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Euripide
Gli Eraclidi
Apollo e Daphne
Edizione Acrobat
a cura di
Patrizio Sanasi
(www.bibliomania.it).
EuripideGli Eraclidi2
PERSONAGGI:
Iolào
Coprèo
Demofónte
Macaría
Alcmèna
Euristèo
CORIFEO
MESSO
SERVO d'Alcmèna
SERVO
CORO
Maratona. Un tempio in fondosul davanti un altare sui cui gradini
stanno supplici Iolào e i fanciulletti figli di Ercole.
Iolào:
Antica mia convinzïone è questa:
che l'uom dabbene vive per il prossimo
ma colui che proclive al lucro ha l'anima
alla città disutilescontroso
è da trattaree solo a sé giovevole.
Non per sentita dire io ben lo so:
ch'ioper senso d'onoree per rispetto
ai vincoli di sangueaccanto ad Ercole
quand'egli ancora vivo eraaffrontai
tante fatiche; e in Argo avrei potuto
viver tranquillo. Ed or ch'egli soggiorna
in cielosotto l'ali mie proteggo
i suoi figliuoli; e avrei bisogno io stesso
di chi mi proteggesse. E infattiquando
il padre lor la terra abbandonò
volle prima Euristèo darci la morte;
ma potemmo sfuggirgli: andò perduta
la patria allorma fu la vita salva.
E andiam cosí fuggendoesuli errando
di terra in terra: poiché volle aggiungere
Euristèo quest'oltraggio ai tanti mali.
In qualsivoglia terra egli apprendesse
che ci eravam fermatiivi spediva
a richiederciaraldied a bandircene
d'Argo ostentando la minacciach'è
non piccola cittàche giova amica
non già nemica avermagnificando
la sua propria potenza. E quellime
cosí debol vedendoe questi pargoli
e senza padreonorano i piú forti
e via ci scaccian dalla terra. Ed io
esule vo' con questi fanciulli esuli
ed infelice son con gl'infelici
né abbandonar li soché poi non abbia
a dire alcun degli uomini: «Vedete
poiché questi fanciulli han perso il padre
Iolàoche pure è dello stesso sangue
non li soccorre». Ed orda tutta l'Ellade
esclusisiamo a Maratona giunti
e al paese consorti; e stiamo supplici
dinanzi all'are degli Deise vogliano
darci soccorso. Ché le pianedicono
di questa terrai due figli di Tèseo.
EuripideGli Eraclidi3
abitanoche a sorte il regno n'ebbero
di Pandíone discesi; e a questi pargoli
son congiunti di sangue. Ecco perché
della celebre Atene ora ai confini
siamo venuti. E son due vecchi i duci
di questa fuga: io che per questi pargoli
la mente aguzzo; e fra le braccia Alcmèna
dentro nel tempio la femmìnea prole
del figlio suo tien fra le braccia stretta
e la protegge: ché novelle vergini
farle avanzare tra la follae stare
presso all'altarne abbiamo scorno. Ed Illo
e i suoi fratelli nell'età provetti
vanno cercando in quale terra asilo
trovar potremose di qui ci scacciano
a forza.
(Guarda sgomento un punto lontanoe raccoglie
intorno a sé i fanciulli)
O figlio figliquistringetevi
al mio mantello: ché a noi presso vedo
l'araldo d'Euristèo giungerequello
che ci manda fuggiaschi e ci perseguita
di terra in terra. O maledetto! Morte
coglier te possa e quei che t'inviò
ché tanti e tanti mali anche al lor nobile
padre annunciasti con la stessa bocca.
(Giunge Coprèo)
Coprèo:
Un rifugio sicuro in questo luogo
pensi d'aver trovatoe un'alleata
nella città? T'inganni. Uomo non c'è
che preferisca la tua forza imbelle
a quella d'Euristèo. Smuoviti! A che
relutti? Alzarti devi tuseguirmi
ad Argoove morrai sotto le pietre.
Iolào:
Non già: mi schermirà l'ara del Nume
e la libera terra ove siam giunti.
Coprèo:
Fatica imporre a questa man tu pensi?
Iolào:
A forza non trarrai né me né i pargoli.
Coprèo:
Lo vedrai. Tu non sei buon indovino.
(Afferra i fanciulli)
Iolào:
Ciò non sarà sin ch'io sia vivono.
Coprèo:
Lèvati. Voglia o noli condurrò
ad Euristèo: ché a luicredoappartengono.
Iolào:
O vetusti d'Atene abitatori
soccorreteci voi. Supplici giunti
al Dio patrono della piazzaa Giove
s iam soverchiatie profanati i serti
scorno per la cittàpei Numi oltraggio.
(Alle grida di Iolào giungono i cittadini d'Atene
che formano il Coro)
CORIFEO: Strofe
Ehiehiqual grido mai vicino all'ara
suonò? Qual nuovo caso or si prepara?
Iolào:.
Euripide Gli Eraclidi4
Vedete questo debol vecchio al suolo
rovesciato? O mio duolo!
CORIFEO:
Miseroa terra chi mai ti gittò?
.................................
Iolào:
Quest'uomoa forzao amicimi rimuove
ché i tuoi Dei spregiadall'altar di Giove.
CORIFEO:
E da qual terrao vecchioalla tetràpoli
ed al popol sei giunto? O d'altro mare
da Eubèasolcando col remeggio il pelago
siete giunti a queste are?
Iolào:
Non è la mia dimoraamiciun'isola:
da Micene siam giunti al suol d'Atene.
CORIFEO:
E con qual nomeo vecchio
solea chiamarti il popol di Micene?
Iolào:
Iolào sapetelo scudiere d'Ercole?
Senza fama non è questo mio nome.
CORIFEO:
Da lungo tempo io già n'udii novella.
Ma di chi sono i pargoli
affidati alle tue cure? Favella.
Iolào: Antistrofe
D'Ercole i figli sono questiche
supplici alla città giungonoa te.
CORO:
Per qual bisogno v'è necessità
parlar con la città?
Iolào:
Di non esser da queste are dei Superi
strappatie ad Argo tratti esser prigioni.
Coprèo:
Ma ciò non piace a lor che qui ti colgono
che t'hanno in lor potereai tuoi padroni.
CORIFEO:
Reverenza conviene aver dei supplici
né profanar con mani vïolente
questi altari dei Numi: la santissima
Giustizia nol consente.
Coprèo:
Sudditi d'Euristèo son questi: scacciali
né vïolenta la mia man sarà.
CORIFEO:
Le preghiere dei supplici
tenere a vilesarebbe empietà.
Coprèo:
Ma tener lungi il piede da ogni male
miglior prudenza usandoassai pur vale.
CORO:
E sia; ma pria di tanto ardirconviene
che tu favelli al re di questa terra
e non strappi dai Numi a forza i supplici
e a una libera terra abbia rispetto.
Coprèo:
Chi della terra è redella città?
CORIFEO:
Di Tesèo grande il figlioèDemofónte.
Coprèo:.
