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ArthurSchnitzler


ILRITORNO DI CASANOVA




(1918)


Nelsuo cinquantatreesimo anno di vita Casanovache era ormai da tempobraccato per il mondo non tanto dalla brama di avventure dellagioventù quanto dall'inquietudine dell'incalzante vecchiaiasentì germogliare con tanto impeto nella sua anima lanostalgia di Venezia sua patriache come un uccello il quale scendalentamente dalle sue eteree altezze per morire cominciò atracciarle intorno volute sempre più strette. Piùvoltenegli ultimi dieci anni del suo esilioaveva rivoltopetizioni al Consiglio dei Dieciperché gli concedesse ditornare; ma mentre in passato nella redazione di tali scritticosain cui era maestrola sua penna era stata guidata da orgoglio ecaparbietà nonchétalvoltapersino da un certostizzoso godimentoda qualche tempo dalle sue parole di quasi umilepreghiera sembravano parlaresempre più inequivocabiliunanelito di sofferenza e un sincero pentimento. Credeva di potercontare su un assensotanto più che le colpe dei suoi annipassatitra le quali comunque per i consiglieri veneziani le piùimperdonabili non erano la dissolutezzala litigiosità e leimposture di natura per lo più scherzosama il liberopensierostavano gradualmente finendo nel dimenticatoio e la storiadella sua fuga mirabolante dai Piombi di Veneziache egli aveva poiripetutamente abbellito davanti a corti di regnantiin castellinobiliaripresso deschi borghesi e in case di malaffarecominciavaad avere la prevalenza su ogni altra diceria legata al suo nome; e aMantovadove si tratteneva ormai da due mesigli erano giuntediverse missive di signori molto potenti che inducevanol'avventurierodi cui si andavano spegnendo il fulgore interiorecome quello esteriorea sperare che il suo destino sarebbe statodeciso entro breve.


Poichéi suoi mezzi finanziari erano divenuti davvero esiguiCasanova avevadeciso di attendere l'arrivo della grazia nella locanda modesta madecorosa che aveva già abitato in anni più felicienel frattempo trascorreva il tempo - per non menzionare distrazionimeno spiritualialle quali non era in grado di rinunciare del tutto- componendo un libello contro il blasfemo Voltairela cuipubblicazione sperava potesse consolidare la sua posizione e la suafama presso tutti i benpensanti veneziani subito dopo il suo ritornoin patria.


Unmattinodurante una passeggiata fuori cittàmentre cercavadi dare l'ultima limatina a una proposizione destinata ad annientarequell'empio francesefu colto all'improvviso da un'inquietudinestraordinariaquasi un dolore fisico: la vita incresciosamenteabitudinaria che conduceva ormai da tre mesi; le passeggiatemattutine fuori portain campagnale brevi serate trascorsegiocando a carte con il sedicente barone Perotti e la sua butterataamantele tenerezze della sua locandiera non più giovane mafocosapersino lo studio delle opere di Voltaire e il lavoro allasua ardita e per oragli parevanon malriuscita confutazione: tuttociò gli sembravanell'aria mite e troppo dolce di quelmattino di tarda estateparimenti insensato e ripugnante; mormoròun'imprecazionesenza sapere a chi o a cosa fosse direttaeafferrando l'elsa della sua spadagettando ovunque sguardi ostilicome se dalla solitudine che lo circondava lo guardassero beffardiocchi invisibilivolse d'un tratto i suoi passi verso la cittàintenzionato a impartire all'istante istruzioni per un'immediatapartenza. Non dubitava infatti che si sarebbe sentito subito meglionon appena si fosse avvicinato alla bramata patria anche solo diqualche miglio. Accelerò il camminoonde assicurarsi pertempo un biglietto per il postale che partiva prima del tramonto indirezione est; per il restogli rimaneva ben poco da farepoichéintendeva risparmiarsi una visita di commiato al barone Perotti emezz'ora gli era più che sufficiente per mettere in valigiatutti i suoi averi. Pensò ai due vestiti un po' lisiuno deiqualiil peggioreaveva indosso in quel momentoe alla biancheriapiù volte rammendataun tempo eleganteche insieme a qualchetabacchieraa una catena d'oro con orologio e a un certo numero dilibri costituivano tutti i suoi possedimenti; gli vennero in mentegiorni passatiquando era un signore distinto che traversava lacampagna in una magnifica carrozzafornito di tutto il necessario epure del superfluotra cui un servitore - che a dire il vero era perlo più un imbroglione -; e gli salirono agli occhi lacrime dirabbia impotente. Una giovane donna col frustino in mano lo superòalla guida di un carretto sul quale giaceva ubriacotra sacchi esuppellettili domestiche d'ogni generesuo marito. Sulle prime essaosservò con aria curiosa e beffarda Casanova che si avvicinavadi buon passo sotto gli ippocastani sfioriti della stradacol visostravolto e mormorando tra i denti parole incomprensibilima poiquando vide il suo sguardo ricambiato da un lampo d'iragli occhi dilei presero un'espressione spaventata e infinequando passandogliaccanto si girò verso luibenevola e lasciva. Casanovachesapeva bene come odio e ira sapessero preservare i colori dellagioventù meglio di dolcezza e tenerezzacapì subitoche sarebbe bastata una sua osservazione sfrontata per fermare lacarrozza e disporre della donnacosa che non gli dispiaceva mai;tuttaviaper quanto saper questo migliorasse momentaneamente il suoumorenon gli parve che valesse la pena di rinunciare anche solo apochi minuti per via di un'avventura tanto scadente e perciòlasciò che il carretto dei contadini continuasse a cigolareimperterritocon i suoi occupantitra la polvere e i vapori dellavia maestra.


