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Euripide
Ercole
Apollo e Daphne
Edizione Acrobat
a cura di
Patrizio Sanasi
(www.bibliomania.it).
EuripideErcole2
PERSONAGGI:
Anfitrióne
Mègara
LICO
ERCOLE
IRIDE
FURIA
ARALDO
Tesèo
CORO
Il palazzo d'Ercole a Tebe. Dinanzi al palazzoun altare di Giove
intorno al quale sono aggruppati supplici AnfitrióneMègara
e tre figli d'Ercole giovinetti.
Anfitrióne:
Chi non conosce Anfitrïóne d'Argo
ch'ebbe al talamo suo Giove partecipe
cui die' la vita Alcèofiglio di Pèrseo
e che d'Ercole fu padre? Io son quello.
E in Tebe venni a soggiornaredove
la terrigena spiga degli Sparti
un giorno crebbedella cui progenie
Marte ben pochi lasciò salvi; e questi
per i figli dei figli popolarono
di Cadmo la città. Da questi il figlio
nacque di MenecèoCreontere
di questa terra; e fu Creonte padre
di Mègarache qui vedete. Un giorno
tutti i Cadmèi per essaal suon dei flauti
levaron l'imenèoquando alla mia
casa l'addusse sposa Ercole illustre.
Ma poi mio figlio Tebe abbandonò
il mio soggiornoe i suoceri e Mègara
e fra le mura d'Argoe nella rocca
dei Ciclopi abitar volledonde io
bandito fuich'Elettrïone uccisi.
E per lenir la pena miaper brama
d'abitar la sua patriain gran compenso
offerse ad Euristèodi sterminare
le belve della sua terrao sia ch'Era
lo spingesse coi suoi pungolio sia
l'impulso del destino. Orpoiché tutte
l'altre fatiche ebbe compiutein ultimo
dalle Tenarie foci all'Ade scese
per condurre alla luce il can dai tre
corpi; e di là non è tornato ancora.
Un'antica leggenda è fra i Cadmèi
che a tempi andatiun certo Licosposo
di Dircefu signor di Tebe e delle
sue sette torripria che vi regnassero
Anfíone e Zetoi due figli di Giove
dai candidi puledri. Un suo figliuolo
ch'à lo stesso suo nomee non tebano
ma venuto d'Eubèapiombò su Tebe
mentre a mal di fazioni essa era in preda
Creonte ucciseed or la terra impera.
Onde orasembraè mal grande per noi
il parentado con Creonte stretto;
perchémentre mio figlio è nelle viscere
della terrail signor nuovo di questa.
EuripideErcole3
contradaLicoi figli vuole uccidere
d'Ercoleeper lavar sangue con sangue
uccidere la sposae mese pure
tuttora annoverar convien fra gli uomini
medisutile vecchioaffin che i pargoli
un giornodivenuti uominiil sangue
non vendichin dei loro avi materni.
Ed io - poiché mio figlioallor che scese
giú nella negra sotterranea notte
qui mi lasciava educator dei figli
della casa custode - affinché scampo
trovassero da morte i figli d'Ercole
con la lor madrea quest'altare venni
di Giove salvatore: il figliuol mio
nobile lo fondòsegno del suo
trionfoallor che vinti egli ebbe i Minî.
E a questo asilo ci stringiamdi tutto
bisognosidi cibodi bevanda
di vesti: il fianco distendiamo sopra
la nuda terra: sigillate sono
per noi le casee piú non c'è speranza.
E degli amicialcuni vedo ch'erano
amici falsie i veri non ci possono
prestare aiuto; è tal della sciagura
per gli uomini l'effetto. Ohniun patirla
possaper poco che mi sia benevolo.
Troppo verace prova è per gli amici.
Mègara:
O vegliardo che un dícon tanta gloria
le schiere dei Cadmèi capitanando
ponesti a sacco la città dei Tafi
nulla di chiaro mai veggono gli uomini
nei consigli dei Numi. Io sventurata
non fui da parte di mio padre; ch'esso
magnificato per la sua fortuna
eraché della terra aveva il regno
il regnoonde le lancie a pugna balzano
contro chi se ne beapiene di brama.
E figli aveva; e me sposa a tuo figlio
diedesí ch'io nella magione d'Ercole
a gloria entrai. Ma già vanito è il tempo
della fortunaè spentoo vecchio; e a morte
siamo presso tu ed ioson questi figli
d'Ercolech'iocome una chioccia i suoi
pulciniaccolgo sotto l'ali. E d'essi
or l'uno or l'altro mi si fanno intorno
m'investon di domande: «O madreparla:
nostro padre dov'èlungi da Tebe?
Che fa? Quando ritorna?» E nella vana
fanciullesca lusingail padre cercano.
Io storie inventoe coi discorsi illudo
la lunga attesa. Ma se l'uscio scricchiola
maitrasalisce ognunoe in piedi salta
per balzare del padre alle ginocchia.
Ed orquale speranzao quale terra
trovar saprestiper salvarcio vecchio?
A te gli sguardi io volgo. Oltre i confini
della terra passar di sotterfugio
noi non potremo: guardano i passaggi
scolte di noi piú forti; e negli amici
piú non ci resta di salvezza speme.
Il tuo disegno a noi dichiara adesso.
EuripideErcole4
quale ch'ei sia: chése morire è d'uopo
non convienper viltàsoverchio indugio.
Anfitrióne:
Piacevole non è consigli simili
o figliaoffrire a cuor leggeroe pompa
di zelo farquando non c'è pericolo.
Mègara:
Poca è la doglia tua? Tanto ami vivere?
Anfitrióne:
Certo ne godo; ed amo la speranza.
Mègara:
Anch'io; ma non sperar mai l'impossibile.
Anfitrióne:
C'è scampo ai morbiquando si procràstina.
Mègara:
Odïosa è l'attesae il cuor mi morde.
Anfitrióne:
Potrà forse una rotta favorevole
lungi da questi malio figliaddurci:
il figlio mio verràforseil tuo sposo.
Càlmati adessoe i lagrimosi estingui
rivi sugli occhi dei fanciullie illudi
l'anime loro con infinte fole
sebbene è trista finzïon. Si stancano
sin le sciagure che colpiscon gli uomini
né i venti ognor con ugual forza spirano
né fortuna sorride insino all'ultimo
ai fortunati. Con alterna vece
tutte mutan le cose: ottimo è l'uomo
che sempre spera; e chi disperaè un vile.
(Entra il Corocomposto di vecchi compagni d'Anfitrióne)
CORO: Strofe
Ai letti eccelsial talamo
senilesul baston cercando appoggio
simile a cigno dalle piume candide
giunsicantor di querule canzoni.
Altro non siamo piú che ciancee fatue
di sogni visïoni.
Purse tremulo è il corpoè il cuore impavido.
O figliorbi di padre! O vecchio misero
e tumisera madre
che il tuo consorte lagrimi
giú disceso nell'Ade!
Antistrofe
Il piedee le tue vecchie
membra non affannarsiccome a ripida
rocciosa erta un corsierchesotto il carico
di roteante cocchioal peso cede.
S'appigli al manto ed alla manchi debile
sente mancargli il piede.
O vecchioed ora tu conduci il vecchio.
Compagni già nelle fatichegiovani
l'armi stringemmo un giorno
coi giovani; e la celebre
patria non n'ebbe scorno.
Epodo
Vedetea quella simile
del padre lorterribile
fulge la lor pupilla.
Non v'è sciagura che su questi pargoli.
EuripideErcole5
non piombi; e pure in lor la grazia brilla.
Ahicol morir di questi
fanciullidi che validi
difensori stremataElladeresti!
CORO:
Ora eccopresso a queste case io vedo
farsi Licoil signor di questa terra.
(Si avanza Lico)
LICO:
Interrogarvio padre e sposa d'Ercole
vogliose pure m'è lecitoe lecito
m'èpoiché son vostro signorechiedervi
quello ch'io bramo. Quanto a lungo ancora
la vostra vita prolungar credete
e che speranza avetee che sostegno
contro la morte? Confidate forse
che dall'Ade tornar possa di questi
fanciulli il padre spento? Oltre ogni limite
esagerate la sciagura vostra
tu per l'Ellade tutta i fatui vanti
spargendoche con Giove e figlio e talamo
comuni avestie tu che proclamata
fosti consorte al piú prode fra gli uomini.
Ma che cosa di grande Ercoleil tuo
sposoha compiuto? Sterminòdie' morte
a un serpente palustree a quella belva
nemèache prese al laccioe disse poi
che fra la stretta delle braccia sue
soffocata l'aveva. E tali sono
le ragion' vostre? E a morte esser sottratti
dovrebbero per esse i figli d'Ercole
cheprivo affatto di coraggiofama
lucròlottando con le fieree niuna
prodezza ebbe nel resto al braccio manco
mai lo scudo non ressee mai non mosse
contro le lanciema brandiva l'arco
l'arma d'ogni altra piú codarda; e pronto
era sempre alla fuga. E non è l'arco
prova al valor d'un guerrïerma quando
resta a pie' fermoe i solchi fissa intrepido
irti di lancie dei nemicisaldo
nella sua fila. E questa mia non è
efferatezzama prudenzao vecchio.
Io so che il padre di costeiCreonte
uccisie il soglio or n'occupo. Se crescono
questi fanciulliio vivo avrò lasciato
chi dell'opere mie trarrà vendetta.
Anfitrióne:
Gioveper quanto spetta a luidifenda
di Giove il figlio; ma provare io voglio
che stoltezza è la suaparlando come
Ercoledi te parla; e che la fama
tua sia macchiataio tollerar non posso.
