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Platone
Parmenide
Platone Parmenide
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Platone
PARMENIDE
Non appena giungemmo ad Ateneprovenendo da casa nostraovvero da Clazomene(1) sulla piazza incontrammo
Adimanto e Glaucone. E Adimantomi prese la mano e «Salve»disse«Cefalo(2) dimmi se hai bisogno di qualcuno
degli abitanti del luogosui quali esercitiamo la nostra influenza».
«Ma io»risposi«vengo qui proprio per questo motivoper chiedervi unfavore».
«Puoi esporre la tua richiesta»disse.
E io: «Come si chiamava quel vostro fratello da parte di madre? Non ricordo.Era solo un bambinoquando per la
prima volta mi stabilii qui da Clazomene: ma da allora è ormai trascorsomolto tempo.
Il nome del padremi sembraera Pirilampe».(3) «Certamente»rispose.
«E lui?» «Antifonte. Ma perché ti interessa così tanto?» «Costoro»dissi io«sono miei concittadinifilosofi senza
dubbioe hanno sentito dire che questo Antifonte si è incontrato moltevolte con un certo Pitodoro(4) discepolo di
Zenone(5) e ricordaper averli spesso ascoltati da Pitodoroi discorsi cheallora SocrateZenonee Parmenide avevano
tenuto».
«Quello che dici è vero»disse.
«Proprio questi discorsi»dissi«chiediamo di ascoltare».
«Ma non è una cosa difficile»rispose. «Era ancora un giovanettoe giàrifletteva assai attentamente intorno a tali
questionimentre oracome il nonno suo omonimo(6) trascorre la maggiorparte del suo tempo dedicandosi
all'equitazione. Ma se proprio si deveandiamo da lui: un momento fa èandato via di qui e sta andando a casa: abita qui
vicinoin Melite».(7) Dopo queste parole ci mettemmo in stradae trovammoAntifonte in casamentre stava
consegnando ad un fabbro una briglia da riparare: non appena si liberò daquell'uomoi fratelli gli spiegarono il motivo
per cui eravamo venuti da luie fu così che mi riconobbe dal mio precedentesoggiornoe mi salutò con affetto. Quando
noi gli chiedemmo che ci esponesse quei discorsiin un primo tempo simostrò esitante - diceva infatti che si trattava di
un'opera assai ardua - ma in un secondo tempo cominciò ad esporli. Antifonteprese a dire come Pitodoro gli aveva
raccontato di Zenone e Parmenide che una volta erano venuti alle GrandiPanatenee.(8) Parmenide era già assai vecchio
i capelli completamente bianchil'aspetto bello e nobilee si trovavaintorno ai sessantacinque anni; Zenone allora era
vicino ai quarant'annialto di statura ed elegante a vedersie si dicevache fosse stato l'amante di Parmenide. Disse che
costoro avevano alloggiato presso Pitodorofuori delle muranelCeramico.(9) Lì era giunto Socratee insieme a lui
molte altre personetutte desiderose di ascoltare la lettura dell'opera diZenone: allora per la prima volta da quelli il
libro fu portato qui fra noi. In quel tempo Socrate era assai giovane. Fu lostesso Zenone a leggere il libromentre
Parmenideper casosi trovava fuori di casa: mancavano ancora poche righeal termine della letturaquando lo stesso
Pitodoro disse di essere entrato in casa da fuorie con lui Parmenide eAristotelequello che aveva fatto parte dei
Trenta(10) e ascoltarono ancora poche righe del libro. Per lui non fu cosìpoiché anche in precedenza aveva ascoltato
Zenone.
Socratedopo che ebbe ascoltatodomandò che fosse letta di nuovo la primaipotesi del primo discorsoeuna volta
che fu rilettadisse: «Che senso hao Zenonequello che dici?
dici che se sono molte le cose che sonoesse devono essere simili e anchedissimilima che questo è impossibile:
non è vero infatti che né è simile ciò che è dissimilenè è dissimileciò che è simile? Non è così che dici?» «è così»
disse Zenone.
«Dunquese è impossibile che le cose dissimili siano simili e le cosesimili siano dissimiliè impossibile che siano
anche molte? Se fossero moltecapiterebbe loro di trovarsi in una condizioneche è impossibile che si verifichi. E
questo che vogliono i tuoi discorsivale a dire non fare nient'altro se nonsostenereandando contro ogni affermazione
che viene fattache non esiste la molteplicità? E pensi forse che ciascunodei tuoi discorsi rappresenti per te una prova a
favore di tali asserzionisicché anche ritieni che tante sono le prove chesei in grado di fornire quanti sono i discorsi che
hai scritto riguardanti la non esistenza della molteplicità?
Dici cosìo io non intendo correttamente?» «No»disse Zenone«ma haicompreso bene quello che
complessivamente intendevo dire nel mio scritto».
«CapiscoParmenide»disse Socrate«che il nostro Zenone non solo vuolesopra ogni altra cosastringersi in
vincolo di amicizia con tema anche con il suo scritto. Ha scritto le stessecoseper un certo versoche hai scritto tu
anche secambiando qualche particolaretenta di ingannarcicome se avessedetto qualcosa di diverso. Tu nei tuoi versi
affermi che il tutto è unoe di queste affermazioni fornisci delle provevalide e plausibili: costui a sua volta dice che i
molti non esistonoe anch'egli fornisce moltissime prove e di considerevoleampiezza. Poiché uno di voi afferma che il
tutto è unoe l'altro nega l'esistenza dei moltie poiché l'uno e l'altroparlate in modo da sembrare non aver detto le
stesse cosementre press'a poco le avete dettemi sembra che le cose cheavete detto siano dette per superare
l'intelligenza di noi altri».
«Sì»disse Zenone«o Socrate. Tu però non hai capito in ogni sua parteil vero spirito del mio scritto. Eppurecome
le cagne della Laconiavai alla ricerca e ti metti sulle tracce delle cosedette: ma prima di tutto ti sfugge questoche la
mia opera non vuole affatto pretendere di essere scritta e concepita come tudicinascondendosi agli uominicome se
realizzasse un qualcosa di grande. Tu hai citato una coincidenza che si èverificata per puro casomentre in realtà
quest'opera desidera venire in soccorso al discorso di Parmenide controquanti tentano di metterlo in ridicoloe
sostengono che se il tutto è unoaccade che derivino al discorso molteconseguenze ridicole e a quello opposte. Pertanto
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questo scritto si oppone a quanti affermano la molteplicitàe conaltrettanti e molto più numerosi argomenti ribatte alle
loro tesiper dimostrare che la loro ipotesi della molteplicità è ancorpiù ridicola di quella dell'unitàse si potesse
adeguatamente esaminarla. Proprio per questa mia inclinazione alla polemicaquand'ero giovane scrissi quest'operae
una volta che fu scrittaqualcuno me la rubòsicché non mi fu possibiledecidere se essa dovesse o no vedere la luce. Su
questo puntodunqueti sbaglio Socratepensando che sia stata ispiratanon dall'inclinazione alla polemica di un
giovanema dall'ambizione presuntuosa di un vecchio: dopodichécome hodettonon l'hai rappresentata male».
«Accolgo la tua replica»disse Socrate«e credo che le cose stiano comedici. Ma dimmi: non ritieni vi sia una certa
specie in sé della somiglianzae a sua volta un'altra opposta a quellaovvero quella della dissomiglianzae che di
questeche sono dueprendiamo parte iotue le altre cose che definiamo"molteplicità"? E quanto partecipa della
somiglianza diviene similesecondo il modo in cui vi partecipa e nellamisura in cui vi partecipaquanto invece prende
parte della dissomiglianzadiviene dissimilementre ciò che partecipa ditutte e due le specie diventa l'una e l'altra
cosa? Se ogni cosa prende parte di queste due specie che sono oppostee lestesse cose sono simili e dissimili rispetto a
se stesse in virtù di questo partecipare di ambedue le specieche c'è dastupirsi? Se infatti qualcuno dimostrasse che le
cose similiin quanto similidiventano dissimilio quelle dissimilidiventano similiquestocredosarebbe un fatto
prodigioso. Ma se mi si dimostrasse che ciò che prende parte di queste duespecie è oggetto dell'una e dell'altra
condizione di cui fa esperienzaquesta non mi sembra affatto un'assurditào Zenonee neppure se mi si dimostrasse che
il tutto è unoin quanto prende parte dell'unoe che questo stesso tuttoè molteplicein quanto a sua volta prende parte
della molteplicità. Ma se si dimostrerà che ciò che è unoper il fattodi essere taleè molteplicee a sua volta ciò che è
molteplice è unoquesto già desterà in me stupore. E lo stesso discorsovale per tutte le altre cose: se si dimostrasse che
i generi e le speciepresi in séprovano in se stessi tali oppostecondizionisarebbe cosa degna di stupore. Ma perché
stupirsi se si dimostrerà che vi è un solo io e ve ne sono moltidicendoqualora si voglia provare la molteplicitàche ho
una parte destra e una parte sinistrauna parte anteriore e una posterioree allo stesso modo una parte superiore e una
inferiore - infatti prendo partecredodella molteplicità - mentre sidicanel caso si voglia provare l'unitàche di noi che
siamo sette io sono un solo uomopartecipando anche dell'uno: sicché l'unae l'altra cosa risultano vere. Se dunque uno
riesce a dimostrareriguardo a tali coseche la stessa cosa è molteplice eunacome le pietrei legnie altre cose del
generediremo che costui designa una certa cosa come molteplice e unanonche l'uno è molteplicitàe neppure che la
molteplicità è uno: e non direbbe nulla di incredibilema cose sulle qualitutti potremmo convenire. Ma se unodelle
cose di cui ora ho parlatoin primo luogo separasse e determinasse le variespecie in séper esempio somiglianza e
dissomiglianzamolteplicità e unitàquiete e movimentoe similmentetutte le altre cosee in seguito dimostrasse che
hanno in sé la proprietà di mescolarsi e di separarsirestereiZenoneincredibilmente ammirato. Ritengo che
quest'opera sia stata compiuta in modo arditosenza dubbio: nondimenodicorimarrei ancor più ammiratose uno
sapesse chiarire quella stessa difficoltà che si trova implicata nel modopiù svariato nelle stesse speciecome le avete
mostrate negli oggetti visibilicosì anche in quelle che si colgono con ilragionamento».
Mentre Socrate così dicevaraccontò Pitodoroegli stesso pensava cheParmenide e Zenone si sarebbero adirati per
ogni parolae invece gli prestavano grande attenzionee scambiandosi difrequente sguardi fra lorosorridevano
ammirati per Socrate. Quando Socrate terminò di parlareParmenide disse:«Socratecome sei degno di essere
ammirato per lo zelo che ti spinge ai discorsi! E dimmitu dividi propriocome diciseparando da un lato alcune specie
prese in sédall'altro ciò che ad esse prende parte?
E la somiglianzapresa in séti pare sia qualcosa che si possa separare aa somiglianza che noi possediamoe allo
stesso modo per l'unola molteplicitàe tutto quanto ora udivi daZenone?» «Mi pare di sì»disse Socrate.
«Anche tali specie sono separate»disse Parmenide«come la specie in sédel giustoe del belloe del buonoe di
tutte le altre realtà di questo genere?» «Sì»disse.
«Ebbene? Vi è la specie dell'uomoseparata da noi e da tutti quanti siamouominivale a direla speciepresa in sé
dell'uomoo quella del fuocoo anche quella dell'acqua?» «Spesso»rispose«o Parmenidemi sono trovato in
difficoltà su tali cosese si deve parlare così come si è detto perquelle altre realtào diversamente».
«Forse anche per riguardo a queste coseSocrateche potrebbero sembrareanche ridicolecome il capelloil fango
e la sporciziao qualcos'altro di vile e infimoti trovi in difficoltà sesi debba o no affermare che esista una specie
separata per ciascuna di queste cosela quale sia diversa da ciò chetocchiamo con mano?» «Nient'affatto»disse
Socrate«ma queste cosecome noi le vediamocosì esistono anche inrealtà: se si supponesse che esista una specie per
esseho timore che questa supposizione sarebbe assai assurda. Già una voltami turbò il fatto che si dovesse applicare il
medesimo principio per tutte le cose; di conseguenzase mi fermo su questopuntome ne vado via fuggendotemendo
di perdermi cadendo in un abisso di sciocchezze: ma se giungo in quel puntodove ci sono quelle cose che ora abbiamo
detto che possiedono la speciepasso il tempo occupandomi di quelle».
« Sei ancora giovaneSocrate»replicò Parmenide«e la filosofia non siè ancora impossessata ditecomesecondo
la mia previsionesi impossesserà in futuroquando non stimerai piùindegna nessuna di quelle cose: ora ti preoccupi
ancora di prestare eccessiva attenzione alle opinioni degli uominivistal'età. Ma dimmi: ti sembracome diciche vi
siano specie di cui queste cosediverse da quelle specieprendono partericevendone il nome: cosìper esempiole cose
che partecipano della somiglianza sono similiquelle che partecipano dellagrandezzagrandie quelle che partecipano
della bellezza e della giustiziagiuste e belle?» «Certamente»disseSocrate.
«Dunque di tutta la specie o di una parte di essa partecipa ogni cosa che viprende parte? O un'altra forma di
partecipazione vi sarebbe al dì fuori di queste?» «E come potrebbeesserci?»disse.
«Ti sembra che tutta la specie sia in ciascuna delle molte coserimanendounao come credi che sia?» «Che cosa lo
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impedisce»disse Socrate«o Parmenide?» «Dunque la specie è una eidenticae sarà presentenello stesso tempo
attraverso la sua totalitànei moltiche sono separatie così essarisulterà separata da se stessa».
«Questo»disse«non può esseresecome il giorno è unoed èidentico nello stesso tempo in molti luoghie per
nulla al mondo esso è separato da se stessocosì anche ciascuna dellespecie sarà in tutte le cose una e identica nello
stesso tempo».
«Con troppa semplicità»disse «o Socratefai in modo che l'unità siaidenticanello stesso tempo e in molti luoghi
come secoprendo con un velo molti uominidicessi che esso è unoed ènella sua totalitàsui molti. O non è così che
intendi esprimerti?» «Forse»rispose.
«Il velo sarà tutto su ciascunooppure ogni sua parte su ogni uomo?»«Ogni sua parte».
«DunqueSocrate»disse«le specieprese in sésono divisibiliequanto prende parte di esse partecipa di una parte
e non più tutta la specie si troverà in ciascunoma vi sarà una parte inciascuno».
«Mi sembra così».
«Vorrai affermareo Socrateche quella specieche è unasi divideveramente in noie sarà ancora una?»
«Nient'affatto»disse.
«Considera questo fatto»disse. «Se dividerai la grandezza presa in sée ciascuna delle molte cose grandi sarà
grande in base alla parte di grandezza di cui è fornitaparte cherisulterà più piccola della grandezza stessanon ti
sembrerà assurdo?» «Certamente»disse.