L'ombradegli alberi attenuava solo in minima parte la calura del sole chesalivae Casanova si vide costretto a rallentare gradualmente ilpasso. La polvere della strada si era accumulata sul suo abito esulle sue scarpe a tal punto che non si vedeva più quantofossero consunte; e così lo si sarebbe potuto prenderesenz'altroquanto a stile e portamentoper un signore d'alto rangoal qualeper una voltaera venuto in mente di lasciare a casa lasua carrozza. Già si apriva dinanzi a lui l'arco della portavicino alla quale era situata la locanda dove abitavaquando gli siavvicinò sobbalzando una pesante carrozza di campagnasullaquale sedeva un uomo benestante e ben vestitoancora piuttostogiovane. Aveva le mani incrociate sull'addome e gli occhi socchiusie pareva proprio sul punto d'appisolarsi quando il suo sguardoscivolando casualmente su Casanovasi accese di inattesa vivacitàe tutta la sua persona parve cadere in preda a un'allegra agitazione.Si sollevò troppo rapidamente e ricadde subito all'indietrosi tirò di nuovo suassestò una pacca sulla schiena alcocchiereper ordinargli di fermarsisi giròmentre lacarrozza continuava ad andareper non perdere di vista Casanovaglifece un cenno con ambo le mani e ne gridò tre volte il nomecon voce fioca ma chiara. Solo dalla voce Casanova aveva riconosciutoquell'uomo: si avvicinò alla carrozzache si era fermataafferrò sorridendo le due mani protese verso di lui e disse:

«E'possibileOlivosiete voi?» «Sono iosignor Casanovami riconoscete ancora?» «Perché non dovrei? Certodal giorno delle nozzequando ci siamo visti per l'ultima voltasiete un po' aumentato di circonferenza... ma anch'io negli ultimiquindici anni sono mutato non insensibilmenteanche se non allostesso modo.» «Appena» esclamò Olivo«praticamente nientesignor Casanova! E comunque son passatisedici annida pochi giorni! E come può immaginareproprioin questa occasione abbiamo parlato a lungo di voiAmalia e io...»«Davvero»rispose cordialmente Casanova«miricordate ancoraqualche volta?» Gli occhi di Olivo siempirono di lacrime. Teneva ancora le mani di Casanova tra le sueeriprese a stringerlecommosso. «Quanto vi siamo gratisignorCasanova! Come potremmo mai dimenticare il nostro benefattore? E seallora...» «Non parliamone»lo interruppeCasanova. «Come sta la signora Amalia?

Com'èpossibile che in questi due mesi che ho trascorso a Mantova -conducendo una vita molto ritiratadevo direma facendo ancoramolte passeggiatecom'era mia abitudine - com'è possibiledicevoche non vi abbia incontratoOlivoneppure una sola volta?»«Semplicissimosignor Casanova! E' ormai tanto che non viviamopiù in questa cittàche io d'altronde non ho maipotuto soffrirecome Amalia. Fatemi l'onoresignor Casanovasaltate suin un'ora siamo a casa mia» - e Casanova fece unlieve cenno di diniego - «non ditemi di no. Amalia saràfelicissima di rivedervi e orgogliosa di mostrarvi i nostri trefigli. Sìtresignor Casanova. Tre bambine. Tredicidieci eotto anni... Nessuna ha ancora l'età per cui - con permesso -Casanova potrebbe farle girare la testa.» Sorrise bonariamentee accennò il gesto di trascinare Casanova in carrozza. MaCasanova scosse il capo.


Infattidopo essere stato quasi tentato di cedere a una comprensibilecuriosità e di accogliere l'invito di Olivofu colto conrinnovato impeto dalla sua impazienzae assicurò Olivo chepurtroppo affari urgenti lo costringevano a lasciare Mantova ilgiorno stessoprima di sera. Che cosa mai cercava a casa di Olivod'altronde? Sedici anni erano tanto tempo! Nel frattempo Amalia nonsi era certo fatta né più giovane né piùbella; la figlioletta tredicenne non lo avrebbe certo degnato diparticolare considerazionedata la sua etàe l'idead'ammirare lo stesso signor Olivoallora un giovanotto magro estudiosoquale padre di famiglia possidente e dedito all'agricolturain un ambiente ruralenon lo attraeva al punto da fargli rimandareun viaggio che lo avrebbe avvicinato di dieci o venti miglia aVenezia.


Olivoperòche non pareva intenzionato a prendere per buono ilrifiuto di Casanovainsistette quanto meno per accompagnarlo incarrozza alla locandaofferta che Casanova non potérifiutare. In pochi minuti furono alla meta. La locandierauna donnaformosa sui trentacinque annisalutò Casanova che entrava conuno sguardo che voleva senz'altro palesare anche a Olivo il tenerorapporto esistente tra loro. A quest'ultimocomunqueporse la manocome si fa con un conoscentedal qualecome Casanova ebbe subitomodo di sapereacquistava regolarmente un certo vino che crescevasulle sue terredolceamaro e molto a buon mercato. Olivo si lamentòimmediatamente che il cavaliere di Seingalt (così infatti lalocandiera aveva chiamato Casanovae Olivo non esitò unistante a servirsi anch'egli di tale titolo) fosse cosìcrudele da rifiutare l'invito di un vecchio amico appena ritrovatoper il ridicolo motivo di dover ripartire da Mantova il giornostessoassolutamente il giorno stesso. La faccia straniata dellalocandiera lo informò all'istante che questa non sapeva ancoraniente delle intenzioni di Casanovae Casanova ritenne opportunospiegare che aveva semplicemente anticipato i suoi programmi dipartenza per non essere di peso alla famiglia dell'amico con unavisita tanto inaspettata; a ogni modo era davvero costrettoanziobbligatoa concludere nei giorni seguenti un importante lavoroletterariocosa per la quale non conosceva luogo più adattodi questa eccellente locandadove aveva a disposizione una stanzafresca e tranquilla. Olivo ribatté che la sua casa modesta nonpoteva conoscere onore più grande di quello che le avrebbefatto il cavaliere di Seingalt se avesse portato proprio là acompimento il suo lavoro; l'isolamento della campagna potevarivelarsi soltanto proficuo per una tale impresa equanto a manualie libri dotti non ne mancavanoperché da qualche settimanaera arrivata con una cassa piena di libri sua nipotesua di Olivola figlia del suo defunto fratellastrouna fanciulla giovane ma giàdottissima nonostante la sua gioventùe se a volte alla seracomparivano degli ospitinon era certo necessario che il signorcavaliere se ne curassea meno che dopo il lavoro e le fatiche delgiorno un'allegra conversazione o qualche partitina non gliprocurassero una gradita distrazione. Non appena udì parlaredi una giovane nipoteCasanova decise all'istante di vedere questacreatura da vicino; dando l'impressione di indugiare ancorafinìcol cedere alle insistenze di Olivopur mettendo in chiaro che nonpoteva allontanarsi da Mantova per più di uno o due giorni escongiurando la sua carissima locandiera di trasmettergli senzaindugiocon un messoquelle lettere che potevano arrivargli e cheerano forse d'estrema importanza. Dopo aver sistemato così lafaccendacon grande soddisfazione di OlivoCasanova andò incamera suasi preparò per il viaggio e un quarto d'ora dopoera già nella sala da pranzo dove Olivonel frattempoavevaavviato un'animata conversazione d'affari con la locandiera. Allorasi alzòvuotò in piedi il suo bicchiere di vino eammiccando con aria di comprensionele assicurò che leavrebbe riportato il cavaliere - anche se non l'indomani o il giornoappresso - ma comunque in ottimo stato e incolume. Casanova peròimprovvisamente distratto e frettolososi accomiatò con talefreddezza dalla sua gentile locandiera che questagià allosportello della carrozzagli sussurrò all'orecchio una parolad'addio che era tutto fuorché una carezza.