E primaallontanar voglio l'accusa
sacrilega da te; ché sacrilegio
Ercolefu chiamarti vile; e invoco
testimonî gli Deilo chiedo al folgore
di Giovealla quadrigaove egli asceso
ai Giganti nel fianco i dardi alati
infisseai figli della terrae fulgida
vittoria fra gli Dei ne celebrò.
Al monte Folo poi récatichiedi.
EuripideErcole6
dei Centauri alla stirpealla quadrupede
lor tracotanzao pessimo fra i re
se prode sovra tutti altr'uomo estimino
tranne che il figlio mioch'èdici tu
solo apparenza: al Dirfi chiedidove
fra gli Abanti crescestie non ne avrai
lode; ché non c'è luogo dove tu
qualche prodezza abbia compiutae possa
testimonianza dalla patria averne.
L'arma ch'ei trattal'arcotu poi biasimi;
e l'arco è un gran trovato. Odied apprendi
da me. Dell'armi sue schiavo è l'oplita
e se prodi non son quanti schierati
sono con luiper la viltà di quelli
che gli son pressoei stesso muore. E se
la sua lancia si spezzaei non ha schermo
contro la morte piú; ché sola aveva
quella difesa. Quanti esperta invece
hanno la mano a trattar l'arcoquesto
vantaggio hannoche mi lle e mille dardi
lanciandogli altri dalla morte salvano
estando lungie con saette cieche
trafiggendo i veggentia bada tengono
le schiere ostilie i corpi non espongono
agli avversarîe senza esporsi ai colpi
stanno al sicuro; ed è questa in battaglia
la massima scaltrezzai tuoi nemici
danneggiaree salvar la tua persona
senza dipender da Fortuna. Tali
son gli argomenti che a pensar m'inducono
il contrario da te su tal soggetto.
Questi fanciulli poi tu bra mi uccidere.
Ma che t'han fatto? In questo punto solo
mi sembri accortoche dei forti i figli
temitu che sei vil. Ma iniquo è certo
se noi morremo per la tua viltà
quando per nostra manche siam piú prodi
tu dovresti caderse giusto fosse
per noi di Giove il cuore. Orpoiché reggere
lo scettro vuoi di questa terralascia
che noi fuggiaschi ne partiamoe aborri
da vïolenzase non vuoi tu stesso
vïolenza patirquel dí che avversa
spiri contro di te l'aura del Nume.
Ahiahi! Terra di Cadmoadessovolgere
debbo anche a te la tua parte d'ingiurie:
questo soccorso ad Ercole tu porgi
ed ai suoi figli? Contro i Minî tutti
venuto a pugnaei fece sí che libero
alto levar poteste il capo. E lode
all'Ellade non dòné so tacere
quando la trovo tanto ingrata verso
il figliuol miomentre dovrebbe accorrere
e fuoco e lancie a questi suoi rampolli
recareed armia compensareo figlio
le tue faticheonde purgasti il mare
e la terra dai mostri. E inveceo figli
né Tebe a noi soccorso dàné l'Ellade;
e a me gli occhi volgeteamico debole
troppoche nulla ho piútranne la voce
poiché vanita è la mia forza antica
e son le memhra per vecchiaia tremule.
EuripideErcole7
spenta è la forza. Se ancor fossi giovine
e signor delle mie forzela lancia
impugnereicospergerei di sangue
le bionde chiome di costuisicché
volgere a fuga oltre i confini atlantici
dovesseper timor della mia cuspide.
CORO:
Vero non è che buone mosse al dire
pur se tardi a parlarei prodi trovano?
LICO:
Parlatucontro me parole accumula:
a fatti il male io renderti saprò.
Prestoa le valli d'Elicona alcuni
muovanoed altri a quelle del Parnaso
e ai boscaiuoli o rdine dian che taglino
ceppi di quercia; e poi che alla città
saranno addottifatene catasta
dintorno all'araappiccatevi il fuoco
e tutti insieme i loro corpi v'ardano;
e imparino cosí che in questa terra
non regna il mortoe ch'io ne son signore.
O vecchie voi che v'opponete ai miei
divisamentinon per la progenie
d'Ercole solma per la casa vostra
dovrete lagrimarquando sovr'essa
piomberà la sciaguraa ricordarvi
che voi siete miei serviio vostro re.
CORO:
O figli della terrao germogliati
dalle zanne onde Marte un dí vuotò
la mascella del dragoorché lo scettro
fulcro alla destranon levateché
non percotete l'empio capo a sangue
di costuiche non è Cadmèoche giunse
di fuori viache tristo è piú d'ogni altro
e ai giovani comanda? Ohma ben poco
t'allegrerà tiranneggiarmie tuo
non sarà ciò ch'io guadagnai con molta
fatica del mio braccio e assai travaglio.
Vattene donde sei venutoe lí
insolentisci. Ma sin ch'io son vivo
tu non ucciderai d'Ercole i figli:
l'eroe che li lasciònon è nascosto
tanto profondonosotto la terra.
Ché tuch'ài la città tratta a rovina
or la governi; ed egli che ne fu
benefattoredi compenso è privo.
Ed iose aiuto ai miei defunti amici
quando bisogno han piú d'amiciarreco
faccendiere sarò? Dehquanto brami
stringer la lanciao mia mano; e distrutta
la brama vaper l'impotenza; o ch'io
t'avrei costretto a non chiamarmi schiavo
e glorïosa vita in questa Tebe
dove tu godicondurrei: ché male
s'avvisa una cittàse la funestano
discordia e mal consiglio; e se nomai
Tebe t'avrebbe suo signore eletto.
Mègara:
Vecchiv'approvo. Devono gli amici
di giusto sdegno per gli amici accendersi;
ma non sia che per noi contro il tiranno.
EuripideErcole8
saliti in iraincorrere dobbiate
in qualche danno. Il mio parere ascolta
Anfitrïonese ti par che valga.
I figli io prediligo. E potrei forse
non amar quelli a cui la vita diedi
per cui soffersi? E cosa orrenda credo
che sia la morte; eppurechi resistere
vuole al destinovile uomo lo reputo.
Morire è d'uopo; ma morir distrutti
dal fuoco non convieneed argomento
esser di riso pei nemicich'è
maleper mepeggiore della morte.
Obblighi grandi impone a noi la mia
progenie illustre: a te vieta morire
di vil morte la tua gloria guerresca.
E non vorrebbe - non occorre addurre
prove - l'illustre sposo mio che salvi
fossero i figlie la lor fama trista.
Per le vergogne dei lor figlisoffrono
i generosi; e dello sposo mio
repudïar l'esempio non m'è lecito.
Ascolta poi quello ch'io penso circa
le tue speranze. Il tuo figliuolocredi
che dall'Ade risalga? E qual degli uomini
dall'Ade mai fece ritorno? O speri
con le parole intenerire il cuore
di Lico? Oh non sarà! Fuggir conviene
il nemico villanoe compiacente
esser solo a chi sasolo ai gentili.
Se t'appelli al pudoreagevolmente
con essi puoi venire a patti. Or ora
l'idea venuta m'era che chiedessimo
per questi figli il bando; e poipensai
quanta miseria è aver salvezza a prezzo
d'amara povertà: ché un sol dí l'ospite
fadiconobuon viso all'amico esule.
Con noi la morteche t'aspetta senza
riparoaffronta. Io ti richiamo all'indole
tua generosao vecchio. Ardire ha certo
l'uom che i decreti dei Celesti avversa;
ma quell'ardire è follee mai sarà
che non avvenga quanto avvenir deve.
CORO:
Se quando vigoroso era il mio braccio
t'avesse alcuno offesoio di leggeri
l'avrei fatto cessar. Ma nulla or sono
ed oramai da te provveder devi
a schivar la sciaguraAnfitrïone.
Anfitrióne:
Non codardianon troppo amor di vita
fa che la morte io schivi: io salvi solo
i fanciulli vorrei. Ma par ch'io brami
l'impossibile. E dunqueeccoalla spada
questa mia gola porgoché mi sgozzino
mi uccidanda una roccia giú m'avventino.
Solo una grazia accordacio signore
te ne preghiamo: uccidi me con questa
miseraprima dei fanciullisí
che non dobbiam vederliempio spettacolo
morire ed invocar la madre e il padre
del padre; e fa' ciò che tu vuoidel resto:
ché schermo non abbiam contro la morte..
EuripideErcole9
Mègara:
Ed io ti prego che alla grazia aggiungi
anche una grazia. I figli miei concedi
che adorni io rendacon le vesti funebri.
Fa' che le porte s'apranoche adesso
per noi son chiuse; e questa parte almeno
del retaggio paterno abbiano i figli.
LICO:
E sia cosí. Le porte apriteo servi. -
Entrate purfatevi adorni: invidia
non porto ai vostri pepli; e allor che cinti
alle membra li abbiateio tornerò
per inviarvi ai regni sotterranei.
(Esce)
Mègara:
O figlientrate con la madre misera
nella casa paterna. Altri or ne invade
le sostanze; ma il nome ancora è nostro.
(Entra coi figli)
Anfitrióne:
Invano dunqueo Giovefuche al talamo
mio t'avessi compagnoinvan partecipe
ti chiamai di mio figlio: amico meno
che non pensassi m'eri tu. Mortale
io sono; eppur la mia virtú piú grande
è della tuapossente Nume: i figli
d'Ercole io non tradisco. Invece tu
furtivamente intruderti sapesti
nel letto altruila donna altrui rubare
senza diritto averne alcuno; e salvi
far gli amici non sai. Privo tu sei
d'ogni saggezzao ingiustoo Numesei.
