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Platone
LISIDE
Percorrevo la strada esterna alle murasotto le mura stessedall'Accademia(1) direttamente al Liceo. (2) Quando fui
all'altezza della porticella dove si trovava la fontana di Panopolìincontrai Ippotale(3) figlio di IeronimoCtesippo (4)
del demo di Peania e altri giovani fermi in gruppo insieme a costoro.Ippotaleappena mi vide avvicinarmidisse:
«Socratedove vai e da dove vieni?» «Dall'Accademia vado direttamente alLiceo»risposi io.
«Ma vieni quidirettamente da noi. Perché non cambi strada? Ne vale lapena»~ disse egli.
«Dove mi inviti e da chi di voi?»domandai io.
«Qui»risposemostrandomi un recinto davanti al muro e una porta aperta:«qui passiamo il tempo noi e molti altri bei
giovani».
«Cos'è questo luogo e come passate il tempo?» «è una palestra costruitada poco. Per lo più passiamo il tempo in
discussionidi cui ti renderemmo volentieri partecipe»rispose.
«E fate bene: ma chi insegna qui?»domandai.
«Un tuo amico e ammiratore: Micco»(5) rispose.
«Per Zeusnon è certo un uomo da pocoma un valente sofista»osservai.
«Vuoi seguirci per vedere chi c'è dentro?»chiese Ippotale.
«Prima ascolterei volentieri per quale motivo devo entrare e chi è ilbello»chiesi a mia volta.
«Ognuno di noi la pensa diversamenteSocrate»rispose egli.
«Per te chi èIppotale? Dimmelo».
Interrogato su questo arrossì e io dissi: «Ippotalefiglio di Ieronimonon dirmi più se ami qualcuno o no: so che non
solo sei innamoratoma ti sei spinto molto oltre nell'amore. Nelle altrecose io non valgo e non servo a moltoma
questo dono ho ricevuto dal diola capacità di capire subito chi ama e chiè amato».
Udendo queste parole egli arrossì ancora di più e Ctesippo disse: «èbello che tu arrossiscaIppotaleed esiti a dire a
Socrate quel nome; ma se egli si intrattiene anche poco con tesarà sfinitosentendotelo ripetere un numero infinito di
volte. Socrateegli ha intronato e riempito le nostre orecchie con il nomedi Liside: e se poi beve ci è facilequando ci
svegliamo dal sonnocredere di sentire il nome di Liside. E quanto dice aparoleanche se terribilenon è così terribile
come quando tenta di rovesciare su di noi poesie e prose. E ciò che èancora più terribile è il fatto che canti al suo amato
con voce incredibile che noi dobbiamo ascoltare e sopportare. Ora inveceinterrogato da tearrossisce».
«Liside è un giovanea quanto pare: lo intuisco dal fatto che sentendoneil nomenon lo conosco»osservai.
«Infatti non lo chiamano molto con il suo nome ma è ancora chiamato con ilnome del padre che è molto conosciuto
perciò so bene che non puoi ignorare l'aspetto di quel ragazzopoiché èin grado di farsi notare solo per questo»disse.
«Mi si dica di chi è figlio»chiesi.
«è il figlio maggiore di Democrate del demo di Aissone» disse.
«BeneIppotaleche amore nobile e giovane da ogni punto di vista haitrovato! Sumostra anche a me ciò che mostrerai
a costoroperché io veda se sai ciò che un innamorato deve dire del suoamato di fronte a lui stesso e agli altri»
osservai.
«Ma Socrateperché dai peso a come parla costui?»chiese Ippotale.
«Neghi di amare il giovane di cui costui parla?»domandai.
«Noma nego di comporre poesie e prose per l'amato»rispose.
«Non sta benema farnetica e delira»disse Ctesippo.
Io chiesi: «Ippotalenon ti chiedo di ascoltare qualche verso o qualchecantose ne hai composti per il giovinettoma il
tuo pensieroper vedere in quale modo ti comporti con l'amato».
«Te lo dirà costui: infatti lo sa bene e se ne ricorda secome affermaèrimasto assordato a furia di ascoltarmi».
«Per gli dèime ne ricordo benepoiché sono cose ridicoleSocrate.
Infatti esser innamorato e dedicare le proprie attenzioni a un giovane inparticolare senza sapergli dire nulla di ciò che
anche un bimbo non saprebbe dirglinon è ridicolo? Ciò che la città tuttacanta di Democrate e di Lisidenonno del
ragazzoe di tutti i suoi antenatile loro ricchezzei loro allevamenti dicavallile vittorie piticheistmiche e nemee (6)
con quadrighe e cavalli da corsaquesto egli compone e declamae coseancora più antiche di queste. Ultimamente
infatti ci raccontava in un poema l'ospitalità data a Eraclecioè che unloro antenato aveva accolto Eracle per la sua
parentela con luigiacché anche lui era nato da Zeus e dalla figlia delcapostipite del demoraccontiquesti e molti altri
similiche fanno le donne anzianeSocrate. Questo è ciò che costuidicendo e cantandoci costringe ad ascoltare». Tali
furono le parole di Ctesippo.
E dopo aver udito ciòcosì dissi: «Ridicolo Ippotalecomponi e canti unencomio indirizzato a te prima di aver vinto?»
«Ma non è per meSocrateche io compongo e canto»ribatté.
«Tu credi di no»incalzai.
«Come stanno le cose?»chiese.
«Questi canti sono indirizzati a te più che a tutti gli altri perchéseconquisti un tale amatole tue parole e i tuoi canti
saranno per te un onore e saranno realmente encomi per un vincitorepoichéhai conquistato un tale amato; se invece ti
sfuggequanto più ampi sono stati i tuoi elogi dell'amatotanto piùapparirai ridicoloprivato di una conquista tanto
importante. Dunqueamicochi è sapiente in amore non loda l'amato prima diaverlo conquistatopoiché teme il futuro
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e come andrà a finire. Nel contempo i bellìquando qualcuno li loda e liesaltasi colmano di superbia e di orgoglio.
O non credi sia così?» «Sì»disse.
«E più sono orgogliosinon sono più difficili da conquistare?» «ènaturale».
«Come ti sembrerebbe un cacciatore secacciandospaventasse e rendessepiù difficile da catturare la selvaggina?»
«Evidentemente un inetto».
«Ed è una grande rozzezza servirsi di parole e canti non per ammansire maper inselvatichire: non è così?» «Mi pare di
sì».
«Bada allora di non procurarti tutti questi rimproveri per la tua poesiaIppotale. Eppure io credo che tu non
ammetteresti che un uomo che danneggi se stesso con la poesia sia un buonpoetadal momento che arreca danno a se
stesso».