Mentrei due uomini si dirigevano verso la campagna sulla strada polverosaimmersa nella calura del mattinoOlivo raccontò prolissamentee con poco ordine la storia della sua vita: come poco dopo le nozzeavesse acquistato un minuscolo terreno fuori cittàavviandoun piccolo commercio di ortaggi; come gradualmente avesse ampliato isuoi possedimenti e cominciato a dedicarsi all'agricolturacomeinfine grazie alla solerzia sua e della sua consorte nonchéalla benedizione del Signore fosse stato in gradotre anni primadiacquistare dall'indebitatissimo conte Marazzani il suo vecchiocastello in parte diroccato con le vigne a esso pertinenti e comeormai si fosse sistemato comodamenteanche se non principescamentecon moglie e figli in quella dimora nobiliare. Tutto ciò peròlo doveva soltantoin ultima analisia quelle centocinquanta moneted'oro che la sua sposa o meglio la di lei madre avevano avuto in donoda Casanova; senza tale aiuto prodigioso la sua sorte non sarebbeoggi diversa da quella di allora: insegnare a leggere e scrivere amonelli screanzatiprobabilmente sarebbe diventato un vecchioscapolo e Amalia una vecchia zitella... Casanova lo lasciòparlarequasi senza starlo a sentire. Gli era tornata in mentel'avventura nella quale era rimasto coinvolto allorainsieme adalcune altrepiù significativetanto che quellala piùirrisoriaaveva occupato ben poco la sua anima e i suoi sensi.Durante un viaggio da Roma a Torino o Parigi - lui stesso non losapeva più - e nel corso di un breve soggiorno a Mantovaunamattina aveva scorto Amalia in chiesa epoiché quel graziosovolto pallido e un po' gonfio di pianto gli era piaciutole avevarivolto gentilmente una domanda galante. Premurosa come all'epoca conlui lo erano tuttelei era stata ben lieta di aprirgli il suo cuoree così egli apprese che la ragazzala quale già vivevapoveramenteera innamorata di un povero istitutoreil cui padrenegava decisamente l'assensocome del resto la sua stessa madreaun'unione così priva di prospettive. Casanova si dichiaròsubito pronto a risolvere la faccenda. Per prima cosa si fecepresentare la mamma di Amalia; e poiché questaessendo unagraziosa vedova trentaseiennepoteva ancora avere diritto a qualcheomaggiopresto Casanova fu legato a lei da un'amicizia cosìintima che la sua intercessione poteva ottenere da lei qualsiasicosa. Non appena questa dimostrò di recedere dal suoatteggiamento di rifiutoanche il padre di Olivocommerciantedecadutonon lasciò aspettare a lungo la sua approvazionesoprattutto quando Casanovache gli fu presentato come un lontanoparente della madre della sposasi impegnò generosamente apagare le spese delle nozze e parte del corredo. Amaliadal cantosuonon seppe far altro che mostrare la sua gratitudine al suobenefattoreche le era apparso come l'inviato da un altro mondounmondo più elevatonel modo in cui glielo imponeva il suocuore; e quandola sera prima delle nozzesi sottrasse con leguance in fiamme dall'ultimo abbraccio di Casanovanon le parevacerto di aver commesso un torto nei confronti del suo sposoche allafin fine doveva la sua felicità soltanto alla gentilezza ealla nobiltà d'animo di quello straordinario sconosciuto. SeOlivo avesse mai avuto notiziain virtù d'una confessionedella straordinaria riconoscenza di Amalia nei confronti delbenefattore; se avesse magari accettato il suo sacrificio comenaturalesenza postumi di gelosia; o se quanto era accaduto glifosse ancora ignoto: di tutto questo Casanova non si era maipreoccupato né se ne preoccupava ora.


Facevasempre più caldo. La carrozzacon gli ammortizzatori inpessimo stato e provvista di cuscini rigidiavanzava rumorosamentecon scossoni da far pietà; le chiacchiere bonarie con cui lavoce fioca di Olivo non desisteva dall'intrattenere il suoaccompagnatore sulla fertilità delle sue terresull'eccellenza di sua mogliesulla creanza delle sue figliole e suirapporti compiaciuti e pacifici con i viciniagricoltori e nobilicominciarono ad annoiare Casanovache si domandò in predaalla collera perché mai avesse accettato un invito che nonpoteva recargli altro che incomodi ealla fineanche qualchedelusione.