«E allora? Ciascun oggettoassumendo una piccola parte dell'ugualeavràun qualcosa chepur minore dell'uguale
preso in sérenderà questo oggetto che lo contiene uguale aqualcos'altro?» «Impossibile».
«Ma se uno di noi avesse parte del piccoloil piccolo in sé sarà piùgrande di questo piccoloessendo questo piccolo
una sua partee così il piccolo in sé sarà più grande: e ciò a cui siaggiunga la parte sottratta sarà più piccolo e non più
grande di prima».
«Questo non potrebbe accadere».
«Come potranno prendere parte»disse«o Socratele altre cose dellespeciese non possono prendere parte né delle
loro partiné della loro interezza?» «Noper Zeus»disse«non misembra affatto semplice dare una definizione di una
cosa simile».
«E allora? Come ti regoli dinanzi a ciò?» «Dinanzi a che cosa?» «Credoche tu sia convinto che ciascuna specie
esista come un'unità per questo motivo: allorché ti sembra che vi sianomolte cose granditi sembra forse che ci sia un
unico e identico tratto distintivo se le osservi tutte quante insiemesicché ritieni che la grandezza corrisponda all'unità».
«Quello che dici è vero»disse.
«E dunque? Se allo stesso modo rivolgi lo sguardo della tua anima su tuttele cosesul grande in sé e su tutte le altre
cose grandinon si manifesta a sua volta un'unica grandezzagrazie allaquale tutte queste cose appaiono grandi?» «Pare
così».
«Si manifesterà un'altra specie di grandezzasorta accanto alla grandezzapresa in sée alle cose che partecipano di
essa: e su tutte queste vi sarà un'altra speciein virtù della quale tuttequeste cose saranno grandi. E ciascuna specie non
sarà più per te unicama infinita e molteplice». (11) «MaParmenide»disse Socrate«osserviamo se ciascuna di queste
specie non sia un atto di pensieroe non le convenga di trovarsi altrove senon nelle anime: così ogni specie sarebbe
unae non proverebbe più quella condizione di cui ora si è detto».
«E allora?»disse. «Ciascuno di questi atti di pensiero è unoma questiatti di pensiero riguardano il nulla?»
«Impossibile»disse.
«Riguardano qualcosa?» «Sì».
«Qualcosa che è o non è?» «Qualcosa che è».
«Non è forse atto di pensiero di qualcosa di singolo che viene pensato comepresente in tutte le cosecome fosse un
unico carattere distintivo?» «Sì».
«E sarà la specie questa cosa che viene pensata come una e sempre identicain tutte le cose?» «Risulta inevitabile».
«E allora?»disse Parmenide. «In base alla necessità per cui affermi chele altre cose partecipano delle specienon ti
pare forse o che ciascuna cosa sia il risultato di atti di pensierie tuttopensao chepur essendo atti di pensieriesse non
vengono pensate?» «Ma questo discorso»disse«non ha senso. PiuttostoParmenidemi sembra che la questione si
ponga in questi termini: tali specie come modelli stanno in naturae lealtre cose assomigliano a queste specie e sono
delle copiee la stessa partecipazione delle altre cose alle specie altronon è che l'essere ad esse somigliante».
«Se qualcosa»disse«assomiglia alla speciepuò quella specie nonessere simile alla cosa rappresentatanella
misura in cui questa cosa è rappresentata a somiglianza di essa? O vi è unmodo per cui il simile non sia simile al
simile?» «Non c'è».
«Non vi è forse assoluta necessità che una cosa che assomigli ad un'altrapartecipi di un'unica identica specie?»
«Necessario».
«Non sarà la specie stessa quella cosa di cui i similiprendendovi partesono simili?» «Certamente».
«Non è possibile che qualcosa sia simile alla speciené che la specie siasimile ad altro: altrimenti accanto alla
specie comparirà sempre un'altra speciee se quella è simile a qualcosaun'altra ancorae mai cesserà di generarsi
sempre una specie nuovase la specie è simile a ciò che di essa stessaprende parte».
«Quello che dici è verissimo».
«Non è dunque in virtù della somiglianza che le altre cose partecipanodelle speciema bisogna ricercare un altro
modo in cui prendono parte».
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«Sìmi pare».
«Ti rendi conto»disse«Socratedi quanto grande è la difficoltà sele si determinano come specie esistenti di per sé
sole?» «Certamente».
«Sappi bene»disse«checosì per direnon hai ancora compreso quantogrande sia la difficoltàse stabilirai e
determinerai sempre per ciascuna delle cose che sono una specie».
«Come dici?»disse.
«Vi sono molte e varie difficoltà»rispose«ma questa è la piùimportante. Se uno dicesse che non è possibile
conoscere queste specie così come noi affermiamo che debbano esserenessunosarebbe in grado di dimostrare a chi
dice queste cose che s'ingannaa meno che colui che contesta non abbiaesperienza di molte cose e non sia un incapace
ma abbia la volontà di seguire chi cerca di dare dimostrazioni elaboratepartendo da molte premesse lontanee pur
tuttavia non si lascerebbe convincere chi sostiene che le specie sono dinecessità inconoscibili».
«Perché maio Parmenide?»domandò Socrate.
«Perchéo Socratecredo che sia tusia qualsiasi altro che stabiliscache ci sia una corrispondenza fra ciascuna cosa
e l'essere in séconverrete in primo luogo che nessuno di questi esseri èin noi».
«Come potrebbe infatti ancora essere in sé?»rispose Socrate.
«Dici bene»disse.
«Dunqueanche quanti sono i caratteri distintiviche nelle loro relazionireciproche sono ciò che sonoessi hanno il
loro essere in relazione fra loroe non con le cose che sono presso di noisiano esse immagini o come le si voglia
consideraredi cui partecipando abbiamo ognuno un nome particolare: e quellecose che presso di noi hanno nomi
identici a quei caratteri distintivisono in relazione con se stesse e noncon le speciee da se stessee non da quelle che
traggono così il loro nome».
«Che cosa vuoi dire?» domandò Socrate.
«Se uno di noi»disse Parmenide«è padrone o schiavo di qualcunoinquanto schiavonon è schiavo del padrone in
sédì ciò che esiste come padronenon di quello è schiavoe in quantopadronenon è padrone dello schiavo in sédi
ciò che esiste come schiavomaessendo uomosarànell'uno e nell'altrocasopadrone o schiavo di un uomo. L'essere
padronipreso come concetto in séè in relazione all'essere schiavipreso come concetto in sée allo stesso modo
l'essere schiavopreso come concetto in séè in relazione con l'esserepadronipreso come concetto in séma quelle
cose che sono presso di noi non hanno la possibilità di rapportarsi a quellespeciené quelle specie possono venire a
contatto con noimacome dicole specie sono in sé e in relazione con sestessee così anche quelle cose che sono
presso di noisono in relazione con se stesse. O non capisci quello chedico?» «Certamente»disse Socrate«capisco».
«Dunque anche la scienza»disse«presa in séciò che esiste comescienzasarà scienza di quella veritàdi ciò che
esiste come verità?» «Certamente».
«Mentre ciascuna delle singole scienzeche esiste come scienza singoladiciascuna delle cose che sonodi ciò che
esiste come cosa singolasi dovrà considerare una scienza o no?» «Sì».
«D'altra parte la scienza che è presso di noinon sarà scienza dellaverità che è presso di noiea sua voltaogni
singola scienza che è presso di noi non risulta che sia scienza di ognisingola cosa che è presso di noi?»
«Necessariamente».
«Ma le specie prese in sései d'accordo con menoi non le possediamoenon possono essere presso di noi».
«Nocertamente».
«Dalla specie in sé della scienza vengono conosciuti i generi in seciòche sono singolarmente?» «Sì».
«La quale scienza noi non abbiamo».
«No».
«Dunque noi non conosciamo nessuna delle speciedal momento che nonprendiamo parte della scienza in sé».
«Pare di no».
«Rimane per noi inconoscibile anche il bello in séciò che è belloe ilbenee tutto ciò che abbiamo assunto come
tratti distintivi esistenti di per se stessi».
«Può darsi».
«Considera questo fatto ancora più singolare di quello».
«Quale?» «Se esiste un generepreso in se stessodella scienzanondovresti affermare che esso è assai più perfetto
della scienza che è presso di noie così per la bellezza e tutte le altrecose?» «Sì».
«Se qualche entità diversa da noi prende parte della scienza in sédiresti che non altri se non la divinità possiede la
scienza più perfetta?» «Necessariamente».
«La divinità a sua volta sarà in grado di conoscere le cose presso di noipossedendo la scienza in sé?» «Perché no?»
«Perché»disse Parmenide«abbiamo convenutoo Socrateche né quellespecie esercitano l'influenza che hanno nei
confronti delle cose che sono presso di noiné le cose che sono presso dinoi hanno potere nei confronti di quellema le
une e le altreprese in sé sono in relazione con se stesse».
«Ci siamo accordati in questo modoinfatti».
Se dunque presso la divinità si trova tale potere che è assolutamenteperfetto e tale scienza che è assolutamente
perfettaquel potere non potrà mai signoreggiare su di noiné la scienzapotrà conoscere noie neppure nessun'altra
cosa che è presso dì noima allo stesso modo noi non possiamo comandarequegli dèi con il potere di cui noi
disponiamoné siamo in grado di conoscere nulla della divinità mediante lanostra scienzae quegli dèisecondo lo
stesso ragionamentonon sono padroni di noiné conoscono gli affari umaniessendo appunto divinità».
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«Ma fa' attenzione»disse«che il discorso non sia troppo stranodalmomento che si vuole privare il dio del
sapere».
«Tali questionio Socrate»disse Parmenide«e molte altre ancora oltrea queste si riferiscono di necessità alle
speciese esistono tali tratti distintivi delle cose che sono e se si ha lapossibilità di determinare come un qualcosa preso
in sé ciascuna specie: sicché si trova in difficoltà chi ascoltaemetterà in dubbio l'esistenza di tali speciee dirà che se
anche esistesserosarebbe assolutamente necessario che siano inconoscibilialla natura umanae parlando in questo
modocrederà di dire qualcosa di vero ecome dicevamo poco fasaràincredibilmente difficile persuaderlo
dell'opposto. Ed è proprio di un uomo ben dotato di ingegno avere lacapacità di capire che vi è un genere per ciascuna
cosae un essere in séancora più degno di ammirazione sarà colui chescoprirà tutto ciòe potrà insegnarlo ad un altro
dopo averlo adeguatamente esaminato».
«Sono d'accordo con teo Parmenide»disse Socrate«tu parli in assolutaconsonanza con i miei pensieri».
«Ma»disse Parmenide«se qualcunoo Socratenon ammetterà cheesistano le specie delle cose che sono
considerando le questioni appena esposte ed altre similie non determini laspecie di ciascuna cosanon saprà neppure
dove rivolgere il pensieropoiché non ammette che il carattere distintivodi ciascuna delle cose che sono è sempre
identicoe così annienterà del tutto il potere del ragionamentodialettico. Ma di tale questione mi sembra che tu te ne sia
già reso assolutamente conto».
«Quello che dici è vero»rispose.
«Come ti comporterai riguardo alla filosofia? Dove ti volgerai se ignoriqueste cose?» «Mi pare di non scorgere via
d'uscita nella presente circostanza».
«Troppo presto»disse«prima di esserti esercitatoo Socratetenti dideterminare un qualcosa di bellodi giustodi
benee di ciascuna specie. E me ne sono reso conto anche di recenteascoltandoti mentre discutevi qui con Aristotele.
Bello e divinosappiloè l'impeto che ti muove verso i discorsi: ma dirigite stessoed esercitati piuttosto in ciò che è
considerato inutile ed è definito dalla maggior parte delle persone vanaloquacitàfinché sei ancora giovane. Altrimenti
la verità ti sfuggirà».
«In che modoo Parmenide»disse«si può praticare questo esercizio?»«In quel modo»disse«che hai ascoltato da
Zenone. Peraltromi sono rallegrato mentre parlavi a costuidicendo che nonpermettevi che l'indagine si limitasse agli
oggetti visibili né consentivi si divagasse intorno a tali questionimasostenevi che si deve indagare intorno agli oggetti
che si colgono soprattutto con il ragionamento e che si potrebbero ritenereche siano le specie».
«Mi sembra»disse«che in questo modo non è affatto difficile mostrareche le cose che sono provano la condizione
di somiglianzadi dissomiglianzae qualsiasi altra condizione».
«Bene»disse. «Oltre a ciò si deve fare anche questoe cioèuna voltache si è stabilito l'esistenza di ciascuna cosa
bisogna non soltanto valutare le conseguenze che discendono da quellaipotesima anche il caso in cui non si ammetta
l'esistenza di quella cosa stessa che si era stabilitase vuoi esercitartimeglio».
«Come dici?»disse.
«Prendiamo come esempio»disse«se vuoil'ipotesi che Zenone ha postocioè se esista la molteplicità:
consideriamo quale dev'essere la conseguenza per tale molteplicità inrelazione a se stessa e all'unoe qual è la
conseguenza per l'uno in relazione a se stesso e alla molteplicità; seinvece non esiste la molteplicitàsi consideri
nuovamente quali saranno le conseguenze per l'uno e per la molteplicitàsiain relazione a se stessisia in relazione
reciproca.
Eancorase tu abbia ipotizzato l'esistenza o meno della somiglianzaoccorre considerare quale sarà la conseguenza
per l'una e l'altra ipotesiper le cose stesse che sono state ipotizzate eper le altresia in relazione a se stessesia in
relazione reciproca. E circa la dissomiglianza vale lo stesso discorsoe sulmoto e sulla quietee sulla generazione e
sulla corruzionee sull'essere stesso e sul non essere: e in una parolaintorno a qualsiasi cosa di cui sempre si suppone
l'esistenza o la non esistenzae che sia oggetto di una qualsiasi altracondizionebisogna considerare le conseguenze che
derivano ponendola sia in relazione con se stessasia in relazione conciascuna delle altre coseprese una per unaquali
sono quelle che preferiscieallo stesso modosia in relazione a piùelementi e infine sia in relazione a tutti quanti. E
anche le altre cosea loro voltadevi metterle in relazione con se stesse econ qualsiasi altra cosa tu decida di scegliere
sia che tu ne abbia ipotizzato l'esistenzasia che tu ne abbia supposto lanon esistenzase vuoi esercitarti alla perfezione
e osservare a fondo la verità».
«è immensaParmenide»disse«la materia di studio di cui parlie nonho assolutamente capito. Ma perché non me
la esponi tu stessosuggerendo una ipotesiperché io capisca meglio?»«Mi imponi un gran lavoroSocrate» disse
«proprio a me che sono assai avanti negli anni».
«Ma tu»disse Socrate«o Zenoneperché non ce la spieghi?».
