobbe nereragazzi. Fatemiquesto soloe vi do per iscritto il mio podere

al Vigneto di Martaragazzimoglie e figli inclusiragazzi! Sbarcatemi làsoprasbarcatemi! Cristodivento pazzo!

Guardateguardate l'acqua bianca!» E sbraitando si strappò di testa ilcappelloci ballò soprapoi lo preselo schizzò

lontano in acquae finì col mettersi a saltellare e impennarsi a poppadella lancia come un puledro di prateria impazzito.

«Ma guarda che tipo» biascicò filosoficamente Stubbche gli venivadietro a breve distanza con la pipetta

spenta stretta macchinalmente tra i denti: «Gli viene il convulsoa quello.Il convulso? Ma sicuroragazzibisogna

dargli le convulsioniè la parola giustacacciargli dentro le convulsionia quelle bestie. Allegriallegribravi miei.

Budino per cenaricordate: allegria ci vuole. Forza bambiniforza lattantiforza tutti! Ma perché diavolo vi eccitate?

Pianopiano e costantegiovanotti. Solo forzae sempre forzanient'altro.Spaccatevi le reni e spezzate in due i coltelli:

nient'altro. Calmaripetostate calmivi schiattino fegato e polmoni!»

Ma ciò che Achab l'oscuro diceva a quel suo equipaggio giallo-tigre eranoparole che è meglio ometterevisto

che vivete nella beata luce d'una terra evangelica. Solo gli squali empi delmare senza paura possono sentire parole

come quelle che Achab scagliavasaltando dietro alla preda con la frontepiena di tempestagli occhi arrossati di

omicidioe la schiuma alle labbra.

E intanto le lance si avventavano. Le allusioni precise e ripetute di Flask a«quella balena»come egli

chiamava il mostro fittizio che a suo dire stuzzicava di continuo con la codala prua della lanciaqueste allusioni erano

così vivide e realiche a volte spingevano qualcuno degli uomini a gettareuno sguardo spaventato dietro la spalla. Ma

questo era contro ogni regola; perché i rematori debbono cavarsi gli occhi einfilarsi nel collo uno spiedodecretando

l'uso che in quei momenti critici essi non debbono avere altri organi cheorecchiené altre membra che braccia.

Era uno spettacolo pieno di viva meraviglia e di paura! Il mare onnipotenteche si gonfiava in masse d'acquail

rugghio crescente e vuoto che queste facevano rollando lungo gli otto capi dibandacome bocce gigantesche in uno

sterminato campo da gioco; la brevesospesa agonia della barca mentre sirizzava per un attimo sul taglio delle onde più

affilateche quasi parevano minacciare di tagliarla in due; l'improvvisosprofondare nelle valli e nei burroni d'acqua; i

vivi colpi di sperone e pungolo per guadagnare la vetta dell'altura difrontela precipitosa scivolata da slitta giù per

l'altro fianco: tutto ciòe le grida dei capoccia e dei ramponieri e irantoli dei rematorie la vista meravigliosa del

Pequod eburneo che scendeva sulle sue lance a vele spiegate come una chiocciaselvatica sui pulcini strillantitutto ciò

era emozionante. Non la recluta inesperta che passa dal seno di sua mogliealla febbre della prima battagliané lo

spettro del morto che incontra all'altro mondo il primo fantasma sconosciutonessuno dei due può sentire emozioni più

strane e più forti dell'uomo che si trova a vogare per la prima volta dentrola magica cerchia di spuma del capodoglio

inseguito.

L'acqua bianca danzante prodotta dalla preda diventava ora sempre piùvisibile come cresceva il buio delle

cupe ombre di nubi proiettate sull'acqua. I getti di vapore non si fondevanopiùma si piegavano da ogni parte a destra e

a manca: le balene parevano dividere le loro scie. Le lance si distanziarono:Starbuck dava la caccia a tre balene che

correvano dritte a sottovento. Alzammo la velae ci buttammo in avanti colvento che inforzava sempre; la lancia filava

così pazzamente sull'acquache quasi non riuscivamo a manovrare i remi disottovento tanto presto da non farceli

strappare dagli scalmieri.

Ben presto ci trovammo a correre attraverso un gran velo di foschia; nonvedevamo né nave né lance.

«Sottoragazzi» sussurrava Starbucktirando ancora più a poppa lascotta della vela: «C'è tempo di

ammazzarne una prima che arrivi la burrasca. Acqua bianca di nuovo! Sottodislancio!»

Di lì a poco due urli in rapida successione da tutti e due i lati ciavvertirono che le altre barche avevano fatto

presa. Ma li avevamo appena uditiche con un bisbiglio fulmineolaceranteStarbuck fece: «Alzati!» e Queequeg saltò

in piedi col rampone in pugno.

In quel momentonessuno dei rematori fronteggiava il rischio mortale cheavevano così vicino a prua; ma

fissando gli occhi sulla faccia tesa dell'ufficiale in fondo alla lanciavidero che il momento del pericolo era arrivatoe

nello stesso tempo sentirono come un rotolìo enormecome di cinquantaelefanti che si voltolano nel loro strame.

Intanto la lancia continuava ad avventarsi nella nebbiae le onde sitorcevano e fischiavano attorno come creste erette di

serpenti infuriati.

«Lìla gobba. Lìlìdáglielo!» ansimò Starbuck.

Un suono breve e vibrante guizzò dalla lancia: il ferro scagliato daQueequeg. Poi tutto a catafascio venne una

spinta invisibile da poppamentre a prua la barca sembrò colpire unoscoglio: la vela crollò ed esploseun getto di

vapore scottante ci schizzò vicinoqualcosa sotto di noi rollò e ruzzolòcome un terremoto. Tutto l'equipaggio venne.89

sbattuto alla rinfusa e quasi asfissiato nella bianca cremosa schiuma dellaburrasca. Burrascabalena e arpione si erano

fusi assiemee la balenaappena sfiorata dal ferrofuggì.

Completamente sommersala lancia era però quasi intatta. Nuotandole attornoraccogliemmo dall'acqua i remi

li buttammo a bordo e ricapitombolammo ai nostri posti. Ci trovavamo sedutifino alle ginocchia nell'acqua che copriva

ogni costa e ogni tavolasicché ad abbassare gli occhi la barca sospesapareva un'imbarcazione di corallo cresciutaci

sotto dal fondo dell'oceano.

Il vento cresceva fino a ulularele onde cozzavano assieme i loro scuditutta la burrasca ruggivasi biforcava e

ci crepitava attorno come un incendio bianco di praterie in cui bruciassimosenza consumarciimmortali in quelle fauci

della morte. Inutilmente gridavamo alle altre barche: chiamarle in quellatempesta era come rivolgersi urlando ai pezzi

di carbone ardente giù per la ciminiera di una fornace accesa. Intanto ibrandelli di nuvole e la schiuma e la foschìa che

ci sferzavano facevano più buio delle ombre della notte: nessun segno dellanave. E il mare che cresceva impediva ogni

tentativo di sgottare l'imbarcazione. I remi erano inutili come strumenti perspingerciora ci servivano da salvagente.

Cosìtagliando i legacci del barilotto impermeabile degli zolfanellidopomolti insuccessi Starbuck riuscì ad accendere

la lampada nella lanternae fissandola in cima a un palo di contrassegno laporse a Queequegl'alfiere di quella

dis perata speranza. Ed eccolo lìche alzava la debole candela nel cuore diquell'onnipotente desolazione. Eccolo lì

segno e simbolo di un uomo senza fedeche disperatamente teneva alta lasperanza in mezzo alla disperazione.

Bagnatiinzuppati fino alle ossa e tremanti di freddosenza più aspettareaiuto da nave o barcaalzammo gli

occhi quando si levò l'alba. La foschìa si stendeva ancora sul marelalanterna vuota giaceva schiacciata in fondo alla

barca. D'improvviso Queequeg balzò in piedifece coppa della manoall'orecchio. Sentimmo tutti un debole schioccare

come di pennoni e cordame finora soffocato dalla tempesta. Il rumore sifaceva sempre più vicino; le nebbie dense si

divisero vagamente dinanzi a una forma immensaconfusa. Atterritisaltammotutti in acquamentre infine la nave

torreggiava ai nostri occhicalando dritta su di noi a una distanza che nonsuperava di molto la sua lunghezza.

Vedemmo la lancia abbandonata fluttuare sulle ondesbattere un momento erizzarsi sotto la prua del

bastimento come un pezzetto di legno ai piedi di una cateratta; poi l'immensoscafo le rotolò soprae non si vide più

finché non emerse a catafascio a poppa. Di nuovo le nuotammo incontroe leonde ci sbatterono sul relittoe finalmente

ci tirarono sù e ci posero a bordoal sicuro. Prima che arrivasse laraffica le altre barche si erano sganciate dalle loro

prede ed erano tornate appena in tempo alla nave. La nave ci aveva dato perpersima incrociava ancora nei paraggi

caso mai potesse scoprire qualche segno della nostra morte: un remo o un'astadi lancia.

XLIX • LA IENA

Ci sono certi casi e situazioni buffein questo strano affare caotico chechiamiamo la vitain cui un uomo

prende tutto quanto l'universo per una gran beffa da villanoperò nonriesce che vagamente a capirne il salee sospetta

assai che i danni non siano d'altri che di lui. E tuttavia non trova nienteche lo scoraggi e niente per cui valga la pena di

azzuffarsi. E inghiotte tuttofatti e credi e fedi e opinionitutte le cosepesanti visibili e invisibilinon importa quanto

difficili a digerirecome uno struzzo dallo stomaco potente ingollapallottole e pietre focaie. E quanto alle piccole

difficoltà e ai fastidiuccialle prospettive d'improvvisa rovinaai rischidi rimetterci un braccio o la vitatutto ciò e la

morte stessa gli paiono solo bottarelle furbastre e bonarieallegre gomitatenei fianchi di cui ci onora il vecchio burlone

invisibile e indecifrabile. Questa buffa specie di umore capriccioso di cuiparlo scende su un uomo soltanto in qualche

periodo di estremo tribololo coglie proprio nel mezzo del suo zelosicchéciò che un minuto prima gli poteva sembrare

cosa di straordinaria importanzaora gli pare solo parte della beffagenerale. Niente come i pericoli della baleneria sa far

nascere questo tipo spensierato e strafottente di filosofia giovialedagente che non ha nulla da perdere. E così ora

consideravo tutto questo viaggio del Pequod e la gran Balena Bianca che neera lo scopo.

«Queequeg» feci quando mi ebbero tirato per ultimo in copertae ancoradavo scrollate dentro la giubba per

spruzzare via l'acqua che avevo addosso«Queequegamico mio bellocapitaspesso questa sorta di cosa?» Senza

commuoversi troppoper quanto fradicio come meQueequeg mi dette a capireche queste cose capitavano spesso.

«Signor Stubb» dicovoltandomi a quell'illustreche abbottonato nel suogiaccone impermeabile si fumava

calmo la pipa sotto la pioggia: «Signor Stubbse non sbaglio vi ho sentitodire che il nostro primo ufficialeil signor

Starbuckè di gran lunga il più cauto e prudente tra tutti i balenieri cheavete conosciuto. Immagino allora che buttarsi a

piombo con tutte le vele spiegate su una balena che scappain mezzo allatempesta e alla nebbiaè per un baleniere il

colmo della prudenza.»

«Senza dubbio. Io ho ammainato per balene da una nave che faceva acquadurante un temporale al largo di

Capo Horn.»

«Signor Flask» dico voltandomi al piccolo Monaco che era lì accanto«voi avete esperienza di queste cose e

io no. Mi volete dire se è una legge immutabile di questa pescasignorFlaskche un rematore si deve rompere i reni a

spingersi a culo in avanti nelle ganasce della morte?»

«Non potevi torcerla più corta?» rispose. «Sicuroquesta è la legge. Mipiacerebbe vederlauna ciurma di

lancia che rincula verso la balena a faccia avanti. Ahah! Così la balenagli restituisce ogni strizzata d'occhiocapisci!»

Qui dunque avevoda tre testimoni imparzialiuna meditata formulazione ditutta la faccenda. Considerato

perciò che colpi di vento e capriole nell'acqua e conseguenti bivacchisull'abisso erano casi ordinari di cronaca in questa.90

razza di vita; considerato che nel momento superlativamente critico diabbordare la balena io dovevo rassegnare la vita

nelle mani di quello che governava la barcaspesso un tipo che preso dasmania in quel preciso momento sta per

sfondare il legno tirando pedate come un pazzo; considerato che il disastrospecifico della nostra specifica barca era

sopratutto da imputare a Starbuckche filava sulla sua balena quasi in boccaalla rafficae visto che ciononostante

Starbuck era famoso tra i cacciatori per la sua gran cautelae visto che ioappartenevo alla barca di quest'uomo

straordinariamente prudente; e finalmente considerato in quale cacciadiabolica mi ero invischiato per via della balena

bianca: mettendo assieme tutto questodicopensai che mi conveniva andaregiù e buttare un primo abbozzo del mio

testamento. «Queequeg» dico«vieni con meti prendo per avvocatoesecutore e legatario.»

Può sembrare strano che proprio i marinai si mettano a perdere tempo conultime volontà e testamentima non

c'è gente al mondo più ghiotta di questo diversivo. Era la quarta voltanella mia vita di navigante che facevo la stessa

cosa. Conclusasi ancora una volta la cerimoniami sentii meglio assai: miero levato una pietra dal cuore. Per giunta

tutti i giorni che ora riuscivo a campare sarebbero stati belli come i giorniche Lazzaro visse dopo la sua resurrezione:

un profitto netto supplementare di tanti mesi o settimane come che capitasse.Sopravvivevo a me stesso: la mia morte e

il mio funerale stavano chiusi nella cesta. Mi guardavo attorno tranquillo esoddisfattocome un fantasma pacioso dalla

coscienza pulita che siede dietro le sbarre di una comoda cripta di famiglia.

E allorapensai rimboccandomi senza rendermene conto le maniche delmaglionevada per un buon tuffo

calmo e fresco nella morte e nella distruzione. E il diavolo si porti chiresta ultimo.

L • LA BARCA E GLI UOMINI DI ACHAB. FEDALLAH

«Chi poteva pensarloFlask!» gridò Stubb. «Se avessi una gamba solaionon mi ci troveresti nella barca

tranne forse per turare il buco con la mia stecca. Ahè un vecchiostraordinario!»

«Dopo tuttoper quellonon mi pare così strano» ribattè Flask. «Se lagamba gli fosse partita alla coscia

allora be'sarebbe diverso. Allora sarebbe proprio sciancato. Ma gli restaun ginocchioe buona parte dell'altro

capisci.»

«Nonon capiscopiccino; ancora non l'ho visto mai in ginocchio.»

* * *

Tra la gente che sa di balene si è disputato spesso se è giusto che uncapitano di balenieravista l'importanza

eccezionale che ha la sua vita per il successo del viaggiola metta arepentaglio nei momenti più pericolosi della caccia.

Alla stessa maniera i soldati di Tamerlano discutevanospesso con le lacrimeagli occhise quella sua vita inestimabile

doveva esporsi nel fitto della zuffa.

Ma con Achab la questione assumeva un aspetto diverso. Visto che perfino sudue gambe l'uomo non fa che

zoppicare in ogni caso di pericolo; visto che l'inseguimento della balenapresenta sempre gravistraordinarie difficoltà

e che davvero ogni suo momento è un rischioin queste condizioni èprudente che una persona menomata partecipi alla

caccia in una lancia? In linea di massimai proprietari del Pequod devonoavere pensato senz'altro di no.

Achab sapeva benissimo che i suoi amici di terra non si sarebbero preoccupatia sapere che egli adoperava una

lancia in certe vicende relativamente innocue della cacciain modo da esserevicino al teatro d'azione e darvi gli ordini

di persona; ma che il capitano Achab si riservasse personalmente una lanciacome comandante regolare di cacciae

sopratutto che egli fosse fornito di cinque uomini in più per equipaggiarequesta lanciasapeva benissimo che idee

generose come queste non erano mai entrate in testa ai proprietari delPequod. Perciò non aveva richiesto nessun

equipaggio extra; né aveva fatto cenno alcuno ai suoi desideri in proposito.E d'altra parte aveva provveduto

personalmente a tutta quella faccenda. Fino a quando si era saputo dellascoperta di Archyi marinai avevano avuto ben

pochi sospetti. Ma poinaturalmentequando furono in mare da tempoeognuno ebbe finito il solito lavoro di mettere

le barche in ordinee qualche tempo dopo cominciarono a vedere Achabindaffarato a fare scalmi con le proprie mani

per quella che passava per una barca di riservae perfino a tagliareaccuratamente i piccoli spiedi di legno che si

piantano sul solco di prua per la lenza che scorre; quando gli videro farequestoe sopratutto quando lo videro

preoccuparsi di avere uno strato di rivestimeuto in più sul fondo dellalanciacome per farlo resistere meglio alla

pressione di punta della sua gamb a d'avorio; e mostrarsi così ansioso didare la forma esatta alla tavola di coscia o

galloccia rozzacome si chiama pure qualche volta quel pezzo orizzontale aprua contro cui si ferma il ginocchio nel

dare di lancia o di arpione alla balena; quando fu visto montare così spessoin quella barcapiantarsi con l'unico

ginocchio nella depressione semicircolare della gallocciae mettervisiconlo scalpello del mastro d'asciaa scavare un

po' da una parte e a lisciare dall'altraalloradicotutte queste cosedestarono molto interesse e molta curiosità. Ma

quasi tutti pensarono che questa speciale ansia di prepararsi fosse solo invista della caccia finale di Moby Dickdato

che Achab aveva già dichiarata la sua intenzione di dare personalmentel'assalto a quel mostro implacabile. Ma questa

supposizione non implicava il minimo sospetto che ci fosse un equipaggioapposta per quella lancia.

Oraquando apparirono quei subalterni spettralilo stupore che restavasvanì presto; perché le sorprese durano

poco su una baleniera. Inoltrea equipaggiare queste fuorilegge galleggiantiche sono le balenierearrivano di tanto in

tanto tali rifiuti inspiegabili di nazioni straniere dai cantucci e daicenerari sconosciuti della terrae spesso le stesse navi

raccolgono naufraghi così bizzarritrovati a sbattere in alto mare sutavolerelitti di un naufragioremilance da caccia

canoegiunche giapponesi portate via dalla bufera o che altroche Belzebùin persona potrebbe scalare la fiancata ed.91

entrare in cabina a fare quattro chiacchiere col capitanosenza provocarenessuna emozione irrefrenabile nel castello di

prua.

Comunqueè certo che mentre i subalterni fantasmi furono accolti presto tral'equipaggiosempre restandovi

diciamo cosìun poco per conto loroquel Fedallah dai capelli a turbanterimase dal principio alla fine un mistero

imbacuccato. Da dove spuntasse in un mondo incivilito come questonessuno losapeva. Né che razza di vincolo

misterioso lo legassecome risultò prestoallo strano destino di Achabalpunto da avere su di lui una specie di influsso

semidichiarato che poteva anche esserelo sa Iddioaddirittura una vera epropria autorità. Ma trattare Fedallah con

indifferenza non è possibile. Era uno di quei tipi che la buona gente civiledella zona temperata vede soltanto nei sogni

vagamente per giunta; ma i cui simili sgusciano di tanto in tanto tra lecomunità immutabili dell'Asiaspecie nelle isole

orientalia levante del continente: quei paesi isolatiimmemorialiinalterabiliche perfino in questi tempi moderni

conservano tanto della spettrale natura aborigena delle generazioni primitivedella terraquando la memoria del primo

uomo era un ricordo distintoe tutti gli uomini suoi discendentinonsapendo da dove egli fosse venutosi guardavano

l'un l'altro come veri fantasmi e chiedevano al sole e alla luna perchéerano stati creati e a che scopo; quandocome dice

la Genesigli angeli stessi si univano alle figlie degli uominima anche idemoniaggiungono i Rabbini non canonici

indulgevano in amori terreni.

LI • LO SPRUZZO FANTASMA

Passarono giornisettimanee sotto vele ridotte l'eburneo Pequod avevaattraversato lentamente quattro diverse

zone di caccia: al largo delle Azzorreal largo del Capo de Verdesquelladetta Plata perché è davanti alla foce del Rio

de la Platae la Carroluna zona d'acqua indelimitata a sud di Sant'Elena.

Fu mentre scivolava per le acque di quest'ultima zonadurante una serenanotte lunarementre le onde ci

rotolavano accanto come volute d'argentoe col loro ribollìo attutito esoffuso facevano ciò che pareva un silenzio

d'argentonon una solitudine; fu in una simile notte di silenzio che si videuno spruzzo argenteolontano davanti alle

bolle bianche a proravia. Illuminato dalla lunapareva una cosa celeste;pareva un dio piumato e splendente che

sorgesse dal mare. Fedallah per primo avvistò il getto. Perchéin questenotti di lunaaveva l'abitudine di salire sulla

testa di maestro e stare lì di vedettacon la stessa precisione che sefosse stato giorno. Eppureanche se di notte si

vedessero mandrie di baleneneanche un baleniere su cento si arrischierebbead ammainare dietro a loro. Potete

immaginare allora con quali sentimenti i marinai guardassero questo vecchioorientale appollaiato lassù a un'ora così

insolita: il suo turbante e la lunacompagni in un unico cielo. Ma quandodopo che per diverse notti di seguito il

vecchio ebbe trascorso lassù il suo turno monotono senza fare un solo suono;quandodopo tutto questo silenziosi sentì

la sua voce ultraterrena segnalare quell'argenteo spruzzo lunareognimarinaio saltò in piedi come se qualche spirito

alato fosse venuto a posarsi sull'alberatura e chiamasse quella ciurma dimortali. «Laggiù soffia!» Avesse qualcuno

soffiato nella tromba del giudizionon avrebbero potuto rabbrividire dipiù; eppure non sentirono terrore: piuttosto

piacere. Perchésebbene l'ora fosse insolitaquel grido fu cosìimpressionantecosì pieno di ebbrezza e di eccitazione

che quasi ogni animo a bordo desiderò istintivamente di ammainare.

Tagliando il ponte a falcate rapide e storte Achab ordinò di spiegare ivelacci e i controvelacci e stendere ogni

coltellaccio. Il miglior uomo a bordo doveva prendere la barra. Poicon ognitesta d'albero guarnitala nave

sovraccarica calò davanti al vento. La brezza di poppa che riempiva i vuotidi tante velecome una strana forza che

volesse alzarci e spingerci in altorendeva la coperta che ci ondeggiava eoscillava sotto i piedi simile all'aria; e la nave

si avventava come se due impulsi contrari lottassero in lei: uno di balzaredritta al cielol'altro di buttarsi con una

straorzata verso qualche meta orizzontale. E se aveste osservata la faccia diAchab quella notteavreste pensato che

anche in lui si azzuffavano due cose contrarie. La sua unica gamba vivadestava echi vivaci sul ponteogni urto del suo

membro morto suonava come una martellata su una bara. Sulla vita e sullamorte camminava quel vecchio. Ma per

quanto la nave volasse così rapida e sguardi ansiosi partissero da ogniocchio come freccieil getto d'argento per quella

notte non si vide più. Ogni marinaio giurò di averlo visto una voltamanon una seconda.

Questo zampillo di mezzanotte era già quasi dimenticatoquandoqualchegiorno dopoeccoalla stessa ora

silenziosavenne segnalato di nuovo: di nuovo tutti lo videroma quandofacemmo vele per raggiungerlodi nuovo

sparì come non fosse mai stato. E così ci trattò una notte dopo l'altrafinché nessuno gli badò più se non per stupirsene.

Misteriosamente lanciato nella limpida luce lunare o stellarecome capitavatornando a sparire per un giorno interoo

due o tree in qualche modoa ogni sua nuova apparizionesembrando semprepiù lontano lì sulla nostra direzionelo

spruzzo solitario pareva allettarci per sempre ad andare avanti.

Né tra i marinaigente dominata sempre da superstizioniora corroboratedall'elemento soprannaturale che in

molte cose pareva rivestire il Pequodmancavano alcuni pronti a giurare chein qualunque tempo o luogo avvistatoin

occasioni o latitudini o longitudini anche lontanissime tra loroquellospruzzo inavvicinabile era sempre emesso dalla

stessa balenae quella balena era Moby Dick. Tanto che per un periodo regnòa bordo un senso di particolare terrore a

quella fuggente apparizionecome se ci invitasse perfidamente a spingercisempre più avantiperché poi il mostro

potesse rivoltarcisi addosso e infine farci a pezzi nei mari più remoti eselvaggi.

Queste paure temporaneecosì vaghe ma così terribilitraevano una forzaincredibile dal contrasto con la

serenità del tempoche per qualcuno nascondeva sotto tutta la sua azzurradolcezza un incantesimo diabolico: per giorni.92

e giorni viaggiammo per mari così languidamente e solitariamente mitichetutto lo spazio parevain avversione al

nostro incarico vendicativovuotarsi di vita davanti alla nostra pruafuneraria.

Ma alla finequando puntammo verso est e cominciarono a urlarci attorno iventi del Capoe cominciammo a

salire e ricadere sulle lunghe onde agitate di quei mariquando il Pequoddalle zanne d'avorio si chinò secco alla bufera

e ferì all'impazzata le onde nerastrementre i fiocchi di schiuma volavanosulle murate come piogge di schegge

d'argentoallora tutta quella desolata vacuità di vita passòma detteluogo a spettacoli ancora più paurosi.

Vicino alla pruanell'acquastrane forme ci guizzavano davanti da ognipartementre alle spalle ci volavano

fitti i misteriosi corvi del mare. E ogni mattinaappollaiati sugli straglisi vedevano file di questi uccelli. Malgrado i

nostri urlacci stavano aggrappati a lungoostinatamente ai canapicome seconsiderassero la nostra nave qualche legno

desertoalla derivauna cosa destinata alla desolazionee quindi posatoioadatto per le loro anime senza casa. E il mare

nero si gonfiavasi gonfiava senza posacome se le sue grandi maree fosserola sua coscienzae la grande anima del

mondo sentisse angoscia e rimorso del lungo peccato e dolore che avevacausato.

Capo di Buona Speranzati chiamano? Piuttosto Capo Tormentosocome untempo. A lungo allettati dai

silenzi perfidi che ci avevano accompagnatici trovammo lanciati in questomare torturato dove esseri colpevoli

trasformati in quegli uccelli e in quei pesciparevano condannati a nuotaree nuotare in eternosenza speranza di porto

o a sbattere quell'aria scura senza orizzonte. Ma quietoniveo einvariabilesempre puntando al cielo la sua fontana di

piumesempre facendoci segno da lontano di venire più avantiil gettosolitario a volte si mostrava ancora.

Durante tutto questo buio degli elementi Achabsebbene allora assumessequasi di continuo il comando del

ponte fradicio e pericolosomanifestava il più cupo riserbo; sempre piùraramente rivolgeva la parola agli uffic iali. In

periodi di tempesta come quelliquando si è assicurata ogni cosa in copertae sull'alberaturanon resta altro da fare che

aspettare passivamente la fine della burrasca. Allora capitano ed equipaggiodiventano fatalisti in concreto. Cosìcon la

gamba d'avorio inserita nella solita buca e una mano bene afferrata a unasartiaAchab soleva stare per ore e ore a

guardare fisso a sopravventomentre qualche raffica di nevischio o di nevequasi gli congelava assieme le ciglia. Intanto

l'equipaggioscacciato dal quartiere di prua dai pericolosi colpi di mareche irrompevano esplodendo da prorastava in

fila lungo le murate a metà ponte; e per guardarsi meglio dalle zampated'acqua ogni uomo si era infilato in una specie

di bolina assicurata alla ringhierae in essa oscillava come in una cintolaallentata. Parole ne dicevano poche o niente; e

la nave mutaquasi fosse equipaggiata da marinai di cera dipintagiorno pergiorno si apriva la strada attraverso tutto

quel vorticare pazzo e gaio delle onde diaboliche. Di notte prevaleva lostesso mutismo degli uomini davanti alle strida

dell'oceano: sempre in silenzio i marinai dondolavano nelle bolinesempresenza dire parola Achab teneva testa alla

bufera. Perfino quando la natura stremata pareva. esigere riposoegli noncercava questo riposo nella branda. Non

avrebbe mai dimenticatoStarbuckl'aspetto del vecchio quella notte chesceso per il barometro in cabinalo vide

seduto ritto a occhi chiusi nella sedia avvitata al tavolato. La pioggia e ilnevischio semifuso della bufera da cui era

uscito qualche minuto prima gli colavano lenti dal cappello e dal gabbano chenon si era tolti. Sul tavolo accanto era

srotolata una di quelle carte delle maree e delle correnti di cui si èparlato. La lanterna gli pendeva oscillante dal pugno

serrato. Il corpo era drittoma la testa era buttata all'indietroe gliocchi chiusi erano diretti all'ago dell'assiometro che

pendeva da un baglio al soffitto. «Vecchio terribile!» pensò Starbuck conun brivido«anche mentre dormi in questa

buferatieni sempre d'occhio il tuo scopo.

LII • L'ALBATRO

A sudest del Capoal largo delle lontane Crozettsuna buona zona per chicaccia la balena francauna vela

spuntò a proravia: il Goney (l'Albatro). Mentre s'avvicinava lentadal mioalto posatoio sulla testa di trinchetto potei

vedere a mio agio quello spettacolo così impressionante per un novizio dellapesca oceanica: una baleniera in mare

quando manca da molto tempo da casa.

Come se le onde fossero state sgrassatriciquel bastimento era tuttoscolorito come lo scheletro di un tricheco

arenato. Lungo tutte le fiancatequell'apparizione spettrale era rigata dilunghi solchi di ruggine rossicciamentre tutta

l'alberatura e il sartiame erano come i rami fitti di alberi impellicciati dibrina. Spiegava solo le basse vele. Era uno

spettacolo selvaggio vedere le vedette barbute sulle tre teste d'albero.Parevano ravvolte in pelli di animalitanto erano

laceri e rattoppati quei panni sopravvissuti a quasi quattro anni dicrociera. Reggendosi in piedi entro cerchi di ferro

inchiodati all'alberooscillavano e dondolavano su un mare senza fondo.Quando la nave scivolò lenta alla nostra

poppanoi sei che eravamo nell'aria ci avvicinammo tanto gli uni agli altriche quasi avremmo potuto saltare dalle teste

d'albero di una nave a quelle dell'altra; eppure quei pescatori dall'aspettodesolato ci guardarono pacati nel passaree

non dissero una sola parola alle nostre vedettementre di sotto si sentivail richiamo dal cassero:

«Oh della nave! Avete visto la balena bianca?»

Ma mentre il capitano sconosciutopiegandosi sulle pallide murate stava perportarsi alle labbra il portavoce

questo gli sfuggì in qualche modo di manoe finì in mare. E inforzando dicolpo il ventotentò invano di farsi udire

senza. Intanto la nave continuava ad aumentare la distanza dal nostro legno.E mentrein silenziogli uomini del

Pequod mostravano in vari modi di avere notato questo incidente di malauguriosubito seguito alla semplice menzione

della balena bianca a un'altra naveAchab stette un momento in forsequasivolesse ammainare una barca e salire a

bordo della nave sconosciutase non lo avesse impedito il vento minaccioso.Poivalendosi della sua posizione a.93

sopravventoriafferrò il portavocee poiché vedeva dall'aspetto che lanave era di Nantucket e diretta tra poco a casa

chiamò ad alta voce: «Oh laggiù! Questo è il Pequod che fa il giro delmondo! Dite di indirizzare tutte le lettere nel

Pacificod'ora in poi! E da qui a tre annise non sono tornatodite diindirizzarle all'...»

In quel momento le due scie si erano tagliate in pienoe subitosecondo leloro curiose abitudinibranchi di

piccoli pesci innocuiche da qualche giorno ci nuotavano placidamente afiancoguizzarono via con le pinne che

parvero rabbrividiree si allinearono da prua a poppa lungo i fianchi dellanave straniera. Certonel corso dei suoi

lunghi viaggiAchab doveva avere visto spesso una cosa simile; ma lesciocchezze più trascurabili hanno i sensi più

impensati agli occhi di un monomane.

«Nuotate via da mevoialtri?» mormorò Achab sporgendosi a guardare inacqua. E le parole dicevano poco

ma il tono esprimeva una tristezza più profonda e disperata di quella che ilvecchio folle avesse mai tradita. E voltandosi

subito al timoniere che finora aveva tenuto la nave contro il vento perdiminuire l'abbrivogridò con la sua vecchia voce

leonina:

«Barra sopravvento! Raddrizzala per il giro del mondo!»

Il giro del mondo! Parole che ispirano tanti sentimenti di orgoglio; ma doveci porta tutta questa

circumnavigazione? Soltantoattraverso pericoli innumerevolial puntoesatto da dove eravamo partitidove quelli che

abbiamo lasciati indietro al sicuro sono stati per tutto il tempo davanti anoi.

Se questo mondo fosse un piano infinitoe navigando verso est potessimoraggiungere sempre posti più distanti

e scoprire cose più dolci e strane di tutte le Cicladi o le Isole del ReSalomoneallora ci sarebbe senso nel viaggio. Ma

quando inseguiamo quei misteri lontani che sogniamoo diamo tormentosamentela caccia a quel fantasma demoniaco

che prima o poi nuota davanti a tutti i cuori umaniquando così ci buttiamoalla caccia intorno a questo globoquelle

cose ci portano dentro sterili labirintio ci lasciano a mezza stradasulfondo.

LIII • IL GAM

Sì è detto che la ragione apparente per cui Achab non andò a bordo dellabaleniera era questa: il vento e il mare

presagivano burrasche. Ma se anche non fosse stato per questoforse Achabagiudicare da come si comportò poi in

casi similinon ci sarebbe andato lo stesso se al portavoce avesse ricevutouna risposta negativa alla sua domanda.

Perché in seguito risultò chiaro che non gli piaceva sprecare neanchecinque minuti con un capitano sconosciutoa

meno che non gli si fornisse qualcuna delle informazioni di cui era cosìavido. Ma forse tutto questo non può essere ben

valutato se non diciamo subito qualcosa delle caratteristiche usanze dellebaleniere quando s'incontrano in mari lontani

e specie nella stessa zona di caccia.

Se due sconosciuti cheattraversando le Lande dei Pini nello Stato di NewYorko l'altrettanto desolata Piana

di Salisbury in Inghilterras'incontrano casualmente in mezzo a quei desertiinospitalinon possono assolutamente

evitare di scambiarsi un saluto e fermarsi un momento a barattare notizieemagari a sedersi un poco a riposare assieme;

quant'è più naturaleallorache sulle infinite lande e pianure del maredue baleniere che si avvistino ai confini della

terradiciamo al largo della solitaria Fanning's Island o dei remoti Mulinidel Requanto è più naturaledicoche in

questo caso le navi non solo si scambino la vocema vengano a un contattopiù intimoamichevole e socievole. Il che

parrebbe ancora più pacifico nel caso di navi armate nello stesso portosucui capitaniufficiali e non pochi dei marinai

si conoscono personalmentee quindi possono parlare di tante cose domestichee care.

Per la nave che manca a lungo da casaquella che inizia il viaggio ha forsea bordo lettere; a ogni modopuò

certo fornire giornali di un anno o due più recenti dell'ultimo periodiconella sua raccolta lisa e impataccata. E in cambio

di quella cortesiala nave che inizia il viaggio può ricevere le ultimeinformazioni di caccia relative alla zona a cui forse

è direttacosa di massima importanza per lei. E in proporzione tutto questovale anche per le baleniere che s'incrociano

proprio sul campo di cacciaanche se sono state in viaggio ambedue per unostesso periodo di tempo. Una di loro

infattipuò avere ricevuto da una terza nave una trasferta di lettere moltotempo primae parte di queste lettere può

essere diretta agli uomini della nave che ora incontra. Inoltre si possonoscambiare notizie di cacciae fare qualche

gradevole chiacchierata. E ciò non solo sarebbe accolto dai marinai con ognisimpatiama incontrerebbe tutta la

cordialità caratteristica che nasce da una comunanza di mestierediprivazioni e di pericoli.

Né la diversità di patria farebbe una differenza essenziale; purché le duepartinaturalmenteparlino la stessa

linguacome avviene tra americani e inglesi. Sebbenea dire la veritàvisto il numero limitato delle baleniere inglesi

questi incontri non capitano molto spessoe quando capitano è molto facileche si crei una specie di mutua diffidenza:

perché l'inglese è piuttosto chiusoe il nostro yankee non ama quellaqualità che in se stesso. Per giunta i balenieri

inglesicerte volteaffettano una specie di superiorità metropolitana suicolleghi americani; e il lungosegaligno

Nantuckettese coi suoi provincialisini inclassificabili lo considerano unaspecie di bifolco del mare. Ma in che cosa

consista effettivamente questa superiorità del baleniere inglese non èfacile dirlovisto che tutti assieme gli yankees

ammazzano più balene in un solo giorno di tutti gli inglesi assieme in diecianni. Ma si tratta di una piccola innocua

debolezza degli inglesiche il Nantuckettese non piglia molto sul serioprobabilmente perché sa di averne qualcuna lui

stesso.

E quindi vediamo che di tutte le navi che battono i mari da solelebaleniere hanno più ragioni di essere

socievoli: e così sono in effetti. Mentre certi mercantili che s'incontranoin mezzo all'Atlantico parecchie volte tirano.94

avanti senza neanche un segno di salutotagliandosi l'un l'altro la stradain alto mare come un paio di bellimbusti a

Broadwaye magari indulgendo tutto il tempo in una critica pignola dellerispettive attrezzature. Quanto alle navi da

guerrase capita che s'incontrino in maredanno prima fondo a una talesfilza di riverenze e di salamelecchia tali

sventolamenti di bandiereche non pare proprio ci sia molta franca ecordiale benevolenza né amore fraterno in tutta la

faccenda. Per quanto riguarda gli incontri di navi negrierequelle hannotale fretta che scappano l'una dall'altra al più

presto possibile. E riguardo ai piratiquando gli capita di incrociare avicenda le proprie ossa incrociateil primo saluto

è «Quante teste di morto?» allo stesso modo che i balenieri domandano:«Quante botti?» E avuta risposta i pirati subito

girano al largoperché sono farabutti diabolici da ambo i latie non glipiace vedere troppo la propria mutua

farabuttaggine.

Ma guardate la piaonestaumileospitalesocievole e strafottentebaleniera! Che fa la baleniera quando

incontra un'altra baleniera con un tempo appena decente? Fa un gamuna cosa tanto profondamente sconosciuta a tutte

le altre naviche esse non ne hanno mai sentito nemmeno il nome; e se percaso lo sentono dire ci fanno un ghigno e

bastae ripetono storielle su «sfiatatoi» e «bollitori di grasso» ealtre simili piacevolezze. Ma perché mai tutti i marinai

mercantilie anche tutti i pirati e i marinai da guerra e quelli dellenegriere debbano nutrire un simile senso di disprezzo

per le baleniere è una domanda a cui non è facile rispondere. Perché nelcaso dei piratiper esempiovorrei proprio

sapere se questa loro professione vanta qualche gloria speciale. Certoqualche volta finisce con un'insolita elevazione:

ma solo sulla forca. E inoltre quando uno viene elevato in quel modoparticolarenon ha una base adeguata per la sua

altezza sublime. Donde concludo che il piratanel vantarsi di essere benpiù in alto del balenierenon ha in questa sua

asserzione nessun fondamento solido su cui poggiare.

Ma che cos'è un gam?Potete consumarvi l'indice facendolo correre su e giù per le colonne deidizionarie la

parola non la trovate. A tanta erudizione il Dottor Johnson non arrivò mai.L'arca di Noè Webster non la contiene.

Eppure proprio questo termine espressivo è stato ormai per molti annicostantemente in uso tra circa quindicimila

yankees purosangue. Certo ha bisogno di una definizionee bisognerebbeincorporarlo nel lessico. A questo fine

permettetemi di definirlo da erudito.

GAM. Sostantivo. Un incontro amichevole di due (o più) balenieredi solitoin zona di caccia; nel corso del

qualescambiati i salutigli equipaggi si fanno visite per mezzo dellelance: mentrenel frattempoi due capitani

restano a bordo di una delle navie i due primi ufficiali si trattengonosull'altra.

Ma c'è un altro piccolo dettaglio del gamche qui nonbisogna dimenticare. Tutti i mestieri hanno le proprie

cosucce curiosee la baleneria non ne è priva. In una nave piratadaguerra o negrieraquando il capitano è portato in

barca siede sempre tra le scotte poppiere su un sedile che è lìcomodo e avolte imbottitoe certe volte si governa da sé

con una barrucolina da modistatutta illeggiardita di gai nastri e cordoni.Ma la lancia baleniera non ha sedile a poppa

proprio nessun sofà di quel tipoe non ha affatto barra. Sarebbe propriobella se i capitani balenieri venissero scarrozzati

per le acque su rotellecome vecchi assessori gottosi in poltrone di cuoio.Quanto alla barrauna lancia da balene non

tollera simili effeminatezze; e quindisiccome nel gamtuttol'equipaggio deve lasciare la nave e perciò il manovratore o

ramponiere è del numeroquel subalterno è il manovratore anche in questaoccasionee il capitanonon avendo dove

sedersiviene spinto alla sua visita tutto impalato come un pino. E spessonoterete checonsapevole di avere addosso gli

occhi di tutto il mondo visibile dai due fianchi delle naviquesto capitanoin piedi è tutto compreso dell'importanza di

tenere alta la sua dignità mantenendosi dritto sulle gambe. E questa non ècosa facileperché di dietro ha l'enorme remo

da governo che sporge e lo picchia ogni tanto sui renimentre il remopoppiero ribatte urtandogli le ginocchia di fronte.

Così è completamente incastrato davanti e di dietroe può soltantoallargarsi di fianco piazzandosi a gambe larghe; ma

spessodi colpoun beccheggio violento della barca per poco non rischia dirovesciarlo a gambe all'ariaperché la

lunghezza di base non vale niente senza una corrispettiva larghezza. Prendetedue palifate solo un ampio angoloe non

riuscirete a farli stare dritti. E per di piùcon tutti quegli occhipiantati addossonon è affatto decoroso che questo

capitano divaricato si lasci vedere anche un is tante a raddrizzarsi cercandodi acchiappare qualcosa. Di fattocome

segno della sua perfetta e ottimistica padronanza di sédi solito eglitiene le mani nelle tasche dei pantaloni; ma forse

avendo generalmente delle manacce grosse e pesantile tiene lì per zavorra.E tuttavia ci sono stati casie bene

autenticati anchein cui si è visto il capitanoper un momento o due diemergenzaper esempio in una raffica

improvvisaaggrapparsi ai capelli del rematore più vicinoe tenercisiavvinghiato come una mignatta.

LIV • LA STORIA DEL TOWN-HO

(Come venne raccontata alla Locanda d'Oro)

Il Capo di Buona Speranzae tutta la zona d'acqua lì attornosomiglianomolto a qualche rinomato incrocio di

una grande arteriadove s'incontrano più viaggiatori che in qualsiasi altroposto.

Non molto tempo dopo avere parlato al Goneyincontrammo un'altra balenierail Town-Hoche faceva il

viaggio di ritorno. Il suo equipaggio era formato quasi interamente daPolinesiani. Nel breve gamche seguì cidiede

notizie importanti su Moby Dick. Alcuni che avevano un interesse generico perla balena bianca furono ora

straordinariamente colpiti da un episodio nella storia del Town-Hochepareva collocare misteriosamente la balena al

centro di un portentoso e invertito es empio di quei cosidetti giudizi di Dioche a voltediconovengono a cadere sugli.95

uomini. Questo episodioche con le sue implicazioni forma ciò che sipotrebbe dire la parte segreta della tragedia che

stiamo per narrarenon arrivò mai alle orecchie del capitano Achab e deisuoi ufficiali. In realtàquesta parte segreta

della storia era sconosciuta allo stesso capitano del Town-Ho. Era proprietàprivata di tre compari bianchi

dell'equipaggio. Uno di loroparela comunicò a Tashtego con papisticheingiunzioni di segretezza; ma la notte

seguente Tashtego straparlò nel sonnoe in tal modo ne rivelò tanta parteche quando si svegliò non potè più tacerne il

resto. Tuttavia quei marinai del Pequod che arrivarono a conoscere tutta lastoria ne furono tanto impressionatie si

comportarono in quell'occasione con una delicatezzadiciamocosìsingolareche riuscirono a tenersi tra di loro il

segretosicché essosul Pequodnon trapelò mai a poppavia dell'alberomaestro. Intrecciando a suo luogo questo filo

più oscuro con la storia come venne raccontata in pubblico sulla naveoraproverò a fissare in modo più duraturo tutta

questa strana faccenda.

Voglio conservarecosì per capricciolo stile con cui la raccontai unavolta a Lima a un cerchio ozioso di miei

amici spagnolila vigilia di non so che santofumando sulla veranda dimattonelle pesantemente indorate della Locanda

d'Oro. Tra quei bei cavalierii giovani Don Pedro e Don Sebastian mi eranopiù intimi: di quia intervallile domande

che mi fannoe le risposte che puntualmente ricevono.

«Signoricirca due anni prima che io venissi a conoscenza dei fatti che stoper riferirviil Town-Hobaleniera

di Nantucketincrociava in questo vostro Pacificoa non molti giorni divela a ovest delle tegole di quest'ottima

Locanda d'Oroe un po' a nord dell'Equatore. Un mattinonel manovrare lepompe secondo l'uso d'ogni giornofu

notato che la stiva faceva più acqua del solito. Si pensòsignoriche unpescespada avesse colpita la nave. Ma siccome

il capitano aveva speciali ragioni per credere che una rara fortuna loaspettasse in quelle latitudinie quindi era molto

contrario a lasciarle; e siccome al momento la falla non venne considerataaffatto pericolosa. per quanto in realtà non

fossero riusciti a trovarla pur avendo esaminato la stiva quanto più in giùera possibile con quel mare piuttosto grossola

nave continuò a incrociare. E ogni tantoquando gli veniva comodoimarinai lavoravano alle pompe. Ma di fortuna

non ne arrivò. Passarono altri giorni e la falla non solo era da trovarsima cresceva sensibilmente. Tanto che il capitano

cominciò ad allarmarsie facendo tutte le vele puntò dritto al porto piùvicino delle isoleper farvi carenare e

raddobbare lo scafo.

«Non era una traversata da poco. Ma con un minimo di fortunanon temevaaffatto che la nave gli affondasse

per strada: perché le pompe erano ottimee i suoi trentasei uomini sipotevano dare il cambio e tenerla vuota con

facilitàanche se la falla si fosse raddoppiata. E difattisoffiando labrezza favorevole per quasi tutto il viaggioil

Town-Ho sarebbe quasi certamente arrivato al porto senza la minima disgrazianon fosse stato per la prepotenza brutale

del secondoRadneyuno del Vignetoche provocò l'amara vendetta diSteelkiltdi Buffalomarinaio di lago e poco di

buono.

«"Marinaio di lago? Buffalo? Ma scusateche cos'è un marinaio dilagoe dov'è Buffalo?" fece Don Sebastian

sollevandosi nella sua oscillante amaca d'erbe.

«Sulla costa orientale del nostro Lago ErieDon Sebastian. Ma vi prego diessere paziente: prestoforsene

risentirete parlare. Orasignorisu brigantini a vele quadre e trealberigrossi e robusti quasi come quelli che salpano dal

vostro vecchio Callao diretti alla lontana Manillaquesto marinaio di lagoera stato nutritonel cuore profondo della

nostra Americadi tutte quelle selvatiche impressioni piratesche di solitoconnesse col libero oceano. Perché quei nostri

grandi mari d'acqua dolcel'uno all'altro congiuntil'Erie e l'Ontario e loHuron e il Superiore e il Michiganposseggono

un'espansione oceanicacon molte delle caratteristiche più nobilidell'oceanoe molte delle sue varietà costiere di razze

e di climi. Essi contengono rotondi arcipelaghi di isole romantichepropriocome le acque polinesiane; come

l'Atlanticosono in gran parte delimitati da due grandi nazioni rivali;forniscono ampie possibilità di comunicare con le

numerose colonie che la nostra gente dell'Est ha disseminato lungo tutte lerive. Qui e lì sono guardati in cagnesco dalle

batterie e dai caprigni cannoni rupestri dell'alto forte Mackinaw; hannoudito il rapido tonare delle vittorie navali; a

intervallicedono le loro spiagge a barbari selvaggile cui rosse faccedipinte lampeggiano da sotto le loro capanne di

pelli; per leghe e leghe sono fiancheggiati da annose foreste verginidove ipini scarni si ergono come fitti filari di re

nelle genealogie gotiche; e queste foreste riparano feroci bestie da predaeseriche creature le cui pellicce esportate

vestono imperatori tartari. Essi rispecchiano le capitali selciate di Buffaloe Cleveland e villaggi Winnebago; vedono

galleggiare il mercantile a vele quadrel'incrociatore dello Statoilpiroscafo e la canoa di betulla; sono spazzati da

rovinosi groppi borealiterribili come ogni tempesta che flagelli acquesalse; e sanno cos'è un naufragioperché fuori

vista da terrasebbene in mezzo al continentehanno sommerso tante e tantenavi notturne con tutti i loro equipaggi

urlanti. E cosìsignorisebbene uomo di terraSteelkilt era nato ecresciuto nell'Oceano selvaggioe marinaio temerario

se mai ve ne fu uno. E quanto a Radneypuò darsi che nell'infanzia si siadisteso sulla spiaggia deserta di Nantucket per

nutrirsi del mare maternoe che in seguito abbia solcato a lungo il nostroAtlantico austero e il vostro contemplativo

Pacificoma era tanto vendicativo e pronto ad attaccare briga quanto ilmarinaio delle forestearrivato fresco dai climi

ove usa il coltello da caccia col manico di corno di daino. Eppure quest'uomodi Nantucket aveva tratti di bontàe

quello dei laghi era un marinaio diabolico certoma che poteva mantenersiinnocuo e docile se trattato con fermezza

inflessibilee solo temperata da quella comune decenza di umano rispetto cheè il diritto anche dello schiavo più infimo;

e docile e innocuodifattiquesto Steelkilt era stato ritenuto a lungooin ogni modo tale si era dimostrato finora. Ma

Radney era predestinato a impazziree l'altro... ma sentiretesignori miei.

«Erano passati uno o due giorni al massimo da che il TownHo aveva puntato aun porto delle isolequando la

falla parve di nuovo allargarsinon tanto però da richiedere più diqualche ora di lavoro quotidiano alle pompe. Dovete

sapere che in un oceano posato e civile come a esempio il nostro Atlanticocerti capitani non si preoccupano affatto di.96

fare tutta la traversata pompandoanche sequalora l'ufficiale di copertadimenticasse il suo dovere in proposito in una

qualche notte placida e soporiferaprobabilmente né lui né i suoi compagnise lo ricorderebbero mai piùperché tutti

andrebbero delicatamente a fondo. E nemmeno nei mari solitari e selvaggilaggiù verso occidenteè cosa del tutto

insolitasignoriche in qualche nave si continui a sbatacchiare i manicidelle pompe in coro anche durante tutto un

viaggio di lunghezza considerevole; sebenintesosi costeggia una terraabbastanza accessibileo se sia alla mano un

qualche altro possibile riparo. È solo quando una nave che fa acqua si trovain qualche zona sperduta di quei maria una

latitudine davvero senza terreche il capitano comincia a sentirsi un po'nervoso.

«Questo era più o meno il caso del Town-Ho; di modo chea vedere che lafalla guadagnava semprea dire il

vero parecchi dell'equipaggio manifestarono qualche preoccupazione:sopratutto l'ufficiale Radney. Egli ordinò di issare

bene le vele altedi stenderle il più possibile ed esporle in pieno allabrezza. Oraquanto a essere vile e propenso a

qualsiasi tipo di nervosismo riguardo alla propria personaquesto Radney loera così poco come ogni impavida e

spensierata creatura di terra o di mare che voiamicipossiate figurarvi.Perciòquando rivelò questa sua

preoccupazione per la salvezza della navequalcuno dei marinai affermò chelo faceva solo perché ne era

comproprietario. E quella seramentre lavoravano alle pompegirarono inproposito tra gli uomini parecchi scherzi alle

sue spallementre se ne stavano coi piedi inondati di continuo daruscelletti limpidi (limpidi come sorgenti di montagna

signori) che gorgogliavano dalle pompe e scorrevano sui ponti e siriversavano dagli ombrinali a sottovento in costanti

zampilli.

«Oracome ben sapetesuccede spesso in questo nostro mondo convenzionalesia esso acquatico o noche

quando una persona incaricata di comandare ai suoi simili ne trova uno che losupera decisamente in quell'oggetto di

generale orgoglio che è la virilitàsubito concepisce verso costui unastio e un'antipatia invincibili; e alla prima

occasione è pronto ad abbattere e frantumare la rocca di quel subalternoper farne un mucchietto di polvere. E forse mi

sbagliosignorima certo quello Steelkilt era un essere alto e nobileconla testa di un romano e una barba d'oro fluente

che somigliava alla gualdrappa infioccata del corsiero tutto sbuffi delvostro ultimo viceré; e con un cervelloe un

cuoree un'anima in corposignoriche ne avrebbero fatto un Carlomagnosefosse nato figlio del padre di Carlomagno.

Ma l'ufficiale Radney era brutto come un mulo; e di un mulo aveva ilcoraggiola testardaggine e la cattiveria. Steelkilt

non gli andava a genioe Steelkilt lo sapeva.

«Vedendo avvicinarsi l'ufficiale mentre sudava con gli altri alla pompaquello dei laghi finse di non

accorgersenee continuò imperterrito con le sue burle.

«"Ma sicuroragazziquesta si chiama una falla! Prendete unbicchierinoragazzie facciamo un assaggio. Per

Dioè cosa da imbottigliare! Ci potete scommettereragazziqui il bravoRad ci rimette il capitale! Farebbe meglio a

tagliarsi la sua parte di scafo e rimorchiarsela a casa. Il fatto èragazziche quel pescespada ha solo dato l'avvio ai

lavori; poi dev'essere tornato con una squadra di carpentieri; pesci-sega epesci-lima e chi sa chi altroe adesso tutta

l'armata ci sta dando dentro a spaccare e tagliare il fondo: per faremiglioriepenso. Se ora ci fosse qui il vecchio Rad

gli direi di saltare la murata per cacciarli via. Fanno i diavoli a quattrocoi suoi capitalimi può credere. Ma Rad è

un'animuccia candidae una bellezza per giunta. Ragazzidicono che colresto dei soldi ci ha comprato specchi. Mi

domando se vorrebbe cedere a un povero diavolo come me il modello delnaso."

«"Vi schiattino gli occhiperché sta ferma la pompa?" ruggìRadney fingendo di non aver sentito i discorsi dei

marinai. "Dateci sotto!"

«"Sicurosicurosignore!" fece Steelkilt allegro come un grillo"suallegriragazzi!" E con questo la pompa

strepitò come cinquanta macchine anti-incendio; gli uomini buttarono via icappellie ben presto si sentì quell'ansimare

di polmoni che denota lo sforzo massimo di ogni energia vitale.

«Alla finelasciando la pompa col resto della bandal'uomo dei laghi andòa prua tutto ansimante e si sedette

sul verricellola faccia rossa come fuocogli occhi iniettati di sangueesi tergeva il sudore che gli colava dalla fronte.

Ora non so che demonio ingannatoreamicispinse Radney ad attaccare brigacon un uomo come Steelkilt e in quello

stato di eccitazione fisica; ma così accadde. Venne a gran passi per ilpontecon aria intransigentee gli ordinò di

pigliare la scopa per spazzare il tavolatononché la pala per toglierecerta sporcizia dovuta a un porco che avevano

lasciato in giro.

«Orasignorispazzare la coperta di una nave in navigazione è unlavoruccio casalingo che si fa regolarmente

ogni serasempre che non ci sia burrasca; e risulta che è stata fatto anchenel caso di navi che intanto stavano colando a

picco. Perché le usanze di mare e l'amore istintivo dei marinai per lapulizia sono cose inflessibili: certuni non

annegherebbero volentieri senza prima lavarsi la faccia. Ma su tutti i legniquesta faccenda della scopa è campo

riservato dei mozzise mozzi ci sono a bordo. Inoltre erano gli uomini piùrobusti del Town-Ho che erano stati divisi in

squadre e si alternavano alle pompe; ed essendo il marinaio più atletico dituttiSteelkilt veniva nominato ogni volta

capoccia di una delle squadre. Di conseguenza avrebbe dovuto essere esentatoda ogni lavoro volgare non connesso coi

lavori strettamente nauticicosì come si faceva coi compagni. Ricordo tuttiquesti dettagli per farvi capire esattamente

come stavano le cose tra i due.

«Ma c'era dell'altro: l'ordine di prendere la pala mirava a ferire einsultare Steelkiltquasi come se Radney gli

avesse sputato in faccia. Chiunque sia stato marinaio su una baleniera locapirà; e tutto questoe senza dubbio molto di

piùl'uomo lo capì chiaro quando l'ufficiale gli dette il comando. Mamentre sedeva immobile un istantee guardava

fermo il superiore nell'occhio cattivo e ci vedeva ammucchiate cataste dibarili di polveree la miccia che bruciando

zitta zitta ci si accostava; mentre l'istinto gli faceva vedere tutto questouna strana remissivitàun'avversione a.97

fomentare l'ira che già ribolle in un uomouna ripugnanza che specialmenteavvertonose mai l'avvertonogli uomini di

vero coraggio anche se insultatiquesto vago e misterioso sentimentosignoris'impadronì di Steelkilt.

«Perciò col suo tono solitosolo un po' rotto per la spossatezza fis icache sentiva al momentorispose dicendo

che spazzare la coperta non toccava a lui e non aveva intenzione di farlo. Epoi senza alludere minimamente alla pala

indicò i tre giovanotti che facevano di solito quel lavoroe che nonessendo assegnati alle pompe avevano fatto poco o

niente tutta la giornata. Al che Radney rispose con una bestemmianel tonopiù prepotente e offensivoripetendo

l'ordine senza riserve; e intanto s'avanzava su quelloancora sedutoalzando una mazza da bottaio che aveva afferrata lì

accanto da un barile.

«Irritato e scaldato com'era dalla fatica spasmodica alle pompemalgradoquel primo impulso indefinibile

d'indulgenza Steelkilttutto trasudantenon riuscì a sopportare ilcontegno dell'ufficiale; ma ancora riuscì in qualche

modo a soffocare dentro di sé l'esplosionee senza dire parola restòinchiodato al suo postocaparbiamentefinché

l'altrofuribondonon gli agitò la mazza a pochi pollici dal visoe gliordinò con rabbia di eseguire il comando.

«Steelkilt si alzòe indietreggiando lentamente attorno al verricelloseguito passo a passo dall'ufficiale che lo

minacciava con la mazzatornò a ripetere deliberatamente che non volevaobbedire. Vedendo però che tutta la sua

sopportazione non aveva il minimo effettofece con la mano un segno paurosostorto e inspiegabileper invitare quel

pazzo e insensato a tenersi lontano; ma neanche questo ebbe effetto. E inquesto modo i due fecero un lento giro attorno

al verricello. A questo puntodeciso a non indietreggiare piùconvinto diavere sopportato tutto quanto era compatibile

col suo umorel'uomo dei laghi si fermò sulle boccaporte e disseall'ufficiale:

«"Signor Radneynon vi ubbidisco. Mettete via quella mazza o badate avoi." Ma quell'altro predestinato si

accostò di più all'avversario immobilee gli agitò la pesante mazza a unpollice dai dentivomitando una sfilza di

terribili insulti. Steelkilt non indietreggiò per la millesima parte di unpollice; ma trafisse nell'occhio il suo persecutore

col pugnale inflessibile del suo sguardoe afferrandosi la destra efacendola strisciare dietro la schienagli disse che se

quella mazza gli sfiorava appena la guancia luiSteelkiltlo avrebbeammazzato. Ma signorigli dei avevano segnato

quel pazzo per il macello. Subito la mazza toccò la guancia; l'istante dopola mandibola dell'ufficiale gli si spaccava in

testa. Cadde sulla boccaportaspruzzando sangue come una balena.

«Prima che la voce arrivasse a poppaSteelkilt s'era messo a sbatacchiareuno dei patarassi che portavano lassù

arrivadove due suoi compagni si trovavano sulle teste d'albero. Erano tuttie due Canalesi.

«"Canalesi!" esclamò Don Pedro. "Abbiamo visto moltebaleniere nei nostri portima non abbiamo mai sentito

parlare di questi Canalesi. Scusate: chi e cosa sono?"

«I CanalesiDon Pedrosono i battellieri del nostro gran Canale Erie. Neavrete sentito parlare.

«"NomaiSeñor. Quaggiù in questa terra torpida e calda epigrissima e legata al passatoconosciamo ben

poco del vostro vigoroso Nord."

«Davvero? Bene alloraDon Pedroriempitemi il bicchiere. La vostra chichaè eccellentee prima di andare

oltre vi dirò che cosa sono i nostri Canalesi; è un'informazione che puògettare più luce sulla mia storia.

«Per trecento e sessanta migliasignoriattraverso tutto quanto lo Statodi New Yorkattraverso molte città

popolose e fiorentissimi villaggiattraverso lunghe e squallide paludidisabitate e opulenti campi coltivati

incomparabili per fertilitàlungo mescite e sale da biliardoattraverso ilsanto dei santi di foreste immensesu archi

romani gettati su fiumi indigeninella luce del sole e nell'ombraaccanto acuori felici o infrantiattraverso tutto l'ampio

paesaggio contrastante di quelle nobili contee dei Mohawke specialmentelungo file di nivee cappelle le cui guglie

fanno quasi da pietre miliariscorre un fiume continuo di vitavenezianamente corrotta e spesso senza legge. Lì si

trovano i veri Asciantisignorilì ululano i paganiche potete sempretrovarvi alla porta accanto o sotto la lunga ombra

e il comodo riparo protettivo delle chiese. Perchèper qualche curiosafatalitàcosì come si nota spesso che i predoni

della metropoli si accampano sempre attorno alle aule della giustiziacosìi peccatoriamiciabbondano di più nei

paraggi più sacri.

«"È un frate quello che passa?" disse Don Pedro guardando giùcon comica preoccupazione nella piazza

affollata.

«"Fortuna per il nostro nordico amico che l'Inquisizione di DamaIsabella sta decadendo in Lima" rise Don

Sebastian. "Andate avantiSeñor."

«"Un momentoscusate!» gridò un altro della compagnia. "A nomedi tutti noi di Lima desidero soltanto darvi

attosignor marinaioche non ci è affatto sfuggita la vostra delicatezzanel non sostituire la qui presente Lima alla

lontana Venezia nella vostra corrotta comparazione. Oh non chinatevi e nonfate il sorpreso! Conoscete il proverbio che

usa lungo tutta questa costa: 'corrotto come Lima'. Non fa che corroborareciò che avete dettoinoltre: le chiese sono più

abbondanti delle sale da biliardoe sempre apertee 'corrotte come Lima'.Così pure Venezia. Io ci sono stato: la città

del beato evangelista San Marco! Che San Domenico la spurghi! La vostratazza. Grazie. Ve la riempio. E oraavanti."

«Liberamente dipinto nella sua professionesignoriil Canalese farebbe unmagnifico eroe drammaticotanto

ricca e pittoresca è la sua furfanteria. Galleggia indolente per giorni egiornicome Marco Antonio lungo il suo Nilo

verdeggiante e fioritogiocherellando alla vista di tutti con la suaCleopatra guancia di rosae facendo maturare la sua

coscia d'albicocco sulla tolda assolata. Ma a terratutta questaeffeminatezza sparisce. Gli abiti briganteschi che il

Canalese ostenta con tanta arroganzail suo cappello schiacciato e adorno digai nastridanno segno delle sue grandi

qualità. Terrore dell'innocenza sorridente dei villaggi traverso cuigalleggiala sua faccia scura e la sua boria temeraria

non sono sconosciute neanche in città. Una volta che facevo il vagabondolungo il suo canaleho ricevuto un buon

servizio da uno di questi Canalesi; lo ringrazio di cuore e non vorrei essereingratoma è una delle principali qualità.98

positive dell'uomo di violenzache egli dimostri a volte di avere un bracciotanto forte per sostenere un povero

forestiero in difficoltàcome per svaligiare un ricco. Insommasignoriquanto sia selvaggia la vita sul Canale ve lo

dimostra chiaramente questo: che la nostra selvaggia pesca alla balenaaccoglie tanti dei suoi più insigni laureatie che

non c'è forse altra razza d'uominitranne quelli di Sydneyche siaguardata con più sospetto dai nostri capitani balenieri.

Né diminuisce certo la stranezza della faccenda il fatto che a moltemigliaia dei nostri ragazzi e giovanotti di campagna

nati lungo il suo tragittoil tirocinio del Gran Canale offra l'unico mododi passare dal quieto raccolto in un campo

cristiano di granturco alla sfrenata aratura delle acque dei mari piùbarbari.

«"Vedovedo!" gridò impetuoso Don Pedroversandosi la chichasui polsini argentati. "Non c'è bisogno di

viaggiare! Il mondo è tutto una Lima. E io che pensavo che nel vostro Nordtemperato la gente fosse gelida e santa

come tante cime di montagne. Ma stiamo a sentire."

«Mi ero fermatosignorial punto in cui l'uomo dei laghi si mise ascuotere il cavo. L'aveva appena fattoche i

tre ufficiali più giovani e i quattro ramponieri lo circondarono e lobuttarono sul tavolato. Ma scivolando per i cavi

come comete funeste i due Canalesi si precipitarono nella zuffae cercaronodi tirare fuori il loro uomo verso il castello

di prua. Altri dei marinai diedero loro man fortee ne seguì unoscompigliomentre il valente capitanotenendosi al

largosaltava su e giù con una picca da balenesbraitando agli ufficialidi pestare quel farabutto e portarlo a pedate sul

cassero. Ogni tanto faceva una corsetta rasente all'orlo turbinante dellazuffae frugandovi dentro con la picca cercava

di stanare a spunzonate l'oggetto della sua indignazione. Ma Steelkilt e isuoi disperati erano troppo forti per tutti loro;

riuscirono a raggiungere il ponte di pruae rotolando in fretta e furia treo quattro grossi barili in fila con l'arganoquesti

parigini del mare si trincerarono dietro la barricata.

«"Venite fuoripirati!" ruggì il capitanominacciandoli con duepistole portate in quel momento dal

cambusiere. "Venite fuori di lìtagliagole!"

«Steelkilt saltò sulla barricatae camminandovi sopra avanti e indietrosotto quella minaccia delle pistolefece

capire chiaro al capitano che la sua morte sarebbe stata il segnale di unsanguinoso ammutinamento da parte di tutti gli

uomini. Temendo in cuor suo che ciò potesse risultare anche troppo veroilcapitano si calmò un pocoma ordinò lo

stesso ai ribelli di tornare immediatamente ai loro doveri.

«"Promettete di non toccarcise obbediamo?" domandò il lorocaporione.

«"Al lavoro! Al lavoro! Non prometto niente. Al vostro dovere! Voleteaffondare la navepiantando tutto in un

momento come questo? Al lavoro!" E tornò ad alzare una pistola.

«"Affondare la nave?" gridò Steelkilt. "Sicuroaffondipure. Nessuno di noi torna al lavorose non giurate di

non alzarci contro neanche una filaccia. Non è vero marinai?" E ungrido feroce fu la risposta.

«L'uomo dei laghi pattugliava la barricata tenendo sempre d'occhio ilcapitano e parlando a scatti: "Non è colpa

nostranon l'abbiamo voluta noigli ho detto di buttare via la mazzaerauna ragazzatami doveva conoscere primagli

ho detto di non stuzzicare il bufalocredo di essermi rotto un dito controquella dannata mascella; ragazzinon ci sono

quei trincianti nel castello? Pensate alle aspegiovanotti. CapitanoperDiopensateci benedite questa parolanon fate

il pazzo; mettiamoci una pietra sopra; siamo pronti a tornare al lavoro;trattateci com'è giusto e siamo con voima

frustare non ci lasceremo."

«"Al lavoro! Non prometto niente. Al lavorodico!"

«"E allora state attento" gridò l'altro puntandogli un braccioaddosso"ci sono parecchi quie io sono di loro

che si sono imbarcati solo per un viaggiolo sapete; e sapete bene chepossiamo licenziarci appena gettata l'ancora.

Sicché non vogliamo litigarenon ci conviene; vogliamo stare in pacesiamopronti a lavorarema con noi niente

frusta."

«"Al lavoro!" ruggì il capitano.

«Steelkilt si guardò attorno un momento e disse: "Vi dico io come stala faccendacapitano: piuttosto che

ammazzarvi e farci impiccare per un farabutto come quellonon alzeremo undito contro di voi se non ci attaccate; ma

finché non ci promettete di non frustarciniente lavoro."

«"Giù nel castelloalloratutti giù. Vi ci tengo finché non neavete abbastanza. Scendete giù."

«"Scendiamo?" gridò il capobanda ai suoi uomini. La maggior parteera contraria. Ma alla fineper obbedire a

Steelkiltlo precedettero giù in quella buia tanagrugnendoscomparendovicome orsi in una caverna.

«Quando la testa dell'uomo dei laghi fu a livello del tavolatoil capitanoe il suo gruppo saltarono la barricata

e trascinando in furia il quartiere del portello sulla botola vi piantaronosopra le mani a fascioe chiamarono ad alta

voce il cambusiereche portasse il pesante lucchetto di bronzo che chiudevala scaletta di boccaporto. Poiaprendo un

po' il quartiereil capitano bisbigliò qualcosa per la fessurala chiuse egirò la chiave sui ribelli (erano dieci in tutto)

lasciando sul ponte una ventina d'uomini che finora erano rimasti neutrali.

«Per tutta la notte gli ufficiali si alternarono a una guardia strettissimaa prua e a poppaspecie alla boccaporta

del castello e a quella del deposito a pruaperché si temeva che i ribellipotessero uscire da lì scassinando la paratia di

sotto. Ma le ore notturne passarono quiete: gli uomini che erano rimasti allavoro sudavano alle pompee a intervalli

nel buio tetrolo sferragliamento risuonava cupo per la nave.

«All'alba il capitano venne a pruae picchiando sul tavolato richiamò iprigionieri al lavoro. Rifiutarono

urlando. Allora calarono giù acqua e vi buttarono dietro un paio di manciatedi gallette. Dopodiché il capitano rigirò la

chiavela intascò e se ne tornò sul cassero. Per tre giorni questa scenasi ripeté due volte al giorno; ma il quarto mattino

si sentì un confuso altercopoi un rumore di zuffa quando venne fatto ilsolito invito; e di colpo quattro marinai

balzarono fuori dal castellodicendosi pronti a tornare al lavoro. Il fetoredell'aria rinchiusail regime da famee forse.99

una certa paura del castigo che li aspettavali aveva spinti ad arrendersi adiscrezione. Allora il capitanoimbaldanzito

ripeté agli altri la domandama con un grido terribile Steelkilt gliconsigliò di smetterla con le ciance e tornarsene al

posto suo. Il quinto mattino tre altri degli ammutinati balzarono fuori dallebraccia disperate che cercavano di trattenerli

sotto. Ne restavano solo tre.

«"Meglio arrendersino?" fece il capitano in tono spietato discherno.

«"Richiudidài!" urlò Steelkilt.

«"Ma subito" fece il capitanoe la chiave scattò.

«Fu a questo puntosignoricheesasperato dalla diserzione di sette deisuoi compagnie ferito dalla voce

beffarda che gli aveva appena parlatoe reso furente dal lungo seppellimentoin un posto nero come le viscere della

disperazionefu allora che Steelkilt propose ai due Canalesiche fino aquel momento parevano concordi con luidi fare

irruzione dal loro buco alla prossima chiamata della guarnigione; e armaticon gli aguzzi trincianti (lunghi e pesanti

arnesi a mezzaluna con un manico alle due estremità) menare un assaltosanguinoso dal bompresso al coronamentoe se

era possibile nella loro diabolica disperazioneimpadronirsi della nave.Quanto a luidissel'avrebbe tentatocon loro o

senza. Questa era l'ultima notte che passava in quella tana. Ma il piano nonincontrò obiezioni da parte dei due;

giurarono di essere pronti a quella o qualsiasi altra pazziaa tutto insommatranne che arrendersi. E anziognuno dei

due insistette per essere il primo a buttarsi sul ponte al momento dellasortita. Ma a ciò il capo si oppose con altrettanta

ferociariservando per sé la precedenza; sopratutto perché nessuno dei duevoleva cedere il passo all'altroe essere

primi in due non potevanoperché sulla scala c'era posto solo per uno allavolta. E quisignoribisogna svelare lo

sporco gioco di questi furfanti.

«A sentire il pazzo progetto del capocciaognuno dentro di sépareavevaconcepito per suo conto lo stesso

tradimentoe cioè di essere il primo a lanciarsi fuori per essere il primodei tresebbene l'ultimo dei dieciad arrendersi;

e così assicurarsi quella minima probabilità di perdono che tale condottapoteva meritare. Ma quando Steelkilt si

dichiarò deciso ad andare in testa fino all'ultimoin qualche modo quelliper qualche sottile reazione d'infamia

mescolarono assieme i loro segreti tradimenti; e quando il capo si assopìciascuno aprì all'altro l'anima in tre frasi:

legarono quello che dormiva con le funilo imbavagliaronoe a mezzanottechiamarono urlando il capitano.

«Sospettando un assassinio e annusando nel buio in cerca di sangueilcapitano con gli ufficiali e i ramponieri

tutti armatisi precipitarono nel castello di prua. In un attimo apersero ilportelloelegato mani e piediil capo che

ancora lottava fu spinto fuori dai suoi perfidi alleatiche subitoaccamparono pretese al merito di avere messo al sicuro

un uomo ormai deciso a una strage. Ma tutti vennero afferrati per lacollottola e trascinati sul ponte come bestie morte;

li appesero fianco a fianco alle sartie di mezzana come tre quarti di carnee lì pendettero fino al mattino. "Maledetti"

gridava il capitano marciandogli davanti"neanche gli avvoltoi vitoccherebberocarogne!"

«All'alba radunò tutti i marinaie separando quelli che si erano ribellatida quelli che non avevano preso parte

all'ammutinamentodisse ai primi che aveva proprio voglia di frustarlituttiche insomma pensava proprio di farloe

doveva farloperché l'esigeva la giustizia; ma per quella voltavista laloro tempestiva resali avrebbe lasciati andare

con un'ammonizioneche amministrò di fatti in gergo.

«"Ma quanto a voifarabutti e carogne" voltandosi ai trenell'attrezzatura"quanto a voivi farò a pezzi per le

marmitte." E afferrando un cavo l'applicò con tutta la sua forza alleschiene dei due traditorifinché quelli non urlarono

piùe piegarono esanimi le teste come i due ladroni crocifissi nellepitture.

«"M'avete fatto slogare il polso!" gridò alla fine. "Ma perte c'è ancora cavo abbastanzamio bel galletto che

non volevi cedere. Toglietegli di bocca quel bavaglioe sentiamo come sidifende."

«Per un istante il ribelle esausto mosse tremando le mascelle intorpiditeepoi girando a fatica la testa disse con

una specie di sibilo: "Ciò che ho da dire è questoe stateci beneattento: se mi frustate vi ammazzo!"

«"Davvero? E allora guarda che paura mi fai" e il capitano tiròindietro il cavo per colpire.

«"Non fatelo" sibilò l'altro.

«"Devo"e di nuovo buttò indietro la cima.

«"Allora Steelkilt sibilò qualcosa che nessuno riuscì a sentiretranne il capitano; e questicon gran meraviglia

di tuttirinculòmisurò rapidamente il ponte due o tre voltee gettandoall'improvviso la cima disse: "Noscioglietelo;

tagliate le funisiete sordi?"

«Ma mentre gli ufficiali più giovani correvano a eseguire l'ordineun uomopallido con la testa bendata li

fermò: l'ufficiale Radney. Dopo la ferita era rimasto sempre disteso nellabranda; ma quella mattinasentendo quel

tumulto sul pontesi era trascinato fuori e fino a quel momento avevaassistito a tutta la scena. La bocca era così

malconcia che a stento riusciva a parlare; ma biascicando che egli voleva epoteva fare ciò che il capitano non osava

afferrò il cavo e si accostò al nemico legato.

«"Sei un vigliacco!" sibilò l'uomo dei laghi.

«"Va benema piglia questo." E stava per colpire quando un altrosibilo gli fermò il braccio in aria. Esitòpoi

si decise e mantenne la parola malgrado la minacciaquale che fosse. Poi aitre furono tagliate le funitutti gli uomini

furono rimandati al lavoroe le pompe ripresero a sferragliaremanovratecupamente da gente di malumore.

«Quello stesso giornoappena buioquando il quarto di guardia si ritiròsottocopertasi sentì un vocìo nel

castello; e i due traditori correndo tremanti di sopra assediarono la portadella cabinadicendo che non osavano restare

in mezzo all'equipaggio. Minacceschiaffi e calci non riuscirono a farlitornare indietrosicchésecondo la loro

richiestafurono messi per sicurezza nello stellato di poppa. Ma tra laciurma non riapparvero segni di rivolta. Al

contrario pareva chesopratutto per istigazione di Steelkiltavesserodeciso di mantenere la più assoluta calmadi.100

obbedire fino all'ultimo a tutti gli ordinie quando la nave avesseraggiunto il porto di disertarla in massa. Ma allo scopo

di affrettare il più possibile il resto del viaggio si misero tuttid'accordo su un'altra cosa: di non segnalare balene caso

mai ne avvistassero. Perchémalgrado la falla e malgrado tutti gli altriguaiil Town-Ho portava sempre vedette sulle

teste d'alberoe il capitano era disposto ad ammainare dietro a un pesceproprio come al primo giorno che la nave era

entrata in zona di caccia; e l'ufficiale Radney era altrettanto pronto acambiare la sua branda per una barcae cercare con

la bocca bendata di porre alla bocca d'una balena il bavaglio della morte.

«Ma sebbene Steelkilt avesse convinto i marinai ad adottare questa specie dicomportamento passivoegli non

aveva cambiato idea (almeno finché tutto fosse finito) riguardo alla propriaprivata vendetta sull'uomo che l'aveva ferito

al cuore. Egli era nel quarto del primo ufficiale Radney; e quell'insensatoquasi cercasse di correre per più di mezza

strada incontro al suo destinodopo la scena all'attrezzatura insistettecontro l'espresso consiglio del capitano per

riprendere il comando del suo turno di notte. Su questo fattoe su uno o duealtriSteelkilt costruì sistematicamente il

suo piano di vendetta.

«Durante la notteRadney aveva un modo poco marinaresco di sedersi sullemurate del cassero e appoggiare il

braccio alla lancia che vi era appesaun po' sopra il fianco della nave.Tutti sapevano che in questa posizione a volte si

appisolava.

Tra la lancia e la nave c'era un bel vuotoe sotto il mare. Steelkiltcalcolò il tempo e vide che il suo prossimo

turno al timone sarebbe caduto alle dueil mattino del terzo giorno daquando era stato tradito. Con tutta comodità

impiegò l'attesa a intrecciare molto accuratamente qualcosa durante i suoiturni di guardia franca.

«"Che fai lì?" gli aveva chiesto un compagno.

«"Tu che ne pensi? Cosa ti sembra?"

«"Sembra un cordone per il tuo sacco; ma è un po' buffomipare."

«"Sìè buffo" disse quello dei laghistirando il braccio eguardando l'aggeggio a distanza. "Ma credo che può

andare. Piuttostocompagnonon ho spago abbastanza: tu ne hai?"

«Ma nel castello non ce n'era.

«"Allora glielo chiedo al vecchio Rad"e si alzò per andare apoppa.

«"Vai a chiedere l'elemosina proprio a lui?" fece uno.

«"E perché no? Credi che non mi darà una manovisto che alla finesto lavorando per lui?" e avvicinandosi

all'ufficiale lo guardò cheto cheto e gli domandò un po' di spago perrammendare la branda. Gli fu dato. Non si videro

più né cordone né spago; ma la notte dopomentre Steelkilt sistemavanella branda il giubbone come cuscinoquasi gli

rotolò da una tasca una palla di ferro ben fasciata di corda. Traventiquattr'ore sarebbe venuto il momento fataleil suo

turno al timone sul ponte silenziosoaccanto all'uomo che soleva appisolarsisulla fossa che sempreaperta di frescosta

a disposizione dell'uomo di mare. Nei segreti calcoli di Steelkiltl'ufficiale era già secco e stecchitoun cadavere con la

fronte spaccata.

«Masignoriuno sciocco salvò l'assassino in erba dall'atto sanguinarioche aveva progettato. Eppure fu

vendicato in pieno senza essere il vendicatore. Per fatalità misteriosasembrò che il Cielo stesso s'intromettesse per

prendere nelle sue mani l'atto di perdizione che l'uomo era pronto acommettere.

«Fu proprio tra l'alba e il sorgere del solela mattina del secondo giornomentre si lavavano i pontiche un

idiota di Teneriffa che attingeva acqua dalle landre di maestradi colpo simise a urlare: "Laggiù rolla! Laggiù rolla!"

Gesùche balena! Era Moby Dick.

«"Moby Dick!" esclamò Don Sebastian. "Ma per San Domenicosignor marinaioda quando in qua si

battezzano le balene? Chi è questo Moby Dick?"

«Un mostro bianchissimofamosomicidialissimo e immortaleDon Sebastian:ma sarebbe una storia troppo

lunga.

«"Comecome?" E tutti i giovani spagnoli fecero cerchio.

«Nosignorinono! Non posso raccontarla adesso. Lasciatemi respiraresignori miei.

«"La chichala chicha!" gridò Don Pedro. "Il nostro robustoamico ha l'aria di svenire: riempitegli il

bicchiere!"

«Non vi disturbatesignori: un attimoe vado avanti. Dunquesignoriscorgendo così improvvisamente quella

balena di neve a cinquanta iarde dalla naveil marinaio di Teneriffa avevascordato il patto e d'istintosenza volerlo

aveva segnalato il mostro con un urlosebbene da un po' di tempo i tre torviuomini di vedetta lo avessero avvistato

chiaramente. Successe uno scompiglio. "La balena bianca! La balenabianca!" urlavano il capitanogli ufficiali e i

ramponieriche incuranti della sua fama terribile non vedevano l'ora dicatturare un pesce così famigerato e prezioso;

mentre l'equipaggio testardo sbirciava di traversobestemmiandola tremendabelena di quella gran massa di latte che

colpita di piatto dallo sfolgorìo del sole scintillava e cangiava comeun'opale viva nei mare azzurro del mattino. Signori

una strana fatalità pervade tutto questo succedersi di avvenimenticome sedavvero fosse stato predisposto prima ancora

che il mondo venisse ideato. L'ammutinato era l'uomo di prua del primoufficialee una volta agganciata la balenaera

suo compito sedergli accanto mentre Radney stava in piedi a prua con lalanciae ritirare o allentare la lenza secondo gli

ordini. Per giuntaquando le quattro lance furono ammainatequella delprimo passò in testae nessuno urlava più forte

dalla gioia di Steelkilt mentre dava sotto col remo. Dopo una gran vogata illoro ramponiere agganciòe Radneylancia

in manobalzò sulla prua. Pare fosse sempre indiavolatoin una lancia. Eora sotto il bavaglio sbraitava agli uomini di

approdarlo in cima alla gobba del pesce. E ben volentieri il prodiere lospingeva avanti dentro la spuma accecante che

mescolava assieme due bianchezze; finché di colpo la lancia urtòcomecontro uno scoglio sottacquae rovesciandosi.101

sbalzò l'ufficiale che stava all'impiedi. Nel momento in cui quello piombavasul dorso viscido della balenala barca si

drizzò e fu spinta via dall'ondatamentre Radney era sbattuto in acquadall'altra parte della bestia. Cominciò a nuotare

tra la schiumae per un attimo lo videro sì e no attraverso quel velochecercava disperatamente di sottrarsi all'occhio di

Moby Dick. Ma la balena si torse e s'avventò con un improvviso vorticeafferrò il nuotatore tra le mandibolee

impennandosi alta con luisi rituffò di testa e scomparve.

«Intantoal primo urto della chigliaquello dei laghi aveva dato lenza perricadere indietro fuori del risucchio;

guardando calmo seguiva i suoi pensieri. Ma un improvviso e tremendostrattone all'ingiù della barca portò

fulmineamente il suo coltello sul cavo. Tagliòe la balena fu libera. Piùlontano Moby Dick riemersecon qualche

brandello della camicia rossa di Radney impigliato tra i denti che lo avevanodistrutto. Tutte e quattro le lance ripresero

la caccia; ma la balena sfuggì loro e finalmente sparì del tutto.

«Il Town-Ho riuscì a raggiungere un porto in tempo. Un luogo selvaggio esolitariosenza gente civile. Qui

capeggiati dall'uomo dei laghitutti tranne cinque o sei degli uomini delcastello disertarono tra le palme come avevano

deciso; e alla fine si seppe che avevano preso agli indigeni una larga doppiacanoa da guerra e avevano fatto vela per

qualche altro scalo.

«Con la ciurma ridotta a un pugno d'uominiil capitano si rivolse agliisolani perché lo aiutassero nel faticoso

lavoro di carenare la nave per turare la falla. Ma quel piccolo gruppo dibianchi fu costretto di giorno e di notte a una

tale continua vigilanza sui loro pericolosi alleatie così spossante fu illavoro che dovettero fareche quando il legno fu

di nuovo pronto a prendere il maregli uomini erano in tale stato didebolezza che il capitano non osò salpare con loro

in un bastimento così pesante. Consigliatosi con gli ufficialiancorò lanave quanto più lontano dalla riva era possibile

caricò i suoi due cannonili piazzò a pruaammucchiò i suoi fucili sulcasserettoe avvertendo gli indigeni di non

avvicinarsia loro rischioalla naveprese un uomo con sé e attrezzata lavela della lancia migliore governò col vento in

poppa verso Tahitia cinquecento miglia di distanzaper trovare rinforziall'equipaggio.

«Al quarto giorno di navigazione avvistarono una grossa canoa che parevaaccostata a una bassa isola di

coralli. Manovrarono per evitarlama il legno selvaggio si buttò allacacciae presto la voce di Steelkilt gli gridò di

mettersi in pannao lo avrebbe speronato. Il capitano tirò fuori unapistola. Con un piede su ognuna delle prue delle sue

due canoe da guerra accoppiatequello dei laghi gli rise in facciaassicurandogli che se appena faceva scattare il

grilletto l'avrebbe seppellito tra bolle e schiuma.

«"Che vuoi da me?" gridò il capitano.

«"Dove andate? E a far che?" domandò Steelkilt. "Nientebugie."

«"Vado a Tahiti a cercare uomini."

«"Benissimo. Fatemi salire un momento: vengo in pace." E cosìdicendo saltò dalla canoa e nuotò fino alla

lancia. Arrampicatosi sul capo di bandasi trovò faccia a faccia colcapitano.

«"Incrociate le bracciasignore. Alzate la testa. E ora ripetete conme. Appena Steelkilt va viagiuro di t irare la

lancia a secco in quell'isola e di restarci sei giorni. Se no mi colpisca unfulmine!»

«"Ottimo scolaro!" rise l'uomo dei laghi. "AdiosSeñor!" e saltando in acqua tornò a nuoto tra i suoi.

«Sorvegliata la lancia finché fu ben tirata a secco fino alle radici deglialberi di coccoSteelkilt tornò a fare

vela e a tempo debito arrivò alla sua destinazioneTahiti. Qui la fortunalo aiutò: due navi stavano per salpare per la

Franciae provvidenzialmente avevano appunto bisogno del numero di uominiche il marinaio capeggiava.

S'imbarcaronoe così ebbero definitivamente la meglio sul loro ex-capitanocaso mai avesse avuto l'intenzione di

ripagarli per vie legali.

«Circa dieci giorni dopo che le navi francesi salparonoarrivò la lanciae il capitano fu costretto ad arruolare

alcuni dei tahitiani più civili che avevano qualche esperienza di mare.Noleggiata una piccola goletta localetornò con

loro alla sua navee trovato tutto in ordine riprese la sua crociera.

«Dove sia ora Steelkiltsignorinon si sa; ma nell'isola di Nantucketlavedova di Radney spera ancora che il

mare si decida a renderle il suo morto; e vede ancora in sogno l'orrendabalena bianca che lo distrusse.

* * *

«"Avete finito?" disse Don Sebastian quietamente.

«Sì.

«"Allora vi pregoditemi se pensate sul serio che questa storiainsostanzasia proprio vera. È così

stupefacente! L'avete saputa da una fonte incontestabile? Scusatemi se hol'aria di insistere."

«"E scusate anche tutti noisignor marinaio: ci uniamo tutti allapreghiera di Don Sebastian" gridò la

compagnia con straordinario interesse.

«Signoric'è una copia dei Santi Vangeli nella Locanda d'Oro?

«"No" disse Don Sebastian. "Ma conosco un degno sacerdotequi accantoche ce ne farà avere una subito. Ci

vado. Ma ci avete riflettuto? Può diventare una cosa seria."

«Volete essere tanto gentile da portare anche il preteDon Sebastian?

«Allora uno del gruppo disse a un compagno: "Va bene che a Lima non sifanno più Auto-da-Fèma temo che

il nostro amico marinaio avrà noie con l'arcivescovado. Togliamoci dalchiaro di luna. Questa faccenda mi pare inutile."

«Scusatemi se vi corro dietroDon Sebastian; ma vorrei anche pregarvi diprocurare i Vangeli più grossi che si

trovano.

* * *.102

«"Ecco il sacerdoteha portato i Vangeli" disse gravemente DonSebastiantornando con una figura alta e

solenne.

«Permettete che mi tolga il cappello. Orareverendovenite più alla lucee reggete questo Sacro Libro davanti

a mein modo che lo possa toccare.

«Così mi aiuti il Cieloe sul mio onoresignorila storia che vi horaccontatonella sostanza e nelle sue grandi

lineeè vera. So che è veraed è accaduta su questa terra. Sono statosulla naveho conosciuto l'equipaggioho visto

Steelkilt e gli ho parlato dopo la morte di Radney.»

LV • DELLE FIGURAZIONI MOSTRUOSE DELLE BALENE

Vi dipingerò tra pocoquanto meglio si può senza una telaqualcosa disimile al vero aspetto della balena come

appare nella realtà all'occhio del balenierequando se ne sta ormeggiata dipersona lungo il fianco della navein modo

che le si possa facilmente calare addosso. Può quindi valere la penaintantodi occuparsi di quei suoi curiosi ritratti

immaginari che ancora oggi sfidano fiduciosi la fede della gente di terra. Èora di correggere il mondo in questa

faccendadimostrando che tutte queste figurazioni della balena sonosbagliate.

Può darsi che la prima fonte di tutti questi inganni pittorici si trovi frale più antiche sculture indùegiziane e

greche. Perché sempreda quei tempi inventivi e privi di scrupoliquandosui pannelli di marmo dei templisui

piedestalli delle statuee su scudimedaglionitazze e monete il delfinoera raffigurato con un'armatura a scaglie come

il Saladino e con l'elmetto in testa come San Giorgiosempre da allora haprevalso una certa simile licenzanon solo

nelle pitture più popolari della balenama anche in molte sue presentazioniscientifiche.

Oramolto probabilmenteil più antico ritratto esistente che in qualchemaniera intenda rappresentare una

balena si trova nella famosa caverna-pagoda di Elefantain India. I braminisostengono che nel numero quasi infinito di

sculture di quell'antichissima pagoda furono raffiguratianche secoli primache si scoprissero nella realtàtutti i mestieri

e i lavori e ogni concepibile occupazione dell'uomo. Nessuna meravigliaallora che la nostra nobile professione

balenesca vi sia stata adombrata in qualche modo. La surriferita balena indùsi trova in uno scomparto separato del

muroche rappresenta l'incarnazione di Visnù in forma di leviatanoconosciuta dai dotti come il Matse Avatar. Ma

sebbene questa scultura è mezzo uomo e mezza balenain modo da darci diquest'ultima soltanto la codaebbene anche

questa piccola parte è tutta sbagliata. Somiglia di più alla codaaffusolata di un anacondapiuttosto che alle maestose

pinne a larghe palme della vera balena.

Ma andate nelle gallerie d'arte antica e guardate ora il ritratto di questopesce fatto da un grande pittore

cristiano: non ci riesce meglio dell'antidiluviano Indù. È il quadro diGuido con Perseo che salva Andromeda dal mostro

marino o balena. Dove l'ha pescatoGuidoil modello di un animale cosìbislacco? E neanche Hogarth migliorò di un

briciolo quando rappresentò lo stesso episodio nel suo «Perseo indiscesa». L'enorme corpulenza di quel mostro

hogarthiano ondeggia alla superficiepescando sì e no un pollice d'acqua.Sulla schiena ha una specie di baldacchinoe

la sua zannuta bocca spalancata in cui si riversano le ondate si potrebbeprendere per la Porta dei Traditoriche conduce

per via d'acqua dal Tamigi alla Torre. Poi ci sono le balene nel Prodromo delvecchio scozzese Sibbalde la balena di

Giona come è disegnata nelle stampe delle vecchie Bibbie e nelle incisionidei vecchi libri di preghiere. Che ne

possiamo dire? Quanto alla balena del legatore di libriavviticchiata comeun tralcio attorno al fuso di un'ancora

calantecom'è stampata e dorata sui dorsi e sui frontespizi di tanti librivecchi e nuoviquesta è una creatura molto

pittoresca ma puramente fantasticaimitata credo dalle figure simili suivasi antichi. Benché universalmente ritenuto un

delfinoio dico nondimeno che questo pesce da legatori è un tentativo dibalenaperché balena voleva essere quando il

segno fu inventato. E lo inventò un vecchio editore italiano attorno alsecolo XVdurante il Rinascimento degli Studi; e

a quei tempie anche più in qua fino a un periodo relativamente vicinosisupponeva volgarmente che i delfini fossero

una sottospecie del Leviatano.

Nelle vignette e negli altri ornamenti di qualche vecchio libro si trovano avolte curiosissimi conati di balene

in cui ogni razza di sfiatategetti d'acquasorgenti calde e freddeSaratoga e Baden-Baden schizzano gorgogliando da

quei cervelli inesausti. Sul frontespizio dell'edizione originale del Progressodelle Scienze troveretealcune balene

curiose.

Ma lasciando tutti questi tentativi non professionalidiamo un'occhiata aquelle pitture del leviatano che

pretendono di essere disegni serii e scientifici a opera di gente che sa.Nella nota collezione di viaggi di Harris ci sono

alcune tavole di balene tratte da un libro olandese di viaggidell'A.D.1671intitolato Unviaggio allo Spitzbergen a

caccia di balene sulla nave Giona nella Balenacapitano Peter Peterson frisio.In una di queste tavole le balenecome

grandi zattere di tronchisono raffigurate immobili tra isole di ghiacciocon orsi bianchi che corrono sulle loro vive

schiene. In un'altra tavola vien fatto l'errore incredibile di rappresentarela balena con le pinne della coda perpendicolari.

C'è poi un imponente in-quartoscritto da un certo ColnettCapitano diLungo Corso nella marina inglese

intitolato Unviaggio oltre il Capo Horn nei Mari del Sud allo scopo di sviluppare la cacciaal capodoglio.In questo

libro c'è uno schizzo che vorrebbe essere la «figura di un Fisitere oBalena Spermaceticopiata su scala da un esemplare

ucciso lungo la costa del Messiconell'agosto 1793e issato in coperta».Non dubito che il capitano fece fare questa

figura verace a beneficio dei suoi marinai. Per dirne solo unaosserveròche la bestia ha un occhio che applicato.103

secondo la scala lì acclusaa un animale adultogli darebbe per occhio unbalcone di quasi cinque piedi. Ahmio bravo

capitanoperché non ci avete messo Giona che si affaccia a quell'occhio?