Anelavaalla sua fresca cameretta nella locanda di Mantovadove in quellostesso momento avrebbe potuto portare avanti il suo libello controVoltaireed era già deciso a scendere alla prima locanda cheavessero incontratonoleggiare una qualsiasi vettura e tornareindietroquando Olivo eruppe in un forte «Oilà!»cominciò a gesticolare con tutt'e due le mani eafferrandoCasanova per un braccioindicò una carrozza che si erafermata accanto alla loronel frattempo anch'essa fermacome perprendere accordi. Dall'altra saltarono giùuna dopo l'altratre ragazzinetanto che la tavoletta che avevano usato quale sedilevolò per aria e si ribaltò. «Le mie figlie»disse Olivo voltandosi verso Casanovanon senza un certo orgoglioepoiché questi fece subito per lasciare la carrozza: «Restisedutocaro cavalieretra un quarto d'ora siamo arrivati; possiamostarci anche tutti. MariaNanettaTeresina: vedetequesto èil cavaliere di Seingaltun vecchio amico di vostro padre:avvicinatevi e baciategli la mano perché senza di luisareste...». Si interruppe e sussurrò a Casanova: «Stavoper dire una sciocchezza». Si corresse allora a voce alta:«Senza di lui alcune cose sarebbero diverse!». Lebambinecon i capelli neri e gli occhi scuri come Olivoe tutte diaspetto ancora infantileanche Teresinala più grandeguardavano lo straniero con una curiosità disinvoltaquasicontadinae la più piccolaMariasi rassegnò aseguire le istruzioni paterne e a baciargli con grande serietàla mano; Casanova però non lo permisema prese loro la testatra le maniuna dopo l'altrae le baciò sulle guance. Nelfrattempo Olivo scambiava qualche parola col giovanotto che avevacondotto sin là la carrozzella con le bambinedopo di checostui spronò il cavallo e proseguì sulla via maestrain direzione di Mantova.


Lebambine presero posto sul sedile posterioredietro Olivo e Casanovatra risa e scherzosi litigi: erano sedute vicinissimeparlavanotutte insieme epoiché anche il loro genitoreda parte suanon smetteva di parlareper Casanova all'inizio non fu faciledesumere dalle loro parole ciò che davvero avevano daraccontare. Un nome risuonòquello di un certo sottotenenteLorenzi checome riferì Teresinaaveva cavalcato per un po'accanto a loropromettendo di far visita la sera e inviando al loropapà i più cordiali saluti. Le bambine riferironoinoltre che anche la mammainizialmenteaveva manifestatol'intenzione di venire incontro al papà; ma data la grandecalura aveva poi preferito rimanere a casa con Marcolina. Marcolinaera ancora a lettoquando erano partite; e dal giardino le avevanotiratodalla finestra apertauna gragnuola di bacche e nocciolinealtrimenti l'avrebbero trovata ancora addormentata.


«Nonè da Marcolina»disse Olivo rivolto al suo ospite«disolito alle sei o anche prima è già in giardino astudiare a va avanti fino a mezzogiorno. E' veroieri sera avevamoospitie la cosa è andata avanti più del solito; si èanche giocato un pochino - certo non come è solito fare ilsignor cavalierenoi siamo gente semplice e non ci piace sottrarcisoldi l'un l'altro. E poiché anche il nostro degnissimo abatesi compiace di parteciparepuò immaginaresignor cavaliereche non si tratta di cose granché peccaminose.» Quandosentirono parlare dell'abatele bambine scoppiarono a ridere epresero a raccontarsi sa Iddio che cosache le fece ridere ancora dipiù. Casanova si limitò ad annuire distrattamente:nella sua fantasia vedeva la signorina Marcolinache non conoscevaancoracoricata nel suo letto biancodavanti alla finestracollenzuolo abbassato e il corpo seminudo difendersi con mani ebbre disonno dalle bacche e dalle noccioline che piovevano dentro - e i suoisensi furono percorsi da un folle ardore. Non dubitava affatto cheMarcolina fosse l'amante del sottotenente Lorenziquasi che liavessi visti lui stesso avvinghiati nel più tenero degliabbracci; ed era pronto a odiare lo sconosciuto Lorenzi quantobramava la mai vista Marcolina.


Nellatremula foschia del meriggiosvettante sul fogliame grigioverdesiscorse una torretta quadrangolare. Presto la carrozza lasciòla via maestra per imboccare una stradina laterale; sulla sinistrasalivano regolari le vignesulla destrasopra il muro di ungiardinosi piegavano le chiome di alberi secolari. La carrozza sifermò davanti a un portone i cui battenti segnati dalleintemperie erano spalancati; i passeggeri scesero e il vetturinoaun cenno di Olivoproseguì verso la stalla. Un ampio vialefiancheggiato da ippocastani portava al castellettoche a primavista sembrava un po' freddo e trascurato. Casanova fu colpitosoprattutto da una finestra rotta al primo piano; ma non gli sfuggìneppure che il cornicione alla base della torre larga e bassa chesormontava grassoccia l'edificio era scalcinato in parecchi punti.Per contro la porta di casa sfoggiava un nobile lavoro d'intaglio enon appena fu nell'atrioCasanova si rese subito conto che l'internodella casa era in buone condizionisenz'altro migliori di quanto nonsi potesse presupporre dall'esterno.