Pitodoro racconta che Zenone disse: «è Parmenide in personaSocratechedobbiamo pregare: e badiamo che non è
da poco l'impresa di cui parla. O non ti rendi conto quant'è grande lafatica che mi imponi? Se fossimo più persone di
quante siamonon sarebbe corretto chiedere questo favore: non risultaopportuno affrontare simili discorsi di fronte a
molte personespecie per costui che è in età avanzata. La maggior partedella gente non si rende conto che senza questa
via che passa attraverso ogni cosasenza questo divagareè impossibile chela mente s'imbatta e s'impossessi della
verità. DunqueParmenideinsieme a Socrate ti prego perché possaascoltarti dopo tanto tempo».
Antifonte disse che Pitodoro raccontò chedopo che Zenone ebbe parlatocosìlui stessoinsieme ad Aristotele e
agli altripregava Parmenide di chiarire ciò che aveva detto e di noncomportarsi diversamente. E Parmenide cominciò:
«Bisogna obbediresebbene abbia l'impressione di trovarmi nella condizionedel cavallo di Ibico.(12) A questo cavallo
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da corsaormai anzianoche si accingeva a gareggiare con il cocchio e cheper l'esperienza tremava dinanzi a ciò che
l'aspettavail poeta paragonò se stessoe disse che anch'eglicontro lasua volontàpur così vecchioera stato costretto a
muoversi verso l'amore: anch'ioora che me ne ricordoho l'impressione diavere molta paura se considero come
riusciròalla mia etàad attraversare un mare così vasto ed esteso diparole. Tuttavia devo compiacervidal momento
checome dice Zenonesiamo soltanto noi. Da dove cominceremo? E qual è lanostra prima ipotesi? Oppure volete
dato che mi sembra si giochi un gioco alquanto serioche cominciamo da mestesso e dall'ipotesi di me stesso
ipotizzandointorno all'uno in sésia che l'uno sia unosia che non losiae vedere che cosa ne consegue?»
«Certamente»disse Zenone.
«Chi mi risponderà?»domandò Parmenide. «Il più giovane? Sarà menozelante degli altrie dirà con più
spontaneità quello che pensae nel contempo le sue risposte saranno per meuna pausa».
«Sono pronto a far questoo Parmenide»disse Aristotele.
« Ti riferisci a meinfattiquando parli del più giovane. Ma ora formulale domandeed io rispondo».
«Bene»disse Parmenide«se l'uno è unonon è vero che pernessun'altra ragione l'uno sarà molti?» «Come
potrebbe?» « Né dev'esserci una sua partené esso sarà un tutto».
«Perché?» «La parte è parte di un tutto».
«Sì».
«Che cos'è il tutto? Un tutto non è ciò di cui non manca parte alcuna?»«Certo».
«In un modo o nell'altrol'uno dovrebbe essere la risultante di partipoiché è un tuttoed ha parti».
«Necessariamente».
«In un modo o nell'altrocosìl'uno sarà moltima non uno».
«Vero».
«Ma non deve essere moltima uno in sè».
«Sidovrebbe essere così».
«Non sarà un tuttoné avrà partise l'uno sarà uno».
«No di certo».
«Se allora non ha parte alcunanon avrà né principioné finenémezzo: questeinfattisarebbero già parti di
quello».
«Giusto».
«E fine e principio sono il limite di ciascuna cosa».
«E come no?» «E allora l'uno è infinitose non ha né principionéfine».
«Infinito».
«E sarà senza forma: infatti non prende parte né del circolarené delrettilineo».
«E come?» «Circolare è ciò di cui i punti estremi sono in ogni parteugualmente distanti dal centro».
«Sì».
«Rettilineo è ciò il cui centro è posto come uno schermo fra i due puntiestremi».
«è così».
«Dunque l'uno avrebbe parti e sarebbe moltise prendesse parte di una formarettilinea o circolare».
«Certamente».
«Ma non è né rettilineoné circolarese è vero che non ha parti».
«Giusto».
«E avendo tali caratteristichenon sarà in nessun luogo: infatti nonpotrà trovarsi né in altro da séné in se stesso».
«Come?» «Se si trovasse in altro da sésarebbe circondato intorno daciò in cui si trovae in molte parti verrebbe a
contatto con esso in molti punti: ma siccome l'uno è privo di parti e nonpartecipa di ciò che è circolareè impossibile
che abbia contatti intorno in molte parti».
«Impossibile».
«Ma essendo in se stessonient'altro lo circonderebbe se non se stessoseè vero che si trova in se stesso: sarebbe
impossibileinfattiche qualche cosa si trovi in qualcosa che non locircondi».
«Impossibile».
«Cosa diversadunquesarà ciò che circondapreso in sée diversosarà anche ciò che viene circondato: infatti ciò
che è identico non potrànella sua totalitàfare le due cosecontemporaneamenteovvero subire e agire; se così fosse
l'uno non sarebbe più unoma due».
«Nocertamente».
«Dunque l'uno non è in nessun luogonon trovandosi né in se stessonéin altro da sé».
«Non è in nessun luogo».
«Considera allora seavendolo definito in questi terminiall'uno èpossibile star fermo o muoversi».
«Perché no?» «Perché muovendosio si sposterebbeo diventerebbe altroda sé: questi sono i soli movimenti
possibili».
«Sì».
«Diventando altro da séè impossibile che l'uno sia ancora uno».
«Impossibile».
«Essoalloranon si muove secondo mutamenti rispetto a se stesso».
«Non risulta».
Platone Parmenide
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«Allora si muove spostandosi?» «Forse».
«E se l'uno si spostasseo si muoverebbe nello stesso punto circolarmenteo muterebbe posizione da un luogo
all'altro».
«Necessariamente».
«Muovendosi circolarmenteinevitabilmente dovrebbe stare al centroeavrebbe le altre sue parti che si muovono
intorno al centro: ma ciò a cui non spetta per definizione né il centroné le particon quale espediente potrebbe
muoversi intorno facendo perno sul centro?» «Con nessun espediente».
«Ma mutando luogo viene a trovarsi in tempi diversi e in diverse posizioni ecosì si muove?» «Sise è vero che si
muove».
«Non è già risultato che è impossibile che esso sia in qualche cosa?»«Sì».
«E che esso divenganon è ancora più impossibile?» «Non capisco come».
«Se qualcosa diviene in qualcos'altronon è necessario che esso non vi siaancoradal momento che deve ancora
diveniree che non sia neppure del tutto al di fuori di quellose è veroche ormai sta per divenire?» «Necessariamente».
«E se ciò accadesse per un'altra cosasi potrebbe verificare soltanto perquella cosadi cui si abbiano delle parti: una
sua parte sarà già all'interno di quella cosamentrecontemporaneamenteun'altra sarà fuori; ma ciò che non ha parti
non potrà in alcun modo essere completamente dentroné fuori diqualcosa».
«Vero».
«Ciò di cui non si hanno parti e non è un tuttonon è ancora piùimpossibile che venga a trovarsi in qualche luogo
dal momento che non può venire a trovarsi né per partiné nella suatotalità?» «Così risulta».
«Pertanto né procedendo verso qualche luogoe venendo ad essere inqualcosaesso muta posizionené girando
intorno nello stesso puntoe neppure diventando altro da sé».
«Pare di no».
«L'uno non si muove secondo nessun movimento».
«è immobile».
«Ma diciamo anche che è impossibile che esso sia in qualcosa».
«Lo diciamo».
«Non è mai nello stesso punto».
«Perché?» «Perché già sarebbe in quello stesso punto in cui si trova».
«Certamente».
«Ma non gli era possibile essere né in se stessoné in altro».
«Nocertamente».
«Mai l'uno si trova nello stesso punto».
«Pare di no».
«Ma ciò che non è mai nello stesso puntonon è in quiete e non stafermo».
«Non è possibile».
«L'unoa quanto parenon sta fermo e non si muove».
«Non risulta».
«Esso non sarà identico né ad altroné a se stessoed'altro cantonon sarà neppure diverso né da se stessoné da
altro».
«Come?» «Se fosse diverso da se stessosarebbe diverso dall'uno e nonsarebbe più uno».
«Vero».
«Se fosse identico all'altrosarebbe quell'altroe non sarebbe più sestesso: sicché non sarebbe più così come ècioè
unoma diverso dall'uno».
«Nocerto».
«Non sarà dunque identico ad altroo diverso da se stesso».
«No».
«E non sarà diverso da altrofinché sarà uno: non spetta all'uno esserediverso da qualche cosama solo all'altro
essere diverso dall'altroe a null'altro».
«Giusto».
«Pertantoin quanto è unonon sarà affatto diverso. O come credi chesia?» «Nocerto».
«Ma se per questo motivo non è diversonon lo sarà neppure per la ragioneche scaturisce da se stessoe se non lo è
per se stessonon lo è nemmeno esso stesso: e se esso non è diverso innessun modonon sarà diverso da nulla».
«Giusto».
«E non sarà identico e stesso».
«E come no?» «La natura dell'uno non è la stessa di quelladell'identico».
«E perché?» «Perché non in base al fatto che qualcosa diviene identico aqualcosa diventa uno».
«Ma certamente».
«Se diviene identico ai moltidi necessità diviene moltima non uno».
«Vero».
«Ma se l'uno e l'identico non differiscono affattoquando un qualcosadiventasse identicosempre diventerebbe uno
e quando diventasse unosempre diventerebbe identico».
«Certo».
Platone Parmenide
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«Se l'uno sarà identico a se stessonon sarà uno con se stesso: e cosìessendo unonon sarà più uno. Ma questo è
impossibile: è dunque anche impossibile che l'uno sia diverso da altrooidentico a se stesso».
«Impossibile».
«Così l'uno non sarà diverso o identico né a se stessoné ad altro».
«Nocertamente».
«E non sarà simile a qualcosané dissimilené in relazione a se stessoné in relazione ad altro».
«Perché?» «Perché ciò che è oggetto di identica condizione èsimile».
«Sì».
«Risultò evidente che l'identico ha la natura separata da quelladell'uno».
«Risultò evidenteinfatti».
« Ma se l'uno prova qualcosa che è separato dall'essere unoproveràl'essere più che unoe questo è impossibile».
«Sì».
«Per niente al mondo l'uno è oggetto di identica condizionené rispettoad altroné rispetto a se stesso».
«Sembra non sia possibile».
«Ed esso non può essere similené ad altroné a se stesso».
«Pare di no».
«L'uno non prova qualcosa di diverso: anche così proverebbe l'essere piùche uno».
«Più dell'essere uno».
«Ciò che prova una condizione diversa da se stesso o da altrosaràdissimile da se stesso o da altrose è vero che ciò
che prova condizione identica è simile».
«Giusto».
«L'unoa quanto parenon essendo affatto oggetto di diversa condizionenon è affatto dissimile né da se stessoné
da altro».
«No».
«L'uno pertanto non sarà similené dissimilené ad altroné a sestesso».
«Non risulta».
«Se è tale quale l'abbiamo definitonon sarà né ugualené disugualené a se stessoné ad altro».
«Come?» «Se è ugualesarà delle stesse misure di quello cui èuguale».
«Sì».
«Se è maggiore o minore rispetto a ciò cui viene misuratoavrà misurepiù grandi rispetto a ciò che è minoree più
piccole rispetto a ciò che è maggiore».
«Sì».
«Rispetto agli oggetti cui non viene misuratosarà di misure più piccolerispetto ad alcunipiù grandi rispetto ad
altri».
«E come no?» «Non è dunque impossibile che ciò che non partecipadell'identico sia delle stesse misureo abbia
qualcos'altro di identico?» «Impossibile».
«Non sarebbe uguale né a se stessoné ad altrose non avesse le stessemisure».
«Non sembra».
«Ma essendo di misure più grandi o più piccolerisulterà di tante partiquante sono le misure: così non sarà più uno
ma tanti quante risultano queste misure».
«Giusto».
«Se fosse di una sola misuradiventerebbe uguale a quella misura: risultaperò impossibile che esso sia uguale a
qualcosa».
«Sìimpossibile».
«Non partecipando di una sola misurané di moltené di pochee nonpartecipando affatto dell'identiconon sarà
mai ugualea quanto sembrané a se stessoné ad altro: ea sua voltanon sarà maggiore né minorené di se stessoné
di altro».
«è assolutamente così».
«E allora? L'uno sembra che possa essere più vecchioo più giovaneoabbia la stessa età di qualche cosa?» «Perché
no?» «Perché se ha la stessa età di se stesso o di qualcos'altroparteciperà dell'uguaglianza del tempo e della
somiglianzaproprietà di cuicome dicevamol'uno non prende partevale adireappuntoné della somiglianzané
dell'uguaglianza».
«Lo dicevamo».
«E che non partecipa neppure della dissomiglianzané della disuguaglianzaanche questo dicevamo».
«Certo».
«Come sarà possibile cheessendo talesia più vecchioo più giovaneoabbia la stessa età di qualcosa?» «Non è
affatto possibile».
«L'uno non può essere né più giovanené più vecchioné può avere lastessa etàné in relazione a se stesso né in
relazione ad altro».
«Risulta di no».
«Non è vero che l'uno non potrebbe affatto essere nel tempose fossedavvero tale? O non è necessario chese
qualcosa è nel temposempre esso diventi più vecchio di se stesso?» «ènecessario».
Platone Parmenide
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«Dunque ciò che è più vecchio è sempre più vecchio di ciò che è piùgiovane?» «E allora?» «Ciò che diviene più
vecchio di se stesso diviene nel contempo più giovane di se stessose èvero che deve esserci qualcosa di cui debba
diventare più vec~chio».
«Come dici?» «Così: nulla può diventare differente da un altra cosa chesia già differentema di ciò che è già
differente esso è già differentedi ciò che è diventato differenteessolo è diventatodi ciò che diverrà differentelo
diventeràe di ciò che lo sta diventandoinvecenon è né divenutonésì accinge a diventarlo né è già differentema lo
diventa e non può essere altrimenti».
«è necessario».
«Ma ciò che è più vecchio è differente dal più giovanee anient'altro».
«è così».
«Ciò che diviene più vecchio di se stesso è necessario che diventi nellostesso tempo più giovane di se stesso».
«Mi pare».
«Ma non può diventare per più tempo del suo temponé per minor tempomaper un tempo uguale al suo deve
divenire ed essereessere divenutoe stare per essere».
«Anche questo è necessario».
«è necessarioa quanto pareche quanto è nel tempo e di tale realtàprende parteabbia ciascuno la stessa età di se
stessoe diventi più vecchio e nel contempo più giovane di se stesso».
«Può darsi».
«Ma all'uno non è possibile partecipare di nessuna di tali condizioni».
«Non partecipa».
«E all'uno non è possibile partecipare del tempoe neppure si trova inqualche tempo».
«No di certocome vuole il discorso».
«E allora? L'"era" e l'"è diventato" e il"diventava" non sembra indichino una parteci~azione del tempo
e cioè la partecipazione al tempo passato?» «Certo».
«E allora? Il "sarà"il "diventerà" e il "ilsarà diventato" non indicano la partecipazione del tempo che verrà in
seguito?» «Sì».
«E l'"è"il "diventa" non appartengono al tempopresente?» «Certo».