«Noper Zeusperché sarebbe del tutto privo di logica. Ma è per questoSocrateche ti consultoe se puoiconsigliami
quali parole si devono dire o cosa si deve fare per diventare graditoall'amato»così mi pregò.
«Non è facile dirlo: ma se tu volessi farlo venire a discutere con meforse potrei dimostrarti ciò che bisogna dirgli al
posto delle parole e dei canti che costoro dicono tu gli rivolgi»dissi io.
«Ma non è difficile. Infatti se entri con Ctesippo e ti siedi a discuterecredo che egli si avvicinerà a te - d'altronde è
molto amante delle discussioniSocratee inoltrepoiché si celebra lafesta di Ermes(7) si sono riuniti nel medesimo
luogo i giovinetti e i bambini -dunque ti si avvicinerà. E se ciò non siverificaegli è amico di Ctesippo per via del
cugino di costuiMenesseno(8) di cui è il più caro amico. Dunque cheCtesippo lo chiamise non si avvicina da sé»
ribatté Ippotale.
«Bisogna fare così»dissi. E nel contempopreso Ctesippoentrai nellapalestra e gli altri ci seguirono.
Entratitrovammo lì che i bambini avevano terminato i sacrificigiocavanoagli astragali(9) poiché la cerimonia era
quasi finitaed erano tutti ben vestiti. Dunque i più giocavano fuori nelcortilealcuni in un angolo dello spogliatoio
giocavano a pari e dispari con moltissimi astragali che tiravano fuori daalcuni cestini; altri invece stavano loro attorno
osservandoli. Tra di essi c'era anche Liside: incoronatostava in piedi trai bambini e i giovinetti e si segnalava per il
suo aspettodegno non solo della sua fama di bel ragazzoma anche dieccellente. E noi ci mettemmo in disparte
sedendoci all'angolo opposto - infatti lì c'era tranquillità - e cimettemmo a discutere tra noi. Pertantovoltandosi spesso
Liside ci guardava ed era chiaro che desiderava avvicinarsima intanto eraimbarazzato e non osava avvicinarsi da solo;
poi dal cortile entrò Menesseno in una pausa dal gioco enon appena vide mee Ctesippovenne a sedersi vicino a noi.
DunquevistoloLiside lo seguì e sedette vicino a lui. Allora anche glialtri si avvicinarono e Ippotalequando vide che
molti ci stavano intornosi nascose in piedi dietro di lorolà dovepensava che Liside non potesse vederlotemendo di
infastidirloe restò così ad ascoltare.
Io allora guardai Menesseno e gli chiesi: «Figlio di Demofontechi di voiè più grande d'età?» «Possiamo discuterne»
rispose.
«E dunque si dovrebbe discutere anche su chi dei due è più nobile»dissiio.
«Certo» rispose.
«E allo stesso modo su chi è più bello»continuai.
Entrambi risero.
Io continuavo: «Non domanderò chi di voi due è più ricco perché sieteamici. O no?» «E molto»dissero.
«Dunque si dice che le cose degli amici siano comunisicché in questo nonsarete differentise dite la verità sulla vostra
amicizia»dissi.
Assentirono.
Dopo questo scambio di battute cercavo di chiedere chi dei due fosse piùgiusto e più sapiente; quindi nel frattempo
giunse uno che fece alzare Menessenodicendo che il maestro di ginnastica lochiamava: credo che stesse celebrando un
rito. Egli pertanto se ne andò e io domandai a Liside: «Lisideti amanomolto tuo padre e tua madre?» «Certo»rispose.
«Non vorrebbero dunque che tu fossi quanto mai felice?» «E come no?» «Eti sembra che sia felice un uomo che sia
schiavo e non possa fare ciò che desidera?» «Per Zeusnon mi sembraproprio»disse.
«Allora se tuo padre e tua madre ti amano e desiderano che tu sia feliceèchiaro che si danno premura in ogni modo
perché tu sia felice».
«Come no?»disse.
«Dunque ti permettono di fare ciò che vuoi senza rimproverarti e impedirtidi fare ciò che desideri?» «No per Zeus
Socratemi impediscono moltissime cose».
«Come dici? Pur volendo che tu sia felice ti impediscono di fare ciò chevuoi? Dimmi questo: se tu desiderassi salire su
uno dei carri di tuo padre prendendo le brigliequando c'è una garanon telo permetterebberoanzi te lo
impedirebbero?»domandai.
«Per Zeusno che non lo permetterebbero»rispose.
«E a chi lo permetterebbero?»chiesi.
«C'è un auriga che riceve da mio padre un compenso»fu la sua risposta.
«Come dici? Permettono a uno prezzolato di fare quello che vuole con icavalli più che a tee per giunta lo pagano per
questo?» «E allora?»domandò.
«Macredoaffidano a te di guidare la coppia di muli ese volessiprendere la frusta per batterlilo permetterebbero».
«E come potrebbero mai permetterlo?»disse.
«E allora? Nessuno può batterli?»obiettai.
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«Può farlo il mulattiere»disse.
«è uno schiavo o un uomo libero?» «Uno schiavo»rispose.
«A quanto pare tengono dunque in maggior conto uno schiavo rispetto a te chesei loro figliopreferiscono affidare più
a lui che a te le loro cose e gli lasciano fare quel che vuole mentre a te loimpediscono? Dimmi ancora questo: ti
lasciano almeno guidare te stesso o neppure questo ti affidano?» «Comeaffidarmelo?» chiese.
«Allora qualcuno ti guida?» «Sìil pedagogo»(10) rispose.
«è forse uno schiavo?» «E allora? è nostro»disse.
«è strano chepur essendo liberotu sia guidato da uno schiavo. Ma inquali azioni questo pedagogo ti guida?»chiesi.
«Senza dubbio conducendomi dal maestro»rispose.
«E non è forse vero che anche i maestri ti comandano?» «Certo».
«Allora tuo padre vuole importi moltissimi padroni e comandanti. E dunquequando arrivi a casa da tua madre ella
perché tu sia feliceti lascia fare ciò che vuoi della lana e del telaioquando tesse?
Non ti impedisce certo di toccare la spatolao la spola o qualche altrostrumento per la lavorazione della lana». Ed egli
ridendo disse: «Per ZeusSocratenon solo me lo impedirebbema mipicchierebbe anchese li toccassi».
«Per Eraclehai forse fatto un torto a tuo padre o a tua madre?» «NoperZeus»rispose.