«Amalia»gridò forte Olivotanto che il soffitto a volta gli rimandòla sua eco. «Scendi più svelta che puoi! Ti ho portatoun ospiteAmalia e che ospite!» Ma Amalia era giàcomparsa in cima alla scalainvisibile per loro che erano passatidal sole più pieno alla penombra. Casanovai cui occhipenetranti avevano conservato la capacità di trafiggere anchel'oscurità della nottel'aveva scorta prima del marito.Sorrisesentendo che quel sorriso gli ringiovaniva il volto. Amalianon era assolutamente ingrassatacome temevae aveva invece unaspetto giovanile e slanciato. Lo riconobbe all'istante. «Chesorpresasignor Casanovache felicità!»esclamòsenza nessun imbarazzosi precipitò rapidamente giùper le scale e porse a Casanova le guance per il salutoal che eglila salutò senz'altro come una cara amica. «E io dovreidavvero credereAmaliache MariaNanetta e Teresina sono le vostredeliziose figliole? Per quel che riguarda il tempopotrebbe anchetornare...» «E anche per tutto il resto»intervenne Olivo. «vi potete fidaresignor cavaliere!»«E' stato il tuo incontro col cavaliereOlivo» disseAmalia con lo sguardo perduto nei ricordi«la causa del tuoritardo?» «Proprio cosìAmaliama spero ci siaancora qualcosa da mangiarenonostante il ritardo!» «Marcolinae ionaturalmentenon ci siamo messe a tavola da soleper quantoavessimo fame.» «Pazienterete allora»domandòCasanova«finché non abbia ripulito un pochino mestesso e i miei abiti dalla polvere della via maestra?» «Vimostrerò subito la vostra stanza»disse Olivo«esperocavaliereche ne sarete soddisfattoquasi come...»ammiccò e aggiunse«come nella vostra locanda diMantovaanche se può darsi che vi manchi qualcosa.»Fece strada all'ospitesalendo le scale fino alla galleria chepercorreva tutto il perimetro dell'atrio e dal cui angolo piùlontano si inerpicava verso l'alto una stretta scala di legno.Arrivato in cimaOlivo aprì la porta della camera da letto efermo sulla sogliala mostrò a Casanova con grandicomplimentidefinendola la sua umile camera degli ospiti. Unacameriera portò sacca da viaggio e mantello e si allontanòpoi con Olivo; Casanova si ritrovò così solo in unambiente modesto fornito di tutto il necessario ma piuttosto spoglioin cui quattro finestre ad arcoalte e stretteconsentivano datutte le parti un'ampia vista sulla pianura illuminata dal soleconle sue vigne verdii prati multicolorii campi giallile stradebianchele case chiare e gli orti scuri. Casanova lasciòperdere la veduta e si preparò in frettanon tanto per lafamema perché lo tormentava la curiosità di vedereMarcolina faccia a faccia il più presto possibile; non sicambiò neppure d'abitoperché intendeva mostrarsisotto spoglie più brillanti soltanto la sera.


Quandoentrò nella sala da pranzo dal pavimento di legno che sitrovava a pianterrenovide subito intorno alla tavola benapparecchiataoltre alla coppia dei padroni di casa e alle loro trefiglieuna fanciulla dalla figura aggraziata con un abito grigioopaco che le scivolava semplicemente addossola quale lo guardòcon fare disinvoltocome se fosse stato di casa o comunque l'avessegià incontrato centinaia di volte. Il fatto che nel suosguardo non vi fosse traccia di quella luce che un tempo lo salutavatanto spessoanche quando si presentava come un illustresconosciutonel trascinante splendore della sua gioventùonella pericolosa bellezza dei suoi anni viriliormai non costituivapiù da tempoper Casanovauna novità. Ma anche negliultimi anni bastava spesso che fosse fatto il suo nome perchésulle labbra delle donne comparisse l'espressione di una tardivaammirazione o almeno un breve sussulto di rammaricoa significareche lo avrebbero incontrato volentieri qualche anno prima.


Inveceadessomentre Olivo lo presentava come il signor Casanovacavalieredi Seingaltsua nipote sorrise non diversamente da come avrebbefatto se le avessero nominato un qualunque altro nome in cui nonrisuonassero echi di avventure e misteri. E anche quando prese postoaccanto a leile baciò la mano e i suoi occhi le riversaronoaddosso una scintillante pioggia di rapimento e desideriola suaespressione non tradiva nient'altro se non una lieve soddisfazioneben modesta risposta a un omaggio tanto ardente.


Dopopoche parole di cortese introduzione Casanova comunicò allasua vicina di essere a conoscenza dei suoi interessi eruditi e lechiese a quale scienza si dedicasse in particolar modo. Ella risposeche coltivava soprattutto lo studio della matematica superiorealquale era stata introdotta dal professor Morgagniil celebreprofessore dell'università di Bologna. Casanova espresse lasua ammirazione per tale interessedavvero insolito in una fanciullacosì graziosa e giovaneper un oggetto così difficilee al tempo stesso disadornoal che Marcolina gli rispose invece chea suo parerela matematica superiore era la più fantasticalo si poteva ben direfra tutte le scienzequella per sua naturadavvero divina. Quando Casanova la pregò di spiegargli piùdiffusamente questa concezioneche gli giungeva del tutto nuovaMarcolina si schermì modestamente e affermò che ipresentima soprattutto il suo caro zioavrebbero di gran lungapreferito sapere qualcosa di più sulle esperienze dell'amicogiramondo che non vedevano da tempo piuttosto che ascoltare unaconversazione filosofica. Amalia aderì vivacemente al suoinvito e Casanovache accondiscendeva sempre volentieri a desideridi questo genereosservò con leggerezza che negli ultimi annisi era occupato prevalentemente di segrete missioni diplomatiche chelo avevano portatoper nominare soltanto le città piùgrandia MadridParigiLondraAmsterdam e Pietroburgo. Riferìdi incontri e conversazioni di carattere serio e allegro con uomini edonne di vari ceti socialisenza dimenticare di menzionare lacordiale accoglienza concessagli alla corte di Caterina di Russiaeraccontò in modo assai divertente come Federico il Grande loavesse quasi nominato precettore in un'accademia per cadettifrequentata da giovani nobili della Pomeraniapericolo al quale siera sottratto con una pronta fuga.