CORO: Strofe prima
Dopo l'inno di gaudio
col tristo elíno risuonar fa' l'etra
Apollofa' con l'aureo
plettro vibrar l'armonïosa cetra.
Iodell'eroe - chi del Croníde vuole
chiamarloe chi d'Anfitrïone prole -
che fra gli estinti scese
nel buio Avernovo' cantar le imprese.
Per le fatiche che gli eroi compierono
è corona l'elogio: all'eroe spento
di sue gesta il ricordo è monumento.
Pria dal leon fe' libera
di Giove la foresta
e il dorso con la fulvida
fauce del mostro orribile
cinsee la bionda testa.
Antistrofe prima
E la stirpe selvaggia
degli alpestri Centauricol fatale
arco abbattésterminio
ne fe'vibrando delle frecce l'ale.
Lo sa Penèod'intorno alle acque pure
suelo san campi e sterili pianure
e del Pelio le gole
e le vallèe finitime d'Omòle
donde le alpestri fiere il pian dei Tèssali
tutto invadeano di galoppi equini
le mani armando coi divelti pini..
EuripideErcole10
E la cerva dal vario
velloterror d'agricoli
uccise: a Enèo ne giubila
or la Dea cacciatrice.
Strofe seconda
E quindiasceso il cocchio
di Dïomede pose la briglia a le cavalle
chedi redini ignaredi sanguigne vivande
sazïavan le fauci ne l'omicide stalle
imbandendo d'umane carni mense nefande.
Poidell'Ebro alle vene
che tra l'eccelse ripe ora fluiscono
mossein servizio al sire di Micene.
E su la spiaggia Pelia
presso ai fonti d'Anàuro
Cignosterminatore
d'uominiuccise con le frecceil barbaro
d'Anfèna abitatore.
Antistrofe seconda
Alle canore vergini
quindiagli orti che d'Espero crescon sui lidimosse
per cogliere dai rami floridi l'aureo pomo.
E il dragone custodeche le sue scaglie rosse
avvolticchiava in orride spireda lui fu domo.
Poiper umida traccia
nel mar s'immersee al remigar dei nauti
procurò la bonaccia.
E il cielo alto nell'ètere
levòsottoponendovi
le palmeil dí che presso Atlante venne:
tanto era saldo; e la magion siderea
dei Superi sostenne.
Strofe terza
Fra i molti fiumi poi della Meòtide
fra l'estuare dell'Eusinle Amazzoni
schiera d'equestri verginiaffrontò.
E quanti mai dell'Ellade
eroi non radunò
per conquistar la vesta
della fanciulla d'Ares figliail cingolo
d'oro intessutola preda funesta!
Della fanciulla barbara le spoglie
ebbe Acaia: Micene ora l'accoglie.
Quindi la sanguinaria
cagnal'Idra dai capi innumerabili
presso Lerna struggea
con la fiamma; e col tòssico
sterminò delle sue frecce il tricorpore
pastore d'Erittèa.
Antistrofe terza
E lieto conseguí d'altre vittorie
trofei. Poi navigò fra il pianto e i gemiti
d'Ade; e questa la prova ultima fu.
Quivi si spenseo misero
né fe' ritorno piú.
Deserto ora è l'ostello
d'amici; e i figli attende all'empio tràmite
di Caronte il battello.
EuripideErcole11
donde niun mai riedé. Nella tua mano
spera or la casa; e tu sei ben lontano.
Se fossero ancor floride
le mie forzee vibrare ancor la cuspide
fra gli amici cadmèi
io potessiai tuoi pargoli
darei soccorso: ma ben lungi è il gaudio
dei giovani anni miei.
CORIFEO:
Precinti di funebri vesti
già d'Ercole i figliche un giorno
fu grandes'avanzanoavanza
la fida sua sposa
che stretti ai suoi passi
conduce i fanciullied il vecchio
padre d'Ercole. Oh me sciagurato
che non posso le vecchie sorgive
degli occhi frenare!
(Appare Mègara coi figli pronti al sacrificio)
Mègara:
Ecco. Il ministro ov'è dei ritidove
l'assassino dei miseriil carnefice
della dogliosa anima mia? Le vittime
sono già pronteper condurle all'Ade.
Bellofiglinon è questo corteo
di moribondie vecchi e madri e pargoli.
O trista sorte miadei figli miei
dei figli miei che le mie luci vedono
l'ultima volta! Io generati v'ho
nutriti v'hoperché foste ludibrio
e sterminio ai nemicie vituperio.
Ahimè!
Come abbattute le speranze furono
che un giorno io concepii per le promesse
del padre vostro! Il morto padrea te
Argo assegnava; ed abitata avresti
la casa d'Euristèodella feconda
terra Pelasgia avresti avuto il regno;
e a te cingeva del leone il vello
ond'ei schermito andar soleva. Tu
di Tebe dai bei cocchi eri signore
redavi i campi della patria mia
tanto molcivi di tuo padre il cuore;
e nella destra a te ponea la clava
schermitrice dei maliil dono subdolo
di Dèdalo. Ed a te fece promessa
d'Ecalíala città che un giorno egli ebbe
col lungi saettante arco distrutta.
Del suo valor nell'alto orgoglioil padre
a tre regni estolleva i suoi tre figli;
ed io sceglievo il fiore delle vergini
per celebrar le vostre nozzea Tebe
a Spartaed in Ateneaffinchéstretta
a saldi ormeggitrascorresse prospera
la vita vostra. E tutto ora è finito:
la fortuna ha mutatoe vuol che spose
le Parche invece abbiatee ch'io di lagrime
lavacri nuzïali appresti a voi.
Il banchetto di nozze appresta il padre
di vostro padre: ché l'Averno ei reputa
suocero vostro. Ahichi di voi per primo
chi per ultimo al seno io stringerò.
EuripideErcole12
su chi le labbra imprimeròle braccia
chiuderò? Dehpotessi al par d'un'ape
le querele di tutti insieme accolte
in un profluvio riversar di lagrime!
Se voce alcuna dei mortali giunge
nell'Adeo mio diletto Ercolea te
favello: il padrei figli tuoi soccombono
perduta io sonche avventurata gli uomini
già dicevan per te. Corri al soccorso
móstrati a mesia pur come ombra: giungi
sia pur simile a sogno: innanzi a te
vili son quelli che i tuoi figli uccidono.
Anfitrióne:
Donnatu della morte i riti appresta.
Ed iole mani al cielo alzandoo Giove
favello a te: se tu recar soccorso
a questi figli vuoipiú non tardare:
ché presto in tempo non sarai. Chiamato
t'ho molte volte; e fu vana fatica
dacchè la mortesembraè necessaria.
è la vitao vegliardiun picciol bene
né modo v'ha migliore di trascorrerla
che giungere ogni dí da mane a sera
senza dolore. Ché il tempo non sa
mantener le promesseanzi il suo cómpito
affretta e fugge via. Guardate me
che un tempo mèta agli occhi ero di tutti
per la celebre mia felicità
e la Fortuna or via me l'ha rapita
come piuma nell'ariain un sol giorno.
La gran felicitàla famaignoro
per chi siano sicure. Addio. Per l'ultima
volta vedete il vostro amicoo vecchi.
(Durante le ultime parole del vecchio Mègara fissa gli occhi
verso un punto lontano. Ad un trattoprorompe)
Mègara:
Ahimè! Mio vecchio padre
vedo il bene mio sommo? O che dirò?
Anfitrióne:
Non lo sofiglia: anch'io muto rimango.
Mègara:
Questi è colui che si dicea sepolto
se pur di sogno ombra non èche in piena
luce vediamo. Che dirò? Nel mio
mortal travaglioombre vedo io! Non altri
è costuiche il tuo figlioo vecchio. Qui
figlialle vesti del padre appendetevi
affrettatevisunon lo lasciate
ch'ei men di Giove non vale a salvarvi.
(Giunge Ercole)
ERCOLE:
O della casa mia tettoo vestibolo
salute! A luce ritornatoquanta
gioia m'è rivedervi! Ohma che avviene?
Veggo alla casa innanzi i figli miei
che di funebri bende il capo han cinto
e la mia sposa fra una turba d'uomini
e il padre mio che lagrima. Perché?
Per che sciagura? Ad essi avviciniamoci
chiediamo. O donna miache nuova angustia
piombò su questa casa?
Mègara:.
Euripide Ercole13
Oh fra i mortali
dilettissimo!
Anfitrióne:
O luce al padre apparsa!
Mègara:
Sei quisei salvoa far salvi i tuoi cari
in punto giungi.
ERCOLE:
Che mai dici? In quale
turbamento vi trovoo padre mio?
Mègara:
Siamo perduti. E tuvecchioperdona
se dico io primae te ne privoquanto
dire volevi tu. Ma piú proclivi
sono ai lagni le donne; e i figli miei
erano già perdutiero io distrutta.
ERCOLE:
Apollo! Qual preludio hanno i tuoi detti!
Mègara:
Caddero i miei fratellie il vecchio padre...
ERCOLE:
Che cosa dici? In campoo per qual sorte?
Mègara:
Lico li ucciseil nuovo re di Tebe.
ERCOLE:
In guerra? Oppure in un civil tumulto?
Mègara:
Re di Tebe lo fece una sommossa.
ERCOLE:
E il vecchio padree tuche temevate?
Mègara:
Il padrei figli e me voleva uccidere.