«Ma in cambio di che ti impediscono in modo così terribile di essere felicee di fare quello che vuoi e ti fanno crescere
per tutto il giorno sempre schiavo di qualcuno ein una parolasenza che tupossa fare nulla di ciò che desideri? Sicché
a quanto paretu non trai vantaggio alcuno dalle tue ricchezze che sonocosì cospicuema tutti le governano più di tené
tu governi il tuo corpo così nobilema anche questo lo governa e lo cura unaltro. TuinveceLisidenon comandi su
nessuno e non fai nulla di ciò che desideri».
«Noperché non ne ho ancora l'etàSocrate»disse.
«Figlio di Democratenon è questo a impedirloperché c'è almeno unacosacome credoche tuo padre e tua madre ti
affidano e non aspettano che tu ne abbia l'età. Infatti quando vogliono chesia letta loro o scritta per loro qualche lettera
sei tucredoil primo in casa cui commissionano questo compito. O no?»«Certo»rispose.
«Dunque in questo caso tu puoi cominciare a scrivere la lettera che vuoiecosì pure capita per la lettura. E se prendi la
liracome credoné tuo padre né tua madre ti impediscono di tendere eallentare la corda che vuoi e di toccarla e di farla
vibrare con il plettro. O te lo impediscono?» « No di certo».
«DunqueLisidequale mai sarebbe il motivo per cui in questi casi non tipongono impedimenti mentre lo fanno nei
casi di cui parlavamo poco fa?» «Credo perché queste cose le conosco equelle no»disse.
«Benecarissimo: dunque tuo padre non aspetta l'età per affidarti tutti isuoi benima nel giorno in cui ti considererà più
saggio di luiallora ti affiderà se stesso e quanto possiede»osservai.
«Lo credo»disse.
«E sia: allora? Il tuo vicino non seguirà nei tuoi confronti la stessaregola di tuo padre? Credi che ti affiderà la propria
casa da amministrare quando ti riterrà più saggio di luinell'amministrazione di una casa o la dirigerà lui stesso?»
continuai.
«Credo che l'affiderà a me».
«E allora? Credi che gli Ateniesi non ti affideranno le proprie cose quandosi renderanno conto che sei abbastanza
saggio?» «Sì».
«Per Zeuse il Gran Re? (11) Preferirebbe affidare al proprio figliomaggiorea cui spetta il regno dell'Asial'incarico
di mettere quello che vuole nel brodomentre la carne cuoceo a noi serecatici da luigli mostrassimo di essere più
bravi di suo figlio nella preparazione del cibo?» «A noiè chiaro»rispose.
«E a suo figlio non permetterebbe di fare neppure una piccola aggiuntamentre a noianche se volessimo aggiungere
sale a manciatelo permetterebbe».
«E come no?» «E se suo figlio avesse male agli occhiglieli lascerebbetoccarese non lo ritenesse un medicoo glielo
impedirebbe?» «Glielo impedirebbe».
«Se invece ritenesse noi esperti di medicinaanche se volessimo aprirgligli occhi e cospargerli di cenerecredo non lo
impedirebbeconsiderandoci competenti».
«Dici il vero».
«E allora non affiderebbe anche a noi più che a se stesso e al propriofiglio tutto il resto in cui noi apparissimo ai suoi
occhi più sapienti di loro?» «NecessariamenteSocrate»rispose.
«Dunque è cosìcaro Liside: le cose in cui siamo saggi tutti ce leaffidanoElleni e barbariuomini e donnee in esse
faremo ciò che vogliamo e nessuno deliberatamente ce lo impediràma inesse saremo libericomanderemo sugli altri
saranno cose nostre e quindi ne trarremo vantaggi.
Invece le cose nelle quali non saremo abili nessuno ce le affiderà per farnequel che ci parema tutti ce lo impediranno
per quanto possononon solo gli estranei ma anche nostro padrenostra madree coloro che ci sono ancora più vicinie
in esse dipenderemo dagli altri e ci saranno estraneepoiché non netrarremo guadagno alcuno. Sei d'accordo che la
questione stia in questi termini?» «Sono d'accordo».
«Dunque allora saremo amici di qualcuno e qualcuno ci amerà in relazione aciò in cui non potremo essere di utilità
alcuna?» «No di certo»rispose.
«Dunque ora né tuo padre ama tené un altro amerà chi è inutile».
«Così pare»disse.
«Se dunque diventi sapienteragazzotutti ti saranno amici e intimi -perché sarai utile e buono - altrimenti nessun altro
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nemmeno tuo padretua madre e i parenti ti saranno amici. PertantoLisideè possibile essere orgogliosi di sé nelle
cose in cui non si sa ancora pensare?» «E come potrebbe essere?»chiese.
«E se dunque hai bisogno di un maestro non sai ancora pensare».
«Dici il vero».
«Quindi non puoi essere capace di grandi pensierise sei ancora privo dipensiero».
«Per ZeusSocratenon mi sembra»disse.
Iodopo averlo ascoltatomi voltai verso Ippotale e poco mancò che noncommettessi un grande errorepoiché mi
venne da dire: «CosìIppotalebisogna parlare all'amatoumiliandolo esminuendolo e noncome fai tuinsuperbendolo
e blandendolo».
Peròvedendolo in ansia e turbato da ciò che si dicevami ricotdai chevoleva assistere senza che Liside se ne
accorgessequindi mi ripresi e mi trattenni dal rivolgergli la parola. Aquesto punto ritornò Menesseno e si sedette
accanto a Lisidenel posto da cui si era alzato. Liside allorain modomolto fanciullesco e amichevoledi nascosto a
Menesseno mi disse a voce bassa: «Socratedi' anche a Menesseno ciò chedicevi a me poco fa».
E io risposi: «Glielo dirai tuLisidegiacché hai prestato moltaattenzione».
«Certo»disse.
«Dunque prova a ricordartelo nel modo migliore possibileper riferirglitutto per filo e per segno. Ma se qualcosa ti
sfuggeme lo richiederai la prima volta che mi incontri» continuai io.
«Lo faròSocratecon molto impegnosappilo bene. Ma digli qualcos'altroperché io possa ascoltare fino a quando non
arriva l'ora di tornare a casa»disse.
«Bisogna farlodal momento che me lo ordini. Ma bada di venirmi in aiutose Menesseno cerca di confutarmi; o non
sai che è un eristico?»(12) chiesi io.
«Sìper Zeuse anche abile: per questo voglio che tu discuta con lui»rispose.
«Per rendermi ridicolo?»domandai.
«Noper Zeusma per dargli una lezione»rispose.
«E come? Non è facilepoiché è un uomo abileallievo di Ctesippo.
