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LA REGINOTTAA Carluccio Ottino
I patti erano questi:io dovevo scrivere una bella fiabadicevi; tu dovevi stamparlain una magnifica edizionecoi quattrini delle tue strenne.Povero editorino mio! Hai tribolato un annocome gli editori grandiper aver in mano il manoscritto.Mi ero incaponito a volerti regalare una fiaba proprio nuova di zeccae non ci riuscivo. C'è voluto un anno per persuadermi che le fiabepari ai poemi e alle tragedienon è possibile rifarle. Perciò ho tentatoalla megliodi ricorrere alla memoria.Quand'ero bimbonelle giornatacce d'invernola Mamma mandava a chiamare in casa nostra la moglie d'un ciabattino famosa per raccontar fiabe. Son tornato addietroa quegli annia quelle giornatacce d'invernoquando ci stringevamo tuttifratellini e sorellineattorno il gran braciere di rame rosso che il babbobuon'anima! si teneva fra le gambe; eintanto che la zia Angiolafilando in piediraccontavasenza mai stancarsile sue storie meravigliosestavamo cheti come l'olioa bocca apertaincantati per ore ed ore.È una di quelle questa qui che io ti ripetoahimè non così bene come la zia Angiola la raccontava!In ogni modoecco adempita la mia promessa: meglio tardi che mai. Adempisci ora tuper la tua facile parte d'editorino di nove anni.Tante cose alla tua buona Mamma e al tuo Babboe un bacio per te del Tuo aff.mo Luigi Capuana
Milano16 novembre 1881
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C'era una volta un Re e una Regina che avevano una figliuola più bella della luna e del sole.
Un giornodopo il pranzoil Re disse alla Regina:
- Maestàguardate quitra i capelli. Sento qualche cosa che mi morde.
La Regina osservòscostando i capelli colle ditae trovò un pidocchio che era uno stupore. Stava per ischiacciarlo.
- No - disse il Re. - Proviamo d'allevarlo.
E misero il pidocchio in uno scatolino piccino piccino.
Gli davan da mangiare ogni giornoe quello cresceva e ingrassava. Presto dovettero levarlo via di lì perché non ci capiva piùcosì grosso s'era fatto. Il Recurioso di vedere fin dove sarebbe arrivatolo trattava benee insieme alla Reginaandava tutti i giorni ad osservarlo in quella stanza del palazzo reale dove lo tenevano nascosto. Il pidocchio crescevacresceva. Furon costretti a levarlo via anche da quell'altro scatolino; era più grosso d'un pugno: si stentava a riconoscere che fosse un pidocchio. Insommacrescicrescidiventò quanto una gallina e poteva appena muoversidalla gran ciccia che avea addosso.
Allora il Re lo ammazzòlo scorticò e ne conciò la pelle. E fece un bando:
- Chi indovina che pelle di animale sia questaavrà la Reginotta mia figliuola in isposa. Chi non sa indovinarlogli si taglia la testa.
La Reginotta era angustiata.
- Che marito le sarebbe toccato in sorte?
E piangeva. Ma il Re voleva così e bisognava ubbidire!
Accorsero parecchie persone da tutti i punti del regno. Chi disse la pelle essere d'un animalechi d'un altro; ed ebberosenza misericordiatagliate le teste.
Si provarono altri. L'idea di sposar la Reginotta era una gran tentazionee pareva cosa facile il conoscere una pelle d'animale. Peròquand'erano lìrimanevano. E il Resenza misericordiagli faceva tagliare le teste.
Finalmenteecco un bel giovane.
- Peccato! Verrà fatta la festa anche a lui!
Tutti ne aveano compassione vedendolo così giovane e così bello. Perfino il Re gli disse di pensarci due volte prima d'esporsi al cimento. Ma quegliostinatoentrava nella sala dov'era esposta la pelle.
- È pelle di pidocchio!- Bravo! - gli disse il Re. - Tu sposerai la Reginotta.
L'abbracciòlo ritenne a pranzo e ordinò feste per tutto il regno.
La Reginotta era contenta. Lo sposogiovane e bellopareva anche d'alto lignaggio.
- Chi sei? - gli domandò il Re a tavola.- Son carne battezzata e ho sangue reale nelle vene.- E dov'è il tuo paese?- Il mio paese? È lontanolontano. Per andarvi ci si mette un announ mese e un giornoe chi ci arriva non fa più ritorno.