Euripide GliEraclidi5
Seco luidunquecondurrò la disputa
di tal contrasto: tutto il resto è ciancia.
CORIFEO:
Or vedi ch'egli stesso appunto giunge
col fratello Acamante: essi udiranno.
(Giungono Demofónte e Acamante)
Demofónte:
Perché tu vecchio prevenisti i giovani
nel tutelare quest'ara di Giove?
Qual sortedimmital folla adunò?
CORO:
Supplici seggon questi figli d'Ercole
serti cingendocome vediall'ara
e Iolàofido al padre lor compagno.
Demofónte:
Tante grida levar quindi era d'uopo?
CORO:
Tentò costui dall'ara il vecchio svellere
provocò le sue gridaal suol piombato
lo presesí ch'io per la pietà piansi.
Demofónte:
La foggia ha del vestito ellèna e l'abito
costuima gli atti suoi sono di barbaro.
Or tuo dovere è senza indugio dirmi
dai confin di che terra a noi qui giungi.
Coprèo:
Se tu brami saperloargivo io sono.
E da chi son mandato e perché vengo
ora ti dico: qui mi manda il re
di MiceneEuristèoch'io riconduca
di qui costoro. E giunto son con molti
dirittie d'atti e di paroleo re:
ch'io sono argivoe far prigioni voglio
questi argivi fuggiaschi. Ebbe condanna
di mortein patriacon le nostre leggi;
e giusto è pure che i processi contro
noi stessinoi deliberiamo. Ad altri
altari molti già si rifugiarono
e sempre quello ch'ora dico io dissi
e niuno il mal su te volle attirare.
Ma qualche traccia or di follia scorgendo
in teson qui venuti; oppur tentarono
nella distretta questo colposia
che riuscisseo no. Poiché non possono
sperar che tuse la ragion t'assiste
solo fra tante e tante a cui pervennero
Ellène gentistoltamente voglia
commoverti ai lor casi. E infattipensa
poni a confronto che vantaggi avrai
se nella terra tua costoro accogli
o se consenti ch'io con me li rechi.
Ecco che cosa aver da noi potrai:
le forze immense d'Argoe d'Euristèo
concilïare la potenza tutta
per la vostra città; masebadando
di costoro alle ciance e ai piagnistei
ti lasci intenerirquesta faccenda
sarà decisa al paragon dell'armi:
non creder tu che senza opra di ferro
questa contesa si decida. Quali
ragioni avrai di muover guerra ad Argo?
Quali furono a te campi usurpati.
EuripideGli Eraclidi6
o messi a sacco? Di quali alleati
corri al soccorso? Ed in nome di chi
seppellirai gli estinti? Ohmala fama
tra i cittadini avraise per un vecchio
per un sepolcrouno che nulla è piú
per dirla schiettase per questi pargoli
in un pantano cacci il piede. Il meglio
che possa direè che speranza nutri
d'un felice avvenir; ma l'avvenire
varrà men del presente. Allor che questi
saran cresciutie l'armi impugneranno
tristi campioni contro Argo saranno
se questa speme ti conforta l'anima;
e lungo tempo in mezzo correrà
in cui spacciati esser potreste. Ascoltami:
nulla darmi del tuoma fa' ch'io prenda
quello ch'è mioconcíliati Micene
e non farecom'è vostra abitudine
che mentre guadagnar puoi l'amicizia
dei piú potentipreferisca i deboli.
CORO:
Giudicar liti o bene intender causa
chi puòse pria le due parti non ode?
Iolào:
Concesso è a me - ché tal diritto esiste
nella tua terrao re - ch'io parlidopo
d'avere udito; e niun mi scaccerà
come altrove seguípria che tu m'oda.
Nulla c'è di comun fra questo e noi:
ché parte d'Argo piú non siamo; e questo
fu per voto deciso: esuli siamo.
E con che dritto allorcome se fossimo
di Micenearrestarci egli potrebbe
se Micenei non siamoe ci bandirono?
Estranei siamo. Oppurchi fu bandito
dal suolo d'Argoreputate giusto
che sia bandito dai confini d'Ellade?
Ma d'Ateneno certo; e per timore
d'Argodal loro suolo i figli d'Ercole
non bandiranno. Qui non siamo in Tràchide
né in quell'achiva cittadelladonde
contro giustiziama gonfiando il nome
d'Argocome or tu faivia questi supplici
sull'ara assisi discacciasti. Se
questo avverràse compimento dessero
a quanto chiediio non direi piú libera
Atene. Ma ben so quale il coraggio
qual è l'indole loro. Eleggeranno
morirpiuttosto: ché l'onore ha pregio
piú della vitapresso i galantuomini.
Basti d'Atene; ché fastidio arrecano
le troppe lodie so ch'io stesso tedio
da un eccesso di lodi ebbi sovente.
Or voglio dire a tepoiché sovrano
di questa terra seich'è per te obbligo
salvar costoro. Ebbe Pittèo la vita
da PèlopeEtra da PittèoTesèo
tuo padrefiglio fu d'Etra. Or di questi
fanciullia te la discendenza espongo.
Fu di Giove e d'Alcmèna Ercole figlio;
e Alcmèna da una figlia era di Pèlope
nata: tuo padre e di costoro il padre.
EuripideGli Eraclidi7
eran dunque cugini consanguinei.
E i debiti che tupur se trascuri
la parentelahai verso questi pargoli
ora ti dico: ch'io la nave ascesi
un díscudiere al padre lorcon Tèseo
per la conquista del funesto cingolo.
E poidai tenebrosi antri d'Averno
Ercole il padre tuo liberò: l'Ellade
tutta mallevadrice esser ne può.
Or questi il contraccambio a te ne chiedono
che tu non li consegnie che non debbano
dall'are dei tuoi Numi a forza espulsi
dalla tua terra andar banditi: turpe
per teper tutta la città sarebbe
se consanguinei tuoifuggiaschisupplici
- oh culmini di malguardali guardali! -
fosser di qui strappati a forza. No
te ne scongiuroalle ginocchia serto
delle mie man ti facciopel tuo volto
non disdegnar di tendere la mano
misericorde sopra i figli d'Ercole
sii tu parente loroamico loro
padrefratellore: tutto val meglio
che degli Argivi in signoria cadere.
CORO:
Di costoroo signoreabbi pietà
delle loro sciagure: ora ho ben visto
che nobiltà di sangue è sopraffatta
dalle sciagure. Indegnamente soffrono
questiche pur da sommo padre nacquero.
Demofónte:
Tre vie di riflessione a non respingere
quelloIolàoche chiedimi costringono.
Giove onde tu sull'ara siedie questa
turba d'implumiè l'argomento massimo;
poi vien la parentelae il vecchio debito
ch'ò di beneficarmercè del padre
questi fanciulli; e poi l'onore a cui
piú che ad ogni altra cosa aver riguardo
convien: ché se quest'ara io lascerò
che con la forza un uom foresto spogli
non si dirà che d'una terra libera
il sovrano sono io: per timor d'Argo
si dirà che traditi ho questi supplici:
meglio ad un laccio essere appeso. Deh
fossi tu giunto con piú lieta sorte!