Né vanno esenti da simili atroci abbagli le compilazioni più coscienziosedi storia naturale indirizzate ai

giovani e innocenti. Guardate quell'opera popolare che è Lanatura animata diGoldsmith. Nell'edizione londinese

ridotta del 1807 ci sono tavole che rappresenterebbero «una balena» e «unnarvalo». Non vorrei sembrare ruvidoma

questa brutta balena somiglia di più a una troia con le zampe mozze; equanto al narvalobasta un'occhiata per chiedersi

stupiti come mai in questo secolo diciannovesimo un tale ippogrifo possaancora venir gabellato per genuino a

qualunque pubblico di scolari intelligenti.

Poinel 1825Bernard Germain conte di Lacépèdegrande naturalistapubblicò in volume un sistema

scientifico di cetologiae nel volume ci sono parecchi disegni delle variespecie di Leviatano. Non solo sono tutti

incorrettima quello del Mysticetus o balena di Groenlandia (cioè a dire labalena franca)persino Scoresbyche di

questa specie aveva lunga esperienzadichiara che non ha riscontro innatura.

Ma la posa del mazzo finale su questo covonaccio di spropositi era riservataa Federico Cuvierscientifico

fratello del famoso barone. Nel 1836 egli pubblicò una StoriaNaturale delle Balenein cui presenta ciò che secondo lui

è una figura di capodoglio. Prima di mostrare questa figura a qualsiasinantuckettesefareste bene ad assicurarvi una

rapida ritirata da Nantucket. In breveil capodoglio di Federico Cuvier nonè un capodoglio ma un melopopone.

D'accordol'autore non ebbe mai il vantaggio di fare un viaggio a balene (aitipi come lui capita di rado)ma dove

diavolo ha pescato quella figura? Forse nella stessa maniera in cui il suopredecessore scientifico nello stesso campo

Desmarestottenne uno dei suoi più genuini abortie cioè da un disegnocinese. E che mattacchioni siano questi cinesi

quando hanno una matita in manoce lo dicono molte buffe tazze coi relativipiattini.

Quanto alle balene dei pittori di insegne che si vedono pendere per le stradesui negozi dei commercianti d'olio

cosa ne possiamo dire? Sono generalmente balene alla Riccardo IIIcon gobbeda dromedari e terribilmente feroci;

fanno colazione con tre o quattro torte alla marinaracioè con tante lancepiene di marinaie le loro deformità vanno

sbattendo in mari di sangue e di blu di Prussia.

Ma questi errori molteplici nel dipingere la balena non possono meravigliarcigran chédopo tutto. Pensate! La

maggior parte dei disegni scientifici è stata fatta sull'animale arenatoequindi è venuta fedele come il disegno di un

relitto di bastimento sfondato che volesse raffigurare correttamente lastessa nobile creatura in tutto il suo vergine

orgoglio d'alberatura e di scafo. Sebbene elefanti abbiano posato per unritratto a tutto bustola balena viva finora non è

mai venuta a galla abbastanza per farsi effigiare. La balena viva in tutto ilsuo maestoso aspetto può vedersi solo al

largoin acque profondissime; quando viene a gallail suo immenso corpo ènascostocome una corazzata dopo il varo;

e fuori di quell'elementosarà eternamente impossibile all'uomo issarla dipeso nell'ariain modo da preservare tutte le

sue potenti curve e ondulazioni. E per non parlare della differenzaestremamente presumibile di contorni tra una

giovane balena lattante e un Leviatano adulto e platonicoanche nel caso cheuna di quelle giovani balene lattanti venga

issata sul ponte di una navetale è allora la sua stranaanguillescaflessuosa forma cangianteche neanche il diavolo

potrebbe fissarne l'espressione precisa.

Ma si potrebbe immaginare che dallo scheletro nudo della balena arenata siapossibile trarre indizi esatti della

sua vera forma. Niente affatto. È una delle cose più bizzarre di questoLeviatano: il suo scheletro ci dà ben poco l'idea

della sua forma complessiva. Sebbene lo scheletro di Jeremy Benthamappesocome candelabro nella biblioteca di uno

dei suoi esecutori testamentarici dà esattamente l'idea di un vecchiosignore utilitario dalla grossa frontecon tutte le

altre maggiori caratteristiche personali del Jeremynulla di simile si puòdedurre dalle ossa articolate di un leviatano. In

effetticome dice il grande Hunteril mero scheletro della balena ha con labestia rivestita e imbottita lo stesso rapporto

che l'insetto con la crisalide così paffutella che l'avvolge. Questapeculiarità si mostra in modo impressionante nella

testacome verrà incidentalmente dimostrato in qualche punto di questolibro. E si rivela anche assai curiosamente nella

pinna lateralele cui ossa corrispondono quasi esattamente alle ossa dellanostra manotogliendo solo il pollice. Questa

pinna ha quattro dita ossee regolaril'indiceil mediol'anulare e ilmignolo. Ma sono tutti racchiusi in permanenza

nella loro coltre di carnecome le dita umane in qualche coperturaartificiale. «Per quanto malea voltela balena ci

tratti» disse una volta quello spiritoso di Stubb«non si può certo direche non ci tratta coi guanti.»

Per tutte queste ragioniallorae da qualsiasi punto di vista si guardibisogna per forza concludere che il gran

Leviatano è l'unica creatura al mondo che dovrà restare senza ritratto sinoall'ultimo. Certoun ritratto può dare nel

segno più di un altroma nessuno potrà mai fare centro esattamente. Ecosì non c'è al mondo maniera di scoprire a che

cosa somigli veramente la balena. E il solo modo di avere almeno una qualcheragionevole idea del suo profilo vivo è di

andare personalmente a caccia di balene. Ma così facendo si corre non pocorischio di essere da lei sfondati e affondati

in eterno. Per cui mi pare meglio non essere troppo esigenti nel desiderio diconoscere questo Leviatano.

LVI • DELLE FIGURAZIONI MENO ERRONEE DELLE BALENE E DELLE VERE PITTURE DISCENE

DI CACCIA

A proposito delle figurazioni mostruose delle balenesento ora una fortetentazione di parlarvi di quelle loro

trattazioni ancora più mostruose che si trovano in certi tomi antichi emodernispecialmente in PlinioPurchas

HackluytHarrisCuvier e così via. Ma lasciamo perdere..104

Conosco solo quattro pubblicazioni sul Gran Capodoglio: ColnettHugginsFederico Cuvier e Beale. Nel

capitolo precedente ho accennato a Colnett e Cuvier. Il libro di Huggins èmolto migliorema quello di Beale è di gran

lunga il più perfetto. Tutti i disegni che Beale dà della balena sonobuonitranne la figura di mezzo nella vignetta delle

tre balene in varie posizioni che è in testa al secondo capitolo. Ilfrontespiziocon barche che attaccano capodogli

sebbene inteso indubbiamente a suscitare lo scetticismo garbato di qualchesalottieroè ammirevolmente corretto e

naturale nel suo insieme. Qualcuno dei disegni di capodogli nel libro di J.Ross Browne è abbastanza corretto di profilo

ma tutti sono incisi malamente. Ma questo non è colpa sua.

Della balena francai migliori profili si trovano in Scoresby; ma sono inscala troppo ridotta per dare un'idea

soddisfacente.

Di scene di caccia ce n'è solo unae questa è un'insufficienza graveperché è solo da illustrazioni come queste

quando siano ben fatteche si può ricavare una qualche idea verace dellabalena viva come appare ai suoi cacciatori

veri.

Ma tutto consideratole più bellese non le più esatte in qualchedettagliofigure di balene e scene di caccia

che si possano trovare sono due grandi incisioni francesibene eseguite etratte da quadri di un certo Garnery.

Rappresentano rispettivamente un attacco al capodoglio e uno alla balenafranca. Nella prima incisione un nobile

capodoglio è dipinto nella piena maestà della sua forzanell'atto cheemerge sotto la lancia dalle profondità dell'oceano

e leva alto nell'aria sul dorso un rovinìo terribile di tavole spaccate. Laprua della lancia è in parte intattaed è disegnata

proprio in equilibrio sulla spina del mostro; e ritto su quella pruaperquell'unico incommensurabile balenosi vede un

rematore mezzo avvolto nella sfiatata furiosa e bollente del pesceenell'atto di saltare come da un precipizio. Il

movimento di tutta la scena è meraviglioso e vero. La tinozza della lenzasemivuota galleggia sul mare bianco di spuma

gli astili di legno dei ramponi caduti in acqua vi affiorano di sbiecoe leteste dell'equipaggio che nuota sono sparse

attorno alla balena in espressioni contrastanti di terrore; mentre dal nerosfondo burrascoso la nave cala sulla scena. Si

potrebbe trovare qualche serio sbaglio nei particolari anatomici di questabalenama lasciamo starevisto che sul mio

onore non saprei disegnarne una così bene.

Nella seconda incisione la barca è nell'atto di accostarsi al fiancocirripedato di una grossa balena franca in

corsache rolla nell'acqua la sua algosa massa nera come qualche rupemuschiosa franata dalle scogliere di Patagonia.

Gli spruzzi sono drittidensineri come fuliggine: da un fumo cosìabbondante nella ciminiera si direbbe che una cena

coi fiocchi è in cottura nelle gran budella lì sotto. Uccelli di mare vannobeccando i granchiolinii crostacei e tutti gli

altri dolciumi e maccheroni di mare che la balena porta a volte sul dorsopestifero. E intanto il mostro dalle grosse

labbra si avventa nell'oceanolasciandosi nella scia tonnellate di vorticosabianca saponatae facendo sbattere la lancia

leggera sulle ondate come una scialuppa colta vicino alle ruote di untransatlantico. Cosìil primo piano è tutto un

furibondo tumulto; ma dietrocon un contrasto artistico ammirevoleci sonola vetrosa distesa di un mare in bonaccia

le vele flosce penzolanti sulla nave impotentee la massa inerte di unabalena mortauna fortezza espugnata con il

segnale di cattura che pende pigro dal palo infisso nello sfiatatoio.

Chi sia o sia stato questo pittore Garnery non lo so. Masulla mia vitaoaveva rapporti di prima mano col suo

tema o fu mirabilmente istruito da qualche baleniere di vaglia. Ci vogliono ifrancesi per dipingere un'azione. Andate a

guardare tutti i quadri d'Europae dove la trovate una tale galleria dimovimento che viva e respiri sulla telacome in

quel salone trionfale di Versailles dove il visitatore deve aprirsi la stradaa forza e caoticamente attraverso le grandi

battaglie della storia di Franciadove ogni spada pare un lampo di auroraborealee re e imperatori in arme si succedono

balenando come una carica di centauri coronati? Queste battagliere marine diGarnery non sono del tutto indegne di

trovare posto in quella galleria.

L'attitudine naturale dei francesi a cogliere il lato pittoresco delle cosesembra mostrarsi particolarmente in

quei quadri e in quelle incisioni di scene della loro pesca alla balena. Conmeno di un decimo dell'esperienza inglese

nella baleneria e della millesima parte di quella americanaessi hannotuttavia fornito alle due nazioni i soli schizzi

completi che riescano a rendere lo spirito genuino della caccia. Pare che perlo più i disegnatori inglesi e americani di

balene si accontentino di presentare il meccanismo delle cosecome ilcontorno vuoto della balena; il cheper quanto

riguarda il pittoresco dell'effettoequivale su per giù a tracciare ilprofilo di una piramide. Perfino Scoresbyil

cacciatore della franca tanto giustamente famosodopo averci dato untutto-busto stecchito della balena di Groenlandia

e tre o quattro delicate miniature di narvali e di foceneci ammannisce unaserie di classiche incisioni di alighieri

trincianti e ancorotti; e con la minuzia microscopica di un Leuwenhoecksottopone all'esame di un pubblico intirizzito

novantasei fac-simili di cristalli di neve artica ingranditi. Non che iovoglia affatto screditare l'ottimo viaggiatore (onoro

un simile veterano)ma in un campo così importante fu certo unatrascuratezza non avere procurato per ogni cristallo

una testimonianza giurata davanti a un giudice di pace groenlandese.

Oltre a quelle belle incisioni del Garneryci sono due altre stampe francesidegne di notaopera di qualcuno

che si firma «H. Durand». Una di essebenché non precisamente adatta alnostro attuale scopomerita tuttavia di essere

ricordata per altri motivi. È una quieta scena meridiana tra le isole delPacifico; una baleniera franceseall'ancora sotto

la costa in una bonacciasi fornisce pigramente d'acqua; le vele rilassatedel legno e le lunghe foglie dei palmizi nello

sfondo pendono insieme nell'aria senza vento. L'effetto è molto bellose siconsidera che la scena ci presenta gli

intrepidi cacciatori in uno dei loro rari momenti di orientale riposo.L'altra stampa è cosa del tutto diversa: la nave in

panna al largoe proprio nel cuore della vita leviatanicacon una balenafranca alle murate; il vascelloin fase di

squartamentoattraccato al mostro come a una banchina; e una lancia ches'allontana in fretta da quella scena di attività

per dare la caccia a balene in lontananza. I ramponi e le lance sono lì inposizione d'usotre rematori stanno piantando.105

l'albero nel suo bucoe a un improvviso colpo d'onda il piccolo legno sisolleva semieretto sull'acqua come un cavallo

che s'impenna. Dalla naveil fumo del supplizio della balena che bolle salecome il fumo sopra un villaggio di fucine. E

a sopravvento una nuvola nerasorgendo con promesse di piogge e di buferesembra accelerare l'attività eccitata dei

marinai.

LVII • DELLE BALENE IN PITTUREIN DENTIIN LEGNOIN FOGLI DI FERROINPIETRAIN

MONTAGNE E IN STELLE

A Londrasulla collina della Torrescendendo verso i dockspotete avere visto un mendicante sciancato (o

scrocconecome dicono i marinai) che si tiene davanti una tavola dipintache rappresenta la tragica scena in cui

perdette la gamba. Ci sono tre balene e tre lance; e una delle lance (che sisuppone contenga l'arto mancante in tutta la

sua originaria integrità) sta per essere stritolata dalle fauci della primabalena. A tutte le oremi diconoda dieci anni in

quaquell'uomo ha sorretto quel quadro e mostrato il troncone a un mondoincredulo. Ma ora è venuto il momento di

riconoscerlo onesto. In ogni casole sue tre balene valgono bene quellepubblicate a Wappinge il suo troncone è

altrettanto indiscutibile di tutti quelli reperibili nelle plaghe dell'Ovest.Ma benché sempre montato su quel podioil

nostro povero baleniere non fa mai un comizio. Con occhi bassi sta acontemplare malinconico la propria amputazione.

Per tutto il Pacificoe anche a Nantucketa New Bedford e a Sag Harborvicapita d'imbattervi in schizzi

vivaci di balene e di scene di cacciaincise dai cacciatori stessi sui dentidel capodoglioo su femminei corsetti ricavati

dai fanoni della francao su altri simili pezzi di skrimshandercome i marinai chiamano quei vari piccoli oggetti

ingegnosi che essi intagliano laboriosamente nel materiale grezzo durante leore di ozio oceanico. Alcuni di loro

posseggono scatolette di arnesi che paiono strumenti da dentista e sonospecificamente fatti per la produzione di

skrimshander.Ma in genere si arrabattano solo con i coltelli a serramanico; e con questostrumento quasi onnipotente

del marinaio vi scodellano davanti tutto ciò che volete in fatto di fantasiamarinara.

Un lungo esilio dalla cristianità e dalla civiltà riporta inevitabilmenteun uomo a quella condizione in cui Dio

lo misecioè a quello che è chiamato stato selvaggio. Un vero cacciatoredi balene è altrettanto selvaggio di un irochese.

Io stesso sono un selvaggiofedele a nessuno tranne che al Re dei Cannibalie pronto ogni momento a ribellarmi contro

di lui.

Ora una delle caratteristiche peculiari del selvaggio nelle sue oredomestiche è la meravigliosa pazienza della

sua laboriosità. Un'antica clava da guerra delle Hawaio una pagaia alancianella molteplicità ed elaboratezza di tutti i

suoi intagliè un trofeo della perseveranza umana altrettanto grande di unlessico latino. Perché quel miracoloso intrico

di trame incise nel legno è stato fatto con solo un pezzetto di conchigliarotta o con un dente di pescecaneed è costato

lunghi anni di costante applicazione.

Come per il selvaggio hawaianocosì per il selvaggio-marinaio bianco. Conla stessa meravigliosa pazienza e

con lo stesso unico dente di pescecane del suo unico povero coltelloviintaglierà un pezzo di scultura ossea non

altrettanto abilema altrettanto fitta nel suo disegno labirinticoche loscudo di quel selvaggio grecoAchille; e piena di

spirito e di fascino barbarici come le stampe di quello straordinario anticoselvaggio olandeseAlbert Dürer.

Balene di legnoo balene ritagliate in profilo nelle schegge nere del nobilelegno di guerra dei Mari del Sud

s'incontrano spesso nei castelli di prua delle baleniere americane. Certunesono fatte con molta accuratezza.

In qualche vecchia casa di campagna di quelle col tetto a timpani potretevedere balene di bronzo appese per la

coda come battenti alla porta di strada. Quando il portinaio èassonnacchiatoallora sì che ci vorrebbe una balena a testa

d'incudine. Ma queste balene battenti sono di rado notevoli come riproduzionifedeli. Sulle guglie di certe chiese

antiquate potrete vedere balene di ferro messe lì come banderuole: ma sonocosì in alto e così efficacemente etichettate

di «Non toccare»che non si possono esaminare abbastanza da vicino perdecidere sui loro meriti.

In certi angoli della terra ossuti e costolosidove ai piedi di alti espezzati dirupi giacciono massi rocciosi

sparsi sulla pianura in raggruppamenti fantasticispesso capita di scoprirefigure simili a balene pietrificate mezze

tuffate nell'erbache nei giorni di vento le assale come una risacca diverdi frangenti.

E ancoranei paesi di montagna dove il viandante è circondato di continuoda anfiteatri di vettequa e là da

qualche buon punto di vista potrete cogliere fuggitive apparizioni di profilidi balene che si stagliano lungo le creste

ondulate. Ma bisogna essere un perfetto baleniere per vederlee non solomase desiderate di rivedere quello spettacolo

bisogna badare a prendere senza errore l'esatta latitudine e longitudinedella posizione di partenzaaltrimentitanto

casuali sono simili osservazioni montaneche il punto preciso dove stavateprima richiederebbe una faticosa scoperta;

come le isole Salomone che ancora restano incognitebenché una voltacalcate dal merlettato Mendanna e descritte dal

vecchio Figuera.

Néquando il vostro soggetto vi esalta e vi dilatapotete fare a meno diavvistare grandi balene nei cieli stellati

e lance che le inseguono; come quandopiene a lungo di pensieri di guerrale nazioni dell'Est videro armate avvinte in

battaglia tra le nuvole. Così nel Nord io ho cacciato il Leviatanotutt'intorno al Polocon le rivoluzioni dei punti lucenti

che dapprima me lo avevano delineato. E sotto i fulgidi cieli antartici hoabbordato la Nave Argoe mi sono unito alla

caccia dello stellato Cetusmolto al di là di dove possono mai spingersiHydrus e il Pesce Volante..106

Con le ancore di una fregata per bitte da briglie e fasci di arpioni comesperonipotessi inforcare quella balena

e balzare ai cieli più altiper vedere se i favoleggiati paradisi con tuttele loro infinite tende si stendono davvero lassù

accampati al di fuori del mio sguardo umano!

LVIII • BRIT

Puntando a nord-est dalle Crozetts incontrammo vasti prati di britquellasostanza gialla e minuta di cui si

nutre abbondantemente la balena franca. Per leghe e leghe ci ondulò attornodi modo che ci pareva di navigare per

campi sconfinati di grano maturodorato.

Il secondo giorno avvistammo parecchie balene franche. Al sicuro da attacchida parte di una baleniera da

capodogli come il Pequodnuotavano indolenti a fauci aperte in mezzo albrit; questoaderendo alle fibre frangiate della

mirabile veneziana di quelle boccheera in tal modo separato dall'acqua cheveniva espulsa alle labbra.

Come mietitori mattutiniche a fianco a fianco avanzano lente e sconvolgentile falci nell'erba lunga e bagnata

di prati acquitrinosiquesti mostri nuotavano facendo un rumore stranoerbosomaciullante; e si lasciavano dietro

infinite strisce di azzurro su quel mare giallo.

Ma era solo il rumore che facevano tagliando il brit che ricordava in qualchemodo i mietitori. Vedute dalle

teste d'alberospecie quando si fermavano e restavano per un po' immobilile loro grandi forme nere avevano più che

altro l'aspetto di ammassi inanimati di roccia. E come nelle grandi zone dicaccia dell'India lo straniero a volte incontra

a distanza elefanti coricati sulle pianure senza neanche riconoscerliprendendoli per rialzi nudi e anneriti del terreno

così capita spesso a chi osserva per la prima volta questo tipo di leviatanidel mare. E anche quando alla fine si

riconosconola loro grandezza enorme rende difficile credere davvero chesimili masse corpulente di materia

abnormemente sviluppata possano essere impregnatein tutte le loro partidello stesso genere di vita che anima un cane

o un cavallo.

In realtà anche per altri motivi quasi non si riesce a considerare unacreatura dell'abisso con gli stessi

sentimenti che ci ispirano le creature di terra. Perchésebbene qualchevecchio naturalista ha sostenuto che tutte le

creature della terra hanno equivalenti in maree benché prendendo le coseall'ingrosso ciò possa anche esser vero

quando poi veniamo ai casi specifici dove maia esempiol'oceano ci offreun pesce che corrisponda per disposizione

alla dolcezza sagace del cane? C'è solo quel dannato pescecane che inqualche aspetto generico presenta con l'altro una

relativa analogia. Ma benchéin generela gente di terra abbia sempreconsiderato gli indigeni del mare con sentimenti

di straordinaria antipatia e ripulsione; benché noi sappiamo che il mare èun'eterna terra incognitasicché Colombo

viaggiò su infiniti mondi sconosciuti per scoprire a occidente quel suounico mondo a galla; benchésenza confrontoi

più tremendi di tutti i disastri umani da tempo immemorabile eindiscriminatamente siano capitati a diecine e centinaia

di migliaia di quelli che si sono messi in mare; benché un solo momento diriflessione ci farà capire che per quanto

l'uomo bambino si vanti della sua scienza e abilità e per quanto in unfuturo promettente questa scienza e abilità possano

crescerepureper semprefino allo squillo del Giudizioil mare loaffonderà e lo assassinerà e ridurrà in polvere la

fregata più maestosa e robusta che possa costruire; nonostante tuttoper ilcontinuo ripetersi di queste stesse

impressionil'uomo ha perduto quel senso della piena terribilità del mareche questo aveva alle origini.

La prima barca di cui leggiamo galleggiò su un oceano che con vendetta degnadi un portoghese aveva

sommerso tutto un mondosenza lasciare viva neanche una vedova. Quellostesso oceano continua ancora a rollare;

quello stesso oceano ha distrutto le navi naufragate l'anno scorso. Sicurosciocchi mortaliil diluvio di Noè non si è

ancora abbassato; esso copre ancora due terzi della dolce terra.

In che differiscono il mare e la terrache un miracolo sull'una non sia unmiracolo sull'altro? Paure

soprannaturali discesero sugli Ebreiquando sotto i piedi di Core e dei suoiseguaci la viva terra si aprì e li inghiottì per

sempreeppure oggi non un sole tramonta che il vivo mare non inghiottaesattamente alla stessa maniera navi e ciurme.

Ma non solo il mare è un tale nemico dell'uomoche dopo tutto gli èestraneoesso è anche un demonio per le

sue stesse creaturepeggiore di quel persiano che assassinò i suoi ospitiperché non risparmia la prole che esso stesso

ha figliato. Come una tigre selvaggia che rivoltolandosi nella giunglasoffoca i suoi stessi piccoliil mare scaglia contro

le rocce anche le più forti balenee le lascia lìfianco a fianco coirelitti frantumati di navi. Nessuna misericordia

nessuna legge tranne la sua propria lo controllano. Ansando e sbuffando comeun cavallo da guerra impazzito che ha

perduto il suo cavalierel'oceano senza padrone straripa per il globo.

Considerate l'astuzia del mare: come le sue creature più temute vannoscivolando sott'acquaquasi del tutto

invisibilie nascoste perfidamente sotto le più amabili tinte d'azzurro.Considerate anche lo splendore e la bellezza

diabolici di tante delle sue tribù più ferocicome le forme aggraziate edeleganti di molte specie di squali. Considerate

ancora il cannibalismo universale del marein cui tutte le creature sipredano a vicenda conducendo un'eterna guerra fin

dall'inizio del mondo.

Considerate tutto questoe poi volgetevi a questa terra verdegentile etanto docile. Considerateli tutti e dueil

mare e la terrae non scoprite una strana analogia con qualche cosa in voistessi? Perché come quest'oceano spaventoso

circonda la terra verdeggiantecosì nell'anima dell'uomo c'è un'insulareTahitipiena di pace e di gioiama circondata

da tutti gli orrori di questa semisconosciuta vita. Vi protegga Iddio! Non vispingete al largo da quell'isola; potreste non

tornare più..107

LIX • LA PIOVRA

Avanzando a rilento tra i prati di brit il Pequod continuava sempre a puntarea nord-est verso l'isola di Giava;

un soffio gentile spingeva la chigliae nella serenità circostante i suoitre alberi affusolati ondeggiavano appena appena

a quel soffio languidocome tre molli palme in una pianura. E sempreadampi intervalli nelle notti d'argento

vedevamo lo spruzzo solitario che ci allettava.

Ma una mattina azzurra e trasparentementre un'immobilità quasisovrannaturale si stendeva sull'acqua senza

accompagnarsi ad alcuna stagnante bonacciae la brunita radura di sole chesi stendeva per lungo sul mare pareva un

dito d'oro posatovi sopra per traverso che ingiungesse qualche segreto;mentre le onde felpate correvano via leggere

sussurrando assiemein questo profondo zittirsi della sfera visibile unostrano spettro fu avvistato da Daggoo che era in

cima all'albero maestro.

In distanzauna gran massa bianca affiorò pigrae alzandosi sempre di piùe districandosi dall'azzurroalla fine

scintillò davanti alla nostra prua come una valanga di neve calata frescadai monti. Smagliò così per un attimoe con la

stessa lentezza assaccò e affondò. Poi si alzò di nuovo e balenò insilenzio. Non pareva una balena; eppurepensò

Daggooche sia Moby Dick? Di nuovo il fantasma affondòma quandoricomparve il negro urlòcon un grido come

una pugnalata che svegliò ogni uomo dal suo torpore: «Làlà di nuovo!Laggiù salta! Dritto a prua! La balena biancala

balena bianca!»

Al che i marinai si precipitarono alle vareecome al tempo dello sciame leapi corrono ai rami. A capo nudo

nel sole scottanteAchab apparve sul bompressoe con una mano stesa lungaall'indietropronta a segnalare i suoi

ordini al timonieregettò l'occhio avido nella direzione che gli indicavadall'altoil braccio steso e fermo di Daggoo.

Sarà statoforseche l'apparizione ricorrente di quell'unico zampilloquieto e solitario aveva a poco a poco

influito su Achabsicché adesso era disposto a connettere l'idea didolcezza e di quiete col primo mostrarsi di quella

balena particolare che inseguiva; fose fu questoo forse fu la sua ansia atradirlo; ma appena percepì distintamente la

massa biancasubitocon rapidità nervosaordinò di ammainare.

Le quattro lance furono presto in acqua: quella di Achab era in testaetutte vogavano svelte verso la preda.

Dopo un pocosparìe mentre coi remi alzati aspettavamo che tornasse amostrarsiecco che si risollevò lenta nel punto

stesso dove era affondata. Quasi dimentichiper un pocodi Moby Dickrestammo a fissare il fenomeno più

stupefacente che i mari misteriosi abbiano finora mostrato all'umanità. Unavasta massa polposalunga e larga centinaia

di metridi uno smagliante colore cremosogiaceva fluttuando sull'acqua.Innumerevoli lunghe braccia si irradiavano

dal suo centroe si torcevano e si arricciavano come un nido di anacondacome volessero afferrare alla cieca qualsiasi

oggetto che sfortunatamente si trovasse alla loro portata. Non aveva faccia ofronte visibiliné segno immaginabile di

sensazioni o di istinti; ma ondeggiava là sui fluttiun'ombra di vitainformecome venuta a caso e non di questa terra.

Mentre con un basso rumore di risucchio la cosa tornava a scomparire a poco apocoStarbuckfissando

sempre le acque agitate dove si era immersagridò con voce scalmanata:«Quasi preferivo vedere Moby Dick e

attaccarlopiuttosto che tespettro bianco!»

«Che cos'erasignore?» disse Flask.

«La grande piovra. Sono poche le baleniere che l'hanno vistadiconoe sonotornate in porto a raccontarlo.»

Ma Achab non disse niente. Voltò la barca e veleggiò fino al bastimento.Gli altri lo seguirono in silenzio.

Quali che siano le superstizioni che il baleniere connette con la vista diquella cosacerto è che capita assai

raramente di vederlae ciò ha contribuito molto a darle un alonemisterioso. La si vede così di rado chebenché tutti

quanti la dichiarino la creatura più grande dell'oceanopochissimi hannopiù che una vaghissima.idea della sua vera

natura e forma; eppure credono che essa fornisca allo spermaceti il suo unicocibo. Perché altre specie di balene trovano

il cibo a galla e l'uomo le può vedere mentre mangianoma il capodogliotrova il suo cibo chi sa dovesott'acqua; ed è

solo per congettura che uno può dire in che cosaprecisamenteconsistaquel nutrimento. A voltequando è inseguito da

vicinoil capodoglio vomita ciò che si ritiene siano i tentacoli mozzidella piovra; e alcuni di essivenuti così in luce

superano i venti o trenta piedi di lunghezza. Si è supposto che il mostro acui appartengono questi tentacoli si aggrappi

di solito con essi al fondo dell'oceanoe che il capodogliodiversamentedalle altre balenesia fornito di denti appunto

per assalirlo e sbranarlo.

Pare ci sia qualche fondamento per credere che il grande Kraken del VescovoPontoppidan possa in fondo non

essere che la piovra. Il modo come il vescovo lo descrivedicendo che emergee riaffonda di continuocon qualche altro

dettaglio della narrazionein tutto questo i due corrispondono. Ma quantoalla massa incredibile che il vescovo gli

assegnabisogna calare di parecchio.

Alcuni naturalisti che hanno sentito parlare vagamente della creaturamisteriosa di cui parliamola includono

nella classe delle seppie; e a questa classe in realtà sembrerebbeappartenere per certi suoi caratteri esteriorima solo

come il gigante della tribù.

LX • LA LENZA.108

Con riferimento alla scena di caccia che descriverò tra pocoe anche perpoter capire meglio tutte le scene

simili presentate in altri puntidebbo parlare qui della magica e qualchevolta orribile lenza da balene.

La lenza usata dapprima in questo genere di pesca era della migliore canapaleggermente verniciata di catrame

ma senza impregnarla come si fa coi cavi comuni. Difatti il catrameusatosecondo il solitorende la canapa più duttile

in mano al cordaioe anzi rende lo stesso cavo più maneggevole al marinaioper gli usi comuni di bordo. Però

l'applicazione ordinaria di catrame renderebbe la lenza da balene tropporigida per lo stretto adugliamento cui deve

essere sottoposta; e del restocome la maggior parte dei marinai comincia aimpararedi solito il catrame non aumenta

affatto la resistenza e la durata del cavoanche se lo rende ben compatto elucido.

Negli ultimi anninella baleneria americana la corda di Manilla hasostituito quasi del tutto la canapa come

materiale da lenza; non dura quanto la canapama è più forte e molto piùsoffice ed elastica; e debbo aggiungerevisto

che c'è un'estetica in tuttoche è molto più bella della canapa e piùintonata alla barca. La canapa è un compare scuro e

tetrouna specie d'indiano; ma la manilla pare una circassa dai capellid'oro.

La lenza da balene ha uno spessore di appena due terzi di pollice. A primavista non la credereste resistente

com'è in effetti. Si è provato che ognuna delle sue cinquantuno filaccepuò reggere un peso di centoventi libbre; sicché

l'intero cavo sopporterà uno sforzo pari quasi a tre tonnellate. Comelunghezzala comune lenza da capodogli misura

poco più di duecento tese. Viene adugliata a spirale nel mastello a poppadella lancianon però come il serpentino di un

alambiccoma in modo da formare una massa rotonda a forma di caciocavallo di«fasci» o strati di spirali concentriche

ben calcatisenza alcun vuoto tranne il «cuore» o piccolo tubo verticaleche si forma nell'asse della forma di cacio.

Siccome il minimo imbroglio o nodo nel rotolo strapperebbe viainevitabilmente nello scorrere il braccio o la gamba o

l'intero corpo di qualcunosi usa la massima cautela nello stipare la lenzanel suo mastello. Ci sono ramponieri che in

quel lavoro ci mettono quasi un'intera mattinataportando sù arriva lalenza e poi facendola arrivare alla tinozza

attraverso un bozzelloin modo da evitare ogni possibile piega o nodonell'arrotolamento.

Nelle lance inglesi usano due mastelli invece di uno: la stessa lenza vienearrotolata di seguito in tutti e due. In

questo c'è qualche vantaggioperché queste tinozze gemelle sono piccole esi adattano meglio nella barcasenza

sforzarla troppo; mentre il mastello americanoche ha quasi tre piedi didiametro e un altezza proporzionatafa un

carico piuttosto voluminoso per un galleggiante le cui tavole hanno solomezzo pollice di spessore. Il fondo della lancia

è come del ghiaccio pericolosoche può reggere un peso considerevole seben distribuitoma sostiene pochissimo peso

accentrato. Quando la coperta di tela dipinta è piazzata sulla tinozzaamericanala barca sembra salpare con una enorme

torta nuziale da offrire alle balene.

Tutte e due le cime della lenza sono a vista; la punta inferiore termina inuna gassa o anello che viene sù dal

fondo lungo il fianco della tinozza e pende completamente libera sul suoorlo. Questa disposizione della punta inferiore

è necessaria per due ragioni. Primo: per facilitare l'aggiunta di una lenzaaddizionale da una barca vicina qualora il

pesce colpito scendesse tanto a fondo da minacciare di portarsi via tutta laprima lenza attaccata all'arpione.

Naturalmente in questi casi la balena vieneper così direpassata da unabarca all'altra come un boccale di birrabenché

la prima lancia stia sempre a ronzare lì accanto per dare una mano allacompagna. Secondo: questa disposizione è

indispensabile per ragioni di sicurezza comuneperché se la punta inferiorefosse in qualche modo attaccata alla lancia e

la balena svolgesse quasi d'un fulminein una boccata di fumo come fa certevoltetutta la lenza fino in fondole cose

certo non finirebbero qui: la povera lancia sarebbe indubbiamente trascinatadietro al pesce giù negli abissie in questo

caso non c'è banditore che la potrebbe ritrovare.

Prima di ammainare per la caccial'estremità superiore della lenza vieneportata a poppavia della tinozzae

datale volta attorno al ceppo che si trova in quel puntoviene riportata inavanti per tutta la lunghezza della barcain

modo da posare attraverso il giglione o impugnatura del remo di ciascunosicché batte contro il polso nella vogata.

Passa insomma tra i rematori che si alternano seduti ai capi opposti dibandafino ai passacavi o scanalature foderate di

ferro all'estrema punta aguzza della barcadove una caviglia o stecco dilegnogrosso come una comune pennale

impedisce di saltar fuori. Dal passacavo penzola un po' come un festoncino suun lato esterno della pruae poi è

riportata a bordo dove nella cassetta di prua ne vengono arrotolate dieci oventi teseche si chiamano lenza di cassetta.

Dopodichè riparte verso il capo di banda a poppae viene quindi attaccataalla sagolache è il cavo agganciato

direttamente al rampone; ma prima di questo attacco la sagola è ravvolta convari trucchetti che sarebbe troppo noioso

dettagliare.

Così la lenza avvolge tutta quanta la barca nelle sue spire complicatechesi attorcigliano e le serpeggiano

intorno quasi in ogni direzione. Tutti i rematori sono coinvolti nelle suepericolose contorsionitanto che all'occhio

timido dell'uomo di terra somigliano a dei giocolieri indiani dalle cuimembra spenzolano allegramente i serpenti più

micidiali. E nessun figlio di donna può sedersi per la prima volta tra queigrovigli di canapae pensare mentre arranca

disperato al remo che in qualsiasi momento inattesosenza che lui ne sappianienteil rampone può venire scagliato e

tutti quegli orribili contorcimenti scattare in gioco come un'istallazione difulmininessuno può stare in mezzo a tutto

ciò senza un brivido che gli fa tremare fino il midollo delle ossa come unagelatina sballottolata. Eppure quella strana

cosa che è l'abitudinecos'è che non può fare l'abitudine? Alla vostratavola di mogano non avete mai sentito battute più

allegregaiezza più gaiabarzellette più spiritose e battibecchi piùfrizzanti di quelli che si sentono sul mezzo pollice di

cedro bianco della lancia balenieramentre ve ne state cosìappesi a cappida boia; e come i sei borghesi di Calais

davanti a Re Eduardoi sei uomini della ciurma vogano dentro le fauci dellamorteognunoper così direcol suo

cappio al collo..109

Credo che ora vi basti appena un momento di riflessione per spiegarvi quelleripetute sciagure della cacciache

raramente e a caso si sentono ricordarein cui questo o quel marinaio vienetrascinato dalla lenza fuori bordo e perduto.

Perché quando scatta la lenzastare seduti in barca è come starsene sedutiin mezzo al caos di sibili di una macchina a

vapore in pieno funzionamentoquando ogni biella volanteogni albero e ogniruota vi sfiorano la pelle. Anzi è peggio:

perché non è possibile stare seduti immobili in mezzo a questi rischivisto che la barca va dondolando come una culla e

vi sbatacchia da un lato e dall'altro senza il minimo preavviso. Solo con unacerta automaticità di riflessi e con una

simultaneità di volere e azione si può evitare la fine di Mazeppadiessere trascinati dove neanche il sole stesso che

vede tutto vi può scovare più.

Inoltrecome la calma profonda e apparente che precede e preannunzia latempesta è forse più spaventosa della

tempesta stessaperché in realtà essa è solo l'involucro e la busta dellabuferae la contiene in sé come il fucile

apparentemente innocuo contiene fatalmente polverepalla e scoppio; così ilriposo aggraziato della lenzaquando

serpeggia zitta zitta fra i rematori prima di venire messa effettivamente inazioneè una cosa che contiene più terrore

veramentedi qualsiasi altro lato di questa pericolosa faccenda. Ma perchéaggiungere altro? Tutti gli uomini sono

avvolti in lenze da balene. Tutti sono nati col cappio al collo; ma è soloquando sono presi nella stretta improvvisa e

fulminea della morte che si rendono conto dei pericoli mutisottilionnipresenti della vita. E se siete davvero filosofi

anche sedendo in una lancia baleniera non vi sentirete in cuore un briciolodi paura in più di quando ve ne state seduti

la seradavanti al vostro fuocoe avete accanto non un rampone ma unattizzatoio.

LXI • STUBB AMMAZZA UNA BALENA

Se a Starbuck l'apparizione della piovra sembrò un presagio di malaugurioaQueequeg parve tutt'altro.

«Quando vedo lui polpo» disse il selvaggio affilando il rampone a pruadella sua barca sospesa alla gru

«presto vedo lui capodoglio.»

Il giorno dopo fu straordinariamente calmo e afoso. Non avendo niente dispeciale da faregli uomini del

Pequod resistevano a fatica alla forza del sonno che produceva un mare cosìvuoto. Quella parte dell'Oceano Indiano

che attraversavamo non è difatti ciò che i balenieri chiamano una zonaanimata; vi si vedono cioè meno delfiniporci di

marepesci volanti o altri vivaci abitatori di acque più emozionanti comele aree al largo del Rio de la Plata o la zona

costiera del Perù.

Era il mio turno di vedetta alla testa di trinchettoe appoggiato di spallealle sartiole di controvelaccinotutte

allentatedondolavo pigramente avanti e indietro in quella che parevaun'aria magica. Nessuna forza di volontà poteva

resisterle; perdendo coscienza in quell'umore sognantealla fine l'anima miuscì di corpoanche se il corpo continuò a

dondolarecome un pendolo molto dopo che è venuta meno la forza che glidiede l'avvio.

Prima che l'incoscienza mi invadesse del tuttoavevo notato che i marinaialle teste di maestra e di mezzana già

sonnecchiavano. Sicché alla fine penzolammo tutti e tre dall'alberaturae aogni oscillazione che facevamo rispondeva

un picchio di testa del timoniere che sonnecchiava laggiù. Anche le ondedondolavano nel sonno le loro creste indolenti

e per tutto l'ampio sopore del mare l'oriente chinava la testa all'occidentee il sole su tutti quanti.

All'improvvisomi sembrò che sotto le palpebre chiuse mi scoppiassero dellebollicine. Le mie mani si

aggrapparono alle sartie come morse. Qualche potere invisibile e benefico misalvò: con un sussulto tornai alla vita. Ed

eccoa poca distanza a sottoventonemmeno a quaranta teseun capodogliogigantesco andava rollando nell'acqua

come lo scafo capovolto di una fregatacol vasto dorso lucido di un belcolore moro che scintillava come uno specchio

ai raggi del sole. E mentre fluttuava così pigra nel trogolo del maree ditanto in tantotranquillasfiatava il suo

zampillo di vaporila balena somigliava a un solenne borghese che si fa unapipata in un pomeriggio caldo. Quella

pipatapovera balenafu l'ultima. Come toccati dalla bacchetta di un magodi colpo la nave sonnolenta e ognuno che vi

dormiva si svegliarono in pienoe da ogni parte più di una ventina di vociurlarono il grido ben notoallo stesso istante

in cui le tre urla vennero dall'altomentre lento e regolare il gran pescesfiatava nell'aria il suo spruzzo di sale

scintillante.

«Disimpegna le lance! Orza!» gridò Achab. E obbedendo al suo stessoordinesbattè la barra sottovento prima

che il timoniere potesse mettere mano alle caviglie.

Il grido improvviso dell'equipaggio doveva avere allarmata la balena; e primache le lance toccassero il pelo

dell'acquacon una svolta maestosa essa nuotò via a sottoventoma con talesicura tranquillitàe increspando l'acqua

così poco nel nuotareche Achab pensòdopotuttola balena poteva nonessersi accorta di nientee ordinò di non usare

neanche un remo e di non parlare se non bisbigliando. Cosìseduti ai capidi banda delle lance come Indiani

dell'Ontarioavanzammo a forza di pagaievisto che la bonaccia non cipermetteva di usare le vele silenziose. A un

trattomentre scivolavamo così all'inseguimentoil mostro sventagliòverticalmente la coda per quaranta piedi nell'aria

e andò giù come una torre inghiottita.

«Laggiù coda!» si gridòe subito Stubb tirò fuori un fiammifero e siaccese la pipaperché ora c'era un

momento di riposo. Quando il tempo del tuffo fu passatola balena riemerse.Adesso era davanti alla barca di Stubb il

fumatoree molto più vicina a essa che a tutte le altre barche: sicchéStubb contò sull'onore della cattura. Era ovvio

ormaiche la balena si era finalmente accorta degli inseguitori. Ogni cautosilenzio dunque non serviva più a nulla..110

Gettammo le pagaie e mettemmo rumorosamente in azione i remi. E sempretirando alla pipaStubb incitava con grida

la sua ciurma all'assalto.

Sicuronel pesce si era prodotto un gran mutamento. Tutto cosciente delpericolocorreva «a testa in fuori»e

la testa sporgeva obliqua dal pazzo fermento che faceva.

«Forzaforza ragazzi! Senza fretta. Prendetela tranquillima forza!Spingete come tuonimi spiego!» gridava

Stubb sputacchiando fumo nel parlare. «Forza ora. Palata lunga e forteTashtego. ForzaTashfiglio miobello mio

forza tutti! Ma freddifreddi come tanti cocomeriecco! Calmicalmisolospingete come la morte e i diavoli

dell'inferno! Fate saltare i morti dalle fosse a testa in suragazzi!Nient'altro. Forza!

«Uhuu! Uahii!» strillava in risposta il Capo Allegroalzando al cieloqualche antico grido di guerramentre

ogni rematore della lancia sforzata balzava involontariamente in avanti colsolo tremendo colpo di guida che infieriva

l'avido indiano.

Ma ai suoi urli selvaggi rispondevano urli altrettanto selvaggi. «Kii-hii!Kii-hii!» urlava Daggoo piegandosi

avanti e indietro sul suo banco come una tigre che misuri la gabbia.

«Ka-la! Kuu-luu!» ululava Queequegcome schioccando le labbra su un morsodi bistecca di pesce. E così con

remi e urli le chiglie fendevano il mare. Intanto Stubbche era sempre intestasempre incoraggiava i suoi uomini

all'attacco lanciando nel frattempo boccate su boccate di fumo. E quelliarrancavanosi sforzavano come disperati;

finché si udì il grido così atteso: «In piediTashtego! Dáglielo!» Eil rampone partì. «Tutto indietro!» I rematori

sciarono; nello stesso momento qualcosa sfilò caldo e fischiante sui polsidi ciascuno. Era la magica lenza. Un momento

prima Stubbsveltole aveva dato altre due volte attorno al ceppo; e daquestoper il vorticare sempre più rapidosi

levò un fumo azzurro di canapa e si mescolò alle spire che uscivanocostanti dalla sua pipa. Prima di raggiungere il

ceppo e girarvi rapida attornola lenza passava a scorticapelle tra le duepalme di Stubbdalle quali nella confusione

erano cadute le fasce o riquadri di tela imbottita che a volte si portano inquesti casi. Era come tenere per la lama la

spada a due tagli di un nemicomentre quello si sforza intanto di strapparlaalla vostra presa.

«Bagna la lenza! Bagna la lenza!» gridò Stubb al rematore di tinozza(quello seduto accanto al mastello).

L'uomo afferrò il berretto e cominciò a riempirlo d'acqua di mare. Sidiedero altre volte alla lenzache cominciò a

tenere. E ora la barca volava in mezzo all'acqua ribollentecome unpescecane tutto pinne. Stubb e Tashtego si

scambiarono i postida prua a poppa: un compito da far proprio traballare inmezzo a tante scosse e tanta agitazione.

Dalle vibrazioni della lenzache scorreva lungo tutto il filo della lanciae dal fatto che era divenuta più tesa di

una corda d'arpasi sarebbe detto che il legno aveva due chiglie: una chetagliava il mare e l'altra l'ariamentre la barca

sfrigolava simultaneamente tagliando i due elementi contrari. Una cascataincessante a pruaun continuo vortice

turbinoso nella scia; e al minimo movimento di dentroanche solo di unmignolola barca tuffava in acqua con spasimo

vibrando e scricchiolandoil suo capo di banda. Così volavanociascunoaggrappato al banco con tutta la sua forza per

evitare di essere scaraventato nella. schiuma; e l'alta figura di Tashtego sipiegava quasi in due sul remo di governoper

abbassare il proprio centro di gravità. Parve loro di attraversarementresi avventavano innanziinteri Atlantici e

Pacificifinché la balena rallentò un poco la fuga.

«Ricupera! Ricupera!» gridò Stubb al prodieree voltando la prua verso labalenatutti cominciarono a

spingere verso di essa mentre ancora la barca ne veniva rimorchiata. E appenale furono a fiancoStubb piantò fermo il

ginocchio nella rozza galloccia e cominciò a vibrare colpi su colpi allabestia in fuga. Ai suoi comandi la lancia ora

rinculava fuori portata dalle contorsioni orribili della balenaora sifaceva sotto per un altro colpo.

E adesso fiotti rossi grondavano dai fianchi dell'animale come ruscelli da uncolle. Il suo corpo tormentato non

si voltolava più nell'acqua ma nel sangueche gorgogliava e ribolliva percentinaia di metri nella loro scia. Il sole basso

che danzava su questo stagno vermiglio nel mare ne gettava i riflessi su ognifacciae ciascuno vedeva l'altro

avvampato come un pellerossa. E nel frattempo getti su getti di fumo biancoerano lanciati nell'agonia dallo sfiatatoio

della balenae violenti sbuffi su sbuffi dalla bocca dell'eccitatocapobarcamentre a ogni colpo ricuperava la sua lancia

storta per mezzo della lenza che vi era attaccatala raddrizzava con pochirapidi colpi contro il capo di bandae la

ricacciava nella balena.

«Ala! Ala!» gridò ora al prodierementre la balena esausta cominciava afiaccarsi. «Ala! Sotto!» E la barca si

affiancò al pesce. Sporgendosi tutto dalla pruaStubb cominciò ad agitarepiano piano la lancia aguzza dentro la carne

della vittimaa lungomenandola attorno con curacome se cercassecautamente di pescarvi qualche orologio d'oro che

la balena poteva avere inghiottitoe che egli temeva di rompere prima diriuscire ad agganciarlo. Quell'orologio d'oro

che cercava era la vita profonda del pesce. E di colpo la toccò: perchéscattando dal suo torpore in quella cosa indicibile

che è detta il suo convulsoil mostro rotolò terribilmente nel suo sanguesi ravvolse come pazzo in una schiuma

impenetrabile e ribollentesicché la barca fu di colpo sbalzatapericolosamente all'indietroe faticò molto a liberarsi

alla ciecada quel crepuscolo freneticoe uscire nell'aria chiara delgiorno.

E oraindebolendosi le convulsioniancora una volta vedemmo la balena chemareggiava da fianco a fianco

dilatando e contraendo spasmodicamente lo sfiatatoiocol respiro secco ecrepitante dell'agonia. Alla finefiotti su fiotti

di sangue rosso e grumosocome feccia purpurea di vino rossoschizzarononell'aria atterritae ricadendo

sgocciolarono in mare lungo i suoi fianchi immobili. Il cuore le erascoppiato.

«È mortasignor Stubb» disse Daggoo.

«Sì. Tutte e due le pipe si sono spente!» e cavandosi di bocca la suaStubb sparse le ceneri fredde sull'acquae

per un momento stette a guardare pensieroso il gran cadavere che avevafatto..111

LXII • IL LANCIO

Una parola riguardo a un particolare dell'ultimo capitolo.

Secondo le abitudini immutabili della pesca alla balenala lancia si staccadalla nave col capobarcaquello che

finisce la balenache fa temporaneamente da timonierementre il ramponiereo quello che aggancia la predavoga al

remo prodiero detto remo del ramponiere. Ora ci vuole un braccio forte enerboruto per piantare il primo ferro nel

pesceperché spessoin quello che si chiama un tiro lungoil pesanteattrezzo deve essere lanciato alla distanza di venti

o trenta piedi. Ma per quanto protratto ed estenuante l'inseguimentoilramponiere è tenuto a vogare per tutto il tempo e

col massimo sforzo. Anzi ci si aspetta che dia agli altri un esempio dienergia sovrumananon solo remando in modo

incredibilema lanciando di continuo grida alte e intrepide. E cosasignifichi continuare a gridare a squarciagola mentre

tutti gli altri muscoli vengono sforzati e mezzo slogaticosa voglia dire losanno solo quelli che l'hanno provato. Io per

esempio non ci riescoa schiamazzare a tutta forza e lavorare sfrenatamentenel medesimo tempo. In questo stato di

tensione e di sgolamentodunquecon la schiena al pescetutt'a un colpol'esausto ramponiere sente il grido che lo

incita: «In piedi e dàglièlo!» Allora deve lasciare il remoassicurarlogirare a metà su se stessoafferrare il rampone dal

forcaccioe con quel poco di forza che gli sarà rimasta ingegnarsi apiantarlo bene o male nella balena. Nessuna

meraviglia seprendendo in blocco tutta la flotta balenierasu cinquantabuone occasioni per un lancio neanche cinque

riescono. Nessuna meraviglia che tanti sfortunati ramponieri siano copertid'improperi e degradati; che qualcuno di loro

finisca in realtà per farsi scoppiare in barca qualche vaso sanguignochecerti cacciatori di capodogli stiano fuori

quattro anni per quattro bottie che per molti armatori la caccia allabalena non sia che un passivo: perché è il

ramponiere che fa la cacciae se gli si leva il fiatonon si può poipretendere di trovarglielo dentro quando è più

necessario.

Ma c'è dell'altro: se il lancio riesceallora al secondo momento criticocioè quando la balena comincia la sua

corsail capobarca e il ramponiere si mettono tutti e due a correre da unapunta all'altra del legnomettendo in pericolo

immediato se stessi e gli altri. È allora infatti che si scambiano di postoe il capobarcache comanda il piccolo legno

prende il posto che gli tocca a prua.

Orasostenga il contrario chi vuoletutto questo è insieme stupido einutile. Il capobarca dovrebbe stare a prua

dal principio alla finedovrebbe essere lui a vibrare rampone e lanciaenon si dovrebbe affatto pretendere che remi

tranne in casi di emergenza ovvii a ogni pescatore. So che questoimporterebbe alle volte qualche piccola perdita di

velocità nell'inseguimento. Ma una lunga esperienza su varie baleniere dipiù di una nazione mi ha convinto che nella

caccianella gran maggioranza dei fallimentidecisamente la causa non èstata tanto la velocità della balena quanto

piuttostola surriferita stanchezza del ramponiere.

Per assicurarsi la massima efficacia nel tiroi ramponieri di questo mondodebbono scattare in piedi da uno

stato di ozioe non da uno di fatica.

LXIII • IL FORCACCIO

Dal tronco nascono i ramidai rami i ramoscelli. Così spuntano i capitoliquando il tema è fecondo.

Il forcaccio al quale ho alluso in una delle pagine precedenti merita unamenzione a parte. È un bastone a

tacche di forma specialelungo circa due piediinserito verticalmente nelcapo di banda a drittavicino alla pruain

modo da formare un appoggio per l'estremità di legno del ramponela cuialtra cimanuda e puntutasporge

obliquamente dalla prua. Così l'arma è subito alla portata del lanciatoreche l'afferra dal sostegno con la stessa velocità

di un pioniere che stacca il futile dal muro. Di solitonel forcaccio stannopronti due ramponichiamati rispettivamente

primo e secondo ferro.

Ma questi due ramponiciascuno per mezzo della sua sagolasono unitiassieme alla lenzae lo scopo è questo:

piantarli tutti e duese possibilel'uno subito dopo l'altronella stessabalenadi modo che se nel traino che segue l'uno

dovesse venire fuoril'altro tenga sempre la presa. È un raddoppiare leprobabilità. Ma molto spesso capita che a causa

della fuga istantaneaviolenta e convulsa della balena appena riceve ilprimo ferrodiventa impossibile al ramponiere

per quanto sia fulmineo nei suoi movimentipiantarle in corpo il secondo.Peròvisto che il secondo rampone è già

attaccato alla lenza e la lenza scorrene consegue che in ogni caso bisognagettare quell'arma fuori bordo in tempo

dove capiti e in qualsiasi modo; altrimenti tutti verrebbero coinvolti nelpiù terribile dei rischi. Perciò in questi casi si

butta il ferro in acqua: e le duglie d'avanzo della lenza di cassetta(ricordata in un capitolo precedente) rendono possibile

farlodi solitosenza pericolo. Ma quest'azione critica non va semprescompagnata dalle disgrazie più tristi e fatali.

Inoltre dovete sapere che quando il secondo ferro viene buttato fuori bordoda quel momento diventa un

terrore vagante e affilato che va corvettando capricciosamente attorno allalancia e alla balenache imbroglia e taglia le

lenze e semina sconcerto da ogni lato. Nédi solitoè possibileripescarlo se non quando la balena è presa e stecchita.

Pensate dunque a ciò che succede quando quattro barche danno addosso tutteassieme a qualche balena robusta

vivace e astuta più del solito. Quandoa causa di quelle qualità e deimille altri imprevisti che capitano in queste azioni

temerarieotto o dieci di quei secondi ferri le vanno saltando attornoliberi e simultanei. Perché naturalmente ogni.112

lancia è munita di parecchi ramponi da ammanigliare alla lenza nel caso cheil primo si perda in un lancio a vuoto. Tutti

questi dettagli li riferisco qui fedelmenteperché serviranno a chiarireparecchi passi assai importantie anche assai

intricatinelle scene che descriverò in seguito.

LXIV • STUBB A CENA

La balena di Stubb era stata uccisa a qualche distanza dalla nave. C'erabonaccia. Perciòfacendo un traino di

tre barchecominciammo il lento lavoro di rimorchiare il trofeo al Pequod. Eoramentre noi diciotto con le nostre

trentasei braccia e centottanta tra pollici e altre dita sudavamo lentilentiore su oresu quel cadavere inerte e pigro nel

maree quasi pareva che quello non si muovesse affattose non a lunghiintervalliavemmo in pieno la prova

dell'immensità della massa che tiravamo. Perché sul gran canale di Hang-Hoo come diavolo si chiamain Cinaquattro

o cinque operai sul sentiero tirano una grossa giunca carica alla media di unmiglio l'ora. Ma questo gran galeone che

rimorchiavamo avanzava appenacome fosse stipato di pani di piombo.

Scese il buio; ma tre luciin alto e in basso sull'attrezzatura di maestrodel Pequodci guidavano fioche; sinché

avvicinandoci di più vedemmo Achab che appendeva alla murata la prima divarie altre lanterne. Dette un attimo

un'occhiata vacante alla balena a gallaci ordinò come al solito diassicurarla per la nottepoi passò la sua lanterna a un

marinaiose ne andò giù in cabina e non riapparì che al mattino.

Nel dirigere la caccia di questa balena il capitano Achab aveva mostratodiciamo cosìla sua solita vivacità.

Ma ora che la bestia era mortapareva che gli lavorasse dentro come una vagainsoddisfazioneo impazienza o forse

disperazione: come se la vista di quel corpo morto gli ricordasse che MobyDick era ancora da uccideree anche se

mille altre balene fossero portate alla navetutto ciò non avrebbe avanzatodi un dito il gran disegno che gli si era fissato

in testa. Un po' dopodai rumori sui ponti del Pequod si sarebbe detto chetutti si preparassero a gettare l'ancora in alto

mare: pesanti catene venivano trascinate in coperta e gettate fragorosamentedai portelli. Ma con quei tintinnanti

ormeggi non la navema lo stesso cadavere doveva venire ancorato. Legata perla testa alla poppa e per la coda alla

pruaora la balena giaceva col suo scafo nero accanto allo scafo della navee viste nel buio della notte che nascondeva

gli alberetti e le alte alberaturele duenave e balenaparevano aggiogateassieme come vitelli colossalil'uno seduto e

l'altro in piedi.

Se quel triste Achab se ne stava tutto quietoalmeno per quanto se ne potevasapere sul ponteil secondo

uffidale Stubbeccitato dalla vittoriatradiva un'irrequietezza insolita masempre bonaria. Era tanta questa sua inaudita

agitazioneche il posato Starbucksuo superioregli rassegnò tacitamenteper il momentotutta la direzione dei lavori.

Ben presto si precisò un piccolo curioso motivo che contribuiva a provocaretutta quella vivacità di Stubb. A Stubb

piaceva trattarsi bene; gli piaceva un po' troppo la balenacibogustosissimo per il suo palato.

«Una bisteccauna bistecca prima di andare a letto! Daggoo! Calati giù etagliamene una dal piccolo!»

Bisogna sapere che questi feroci pescatori di solito non seguono la granmassima militaresca di far pagare al

nemico le spese della guerra (almeno prima di incassare i guadagni delviaggio); peròogni tantosi trova qualcuno di

questi nantuckettesi che ha una vera passione per quella specifica parte delcapodoglio indicata da Stubbche

comprende l'estremità affusolata del corpo.

Verso mezzanotte la bistecca fu tagliata e cotta; e alla luce di due lanterned'olio di spermaceti Stubb attaccò

vigorosamente la sua cena di capodoglio sulla bitta dell'arganocome sequell'argano fosse una credenza. Né Stubb era

il solo a banchettare con carne di balenaquella notte. Mescolando i propribiascicamenti con le sue masticazioni

migliaia e migliaia di pescicani si affollavano attorno al leviatano mortoecon grandi schiocchi di labbra facevano festa

sul suo grasso. I pochi che dormivano giù nelle cuccette erano spessosvegliati di soprassalto dai secchi schiaffi delle

code contro lo scafoa pochi pollici dai loro cuoriSporgendosi dallemuratesi poteva intravederlicome prima sentirli

avvoltolarsi nelle acque nere e tetree rovesciarsi di schiena nellostrappare grossi brani rotondi di carnegrandi come

una testa umana. Questa speciale abilità del pescecane pare quasiincredibile. Come possano riuscire a scavare bocconi

così simmetrici da una superficie in apparenza così inafferrabilerestauna parte del problema dell'universo. Il marchio

che così lasciano sulla balena somiglia più che altro al vuoto fatto dalfalegname quando trapana per piantare una vite.

Si sain mezzo a tutto l'orrore fumante e alle diavolerie di una battaglianavalesi vedono i pescicani tenere

d'occhio avidamente i ponti delle navicome cani affamati attorno a untavolo dove si trincia carne rossapronti a

ingollare ogni morto ammazzato che gli si butti. E mentre gli intrepidimacellai sul tavolato si vanno tagliando

cannibalescamente a vicenda la carne viva con trincianti tutti dorati einfiocchettatianche loroi pescicanicon le loro

bocche incastonate di gioiellisi vanno azzuffando sotto il tavolo ascalcare carne morta. In fondoa rovesciare tutta la

faccendasu per giù è sempre la stessa storiacioè una cosa da squalipiuttosto repellente da ambo i lati. Si sa pure che i

pescicani sono gli immancabili lacchè di tutte le navi negriere cheattraversano l'oceanoe ai cui fianchi essi trottano

sistematicamenteper essere alla mano nel caso ci sia da portare qualchepacco in qualche posto o da seppellire

decentemente uno schiavo morto; e potremmo ancora aggiungere qualche altrosimile esempio riguardo ai modiai posti

e alle occasioni nei quali i pescicani si radunano più socievolmente ebanchettano più festosi. Ma non si può

immaginare tempo e occasione migliori per trovarli in schiere più sterminatee in disposizione d'animo più allegra e

gioviale che attorno a una balena mortaormeggiata di notte a una balenierain alto mare. Se non avete mai visto quello.113

spettacolosospendete ogni vostra decisione sulla convenienza di rendereculto al diavolo e sul vantaggio di farselo

amico.

Ma per il momento Stubb non badava ai borbottii del banchetto che gli sisvolgeva così da pressopiù che i

pescicani non badassero allo schiocco delle sue labbra da epicureo.

«Cuococuoco! Dove diavolo è il vecchio Caprone?» gridò finalmenteallargando di più le gambe come a farsi

una base più sicura per la cenae vibrando nello stesso tempo la forchettanel piatto come se desse un colpo di lancia.

«Cuocoehi cuoco! Naviga da questa partecuoco!»

Il vecchio negrocerto non molto contento di essere già stato costretto asaltare dalla sua tiepida branda a

un'ora tanto impossibilearrivò arrancando dalla sua cambusa: come moltinegriaveva un po' rovinate le padelle dei

ginocchiche non teneva così bene sgrassate come le altre sue padelle. Ilvecchio Capronecome lo chiamavanoarrivò

strascicando e zoppicandoaiutandosi nel passo con le mollefatterozzamente con cerchi di ferro raddrizzati. Avanzava

a faticail vecchio Ebanoe in obbedienza all'ordine venne a piantarsidall'altro lato della credenza di Stubb. Poi unì le

due mani sul suo bastone a due gambe e curvò ancora di più la sua ricurvaschienapiegando nello stesso tempo la tes ta

da un latoin modo da sfruttare il suo orecchio migliore.

«Cuoco» disse Stubbportando rapido alla bocca un pezzo di carnepiuttosto rosseggiante«non credi che

questa bistecca sia un po' troppo cotta? L'hai battuta troppocuoco: ètroppo tenera. Non ti dico sempre che per essere

buona una bistecca di balena dev'essere duretta? Guarda quei pescicani lìfuori bordo: non lo vedi che la preferiscono

dura e al sangue? Che bordello che fanno! Va' a dirglielocuoco; digli chepossono senz'altro servirsi civilmente e con

moderazionema debbono stare zitti. Per la miserianon riesco neanche asentire la mia voce. Avanticuocovaglielo a

dire. Quaprendi la lanterna»e ne afferrò una dalla credenza. «Muovitifagli questa predica.»

Il vecchio Caprone prese torvamente la lanterna che gli si porgeva e zoppicòper il ponte fino alla murata; poi

gettando luce sul mare in modo da avere un buon panorama del suo pubblicobrandì solennemente le molle con l'altra

mano e sporgendosi tutto dalla banda cominciò a rivolgersi agli squalibiascicandomentre Stubb gli scivolava dietro

pian piano per sentire cosa diceva.

«Compagni animali: mi viene ordinato di dirvi di smettere questo casino. Cisentite? Mastro Stubb dice che

potete riempire le vostre pance fetenti fino alla botolama perdio bisognafinire questo casino!»

Qui intervenne Stubb: «Cuoco»e accompagnò la parola con una botta disorpresa sulla spalla. «Cuoco! Possa

restare accecatoche bisogno hai di bestemmiare in quel modo quandopredichi? Che modo è questo di convertire i

peccatoricuoco!»

«Chiio? Allora predica tu»e si voltò incupito per andarsene.

«Ma nocuoco. Continuacontinua pure.»

«Be' allora: compagni animali amatissimi...»

«Bravo!» approvò Stubb«con le buoneprova con le buone.» E Capronecontinuò:

«Pescicani sietee morti di fame per natura. Ma vi dicocompagnichequesta fame lupigna... la volete

smettere con quelle code perdio! Non mi potete sentirecancherosecontinuate con tanti morsi e picchi.»

«Cuoco!» gridò Stubb prendendolo per il collo«niente bestemmie. Parlada gentiluomo.»

E la predica procedette:

«La vostra fame lupignafratellinon ve la rimprovero certo: è la naturae natura non si cambia; ma un po' di

freno a questa natura diabolicaè questo che dico. Pescicani sietenonc'è dubbio. Ma se al pescecane di dentro ci

mettete una cavezzaperdio allora siete angeli; perché un angelo non èaltro che un. pescecane ben controllato. Ora

sentite quafratelliun pochino di educazione quando vi servite di balena.Non strappate quel grasso di bocca al

compagnodico. Ognuno di voi pescicani ha uguale diritto a questa balenano? Che anziperdionessuno ne avrebbe

dirittovisto che la balena appartiene a qualcun altro. Lo so che qualcunodi voi ha una boccaccia cosìpiù grossa degli

altri; ma bocca grossaalle voltesignifica pancia piccola: sicché labocca grossa non è fatta per ingollarsima per

tagliare grasso a fette per i pescicani più piccoliche non ce la fanno acacciarsi sotto e servirsi in mezzo a questo

bordello.»

«Benonevecchio Capro!» gridò Stubb«questo si chiama cristianesimo!Va' avanti.»

«Inutile andare avanti: quei cani dannati continuano a pestarsi e farecagnaraMastro Stubb: non sentono una

parola. Inutile predicare a questi ghiottoni dannatidiciamofinché nonhanno riempito le pancee quelle pance sono

sfondate; e quando le riempiononeanche allora vi sentonoperché situffano nel mare e vanno subito a dormire sui

corallie non sentono più nientemai più nienteper sempre.»

«Sull'anima miala penso quasi come te; dàgli la benedizione alloraCapronee io torno a cena.»

Caprone stese tutte e due le mani sulla marmaglia dei pescialzò la vocestridula e gridò;

«Dannati fratelliammazzatevi pure a vostro gradimentoriempite le panceschifose finchè scoppianoe

crepate.»

«Oracuoco» disse Stubb rimettendosi a cena all'argano«mettiti lìdov'eri primalì avantie fammi bene

attenzione.»

«Tutto attenzione» fece l'altro curvandosi sulle molle nella posizionevoluta.

«Bene.» E Stubb si servì abbondantemente. «Torno ora al tema di questabistecca. In primo luogoquanti anni

haicuoco?»

«Che c'entra con la bistecca?» disse il vecchio negrotestardo.

«Silenzio! Quanti anni haicuoco?».114

«Una novantinadicono» brontolò cupo.

«E hai vissuto in questo mondo quasi cent'annicuocoe ancora non saicucinare una bistecca di balena?»

Dopo l'ultima parola ingoiò fulmineo un'altra boccatasicché il bocconeparve continuare la domanda. «Dove sei nato

cuoco?»

«Dietro la botola del traghetto che traversa il Roanoke.»

«In un traghetto! Che buffo! Ma io voglio sapere in che paese sei natocuoco.»

«Te l'ho detto: Roanoke!» strillò l'altro.

«Nocuoconon l'hai detto. Ma a questo volevo arrivare: devi tornartene altuo paese e nascere un'altra volta

visto che non sai ancora cucinare una bistecca di balena.»

«Possa crepare se ne cucino un'altra» grugnì il cuoco rabbiosoe sivoltò per andarsene.

«Torna indietrocuoco. Quadammi le molle. Ora prendi questo pezzo dicarne e dimmi se ti pare che questa

bistecca sia cotta a dovere. Prendiladico»e gli avvicinava le molle:«prendi e assaggia.»

Per un momento il vecchio negro schioccò piano le labbra vizze sulla carnepoi brontolò: «Bistecca più buona

mai assaggiato: succosamolto succosa.»

«Cuoco» disse Stubb tornando a servirsi«appartieni a qualche chiesa?»

«Chiesa?» fece quello cupo«una voltaa Capetownpassai davanti a unachiesa.»

«E tu passi una volta sola in vita tua davanti a una santa chiesa diCapetowndove senza dubbio hai sentito un

santo parroco chiamare i suoi ascoltatori "miei amati fratelli"nocuoco? e con tutto questo vieni qui a raccontarmi una

mostruosa menzogna come hai appena fattoeh?» disse Stubb. «Dove credi cheandrai a finirecuoco?»

«Finirò presto a letto» brontolò voltandosi a metà.

«Stai fermo! In panna! Voglio dire quando crepicuoco. Una domandaterribile. Che rispondi?»

«Quando questo vecchio negro muore» disse il vecchio pianocambiandotutta la sua aria e il suo contegno

«lui da sé non andrà in nessun posto. Ma qualche angelo benedetto verrà aprenderlo.»

«A prenderlo? Come? In un tiro a quattrocome successe a Elia? E perportarlo dove?»

«Là sopra» disse il negro sollevando dritte le molle sulla testaetenendovele con molta solennità.

«Insommaquando crepipensi di salire in coffaeh cuoco? Ma non lo saiche più alto sali e più freddo ci fa?

Sulla coffa di maestrovero?»

«Non ho detto questo» fece il negrotetro di nuovo.

«Hai detto lassùno? E ora guarda tu stesso dove puntano le tue molle. Maforse t'immagini di salire in cielo

sgusciando per il buco del gattocuoco. Eh no! Nocuoconon ci arrivi disicuro se non per la via regolaresu per

l'attrezzatura. Brutto affarema necessario: non c'è altra strada.Comunquefinora in cielo non ci siamoné tu né io.

Butta quelle mollecuocoe stai a sentire i miei ordini. Ci senti? Cappelloin una mano e l'altra schiaffata sul cuore

quando io do ordinicuoco! Come! Ce l'hai lì il cuore? Lì c'è lostomaconecuoco! Arrivaarriva! Ecco làora ci sei.

Tienila lì sopra e fai attenzione.»

«Attenzione» fece il vecchio negrotenendo le mani come l'altro voleva etorcendo invano il capo grigio

come per mettere avanti tutt'e due le orecchie nello stesso tempo.

«Be' dunquecuococome vediquesta tua bistecca di balena era cosìcattiva che l'ho tolta di mezzo quanto più

presto ho potuto: lo hai vistono? Bene: per il futuroquando dovraiarrostire un'altra bistecca per la mia tavola

personalequesto argano quiti dico come devi fare per non rovinarlacuocendola troppo. Tieni la bistecca con una

manoe con l'altra mostrale un carbone acceso; fatto questo la puoi servirecapito? E domanicuocoquando

squarteremo la balenaattento a trovarti a portata di mano per beccare lepunte delle pinne e metterle in salamoia.

Quanto alle cime di coda bisogna marinarlecuoco. Ora te ne puoi andare.»

Ma il negro si era appena allontanato di tre passi che fu richiamato.

«Cuocofammi le polpette domani a cena nel quarto di nottesiamo intesi?Ora fila pure. Eilàferma! Un

inchino prima di andare. E senza muoverti. Polpette di balena a colazionenon lo dimenticare.»

«Per Diopotesse la balena mangiare luiinvece che lui la balena.Sull'anima miaè più pescecane lui che

mastro pescecane stesso» brontolava il vecchio zoppicandosene via. E conquesta saggia riflessione se ne tornò alla

branda.

LXV • LA BALENA COME PIATTO

Che un essere umano si nutra della creatura che gli nutre la lampadae comeStubb ne mangiper così direalla

sua stessa lucesembra tanto strano che bisogna entrare un po' nella storiae nella filosofia della cosa.

È documentato che tre secoli fain Franciala lingua della balena eraconsiderata un piatto assai raffinatoe

raggiungeva prezzi alti. E inoltre che ai tempi di Enrico VIII un certo cuocodi corte ottenne una bella ricompensa per

avere inventato una salsa squisitada mangiarsi col porco marino allospiedo: ricorderete che quella bestia è una specie

di balena. Di fattoancora oggi i porci di mare sono considerati unaleccornia. La carne è preparata a polpette grosse più

o meno come palle da biliardoe queste polpette ben condite e speziate sipossono scambiare per polpette di tartaruga o

di vitella. Gli antichi monaci di Dunfermline ne erano molto golosi. Godevanodi una grossa concessione di porci

marini da parte della Corona..115

La verità è chealmeno tra i suoi cacciatorila balena sarebbeconsiderata da tutti un piatto finissimo se non ce

ne fosse tanta a disposizione; ma doversi sedere davanti a un pasticcio dicarne lungo quasi cento piedivi porta via

l'appetito. Solo i più spregiudicati come Stubb mangiano oggi balene cotte;ma gli Eschimesi non sono tanto

schizzinosi. Sappiamo tutti che vivono di balenee fanno ottimi raccolti diolio vecchio di balena di prima qualità.

Zograndauno dei loro dottori più famosiraccomanda le fette di grasso peri bambinicome cibo straordinariamente

succoso e nutriente. E questo mi ricorda che certi inglesimolto tempo faabbandonati per caso in Groenlandia da una

balenieravissero in realtà per parecchi mesi dei rimasugli ammuffiti dibalene lasciati a secco dopo averne ricavato il

grasso. Tra i balenieri olandesi questi rimasugli sono chiamati«frittelle»; e davvero ci somigliano moltoperché sono

bruni e croccantie d'odore un po' come le ciambelle o bomboloni dellevecchie massaie di Amsterdamquando sono

fresche. Hanno un aspetto così appetitosoche il più ascetico deivisitatori si trattiene a stento dall'allungarvi le mani.

Ma ciò che svilisce ancora di più la balena come piatto civile è la suaeccessiva ricchezza di grasso. Essa è il

gran bue-modello del maretroppo grasso per avere un sapore delicato.Guardatele la gobbache sarebbe altrettanto

ghiotta di quella del bufalo (piatto raro) se non fosse una così compattapiramide di grasso. Ma lo spermaceti stesso

com'è soffice e cremoso! Come la polpa biancatrasparente e mezzagelatinosa di una noce di cocco al terzo mese di

maturazioneeppure troppo grasso per fornire un surrogato del burro.Tuttavia molti balenieri hanno l'abitudine di

impregnarne qualche altra sostanza e poi mangiarla. Nei lunghi quartinotturni alle raffinerieè comune tra i marinai

inzuppare la galletta nelle grosse marmitte d'o lio e lasciarvela friggere unpoco. Ho cenato egregiamente parecchie volte

in questa maniera.

Nel caso di un piccolo capodoglioil cervello è considerato un buon piatto.Lo scrigno del cranio viene

spaccato con una accettane vengono tratti i due lobi biancastri e molli(che somigliano perfettamente a due grossi

pasticci)vengono mescolati con farinaed escono dalla cottura come unadeliziosa poltiglia che ricorda un po'come

gustola testina di vitellola quale tra certi epicurei passa per un piattosquisito; e tutti sanno che certi giovanottoni

epicureia forza di mangiare cervelli di vitellofiniscono per avereanch'essi un po' di cervello personaletanto da

potere distinguere una testa di vitello dalla propria: il che richiede inveroun discernimento non comune. È questo il

motivo per cui un giovane epicureomesso davanti a una testa di vitellodall'aria intelligenteè in certo qual modo uno

degli spettacoli più malinconici che ci siano. La testa ha quasi l'aria dirimproverarlocome volesse dirgli: «Et tu

Brute!»

Ma forse non è solo per l'estrema untuosità della balena che i terricolisembrano ritenerla un cibo ripugnante.

Questo fatto potrebbe derivare in certo senso dalla considerazione che horiferita: che un uomocioèdebba mangiare

una creatura marina appena ammazzatae debba mangiarla per giunta alla luceche essa stessa gli fa. Ma senza dubbio il

primo uomo che uccise un bue fu considerato un assassino; forse fu impiccato;e se fosse stato processato da buoi lo

sarebbe stato certamente; e certo se lo sarebbe meritato come un assassinoqualunque. Andate al mercato delle carni la

sera di sabato e guardate le folle di bipedi vivi che stanno a fissare lelunghe file di quadrupedi morti. Non è uno

spettacolo da far cadere i denti a un cannibale? Cannibale? Chi non è uncannibale? Vi assicuro che se la caverà meglio

un figiano che abbia messo sotto sale in cantina un missionario magroperfar fronte al pericolo di una carestia; se la

caverà meglio quel previdente figianodiconel giorno del giudiziochenon tughiottone incivilito e illuminato che

inchiodi per terra le ochee banchetti coi loro fegati gonfi nel tuo patéde fois gras.

Quanto a Stubbegli mangia la balena alla luce del suo oliono? E questoaggiunge le beffe al dannovero?

Guarda lì il manico del tuo coltelloghiottone incivilito e illuminato chestai pranzando col bue arrosto: di che cosa è

fatto quel manico? Di che cosase non delle ossa del fratello del bue stessoche stai mangiando? E con che cosa ti

stuzzichi i denti dopo avere divorato quell'oca grassa? Con una penna dellostesso volatile. E con che penna redige

ufficialmente le sue circolari il Segretario della Società per laSoppressione delle Crudeltà contro i Paperi? Solo da un

mese o due quella società ha votato una decisione di non raccomandare chepenne d'acciaio.

LXVI • IL MASSACRO DEI PESCICANI

Nella pesca baleniera del Sudquando un capodoglio catturato viene spintoalla nave a sera tardacon un

lavoro lungo e faticosonon si usaalmeno in generepassare senz'altro allavoro di squartamento. Perché quest'ultimo è

faticosissimoimpossibile a finirsi rapidamentee richiede il concorso ditutti gli uomini. Quindi l'uso comune è di

imbrogliare tutte le veleassicurare la barra sottovento e mandare gliuomini giù a dormire fino all'albapurché si

tengano sempre i quarti alle ancore: e cioè l'equipaggioa coppieogni oraa turnodeve salire in coperta e controllare

che tutto sia in ordine.

Ma a voltespecie in mezzo al Pacificosulla linea dell'equatorequestatecnica non funziona affatto. Bande

così innumerevoli di pescicani si raccolgono attorno alla carcassaormeggiatache a lasciarla così per sei ore tutte di

filaal mattino si troverebbe poco più che lo scheletro. In quasi tutte lealtre parti dell'oceanodove questi pesci sono

meno abbondantila loro voracità strepitosa può a volte venire frenatasensibilmente col rimescolarli vigorosamente con

le taglienti vanghe da balena; ma è un procedimento che in qualche casosembra solo stimolarli a un'attività ancora più

frenetica. Comunquecoi pescicani del Pequod non andò così; sebbene nonc'è dubbio che uno non abituato a spettacoli

del genere avrebbe potuto pensareguardando fuori banda quella nottechetutto l'ampio mare fosse un enorme

formaggioe i pescicani i vermi che ci stavano dentro..116

Tuttavia quando Stubbfinita la cenamise la guardia all'ancorae diconseguenza Queequeg e uno del castello

vennero su in copertatra i pescicani si produsse non poca agitazione;perché i due marinai sospesero subito alla banda

le impalcature per squartareabbassarono tre lanterne in modo che gettasserofasci di luce sul mare torbido e poi

vibrando le lunghe lance da balenacominciarono una strage incessante disqualicacciando fino in fondo l'acciaio

affilato nei loro craniche pare siano l'unica loro parte vitale. Ma nellaribollente confusione di quelle schiere che si

mescolavano e si dibattevanonon sempre i tiratori riuscivano a colpire nelsegno; e questo rivelava altri aspetti della

ferocia incredibile dei loro nemici. Essi non solo azzannavano brutalmente ivisceri sbudellati dei compagnima si

piegavano come archi flessibili e si mordevano i proprifinché gliintestini parevano inghiottiti e ringhiottiti dalla stessa

bocca per essere poi riversati dall'altro lato attraverso la ferita aperta. Enon era tutto. Era pericoloso avere a che fare coi

cadaveri e gli spettri di quelle creature. Pareva che nascondessero nellegiunture e nelle ossa una specie di vitalità

generica o panteisticadopo che se n'era andata ciò che potremmo chiamarela vita individuale. Ucciso e issato a bordo

per levargli la pelleuno di questi pescicani per poco non portò via unamano al povero Queequegquando questi cercò

di chiudere il morto labbro di quella mascella assassina.

«A Queequeg non importa quale dio fece lui pescecane» diceva il selvaggiosbattendo su e giù la mano per il

dolore. «Dio delle Figi o dio di Nantucketquesto dio che fece il pescecanedev'essere un indiano maledetto.»

LXVII • SQUARTAMENTO

Era una notte di sabatoe quale domenica segui! Tutti i balenieriex-officioprofessano la non santificazione

delle feste. L'eburneo Pequod si trasformò in qualcosa che pareva unabeccheriae ogni marinaio diventò un macellaio.

Si sarebbe detto che stavamo offrendo diecimila buoi rossi agli dei del mare.

In primo luogogli enormi paranchi di squartoche tra altre parti pesanticomprendono un fascio di bozzelli

dipinti generalmente di verdeche nessun uomo riuscirebbe mai ad alzare dasoloquest'enorme grappolo d'uva fu issato

alla coffa di maestro e legato strettamente alla testa dell'albero maggioreche è il punto più robusto al di sopra della

coperta. L'estemità del cavospesso come una gomenaserpeggiante tra queigarbuglifu poi tirata fino all'arganoe il

grande bozzello inferiore dei paranchi fu fatto penzolare sulla balena. Aquesto bozzello fu attaccato il gancione da

grassoche pesa quasi cento libbre. E ora gli ufficiali Starbuck e Stubbsospesi sulle impalcature lungo la murata e

armati di lunghe vanghecominciarono a scavare un buco nel corpo perinserire il gancio proprio sulla più vicina delle

due pinne laterali. Fatto questosi pratica attorno al buco un largo tagliosemicircolaresi pianta il gancioe il grosso

della ciurmaintonando un coro selvaggiosi affolla all'argano e comincia aissare. Di colpo la nave si piega sul fianco

ogni suo bullone trasale come la testa dei chiodi di una casa vecchia in unaforte gelataed essa tremarabbrividisce e

invoca il cielo con le teste d'albero atterrite. Il bastimento si piegasempre di più verso la balenae intanto a ogni

strattone ansante dell'argano risponde in aiuto uno strattone delle onde;finché si sente di colpoalla fineuno schianto

inaspettato; con un gran tonfola nave rolla drizzandosi e scostandosi dallabalenae il paranco sale trionfante in vista

tirandosi dietro l'estremità semicircolare della prima fascia di grassodivelta. Orasiccome il grasso avvolge la balena

proprio come la buccia avvolge un'aranciacosì lo si stacca dal corpoprecisamente come a volte si sbuccia un'arancia: a

spirale. Poiché lo sforzo esercitato di continuo dall'argano facontinuamente girare su se stessa la balena nell'acquae

siccome il grasso di una sola fascia si spella uniformemente lungo la lineachiamata «sciarpa»tagliata simultaneamente

dalle vanghe degli ufficiali Starbuck e Stubbcon la stessa rapidità concui viene strappatoe anzi proprio grazie a

quell'attoil grasso continua a essere issato sempre più in alto finché lasua estremità superiore sfiora la coffa. Allora gli

uomini all'argano cessano di issaree per uno o due istanti la prodigiosamassa che sgocciola sangue oscilla avanti e

indietrocome calasse dal cieloe ognuno dei presenti deve fare beneattenzione a schivarla quando passache non gli

sbatta su un'orecchia e lo schizzi a capofitto in mare.

Uno dei ramponieri presenti avanza ora con un'arma lunga e affilatadettasciabola d'arrembaggioe cogliendo

il momento opportuno apre con destrezza un foro considerevole nella parteinferiore della massa oscillante. In questo

foro viene quindi agganciata l'estremità del secondo grosso parancosostitutoin modo da avere una presa sul grasso ed

essere pronti a ciò che segue. Dopo di chequesto abile spadaccinogridando a tutti di scostarsimena un'altra botta

scientifica alla massae con alcuni tagli a fondoobliquialla disperatala spezza completamente in duesicché mentre

la breve parte inferiore resta ancora attaccata alla carcassala lungastriscia superiorechiamata la copertaoscilla in

libertà ed è pronta a venire ammainata. Quelli dell'argano riprendono orala canzonee mentre uno dei paranchi va

sbucciando e alzando una seconda striscia dalla balenal'altro vienelentamente mollatoe così la prima striscia scende

per la boccaporta di maestro che gli sta proprio sottoin un salotto senzamobilio detto la camera del grasso. In questo

locale crepuscolare parecchie mani svelte stanno ad arrotolare la lunga pezzada coperta come fosse una gran massa

viva di serpi intrecciate. E così il lavoro procede: i due paranchi cheissano e ammainano contemporaneamentela

balena e l'argano che fanno sbalziquelli dell'argano che cantanoi signoridella camera del grasso che arrotolanogli

ufficiali che sbuccianola nave che scricchiolae tutti che di tanto intanto bestemmiano in modo da ridurre l'attrito

generale.

LXVIII • LA COPERTA.117

Ho riflettuto non poco su quel tema controversola pelle della balena. Hodiscusso al riguardo con abili

balenieri in mare o colti naturalisti a terra. La mia prima opinione restaimmutata: ma è soltanto un'opinione.

Il problema è questo: cos'è e dove si trova la pelle della balena? Giàsapete cos'è il suo grasso. Questo grasso

ha in qualche modo la consistenza di una carne di manzo sodaa grana fittama è più tigliosopiù elastico e compattoe

va da otto o dieci a dodici o quindici pollici di spessore.

Orasebbene a prima vista possa sembrare assurdo attribuire una simileconsistenza e un tale spessore alla

pelle di una bestiadi fatto non c'è nulla che contraddica questa ipotesi:perché dal corpo della balena non si può

staccare altro fitto strato avvolgente se non quel grasso; e lo strato piùesterno che avvolge un animalese abbastanza

spessoche altro può essere se non la pelle? È vero che da un cadavereintatto di balena si può raschiare via con la mano

una sostanza straordinariamente sottile e trasparente che un po' assomigliaalle scaglie più sottili della colla di pescema

è flessibile e morbida quasi come il rasoalmeno prima che si secchiperché dopo si raggrinzasi ispessiscediventa

piuttosto rigida e fragile. Ne ho vari pezzi disseccati che uso comesegnalibri nei miei volumi sulle balene. Ècome ho

già dettotrasparente; e qualche voltaposandola sulla pagina stampatamisono divertito a immaginare che avesse

capacità di ingrandire. In ogni caso è divertente leggere storie di balenecoi loro stessi occhialiper così dire. Ma ora

voglio arrivare a questo: la sostanza collacea straordinariamente sottile cheavvolgelo ammettotutto il corpo della

balenanon si può tanto considerarla la pelle dell'animale quantodiciamola pelle della pelle. Sarebbe semplicemente

ridicolo sostenere che la vera e propria pelle della tremenda balena è piùsottile e più tenera della pelle di un neonato.

Ma non è il caso di insistere.

Supponendo che il grasso sia la pelle della balenaallora quandocome nelcaso di un capodoglio assai grosso

questa pelle fornisce un peso di cento botti d'olioe quando si pensa che inquantitào piuttosto in volumequest'olio

che si spreme è solo tre quarti e non l'intera sostanza del tegumentosipuò avere qualche idea dell'enormità di quella

massa viva che solo con una parte del proprio tegumento fornisce un similelago di liquido. Calcolando dieci botti alla

tonnellataabbiamo dieci tonnellate come peso netto di non più di trequarti della materia che forma la pelle della

balena.

Nell'animale vivo la superficie visibile del capodoglio non è l'ultima dellemolte meraviglie che esso presenta.

Quasi sempre è tutta attraversata e ritraversata da innumerevoli segnidritti in fitte schiereun po' come quelli delle più

belle incisioni a linea italiane. Ma non pare che questi segni siano impressisulla colla di pesce già ricordata; si direbbe

che traspaianoquasi fossero incisi sul corpo stesso. E non è tutto. Inqualche casoa un occhio pronto e acuto

nell'osservarequesti segni linearicome una vera incisionenon fanno chedare lo spunto per ben altre figurazioni.

Sono dei geroglificise chiamiamo geroglifici quelle cifre misteriose sullepareti delle piramidi: è proprio il termine da

usare nel caso presente. Ricordando i geroglifici su un particolarecapodogliorimasi molto colpito da un piatto che

rappresentava gli antichi caratteri indiani scolpiti sui famosi bastionigeroglifici lungo le rive dell'alto Mississippi.

Come quelle misteriose rupila balena dai segni mistici rimaneindecifrabile. E questa allusione alle rupi indiane mi

ricorda un'altra cosa. Oltre a tutti gli altri caratteri del suo esternoilcapodoglio mostra non di rado il dorsoe più

specificamente i fianchicon quelle linee regolari in parte cancellate acausa di molte dure abrasionidi aspetto

assolutamente irregolare e casuale. Direi che quelle rupi della costa del NewEnglandche secondo Agassiz portano il

segno di violente frizioni con grandi iceberg galleggiantiper questorispetto somigliano non poco al capodoglio. E mi

pare anche che queste abrasioni siano causate alla balena da scontri conaltre baleneperché le ho viste più spesso nei

grossi maschi adulti.

Ancora una o due parole su questa faccenda della pelle o grasso della balena.Ho già detto che essa le viene

strappata in lunghe strisceche si chiamano coperte. Come la maggior partedei termini di marequesto è espressivo e

felicissimo. Perché la balena è veramente avvolta nel suo grasso come inuna vera trapunta o imbottitao meglio ancora

in un poncio indianoinfilato per la testache le cinge le estremità. Ègrazie a questa imbottitura soffice e calduccia del

suo corpo che la balena può crogiolarsi in tutte le temperaturein tutti imariin ogni stagione e marea. Che sarebbeper

esempiodi una balena di Groenlandia in quei mari del nord gelidi eghiacciatise non avesse il suo caldo paletò? È

vero che in quelle acque iperboree si vedono altri pescivispi da noncredersi: ma bisogna osservare che questi sono

pesci a sangue freddo e senza polmonii cui ventri stessi sono deifrigoriferi: creature che si riscaldano a sottovento di

un icebergcome farebbe un viandante d'inverno davanti a un fuoco dilocanda. Invece la balena è come l'uomoha

polmoni e sangue caldo. Gelatele il sangue e muore. E dunque è sorprendentese non si conosce il perchéche questo

mostro immenso per il quale il calore fisico non è meno indispensabile cheper l'uomoè incredibile che lo si trovi a suo

agio tuffato fino alle labbravita natural durantein quelle acque polari!Dovequando i marinai cadono di bordoli si

trova qualche voltamesi doporitti e congelali nel cuore dei campi dighiacciocome mosche incollate nell'ambra. Ma

è ancora più stupefacente saperecome è dimostrato per esperienzache ilsangue di una balena polare è più caldo di

quello di un negro del Borneo in estate.

Ma pare che in questo si possa vedere la rara virtù di una forte vitalitàindividualee la rara virtù di muri

robusti e di un interno spazioso. Uomoammira dunque la balena e modella testesso su di essa. Cerca anche tu di

restare caldo in mezzo al ghiaccio. Vivi anche tu in questo mondo senza farneparte. Sii fresco all'Equatore e mantieni il

sangue fluido al Polo. Come la gran cupola di San Pietroe come la grandebalenacerca di conservare in ogni stagione

una tua temperatura..118

Ma com'è facilee com'è inutile insegnare tutte queste belle cose! Tra gliedificipochi hanno in realtà una

cupola come quella di San Pietro. E tra le creaturepochissime sono grandicome le balene.

LXIX • IL FUNERALE

«Ricupera le catene! Molla a poppa la carcassa!»

Ormai i grossi paranchi hanno fatto il loro lavoro. Il bianco e spellatocorpo della balena decollata riluce come

un sepolcro di marmo; è mutato il colorema all'occhio non ha perso unbriciolo di volume. È sempre colossale.

Galleggia lentamente sempre più discostol'acqua intorno squarciata eschizzata dai pescicani insaziabilie l'aria di

sopra tormentata dai voli di striduli rapacii cui becchi si accanisconosulla balena come tanti pugnali. Il gran fantasma

bianco senza testa galleggia sempre più lontano dalla navee a ogni tesache percorre si direbbe che jugeri quadrati di

pescicani e jugeri cubici di volatili aumentino il loro frastuono crudele.Per ore e oredalla nave quasi immobile si vede

quell'orrendo spettacolo. Sotto l'azzurro sereno e tiepidosul bel volto delmare soaveventilato di brezze gioiosequel

grande ammasso di morte procede fluttuando finché si perde in prospettiveinfinite.

Davvero un funerale tristissimo e beffardo! Gli avvoltoi del mare tutti inpie gra magliee i pescicani dell'aria

tutti impeccabili in nero o in chiazzato. Pochi di loroimmaginoavrebberodato una mano d'aiuto alla balena vivase

per caso ne avesse avuto bisogno; ma tutti accorrono religiosamente albanchetto per le sue esequie. Ohspaventoso

vulturismo del mondo! Non ne resta immune neanche la più enorme balena!

E questa non è ancora la fine. Profanato com'è il corpouno spettrovendicativo sopravvive e si libra su di esso

per incutere altro terrore. Avvistata in lontananza da qualche prudente naveda guerra o da qualche fallace legno in

avanscopertaquando la distanza offusca gli stormi di uccelli ma lasciavedere la massa bianca galleggiante al sole e la

bianca schiuma che le ribolle intornosubito il cadavere innocuo dellabalena viene segnato con mano tremante sul

giornale: Seccherocce e frangenti qui attorno: attenzione! Eper anniforseognilegno evita quel postosaltandolo

come le pecore sciocche saltano sul niente perché la prima voltaalzandoqualcuno una bacchettala pecora di testa ha

saltato. Ecco la legge dei precedentiecco l'utilità delle tradizionieccola storia dell'ostinato sopravvivere di fedi

antichemai fondate sulla terrae ora nemmeno librate nell'aria. Eccol'ortodossia!

Cosìmentre in vita il gran corpo della balena può davvero essere stato ilterrore dei nemicinella morte il suo

spettro diventa un oggetto innocuo di panico per il mondo. Credi neifantasmiamico? Ci sono altri fantasmi oltre quello

di CockLanee ci credono uomini assai più profondi del dottor Johnson.

