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Fëdor Dostoevskij



IL SOSIA

 

 

Poema pietroburghese

 

 

1.

 

Mancava poco alle otto del mattino quando il consigliere titolare Jakòv Petrovic' Goljadkin si svegliò da un lungo sonnofece uno sbadigliosi stiracchiò e aprì finalmente del tutto gli occhi.

Per due minutiperòrimase disteso immobile nel suo letto come un uomo non completamente certo di essere sveglio o di dormire ancora e se tutto ciò che gli capita intorno sia realtà o non piuttosto la continuazione di un fantastico sogno. Ma ben presto i sensi del signor Goljadkin ripresero a coglierepiù chiare e più precisele consueteabituali impressioni. Le affumicate pareti verde sporco della sua stanzetta lo guardarono familiarmenteil comò di moganole sedie finto moganola tavola dipinta di rossoil divano alla turca d'incerata rossa a fiorellini verdognoli eancorail vestito di cui in gran fretta si era liberato la sera prima e che aveva buttato malamente sul divano. Infine una grigia giornata autunnalecupa e sporcafece capolino nella stanza attraverso i vetri appannati della finestra con un'aria così stizzita e una smorfia così acida che il signor Goljadkin non poté più avere nessun dubbio di trovarsi non in un qualche favoloso reame dall'altra parte del mondoma a Pietroburgonella capitalein via delle Sei Botteghenel suo appartamentino al quarto piano di un grande palazzo. Fatta una simile importante scopertaGoljadkin chiuse freneticamente gli occhiquasi a rimpiangere il sogno di poco prima e a desiderare di farlo ritornarealmeno per un momento. Ma un attimo dopo saltò di colpo giù dal lettocolpito finalmente dall'idea intorno alla quale si erano andati aggirando fino a quel momento i suoi distratti pensieri non ancora irreggimentati in un ordine ben definito.

Appena sceso dal lettocorse verso un piccolo specchio rotondo che stava sul comò. Benché la figura assonnatadalla vista debole e dalla incipiente calvizieriflessa nello specchio fosse così insignificante da non attirare l'attenzione di nessunotuttavia era chiaro che il suo proprietario era rimasto soddisfattissimo di tutto quello che aveva visto nello specchio. "Sarebbe davvero un bell'affare" disse a mezza voce Goljadkinsarebbe davvero un bell'affare se proprio oggi non fossi in piena regola, se, mettiamo, mi fosse spuntata qualche novità, come per esempio una bel foruncolo assolutamente inopportuno, o mi fosse capitato qualche altro guaio; del resto, per ora non c'è niente da dire, per ora va tutto bene.Molto rallegrato che tutto andasse per il meglioGoljadkin rimise lo specchio dov'era enonostante fosse a piedi nudi e portasse ancora indosso gli indumenti coi quali di solito si metteva a lettocorse a una finestra e con grande interesse si mise a cercare con lo sguardo qualcosa nel cortile della casasul quale si aprivano le finestre del suo appartamento. Era evidente che anche ciò che vide in cortile lo aveva accontentatopoiché il suo volto si illuminò di un sorriso di soddisfazione. Poidopo aver dato un'occhiata dietro il tramezzo nel bugigattolo del suo cameriere Petruska e avere constatato che Petruska non c'erasi avvicinò in punta di piedi al tavoloaprì un cassettosi mise a frugare in un angolo proprio in fondo e finalmente tirò fuori da sotto un mucchio di vecchie carte ingiallite e di certe cianfrusaglie un logoro portafogli verdastro; lo aprì prudentemente e gettò uno sguardo tenero e compiaciuto nel suo scomparto più interno e più nascosto.

E' probabile che anche quel mucchietto di biglietti verdognoligrigiastiazzurrognolirossicci e variamente screziati dovette guardare Goljadkin in modo molto affettuoso e complice: con un'espressione radiosa mise sul tavolo davanti a sé il portafogli aperto ein segno di grande soddisfazionesi stropicciò vigorosamente le mani. Infine lo tirò fuoriquel suo confortante mucchietto di assegni governativie per la centesima voltaa partire anche soltanto dal giorno primasi mise a contarli facendoli scorrere con grande attenzioneuno dopo l'altrotra il pollice e l'indice.

"Settecentocinquanta rubli di assegnati!" conclusequasi in un bisbiglio. "Settecentocinquanta rubli... è una bella somma! E' una somma che fa piacere" proseguì con voce tremantediventata più flebile per la gioiastringendo il pacchetto tra le mani e sorridendo in modo significativoè una somma che fa davvero piacere! Piacere a chiunque! Vorrei tanto vedere adesso una persona per la quale questa somma fosse veramente una somma insignificante! Una simile somma può portarlo lontano, un uomo...

Ma che vuol dire questo?pensò Goljadkin. "Dove diavolo è Petruska?". Sempre ancora con indosso gli stessi indumentidiede di nuovo un'occhiata dietro al tramezzo. Petruska non c'era nemmeno adesso; c'era invece un samovàrposato sul pavimentoche si arrabbiavasi riscaldavaandava fuori di séminacciando continuamente di sbolliree fischiava in fretta e calorosamentecome se nel suo complicato linguaggiobiascicando e balbettandovolesse dire non so che cosa al signor Goljadkin; con ogni probabilità questo: prendetemibrava genteio sono stato puntuale e sono perfettamente pronto.

"Che il diavolo se lo porti!" pensò Goljadkin. "Quel pigrone di un animale riescealla finea fare perdere le staffe a un uomo; dove si sarà mai ficcato?". Pieno di legittima indignazione uscì nell'anticameraformata da un piccolo corridoio in fondo al quale si trovava la porta che dava sull'ingressola aprì un po' e vide il suo servitoreattorniato da un buon numero di lacchè di ogni tipodi donnette di casa e di estranei. Petruska stava raccontando qualcosa e gli altri ascoltavano. Evidentemente né l'argomento del discorso né il discorso stesso piacquero a Goljadkin. Urlò a Petruska e tornò in camera sua scontento e addirittura turbato. "Quell'animale è pronto a vendere un uomo per un soldoe tanto più se si tratta del suo padrone" pensòe mi ha venduto, certamente mi ha venduto, sono pronto a scommetterlo che mi ha venduto per meno di un copeco. Be', che c'è?Hanno portato la livrea, signore.Mettitela e vieni qui.Indossata la livreaPetruskasorridendo stupidamenteentrò nella camera del padrone. Era combinato in un modo strano oltre ogni limite. Aveva indosso una livrea verde molto usatacon galloni d'oro sfilacciaticucita evidentemente per un uomo di statura superiore di ottanta centimetri almeno a quella di Petruska. Teneva in mano il cappelloanch'esso con galloni e penne verdi e sulla pancia aveva lo spadino da lacchè in un fodero di cuoio. Ealla finetanto per completare il quadroPetruskaseguendo la sua abitudine preferita di essere sempre in disordinealla buonaera anche ora a piedi nudi. Goljadkin guardò Petruska dalla testa ai piedi e fu evidentemente soddisfatto. La livreasi vedevaera stata presa a nolo per qualche solenne occasione. Si poteva anche notare che durante l'ispezione Petruska osservava il padrone con una certa aria di attesa e seguiva con insolita curiosità ogni suo gestoil che turbava tantissimo il signor Goljadkin.

"Be'e la carrozza?" "Anche la carrozza è arrivata." "Per tutta la giornata?" "Sìper tutta la giornata. Venticinque rubli in assegnati." "E gli stivali li hanno portati?" "Anche quellisì." "Imbecille! non puoi dire: sissignoreli hanno portati? Dammeli qui." Dopo aver espresso la sua soddisfazione perché gli stivali gli andavano a pennelloGoljadkin chiese il tè e il necessario per lavarsi e per radersi. Si rase con molta cura e con altrettanta cura si lavòbevve il tè a grandi sorsatee si dedicò alla sua importante e definitiva vestizione: indossò un paio di pantaloni quasi nuovipoi una pettorina con dei piccoli bottoncini di bronzoun panciotto a fiorellini vivaci e graziosissimi; si annodò al collo una cravatta di seta a colori einfinesi infilò una giacca da divisaanch'essa nuova e accuratamente spazzolata.

Mentre stava vestendosi guardò parecchie volte con amore i suoi stivalisollevò alternativamente ora un piede ora l'altrone ammirò la forma e continuò a borbottare qualcosa tra i dentiammiccando di tanto in tanto con una smorfietta significativa a un certo suo pensierino. Quella mattinapoiGoljadkin era incredibilmente distrattopoiché non si accorgeva nemmeno dei sorrisi e delle smorfiette che faceva Petruska verso di luimentre lo aiutava a vestirsi. Finalmentefatte tutte le formalità necessarie e vestitosi di tutto puntoGoljadkin rimise in tasca il portafogliammirò definitivamente Petruska che si era messo gli stivali e che così era anche lui in perfetto assetto; dopo aver considerato che ormai tutto era fatto e che non c'era più motivo per aspettare ancorain fretta e tutto affaccendato si precipitò giù dalle scale non senza un leggero palpitare del cuore. Una carrozza da nolo azzurracon non so quali stemmirotolò con fracasso verso la scaletta d'ingresso. Petruskascambiando strizzatine d'occhi col vetturino e con alcuni sfaccendati che erano lì intornofece sedere il suo signore in carrozza; con voce insolita e trattenendo a fatica le risate più sguaiategridò "avanti!"saltò sul seggiolino posteriore e finalmente il tuttorumoreggiando e strepitandotra tintinnii e scricchioliirotolò verso il Nevskij Prospèkt.

L'azzurro equipaggio aveva appena fatto in tempo a uscire dal portone che Goljadkin si strpicciò convulsamente le mani e proruppe in una risata sommessa e silenziosaproprio come chiper gaiezza di caratteresia riuscito a giocare a qualcuno un bel tiro del quale lui stesso si compiace all'infinito. Peròsubito dopo quell'esplosione di allegriail riso si trasformò sul volto di Goljadkin in una strana espressione preoccupata. Nonostante il tempo fosse umido e minaccioso aprì tutti e due i finestrini della carrozza e cominciò con aria inquieta a osservare i passanti a destra e a sinistraassumendo un'aria seria e grave non appena si accorgeva che qualcuno lo guardava. Alla curva dal Litéjnij sul Nevskij Prospèkta causa di una spiacevolissima sensazione ebbe un sussulto eassumenndo un'espressione come quella di un poveraccio al quale abbiano inavvertitamente pestato un callosi strinse in fretta e quasi con una certa paura nell'angolo più buio della carrozza. Era successo che aveva incontrato due suoi colleghidue giovani impiegati di quel ministero nel quale lui stesso era in servizio. Anche i due funzionaricosì era parso al signor Goljadkineranoper conto loroin grande imbarazzo per essersi incrociati in quel modo col collega; uno dei dueanziaveva perfino indicato col dito Goljadkin. A Goljadkin era sembrato anche che l'altro lo avesse chiamato ad alta voce per nomeil chesi saeraper stradaassai sconveniente. Il nostro eroe si era stretto nel suo angolo e non aveva risposto.

"Che razza di ragazzacci!" cominciò a ragionare tra sé. "Insommache c'è poi di tanto strano? Una persona in carrozza! Una persona aveva bisogno di andare in carrozza e ecco che ha preso una carrozza. Canagliesemplicemente! Io li conosco: veri ragazzacci che avrebbero bisogno di frustate! Vorrebbero soltanto giocare a testa e croce con lo stipendio e bighellonare di qua e di là; questa è proprio una cosa da loro. Avrei dovuto dirgli qualcosasolo che..." Goljadkin non completò il suo ragionamento e rimase di stucco. Un'agile pariglia di cavallini di Kazanche lui conosceva beneattaccata a un elegante calessestava sorpassando rapidamente dal lato destro la sua carrozza. Il signore che sedeva nel calesseavendo visto per caso la faccia di Goljadkin che abbastanza imprudentemente sporgeva dal finestrino della carrozzasembrava essere rimasto anche lui molto meravigliato per un simile inatteso incontro epiegandosi il più possibilelanciò un'occhiata carica di curiosità e di interesse nell'angolo della carrozza in cui il nostro eroe si era affrettato a cercare di appiattirsi. Il signore in calesse era Andréj Filìppovic'caposezione in quella stessa amministrazione di cui faceva parte anche Goljadkin in qualità di aiuto del suo capufficio. Goljadkinvisto che Andréj Filìppovic' lo aveva perfettamente riconosciuto e lo guardava con tanto d'occhie che nascondersi era ormai impossibilearrossì fino alle orecchie. "Salutare con un inchino o no? Richiamare la sua attenzione o no? Far capire di essere stato riconosciuto o no?" pensava il nostro eroe in un indescrivibile stato di angoscia. "Oppure fare il finto tonto come se non fossi io ma un altro che mi somiglia in modo sorprendente e guardarlo come se niente fosse?" "E veramente non sono ionon sono io e basta!" borbottava Goljadkinlevandosi il cappello davanti a Andréj Filìppovic' e senza togliergli gli occhi di dosso.

"Io non ho niente a che fare" continuava faticosamente a borbottarenon c'entro proprio niente, non sono io, e basta!Ben prestoperòil calesse superò la carrozza e il magnetico sguardo del superiore scomparve.

Nonostante questoarrossiva ancorasorridevarimuginava qualcosa tra sé e sé... "Sono stato un imbecille a non richiamare la sua attenzione" pensò infine; "sarebbe bastato semplicemente un gesto condito con un po' di audacia e di franchezza non priva di nobiltà: 'SicuroAndréj Filìppovic'le cose stanno così e così... sono anch'io invitato al pranzo'e basta!" Poiripensando all'improvviso di avere agito in maniera riprovevoleil nostro eroe si fece rosso come il fuocoaggrottò le sopracciglia e lanciò un terribile sguardo provocante nell'angolo più nascosto della carrozzauno sguardo destinato a ridurre in cenerein un colpo solotutti i suoi nemici. Infinedi bottochissà come ispiratotirò il cordone collegato al gomito del vetturino-cocchierefermò la carrozza e diede ordine di tornare indietro nella Litéjnaja. Era successo che aveva sentito l'inderogabile impulsoprobabilmente per sua tranquillità personaledi andare a dire al suo dottoreKrestjàn Ivànovic'qualcosa di estremamente interessante. Eanche se non conosceva Krestjàn Ivànovic' che da pochissimo tempoin quanto gli aveva fatto giusto giusto una sola visita la settimana precedenteper motivi suoi personalituttavia il dottoresi diceè come un confessore: sarebbe stupido nascondergli qualcosa e poid'altrondeeè suo dovere conoscere bene il paziente.

"Andrà poi bene tutto questo?" continuò il nostro eroescendendo dalla carrozza davanti all'ingresso di una casa a cinque piani sulla Litéjnajadi fronte alla quale aveva dato ordine di fermare. "Andrà bene? Sarà conveniente? Sarà opportuno? Del restoche cosa c'è" proseguivamentre saliva le scaleriprendendo fiato e reprimendo i battiti di quel suo cuore che aveva l'abitudine di battere forte sulle scale degli altriche cosa c'è? io vengo per fatti miei e di sconveniente qui non c'è proprio niente... Nascondersi sarebbe sciocco. Io, ecco, farò cosi:

fingerò di non volere niente, ma di essere passato così, come per caso... Sarà lui a vedere che cosa si dovrà fare.Rimuginando così tra sé e sé Goljadkin salì fino al secondo piano e si fermò davanti all'appartamento numero cinquesulla cui porta era affissa una bella placca di rame con la scritta:

KRESTJAN IVANOVIC' RUTENSPITZ DOTTORE IN MEDICINA E CHIRURGIA.

Fermatosiil nostro eroe si affrettò a dare alla sua fisionomia un aspetto correttodisinvoltonon senza una sfumatura di affabilitàe si preparò a tirare il cordone del campanello. Stava lì lì per farlo quandoimmediatamente e abbastanza a propositorifletté se non fosse più opportunodal momento che non c'era una grande necessitàaspettare l'indomani. Maappena Goljadkin ebbe sentito i passi di qualcuno che saliva le scaledi colpo abbandonò il nuovo proponimentoe con l'aria più decisa possibile suonò alla porta di Krestiàn Ivànovic'.

 

 

2.

 

Il dottore in medicina e chirurgiaKrestjàn Ivànovic' Rutenspitzun tipo di uomo molto robusto benché già anzianottocon folte sopracciglia e basette brizzolatesguardo espressivo e scintillante col quale - e solo con quelloera chiaro - scacciava tutte le malattieeinfineadornato di una importante decorazionesi trovava quel mattino nel suo studioseduto nella sua accogliente poltronaintento a sorbire il caffè portatogli da sua moglie in persona e a fumare un sigaromentre di tanto in tanto scriveva ricette per i suoi pazienti. Dopo aver prescritto l'ultima boccettina a un vecchietto affetto da emorroidi e accompagnato a una porta secondaria il vecchietto sofferenteKrestjàn Ivànovic' si rimise a sedere in attesa della visita successiva. Entrò Goljadkin.

A quanto parevaKrestjàn Ivànovic' non aspettava per nientee tantomeno desideravavedersi davanti Goljadkinperché rimase per un momento turbato e involontariamente il suo viso prese un'espressione strana edirei anzimalcontenta. Poichédal canto suoe quasi sempre a spropositoGoljadkin si perdeva d'animo e si smarriva quando gli succedeva di avvicinare qualcuno per i suoi piccoli affari privaticosì anche in quel momentonon avendo preparato la prima frase che in casi simili costituiva per lui lo scoglio principalesi confuse parecchioborbottò qualche parola - di scusacon ogni probabilità - enon sapendo poi che fareprese una sedia e si mise a sedere. Maricordatosi di essersi accomodato senza invitocapì la scorrettezza e si affrettò a riparare al suo errore di ignoranza del mondo e del "bon ton" alzandosi immediatamente dalla sedia occupata senza invito. Quindiripresosi e confusamente accortosi di avere commesso due sciocchezze in unasi decisesenza metter tempo in mezzoa farne una terza: tentò di giustificarsiborbottò chissà che sorridendoarrossìsi confusetacque in modo espressivo efinalmentesi rimise a sedere in modo definitivo e non si alzò più; soloper qualsiasi evenienzapreparò quel suo sguardo provocante che aveva la non comune forza di incenerire col pensiero e sbaragliare tutti i nemici del signor Goljadkin. Oltre a ciòquello sguardo rivelava in pieno l'indipendenza del signor Goljadkindiceva cioè chiaramente che il signor Goljadkin non aveva niente a che farciche lui era come tutti gli altri e chein ogni casoviveva per conto suo.

Krestjàn Ivànovic' tossìsi schiarì la gola evidentemente in segno di approvazione e di consenso e fissò su Goljadkin uno sguardo indagatore e interrogativo.

"IoKrestjàn Ivànovic'" prese a dire Goljadkin con un sorrisosono venuto a infastidirvi per la seconda volta; oso chiedere la vostra indulgenza...Goljadkin eraevidentementein difficoltà a trovare le parole.

"Ehm... sì" disse Krestjàn Ivànovic'lanciando con la bocca una spirale di fumo e posando il sigaro sul tavoloma dovete attenervi alle prescrizioni; vi ho già spiegato che la vostra cura consiste in un cambiamento di abitudini... Distrazioni, dunque; bisogna fare visita a amici e conoscenti e nello stesso tempo non essere nemico della bottiglia e godere regolarmente di allegre compagnie...Goljadkinsempre sorridendosi affrettò a far notare che a lui sembrava di essere come tuttiche stava in casache aveva svaghi come tutti gli altri... che naturalmente anche lui poteva frequentare i teatri come tutti gli altripoiché non gliene mancavano i mezziche di giorno era in servizio ma la sera se ne stava in casache non faceva assolutamente niente che non andasse bene; non mancò anche di far notarecosi di sfuggitache luia quanto gli parevanon era peggiore degli altriche viveva nel suo appartamentino e cheinfinec'era con lui Petruska. A questo punto Goljadkin si bloccò.

"Già... ma questo genere di vita non va... non è questo che volevo chiedervi. Io desidero saperecosì in generalese siete molto amante delle compagnie allegrese trascorrete allegramente il tempo... Insommail vostro regime attuale di vita è triste o allegro?" "Io... Krestjàn Ivànovic'..." "Già... io vi dico" lo interruppe il dottoreche è necessaria una radicale trasformazione della vostra vita e, in un certo senso, di fare violenza al vostro carattere (Krestjàn Ivànovic' accentuò con forza le parole 'far violenza' e si fermò un momento con aria assai significativa). Non evitare la vita allegra; frequentare gli spettacoli e il club e in ogni caso non essere nemico della bottiglia. Non vi fa bene restarvene in casa... no, non ci dovete assolutamente stare.Io, Krestjàn Ivànovic', amo il silenzioriprese Goljadkinlanciando uno sguardo significativo su Krestjàn Ivànovic' e con evidente faticosa ricerca delle parole per esprimere nel modo più chiaro il suo pensiero; "in casa ci siamo soltanto io e Petruska... voglio direil mio servoKrestjàn Ivànovic'che io vado per la mia stradauna strada tutta miaKrestjàn Ivànovic'.

Io me ne sto in dispartee a quanto mi sembranon dipendo da nessuno. IoKrestjàn Ivànovic'esco anche per andare a passeggio." "Come?... Già! Ma andare a passeggio in questo periodonon rappresenta certo un piacere; il clima è pessimo." "SissignoreKrestjàn Ivànovic'. Anche se ioKrestjàn Ivànovic'sono un individuo tranquillocome mi pare di avere già avuto l'onore di spiegarvila mia strada procede per conto suoKrestjàn Ivànovic'. La strada della vita è ampia... Io voglio...

io voglioKrestjàn Ivànovic'dire con questo... ScusatemiKrestjàn Ivànovic'... non sono davvero esperto nel bel parlare e di eloquenza." "Già... Voi dite..." "Dico che mi dovete scusareKrestjàn Ivànovic'del fatto che ioa quanto mi sembranon sono un maestro di eloquenza" ribatté Goljadkinin tono offesoperdendo il filo e balbettando. "Sotto questo punto di vista ioKrestjàn Ivànovic'non sono come gli altri" aggiunse con un sorriso particolare; "io non so parlare moltonon ho imparato l'arte di abbellire le parole. Ma in compensoKrestjàn Ivànovic'io agisco; in compenso agiscoKrestjàn Ivànovic'!" "Già... Dunque... voi agite?" ripeté Krestjàn Ivànovic'. Poi segui un minuto di silenzio. Il dottore rivolse a Goljadkin un'occhiata stranasospettosa. Goljadkindal canto suoguardò il dottore di sbiecoanche lui in maniera alquanto sospettosa.

"IoKrestjàn Ivànovic'" riprese a dire Goljadkin sempre con quel tono un po' irritato e interdetto per l'eccessiva ostinazione di Krestjàn Ivànovic'io, Krestjàn Ivànovic', io amo la tranquillità e non il rumore mondano. Là da loro, nel gran mondo, intendo, bisogna saper lucidare i pavimenti con gli stivali... (a questo punto Goljadkin strisciò appena appena un piede sul pavimento) là pretendono questo, signor mio, e pretendono anche le freddure... bisogna sapere improvvisare un complimento fiorito...

ecco ciò che là pretendono. Ma io tutto questo non l'ho imparato, Krestjàn Ivànovic', tutte queste astuzie non le ho imparate: non ne ho avuto il tempo. Io sono un uomo semplice, senza pretese e in me non c'è splendore esterno. In questo, Krestjàn Ivànovic', io sono disarmato; io, parlando in questo senso, depongo le armi.Tutto ciò Goljadkin lo dissesi capiscecon un'aria che lasciava chiaramente intendere che il nostro eroe non era per niente rammaricato di deporrein questo sensole armi e di non avere imparato le astuziemaanziche era tutto il contrario.

Krestjàn Ivànovic'nell'ascoltarloaveva lo sguardo basso e il viso era atteggiato a una antipaticissima smorfia come se già presagisse qualcosa. Alla tirata di Goljadkin seguì un silenzio abbastanza lungo e significativo.

"Voidireiavete un po' deviato dall'argomento" dissefinalmenteKrestjàn Ivànovic' a mezza voce "e iove lo confessonon sono riuscito a capirvi perfettamente." "Io non sono esperto nel bel parlareKrestjàn Ivànovic'; ho già avuto l'onore di spiegarviKrestjàn Ivànovic'che non sono esperto nel bel parlare" ripeté Goljadkinquesta volta in tono brusco e deciso.

"Già..." "Krestjàn Ivànovic'!" ripeté Goljadkin con la voce bassa e piena di significatoe in parte anche con una certa solennitàsoffermandosi su ogni punto. "Krestjàn Ivànovic'! appena sono entrato ho cominciato col presentarvi le mie scuse. Ora ripeto quello che ho detto prima e chiedo di nuovoper un certo tempola vostra indulgenza. IoKrestjàn Ivànovic'non ho niente da nascondervi. Sono un piccolo uomolo sapete anche voi; maper mia fortunanon mi rammarico di essere un piccolo uomo. E' anzi proprio il contrarioKrestjàn Ivànovic'; eper dirla tuttasono perfino orgoglioso di non essere un grand'uomoma un piccolo uomo. Non sono un intrigante e anche di questo sono orgoglioso.

Non agisco sotto sottoma apertamentesenza astuziae benchè io possa a mia volta far del malee anche moltoe io addirittura sappia a chi e come potrei farloioKrestjàn Ivànovic'non voglio sporcarmi ein questo sensome ne lavo le mani. In questo sensodicome le lavoKrestjàn Ivànovic'!" Goljadkin tacque in modo espressivo per un momento; parlava con dolce animazione.

"Io vado drittoKrestjàn Ivànovic'" riprese il nostro eroevado avanti a viso aperto e senza scappatoie, perché io queste le disprezzo e le lascio agli altri. Non cerco di umiliare quelli che forse sono più onesti di me e di voi... cioè voglio dire di me e di loro, Krestjàn Ivànovic'... non volevo dire di voi. Non amo le mezze parole; ho orrore della calunnia e del pettegolezzo. Metto la maschera soltanto per le mascherate e non per andare ogni giorno davanti alla gente. Vi chiedo soltanto, Krestjàn Ivànovic', come vi vendichereste di un nemico, del più malvagio vostro nemico... di colui che voi ritenete tale?concluse Goljadkindopo aver lanciato uno sguardo provocante a Krestiàn Ivànovic'.

Benché Goljadkin avesse detto tutto questo come meglio non era possibilein modo chiaro e sicurosoppesando ogni parola e contando su un sicurissimo effettotuttavia guardava ora Krestjàn Ivànovic' con inquietudinecon grande inquietudinecon estrema inquietudine. Adesso era tutto concentrato nello sguardoe con timidezzacon impazienza sgradevole e struggente aspettava la risposta di Krestjàn Ivànovic'. Macon meraviglia e mortificazione del signor GoljadkinKrestjàn Ivànovic' borbottò qualcosa tra i dentipoi avvicinò la poltrona al tavolo e in tono abbastanza seccoanche se garbatogli dichiarò qualcosa di questo genere: che il suo tempo era preziosoche egli non lo capiva perfettamenteche era però prontoper quanto potevaa servirlo secondo le sue forze; ma che non si immischiava in tutto il resto che non lo riguardava. A questo punto prese la pennasi avvicinò un foglio di cartane ritagliò un pezzo di formato medico e dichiarò che immediatamente avrebbe prescritto il necessario.

"Nosignorenon serveKrestjàn Ivànovic'! nosignorenon serve assolutamente!" disse Goljadkinalzandosi e afferrando Krestjàn Ivànovic' per la mano destra. "Non serve affattoKrestjàn Ivànovic'.." E intantomentre Goljadkin diceva tutto questoaccadde in lui uno strano cambiamento. I suoi occhi grigi lampeggiarono in un certo strano modole labbra cominciarono a tremarglitutti i muscolitutti i lineamenti del viso si misero in movimento e in grande agitazione. Lui stesso era tutto un tremito. Dopo aver obbedito al suo primo gesto istintivo e avere bloccato la mano di Krestjàn Ivànovic'Goljadkin stava ora immobile come se non credesse a se stesso e fosse in attesa di un'ispirazione per le sue azioni successive.

Allora si verificò una scena abbastanza strana. Un bel po' interdettoKrestjàn Ivànovic' rimase per un attimo come inchiodato alla poltrona esconcertatoguardò negli occhi Goljadkinche lo fissava nello stesso modo. FinalmenteKrestjàn Ivànovic' si alzòaggrappandosi un po' al risvolto della giubba di Goljadkin. Rimasero tutti e due per qualche secondo in quella posizione senza staccarsi l'un l'altro gli occhi di dosso. Allorain modo stranamente insolitosi compì anche il secondo movimento di Goljadkin. Le labbra presero a tremargliil mento a saltellare e il nostro eroe scoppiòinaspettatamentein pianto. Tra i singhiozziscuotendo la testa e battendosi il petto con la mano destradopo avere a sua volta afferrato il risvolto della veste da camera di Krestjàn Ivànovic'voleva parlare e spiegarsi immediatamentema non gli riuscì di spiccicare nemmeno una parola. Infine Krestjàn Ivànovic' si riscosse dal suo stupore.

"Bastacalmatevimettetevi a sedere!" esclamò finalmentecercando di far sedere Goljadkin sulla poltrona.

"Io ho dei nemiciKrestjàn Ivànovic'ho dei nemici; dei nemici malvagi che hanno giurato di uccidermi..." rispose Goljadkin timorosoa voce bassissima.

"Bastabastamacché nemici! Non bisogna ricordare i nemici! Non è affatto necessario! Sedetesedete" proseguì Krestjàn Ivànovic'conducendo finalmente Goljadkin a sedere sulla poltrona.

Alla fine Goljadkinsenza staccare gli occhi da Krestjàn Ivànovic'si sedette; Krestjàn Ivànovic'con aria parecchio scontentacominciò a camminare da un angolo all'altro della stanza. Seguì un lungo silenzio.

"Vi sono molto gratoKrestjàn Ivànovic'proprio molto gratoe sono sensibilissimo a ciò che avete appena fatto per me. Fino alla tomba non scorderò le vostre affettuositàKrestjàn Ivànovic'" disse infine Goljadkinalzandosi dalla poltrona con aria offesa.

"Bastabasta! vi dico che ora basta!" esclamò in tono severo Krestjàn Ivànovic' a quell'uscita di Goljadkin e costringendolo ancora una volta a sedere al suo posto. "Dunqueche avete?

Raccontatemi che cosa avete ora di spiacevole" proseguì Krestjàn Ivànovic'e di quali nemici volete parlare. Che avete dunque?No, Krestjàn Ivànovic', è meglio che ora lasciamo perdere queste coserispose Goljadkinabbassando gli occhiè meglio che mettiamo tutto questo da parte fino a... fino a un altro momento, Krestjàn Ivànovic', fino a un momento più adatto, quando tutto sarà chiaro e quando dal volto di certa gente sarà caduta la maschera e ogni cosa sarà svelata. Ma adesso, si capisce, dopo quello che è successo tra noi... ne converrete anche voi, Krestjàn Ivànovic'... Permettetemi di augurarvi buon mattino, Krestjàn Ivànovic'disse Goljadkindopo essersi alzato questa volta con atto deciso e serio dal posto e aver preso il cappello.

"Be'... come voleteallora... (Seguì un minuto di silenzio.) Ioda parte mialo sapeteciò che posso... Desidero sinceramente ogni bene per voi." "Vi capiscoKrestjàn Ivànovic'vi capiscoo; ora vi capisco perfettamente... In ogni modo scusatemi per avervi disturbatoKrestjàn Ivànovic'!" "Già... Noio non volevo dire quello. Del restocome vi fa più piacere. Continuare le medicine di prima..." "Continuerò le medicine di primacome voi diteKrestjàn Ivànovic'e continuerò a prenderle nella stessa farmacia... Al giorno d'oggi anche essere farmacistaKrestjàn Ivànovic'è già una cosa importante..." "Come? In che senso volete dire?" "Nel senso più comuneKrestjàn Ivànovic'! Voglio dire che al giorno d'oggi il mondo sta camminando..." "Già... " "E che qualsiasi ragazzaccionon solo di farmaciasi dà delle arie davanti a un uomo come si deve." "Già... Che intendete dire?" "Io parloKrestjàn Ivànovic'di una persona nota... nota a tutti e dueKrestjàn Ivànovic'per esempio di Vladimir Semjònovic'..." "Ah!..." "SiKrestjàn Ivànovic'; e io conosco parecchie personeKrestjàn Ivànovic'che non si lasciano trascinare a tal punto dall'opinione comune da non dire qualche volta la verità." "Ah! Come mai?" "Slè cosi; madel restoquesta è un'altra faccenda; a volte ti sanno preparare il piatto con un certo qual sugo..." "Che cosa? Preparare che cosa?" "Sìil piatto con un certo qual sugoKrestjàn Ivànovic'; è un modo di dire... A volte sanno felicitarsi a proposito con qualcunoper esempio; ci sono delle persone cosìKrestjàn Ivànovic'." "Felicitarsi?" "SiKrestjàn Ivànovic'felicitarsicome ha fatto i giorni scorsi uno dei miei intimi conoscenti..." "Uno dei vostri intimi conoscenti... ah! e come mai?" disse Krestjàn Ivànovic'guardando con attenzione Goljadkin.

"Sisignoreuno dei miei intimi conoscenti si rallegra per il nuovo gradoper la nomina ad assessore di un altro pure molto intimo conoscentee per giunta amicocome si diceamico carissimo. Cosìgli era capitato a proposito. 'Sono molto felice' ha detto'dell'occasione di potervi porgereVladimir Semjanovic'i miei sinceri rallegramenti per il grado conseguito.

E tanto più felice perché al giorno d'oggicome tutti al mondo sannosono scomparse le nonnine che fanno gli incantesimi'." A questo punto Goljadkin accennò furbescamente con la testa estrizzando l'occhioguardò Krestjàn Ivànovic'.

"Già... Così ha detto questo..." "L'ha dettoKrestjàn Ivànovic'l'ha detto e intanto ha lanciato un'occhiata ad Andréj Filìppovic'zio di quello sciupafemmine del nostro Vladimir Semjònovic'. Ma che importa a mesì a meKrestjàn Ivànovic'che sia stato fatto assessore? Che c'entro io in questo? E vuole pure prendere mogliementrecon licenza parlandoha ancora il latte alla bocca. Proprio cosìha detto.

Ora vi ho detto tutto: permettete che mi ritiri." "Già... " "SìKrestjàn Ivànovic'permettete che oradicoio mi ritiri. E a questo puntoper prendere due piccioni con una favacome già avevo fatto star zitto quel bravo giovane con la faccenda delle nonnettecosì mi rivolgo ora a Klara Olsùfevna (la cosa capitò l'altro ieri in casa di Olsùfij Ivànovic'); lei aveva cantato una romanza sentimentaleio le dico: 'Voi vi siete compiaciuta di cantare una romanza con molto sentimentoperò non vi si ascolta con cuore puro'. E con questo intendo dire chiaramentevoi mi capiteKrestjàn Ivànovic'intendo dire chiaramenteche ora non è lei che si cercama qualcos'altro..." "Ah! E luiallora?" "Lui l'ha capitaluiKrestjàn Ivànovic'ha mangiato la fogliacome dice il proverbio." "Già... " "SìsignoresìKrestjàn Ivànovic'. E anche al vecchio lo dico.

Sogli dicosoOlsùfij Ivànovic'come io vi sia obbligatovaluto bene i benefici chefin dagli anni della mia infanziami avete elargito. Ma aprite gli occhiOlsùfij Ivànovic'gli dico.

Guardate. Io tratto la cosa alla luce del soleOlsùfij Ivànovic'." "Ahè cosi!" "SìKrestjàn Ivànovic'. Ecco com'è..." "E luiallora?" "E luiKrestjàn Ivànovic'... Prende tempo... e poi così cosà... e io ti conosco e so che sua eccellenza è un uomo generosoe avanti a tirarla di questo passo... Ma che vuol dire questo? E' la vecchiaia checome si dicegli ha un po' scombussolato le...

rotelle..." "Ah! ecco come stanno le cose adesso!" "SìKrestjàn Ivànovic'. E tutti noi siamo così! Guardate un po'... un vecchietto con un piede nella fossaridotto al lumicinocome si dicema non appena nasce un pettegolezzo da donniccioleeccolo lì con le orecchie dritte; senza di lui è impossibile..." "Un pettegolezzodite?" "SìKrestjàn Ivànovic'hanno fatto un pettegolezzo. E anche il nostro orso ci si è ficcatoe suo nipotequel nostro sciupafemmine; hanno fatto comunella con le vecchiesi capiscee hanno condito la faccenda. Che pensate? Che cosa hanno inventato per ammazzare un uomo?" "Per ammazzare un uomo?" "SiKrestjàn Ivànovic'proprio per ammazzare un uomo. Hanno fatto girare... io parlo sempre del mio intimo conoscente..." Krestjàn Ivànovic' scosse il capo.

"Hanno fatto girare sul suo conto la voce... Vi confesso che mi vergogno perfino a dirloKrestjàn Ivànovic'..." "Già... " "Hanno fatto girare la voce che si è già obbligato per scritto a sposarsiche è già fidanzato con un'altra... e pensate un po' con chiKrestjàn Ivànovic'? " "Davvero?" "Con una cuocauna sudicia tedescadalla quale mangia; invece di saldarle il conto le offre la sua mano." "Questodicono?" "Non ci credeteehKrestjàn Ivànovic'? Una tedescauna volgareripugnantesvergognata tedesca. Karolina Ivànovnase lo sapete..." "Confesso che da parte mia..." "Vi capiscoKrestjàn Ivànovic'vi capisco e per conto mio sento..." "Ditemiper favoredove abitate attualmente?" "Dove abito attualmenteKrestjàn Ivànovic'?" "Sì... io voglio... mi pare che voi prima abitavate..." "AbitavoKrestjàn Ivànovic'abitavoabitavo anche prima. Come si può non abitare!" rispose Goljadkinaccompagnando le sue parole con una breve risata e lasciando un po' confuso Krestjàn Ivànovic' con la sua risposta.

"Nonon avete capito bene il mio pensiero; io volevo da parte mia..." "Anch'io volevoKrestjàn Ivànovic'da parte miaanch'io volevo" proseguì ridendo Goljadkin. "Io però Krestjàn Ivànovic'mi sono addirittura installato in casa vostra. Spero che voi mi permetterete ora... di augurarvi il buon giorno..." A questo punto il nostro eroe fece una strisciatina col piede e uscì dalla stanzalasciando Krestjàn Ivànovic' letteralmente sbalordito. Nello scendere le scale del dottore faceva un risolino e si stropicciava le mani tutto contento. Sul pianerottolo dell'ingressodopo aver respirato una boccata d'aria fresca e essersi sentito liberoera effettivamente pronto a considerarsi come il più felice dei mortali e a andare dritto filato al dipartimentoquando all'improvviso sentì il rumore davanti alla portiera della sua carrozza; lanciò uno sguardo e tutto gli tornò in mente. Petruska stava già aprendo lo sportello. Una certa strana e sgradevole sensazione si impadronì di Goljadkin. Parve arrossire per un attimo. Qualcosa lo aveva punto. Stava già per appoggiare il piede sul predellino della vettura quando improvvisamente si girò a guardare le finestre di Krestjàn Ivanovic'. Ci siamo! Krestjàn Ivànovic' era alla finestra eaccarezzandosi con la mano destra i basettoniera lì a guardare con una certa curiosità il nostro eroe.

"Questo dottore è uno stupido" pensò Goljadkinentrando nella carrozzastupido al massimo. Può darsi che curi bene i suoi malati, e tuttavia è stupido come un tronco.Goljadkin si sedettePetruska gridò "avanti!" e la carrozza riprese di nuovo a rotolare sulla strada per il Nevskij Prospèkt.

 

 

3.

 

Tutta quella mattina Goljadkin la passò affaccendato in grandi faccende. Giunto sul Nevskij Prospèktil nostro eroe diede ordine di fermare davanti al Gostinyj Dvor. Sceso dalla carrozzacorse sotto un'arcata in compagnia di Petruska e andò dritto filato in un negozio di articoli d'oro e d'argento. Anche solo a guardarlo ci si poteva accorgere che Goljadkin non sapevaper il gran da faredove sbattere la testa. Dopo aver contrattato un servizio completo da tavola e da tè per più di millecinquecento rubli di assegnati e aver ottenutosul totalecome omaggioun ingegnoso portasigarette e un completo da barba in argentoe dopo aver chiesto ancora informazioni sul prezzo di alcuni oggettini utili e piacevoli nel loro generecon la promessa che il giorno dopo sarebbe senz'altro ritornatoo addirittura anche il giorno stessoper ritirare gli oggetti contrattatisi segnò il numero della bottega eascoltato attentamente il negoziante che insisteva per avere un piccolo accontopromise di dare a suo tempo anche la piccola caparra. Dopo di chein gran fretta prese congedo dal mercante che era rimasto interdetto e si avviò lungo la fila di bottegheincalzato da una schiera di commessigirandosi indietro continuamente a guardare Petruska e cercando con attenzione qualche nuovo negozio. Passò di corsa in un negozietto di cambiavalute e cambiò in moneta spicciola tutti i suoi biglietti di grosso taglio epur perdendoci nel cambiofece lo stesso l'operazione e il suo portafogli ne fu ingrossato ben benecosa cheevidentementegli procurò una enorme soddisfazione. Infine si fermò in un negozio di stoffe per signora. Anche quidopo aver contrattatosempre per una notevole sommaGoljadkin promise al mercante che sarebbe sicuramente ritornatoanche qui si segnò il numero della bottega ealla richiesta di un piccolo accontoripeté chea suo tempoavrebbe sborsato pure il piccolo acconto. Poi visitò ancora qualche altra bottega; in tutte contrattavasi informava dei prezzi di oggetti varidiscuteva a lungo coi negozianti usciva e rientrava anche tre volte di seguito; a farla brevedimostrava un'attivismo fuori dal comune. Dal Gostinyj Dvoril nostro eroe si diresse in un famoso negozio di mobili dove contrattò l'arredamento per sei camereammirò una pettiniera per signoramolto originale e di gusto modernissimo eassicurato il mercante che sarebbe ritornato di certouscì dal negoziopromettendo come d'abitudine un acconto; poi andò ancora in questa e in quell'altra bottega e contrattò ancora per questa e quella cosa. A farla breve il suo daffare non finiva mai. Finalmente tutto questo cominciò a stufare anche Goljadkin. EDio sa per quale motivocominciarono a tormentarlo di punto in bianco certi rimorsi di coscienza. A nessun costo avrebbe ora acconsentito a incontrarsiper esempiocon Andréj Ivànovic'. Finalmente gli orologi pubblici batterono le tre pomeridiane. Quando Goljadkin salì definitivamente in carrozzadi tutti gli acquisti fatti quella mattina non gli restavaa in realtà che un paio di guanti e una boccetta di profumoper un rublo e mezzo di assegnati. Poiché per Goljadkin era ancora relativamente prestoordinò al cocchiere di fermarsi a un noto ristorante sul Nevskij Prospèkt che conosceva soltanto di nomescese dalla carrozza e corse dentro per mangiucchiare qualcosariposarsi e aspettare il tempo necessario.

Consumato uno spuntino come lo può fare uno che abbia la prospettiva di un pranzo coi fiocchicioè dopo aver spiluccato qua e là qualcosinatantocome si diceper ingannare l'appetitoe aver bevuto un solo bicchierino di vodkaGoljadkin si sedette su una poltrona erivolto un modesto sguardo intornosi apprestò tranquillamente alla lettura di uno scarno gazzettino nazionale. Dopo averne lette due righesi alzòsi osservò in uno specchiosi aggiustò i capelli e si diede una sistematina; si avvicinò poi a una finestra e diede un'occhiata fuori per vedere se la sua carrozza fosse sempre lì... poi si rimise a sedere allo stesso posto e riprese il giornale. Era evidente che il nostro eroe si trovava in uno stato di grandissima agitazione. Guardato poi l'orologio e visto che erano solo le tre e un quartoe che di conseguenza se ne sarebbe dovuto rimanere lì ad aspettare parecchio tempo ancorariflettendo contemporaneamente che era così poco conveniente restarsene lì sedutoGoljadkin ordinò che gli si portasse una cioccolata della qualeperòin quel momentonon provava una gran voglia. Bevuta la cioccolata e notato che era passato un po' di temposi mosse per pagare il conto.

All'improvviso qualcuno gli batté sulla spalla.

Si girò e vide davanti a sé due suoi colleghi d'ufficioproprio quegli stessi che aveva incontrato al mattino nella Litéjnajadue ragazzi ancora molto giovani e di età e di grado. Il nostro eroe era in rapporti così e così con loro... non di amicizia e nemmeno di aperta ostilità. Si capisce che da entrambe le parti le convenienze venivano rispettate; ma non esisteva una grande intimità né poteva essercene. L'incontroin quel momentofu sgradevolissimo per Goljadkin. Aggrottò un po' il viso e per un attimo rimase interdetto.

"Jakòv Petrovic'Jakòv Petrovic'!" cominciarono a cinguettare i due registratori di collegiovoi qui? per quale...Ah! Siete voi, signori!l'interruppe frettoloso Goljadkinun po' confuso e scandalizzato per lo stupore dei due impiegatucci e nello stesso tempo per quella loro maniera di trattare così alla buonaassumendocontrovogliaun'aria disinvolta e un po' burbera. "Avete disertatosignorieheheh!..." A questo puntoper non scendere fino al livello dei giovani di cancelleria coi quali manteneva sempre le dovute distanzeprovò persino a battere qualche colpetto sulla spalla di uno dei due; ma un tale gesto democratico in quel caso non riuscì bene a Goljadkin einvece di un gesto affettuoso e nello stesso tempo appropriatone risultò qualcosa di completamente diverso.

"Il nostro orsodunqueè in ufficio?" "Chi sarebbe quest'orsoJakòv Petrovic'?" "Be'... come se non sapeste chi viene chiamato l'orso...!" Goljadkin si mise a ridere e si volse verso il garzone per prendere il resto. "Alludo ad Andréj Filìppovic'signori" continuòdopo aver finito col garzone e rivolgendosi verso i due impiegatima questa volta con la faccia seria. I due registratori di collegio si scambiarono una significativa strizzatina d'occhi.

"E' ancora in ufficio e ha chiesto di voiJakòv Petrovic'" rispose uno dei due.

"Ancora in ufficio! In tal caso ci restisignori! E ha chiesto di meeh?" "Ha chiesto di voisìJakòv Petrovic'; eanzicome mai siete così profumato e ripulitoproprio come un damerino?" "Cosìsignoricosì... Basta..." rispose Goljadkinguardando da una parte e dopo un sorriso piuttosto stiracchiato. Nel vedere che Goljadkin sorridevai due impiegati scoppiarono in una risata.

Goljadkin fece un po' la faccia scura.

"Vi diròsignoriin via del tutto amichevole" ripresedopo un po' di silenzioil nostro eroe come se (e così sia!) avesse deciso di rivelare qualcosa ai due impiegati. "Voisignorimi conoscetema fino a oggi avete conosciuto di me solo un lato. Non c'èin questo casoda rimproverare nessuno e in partelo confessosono io il colpevole." Goljadkin strinse le labbra e fissò sui due uno sguardo pieno di significato. Gli impiegati si scambiarono di nuovo una strizzatina d'occhi.