«Se l'uno in alcun modo partecipa di nessun temponon è mai diventatomaidiventavamai era; ora non è
diventatonon diventanon è; e neppure in futuro diventeràné saràdiventatoné sarà».
«Verissimo».
«Vi è un modo per cui possa partecipare all'esserediverso da quellisuddetti?» «Non c'è».
«Per nessuna ragione l'uno partecipa all'essere».
«Pare di no».
«Per nessuna ragione l'uno esiste».
«Risulta di no».
«Non è tale da essere uno: lo sarebbe ormaise avesse esistenza epartecipasse all'essere; maparel'uno non è uno e
non esistese si deve prestare fede a questo discorso».
«Può darsi».
«Ciò che non èpuò possederequesto non esserequalcosa di suooproprio di lui stesso?» «E come?» «Dunque
non ha nomené discorsoné scienzané sensazionené opinione».
«Risulta di no».
«Non si può nominarloné farlo oggetto di discorsoné di opinionenédi conoscenzae nessuna delle cose che sono
hanno sensazione di lui».
«Pare di no».
«Dunque è possibile che le cose stiano in questi termini intorno all'uno?»«Mi sembra di no».
«Vuoi che torniamo nuovamente dal principio all'ipotesinel caso chetornando indietroci risulti qualcosa di
diverso?» «Certolo voglio».
«Dunquese l'uno èdiciamobisogna convenire su ciò che ne consegue peressoquale che sia ciò che ne consegue:
non è così?» «Sì».
«Considera la questione dal principio. Se l'uno èè possibile che siasenza partecipare dell'essere?» «Non è
possibile».
«Dunque anche l'essere dell'uno saràsenza essere identico all'uno:infatti quell'essere non sarebbe il suo esserené
quellol'unovi prenderebbe partema sarebbe la stessa cosa affermare chel'uno èe che l'uno è uno.
Ora non è questa l'ipotesiovvero se l'uno è unoche cosa ne conseguemase l'uno è: non è così?» «Certo».
«Dunque l'"è" indica qualcos'altro rispetto all'uno?»«Necessariamente».
«Sein una parolauno affermi che l'uno èquesta affermazione null'altrosignificherà se non che l'uno partecipa
dell'essere?» «Certo».
«Diciamo di nuovo quali saranno le conseguenze se l'uno è. Considera allorase necessariamente questa ipotesi non
indichi che l'uno è tale da risultare composto di parti?» «Come?» «Inquesto modo: se l'"è" viene detto dell'uno che èe
l'"uno" di ciò che è unoe l'essere e l'uno non sono l'identicacosama appartengono a quella stessa cosa di cui abbiamo
formulato l'ipotesil'uno che ènon è allora necessario che il tuttocorrisponda all'uno che èdi cui l'uno e l'essere
diventano delle parti?» «Necessariamente».
Platone Parmenide
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«Diremo che l'una e l'altra di queste parti è soltanto parteoppuredobbiamo chiamare la parte parte del tutto?»
«Parte del tutto».
«Ed è un tutto ciò che è unoe ha parti».
«Certo».
«E allora? L'una e l'altra di queste parti dell'uno che èl'uno e ciò cheèfanno forse tutte e due difettoovvero l'uno
della parte di ciò che èe ciò che è della parte dell'uno?» «Non puòessere».
«A sua volta anche l'una e l'altra delle parti contengono sia l'unosiaciò che èe la parte più piccola è il risultato di
due partie secondo lo stesso discorso è sempre cosìqualsiasi partevenga ad esseresempre contiene queste due parti:
l'uno infatti contiene sempre ciò che èe ciò che è l'uno: sicché èinevitabile chesdoppiandosi continuamentenon sia
mai uno».
«Certamente».
«Così l'uno che è non sarà infinito per estensione numerica?» «Pare».
«Avantiguarda ancora di qui».
«Dove?» «Diciamo che l'uno partecipa dell'essereperciò è».
«Sì».
«E per questo motivo l'uno che è risultò molteplice».
«Così».
«E allora? L'uno preso in séche diciamo partecipare dell'esserequandolo cogliamo con il pensierosolo di per sé
senza ciò di cui diciamo che partecipisi mostrerà come uno solooppureanche quellopreso da solocoinciderà con i
molti?» «Unose capisco».
«Consideriamo: è necessario che altro sia il suo esserealtro sia essocome unose è vero che l'uno non corrisponde
all'esserema come uno partecipa dell'essere».
«è necessario».
«Dunquese è diverso l'esserediverso è l'unoe non in quanto uno l'unoè diverso dall'esserené in quanto essere
l'essere è altro dall'unoma in quanto diverso e in quanto altro sonodiversi fra loro».
«Certo».
«Sicché il diverso non è identico né all'unoné all'essere».
«E come potrebbe?» «E dunque? Se di essi scegliamo quelli che vuoiol'essere e il diversoo l'essere e l'unoo
l'uno e il diversoper ogni scelta che facciamonon scegliamo due cose acui giustamente si può dare il nome di
"ambedue"?» «Come?» «Così: si può dire "essere"?»«Si può».
«E a sua volta si può dire "uno"?» «Si può anche questo».
«Non si sono detti l'uno e l'altro?» «Sì».
«Se dico "essere" e "uno"non li dico ambedue?»«Certo».
«Dunque se dico "essere" e "diverso" o"diverso" e "uno"in questo modonon dico assolutamente inogni caso
ambedue?» «Sì».
«Questi a cui abbiamo giustamente assegnato il nome di "ambedue"è possibile che siano ambeduesenza essere
due?» «Non è possibile».
«Per questi che sono duevi è un espediente tale che non sia uno l'uno el'altro di questi due?» «No nessuno».
«Di questise è vero che ciascuno fa parte della diadesignifica checiascuno sarà anche uno».
«Così risulta».
«Se ciascuno di essi è unounendo un qualsiasi uno a una qualsiasi coppiatutti insieme non danno luogo al tre?»
«Sì».
«Il tre non è dispari e il due pari?» «Come no?» «E allora? Se vi è ilduenon è necessario vi sia anche il due volte?
E se c'è il treil tre voltese è vero che al due appartiene il due voltel'unoe al tre il tre volte l'uno?»
«Necessariamente».
«Essendoci il due e il due voltenon è necessario vi sia il due volte due?Ed essendoci il tre e il tre voltenon è
necessario vi sia il tre volte tre?» «Come no?» «E allora? Essendoci iltre e il due volteil due e il tre voltenon è
necessario vi sia il due volte tre e il tre volte due?» «è assolutamentenecessario».
«Vi saranno numeri pari formati dal prodotto di numeri parie numeridispari formati dal prodotto di numeri dispari
e numeri pari formati dal prodotto di numeri disparie numeri dispariformati dal prodotto di numeri pari».
«è così».
«E se le cose stanno cosìcredi rimanga qualche numero che non sianecessario che sia?» «Nient'affatto».
«Se l'uno èè necessario che anche il numero sia».
«è necessario».
«Ma se il numero esisteallora vi saranno i moltie una molteplicitàinfinita delle cose che sono: oppure il numero
non diventa infinita molteplicità e non partecipa dell'essere?» «Certo».
«Dunque se tutto il numero partecipa dell'essereanche ciascuna parte delnumero ne prenderà parte?» « «Sì».
«L'essere si distribuisce in tutta la molteplicità delle cose che sono enon manca a nessuna di essené alla più
piccolané alla più grande? O è assurdo affermare una cosa del genere?
Infatti come l'essere può mancare alle cose che sono?» «Non puòaffatto».
«L'essere si divide in parti che sono le più piccole possibili e in quellepiù grandi possibilidi ogni sorta dì cosee
più di tutte le altre cose esso si divide in partie le parti dell'esseresono infinite».
Platone Parmenide
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«è così».
«Sono moltissime le sue parti?» «Moltissimesenza dubbio».
«E allora? Vi è qualcuna di esse che è parte dell'esseree non è nessunaparte?» «E come potrebbe essere?» «Ma se
come credotale parte èè necessario che essa semprefinché essa siasia unaed è impossibile che essa sia il nulla».
«Necessariamente».
«L'uno si unisce a ogni parte dell'esserenon tralasciando né la piùpiccolané la più grandené nessun'altra».
«è così».
«L'uno che èè in ogni parte nella sua totalità? Presta attenzione aquesto».
«Presto attenzione e vedo che è impossibile».
«Diviso allora in partise non tutto: in nessun altro modo l'uno saràcontemporaneamente presente in tutte le parti
dell'esserese non diviso».
«Sì».
«Ed è assai necessario che ciò che viene diviso risulta di tanti elementiquante sono le sue parti».
«Necessariamente».
«Poco fa non dicevamo il veroasserendo che l'essere si divide innumerosissime parti. Infatti si divide in parti che
non sono più numerose dell'unoma equivalentia quanto paredell'uno:infatti ciò che è non è privo dell'unoné l'uno è
privo di ciò che èma si equivalgonopoiché sono sempre due in ognicosa».
«Sembra cosìcerto».
«L'uno stessouna volta frazionato in parti dall'essereè molti einfinitamente molteplice».
«Così risulta».
«Non solo ciò che è uno è moltima anche l'unopreso in sédiviso daciò che èper un'assoluta necessità».
«Certo».
«E poiché le parti sono parti di un tuttol'uno saràsecondo il tuttolimitato: oppure le parti non sono comprese dal
tutto?» «Necessariamente».
«Ma ciò che contiene sarà un limite».
«Come no?» «L'uno che è in un certo senso è uno e moltitutto e partilimitato e infinitamente molteplice».
«Così risulta».
«Ma se è limitatonon ha anche punti estremi?» «Necessariamente».
«E allora? Se è tuttonon avrà anche principiomezzoe fine? O qualcosapuò essere tutto senza queste tre
determinazioni? Anche se una qualsiasi di esse mancassepotrà ancora esseretutto?» «Non potrà».
«E l'uno avrà principioa quanto sembrae finee mezzo».
«Potrà averli».
«Ma il mezzo mantiene uguale distanza dai punti estremi: non in altro modopotrebbe essere mezzo».
«Noinfatti».
«E di una certa formaa quanto pareessendo talel'uno prenderà partela quale è dirittacircolareoppure risulta
dalla mescolanza di entrambe».
«Sìvi prenderà parte».
«Avendo tali caratteristichenon sarà esso sia in se stesso sia inaltro?» «Come?» «Ciascuna delle parti è nel tuttoe
nulla è fuori del tutto».
«è così».
«Tutte le parti sono contenute dal tutto?» «Sì».
«L'uno è tutte le sue partiné di piùné di meno di tutte le sueparti».
«Noinfatti».
«Dunque l'uno non è anche il tutto?» «Come no?» «Se tutte le parti sononel tuttoe l'uno è tutte le sue parti e il tutto
in sétutte le parti sono comprese dal tuttomentre l'uno sarà compresodall'unoe così l'uno in sèormaisarà in se
stesso».
«Così risulta».
«Ma il tutto non è nelle partiné in tuttené in qualcuna. Se fosse intuttenecessariamente sarebbe anche in una;
d'altra partenon essendo in unanon potrà più essere in tutte. Se questauna è una fra tuttee il tutto non è in questa
unacome potrà essere ancora in tutte?» «In nessun modo potrà».
«Né si trova in alcune delle parti: se il tutto fosse in alcune di esseilpiù sarebbe nel menoil che è impossibile».
«Impossibile».
«Non essendo il tutto in più partiné in una solané in tutte le partinon è necessario che sia in qualche altra parte
oppure in nessun luogo?» «Necessariamente».
«Non essendo in nessun luogonon sarebbe per nullamentreessendo untuttodal momento che non è in se stesso
non è necessario che sia in altro?» «Certo».
«L'unointeso come tuttoè in altro: inteso però come insieme di tuttele sue partisi trova in se stesso. E così è
necessario che l'uno sia in se stesso e in altro».
«è necessario».
«Essendo generato in questo modonon è necessario che si muo va e stiafermo?» «Come?» «Sta fermoin un
certo sensose è vero che esso è in se stesso: essendo in una posizioneenon muovendosi da quellanella stessa
posizione saràcioè in se stesso».
Platone Parmenide
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«è così».
«Ciò che è sempre nella stessa posizioneè necessario che sempre stiafermo».
«Certo».
«E allora? Ciò che è sempre in altronon è necessario cheal contrariomai si trovi nella stessa posizionee non
essendo mai nella stessa posizionenon è neces sario dire che non stafermoe che dunquenon stando fermosi
muove?» «è così».
«L'unoessendo sempre in se stesso e in altrodi necessità sempre simuove e anche sta fermo».
«Così risulta».
«E deve essere identico a se stessoe diverso da se stessoeallo stessomodoidentico e diverso rispetto alle altre
cosese è vero che è oggetto anche delle condizioni di cui si è dettoprima».
«Come?» «Ogni cosa è in questo modo in relazione con ogni cosavale adire è identica o è diversa: se non è né
identicané diversasarà parte di ciò con cui è in tale relazioneoppure sarà come un tutto in relazione con una parte».
«Così risulta».
«L'uno stesso è una parte di se stesso?» «Nient'affatto».
«Esso non sarà come un tutto in relazione ad una sua parteessendo unaparte in relazione a se stesso».
«Non è possibile».
«Ma l'uno è diver so dall'uno?» «Nocerto».
«Non sarà dunque diverso da se stesso».
«Nosenza dubbio».
«Se esso non è diversoné è tuttoné è parte in relazione a sestessonon è ormai necessario che esso sia identico a
se stesso?» «Necessario».
«E allora? Ciò che è altrove da sèdal sé che è nello stesso luogo dise stessonon è necessario che sia diverso da sé
se è vero che è anche altrove da sé?» «Mi sembra».
«In questo modo apparve l'unoessendo in se stesso e in altro nello stessotempo».
«Così risultò».
«Così l'unoa quanto paresaràin questo mododiverso da sé».
«Pare».
«E allo ra? Se qualcosa è diverso da qualcosanon sarà diverso da cio cheè diverso?» «Necessariamente».
«Dunque tutto quanto non è unonon è tutto diverso dall'unoe l'uno nonè diverso da tutto quanto non è uno?»
«Come no?» «L'uno sarà diverso dalle altre cose».
«Diverso».
«Presta attenzione: l'identico e il diversopresi in sénon sono oppostifra loro?» «Come no?» «Potrà mai l'identico
essere nel diverso o il diverso nell'identico?» «Non potrà» «Se ildiverso non sarà mai nell'identiconon vi è nullafra le
cose che sonoin cui il diverso sia per alcun tempo: se infatti per un tempoqualsiasi il diverso fosse in qualcosaper
quel tempo il diverso sarebbe nell'identico. Non è così?» «è così».
«Dal momento che il diverso mai si trova nell'identicomai può trovarsi inalcune delle cose che sono».
«Vero».
«E il diverso non sarà né in ciò che non è unoné nell'uno».
«Nocerto».
«L'uno non sarà diverso dal non unoe il non uno non sarà diversodall'unorispetto al diver so».