Ma pureadesso non temer che alcuno
te dall'ara e i fanciulli a forza strappi.
E tu ritorna ad Argoe tanto aggiungi
ad Euristèochese cagion di piato
egli ha contro costorne avrà giustizia.
Ma di qui trarli viatu non potrai.
Coprèo:
Neppur se farlo è giustoe te lo provo?
Demofónte:
Giusto fu mai far vïolenza ai supplici?
Coprèo:
Onta per me non èma per te danno.
Demofónte:
Danno se a te di trarli via consento.
Coprèo:
Tu bandiscili; e allor via li trarrò..
EuripideGli Eraclidi8
Demofónte:
Stoltoche piú del Dio saper presumi.
Coprèo:
è questoa quanto parl'asil dei tristi.
Demofónte:
Rifugio a tutti è degli Dei la casa.
Coprèo:
D'altro parere i Micenei saranno.
Demofónte:
Di quanto è qui non son forse io padrone?
Coprèo:
Certopurché tu non danneggi gli altri.
Demofónte:
Purché gli Dei non ledail danno abbiatevi.
Coprèo:
Non voglio che tu guerra abbia con Argo.
Demofónte:
E neppure io; ma non ch'io ceda i supplici.
Coprèo:
Eppur li prenderò: ché m'appartengono.
Demofónte:
Facile allor non ti sarà tornare.
Coprèo:
Súbito lo saprò: veniamo ai fatti.
Demofónte (Minaccia con lo scettro Coprèo):
Toccali soloe avrai ragion di piangere.
Coprèo:
Noper gli Deinon battere l'araldo!
Demofónte:
Se quest'araldo far senno non sa!
CORO:
Vattene: e tunon lo toccareo re.
Coprèo:
Piccola guerra fa la man d'un solo.
Vado. Ma torneròmolte recando
lance di bronzo dell'argivo esercito:
ché mille e mille guerrier m'attendono
e lo stesso Euristèolor duce. D'+lcato
agli estremi confini attende l'esito
del mio messaggio. Un folgore parrà
come abbia udito questi oltraggia te
ai cittadinia questa terraai campi
ché invano in Argo avremmo tanti giovani
se rintuzzar le offese non sapessero.
(Parte)
Demofónte:
Quest'Argo tua non temo. Alla malora!
Non dovevi costoroa mia vergogna
di qui strappare: ché questa città
non è suddita d'Argobensí libera.
CORO:
Provvedere convienpria che giunga
ai confini l'esercito argivo.
Assai crudo è l'umore belligero
dei guerrier' di Micenee piú fiero
or saràdopo quanto è seguito:
ché costume è di tutti gli araldi
riferire accresciuti del doppio
i fatti. Chi sa
che andrà raccontando ai signori!
Che orrori soffersee per poco
la sua vita non fu sterminata..
EuripideGli Eraclidi9
Iolào:
Per i figli non v'ha miglior retaggio
che nati esser da un padre insigne e prode
da nobil madre. E chi per cieca brama
s'imparenta coi tristiio non l'approvo
ché lascia ai figli eredità d'obbrobrio
pel suo piacer: ché nobiltà di sangue
piú dell'oscurità soccorso arreca
nelle sventure. Cosí noipiombati
nell'estremo dei maliabbiam trovato
questi parentiquesti amicisoli
fra tanta gente che dimora in Ellade
surti a nostra difesa. Orviala destra
porgete ad essio figlie a questi pargoli
voi porgete le vostree avvicinatevi.
Dell'amicizia loro esperimento
abbiamo fattoo figli. Orase a voi
mai brilli il giorno del ritorno in patria
se la casa e gli onor' del padre vostro
mai riavretesalvatori e amici
reputar li dovretee l'armi infeste
mai non recar contro la terra loro
ma rammentare i beneficie Atene
piú d'ogni altra città diletta avere.
Degni che voi lei veneriate sono
costoroche da voi l'ira stornarono
del popolo pelasgoe d'un tal regno
esuli pur vedendoci e pitocchi:
eppur non v'hanno consegnatiné
banditi dalla terra. Iosin che vivo
equando poi sarò mortoda morto
carot'esalterò presso a Tesèo
e lieto lo faròtutto narrandogli
come tu ci accogliestie ai figli d'Ercole
desti soccorsoe la paterna fama
intatta serbi fra gli Ellèni; enato
da nobiliqual seinon ti dimostri
inferïore al padre tuo. Ben pochi
siete cosí. Ne trovi uno fra molti
appenache non sia peggior del padre.
CORO:
Sempre soccorse nelle giuste cause
Atene agl'infelicie mille e mille
penea pro' degli amicigià sofferse;
e avvicinarsi anche or vedo il cimento.
Demofónte:
Bene hai parlatoo vecchioe tali m'auguro
che siano ognor questi fanciulli: memori
del beneficio. Ora io radunerò
i cittadiniin assembleafarò
che da gran forze accolto sia l'esercito
dei Micenei. Da prima esploratori
contro essi manderòsí che sorprendermi
non debba alla sprovvista: assai sollecito
ogni uomo d'Argo alla battagtia corre.
Radunati i profetiindi offrirò
sacrifizi. Ora tu l'ara abbandona
di Giovee nella reggia entra coi pargoli.
Anche quando io sarò lontanoc'è
chi cura avrà di te. Dunque entrao vecchio.
Iolào:
L'ara lasciare non vorrei; masupplici.
EuripideGli Eraclidi10
qui rimanendoinnalzeremo voti
che la città trionfi; e quandolibera
vittorïosa sia da tal cimento
nella reggia entreremo. E al fianco nostro
combatteranno Dei che non la cedono
a quellio siredegli Argivi. Ad essi
la consorte di GioveErapresiede;
e Atena a noi. Ché al prospero successo
secondo megiova anche questoi Numi
piú forti avere dalla propria. E Pallade
mai non sopporterà che alcun la vinca.
CORO: Strofe
Alta la tua minaccia
suonae pure alcun v'è che non la cura
o tu che d'Argo estraneo
giungesti: i nostri cuor non impaura
la tua millanteria.
Dehquesto mai non sia
nella insigne pei cori inclita Atene.
Tu sei follee di Stènelo
il figlioche lo scettro in Argo tiene.
Antistrofe
Chégiunto ad un'estranea
cittàche ad Argo in valentia non cede
questi dei Numi supplici
che alla nostra città volsero il piede
tuforestotrascini
né del mio sire agli ordini t'inchini
né fai del tuo diritto almeno un cenno.
Come diran lodevole
la tua condottaquanti abbiano senno?
Epodo
E a tedemente principe
dico: se muovi contro la mia terra
fortuna non avrai come t'illudi.
Non tu soltanto cuspidi
possiedio bronzei scudi.
O amante della guerra
con l'armi non sarà che mai tu stermini
la città che protetta
è dalle Grazie: affrena or la tua fretta.
(Si presenta Demofóntecogitabondo)
Iolào:
Da quale cura attratto il cigliogiungi?
Dei nemici notizieo figliorechi?