LXX • LA SFINGE

Non avrei dovuto omettere che prima di spellarne interamente il corpoilleviatano era stato decapitato. Ora la

decollazione di un capodoglio è un'impresa di anatomia scientifica di cui ibravi chirurghi balenieri vanno molto

orgogliosie non senza ragione.

Pensate che una balena non ha nulla che si possa propriamente chiamare collo;anzilì dove testa e collo

paiono unirsiproprio in quel punto è la sua parte più spessa. Ricordatepoi che il chirurgo deve operare dall'altoa otto

o dieci piedi dal pazienteil quale ultimo è semicoperto da un'acqualividamossae spesso tumultuosa e gonfia.

Ricordate ancora che l'operatorein circostanze così poco propiziedevetagliare a fondo parecchi piedi di carne; e deve

farlo in quel modo sotterraneosenza nemmeno poter dare una sbirciatina allosquarcio che si apre e chiude di continuo

evitando abilmente tutte le parti adiacenti e proibitee dividendo la spinaesattamente a un punto cruciale vicinissimo

all'attacco col cranio C'è da meravigliarsialloraper la vanteria diStubbche non gli servivano più di dieci minuti per

decollare un capodoglio?

Appena scissala testa si allenta a poppa e viene lì trattenuta da un cavofinché il corpo non è tutto sbucciato.

Fatto ciòse la balena è piccola la testa viene issata in coperta peresservi subito manipolata. Ma con un capodoglio

adulto è impossibile farloperché la testa del capodoglio raggiunge quasiun terzo dell'intero volume dell'animalee

tentare di sospendere completamente un peso come quellosia pure con glienormi paranchi di una balenierasarebbe

vano come provarsi a pesare un granaio olandese con una bilancia dagioielliere.

Decapitata e spellata la balena del Pequodla testa venne issata contro ilfianco della navecirca a metà fuori

dell'acquacosì da farla ancora sostenere in gran parte dal suo elementonaturaleE lìcol bastimento scricchiolante che

le si piegava sopra a piccoa causa dell'enorme trazione esercitatasull'albero maggioree con ogni pennone che

sporgeva da quel lato sulle onde come una gruala testa tutta sgocciolantesangue pendeva alla cintola del Pequod come

quella del gigante Oloferne alla cintola di Giuditta.

Era mezzogiorno quando quest'ultimo lavoro fu finitoe i marinai scesero apranzo. Il silenzio regnava ora

dopo tanto fracassosulla tolda deserta. Un'intensa quiete di ramecome ungiallo loto celesteapriva sempre più

sull'oceano i suoi muti petali smisurati.

Passò un po' di tempoe Achab tutto solo venne fuori dalla cabina in quellapace. Fatto qualche giro sul

casserosi fermò a guardare sull'acquae poi avvicinandosi lento allecatene della bovaafferrò la lunga vanga di Stubb.119

rimasta lì dopo la decapitazionee cacciandola nella parte inferiore dellamassa semisospesa se ne piazzò l'altra

estremità sotto il braccio come una grucciae restò così appoggiatocongli occhi inchiodati sulla testa.

Era una nera testa incappucciatae pendendo lì in una quiete così intensapareva la testa della Sfinge in mezzo

al deserto. «Parlatugrande e venerabile testa» mormorò Achab«tusenza barbama qua e là brizzolata dai muschi

parlatesta potentee rivelaci il segreto che ti tieni chiuso dentro. Tusei scesa più a fondo di tutti i palombari. Questa

testa su cui ora splende il solesi è mossa tra le fondamenta della terra.Dove flotte e nomi dimenticati arrugginisconoe

marciscono ancore e speranze mute; dovenella sua stiva omicidaquestaterra come un galeone porta come zavorra le

ossa di milioni di annegati; lìin quello spaventoso mondo d'acquaavestila dimora più familiare. Sei stata dove non

sono mai giunti né campane né palombarihai dormito a fianco di tantimarinaidove madri insonni darebbero la vita

per comporli. Hai visto gli amanti saltare abbracciati dalla nave in fiamme escendere cuore a cuore sotto le onde

trionfantifedeli l'uno all'altro quando il cielo pareva tradirli. Hai vistoi piratia mezzanottebuttare dal ponte l'ufficiale

assassinatoche sprofondò per ore nella più profonda notte di quella golainsaziabilee i suoi assassini continuare il

viaggio incolumimentre i fulmini scuotevano all'improvviso la nave vicinache avrebbe portato qualche onesto marito

a delle braccia tese che lo aspettavano in ansia. Oh testa! Tu hai vistoabbastanza da mandare in pezzi le stelle e fare di

Abramo un miscredenteeppure non dici sillaba!»

«Vela oh!» gridò una voce esultante dalla coffa di maestro.

«Una vela? Beneè una notizia allegra» gridò Achab risollevandosi dicolpomentre tutta una schiera di

nuvole temporalesche gli fuggiva dalla fronte. «Quel grido di vita su questacalma funerea potrebbe quasi convertire un

uomo migliore. Da che parte?»

«Tre quarti a destracapitanoe ci porta la brezza!»

«Di bene in meglioragazzo. Se ora San Paolo potesse venire da quella partee portare la sua brezza alla mia

bonaccia! O Naturae tu anima umanacome sono lontane da ogni possibileespressione le vostre analogie! Non il

minimo atomo si muove o vive nella materiache non abbia il suo duplicatosottile nello spirito.»

LXXI • LA STORIA DEL JEROBOAM

Nave e brezza correvano dandosi la mano; ma la brezza arrivò per primaesubito il Pequod cominciò a

beccheggiare.

Di lì a poconel cannocchialele lance e le teste d'albero guarnite dellanave sconosciuta la rivelarono per una

baleniera. Ma era lontana a sottovento e filava di sghembo come diretta aqualche altra zona di cacciasicché il Pequod

non poteva sperare di raggiungerla. Allora fu alzato il segnale per vederecosa rispondevano.

Bisogna sapere checome i vascelli delle marine militariognuna delle navidella flotta baleniera americana ha

un segnale privatoe tutti questi segni sono raccolti assieme ai nomi deirispettivi bastimenti in un libro fornito a ogni

capitano. Così i comandanti hanno la possibilità di riconoscersi a vicendain mezzo all'oceanoanche a distanze

considerevoli e senza troppe difficoltà.

Finalmente la nave sconosciuta rispose al segnale del Pequod alzando la suabandiera. Risultò che la nave era il

Jeroboam di Nantucket. Bracciando in croce puntò su di noisi piazzò ditraverso sottoventoe ammainò una lancia che

ci fu presto vicina. Ma mentre per ordine di Starbuck si attrezzava lascaletta di fuoribanda per accogliere in visita il

capitanocostui agitò la mano dalla poppa della lancia per farci segno chequel lavoro era assolutamente inutile. Risultò

che il Jeroboam aveva a bordo un'epidemia infettivae che Mayhewilcapitanoaveva paura di contagiare l'equipaggio

del Pequod. Lui e gli uomini della lancia erano sanila sua nave lontanamezzo tiro di fucilee il mare e l'aria

incorruttibile scorrevano tra quello e il nostro legno; ma egli volevauniformarsi coscienziosamente alla cauta

quarantena di terrae rifiutava perentoriamente di venire a contatto direttocol Pequod.

Ciòcomunquenon impediva affatto di scambiarsi le notizie. Mantenendo unintervallo di parecchi metri fra

sé e la navela lancia del Jeroboam fece in modocon l'uso saltuario deiremida tenersi parallela al Pequod che ormai

tirando un vento finotagliava pesante l'acqua con la gabbia a collo. Ognitantoa dire il verola spinta improvvisa di

qualche grossa ondata gettava un po' troppo avanti la barca; ma subitoabilmenteessa veniva riportata nella posizione

giusta. Con queste e altre simili interruzioni di tanto in tantosi svolsetra le due parti una conversazione; ma non senza

un altro intoppo di natura ben diversa.

A uno dei remi della lancia del Jeroboam c'era un uomo che appariva stranoperfino nell'ambiente selvaggio dei

balenieridove ogni gruppo è formato da individui assai eccentrici. Era untipo piuttosto giovanebassopiccolola

faccia tutta spruzzata di lentigginiun'abbondante capigliatura gialla. Unagiacca lunga e tagliata cabalisticamentecolor

castagna scoloritolo avvolgevae le maniche troppo lunghe erano rimboccateai polsi. Negli occhi aveva un delirio

profondoradicatofanatico.

Appena vista quella figuraStubb aveva esclamato: «È luiè luiquelborghesuccio buffone di cui parlava la

gente del Town-Ho!» Alludeva a una strana storia che ci avevano raccontato aproposito del Jeroboam e di uno della

sua ciurmaqualche tempo primaquando il Pequod aveva incontrato ilTown-Ho. Secondo quella storiae a giudicare

da quanto seppimo in seguitopareva che quello smargiasso avesse acquistatoun ascendente straordinario su quasi tutti

gli uomini del Jeroboam. Ed ecco la sua storia:.120

Quell'uomo era stato allevato in seno alla comunità maniaca degli Shakers diNeskyeunadove era diventato un

gran profeta; e nelle loro folli riunioni segrete era sceso molte volte dalcielo per via di un trabocchettoad annunziare

l'apertura imminente della settima fialada lui tenuta nel taschino delpanciotto; ma che invece di contenere polvere da

sparopare fosse piena di laudano. L'aveva preso una cervellotica mania diapostolatoe da Neskyeuna si era trasferito a

Nantucketdove con l'astuzia che è tipica della demenza aveva assunto unasolida aria di buonsenso e si era presentato

come novizio all'ingaggio per la crociera del Jeroboam. Lo avevano assuntoma appena la nave aveva perso di vista la

terrafermala sua pazzia si era scatenata a torrenti. Aveva annunciato diessere l'Arcangelo Gabriele e ordinato al

capitano di saltare in acqua. Aveva proclamato un suo programma in cui sipresentava come il liberatore delle isole del

mare e il vicario generale di tutte le isole oceaniche. La serietàimperterrita con cui dichiarò queste cosei voli oscuri e

audaci della sua fantasia insonne e sconvoltae tutti i terrorisoprannaturali del vero delirio concorrevano a circondare

questo Gabrielenelle menti ignoranti di quasi tutto l'equipaggiodi unalone di santità. Per giunta ne avevano paura.

Ma siccome un tipo così non era di molta utilità pratica sulla navesopratutto perché rifiutava di lavorare tranne quando

gli faceva comodoil capitanoche non credeva in nullase ne sarebbevolentieri sbarazzato. Ma l'arcangelo avvertito

che il comandante aveva intenzione di sbarcarlo nel primo posto adattoaprìsubito tutti i suoi sigilli e le sue fiale

votando nave e uomini alla perdizione incondizionata qualora quell'intenzionefosse posta in atto. E influenzò tanto i

propri seguaci tra l'equipaggioche alla fine questi si recarono in massadal capitano e gli dissero che non uno di loro

sarebbe rimasto se Gabriele veniva cacciato via. Così il capitano fucostretto a rinunciare al suo disegno. Né quelli

permettevano che Gabriele fosse maltrattatoqualunque cosa facesse odicesse; sicché si arrivò al punto che su quella

nave Gabriele aveva libertà completa. Conseguenza di tutto ciò fu chel'arcangelo si curava poco o niente del capitano e

degli ufficialie da quando era scoppiata l'epidemia si era fatto ancorapiù arrogante: affermava che la pestilenzacome

la chiamavaera tutta nelle sue manie non sarebbe finita senza il suobeneplacito. I marinaiquasi tutti poveri diavoli

con lui diventavano buoni buoni e qualcuno gli strisciava davantie perfinoa volteseguendo le sue stesse istruzioni

gli rendeva omaggio come a un dio. Queste cose parranno incredibili mastupefacenti come sonosono vere. E la storia

del fanatismo non impressiona tanto per la smisurata autosuggestione delfanatico stessoquanto per il suo potere

strabiliante di ingannare e stregare tanti altri. Ma è tempo di tornare alPequod.

«Non temo la tua epidemiaamico» disse Achab dalla murata al capitanoMayhew che stava a poppa della

lancia. «Vieni a bordo.»

Ma Gabriele balzò in piedi.

«Pensa alle febbrigialle e b iliosepensaci! Attento alla orribilepeste!»

«GabrieleGabriele!» gridò il capitano Mayhew«o tu...» Ma in quelmomento una lunga ondata sbalzò la

lancia in avantie il subbuglio dell'acqua sommerse le sue parole.

«Hai visto la balena bianca?» domandò Achab quando la barca ebberinculato.

«Pensapensa alla barca sfondata e sommersa! Attento all'orribile coda!»

«Ti ripetoGabrieleche...» E di nuovo la barca balzò in avanti comespinta da qualche demonio. Per un poco

vi fu silenziomentre passava una serie di ondate turbolente che invece digonfiarsi si rompevanoper uno di quei

capricci che a volte ha il mare. Intanto la testa sospesa del capodoglioandava sbattendo con molta violenzae si vedeva

Gabriele fissarla con una paura poco adatta alla sua natura di arcangelo.

Finito questo intervalloil capitano Mayhew cominciò a raccontare unastoria sinistra intorno a Moby Dick

non senza frequenti interruzioni da parte di Gabriele ogni volta che venivafatto il suo nomee da parte del mare

impazzito che pareva in combutta con lui.

Il Jeroboamparenon era partito da molto quandoabboccandosi con un'altrabalenierai suoi uomini avevano

avuto informazioni plausibili sull'esistenza di Moby Dick e sui guai che essoaveva causato. Succhiando avidamente

questa notiziaGabriele aveva solennemente avvertito il capitano di nonassalire la balena bianca nel caso incontrassero

quel mostro; dichiarando nel suo balbettante delirio che la balena bianca eranientedimeno il Dio degli Shakers

incarnatoperché gli Shakers accettano l'autorità della Bibbia. Ma un paiodi giorni dopoquando Moby Dick era stato

chiaramente avvistato dalle coffeil primo ufficiale Macey fu tuttoinfiammato dal desiderio di attaccarloe dato che il

capitano stesso non era mald isposto a concedergli quell'occasionemalgradotutte le accuse e gli avvertimenti

dell'arcangeloMacey riuscì a convincere cinque uomini che gliequipaggiassero la lancia. Con questi si staccò dalla

navee dopo una faticosa vogata e molti pericolosi e sfortunati attacchiriuscì alla fine ad agganciare con un rampone.

Intanto Gabrielesalito sulla testa di controvelacciosi sbracciava congesti frenetici e vomitava profezieminacciando

di castigo immediato i sacrileghi assalitori della sua divinità. Ora mentrel'ufficiale Macey stava dritto a prua della

lanciae con tutta l'energia temeraria della sua razza si sfogava in ferociinsulti alla balena e cercava il momento giusto

per piantarle in corpo la lanciaall'improvviso una grande ombra bianca eraemersa dal maretagliando per un attimo il

fiato ai rematori con uno scatto velocea ventaglio. L'attimo dopo ildisgraziato ufficialepieno com'era di rabbiafu

scagliato in aria di pesoe scendendo con una lunga arcata cadde in acqua aquasi cinquanta metri di distanza. Non un

pollice del legno venne danneggiatonon un capello dei rematorimal'ufficiale scomparve per sempre.

È bene dire quitra parentesiche di tutti i casi mortali della cacciaquesto è tra i più frequenti. Qualche volta

niente resta danneggiatotranne l'uomo che viene così distrutto; piùspesso salta via la prua della lanciaoppure la

tavola d'appoggio su cui si regge l'uomo di testa viene strappata dal suoposto e se ne va col corpo. Ma il fatto più strano

è che più di una voltanel ricuperare il cadaverenon vi si vede neancheun segno di violenza: l'uomo è solo stecchito.

Dalla nave seguirono chiaramente tutta la disgraziavidero il corpo di Maceyche piombava. Con un urlo

acutissimo: «La fiala! La fiala!» Gabriele costrinse l'equipaggio atterritoa rinunciare all'inseguimento della balena..121

Questo terribile fatto aumentò l'autorità dell'arcangelo: i suoi credulidiscepoli furono certi che egli avesse previsto quel

fatto specifico e non un pericolo genericocome chiunque poteva fare conqualche probabilità di azzeccarlavisto

l'ampio margine che c'era. Gabriele diventò per la sua nave un oggetto diterrore indicibile.

Qui Mayhew finì il suo raccontoe sentite le strane domande che gli facevaAcbabnon poté trattenersi dal

domandargli se per caso non avesse lui stesso l'intenzione di attaccare labalena bianca alla prima occasione. Al che

Achab rispose di sì. Immediatamente Gabriele saltò di nuovo in piedistrabuzzò gli occhi sul vecchiopuntò un dito in

basso ed esclamò con veemenza: «Ricordati del bestemmiatorericordati!Morto e là sotto! Attento alla fine del

bestemmiatore!»

Achab guardò di latocome non avesse sentitopoi disse a Mayhew:«Capitanomi viene in mente il sacco

della posta; se ricordo benec'è una lettera per uno dei tuoi ufficiali.Starbuckva' a vedere.»

Ogni baleniera porta un certo numero di lettere per varie navie la consegnaai destinatari dipende dalla mera

probabilità di incontrarli in questo o quello degli oceani. Così la maggiorparte delle lettere non arriva mai a

destinazionee molte vengono ricevute soltanto quando sono vecchie di duetre o più anni.

Starbuck tornò subito con una lettera in mano. Era tutta sgualcitafradiciae ricoperta di una muffa verdastra

opaca e chiazzataperché era rimasta chiusa in cabina in qualche buioripostiglio. Era una lettera degna di essere

recapitata dalla stessa Morte.

«Non riesci a leggere?» esclamò Achab. «Dammi quavecchio mio. Certoètutto uno scarabocchio. Questo

cos'è?» E mentre la esaminavaStarbuck prese un lungo manico di vangaecol coltello vi fece un piccolo spacco in

cima per inserirvi la letterain modo da passarla a quelli della barca senzache s'avvicinasse oltre alla nave.

Acbahintantoteneva in mano la lettera e borbottava:

«Mr. Har... sìMr. Harry - mano delicatadi donna: sua mogliescommetto- sicuroMr. Harry MaceyNave

Jeroboam. Ma è di Maceyquello che è morto!»

«Povero diavolopovero diavolo! E da sua moglie» sospirò Mayhew: «Mapassatela.»

«Notientela tu» gridò Gabriele ad Achab«farai presto la stessastrada!»

«Alla forcacarogna!» urlò Achab. «Capitano Mayhewstate pronto aprenderla.» E togliendo a Starbuck la

funebre lettera la fissò nello spacco del palo e la tese alla barca. Mentrefaceva questoi rematoriaspettandosmisero di

vogare e la barca scivolò un poco verso la poppa del Pequod; sicchécomeper stregoneriala lettera ondeggiò

all'improvviso vicino alla mano avida di Gabriele. Questi l'afferròfulmineoafferrò il coltello di bordoe piantandovi la

lettera lo scagliò così carico alla nave. Cadde ai piedi di Achab. AlloraGabriele gridò ai compagni di fare forza ai remi

e la barca ribelle si allontanò rapida dal Pequod.

Più tardiquando i marinai ripresero il lavoro sul giubbone della balenasi sussurrarono molte cose strane a

proposito di questa faccenda allucinante.

LXXII • LA FUNE DA SCIMMIA

Nella gran confusione del tagliare e manipolare una balena l'equipaggio ècostretto a uno straordinario

andirivieni. Ora servono braccia da questa parteora invece ve n'è bisognolaggiù. Nessuno riesce a stare fermo in un

solo posto: perché occorre fare tutto e dappertutto nello stesso momento. Edè proprio ciò che succede a chi cerca di

descrivere la scena. Dobbiamo tornare un po' sui nostri passi. Ho detto cheappena si incomincia a lavorare sulla schiena

dell'animaleil gancio da grasso viene inserito nel buco praticatovi primadalle vanghe degli ufficiali. Ma come si fa a

inserire in quel foro una massa goffa e pesante come quel gancio? Ve lainserì il mio grande amico Queequega cui

come ramponiere spettava il compito di scendere sulla schiena del mostro aquesto scopo speciale. Ma in moltissimi

casi le circostanze richiedono che il ramponiere resti sulla balena finchésia conclusa tutta l'operazione di taglio e di

spellamento. Bisogna ricordare che la balena è quasi del tutto sommersatranne quelle parti su cui si lavora

direttamente. Così laggiùa circa dieci piedi dal livello della copertasi dibatte il povero ramponieremetà sul pesce e

metà in acquamentre la gran massa gli va girando sotto i piedi come unapietra di mulino. Nel caso presenteQueequeg

sfoggiava il costume delle Terre Altecamicia e calzee in essoalmeno aimiei occhiappariva con straordinario

vantaggio. E nessuno aveva un'occasione migliore della mia di starlo aguardarecome si capirà subito.

Visto che ero l'uomo di prua del selvaggiocioè quello che spingeva il remodi prua (il secondo sul davanti)

della sua lanciaera mio gradito dovere di accudirlo nell'esecuzione diquella faticosa bisogna sul dorso della balena

morta. Avrete visto i piccoli suonatori italiani d'organettoche tengono lascimmia ballerina con una lunga fune. Proprio

cosìdalla ripida banda della navetenevo Queequeg laggiù in marepermezzo di ciò che tecnicamente sì chiama un

cavo da scimmiaattaccato a una forte cintura di tela che lo cingeva allavita.

Era una faccenda umoristicamente pericolosa per tutti e due. Perché prima diandare avanti bisogna dire che la

fune da scimmia era assicurata da tutte e due le parti: alla grossa cinturadi tela di Queequeg e alla mia stretta cintola di

cuoio. Sicchéper il meglio o per il peggioal presente eravamo sposati; equalora il povero Queequeg fosse affondato

per non riapparire piùallora l'uso e l'onore comandavano che invece ditagliare la corda io dovessi lasciarmi trascinare

nella sua scia. Insomma eravamo uniti assieme da un legamento siameseprolungato. Queequeg era il mio gemello

inseparabilee non c'era modo di liberarmi dalle pericolose responsabilitàche implicava quel legaccio di canapa..122

Quella volta mi misi a riflettere sulla mia situazione in modo così intensoe metafisicoche mentre guardavo

tutto assorto i movimenti di Queequegmi parve di vedere chiaramente che lamia individualità si era fusa col mio socio

in una società per azioniche il mio libero arbitrio aveva ricevuto uncolpo mortalee che l'errore o la sfortuna di un

altro potevano trascinarmi innocente nella sciagura e nella morte. Perciò mipersuasi che c'era una sorta di interregno

nella Provvidenzaperché la sua equità imparziale non avrebbe potuto maisanzionare un'ingiustizia così grossolana.

Eppurecontinuando a rifletterci (mentre ogni tantocon uno strappotiravofuori Queequeg di tra la balena e la nave

che minacciavano di stritolarlo)ripensandoci sopradicomi resi conto chequesta mia situazione era la situazione

esatta di ogni uomo che respiri; solo che nella maggior parte dei casil'uomoin un modo o nell'altroha un legaccio

siamese con una pluralità di altri mortali. Se salta la vostra bancavoiandate a pezzi; se per sbaglio il farmacista vi

mette veleno nelle pillolecrepate. Certosi potrà dire che constraordinaria cautela uno può sfuggire a questi e altri

infiniti malanni della vita. Ma per quanta attenzione ci mettessi nelmaneggiare la fune di Queequega volte lui dava

certi strattoniche per poco non scivolavo in acqua. E non potevodimenticare chequalunque cosa facessiil mio

controllo si limitava a una delle due cime.

Ho detto che spesso tiravo fuori Queequeg di tra la balena e la navedovegli succedeva di cascare per il

continuo rollìo e barcollamento delle due. Ma non era questo il solopericolo di farsi stritolare a cui era esposto. Per

niente atterriti dalla strage menata tra di loro nella nottei pescicaniattratti di nuovo e più irresistibilmente dal sangue

che ora cominciava a sgorgare dalla carcassasciamavano rabbiosi lì attornocome api in un alveare.

E Queequeg ci stava proprio in mezzoai pescicanie spesso li spingeva viadimenando un piede. Cosa proprio

da non crederci ma lo squaloche di solito divora tuttoquando è attrattoda una preda come la balena mortararamente

azzanna un uomo.

Eppure si può ben credere chequando dita così rapaci sono alle prese conla tortail minimo di prudenza

consiglia di non perderli mai d'occhio. E cosìoltre alla fune da scimmiacon cui ogni tanto tiravo via il poveraccio da

una vicinanza troppo intima con la mascella di un pescecane che parevaparticolarmente feroceQueequeg era fornito di

un'ulteriore difesa. Spenzolando fuoribanda da una delle impalcatureTashtego e Daggoo gli brandivano continuamente

sulla testa un paio di vanghe affilatissimecon cui macellavano quanti piùsquali potevano raggiungere. Questo loro

procedimento era certo del tutto disinteressato e benevolo. Si preoccupavanodella piena sicurezza di Queequeglo

ammettoma nello zelonella premura di aiutarloe dato che lui e ipescicani erano a volte mezzo sommersi nell'acqua

insanguinataquelle loro vanghe indiscrete rischiavano di amputare piuttostouna gamba che una coda. Ma penso che il

povero Queequegche sudava e sbuffava lì sotto con quel gancione di ferroil povero Queequegpensonon faceva che

pregare il suo Yojoe rimetteva la vita nelle mani dei propri dei.

Ebbenecamerata e gemello carissimopensavo nel ritirare e mollare la funea ogni gonfiarsi dell'acquache

importa dopo tutto? Non sei forse l'immagine esatta di ognuno e di noi tuttiin questo mo ndo baleniero? Quell'oceano

senza fondo in cui annaspi è la vitagli squali i tuoi nemicile vanghegli amici; e tra squali e vanghe sei in un bel

pasticciopovero ragazzo mio.

Ma coraggio! Tempi allegri sono in vistaQueequeg! Perché ora mentre ilselvaggio esaustocon le labbra

azzurre e gli occhi iniettati di sanguesi arrampica infine alle catene e sidrizza sulla banda tutto sgocciolante e tremante

senza volerlosi fa avanti il dispensiere e con un'occhiata bonaria diconforto gli porge... che cosa? Cognac bollente?

Nogli porgeperdianauna tazza d'acqua tiepida col zenzero.

«Zenzero? Sento odore di zenzero?» domanda Stubb avvicinandosi sospettoso.«Sìdev'essere zenzero»

sbirciando nella tazza tuttora intatta. Poifermandosi un momento comeincredulosi accosta tranquillo al dispensiere

stupefatto e gli dice piano piano: «Zenzero? Zenzero? E vuoi avere la bontàdi dirmisignor Farinatache c'è di buono

nello zenzero? Zenzero! È zenzero il combustibile che tu usiFarinatapersvampare un po' il fuoco in questo cannibale

gelato? Zenzero! Cosa diavolo è lo zenzero! Carbone di mare? Legnafiammiferiescapolvere da cannone? Che

diavolo c'è nello zenzerodicoda offrirne una tazza al nostro poveroQueequeg?»

«Qua ci dev'essere lo zampino ipocrita della Società per la Temperanza.»aggiunse poi di colpoavvicinandosi

a Starbuck che arrivava da prua. «Volete dare un'occhiata a quel gottosignore? Vi pregoannusatelo.» Poi guardando

l'ufficiale in faccia: «Il dispensieresignor Starbuckha avuto la facciatosta di offrire quel calomelano e gialappa a

Queequeg che arriva in questo momento dalla balena. È un farmacista ildispensieresignor Starbuck? E posso chiedere

se questo è il tipo di cordiale che adopera per ridare vita a uno che èmezzo annegato?»

«Spero di no» disse Starbuck. «È una porcheria.»

«Sicurosicurocambusiere!» gridò Stubb. «T'insegneremo noi a dare lamedicina a un ramponiere; niente roba

da farmacia qua; ci vuoi avvelenareeh? Hai fatto polizze sulla nostra vitae ci vuoi assassinare tutti per intascare i

premivero?»

«Non sono stato io» strillò Farinata«è stata zia Carità a portare lozenzero a bordoe mi raccomandò di non

dare mai spiriti ai ramponierisolo questo zenzerinocosì disse.»

«Zenzerino! Farabutto che seipiglia questoe corri alla dispensa aprendere qualcosa di meglio. Ho ragione

nosignor Starbuck? Sono ordini del capitano: grog al ramponiere sullabalena.»

«Sicuro» rispose Starbuck. «Ma invece di picchiarlo...»

«Ohma io non faccio mai male quando picchiotranne se picchio una balenae simili. E questo qui è una

donnola. Cosa stavate per dire?»

«Nientesolo di andare con lui a prendere voi stesso ciò che viserve.».123

Quando riapparveStubb aveva in una mano una fiaschetta scurae nell'altrauna specie di scatola da tè. La

prima conteneva roba forte e fu data a Queequeg; l'altra era il regalo di ziaCaritàe fu data generosamente alle acque.

LXXIII • STUBB E FLASK UCCIDONO UNA BALENA FRANCAE POI CI DISCUTONO SOPRA

Bisogna ricordare che in tutto questo frattempo una testa mostruosa dicapodoglio penzola dal fianco del

Pequod. Ebbenedobbiamo lasciarla pendere ancora un pocofinché non avremomodo di occuparcene. Per il momento

altre cose premonoe il meglio che si possa fare per la testa è pregare ilcielo che i paranchi reggano.

Oradurante la notte e la mattina dopoil Pequod era entrato pian piano inun mare che con le sue chiazze

occasionali di brit giallo presentava molti indizi della presenza di balenefrancheun tipo di leviatano che pochi

supponevano si aggirasse da queste parti in questa particolare stagione. Ebenché di solito tutti quanti disprezzassero la

cattura di queste bestie scadentibenché il Pequod non avesse alcun impegnodi cacciarle e ne avesse incontrato a frotte

vicino alle Crozetts senza ammainare una lanciapureadesso che uncapodoglio era stato portato alla nave e decollato

con sorpresa di tutti annunziarono che quel giornose ne avessimo avutol'occasioneavremmo catturato una balena

franca.

E l'occasione non si fece aspettare. Alti spruzzi furono avvistati asottovento; e due barchequelle di Stubb e di

Flaskfurono spedite alla caccia. Spingendosi sempre più lontanealla finediventarono quasi invisibili agli uomini di

vedetta. Ma d'improvvisoa distanzasi vide un gran cumulo d'acqua biancasconvoltae subito dopodalla testa

d'alberoavvertirono che una delle barche o tutte e due dovevano aver fattopresa. Passò un po' di tempoe le lance

apparvero in piena vistatrascinate dritto sulla nave dalla balena in fuga.Così vicino allo scafo arrivò il mostroche

dapprima credemmo avesse intenzioni bellicose; ma si tuffò di colpo in unmaelstrom a tre pertiche dal ponte e sparì del

tuttocome volesse passare sotto la chiglia. «Taglia! Taglia!» si gridòdal bastimento alle barchee per un attimo

difattiquelle parvero spinte contro il fianco del legno in uno scontrocatastrofico. Ma c'era ancora molta lenza nelle

tinozzee la balena non scendeva molto velocesicché continuarono a darelenzae nello stesso tempo. a tutta forza

arrancarono per gettarsi a prua della nave. Per qualche momento la lotta fucritica assai. Mentre le lance mollavano in

una direzione la lenza tesae continuavano a puntare i remi in un'altralatensione contrastante minacciava di colarle a

picco. Ma cercavano solo un vantaggio di pochi piedie tanto faticarono chel'ebbero. Alloradi colpoun tremito

fulmineo corse sotto la chiglia: la lenza tesa che sfregava contro la naveemerse di botto sotto pruavibrando e

schioccando e scrollandosi in una pioggia di gocce che cadevano in mare comefrantumi di vetromentre al di là la

balena appariva anch'essae le barche ebbero di nuovo campo per correre. Mal'animale spossato rallentò la sua corsae

cambiando direzione ciecamente girò di poppa attorno alla nave tirandosidietro le lanceche così fecero un giro

completo.

Intanto ricuperavano sempre più lenza; e infineaffiancata stretta labalena dai due latiStubb ritmò con Flask

lancia per lanciae la battaglia continuava tutt'intorno al Pequodmentrel'orda di pescicani che aveva nuotato intorno al

corpo dello spermaceti si gettava ora sul sangue fresco versato dalla balenabevendo avidi a ogni nuovo squarciocome

gli Israeliti morti di sete a ogni nuovo zampillo che sgorgava dalla rupepercossa.

Finalmente la sfiatata si fece densae con uno scossone e un orrendo vomitola balena si rovesciò sul dorso

stecchita.

Mentre i due uomini di testa si davano da fare ad assicurare i cavi allepinne della coda e a ultimare i

preparativi per prendere la massa a rimorchiocominciò tra di loro unaconversazione.

«Non capisco che vuole fare il vecchio con questo mucchio di lardofetente» disse Stubbnon senza disgusto

all'idea di avere per le mani un mostro così ignobile.

«Cosa vuol farne?» fece Flask arrotolando la lenza rimasta a prua dellabarca. «Non l'hai sentito dire che

quando una naveanche una volta solaha avuto una testa di capodoglio adrittae a sinistracontemporaneamenteuna

di balena francaquesta nave non si rovescia più?»

«E perché?»

«Non lo so. L'ha detto quel fantasma di guttaperca. Fedallahe quello lìha l'aria di sapere tutte le stregonerie di

un bastimento. Ma qualche volta penso che alla finecon le sue stregoneriemanderà il bastimento alla malora. Quel

tipo non mi piace affattoStubb. L'hai mai notato quel dentaccio che ha?Pare una testa di serpe.»

«Crepi affogato! Non ci faccio mai caso. Ma se qualche notte scura mi vienea tirolì vicino alle muratesenza

anima viva attornoguarda lì sottoFlask»e indicò il mare con un gestosignificativo di tutt'e due le mani: «Appunto!

Flaskper me quel Fedallah è il diavolo travestito. Ci credi tu che èstato nascosto a bordo nella stiva? Panzane! È il

diavoloquant'è vero Giuda. La coda non gliela vedi perché se l'arrotolasotto; la porta in tasca a ciambellascommetto.

Gli prenda un cancro! Ora che ci pensodomanda sempre stoppada ficcarenelle punte degli stivali.»

«Dorme con gli stivalivero? Non usa neanche la branda. L'ho vistodinottesopra un rotolo di cordame.»

«Sicuro! Per via di quella coda fetente: la sdipanacapiscidentro il bucodel rotolo.»

«Ma dicoche diamine ha da spartire con lui il vecchio?»

«Avranno barattato qualcosapenso. O firmato qualche contratto.»

«Un contratto? E che contratto?».124

«Be'capisciil vecchio ha la fissazione della balena biancae il diavoloè lì che cerca di prenderlo in trappola

e vuole farsi dare l'orologio d'argento o l'anima o che so io. In cambio glidà Moby Dick.»

«Ma viaStubbvuoi scherzare: tutto questo con quel Fedallah!»

«Flasknon si sa mai. Il diavolo è un tipo curiosoe anche diabolicoquant'è vero Iddio. Figurati che una volta

diconosalì salticchiando lassù alla vecchia nave ammiragliadimenando lacoda con una disinvoltura diabolicada vero

signoree domandò se il vecchio governatore era in casa. Quello c'eraegli chiese che voleva. Il diavolo batte gli

zoccoli e gli dichiara: "Voglio il Tale dei Tali." "Eperché?" chiede il vecchio capo. "E a voi che interessa?" diceil

diavolo montando su tutte le furie. "Ne ho bisogno.""Prendilo" dice il vecchio. Per il PadreternoFlaskse il diavolo

non gli appiccicò il colera asiatico prima di lasciarlo in pacemi mangioquesta balena in un boccone. Ma occhio! Siete

tutti pronti? Allora viaportiamo il pesce alla nave!»

«Mi pare di ricordarlauna storia così» disse Flask quando le due barchesi mossero lente verso la nave col

loro carico.

«Ma non ricordo dove l'ho letta.»

«Nei Tre Spagnoli? Le avventuresaidi quei tre soldatacci feroci?Scommetto che l'hai letta lìFlask.»

«Mai visto un libro simile. Però ne ho sentito parlare. Ma ora dimmiStubbquel diavolo di cui parlavicredi

davvero che sia lo stesso che secondo te è a bordo del Pequod?»

«E io non sono forse lo stesso che t'ha aiutato ad ammazzare questa balena?Che forse il diavolo non vive per

sempre? Chi ha mai sentito che il diavolo è morto? Hai mai visto un parrocoportare il lutto per il diavolo? E se il

diavolo ha la chiave per entrare nella cabina di un ammiraglionon credi chesi può cacciare in una botola? Non ti pare

Flask?»

«E che età gli dai a quel Fedallah?»

«Lo vedi laggiù quell'albero maestro?» E additò la nave.

«Benefai conto che sia il numero uno. Poi prendi tutti i cerchioni dellastiva del Pequod e mettili in fila con

quello a fare da zericapito? Be'non sarebbe ancora niente rispettoall'età di Fedallah. E tutti i bottai della creazione

non potrebbero fornire cerchi sufficienti per tutti gli zeri che servono.»

«Ma sentiStubb. Un po' hai esageratono? Quando hai detto che gli dàiuna spinta se ti viene a tiro. Se è così

vecchio come tutti quei cerchi presi assiemee se deve vivere in eternoache serve buttarlo in acquame lo dici?»

«A fargli fare un bel tuffoalmeno.»

«Ma verrebbe su di nuovo.»

«Allora un altro tuffoe così di seguito.»

«E se gli viene in testa di farlo fare a teil tuffoe magari diaffogarti? Allora che fai?»

«Voglio vederlo provare. Gli farei un tale paio di occhi neriche perparecchio tempo non avrebbe più il

coraggio di mostrare la faccia nella cabina del vecchionon dico sulcorridoio o qui attorno sui ponti dove sta sempre a

strusciare. Sangue del diavoloFlaskcredi che abbia paura del maligno?Nessuno ne ha pauratranne il vecchio lassù

che non ha il fegato di pigliarlo e mettergli le doppie manette come simerita; invece lo lascia andare attorno a portarsi

via la gente; sicuroe ha firmato un pattoche tutti quelli che il diavolosi porta vialui è pronto ad arrostirglieli. Che bel

governatore!»

«Ma tu pensi che Fedallah voglia portare via il capitano?»

«Lo credo? Lo vedrai tra pocoFlask. Ma d'ora in poi non lo perdo di vistaun minutoe se vedo qualcosa che

non mi persuadelo piglio per l'osso del collo e gli dico: "Senti quaBelzebùquesto te lo puoi scordare." E se protesta

per Diogli ficco la mano in tascagli prendo la codalo tiro all'argano ea forza di torcere e issare gliela stacco netta

alla radicecapisci? Allora scommetto che quando si trova scorciato a quelmodo buffose la svignasenza neanche la

povera soddisfazione di sentirsi la coda tra le gambe.»

«E che ne fai della coda?»

«Che ne faccio? La vendo per nerbo di bue quando torno a casacosa vuoi chene faccia.»

«Ma viaci credi proprio a quello che dicie a tutto quello che hai dettoStubb?»

«Ci credo o non ci credoeccoci arrivati alla nave.»

Qui gridarono alle barche di rimorchiare la balena al fianco sinistrodoveavevano preparato le catene da coda

e altri aggeggi per assicurarvela.

«Non te l'ho detto?» disse Flask. «Sicuropresto vedrai la testa diquesta balena franca che spenzola in faccia a

quella del capodoglio.»

E non passò molto che la supposizione risultò esatta. Prima il Pequod sipiegava a picco sulla testa del

capodoglioma ora per il contrappeso delle due teste si raddrizzò sullachiglia: pensate con quale sforzo. Alla stessa

manieraquando issate da una parte la testa di Locketraboccate da quellato. Ma tirate su dall'altra parte la capoccia di

Kante tornate a rizzarvima in uno stato da fare pena. Così certicervelli continuano per sempre a sudare per tenere il

barcone in equilibrio. Poveri sciocchi! Buttate a mare tutte queste zucchefumosee galleggerete dritti e leggeri come

piume.

Nel manipolare il corpo di una balena franca quando è alla muratadi solitosi fanno gli stessi preliminari che

servono per un capodoglio; solo che al capodoglio la testa è tagliatainteramentre nel primo caso si staccano

separatamente le labbra e la linguache vengono issate in coperta assieme alfamoso osso nero attaccato a ciò che si

chiama la corona. Ma nel caso presente non si era fatto nulla di simile. Lecarcasse di tutte e due le balene furono

mollate a poppa; e la nave carica di teste somigliava un poco a un mulo cheporta un paio di panieri smisurati..125

Intanto Fedallah adocchiava calmo la testa della balena francae ogni tantocalava gli occhi dalle profonde

rughe di quella alle linee sul proprio palmo. E Achab si era messo in modoche il Parsi restava nella sua ombramentre

l'ombra del Parsise mai ne facevapareva solo mescolarsi con quella diAchab e farla più lunga. Mentre l'equipaggio

sudavale più fantastiche congetture andavano attorno su tutte queste coseche succedevano.

LXXIV • LA TESTA DEL CAPODOGLIO: SCHIZZO COMPARATIVO

Ecco dunque due grandi balene che mettono assieme le teste; uniamoci a essee aggiungiamoci la nostra.

Del grande ordine dei leviatani in-folioil capodoglio e la franca sono digran lunga i più notevoli. Sono le

uniche balene che l'uomo caccia regolarmente. Per quelli di Nantucketesserappresentano i due estremi di tutte le

varietà note della balena. Ora la differenza esterna è osservabilesopratutto nelle teste; una testa di ciascuna pende in

questo momento al fianco del Pequode quindi possiamo facilmente andaredall'una all'altra semplicemente

attraversando il ponte: dovevorrei saperesi può trovare un'occasionemigliore per studiare in pratica la cetologia?

Colpisce anzitutto il contrasto generale fra le due capocce. Tutte e dueadire il verosono abbastanza tozze

ma in quella del capodoglio v'è una certa simmetria matematicachepurtroppo manca all'altra. C'è più carattere nella

testa del capodoglio. A guardarlainvolontariamente gli si riconosce unasuperiorità immensa in fatto di dignità

complessiva. E nel caso presente questa dignità è accresciuta dal colorpepe e sale del cocuzzolosegno di età avanzata

e vasta esperienza. Insommaè un esempio di quelle che i pescatori chiamano«balene a testa grigia».

Notiamo adesso ciò che vi è di meno dissimile nelle due teste: cioè adirei due organi più importantil'occhio

e l'orecchio. Molto indietro sul fianco della testae molto in bassovicinoall'angolo delle mascelle di ciascun pescea

cercare con attenzione troverete un occhio senza ciglia che direste di ungiovane puledrotanto è sproporzionato alla

grandezza della testa.

Orada questa particolare posizione laterale degli occhi della balenaèchiaro che essa non può mai vedere un

oggetto che le sta esattamente di facciané uno che le sta proprio allespalle. In una parolala posizione degli occhi della

balena corrisponde a quella degli orecchi di un uomo: e potete immaginare davoi come sarebbe se vedeste le cose di

lato attraverso le orecchie. Trovereste che potete dominare solo un campovisivo di circa trenta gradi proprio davanti

alla vostra vista lateralee un altro di trenta gradi circa verso il retro.Se il vostro nemico più feroce vi venisse incontro

in pieno giorno col pugnale alzatonon riuscireste a vederlo più di quantonon lo vedreste se vi arrivasse alle spalle.

Insomma avresteper così diredue schienema nello stesso tempo anche duefrontidi fiancoperché che cos'è mai che

fa la fronte dell'uomo se non gli occhi?

Inoltrementre in moltissimi altri animali che mi vengono ora in mente gliocchi sono piantati in modo da

fondere impercettibilmerite la loro facoltà visivae da inviare al cervellouna sola immagine e non duela posizione

particolare degli occhi di una balenadivisi come sono efficacemente damolti piedi cubici di solida zucca torreggiante

tra di loro come una gran montagna che separa due valli con due laghiquestosenza dubbio deve separare del tutto le

impressioni fornite da ogni organo indipendente. Sicché la balena devevedere una scena distinta da un lato e un'altra

distinta dall'altro; mentre tutto in mezzo dev'essere per lei tenebra eprofondo nulla. Effettivamente l'uomosi può dire

guarda sul mondo da una garitta che ha per finestra due intelaiatureabbinate. Ma per la balena queste due intelaiature

sono montate a parte e fanno due finestre distintema danneggiano assai ilpanorama. Questa peculiarità dei suoi occhi è

da tenere sempre presente nella caccia; e dovrà tenerla a mente il lettoreper certe scene che seguono.

Si potrebbe aprire una discussione curiosa e assai imbarazzante a propositodi questa visione del Leviatano. Ma

debbo accontentarmi di un accenno. Finché gli occhi dell'uomo sono apertialla lucel'atto del vedere è involontario;

cioèegli non può fare a meno di vedere meccanicamente tutti gli oggettiche gli stanno davanti. Tuttavia l'esperienza di

ognuno insegna che quantunque a una sola occhiata si possa avere un panoramaindiscriminato di oggettinon si può

affatto esaminare con attenzione e completezza due qualsiasi oggetti grandi opiccoli in un unico e medesimo istante

anche se sono l'uno accanto all'altro e si toccano. Ma se invece separatequesti due oggetti e circondate ognuno di essi

con una cerchia di profonda oscuritàallora per vederne uno in maniera daconcentrarvi la mentel'altro deve essere

completamente escluso dalla vostra coscienza simultanea. Che succede alloranel caso della balena? È vero che tutti e

due i suoi occhi agiscono in se stessi simultaneamentema è possibile cheil suo cervello sia tanto più comprensivo

abile a combinare e sottile di quello dell'uomoche nello stesso momentoessa riesca a esaminare attentamente due

visioni distinteuna da una partee l'altra in un verso esattamenteopposto? Se lo puòha una virtù meravigliosacome

se un uomo potesse dimostrare simultaneamente due problemi distinti diEuclide. E a rifletterci bene il paragone non è

affatto improprio.

Sarà una fissazionema mi è sempre parso che la straordinaria incertezzadi movimenti dimostrata da certe

balene assalite da tre o quattro lancela loro timidezzala tendenza astrane paure tanto comune in queste balenetutto

ciò dipenda indirettamente dalla smarrita perplessità di volizione in cuile gettano le loro facoltà visivedivise e

diametralmente opposte.

Ma l'orecchio della balena non è meno curioso dell'occhio. Se siete deltutto incompetenti di questa razza

potete andare a caccia per ore su quelle due teste senza mai trovarequest'organo. L'orecchio non ha alcun lobo esterno

e nel suo buco non ci andrebbe una penna d'ocatanto è straordinariamentepiccino. È collocato un po' dietro l'occhio.

Rispetto alle orecchie bisogna notare una differenza importante tracapodoglio e balena franca: l'orecchio del primo ha.126

un'apertura esternaquello della seconda è tutto egualmente ricoperto dauna membranain modo da essere

assolutamente impercettibile dal di fuori.

Non è curioso che un essere immenso come la balena veda il mondo attraversoun occhio così piccoloe senta

il tuono attraverso un orecchio che è più piccino di quello di una lepre?Ma se anche i suoi occhi fossero larghi come la

lente del gran telescopio di Herschele i suoi orecchi capaci come porticidi cattedraliforse che ciò le allungherebbe la

vista o le raffinerebbe l'udito? Niente affatto. E allora perché cercate di«allargarvi» la mente? Cercate di sottilizzarla.

Vediamo ora di rovesciare con qualsiasi leva o macchina a vapore abbiamo aportata di manola testa del

capodoglio in modo che giaccia a pancia in aria; poi saliamo con una scalettasulla cima e diamo un'occhiata dentro la

bocca. E se non fosse che ora il corpo è staccatopotremmo scendere con unalanterna nella gran caverna Kentuchiana

del Mammuth del suo stomaco. Ma attacchiamoci qui a questo dente e diamociun'occhiata attorno. Che bocca davvero

bellache aria di castità! Dal pavimento al soffittoqui tutto è foderatoo piuttosto tappezzato di una splendida

membrana biancalucida come i rasi nuziali.

Ma usciamoorae osserviamo questa mandibola prodigiosa che somiglia alcoperchio lungo e stretto di

un'enorme tabacchieracol cardine a una punta invece che su un lato. Se lospingete in su in modo da alzarvelo sul capo

e fargli mostrare le sue file di dentiprende l'aspetto di una saracinescaspaventosae taleahimèrisulta per molti

poveri disgraziati nella pescasui quali questi spuntoni piombano con taleforza da impalarli. Ma è ben più terribile

vedere questi denti quandoa tese di profondità nel marescorgete qualchetetra balena che fluttua sospesacon la sua

prodigiosa mandibola di quasi quindici piedi di lunghezza penzolante adangolo retto col corpouguale in tutto all'asta

di fiocco di una nave. La balena non è morta; è solo depressaforseindispostaipocondriacae talmente passivache i

cardini delle mascelle le si sono rilassatilasciandola lì in quellaposizione goffaun rimprovero a tutta la tribù che

senza dubbio le augura il tetano.

Nel più dei casi questa mascellascardinata con facilità da un artistaabileviene staccata e issata sul ponte per

cavarne i denti di avorio e fare una provvista di quell'osso duro di balenacon cui i pescatori fabbricano ogni sorta di

articoli curiosicomprese le canne da passeggioi manici d'ombrello equelli da frustino.

Con una lungafaticosa issatala mandibola è tratta a bordo come fosseun'ancora; e al momento opportuno

qualche giorno dopo gli altri lavoriQueequegDaggoo e Tashtegotuttidentisti provettisono incaricati di strapparle i

denti. Con un'affilata vanga da squarto Queequeg lavora di bisturi sullegengive; poi la mandibola viene legata a perni

ad anello ecalato un paranco dall'attrezzaturaestraggono quei denti comebuoi del Michigan che tirano ceppi di

vecchie querce fuori da boschi selvaggi. Di solito i denti sono quarantadue;molto consumati ma sani nelle vecchie

balenee non otturati secondo le nostre maniere artificiali. Poi lamandibola è segata in lastree accatastata come un

mucchio di travicelli da costruzione.

LXXV • LA TESTA DELLA BALENA FRANCA: SCHIZZO COMPARATIVO

Attraversiamo il ponte e diamo una buona guardata alla testa della balenafranca.

Come la nobile testa del capodoglio si potrebbe paragonare per la sua formacomplessiva a un cocchio di

guerra romanospecie di frontedove ha una curva così ampiacosì latesta della balena francaall'ingrossoe non

molto elegantementesomiglia a una gigantesca scarpa a punta tozza. Duecentoanni faun vecchio viaggiatore olandese

paragonò il suo aspetto a quello di una forma da calzolaio. E in questaforma o scarpa potrebbe venite alloggiata

comodamente la vecchierella della favola con tutta la sua abbondanteprogenie.

Ma avvicinandosi di piùla grossa testa comincia ad assumere altri aspettia seconda del punto di vista. Se

state sulla cima e guardate i due sfiatatoi foggiati ad fpotreste prendereil tutto per un violoncello smisurato; e i due

spiragli per le fessure della cassa armonica. Ma se fermate l'occhio sullastranacrestata incrostazione a pettine in cima

alla massa - quella cosa verde e cirripedata che i groenlandesi chiamano la«corona» e i balenieri del sud la «cuffia»

della balena franca - se fermate l'occhio solo su questopotreste prenderela testa per il tronco di una quercia enorme

con un nido d'uccello nell'inforcatura. A ogni modoquando osservate queicrostacei vivi che si annidano lì dentro la

cuffiaquell'impressione l'avrete quasi certamente; a meno che la vostrafantasia non sia stata colpita davvero dall'altro

termine tecnico di coronanel quale caso vi riuscirà molto interessantel'idea che questo mostro potente è davvero un re

del mare col suo diademala cui verde corona è stata composta in questamaniera mirabile. Ma se questa balena è un re

ha l'aria di un tipo troppo cupo per portare con garbo un diadema. Guardatelì quella mandibola che pende! Che

immenso broncioche muso! Un broncio e un muso chemisurati dalcarpentieresono lunghi circa venti piedi e

profondi cinque; un broncio e un muso che vi daranno qualcosa comecinquecento galloni d'olio e più.

Ma che peccato che questa sfortunata balena abbia il labbro leporino. Lafessura è di circa un piede. La madre

probabilmentein una sua fase criticaveleggiava lungo la costa del Perùquando i terremoti aprirono baratri nelle

spiagge. Su questo labbrocome su una soglia scivolosapassiamo ora dentrola bocca. Sul mio onorese ora fossi a

Mackinawla prenderei per l'interno di una capanna indiana. Dio buono! Èquesta la strada che fece Giona? Il soffitto è

alto quasi dodici piedie si restringe ad angolo piuttosto acutocome selì ci fosse un vero e proprio palo di sostegno

mentre questi fianchi arcuaticostolati e pelosi ci presentano quellemeravigliose liste di balena semiverticalifatte a

scimitarraun trecento per parteche attaccate alla parte superiore dellatesta o osso della coronaformano quelle

veneziane che altrove ho menzionato di passata. Gli orli di questi ossi sonofrangiati di fibre peloseattraverso cui la.127

balena filtra l'acqua e nei cui grovigli trattiene gli animaletti di marequando a bocca aperta se ne va per le acque del brit

all'ora di pranzo. Nelle persiane centrali dell'ossocom'esse sono dispostenaturalmenteci sono certi segni curiosicerte

curvecerti vuoticerte sporgenzeda cui qualche baleniere suole calcolarel'età della bestiacome l'età d'una quercia dai

suoi anelli circolari. Benché la sicurezza di questo criterio non siaassolutamente dimostrabilepure ha un sapore di

probabilità analogica. Comunquese l'accettiamodobbiamo dare alla balenafranca un'età assai superiore a quella che

par ragionevole a prima vista.

Nei tempi antichi pare che fossero in vogaa proposito di queste persianele più strane favole. Un viaggiatore

nel Purchas le chiama le «basette» mirabili che stanno dentro la boccadella balena; un altro«setole di maiale»; un

terzoun vecchio signore nello Hackluytusa questo elegante linguaggio:«Ci sono circa duecento e cinquanta pinne che

crescono da ogni parte della sua ganascia superioree si arcuano sullalingua da ciascun lato della bocca.»

Come tutti sannoproprio queste setole di maiale o pinne o basette opersiane o come vi piaccia chiamarle

forniscono alle signore le stecche e altri apparecchi rassodanti. Ma larichiesta dell'articolo va diminuendo da parecchio

tempo. Fu ai tempi della Regina Anna che l'osso conobbe la sua gloriaessendo allora di gran moda la crinolina. E come

quelle antiche dame andavano in giro allegramentepur trovandosiper cosìdiretra le fauci della balenaanche ai

giorni nostri noiin un rovescio d'acquascappiamo con la stessaspensieratezza a ripararci sotto le stesse faucivisto

che il parapioggia non è che una tenda stesa sui medesimi ossi.

Ma oraper un momentodimenticate persiane e basette edritti in boccaalla balena francaguardatevi attorno

di nuovo. Vedendo tutti questi colonnati d'osso disposti così metodicamenteall'ingironon direste di essere dentro al

grande organo di Haarlem e di stare osservando le sue mille canne? Cometappeto dell'organo ne abbiamo uno turco tra

i più sofficila linguache è per così dire incollata al pavimento dellabocca. È molto grassa e tenerae facile a lacerarsi

quando la si issa sul ponte. Davanti a questa particolare linguadirei aocchio e croce che è una sei-botticioè vi darà

circa quella quantità d'olio.

A questo punto avrete ormai riconosciuto la verità di ciò che ho dettoall'inizioche il capodoglio e la balena

franca hanno teste quasi del tutto diverse. Allora tirando le somme: inquella della balena franca non c'è un gran pozzo

d'olionessun dente di avorionessun osso lungo e sottile alla mandibolainferiorecome in quella del capodoglio. E nel

capodoglio non ci sono affatto quelle persiane d'ossonon c'è nessun grossolabbro inferioree quasi niente lingua.

Inoltre la balena franca ha due sfiatatoi esterniil capodoglio solo uno.

Un'ultima occhiata a queste venerabili teste incappucciatementre stannoancora assieme; perché una

sprofonderà presto dimenticata nel maree l'altra non tarderà molto aseguirla.

Riuscite a cogliere l'espressione di quella testa di capodoglio? È la stessacon cui è mortosoltantosulla fronte

qualcuna delle rughe più lunghe pare svanita. Io credo che la sua fronteampia sia piena come della pace delle praterie

nata da una filosofica indifferenza per la morte. Ma osservate l'espressionedell'altra testa. Guardate quello stupefacente

labbro inferioreschiacciato per caso contro la fiancata del bastimentoinmodo da abbracciare fermamente la mascella.

Non vi pare che tutta la testa parli di un'enorme risoluzione praticanell'affrontare la morte? Penso che questa balena

franca sia stata uno stoico; e il capodoglio un platonista che avrà seguitoSpinoza nei suoi ultimi anni.

LXXVI • L'ARIETE

Prima di lasciareper il momentola testa del capodogliovorrei che voida fisiologo intelligente e nient'altro

ne osservaste in particolare l'aspetto della fronte in tutta la sua raccoltacompattezza. Vorrei che la esaminaste per ora al

solo scopo di farvi un'idea ragionevole e sensata di quella potenza di arieteche vi si può trovare. È un punto essenziale:

perché dovete o convincervene da voi stesso in modo soddisfacenteo restareper sempre incredulo davanti a uno dei

fatti più terrificantie non per ciò meno veridi tutta la storiadocumentata.

Notate che nella posizione ordinaria di nuoto del capodoglioil davantidella testa presenta un piano quasi

esattamente verticale all'acqua; notate che la parte inferiore di questafronte va piegando considerevolmente all'indietro

in modo da offrire qualcosa di più di un rifugio al lungo incavo che ricevela mandibola a forma di boma; notate che la

bocca è interamente sotto la testaproprio come sarebbe se la vostra boccafosse completamente sotto il mento. Notate

inoltre che la balena manca esternamente di nasoe che il suo nasolosfiatatoiole sta in cima alla testa; notate che

occhi e orecchie sono posti ai lati della testaquasi a un terzo di tutta lasua lunghezza a partire dalla fronte. E quindi vi

sarete ormai resi conto che la fronte del capodoglio è una parete morta eciecasenza un solo organo o alcuna

prominenza delicata. E per giunta ora dovete considerare che solo in quellaparte inferiore della fronte che declina

all'indietro c'è un qualche minimo vestigio d'ossae solo quando si èpenetrati per circa venti piedi nella fronte si arriva

al pieno sviluppo del cranio. Sicché questa enorme massa senz'osso è comeun solo cuscinetto. E finalmentesi vedrà

presto che il suo contenuto comprende in parte il suo olio più finemadovete ora conoscere la vera natura della

sostanza che riveste in modo così inespugnabile tutta quella apparentedelicatezza. In precedenza ho spiegato che il

grasso avvolge il corpo della balena come la scorza un'arancia. Così è perla testama con una differenza: intorno a essa

quel rivestimentosebbene non molto spessoè di una tigliosità polposatale che nessuno può credervi senza averci

messo le mani. Il rampone più aguzzola lancia più tagliente vibrata dalbraccio più robustorimbalzano impotenti. È

come se la fronte del capodoglio fosse lastricata di zoccolo di cavallo. Noncredo abbia alcuna sensibilità..128

Pensate ora a un'altra cosa. Quando succede che due grossi mercantili a pienocarico si accostano troppo e si

buttano l'uno addosso all'altro nei baciniche fanno i marinai? Micasospendono tra di essinel punto dove si stanno per

urtareuna qualunque sostanza meramente dura come il ferro e il legno. Novi mettono un'imbottitura grande e tonda di

stoppa o sugheroavvolta nel cuoio più doppio e resistente. E questa ricevesenza paura e senza danno la botta che

altrimenti avrebbe schiantato tutte le aspe di quercia e le stanghe di ferro.Di per séciò illustra a sufficienza il fatto

ovvio a cui voglio arrivare. Ma di rincalzo ho pensato per via di ipotesi checome i pesci comuni posseggono ciò che si

chiama una vescica del nuotocapace di dilatarsi o contrarsi a volontàeinveceper quanto io sappiail capodoglio non

possiede nulla di simile; considerando inoltre la maniera altrimentiinspiegabile con cui ora abbassa completamente il

capo sotto la superficie e ora nuota tenendolo alto fuori dell'acqua; econsiderando l'elasticità illimitata della copertura

di quella testa e l'interno che è unico nel suo genere; dicoho pensato peripotesi che quei misteriosi favi a celle

polmonari che vi sono dentro possono avere qualche collegamento finora ignotoe insospettato con l'aria esternain

modo da essere suscettibili di dilatazione e contrazione atmosferiche. Se ècosìimmaginate quant'è irresistibile quella

forza a cui contribuisce l'elemento più impalpabile e distruttore che cisia.

Ora state attenti. A spingere infallibilmente questa parete mortainespugnabile e invulnerabilee quella materia

estremamente leggera che c'è dentronuota dietro a esse una massaformidabile di vitache si può stimare

adeguatamente solo come si stima la legna accatastataa tese cubiche; etutto ubbidisce a una sola volontàcome

nell'insetto più minuto. Sicché quando d'ora in poi vi descriveròminutamente tutte le singolarità e i concentramenti di

forza che si nascondono per ogni dove in questo mostro smisuratoquando vimostrerò qualcuna delle sue più

insignificanti imprese nel colpire di testaspero che abbiate rinunciato aogni incredulità ignorantee sarete pronti a

mantenere questa vostra promessa: che se il capodoglio si aprisse a colpi ditesta un passaggio attraverso l'istmo di

Darien e mescolasse l'Atlantico col Pacificonon drizzereste un pelo dellevostre sopracciglia. Perché se non

riconoscete la potenza della balenasiete solo un provinciale e unsentimentale della verità. Ma la chiara Verità è una

cosa che solo delle salamandre giganti possono affrontare: che probabilitàpossono dunque avere i provinciali? E che

cosa successe a quel giovincello gracilino che sollevò a Sais il velo delladea terribile?

LXXVII • LA GRAN BOTTE DI HEIDELBERG

E ora viene lo svuotamento della cassa. Ma per capirlo bene dovete saperequalcosa della strana struttura

interna dell'oggetto su cui si opera.

Se consideriamo la testa del capodoglio come un solido oblungosi puòsuun piano inclinatodividerla di

sghembo in due cuneidi cui l'inferiore è la struttura ossea che forma ilcranio e le mascellee il superiore una massa

untuosa affatto priva d'ossa: la sua ampia estremità anteriore costituiscela fronte apparentelarga e verticaledel pesce.

A metà della fronte suddividete orizzontalmente questo cuneo superioreeavrete allora due parti quasi ugualigià divise

naturalmente da una parete interna di spessa materia tendinosa.

La sottoparte inferiorechiamata junkè un immenso favo d'olioformato da una trama di dure fibre elastiche

bianchetraverso cui il liquido infiltra migliaia di cellule. Quellasuperiorenota come la cassapuò essere considerata

la gran botte di Heidelberg del capodoglio. E come quel gran fusto famoso èmisteriosamente intagliato sulla facciata

così l'ampia fronte rugosa della balena forma innumerevoli emblemi bizzarricome ornamento della sua botte mirabile.

E ancoracome quella di Heidelberg era sempre piena dei vini più eccellentidelle vallate del Renocosì la botte della

balena contiene di gran lunga il più prezioso di tutti i raccolti oliaceicioè a dire il rinomatissimo spermaceti nel suo

stato più purolimpido e odorifero. Né questa sostanza preziosa si trovaallo stato incorrotto in altre parti dell'animale.

Sebbene perfettamente liquida in vitaesposta all'aria dopo la mortecomincia presto a cagliarsiproducendo bellissimi

gettiti cristallinicome quando il primo ghiaccio sottile e delicato si vaformando nell'acqua. La cassa di una balena

corpulenta dà generalmente un cinquecento galloni di spermacetima percause inevitabili una buona parte ne viene

versatafiltra e sgocciola via o si perde irrimediabilmente in altri modinel delicato sforzo di assicurarsene quanto più è

possibile.

Non so di quale fine e costoso materiale fosse foderata all'interno la granbotte di Heidelbergma senza dubbio

per sontuosità quella fodera non avrebbe affatto retto il paragone con laserica membrana colore di perlasimile alla

federa di una ricca pellicciache forma la superficie interna della cassadel capodoglio.

Si sarà visto che la botte di Heidelberg del capodoglio prende l'interalunghezza di tutta la sommità della testa;

e dacchélo si è detto altrovela testa prende un terzo dell'interalunghezza del pescese fissiamo questa lunghezza a

ottanta piedi per una balena di buona misuraavrete più di ventisei piediper la profondità della botte quando è issata

verticalmente per il lungo contro il fianco del legno.

Nel decapitare poi la balenal'arnese dell'operatore arriva assai vicino alpunto dovesuccessivamentesi apre

l'accesso al deposito dello spermaceti; e quindi egli deve fare estre maattenzione che un colpo sbadato e intempestivo

non perfori il santuario e ne faccia uscire per perdersi il suo contenutoinestimabile. Ed è questa estremità mozzata della

testa che viene alla fine sollevata dall'acqua e trattenuta in quellaposizione dagli enormi paranchi di squartamentoi cui

intrichi di canapeda quel latofarine nel quartiere una vera e propriaselva di cavi.

Detto tutto questovi prego ora di assistere a quella operazionemeravigliosae in questo caso specifico quasi

fatalecon cui la gran botte di Heidelberg del capodoglio vienesvuotata..129

LXXVIII • CISTERNA E SECCHIE

Agile come un gattoTashtego sale sull'alberaturae senza mutare la suaposizione eretta corre dritto in fuori

sul pennone di maestrodalla parte dove strapiomba esattamente sulla bottesospesa. Ha portato con sé un paranco

leggero che chiamano frustafatto di un solo cavo a due partiche passa inun bozzetto semplice. Assicurando questo

bozzetto in modo che penzoli dal pennoneegli getta un'estremità del cavoche è presa e tenuta salda da un marinaio in

coperta. Poimano a manol'indigeno si cala lungo l'altra metànell'ariafinché atterra agile in cima alla testa. Qui

ancora alto sul resto della compagnia verso cui grida vivacementesomiglia aqualche muezzin turco che chiama i fedeli

alla preghiera dall'alto di una torre. Gli fanno arrivare una vanga affilatadal manico cortoed egli comincia a cercare

diligentemente il punto adatto per cominciare ad aprire la botte. In questoprocede con molta cautelacome un cercatore

di tesori in qualche vecchia casache va sondando le pareti per scopriredov'è murato l'oro. Prima che questa cauta

ricerca finiscasi attacca a un'estremità della frusta una pesante secchiacerchiata di ferroproprio come una secchia di

pozzomentre l'altra estremitàdistesa lungo la copertavi è trattenutaattentamente da due o tre marinai. Questi alzano

ora la secchia fino alla mano del compagnoal quale un altro ha teso unalunghissima pertica. Inserendo questa pertica

nella secchiaTashtego guida il recipiente giù dentro la botte finchésparisce del tutto; poi dà una voce ai marinai della

frustaed ecco riapparire la secchiatutta spumeggiante come un secchio dilattaia pieno di latte fresco. Calato

attentamente dall'altoil recipiente pieno colmo viene afferrato da unapposito marinaio e subito vuotato in una grossa

tinozza. Poi esso risalee ricomincia il suo giro finché la profondacisterna non dà più niente. Verso la fineTashtego

deve scavare sempre più in fondo e sempre con più forza nella bottefino afarvi sparire circa venti piedi di pertica.

Ora la gente del Pequod era stata a sgottare in questa maniera per qualchetempoe parecchie tinozze erano

state riempite d'olio fragrantequando di colpo successe uno stranoincidente. Forse quel barbaro di Tashtego fu tanto

imprudente e temerario da mollare per un attimo la sua presa di mano aigrossi paranchi che reggevano la testao forse

il punto in cui si reggeva era troppo fangoso e traditoreo forse infine fuil maligno in persona che volle far succedere

l'incidentesenza meglio specificare le sue ragioni. Come funessuno orapuò dirlo; ma di colpomentre l'ottantesima o

la novantesima secchia spuntava fuori con un risucchioper la miseria! ilpovero Tashtegocome la secchia gemella che

cala in un vero pozzopiombò a capofitto in quella gran botte diHeidelberge scomparve del tutto ai nostri occhi con

un orribile gorgoglio oleoso.

«Un uomo in mare!» gridò Daggoo che in mezzo alla costernazione generalefu il primo a tornare lucido: «Qui

la secchia!» e mettendovi dentro un piedein modo da rafforzare la suapresa alla corda unta della frustasi fece alzare

su fino in cima alla testaprima quasi che Tashtego all'interno potesse avertoccato fondo. E intanto lì dentro avveniva

un tumulto terribile. Dalla murata si vedeva la testa senza vita chepalpitava e sussultava proprio sotto il pelo dell'acqua

quasi fosse presa in quel momento da qualche idea di straordinariaimportanza; mentre era solo il disgraziato indiano

che senza volerlo rivelava sbattendo la pericolosa profondità a cui eradisceso.

In quel momentomentre Daggoo in cima alla testa disimpegnava la frusta chein qualche modo si era

imbrogliata nei grossi paranchi di squartosi sentì un secco scricchiolioe con orrore indescrivibile di tuttiuno degli

enormi ganci che sostenevano la testa venne viae con un'ampia vibrazione lamassa slittò e dondolò di fiancofinché la

nave ubriaca vacillò e tremò come urtata da un iceberg. L'unico ganciorimastoche reggeva ormai tutto il pesopareva

dovesse cedere da un momento all'altro; il che era anche più probabile acausa delle oscillazioni violente della testa.

«Vieni giùvieni giù!» gridavano i marinai a Daggoo; ma il negro sireggeva con una mano ai pesanti paranchi

in modo da restarvi appeso se la testa cedeva; e disimpegnato il cavogettòla secchia nel pozzo semicrollatoin modo

che il ramponiere seppellito l'afferrasse e potesse venire tirato fuori.

«Per il Padreterno» gridò Stubb«che faicacci dentro una cartuccia?Lascia perdere! Lo vuoi aiutare dandogli

il secchio di ferro sulla zucca? Lasciati dico!»

«Attento al paranco!» gridò una vocecome lo scoppio di un razzo.

Quasi nello stesso istantecon un fragore di tuonol'enorme massa piombòin acqua come la Tavola di Roccia

del Niagara nel vortice; improvvisamente liberatolo scafo rollò viamostrando perfino la luccicante lamiera di ramee

tutti trattennero il respiro mentre Daggooruotando a metà ora sulle testedegli uomini e ora sull'acquaappariva e

spariva attraverso una fitta nebbia di spruzziaggrappato ai paranchipenzolantie il povero Tashtego seppellito vivo

scendeva sempre più giù in fondo al mare. Ma si era appena dileguato ilvapore accecanteche una figura nuda con in

mano una sciabola d'abbordaggio apparve per un attimo in equilibrio sullamurata. L'istante dopoun forte tonfo

annunciava che il mio coraggioso Queequeg si era tuffato per venire in aiutodel compagno. Tutti corremmo a mucchio

alla muratae ogni occhio contava le increspaturementre i momenti sisusseguivano e non si vedeva segno né

dell'affondato né del tuffatore. Alcuni saltarono su una lancia accostataalla nave e dettero qualche colpo di remo verso

il largo.

«Ah! ah!» gridò Daggoo di colpodal suo posatoio che ora oscillava quietolassù; e guardando più lontano

vedemmo un braccio alzarsi dritto dalle onde azzurre: uno strano spettacolocome un braccio che spunti dall'erba sopra

una tomba.

«Tutti e duetutti e due! Ci sono tutti e due!» tornò a gridare Daggoocon uno strillo di gioia; e subito dopo

vedemmo Queequeg che con una mano nuotava vigorosamente e con l'altrastringeva la lunga capigliatura dell'indiano..130

Tirati nella lancia che li aspettavafurono portati presto sul ponte. MaTashtego ci mise parecchio a riaversie nemmeno

Queequeg pareva molto vivace.

Oracom'era stato fatto questo nobile salvataggio? EbbeneQueequeg si eratuffato dietro alla testa che

sprofondava lentamentee con la sciabola affilata aveva menato di fiancovicino al fondoin maniera da aprirvi un

grosso foro; poibuttando via la sciabolaaveva cacciato tutto il suo lungobraccio dentro e verso l'altoe così aveva

tirato fuori il nostro povero Tashtego per la testa. Egli dichiarò che alprimo tentativo di trovarlo gli si era presentata

una gambama sapendo bene che questo non era regolare e poteva causare gravidifficoltàaveva spinto indietro la

gambae con un'abile spinta e botta aveva fatto fare all'indiano uncapitombolo; sicché al secondo tentativo era venuto

fuori alla buona maniera anticaa testa avanti. Quanto al gran capoccionesi era comportato come meglio non si poteva

aspettare.

E cosìgrazie al coraggio e alla grande abilità ostetrica di QueequegTashtego era stato felicemente riportatoo

piuttosto dato alla lucee per giunta a dispetto degli ostacoli piùdifficili e apparentemente insuperabili; che è senza

dubbio una lezione da non scordare. E l'arte levatricia bisognerebbeinsegnarla alla pari con la schermail pugilato

l'equitazione e il canottaggio.

Sono sicuro che questa strana avventura del Capo Allegro sembreràincredibile a certa gente di terrasebbene

anche loro possano avere visto o sentito di qualcuno caduto in una cisternadi terraferma; un incidente che capita non di

radoe anche molto più immotivatamente di quello dell'indianovista lastraordinaria sdrucciolevolezza dell'orlo del

pozzo del capodoglio.

Ma forse qualcuno insisterà sagacemente: come va questa storia? Pensavamoche la testa porosa e fibrosa del

capodoglio fosse la sua parte più leggera e capace di galleggiarema tu lafai affondare in un elemento il cui peso

specifico è di gran lunga superiore. Questa volta ti abbiamo preso in fallo.Niente affatto; anzisono io che vi ho colti in

fallo; perché quando il povero Tashtego ci cascò dentrola cassa era stataquasi tutta svuotata del suo contenuto più

leggeroe restava poco più della doppia parete tendinosa del pozzounasostanza saldata a doppio e ribaditacome ho

già dettoche è molto più pesante dell'acqua di maretanto che un pezzovi affonda quasi come il piombo. Ma la

tendenza ad affondare subito di questa sostanzanel caso presente eramaterialmente controbilanciata dalle altre parti

della testa che vi restavano attaccatesicché essa affondò moltolentamenteanzi con lentezza deliberataoffrendo

lealmente a Queequeg la possibilità di compiere il suo svelto attooperatorio di gran corsasi potrebbe dire. Sicurofu

proprio un parto in piena corsa.

Orase Tashtego fosse morto in quella testala sua sarebbe stata unapreziosissima morte; soffocato nel più

bianco e fine dei fragranti spermaceti; messo nella baranel feretro e nellatomba della più segreta camera e del Santo

dei Santi della balena. Soltanto una fine più dolce è facile ricordare: ladeliziosa morte di un cacciatore di miele

dell'Ohioche cercando il miele nell'inforcatura di un albero cavo ne trovòun tale depositoche sporgendovisi troppo ne

venne risucchiatoe vi morì imbalsamato. Quanta gente pensate che siacaduta così nella testa mielata di Platonee vi

sia morta soavemente?

LXXIX • LA PREGHIERA

Analizzare le linee della facciao tastare i bernoccoli sulla testa di queileviataniè un'impresa che finora

nessun fisiognomista o frenologo ha affrontato. Un compito simile parrebbequasi altrettanto promettente che per

Lavater avere scrutato le rughe sulla Rocca di Gibilterrao per Gall esseremontato su una scala per palpeggiare la

cupola del Pantheon. Eppurein quella sua opera famosaLavater tratta nonsolo dei vari volti umanima anche studia

attentamente le facce di cavalliuccelliserpenti e pescie trattadettagliatamente i cambiamenti di espressione che vi si

colgono. Né il Gall e il suo allievo Spurzheim hanno mancato di azzardarequalche supposizione riguardo alle

caratteristiche frenologiche di creature diverse dall'uomo. Perciòsebbeneio sia ben poco idoneo a fare il pioniere

nell'applicazione di queste due semiscienze alla balenafarò del miomeglio. Io tento di tuttoe realizzo quel che posso.

Fisiognomicamente consideratoil capodoglio è una bestia anomala. Non ha unvero e proprio naso. E siccome

il naso è il connotato centrale e più cospicuoe forse quello chemaggiormente modifica e in ultima analisi controlla

l'effetto combinato degli altri caratterisembrerebbe da questo che la suaassoluta mancanzain quanto appendice

esternadebba influenzare moltissimo l'aspetto della balena. Perchécomenell'arte del giardinaggio una gugliauna

cupolaun monumento o una qualche torre è ritenuta quasi indispensabile perla compiutezza della scenacosì nessun

viso può essere armonioso fisiognomicamente senza l'alto campanile a traforodel naso. Fate saltare il naso al Giove

marmoreo di Fidia: che orrore vi resta! Ma tuttavia il leviatano è didimensioni così potentie le sue proporzioni sono

così maestoseche quella stessa deficienza che nel Giove scolpito sarebberipugnantein lui non è per nulla una

macchia: anzi aggiunge alla sua imponenza. Un naso nella balena sarebbe statonon pertinente. Mentre nella vostra iole

fate un viaggio fisiognomico attorno alla gran testai nobili pensieri chevi ispira non sono mai turbati dall'idea che la si

potrebbe menare per il naso. Un'idea pestiferache così spesso continua aficcarvisi in mente anche se contemplate il più

imponente mazziere regale sul suo trono.

Per alcuni riguardiforse la più imponente veduta fisiognomica che si possaavere del capodoglio è quella di

piena faccia. Questo suo aspetto è sublime..131

Una bella fronte umana che pensa è come l'Oriente tormentato dal mattino.Nel riposo del pascolo la fronte

arricciata del toro ha in sé qualcosa di grandioso. Quando spinge pesanticannoni su per le gole montanela fronte

dell'elefante è maestosa. Umana o animalela misteriosa fronte è come quelgran sigillo aureo apposto dagli imperatori

tedeschi ai loro decreti. Significa: «Dio: fatto oggi di mio pugno.» Manella maggior parte delle creatureanzi nell'uomo

stessomolto spesso la fronte non è altro che una mera striscia di terraalpina lungo la linea delle nevi. Poche sono le

fronti che come quelle di Shakespeare o di Melantone si alzano così in altoe scendono così in profondoche gli occhi

stessi paiono chiarieterni e immobili laghi montani; e ovunque al di sopradi essinelle rughe della frontevi sembra di

seguire i pensieri dalle grandi corna ramose che vi scendono a berecome icacciatori degli Altipiani seguono sulla neve

le tracce dei cervi. Ma nel grande capodoglioquell'alta e possente dignitàdivina che inerisce alla fronte è così

immensamente ampliatache se lo guardate bene di fronte sentite la divinitàe le tremende potenze più fortemente che

alla vista di qualsiasi altra cosa viva nella natura. Perché non vedetenessun singolo puntonessun tratto distintoné

naso né occhi né orecchie né boccanessuna faccia perché il capodoglionon ne hanulla tranne quell'unico vasto

firmamento della frontepieghettato di enigmisilenziosamente gravato deldestino di navilance e uomini. Né di

profilo questa fronte meravigliosa appare più piccolasebbene vista in quelmodo la sua grandiosità non vi torreggia

tanto addosso. Di profilovedete benissimo quella depressione orizzontaleaforma di semiluna spezzatache per

Lavater è nell'uomo il segno del genio.

Ma comegenio in un capodoglio? Ha mai scritto un libro o pronunciato undiscorsoil capodoglio? Noil suo

grande genio si rivela in questoche egli non fa nulla di speciale perprovarlo. E inoltre è dichiarato nel suo silenzio da

piramide. E questo mi ricorda che se il gran capodoglio fosse stato noto aiprimi uomini dell'orientesarebbe stato

divinizzato dalla magica infantilità dei loro pensieri. Essi divinizzaronoil coccodrillo del Niloperché il coccodrillo non

ha lingua; e anche il capodoglio non ha linguao almeno ce l'ha tantopiccola che non può nemmeno tirarla fuori. Se in

futuro qualche popolo di alta e poetica cultura riuscirà a richiamare ailoro diritti di primogenitura gli antichi allegri dèi

di Calendimaggioe li rimetterà vivi in trono nel cielo ora egoisticosulmonte ormai desertoallora state certi che il

gran capodoglioelevato all'alto seggio di Giovefarà vita da re.

Champollion decifrò i rugosi geroglifici del granito. Ma non c'è unoChampollion che decifri l'Egitto del viso

di ogni uomo e di ogni essere. La Fisiognomiacome ogni altra scienza umanaè solo una favola effimera. Se dunque

Sir William Jonesche aveva studiato trenta linguenon riusciva a leggerela faccia del contadino più ingenuo nei suoi

significati più profondi e sottilicome può sperare questo ignoranteIsmaele di leggere il tremendo caldaico della fronte

del capodoglio? Non posso che mettervela davanti. Leggetela voi se potete.

LXXX • IL NOCCIOLO

Se il capodoglio è fisiognomicamente una sfingeil suo cervello è per ilfrenologo quel cerchio dei geometri

che è impossibile quadrare.

Nell'esemplare adulto il cranio è lungo almeno venti piedi. Scardinate lamandibolae l'aspetto laterale di

questo cranio è come l'aspetto laterale di un piano moderatamente inclinatoche poggia tutto su una base orizzontale.

Ma in vitacome abbiamo già vistoquesto piano inclinato è riempitoangolarmente e quasi quadrato dall'enorme massa

sovrastante dello junke dello sperma.All'estremità superiore il cranio forma un cratere per ricevere quella partedella

massamentre sotto il lungo pavimento di questo craterein un'altra cavitàche supera di rado i dieci pollici di lunghezza

e altrettanti di profonditàriposa quella manciatina di cervello che ha ilmostro. Nella bestia vivail cervello dista

almeno venti piedi dalla sua fronte apparente: se ne sta nascosto dietroampie opere di difesacome la cittadella interna

dentro le vaste fortificazioni di Quebec. Ed è sepolto così benequasifosse un cofanetto preziosoche io ho conosciuto

balenieri i quali negavano perentoriamente che il capodoglio avesse altrocervello se non quella liquida sembianza del

medesimo costituita dai metri cubi del suo magazzino di sperma. Dispostocom'è in strane pieghegiri e convoluzioni

sembra loro più adeguato all'idea della sua forma complessiva considerarequesta sua parte misteriosa come la sede

dell'intelligenza.

È chiaro quindi che frenologicamente la testa di questo leviatanoallostato vivo e integroè una completa

illusione. Quanto al suo vero cervelloin quello stato non se ne vede nésente alcun indizio. Come tutte le cose possenti

la balena presenta al mondo profano una falsa fronte.

Se scaricate il cranio dei suoi mucchi spermacei e poi date un'occhiata allasua facciata posterioresarete colpiti

dalla sua somiglianza col cranio umano veduto nella stessa situazione e dallostesso punto di vista. Sul seriomettete

questo craniorovesciato e rapportato alla misura umanain un vassoio dicrani umanie involontariamente li

confonderete; e notando le depressioni su una parte del suo cocuzzolo direstecon spirito frenologico: «Quest'uomo non

ha rispetto di séné venerazione.» E da queste negazioniunite al fattopositivo della sua massa e forza prodigiosa

potete meglio farvi l'idea più verase non la più esilarantedi che cosasia al mondo la più alta potenza.

Ma sedalle dimensioni relative del vero cervello della balenagiudicateche sia impossibile farne una

descrizione adeguataallora ho per voi un'altra idea. Se osservateattentamente la spina dorsale di quasi tutti i

quadrupedivi colpirà la somiglianza delle vertebre a una collana dipiccoli crani che somigliano tutti in modo

rudimentale al cranio vero e proprio. È un'idea tedesca che le vertebresiano senz'altro crani non sviluppati. Ma la

curiosa somiglianza esteriorepenso che non siano stati i tedeschi a notarlaper primi. Un mio esotico amico me la fece.132

notare una volta nello scheletro di un nemico uccisoe con le cui vertebrestava intarsiando a mo' di bassorilievo la prua

a becco della sua canoa. Oraio penso che i frenologi abbiano omesso unacosa importantenon spingendo le loro

ricerche dal cervelletto fino al foro spinale. Perché penso che molta partedel carattere di un uomo la si trovi indicata

nella sua spina. Vorrei piuttosto palparvi la spina che il craniochiunquesiate. Un travicello magro di spina non ha mai

retto un animo nobile e pieno. Io mi compiaccio della mia spinacomedell'asta ferma e audace di quella bandiera che

spiego in faccia al mondo.

Applicate questo ramo spinale della frenologia al capodoglio. La sua cavitàcranica si continua nella prima

vertebra della nucae in questa vertebra il fondo del buco spinale misureràdieci pollici di larghezza e otto di altezza e

avrà forma di triangolo con la base in basso. Passando attraverso le altrevertebre il canale si restringe di volume. ma

per un tratto considerevole mantiene una grande capacità. Oranaturalmentequesto canale è in fondo riempito della

stessa sostanza stranamente fibrosail midollo spinaleche riempie ilcervelloe col cervello comunica direttamente. E

quel che è più importanteper molti piedi dopo che è uscito dalla cavitàcerebraleil midollo presenta una circonferenza

immutataquasi uguale a quella del cervello. Così stando le cosenonsarebbe ragionevole esaminare e delineare

frenologicamente la spina dorsale della balena? Vista sotto questa lucel'incredibile piccolezza relativa del suo cervello

vero e proprio è più che compensata dall'incredibile grandezza relativadella spina dorsale.

Ma lasciamo che questo suggerimento agisca come può tra i frenologi; vorreisolo accettare per un istante la

teoria spinale con riferimento alla gobba del capodoglio. Questa gobbaaugusta sorgeo mi sbagliosu una delle

vertebre più grossee ne è quindiin qualche modola sagoma convessaesteriore. Dalla sua posizione relativa io

giudicherei allora che si debba definire quest'alta gobba l'organo dellafermezza e della indomabilità del capodoglio. E

che il gran mostro sia davvero indomabileavrete in seguito ragioni percrederlo.

LXXXI • IL PEQUOD INCONTRA LA VERGINE

Arrivò il giorno in cui era scritto che dovevamo incontrare la naveJungfraucapitano Derick De Deerdi

Brema.

Un tempo i più grandi popoli balenieri del mondogli olandesi e i tedeschisono ora tra gli ultimi; ma ogni

tantoa larghissimi intervalli di latitudine e longitudinecapita ancora diincontrare nel Pacifico la loro bandiera.

Per qualche ragionela Jungfrau pareva molto ansiosa di presentarci i suoiomaggi. Ancora a una certa distanza

dal Pequodsi voltò controvento e calò una lancia in cui il capitano vennespinto verso di noiritto impaziente a prua

invece che a poppa.

«Che diamine tiene in mano?» gridò Starbuck indicando qualcosa che iltedesco portava barcollante. «Non è

possibile! Un serbatoio di lampada!»

«Ma no» disse Stubb«nonoè una caffettierasignor Starbuck; stavenendo a farci il caffèil mangiasego;

non vedete quella grossa scatola di latta che ha accanto? È l'acquabollente. Ohun tipo in gamba questo mangiasego.»

«Ma smettila» sbottò Flask «è un serbatoio di lampadae un barattolod'olio. Ha finito l'olio e viene a

domandarci l'elemosina.»

Può sembrare curioso che una nave da olio chieda olio a prestito in zona dicaccia; ma per quanto possa

contraddire a suo modo il vecchio proverbio del portare carbone a Newcastlepure qualche volta questo succede

davvero; e nel caso presente il capitano Derick De Deer portava in mano senzadubbiocome sosteneva Flaskun

serbatoio di lampada.

Mentre saliva in coperta Achab gli si accostò bruscamentesenza badareaffatto a ciò che teneva in mano; ma il

tedesconel suo inglese approssimativomanifestò subito un'ignoranzatotale della balena biancae immediatamente

portò il discorso sul serbatoio e sulla scatola dell'oliofacendo capireche gli toccavadi notteficcarsi nella branda nella

più completa oscuritàperché l'ultima goccia del suo olio di Brema erafinita da un pezzoe neanche un pesce volante

s'era fatto pigliare per ovviare al bisogno; e concluse dicendo che la suanave era proprio una di quelle che i balenieri

chiamano tecnicamente pulite (cioè a direvuote)e meritava bene il nomedi Jungfrau o Vergine.

Rifornitosi di quanto gli servivaDerick se ne andòma non era ancoraarrivato a fianco del suo legnoche

dalle teste d'albero di tutte e due le navi furono quasi simultaneamenteavvistate balene; e tanto affamato era Derick di

cacciache senza fermarsi a portare a bordo il barattolo e il serbatoiogirò la barca e si buttò dietro ai serbatoi

leviatanici.

Oraessendo apparsa la preda a sottoventola sua barca e le altre tre deitedeschi subito corsegli dietro avevano

un vantaggio notevole sulle chiglie del Pequod. C'erano otto balenechefanno ordinaria mente un branco. Coscienti del

pericolofuggivano affiancatevelocissimedritte davanti al ventosfregandosi i fianchi strette come pariglie di cavalli

bardati. E lasciavano una grandeampia sciaquasi srotolassero di continuouna gran pergamena sul mare.

In mezzo a questa sfrenata sciae molte tese indietronuotava un vecchiomaschiogrosso e gibbosoche per la

sua relativa lentezza e per le insolite incrostazioni giallicce che locoprivano pareva malato di itterizia o di qualche altro

acciacco. Pareva improbabile che questa balena appartenesse al branco che glicorreva davantivisto che difficilmente

questi pesci venerabili si mostrano socievoli. Ma con tutto ciò insisteva anon mollare la sciasebbene le ondate che le

altre sollevavano lo rallentassero certamentevisto che l'osso bianco ol'onda davanti al suo largo muso si rifrangeva

come l'ondata che formano urtandosi due correnti contrarie. La sua sfiatataera cortalenta e faticosaveniva fuori con.133

una specie di sgorgo strozzatoe si sperdeva in brandelli laceriseguiti dastrani sussulti sotterranei che parevano

trovare sfogo alla sua altra estremità sommersafacendogli gorgogliarel'acqua dietro.

«Chi ha della tintura d'oppio canforata?» disse Stubb. «Ha la diarreatemo. Per la miseriapensateaverci

mezzo ettaro di mal di pancia! Venti contrari gli fanno carnevale nellebudellaragazzi. È il primo vento cattivo che

abbia mai visto tirare di poppa; ma guardates'è mai vista balenastraorzare in quel modo? Forse ha perduto la barra.»

Come un mercantile stracarico che scende lungo la costa indiana col pontegremito di cavalli impauritie

sbandapicchiarolla e sguazza per viacosì questa vecchia balenasollevava la sua massa attempatae in parte

rivoltandosi ogni tanto sulle costole impacciatemostrava la causa della suarotta sbilenca nel troncone innaturale della

sua pinna di tribordo. Difficile dire se avesse perduta quella pinna incombattimentoo se fosse nata senza.

«Un altro po' di pazienzavecchio mioe t'imbraco io quel braccioferito» gridò Flask crudelmente

accennando alla lenza che aveva accanto.

«Attento che non t'imbrachi lui» urlò Starbuck; «forzao lo prende iltedesco.»

Tutte le lance rivali puntavano unanimi su quel solo pesceperché era nonsolo il più grosso e quindi il più

preziosoma anche il più vicinoe del resto le altre balene filavano atale velocità da rendere inutilealmeno per il

momentoogni tentativo di inseguirle. A questo puntole chiglie del Pequodavevano sopravvanzato le tre lance

tedesche calate per ultime; ma grazie al vantaggio iniziale che avevalabarca di Derick era ancora in testasebbene

seguita ogni momento più da presso dai suoi rivali stranieri. La sola cosache i nostri temevano era chetrovandosi già

tanto vicino alla predaquello potesse lanciare il rampone prima di esserenettamente raggiunto e sorpassato. Quanto a

Derickpareva assolutamente sicuro di spuntarlae ogni tanto con un gestodi scherno agitava in aria il suo serbatoio

verso le lance.

«Che carognache ingrato!» urlava Starbuck«mi piglia in giro e mi sfidacon la stessa scatola dell'elemosina

che gli ho riempito neanche cinque minuti fa!» E col suo solito intensobisbiglio: «Forzalevrieri! Fatevi sotto!»

«Ora vi spiegoragazzi!» gridava Stubb al suo equipaggio. «Impazzire ècontro la mia religionema quel

farabutto tedesco lo vorrei mangiare. Avantiforza! Volete farvi battere daquel maiale? Vi piace l'acquavite? Allora

una botte per il migliore di tutti. Forzaperché qualcuno non si spacca unavena? Chi è che ha gettato l'ancora? Non ci

muoviamo di un pollicesiamo entrati in bonaccia. Ahòci cresce l'erba suquesto fondo di barcae per Diol'albero sta

mettendo i germogli. Così non varagazzi. Guardate quel mangiasego! A farlacortami volete sputare fuocosì o no?»

«Ma guarda che saponata che fa!» strillava Flask saltando come un grillo«guarda che gobba! Avantibuttatevi

sul manzo! Non tenetemi su questo troncoscattate ragazzi! Frittelle equohog a cenalo sapeteragazzi... vongole

arrosto e tartine... scattate perdio! È un cento botti... non me lo fateperdere adessonon me lo fate perdere: guardate

quel tedesco boia! Ragazzivolete remare o no per questo budino? Scannapani!Scansafatiche! Non vi piace lo

spermaceti? Ci sono tremila dollari laggiùragazzi! Una bancauna bancapiena! La banca d'Inghilterra! Sottosotto

sotto! E che fa ora quel tedesco?»

In quel momento Derick faceva il gesto di scagliare il serbatoioe anche ilbarattolo dell'oliocontro le lance

che avanzavanoforse con la doppia intenzione di ritardare la corsa deirivali e nello stesso tempo di accelerare

economicamente la sua col breve rinculo del suo lancio.

«Barcaccio maleducato!» urlò Stubb. «Vogate ragazzicome cinquantamilacorazzate di diavoli rossivogate!

Che diciTashtego? Te la senti di spaccarti la spina in ventidue pezzi perl'onore del vecchio Capo Allegro? Te la

senti?»

«Me la sentocanchero!» sibilò l'indiano.

E tutte assieme infuriate per gli scherni del tedescole tre lance delPequod cominciarono ora a irrompere quasi

affiancatee in quell'ordine quasi lo acchiappavano. Con l'atteggiamentodisinvolto e cavalleresco dei capibarca che si

avvicinano alla predai tre ufficiali si erano alzati in piedialtezzosieincitavano ogni tanto il poppiere con un grido

d'incoraggiamento: «Là scivolaguarda! Viva la brezza di frassino! Abbassoil tedesco! Dategli addosso!»

Ma così deciso era il vantaggio iniziale di Derickche malgrado tutta laloro valentia sarebbe riuscito vincitore

in quella garase una giusta punizione non gli fosse calata tra capo e collosotto forma di un colpo rovescio di pala del

rematore di mezzo. E mentre quel calzolaio brancolava per tirare il remodall'acquae a causa sua la barca stava per

rovesciarsi e Derick sbraitava impazzito alla ciurmaStarbuckStubb e Flaskcolsero la buona occasione. Con un

urlacciofecero un balzo tremendo e si allinearono per obliquo sul quartieredel tedesco. Ancora un momentoe tutte e

quattro le barche correvano a diagonale sotto la scia della balenae ai lorodue lati s'allargava l'onda schiumosa che

faceva il pesce.