"Fino a oggisignorinon mi avete conosciuto. Spiegarsi in questo momento e in questo luogo non sarebbe assolutamente a proposito. Vi dirò solo qualcosa di passaggio e di sfuggita. C'è della gentesignoriche non ama le vie traverse e si mette la maschera soltanto per i balli mascherati. Ci sono altriinveceche pensano che il vero compito dell'uomo consista nell'abilità con cui lucida i pavimenti con gli stivali. E ci sono anche delle personesignoriche non diranno che sono felici e che vivono compiutamente se non quandoper esempioi pantaloni stanno loro a pennello. E c'èinfinedella gente che non ama bighellonare e girare a vuotocianciare di cose futili e insinuarsi nelle grazie altrui e soprattuttosignorificcare il naso dove nessuno li cerca... Iosignoriho detto quasi tutto: permetteteorache me ne vada..." Goljadkin si ferma. Poiché i registratori di collegio erano ormai soddisfatti a doveretutti e due all'improvviso si sbellicarono dalle risa in modo veramente indecente. Goljadkin avvampò.

"Ridetesignoriridete adesso! Chi vivrà vedrà..." disse con un'aria di dignità offesadopo aver preso il cappello e ritirandosi verso la porta.

"Ma vi dirò di piùsignori" aggiunserivolgendosi per l'ultima volta verso i registratori di collegiovi dirò di più: voi siete qui tutti e due di fronte a me. Ecco, signori, i miei princìpi: se mi riesce resisto, tengo duro e in ogni caso non tolgo il terreno da sotto ai piedi di nessuno. Non sono un intrigante, e di questo vado fiero. In diplomazia non sarei servito a niente. Si dice anche, signori, che l'uccello vola da solo verso il cacciatore. E' vero, e io sono pronto a convenirne: ma qui chi è l'uccello e chi il cacciatore? Questo è il problema, signori!Goljadkin tacque eloquentemente ecol viso il più possibile significativocioè sollevando le sopracciglia e stringendo al massimo le labbrafece un bell'inchino agli impiegati e poi uscì lasciandoli addirittura senza parole.

"Dove ordinate di andare?" chiese in tono piuttosto ruvido Petruskache era ormai stufoprobabilmentedi quel gironzolare al freddo. "Dove ordinate che si vada?" domandò a Goljadkinscontrandosi con quel suo terribile sguardo annientatore che il nostro eroe aveva usato quella mattina e al quale ora per la terza volta aveva fatto ricorso mentre scendeva la scala.

"Al ponte Izmajlovskij!" "Al ponte Izmajlovskij! Via!" "Il pranzo da loro non comincerà prima delle cinque e anche dopo"pensava Goljadkin "non è ancora presto? Del restoposso anche arrivare un po' in anticipo epoialla fin fineè un pranzo di famiglia. Posso comportarmi in questo modo 'san-fasòn' come si dice tra la gente perbene. Perché poi non dover essere 'san- fasòn'? Anche il nostro orso diceva che tutto sarà 'san-fasòn' e perciò anch'io..." Così andava almanaccando; e intanto la sua agitazione si faceva mano a mano più intensa. Si capiva che si stava preparando a qualcosa che lo preoccupava moltoper non dire di più: parlava a bassa voce tra ségesticolava con la mano destraguardava continuamente dal finestrino della carrozzatanto cheosservando in quel momento Goljadkinnessuno avrebbe potuto ragionevolmente pensare che si stesse preparando a un buon pranzo senza cerimonie e per di più in un ambiente familiare'san-fasòn'come si dice tra gente dabbene. Finalmenteproprio vicino al ponte IzmajlovskijGoljadkin indicò una casa: la carrozza entrò con fracasso nel portone e si fermò all'ingresso dell'ala destra. Notata a una finestra del secondo piano un figura femminileGoljadkin le mandò un bacio con la mano. D'altra parte non sapeva lui stesso che cosa facesseperché in quel momento era più morto che vivo. Scese dalla carrozza pallidosmarrito; salì al pianerottolo d'ingressosi tolse il cappellosi ravviò con gesto meccanico i capelli esentendo per di più un leggero tremito alle ginocchiasi lanciò su per la scala.

"Olsufij Ivànovic'?" domandò al servo che gli aveva aperto.

"E' in casasignorecioè nonon è in casa..." "Come? che dicicaro? Ioio sono atteso a pranzofratello. Tu mi conoscino?" "Come non conoscervisignore? Non ho avuto ordine di farvi entraresignore." "Tu... tufratello... credo che tu sia in errorefratello. Sono io. Iofratellosono stato invitatoinvitato a pranzo" disse Goljadkinliberandosi dal cappotto e mostrando l'evidente intenzione di dirigersi nelle stanze.

"Scusatesignorenon si puòsignore. Ho avuto l'ordine di non ricevervisignorel'ordine di non farvi entrare. Ecco com'è." Goljadkin impallidì. Proprio in quel momento la porta che dava nelle stanze interne si aprì e apparve Gherasimyc'il vecchio cameriere di Olsufij Ivànovic'.

"EccoEmeljàn Gherasimyc'vuol entraree io..." "E voi siete uno stupidoAlekséjc'. Andate dentro e mandate qui quel manigoldo di Semjonyc"' disse al servoe poirivolgendosi cortesemente ma con fermezza a Goljadkincontinuò: "Non si puòsignore; non è assolutamente possibilesignore. Vi pregano di scusaresignorema non possono ricevervi." "Hanno detto cosìche non possono ricevermi?" domandòesitanteGoljadkin. "ScusateGherasimyc'ma perché non è assolutamente possibile?" "Non si puòassolutamente. Io vi ho annunciatosignore; hanno detto: pregalo di scusare. Non possonodiconoricevervi." "E perché mai? come mai questo? come..." "Permettetepermettete..." "Come mai questo? Non è possibilecosì... Riferite... Come mai questo? Io al pranzo..." "Permettetepermettete..." "Be'ma questa è un'altra faccenda: pregano di scusare; però permetteteGherasimyc'come mai questoGherasimyc'?" "Permettetepermettete" insisté Gherasimyc'allontanando con una manocon un gesto molto decisoGoljadkin e facendo largo a due signori che in quel momento facevano il loro ingresso in anticamera.

I due signori che entravano erano Andréj Filìppovic' e suo nipoteVladimir Semjanovic'. Entrambi guardavano sconcertati Goljadkin.

Andréj Filìppovic' avrebbe voluto dire qualcosama Goljadkin aveva già preso la sua decisione: stava ormai uscendo dall'anticamera di Olsufij Ivànovic'a occhi bassirosso in visosorridendo con un'espressione del tutto sconcertata.

"Tornerò dopoGherasimyc'; mi spiegherà. Spero che tutto ciò non tarderà ad avere a suo tempo una spiegazione" disse sulla soglia e in parte già sulla scala.

"Jakòv Petrovic'Jakòv Petrovic'!" si udì la voce di Andréj Filìppovic' che aveva seguito Goljadkin. Goljadkin si trovava già sul primo pianerottolo. Si voltò rapidamente verso Andréj Filìppovic':

"Che voleteAndréj Filìppovic'?" chiese in tono piuttosto fermo.

"Che vi succedeJakòv Petrovic'? Come mai?" "Non è nullaAndréj Filìppovic'! Sono qui per conto mio. Qui si tratta della mia vita privataAndréj Filìppovic'." "Che significa?" "Vi dicoAndréj Filìppovic'che questa è la mia vita privata e che quia quanto parenon si può trovare niente di riprovevole che riguardi i miei rapporti ufficiali." "Come! Riguardo ai rapporti... che avete dunquesignore?" "NienteAndréj Filìppovic'assolutamente niente; una ragazzata impertinentenulla di più..." "Che cosa!... Che cosa?!..." sbigottì Andréj Filìppovic'.

Goljadkinche fino a quel momento aveva parlato con Andréj Filìppovic' dal fondo della scala e lo aveva guardatoa quanto parevacome se si preparasse a saltargli agli occhinel vedere che il caposezione era rimasto un po' turbatofecesenza che nemmeno se ne accorgesseun passo avanti. Andréj Filìppovic' ne fece uno indietro. Goljadkin salì un gradino e poi un altro ancora. Andréj Filìppovic' rivolse intorno uno sguardo preoccupato. Goljadkin improvvisamente prese a salire di corsa la scala. Maancora più rapidamenteAndréj Filìppovic' si precipitò nella stanza sbattendosi la porta alle spalle. Goljadkin restò solo. Rimase come trasognato. Si sentì completamente smarrito e stava immobile in non so quale stato di sconclusionata meditazionecome se tentasse di ricordarsi di una qualche ugualmente sconclusionata circostanza capitatagli poco prima. "Eheh!" bisbigliò con un sorriso forzato. Intantodal fondo della scala risuonarono delle voci e dei passiprobabilmente di nuovi ospitiinvitati da Olsufij Ivànovic'. Goljadkinripresosi un po'rialzò il più possibile il bavero di procionevi si nascose per quanto poté e cominciò a scendere le scalearrancandoaffrettandosi e inciampando. Sentiva dentro di sé come una grande stanchezza e un indolenzimento. Il suo imbarazzo era tanto forte cheuscito sul pianerottolo d'ingressonon rimase nemmeno ad aspettare la carrozzama andò lui stesso a raggiungerlaattraversando il cortile pieno di fango. Arrivato alla carrozza e preparandosi a prendervi postoGoljadkin espresse mentalmente il desiderio di sprofondare sottoterra o di nascondersifosse anche in un buco per topiinsieme con la carrozza. Aveva l'impressione che tutti quelli che si trovavano in quel momento in casa di Olsufij Ivànovic'eccolo stessero ora osservando da tutte le finestre. Sapeva chese si fosse girato indietrosarebbe certo morto lìsu due piedi.

"Che hai da rideretestone?" chiese eccitato a Petruska che si preparava ad aiutarlo a salire in carrozza.

"Ma perché dovrei ridere? Non ho nulla da ridere. Dove si deve andareora?" "Va' a casamuoviti..." "A casa!" gridò Petruskaarrampicandosi sul seggiolino posteriore.

"Che razza di voce da corvo!" pensò Goljadkin.

Intanto la carrozza si era già allontanata un bel po' dal ponte Izmajlovskij. All'improvviso il nostro eroe tirò con violenza il cordone e gridò al cocchiere di tornare immediatamente indietro.

Il cocchiere fece girare i cavalli e in due minuti arrivò di nuovo nel cortile di Olsufij Ivànovic'. "Non servetestonenon serve; indietro!" grida Goljadkine sembrò che il cocchiere si aspettasse un contrordine simile; senza trovarci niente da ridire e senza nemmeno fermarsi all'ingressofece il giro del cortile e eccolo di nuovo sulla strada.

Goljadkin non andò a casamaoltrepassato il ponte Semjonovskijordinò di girare in un vicolo e di fermarsi nei pressi di una trattoria di aspetto piuttosto modesto. Sceso dalla carrozzail nostro eroe pagò il vetturino e così si liberò finalmente della carrozza. Ordinò a Petruska di tornare a casa e di aspettare il suo ritorno; entrò poi nella trattoriascelse un salotto particolare e ordinò che gli servissero il pranzo. Si sentiva molto malecon la testa piena di confusione e di caos.

Passeggiò a lungo per la salain preda all'agitazione; poi finalmente si mise a sedere su una sediaappoggiò la fronte sulle mani e cercò con tutte le sue forze di esaminare e di venire a capo di qualcosa circa la sua situazione attuale...

 

 

4.

 

Il giornoil festoso giorno del compleanno di Klara Olsùfevnafiglia unica del consigliere di stato Bernadeievun tempo benefattore del signor Goljadkingiorno diventato celebre per uno splendidograndioso pranzo di galaun pranzo come da lungo tempo non si era più visto di simile tra le pareti degli appartamenti di funzionari presso il ponte Izmajlovskij e nei dintornipranzo più somigliante a un convito di Baldassarre che a un pranzoche rievocava un qualcosa di babilonese quanto a splendorelusso e decorocon profusione di champagne Cliquotdi ostriche e di frutta provenienti dai negozi di Elessev e di Miljutincon ogni specie di ben nutriti vitellini e con tanto di "tabella dei ranghi" (1) dei funzionari in vista; questo festoso giornocelebrato con un così grandioso pranzosi concluse con un brillantissimo balloun piccolo ballo di famiglia tra intimiballo brillantissimo tuttavia per il buon gustol'eleganza e il decoro. Certoio sono perfettamente d'accordo nel dire che balli di questo genere se ne vedonosìma molto di rado. Serate danzanti come quellepiù simili a feste di famiglia che a balli veri e propripossono svolgersi solo in case comeper esempiola casa del consigliere di stato Bernadeiev. Dirò di più: ho perfino dei seri dubbi che in casa dei consiglieri di stato si possano dare simili balli. Ohse io fossi poeta! Poeta naturalmente dell'altezza di un Omero o di un Puskinperché con un ingegno meno elevato è impossibile farsi avanti... Se fossi poetadicevonon mancherei di descrivervio lettoricon scintillante cromatismo e con ampie pennellatetutto il susseguirsi degli avvenimenti di questa solenne giornata. Ma nonel mio poema prenderei le mosse dal pranzo e in particolare mi attarderei su quell'attimomeraviglioso e nello stesso tempo solennein cui fu alzata la prima coppa per brindare alla salute della regina della festa. Vi descriverei per prima cosa quegli ospiti assorbiti in quel religioso silenzio e in quell'attesa più simili all'eloquenza di Demostene che al silenzio. Poi vi descriverei Andréj Filìppovic'nella sua qualità di più anziano tra gli ospitiquindi con qualche diritto al primatonell'aureola di quei capelli bianchi e di decorazioni che sembravano fatte appositamente per quei capelliche si alzava in piedi e sollevava alta sulla testa la coppa augurale piena di vino spumeggiante - vino fatto venire apposta da un lontano paese per solennizzare simili momenti - vino che poteva paragonarsi più a nettare degli dèi che a vino degli uomini. Vi descriverei gli invitati e i felici genitori della regina della festacheseguendo il gesto di Andréj Filìppovic'alzavano anche loro le coppe in alto e rivolgevano verso di lui gli occhi pieni di attesa. Vi descriverei come questo Andréj Filìppovic'così spesso ricordatodopo aver lasciato cadere una lacrima nella coppapronunciò parole di rallegramento e di auguriofece un brindisi e bevve alla salute... Malo riconoscolo riconosco pienamentenon sarei in grado di descrivere tutta la solennità di quel momento in cui la regina della festaKlara Olsùfevnaarrossendo come una rosa di primaveracol rossore della beatitudine e della pudiciziaa causa dell'alluvione dei sentimenticadde tra le braccia della tenera madrené come la tenera madre si commosse fino alle lacrimené come in quell'occasione proruppe in singhiozzi il padrel'eminente vegliardo e consigliere di stato Olsufij Ivànovic'cheprivato dell'uso delle gambe durante i lunghi anni di servizioera stato ricompensato dal destino per tanto zelo con un piccolo capitaleuna casettaalcune terre e una bellezza di figlia: prese a singhiozzare come un bambinoproclamando tra le lacrime che sua eccellenza era un grande benefattore. Io non potreinoveramente non potreidescrivervi nemmeno l'estasi di tutti i cuori che seguì a quel minutoestasi che fu lampante anche nel comportamento di un giovane registratore di collegio (che in quel momento faceva pensare più a un consigliere di stato che a un registratore di collegio)che nell'ascoltare Andréj Filìppovic' non riuscì a trattenere le lacrime. E a sua volta Andréj Filìppovic' in quel momento non somigliava affatto a un consigliere collegiale e a un caposezione di un dipartimentono davvero! Poteva essere paragonato a ben altra cosa... non saprei a che cosadi precisoma non certo a un consigliere di collegio. Era molto più in alto! Infine... ma perché non ho io il segreto di un'eloquenza elevatapotentedi uno stile eccelsoper descrivere tutti questi sublimimeravigliosi istanti della vita umanache sembrerebbero creati proprio per dimostrare come a volte la virtù trionfi sulle basse intenzionisullo scetticismosul vizio e sull'invidia! Io non dirò nientema col mio silenzioche sarà migliore di qualsiasi discorsoattirerò la vostra attenzione su questo felice giovane che entra nella sua ventiseiesima primaverasu Vladimir Semjònovic'nipote di Andréj Filìppovic'chea sua voltasi è alzato dal postochea sua voltaha pronunciato un brindisi e sul quale si sono puntati gli occhi pieni di lacrime dei genitori della regina della festagli occhi fieri di Andréj Filìppovic'gli occhi gonfi di lacrime della stessa regina della festagli occhi entusiastici degli ospiti e perfino gli occhi irreprensibilmente invidiosi di alcuni giovani colleghi del succitato brillantissimo giovanotto. Io non dirò nullaanche se non posso fare a meno di osservare che tutto in questo giovane - cheparlando naturalmente completamente a suo vantaggioè più somigliante a un vecchio che a un giovane - tuttodicoa cominciare dal suo fiorente aspetto per arrivare fino al grado di assessore che gli competevatutto in quell'attimo solenne sembrava volesse dire: ecco a quale alto grado può arrivare un uomo di buoni costumi! Non starò a descrivere comeinfineAntòn Antònovic' Setoc'kincapufficio di un dipartimentocollega di Andréj Filìppovic' e un tempo di Olsufij Ivànovic'nonché vecchio amico di famiglia e padrino di battesimo di Klara Olsùfevnaun vecchietto bianco come la nevealzando a sua volta il bicchierecantò con una voce da gallo e pronunciò allegri versi; come costuicon una così autorevole dimenticanza delle convenienzefece ridere fino alle lacrime tutta la compagnia e come la stessa Klara Olsùfevna per tanta allegria e amabilità lo baciò per ordine dei genitori. Dirò soltanto che alla fine gli ospitiche dopo un pranzo del genere dovevano naturalmente sentirsi parenti e fratelli fra di lorosi alzarono dalla tavola; che i vecchietti e le persone posatedopo un piccolo tempo passato in amichevoli conversazioni e perfino in alcuneben inteso molto discrete e amabiliconfidenzesi diressero cerimoniosamente in un'altra stanza esenza perdere nemmeno uno di quegli istanti preziosisedettero divisi in gruppicon un senso di personale dignitàa un tavolo ricoperto di panno verde; dirò che le damesistematesi in salotto e diventate all'improvviso amabilissimesi misero a chiacchierare di mille cose; dirò comeinfinelo stimatissimo padrone di casache aveva perso l'uso delle gambe durante un servizio fedele e giusto e che era stato compensato dal destino con quanto già detto primacominciò a passeggiaresorretto dalle stampelletra gli invitatiappoggiato a Vladimir Semjanovic' e a Klara Olsùfevna e comediventato pure lui improvvisamente amabilissimodecise di improvvisarenonostante la spesaun piccolo e modesto ballo; come per questo scopo fu dato incarico di andare alla ricerca di musicanti a un giovane molto sveglio (quello stesso che durante il pranzo abbiamo detto che somigliava di più a un consigliere di stato che a un giovane); dirò come poi arrivarono i musicanti in numero di ben undici e comeinfineallo scoccare delle otto e mezzo precisesi alzarono le note invitanti della quadriglia francese e di altre svariate danze...

Mi sembra persino superfluo dire che la mia penna è troppo debolesenza nerbo e spuntata per descrivere come si deve il ballocosì improvvisato dalla straordinaria amabilità del venerando padrone di casa. E comemi domandocome posso iomodesto narratore delle avventure del signor Goljadkinavventure nel loro generedel restomolto curiosecome posso iodunquerendere efficacemente quell'insolito e decoroso miscuglio di bellezzedi splendoridi corretta allegriadi amabile serietà e di seria amabilitàdi briodi gioiae i giochi e le risate di tutte quelle mogli di funzionaripiù somiglianti a fate che a signore - parlandosi intendea tutto vantaggio di queste ultime - con le spalle e i faccini di un rosa lilialecon i vitini da vespacoi piedini agilivispiomeopaticiper dirla in stile elevato? Come vi descriveròinfinequei brillanti funzionari cavalierigiovani allegri posati e serifestosi e correttamente imbronciatiche tra un ballo e l'altro fumavano la pipa in una piccola saletta verde un po' isolataoppure non fumavano affatto; cavalieri che possedevano dal primo all'ultimo un grado e un nome di rilievocavalieri profondamente compresi dal senso dell'eleganza e della dignità personale; cavalieri cheper la maggior partepotevano conversare in francese con le signoreese parlavavano russoerano in grado di usare espressioni di altissimo livellocon complimenti e frasi di qualità; cavalieri cheal massimo e forse soltanto nella saletta da fumosi permettevano alcuni amabili deroghe a un linguaggio più di classecon alcune frasi di amichevole e cortese familiaritàdel genereper esempiodi queste: "EhiPiotkabirbante che non sei altrote la sei combinataehuna bella polca!" oppure: "EhiVasjaspecie di birbanteti sei arrangiato come voleviehcon la tua damina?" Ma per tutte queste coselettori mieicome ho prima già avuto l'onore di spiegarvila mia penna non è all'altezzae perciò io sto zitto. E è meglio che facciamo ritorno a Goljadkinl'unicovero eroe del nostro veritiero racconto.

Il fatto è che lui si trova in una condizioneper non dire altroassai strana. Luisignoriè anche lui quicioè non qui al balloma quasi; luisignoriè qui e là; anche se se ne sta per conto suotuttavia in questo momento si trova su una strada non proprio giusta. Ora èin veritàdritto - è persino strano dirlo - è ora dritto nell'ingresso della scala di servizio dell'appartamento di Olsùfij Ivànovic'. Ma che lui sia là drittonon ha importanza; luicosìci sta beneluisignori mieiè là in un angolinoappiattito in un cantuccio chese non è proprio caldoè in compenso alquanto buioseminascosto da un enorme armadio e da un vecchio paraventoin mezzo a ogni specie di ciarpame e di roba vecchiastando per ora nascosto eper il momentoaccontentandosi di osservare l'andamento delle cose in qualità di spettatore estraneo. Eglisignori mieiper ora osserva soltanto: potrebbesignorianche entrare... ma perché poientrare? Basterebbe fare un passo e sarebbe dentroe ci sarebbe con l'astuzia. Proprio poco fatrovandosi ormai da tre ore al freddo tra un armadio e un paraventoin mezzo a ciarpame e roba vecchia di ogni generecitavacome sua giustificazioneuna frase del ministro francese di buonanimaVillèleche diceva che "ogni cosa verrà a suo tempo se si ha l'intelligenza di aspettare". Questa frase Goljadkin l'aveva letta chissà quando in un libro che non aveva nessun legame con la faccenda di adessoma che oramolto a propositogli era tornata alla mente... La fraseprima di tutto si adattava molto bene alla sua condizione attualee poiche cosa mai non nascerà nella testa di un uomo che sta aspettando in un ingressoal buio e al freddoda quasi tre orela felice risoluzione dei suoi affari? Dopo aver citato molto a propositocome già dissila frase dell'ex ministro francese VillèleGoljadkinnon si sa perchési ricordò anche dell'ex visìr turco Marzimirise così anche della bellissima margravia Luisadei quali aveva pure letto la storia chissà quando in un libro. Più tardi gli venne in mente che i gesuiti avevano stabilito come propria regola di tenere in considerazione tutti i mezzi adatti a raggiungere lo scopo. Dopo essersi un po' rassicurato con questo po' po' di caposaldo storicoGoljadkin si chiese chi fossero mai i gesuiti. I gesuiti eranodal primo all'ultimodei fieri imbecilliai quali lui avrebbe dato parecchi puntipurché per un minuto soltanto fosse rimasta deserta la dispensa (quella stanza la cui porta dava direttamente sull'ingressonella scala di serviziodove Goljadkin si trovava proprio in quel momento)cosicché luiin barba a tutti i gesuitisi sarebbe mosso e dalla dispensa sarebbe entrato prima nella sala da tèpoi nella saletta dove ora stavano giocando a carte e da lì dritto dritto nella sala dove si stava ballando la polca. E sarebbe passatopassato certamentepassato a qualsiasi costosi sarebbe insinuato furtivamente e nessuno se ne sarebbe accorto; e una volta là sapeva lui ciò che doveva fare. Eccosignori mieiin che situazione troviamo ora l'eroe della nostra storia assolutamente verabenché ci riesca difficile spiegare che cosa in realtà succedesse in lui in quel momento. Il fatto è che era riuscito ad arrivare fino all'ingresso e fino alla scalacon quello scopocome si andava ripetendo: perché poi non avrebbe potuto arrivarcimentre tutti ci potevano arrivare? Ma non osava inoltrarsi di piùnon osava farlo allo scoperto... non perché ci fosse qualcosa che non osasse farema cosìperché non lo voleva fareperché preferiva agire di nascosto. Eccolo orao signoriin attesa dell'occasione buonaattesa che dura ormai da due ore e mezzo. Perché poi non rimanere in quell'attesase lo stesso Villèle stava in attesa dell'occasione! "Ma cosa c'entra qui Villèle?" pensava Goljadkin. "E chi è questo Villèle? Ma eccocome potrei ora... prendere e infilarmi di nascosto? Ehi tucomparsa che non sei altro!" disse Goljadkindandosi con la mano gelata un pizzicotto alla guancia gelatasei una bella razza di imbecille, Goljadkin che sei... visto che questo è il tuo cognome...(2).

Però questa tenerezza rivolta alla propria persona era in quel momento solo una cosa di passaggiosenza nessuno scopo specifico.

Ecco che stava già per intrufolarsi dentro e avanzare; il momento era arrivato; la dispensa era rimasta completamente vuotanon c'era anima viva; Goljadkin vedeva tutto dal finestrino; in due passi raggiunse la porta e già stava per aprirla. "Entrare o no?

Be'.. entrare o no?... Ci andrò... perché poi non ci dovrei andare? Per l'uomo audace dappertutto esistono strade!" Così rassicuratosiil nostro eroedi colpo e in maniera assolutamente inaspettatasgusciò dietro al paravento. "No pensava e se qualcuno entrasse? Sicuroè proprio entrato qualcuno; perché sono stato qui a sbadigliare mentre non c'era nessuno? Avrei dovuto prendere e infilarmi dentro!... Nocome ci si può infilare dentroquando il carattere di un uomo è come il mio? Che abietta dannazione! Mi sono spaventatocome una gallina. Spaventarsi è roba nostraecco com'è! Essere svergognato è sempre una roba nostra; su questo non chiedeteci niente. E allora rimani piantato qui come un troncoe basta! A quest'oraa casaberrei la mia tazzina di tè... Come sarebbe piacevole berne una tazzina. Se arrivo tardi è capace che Petruska si metta a brontolare. E se andassi a casa? Che i diavoli si portino via tutti questi pasticci! Ora me ne vadoe basta!" Sistemata così la sua situazioneGoljadkin avanzò rapidamentecome se qualcuno avesse fatto scattare in lui una molla; con due passi raggiunse la dispensasi sfilò il cappottosi tolse il cappelloli ammucchiò in fretta in un angolosi ravviò i capellisi diede una lisciatina; poi... poi si diresse verso la sala da tèscivolò in un'altra stanza e sgusciò quasi non visto in mezzotra i giocatori; poi... poi... a questo punto Goljadkin dimenticò tutto quello che gli succedeva intorno e arrivò direttamentecome la neve sulla testanella sala da ballo.

Nemmeno a farlo appostain quel momento non si ballava. Le dame passeggiavano per la sala in gruppi pittoreschi. Gli uomini si erano divisi in capannelli o andavano in giro per la sala a impegnare le dame. Ma Goljadkin non vedeva niente di tutto questo.

Davanti agli occhi non aveva che Klara Olsùfevnavicino a lei Andréj Filìppovic'e Vladimir Semjanovic'e pure due o tre ufficiali e due o tre giovanottitutti molto interessantiche permettevano o avevano già realizzatocome si poteva capire al primo sguardoparecchie speranze... Vedeva ancora qua e là qualcun altro. O megliono: non vedeva più nessunonon guardava più nessuno... espinto da quella stessa molla che lo aveva precipitatosenza invitoin mezzo a una festa da ballo altruisi fece avantipoi più avanti ancorae sempre più avantiurtòpassandonon so quale consigliere e gli pestò un piede; e pestò pure il vestito di una rispettabile vecchietta e gli fece un piccolo strappourtò un cameriere con un vassoiosi scontrò ancora con qualcun altroesenza accorgersi di tutto questooper meglio direaccorgendosenema contemporaneamente senza guardare nessuno e avanzando sempre piùsi trovò all'improvviso davanti a Klara Olsùfevna in persona. Di sicuro in quel momento sarebbe sprofondato sottoterra senza batter ciglio e col massimo piacere; ma quello che era fatto era fatto... non c'era verso di tornare indietro. Che c'era da fareormai? "Se non ti riesce insisti ese ti riescetieni duro". Goljadkingià lo si capiscenon era un intrigantee lucidare i pavimenti con gli stivali non era cosa da lui... Ma ormai le cose erano andate così.

E poi anche i gesuitichissà comeci si erano ficcati in mezzo.

Ma non a lorodel restopoteva pensare Goljadkin! Ogni cosa che muovevafaceva rumoreparlavaridevaogni cosainsommaall'improvvisocome per incantosi era calmata e a poco a poco aveva fatto ressa attorno a Goljadkin. Il qualedel restosembrava non sentire e non vedere niente... e non era in grado di guardare... non poteva guardare per nessun motivo: aveva rivolto gli occhi a terra e se ne stava cosìdopo essersi però datodi sfuggitala parola d'onore che a qualsiasi costo si sarebbe sparato quella notte stessa. Assunto quell'impegnoGoljadkin si disse mentalmente: "Vada come vuole!" e con la sua più grande meraviglia cominciònel modo più impensatoa parlare.

CominciòGoljadkincon felicitazioni e irreprensibili auguri. Le felicitazioni filarono a meravigliama negli auguri il nostro eroe inciampò. Sentiva chese avesse inciampatotutto sarebbe andato a catafascio. E così infatti successe: inciampò e balbettò... balbettò e diventò rosso: diventò rosso e si smarrì; si smarrì e alzò gli occhi; alzò gli occhi e li girò tutt'intorno; li girò tutt'intorno e si sentì morire... Tutti erano in piedifermitutti stavano zittitutti aspettavano; un po' più in là si sentì un mormorioun po' più in qua un ridacchiare... Goljadkin lanciò uno sguardo umile e smarrito ad Andréj Filìppovic'. Andréj Filìppovic' rispose a Goljadkin con una occhiataccia tale chese il nostro eroe non fosse già stato completamente a terraci sarebbe andato infallibilmente una seconda voltase appena appena ciò fosse stato possibile. Il silenzio continuava.

"Questo riguarda più che altro le mie faccende domestiche e la mia vita privataAndréj Filìppovic'" disse con voce appena percettibile Goljadkinpiù morto che vivo; "questo non è un avvenimento ufficialeAndréj Filìppovic'..." "Vergognatevisignorevergognatevi!" disse Andréj Filìppovic'quasi bisbigliando e con una faccia indescrivibilmente indignata; disse epresa per mano Klara Olsùfevnagirò le spalle a Goljadkin.

"Non ho niente da vergognarmiAndréj Filìppovic'" rispose Goljadkinanche lui quasi bisbigliandovolgendo intorno uno sguardo desolatosmarritoe facendo ogni sforzoin una simile circostanzaper ritrovare in quella folla imbarazzata il suo punto di appoggio e la sua posizione sociale.

"Suvviasignorinon è nientenon è niente! Che volete che sia?

Suvviapuò capitare a chiunque..." mormorava Goljadkinspostandosi a poco a poco dal posto in cui si trovava e cercando di sciogliersi dalla folla che gli stava intorno. Gli fecero strada. Il nostro eroe passò alla meglio tra due file di osservatori curiosi e sconcertati. La fatalità lo trascinava. E che fosse proprio la fatalità a trascinarlo lo sentiva Goljadkin stesso. Naturalmente avrebbe pagato qualsiasi somma per avere la possibilità di trovarsi orasenza trasgredire le convenienzenel suo angolino di poco primalà nell'ingressovicino alla scala di servizio; ma poiché questo era assolutamente impossibilecominciò a cercare di defilarsi da qualche partein un qualsiasi angolettoe restarsene poi lìmodesto e correttoper conto suosenza disturbare nessunosenza attirare su di sé l'attenzionema nello stesso tempo cercando di accattivarsi la benevolenza degli ospiti e del padrone di casa. D'altronde Goljadkin aveva l'impressione che quasi gli venisse tolto il terreno da sotto i piedisi sentiva vacillare e cadere. Infine raggiunse un angoletto e vi si sistemò come un osservatore estraneoindifferentedopo aver appoggiato entrambe le mani sulla spalliera di due sedie e averle afferrate in un modo tale da averle completamente in suo possessomentre cercava in tutti i modi di guardare con fisso gli ospiti di Olsufij Ivànovic' che avevano fatto cerchio intorno a lui. Più vicino di tutti gli stava un ufficialeun giovane alto e bello al cui confronto Goljadkin si sentiva niente più di un insetto.

"Queste due sedietenentesono già destinate: una è per Klara Olsùfevna e l'altra per la principessina Cevcechànova che partecipa anche lei al ballo; iotenentele ho in custodia" disseansimandoGoljadkinmentre rivolgeva uno sguardo supplicante al tenente. Il tenentesenza una parola e con un sorriso simile a una pugnalatagli girò le spalle. Dopo questo colpo mancatoil nostro eroe provò a cercare fortuna da un'altra parte e si rivolse direttamente a un maestoso consigliere che portava al collo una importante decorazione. Ma il consigliere lo schiacciò con un'occhiata così agghiacciante che Goljadkin ebbe la netta impressione che all'improvviso gli fosse piovuta addosso una doccia fredda. Goljadkin si calmò. Decise che la miglior cosa era quella di taceredi non attaccare discorsodi far vedere che lui se ne stava per conto suoche era lì anche lui come tutti gli altri e che la sua posizione eraa quanto gli sembravaassolutamente corretta. Con questo obiettivo fissò lo sguardo sui risvolti della sua uniformepoi alzò gli occhi e li posò su un signore dall'aspetto rispettabilissimo. "Questo signore porta la parrucca" pensò Goljadkin "e se gliela si togliessequesta parruccala sua testa resterebbe nudaproprio come il palmo della mia mano". Fatta questa importante scopertaGoljadkin si ricordò degli emiri arabi chese si toglieva loro dalla testa il turbante verde che sta a indicare la loro parentela col profeta Maomettosarebbero rimasti anch'essi con la testa nudasenza un capello. Poicertamente per una particolare associazione di idee riguardanti i turchi che si era formata nella sua testaGoljadkin arrivò fino alle pantofole turche e al riguardo ricordò che Andréj Filìppovic' calzava certi stivali che facevano pensare a pantofole piuttosto che a stivali. Era chiaro che Goljadkin si era in parte abituato alla situazione in cui si trovava. "Eccose questo lampadario si staccasse ora dal suo posto e cadesse in mezzo agli ospitimi lancerei subito a salvare Klara Olsùfevna. Edopo averla salvatale direi: 'Non spaventatevisignorinanon è nientema il vostro salvatore sono io'... Poi...". A questo punto Goljadkin girò gli occhi cercando con lo sguardo Klara Olsùfevna e scorse Gherasimyc'il vecchio cameriere di Olsufij Ivànovic'.

Gherasimyc'con un'aria preoccupatissima e ufficialmente maestosasi faceva strada puntando direttamente su di lui.

Goljadkin ebbe un sussulto e fece una smorfia a causa di una vaga e nello stesso tempo spiacevolissima sensazione. Meccanicamente gettò uno sguardo intorno: pensò subito di scivolare via in qualche modoalla chetichellafurtivamentedi prendere e batterselacioè di fare come se nessuno avesse gli occhi fissi su di lui e come se la cosa non lo riguardasse affatto. Maprima che il nostro eroe avesse fatto in tempo a prendere una decisione nell'uno o nell'altro sensogià si trovò in piedidavantiGherasimyc'.

"VedeteGherasimyc' disse il nostro eroe, rivolgendosi con un sorriso a Gherasimyc' suvviadate ordineeccovedete quella candela su quel candelabro là... vedeteGherasimyc'sta per cadere; perciò voivedetedate ordine che la raddrizzino:

certamente ora cadràGherasimyc'..." "La candela? Nosignorela candela sta perfettamente dritta; ma eccoc'è là qualcuno che chiede di voi." "Chi è che chiede di meGherasimyc'?" "Veramente chi precisamente sianon lo so. Un uomo mandato da qualcuno. Si trova quiha dettoJakòv Petrovic'? Allora chiamateloha dettoper un importante e urgentissimo affare:

così ha detto." "NoGherasimyc'vi ingannate: in questoGherasimyc'vi ingannate..." "Ne dubito..." "NoGherasimyc'non c'è proprio da dubitare: quiGherasimyc'non c'è davvero da dubitare. Nessuno chiede di meGherasimyc'non c'è nessuno che possa chiedere di me e io qui sono a casa miavoglio direGherasimyc'che sono al mio posto." Goljadkin tirò il fiato e girò lo sguardo intorno. Era proprio così! Tutti quelli che erano in sala avevano teso verso di lui occhi e orecchie in una specie di solenne aspettativa. Gli uomini si affollavano lì vicino e tendevano l'orecchio. Più in là le signore bisbigliavano allarmate tra loro. Il padrone di casa in persona comparve a brevissima distanza da Goljadkin ebenché il suo viso non mostrasse che anche luiper parte suapartecipava direttamente e immediatamente alle vicende del signor Goljadkinperché là ogni cosa era fatta con garbotuttavia tutto questo complesso di circostanze fece chiaramente capire all'eroe del nostro racconto che era arrivato per lui il momento decisivo.

Goljadkin vedeva chiaramente che era il momento di tentare un colpo audaceil momento della vergogna per i suoi nemici.

Goljadkin era in preda a una grande agitazione. Pervaso da una specie di ispirazionecon voce tremante e solennerivolto a Gherasimyc' che era in attesariprese a dire:

"Noamico mionon c'è nessuno che mi chiami. Ti inganni. Dirò di più: ti ingannavi anche questa mattina quando mi assicuravi...

quando osavi assicurarmiinsisto (Goljadkin alza la voce)osavi assicurarmi che Olsufij Ivànovic'mio benefattore da anni immemorabiliche mi ha fatto in quasi da padremi chiudeva la porta in faccia proprio nel momento di una gioia familiare e solenne per il suo cuore di padre. (Goljadkin si guardò intorno soddisfatto di se stessoma con profondo sentimento. Tra le sue ciglia erano apparse le lacrime.) Ripetoamico mio" concluse il nostro eroeche ti sei ingannato, seriamente e imperdonabilmente ingannato...Il momento era carico di solennità. Goljadkin sentiva che l'effetto non poteva mancare. In piedicon gli occhi modestamente abbassatistava aspettando l'abbraccio di Olsufij Ivànovic'. Tra gli ospiti si notava una certa inquietudine e perplessità: perfino l'irremovibile e terribile Gherasimyc'alle parole "ne dubito" aveva preso a balbettarequando di colpoimplacabilmenteI'orchestra di punto in bianco intonò una polca. Tutto precipitòtutto fu travolto dal vento. Goljadkin ebbe un sussultoGherasimyc' arretrò di un passo. Tutto quello che c'era nella sala si agitò come il mare e Vladimir Semjònovic' già faceva coppia con Klara Olsùfevna e il bel tenente con la principessina Cevcechànova. I presenticuriosi e entusiastisi affollavano per guardare i ballerini della polcauna danza interessantenuovaultima modache faceva girare la testa a tutti. Goljadkinper il momentoera dimenticato. Maall'improvvisotutto cominciò a agitarsia muoversiad affannarsi; la musica tacque... era capitato uno strano incidente. Stanchissima per il balloKlara Olsùfevnache a malapena riusciva a respirare per la faticacon le guance in fiamme e con il petto in sussultosi era abbandonata senza forze su una poltrona. I cuori di tutti si concentrarono sull'affascinante incantevole fanciullatutti a gara si affollarono a complimentarla e a ringraziarla del piacere loro offerto... e all'improvvisodavanti a leiecco Goljadkin.

Goljadkin era pallidosconvolto; sembrava anche lui in uno stato di grande prostrazione e si muoveva a stento. Sorrideva echissà perchétendeva una mano come a supplicare. Klara Olsùfevnasbigottitanon fece in tempo a ritirare la mano e meccanicamenteall'invito di Goljadkinsi alzò in piedi. Goljadkin si sentì barcollare in avantiprima una voltapoi un'altrapoi sollevò un piedefece una strisciataquindi sembrò che quel piede lo battesse a terrainfine inciampò... volevalui pureballare con Klara Olsùfevna. Klara Olsùfevna lanciò un grido: tutti si slanciarono per liberare la sua mano da quella di Goljadkin edi colpoil nostro eroe fu scaraventato dalla folla degli invitati a quasi dieci passi di distanza. Anche intorno a lui si strinse un cerchio di gente. Si sentirono gli strilli e le grida di un vecchio che per poco Goljadkin non aveva travolto nella sua ritirata. Nacque una confusione tremenda: s'incrociavano le domandetutti gridavanodiscutevano. L'orchestra tacque. Il nostro eroe girava in mezzo al suo cerchio e meccanicamenteun po' sorridenteborbottava tra sé e sé qualcosa come: "E perché no?" e come a dire che "a quanto gli sembravala polca era un ballo nuovo e interessantissimocreato per il conforto delle dame... ma chese la faccenda era andata cosìluiperché noera pronto a convenirne". Ma il consenso di Goljadkin non sembrava richiesto da nessuno. Il nostro eroe sentì chedi colpouna mano di chi sa chi si era posata sul suo braccioche un'altra mano premeva leggermente la sua schienache con una certa speciale insistenza si cercava di sospingerlo verso una certa direzione.

Infine si rese conto di andare dritto dritto verso la porta.

Goljadkin avrebbe voluto dire qualcosafare qualcosa... Ma no...

non voleva ormai più niente. Rispondeva solo ridacchiando meccanicamente. Infine sentì che gli stavano infilando il cappotto e che qualcuno gli aveva calcato il cappello fin sugli occhi; poi si trovò nell'ingressoin mezzo al buio e al freddoe poi sulla scala. Finì con l'inciampare e ebbe l'impressione di cadere in un baratro: gli venne da gridarema di colpo si ritrovò in cortile.

L'aria fresca gli soffiò sul visoper un momento si fermò; nello stesso istante arrivarono fino a lui le note dell'orchestra. Di colpo Goljadkin ricordò tutto: e sembrò che tutte le forze che gli erano crollate dentro gli fossero tornate. Fuggì dal posto in cui era rimasto immobilecome inchiodatoe a rotta di collo si precipitò fuorichissà doveall'aria apertaverso la libertàdove le gambe lo portavano...

 

 

NOTE:

  1. La tabella elencava quattordici gradi di funzionari e regolamentava anche i diritti di precedenza.
  2. In russo questo cognome suona come "mentalmente sprovveduto"povero di spirito.

 

 

5.

 

A tutte le torri di Pietroburgo che segnano e battono le ore stava scoccando la mezzanottequando Goljadkin si precipitò come un pazzo sul lungofiume della Fontanka (uno dei bracci della Neva)proprio vicino al ponte Izmajlovskijper sfuggire ai nemiciai persecutorialla grandine dei colpetti che gli piovevano addossoalle grida delle vecchiette impauritealle esclamazioni e ai gemiti delle donne e agli sguardi micidiali di Andréj Filìppovic'.

Goljadkin era annichilitosìannichilitonel vero senso della parolae se in quel momento aveva conservato ancora la forza di correresi trattava di un miracolosolo di un miracoloal quale lui stessoalla fin finesi rifiutava di credere. La notte era orribileuna notte di novembre umidanebbiosapiovosanevosapiena di congestionidi raffreddoridi anginedi febbri di ogni specie e qualità possibili: a farla brevedi tutti i regali che elargisce il novembre pietroburghese! Il vento urlava nelle strade desolatesollevando l'acqua scura della Fontanka fin sopra le catene del ponte e sfiorando minaccioso i sottili lampioni del lungofiumeche a loro volta rispondevano ai suoi ululati con scricchiolii acuti e penetrantiil che costituiva un concerto infinito di stridii e tremoliiben conosciuto a tutti gli abitanti di Pietroburgo. La pioggia cadeva mista a neveviolente spruzzate di acqua lacerate dal vento schizzavano quasi in orizzontalecome da una pompa antincendioe pungevano e frustavano il viso dell'infelice Goljadkincon la forza di migliaia di spilli e forcine. Nel silenzio della notterotto soltanto dal rumoreggiare lontano delle carrozzedall'ululato del vento e dallo scricchiolio dei lampionisi sentivano tristemente risuonare le sferzate e il ribollire dell'acqua che scrosciava dai tettidai terrazzinidalle grondaie e dai cornicioni sul granito dei marciapiedi. Non c'era anima viva né vicina né lontanae sembrava impossibile che ce ne potessero esserea quell'ora e con quel tempo. Soltanto Goljadkinsolo con la sua disperazionetrotterellava in quel momento sul marciapiede lungo la Fontanka coi suoi soliti passetti fitti e rapidiaffrettandosi per arrivare al più presto possibile nella sua via delle Sei Bottegheal suo quarto pianonel suo appartamentino.

Nonostante il fatto che la nevela pioggia e tutto quello a cui non è neppure possibile dare un nome quando dal cielo di Pietroburgo precipitano tormente e bufereassaltassero tutte insieme l'infelice Goljadkin - già completamente a terra senza bisogno di questo - senza dargli un attimo di respiro e di riposoentrandogli fino al midolloaccecandolosoffiandogli addosso violentemente da tutte le partifacendogli perdere la strada e l'ultima briciola di senno; nonostante che tutto ciò si fosse abbattuto in un solo colpo su Goljadkincome per un comune accordo coi suoi nemiciper premiarlo con una giornatinauna seratina e una notte... proprio speciali; nonostante tutto questodicoGoljadkintanto forte era stato il colpo e lo smarrimento patiti per quello che gli era successo poco prima in casa del consigliere di stato Bernadeievrimase quasi insensibile a quest'ultima mazzata del destino! Se in quel momento un qualunque osservatore estraneodel tutto disinteressatoavesse dato un'occhiatacosìdi sfuggitaall'andatura depressa di Goljadkinsarebbe stato anche lui colpito dallo spaventoso orrore delle sue sventure e avrebbe certamente detto che Goljadkin si guardava attorno come se volesse nascondersi da qualche parte a se stesso elontano da se stessocome se cercasse di fuggire chissà dove... Sì! Era proprio così. Diremo di più: Goljadkin non soltanto desiderava fuggire da se stessoma addirittura annientarsinon esistere piùpolverizzarsi. In quei momenti non faceva attenzione a quello che lo circondavanon capiva niente di ciò che stava capitando intorno a luie guardava con un'aria come se per lui non esistessero né le avversità di quella notte tempestosa né il lungo cammino né la pioggia né la neve né il vento né tutte quelle tremende intemperie. Un copriscarpastaccatasi dallo stivale destro di Goljadkinrimase abbandonata tra il fango e la neve del marciapiede lungo la Fontankae a Goljadkin non passò nemmeno per il cervello di tornare indietro a riprenderla e direi che non si era nemmeno accorto di averla persa. Era così preso dai suoi pensieriche parecchie volted'improvvisononostante quel po' po' d'inferno che gli si scatenava intornotutto preso dall'idea della sua terribilerecente cadutarimase fermoimmobile come un palo in mezzo al marciapiede; in quei momenti si sentiva mancaresvanire; ma poidi colposcattava come un pazzo e si metteva a correre senza girarsi indietrocome per cercare scampo da un inseguimentoda qualche sventura ancora più orribile... Ein realtàorribile era la condizione in cui si trovava. InfinestrematoGoljadkin si fermòsi appoggiò al parapetto del lungofiumecome quando a un uomo improvvisamente esca sangue dal nasoe rimase immobilecon lo sguardo fisso all'acqua nera e torbida della Fontanka. Non si sa quanto tempo di preciso passasse in quella posizione. Si sa solo che in quei momenti Goljadkin era giunto a un così alto grado di disperazionesi sentiva così tormentatocosì sfinitoera così allo stremo dei suoi ormai deboli brandelli di forza d'animoche dimenticò ogni cosae il ponte Izmajlovskije la via delle Sei Botteghe e la sua condizione attuale... E che poteva farein realtà? Tuttoormaigli era indifferente; tutto era ormai fattoconclusocontrofirmato e sigillato; che gli importava? Ma all'improvviso... all'improvviso ebbe un sussulto in tutto il corpo esenza volerlofece di slancio due passi da una parte.