«Noinfatti».
«E non saranno diversi fra loroper se stessinon prendendo parte deldiverso».
«E come potrebbero?» «Se non sono diversi per se stessiné per ildiversonon sfuggiranno ormai completanente al
non essere diversi fra loro?» «Sfuggiranno».
«Ma ciò che non è uno non prende parte neppure dell'uno: infatti nonsarebbe non unoma uno».
«Vero».
«Neppure numero sarà ciò che non è uno: neppure così sarebbeassolutamente non unose avesse il numero».
«Nocerto».
«E allora? Ciò che non è uno è parte dell'uno? Oppurese anche talefosseciò che non è uno non prenderebbe parte
dell'uno?» «Prenderebbe parte».
«Se l'uno è assolutamente unoe ciò che non è uno non è unol'uno nonsarà parte dì ciò che non è unoné un tutto
composto di ciò che non è unocome costituisse le sue parti: e a sua voltaciò che non è uno non sarà parte dell'unoné
sarà un tutto rispetto all'uno come parte».
«Noinfatti».
«Ma dicevamo che le cose che non hanno né partené tuttoné diversitàle une rispetto alle altresaranno identiche
fra loro».
«Lo dicevamosì».
«Diremo che anche l'unoavendo tali relazioni con ciò che non è unosiaidentico a ciò che non è uno?» «Dobbiamo
dirlo».
«L'unoa quanto pareè diverso dalle altre cose e da se stessoed èidentico a quelle e a se stesso».
«Dal discorso c'è caso che risulti così».
«Ma è simile ed è dissimile a se stesso e alle altre cose?» «Forse».
Platone Parmenide
14
«Poiché appare diverso dalle altre coseanche le altre co se sarannodiverse da quello».
«E allora?» «Non sarà diverso dalle altre cose così come anche le altrecose sono diverse da quelloné di piùné di
meno?» «Perché infatti?» «Se non di piùné di menoallora in modosimile».
«Sì».
«Come dunque l'uno è oggetto di condizione diversa rispetto alle altre cose- e lo stesso discorso vale anche per le
altre cose nei suoi confronti -così l'uno sarà oggetto di condizioneidentica alle altre cose e le altre cose proveranno
condizione identica all'uno».
«Come dici?» «Così: non usi ciascun nome per definire qualche cosa?»«Proprio così».
«E allora? Pronunci lo stesso nome spesso o anche una volta sola?» «Sì».
«Se lo pronunci una volta solachiami quella cosa che ha quel nomese lopronunci spesso non chiami quella cosa?
Oppuresia che tu pronunci lo stesso nome una volta solasia più volteèassolutamente necessario che tu ti riferisca
sempre alla stessa cosa?» «E allora?» «Non è anche il "diverso' unnome che definisce qualcosa?» «Certo».
«Quando lo pronuncisia che tu lo pronunci una volta solasia spessononlo attribuisci ad altra cosané altra cosa
nomini se non ciò cui appartiene quel nome».
«Per forza».
«Quando diciamo che "diverso" sono le altre cose dall'unoe l'unodalle altre coseusando il nome del diverso due
voltenon lo attribuiamo ad altra naturama a quella che sempre possedevaquel nome».
«Certo».
«Poiché l'uno è diverso dalle altre cose e le altre cose sono diversedall'unoin base a questa stessa diversità di cui
essi sono oggettol'uno proverà non altra condizionema identica inrelazione alle altre cose: e ciò che prova identica
condizione è similenon è vero?» «Sì».
«Per il fatto che l'uno prova l'essere diverso rispetto alle altre coseproprio per questo motivoesso sarà in tutto
simile a tutte le altre cose: preso nella sua totalitàè infatti diversoda tutte le altre cose».
«Pare sia così».
«Ma il simile è opposto al dissimile».
«Sì».
«E anche il diverso all'identico».
«Anche questo è così».
«Ma anche questo risultòcioè che l'uno è identico alle altre cose».
«Risultò».
«L'essere identici alle altre cose è opposta condizione all'essere diversidalle altre cose».
«Certo».
«Per il fatto di essere diversol'uno risultò simile».
«Sì».
«Per il fatto di essere identicosarà dissimilesecondo quella condizioneopposta a quella che lo rende simile. Il
diverso non lo rendeva simile?» «Sì».
«L'identico lo renderà dissimileo non sarà opposto al diverso».
«Pare».
«L'uno sarà simile e dissimile in relazione alle altre cosesimileper ilfatto di essere diversodissimileper il fatto
di essere identico».
«Anche tale proporzionea quanto pareha validità».
«Anche questa qui».
«Quale?» «Per il fatto di essere oggetto dell'identica condizionenon èoggetto di una condizione differentee non
provando tale differente condizionenon sarà dissimilee non essendodissimilesarà simile: in quanto però è oggetto
dell'essere altroè differenteed essendo differenteè quindidissimile».
«Quello che dici è vero».
«Poiché l'uno è identico e diverso rispetto alle altre cosein entrambi icasie dunque nell'uno e nell'altro casol'uno
sarà simile e anche dissimile in relazione alle altre cose».
«Certo».
«Dunqueallo stesso modoin relazione a se stesso: se è vero che cirisultò diverso da se stesso e identico a se
stessoin entrambi i casie dunque nell'uno e nell'altro casol'uno non simostrerà simile e anche dissimile?» «Di
necessità».
«E allora? Osserva come avviene il contatto che l'uno istituisce con sestesso e le altre cosee il caso in cui tale
contatto non si verifichi».
«Sto osservando».
«L'uno risultò essere totalmente in se stesso».
«Giusto».
«Dunque l'uno è anche nelle altre cose?» «Sì».
«Per il fatto di essere nelle altre coseha contatti con le altre cose: peril fatto di essere in se stessoè impedito di
avere contatti con le altre cosee avrà contatti con se stessoessendo inse stesso».
«Risulta così».
«Così l'uno avrà contatti sia con se stessosia con le altre cose».
Platone Parmenide
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«In questo modo avrà contatti».
«E se si considera la cosa in questo modo? Non è vero che tutto ciò chesta per venire in contatto con qualcosa deve
trovarsi subito dopo la cosa con cui sta per entrare in contattooccupandola posizione che si trovi dopo quella in cui
venga a trovarsi ciò che viene a contatto?» «Per forza».
«E l'unose sta per entrare in contatto con se stessodeve trovarsi subitodi seguito a se stessooccupando il luogo
che venga immediatamente dopo quello in cui esso si trova».
«Deve fare cosìsenza dubbio».
«Se l'uno fosse duepotrebbe fare cosìe trovarsi nel contempo in dueluoghi: ma finché sarà unonon è vero che
non potrà?» «Nocerto».
«La medesima necessità non permette all'uno né di essere duené dientrare in contatto con se stesso».
«Sìla medesima».
«Ma non potrà essere neppure a contatto con le altre cose».
«Perché?» «Perchédiciamociò che sta per venire in contatto conqualcosaed è separatodeve stare
immediatamente dopo la cosa con cui verrà in contattosenza che una terzacosa si frapponga fra quelli».
«Vero».
«Bisogna cioè che ci sia il numero minimo di due terminise si vuole checi sia un contatto».
«è così».
«Se a questi due termini se ne aggiunge di seguito un terzoessi sarannotrei contatti due».
«Sì».
«E cosìaggiungendo sempre un terminesi ha anche un contattoe accadeche il numero di contatti sia inferiore di
uno rispetto a ciò che è in contatto. In base al criterio per cui i primidue termini superarono i contattiessendo il loro
numero superiore ai contattiper il medesimo criterio ogni numero che vieneaggiunto in seguito supera tutti i contatti: e
oramaiper quel che seguetutto ciò che viene aggiunto al numerocorrisponde nel contempo a un contatto aggiunto ai
contatti».
«Giusto».
«Quale che sia il numero dei termini che vengono aggiuntii contatti sonosempre inferiori di uno rispetto ad essi».
«Vero».
«Se vi è un solo terminee non duenon vi sarà contatto».
«Come potrebbe?» «Dunquediciamole altre cose diverse dall'uno non sonounoe non partecipano di quellose è
vero che sono altre cose».
«No».
«E il numero non è presente in queste altre cosenon essendo l'uno inesse».
«E come potrebbe?» «Le altre cose non sono unoné duee non hanno alcunnome di alcun altro numero».
«No».
«L'uno è soltanto unoe non sarà due».
«Sembra di no».
«Non vi è contattose non vi sono due termini».
«Non è possibile».
«Dunque l'uno non è a contatto con le altre cosené le altre cose sono acontatto con l'unose è vero che non vi è
contatto».
«Nosenza dubbio».
«Cosìin base a tutto ciòl'uno è a contatto con le altre cose e con sestessoe non è a contatto».
«Mi pare».
«Essodunqueè anche uguale e disugualesia a se stessosia alle altrecose?» «Come?» «Se l'uno fosse maggiore o
minore delle altre coseea sua voltale altre cose fossero maggiori ominori dell'unoin quanto l'uno è uno e le altre
cose sono altro rispetto all'unonon saranno né maggioriné minori fraloroin virtù del loro stesso essere? Ma seoltre
al fatto di essere talil'uno e l'altro avessero in sé l'uguaglianzasarebbero uguali l'uno nei confronti dell'altro: se le altre
cose avessero la grandezza e l'uno la piccolezzaoppure l'uno la grandezza ele altre cose la piccolezzanon è vero che
la specie cui si aggiungesse la grandezza sarebbe maggioreminore invecequella cui si aggiungesse la piccolez za?»
«Di necessità».
«Non vi sono allora queste due speciegrandezza e piccolezza?
Se non vi fosseronon sarebbero opposte fra loroe non sarebbero presentinelle cose che sono».
«E come potrebbero?» «Se nell'uno vi fosse la piccolezzao sarebbe neltuttoo in una sua parte».
«Necessariamente».
«E se fosse nel tutto? Non è vero che o essa si estenderebbe in ugual modocon l'uno per tutta la sua estensione
oppure cercherebbe di contener lo?» «è chiaro».
«Ma se la piccolezza avesse estensione equivalente a quellonon sarebbeuguale all'unoe se lo contenessenon
sarebbe maggiore?» «Come no?» «è possibile che la piccolezza sia ugualeo maggiore di qualcosae assuma le funzioni
di grandezza e di uguaglianzae non quelle proprie di se stessa?»«Impossibile».
«La piccolezza non sarà nell'unopreso nella sua totalitàmase è veroquel che si è dettonella parte».
«Sì».
«Non però in tutta la parte: altrimentifarà le stesse cose che farebbenella totalità. Sarà ugualeo maggiore della
Platone Parmenide
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parte in cui sempre viene ad essere».
«Per forza».
«La piccolezza non sarà mai presente in nessuna delle cose che sononontrovandosi né in una partené nel tutto: e
non vi sarà qualcosa di piccolo al di fuori della piccolezza in sé».
«Pare di no».
«E in esso non vi sarà la grandezza: potrebbe esserci infatti qualcos'altrodi più grande oltre la grandezza stessavale
a dire quello in cui la grandezza sarebbe presentee in relazione a talegrandezza non ci sarebbe il piccolo il quale essa
necessariamente superererebbese è vero che è grande. Questo èimpossibiledal momento che la piccolezza non è in
nessun luogo».
«Vero».
«Ma la grandezza in sé non è maggiore di nient'altro se non dellapiccolezza in sée la piccolezza di nient'altro è
minore se non della grandezza in sé».
«Noinfatti».
«E le altre cose non sono maggiori né minori dell'unonon avendo grandezzané piccolezzané queste due hanno in
relazione all'uno la possibilità di superare e di essere superatemasoltanto in relazione reciprocae l'unoa sua volta
non sarà maggiorené minore di queste duené delle altre cosenonavendo né grandezzané piccolezza».
«Risulta così».
«Dunquese l'uno non è maggiore né minore delle altre cosenon è veroche si troverà nella necessità di non poterle
superarené di essere da quelle superato?» «Necessariamente».
«Dunqueè assolutamente necessario che ciò che non supera e non èsuperato si equivalgaed equivalendosisarà
uguale».
«Come no?» «E anche l'uno in sé rispetto a se stesso si trova in talerelazione: non avendo in se stesso grandezza né
piccolezzanon è superato e neppure supera se stessomaequivalendosièuguale a se stesso».
«Certo».
«L'uno sarà uguale a se stesso e alle altre cose».
«Così risultò».
«E l'unoessendo in se stessodall'esterno circonderà se stessoecircondandolosarà maggiore di sése è
circondatoinveceminoree in tal modo l'uno sarà maggiore e minore di sestesso».
«Sì».
«Dunque non è necessario affermare anche questoche nulla vi è al difuori dell'uno e delle altre cose?» «Come
no?» «Ma ciò che sempre èdeve sempre essere da qualche parte».
«Sì».
«E pertanto ciò che è in qualcosanon sarà come un più piccolo in unpiù grande? Non diversamente si può
sostenere che una cosa è in un'altra».
«Noinfatti».
«Dal momento che non vi è nient'altro separato dalle altre cose e dall'unoe poiché esse in qualcosa devono essere
non è ormai necessario che siano gli uni negli altrivale a direle altrecose nell'uno e l'uno nelle altre cosepiuttosto
che non essere in alcun luogo?» «Così risulta».
«Se l'uno si trova nelle altre cosele altre cose saranno maggioridell'unopoiché lo contengonomentre l'uno sarà
minore delle altre coseessendo contenuto: ma se le altre cose sononell'unol'unosecondo lo stesso ragionamentosarà
maggiore delle altre cosee le altre cose saranno minori dell'uno».
«Mi pare».
«L'uno è dunque ugualee maggioree minore di se stesso e delle altrecose».
«Così risulta».
«E se maggioreminoree ugualesarà di misure ugualipiù grandi e piùpiccole in relazione a sé e alle altre cosee
dal momento che si tratta di misuresi dovrà parlare così anche diparti».
«Come no?» «Essendo di misure ugualipiù grandi e più piccoleancherispetto al numero sarà più piccolo e più
grande di se stesso e delle altre cosee uguale a se stesso e alle altrecosesecondo lo stesso ragionamento».
«Come?» «Esso sarà di misure più grandi di ciò di cui sarà maggioreequante più saranno le misuretanto più
saranno le parti: e lo stesso vale nel caso in cui sia più piccolo diqualcosae analogamente se fosse uguale a qualcosa».
«è così».
«Se quindi sarà maggioreminoree uguale rispetto a se stessonon saràforse anche dì misure ugualipiù grandi e
più piccole rispetto a se stessoese si parla di misureanche diparti?» «Come no?» «Essendo di parti uguali a se
stessosarà uguale a se stessoin relazione al numero delle partimentresarà più grandese sarà di parti più grandie
più piccolose sarà di parti più piccole».
«Così risulta».