Parlòdi tutto ciò e di altro ancoracome se si fosse verificato inun tempo appena trascorso e noncom'era in realtàanni edecenni prima; qualche volta inventavasenza essere davverocosciente delle sue bugiegrandi e piccolesoddisfatto sia delproprio umore che della partecipazione con cui si pendeva dalle suelabbra; e mentre così raccontava e fantasticavagli parvequasi di essere di fattoancor oggiil fortunatolo sfrontatoilraggiante Casanova che aveva girato il mondo in compagnia di belledonneera stato insignito da principi mondani e religiosi dei loroalti favoriaveva sperperatoperso al gioco e donato migliaia diducatie non quel povero diavolo decaduto che vecchi amici inglesi espagnoli aiutavano con somme ridicole - e talvolta venivano a mancareanche questetanto che era costretto a contare su quei pochimiseriducati che vinceva al barone Perotti o ai di lui ospiti; sìdimenticò persino che il suo massimo traguardo gli pareva diconcludere nella sua città nataleche lo aveva dapprimaincarcerato e poidopo la sua fugaproscritto ed esiliatocomel'ultimo tra i suoi cittadinicome scrivanocome mendicantecomenienteconcludervidicevamola sua esistenza un tempo cosìsplendida.


AncheMarcolina lo ascoltava attentamentema con la stessa espressionecome se le stessero leggendo un libro di storie passabilmenteinteressanti. Il fatto che le fosse seduto davanti una personaunuomoCasanova stessoche aveva vissuto tutto questo e molte altrecose che non raccontaval'amante di migliaia di donne...


chelo sapessela sua espressione non lo tradiva minimamente.


Diversamentescintillavano gli occhi di Amalia. Per lei Casanova era rimastoquello che eraper lei la sua voce era seducente come sedici anniprimae lui stesso sentiva che gli sarebbe bastata una sola parola efors'anche meno per ricominciare daccapose gli fosse stato graditol'avventura d'allora. Ma che cos'era per lui Amalia in quell'oraquando bramava Marcolina come nessuna prima di lei?

Attraversola veste semiopaca che l'avvolgeva credeva di scorgere il suo corponudo; i seni in boccio germogliavano verso di luie quando lei sipiegò per raccogliere il fazzoletto che le era scivolato aterra la fantasia in fiamme di Casanova associò al suomovimento un significato così lascivo che si sentìprossimo a svenire. Il fatto che per un secondo incespicò nelracconto non sfuggì a Marcolinacome non le sfuggì cheil suo sguardo cominciava a frullare stranamente; ed egli lesse inquello di lei un'improvvisa estraneitàdifesa e anche unatraccia di nausea. Si ricompose rapidamente e si stava accingendo ariprendere il racconto con rinnovata vivacità quando entròun religioso corpulento che il padrone di casa salutò comeabate Rossi e che Casanova riconobbe immediatamente come la personacheventisette anni primaaveva incontrato su un mercantile direttoda Venezia a Chioggia. «Avevate allora una benda su un occhio»disse Casanovache raramente si lasciava sfuggire l'occasione disfoggiare la sua eccellente memoria«e una contadina con unfazzoletto giallo vi consigliò un unguento miracoloso checasualmente un giovane farmacista dalla voce roca aveva con sé.»L'abate annuì e sorriselusingato.


Poicon faccia furbettasi fece vicinissimo a Casanovacome se glivolesse comunicare un segreto. Disse invece a voce molto alta: «Evoisignor Casanovavi trovavate in un corteo nuziale... non so sefoste un ospite casuale o il testimone della sposaad ogni modo lasposa vi guardava con occhi molto più dolci di quanto nonfacesse con lo sposo... Si alzò un forte ventoquasi untemporalee voi cominciaste a leggere una poesia estremamenteardita». «Sicuramente il cavaliere»interloquìMarcolina«lo fece solamente per placare il temporale.»«Non mi sono mai attribuito»replicò Casanova«simili poteri magici; non posso tuttavia negare che nessunopensò più al temporalequando io iniziai a leggere.»Le tre bambine si erano avvicinate all'abatee sapevano bene perché.


Lesue tasche enormi contenevano infatti deliziose caramelle inabbondanza; le spinse egli stesso tra le labbra delle bimbe con lesue dita grassocce. Nel frattempo Olivo riferiva all'abate tutti idettagli del suo incontro con Casanova. Amaliacome smarritatenevail suo sguardo incollato alla fronte bruna e signorile del suo caroospite. Le bambine corsero in giardino; Marcolina si era alzata e lecontrollava da una finestra aperta. L'abate doveva portare i salutidel marchese Celsi chesalute permettendoavrebbe fatto visita alprezioso amico Olivo quella sera stessainsieme alla sua consorte.


«Sicombina benissimo»rispose Olivo«abbiamo infattiinonore del cavaliereuna piccolasimpatica congrega di giocatori:aspetto i fratelli Ricardie viene pure Lorenzi; le bambine gli sonoandate incontro.» «E' sempre qui?»domandòl'abate. «E' già una settimana che corre voce debbaraggiungere il suo reggimento.» «La marchesa»replicò ridendo Olivo«avrà ottenuto una licenzadal suo superiore.» «Mi meraviglia»intervenneCasanova «che per un ufficiale mantovano ci siano licenze in unmomento come questo.» E proseguìinventando:

«Duemiei conoscentiuno di Mantoval'altro di Cremonasi sono messi inmarcia nottetempo con i loro reggimentiin direzione di Milano».«C'è la guerra?»chiese Marcolina dalla finestra;si era voltatae i tratti del suo volto in ombra rimanevanoindistinti; ma Casanova era stato l'unico a notare un leggero tremitonella sua voce.


«Forsenon se ne farà di niente»disse con leggerezza. «Mapoiché gli Spagnoli assumono un atteggiamento minacciosooccorre essere pronti.» «Ma si sa»intervenneOlivo con importanza e aggrottando la fronte«da quale parteci schiereremose da quella dei Francesi o degli Spagnoli?»«La cosa dovrebbe essere indifferente al sottotenente Lorenzi»affermò l'abate. «Purché abbia finalmente lapossibilità di dimostrare il suo eroismo.» «Lo hagià fatto»disse Amalia. «Tre anni fa c'era ancheluia Pavia.» Ma Marcolina taceva.