Con inspiegabile agitazione cominciò a girare lo sguardo intorno:

ma non c'era nessunonon succedeva niente di particolareeppure... eppure... aveva l'impressione che qualcunoin quel preciso istantefosse lì dritto vicino a luial suo fiancoappoggiato come lui al parapetto del lungofiume emiracolo! gli avesse anche detto qualcosagli avesse detto qualcosa in frettaa scattiqualcosa di non perfettamente comprensibilema qualcosa che lo riguardava molto da vicinoche si riferiva a lui. "Che sia stata solo un'impressione?" disse Goljadkincontinuando a guardarsi intorno. "Ma dove sono mai? Eh... Eh..." conclusescuotendo la testae intantocon una sensazione inquieta e angosciosadirei anche di terrorecominciò a scrutare in lontananza attraverso l'aria torbida e trasudanteaguzzando gli occhi e cercando con tutta la forza di penetrare col suo sguardo miope in quell'acquosità che gli si stendeva davanti. Niente di nuovo peròniente di speciale saltò agli occhi di Goljadkin.

Sembrava che tutto fosse in ordinecome doveva; la neve cadeva più fittapiù densa e con più intensità di prima; a una distanza di venti passi era buio pesto: i lampioni scricchiolavano più forte e il vento sembrava cantare con un tono più lamentoso e più dolente la sua triste canzonesimile a un mendicante fastidioso che chiede supplichevolmente un soldino di rame per poter mangiare. "Ehehma che mi sta succedendo?" ripeté Goljadkin nel riprendere il cammino e continuando a guardarsi intorno. Intanto una nuova strana sensazione lo attraversò tutto; angoscia non erapaura nemmeno... un brivido di febbre gli corse nelle vene. Fu un momento insopportabilmente sgradevole! "Be'non è niente" esclamòtanto per farsi coraggionon è niente, forse non è proprio niente e non macchia l'onore di nessuno. Forse doveva proprio essere cosìcontinuò senza neppure capire cosa dicesse forse tutto questo si aggiusterà per il meglio quando sarà tempo e non ci saranno pretese da avanzare e tutti saranno giustificati.Così parlando e rinfrancandosi per effetto delle sue stesse paroleGoljadkin si scossesi scrollò di dosso i fiocchi di neveche gli si erano ammonticchiati densi e fitti sul cappellosul baverosul cappotto e sulla cravattasugli stivali e su tutto il resto: ma non riusciva ancora a liberarsi da quella strana sensazioneda quella strana oscura angoscianon riusciva a scacciarsi tutto questo di dosso. In qualche posto lontanorisuonò un colpo di cannone. "Che razza di bel tempo!" pensò il nostro eroe. "Be'non ci sarà mica pure l'inondazione? L'acquasi vedeè salita con troppa rapidità." Goljadkin aveva appena finito di pensare e di mormorare questoche vide venirgli incontro un passante che probabilmente si eracome luiattardato per qualche motivo. Il fatto sembrava banalecasuale; manon si sa perchéGoljadkin si turbò e direi quasi si spaventò e sentì un certo smarrimento. Non che temesse l'incontro con qualche malintenzionatoma così... forse... "E chi lo conoscequesto ritardatario..." passò per la testa a Goljadkin.

"Forse fa parte anche lui di tutto il restoforse qui è la cosa più importante e non viene qui per casoma con qualche scopo mi attraversa e mi dà uno spintone." ForseperòGoljadkin non pensò esattamente a questoma è certo che sentì subito qualcosa di simile e di molto sgradevole. D'altrondenon gli restò più tempo né di sentire né di pensare: il passante si trovava già a pochi passi da lui. Goljadkinsecondo la sua abitudine di sempresi affrettò ad assumere un'aria del tutto particolareun'aria che dava chiaramente a vedere che luiGoljadkinse ne stava per conto suoche non faceva nienteche la strada era abbastanza larga per tutti e che luiGoljadkinda parte suanon toccava nessuno. All'improvviso si fermòcome inchiodato a terracome colpito dal fulminepoi velocemente si girò verso l'individuo che lo aveva appena sorpassatocome se qualcosa lo avesse tirato per le spallecome se il vento gli avesse fatto fare un giro a mo' di banderuola. Il passante andava rapidamente scomparendo nella bufera di neve. Anche lui camminava di fretta e anche luicome Goljadkinera imbaccuccato dalla testa ai piedie anche lui tirava dritto sgambettando sul marciapiede lungo la Fontanka a passetti rapidi e fittiquasi al piccolo trotto. "Chi è costuichi è?" mormorò Goljadkinsorridendo increduloe nello stesso tempo sussultando in tutto il corpo. Un brivido gelato gli era corso per la schiena. Intanto il passante era scomparso del tutto e non si sentiva nemmeno più il rumore dei passi; ma Goljadkin continuava a restare fermo e a guardare nel punto in cui quello era sparito. Finalmentea poco a pocosi riprese. "Ma che diavolo mi succede?" pensò con stizza.

"Che io sia veramente impazzito o che altro?" poi si girò e riprese la sua stradaaccelerando e intensificando sempre più l'andatura e facendo il possibile per non pensare a niente. E per questo chiuse persino gli occhi.

All'improvvisotra l'ululare del vento e l'imperversare del tempaccioarrivò di nuovo al suo orecchio il rumore di passi di qualcuno che camminava molto vicino a lui. Sussultò e aprì gli occhi. Davanti a luia una ventina di metri di distanzanereggiava di nuovo un certo omino che gli si stava avvicinando...

L'omino aveva frettaaccelerava il ritmocorrevaquasi: la distanza diminuiva rapidamente. Goljadkin poteva già vedere benissimo il suo nuovo compagno ritardatario; lo guardò e gli sfuggì un grido di stupore e di paura: sentì che le gambe gli si piegavano. Era quello stesso passante da lui già notatoche dieci minuti prima lo aveva sorpassato e che orainaspettatamentegli appariva di nuovo davanti. Ma non soltanto questo miracolo aveva colpito Goljadkin; e Goljadkin ne fu colpito tanto che si fermògli scappò un gridovolle dire qualcosa e si lanciò all'inseguimento dello sconosciutogli urlò perfino qualcosavolendoprobabilmentefermarlo al più presto. E in realtà lo sconosciuto si fermò a circa una decina di passi da Goljadkinin maniera che la luce del lampione lì vicino illuminava perfettamente tutta la sua persona: si fermòsi girò verso Goliadkin econ aria impaziente e preoccupataaspettò che parlasse.

"Scusatema forse mi sono sbagliato" disse il nostro eroe con voce tremante.

Lo sconosciutosenza dire una parolacon un gesto pieno di stizzagli girò le spalle e proseguì rapidamente per la sua stradaquasi avesse fretta di riguadagnare i due secondi persi con Goljadkin. Per quanto riguardava Goljadkinsentì un tremito guizzargli nelle venele ginocchia gli si piegarono sottoperdettero ogni forzae con un gemito si lasciò cadere su un paracarro. Del restoc'era davvero motivo di rimanere così sconcertato. Il fatto è che quello sconosciuto ora non gli sembrava più tale. Ma questo non sarebbe stato ancora niente. Il fatto è che ora aveva riconosciutoaveva quasi completamente riconosciuto quell'uomo. L'aveva visto spessoquell'uomol'aveva visto tempo prima e anche molto di recente; ma dove? ieri forse?

Del restociò che più contava non era il fatto che Goljadkin l'avesse visto spesso (in quell'uomod'altrondenon c'era quasi niente di particolare); decisamente niente di particolare aveva quell'uomo per suscitare attenzione al primo sguardo. Era cosìun uomo come tuttiperbenesi capiscecome tutte le persone perbenee forse aveva anche alcuni meriti e anche abbastanza notevoli: in una parolaera un uomo che se ne stava per conto suo. Goljadkin non sentiva né odio né ostilità e nemmeno vedeva minimamente di mal'occhio quell'uomo; al contrarioanzisi direbbe; ma intanto (e proprio in questo il punto)intanto per nessun tesoro al mondo avrebbe voluto incontrarsi con lui e tanto meno incontrarsi cosìcome era successo adesso. Diremo di più:

Goljadkin riconosceva perfettamente quell'uomo; sapeva perfino il suo nome e il suo cognome; ma intanto proprio per nienteedi nuovonemmeno per tutto l'oro del mondo avrebbe voluto pronunciare il suo nomeammettere di sapereeccoche si chiamava così e cosìe che così era il suo patronimico e così il suo cognome. Se molto o poco fosse durata la perplessità di Goljadkin e se fosse rimasto veramente a lungo seduto sul paracarronon saprei direma quello che posso dire è cheripresosi un po'si mise di colpo a correresenza guardarsi indietrocon tutte le sue forze; gli mancava il respiroper due volte inciampòe fu lì lì per cadere e in questa circostanza rimase orfano anche l'altro stivale di Goljadkinpure quello abbandonato dal suo copriscarpe. Alla fine Goljadkin rallentò un po' la corsa per riprendere fiatosi guardò frettolosamente intorno e vide chesenza nemmeno accorgerseneaveva già percorso tutta la strada lungo la Fontankaaveva attraversato il ponte Amickovsuperato una parte del Nevskij e si trovava ora alla curva verso la Litèjnaja. E lì girò Goljadkin.

La sua condizione in quel momento assomigliava alla condizione dell'uomo in piedi su di un precipizio spaventosomentre la terra si apre sotto di lui e già franagià si muovetrema per l'ultima voltacrollalo trascina nell'abissoe intanto l'infelice non ha più né la forza né la fermezza d'animo di fare un balzo indietrodi distogliere gli occhi dal baratro spalancato; l'abisso lo attrae e lui finalmente vi si slanciaaffrettando da se stesso il momento della sua rovina. Goljadkin sapevasentiva e era matematicamente certo che qualche altro malanno gli sarebbe capitato per stradache qualche altra contrarietà gli sarebbe piombata addossocheper esempioavrebbe di nuovo incontrato lo sconosciuto; macosa stranalo desiderava perfinoquell'incontrolo riteneva ineluttabile e pregava soltanto che tutto ciò finisse al più prestoche la sua posizione si chiarisse in un modo qualsiasipurché fosse presto. E intanto continuava a correrea correre come spinto da non si sa quale forza esternae sentiva in tutto il suo essere non so quale impressione di debolezza e di torpore: non era capace di pensare a nienteanche se le sue ideeproprio come prugnolisi aggrappavano a ogni cosa. Un cagnolino randagiotutto bagnato e intirizzitosi era attaccato a Goljadkin e correva pure lui al suo fiancodi latofrettolosamentecon le orecchie basse e la coda tra le zampe e lanciandogli di tanto in tanto occhiate timide e comprensive.

Un'idea lontana e imprecisagià da tempo dimenticata - il ricordo di non so quale avvenimento già da tempo accaduto - gli tornò ora in mentecolpendogli la testa come un martellettoe lo infastidiva senza staccarsi da lui.

"Ehche brutto cagnaccio!" bisbigliava Goljadkinsenza nemmeno capirsi. Finalmente vide il suo sconosciuto alla curva della via Italjànskaja. Oraperòlo sconosciuto non gli si dirigeva più incontroma camminava nella sua stessa direzione e correva persinosopravvanzandolo di pochi passi. Finalmente arrivarono in via delle Sei Botteghe. Goljadkin si sentì mozzare il respiro. Lo sconosciuto si fermò proprio davanti all'edificio in cui si trovava l'appartamento di Goliadkin. Si sentì squillare un campanello e quasi nello stesso momento lo stridere di un paletto di ferro. Il cancelletto si aprìlo sconosciuto si chinòbalenò e scomparve. Quasi nello stesso momento arrivò anche Goljadkin e come una freccia volò sotto il portone. Senza dare retta al brontolio del portiere si precipitò nel cortile dove vide immediatamente il suo interessante compagno di stradache per un momento aveva perso. Lo sconosciuto sfrecciò nell'ingresso della scala che portava all'appartamento di Goljadkine ecco Goljadkin lanciarsi sulle sue tracce. La scala era buiaumidasudicia. Su tutti i ballatoi erano accumulati mucchi di ciarpame di ogni genere di proprietà degli inquilinitanto che un estraneochenon pratico del luogofosse capitato nell'oscurità in quella scalasarebbe stato costretto a aggirarcisi per mezz'orasempre rischiando di rompersi le gambe e maledicendoinsieme con la scalaanche i suoi conoscenti andati ad abitare in posto così scomodo. Ma il compagno di strada di Goljadkin sembrava fosse pratico del postosembrava uno di casa: correva disinvoltosenza inciamparee dimostrava una perfetta conoscenza dell'ambiente.

Goljadkin stava già per raggiungerlo; anzi due o tre volte la falda del cappotto dello sconosciuto gli aveva sbattuto sul naso.

Si sentiva il cuore mancare. L'uomo misterioso si fermò proprio davanti alla porta dell'appartamento di Goljadkinbussò e (circostanzadel restoche in un altro momento avrebbe meravigliato Goljadkin) Petruskacome se fosse rimasto lì in attesa e senza neppure coricarsiaprì immediatamente la porta e seguì con la candela in mano lo sconosciuto che era entrato. Il nostro eroefuori di sési precipitò in casa sua; trascurando di togliersi cappotto e cappellopercorse il piccolo corridoio ecome colpito dal fulminerimase sulla soglia della propria camera. Tutti i presentimenti di Goljadkin si erano avverati alla perfezione. Tutto quello che lui temeva e aveva previstosi era avverato. Il respiro gli mancò e la testa cominciò a girargli. Lo sconosciuto era seduto davanti a luianch'egli in cappotto e cappellosul suo lettosorrideva lievemente estrizzando gli occhiaccennava amichevolmente col capo. Goljadkin voleva gridarema non poté; voleva protestare in un modo qualsiasima non ne ebbe la forza. I capelli gli si drizzarono sulla fronte epreso dal terroresi abbandonò privo di sensi. E ce n'era veramente motivo. Goljadkin aveva perfettamente riconosciuto il suo amico della notte. L'amico della notte non era altri che lui stessoGoljadkinun altro Goljadkin assolutamente identico a lui; erain una parolaquello che si chiama il proprio sosiasotto tutti i profili...

 

 

6.

 

L'indomanialle otto in puntoGoljadkin si svegliò nel suo letto. Subito tutti gli eventi straordinari del giorno prima e quella incredibile e selvaggia notte con le sue quasi impossibili avventure comparvero di colpotutti insiemenella loro spaventosa pienezzaalla sua immaginazione e alla sua memoria.

L'odio così esasperato e infernale da parte dei suoi nemici ein particolarel'ultima manifestazione di quell'odio agghiacciarono il cuore di Goljadkin. Ma contemporaneamente tutto era così stranoincomprensibileassurdo e gli sembrava così lontano da ogni possibilitàda non potersi decidere a credere a tutta quella faccenda; Goljadkin stesso sarebbe stato persino disposto a ritenerla un vano deliriouno squilibrio momentaneo della sua menteun ottenebramento dell'intellettoseper sua fortunanon avesse saputodall'amara esperienza quotidianafino a che punto l'odio può a volte trascinare un uomofino a che punto può arrivare l'accanimento di un nemico che voglia vendicare il suo onore e il suo amor proprio. Per di piùle membra indolenzite di Goljadkinla testa annebbiatale reni spezzate e un maligno raffreddore testimoniavano con evidente chiarezza e sostenevano tutta la verosimiglianza di quella passeggiata notturna ein partedi tutto quanto era accaduto durante quella passeggiata. E poiinfineGoljadkin stesso sapeva benissimo che quelle certe persone stavano complottando da un bel pezzo qualche cosa e chelà con loroc'era qualcun altro. Ma che fare? Dopo averci riflettuto sù un po'Goljadkin prese la decisione di starsene zittodi rassegnarsi e di non protestare per quella faccenda fino a quando non si presentasse un momento più opportuno. "Sìforse hanno solo avuto l'intenzione di spaventarmi equando vedranno che io me ne sto zittonon protestomi rassegno docilmente e sopporto con umiltàforse faranno marcia indietrospontaneamenteanzi saranno i primi a fare marcia indietro." Ecco quali pensieri giravano per la mente di Goljadkin mentrestirandosi nel letto e sgranchendosi le membra rotteaspettavacome al solitoche Petruska facesse la sua comparsa in camera.

Aspettava già da un quarto d'ora; sentiva che quel poltrone di Petruska si affaccendavalà dietro il tramezzoattorno al samovàrma intanto in nessun modo si decideva a chiamarlo. Diremo di più: Goljadkinoratemeva perfino un po' l'incontro con Petruska. "Sa Iddio pensava sa Iddio cosa dirà quel lazzarone di tutta la faccenda. Adesso se ne sta là zitto zittoma è un furbacchionequello..." Finalmente la porta cigolò e comparve Petruska col vassoio tra le mani. Goljadkin lo guardò di traversocon una certa timidezzaaspettando impaziente ciò che sarebbe successo e se Petruska si sarebbe finalmente deciso a dire qualcosa a proposito delle note circostanze. Ma Petruska non disse nullaanzi sembrò molto più taciturnopiù arcigno e più irritato del solito e guardava tutto di traverso; in complesso era evidente che era molto scontento di qualche cosa; non rivolse al padrone neppure uno sguardoil chediciamolo tra parentesiferì non poco Goljadkin; mise sul tavolo tutto quello che aveva portatosi girò e uscìsenza aver aperto boccaper andare dietro al tramezzo.

"Sasasa tuttoquel fannullone!" borbottava Goljadkin mentre beveva il tè. Il nostro eroeperònon chiese niente al suo domesticononostante che Petruska fosse in seguito entrato e uscito diverse volte dalla camera per svariate incombenze.

Goljadkin si trovava dunque in uno stato d'animo piuttosto agitato. Sentiva un senso di raccapriccio all'idea di dover andare ancora al suo ministero. Aveva il vivo presentimento che sicuramente là qualcosa non sarebbe andata bene. "Be'ora ci andrò" pensavama se là mi imbattessi in chissà che cosa? Non sarebbe meglio, per ora, pazientare? Loro sono là... ci restino finché vogliono; io oggi me ne resterò qui ad aspettare, a raccogliere tutte le mie forze, mi rimetterò un po' in sesto, rifletterò più comodamente su tutta questa faccenda e poi sceglierò il momento giusto per piombare come una tegola sulla testa di tutti quelli là e non darò nell'occhio a nessuno.Così rimuginandoGoljadkin fumava una pipa dietro l'altra; il tempo volava; erano già quasi le nove e mezzo. "Eccoormai sono già le nove e mezzo" pensava Goljadkine arriverei in ritardo. E poi, oltre a tutto, sono malato; malato, si capisce, senz'altro malato; e chi potrebbe dire che non lo sono? che me ne importa! Mandino pure a verificare, venga pure l'usciere; che me ne importa, in realtà? Ho mal di schiena, ho la tosse, sono raffreddato; no, in conclusione, non posso andare, con questo tempo, e poi, non è assolutamente possibile; posso ammalarmi, e poi magari morire; in questi momenti c'è una tale mortalità.... Con questi ragionamenti Goljadkin tranquillizzò del tutto la sua coscienza e si giustificò anticipatamente di fronte a se stesso per la lavata di capo che gli avrebbe rifilato Andréj Filìppovic' per negligenza nel servizio. In generein tutte le circostanze similiil nostro eroe amava giustificarsi ai propri occhi con vari inappuntabili argomenti e calmare così i suoi scrupoli. Così oracalmatili del tuttoprese la pipala riempì e non appena si fu messo a fare proprio per benino la sua fumataecco che si alzò di scatto dal divanosbatté via la pipasi lavò energicamentesi rasesi lisciò i capellisi infilò la divisa e tutto il resto e andò volando al dicastero.

Goljadkin entrò mogio mogio nel suo repartonella trepidante attesa di qualcosa di molto poco bello; attesa vaga e inconscia quanto si vuolema lo stesso sgradevole; mogio mogioprese il suo solito posto vicino al capufficioAntòn Antònovic' Setoc'kin.

Senza guardare nientesenza lasciarsi distrarre da nientesi mise a esaminare il contenuto delle carte che gli stavano davanti.

Decise e si ripromise fermamente di tenersi il più possibile in disparte da tutto quello che potesse provocarloda tutto quello che avrebbe potuto comprometterlo; per esempiodalle domande indiscretedagli scherzi o dalle allusioni sconvenienti di qualcuno a proposito degli eventi della sera prima; si ripromise perfino di fare a meno delle solite cortesie con i colleghi d'ufficiocome domande sulla salute eccetera eccetera. Ma era anche evidente che non poteva restarsene così; era impossibile.

L'inquietudine e l'ignoranza a proposito di un qualche argomento che lo interessasse da vicino lo tormentavano sempre più che l'argomento stesso. E ecco perchénonostante la parola data di non intromettersi in nientequalsiasi cosa si facessee di tenersi completamente in disparte in tuttoGoljadkin di tanto in tantodi nascostoalzava pian piano la testa e di sottecchi guardava a destra e a sinistrascrutava i visi dei colleghi e da quelli si sforzava di capire se non ci fosse per caso qualcosa di speciale che lo riguardasse e cheper non so quale riprovevole scopogli fosse tenuta nascosto. Immaginava che esistesse un sicurissimo legame tra tutti gli avvenimenti della sera precedente e quello che si svolgeva ora intorno a lui. Finalmentespinto dalla sua angosciacominciò a desiderare che tutto si risolvesse nel modo che Iddio volevama purché fosse prestoanche con un guaio: pazienza! Ma fu proprio qui che il destino colse Goljadkin:

non aveva avuto tempo di dare concretezza al suo desiderio che i suoi dubbi furono improvvisamente risoltima in modo molto strano e impensato.

La porta che dava nell'altra stanza di colpo scricchiolò con dolce timidezzacome per avvertire che la persona che stava per entrare era una qualsiasie una certa figuradel resto ben conosciuta a Goljadkinapparve timidamente proprio davanti al tavolo dietro al quale stava seduto il nostro eroe. Lui non sollevò la testano; osservò quella figura solo di sfuggitacol più rapido dei suoi sguardima ormai aveva riconosciuto tuttocapito tuttofin nei minimi particolari. Si sentì avvampare per la vergogna e sprofondò tra le carte quella sua malcapitata testacon lo stesso preciso scopo con cui lo struzzoinseguito dal cacciatorenasconde la sua nella sabbia infuocata. Il nuovo venuto si inchinò ad Andréj Filìppovic' e subito dopo risuonò una voce formalmente affettuosaquella tipica voce con cui i superiori di tutti gli uffici parlano ai dipendenti da poco in servizio.

"Sedetevi qui" disse Andréj Filìppovic'indicando al novellino il tavolo di Antòn Antònovic'ecco, qui, di fronte al signor Goljadkin, vi daremo subito del lavoro da sbrigare.Andréj Filìppovic' concluse il discorsetto con un rapido gesto di cortese esortazione al nuovo venutopoi subito si immerse nel contenuto di diverse carte che stavano in un mucchio davanti a lui.

Goljadkin alzò finalmente gli occhi e se non fu preso da uno svenimento lo si dovette solo al fatto chefin dall'inizioaveva presagito tutta la faccendafin dall'inizio era stato preavvertito di tuttoavendo letto nell'anima del nuovo venuto.

Il primo gesto di Goljadkin fu di dare una rapida occhiata intornose non ci fosse lì qualche pissi pissise non cominciasse a circolare a quel proposito qualche barzelletta di cancelleriase qualche viso non si fosse sformato per lo stupore e se qualcunoper lo spaventonon fosse caduto sotto il tavolo.

Macon la più grande meraviglia di Goljadkinin nessuno ci fu niente di simile. Il comportamento dei signori colleghi e compagni colpì Goljadkin. Gli sembrava che questo contegno fosse al di là di ogni senso comune. Goljadkin addirittura si spaventò di un silenzio così fuori dal normale. La sostanza dei fatti parlava da sola: era una cosa stranaassurdamostruosa. C'era proprio di che agitarsi. Tutte cosequestesi capisceche frullarono soltanto nella testa di Goljadkin. Cuoceva a fuoco lento. E ce n'era ben dondedel resto. Colui che adesso stava seduto di fronte a Goljadkin era il terrore di Goljadkinera la vergogna di Goljadkinera l'ossessione di ieri di Goljadkinerain una parolalo stesso Goljadkin; ma non quel Goljadkin che stava ora seduto sulla sedia con la bocca spalancata e con la penna rigida in mano; non quello che era impiegato in qualità di aiuto del proprio capufficio; non quello a cui piaceva scomparire e dileguarsi tra la folla; non quelloinfinela cui andatura diceva a chiare note "non toccatemiio non vi toccherò"oppure "non toccatemivedete bene che io non vi tocco". Noquesto era un altro Goljadkinassolutamente un altroma nello stesso tempo identico al primo: la stessa staturala stessa figuravestito allo stesso modocon la stessa calvizie; in una parolanienteassolutamente niente era stato trascurato per avere una somiglianza perfettatanto chese si fossero presi e messi uno accanto all'altronessunoletteralmente nessunoavrebbe osato dire chi fosse realmente l'autentico Goljadkin e chi il falsoquale il vecchio e quale il nuovoquale l'originale e quale la copia.

Il nostro eroese è consentito un paragonesi trovava ora nella condizione di un uomo alle cui spalle un monello si è divertito a puntargli controper scherzouno specchio ustorio. "Ma che è questoun sogno o no?" pensavaè il presente o la continuazione del passato di ieri? Ma come mai? Con quale diritto si fanno queste cose? Chi ha assunto un simile impiegato, chi ha dato il diritto di farlo?. Goljadkin provò a darsi un pizzicottoprovò a pensare persino a darlo a un altro... Nonon era un sognoe basta. Goljadkin si sentiva madido di sudoresentiva che gli stava capitando un fatto senza precedentimai visto fino ad allorae per questoappuntoper colmo di sventuraanche sconvenientepoiché Goljadkin capiva perfettamente tutto il discapito che gli derivava dal trovarsicome primo esempioin un così buffo pasticcio. Infine cominciò addirittura a dubitare della propria esistenza epur essendo in anticipo pronto a tutto e desideroso che si risolvesseroin qualunque modoi suoi dubbituttavia la sostanza stessa del fatto rendeva di per sé naturalmente plausibile la sorpresa. L'angoscia lo opprimeva e lo tormentava. In certi momenti perdeva addirittura il senno e la memoria. Rientrato in sé dopo uno di quei momentisi accorse chein modo meccanico e incoscientefaceva scorrere la penna sulla carta. Non fidandosi di se stessocominciava a ripassare tutto quello che aveva scrittoe non ci capiva niente. Finalmente l'altro Goljadkinche fino a quel momento era rimasto tranquillamente sedutosi alzò eattraverso la porta che conduceva in un'altra sezionescomparve per fare qualche faccenda. Goljadkin si guardò intorno: niente; tutto tranquillo.

Si sentiva soltanto lo scricchiolio delle penneil fruscio dei fogli girati e il parlottare negli angoli più lontani dal punto in cui sedeva Andréj Filìppovic'. Goljadkin guardò Antòn Antònovic' epoiché molto probabilmente l'aspetto del nostro eroe corrispondeva perfettamente alla sua situazione e si armonizzava con tutto il senso della faccenda edi conseguenzapareva sotto certi aspetti piuttosto fuori dell'ordinarioil buon Antòn Antònovic' posata la penna da una partesi informò con insolito interesse della salute di Goljadkin.

"IoAntòn Antònovic'grazie a Dio..." disseinciampandoGoljadkin. "IoAntòn Antònovic'sto perfettamente bene; ioAntòn Antònovic'al presente non c'è male" aggiunse un po' indecisonon fidandosi ancora del tutto del più volte da lui menzionato Antòn Antònovic'.

"Ah! mi sembrava che foste un po' indisposto; del resto non ci sarebbe niente di straordinarioma speriamo di no! In questi tempi ci sono sempre tante epidemie... Sapete che..." "SìAntòn Antònovic'conosco l'esistenza di queste epidemie...

IoAntòn Antònovic'non è che..." proseguì Goljadkinfissando lo sguardo su Antòn Antònovic'io, vedete, Antòn Antònovic', non so neppure come voi, voglio dire, cioè, da quale lato voi dobbiate prendere questa faccenda, Antòn Antònovic'...Che cosa? Io vi... sapete... io confesso che non vi capisco bene; voi... sapete, voi... spiegatemi meglio sotto che punto di vista vi trovate imbarazzatodisse Antòn Antònovic'sentendosi a sua volta un po' imbarazzato nel vedere che Goljadkin aveva persino le lacrime agli occhi.

"Iodavvero... quiAntòn Antònovic'... qui c'è un impiegatoAntòn Antònovic'..." "Susu... Continuo a non capire." "Voglio direAntòn Antònovic'che qui c'è un nuovo impiegato." "Sìc'è: è un vostro omonimo." "Come?" grida Goljadkin.

"Un vostro omonimodico: si chiama anche lui Goljadkin. Non è per caso vostro fratello?" "Non ne ho fratelliAntòn Antònovic'." "Uhm! Ma che dite? Mi era sembrato che fosse un vostro stretto parente. Sapetec'è una tale somiglianza..." Goljadkin rimase paralizzato dallo stupore e per un po' la lingua gli si bloccò. Trattare così alla buona una cosa così mostruosamai vistauna cosa veramente rara nel suo genereuna cosa che avrebbe colpito anche il più disinteressato degli osservatoriparlare di una semplice somiglianzamentre era proprio come avere davanti uno specchio!

"Sapete che cosa vi consiglioJakòv Petrovic'?" prosegui Antòn Antònovic'. "Andate da un medico e sentite il suo parere. Voi avete una cert'aria proprio di non star bene. Specialmente gli occhi... sapetespecialmente gli occhi hanno un'espressione particolare." "NoAntòn Antònovic'iocertamentesento... cioèio vorrei chiedervicome mai quest'impiegato?" "Cioè?" "Cioènon aveteAntòn Antònovic'osservato in lui qualcosa di particolareun qualcosa di troppo espressivo?" "Cioè?" "Cioèio voglio direAntòn Antònovic'una somiglianza troppo accentuata con qualcunoper esempio con me. Proprio adessoAntòn Antònovic'avete parlato di una qualche somiglianza di trattiavete fattocosì di sfuggitaun'osservazione... Sapete che a volte i gemelli sono cosìcioè perfettamente uguali come due gocce d'acquatanto che è impossibile distinguerli? Beneproprio questo voglio dire." "Sissignore" disse Antòn Antònovic'dopo aver riflettuto un po' e come se per la prima volta fosse stato colpito da una simile osservazione. "Sissignore! Giustissimo. E' una rassomiglianza che colpisce veramente e voi avete fatto un'osservazione giustissimapoiché realmente vi si può scambiare l'uno per l'altro" continuòspalancando sempre più gli occhi. "E sapeteJakòv Petrovic'è una somiglianza prodigiosafantastica addiritturacome si dice talvoltae cioè è perfettamente come voi... L'avete notato? Jakòv Petrovic'? Io volevo chiedervi spiegazionilo confessosulle prime non ci avevo fatto abbastanza caso. E' un miracoloun vero miracolo! EppureJakòv Petrovic'voi non siete neppure nativo di quidico io!" "Nosignore." "E nemmeno luisapeteè di qui. Forse delle vostre stesse parti.

Vostra madremi permetto di chiedervidove abitava per lo più?" "Avete detto... avete dettoAntòn Antònovic'che lui non è di qui?" "Sìl'ho detto; non è di qui. E veramente come è stranoanche questo!" proseguì il ciarliero Antòn Antònovic'per il quale era una vera festa mettersi a cianciare di qualcosa. "In realtà è una cosa che suscita curiosità; eppuregli passi spesso vicinolo sfiorilo urtimagarima non te ne accorgi. Del restonon turbatevi. Sono cose che capitano. Vi diròeccoche la stessa cosa successe a una mia zia da parte di madre; anche lei prima di morire vide il suo sosia..." "Nossignoreio... Scusate se vi interrompoAntòn Antònovic'ioAntòn Antònovic'volevo sapere come mai quest'impiegatocioè a quale titolo si trova qui..." "Al posto del defunto Semjòn Ivànovic'posto rimasto vacante; era rimasto un posto vuoto e così hanno messo lui. Eccovedetequel caro Semjan Ivànovic'buon'animatre bambinidiconoha lasciato... uno più piccolo dell'altro. La vedova è caduta in ginocchio ai piedi di sua eccellenza. Dicono però che i soldi li nasconda: ha del denaroma lo nasconde..." "NossignoreioAntòn Antònovic'ioeccoancora di quella circostanzadicevo..." "Cioè? Ahsì! Ma perché ve ne occupate tanto? Vi ripeto: non turbatevi. Tutto ciò è in parte provvisorio. Ebbene? Voi siete fuori causa; tutto ciò l'ha combinato Iddio in personaè stata la sua volontàe lamentarsene è peccato. In questo è evidente la sua saggezza. E voi quiJakòv Petrovic'a quanto capisconon siete colpevole per niente. Ci sono forse pochi prodigi al mondo? Madre natura è generosa; ma di questo non si chiederà certo conto a voinon dovrete risponderne voi. Eccoper esempioavete sentito diresperoche quelli sì... eccoi fratelli siamesisono attaccati insieme per il dorso e vivonomangiano e dormono sempre insieme: e guadagnanodiconoun mucchio di soldi." "PermetteteAntòn Antònovic'..." "Vi capiscovi capisco! Sì! Ma che c'è? Niente! Io dicosecondo il mio giudizioche qui non c'è niente che debba turbarvi.

Ebbene? E' un impiegato come un altro e sembra che sia un buon lavoratore. Dice che si chiama Goljadkinnon è di queste partidicee è consigliere titolare. Si è spiegato personalmente con sua eccellenza." "Ah! E lui?" "Nientesignore; dicono che ha dato spiegazioni esaurientiche ha presentato delle buone ragioni. Ha detto: le coseeccellenzasono così e cosìbeni di fortuna non ne ho e desidero prestare servizio in particolare sotto la vostra lusinghiera direzione...

esapeteha esposto con abilità tutto quanto serviva. E' un uomo intelligentecredo. Be'si capisce che si era presentato con una raccomandazione: senza di quellasi sanon è possibile..." "Ma da parte di chi... voglio direcioèchi propriamente si è immischiato in questa vergognosa faccenda?" "Sissignore. Dicono che fosse una raccomandazione buona: sua eccellenzadiconone ha anche riso con Andréj Filìppovic'." "Ne ha riso con Andréj Filìppovic'?" "Sissignore; ha riso soltanto così... e ha detto che sta benee che lui da parte sua non è affatto contrariopurché presti servizio fedelmente..." "Be'?... e poi... andate avantisignore. Voi mi ridate animoAntòn Antònovic'; vi supplicosignoreandate avanti..." "Permetteteio di nuovo vi... Be'! sì... Be'ma non c'è niente; è una circostanza che non ha niente di straordinario: voivi diconon turbateviin tutto questo non si può trovare niente di misterioso." "Nossignore. Iocioèvoglio chiederviAntòn Antònovic'se sua eccellenza non ha aggiunto altro... a proposito di meper esempio?" "Cioècome sarebbe a dire? Sissignore! Be'no... niente; potete stare perfettamente tranquillo. Sapetenaturalmentesi capiscesi tratta di un affare abbastanza strano e all'inizio... ma eccoioper esempioall'inizio non ci avevo quasi fatto caso. Non so proprio come mai non me ne sia accorto fino a che voi non me lo avete fatto ricordare. Madel restopotete stare perfettamente tranquillo. Non ha detto nienteassolutamente niente di speciale" aggiunse il buon Antòn Antònovic'alzandosi dalla sedia.

"CosìeccoioAntòn Antònovic'..." "Ahma voi scusatemisignore. Non ho fatto che ciarlare di quisquilie e ecco che qui c'è un affare importanteurgente.

Bisogna prendere informazioni." "Antòn Antònovic'!" risuonò la voce cortesemente invocante di Andréj Filìppovic' "sua eccellenza vi desidera." "SubitosubitoAndréj Filìppovic'vado immediatamente." E Antòn Antònovic'preso un mucchio di cartesi precipitò prima verso Andréj Filìppovic'e poi nello studio di sua eccellenza.

"Ma com'è dunquequesta storia?" pensava intanto Goljadkin; "ecco che razza di giochetti si fanno qui da noi! Ecco che venticello soffia da queste parti... Non c'è male: dunquesembra che la faccenda abbia preso una piega favorevolissima diceva tra sé e sé il nostro eroe, stropicciandosi le mani e, per la gran contentezza, senza nemmeno sentire la sedia sotto di sé. Così la nostra faccenda è una comunissima faccenda. Così tutto finisce in un'ineziasi risolve in una cosa da niente. E in verità nessuno dice nientenessuno osa fiatare; i malandrinise ne stanno sedutiintenti agli affari loro. Benonebenissimo! Io voglio bene a una brava personagliene ho sempre voluto e sono pronto a stimarla... D'altra parteperòc'è questochea pensarci suquesto Antòn Antònovic'... ho quasi paura a fidarmene: è un po' troppo bianco di capelli e mi sembra che la vecchiaia l'abbia rimbambito alquanto... La cosa più importantein ogni modoe più straordinaria è che sua eccellenza non abbia detto niente e che abbia lasciato perdere: ottima cosaquesta! Non posso che applaudire! Soltanto quell'Andréj Filìppovic'peròche c'entra qui con le sue risatine? Che gliene importa a lui? Vecchio imbroglione! Ce l'ho sempre tra i piedi; cerca sempre di attraversarti la strada come un gatto nero e continua con dispetti e ripicchedispetti e ripicche..." Goljadkin tornò a dare un'occhiata in giro e si sentì rianimato dalla speranza. Peròcontinuava ad avere l'impressione chenonostante tuttoun pensiero lontanoun pensiero non buonovenisse a turbarlo. Gli venne persino l'idea di avvicinarsi lui stesso agli impiegati con una scusa o con l'altradi anticiparli di corsacome una lepree perfino (in un modo qualunque o all'uscita dall'ufficio o avvicinandoli con qualche motivo di servizio) tra una parola e l'altra accennarecosì vagamente:

signori così e così... è veramente una rassomiglianza stupefacenteuna coincidenza stranissimauno scherzaccioaddirittura... Ossia scherzarci sopra lui per primo e sondare così la profondità del pericolo. "Perché si sa che è l'acqua cheta che rovina i ponti..." concluse mentalmente il nostro eroe.

Del restotutto questo il nostro eroe lo pensò soltanto: in compenso cambiò idea presto. Capiva che quello avrebbe significato mettere il carro davanti ai buoi... "Il tuo temperamento è questo!" si dicevabattendosi un colpetto sulla fronte con la manocominci subito a rallegrarti... sei già tutto contento! Sei un'anima troppo ingenua! No, Jakòv Petrovic', è molto meglio che noi due abbiamo pazienza, è meglio che abbiamo pazienza e aspettiamo!Ciononostantecome si è appena dettoGoljadkin si sentiva già rinascere alla speranzaquasi fosse risuscitato alla vita. "Non c'è male!" pensavami sento proprio come se mi fossi scaricato dalla schiena otto o dieci quintali! Ma, vedi un po' che combinazione! 'Eppure lo scrigno si apriva tanto facilmente!'(1) Krylòv ha ragione, ha proprio ragione, se ne intende... è una testa fina quel grande scrittore di favole! E in quanto a quello là, presti pure il suo servizio, lo presti pure, alla sua salute!

purché non imbrogli nessuno e non rompa l'anima a nessuno; faccia il suo servizio e io sono d'accordo, e approvo!Intanto le ore passavanovolavano ementre meno te lo aspettavisuonarono le quattro. L'ufficio fu chiuso; Andréj Filìppovic' prese il cappello ecome si convienetutti seguirono il suo esempio. Il signor Goljadkin si trattenne ancora un po'giusto giusto il tempo necessarioe volutamente uscì dopo tutti gli altriproprio per ultimoquando tutti si erano sparpagliati per diverse direzioni. Uscito in stradasi sentì come in paradisotanto che sentì persino il desiderio di fare un giretto e di passare per il Nevskij. "Guarda un po' il destino!" pensava il nostro eroe. "Un inatteso capovolgimento di tutto quanto. Il tempo si è rasserenatoc'è il gelo e appaiono le slitte. E il gelo si addice veramente al russocol gelo il russo va perfettamente d'accordo! Mi piace l'uomo russo. E c'è anche un po' di nevela prima infarinaturacome direbbe un cacciatore; eccose su questa infarinatura ci fosse una lepre!... Che peccato! Maperònon c'è male!" Così si manifestava l'entusiasmo di Goljadkin e intanto qualcosa continuava a frullargli per la testa: angoscianonon era... ma a tratti sentiva una tale stretta al cuore da non sapere come confortarsi. "Del restoaspettiamo un giornoe poi ci rallegreremo. Infineche cos'è questo? Suvviaragioniamovediamo... Sumio giovane amicolasciamo ragionare... lasciamo ragionare! Be'è un uomo come teprima di tuttoassolutamente come te. E dunque? se c'è un uomo cosìè forse una ragione perché io pianga? Che importa a me? Io me ne sto in disparte; io faccio un fischio e basta! E' così e basta! Faccia pure il suo serviziolui! Be'è un prodigio e una stranezzadicono làcome i fratelli siamesi... Ma perchépoisiamesi? Loro sono gemelliponiamoma anche i grandi uomini a volte erano presi per originali. Anche la storia ci insegna che al famoso Suvarov piaceva rifare il verso del gallo... Be'tutto questo lo faceva per politica; e i grandi condottieri... sìdel restoperché i condottieri? Eccoio me ne sto per conto mioe bastae non voglio conoscere nessunoe nella mia innocenza disprezzo i nemici. Non sono un intrigante e di questo ne vado orgoglioso.

Sono onestorettopulitocortese e mitissimo di animo..." Di colpo Goljadkin si fermò e cominciò a tremare come una foglia e per un momento chiuse perfino gli occhi. Nella speranzaperòche l'oggetto della sua paura fosse una semplice illusioneli riaprì infine e timidamente lanciò una rapida occhiata alla sua destra.

Nonon era un'illusione! A fianco a lui sgambettava il suo conoscente del mattinosorridevalo guardava in viso e sembrava in attesa dell'occasione buona per attaccare discorso. Il discorso però non veniva. Percorsero entrambicosìuna cinquantina di passi. Tutti gli sforzi di Goljadkin erano rivolti a intabarrarsi il più possibilenascondendosi nel pastrano e calzando il cappello sugli occhifino al massimo possibile. Per colmo di offesail pastrano e il cappello dell'amico erano proprio identici ai suoicome se fossero stati tolti di dosso a Goljadkin in quel preciso istante.

"Egregio signore" disse finalmente il nostro eroefacendo uno sforzo per parlare a voce bassa e senza guardare il suo amicomi pare che noi andiamo per strade diverse... ne sono addirittura sicurodissedopo una pausa. "Infine sono certo che mi avete compreso perfettamente..." aggiunse con voce abbastanza severacome conclusione.

"Io vorrei" disse finalmente l'amico di Goliadkinio vorrei...

voi certamente mi scuserete, generosamente... io non so a chi rivolgermi qui... le mie circostanze... io spero che voi scuserete la mia audacia... ho avuto persino l'impressione che voi, stamattina, spinto dalla compassione, aveste un po' d'interesse per me. Da parte mia, ho sentito fin dal primo sguardo un'attrazione verso di voi, io...E qui Goljadkin augurò mentalmente al nuovo collega di sparire sotto terra.

"Se osassi sperare che voiJakòv Petrovic'mi voleste benignamente ascoltare..." "Ma noi... noi qui... noi.. sarebbe meglio andare a casa mia" rispose il nostro Goljadkinnoi ora passeremo dall'altra parte del Nevskij, là ci troveremo più comodi e poi per il vicolo... è meglio che prendiamo per il vicolo.Bene, signore. Prendiamo pure per il vicolodisse timidamente il dolce compagno di strada di Goljadkincome serispondendo con quel tonovolesse far capire che luimanco a pensarlo! non poteva fare delle difflcoltà e chenella condizione in cui si trovavaera prontissimo a accontentarsi di un vicolo. Per ciò che riguarda Goljadkinnon capiva assolutamente quello che gli stava capitando. Non credeva a se stesso. Non si era ancora ripreso dallo sbalordimento.

 

 

NOTE:

  1. Verso di Ivan Krylòv (1768-1864)famosissimo autore di favole.

 

 

7.

 

Si riprese un po' quando si trovò sulla scalanell'entrare nel suo appartamento. "Ahche testa di montone!" si insultò mentalmentedove diavolo lo porto? Vado a impiccarmi da solo...

Cosa penserà mai Petruska nel vederci insieme? Che cosa avrà ora l'audacia di gabolare, quel mascalzone? e lui è un tipo sospettoso...Ma ormai era troppo tardi per pentirsi; Goljadkin bussòla porta si aprì e subito Petruska cominciò a togliere il cappotto all'ospite e al padrone. Goljadkin diede un'occhiata di sbieco a Petruskagli lanciò appena uno sguardo rapidocercandoattraverso l'espressione del visodi scoprirne i pensieri. Macon suo enorme stuporevide che il suo domestico era mille miglia lontano dal mostrarsi meravigliato: sembrava addirittura che si aspettasse qualcosa di simile. Naturalmente ora guardava in cagnescodi traverso e sembrava pronto a divorare chi sa chi.

"Sta a vedere che qualcuno oggi li ha stregati tutti!" pensava il nostro eroeche qualche demonio abbia fatto il giro? Senza dubbio oggi c'è in tutti qualcosa di particolare. Che il diavolo mi porti, è un bel tormento!Ecco checontinuando a rimuginare in tal modoGoljadkin portò l'ospite nella sua stanza e lo pregò umilmente di accomodarsi.