ERCOLE:
Che dici? E che temeva dai figli orfani?
Mègara:
Ch'essi Creonte un giorno vendicassero.
ERCOLE:
Perché funebri serti i figli cingono?
Mègara:
Redimiti eravam già per la morte.
ERCOLE:
Spenti a forza eravate? O me tapino!
Mègara:
Privi d'amici. E te credevam morto.
ERCOLE:
Come giungeste a tale scoramento?
Mègara:
Araldi d'Euristèo la nuova diedero.
ERCOLE:
Perché lasciaste la mia casa e l'ara?
Mègara:
A forza . Il padre strappato dal letto...
ERCOLE:
Oltraggio a un vecchio fece. O spudorato!
Mègara:
Dalla Forza il Pudore abita lungi.
ERCOLE:
Tanto l'assenza mi privò d'amici!
Mègara:
E quali amici agl'infelici restano?
ERCOLE:
Spregiate andâr le mie lotte coi Minî?.
EuripideErcole14
Mègara:
Non hate lo ripetoamiciil misero.
ERCOLE:
Prestogittate via quei serti lugubri
fissatevi alla lucee sia ricambio
soaveinvece delle inferne tènebre.
Ed iofrattantopoi che spetta a me
adesso oprarevado primae abbatto
del nuovo re la casae l'empio capo
gli recidoe lo gitto ai cani in pasto.
E quanti dei Cadmèi che un giorno furono
da me beneficatior troverò
malvagiscempio ne farò con questa
vittorïosa clavao con la furia
dei dardi alatied empirò l'Ismèno
di sterminio e di sanguee la corrente
bianca di Dircediverrà purpurea.
E a chi prestar dovrei soccorsoprima
che alla mia sposaai figlial vecchio padre?
Le antiche gesta mie ripudio: è vano
compiuto averles'io questa non compio.
Devo affrontar pei figli miei la morte
com'essi ora pel padre l'affrontavano.
Gloria la mia saràseper comando
d'Euristèocol leone a lotta venni
e con l'idrae da morte i figli miei
salvare non saprò? Vittorïoso
Ercole niuno piú chiamar potrebbe.
CORO:
Giusto è che un padre i figli suoi difenda
ed il padre suo vecchio e la consorte.
Anfitrióne:
Bene èse tu gli amici amie i nemici
odîo figlio; però schiva la fretta.
ERCOLE:
In chepadresono io troppo sollecito?
Anfitrióne:
Ha molti partigianiil reche poveri
sonoma ricchi a ciance. Essi eccitarono
la rivoltain rovina essi mandarono
Tebeper far dei beni altrui rapina
da poi che i loroper la loro accidia
andati erano in fumo. Or t'hanno visto
che in Tebe entravi: bada che non debbano
tutti piombando all'improvvisoopprimerti.
ERCOLE:
Visto m'avesse pur l'intera Tebe
nulla mi fa. Ma poi che in plaghe infauste
volar vidi un augellointesi ch'era
su la mia casa qualche mal piombato
e per prudenza di nascosto entrai.
Anfitrióne:
Sta bene. Entra orsaluta l'arafa'
che la tua casa ti rivegga. Il re
stesso verrà per trarre la tua sposa
e i tuoi figli al supplizioe me sgozzare.
Tutto potraise tu qui resticompiere
sicuramenteo figlio; e non sconvolgere
Tebeprima d'aver questo trionfo.
ERCOLE:
Tu dici beneed io cosí faccio. Entro
nella casa. Poiché giunsi dai bàratri.
EuripideErcole15
d'Ade e di Cora senza soledopo
sí lungo tempoai Numi intendo volgere
del focolare il mio primo saluto.
Anfitrióne:
Davveroo figliosei disceso all'Ade?
ERCOLE:
E la fiera a tre teste a luce trassi.
Anfitrióne:
In zuffa vinta? O Cora a te la diede?
ERCOLE:
In zuffa; e mi beaividi i misteri.
Anfitrióne:
E il mostro è nella casa or d'Eutistèo?
ERCOLE:
è nella selva della Divaa Ermíone.
Anfitrióne:
Ed Euristèoche tu sei giunto ignora?
ERCOLE:
Non so: qui prima a cercar nuove io venni.
Anfitrióne:
Perché sotterra sí a lungo restasti?
ERCOLE:
Indugiai per salvar Tesèo dall'Ade.
Anfitrióne:
E adesso ov'è? Sul suol della sua patria?
ERCOLE:
Quiviben lieto che scampò dagl'Inferi.
Ma su viafiglinella casa il padre
vostro seguite: è piú lieto il ritorno
che non fu la partenza: or fate cuore
né dai vostri occhi piú lagrime erompano.
E turaccoglio sposa miagli spiriti
e cessa di tremare. E distaccatevi
dalle mie vesti. Alato io non son già
né dei miei cari l'abbandono medito.
Ehi là!
Non mi voglion lasciareanzi al mio peplo
si stringon di piú. Tanto eravate
su l'orlo dell'abisso? Io vi trarrò
come un naviglioo fragili battelli
con le mie mani: ch'io l'amor pei figli
non celo: uguali son gli uomini in tutto;
e i piú possentie quei che nulla valgono
amano i figli. I beni differiscono:
chi li possiedee chi no; ma pei figli
tenera è tutta la progenie umana.
(Entrano tutti nella reggia)
CORO: Strofe prima
Sempre diletta m'è giovinezza; ma di vecchiaia il carico
sul capograve piú delle rupi
d'Etna mi pesasu le mie pàlpebre
tende i suoi veli cupi.
Nonon desidero di tutta l'Asia
l'impero averenon la ricchezza
né d'oro piena la casain cambio
di giovinezza
che fra gli agi è bellissima
e fra gli stenti. Aborro la vecchiaia
la funestala lugubre.
Per sempredeh!scompaia
dalle case degli uomini
dalle cittadi. Immersa.
EuripideErcole16
sia fra i gorghi del mareoppur dell'ètere
fra i soffi a vol dispersa.
Antistrofe prima
Se per prudenzaper sennoagli uomini simili i Numi fossero
concederebbero due gioventú
suggel visibileper tutti gli uomini
in cui fulse virtú.
Ripercorrendo l'ultimo tramite
tornar dovrebbero del sole al raggio;
mentre i degeneri compier dovrebbero
solo un viaggio.
Fra i tristi i buoni allor si scernerebbero:
cosí nella procella
il nocchier fra le nuvole
distingue alcuna stella.
Inveceor non c'è limite
chiaro fra il buono e il tristo:
sola una vita ha l'uomo; e nel suo volgere
sol bada a fare di ricchezze acquisto.
Strofe seconda
Le Muse con le Càriti
io vo' che sempre l'une con l'altre sian confuse:
dolcissimo connubio!
Vivere io mai non vo' senza le Muse
ma di ghirlande ognor le tempie cingere.
Gode la voce alzare per Mnemòsine
il cantore ancor vecchio:
io le vittorie d'Ercole
a cantar m'apparecchio.
Vicino a Bromio largitor di grappoli
vicino alla settemplice
liraed al flauto libio
sempre sarà che onori
le Muse onde il mio pie' spinsi nei cori.
Antistrofe seconda
Le Delíadi vergini
cantano di Latona la bellissima prole
presso del tempio agli àditi
intrecciando vaghissime carole.
Io vo' peani innanzi alla tua reggia
cantareio vecchio al par di cigno candido
dalle canute gote:
ché nobile materia
non manca alle mie note.
Figlio è di Giove; eppure la sua nascita
col suo valore supera.
Le fiere formidabili
sterminò la sua caccia;
onde tornò fra gli uomini bonaccia.
(Arriva Lico col suo séguitomentre Anfitrióne esce
dalla porta del palazzo)
LICO:
Esci in buon puntoAnfitrïone. Assai
dell'acconciarvi fu lungo l'indugio
coi pepli e le funeree bende. Orsú
ingiungi ai figli ed alla sposa d'Ercole
che fuori della casa alfin si mostrino:
spontanei prometteste a morte offrirvi.
Anfitrióne:.
Euripide Ercole17
Tu mi soverchi nella mia miseria
mi vituperio principeperché
spento è mio figlio. Eppursebbene re
porre freno alla tua foga dovresti.
Mapoiché tu morte c'imponiè forza
gradir la mortee far ciò che ti piace.
LICO:
Mègara ov'è? D'Alcmèna ove i nepoti?
Anfitrióne:
Mi sembra ch'ellaa giudicar da fuori...
LICO:
Faccia che cosa? e qual prova tu n'hai?
Anfitrióne:
Supplice giaccia presso all'are sante...
LICO:
pregando invan salvezza alla sua vita?
Anfitrióne:
E lo spento consorte invano attende.
LICO:
Ei non è quiné tornerà piú mai.
Anfitrióne:
Nose alcun degli Dei non lo resuscita.
LICO:
A lei récatifa ch'ella escaalfine.
Anfitrióne:
Noche sarei della sua morte complice.
LICO:
Io stesso andròse nutri questi scrupoli:
ch'io non ho certe ubbie: trarrò qui fuori
e madre e figli. Olàserviseguitemi
e lieta calma sia dopo il sospetto.
Anfitrióne:
Va' dunquemuovi al tuo destino. Al resto
altri provvederà. Se tu fai male
aspetta male. O vecchiei muove proprio
nel punto giusto; e piomberà nei lacci
d'una rete di spadeegli che pensa
la morteo scelleratoad altri infliggere.
Entrovederlo vo' spento cadere:
ché dà gioia veder morto il nemico
che la pena scontò dei suoi misfatti.