Era uno spettacolo terribilepietosoda spezzare i nervi. Ora la balenaandava a testa in fuorie si buttava

innanzi la sfiatata in un gettito continuo e tormentosomentre la sua unicamisera pinna le batteva il fianco in un'agonia

di terrore. Ora da un lato ora dall'altro straorzava nella sua fugabarcollantee semprea ogni ondata che rompeva

affondava spasmodicamente nell'acqua o sbatteva di fianco verso il cieloquella sua unica pinna. Così ho visto un

uccello con l'ala spezzata fare atterrito nell'aria rotti cerchitentandoinvano di sfuggire ai falchi sanguinari. Ma l'uccello

ha vocee può comunicare il suo terrore con grida lamentose; la paura diquesto gran mostro muto del mare gli era

incatenata e incantata dentro; non aveva voce tranne quel respiro soffocatoattraverso lo spiraglioe ciò rendeva la sua

vista indicibilmente pietosamentre ancora nella sua massa stupefacentenella sua mascella a saracinesca e nella

potentissima coda c'era abbastanza da terrorizzare l'uomo più coraggioso chene sentisse pietà..134

Oravedendo che da un momento all'altro le lance del Pequod avrebbero presovantaggiopiuttosto che farsi

rubare la predaDerick decise di rischiare ciò che per lui doveva essere unlancio pazzescoe così non lasciarsi scappare

l'ultima sua carta.

Ma non appena il suo ramponiere si alzò per tiraretutte e tre le tigriQueequegTashtego e Daggoobalzarono

in piedi d'istinto e cosìin fila trasversalepuntarono insieme i ferri.Scagliati sulla testa del ramponiere tedescoquei tre

ferri di Nantucket si piantarono nella balena. Vapori incandescenti dischiuma ci accecarono. Le tre lancenella prima

furia del balzo di testa del pescecozzarono di lato contro il legno tedescocon una tale forzache Derick e il suo

sbigottito ramponiere furono buttati in acquae le tre chiglie in corsa liscavalcarono.

«Niente fifalattine mie di burro!» urlò Stubbgettando loro dipassaggio un'occhiata mentre s'avventavano

oltre«qualcuno vi pescherà subitonon vi preoccupate: ho visto certipescicani a poppasapetecani di San Bernardo

soccorrono i viandanti in pericolo. Urràquesto si chiama filare! Ognichiglia un barbaglio di soleurrà! Si viaggia

come tre marmitte attaccate alla coda di un puma impazzito! Mi fa pensare aun elefante legato a un biroccio su una

pianura: attaccati cosìci volano via di sotto i raggi alle ruoteragazzi!E c'è pericolo di fare un capitombolo se si sbatte

contro una collina. Urràquesto è cosa si sente quando si va diritti inbraccio a Davy Jones: tutto un volo lungo un piano

inclinato e senza mai fine! Urrà! Questa balena dev'essere il postino deldiavolo!»

Ma la corsa del mostro fu breve. Con un improvviso rantolo si tuffòtumultuosamente. Uno scattoun raschio

e le tre lenze filarono attorno ai ceppi con tale forza da scavarvi solchiprofondimentre i ramponieri temevano tanto

che questo veloce scandaglio esaurisse di botto le lenzeche con tutta laloro abilità e la loro forza diedero parecchie

volte al cavo fumante per trattenerlo; finchéper lo sforzo perpendicolaresui passacavi foderati di piomboda cui i cavi

filavano dritti nell'azzurroi capi di banda delle prue furono quasi alivello d'acquae le tre poppe si sollevarono in aria.

E quandosubito dopola balena smise di scenderetutti restammo in quellaposizione piuttosto scabrosa: ma avevamo

paura di dare altra lenza. Vi sono state barche tirate sotto e perdute inquesta manierama è questo «tenere»come viene

chiamatoquesto uncinarlo alla schiena con le punte aguzze nella carne vivache spesso tortura tanto il pesce da farlo

tornare a galla incontro alla lancia tagliente del nemico. Ma a parte ilrischio della cosaè dubbio che questo sia sempre

il procedimento miglioreperché non è che ragionevole presumere che piùla balena colpita resta sott'acquapiù si

esaurisce. Difattia causa della sua superficie enorme - un po' meno diduemila piedi quadrati in un capodoglio adulto -

la pressione dell'acqua è immensa. Tutti sappiamo quale incredibile pesoatmosferico noi stessi ci portiamo sulle spalle

anche quisul suolonell'aria: che peso dovrà dunque sopportare unabalenache regge sul dorso una colonna di

duecento tese di oceano! Uguaglieràper lo menoil peso di cinquantaatmosfere. Un baleniere l'ha paragonato al peso

di venti navi da guerra con tutti i loro cannoniprovviste e equipaggi.

Mentre le tre barche se ne stavano lì cullate delicatamente dal mareguardando nel suo eterno meriggio

azzurroe non un solo gemito né un gridoanzi neanche un gorgoglio o unabolla salivano dai suoi abissiquale uomo di

terra avrebbe pensato che sotto tutto quel silenzio e quella pace il piùgrande mostro del mare stesse sbattendo e

contorcendosi nell'agonia! Non otto pollici di cavo perpendicolare sivedevano dalle prue. Sembra credibile che con

quei tre gracili fili il grande leviatano fosse sospeso come il disco dipiombo a un pendolo di lunga carica? E sospeso a

che cosa? A tre pezzetti di legno. È questa la bestia di cui fu detto unavolta trionfalmente «Puoi riempirgli la pelle di

ferri dentatio la testa di fiocine. La spada di colui che gli mena non fapresané la lancia o il giavellotto o l'alabarda:

per lui il ferro è pagliail dardo non lo fa fuggirele frecce sono comestoppieegli ride a chi brandisce una lancia»? È

questa quella creaturaquesta qui sotto? Ahimèche le parole dei profetidebbano risultare vuote. Perché con la potenza

di mille cosce nella coda il leviatano ha cacciato la testa sotto le montagnedel mareper nascondersi alle fiocine del

Pequod!

Nella luce obliqua di quel pomeriggiole ombre che le tre lance gettavanosotto la superficie dovevano essere

lunghe e larghe abbastanza da coprire metà dell'armata di Serse. Chi puòdire come dovevano sembrare spaventosi alla

balena ferita quei fantasmi immensi che le fluttuavano sul capo!

«Attentiragazzisi muove!» gridò Starbuck mentre le lenze vibravano dibotto nell'acquaportando loro

dis tintamente dal bassocome per fili magneticii sussulti agonizzantidella balenasicché ogni rematore li sentì al suo

banco. Un attimo dopolibere in gran parte dallo sforzo delle prue verso ilbassole barche dettero un improvviso balzo

all'insùcome farebbe un lastrone di ghiaccio quando un folto gruppo diorsi bianchi ne schizzi via in acqua impaurito.

«Ricupera! Ricupera!» gridò di nuovo Starbuck. «Viene a galla.»

Le lenze di cui appena un minuto prima non si sarebbe potuto ricuperare unpalmofurono ora gettate in lunghe

rapide spire tutte gocciolanti nelle lancee presto la balena ruppe l'acquaa due navi di distanza dai cacciatori.

I suoi movimenti mostravano chiaro la sua estrema spossatezza. Nella maggiorparte degli animali terrestri

parecchie vene hanno certe valvole o cateratte per mezzo delle qualiin casodi feriteil sangue viene in qualche modo

almeno temporaneamente bloccato in certe direzioni. Non così nella balenauna delle cui caratteristiche è di avere nei

vasi sanguigni una struttura del tutto non valvolaresicché quando essaviene trafitta anche da una punta minuta come il

ramponeuna perdita mortale investe di colpo tutto il suo sistema arterioso;e quando questa è aggravata dalla

straordinaria pressione dell'acqua a grande distanza dalla superficiesipuò dire che la vita le sgorghi dalle ferite a fiotti

incessanti. Eppure è tanto il sangue che possiedee tanto distanti enumerose le sue interne fontiche essa continuerà a

versare sangue su sangue per gran tempo; così comein una siccitàpuòscorrere un fiume la cui origine è nelle fonti di

lontani e invisibili colli. Oraanche quando le barche si fecero addosso aquesta balenapassando pericolosamente sulla

sua coda ondeggiante per scagliare dentro il pesce le lancele nuove feriteprodussero gettiti continuiincessantimentre

lo sfiatatoio naturale sulla testa emetteva solo a intervalliper quantorapidiil suo atterrito vapore nell'aria. Ancora il.135

sangue non usciva da quest'ultimo orifizio perché sinora non era statatoccata nessuna parte vitale. La sua vitacome la

si chiama significativamenteera intatta.

E mentre le lance la circondavano più strettetutta la parte superiore delsuo corpocon molti di quei punti che

di solito stanno sommersisi fece chiaramente visibile. Si vedevano gliocchio piuttosto i punti dove erano stati gli

occhi. Come strane escrescenze aberranti si raccolgono nelle cavità dei nodidelle querce più nobili abbattutecosì dai

punti una volta occupati dagli occhi della balena sporgevano bulbi ciechiorribilmente pietosi a vedersi. Ma di pietà non

ve ne fu. Malgrado tutti i suoi annimalgrado il suo unico braccio e i suoiocchi ciechiil pesce doveva morire di quella

morteed essere assassinato per illuminare le gaie nozze e gli altridivertimenti degli uominie anche per fare luce nelle

chiese solenni che predicano la mansuetudine incondizionata di tutti versotutti. Sempre avvoltolandosi nel suo sangue

il pesce scoprì alla fine uno strano gonfiore o protuberanza lividadelvolume di uno staiomolto in basso sul fianco.

«Un bel posto!» strillò Flask. «Voglio pungerlo lì una volta.»

«Ferma» gridò Starbuck. «Non ce n'è bisogno.»

Ma l'umano Starbuck arrivò troppo tardi. Appena inferto il colpoun gettitoulceroso sprizzò dalla ferita

crudelee impazzita dal dolore insopportabile la balena sfiatando sanguedenso si scagliò di bottociecasulle lance

inzaccherando i legni e gli equipaggi esultanti sotto torrenti di sangueerovesciando con la prua spezzata la barca di

Flask. E fu il suo spasimo dell'agonia. Perché ormai era tanto esausta perla perdita di sangueche rotolò via impotente

dal rottame che aveva fattosi rovesciò sul fianco ansimantedibattè avuoto la pinna mutilatapoi pian piano si girò su

se stessa come un pianeta che muorevoltò in alto i bianchi segreti delventres'irrigidì come un troncoe morì. E fu

assai tristequell'ultima sua sfiatata. Come quando mani invisibili tolgonogradatamente l'acqua a una grande fontanae

con gorgogliamenti malinconicisemisoffocatila colonna di spruzzi siabbatte a poco a poco al suolo: così l'ultima

lunga sfiatata morente della balena.

Ben prestomentre gli equipaggi aspettavano l'arrivo della naveil corpomostrò sintomi di volere affondare

con tutti i suoi tesori inviolati. Immediatamenteagli ordini di Starbuckfurono assicurate lenze a vari suoi puntidi

modo che ben presto ogni barca diventò una boae la balena sommersa restòsospesa ai cavi a pochi pollici dalle

chiglie. Con cautissima manovraquando la nave si avvicinòla balena futrasferita al suo fianco e vi fu assicurata

saldamente con le più robuste catene da codaperché era chiaro che senzaun sostegno artificiale il corpo sarebbe subito

andato a fondo.

Capitò che quasi al primo taglio che le fecero con la vangatutto quanto unrampone corroso si trovò sepolto

nella carnenella parte inferiore della protuberanza di cui ho detto. Masiccome tronchi di arpioni si trovano spesso nei

corpi di balene uccisecon la carne perfettamente sana tutt'intorno e senzanessun gonfiore a indicarne il postodoveva

esserci stato di certonel caso presentequalche altro ignoto motivo chespiegasse l'ulcera cui ho alluso. Ma ancora più

curioso fu il fatto che nella balena si trovònon lontano dal ferro sepoltoe con la carne intorno perfettamente rassodata

la punta di pietra di una lancia. Chi aveva scagliato quella lancia dipietrae quando? Poteva averla scagliata qualche

indiano del Nord-Ovest molto tempo prima che si scoprisse l'America.

Chi sa quali altre meraviglie avremmo potuto scovare rovistando in questoarmadio mostruoso. Ma le nostre

scoperte ebbero un improvviso arresto quando si vide la navea causa dellatendenza del corpo ad affondare che

aumentava tremendamentepiegarsi tutta su un fianco come non si era maivisto. Comunque Starbuckche dirigeva le

operazionitenne duro fino all'ultimo; tenne duroa dire il verocosìcocciutamenteche quando alla fine la nave stava

per capovolgersise continuava a tenersi abbracciata al cadaveree fu datol'ordine di staccarsenesi era creata una tale

tensione sugli scalmi a cui erano assicurati i cavi e le catene di codachefu impossibile mollarli. Intanto tuttosul

Pequodera a sghimbescio. Attraversare il ponte dall'una all'altra banda eracome arrampicarsi sul tetto ripido di una

casa a frontoni. La nave gemeva e ansava. Molti degli intarsi d'avorio sullemurate e nelle cabine saltarono via a causa

della dislocazione innaturale. Invano si applicarono aspe e vanghe sulleirremovibili catene di coda onde fare leva e

sloggiarle dagli scalmi; e la balena ormai era calata così a fondo che nonsi poteva affatto arrivare alle sue estremità

sommersee a ogni momento intere tonnellate di peso parevano aggiungersialla massa che affondava e tirare giù con

essa la nave.

«Stai sustai suno?» gridava Stubb al cadavere. «Non avere questa furiadannata di calare a fondo! Per la

miseriaragazzidobbiamo fare qualcosa o si va sotto. Inutile fare leva;dicopiantatela con quelle vanghee uno di voi

corra a prendere un libro di giaculatorie e un temperino per tagliare lecatene.»

«Un temperino? Qui! qui!» strillò Queequege afferrando la scuremassiccia del mastro d'ascia si sporse da un

portello e cominciòacciaio contro ferroa menare alle più grosse catenedi coda. Bastarono pochi colpitutti

scintillantie il resto lo fece la tremenda tensione. Con uno schiantopauroso ogni legatura saltò in aria: la nave si

raddrizzòla carcassa colò a picco.

Oraquesta perdita inevitabile di un capodoglio appena uccisoche ognitanto si verificaè una cosa

stranissima; e nessun pescatore è ancora riuscito a spiegarla bene. Disolito il capodoglio morto ha un'ottima spinta di

galleggiamentoe sta su coi fianchi o la pancia che sporgono di parecchiosul pelo dell'acqua. Se le uniche balene che

affondano fossero vecchie bestie magre e desolatecoi cuscinetti di lardoesauriti e le ossa pesanti e reumatizzateallora

si potrebbe asserire con qualche giustificazione che l'affondare è dovuto aun'insolita gravità specifica del pesce

conseguente all'assenza di materia galleggiante nel suo corpo. Ma non ècosì. Perché balene giovaniscoppianti di

salutegonfie di nobili aspirazionistroncate prematuramente nel caldorigoglio e nel maggio della vita con tutto il loro

lardo palpitante addossoperfino questi eroi muscolosi e leggeri vanno afondo qualche volta..136

Bisogna però dire che il capodoglio è assai meno soggetto delle altrespecie a questi incidenti. Per uno di loro

che affondacalano almeno venti balene franche. Questa differenza nellaspecie va attribuita indubbiamente in grado

non piccolo alla maggiore quantità di ossa nella balena franca; solo le suechiusure alla veneziana pesano a volte più di

una tonnellata. Da questi impacci il capodoglio è completamente libero. Maci sono casi in cuidopo parecchie ore o

parecchi giornila balena affondata riemerge più galleggiante che da viva.Ma per un'ovvia ragione: le si formano

dentro dei gassi gonfia mostruosamentediventa una specie di palloneanimale. A quel punto neanche una nave da

guerra ci riuscirebbe a tenerla sotto.

Nella baleneria costierasui bassifondinelle baie della Nuova Zelandaquando una balena franca dà segno di

affondarevi si attaccano boe con molta sàgolain modo chequando ilcorpo è affondatosi sappia dove cercarlo

quando sarà riemerso.

Poco dopo affondata la balenasi sentì gridare dalle teste d'albero delPequod che la Jungfrau stava di nuovo

ammainando le lanceanche se il solo spruzzo in vista era quello di unabalenotterauna delle balene che non si possono

catturare a causa della sua straordinaria forza di nuoto. Ma lo spruzzo dellabalenottera è così simile a quello del

capodoglioche spesso viene preso per tale dai pescatori inesperti. Eperciò Derick e tutta la sua banda si buttavano ora

eroicamente a caccia di quell'animale irraggiungibile. Con tutte le vele alvento la Vergine volò dietro alle sue quattro

giovani chigliee così sparirono tutti laggiù a sottoventoaudaci e pienidi speranze.

Oh! sono molte le balenottere e molti i Derickamico mio.

LXXXII • L'ONORE E LA GLORIA DELLA BALENERIA

Ci sono lavori per cui un disordine accurato è il metodo giusto.

Più mi tuffo in questo tema della baleneria e spingo le mie ricerche finoalla sua primissima fontepiù mi

colpisce la sua grande dignità e antichità; specie quando trovo tantinobili semidei ed eroi e profeti d'ogni sorta che in

un modo o nell'altro vi hanno aggiunto lucemi sento esaltare al pensieroche io stesso appartengoanche se solo in

sott'ordinea una confraternita di tanto blasone.

Il valente Perseo figlio di Giove fu il primo baleniere; e sia detto a onoreeterno della nostra professione che la

prima balena assalita dalla nostra confraternita non venne uccisa per unoscopo sordido. Quelli erano i tempi

cavallereschi del nostro mestierequando portavamo armi solo per soccorreregli afflitti e non per riempire i lumi del

genere umano. Ognuno sa la magnifica storia di Perseo e Andromeda: comel'amabile Andromedafiglia di revenne

legata a una roccia sulla costierae mentre il leviatano era sul punto dirapirlaPerseo principe dei balenieri avanzando

intrepido arpionò il mostroe liberò e sposò la fanciulla. Fuun'ammirevole impresa artisticararamente eguagliata dai

migliori ramponieri del nostro tempotanto più che il leviatano fu uccisoal primo lancio.

E che nessuno metta in dubbio questa storia architaperché nell'anticaJoppaora Giaffa sulla costa di Siriain

uno dei templi pagani si conservò per molti secoli un grande scheletro dibalenache le leggende cittadine e tutti gli

abitanti davano per le stessissime ossa del mostro ucciso da Perseo. Quando iRomani presero Joppaproprio questo

scheletro fu portato in trionfo in Italia. E ciò che sembra più singolare esignificativo in questa storia è che proprio da

Joppa salpò Giona.

Affine all'avventura di Perseo e Andromedae anzi derivata indirettamente daessa secondo qualcunoè quella

famosa storia di San Giorgio col Drago: il quale drago io sostengo esserestato una balenaperché in molte cronache

antiche balene e draghi sono buffamente accozzati assieme e spesso scambiatil'uno per l'altra. «Tu sei come un leone

delle acquee come un dragone del mare» dice Ezechielee con ciò indicachiaramente la balenache anzi certe

versioni della Bibbia usano senz'altro la parola. Del resto la gloriadell'impresa ne scapiterebbe assaise San Giorgio

non avesse affrontato che un rettile di quelli che vanno strisciando perterra invece di battagliare contro il gran mostro

degli abissi. Ognuno può ammazzare un serpaccioma solo un San GiorgiounCoffin hanno tanto fegato da marciare

audacemente contro la balena.

Non lasciamoci sviare dalle pitture moderne di questo episodio; per quanto labestia affrontata da quell'antico

valente baleniere è vagamente raffigurata a forma di grifonee la battagliaè dipinta sulla terraferma e il santo a cavallo

pure se consideriamo la grande ignoranza di quei tempiin cui la vera formadella balena era sconosciuta agli artistie

se teniamo presente checome nel caso di Perseola balena di San Giorgiopoté sbucare dall'acqua e arrampicarsi sulla

spiaggiae inoltre che l'animale cavalcato da San Giorgio poté essetenient'altro che una grossa foca o un cavallo

marinoinsommatenendo presente tutto questo non parrà del tuttoincompatibile con la sacra leggenda e con le più

antiche illustrazioni della scena sostenere che questo cosidetto drago nonfosse altro che il gran leviatano in persona. Di

fattomessa di faccia alla stretta e puntuta veritàtutta questa storiafarà la fine di quell'idolo pesce-mammifero-uccello

dei Filistei chiamato Dagone; che piantato davanti all'arca d'Israele si videcascare la testa cavallina e ambedue le palme

delle manie non gli restò più che il tronco o parte pesciosa. E alloraè chiaro che uno del nostro nobile stampoproprio

un baleniereè il patrono tutelare dell'Inghilterrae a buon diritto noiramponieri di Nantucket dovremmo essere

immatricolati nell'ordine nobilissimo di San Giorgio. E perciò nondovrebbero i cavalieri di quell'onorevole truppa

(nessuno dei qualioso direavrà mai avuto a che fare con una balena comeil loro gran patrono)non dovrebberodico

guardare con disprezzo un marinaio di Nantucketdal momento che anche neinostri camiciotti di lana e con le nostre

brache incatramate abbiamo molto maggiore diritto di loro alla decorazione diSan Giorgio..137

Quanto ad ammettere Ercole tra i nostrisu ciò sono rimasto in dubbio alungo: è vero che secondo le mitologie

greche quel Crockett e Kit Carson dell'antichitàquel muscoloso eroe ditanti bei fatti esilaranti fu inghiottito e ributtato

da una balenama si potrebbe discutere se ciò basti a fare di luistrettamente parlandoun baleniere. Nessun documento

ci dice che egli ramponò effettivamente il suo pescetranne che dal didentroforse. Tuttavia lo si può considerare una

specie di baleniere involontarioe a ogni modo la balena acchiappò luisenon lui la balena. Lo rivendico alla nostra

tribù.

Ma le migliori e opposte autorità pensano che questa storia greca di Ercolee la balena sia derivata dalla storia

ebraica ancora più antica di Giona e della sua balenae viceversa. Certo lestorie si somigliano parecchio. E allora se

rivendico il semidio come non rivendicare il profeta?

Né solo santisemidei e profeti comprende il registro del nostro ordine. Ilnostro gran maestro non l'ho ancora

nominato. Sìcome i regali monarchi d'un temponoi troviamo le sorgentidella nostra confraternita nientedimeno che

tra gli stessi dei. Bisogna ora raccontare di su i Sacri Libri quellameravigliosa storia orientale che ci presenta il

tremendo Visnùuna delle tre persone della divinità indianaci presentaquesto divino Visnù come nostro Signore:

Visnùche con la prima delle sue dieci incarnazioni terrene ha dato eternadistinzione e santità alla balena. Quando

BramaDio degli Deicosì dice il Librodecise di ricreare il mondo dopouna delle sue periodiche dissoluzioniegli

generò Visnù per presiedere all'operazione; ma i Veda o libri mis ticilacui lettura pare fosse indispensabile a Visnù

prima di cominciare la creazionee che quindi dovevano contenere qualcosacome una serie di consigli pratici per

giovani architettiquei Veda si trovavano buttati in fondo alle acquesicché Visnù s'incarnò in una balena e tuffandosi

nella pelle di quest'ultima fino ai più profondi abissiriportò a galla isacri libri. Non fu allora un baleniere questo

Visnùproprio come è chiamato un cavaliere l'uomo che monta un cavallo?

PerseoSan GiorgioErcoleGiona e Visnù! Che bel registrod'immatricolazione! E quale cluboltre quello dei

balenieripuò cominciare in un modo simile?

LXXXIII • GIONA STORICAMENTE CONSIDERATO

Abbiamo fatto allusione nel capitolo precedente alla verace storia di Giona ela balena. Ora certuni a Nantucket

non si fidano troppo di questo fatto storico di Giona e la balena. Ma delresto ci sono stati anche degli scettici greci e

romaniche staccandosi dai pagani ortodossi dei loro tempi misero pure indubbio la storia di Ercole e della balenae

quella di Arione e il delfinoma tutti questi loro dubbi non tolsero neancheun briciolo alla verità di quelle tradizioni:

fatti erano e fatti sono.

La ragione principale che un vecchio baleniere di SagHarbor adduceva permettere in dubbio la storia ebraica

era questa: aveva una di quelle buffe Bibbie all'anticaabbellita di tavolecuriose e per niente scientifiche. Una di queste

rappresentava la balena di Giona con due zampilli sulla testa: caratteristicavera solo per la specie di leviatano (la balena

franca e le varietà di quel tipo) riguardo alla quale i pescatori hannoquesto proverbio: «Una pagnotta da un soldo la

farebbe strozzare»tanto minuto ha l'esofago. Ma a questo aveva giàrisposto da tempo il Vescovo Jebb. Non è

necessariodice il Vescovopensare a Giona come seppellito nella panciadella balena; si sarà alloggiato

temporaneamente in qualche cantuccio della bocca. Il chenel buon Vescovomi sembra abbastanza ragionevole.

Perché veramente la bocca della balena franca potrebbe dare sistemazione aun paio di tavoli da whiste a comodesedie

per tutti i giocatori. ProbabilmentepoiGiona avrebbe potuto accomodarsiin qualche dente cavoma a ripensarci bene

la balena franca è sdentata.

Un'altra ragione che Sag-Harbor (così lo chiamavano) portava per la suasfiducia in questa storia del profeta

era qualcosa che aveva vagamente a che fare col corpo incarcerato e i succhigastrici della balena. Ma anche

quest'obiezione cascaperché un esegeta tedesco ipotizza che Giona si siarifugiato nel corpo galleggiante di una balena

mortacomequei soldati francesi che nella campagna di Russia issarono per tende i cavallimorti e vi si cacciarono

dentro. Interpretano inoltre alcuni altri glossatori continentali che quandoGiona fu sbattuto in acqua dalla nave di Joppa

egli si sia immediatamente rifugiato a bordo di un altro natante vicinononso che bastimento con un cetaceo per

polena; che magariaggiungereisi chiamava proprio «Balena»come ci sonolegni oggi che vengono battezzati

«Squalo»«Gabbiano» o «Aquila». Né sono mancati colti esegeti aopinare che la balena menzionata nel libro di Giona

non fosse altro che un salvagentequalche sacco gonfiato di ventoa cuinuotò il profeta in pericoloe così si salvò dal

suo destino acquatico. Come si vedeil povero SagHarbor le busca da tutti ilati. Ma aveva ancora un'altra ragione per

non credere. E se non sbaglio era questa: Giona fu inghiottito dalla balenanel Mare Mediterraneoe dopo tre giorni fu

vomitato a circa tre giorni di viaggio da Ninivecittà sul Tigriassaipiù lontano di tre giornate di viaggio dal punto più

vicino della costa mediterranea. Come la mettiamo?

Ebbenenon c'era proprio altra strada aperta alla balena per mettere alsecco il profeta così vicino a Ninive?

Sissignori. Poteva averlo portato per la via del Capo di Buona Speranza. Ma aparte la traversata di tutto quanto il

Mediterraneo e il viaggio di ritorno su per il Golfo Persico e il Mar Rossotale ipotesi implicherebbe la completa

circumnavigazione dell'Africa in tre giorniper non dire poi che le acquedel Tigri lungo la zona di Ninive sono troppo

basse perché ci nuoti una balena. E per giunta quest'idea di Giona chedoppia il Capo di Buona Speranza in tempi così

lontani strapperebbe l'onore della scoperta di quel gran promontorio aBartolomeo Diazil suo famoso scopritoree così

farebbe passare per bugiarda la storia moderna..138

Ma tutti questi sciocchi argomenti del vecchio Sag-Harbor mostravano soltantoil folle orgoglio della sua

ragione: cosa tanto più riprovevole in luivisto che non aveva altracultura che quella raccolta dal sole e dal mare. Dico

che mostrano solamente il suo orgoglio sciocco ed empioe la sua ribellioneabominevole e diabolica contro il

reverendo clero. Perché un prete cattolico portoghese avanzò proprio questafaccenda di Giona che va a Ninive per via

del Capo come un esemplare caso ingrandito di miracolo generale. E cosìdovette essere. Del resto perfino oggi gli

illuminatissimi turchi credono devotamente alla storica storia di Giona. Ecirca tre secoli fa un viaggiatore inglesenei

viaggi del nostro vecchio Harrisparlava di una moschea turca costruita inonore di Gionanella quale moschea c'era

una lampada miracolosa che bruciava senz'olio.

LXXXIV • IL LANCIO DEL PALO

Per farle scorrere lisce e svelte le sale delle carrozze vengono unte; e peruna ragione simile certi balenieri

sottopongono le barche a un trattamento analogo: ne ingrassano il fondo. Nési può dubitare che un tale procedimento

visto che danno non può farneabbia qualche probabilità di portare unvantaggio non indifferenteperché acqua e olio

sono nemicil'olio è un corpo che scivola e lo scopo in vista è di farscivolare bene la barca. Queequeg credeva

fermamente nell'unzione della barcae una mattinanon molto dopo che erascomparsa la Vergine tedescamise più

cura del solito in questa occupazionestrisciando sotto la pancia dellabarca che pendeva alla murata e sfregandovi

l'unto come se cercasse con zelo di assicurarsi un buon raccolto di pelidalla chiglia calva del suo legno. Pareva lavorare

ubbidendo a un suo speciale presentimento. Che non rimase ingiustificato daifatti.

Verso mezzogiorno avvistammo balene; ma appena la nave fece rotta su di essequelle virarono e fuggirono a

precipizio: una fuga disordinatacome quella delle navi di Cleopatra daAzio.

Comunque le barche si gettarono all'inseguimentoe quella di Stubb era intesta. Con grandi sforzi Tashtego

riuscì alla fine a piantare un ferroma la balena colpitasenzascandagliare affattocontinuò la sua fuga orizzontale con

raddoppiata velocità. Una simile incessante tensione sul ferro avrebbefinito prima o poi per strapparlo. Diventava

indispensabile colpire con la lancia la balena in fuga o rassegnarsi aperderla. Ma serrarla di fianco ricuperando lenza

era impossibiletanto veloce e furiosa nuotava. Che restava da fare?

Di tutti i meravigliosi accorgimenti e stratagemmidi tutti i trucchi e leastuzie innumerevoli cui è costretto a

ricorrere tanto spesso il balenie re veteranoniente supera la splendidamanovra con la lancia chiamata tiro del palo.

Fioretto o sciabola con tutti i loro esercizi non vantano nulla di simile. Visi ricorre soltanto nel caso in cui la balena non

arresti la sua fuga. La sua caratteristica d'eccezione è la distanzaincredibile a cui la lunga lancia viene scagliata

attentamente da una barca che sbalza e beccheggia con violenza in un estremoabbrivio. Acciaio e legno inclusil'intera

lancia è lunga un dieci o dodici piedil'astile è molto più esile diquello del ramponee fatto poi di una materia più

leggerail pino. È fornita di un piccolo cavo detto cavo di tonneggiodinotevole lunghezzaper mezzo del quale può

venire ricuperata dopo il tiro.

Ma prima di andare oltre è importante ricordare qui che sebbene col ramponesi possa fare lo stesso tiro del

palolo si fa molto di rado; e quando lo si fa riesce ancora più di radoacausa del peso maggiore e della minore

lunghezza del rampone rispetto alla lanciache diventano in realtà dei seriimpedimenti. Di solitoquindibisogna prima

agganciare una balenapoi ricorrere al lancio del palo.

Guardate ora Stubb; un uomo che per la sua freddezza deliberata e umoristicae per la sua serenità nei peggiori

rischi era particolarmente dotato per eccellere nel lancio del palo.Guardatelo: sta in piedi sulla prua sbattuta della barca

in piena corsa; lì davantia quaranta piedila balena che li rimorchia èavvolta in una schiuma fioccosa. Maneggiando

leggermente la lunga lanciafissandola due o tre volte per lungo per vederese è proprio dirittaStubb si raccoglie in una

mano fischiettando il rotolo del cavo in modo da assicurarsene in pugnol'estremità liberalasciando disimpegnato il

resto. Poimettendosi tutta la lancia davanti proprio in mezzo alla cintolala punta contro la balenae tenendola sotto

mira abbassa senza vacillare l'impugnatura che stringealzando così lapunta finché l'arma gli sta perfettamente in

equilibrio sulla palmadritta nell'aria per quindici piedi. Vi ricorda unpo' un giocoliere che tiene in equilibrio sul mento

un lungo bastone. L'istante dopocon uno scatto di rapidità indescrivibileil lucido acciaio taglia la distanza spumosa

con un altosuperbo arcoe si pianta vibrando nel punto mortale dellabalena. Invece d'acqua scintillanteessa sfiata ora

sangue rosso.

«Questa gli ha fatto saltare il tappo!» urla Stubb. «È l'immortaleQuattro Luglio! Tutte le fontane debbono

gettare vinooggi! Magari si trattasse di whiskey vecchio di Orleanso divecchio Ohio o di quel vecchio delizioso

Monongahela! Allora sìTashtegoche ti farei tenere il gotto allo zampilloper farne una bevuta in giro! Ma sìvi giuro

ragazzici potremmo fare un punch di prim'ordine lì nel buco dellosfiatatoioe tracannarlo caldo caldo da quella

scodella viva!»

Più voltetra queste chiacchiere faceteviene ripetuto il tiro abilissimocon la lancia che torna al padrone come

un levriero tenuto abilmente al guinzaglio. La balena morente si abbandona alsuo convulsoil cavo di rimorchio si

allentae il tiratore passa a poppaincrocia le braccia e guarda muto ilmostro che muore.

LXXXV • LA FONTANA.139

Che per seimila annie nessuno sa per quanti milioni di secoli primalegrandi balene abbiano continuato a

sfiatare per tutti i marie a spruzzare e a vaporare i giardini dell'abissocome con tanti annaffiatoi e vaporizzatori; e che

per alcuni secoli migliaia di cacciatori si siano accostati tanto allafontana della balenaosservandone gli spruzzi e gli

sfiati; che tutto ciò sia successo e tuttavia fino a questo minuto preciso(l'una e quindici primi e un quarto di secondo del

pomeriggio del sedici dicembreA.D. 1851) sia ancora insoluto il problema sequeste sfiatate siano dopo tutto davvero

acqua o nient'altro che vapore: questa è davvero una cosa straordinaria.

Diamo dunque un'occhiata a questo problema e a qualche altro puntointeressante che vi è connesso. Ognuno

sa chegrazie alla trovata speciale delle branchiele tribù pinnute ingenere respirano quell'aria di continuo combinata

con l'elemento in cui nuotano; per cui un'aringa o un merluzzo potrebberovivere un secolo senza mai tirare fuori la testa

dall'acqua. Ma la balenaa causa della sua pronunciata struttura interna chele dà polmoni regolari come quelli di un

essere umanopuò solo vivere respirando l'aria libera dell'atmosfera. Diqui la necessità delle sue visite periodiche al

mondo di sopra. Ma questo pesce non può assolutamente respirare attraversola boccaperché nella sua posizione

ordinaria la bocca del capodoglio è nascosta di almeno otto piedi sotto lasuperficie; e ciò che più contala sua trachea

non comunica con la bocca. Noil capodoglio respira solo attraverso losfiatatoioe questo si trova in cima alla testa.

Se dico che in ogni creatura il respiro non è che una funzioneindispensabile a viverein quanto ritrae dall'aria

un certo elemento che portato in seguito a contatto del sangue impartisce alsangue il suo principio vitalenon credo di

sbagliarmianche se adopero forse qualche parola scientifica di troppo.Ammettiamo ciòe ne consegue che se tutto il

sangue di un uomo potesse venire aerato con un solo respirocostui potrebbepoi sigillarsi le narici e restare per un bel

pezzo senza tirarne un altro. Cioè a dire vivrebbe allora senza respirare.Per quanto possa parere anormalequesto è

esattamente il caso della balenache passa sistematicamente a intervalli lasua buona ora e più (quando si trova a fondo)

senza tirare un solo respiro e senza comunque aspirare una minima particellad'aria; perchéricordatenon ha branchie.

Come si spiega? Tra le costole e da ciascun lato della spina essa è fornitadi uno strano complicato labirinto cretese di

vasi che paiono vermicellii quali vasiquando la bestia lascia lasuperficiesono interamente gonfi di sangue

ossigenato. Sicché per un'ora o piùa mille tese sott'acquaessa si portadentro una provvista extra di vitalitàproprio

come il cammello che attraversa il deserto arido porta una provvista dibevanda per il futuro nei suoi quattro stomaci

supplementari. L'esistenza anatomica di questo labirinto è indiscutibile; eche la supposizione costruitavi sopra sia

ragionevole e vera mi pare tanto più sicuro quando penso all'ostinazionealtrimenti inspiegabile del leviatano a farele

sue sfiatate all'aria apertacome dicono i pescatori. Voglio dire questo: se non è molestatoil capodoglioquando viene

a gallavi si trattiene per un periodo esattamente uguale a tutte le suealtre emersioni indisturbate. Vi restadiciamo

undici minutie sfiata settanta voltecioè tira settanta respiri; poiqualsiasi altra volta torni a gallaè sicuro che tornerà

a mandare settanta respirimatematicamente. Ora se dopo che ha fatto qualcherespiro voi lo spaventate e lo fate tuffare

vi salterà sempre fuori di nuovo per usufruire della sua regolare razioned'aria. E non si decideràfinché non siano

contati quei settanta respiria rituffarsi per trascorrere là sotto il suopieno periodo. Notate comunque che in individui

diversi le dosi cambianoma in ciascuno restano costanti. Oraperché labalena dovrebbe così incaponirsi ad avere le

sue sfiatate all'aria aperta se non per riempire il suo serbatoio d'ariaprima del tuffo lungo? Ed è anche assai ovvio che

questa necessità di risalire a galla espone la balena a tutti i rischifatali della caccia. Perché né uncino né rete potrebbero

catturare quest'immenso leviatano quando naviga a un migliaio di tese sottola luce del sole. E dunquecacciatorenon è

tanto la tua abilità quanto le grandi necessità della vita che ti danno lavittoria.

Nell'uomo la respirazione è incessanteun respiro non serve che a due o trepulsazioni; sicché qualunque altra

cosa abbia da faresia sveglio o dormadeve per forza respirare o morire.Ma il capodoglio respira solo per la settima

parteo la domenica del suo tempo.

È stato detto che la balena respira solo attraverso lo sfiatatoio; se sipotesse aggiungere onestamente che le sue

sfiatate sono commiste d'acquaallora penso che sapremmo perché il sensodell'olfatto in essa pare obliterato; visto che

l'unica sua cosa che in qualche maniera risponda a un naso è proprio quellosfiatatoioe questo è così intasato con i due

elementiche non si può pretendere abbia la virtù del fiuto. Ma su questopuntoper via di quel mistero dello spruzzo

(se sia acqua o vapore) per ora non possiamo avere nessuna certezza assoluta.A ogni modo è certo che il capodoglio

non ha un vero olfatto. Ma cosa se ne farebbe? Nel mare non si trovano rosee nemmeno violette o acqua di colonia.

Di piùsiccome la trachea si apre unicamente nel tubo del canale di sfiatoe questo lungo canale come il gran

canale dell'Erie è fornito di ogni sorta di dighe (che aprono e chiudono)per trattenere l'aria in basso e escludere l'acqua

in altoperciò la balena non ha vocea meno di insultarla dicendo chequando brontola in quel modo strano parla

attraverso il naso. Ma del restodi nuovocosa ha da dire la balena?Raramente ho conosciuto un essere profondo che

avesse qualcosa da dire a questo mondoa meno che non fosse costretto abalbettare qualcosa per guadagnarsi da vivere.

E fortuna che il mondo sa ascoltare così bene!

Ora il canale sfiatatorio del capodoglioche ha essenzialmente lo scopo diportare l'aria ed è disposto

orizzontalmente per vari piedi proprio al di sotto della superficie superioredella testa e un po' di latoquesto curioso

canale somiglia molto a un tubo del gas che in una città passi su un latodella strada. Ma si pone di nuovo il problema di

sapere se questo tubo del gas è anche un condotto d'acqua; in altre parolese la sfiatata del capodoglio è il semplice

vapore esalato col respiroo se quell'espirazione non è mista con acquainghiottita per la bocca e scaricata attraverso lo

spiraglio. È certo che la bocca comunica indirettamente col canalesfiatatorioma non si può dimostrare che questo

abbia lo scopo di riespellere l'acqua per quel foro. Perché il caso in cuil'animale ne avrebbe sopratutto bisogno è.140

quando nel mangiare inghiotte casualmente acqua. Ma il cibo del capodoglio èassai lontano dalla superficiee laggiù

non potrebbe sfiatare neanche volendo. Inoltrese lo osservate con minuzia elo seguite con l'orologio alla manovi

accorgerete che quando non è molestato il pesce tiene un accordo costantetra le fasi in cui sfiata e quelle in cui respira

regolarmente.

Ma perché seccarci con tutti questi ragionamenti sullo sfiato? Parlatechiaro! L'avete vista sfiatare; e allora

diteci che cos'è la sfiatata: non sapete distinguere l'acqua dall'aria? Miocaro signorein questo mondo non è così facile

decidere queste cose semplici. Le cose semplici le ho sempre trovate le piùspinose. E quanto a questa sfiatata di balena

potreste quasi starci nel mezzo ed essere ancora indecisi sulla sua naturaesatta.

Il suo corpo centrale è nascosto nella foschia nivea e scintillante che loavvolge; e come potete dire con

sicurezza se da esso cade dell'acquaquando ogni volta che siete abbastanzavicino a una balena da vedere bene lo

spruzzoil pesce si trova in uno stato di terribile turbamentoetutt'intorno a lui l'acqua crolla a rovesci? E se in questi

casi vi sembrasse davvero di scorgere gocce di liquido nello spruzzocomesapere se queste non siano altro che parti

condensate del suo vaporecome decidere che non si tratti di quelle stessegocce trattenute dal di fuori nella cavità dello

sfiatatoio che affonda alla sommità della testa? Anche quando nuotatranquillamente nel mare in bonaccia al meriggio

col dosso della gobba disseccato dal sole come quello di un dromedario neldesertoanche allora la balena porta sempre

un piccolo bacile d'acqua sulla testacome quando si vede un buco di rocciacolmo di pioggia sotto un sole che scotta.

E non è prudente affatto per il cacciatore essere troppo curioso riguardoalla natura precisa della sfiatata del

mostro. Non gli conviene andare a ficcarci il naso. Non si può andare con labrocca a questa fontanaper riempirla e

portarla via. Perché anche quando viene solo in rapido contatto con lefrange esterne e vaporose del gettoil che succede

spessola pelle brucia febbrilmente per l'acredine della sostanza che latocca. E io conosco uno che venendo a contatto

più stretto con lo spruzzonon so se con qualche intenzione scientifica omenosi vide cascare la pelle della guancia e

del braccio. Ed è per questo che tra i balenieri la sfiatata è ritenutavelenosa: cercano di evitarla. Un'altra cosa: ho

sentito diree non stento a crederciche se il getto vi prende negli occhivi acceca. Allora la cosa più saggia che possa

fare l'investigatoresecondo meè di lasciare in pace questa sfiatata.

Però se non possiamo provare e stabilire possiamo fare ipotesi. La miaipotesi è questa: la sfiatata non è altro

che nebbia. E a parte altri motivi sono spinto a questa conclusione daconsiderazioni relative alla grande dignità e

sublimità intrinseche al capodoglio. Non lo considero un essere comune ebassotanto più che è indiscutibile il fatto che

non lo si può trovare sui bassifondi o vicino alle costedove a voltecapitano tutte le altre balene. Esso è massiccio e

profondo. E io sono convinto che dalla testa di tutti gli esseri massicci eprofondicome PlatoneGioveil Diavolo

PirroneDante e così viasi levi sempre un certo vapore semivisibilequando essi stanno pensando profondamente.

Mentre componevo un trattatello sull'Eternità. ebbi la curiosità dimettermi davanti uno specchio: e ben presto ci vidi

riflessonell'aria sulla mia testauno stranotortuoso verme ondeggiante.L'umidità invariabile dei miei capelli mentre

ero immerso in pensieri profondidopo sei tazze di tè caldo nella miasoffitta dal tetto sottileun mezzogiorno d'agosto;

questo mi pare un altro dato a favore dell'ipotesi di cui sopra.

E come solleva nobilmente il nostro concetto del mostro potente e nebbioso ilguardarlo navigare solenne in un

placido mare tropicalela testa ampia e bonaria sovrastata da un baldacchinodi vapori prodotti dalle sue riflessioni

incomunicabilie quei vaporicome succede a volte di vederliaureolati diun arcobalenocome se il Cielo stesso

volesse imprimere il suo sigillo sui quei pensieri. Perchévedetegliarcobaleni non vengono nell'aria limpida

irraggiano soltanto i vapori. E così attraverso le fitte nebbie dei dubbioscuri della mia mentebalenano ogni tanto

intuizioni divine e accendono la mia foschia con un raggio celeste. E diquesto ringrazio Iddio; perché tutti hanno dubbi

molti neganoma dubitando o negando sono pochi quelli che assieme hannointuizioni. Dubbi su tutte le cose terrenee

intuizioni di qualche cosa divina; questa combinazione non produce né uncredente né un miscredentema un uomo che

considera il credere e il non credere con occhio uguale.

LXXXVI • LA CODA

Altri poeti hanno modulato le lodi dell'occhio soave dell'antilopee delleamabili piume dell'uccello che non si

posa mai. Meno etereoio celebro una coda.

Calcolando che la coda del capodoglio più grosso cominci nel punto dove iltronco si riduce pressappoco alla

larghezza della vita di un uomoquella coda occupasolo sulla facciasuperioreun'area di almeno cinquanta piedi

quadrati. Il tronco compatto della radice si allarga in due palme o pinnesalde e piatteche a poco a poco s'assottigliano

fino a meno di un pollice di spessore. All'inforcatura o nodo queste pinne siaccavallano appenapoi si allontanano ai

lati come alilasciando in mezzo un gran vuoto. In nessuna creatura viventele linee della bellezza sono più

squisitamente definite che negli orli a mezzaluna di queste pinne. Al massimodel suo svilupponella balena adultala

coda può superare di parecchio i venti piedi di larghezza.

Tutto il membro somiglia a un letto densointessuto di tendini saldati. Matagliateloe lo vedrete formato di tre

strati distinti: superioremedio e inferiore. Nelle falde di sopra e disotto le fibre sono lunghe e orizzontali; quelle di

mezzo sono molto corte e s'infiltrano negli strati esterni. Questa triplicestruttura dàquant'altro maipotenza alla coda.

Per lo studioso di vecchi muri romani lo strato medio fornirà un parallelocurioso al sottile ordine di mattoni sempre.141

alternati con la pietra in quelle rovine stupefacentiche senza dubbiocontribuisce molto alla grande resistenza della

muratura.

Ma come sequesta gran forza locale della coda tendinosa non bastassetuttala massa del leviatano è irretita in

un ordito e in una trama di fibre e filamenti muscolariche passando suciascun lato dei reni e scorrendo giù alle pinne

si fonde con esse insensibilmente e contribuisce molto alla loro potenza;sicché nella coda sembra confluireconcentrata

in un solo puntola smisurata forza di tutta la balena. Se la materiapotesse venire annientataquesto sarebbe lo

strumento adatto.

Né codesta forza stupefacente tende affatto a storpiare la grazia flessuosadei suoi movimentidove una

spontaneità infantile va fluttuando nel cuore di una forza titanica. Anziè da quella potenza che i suoi movimenti

ritraggono la loro più terrificante bellezza. La vera forza non macchia maila beltà o l'armoniaché anzi spesso le crea. E

in tutto ciò che è sovranamente bellola forza è larga partedell'incanto. Levate quei nodi di tendini che paiono ovunque

esplodere dal marmo nella statua di Ercolee ne sparirebbe ogni fascino.Quando il fedele Eckermann sollevò il sudario

di lino dal cadavere nudo di Goethesi sentì sopraffatto dal pettomassiccio di quell'uomoche pareva un arco di trionfo

romano. Quando Michelangelo dipinge lo stesso Dio Padre in forma umanaguardate che muscoli. Quei quadri italiani

soaviricciuti ed ermafroditi in cui l'immagine del Figlio è stataincarnata con più successonon so quanto rivelano in

Lui di amore divino; privi come sono di ogni robustezzanon danno l'ideadella forza ma quella negativa e femminea

della sottomissione e della pazienza checome ammettono tuttiformano letipiche virtù pratiche dei Suoi insegnamenti.

È tanta l'elasticità delicata dell'organo di cui parloche mosso per giocoo sul serio o nell'iraqualunque umore

lo ispirile sue flessioni sono sempre piene di grazia straordinaria. Nonc'è braccio di fata che lo può superare.

Cinque grandi movimenti gli sono caratteristici. Primoquando è usato comepinna per spingere. Secondo

come mazza in combattimento. Terzo in un movimento spazzante. Quarto nelflagellare. Quinto nel rizzarsi a picco.

Primo: avendo una disposizione orizzontalela coda del leviatano funziona inmaniera diversa dalle code di

ogni altra creatura del mare. Non scodinzola mai. Nell'uomo come nel pescelo scodinzolare è segno d'inferiorità. Per la

balena la coda è l'unico mezzo di propulsione. Avvolta come un rotolo inavanti sotto il corpo e poi scagliata

rapidamente all'indietroè essa che dà al mostro quel curioso balzoquelsalto che fa quando nuota con furia. Le pinne

laterali gli servono solo da governo.

Secondo: ha qualche senso il fatto chementre un capodoglio combatte unaltro capodoglio soltanto con la testa

e la mascellanel suo conflitto con l'uomo il pesce adopera sopratutto esprezzantemente la coda. Nel colpire una barca

esso raccoglie rapidamente la coda e il colpo viene inflitto semplicementecol rinculo. E se viene menato nell'aria libera

specie se scende dall'altoè semplicemente irresistibile. Non ci sonocostole d'uomo o di barca che possano reggervi.

L'unica salvezza sta nello sfuggirvi. Ma se la botta viene di lato e incontrala resistenza dell'acquaallorain parte a

causa della leggerezza della lancia e dell'elasticità del suo materialeilpeggio che possa capitare di solito è qualche

costola rotta o un paio di tavole spaccate. Questi colpi laterali subacqueisi incassano così spesso nella caccia che li si

ritiene puri giochetti da bambini. Qualcuno si toglie la camicia e il buco ètappato.

Terzo: non potrei dimostrarlo ma mi pare che nella balena il senso del tattosia concentrato nella coda; perché

sotto questo aspetto essa ha una delicatezza uguagliata solo dallasensibilità della proboscide dell'elefante. Questa

delicatezza si mostra sopratutto nel gesto di spazzarequandogarbata comeuna fanciullala balena muove con una

certa soave lentezza le sue pinne immense da lato a lato sulla superficie delmaree se appena le capita di avvertire una

basetta di marinaioguai a quel marinaiobasette e tutto. Ma quantatenerezza in quel tocco preliminare! Se questa coda

avesse una qualche capacità prensilemi verrebbe senz'altro in mentel'elefante di Darmonodes che frequentava tanto il

mercato dei fiorie con grandi inchini offriva mazzetti alle damigelle e poile abbracciava alla vita. Per più di un rispetto

è un peccato che la balena non abbia capacità prensile alla coda; perchéso di un altro elefante ancora che quando era

ferito in battaglia ripiegava la proboscide e si estraeva la freccia.

Quarto: avvicinandovi furtivi alla balena nell'illusoria sicurezza disperduti mari solitarila trovate sciolta dal

gran peso della sua dignitàe dedita ai giochi sull'oceano come un micionel camino. Ma nel gioco stesso ne vedete la

potenza. Le grandi palme della coda vanno sventagliando alte nell'ariapoipercuotono la superficie con uno scoppio di

tuono che risuona per miglia e miglia. Direste quasi che abbia sparato ungrosso cannone; e se osservaste l'anello lieve

di nebbia che esce dallo spiraglio all'altro capo del pescevi parrebbe ilfumo del focone.

Quinto: siccome nella posizione ordinaria di galleggiamento del pesce lepinne caudali si trovano notevolmente

più in basso del livello della schienaesse sono allora interamenteinvisibili sottacqua; ma quando il capodoglio sta per

tuffarsi negli abissitutta quanta la coda con almeno trenta piedi del suocorpo viene scagliata dritta in aria e così resta

un attimo vibrantefinché sparisce giù di colpo. Con l'eccezione delsublime saltoche sarà descritto altrovequesto

rizzarsi a picco delle pinne della balena è forse lo spettacolo piùgrandioso di tutta la natura animata. Fuori dagli abissi

senza fondola coda gigantesca pare tendersi spasmodicamente verso i piùalti cieli. Così ho veduto in sogno Satana

maestoso che sporge dalla fiamma baltica dell'Inferno il suo colossaleartiglio tormentato. Ma nel guardare simili scene

ciò che più conta è il vostro stato d'animo: se siete di umore dantescovi verranno in mente i diavolise di quello d'Isaia

gli arcangeli. Mentre stavo alla testa d'albero della mia nave duranteun'aurora che invermigliava il mare e il cielovidi

una volta a oriente una grossa mandria di balene che nuotavano tutte indirezione del solee per un momento vibrarono

tutte insieme alzando a picco le code. E mi parveallorache non si fossemai visto un esempio così grandioso e vivo di

adorazione degli deinemmeno in Persiala patria degli adoratori del fuoco.E come Tolomeo Filopatro testimoniò

dell'elefante africanoio testimoniai allora della balenadichiarandola lapiù pia di tutte le creature. Perché secondo il re

Giubain antico gli elefanti militari salutavano spesso il mattino alzandole proboscidi nel più profondo silenzio..142

Il paragone che qua e là vien fatto in questo capitolo tra la balena el'elefanteper quanto riguarda certi aspetti

della coda della prima e della proboscide del secondonon dovrebbe far porrequei due organi opposti su un piede di

eguaglianzae tanto meno gli animali cui rispettivamente appartengono.Perchécome il più robusto elefante è solo un

cagnolino di fronte al leviatanocosìparagonata alla coda del leviatanola sua proboscide non è che lo stelo di un

giglio. Il colpo più tremendo della proboscide di un elefante sarebbe uncolpetto scherzoso di ventaglio rispetto allo

smisurato schianto delle pinne massicce del capodoglioche in più di uncaso ha scagliato in aria l'una dopo l'altra intere

barche con tutti i loro remi e rematoriproprio come un giocoliere indianofa con le sue pallottole.

Più rifletto su questa coda potentepiù deploro la mia insufficienza aesprimerla. A volte essa ha dei gesti che

donerebbero certo grazia alla mano dell'uomoma che restano del tuttoinesplicabili. In un branco numerosoa volte

questi gesti misteriosi sono così notevoliche ho sentito dei cacciatoridichiararli affini ai gesti e ai simboli dei

framassonie sostenere che la balenacon questi mezzisi rivolgeintelligentemente al mondo. Né mancano altri

movimenti in tutto il corpo della balenapieni di stranezza e inspiegabiliai suoi più sperimentati assalitori. Per quanto

mi adoperi dunque a sezionarlanon faccio che restare a fior di pelle: nonla conosco e non la conoscerò mai. Ma se non

conosco neanche la coda di una balenacome potrò conoscerne la testa? E dipiùcome potrò capire la sua facciavisto

che non ha faccia? Tu potrai vedermi il sederela codasembra dire labalenama la mia faccia non la vedrai. Però

anche le parti posteriori non riesco a capirle perfettamentee insinui ciòche vuole della sua facciaio dico di nuovo che

essa non ha faccia.

LXXXVII • LA GRANDE ARMADA

La lunga e stretta penisola di Malacca si estende a sud-est dei territoridella Birmania e forma la punta più a

sud di tutta l'Asia. In una fila continuada questa penisola si estendono leisole allungate di SumatraGiavaBali e

Timorle quali con molte altre formano una gran diga o bastione che perlungo connette l'Asia con l'Australiae divide

la distesa ininterrotta dell'Oceano Indiano dalle costellazioni fitte degliarcipelaghi orientali. Questo bastione è forato da

parecchie portelle per la comodità di navi e balenetra cui principali glistretti della Sonda e di Malacca. Sopratutto per

il primo le navi che vanno in Cina da occidente entrano nei mari della Cina.

Questo angusto stretto della Sonda divide Sumatra da Giava; posto a mezza viain quel bastione di isole

dominato da quell'ardito promontorio verde conosciuto ai marinai come Capo diGiavalo stretto corrisponde non poco

a un cancello centrale che si apre su qualche vasto impero murato.Considerando poi le ricchezze inesauribili di spezie

di setegioiellioro e avorio di cui sono piene le miriadi di isole di quelmare orientaleesso sembra frutto di una

significativa previdenza della naturaaffinché per la stessa configurazionedelle terre quei tesori appaiano almenoper

quanto illusoriamentedifesi dal rapace mondo occidentale. Le coste dellostretto della Sonda non sono munite di quelle

imperiose fortezze che guardano gli ingressi del Mediterraneodel Baltico edella Propontide. Al contrario dei danesi

questi orientali non pretendono l'omaggio ossequioso delle vele di gabbiaammainateda parte dell'infinita processione

di navi che per secoli e secolivento in poppadi notte e di giorno sonopassate tra le isole di Sumatra e di Giavastivate

dei più preziosi carichi di Oriente. Ma mentre rinunciano spontaneamente aun cerimoniale come questonon

abbandonano affatto le loro pretese a un qualche tributo più solido.

Da tempo immemorabile i canotti a vela dei pirati malesiappiattiti tra labassa vegetazione delle insenature e

delle isolette di Sumatrasono sbucati addosso ai bastimenti cheattraversano lo strettoesigendo ferocemente un tributo

sulla punta delle lance. Benchéper le rinnovate sanguinose punizioni chehanno ricevuto da parte degli incrociatori

europeil'audacia di questi corsari sia stata ultimamente alquanto repressapure ancora ai nostri giorni succede di

sentire di navi inglesi e americane che in queste acque sono statespietatamente arrembate e saccheggiate.

Con un bel vento favorevole il Pequod si avvicinava ora a questo strettodacché Achab si proponeva di tagliare

nel mare di Giavae di quiincrociando a nord su acque notoriamentefrequentate qua e là dal capodogliofare rotta

radente alle isole Filippine e raggiungere la lontana costa del Giappone intempo per la grande stagione di caccia lassù.

Circumnavigando in questo modoil Pequod avrebbe tagliato quasi tutte lezone conosciute di caccia del capodoglio

prima di scendere sulla linea equatoriale nel Pacifico: e qui Achabanche sedappertutto deluso nel suo inseguimento

contava fermamente di dare battaglia a Moby Dick nel posto che piùnotoriamente frequentavain una stagione in cui si

poteva ragionevolmente presumere che vi si trovasse.

Ma come mai in questa sua ricerca in tanti mari Achab non tocca mai terra?Forse il suo equipaggio beve aria?

Certo si fermerà per l'acqua. Niente affatto. È da un bel pezzo ormai chequel corridore del sole viaggia nel suo anello di

fiammae non gli serve rifornimento oltre quello che già porta in sé.Così era Achab. E ricordate questodella nave

baleniera. Mentre altri scafi sono stracarichi di roba altrui da trasportarea banchine stranierela balenieravagabonda

della terranon porta altro carico che se stessa e l'equipaggio con armi eprovviste. Ha tutto un lago imbottigliato nella

sua stiva capace. È zavorrata di cose utilie non di inservibili pani dipiombo e di ghisa. Porta dentro di sé acqua per

anni. Acqua di Nantucketpura e di prim'ordineacqua che l'uomo diNantucketdopo tre anni di viaggioin mezzo al

Pacificopreferisce al liquido salmastro delle botti portate ieri sullezattere da qualche fiume peruviano o indiano. Per

questo succede che mentre altre navi possono essere andate dalla Cina a NewYork e viceversa toccando una ventina di

portiin quel frattempo la baleniera non ha magari avvistato un sologranello di terragli uomini non hanno visto altro.143

che marinai a galla come loro. Sicché se portaste la notizia che è successoun altro diluviovi risponderebbero solo:

«Beneragazziecco qua l'arca.»

Orasiccome molti capodogli erano stati catturati al largo della costaoccidentale di Giavanei pressi dello

stretto della Sondae anzi in realtà gran parte delle acque lì attorno erain genere considerata dai pescatori come una

zona eccellente per incrociarviquando il Pequod cominciò a farsi semprepiù vicino al Capo di Giava si dette spesso il

grido alle vedette raccomandando di tenere gli occhi bene aperti. Ma sebbenele verdi scogliere di palme dell'isola

fossero ben presto affiorate all'orizzontea dritta di pruae i nostri nasiaspirassero gioiosamente nel vento il

cinnamomo fresconon una sola sfiatata fu vista. Quasi rinunciando a ogniidea di incontrare caccia in quei paraggila

nave stava per entrare nello stretto quando si udì dall'alto il solito gridoallegroe non molto dopo fummo salutati da

uno spettacolo di singolare magnificenza.

Ma sia qui premesso che a causa dell'instancabile caccia cui sono statisottoposti ultimamente tutti e quattro gli

oceanii capodogli invece di viaggiare quasi invariabilmente in piccoligruppi staccaticome facevano prima

s'incontrano ora spesso in mandrie numerosissimetalmente grandi a voltedafar credere che molte delle loro nazioni

abbiano stretto una lega e un patto solenne di mutua assistenza e protezione.A questo aggregarsi del capodoglio in

carovane così immense può essere imputato il fatto che perfino nellemigliori zone di caccia può ora capitarvi di

viaggiare per intere settimane e mesi senza incontrare una sola sfiatataepoi all'improvviso di essere salutati da

migliaia e migliaia di zampilli.

Spiegandosi in prua ai due latialla distanza di due o tre migliaeformando un gran semicerchio che

abbracciava metà dell'orizzonteuna catena ininterrotta di zampilli sialzava gaia e scintillante nell'aria di mezzogiorno.

Diversamente dai due getti perpendicolari della balena francachedividendosi in cima ricadono in due fronde come i

rami divisi e reclini di un salicela sfiatata unica e aggettante delcapodoglio presenta un denso ciuffo ricciuto di bianca

foschiache continuamente si solleva e si disperde a sottovento.

Visto dal ponte del Pequodcome se la nave sorgesse su un'alta collina delmarequest'esercito di getti

vaporosiciascuno dei quali si arricciava nell'aria attraverso una comuneatmosfera di nebbia azzurrinaappariva come i

mille allegri camini di qualche popolosa metropoli intravista in un profumatomattino di autunno da un cavaliere su una

collina.

Come eserciti in marcia che si avvicinano a una gola ostile tra le montagne eaffrettano l'andaturatutti ansiosi

di lasciarsi alle spalle quel passo pericoloso e allargarsi di nuovo inrelativa sicurezza sul pianocosì questa grande

flotta di balene pareva ora affrettarsi a traversare lo strettocontraendogradualmente le ali del suo semicerchio e

nuotando in un unico blocco compatto ma sempre a mezzaluna.

Spiegando tutte le vele il Pequod si gettò all'inseguimentomentre iramponieri afferravano le armi e si

incitavano a gran voce sulle prue delle barche ancora sospese. Se solo ilvento tenevanon c'era dubbio che spinto

attraverso questo stretto della Sondail grande esercito si sarebbe spiegatonei mari orientali solo per vedere la cattura di

non pochi dei suoi. E chi poteva dire che in quella carovana così varia nonsi trovasse a nuotare lo stesso Moby Dick

come il bianco elefante sacro nella sfilata siamese dell'incoronazione?Cosìspiegando l'uno dopo l'altro i coltellacci

volavamo spingendoci davanti quei leviataniquando all'improvviso si sentìla voce di Tashtego che gridando ci

invitava a guardarci indietro nella nostra scia.

Quasi fosse un riflesso del semicerchio che avevamo a pruane vedemmo unaltro alle nostre spalle. Pareva

formato di singoli vapori bianchi che sorgevano e cadevano quasi come lesfiatate delle balenesolo che non apparivano

e sparivano interamente ma si libravano di continuo senza mai svanire deltutto. Puntando il cannocchiale su questo

spettacoloAchab si girò svelto sul suo perno gridando: «Arriva ohiattrezza ghie e buglioli per bagnare le vele: Malesi

che ci danno la caccia!»

Come se fossero rimasti appiattati troppo a lungo dietro i promontori inattesa che il Pequod fosse in pieno

strettoquesti furfanti asiatici si erano buttati a un furioso inseguimentoper compensare la cautela esagerata

dell'indugio. Ma visto che lo svelto Pequod con un bel vento di poppa filavaesso stesso in piena corsaera proprio

gentile da parte di questi bronzei filantropi contribuire ad accelerare ilsuo stesso inseguimentofacendoglicome

facevanoda semplici fruste e sproni. Mentre Achab col cannocchiale sottobraccio andava su e giù per il ponte

scrutando sul davanti i mostri a cui dava la cacciae poi tornando indietroa guardare i pirati sanguinari che inseguivano

luipareva assorto in qualche pensiero di quel genere. E quando guardò lemura verdi della gola marina in cui passava la

navee pensò che per questa porta passava la strada della sua vendettaeora per questa porta egli cacciava ed era

cacciato in direzione del suo scopo fatale; e non soloma un'orda di piratiferoci e senza scrupoli e di diavoli disumani e

senza dio lo spronavano con imprecazioni infernali; quando tutti questipensieri gli furono passati per la mentela fronte

di Achab restò squallida e corrugata come una nera spiaggia di sabbia quandouna tempesta l'ha corrosa senza riuscire a

strapparne la terra più salda.

Ma pensieri come questi preoccupavano ben pochi di quella ciurma temeraria; equandodopo avere passo a

passo guadagnato sempre più terreno sui piratiil Pequod rasentò alla finela verdissima Punta del Cacatoa sul lato di

Sumatra e uscì sulle acque aperte al di lài ramponieri sembrarono piùdispiaciuti che le veloci balene avessero

guadagnato sulla naveche contenti che la nave avesse così vittoriosamenteguadagnato sui Malesi. Ma continuando a

filare nelle scie delle balenequeste alla fine parvero rallentare; a poco apoco la nave le accostòe smorzandosi il vento

fu dato ordine di correre alle lance. Ma non appena la mandriagrazie aqualche presumibile istinto meraviglioso del

capodogliosi rese conto delle tre chiglie che la inseguivanobenchéancora indietro di un migliosubito si rianimò.144

formò ranghi e battaglioni serratiin modo che le sfiatate parevano lineescintillanti di baionette a fascie riprese la fuga

con velocità raddoppiata.

Lasciandoci addosso solo camicia e mutande ci buttammo a remare e dopoun'arrancata di parecchie ore

eravamo quasi decisi a rinunciare alla cacciaquando una specie di confusafrenata generale tra le balene ci dette segni

incoraggianti che esse erano alla fine cadute sotto l'influsso di quellacuriosa perplessitàdi quella inerte irresoluzione

vedendo la quale i balenieri usano dire che l'animale è gallied.Le compatte colonne marziali in cui finora avevano

nuotato veloci e regolari si spezzarono in un'immensa confusione; e come glielefanti di re Poro nella battaglia indiana

contro Alessandroi pesci parvero impazzire dal terrore. Allargandosi inampi cerchi irregolari in ogni direzionee

nuotando qua e là senza più metamostravano chiaramente con le loro densee corte sfiatate la frenesia del panico.

Questo appariva ancora più stranamente in quelli di loro che completamenteparalizzatisi sarebbe dettogalleggiavano

impotenti nel mare come navi disalberate e piene d'acqua. Se quei leviatanifossero stati nient'altro che un gregge di

candide pecore inseguite sul pascolo da tre lupi ferocinon avrebbero potutomostrare uno spavento come questo. Ma

questa timidezza occasionale è caratteristica di tutti gli animali gregari.Benché attruppati assieme a diecine di migliaia

i bufali dell'Ovest dalle criniere leonine sono scappati davanti a uncavaliere solitario. Lo provano pure tutti gli esseri

umani accozzati assieme nell'ovile di una plateache al minimo allarmed'incendio si buttano alla rinfusa verso le uscite

affollandosicalpestandosischiacciandosiscagliandosi senza pietà l'unosull'altro fino a lasciarci la pelle. È meglio

quindi reprimere ogni meraviglia davanti alle balene stranamente inchiodateperché non c'è pazzia degli animali sulla

terra che non venga infinitamente superata dalla pazzia degli uomini.

Benchécome ho dettomolte delle balene nuotassero con violenzapurebisogna notare che nell'insieme la

mandria non andava né avanti né indietroma restava a mucchio in un solopunto. Come si suole fare in questi casile

lance si dispersero subitoe ognuna puntò su qualche balena isolata allaperiferia del branco. In meno di tre minuti

Queequeg scagliò il ramponeil pesce colpito ci schizzò in faccia la suaschiuma accecantee poi correndo via con noi

rapido come la luce puntò dritto al cuore della mandria. Una tale mossadella balena colpita in casi simili non è affatto

senza precedentie anzi è quasi sempre più o meno previstama costituisceuna delle più pericolose situazioni della

caccia. Mentre il mostro veloce vi trascina sempre più addentro nel brancoimpazzitovoi dite addio al quieto mondo

che vi circonda e vivete solo in un sussultante delirio.

Accecata e storditala balena s'avventava come per liberarsi con la meraviolenza della corsa dalla sanguisuga

di ferro che le si era attaccatae noi aprivamo una ferita bianca nel mareminacciati da ogni parte nella fuga dalle bestie

impazzite che ci caracollavano attorno. La nostra lancia assediata era comeuna nave pigiata da lastroni di ghiaccio in

una tempestache cerca di governare pei loro complicati canali e stretti nonsapendo in quale attimo può essere bloccata

e stritolata.

Ma Queequeg ci guidava imp erterritoora scostando da un mostro che citraversava la strada proprio di faccia

ora evitando di striscio l'altro le cui pinne colossali ci pendevano sulcapomentre intanto Starbuck dritto sulla prua con

la lancia in mano scostava a colpi di punta le balene che poteva toccare conbrevi lanciché per tiri più lunghi non c'era

tempo. Né i rematori se ne stavano in ozio completobenché il loro compitoabituale fosse ora del tutto inutile. Ora

badavano sopratutto alla parte vocale dell'impresa. «Fuori dai piediCommodoro!» gridava uno a un gran dromedario

sorto di colpo a galla massicciamentee che per un attimo minacciò dischiacciarci. «Poggia quella codaohè!» gridava

un secondo a un altro bestione che al nostro fianco pareva farsi frescotranquillamente col suo enorme ventaglio.

Tutte le lance baleniere portano certi strani aggeggi inventati in originedagli indiani di Nantuckete che si

chiamano druggs.Due grossiquadrati di legno di larghezza uguale vengono inchiodati assieme saldamente inmodo da

incrociarsi ad angolo rettodi piatto; una lenza abbastanza lunga viene poiattaccata al centro di questo ceppoe l'altra

estremità ha un cappio che in un attimo può assicurarsi a un rampone. Èsopratutto per le balene inchiodate che si

adopera questa rèmora. Perché allora vi trovate attorno più balene diquante è possibile assalirne in una sola volta. Ma

di capodogli non se ne incontrano tutti i giornie quindifinché si puòbisogna ammazzarne il più possibile. E se non si

può ammazzarli tutti in una voltabisogna tarpare loro le aliin modo dapoterli ammazzare poi a comodo vostro. Perciò

in questi casi si fa ricorso al drugg.La nostralancia ne aveva tre. Il primo e il secondo vennero tirati con successoe

vedemmo le balene andarsene barcollandoimpedite dall'enorme resistenzalaterale del freno che avevano a rimorchio.

Erano bloccate come malfattori con la catena e la palla. Ma nel gettare ilterzomentre si spingeva in acqua il rozzo

blocco di legnoquesto restò impigliato a uno dei banchi e in un baleno lostrappò e lo tirò viabuttando il rematore in

fondo alla lancia mentre il sedile gli sgusciava di sotto. Dai due lati ilmare entrava per gli squarci delle tavolema vi

cacciammo due o tre mutande e camicie e cosìper il momentofe rmammo lefalle.

Sarebbe stato quasi impossibile lanciare questi ramponi col blocco senell'avanzare verso l'interno del branco la

nostra balena non avesse rallentata la corsa. Inoltrementre ci lasciavamosempre più lontani alle spalle gli orli

sconvolti del cerchioquello spaventevole disordine pareva calmarsi. Di modochequando dopo tante scosse il

rampone si sganciò e la balena che ci tirava sparì di latolo slanciomorente dell'abbrivo che ci diede nello staccarsi ci

fece scivolare tra due cetacei nel cuore più profondo del brancocome se daqualche torrente montano fossimo passati

in un lago sereno nella valle. Qui le bufere che rumoreggiavano nelle forretra le balene della cerchia esterna si udivano

ma non si risentivano. In questo spazio centrale il mare aveva quella lucidasuperficie di rasodetta il lisciodovuta

all'umore impalpabile emesso dalla balena quando è più tranquilla. Sìeravamo adesso in quella calma incantata che

dicono si nasconda nel cuore di ogni agitazione. E sempre nella distanzaconfusa vedevamo i tumulti dei cerchi

concentrici esternivedevamo branchi di balene succedersi attornorapidissime otto o dieci in ogni gruppocome coppie

moltiplicate di cavalli in un circoe così serrate spalla a spalla che uncavallerizzo titanico avrebbe potuto facilmente.145

farsi portare in giro sulle loro schiene tenendo le mediane sotto l'arcodelle gambe. Era così fitta la calca di balene in

riposo che circondavano più da vicino l'asse rinserrato della mandriacheper il momento non ci si offriva nessuna

possibilità di fuga. Dovevamo cercare qualche breccia nella muraglia viventeche ci circondavaquella muraglia che ci

aveva lasciato entrare solo per chiuderci dentro. Tenendoci al centro dellagovenivamo visitati ogni tanto da piccole e

docili mucche e vitellile donne e i bambini di questo esercito in rotta.

Oracompresi i larghi intervalli che ogni tanto si producevano tra i cerchiesterni roteantie compresi gli spazi

tra i vari gruppi in ciascuno di quei cerchil'intera area occupata in quelcaso da tutta la mandria doveva misurare

almeno due o tre miglia quadrate. A ogni modosebbene questo non fosse ilmomento più adatto per prendere misure

precisedalla nostra bassa lancia scorgevamo zampilli che parevano levarsiquasi dall'orlo dell'orizzonte. Ricordo

questo perché si aveva l'impressione che quelle mucche e quei vitellifossero stati racchiusi con intenzione in questo

recinto più protettoe che la grande estensione della mandria avesse finoraimpedito loro di conoscere il motivo vero di

quella tappa. Sia per questa ragioneo forse perché erano così giovani eingenuee in ogni senso innocenti e inesperte

queste balene più piccole che ogni tanto venivano dai margini del lago adannusare la nostra barca abbonacciata

mostravano un coraggio e una confidenza sorprendentioppure un panico quietoe incantato di cui era impossibile non

stupirsi. Come cani domestici venivano a fiutarci attornofin su al capo dibandae a toccarlotanto da sembrare quasi

che qualche magia le avesse improvvisamente addomesticate. Queequeg leaccarezzava sulla fronteStarbuck grattava

le gobbe con la lanciama per il momento si tratteneva dal ferire per pauradelle conseguenze.

Ma molto più in basso di questo mondo stupefacente della superficieunaltro e anche più strano mondo colpì i

nostri occhi quando ci sporgemmo a guardare in acqua. Perché sospese in queisotterranei d'acqua fluttuavano le forme

delle madri che allattavanoe di quelle che per la loro circonferenza enormeparevano prossime a diventare madri. Il

lagocome ho accennatoera straordinariamente trasparente fino a unaprofondità. considerevolee come i neonati

umani quando poppano fissano calmi e immobili altrove che non sul senocomese vivessero insieme due esistenze

diversee mentre prendono il cibo mortale si nutrissero sempre in spirito diqualche ricordo ultraterrenoallo stesso

modo i piccoli di queste balene pareva guardassero verso di noima non noiquasi non fossimo altroai loro occhi

appena natiche un pezzetto d'alga del Golfo. Fluttuando sui fianchianchele madri parevano tenerci d'occhio quiete.

Uno di questi poppantiche da certi strani segni pareva non avesse più diun giornopoteva misurare qualcosa come

quattordici piedi di lunghezza e sei di vita. Era piuttosto vispo sebbene ilsuo corpo non pareva ancora del tutto

ristabilito da quella posizione penosa che aveva così di recente occupatonel reticolo maternodovetesta contro codae

tutta pronta per il balzo finalela balena non ancora nata se ne sta flessacome un arco tartaro. Le delicate pinne laterali

e le palme della coda mantenevano ancora nella loro freschezza l'aspettorugoso e spiegazzato delle orecchie di un

bambino appena arrivato da un altro mondo.

«Lenza! Lenza!» gridò Queequeg sporgendosi a guardare in giù: «È preso!Preso! Chi l'ha preso? Chi colpito?

Due balene: una grossauna piccola!»

«Che ti succedeamico?» gridò Starbuck.

«Guarda qui» fece Queequeg indicando in giù.

Come quando la balena colpita che ha srotolato dal mastello centinaia di tesedi cavo torna a galla dopo un

tuffo profondoe si vede la lenza allentata risalire leggera verso l'ariatorcendosi a spiralicosì ora Starbuck vide lunghe

spire del cordone ombelicale di Madama Leviatanoper mezzo delle quali ilbalenino pareva ancora impastoiato alla

madre. Non di radonelle rapide vicissitudini della cacciaquesta lenzanaturalelibera all'estremità maternasi va a

imbrogliare con quella di canapo e il balenuccio resta accalappiato. Alcunidei più gelosi segreti del mare parvero

rivelarcisi in questo stagno incantato. Vedemmo i giovani amori leviatanicinell'abisso.

E cosìbenché circondate da cerchi e cerchi di costernazioni e di terroriqueste inscrutabili creature del centro

si davano liberamente e senza paura a tutte le occupazioni pacificheperfinogodevano serenamente di amplessi e

piaceri. Ma allo stesso modoin mezzo all'Atlantico burrascoso del mioessereio pure mi rallegro sempre nella calma

silenziosa del centro; e mentre pianeti pesanti ed eterni di dolore miruotano attornogiù nel profondo e nell'entroterra io

continuo a bagnarmi in un'eterna soavità di gioia.

Intantomentre stavamo così attonitigli improvvisi spettacoli freneticiche ogni tanto si svolgevano in

lontananza indicavano l'attività delle altre lanceancora impegnate amettere i morsi alle balene sulle prime linee

dell'armatao magari a portar guerra dentro il primo cerchiodove trovavanoabbondanza di spazio e qualche adatta via

di ritirata. Ma lo spettacolo delle balene in ceppiinfuriateche ognitanto tagliavano i cerchi fulmineealla ciecaera

niente di fronte a ciò che in ultimo vedemmo. A voltequando si èagganciata una balena più robusta e sveglia del

solitosi usa per così dire tentare di azzopparlatagliandole o ferendoleil gigantesco tendine caudale. Ciò viene fatto

scagliando una vanga da squarto col manico brevea cui è attaccato un cavoper il recupero. Come seppimo più tardi

una balena così ferita ma non a sufficienzaparesi era strappata dallabarcaportandosi dietro metà della lenza del

ramponee nell'atroce agonia della ferita andava sbattendo tra i cerchiroteanticome fece quel solitario disperato di

Arnold sul suo cavallo alla battaglia di Saratogaportando terrore ovunquecapitasse.

Ma per quanto fosse terribile la ferita di questa balena e comunque orrenda aguardarsipure il terrore peculiare

che essa pareva ispirare al resto del branco era dovuto a una causa chedapprima la distanza ci nascose. Ma alla fine ci

accorgemmo che per uno degli incidenti incredibili della cacciala balena siera imbrogliata nella lenza dell'arpione che

tirava a rimorchioe inoltre era scappata con addosso la vanga da squarto; ementre l'estremità libera del cavo attaccato

a quest'arma s'era ingarbugliata fitta nelle spire della lenza che lestringeva la codala vanga stessa si era strappata dalla.146

carne. Sicchéin preda a quel dolore follela balena andava ora sbattendonell'acqua menando violentemente con la sua

flessibile coda e vibrando attorno la vanga affilata in modo da ferire eammazzare le sue stesse compagne.

Quell'oggetto terribile parve risvegliare l'intera mandria dalla suaparalisi. Dapprima le balene che formavano il

margine del nostro lago cominciarono un po' a serrare le file e a urtarsicome sollevate da lontane ondate semispente;

poi lo stesso lago cominciò a sussultarea gonfiarsi; le camere nuziali e ivivai sottomarini svanirono; serrando a poco a

poco le orbitele balene dei cerchi più interni cominciarono a nuotare ingruppi sempre più densi. Sìla lunga calma se

ne andava. Si udi presto avanzare un basso brusìoe poi come i massitumultuosi di ghiaccio quando il gran fiume

Hudson si apre a primaveral'intero esercito delle balene venne rotolandosul suo più profondo centrocome per

ammucchiarsi tutto in una sola montagna. ImmediatamenteStarbuck e Queequegsi scambiarono i posti; Starbuck

mettendosi a poppa.

«Remi! Remi!» sussurrò intensamente il capoccia prendendo il governo:«Remi in pugno e l'anima tra i denti

ora! Mio Dioragazziocchio! Spingi viaQueequeg! La balena! Di punta!Dai! In piediin piediresta così! Scattate

ragazzispingete; non badate alle gobbe: raschia! gratta!»

La barca stava quasi per venire schiacciata tra due grandi masse nerechetra di loro lasciavano un angusto

stretto dei Dardanelli. Ma con sforzi disperati balzammo finalmente in untemporaneo sbocco; poi rinculammo svelti e

cercammo insieme avidamente un altro sfogo. Dopo essercela cavata in questomodo per un pelo svariate volte

scivolammo svelti finalmente in quello che un momento prima era stato uno deicerchi esternima che era tagliato

adesso a casaccio da balene che si gettavano tutte con violenza verso un solopunto. Questa salvezza fortunata la

pagammo a buon prezzo con la perdita del cappello di Queequegche mentrestava in piedi sulla prua a spunzonare le

balene in fugal'ebbe portato via di testa nettamente dal vortice prodottodall'alzarsi improvvisolì accantodi un paio di

grandi pinne.

Frenetica e confusa com'era adesso quell'agitazione generaleessa si risolsepresto in quello che pareva un

movimento sistematico; ammassatesi infine assieme in unico folto gruppolebalene ripresero la fuga in avanti con

velocità più forte. Inutile inseguirle ancora; ma le barche indugiarononella scia per catturare quelle balene coi druggs

che restassero indietroe anche per ricuperarne una che Flask aveva uccisa econtrassegnata. Il contrassegno è un palo

con guidone: ogni barca ne porta due o tree quando c'è sotto mano qualchenuova preda questo palo si pianta dritto nel

corpo galleggiante della balena mortaper segnalarne la posizione in mare eanche come segno di priorità di possesso

caso mai si accostassero barche di qualche altra nave.

I risultati di quella calata in acqua valsero in certo senso a illustrarequel sagace detto dei balenieri: più balene e

meno pesce. Di tutte le balene coi druggsne prendemmosolo una. Le altreper il momentoriuscirono a scapparema

solo per farsi acchiapparecome si vedrà più tardida un legno diverso.

LXXXVIII • SCUOLE E MAESTRI DI SCUOLA

Il capitolo precedente ha riferito su un immenso branco o corpo di capodoglie ha dato inoltre la causa

probabile di assembramenti così vasti.

Orasebbene a volte s'incontrano masse così numerosepurecome si saràvedutoanche oggigiorno capita di

avvistare piccoli gruppi separaticiascuno dei quali comprende da venti acinquanta individui. Questi gruppi sono

chiamati scuole. E sono generalmente di due specie: quelli composti quasiinteramente da femminee quelli che

raggruppano solo giovani maschi vigorosi o toricome si suole chiamarlifamiliarmente.

Come scorta cavalleresca a una scuola di femmine si vede invariabilmente unmaschio di dimensioni adulte ma

non vecchioche in ogni caso di allarme dimostra il suo coraggio gettandosialla retroguardia per coprire la fuga delle

signore. In realtà questo signore è un voluttuoso ottomano che va nuotandoper il mondo acquatico circondandosi e

accompagnandosi con tutti i conforti e i sollazzi di un arem. Il contrastofra questo ottomano e le sue concubine è

impressionanteperché mentre lui è sempre delle maggiori proporzionileviatanichele signoreanche in pieno sviluppo

non superano un terzo della massa di un maschio di media dimensione. Sonoproprio delicaterelativamente: non

eccedonodireiuna mezza dozzina di iarde alla vita. Però non si puònegare che nel complesso sono destinate per

eredità all'embonpoint.

È assai curioso osservare quest'arem e il suo signore nei loro vagabondaggiindolenti. Come gente alla moda

sono per sempre in moto all'oziosa ricerca della verità. Li incontratesull'equatore in tempo per il pieno della stagione

dei pascoliappena di ritorno forse da un'estate nei mari del Norddovehanno truffato l'estate di tutto il suo calore

sgradevole e spossante. Quando poi hanno bighellonato un po' su e giù per ilpasseggio equatorialese ne partono per le

acque orientali in previsione della stagione fresca laggiùe così evitanol'altra punta eccessiva della temperatura

annuale.

Quando avanzano serenamente in uno di questi viaggise è avvistato qualcosadi strano e sospettosua signoria

il capodoglio tiene un occhio cauto sulla sua interessante famiglia. Sequalche giovane leviatano tutto fumo ha l'ardire

passando di làdi avvicinare confidenzialmente qualcuna delle signoreconche furia tremenda il Pascià lo assale e lo

scaccia! Sarebbe proprio bella se a giovani libertini senza principî comelui fosse permesso di violare il santuario della

gioia domestica; sebbeneper quanto il povero Pascià si dia da farenonriuscirà a tenere fuori dal suo letto il più

famigerato vitaiolovisto che ahimè tutti i pesci vanno a letto assieme.Come a terra le signore provocano spesso i duelli.147

più terribili tra i loro rivali ammiratoricosì tra le baleneche spessosi azzuffano a mortee tutto per amore.

Schermiscono con le lunghe mandiboleallacciandole a volta assieme ecercando così di avere la megliocome alci che

intrecciano bellicosamente le corna ramose. Non pochi al momento dellacattura portano le cicatrici profonde di questi

scontri: teste solcatedenti rottipinne tagliate a festoni e in qualchecaso bocche strappate e slogate.

Ma supponendo che il violatore della pace domestica batta in ritirata alprimo assalto del signore dell'arem

allora è molto divertente stare a guardare il signor padrone. Egli torna ainsinuare dolcemente la sua ampia mole tra le

femminucce e se ne sta un po' a spassarsela mentre ancora si trova in unavicinanza eccitante col giovane Casanova

come il pio Salomone si dava devoto al suo culto fra le sue mille concubine.Purché ci siano in vista altre baleneil

pescatore darà raramente la caccia a uno di questi sultani; perché questisultani sono troppo prodighi delle proprie

energiee quindi hanno poco olio. Quanto ai figli e alle figlie che mettonoal mondoebbene questi figli e figlie

debbono sbarcare il lunario da séo almeno con il solo aiuto materno.Perché come certi altri onnivori amatori vaganti

di cui potrei fare il nomeil nostro signor capodoglio non ha gusto per la nurserysebbene ne abbia molto per il

boudoir; ecosìessendo un gran viaggiatoreva seminando per tutto il mondo i suoi figlianonimitutti quanti esotici. A

tempo debitotuttaviaquando declina l'ardore della gioventùquandoaumentano gli anni e le malinconiequando la

riflessione presta le sue pause solenniquando insomma un'apatia generaleprende il turco ormai sazioallora un amore

di pace e di virtù soppianta l'amore per le fanciulle; il nostro ottomanoentra nella fase dell'impotenzadel pentimento e

della moralerinnega e scioglie l'areme diventato una vecchia anima cupaed esemplare se ne va tutto solo per i

meridiani e i paralleli dicendo le sue preghieree ammonendo i giovanileviatani a guardarsi dai suoi errori amorosi.

Oracome l'arem delle balene è chiamato dai pescatori la scuolacosì ilsignore e padrone di questa scuola è

chiamato tecnicamente il maestro di scuola. A rigorequindinon parecoerenteper quanto ammirevolmente ironico

che dopo essere andato a scuola lui stesso se ne va in giro inculcandodiquestanon ciò che vi ha imparatoma la sua

vanità. Il suo titolo di maestro di scuola si direbbe con ogniverosimiglianza derivato dal nome che si dà all'arem stesso

ma qualcuno ha supposto che il primo a battezzare così questo tipo di balenaottomana deve avere letto le memorie di

Vidocqe saputo che razza di maestro di campagna fosse quel famigeratofrancese in gioventùe di che natura fossero

quelle lezioni occulte che inculcava a qualcuna delle sue allieve.

La stessa solitudine e l'isolamento a cui si dà con l'avanzare degli anni ilcetaceo maestro di scuolaè il destino

di tutti i vecchi capodogli. Quasi senza eccezioni una balena nubilecome sichiama un leviatano solitariosignifica una

balena vecchia. Come il venerabile Daniel Boone dalla barba di muschioilpesce solitario non vuole accanto a sé altri

che la naturae lei si prende per moglie nella desolazione delle acque. Edè la miglioreanche se il suo umore cupo

nasconde tanti segreti.

Le scuole di soli maschi giovani e vigorosi di cui abbiamo già dettopresentano un forte contrasto con le

scuole-arem. Mentre le femmine sono caratteristicamente timidei giovanimaschi o tori da quaranta botticome li

chiamanosono di gran lunga i più combattivi di tutti i leviatanieproverbialmente i più pericolosi a sfidarsise si

eccettuano quelle meravigliose balene dalla testa grigiabrizzolateche avolte s'incontranoe queste vi daranno

battaglia come diavoli feroci esasperati dal mal di gotta.

Le scuole di tori da quaranta botti sono più popolate delle scuole-arem.Come masnade di giovani studenti esse

sono piene di pugnacitàdi allegria e di maliziae vanno ruzzolandoattorno al mondo a un ritmo così sfrenato e

temerario che nessun assicuratore prudente vorrebbe assicurarli più che nonlo farebbe con un giovincello rissoso della

Yale o della Harvard. Del resto la turbolenza se ne va in frettae quando sisono maturati per circa tre quarti si sbandano

e vanno ciascuno per suo conto in cerca di sistemazionecioè di un arem.

Un'altra differenza tra le scuole dei maschi e delle femmine è ancora piùcaratteristica dei sessi. Colpite

mettiamoun toro da quaranta barili: povero disgraziato! Tutti i camerati lopiantano. Ma colpite una dell'areme tutte le

compagne le nuotano attorno con ogni segno di preoccupazionee a volteindugiano tanto e così vicino a quellada

cadere preda esse stesse.

LXXXIX • PESCE LEGATO E PESCE LIBERO

L'allusione ai guidoni e ai pali con guidone che ho fatto nel capitolopenultimo richiede qualche notizia sulle

leggi e i regolamenti della baleneriadi cui quei contrassegni si potrebberoconsiderare i grandi simboli e distintivi.

Capita di frequente che quando parecchie navi incrociano assiemeuna balenavenga colpita da una di essepoi

fuggae venga finalmente uccisa e catturata da un altro legno: e in questoesempio sono indirettamente comprese molte

congiunture minoriche condividono tutte quella situazione centrale. Peresempio: dopo una caccia e una cattura

pericolose e faticoseil corpo della balena si può staccare dalla nave acausa di una burrasca violenta; e andando molto

alla deriva a sottovento può essere ripreso da una seconda balenierache inuna calma se lo rimorchia comodamente a

fianco senza rischio di vita né di lenza. Così nascerebbero spesso trapescatori le liti più seccanti e violentese non ci

fosse qualche legge scritta o menouniversale e indiscussaapplicabile inogni caso.

Forse l'unico codice baleniero ufficiale autorizzato per legge fu quellodell'Olanda. Venne promulgato dagli

Stati Generali nell'A.D. 1695. Ma benché nessun'altra nazione abbia maiavuto una legge baleniera scrittai pescatori

americani sono stati tuttavia per questa faccenda legislatori e avvocati dise stessi. Essi hanno fornito un sistema che per

comprensività e chiarezza supera le Pandette di Giustiniano e gli Statutidella Società Cinese per la soppressione.148

dell'Intrufolamento nelle Altrui Faccende. Sicuroqueste leggi potrebberovenire incise su un baiocco della Regina

Annao su una punta di ramponee portate al collotanto sono lapidarie.

1) Un pesce legato appartiene a chi l'ha legato.

2) Un pesce libero è giusta preda di chiunque lo prende per primo.

Ma in questo codice magistrale la fregatura è la sua ammirevole concisioneche richiede un ampio volume di

commenti esplicativi.

Primo: che cos'è un pesce legato? Vivo o mortoun pesce è tecnicamentelegato quando è connesso a una nave

o una barca occupatacon qualsivoglia tramite controllabile dall'occupante odagli occupanti: un alberoun remoun

cavo di nove polliciun filo telegraficoo una sfilaccia di ragnatelanonimporta. Similmente un pesce è tecnicamente

legato quando porta un guidone o qualsiasi altro simbolo riconosciuto dipossessopurché la parte che lo contrassegna

dimostri chiaramente la propria capacità di rimorchiarselo a fianco inqualsiasi momentononché la propria intenzione

di farlo.

Questi sono commenti scientificima i commenti dei balenieri stessiconsistono a volte in brutte parole e botte

anche più brutte: il Coke-su-Littleton del pugno. È vero che tra ibalenieri più retti e onorati si fanno sempre concessioni

in casi particolariin cui sarebbe un'atroce ingiustizia morale che unaparte avanzasse diritti su una balena anteriormente

cacciata e ammazzata dall'altra. Ma altri non sono affatto così scrupolosi.

Un cinquant'anni fa venne in causa in Inghilterra un singolare caso diricupero di balena perduta. I querelanti

dichiararono chedopo una caccia spossante nei mari nordicie proprioquando erano riusciti a ramponare il pesce

erano stati costretti sotto pericolo di vita ad abbandonare non solo le lenzema la barca stessa; dopodiché gli imputati

(l'equipaggio di un'altra nave) si erano imbattuti nella balenal'avevanocolpitauccisapresa e finalmente se n'erano

appropriati sotto gli occhi della parte lesa. E quando gli imputati avevanoricevuto rimostranzeil loro capitano aveva

schioccato le dita in faccia ai querelanti dichiarando che come tuttoringraziamento per l'impresa fatta si sarebbe tenuto

la lenzail rampone e la lancia rimasti attaccati alla balena al momentodella cattura. Per cui ora gli altri reclamavano il

rimborso del costo della balenadella lenzadei ramponi e della lancia.

Avvocato degli imputati era un signor Erskine; Lord Ellenborough il giudice.Nel corso della difesal'arguto

Erskine cominciò a illustrare il suo assunto riferendosi a un caso recentedi adulterioin cui un tale dopo avere cercato

invano di frenare la depravazione della mogliel'aveva abbandonata sui maridella vitama nel corso degli anni

pentendosi di questo passoaveva iniziato una causa per riaverne ilpossesso. Erskine era avvocato della parte avversae

l'aveva difesa sostenendo che benché quel signore avesse in originearpionata la signora e l'avesse una volta legatae

benché alla fine l'avesse lasciata andare solo a causa del grande sforzodovuto alla di lei tendenza ad andare a fondo

pure lasciata andare l'avevasicché quella era diventata pesce libero; eperciòquando un successivo signore l'aveva

tornata a ramponarela signora era diventata proprietà di quell'altrosignoreinsieme con qualunque rampone si fosse

potuto trovarle in corpo.

Nel caso presenteErskine sosteneva che gli esempi della balena e dellasignora s'illustravano reciprocamente.