L'ospiteera chiaroera in grandissimo imbarazzo eintimiditoseguiva umilmente tutti i movimenti del padrone di casasi attaccava a ogni suo sguardo e sembrava che cercasse di indovinarne i pensieri. In tutti i suoi gesti c'era qualcosa di avvilitodi abbattutodi spaventatotanto chese potrà valere il paragoneassomigliava in quel momento a un uomo chenon avendo un abito suoindossasse quello di un altro: le maniche gli salgono in altola vita arriva quasi alla nuca e luiora non fa che aggiustarsi il panciotto troppo cortoora dà di fianco e si sposta da una parteora studia il momento giusto per rintanarsi in qualche angolettoora fissa gli occhi su tutti e tende l'orecchio se mai qualcuno non accenni alla sua condizionenon rida alle sue spalle e non si vergogni di lui... e quest'uomo si sente avvamparequest'uomo si smarriscee il suo orgoglio ne soffre... Goljadkin posò il cappello sulla finestra; per un movimento brusco il cappello cadde sul pavimento. L'ospite si precipitò a raccoglierlolo ripulì dalla polverelo rimise con attenzione al posto di prima e il suo lo posò sul pavimentovicino alla sediasul cui bordo lui stesso si era timidamente messo a sedere. Questa circostanzaapparentemente insignificanteaprì in parte gli occhi a Goljadkin; comprese che c'era un gran bisogno di lui e perciò non indugiò più a lambiccarsi il cervello sul modo di attaccare discorso col suo visitatorelasciando che lui stessocome si convenivasi prendesse questa briga. L'ospite peròda parte suanon cominciava nemmeno luisia per timidezza sia per un leggero senso di vergognasia perchéper educazioneaspettava l'iniziativa del padrone di casa. Chi lo sa? era difflcile capirci qualcosa. In questo momento entrò Petruskasi fermò sulla soglia e fissò lo sguardo sulla parte perfettamente opposta a quella in cui si trovavano l'ospite e il suo padrone.

"Mi ordinate di prendere il pranzo per due?" disse con indifferenza e con voce leggermente rauca.

"Io... io non so... voi... Sìcarosìprendine per due." Petruska uscì. Goljadkin guardò l'ospite. Era diventato rosso fino alle orecchie. Goljadkin era un brav'uomo e perciòper bontà d'animoimprovvisò subito una teoria:

"Poveraccio" pensavaha il posto solo da un giorno; a suo tempo avrà certamente sofferto: forse, l'unica sua proprietà è un vestituccio decente, e non avrà di che mangiare. Ma guarda un po' com'è abbattuto! No, non fa niente; da un certo punto, anzi, è meglio...Scusatemi, se io...cominciò Goljadkin "maa propositopermettete che vi chieda come vi devo chiamare..." "Io... Io... Jakòv Petrovic'" mormorò appena percettibilmente l'ospitecome mortificato e quasi vergognandosi e chiedendo scusa di chiamarsi anche lui Jakòv Petrovic'.

"Jakòv Petrovic'!" ripeté il nostro eroeincapace di nascondere il suo turbamento.

"Sìsignoreproprio così... Sono un vostro omonimo" rispose pieno di umiltà il visitatoreosando sorridere e dire qualcosa in tono scherzoso. Ma subito si ammosciò e assunse un aspetto serio e un po' anche turbatoessendosi accorto che il padrone di casa aveva proprio altro per la testa che gli scherzi.

"Voi... permettetemi che vi chieda per quale motivo ho l'onore..." "Conoscendo la vostra magnanimità e le vostre virtù lo interruppe l'ospite rapidamente, ma in tono timido, alzandosi un po' dalla sedia ho osato rivolgermi a voi e sollecitare la vostra... conoscenza e la vostra protezione" concluse l'ospiteevidentemente faticando a trovare le espressioniscegliendo parole non troppo servili e adulatriciper non compromettersi dal punto di vista dell'amor proprioma nemmeno troppo audaciche avrebbero richiamato al pensiero una sconveniente parità. In genere bisogna dire che l'ospite di Goljadkin si comportava come un accattone di buona famigliain un frac tutto rammendi e con un passaporto in tasca intestato a un nobilenon ancora familiarizzatosi col modo di tendere la mano come si conviene.

"Voi mi sconcertate" rispose Goljadkinguardando se stessoe le paretie l'ospite; "in che cosa potrei io... cioèvoglio diresotto quale punto di vista posso esattamente esservi utile in qualche cosa?" "IoJakòv Petrovic'mi sono sentito attratto da voi fin dal primo sguardo esiate generoso e perdonatemiho riposto in voi le mie speranzeho osato sperareJakòv Petrovic'. Io... io sono qui un uomo sperdutoJakòv Petrovic'sono poveroho sofferto moltoJakòv Petrovic'e qui sono ancora nuovo. Avendo saputo che voioltre le comuniinnate virtù della vostra anima elettaavete anche il mio cognome..." Goljadkin aggrottò il viso.

"... il mio cognome e siamo nativi delle stesse partiho deciso di rivolgermi a voi e di esporvi la difficile condizione in cui mi trovo." "Benebene... Veramente non so proprio che cosa dirvi" rispose con voce turbata Goljadkin; "eccodopo pranzone parleremo..." L'ospite fece un inchino; fu portato il pranzo. Petruska apparecchiò tavola e l'ospite e il padrone si accinsero a sfamarsi. Il pranzo non durò molto perché tutti e due avevano fretta. Il padrone perché non si sentiva a suo agio e perché si vergognava di quel pranzo così cattivo; in parte perché avrebbe voluto far mangiare bene l'ospitee in parte perché gli sarebbe piaciuto mostrare che non viveva da poveraccio. Dal canto suol'ospite era molto turbato e confuso al massimo. Dopo aver preso una volta il pane e aver mangiato la sua fettanon aveva il coraggio di allungare la mano verso una seconda fettasi tratteneva dal prendere i bocconi migliori e assicurava continuamente di non avere fameche il pranzo era stato eccellente e cheper conto suoera soddisfattissimo e non l'avrebbe dimenticato fino alla morte. Quando ebbero finito di mangiareGoljadkin accese la pipae ne offrì all'ospite un'altra che teneva da parte per gli amici; si misero a sedere uno di fronte all'altro e l'ospite cominciò a raccontare le sue avventure.

Il racconto del signor Goljadkin numero due continuò per tre o quattro ore. La sua storiadel restoera costituita dalle più banali e squallidese così si può direcircostanze. Si trattava di un impiego in un ufficio del distrettodi non so quali procuratori e presidentidi certi intrighi di cancelleriadella dissolutezza di uno dei capufficiodi un ispettoredi un improvviso cambiamento dei superioridel fatto che il signor Goljadkin numero due aveva soffertopur essendo del tutto innocente; di una vecchissima zia Pelagheja Semjònovna; di come luiper le varie manovre di certi suoi nemiciavesse perso il posto e fosse venuto a piedi a Pietroburgo; e come avesse stentato e sofferto lì a Pietroburgocome avesse a lungo cercato inutilmente un posto e avesse speso tuttofosse vissuto quasi per la stradamangiando pane secco e dissetandosi con le sue proprie lacrime e dormendo sul nudo pavimentoeinfinedi come qualche anima pietosa avesse preso a darsi da fare per luia raccomandarlo di qua e di là e gli avesse generosamente trovato quel nuovo impiego. L'ospite del signor Goljadkinmentre raccontavapiangeva e si asciugava le lacrime con un fazzoletto azzurro a quadrimolto simile a un'incerata. Concluse poi dichiarando che si era completamente confidato col signor Goljadkin e confessò chenon solo non aveva i mezzi per vivere e sistemarsi dignitosamentema nemmeno per farsi un po' di corredo come si deve; cheeccoaggiunsenon era riuscito nemmeno a racimolare il denaro necessario per un paio di stivaletti e che la divisa per l'ufficio aveva dovuto noleggiarla da qualcuno per un po' di tempo.

Goljadkin era inteneritoera veramente commosso. Del restoe nonostante la storia del suo ospite fosse delle più banaliogni sua parola si era posata sul suo cuore come una manna celeste. Il fatto è che Goljadkin stava dimenticando i suoi ultimi dubbiaveva sciolto il suo animo alla libertà e alla gioia ein cuor suosi dava dell'imbecille! Era tutto così naturale! C'era proprio di che prendersela tanto e di essere così agitato? Be'...

a dire il vero c'era una questione piuttosto delicatama via! non era poi una disgrazia: quella non poteva disonorare un uomomacchiarne l'amor proprio e rovinare la sua carrierase quest'uomo non aveva nessuna colpase la natura stessa vi aveva contribuito. Einoltrel'ospite chiedeva protezionel'ospite piangeval'ospite accusava il destinoera un uomo così semplicesenza malizia e senza scaltrezzaera un uomo meschinoinsignificantee sembrava che lui stesso si facesse scrupolosia pure sotto un altro punto di vistadella così strana somiglianza con il padrone di casa. Si comportava in modo estremamente rassicurante e stava attento a compiacere il suo ospite e aveva lo sguardo dell'uomo chestraziato dai rimorsi di coscienzasi sente colpevole di fronte a un altro uomo. Se il discorso andavaper esempiosu qualche cosa un po' ambigual'ospite immediatamente approvava l'opinione di Goljadkin. Se invecechissà comeluicon la sua opinioneandava per sbaglio contro Goljadkin e si accorgeva di essersi messo fuori stradaimmediatamente si riprendevadava spiegazioni e faceva subito capire che la vedeva in tutto e per tutto come il padrone di casala pensava allo stesso modo e considerava ogni cosa dal suo stesso punto di vista. In una parolal'ospite non risparmiava nessuno sforzo per cercare di "trovarsi" all'unisono con Goljadkintanto chealla fineGoljadkin concluse che doveva essere un'amabilissima personaproprio sotto ogni profilo. Tra l'altro fu servito il tèerano già suonate le nove. Goljadkin si sentiva di umore eccellenteera diventato allegroscherzosoa poco a poco si era abbandonato all'ilarità e alla fine si era gettato nella più vivace e interessante delle conversazioni col suo ospite. Goljadkinsotto l'influsso dell'allegriasi compiaceva a volte di raccontare qualche cosa di interessante. Così anche adesso: raccontò all'ospite molte cose sulla capitalesui suoi divertimenti e le sue bellezzesui teatrisui circolisul quadro di Brjulòv ("Gli ultimi giorni di Pompei"); parlò di due inglesi venuti espressamente dall'Italia a Pietroburgo per vedere la cancellata del Giardino d'Estate e immediatamente ripartiti; parlò dell'ufficiodi Olsufij Ivànovic' e di Andréj Filìppovic'; del fatto che la Russia da un'ora all'altra avanza a gran passi verso la perfezione e che qui l'arte letteraria è oggi in fiore; ricordò un piccolo aneddotoletto poco tempo prima su "L'ape del Nord"disse che in India vive un serpente dotato di forza straordinaria; infine parlò del barone Brambeus eccetera eccetera.

In conclusioneGoljadkin era soddisfattissimoprima di tutto perché si sentiva completamente tranquilloe poi perché non solo non aveva più alcuna paura dei suoi nemicima era anche prontoadessoa sfidarli tutti alla lotta più decisiva; e infine perché lui stesso in persona accordava la sua protezione e compivaalla fine dei contiuna buona azione. Riconosceva però in fondo al cuoreche in quel momento non era ancora completamente feliceche dentro di lui si nascondeva ancora un tarlopiccolissimo peròche anche in quel preciso momento gli rodeva il cuore. Lo tormentava oltre ogni limite il ricordo della serata in casa di Olsufij Ivànovic'. Avrebbe dato ora chissà che cosa perché niente ci fosse stato di quanto era accaduto la sera prima. "Del restoè cosa da niente!" conclusealla fineil nostro eroee in cuor suo decise fermamente di comportarsi da ora in poi bene e di non commettere più simili errori. Poiché Goljadkin si era adesso completamente rianimato e si sentiva quasi completamente felicegli venne perfino in mente di godersi un po' la vita. Fu portato da Petruska il rum e fu portato un ponce. L'ospite e il padrone di casa ne bevvero un bicchierino per uno e poi fecero il bis.

L'ospite si dimostrò sempre più amabile e da parte sua offrì più di una prova della sua rettitudine e del suo carattere gioioso; partecipava vivamente alla contentezza di Goljadkin e sembrava che si rallegrasse soltanto della sua gioia e lo guardava come il vero e unico suo benefattore. Prese la penna e un foglietto di cartapregò Goljadkin di non guardare quello che stava per scrivere e poiquando ebbe finitofu lui stesso a far vedere al padrone di casa ciò che aveva scritto. Era una quartinascritta con notevole sentimentodel restoe con bello stile e bella calligrafia ecome sembrava evidentecreata dello stesso amabile ospite:

"Se tu mi scorderai giammai ti scorderò; nella vita può tutto accaderema tu non scordarti di me!"

Con le lacrime agli occhi Goljadkin abbracciò il suo ospite ecommosso fino in fondo all'animacominciò a iniziarlo in alcuni suoi misteriosi segretimentre il discorso batteva sempre sullo stesso tasto: Andréj Filìppovic' e Klara Olsùfevna. "Noi due diceva il nostro eroe al suo ospite noi dueJakòv Petrovic'vivremo come l'acqua e il pescecome veri fratelli; noimio buon amicogiocheremo d'astuziala useremo di comune accordoda parte nostra intrigheremo per far loro dispettointrigheremo....

Ma non fidarti di quella gente! Io ormai ti conoscoJakòv Petrovic'e capisco il tuo carattere: tusenza pensarcispiffererai tutto... sei un'anima così sincera! Tufratellostai lontano da tutti loro!" L'ospiteassolutamente d'accordoringraziò Goljadkin; e anche luialla fineversò qualche lacrimuccia. "SaiJascja" continuò Goljadkin con voce tremante e deboletu, Jascja, ti sistemerai qui da me per un po' di tempo o anche per sempre. Ci metteremo d'accordo. Che te ne pare, eh, fratello? Ma tu non turbarti e non mormorare perché c'è oggi tra noi una così strana circostanza: mormorare, fratello mio, è peccato; è opera della natura, questa! E madre natura è generosa, ecco, fratello, Jascja! Questo ti dico perché ti voglio bene, ti voglio bene come un fratello. E noi due, Jascja, giocheremo d'astuzia, gli scaveremo il terreno sotto i piedi e gli faremo abbassare la cresta.Si arrivòfinalmente al terzo e quarto bicchierino di ponce a testa e allora Goljadkin cominciò a provare due sensazioni: la primadi una straordinaria felicitàe la secondadi non potere più star dritto sulle gambe. L'ospitesi capiscefu invitato a pernottare. Su due sedie accostate fu sistemato alla meglio un giaciglio. Il signor Goljadkin numero due dichiarò che sotto un tetto amico era dolce dormire anche sul nudo pavimento; cheper conto suoavrebbe preso sonno ovunque fosse capitatocon umiltà e riconoscenza; che ora si sentiva in paradiso einfineche aveva in vita sua sopportato disgrazie e doloriche ne aveva viste di tutti i coloriaveva sopportato di tutto e - chi può conoscere il futuro? - avrebbe dovutoforsepenare ancora molto. Il signor Goljadkin numero uno protestava e si metteva a dimostrare che bisogna affidare ogni speranza a Dio.

A questo punto Goljadkin prima osservò che i turchisotto un certo punto di vistaavevano ragione invocando il nome di Dio anche nel sonno. Poidiscordandod'altrondecon alcuni saggi su certe calunnie lanciate al profeta turco Maometto e riconoscendo che nel suo genere era un grande politicoGoljadkinpassò all'interessantissima descrizione di una bottega da barbiere algerinadi cui aveva letto in non so quale antologia. L'ospite e il padrone di casa risero molto sulla semplicità d'animo dei turchi; non potevano però negare la dovuta ammirazione per il loro fanatismoeccitato dall'oppio... L'ospitefinalmentecominciò a svestirsie Goljadkin si ritirò dietro il tramezzovuoi per bontà d'animoperché poteva anche darsi che quello non avesse neanche una camicia decente e non era il caso di confondere un uomo cheanche senza quelloaveva già abbastanza sofferto; vuoi per assicurarsi su Petruskatastare il terrenorallegrarlo se fosse stato possibile e anche dimostrargli un po' di affetto affinché fossero ormai tutti felici e non rimanesse sulla tavola del sale sparso. Non bisogna dimenticare che Petruska continuava ancora a preoccupare un po' Goliadkin.

"TuPjotrvattene a dormireadesso" gli disse amorevolmenteentrando nel reparto del suo domestico. "Va' a dormire e svegliami domattina alle otto. CapitoPetruska?" Goljadkin parlò in modo insolitamente affettuoso e dolce. Ma Petruska taceva. Stavain quel momentodandosi da fare intorno al suo letto e non si girò nemmeno verso il padronecosa chenon fosse altro che per un senso di rispetto verso di luiavrebbe dovuto fare.

"EhiPjotrhai sentito quello che ti ho detto?" proseguì Goljadkin. "Ora vattene a letto e domani svegliami alle otto.

Capito?" "Ma sìcapiscoche diavolo c'è di strano?" borbottò tra i denti Petruska.

"Va beneva benePetruska: ti dico questo solo perché sia anche tu tranquillo e felice. Noiorasiamo tutti felicie perciò siilo anche tu! E ora ti auguro la buona notte. DormiPetruskadormi... dobbiamo tutti tirare la carretta... E tufratellonon pensare a chissà che cosasai..." Goljadkin aveva cominciato a dire non so che cosama si fermò.

"Non sarà troppo" pensònon avrò poi detto troppo? Sempre così, io: vado sempre troppo oltre.Il nostro eroe uscì dal reparto di Petruska scontentissimo di sé. Inoltre la ruvidezza e la freddezza di Petruska l'avevano un po' mortificato. "Con quel briccone si scherzaa quel briccone il padrone rende onore e lui resta impassibile" pensò Goljádkin. "Del restoè sempre questa l'infame tendenza di questa razza di gente!" Leggermente barcollandotornò in camera evisto che il suo ospite era già coricatosi mise a sedere un momento vicino al suo letto. "ConfessaJascja" cominciò a dire in un bisbiglio e abbassando la testaconfessa, furfante, che sei pur colpevole di fronte a me! Tu, mio caro omonimo, sai che...continuòscherzando in modo abbastanza familiare con l'ospite. Finalmentedopo un amichevole salutoGoljadkin andò a dormire. L'ospiteintantogià russava. Goljadkin da parte sua cominciò a sdraiarsi nel letto e intantoridacchiando tra sé e sémormorava: "Il fatto è che oggicolombello miosei ubriacoJakòv Petrovic'mascalzone che sei... tuGoljadkin... con questo tuo cognome! Ma suvvia perché ti sei tanto rallegrato? Domanivedraici sarà di che piangerepiagnucolone che sei... che devo fare di te?" A questo punto una sensazione abbastanza strana si impadronì di Goljadkin fin nel profondouna sensazione simile al dubbio o al pentimento. "Mi sono un po' troppo lasciato andare" pensavae adesso sento un frastuono nella testa, e sono ubriaco; non hai saputo resistere, imbecille che non sei altro! hai detto stupidaggini a tutt'andare e ti preparavi anche a fare il furbo, mascalzone! Si sa che il perdono e l'oblio delle offese costituiscono una virtù nobilissima, ma, con tutto ciò, è una cosa che non va! E' proprio così!A questo punto Goljadkin si alzò prese una candela ein punta di piediandò a dare un'occhiata all'ospite addormentato. Rimase a lungo davanti a luiimmerso in profonda meditazione. "Che quadro antipatico! Una buffonataun'autentica buffonatafatta e finita!" Infine Goljadkin si distese nel letto. La sua testa era piena di rumoridi crepitiidi suoni. Cominciò ad addormentarsiad addormentarsi... si sforzava di tener fisso un pensierodi ricordare qualcosa di molto interessantedi risolvere un certo importante problemauna certa delicata questione... ma non ci riusciva. Il sonno arrivò di colpo sulla sua malcapitata testa e sprofondò nel sonno in cui sono solite sprofondare le persone chenon abituate a berehanno ingoiato di colpo cinque bicchieri di ponce in una seratina tra amici.

 

 

NOTE:

  1. Pseudonimo di Senkonskijcritico e letteratofondatore del giornale "Biblioteca di letture".

 

 

8.

 

Il giorno dopo Goljadkin si svegliò come al solito alle otto; eappena svegliogli si ricordò subito degli avvenimenti della sera precedente: se ne ricordò e si rabbuiò in viso.

"Una parte da stupido ho recitato ieri sera!" pensòsollevandosi sul letto e gettando un'occhiata al letto dell'ospite. Ma quale stupore! Nella camera non solo non c'era più l'ospitema nemmeno il letto! "Che significa questo? Che vuol dire questa nuova circostanza?" Mentre Goljadkinsbalorditoguardava a bocca aperta il posto vuotola porta scricchiolò e entrò Petruskache portava il vassoio col tè. "Ma dov'è? Dov'è?" pronunciò con voce appena udibile il nostro eroeindicando col dito il posto occupato la sera prima dall'ospite. Petruska non rispose e non guardò nemmeno il suo padronema girò gli occhi verso l'angolo a destratanto che lo stesso Goljadkin fu spinto a guardare anche lui in quell'angolo. Peròdopo un breve silenzioPetruskacon voce rauca e ruvida rispose "che il padrone non era in casa".

"Sei stupidosai: il tuo padrone sono ioPetruska" esclamò Goljadkin con voce spezzata e guardando con gli occhi sbarrati il suo domestico.

Petruska non risposema fissò Goljadkin in un modo che quello arrossì fino alle orecchie; quello sguardo aveva un'aria di rimprovero così oltraggiosada essere davvero simile a un'ingiuria. A Goljadkin cascaronocome si suol direle braccia.

Finalmente Petruska spiegò che già da un'ora e mezzo "l'altro" se ne era andato e non aveva voluto aspettare. Certamente la risposta era verosimile e credibile; si vedeva che Petruska non mentivache quello sguardo insultante e la parola "l'altro" da lui usatanon era che una conseguenza della notadisgraziata vicendacapiva peròanche se vagamenteche lì c'era qualcosa che non andava e che il destino gli stava preparando ancora qualche altro tironon esattamente gradevole. "Benevedremo disse tra sé vedremo e a suo tempo metteremo tutto in chiaro... AhSignore mio dio!" gemette alla finecon voce ormai del tutto diversa.

"Perché mai l'ho invitatoperché poi ho fatto tutto questo? Ma sono io stesso che vado a ficcarmi nelle loro trame truffaldineio stesso mi metto la corda al collo! Ahtestatesta! Non sei nemmeno capace di trattenerti dal raccontare bugie come un ragazzaccio qualsiasiun qualsiasi giovane di cancelleriacome un qualunque imbecille di impiegatuccioun cencioun puzzolente straccio qualunquepettegolo che non sei altrodonnicciola!... O santi protettori! E anche dei versi ha scrittoil furfantee mi ha fatto una dichiarazione d'amore! Come potrei... Come potrei mostrare la porta in modo adeguato a quel furfantese tornasse?

Si samodi e metodi ce n'è in quantità. Così e così... diròsi sail mio stipendio è limitato... Oppure mettergli un po' di paura addossoin un modo o nell'altrofacendogli presente chedata la situazionesono costretto a dire le cose come stanno... e bisognadiròbisogna pagare a metà vitto e alloggioe i soldi vanno dati anticipatamente. Ehm! no... che il diavolo mi porti...

no! Una cosa simile mi disonorerebbe. Sarebbe assolutamente indelicata! Eccosi potrebbe forse fare in un'altra manieracosì per esempio: suggerire a Petruska qualche idea perché gliene combini qualcunasi mostri in qualche modo negligente verso di luigli risponda con insolenzacostringendolo così a andare via?

Aizzarli così l'uno contro l'altro... Nonoche il diavolo mi porti! Questo è pericoloso e poi anche questoa vederlo da un certo punto di vista... be'nonon va assolutamente!

Assolutamente non va! E se lui non venisse più? Anche questo sarebbe un male? Gliene ho raccontate tante ieri sera! Eh malemale! Ahquesta nostra faccenda è piuttosto mal messa! Ahtestatesta mia maledetta! Non puoi imparare quello che si deve fare!

Be'e se lui tornasse e non accettasse? Voglia Iddio che venga!

Sarei contentissimose venisse: non so che cosa dareiperché venisse..." Così ragionava Goljadkinmentre ingoiava il suo tè e guardava continuamente l'orologio. "Adesso sono le nove meno un quarto: è ora di andare. Ma qualcosa succederà: che diavolo mai succederà?

Vorrei proprio sapere che cosa si nasconde qui di tanto particolare... lo scopole intenzioni e i vari sotto sotto...

Sarebbe bene poter sapere a cosa precisamente miri tutta questa gente e quale sarà il loro primo passo..." Goljadkin non poté resistere oltremise via la pipa senza aver finito di fumaresi vestì e si precipitò in ufficiodesiderandose possibiledi afferrare il pericolo per le corna e di sincerarsi di ogni cosa con la sua personale presenza. E un pericolo c'era: lo sapeva benissimoche un pericolo c'era. "Ma ecco noi... noi ne verremo a capo" mormorava dentro di sé Goljadkin mentrein anticamerasi toglieva cappotto e soprascarpenoi andremo a fondo di tutte queste faccende.

Deciso così ad agireil nostro eroe si ravviò i capelliprese un'aria autorevole e ufficialee era in procinto di entrare nella stanza attiguaquando all'improvvisoproprio sulla sogliasi scontrò col conoscenteamico e compagno della sera prima. Il signor Goljadkin numero due sembrò non accorgersi del signor Goljadkin numero unobenché si fossero scontrati faccia a faccia.

Il signor Goljadkin numero due eraa quanto parevaindaffaratocorreva non so doveansimavaaveva un'aria così ufficialecosì impegnatache ognuno avrebbe potutosembravaleggergli in viso:

"comandato per un incarico particolare..." "Ahsiete voiJakòv Petrovic'!" esclamò il nostro eroeprendendo per un braccio il suo ospite del giorno prima.

"Più tardipiù tardi scusatemi... mi direte più tardi..." quasi gridò il signor Goljadkin numero dueprecipitandosi avanti.

"Però permettete; mi pare che voiJakòv Petrovic'volevate..." "Che cosa? Spiegatevi alla svelta..." A questo punto l'ospite serale si fermò quasi costringendosie con aria scontenta mise il suo orecchio dritto proprio davanti al naso di Goljadkin.

"Vi diròJakòv Petrovic'che io mi meraviglio di questi modi...

di questi modi che evidentemente non mi sarei aspettato da voi." "Per ogni cosa ci sono delle procedure. Presentatevi al segretario di sua eccellenza e poi rivolgetevi nei modi prescritti al signor direttore della cancelleria. Si tratta di una istanza." "VoiJakòv Petrovic'voi... io non so. Mi fate semplicemente restare di stuccoJakòv Petrovic'! Voi certo non mi riconoscete odato il vostro temperamento così allegroavete voglia di scherzare..." "Ahsiete voi!" esclamò Goljadkin numero dueproprio come se giusto in quel momento avesse visto il signor Goljadkin numero uno. "Siete proprio voi? Be'avete passato bene la notte?" A questo punto il signor Goljadkin numero duedopo un leggero sorrisodopo aver sorriso in modo ufficiale e formaleanche se non si sarebbe assolutamente dovuto fare (poichéin ogni casoera comunque in debito di riconoscenza verso il signor Goljadkin numero uno)dopo aver dunque sorriso in modo ufficiale e formaleaggiunse che luida parte suaera molto lieto che il signor Goljadkin avesse passato una buona notte; poi fece un leggero inchinomosse un po' i piedi lì sul postoguardò a destraa sinistraabbassò gli occhiadocchiò una porta laterale e bisbigliando rapidamente che aveva un incarico particolarescivolò svelto svelto nella stanza vicina. Non lo si vide più.

"Ma guarda un po' che roba!" borbottò il nostro eroerimasto per un attimo sbalorditoguarda che roba! Ecco in che situazione ci si ritrova!A questo punto Goljadkin sentì un formicolio corrergli per tutto il corpo...

"Del resto" aggiunsesempre mormorandomentre si avviava alla sua sezionegià da un pezzo io immaginavo una cosa simile; già da un pezzo prevedevo che avesse un incarico speciale; anzi, proprio ieri sera stavo dicendolo, che senza dubbio quell'uomo aveva un incarico speciale per conto di qualcuno...Avete finito, Jakòv Petrovic', la vostra pratica di ieri?domandò Antòn Antònovic' Setoc'kinche si era messo a sedere accanto a Goljadkin. "L'avete qui?" "Sìqui" mormorò Goljadkinrivolgendo al capufficio uno sguardo smarrito.

"Bene bene... Ve l'ho detto perché Andréj Filìppovic' l'ha già richiesta due volte. Badate che sua eccellenza la vorrà." "Nosignoreè pronta." "Benissimoallora." "IoAntòn Antònovic'mi pareho sempre compiuto il mio dovere come si deve e mi prendo cura degli incartamenti affidatimi dai superiorie me ne occupo con zelo." "Sìsìd'accordo. Ma che volete dire con questo?" "NientesignorenienteAntòn Antònovic'. SoltantoAntòn Antònovic'voglio spiegare che... che io... cioè vorrei dire che a volte la cattiveria e l'invidia non risparmiano nessunoe cercano il loro disgustoso pane quotidiano..." "Scusatenon vi capisco assolutamente. Cioèa chi volete alludere?" "Cioèvolevo solo direAntòn Antònovic'che io vado dritto per la mia strada e disprezzo le vie traverseche non sono un intrigante e che di questopurché mi si permetta di esprimermi cosìposso giustamente vantarmi." "Certosignore. Le cose stanno così ealmeno secondo il mio giudiziorendo piena giustizia al vostro ragionamento; ma permetteteJakòv Petrovic'anch'io vi faccio notare che le allusioni personali nella buona società non sono assolutamente permesse; che ioper esempiosono pronto a sopportarle in mia assenza: perché infattichi maiquando è assentenon viene criticato?... Main facciasignor miomettetela come voleteioper esempioio non sopporterò che mi si dicano delle impertinenze. Iosignor mioho fatto i capelli bianchi al servizio dello stato e impertinenzenella mia vecchiaianon me ne lascerò dire..." "NossignoreioAntòn Antònovic'voivedeteAntòn Antònovic'voimi pareAntòn Antònovic'che non abbiate compreso bene. E ioscusateAntòn Antònovic'ioper parte miaposso soltanto ascrivere a mio onore..." "E ora vi prego di scusare anche noisignore. Noi siamo stati educati all'antica. Eper imparare secondo le vostre manieremaniere nuoveè ormai tardiper noi. Per servire la patria mi sembra chefino a oral'intelligenza che abbiamo sia stata sufficiente. Iosignor miocome voi stesso sapeteho il distintivo di venticinque anni di servizio irreprensibile." "Io comprendoAntòn Antònovic'da parte mia comprendo tutto ciò.

Ma non era di questo che io parlavo; parlavo della mascheraAntòn Antònovic'..." "Della maschera?" "Cioèvoi di nuovo... io temo che voi anche qui stiate sbagliando strada per ciò che riguarda il significato dei miei discorsicome voi stesso diteAntòn Antònovic'che le persone che portano la maschera hanno cominciato a non essere più tanto rare e che al giorno d'oggi è difficile riconoscere una persona sotto la maschera..." "Be' sapete? non è poi sempre così difficilea volteanziè abbastanza facile e non è nemmeno necessario andare a cercare tanto lontano..." "Nosignoresapete? IoAntòn Antònovic'dico di me stessodicoche ioper esempiomi metto la maschera soltanto quando è necessariocioè soltanto per il carnevalee per le riunioni allegreparlando in senso proprioma che non mi maschero ogni giorno davanti alla genteparlando in un altro senso più nascosto. Ecco ciò che volevo direAntòn Antònovic'." "Be'ma oralasciamo perdere tutto questo. Non abbiamo tempo" disse Antòn Antònovic'alzandosi dal suo posto e raccogliendo alcune carte per il rapporto a sua eccellenza. "La vostra faccendaimmagino che non ci vorrà molto tempo perché sia chiarita completamente. Vedrete voi stesso chi dovrete incolpare e accusare e intanto vi prego umilmente di esentarmi da ulteriori spiegazioni e da discorsi pregiudizievoli per il servizio..." "Nosignore... IoAntòn Antònovic'" cominciò Goljadkinche era impalliditoalle spalle di Antòn Antònovic' che si allontanava.

"IoAntòn Antònovic'non intendevo affatto questo..." "Ma che diavolo è mai questo?" proseguì tra sé e sé il nostro eroerimasto solo. "Che razza di venti stanno soffiando qui e che cosa significa questo nuovo rovello?" Nel preciso istante in cui il nostro eroesconcertato e mezzo accasciatosi preparava a risolvere questo nuovo problemasi sentì del rumore nella stanza vicinasi notò un certo tramestìola porta si aprì e Andréj Filìppovic'che si era appena allontanato per andare per ragioni d'ufficio nel gabinetto di sua eccellenzacomparve ansimante sulla porta e chiamò Goljadkin.

Sapendo di che cosa si trattava e non volendo far aspettare Andréj Filìppovic'Goljadkin si alzò di scatto dal suo posto ecome si convienecominciò disperatamente a mettere ordine e a dare gli ultimi definitivi ritocchi all'incartamento richiesto e si preparò a dirigersiseguendo Andréj Filìppovic' e l'incartamentoverso il gabinetto di sua eccellenza. All'improvviso e quasi sotto il naso di Andréj Filìppovic' che stava in quel momento proprio sulla portasi infilò nella stanza il signor Goljadkin numero dueindaffaratoansimantespossato dal serviziocon un'aria d'importanza decisamente ufficialee si lanciò dritto dritto verso il signor Goljadkin numero unoche meno di tutti si aspettava un simile assalto...

"Gli incartamentiJakòv Petrovic'gli incartamenti... Sua eccellenza si è degnata di chiedere se li avete pronti" cominciò a cinguettare a mezza voce e con grande rapidità l'amico del signor Goljadkin numero uno. "Andréj Filìppovic' vi aspetta..." "Lo so anche senza di voiche aspetta..." rispose il signor Goljadkin numero unoanche lui in un rapidissimo sussurro.

"NoioJakòv Petrovic'non è questo che voglio dire: ioJakòv Petrovic'io mi interesso della cosa e sono spinto da un senso di affettuosa partecipazione." "Dalla quale vi prego molto umilmente di esentarmi. Permettetepermettete..." "Voinaturalmentedisporrete quegli incartamenti in una copertinaJakòv Petrovic'; e alla terza pagina ci metterete un segnalibropermetteteveroJakòv Petrovic'?" "Permettete voiuna buona volta..." "Ma qui c'è una macchiolina d'inchiostroJakòv Petrovic'; vi siete accorto di questa macchiolina d'inchiostro?" A questo punto Andréj Filìppovic' chiamò per la seconda volta Goljadkin.

"EccomiAndréj Filìppovic'; ioeccosoltanto un momentinoecco qui... Egregio signorecapite il russo?" "Meglio di tutto sarà di raschiarlo con un temperinoJakòv Petrovic'; la cosa migliore è che vi fidiate di me; è meglio che voi non lo tocchiateJakòv Petrovic'fidatevi di me... Io ora un po' col temperino..." Andréj Filippovic' per la terza volta chiamò Goljadkin.

"Mascusatedov'è questa macchietta? Mi sembra proprio che qui non ci sia nessuna macchietta." "E' una macchietta enormeeccola! Eccopermetteteio l'ho vista qui; permettetepermettetemi soltantoJakòv Petrovic'... io qui col temperino un pochinoecco... io proprio per simpatiaJakòv Petrovic'col temperino e con tutta l'anima... ecco... ecco fatto!" A questo punto e in modo del tutto imprevistoil signor Goljadkin numero duesenza dire né a né baavuta la meglio sul signor Goljadkin numero uno nella momentanea lotta nata tra loroe in ogni caso assolutamente contro la volontà di quest'ultimos'impadronì dell'incartamento richiesto dal superiore einvece di procedere a raschiare lealmente col temperinocome aveva con astuzia promesso al signor Goljadkin numero unol'arrotolò in fretta e furiase lo mise sotto il braccio e con due salti arrivò a fianco di Andréj Filìppovic' che non si era accorto di nessuno dei suoi piccoli trucchi e volò con lui nel gabinetto del direttore. Il signor Goljadkin numero uno rimase come inchiodato sul postocol temperino in manocome se si preparasse a raschiare qualcosa...

Il nostro eroe non si era ancora reso ben conto della nuova circostanza. Non si era ancora riavuto. Aveva accusato il colpoma pensava si trattasse di qualcos'altro. In preda a una terribileindescrivibile angosciariuscìinfinea smuoversi dal suo posto e si lanciò dritto filato nell'ufficio del direttoresupplicando il cielostrada facendoche tutto si aggiustasse nel migliore dei modi e si trattasse per così diredi una cosa da niente... Nell'ultima stanzaprima dell'ufficio del direttoresi trovò correndofaccia a faccia con Andréj Filìppovic' e col suo omonimo. Erano già di ritorno; il signor Goljadkin si scostò. Andréj Filìppovic' parlava e sorrideva allegramente. L'omonimo del signor Goljadkin numero uno sorrideva anche luitrotterellando e saltellando a rispettosa distanza da Andréj Filìppovic'e con aria rapita gli bisbigliava non so che cosa all'orecchiomentre Andréj Filìppovic' annuiva con la testa nel modo più benevolo. Di colpo il nostro eroe capì la situazione.

Il fatto era che il suo lavoro (come venne a sapere in seguito)aveva quasi preceduto l'attesa di sua eccellenza e era effettivamente arrivato entro il termine fissato. Sua eccellenza era soddisfattissimo. Si diceva anche che sua eccellenza avesse detto parole di ringraziamento al signor Goljadkin numero duesìproprio di caldo ringraziamento; e aveva detto chenell'occasione propiziase ne sarebbe ricordato e mai l'avrebbe dimenticato...

Si capisce che il primo atto del signor Goljadkin numero uno fu quello di protestare; di protestare energicamentefino alle estreme possibilità. Quasi fuori di sé e pallido come un cadaveresi precipitò da Andréj Filìppovic'. Ma Andrej Filìppovic'dopo aver sentito che la storia del signor Goljadkin era una storia di carattere privatorifiutò di ascoltarlofacendo osservare in modo netto che non aveva un minuto libero nemmeno per ciò che gli poteva servire personalmente.

Il tono secco e l'asprezza del rifiuto colpirono Goljadkin. "Eccoè meglio che io la prenda da un altro lato... eccoè meglio che vada da Antòn Antònovic'". Per disgrazia di GoljadkinAntòn Antònovic' non c'era: era pure lui chissà doveoccupato in chissà che cosa. "Eccodunquenon era senza un preciso propositoeccodunqueperché mi pregava di esimerlo da spiegazioni e discussioni!" pensava il nostro eroe. "Ecco a che cosa mirava il vecchio furfante! Se è così oserò semplicemente di supplicare sua eccellenza".

Sempre pallidissimo e sentendo una gran confusione nella testamolto imbarazzato a proposito della decisione da prendereGoljadkin si mise a sedere sulla sedia. "Sarebbe molto meglio se tutto questo fosse stato soltanto così..." rimuginava continuamente nel cervello. "A dire il verouna faccenda così ingarbugliata pare addirittura inverosimile. Prima di tutto è un'assurditàe poi non può nemmeno accadere. Probabilmentechissà come maimi è solo sembrato che fosse cosìoppure ne è venuta fuori qualche altra cosa e non quello che era in realtà; ocon certezzasono stato io stesso ad andare... e chissà comeho preso me stesso per l'altro... insommaè una faccenda assolutamente impossibile." Appena Goljadkin fu arrivato alla conclusione che si trattava di una faccenda assolutamente impossibileentrò a precipizio nella stanza il signor Goljadkin numero due con un fascio di incartamenti nelle due mani e sotto il braccio. Disse di sfuggita due o tre parole indispensabili ad Andrej Filìppovic'seguite da un breve scambio di frasi con qualcun altro e rivoltosi con familiarità a qualcun altro ancorail signor Goljadkin numero dueche con tutta evidenza non aveva tempo da perdere inutilmentesembrava già che si apprestasse a uscire dalla stanzamaper fortuna del signor Goljadkin numero unosi fermò proprio sulla soglia e si mise a discutere di sfuggita con due o tre giovani impiegati che si trovavano lì per caso. Il signor Goljadkin numero uno si lanciò verso di lui. Appena il signor Goliadkin numero due vide la manovra del signor Goljadkin numero unocominciò subito a guardare inquietissimo in giro come potersela battere al più presto. Ma il nostro eroe aveva già preso per una manica il suo ospite del giorno prima. Gli impiegati che stavano intorno ai due consiglieri titolari si spostarono e rimasero incuriositiin attesa di quello che sarebbe successo. Il consigliere titolare anziano capiva benissimo che la buona opinione non eraoradalla sua partecapiva benissimo che si ordivano intrighi contro di lui: tanto più era necessarioalloradarsi forza. Era un momento decisivo.

"Ebbene?" prese a dire il signor Goljadkin numero dueguardando con aria abbastanza insolente il signor Goljadkin numero uno.

Il signor Goljadkin numero uno aveva il respiro affannato.

"Non soegregio signore cominciò in quale modo vorrete ora spiegare il vostro strano comportamento nei miei confronti." "Avantisignorecontinuate!" E il signor Goljadkin numero due si guardò intorno e strizzò l'occhio agli impiegati che erano lì vicinocome per far capire che stava veramente per iniziare la commedia.

"L'insolenza e la sfacciataggine del vostro comportamento verso di meegregio signorenel presente caso vi accusano ancora più delle... mie stesse parole. Non sperate nel vostro gioco: è piuttosto fragile..." "DunqueJakòv Petrovic'ditemi un po' ora come avete passato la notte..." rispose il signor Goljadkin numero duefissando negli occhi il signor Goljadkin numero uno.

"Voiegregio signoreandate al di là di ogni limiteal di là delle convenienze" disse il consigliere titolarecompletamente smarritosentendo appena il pavimento sotto i piedi. "Spero che cambierete tono..." "Animuccia mia!" esclamò il signor Goljadkin nume duedopo aver fatto una smorfia piuttosto indecente al signor Goljadkin numero unoe di colpoin un modo del tutto inattesocon l'aria di vezzeggiarlogli afferrò con due dita la guancia destradiscretamente grassoccia. Il nostro eroe avvampò come brace.

Appena il signor Goljadkin numero due si rese conto che il suo avversariopreso da un tremito in tutte le membramuto dallo stuporerosso come un gamberoeinfinespinto ai limiti estremiavrebbe anche potuto decidersi a un vero e proprio attaccoimmediatamente e nella maniera più svergognata lo anticipò. Dopo avergli dato ancora due buffetti sulle guancee avergli fatto un po' di solleticotrastullandosi così ancora qualche secondo con luiche se ne stava immobile e fuori di sé dalla rabbianon senza gran divertimento della gioventù che li circondavail signor Goljadkin numero duecon una ripugnante sfacciataggineassestò definitivamente un colpetto sulla pancetta sporgente del signor Goljadkin numero unoe accompagnandolo col più velenoso e allusivo sorrisogli disse:

"Tu te la spassifratellinoJakòv Petrovic'tu te la spassi!

giocheremo di astuzia noi duegiocheremo di astuzia!" Poie prima che il nostro eroe potesse a poco a poco riprendersi dall'ultimo attaccoil signor Goljadkin numero due improvvisamente (dopo aver rivolto un sorrisetto preliminare agli spettatori che li circondavano) prese l'aria più affaccendatapiù indaffarata e più ufficialeabbassò gli occhi a terrasi contrasse tuttosi fece più piccolo edopo aver detto in fretta e furia "per incarico speciale"slanciò la sua gambetta corta e scivolò nella stanza accanto. Il nostro eroe non credeva ai suoi occhi e non ce la faceva a riprendersi...

Finalmente si rimise in sesto. Resosi contoin un attimodi essere perdutodi essere in un certo senso annientatodi essersi sporcato e di aver macchiato la propria reputazionedi essere stato preso per il bavero e sputacchiato alla presenza di estraneidi essersi proditoriamente beccato degli insulti da colui che ancora il giorno prima considerava il suo primo e più intimo amicodi essere infine disperatamente cadutoGoljadkin si lanciò all'inseguimento del suo nemico. In quel momento non voleva nemmeno più pensare ai testimoni dell'oltraggio subìto.

"Tutti costoro fanno comunella uno con l'altro" diceva tra sé e séuno vale l'altro e uno incita l'altro contro di me.Peròfatti appena dieci passiil nostro eroe si rese conto che tutti gli inseguimenti erano rimasti vani e inutilie perciò tornò indietro. "Non te la passerai liscia" pensava; "al momento giusto avrò partita vinta e sul lupo ricadranno le lacrime delle pecore." Con grande sangue freddo e con la più energica decisioneGoljadkin arrivò fino alla sedia e vi si mise a sedere. "Non te la passerai liscia!" disse ancora una volta tra sé. Adesso non si trattava più di una qualunque difesa passiva; c'era nell'aria l'odore di un prossimo attacco decisivoe chi vide in quel momento come Goljadkinarrossendo e frenando a fatica la sua agitazioneintinse la penna nel calamaio e con quale furore prese a farla andare su e giù sulla cartafu già in grado di giudicare in anticipo che la cosa non sarebbe andata così liscia e che non avrebbe potuto sistemarsi in una qualche maniera da donnicciola.

Nel profondo della sua anima prese una decisione e nel profondo del cuore giurò di mantenerla. A dire il vero non sapeva ancora proprio bene come avrebbe dovuto andare avanticioèper meglio direnon lo sapeva per niente; ma era lo stessopoco importava!

"Con l'impostura e la sfrontatezzasignore egregionel nostro secolo non si raggiunge lo scopo. L'impostura e la sfrontatezzamio egregio signorenon portano al benema dritto dritto alla forca. Soltanto Griska Otrepev (1)signor mioriuscì con l'impostura a ingannare un popolo ciecoma anche lui non per molto." Nonostante quest'ultima circostanzaGoljadkin decise di aspettare fino a quando la maschera sarebbe caduta da certe facce e in un modo o nell'altro si sarebbe fatta luce su tutto. Perciò in primo luogo bisognava che finisse al più presto l'orario d'ufficio e il nostro eroe decise che prima di allora non avrebbe preso nessuna iniziativa. Poiquando fosse finito l'orario d'ufficioavrebbe messo in opera un certo provvedimento. Già allora sapeva come avrebbe dovuto agiredopo aver preso quel provvedimentocome predisporre il suo piano d'azione per rompere le corna all'arroganza e schiacciare il serpenteche morde la polvere nella viltà dell'impotenza. Goljadkin non poteva proprio permettere che lo si strizzasse come uno straccio col quale si puliscono gli stivali infangati. Acconsentire a questono davveroin particolare in questo caso. Se non fosse stato per quell'ultimo orroreil nostro eroeforsesi sarebbe convintoanche se a malincuoresi sarebbe convintodunquea tacerea rassegnarsi e a non protestare con troppo accanimento; cosìavrebbe discusso un po'avrebbe anche avanzato qualche pretesaavrebbe dimostrato di essere dalla parte della ragionepoi avrebbe ceduto un pochino e poiforseancora un altro pochinoe infine avrebbe ceduto del tutto e poispecialmente quando gli avversari avessero solennemente riconosciuto che la ragione era dalla suapoiforsesi sarebbe anche rassegnato e anche un po' commossoe anche - chi lo può sapere? - forse sarebbe rinata una nuova amiciziaun'amicizia solida e caldaancora più grande di quella di ieritanto che questa amicizia avrebbe potutoalla finesuperare definitivamente il disappunto di una somiglianza abbastanza sconveniente tra due personedi modo che i due consiglieri titolari sarebbero stati felici al massimo e sarebbero vissutiinfinefino a cento anni eccetera eccetera. Per dirla tutta: Goljadkin cominciava addirittura a sentire un po' di pentimento per aver voluto prendere le difese di sé e del suo buon diritto e per essersene subito pentito.