Ma c'è anche lui - non lo vedi? -Ctesippo»notai.
«Non preoccuparti di nessunoSocratema sudiscuti con lui»disse.
«Bisogna discutere»così dissi.
Dunquementre parlavamo tra noiCtesippo chiese: «Perché conversatesoltanto voi due e non ci coinvolgete nella
discussione?» «Ma certopartecipate pure. Costui infatti non comprendenulla di ciò che dicoma afferma che
Menesseno crede di saperlo e mi ordina di interrogare lui»dissi io.
«E allora perché non lo interroghi?»chiese Ctesippo.
Io risposi: «Lo interrogherò. Menessenorispondi a ciò che ti chiedo. Finda ragazzo io desidero una cosa come un altro
ne desidera un'altra; uno desidera avere dei cavalliun altro dei caniunodell'oroun altro onori. Io invece non smanio
per queste cosementre desidero ardentemente avere degli amici e preferireiavere un buon amico piuttosto che la
quaglia e il gallo (13) più belli che ci siano eper Zeuspiuttosto che uncavallo o un cane - e credo proprio che
preferirei di gran lunga avere un amico piuttosto che l'oro di Dario(14)anzi piuttosto che Dario stesso - a tal punto
amo l'amicizia. Quindi vedendo voite e Lisidesono rimasto colpito e viconsidero felici perchépur essendo così
giovanisiete in grado di ottenere velocemente e con facilità questo bene etu hai trovato molto rapidamente questo
amico e lui te.
E dimmi: quando uno ama un altrochi dei due diventa amico dell'altrochiama di colui che è amato o chi è amato di
colui che ama?
O non c'è alcuna differenza?» «A me pare che non ci sia nessunadifferenza»rispose.
«Come dici? Dunque se uno solo ama l'altrodiventano entrambi amici unodell'altro?»chiesi io.
«Io la penso così»rispose.
«E allora? Non è possibile che chi ama non venga ricambiato da colui cheegli ama?» «è possibile».
«E allora? è dunque possibile che chi ama sia odiato? Talvoltaad esempiogli innamorati credono di subire questo dai
loro amati: infattipur amando quanto di più non potrebberoalcuni credonodi non essere ricambiatialtri addirittura di
essere odiati.
Non ti sembra che sia vero?» «è del tutto vero»rispose.
«Dunque in questo caso uno ama e l'altro è amato?»chiesi.
«Sì».
«Chi dei due quindi è amico dell'altro? Chi ama di colui che è amatosianel caso in cui sia ricambiato sia in quello in
cui sia odiatoo chi è amato di colui che ama? O in tal caso nessuno deidue è amico dell'altrodato che entrambi non si
amano a vicenda?» «Sembra proprio così».
«Dunque ciò che pensiamo ora è diverso da quanto pensavamo in precedenza:allora pensavamo che se uno dei due
prova amoreentrambi sono amiciora invece pensiamo che nessuno dei due siaamico dell'altrose non sono entrambi
a provare amore».
«è probabile»disse.
«Dunque per chi ama non c'è amicizia se non è ricambiato».
«Nopare».
«Quindi non sono amanti dei cavalli quelli che non sono amati dai cavalliné amici delle quagliedei cani o del vino o
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della ginnastica o della sapienzase la sapienza non li ama. O ciascuno amacomunque queste cose che non gli sono
amiche e allora il poeta che disse: "Fortunato chi ha per amici deifanciulli e cavalli solidunguli e cani da caccia e un
ospite di terra lontana" (15) mentiva?» «Non mi sembra»rispose.
«Ti sembra che il poeta dica il vero?» «Sì».
«Alloraa quanto pareciò che è amato è amico di ciò che lo amaMenessenosia nel caso in cui ami sia in quello in cui
odi; per esempioanche tra i bambini piccolialcuni non amano ancoraaltrigià odianoquando vengono puniti dalla
madre o dal padre; tuttaviaanche nel caso in cui provino odiosono quantodi più caro i loro genitori hanno».
«A me pare che sta così»disse.
«Dunque ne consegue da questo ragionamento che amico non è chi ama ma chiè amato».
«Sembra».
«è dunque nemico chi è odiato e non chi odia».
«Così pare».
«Quindi molti sono amati dai nemici e odiati dagli amici e sono amici deinemici e nemici degli amicise amico è ciò
che è amato e non ciò che ama. Eppurecaro amicoè del tutto privo dilogicaanzi credo che sia impossibile essere
nemico dell'amico e amico del nemico».
«Mi sembra che tu dica la veritàSocrate»disse.
«Dunque se questo è impossibileciò che ama sarebbe amico di ciò che èamato».
«Così sembra»disse.
«E quindi ciò che odia sarebbe nemico di ciò che è odiato».
«Di necessità».
«Pertanto risulterà necessario arrivare alle stesse conclusioni di primacioè che spesso si è amici di coloro che non lo
sono e spesso addirittura di coloro che sono nemiciquando si ama senzaessere ricambiati o quando si ama chi invece
nutre odioe che spesso si è nemici di coloro che non lo sono o addiritturadi coloro che sono amiciquando si odia chi
a sua volta non odia o addirittura nutre amore».
«è probabile»disse.
«Dunque come ci comporteremo se amici non saranno né quelli che amano néquelli che sono amati né quelli che nel
contempo amano e sono amati? Diremo che oltre a questi casi vi sono ancorapersone amiche tra loro?»domandai.
«Noper ZeusSocratenon è affatto facile risolvere bene la questione»disse.
«Forse allora non abbiamo condotto la ricerca in modo del tutto corretto?»chiesi.
«Non mi pareSocrate»disse Lisidee mentre parlava arrossìinfatti misembrò che quelle parole gli fossero sfuggite
involontariamenteper la grande attenzione prestata alla discussioneed erachiaro che ascoltava con grande interesse.
Dunque iovolendo concedere una tregua a Menesseno e compiaciuto per l'amoredel sapere mostrato da Lisidemi
volsi a discutere con lui e dissi: «Lisidemi sembra che tu dica il veroquando affermi chese avessimo indagato
correttamentenon avremmo mai sbagliato in questo modo.
Allora non procediamo più per questa via - quello della ricerca mi sembra unpercorso difficile -; mi pare invece che
dobbiamo proseguire per la via lungo la quale ci eravamo avviati esaminando ipoeti. Costoro per noicome padri e
guide della sapienzadicono cose non da poco quando parlano degli amiciquelli che sono tali: anzi dicono che il dio
stesso li rende amiciavvicinandoli gli uni agli altri.