La Reginotta sgomentossi.
Il Re e la Regina piangevanopensando che la loro figliuola doveva vivere in quel paese lontanolontanoche per andarvi ci si metteva un announ mese e un giornoe chi ci arriva non fa più ritorno. Ma parola di Re non va indietro.
E fatte le nozzela Reginotta e il bel giovanecon un gran seguitosi misero in viaggio. Centinaia di carri e di cavalli portavano la dote di leitutta in gioie e quattrinie il corredo e i magnifici regali ricevuti dal Re e dalla Regina.
Camminacamminacamminanon arrivavano mai!
- Dov'è il tuo paese?- Dietro quelle montagne.
Oltrepassaron le montagne e non s'arrivava ancora!
- Dov'è il tuo paese?- Più in là di quelle foreste.
Oltrepassaron le foreste e non s'arrivava ancora!
- Dov'è il tuo paese?- In fondo a quella pianura.
Traversarono la pianura e non si arrivava ancora!
La Reginotta intanto non si dava pace. Pensava al babbo e alla mamma che non avrebbe più riveduti.
Quel paesecosì lontano lontano che non ci s'arrivava maile metteva un grande sgomento.
- Vuoi tu fare in fretta? - le disse lo sposo.- Sì.- Ti prenderò in collo e vedrai.
E la Reginotta lo lasciò fare. E non gli si è attaccata al collo colle bracciache il bel giovane si trasforma in un Orcoaltogrossopelosodagli occhi di bracecon certe zanne e certe granfie!...
- AhVergine santa! Ahmamma mia!
La Reginotta avea chiuso gli occhisi sentiva come portar via da un vento furioso.
L'Orconella sua corsafaceva rintronar le vallate e le montagne:
- Auhiii! Auhiii!
Pareva un terremoto dovunque passassepareva un tempesta.
Quando la Reginotta aperse gli occhicapì che era già arrivata nel castello dell'Orco suo sposo.
Si sentì stringere il cuore.
Il castello era tutto circondato da mura così alte che si vedeva a mala pena un po' di cielo. Stanzoni freddi e bui; catenacci dappertutto; dappertutto ceffi di guardie che avrebbero messo spavento anche al più coraggioso del mondo.
- Che fare? Bisognava rassegnarsi!
L'Orco le usava grandi riguardi. La mattina andava via per la caccia e tornava la sera carico di preda. La Reginotta riconosceva quell'alito a dieci miglia di distanza. La preda consisteva sempre in poveri cristianiparte uccisiparte viviche l'Orco poi divorava mezzo crudiuno a colazioneuno a pranzouno a cena. Per la Reginotta invece portava pietanze squisitepasticcinitortedolciumi di ogni sorta.
- Mangia! Hai paura?- No.- Mangia dunque!- Non ho appetito.- Mangia!!...
E bisognava mangiareperché l'Orco s'offendeva del rifiuto e digrignava i denti.
- Bevi! Hai paura?- No.- Bevi dunque!- Non ho sete.- Bevi!!...
E bisognava bereperché l'Orco s'offendeva del rifiuto e digrignava i denti.
Ma torniamo al Re e alla Regina.
Un giornodopo che il vincitore e la Reginotta eran partitiarrivò un giovinetto: volevaanche luitentar la prova della pelle.
- Troppo tardibel giovinetto! La prova fu vinta.- E da chiSacra Maestà?- Da uno che abita un paese così lontanoche per andarci ci si mette un announ mese e un giornoe chi ci arriva non fa più ritorno.- È un Orco! Ahimèla Reginotta è alle mani d'un Orco!
Figuriamoci il dolore del Redella Regina e di tutta la corte a questa brutta notizia!
Il giovinetto andò via lamentandosi che la sua cattiva sorte lo avesse fatto arrivare troppo tardi. Era innamorato della Reginotta soltanto perché gli avevano detto che era più bella della luna e del sole; ed orapensando che lei si trovava alle mani di quella bestiacciaprovava un dolore di morte.
E camminavasenza saper dove andasse: i suoi occhi parevano due fontane.
Giunto in una pianurastanco del cammino fattosi sedette sopra un sassocontinuando a rammaricarsi.
Passava una vecchia con un fastello di legna sulle spalle.
- Che hai bel giovinetto?- Che volete che abbiavecchiarella mia?
E narrò il tristo caso della Reginotta e dell'Orco.
La vecchia non rispose nulla e riprese il cammino col suo fastello sulle spalle.