S'arrestano a venireo son già qui?
O che cosa sai tu? Vane minacce
non furon quelle dell'araldo. Il duce
che sino ad oggi ebbe venturacerto
moverà contro Atenee non è piccola
la tracotanza sua. Ma l'arrogante
Giove puniscee chi troppo presume.
Demofónte:
Le schiere argive ed Euristèo sovrano
sono qui giuntil'ho veduto io stesso.
Ché non da esploratori apprender deve
chi sé proclama egregio ducequanto
fanno i nemici. Ancor nelle pianure
del nostro suolo ei non lanciò le schiere:
sul ciglio sta d'una collinae guarda.
EuripideGli Eraclidi11
con quale arte di guerra egli potrà
la nostra terra invaderee le schiere
sicuramente stabilirvi. Tutto
anche da parte mia bene è disposto.
è in armi la cittàpronte le vittime
sono pei Numi a cui bisogna offrirle
per tutta la città girano i vati
arra di fuga pei nemici nostri
e per noi di vittoriae insieme accolti
volli tutti gl'interpreti d'oracoli
e tutte esaminaipalesi o arcane
le antiche profezieper la salute
di questa terra. E sovra gli altri punti
la discordanza dei responsi è grande;
ma sovra un punto son tutti concordi:
e comandano ch'io sgozzi una vergine
che nata sia di nobil padrea Dèmetra.
Tu vedi quanto ben disposto io sono
verso di voi; ma non ucciderò
la figlia miané forzerò veruno
dei miei concittadini a mal suo grado.
E di buon grado chi sarà sí tristo
che di sua mano i figli dilettissimi
consegni a morte? Ed or veder potresti
frequenti assembramenti; e questi dicono
che giusto fu porgere aiuto ai supplici
gli altri m'accusan di follia. Se mai
un tal atto compiessiun'improvvisa
guerra civile scoppierebbe. Or tu
rifletti a tutto questoe il modo trova
di salvare voi stessi e questa terra
e ch'io dei cittadini schivi il biasimo;
ché despota io non soncome fra i barbari
ma bene avrò solo se bene adopero.
CORO:
E un Dio non lascerà che aiuto agli ospiti
porga questa cittàche lo desidera?
Iolào:
Noi dunqueo figlioa quei nocchieri simili
siamche sfuggiti alla selvaggia furia
della burrascagià la terra toccano
e i venti poi di nuovo li respingono
dal continente in alto mare. Noi
parimenti cosí da questa terra
siamo respintiquando salvi già
eravamo alla spiaggia. Ahimè! Speranza
perché cosí m'hai lusingatoquando
non dovevi i favori a fine addurre?
E scusare bisogna il suo diniego
anche se i figli uccidere rifiuta
dei cittadini; e biasimo agli oracoli
infliggere non sose i Numi vogliono
questa mia sorte: e in cuor la gratitudiue
non è spenta però. Ma per voifigli
non so che cosa io debba fare. Dove
ci volgeremo? A quale ara di Numi
non cingemmo ghirlande? A quale cerchia
non venimmo di mura? Oraperduti
o figliin mano dei nemici or siamo.
E nulla a me se morir debboimporta
tranne se qualche gioia ai miei nemici
darò morendo; ma per voi mi lagno.
EuripideGli Eraclidi12
per voi piangofigliuolie per la vecchia
del vostro padre genitrice Alcmèna.
Troppo fu lunga la tua vitao misera
e anch'iopovero metroppi soffersi
dolori invan. Destino eradestino
chepresi dal nemicoinfin dovessimo
miseramente abbandonar la vita
vituperosamente. Or sai che aiuto
dar tu mi puoi? Ché di salvare i pargoli
non ho perduta ogni speranza. Invece
di questio reconsegnami agli Argivi.
Cosí tu schivi il rischioed i fanciulli
salvi saranno: a me la vita mia
premer non deve. E me prima d'ogni altro
desidera Euristèoche fui compagno
d'Ercole: me vuole oltraggiar: ché rozzo
è quell'uomo. Ed il saggio affrontar deve
l'inimicizia di chi sanon quella
dell'anime ignoranti. Allor cle menza
alla giustizia egli trovar potrà.
CORO:
Non accusar la nostra Ateneo vecchio;
sebbene a tortoalcuno il tristo biasimo
darci potrebbe che tradiamo gli ospiti.
Demofónte:
Son generosema non possono esito
le tue parole aver: non già per fare
preda di te mosse le schiere il principe.
Che guadagno sarà per Euristèo
d'un vegliardo la morte? Ei vuole uccidere
questi fanciulli: poiché son minaccia
fiera al nemico i giovani rampolli
d'un nobil sanguee degli oltraggi memori
inferti al padre; ed ei deve schermirsene.
Orse qualche altro piano hai tu piú pratico
dillo: che ioda poi che udii gli oracoli
sono smarritoed il terror m'invade.
(Dal tempio esce Macaría)
Macaría:
La taccia di sfrontata a me non date
ospiti: ciò per prima cosa io chiedo:
ché taceree far sennoe rimanere
tranquilla in casason per una donna
le primissime doti. Eppureudendo
Iolàole tue quereleio sono qui:
non perché la tutela a me commessa
sia dei congiunti; ma poiché capace
ne sonoe sono i miei fratelli cari
piú d'ogni cosa a meper meper essi
chiedere io vo' se ai mali antichi un nuovo
cruccio or s'aggiungeche ti morde il cuore.
Iolào:
A buon dirittoe non da ierio figlia
debbo di tepiú che degli altri figli
d'Ercoleelogio far. Quando sembrava
che prospero volgesse il nostro corso
spinto è di nuovo tra i perigli. Dice
costui che gl'indovini hanno prescritto
che non si sgozzi toroe non vitella
di Demètra alla figliaanzi una vergine
di nobil sanguese vogliamo salvi
restar noi stessie salva la città..
EuripideGli Eraclidi13
Eccoci dunque in tal distretta: i figli
proprîné quelli d'alcun altro intende
costui sacrificare: ed a me dice
non chiara mentema lo diceche
se via d'uscita non troviamoforza
sarà per noi cercare un'altra terra
e ch'egli salva la sua patria brama.
Macaría:
A questo patto salvi esser possiamo?
Iolào:
A questo: in tutto il resto abbiam fortuna.
Macaría:
Piú dunque non temer l'argiva lancia:
ch'io stessao vecchioe senza averne l'ordine
a morire son prontaa offrirmi al ferro.
E che direse noimentre disposta
ad affrontare un cosí gran pericolo
è la città per noile pene agli altri
lasciateallor che di salvezza infine
s'apre una viaschivassimo la morte?
Nonosarebbe ciò degno di scherno
all'are degli Dei seduti supplici
gemereefigli di chi siamo essendo
far la figura dei codardi. Dove
lode avrà fra gli onesti un tal contegno?
Bel vantaggioaffé miaquandocaduta
dehnon avvenga maiquesta città
cadessi in mano dei nemiciefatta
segno agli oltraggiiofiglia di tal padre
dovessi tuttavia scendere all'Ade!