Dicono all'incirca cosìcredo: "il dio conduce sempre il simile versoil simile" (16) e li fa conoscere. Non hai mai letto
questi versi?» «Sì»rispose. «E non hai letto gli scritti dei piùsapienti che dicono le stesse cosecioè che è giocoforza
che il simile sia sempre amico del simile? Costoro sono quelli che scrivonosulla natura e sul tutto». «Dici il vero».
«Dunque dicono bene?»chiesi.
«Probabilmente»rispose. Continuai: «Probabilmente a metà o forse deltuttoma noi non li capiamoinfatti ci sembra
che il malvagioquanto più si avvicina e frequenta il malvagiotanto piùne diventi nemicopoiché commette
ingiustiziaed è impossibile che chi commette ingiustizia e chi la subiscesiano amici. Non è così?» «Sì»rispose. «In
questo mododunquela metà di quel detto non sarebbe verase i malvagisono simili tra loro».
«Dici il vero».
«Ma credo che essi vogliano dire che i buoni sono simili tra loro e amicimentre i cattivicosa che appunto si dice di
loronon sono mai simili neppure a se stessima sono incostanti einstabilie ciò che è dissimile e diverso da se stesso
difficilmente potrebbe essere simile o amico di altro. O non ti sembracosì?» «Sì»disse.
«Quindimi parea questo alludonoamicocoloro che affermano che ilsimile è amico del similecioè che solo il
buono è amico unicamente del buonomentre il cattivo non è mai veramenteamico né del buono né del cattivo. Sei
d'accordo?». Annuì. «Dunque ormai sappiamo chi sono gli amici: ilragionamento ci indica che sono i buoni».
«Mi sembra che sia proprio così»disse.
Continuai: «Anche a me. Eppure qualcosa non mi soddisfa: super Zeusvediamo in cosa consiste il mio sospetto. Il
similein quanto simileè amico del similee come tale è utile all'altroche è tale? O meglio: una qualunque cosa simile
quale utilità o quale danno comporta a una qualunque cosa a essa simile cheanche questa non possa comportare a se
stessa? O cosa potrebbe subire che non possa subire anche per opera propria?Cose simili come potrebbero amarsi
reciprocamentese non ricevono alcun vantaggio l'una dall'altra? èpossibile?» «Non lo è».
«E ciò che non è amatocome può essere amico?» «In nessun modo».
«Allora il simile non è amico del simile e il buonoin quanto buonononin quanto similesarebbe amico del buono?»
«Forse».
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«E allora? Il buono in quanto buono non sarebbe sufficiente in quanto tale ase stesso?» «Sì».
«E chi è autosufficientenella misura della propria autosufficienzanonha bisogno di nulla».
«E come no?» «E chi non ha bisogno di nullaa nulla aspira».
«Certo che no».
«E colui che non desidera nullaneppure ama».
«No».
«E chi non ama non è un amico».
«Pare di no».
«Dunque i buoni come saranno fin da principio amici dei buonise quandosono lontani non si desiderano a vicenda -
infatti anche quando sono separati sono autosufficienti - e quando sonovicini non hanno un'utilità reciproca? Quale
stratagemma potrebbe farli apprezzare vicendevolmente?» «Nessuno»rispose.
«E non potrebbero essere amici se non si apprezzano a vicenda».
«Dici il vero».
«GuardaLisidedove siamo andati a cozzare. Dunque ci siamo completamenteingannati?» «Come?»chiese.
«Ho già sentito dire una volta da unoe adesso me ne ricordoche ilsimile è assai ostile al simile e i buoni ai buoni e
chiamava a testimone Esiododicendo: "il vasaio odia il vasaiol'aedoodia l'aedo e il mendicante odia il
mendicante".(17) E quanto al resto diceva che giocoforza le cose piùsimili sono piene di invidiarivalità e ostilità
reciprocamentre quelle più dissimili sono le più propense all'amicizia:infatti il povero è costretto a essere amico del
riccoil debole del forte per averne aiutoil malato del medico e chiunquenon sa cerca e ama chi sa. E proseguiva nel
ragionamento in modo ancora più convincentedicendo che il simile è assailontano dall'essere amico del simileanzi
sarebbe proprio il contrariodal momento che l'opposto è amico soprattuttodel suo oppostopoiché ogni cosa desidera
il suo contrarionon il simile. Il secco desidera l'umidoil freddo ilcaldol'amaro il dolcel'acuto l'ottusoil vuoto il
pienoil pieno il vuoto e così viasecondo il medesimo rapporto. Ilcontrario infatti è nutrimento per il contrariomentre
il simile non trae vantaggio alcuno dal simile. E certoamico miodicendoquesto sembrava un tipo raffinatotanto bene
parlava. Ma a voi come sembra che parli?»chiesi.
«Benealmeno a sentirlo così»rispose Menesseno.
«Dunque dobbiamo dire che il contrario è soprattutto amico di ciò che alui contrario?» «Certo».
«Bene: ma non è stranoMenesseno? E soddisfatti ci assaliranno subitoquesti pozzi di sapienzagli antilogici(18) e ci
domanderanno se l'odio non sia quanto di più contrario rispettoall'amicizia.
Cosa risponderemo loro? Non dobbiamo per forza ammettere che dicono laverità?»chiesi.
«Per forza».
«E dunquedirannociò che è nemico è amico di ciò che è amico o amicodi ciò che è nemico?» «Né l'una né l'altra
cosa» rispose.
«Ciò che è giusto di ciò che è ingiustociò che è saggio di ciò cheè intemperanteciò che è buono di ciò che è cattivo?»
«Non credo che le cose stiano così».
Io dissi: «E tuttavia se una cosa è amica di un'altra in base allacontrarietàè necessario che anche queste cose siano
amiche».
«Di necessità».
«Dunque né il simile è amico del simile né il contrario è amico delcontrario».
«Pare di no».
«Esaminiamo ancora questo punto: a noi non sfugge più il fatto chel'amicizia non è veramente nulla di tutto questoma
è ciò che non è né buono né cattivo che diventa così amico del buono».
«Come dici?»chiese.
«Per Zeusnon soma veramente ho io stesso le vertigini per la difficoltàdel ragionamento e forsesecondo l'antico
proverbiociò che è amico è il bello. Il bello assomiglia a qualcosa dimorbidoliscio e lucente e per questo forse ci
sfugge e scivola via facilmentepoiché è tale. Dico infatti che il buonoè bello. Non credi?» «Sì».
«Dico dunquedivinandoloche amico del bello e del buono è ciò che nonè né buono nè cattivo. Ascolta in rapporto a
cosa lo divino. A me sembra che ci siano come tre categorie: il buonoilcattivo e ciò che non è né buono né cattivo. E a
te?» «Anche a me»disse.