«Dunque anche rispetto alle altre cose l'uno non si troverà in talecondizione? In quanto maggiore di esse
inevitabilmente sarà più grande di esse anche di numero; se risulta minoresarà più piccolo; se risulta uguale
rispetto alla grandezzanon sarà anche per estensione numericauguale allealtre cose?» «Di necessità».
«Cosìa quanto parel'uno sarà ugualepiù grande e più piccolo dinumero rispetto a sé e alle altre cose».
«Lo sarà».
«Oral'uno prende parte anche del tempoed è e diviene più giovane epiù vecchio di se stesso e delle altre cosee
Platone Parmenide
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non è né più giovanené più vecchio di se stesso e delle altre coseanche se prende parte del tempo?» «Come?»
«Possiede l'esserese l'uno è».
«Sì».
«E l'essere cos'altro è se non la partecipazione dell'essere con il tempopresentecosì come l'"era" segnava l'unione
con il tempo passatomentre il "sarà" con il tempo futuro?» «ècosì».
«Esso prende parte del tempose è vero che prende parte anchedell'essere».
«Certo».
«Dunque prende parte del tempo che procede?» «Sì».
«Diventa sempre più vecchio di se stessose procede insieme al tempo».
«Per forza».
«Oranon ricordiamo che ciò che è più vecchio diventa più vecchio se losi mette in relazione con ciò che diviene
più giovane?» «Sì».
«Poiché l'uno diventa più vecchio di se stessodiventerà più vecchio selo si mette in relazione a se stesso che
diviene più giovane?» «Di necessità».
«In tal modo diventa più giovane e anche più vecchio di se stesso».
«Sì».
«Non è forse più vecchio quando viene ad essere nel tempo presenteinmezzo tra l'"era" e il "sarà"? Procedendo
dall'"allora" al "poi"non potrà tralasciarel'"ora"».
«No».
«Dunque non smette di diventare più vecchioallorquando s'imbattenell'"ora"e non lo divienema in quel
momento non è già più vecchio? Procedendo innanzi non sarà mai coltodall'"ora". Ciò che procede si trova in una
condizione tale da avere contatti con entrambicon l'"ora" e conil "poi"poiché mentre abbandona l'"ora" coglie il
"poi"e dunque viene a trovarsi tra l'uno e l'altrofra il"poi" e l'"ora"».
«Vero».
«Se è inevitabile che tutto ciò che diviene non passi accantoall'"ora"dopoché si trovi proprio su quel puntosmette
sempre di diveniree allora rimane così come in quel momento per casodiveniva».
«Così risulta».
«E l'unoqualoradiventando più vecchios'imbatta nell'"ora"smette di divenire e in quel momento è più vecchio».
«Certo».
«Di ciò di cui diventava più vecchiodi ciò è anche più vecchio:diventava più vecchio di sé?» «Sì».
«Ciò che è più vecchio è più vecchio di ciò che è più giovane?»«è così».
«E l'uno è più giovane di sé allorquandodiventando più vecchiosiimbatte nell'"ora"».
«Per forza».
«L'"ora" si trova sempre presso l'unoin ogni aspettodell'essere: infatti l'uno è sempre nell'"ora"ogni qualvolta che
sia».
«Come no?» «Dunque sempre l'uno èe diviene più vecchio e più giovanedi sé».
«Pare così».
«Esso èo divieneper un periodo di tempo più grande di se stessooppure per un periodo di tempo uguale?» «Per
un periodo di tempo uguale».
«Ma ciò che divieneo èper un uguale periodo di temponon ha la stessaetà?» «Come no?» «Ciò che ha la stessa
età non è né più vecchioné più giovane».
«Noinfatti».
«L'unoche divieneed èper un periodo di tempo uguale a se stessononè e non diventa né più gio vanené più
vecchio di se stesso».
«Mi sembra di no».
«E le altre cose?» «Non saprei dire».
«Puoi dire questocioè che le cose che sono diverse dall'unose è veroche sono diversema non "diverso"sono più
di uno: se fossero "diverso"sarebbero unoma poiché sonodiversesono più di unoe hanno molteplicità».
«Sìhanno molteplicità».
«Essendo molteplicitàprenderanno parte di un numero più grandedell'uno».
«Come no?» «E allora? Diremo cheriguardo al numerosi generano e sisono generati prima i numeri più grandi o
quelli più piccoli?» «Quelli più piccoli».
«Per primo si genera il più piccolo: questo è l'uno. Non è ve ro?»«Sì».
«L'uno è divenuto prima fra tutte le cose che hanno numero: anche tutte lealtre cose contengono in sé il numerose
è vero che sono altre e non "altro"».
«Sìlo hanno».
«Essendo divenutocredoper primoprima delle altre cose è divenutomentre le altre cose dopoe ciò che è
divenuto dopo è più giovane di ciò che è divenuto prima: così le altrecose saranno più giovani dell'unoe l'uno più
vecchio delle altre cose».
«Sarà cosìinfatti».
«E che dire di questo? Sarebbe possibile che l'uno fosse diventato contrarioalla sua stessa naturao è impossibile?»
«Impossibile».
Platone Parmenide
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«Ma l'uno risultò provvisto di partie se ha partiha anche principiofinee mezzo».
«Sì».
«E il principio non diviene prima di tutte le cosesia dell'uno stessosiadi ciascun'altra cosae dopo il principio non
vi sono tutte le altre cose fino alla fine?» «E allora?» «E diremo chetutte queste altre cose sono parti del tutto e
dell'unoe che quello è divenuto tutto e uno contemporaneamenteallafine».
«Lo diremo».
«La finecredodiviene per ultimae l'unoper naturadiviene insieme aquesta: sicchése è necessario che l'uno in
sé non diventi contrario alla sua naturadivenendo insieme alla finediventerà ultimosecondo naturafra tutte le altre
cose».
«Così risulta».
«L'uno è dunque più giovane delle altre cosee le altre cose sono piùvecchie dell'uno».
«Così mi sembra».
«E allora? Il principioo qualsiasi altra parte dell'uno o di qualcosaqualora sia partema non "parti"non è
necessario che sia unoessendo parte?» «Per forza».
«Dunque l'uno diventerà insieme a ciò che diviene per primo e a ciò chediviene per secondoe non manca in
nessuna delle altre cose che divengonoquali che siano e a qualsiasi cosa siaggiunganofinchéattraversandolearriva
all'ultimae diventa tutto e unoe nel divenire né il mezzoné ilprincipioné la finené nessun'altra cosa rimane priva».
«Vero».
«L'uno ha la stessa età di tutte le altre cose: sicché se l'uno in sé nonsi è generato contro naturanon sarà diventato
né primané dopo le altre cosema nello stesso tempo.
E analogamente l'uno non sarà né più vecchioné più giovane delle altrecosené le altre cose dell'uno: secondo il
ragionamento precedentesarebbe più vecchio ed anche più giovaneeallostesso modole altre cose con quello».
«Certo».
«Tale è e tale è diventato. Ma cosa si può dire intorno al fatto che essodivenga più vecchio e anche più giovane
delle altre cosee le altre cose rispetto all'unoe sul fatto che nondiventi né più giovanené più vecchio? Si possono
dire circa il divenire le stesse cose che si dicevano a propositodell'essereo bisogna parlare diversamente?» «Non so
che dire».
«Io dico questo: se qualcosa è più vecchio di qualcos'altronon potràdiventare ancora più vecchio della differenza
di età che aveva non appena si generòe ciò che è più giovanea suavoltanon potrà divenire ancora più giovane:
misure uguali aggiunte a misure disugualicome il tempo o qualsiasi altracosafanno sì che la differenza sia sempre
uguale a quella che era la prima differenza».
«Come no?» «Dunqueciò che è più vecchio o più giovane di qualcosanon diventerà mai più vecchioné più
giovane di ciò che è più vecchio o più giovanese è vero che vi èsempre la stessa differenza di età: ma uno èed è
diventato più vecchiomentre l'altro è più giovanee non lo diventano».
«Vero».
«E l'uno che è non diventa mai né più vecchioné più giovane dellealtre cose che sono».
«Nosenza dubbio».
«Considera se in questo modo le cose diventano più vecchie e più giovani».
«Quale modo?» «Quel modo secondo cui l'uno risultò più vecchio dellealtre cosee le altre cose più vecchie
dell'uno».
«E allora?» «Quando l'uno è più vecchio delle altre coseè divenutoper un periodo di tempo più grande delle altre
cose».
«Sì».
«Presta di nuovo la tua attenzione: se a un periodo di tempo più grande epiù piccolo aggiungiamo un uguale periodo
di tempoil periodo di tempo più grande differirà dal più piccolo in basea una parte ugualeo più piccola?» «Più
piccola».
«Dunquequale che fosse la differenza inziale di età dell'uno rispettoalle altre cosequesta differenza l'uno non avrà
anche in avvenirema ricevendo periodi di tempo uguali alle altre cosesempre meno di prima differiràin base all'età
da esse. O no?» «Sì».
«Ciò che differisce meno di primain base all'etàrispetto a qualcosanon diventerà forse più giovane di quanto
fosse in una circostanza precedente rispetto a ciò di cuiprimaera piùvecchio?» «Più giovane».
«Se quello è più giovanele altre cose non diventeranno più vecchie diprima rispetto all'uno?» «Certo».
«Ciò che è diventato più giovane diviene più vecchio rispetto a ciò cheè divenuto prima ed è più vecchio; ma non è
mai più vecchiobensì diviene sempre più vecchio di quello: quelloprogredisce verso l'essere più giovanel'altro verso
l'essere più vecchio. Allo stesso modo il più vecchio diventa più giovanedel più giovane. Procedendo essi nel senso
oppostodiventano opposti fra loro: il più giovane diventa più vecchio delpiù vecchioe il più vecchio diventa più
giovane del più giovane. Diventanoma non sono in grado di esserediventati: se fossero diventatinon diventerebbero
piùma sarebbero. Ora invece diventano più vecchi e più giovani l'unodell'altro. L'uno diventa più giovane delle altre
cosepoiché risultò essere più vecchio e divenuto primale altre cosediventano più vecchie dell'unopoiché sono
divenute dopo. Analogamente anche le altre cose hanno tale relazione rispettoall'unoin quanto risultano più vecchie di
quello e divenute prima».
«Così risulta».
Platone Parmenide
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«Dunquein quanto nulla diviene né più vecchioné più giovane diun'altra cosapoiché sempre differiscono fra loro
in base a un uguale numerol'uno non diventerà più vecchioné piùgiovane delle altre cosené le altre cose dell'uno:
d'altra partepoiché ciò che è diventato prima differisce per necessitàin base a un sempre nuovo rapportoda ciò che è
divenuto dopoe ciò che divenuto dopo da ciò che è divenuto primaperquesta ragione non è forse necessario che
diventino più vecchi e più giovani l'uno dell'altroovvero le altre coserispetto all'unoe l'uno rispetto alle altre cose?»
«Certo».
«Secondo tutto questo discorsol'uno in sé èe anche divienepiùvecchio e più giovane di se stesso e delle altre
cosee non è e non diviene né più vecchioné più giovane di se stessoe delle altre cose».
«E assolutamente così».
«Dato che l'uno partecipa del tempoe del divenire più vecchio e piùgiovanenon è allora necessario che esso
prenda parte dell'"allora"del "poi"edell'"ora"se è vero che prende parte del tempo?» «Per forza».
«Dunque l'uno eraèsaràe diventavadivienediverrà?» « Eallora?» «E ci sarebbe qualcosae c'erac'èo ci sarà
che si riferisce ad esso e che ad esso appartiene?» «Certo».
«E ci potrà essere scienzaopinionee sensazione di essose è vero cheanche ora noi su di esso facciamo tutte
queste riflessioni».
«Dici bene».
«E ad esso appartengono il nome e il discorsoe si può nominare e puòessere materia di discorso: e tutto ciò che vi
è di simile si verifica per le altre cosee così anche per l'uno».
«La questione sta assolutamente in questi termini».
«Dobbiamo ancora parlare della terza ipotesi. Se l'uno ècome abbiamoosservatonon è necessario cheessendo
uno e moltie non essendo né unoné moltie partecipando del tempoinquanto è unopartecipi talvolta dell'esseree
in quanto non lo èqualche altra volta non partecipi dell'essere?»«Assolutamente».
«Forse quando vi partecipapotrà in quell'occasione non parteciparvioquando non vi partecipapotrà in
quell'occasione parteciparvi?» «Non può».
«In un tempo vi partecipae in un altro non vi partecipa: soltanto cosìpotrà partecipare e non partecipare della
medesima cosa».
«Giusto».
«Dunque non vi è il tempo in cui prende parte dell'esseree il tempo incui si allontana? Come potrà ora possederlo
ora non possederlose non prendendolo e lasciandolo?» «In nessun altromodo».
«Non chiami "divenire" il prendere parte all'essere?» «Propriocosì».
«E "perire" l'abbandonare l'essere?» «Certo».
«L'unoa quanto parericevendo e lasciando l'esserediviene uno eperisce».
«Per forza».
«Poiché è uno e moltie diviene e periscenon è vero chequaloradivenga unoperisce il suo essere moltimentre
quando diviene moltiperisce il suo essere uno?» «Certo».
«Divenendo uno e moltinon è necessario che si separi e si ricongiunga?»«Assolutamente necessario».
«E nel caso diventi dissimile e similenon è necessario che renda sestesso simile e dissimile?» «Sì».
«E qualora diventi maggioreminoree ugualenecessariamente siaccresceràdecresceràsarà equivalente?» «è
così».
«E quando l'uno muovendosi si fermae stando fermo si muta in movimentociò non può verificarsi in nessuna
frazione di tempo».
«Come potrebbe?» «Se prima sta fermo e poi si muoveo prima si muove epoi sta fermonon sarà in grado di
provare tali condizioni senza mutamento».
«Come potrebbe?» «Non vi è nessun tempo in cui alcunché possa muoversi estare fermo contemporaneamente».
«Nocerto».
«Ma neppure muta senza il mutare».
«Non è verosimile».
«E quando muta? né stando fermoné muovendosimutae neppure quando ènel tempo».
«Nocerto».
«Ma dunque esiste questa cosa singolare in cui l'uno è allorquando muta?»«Cos'è?» «L'istante. Pare che l'istante
indichi una cosa del generevale a dire quel punto da cui qualcosa si muoveverso l'una o l'altra condizione. Non infatti
dall'essere in quieteche persiste ancora nella sua condizione diimmobilitàha origine il mutamentoné dal moto
ancora in movimento: ma questa singolare natura dell'istante risiede in unpunto medianofra il moto e la quietee non è
in alcun tempoe nell'istante e dall'istante ciò che è in moto si mutaverso l'essere in quietee ciò che è in quiete si muta
verso l'essere in moto».
«Può darsi».
«E l'unose è vero che sta fermo e si muovesi muterà nell'una enell'altra condizione - solo in questo modo
prenderà parte dell'una e dell'altra condizione - e mutando mutaall'istantee quando mutanon è in nessun tempoe
allora non si muoveràné starà fermo».
«Noinfatti».