"Se si sottomettesse pensava Goljadkin se ammettesse di aver scherzatogli perdonereilo perdonerei anche di piùpurché lo riconoscesse a voce alta. Ma non permetterò di essere calpestato come un vecchio straccio. Io non ho dato il permesso di calpestarmi a altre persone e tanto meno consentirò che un uomo depravato si azzardi di farlo. Io non sono uno straccio; iosignor mionon sono uno straccio!" A farla breveil nostro eroe prese una decisione: "Siete voisignor mioil colpevole!" Decise di protestaredi protestare con tutte le forze fino all'estrema possibilità.

Era un tipo cosìquell'uomo! Non poteva assolutamente permettere che lo si offendesse e tanto meno acconsentire al fatto che lo si calpestasse come un vecchio straccio néinfinearrivare a permettere questo a un uomo depravato. Non discutiamodel restonon discutiamo. Forsese qualcuno avesse volutose qualcuno avesse assolutamente volutoper esempioridurre Goljadkin a uno straccioce l'avrebbe ridottoce l'avrebbe ridotto senza opposizioni e con il massimo dell'impunità (Goljadkin stesso in alcuni momenti ci si sentiva)e ne sarebbe venuto fuori uno straccio e non più Goljadkin... Sìne sarebbe venuto fuori un vilesudicio straccioma non sarebbe stato un semplice straccioma uno straccio con dell'orgogliosarebbe stato uno straccio dotato di animazione e di orgoglioanche se di orgoglio modesto e di sentimenti altrettanto modestinascostisìnella profondità delle pieghe di questo straccioma pur sempre sentimenti...

Le ore non passavano mai; finalmente suonarono le quattro. Poco dopo tutti si alzarono eseguendo il caposi mossero ognuno verso la propria casa. Goljadkin si mescolò alla folla; i suoi occhi erano bene aperti e non perdevano di vista chi di dovere.

Finalmente il nostro eroe vide che il suo amico era corso verso i custodi della cancelleria che consegnavano i cappotti esecondo la sua vile abitudinetrotterellava lì intorno in attesa del soprabito. Era il momento decisivo. Non so come Goljadkin riuscì a fendere la folla enon volendo restare indietrosi diede da fare pure lui per avere il cappotto. Ma diedero il cappotto prima all'amico e conoscente di Goljadkinperché quellosecondo le sue abitudiniera riuscito a intrufolarsia fare moinea soffiare negli orecchi qualche parolina e a comportarsiinsommain modo abietto.

Indossato il cappottoil signor Goljadkin numero due guardò con aria ironica il signor Goljadkin numero unofacendolo apertamente e mostrando con tutta chiarezza il suo disprezzo; poicon quella sfrontatezza tutta suadiede un'occhiata in girosgambettò ancora - probabilmente per lasciare una favorevole impressione di sé - intorno agli impiegatidisse una parola a unomormorò qualcosa a un altrosi strofinò umilmente a un terzoa un quarto rivolse un sorrisodiede la mano al quinto e allegramente trotterellò giù per le scale. Il signor Goljadkin numero uno lo seguìe con indescrivibile suo piacerelo raggiunse all'ultimo gradino e lo afferrò per il bavero del cappotto. Il signor Goljadkin numero due sembrò un po' sconcertato e si guardò intorno con aria smarrita.

"Che significa questo?" mormorò finalmentecon voce debolea Goljadkin.

"Egregio signorese voi siete appena appena un uomo come si devespero che ricorderete i nostri amichevoli rapporti di ieri" dichiarò il nostro eroe.

"Ahsì! Ebbeneche c'è? Avete passato una buona notte?" Il furore paralizzò per un momento la lingua del signor Goljadkin numero uno.

"L'ho passata benissimo... Ma permettete che vi dicaegregio signoreche il vostro gioco è imbrogliato al massimo..." "Chi lo dice? Questo lo dicono i miei nemici" rispose a scatti colui che si definiva signor Goljadkine così dicendo si liberò inaspettatamente dalle deboli mani del vero Goljadkin. Una volta liberosi precipitò giù dalle scalesi guardò intorno evista una vetturavi corse incontrovi saltò sopra e in un attimo scomparve alla vista del signor Goljadkin numero uno. Disperato e abbandonato da tuttiil consigliere titolare si guardò intornoma non c'erano altre vetture. Provò a correrema le gambe non lo reggevano. Col viso stravoltoa bocca apertachiuso in se stessoannientato e senza forzesi appoggiò a un lampione e rimase qualche momento cosìin mezzo al marciapiede. Sembrava che per Goljadkin tutto fosse perduto...

 

 

NOTE:

  1. Grigorij Otrepevil monaco che si fece passare per figlio di Ivan il terribile e riuscì a detronizzare Borìs Godunòvnel 1604. Ma due anni dopo fu ucciso dai cortigiani.

 

 

9.

 

 Sembrava che ogni cosa e la natura stessa si fossero armate contro Goljadkin; ma era ancora in piedi e non ancora vinto; sentiva di non essere vinto. Era pronto alla lotta. Ripresosi dal primo stuporesi stropicciò le mani con tanto sentimento e tanta energia cheal solo vederlosi sarebbe potuto concludere che Goljadkin non avrebbe ceduto. Del restoil pericolo era lìsotto il nasoera evidente; Goljadkin sentiva anche questoma come affrontarloquel pericolo? Ecco il problema. Per un istantenella testa di Goljadkin frullò perfino il pensiero se non avrebbe invece dovuto lasciare le cose com'erano e rinunciaresemplicemente. "Be'che c'è? Niente. Io me ne starò per conto miocome se non fossi io" pensava Goljadkin; "lascio perdere tutto; non sono ioe tutto è finito: lui pureforsese ne starà per conto suo; brancolerà un po'il birbantecertosi rigireràma finirà con il piantarla pure lui. Sicuroecco come stanno le cose! Io raggiungerò lo scopo con la rassegnazione. E poidov'è il pericolo? E che pericolo c'è? Vorrei proprio che qualcuno mi facesse vedere un pericolo in questa faccenda. E' una cosa da niente! Una storia comunissima!" A questo punto Goljadkin si fermò. Le parole gli morirono in gola; poi arrivò addirittura a insultarsi per quel pensiero e giunse al punto di convincersi di essere un vile e meschino per avere avuto quel pensierola faccenda però non si mosse di un'unghia dal punto in cui si trovava. Si rendeva conto che per lui era una inevitabile necessità prendere una decisione in quel preciso momento; si rendeva perfino conto che avrebbe dato chissà cosa a chi gli avesse indicato quale decisione dovesse davvero prendere.

Be'ma come indovinarla? D'altrondemancava anche il tempo per provare a indovinarla. In ogni casoper non perdere minuti preziosinoleggiò una carrozza e via a casacome il vento.

"Ebbene? come ti senti adesso?" pensò. "Come favorite di sentirviJakòv Petrovic'? che cosa hai intenzione di fare? Che cosa farai adessofarabutto che seicanaglia che non sei altro! Ti sei ridotto a questo punto e ora piangi e frignieh!" Così prendeva in giro se stesso Goljadkinsobbalzando sullo scricchiolante trabiccolo del suo "vankal" (1). Stuzzicarsi e rimestare così nelle proprie ferite dava in quel momento a Goljadkin una certa soddisfazionequasi una voluttà. "Se ora" andava pensandomi si presentasse un qualche mago o se, in via ufficiale, mi toccasse fare in un modo piuttosto che in un altro, e mi si dicesse: su, Goljadkin, da' un dito della mano destra e i conti saranno pari: non ci sarà più un altro Goljadkin e tu sarai felice, ma ti mancherà un dito; lo darei immediatamente il dito, senz'altro lo darei, lo darei senza la più piccola smorfia di dolore. Che i diavoli si portino via tutto!esplose alla fine il disperato consigliere titolare. "Ma viache cos'è tutto questo?

Mainsommabisognava proprio che capitasse tutto questoproprio questoeccoveramente tutto questocome se non fosse stato possibile che succedesse qualcos'altro? All'inizio tutto andava a meravigliatutti erano felici e contenti; e invece nodoveva capitare proprio questo! Del restoperòcon le parole non risolverai proprio nulla. Bisogna agire." Cosìpresa quasi una decisioneGoljadkinentrato nel suo appartamentosenza aspettare un minuto afferrò la pipa e tirando a tutta forza e lanciando sbuffate di fumo a destra e a sinistrain preda a una grande agitazionecominciò a camminare velocemente avanti e indietro per la stanza. Intanto Petruska si mise ad apparecchiare la tavola. Finalmente Goljadkin arrivò a una definitiva decisione: mise via la pipasi buttò il cappotto sulle spalledisse che non avrebbe pranzato in casa e uscì di corsa dall'appartamento. Sulle scale fu raggiunto da Petruska chetutto ansimantegli portava il cappello che aveva dimenticato.

Goljadkin prese il cappello e aveva quasi voglia di trovare una sia pur piccola giustificazione agli occhi di Petruskaperché quello non dovesse pensare a qualcosa di particolarecomeeccoa una circostanza tale per cui aveva dimenticato il cappello eccetera eccetera; mavisto che Petruska non volle nemmeno guardarlotornandosene subito indietroGoljadkinsenza perdersi in ulteriori spiegazionisi ficcò in testa il cappelloscese di corsa le scale edicendo tra sé e sé che tuttoforsesi sarebbe risolto per il meglio e che la faccendain un modo o nell'altrosi sarebbe aggiustataanche se tra l'altro sentiva un certo freschetto corrergli addirittura per i calcagniuscì in stradanoleggiò una vettura e volò da Andréj Filìppovic'.

"Perònon sarebbe meglio rimandarla a domani?" si chiese Goljadkin quando fu sul punto di afferrare il cordone del campanello alla porta dell'appartamento di Andréj Filìppovic'.

"Che gli dirò di speciale? Quidel restodi speciale non c'è proprio niente. Si tratta di una faccenda così meschinain sostanzaproprio così meschinasìè una faccenda così meschinada nientecioè quasi da niente... è anch'essacome tutto il restouna semplice circostanza..." D'improvviso Goljadkin tirò il campanello; il campanello tintinnò e dall'interno arrivò un rumore di passi... A questo punto Goljadkin si maledisse addiritturavuoi per la sua fretta e vuoi per l'audacia. I recenti dispiaceridei quali Goljadkin si era quasi dimenticato tra le faccende d'ufficio e il battibecco di poco prima con Andréj Filìppovic'gli si affacciarono in un lampo alla memoria. Ma ormai era troppo tardi per correre via: l'uscio si aprì. Per fortuna di Goljadkin gli fu detto che Andréj Filìppovic' non era tornato dall'ufficio e che non avrebbe pranzato in casa. "So dove pranza" pensò il nostro eroe. "Pranza al ponte Izmajlovskij e fu preso da un enorme senso di gioia. Alla richiesta del cameriere che cosa dovesse riferire al signore, rispose: Digliamico mioche io sto beneche ioamico mioripasserò" e di corsastarei per dire baldanzosamenteridiscese le scale. Uscito in strada decise di licenziare la vettura e si apprestò a pagare il vetturino. Quando poi il vetturino gli chiese un soprappiù perché: "Signorevi ho aspettato per un bel po' e per voi non ho risparmiato il cavallo"diede all'uomo un'aggiunta di cinque copechi e lo fece anche volentieri; e poi si avviò a piedi.

"La faccendaa dire il veroè combinata in un modo" rimuginava Goljadkin "che non è possibile lasciarla così come sta; d'altrondea ragionarci sue a giudicare con buonsensoche motivo c'è per affannarsi tanto? Suvvialo dirò sempreperòperché mi ci devo tanto affannare? perché affaticarmilottaretormentarmi e battermi? In primo luogo è ormai cosa fatta e tornare indietro non si torna... non si tornano... Ragioniamo così: si presenta un tizio... si presenta un tizio con una raccomandazione sufficientecioè che è un impiegato capacedi ottima condottaperò è povero e è passato attraverso diversi guai - questo e quest'altro... - e poichési sala povertà non è un vizioiodunqueme ne sto in disparte. Be'in verità che razza di assurdità sarebbe mai? Dunque quello si presentasi sistemagrazie alla natura stessa; quel tizio si sistema e somiglia a un altro uomo come una goccia d'acqua somiglia a un'altracome se fosse la copia perfetta di quell'altro: sarebbe un motivo questo per non accettarlo al dipartimento? Visto che il destinosoltanto il destino e la cieca natura ci hanno colpaperché si dovrebbe calpestarlo come un cencio vecchio e non permettergli di prestare servizio? Se dovesse succedere cosìdove andrebbe a finire la giustizia? E poi quel tizio è poverosmarritospaventato; fa dolere il cuoree la pietà ci impone di non respingerlo. Sicuro!

non c'è niente da dire... Che razza di superiori sarebbero se ragionassero come metesta balorda che sono! Ma che zucca è mai la mia! Capace di combinare stupidate per dieci! Nono! Hanno fatto bene e li ringrazio per aver dato aiuto a un poveretto...

Ebbenesìammettiamoper esempiodi essere gemellidi essere nati cosìsicuro... basta... è tutto qui! Be'che c'è di strano?

Proprio nientemi pare... E' possibilissimo che tutti gli impiegati ci si abituino... e un estraneo qualsiasi che entrasse nel nostro ufficio non troverebbe certo niente di sconveniente e di offensivo in una circostanza di questo tipo. Anzidirei che ci sia in essa un non so che di toccante; potrebbe venirne fuoridiciamoquesto pensiero: guarda un po'... la divina Provvidenza ha creato due esseri perfettamente ugualie i superiori di buon cuoreconsiderata la divina Provvidenzahanno accolto i due gemelli. Certo" continuò Goljadkintirando il fiato e abbassando un po' la vocecerto... certo sarebbe meglio che non ci fosse niente, niente di tutto questo, niente di commovente e che non ci fosse nessun gemello... Che il diavolo si porti via tutto! A che scopo era necessario tutto questo? E che bisogno c'era così urgente da non sopportare nessun indugio? Signore dio mio! Ma vedi un po' che razza di pasticcio mi hanno preparato i diavoli! C'è questo, però, che lui ha un caratterino, così puntiglioso e cattivo, è un tale furfante... un tale mascalzone, un tale farfallone e che razza di leccapiatti e... che razza di Goljadkin!... Capace anche di comportarsi male e di sputacchiare sul mio nome, quel farabutto! E adesso tu, ecco, tienilo d'occhio e prenditi cura di lui! Che po' po' di castigo è questo! Del resto, poi, che c'è? Non ce n'è mica bisogno! Be', è un mascalzone, e malscalzone sia... ma l'altro è onesto. Insomma, lui sarà mascalzone, ma io sarò onesto e si dirà, ecco, che questo Goljadkin è un mascalzone e non badategli e non confondetelo con l'altro; quest'altro, invece, è onesto, è un galantuomo, è mite, fidatissimo per tutto ciò che riguarda il servizio e degno che lo si faccia andare su nei gradi, sicuro! Tutto bene, dunque... Ma se quelli là... se quelli là facessero confusione? Da quel tipo c'è da aspettarsi qualsiasi cosa! Ah, Signore mio dio! Quello scalzerà l'altro, lo scalzerà... è un tale mascalzone... scalzerà l'altro come uno straccio vecchio e non penserà che un uomo non è uno straccio. Ah, Signore mio dio! Che infelicità è questa!Ecco cherimasticando e ragionando cosìGoljadkin andava di corsa senza stare minimamente attento alla strada e senza sapere nemmeno lui dov'era che andava. Si riprese soltanto sul Nevskij Prospèkte anche qui per un puro casoperché andò a sbattere così in pieno e con tanta precisione contro uno che passava da far scaturire scintille. Goljadkinsenza nemmeno alzare la testaborbottò qualche scusa e soltanto quando il passantemormorando qualcosa di non troppo lusinghierodi certoera già a una certa notevole distanzaalzò il naso e guardò dove si trovasse e come mai fosse capitato lì. Data un'occhiata intorno e accortosi che si trovava proprio vicino a quel ristorante dove si era riposato per prepararsi al gran pranzo in casa di Olsufij Ivànovic'il nostro eroe sentì di colpo certi colpetti e pizzicotti allo stomaco che gli fecero ricordare che non aveva pranzato e che nessun pranzo di gala era prevedibile e perciòper non perdere altro tempo per lui preziososalì di corsa la scala del ristorante per mandare giù un boccone alla sveltacercando di affrettarsi il più possibile per non fare tardi. Ebenché nel ristorante tutto fosse piuttosto caroquesto fatto questa volta non trattenne Goljadkin; non c'era proprio il tempooraper far caso a simili piccolezze.

Nella sala vivamente illuminatavicino al banco su cui era preparato con grande abbondanza tutto quello che le persone perbene richiedono come antipastoc'era una discreta folla di clienti. Il cameriere al banco faceva appena in tempo a versare le bevandea servirea prendere e a consegnare il denaro. Goljadkin aspettò il suo turno equando arrivòtese modestamente la mano verso un pasticcino ripieno. Ritiratosi in un angolo dando le spalle ai presentimangiò con appetitopoi si girò verso il cameriereposò sul banco il suo piattino esapendo già quanto avrebbe dovuto pagaretirò fuori dieci copechi d'argento e mise la moneta sul bancocercando di cogliere lo sguardo del cameriere come a dirgli: "Ecco quila moneta per un pasticcino ripieno: è qui sul banco..." eccetera eccetera.

"Un rublo e dieci copechi" mormorò tra i denti il cameriere.

Goljadkin rimase sbalordito.

"Dite a me?....Io... io... mi pare di avere un pasticcino solo." "Undici ne avete presi" rimbeccò con sicurezza il cameriere.

"Voi... a quanto mi pare... voi... credo... siete in errore...

Credo davvero di averne preso uno solo." "Li ho contati: avete preso undici pezzi. Dal momento che li avete presibisogna pagarli. Qui non si dà niente gratis." Goljadkin era paralizzato. "Che diavolo succede? Che stregoneria si mi stanno facendo?" si chiedeva. Il cameriereintantoaspettava che si decidesse; la gente cominciava a farglisi intorno; Goljadkin aveva già ficcato la mano in tasca per tirarne fuori un rublo d'argento e pagare immediatamente e non piombare in pieno in un altro guaio.

"Be' se sono undiciundici siano..." pensavafacendosi rosso come un gambero; "che c'èinfinedi strano che si siano mangiati undici pasticcini? Be'... uno ha fame e si mangia undici pasticcini... be'buon pro gli facciano; e non c'è proprio niente da stupirsi e niente da ridire..." All'improvviso fu come se qualcosa lo avesse punto; alzò gli occhi e... di colpo ecco la rivelazione dell'enigma... della stregoneriadi colpo tutte le difficoltà svanirono... Sulla porta che dava nella sala vicinaquasi dietro la schiena del cameriere e di fronte a Goljadkinsulla porta chetra l'altroil nostro eroe avea fino a quel momento preso per uno specchiostava dritto un ometto... stava dritto luistava dritto lo stesso Goljadkinnon il vecchio Goljadkinnon l'eroe della nostra storiama l'altro Goljadkinil nuovo Goljadkin. L'altro Goljadkin era evidentemente di ottimo umore. Sorrideva al signor Goljadkin primogli faceva cenno con la testastrizzava gli occhiettisgambettava e guardava come per dire chese appena appena fosse successo qualcosalui se la sarebbe data a gambe nell'altra stanza e di làmagariper la porta di serviziosi sa... e tutti gli inseguimenti sarebbero stati inutili. Aveva in mano l'ultimo pezzetto del decimo pasticcino ripieno cheproprio davanti agli occhi di Goljadkinsi portò alla boccafacendo schioccare le dita dal piacere. "Mi ha sostituitoil briccone!" pensò Goljadkinrosso come il fuoco per la vergogna "non ha avuto un po' di pudorecosì in pubblico! Ma gli altrinon lo vedono?

Sembra che nessuno se ne accorga..." Goljadkin gettò il rublo d'argento come se gli scottasse le dita erinunciando a fare caso al significativoinsolente sorriso del cameriereun sorriso di vittoriosa e calma potenzasi fece strada tra la folla e si lanciò fuori senza più guardare indietro. "Posso ringraziarlo chealmenonon ha definitivamente compromesso un uomo!" pensò il vecchio Goljadkin. "Siano grazie a quel banditoa lui e al destinoperché tutto è finito bene. Soltanto il cameriere è stato insolente. Ma che c'è poi? era pure nel suo dirittolui! Faceva un rublo e dieciperciò era nel suo diritto. L'ha detto: senza denaro da noi non si dà niente! Se almeno fosse stato un po' più garbatoquel fannullone." Tutto questo andava pensando Goljadkin scendendo dalla scala verso l'atrio. All'ultimo gradinoperòsi fermò come inchiodatoe di colpo arrossi così violentemente che gli vennero persino le lacrime agli occhi per un eccesso di penoso amor proprio. Dopo essere rimasto immobile come un palo per mezzo minutocon gesto deciso batté il piedecon un balzo saltò i gradini e si trovò sulla via e senza voltarsi indietro si precipitò a casa sua nella via delle Sei Botteghe. Làtrascurando persino di togliersi la giaccacontrariamente all'abitudine di starsene in casa in libertà e di prendersi come prima cosa la pipasi mise a sedere in fretta sul divanoavvicinò a sé il calamaioafferrò la pennatirò fuori un foglio di carta da lettere e cominciò a scriverecon mano tremante per l'intima agitazionela lettera seguente:

"Egregio signor Jakòv Petrovic'non avrei mai preso la penna se le circostanze in cui mi trovo e voi stessoegregio signorenon mi avessero costretto a farlo.

Credete che soltanto la forza maggiore mi ha costretto ad arrivare a una simile spiegazione con voi e perciò vi prego prima d'ogni cosa di considerare questo mio atto non come una premeditata intenzione di offenderviegregio signorema come una necessaria conseguenza delle circostanze che attualmente ci legano."

"Mi sembra che vada beneche sia cortesedecorosaanche se non priva di forza e di decisionenon è vero? Mi pare che qui non ci sia di che offendersi. Eoltre a questoio sono nei miei diritti" pensò Goljadkin rileggendo le righe già scritte.

"La vostra inattesa e strana comparsaegregio signorein una notte burrascosadopo il brutale e indecoroso comportamento dei miei nemiciil cui nome ometto in segno di disprezzoè stato il germe di tutti gli equivoci che attualmente esistono tra noi. La vostra ostinata volontàegregio signoredi non cedere e di entrare a forza nel cerchio della mia vita e di tutte le contingenze della mia personale attivitàva oltre i limiti richiesti dalla sola cortesia e dalla semplice convivenza. Io credo che non sia qui il caso di ricordare l'appropriazione da voi commessaegregio signoredelle mie carte e in special modo del mio onorato nome per conquistarvi la benevolenza dei superioribenevolenza da voi non meritata. E non è neppure il caso di ricordare qui le vostre offensive e premeditate acrobazie per evitare le spiegazioni indispensabili al caso. Finalmenteper dire tuttonon voglio nemmeno ricordare qui l'ultimo strano esi può affermareincomprensibile vostro comportamento nei miei confronti al caffè. Lontana da l'intenzione di fare questioni per la spesaper me superfluadi un rublo d'argento; ma non posso esimermi dall'esprimere tutto il mio sdegno al ricordo dell'evidente attentato da voi fattoegregio signorea danno del mio onore eper di piùalla presenza di varie personeanche se a me sconosciutema tuttavia di ottime maniere..."

"Ma forse non oltrepasso i limiti?" pensava Goljadkin. "Non sarà troppo? Non sarà troppo offensiva questa allusione alle buone maniereper esempio?... Ma nonon importa! Bisogna mostrare fermezza di carattere. Del resto si puòtanto per attenuareadularlo e ungerlo un po'alla fine. Ma ora si vedrà."

"Ma io non sarei qui a stancarvi con la mia letteraegregio signorese non fossi fermamente convinto che la nobiltà dei vostri cordiali sentimenti e il vostro apertoretto carattere indicheranno a voi stesso i mezzi per riparare a tutte le mancanze e per ristabilire ogni cosa come era in precedenza.

Con questa certezzaoso sperare che voi non considererete la mia lettera offensiva per voi e nello stesso tempo non rifiuterete di darmi precise spiegazioni per iscrittosu questi incidentitramite del mio cameriere.

In attesa ho l'onore di essereegregio signoreil vostro umilissimo servo Ja. Goliadkin."

"Benetutto a posto. Ormai la cosa è fatta: siamo arrivati anche a scrivere. Ma chi è il colpevole? E' luiil colpevole: è lui che mette un uomo nella necessità assoluta di esigere documenti scritti. Ma io sono nel mio diritto..." Dopo aver riletto per l'ultima volta la letteraGoljadkin la mise nella bustala sigillò e chiamò Petruska. Petruska comparvecome suo solitocon gli occhi pieni di sonno e irritatissimo per non so che cosa.

"Tumio caroporta questa lettera... capisci?" Petruska taceva.

"Prendila e portala al dipartimento: là cerca l'impiegato di turnoil segretario provinciale Vachrameiev. E' lui di turnooggi. Capito?" "Sìcapisco." "Capisco! Non puoi dire: capiscosignore? Chiederai dell'impiegato Vachrameiev e gli dirai che per favore così così...: il mio padrone ha ordinato di salutarvi e di chiedervi umilmente di cercare nel libro degli indirizzi del nostro ufficio dove abita il consigliere titolare Goljadkin." Petruska non rispose nulla maa quanto sembrò a Goljadkinfece un sorrisetto.

"Suvviadunque: tutuPjotrgli chiederai l'indirizzo e saprai dovedicodove abita l'impiegato Goljadkin recentemente assunto." "Va bene." "Gli chiederai l'indirizzo e a quell'indirizzo porterai questa lettera. Capito?" "Capisco." "Se là... eccose là dove porterai la lettera... quel signore al quale consegnerai la letteraquel Goljadkininsomma... che hai da rideretanghero?" "Perché dovrei ridere? A me che importa! Non dico nienteio...

Noi non abbiamo niente da ridere..." "Be'ecco... se quel signore ti chiederà per caso come sta il tuo padroneche cosa fa... se insomma... cercherà di farti parlaretu taci e rispondigli chesìil tuo padrone sta discretamente e pregaper favoredi dargli una risposta di suo pugno. Capito?" "Capiscosignore." "Benecosìeccodigli: il mio padrone sta abbastanza benediglie si sta preparando per andare a fare una visita: e vi chiededigliuna risposta scritta. Capito?" "Capisco." "E allora va'!" "Maguarda un po' come ci si deve affaticare con questo tanghero!

Ride dentro di séne sono certo. Ma di che cosa ride? Doveva proprio capitarmi una disgraziaproprio così doveva capitarmi una disgrazia! Del restoperòforse le cose volgeranno al meglio...

Questo mascalzone adessodi certo vagabonderà per due ore almeno e andrà a ficcarsi chissà dove... Non lo si può mandare da nessuna parte. Che disgrazia! Ma guarda che disgrazia mi è capitata tra capo e collo!" Conscio in tal modo della sua disgraziail nostro eroe decise di aspettare passivamente il ritorno di Petruska per due ore almeno.

Per circa un'ora misurò avanti e indietro la stanzafumòpoi mise via la pipa e si mise a sedere con un libro in manopoi si sdraiò sul divanopoi riprese ancora la pipae poi di nuovo cominciò a sgambettare per la stanza. Voleva mettersi a riflettere un po'; ma proprio non ce la faceva. Infine l'agonia di quel suo stato passivo aumentò a tal punto che Goljadkin decise di prendere qualche provvedimento.

"Ci vorrà almeno un'ora prima che Petruska ritorni" pensava; "potrei dare la chiave al portiere e intanto io stesso potrei...

già... potrei indagare un po' sulla faccendaindagare un po' per conto mio." Senza perdere tempoper la fretta di mettersi a indagare sulla faccendaGoljadkin prese il cappellouscì dalla stanzachiuse l'appartamentoscese dal portieregli diede la chiave e una moneta da dieci copechi - Goljadkin era diventatochissà comeinsolitamente grandioso - e si slanciò là dove doveva. Goljadkin corse a piediprima di tuttoal ponte Izmajlovskij. Per arrivarvi ci volle circa mezz'ora. Arrivato alla meta del suo viaggio entrò sparato nel cortile della casa a lui ben nota e diede un'occhiata alle finestre dell'appartamento del consigliere di stato Bernadeiev. Salvo tre finestre con le tendine rossetutte le altre erano buie.

"Da Olsufij Ivànovic'ogginon ci sono certamente visite" pensò Goljadkin; "certamente oggi sono tutti in casa." Dopo aver aspettato un po' in cortileil nostro eroe voleva decidersi a fare qualche cosa. Ma evidentemente era scritto che la decisione non si dovesse concretare. Goljadkin cambiò ideaagitò a mezz'aria la mano in segno di rassegnazione e tornò in strada.

"Nonon è qui che bisognava venire. Che starò a fare qui. Eccoè meglio che ora io... indaghi particolarmente la faccenda." Presa questa decisioneGoljadkin si avviò di corsa al suo dipartimento.

La distanza non era poca; per giunta la strada era coperta di fango e la neve scendeva a fiocchi grandi e fitti. Ma per il nostro eroe sembrava che in quel momento non esistesse nessuna difficoltà. A dire il veroera bagnato fino alle ossae anche non poco inzaccheratoma se deve andare così, pazienza, vada così, però la meta è raggiunta. E in realtà Goljadkin si stava avvicinando alla meta. La cupa massa dell'enorme edificio governativo già si profilava in lontananza davanti a lui.

"Fermati!" pensò "dove mai sto andando e che cosa vado a fare là?

Ammettiamo pure che io venga a sapere dove abita: ma intanto penso che Petruska sia già tornato e mi abbia portato la risposta. Io sto perdendo inutilmente il mio preziosissimo tempol'ho proprio già persoquesto mio prezioso tempo. Be'non importa; posso ancora mettere tutto a posto. Peròveramenteperché non passare da Vachrameiev? Ma no. Iogiàdopo.. eh! Non era affatto necessario che uscissi... Proprio no! Ma che caratteraccio! Questo è il mio chiodo fisso: che sia necessario o nonon perdo l'occasione per correre sempre avantiin un modo o nell'altro...

Già... che ore sono? ehormai saranno le nove... Petruska può arrivare da un momento all'altro e non mi troverà in casa. Ho fatto una bella cretinata a uscire... Ehdavveroche pasticcio!" Sinceramente conscio di aver fatto una vera sciocchezzail nostro eroe tornò al galoppo verso la via delle Sei Botteghe. Ci arrivò stancosfinito. Giù dal portone fu informato che a Petruska non era neppur passato per il cervello di farsi vedere: "Be'... lo immaginavo" pensò il nostro eroee intanto sono già le nove. Ma che razza di mascalzone! Quello è eternamente in giro a ubriacarsi! Signore mio dio! Vedi un po' che razza di giornata mi è capitata in sorte!così ragionando e arrovellandosiGoljadkin aprì la porta del suo appartamentinosi procurò una lampadasi svestìfece una fumatina di pipae stancosfinitocon le membra rotte si sdraiò sul divano in attesa di Petruska. La candela smoccolava mandando una luce fiocache oscillava sui muri... Goljadkin guardòpensòe infine si addormentò di un sonno profondissimo.

Si svegliò che era già tardi. La candela era ormai quasi del tutto consumatafumava e stava per spegnersi definitivamente. Goljadkin saltò in piedisi riscosse e ricordò tuttoproprio tutto. Al di là del tramezzo risuonava il cupo russare di Petruska. Goljadkin si precipitò alla finestra: non una luceda nessuna parte. Aprì l'anta: silenzio ovunque; la città sembrava morta; era immersa nel sonno. Dovevano dunque essere le due o le tre; l'orologio al di là del tramezzo fece uno sforzo e batté le due. Goljadkin si precipitò dietro il tramezzo.

In un modo o nell'altronon so comedopo lunghi tentativia furia di scrolloni riuscì a far sedere Petruska sul letto. Intanto la candela si era definitivamente spenta. Passarono circa dieci minuti prima che Goljadkin trovasse un'altra candela e l'accendesse. Enel frattempoPetruska si era di nuovo addormentato. "Sei una bella razza di mascalzonecanaglia che non sei altro!" mormorò Goljadkinriprendendo a scrollarlo: "Vuoi svegliarti e alzartisì o no?" Dopo mezz'ora di faticaGoljadkin riuscì a smuovere completamente il suo domestico e a trascinarlo fuori. Soltanto allora il nostro eroe vide che Petruska eraper così direubriaco fradicio e che a stento si reggeva in piedi.

"Sei un vero ciondolone!" gridò Goljadkin "un brigante matricolato! Mi vuoi decapitare! O Signoredove mai avrà perduto la lettera? AhCreatore mioperché... perché l'ho scritta? Avevo proprio bisogno di scriverla? A briglia sciolta sono andatocol mio amor proprioimbecille che sono! Vedi un po' dove diavolo porta l'amor proprio! Eccotelol'amor proprioeccotelocanaglia che sei! Ehitudove diavolo hai ficcato la letterafurfante? A chi l'hai data?" "Non ho consegnato a nessuno nessuna lettera: non avevo nessuna letteraquesto è il fatto." Goljadkin si tormentava le mani in preda alla disperazione.

"AscoltaPjotr... ascoltamisuascolta." "Ascolto.. ." "Tu dove sei andato? rispondimi..." "Dove sono andato... Sono andato da certa brava gente... Che devo dire?" "Ah Signore mio dio! Dove sei andatoprima di tutto? Sei andato al dipartimento? AscoltamiPjotreri forse ubriaco?" "Ubriacoio? Che io non possa più muovermi dal posto se non è vero che sono a bo-bo-bocca asciutta... ecco..." "Nono... non importa che tu sia ubriaco... Te l'ho chiesto soltanto così... E' beneanziche tu sia ubriaco... Non importaPetruskanon importa affatto... Tuforsel'hai soltanto dimenticatoma ora ricordi tutto. Sucerca un po' di ricordare se sei stato dall'impiegato Vachrameiev: ci sei stato sì o no?" "Non ci sono statoe un impiegato così non è mai esistito. Eccoio anche subito..." "NonoPjotr! NoPetruskalo vedinoche io non dico niente?

E che cosa c'è infine? Fuori fa freddoè umido e se un uomo ha bevuto un tantino di più non è poi un gran male... Non vado mica in collera. Anch'iocarooggi ho bevuto... Tu però confessacerca di ricordare: ci sei stato dall'impiegato Vachrameiev?" "Be'come fosse adessoecco è andata cosìparola d'onore; eccoci sono statoeccocome fosse adesso..." "SuvviaPetruskava beneva bene che tu ci sia stato. Lo vedi che non vado in collera... Susu..." proseguì il nostro eroelisciando sempre di più il suo servobattendogli sulla spalla e distribuendogli sorrisi; "insommacanagliahai alzato un tantino il gomito... lo hai alzato per dieci copechi? Ahbirbone d'un ubriacone! Ma non importa: lo vedi bene che non vado in collera..." "Nonon sono un bricconecome volete voi... Sono andato da certa brava gente e non sono un bricconenon lo sono mai stato..." "Ma nonoPetruska! AscoltamiPjotrnon importalo vedi che non voglio mica insultarti chiamandoti briccone. Questovedite lo dico come consolazionein senso altote lo dico. QuestoPetruskasignifica lusingarloun uomoè come dirgli che è un furbo di tre cotteun giovane in gambache non si lascia infinocchiare da nessuno e non permette a nessuno di prenderlo in giro. A certi questo gli piace... Susunon importa! Tu dimmi soltantoPetruskasenza nascondermi nientefrancamente come a un amicodimmi: sei stato dall'impiegato Vachrameiev? Te l'ha dato l'indirizzo?" "L'indirizzo me l'ha datoanche l'indirizzo mi ha dato. E' un bravo impiegato! Il tuo padronediceè una brava personadiceun'ottima persona; io... diglidicesalutalodiceil tuo padroneringrazialo e digli che iodicegli voglio beneeccocome stimo il tuo padrone! Per il fattodiceche il tuo padronePetruskaè una brava personadiceanche tuPetruskadicesei una brava persona... ecco..." "AhSignore mio dio! E l'indirizzol'indirizzogiuda che non sei altro?" Le ultime parole Goljadkin le pronunciò con una voce quasi inintelleggibile.

"E anche l'indirizzoanche l'indirizzo mi ha dato..." "Te l'ha dato? E allorasudove abita luiGoljadkinl'impiegato Goljadkinconsigliere segreto?" "Goljadkindicelo troverai in via delle Sei Botteghe. Eccodicequando arrivi nella via delle Sei Bottegheprendi a destrasali la scalafino al quarto piano. Eccodicelà troverai Goljadkin..." "Furfante matricolato!" gridò infineperduta la pazienzail nostro eroe. "Sei un vero brigante! Ma quello sono io; tu stai parlando di me. Ma c'è un altro Goljadkin e è di quest'altro che io parlomascalzone!" "Be'come volete... A me che importa! Come voleteecco..." "Ma quella letteraquella lettera..." "Quale lettera? Non c'era alcuna letteraio non no visto alcuna lettera." "Ma dove l'hai ficcata la letteramascalzone?" "L'ho consegnatal'ho consegnatala lettera. Salutadiceringrazia; è una brava personadiceil tuo padrone. Salutadiceil tuo padrone..." "Ma chi l'ha detto? L'ha detto Goljadkin?" Petruska rimase un momento zitto e spalancò la bocca in un sorrisoguardando dritto negli occhi il suo padrone.

"Ascoltabriganteascolta..." cominciòansimando Goljadkinsconvolto dall'ira. "Che hai fatto di me? Dimmiche hai fatto di me! Mi hai ucciso mascalzone! Mi hai staccata la testa dal corpogiuda che non sei altro!" "Be'oracome volete! Che me ne importa!" disse ritirandosi dietro il tramezzo.

"Vieni quivieni quibrigante!" "Ora non ci verrò da voinon ci verrò proprio. Che me ne importa!

Io andrò da brave persone... E le brave persone vivono secondo onestàle brave persone vivono senza ipocrisie e non sono mai doppie..." Goljadkin si sentì tremare le gambe e le braccia e troncare il respiro.

"Sissignore proseguì Petruska non sono mai doppie; non offendono Iddio e le persone oneste..." "Tu sei un fannullonesei ubriaco! Dormiadessofarabuttoe domani aggiusteremo i conti!" mormorò con voce appena percettibile Goljadkin. Per quanto si riferisce a Petruskaquesti borbottò ancora qualche cosa poi lo si sentì sdraiarsi sul letto tanto che esso scricchiolòfare uno sbadiglio che non finiva più e stiracchiarsie finalmente cominciare a russareimmerso nel sonnocome si dicedel giusto.

Goljadkin non era né vivo né morto. Il modo di comportarsi di Petruskale sue allusioni molto straneanche se abbastanza vagheper le qualidi conseguenzanon c'era motivo di andare in colleratanto più perché erano state fatte da un uomo in preda ai fumi dell'alcool einfinela piega maligna presa dalla faccendatutto questoinsommaaveva scosso i nervi di Goljadkin. "Mi sono lasciato trascinare a rimproverarlo in piena notte" si disse il nostro eroetremando in tutto il corpo per una dolorosa sensazione. "E me la sono presa con un ubriaco! Che cosa ci si può aspettare di utile da un ubriaco? Nemmeno una parola che non sia una bugia! Ma a che alludevaperòquel brigante? Signore mio dio! E perché ho scritto tutte quelle lettereassassino che sono?

Ioproprio iosuicida che sono... Non potevi stare zitto?

Bisognava proprio parlare tanto? Ma non vedi che ti stai rovinando? Sei un vecchio straccionient'altroeppureecco che te ne esci con l'amor proprioe il mio onore ci soffrediciil mio onore bisogna che lo salvidici... un suicida sonoe nient'altro!" Così andava parlando Goljadkin seduto sul divanosenza nemmeno osare di muoversi per la paura. All'improvviso i suoi occhi si fissarono su un oggetto che aveva suscitato al massimo la sua attenzione. In preda alla paura - non era un'illusionenon era un inganno della sua fantasia quell'oggetto che aveva suscitato la sua attenzione - allungò verso di esso la mano con speranzacon timidezzacon indescrivibile curiosità... Nonon era un ingannonon era un'illusione! Una letteraproprio una letterasenza dubbio una lettera indirizzata a lui... Goljadkin prese la lettera dal tavolo. Il cuore gli batteva dolorosamente. "Certamente l'ha portata quel mascalzone" precisòl'ha portata lì e poi non se ne è più ricordato; certo le cose sono andate così...La lettera era dell'impiegato Vachrameievgiovane collega d'ufficio di Goljadkin. "Del resto iotutto ciò l'avevo previsto" pensò il nostro eroee ho previsto anche tutto quello che ora ci sarà nella lettera...La lettera era la seguente:

"Egregio signor Jakòv Petrovic'il vostro servo è ubriaco e da lui non c'è da aspettarsi niente di sensato; e per questo motivo preferisco rispondervi per scritto.

Mi affretto a dichiararvi che l'incarico da voi datomi e che consiste nel consegnare domattina alla persona a voi nota una letteraacconsento a eseguirlo con tutta fedeltà e precisione.

Questa personaa voi ben notae che ora costituisce per me un amicoil cui nome qui ometto (perché non voglio inutilmente macchiare la reputazione di un uomo assolutamente innocente) abita con noinell'appartamento di Karolina Ivànovnaproprio nella camera in cui primadurante la vostra permanenza da noiabitava un ufficiale di fanteria che veniva da Tambòv. Del restoquesta persona la potete trovare dovunquetra le persone oneste e sincerecosa che di altra gente non si può dire. Ho intenzione di interrompere oggi stesso i miei rapporti con voi; non è possibile che si resti sul terreno dell'amicizia e del nostro buon accordo di colleghi come primae perciò vi pregoegregio signoreappena avrete ricevuto questa mia sincera letteradi farmi avere i due rubli d'argento che mi dovete per quei rasoi di fabbricazione esterada me vendutivi a creditose favorite ricordarvenesei mesi or sonoancora durante il periodo della vostra permanenza con noi da Karolina Ivànovna che io stimo con tutta l'anima mia.

Io agisco così perché voisecondo quanto dicono le persone intelligentiavete perso l'amor proprio e la reputazione e siete diventato pericoloso per gli uomini innocui e non corrottipoiché alcune persone non vivono secondo verità esoprattuttole loro parole sono false e il loro aspetto di benpensanti fa essere sospettosi. Quanto poi a prendere le difese per l'ingiuria recata a Karolina Ivànovna - che è sempre stata donna di buona condotta e in secondo luogodonna onesta e per giunta ragazzaanche se non più giovaneperò di ottima famiglia straniera - si troverà sempre gente disposta a farlodella qual cosa alcuni mi hanno pregato di accennarecosìdi sfuggitain questa mia lettera e parlando a loro nome. In ogni caso saprete tutto al momento opportuno se ancora non siete venuto a saperlononostante vi abbiano spubblicatoa sentire le persone intelligentida un capo all'altro della capitale edi conseguenzaabbiate già potuto riceverein molti postile dovute notizieegregio signoresu di voi. A conclusione della mia lettera vi dichiaroegregio signoreche la persona a voi conosciutail cui nome non riporto qui per le notenobili ragioniè molto stimata dalla gente perbene; inoltre è di carattere allegro e simpaticonel suo servizio d'ufficio dà ottimi risultati; come tutte le persone perbenetiene fede alla propria parola e all'amicizia e non offende in loro assenza quelli con i qualiin presenzaè in amichevoli rapporti.

In ogni caso mi firmo l'umile vostro servitore

N. Vachrameiev.

 

P.S. Cacciate via il vostro servo: è un ubriacone e vi procureràcon tutta probabilitàmolte seccaturee assumete Evstafijche un tempo serviva da noi e che è attualmente disoccupato. Il vostro attuale servo non soltanto è un ubriaconema soprattutto è un ladropoiché ancora la settimana scorsa ha venduto una libbra di zucchero in pezzi a Karolina Ivànovna con riduzione di prezzoil chesecondo la mia opinioneha potuto fare soltanto derubandovi con abile astuziaa poco a pocoin diverse volte. Vi scrivo questodesiderando il vostro benenonostante che alcune persone sappiano soltanto offendere e ingannare la gentee soprattutto la gente onesta e dotata di buon caratteree oltretuttola denigrano alle spalle e la fanno apparire il contrario di quella che èunicamente per invidia e perché esse stesse non possono essere chiamate tali.

V."

Dopo aver letto tutta la lettera di Vachrameievil nostro eroe restò ancora a lungo immobile sul divano. Una nuova luce si faceva strada attraverso la vaga e misteriosa nebbia in cui da due giorni si sentiva avvolto. Il nostro eroe cominciava in parte a capire...

stava già per provare ad alzarsi dal divano e passeggiare un po' per la cameraper schiarirsi le ideeraccogliere i pensieri dispersiqua e làfissarli tutti verso il noto oggetto e poidopo essersi un po' ripresomeditare sulla sua condizione. Maappena volle sollevarsiricadde immediatamenteimpotente e senza forzeal posto di prima.

"Anche questonaturalmentel'avevo previsto; però in che modo scrive e qual è il vero senso delle sue parole? Questo sensoammettiamololo conoscoma dove ci porterà? Se avesse detto chiaro e tondo: eccole cose sono così e cosìsi vuole questo e quest'altroio forse lo farei anche. Ma la piegal'indirizzo preso dalla faccenda diventa così spiacevole! Ah! in che modo arrivare velocemente a domani e arrivare più presto al fatto? Ma ora io so cosa fare. Le cose stanno così e cosìdiròsono d'accordo sulle ragioniil mio onore non lo venderòma quello...

magari; d'altrondeluiquella nota personaquel personaggio della maloraperché mai ci si è immischiato? E perché ci si è proprio immischiato? Ahse potessi arrivare presto a domani! Fino a quel momento intanto loro mi denigrerannonon fanno che intrigare e lavorare contro di me! L'importante è che non bisogna perdere tempoe oraper esempioè necessario scrivere una lettera e riuscire a spiegare chesìle cose stanno in quel modo e che su questo e su quell'altro io sono d'accordo. E domaninon appena farà giornospedirla e ioancora prima... lanciarmi allo sbaraglio contro di loro da un'altra parte e prevenirlii colombelli... Essi mi denigrerannoe basta!" Goljadkin avvicinò a sé un foglioprese la penna e scrisse la lettera seguentein risposta alla lettera del segretario provinciale Vachrameiev:

"Egregio signor Nestor Ighnàtevic'con profondo rammarico del mio cuore ho letto la vostra per me offensiva letterapoiché vedo chiaramente cheparlando di alcune disoneste persone e di certa gente falsamente benintenzionatavoi intendete alludere a me. Vedo con sincero dolore come la calunnia abbia rapidamente e con successo fatto presaa scapito della mia tranquillitàdel mio onore e del mio buon nome. E questo è tanto più triste e più umiliante in quanto anche le persone onestedotate di un pensiero veramente elevato e soprattutto dotate di un carattere retto e apertorinunciano a occuparsi degli interessi della gente perbene e si attaccano con le migliori qualità del loro cuore al malefico marciume che per disgrazia pullula a tutto spianocon le intenzioni più cattivein questi nostri tempi penosi e immorali. In conclusione vi dirò che il mio debitocui avete accennatodi due rubli d'argentove lo pagherò fino all'ultimo centesimo come un sacro dovere.