(Entra nella reggia)
CORO: Strofe prima
A:
Avviene un tramutare di mali: il priscoil forte
nostro signorevivo ritorna ancor dall'Ade.
Viva viva! La Sorte
e il Destino dei Numi batton novelle strade.
B:
Su tepur tardala Giustizia cade:
ché tu oltraggiavi i migliori di te.
C:
Dagli occhi il pianto a rivi sgorga per l'esultanza.
è ritornato - innanzichi mai pur la speranza
ne concepia? - di questa terra il re.
D:
Vecchidentro il palagio ora spiamo
se qualcuno ebbe la sorte ch'io bramo.
(Dall'interno del palazzo si leva un altissimo urlo di Lico)
LICO:
Ahimèahimè!
CORO: Antistrofe prima.
EuripideErcole18
A:
Lungi non è la morte: tale suona un concento
dentro la reggia: a udirlo l'animo mio ne gode.
Con questo suo lamento
il tiranno preludia di morte alla melode.
LICO:
Terra di Cadmoson morto di frode!
B:
Perché uccider volevi: adesso espii.
C:
Qual fu l'uomo che i Numi contaminare volle
con l'iniqua calunniachecon parola folle
privi di possa proclamò gl'Iddii?
D:
è spento già lo scelleratoo vecchi:
la nostra schiera al canto or s'apparecchi.
CORO: Strofe seconda
Danzedanze e convivi
di Tebe odi suonar fra i muri santi.
Non di doglia or si lagrima:
mutò fortunae prospera
ispira i nostri canti.
è spento il nuovo rel'antico impera
che lasciò l'Acheronte: verisimile
non fu la mia speranza; eppur s'avvera.
Antistrofe seconda
Importaimporta ai Superi
che con gli onesti il reo non sia confuso.
Ma l'anime degli uomini
l'oro e il successo svïano
sí ch'elle faccian di sue forze abuso.
Niunche le leggi vïolòmai l'occhio
volge al futuro; eligio ad ingiustizia
di sua fortuna spezza il negro cocchio.
Strofe terza
Di fior' cíngitiIsmène:
o vie di Tebe levigateempietevi
di gioiose carole;
e voilimpide vene
di Dircee voidell'+sopo figliuole
del padre abbandonate ora le linfe
qui venitee le glorie
bellegli agoni d'Ercole
con me cantateo Ninfe.
Pitorupe ch'ài d'alberi corona
fanciulle d'Elicona
Tebe e le sue settemplici
porte cantate. Qui balzâr dal suolo
gli Spartibronzei scudi: essi tramandano
da figliuolo a figliuolo
della terra il retaggio:
questo è di Tebe il raggio.
Antistrofe terza
Dehuniche e diverse
nozzedell'uomo e del Signore Olimpio
che giacente sorprese
la nipote di Perse!
Che fu tuo quel prodigio ora è palese:
contro ogni spemeo Gioveora si vide.
EuripideErcole19
il tuo poter: tangibile
il tempo rese e fulgida
l'alta possa d'Alcide:
della terra gli abissie di Plutone
ei lasciò la magione.
Quanto dei nuovi príncipi
miglior sei tudel tristo lor lignaggio!
Mavenuti al pericolo
ordelle spade al saggio
veduto s'è ben chiaro
se ai Numi il giusto è caro.
(In vetta alla reggia appaiono due forme soprannaturali: Iride e Furia.
Quest'ultima ha l'orribile aspetto della Gòrgonechiomata di serpi
e stringe in pugno una sferza)
CORO:
A:
Nuovo terrore ci percòteo vecchi!
Quale fantasma su la casa veggo?
B:
A fugaa fuga
lancia le tarde membradi qui sàlvati!
C:
O Dio Peana
i cordogli da me sempre allontana!
IRIDE:
O vecchi fate cuor. Furia è costei
della Notte figliuolaed io sono Iri
messaggera dei Numi; e danno alcuno
a Tebe non rechiamoe d'un sol uomo
sopra la casa ci avventiamdi quello
che d'Alcmèna e di Giove è detto figlio.
Pria che compiesse le sue gesta crude
salvo egli esser doveané fargli danno
ad Era o a me consente Giove. Adesso
ch'à le fatiche ad Euristèo compiute
Era vuol che di strage consanguinea
si macchie i figli uccida; e anch'io lo voglio.
Orsúriscuotio della Notte negra
vergine figliail tuo cuore spietato
e avventa la follia sopra quest'uomo
e parricidi turbamenti d'animo
spingi i suoi piedi a dissennato balzo
molla tutte le gòmene di strage
sí ch'eispingendo d'Acheronte al valico
dei suoi figliuoli la corona bella
di sua mano distruttaapprenda quale
è per lui d'Era l'odioe quale il mio.
Piú nulla i Numi non sarannoe grande
l'uomo saràse questi il fio non paga.
FURIA:
Nobili e padre e madre ebbi: dal sangue
del Cielo e della Notte ebbi la vita.
Ed è l'ufficio mio talche gli amici
s'allegrano di me poconé gaudio
è per me frequentarli. Adessovoglio
Era esortare e tepria che cadiate
in qualche fallo: i miei discorsi udite.
L'uomo al cui tetto m'inviateprivo
non è di famané sopra la terra
né fra i Celesti. Incivilendo impervie
terree selvaggi mariegli da solo
rialzò l'are degli Deicadute.
EuripideErcole20
sotto le mani d'empie genti. Ora io
male sí grande non t'esorto a compiere.
IRIDE:
Alle mie tramealle trame d'Eraapporre non ti piaccia.
FURIA:
Io t'avvio sul buon sentiero: ché tu sei su mala traccia.
IRIDE:
Era qui non m'ha mandata per udir sagge parole.
FURIA:
Devo far ciò ch'io non bramo: testimonio invoco il Sole.
Purse devocome segue cacciatore il suo segugio
l'orme tue premere a furial'orme d'Erasenza indugio
vado; e tanto impetuoso non vedrai di mare flutto
né tremuotoné di folgore scintilliosegno di lutto
come io l'animacorrendopresto avrò d'Ercole invasa.
Farò sí che il tetto crolliche su lui piombi la casa.
Prima ai figli darò morte; e poi ch'egli uccisi li abbia
non ne avrà sentoreprima che lo lasci la mia rabbia.
Vedive'già per entrare nella lizzail capo scuote
e le orribili pupille volge mutoin pronte ruote
né piú modera l'anelitosembra toro inferocito
e dal Tartaro le Parchecon orribile muggito
chiama. A danza piú selvaggiad'un mio flauto coi deliri
vo' spronarti. Col pie' rapido tu all'Olimpo affrettatiIri.
Io d'Alcide inoltro il piede - nella casae non mi vede.
(Entra nella reggia. Iri sparisce)
CORO:
Dehgemigemi! Reciso il tuo fiore
o Tebecadedi Giove la prole.
èllademisera! Il tuo difensore
tu perdiperdi: lo spinge la Furia
con i suoi flauti a dementi carole.
Balzò sopra il plaustroil pungolo
a scornodal cocchio
vibrandola Gòrgone
altrice di lamenti
della notte la figliadall'occhio
che impietrala Furia
chiomata dal sibilo
di cento serpenti.
Ben presto è il bene mutato in affanno;
per man del padre i figliuoli morranno.
(Dall'interno si ode un alto urlo di Anfitrióne)
Anfitrióne:
O misero me!
CORO:
Oh Giove! Presto privato il tuo figlio
sarà dei figli: le crude implacabili
Vendette furenti
l'abbatteranno sotto i tormenti.
Incomincia la danzae non i timpani
non il tirso l'allegra di Bromio.
Anfitrióne:
Oh casa mia!
CORO:
Sangue ella chiedee non l'umor dei grappoli
stillantedi Dïòniso.
Anfitrióne:
Volgete a fuga il piedeo figli!
CORO:
Ahicantici
odo suonare infesti..
EuripideErcole21
Dei figli su la traccia
rompono in caccia.
Non sarà che tal rabida
danza nella magione írrita resti.
A:
Ahimèsciagure!
CORO:
A:
Ahiahi!
Quanto gemo pel padre vegliardo
per la madre che i pargoli
ha generati indarno!
B:
Ohsentisenti!
Scuote la casa un turbine!
Il tetto traballa!
C:
Ahiahi!
O figlia di Gioveche fai?
Un tremoto tartàreo
come un dí per Encèladoavventi
contro la reggiao Palla!
(Dal palazzo esce un messaggero)
MESSAGGERO:
O voi per gli anni candidi...
CORIFEO:
Tu gridi e mi chiami: perché?
MESSAGGERO:
Che orrori entro la reggia!
CORIFEO:
D'altro araldo bisogno non c'è.
MESSAGGERO:
Son morti i figli!
CORIFEO:
Ahimè!
MESSAGGERO:
Piangeteché tempo è di lagrime!
CORIFEO:
Ahimèscempio inumano!
Ahimèd'un padre barbara mano!
MESSAGGERO:
Motto non v'ha che queste pene agguagli.
CORIFEO:
Come lo scempio paternolo scempio
piombò sui figli? Narrami.
Come questi travagli
sospinti dall'ire divine
su la reggia piombarono?
Dei figli narra la misera fine.
MESSAGGERO:
Di Giove innanzi all'ara eran le vittime
raccolte giàper espiar la casa
dopo ch'Ercole ucciso ebbe e gittato
fuor dalla reggia il principe di Tebe.