Oppur fuggiasca io vagheròbandita
da questa terrae non arrossirò
se questo o quello mi dirà: «Perché
venite qui coi ramuscelli supplici
se tanto a cuor vi sta la vita? Uscite
da questo suol: non diamo aiuto a vili».
E neppure potreiquando i fratelli
fossero mortied io salvasperanza
nutrir di sorte avventurosa - molti
per essa già gli amici abbandonarono.
Una fanciulla abbandonatachi
sposa vorrebbe avereaver figliuoli
chi vorrebbe da me? Meglio morire
dunque non èche questi malisenza
colpa soffrire? Ad altrainsigne meno
ch'io non mi siaciò converrebbe forse.
Conducetemi dunque ove morire
deve questo mio corpoinghirlandatemi
date manse vi piaceal sacrificio
e trionfate dei nemici: è pronta
l'anima mianon reluttante; e annuncio
chepei fratelli e per me stessa io muoio
chéspregiando la vitaio questa idea
bellissima trovai: lasciarla in gloria.
CORO:
Cheche diròdella fanciulla udendo
le nobili parole? Essa morire
pel suo fratello vuole. Ohqual degli uomini
mai pronunciar piú nobili parole
compier piú generosi atti potrebbe?
Iolào:
Ohnon d'altronde generatao figlia.
EuripideGli Eraclidi14
tu fosti: nata dalla stessa d'Ercole
divina anima sei. Ben vado altero
delle parole tue; ma mi rammarico
della tua sorte; e quale a me parrebbe
miglior giustizia ora ti dico: tutte
le tue sorelle qui venir si facciano;
e quella cui designerà la sorte
muoia pei suoi; ma senza trarre sorte
giusto non è che andar tu debba a morte.
Macaría:
Mai non sarà che dalla sorte eletta
a morte io vada: e qual merito avrei?
Vecchionon dire! Se gradite me
volonterosaio di buon grado l'anima
offro per essi; ma costrettano.
Iolào:
Ahimè!
Di quelle dette or oraanche piú nobili
queste parole sono; e tu l'ardire
superi con l'ardiree coi propositi
i propositi egregi. E non t'esorto
figlia a morirné te ne fo' divieto:
ché tumorendoi tuoi fratelli salvi.
Macaría:
Bene t'avvisie dal contagio immune
sarai della mia morte: io muoio libera.
Seguimio vecchio: ché la morte io voglio
dalla tua mano: assistimie col peplo
ricopri il corpo mio. Senza sgomento
del sacrificio affronterò l'orrore
se figlia io son del padre ond'io mi vanto.
Iolào:
Alla tua morte assister non potrei.
Macaría:
Chiedi almeno a costui che fra le mani
delle donne io soccombae non degli uomini.
Demofónte:
Sarà cosímiserrima fanciulla.
Turpe sarebbese l'esequie a te
non adornassi; per piú causee massime
per l'eccelso tuo cuorper la giustizia.
Nessuna donna mai questi occhi videro
piú di te sventurata. Orsúfavella
se tu lo bramiai tuoi fratellie a questo
vecchioe rivolgi un ultimo saluto.
Macaría:
Salvesalveo vegliardo. Educa tu
questi fanciulli in modo talche saggi
crescano in tutto al par di tenon meno:
ciò basterà per essi; e di salvarli
cercasia pur della tua vita a prezzo.
Siamo tuoi figlifra le mani tue
s iamo cresciuti; ed offro anch'iolo vedi
delle mie nozze la stagionee muoio
per salvare i fratelli. E voifratelli
siate felicie tutti i beni in sorte
aver possiate ond'io cadrò sgozzata.
Ed onorate questo vecchioe Alcmèna
del padre vostro genitrice antica
ch'ora è nel tempioe questi ospiti miei.
E se le pene cessinoe per voi
del ritorno la via trovino i Numi.
EuripideGli Eraclidi15
la salvatrice ricordatee datele
sepoltura: sarà somma giustizia:
ch'essa non vi mancòmaper salvare
i suoila morte elesse. E questa sia
la ricompensa miadei figli invece
delle virginee cure; ove sotterra
qualche cosa pur sia; ma forsemeglio
che non vi fosse. Ché se avere gli uomini
dovessero cordogli anche laggiú
dove rifugio piú trovar? Lo ignoro;
ché la morte è pei mali un sommo farmaco.
Iolào:
O tu che tutte per altezza d'animo
le donne avanzie viva e mortasappilo
sommi onori da noi riscuoterai.
E salve. Ch'io dire parole infauste
per la Dea temo a cui sacra tu sei
per la figliuola di Demètra. Andiamo
figlich'io manco pel dolor. Bendatemi
appoggiatemi a questa aracopritemi
coi pepli il capo. Ch'io non godoo figli
a veder questi eventi; eppurla vita
salvar non si poteaquando restasse
incompiuto il responso: anche piú grande
rovina; e pur questa sciagura è grave.
(Macaría si allontana)
CORO: Strofe
Niuno degli uomini è mai felice - lo assèvero -
senza il volere dei Superi;
né la Fortuna persevera
entro una casa: sul vecchio
preme il nuovo destino;
e questo dai vertici eccelsi lo abbatte a miseria
e rende felice il tapino.
Il Fato fuggir non è lecito:
saggezza mai lungi nol tenne:
e chi lo presume partecipa travaglio perenne.
Antistrofe
Tu non t'abbatterma chínati dei Numi ai decretiné il cruccio
troppo t'opprima lo spirito.
è glorïosa la misera
che pei fratelli e la patria
terra la vita diede;
ed una perpetua fama l'attende fra gli uomini.
Virtú tra gli affanni procede.
è degno del padre e del nobile
suo sangue un tale atto; ma se
la morte dei prodi tu onorim'accordo con te.
(Giunge un servo d'Illo)
SERVO:
Salveteo figli. Ma dov'è Iolào?
Da quest'altare lungi? E Alcmèna ov'è?
Iolào:
Son quise pur la mia presenza giova.
SERVO:
Perché stai lí prostratoe l'occhio avvalli?
Iolào:
Da domestico affanno ho il cuor pervaso.
SERVO:
Alzativiasolleva pur la fronte.
Iolào:.
Euripide Gli Eraclidi16
Son vecchioe piú le forze non m'assistono.
SERVO:
Giungo a recarti un'allegrezza grande.
Iolào:
Chi sei? T'ho visto altrovee non ricordo.
SERVO:
D'Illo un famiglio. Mi conosci adesso?
Iolào:
Caro! E a salvarci dagli affanni g iungi?
SERVO:
Certo! E saraiper quanto udraifelice.
Iolào:
O madre d'un gran figlioAlcmènadico
escie queste parole odicarissime:
ché già da un pezzo ti struggevi l'anima
ansïosase mai quelli tornassero.
(Dal tempio esce Alcmèna)
Alcmèna:
Perché tutto s'empié di grida il tempio?