Per quanto poi si riferisceegregio signorealle vostre allusioni a proposito della nota persona di sesso femminilecirca le intenzionii calcoli e i vari progetti della suddetta personavi diròegregio signoreche io confusamente e vagamente ho capito tutte quelle allusioni. Permettetemiegregio signoredi conservare senza macchia il mio nobile modo di pensare e il mio nome onorato. In ogni casopoisono pronto a venire a una spiegazione verbalepreferendo l'esattezza che ne deriva a uno scrittoe sono soprattutto pronto a intavolare pacifiche esi capiscereciproche trattative. A questo scopovi pregoegregio signoredi trasmettere a quelle persone la mia buona disposizione a un'intesa personale e soprattutto di chieder loro di stabilire il giorno e l'ora dell'incontro. E' stato per me amaro leggereegregio signorele allusioni al fatto che io vi avrei offesoavrei tradito la vostra amicizia di un tempo e avrei sparlato di voi. Attribuisco tutto questo a un equivocoa un'infame calunniaall'invidia e all'ostilità di coloro che giustamente io posso definire miei più feroci nemici. Ma essicertamentenon sanno che l'innocenza è forte della sua stessa innocenzache l'impudenzala spudoratezza e la familiarità che muove a sdegno di certe personepresto o tardi saranno marchiate dal disprezzo universalee che quelle persone non si rovineranno se non per la disonestà e la depravazione del proprio cuore. In conclusione vi pregoegregio signoredi riferire a quelle persone che le loro strane pretese e il loro bassofantastico desiderio di far sloggiare altri limiti da questi stessi occupati con la propria esistenza in questo mondo e di usurparne il postomeritano meravigliadisprezzo e commiserazione ein piùil manicomio; cheinoltreun simile modo di agire è severamente vietato dalle leggiil chesecondo la mia opinioneè giustissimopoiché ognuno deve essere contento del proprio posto. A tutto c'è un limite ese questo è uno scherzoè uno scherzo disonestodirò di più: del tutto immoralepoiché oso assicurarviegregio signoreche le mie ideeprima espostea proposito dei propri postisono nettamente morali.

"In ogni caso ho l'onore di essere il vostro umilissimo servitore

Ja. Goljadkin."

 

 

NOTE:

  1. Diminutivo di Ivannome russo diffusissimocol quale si indicava sia il vetturino di piazza sia il suo veicolo malridotto e il cavallougualmente malridotto.

 

 

10.

 

 Si può ben dire che gli avvenimenti del giorno prima avevano profondamente scosso Goljadkin. Il nostro eroe passò una pessima nottecioè non riuscì assolutamente a dormire nemmeno per cinque minuticome se qualche burlone avesse cosparso il suo letto di setole fatte a pezzetti. Passò tutta la notte in una specie di dormivegliagirandosi da una parte e dall'altraora su un fianco ora sull'altroesclamandoansimandoprendendo sonno per un istante e dopo un istante svegliandosi di nuovoe tutto ciò accompagnato da una strana angosciada confusi ricordida orrende visioni... in una parolada tutto ciò che si può trovare di più sgradevole... Ora gli appariva davantiimmersa in una stranamisteriosa penombrala figura di Andréj Filìppovic'; una figura asciuttascontrosadallo sguardo freddocrudelecon quel suo rimbrottare rigido e cortese... Manon appena Goljadkin cominciava ad avvicinarsi ad Andréj Filìppovic' per giustificarsi in certo qual modo ai suoi occhicosì e cosìe dimostrargli che lui non era come lo dipingevano i suoi nemicicheeccolui era questo e quelloe che anzi avevaoltre alle comuni innate sue qualitàanche questo e quest'altro... ecco che appariva immediatamente la persona nota per le sue basse intenzioni econ qualche espediente dei più stomachevoliin un colpo solo demoliva tutte le sue iniziative e proprio lìquasi sotto il naso di Goljadkindiffamava energicamente la sua reputazionecalpestava nel fango il suo amor proprio e poisenza perdere tempoprendeva il suo posto nell'ufficio e in società. Ora Go]jadkin sentiva un certo prurito alla testa causato da qualche scappellottoda poco tempo ben meritato e umilmente accettatoricevuto o nella vita comune oppure là in serviziocolpettino contro il quale era difficile protestare... Ementre Goljadkin cominciava già ad arrovellarsi il cervello sul perché fosse tanto difficile protestareanche solo per quello scappellottoquesto pensiero sullo scappellotto andava assumendo insensibilmente un'altra forma; la forma di una qualche piccola notao abbastanza notevoleviltà vistasentita o da lui stesso compiuta non da molto tempo; e spesso compiuta persino per una ragione non bassae persino anche non per un basso impulso qualsiasima così... a voltetanto per direper casoper delicatezzaun'altra volta a causa della sua assoluta mancanza di protezioni einfine perché... perché... insomma Goljadkin lo sapeva bene questo "perché"! A questo punto Goljadkin arrossiva nel sonno ecercando di reprimere il suo rossoreborbottava tra sé cheper esempiosi poteva in questo caso far vedere la propria fermezza di carattere... ma poi concludeva: "Ma che fermezza di carattere!

perché ricordarla proprio adesso?" Masoprattuttoossessionava e irritava Goljadkin il fatto che proprio lì e immancabilmente in quel preciso momentolo chiamassero o noappariva il personaggio noto per i suoi mostruosi e grotteschi propositi enonostante chea quanto sembravala cosa fosse già risaputaanche lui borbottava con un vile sorrisetto: "Ma che c'entra qui" dicevala fermezza di carattere? Quale fermezza di carattere può essere la mia e la tua, Jakòv Petrovic'?...Ora Goljadkin sognava di trovarsi in un'ottima compagniafamosa per lo spirito arguto e per il tono di alta distinzione di tutte le persone che ne facevano parte; che Goljadkinda parte suasi era distinto per il suo comportamento cortese e arguto; che tutti gli volevano benee persino qualcuno fra i suoi nemici che si trovavano lì aveva cominciato a nutrire affetto per luiil che gli era molto gradito; che tutti gli avevano decretato il primo posto e che infine Goljadkin stesso aveva sentito con suo grande piacere che il padrone di casatirato in disparte uno degli ospitiaveva fatto le lodi del signor Goljadkin... e all'improvvisodi punto in biancoera di nuovo apparso il personaggio noto per i suoi cattivi propositi e i suoi bestiali impulsisotto l'aspetto del signor Goljadkin numero duee proprio lìdi colpoin un attimocon la sua sola comparsail signor Goljadkin numero due aveva fatto precipitare tutta la gloria e il trionfo del signor Goljadkin numero unoaveva oscurato con la sua presenza il Goljadkin numero unoaveva calpestato nel fango il Goljadkin numero unoeinfineaveva chiaramente dimostrato che il Goljadkin numero uno e al tempo stesso l'autenticonon era affatto l'autenticoma il falso eche l'autentico era luiche infine il Goljadkin numero uno non era assolutamente quello che sembravama ora questoora quelloedi conseguenzanon doveva avere e non aveva il diritto di far parte della società delle persone perbene e dalle maniere distinte. E tutto questo era accaduto così in frettache il signor Goljadkin numero uno non aveva fatto in tempo ad aprire bocca che già tutti si erano dati anima e corpo allo scandaloso e falso Goljadkin e con profondo disprezzo avevano ripudiato luiil vero e innocente Goljadkin. Non c'era più nemmeno una persona a cui lo scandaloso Goljadkin non avesse in un lampo fatto cambiare opinione a modo suo. Non rimaneva una personanemmeno la più insignificante dell'intera compagniaintorno alla quale l'inutile e falso Goljadkin non avesse fatto il leccapiedi nel modo più sdolcinatoa cui non avesse fatto l'occhiolino a modo suodi fronte alla quale non avesse fatto bruciaresecondo la sua abitudinei più dolci e più gradevoli aromicosicché la personaavvolta in quella nuvola di profumonon faceva che annusare e starnutire fino alle lacrimein segno di supremo piacere. Esoprattuttoquesto succedeva in un lampo: la rapidità di movimenti del sospetto e inutile signor Goljadkin era sorprendente! Ha fatto appena in tempoper esempioa scodinzolare intorno a uno e a guadagnarsene la benevolenza che - e in un amen - eccolo già da un altro. Scodinzolascodinzola pian piano intorno a quest'altrostrappa un sorrisetto di benevolenzaslancia la sua gambotta corta e paffutae del restoabbastanza legnosae eccolo già vicino a un terzo; corteggia il terzo e liscia amichevolmente anche quello; non fai in tempo ad aprire boccanon fai in tempo a dire "ah!" per lo stuporeche lui è già dal quarto e col quarto è già a posto; è una cosa orribileuna stregoneriae basta! E tutti sono contentitutti gli vogliono bene e tutti lo portano alle stelle e proclamano a gran voce che la sua amabilità e la sua intelligenza così portata alla satira non sono nemmeno paragonabili all'amabilità e alla tendenza satirica dell'autentico Goljadkine coprono così di vergogna l'autentico e innocente Goljadkin e ripudiano il verosimile Goljadkin e cacciano a spintoni il benintenzionato Goljadkin e fanno piovere piccoli scappellotti sul famigerato per il suo amore verso il prossimosull'autentico Goljadkin...

Pieno di angosciadi terrorefuori di séquel povero martire del signor Goljadkin si precipitò di corsa in strada e noleggiò una vettura per volare dritto dritto da sua eccellenza ese non da luialmeno da Andréj Filìppovic'ma... orrore! i vetturini non volevano in nessun modo saperne di portarlo: "Non è possibilesignorenon è possibile" dicevanoportare due persone perfettamente uguali; una brava persona, vostra signoria, si ingegna di vivere secondo onestà e non come che sia, e mai con una doppia vita.Pieno di stupefatta vergogna si guardava intornol'onestissimo signor Goljadkine si convinceva lui stessocon i propri occhiche i vetturini e Petruskatutti in comunellaerano nel loro diritto; poiché anche il depravato signor Goljadkin era davvero lìvicino a luia non grande distanzaeseguendo anche lì le ignobili abitudini del suo carattereanche in quel critico casosi preparava senza dubbio a fare qualcosa di molto sconvenienteche non mostrava affatto la particolare elevatezza di carattere che si acquista di solito con l'istruzione; elevatezza di cuia ogni favorevole occasionetanto si gloriava il disgustoso signor Goljadkin numero due. Fuori di séin preda alla vergogna e alla disperazioneil perduto e assolutamente onesto signor Goljadkin si lanciò dove lo portavano le gambealla mercé del destinonon importava dove; ma a ogni suo passoogni volta che posava il piede sul granito del marciapiedesaltava sucome da sottoterraun altro odioso signor Goljadkinperfettamente uguale per depravazione di cuore. E tutti costoroassolutamente simili uno all'altrosubito dopo la loro comparsa si mettevano a correre uno dietro l'altroin una lunga filacome una schiera di ochee si trascinavano arrancando dietro al signor Goljadkin numero unoe non c'era modo di sfuggire a questi tipi perfettamente identicie il signor Goljadkin degno in tutti i modi di commiserazionesi sentì troncare il fiato per l'orrore; e venne fuoriinfineuna spaventosa quantità di esseri perfettamente ugualie tutta la capitale fu invasainfineda quegli esseri perfettamente similie un agente di poliziavedendo una tale violazione al decorofu costretto a prendere quegli uomini perfettamente simili per la collottola e a farli entrare in una guardina che si trovava per caso lì di fianco...

Agghiacciato dall'orroreil nostro eroe si svegliava e agghiacciato dall'orrore sentiva che anche nella realtà il tempo non scorreva con maggiore allegria... aveva una sensazione di pesantezzadi tormento... Lo prendeva una tale angosciacome se qualcuno gli rodesse il cuore in petto...

Infine Goljadkin non poté più resistere. "Questo non accadrà!" gridòsollevandosi sul letto con decisionee dopo questa esclamazione si svegliò del tutto.

Il giornoevidentementeera iniziato da un bel po'. Nella stanza sembrava che ci fosse più luce del solito; i raggi del sole filtravano attraverso i vetri ricoperti di ghiaccio e si diffondevano per la cameracosa che meravigliò parecchio Goljadkinpoiché forse soltanto verso mezzogiorno il sole faceva capolino nella stanza: nel passatodi simili eccezioni nel cammino del celeste astroalmeno secondo quanto Goljadkin stesso poteva ricordarenon c'erano quasi mai state. Il nostro eroe aveva appena fatto in tempo a meravigliarsi che l'orologio a muro dietro il tramezzo prese a ronzaree si preparò decisamente a battere le ore. "Ahecco!" pensò Goljadkin ein preda ad angosciosa attesasi preparò ad ascoltare... Maa definitiva e completa sconfitta di Goljadkinl'orologio fece un enorme sforzo e battéa conti fattiun solo colpo. "Che storia è questa?" esclamò il nostro eroebalzando completamente dal letto. Così com'eranon potendo credere alle proprie orecchiesi lanciò dietro il tramezzo. Sull'orologio era veramente il tocco.

Goljadkin diede un'occhiata al letto di Petruska; manella stanzadi Petruska non c'era nemmeno l'odore: il lettoevidentementeera stato rifatto e lasciato da un pezzo; non c'erano da nessuna parte nemmeno i suoi stivali; indiscutibile segno che Petruska veramente non si trovava in casa. Goljadkin si precipitò alla porta: era chiusa. "Ma dov'è mai Petruska?" proseguì in un sussurrotutto preso da un tremendo turbamento e sentendo un forte tremore per tutte le membra... All'improvviso un pensiero gli si affacciò... Goljadkin si lanciò verso il tavololo guardò benerovistò dappertutto: proprio così... La sua lettera della sera prima a Vachrameiev non c'era più... Dietro al tramezzo non c'era nemmeno Petruska; l'orologio a muro segnava l'una e nella lettera di Vachrameiev del giorno avanti erano stati introdotti alcuni nuovi periodial primo sguardoperòassai poco chiarima ora del tutto spiegabili. Finalmente anche Petruska! l'evidentemente prezzolato Petruska! Sìsìera proprio così!

"Ecco come andava stringendosi il nodo più importante!" esclamò Goljadkinbattendosi la fronte e spalancando sempre di più gli occhi; "è dunque nel nido di quella spilorcia tedesca che ora si nasconde soprattutto la forza impura! Allora era allora solo una diversione strategica quella che facevaindicandomi il ponte Izmajlovskij; mi gettava polvere negli occhimi voleva confondere (maledetta strega!) ecco come ha preparato le sue insidie! Sìè così! Solo guardando la faccenda da questo latotutto appare proprio così! E si spiega anche perfettamente la comparsa del farabutto! Tutto tende alla stessa meta. Da parecchio tempo lo tenevano làlo preparavano e lo avevano come riserva per i giorni neri. Ecco come stanno ora le cosecome tutto si è chiarito! Come tutto si è risolto! Ma non importa! Siamo ancora in tempo!" A questo punto Goljadkin ricordò con terrore che era già l'una dopo mezzogiorno. "Ese ora essi avessero fatto in tempo a...". Un gemito uscì dal suo petto... "Ma nosono fandonienon hanno fatto in tempoora vedremo..." Si vestì in fretta e furiaafferrò un foglio di cartaprese la penna e stese la lettera seguente:

"Egregio signor Jakòv Petrovic'o voi o ioma tutti e due insieme è impossibile! E perciò vi dichiaro che lo stranoridicolo e insieme impossibile vostro desiderio di sembrare il mio gemello e di presentarvi come tale non serve che a vostro completo disonore e sconfitta. Perciò vi pregoa giovamento del vostro personale vantaggiodi farvi da parte e di fare largo alle persone veramente nobili e dalle nobili intenzioni. In caso contrario sono pronto ad arrivare a misure estreme. Poso la penna e aspetto... Mi tengoperòa vostra disposizionevostra e... delle pistole.

J. Goliadkin"

Il nostro eroecompilato il bigliettosi stropicciò vigorosamente le mani. Poiinfilato il cappotto e calcato il cappelloaprì con un'altra chiave di riserva la porta di casa e si avviò al dipartimento. Fino al dipartimento ci arrivòma a entrare non si decise; in realtà era troppo tardi: le due e mezzo segnava ormai l'orologio di Goljadkin... All'improvviso una circostanzaa prima vista di pochissimo rilievogli chiarì alcuni dubbi: da dietro l'angolo dell'edificio del dipartimento comparve ad un tratto una figuretta ansimante e rossa in viso che furtivamentecon andatura da toposgattaiolò sulla scala e poi nell'ingresso. Era lo scrivano Ostafevun uomo ben conosciuto da Goljadkinun tipo a volte veramente necessarioe prontoper una monetina da dieci copechia qualsiasi cosa. Poiché conosceva il punto debole di Ostafev e aveva capito che quellodopo un'assenza per una urgentissima necessitàera probabilmente ancora più avido di prima di monetine da dieci copechiil nostro eroe prese la decisione di non risparmiarle e immediatamente sgattaiolò anche lui sulla scala e poi nell'ingressosulle orme di Ostafevlo chiamò ad alta voce e con aria di mistero lo tirò in dispartein un angoletto isolatodietro un'enorme stufa di ghisa. Dopo averlo portato lìil nostro eroe cominciò una specie di interrogatorio.

"Be'amico miocome vanno le cose là dentro... tu mi capiscivero?" "Ascoltovostra signoriae auguro salute a vostra signoria." "Beneamico miobene: e io ti ringraziocaro amico. Vedi dunquecome stanno le cose?" "Che cosa desiderate darmi domani?" E a questo punto Ostafev coprì un po' con le mani la bocca chesenza intenzionegli si era spalancata.

" Ioecco... vediamico mioio... quello... ma tu non pensare nientesai... Dunque. Andréi Filìppovic' è qui? " "Sissignoreè qui." "E anche gli impiegati ci sono?" "Sissignoree anche gli impiegaticome deve essere." "E c'è anche sua eccellenza?" "Anche sua eccellenzasignore." E qui lo scrivano ancora una volta frenò la bocca che gli si spalancava e guardò con una certa strana curiosità Goljadkincosì sembròalmenoal nostro eroe.

"E non c'è niente di specialeamico mio?" "Nientesignoreassolutamente nientesignore." "E dunque sul mio contocaro amiconon c'è qualcosainsomma soltanto qualcosa così? Soltanto cosìcapisciamico miocapisci?" "Nosignorefinora non si è ancora sentito dire niente." Di nuovo lo scrivano frenò la lingua e di nuovo guardò in modo strano Goljadkin. Il fatto è che il nostro eroe si sforzava ora di penetrare nelle espressioni di Ostafevdi leggere in esse se non gli si nascondeva qualcosa. E in realtàsembrava che qualcosa di nascosto ci fosse; il fatto è che Ostafev stava diventando più rude e asciutto e partecipava ora alla conversazione del signor Goljadkin non più con l'interesse di prima. "In parte è nel suo diritto" pensava Goljadkin; "che gli importa di me? Con ogni probabilitàha già beccato qualcosa dall'altra parte e per questo forse si è allontanato per qualche urgentissima necessità. Ma ioeccoa lui..." Goljadkin capì che era il momento giusto per la monetina. "Eccoticaro amico..." "Sono vivamente grato alla signoria vostra." "Te ne darò ancora altre..." "Vi ascoltovostra signoria." "Orasubito te ne darò altre ead affare compiutoaltre ancora.

Capisci?" Lo scrivano tacevastava sull'attenti eimmobileguardava Goljadkin.

"Be'ora dimmi: non si sente dire niente sul mio conto?" "Mi pare che per ora... di quello... ancora niente... per ora..." Ostafev rispondeva scandendo bene le parole esbirciando anche lui con aria un po' misteriosa e sollevando le sopraccigliateneva gli occhi a terracercando di usare il tono adatto ein una parolacercava con tutte le forze di guadagnarsi quanto promessopoiché ciò che gli era stato già dato lo riteneva ormai suo e definitivamente acquisito.

"E non si sa niente?" "Per ora ancora no." "Ma ascolta... di quello... forse si saprà qualcosa?" "Poisi capisceforse verrà risaputo." "Andiamo male!" pensò il nostro eroe.

"Ascoltaeccoti ancora questocaro amico." "Sono vivamente grato alla signoria vostra." "Vachrameiev è stato qui ieri?" "Sisignorec'è stato." "E non c'è stato qualcun altro? Cerca di ricordartenefratello." Lo scrivano frugò un momento nella sua memoria e non ci trovò niente di notevole.

"Nosignorenon c'è stato nessun altro." "Già..." Seguì un silenzio. "Ascoltacaroeccoti ancora; dimmi tuttotuttoda cima a fondo." "Vi ascolto." Ostafev era mansueto come un agnelloora; proprio quello che serviva a Goljadkin.

"Spiegamioramio carodi che umore è..." "Non c'è maleva benesignore..." rispose lo scrivanoguardando a occhi spalancati Goljadkin.

"Cioècome bene?" "Cioècosì..." E Ostafev sollevò significativamente le sopracciglia. Peròdecisamente cominciava a perdere la tramontana e non sapeva che altro dire. "Andiamo male!" pensò Goljadkin.

"Non c'è qualcosa di nuovosua proposito di Vachrameiev?" "Tutto come prima." " Pensaci bene..." "C'èsi dice." "Be'che c'è dunque?" Ostarev trattenne la bocca con la mano.

"Non c'è una lettera per melà?" "Oggi il custode Micheiev è andato in casa di Vachrameiev làda quella loro tedesca; ci andròdunquee mi informeròse serve." "Fammi il favorecaroin nome del Creatore! Soltanto così io...

tucaronon pensare a chi sa che cosaio soltanto così... E chiedicaroinformati se non stiano preparando là qualcosa che mi riguardi. Lui come agisce? Ecco cosa mi serve sapere: tu informatenecaroe io poi ti ricompenseròcaro amico..." "Sto ascoltandosignoriama al vostro posto oggi è seduto Ivàn Semjonyc'." "Ivàn Semjonyc'? Davvero? possibile?" "Andréj Filìppovic' glielo ha ordinato..." "Possibile? Ma come mai? Informati di questomio caroinformatenein nome del Creatore! informati di tutto e io te ne sarò gratomio caro; ecco ciò che serve... Ma tucaronon pensare a chissà che cosa..." "Ascoltosignoreascolto... Ora andrò sùbito là. Ma voisignoriaoggi non entrate?" "Noamico mio; io soltanto così... sono venuto soltanto a dare un'occhiatacaro amicoe poi ti sarò gratoamico mio." "Ascoltosignore." Lo scrivano si avviò in frettapieno di zelosu per la scala e Goljadkin restò solo.

"Andiamo male!" pensò. "Ehsìla nostra faccenduola si mette maluccio! Ma tutto questo che cosa starebbe a significare? Che cosa volevano dire certi accenni di questo beoneper esempioe di chi è questo scherzetto? Ahora lo so ben iodi chi è... Ecco che razza di scherzetto è questo. Loro certamente hanno saputo e hanno insediato... Peròche vuol dire 'hanno insediato?'. E' stato Andréj Filìppovic' a insediarloquell'Ivàn Semjonyc'...; siperòperché ce l'ha insediato e con quale scopodi preciso?

Certamente hanno saputo... Questo Vachrameiev lavoracioènon Vachrameievlui è stupido come una gallinaquel Vachrameiev; ma tutti loro lavorano per luie anche quel furfante lo hanno aizzato loroqui; e quella guercia di tedesca ha fatto le sue lamentele! L'ho sempre sospettatoioche tutto questo intrigo avesse uno scopo e che in tutto questo spettegolare di donnicciole e di vecchiette ci fossesenza ombra di dubbioqualche cosa; la stessa cosa la dicevo anche a Krestjàn Ivànovic'e cioè che avevano cercato di uccidereparlando dal lato moraleun uomoe si erano aggrappati a Karolina Ivànovna. Sìsi vede che qui lavora della gente in gamba! Quisignore miolavora una mano sopraffinae non Vachrameiev. Già si è detto che Vachrameiev è stupido e io soadessochi è che lavora qui per tutti loro: è il mascalzone che ci lavoraè l'impostore! Solo a questo si attaccail che spiega in parte la sua fortuna nell'alta società. E realmentesarebbe necessario sapere di che umore è adesso... che cosa succede lìda loro... Peròa che scopo hanno preso Ivàn Semjonyc'? per che diavolo avevano bisogno di Ivàn Semjonyc'? Come se non fosse possibile pescarne un altro. Del restochiunque altro avessero presole cose non cambiano; ciò che io so soltanto è questoche luiquell'Ivàn Semjonyc'da un pezzo mi sembrava sospetto e da un pezzo lo tenevo d'occhioè un così sudicio vecchiacciocosì schifosodiconopresta denaro e pretende interessi da giudeo. Ma in tutto questo c'è lo zampino di quell'orso. In tutta la faccenda c'è di mezzo lui. Ecco come ha avuto inizio la faccenda: vicino al ponte Izmajlovskijha avuto inizio... eccocom'è cominciata..." A questo punto Goljadkin fece una smorfia come se avesse morso un limoneessendoglimolto probabilmentevenuto in mente qualche cosa di molto sgradito. "Be'poco importadel resto!" pensò.

"Però io sono sempre allo stesso punto. Perché questo Ostafev non viene? Probabilmente si è messo a lavorare ochissà comeè stato fermato da qualcuno... Certamente è in parte una buona cosa che io intrighi eda parte miascavi un po' il terreno sotto i piedi degli altri. Basta dare dieci copechi a Ostafev e poi lui... lui sta dalla mia parte. Peròecco in che consiste la faccenda: starà poi veramente dalla mia parte... oppure quelli làdal canto loromettendosi d'accordo con luitesseranno qualche intrigo? In realtà ha tutta la faccia di un furfanteil mascalzonedi un vero furfante! C'è un mistero qui sotto! 'Nonon c'è nulladicesignoriae vi sono sentitamente gratodicesinceramente grato'.

Che razza di brigantecaro mio!" Si sentì un rumore... Goljadkin si fece piccolo piccolo e si lanciò dietro la stufa. Qualcuno aveva sceso le scale e era uscito in strada. "Chi può essere che se ne va a quest'ora?" pensò il nostro eroe. Un minuto dopo si sentirono di nuovo dei passi... A questo punto Goljadkin non seppe resistere e mise fuori dal suo nascondiglio giusto la punta del naso... La mise fuorima poi si ritrasse di scatto come se qualcuno lo avesse bucato con uno spillo. Questa volta passava si sa bene chicioè il farabuttol'intriganteil depravatopassavacome al solitocoi suoi ignobili passettini fitti fittisgambettando e buttando i piedini come se si preparasse a pigliare a calci qualcuno. "Farabutto!" disse tra sé il nostro eroe. Del restoGoljadkin non poteva non accorgersi che il farabutto portava sotto il braccio un'enorme cartella verdeche apparteneva a sua eccellenza. "Ohdi nuovo un incarico speciale!" pensò Goljadkinarrossendo e facendosi sempre più piccolo per la stizza. Il signor Goljadkin numero due era appena sfrecciato davanti al signor Goljadkin numero uno senza accorgersi di luiche per la terza volta si sentirono dei passi e questa volta Goljadkin indovinò che erano i passi di uno scrivano.

Infatti la figurina tutta lustra di uno scrivano diede un'occhiata verso di luidietro la stufa: la figurina non eraperòquella di Ostafevma di un altro scrivanosoprannominato Scrivanuccio.

Questo meravigliò profondamente Goljadkin. "Ma perché ha immischiato altri nel segreto?" pensò il nostro eroe. "Che razza di barbari! Non hanno proprio nulla di sacro!" "Be'che c'èamico mio?" prese a direrivolgendosi allo scrivano. "Da parte di chi vieniamico?" "Eccosignoreper quel vostro affaruccio. Per ora non si sa niente da nessunoma se si saprà qualcosave ne informeremo." "E Ostafev?" "Lui non può assolutamentesignoria. Già due volte sua eccellenza è passata per il reparto e nemmeno ioadessoho tempo..." "Ti ringraziocaroti ringrazio... Tu dimmi soltanto..." "Vi giuro che non ho tempoadesso... Ci chiamano ogni momento...

Ma voieccocompiacetevi di trattenervi ancora un po' quidi modo chese ci sarà qualcosa relativo alla vostra faccenduolave lo riferiremo..." "Notumio carotu dimmi..." "Permettetesignorenon ho tempo" disse Scrivanucciosfuggendo a Goljadkin che lo aveva afferrato per una falda; "davvero in questo momento non è possibile. Voi compiacetevi di trattenervi qui ancora un po' e noi vi riferiremo." "Subitosubitoamico! Subitocaro amico! Eccosubito: ecco una lettera amico mioio te ne sarò gratocaro." "Ascoltosignore." "Fa' il possibile per consegnarla al signor Goljadkin." "Goljadkin?" "Sìamico mioal signor Goljadkin..." "Benesignore. Eccoquando me ne andròla prenderò. E voi restate quiintanto. Qui nessuno vi vedrà." "Noioamico miotu non pensare... iogiànon sto qui perché nessuno mi veda... E oraamico mioqui non ci starò più... ma starò giùnel vicolo... Lì c'è un caffè: così io aspetterò là e tuse succede qualcosavieni a informarmi di tuttocapisci?" "Benesignore. Lasciatemi soltanto andare. Io capisco..." "E io ti sarò gratomio caro!" gridò Goljadkinalle spalle di Scrivanuccioriuscito finalmente a liberarsi...

"Farabuttomi pare che verso la fine sia diventato più grossolano" pensò il nostro eroeuscendo alla chetichellada dietro la stufa. "Qui c'è un altro amoè chiaro... Anche all'inizio c'è stato questo e quello... Del restoaveva davvero paura: può darsi che là ci sia molto da fare. E sua eccellenza è passato due volte nella sezione... Ma come mai l'avrà fatto? Uh!

ma questo non ha importanza... Del resto non è niente e ora vedremo..." A questo punto Goljadkin stava quasi per aprire la porta con l'intenzione di uscire in stradaquando all'improvvisoproprio in quel preciso momentosi sentì il rumore della carrozza di sua eccellenza. Non fece in tempo a riaversi che lo sportello della carrozza si aprì dall'interno e il signore che vi era seduto balzò sulla scala. Quello che arrivava non era altri che quello stesso signor Goljadkin numero due che si era allontanato dieci minuti prima. Il signor Goliadkin numero uno ricordò che l'abitazione del direttore era proprio a due passi. "E' lui per un incarico speciale" pensò il nostro eroe. Nel frattempo il signor Goljadkin numero duepresa dalla carrozza la grossa borsa verde e altri incartamenti ancora e dati poi non so quali ordini al cocchierespalancò la portaquasi urtando con essa il signor Goljadkin numero uno esenza fareintenzionalmenteattenzione a luie di conseguenza comportandosi a suo dispettosi slanciò correndo a perdifiato per la scala del dipartimento. "Andiamo male!" pensò Goljadkin "ehnella nostra faccenduola c'è qualche guaio! Vedi un po'Signore mio dio!" Da mezzo minuto il nostro eroe era lì immobileimpalato; finalmente si decise. Senza pensarci su tanto a lungoassalito da una forte palpitazione di cuore e da un tremito per tutto il corpocorse su per le scalesulle orme del suo buon conoscente. "Ah! vada come vuole: che me ne importa? Io sono parte in causain questa faccenda" pensavamentre in anticamera si toglieva cappellocappotto e soprascarpe.

Quando Goljadkin entrò nella sua sezioneerano già scese le ombre del crepuscolo. Né Andréj Filìppovic' né Antòn Antònovic' si trovavano nella stanza. Erano tutti e due a rapporto nello studio del direttore; il direttore poia sua voltacome si sapeva dalle voci che correvanodoveva andare di fretta da sua eccellenza. In conseguenza di quelle circostanze e anche perché ci si era messa anche l'oscurità del crepuscolo e l'orario d'ufficio era ormai finitoalcuni degli impiegatiprevalentemente giovaniproprio nel momento in cui il nostro eroe faceva il suo ingressoerano intentiper non dire a oziarea riunirsia chiacchierarea riderea discutere eanziqualcuno dei più giovanicioè dei meno elevati in gradoalla chetichella e favoriti dal generale rumoregiocavano in un angolo vicino alla finestra a testa e croce. Poiché conosceva le convenienze e provando in quel momento particolarmente la necessità di procurarsi della benevolenzaGoljadkin si avvicinòsenza perder tempoa qualcuno col quale andava più d'accordoper augurargli il buon giorno eccetera eccetera. Ma i compagni d'ufficio risposero in modo molto strano ai saluti di Goljadkin. Rimase sgradevolmente colpito da una certa generale freddezza e asciuttezza e perfinosi può direda una certa severità nell'accoglierlo. Nessuno gli tese la mano. Alcuni dissero semplicemente "buongiorno" e si allontanarono; altri fecero solo un cenno con la testaqualcuno si girò semplicemente dall'altra partecome non si fosse accorto di niente e alcuniinfine - cosa che più di tutto ferì Goljadkin - alcuni tra i giovani di grado più bassoragazzi checome giustamente si era espresso sul conto loro Goljadkinsapevano soltanto giocare a testa e croce e gironzolare qua e làa poco a poco circondarono Goljadkingli si affollarono attorno e quasi quasi gli impedirono di uscire. E tutti lo guardavano con una certa curiosità che aveva dell'offensivo.

Era un brutto segno. Goljadkin lo sentivae prudentemente si preparòdal canto suoa fare finta di niente. All'improvvisouna circostanzacome si diceassolutamente imprevistasegnò il tracollo di Goljadkine lo annientò definitivamente.

Nel piccolo gruppo dei giovani colleghi d'ufficio stretti intorno a luicon intenzionenel momento più angoscioso per Goljadkincomparve il signor Goljadkin numero duefestoso come sempre ecome semprecon un sorrisettoeanche come sempreirrequieto; in una parola: birichinosaltellanteleccapiediridancianosvelto di lingua e di piede come semprecome primacomeper esempioieriin un momento quanto mai spiacevole per il signor Goljadkin numero uno. Con un sorrisetto sulle labbrasgambettandotrotterellandocon una smorfietta che sembrava dire a tutti: "buona sera"si ficcò nel gruppetto degli impiegati: a uno porse la manoa quell'altro batté sulla spallaa un terzo fece un leggero abbraccioal quarto spiegò in che occasioneprecisamentefosse stato adibito al servizio di sua eccellenzadove era andato con la carrozzache cosa aveva fattoche cosa aveva riportato con sé; al quintoprobabilmente il suo migliore amicoappioppò un bacio proprio sulle labbra... in una parolatutto eraper filo e per segnocome nel sogno del signor Goljadkin numero uno. Dopo aver saltellato a sazietàdopo averli passati tutti a modo suodopo aver lavorato tutti a suo favoredopo averegli servisse o nolusingato tutti a piacimentoil signor Goljadkin numero due di colpoe certo per errorenon avendo ancora probabilmentefino a quel momentonotato il suo vecchio amicotese la mano al signor Goljadkin numero uno.

Certamentepure per errorebenchédel restoavesse avuto perfettamente tempo di notare la presenza dell'ignobile signor Goljadkin numero dueil nostro eroe afferrò avidamente quella mano così inaspettatamente tesa verso di lui e la strinse nel modo più caldopiù amichevolela strinse con uno strano e del tutto inaspettato moto interioreun moto interiorediremotendente al pianto. Se il nostro eroe fosse stato ingannato dal primo gesto del suo abietto nemicoo avesse sentito o ritrovato o riconosciuto nel profondo del suo animo fino a che punto fosse arrivata la sua impotenzaè difficile dirlo. Il fatto è che il signor Goljadkin numero unoapparentemente in modo normaledi propria volontàin presenza di testimoniaveva solennemente stretto la mano a colui che definiva suo nemico mortale. Ma quale non fu lo stuporelo sbalordimento e il furorequale non fu la vergogna e lo sgomento del signor Goljadkin numero unoquando il suo avversario mortalel'abietto signor Goljadkin numero dueaccortosi dell'errore dell'uomo perseguitatoinnocente e da lui perfidamente ingannatosenza più nessuna vergognasenza ombra di sensibilitàsenza compassione nè coscienzadi colpocon impudenza insopportabile e con villania strappò la sua mano da quella del signor Goljadkin numero unoecome se ciò non bastassescosse la propria come secon quella stretta di primal'avesse insudiciata di qualcosa di brutto; ecome se nemmeno questo bastassesputò da una parteaccompagnando l'atto con un gesto offensivo; ecome se non bastasse ancoratirò fuori il fazzoletto e proprio lìnel modo più scandalososi ripulì tutte le dita che per un momento erano state strette nella mano del signor Goljadkin numero uno. Mentre si comportava cosìil signor Goljadkin numero duesecondo la sua schifosa abitudinesi guardava intenzionalmente intornofaceva sì che tutti vedessero il suo modo di comportarsifissava tutti negli occhi e evidentemente si sforzava di suscitare nell'animo di tutti le cose più sfavorevoli sul conto di Goljadkin. Sembrava che il disgustoso modo di comportarsi del signor Goljadkin numero due avesse provocato lo sdegno generale degli impiegati che erano lì intorno; persino la sventata gioventù dimostrava il suo scontento. Tutto intorno si sentì mormorare e parlottare. Quella generale inquietudine non poteva non arrivare all'orecchio del signor Goljadkin numero unoma di colpo uno scherzettoarrivato proprio in tempo e natotra l'altrosulle labbra del signor Goljadkin numero dueabbatté e annientò le ultime speranze del nostro eroe e fece pendere la bilancia in favore del suo mortale e inutile nemico.

"Questosignoriè il nostro Faublas (1) russo: permettete che vi presenti il giovane Faublas" squittì il signor Goljadkin numero dueguizzando e sgambettando tra gli impiegati con quella sfrontatezza tutta sua particolare e indicando loro l'imbambolato e nello stesso tempo furibondo autentico Goljadkin.

"Baciamocianimuccia!" continuò con intollerabile familiaritàavanzando verso l'uomo da lui così oltraggiosamente offeso. Sembrò che lo scherzetto dell'inutile signor Goljadkin numero due trovasse risonanza là dove occorrevatanto più che in esso era racchiusa una chiara allusione a una circostanzaevidentemente già di pubblico dominio e nota a tutti. Il nostro eroe sentì sulle sue spalle il peso della mano dei nemici. Del restoaveva già preso la sua decisione. Con lo sguardo fiammeggianteil viso pallidocon un sorriso staticosi fece largo tra la folla e a passi incerti e rapidi puntò direttamente verso lo studio di sua eccellenza. Nella penultima stanza incontrò Andréj Filìppovic' che in quel momento usciva da sua eccellenzae sebbene in quella stanza ci fossero parecchie altre personeassolutamente estranee in quel momento per Goljadkinil nostro eroe non volle considerare affatto una tale circostanza. Direttamentedecisamenteaudacementequasi meravigliandosi di se stesso e lodando in cuor suo la propria audaciaabbordòsenza perder tempoAndréj Filìppovic'stupefatto per un così imprevisto assalto.

"Ahsiete voi... che volete?" domandò il caposezionesenza ascoltare quello che Goljadkin aveva cominciato a balbettare.

"Andréj Filìppovic'io... posso ioAndréj Filìppovic'avere orasubito e a tu per tuun colloquio con sua eccellenza?" disse con belle parole e con chiara pronuncia il nostro eroefissando su Andréj Filìppovic' uno sguardo pieno di risolutezza.

"Che cosa? Naturalmentenosignore." Andréj Filìppovic' misurò Goljadkin dalla testa ai piedi con lo sguardo.

"IoAndréj Filìppovic'dico tutto questo perché mi meraviglio che non ci sia nessuno qui dentro che sbugiardi quel farabutto impostore." "Co-osa?" "FarabuttoAndréj Filìppovic'." "Ma a chi alludeteparlando in tal modo?" "Alla ben nota personaAndréj Filìppovic'. IoAndréj Filìppovic'alludo alla ben nota persona; io sono nel mio diritto... Io credoAndréj Filìppovic' che i superiori dovrebbero incoraggiare simili impulsi" aggiunse il signor Goljadkinevidentemente fuori di sé; "Andréj Filìppovic'... voi certamente vedete voi stessoAndréj Filìppovic'che questo è un nobile impulsoche denota tutte le mie buone intenzioni di considerare come padre il mio superioreAndréj Filìppovic'; io tengocioèil mio benefico superiore in conto di padre e ciecamente gli affido il mio destino. Le cose sono così e così... dirò... ecco come..." A questo punto la voce di Goljadkin ebbe un tremitoil suo viso si fece di fiamma e due lacrime si affacciarono sulle sue ciglia.

Andréj Filìppovic'ascoltando Goljadkinaveva provato tanto stupore chequasi involontariamenteera arretrato di due passi.

Poiinquietorivolse intorno lo sguardo... Era difficile dire come sarebbe andata a finire la faccenda... Ma di colpo la porta dello studio di sua eccellenza si aprì e lui stesso ne uscìin compagnia di alcuni impiegati. Gli si accodaronouno dopo l'altrotutti quelli che erano nella stanza. Sua eccellenza chiamò Andréj Filìppovic' e si avviò al suo fiancoparlando di certi affari. Quando tutti furono usciti dalla stanzaGoljadkin si riebbe. Calmatosiandò a rifugiarsi sotto l'ala di Antòn Antònovic' Setoc'kin chea sua voltasgambettava zoppicando dietro gli altri ecosì sembrò a Goljadkincon aria severa e preoccupata. "Ho parlato troppo anche qui: anche qui mi sono fatto del male" pensò Goljadkin. "Ma vianon importa!" "Spero che almeno voiAntòn Antònovic'acconsentirete ad ascoltarmi e a comprendere a fondo la mia situazione" cominciò piano e con la voce ancora più tremante per l'agitazione.

"Respinto da tuttimi rivolgo a voi. Sono tuttora perplesso sul significato delle parole di Andréj Filìppovic'Antòn Antònovic'.

Spiegatemele voise è possibile..." "Tutto si spiegherà al momento opportuno" rispose in tono severo e pacato Antòn Antònovic' ecosì sembrò a Goljadkincon un'aria che dava chiaramente a intendere che Antòn Antònovic' voleva tassativamente porre finee alla conversazione. "Sarete al più presto informato di tutto. Oggi stesso sarete informato formalmente di tutto." "Che significa formalmenteAntòn Antònovic'e perché proprio formalmente?" chiesetimidoil nostro eroe.

"Non tocca a voi discutereJakòv Petrovic'le decisioni dei superiori." "PerchépoisuperioriAntòn Antònovic'" proseguì Goljadkin sempre più timidamenteperché i superiori? Non vedo la ragione perché qui sia necessario disturbare i superiori, Antòn Antònovic'... Volete forse accennare qualcosa a proposito di ieri sera, Antòn Antònovic'?Nossignore, non di ieri sera; ma qui c'è qualche altra cosa che lascia a desiderare in voi.Che cosa lascia a desiderare, Antòn Antònovic'? Mi pare, Antòn Antònovic', che in me non ci sia proprio niente che lasci a desiderare.E con chi vi preparavate a giocare d'astuzia?disse Antòn Antònovic'interrompendo di colpo Goljadkincompletamente smarrito. Goljadkin ebbe un sussulto e sbiancò come un cencio.

"CertoAntòn Antònovic mormorò con un filo di voce se si dà ascolto alla voce della calunnia e si dà retta ai nostri nemicisenza tener conto delle giustificazioni dell'altra parteallora naturalmente... naturalmenteAntòn Antònovic'si può soffrireAntòn Antònovic'pur essendo senza colpae soffrire non si sa per che cosa." "Sìsì... ma quel vostro indegno comportamento in danno del buon nome di una nobile fanciulla appartenente a quella virtuosarispettabile e nota famiglia che vi beneficava?" "Quale comportamentoAntòn Antònovic'?" "Giàgià... E riguardo a quell'altra ragazzapoverama in compenso di onesta origine stranieranon sapete niente del vostro lodevole comportamento?" "PermetteteAntòn Antònovic'... vogliate benevolmente ascoltare..." "E il vostro perfido comportamento e la calunnia contro un'altra personal'accusa a un'altra persona di un peccato che voi stesso avete commesso? eh? come definite tutto questo?" "IoAntòn Antònovic'non l'ho scacciato" disse tutto trepidante il nostro eroee a Petruska, ossia al mio domestico, non ho insegnato niente di simile... Ha mangiato il mio pane, Antòn Antònovic'; ha usato della mia ospitalitàaggiunse in modo espressivo e accorato il nostro eroetanto che il mento gli saltellava un pochino e le lacrime erano sul punto di sgorgare.

"Lo dite tanto per direJakòv Petrovic'che ha mangiato il vostro pane" risposefacendo un largo sorrisoAntòn Antònovice nella sua voce vibrava la maliziatanto che il cuore di Goljadkin ebbe come una sferzata.

"Permettete ancoraAntòn Antònovic'una umilissima domanda: sua eccellenza è al corrente di tutta questa faccenda?" "E come! Oraperòlasciatemi andare. Non ho tempoadessodi trattenermi con voi... Oggi sarete informato di tutto ciò che dovete sapere." "Permettetein nome di Dioancora un minutinoAntòn Antònovic" "Parlerete poi..." "NossignoreAntòn Antònovic': iosignorevedeteascoltate soltantoAntòn Antònovic'... Io non sono uno scetticoAntòn Antònovic'io rifuggo dallo scetticismo; io sono prontissimoper parte miae ho anche prospettato quell'idea..." "Benebene... Ne ho già sentito par]are..." "Nossignorequesto non l'avete sentito direAntòn Antònovic'.

Questa è tutta un'altra cosaè belloveramente belloe fa piacere sentirlo dire... Io ho fatto presentecome già ho avuto l'onore di dichiararviquell'ideaAntòn Antònovic'che la divina Provvidenza abbia creato due esseri identicie i benefici superioriconsiderata la divina Provvidenzahanno accolto i due gemelli. E questo è belloAntòn Antònovic'; lo vedete anche voiche è molto belloAntòn Antònovic'e che io sono ben lontano dall'essere scettico. Io considero il benefico superiore come un padre. Le cose sono così e cosìdireibenefico superioree voi direi... un giovane deve lavorare... SostenetemiAntòn Antònovic'intercedete in mio favoreAntòn Antònovic'... Io niente... Antòn Antònovic'per amor di Dioancora solo una parolina... Antòn Antònovic'..." Ma Antòn Antònovic era già lontano da Goljadkin... Il nostro eroe non sapeva dove si trovasseche cosa sentisseche cosa facesseche cosa gli fosse successo e che altro gli sarebbe capitato ancoratanto lo aveva sconcertato e sbalordito quello che aveva sentito e gli era accaduto.

Con occhi supplichevoli cercava tra la folla degli impiegati Antòn Antònovic' per giustificarsi ancora di più davanti a lui e dirgli ancora qualcosa di molto benintenzionato e di molto nobile e lusinghiero sul suo conto... A poco a pocointantouna nuova luce si faceva strada attraverso la confusione di Goljadkinuna nuova tremenda luce che illuminavadavanti a luidi colpotutta una serie di circostanze assolutamente ignorate fino ad ora e perfino assolutamente insospettate... In quel momento qualcuno urtò al fianco il nostro eroecompletamente smarrito. Egli diede un'occhiata intorno a sé. Davanti a lui stava Scrivanuccio.

"Una letterasignoria." "Ahsei già andatomio caro?" "Noquesta l'hanno portata qui fin da stamattina alle dieci.

Sergéj Micheievil guardianol'ha portata dalla casa del segretario provinciale Vachrameiev." "Beneamicobene... te ne sono gratoamico." Detto ciòGoljadkin nascose la lettera nella tasca laterale della giubba della divisadi cui chiuse tutti i bottoni; poi si guardò intorno econ suo grande stuporesi accorse di trovarsi già nell'ingresso del dipartimentotra una frotta di impiegati che si affollavano all'uscitapoiché l'orario d'ufficio era finito.