«E che né il buono sia amico del buono né il cattivo del cattivo nè ilbuono del cattivocome neppure il ragionamento
precedente consente. Resta allora chese una cosa è amica di un'altraciòche non è né buono né cattivo sta amico o del
buono o di ciò che è tale quale esso ècioè né buono né cattivoperché una cosa non potrebbe essere amica del cattivo».
«Dici il vero».
«Né il simile del similedicevamo poco fa: non è così?» «Sì».
«Dunque ciò che è tale e quale ad esso non sarà amico né del buono nédel cattivo».
«Pare di no».
«Quindi ne risulta che solo al buono è amico unicamente ciò che non è nébuono né cattivo».
«Pare debba essere così».
«Ragazzi»dissi«ci guida bene ciò che si è detto ora? Se vogliamoconsiderare il corpo sanoesso non ha affatto
bisogno della medicina né di un aiutoinfatti è autosufficientesicchénessunoquando sta beneè amico del medico
considerata la sua buona salute. O non è così?» «Sìnessuno».
«Invece il malatocredolo è a causa della malattia».
Platone Liside
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«E come no?» «Dunque la malattia è un malementre la medicina è cosautile e buona».
«Sì».
«E il corpo in quanto corpo non è né buono né cattivo».
«è così».
«Il corpo è costretto dalla malattia ad accettare e amare la medicina».
«Così la penso».
«Quindi ciò che non è né cattivo né buono diviene amico del buono per lapresenza di un male?» «A quanto pare».
«Ma è chiaro che ciò avviene prima che esso diventi cattivo a causa delmale che haperché una volta diventato cattivo
non potrebbe desiderare ancora il bene ed esserne amicodato che dicevamoche è impossibile che il cattivo sia amico
del buono».
«Infatti è impossibile».
«Esaminate ciò che dico: dico infatti che alcune cose sono determinate daciò che è presente in esse e altre no: per
esempiose qualcuno volesse spalmare di colore una cosa qualsiasiciò cheè spalmato è presente su ciò su cui è
spalmato».
«Certo».
«E allora ciò su cui è spalmato è tale nel colore quale ciò che vi sitrova sopra?» «Non capisco»disse.
«Pensala così»dissi: «se qualcuno spalmasse di biacca i tuoi capelliche sono biondiallora essi sarebbero o
apparirebbero bianchi?» «Lo sembrerebbero»rispose.
«Eppure in essi sarebbe presente la bianchezza».
«Sì».
«E tuttavia non sarebbero più bianchianzipur essendo presente in essila bianchezzanon sarebbero né bianchi nè
neri».
«è vero».
«Ma quandoamico miola vecchiaia porta ad essi questo medesimo coloreallora diventerebbero come ciò che è
presente in essicioè bianchi per la presenza del bianco».
«E come potrebbe non essere così?» «Ora dunque questo ti chiedo: se inuna cosa ne è presente un'altraquella che la
possiede sarà come quella che vi è presente o lo sarà se quella èpresente in un certo modoaltrimenti no?» «è così
piuttosto»rispose.
«E dunque ciò che non è né cattivo né buonoquando è presente un maletalvolta non è ancora cattivoma lo è quando
ormai è diventato tale».
«Certo».
«Dunquequando pur essendo presente un maleesso non è ancora cattivoquesta presenza gli fa desiderare il bene
quando invece lo rende cattivolo priva anche del desiderio e dell'amore peril bene. Infatti non è più né cattivo né
buonoma cattivoe il cattivo non è amico del buonodicevamo».
«Noinfatti».
«Per questo potremmo dire che anche quelli che sono già sapienti non amanopiù la sapienzasiano essi dèi o uomini.
Né d'altra parte amano la sapienza coloro che hanno un'ignoranza tale che lirende cattivi: infatti nessuno che sia cattivo
e ignorante ama la sapienza. Restano quelli che hanno questo malel'ignoranzama non sono ancora diventati privi di
senno e ignoranti per opera sua e ammettono ancora di non sapere ciò che nonsanno. Perciò sono amanti della sapienza
quelli che non sono ancora né buoni né cattiviin quanto i cattivi nonamano la sapienza né lo fanno i buoniinfatti nei
ragionamenti precedenti ci è apparso che né il contrario è amico delcontrarioné il simile del simile.
O non ricordate?» «Certo»risposero.
«Ora dunqueLiside e Menesseno»dissi«abbiamo trovato fra tutte lecose ciò che è amico e ciò che non lo è. Infatti
diciamo che sia che si tratti dell'animasia che si tratti del corpo o diqualunque altra cosaciò che non è né buono né
cattivo è amico del bene per la presenza del male». Entrambi furonoassoluta- mente d'accordo e ammisero che fosse
così.
Anch'io ero molto contentocome un cacciatore che è felice di ciò che hacacciatoma poinon so comemi venne lo
stranissimo sospetto che non fossero vere le nostre conclusioni e subitodissi crucciato: «AhimèLiside e Menesseno
forse è un sogno il fatto che ci siamo arricchiti di conoscenza».
«Perché?»chiese Menesseno.
«Temo»dissi io«che a proposito dell'amicizia siamo incorsi inragionamenti come quelli che fanno i ciarlatani».
«Come?»chiese.
«Procediamo così nel ragionamento»dissi io: «chi è amico è amico diqualcuno o no?» «Per forza»rispose.
«Dunque lo è senza nessuno scopo e senza nessuna causa o per qualche scopoe per qualche causa?» «Per qualche
scopo e a causa di qualcosa».
«E quella cosa in vista della quale l'amico è amico dell'amicoè amicaanch'essa o non è né amica né nemica?» «Non ti
seguo del tutto»rispose.
«è naturale»dissi«ma forse così mi seguirai ecredoanche iosaprò meglio ciò che dico. Il malatodicevamo poco fa
è amico del medico; non è così?» «Sì».
«E dunque è amico del medico a causa della malattia e in vista della saluteda riacquistare?» «Sì».
«E la malattia è un male?» «E come potrebbe non esserlo?» «E lasalute»chiedevo«è un bene o un male o non è
nessuna delle due cose?» «è un bene»rispose.
Platone Liside
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«Dicevamo dunque chea quanto sembrail corpo che non è né buono nécattivoa causa della malattiacioè a causa del
maleè amico della medicinae la medicina è un bene; e la medicinaottiene l'amicizia in vista della salutee la salute è
un bene. Non è così?» «Sì».
«E la salute è una cosa amica o no?» «è una cosa amica».