«Così avviene anche per gli altri mutamentinel caso in cui dall'esserepassi al perireo dal non essere al divenire:
allora si viene a trovare in mezzo ad alcuni generi di moto e di quieteenon è forse vero che in quel momento non èe
Platone Parmenide
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neppure non ènon divienee neppure perisce?» «Mi pare».
«Analogamenteanche quando dall'uno procede verso i moltie dai moltiperviene all'unonon è unoné moltie
non avviene separazionené ricongiunzione. E quando procede dal simileverso il dissimilee dal dissimile verso il
similein quel momento non è né similené dissimilené rende se stessosimilené dissimile: e procedendo dal piccolo
al grandee all'ugualee ai suoi oppostiin quel momento non è népiccoloné grandené ugualené potrà accrescersi
né decrescerené essere equivalente».
«Non pare».
«Di tutte queste condizioni farà esperienza l'unose esso è».
«Come no?» «Non bisognerebbe prendere in esame quali sono le condizioniche le altre cose è opportuno che
provinose l'uno è?» «Sìbisogna».
«Allora dobbiamo dire: se l'uno èquali condizioni proverannoinevitabilmente le altre cose diverse dall'uno?»
«Diciamolo».
«Dunquese è vero che le altre cose sono diverse dall'unole altre cosenon sono l'uno: non sarebberoinfatti
diverse dall'uno» «Giusto».
«Tuttavia le altre cose non sono completamente prive dell'unoma in uncerto senso vi prendono parte».
«Come?» «In quanto le altre cose diverse dall'uno hanno partisono altrecose: se infatti non avessero parti
sarebbero assolutamente uno».
«Giusto».
«Partidiciamodi ciò che sia un tutto».
«Lo diciamo».
«Ma il tutto è un uno che scaturisce necessariamente dai moltie di questotutto saranno parti le parti: ciascuna delle
partiinfattinon deve essere parte dei moltima del tutto».
«Come è possibile questo?» «Se qualcosa fosse parte dei moltifra iquali essa si venisse a trovaresarebbe
certamente parte di se stessacosa che è impossibilee sarebbe parte diciascuna delle altre cosese è vero che è parte di
tutte. Se non è parte di una sola cosasarà parte di tutte le altre cosefatta eccezione per questae così non sarà parte dì
ciascunae non essendo parte di ciascunanon sarà parte di nessuno deimolti. Non essendo parte di nessuno di questiè
impossibile che sia qualcosa di ciò di cui è nullané partenéqualsiasi altra cosa».
«Così risulta».
«Non dei moltiné dei tuttila parte è partema di un certo caratteredistintivoe di un certo uno che chiamiamo
"tutto"e si tratta di un uno generato in modo compiuto erisultante da tutti gli elementie di questo soltanto la parte sarà
parte».
«Certo».
«Se le altre cose hanno partiprenderanno parte del tutto e dell'uno».
«Certo».
«Le altre cose diverse dall'uno saranno di necessità un tutto unocompiutodotato di parti».
«Di necessità».
«E lo stesso vale per ciascuna parte: è necessario che anche questapartecipi dell'uno. Dire infatti che ciascuna di
queste parti è una partesignifica affermare che ciascuna è unaseparatadalle altre e presa di per sése è vero che
ciascuna parte sarà una parte».
«Giusto».
«Ed è evidente che potrà prendere parte dell'unoin quanto è diversadall'uno: in caso contrarionon vi
parteciperebbema sarebbe l'uno stesso.
Ora è impossibile essere uno se non all'uno stesso».
«Impossibile».
«è necessario che il tutto e la parte prendano parte dell'uno. Il tuttosarà un uno di cui parti sono le parti; mentre
ciascuna parte del tuttoquale che siasarà una parte del tutto».
«è così».
«Ciò che partecipa dell'uno non vi prenderà parte essendo diversodall'uno?» «Come no?» «Molte saranno le cose
diverse dall'uno: se infatti le cose diverse dall'uno non fossero né unoné più di unonulla sarebbero».
«Nocerto».
«Dal momento che sono più di uno quelle cose che partecipano dell'uno comeparte e dell'uno come tuttonon è
necessario siano molteplici e infinite queste cose che prendono partedell'uno?» «Come?» «Osserva. Esseallorquando
partecipano dell'unovi prendono parte non essendo uno e nonpartecipandovi?» «è chiaro».
«Non è dunque molteplicità in cui l'uno non è?» «Sìlo è».
«E allora? Se volessimo con il pensiero sottrarre da tale molteplicità laparte più piccola che riusciamo a sottrarre
non sarebbe necessario che anche la parte che abbiamo separatose è veroche non prende parte dell'unosia
molteplicità e non uno?» «Per forza».
«Dunque analizzando sempre in questo modo quella naturapresa di per sédiversa dalla specie dell'unoquale che
sia la parte di essa che noi sempre osserviamonon sarà infinita emolteplice?» «Assolutamente».
«Non appena ciascuna parte diviene parteesse saranno già fornite di unlimite le une verso le altre e verso il tuttoe
il tutto verso esse».
Senza dubbio».
Platone Parmenide
21
«Alle altre cose diverse dall'uno avviene cheper la comune partecipazionedell'uno e di se stessea quanto paresi
generi qualcosa di diverso in loro stesse che procura un limite fra loro: laloro naturainveceprocura a ciascunapresa
di per séinfinitezza».
«Così risulta».
«Così le altre cose diverse dall'unosia come tutto sia come partisonoinfinite e partecipano pure del finito».
«Certo».
«Dunque sono anche simili e dissimili fra loro e a se stesse queste cose?»«Come?» «Per il fatto che sono tutte
infinite secondo la loro naturaproverebberoper questa ragionelemedesime condizioni».
«Certo».
«E poiché tutte partecipano del finitoanche per questa ragione tutteproverebbero la medesima condizione».
«Come no?» «In quanto provano la condizione dell'essere finiti e infinitiessi provano tali condizioni che sono fra
loro opposte».
«Sì».
«Ciò che è opposto è dissimile al massimo grado».
«E allora?» «Secondo l'una e l'altra condizioneesse saranno simili a sestesse e fra loro: mase si prendono
ambedue insiemenell'uno e nell'altro modosono opposte e dissimili almassimo grado».
«Può darsi».
«Così le altre coseprese in se stessesaranno simili e dissimili a sestesse e fra loro».
«Sono così».
«E tali cose saranno identiche e diverse le une dalle altree in moto e inquietee non sarà difficile trovare che le
altre cose diverse dall'uno provano tutte le opposte condizionise è veroche esse sembrarono provare queste
condizioni».
«Quello che dici è giusto».
«Dunquese lasciassimo ormai queste cosecome chiarepotremmo consideraredi nuovo se l'uno è: e allora le altre
cose diverse dall'uno non si pongono in questi terminioppure possono staresoltanto in questi termini?» «Certo».
«Ripetiamo da capo: se l'uno èdi quali condizioni devono essere oggettole altre cose diverse dall'uno?»
«Diciamolo».
«Dunque l'uno non è separato dalle altre cosee le altre cose non sonoseparate dall'uno?» «E perché?» «Perché oltre
a questi non vi è altro che sia altro dall'uno e altro dalle altre cose: èstato detto tutto quando si è detto "l'uno" e le "altre
cose"».
«Sìtutto».
«Non vi è più nulla di diverso da questiin cui l'uno e le altre cosesiano come in qualcosa di identico».
«No».
«Non sono mai nell'identico l'uno e le altre cose».
«Non pare».
«Sono separati?» «Sì».
«Diciamo che non ha parti ciò che è veramente uno».
«E come potrebbe?» «L'uno non sarà nelle altre cose né come tuttonécome parti di essose è separato dalle altre
cose e non ha parti».
«E come potrebbe?» «In nessun modo le altre cose parteciperanno dell'unoné partecipando delle sue partiné del
tutto».
«Pare di no».
«In alcun modo le altre cose sono unoné contengono in sé alcun uno».
«Nocerto».
«E le altre cose non corrispondono neppure ai molti: ciascuna di essesarebbe una parte del tuttose fossero molti.
Ma né unoné moltiné tuttoné parti sono le cose diverse dall'unodato che in alcun modo partecipano dell'uno».
«Giusto».
«Né duené tre sono le altre cose diverse dall'unoe neppure il due e iltre sono in essese è vero che comunque esse
sono private dell'uno».
«è così».
«E non sono simili né dissimili rispetto all'uno le altre cosee in essenon vi è somiglianza e dissomiglianza: se
fossero simili e dissimilio avessero in sé somiglianza e dissomiglianzale altre cose diverse dall'uno avrebbero due
specie opposte fra loro in se stesse».
«Così risulta».
«è impossibile che partecipi di due cose ciò che non partecipa neppuredell'uno».
«Impossibile».
«Le altre cose non sono né similiné dissimiliné tutte e due le coseinsieme. Essendo simili o dissimili
prenderebbero parte di una delle due specieessendo tutte e due le coseinsiemeprenderebbero parte delle due specie
opposte: e ciò risultò impossibile».
«Vero».
«Esse non sono identiche né diversené in moto né in quietené indivenire né soggette a perirené maggiori né
minorie neppure uguali: e non provano nessun'altra condizione di questogenere.
Platone Parmenide
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Se infatti le altre cose ammettessero di provare un qualcosa di questogenereparteciperebbero dell'unodel duedel
tredel pari e del disparidei quali risultò impossibile che prendesseropartein quanto completamente privi dell'uno».
«Verissimo».
«Cosìse l'uno èl'uno è tuttoe non è unosia in relazione a sésia allo stesso modo in relazione alle altre cose».
«Senza dubbio».
«Bene. Non dobbiamo consideraredopo ciòqual è la necessariaconseguenza che derivase l'uno non è?» «Si
dobbiamo».
«Cosa significa questa ipotesi: "se l'uno non è"? Differisce inqualcosa da questa: "se il non uno non è"?» «Vi è
differenzasenza dubbio».
«Vi è solo differenzao addirittura dire "se il non uno non è"è tutto il contrario dell'affermazione "se l'uno non è"?»
«Tutto il contrario».
«Se qualcuno dicesse "se la grandezza non è" o "se lapiccolezza non è" o qualcos'altro del generenon sara chiaro
che per ciascuna di queste affermazioni dirà qualcosa di diverso dicendociò che non è?» «Certo».
«Dunque anche adesso sarà chiaro che ciò che non è si dice di qualcosa didiverso dalle altre cosequando si afferma
"se l'uno non è": e sappiamo a cosa si allude?» «Lo sappiamo».
«Prima di tutto si allude a qualcosa di conoscibilein secondo luogo aqualcosa di diverso dalle altre cosenel caso
in cui si dica "uno" e gli si aggiunga vuoi l'esserevuoi il nonessere: non si conosce di meno che cosa si intende quando
si parla di non esseree perché è differente dalle altre cose. O no?»«Di necessità».
«Dunque occorre parlare da capoe vedere qual è la necessaria conseguenzache derivase l'uno non è. Innanzitutto
bisogna concederglia quanto pareche vi sia scienza di essoo non siavrà neppure conoscenza di quello che si
affermaquando si dice "se l'uno non è"».
«Vero».
«Dunque non si deve dire che anche le altre cose sono diverse dall'unooppure non si può nemmeno affermare che
quello è diverso dalle altre cose?» «Certo».
«E deve avere la diversitàoltre la scienza. Non si allude alla diversitàdelle altre cosequando si afferma che l'uno è
diverso dalle altre cosema alla diversità dell'uno».
«Così risulta».
«E ciò che non è uno partecipa di queste proprietà: "diquello""di qualcosa""di questo""aquesto""di queste
cose" e di tutte le altre simili: non si potrebbe parlare dell'uno eneppure di ciò che è diverso dall'unoné a quello o di
quello sarebbe qualcosané qualcosa si potrebbe direse esso non prendesseparte del "di qualche cosa" né di queste
altre proprietà».
«Giusto».
«Se è vero che non èl'uno non può esserema nulla impedisce chepartecipi di molte coseanzi è necessariose è
vero che l'unoproprio quello e non un altronon è. Se non è l'unosenon è quelloma ci si riferisce a un'altra cosa
allora non si può proferire parola: ma se si sceglie come presupposto chel'unoproprio quello e non altronon èè
necessario che quello prenda parte sia del "di quello"sia dimolte altre proprietà».
«Assolutamente».
«Esso ha dissomiglianza in relazione alle altre cose: infatti questeessendo diverse dall'unosaranno anche di specie
differente».
«Sì».
«Le cose di specie differente non sono di altra specie?» «Come no?» «Lecose di altra specie non sono dissimili?»
«Sìlo sono».
«Se dunque sono dissimili in relazione all'unoè chiaro che le cosedissimili saranno dissimili in relazione al
dissimile».
«è chiaro».
«Anche l'uno avrà la dissomiglianzarispetto alla quale le altre cose sonodissimili da esso».
«Così pare».
«E se ha dissomiglianza rispetto alle altre cosenon è necessario cheabbia somiglianza rispetto a sé?» «Come?» «Se
l'uno avesse dissomiglianza dall'unoil discorso non verterebbe intornoall'unoné vi sarebbe un'ipotesi intorno all'uno
ma intorno ad altra cosa diversa dall'uno».
«Certo».
«Però non deve avvenire così».
«Nocerto».
«Pertanto l'uno deve avere somiglianza con se stesso».
«Sì».
«E non è neppure uguale alle altre cose: se infatti fosse ugualel'unogià sarebbee sarebbe simile ad esse secondo il
principio dell'uguaglianza. Ma entrambi questi casi non si possonoverificarese è vero che l'uno non è».
«Impossibile che si verifichino».
«Poiché non è uguale alle altre cosenon è necessario che anche le altrecose non siano uguali a quello?» «Per
forza».
«Ciò che non è uguale non è vero che è disuguale?» «Sì».
«Ciò che è disuguale non è disuguale rispetto al disuguale?» «Comeno?» «E l'uno non partecipa forse della
Platone Parmenide
23
disuguaglianzarispetto alla quale le altre cose sono da esso disuguali?»«Vi partecipa».
«Ma grandezza e piccolezza fanno parte della disuguaglianza».
«Sì».
«Forse grandezza e anche piccolezza si trovano in tale uno?» «Puòdarsi».
«Grandezza e piccolezza sono sempre separate l'una dall'altra».
«Certo».
«In mezzo a esse c'è sempre qualcosa».
«Sì».
«Puoi dire che in mezzo a esse vi sia qualcos'altro se non l'uguaglianza?»«Noè questa».
«Se in qualcosa vi è grandezza e piccolezzavi sarà anche l'uguaglianzache sta in mezzo a queste due».
«Così risulta».
«L'uno che non èa quanto parepartecipa del l'uguaglianzadellagrandezzae della piccolezza».
«Pare che sia così».
«E deve partecipare anche dell'essere».
«Come?» «Deve essere così come diciamo: se non fosse cosìnon diremmola verità affermando che l'uno non è; ma
se diciamo cose vereè chiaro che parliamo di cose che sono. O non ècosì?» «è così».