Casanovane sapeva ormai abbastanza. Si avvicinò a Marcolina eabbracciò il giardino con lo sguardo. Non vide nient'altro cheil grande prato sul quale giocavano le bimbedelimitato dalla partedel muro da un filare di alberi alti e fitti. «Che magnificaproprietà»affermò rivolgendosi a Olivo. «Sareicurioso di conoscerla più da vicino.» «E iocavaliere»ribatté questi«non sapreiimmaginarmi un piacere più grande di quello di condurvi nellemie vigne e tra i miei campi. Sìse devo dire la veritàdomandatelo pure ad Amaliada quando possiedo questo piccolo poderenon ho desiderato niente più ardentemente che potervi avere ungiorno ospite sulla mia terra. Dieci volte sono stato sul punto discriverviper invitarvi. Ma si poteva mai essere sicuri che unmessaggio vi avrebbe raggiunto? Se qualcuno raccontava di avervivisto di recente a Lisbonasi poteva essere sicuri chenelfrattempoeravate partito per Varsavia o per Vienna.


Eadessoche come per miracolo vi ritrovo proprio nell'ora in cuivolete lasciare Mantovae che riesco - non è stato facileAmalia - a trascinarvi quici lesinate talmente il vostro tempo chenon intendete donarci - lo crederesteabate! - più di duegiorni!» «Il cavaliere si lascerà forse convincerea prolungare il suo soggiorno»disse l'abateche con grandiletto si stava facendo sciogliere in bocca uno spicchio di pescagettando ad Amalia un rapido sguardo dal quale Casanova credette dipoter dedurre che questa si fosse confidata più con l'abateche col proprio consorte. «Non mi sarà purtroppopossibile»rispose formalmente Casanova«non possoinfatti nascondere ad amici che prendono così parte al miodestino che i miei concittadini veneziani sono in procinto di darmiun'alquanto tardiva ma tanto più onorevole soddisfazione peril torto che mi arrecarono anni fae non posso sottrarmi ancora alleloro insistenze se non voglio sembrare ingrato o addiritturapermaloso.» Con un leggero movimento della mano respinse unadomanda dettata da curiositàvenerazione che vedeva spuntaredalle labbra di Olivo e osservò in fretta: «BeneOlivosono pronto. Mostratemi il vostro piccolo regno».


«Nonsarebbe più sensato»intervenne Amalia«aspettareil fresco della sera? Il cavaliere non preferisce riposare un po' ofare una passeggiata all'ombra?» E dai suoi occhi luccicòin direzione di Casanova una timida implorazionecome se quellapasseggiata in giardino dovesse decidere per la seconda volta il suodestino. Nessuno ebbe niente da obiettare alla proposta di Amaliaetutti uscirono all'aperto. Marcolinadavanti agli altricorse nelsole sul pratoverso le bambine che giocavano a volanoe si mise agiocare con loro.


Nonera più alta della più grande di loro ecoi capellisciolti che le ondeggiavano sulle spallesembrava lei stessa unabambina. Olivo e l'abate si sedettero su una panchina di pietra sulvialevicino alla casa. Amalia continuò a camminare a fiancodi Casanova. Quando gli altri non poterono più udirla prese adirecon l'inflessione di una voltacome se la sua voce non gliavesse mai parlato diversamente:

«Cosìsei di nuovo quaCasanova! Come ho desiderato questo giorno...


Sapevoche sarebbe venuto». «E' un caso che io sia qui»rispose freddamente Casanova. Amalia sorrise: «Chiamalo comevuoi. Sei qui! In questi sedici anni non ho sognato nient'altro senon questo giorno».


«Sipotrebbe supporre»replicò Casanova«che tuabbia sognato qualcos'altro e... non solo sognato.» Amaliascosse la testa: «Tu lo sai che non è cosìCasanova. E anche tu non mi hai dimenticataaltrimentinella tuafretta di arrivare a Venezianon avresti accettato l'invito diOlivo!». «Credi davveroAmaliache io sia venuto quiper fare del tuo buon marito un cornuto?» «Perchéparli cosìCasanova? Se io sono di nuovo tuain questo nonc'è né inganno né peccato!» Casanovascoppiò in una sonora risata. «Non c'è peccato?

Perchénon c'è peccato? Perché sono un vecchio?» «Tunon sei vecchio.


Perme non lo sarai mai. Fra le tue braccia ho goduto la mia primabeatitudine... e il mio destino è sicuramente quello di vivereanche l'ultima insieme a te!» «La tua ultima?»ripeté sarcasticamente Casanovaper quanto fosse leggermentecommosso«il mio amico Olivo potrebbe forse avere qualcosa incontrario.» «Ciò di cui parli»replicòAmalia arrossendo«è doverequalche volta anchepiacere; ma non è beatitudine... non lo è mai stato.»Non percorsero il viale fino in fondocome se entrambi temessero lavicinanza del prato dove giocavano Marcolina e le bambine: quasifossero d'accordosi volsero entrambi e ben prestosenza parlarefurono di nuovo accanto alla casa. Sul lato stretto dell'edificioapianterrenoc'era una finestra aperta. Casanova videnel buio dellastanzauna tenda tirata a metàdietro la quale si scorgevanoi piedi del letto. Su una sedialì accantoera appoggiatauna leggera veste come di velo. «La camera di Marcolina?»domandò Casanova. Amalia annuì. E rivolta a Casanovacon fare allegro e come senza sospetti:

«Tipiace?». «Perché è bella.» «Bellae virtuosa.» Casanova scrollò le spallecome di frontea un'informazione non richiesta. Poi disse: «Se tu mi vedessioggi per la prima voltati piacerei davveroAmalia?».


«Ionon so se oggi sei diverso da allora. Io ti vedo come eri allora.