«E la malattia è una cosa nemica».
«Certo».
«Dunque ciò che non è né cattivo né buonoa causa di ciò che ècattivo e nemicoè amico del bene in vista di ciò che è
buono e amico».
«Sembra».
«Dunque ciò che è amico è amico in vista di ciò che è amico e a causadi ciò che è nemico».
«Così pare».
«Bene»dissi: «dal momento che siamo arrivati a questoragazzifacciamoattenzione a non ingannarci. Infatti lascio
stare il fatto che ciò che è amico sia diventato amico di ciò che è amicoe che il simile sia amico del simile - cosa
questache abbiamo detto essere impossibile -tuttavia badiamo a questoche non ci inganni ciò che ora è stato detto.
La medicinadiciamoè una cosa amica in vista della salute».
«Sì».
«Dunque anche la salute è cosa amica?» «Certo».
«Se dunque è amicalo è in vista di qualcosa».
«Sì».
«Di una cosa amicase sarà la conseguenza dell'ammissione precedente».
«Certo».
«Dunque anche ciò sarà cosa a sua volta amica in vista di una cosaamica?» «Sì».
«Quindi non è necessario che rinunciamo a procedere così o arriviamo a unprincipio che non si riferirà più a un'altra
cosa amicama giungerà a quella che è la prima cosa amica in vista dellaquale diciamo che anche tutte le altre cose
sono amiche?» «è necessario».
«Questo è ciò che voglio dire: badiamo al fatto che non ci ingannino tuttele altre cose che abbiamo detto essere amiche
in vista di quella e che sono come sue immagini e facciamo attenzione che sitratti di quella prima cosa che è veramente
amica. Infatti riflettiamo in questo modo: quando qualcuno tiene qualcosa ingrande considerazionead esempio in
taluni casi un padre che antepone suo figlio a tutti gli altri beniegli cheè tale da considerare suo figlio più importante
di tuttonon apprezzerà forse molto anche qualche altra cosa? Per esempiose si rendesse conto che il figlio ha bevuto
la cicutanon terrebbe in grande considerazione il vinose lo ritenesseutile per salvare il figlio?» «Sìcerto. E allora?»
domandò.
«Dunque apprezzerebbe anche il recipiente in cui ci fosse quel vino?»«Certo».
«E allora non tiene forse in maggior considerazione una tazza d'argillarispetto a suo figlio o tre cotile (19) di vino più
di suo figlio? O le cose forse stanno così: tutta la sua attenzione non èrivolta a questi oggetti predisposti in vista di
qualcos'altroma a quel fine in vista del quale sono tutti predisposti.
Nonché spesso diciamo di apprezzare molto l'oro e l'ar gentoma forse laverità non è per niente questae ciò che
teniamo in grande considerazione è quello che appare come ciò in vista delquale si predispongono l'oro e ogni altro
oggetto. Diremo dunque così?» «Certo».
«E dunque lo stesso ragionamento non vale anche per ciò che è amico?
Infatti quando definiamo cose amiche quelle che per noi lo sono in vista diun'altra cosa amicaci riferiamo a esse
evidentemente con una parola sola; ma è probabile che veramente amica siaproprio quella mèta alla quale tendono tutte
le cosiddette amicizie».
«Probabilmente è così»disse.
«Dunque ciò che è realmente amico non lo è in vista di un'altra cosa?»«è vero».
«Ci siamo sbarazzati anche di questo problema: l'amico è amico ma non invista di una cosa amica. Ma dunque il bene è
ciò che è amico?» «A me pare di sì».
«Quindi allora il bene è amato a causa del malee le cose stanno così: sedelle tre categorie che enumeravamo poco fa
cioè il buonoil cattivo e ciò che non è né buono né cattivo ne fosseroconservate duementre il male si togliesse di
mezzo e non si attaccasse a nullané al corponé all'anima né alle altrecose che diciamo non essere in sé né cattive né
buoneallora il bene non ci sarebbe per niente utile ma sarebbe diventatoinutile? Se infatti nulla ci potesse più
danneggiarenon avremmo bisogno di alcun aiuto e così diventerebbe chiaroche accoglievamo e amavamo il bene a
causa del malepensando che il bene fosse un rimedio al male e il male unamalattia: ma se non c'è la malattianon c'è
nemmeno bisogno di una medicina. Dunque il bene è così per sua natura e acausa del male esso è amato da noiche
siamo a metà tra il male e il benementre esso per se stesso non ha alcunautilità?» «Sembra che sia così»rispose.
«Dunque quella mèta per noi amicaalla quale tutte le altre sonofinalizzate - dicevamo che quelle erano amiche in vista
di un'altra cosa amica - non assomiglia a queste. Infatti queste sonochiamate amiche in vista di una cosa amicamentre
la vera amicizia sembra essere per natura tutto il contrario di questopoiché ci è parso che ciò che è amico lo sia a causa
di ciò che è nemicoma se ciò che è nemico si allontananon ci è piùamicoa quanto pare».
«Mi pare di noin base a quello che ora si è detto»rispose.
«Per Zeus!»dissi io. «Se il male spariscenon ci sarà né fame nésete né altri mali simili? O la fame ci saràse ci sono
gli uomini e gli altri esseri viventima non sarà dannosa? E la sete e glialtri desideri ci sarannoma non saranno cattivi
Platone Liside
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poiché il male è scomparso? O è ridicolo chiedersi cosa ci sarà o non cisarà allora? Infatti chi può saperlo? Ma questo
dunque sappiamoche avere fame può essere ora dannosoora utileo no?»«Certo».
«Dunque avere sete e tutti gli altri desideri di questo genere talvoltapossono essere utilitalvolta dannosi e talvolta né
l'uno né l'altro?» «Certo».
«Pertanto se i mali sparisconoperché devono scomparire con essi anche lecose che non sono mali?» «Per nessun
motivo».
«Dunque se i mali sparisconoci saranno i desideri che non sono né buoninè cattivi».
«Sembra».
«E dunque possibile che chi desidera e ama non sia amico di chi desidera eama?» «Non mi sembra».
«Dunquea quanto pareci saranno alcune cose amicheanche se i malispariscono».
«Sì».
«E se il male fosse causa dell'amiciziasparito questouna cosa nonpotrebbe certo essere amica di un'altra: infatti
venuta meno la causasarebbe impossibile che esistesse ancora ciò di cuiquesta era la causa».
«Dici bene».
«Dunque noi avevamo convenuto che ciò che è amico ama qualcosa e a causadi qualcosa: e allora non avevamo
creduto che ciò che non è né buono né cattivo amasse il bene a causa delmale?» «è vero».