Iolàodi nuovo qualche araldo giunse
d'Argo ed a te fe' vïolenza? Imbelle
è la mia forzaeppursappi che mai
stranïeropotrai questi fanciulli
sin ch'io vivastrapparmi; o madre d'Ercole
non mi reputerei: se pur li tocchi
un'aspra lotta con due vecchi avrai.
Iolào:
Fa' cuoreo vecchianon temernon giunge
d'Argoostili parole ei non ci reca.
Alcmèna:
E a che quell'urlodi terrore araldo?
Iolào:
Perché tu fuor dal tempio uscir dovessi.
Alcmèna:
Nulla io sapevo. Ma costui chi è?
Iolào:
Dice che giunto è di tuo figlio il figlio.
Alcmèna:
Salve anche a teper questo annunzio lieto.
Peròse in questa terra ha posto il piede
ora dov'è? Qual caso mai lo tenne
dal venir teco a giocondarmi il cuore?
SERVO:
L'esercito che addusse a pugna schiera.
Alcmèna:
Nulla di tal discorso importa a me.
Iolào:
Importa a me: debbo io notizie chiederti.
SERVO:
Che vuoi saper dell'opere compiute?
Iolào:
Qual somma d'alleati ei con sé reca?
SERVO:
Molti; ma non saprei dirtene il numero.
Iolào:
Ma lo sancredoi principi d'Atene.
SERVO:
Certo; e l'ala sinistra hanno occupata.
Iolào:
Ed alla zuffa già pronto è l'esercito?
SERVO:
E dalle schiere uscite già le vittime..
EuripideGli Eraclidi17
Iolào:
E quanto lungi son le argive schiere?
SERVO:
Tanto che il duce puoi chiaro distinguere.
Iolào:
E che faceva? Disponea le fila?
SERVO:
Ne facevamo congettura: udirli
non potevamo. Or vado; i miei signori
non vo' che senza me la pugna affrontino.
Iolào:
Ed io con te: ché degli amici a fianco
vo' staree darcome potròman forte.
SERVO:
Dire stoltezze a te poco s'addice.
Iolào:
Né gli amici lasciar soli al cimento.
SERVO:
La forza piú non hai che avevio caro.
Iolào:
Quanti allora affrontavo affronterò.
SERVO:
Poco è il sostegno che agli amici arrechi.
Iolào:
Non posso anch'io percotere uno scudo?
SERVO:
Certo che puoi; ma tu prima cadresti.
Iolào:
Niun dei nemici oserà pur fissarmi.
SERVO:
Non basta il solo aspetto: occorre il braccio.
Iolào:
Dall'oprar non tenermi: io pronto sono.
SERVO:
Pronto certoal voler; ma non all'opera.
Iolào:
Dir puoi ciò che tu vuoi; ma qui non resto.
SERVO:
E come oplita andrai? Sei pur senz'armi!
Iolào:
L'armi son dei trofei nel tempio esposte:
io quelle indosserò: poise pur vivo
le restituirò: se muoioil Dio
non le richiederà. Su vianel tempio
entrae distacca dai piòlie portami
prima che puoicompleta un'armatura:
turpe sarebbe della casa a guardia
restaree chi poltriree chi combattere.
(Il servo entra nel tempio)
CORO:
L'ardir tuo non prostrarono gli anni
anzi è in fior; ma le forze ti mancano.
Perché invano t'affanni ad un'opera
che a te farà dannoe ben poco
può giovare alla nostra città?
L'età tua ti convien riconoscere
né piú l'impossibile
cercare: che giovine
tu ritornipossibil non è.
Alcmèna:
A che t'accingi? Di ragione uscito
lasciar mi vuoi coi figli miei qui sola?.
EuripideGli Eraclidi18
Iolào:
Questo s'addice a te: la pugna agli uomini.
Alcmèna:
E come? E me chi salveràse muori?
Iolào:
Ciò di tuo figlio i figli a cuore avranno.
Alcmèna:
E se li coglie - oh mai non sia - sventura?
Iolào:
Non temer: fidi avrai sempre questi ospiti.
Alcmèna:
Quest'appoggio mi restae poi null'altro.
Iolào:
E Gioveil sodelle tue pene ha cura.
Alcmèna:
Ahimè!
Di Giove io male non dirò; ma bene
egli lo sase verso me fu giusto.
(Il servo esce dal tempioed offre a Iolào l'armatura)
SERVO:
Eccoti l'armi: sono tutte: or tu
senza indugiarle tue membra rivestine
ché vicino è il cimentoe quei che indugiano
Marte li aborre. E se ne temi il peso
sgombro or procedie tra le file cingile;
sino a quel puntoio me ne addosso il carico.
Iolào:
Tu dici bene: alla mia presa pronte
l'armi tenendovieni mecoe in pugno
dammi l'asta di frassinoe il mio cúbito
manco sostienied il piè mio dirigi.
SERVO:
Guidar devo un'oplita a mo' d'un pargolo?
Iolào:
Saldo io vo'per auspicioil primo passo.
SERVO:
Oh se poter tu avessi quanto hai voglia!
Iolào:
Perder la pugna mi dorrebbe: affréttati.
SERVO:
Non ioma tu ti dai da faree tardi.
Iolào:
Non vedi come il piede mio s'affretta?
SERVO:
Menomi pardi quanto sembra a te.
Iolào:
Non dirai ciò vedendomi laggiú...
SERVO:
A far che? Grandi gesta? Ohlo vorrei!
Iolào:
Nello scudo ferir qualche nemico.
SERVO:
Se giungeremo lí: di questo dubito.
Iolào:
Ahimè!
Dehbraccio miotale alleato a me
móstraticome io ti ricordo giovane
quando Sparta espugnasti a fianco d'Ercole
sí ch'io possa Euristèo volgere in fuga.
Inetto a sostener l'urto dell'aste
egli è; ché in questo punto anche si pecca
nel giudicar chi vive in auge: in lui.
EuripideGli Eraclidi19
alto cuor si presume; e reputiamo
l'avventurato in ogni arte maestro.
(Partono)
CORO: Strofe prima
O terrae tu che illumini
Lunale nottio fiammei
del Dio raggi vivissimi
recar possiate a me della vittoria
l'annunzioe il grido estollerne
al cieloe al regal seggio
d'Atena occhicerulea
oracheavendo i supplici
accoltiper la patria
e pei miei tettiil rischio
recidere devo io col ferro candido.
Antistrofe prima
Che una città magnifica
qual è Micenee celebre
pel suo valordi collera
s'infiammi contro noicosa è terribile.
Ma sarebbe tristissimo
anchese d'Argo agli ordini
noi tradissimo i supplici.
Ma non temo ioché milita
con noi Giovela grazia
Giove m'accorda; e i Dèmoni
non si vedranno mai vinti dagli uomini.
Strofe seconda
Ma poi ch'è tua la terrao venerabile
Divatua la città di cui tu dèspota
tu sei madre e custode
scaccia da queste prode
le argive schiereche ad iniqua guerra
spingon le lancie: il mio valor non merita
che discacciato io sia dalla mia terra.