Sentite debitamente le arringhe della difesa e dell'accusail dottissimogiudice decretò in termini assai netti

quanto segue: quanto alla lancia la concedeva alla parte lesaperchél'avevano abbandonata solo per salvarsi la pelle; ma

quanto alla balenaai ramponi e alla lenza contesiessi appartenevano agliimputati: la balenaperché era un pesce

libero al momento della cattura finale; e i ramponi e la lenza perchéquando il pesce li aveva portati viaesso pesce

aveva acquisito la proprietà di questi oggettie perciò chiunque inseguito avesse preso il pesce aveva diritto a essi. Ora

gli imputati avevano poi preso il pesceergogli oggetti di cui sopra eranoloro.

Un profano che rifletta su questa decisione del dottissimo giudice potrebbemagari trovarci a ridire. Ma

scaviamo fino alla roccia primaria del problemae vedremo che i due grandiprincipî esposti nelle succitate leggi

balenieree applicati e delucidati da Lord Ellenborough nel caso suddettole due leggi dico sul pesce legato e il pesce

liberoapparirannoa riflettercii fondamenti di tutta l'umanagiurisprudenza. Perché malgrado tutti i suoi complicati

intagli il Tempio della Leggecome quello dei Filisteinon ha che duesostegni a reggerlo.

Non è forse un detto sulle labbra di tutti che il Possesso è metà dellaLeggecioè a dire indifferentemente da

come la cosa è venuta in possesso? Ma spesso la proprietà fa tutta lalegge. Che cosa sono i muscoli e le anime dei servi

russi e degli schiavi repubblicani se non pesce legatoil cui possesso èl'unica sua legge? Cos'è per il proprietario rapace

l'ultimo obolo della vedova se non un pesce legato? Che cos'è quella casamarmorea di un furfante non smascherato

con la targa sull'uscio come guidoneche cos'è se non pesce legato? Checos'è il catastrofico interesse anticipato che il

mediatore Mardocheo ottiene dal povero fallito Facciafflittasu un prestitoche permetterà alla famiglia di quest'ultimo

di non morire di fameche cos'è quel rovinoso interesse se non pescelegato? Che cos'è il reddito di 100.000 sterline che

l'Arcivescovo di Salvalanima si pappa sul magro pane e formaggio di centinaiadi migliaia di lavoratori dalla schiena

rotta (tutti sicuri del cielo senza il minimo bisogno di Salvalanima)checos'è quella cifra tonda se non un pesce legato?

Che cosa sono se non pesce legato le città e i villaggi ereditati dal Ducadi Beozia? Che cos'è la povera Irlanda per quel

temuto ramponiere John Bulle il Texas per quei lanciere apostolico FratelloJonathanse non pesci legati? E in tutti

questi casi non è forse il Possesso l'unica vera legge?

Ma se la teoria del pesce legato è quasi universalmente applicabileancoradi più lo è la teoria sorella del pesce

libero. Essa è di applicazione internazionale e cosmica.

Che cos'era l'America nel 1492 se non un pesce libero in cui Colombo piantòla bandiera di Spagna in modo da

contrassegnarla per i suoi regali padroni? Che cos'era la Polonia per lo Zarla Grecia per i Turchil'India per

l'Inghilterra? E che cosa sarà finalmente il Messico per gli Stati Uniti?Tutti pesci liberi..149

E i diritti dell'uomo e le libertà del mondo che cosa sonose non pescelibero? E le teste e le opinioni di tutti gli

uomini? E il principio della libertà religiosa? E i pensieri dei pensatoriper i contrabbandieri di parole grosse? Che cos'è

questo stesso gran globo se non un pesce libero? E tulettoreche altroseise non un pesce libero e un pesce legato

assieme?

XC • TESTE O CODE

«De balena vero sufficitsi rex habeat caputet regina caudam

BractonIII3

Latino dai libri delle Leggi britannicheche significapreso nel contestoche di tutte le balene da chiunque

catturate sulle coste di quella terrail Recome Gran Ramponiere onorariodeve avere la testae la Regina ricevere in

rispettoso omaggio la coda. Una spartizione che nella balena è suppergiùcome dimezzare una mela: nel mezzo non

resta più niente. Orasiccome questa leggein forma modificatavige ancoroggi in Inghilterrae presenta sotto vari

punti di vista una curiosa anomalia rispetto alla legge generale del pescelegato e liberose ne tratta qui in un capitolo a

parteper lo stesso principio di cortesia che spinge le ferrovie inglesi adaffrontare le spese di una carrozza separata

specialeriservata alle persone regali. In primo luogoper darvi una provacuriosa che la sullodata legge è ancora in

vigorepasso a esporvi un caso avvenuto entro gli ultimi due anni.

Pare che alcuni onesti marinai di Dovero di Sandwicho di qualcuno deiCinque Portifossero riusciti dopo

una difficile caccia a uccidere e tirare a spiaggia una bella balena cheavevano avvistato assai lontano dalla costa. Ora i

Cinque Porti sonoin parte o come che siasotto la giurisdizione di unaspecie di sbirro o mazziere chiamato il Lord

Reggente. Tenendo costui la carica direttamente dalla Coronacredotuttigli emolumenti regi dovuti nei territori dei

Cinque Porti vanno a lui per devoluzione. Da certuni questa carica èconsiderata una sinecura. Ma non è vero. Il povero

Reggente è spesso occupatissimo a intascare regalieche sono essenzialmentesue in virtù del suo stesso intascarle.

Ora quando questi poveri marinai bruciati dal solescalzi e coi calzonirimboccati fino alle cosce d'anguilla

ebbero sudato sangue per tirare all'asciutto il loro grosso pesceripromettendosi almeno un centocinquanta sterline dal

grasso prezioso e dall'ossoe sorseggiando in fantasia sulla base dellerispettive quote un ottimo tè con le mogli e birra

buona con gli amiciecco che t'arriva un dottissimocristianissimo ecaritatevolissimo gentiluomo con una copia di

Blackstone sottobraccio. E posandola sulla zucca della balena dice: «Mani aposto! Questo pescepadroni mieiè pesce

legato. Ne prendo possesso a nome del Signor Reggente.» Alla quale i poverimarinainella loro rispettosa

costernazione così veramente inglesenon sapendo che dire cominciaronotutti a grattarsi vigorosamente le zucche

gettando nel frattempo occhiate tristissime dalla balena allo sconosciuto. Maquesto non aggiustava affatto la faccenda

né ammolliva il cuore duro di quel dotto signore dalla copia di Blackstone.Alla fine uno dei pescatoridopo lunghe

grattate per schiarirsi le ideeosò parlare e d isse:

«Ma scusatesignorechi è il Signor Reggente?»

«Il Duca.»

«Ma il Duca che ci ha messo nella pigliata del pesce?»

«È suo.»

«Abbiamo sudato sanguerischiato la pelle e speso quattrinie tutto questodeve andare in tasca al signor

Duca? E noi per la sfaticata non becchiamo che i calli?»

«È suo.»

«Ma il Duca è così morto di fame da fare queste carognate per sbarcare illunario?»

«È suo.»

«Pensavo di dare una mano a mia madreche è vecchia e a lettocon la miaparte di questa balena.»

«È sua.»

«Non può contentarsi il Duca di un quarto o di una metà?»

«É sua.»

In una parolala balena fu confiscata e vendutae sua Grazia il Duca diWellington ricevette il denaro.

Pensando che da qualche particolare angolo il caso aveva una vagapossibilità di essere consideratoin certo senso e

nelle attuali circostanzepiuttosto duroun onesto sacerdote del postomandò un rispettoso biglietto a Sua Grazia

supplicandolo di prendere in piena considerazione il caso di queglisfortunati pescatori. Al che il signor duca rispose in

sostanza (tutte e due le lettere vennero pubblicate) che l'aveva già fattoaveva ricevuto il danaroe sarebbe stato grato al

reverendo se per il futuro egli reverendo avesse smesso di impicciarsi degliaffari degli altri. È questo il vecchietto

ancora combattivo che se ne sta agli angoli dei tre regnied esige da ogniparte elemosine dai mendicanti?

È molto chiaro che in questo caso il diritto invocato dal Duca sulla balenaera una delega sovrana. Dobbiamo

quindi chiederci su quale principio il sovrano è in origine investito diquesto diritto. La legge stessa è già stata esposta.

Ma Plowden ce ne dà la ragione. Dice Plowden che la balena così catturataappartiene al Re e alla Regina «a causa della

sua straordinaria eccellenza». E dai più profondi glossatori questa èstata sempre considerata una ragione persuasiva in

un problema simile.

Ma perché il Re deve avere la testa e la Regina la coda? Datecene unaragioneavvocati!.150

Nel suo trattato sull'Oro della Regina o Spillatico della Reginaun vecchioautore della Regia Cortetale

William Prynneragiona così: «La coda è della Regina affinché ilguardaroba della Regina possa essere fornito di osso

di balena.» Ora questo è stato scritto quando l'osso nero flessibile dellabalena franca o di Groenlandia era largamente

usato per i busti da signora. Però quell'osso non è nella codaè nellatesta: marchiano errore per un avvocato sagace

come Prynne. Ma è una sirena la Reginaper ricevere l'omaggio di una coda?Forse qui si nasconde un significato

allegorico.

Ci sono due pesci regalicosì denominati dagli scrittori di legge inglesi:la balena e lo storionetutti e due con

certe limitazioni di proprietà regiae che forniscono nominalmente ildecimo ramo della rendita ordinaria della Corona.

Non mi risulta che altri abbia accennato alla cosama per deduzione mi pareche lo storione debba dividersi allo stesso

modo della balenaandando al re la testa molto densa ed elastica che ètipica di quel pesce. Il checonsiderato

simbolicamentepotrebbe umoristicamente basarsi su qualche presuntacongenialità. E cosìparrebbec'è una ragione in

tuttoperfino nella legge.

XCI • IL PEQUOD INCONTRA IL BOCCIUOLO DI ROSA

«Invano fu rovistare per Ambracane nella pancia di questo Leviatanoché ilfetore insopportabile impediva la ricerca

Sir T. BrowneVulgar Errors

Una o due settimane dopo l'ultima scena di caccia che ho descrittomentrenavigavamo lenti su un mare

meridiano assonnato e fumantei molti nasi sulla coperta del Pequod sirivelarono sentinelle più vigili delle tre paia di

occhi arriva. Si sentiva in mare un odore caratteristico e non moltogradevole.

«Orascommetto qualcosa» disse Stubb«che da qualche parte in questiparaggi c'è qualcuna delle balene con

la remora che abbiamo solleticate l'altro giorno. Lo sapevo che prestoavrebbero fatto cappello.»

Poco dopo i vapori a prua si aperseroe laggiù in distanza c'era una navele cui vele serrate indicavano che al

suo fianco doveva trovarsi una balena. Come scivolammo più vicinoil legnomostrò colori francesi sul piccoe dal

gran mulinello di uccelli rapaci che roteavano e si libravano e gli calavanoa piombo tutt'intornoera chiaro che la

balena affiancata doveva essere di quelle che i pescatori chiamano impestatecioè balene morte da sole nel mare e

rimaste a gallacadaveri senza padrone. Si può bene immaginare che razza diprofumo esali quella massa: peggio di una

città assira durante la pestequando i vivi non ce la fanno a seppellire imorti. In realtà qualcuno trova quell'odore così

intollerabileche nessuna cupidigia lo indurrebbe a ormeggiare lì accanto.Ma ci sono di quelli che lo fannononostante

il fatto che l'olio ricavato da tali fonti è di qualità molto inferioreenon ha nulla assolutamente dell'essenza di rose.

Avvicinandoci sempre più con un filo di brezzaci accorgemmo che ilfrancese aveva a fianco una seconda

balenae questa balena era un mazzolino di fiori ancora più profumato dellaprima. In realtà si rivelò poi per una di

quelle balene enigmatiche che paiono disseccarsi e morire di una sorta distraordinaria dispepsia o indigestione

lasciando carcasse quasi del tutto vuote di ciò che può essere olio. Mavedremo a tempo opportuno che nessun baleniere

esperto torcerà il naso di fronte a una balena simileper quanto in generesia propenso a evitare le balene impestate.

Il Pequod si era ormai portato così vicino allo stranieroche Stubb giuròdi riconoscere il manico della sua

vanga da squarto impigliato nelle lenze aggrovigliate attorno alla coda diuna delle balene.

«Ma guarda che bel tipo» ridacchiava dritto a prua della nave«ma guardache sciacallo! Lo sapevo che questi

rospacci di francesi sono scalzacaniche calano le barche dietro aifrangenti credendoli sfiatate di balene; sicuroe

qualche volta si mettono in mare con le stive piene di scatole di candele disego e di casse di smoccolatoiben sapendo

che tutto l'olio che faranno non basterà a bagnarci lo stoppino delcapitano. Sicuroquesto lo sappiamo tuttima

guardate qui un rospaccio che si becca quello che noi lasciamola balena coidruggs dicoe si contenta pure di grattare

le ossa secche di quell'altro bel pesce che ha preso. Povero diavolo! Facciagirare un cappelloqualcunoe regaliamogli

un poco d'olio per carità. L'olio che potrà ricavare da quella balena coi druggsnon sarebbeadatto a bruciare in galera

noneanche nella cella della morte. Quanto all'altra balenabe'scommettodi fare più olio se taglio e faccio bollire i

nostri tre alberiche non lui da quel mucchio d'ossa. Sebbeneora che ciripensopuò darsi che contenga una cosa che

vale molto più dell'olioma sìl'ambra grigia. Mi domando ora se ilvecchio ci ha pensato. Vale la pena di provare.

Sicurovoglio vedere.» E così dicendo partì per il cassero.

A questo punto la brezza debole aveva ceduto a una completa bonaccia; sicchévolere o no il Pequod era

adesso intrappolato nel tanfosenza speranza di scappare se non tornava labrezza. Uscendo di cabinaStubb raccolse

l'equipaggio della sua lanciae partì alla volta della nave straniera.Tagliando di pruaStubb notò che in ossequio al

fantasioso gusto francese la parte superiore della ruota di prua era scolpitaa forma di un enorme stelo reclinatodipinto

di verdee come spine aveva spuntoni di rame che sporgevano qua e làe iltutto terminava in un bulbo dalle pieghe

simmetriche di un bel colore rosso. Sulle tavole di pruain grandi letteredoratelesse «Bouton de Rose»: Bottone o

Bocciuolo di Rosae questo era il nome romantico di quell'aromatica nave.

Quel bouton nellascritta era arabo per Stubb. Ma la parola rosee quella polena bulbaceabastarono a

chiarirgli il tutto.

«Un bocciuolo di rosaeh?» gridò con le dita al naso. «Ottima idea. Maper la miseriafa una puzza!».151

Per comunicare direttamente con quelli di bordo doveva doppiare la prua eportarsi a tribordoe quindi

avvicinarsi alla balena impestata e parlarci al di sopra.

Quando fu al punto giustosempre con la mano al nasourlò: «OèdelBottone di Rosa! C'è qualcuno di voi

bocciuoli di rosa che parla inglese?»

«Sicuro» rispose dalla murata un uomo di Guernseyche erarisultòilprimo ufficiale.

«Be' alloramio bottoncino di rosaavete visto la balena bianca?»

«La balena come?»

«La balena bianca. Capodoglio. Moby Dick. L'avete visto?»

«Mai sentita nominare. Cachalot blanche! Balena bianca: no.»

«Molto beneallora. Saluti per il momento. Torno subito.»

E tornato svelto verso il Pequode vedendo Achab appoggiato alla ringhieradel cassero che aspettava notizie

mise le mani a portavoce e gridò: «Nossignore! Niente!» Al che Achabscomparve e Stubb tornò verso i francesi.

Allora si accorse che quello di Guernseyche era sceso nei parasartie estava usando una vanga da squartosi

era imbracato il naso in una specie di sacco.

«Che avete lì al naso?» disse Stubb. «Rotto?»

«Magari fosse rottoo magari non ne avessi affatto!» rispose l'altrochenon pareva gradire molto il lavoro che

faceva.

«E il vostroperché ve lo tenete?»

«Oh niente. È un naso di ceradebbo tenerlo su. Bella giornatano? Ariadi campagnadirei; perché non ci

buttate qualche mazzolino di campoehbocciuolo di rosa?»

«Ma che diavolone volete?» sbraitò quello di Guernseyinfuriandosi dicolpo.

«Non vi riscaldateeh! State freddo. Sicurofreddo è la parola. Dovrestemetterle in ghiaccio quelle balene

mentre ci lavorate. Ma scherzi a parteora. Lo sapetebottone di rosacheè una vera pazzia cercare olio in quelle

bestie? Quella secca lìpoinon ce n'ha un oncia in tutta la carcassa.»

«Lo so benissimo. Ma il capitano non ci vuole crederecapite? È al primoviaggio. E prima faceva il

fabbricante a Cologne. Ma venite suche forse crederà a voi se non crede ame. Così esco da questa rogna.

«Per farvi un piacerequesto e altromio caro simpaticone» ribattèStubbdopodiché fu presto a bordo. Lì gli

si presentò una scena comica. I marinaicon certi berretti a nappine dilana rossastavano preparando i paranchi pesanti

per le balene. Ma andavano a rilento e parlavano veloci e non parevanoaffatto di buon umore. Tutti i nasi erano protesi

in sù dalle facce come aste di fiocco. Ogni tanto un paio di loro smettevanoil lavoroe correvano su in testa all'albero a

respirare un po' d'aria pura. Qualcunoper paura di pigliarsi una pesteinzuppava stoppa nel catrame e a tratti se la

teneva alle narici. Altrirotto il cannello della pipa quasi al bocciuolosoffiavano freneticamente il fumo di tabaccoin

modo da averne sempre pieno l'olfatto.

Stubb fu colpito da un diluvio di urli e maledizioni provenienti dalla cabinadel capitano a poppae guardando

da quella parte vide una faccia di fuocoche sporgeva dall'uscio tenutosocchiuso dall'interno. Era il chirurgo

esasperatoche dopo avere protestato invano contro le operazioni dellagiornata si era ritirato nella cabina del capitano

(la chiamava cabinet)per evitare l'infezione; ma ancora non poteva fare a meno di strillare ognitanto il suo sdegno e le

sue esortazioni.

Osservando tutto ciò Stubb ne concluse bene per il suo pianoe voltandosial marinaio di Guernsey si fece con

lui una chiacchieratinadurante la quale il forestiero espresse il suoabominio per il capitanoun ignorante pieno di

spocchiache li aveva tutti cacciati in questo pasticcio fetido e inutile.Sondandolo con curaStubb si rese conto che

l'ufficiale non aveva il minimo sospetto riguardo all'ambra grigia. Per cuinon aprì bocca su quel puntoma in ogni altro

senso fu con lui franco e confidenzialesicché i due combinarono subito unpiccolo piano per circuire e burlare il

capitanosenza che mai si sognasse di dubitare della loro buona fede.Secondo questo loro disegno l'uomo di Guernsey

fingendo di fare da interpreteavrebbe detto al capitano quello che glisarebbe piaciutoma come se venisse da Stubb;

quanto a Stubbavrebbe potuto dire qualunque fesseria gli fosse venuta inmente durante il colloquio.

A questo punto la loro vittima uscì dalla cabina. Era un tipo scuro epiccolodall'aria piuttosto delicata per un

capitano di mareperò con grandi favoriti e baffie portava un panciottodi velluto rosso con ciondoli al fianco. A

questo signore Stubb venne cortesemente presentato da quello di Guernseychesubito cominciò con ostentazione a

darsi l'aria dell'interprete.

«Cosa gli dico prima?» domandò.

«Be'» fece Stubb adocchiando il panciotto di velluto e l'orologio coiciondoli. «Puoi anche cominciare a dirgli

che mi pare piuttosto bambolonema non pretendo di giudicare.»

«DiceMonsieur» tradusse l'interprete voltandosi al capitano«cheproprio ieri la sua nave ha incontrato un

legno su cui il capitanoil primo ufficiale e sei dell'equipaggio eranomorti di una febbre contratta da una balena

impestata che si erano rimorchiata al fianco.»

Il capitano trasalìe chiese ansiosamente altre notizie.

«Che altro?» disse il primo ufficiale a Stubb.

«Be'visto che incassa così benedigli che ora che l'ho guardato megliosono sicuro che una scimmia di

Sant'Jago comanderebbe una baleniera meglio di lui. Anzidigli da parte miache è un babbuino.»

«Egli afferma e giuraMonsieurche la seconda balenaquella seccaèmolto più micidiale di quella impestata;

e insommaMonsieurci scongiurase teniamo alla vitadi mollare viaquelle bestie.».152

Immediatamente il capitano corse a prua e ad alta voce ordinò all'equipaggiodi interrompere il montaggio dei

paranchi di squartamentoe di sciogliere subito i cavi e le catene chetrattenevano le balene alla nave.

«E ora?» disse quello di Guernsey quando il capitano si riavvicinò.

«Mavediamo. Sicuroora gli puoi anche dire che... che... Ma sìdigliche l'ho fregato e (tra sé e sé) non solo

lui.»

«DiceMonsieurche è felicissimo di esserci stato in qualche modo diutilità.»

A sentir questo il capitano giurò che erano loro (lui e l'ufficiale) aessergli gratie concluse invitando Stubb in

cabina a bere una bottiglia di Bordeaux.

«Vi invita a bere un bicchiere di vino assieme» disse l'interprete.

«Ringrazialo di cuorema digli che è contro i miei principî bere con lapersona che ho truffato. Digli anzi che

debbo andare.»

«DiceMonsieurche i suoi principî non gli permettono di bere. Ma cheseMonsieur desidera vivere fino a

domani per farcisi una bevutafarebbe meglio a calare tutte e quattro lelance e staccare la nave da quelle baleneperché

è tanta la bonaccia che non andranno alla deriva.»

Intanto Stubb aveva passato la muratae calandosi nella barca gridò aquello di Guernsey che avendo con sé un

lungo cavo di tonneggio voleva fare il possibile per dare una manotirandovia dalla fiancata la balena più piccola. E

cosìmentre le barche dei francesi arrancavano a tirare la nave da un latoStubb caritatevole si trainava la sua balena

dall'altraallentando con ostentazione un cavo di lunghezza smisurata.

Di colpo sorse la brezza. Stubb finse di staccarsi dal pesce. Issando lelancela nave francese aumentò presto la

distanzamentre il Pequd scivolava in mezzo tra essa e la balena di Stubb.Al che Stubb accostò svelto il corpo

galleggiantee gridando al Pequod di segnalargli le sue intenzioniprocedèsubito a raccogliere il frutto della sua

furberia disonesta. Con la vanga da lancia affilata cominciò a scavare lacarcassa un po' dietro la pinna laterale. Si

poteva quasi pensare che scavasse una cantina nell'acqua; e quando infine lavanga urtò contro quelle magre costolefu

come tirare fuori antiche tegole romane e cocci sepolti in grassa marnainglese. Gli uomini della lancia erano tutti

eccitatissimie aiutavano avidi il capocon certe arie ansiose di cercatorid'oro.

E di continuo uccelli innumerevoli si tuffavano e sbucavano dall'acqua estridevano e strillavano e

s'azzuffavano attorno a loro. Stubb cominciava a mostrare in faccia ladelusionesoprattutto perché l'orrendo puzzo

aumentavaquando all'improvviso proprio dal cuore di quella peste vennefuori una lieve zaffata di profumoche passò

attraverso il flusso degli odori cattivi senza esserne assorbitacome unfiume si versa in un altro e scorre assieme per un

po' di tempo senza mescolarvisi affatto.

«Eccola! Eccola!» gridò Stubb con gioiapalpando qualcosa nelle zonesotterranee. «Un sacco! Un sacco!»

Buttando la vanga cacciò dentro tutte e due le manie trasse fuori qualcosache pareva sapone Windsor maturo

o vecchio formaggio grasso e variegatoma molto untuoso e saporito. Si puòfacilmente inciderlo col dito: è di un

colore tra il giallo e il cinerino. E questaamici mieiè l'ambra grigiache vale una ghinea d'oro all'oncia in qualunque

farmacia. Se ne cavarono circa sei manciatema altra se ne perdetteinevitabilmente in maree forse avrebbe potuto

trovarsene molto di più se non fosse stato per l'impazienza di Achab cheurlò a Stubb di farla finita e tornare a bordo

altrimenti la nave li avrebbe lasciati in asso.

XCII • AMBRA GRIGIA

Ora quest'ambra grigia è una sostanza molto curiosae così importante comearticolo di commercio che nel

1791 un certo capitano Coffin nativo di Nantucket fu interrogatosull'argomento dai giudici inglesi della Camera dei

Comuni. Perché a quei tempie in realtà fino a giorni relativamenterecentil'origine esatta dell'ambra grigiacome

dell'ambra stessaera per i dotti un problema. La parola ambergrisè soltanto ilcomposto francese per ambra grigia

però le due sostanze sono affatto distinte. L'ambrasebbene la si troviqualche volta in riva al mareviene anche scavata

in lontani terreni dell'internomentre l'ambra grigia non si trova mai chesul mare. Inoltre l'ambra è una sostanza dura

trasparentefriabile e inodorausata per bocchini di pipagrani di collanae altri ornamenti; ma l'ambra grigia è molle

cerosae talmente fragrante e aromatica che viene largamente usata inprofumeriao per fare pasticche deodoranti

candele costosepolveri per i capelli e pomate. I turchi l'adoperano incucina e inoltre la portano alla Meccaallo stesso

scopo per cui si porta incenso a San Pietro in Roma. Certi mercanti di vinone mettono alcuni grani nel chiarettoper

profumarlo.

Ma chi direbbe che signore e signori così distinti possano deliziarsì diun'essenza trovata nei visceri indecorosi

di una balena malata? Eppure è così. Da alcuni si suppone che l'ambragrigia sia la causae da altri l'effettodella

dispepsia della balena. Come curarlaquesta dispepsiasarebbe difficiledirlotranne che non si pensi di somministrare

un tre o quattro barcate di pillole di Brandrethe poi correre a mettersi alsicuro come fanno gli operai che mettono le

mine alle rocce.

Ho dimenticato di dire che in mezzo all'ambra grigia si trovarono certe duree rotonde schegge d'ossoche

dapprima Stubb scambiò per bottoni dei calzoni di marinaima che altro noneranosi vide poiche pezzi di ossicini di

seppia imbalsamati a quel modo..153

Ora che la purezza di questa profumatissima ambra grigia si debba trovare nelcuore di una tale corruzionenon

è cosa notevole? Ricòrdati di quel detto di San Paolo ai Corinziaproposito della corruzione e dell'incorruzione: sul

come siamo seminati nel disonore ma cresciuti nella gloria. E ricorda inoltrequel detto di Paracelso su ciò che fa il

migliore dei muschi. E non dimenticare inoltre il fatto curioso che di tuttele cose che fanno cattivo odorel'acqua di

Colonianelle fasi iniziali della preparazioneè la peggiore.

Vorrei concludere il capitolo con questa esortazionema non posso a causadella mia ansia di respingere

un'accusa fatta spesso ai balenierie che nel giudizio di certe menti giàprevenute potrebbe credersi indirettamente

corroborata da ciò che si è detto delle due balene dei francesi. Altrove inquesto libro è stata confutata la calunniosa

insinuazione che la professione del baleniere sia una faccenda del tuttosciatta e sudicia. Ma c'è un'altra cosa da

dimostrare falsa. Vanno dicendo che le balene mandino sempre un cattivoodore. E da dove è nato questo marchio

odioso?

Opino che lo si possa chiaramente ricondurre al primo arrivo a Londra dellebaleniere groenlandesipiù di due

secoli fa. Perché quei balenieri non raffinavano allora e non raffinanoadessoil loro olio in mare come hanno sempre

fatto le navi del Sud. Ma usavano tagliare a pezzi il grasso frescocacciarlo per il buco di grosse botti e portarlo a casa

in questo modoperché la breve durata della stagione in quei marighiacciati e le bufere improvvise e violente a cui vi

erano esposti impedivano ogni altro procedimento. La conseguenza è chequando s'apre la stiva per scaricare uno di

questi cimiteri di balene nel porto groenlandeseviene fuori un fetore chericorda un po' quello che si alza quando si

scava un vecchio cimitero cittadino per gettare le fondamenta di un Ospedaledi Maternità.

Immagino anche in parte che quell'accusa maligna contro i balenieri si possaimputare all'esistenza sulla costa

di Groenlandiain tempi passatidi un villaggio olandese chiamatoSchmerenburgh o Smeerenbergil quale ultimo

nome è quello usato dal dotto Fogo Von Slack nella sua grande opera sugliOdorilibro classico sull'argomento. Come

indica il suo nome (smeergrasso; bergpreparare)questo villaggio venne fondato per offrire alle baleniere olandesiun

posto dove raffinare il grassosenza doverlo portare a casa in Olanda perquello scopo. Era un aggregato di fornaci

marmitte per grasso e rimesse per l'olioe quando le raffinerie erano inpiena azione certo non ne esalava un profumo

squisito. Ma tutto ciò è molto diverso per una baleniera del Sudche in unviaggio di forse quattro annidopo avere

completamente riempita d'olio la stivanon ha adibito forse cinquanta giornial lavoro di bollitura; e nello stato in cui è

messo in botte l'olio è quasi inodore. La verità è che vive o mortepurché trattate decentementele balene come specie

non sono affatto bestie puzzolenti; né si può riconoscere al fiuto uncacciatore di balenecome la gente del medioevo

sosteneva di potere scoprire un ebreo nella compagnia. E in verità la balenanon può essere altro che fragrante quando

come è di regolagode di così ottima salutefa tanto esercizio e stasempre all'apertosebbeneè veroraramente all'aria

aperta. Dico che il movimento delle pinne di un capodoglio sull'acqua mandaprofumocome quando una signora

profumata al muschio fa frusciare le gonne in un salotto caldo. A che cosadunque dovrò assomigliare il capodoglio per

la fragranzaconsiderando la sua mole? Non dovrò assomigliarlo a quelfamoso elefante dalle zanne ingioiellatee

fragrante di mirrache fu portato fuori da una città indiana per rendereonore ad Alessandro Magno?

XCIII • IL NAUFRAGO

Fu solo pochi giorni dopo l'incontro coi francesiche un fatto assai pienodi significato accadde al più

insignificante dell'equipaggio del Pequod: un fatto molto tristeche finìcol fornire alla nave predestinatae a volte

follemente allegrauna profezia viva e sempre presente di quel qualunquedestino folle che avrebbe potuto toccarle.

Orasulle balenierenon tutti scendono nelle lance. Si tengono da cantoalcuni pochi uominichiamati

guardanavela cui mansione è di manovrare il legno mentre le barcheinseguono la balena. Come regola generalequesti

guardanave sono ragazzi di fegatoproprio come quelli che formano le ciurmedelle lance. Ma se succede che a bordo

c'è qualcuno troppo delicatinoimpacciato o paurosoè sicuro che finisceguardanave. Così capitò sul Pequod al

negretto che chiamavano Pipetta e per abbreviazione Pip. Povero Pip! Ne hogià parlato: ricorderete il suo tamburello in

quella drammatica mezzanottecosì allegra e sinistra.

All'aspetto Pip e Farinata facevano una bella coppiacome un cavalluccionero e uno biancodiversi solo nel

coloreche fanno una buffa pariglia. Ma mentre quel disgraziato di Farinataera lento e ottuso di nascitaPip era sì

debole di miocardioma in fondo non difettava d'intelligenzadiquell'intelligenza piacevolegeniale e amena che è

caratteristica della sua razzauna razza che si sa godere vacanze e festecon un gusto più schiettopiù spigliato di

qualsiasi altra tribù. Per i neriil calendario non dovrebbe segnare altroche trecentosessantacinque Quattro Luglio e

Capidanno. E non ridete quando dico che questo moretto era brillanteperchéanche il nero è brillante: guardate l'ebano

lucido che impannella i gabinetti dei re. Ma Pip amava la vita e tutte legaranzie pacifiche della vita; sicché il mestiere

pieno di terroriin cui si era lasciato invischiare per qualche ragioneinspiegabilene aveva tristemente offuscata la luce.

Ma come si vedrà prestociò che era smorzato in lui temporaneamente eradestinato alla fine ad accendersi

lugubremente di fiamme strane e selvaggeche in apparenza gli avrebberoridato dieci volte il suo splendore naturale;

quello splendore con cuinella Tolland County del Connecticut dove era natoaveva un tempo rallegrato molte

festicciole campestrie nel crepuscolo melodioso aveva cambiato col suoallegro ah! ah! il cerchio dell'orizzonte in un

solo tamburello coi sonagli di stelle. Così nell'aria pura del giorno lagoccia di diamante di bell'acquaappesa contro una

gola venata di azzurrorisplende di sana lucema quando un abilegioielliere vuole mostrarvi il diamante nella sua luce.154

più fulgidalo mette su uno sfondo cupo e lo illumina non col sole ma conqualche gas innaturale. E allora vengono

fuori quei guizzi di fiammainfernalmente superbiallora il diamante dallaluce malignache una volta era il simbolo

più puro dei cieli di cristallopare un gioiello rubato dalla corona del redell'inferno. Ma veniamo alla storia.

Successe che in quella faccenda dell'ambra grigia il poppiere di Stubb sislogò una manoe dovette restare del

tutto a riposo per un poco; e per quel poco fu messo al suo posto Pip.

La prima volta che Stubb ammainò con luiPip si mostrò molto nervoso; mafortunatamente per quella volta

sfuggì a un contatto diretto con la balenae quindi se la cavò non deltutto con disonore. Però Stubbosservandolosi

preoccupò di esortarlofinito tuttoa stare bene attento e trovare piùcoraggioché spesso gli poteva capitare di averne

bisogno.

Oraalla seconda calata in acquala lancia filò sulla balenae il pescericevuto il ferrodiede il suo solito

bottoche questa volta capitò proprio sotto il banco del povero Pip. Ilterrore impulsivo di quell'attimo fece saltare Pip

remo in manofuori della lanciae in modo tale chevenendogli sul petto lalenza allentataegli se la tirò in acqua e nel

fare il tuffo ci restò tutto imbrogliato. In quell'istante la balena feritapartì di furiala lenza si tese fulmineaed ecco il

povero Pip emergere tutto schiumante contro il passacavitiratocispietatamente dalla lenza che gli si era attorcigliata

più volte attorno al petto e al collo.

Tashtego stava dritto a prua. Era pieno del fuoco della caccia; odiava Pipcome vigliacco. Strappando dal

fodero il coltello di bordone calò il taglio affilato sulla lenzaevoltandosi verso Stubb domandò: «Taglio?» Intanto la

faccia bluastra e strozzata di Pip diceva chiaramente: «Tagliaper amor diDio!»

Tutto avvenne in un lampo. In meno di mezzo minuto tutta la faccenda fufinita.

«Possa creparetaglia!» ruggì Stubb; e così la balena fu persa e Pipsalvato.

Appena si fu riavutoil povero negretto venne assalito dagli urli e insultidi tutta la ciurma Lasciate

quietamente evaporare queste imprecazioni irregolariStubb con un tonosempliceda uomo d'affarima sempre un po'

ironicomaledisse Pip ufficialmente; e fatto questo gli diede ufficiosamentemolti buoni consigli. La cui sostanza era

non saltare mai da una lanciaPiptranne che... ma tutto il resto fu assaipoco precisocome è sempre anche il consiglio

più serio. Ora in genere Tenersiattaccati alla lancia èil vero motto della baleneriama ci sono spesso dei casi in cui

Saltare dalla lancia èancora meglio. Inoltrecome se capisse alla fine che il dare a Pip consiglicoscienziosi senza

annacquarli gli avrebbe lasciato in futuro un margine troppo largo persaltareStubb piantò di colpo ogni consiglio e

concluse con un ordine perentorio: «Tienti attaccato alla lanciaPipo perDionon ti raccolgo se salti: stai attento. Non

ce lo possiamo permettere di perdere balene per gente come te: una balenanell'Alabama si venderebbe per trenta volte il

tuo prezzoPip. Ricordalo benee non saltare più.» Col che forse Stubbvolle indirettamente dire che l'uomo ama il suo

simile ma è anche un animale che fa denaroe questa propensioneinterferisce troppo spesso con la sua capacità di

amare.

Ma siamo tutti in mano agli dèie Pip saltò ancora. Fu in circostanzemolto simili alla primama questa volta

non prese la lenza col pettoe perciòquando la balena cominciò acorrerePip venne lasciato indietro in acquacome il

baule di un viaggiatore che ha fretta. AhimèStubb non fu che troppo diparola. Era una giornata splendidagenerosa

azzurra. Il mare scintillantecalmo e frescosi stendeva piattotutt'intorno fino all'orizzontecome il foglio di un

battiloro martellato al massimo. La testa d'ebano di Pip che appariva espariva in quel mare pareva un fascio di chiodi di

garofano. Nessun coltello si alzò quando egli scivolò così rapidamente apoppa. Stubb inesorabile gli voltava la schiena

e la balena aveva le ali. In tre minuti un miglio intero di oceano sconfinatosi aperse tra Pip e Stubb. Su dal mezzo del

mareil povero Pip rivolse la testa neracrespa e ricciutaal solealtronaufrago solitarioanche se il più alto e il più

lucente.

Oracol tempo serenonuotare nell'oceano aperto per un buon nuotatore ècome viaggiare a terra su una

carrozza molleggiata. Ma è insopportabile la solitudine tremenda. L'intensoconcentrarsi dell'io in mezzo a tale

immensità spietatamio Diochi può esprimerlo? Osservate i marinaiquando in una bonaccia assoluta si bagnano in

alto mareosservate come si tengono stretti alla nave e non fanno chenuotare lungo le flancate.

Ma Stubb aveva davvero abbandonato al suo destino il povero negretto? Nooalmenonon voleva questo.

Perché nella sua scia c'erano due lancee senza dubbio egli pensava chenaturalmente avrebbero incrociato Pip subito

dopo e l'avrebbero pescato su; benchéin realtàtanti riguardi per irematori messisi nei guai a causa di pauranon

sempre i cacciatori li dimostrano in casi similie casi simili succedono nondi rado. Quasi invariabilmente nella caccia

alla balena un cosidetto codardo è bollato senza pietà con la stessarepulsione caratteristica delle marine da guerra e

degli eserciti.

Ma capitò che quelle lanceprima di avvistare Piptrovandosiall'improvviso delle balene nei paraggi e su un

latovirarono e si gettarono all'inseguimento. E la lancia di Stubb eraormai così lontanae lui e i suoi uomini così

attenti alla balenache il giro d'orizzonte cominciò a crescerepaurosamente attorno a Pip. Per il più puro dei casialla

fine fu la stessa nave a recuperarlo; ma da allora il negretto si aggirò perla coperta come un idiotao almeno tale

dicevano che fosse. Il mare aveva beffardamente tenuto a galla il suo corpofinitoma affondato l'infinito del suo animo.

Non affondato del tuttocomunque. Portato viapiuttostoa profonditàmeravigliosedove strane forme dell'intatto

mondo originario gli scivolavano di continuo dinanzi agli occhi passiviel'avara sirenala Saggezzamostrava i tesori

che aveva ammassatie tra gioiosi esseri eternisenza cuoresempregiovaniPip aveva visto gli insetti corallini infiniti

o onnipresenti come Dioche dal firmamento delle acque innalzavano sferecolossali. Aveva visto il piede di Dio sopra

il pedale del telaioe gli aveva parlato; e perciò i compagni lo chiamavanopazzo. Così la demenza dell'uomo è la sanità.155

del cieloe allontanandosi da ogni ragione mortalel'uomo perviene allafine a quel pensiero celeste che per la ragione è

assurdo e delirante; e sia bene o malesi sente allora inflessibile eindifferente come il suo Dio.

Per il restonon condannate Stubb troppo severamente. La cosa è comune inquella caccia; e nel seguito di

questo racconto si vedrà quale simile abbandono capitò a me stesso.

XCIV • UNA STRETTA DI MANO

Quella balena di Stubbacquistata a così caro prezzofu regolarmenteaffiancata al Pequode regolarmente

furono fatte tutte quelle operazioni di taglio e sollevamento già spiegatefino al vuotamento della cassa o botte di

Heidelberg.

Mentre alcuni erano occupati in quest'ultimo lavoroaltri erano incaricatidi trascinare vianon appena riempite

di oliole tinozze più grandi; e al momento opportuno quest'olio venneaccuratamente manipolatoprima di passare alle

raffineriedi cui tra poco.

Si era raffreddato e cristallizzato a tal puntoche quando con parecchialtri mi sedetti davanti a un gran bagno

costantiniano di questo spermacetilo trovai stranamente rappreso in grumiche nuotavano qua e là nella parte liquida.

Era nostro compito spremere questi grumi per farli tornare fluidi. Un compitodolce e mellifluo! Non c'è da

meravigliarsi che anticamente questo spermaceti fosse un cosmetico cosìpregiato. Era un tale purificatore e

dolcificatore! Un tale rinfrescanteun emolliente così delizioso! Ci avevotenuto dentro le mani pochi minutie già mi

sentivo le dita come anguille che cominciavanoper così direa serpeggiaree torcersi a spirale.

Mentre sedevo lì comodamente sul tavolatocon le gambe incrociatedopo iduri sforzi all'arganosotto un

quieto cielo azzurroe la nave con le sue vele indolenti scivolava innanzicon tanta serenità; mentre tuffavo le mani tra

quei soavimorbidi globuli di tessuti infiltratiformatisi quasi almomentoed essi si frantumavano oleosi tra le dita e

liberavano tutta la loro abbondanzacome grappoli d'uva ben matura il lorovino; mentre annusavo quell'aroma

incontaminatoche veramente e letteralmente è come il profumo delleviolette a primaveravi giuro che per un tratto

vissi come in una prateria muschiatadimenticai tutto del nostro terribilegiuramentome ne lavai le mani e il cuore in

quello sperma ineffabilee quasi cominciai a credere alla vecchiasuperstizione di Paracelsoche quell'olio abbia una

rara virtù di calmare il calore dell'ira. Bagnandomi in quel bagnomisentivo divinamente libero da ogni desiderio di

maleda ogni petulanza o malizia di qualsiasi sorta.

Spremi! spremi! spremi per tutta la mattina; spremetti quell'olio finché misentii sciogliere quasi con esso

spremetti quell'olio finché mi prese una strana sorta d'insaniae mi trovaisenza volerlo a spremere in esso le mani dei

compagniscambiandole per i globuli gentili. Un così abbondanteaffettuosoamichevole e amoroso sentimento creava

quell'occupazioneche alla fine io stringevo di continuo le loro mani e lifissavo negli occhi con uno sguardo tenero

quasi a dire: Oh miei diletti similiperché continuare a nutrire rancorisociali o a sentire il più lieve malumore o invidia?

Sustringiamoci le mani tutti in giroanzi spremiamoci l'uno nell'altrospremiamoci universalmente nel latte stesso e

nello spermaceti della bontà.

Potessi spremere per sempre quello spermaceti! Perché orache per molte eripetute esperienze mi sono reso

conto che in ogni cas oalla finel'uomo deve abbassare o per lo menotrasferire la sua idea della felicità che si può

raggiungerenon collocandola in qualche zona dell'intelletto o dellafantasia ma nella moglienel cuorenel lettonella

tavolanella sellanel focolarenel proprio paese; ora che ho capito tuttoquesto sono pronto a spremere la tinozza in

eterno. Nelle mie pensose visioni notturne ho visto lunghe file di angeli inparadisociascuno con le mani in una giara di

spermaceti.

* * *

Oradato che parliamo di spermaceticonviene dire di altre cose che glisono affini nel processo di

preparazione del capodoglio per la raffineria.

Primo viene il cosidetto cavallobiancoche siottiene dalla parte del pesce che si affusolae anche dai punti

più spessi delle pinne caudali. È tiglioso per i tendini rappresi - uncuscinetto di muscoli - ma pure contiene dell'olio.

Separato dalla balenail cavallo bianco è tagliato dapprima in pezzioblunghi portatilipoi va al trinciatore. I pezzi

somigliano molto a blocchi di marmo dei Berkshire.

Budino dì frutta èil nome che si dà a certe parti frammentarie della carne della balenacheaderiscono in vari

punti alla coperta di grassoe spesso partecipano in grado notevole dellasua untuosità. È un oggettoa guardarloassai

rinfrescanteallegro e bello. Come indica il nomeè di una tintaricchissima e screziatasu un fondo striato di candido e

oropunteggiato di macchie del più cupo cremisi e purpureo. Sono prugne dirubino incastonate nel giallo limone.

Contro ogni buonsensoè difficile tenersi dal mangiarne. Confesso che unavolta mi nascosi dietro il trinchetto per

assaggiarlo. Aveva un po' il sapore che potrei immaginare in una costolettaregale presa dalla coscia di Luigi il Grasso

supponendo che egli fosse stato ucciso il primo giorno dopo la stagione dicacciae che quella particolare stagione di

caccia avesse coinciso con una vendemmia insolitamente abbondante dei vignetidello Champagne.

C'era. un'altra sostanzae molto singolareche salta fuori nel corso diquesti lavorima trovo assai arduo

descriverla adeguatamente. La si chiama Slobgollionnome che si trova solo fra i balenierie così pure la natura della

cosa. È un affare indicibilmente melmoso e fibrosoche si trova per lo piùnelle tinozze di spermaceti dopo una.156

spremuta prolungata e la successiva decantazione. Penso che siano le membranerottestraordinariamente sottilidel

recipiente che si vanno coagulando assieme.

Il cosidetto gurryè un termineche appartiene propriamente ai cacciatori di balene franchema a volte è usato

incidentalmente dai cacciatori di capodogli. Indica quella sostanza nerastrae glutinosa che si raschia dalla schiena della

balena franca o di Groenlandiae che in gran parte copre i ponti di quegliesseri inferiori che cacciano quell'ignobile

leviatano.

Le pinze. Parolastrettamente non indigena del vocabolario balenieroma tale per l'applicazioneche ne fanno i

cacciatori. La pinza del baleniere è una striscia corta e robusta di materiatendinosa tagliata dalla parte che s'affusola

della coda del leviatano: raggiunge in media un pollice di spessoree per ilresto è grande come un ferro di zappapiù o

meno. Passata di taglio sul ponte oleosofunziona come uno strofinaccio dicuoioe con indicibili blandizie si tira via

come per incanto tutte le impurità.

Ma per conoscere tutto di questi argomenti reconditila cosa migliore èscendere senz'altro nella camera del

grassoe farsi una bella chiacchierata coi suoi inquilini. Questo posto ègià stato ricordato come il ricettacolo dei pezzi

della coperta che vengono strappati e tirati su dalla balena. Quando arrivail momento giusto per squartarne il contenuto

questo locale è una scena di terrore per tutti i novellinispecialmente dinotte. Da un lato è lasciato libero uno spazio per

i lavoratoriilluminato da una fioca lanterna. Si lavora di solito a coppiauno con la picca e la gaffal'altro con la vanga.

La picca da baleniere somiglia all'arma d'arrembaggio delle fregatecheporta lo stesso nome. La gaffa è piuttosto simile

a un gancio da barca. Con essa il gaffatore uncina un foglio di grassoecerca di non farlo scivolare mentre la nave rolla

e beccheggia. Intanto l'uomo con la vanga sale sullo stesso foglioe lotaglia perpendicolarmente in pezzida cavallo

portatili. Questa vanga è tagliente come può farla una cotei piedidell'uomo sono scalzie l'oggetto su cui si regge

qualche volta gli sguscia di sotto come una slitta. Se quindi egli si tagliaun dito del piedeo lo taglia a un aiutantec'è

proprio da sbalordirsene? Le dita dei piedi scarseggiano tra i veterani dellacamera del grasso.

XCV • LA TUNICA

Se foste saliti a bordo del Pequod a un dato punto di questa autopsia dellabalenae aveste passeggiato verso

prua fino all'arganoson certo che avreste guardato con non poca curiositàun oggetto assai stranoenigmaticolì disteso

per lungo sui trincarino di tribordo. Non la cisterna meravigliosadell'enorme capo della balenanon il prodigio della sua

mandibola scardinatanon il miracolo della sua coda simmetricanessuna diqueste cose vi avrebbe tanto sorpresi

quanto una mezza occhiata a quel cono inspiegabilepiù lungo di un uomo delKentuckyquasi un piede di diametro

alla base e d'un bel nero giaietto come Yojol'idolo d'ebano di Queequeg. Eun idolo è veramenteo almeno la sua

immagine lo era anticamente. Un idolo come quello trovato nei boschi segretidella Regina Maachah in Giudeail cui

figlioil re Asala depose perché lo adoravae poi lo distrusse e lo arsecome abominio presso il ruscello Chedron

come è cupamente esposto nel quindicesimo capitolo del primo libro dei Re.

Guardate il marinaio chiamato trinciatoreche ora arrivae assistito da dueaiutanti si mette in spalla sua

eccellenzacome lo chiamano i marinaie a schiena curva si allontanabarcollando come un granatiere che porta via dal

campo un camerata morto. Distendendolo sul ponte di pruaegli ora passa asfilargli cilindricamente la pelle scura

come un cacciatore d'Africa la pelle di un boa. Fatto ciòrovescia quellapelle come fosse la gamba di un paio di

pantalonile dà una buona stirata in modo da raddoppiarne quasi ildiametroe infine l'appendetesa benead asciugarsi

sulle manovre. Dopo un poco la pelle viene tirata giùe alloratogliendonecirca tre piedi dalla parte della puntae

tagliandovi due fessure per infilarvi le braccia all'altro latoiltrinciatore vi si caccia dentro per lungo. Ed ora egli vi sta

davanti in tutti i paramenti della sua professione. Antichissimo per tutto ilsuo ordinesolo questo addobbo potrà

proteggerlo adeguatamente mentre è occupato nelle funzioni peculiari del suoufficio.

Queste funzioni consistono nel trinciare dal grasso i pezzi da cavallo per lemarmitte; operazione che si svolge

su un curioso cavallo di legno piantato per il lungo contro le murateconsotto una capace tinozza nella quale cadono i

pezzi trinciatisvelti come fogli dal tavolo di un oratore ispirato. Vestitodecorosamente di nerosu un cospicuo pulpito

curvo su fogli di bibbiache bel candidato arcivescovoche magnifico Papafarebbe questo trinciatore!

XCVI • LA RAFFINERIA

Oltre che per le lance tirate sul fiancouna baleniera americana sidistingue all'esterno per la sua raffineria.

Essa presenta la curiosa anomalia di una muratura solidissima che s'uniscecon la quercia e la canapa a costituire l'intera

nave. È come se una fornace di mattoni fosse trasportata sulle sue tavole daun'aperta campagna.

La raffineria è impiantata fra il trinchetto e il maestroche è la partepiù spaziosa del ponte. Le tavole

sottostanti sono di una robustezza specialeadatte a sostenere il peso diuna massa quasi compatta di mattoni e di calce

che misura circa dieci piedi per ottoe cinque d'altezza. Le fondamenta nonsi radicano nel pontema la fabbrica è

saldamente assicurata alla superficie con pesanti bracciuoli di ferro che lastringono da ogni lato e la inchiodano alle

travi. Sui fianchi è rivestita di legnoe sulla cima completamentericoperta da un'ampia boccaporta pendente e.157

inquartierata di ferro. Sollevando il quartiere si scoprono le grandimarmittedue di numeroe ciascuna della capacità di

parecchie botti. Quando non sono in usole marmitte vengono tenutestraordinariamente pulite. A volte vengono

strofinate con steatite e sabbiafinché luccicano all'interno come coppe dapunch d'argento. Durante i turni di notte

certi vecchi marinai cinici vi si ficcano dentro e vi si raggomitolano perfarvi un sonnellino. Mentre stanno a pulireun

uomo per marmittafianco a fiancomolte notizie confidenziali vengonoscambiate sopra gli orli di ferro. È anche un

posto adatto a profonde meditazioni matematiche. Fu nella marmitta disinistra del Pequodmentre la steatite zelante mi

circolava attornoche per la prima voltaindirettamentemi colpì il fattonotevole che in geometria tutti i corpi che

scivolano lungo la cicloideper esempio la mia steatitediscendono da ognipunto esattamente nello stesso tempo.

Togliendo il parafuoco dalla parte frontale della raffineriasi scopre lanuda muratura di questa facciatabucata

dalle due bocche di ferro delle fornaciproprio sotto le marmitte. Questebocche sono munite di pesanti porte di ferro. Il

forte calore del fuoco non può comunicarsi al pontegrazie a un piattoserbatoio d'acqua che si estende sotto tutta la

base inclusa nella muratura. Per mezzo di un condotto nella facciataposteriore si mantiene il serbatoio pieno d'acqua

non appena essa evapora. Non ci sono camini esterni; essi si apronodirettamente sulla parete posteriore. E qui torniamo

indietro un momento.

Fu circa alle nove di notte che la raffineria del Pequod venne messa inazione per la prima volta in questo

viaggio. Toccava a Stubb sovrintendere ai lavori.

«Tutto pronto lì? Allora scoperchia e avvia. Cuocoaccendi le fornaci.»Questo era facileperché il maestro

d'ascia aveva cacciato i suoi trucioli nei forni attraverso l'apertura. E siadetto qui che in un viaggio a caccia di balene il

primo fuoco nella raffineria dev'essere nutrito per un po' di tempo con dellalegna. Poi non si usa più legnaeccetto

come modo di accendere rapidamente il combustibile principale. In una paroladopo essere raffinatoil grasso

raggrinzito e croccante che ora si chiama frittella o scarto contiene ancoraparecchie delle sue proprietà oleose. Queste

frittelle alimentano le fiamme. Come un ben nutrito martire al rogoo unmisantropo che distrugge se stessouna volta

accesa la balena si fornisce da sé il combustibile e brucia per opera delsuo stesso corpo. Magari consumasse anche il

suo fumo! Perché il fumo è orribile a inalarsie inalarlo bisognae nonsoloma per un pezzo bisogna viverci in mezzo.

Emana un odore indù inesprimibile e selvaggioquale potrebbe gravare neipressi delle pire funerarie. Puzza come l'ala

sinistra del giorno del giudizio: è una prova a favore dell'inferno.

A mezzanotte la raffineria era in piena azione. Ci eravamo sganciati dallacarcassaavevamo messo vele

spirava un vento frescoe l'oceano selvaggio era immerso in una tenebrafitta. Ma questa tenebra era lambita dalle

fiamme furiose che forcheggiavario a tratti dalle cappe nere di fuliggineeilluminavano ogni più alto cavo delle

manovrecome col famoso fuoco greco. La nave infuocata si avventava comemandata senza pietà verso qualche azione

vendicatrice. Così i brigantini carichi di pece e di zolfo dell'audaceidriota Canarisuscendo di notte dai porti con ampie

lenzuola di fiamme per velecalarono sulle fregate turche e le fasciarono diconflagrazioni.

Il portello rimosso dal tetto della fabbrica faceva ora da ampio focolaredavanti ai forni. Vi stavano sopra le

forme tartaree dei ramponieri paganiche sulle baleniere sono sempre ifuochisti. Con lunghi pali dentati gettavano

masse fischianti di grasso nelle caldaie bollentio attizzavano i fuochi disottofinché serpenti di fiamma guizzavano

torcendosi dai portelli come per afferrarli ai piedi. Il fumo rotolava via inlugubri cumuli. A ogni beccheggio della nave

rispondeva un beccheggio dell'olio bollente che pareva tutto avido di saltareloro in faccia. Di contro alla bocca della

fornacesul fianco dell'ampio focolare di legnoera l'arganoe questoserviva da sofà marinaro. Qui si attardava la

guardia se non aveva altro da farefissando il calore rosso del fuocofinoa sentirsi scottare gli occhi in testa. I loro

aspetti abbronzatiora tutti sudici di fumo e di sudorele loro barbearruffatee per contrasto il luccichio barbaresco dei

dentitutto ciò si svelava stranamente nelle colorazioni capricciose dellefornaci. Mentre si raccontavano a vicenda le

loro avventure profanele loro storie di terrore dette in parole d'allegriamentre incivili risate forcheggiavano sulle loro

teste come le fiamme dalla fornacementre in faccia a loroavanti eindietroi ramponieri gesticolavano selvaggiamente

con le enormi forche dentate e i mestolie il vento ululavae il marefaceva saltie la nave gemeva e picchiava di prua

ma avventava sempre il suo rosso inferno in avanti contro il buio delle acquee della nottemasticando sdegnosa tra i

denti il suo osso bianco e sputando malignamente attorno da ogni parteilPequod in corsacarico di selvaggi e pieno di

fuocobruciante un cadavere e tuffantesi in quel nero di tenebrapareva lacontroparte materiale dell'anima del suo

ossessionato comandante.

Così parve a me che stavo alla barrae per lunghe ore governai in silenziosulle acque la rotta di questa nave di

fuoco. Avvolto tutto il tempo io stesso nell'oscuritànon vedevo che megliola rossa follia e l'aspetto spettrale degli altri.

La vista continua di quelle figure di dèmoni che mi saltellavano davantimezze nel fumo e mezze nel fuocoquella vista

finì col produrmi nell'anima visioni sorellenon appena cominciai a cederea quell'inesplicabile sonnolenza che mi

prendeva sempre quando passavo la mezzanotte alla barra.

Ma quella notte in particolare mi accadde una cosa stranache non ho maisaputo spiegarmi. Svegliandomi di

colpo da un breve sonno all'impiediebbi coscienza in modo orribile diqualcosa che fatalmente era storto. L'osso di

mandibola che faceva da barra mi colpiva il fianco che gli era appoggiatocontro; nelle orecchie avevo il sordo ronzio

delle vele che cominciavano a sbattere nel vento. Pensavo di avere gli occhiaperti. Fui semiconscio di portarmi le dita

alle palpebre per staccarle meccanicamente di più l'una dall'altra. Ma contutto questo non mi vedevo davanti la bussola

per controllarvi la rottaeppure mi pareva che appena un minuto prima avevoconsultato il quadrante alla luce ferma

della lampada di chiesuola che lo illuminava. Ora non vedevo che un nero dipecereso spettrale ogni tanto da fiammate

rosse. Più forte di tutte era l'impressione che l'oggetto veloce e impetuososu cui mi trovavo era non tanto diretto verso

un qualche porto a pruaquanto in fuga da ogni porto in direzione di poppa.Mi sentii prendere da un senso di.158

smarrimento e di paralisicome di morte. Convulsamente le mani mi corseroalla barrama con la folle impressione che

la barra in qualche modoper qualche incantesimosi fosse invertita. MioDioche mi succede? Pensai. Immaginate!

Nel mio breve sonno mi ero girato e avevo ora di faccia la poppa della navecon le spalle alla prua e alla bussola. Mi

rivoltai d'un balzoappena in tempo per impedire alla nave di gettarsi nelvento e molto probabilmente di capovolgersi.

Come fui contento e grato di uscire da quella mostruosa allucinazionenotturna e dal pericolo terribile di venire

trascinato sottovento!

Non guardare troppo dentro il fuocouomo! Non sognare mai con la mano allabarra! Non voltare le spalle alla

bussola; accetta il primo avvertimento del timone che sussultae non credereal fuoco artificialequando la sua vampata

fa apparire spettrale ogni cosa. Domanialla luce naturale del solei cielisaranno limpidi. Quelli che luccicavano come

demoni tra le fiamme forcuteil mattino li farà apparire assai più nettipiù docili almeno; il sole gloriosoaureo e felice

l'unica vera luce: tutte le altre non sono che menzogne!

E tuttavia il sole non nasconde la Palude Lugubre della Virginia né lamaledetta Campagna romanané

l'immenso Saharané tutti i milioni di miglia di deserto e di pene sotto laluna. Il sole non nasconde l'oceanoche è la

faccia oscura della terra ed è due terzi di essa. E quindi quell'uomo che hain sé più gioia che dolorequell'uomo non

può essere vero: e se è veroè immaturo. Lo stesso coi libri. Il piùvero di tutti gli uomini fu l'Uomo delle Sofferenzee

il più vero di tutti i libri è quello di Salomonel'Ecclesiasteche ècome l'acciaio ben martellato del dolore. «Tutto è

vanità.» TUTTO. Questo mondo caparbio non si è ancora impadronito dellasaggezza del non cristiano Salomone. Ma

colui che evita ospedali e prigionie affretta il passo quando attraversa icamposantie preferisce parlare di opere liriche

piuttosto che dell'infernocolui che chiama CowperYoungPascal e Rousseaudei poveri diavoli di malatitutti quanti

e per tutta un'esistenza spensierata giura su Rabelais come sul massimo deisapientie perciò sapiente allegro

quest'uomo non è adatto a sedere sulle pietre tombalie rompere la zollaverde e umida con l'infinitamente meraviglioso

Salomone.

Ma perfino Salomone dice: «L'uomo che si allontana dalla via della saggezzaresterà (cioèanche da vivo)

nella congregazione dei morti.» E quindi non abbandonarti al fuocose nonvuoi che ti inverta e ti tramortiscacome

fece di me allora. C'è una saggezza che è dolore; ma c'è un dolore che èpazzia. E in certe anime c'è un'aquila dei

Catskill che può sia tuffarsi nelle gole più oscuresia ris alirne fuori elibrarsi invisibile negli spazi del sole. E anche se

voli per sempre nella golaquella gola è tra le montagnesicché perfinonel suo tuffo più fondo l'aquila montana è

sempre più alta degli altri uccelli della pianuraper quanto possanosalire.

XCVII • LA LAMPADA

Se foste scesi dalla raffineria del Pequod al suo castello di pruadovedormiva la guardia fuori servizioper un

attimo avreste quasi pensato di trovarvi in qualche sfolgorante tomba disanti re e consiglieri. Giacevano lì nei loro

triangolari sepolcri di querciaogni marinaio una scultura di silenziodecine di lampade sfavillanti sui suoi occhi serrati.

Sulle navi mercantilil'olio per i marinai è più scarso del latte diregina. Vestirsi al buiomangiare al buio e

andare incespicando al buio verso il pagliericcioè la sorte abituale. Mail baleniere cerca il nutrimento della lucee

quindi vive nella luce. Egli fa della sua cuccetta una lampada di Aladinoevi si stendesicché nella notte più buia lo

scafo nero della nave ospita sempre una luminaria.

Guardate con quale libertà il baleniere porta il suo mucchio di lanterne(spesso nient'altrocomunqueche

vecchie fiale e bottiglie) al refrigerante di rame della raffineriae ve leriempie come boccali di birra alla tinozza. E per

giunta egli brucia il più puro degli olii nel suo stato greggio e quindiincorrotto: un fluido sconosciuto agli aggeggi

solarilunari o astrali di terraferma. È un olio dolce come burro d'erbagiovane in aprile. Il baleniere va a caccia di

quest'olioin modo da essere certo della sua freschezza e genuinitàcomeil viaggiatore sulle praterie va lui stesso a

caccia della selvaggina che mangia.

XCVIII • STIVAGGIO E PULIZIA

Già ho detto come il gran leviatano viene avvistato in lontananza dallatesta d'albero; come gli si dà la caccia

per le lande d'acqua e lo si ammazza nelle valli dell'abisso; come poi essoviene rimorchiato alla banda e decapitatoe

come (per lo stesso principio che assegnava anticamente al boia i vestiti neiquali era ucciso il condannato) il suo gran

soprabito imbottito diventa proprietà del suo carnefice; come a tempo debitola vittima è condannata alle marmitte e

alla maniera di SadracMesac e Abednegoil suo spermacetiil suo olio e ilsuo osso passano incolumi attraverso il

fuoco. Ma ora rimane da concludere l'ultimo capitolo di questa sezioneraccontando - cantandose so farlo - il

romantico procedimento del travaso dell'olio nelle botti e della calata diqueste nella stivadove ancora una volta il

leviatano ritorna alle sue native profonditàe scivola come prima sotto lasuperficiema ahimè senza mai più tornare a

galla per sfiatare.

Mentre è ancora caldo l'oliocome punch bollenteè versato nelle botti dasei barilie mentre magari la nave va

beccheggiando e rollando nella nottele enormi botti sono fatte rotolare ecapitombolaree qualche volta vanno.159

guizzando pericolosamente sulla coperta scivolosa come tante franefinchénon vengono controllate e fermate nella

corsa; e tutt'intorno sui cerchitaptappicchiano quanti martellipossonoperché oraexofficioognimarinaio è un

bottaio.

Alla finequando l'ultimo litro è imbottato e tutto è tranquillosidissigillano le grandi boccaportesi

spalancano le budella della navee giù vanno le botti al loro riposodefinitivo nel mare. Fatto questosi rimettono a

posto i portelli e si chiudono ermeticamentecome un armadio che.vengamurato.

Nella pesca del capodoglioquesto è forse uno dei momenti più interessantidi tutto questo trafficare a balene.

Un giorno sul tavolato scorrono correnti di sangue e d'olio; sul sacrocassero stanno profanamente ammucchiati pezzi

enormi della testa del pesce; grosse botti arrugginite qua e làcome nelcortile di una fabbrica di birra; il fumo della

raffineria ha annerito tutte le murate; i marinai vanno in giro copertid'unto; tutta quanta la nave pare lo stesso leviatano

e da ogni parte il fracasso ti assorda.

Ma uno o due giorni dopovi guardate attorno e rizzate gli orecchi su questastessa nave: e non fosse per ciò

che vi dicono le lance e le fornaciquasi quasi giurereste di passeggiare suqualche silenzioso mercantile dal

comandante più che pignolo in fatto di pulizia. L'olio di capodoglio greggiopossiede una straordinaria virtù detersiva. È

per questo che i ponti non appaiono mai tanto bianchi come subito dopo ciòche viene chiamato un affare d'olio. Inoltre

con la cenere degli scarti bruciati di balena si fa presto una potenteliscivae qualora residui della schiena del pesce

rimangano attaccati alle muratesubito questa lisciva li distrugge. Gliuomini lavorano con cura alle muratee con

buglioli d'acqua e stracci le rifanno pulitissime. La fuliggine è raschiatavia dal cordame basso. Tutti i numerosi attrezzi

impiegati vengono scrupolosamente puliti e messi via. La grande boccaporta èstrofinata e ricollocata sulle marmitte

che nasconde completamente; ogni botte spariscetutti i paranchi vengonoadugliati in cantucci invisibilie quando

grazie all'opera combinata e simultanea di quasi tutto l'equipaggioquestocoscienzioso dovere è finalmente compiuto

allora l'equipaggio stesso comincia le proprie abluzionisi cambia dallatesta ai piedie finalmente esce sul ponte

immacolatofresco e raggiante come un manipolo di sposini saltati freschifuori dalla più delicata tela d'Olanda.

E ora i marinai percorrono il tavolato con passi leggeria gruppi di due otree chiacchierano spiritosamente di

salottisofàtappeti e delicati percalli; propongono di stuoiare il pontepensano di appendere tappezzerie sulle coffe e

non trovano da obiettare all'idea di prendere il tè al chiaro di luna sullaveranda del castello di prua. Parlare di oliodi

osso o di grasso a marinai tanto profumati sarebbe poco meno che temerario.Non capiscono le vostre vaghe allusioni.

Fuori dai piedie portate dei tovaglioli!

Ma attenti: lassùalle tre teste d'alberostanno appollaiati tre uominitutti occupati ad avvistare altre balene

chese saranno presetorneranno infallibilmente a insozzare il vecchiomobilio di quercia e a spruzzare in qualche

punto almeno una macchiolina di grasso. Sìe sono parecchie le voltequandodopo le fatiche più dure e senza sosta che

non conoscono nottecontinuate per novantasei ore di filadalla barca sucui si sono gonfiati i polsi tutto il giorno a

vogare sulla linea dell'Equatorei marinai salgono in coperta solo pertrascinarvi grosse cateneper issare il pesante

arganoe tagliare e squartare; sicuroementre sudano l'animaricominciano a farsi affumicare e bruciare dai fuochi

combinati del sole equatorialee delle equatoriali fornaci. E in coda atutto ciòquando si sono messi finalmente a pulire

la nave per farne una latteria immacolatamolte volte quei poveri diavolimentre si abbottonano i colletti delle maglie

pulitetrasaliscono al grido: «Laggiù soffia!» e corrono via adaffrontare un'altra balena e rifare tutte le estenuanti

fatiche già fatte. Ma caro mioquesto è ammazzare la gente! Eppure è lavita. Perché noi mortalinon appenacon

lunghe faticheabbiamo estratto dalla gran massa di questo mondo il suopiccolo ma prezioso spermacetie stanchi e

pazienti ci siamo puliti delle sue sporcizie e abbiamo imparato a viverequaggiù in nitidi tabernacoli dell'animaappena

abbiamo fatto questolaggiùsoffia!ilfantasma zampilla in altoe partiamo per affrontare qualche altro mondoe

ripassiamo attraverso tutta la vecchia routine della nostra gioventù.

Oh la metempsicosi! Oh Pitagora che sei morto duemila anni fa nella Grecialuminosacosì buonocosì saggio

così gentile; ho navigato con te lungo la costa peruviana nel mio ultimoviaggioe stupido che sonoho insegnato a te

semplice ragazzotto novellinocome si impiomba una cima.

XCIX • IL DOBLONE

Ho riferito a suo tempo che Achab soleva passeggiare sul cassero facendoregolarmente dietrofront a ogni

estremitàalla chiesuola e all'albero maestro. Ma tra tante e tante coseche dovevo raccontare ho dimenticato di

aggiungere che qualche voltadurante queste passeggiatequando era più inpreda a uno dei suoi umoriegli soleva

fermarsi a turno in ciascuno di quei due puntie starsene a fissarestranamente l'oggetto specifico che aveva davanti.

Quando si fermava alla chiesuolacon l'occhio fisso all'ago acuminato dellabussolaquell'occhio dardeggiava come un

giavellotto nell'intensità del suo propositoe quando ripigliando acamminare tornava a fermarsi davanti all'albero

allora lo sguardo andava a inchiodarsi sulla moneta d'oro che vi eraribaditaed egli manteneva lo stesso aspetto di

risoluzione ferreasolo toccatose non dalla speranzada una sorta distruggimento selvaggio.

Ma una mattinamentre voltava davanti al dobloneAchab parve di colpotrovare un insolito motivo d'interesse

nelle strane figure e scritte che vi erano coniatecome se cominciasse oraper la prima volta a interpretare a se stesso in

qualche modo folle quel significato che vi si poteva nascondere. E un qualchesignificato si nasconde certo in tutte le.160

cosealtrimenti tutto avrebbe ben poco valoree il mondo stesso non sarebbeche un vuoto nullabuono soltanto a

vendersi a carrettatecome si fa delle colline attorno a Bostonperriempire qualche pantano della Via Lattea.

Ora questo doblone era d'oro verginepurissimostrappato chi sa dove dalcuore di colline sfarzoseda cui a

oriente e a occidente scorrono su sabbie dorate le acque sorgive di più diun Pattolo. E sebbene inchiodato ora tra tutta

la ruggine di chiavarde di ferro e il verderame di cavigliepureimmacolatoe immune da ogni brutturaconservava

sempre il suo splendore di Quito. E sebbene posto in mezzo a una ciurma dibarbari e sfiorato ogni momento da mani

rozzee velato di fitta oscurità nelle notti interminabili in cui ognitentativo di furto poteva passare inosservatotuttavia

si trovava a ogni sorgere di sole lì dove l'aveva lasciato il tramonto.Perché era stato messo da parte e consacrato a un

unico fine che ispirava terrore; e per quanto sfrenati nelle loro abitudinimarinareschedal primo all'ultimogli uomini

lo veneravano come il talismano della balena bianca. Qualche volta neparlavano durante il noioso quarto di notte

chiedendosi a chi sarebbe toccato alla finee se poi costui sarebbe vissutoper spenderlo.

Queste nobili monete d'oro del Sudamerica sono come medaglie del sole edemblemi del tropico. Qui sono

incise in lussureggiante abbondanza palmealpacavulcanidischi solari estelleeclittichecornucopie e ricche

bandiere; sicché l'oro prezioso sembra quasi acquistare maggiore ricchezza eimpreziosirsi di glorie passando attraverso

quelle zecche fantasiosecosì spagnolescamente poetiche.

Capitò che il doblone del Pequod era un esempio sfarzosissimo di tuttoquesto. Sull'orlo rotondo portava le

lettereREPUBLICA DEL ECUADOR: QUITO. Così questa moneta splendida venivada un paese situato in mezzo al

mondosotto il grande equatoree battezzato col suo nomeed era stata fusaa mezza costa sulle Andein quel clima

invariabile che non conosce autunni. Cinta da queste lettere si vedeval'immagine di tre vette delle Ande: sulla prima

una fiammauna torre sull'altrasulla terza un gallo che cantavae arcuatosul tutto appariva un segmento dello Zodiaco

coi suoi scompartii segni tutti rappresentati nei soliti modi cabalisticie come chiave di volta il sole che entrava

nell'equinozio alla costellazione della Libra.

Dinanzi a questa moneta equatoriale Achabnon senza che gli altri loosservasserosi era ora fermato.

«C'è sempre qualcosa di egoistico nelle cime di montagna e nelle torri e intutte le altre cose grandiose e

sublimi. Guarda qua: tre picchi superbi come Lucifero. La torre solidaquella è Achab; il vulcanoquello è Achab;

l'uccello coraggiosointrepidovittoriosoanche lui è Achab. Tutti sonoAchab. E quest'oro rotondo non è che

l'immagine del globo più rotondoche come lo specchio del mago non fa cherimandare a ciascuno l'immagine del suo

proprio io misterioso. Grandi fatichepoco profitto per quelli che chiedonoal mondo la propria spiegazione; il mondo

non sa spiegare se stesso. Aspettami pare che questo sole inciso abbia unafaccia rubiconda; ma guardasicuroentra

nel segno delle tempestel'equinozio! E appena sei mesi fa usciva da unaltro equinoziol'Ariete! Da tempesta a

tempesta! E sia dunque. Nato nelle dogliel'uomo è giusto che viva nellesofferenze e muoia negli spasimi! Va bene!

Qui c'è per il dolore un osso duro da masticare. Va bene.»

«Non credo che dita di fata hanno toccato quell'oroma certo gli artiglidel diavolo ci hanno lasciato i segni fin

da ieri» mormorava Starbuck tra séappoggiandosi alla murata. «Ilvecchio ha l'aria di leggere la scritta tremenda di re

Baldassarre. Non ho mai guardato bene quella moneta. Va giù. Voglio darciun'occhiata. Una vallata scura in mezzo a

tre immani picchi celestiche sembrano quasi la Trinità in qualche debolesimbolo di questa terra. Così in questa valle

della morte Dio ci avvolge; e su tutta la nostra tetraggine il sole dellaGiustizia splende come un faro e come una

speranza. Se abbassiamo gli occhila valle scura mostra la sua crosta dimuffama se li alziamoil sole splendido

incontra a metà strada lo sguardoper farci allegria. Però il gran solenon è un aggeggio fisso; e se a mezzanotte

vogliamo tirarne qualche dolce confortolo cerchiamo inutilmente! Per mequesta moneta parla saggiamente

dolcementee con veritàma sempre con tristezza. Lasciamola perdere. Nonvoglio che la Verità mi agiti falsamente.»

«Ecco lì il vecchio Mogol» monologò Stubb accanto alla raffineria. «Èstato a guardarsela di nascosto. Ed

ecco Starbuck che ne ritornae tutti e due con due facce che a occhio ecroce direi di nove tese. E tutto per avere

guardato un pezzo d'oroche se ora lo avessi a Negro Hill o Corlaer's Hooknon starei mica tanto a guardarlo prima di

spenderlo. Bah! Secondo la mia povera e insignificante opinione tutto ciò èun po' matto. Ho già visto dobloni nei miei

viaggi: vecchi dobloni di Spagnadobloni del Perùo dobloni del Cile edella Bolivia e di Popayane inoltre un sacco di

moidores e pistole d'oroe joesinterimezzi o quarti. Che ci può esseredunque in questo doblone dell'Ecuador a farlo

così sbalorditivo? Per Golconda! Gli voglio dare un'occhiata anch'io. Oibò!Questi sono sul serio segni e meraviglie!

Vediamoquella roba lì è la cosa che il vecchio Bowditch nella sua Epitomechiama loZodiacoe il mio almanacco

sottostessa roba. Prendo l'almanacco. Ho sentito dire che si possonostanare i diavoli dall'inferno con l'aritmetica di

Daboll. E io cercherò di cavare qualche significato da questi buffighirigori col calendario del Massachusetts. Ecco qua

il libro. Vediamo. Segni e meraviglie; e il sole sempre di mezzo. Be'be'!Eccoli quaeccoli che spuntanotutti vivi e

belli. Ariesil Montone. Taurusil Toro. E Gimini!Eccoli quaGeminipure loro: i Gemelli. Bene. Il sole ci ruota in

mezzo. Sicuroqui sul doblone sta proprio tagliando la soglia tra due deidodici salotti messi tutti a cerchio. Librosei

bugiardo. Il fatto è che voi libri dovreste stare al vostro posto. Voiservite a darci le parole e i fatti nudi e crudie a noi

tocca metterci le idee. Questo m'insegna la poca esperienza che ho per quantoriguarda il calendario del Massachusetts

il Navigatore del Bowditch e l'Aritmetica di Daboll. Segni e meraviglieeh?È proprio un peccatose non c'è nessuna

meraviglia nei segni e nessun significato nelle meraviglie! Ci sarà inqualche posto il bandolo della matassa. Un

momento: zitto! Attento! Per Gioveeccolo! Senti quadobloneil tuozodiaco lì è la vita dell'uomo in un solo capitolo.

E ora la leggo ad alta voce così dal libro. Sualmanacco! Primo: c'è Arieso il Montonebrutta bestia libidinosa che ci fa

nascere. Poi Taurus o il Toro: per prima cosa ci dà una cornata. Poi Geminio i Gemellicioè Virtù e Vizio: noi

cerchiamo di acchiappare la Virtùquandozac! arriva Cancer il Granchio eci ritira indietro. E quiandando via da.161

VirtùLeo o Leone ruggente sta seduto sul passaggioche ci dà qualche belmorsaccio e qualche bottarella maleducata

di zampa. Riusciamo a salvare la pellee incontriamo Virgola Vergine: èil primo amore! Ci sposiamo e ci crediamo

felici per semprequando trac! arriva Libra o le Bilance: la felicità èpesata e trovata mancante. E mentre ci piangiamo

sopraperdio! che salto quando Scorpio Scorpione ci punge nel deretano.Curiamo la feritaquando sbank! da ogni lato

arrivano frecce: è Sagittariusl'Arciereche si diverte. Siamo lì acavarci le frecce: si salvi chi può! Un ariete da assedio

Capricornus o il Capronearriva sparatocorna in restae ci butta a gambein ariaal che Aquarius o Quello che porta

l'acqua ci rovescia addosso tutto il suo diluvio e ci affoga; e per finirecoi Pisces o Pesciandiamo a nanna. Questa sì

che è una bella predicascritta nell'alto dei cielie il sole se la passatutta ogni anno eppure ne esce sempre sano e

allegro. Lui lassù va rotolando tutto gaio in mezzo a pene e guai; equaggiù in basso l'allegro Stubb fa la stessa cosa.

Sicuroallegria ci vuolesempre! AddioDoblone! Ma fermo. Arriva ilMonacello. Cacciamoci dietro la raffineriaora

e sentiamo che cosa ha da dire. Eccolo lì davanti. Adesso sputa fuori. Eccoecco. Attacca.»

«Non vedo altro che un affare tondo fatto d'oroe chi avvista una certabalenaquesto affare gli appartiene. E

alloraperché tanto strabuzzare d'occhi? Vale sedici dollarisicuro; e adue centesimi il sigarofa novecento sessanta

sigaroni. Non fumo mica pipe luride iocome fa Stubbma i sigari mipiaccionoe qui ce n'è novecentosessanta. E

perciò Flask se ne va arriva per cercare di avvistarli.»

«Ora che debbo direche è un saggio o un cretino? Se ha detto sul serioqualcosa d'intelligentecerto l'ha fatto

in modo abbastanza cretino; ma se quello che ha detto è cretinoallora hauna certa ariaccia che persuade. Ma lasciamo

perdere: ecco che arriva il nostro amicone di Manvecchio cocchiere di pompefunebri: cioè a direlo era prima di

buttarsi al mare. Orza davanti al doblone. Che fa? Gira dall'altra partedell'albero. Ma da quella parte c'è inchiodato un

ferro di cavallo. Ecco che torna: che significa? Zittobrontola qualcosacome un vecchio macinino da caffè scassato. Su

gli orecchie attento!»

«Se avvistiamo la balena biancadev'essere tra un mese e un giornoquandoil sole si trova in uno di questi

segni. Ho studiato i segni e conosco le figureme l'ha insegnatiquarant'anni fa quella vecchia strega a Copenhagen.

Perciòin che segno sarà allora il sole? Il segno del ferro di cavallo:eccolo là di fattiproprio di faccia all'oro. E che

cos'è il segno del ferro di cavallo? Il leone è il segno del ferro dicavalloil leone che ruggisce e sbrana. Navevecchia

nave! Questa vecchia mia testa trema a pensarti.»

«E questa è un'altra interpretazione; ma il testo è sempre quello. Ognisorta di gente in un solo tipo di mondo

come si vede. Giù di nuovo! Arriva Queequeg con tutti i suoi tatuaggichepare uno Zodiaco vivente. Che dice il

cannibale? Sulla mia vitasta facendo confronti. Si guarda un femoremagaricrede di avere il sole nella cosciao nel

polpaccio o nelle budellacome le vecchiette di campagna che sannol'astronomia chirurgica. E per Gioveha trovato

qualcosaparenei paraggi della coscia: Sagittarius o l'Arcierescommetto.Nonon ci capisce niente di quel doblone; lo

piglia per un bottonaccio cascato dai pantaloni di un re. Ma giù di nuovo!Ecco qua il diavolo fantasmaFedallah; coda

fatta su nei calzoni come di solitostoppa alla punta delle scarpine come disolito. Che dicecon quella faccia? Ahfa

solo un segno al segno e s'inchina; c'è un sole lì sopra: scommetto che èuno di quelli che adorano il fuoco. Olà! ancora

un altro. Viene Pippoverino! Preferivo vederlo mortoo vedermi morto. Mifa quasi orrore vederlo. Anche lui è stato a

guardare tutti gli interpretime compresoed ecco ora che viene a leggerecon quella faccia ultraterrena da idiota.

Nascondiamoci di nuovo e sentiamo. Zitto!»

«Io guardotu guardiegli guarda; noi guardiamovoi guardateessiguardano.»

«Sull'anima miaha studiato la Grammatica di Murray! Si coltiva la mentepovero disgraziato! E ora che vuole

dire? Sss!»

«Io guardotu guardiegli guarda; noi guardiamovoi guardateessiguardano.»

«Be'se la studia a memoria. Zitto!»

«Io guardotu guardiegli guarda; noi guardiamovoi guardateessiguardano.»

«Be'questa è comica.»

«E iotueglie noivoi e loro siamo tutti pipistrelli; e io sono unacornacchiaspecie quando sto in punta a

questo pino. Cra! Cra! Cra! Cra! Cra! Cra! Non sono cornacchia? E dov'è lospaventacornacchie? Eccolo lì; due ossa

infilate in un paio di vecchie brachee altre due ficcate nelle maniche diuna vecchia giubba.»

«Dice di me? Bel complimento! Poverino! Posso andarmi a impiccare. Comunqueper ora lo lascio solo. Gli

altri li sopporto perché hanno il cervello chiaroma questo è troppo pazzoe astruso per la mia sanità. Perciò lo lascio a

borbottare.»

«È l'ombelico del bastimentoquesto doblone quae tutti sono in fregolaper schiodarlo. Ma se vi svitate

l'ombelico che succede? D'altro cantose sta quiè brutto lo stessoperché quando c'è una cosa inchiodata all'albero è

un segno che le cose vanno a rotoli. Ah! Ah! Vecchio Achab! La balena biancaè lei che t'inchioderà! Questo è un pino.

Mio padrein Tolland Countytagliò una volta un pino e ci trovò dentro unanello d'argentol'anello di sposalizio di

qualche vecchio negro. Come era finito lì dentro? Così diranno allaResurrezionequando verranno a ripescare questo

vecchio alberoe ci troveranno dentro un doblone sotto una corteccia rugosadi ostriche. Oh l'oro! L'oro preziosissimo!

L'avaro verde ti aggranferà presto! Zittizitti! Dio va per i mondi a cercadi more. Cuoco! Ehicuoco! Cucìnaci! Jenny!

Ehiehiehi Jenny! Jenny! E falla questa torta di mèliga!»

C • GAMBA E BRACCIO. IL PEQUOD DI NANTUCKET INCONTRA IL SAMUEL ENDERBY DILONDRA.162

«Oh della nave! Hai visto la balena bianca!»

Così gridò Achabchiamando ancora una volta una nave che ci passava apoppacoi colori inglesi. Portavoce

alla boccail vecchio era in piedi sulla sua lancia appesa sul casseroemostrava chiaramente la sua gamba d'avorio al

capitano straniero che oziava sdraiato a prua della propria lancia. Era unuomo abbronzatopesantedalla faccia bonaria

e simpaticaun uomo sulla sessantina infilato in un gran giaccotto che glipendeva attorno a festoni di lana blu; e un

braccio vuoto di quella giubba gli sbandierava di dietro come il braccioricamato della mantella di un ussaro.

«Hai visto la balena bianca?»

«Lo vedi questo?» e tirandolo fuori dalle pieghe che lo avevano nascostoalzò in aria un braccio bianco di osso

di capodoglioche terminava in una testa di legno come una mazza.

«Armate la lancia!» gridò con violenza Achabe sbattendo i remi che avevaattorno: «Pronti ad ammainare!»

In meno di un minutosenza lasciare il suo piccolo legnovenne calato inmare col suo equipaggio. Presto

furono sotto il fianco degli stranieri. Ma qui si presentò una stranadifficoltà. Nell'eccitazione del momento Achab

aveva dimenticato che da quando aveva perduto la gamba non era mai salito abordo di un bastimento in alto mare

tranne sul suoe in questo caso sempre usando un aggeggio meccanicoingegnoso e molto pratico che era installato sul

Pequod e che nessun'altra nave poteva imbarcare e armare da un momentoall'altro. Oranon è facile per nessunotranne

per quelli che come i balenieri ci sono abituati quasi tutti i momentiscalare in mare aperto il fianco di una nave da una

lancia; perché le grosse ondate ora sollevano la barca in alto verso lemuratee ora la fanno piombare di colpo a

mezz'aria verso la controchiglia. Così Achabprivo di una gamba e sotto unanave straniera che naturalmente era

sprovvista di quell'utile meccanismosi trovò vergognosamente riportatoalla condizione di un goffo uomo di terrae

adocchiava impotente l'incerta e mutevole cima che non poteva certo speraredi raggiungere.

È stato già dettoforseche ogni minima avversità che gli capitava e cheveniva indirettamente dalla sua

disgraziaquasi invariabilmente irritava ed esasperava Achab. E nel casopresente l'irritazione era accresciuta dalla vista

dei due ufficiali della nave straniera checurvi sulla muratavicino allapendula scala di gallocce inchiodategli

facevano dondolare sul naso un paio di tientibene decorati con gusto; parevache sulle prime non si rendes sero conto

che un uomo con una gamba sola è un po' troppo sciancato per servirsi delleloro ringhiere marine. Ma questa situazione

imbarazzante non durò che un minutoperché il capitano stranierovedendod'un colpo d'occhio come stavano le cose

gridò: « Vedovedo! Basta voi lì! Sveltiragazzilibera il paranco disquarto.»

Come volle la fortunauno o due giorni prima avevano avuto una balena alfiancoe i grossi paranchi

pendevano ancora arrivacon in cima il pesante uncino ricurvo da grassoorapulito e asciutto. Questo venne

rapidamente calato ad Achabche avendo capito a volo cacciò la sua unicacoscia nella curva dell'uncino (era come

sedere nella marra di un ancora o nella biforcazione di un melo)e data unavoce si tenne saldoe aiutò anche a

sollevare il proprio peso tirando a mano a mano su uno dei cavi correnti delparanco. Ben presto fu fatto passare con

cautela all'interno delle alte muratee deposto delicatamente sulla testadell'argano. Col braccio d'avorio steso

cordialmente a darg li il benvenutol'altro capitano si fece avantieAchabalzando la gamba d'avorio e incrociandola

col braccio (come due lame di pesce-spada)gridò con la sua maniera ditricheco: «Sicurosicurovalente amico!

Stringiamoci le ossa! Braccio e gamba! Un braccio che non può mai tirarsiindietrovedetee una gamba che non può

mai scappare. Dove l'hai vista la balena bianca? Quanto tempo fa?»

«La balena bianca» disse l'inglese puntando a oriente il braccio d'avorioe dandogli una triste occhiata per

lungocome fosse un telescopio«l'ho vista laggiùsulla linealastagione passata.»

«E fu lei a portarti via quel bracciono?» domandò Achablasciandosiscivolare dall'argano e appoggiandosi

nel farloalla spalla dell'inglese.

«Sìè stata la causa della perditaalmeno. Quella gamba pure?»

«Dimmi la storia» fece Achab«com'è stato?»

«Era la prima voìta in vita mia che incrociavo sull'equatore» cominciòl'inglese. «Non ne sapevo nienteallora

della balena bianca. Be'un giorno ammainammo dietro un branco di quattro ocinque balenee la mia lancia ne

agganciò una; era un vero cavallo da circoquella bestia: si mise a giraree rigirare tutt'attorno in modo tale che il mio

equipaggio riusciva a tenere l'equilibrio solo piazzando tutti i sederisull'impavesata. A un tratto salta fuori dal fondo del

mare un'energicaenorme balenacon la testa e la gola bianche come illattetutte rughe e zampe d'oca.»

«Era luiera lui!» gridò Achab emettendo di botto il fiato che avevatrattenuto.

«E dei ra mponi piantati vicino alla pinna di dritta.»

«Ma sìsìerano i mieii miei ferri» gridò Achab esultante. «Maavanti.»

«E allora datemene l'occasione» disse l'inglese di buon umore. «Benequesto bisnonno con la testa e la gobba

di latte si butta tutto schiumante in mezzo al brancoe comincia a daremorsi furiosi alla mia lenza.»

«Sìcapisco! La voleva tagliare; liberare il pesce preso; un suo vecchiosistemalo conosco.»

«Come sia stato esattamente» continuò il capitano dall'unico braccio«non lo so; ma nel mordere la lenza gli

restò impigliata tra i dentie in qualche modo fece presama al momentonon ce ne rendemmo conto; sicché quando poi

ricuperammoci ritrovammo di botto sulla schiena di luiinvece che sullaschiena dell'altro pesce che scappavatutto

codaa sopravvento. Vedendo come stavano le cose e che magnifica balenonaera - la più bella e la più grossa che abbia

mai vedutacapitanoin vita mia - decisi di catturarlamalgrado tutta larabbia tremenda che mostrava. E pensando che

quella lenza fortuita poteva staccarsio poteva cedere il dente in cui siera impigliata (perché io ho una ciurma diabolica

al tiro alla lenza)vedendo tutto ciò. dicosaltai nella lancia del mioprimo ufficialeil signor Mounttop qui presente (a.163

propositocapitanoMounttop; Mounttopil capitano)dicevo saltai nellabarca di Mounttopche era fianco a fianco

con la miacapitee dato mano al primo rampone lo tiro al vecchio bisnonno.Signore Iddio! Per l'anima miacapitano

il momento dopoin un soffioero cieco come un pipistrellodi tutti e duegli occhioffuscato e tramortito in quella

schiuma nerae la coda della balena che ne spuntavadritta nell'aria comeun campanile di marmo. Inutile rincularecon

lei. Ma mentre cercavo a tastoniin pieno mezzogiorno e con un sole cheaccecavatutto gioielli di coronamentre come

dico cercavo a tastoni un secondo ferro da gettareviene giù la coda comeuna torre di Lima tagliandomi la lancia in

duee lasciando ogni metà a pezzie la gobba bianca se ne rincula a pinneavanti in mezzo al disastrocome fossero

tanti trucioli. Ci buttammo tutti a nuoto. Per evitare le sue frustateterribilimi afferro all'asta del rampone che lui aveva

in corpoe per un poco ci resto attaccato come un pesce piàttola. Maun'ondata mi spazza via rompendosie nello stesso

momento il mostro con un salto in avanti si tuffa come un fulmine; e il dentedi quel secondo ferro maledetto che si

rimorchiava nei pressi mi prese qui» (e si batté la mano proprio sotto laspalla) «sicuromi prese qui dicevoe mi portò

giùcredettinelle fiamme dell'inferno; ma tutto a un trattosia lodatoIddiola lama si aprì la strada nella carnedritta

per tutta la lunghezza del bracciomi uscì fuori dal polsoe tornai agalla. Questo signore qui vi dirà il resto (a

propositocapitanoil dottor Bunger il nostro chirurgo; ragazzo mioBungeril capitano). OraBungerragazzofuori la

tua parte di storia.»

Il signore professionista indicato con tanta familiarità era stato lìaccanto per tutto il temposenza niente di

speciale addosso che indicasse il suo rango signorile a bordo. La faccial'aveva rotondissima ma sobriaportava un

camiciotto di lana azzurra scolorita e pantaloni rappezzatie fino ad alloraaveva diviso la sua attenzione tra una

caviglia che teneva in una manoe una scatola di pillole che avevanell'altra; di tanto in tanto gettava un'occhiata critica

agli arti d'avorio dei due capitani mutilati. Ma quando il superiore lopresentò a Achabegli s'inchinò educatamente e

obbedì subito all'ordine del capitano.

«Era una ferita assai brutta» cominciò il chirurgo«e accettando il mioconsiglio il capitano Boomer qui

presente diresse il nostro vecchio Sammy...»

«Samuel Enderby è il nome della nave» interruppe il capitano parlando adAchab. «Avantiragazzo.»

«Diresse il nostro vecchio Sammy a nordper uscire da quel clima torridodell'equatore. Ma non servì a niente:

io feci il possibilelo vegliai la nottefui severissimo con lui nelladieta...»

«Ah sìmolto severo!» s'intromise il paziente; poi cambiando voce dicolpo. «Stava con me a bere ponce di

rum caldo ogni notteal punto che non ci vedeva più a mettere le bendeemi mandava a letto piuttosto brillo verso le

tre del mattino. Ha vegliato davvero con meper Dianaed è statoseverissimo nella dieta. Sicuroun gran vegliatore e

dieteticamente severissimoil dottor Bunger. (Bungercanagliaridi!Perché non ridi? Sei un farabutto impagabilelo

sai.) Ma continuaragazzopreferisco essere ammazzato da te che salvato dachiunque altro.»

«Il mio capitanove ne sarete già accorto signore» disse Bungerimperturbabile e austerofacendo un leggero

inchino ad Achab«ama scherzare alle volte: ci elargisce parecchiespiritosaggini del genere. Ma posso ben dichiarare

en passantcome dicono i francesiche in quanto a mecioè a dire io Jack Bungergiàdel reverendo clerosono un

uomo strettamente astemio: non bevo mai...»

«Acqua!» gridò il capitano. «Acqua non ne beve mai. Gli dà una specie diconvulso; l'acqua dolce lo fa

diventare idrofobo. Ma avantiavanti con la storia del braccio.»

«Andiamo pure avanti» disse il chirurgo pacificamente. «Stavo perosservaresignoreprima della faceta

interruzione del capitano Boomerche malgrado i miei sforzi più zelanti eseveri la ferita continuò a peggiorare; per la

veritàsignoreera lo squarcio più brutto che un chirurgo avesse maivedutolungo più di due piedi e parecchi pollici.