E l'amabile schiera anche dei figli
v'erae il padree Mègara. E in giro già
si portava il canestro intorno all'ara
e fauste grida innalzavamo. Ed ecco
d'Alcmèna il figliomentre già la face
nella destra recavaper immergerla
entro l'acqua lustralmuto ristette.
E del padre all'indugioi figli alzarono.
EuripideErcole22
su lui lo sguardo. Ed ei non era piú
quel di poc'anzi; ma torceva gli occhi
già deliranti; e sanguinosi i globi
sporgean de le pupilleed una bava
stillava giúlungo il villoso mento.
Econ un riso folledisse: «O padre
perchéprima che ucciso abbia Euristèo
il fuoco accendo espiatoree addoppio
il travaglio cosíquando m'è lecito
compierlo tutto in una volta? Quando
la testa d'Euristèo qui porterò
anche per quelli che son morti adesso
pure le mani renderò. Spandete
l'acquale mani lascino i canestri.
Chi mi dà l'arco? Chi mi dà la clava?
A Micene m'avvio: leve e bidenti
prendere è d'uopoe con l'intorto ferro
dei Ciclopi le muraa cui compagine
diede la subbia e la purpurea fune
sconquassar nuovamente». Ecosí detto
mosse; e dicea d'avere un carroquando
non l'avevae facea gesto d'ascenderlo
vibrandocome pur l'avesseil pungolo.
Stavano i servi fra riso e terrore
guardandosi l'un l'altro; ed uno disse:
«Con noi scherza il Signore? oppure è folle?»
Quello scorrazza su e giúper tutta
la casa; egiunto nella saladice
che la città di Niso è quella; ch'entra
in una casa; e si distende a terra
come si trovae si dispone al pranzo.
Fu breve indugio. E poinel pian selvoso
dell'Istmo disse ch'era giuntoe qui
sciolte le fibbie del mantelloignudo
una gara impegnò senza rivali.
Quindi silenzio imposee proclamò
di se stesso precóneil suo trionfo
contro nessuno. E orribili minacce
contro Euristèo ruggendoeccolo giunto -
diceva egli - a Micene. E allorail padre
toccò la sua mano possentee disse:
«Figlioche fai? Che turbamento è questo?
Dei tuoi nemici la recente strage
ti fa deliro?» Ed ei crede che il padre
sia d'Euristèocheper timore supplice
s'afferri alla sua manvia lo respinge
e l'arco appresta e la faretra contro
i figli suoipensando di trafiggere
i figli d'Euristèo. Per lo spavento
tremandoquelli qua e là si sbandano
al peplo un d'essi della madrel'altro
d'un pilastro al riparo; e a pie' dell'ara
al par d'uccellos'accovaccia il terzo.
E la madre gridò: «Padreche fai?
Uccidi i figli?» E grida il vecchioe gridano
tutti i famigli. Attorno alla colonna
quello persegue il figlio; e ad un'infausta
svolta del piedese lo trova innanzi
a faccia a facciae lo colpisce al fegato.
Cade quegli supinoe l'alma spira
e spruzza il sangue sul marmoreo zoccolo.
Ed ei tal vantocon un grido innalza:.
EuripideErcole23
«E uno! Spento è per mia mano questo
figliuolo d'Euristèo: pagò la pena
della paterna nimistà». Su l'altro
tese poi l'arcoche dell'ara ai piedi
accovacciato s'erae che sperava
qui rimaner nascosto. Ed il tapino
prevenne il colpoe ai ginocchi del padre
corsee le mani al mento e al collo tese.
«O padre mio - gli dice - o dilettissimo
non uccidermiio tuo sonotuo figlio!»
L'altrogli occhi selvaggiocchi di Gòrgone
stravolge; e poi che presso troppo è il figlio
alla freccia funestaa mo' di fabbro
che forgia il ferroalta sul capo vibra
la clavae il figlio sulla testa bionda
colpiscee il cranio gli fracassa. Espento
il secondo cosímuove ad aggiungere
a queste prime due la terza vittima.
Ma lo previene la misera madre
che il pargolo sottrae dentro la casa
e serra l'uscio. Alle ciclopie mura
quei credendosi allorvibra la zappa
scalza le impostefa saltar gli stipiti
e sposa e figlio a un colpo sol prosterna.
Di quisi lancia a sterminare il vecchio;
ma comparve un'imago - in essaPàllade
riconobbero tuttiall'elmoall'asta
ch'essa crollava - e contro il petto d'Ercole
una pietra scagliòche fine pose
al delirio di stragee l'assopí.
A terra esso piombòcol dorso urtò
una colonnache spezzata in due
quando il tetto crollòs'erae sul plinto
giacea rovescia. Dalla fuga il piede
noi trattenemmo allora; einsiem col vecchio
con forti guigge lo legammo stretto
alla colonnaad impedir che quando
cessasse il sonnoegli aggiungesse nuovi
scempii agli antichi. E un infelice sonno
dorme il tapin: ché figli e sposa uccise.
Fra i mortali niun so di lui piú misero.
CORO:
Vide la rupe argolica
un altro scempio giàper tutta l'Ellade
famoso ed incredibile
delle figlie di Dànao.
Ma piú atroce e funesto
piú terribile è questo.
E la strage rammemoro
del generoso misero
di Procne unico figlio
vittima delle Muse.
Ma tutristotre pargoli
avevie in un unico scempio
le tre vite hai confuse.
Ahimèahimè
qual gemitoquale ululo
quale cantico lugubre
quale danza d'Averno intonerò?
Ahimèahimè!
Vediil serrame duplice
dell'eccelsa magion si spalancò..
EuripideErcole24
(Si spalanca la gran porta della reggiae sull'encíclema vengono
tutti fuoriErcolesopitolegato ad una colonnaeintorno
a luii cadaveri dei figli e di Mègara)
Ahimèahiahi!
Vedete quei miseri pargoli
che giacciono presso
al misero padre? I suoi figli
uccise; ed adesso
terribil sopore l'assonna.
E lacci e vincigli
coi nodi molteplicid'Ercole
le membra costringono
a questa marmorea colonna.
CORIFEO:
E come augello che l'implume piange
frutto del nidoil tardo piede affretta
il vecchioe verso noi rivolge il passo.
CORO:
Silenzio siasilenzio
o vegliardi cadmèi! Dei suoi funesti
malanni dall'oblíodehnon si desti!
Delle lagrime il fonte
per te prorompeo vecchioe per i pargoli
e per la sua vittorïosa fronte.
Andateandate via!
Grido o rumor non sia
che turbi la quïete
del suo sonno sereno.
Ahimèahiquanto sangue...
Anfitrióne:
Ahimèvoi m'uccidete!
CORO:
bulica nel terreno!
Anfitrióne:
O vecchiai lagni non porrete freno?
S'egli si destae spezza le ritorte
il genitore a morte
porràdistruggerà
la reggia e la città.
CORO:
Tacer non possonon possoo vecchio!
Anfitrióne:
Tacich'io spíi l'anelito suoch'io tenda l'orecchio.
CORO:
Dorme?
Anfitrióne:
Sídorme: orribile
sonnoché sposa e figli sterminò coi letali
impeti dei suoi strali.
CORO:
Bagna di lagrime il ciglio...
Anfitrióne:
Ahimè!
CORO:
Per la morte dei pargoli...
Anfitrióne:
Ahimè!
CORO:
E pel tuo figlio.
Anfitrióne:
Ahimè!
CORO:.
Euripide Ercole25
O vecchio...
Anfitrióne:
Tacimira
si ridestasi gira;
lascia ch'io nella reggia súbito mi nasconda.
CORO:
Fa' cuor; su lui s'aggrava tuttor notte profonda.
Anfitrióne:
Oh vedi vedi! Abbandonar la luce
fra i mali in cui mi trovo
non m'è penoso; ma qualor m'uccida
ch'io son suo padreai vecchi mali un nuovo
s'aggiungeràpiomberanno altre furie
sovra lui parricida.
CORIFEO:
Morir dovevi quel dí chedistrutti
gli spaldi Tafii recinti dai flutti
t'apparecchiavi a vendicar la morte
dei consanguinei della tua consorte.
Anfitrióne:
Fuggiteo vecchivia dalla reggia
fuggiteil folle di nuovo è desto:
affrettatevio presto
ei sterminio a sterminio aggiungerà
empirà di delirio la città.
CORO:
Gioveperché perseguitato hai d'odio
cosí feroce il figlio tuoperché
in tanto mar di guai tu l'hai sospinto?
ERCOLE (Si riscuote dal letargo a poco a poco):
Ahimè!
Traggo il respiroe quello scorgo ch'io
scorgere devol'èteree la terra
e questo arco del sol. Come in un vortice
ero piombatoin un tumulto orribile
del mio spirito; e ardente esce l'anelito
dal mio polmoneed incomposto e greve.
Ohma perché di lacci stretto il giovine
petto e le bracciaio qui mi trovocome
nave all'ormeggioad un troncone avvinto
di marmorea colonna? E a terra sparsi
gli alati dardie l'arcoonde alleanza
ebbe il mio braccioed essi proteggevano
il mio fiancoed io loro? All'Ade forse
sono disceso ancor? Tornato appena
per Euristèo di nuovo ho l'altro braccio
dello stadio percorso? Eppurdi Sísifo
la rupe non è quinon della figlia
di Demètra lo scettroe non Plutone.
Stupor m'invade. Dove son? L'ignoro.
Ehinessun degli amicio presso o lungi
non c'èche sperda questo mio stupore?
Ché nulla io vedo qui che a me sia noto.
Anfitrióne:
Alla sciagura miavecchi m'appresso?