- Voi siete stancapovera donna - disse il giovinetto. - Date a me cotesto fastello. Faremo strada insieme.- Graziefigliuolo!
Il giovinetto si caricò il fastello e riprese la via insieme alla vecchia. Quel fastello era pesante.
- Nonnala vostra abitazione è molto lontana di qui?- Un albero che balla e un uccellin che parla; appena gli avremo incontrati e saremo giunti a casa mia.
Il fastello aumentava di peso. Il giovinetto stentava a reggerlosudavaansava. E intanto il sole era tramontato; faceva già scuro.
- Nonnala vostra abitazione è molto lontana di qui?- Un albero che balla e un uccellin che parla; appena gli avremo incontrati e saremo giunti a casa mia.
Era notte; ci si vedeva poco. Ed ecco pel prato un albero che andava saltelloni e pareva ballassecome se fosse stato una persona viva.
- Hai fatto buona guardiaora basta - gli disse la vecchia.
E l'albero cessò di saltellare. Il giovinetto si era fermatostupito.
- Avantifigliuolo; c'è ancora qualche tratto.
Intanto il fastello aumentava di peso.
Il giovinetto non ne poteva più!
Stava per maledire l'ora e il punto che lui avea fatto quella carità a quella vecchiaquand'ecco uno sbattere di ali.
Era l'uccellino che parlava.
- Bene arrivata la mammina mia! Bene arrivato chi viene con lei!
Il giovinettodalla pauracominciò a tremare.
- Siamo giunti - disse la vecchia.
Ed entrarono in casa.
Quello si tolse di spalla il fastelloch'era ridiventato leggieroe lo posò accanto al focolare.
Allora la vecchia prendeva due ramicelli di legnaaccendeva il fuocopreparava la minestra; poi stendeva la tovaglia e metteva i piatti sulla tavola.
E quando tutto fu pronto:
- Cricrìcricrìcricrì!
L'uccellino diventava una bella ragazza.
Si misero a mangiare.
Il giovinetto aveva ribrezzo di toccar le pietanze; temeva non fossero incantate.
- Dove vaigiovinettocosì sperso pel mondo? Se tu volessi fermarti quiti darei le mie ricchezze e questa bella figliuola in isposa.- Ahnonna mialasciatemi andare! Cerco la Reginotta del mio cuore e vo' trovarlaad ogni costo. Se non la troverò monaco mi farò.- Poverino! Ma tu non sai la via del paese dell'Orco. È lontanolontano! Per andarvi ci si mette un announ mese e un giornoe chi ci arriva non fa più ritorno!- Che importa? La mia vita è della Reginotta; se morrò per leitanto meglio! Datemi un cantuccio per dormiree domani svegliatemi all'alba; vo' mettermi in cammino.
La vecchia lo condusse in una cameretta così bella da star bene anche in una reggia. Ma il giovinetto non poteva dormire. Pensava alla sua Reginotta e a quell'Orcosi svoltava di qua e di là fra le lenzuola e sospirava.
- Cricrìcricrìcricrì!
Entrava in camera l'uccellino e subito diventava una bella ragazzaquella di poco prima.
- Perché non dormigiovinetto? Perché sospiri?- Penso alla Reginotta del mio cuore e non posso chiuder occhio.- Prendi me. Sono bellasono riccasono di sangue reale. Dove vorresti trovare una fortuna migliore?- Ahragazza mialasciatemi andare! La mia sorte vuol così.- Cricrì! Cricrì! Cricrì!
La bella ragazza ritornava uccellino.
- Strappa una penna da questa codastrappa due penne da queste ali. Nei momenti di gran pericoloprendine una in mano e comanda. Sarai ubbidito.
Il giovinetto esitava:
- Poteva essere un tranello!
Ma quellodi nuovo:
- Strappa una penna da questa codastrappa due penne da queste ali. Nei momenti di gran pericoloprendine una in mano e comanda. Sarai ubbidito.- Allora!... - disse il giovinetto.
Erassicuratogli strappò quelle penne dalla coda e dalle ali e se le mise in serbo nelle tasche.
La notte era lunga e lui non poteva conciliar sonno. Pensava alla sua Reginotta e a quell'Orcosi rivoltava di qua e di là fra le lenzuola e sospirava.
Entrò in camera la vecchia.