Goljadkin non soltanto non si era fino ad allora accorto di quest'ultima circostanzama neppure si era accorto e non ricordava come mai si trovasse già in cappotto e soprascarpee col cappello tra le mani. Tutti gli impiegati erano immobili e in rispettosa attesa. Il fatto era che sua eccellenza si era fermato in fondo alla scala per aspettare la carrozza chenon si sa per quale ragioneritardavae si tratteneva in interessante conversazione con due consiglieri e con Andréj Filìppovic. Un po' scostato dai due consiglieri e da Andréj Filìppovic'stava dritto Antòn Antònovic' Setoc'kin e qualcuno degli altri impiegatiche sorridevano nel vedere sua eccellenza che si degnava di ridere e di scherzare. Gli impiegati che facevano ressa in cima alla scala ridevano pure loro e aspettavano che sua eccellenza riprendesse a ridere. L'unico che non rideva era Fedosejc'il panciuto portiere che reggeva la maniglia della porta eimpalato sull'attentiaspettava con impazienza la sua giornaliera porzione di piacere che consisteva nell'aprire di colpospalancandolo con un'unica mossa del braccioun solo battente della porta e poitutto piegato ad arcorispettosamente far passare davanti a sé sua eccellenza. Ma più di tuttievidentementeera felice e provava una grande gioia l'indegno e ignobile nemico di Goljadkin. In quel momento aveva persino dimenticato tutti gli impiegatiaveva persino dimenticato di guizzare e di sgambettare in mezzo a lorosecondo la sua abietta abitudinee aveva anche dimenticato di approfittare dell'occasione per fare il leccapiedi a qualcuno. Era tutt'orecchi e tutt'occhi; eraper così direcome rattrappitocerto per ascoltare più comodamentesenza distogliere lo sguardo da sua eccellenzae soltanto a tratti le sue bracciale sue gambe e la sua testa erano come trafitte da spasmi convulsiquasi impercettibiliche rivelavano gli intiminascosti moti del suo animo. "Guardalo come si agita!" pensò il nostro eroesembra un favorito, il farabutto! Vorrei sapere in che modo precisamente si intrufola nell'alta società. Non ha intelligenza, non ha carattere, non ha educazione, non ha sensibilità; ha la fortuna dalla sua, il brigante! O Signore Iddio! A pensarci, come fa presto un uomo a entrare nelle grazie della gente! E si farà strada, il bel tipo! Giuro che andrà lontano, il furfante, che arriverà... ha la fortuna dalla sua, il ribaldo! Vorrei anche sapere che cosa vada soffiando negli orecchi a tutti loro! Quali misteri ha con tutta questa gente e di quali segreti parlano?

Signore Iddio! Se anch'io potessi un pochino... potessi così...

dire così e così... e forse anche pregare... e dire che non succederà più; sono colpevole, gli direi, ma un uomo giovane, ai nostri tempi, deve potere, eccellenza, prestar servizio; quanto alla mia oscura vicenda non ne sono per niente turbato; ecco, così stanno le cose! Non protesterò in nessun modo e sopporterò ogni cosa con pazienza e con rassegnazione: ecco, così! Devo forse agire così? Ma del resto non gli faranno abbassare la cresta, al furfante, non lo smuoveranno con nessuna parola; ficcare un po' di ragione in quella testaccia sconclusionata è impossibile. Del resto, ci proveremo. Se mi accadrà di capitare in un buon momento, ecco, si proverà...Nello stato di agitazionedi angoscia e di smarrimento in cui si trovavasentendo che restare così non si potevache stava per arrivare il momento decisivoche bisognava spiegarsi con qualcunoil nostro eroe a poco a poco cominciava a muoversi verso il posto in cui stava il suo indegno e misterioso amico; ma proprio in quel momento ecco rombare all'ingresso la carrozza a lungo aspettata da sua eccellenza. Fedosejc' spalancò di colpo il battenteepiegata ad arco la schienafece passare davanti a sé sua eccellenza. Tutti quelli che erano rimasti in attesa si precipitarono verso l'uscita e per un momento separarono il signor Goljadkin numero uno dal signor Goljadkin numero due. "Non te la svignerai" diceva il nostro eroefendendo la folla e senzadistogliere gli occhi dal suo inseguito. Infine la folla si disperse. Il nostro eroe si sentì libero e si precipitò all'inseguimento del suo nemico.

 

 

NOTE:

  1. Avventurierogalante e audace protagonista del romanzo:

"Le avventure del cavaliere di Faublas"di Jean Baptiste Louvet de Couvral (1760-1797)rivoluzionario e scrittore francese.

 

 

11.

 

Goljadkin sentiva il respiro mancargli: come portato da due alivolava sulle tracce del suo nemicoche con grande velocità si allontanava. Sentiva dentro di sé una formidabile energia. Perònonostante quella formidabile energiaGoljadkin poteva audacemente sperare che in quel momento anche una modesta zanzarasempre che avesse potuto in quella stagione vivere a Pietroburgosarebbe tranquillamente riuscita a spezzarlo con la sua ala.

Inoltre sentiva di essere deboleaffrantodi essere trasportato da una forza estranea e tutta particolare e di non essere lui a camminare perchéal contrariole gambe gli si piegavano e si rifiutavano di servirlo. Del restoanche questo poteva sistemarsi per il meglio. "Meglio o non meglio pensava Goljadkin, quasi senza respiro per la gran corsa ma che la faccenda sia perdutanon si può nemmeno lontanamente non pensarlo: che io sia completamente a terraormai si saè cosa certadecisa e controfirmata." Nonostante tutto ciòal nostro eroe sembrò di essere resuscitato alla vitasembrò di aver sostenuto una battaglia e di avere conquistato la vittoria quando riuscì ad agguantare per il cappotto il suo nemico che già aveva messo un piede su una carrozzella e si era accordato col vetturino per andare chissà dove.

"Egregio signore!" cominciò a gridarealla fineraggiungendo l'ignobile signor Goljadkin numero due.

"Egregio signoreio spero che voi..." "Novi pregonon sperate niente" rispose ambiguamente lo spietato nemico del signor Goljadkinstando con un piede sul predellino della carrozzella e tentando con tutte le forze di arrivare al lato opposto della vettura con l'altro piedeagitandolo inutilmente nell'aria per lo sforzo di mantenersi in equilibrioe nello stesso tempo cercando di strappare dalle mani del signor Goljadkin il proprio cappottoal quale quelloda parte suasi era afferrato con tutti i mezzi fornitigli da madre natura.

"Jakòv Petrovic'! soltanto dieci minuti..." "Scusatenon ho tempo." "Vorrete voi stesso convenireJakòv Petrovic'.... vi pregoJakòv Petrovic'... in nome di DioJakòv Petrovic'... le cose stanno così e così... bisogna spiegarsi.. con sincerità... Un minutino soloJakòv Petrovic'!" "Carino mionon ho tempo" rispose con scortese familiaritàmascherata da cordiale bonomiail falsamente nobile nemico del signor Goljadkin; "in un altro momentocredetemicon tutta l'anima e di tutto cuore; ma adessoeccoadesso è davvero impossibile." "Mascalzone!" pensò il nostro eroe.

"Jakòv Petrovic'!" gridòinvececon voce angosciata. "Vostro nemico io non lo sono stato mai. Gente malvagia mi ha ingiustamente dipinto... Da parte mia sono pronto... Jakòv Petrovic'vi fa comodo che noi dueJakòv Petrovic'entriamo subito? E lìdi tutto cuorecome giustamente avete detto voi poco fae con chiare e nobili parole... eccoin quel caffè:

allora tutto fra noi si chiarirà... ecco come sono le coseJakòv Petrovic'! Allora tutto certamente si chiarirà..." "Nel caffè? Bene... Io non sono contrarioentriamo pure nel caffèma soltanto a un pattogioia miaa un unico pattoche là tutto si spieghi da sé. Si dice: le cose sono così e cosìanimuccia" disse il signor Goljadkin numero duescendendo dalla carrozzella e battendo sfacciatamente sulla spalla del nostro eroe. "Amico bello! per teJakòv Petrovic'io sono pronto ad attraversare il vicoletto (come giustamente voiJakòv Petrovic'vi compiaceste un giorno di osservare). E' proprio vero che il briccone fa di un uomo ciò che vuole!" proseguì il falso amico di Goljadkintrotterellando e agitandosi accanto a luicon un lieve sorrisetto.

Il caffè lontano dalle grandi vie in cui entrarono i due Goljadkin era in quel momento completamente deserto. Appena trillò il campanellocomparve al banco una tedesca piuttosto grassoccia.

Goljadkin e il suo indegno nemico si inoltrarono nella seconda salettadove un ragazzetto paffutellocoi capelli tagliati molto cortiera affaccendato con un fascio di ramoscelli vicino alla stufacercando di ravvivare il fuoco quasi spento. A richiesta del signor Goljadkin numero duefu servita una cioccolata.

"Capperiche donnetta!" esclamò il signor Goljadkin numero duestrizzando furbescamente un occhio al signor Goljadkin numero uno.

Il nostro eroe si fece rosso e non disse niente.

"Ahgiàdimenticavoscusatemi... Conosco i vostri gusti. Noisignoresiamo ghiotti di delicate tedeschine; noi duediciamolo pureanima sincera che seiJakòv Petrovic'tu e io siamo ghiotti di delicate tedescucceanche sedel restonon ancora prive di attrattive; prendiamo in affitto camere da lorocerchiamo di sedurle per una zuppa alla birra o al lattededichiamo loro il nostro cuore e mandiamo loro dichiarazioni scritte; ecco ciò che facciamoFaublas che non sei altrotraditore che sei!" Tutto questo disse il signor Goljadkin numero duefacendo così una inutileanche se malignamente astutaallusione a una ben nota persona di sesso femminilecircuendo Goljadkinsorridendogli con aria affabilee mostrando falsamentein quel modocordialità verso di lui e gioia per quell'incontro. Resosi conto però che il signor Goljadkin numero uno non era tanto stupido e non privo di istruzione e di belle maniere al punto di credergli ciecamentel'ignobile uomo decise di cambiare tattica e di trattare la faccenda con le carte in tavola. E a questo puntodopo aver lanciato quella sua infamiail falso Goljadkin conclusein modo così sfacciato da essere addirittura ripugnantecon una bella manata sulla spalla del calmo Goljadkinpoinon ancora soddisfatto di questosi avventurò con lui in certi scherzi assolutamente sconvenienti nella buona società e precisamente si mise a ripetere una sua precedente volgaritàe cioènonostante la resistenza e i leggeri gridi dello sdegnato Goljadkinprese a dargli dei pizzicottini sulle guance. Di fronte a una farsa così turpe il nostro eroe si sentì ribolliree però non disse nienteper il momento.

"Queste sono parole dei miei nemici" rispose infinesaggiamente trattenendosicon voce fremente. E nello stesso tempo il nostro eroe si girò allarmato verso la porta. Il fatto è che il signor Goljadkin numero due eraevidentementedi ottimo umore e pronto a lanciarsi in vari scherzetti del tutto illeciti in un luogo pubblico egeneralmente parlandonon ammessi dalle leggi del mondo e soprattutto nella distinta società.

"Be'se è cosìcome volete voi" replicò con viso serio il signor Goljadkin numero due al pensiero del signor Goljadkin numero unodopo aver posato sul tavolo la tazza da lui vuotata con sconveniente avidità. "Be'noi due non abbiamo di che tirarla tanto per le lunghedel resto... Dunquecome ve la passateadessoJakòv Petrovic'?" "Una cosa soltanto vi posso direJakòv Petrovic'" rispose con calma e dignità il nostro eroe; "vostro nemico io non sono stato mai." "Ehm!... e Petruska? Come si chiama più?... Petruskami pare...

Ahsì! Ebbenecome sta? Va bene? Come prima?" "Anche lui come primaJakòv Petrovic'" rispose un po' meravigliato il signor Goljadkin numero uno. "Io non soJakòv Petrovic'... Da parte mia... da un lato nobile... dal lato della franchezzaJakòv Petrovic'ne converrete anche voiJakòv Petrovic'..." "Sì. Ma sapete anche voiJakòv Petrovic'" rispose con voce sommessa e espressiva il signor Goljadkin numero duefalsamente spacciandosi in tal modo per un uomo afflittopentito e degno di compatimentovoi stesso sapete che viviamo in tempi difficili...

Lo chiedo a voi, Jakòv Petrovic': voi siete un uomo intelligente e che ragiona benecommentò il signor Goljadkin numero duebassamente blandendo il signor Goljadkin numero uno. "La vita non è un giochettolo sapete anche voiJakòv Petrovic'" concluse con aria molto significativa il signor Goljadkin numero duefingendosicosìpersona intelligente e istruitacapace di ragionare su argomenti elevati.

"Da parte miaJakòv Petrovic'" rispose con animazione il nostro eroeda parte mia, disprezzando le scappatoie e parlando in tutta franchezza, parlando con un linguaggio nobile e retto, e mettendo la faccenda su un piano di nobiltà, vi dirò, e posso sinceramente e nobilmente assicurarvelo, Jakòv Petrovic', che io sono perfettamente puro e che, voi stesso lo sapete, Jakòv Petrovic', un reciproco malinteso (tutto può accadere), il giudizio del mondo, l'opinione di una folla servile... lo dico francamente, Jakòv Petrovic', tutto può accadere. E dirò inoltre, Jakòv Petrovic', se si deve giudicare così, se si deve giudicare la faccenda da un nobile e delicato punto di vista, oserò dire, dire senza falsa vergogna, Jakòv Petrovic', e mi sarà persino gradito rivelarlo, che da parte mia è stato un malinteso e mi sarà gradito riconoscerlo. Voi stesso lo sapete, voi siete un uomo intelligente, e soprattutto una nobile persona. Senza vergogna, senza falsa vergogna, sono pronto a riconoscerlo...concluse il nostro eroe con nobile dignità.

"La fatalitàil destino! Jakòv Petrovic'... ma lasciamo stare tutto questo..." esclamò sospirando il signor Goljadkin numero due. "Usiamo meglio i brevi istanti del nostro incontro per una più utile e piacevole conversazionecome si conviene tra due colleghi... Davvero non sono mai riuscito a scambiare con voi due parolein tutto questo tempo... Ma la colpa non è miaJakòv Petrovic'..." "E nemmeno mia interruppe con calore il nostro eroe nemmeno mia! Il cuore mi diceJakòv Petrovic'che io non sono per niente responsabile di tutto questo. Ne accuseremo il destinoJakòv Petrovic'" aggiunse il signor Goljadkin numero uno in tono conciliante. La voce incominciava a poco a poco a indebolirglisi e a tremare. "Ebbene? Come va in complesso la vostra salute?" disse quell'uomo corrotto con voce carezzevole.

"Ho un po' di tosse" risposeancor più carezzevolmente il nostro eroe.

"Curatevi. Adesso dilagano tali epidemieche non è difficile prendersi un'angina e iove lo confessocomincio già a coprirmi di flanella." "E' proprio cosìJakòv Petrovic'è facilissimo prendersi un'angina..." disse il nostro eroe dopo un breve silenzio. "Jakòv Petrovic'! Mi accorgo proprio di aver preso una cantonata... Io ricordo con commozione quei felici momenti che ci è capitato di trascorrere insieme sotto il mio poveroma oso direcordiale tetto." "Nella vostra letteraperònon avete scritto questo" replicò con leggero rimprovero perfettamente giusto (giustopoisoltanto sotto questo aspetto) il signor Goljadkin numero due.

"Jakòv Petrovic'! Sono caduto in errore... Me ne rendo ben contoadessoche sono caduto in errore anche in quella malaugurata mia lettera. Jakòv Petrovic'ho vergogna di guardarviJakòv Petrovic' voi non mi crederete... Datemi quella letterache io possa strapparla davanti a voiJakòv Petrovic'ose questo non è possibilevi supplico di leggerla a rovesciocompletamente a rovesciocioèvoglio direcon amichevoli intenzioniattribuendo a ogni parola della mia lettera il significato opposto. Ho sbagliato. PerdonatemiJakòv Petrovic'... ho sbagliatoho sbagliato amaramenteJakòv Petrovic'..." "Voi dite?" chiese distrattamente e con una certa indifferenza il perfido amico del signor Goljadkin.

"Io dico che mi sono completamente sbagliatoJakòv Petrovic'e che da parte mia ioassolutamentesenza falsa vergogna..." "Ahsono contento! Sono contento che abbiate sbagliato" rispose rudemente il signor Goljadkin numero due.

"IoJakòv Petrovic'ho avuto persino l'idea" aggiunse con nobile gesto il nostro sincero eroenon accorgendosi affatto della terribile perfidia del suo falso amicoho avuto persino l'idea che, ecco, siano stati creati due esseri perfettamente uguali...Ah! questa è la vostra idea!" A questo punto il signor Goliadkin numero duefamoso per la sua assoluta inutilitàsi alzò e afferrò il cappello. Non accorgendosi ancora dell'ingannoanche il signor Goljadkin numero uno si alzòsorrise con bonaria affabilità al suo falso amicofacendo di tuttonel suo candoreper essere affettuoso con luiper fargli coraggio e per riannodare così una nuova amicizia...

"Addioeccellenza!" gridò all'improvviso il signor Goljadkin numero due. Il nostro eroe sussultòeavendo visto nel viso del suo nemico un non so che di bacchicounicamente per liberarsene ficcò nella mano che l'immorale gli aveva teso due dita della propria mano: ma eccoecco che a questo punto l'impudenza del signor Goljadkin numero due passò ogni limite. Afferrate le due dita della mano del signor Goljadkin numero uno e strettele prima un po'l'indegnoproprio sotto gli occhi del signor Goljadkindecise di ripetere il suo sfacciato scherzo del mattino. La misura dell'umana pazienza era esaurita...

Aveva già rificcato in tasca il fazzoletto col quale si era strofinato le ditaquando il signor Goljadkin numero uno si riprese e si lanciò dietro di lui nella stanza attiguadovesecondo la propria sfacciata abitudineil suo accanito nemico si era affrettato a sgattaiolare. Come se nessuno lo vedessese ne stava vicino al bancomangiava focaccette e calmissimocome l'uomo più virtuoso del mondocorteggiava la pasticcera tedesca.

"Davanti alle signore è impossibile" rifletté il nostro eroe efuori di sé dall'agitazionesi avvicinò pure lui al banco.

"Davverola donnina non è affatto male! Che ne dite?" riprese di nuovo con le sue sconvenienti uscite il signor Goljadkin numero duecontando di certo sulla pazienza senza limiti del signor Goljadkin numero uno. La tedesconada parte suaguardava i suoi clienti con occhi stupidi e opachinon capendo evidentemente la lingua russae con un amabile sorriso. Il nostro eroe si fece rosso come il fuoco per le parole del signor Goljadkin numero due che non conosceva vergogna eimpotente a dominarsigli si lanciò finalmente contro con la chiara intenzione di farlo a pezzi e così farla finita una buona volta con lui; ma il signor Goljadkin numero duesecondo la sua abietta abitudineera già lontano: se l'era data a gambe e aveva già raggiunto la scaletta. Viene da sé chedopo il primo momento di stupore chenaturalmenteaveva colpito il signor Goljadkin numero unosi riprese e si lanciò a gambe levate dietro l'offensoreche già saliva sulla carrozzella del "vanka" che lo aspettava e che evidentemente era già d'accordo con lui in tutto e per tutto. Ma proprio in quel momento la tedesconavedendo i suoi due avventori in fugasi mise a gridare e si lanciò a tutta forza sul campanello. Il nostro eroe si giròle lanciò a volo il denaro per sé e per quello sfacciato individuo che non aveva pagatosenza esigere il resto enonostante si fosse così attardatoriuscì tuttaviama anche questa volta soltanto a voload afferrare il suo nemico. Aggrappatosi al parafango della carrozzella con tutti i mezzi datigli da madre naturail nostro eroe corse per un po' di tempo a grande velocità per la stradacercando di arrampicarsi sulla carrozzella difesa a tutta forza dal signor Goljadkin numero due. Intanto il vetturinocon la frustacon le redinicol piede e con le parole eccitava lo sgangherato ronzinoche inaspettatamente si lanciò di gran carrierastringendo il morso tra i denti e scalciandosecondo la sua deplorevole abitudine con le zampe posterioriogni tre passi.

Finalmente il nostro eroe riuscì ad arrampicarsi sulla carrozzellacol viso verso il suo nemicola schiena al vetturino e le ginocchia contro le ginocchia di quello svergognatoaggrapandosi con la mano destra e con tutte le sue forze all'orribile bavero di pelliccia del cappotto del suo turpe e acerrimo nemico...

I due nemici filavano a tutta velocità e per un po' di tempo rimasero zitti. Il nostro eroe riusciva a fatica a tirare il fiato; la strada era pessima e a ogni passo c'erano dei grandi sobbalzicon il pericolo di rompersi l'osso del collo. Inoltre il suo acerrimo nemico non si dava ancora per vinto e provava in tutti i modi a ricacciare nel fango l'avversario. A completare l'elenco delle avversitàil tempo era orrendo. La neve cadeva fittissima e provava in ogni modo a insinuarsi sotto il cappottoche si era sbottonatodel signor Goljadkinquello autentico.

Intorno l'aria era cuca e non si riusciva a vedere niente. Era difficile poter distinguere in quale direzione e per quale strada corressero... Goljadkin ebbe l'impressione che gli stesse capitando qualcosa di già noto. Per un attimo cercò di farsi tornare in mente se il giorno prima non avesse previsto qualcosa... in sognoper esempio... Finalmente l'angoscia raggiunse l'apice dell'agonia. Premendo con tutta la forza sul suo spietato avversariostava quasi per mettersi a gridarema il grido gli morì sulle labbra... Ci fu un minuto in cui Goljadkin dimenticò tutto e decise che tutto ciò non aveva assolutamente importanza e che accadeva soltanto cosìchissà comein modo inspiegabilee chedato il casoprotestare sarebbe stato inutile e soltanto tempo perso... Ma all'improvviso e quasi nel preciso momento in cui il nostro eroe stava tirando queste conclusioniun sobbalzo imprudente cambiò tutta quanta la faccenda. Goljadkin rotolò giù dalla carrozzella come un sacco di patate e rimbalzò chissà dovericonoscendo con equanimitàal momento della cadutache in effetti si era accalorato troppo e molto a sproposito. Rialzatosi finalmenteosservò il luogo dove si trovava: la carrozzella era in mezzo al cortilee il nostro eroe si accorsealla prima occhiatache si trattava precisamente del cortile della casa in cui abitava Olsufij Ivànovic'. E nello stesso tempo si accorse pure che l'amico stava già salendo sul pianerottolo d'ingressodirettosicuramenteda Olsufij Ivànovic'. In uno stato di indescrivibile angoscia si precipitò all'inseguimento del nemicomaper sua fortunasaggiamentecambiò parere in tempo. Senza dimenticare di pagare il vetturinoGoljadkin si lanciò sulla strada e corse a gran velocità dove lo portavano le gambe. La neve continuava a cadere fitta fitta; l'aria era sempre cucabuia e umida. Il nostro eroe non correvavolava... travolgendo tutto sulla sua stradacontadinidonne e bambinie veniva travolto a sua volta da donne contadini e bambini. Intorno a lui e alle sue spalle si sentivano voci spaventategridastrilli... Ma sembrava che Goljadkin fosse completamente fuori di sée non voleva fare attenzione a niente e a nessuno... Si ripresedel restogià al ponte Semjonovskijma fu soltanto per il fatto che era arrivatonon si sa comea malamente contro due donne e a buttarle in terra con certi loro articoli di gran smercioe nello stesso tempo a cadere anche lui lungo disteso. "Non ha importanza" pensò Goljadkintutto questo può benissimo volgere al meglioe subito si ficcò la mano in tasca volendo farla finitacon un rublo d'argentodi tutti quei mostacciuoliquelle melequei piselli e tutte le altre cose che si erano sparpagliate qua e là. Di colpo una nuova luce colpì Goljadkin: nella tasca aveva sfiorato la letteradatagli al mattino dallo scrivano. Ricordatositra l'altroche poco lontano si trovava una trattoria a lui ben conosciutasi affrettò in quella direzionesenza perdere tempo si accomodò a un tavolino illuminato da una candeletta di sego esenza pensare a nient'altro e senza ascoltare il cameriere comparso a prendere ordinistrappò la busta e si precipitò a leggere quanto riportiamo sottoche gli diede il colpo definitivo.

"Nobile uomo che soffrì per me e caro in eterno al mio cuore! Io soffroio soccombo: salvami!

Il calunniatorel'intrigantel'uomo noto per la fatuità delle sue inclinazionimi ha avviluppata nelle sue reti e io sono perduta. Sono caduta! Ma egli mi è odioso; tuinvece! Ci hanno separatile mie lettere per te sono state intercettate e tutto ciò è opera di quell'essere immondoche ha approfittato dell'unico suo pregio: la somiglianza con te. In ogni caso poi si può essere brutto d'aspettoma affascinante per intelligenzaviva sensibilità e simpatico modo di fare... Io sto soccombendo!

Mi fanno sposare a viva forza e colui che più di ogni altro sta ordendo intrighi è il mio genitore e benefattore e consigliere di stato Olsufij Ivànovicche favorisce chi desidera probabilmente salire alla mia posizione e alle mie relazioni nell'alta società... Ma io sono decisa a protestare con tutti i mezzi fornitimi dalla natura. Attendimi oggi con la tua carrozzaalle nove precisedavanti alle finestre dell'abitazione di Olsufij Ivànovic'. A casa nostra ci sarà di nuovo un ballo e ci sarà il bel tenente. Io verrò e voleremo via insieme. Inoltreesistono ancora altri uffici pubblici dove si può ancora essere di utilità alla patria. In ogni caso ricordaamico mioche l'innocenza è forte della sua stessa innocenza. Addio. Aspettami con la carrozza davanti all'ingresso! Mi abbandonerò alla protezione dei tuoi abbracci alle due precise dopo mezzanotte.

Tua fino alla tomba Klara Olsùfevna."

Letta la letterail nostro eroe rimase per alcuni minuti disfatto. In preda a un'angoscia terribilea una terribile agitazionepallido come un cenciotenendo tra le mani la letteracamminò parecchie volte su e giù per la stanza; ad aggravare al massimo la sua posizioneil nostro eroe non si rese conto di esserein quel momentooggetto dell'esclusiva curiosità di tutti i presenti nella stanza. Probabilmente il disordine del vestitol'insopprimibile agitazionequel suo continuo camminare su e giùil suo gesticolare con tutte e due le manie forse alcune misteriose parole lanciate al vento e in stato di confusionetutto questocertamentemal deponeva in favore di Goljadkinnell'opinione di tutti gli avventori; e persino il garzone cominciava a osservarlo con occhio sospettoso. Ripresosiil nostro eroe si rese conto di trovarsi in mezzo alla stanza e di guardare in modo quasi sconveniente e ineducato un vecchietto dall'aspetto assai rispettabilechedopo aver pranzato e pregato davanti all'immagine di Diosi era rimesso a sedere eda parte suanon toglieva gli occhi di dosso a Goljadkin. Il nostro eroe rivolse in giro una vaga occhiata e si accorse che tuttiproprio tuttilo guardavano con aria maligna e sospettosa. All'improvviso un militare in pensionecol bavero rossochiese ad alta voce il "Gazzettino della Polizia". Goljadkin sussultò e si fece rosso:

inconsapevolmente abbassò gli occhi e notò di aver indosso un abito così indecente che non solo in un luogo pubblicoma neppure in casa sua avrebbe potuto indossarlo. Gli stivalii calzoni e tutto il suo fianco destro erano coperti di fangola staffa del piede destro era strappatae anche la marsina era lacerata qua e là in parecchi punti. In preda a un'angoscia infinitail nostro eroe si avvicinò al tavolo al quale aveva letto la lettera e vide che gli si avvicinava il garzone della trattoriacol viso atteggiato a una strana e insolente espressione. Completamente smarrito e disfattoil nostro eroe cominciò a fissare il tavolo presso il quale stavaorain piedi. Sul tavolo c'erano i piatti usati di qualcuno e non ancora rigovernatiun tovagliolo sporcoe vi giacevano in disordine un cucchiaioun coltello e una forchettache erano stati appena adoperati. "Chi ha pranzato qui?" pensò il nostro eroe. "E' possibile che sia stato io? Tutto può darsi! Ho pranzato e non me ne sono accorto; ma come può essere?" Alzati gli occhiGoljadkin vide di nuovo vicino a sé il garzoneche si preparava a dirgli qualcosa.

"Qual è il mio debitocaro?" chiese il nostro eroe con voce trepidante.

Una sonora risata echeggiò intorno a Goljadkin: rideva anche il garzone. Goljadkin capì che anche lì l'aveva sbagliata e che aveva commesso qualche terribile stupidaggine. Compreso questosi confuse tanto che fu costretto a ficcare la mano in tasca alla ricerca del fazzolettotanto per fare qualcosa e non rimanere lì dritto impalato; macon indescrivibile stupore suo e di tutti quelli che lo circondavanoinvece del fazzoletto tirò fuori il flacone di una certa medicina che quattro giorni prima gli aveva prescritto Krestjàn Ivànovic'. "I medicinali di quella farmacia" balenò in testa a Goljadkin... Di colpo sussultò e poco ci mancò che lanciasse un grido di terrore. Una nuova luce stava diffondendosi... Un liquido brunodi un ripugnante colore rossicciobrillavacon maligni riflessisotto gli occhi di Goljadkin... La boccetta gli era caduta dalle mani e era andata in mille pezzi... Il nostro eroe lanciò un grido e indietreggiò di due passi davanti al liquido sparso... Un tremito gli percorreva le membra e un abbondante sudore gli spuntava sulle tempie e sulla fronte. "Dunque la mia vita è in pericolo!" Intanto nella stanza si era creato un certo movimentoun po' di trambusto: tutti avevano circondato Goljadkintutti parlavano a Goljadkinalcuni avevano perfino afferrato Goliadkin. Ma il nostro eroe era muto e immobilesenza né vedere né ascoltare né sentire nulla... Infinecome se si fosse sradicato dal postosi lanciò fuori dalla trattoriafece a gomitate con tutti quelli che cercavano di trattenerlo equasi svenutosi abbandonò sulla prima carrozzella capitatagli a tiro e volò verso casa.

Nell'anticamera del suo appartamento gli si fece incontro Micheievil custode del dipartimentocon un plico di stato tra le mani. "So amico mioso tutto" rispose con voce debole e depressa il nostro eroeaccasciato. "E' una cosa d'ufficio..." Il plico conteneva realmente l'ordinea firma di Andréj Filìppovic'che Goljadkin consegnasse le pratiche che si trovavano nelle sue mani a Ivàn Semjònovic'. Preso il plico e data una moneta da dieci copechi al custodeGoljadkin entrò nel suo appartamento e vide che Petruska stava preparando e riunendo in un mucchio tutti i propri stracci e cianfrusaglie e tutta la sua robacon l'intenzione evidente di lasciare Goljadkin e di passare dal suo servizio a quello di Karolina Ivànovnache lo aveva adescato perché prendesse il posto di Evstafij.

 

 

12.

 

Petruska entrò ciondolandocon un'aria stranamente noncurante e col viso atteggiato a un'espressione servilmente solenne. Si vedeva che aveva architettato qualcosache si sentiva nel suo pieno diritto e guardava ora con l'aria di una persona completamente estraneacon l'ariacioèdel servitore di qualcun altro e non più con quella del precedente servitore del signor Goljadkin.

"Be'vedicaro" cominciò il nostro eroeansimando. "Che ora ècaro?" Petruskasenza rispondere. si ritirò dietro il tramezzopoi ricomparve ein tono piuttosto disinvoltodichiarò che presto sarebbero state le sette e mezzo.

"Benecarobene. Dunque vedimio caro... permetti che ti dica... mio caroche tra noi mi pare che ora sia tutto finito." Petruska taceva.

"Be'ora che tra noi tutto è finitodimmi sinceramentedimmelo come a un amicodove sei statocaro." "Dove sono stato? Tra brave persone..." "Lo socarolo so. Io sono sempre stato soddisfatto di temio caroe il benservito te lo rilascerò... Be'che fai adesso da loro?" "Ebbenesignoreche c'è? Lo sapete anche voi. Si sa che una brava persona non ti insegna niente di male." "Lo socarolo so. In questi nostri tempi le brave persone sono rareamico; apprezzalemio caro. Dunque come stanno quelli là?" "Si sacome... Però iosignorenon posso rimanere al vostro servizio: lo sapete anche voi." "Lo socarolo so: conosco il tuo zelo e la tua diligenza:

vedevo tuttomio caroe tutto notavo. Ioamico mioti stimo.

Una brava e onesta personasia pure un servoio la stimo." "Ebbenesi sa! Noinaturalmentedove meglio stiamo... lo sapete anche voi... E' così! A me che importa! Si sasignoreche senza un bravo domestico non è possibile..." "Benebenecaro: io comprendo tutto questo... Sueccoti il tuo denaro e il tuo certificato. Oracarobaciamoci e salutiamoci...

E oramio caroti prego di un serviziol'ultimo servizio" disse Goljadkin in tono solenne. "Lo vedimio carone capitano di tutti i colori. Il doloremio carosi nasconde anche nei palazzidal dolore non c'è modo di fuggire. Tu saiamico mioche iocon te sono sempre stato affettuosomi pare..." Petruska taceva.

"Iomi paresono sempre stato affettuosocon te... Be'mio caroquanta biancheria abbiamoadesso?" "Tutta quella che c'è è qui. Sei camicie di telatre paia di calzini; quattro pettine di camicia; una maglia di flanella; due completi di biancheria personale. Lo sapete anche voi quello che c'è. Iosignorela roba vostra non... Iosignorealla roba del padrone ci sto attento. Io da voisignore... di quello... si sa... di peccati del genere... maisignore. Questo lo sapete anche voisignore." "Ci credocaroci credo. Ma non si tratta di questoamico mionon di questo; vedi dunqueeccoamico mio.." "Si sasignore: queste cose le sappiamo già. Ioeccoquando ero ancora a servizio dal generale Stolbnjakòvmi davano una licenzaquando partivano per Saratov... là hanno delle proprietà..." "Nomio caronon si tratta di questo: ioniente... tu non stare a pensare niente..." "Si sa. Per quanto riguarda noilo sapete anche voisignoreci vuol tanto a incolpare a torto un uomo? Ma di medappertutto sono stati contenti. Si trattava di ministrigeneralisenatoriconti. Sono stato da tuttiio: dal principe Svicnatkindal colonnello Pereborkindal generale Nedobarove anche loro venivano in casa nostra e andavano nella tenuta dei nostri..." "Sìamicosì. Tutto beneamico miotutto bene. Ora eccoioamico mioparto... Ognunoamico mioha la sua stradae non si sa quale possa toccare a ognuno. Be'amico miodammi ora di che vestirmi: sìriporrai anche la mia giubba d'ufficio... gli altri pantalonile lenzuolala copertai guanciali..." "Devo riunire tutto in un fagotto?" "Sìamico miosì; in un fagottoper favore... Chissà che può capitarci... Oramio caroesci a cercare una carrozza." "Una carrozza?" "Sìcarouna carrozzaun po' comoda e per un certo tempo. Ma tuamico mionon stare a pensare a chissà cosa..." "E fate conto di andare lontano?" "Non lo soamico mioquesto non lo so. Anche il piumino pensosarà necessario metterlo nel fagotto. Che ne diciamico mio? Io conto su teamico mio..." "Volete partire subito?" "Sìamico miosì! E' sopraggiunta una circostanza che... ecco come stanno le coseamico mioecco come stanno..." "Si sasignoreda noial reggimentoè capitata la stessa cosa.

Là un possidente... aveva rapito..." "Rapito? Come! amico miotu..." "Sìl'ha rapita e in un'altra villa si sposarono. Tutto era stato predisposto. Ci fu un inseguimento; ma il principe intervenne in favoreil defunto... e la cosa fu aggiustata..." "Si sposarono... ma tuamico miocome... Tu come lo saicaro?" "Ma si sa! La terrasignoreè piena di voci. Tuttosignorenoi sappiamonaturalmentee chi è senza peccato? Solo vi diròsignoreuna cosa: permettetemisignoredi dirvela così semplicementeda servo: se le cose sono a questo puntoecco che cosa vi dico: avete un nemicosignoreavete un rivaleun forte rivaleecco..." "Lo soamico miolo so: lo sai anche tucaro... E ora confido in te. Come dobbiamo comportarciora? Che cosa mi consigli?" "Eccosignorese voi adessoall'incircavi siete messo su questa strada vi servirà comprare qualcosa: lenzuolaguancialiun altro piuminoper due personeuna bella coperta. Quieccogiù dalla vicina; è una borgheselei. Ha un bel mantello di volpe lo si può vedere e comprare... Anche subito lo si può andare a vedere. Ora vi farà comodosignore: è un bel mantellofoderato di rasocon pelliccia di volpe..." "Beneamico miobene: sono d'accordo con teamico mioconfido in teconfido pienamente in te. Anche il mantellodunqueamico mio... Prestoperòprestoin nome di Diopresto! Tra poco sono le ottoprestoin nome di Dioprestoamico! Affrettati più che puoiamico!" Petruska piantò lìancora da legareil fagottello della biancheriacopertaguanciali e ogni tipo di ciarpame che aveva già messo insieme con l'intenzione di legarloe si precipitò fuori della stanza. Goljadkin intanto prese ancora una volta la letterama non riuscì a leggerla. Con la sua testa disgraziata stretta tra le manisi addossò alla parete in preda allo stupore.

Non poteva pensare a niente e nemmeno riusciva a fare niente; non sapeva lui stesso che cosa gli stesse succedendo. Finalmenteresosi conto che il tempo passava e che non arrivavano né Petruska né il mantelloGoljadkin decise di scendere lui stesso.

Spalancata la porta che dava nell'ingressosentì arrivare dal basso un frastuono di vocidi discussionidi chiacchiere...

Alcune vicine cianciavanogridavanocommentavano... Goljadkin sapeva già con certezza di che cosa precisamente si trattasse.

Risuonava la voce di Petruskapoi si sentirono dei passi. "Mio Dio! ora verranno qui tutti quanti insieme!" gemette Goljadkintorcendosi le mani e rientrando in casa di corsapazzo di disperazione. Giunto affannato in camera suasi abbandonòquasi fuori di sésul divanocol viso nascosto nel cuscino. Per un minuto restò cosìpoi saltò in piedi esenza aspettare Petruskacalzò la soprascarpeil cappelloil cappottoafferrò la sua cartella e corse a rotta di collo giù dalle scale. "Non ho bisogno di nientedi nientemio caro! Farò da solotutto da solo! Non ho bisogno di teper ora... la faccendaforsesi metterà per il meglio" mormorò Goljadkin a Petruskache aveva incontrato per le scale; poi sboccò in cortile e uscì dalla casa. Si sentiva mancare il cuorenon poteva ancora decidersi... Come farecome comportarsicome agire in quel momento critico...

"Sicurocome agireSignore Iddio? Doveva proprio capitare anche questo!" esclamòquasi gridandoin preda alla disperazionecorrendo senza sapere dovearrancando cosìalla cieca... "Anche questa ci voleva! Oraeccose non fosse capitato questoproprio questotutto si sarebbe aggiustato; in una volta solacon un solo colpocon un solo audaceenergicoabile colpotutto si sarebbe aggiustato! E so persino in che modo si sarebbe aggiustato! Ecco come si sarebbero svolte le cose: ioavrei dettoio... le cose stanno così e cosìsignor miocon rispetto parlandonon importa... un fico seccole cose non si fanno così:

signoreavrei dettoegregio signorele cose non si fanno cosìe con l'imposturada noinon arriverai a niente; siete un impostoresignor miosiete un individuo inutileche alla patria non reca nessun vantaggio. Lo capite? Lo capite questo - avrei detto - egregio signore? così sarebbero andate le cose... Ma no!

Del restonon si tratta di quelloassolutamente no... Ma che frottola sto raccontandoscemo che sono? Un suicidasono! Sìsuicida che seinon è proprio quello... Eccoe adessocaro il mio depravato che non sei altrocome si faadesso? Dove andrò a ficcarmiadesso? Be'che cosa devo fare di mea cosa posso servire ora? Be'a che cosaper fare un esempioa che cosa puoi servire oraGoljadkinindegno uomo che sei! Che fareadesso? La carrozza bisognava pur prenderla. Prendiha dettouna carrozzae falla venir qui.. Se non ci sarà la carrozzaci bagneremo i piediniha detto... Ma chi avrebbe potuto pensare? Susignorinasupadroncina mia! Suragazza di morigeratissima condotta! Sutanto lodata fanciulla nostra! Vi siete fatta onorenon c'è che direvi siete fatta onore! E tutto questo può accadere grazie all'immoralità dell'educazionee iocome vado deducendo da tutto questovedo che tutto accade solo a causa dell'immoralità. Invece di farle sentire qualche volta il gusto delle vergate fin da giovanete la rimpinzano di confettidi leccornie di ogni genere e il vecchietto stesso piagnucola intorno a lei... Tu sei la mia quidicetu sei la mia làsei belladiceti darò un conte per marito! E ecco la bella roba che ne è venuta fuoriecco come ora ci ha mostrato le sue carte... Eccodicequal è il nostro gioco!

Invece di tenersela in casada giovaneloro te la mandano in un pensionatoda una signora francese da una qualsiasi Falbalà emigrata; e leida quella qualsiasi emigrata Falbalàne impara di tutti i colorie ecco il risultato! Venitedicerallegratevi! Trovatevi con la carrozzadiceall'ora talesotto le finestree cantate una romanza sentimentale spagnola; io vi aspettoso che mi amate e fuggiremo insieme e vivremo in una capanna. Ma infinequesto non è possibile; questosignorina miase si è ormai a questo puntonon è possibile... Anche le leggi vietano di rapire un'onesta e innocente fanciulla dalla casa dei genitorisenza il consenso di questi! Ma infineperchéa che scopo e per quale necessità? Be'che sposi pure chi deve sposaresposi chi le è stato assegnato dal destinocosì è finita. Io sono un impiegato e per questo potrei perdere il posto; iosignorina miaposso andare sotto processo per questo! Sicuroecco che cosa può succederese anche non lo sapevate. Sotto sottoqui c'è la tedesca. Tutto viene da leida quella strega; è lei la causa di tutto questo trambusto! Perché hanno calunniato un uomoperché hanno inventato su di lui pettegolezzi da donnicciolapanzane di ogni genereper consiglio di Andréj Filìppovic'? Tutto viene da lì. Se noperché Petruska vi sarebbe immischiato? Che c'entralui? Che bisogno ne avevaquel birbante? Nosignorinaio non possoassolutamente non possoa nessun costo... E voisignorinaper questa volta scusatemi in qualche modo... Tutto ciò viene da voisignorinanon dalla tedescanon dalla streganoassolutamente... Ma esclusivamente da voiperché la strega è una buona donnaperché la strega in questo non ha nessuna colpama siete voisignorinala colpevole: ecco come stanno le cose! Voisignorinavoi mi incolpate senza ragione... Qui c'è un uomo che sta andando in rovinaun uomo che sta fuggendo da se stesso e che non riesce più a trattenersi... Come parlare di nozze? E come finirà tutto questo? E come si metteranno le coseadesso?

Pagherei non so cheper saperlo!" Così andava rimuginandoin preda alla disperazioneil nostro eroe. Riavutosi di colposi accorse di trovarsi in qualche angolo della Litéjnaja. Il tempo era orribile: sgelavanevicavapioveva... Tutto precisamente come in quell'indimenticabile momentoquandoin una spaventosa mezzanotteavevano avuto inizio tutte le disgrazie del signor Goljadkin. "Ma che viaggio!" pensava Goljadkin osservando il tempoquesta è la fine del mondo... Signore mio dio! Dove potrei ora, per esempio, trovare una carrozza? Ecco, là sull'angolo, vedo qualcosa di scuro... Be', ora vedremo, faremo ricerche... Signore mio dio!continuava il nostro eroedirigendo i suoi deboli e stanchi passi verso il punto dove gli era sembrato di aver visto qualcosa che aveva l'aria di una carrozza. "Noio oraeccofaccio così: andrò a buttarmi ai suoi piedilo pregherò umilmente. Le cose stanno così e cosìgli dirò: affido il mio destino nelle mani dei superiori:

eccellenzadiròproteggete e beneficate un uomo; le cose stanno così e cosìdiròeccosi tratta di questo e di quelloè un'azione contraria alle leggi; non rovinatemivi considero un padrenon abbandonatemi... salvate il mio amor proprioil mio onoreil mio nome... salvatemi da un essere malvagioda un depravato... Lui è un'altra personaeccellenza e anch'io sono un'altra persona; lui sta da sé e io pure sto da me; davveroeccellenzaio me ne sto da medavvero... ecco come stanno le cosedirò. Somigliare a lui non possodirò; sostituitemivogliate benevolmente dare ordine di sostituirmie date ordine di annullare quella sacrilega e arbitraria sostituzione... che non ha precedentieccellenza... Io vi considero un padrei superiorisenza dubbioi benèfici e previdenti superiori devono incoraggiare iniziative simili... Qui c'è addirittura qualcosa di cavalleresco. Vi considero come un padrediròbenefico superioree vi affido la mia sorte e mi dimetterò io stesso dal lavoro... dirò... eccocome stanno le cose!" "Be'carosei un vetturino?" "Un vetturinosi." "La carrozzacaroper la serata..." "Volete andar lontano?" "Per la serataper la serata: dovunque ci sia bisogno di andarecaro miodovunque ci sia bisogno.. " "Volete per caso andare fuori città?" "Sìamico mio: fuori cittàpuò darsi. Ancora non lo so con certezzaamico mionon posso assicurartelocaro... vedicaropuò darsi che tutto si aggiusti per il meglio.. Si saamico mio..." "Ehsìsignoresi sa... naturalmente; lo voglia Iddio per ognuno " "Sìamico miosì; ti ringraziomio caro: be'amico mioquanto mi prenderai?" "Volete andare subitosignore?" "Sìsubito. Cioènoaspetterai in un posto... cosìun pochino.

Non dovrai aspettare a lungomio caro...

"Mase mi prendete per tutta la serataallora meno di sei rubli non è possibilevisto anche il tempo..." "Sìva beneamico miova bene; ti ricompenseròcaro. Dunqueva beneora tu mi porteraicaro." "Accomodatevisignore. Eccoora sistemerò un pochino qui...

Favorite salireora. Dove devo andare?" "Al ponte Izmajlovskijamico mio." Il vetturino-cocchiere era salito a cassetta e si preparava a far muovere la coppia dei suoi scarni ronziniche a fatica era riuscito a staccare dal trogolo del fienoverso il ponte Izmajlovskij. Ma di colpo Goljadkin diede uno strappo al cordonefece fermare la carrozza e pregò con voce supplichevole di tornare indietro e di non andare al pontema da un'altra parte. Il vetturino girò in un'altra strada e dopo dieci minuti la carrozza presa da Goljadkin si fermò davanti alla casa in cui abitava sua eccellenza. Goljadkin scesepregò caldamente il vetturino di aspettare e di corsacol cuore che sembrava mancarglisalì al secondo pianotirò il campanellola porta si aprì e il nostro eroe si trovò nell'anticamera di sua eccellenza.

"Sua eccellenza è in casa?" domandò Goljadkin rivolgendosi al cameriere che gli aveva aperto.