CORO:
Ed io con te: nel mal non t'abbandono.
ERCOLE:
Padreché piangi e ti nascondi gli occhi
lungi cosí dal figlio tuo carissimo?
Anfitrióne:
Figlio! ché figlio seipur fra i tuoi mali..
EuripideErcole26
ERCOLE:
Forse un mal mi colpisceonde tu lagrimi?
Anfitrióne:
Talchea patirlogemerebbe un Nume.
ERCOLE:
Orribildunque; ma qual sianon dici.
Anfitrióne:
Da tese in te pur seipuoi ben vederlo.
ERCOLE:
Qual nuova sorte su me incombe? Parla.
Anfitrióne:
Síse d'Ade il delirio ancor non t'occupa.
ERCOLE:
Tutto enigmi e sospetti ancor favelli.
Anfitrióne:
Se la tua mente è proprio salda investigo.
ERCOLE:
Che delira sia stataio non rammento.
Anfitrióne:
Sciolgo i suoi laccio vecchi? A che m'appiglio?
ERCOLE:
E chi li stringe dí: ch'io me ne sdegno.
Anfitrióne:
Non dimandare: il mal che soffri è assai.
ERCOLE:
A saper ciò ch'io vo'basta il silenzio?
Anfitrióne:
Dal trono d'Eratu non vedio Giove?
ERCOLE:
Qual male infesto a me di lí provenne?
Anfitrióne:
Non pensare alla Deapensa ai tuoi mali.
ERCOLE:
Una sciagura annunzi: io son perduto.
Anfitrióne:
Guardacontempla i figli tuoi caduti.
ERCOLE:
Misero meche visïone è questa?
Anfitrióne:
Ai tuoi figli movesti orribil guerra.
ERCOLE:
Di qual guerra tu parli? E chi li uccise?
Anfitrióne:
Tul'arco tuoquel Dio che ne fu causa.
ERCOLE:
Come? Che feci? O di sciagure araldo!
Anfitrióne:
Eri folle. Ohspiegar quanto m'è duro!
ERCOLE:
Ed anche la mia sposa ho dunque uccisa?
Anfitrióne:
La tua mano compié tutta la strage.
ERCOLE:
Ahiahim'avvolge un nuvolo di gemiti!
Anfitrióne:
Vo' piangendo perciò la tua sciagura.
ERCOLE:
La mia furia distrusse anche la reggia?
Anfitrióne:
So questo: che per te tutto è sciagura.
ERCOLE:
Dove il delirio mi colpími strusse?.
EuripideErcole27
Anfitrióne:
Quando la man purificavi all'ara.
ERCOLE:
Ahimèperché la vita mia risparmio
poi che fatto sono io dei dilettissimi
figli miei l'assassinoe giú dal salto
d'un'erta rupe non mi gittoo il fegato
mio non trafiggo con l'aguzzo ferro
per espiar dei figli miei la morte?
O per fuggire all'onta che m'aspetta
sovra una pira il mio corpo arderò?
(Alza gli occhie li fissa verso un punto lontano)
Eccoa impedire i miei divisamenti
di mortequi Tesèo giungel'amico
il mio parente: ei mi vedrà: lo scempio
del parricidio agli occhi apparirà
del piú diletto amico. Ahiche farò?
Dove restar coi mali miei soletto
potròfuggendo a voloo inabissandomi
sotto la terra? Oh!buioalmencircondi
la fronte mia: troppa onta mi rimorde
pei delitti commessi; epoi che tanta
macchia di sangue sopra me s'è sparsa
niun innocente vo' ch'essa contamini.
(Entra Tesèoseguito da guardie armatee si volge ad Anfitrióne)
Tesèo:
Son giuntoo vecchioquicon altri giovani
Atenïesiche schierati attendono
lungo le rive dell'Asòpoe reco
d'armi soccorso al figlio tuo: ché fama
degli Erettídi alla città pervenne
che lo scettro di Tebe usurpò Lico
e indisse a voi guerra e sterminio. Ora io
per ricambiare il beneficio d'Ercole
che dall'Averno mi salvòqui venni
se pure il braccio miodei miei compagni
giovar vi possa. - Ahimè! Pieno d'estinti
vedo il terreno. Troppo tardi giungo?
Compiuto il male è già? Questi fanciulli
chi pose a morte? E di chi sposa è questa
donna ch'io vedo? I pargoli non sogliono
trovarsi in mezzo alle battaglie: è questo
male ch'io trovo quinovello e strano.
Anfitrióne:
Re che sul colle dell'ulivo imperi...
Tesèo:
Perché m'appelli con tristi proemi?
Anfitrióne:
I Numi ci percossero coi malanni piú fieri.
Tesèo:
Chi son questi fanciulli onde tu gemi?
Anfitrióne:
Fu lor padre mio figlio; ed or li uccise:
del loro sangue ora ha le mani intrise.
Tesèo:
Usa piú pia favella.
Anfitrióne:
Ubbidir ti potessi!
Tesèo:
O tremenda novella!
Anfitrióne:
Siam da ogni male oppressi..
EuripideErcole28
Tesèo:
Che di'? Come colpia?
Anfitrióne:
Il tòssico dell'Idra centocípite
vibròcolpito da cieca follia.
Tesèo:
D'Era fu tale impresa. Orvecchiodimmi:
chi è colui che in mezzo ai morti giace?
Anfitrióne:
Il figlioil figlio mio sventuratochein pro'
dei Súperiimbracciò
lo scudo nella pugna di Flegradove tanti
sterminò dei Giganti.
Tesèo:
Ahipiú infelice chi di luifra gli uomini?
Anfitrióne:
Notrovar non potrai
uomo di lui piú miseropiú percosso dai guai!
Tesèo:
Perché nel manto asconde il capo misero?
Anfitrióne:
Di te che amicoche gli sei parente
del sangue dei suoi pargoli
esso vergogna sente.
Tesèo:
Ma per soffrire con lui venni: scoprilo.
Anfitrióne:
O figlio miodiscosta
dagli occhi il mantogittalo
del sole offriti al guardo.
Orcontro le tue lagrime
lotta una forza opposta.
Io mi prosterno supplice
a te dinanzio figlio
ed alle tue ginocchia
alla tua man m'appiglio
al voltoe spargo il mio pianto senile.
Frena la leoninala selvaggia tua bile
che ti sospinge a furia empia di strage
che vuole ai mali aggiungere
di guai nuova compage.
Tesèo:
Orsúfavello a teche siedi in tanto
miserabil posturail viso tuo
mostra agli amici. Ohtènebra non v'è
di cosí negra nuvolache possa
celar la tua sciagura. E perché tendi
la manoe mostri il sangue effuso a me?
Forse perché delle parole tue
il contagio su me cader non debba?
Ohnon mi pesa di soffrir con te:
ché un tempo fui teco felice: al giorno
debbo pensar che tu dai morti regni
mi salvasti alla luce. I cuori in cui
gratitudine invecchiaodioe chi vuole
goder dei beniequando poi sventura
sugli amici piombòschiva con essi
affrontar la tempesta. Or sorgie scopri
il tuo povero voltoe gli occhi fissa
negli occhi miei: chi generoso nacque
soffre i colpi dei Numie non recàlcitra.
ERCOLE:.
Euripide Ercole29
VediTesèocome i miei figli caddero!
Tesèo:
Ho appresoe il mal che tu m'addìti scorgo.
(Dolcemente gli scopre il volto)
ERCOLE:
Perché dunque il mio volto al sol discopri?
Tesèo:
Non puoiché sei mortalmacchiare i Numi.
ERCOLE:
L'empio contagio mio fuggiinfe lice!
Tesèo:
Furia ultrice all'amico è mai l'amico?
ERCOLE:
Ti sovvenni in buon punto: or ti ringrazio.
Tesèo:
Da te mi venne il bene: or ti commisero.
ERCOLE:
E di pietà son degno: i figli uccisi.
Tesèo:
Ti colpisce sventura; ed io ne piango.
ERCOLE:
Altri vedesti in piú crudeli affanni?
Tesèo:
Dalla terra i tuoi mali al ciel s'adergono!
ERCOLE:
Son dunque in luogo onde colpire io posso.
Tesèo:
Pensi che i Numi a tue minacce badino?
ERCOLE:
Son temerarii; e tale io son per essi.
Tesèo:
Taciché i vanti il mal tuo non accrescano.
ERCOLE:
Al colmo è il male miopiú non può crescere.
Tesèo:
Che farai? Dovetanto iratoandrai?
ERCOLE:
Morròsotterra andròdonde ora giunsi.
Tesèo:
Dici quanto direbbe un uom qualsiasi.
ERCOLE:
Fuor degli affanni seitu che consigli.
Tesèo:
Ercoleil saldo ad ogni provaparla?
ERCOLE:
Non a queste: ai dolori anche c'è limite.
Tesèo:
L'amicoil gran benefattor degli uomini?
ERCOLE:
Che aiuto non mi dànno. Era può tutto.
Tesèo:
Che tu muoia da stoltoil vieta l'èllade.
ERCOLE:
Le mie parole ascolta dunquecome
gli ammonimenti tuoi ribatterò
ti spiegherò come non è possibile
orae da tempo giàper me la vita.
Primoda un uomo io nato son che uccise
il vecchio padre di mia madreeancora
contaminatone sposò la figlia
mia madreAlcmèna; e allor che i fondamenti
saldi non sono d'una stirpeè forza.
EuripideErcole30
che sopra i figli la sventura cada.