- Perché non dormigiovinetto? Perché sospiri?- Penso alla Reginotta del mio cuore e non posso chiuder occhio.- Sposa la mia figliuola. È bellaè strariccaè di sangue reale.- Ahnonnalasciatemi andare! La mia sorte vuol così.- Tu sei un cuore fedele! Prendi questa nocciuola. Nei momenti di gran pericolo schiacciala fra i denti e comanda. Sarai ubbidito.
All'alba il giovinetto partì.
Camminacamminagiorno e nottearrivava in mezzo a una foresta dove non c'era un segno di strada. Alberi di quaalberi di làmacchiesiepispine. Non poteva più andare né avantiné indietro.
- Ah!... Questo è il paese dell'Orco! - esclamava ad un tratto.
Provò una grande allegrezza. Prese in mano quella penna della coda dell'uccellin che parlavae:
- Penna miapenna miaprestoaprimi la via!
Il bosco s'aperse. Ed ecco una strada largadirittache non finiva mai. Più lui s'inoltrava e più la strada s'allungava. Il giovinetto avea terminato il pane e l'acqua portati con sé; e lì non c'era acquanon c'era fruttanulla! Cominciava già a provare tutti gli strazii della fame. Intanto annottava; una notte senza stellebuio come in gola; e si sentivano pel bosco gli urli dei lupi affamati...
- Questa volta è finita. I lupi mi divoreranno!
Ma ecco laggiùin fondoin fondoun lumicino che si vedeva e non si vedeva.
Il giovinetto si fece coraggioraccolse le sue forze e tirò innanzi. Il lumicino restava sempre in fondoche si vedeva e non si vedeva. Finalmentecome Dio volleil poverino giunse dove quel lume luccicava dalla fessura d'un uscioe picchiò.
Non rispose nessuno.
Lui tornava a picchiare.
- Apriteanime cristiane! Ricoveratemi per questa notte!
Ma non riceveva risposta.
- Era dunque arrivato in terra di pagani?
E picchiava di nuovoquesta volta più forte.
- Chi sei?
Quella vocina fioca fioca veniva di cima della casa.
- Sono un viandante smarrito. Fate la caritàin nome di Dio! Ricoveratemi per questa notte!- Zittonon rifiatarese ti è cara la vita! Aspetta che io ti cali giù le treccie dei miei capelli e afferrati ad esse.
Il giovinetto s'afferrava a quelle treccie venute giùe si sentiva tirar in alto come una secchia. Un braccio l'aiutava ad entrare per la finestrae lui si trovava faccia a faccia con una bella donzellache lo guardava sorpresa.
- Come sei venuto fin qui? Ci si mette un announ mese e un giornoe chi ci arriva non fa più ritorno!- Ah! Dunque si trovava nel castello dell'Orco! E quella donzella era la sua amata Reginotta!
Si mise a piangere dalla contentezza.
E quando disse chi era e come e perché venutopiansero insieme.
Ma già stava per aggiornare. Il castello rintronava degli urli dell'Orco che si preparava ad andar a caccia. La Reginotta fece nascondere il giovinetto in un armadio e finse di ricamare.
L'Orco diè un calcio all'uscio. E appena entrato nella cameracominciava a fiutare intorno intorno.
- Perché fiutate?- Muccimuccisento odor di cristianucci!- Andate là! Avete fatto colazione or ora e n'avete piene le narici.
L'Orco s'acchetava e partiva per la sua caccia:
- Auhiii! Auhiii!- Fuggiamo - disse il giovinetto appena l'Orco fu partito.- Ahpoveri a noi! Di qui non s'esce. Potessimo anche uscirnenon sapremmo ritrovare la strada in mezzo al bosco che per cento miglia circonda il castello.
Allora il giovinetto ricorreva all'altra penna dell'uccellin che parlava.
- Penna miapenna miatutti e due portaci via!
E di botto si sentirono come presi in colloper ariaein men che non si dicasi ritrovarono ben oltre le cento miglia dal bosco.
Camminarono a piedi per tutta la giornata; e quando furono stanchiveduto un pagliaio abbandonatoandarono a ricoverarsi lì e s'addormentarono saporitamente.
La mattina di buon'oraripresero il cammino.
Ma dopo un pezzettoecco da lontano un rumore sordo sordoche s'avvicinava crescendo:
- Auhiii! Auhiii!
Era l'Orco che li inseguiva!
Affrettarono il passoanzi si misero a correre; ma l'Orco gli aveva già scoperti da lontano e gli veniva addosso più lesto del vento.