«Dato che affermiamo di dire cose veredobbiamo anche affermare che diciamocose che sono».
«Per forza».
«Dunque èparel'uno che non è: se infatti non sarà uno che non èmadall'essere si scioglierà verso il non essere
sarà direttamente ciò che è».
«Certo».
«E deve averecome legame che lo lega al non esserel'essere che non èse vuole non esserecome ciò che è avrà
per essere in modo compiutoil non essere che non è. Così ciò che ènelmodo più assoluto saràe ciò che non è non
sarà; partecipandociò che èdell'essere peculiare dell'essere ciò cheèe non dell'essere peculiare di ciò che non èse
vuole essere in modo compiuto; mentrepartecipandociò che non ènondell'essere peculiare del non essere ciò che
non èma dell'essere peculiare dell'essere ciò che non èse anche ciòche non è vuole a sua volta non essere in modo
compiuto».
«Verissimo».
«Dato che ciò che è partecipa del non esseree ciò che non èdell'essereanche l'unodato che non èè necessario
partecipi dell'essere in relazione al non essere».
«Per forza».
«E l'uno risulta dotato di esserese non è».
«Risulta così».
«E anche del non esserese è vero che non è».
«Come no?» «Ciò che si trova in un determinato modo può non essere piùcosìsenza però mutare da questa
condizione?» «Non può».
«Tutto ciò che sia in un determinato modo e non sia più in queldeterminato modo indica mutamento».
«Come no?» «Mutamento è movimento: o come diremo?» «Movimento».
«E l'uno non risultò forse dotato di essere e di non essere?» «Sì».
«Dunque risulta essere in un determinato modo e non più in quel determinatomodo».
«Pare così».
«E ciò che non è uno risulta essere in movimentose è vero che si mutadall'essere al non essere».
«Può darsi».
«Ma se non è in nessuna parte dell'esserecome in effetti non èseappunto non ènon potrà passare da un luogo ad
un al tro».
«Come potrebbe infatti?» «Non potrà muoversi mediante trasferimenti».
«Noinfatti».
«Non potrà neppure volgersi nello stesso luogo: in nessun luogoinfattiha contatti con l'identico. Ciò che è identico
èmentre è impossibile che ciò che non è si venga a trovare in qualcosafra le cose che sono».
«Impossibile».
«L'uno che non è non potrebbe volgersi in ciò in cui non è».
«Nocerto».
«E l'uno non può diventare altro rispetto a se stessoné l'uno che èné l'uno che non è: il discorso non verterebbe più
sull'unose esso diventasse altro rispetto a se stessoma verterebbe suqualcos'altro».
«Giusto».
«Se non diventa altroné si volge nello stesso luogoe neppure si mutaforse potrebbe muoversi ancora in qualche
modo?» «Come?» «Ciò che è immobile è inevitabile sia in quietee ciòche è in quiete inevitabilmente starà fermo».
«Di necessità».
«L'uno che non èparesta fermo e anche si muove».
«Pare così».
«E se si muoveè assolutamente necessario che diventi altro rispetto asé: quanto più una cosa si muovetanto più
non si trova più nella condizione in cui erama in una condizionediversa».
Platone Parmenide
24
«è così».
«L'unomuovendosidiviene anche altro rispetto a sé».
«Sì».
«E se in nessun modo si muovein nessun modo diventerà altro rispetto asé».
«No».
«Nella misura in cui ciò che non è uno si muovediviene altro rispetto asé: se invece non si muovenon diviene
altro».
«No».
«L'uno che non è diviene altro rispetto a sé e non lo diviene».
«Così risulta».
«Ciò che diviene altro rispetto a sé non è necessario che divenga diversoda primache perisca rispetto alla
precedente condizione: e ciò che non diviene altronon è necessario chené diventiné perisca?» «Per forza».
«E l'uno che non èdivenendo altro da sédiviene e anche periscementrenon divenendo altro da sénon diviene
né perisce e così l'uno che non è diviene e anche periscee non diviene enon perisce».
«Nocerto».
«Torniamo da capo per vedere se tali questioni ci risultano come adessooin modo diverso».
«Sìbisogna farlo».
«Dunquese l'uno non èdiciamoquali sono le necessarie conseguenze peresso?» «Sì».
«Quando di una cosa diciamo che "non è"non si vuole indicarenient'altro se non l'assenza di essere da parte di
questa cosa di cui diciamo "non è"?» «Nient'altro».
«Forsequando diciamo che qualcosa non èdiciamo che sotto un certoaspetto non èe sotto un altro aspetto è?
Oppure questo "non è" appena detto indica semplicemente che innessun modo e per nessuna ragione al mondo ciò che
non è può esseree neppure partecipa dell'essere?» «Semplicissimo: ècosì».
«Ciò che non èdunquenon potrà esserené in modo diverso potràaffatto prendere parte dell'essere».
«No».
«Il divenire e il perire saranno forse altro se non il parteciparedell'essereda una partee il perderlodall'altra?»
«Nient'altro».
«In quanto qualcosa non partecipa affatto dell'esserenon potrebbericeverloné perderlo».
«E come potrebbe?» «All'unodato che in nessun modo ènon è possibilepossedere l'esserené lasciarloné in
alcun modo prendervi parte».
«è verosimile».
«E ciò che non è uno non perisce né divienese appunto non partecipa innessun modo dell'essere».
«Pare di no».
«E non diviene altro da sé in alcun modo: dovrebbe infatti divenire eperire ormaise provasse questa condizione».
«Vero».
«Se non diventa altro da sénon è necessario che neppure si muova?» «ènecessario».
«E non diremo che sta fermo ciò che non è in nessun luogo: ciò che stafermo deve necessariamente essere sempre
in uno stesso luogo».
«Nello stesso luogo: e come no?» «Così dobbiamo dire che ciò che non ènon sta mai fermoné in moto».
«Infatti».
«Ma esso non possiede neppure qualcuna delle cose che sono: se partecipassedi questa cosaprenderebbe già parte
dell'essere».
«Chiaro».
«E non possiede grandezzané piccolezzané uguaglianza».
«No».
«E non avrà somiglianza né diversitàné rispetto a séné rispettoalle altre cose».
«Non risulta».
«E allora? Vi è un modo per cui le altre cose possano appartenere ad essose nulla può appartenergli?» «No».
«Né similiné dissimili rispetto ad essoné identichené diverse sonole altre cose».
«No».
«E allora? Il "di quello"o l'"a quello"il"qualcosa"il "questo"il "di questo"il"di un altro"l'"ad un altro"
l'"allora"il "poi"l'"ora"o la scienzal'opinionela sensazioneil discorsoil nomeo qualcos'altro fra le cose che
sonopotranno riguardare ciò che non è?» «No».
«E così l'unonon essendonon ha alcun modo di essere».
«Mi pare non abbia alcun modo».
«Diciamo ancora quali sono le condizioni di cui sono inevitabilmente oggettole altre cosese l'uno non è».
«Diciamolo».
«Innanzitutto devono essere altre: se infatti non fossero altrenon sipotrebbe parlare delle altre cose».
«è così».
«Se esiste un discorso intorno alle altre cosele altre cose sono diverse.Oppure quando usi le definizioni di "altro" e
"diverso" non ti riferisci alla stessa cosa?» «Proprio così».
«Diciamo che il diverso è diverso dal diversoe l'altro è altrodall'altro?» «Sì».
Platone Parmenide
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«E riguardo alle altre cosese vogliono essere altre cosevi è unqualcosa di cui saranno altre».
«Di necessità».
«Cosa potrà essere? Le altre cose non saranno altre dall'unopoiché essonon è».
«Noinfatti».
«Dunque le altre cose sono altre l'una rispetto all'altra. è lapossibilità che rimane ancora lorooppure non sono altre
rispetto a nessuna cosa».
«Giusto».
«In base a singoli gruppi sono altre l'una rispetto all'altra: nonpotrebbero esserlo invece in base all'unonon
essendoci uno.
Ciascun gruppo di essea quanto pareè infinito e moltepliceanche se sivolesse prendere quello che sembra il più
piccolo: così come in sognodormendoqualcosainvece di unocome eraapparsoall'improvviso appare moltie
invece di piccolissimo appare di proporzioni enorminel suo frazionarsi inpiccole parti».
«Giustissimo».
«In base a tali gruppile altre cose saranno altre fra lorose sono altreanche se non vi è l'uno».
«Senza dubbio».
«Dunque vi saranno molti gruppie ciascuno apparirà come unopur nonessendo unose appunto l'uno non sarà?»
«è così».
«E sembrerà che siano numerabilise ciascuno sembra essere unoessendo inrealtà molti».
«Certo».
«In essi appaiono numeri pari e numeri disparima non lo sono veramenteseappunto l'uno non ci sarà».
«Nocerto».
«E anche uno piccolissimodiciamosembrerà essere in essi: e questoapparirà come molti e come grandi rispetto a
ciascuno dei molti come se fossero piccoli».
«Come no?» «E ciascun gruppo sarà ritenuto uguale ai molti e piccoli: nonpotrebbe passarein apparenzadal
maggiore al minoreprima di sembrare giungere in ciò che è nel mezzoeciò sarebbe parvenza di uguaglianza».
«è verosimile».
«E non sembrerà che un gruppo sia fornito di limite verso un altro gruppopur non avendo esso stessorispetto a sé
principioné limitené mezzo?» «In che modo?» «Perché semprequandosi colga con il pensiero qualcuno di essi
come qualcuno di essi dotato di essereprima del principio appare sempre unaltro principioe dopo la fine rimane
sempre un'altra finee in mezzo altre cose più a metà del mezzoe piùpiccolee ciò avviene per il fatto di non poter
cogliere ciascun uno di essidato che l'uno non è».
«Verissimo».
«Si sminuzza necessariamente in frazioni di parti sempre più piccolecredociò che uno intenda cogliere con il
pensiero: infatti si coglierebbe sempre la massa senza l'uno».
«Certo».
«A chi osserva tale oggetto da lontano e con la vista offuscatanon èforse necessario che esso appaia come un uno
ma a chi osserva da vicino e presta un'acuta attenzioneciascun gruppoappare come molteplice e infinitose appunto
manca dell'uno che non è?» «è più che necessario».
«Così infinite e finitee uno e moltidevono apparire le altre coseprese singolarmentese l'uno non èma le altre
cose diverse dall'uno sono».
«Devono».
«E non sembreranno simili e dissimili?» «Come?» «Come le raffigurazioniprospettiche: a chi è lontano appaiono
come tutt'uno e sembrano oggetto di un'identica proprietàe simili».
«Certo».
«Ma a chi si avvicina sembrano molte e diversee per questa parvenza didiversitàappaiono di diversa natura e
dissimili rispetto a sé».
«E così».
«Ed è necessario che gli stessi gruppi appaiano simili e dissimilirispetto a sé e fra loro».
«Certo».
«E dunque anche identici e diversi fra loroe a contatto e separatirispetto a sée mossi secondo ogni tipo di
movimento e fermi in ogni modoe in divenire e nell'atto di perireenessuno dei due casie ogni altra cosa di questo
genere che ormai possiamo agevolmente passare in rassegna se vi sono i moltisenza che vi sia l'uno».
«Verissimo».
«Torniamo ancora una volta da capo e diciamo che cosa necessariamentesaranno le altre cose diverse dall'uno se
l'uno non è».
«Diciamolo».
«Le altre cose non saranno uno».
«Giàcome potrebbero?» «E neppure molti: se fossero moltiin essi visarebbe anche l'uno. Se nessuno di essi è
unotutti sono nullasicché non saranno neppure molti».
«Vero».
«Poiché l'uno non è nelle altre cosele altre cose non sono né moltiné uno».
«Noinfatti».
Platone Parmenide
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«E non appaiono né unoné molti».
«E perché?» «Perché le altre cose non hanno alcuna partecipazione connessuna delle cose che non sonoin alcun
modoné alcuna delle cose che non sono si trova presso alcuna delle altrecose. Ciò che non è non ha parte alcuna».
«Vero».
«E non vi è opinione di ciò che non èpresso le altre cosenéparvenzae ciò che non è non potrà affatto diventare
oggetto di opinionein nessun modoin relazione alle altre cose».
«Nocerto».
«Se l'uno non èneppure qualcuna delle altre cose viene pensata come uno emolti: senza l'uno è impossibile pensare
ai molti».
«Impossibile».
«Se l'uno non èle altre cose non sononé si possono pensare come uno emolti».
«Pare di no».
«Né similiné dissimili».
«No».
«Né identichené diversené in contattoné separatené tutto quantoprima si è passato in rassegna come apparenza
nessuna di queste cose sono né appaiono le altre cosese l'uno non è».
«Vero».
«Se dunque in sintesi dicessimo che se l'uno non ènulla èdiremmo inmodo giusto?» «Certo».
«Si dica dunque questoe si dica anche chea quanto pareche l'uno siaoche non siaesso stesso e le altre cose
rispetto a sé e fra di lorosono tuttoin relazione ad ogni aspettodell'esseree non sonoe appaiono e non appaiono».
«Verissimo».
Platone Parmenide
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NOTE: 1) Città sulle coste dell'Asia Minore.
2) Nulla sappiamo di questo Cefalo che con il suo racconto dà l'avvio aldialogo: non va confuso con il padre
dell'oratore Lisiain casa del quale si svolge la Repubblica. Adimanto eGlaucone sono fratelli di Platone.
3) Secondo marito di Perictionemadre di Platoneda cui nacque l'Antifontedi cui Cefalo chiede notizie.
4) Figlio di Isoloco e discepolo di Zenone.
5) Zenone (490-445 a.C.) fu uno dei massimi esponenti della scuola eleaticafondata da Parmenide (515-450 a.C.).
Parmenideche guiderà la discussione nella seconda parte del dialogososteneva che l'essere fosse unico
indivisibile e immutabile.
6) Antifontepadre di Pirilampe.
7) Villaggio dell'Attica 8) Solenni celebrazioni quinquennaliin onore diAtena.
9) Quartiere di Atenediviso in due dalle mura fatte costruire daTemistocle.
10) Si allude al grande filosofo Aristotele (384-322 a.C.)assai giovane nelperiodo in cui si svolge il dialogo. Come
ricorda Platoneegli fece parte dei governo dei trenta tirannipersonaggipolitici di tendenze oligarchiche che nel 404 si
erano impadroniti del potere ad Atenerovesciando la democrazia.
11) Queste argomentazioni sono strettamente connesse con il cosiddettoargomento del terzo uomo formulato
probabiimente per la prima volta dal filosofo megarico Polisseno e ripreso inseguito da Aristotele (Metaphysica): al di
là dell'uomo particolare (l'uomo singolo come Socrate o Platone) e di quelloideale (l'idea in sé di uomo) si dà
l'esistenzaappunto di un terzo uomoe così all'infinito.
12) Poeta lirico del sesto secolo a.C. Per la citazionecfr. Ibicofr.65-7 Page.