Lo misurai con lo scandaglio. Insommasi fece nera: sapevo qual era ilpericoloe difatti si manifestò. Ma io non ci ho

messo mano ad armare quel braccio d'avorio: quella roba è contro tutte leregole»e lo indicò con la caviglia. «Quella

roba è opera del capitanonon mia. Ordinò lui al mastro d'ascia difarglieloe gli fece mettere in cima quella testa di

mazza per spaccare la testa a qualcunosuppongocome una volta cercò difare con me. Ogni tanto gli prende una furia

diabolica. Vedete questa taccasignore»si levò il copricapoe scostandoi capelli mostrò sul cranio un incavo che

pareva una coppache però non aveva affatto cicatrice né altro segno diessere stata una ferita. «Be'il capitano qui

presente vi dirà come è statolo sa benissimo.»

«Non lo so affatto» fece il capitano. «Lo sapeva sua madreperché cel'ha dalla nascita. Oh pezzo di canaglia

Bunger! C'è mai stato un altro come te sull'acqua? Bungerquando creperaidovresti crepare sottacetocarogna;

bisognerebbe conservarti per i secoli a venireo furfante.»

«Come finì con la balena bianca?» esclamò Achab che sinora avevaascoltato con impazienza quel battibecco

dei due inglesi.

«Ma si!» gridò il capitano monco. «Ma sì! Bene: dopo che si fu tuffatanon la vedemmo più per un poco; in

realtàcome ho detto primaallora non sapevo che razza di balena mi avessegiocato quel tiro. Ma qualche tempo dopo

tornando sull'equatoresentimmo parlare di Moby Dickcome lo chiamaqualcunoe allora capii che era stato lui.»

«L'hai mai rincontrato?»

«Due volte.»

«E non hai potuto agganciarlo?»

«Non ho voluto provarci: non basta un braccio? Che farei senza quest'altro?E ho l'idea che Moby Dick non

tanto azzanna quanto inghiotte.»

«Be'allora» interruppe Bunger«dategli il braccio mancino per esca eriavrete il dritto. Sapetesignori»e

fece un inchinocon molta gravità e precisioneai due capitani uno dopol'altro«lo sapetesignoriche gli organi.164

digerenti della balena sono costruiti dalla Divina Provvidenza in modo cosìimperscrutabile che le è assolutamente

impossibile digerire del tutto anche soltanto un braccio umano? E anche labalena lo sa. Sicché quella che credete la

malizia della balena bianca è solo la sua goffaggine. La balena non vuoleaffatto inghiottire un solo pezzo di un uomo;

crede solo di fare paura con un finto attacco. Ma certe volte è come quelvecchio giocoliere che avevo per paziente a

Ceylonche fingendo d'inghiottire coltelli a serramanicouna volta se nelasciò cadere uno sul serio nello stomacoe lì

restò per più di dodici mesifinché non gli diedi un emetico e lui lotirò su sotto forma di piccoli chiodicapite?

Impossibile per lui digerire quel coltello e incorporarlo pienamente nel suosistema complessivo. Sìcapitano Boomer

se siete abbastanza sveltoe volete impegnarvi un braccio per avere ilprivilegio di dare una sepoltura decente all'altro

be' in questo caso l'avete già in tasca. Solodate presto alla balenaun'altra occasione di tirarvi un morsoecco tutto.»

«NograzieBunger» disse il capitano inglese. «Si tenga pure il braccioche havisto che non posso farci

nientee allora non sapevo chi fosse: ma l'altro non glielo voglio offrire.Niente più balene bianche per me: ho

ammainato dietro a lei una voltae questo mi basta. Sarebbe una gran gloriaammazzarlalo soe ci ha pure dentro un

carico di spermacetima datemi rettaè meglio lasciarla in pace: non viparecapitano?» e dette un'occhiata alla gamba

d'avorio.

«È vero. Ma con tutto questo gli si darà la caccia. Ciò che è megliolasciare in pacequella maledetta cosa non

è sempre ciò che attrae di meno. È tutto una calamita! Quand'è che l'haivisto l'ultima volta? Che rotta faceva?»

«Benedetta l'anima miae maledetta quella del diavolo schifoso!» gridòBunger girando aggobbito attorno a

Achab e fiutando stranamentecome un cane. «Costui ha il sangue... datemiun termometro: è al punto di ebollizione!

Ha un polso che fa rimbombare il tavolato! Signore!» E cavando di tasca unalancetta l'avvicinò al braccio di Achab.

«Piàntala!» ruggì Achab sbattendolo contro la murata. «Prepara lalancia! Che rotta faceva?»

«Dio buono!» esclamò il capitano inglese a cui era diretta la domanda.«Che vi succede? Andava a estmi

pare. È matto il vostro capitano?» sussurrò a Fedallah.

Ma Fedallah si portò un dito alle labbrae scavalcò la murata per mettersial remo di governo della lancia. E

Achabtirando a sé il parancoordinò ai marinai della nave di starepronti a calare.

In un attimo era in piedi a poppa della lanciae i suoi uomini di Manillascattavano ai remi. Il capitano inglese

lo salutava inutilmente. Con la schiena alla nave stranierae la faccia dipietra rivolta alla propriaAchab restò dritto e

immobile sinché non fu a fianco del Pequod.

CI • IL BOCCALE

Prima che la nave inglese si perda di vistasia qui detto che veniva daLondra e portava il nome del fu Samuel

Enderbymercante di quella cittàche aveva dato il suo nome alla famosaditta baleniera Enderby & Sonsuna ditta che

secondo la mia umile opinione di baleniere non sta troppo indietro per verointeresse storico alle case reali messe

assieme dei Tudor e dei Borboni. Da quanto tempo prima dell'anno di nostroSignore 1775 esistesse questa gran casa

balenierai miei numerosi documenti di pesca non mettono in chiaro; ma inquell'anno (1775) essa armò le prime navi

inglesi che dettero regolarmente la caccia al capodogliosebbene già daqualche ventina d'anni (fin dal 1726) i nostri

coraggiosi Coffin e Macey di Nantucket e del Vigneto inseguissero con grosseflotte questo leviatanoma solo

nell'Atlantico del Nord e del Sudnon altrove. Sia fissato qui ben chiaroche i Nantuckettesi furono i primi ad arpionare

con acciaio civile il gran capodoglioe che per mezzo secolo furono l'unicopopolo della terra ad arpionarlo in quel

modo.

Nel 1778 una bella navel'Ameliaarmata espressamentee unicamente a spesedei ricchi Enderbydoppiò

audacemente il Capo Horn e fu la prima tra i popoli ad ammainare una lancia abalene nel gran mare del Sud. Il viaggio

fu abile e fortunatoe tornata l'Amelia alla fonda con la stiva piena delprezioso spermacetiil suo esempio venne presto

seguito da altre naviinglesi e americanee così si spalancarono leimmense zone di caccia del Pacifico. Ma non

contenta di questa bella impresal'infaticabile ditta si diede di nuovo dafareSamuel e tutti i figli (quantilo sa solo la

madre): e sotto i loro diretti auspici e in partecredoa loro speseilGoverno Britannico fu indotto a mandare la

corvetta Rattler per un viaggio baleniero di scoperta nei mari del Sud.Comandata da un capitano navale effettivola

Rattler fece un viaggio coi fiocchi e rese qualche servizio: di quale entitànon risulta. Ma questo non è tutto. Nel 1819 la

stessa ditta armò per suo conto una baleniera di scoperta per inviarla a unacrociera d'assaggio nei lontani mari del

Giappone. Quella naveopportunamente chiamata la Sirenafece una magnificacrociera sperimentalee fu così che il

gran campo di caccia del Giappone diventò generalmente noto. In questofamoso viaggiola Sirena fu comandata da un

certo capitano Coffindi Nantucket.

E dunque ogni onore agli Enderbyla cui dittacredoesiste ancora ainostri giornisebbene certo il primo

Samuel abbia mollato da tempo gli ormeggi per il gran mare del Sud dell'altromondo.

La nave chiamata col suo nome era degna dell'onoreperché era un velierorapidissimo e sotto ogni aspetto un

nobile legno. Una volta l'abbordai a mezzanotte in qualche punto al largodelle coste di Patagoniae vi bevetti

dell'ottimo flip giù nel castello. Fu un gam bellissimo quella voltaederano tutti gente in gambadal primo all'ultimo.

Abbiano vita breve e morte allegra! E questo bel gam che vi ebbimoltomolto tempo dopo che il vecchio Achab toccò

quelle tavole col suo calcagno d'avoriomi fa pensare alla nobilesolidaospitalità sassone di quel bastimento. Possa il

mio parroco dimenticarmie ricordarmi il diavolose mai la dimenticherò.Flip? Ho detto che bevemmo flip? Sicuroe.165

lo ingollammo al ritmo di dieci galloni l'ora; e quando arrivò la bufera(perché ne arrivano spesso laggiù al largo di

Patagonia) e gli uominiospiti e tuttivennero chiamati a terzaruolare legabbieeravamo così interzati che ci toccò

appenderci l'uno con l'altro arriva con bolineeravamo così goffi cheserrammo nelle vele le falde dei giubboni sicché

restammo lì appesiterzaruolati fitti nella bufera che ululavaper servireda monito a tutti i lupi ubriachi. Comunque gli

alberi ressero e ben presto ci calammo giùcosì sobri che bisognò fargirare di nuovo il flipsebbene quei barbari

spruzzi salati che schizzavano giù dal portello l'avessero un po' troppoallungato e marinato per i miei gusti.

La carne era buona: dura ma sostanziosa. Dicevano che era carne di toro;altridi dromedario; ma sicuro non ne

sono. Avevano anche gli gnocchipiccoli ma saporitiperfettamente rotondie indistruttibili. Ebbi l'impressione che li si

poteva tastare nello stomaco e farceli rotolare dopo inghiottiti. Se ci sipiegava troppo in avantisi rischiava di farseli

rotolare fuori come palle di biliardo. Il pane... ma è inevitabile; inoltreè un antiscorbutico; insomma il pane conteneva

l'unica carne fresca che avevano. Ma il castello non era molto illuminatoedera facilissimo spostarsi in un angolo buio

quando si mangiava il pane. Ma tutto sommatoprendendola dal pomo allabarraconsiderate le dimensioni delle

casseruole del cuococompresa la sua casseruola di pelle vivatuttosommatodicoil Samuel Enderby era una nave in

gamba: vitto buono e abbondanteflip di prim'ordine e fortee tutti ragazzicoi fiocchiin gamba dalla suola degli stivali

al nastro del cappello.

Ma come maipenseretequesto Samuel Enderby e varie altre baleniere inglesiche conosco (non tutteperò)

erano navi così allegre e ospitaliche passavano in giro carnepaneboccale e scherzoe non si stancavano mai di

mangiaredi bere e di ridere? Ve lo dico io. La straordinaria allegria diqueste baleniere inglesi è un tema di ricerca

storica. E io non ho certo risparmiato ricerche storiche sulla balenaquandociò è parso necessario.

Gli inglesi furono preceduti nella caccia alla balena dagli olandesidaizelandesi e dai danesida cui derivarono

molti termini ancora in uso nella baleneriae ciò che più contale lorovecchie grasse abitudini in fatto di mangiar bene

e trincare meglio. Perché come regola generale la nave mercantile inglesetiene a stecchetto l'equipaggioma non così la

baleniera. E perciò tra gli inglesi questa storia dell'abbondanza sullebaleniere non è un fatto normalema casuale e

specifico e quindi deve avere qualche origine specialeche qui indichiamo eche delucideremo ancora.

Nel corso delle mie ricerche sulle storie leviataniche m'imbattei in unvecchio tomo olandese che dal rancido

puzzo di balena che faceva capii trattava di baleniere. Il titolo era DanCoopmanal checonclusi che doveva trattarsi

delle memorie inestimabili di qualche bottaio di Amsterdam fattosi baleniere(dato che ogni baleniera deve avere il suo

bottaio). Mi confermò in quest'opinione vedere che era opera di un certo FizSwackhammer. Ma il mio amico dottor

Snodheaduomo di grande culturaprofessore di Basso Olandese e Alto Tedescoall'Università di Santa Befana e

Caraffacui passai l'opera per farla tradurre regalandogli per il disturbouna scatola di candele di spermacetiquesto

dottor Snodhead appena scrutato il tomo mi assicurò che Dan Coopman nonsignifica «Il bottaio» ma «Il mercante».

Insommaquesto vecchio e dotto libro basso-olandese trattava del commerciodei Paesi Bassie tra altri argomenti

conteneva un ragguaglio interessantissimo sulla baleneria di quel paese. E fuin questo capitolointitolato «Smeer» o

«Grasso» che trovai una lunga dettagliata lista di provvigioni per ledispense e cantine di 180 baleniere olandesi. Da

questo elenconella traduzione del dottor Snodheadtrascrivo quanto segue:

400.000 libbre di manzo

60.000 libbre di porco frisio

150.000 libbre di stoccafisso

550.000 libbre di galletta

72.000 libbre di pane morbido

2.800 quarteruole di burro

20.000 libbre di formaggio Texel e Leida

144.000 libbre di altro formaggio (probabilmente inferiore)

550 ankers di gin

10.800 barili di birra.

La maggior parte delle tabelle statistiche risultano di lettura acida ebrulla; non così nel caso presentein cui il

lettore è inondato da interi barilibottiquarti e quarti di pinta diottimo gin e vitto magnifico.

In quell'occasione ci misi tre giorni a fare un accurato digesto di tuttaquesta birracarne e panee nel suo corso

mi vennero incidentalmente suggeriti molti profondi pensierisuscettibili diapplicazione trascendentale e platonica.

Inoltre compilai certe mie tavole supplementari intorno alla quantitàprobabile di stoccafissoecc.consumata da

ciascun ramponiere basso-olandese nell'antica pesca di Groenlandia e delloSpitzbergen. Anzitutto appare sbalorditiva

la quantità di burro e di formaggio Texel e Leida consumata. Però iol'ascrivo alla loro sostanza naturalmente untuosa

resa maggiormente tale dal carattere del mestiere e specie dal fatto che essiinseguono le prede in quei gelidi mari

polarie sulle stesse coste di quella regione eschimese dove nei banchettigli indigeni brindano l'uno all'altro con boccali

di olio di balena.

Molto ampia pure la quantità di birra10.800 barili. Oravisto che quellecacce polari si potevano solo svolgere

nella breve estate di quei climisicché tutta quanta la crociera di una diqueste baleniere olandesicompreso il breve

viaggio di andata e ritorno dal mare dello Spitzbergennon passava di moltodiciamoi tre mesie calcolando 30

uomin i per ogni bastimento della flotta di 180 velieriabbiamo in tutto5400 marinai basso-olandesi; per cuidico

abbiamo esattamente due botti di birra a testa per la razione di dodicisettimanesenza contare la discreta parte che

ognuno godeva di quei 550 ankers di gin. Orache questi ramponieri al gin ebirraincitrulliti come si può immaginarli

fossero adatti a stare all'impiedi su una testa di lancia e mirare bene allebalene in fugaparrebbe un tantino improbabile..166

Eppure miravano bene e colpivano anche giusto. Ma questo succedeva molto insu al nordnon bisogna dimenticarlo

dove la birra s'accorda bene con la costituzione. All'equatorenella nostrapesca australela birra farebbe dormire il

ramponiere sulla testa d'albero e lo renderebbe brillo nella lanciae nepotrebbero risultare dolorose perdite per

Nantucket e New Bedford.

Ma basta; è stato detto abbastanza per provare che gli antichi balenieriolandesi di due o tre secoli fa si

trattavano assai benee che i balenieri inglesi non hanno certo trascuratoun così eccellente esempio. Perchédicono

quando s'incrocia su una nave vuotase dal mondo non potete avere di meglioalmeno cercate di cavarne un buon

pranzo. E questo vuota il boccale.

CII • UNA PERGOLA NELLE ARSACIDI

Finoratrattando descrittivamente del capodogliomi sono soffermatosopratutto sulle meraviglie del suo

aspetto esternooppurea parte e in dettagliosu alcune pochecaratteristiche della sua struttura interna. Ma volendo

arrivare a conoscerlo in pieno e in modo proprio esaurientemi tocca orasbottonarlo ancorae sciogliendo le stringhe

della calzamagliasfibbiando le giarrettieree liberando uncini e occhiellidelle giunture delle sue ossa più profonde

mettervelo davanti nella sua condizione ultimacioè a dire nello scheletroassoluto.

Ma comeIsmaele? Come mai tusemplice rematore nella baleneriapretendi disapere qualcosa sulle parti

sotterranee della balena? Forse il dotto Stubbmontato sull'arganofacevaconferenze sull'anatomia dei cetaceie con

l'aiuto del verricello esibiva campioni di costole? SpiegatiIsmaele. Puoiforse tirare su in coperta per esaminarla una

balena adultacome un cuoco scodella un maiale arrosto? Certo che no. Finorasei stato testimone veritieroIsmaele.

Vacci piano ad assumerti ciò che è solo privilegio di Gionae cioè diparlare dei travicelli e delle travidei correnti

della trave di colmodei traversini e dei puntelli che fanno la carcassa delleviatanoe forse delle tinozze di segodelle

latteriedelle dispense e dei caseifici che ha nelle budella.

Confesso chedai tempi di Gionapochi balenieri sono penetrati molto afondo sotto la pelle della balena

adulta; però io ho avuto la fortuna di poterla sezionare in miniatura. Inuna delle navi in cui lavoravouna volta un

piccolo capodoglio fu issato di peso in coperta per prendergli il sacco dellostomacoo borsae farne guaine per il filo

dei ramponi e le punte delle lance. Credete che mi sia lasciata scapparequell'occasione senza usare accetta e coltello per

spezzare i sigilli e leggere ciò che il piccino conteneva?

Quanto alla mia conoscenza esatta delle ossa del leviatano nel loro sviluppomaturogigantescoper questa rara

conoscenza sono in debito verso la buon'anima.del mio regale amico Tranquore di Tranqueuna delle isole Arsacidi.

Perché trovandomi a Tranque anni faquando ero sul mercantile Dey diAlgerifui invitato a trascorrere parte delle

vacanze arsacidee col signore di Tranquenella sua appartata villa deipalmizi a Pupella: una valletta costiera non molto

lontana da quella che i nostri marinai chiamavano Città dei Bambùlacapitale.

Tra le molte altre sue belle qualitàil mio regale amico Tranquo era dotatodi fervido amore per ogni sorta di

oggetto d'arte barbaricae aveva collezionato in Pupella tutte le cose piùrare che i più ingegnosi dei suoi sudditi

avevano saputo inventare; sopratutto legni intagliati a disegni mirabiliconchiglie cesellatelance intarsiatepagaie

preziosecanoe aromatiche; e tutto ciò distribuito tra quelle naturalimeraviglie gettate sulle sue spiagge dalle onde

cariche di portenti che anch'esse gli pagavano tributo.

Spiccava tra queste ultime meraviglie un gran capodoglioche dopo unatremenda bufera di eccezionale durata

era stato trovato morto e arenatocon la testa contro un albero di cocco icui rami fronzuti simili a piume parevano lo

zampillo verdeggiante del pesce. Quando il gran corpo fu infine svestitodelle sue fasciature profonde una tesae le ossa

inaridite al solelo scheletro venne trasportato con ogni cura nella valledi Pupelladove ora un gran tempio di palme

maestose gli dava ricetto.

Le costole erano adorne di trofeile vertebre portavano scolpiti gli annalidelle Arsacidi in strani geroglifici

nel cranio i sacerdoti mantenevano una fiamma aromatica perennesicché latesta misteriosa emetteva ancora il suo

gettito di vaporimentre sospesa a un ramo la mandibola terrificante vibravasu tutti i fedelicome la spada sospesa a un

capello che tanto atterrì Damocle.

Era uno spettacolo meraviglioso. Il bosco era verde come i muschi della ValleGelida; gli alberi si rizzavano

alti e superbipieni di viva linfa. La terra industresottoera come iltelaio di un tessitorecoperto di un tappeto

sfarzosodi cui i viticci dei rampicanti formavano l'ordito e la tramae ivivi fiori i disegni. Tutti gli alberi coi loro rami

carichitutti i cespugli e le felci e le erbe e l'aria portatrice dimessaggitutto era incessantemente attivo. Attraverso gli

intrecci delle foglie il grande sole pareva una spola volante che tesseval'instancabile verzura. Oh tessitore assiduo!

Tessitore invisibilefermati! Una parola: dove va questa trama? Qualepalazzo può ornare? Perché tutte queste fatiche

senza sosta? Parlatessitore! Ferma la mano: una sola parola! Ma la spolacorrei disegni vengono a galla dal telaioil

tappeto scivola fuori in eterno come un ruscello che scorre. Il dio-tessitoretessee da quel tessere è assordatosicché

non sente voce umanae noi pure che guardiamo il telaio siamo assordati dalronzioe solo quando lo fuggiamo

possiamo udire le migliaia di voci che parlano attraverso il rumore. È lostesso in tutte le fabbriche materiali. Le parole

che non si possono sentire fra i fusi volantiquelle parole si sentonochiaramente dal di fuoridove esplodono dalle

finestre aperte. Così sono state scoperte azioni malvage. Ahuomo! sta'attento alloraperché in questo modotra tutto il

fragore del gran telaio del mondoi tuoi pensieri più riposti possonosentirsi da lontano..167

Ora fra il telaio verde irrequieto di vita di quel bosco arsacideoil grandescheletro bianco riposava nel suo

ozio sacro: un perditempo gigantesco! Eppurementre senza sosta l'ordito ela trama verdeggianti gli si intrecciavano e

ronzavano attornoil gran perditempo pareva lui stesso l'abile tessitore;lui stesso tutto ricoperto di rampicantiavvolto

ogni mese di più verde e fresca verzurama in se stesso soltanto unoscheletro. La Vita avvolgeva la Mortela Morte

ingraticciava la Vitala torva Dea sposava il giovane Dio e gli generavaglorie ricciute.

Quando col regale Tranquo andai a vedere questa meravigliosa balenae vidiil cranio-altaree il fumo

artificiale alzarsi da dove era uscito il gettito veromi stupii che il reconsiderasse una cappella come un oggetto d'arte.

Egli rise. Ma più mi sorpresi che i sacerdoti giurassero che quel suo gettodi fumo era genuino. Mi misi a camminare su

e giù davanti a questo scheletroscostai i rampicantipenetrai fra lecostolee con un gomitolo di spago arsacideo mi

aggirai a lungo vorticando tra i suoi molti colonnati e recessi serpeggiantie ombrosi. Ma presto la lenza mi terminòe

seguendola a ritroso emersi dall'apertura per cui ero entrato. Lì dentronon un'anima viva: non c'erano altro che ossa.

Mi tagliai una bacchetta verde per misurare e mi rituffai nello scheletro.Dalla loro feritoia nel cranio i

sacerdoti mi scorsero che misuravo l'altezza dell'ultima costola. «Oibò!»gridarono«osi tu misurare questo nostro dio?

Questo è compito nostro.» «D'accordosacerdoti: beneallora quanto diteche è lungo?» Ma qui sorse tra loro una fiera

contesa a proposito di piedi e di pollici; si spaccarono a vicenda le zucchecoi loro metriil grande cranio si riempì

d'echie io approfittando della buona occasione ultimai in fretta le miemisure.

Queste misure mi propongo ora di esporvi. Ma anzitutto sia detto che inquesta materia non posso mica

sbandierare le misure che mi passano per la testa. Perché ci sono autoritàscheletriche cui vi potete riferire onde

controllare la mia accuratezza. C'è un Museo Leviatanicomi diconoa Hullin Inghilterrauno dei porti balenieri di

quel paesedove hanno alcuni magnifici esemplari di balenottere e di altricetacei. Similmente ho sentito che al Museo

di Manchesternel New Hampshirehanno quel che i proprietari chiamano «ilsolo esemplare perfetto di balena di

Groenlandia o di Fiume in tutti gli Stati Uniti». Inoltrein un posto delloYorkshire in Inghilterra chiamato Burton

Constableun certo Sir Clifford Constable possiede lo scheletro di uncapodoglioma di modesta taglianon

paragonabile al magno volume di quello del mio amico il re Tranquo.

In entrambi i casi le balene arenate cui appartenevano questi due scheletrivennero originariamente rivendicate

dai proprietari per motivi simili. Il re Tranquo si pigliò la sua perchécosì gli piaceva; e Sir Clifford perché aveva

infeudata quella regione. La balena di Sir Clifford è stata interamentefornita di articolazionisicché potete aprirne e

chiuderne tutte le cavità ossee come fosse un gran cassettoneallargarne lecostole come un enorme ventaglioe fare

l'altalena tutto il giorno sulla sua mandibola. Vogliono mettere le serraturea qualcuna delle sue botole e impostee un

lacchè porterà in giro i futuri visitatori con un mazzo di chiavi aifianco. Sir Clifford pensa di far pagare due pence

un'occhiata alla galleria acustica della colonna vertebraletre pencel'ascoltodell'eco nella cavità del cervellettoe sei il

panorama incomparabile che si gode dalla fronte.

Le dimensioni scheletriche che ora passerò a esporre sono trascritte verbatimdal mio bracciodestrodove me

le feci tatuarevisto che nei miei tempestosi vagabondaggi di allora nonc'era altro modo sicuro di preservare statistiche

così preziose. Ma siccome ero scarso di spazioe volevo tenermi le altreparti del corpo come pagina bianca per un

poema che allora stavo componendo (almeno le poche parti non tatuate che mirestavano) non badai alle frazioni di

pollici; e in realtà i pollici non dovrebbero assolutamente entrare in unamisurazione congeniale della balena.

CIII • MISURE DELLO SCHELETRO DELLA BALENA

In primo luogo desidero sottoporvi una descrizione chiara e specifica dellamassa viva di questo leviatanoil

cui scheletro stiamo per mostrarvi. Tale descrizione può riuscire utile aquesto punto.

Secondo un accurato calcolo che ho fattoe che è fondato in parte sullastima del capitano Scoresbydi settanta

tonnellate per la più grossa balena di Groenlandia lunga sessanta piedi;dicosecondo quel mio calcoloun capodoglio

delle massime dimensionitra ottantacinque e novanta piedi di lunghezza e unpo' meno di quaranta alla massima

circonferenzapeserà almeno novanta tonnellate; sicchécontando trediciuomini per tonnellatail pesce supererebbe di

parecchio tutta quanta la popolazione di un villaggio di mille e centoabitanti.

Non vi pare allora che a questo leviatano si dovrebbero dare cervella similia buoi aggiogatiper farlo muovere

anche minimamente nell'immaginazione di qualunque uomo di terra?

Avendone già in vari modi mostrato il craniolo sfiatatoiola mascellaidentila codala frontele pinne e

varie altre partinon farò che indicare semplicemente ciò che si trovad'interessante nella massa complessiva delle sue

ossa scoperte. Ma siccome il colossale cranio abbraccia una porzione cosìgrande di tutto lo scheletrosiccome è di gran

lunga la parte più complicatae niente va ripetuto al suo proposito inquesto capitolodovete stare attenti a portarvelo in

testa o sottobraccio mentre andiamo avantise no vi sarà impossibile farviun'idea completa della struttura generale che

stiamo per osservare.

In lunghezzalo scheletro del capodoglio di Tranque misurava settantaduepiedisicché interamente rivestito e

stiratoda vivodoveva averne avuti novantaperché nella balena loscheletro perde circa un quinto della lunghezza

rispetto al corpo vivo. Di questi settantadue piediil cranio e la mandibolane prendevano ventilasciandone una

cinquantina di mera spina dorsale. Attaccato a questa spinae misurante unpo' meno d'un terzo della sua lunghezzaera

il potente canestro rotondo delle costole che un tempo contenevano ivisceri..168

A me quest'enorme cassa d'avorio dalla spina lunga e uguale che se ne andavain linea rettafaceva ricordare

non poco lo scafo di una gran nave messa fresca sui paratiquando vi sonoinserite solo una ventina di costole prodiere

e la chiglia non è per il momento che una lunga trave mal connessa.

Le costole erano dieci per parte. La prima a cominciare dal collo misuravaquasi sei piedi; la secondaterza e

quarta erano ognuna gradualmente più lunga; finché si giungeva al massimodella quintao una delle costole mediane

che misurava otto piedi e qualche pollice. In seguito le costolerimpicciolivanofinché la decima e ultima non superava i

cinque piedi e qualche pollice. Come spessore medio erano tutte benproporzionate alla propria lunghezza. Le mediane

erano le più arcuate. In qualcuna delle isole Arsacidi sono usate come travisu cui posare ponticelli pedonali su piccoli

fiumi.

Guardavo quelle costolee non potevo che meravigliarmi di nuovo del fattoin tanti modi ripetuto in questo

libroche lo scheletro della balena non era affatto lo stampo della formache lo riveste. La più grande delle costole di

Tranqueuna delle medianeoccupava quella parte del pesce che in vita ha lamaggiore profondità. Ora la profondità

massima del corpo rivestito di questa particolare balena doveva essere stataalmeno di sedici piedimentre la costola

corrispondente ne misurava poco più di otto. Sicché questa costola davasolo metà dell'idea esatta della grandezza in

vita di quella parte. Inoltreper un certo trattodove ora vedevo solo unanuda spinaun tempo tutto quello spazio era

stato avvolto di tonnellate di peso in carnemuscolisangue e visceri. Perdi piùal posto delle pinne lateraliora non

vedevo che poche articolazioni sconnessee al posto delle pesanti pinnecaudalimaestose ma senz'ossoun vuoto

assoluto!

E allorapensaiquanto è vano e sciocco per l'uomo ritirato e sedentariocercare di capire bene questa balena

meravigliosasemplicemente ponzando sul suo scheletro morto e assottigliatodisteso in questo bosco pacifico. No.

Solo nel cuore dei pericoli più fulmineisolo dentro i vortici della suacoda infuriatasolo sul mare profondo e

sconfinato si può trovare la verità e la vita della balena tutta intera.

Ma veniamo alla spina. Quanto a essail modo migliore di esaminarla è difare con una gru una bella catasta

delle sue ossache non è impresa spiccia. Ma quand'è fattala spinasomiglia parecchio alla Colonna di Pompeo.

Ci sono in tutto quaranta vertebre e passache nello scheletro non sonoattaccate insieme. Stanno per lo più

come i grossi blocchi nodosi di una guglia goticaformanti solidi strati dipesante muratura. La maggioreuna delle

medianeè larga un po' meno di tre piedi e alta più di quattro. La piùpiccoladove la spina va a perdersi nella codaè

larga solo due pollici e somiglia un poco a una bianca palla da biliardo. Midissero che ce n'erano anche di più piccole

ma erano state smarrite da certi mocciosetti cannibalifigli del sacerdoteche l'avevano rubate per giocarci a palline. E

così vediamo che anche la spina dorsale del più smisurato degli esseriviventi si riduce a essere alla fine un semplice

gioco da bambini.

CIV • LA BALENA FOSSILE

Con la sua massa potente la balena offre un tema quanto mai adatto perdiffondercisiampliare e in genere

spaziarci sopra. Anche volendo non la si può condensare. A buon dirittodovremmo solo trattarne in un grandioso in-folio.

Per non rivangare il già detto delle tese che misura dal buco dellosfiatatoio alla codae delle jarde alla cintola

pensate solo ai giganteschi avvolgimenti dei suoi intestiniche le stannodentro come grossi cavi e gherlini adugliati nel

sotterraneo ponte di stiva di una corazzata.

Visto che ho assunto il compito di manipolare questo Leviatanobisognaproprio che mi mostri onnisciente al

massimo in questa impresasenza trascurarne i più minuti germi seminali delsanguee dipanandolo fino all'ultimo

rotolo di budello. Avendolo già descritto nella più parte delle sue attualicaratteristiche ambientali e anatomicheresta

ora da esaltarlo da un punto di vista archeologicofossilifero eantidiluviano. Applicati a qualsiasi altra creatura al di

fuori del Leviatanoper esempio a una formica o a una pulcetermini cosìsolenni potrebbero giustamente giudicarsi

ingiustificabilmente ampollosi. Ma quando il testo è il Leviatanoè unaltro paio di maniche. Mi è giocoforza venire

all'impresa barcollando sotto le parole più massicce del dizionario. E siadetto qui che ogniqualvolta ho dovuto

consultarne uno nel corso di queste dissertazioniho usato invariabilmenteuna massiccia edizione in-quarto del

Johnsonespressamente acquistata a quello scopo; perché il non comunevolume personale di quel famoso lessicografo

lo rendeva più di ogni altro adatto a compilare un lessico usabile da unoscrittore di balene come me.

Si sente spesso di scrittori che si rizzano e gonfiano col loro argomentoanche se si tratta di roba ordinaria.

Che sarà di me allorache scrivo di questo Leviatano? Senza volerlo lascrittura si gonfia in maiuscole da cartellone.

Datemi una penna di condor! Il cratere del Vesuvio per calamaio! Tenetemi lebracciaamici! Perché nel semplice atto

di vergare i miei pensieri su questo Leviatanomi sento stracco e prossimo asvenire per la loro comprensività e

larghezza di portataquasi volessero abbracciare tutto il giro delle scienzee tutte le generazioni di baleneuomini e

mastodontipassatepresenti e da venirecon tutti i roteanti panoramid'imperio sulla terra e per tutto quanto l'universo

sobborghi inclusi. Tale e talmente esaltante è la virtù di un tema grande egeneroso! Gareggiamo con il suo volume. Per

fare un gran libro bisogna scegliere un tema grande. Sulla pulce non si puòmai scrivere un libro grande e duraturoper

quanto ci siano parecchi che l'hanno tentato.

Prima di affrontare il tema delle balene fossilipresento le mie credenzialidi geologo dichiarando che nei miei

anni versatili sono stato muratore e anche grande sterratore di fossicanalie pozzigrottecantine e cisterne d'ogni tipo..169

Altresì vorreicome preliminarericordare al lettore che mentre nei piùantichi strati geologici si trovano fossili di

mostri quasi del tutto estinti oggigiornoi resti più recentiscoperti inquelle che si chiamano le formazioni terziarie

sembrano gli anelli connettivie a ogni modo di mezzotra le creatureacronologiche e quelle la cui remota discendenza

si dice sia entrata nell'arca; tutte le balene fossili finora scoperteappartengono al periodo terziariol'ultimo che precede

le formazioni superficiali. E sebbene nessuna di esse corrisponda esattamentea nessuna delle specie note nel nostro

tempotuttavia esse in genere sono abbastanza affini alle nostre dagiustificare un loro posto tra i cetacei fossili.

Resti fossili frammeritari di balene pre-adamitichepezzi di ossa escheletrisono stati trovati da trent'anni a

questa partea varie ripreseai piedi delle Alpiin Lombardiain Franciain Inghilterrain Scozia e negli stati di

LouisianaMississippi e Alabama. Tra i più curiosi di tali resti c'è unpezzo di cranioche nell'anno 1779 fu

disseppellito nella Rue Dauphiné a Parigiuna stradina che va quasi drittaal Palazzo delle Tuileries; e ossa sono state

portate alla luce durante gli scavi dei grandi bacini di Anversa al tempo diNapoleone. Cuvier stabilì che questi

frammenti erano appartenuti a qualche specie leviatanica completamentesconosciuta.

Ma certo il più meraviglioso di tutti gli avanzi cetacei fu il grandescheletro quasi completo di un mostro

estintotrovato nell'anno 1842 nella piantagione del giudice Creagh inAlabama. I creduli schiavi del vicinato

terrorizzatilo presero per le ossa di uno degli angeli caduti. I dottoridell'Alabama lo dichiararono un enorme rettilee

gli diedero il nome di Basilosaurus. Ma quando alcune delle ossa furonoportate oltremare come campione a Owen

l'anatomista ingleserisultò che questo preteso rettile era una balenabenché di specie scomparsa. Che è una

significativa illustrazione del fattogià detto e ridetto in questo libroche lo scheletro della balena dà solo vaghissimi

indizi della forma del corpo completo. Così Owen ribattezzò il mostroZeuglodontee in una memoria che lesse davanti

alla Società Geologica di Londra lo dichiarò in sostanza una delle creaturepiù straordinarie che i mutamenti del globo

avevano cancellato dall'esistenza.

Quando mi trovo in mezzo a questi possenti scheletri di Leviatanicranizannemascellecostole e vertebre

tutti caratterizzati da somiglianze parziali con le razze esistenti di mostrimarinima nello stesso tempo dotati di

consimili affinità coi Leviatani acronologici distruttiloro incalcolabiliantenatisono trasportato da un diluvio in quel

periodo meravigliosoprima che il tempo stessosi può direfossecominciatoperché il tempo cominciò con l'uomo.

Qui il grigio caos di Saturno va rotolandomi soprae riesco a vedereconfusiterrificanti barlumi di quelle eternità

polariquando bastioni incastrati di ghiaccio premevano potenti su quelliche ora sono i tropicie in tutte le 25.000

miglia della circonferenza di questa terra non si vedeva un solo palmo dispazio abitabile. Allora tutto il mondo

apparteneva alla balenaed essaregina del creatolasciava la sua scialungo le linee attuali delle Ande e dell'Imalaia.

Chi può vantare una genealogia come quella del Leviatano? Il rampone diAchab aveva sparso sangue più antico di

quello del Faraone. Matusalemme sembra uno scolaretto. Mi guardo attorno perstringere la mano a Sem. E inorridisco

a questa esistenza premosaica e senza fonte dei terrori indicibili dellabalenache essendo esistita prima di ogni tempo

dovrà certo esistere quando sarà passata ogni epoca umana.

Ma non solo questo Leviatano ha lasciato le sue tracce preadamiche nellelastre stereotipe della naturae

tramandato il suo antico busto in pietra calcare e marna. Ci sono tavoletteegizianela cui antichità pare anche per loro

accampare diritti a un carattere fossiliferoin cui troviamo l'improntainequivocabile della pinna caudale. In un locale

del grande tempio di Denderahun cinquant'anni favenne scoperto sullavolta di granito un planisfero scolpito e

dipinto pieno di centaurigrifoni e delfinisimili alle figure grotteschedel moderno globo celeste. Guizzante tra quelli

il vecchio Leviatano nuotava come sempre; nuotava lì in quel planisferosecoli prima che Salo mone fosse messo in

culla.

E non bisogna omettere un'altra strana testimonianza dell'antichità dellabalena nella sua realtà ossea post-diluviana

come la riferisce il venerabile Johannes Leol'antico viaggiatore diBarberia.

«Non lontano dalla sponda del Mare hanno un Tempio del quale Travi eCorrenti son fatti d'Osso di Balena;

poiché Balene di mostruosa grandezza son spesso gettate morte su quellaspiaggia. Il Popolo comune immagina che per

un Potere segreto da Dio conferito al Tempionessuna Balena possa passar lìdavanti senza di colpo morire. Ma la

Verità è che da ambodue i lati del Tempio sonvi Rocce che sporgono per duemiglia nel Maree feriscon le Balene che

vi toccano. Conservano come Miracoloso oggetto una Costola di Balena dilunghezza incredibileche giacendo sul

suolo con la sua parte convessa all'insopra fa un Arco alla Cima del qualenon arriva un Uomo a dorso di Cammello.

Questa Costola (dice sempre Leo) dicono fosse già lì cent'anni prima ch'iola vedessi. I loro Istorici affermano che un

Profeta che profetò di Maomettouscì da questo Tempioe alcuni nonesitano a dire che il Profeta Giona fu vomitato

dalla Balena alla Base del Tempio.»

In questo Tempio Africano della Balena ti lasciolettoree se tu sei diNantuckete baleniereadorerai qui in

silenzio.

CV • LA BALENA DIVENTA PIÙ PICCOLA? SI AVVIA FORSE A SPARIRE?

Dacché allora questo Leviatano ci naviga addosso rollando dalle sorgentidell'Eternosi può ben chiedere se

nel lungo corso delle sue generazioninon abbia degenerato dal volumeoriginario dei suoi padri.

Ma dopo adeguata indagine troviamo che non solo le balene dei giorni presentisono superiori in grandezza a

quelle i cui resti fossili troviamo nel sistema terziario (che abbraccia undato periodo geologico anteriore all'uomo)ma.170

delle balene trovate in questo sistemaquelle che appartengono alleformazioni più recenti superano in volume quelle

delle formazioni più antiche.

Di tutte le balene preadamiche finora esumatedi gran lunga la più grossaè la balena dell'Alabama ricordata

nel capitolo precedentee quella aveva lo scheletro lungo meno di settantapiedi. Mentre abbiamo già visto che la

misurazione a nastro dà settantadue piedi per lo scheletro di una grossabalena moderna. E ho sentito da fonte baleniera

che sono stati catturati capodogli lunghi quasi cento piedi al tempo dellacattura.

Ma non può essere che mentre le balene di oggi sono avvantaggiate di massasu quelle di tutti i periodi

geologici anteriorinon può essere che dai tempi di Adamo esse abbianodegenerato?

Senza dubbio così dobbiamo concluderese prestiamo fede ai ragguagli disignori come Plinio e i naturalisti

antichi in genere. Dacché Plinio ci dice di balene che erano jugeri di vivamassae Aldrovandi di altre che misuravano

ottocento piedi di lungo: veri e propri viali e gallerie del Tamigi! Eperfino ai tempi di Banks e Solanderi naturalisti di

Cooktroviamo un membro danese dell'Accademia delle Scienze che attribuiva acerte balene islandesi (Reydan-siskur

o Pance grinzose) centoventi jardecioè trecentosessanta piedi. ELacépèdeil naturalista francesenella sua dettagliata

storia delle baleneproprio all'inizio dell'opera (pagina 3) calcola labalena franca a cento metritrecento e ventotto

piedi. E la sua opera apparve solo nel 1825.

Ma un baleniere può crederci a queste storie? Nocerto. La balena di oggiè grossa come le sue antenate al

tempo di Plinio. E se mai andrò dov'è ora Plinioiocome baleniere (piùche lui non fosse) mi permetterò di dirglielo.

Perché non riesco a capire come maise le mummie egiziane sepolte migliaiadi anni prima che lo stesso Plinio fosse

natonon misurano nelle loro bare più di un Kentuckiano moderno incalzettee se il bestiame e gli altri animali scolpiti

sulle tavolette più antiche d'Egitto e di Ninivecalcolando le proporzioniin cui sono ritrattiprovano altrettanto

chiaramente che i bovini purosangue di Smithfieldpremiati e nutriti installanon solo eguagliano ma eccedono di

molto in volume la più grossa delle vacche grasse di Faraone: di fronte atutto questo non posso ammettere che di tutti

gli animali soltanto la balena abbia degenerato.

Ma resta ancora da fare un'altra domandaspesso agitata dai più oscuriNantuckettesi. Se a causa delle quasi

onniscienti vedette sulle teste d'albero delle baleniereche ora penetranoperfino nello stretto di Behring e nei più remoti

cassetti e armadi segreti del mondoe a causa dei mille ramponi e lancescagliati lungo le coste di tutti i continentiil

Leviatano potrà sopportare a lungo una caccia tanto vasta e una strage tantospietata. E se non sarà alla fine sterminato

nelle acquefinché l'ultima balena come l'ultimo uomo fumerà la sua ultimapipa e poi svanirà essa stessa nella boccata

finale.

Confrontiamo le mandrie gibbose delle balene con le mandrie gibbose deibufaliche nemmeno quarant'anni fa

invadevano a decine di migliaia le praterie dell'Illinois e del Missouriescuotevano le ferree criniere e minacciavano

col cipiglio grumoso di tuoni i siti di popolose metropoli fluvialidove orail garbato sensale vi vende il terreno a un

dollaro al pollice. Un simile confronto parrebbe fornire un argomentoirresistibile per dimostrare che la balena cacciata

a quel modo non può scampare a una rapida estinzione.

Ma la cosa va considerata in ogni luce. Assai poco tempo faneanche ladurata di un'esistenzail numero dei

bufali nell'Illinois superava il numero degli abitanti attuali di Londra.Oggi non rimane in tutta quella regione un solo

corno o zoccoloe la causa di questo sterminio sbalorditivo è stata lalancia dell'uomo. Ma la natura assai diversa della

caccia alla balena impedisce perentoriamente che il Leviatano faccia una finecosì ingloriosa. Quaranta uomini in una

nave a caccia del capodoglio per quarantotto mesi si reputano fin troppofortunatie ne ringraziano Iddiose alla fine

riportano a casa l'olio di quaranta animali. Mentre ai tempi dei vecchicacciatori e trappolatori canadesi e indiani

nell'Ovestquando il Far-West (nei cui tramonti si levano ancora dei soli)era una landa selvaggia e verginelo stesso

numero di uomini dai mocassinimontati a cavallo invece che imbarcati sunavi per lo stesso numero di mesiavrebbero

ucciso non quarantama quarantamila e più bufali: un dato chese occorrepotrebbe essere provato dalle statistiche.

Néa ben considerarepare un argomento a favore della graduale estinzionedelle balene il fattoad esempio

che in tempi precedenti (diciamo l'ultima parte del secolo scorso) questiLeviatani s'incontravano in piccoli branchi

molto più spesso che non orae che di conseguenza i viaggi non erano cosìlunghi e d'altra parte erano più rimunerativi.

Perchécome è stato osservato altrovequelle balenespinte da qualcheloro istinto di sicurezzaora nuotano per i mari

in carovane immensedi modo che i solitari isolatile coppiei branchi ele scuole di altri giorni sono ora raccolti in

eserciti immensima assai sparsi e poco frequenti. Questo è tutto. Ealtrettanto fallace sembra l'idea che perché le

cosidette balene dall'osso non frequentano più molte zone che prima neabbondavanose ne possa ricavare che anche

quella specie sta declinando. Perché solo il modo cambiae non la sostanzae se una costa non è più rallegrata dai loro

zampillisiate allora certi che qualche altra riva più remota è stataultimamente sorpresa nel vedere quell'insolito

spettacolo.

Inoltre: a proposito di questi ultimi Leviataniessi hanno due saldefortezzeche secondo ogni umana

probabilità resteranno inespugnabili per sempre. E come all'invasione delleloro vallate gli svizzeri gelidi si ritiravano

sulle montagnecosìcacciate dalle savane e radure dei mari di mezzolebalene dall'osso possono alla fine rifugiarsi

nelle loro cittadelle polarie tuffandosi sotto quelle estreme barriere epareti di vetroriaffiorare tra campi e banchi di

ghiaccio; e in un cerchio incantato di eterno dicembre sfidare ogniinseguimento umano.

Ma siccome forse cinquanta di queste balene dall'osso vengono ramponate perogni singolo cachalotalcuni

filosofi del castello di prua ne han concluso che questa vera e propriastrage ha già decimato molto seriamente i loro

battaglioni. Ed è vero che da qualche tempo a questa parte una moltitudinedi queste balenenon meno di 13.000sono.171

state ammazzate annualmente sulle coste del Nord-ovest soltanto dagliamericani. Pure ci sono considerazioni che

rendono anche questo fatto di poco o nessun valore come argomentod'opposizione in questo dibattito.

Naturale com'è l'essere piuttosto increduli sull'abbondanza delle bestiepiù enormi del globopure cosa diremo

a Hortolo storico di Goaquando ci racconta che in una sola battuta dicaccia il Re del Siam catturò 4000 elefantie

che in quella regione gli elefanti sono numerosi come le mandrie di bestiamenelle zone temp erate? E parrebbe che non

ci sia ragione di dubitare che se questi elefanticacciati ormai permigliaia di annida Semiramideda Poroda Annibale

e da tutti i più tardi monarchi dell'Orientesopravvivono ancora in cosìgran numeroa maggior ragione potrà la grande

balena sopravvivere a ogni cacciaperché essa ha un pascolo in cui spaziareche è grande due volte esatte l'intera Asia

ambedue le Americhel'Europal'Africala Nuova Olandae tutte le isoledei mari messe assieme.

Per giuntadobbiamo ricordare che vista la presunta longevità delle baleneil loro raggiungere forse il secolo e

più di etàin qualsiasi periodo diverse generazioni adulte debbono esserecontemporanee. E di ciò che questo implica si

fa presto a farsene un'idease immaginiamo che tutti i camposantiicimiteri e le tombe di famiglia della creazione

rigettino i corpi vivi di tutti gli uominile donne e i bambini vissutisettantacinque anni fae aggiungiamo questa schiera

infinita alla presente popolazione del globo.

Perciòtutto consideratoriteniamo la balena immortale nella sua specieper quanto ne siano mortali gli

individui. Essa nuotava nei mari prima che i continenti rompessero le onde;nuotò un tempo dove sorsero le Tuileriese

il Castello di Windsor e il Cremlino. Nel diluvio di Noè disprezzò l'Arcadi Noè; e se mai il mondo dovesse venire

sommerso un'altra voltacome i Paesi Bassi per disinfestarsi dai topiallora la balena eterna sopravviverà ancoraed

ergendosi sulla cresta più alta dell'onda equatoriale sputerà verso i cielila sua sfida schiumosa.

CVI • LA GAMBA DI ACHAB

Il modo precipitoso con cui il capitano Achab aveva lasciato il SamuelEnderby di Londra non era andato

esente da qualche piccolo danno alla sua persona. Aveva atterrato cosìviolentemente su un banco della lanciache la

gamba d'avorio era uscita mezzo spaccata dall'urto. E quandoriguadagnata latolda e il suo buco da pernosi girò con

veemenza per dare un comando urgente al timoniere (una lagnanzaal solitoperché il governo non era abbastanza

inflessibile) l'avorio già provato subì tali uno strappo e una torsioneche pur restando in apparenza saldo e interonon

parve più ad Achab del tutto sicuro.

E in realtà non c'era affatto da stupirsi se Achabcon tutta la suagenerica e folle incuriasi preoccupasse a

volte parecchio di quell'osso morto sul quale posava in parte. Perché nonmolto prima che la nave partisse da Nantucket

una notte l'avevano trovato steso bocconi per terra privo di sensi. Perqualche ignoto e inspiegabile incidentela gamba

d'avorio gli si era dislocata con tanta violenzada ferirgli e quasitrafiggergli l'inguine come un palo. E non fu senza

estrema difficoltà che l'atroce ferita si poté guarire completamente.

Nella sua fissazionequalche voltaAchab non aveva mancato di figurarsi chetutta l'angoscia di quella sua

sofferenza non era che la conseguenza diretta di un dolore precedente: epareva rendersi contoanche con troppa

chiarezzache come il rettile più velenoso della palude perpetua la suaspecie inevitabilmente come il più soave cantore

del boscocosì tutte le sciagurecome le felicitàgenerano per natura ipropri simili. Anzipiù che le gioiepensava

Achab: perché sia gli antenati che i discendenti del Dolore arrivano piùlontano degli antenati e dei discendenti della

Gioia. E per non parlare di ciò che si può dedurre da certi insegnamenticanoniciche certi godimenti terreni non

avranno prole nell'altro mondoma saranno al contrario seguiti dallasterilità di tutte le pene infernalie invece alcune

colpevoli sofferenze terrene continueranno fertilmente a generare oltre latomba un'eterna e crescente progenie di dolori;

per non parlare affatto di questorisulta sempre un'ineguaglianza aun'analisi più profonda della cosa. Difattipensava

Achabanche le più sublimi felicità terrene portano in sé una certameschinità insignificantementre in fondo tutti i

dolori veri hanno un significato misteriosoe in alcuni uomini una grandezzada arcangeli: e quindi studiarne con cura

le origini non può smentire la nostra ovvia deduzione. Seguire le genealogiedi questi alti dolori umani ci porta alla fine

tra le primogeniture senza fonte degli dei. E perciò in faccia a tutti isoli allegri e fertilialle rotonde lune di settembre

dai cimbali soavidobbiamo per forza riconoscere questo: che gli dei stessinon sono sempre felici. Il marchio triste e

incancellabile che l'uomo si porta in fronte dalla nascita non è chel'impronta del dolore di chi lo imprime.

Qui si è rivelato involontariamente un segreto che forse era più opportunorivelare con ordine prima. Con molti

altri particolari su Achabper certuni era sempre rimasto un mistero comemai per un certo periodoprima e dopo la

partenza del Pequodegli si fosse tenuto nascosto con una segretezza degnadel Gran Lama; e per quell'intervallo avesse

cercato un silenzioso confortodiciamotra il senato marmoreo dei morti. Ilmotivo che il capitano Peleg aveva messo

in giro per spiegare il fatto non pareva proprio soddisfacente; benché adire il vero ogni spiegazione che si dava della

parte più profonda di Achab avesse in sé più oscurità significativa chenon luce chiarificante. Ma alla fine si seppe tutto;

o almeno questo fatto specifico. Quel doloroso incidente aveva causato la suareclusione temporanea. E non soloma

per quel piccolo gruppo di gente terrestresempre più ristretto e anzianoche per qualche motivo aveva il privilegio di

potere avvicinare più facilmente Achabper quel timido cerchio l'incidentedi cui s'è detto (e di cui Achabtorvamente

non aveva dato nessuna spiegazione) si rivestiva di terrori che in parteprovenivano dalla terra dei fantasmi e dei gemiti.

Cosìper il bene che gli volevanotutti avevano cospirato il piùpossibile a celare queste notizie ad altri; e fu per questo

che la cosa non trapelò sui ponti del Pequod se non dopo parecchiotempo..172

Ma comunque stiano le cosee sia o no che l'invisibile e ambiguo sinododell'aria o i vendicativi principi e

potentati del fuoco abbiano avuto a che fare con l'uomo Achaba ogni buonconto egli ricorse a solidi mezzi pratici per

risolvere il problema presente della gamba: chiamò il carpentiere.

E quando quel funzionario gli fu davantigli ordinò di mettersi senzaperdere tempo a fare un'altra gambae

incaricò gli ufficiali di fornirgli tutte le travi e i perni di avoriomascellare (di capodoglio) che finora erano stati

accumulati nel viaggio: tra questi si doveva scegliere accuratamente ilmateriale più robusto e più fine. Fatto questoil

carpentiere ebbe l'ordine di ultimare la gamba quella stessa nottee diprovvederne tutti gli accessorisenza curarsi di

quelli appartenenti alla gamba screditata ancora in uso. Inoltre si ordinòdi portare fuori in copertadal suo ozio

temporaneo nella stivala fucina di bordoe per affrettare la cosafucomandato al fabbro di cominciare subito a

fucinare gli aggeggi in ferro che potevano servire.

CVII • IL CARPENTIERE

Siedi come un sultano fra le lune di Saturnoe prendi l'uomo da soloconmolta astrazione: ti sembrerà un

prodigiouna magnificenzauna sciagura. Masempre da lassùprendil'umanità in massae ti sembrerà per lo più una

marmaglia di duplicati superfluisia contemporanei che ereditari. Maumilissimo com'erae ben lontano dal fornire un

esempio di alta astrazione umanail carpentiere del Pequod non era unduplicato: e perciò si avanza in persona su questa

scena.

Come tutti i carpentieri di maree più specialmente quelli che appartengonoa navi baleniereegli era

ugualmente versatoin certo qual modo empirico e spontaneoin parecchimestieri e arti collaterali alla sua; perché il

carpentiere persegue l'antico e ramoso tronco di tutte quelle numerose artiche hanno più o meno a che fare col legno

come materiale ausiliario. Ma oltre a essere acconcio esempio di questaosservazione genericaquesto carpentiere del

Pequod era straordinariamente bravo in quelle mille bisogne meccaniche esenza nomeche saltano fuori di continuo su

una grossa navein un viaggio di tre o quattro anni su mari incivili eremoti. Per non parlare della sua abilità nelle

mansioni ordinariecome riparare lance sfondate e pezzi spaccatid'alberaturaridare forma alle pale di remi mal

forgiatiinserire nel ponte occhi di bue o nuove caviglie nelle tavolelateralie altri svariati lavori più direttamente

connessi alla sua specialitàegli era inoltre decisamente esperto aimbastire ogni sorta di aggeggii più diversi e

contrarisia utili che capricciosi.

L'unica grande scena su cui recitava tante diverse parti era il suo banco dalavoro: un lungo tavolo rozzo e

pesante fornito di varie morse di grandezze diversedi ferro e di legno.Sempretranne quando c'eran balene alle

fiancatequesto banco era saldamente legato per traverso contro il dorsodella raffineria.

C'è una caviglia di manovra troppo grossa per entrare facilmente nel suobuco? Il mastro d'ascia la caccia in

una delle sue morse sempre prontee in un baleno te la lima. Un uccello diterra dalle piume curiose sbatte sperduto sul

ponte e viene acchiappato? Con ben limate bacchette d'osso di balena franca etraversini d'avorio di capodoglioil

mastro gli fa una gabbia che pare una pagoda. Un rematore si sloga un polso:il carpentiere gli intruglia una lozione

lenitiva. Stubb aveva una gran voglia di avere stelle vermiglie pitturatesulla pala di tutti i suoi remi: quello gli avvita i

remi nella gran morsa di legnoe con bella simmetria gli fornisce lacostellazione. Viene il capriccio a qualcuno di

portare orecchini d'osso di pescecane: il maestro gli buca le orecchie. Unaltro ha il mal di denti: quello tira fuori le

tenagliee sbattendo una mano sul banco gli ordina di mettersi seduto; ma ilpoveraccio scalcia in modo incontrollabile

nel bel mezzo dell'operazione: allora il carpentiere gira il manico dellamorsa di legnoe gli dice di ficcarci dentro la

mascellase vuole che gli cavi il dente.

Così questo carpentiere sapeva fare di tuttoed era indifferente e privo dirispetto per tutto. I denti li

considerava pezzetti d'avorio; le testenient'altro che bozzelli di gabbia;e gli uomini stessi li prendeva sottogamba

come argani. Ma l'essere così versatile in un campo così vastodimostrandoperfino un suo talento vivacepoteva far

pensare che in costui ci fosse un'intelligenza non comune. Invece non eraesattamente così. Che anzi per nulla

quest'uomo spiccava di più che per una certacome direottusitàimpersonale; e dico impersonale perché essa sfumava

talmente nell'infinità delle cose attornoda sembrare parte diquell'ottusità generale che ravvisiamo in tutto il mondo

visibileil mondo che agisce senza pace in modi innumerevoli eppure continuain eterno a restare impassibilee vi

ignora anche se scavate fondamenta di cattedrali. Eppure questa sua ottusitàquasi orridache implicava ancheera

chiarouna infinita mancanza di cuorequest'ottusità era a voltestranamente screziata d'un vecchio e asmatico senso

d'arguziazoppicante e antidiluvianonon privo ogni tanto di una certabigia spiritosagginequale avrebbe potuto

servire ad ammazzare il tempo durante il quarto notturno sul barbuto castellodell'arca di Noè. Era forse perché quel

vecchio carpentiere aveva vagabondato tutta la vitae il suo lungo rollarenon solo non gli aveva fatto crescere muschio

addossoma gli aveva raschiato via anche le più piccole cose che potevanoall'origine aderire al suo esterno?

Quell'uomo era una nuda astrazioneun numero integrale senza frazioni;incompromesso come un neonatoviveva

senza un premeditato rapporto con questo o quell'altro mondo. Avreste quasipotuto dire che la sua strana intransigenza

implicava una sorta di idioziaperché nei suoi numerosi mestieri egli nonpareva tanto lavorare di ragione o d'istintoo

semplicemente perché vi era stato istruitoo per una qualsiasi misturauguale o disuguale di tutte queste cosema

semplicemente per una sorta di processo muto e sordospontaneoletterale.Era un puro manipolatore; il suo cervello

se mai ne aveva avutodoveva essergli fluito da gran tempo dentro i muscolidelle dita. Era come uno di quegli aggeggi.173

di Sheffieldmultumin parvoirragionevoli ma sempre utilissimiche assumono l'aspettosebbene un po'gonfiatodi

un comune coltello da tascae invece contengono non solo lame di variagrandezza ma cacciaviticavaturaccioli

pinzettelesinepenneregolilime da unghie e scalpelli. Quindise isuperiori volevano usare il carpentiere come

cacciavitenon avevano che da aprire quel suo lato e la vite era a posto; secome pinzettebastava prenderlo per le

gambe ed ecco fatto.

Ma come s'è accennatoquesto carpentiere onnistrumentalequesto mastrod'ascia ad apri e chiudinon era

dopo tutto una mera macchina automatica. Se non aveva dentro un'animaordinariaaveva un sottile qualcosa che in

qualche modo anomalo ne faceva le funzioni. Che cosa fosseessenza dimercurio o qualche goccia di carbonato

d'ammonionessuno può dirlo. Però c'erae c'era stata per sessant'anni opiù. Ed era proprio questoquesto suo

inspiegabile e pronto principio vitaleera questo che per la maggior partedel tempo lo faceva parlare da soloma come

una semplice ruota irragionevole che anch'essa va parlando tra sé col suoronzio. O meglioil suo corpo era una garitta

e lui dentro di guardiaa fare un eterno soliloquio per tenersi sveglio.

CVIII • ACHAB E IL CARPENTIERE. IL PONTE. PRIMO QUARTO DI NOTTE

(Il carpentiere è in piedi davanti al bancoe alla luce di due lanternelima svelto il travicello d'avorio per la

gambaincastrato nella morsa. Lastre d'avoriocinghie di cuoiocuscinettiviti e vari strumenti di ogni genere sono

sparsi sul banco. Verso prua si vede la fiamma rossa della fucinadove ilfabbro è al lavoro.)

«Maledetta la lima e maledetto l'osso! Questo che dovrebbe essere molle èduroe quella che dovrebbe essere

dura è tenera. È il destino di noi che limiamo vecchie tibie e mascelle.Proviamone un altro. Be'questo va meglio

(starnuta).Oilàquesta polvere d'osso è (starnuta)...boh! è (starnuta)...sìè... (starnuta)...per l'animanon mi lascia

parlare! Ecco che ci busca un vecchio a lavorare su legno morto. Segate unalbero vivo e non mangerete questa polvere;

amputate un osso vivoe non ne mangerete (starnuta).Avantisuvecchia Rognaquauna manofiniamola questa

ghiera e questa vite per la fibbia; in un minuto ci sono. Fortuna ora (starnuta)che non c'è da fare giuntura di ginocchio:

sarebbe un po' complicato. Ma un semplice stincoviaè come fare perticheda luppolo; solo gli vorrei dare una buona

rifinitura. Tempo ci vuoletempo; se solo avessi tempogli potreiscodellare una gamba (starnuta)che meglio non s'è

mai vista a fare inchini a una dama in un salotto. Quelle gambe e queipolpacci di capretto che ho visto nelle vetrine non

sarebbero neanche da paragonare. S'inzuppano d'acquaquellee prendono ireumatismiè logico (starnuta)e allora

bisogna curarle a forza di lavaggi e lozionicome fossero gambe vere. Eccofatto; e ora prima di segarla debbo chiamare

Sua Grazia il vecchio Mogol e vedere se va bene di lunghezza; troppo cortacredose mai. Ah! sento il suo calcagno.

Siamo fortunati. Eccolo che arrivalui o qualcun altronon c'è dubbio.»

Achab (facendosiavanti).

(Durante la scena che segueil carpentiere continua a intervalli astarnutire.)

«Be'fabbricante di carne umana!»

«Proprio a buon puntosignore. Se il capitano permetteora segno lalunghezza. Fatemi prendere la misura

signore.»

«Misurato per una gambaeh? Be'non è la prima volta. Avanti: mettici undito sopra. Bella morsa che hai

carpentiere; fammi sentire la stretta. Eccoecco: pizzica mica male.»

«Rompe le ossacapitano. Attenzioneattenzione!»

«Niente paurami piace una bella strizzata; mi piace in questo mondoviscido sentire qualcosa che tiene

vecchio mio. Che fa Prometeo lì in fondo? Il falegnamedico: che stafacendo?»

«Sta fucinando la vite per la fibbiacredo.»

«Ho capito. Siete in società: lui fornisce i muscoli. E che bella fiammache fa!»

«Sissignore; per questi lavori di fino ha bisogno di calore bianco.»

«Ehsicuro. Ora mi pare molto significativo che quel vecchio grecoPrometeoche come dicono fece gli

uominisia stato un fabbro e li abbia animati col fuoco. Perché ciò che èfatto nel fuoco deve giustamente appartenere al

fuocoe così l'inferno è probabile. Come vola la fuliggine! Dev'esserel'avanzo col quale quel greco fece gli africani.

Carpentierequando ha finito con la fibbiadigli di fare un paio di scapoled'acciaio; qui a bordo c'è un ambulante con

un fardello che lo schiaccia.»

«Comesignore?»

«Aspetta: mentre che c'èvoglio ordinare a Prometeo un uomo completodiun modello desiderabile. Prima di

tutto alto cinquanta piedi senza scarpe; poicassa toracica modellata sullaGalleria del Tamigi; gambe con radiciper

starsene fermo in un posto; braccia con tre piedi di polso; niente cuorefronte di bronzoe circa un quarto di jugero di

ottimo cervello; evediamoordinerò degli occhi per vederci al di fuori?Noci metto un osteriggio in cima alla testa

per illuminare l'interno. Eccoprendi l'ordinazione e sbrigati.»

«Ma di che sta parlando e a chivorrei sapere. Debbo restare quiimpalato?» (aparte)

«È architettura scadente fare una cupola cieca. Come questa mia. Nonodebbo metterci una lanterna.»

«Comecome? Si tratta di questo? Ne ho qui due di lanternesignore; a mebasta una sola.»

«Ehiperché mi cacci in faccia quell'acchiappaladri? Puntare una luce èpeggio che puntare un paio di pistole.».174

«Pensavosignoreche parlaste al carpentiere.»

«Al carpentiere? Ma allora... nono. È un mestiere molto pulito e diròestremamente signorile questo che fai

carpentiere; o preferisci lavorare l'argilla?»

«L'argillasignore? L'argilla? Ma l'argilla è fangoe la lasciamo aglisterratorisignore.»

«Quest'uomo è un empio! Ma perché starnuti?»

«L'osso è piuttosto polverososignore.»

«E allora capisci a volo; e quando crepi non seppellirti mai sotto il nasodei vivi.»

«Come? Oh! Ah! Ma sicuro. Sicuro! Questa è buona!»

«Sta' a sentirecarpentiere. Immagino che tu ti consideri un buon artigianoche lavora con ogni regola d'arte

no? Be'alloraconfessa che non farà proprio onore alla tua opera sequando mi metto questa gamba che faime ne

dovessi sentire un'altra allo stesso identico posto: voglio diremaestrolavecchia gamba che ho persoquella di carne e

ossa. Non mi potresti sbarazzare di quel vecchio Adamo?»

«Sul seriocapitanoadesso comincio a capirci qualcosa. Sicuroho sentitocose curiose a questo proposito

signore: che un uomo disalberato non perde mai completamente il senso del suotronco vecchioanzi qualche volta lo

sente ancora che gli prude. Posso domandare senza offesa se è proprio cosìcapitano?»

«È cosìamico. Guardametti la tua gamba qui al posto dov'era la mia;cosìoranon c'è che una sola gamba

visibile all'occhioma due alla mia anima. Dove tu senti formicolare lavitalìesattamente lì e non un millimetro più in

lìla sento anch'io. Ti pare un indovinello?»

«Io lo chiamerei umilmente un rompicaposignore.»

«Allora senti. Come puoi sapere se qualche essere vivointero e pensantenon si troviinvisibile e autonomo

esattamente dove stai tu ora; sicuroe ci si trovi tuo malgrado? Forse chenelle tue ore più solitarie non temi che

qualcuno ti stia vicino a origliare? Aspettanon rispondere! E se io sentoancora il bruciore della mia gamba stritolata

anche se ormai si è dissolta da tanto tempo perché allora non puoi tucarpentieresentire per sempre le pene ardenti

dell'infernoanche senza un corpo? Ah!»

«Dio ci liberi! Davverosignorese siamo a questo puntodebbo rifare imiei calcoli. Credo che ho dimenticato

di riportare una piccola cifrasignore.»

«Attento. Gli stupidi non dovrebbero mai accettare delle premesse. Quanto civuole per finire la gamba?»

«Forse un'oracapitano.»

«Dacci sottoallorae portamela. (Sivolta per andarsene.)Oh vita! Eccomi quasuperbo come un dio greco

eppure debitore a questo sciocco di un osso su cui reggermi! Maledetti questireciproci debiti umani che non possono

fare a meno di libri mastri. Vorrei essere libero come l'ariae invece sonosegnato nei registri di tutto il mondo. Sono

così riccoche avrei potuto controbattere ogni offerta dei Pretoriani piùricchi all'asta dell'impero romanoche era l'asta

del mondo; eppure sono debitore anche della carne della lingua con cui mivanto. Perdio! Prenderò un crogiolo e mi ci

butterò dentroper dissolvermi in una piccola concisa vertebra. Davvero.»

Il carpentiere (rimettendosial lavoro).

«Benebene! Stubb lo conosce meglio di tuttie Stubb dice sempre che èstrambo; non dice altro che questa

piccola adatta parolastrambo; è strambodice Stubb; è strambostrambostramboe continua a intronare le orecchie

del signor Starbuck senza sosta: strambosignorestrambostrambissimo. Edecco la sua gamba! Sicuroora che ci

pensoecco la sua compagna di letto: ha per moglie un pezzo di mascella dibalena! Ed è la sua gamba: ci starà sopra.

Cos'era quella storiadi un'unica gamba che sta in tre postie di tutti etre i posti che stanno in un unico inferno... come

diavolo era? Oh! Non mi meraviglia che mi guardasse con tanto disprezzo!Certe volte anch'io ho delle strane idee

dicono; ma è cosa soltanto casuale. E poi un vecchietto corto e piccolo comeme non deve mai mettersi in testa di

passare a guado acque profonde con certi capitani altiche paiono aironi.L'acqua ti dà un buffetto sotto il mento in un

battibalenotutti cominciano a gridare alle scialuppe di salvataggio. Edecco la gamba dell'airone! Lunga e snella

sicuro! Oraper tanta gente un paio di gambe dura tutta una vitaedev'essere perché le usano con riguardocome una

vecchia signora dal cuore tenero usa i suoi vecchi e grassocci cavalli datiro. Ma Achabehquello è uno che va forte.

Guarda un po'una gamba l'ha fatta fuoril'altra l'ha storpiata per sempree ora consuma gambe d'osso a cataste. Ehi tu

Nerofumo! sbrigati con queste viti. Cerchiamo di finire prima che quello delGiudizio venga a chiamare con la tromba

tutte le gambevere e falsecome fanno i birrai che vanno in giro araccogliere i vecchi barili di birra per tornare a

rimpirli. Che gambaquesta! Pare una vera gamba vivalimata fino altorsolo; domani ci starà soprae di lassù misurerà

le altezze. Oibò! Quasi dimenticavo la lavagnetta ovaled'avorio levigatodove calcola la latitudine. Cosìecco: e ora

scalpellolima e cartavetrata!»

CIX • ACHAB E STARBUCK IN CABINA

Secondo l'usoil mattino dopo si stava pompando la navequand'ecco non pocoolio venire su con l'acqua;

nelle botti di sotto doveva essersi aperta una brutta falla. La cosapreoccupò moltoe Starbuck scese in cabina per

riferire su questa contrarietà..175

Oradal Sud-ovest il Pequod si avvicinava a Formosa e alle isole Bashi tracui si apre uno dei passaggi

tropicali dai mari della Cina al Pacifico. E così Starbuck trovò Achab conuna carta generale degli arcipelaghi orientali

aperta davantie un'altraseparatache rappresentava le lunghe costeorientali delle isole giapponesi: NiphonMatsmai

e Sikoke. Con la nuova gamba d'avoriobianca come la nevepuntata contro lagamba a vite del tavoloe il lungo

falcetto di un serramanico in pugnoil vecchio sorprendente sedeva con lespalle alla portae corrugando le ciglia

ritracciava le sue vecchie rotte.

«Chi è?» udendo il passo all'uscioma senza voltarsi. «In coperta!Via!»

«Il capitano si sbaglia; sono io. Le botti nella stiva perdono. Bisognaissare i paranchini e svuotare.»

«I paranchini? Svuotare? Ora che ci avviciniamo al Giapponerestare inpanna qui per una settimanaa

rabberciare un fascio di vecchi cerchi di botte?»

«O fare questosignoreo sprecare in un giorno più olio di quantopossiamo farne in un anno. Una cosa che

siamo venuti a prendere facendo ventimila migliavale la pena diconservarlacapitano.»

«Sicurosicurose la prendiamo.»

«Noparlo dell'olio nella stivasignore.»

«E io noe non ci pensavo affatto. Vattene! Lascia pure perdere! Anch'iosono tutto falle. Sicuro! Falle nelle

falle! Non solo pieno di botti che perdonoma queste botti che perdono sonosu una nave piena di fallee questacaro

mioè una situazione assai peggiore di quella del Pequod. Eppure io non mifermo a turarmi le falle; chi le può scoprire

laggiù con tanto caricoe come sperare di turarleanche se le trovasseinmezzo a questa vita ululante? Starbuck!

Proibisco di alzare i paranchi.»

«Che diranno i proprietarisignore?»

«Se ne stiano sulla spiaggia di Nantucket a strillare più forte dei Tifoni!A me che importa? Proprietari

proprietari! TuStarbuckmi stai sempre a cianciare di questi proprietarispilorcicome se i proprietari fossero la mia

coscienza. Ma badal'unico vero proprietario di una cosa è chi la comanda.E attentoche la mia coscienza è nella

chiglia di questa nave. In coperta!»

«Capitano Achab» disse l'ufficiale arrossendoe avanzandosi nella cabinacon un'audacia così stranamente

rispettosa e cautache pareva non solo cercar di evitare in ogni modoqualsiasi manifestazione esternama essere anche

in fondoquasi priva di fiducia in se stessa: «Capitanoun uomo miglioredi me ti potrebbe forse perdonare ciò di cui si

risentirebbe subito in uno più giovane; sìe più felicecapitanoAchab.»

«Per il demonio! Osi anche solo pensare di criticarmi? In coperta!»

«Nosignorenon ancora. Ve ne prego. E io mi permettosignore... dilasciar correre! Non vogliamo cercare di

capirci meglio d'ora in poicapitano Achab?»

Achab afferrò un moschetto carico dalla rastrelliera (che nella maggiorparte delle navi australi è uno dei

mobili di cabina)e puntandolo contro Starbuck gridò: «C'è un solo Dioche è Signore sulla terrae un solo capitano che

è signore sul Pequod. In coperta!»

Per un attimodagli occhi in fiamme e dalle guance infocate dell'ufficialequasi l'avreste creduto colpito

davvero dalla vampata della canna che lo minacciava. Ma egli dominòl'emozionesi alzò quasi calmoe nel lasciare la

cabina si fermò un attimo e disse: «Tu mi hai oltraggiatosignorenoninsultato. Ma per questo non ti chiedo di

guardarti da Starbuck. Ti farebbe solo ridere. Ma che Achab si guardi daAchab. Guardati da te stessovecchio.»

«Diventa coraggiosoperò obbedisce. Un coraggio proprio prudente!»mormorò Achab mentre Starbuck

spariva. «E che ha detto? Achab si guardi da Achab: non è poi stupido!» Eadoperando senza volerlo il moschetto come

bastonecominciò con un volto di ferro a camminare avanti e indietro nellapiccola cabina; ma dopo un poco le pieghe

profonde e fitte della fronte gli si disteseroe Achab ripose il moschettonella rastrelliera e uscì sul ponte.

«Non sei che un tipo troppo buonoStarbuck» disse piano all'ufficiale;poialzando la voceall'equipaggio:

«Serra belvederevelaccio e velaccinopoppa e prua; braccia a collo ilpennone maestro; issa i paranchi per svuotare la

stiva!»

Forse sarebbe inutile cercare di capire esattamente perché mai Achab agì inquesto modo nei riguardi di

Starbuck. Può essere statoin luiun lampo di onestà; o una semplicepolitica di prudenza chenella circostanzagli

proibì fermamente il minimo sintomo di apertaseppure passeggeradisaffezione verso l'importante primo ufficiale

della sua nave. Comunque sia statogli ordini vennero eseguitie i paranchisalirono.

CX • QUEEQUEG NELLA BARA

L'ispezione provò che le botti calate ultime nella stiva erano perfettamentesanee che la falla doveva essere

più in basso. Cosìessendo il tempo buonosvuotarono sempre più a fondodisturbando il sonno delle immense botti

del pianoterrae mandando quelle moli gigantesche da quella nera mezzanottein alto nella luce del sole. Scesero così in

fondoe l'aspetto dei recipienti più bassi era così anticocorroso eviscido d'algheche quasi ci si aspettava di vedere da

un momento all'altro qualche ammuffita botte angolare contenente monete delcapitano Noècon copie dei manifesti

affissi invano per avvertire del diluvio quel fanatico mondo antico. Venneropure tirati fuori barili su barili d'acqua

dolcedi panedi carnee fasci di doghee mucchi di cerchi di ferrosinché alla fine diventò difficile aggirarsi per i.176

ponti sovraccarichi; e lo scafo svuotato echeggiava sotto i piedi come acamminare sul vuoto di catacombee barcollava

e rollava nel mare come una damigiana piena d'aria. Fortuna che i tifoni nonla visitarono proprio allora.

Fu in questa occasione che il mio povero compagno pagano e fedele amico delcuoreQueequegsi prese una

febbre che lo portò a due passi dall'immortalità.

Debbo dire che in questa nostra professione le sinecure sono sconosciutel'onore e il pericolo si tengono per

mano: finché non arrivate a essere comandantepiù si sale e più c'è dasgobbare. Così era per il povero Queequeg che

come ramponierenon solo doveva affrontare tutti i furori della balena vivama (come abbiamo visto altrove) salire

sulla sua morta schiena in un mare mossoe finalmente scendere nelle tenebredella stivae sudando amaramente tutto il

giorno in quella prigione sepoltamaneggiare risolutamente le più scomodebottie provvedere al loro stivaggio.

Insommatra i balenierii ramponieri sono ciò che si chiamano marinai distiva.

Povero Queequeg! Quando la nave fu quasi mezza sbudellataavreste dovutochinarvi sulla boccaporta e dare

un'occhiata laggiùdovevestito solo delle mutande di lanail selvaggiotatuato andava strisciando tra l'umidità e il

fangocome un verde ramarro maculato in fondo a un pozzo. E un pozzo o unaghiacciaia risultò per luipovero

pagano: strano a dirsicon tutto il caldo delle sue sudatevi prese unterribile colpo di freddo che si voltò in febbree

alla finedopo qualche giorno di sofferenzelo stese nella branda propriosul limitare dell'uscio della morte. Come si

consumò e ridusse in quei pochi lunghissimi giornifinché non parverestare di lui molto di più dello scheletro e dei

tatuaggi! Ma mentre tutto il resto in lui smagriva e gli zigomi gli siaffilavanogli occhi invece parevano farsi più

grandiprendevano una strana luce morbidae vi fissavano dolci ma intensidal fondo della sua malattiameravigliosi

testimoni di quella sanità immortale che in lui non poteva morire néindebolirsi. E come cerchi nell'acqua che svanendo

si allarganocosì pareva che i suoi occhi crescessero di continuocome glianelli dell'eternità. Un sacro indicibile terrore

vi prendevamentre sedevate accanto a questo selvaggio in agoniae glivedevate in faccia quelle cose strane che videro

quelli che assistevano Zoroastro morente. Perché tutto ciò che è veramenteprodigioso e tremendo nell'uomofinora non

è stato mai messo in parole o in libri. E l'avvicinarsi della Mortechelivella tutti allo stesso modotutti colpisce allo

stesso modo con un'ultima rivelazioneche solo di tra i morti uno scrittorepotrebbe descrivere adeguatamente. Sicché

ripetiamolo ancoranessun caldeo o greco moribondo ebbe pensieri più alti epiù santi di quellile cui ombre misteriose

si vedevano passare sulla faccia del povero Queequegmentre se ne stavaquieto nella branda oscillantee il mare

agitato pareva cullarlo gentile all'ultimo riposoe l'invisibile mareadell'oceano lo sollevava sempre più in alto verso il

suo destino nel cielo.

Non uno dell'equipaggio che non lo desse per morto; e quanto a Queequegstessociò che pensava del suo caso

fu dimostrato energicamente da un curioso favore che chiese. Chiamò a séuno nel grigio quarto della dianaquando il

giorno stava appena nascendoe prendendogli la mano disse che mentr'era aNantucket aveva visto per caso certe

piccole canoe di legno scurocome il ricco legno di guerra della sua isolanativae chiedendo aveva saputo che tutti i

balenieri che morivano a Nantucket venivano composti in quelle nere canoe.L'idea di essere seppellito in quel modo gli

era piaciuta moltoperché non era diversa dalle usanze del suo stessopopoloche dopo avere imbalsamato un guerriero

lo stendeva nella sua canoa e lo lasciava portare dalle onde agli arcipelaghistellari; difattinon solo essi credono che le

stelle siano isolema che molto al di là di tutti gli orizzonti visibili iloro dolci mari immensi si mescolino ai cieli

azzurrie così formino i frangenti bianchi della via lattea. Aggiunse cherabbrividiva al pensiero di venire sepolto nella

sua branda secondo i costumi abituali del maree buttato come qualcosa divile ai pescicani che si nutrono di morte. No:

egli desiderava una canoa come quelle di Nantucketa lui come balenieretanto più congenialivisto che queste canoe-casse

da morto sono senza chiglia come una lancia a balene; per quanto ciòimportasse governo incerto e molto

scarroccio nella rotta che scende ai secoli oscuri.

Oraappena si seppe a poppa di questo strano casoil carpentiere ricevettesubito l'ordine di accontentare

Queequegqualunque cosa chiedesse. C'erano a bordo certe vecchie travibarbarichecolore di barache durante un

lungo viaggio precedente erano state tagliate dai boschi aborigeni delleisole Laccadivee si raccomandò di fare la cassa

con queste tavole scure. Saputo dell'ordine il carpentiere dà mano alregoloe con tutta la sveltezza incurante del suo

carattere va dritto al castello a prendere con gran cura le misure diQueequegsegnando regolarmente col gesso la

persona di Queequeg ogni volta che spostava lo strumento.

«Ah povero diavolo! Ora sì che muore» fece il marinaio di Long Island.

Ma quello torna al suo banco e per comodità e riferimento generico viriporta la lunghezza esatta che deve

avere la bara. Poi fa il riporto permanente tagliando due tacche alleestremità. Fatto questoraccoglie tavole e strumenti

e si mette al lavoro.

Quando l'ultimo chiodo fu infissoe il coperchio debitamente piallato eadattatoil maestro si buttò la cassa

sulle spalle con disinvoltura e avanzò a prua con quell'affare addossodomandando se da quella parte le cose erano

pronte.

Ma Queequegsentite le grida sdegnate ma semischerzose con cui gli uomini incoperta cominciarono a

respingere la baratra la costernazione di tutti comandò che quella glifosse portata immediatamentee non ci fu modo

di negarglieloperché di tutti i mortali certi moribondi sono i piùtirannici; e certo quei poveracci dovrebbero andare

accontentativisto che in breve ci daranno per sempre tanto poco disturbo.

Sporgendosi dalla brandaQueequeg osservò a lungo e attentamente la bara.Poi domandò il suo ramponene

fece togliere il palo di legnoe mettere il ferro nella cassa assieme a unadelle pagaie della lancia. Inoltresempre a sua

richiestavennero disposte gallette torno torno sui latiuna fiasca d'acquadolce alla testae ai piedi un sacchetto di terra

legnosa racimolata giù in stiva. E fattosi arrotolare come cuscino un pezzodi tela da velaQueequeg pregò di deporlo.177

nel suo ultimo lettoper sperimentarne le comoditàse ne aveva. Giacquesenza muoversi per alcuni minutipoi disse a

uno di pescare nel sacco e portargli il suo piccolo dio Yojo. E incrociandole braccia sul petto con Yojo nel mezzo

domandò che gli mettessero addosso il coperchio (il portello diceva lui). Laparte di testa girava su una cerniera di

cuoioed ecco lì Queequeg disteso nella baramostrando poco più del suoviso composto. «Rarmai» (va bene; è

comodo) mormorò finalmentee fece segno che lo rimettessero nella branda.

Ma prima che ciò fosse fatto Pipche si era aggirato lì attorno tutto iltemposi avvicinò all'altro disteso e lo

prese per mano con singhiozzi sommessitenendo il tamburello nell'altramano.

«Povero giramondo! Non la finirai mai con questo faticoso girare? Dove vaiora? Ma se le correnti ti portano a

quelle dolci Antille dove le spiagge sono battute solo dalle ninfeeme lafai una piccola commissione? Domanda di un

certo Pipche ormai manca da molto: credo si trovi in queste lontaneAntille. Se lo trovi confortalo perché dev'essere

triste assai. E guarda! ha lasciato il suo tamburello. L'ho trovato io.Rig-a-digdigdig! OraQueequegmuoriche io ti

suono la marcia funebre.»

«Ho sentito dire» mormorò Starbuck guardando per il portello«che certiuomini assolutamente ignoranti

presi da qualche febbre violentahanno parlato le lingue antichee chequando si sonda il mistero si trova sempre che

nella loro infanziacompletamente dimenticataquelle lingue erano stateparlate realmente in loro presenza da qualche

grande studioso. Così io credo profondamente che il povero Pipin questapazzia strana e gentileci porta testimonianze

celesti di tutte le nostre patrie lassù. Dove può averle imparate questecose se non lì? Attentiparla di nuovoma ora in

modo più scomposto.»

«In riga per due! Facciamone un Generale! Ehidov'è il rampone? Metteteloqui di traverso. Rig-a-digdig

dig! Urrà! Ehci vorrebbe un gallo da combattimento che gli stesse sullatesta e cantasse! Queequeg muore da

coraggioso! Ricordàtelo: Queequeg muore da coraggioso! Stateci bene attenti:Queequeg muore da coraggioso! Dico:

da coraggiosoda coraggioso! Ma quel vile di Pipetta è morto da codardo; èmorto tutto tremando: abbasso Pip! Senti

se trovi Pipdici a tutte le Antille che è un disertoreun vigliaccounvigliacco! Di' loro che è saltato da una lancia! Non

batterei mai il mio tamburello su quel vigliacco di Pip e non lo salutereiGeneralese fosse qui di nuovo a morire. No

novergogna per tutti i vigliacchivergogna a loro! Affoghino tutti comePipche è saltato dalla lancia. Vergogna!

Vergogna!»

Per tutto questo tempo Queequeg giacque con gli occhi chiusicome in unsogno. Pip fu allontanatoe il

malato rimesso nella branda.

Ma ora che apparentemente aveva fatto ogni preparativo per morireora che lacassa da morto era risultata ben

costruitaQueequeg di colpo si riprese. Presto si vide che la cassetta delcarpentiere non serviva più: e a quel proposito

quando qualcuno espresse la sua lieta sorpresaQueequeg rispose in sostanzache la causa della sua improvvisa

convalescenza era questa: al momento criticosi era appunto ricordato di unpiccolo dovere a terra che stava per lasciare

incompiutoe perciò aveva cambiato idea quanto a morire: ancoradichiarònon poteva morire. Allora gli chiesero se

vivere o morire dipendeva dal suo sovrano volere e piacere. Certamenterispose. In una parolal'idea di Queequeg era

che se un uomo si metteva in testa di vivereuna semplice malattia non lopoteva uccidere: potevano farlo solo una

balena o una bufera o qualche forza distruttrice di quel genereviolentaincontrollabile e bruta.

Ora c'è questa differenza notevole tra il selvaggio e il civile: che mentreun uomo civile malatogeneralmente

parlandoci può mettere sei mesi a guarireun selvaggio malato in unagiornata è quasi rimesso. Così ben presto il mio

Queequeg riprese forzae alla finedopo essere rimasto per qualche giorno asedere indolente sull'argano (mangiando

però con appetito gagliardo) saltò all'improvviso in piedigettò all'ariagambe e bracciasi dette una buona stirata

sbadigliò un pochinoe poi balzando a prua della sua lancia issata ebilanciando un arpionesi dichiarò in forma per

combattere.

Con un barbaro capriccioegli adoperò ora la sua bara come cassoneevuotandoci dentro il sacco dei vestiti li

mise in ordine lì dentro. Molte ore libere le passò a intagliare ilcoperchio con ogni sorta di figure e disegni grotteschie

pareva che cercasse così di copiare nella sua maniera rozza parti deltatuaggio intricato del suo corpo. E questo

tatuaggio era stato opera di un defunto veggente e profeta della sua isolache con quei geroglifici gli aveva tracciato

addosso una teoria completa dei cieli e della terrae un trattatomisterioso sull'arte di raggiungere la verità. Sicché

Queequeg era nella sua stessa persona un enigma da sciogliereun'operameravigliosa in un solo volumema i cui

misteri neanche lui sapeva leggereper quanto pulsassero con gli stessibattiti del suo cuore: questi misteri erano perciò

destinati a sgretolarsi alla fine assieme alla viva pergamena su cui eranotracciatie così a restare insoluti per sempre. E

doveva essere stato questo pensiero che suggerì ad Achab una fieraimprecazioneuna mattinanel voltarsi via dopo

avere osservato il povero Queequeg: «Ahdiabolico supplizio di Tantalodegli dei!»

CXI • IL PACIFICO

Scivolando lungo le isole Bashialla fine uscimmo sul grande mare del Sud; ealloranon avessi avuto altri

frastorniavrei potuto salutare il mio diletto Pacifico con ringraziamentiinfinitiperché ora si esaudiva la lunga

aspirazione della mia gioventù: quell'oceano sereno srotolava dinanzi a meverso oriente mille leghe d'azzurro.

C'è non si sa quale dolce mistero in questo marei cui movimenti soavi eterribili sembrano parlare di qualche

anima nascosta nel suo profondocome quegli ondeggiamenti favolosi dellezolle di Efeso sul sepolto evangelista San.178

Giovanni. Ed è giusto che su questi pascoli marinisu queste praterieacquose dall'ampio rollìo e su questi camposanti

dei quattro continentile onde si alzino e ricadanoe fluiscano erifluiscano senza posa; perché qui milioni di spiriti e

ombre mistedi sogni annegatidi sonnambulismidi fantasticherietuttociò che chiamiamo vite e anime giacciono

sognandosognando semprerivoltandosi come dormienti nei loro lettiilmareggiare dell'onda reso eterno solo dalla

loro inquietudine.

Per ogni pensoso vagabondo iniziato alle cose segretequesto Pacificoserenouna volta vedutosarà per

sempre il mare della sua adozione. Esso smuove le acque più centrali delmondol'Oceano Indiano e l'Atlantico

servendogli soltanto da braccia. Le stesse onde bagnano le dighe delle nuovecittà californianefondate appena ieri dalla

più recente stirpe umanae lavano gli orli stinti ma sempre sfarzosi delleterre asiatichepiù vecchie di Abramo; mentre

tutt'in mezzo affiorano vie lattee d'isole corallinee bassiinfinitisconosciuti arcipelaghi e Giapponi impenetrabili.

Così questo Pacifico misterioso e divino cinge l'intera massa del mondofadi tutte le coste un'unica sua baiasembra il

cuore della terra che batte nelle sue maree. Sollevati da quegli eternirigonfiamentinon potete che riconoscere il dio

seducentepiegando la testa dinanzi a Pan.

Ma pochi pensieri di Pan agitavano il cervello di Achabmentre dritto comeuna statua di ferro al solito posto

accanto alle manovre di mezzanacon una narice fiutava inconsciamente ilmuschio zuccherino delle isole Bashi (nei

cui boschi soavi passeggiavano di sicuro teneri amanti)e con l'altraaspirava coscientemente il respiro salino del nuovo

mare; quel mare in cui proprio allora doveva nuotare l'odiata balena bianca.Lanciato finalmente su queste acque quasi

ultimee scivolando verso la zona di caccia del Giapponeil proposito delvecchio si faceva più forte. Le sue labbra

ferme s'incontravano come le labbra di una morsa; il Delta delle venefrontali si gonfiava come una piena di torrenti;

perfino nel sonno il suo grido risonante echeggiava sotto le volte delloscafo:

«Indietro tutto! La balena bianca sputa sangue denso!»

CXII • IL FABBRO

Approfittando della tenerafresca temperatura estiva che ora regnava inqueste latitudinie in previsione dei

lavori particolarmente intensi che presto si sarebbero profilatiPerthilvecchio fabbro sporco e vescicosonon aveva

riportato la fucina portatile nella stiva dopo avere terminata la sua partedi lavoro per la gamba di Achabma continuava

a tenerla in copertalegata stretta a dei perni ad anello accanto altrinchetto; perché ora i capibarcai ramponieri e i

vogatori gli chiedevano quasi di continuo di fare qualche piccolo lavoro:alterare o riparare o rifoggiare le varie armi e

gli attrezzi delle lance. Spesso si ritrovava al centro di un cerchiod'uomini impazientitutti in attesa di essere serviti

armati di vanghe da cacciateste di picca e ramponi e lancea seguire conocchi gelosi ogni suo fuligginoso movimento

mentre sudava come un mulo. Tuttavia il martello di questo vecchio erapazientee vibrato da un braccio paziente. Da

lui non veniva brontolioné scatto irritatoné insolenza. Silenziosolento e solennecurvando ancora di più la sua

schiena cronicamente curvasi affaticava come se la fatica fosse la vitastessae il battito pesante del suo martello il

picchio greve del suo cuore. E così era. Che tristezza!

Un modo strano di camminare in questo vecchioun certo straorzare del passoleggero ma penoso a vedersi

aveva nei primi tempi del viaggio destata la curiosità dei marinai. Eall'insistenza delle loro moleste domande egli aveva

ceduto alla finee così era successo che ora ognuno conosceva la storiavergognosa e triste del suo destino.

Una gelida notte d'invernosorpreso dal buioe non senza propria colpasulla strada che univa due cittadine di

campagnail fabbro aveva sentitomezzo stordito com'eraun torpore mortaleche cominciava a invaderloe aveva

cercato rifugio in un granaio decrepitocrollante. Il risultato era stata laperdita di tutte e due le estremità dei piedi. Da

questa rivelazionea pezzo a pezzoerano venuti fuori alla fine i quattroatti felici e il quinto atto lungodoloroso e

finora privo di catastrofe del dramma della sua vita.

Era un vecchio che a quasi sessant'anni aveva incontrato ciò che nel gergodel dolore si chiama rovina. Era

stato un artigiano abile e rinomatoe con molto da fare. Possedeva una casae un giardinoaveva una moglie giovane

innamoratadevota come una figliae tre bambini rosei e allegri; tutte ledomeniche andava a una chiesa gaiatra gli

alberi. Ma una notteal riparo del buio e ancora più protetto da untravestimento abilissimoun pericoloso scassinatore

irruppe in quella casa felice e li spogliò di tutto. E ancora più tetro adirsifu il fabbro stessoignaroa portare il

delinquente nel seno della famiglia. Fu lo spirito perverso nella bottiglia!All'aprire il tappo fatale il demone volò fuori e

fece avvizzire la casa. Per ragioni di prudenzadi buonsenso e di economiala bottega del fabbro era nel seminterrato

dell'abitazionema con un ingresso separato; sicché la giovane sposa sana einnamorata aveva sempre ascoltatosenza la

minima apprensioneanzi con forte piaceregli squilli vigorosi del martellodel vecchio marito dalle braccia giovanili;

quelle onde sonoresmorzate dai pavimenti e dalle paretisalivano fino aleinon senza dolcezzanella camera dei

bambini. E così i figli del fabbro erano cullati al sonno dalla ferreaninnananna del lavoro energico.

Oh dolore su dolore! Oh Morteperché non puoi qualche volta esseretempestiva? Avessi preso con te questo

vecchio fabbro prima che gli crollasse addosso la completa rovinaallora lagiovane vedova avrebbe avuto un dolore

deliziosoe gli orfani un padre leggendarioveramente venerabiledi cuisognare negli anni venturi; e tutti quanti un

benessere acconcio a uccidere i dolori. Ma la Morte spiccò qualche virtuosofratello maggioresulla cui quotidiana

fischiettante fatica gravavano unicamente le responsabilità della famigliadi un altroe lasciò il vecchio peggio che

inutileritto lì fin quando la corruzione schifosa della vita non l'avessereso più facile a mietersi..179

Perché raccontare tutto? I colpi di martello nell'interrato si fecero ognigiorno più radie ogni giorno ogni colpo

diventò più debole del precedente; la moglie sedette agghiacciata allafinestrae gli occhi aridi le scintillavano sui volti

lacrimosi dei bambini; il mantice crollòla fucina s'affossò di cenerilacasa fu vendutala madre si tuffò nell'erba del

cimiteroe per due volte vi fu seguita dai figli; e il vecchio senza casa esenza famiglia se ne andò barcollandoun

vagabondo in luttoné i suoi dolori ispirarono rispettoe il suo capogrigio diventò uno zimbello per ogni ricciolo

biondo.