E Giovepoi - qual che sia Giove - in odio
mi generava ad Era; e non offenderti
o vecchiotu: ché te padree non Giove
reputo. E mentre ancor suggevo il latte
la compagna di Giove avventò contro
le fasce mieperché morissidue
serpenti occhi di fiamma. E allor che pubere
muscoleggiò tutto il mio corpoè d'uopo
dire i travagli che affrontai? Leoni
tricòrpori Tifonio vuoi Giganti
e sterminaipugnandodei Centauri
le quadrupedi frottee l'Idracagna
di cento testechereciseancora
cresceano; e mille e mille altre fatiche;
e fra i morti discesied il tricípite
canecustode dell'Avernoa luce
per obbedire ad Euristèocondussi.
E questa fu l'ultima provao misero
me: che i miei figli uccisie di sciagure
colmai la casa. E a tale estremo or sono
che non posso abitar nella mia Tebe
senza empietà. Se restoa quale sagra
andròd'amici a quale accolta? Io sono
contaminatoe niun mi parlerà.
O in Argo andrò? Se dalla patria io sono
bandito! O forse a qualche altra città?
M'avranno appena conosciutoe bieco
mi guarderannoe lungi mi terranno
con questi di parole amari pungoli:
«Non è costui di Giove il figlioquello
che figli e sposa uccise? E non andrà
lungi da questa terraalla malora?»
Per l'uom che un giorno detto fu beato
ogni rovescio è doloroso: quello
che ognor fra i mali si trovònon soffre:
ché seco la sciagura a un parto nacque.
Ed a tal punto di sciagura io sono
che sin la terra parleràdivieto
mi faràch'io tocchi il suo gremboe il pelago
ch'io l'attraversie i valichi dei fiumi;
e sarò pari ad Issïonche gira
alla sua ruota avvinto. E questo è il meglio:
piú nessuno veder me degli Ellèni
debbafra cui lieto e felice io vissi.
Dunqueviver perché? Mi giova forse
una vita serbare empia ed inutile?
Di Giove or danzi pur l'illustre sposa
faccia suonarcol suo calzareil lucido
pavimento d'Olimpo: a fine addusse
il suo disegno: essa abbattéscalzò
da sommo ad imo il primo eroe de l'Ellade.
Ad una tale Deachi mai preghiere
rivolgere vorrà? Per una donna
per gelosia del talamo di Giove
essa l'uomo abbatté ch'era de l'èllade
benefattoree immune era di colpe.
Tesèo:
Era t'infligge questa provasappilo
sicuramentela sposa di Giove
e niun altro dei Numi. Ed io t'esorto
a rassegnartiad evitare il peggio..
EuripideErcole31
Niun dei mortali immune è da sciagura
e niuno degli Deise pur non mentono
dei poeti i racconti. Essi non strinsero
nozze fra lor che niuna legge approva?
Per cupidigia di poterei padri
non avvilîr nei ceppi? Eppurdimora
hanno in Olimpoed è per essi lieve
delle colpe il rimorso. E che dirai
se tunato mortaleintollerante
ti mostri alle sciaguree i Numi no?
Come la legge vuoleora abbandona
Tebee me segui alla città di Pàllade.
Quando pure le tue mani avrai rese
l'ospizio quivie parte dei miei beni
io ti darò: quanti presenti m'ebbi
dai cittadiniallor che sette e sette
giovinetti salvaiponendo il toro
di Creta a mortetuoi saranno. Stese
di terra grandia me per tutta l'Attica
furon servate; e tue dette dagli uomini
finché tu vivaora saranno; e quando
tu sarai spentoe scenderai nell'Ade
con sacrifici e con marmorei tumuli
Atene tutta onor ti renderà.
Pei cittadin' sarà fulgido serto
rendere omaggio a un forte eroedagli èlleni
averne fama: la salvezza ch'ebbi
da tecompensi questa grazia mia.
Ch'or d'amici hai bisogno. Allor che i Numi
t'accordano favorea nulla servono
gli amici. Bastaquando vuoleun Dio.
ERCOLE:
Ahimèlievi conforti ai miei malanni
son questi. E creder non posso io che i Numi
vaghi sien mai d'illeciti connubî
né che le mani l'un dell'altro avvincano
credettio crederò mainé che siano
soverchiatori l'un dell'altro. Un Dio
se veramente è Diodi nulla ha d'uopo.
Dei poeti son queste inani favole.
Mapure in tanto malm'assale il dubbio
che di viltàse mai fuggo la vita
sarò tacciato. Chese tu non sai
tollerar le sciagureinnanzi all'arme
d'un nemicosaprai restare impavido?
Di non morire avrò forza: verrò
teco alla tua città. Dei doni tuoi
mille grazie ti rendo. Ohmille e mille
travagli già patii; né mi ritrassi
mai dinanzi ad alcunoe mai dagli occhi
pianto versainé mai pensai di giungere
a tale un punto ch'io versassi lagrime.
Or conviene al destinsembrachinarsi.
E sia. L'esilio miovecchiotu vedi
vedi ch'io sono l'uccisor dei figli.
Tu dà sepolcro ad essitu componi
le salme loroonorali di lagrime
- di farlo a me vieta la legge -adagiali
sovra il sen della madree fra le braccia:
pïetosa concordia; ed io la fransi
misero mecontro mia voglia. E quando
le salme loro avrai sotterra ascose.
EuripideErcole32
abita ancor questa città. Ben misera
sarà per te la vita; eppureaiutami
a sopportare i miei tormentie vivi.
V'ucciseo figliil padre vostroquello
che vi die' vita; e non cogliete il frutto
delle fatiche miela fama ch'io
procacciarvi cercavoil piú bel dono
d'un padre ai figli. E tristi grazie resi
miseraa teche il letto mio serbasti
immacolato ognorbadando all'opere.
Ahimèsposaahimèfigliahime tapino
quanto misero io sono! E separarmi
debbo dai figli e dalla sposa. Ahilugubre
gioia di questi abbracci! Ohper me lugubre
compagnia di quest'armi! In dubbio io sono
se conservarle debbooppur lasciarle:
ch'essebattendo al fianco miodiranno:
«Uccidesti con noi figliuoli e sposa:
l'assassino dei figli in noi tu serbi?»
Ed io le porterò su le mie spalle?
E perché mai? - Mapur dell'armi privo
onde le glorie mie compiei ne l'Ellade
datomi in preda ai miei nemicimorte
d'obbrobrio troverò. Nonon le devo
lasciareanzi serbarleanche se soffro.
In una cosa assistimiTesèo.
Vieni in Argo con medel can d'Averno
con me fissa il compensoaffin che il cruccio
non mi spinga dei figli a qualche eccesso.
O suol di Cadmoo popolo di Tebe
tutti le chiome recideteil lutto
prendete tuttial tumulo dei figli
movetee tutti ad una vocei morti
e me piangete: ché morti siam tutti.
Era ci sterminò con un sol colpo.
Tesèo:
Sorgio tapinobastano le lagrime.
ERCOLE:
Non posso: irrigidito io sono tutto.
Tesèo:
Dunqueabbatte sciagura anche i piú saldi.
ERCOLE:
Ahimè!
Pietrificato io qui scordassi i mali!
Tesèo:
Taci: la mano a chi t'assiste porgi.
ERCOLE:
Bada: il tuo peplo il sangue imbratterà.
Tesèo:
Non ci pensarl'imbratti. Io non lo schivo.
ERCOLE:
Privo di figliun figlio io trovo in te.
Tesèo:
Il braccio al collo mio cingi: io ti guido.
ERCOLE:
Fida coppia d'amici! E quanto è misero
l'un d'essi! - O vecchioecco gli amici veri.
Anfitrióne:
Madre di generosi è la sua patria.
ERCOLE:
Fa'Tesèoch'io mi volgae i figli veda.
Tesèo:.
Euripide Ercole33
Perché? Sollievo ti darà tal farmaco?
ERCOLE:
Lo desidero. Ohil padre almeno abbracci!
Anfitrióne:
Figlio son qui! La mia brama previeni.
(Si abbracciano)
Tesèo:
Piú non rammenti i tuoi travagli antichi?
ERCOLE:
Troppo di questi men penosi furono.
Tesèo:
Niun loderebbe questa tua mollezza.
ERCOLE:
Molle un tempo non fui: tale or ti sembro?
Tesèo:
Troppo: l'intrepido Ercoledov'è?
ERCOLE:
E che cos'eri tulaggiú tra gl'Inferi?
Tesèo:
Quanto a baldanzail piú gramo degli uomini.
ERCOLE:
E perché dici allor che il mal m'abbatte?
Tesèo:
Andiamo.
ERCOLE:
O padreaddio!
Anfitrióne:
Mio figlioaddio.
ERCOLE:
Come t'ho dettodà sepolcro ai figli.
Anfitrióne:
Ed ioda chi l'avròfiglio?
ERCOLE:
Da me.
Anfitrióne:
Qui verrai?
ERCOLE:
Quando avrai sepolto i figli...
Anfitrióne:
Ebbene?
ERCOLE:
Io farò sí che tu da Tebe
venga ad Atene. Ora al sepolcro i figli
accompagnacorteo misero. Ed io
che a turpe fine la mia casa addussi
come dietro alla nave il palischermo
seguo Tesèo. Chi preferisce l'oro
e la ricchezza ai buoni amiciè folle.
(Si allontana con TesèoAnfitrióne segue le salme dei fanciulli
il coro s'avvia anch'esso all'uscita)
CORO:
Ed io ti seguo in fiero lutto immerso:
ché in te l'amico mio piú fido ho perso.