Antistrofe seconda
Ché sempre hai tu l'onor di molte vittime
né il giorno sfugge onde ogni mese ha termine.
E s'intrecciano canti
di giovani e danzanti
cori in tua gloria; ed il ventoso clivo
suonatra fitto carolar di vergini
tutta la nottedi clamor festivo.
(Giunge un servo d'Alcmèna)
SERVO:
O reginanotizie a te bellissime
a udirle recoa dirle a me brevissime.
La battaglia abbiam vintae l'armi tutte
s'ammucchiano in trofei dei tuoi nemici.
Alcmèna:
O mio dilettoquesto dí ne adduce
grazie al messaggio tuola libertà;
ma d'un timore non m'hai resa libera:
se coloro ch'io bramo ancora vivono.
SERVO:
Certoe son fra le schiere celeberrimi.
Alcmèna:
E il vegliardo Iolào vive tuttora?
SERVO:.
Euripide Gli Eraclidi20
Vive; e compiégrazie agli Deiprodigi.
Alcmèna:
Come? Compieva qualche arduo cimento?
SERVO:
Tornòda vecchionuovamente giovane.
Alcmèna:
Prodigi narri; ma la prova prima
tu degli amici fortunata narrami.
SERVO:
Dalla parola mia tutto saprai.
Poiché l'un contro l'altro allineammo
tutti gli oplitia fronte a frontescese
Illo dalla quadrigae nella lizza
schiusa fra le due schiere il pie' sospinse
e poi parlò: «Duce che d'Argo giungi
ché non lasciamo questa terra? Danno
Micene non avràse d'un sol uomo
resterà priva. Orsúda solo a solo
con me la lotta affronta; e se m'uccidi
d'Ercole i figli prendie con te portali;
se invece muoria me lascia gli onori
e le cose del padre». Ed approvarono
tutte Ie schiereche le sue parole
eran ben dettee pei travagli un termine
ed una prova pel valor ponevano.
Ma l'altrosenza pur badare a quanti
udite avean le sue parolesenza
la taccia di viltà schivareei duce
della lancia affrontar non ardí l'impeto
ma dimostrò viltà somma; e veniva
ei cosí fattoa far prigioni i figli
d'Ercole! Ed Illodunquesi ritrasse.
E glindovinicome ebbero visto
che col duello addivenire a tregua
non si potevail sacrificio offrirono
senza piú indugiodall'umana gola
sprizzar fecero sangue salutifero.
Sui carri poi questi salironquelli
sotto il fianco agli scudi il fianco ascosero.
E il re d'Atenecome a nobil duce
convieneai suoi parlò: «Concittadini
questa terra ciascun deve difendere
che l'ha nutritoche l'ha partorito».
Quell'altroinvecepregò gli alleati
che ad Argo onta o a Micene non recassero.
E poi ch'alta la búccina tirrena
il segno diedee l'una contro l'altra
s'azzuffaron le schiereor quale strepito
che si levasse dagli scudi immagini
e quali grida insiemee quali gemiti?
E il primo cozzo dell'Argiva lancia
spezzò le nostre schiere; e poi tornarono
alla riscossae al secondo urtopiede
piantato contro piedeuomo contr'uomo
stavan saldi alla pugna; e assai cadevano
e duplice era il grido: «O voi che d'Argo
voi che d'Atene seminate i solchi
alla vostra città l'onta schivate».
Ogni sforzo compiendoalfine in fuga
non senza molto travagliarponemmo
le schiere argive. E qui Iolàovedendo
Illo lanciarsilo pregò d'accoglierlo.
EuripideGli Eraclidi21
nel suo carro; ed in man tolte le redini
d'Euristèo si lanciò contro i cavalli.
Fin quiveduto ho con questi occhi: il resto
lo dirò per udita. Allor che il borgo
attraversava di Pallènesacro
alla divina AtenaIolàovisto
il carro d'Euristèovolse una prece
súbito ad Ebeche tornar potesse
per un sol giorno giovinee riscotere
dagli inimic i la vendetta. E adesso
un miracolo udir devi: ché due
stelle sui gioghi dei cavalli stettero
e dentro un manto oscuro il carro ascosero:
il tuo figliuolo ed Ebei saggi dissero.
E da quella nebbiosa oscurità
Iolàocon forma giovanil di braccio
emersee presso alle Scironie rupi
d'Euristèo prese la quadriga; e strette
di lacci a lui le maniavanzae reca
bellissimo trofeoprigione il duce
felice or ora. E con la sua sventura
chiaro bandisce a ogni uom che non invidii
chi felice gli parse pria nol veda
spento: ché la fortuna un giorno dura.
CORO:
Gioveterror dell'inimicolibera
dopo tanto terrorla luce io miro.
Alcmèna:
Tardi sui mali miei l'occhio volgesti
o Giovee grata pure io te ne sono.
E il figlio miodi certo or so che vive
fra i Numi: innanzi io nol credevo. O figli
e dagli affanni voidalla minaccia
d'Euristèo maledetto or siete liberi
e rivedrete la città del padre
sopra i suoi beni avanzerete il piede
vittime ai patrî Numi immolerete
lungi dai quali vivevate un'esule
misera vita. Ma che saggio avviso
Iolào celava nella mentequando
la mano astennee risparmiò la vita
d'Euristèo? Dillo: ch'è fra noi stoltezza
del nemico prigion non far vendetta.
SERVO:
Per riguardo di teché tu vedessi
con gli occhi tuoiservo in tua manoquello
ch'era padrone; e con la forza qui
l'addussee non di suo buon grado: ch'egli
non volea venir vivo al tuo cospetto
a scontare la pena. E adessoaddio
vecchiae di me serba memoria: quando
a parlar cominciaitu d'affrancarmi
mi promettesti; e deve in tali casi
dei liberi la lingua esser veridica.
(Parte)
CORO: Strofe prima
Nel convivio è la danza a me gradita
se le argute sue grazie effonde il flauto;
e diletta anche m'è l'amabil Cípride;
e la ventura anche veder m'allegra
degli amiciche vita
già conducevano egra..
EuripideGli Eraclidi22
Ché molti eventi il Fato
e molti il Tempo genera
che da Saturno è nato.
Antistrofe prima
è giustoAteneil tramite che batti
e non conviene il passo mai distoglierne:
ché tu onori i Celesti; e chi maledico
lo negapresso alla Demenza muore.
Offerte m'hanno i fatti
seguítieccelse prove:
un Dio chiaro gli esempî
ne adduce: ché delirano
le menti ognor degli empî.
Strofe seconda
Annosa Alcmènadel tuo grembo il gèrmine
del cielo ascese i vertici.
Ch'egli scendesse in Erebo
consunto dall'orribile
vampa del fuocoè diceria mendace:
d'Ebe nel caro talamo
entro aule d'oroei giace.
Tu stringio Imènei due
figli di Giovecon le grazie tue.
Antistrofe seconda
Spesso gli eventi a sé simili tornano.
Protesse Atenadicono
il padre loro; e il popolo
d'Atenea cui la vergine
Diva è patronai figli suoi protegge
e frenò l'uom che víola
tracotanteogni legge.