La morte sembra l'unica desiderabile continuazione di una storia come questa.Ma la morte è solo un salpare

nella regione dello strano Inesploratoè solo il primo saluto allepossibilità dell'immenso Remotodel Selvaggio

dell'Equoreodello Sconfinato. E perciò agli occhi avidi di morte di uominisimilicui resta ancora nell'animo qualche

scrupolo contro il suicidiol'oceano a cui tutti accorrono e che ricevetutti dispiega seducente tutta la sua plaga di terrori

inconcepibili e avvincentie di avventure nuovemeravigliose; e dai cuoridi infiniti Pacifici le sirene cantano loro a

migliaia: «Vieni quitu dal cuore spezzato: ecco un'altra vitasenza chedi mezzo ci sia da pagare con una morteecco

meraviglie soprannaturalisenza che occorra morire per raggiungerle. Vieni!Seppellisciti in una vita che per il tuo

mondo di terrafermaegualmente aborrito e aborrenteè più obliosa dellamorte. Vieni! Alza pure la tua lapide nel

cimitero e vienichè noi ti sposeremo!»

Ascoltando queste voci da oriente e da occidenteal sorgere del sole e alcadere della seral'anima del fabbro

rispose: «Sìvengo!» E così Perth andò a fare il baleniere.

CXIII • LA FUCINA

Con la barba irsutae avvolto in un rugoso grembiale di pelle di pescecanePerth stava verso mezzogiorno tra

la fucina e l'incudinequest'ultima piazzata su un ceppo di carpinoe conuna mano teneva tra i carboni una testa di

piccabadando con l'altra ai polmoni della fucinaquando arrivò ilcapitano Achab con in mano un sacchetto di cuoio

dall'aria arrugginita. Ancora a una certa distanza dalla fucina il cupo Achabsi fermò; finché Perthcavando il ferro dal

fuococominciò a batterlo sull'incudinee il blocco rosso sprizzò fittisciami di scintilledi cui qualcuna volò fino ad

Achab.

«Sono queste le tue procellariePerth? Le hai sempre sulla scia. Uccelli dibuon augurioanchema non per

tutti. Guarda come bruciano: ma tu ci vivi in mezzo senza una scottatura.»

«Perché oramai sono tutto spellatocapitano Achab» rispose Perthfermandosi un attimo sul martello«sono a

prova di scottatura. Non è facile scottare una cicatrice.»

«Be'be'basta. La tua voce raggrinzita mi suona troppo calma e sana nelsuo dolore. Visto che non sono in

Paradisonon posso soffrire pena altrui che non sia frenetica. Dovrestiimpazzirefabbro; di'perché non impazzisci?

Come puoi resistere senza impazzire? Forse i cieli ti odiano ancorache tunon puoi impazzire?... Cosa facevi là?»

«Saldavo una vecchia testa di piccasignore: era tutta ammaccata eintaccata.»

«E puoi farla di nuovo lisciafabbrodopo tutto il lavoro duro che hafatto?»

«Credo di sìsignore.»

«Immagino che tu sai spianare quasi ogni sorta di tacche e di ammaccatureper quanto duro il metallo.»

«Sissignorecredo di sì: ogni ammaccatura e taccatranne una.»

«Guarda qui allora» gridò Achab facendosi avanti agitato e appoggiandosicon le due mani sulle spalle di

Perth: «Guarda quiqui: puoi spianare una tacca come questafabbro?»passandosi una mano sulla fronte scanalata. «Se

lo potessifabbrometterei volentieri la testa sull'incudine per sentirmitra gli occhi il tuo martello più pesante.

Rispondi! La puoi spianare questa tacca?»

«Ehquesta è proprio quellasignore! Non ho detto: tuttetranne una?»

«Sicurofabbroè proprio quella. Sicurovecchioè incancellabile.Perché tu la vedi solo nella carnema

invece mi è penetrata nell'osso del cranio: quelloè tutto rughe!Ma basta coi giochi da bambini. Per oggibasta con

uncini e picche. Guarda qui!» facendo tintinnare il sacchetto di cuoiochepareva pieno di monete d'oro: «Anch'io ho

bisogno di un ramponeuno che mille paia di diavoli non devono poterstaccarePerthqualcosa che si pianti in una

balena come l'osso della sua pinna. Ecco il materiale»e gettò la borsasull'incudine. «Sono mozziconi di chiodi presi

dai ferri di cavalli da corsa.»

«Pezzi di ferri da cavallosignore? Be'capitano Achaballora hai ilmateriale migliore e più robusto su cui

lavoriamo noi fabbri.»

«Lo sovecchio: questi pezzi si salderanno assieme come colla fatta con leossa di assassini. Svelto! Fammi il

rampone. E fammi anzitutto dodici sbarre per l'asta; poi piegaletorcile emartellale assieme come le filacce e i legnuoli

di un cavo di tonneggio. Svelto! Io ti attizzo il fuoco.»

Quando alla fine le dodici sbarre furono pronteAchab le provò a una a unaavvolgendole di sua mano attorno

a un lungo pesante perno di ferro: «Una screpolatura!» scartando l'ultima.«RifallaPerth.»

Quando l'ebbe finitaPerth stava per cominciare a saldare le dodici sbarrein unama Achab gli fermò la mano

e disse che avrebbe saldato lui stesso il suo ferro. E mentre martellavasull'incudine con colpi di respiro regolarie Perth

gli passava una dopo l'altra le sbarre roventie la fucina concitatasprizzava dritta in alto la sua densa fiammatapassò.180

silenzioso il Parsie facendo un inchino del capo verso il fuocoparveinvocare su quella fatica una maledizione o una

benedizione. Ma quando Achab alzò gli occhi scivolò via.

«Che ha da girare lì attorno quel mazzo di fiammiferi?» brontolò Stubbguardando dal castello di prua. «Quel

Parsi sente l'odore del fuoco come di una miccia.e ne ha la puzza addossocome il focone caldo di un moschetto.»

Alla fine l'astafusa in un solo fascioricevette l'ultima arroventata; ementre Perth per temprarla la immergeva

tutta fischiante nella botte d'acqua lì accantoil vapore scottantesprizzò sulla faccia china di Achab.

«Perthmi vuoi mettere il marchio?» E trasalì un attimo dal dolore :«Non avrò fucinato il ferro che per

marchiarmidunque?»

«Dio non voglia; ma ho qualche timorecapitano Achab. Questo ramponenonè per la balena bianca?»

«Per il diavolo bianco! Alle punteora. Devi farle tu stessovecchio. Eccoi miei rasoi: l'acciaio migliore.

Prendie fa' le punte taglienti come gli aghi di nevischio del MareGlaciale.»

Per un momentoil vecchio fabbro adocchiò i rasoi come se avesse voluto nonusarli.

«Prendiliamiconon mi servono; perché ora non mi rado piùe non ceno enon prego fino a che... ma avanti

al lavoro!»

Alla finefoggiato a forma di freccia e saldato da Perth all'astal'acciaioappuntì l'estremità del rampone; e

preparandosi a dare alla lama l'arroventata finale prima di temprarlailfabbro gridò ad Achab di mettergli vicino la

botte dell'acqua.

«Nononiente acqua per questo; lo voglio temprato proprio nella morte.Oèlà! TashtegoQueequeg

Daggoo! Sentitepaganivolete darmi un po' di sangue per coprire questapunta?» e la alzò alta. Un groppo di tetri cenni

rispose: «Sì.» Si fecero tre punture nella carne paganae poi sitemprarono le punte della balena bianca.

«Ego non baptizo te in nomine patrissed in nomine diaboli!»urlò Achab smaniandomentre il maligno ferro

divorava sfrigolando il sangue battesimale.

Orapassate in rassegna le pertiche tenute giù di riservae sceltane unadi noce d'Americaancora rivestita

della cortecciaAchab ne adattò la punta all'incavo del ferro. Fu poidisfatta una duglia di lenza nuovae alcune tese

portate all'argano e stirate a forte tensione. Premendovi il piede soprafinché il cavo ronzò come una corda d'arpae poi

chinandosi avidamente e non vedendo trefoliAchab esclamò: «Bene! E ora lelegature.»

A un'estremità la fune venne disfattae le singole filacce stirate vennerotutte raccolte e intrecciate attorno

all'incavo del rampone; poi la pertica fu spinta a forza nell'incavo;dall'estremità inferiore il cavo fu riportato fino a metà

della lunghezza della perticae qui assicurato saldamente con legature dispago. Fatto questoperticaferro e funecome

le tre Parcherestarono inseparabilie Achab se ne andò tetro con l'armamentre il suono della gamba d'avorio e il

suono della pertica di noce si accoppiavano vacui su ogni tavola. Ma primache entrasse in cabina si sentì un rumore

lieveinnaturalemezzo beffardo eppure assai pietoso. Oh Pipla tua tristerisatail tuo occhio ozioso ma inquietotutte

le tue strane smorfie si mischiavano non senza significato alla nera tragediadella nave ma linconicae la schernivano!

CXIV • L'INDORATORE

Penetrando sempre più nel cuore della zona di caccia del Giapponeil Pequodfu presto tutto in trambusto per

la pesca. Spessocon un clima tiepido e gradevoleper dodiciquindicidiciotto o venti ore di fila gli uomini erano

occupati nelle lance ad arrancare senza tregua o andare alla vela o a forzadi pagaia dietro alle baleneo ad aspettare

immobili per un intervallo di sessanta o settanta minutiche tornassero agalla. Ma poco successo premiava le loro

fatiche.

In simili occasionisotto un sole mitetutto il giorno a galla su acquelisce che si gonfiano lentequando si

siede nella lancia leggera come una canoa di betullacon tanta socievolezzacommista ai flutti molliche come gatti

domestici vengono a farle le fusa attorno al capo di banda; è in questimomenti di pace sognante che contemplando la

bellezza e lo splendore tranquilli della pelle dell'oceano un uomo dimenticail cuore di tigre che vi palpita sottoe

preferirebbe non ricordare che quella zampa vellutata nasconde in effetti unartiglio senza rimorsi.

È in questi momenti chenella sua barca a baleneil vagabondo provasommessamente verso il mare non so

che sentimento filialefiduciosoterrestre; e lo considera come una granterra fiorita; e la nave lontanache mostra solo

le vette degli alberisembra avanzare a fatica non attraverso alte ondate maattraverso l'erba ondeggiante di una prateria

come quando nel West i cavalli dei pionieri mostrano solo le orecchie drittee i corpi nascosti s'aprono un ampio guado

nel verde meraviglioso.

Le lunghe valli verginii fianchi dei colli di tenue azzurromentre sututto si spande il silenzioil ronzio: quasi

giurereste che ragazzi stanchi di giocare giacciano addormentati in questesolitudiniin qualche maggio felicequando

si raccolgono i fiori dei boschi. E tutto questo si fonde col vostro umorepiù misticosicché realtà e fantasia

incontrandosi a mezza stradasi compenetrano e formano un unico tutto.

Né queste scene rasserenantiper quanto effimeremancarono di produrre uneffetto almeno altrettanto

passeggero su Achab. Ma se queste segrete chiavi d'oro parvero aprirglidentro i suoi aurei tesori segretituttavia l'alito

che vi respirò sopra non fece che ossidarli.

Oh radure erbose! Oh infiniti paesaggi di eterna primavera dell'anima! Invoibenché da tanto tempo inariditi

dalla morta siccità della vita terrenain voi gli uomini possono ancoratuffarsi come giovani puledri nel trifoglio nuovo.181

del mattinoe per qualche attimo effimero sentirsi addosso la fresca rugiadadella vita immortale. Volesse Iddio che

queste calme benedette durassero! Ma nel loro mutuo incrociarsi i fili dellavita sono intessuti a trama e ordito: calme

attraversate da tempesteuna tempesta per ogni calma. Non c'è progressofermo e irreversibile in questa vita; non

avanziamo per gradi fissi verso l'ultima pausa finale: attraverso l'incantoinconscio dell'infanziala fede spensierata

dell'adolescenzail dubbio della gioventù (destino comune)e poi loscetticismoe l'incredulitàper fermarci alla fine

maturinella pace pensosa del Forse. Nouna volta arrivati alla fineripercorriamo la stradae siamo eternamente

bambiniragazziuomini e Forse. Dov'è l'ultimo porto da cui non salperemoma i più? In quale etere estatico naviga il

mondodi cui i più stanchi non si stancano mai? Dov'è nascosto il padredel trovatello? Le nostre anime sono come

quegli orfani le cui madri nubili muoiono nel partorirli: il segreto dellanostra paternità giace nella loro tombaed è lì

che dobbiamo cercarlo.

E quello stesso giorno anche Starbuckguardando in giù dal fianco della suabarca in quello stesso mare

doratomormorò a bassa voce:

«Bellezza insondabilequale mai vide un innamorato nello sguardo della suagiovane sposa! Non parlarmi dei

tuoi squali dai denti a saracinescae dei tuoi modi cannibaleschi dirapitore. Che la fede scacci i fattiche la fantasia

scacci la memoria: io guardo giù nel profondo e credo.»

E Stubb come un pesce dalle scaglie sfavillanti saltellò in quella lucedorata:

«Io sono Stubbe Stubb ha la sua storia; ma qui Stubb giura che è semprestato allegro!»

CXV • IL PEQUOD INCONTRA LO SCAPOLO

E allegri abbastanza furono i suoni e le immagini che ci arrivarono colventoqualche settimana dopo che il

rampone di Achab era stato saldato.

Era un bastimento di Nantucketlo Scapoloche aveva appena stivata l'ultimabotte d'olio e sprangate le

boccaporte su un carico traboccante; e ora col suo gaio abbigliamento festivose ne andava veleggiando lietoper quanto

un po' vanagloriosotra le navi che in ordine sparso battevano la zonaprima di puntare la prua verso casa.

I tre uomini alle sue teste d'albero portavano ai cappelli lunghe e strettefiamme di stamìna rossa; alla poppa era

appesa a fondo in giù una lanciae penzolante prigioniera al bompresso sivedeva la lunga mandibola dell'ultima balena

che avevano uccisa. Segnalibandiere e bandieruole di ogni coloresventolavano da tutti i lati alle manovre. Legati di

fianco a ciascuna delle tre coffe a canestro erano due barili di spermaceti;e sopranelle crocette di gabbiasi vedevano

smilzi barilotti dello stesso liquido preziosoe inchiodata al pomo dimaestrouna lampada di bronzo.

Come poi si seppelo Scapolo aveva avuto la più straordinaria fortuna;tanto più sbalorditiva perché

incrociando nelle stesse acque parecchie altre navi erano state mesi interisenza prendere un solo pesce. Non solo s'eran

dati via barili di carne e di pane per fare posto all'assai più preziosospermacetima erano state prese in cambio altre

botti supplementari dai bastimenti incontrati; e queste botti le avevanostivate lungo il ponte e nelle cabine del capitano

e degli ufficiali. Perfino il tavolo della cabina avevano spaccato per farnelegna da arderee i commensali pranzavano

sull'ampia cima di una botte d'olio assicurata al pavimento come mobile dicentro. Nel castello di prua i marinai

avevano addirittura calafatate e riempite le casse; e si aggiungevascherzosamente che il cuoco aveva inchiodato un

coperchio alla caldaia più grossa e l'aveva riempitache il dispensiereaveva messo un turacciolo alla caffettiera di

riserva e l'aveva riempitache i ramponieri avevano adattato coperchi allecavità dei ferri per riempirlee che insomma

tutto era pieno di spermacetieccetto le tasche dei pantaloni del capitanoe quelle le riservava a ficcarci le mani in

compiaciuta testimonianza della sua perfetta soddisfazione.

Mentre quest'allegra nave della buona sorte veniva incontro al malinconicoPequoddal suo castello ci giunse il

suono barbarico di enormi tamburi; e facendoci più vicinivedemmo una folladi uomini attorniare le enormi marmitte

da raffineriache coperte dal pergamenoso saccoo pelle dellostomaco del pesce neroemettevano un forte ruggito a

ogni battito dei pugni chiusi della ciurma. Sul casserogli ufficiali e iramponieri ballavano con le ragazze di pelle

olivastra scappate con loro dalle isole polinesianementre sospesi in unalancia tutta ornataassicurata saldamente arriva

fra il trinchetto e il maestrotre negri di Long Island con luccicantiarchetti d'osso di balena presiedevano all'allegra

sarabanda. Intanto altri dell'equipaggio si affaccendavano rumorosamenteintorno alla fabbrica della raffineria da cui

avevano smurato le grosse marmitte. Avreste quasi pensato che erano intentiad abbattere la maledetta Bastigliatali

urla selvagge alzavano nello scaraventare in acqua i mattoni e la calcinaormai inutili.

Signore e padrone su tutta la scenail capitano si rizzava sull'alto casserodella navein modo che tutto quel

dramma di gioia gli si spiegava davanti e pareva fatto solo per suo personaledivertimento.

E Achabanche lui stava in piedi sul suo casseroirsuto e nerocon uncipiglio caparbio; e mentre le due navi

si tagliavano le rottel'una tutto giubilo per cose trascorsel'altra tuttapresagi di ciò che doveva venirei loro due

capitani impersonavano in sé tutto il singolare contrasto della scena.

«Venite suvenite!» gridò l'allegro comandante dello Scapololevando inaria un bicchiere e una bottiglia.

«Hai visto la balena bianca?» ringhiò Achab per risposta.

«No. Solo sentito parlare. Ma non ci credo affatto» disse l'altro di buonumore. «Venite su a bordo!»

«Sei troppo allegroperdio. Va' pure. Hai perduto uomini?».182

«Poca roba: due isolaniecco tutto. Ma vieni suamiconevieni su. Tifaccio passare presto quel nero cipiglio.

Venite suavanti (si sta allegri qui!): nave carica e sulla via di casa.»

«Incredibile come può essere sfacciato uno stupido!» brontolò Achab. Poia voce alta: «Dici che hai la nave

piena e che torni a casa. Ebbenesappi che questa è una nave vuota che vavia da casa. Perciò va' per la tua stradae io

andrò per la mia. Oè di prua! Spiega ogni vela e tieni al vento!»

E cosìmentre una nave filava allegra davanti alla brezzal'altra lacombatteva caparbiae i due vascelli si

separarono; l'equipaggio del Pequod gettava sguardi gravi e lenti alloScapolo che si allontanavama quelli dello

Scapolo non ci badavano nemmenotutti presi dalla loro lieta baldoria. EAchabmentre si piegava sul coronamento e

fissava il legno diretto a casatirò di tasca una boccetta di sabbiaeguardando dalla nave alla sabbia parve mescolare

così due lontane ideeperché quella boccetta era stata riempita sullesecche di Nantucket.

CXVI • LA BALENA MORENTE

Non di rado in questa vitaquandosulla destraci passano vicini ifavoriti della fortunaper quanto accasciati

cogliamo un po' della brezza che irrompee sentiamo con gioia che le nostresformate vele si riempiono. Così parve

succedere al Pequod. Perché il giorno che seguì l'incontro con l'allegroScapoloavvistammo balene e ne uccidemmo

quattro: e una la uccise Achab.

Era pomeriggio avanzato; e quando finirono le lanciate di quella rossabattagliae fluttuando nel bel cielo e nel

bel mare del crepuscolosole e balena morirono ambedue in silenzioalloratanta dolcezza e tanta malinconiatante

preghiere intrecciate si levarono a spire in quell'aria di rosache parvequasi che lontanodalle verdiprofonde valli

solitarie delle isole di Manillala brezza spagnola di terracapricciosamente fattasi marinafosse venuta sul mare carica

di questi inni vespertini.

Rasserenato di nuovoma solo in una più profonda mestiziaAchab che avevarinculato dalla balena sedeva

osservando assortodalla sua barca quietal'agonia del pesce. Perchéquello strano spettacolo che si osserva in tutti i

capodogli morentiil volgere della testa verso il sole nello spirarequellostrano spettacolo visto in una sera tanto

placida ispirava in qualche modo ad Achab uno stupore finora sconosciuto.

«Volta e rivolta la fronte al solecon tanta lentezza ma con tantacostanzaper rendergli omaggio e invocarlo

con gli ultimi movimenti dell'agonia. Anche lui adora il fuocolui il piùfedeleil più grande e nobile vassallo del sole!

Oh che questi occhi troppo parziali debbano vedere queste cose che tropporiconfermano il loro acume. Guarda! Qui

rinchiusa da ogni lato da tanta acquadi là da ogni ronzio di gioia odolore umanoin questi mari così candidi e

imparziali dove nessuna rupe fornisce tavole alle tradizionidove per lungheetà cinesi le onde han sempre continuato a

rollare senza dire né ricevere parolacome le stelle che scintillano sullefonti sconosciute del Nigeranche qui la vita

muore rivolta al solepiena di fede; ma vedinon appena spiratala mortefa piroettare il cadaveregli volta la faccia da

qualche altro lato...

«O tu cupa metà indiana della naturache con ossa di annegati ti seicostruita un trono separato chissà dovenel

cuore di questi mari sterili; tu sei miscredentetu reginae mi parli controppa verità nell'ampia falce del Tifone e nella

pace funerea della calma che lo segue. E questa tua balena non ha rivolto alsole la sua testa morentegirando poi su se

stessasenza lasciarmi una lezione.

«O fianco tre volte cerchiato e saldato di potenza! O alto zampillo superboe iridato! Quello combattee questo

spruzza inutilmente! Invanobalenatu cerchi aiuto da quel solevivificatoreche fa sorgere la vitama non sa restituirla.

Eppuretu metà più cupami culli con una fede più superbase piùtetra. Tutte le tue fusioni indicibili mi ondeggiano

sottoqui; sono sostenuto a galla dai respiri di cose una volta viveesalati come ariaora divenuti acqua.

«Salve dunqueper sempre salvemare nelle cui scosse eterne l'uccelloselvaggio trova il suo unico riposo.

Nato dalla terrami ha allattato il mare; collina e valle mi sono statemadrima voi onde siete i miei fratelli di latte.»

CXVII • LA GUARDIA ALLA BALENA

Le quattro balene uccise quella sera erano morte in punti assai distanti: unalontano a sopravventouna meno

lontano a sottoventouna a pruavial'altra indietro. Queste tre ultimevennero rimorchiate alla nave prima di notte; ma

quella a sopravvento non si poteva ricuperare fino al mattinoe la barca chel'aveva uccisa le stette accanto tutta la notte.

Era la barca di Achab.

Il palo col guidone era piantato dritto nello sfiatatoio del cadavere; e lalanterna che pendeva dalla cima gettava

una luce tremanteagitata sul dosso nero e lucidoe più lontano sulle ondenotturne che massaggiavano gentili il fianco

ampio della balenacome debole risacca una spiaggia.

Achab e tutti gli uomini della barca parevano addormentatitranne il Parsiche accoccolato a prua stava a

fissare i pescicani che giocavano spettrali attorno alla carcassa epicchiavano con le code le sottili tavole di cedro. Un

suonocome il lamento degli spettri imperdonati di Gomorra vaganti a nugolisull'Asfaltidecorse rabbrividendo per

l'aria..183

Destato dal suo torporeAchab si trovò il Parsi faccia a faccia.Accerchiati dal buio della notteparevano gli

ultimi uomini in un mondo sommerso. «Li ho sognati di nuovo» disse.

«I carri funebri? Non ho dettovecchioche non ti toccherà né carro nébara?»

«E chi di quelli che muoiono in mare ha il carro funebre?»

«Vecchioti ho detto che prima che tu possa morire in questo viaggioduecarri funebri ti appariranno in verità

sul mare: il primo non fatto da mano mortale; e il legno visibile dell'altrodeve essere cresciuto in America.»

«Ma sìcerto! Proprio uno strano spettacoloParsi: un carro funebre coipennacchi che galleggia sull'oceanoe

le onde che reggono la bara. Ah! Uno spettacolo così non lo vedremopresto.»

«Credimi o nonon puoi morire finché non lo vedivecchio.»

«E cosa hai detto di te stesso?»

«Anche se vedi il secondoio me ne andrò sempre prima di tecome tuopilota.»

«E quando te ne sarai così andato primase mai succederàallora primache io ti segua tu mi devi riapparire per

pilotarmi ancora? Non era così? Be' allorase credessi tutto ciò che dicimio pilotaho qui due pegni che riuscirò

ancora a uccidere Moby Dick e a sopravvivergli.»

«Prendi un altro pegnovecchio» disse il Parsimentre gli occhi gli siaccendevano come lucciole nel buio.

«Solo il cappio ti può uccidere.»

«Vuoi dire la forca? Allora sono immortalesulla terra e sull'acqua»gridò Achab con una risata di scherno

«immortale sulla terra e sull'acqua!»

Ambedue si zittirono come una persona sola. L'alba grigia si alzòl'equipaggio dormente si levò dal fondo

della lanciae prima di mezzogiorno la balena fu portata a fianco dellanave.

CXVIII • IL QUADRANTE

Finalmente si avvicinava la stagione dell'Equatore; e ogni giornoquandoAchab uscendo dalla cabina alzava

gli occhi all'alberaturail timoniere vigile maneggiava con ostentazione imanubrie i marinai pieni di zelo si

precipitavano ai bracci e vi si fermavano con gli occhi fissi in cerchio suldoblone inchiodatoaspettando impazienti

l'ordine di mettere la prua all'equatore. E infine l'ordine venne. Era quasimezzogiornoe Achabseduto sulla prua della

sua lancia issata altafaceva il suo solito rilevamento quotidiano del soleper determinare la latitudine.

Orain quel mare giapponesei giorni estivi sono come alluvioni di luce.Quel vivido sole giapponese che mai

si appanna pare il fuoco avvampato dell'immenso specchio ustorio di quel maredi vetro. Il cielo pare di laccanon c'è

una nuvolal'orizzonte va tremolandoe questa nudità di fulgore monotonoè simile agli splendori insopportabili del

trono di Dio. Fortuna che il quadrante di Achab era munito di vetri coloratiattraverso cui guardare quel fuoco solare.

Cosìdondolando la sua figura seduta al rollìo della navee con l'occhioal suo strumento da astrologoegli restò in

quella posizione alcuni momenti per cogliere l'attimo preciso in cui il soleentrava nel meridiano. Intantomentre era

tutto assortosotto di luisul ponteil Parsi s'inginocchiava e con lafaccia all'insù come quella di Achab fissava lo

stesso sole: solo che le palpebre gli ricoprivano per metà le orbitee lasua faccia selvaggia era dominata da un'assenza

terrena di emozioni. Infine l'osservazione necessaria fu presae portandosila matita sulla gamba d'avorio Achab calcolò

presto qual era la latitudine in quel preciso istante. Poirimasto per unmomento come assorto in una fantasticheriadi

nuovo guardò su al sole e mormorò tra sé: «Tu segno del marealto epotente pilotatu mi dici con verità dove sono: ma

puoi darmi il minimo indizio di dove sarò? O puoi dirmi dove qualche altracreatura si trova in questo momento? Dov'è

Moby Dick? In questo preciso istante tu certo lo vedi. E questi miei occhiguardano proprio l'occhio che ora lo vede; sì

e l'occhio che proprio ora vede anche le cose sull'altra tua facciasconosciutao sole!»

Poi fissando il quadrante e muovendo uno dopo l'altro i suoi numerosi aggeggicabalisticitornò a riflettere e

mormorò: «Stupido giocattolo! Ninnolo bambinesco di ammiragli altezzosiedi commodori e capitani. Il mondo si

vanta di tedella tua astuzia e della tua potenza; ma cosa puoi fare dopotuttose non dire il punto povero e misero dove

tu stesso per caso ti trovi su questo largo pianetatu e la mano che tiregge: e nient'altro! Tu non puoi dire dove una

goccia d'acqua o un granello di sabbia si troveranno domani a mezzogiorno:eppure con la tua incapacità insulti il sole!

O scienza! Maledettatu balocco inutilee maledette tutte le cose cheinnalzano gli occhi dell'uomo in alto verso quel

cielola cui vivida vita non fa che scottarlicome questi occhi mieistanchi sono scottati dalla tua luceo sole! Gli occhi

dell'uomo sono per natura appiattiti su questo orizzonte di terrae nonsaettano dalla cima del capocome sarebbe se

Dio l'avesse creato per guardare nel suo firmamento. Sii maledettoquadrante!» e lo scagliò sul tavolato. «Non guiderai

più il mio viaggio su questa terra. La bussola piana della navee il puntostimato col solcometro e la sagolaquesti mi

guideranno e mi indicheranno la mia posizione sul mare. Sicuro!» Saltòdalla lancia sul ponte: «Così ti calpestotu cosa

vile che indichi il cielo impotente: così ti spezzo e ti distruggo!»

Mentre il vecchio frenetico parlava cosìe pestava col piede vivo e colmortoun ghigno di trionfo che pareva

inteso per Achabe una disperazione fatalistica che voleva essere per sépassarono sulla faccia muta e immobile del

Parsi. Senza che nessuno lo vedessesi alzò e sgusciò viamentre imarinai atterriti dall'aspetto del comandante si

raggruppavano sul castello. Infine Achab che marciava agitato sul pontegridò: «Ai bracci! Barra al vento! Braccia in

dentro!».184

In un attimo i pennoni giraronoe mentre la nave ruotava quasi su se stessai suoi tre saldi alberi elegantiritti

sullo scafo lungo e nervatoparvero i tre Orazi che piroettavano su un unicorobusto cavallo.

Dritto in mezzo agli apostoliStarbuck osservava lo slancio tumultuoso delPequode quello di Achab che

andava rollando sul ponte.

«Sono stato seduto davanti alla fiamma densa del carbone e l'ho vista tuttasfolgorantepiena della sua vita

tormentosa; e l'ho vista smorzarsi alla finesempre piùfino a polveresilenziosissima. Vecchio degli oceani! Di tutta

questa tua vita selvaggiache cosa resterà alla fine se non un mucchiettodi cenere?»

«Certo» gridò Stubb«ma cenere di carbone marinonon lo dimenticatesignor Starbuck: carbone marinonon

il vostro ordinario carbone di legno. Benebeneho sentito Achab cheborbottava: "Qui qualcuno caccia queste carte

nelle mie vecchie mani e giura che debbo giocarle io e non altri." Chemi danniAchabse non fai bene: stai al gioco

fino all'ultimo!»

CXIX • LE CANDELE

I climi più caldi nutrono le zanne più feroci: la tigre del Bengala sirannicchia tra boschetti profumati di verde

perenne. I cieli più sfolgoranti racchiudono le più tremende bufere: Cubala splendida conosce uragani che mai

spazzarono le terre temperate del Nord. E così succede che in questismaglianti mari giapponesi il marinaio incontra la

bufera più tremendail Tifone. A volte esso esplode da quel cielo senzanuvolecome una bomba che scoppia su una

città stordita e sonnacchiosa.

Verso la sera di quel giorno al Pequod vennero strappate le veleed essorimase nudo a combattere un tifone

che l'aveva preso in piena prua. Quando venne il buiocielo e terraruggirono e si schiantarono nel fulminee

avvamparono di lampi che mostravano gli alberi mutilatida cui sbattevanoqua e là brandelli che la prima furia della

tempesta vi aveva lasciati per divertircisi ancora un poco.

Aggrappato a una sartiaStarbuck si reggeva sul casseroe a ogni balenaredei lampi dava un'occhiata arriva

per vedere quale altro disastro poteva essere capitato lassùall'attrezzatura in groviglio; mentre Stubb e Flask davano

ordini all'equipaggio per alzare di più e assicurare meglio le lance. Matutte le loro fatiche parevano inutili. Alzata fino

in cima alla grula lancia poppiera di sopravventoquella di Achabnon sisalvò. Un'ondata mostruosa colpì dritta

altissimail fianco ubriaco della navesfondò l'imbarcazione verso poppae la lasciò lì tutta colante come un setaccio.

«Brutto affarebrutto affaresignor Starbuck!» disse Stubb guardando ilrelitto. «Ma il mare deve averla vinta.

Quanto a Stubbnon sa tenerci testa. Vedetesignor Starbuckun'onda ha untale enorme slancio prima di saltare! Corre

per tutto il mondopoi scatta! Ma iotutto lo slancio che ho per farletesta è solo il ponte da un lato all'altro. Ma non fa

niente; è tutto per scherzo; così dice la vecchia canzone: (canta)

Oh la tempesta è allegra

e allegra è la balena

che va menando di coda...

Ma che mariolo buffoneche mattacchione è

l'Oceano!

Se nuvolaglia svolacchia

il suo cicchetto fumacchia

quando la spuma vi sbacchia...

Oh che furfante burloneche giuggiolone è

l'Oceano!

E quando un lampo ti stroppia

è solo il labbro che schiocca

mentre che assaggia il cicchetto...

Ma che furbone scherzosoche simpaticone è

l'Oceano!

«PiantalaStubb» gridò Starbuck«lascia il tifone cantare e suonarel'arpa qui nel cordamema se sei un uomo

in gamba devi stare zitto.»

«Ma io non sono un uomo in gambanon l'ho detto mai; sono un vigliacco ioe canto per tenermi su di morale.

E vi dico una cosasignor Starbucknon c'è altro modo di farmi smettere dicantare in questo mondose non tagliarmi la

gola. E quando ciò sia fattodieci contro uno che vi canto il GloriaPatri perchiusa.»

«Pazzo! Guarda coi miei occhise di tuoi non ne hai.»

«Cosa? E com'è possibile in una notte così buia che ci vediate meglio diun altroanche di un pazzo?»

«Qua!» gridò Starbuck afferrando Stubb per le spalle e indicando la prua asopravvento. «Non lo vedi che la

bufera viene da orienteproprio la rotta che Achab deve fare se cerca MobyDick? Proprio la rotta in cui si è messo oggi.185

a mezzogiorno? E guarda lì la sua lancia: dov'è che è stata sfondata?Nelle scotte di poppaStubb! Dove lui sta sempre!

È il suo punto di vista che è sfondatoStubb! E ora salta in acqua econtinua a strillare se vuoi!»

«Non ci capisco niente: che diavolo succede?»

«Sicurosicuroil Capo di Buona Speranza è la via più breve perNantucket» disse tra sé Starbuck

all'improvvisosenza badare alla domanda di Stubb. «La burrasca che ora cimartella per sfondarcila possiamo

cambiare in un vento propizio che ci porti verso casa. Laggiù a sopravventoè tutto un buio di fatalitàma sottovento

verso casavedo che laggiù si rischiarae non sono lampi.»

Proprio allorain uno degli intervalli di buio fitto che succedevano aifulminiuna voce parlò al suo fiancoe

quasi nello stesso tempo rimbombò in alto una scarica di tuoni.

«Chi è là?»

«Il vecchio fulmine!» disse Achabbrancolando lungo le murate perraggiungere il suo pernoe di colpo

vedendosi illuminare la strada da storte lanciate di fuoco.

Oracome a terra il parafulmine sulle guglie ha lo scopo di incanalare versoil suolo il fluido pericolosole aste

simili che certe navi portano su ciascun albero hanno lo scopo di scaricarloin acqua. Ma questo mezzo conduttore deve

scendere fino a notevole profondità per evitare ogni contatto della suapunta con lo scafo; e inoltrea tenerlo sempre

istallatopotrebbe dare molto fastidiooltre a imbrogliare non poco certeparti dell'attrezzatura e impacciare più o meno

la rotta della nave. Per tutte queste ragionile parti inferiori deiparafulmini di una nave non vengono sempre tenute in

acqua. Di solito sono arrotolate in lunghi anelli sottiliin modo da esserepiù rapidamente issate ai parasartie oppure

gettate in marea seconda dell'occasione.

«I parafulmini! I parafulmini!» gridò Starbuck agli uominimessod'improvviso all'erta dalla folgore vivida che

in quel momento aveva scagliato fiaccole a guidare Achab al suo posto. «Sonofuori bordo? Affondalia prua e poppa.

Presto!»

«Ferma!» gridò Achab. «Gioco leale quianche se siamo i più deboli.Certo darei una mano a piantare

parafulmini sull'Imalaia e sulle Andeper mettere tutto il mondo al sicuroma non voglio privilegi! Lasciate perdere

Starbuck.»

«Guardate arriva!» girdò Starbuck. «I corpisanti! I corpisanti!»

Tutte le varee dei pennoni avevano in cima una pallida fiamma. E sormontatoad ogni triplice punta del

parafulmine da tre bianche fiammelle affusolateciascuno dei tre alti alberiardeva silenzioso in quell'aria sulfureae

parevano tre gigantesche candele di cera davanti a un altare.

«Maledetta la lancia! Vada al diavolo!» gridò in quel momento Stubbmentre un mare scrosciante si sollevava

sotto la sua piccola barcae il capo di banda gli schiacciava con violenzala mano che tentava di passare un cavo. «Vada

al diavolo!» ma scivolando indietro sul ponte alzò gli occhi e vide ifuochi di Sant'Elmoe cambiando tono di botto

urlò: «I corpisanti abbiano pietà di noi!»

Per i marinaile bestemmie sono parole di casa; bestemmiano nell'incantodella bonaccia e nelle fauci della

tempestamandano maledizioni dai pennoni di gabbia quando più barcollano suun mare ribollentema in tutti i miei

viaggi raramente ho sentito una comune bestemmia quando il dito ardente diDio si è posato sulla navequando il Suo

«MeneMeneTekel Ufarsin» si è intessuto alle sartie e al cordame.

Mentre quel pallore bruciava là in altopoche parole si udivano tral'equipaggio intontito che si stringeva in un

unico groppo sul castellotutti gli occhi ardenti in quella fosforescenzapallida come una lontana costellazione.

Stagliato contro la luce spettraleil gigantesco negro di giaiettoDaggoopareva tre volte la sua statura realee

sembrava la nuvola nera da cui era uscito il fulmine. La bocca aperta diTashtego mostrava i suoi dentibianchi come

quelli del pescecaneche splendevano strani come se anch'essi fossero statilambiti dai corpisanti. Rischiarato dalla luce

soprannaturaleil tatuaggio di Queequeg gli ardeva sul corpo come un'azzurrafiamma satanica.

Tutto il quadro svanì infine assieme al pallore arrivae ancora una voltail Pequod e ogni creatura sui suoi ponti

furono avvolti in un sudario. Passarono uno o due attimiquando Starbuckavanzando si scontrò con qualcuno. Era

Stubb. «E ora che ne pensivecchio mio? Ho sentito il tuo grido. Non era lostesso della canzone.»

«Nonocerto. Ho detto: i corpisanti abbiano pietà di noi tuttie sperosempre che l'avranno. Ma hanno solo

pietà dei musi lunghi? Non hanno visceri per farci una risata sopra?Guardate quasignor Starbuck... ma è troppo buio

per guardare. Datemi rettaallora: quella fiamma che abbiamo visto suglialberiio la prendo per segno di buona

fortuna; perché quegli alberi hanno le radici in una stiva che sarà prestopiena zeppa di spermaceticapitee così tutto

quell'olio salirà dentro gli alberi come linfa in una pianta. Sicuroinostri tre alberi saranno presto come tre candele di

spermaceti: questa è la promessa che abbiamo visto.»

A questo punto Starbuck vide la faccia di Stubb che affiorava lentamente dalbuio. Gettò un'occhiata in alto e

gridò: «Guarda! Guarda!» E ancora una volta si vedevano le alte fiammeaffusolatee nel loro pallore c'era qualcosa che

pareva doppiamente soprannaturale.

«I corpisanti abbiano misericordia di noi!» gridò Stubb di nuovo.

Alla base dell'albero maestroproprio sotto il doblone e la fiammail Parsisi era inginocchiato in faccia ad

Achabma col capo recline da un'altra parte; e attornosull'arcosoprastante delle manovre dov'erano stati finora

occupati ad assicurare un pennoneun gruppo di marinai pietrificati dalbagliore si erano raccolti assieme e pendevano lì

come un pugno di api intorpidite al ramo pendulo di un albero da frutta. Invari atteggiamenti incantaticome gli

scheletri di Ercolano che stanno dritti o nell'atto di passeggiare o correrealtri restavano inchiodati sul pontema tutti

con gli occhi in alto..186

«Sìsìragazzi!» gridò Achab. «Guardate lassùguardatela benelafiamma bianca non fa che illuminare la

strada verso la balena bianca! Datemi qui quelle maglie di maestra: ho vogliadi sentire battere quel polso e farci battere

contro il mio: sangue contro fuoco! Così.»

Poi voltandosil'ultima maglia tenuta stretta nella sinistramise il piedesul Parsie con lo sguardo fisso in alto

e il braccio destro levato si rizzò davanti all'altissima trinità dellefiamme.

«O tu chiaro spirito di chiara fiammache una volta io come un persianoadorai su questi marifinché nell'atto

sacramentale mi bruciasti tanto che ancora ne porto la cicatrice; ora ticonoscochiaro spiritoe so che il tuo giusto culto

è la sfida. Né all'amore né alla reverenza ti pieghie anche l'odio nonsai che ucciderlo; e tutti sono uccisi. Non è uno

stupido temerario che ora ti affronta. Riconosco il tuo potere senza verbo esenza dimorama fino all'ultimo sussulto del

terremoto che è la mia vitati contenderò il predominio incondizionato euniversale che hai su di me. In mezzo

all'impersonale personificatosi erge qui una persona. Sebbene soloalmassimoun puntoda qualunque parte io venga

dovunque vadapure mentre vivo sulla terra questa persona regale vive in mee sente i diritti del suo rango. Ma la

guerra è doloree l'odio è sofferenza. Vieni nella tua più umile formad'amoree io m'inginocchierò a baciarti; ma nella

forma più altavieni come semplice potenza supernae per quanto tu possalanciare flotte di mondi stivatic'è qui

dentro qualcosa che resta sempre indifferente. O tu chiaro spiritotu mi haifatto del tuo fuocoe come un vero figlio del

fuoco io torno a respirartelo contro.»

(Improvvisiripetuti scoppi di folgore; le nove fiamme si slanciano in altofino a tre volte l'altezza di prima;

Achab e tutti gli altri chiudono gli occhipremendovi sopra forte la destra.)

«Riconosco il tuo potere senza verbo e senza luogo: non ho detto così? Néle parole mi sono state strappatené

ora lascio andare queste maglie. Tu puoi accecare; ma io posso poibrancolare. Tu puoi consumarema io posso ancora

essere cenere. Accetta l'omaggio di questi poveri occhi e delle mani che licoprono. Per meio non lo vorrei. La folgore

mi traversa il cranio; le pupille mi fanno sempre più maletutto ilcervello contuso mi pare si stacchi dal capo e rotoli su

qualche terreno sassoso. Oh! Oh! Ma per quanto bendato ti parlerò. Sei lucema esci dalla tenebra; ma io sono tenebra

che balza fuori dalla luceche balza fuori da te! I giavellotti cessano;occhiapritevi. Vedete o no? Lassù ardono le

fiamme! O tu magnanimo! ora mi glorio della mia genealogia. Ma tu non sei cheil mio padre di fuoco; la mia dolce

madrenon la conosco. Oh crudeleche hai fatto di lei? Ecco il mio enigma;ma il tuo è ancora più grande. Tu non sai

da dove sei natoe perciò ti dici non generato; non conosci certamente iltuo principioe per questo ti chiami senza

principio. Io so di me quello che tu non sai di te stessoonnipotente. C'èqualcosa di trascendente di là da teo chiaro

spiritodinanzi a cui tutta la tua eternità non è che tempotutta la tuacreatività cosa meccanica. Attraverso teil tuo io

fiammeggiantei miei occhi scottati lo vedono confusamente. O tu fuocotrovatellotu eremita da sempreanche tu hai

il tuo enigma incomunicabileil tuo dolore indiviso. Qui di nuovo col miosuperbo dolore riconosco mio padre. Balza!

Balza in alto e lambisci il cielo! Io salto con teio brucio con teevorrei saldarmi con tee sfidandoti ti adoro!»

«La lancia! La lancia!» gridò Starbuck. «Guarda la tua lanciavecchio!»

Il rampone di Achabquello forgiato al fuoco di Perthera saldamenteassicurato al suo grosso forcaccio

sicché sporgeva oltre la prua della barcama il mare che ne aveva sfondatala chiglia aveva fatto cadere la mobile

guaina di cuoioe ora dall'aguzza punta di acciaio usciva una fiammaorizzontale di fuocopallido e forcuto. Mentre il

rampone ardeva là silenzioso come la lingua di un serpeStarbuck afferròAchab per il braccio:

«DioDio stesso è contro di tevecchio: cedi! È un viaggio maligno! Malcominciatomal proseguito; lasciami

mettere i pennoni al ventovecchiofinché è possibilee farne un ventofavorevole che ci spinga verso casaper un

viaggio migliore di questo.»

Udendo Starbuckl'equipaggio atterrito si buttò ai braccisebbene lassùnon restasse nemmeno una vela. Per un

momentotutti parvero dividere i pensieri dell'ufficiale terrorizzatoelevarono quasi un grido di ammutinamento. Ma

gettando sul ponte il cavo tintinnante del parafulminee afferrando ilrampone ardenteAchab lo brandì in mezzo a loro

come una torciagiurando di trafiggere con quello il primo marinaio cheosasse levare volta a una cima . Pietrificati dal

suo aspettoe ancora più impauriti dall'acciaio infiammato che brandivaimarinai scombussolati indietreggiaronoe

Achab tornò a parlare:

«Tutti i vostri giuramenti di dare la caccia alla balena bianca sonoimpegnativi come il mio; e il vecchio Achab

s'è legato cuore e animacorpopolmoni e vita. E perché sappiate a cheritmo gli batte il cuoreguardate qui: così io

spengo l'ultima paura!» E con un gran soffio spense la fiamma.

Come nell'uragano che spazza la pianura gli uomini fuggono la vicinanza diqualche olmo solitario e

gigantescola cui stessa altezza e forza non fanno che renderlo piùmalsicuroperché tanto più attira i fulmini; cosìa

quelle ultime parole di Achabmolti dell'equipaggio fuggirono lontani daluisconvolti dal terrore.

CXX • IL PONTE VERSO LA FINE DEL PRIMO QUARTO DI NOTTE

(Achab in piedi vicino al timone. Starbuck gli si accosta.)

«Dobbiamo abbassare il pennone di gabbiasignore. La benda è quasistaccatail mantiglio di sottovento

mezzo disfatto. Lo faccio abbassaresignore?»

«Non c'è bisogno; assicuralo. Avessi bastoni di supparaora lighinderei.»

«Capitanoin nome di Diocapitano!».187

«Ebbene?»

«Le ancore sono lentesignore. Debbo tirarle dentro?»

«Non c'è bisogno. Niente da abbassareniente da toccarebasta assicuraretutto. Si leva il ventoma non è

ancora arrivato ai miei altipiani. Sveltofa' come ti dico. Alberi echiglie! Mi prende per il padron gobbo di qualche

tartana da cabotaggio. Abbassare il mio pennone di gabbia! Bacchettone! Ipomi più alti sono stati fatti per i venti più

selvaggie questo pomo che ho in testa ora naviga tra la nuvolaglia. Dovreiabbassarlo? Nessuno tranne i vigliacchi

abbassa il cervello in tempo di fortunale. Che fracasso lassù! Lo prendereiperfino per sublimenon sapessi che la colica

è una malattia rumorosa. Una medicina! Una medicina!»

CXXI • MEZZANOTTE. LE MURATE DEL CASTELLO DI PRUA

(Stubb e Flaska cavalcioni delle muratepassano nuove legature alle ancoreche vi pendono.)

«NoStubb. Puoi battere su quel nodo finché vuoima non ce la fai acacciarmi dentro ciò che hai detto ora. E

quanto tempo è che dicevi il contrario? Non hai detto una volta che inqualunque nave lui viaggiala nave dovrebbe

pagare qualcosa in più sulla polizza d'assicurazioneproprio come avesse uncarico di barili di polvere a poppa e di

scatole di fiammiferi a prua? Un momento: non hai detto così?»

«Be'se anche l'avessi detto? Che importa? Ho cambiato parecchia carne daalloraperché non dovrei cambiare

idea? Inoltresupponendo che siamo carichi di polvere a poppa e difiammiferi a pruacome diavolo potrebbero pigliare

fuoco i fiammiferi sotto questo innaffio? Con tutti i capelli rossi che haiquiometto miofuoco non ne piglieresti. Datti

una scrollataFlask: tu sei Acquarioo il portatore d'acqua; potrestiriempirci brocche col tuo colletto. Non capisci

dunqueche per questi rischi straordinari le compagnie d'assicurazionemarittima hanno garanzie extra? Ecco qui degli

idrantiFlask. Ma ancora un po' d'attenzionee ti rispondo sull'altrafaccenda. Prima togli quella gamba dal diamante

dell'ancorachè ci passo il cavo. Ora ascolta. Dov'è questa grandifferenza tra il tenere il parafulmine di un albero in un

fortunalee lo starsene durante il fortunale vicino a un albero che non haparafulmine affatto? Non lo capiscitesta di

legnoche chi tiene il parafulmine non può avere danno se prima non vienecolpito l'albero? Di che vai parlando allora?

Non una nave su cento porta i parafulminie Achabsissignoree tuttiquanti noinon si era più in pericolosecondo la

mia modesta opinionedi tutte le ciurme di diecimila navi che viaggiano inquesto momento. Ma scommetto che tu

Monaco miovorresti che ogni uomo al mondo se ne andasse in giro con unpiccolo parafulmine che gli sbuca

dall'angolo del cappellocome la piuma a spiedo di un ufficiale dellaguardia nazionalee col filo che gli strascica dietro

per fusciacca. Ma perché non ragioniFlask? È facile ragionare; alloraperché non lo fai? Anche un guercio può

ragionare.»

«Stubbne ho i miei dubbi. Qualche volta a te riesce piuttosto difficile.»

«Certoquando si è zuppi fradici è difficile ragionarequesto è poco masicuro. E io questi spruzzi me li sento

nelle ossa. Ma non fa niente. Prendi quel cavo e passalo. Mi pare che adessostiamo assicurando queste ancore come se

non dovessimo adoperarle più. Legare queste due ancore quiFlaskmi sembracome legare a un uomo le mani dietro le

spalle. E sono manacce grosse e generosecaspita! Questi sì che sono pugnidi ferroeh? E che presa hanno! Io mi

domandoFlaskse il mondo non è ancorato da qualche parte; se lo èperòdeve averci un cavo lungo come la fame

accidenti! Làun colpo a quel nodo e abbiamo finito. Così. Dopo il toccareterratoccare coperta è la cosa più

soddisfacente. Mi fai il favore di torcere gli orli di questa giubba? Grazie.Si ride tanto dei vestiti borghesiFlaskma

per conto mioquando c'è burrascasi dovrebbe portare sempre un vestito acoda. L'acqua va giù per le codecapisci. E

lo stesso coi cappelli a punteperché le punte fanno da sgocciolatoiFlask. Non voglio più usare giubbotti e incerateno

voglio imbarcare una coda di rondine e inchiodarmi un cappello a visiera;ecco. Oplà! Oi! La mia incerata in acqua: ma

per il Padreternopossibile che i venti del cielo debbano essere cosìscreanzati! Notte fetentecaro mio.»

CXXII • MEZZANOTTE: ARRIVA: TUONI E LAMPI

(Il pennone di gabbia. Tashtego vi passa attorno altre legature.)

«Uhmuhm. Basta coi tuoni. Troppi tuoni quassù. E a che servono poi? Uhmuhm. Non ci servono tuonici

serve rum: dateci un bicchiere di rum. Uhiuhmuhm!»

CXXIII • IL MOSCHETTO

Mentre il tifone picchiava più fortel'uomo alla barra d'osso del Pequodera stato più volte sbattuto sul ponte

come un ubriaco dai movimenti spasmodici dell'attrezzomalgrado i cavi eparanchi di rinforzo che vi si erano legati

ma lentiperché un po' di gioco alla barra era indispensabile..188

In una forte bufera come questaquando la nave non è che un volanosballottolato dalla rafficanon è affatto

insolito vedere a intervalli gli aghi delle bussole mettersi a girareimpazziti. Così avvenne sul Pequod: quasi a ogni urto

non era sfuggita al timoniere la velocità vorticosa con cui gli aghigiravano sui quadranti; è cosa che quasi nessuno può

osservare senza una certa strana emozione.

Qualche ora dopo mezzanotte il tifone calò tantoche grazie agli sforzienergici di Starbuck e Stubb (uno a

prual'altro a poppa) i resti sbrindellati del gran fioccodel trevo ditrinchetto e delle gabbie vennero tagliati dalle aste e

se ne volarono turbinando a sottoventocome le piume di un albatro che ilvento strappaa voltequando quell'uccello

di tempesta è in viaggio.

Le tre nuove vele corrispondenti vennero ora attaccate e terzaruolatee unaranda di fortuna venne aggiunta a

poppasicché presto la nave tornò a tenere il mare con qualche precisione;e la rotta (est-sud-est per il momento) che

doveva seguire se praticabilevenne ridata al timoniere. Perché durante laviolenza della bufera egli aveva governato

solo a seconda della situazione. Ma oramentre portava la nave il piùpossibile vicina alla sua rottae intanto teneva

d'occhio la bussolabuon segno! il vento parve girare a poppa: non c'eradubbiola brezza contraria diventava

favorevole!

Subito vennero bracciati i pennonial canto vivace di «Oh il vento buono!Allegri ragazzi!» e gli uomini ci

mettevano la gioia che un fatto così propizio venisse a smentire tantopresto i brutti presagi che l'avevano preceduto.

Obbedendo all'ordine permanente del capitanodi riferire subito e aqualsiasi ora qualunque cambiamento

decisivo nelle cose di copertaStarbuck non appena ebbe orientati i pennonialla brezzaquantunque tetro e riluttante

scese meccanicamente a informare Achab della situazione.

Prima di bussare alla sua porta vi si fermò un momento davantiinvolontariamente. La lampada di cabina

facendo lunghe oscillazioni da un lato e dall'altroardeva incostante egettava ombre agitate sull'uscio serrato del

vecchioun uscio sottile con imposte fisse invece di pannelli superiori. Ilsotterraneo isolamento della cabina vi faceva

regnare un certo silenzio ronzantesebbene lo accerchiasse tutto quelruggito degli elementi. I moschetti carichi nella

rastrelliera si vedevano luccicare dritti contro la paratia anteriore.Starbuck era un uomo onesto e retto; ma dal cuore di

Starbucknel momento che vide i moschettinacque stranamente un pensieromalvagioma tanto mescolato con gli altri

neutrali o buoniche per un momento quasi non riuscì a capirne la natura.

«Voleva uccidermi quella volta» mormorò«sicuroecco lì il moschettoche mi ha puntato addossoquello col

calcio borchiato: lo voglio toccare... alzare. Stranoho maneggiato tantelance mortalie ora tremo cosìstrano. Carico?

Vediamo. Sìsì; e polvere nel focone. Non è bene. Meglio levarla? Unmomento. Voglio guarire. Terrò saldo il

moschetto mentre penso. Vengo a riferire che il vento è favorevole. Mafavorevole a chi? Favorevole alla morte e al

disastro. Favorevole a Moby Dick. È un buon vento che è solo un buon ventoper quel pesce maledetto... Sìproprio la

canna che mi ha puntato addosso! Proprio quella: questa che ho in mano. Miavrebbe ammazzato con questa roba che

ho in mano... e sarebbe anche capace di ammazzare tutti. Non dice forse chenon vuole ammainare le manovre per

nessuna burrasca? Non ha rotto il quadrante celeste? E in questi maririschiosi non cerca forse la strada a tastonicol

semplice calcolo del solcometro coi suoi errori? E proprio in mezzo al tifonenon ha giurato che non vuole parafulmini?

Ma davvero bisogna lasciare passivamente che questo vecchio pazzo si trascinialla rovina tutto quanto l'equipaggio di

una nave?... Certose questa nave andasse a finire maleciò farebbe di luil'assassino intenzionale di più di trenta

uomini; e che vada a finire male il cuore me lo giurase Achab fa a modosuo. Se allora in questo momento potessimo...

metterlo da partenon commetterebbe quel delitto. Ah! brontola nel sonno?Sicuroproprio lì sta dormendolì dentro.

Sta dormendo? Sìma è sempre vivoe presto sarà sveglio di nuovo. Eallora non so resistertivecchio. Non c'è ragione

né supplica che tu voglia ascoltare: le disprezzitutte queste cose.Obbedienza secca ai tuoi comandi secchiquesto è

quanto sai dire. Sìe dici che gli uomini hanno giurato con tedici chesiamo tutti quanti Achab. Dio ce ne liberi! Ma

non c'è un altro modo... un altro modo legale? Farne un prigioniero dariportare a casa? Figurati! Sperare di prendere

dalle mani vive di quel vecchio questo potere che è la sua vita? Solo unpazzo ci proverebbe. Anche se lo potessimo

legareannodare tutto con gomene e cimeincatenare a dei perni sulpavimento della cabinaallora sarebbe più orrendo

di una tigre in gabbia. Non ce la farei a vederlonon saprei come fare a nonsentirne le urlaperderei pacesonno e la

stessa ragione preziosa in questo viaggio lungo e insopportabile. E allorache resta? La terra è lontana centinaia di leghe

la costa più vicina quel Giappone inaccessibile. Sono qui soloin altomarecon due oceani e tutto un continente fra me

e la legge. Sicuroè proprio così. Forse che il cielo è un assassinoquando il suo lampo colpisce nel letto uno che

prepara un assassiniobruciando assieme lenzuola e pelle? E io sarei alloraun assassinose...» e piano pianofurtivo

dando mezze occhiate ai latiappoggiò alla porta la canna del moschettocarico.

«A quest'altezza pende lì dentro la branda di Achab: di quila testa. Untoccoe Starbuck potrebbe

sopravvivere per riabbracciare la moglie e il figlio. Oh MaryMary!...ragazzo mioragazzo mio!... Ma se ti sveglio e

non ti ammazzovecchiochi sa in quali abissi senza fondo il corpo diStarbuck affonderà prima che finisca la

settimanae con tutto l'equipaggio! Gran Diodove sei? Debbo farlo? Debbofarlo?... Il vento è caduto e cambiato

signore; il trevo e le gabbie sono terzaruolati e a posto. Teniamo larotta.»

«Tutto indietro! Ah Moby Dickfinalmente il tuo cuore!» Queste parolesboccarono violente dal sonno

tormentoso del vecchiocome se la voce di Starbuck avesse dato parola al suolungo muto sogno.

Il moschetto ancora puntato tremò contro il pannello come il braccio di unubriaco. Starbuck pareva lottare con

un angelo. Infine voltò le spalle alla portarimise quella canna di mortenella rastrelliera e se ne andò.

«Dorme troppo profondosignor Stubb. Scendi tu a svegliarlo e diglielo.Debbo badare al ponte. Lo sai cosa

devi dirgli.».189

CXXIV • L'AGO

Il mattino seguenteil mare ancora mosso rollava con lunghi e lenti marosiimmensie rompendo la scia

gorgogliante del Pequod lo spingeva avanti come a gigantesche palmate. Labrezza soffiava così gagliarda e sostenuta

che il cielo e l'aria parevano grandi vele panciute: tutto il mondo filavadinanzi al vento. Fasciato nella luce piena del

giornoil sole invisibile sì mostrava soltanto in un'intensa macchia opacada cui i raggi partivano a fasci come baionette.

Tutte le cose apparivano aureolate come diademati re e regine di Babilonia.Il mare era un crogiolo d'oro fusoribollente

di luce e di calore.

Achab se ne stava in dispartemantenendo a lungo un silenzio trasognato; eogni volta che la nave vibrando e

abbattendosi picchiava di bompressoegli si voltava a guardare i raggi delsole che sfolgoravano lì avanti; e quando

sprofondava di poppasi rivoltava al sole che restava indietro e a quellaluce gialla che si fondeva con la sua scia

inflessibile.

«Ahnave mia! Potresti davvero passare per il cocchio marino del sole. Ovoi popoli tutti davanti alla mia prua;

io vi porto il sole! Aggioga i marosi laggiù: oilà! In tandem! Io guido ilmare!»

Poiarrestato di colpo da un pensiero contrarioarrancò svelto alla barraper chiedere rauco che rotta faceva la

nave.

«Est-sud-estsignore» disse il timoniere impaurito.

«Bugiardo!» e lo colpi col pugno chiuso. «Est a quest'ora di mattinacolsole alle spalle?»

Ognuno era sbalordito. Il fenomeno notato da Achab era sfuggitoinspiegabilmente a tuttie forse proprio per la

sua evidenza abbagliante.

Cacciando il capo a metà nella chiesuolaAchab guardò fulmineo la bussolae il braccio alzato gli ricadde pian

pianoper un attimo parve quasi barcollare. Starbuck che gli stava dietroguardò anche luie incredibile! le due bussole

indicavano l'estmentre il Pequod altrettanto infallibilmente filava aovest.

Ma prima che potesse spargersi tra gli uomini quel primo sbigottimentoilvecchio esclamò con una risata

secca: «Capisco! È successo altre volte. Signor Starbuckil fulmine diquesta notte ci ha invertito le bussole: ecco tutto!

Ne avrai già sentito parlareimmagino.»

«Sìma non mi è mai successo personalmentesignore» disse l'ufficialepallido e cupo.

Bisogna dire che fatti simili sono accaduti più di una volta su navi durantefortunali violenti. L'energia

magnetica che si sviluppa nell'ago della bussola ècome tutti sannoessenzialmente la stessa dell'elettricità che appare

nel cielo; e quindi non c'è molto da stupirsi che fatti simili avvengano.Nei casi in cui il fulmine ha realmente colpito la

nave in modo da abbattere qualche pennone o manovral'effetto sull'ago èstato a volte ancora più fataleessendone

annientata tutta la virtù magneticasicché l'acciaio prima calamitatodiveniva non più utile del ferro da calza di una

nonnetta. Ma in tutti e due i casi l'ago non ricupera più da sé la virtàoriginaria così alterata o perduta; e se restano

colpite le bussole di chiesuolala stessa sorte tocca a tutte le altre chesi trovino sulla naveanche se la più bassa fosse

inserita nel paramezzale.

Ritto col suo fare spavaldo davanti alla chiesuolae adocchiando le bussoleinvertiteora il vecchio col taglio

della mano distesa pigliò la posizione precisa del solee costatato che gliaghi erano esattamente rovesciatiordinò a

voce alta che la rotta fosse mutata in conformità. I pennoni andaronosopravventoe ancora una volta il Pequod cacciò

la prua imperterrita nel vento avverso; quello ritenuto favorevole l'avevasolo ingannato.

Intantoquali che fossero i suoi pensieri segretiStarbuck non disseniente; calmodiede gli ordini necessari

mentre Stubb e Flaskche parevano sia pure in piccola parte condividere isuoi sentimentiaccettarono i fatti allo stesso

modosenza fare proteste. Quanto agli uominibenché qualcuno brontolasse abassa vocela loro paura di Achab era

più forte della paura del fato. Ma i ramponieri selvaggicome semprerestarono quasi del tutto indifferenti; o se

qualcosa li mossefu solo un certo magnetismo che si scaricò nei loro cuoricongeniali da quello dell'inflessibile Achab.

Per un po' il vecchio camminò sul ponte come in preda al rollìo deipensieri. Manello slittare sul calcagno

d'avoriovide i tubi di rame schiacciati del quadrante che il giorno primaaveva scaraventato sul ponte.

«Poverosuperbo contemplatore del cielo e pilota del sole! Ieri ti ho fattoa pezzie oggi le bussole stavano per

mandare a pezzi me stesso. Proprio così. Ma Achab comanda ancora la calamitapiana. Signor Starbuckuna lancia

senza manicouna mazzae il più piccolo ago del velaio. Presto!»

Forseassieme all'impulso che gli dettava ciò che stava per fareagivanoin lui certi motivi prudenzialiil cui

fine poteva essere di ravvivare il morale dell'equipaggio con un colpo diastuzia e di destrezzain un caso tanto

impressionante come quello delle bussole invertite. Inoltre il vecchio sapevabene che governare con bussole falsateper

quanto praticabile grosso modonon era un fatto che dei marinaisuperstiziosi avrebbero lasciato passare senza

ricavarne brividi e cattivi presagi.

«Ragazzi» disse voltandosi con fermezza agli uominimentre l'ufficialegli porgeva gli oggetti richiesti

«ragazzi mieiil fulmine ha rovesciato gli aghi del vecchio Achab; ma daquesto pezzetto di acciaio Achab sa ricavarne

uno suoche segnerà giusto come ogni altro ago.»

Mentre parlavatra i marinai passarono occhiate vergognose di meravigliaservile; con occhi affascinati

aspettavano tutti la magia che doveva seguire. Ma Starbuck guardò daun'altra parte..190

Con un colpo del maglio Achab fece saltare la punta d'acciaio della lanciaeporgendo all'ufficiale la lunga asta

di ferro che restavagli disse di tenerla dritta senza che toccasse ilponte. Dopo avere colpito ripetutamente con la

mazza l'estremità superiore di quel ferrovi mise in cima verticalmentel'ago spuntato e lo martellò con più delicatezza

varie voltementre l'ufficiale reggeva sempre l'asta come prima. Poieseguiti con l'ago alcuni strani piccoli movimenti

chi sa se indispensabili a calamitare l'acciaioo fatti semplicemente peraumentare la stupefazione della ciurmachiese

del filo di lino; e andando alla chiesuola cavò fuori i due aghi invertitie sospese orizzontalmenteper il mezzol'ago da

vela sulla rosa di una delle due bussole. Dapprimal'acciaio si mise agirare senza sosta tremando e vibrando ai due

estremima alla fine si fermò al suo giusto posto. E Achabche era statotutto intento ad aspettare questo risultatouscì

risoluto dalla chiesuolae indicandola a braccio teso esclamò: «Guardatevoi stessi se Achab non è il signore dell'ago

della bussola! Il sole è all'este questa bussola ve lo giura!»

Uno dopo l'altro vennero tutti a sbirciareperché solo i propri occhipotevano persuadere un'ignoranza come la

loroe a uno a uno se la svignarono.

Negli occhi ardenti di disprezzo e di trionfo si vide allora Achab in tuttoil suo orgoglio fatale.

CXXV • IL SOLCOMETRO E LA SAGOLA

Per quanto il Pequod fosse stato a lungo in acqua in questo suo viaggiopredes tinatofinora il solcometro e la

sagola erano stati usati assai di rado. A causa della gran fiducia che hannoin altri modi di determinare la posizione della

navecerti mercantili e molte balenierespecialmente in piena crocieratrascurano del tutto di gettare il solcometro;

benché poi allo stesso tempoe spesso più per formalità che per altrosegnino regolarmente sulla solita lavagna la rotta

tenuta dalla nave e anche la presunta media oraria di viaggio. E così eraandata col Pequod. Il molinello di legno e la

barchetta allungata che vi era appesa pendevanoa lungo inusatipropriosotto la ringhiera delle murate di poppa. La

pioggia e il salso li avevano inzuppatiil sole e il vento contortie tuttigli elementi si erano alleati per far marcire un

oggetto che se ne stava così ozioso. Ma senza curarsi di questoAchab fucolto da uno dei suoi umori quando l'occhio

gli andò per caso sul molinellonon molte ore dopo la scena del magnete;ricordò che il quadrante non c'era più; e gli

tornò in mente il suo giuramento frenetico a proposito del solcometro edella sagola. La nave avanzava tuffandoa

poppa i cavalloni rollavano tumultuosi.

«Pruaoè! Getta il solcometro!»

Vennero due marinai. Il tahitiano dorato e il grigio vecchio di Man. «Prendail molinellounoe io lancio.»

Andarono a poppain punta e a sottoventodove per la forza obliqua delvento la coperta s'immergeva quasi

nel mare latteo che l'assaliva di fianco.

L'uomo di Man prese il molinelloe alzandolo alto per i manici sporgenti delfuso attorno a cui rotava il

rocchetto di sagolarestò fermo con la barchetta allungata penzolantefinché Achab non s'avvicinò.

Quello gli si fermò davantie stava srotolando svelto un trenta o quarantagiri per farsene un rotolo iniziale da

gettare in acquaquando il vecchio marinaioche osservava tutto attento luie la sagolaosò aprire bocca.

«Signorenon mi fiderei; questa sagola pare proprio andatatanto calore eumido l'hanno rovinata.»

«Terràsignore mio. Calore e umido ti hanno forse rovinato? Tieni sempremi pare. O forse megliola vita ti

tienenon tu lei.»

«Io tengo questo rocchettosignore. Ma ha ragione il capitano. Con questimiei capelli grigi non vale la pena di

discuterespecie con un superioreche non la darà mai vinta.»

«Comecome? Ma guarda questo rappezzato Professore dell'Università diMadrenaturaquella fondata sul

granito. Ma ho l'impressione che sia troppo servile. Dov'è che sei nato?»

«Sull'isoletta rocciosa di Mansignore.»

«Magnifico! Hai dato una definizione del mondo.»

«Non sapreisignorema ci sono nato.»

«Nell'isola dell'Uomohai detto? Be'anche così è magnifica. Ecco unuomo da Uomo; un uomo nato in Uomo

un tempo indipendentee ora non più uomo d'Uomo; e ora risucchiato da...che cosa? Su il rocchetto! La parete morta e

cieca spacca alla fine tutte le zucche troppo curiose. Su con quell'aggeggio!Così.»

Il solcometro fu gettato. Le duglie sciolte si tesero rapidamente in unalunga sagola che trainava a poppae poi

di colpoil molinello cominciò a girare. Mentre le ondate sollevavano eabbassavano a strappi il solcometrola

resistenza del traino faceva barcollare stranamente il vecchio.

«Tieni forte!»

Trac! La sagola troppo sforzata s'assaccò in un lungo festonee ilsolcometro a traino sparì.

«Io spezzo il quadranteil fulmine volta gli aghie ora il mare pazzo mispezza la sagola. Ma Achab ha rimedio

per tutto. Ricuperatahitiano; tu di Manavvolgi. E sentidi' alcarpentiere di farmi un altro solcometroe tu ripara la

sagola. Pensateci voi.»

«Eccolo che se ne va. Per lui non è successo niente. Ma a me pare di tirarefuori questo spiedino dal mezzo del

mondo. Ricuperaricuperatahitiano! Queste sagole escono sane e come lampie poi rientrano rotte e strascicate. Ehi

Pipvieni a dare una manoehiPip!».191

«Pip? Chi chiami Pip? Pip è saltato dalla lancia. Pip non c'è più.Vediamo ora se non l'hai pescato qui

pescatore. Viene su a fatica. Scommetto ci si è attaccato. Fallo cascareTahitifallo cascare in acqua! Qui non tiriamo

su vigliacchi. Ohecco il suo braccio che rompe l'acqua. Un'accetta!Un'accetta! Taglialo... non tiriamo su vigliacchi.

Capitano Achab! Signoresignore! C'è Pip che riprova a montare su.»

«Zittoscimunito» urlò quello di Man acchiappandolo per un braccio.«Via dal casserovia!»

«L'idiota più grosso rimprovera sempre il più piccino» brontolò Achabfacendosi avanti. «Giù le mani da

quell'essere sacro! Dove dici che era Pipragazzo?»

«Lì a poppasignorea poppa! Eccoloeccolo!»

«E tu chi seiragazzo? Non vedo il mio riflesso nelle pupille vuote deituoi occhi. O Signore! Che l'uomo

debba servire da setaccio all'anima immortale! Chi seiragazzo?»

«Il campanarosignore; il banditore di bordo: dingdongding! Pip! Pip!Pip! Premio di cento libbre di argilla

a chi trova Pip: alto cinque piedil'aria vigliacca che l'identifica subito!Dingdongding! Chi ha visto Pip il vigliacco?»

«Non possono esserci cuori oltre la linea delle nevi. O cieli di ghiaccio!Guardate qui. Voi avete creato

quest'infelicee l'avete abbandonato come dei libertini. Quaragazzo: lacabina di Achab sarà d'ora in poi la casa di Pip

finché Achab vive. Tu mi tocchi nel più profondofigliomi sei legato concavi fatti con le fibre del mio cuore. Vieni

andiamo.»

«Questa cos'è? È pelle di pescecane vellutata.» Pip guardava fisso lamano di Achab e la toccava. «Ah se il

povero Pip avesse mai toccato una cosa tanto buonaforse non si sarebbeperduto. Mi fa l'effettosignoredi un

corrimano: qualcosa a cui possono reggersi le anime deboli. O signorefaivenire adesso il vecchio Perth e digli di

inchiodare assieme queste due manila nera e la biancaperché non lavoglio più lasciare.»

«E neanch'io ti lasceròragazzoa meno checosìnon debba trascinartia orrori peggiori diquesti. Vieni in

cabinadunque. O voi che credete negli dei tutti bontà e negli uomini tuttomaleguardate quivedete gli dei onniscienti

dimentichi dell'uomo che soffree l'uomoper quanto idiota e ignaro diquello che fapieno dei dolci sensi dell'amore e

della gratitudine. Vieni! Mi sento più orgoglioso di portare te per la tuamano nerache se stringessi quella di un

imperatore!»

«Ecco là due maniaci che se ne vanno» brontolò il vecchio marinaio diMan. «Uno ammattito di forza e l'a ltro

di debolezza. Ma ecco il capo della sagola fradicia... e tutta sgocciolante.Ripararlaeh? Meglio sarebbecredo

pigliarne senz'altro una nuova. Lo vado a dire al signor Stubb.»

CXXVI • IL SALVAGENTE

Orapuntando a sud-est con l'acciaio spianato di Achabe dettandosi larotta solo col solcometro e la sagolail

Pequod continuava la sua corsa verso l'Equatore. Una traversata così lungaper acque così solitariesenza avvistare navi

e spinti ben presto di fianco dai costanti alisei: tutto ciò pareva la calmamisteriosa che prelude a qualche scena di

tumulto e di disperazione.

Alla finequando la nave fu vicina alla periferiaper così diredel campodi caccia equatorialee nella

profonda oscurità che precede l'alba costeggiava un gruppo di is oletterocciosela guardiacomandata in quel momento

da Flasktrasalì a un grido di lamento così selvaggio e ultraterrenocomei gemiti semiarticolati degli spettri di tutti gli

innocenti assassinati da Erodeche dal primo all'ultimo tutti vennerosbalzati dal torpore e per qualche momento

restaronoin piedi o seduti o recliniad ascoltare pietrificaticome lastatua dello schiavo romanomentre durava quel

grido tremendo. La parte cristiana o civile dell'equipaggio disse che eranole sirenee rabbrividìi ramponieri pagani

rimasero impassibili. Ma il grigio marinaio di Manche era il più vecchiodi tuttidichiarò che i selvaggi suoni

raccapriccianti che avevano udito erano le voci di uomini da poco annegatinel mare.

Giù nella sua branda Achab non seppe niente fino alla grigia albaquandosalì in coperta; allora Flask gli riferì

il fattonon senza alludere ai sensi sinistri che poteva avere. Achab feceuna risata vacuae spiegò il prodigio in questo

modo.

Quelle isole rocciose che la nave aveva passate erano punto di convegno diuna gran quantità di fochee alcune

giovani foche che avevano perdute le madrio delle madri che avevano perdutoi cucciolidovevano essere venute a

galla vicino alla nave e le si erano accompagnategridando e singhiozzandocoi loro tipici lamenti quasi umani. Ma

questo non fece che impressionare di più alcuni degli uominiperché granparte dei marinai nutre una vera superstizione

riguardo alle fochedovuta non solo al timbro speciale che hanno quando silamentanoma anche all'aspetto umano

delle loro teste rotonde e delle loro facce semi-intelligentiquando sialzano a sbirciare dall'acqua lungo le fiancate. In

marein certe situazionile foche sono state scambiate più di una voltaper uomini.

Ma i presagi dell'equipaggio erano destinati a ricevere una conferma più cheplausibile quella stessa mattina

nella disgrazia capitata a uno di loro. All'alba quest'uomo salì dallabranda alla sua testa d'albero sul trinchetto: forse

non si era ancora svegliato del tutto dal sonno (perché spesso i marinaivanno arriva ancora in uno stato di trapasso) e se

fu così nessuno ormai può dirlo; fatto stanon era stato molto sulla suapertica quando si sentì un gridoun grido e un

tonfoe alzando gli occhi videro un fantasma che piombava per l'ariaecalandoliun mucchietto sconvolto di bolle

bianche nell'azzurro del mare..192

Dalla poppadove pendeva sempre ubbidiente a una molla ingegnosafu gettatoil salvagenteun barile lungo e

stretto; ma nessuna mano emerse ad afferrarloe poiché il sole vi avevabattuto a lungo e l'aveva raggrinzitoesso si

riempì a poco a pocomentre il legno disseccato beveva per conto suo daogni poro. E il barile borchiato e cerchiato di

ferro seguì il marinaio giù a fondocome per fornirgli un guancialesebbene in verità assai duro.

E così il primo uomo del Pequod che scalò l'albero per avvistare la balenabianca sul terreno proprio della

balena biancaquell'uomo fu inghiottito dall'abisso. Ma pochi forse lapensarono così in quel momento. Anzi in certo

modo nessuno si rattristò molto per il fattoalmeno come presagioperchélo considerarono non come preannunzio di

male futuroma come compimento di un male già preannunziato. Dichiararonoche adesso sapevano la causa di quegli

urli selvaggi uditi la notte prima. Ma il vecchio di Man tornò a scuotere ilcapo.

Ora bisognava rimpiazzare il salvagente perduto. Si ordinò a Starbuck diprovvedere. Ma siccome non si

trovava nessuna botte abbastanza leggerae nell'ansia febbrile di quella chepareva la crisi imminente del viaggio tutti

gli uomini erano insofferenti di qualsiasi lavoro che non fosse direttamenteconnesso al suo scopo finalequale che

fosse per esseregià si stava per lasciare sguarnita di salvagente lapoppaquando con certi strani segni e allusioni

Queequeg lasciò capire non so che riguardo alla sua cassa.

«Un salvagente con una bara!» esclamò Starbuck a bocca aperta.

«Piuttosto stranucciodirei» fece Stubb.

«Farà un salvagente discreto» disse Flask«il carpentiere qui la puòadattare facilmente.»

«Portala suse non c'è altro» decise Starbuck dopo una pausamalinconica. «Attrezzalacarpentiere. E non mi

guardare così: dico quella cassa da morto. Hai sentito? Attrezzala.»

«E debbo inchiodare il coperchiosignore?» fece quello muovendo la manocome avesse un martello.

«Sicuro.»

«E debbo calafatare le giunturesignore?» E mosse la mano come ci avesseun ferro da calafato.

«Certo.»

«E poi debbo darci sopra la pecesignore?» E mossecome ci avesse un vasodi pece.

«Fila! Che diavolo ti prende ora? Fanne un salvagente e basta. Signor Stubbsignor Flaska prua con me.»

«Se ne va infuriato. La cosa tutt'assieme la sopportama ai particolarialza i tacchi. A me la cosa non garba.

Faccio una gamba per il capitano e lui la porta da signore. Ma faccio unacappelliera per Queequeg e manco ci mette la

testa. Devo proprio sprecare le fatiche che mi costa quella cassa? E ora misi dice di farne un salvagente. È come

rivoltare un vestito vecchio: ora la carne la porta dall'altra parte. Questolavoro da ciabattino non mi vanon mi va

proprio: non c'è dignità; non è roba mia. Per turare buchici sono imocciosi degli stagnini: noi siamo parecchio più in

alto. Mi piace avere per mano solo lavori pulitiverginimatematici diprecisionequalche cosa che principia regolare al

principioè a mezza strada quand'è a mezza strada e viene a finire allaconclusione: non un lavoro da ciabattino che

finisce nel mezzo e principia alla fine. È proprio vizio di vecchiaandaredando ques ti lavori di rappezzo. Cristo! Che

passione hanno le vecchie per gli stagnini. Conosco una vecchia disessantacinque anni che una volta scappò con un

giovanotto stagnino (era calvo). Ecco perché a terra non ho voluto mailavorare per vedove vecchie e solitariequando

ero a cottimo nel Vigneto; magariin quelle zucche vecchie e solitariegliveniva in testa di scappare con me. Ma oibò!

Non c'è cresta in mare se non è cresta d'acqua. Vediamo: inchiodare ilcoperchiocalafatare le giunturedargli una mano

di pecechiuderle bene stagnee appendere il tutto a poppa con la molla ascatto. Quando mai s'è fatta questa roba con

una cassa da morto? Certuni di noivecchi e superstiziosisi farebberopiuttosto appendere alle manovre che fare questa

razza di lavoro. Ma io sono fatto di abete nocchiuto di Aroostook. Non mismuovo mica. Una cassa da morto per

straccale! Andarsene in giro col vassoio del camposanto! A me non freganiente. Noi lavoratori del legno facciamo

lettiere per nozze e tavoli da giococome anche casse e carrozze da morto.Lavoriamo a mesataa ordinazione o a

cottimo; non tocca a noi domandare il perché e il percome del lavoroa menoche non sia qualche rappezzo schifosoe

allora ce ne sbarazziamo se si può. Ehm! Facciamo un po' questa roba amodino. Ci metto... vediamoquanti siamo a

bordo tutti compresi? L'ho dimenticato. Comunqueci metto trenta sagoleseparate a testa di saracinociascuna lunga tre

piediappese tutt'attorno alla cassa. Così se lo scafo va sottoci sarannotrenta vis pi giovanotti tutti a battagliare per

un'unica cassa da mortouno spettacolo raro sotto il sole! Sumartelloferro da calafatomarmitta e caviglia! Diamoci

sotto!

CXXVII • LA TOLDA

(La bara su due mastelli da lenzatra il bancone e la boccaporta spalancata.Il carpentiere ne sta calafatando

le giunture. Il fascio di stoppa intrecciata si sgomitola piano da un granrotolo che tiene in pettonel camicione. Achab

arriva lento dal portello della cabinae sente Pip che lo segue.)

«Torna giùfiglio. Ridiscendo subito. Se ne va! Neanche questa manoubbidisce al mio umore meglio di quel

ragazzo... Siamo in mezzo a una chiesa! Che roba è?»

«Il salvagentesignore. Ordini del signor Starbuck. Ohocchiosignore!Attento alla boccaporta.»

«Graziemarinaio. La tua bara è ben messavicino alla cripta.»

«Comesignore? Ahla boccaporta? Proprio cosìsignoreproprio così.»

«Non sei tu il costruttore di gambe? Guarda quinon viene dalla tua bottegaquesto ceppo?».193

«Credo di sìsignore; regge la ghie rasignore?»

«Abbastanza. Ma non sei anche quello delle pompe funebri?»

«Sissignore; questo l'ho rappezzato io per fare da cassa a Queequegma orami han messo qui a farne qualcosa

d'altro.»

«Allora dimmi: non sei un vecchio furfante matricolatoavidoficcanasomonopolista e miscredenteche un

giorno vai facendo gambeil giorno dopo bare per chiudercele dentroe unterzo salvagenti con le medesime bare? Sei

privo di scrupoli come gli deie un tuttofare come loro.»

«Ma io non lo faccio mica con delle intenzionisignore. Faccio per fare.»

«Proprio come gli dei. Sentinon canti mai quando lavori a una cassa damorto? I Titanidiconoandavan

canticchiando mentre scalpellavano i crateri dei loro vulcani; e nel drammail becchino canta con la vanga in mano. Tu

mai?»

«Cantaresignore? Io cantare? Ehsignoresono fiacco iodi voce. Ma laragione che il becchino faceva

musica dev'essere stata perché non aveva musica nella vangasignore. Lamazzuola del calafatoinveceè tutta musica

signore. State a sentire.»

«Giàed è perché il coperchio fa da cassa armonica; e ciò che in ognicosa fa da cassa armonica è questo: il

vuoto che c'è sotto. Però una cassa col morto dentro suona pressappoco lostessocarpentiere. Hai mai aiutato a portare

un cataletto? E non hai sentito la bara picchiare contro il cancello delcamposantonell'entrare?»

«Be'signorein fede mia...»

«In fede tua? Che significa?»

«Be'in fede miasignorenon è che una specie di esclamativo... come...proprio cosìsignore.»

«Bahbah! Va' avanti.»

«Stavo per diresignoreche...»

«Ma cosa seiun baco da seta? Ti cavi il sudario dallo stomaco? Guardati inpetto! Sbrigati! E fa' sparire quella

roba.»

«Se ne va a poppa. Questo si chiama fare le cose di botto. Ma la rafficaviene di botto in queste latitudini. Ho

sentito dire che l'isola di Albemarleuna delle Gallipagosè tagliataproprio a metà dall'equatore. Ho l'impressione che

una specie di equatore taglia pure quel vecchioproprio nel mezzo. Stasempre sotto la linea... caldo da impazzire

credetemi! Guarda da questa parte... sula stoppa: presto. E daccapo. Questamazzuola di legno è il tappoe io sono il

professore di bicchieri musicali: tictac!»

Achab (a sestesso).

«Che bella vista! Che musica! Il picchio canuto che batte l'albero cavo!C'è da invidiare ciechi e muti! Ma

guardaquella cosa poggia su due mastelli pieni di cavi da rimorchio. Unbuffone astutissimoquel tipo. Craccrac!

Così picchiano i secondi nella vita! Oh come sono immateriali tutte le cosemateriali! Che cosa c'è di reale se non i

pensieri senza peso? Ecco qua lo stesso simbolo pauroso della brutta morteche per puro caso ti diventa l'emblema

dell'aiuto e della speranza per chi è messo più a repentaglio. Unsalvagente con una cassa da morto!

O c'è dell'altro? Può essere che in qualche senso spirituale la cassa èdopo tuttosolo un salva-immortalità? Ci

voglio riflettere. Ma no. Ormai sono tanto avanzato nel lato oscuro dellaterrache la sua altra facciaquella lucente

della teoriami pare solo un crepuscolo incerto. Non la finirai maicarpentierecon quel rumore dannato? Me ne vado

sotto; che non veda più quella cosa quando torno. E oraPipparleremo diquesto; da te succhio le più meravigliose

filosofie! Dai mondi ignotiqualche canale sconosciuto deve svuotarsi inte!»

CXXVIII • IL PEQUOD INCONTRA LA RACHELE

Il giorno dopo avvistammo una grossa navela Racheleche filava dritta sulPequod con tutti i pennoni carichi

di grappoli umani. Il Pequod tagliava l'acqua piuttosto forteal momento; maquando ad ali spiegate l'estranea gli passò

vicino a sottoventodi colpo le vele gonfie caddero tutte assieme come tantevesciche scoppiatee lo scafo perdette di

punto in bianco ogni vita.

«Brutte notizie; porta brutte notizie» brontolò il vecchio di Man. Maprima che il suo comandantedritto in

piedi sulla barca col suo imbuto alla boccapotesse dare la voce utilmentesi sentì gridare Achab.

«Hai visto la balena bianca?»

«Sìieri. Avete visto una lancia alla deriva?»

Strozzando la gioiaAchab rispose di no a questa domanda inattesae sarebbesenz'altro partito per abbordare

gli stranieriquando si vide lo stesso capitano fermare la rotta e calarsiper la fiancata. Poche vogate robustee il gancio

d'accosto uncinò il parasartie di maestra del Pequode quello saltò sulponte.

Subito Achab lo riconobbe: era di Nantuckete lo conosceva. Ma non ci furonosaluti.

«Dove? Non l'hai uccisano?» gridò Achab venendogli quasi addosso.«Com'è stato?»

Pare che il pomeriggio del giorno primasul tardimentre tre lance deiforestieri erano impegnate con un

branco di baleneche le aveva allontanate per quattro o cinque miglia dallanave e spinte a un veloce inseguimento a

sopravventodi colpo la gobba e la testa bianche di Moby Dick si eranosollevate dall'acqua azzurranon molto lontano.194

a sottovento; e subitoalloraera stata ammainata e spedita alla caccia laquarta lancia attrezzata a velauna lancia

riservata. Dopo una bella corsa col ventoquesta quarta imbarcazione (era lachiglia più veloce che avevano) parve

fosse riuscita a far presaalmeno per quanto poteva intravvederne l'uomosulla testa d'albero. Videin distanzala lancia

ridursi a un puntinopoi un rapido barbaglio di acqua bianca bollentee poinient'altro: dal che si concluse che la balena

colpita doveva essere fuggita all'impazzata coi suoi inseguitoricome capitaspesso. Vi fu qualche apprensionema sul

momento nessun vero allarme. Si alzarono i segnali di richiamovenne ilbuioe costretta a raccogliere le sue tre lance

lontane a sopravvento prima di mettersi alla ricerca della quarta nelladirezione esattamente oppostala nave aveva

dovuto non solo lasciare al suo destino quella barca fin quasi a mezzanottema aumentare per il momento la propria

distanza da essa. Alla finequando il resto dell'equipaggio fu sano e salvoa bordola nave spiegò ogni velaalzò tutti i

coltellacci e si gettò dietro alla lancia mancanteaccendendo il fuoconelle raffinerie per servire da faroe mandando su

di vedetta metà della ciurma. Ma sebbenepercorso un tratto sufficiente perguadagnare la posizione presunta dei

dispersi quando li si era visti l'ultima voltala nave si fosse fermata adammainare le lance di riserva perché battessero

tutt'intornoe non trovando niente si fosse di nuovo slanciatae poi ancorafermata per ammainarecontinuando a fare

così fino a giorno fattocon tutto ciò del legno mancante non si era vistaneanche l'ombra.

Finito il raccontoil capitano straniero passò subito a dichiarare perchéera venuto a bordo del Pequod.

Avrebbe voluto che la nave si unisse alla sua nella ricercaveleggiandoassieme su linee parallele alla distanza di

quattro o cinque migliain modo da dominarediciamoun orizzonte doppio.

«Ora scommetto qualcosa» bisbigliò Stubb a Flask«che qualcuno inquella barca dispersa si era messo il

giaccone migliore del capitanomagari col suo orologio: tanto maledettamenteè ansioso di ritrovarla! Chi ha mai

sentito che due pie baleniere si mettono a incrociare in piena stagionedietro a una lancia perduta? Ma guardaFlask

guarda un po' che faccia pallidapallida fin dentro agli occhi; ma nonondev'essere il giacconedev'essere il...»

«Mio figlioc'è mio figlio con loro. In nome di Diovi pregoviscongiuro...» gridò qui il capitano ad Achab

che finora aveva accolto la richiesta freddamente. «Lasciatemi noleggiare lanave per quarantott'ore... pagherò volentieri

e pagherò bene... se non c'è altro modo... quarantott'ore soltanto... soloquesto... dovete farloohdovetee lo farete.»

Gridò Stubb: «Suo figlioohè suo figlio che ha perduto! Ritiro giacconee orologio... che dice Achab?

Dobbiamo salvarlo quel ragazzo.»

«È annegato con gli altri la notte scorsa» fecedietro a loroilvecchio di Man. «Li ho sentititutti voi avete

sentito i loro spiriti.»

Oracome presto si seppeciò che faceva più triste questa disgrazia dellaRachele era il fatto che non solo uno

dei figli del capitano era tra gli uomini della lancia dispersamacontemporaneamentetra quelli delle altre lance

separate dalla nave durante le nere vicissitudini della caccias'era trovatoun altro suo figlio. Sicché per un tratto quel

padre disgraziato s'era visto in fondo alla più crudele perplessità;risolta solo per lui dal primo ufficialeche aveva

applicato istintivamente la procedura ordinaria sulle baleniere in similifrangentie cioè che quando ci si trova tra lance

in pericolo ma separatesi raccoglie sempre per prima la maggioranza. Ma ilcapitanoper chi sa quale motivo di

caratteresi era astenuto dal fare accenno a tutto questoné alluse a quelfiglio ancora disperso se non quando vi fu

forzato dalla glacialità di Achab. Era un ragazzetto di soli dodici anni cheil padrecon la durezza rigorosa ma

spericolata d'amor paterno di un nantucketteseaveva voluto iniziare cosìpresto ai pericoli e alle meraviglie di una

professione che quasi da sempre era il destino di tutta la sua stirpe. E nondi rado succede che dei capitani di Nantucket

mandino fuori un figlio di così tenera età per un viaggio che dura tre oquattro anni su una nave diversa dalla propriain

modo che quella prima esperienza del mestiere non sia raddolcita da qualcheeventuale segno della parzialità paterna

naturale ma inopportunané da indebite apprensioni e premure.

Intanto il forestiero continuava a implorare da Achab il suo povero dono; eAchab continuava a ricevere i colpi

come una incudinesenza il minimo tremito da parte sua.

«Non me ne vado» disse lo straniero«finché non mi dite di sì. Fate ame ciò che vorreste che io facessi a voi

in un caso simile. Perché anche voi avete un figliocapitano Achab... perquanto ancora bambino e sicuro nel nidoa

casa... un figlioanchedella vostra vecchiaia... sìsìora vicommuovetelo vedo... sveltiragazzisveltipronti a

bracciare in croce!»

«Fermi!» urlò Achab. «Non toccate niente.» Poicon una voce cheplasmava lenta ogni parola: «Capitano

Gardinernon posso. Anche orasto perdendo tempo. Addioaddio. Il Signoreti proteggaamicoe possa io perdonare

me stessoma debbo andare. Signor Starbuckguardate l'orologio dichiesuolae in tre minuti esatti invitate tutti gli

estranei ad andarsene: poibraccia ancora in velacon la rotta di prima.»

Girandosi in fretta con la faccia voltata scese giù in cabina; e lasciò ilcapitano forestiero paralizzato da quel

rifiuto netto e categorico a una richiesta così fervida. Ma scuotendosi daquel torpore Gardiner si affrettò in silenzio alla

muratacaddepiù che scenderenella lanciae tornò alla sua nave.

Presto le scie delle due navi si diviseroe finché la nave estranea fu invistala vedemmo straorzare qua e là

dietro ogni punto neroper quanto piccolosul mare. I suoi pennoni andavanoda una parte e dall'altra; a dritta e a

manca continuava a bordeggiare; ora picchiava di testa le ondeora ne eraspinta di dietro; mentre tutto il tempo i suoi

alberi e pennoni portavano gli uomini a grappolicome tre alti ciliegiquando i ragazzi vanno per frutti tra i rami.

Ma dalla sua corsa a singhiozzoe dal suo andare tortuoso e dolentesivedeva chiaro che quella nave tutta

lacrime di spuma restava sempre senza conforto. Era Racheleche piangeva isuoi figliperché non erano più.

CXXIX • LA CABINA.195

(Achab fa per salire in coperta; Pip gli afferra la mano per seguirlo.)

«Ragazzoragazzoti dico che per ora non devi seguire Achab. Si avvicinal'ora in cui Achabsenza volerti

scacciarenon vorrebbe averti accanto. C'è qualcosa in tepovero ragazzoche sento troppo come una cura per la mia

malattia. Il simile cura il simile; e per questa cacciala mia malattiadiventa la salute che più desidero. Resta qui sotto

dove ti serviranno come se fossi il capitano. Sicuroragazzosiedi quinella mia sedia avvitata; ne sarai un'altra vite.»

«Nonono! Voi non avete un corpo interosignore; usate almeno questopovero me al posto della gamba

perduta. Camminatemi soprasignorenon chiedo altropurché resti unaparte di voi.»

«Ohmalgrado i milioni di furfantiquesto mi fa un bigotto della fedeltàeterna dell'uomo! Un negro! E un

idiota!... ma forse la cura del simile vale anche per lui; ridiventa sano.»