«Orainvecea quanto paresembra essere altra la causa dell'amare edell'essere amato».
«A quanto pare».
«Dunque realmentecome dicevamo poco fail desiderio è causadell'amiciziae ciò che desidera è amico di ciò che è
desideratoquando lo desideramentre ciò che prima dicevamo essere amicoera una chiacchiera o una sorta di un lungo
elaborato poema?» «Forse»disse.
«Tuttavia»dissi«ciò che desidera desidera ciò di cui è privoo nonè così?» «Sì».
«E quindi ciò che è mancante è amico dì ciò che manca?» «Cosìcredo».
«Ed è privo di ciò che gli è stato eventualmente sottratto».
«E come no?» «Alloraa quanto parel'amorel'amicizia e il desiderio losono di ciò che è propriocome sembra
Menesseno e Liside». Assentirono.
«Se voi dunque siete amici uno dell'altroper natura siete in un certo qualmodo affini l'uno all'altro».
«Esattamente»dissero.
«E se pertanto uno desidera o ama l'altroragazzi mieinon potrebbe maidesiderarlo né amarlo né essergli amicose
non fosse affine all'oggetto del suo amore o nell'anima o in qualche altraaltra attitudine dell'anima o nei comportamenti
o nell'aspetto»dissi io.
«Certo»disse Menessenomentre Liside taceva.
«Bene!»dissi: «a noi è parso che sia necessario amare ciò che èaffine per natura».
«A quanto pare»disse.
«Dunque è necessario per l'amante reale e non fittizio essere ricambiatodal suo amato».
Liside e Menesseno assentirono anche se a stentomentre Ippotale diventavadì tutti i colori per il piacere.
E iovolendo esaminare il ragionamentodissi: «Se ciò che è affine èdifferente in qualcosa da ciò che è similea quanto
pareLiside e Menessenopotremmo dire dell'amicizia ciò che essa è; seinvece simile e affine sono identicinon sarà
facile respingere il precedente ragionamento in base al quale il simile èinutile al simile in virtù della somiglianza: ma è
assurdo ammettere che l'inutile sia amico.
Dunque»dissi«dato che siamo come ubriachi per il ragionamentovoleteche diamo per scontato e ammettiamo che
l'affine è diverso dal simile?» «Certo».
«Quindi stabiliremo che il bene è affine a ogni cosa e il male è estraneoa tutto? O che il male è affine al maleil bene al
bene e ciò che non è né bene né male a ciò che non è né bene némale?». Risposero che secondo loro ogni cosa è affine
a ciò che le è corrispondente.
«Dunqueragazzi»dissi«siamo caduti dì nuovo nei ragionamentisull'amicizia che prima abbiamo respinto: infatti
l'ingiusto sarà amico dell'ingiustoil cattivo del cattivo non meno che ilbuono del buono».
«Pare di sì»rispose.
«E allora? Diciamo che il buono e l'affine sono la stessa cosa; non diciamoforse che solo il buono è amico del buono?»
«Certo».
«Ma anche su questo punto credevamo di poter essere confutati; o nonricordate?» «Ricordiamo».
«Dunque cosa ricaveremo ancora dalla discussione? O è evidente che nonricaveremo nulla? Dunque vi pregocome
fanno gli esperti nei tribunalidi riflettere su tutto ciò che si è detto.Se infatti né gli amati né gli amantiné i simili né i
dissimiliné i buoniné gli affininé tutte le altre condizioni cheabbiamo enumerato - io infatti non me le ricordodato
il loro gran numero - se nulla di ciò è amiconon so più cosa dire».
Dopo aver detto queste paroleavevo in mente di coinvolgere nelladiscussione qualcun altro dei più anzianima allora
come démonisi avvicinarono i pedagoghi di Menesseno e di Liside con i lorofratellili chiamarono e ordinarono loro
di tornare a casapoiché era già tardi.
Dapprima noi e i presenti cercammo di allontanarlima poiché non sicuravano affatto di noianzi si irritavano nel loro
parlare barbaro e nondimeno li chiamavano e ci pareva che avessero bevutoalla festa di Ermes e quindi fossero difficili
da avvicinarevinti da essi sciogliemmo la riunione. Tuttaviamentre essisi allontanavanoio dissi: «OraLiside e
Menessenosiamo diventati ridicoli ioun vecchioe voi. Infatti costoroandandosene diranno che noi crediamo di
Platone Liside
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essere amici uno dell'altro - mi pongo anch'io tra voi - e non siamo statiancora capaci di trovare cos'è l'amico».
Platone Liside
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NOTE: 1) Giardino a nord di Atenedove Platone avrebbe poi fondato la suascuola.
2) Ginnasio presso il tempio di Apolloa nord-est di Atene.
3) Sembra assai improbabile che sia il discepolo di Platone nominato daDiogene LaerzioLibro 345.
4) Ctesippoche non è l'omonimo figlio di Critoneera un discepolo diSocrate presente alla morte del maestroè uno
degli interlocutori dell'Eutidemo.
5) Di costui nulla si sa.
6) Le Pitiche erano feste in onore di Apollocelebrate a Delfi ogni quattroanni; le Istmiche ricorrevano invece a
Corinto ogni due anni ed erano in onore di Poseidone; le Nemeeinfinesitenevano ogni due anni in onore di Zeus:
prima ebbero come luogo deputato la valle di Nemeapoi Argo.
7) Ermes era il dio patrono dei ginnasi e delle palestre.
8) è il protagonista dell'omonimo dialogo platonico.
9) Gli astragali sono una sorta di dadi.
10) Il pedagogo era uno schiavo che aveva il compito di sorvegliare i figlidel padrone.
11) Il re dei Persianisecondo l'abituale denominazione greca.
12) L'eristica era la tecnica finalizzata a confutare con ogni mezzo le tesiavversarie per far prevalere le proprieanche
se per fare questo poteva raggiungere risultati contraddittori tra loro.
13) Entrambi uccelli addestrati per il combattimento.
14) Darioil ricchissimo re dei Persianiaveva regnato dal 521 al 485 a.C:aveva tentato l'invasione della Greciama
venne bloccato e sconfitto a Maratona nel 490.
15) Si tratta di un frammento di Solone (17 Gentili-Prato).
16) OmeroOdyssea libro 17218.
17) EsiodoOpera et dies 25-26.
18. Gli antilogici erano coloro che teorizzavano e praticavano lapossibilità di contraddire ogni argomentazione e ogni
ragionamento.
19) La cotila è un'unità di misura che equivale all'incirca a un quarto dilitro.