Il giovinetto prese in mano l'ultima penna dell'uccellin che parlava e:
- Pennapenninalei fontana ed io anguilla!
L'Orco s'arrestòstupito di non più vederli.
La fontanalimpida come il cristallogorgogliava allato della stradae l'anguilla guizzava nell'acqua dimenando la coda.
L'Orco ebbe il sospetto che si fossero trasmutati l'una in fontana e l'altro in anguilla.
- Fontanati berrò! Anguillati prenderò!
Mabevibeviquella fontana era sempre allo stesso puntoe quell'anguilla gli sguizzava sempre di mano.
L'Orco s'era già pieno lo stomaco d'acquane avea fino alla gola. Non poteva più articolar la manotanto s'era stancato.
Si riposava un momento e poi daccapo:
- Fontanati berrò! Anguillati prenderò!
E tornava a beresforzandosi.
E cercava di afferrare quella maledetta anguilla che gli sguizzava sempre di mano. Finalmente buttossi per terramorto dalla faticaoppresso da quel peso dello stomacoe subito s'addormentò.
La Reginotta e il suo compagnovisto che l'Orco dormivaripresero la strada.
Avevano camminato tutta la notte e metà del giorno appressoquand'ecco nuovamente:
- Auhiii! Auhiii!
L'Orco gli inseguivapiù furioso di prima.
- Ferma! Ferma!
Pareva che tuonasse.
La povera Reginotta si perdette d'animo e svenne. L'Orco era a pochi passi; già arrotava i dentacci:
- Auhiii! Auhiii!
Allora il giovinetto schiacciò la nocciuola.
- Nocciuolanocciuolatrasmutaci in roccia e in farfalla che vola!
E l'Orco si trovò davanti a una roccia scoscesa e brullache s'alzava a picco sulla campagna.
Una magnifica farfalla svolazzava qua e là colle sue ali dorate e andavadi tanto in tantoa posarsi su quella.
L'Orco ebbe il sospetto che si fossero trasmutati l'uno in roccia e l'altra in farfalla.
- Rocciat'atterrerò! Farfallat'acchiapperò!
E si diè a scalzare la rocciascavando la terra colle ugne; ma non riusciva a spostare nemmeno un sassolino.
Avea le mani tutte scorticatele ugne tutte rotte; e scavavascavava. Poi lasciava di scavare e dava la caccia alla farfalla. Ma quella volava in alto e non si lasciava acchiappare.
Morto dalla faticasdraiossi per terrasotto la rocciae si addormentò.
A un tratto la roccia gli si lasciava cader addosso tutta d'un pezzo.
- Auhiii! Auhiii! - urlava l'Orcodando gli ultimi tratti.
Così la Reginotta e il suo compagno poterono rimettersi in viaggio tranquillie finalmente arrivarono ai confini del loro paese.
Quando il Re e la Regina ricevettero la notizia del loro prossimo arrivobandirono feste per tutto il regno.
Uscirono ad incontrarli fuori le porte della città con tutta la corte e un immenso popolo dietroe ordinarono subito i preparativi per le nuove nozze della Reginotta col suo liberatore.
Ma lui disse:
- Debbo fare un viaggio. Se fra otto giorni non sarò ritornatopiangetemi per morto.
La Reginotta si disperava:
- Anderai doposposo mio!- Anderete dopofigliuolo mio!
Ma la Reginottail Rela Regina non riuscirono a persuaderlo.
Partìe si trovò nella pianura deserta dove avea incontrato quella vecchia.
Aspettava un pochinoed ecco la vecchiaanche questa volta col suo fastello di legna sulle spalle.
- Mi riconoscetevecchiarella mia?- Sifigliuoloti riconosco. O che vieni a fare da queste parti?- Ve lo dirò dopo; datemi intanto il vostro fastello. Faremo strada insieme.
Questa volta il fastello era leggiero leggiero.
- Son venuto per ringraziarvi e per invitarvi alle mie nozze.- Bravo figliuolo che tu sei!
Edetto questola vecchia si trasfigurava. Era diventata una bellissima signorarisplendente più d'una stellacon una verga d'oro nel pugno.
Sorrise e sparì.
Allora lui comprese che quella era una Fata. Ritornòtutt'allegroal palazzo realee la stessa sera vennero celebrate le nozze.
Così furono marito e moglie:e lui ebbe il frutto e noi le foglie.



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