«Mi diconosignoreche Stubb ha abbandonato una volta il povero Pipe lesue ossa sott'acqua ora appaiono

bianchecon tutto il nero della sua pelle viva. Ma io non vi lascerò maisignore; non farò come Stubb. Debbo venire

con voisignore.»

«Se mi parli così ancora un pocoil proposito di Achab gli si capovolgedentro. Ti dico di no. Non si può.»

«Oh buon padronepadronepadrone!»

«Se piangi ti ammazzo! Attentoperché anche Achab è matto. Tendil'orecchiosentirai spesso sul ponte il mio

piede di avorioe saprai che sono sempre lì. E ora ti lascio. La mano! Qua!Tu sei fedeleragazzocome la

circonferenza al suo centro. Così: Dio ti benedica per sempree se ènecessarioDio ti salvi per semprequalunque cosa

succeda.»

(Achab esce; Pip fa un passo avanti.)

«Stava qui in questo momento. Sto nella sua aria... ma sono solo. Almeno cifosse qui il povero Pippotrei

resisterema non si trova. Pip! Pip! Dingdongding! Chi ha visto Pip?Dev'essere qua sopra. Proviamo la porta. Come!

Né serratura né catenaccio né sbarraeppure non si può aprire.Dev'essere l'incantesimo: mi ha detto di star qui. Sìe ha

detto che questa sedia avvitata era mia. Allora mi siedo quicontro lospecchio di poppaproprio in mezzo alla nave con

tutta la chiglia e i tre alberi davanti. Quidicono i nostri vecchi marinainelle nere navi da guerra i grandi ammiragli

siedono qualche volta a tavola e fanno venire la tremarella a file dicapitani e di luogotenenti. Ah! Che succede?

Spalline! Spalline! Tutte le spalline mi si affollano attorno. Fate circolarei boccali; felice di vedervi; riempitesignori!

Che strana sensazioneoraquando un ragazzo nero è ospite di bianchi coigalloni d'oro sulle giacche!... Signoriavete

visto un certo Pip?... un ragazzetto neroalto cinque piediaria dicanaglia e di vigliacco! Che una volta saltò da una

lancia... l'avete visto? No! Benemescete alloracapitanie beviamo allavergogna di tutti i vili! Non faccio nomi.

Vergogna a loro! Mettete un piede sulla tavola. Vergogna a tutti ivigliacchi... Zitti! Lassùsento avorio... Oh padrone

padrone! sono davvero triste quando mi cammini addosso. Ma starò quianchese la chiglia urta rocce e le rocce

sporgono qui dentro e le ostriche mi vengono a trovare.»

CXXX • IL CAPPELLO

E ora che a suo tempo e luogodopo una crociera preparatoria così lunga elargaAchabattraversate tutte le

altre zone di cacciapareva avere spinto il suo nemico in una chiusaoceanica per trucidarvelo con maggiore certezza

ora che si trovava così vicino alla latitudine e longitudine dove gli erastata inflitta la ferita che lo torturavae aveva

incontrato una nave che proprio il giorno prima si era battuta con Moby Dick;ora che tutti i suoi abboccamenti con navi

diverse avevano confermato da punti di vista contrari l'indifferenzademoniaca con cui la balena bianca dilaniava i suoi

inseguitorisia che cercassero lo scontro o lo subisserofu ora che negliocchi del vecchio affiorò qualcosa che le anime

deboli potevano a stento tollerare. Come la stella polare intramontabilecheper tutti i sei mesi della gran notte artica

brilla fermapenetrante e sovranacosì ora lo scopo di Achab scintillavafisso sulla continua mezzanotte del suo

equipaggio sgomento. Li dominava a tal punto che tutti i loro presentimentidubbisospetti e paure preferivano celarsi

nel fondo dell'anima e non buttar fuori una sola gemma o foglia.

In questo intervallo presagopoisvanì ogni allegria forzata o naturale.Stubb non cercò più di strappare un

sorrisoné Starbuck di reprimerlo. Gioia e dolore assiemesperanza epauraparevano macinate in polvere sottilissima e

versate per il momento nel mortaio sprangato dell'animo ferreo di Achab. Comemacchine si muovevano muti in

copertasempre coscienti dell'occhio dispotico del vecchio fisso su di loro.

Ma se l'aveste scrutato profondamente nelle sue ore più intime e segretequando pensava che nessun occhio

tranne unofosse su di luiallora avreste veduto che proprio come gli occhidi Achab atterrivano l'equipaggiolo

sguardo dell'impenetrabile Parsi dominava il suoo comunque lo turbava avolte selvaggiamente. Un'aria sfuggente così

nuova e strana cominciava ora a invadere lo scarno Fedallahtali brividiincessanti lo scuotevanoche gli uomini lo

guardavano scombussolatiquasi non riuscissero più a capiresembravasequell'uomo fosse una creatura mortale.196

oppure un'ombra tremula gettata sul ponte dal corpo di qualche creaturainvisibile. E quell'ombra era sempre lì che

vagava. Perché non si era mai riusciti a sapere con certezza se Fedallahdormiva o almenola notteandava sotto

coperta. Per ore se ne stava immobilema senza mai sedere o appoggiarsi; isuoi occhi smorti ma prodigiosi dicevano

chiaro: Noi due sentinelle non riposiamo mai.

E ormai a nessun'oradi notte o di giornopotevano i marinai salire incoperta senza trovarsi Achab davantio

in piedi imperniato nel suo bucoo in rigida marcia sul tavolato sempre tradue stessi puntil'albero maestro e quello di

mezzana. Oppure lo vedevano ritto davanti alla scaletta della cabinailpiede vivo proteso sul ponte come a fare un

passoil cappello tutto tirato sugli occhi: sicché per quanto stesseimmobilee per quanto crescessero i giorni e le notti

che non s'era sdraiato nella brandanessuno poteva mai dire con sicurezza sesotto quel cappello calcato i suoi occhia

voltefossero davvero chiusi; o se invece li stava guardando fissoanche serestava così sulla scala per tutta un'ora di

filaincurante dell'umidità notturna che s'addensava in gocce di rugiada suquel giaccone e quel cappello di pietra. I

panni che la notte aveva bagnatiil sole dell'indomani glieli asciugavaaddosso; e cosìgiorno dopo giornonotte dopo

nottenon scese più tra le assi. Ciò che gli serviva di cabinamandava aprendere.

Mangiava lì pureall'aperto: cioè a dire i suoi soli due pasticolazionee pranzo. Cena non ne toccava mainé si

radeva la barba che cresceva tutta fosca e nodosa come le nude radici dialberi abbattuti che ancora crescono invano alla

base scopertasebbene più sopra tutto sia morto fra i rami. Ma per quantotutta la sua vita fosse diventata ora un'unica

veglia in copertae la misteriosa guardia del Parsi non avesse più sostacome la suapure questi due non parevano mai

parlarsida uomo a uomotranne che a lunghi intervalli lo rendessenecessario qualche ragione casualetrascurabile. Un

incanto potente pareva unire i due in segretoma apertamentedavanti allaciurma esterrefattaparevano lontani come

poli. Se di giorno gli capitava di scambiare una paroladi notte eranoambedue muti per quanto riguardava il minimo

rapporto verbale. A volteper ore lunghissimesenza un singolo salutosirizzavano a distanza alla luce delle stelle:

Achab sul suo portelloil Parsi all'albero di maestra; ma sempre guardandosifissicome se nel Parsi Achab vedesse

proiettata la sua ombrae il Parsinell'altroil corpo che aveva lasciato.

Eppure in qualche modo Achab nel suo io (quello che giorno per giornooraper ora e ogni istante si rivelava

negli ordini ai suoi subalterni)Achab pareva un signore indipendentee ilParsi soltanto il suo schiavo. E d'altra parte

parevano sempre aggiogati assiemecon un tiranno invisibile che li teneva almorsol'ombra sparuta al fianco del saldo

costato. Perchéqualunque cosa il Parsi potesse esseretutto costato echiglia era quel solido Achab.

Al primo più debole baluginare dell'albasi sentiva da poppa la sua voce diferro: «Arma le teste d'albero!» e

per tutto il giornofin dopo il tramonto e il crepuscolola stessa voceogni ora si sentiva al rintocco della campana al

timone: «Cosa vedi? Occhio! Occhio!»

Ma quandodopo l'incontro con l'afflitta Racheletre o quattro giornivolarono via e nessun zampillo s'era

vistoil vecchio maniaco parve non fidarsi più del proprio equipaggiooalmeno di quasi tutti tranne i ramponieri

pagani; sembrava persino dubitare che Stubb e Flask potessero lasciarsisfuggire apposta l'avvistamento che cercava.

Ma se davvero ebbe questi sospettisi astenne scaltramente dall'esprimerliin parolee li lasciava trapelare solo dai

propri atti.

«Sarò io stesso il primo ad avvistare la balena» diceva. «Sicuro! Ildoblone deve guadagnarselo Achab!» E con

le proprie mani attrezzò un nido di boline intrecciatee mandato su unmarinaio con un bozzello semplice da assicurare

alla testa di maestroprese le due cime del cavo passate all'ingiùneattaccò una al suo cesto e preparò una caviglia per

assicurare l'altra alla ringhiera. Ciò fattodritto accanto alla cavigliacon quella cima in manoguardò gli uomini in giro

uno dopo l'altroposando l'occhio a lungo su DaggooQueequeg e Tashtegomaevitando Fedallahpoiposando

l'occhio fermo e fiducioso sul primo ufficialedisse: «Prendi tu il cavoufficiale. Lo metto nelle tue maniStarbuck.» Si

sistemò nel cesto e diede l'ordine di issarlo al suo posatoio; e Starbuck fuquello che alla fine assicurò il cavo e poi vi

stette accanto. E cosìcon un braccio attorno all'alberettoAchab dominòil mare per miglia e migliaa pruaa poppae

ai due latientro l'ampio cerchio che si comanda da una simile altezza.

Quando nel lavorare con le proprie mani a qualche punto alto e quasi isolatodell'alberaturache magar non

offre alcun punto di appoggioil marinaio viene sollevato lassù e sostenutoda un cavoin questi casi la cima assicurata

in coperta viene sempre affidata in stretta consegna a qualcuno che lasorvegli in particolare. Perché in un simile

labirinto di manovre correntii cui vari e diversi rapporti arriva nonsempre si possono discernere con sicurezza da ciò

che se ne vede sul pontee quando le cime inferiori di questi cavi vannosciolte ogni minuto dalle caviglienon sarebbe

che una disgrazia naturale sesprovvisto di una sorveglianza continuailmarinaio lassù venisse mollato a causa di

qualche svista degli uominie andasse giù a piombo nell'acqua. Così laprocedura di Achab in questo caso non era

insolitae la sola cosa strana in essa era che proprio Starbuckquasil'unico che si fosse mai arrischiato a tenergli testa

con una qualche minima risoluzionee per giunta uno di quelli della cuifedeltà come vedetta egli era apparso dubitare

alquantoera strano dico che questi fosse proprio l'uomo che Achab si dovevascegliere come guardianoaffidando di

propria volontà la vita nelle mani di uno altrimenti così malfido.

Orala prima volta che Achab venne appollaiato lassùprima che potessestarci dieci minutiuno di quei feroci

falchi marini dal becco rossoche in quelle latitudini vanno roteando cosìspesso fastidiosamente rasenti alle teste

d'albero attrezzate delle baleniereuno di questi uccelli gli venne aturbinare e stridere sulla testa in un labirinto di

cerchi inestricabilmente veloci. Poicome una freccias'impennò per millepiedi nell'ariacalò a spirale e tornò a

vorticargli attorno al capo..197

Ma Achabcon lo sguardo fisso al vago lontano orizzontenon sembròaccorgersi dell'uccello selvaggioné a

dire il vero altri ci avrebbero fatto casovisto che non era cosa insolita;solo che ora anche l'occhio meno sveglio pareva

scoprire quasi ovunque un qualche significato riposto.

«Il cappelloil cappellosignore!» gridò all'improvviso il marinaiosicilianoche essendo di servizio alla testa

d'albero di mezzana stava direttamente alle spalle di Achabma un po' piùin basso e al di là d'un golfo profondo d'aria.

Ma già l'ala di pece guizzava sugli occhi del vecchioil lungo becco aduncogli era sul capo: con un gridoil

falco nero saettò via con la preda.

Un'aquila volò tre volte attorno al capo di Tarquiniotogliendogli ilberretto e rimettendolo a postoal che la

moglie Tanaquilla dichiarò che Tarquinio sarebbe stato re di Roma. Ma soloper la restituzione del berretto fu il

presagio ritenuto benigno. Il cappello di Achab non fu mai restituitoilfalco selvaggio volò via con esso sempre più

lontanomolto avanti alla nostra prua; alla fine scomparvee dal punto incui era sparito si vide vagamente un puntolino

nero che cadeva da quell'immensa altezza nel mare.

CXXXI • IL PEQUOD INCONTRA LA DELIZIA

L'avido Pequod continuava a veleggiare. Le onde e i giorni rotolavano via. Labara-salvagente dondolava

sempre leggerae avvistammo un'altra nave che per triste beffa si chiamavala Delizia. Mentre s'avvicinava tutti gli

occhi erano fissi sulle grosse travidette la bigache in certe baleniereattraversano il cassero all'altezza di otto o nove

piedie servono a portare le lance di rispettoquelle non attrezzate o inavaria.

Sulla biga dei forestieri si scorgevano le bianche costole a pezzi e alcunetavole spaccate di ciò che era stata

una volta una lancia; ma ora ci si vedeva attraversocome se fosse loscheletro scorticato di un cavallomezzo

scardinato e riarso.

«Hai visto la balena bianca?»

«Guarda lì!» rispose dal coronamento il capitanoche aveva due fosse perguancee col portavoce indicò il

relitto.

«L'hai ammazzata?»

«Non è ancora forgiato il rampone che lo potrà fare!» rispose l'altroedette un'occhiata triste a una branda

arrotolatai cui lati alcuni marinai stavano in silenzio a ricucire assieme.

«Non è forgiato!» e strappando dal forcaccio il ferro di PerthAchab lobrandì gridando: «Ascolta

nantuckettese: qui in questa mano tengo la sua morte! Queste punte sonotemprate nel sangue e nel fulminee io giuro

di temprarle per la terza volta in quel punto caldo dietro la pinnadove labalena bianca sente pulsare di più la sua vita

maledetta!»

«Allora Dio ti proteggavecchio... lo vedi quello?» e indicò la branda:«Seppellisco solo uno di cinque uomini

robustiche appena ieri erano vivima prima di notte già morti. Soloquello seppellisco: gli altri sono stati sepolti prima

di morire. State passando sulla loro tomba.» Poi volgendosi all'equipaggio:«Siete pronti lì? Allora mettete la tavola

sulla ringhiera e sollevate il corpo: così. O Signore...» e camminò versola branda con le mani levate. «Possa la

resurrezione e la vita...»

«Braccia avanti! Barra a sopravvento!» gridò fulmineo Achab ai suoi.

Con tutto il suo scattoil Pequod non riuscì a evitare il rumore del tonfoche fece il cadavere piombando in

acqua; anzi non riuscì a evitareforseche qualcuna delle bolle schizzatenon gli spruzzasse lo scafo col suo lugubre

battesimo.

E mentre Achab s'allontanava dalla triste Delizialo strano salvagenteattaccato alla poppa del Pequod saltò in

piena vista.

«Ah! Laggiù! Guardate laggiùragazzi!» gridò una voce profetica nellascia. «È inutileforestiericercare di

sfuggire alla nostra triste sepoltura: ci voltate le spalle solo permostrarci la vostra bara!»

CXXXII • LA SINFONIA

Era un giorno limpidod'un azzurro d'acciaio. Le sfere dell'aria e del maresi distinguevano appena in quel lago

ceruleo. Ma l'aria pensosa aveva una trasparenza pura e soavecome un visodi donnae il mare robusto e virile si

gonfiava in ondate lunghepoderoseflemmatichecome il torace di Sansonedormente. Qua e là in alto guizzavano le

ali nivee di piccoli uccelli immacolati: erano i teneri pensieri dell'ariafemminea; ma giù negli abissi dell'azzurro infinito

da ogni parte s'avventavano enormi leviatani e pesci-spada e squali: e questeerano le riflessioni violentetormentose

assassine di quel mare maschio.

Ma il contrastocosì profondo nell'intimodi fuori appariva solo in ombree riflessi. Quei due sembravano una

cosa sola; e solo il sessodiciamoli distingueva..198

Arrivacome un re o uno zar maestosoil sole pareva donare quell'ariagentile a questo forte mare rollante

come la sposa allo sposo. E laggiù alla cintura dell'orizzontequel motosoave e tremulo che si scorge qui all'equatore

indicava la fede inebriata e palpitantele paure innamorate con cui lapovera sposa donava il suo grembo.

Rattrappito e contortonocchiuto e solcato di rughedolorosamente fermo einflessibilegli occhi rossi come

carboni che ardono ancora tra le ceneri di un disastroAchab uscì sicuronella chiarità del mattinoalzando l'elmo

scheggiato delle ciglia verso la fronte della fanciulla leggiadra del cielo.

O infanzia immortale e innocenza dell'azzurro! Invisibili creature alate checi scherzano tutt'intorno! Dolce

fanciullezza dell'aria e del cielocome eravate dimentiche del dolorecontorto di quel vecchio! Ma così ho visto le

piccole Miriam e Martaelfi dagli occhi ridentisaltellare spensierateattorno all'avo decrepitogiocando con la chierica

di capelli abbruciacchiati che gli spuntano ai bordi del cratere spento delcervello.

Dal portello Achab traversò lentamente la copertasi chinò sulla fiancatae guardò come la sua ombra

nell'acqua affondava sempre più ai suoi occhi quanto più cercava dipenetrarne l'intimo. Ma gli aromi soavi di quell'aria

incantata parvero alla fine dissipareper un attimoil cancro che avevanell'anima. Quell'aria lietafelicequel cielo

amabilelo accarezzò in finelo rasserenò; la terra matrignacosì alungo minacciosa e crudeleora gettò braccia

amorose attorno a quel collo testardoe parve singhiozzare di gioia su diluicome per uno chetraviato e induritoella

avesse tuttavia il cuore di benedire e salvare. Di sotto al cappello tiratosugli occhi una lacrima cadde nel mare: e tutto il

Pacifico non conteneva ricchezze eguali a quella misera goccia.

Starbuck vide il vecchio; lo vide appoggiarsi di peso alla murata; e gliparve di sentire nel proprio cuore onesto

lo smisurato singhiozzo che rompeva dal cuore di tutta quella serenità.Attento a non toccarlo e a non farsi notarevenne

a metterglisi accanto.

Achab si voltò.

«Starbuck.»

«Sissignore.»

«AhStarbuck! È così dolce il ventoil cielo così tenero. In un giornocosìproprio così delicatocolpii la mia

prima balena: un ramponiere di diciott'anni! Quarant'anni faquaranta...quarant'anni! Quarant'anni fa! Quarant'anni di

caccia continua! Quarant'anni di privazionie pericolie tempeste.Quarant'anni su questo mare spietato. Per

quarant'anni Achab ha lasciato la terra serenaper quarant'anni ha fattoguerra agli orrori dell'abisso! Proprio così

Starbuck: di questi quarant'anni non ne ho passati tre a terra. Quando pensoa questa vita che ho fattoe che solitudine

spaventosa è stataquesta fortezza murata e chiusa di un capitanochelascia ben poco accesso ai moti di affetto dalla

terra verde lì attornoah che stanchezza! Che fatica! Schiavitù africanadi chi comandacosì solo... Quando penso a

tutto questoe finora l'ho appena sospettatomai capito così chiaro...quando penso che per quarant'anni non ho

mangiato che roba seccasalatagiusto segno dell'arido che mi nutrival'anima! mentre che il più povero a terra ha avuto

ogni giorno frutta frescae spezzato il pane fresco del mondo invece dellemie croste ammuffite... lontanolontano

oceani interi da quella ragazza che sposai più che cinquantennepartendol'indomani per il Capo Hornlasciando solo

una fossa nel cuscino del nostro letto... moglie? novedova piuttosto di unmarito vivo! SicuroStarbuckquella povera

ragazzal'ho resa vedova il momento che la sposai; e poi la pazziaildelirioil fuoco nel sangueil fumo nel cervello

con cui questo vecchio ha calato mille volte le barche come una furiacon labava alla boccaper dare la caccia alla sua

preda: più demonio che uomo! Ma sìma sìquarant'anni di pazzia! Chepazzo! Che vecchio pazzo è stato questo

vecchio Achab! Perché questo strazio? Perché sfinireperché paralizzarequesto braccio col remocol ramponecon la

lancia? Che ci ha guadagnato Achab? Cos'è che gli resta? Guardami. AhStarbuck! Non è duroche con questo gran

peso che portodebbano avermi strappata di sotto una povera gamba? Ahtìrati via i tuoi vecchi capelli: mi vanno negli

occhie pare che pianga. Cernecchi così bianchi non sono mai spuntati cheda mucchi di cenere! Ma ti sembro davvero

tanto vecchiotantotanto vecchioStarbuck? Mi sento stracco da moriretorto in duecon la gobbacome se fossi

Adamo che va barcollando sotto il mucchio dei secolidal tempo del Paradiso.DioDioDio! spaccami il cuore e

sfondami il cervello! Che farsa! Che farsa! Che farsa amara e crudele questicapelli bianchi. Forse che ho tanto vissuto

sereno da dovervi portare e da parere e da sentirmi così insopportabilmentevecchio? Qua! Vienimi vicinoStarbuck.

Fammi guardare dentro un occhio umano. È meglio che guardare nell'acqua onel cielomeglio che guardare Iddio. Per

la terra verde! Per il calduccio del focolare! Ma questo è uno specchiomagicoamico mio: vedo mia moglie e mio figlio

nei tuoi occhi. Nonoresta a bordoresta a bordo e non ammainare con mequando il vecchio marchiato darà la caccia

a Moby Dick. Non voglio che tu corra quel rischio. Nonon con quella casalontana che ti vedo negli occhi!»

«Oh capitano! Mio capitano! Cuore nobilevecchio cuore grande dopo tutto!Perché si deve dare la caccia a

quel pesce odioso? Torna via con me! Usciamo da queste acque di morte!Torniamo a casa! Anche Starbuck ha una

moglie e un figliouna moglie e un figlio della sua gioventù fraterna espensieratacome i tuoisignoresono moglie e

figlio della tua vecchiaia paternapiena d'amore e di affetto! Andiamocenevia! Andiamo via! Lasciami cambiare rotta

subito! Come sarà bellocome sarà divertentecapitanose torniamo aruzzolare verso la nostra vecchia Nantucket!

Signorecredo che anche lìa Nantucketci siano giornate azzurre e dolcicome questa!»

«Ci sono; ci sono. Le ho viste... certe giornate d'estatela mattina. Versoquest'ora... sìè l'ora del sonnellino

questa... e il bamboccio si sveglia tutto visposiede in mezzo al letto esua madre gli parla di medi questo vecchio

cannibale; gli dice che sono lontano in alto marema che torno per farloballare di nuovo.»

«Ma è la miala mia Mary questa! Ha promesso che avrebbe portato miofiglio ogni mattina sulla collinaper

essere il primo a scorgere la vela di suo padre! Sìsìbasta! È deciso!Puntiamo su Nantucket! Venitecapitanostudiate

la rotta e si torna! Guardateguardatela faccia del bambino alla finestrala mano sulla collina!».199

Ma Acbab aveva distolto gli occhi; si scosse come un albero malatoe gettòa terra il suo ultimo frutto

incenerito.

«Che cos'è maiquale cosa indicibileincomprensibile e inumanaqualefalso signore e padrone nascosto

quale tiranno crudele e senza scrupoli mi comandache contro ogni affetto edesiderio naturale io debba continuare a

spingermie serrarmi e schiacciarmi di continuoper esortarmi pazzamente afare ciò che nel profondo del cuore non ho

mai osato neanche pensare? È Achab Achab? Sono ioSignoreche alzo questobraccioo chi è? Ma se il gran sole non

si muove da sée non è che un fattorino del cielose neanche una stellapuò ruotare se non per una forza invisibile

come può dunque battere questo piccolo cuoree questo piccolo cervellopensarese non è Dio che batte quel battito

pensa quel pensiero e vive quella vitae non io. Per Dioamicosiamo fattigirare e girare in questo mondo come

quell'argano lìe il destino è la manovella. E sempreguarda lìquelcielo sorridente e questo mare senza fondo!

Guarda! Vedi quell'alalunga laggiù? Chi gli ha messo in testa di inseguire eazzannare quel pesce volante? Dove vanno

gli assassiniamico? Chi deve giudicarequando il giudice stesso è portatoalla sbarra? Ma il vento è così dolcee il

cielo ha un colore così teneroe l'aria è profumata come se spirasse daprati lontani; debbono avere tagliato il fieno chi

sa dove sotto i pendii delle AndeStarbucke i mietitori dormono tra ilfieno tagliato di fresco. Dormono? Ma sìper

quanto ci affatichiamotutti alla fine dormiamo sul prato. Dormia mo?Sicuroe arrugginiamo tra il verdecome le falci

dell'anno scorso buttate da canto e dimenticate tra l'erba ancora...Starbuck!»

Ma l'ufficiale se n'era andatobianco per la disperazione come un morto.

Achab traversò il ponte per dare un'occhiata dall'altra parte; ma trasalìvedendonell'acquail riflesso di due

occhi sbarrati. Fedallah s'appoggiavaimmobilealla stessa ringhiera.

CXXXIII • LA CACCIA. PRIMO GIORNO

Quella nottedurante il quarto di mezzoquando il vecchiocome faceva ognitantosi staccò dal portello su

cui s'appoggiava e andò al suo pernodi colpo spinse avanti la facciaferocementefiutando l'aria marina come fa un

sagace cane di bordo nell'avvicinarsi a qualche isola selvaggia. Dichiaròche ci doveva essere una balena nei paraggi.

Ben presto quell'odore particolareemesso talvolta a grande distanza dalcapodoglio vivofu percepito da tutta la

guardia; e nessuno si meravigliò quandoesaminati la bussola e ilmostraventoe accertata per quanto era possibile

l'esatta direzione dell'odoreAchab ordinò in fretta di alterare un poco larotta e ridurre le vele.

L'accortezza che aveva dettato queste misure venne giustificata in pieno alrompere dell'albadalla vista di una

lunga striscia lucida sul maredritta davanti a prualiscia come olio esimilenelle increspature pieghettate d'acqua che

l'orlavanoal terso segno metallico di qualche veloce onda di marca allabocca di un fiume rapido e profondo.

«Arma le teste d'albero! Tutti in coperta!»

Tuonando col calcio di tre pesanti manovelle sul tavolato del castelloDaggoo riscosse i dormenti con tali botte

da giudizio universale che quelli parvero esalare dal portellotantofulmineamente apparvero coi vestiti in mano.

«Cosa vedi?» urlò Achab spianando la faccia al cielo.

«Nientesignoreniente!» fu il grido che calò in risposta.

«Belvederevelaccio e velaccino! Coltellacciin basso e arrivae alle duebande!»

Fatta ogni velaAchab sciolse la cima di sicurezza che serviva a issarlo intesta all'alberetto di controvelaccio

e pochi minuti dopo stavano tirandolo lassùquandomentre era solo a dueterzi del percorsoe scrutava in avanti

nell'apertura orizzontale tra la vela di gabbia e quella di velaccioscagliò nell'aria un urlo come di gabbiano: «Laggiù

soffia! Laggiù soffia! Gobba come una montagna di neve! È Moby Dick!»

Eccitati dal gridoche parve ripreso quasi allo stesso momento dalle trevedettequelli in coperta corsero alle

manovre per vedere la balena famosa che da tanto tempo inseguivano. Ora Achabaveva raggiunto il suo posto lassù

alcuni piedi sopra le altre vedettee Tashtego gli stava proprio di sotto incima al suo alberettosicché la testa

dell'indiano era quasi a livello del calcagno di Achab. Da quest'altezza sivedeva ora la balena a pruaa qualche miglio:

a ogni ondata mostrava l'alta gobba scintillantee sfiatava regolarmentenell'aria il suo gettito silenzioso. Ai creduli

marinai parve lo stesso zampillo silenzioso che avevano visto tanto tempo fasotto la lunanell'oceano Atlantico e

nell'Indiano.

«E nessuno di voi l'aveva vista?» gridò Achab agli uomini appollaiatitutt'intorno.

«L'ho vista quasi allo stesso momento del capitano Achabsignoree subitoho gridato» disse Tashtego.

«Non allo stesso momentonon allo stesso momentonoil doblone è mioildestino me l'ha riservato. Io solo

e nessuno di voi avrebbe potuto avvistare la balena bianca. Là soffia! Làsoffia! Là soffia! Laggiù! Di nuovo!» urlò in

toni lunghiprotrattimelodiciintonati al graduale alzarsi dei gettivisibili della balena. «Ora scandaglia! Serra

coltellacci! Giù belvederevelaccio e velaccino! Pronti a tre lance.Ricordatesignor Starbuckrestate a bordo al

comando. Timone! Orzaorza una quarta! Così. Alla viamarinaioalla via!Laggiù pinne di coda? Nonosolo acqua

nera! Pronte le lance laggiù? Sottosotto! Calatemisignor Starbuck;calatemicalatemiprestopiù presto!» e scivolò

per l'aria sul ponte.

«Va dritta a sottoventosignore» gli gridò Stubb. «Dritta davanti anoi; non può averci vistiancora.»

«Zittomarinaio! Pronti ai bracci! Barra giùtutta! Braccia di punta!Fileggia! Cosìbene! Lance! Lance!».200

Presto tutte le lance tranne quella di Starbuck vennero ammainatele veleissatele pagaie all'operafulminee

gorgogliantifilando a sottovento: e Achab guidava l'assalto. Un pallidochiarore di morte illuminava gli occhi incavati

di Fedallahuna smorfia orribile gli rodeva la bocca.

Come silenziose conchiglie di nautilile loro prue leggere volavano nelmare; ma solo a fatica guadagnarono

sul nemico. Mentre l'accostavanol'oceano si faceva sempre più lisciopareva stendere un tappeto sulle proprie onde

pareva un prato al meriggiotanto serenamente si stendeva. Alla finel'inseguitore ansimante arrivò così vicino alla

preda apparentemente ignarache si vide bene tutta la sua gobba abbaglianteche scivolava sul mare come una cosa a

séavvolta di continuo da un anello rotante di splendidafioccosa schiumaverdastra. Si videro le grandi rughe involute

della testache sporgeva appena in avanti. E al di làproiettata lontanosul morbido tappeto turco delle ondecorreva

bianca e specchiante l'ombra della gran fronte latteache un gorgoglìomusicale accompagnava scherzoso; e dietrole

acque azzurre fluivano l'una sull'altra nella mobile valle della sua sciadrittae da ambedue i lati lucide bolle affioravano

e le danzavano ai fianchi. Ma queste eran subito infrante dalle zampe leggeredi centinaia di gai uccelli che velavano il

mare di piume soffici e poi si sperdevano in voli confusi; e come un'asta dibandiera che sporga dallo scafo dipinto di un

galeonela lunga pertica spezzata di una lancia recente si proiettava daldorso bianco della balenae ogni tanto uno della

nube di uccelli dai piedi leggeri che svolazzava lì attorno e passava eripassava rasente sul pesce come un baldacchino

andava a posarsi in silenzio e a dondolare su quel palole lunghe pennecaudali sventolanti come fiamme.

Una gioia miteun'immensa dolcezza di riposonella velocitàavvolgeva labalena in corsa. Nemmeno il toro

bianco di Giovequando nuotò via con Europa rapita che s'aggrappava allecorna leggiadre e si covava la fanciulla di

sbieco ammiccando con occhi amorosimentre increspava le onde nel suo volosoffice e malioso verso il rifugio nuziale

di Creta; neanche Gioveneanche quel gran re eccelso superava la gloriosabalena bianca nel suo nuoto divino.

Da ciascun fianco morbidonel momento in cui l'onda spezzata lo lambivaappena e poi rifluiva via lontanoda

ciascun fianco lucente la balena spandeva seduzioni. Nessuna meraviglia chequalcuno dei cacciatoriindicibilmente

trascinato e sedotto da tutta quella serenitàavesse osato attaccarla; maaveva fatalmente scoperto che quella quiete non

era che la maschera di cicloni. Eppure tubalenacosì calmacosìfascinosamente calma vai nuotando per tutti quelli

che ti vedono la prima voltae non sanno quantinello stesso modopuoiaverne già raggirati e distrutti.

E cosìtra le calme serene del mare tropicaletra onde i cui battimanis'incantavano nell'estasiMoby Dick

andava nascondendo ancora alla vista tutti i terrori del tronco sommersocelando del tutto l'orrore deforme della sua

mandibola. Ma ben presto la sua parte anteriore si alzò lentamentedall'acqua; per un attimo tutto il suo corpo marmoreo

formò un grande arcocome il Ponte Naturale nella Virginiae sventolandonell'aria la coda ammonitrice come una

bandierail gran dio si mostròsi tuffò e scomparve. Arrestandosi amezz'aria e cadendo sull'alai bianchi uccelli marini

si attardarono bramosi sullo stagno agitato che era rimasto.

Coi remi a picco e le pagaie abbassatele scotte delle vele allentateorale tre barche galleggiavano ferme

aspettando la riapparizione di Moby Dick.

«Un'ora» disse Achabradicato a poppa della lancia; e guardò oltre ilpunto dov'era scomparsa la balenaverso

i cupi spazi azzurri e gli ampi vuoti maliosi a sottovento. Fu solo unattimo; e di nuovo gli occhi parvero turbinargli in

testa mentre sfiorava il cerchio delle acque. Ora il vento drizzavail marecominciava a levarsi.

«Gli uccelli! Gli uccelli!» gridò Tashtego.

In lunga fila indianacome quando gli aironi pigliano il vologli uccellibianchi volavano tutti verso la lancia

di Achab; e a poche jarde cominciarono a svolazzare sull'acquaroteandotutt'in giro con grida gioiose d'attesa. La loro

vista era più acuta di quella dell'uomo; Achab non riusciva a veder nientenell'acqua. Ma d'improvvisomentre aguzzava

gli occhi sempre più in fondo agli abissivide laggiù un vivido puntobianco non più grosso di una candida donnola che

saliva con prodigiosa rapidità e salendo ingrandivafinché si voltò eallora si videro chiare due lunghe file storte di denti

bianchiscintillantiche affioravano dall'abisso impenetrabile. Era labocca aperta e la mandibola a spirale di Moby

Dick; il corpo immensoin ombraancora mezzo confuso con l'azzurro delmare. La bocca scintillante sbadigliò sotto la

lancia come una tomba di marmo scoperchiatae dando un colpo obliquo colremo da governoAchab strappò via il

legno dall'apparizione orrenda. Poi gridando a Fedallah di cambiar posto conlui si gettò a pruae afferrato il rampone di

Perth ordinò agli uomini di dar mano ai remi e stare pronti a rinculare.

Oraper questo tempestivo avvitarsi del legno sul suo assela prua venneportata in anticipo a fronteggiare la

testa della balena ancora sott'acqua. Ma come avvertendo lo stratagemmaMobyDickcon quell'intelligenza maliziosa

che gli attribuivanoslittò di fiancoper così direin un balenoescagliò per lungo la testa rugosa contro il fondo della

lancia.

Da un capo all'altroper ogni tavola e ogni costala barca rabbrividì unattimomentre il pesce disteso di

traverso sulla schiena come un pescecane che azzannaprendeva lentaatastonitutta la prua nella boccasì che la

lunga e stretta mandibola storta falciò alta l'aria e uno dei dentis'impigliò in uno scalmo. Il biancoperla bluastro

dell'interno della mandibola era a cinque pollici dalla testa di Achabearrivava anche più in alto. In questa posizionela

balena bianca scosse il cedro sottile come un gatto delicatamente crudele ilsuo topolino. Con occhi impassibili Fedallah

guardò e incrociò le bracciama gli uomini giallo-tigre ruzzolavano l'unosull'altro per raggiungere l'estrema poppa.

E ora i due elastici capi di banda molleggiavano scricchiolandomentre labalena giocava in questo modo

diabolico con il legno condannato. Sommerso com'era proprio sotto la lanciail suo corpo non poteva essere colpito da

pruaperché la prua l'aveva quasi in corpoper così dire; e le altrelance restavanosenza volerloparalizzatecome

davanti a una crisi fulminea cui è impossibile opporsi. Fu allora che ilfolle Achabinferocito per questa vicinanza

esasperante del suo nemicoche lo metteva vivo e impotente proprio dentroquelle fauci odiatefu allora che Achab.201

deliranteafferrò il lungo osso con le mani nude e cercò selvaggiamente distrapparlo dalla sua presa. E mentre ci si

accaniva inutilmente la mandibola gli sfuggìi fragili capi di banda sipiegarono in dentrocedettero e saltaronomentre

le due mascellecome cesoiescivolando più a poppa tagliarono netto in dueil legno e si rinserrarono in marea eguale

distanza tra i due relitti galleggianti. Questi fluttuarono viacon le cimerotte in giùe gli uomini aggrappati ai capi di

banda del pezzo poppieroche cercavano di tenersi ai remi per assicurarli ditraverso.

L'attimo prima che la barca andasse a pezziAchabil primo a rendersi contodell'intenzione della balenadal

suo astuto balzo di testa che per un momento ne allentò la presaavevatentato con la mano un ultimo sforzo per

spingere il legno fuori dalla morsa. Invecescivolando sempre più nellabocca e piegandosi tutta di fianco nello

scivolarela barca gli aveva strappato la mano dalla mandibolae mentre sichinava per spingerel'aveva gettato di

bordo: e così cadde a faccia sotto nel mare.

Rinculando dalla preda tra un ribollire di schiumaora Moby Dick sostò abreve distanzaalzando e

abbassando tra le onde la lunga testa biancae insieme girando lentamentetutto il corpo affusolato; sicchéquando

l'enorme fronte rugosa emergeva dall'acqua per venti piedi o piùle ondateche ora arrivavano con tutte le loro creste

confluenti vi si spezzavano contro in mille barbaglilanciando stracciminacciosi di spuma ancora più in alto nell'aria.

Così nella bufera i cavalloni della Manica indietreggiano dalla base delfaro di Eddystonesconfitti solo a metàe solo

per scavalcarne trionfanti la cima coi loro rovesci.

Ma subitoriassumendo la posizione orizzontaleMoby Dick prese a nuotareveloce attorno agli uomini in

mareschiumando l'acqua ai lati nella sua scia vendicatricecomepreparandosi con quelle sferzate a un altro e più

terribile assalto. La vista della lancia in frantumi pareva renderlo pazzocome il sangue d'uva e di more gettato davanti

agli elefanti d'Antioco nel libro dei Maccabei. Intanto Achabmezzoasfissiato nella schiuma della coda insolente del

mostro e troppo storpio per nuotarequantunque sapesse sempre tenersi agalla anche in mezzo a un simile vorticeil

misero Achab mostrava la testa come una bolla sbatacchiata che il minimo urtocasuale può distruggere. Dal pezzo di

poppa della lanciaFedallah lo guardava pacato e assente; l'equipaggioaggrappato all'altro galleggiantenon poteva

dargli aiuto: aveva già troppo da fare per salvarsi la pelle. Perchél'aspetto della balena bianca era d'un tale orrore

rivoltantee di tale velocità siderea erano i suoi cerchi sempre piùstrettiche pareva si buttasse dritta su di loro. E

benché le altre lanceincolumidondolassero ancora lì attornononosavano spingersi nel mulinello e ramponare: poteva

essere il segno dell'istantanea distruzione dei pericolantiAchab e tuttiein quel caso nemmeno loro potevano sperare

di cavarsela. E perciò strabuzzavano gli occhi dall'orlo esterno di quellacerchia spaventosail cui centro era la testa del

vecchio.

Intantofin da principiotutto era stato osservato dalle teste d'alberodella nave; bracciando i pennoniessa

aveva puntato sulla scenaed era adesso così vicina che Achab nell'acqua leurlò: «Puntate sulla...» ma in quel momento

un rovescio d'acqua lanciato da Moby Dick lo colpì e lo sommerse. Ne uscìsbattendoe trovandosi in cima a una cresta

urlò: «Addosso alla balena! Spingetela via!»

La prua del Pequod viròe spezzando il cerchio incantatola nave diviseefficacemente la balena bianca dalla

sua vittima. E come quella s'allontanava tetrale barche volarono alsoccorso.

Quando lo tirarono nella lancia di Stubbgli occhi iniettati di sangue eaccecatiil salmastro bianco rappreso

nelle rughela lunga tensione fisica di Achab si spezzò ed egli cedettepassivo alla debolezza del corpo: giacque per un

po' tutto pes to sul fondo della barca di Stubbcome un uomo calpestatodagli elefanti. E dal profondo gli uscivano

lamenti incomprensibilicome suoni desolati che affiorano dalle gole alpine.

Ma quest'intensità della sua prostrazione fisica non fece che renderla piùbreve. Nel giro di un momentoa

voltei grandi cuori condensano in una fitta acuta la somma di quelle penepiù lievi benevolmente disperse lungo tutta

la vita di uomini più deboli. E così questi cuorisebbene assommino tantodolore in ogni singola cris ipure se gli dei

così vogliono ammassano nella loro esistenza un'intera epoca di doloretutta fatta di singoli intensi momenti; perché nel

loro centro irraggiungibile queste nobili creature contengono tutta lacirconferenza delle anime inferiori.

«Il rampone» disse Achab alzandosi a mezzo e appoggiandosi a fatica su unbraccio piegato. «È salvo?»

«Sissignore. Non è stato lanciato: eccolo» disse Stubb mostrandolo

«Mettilo qui davanti. Manca nessuno?»

«Unoduetrequattrocinque. C'erano cinque remisignoree ci sonocinque uomini.»

«Bene. Aiutamimarinaio. Voglio alzarmi in piedi. Cosìcosì. La vedo!Laggiù! Laggiù! Sempre a sottovento.

Che sfiatata! Giù le mani! La linfa eterna torna a scorrere nelle ossa diAchab! Alza la velafuori i remibarra!»

Capita spesso che quando una barca è sfondatail suo equipaggio raccolto daun'altra imbarcazioneaiuta a

manovrare questa secondae si continua la caccia con ciò che si chiamanoremi a doppio banco. Fu così adesso. Mala

doppia potenza della lancia non eguagliò l'accresciuta velocità dellabalenache pareva avesse triplicato i banchi di ogni

pinnae nuotava con uno slancio che mostrava chiaro come la cacciaseproseguita in queste condizionisi sarebbe

prolungata senza limitise non senza speranza. Né alcun equipaggio avrebbepotuto reggere così a lungo a uno sforzo

così intenso e continuo al remocosa appena tollerabile per un breve lassodi tempo. Perciò la nave stessacome capita a

volteoffriva il modo indiretto più promettente di riprendere la caccia. Diconseguenzale lance tornarono e furono

subito issate alle gru (i due pezzi della lancia rotta erano già statiricuperati)e poialzando tutto sulle murate e

spiegando ogni vela e allargando ai lati coi coltellacci come le ali a doppiagiuntura di un albatroil Pequod si gettò a

sottovento sulla scia di Moby Dick. A intervalli regolariben notilozampillo scintillante della balena era annunciato

dalle teste d'albero guarnitee quando riferivano che si era appena tuffataAchab prendeva l'orae poimarciando sul

ponte con l'orologio di chiesuola in manonon appena trascorso l'ultimosecondo dell'ora previstafaceva udire la sua.202

voce: «Di chi è ora il doblone? La vedete?» e se la risposta era«Nossignore!» subito comandava di tirarlo su al

posatoio. Così passò il giorno: Achablassùimmobileo irrequieto amisurare le tavole.

Mentre marciava così senza dire parolase non per chiamare gli uominiarriva o per comandare una vela

aggiunta o una vela bordata più in largomarciando così avanti e indietrocol cappello sugli occhia ogni giro passava

davanti alla sua lancia sconquassata che avevano gettato sul cassero e stavalì a pancia all'ariada un lato la prua a pezzi

dall'altro la poppa spaccata. Alla fine ci si fermò davantie come a voltein un cielo già nuvoloso passano nuovi stormi

di nubicosì sulla faccia del vecchio si sparse un buio più fitto.

Stubb lo vide fermarsie forse pensandoma senza spacconeriadi mostrareche il suo coraggio era intattoe di

fare una bella figura agli occhi del suo capitanosi avvicinò e gridòadocchiando il relitto: «Il cardo che l'asino ha

rifiutato: gli pungeva troppo la boccasignoreah! ah!»

«Che uomo senz'anima è questo che ride davanti a un relitto? StubbStubb!se non ti sapessi coraggioso come

il fuoco (di un coraggio meccanico) giurerei che sei un vigliacco. Gemitienon risate dovrebbero sentirsi davanti a un

relitto.»

«Certosignore» disse Starbuck avvicinandosi. «È una vista solenne: unpresagioe un presagio cattivo.»

«Presagio? Che vuol dire? Un dizionario! Se gli dei vogliono parlareapertamente all'uomogli parlano

apertamenteda gentiluominie non stanno lì a scuotere teste e fareaccenni misteriosi come vecchie comari... Andate!

Voi due siete i poli opposti di una stessa cosa: Starbuck è Stubbrovesciatoe Stubb viceversae voi due siete tutta

l'umanità; Achab sta solo tra i milioni che popolano la terrae non havicininé dei né uomini! Fa freddofreddo! Ho i

brividi! E allora? Oèarriva! La vedi? Segnala sempreanche se sfiatadieci volte al secondo!»

Il giorno era quasi finito; solo frusciava l'orlo della sua veste d'oro.Presto fu quasi buioma le vedette

restavano lassù.

«Non vedo più la sfiatatasignore... troppo buio!» gridò una vocedall'aria.

«Che direzionel'ultima volta?»

«Come primasignore... dritto a sottovento.»

«Bene! Andrà più lentoora che è notte. Giù i controvelacci e icoltellaccisignor Starbuck. Non bisogna

metterla sotto prima di domattina; non fa che una traversataorae forse simette in panna. Barra oh! Tieni tutta col

vento!... Arrivagiù! Signor Stubbmanda uno fresco alla testa ditrinchettoe tieni armato fino all'alba.» Poi s'avvicinò

al doblone sull'albero maestro: «Ragazziquest'oro è miome lo sonoguadagnato; ma lo lascio qui finché la balena

bianca crepae allorachi sarà il primo a vederla il giorno in cui crepaquest'oro è suo; e se quel giorno l'avvisto io di

nuovoallora dieci volte quest'oro lo divido tra tutti! Andate ora! A te ilponteufficiale.»

Così dicendo si piazzò a mezza altezza sulla scalettae tirandosi ilcappello sugli occhi ci restò fino all'alba

tranne che a intervalli si scuoteva per vedere a che punto era la notte.

CXXXIV • LA CACCIA. SECONDO GIORNO

All'albale tre vedette furono puntualmente rinnovate.

«La vedi?» gridò Achabdopo avere aspettato un poco perché la luce sispandesse.

«Non vedo nientesignore.»

«Tutti in coperta a far vele! Viaggia più forte che non pensassi.Belvederevelaccio e velaccino! Sicuro

bisognava tenerle tutta notte. Ma non importas'è tirato il fiato per larincorsa.»

Qui debbo dire che quest'inseguimento ostinato di una data balenachecontinua giorno e nottee notte e

giornonon è affatto senza precedenti nella baleneria australe. Perché ètanta l'abilità straordinariala capacità

sperimentata di previsione e la fiducia invincibile acquistate da alcunigrandi talenti spontanei tra i comandanti di

Nantucketche dalla semplice osservazione di una balena all'ultimo avvistamentoessi ti predirrannoin certe date

circostanzee con grande accuratezzatanto la direzione in cui il pescecontinuerà a nuotare per un pezzo mentre è fuori

vistaquanto la sua probabile velocità durante quel tempo. E in questicasiun po' come capita a un pilota nel perdere di

vista una terra di cui conosce bene la posizione generalee a cui vuoletornare presto ma in qualche altro puntocome

questo pilota si mette alla bussola e fa il rilevamento esatto del capoallora visibilein modo da imbroccare poi con più

sicurezza il promontorio lontano e invisibile che deve toccare alla fine;così fa il baleniere alla bussola con la sua

balena. Perché dopo un'accurata osservazione durante le molte ore di cacciadiurnaquando poi la notte nasconde il

pescela sua rotta nel buio è quasi altrettanto certa per un baleniereabilecome la costa per il pilota. Sicché al talento

incredibile di quel cacciatore una sciala proverbiale effimera scritturasull'acquaè per ogni suo fine quasi altrettanto

sicura della terra. Quel potente leviatano di metallo che è la ferroviamodernaè così noto da tutti in ogni suo

movimentoche la gente ne misura la velocità con l'orologio alla manocomei dottori quella del polso di un bimboe

dice con leggerezza che il treno in arrivo o il treno in partenza arriveràal tale o tal posto a questa o quell'ora. Proprio

allo stesso modopiù o menoci sono casi in cui questi nantuckettesifissano l'orario di quell'altro leviatano del mare

secondo il ritmo che han visto della sua velocità. E dicono tra séfratante ore questa balena avrà fatto duecento miglia

e avrà circa raggiunto questo o quel grado di latitudine o longitudine. Maperché questo calcolo acuto abbia alla fine

successoil vento e il mare debbono essere alleati del baleniere; perchédi quale vantaggio reale è per il marinaio in.203

bonaccia o bloccato dal vento il sapere di trovarsi esattamente a novantatrèleghe e un quarto dal porto? E da queste

affermazioni si possono inferire molti sottili aspetti collaterali dellacaccia alla balena.

La nave s'avventavalasciando nel mare un solcocome una palla di cannonemal direttache si cambia in

vomere e squarcia la pianura.

«Sangue d'una balena!» gridò Stubb. «Ma questa velocità del ponte timonta per le gambe e formicola nel

cuore. Siamo in gambaio e il bastimento! Ah! Ah! Mi prendaqualcunoe mibutti in mare di schienaperchémondo

boiaho la spina che fa da chiglia. Ah! Ah! certo non lasciamo polvere!»

«Laggiù soffia! Soffia! Soffia! Dritto a prua!» fu il grido dalle tested'albero.

«Sicurosicuro!» sbraitava Stubb. «Lo sapevonon puoi sfuggire...soffiaspaccati il bucobalena! Hai il

diavolo dietro! Soffia la trombettaspellati pure i polmoni! Achab viene achiuderti il rubinetto del sanguecome il

mugnaio che serra la chiusa sulla corrente!»

E Stubb non faceva che parlare per quasi tutta la ciurma. La frenesia dellacaccia li faceva ormai ribollire come

vino vecchio che rifermenta. E se prima qualcuno era giallo per paura opresentimentoora si faceva spavaldonon solo

per il timore sempre più forte di Achabma perché quelle paure erano vintee messe in rotta da ogni latocome timide

lepri di prateria che si sperdono davanti al balzo del bisonte. La mano deldestino aveva ghermito quelle animee i

pericoli eccitanti del giorno primala tortura di quella notte d'attesailmodo decisotemerariocieco e incurante con cui

la nave selvaggia balzava dietro la sua preda in fuga; tutto ciò avevatrascinato i loro cuori. Il vento che faceva grosse

pance delle velee spingeva avanti la nave con braccia invisibili mairresistibiliil vento pareva il simbolo di quella

forza latente che li rendeva schiavi di quella corsa.

Erano un uomo solonon trenta. Perché come l'unica nave che li contenevatuttianche se fatta di cose tutte

contrariequerciaacero e pinoferropece e canapapure fondeva ognicosa in un solo scafo compatto che s'avventava

alla metaequilibrato e diretto dalla lunga chiglia centrale; allo stessomodo tutte le individualità dell'equipaggioil

valore di unola paura di un altrola colpa e l'innocenzatutte ledifferenze erano saldate in unità e indirizzate a quello

scopo fatale che indicava Achabloro unico signore e loro chiglia.

L'attrezzatura viveva. Le teste d'alberocome cime di altissime palmeeranotutte fronzute di braccia e di

gambe. Afferrati con una mano a un'astaalcuni tendevano l'altra el'agitavano ansiosi; altrifacendosi schermo agli

occhi dalla vivida luce del solesedevano in cima ai pennoni ondeggianti;tutte le aste erano stracariche di mortali pronti

e maturi per il loro destino. Ah come si davano pena per scoprirenell'infinito azzurro ciò che li potesse distruggere!

«Perché non gridise lo vedi?» urlò Achab quandodopo qualche minutodal primo gridonon se ne udirono

altri. «Tiratemi suragazzivi siete sbagliati: non è Moby Dick che gettauna sola sfiatata in quel modo e poi sparisce.»

Era proprio così; nella loro avida furia gli uomini avevano presoqualcos'altro per lo spruzzo della balenae i

fatti lo provarono subito; perché Achab non aveva ancora raggiunto il suoposatoioe ancora il cavo sul ponte non era

stato girato alla cavigliaquand'egli dette l'avvio a un'orchestra che fecevibrare l'aria come a una scarica di fucileria. Si

udì il grido trionfale di trenta polmoni di cuoiomentre (molto più vicinodel posto della presunta sfiatataa meno d'un

miglio a prua) Moby Dick balzò tutto quanto in vista. Perché la balenabiancaquesta voltarivelò la sua vicinanza non

col pacifico sgorgo di quella misteriosa fontana che aveva in testanon concalme e indolenti sfiatatema col fenomeno

molto più stupefacente del salto. Emergendo con tutta la sua velocità daipiù lontani abissiil capodoglio scaglia così la

sua intera massa nel puro elemento dell'ariae accatastando una montagnaaccecante di spuma indica la sua posizione

alla distanza di più di sette miglia. In quei momenti le onde lacere e iroseche si scrolla di dosso paiono la sua criniera;

in qualche casoquesto salto è il suo gesto di sfida.

«Laggiù salta! Laggiù salta!» gridarono mentre la balena bianca siscagliava come un salmone verso il cielo

nella sua colossale bravata. Vista così di colpo nella piana azzurra delmaree stagliata sul margine anche più azzurro

del cielola schiuma che alzò per un attimo scintillò e sfolgoròaccecante come un ghiacciaio; e poi svaporò a poco a

poco dalla sua prima intensità smagliante nella torbida nebbia di unacquazzone che avanza in una vallata.

«Ma sì! Fa' il tuo ultimo salto nel soleMoby Dick!» urlò Achab. «Latua ora e il tuo rampone sono vicini!

Giù! Giù tutti voisolo un uomo al trinchetto. Le lance! Pronti!»

Sdegnando le noiose scale di corda delle sartiegli uomini scivolarono incoperta come stelle cadentigiù per le

drizze e i paterazzi isolati; mentre Achab veniva mollato dal posatoio menofulmineamentema sempre con rapidità.

«Ammaina!» gridò non appena raggiunse la sua lanciauna di riservaarmata il pomeriggio precedente. «A voi

la navesignor Starbuck... tieniti via dalle lance ma non troppo lontano.Ammaina tutti!»

Come per terrorizzarli di colpo facendo lui stesso il primo assaltoMobyDick si era voltato e veniva contro gli

equipaggi. La lancia di Achab era al centro; ed egliincitando i suoiuominidisse che avrebbe preso la balena di testa

cioè vogando dritto alla fronte: cosa non insolitaperché entro un certolimite questa tecnica nasconde gli assalitori alla

vista laterale del pesce. Ma prima di poter raggiungere quel limitee quandoancora tutte e tre le lance gli stavano chiare

davanti come i tre alberi della navela balena biancabuttandosi avanti inuna schiuma tremendapiombò quasi in un

lampoper così diretra le barchecon le mascelle aperte e la codachesferzavaoffrendo battaglia terribile ad ogni

lato. E senza curarsi dei ramponi che le venivano scagliati da ogni lanciaparve soltanto attenta ad annientare una per

una le tavole di cui quelle eran fatte. Ma manovrate abilmentevoltate dicontinuo come cavalli addestrati nel campole

barche per un po' le sfuggironobenché a volte soltanto per lo spessore diun asse; mentre per tutto il tempo l'urlo

disumano di Achab lacerava tutte le altre grida.

Ma alla finenelle sue fulminee evoluzionila balena bianca incrociò tantevolte e imbrogliò in tanti modi

l'imbando delle tre lenze attaccate al suo dorsoche quelle siraccorciaronoe da se stesse finirono col tirare le barche.204

votate al sacrificio verso i ramponi infitti nella preda; e ora la balena siscostò per un attimocome a raccogliere forza

per un assalto più tremendo. Cogliendo quell'occasioneAchab prima mollòpoi ricuperò rapidamente la lenzae

intanto la scrollava nella speranza di sbrogliarla un pocoquando si videqualcosa ancora più feroce dei denti a

saracinesca degli squali!

Impigliati e contorti e avviticchiati nei grovigli della lenzaramponiliberi e lance con tutte le loro punte e lame

irte balzarono madidi e lucenti ai ceppi di prua del legno di Achab. Solo unacosa c'era da fare. Afferrando il coltello di

bordoegli si sporse pericolosamente a menare dentrofuoriattraverso queilampeggiamenti d'acciaio; ricuperò la lenza

al di làla passò entrobordo al prodieree poitagliando due volte ilcavo vicino ai ceppibuttò in mare il fascio

d'acciaio ch'era in mezzoe tutto fu di nuovo a posto. In quel momento labalena bianca fece un assalto improvviso tra i

grovigli rimasti delle altre lenze; così facendosì trascinòirresistibilmente verso la coda le barche più ingarbugliate di

Stubb e di Flask; le sbattè assieme come due gusci che ruzzolano su unaspiaggia battuta dalla risaccae poituffandosi

sparve in un gorgo ribollente su cuiper un pocorotearono danzando i pezziodorosi di cedro dei relitticome i

frammenti di noce moscata in un boccale di punch violentemente mescolato.

Mentre i due equipaggi roteavano ancora nell'acquacercando di aggrapparsialle tinozzeai remi e agli altri

attrezzi danzanti a fior d'acquae il piccolo Flask ballonzolava di sghembocome un barattolo vuotoarricciando in su le

gambe per evitare le temute mascelle dei pescicanie Stubb strillavavigoroso che qualcuno lo venisse a pescare; e

mentre la lenza sperzata del vecchio gli permetteva ora di vogare nellostagno schiumoso per salvare chi potevain

quella simultaneità selvaggia di mille pericoli certila lancia ancoraimmune di Achab parve sollevata al cielo da fili

invisibili; come una frecciascattando perpendicolarmente dal marelabalena bianca catapultava la sua ampia fronte

contro il suo fondoe la mandava in aria a catafascio; finché ricaddeparabordi in giùe Achab e i suoi uomini si

dimenarono per uscirne come foche da una caverna di scoglio.

Il primo impeto della balena nell'emergere ne modificò la direzione alcolpire la superficiee la lanciò senza

sua voglia parallela all'acquaa qualche distanza dal centro della rovinache aveva fatto. Voltando la schienaessa

giacque un momentotastando lenta con le pinne caudali da parte a parte; eogni volta che un remo alla derivaun pezzo

di tavolala minima scheggia o briciola di lancia le toccava la pellelacoda si ritraeva fulminea e picchiava obliqua sul

mare. Ma ben prestocome persuasa che per quella volta il lavoro era fattoessa spinse nell'oceano la fronte rugosa e

trainandosi dietro le lenze imbrogliate riprese la sua rotta a sottovento conl'andatura metodica di un viaggiatore.

Come la volta precedentela naveavendo seguito all'erta tutta labattagliavenne di nuovo dritta alla riscossa

e calata una barca raccolse i marinaile tinozzei remi galleggianti etutto quello che si poté afferraree li depose al

sicuro in coperta. Spallepolsi e caviglie slogaticontusioni livideramponi e lance contortigrovigli inestricabili di

lenzaremi e tavole a pezzidi questo c'era un po' di tuttoma nessunadisgrazia fatale o perlomeno seria pareva toccata

a nessuno. Come Fedallah il giorno primaAchab fu trovato stavoltaaggrappato ferocemente a una metà della sua

barcache gli forniva un galleggiante abbastanza comodo e non lo sfinì comel'incidente del giorno prima.

Ma quando fu aiutato a salire in copertatutti gli occhi gli si piantaronoaddossoperché invece di reggersi da

solo continuava a sostenersi a metà alla spalla di Starbuckche finora erastato il primo ad assisterlo. La gamba d'avorio

gli era stata strappatalasciando solo una scheggia corta e aguzza.

«SìsìStarbuckfa piacere appoggiarsi qualche voltachiunque sia ches'appoggi; magari il vecchio Achab si

fosse appoggiato più spesso.»

«La ghiera non ha rettosignore» disse il carpentiere facendosi avanti:«Ci avevo lavorato bene a quella

gamba.»

«Ma niente di rottosignorespero» disse Stubb con sincera premura.

«Sì invece! Tutto spaccatoa pezziStubb! Lo vedi. Ma anche con un ossorottoil vecchio Achab è illeso; e io

non considero nessuna di queste mie ossa vive di un briciolo più miachenon fosse quest'osso morto che ho perso. Non

c'è balena bianca o uomo o diavolo che possa neanche sfiorare il vecchioAchab nel suo essere vero e inaccessibile. Può

uno scandaglio toccare quel fondoun albero graffiare quel soffitto?...Arriva oh! Da che parte?»

«Dritto a sottoventosignore.»

«Barra a sopravventoallora; di nuovoforza di velevoi della nave! Giùle altre lance di riserva e armate...

Signor Starbuckandatefate l'appello agli equipaggi.»

«Lascia prima che ti aiuti fino alla muratasignore.»

«Oh! Oh! Come mi punge ora questa scheggia! Maledizione! Che l'anima invittadel capitano debba avere un

secondo così vigliacco!»

«Comesignore?»

«Il mio corpodiconon te. Dammi qualcosa per bastone... lìquellalancia rotta andrà bene. Fa' l'appello. Certo

non l'ho ancora visto. Per Dionon può essere! Si è perso? Prestochiamaqui tutti.»

Ma il sospetto del vecchio era giustificato. Fatto l'appello degli uominiilParsi non c'era.

«Il Parsi!» gridò Stubb«dev'essere rimasto preso...»

«Il vomito nero ti strangoli!... Correte tutti arrivasottoin cabinaalcastello... trovatelo... non è perduto... non

può essere!»

Ma presto tornarono con la notizia che il Parsi non si riusciva a trovare.

«Sìsignore» disse Stubb«preso nei grovigli della vostra lenza...m'era parso di averlo visto andar sotto.»

«La mia lenza? La mialenza? È mortoallora? Morto? Che senso ha questa piccola parola?... Che campana a

morto vi suonache il vecchio Achab trema come fosse lui il campanile? Eanche il rampone? Smuovete quel mucchio.205

lì... lo vedete?... il rampone nuovoragazziquello della balena bianca...nonono... maledetto idiota! Con questa mano

l'ho gettato!... è nel pesce!... Arriva oh! Tienila al gancio!... Presto!Tutti ad armare le lance... raccogli i remi...

ramponieri! I ferri! I ferri!... Più in su il controvelaccio... Una tesataalle scotte! Barra oh! Alla viaalla viaper l'anima

tua! Girerò dieci volte attorno a questa sfera infinitasìe mi citufferò dentroma la voglio ammazzare!»

«Gran Diomostrati solo un istante!» gridò Starbuck. «Maimai la potraiprenderevecchio... In nome di

Cristosmettiè peggio che la pazzia di un demonio. Due giorni di cacciadue volte ridotto a pezzila tua stessa gamba

strappata ancora una voltasparita la tua cattiva ombra... e tutti gliangeli buoni ti coprono di avvertimenti... che altro

vuoi?... Dobbiamo continuare a inseguire questo pesce assassino finché nonaffoga l'ultimo uomo? Dovremo farci tirare

da lui in fondo al mare? O farci trascinare all'inferno? Oh sicontinuare lacaccia è un'empietà e una bestemmia!»

«Starbuckultimamente ti ho sentito vicinoin modo strano; da quando tuttie due abbiamo visto... lo sai che

cosaognuno negli occhi dell'altro. Ma in questa storia della balenala tuafaccia dev'essere per me come la palma di

questa mano... un vuotosenza voce e forma. Achab è per sempre Achabamico. Tutta questa azione è segnata

immutabile. Ne abbiamo fatto la prova io e teun miliardo d'anni prima chequest'oceano si gonfiasse. Insensato! Io

sono l'agente del Destinoagisco in base a degli ordini. Sta' attentosubalterno! di obbedire ai miei... Venite qui attorno

marinai. Vedete qui un vecchio tagliato al tronconeche si appoggia a unalancia spaccata e si tiene su un unico piede. È

Achab... la sua parte di corpo; ma l'anima di Achab è un centopiedie va sucento gambe. Mi sento logoromezzo

spezzatocome i cavi che rimorchiano le navi disalberate nella bufera; eforse lo dimostro. Ma prima che mi spezzimi

sentirete scricchiolare; e finché non udite quellosappiate che la gomenad'Achab rimorchia ancora il suo scopo. Ci

credete voiuomininelle cose chiamate presagi? Allora ridete forteegridate: ancòra! Perché prima di annegareuno

che annega risale a galla due voltee poi torna di nuovoprima di calareper sempre. Così è per Moby Dick: due giorni è

venuto a galla... domani sarà il terzo. Sicuroragazziverrà su ancorauna volta... ma solo per sputare l'anima! Sentite di

avere coraggiomiei coraggiosi?»

«Il coraggio del fuoco» gridò Stubb.

«Sìun coraggio meccanico» brontolò Achab. Poimentre gli uominiandavano a pruacontinuò a brontolare:

«Le cose chiamate presagi! E ieri ho detto la stessa cosa a Starbucklìaproposito della mia lancia rotta. Oh con quanto

coraggio cerco di scacciare dal cuore degli altri ciò che è ribadito cosìforte nel mio!... Il Parsi... il Parsi!... morto?

morto? E lui doveva andarsene per primo: però doveva riapparire prima dellamia morte... Come può essere?... Questo

sì che è un indovinello da scombussolare tutti gli avvocatirinforzati daifantasmi di tutta una stirpe di giudici: mi

picchia il cervello come il becco di un falco. Ma lo risolveròlorisolverò!»

Quando calò il crepuscolola balena era ancora in vista a sottovento.

Così di nuovo fu ridotta la velae tutto andò più o meno come la notteprima; soloil picchiare dei martelli e il

ronzio della mola si udì fin quasi all'albae i marinai sudarono al lume dilanterne ad attrezzare al completo e con cura

le lance di riservae ad affilare armi fresche per l'indomani. Intantoconla chiglia spezzata del relitto di Achabil

carpentiere gli fece un'altra gamba. E Achabcome la notte primase nestette piantato nel portello col cappellaccio

sugli occhi: col suo sguardo nascostoda eliotropioche per l'ansiaanticipava sul proprio quadrantee si volgeva a

oriente per il primissimo sole.

CXXXV • LA CACCIA. TERZO GIORNO

Il mattino del terzo giorno albeggiò limpido e frescoe ancora una volta lasolitaria vedetta notturnaalla testa

di trinchettoebbe il cambio da mucchi di vedette diurne che punteggiaronoogni albero e quasi ogni asta.

«La vedi?» gridò Achabma la balena non era ancora in vista.

«Comunquenella sua scia infallibile; basta seguirlaecco tutto. Barra ohalla viacome vai e come andavi.

Un'altra bella giornata! Se questo fosse un mondo nuovoe creato per lavilleggiatura degli angelie questo mattino il

primo in cui s'aprono loro i cancelliun giorno più bello non potrebbesorgere su quel mondo. Ecco del cibo per il

pensierose Achab avesse tempo di pensare; ma Achab non pensa maisentesoltantosentesente; è tutto il brivido

concesso all'uomo mortale! Pensare è cosa audace. Dio solo ha quel diritto equel privilegio. Il pensiero èo dovrebbe

essereindifferenza e calma; e i nostri poveri cuori sussultanoe i nostripoveri cervelli picchiano troppo per questo.

Eppurea volte ho pensato che il mio cervello fosse molto calmo... calmocome di geloquesto vecchio cranio si spacca

cosìcome un bicchiere il cui contenuto diventa ghiaccioe lo manda apezzi. E però questi capelli mi cresconoin

questo momento cresconoed è il calore che deve nutrirli; ma nosono comequella sorta d'erba comune che cresce

dappertuttotra le fessure fangose del ghiaccio di Groenlandia o nella lavadel Vesuvio. Come li scompigliano i venti

selvaggi; me li sferzano attornocome i brandelli laceri di vele strappateche frustano la nave sbattuta cui si aggrappano.

Un vento ignobileche senza dubbio ha soffiato prima per corridoi e celle diprigioni e per corsie d'ospedalile ha

ventilatee adesso soffia qui innocente come l'agnello. Alla malora!... Èinfetto. Se io fossi il ventonon soffierei più su

un mondo tanto perverso e miserabile. Striscerei dentro qualche cavernae mene starei lì acquattato. Eppure è cosa

nobile ed eroicail vento! Chi mai l'ha piegato? In ogni scontro dà semprel'ultimo colpoe il più amaro. Corri ad

assalirloe non fai che attraversarlo. Ah! Vento codardoche colpisciuomini nudima non ti fermi a ricevere un solo

colpo. Perfino Achab ha più coraggio... più nobiltà. Se almeno il ventoavesse un corpo; ma tutte le cose che esasperano

e offendono di più i mortalitutte sono incorporeesebbene incorporee solocome oggettinon come agenti. Ecco una.206

differenza specialissimaastutissimapiena di perfidia! Eppurelo ripeto elo giuroc'è qualcosa di molto glorioso e

benignonel vento. Almeno in questi caldi Aliseiche soffiano dritti neicieli puliticon una dolcezza fortee gagliarda

e costantee mai virano dal segnoper quanto possano voltarsi e bordeggiarele correnti più basse dei marie i più

potenti Mississippi della terra mutare e deviareincerti dove andare allafine. E per gli eterni Poli! Questi stessi Alisei

che spingono così dritti la mia buona navequesti Alisei o qualcosa disimile... qualcosa di egualmente immutabile e

altrettanto fortespingono avanti la chiglia della mia anima! Al lavoro!Ohè arriva! Che vedi?»

«Nientesignore.»

«Nienteed è quasi mezzogiorno! Il doblone finirà ai porci! Guarda ilsole! Ma certodev'essere così. Gli son

passato avanti. Vado in testa dunque? Sicuroè lui che adesso mi dà lacacciae non viceversa... male; e per giunta avrei

dovuto saperlo. Che idiota! Con tutte le lenze e i ramponi che tira. Sìsìl'ho superato stanotte. Vira! Vira! Giù tutti

tranne le vedette ordinarie! Ai bracci!»

Governando come primail Pequod aveva più o meno pigliato il ventosull'ancasicché oramessa la prua nella

direzione contrariala nave bracciata filava tutta nella brezzaerisbatteva la schiuma della propria scia bianca.

«Contro ventoora fila dritto in quelle fauci aperte» mormorò Starbucktra sémentre addugliava alla ringhiera

il braccio di maestro appena alato. «Che Dio ci salvima già mi sento leossa umide in corpoche m'infracidiscono la

carne di dentro. Temo proprio che obbedendo a lui sto disubbidendo a Dio.»

«Pronti a issarmi!» gridò Achabandando al cesto di canapa. «Dovremmovederlo presto.»

«Sissignoresissignore!» e subito Starbuck eseguì l'ordine di Achabeancora una volta Achab oscillò là in

alto.

Passò tutta un'oramartellata all'infinito come una foglia d'oro. Ora iltempo stesso tirava lunghi sospiri d'ansia.

Ma alla finetre quarte in prua a sopravventoAchab riavvistò lo spruzzoe subito dalle tre teste d'albero si alzarono tre

urlicome lanciati da lingue di fuoco.

«Fronte a fronte t'incontro questa terza voltaMoby Dick! Oh sul ponte!Braccia stretto di puntacacciala

nell'occhio del vento! Ancora troppo lontano per ammainaresignor Starbuck.Le vele sbattono! Stai dietro a quel

timonierecon una mazza! Cosìcosì; viaggia velocee io sono ancoraquassù. Un'ultima buona occhiata all'intornoda

qui: c'è ancora tempo. Uno spettacolo anticomolto anticoeppure in certosenso così nuovo: sicuroe non è cambiato

d'un briciolo da quando lo vidi per la prima voltaragazzoda sopra le dunedi Nantucket! È lo stesso!... Lo stesso per

questi occhi e per Noè. A sottoventoun leggero piovasco. Che bella vista asottovento! Là oltre ci sarà qualche posto...

qualcosa di diverso della solita terrapiù radioso dei palmizi. Asottovento! La balena bianca va da quel lato. Guarda a

sopravventoallora; è il quartiere miglioreanche se è il più amaro. Maaddioaddiovecchia testa d'albero! Cos'è

questo?... del verde? Sìpiccoli muschi in queste crepe tortuose. Il temponon lascia simili macchie verdi sulla testa di

Achab! E questa è la differenza tra la vecchiaia dell'uomo e quella dellecose. Ma sìvecchio alberonoi due

invecchiamo assieme; però siamo sani di scafonon è verovecchio mio?Giàmeno una gambaecco tutto. Perdio

questo legno morto sta meglio della mia carne vivain ogni senso. Non c'èparagone; e so di navi fatte di alberi morti

che sopravvivono a uomini fatti della più viva parte di padri pieni di vita.Cos'è che disse? Che comunque se ne sarebbe

andato primaper farmi da pilotaeppure l'avrei visto di nuovo? Ma dove?Forse che avrò gli occhi in fondo al mare

supponendo che io scenda quella scala infinita? E per tutta la notte me nesono allontanatodovunque sia successo. Ma

sìsìcome tanti altri hai detto la verità orribile su te stessoParsi;quanto ad Achabhai tirato corto. Addiotesta

d'albero... fa' buona guardia alla balena mentre non ci sono. Riparleremodomanianzi staseraquando la balena bianca

sarà allungata lì sottolegata testa e coda.»

Dette la vocee ancora guardandosi attorno scese a piombo fendendo l'ariaazzurra sul ponte.

A tempo debito le lance furono ammainatema Achabmentre dritto a poppadella sua scialuppa pendeva sul

punto di scenderefece un cenno all'ufficiale (che dal ponte reggeva uno deicavi di paranco) e gli disse di fermare.

«Starbuck!»

«Sissignore.»

«Per la terza volta la nave dell'anima mia comincia questo viaggioStarbuck.»

«Sìsignoreè quello che avete voluto.»

«Qualche nave salpa dal portoe poi è perduta per sempreStarbuck!»

«È verosignore: triste ma vero.»

«Qualcuno muore col riflussoqualcuno con la bassa mareae altri quando èalta... e ora mi sento come

un'ondata che è tutta un pettine di schiumaStarbuck. Sono vecchio... quala manoStarbuck.»

Le mani s'incontrarono; e fecero presa con gli occhi: la collale lacrime diStarbuck.

«Capitanocapitano! ...cuore nobile... non andare... non andare!... guardaè un uomo di coraggio che piange; e

pensa quanto mi costa doverti pregare di questo!»

«Cala!» urlò Achab scostando il braccio dell'altro. «Attentoall'equipaggio!»

In un attimo la lancia virava sotto poppa.

«I pescicani! I pescicani!» gridò una voce dal basso oblò di cabina.«Padronepadronetorna indietro!»

Ma Achab non sentì niente; perché in quel momento anche lui urlòe labarca balzò avanti.

Eppure la voce aveva ragione. S'erano appena staccati dalla nave che unnugolo di pescicanisaliti

apparentemente dalle acque buie sotto lo scafoazzannarono astiosi le paledei remi ogni volta che si tuffavano in

acquae in questo modo scortavano a morsi la barca. È cosa che capitaspesso alle lance baleniere in quei mari

pullulanti di squali: e questi animali a volte hanno l'aria di seguirle perlo stesso istinto che in oriente fa librarsi gli.207

avvoltoi sopra i vessilli dei reggimenti in marcia. Ma quelli erano i primipescicani veduti dal Pequod dal primo

avvistamento della balena bianca: e fosse il fatto che l'equipaggio di Achabera tutto formato di barbari giallo-tigreche

hanno la carne più olente al naso dei pescicani (e questa si sa che è unacosa che a volte li attrae)o comunque siai

pesci parevano seguire quella barca senza dar noia alle altre.

«Cuore d'acciaio temprato!» mormorò Starbuck piegandosi sulle murate eseguendo con gli occhi la barca che

impiccioliva.

«Hai ancora tanto coraggio da squillare a quella vista?... ammainare lachiglia in mezzo ai pescicani affamatie

andartene seguito da quellia caccia con le gole aperte? E proprio il terzogiornoquello decisivo!... Perché quando

passano tre giorni in un solo inseguimento freneticocerto il primo è ilmattinol'altro il mezzogiorno e il terzo la sera e

la fine di tutto... comunque vada a finire. O mio Dio! Cos'è che mi trapassae mi lascia quieto come un mortoeppure in

attesa... inchiodato in cima a un brivido! Cose che saranno mi nuotanodavanticome vuoti contorni e scheletri; tutto il

passato mi pare buio. Mary cara! mi svanisci alle spalle in una luce pallida;mio figlio! mi sembra di vedere solo i tuoi

occhidiventati così azzurri. I problemi più astrusi della vita misembrano chiarirsi: ma in mezzo si buttano nuvole... Si

avvicina la fine del viaggio? Mi si piegano le gambecome a uno che hacamminato tutta la giornata. Il cuore... batte

sempre? ScuotitiStarbuck! Basta! Muovitimuoviti! Parla forte!... Arrivaoh! Vedi la mano di mio figlio sulla

collina?... Sono pazzo!... Arriva! Occhio alle barchetieni in vista labalena!... oh lassùcaccia via quel falco! Guarda

che becca... strappa il mostravento!» E indicò la bandiera rossa chesvolazzava al pomo di maestra: «Ahse lo porta

via!... Dov'è ora il vecchio? Lo vedi questoAchab? Sventura! Sventura!»

Le barche non s'erano allontanate di molto quandoa un segnale dalle tested'albero - un braccio teso all'ingiù -

Achab seppe che il pesce si era tuffato; ma volendogli essere accanto allaprossima emersione continuò a remare un po'

di fianco al bastimento; l'equipaggio attonito manteneva il più profondosilenzioe le onde di prua martellavano contro

lo sperone che avanzava.

«Piantate i vostri chiodipiantate pureonde! Piantateli fino allecapocchie! Ma questo che picchiate non ha

coperchio... e io non posso avere né cassa da morto né carro... e solo uncappio mi può uccidere! Ah! Ah!»

Di colpo l'acqua attorno si gonfiò lenta in ampi circoli; poi salìfulmineacome sfuggendo ai lati d'un monte di

ghiaccio sommerso che s'alzi rapido a galla. Si udì un sordo rombounbrontolio sotterraneoe poi tutti tennero il fiato:

in un groviglio di cavi penzolanti e ramponi e lance una forma immensa sirovesciò in alto e di sbieco dal mare. Avvolta

da un velo lieve e crollante di nebbiasi librò un attimo nell'ariairidatapoi ricrollò sprofondando nell'abisso. Schizzate

in aria per trenta piedile acque splendettero un istante come fasci difontanepoi rompendosi scesero in un rovescio di

favillelasciando la superficie all'intorno schiumante come latte frescoattorno al tronco marmoreo della balena.

«Sotto!» urlò Achab ai rematorie le barche scattarono avantiall'assalto. Ma esacerbato dai ramponi del giorno

prima che gli rodevano le carniMoby Dick pareva posseduto da tutti gliangeli precipitati dal cielo. I grossi fasci di

tendini che gli si allargavano sulla gran fronte biancasotto la pelletrasparenteparevano annodati assieme mentre a

capofittosferzando di codasi buttava tra le barchee ancora una volta ledivideva facendo saltare lance e ramponi dai

legni dei due ufficialie spaccando le assi più alte delle prue. Ma quelladi Achab restò quasi intatta.

Mentre Daggoo e Queequeg si buttavano a turare le spaccature delle assie labalena allontanatasi faceva un

voltafaccia e mostrava tutto un fianco tornando a passare vicinain quelmomento si udì un grido strozzato. Legato a più

ritorte alla schiena del pesceimmobilizzato nei giri innumerevoli con cuidurante la notte la balena si era passata

attorno le lenze aggrovigliatesi vedeva il corpo semistraziato del Parsicoi panni neri ridotti a brandellie gli occhi

sbarrati fissi in pieno su Achab.

Il rampone gli cadde di mano.

«Beffato!» E tirò un lungo respiro affannoso. «Ma sìParsi! Ti vedo dinuovo... Ma sìte ne vai per primo; e

questoquesto è allora il carro funebre che avevi detto. Ma devi mantenereil tuo impegno fino all'ultima lettera. Dov'è

l'altro feretro? Tornate alla naveufficiali! Quelle barche sono inutiliormai; raddobbate in tempose potetee tornate a

darmi una mano; se noAchab basta per la morte... Fermi voi! Il primo che fasolo il gesto di saltare da questa mia

lanciagli do un colpo di rampone. Non siete uomini ma le mie braccia egambee perciò ubbidite... Dov'è la balena?

Giù di nuovo?»

Ma guardava troppo vicino; perchécome deciso a fuggire col cadavere cheportavae come se il punto

dell'ultimo scontro non fosse che una tappa del suo viaggio a sottoventoMoby Dick si era rimesso a nuotare

energicamentee aveva quasi oltrepassata la naveche finora era andata nelsenso contrarioe ora rollava ferma. La

bestia pareva nuotare alla massima velocitàe preoccupandosi ormai solo diproseguire dritto per la sua rotta nel mare.

«OhAchab» gridò Starbuck«neanche adessoil terzo giornoè troppotardi per rinunciare. Guarda! Moby

Dick non ti cerca. Sei tutu che pazzamente lo insegui!»

Mettendo vela alla brezza che si levavala barca solitaria fu spinta velocea sottovento coi remi e con la tela. E

quando scivolò lungo la navecosì vicino che si vedeva bene il viso diStarbuck chino sulla ringhieraAchab gli gridò di

virare e venirgli dietronon troppo prestoa una giusta distanza. Dandoun'occhiata in alto vide TashtegoQueequeg e

Daggoo che salivano ansiosi alle tre teste d'alberomentre i rematorioscillavano nelle due lance sfondate ché s'erano

appena alzate alle fiancatee si affaccendavanotutti a rassettarle. Ementre filava via vide anche di sfuggitaattraverso i

portelliStubb e Flask tutti indaffarati sul ponte tra mucchi di nuoviramponi e di lance. Mentre vedeva tutto ciòmentre

udiva i martelli nelle barche schiantateben altri martelli pareva che glipiantassero un chiodo nel cuore. Ma si riprese.

E notando che la testa di maestro non aveva più bandiera o mostraventogridò a Tashtego che c'era appena salito di

ridiscendere e prenderne un'altraassieme al martello e ai chiodi perattaccarla all'albero..208

Fosse stremata da tre giorni di continua caccia e dalla resistenza dellepastoie che si tirava dietroo fosse per

una sua celata doppiezza e maliziacomunque sia ora la balena biancacominciava a rallentare la corsacome appariva

dal rapido incalzate della lancia; benché a dire il vero l'ultimo distaccodella balena non era stato lungo come prima. E

semprementre Achab filava sulle ondequei pescicani spietati gli venivanodietroe con tanta pertinacia si stringevano

alla lancia e così spesso mordevano ai remiche le pale si ridussero tutterosicchiate e intaccatee quasi a ogni tuffo

perdevano piccole schegge nel mare.

«Non fateci caso! Quei denti non fanno che offrire nuovi scalmieri ai vostriremi. Arranca! È un appoggio

migliorela bocca del pesce invece dell'acqua che cede.»

«Ma signorea ogni morso il piatto delle pale si fa più piccolo!»

«Dureranno abbastanza! Arranca!... Ma chi sa» mormorò«se questipescicani nuotano per fare banchetto

sulla balena o su Achab? Forzaforza! Cosìin gamba ora... siamo vicini.Il timone! Prendi il timone; fatemi passare.» E

mentre parlavagià due rematori lo spingevano verso la prua della barca incorsa.

Infinementre il legnocon una viratafilava parallelo al fianco chiarodella balenaquesta parve stranamente

disinteressarsi al suo arrivocome fanno le balene talvoltae Achab eraormai dentro alla fumosa nebbia alpina che

emessa dallo sfiatatoio si avvolgeva intorno alla sua gobbagrande come ilmonte Monadnock. Tanto vicino le arrivòe

piegando indietro il corpo e alzando in aria le braccia distese per dareequilibrioscagliò il rampone feroce e la sua più

feroce maledizione dentro l'odiata balena. Mentre acciaio e maledizioneaffondavano fino al manicocome succhiati in

un pantanoMoby Dick si contorse di fiancorollò spasmodicamente contro lapruae senza aprirvi falla inclinò così di

colpo la lanciache non fosse stato per l'orlo del capo di banda cui s'eraaggrappatoAchab sarebbe finito in acqua

un'altra volta. Ma al colpo tre dei rematoriche non avevano previstol'istante preciso del lancio e perciò erano

impreparati ai suoi effettifurono sbalzati fuori; e però caddero in modoche in un attimo due di essi si riafferrarono al

capo di bandae alzandosi al suo livello sulla cresta di un'onda siributtarono in barca di pesomentre il terzo cadeva

senza rimedio a poppama sempre a galla e nuotando.

Quasi nello stesso puntocon un poderosofulmineo colpo di testala balenabianca balzò nel mare ribollente.

Ma quando Achab urlò al timoniere di dare altre volte alla lenza ebloccarlae comandò all'equipaggio di voltarsi sui

banchi e alare la barca fino alla predaappena il cavo traditore subì ildoppio sforzo e lo strapposaltò secco nell'aria.

«Cos'è che mi si spezza dentro? Qualche nervo cede!... notutto è dinuovo a posto: remi! remi! Saltatele

addosso!»

Udendo il tremendo impeto della lancia che sfondava il marela balena sigirò per presentare a difesa la vuota

frontee in quel girare scorse lo scafo nero della nave che s'avvicinava; eforse vedendo in quello la fonte di tutte le sue

persecuzionicredendolopuò darsiun nemico più grande e più nobiledicolpo partì contro quella prua che avanzava

sbattendo le mascelle tra irruenti rovesci di schiuma.

Achab vacillò; si batté la mano in fronte. «Divento cieco. Manistendetevi quidavantiche possa ancora

trovarmi strada a tastoni. È notte?»

«La balena! La nave!» gridarono i rematori allibiti.

«Ai remiai re mi! Sprofòndati verso i tuoi abissimareché prima chesia troppo tardi Achab possa slittare

quest'ultima voltaquest'ultima volta contro il suo bersaglio! Ora vedo: lanave! La nave! Scattateragazzi! Non volete

salvare la mia nave?»

Ma mentre i rematori schiacciavano freneticamente la barca contro i colpi dimaglio del marele teste prodiere

di due assi colpite dalla balena saltaronoe quasi in un attimo il legnoimmobilizzato si trovò a pelo d'acquacon

l'equipaggio semisommerso e sguazzanteche cercava disperato di turare lafalla e aggottare l'acqua che irrompeva.

Intantonell'attimo in cui guardòil martello di Tashtego sull'albero glirestò in mano levatoe la bandiera

rossa avvolgendolo come un manto gli svolazzò di dosso come fosse il cuoreche lo lasciava; e Starbuck e Stubbche

stavano sottoal bompressovidero nello stesso momento il mostro chepiombava loro addosso.

«La balena! La balena! Poggia tutto! Poggia! O voi potenze buone dell'ariatenetemi stretto! Non fate morire

Starbuckse deve morirein un deliquio da femmina! Poggia tuttodico!...voi deficientiquelle fauci! quelle fauci! È

questa la fine di tutte le mie preghiere ardenti? Di tutta una vita di fede?O AchabAchabguarda cosa hai fatto. Alla

viatimonierealla via! Nonopoggia di nuovo! Si volta per assalirci!Ohla sua fronte implacabile si getta su un uomo

a cui il dovere dice che non può fuggire. Signorestammi accanto!»

«Non accanto ma sottochiunque tu sia che dai una mano a Stubb; perchéanche Stubb non si muove. Ti

ghigno in facciabalena che ghigni! Chi mai ha aiutato Stubbo tenutosveglio Stubbse non il suo stesso occhio

guardingo? E ora il povero Stubb va a letto su un materasso fin tropposoffice: magari fosse riempito di sterpi. Ti

ghigno in facciabalena che ghigni! Sentite quasoleluna e stelle! Vidichiaro assassini del tipo più in gamba che mai

abbia sfiatato l'anima. Con tutto questo brinderei ancora con voise mipassaste un bicchiere! Oilà oh! Balena col

ghignovedo che pres to avremo tanti bei glu-glu! Perché non te ne scappiAchab? Quanto a mevia scarpe e giaccone:

Stubb muoia in mutande! Certouna morte quanto mai muffosa e salata:ciliege! ciliege! ciliege! OhFlaskci avessimo

una ciliegia. rossaprima di crepare!»

«Ciliege? Vorrei solo trovarmi là dove crescono. EhStubbspero proprioche la mia povera vecchia abbia

riscosso la mia parte di pagase nopochi quattrini le toccanoperché ilviaggio è chiuso.»

Ormai quasi tutti gli uomini ciondolavano inerti sulla prua della nave:martellipezzi di tavolelance e ramponi

stretti macchinalmente in manocosì come erano accorsi dalle lorooccupazionie tutti gli occhi incantati fissi sulla

balena che vibrando stranamente da parte a parte la sua testa predestinatasi gettava davantinella corsaun gran.209

semicerchio rollante di schiuma. Giustiziapronta vendetta e malvagitàeterna erano in tutto il suo aspettoe a onta di

tutto ciò che l'uomo potesse fareil bianco sperone massiccio della suafronte colpì di tribordo la prua della nave

squassando uomini e assi. Qualcuno cadde lungo sulla faccia. Come pomid'albero schiantatile teste dei ramponieri

arriva traballarono su quei colli taurini. Attraverso lo squarcio udirono leacque rovesciarsi come torrenti alp ini in una

gola.

«La nave! Il carro funebre!... il secondo carro!» urlò Achab dalla barca.«Quel legno non poteva essere che

americano!»

Tuffandosi sotto la nave che si abbassavala balena corse fremente lungo lachigliama virando nell'acqua

tornò in un attimo a emergere lontana a babordo di pruae a poche jardedalla barca di Achab. Per il momentoera

immobile.

«Volto la schiena al sole. OlàTashtego! fammi sentire il tuo martello. Omie tre guglie indomabilichiglia

intattae tuscafo che solo Dio può forzaretu ponte saldo e barrasuperbae prua puntata sul Polo... nave gloriosa di

morte! Dunque devi moriree senza di me? Anche l'ultima ambizione dei piùmediocri capitani mi deve essere tolta? O

morte solitaria dopo una vita solitaria! Ora sento che la mia massimagrandezza sta nel maggior dolore. Ahimè!

Riversatevi qui dai vostri punti lontanionde coraggiose di tutta la miavitasu in cima al mucchio di questo gran

maroso di morte! Verso te avanzobalena che distruggi e non vincifinoall'ultimo ti combattodal cuore dell'inferno ti

pugnaloe in nome dell'odio ti sputo addosso il mio ultimo respiro. Affondiogni bara e ogni carro in un solo vortice! E

visto che non sono per meche io venga trascinato a pezzi mentre ancora ticacciobenché sia legato a tebalena

maledetta! Così getto la lancia!»

Il rampone fu scagliato; la balena ferita balzò avanti; la lenza corsebruciante nella scanalatura: s'imbrogliò.

Quello si chinò a districarlaci riuscìma il cappio volante lo prese alcolloe senza gridarecome la vittima strangolata

dai muti schiavi dei TurchiAchab saltò dalla barca prima che gli altrivedessero che era sparito. L'attimo dopola

pesante gassa impiombata in cima al cavo volò via dalla tinozza vuotaabbatté un rematore e frustando il mare sparì nei

gorghi.

Un momentol'equipaggio della lancia rimase impietrito. Poi si voltarono.«La navegran Diodov'è la nave?»

Prestoattraverso veli d'acqua foschi e confusine videro il fantasmaobliquo che svanivacome tra i vapori della Fata

Morganasolo le vette degli alberi fuori dell'acqua; e inchiodati ai posatoiun tempo così altiper pazziafedeltà o

destinoi ramponieri pagani affondavano sempre scrutando sul mare. E oracerchi concentrici afferrarono anche la

lancia solitariae tutti quegli uominie ogni remo galleggiantee ognipalo di lanciae torcendo in giro in un solo

vortice ogni cosa viva o senz'animatrascinarono a fondo anche il piùpiccolo avanzo del Pequod.

Ma mentre le ultime ondate si rovesciavano fitte sulla testa sommersadell'indiano all'albero maestrolasciando

ancora visibili pochi pollici della cima e lunghe jarde fluttuanti dellabandiera che sventolava quietacon ironica

armoniasui cumuli d'acqua distruggitori che ormai quasi sfiorava; in quelmomento un braccio rossiccio e un martello

si alzarono nell'ariapiegati all'indietro nell'atto di inchiodare semprepiù salda la bandiera all'albero che sprofondava.

Un falcoche aveva beffardamente seguito il pomo di maestra giù dalla suanaturale dimora tra le stellebeccando

all'insegna e molestando Tashtegocacciò per caso la larga ala palpitantetra il martello e il legno; e in un baleno

avvertendo quel sussulto etereoil selvaggio affondato lì sottonel suorantolo di mortetenne inchiodato il martello. E

così l'uccello del cielocon strida d'arcangelorizzando in alto il rostroimperialee tutto il corpo imprigionato avvolto

nella bandiera di Achabandò a fondo con la sua naveche come Satana nonvolle calare all'inferno finché non ebbe

trascinata con sécome elmouna viva parte del cielo.

Ora piccoli uccelli volarono stridendo sul vortice ancora aperto. Un tetrofrangente biancastro urtò contro i suoi

bordi ripidi. Poi tutto crollòe il gran sudario d'acqua tornò amareggiare come aveva fatto cinquemila anni fa.

EPILOGO

«E sono scampato io solo per informartene

Giobbe

Il dramma è finito. Perché allora qualcuno si fa avanti?... Perché unoscampò al naufragio.

Capitò che dopo la sparizione del Parsiio fui quello che i Fatidestinarono a prendere il posto del prodiere di

Achabquando questo prodiere assunse il posto vacante; e io fui quello chequando l'ultimo giorno i tre furono sbalzati

in acqua dall'urtocadde a poppa. Cosìgalleggiando sul margine dellascena che seguìe dominandola tuttaquando il

risucchio semispento della nave affondata mi presefui allora tiratomalentamenteverso il vortice che si chiudeva.

Quando ci arrivais'era placato in un pantano di spuma. Torno tornoallorae sempre attratto dal nero bottone della

bollaall'asse di quel cerchio che roteava lentogirai come un altroIssione. Finchénel toccare quel centro vitalela

bolla nera esplose; e orasganciata dalla sua molla ingegnosae saltando agalla con forza per essere così leggerala

cassa da morto-salvagente balzò quant'era lunga dal marericaddee migalleggiò accanto. Sostenuto da quella baraper

quasi tutto un giorno e una nottegalleggiai su un mare morbido e funereo.Senza toccarmii pescicani mi guizzavano

accanto come avessero lucchetti alle bocche; i falchi selvaggi del marepassavano coi becchi inguainati. Il secondo.210

giornouna vela mi venne vicinasempre più vicinae mi raccolse allafine. Era la Rachele che andava bordeggiandoe

che nel rifare la sua rotta in cerca dei figli perdutitrovò solo un altroorfano.




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