"Ma voiche cosa desiderate?" si informò il domesticosquadrando Goljadkin dalla testa ai piedi.

"Ioamico miosì... sono Goljadkinl'impiegatoil consigliere segreto Goljadkin. Gli dirò che le cose stanno così e così... mi spiegherò..." "Aspettate un momento; ora non si può..." "Amiconon posso aspettare: si tratta di una cosa importanteuna cosa molto urgente." "Ma voi da parte di chi venite? Avete delle carte?" "Noioamicovengo per conto mio... Riferisciamicoche le cose sono così e così... Digli che è venuto per spiegarsi... E io ti ricompenseròmio caro..." "Non è possibile. Non può ricevere nessuno; c'è gente. Favorite venire di mattina alle dieci..." "Annunciatemicaroio non possonon posso assolutarnente aspettare. Voimio carone risponderete..." "Ma sìva' e annuncialo: che te ne importa? ti dispiace sciupare gli stivaliforse?" esclamò un altro camerieresdraiato su una cassapanca e che fino a quel momento non aveva aperto bocca.

"Ma che stivali! Lo sainoche ha dato ordine di non ricevere nessuno? Il loro turno è di mattina." "E annuncialo. Ti cascherà la lingua per questo?" "E va bene: lo annuncerò: la lingua non mi cascherà. Però ha dato ordine di noho detto che ha dato ordine di no. Entrate in quella stanza." Goljadkin entrò nella prima stanzasul tavolo c'era un orologio.

Vi gettò un'occhiata: erano le otto e mezzo. Il cuore cominciava a fargli. Voleva già tornare indietroma in quel momento quello spilungone di camerierefermo sulla porta della stanza appressopronunziava ad alta voce il nome del signor Goljadkin. "Che po' po' di voce!" pensò con indescrivibile angoscia il nostro eroe...

"Ma avresti dovuto dire: 'lui... dice così e così.. è venuto per spiegare umilmente... lui... favorite riceverlo...' Ma ormai tutto è rovinatoe tutto è ormai andato per aria; del resto... be'...

non importa!" Non ebbe tempoperòdi ragionarci su; il cameriere ritornòdisse: "Favorite"e fece entrare Goljadkin nello studio.

Quando il nostro eroe entròprovò l'impressione di essere diventato ciecopoiché non riusciva a vedere assolutamente niente. Gli guizzarono davanti agli occhi due o tre figure. "Be'questi saranno i visitatori" passò per la testa di Goljadkin.

Finalmente il nostro eroe cominciò a distinguere chiaramente una stella sul frac nero di sua eccellenzapoipoco a pocopassò al frac nero einfineebbe la facoltà di una visione completa...

"Che c'è?" proferì una voce nota al di sopra di Goljadkin.

"Consigliere titolare Goljadkineccellenza." "Ebbene?" "Sono venuto a spiegarvi..." "Come? Che cosa?" "Sìcosì... Vorrei dirvi che le cose stanno così e così... Sono venuto a spiegarvieccellenza..." "Ma voima chi siete voi?" "Eccellenzaconsigliere titolare." "Ebbeneche cosa volete?" "Vi dirò che le cose stanno così e così e che vi considero come un padre; io stesso abbandonerò l'impiego... ma voi proteggetemi dal nemico. Eccoè così!" "Che cosa?" "Si sa..." "Si sa che cosa?" Goljadkin tacque: il mento cominciava piano piano a tremargli...

"E allora?" "Io pensavo a una cosa cavallerescaeccellenza... Quieccellenzac'è del cavallerescoe io considero il superiore come un padre e le cose stanno così e così... proteggetemivi su- supplico con le la-lac-lacrime agli occhie che simili impulsi de-de-vono esse-ere favoriti..." Sua eccellenza si girò. Il nostro eroe per alcuni attimi non riusci più a vedere niente... Si sentiva oppresso. Gli mancava il respiro. Non sapeva dove si trovasse... Provava un senso di vergogna e di tristezza. Sa Iddio quello che accadde poi...

Riavutosiil nostro eroe si accorse che sua eccellenza stava parlando con due dei suoi visitatori e sembrava che discutesse di non so quali affariin modo brusco e violento. Uno dei due ospitiGoliadkin lo riconobbe subito. Era Andréj Filìppovic'; l'altrono. Gli sembrava tuttavia un viso conosciuto anche quello: un individuo alto e grassogià anzianocon i basettoni e le sopracciglia foltissime e con lo sguardo acuto e provocante. Al collo dello sconosciuto una decorazionein bocca un sigaro. Lo sconosciuto fumava esenza togliersi il sigaro di boccaaccennava significativamente con la testaguardando di tanto in tanto Goljadkin. Goljadkin cominciava a sentirsiin certo qual modoa disagio; girò gli occhi da un'altra parte e anche lì vide uno stranissimo visitatore. Sulla portache il nostro eroe aveva fino a quel momento creduto uno specchioproprio come era già capitato un'altra voltaera comparso luisi sa benissimo chil'intimo conoscente e amico del signor Goljadkin. Il signor Goljadkin numero due si era realmente trovatofino a quel momentoin un'altra stanzetta dove scriveva qualcosa in fretta e furia; oraevidentementec'era bisogno di lui e lui era comparsocon gli incartamenti sotto il braccioe si avvicinava a sua eccellenzae con grande destrezzain attesa di un'esclusiva attenzione verso la sua personaera riuscito a intromettersi nella conversazione e nel consultodopo aver occupato il suo posto un po' dietro la schiena di Andréj Filìppovic' e un po' nascondendosi dietro lo sconosciuto che fumava. Evidentemente il signor Goljadkin numero due era molto interessato alla conversazioneda lui ora seguita con atteggiamento deferente; annuiva col caposi appoggiava ora su un piede ora sull'altrosorridevaguardava di continuo sua eccellenza come se volesse supplicarlo con lo sguardo che venisse permessa anche a lui una mezza parolina. "Mascalzone!" pensò Goljadkin e involontariamente fece un passo avanti. In quel momento il generale si girò e con una certa esitazione si avvicinò a Goljadkin.

"Subenebene... Andate con Dio. Esaminerò personalmente la vostra faccendae ora vi farò riaccompagnare..." A questo punto il generale diede un'occhiata allo sconosciuto dalle folte basettequelloin segno di assensochinò il capo.

Goljadkin sentiva e capiva chiaramente che lo ritenevano un altro e per niente quello che sarebbe dovuto essere. "Così o cosàqui è necessaria una spiegazione pensò le cose sono così e cosìeccellenzadirò..." Poiesitandoabbassò gli occhi a terra econ suo grande stuporevide sugli stivali di sua eccellenza una notevole macchia bianca. "E' possibile che si siano spaccati?" pensò Goljadkin. Ben prestoperòGoljadkin scoprì che gli stivali di sua eccellenza non erano affatto spaccatima che si trattava solo di un riflessofenomeno spiegabilissimo col fatto che gli stivali erano verniciati e brillavano vivamente. "Questo si chiama 'luce'" pensò il nostro eroedenominazione usata particolarmente dai pittori: in altri posti questa luminosità viene chiamata 'alone luminoso'.A questo punto Goljadkin alzò gli occhi e vide che era il momento di parlareperché la cosa poteva benissimo volgersi al peggio... Il nostro eroe fece un passo indietro.

"Dicoeccellenzache le cose stanno così e così..." dissee che con l'impostura, nel nostro secolo non si riesce in niente.Il generale non rispose e tirò con forza il cordone del campanello. Il nostro eroe fece di nuovo un passo avanti.

"E' un individuo infame e depravatoeccellenza" disse il nostro eroefuori di sémezzo morto di pauraenonostante ciòindicando con audacia e decisione il suo indegno gemelloche in quel momento trotterellava intorno a sua eccellenza; "le cose sono così e cosìdicoe mi riferisco a una ben nota persona." Alle parole di Goljadkin seguì un movimento generale. Andréj Filìppovic' e lo sconosciuto personaggio facevano cenni col capo; sua eccellenza con gesto impaziente tirò a tutta forza il cordone del campanellochiamando i domestici. A questo punto il signor Goljadkin numero due fece a sua volta un passo avanti.

"Eccellenza" dissechiedo umilmente il permesso di parlare.Nella voce del signor Goljadkin numero due c'era un non so che di fermamente deciso; tutto in lui dimostrava che sentiva di essere nel suo pieno diritto.

"Permettete che io vi chieda" ricominciòprevenendo col proprio zelo la risposta di sua eccellenza e rivolgendosi questa volta a Goljadkinpermettete che vi chieda: in presenza di chi vi spiegate in questa maniera? Davanti a chi siete? Nello studio di chi vi trovate?Il signor Goljadkin numero due era in preda a una straordinaria agitazionerosso e fiammeggiante di sdegno e di collera; nei suoi occhi brillavano persino le lacrime.

"I signori Bassavrjukov!" urlò a tutta forza il domesticocomparendo sulla porta dello studio. "Un'ottimanobile famigliaoriginaria della Piccola Russia" pensò Goljadkin e in quel momento sentì che qualcunoin modo molto amichevolegli aveva posato una mano sulla schiena; poi sulla sua schiena se ne posò un'altra; l'abietto gemello del signor Goljadkin gli sgambettava davantifacendo stradae il nostro eroe vide chiaramente che lo spingevano - sembrava verso la grande porta dello studio.

"Esattamente come a casa di Olsufij Ivànovic'" pensò e si ritrovò in anticamera. Si guardò in giro e vide accanto a sé i due domestici di sua eccellenza e il suo gemello.

"Il cappottoil cappottoil cappottoil cappotto del mio amico!" cinguettava il depravato individuostrappando dalle mani di un domestico il cappotto e gettandolocon volgare e maligna burladritto sulla testa del signor Goljadkin. Mentre si agitava sotto il suo cappottoil signor Goljadkin numero uno sentì chiaramente le risate dei due domestici. Masenza ascoltare niente e senza badare a nessunouscì dall'anticamera e si trovò sulla scala illuminata. Il signor Goljadkin numero due lo seguì.

"Addioeccellenza!" gridò quello alle spalle del signor Goljadkin numero uno.

"Mascalzone!" urlò di rimando il nostro eroe fuori di sé.

"Ma sì! anche mascalzone..." "Turpe individuo!" "Ma sìanche turpe individuo..." rispose al degno signor Goljadkin l'indegno suo nemico econ la sua innata vigliaccheriafissava dall'alto della scalasenza battere ciglioGoljadkincome volesse invitarlo a continuare. Il nostro eroe sputò per l'indignazione e uscì sul pianerottolo: era così spossato che non ricordava assolutamente chi e come l'avesse fatto salire in carrozza. Riavutosivide che lo portavano verso la Fontanka.

"Verso il ponte Izmajlovskijdunque?" pensò Goljadkin... Qui fu preso dal desiderio di pensare a qualche altra cosama non fu possibile: eppure succedeva qualcosa di così orribile da non potersi spiegare... "Be'non è niente!" concluse il nostro eroee si diresse al ponte Izmajlovskij.

 

 

 13.

 

Sembrava che il tempo volesse migliorare. In realtà la neve bagnatache era caduta fino a quel momento addirittura a nugolia poco a poco cominciava a diradarsifino a cessare quasi del tutto. Il cielo cominciava a rasserenarequa e là brillavano piccole stelle. Tutto però era fradiciofangosoumido e soffocantespecialmente per Goljadkin cheanche senza di ciòstentava a tirare il fiato. Il suo cappotto zuppo d'acqua e diventato pesante lasciava penetrare in tutte le membra una tiepidaantipatica umidità e col proprio peso gli rompeva le gambegià per conto loro molto indebolite. Una specie di brivido febbrile gli serpeggiava per tutto il corpo con un penetrante e acuto formicolìo; a causa dell'umidità si era riempito di un freddo sudore da malatoe così Goljadkin dimenticòin questa situazionedi ripetere con la fermezza e la decisione a lui proprie la frase predilettacioè che quelloe tutto il restoin qualsiasi modo probabilmenteanzi sicuramentesi sarebbe aggiustato per il meglio. "Del restotutto ciòper oranon ha alcuna importanza" aggiunse il nostro robusto eroeche non si lasciava abbattereasciugandosi sul viso le gocce di acqua freddache scendevano in tutte le direzioni dalla falda del suo cappello tondotanto zuppo da non tenere più l'acqua. Dopo averein piùconsiderato che questo non era ancora nienteil nostro eroe volle provare a rannicchiarsi su un tronco d'albero abbastanza robustoche giaceva abbandonato accanto a un mucchio di legna nel cortile di Olsufij Ivànovic'. Naturalmente non c'era ormai più da pensare alle serenate spagnole e alle scale di seta; ma c'era comunque da pensare a un qualche angoletto isolatose non caldoalmeno accogliente e nascosto. Lo tentava moltosia detto per incisoquell'angoletto nell'ingresso dell'appartamento di Olsufij Ivànovic'dove già una voltaquasi all'inizio di questa storia verail nostro eroe era rimasto dritto per due ore tra un armadio e un vecchio paraventoin mezzo a ogni tipo di inutili carabattole casalinghea ciarpame e a cianfrusaglie. Il fatto è che anche adesso Goljadkin era in piedi da due ore nel cortile di Olsufij Ivànovic'in attesa. Maa proposito dell'appartato e comodo cantuccio di quella voltac'erano adesso alcuni inconvenienti che allora non c'erano. Il primo inconveniente era questoe cioè checon tutta probabilitàquel posto era stato scoperto e si erano prese in proposito alcune precauzionidopo l'incidente capitato nell'ultimo ballo in casa di Olsufij Ivànovic'; e poi bisognava aspettare un segnale convenuto da parte di Klara Olsùfevnaperchésenza dubbioun tale segnale ci doveva pur essere. Così era sempre stato esi dicenon è cominciato da noi e non finirà con noi.Goljadkin ricordò di propositocosì di sfuggitaun romanzo da lui letto molto tempo primain cui la protagonista aveva fatto un segnale convenuto ad Alfredoin una circostanza proprio ugualelegando alla finestra un nastrino rosa. Ma il nastrino rosa oradi notte e con quel clima di Pietroburgonoto per essere così umido e infidonon poteva servire al caso ea dirla in breveera una cosa assolutamente inattuabile. "Noqui non c'è da parlare di scale di seta" pensò il nostro eroee io preferisco starmene qui, alla meglio, appartato e zitto zitto... Ecco, mi metterò qui, per esempio...e scelse un posticino nel cortileproprio di fronte alle finestreaccanto alla catasta di legna. Nel cortilesi capiscec'era un grande andirivieni di gente estraneadi postiglionidi cocchieri; oltre a ciò si sentiva il fracasso delle risatelo sbuffare dei cavalli eccetera eccetera...; tuttavia il posto era comodo: che lo notassero o noc'era almeno questo vantaggioche tutto si svolgevasi può direnell'ombra e che nessuno poteva scorgere Goljadkinmentre lui poteva vedere proprio tutto. Le finestre erano vivamente illuminate; in casa di Olsufij Ivànovic' ci doveva essere una solenne riunione. La musicaperònon si era ancora fatta sentire. "Forse non c'è un balloma si sono riuniti cosìper qualche altra occasione" pensavasentendosi mancareil nostro eroe. "Ma sarà poi oggi?" gli passò per la testa. "Non ci sarà uno sbaglio di data? Potrebbe anche darsitutto può darsi... Ecco come può essere... come può essere tutto ciò... Forse la lettera è stata scritta ierima non mi è arrivatae non mi è arrivata perché ci si è immischiato Petruskaquel mascalzone! O c'era scritto domani... cioè che io... che bisognava fare tutto domaniaspettare cioè con la carrozza..." A questo punto il nostro eroe si sentì gelare e ficcò la mano in tasca per prendere la lettera e venire a capo della faccenda. Ma la letteracon sua grande meravigliain tasca non c'era. "Come mai?" mormorò Goljadkin più morto che vivodove mai l'ho lasciata? L'ho persa forse?gemetteinfinea conclusione.

"E se essa cadrà in mani cattive? (Sìforse ci è già caduta!) O Signore! Che conseguenze ci saranno! Sarà un tale guaio che... Ahdestino mio maledetto!" Goljadkin tremava come una foglia al pensiero cheforseil suo turpe gemellolanciandogli il cappotto sulla testaaveva precisamente lo scopo di sottrargli la letteradella quale in chissà che modo era venuto a conoscenza dai suoi nemici. "Si aggiunga che quello ha per sistema di intercettare..." pensò il nostro eroeprova ne è... e che prova!Dopo il primo attacco di pauradopo essere rimasto per un momento come pietrificatoGoljadkin senti salirglì il sangue alla testa. Tra gemiti e stridere di denti si afferrò con le mani la testa che bruciavasi lasciò cadere sul tronco di legno e cominciò a pensare... Ma i pensierinella sua testanon riuscivano a connettersi. Passavano di sfuggita alcuni visigli tornavano in menteora chiaramenteora confusamentecerti avvenimenti da tempo dimenticatigli guizzavano nel cervello i motivi di alcune sciocche canzoni... Che angosciache innaturale angoscia! "Mio Dio! Mio Dio!" pensavadopo essersi un po' riavutoil nostro eroecercando di soffocare in petto un singhiozzomio Dio, dammi forza d'animo, nell'inesauribile profondità delle mie sventure! Che io sia perduto, svanito senza rimedio... ormai non c'è dubbio; questo è nell'ordine delle cose, poiché non può essere in nessun altro modo. Per prima cosa, ho perso il posto, definitivamente perso, in nessun modo potevo non perderlo... Be', immaginiamo che la cosa si aggiusti... I miei soldarelli mettiamo che mi bastino per i primi tempi; ma un alloggetto, qualche mobiluccio ci vorrà pure...

Petruska, prima di tutto, non sarà più con me... Io posso fare a meno del furfante... andrò in subaffitto, sicuro... benissimo!

Entrerò e uscirò quando mi farà comodo e Petruska non sarà là a brontolare se rientrerò tardi; ecco, proprio così, ecco perché si sta bene in subaffitto.. Bene, sì, mettiamo che tutto questo vada bene; ma perché io non parlo mai di quello di cui dovrei parlare?A questo punto il pensiero del reale stato delle cose rischiarò la mente del signor Goljadkin. Egli si guardò intorno. "AhSignore mio dio! Signore mio dio! Ma di che sto parlandoora?"pensòdel tutto smarrito e afferrandosi tra le mani la testa in fiamme...

"Forsesignorevolete andare via presto?" risuonò una voce sopra Goljadkin. Goljadkin ebbe un sussulto; ma dritto davanti gli stava il suo vetturinoanche lui bagnato e intirizzito fino al midollocheimpaziente e non sapendo cosa fareaveva avuto l'idea di dare un'occhiata a Goljadkin dietro la legna.

"Ioamico mionon... ioamicoprestomolto presto...

aspettamitu..." Il vetturino se ne andò borbottando a denti stretti. "Perché brontolaquello?" si domandò Goljadkin. "Io ho pur noleggiato la carrozza per la serataio l'ho... e ora sono nel mio diritto...

eccocom'è! L'ho noleggiata per la serata e non se ne parli più.

Anche se te ne starai così in piedimi è proprio indifferente.

Faccio il comodo mio. Se vogliovadose non voglionon vado. E che ioeccome ne stia qui dietro la legnanon vuol dire proprio niente... e non osare dire nientesai... Se il signore vuole starsene dietro la legnaebbene stia dietro la legna... non sporca l'onore di nessuna... eccocom'è! Ecco com'èsignorina miasempre che lo vogliate sapere. E in una capannasignorina miacosì e così... nel nostro secolo industriale non ci vive nessuno. Eccoè così! E senza moralitànel nostro secolo industrialenosignorina mianon si va avanti... e di questo voi stessa ora servite da tristissimo esempio... Bisogna saper fare il capufficio e vivere in una capannasulla riva del mare.

Prima di tuttosignorina miasulla riva del mare non ci sono capiufficioe poi è impossibile arrivarcivoi e ioa capufficio... Semettiamotanto per fare un esempioio inoltro una domandae mi presento... Dicole cose stanno così e cosìnominatemi capufficiodicoproteggetemi dal mio nemico... Ma a voisignorinadirannoche capiufficio ce ne sono molti e che voi qui non siete dall'emigrata Falbalàdove vi hanno dato quegli insegnamenti moralidei quali voi stessa ora fornite un tristissimo esempio... La moralitàsignorinaconsiste nel rimanere a casarispettare il padre e non pensare ai fidanzati prima del tempo. I fidanzatisignorinaal momento giustosi troveranno. Ecco com'è! Naturalmente bisognasenza dubbioavere varie capacità; suonare un po' il pianoforteparlare franceseconoscere la storiala geografiala dottrina e l'aritmetica...

Ecco com'è! e non serve altro. Oltre a questola cucina: senza dubbionel campo delle conoscenze di ogni fanciulla di buona famigliadeve entrarci la cucina. E quiinveceche succede?

Prima di tuttobellezzina miaegregia signorinanon vi lasceranno uscirema vi inseguiranno e poi... sotto chiavein convento. E allorasignorina mia? Che volete che facciaallora?

Vorrete che iosignorina miaseguendo l'esempio di certi stupidi romanzivenga sulla vicina collina a sciogliermi in lacrimeguardando le fredde mura della vostra prigione e cheinfinemuoia seguendo la moda di certi cattivi poeti e romanzieri tedeschi? Bene: in primo luogo permettetemi di dirviin via amichevoleche queste cose non si fannoe in secondo luogo che frusterei di santa ragione voi e i vostri genitori perché vi hanno permesso di leggere certi libracci francesi; perché i libracci francesi non insegnano niente di buono. C'è un velenolà dentroun veleno mortalesignorina mia! O voi credete - permettete la domanda - o voi credete checosì e così... potremo impunemente fuggire... e poi ecco... eccovi la capannuccia in riva al mare; e poi cominceremo a tubare e a ragionare su vari altri sentimentie così passeremo tutta la vitanella gioia e nella felicità; e poi metteremo al mondo un passerottinoe noidiremole cose sono così e così... genitore nostroconsigliere di statoOlsufij Ivànovic'eccoc'è un passerottinoe così voigenitore nostroin questa bella occasione ritirerete la vostra maledizione e ci benedirete? Nosignorinale cose non si fanno cosìve lo ripetoeprima di tuttoniente tubarenon speratelo. In questi tempiil maritosignorina miaè il padronee una moglie buona e di onorevole famiglia deve compiacerlo in tutto. E le svenevolezzesignorina miaogginel nostro secolo industrialenon piacciono: sono passati i tempi di Jean Jacques Rousseau. Il maritoper esempioarriva a casa dell'ufficio morto di fame:

animuccia miadicec'è qualcosa per fare uno spuntinoun dito di vodkaun'aringhetta da mettere sotto i denti? E così voisignorina miadovete avere subito sottomano le due dita di vodka e l'aringhetta... Il marito fa il suo spuntino di gustoe per voi nemmeno un'occhiatinama vi dirà: va'diràva' in cucinagattina miae bada al pranzo esì e novi bacerà una volta alla settimana e anche con indifferenza... Eccosignorina miacome vanno le cosesecondo noi! E anche con indifferenzaripeto...

Ecco come andranno le cosesi ragionerà cosìse si è arrivati al punto di dover vedere le cose in questo modo... Ma ioquiche c'entro? Perchésignorina miami avete immischiato nei vostri capricci? 'Uomo beneficoditeche soffri per me e che sei caro in ogni modo al mio cuoreeccetera eccetera'. Per prima cosasignorina miaio non sono fatto per voivoi stessa lo riconoscetenon sono abile nel fare complimentinon mi piace dire ogni specie di profumate sciocchezzuole da signoranon ho nessuna compassione per i vari Céladon edato anche il mio aspettoconfesso di non aver mai rimorchiato. Ma in noi non troverete né un falso smargiasso né un vergognosove lo confesso in tutta sincerità. Ecco com'è: possediamo solo un carattere retto e franco e un sano giudizionon ci occupiamo di intrighi. Non sono un intrigantedicoe di questo sono orgoglioso: ecco come stanno le cose! Vado senza mascheraioin mezzo alle persone perbene eper dirvi tutto..." All'improvviso Goljadkin sussultò. La barba rossiccia e zuppa d'acqua del suo vetturino fece di nuovo capolino dietro la catasta...

"Subitoamico mio; ioamico miosaisubito... immediatamenteamico mio..." rispose Goljadkin con voce trepidante e languida.

Il vetturino si grattò la nucapoi si accarezzò la barbapoi fece un passo avanti... Si fermò e guardò con occhio diffidente Goljadkin.

"Io subitoamico miovedi... amico mio... un momento... amico mio... un momentinovedi..." "Forse non verrete affatto?" disse finalmente il vetturinoavvicinandosi con gesto deciso e definitivo a Goljadkin.

"Noamico miosubito... Iovediioamico miosto aspettando...

"Già..." "Iovediamico mio... tuamico miodi che villaggio sei?" "Siamo di casa padronalenoi... "(1) "E sono buoni i signori?" "Si capisce..." "Sìamico mio; tu aspetta quimio caro. Tuvedi... è tanto tempoamico mioche stai a Pietroburgo?" "Da un annoormaiporto la vettura..." "E ci stai beneamico mio?" "Si capisce..." "Sìamicosì... Ringrazia la Provvidenzaamico mio. Tuamicocercati una brava persona. Oggi le brave persone sono raremio caro; quella ti laverà la robati darà da mangiare e da beremio carocerto una brava persona... Ma qualche voltavedianche in mezzo all'oro scorrono le lacrimeamico mio... vediecco quiun doloroso esempio. Ecco come stanno le coseamico mio..." Sembrava che il vetturino sentisse compassione per Goljadkin.

"Va beneaspetterò. Vi tratterrete ancora moltoforse?" "Noamico miono; io... io non aspetterò piùamico mio... Io ti ricompenserò. Non aspetterò più qui..." "Forse non andrete più via?" "Noamico mio; noio ti ricompenseròcaro... Quanto ti devocaro?" "Quanto abbiamo stabilitosignorefavoritemelo. Ho aspettato moltosignore: voisignorenon vorrete fare torto a un uomo..." "Sucaroeccoti... eccoticaro." E qui Goljadkin diede al vetturino i sei rubli d'argento eseriamente deciso a non perdere altro tempocioè ad andarsene sano e salvotanto più che la faccenda era ormai definitivamente risolta e il vetturino licenziato e non c'eraquindipiù da aspettaresi precipitò fuori del cortileuscì dal portonegirò a sinistra esenza guardarsi alle spalleansimante e gioiososi lanciò di corsa.

"Forse tutto si metterà per il meglio" pensavae io, così, ecco ho evitato un guaio. E realmentecome di colponell'anima di Goljadkin era subentrato uno straordinario senso di leggerezza.

"Ahse tutto si mettesse per il meglio!" pensava il nostro eroeavendo però lui stesso molto poca fiducia nelle proprie parole.

"Eccoioanche quello..." pensava. "Noè meglio che ioecco comeda un'altra parte... O non è meglio che faccia in questo modo?" così tra i dubbi e cercando la chiave per risolverliil nostro eroe raggiunse di corsa il ponte Semjonovskijmaarrivato correndo fino al ponte Semjonovskijragionevolmente e definitivamente decise di tornare indietro. "E' meglio così" pensava. "E' meglio che io... da un'altra parte... cioèecco come. Farò così: sarò un osservatore estraneo e non se ne parli più; cioè sono un osservatoreuna persona estraneae succeda ciò che vuolenon ne ho più colpa io. Ecco com'è! Ecco come andranno le coseadesso..." Una volta deciso di tornare indietroil nostro eroe tornò davvero indietrotanto più cheper una sua felice ispirazioneera adesso una persona del tutto estranea alla faccenda. "E' veramente meglio così: non devi rispondere di niente e vedi ciò che serve...

ecco com'è era già un calcolo esattissimoe così era finita.

Messosi calmosi ritirò di nuovo sotto la protezione pacifica della sua rassicurante e ben nascosta catasta e prese a tenere attentamente d'occhio le finestre. E quella volta non dovette vigilare e aspettare a lungo. All'improvvisocontemporaneamente a tutte le finestresi notò uno strano movimentoun baluginare di figuretende che si aprivano e interi gruppi di persone che si affollavano alle finestre di Olsufij Ivànovic'si affacciavanocercando qualcosa in cortile. Protetto dalla sua catasta di legnail nostro eroe cominciòa sua voltaa seguire con curiosità la generale agitazionegirando la testa a destra e a sinistraper quantoalmenoglielo permetteva la breve ombra della sua protettiva catasta. Di colpo sbalordìsussultò e per poco non si accasciò sul posto per lo sgomento. Gli era sembrato... a farla breveaveva precisamente indovinato che non si cercava né qualcosa né qualcuno... si cercava semplicemente luiGoljadkin.

Tutti guardavano dalla sua partetutti facevano segno verso di lui. Correre via era impossibile; lo avrebbero visto... Goljadkin atterritosi accostò il più possibile alla sua catasta e solo a questo punto osservò che l'ombra protettrice lo aveva tradito:

infatti non lo riparava completamente. Con grande gioia il nostro eroe avrebbe in quel momento acconsentito a infilarsi in qualche buco per topiin mezzo alla legnae a restarsene lì quietosolo che ciò fosse stato possibile. Ma possibile non lo eranel modo più assoluto. In quel suo stato quasi d'agoniacominciòalla finea guardare decisamente tutte le finestrecon determinazione: era meglio... Eimprovvisamentesi sentì definitivamente bruciato dalla vergogna. Lo avevano visto benissimo; tutti lo guardavanotutti agitavano verso di lui le manigli facevano cenni col capotutti lo chiamavano; eccocon grande strepitoaprirsi lo sportellino di qualche finestra; parecchie voci cominciarono a gridargli tutte insieme qualcosa...

"Mi meraviglio che queste ragazzacce non vengano frustate fin da piccole" borbottava tra sé il nostro eroecompletamente perso.

All'improvvisodal pianerottolo uscì di corsa lui (si sa benechi) con indosso la sola giubba della divisaa capo scopertotutto ansimantesgambettando e saltellandodimostrando perfidamente una pazza gioia per il fatto di averefinalmentevisto Goljadkin.

"Jakòv Petrovic'!" sussurrò il ben notoinutile individuo. "Jakòv Petrovic'siete qui? Qui fa freddoJakòv Petrovic'. Vogliate entrare." "Jakòv Petrovic'! NoJakòv Petrovic'qui io ci sto bene" borbottò il nostro eroe con voce umile.

"Nonon è possibileJakòv Petrovic'; vi preganovi pregano umilmenteci aspettano. 'Fateci contenti' mi hanno detto 'accompagnate qui Jakòv Petrovic'.' Eccoè così!" "NoJakòv Petrovic': iovedeteio avrei fatto meglio... Io farei meglio ad andare a casaJakòv Petrovic'.." diceva il nostro eroebruciando a fuoco lento e gelando nello stesso tempo per la vergogna e il terrore.

"No-no-no-no!" cinguettò il repellente individuo. "No-no-no... a nessun costo! Andiamo!" dissedecisoe trascinò verso il pianerottolo il signor Goljadkin numero uno. Il signor Goljadkin numero uno non voleva assolutamente andarci; ma poiché tutti lo guardavanoe opporsi e fare resistenza sarebbe stato scioccoil nostro eroe si avviò... Del resto non si può nemmeno dire perché si avviasseperché non sapeva nemmeno luiassolutamenteche cosa gli stesse capitando. Ma se era cosìd'accordo!

Prima che il nostro eroe avesse potuto mettersi un po' in ordine e riaversisi trovò nella sala. Era pallidospettinatomalconcio; rivolse alla folla uno sguardo spento... Orrore! La sala e tutte le stanze erano pienetraboccanti... C'era un mare di genteuna vera fioritura di donne; tutti si stringevano intorno a Goljadkintutti si lanciavano verso di luitutti portavano sulle loro spalle Goljadkinche si accorgeva molto bene che lo stavano avviando da qualche parte. "Però non verso la porta"gli passò rapidamente per il capo. E in realtà non lo spingevano verso la portama direttamente verso la comoda poltrona di Olsufij Ivànovic'. Vicino alla poltronada un lato era ritta Klara Olsùfevnapallidalanguidamalinconicama elegantissima.

Colpirono particolarmente lo sguardo di Goljadkin certi fiorellini bianchi tra i suoi capelli nericon un risultato di magico effetto. Dall'altra parte della poltrona stava Vladimir Semjònovic'in frac nerocon la nuova decorazione all'occhiello.

Goljadkin fu accompagnatocome sopra si è dettodirettamente verso Olsufij Ivànovic': da una parte dal signor Goljadkin numero dueche aveva assunto un'aria dignitosissima e molto ben intenzionatadel che il nostro eroe si rallegrò oltre misura; dall'altra da Andréj Filìppovic'con un viso imponente e solenne.

"Che vorrà dire questo?" pensò Goljadkin. Quando poi vide che lo conducevano verso Olsufij Ivànovic'sembrò che un lampo gli illuminasse la mente. Il pensiero della lettera rubatagli gli passò rapidamente per la testa... In uno stato di infinita disperazione il nostro eroe si trovò davanti alla poltrona di Olsufij Ivànovic'. "Come devo comportarmiadesso?" pensò. "E' certo che qui ci vuole audaciacioè franchezza non priva di nobiltà; dirò che le cose sono così e così... e via di seguito".

Ma quello che il nostro eroe evidentemente temeva non accadde.

Olsufij Ivànovic' accolse benissimoa quanto sembròGoljadkin ebenché non gli avesse tesa la manotuttaviaguardandoloscosse la testa canuto che ispirava ogni rispettola scosse con un'espressione solenne e tristema nello stesso tempo benevola.

Così almeno sembrò a Goljadkin. Gli sembrò anche che una lacrima brillasse negli occhi scialbi di Olsufij Ivànovic'; sollevò lo sguardo e vide come anche sulle ciglia di Klara Olsùfevnache era ancora dritta lì vicinoluccicasse una lacrimucciacome negli occhi di Vladimir Semjònovic' accadesse qualcosa di simile e come la intangibile e calma dignità di Andréj Filìppovic' fosse anch'essa meritevole del generale commosso interessee comeinfineil giovaneun tempo somigliantissimo a un grave consiglieresinghiozzasse ora amaramenteapprofittando di quel momento... O forse tutto questo era soltanto sembrato a Goljadkinperché lui stesso aveva versato molte lacrime e chiaramente se le sentiva scorrere brucianti sulle guance... Con voce singhiozzanteritornato in pace con gli uomini e con la sortee sentendo di amare moltissimo in quel momento non solo Olsufij Ivànovic'non solo tutti gli invitati messi insiemema persino il suo perfido gemelloche oraevidentementenon era affatto perfido e non era addirittura più gemelloma un individuo assolutamente estraneo e di per sé amabilissimoil nostro eroedicevamostava per rivolgersi verso Olsufij Ivànovic' in un commosso sfogo dell'animamaper il traboccante afflusso di tutto ciò che in essa si era andato accumulandonon riuscì a spiegare assolutamente nientema poté soltanto indicare con un eloquente gesto il proprio cuore...

Finalmente Andréj Filìppovic'certo in atto di rispetto per la canizie del vegliardotirò un po' in disparte Goljadkin lasciandolo peròa quanto sembravain una posizione assolutamente indipendente.

Col volto atteggiato a sorriso e borbottando non so che cosa tra i dentiun po' incertoma in ogni caso quasi completamente riappacificato con gli uomini e con la sorteil nostro eroe cominciò a farsi un po' strada attraverso la compatta folla degli ospiti. Tutti gli davano il passotutti lo guardavano con una certa strana curiosità e con un certo inspiegabile e un po' misterioso interesse. Il nostro eroe passò in un'altra stanza; ovunque la stessa attenzione. Sentiva vagamente che un'intera folla si accalcava sulle sue tracceche si osservava ogni suo passoche sotto sotto tutti parlavano di qualcosa di molto interessantescuotevano il capoparlavanodavano giudizifacevano commenti e parlottavano. Goljadkin avrebbe voluto sapere a che cosa volessero riferirsi con quei giudizi e con quei commenti e su cosa parlottassero. Dato uno sguardo attornoil nostro eroe vide accanto a sé il signor Goljadkin numero due.

Sentita la necessità di prenderlo per un braccio e di portarlo in disparteGoljadkin pregò caldamente l'altro Jakòv Petrovic' di aiutarlo in tutte le future imprese e di non abbandonarlo in un caso critico. Il signor Goljadkin numero due annuì gravemente col capo e strinse forte la mano del signor Goljadkin numero uno. Il cuore prese a battere forte nel petto del nostro eroeper la pienezza dei sentimenti. Era però tutto affannatosi sentiva strettostretto da vicino; sentiva tutti quegli occhi rivolti a lui che parevano opprimerlo e soffocarlo... Goljadkin vide di sfuggita quel consigliere che portava la parrucca. Il consigliere gli lanciò un'occhiata severa e inquisitorianon addolcita affatto dalla simpatia generale... Il nostro eroe era già deciso ad andare direttamente da lui per sorridergli e avere una immediata spiegazionema la cosa non gli riuscì. Per un attimo Goljadkin smarrì quasi del tutto i sensi e perdette la memoria...

Riavutosisi accorse che si stava rigirando in un vasto cerchio di invitati che lo avevano circondato. Di colpo da una stanza vicina si udì chiamare ad alta voce Goljadkin; il grido sfrecciò contemporaneamente per tutta la folla. Tutto cominciò ad agitarsi e a rumoreggiaretutti si lanciarono verso la porta della prima sala; il nostro eroe fu portato quasi a bracciamentre l'austero consigliere in parrucca si trovò fianco a fianco col signor Goljadkin. Finalmente lo prese per mano e lo fece sedere accanto a sédirimpetto alla poltrona di Olsufij Ivànovic' a una distanza da luiperòabbastanza notevole. Tutti quelli che si trovavano nelle sale si misero a sederein varie fileattorno a Goljadkin e a Olsufij Ivànovic'in attesa evidentemente di qualcosa fuori del normale. Goljadkin notò che accanto alla poltrona di Olsufij Ivànovic' e proprio di fronte al consigliere aveva preso posto l'altro Goljadkin con Andréj Filìppovic'. Continuava il silenzio... si aspettava davvero qualcosa. "Proprio con esattezza come accade in qualsiasi famigliaprima della partenza di qualcuno per un lungo viaggio; ora non rimane che alzarsi e recitare la preghiera" pensò il nostro eroe.

Di colpo ci fu un insolito movimento che interruppe tutte le riflessioni del signor Goljadkin. Stava succedendo qualcosa di atteso da lungo tempo. "Arriva! Arriva!" si sentì tra la folla.

"Chi arriva?" balenò alla mente del signor Goljadkinche sussultò per una certa strana sensazione. "E' ora!" disse il consigliere dopo aver guardato attentamente Andréj Filìppovic'. Andréj Filìppovic'da parte suagettò un'occhiata a Olsufij Ivànovic'.

Olsufij Ivànovic' con gesto maestosamente solenneannuì.

"Alziamoci"disse il consigliere facendo sollevare Goljadkin.

Tutti si alzarono. Allora il consigliere prese per mano il signor Goljadkin numero unoe Andréj Filìppovic' il signor Goljadkin numero due e entrambicon gesto solennemisero i due perfettamente uguali in mezzo alla folla che si era radunata in cerchio attorno a lorotutta tesa nell'aspettativa. Il nostro eroe si guardò intorno perplessoma subito lo fermarono e gli indicarono il signor Goljadkin numero due che gli tendeva la mano.

"Vogliono farci far pace" si disse il nostro eroee con emozione tese a sua volta le mani al signor Goljadkin numero due; poisporse verso di lui anche il capo. Lo stesso fece l'altro Goljadkin... Sembrò al signor Goljadkin numero uno che il perfido amico sorridesseche di sfuggita strizzasse furbescamente l'occhio alla folla che li circondavache ci fosse qualcosa di malvagio nel viso del turpe signor Goljadkin numero duee che avesse perfino fatto una smorfiaccia nel momento del suo bacio da giuda... La testa del signor Goljadkin si riempì di suonigli occhi gli si ottenebrarono... ebbe l'impressione che una valangauna schiera di Goljadkin perfettamente uguali irrompesse con fragore da tutte le porte; ma era tardi... Risuonò il rumore del bacio del tradimento...

A questo punto ecco verificarsi una circostanza del tutto inattesa... La porta della sala si spalancò con un gran fracasso e sulla soglia si presentò un individuo la cui vista raggelò Goljadkin. I suoi piedi si piantarono al pavimento. Un grido morì nel suo petto oppresso. Del restoperòGoljadkin sapeva tutto già fin da primae da parecchio tempo aveva il presentimento di qualcosa del genere. Lo sconosciutocon un'andatura grave e solennesi avvicinò a Goljadkin... Goljadkin conosceva assai bene quella figura. L'aveva vistala vedeva molto spessol'aveva vista anche oggi... Lo sconosciuto era un uomo altoin frac nerocon un'importante decorazione al collo e con folte basette nere; gli mancava soltanto il sigaro in bocca per una più precisa somiglianza... Però lo sguardo dello sconosciutocome già è stato dettoaveva raggelato di orrore Goljadkin... Con aria grave e solenne il terribile uomo si avvicinò al disgraziato eroe del nostro racconto.... Il nostro eroe gli tese la mano: lo sconosciuto la prese e se lo tirò dietro... Il nostro eroe si guardò intorno col viso smarrito e annientato...

"Questo è Krestjàn Ivànovic' Rutenspitzdottore in medicina e chirurgiavostro conoscente da lunga dataJakòv Petrovic'!" cinguettò la voce antipatica di qualcuno proprio all'orecchio del signor Goljadkin. Si girò a guardare: era il gemello del signor Goljadkinripugnannte per la viltà del suo animo. Una gioia turpe e malvagia gli brillava sul viso; con entusiasmo si fregava le manicon entusiasmo girava di qua e di là la testacon entusiasmo sgambettava intorno a tutti; sembrava che per l'entusiasmo fosse pronto a iniziare una danza; alla fine fece un salto in avantistrappò la candela di mano a uno dei servi e precedetteilluminando la stradaGoljadkin e Krestjàn Ivànovic'.

Goljadkin sentiva chiaramente che tutti quelli che si trovavano in sala si erano slanciati dietro di luiche tutti si accalcavanosi urtavano l'un l'altro e che tutti insiemea una voceripetevano alle spalle del signor Goljadkin: "Non è niente... non abbiate timore! Jakòv Petrovic'questo è il vostro vecchio amico e conoscente Krestjàn Rutenspitz..." Uscirono infine sulla scala principalevivacemente illuminata; anche sulla scala c'era un mucchio di gente; la porta che dava sul pianerottolo si spalancò con gran fragore e Goljadkin si trovò sui gradini con Krestjàn Ivànovic'. Davanti all'ingresso era ferma una vettura tirata da quattro cavallisbuffanti d'impazienza. Il malvagio signor Goljadkin numero due in tre salti scese le scale e fu lui stesso ad aprire lo sportello della carrozza. Krestjàn Ivànovic' pregò Goljadkin di accomodarsi con un gesto di invito. Del restoquell'atto non era affatto necessario: c'era abbastanza gente per farlo salire... Mezzo svenuto per il terroreGoljadkin si girò a guardare indietro: tutta la scalailluminata a giornoera gremita di gente; occhi pieni di curiosità lo fissavano da ogni parte; Olsufij Ivànovic' in personadal pianerottolo più alto della scalanella sua comoda poltronapresiedeva e con attento e vivo interesse osservava il susseguirsi dell'avvenimento. Tutti aspettavano. Un mormorio d'impazienza serpeggiò tra la folla quando Goljadkin si girò indietro a guardare.

"Io spero che qui non ci sia niente... niente di pregiudizievole... o che possa provocare la riprovazione... e l'attenzione di tuttiper quanto si riferisce ai miei rapporti ufficiali..." dissesmarritoil nostro eroe. Si alzò tutt'intorno un vociare rumoroso: tutti scuotevano la testa in cenno di diniego. Dagli occhi del signor Goljadkin scesero lacrime.

"In tal caso sono pronto... mi rimetto completamente e affido la mia sorte a Krestjàn Ivànovic'..." Appena Goljadkin ebbe detto che affidava la sua sorte a Krestjàn Ivànovicun terribile assordante grido di gioia uscì dal petto di tutti quelli che lo circondavano e con la più malvagia risonanza serpeggiò tra la folla in attesa. A questo punto Krestjàn Ivànovic' da una parte e Andréj Filìppovic' dall'altra presero sottobraccio Goljadkin e lo fecero salire in carrozza; il sosiapoisecondo la sua turpe abitudinelo aiutava da dietro a salire. L'infelice signor Goljadkin numero uno lanciò il suo ultimo sguardo su tutto e su tutti etremando come un gattino su cui avessero gettato acqua fredda - se è lecito il paragone - salì in carrozza; dietro di loro prese immediatamente posto Krestjàn Ivànovic'. La carrozza fu chiusa con forza: si sentì un colpo di frusta sui cavallii cavalli trascinarono via la carrozza... e tutti si precipitarono dietro Goljadkin. Le urla crudeli e penetranti di tutti i suoi nemici gli corsero dietro come auguri di buon viaggio... Per un po' di tempo ancora alcuni visi apparvero intorno alla carrozza che portava via Goljadkin; ma a poco a poco cominciarono a restare indietrosempre più indietro efinalmentecessarono completamente. Più a lungo di tutti rimase il turpe gemello del signor Goljadkin. Con le mani sprofondate nelle tasche laterali dei pantaloni verdi dell'uniformecorreva con aria soddisfattasaltando ora dall'unaora dall'altra parte della carrozza; di tanto in tantoafferrandosi al telaio del finestrino e tenendosi appesoficcava dentro la testa ein segno di addiomandava piccoli baci al signor Goljadkin; ma poi cominciò a dare segni di stanchezza e ad apparire sempre più raramentefino a che scomparve del tutto. Il cuore del signor Goljadkin prese a dolere sordamente in pettoil sangue gli batteva come una polla ardente nella testa: si sentiva soffocaresentiva il bisogno di sbottonarsidi denudarsi il pettodi cospargerlo di neve e di versarvi sopra dell'acqua gelata. Cadde infine privo di sensi... Quando si riebbevide che i cavalli lo portavano per una strada che non conosceva. A destra e a sinistra cupe ombre di boschi e ovunque solitudine e deserto.

All'improvviso si sentì morire: due occhi di fuoco lo fissavano nel buioe questi due occhi scintillavano di una malvagia gioia infernale. Questo non è Krestjàn Ivànovic'! Chi è? Oppure è lui?

Lui! E' Krestjàn Ivànovic' ma non quello di primaè un altro Krestjàn Ivànovic'! E' un orrendo Krestjàn Ivànovic'!

"Krestjàn Ivànovic'io... Io... mi pareio... non dico niente" cominciò il nostro eroe con voce trepida e umiledesiderandocon la rassegnazione e l'umiltàimpietosire quell'orribile Krestiàn Ivànovic' "Voi ricevere 'alogio gofernativo' con legnacon "licht" e con serviziodel che voi indegno" risuonò severa e tremenda come una condanna la voce di Krestjàn Ivànovic'.

Il nostro eroe lanciò un grido e si afferrò la testa tra le mani.

Ahimè! Da un pezzo tutto questo lo aveva presentito!

 

 

NOTE:

  1. Si allude al diritto riservato ai proprietari di terra russi di mandare qualche loro servo a lavorare in cittàriscuotendo poiper compensoun canone annuo dal lavoratore.



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