Vivere sempre io voglio
dagli eccessi lontano e dall'orgoglio.
(Giunge Euristèo tratto prigioniero. Lo conduce un Messo)
MESSO:
Ben tu lo vedieppure io voglio dirtelo:
a condurti Euristèo veniamsignora;
vista per te tanto inattesa quanto
fu per costui l'evento. Ei non pensava
mai di cader nelle tue maniquando
da Micene partícon tante schiere
oltre giustizia presumendoa struggere
Atene; e un Dio gli rese avverso l'esito
la sua fortuna sperse. Ed Illoadesso
e Iolào valorosoa Giove innalzano
sgominator di schiere un simulacro
per la vittoria. E a te qui m'inviarono
a recarti costuiper farti lieta:
ché un nemico veder dalla fortuna
a disgrazia piombarcosa è dolcissima.
Alcmèna:
Odio miosei pur qui? T'ha colto infine
Giustizia. Volgi innanzi tutto il volto
verso di meguardar negli occhi ardisci
i tuoi nemici: ché ricever devi
comandiorae non darne. Or dimmi: quello
sei tulo vo' saperche al figlio mio
ch'ora si trova ove si trovaardivi
scagliare oltraggi? Quale offesa mai.
EuripideGli Eraclidi23
contro lui non osasti? All'Ade vivo
scendere lo facestiidre e leoni
a uccider l'inviasti; e gli altri rischi
che macchinastinon dirò: sarebbe
troppo lungo il discorso. E tanto ardire
non ti bastò? Ché me da tutta l'Ellade
e i suoi figliuoli via scacciastiquando
dei Numi all'are sedevamo supplici
alcuni vecchialtri che ancor non parlano.
Ma una libera genteed una libera
città trovastiche di te non ebbero
timore. Ed ordi trista morte devi
morire; e tutto ancor sarà pel tuo
vantaggio: dopo tanto mal commesso
non dovresti morir solo una volta.
MESSO:
Che tu morte gl'infliggaesser non può.
Alcmèna:
Dunqueprigione l'abbiam fatto invano?
MESSO:
Giusto non par di questa terra ai principi.
Alcmèna:
Bello i nemici uccidere non reputano?
MESSO:
Non quel che vivo sia preso in battaglia.
Alcmèna:
E a tal decreto Illo si rassegnò?
MESSO:
Ribelle a questa terra esser doveva?
Alcmèna:
Doveva a questo infligger morteucciderlo.
MESSO:
Errore fu non dargli morte súbito.
Alcmèna:
E che sconti la pena or non è giusto?
MESSO:
Nessuno v'è che morte or possa infliggergli.
Alcmèna:
Io ci sono; e qualcuno esser presumo.
MESSO:
Attirerai su te biasimo grande.
Alcmèna:
Amo questa cittànon c'è contrasto.
Ma questopoiché in mano alfin mi cadde
nessuno v'è che possa piú strapparmelo.
E temeraria lascia che mi dicano
e ch'io presumo piú che debba femmina;
ma tal opera a fine io condurrò.
CORIFEO:
è terribileo donnaio ben lo vedo
l'odio tuo per quest'uomo; e perdonabile.
Euristèo:
Io non ti blandiròsappiloo donna
né tu m'udrai che per salvar la vita
altra parola io dicaond'io m'acquisti
la nomea di viltà. Non di buon grado
in tal contesa io mi gittai: sapevo
ch'ero cugino tuoch'ero parente
ad Ercole tuo figlio: in me tal febbre
senza volere mioGiunone accese
ch'era una Diva. Ed ioquando contratta
ebbi tal nimistàquando convinto.
EuripideGli Eraclidi24
fui che affrontar dovevo un tal cimento
mille cordogli a escogitar mi diedi
molti la mente mia ne partorí
consigliera la notte ognor prendendo
perchéperseguitando e sterminando
i miei nemicinon dovessi in casa
piú vedermi il terrorbene sapendo
che non era un da nulla il tuo figliuolo:
era un uomo - se pur mi fu nemico
sempre lo esalteròch'egli era un prode.
E poi ch'egli fu mortoioche odïato
ero dai figlie ben sentia la loro
d'inimicizia ereditàcercare
la loro morte non doveabandirli
tramare insidiee terra e ciel sconvolgere?
Sol facendo cosíla sicurezza
acquistare potevo. Or dimmi tu
se fossi stata in mecon ogni male
perseguitati non avresti i figli
d'un infesto leoneanzi li avresti
lasciati in Argo vivere tranquilli?
Niuno convincer ne potresti. E adesso
poi che ucciso non m'han quando la morte
io m'aspettavoper le leggi d'Ellade
chi m'uccide sarà contaminato.
E mi risparmia la cittàche piú
che alla mia nimistàbada all'ossequio
dovuto ai Numi; e si dimostra saggia.
Or m'hai parlatoudito m'haichiamarmi
puoi coraggioso oppur codardo: è tale
l'animo mio: morire non desidero
né pur mi cruccia abbandonar la vita.
CORO (Ad Alcmèna):
Odi un consiglio mio: quest'uomo libero
lasciae il voler della città rispetta.
Alcmèna:
E se potessi rispettarlo e ucciderlo?
CORO:
Sarebbe il meglio. E come esser potrebbe?
Alcmèna:
Chiaro te lo dirò. L'ucciderò
ed agli amici renderò la salma
che giungano a cercarla. E rispettate
cosí le leggi avrò d'Ateneed egli
con la morte scontata avrà la pena.
Euristèo:
Dammi pur morteio non t'imploro. E a questa
città che m'ha risparmïatoche
di darmi morte ebbe riguardoin dono
offro un antico oracolo d'Apollo
che un dí le gioverà piú ch'or non creda.
Quando morto saròsepolcro datemi
dov'è fataleinnanzi alla divina
vergine di Pallène. E a te benevolo
e per Atene salvator metèco
io giacerò sotterrae nimicissimo
ai nepoti di questoallor che qui
con molte schiere giunganotradendo
i benefici vostri: ecco a quali ospiti
deste soccorso. Orcome maise ciò
sapevoio venni quisenza all'oracolo
badar del Dio? Giunone io mi credei.
EuripideGli Eraclidi25
che piú possente fosse d'ogni oracolo
e che tradito non m'avrebbe. Ma
non consentite ch'ella sul mio tumulo
libagïoni rechi e sanguech'io
preparo ad essi un misero ritorno
per guiderdone. E un duplice vantaggio
otterrete da me: farò morendo
l'utile vostro e dei nemici il danno.
Alcmèna:
Avete udito? E che indugiatequando
ad Atene salvezza e ai vostri posteri
con ciò potete procurarea ucciderlo?
La piú sicura via mostra il nemico
e morendo ci giova. Accompagnatelo
o servie quando poi l'avrete ucciso
datelo ai cani. - Non sperar di vivere
piúper bandirmi dalla patria terra.
CORO:
Parli bene. Moveteo vincitori
giacchéper mia parte
resteran senza macchia i miei príncipi.