Cometi ho sempre visto da alloraanche tra le lacrime.» «GuardamiAmalia! Le rughe sulla mia fronte! Il mio collo aggrinzito! E questoprofondo solco dagli occhi alle tempie! E quisìquinell'angolo mi manca un dente»e inarcò la bocca in unsogghigno. «E queste maniAmalia! Guardale bene! Dita comeartigli... macchioline gialle sulle unghie... E queste vene...azzurre e gonfie... mani da vecchioAmalia!» Lei gli prese lemani che egli le mostrava enell'ombra del vialele baciòuna dopo l'altracon devozione. «E stanotte voglio baciare letue labbra»gli disse in un tono di umile tenerezza che loamareggiò.


Nonlontano da loroin fondo al pratoMarcolina era sdraiata sull'erbacon le mani sotto la testalo sguardo rivolto verso l'altomentrele palle delle bambine le volavano sopra. D'un tratto sollevòun bracciocercando di acchiapparne una. La prese e scoppiòin una risata argentinale bambine si avventarono su di lei ed essanon seppe difendersi; i suoi riccioli svolazzavano. Casanovasussultò:

«Tunon bacerai né le mie labbra né le mie mani»disse ad Amalia«e mi avrai aspettato e sognato invano... ameno che io non abbia prima posseduto Marcolina». «SeifolleCasanova?»esclamò Amalia con voce dolente.«Così non abbiamo da rimproverarci niente»disseCasanova.


«Tusei folleperché credi di rivedere in un vecchio l'amantedella tua gioventùio perché mi sono messo in testa dipossedere Marcolina.


Maforse a noi due è dato di tornare alla ragione. Marcolina mideve ringiovanire... per te. Quindi... cerca di perorare la mia causapresso di leiAmalia!» «Sei fuori di sennoCasanova. E'impossibile.


Nonvuole sapernedegli uomini.» Casanova scoppiò a ridere.«E il sottotenente Lorenzi?» «Che cosa c'entraLorenzi?» «E' il suo amantelo so.» «Come tisbagliCasanova! Egli ha chiesto la sua manoe lei gliel'harifiutata. Ed è giovane e bello... sìcredo quasi chesia più bello di quanto tu non sia mai statoCasanova!»«Egli l'avrebbe chiesta in sposa?» «Chiedi a Olivose non mi credi.» «E' lo stesso.


Cheme ne importa se è una vergine o una sgualdrinauna sposa ouna vedova... io voglio averlala voglio!» «Non te laposso dareamico mio.» Ed egli sentìdal tono dellasua voceche lo compativa. «Vedi bene»proseguìlui «che uomo spregevole sono diventatoAmalia.


Soltantodiecisoltanto cinque anni fa non avrei avuto bisogno di appoggi eintercessionineppure se Marcolina fosse stata la dea della virtùin persona. E ora voglio fare di te una ruffiana. Oppure se fossiricco... Sìcon diecimila ducati... Ma non ne ho neppuredieci.


Sonoun mendicanteAmalia.» «Neppure con centomila avrestiMarcolina.


Checosa può importargliene della ricchezza? Ama i libriilcieloi pratile farfalle e i giochi con i bimbi... E con la suapiccola ereditàha più del necessario.» «Ohse fossi un principe»esclamò Casanova con quel tonodeclamatorio che assumeva proprio quando era animato da una passionesincera. «Se avessi il potere di gettare la gente in prigione edi farla giustiziare... Ma io non sono niente. Un mendicantee pergiunta un bugiardo. Mendico dai potenti di Venezia un incaricounpezzo di paneuna patria! Che ne è di me? Non ti faccioribrezzoAmalia?» «Io ti amoCasanova!» «AlloradammelaAmalia! Sta a telo so. Dille quello che vuoi. Dille che viho minacciati. Che sei sicura che darei fuoco al vostro tetto! Dilleche sono un pazzoun pazzo pericolosouscito di manicomioe chel'abbraccio d'una vergine può ridarmi la salute. Sìdille questo.» «Lei non crede ai miracoli.» «Come?Non crede ai miracoli? Allora non crede nemmeno in Dio. Tanto meglio!Io sono ben introdotto presso l'arcivescovo di Milano! Diglielo! Laposso rovinare! Vi posso rovinare tutti! Questo è veroAmalia! Che razza di libri legge?

Sicuramentece ne saranno alcuni proibiti dalla Chiesa. Fammi dare un'occhiata.Ne compilerò un elenco. Una mia parola...» «TaciCasanova. Eccola che arriva. Non tradirti! Tieni a freno i tuoiocchi!

MaiCasanovamaiascolta bene quello che ti dicomai ho conosciuto unessere più puro. Se presagisse ciò che io ho dovutoudirele parrebbe di essere insozzata e non la vedresti piùper tutto il tuo soggiorno qui. Parlale... sìparlale!Vedraimi chiederai perdono.» Marcolina si avvicinò conle bambine; queste la superarono entrando in casa ma essacome perrivolgere una cortesia all'ospitesi fermò davanti a luimentre Amalia si allontanava quasi con intenzione. E a Casanova parvedavvero che da quelle labbra semiaperteda quella fronte lisciaincorniciata dai capelli biondo scuro ora raccolti alitasse verso dilui come un acre soffio di castitàe - cosa questa cheraramente gli era capitata davanti a una donna e neppure davanti aleiprimain quell'ambiente chiuso - sentì sgorgare nellasua anima una specie di devozionedi dedizione scevra da qualsiasidesiderio. E con ritegnoanzi con quel tono di venerazione che siusa rivolgere alle persone di rango superioree che dovettelusingarlale domandò se intendesse dedicare allo studioanche le prossime ore della sera.


Leireplicò che in campagna non era solita lavorare regolarmenteanche se non poteva impedire che certi problemi matematici di cui siandava occupando proprio allora la inseguissero anche nelle ore diriposocome le era capitato adesso mentre era sdraiata sul prato eguardava il cielo.


Tuttaviaquando Casanovaincoraggiato dalla sua gentilezzasi informòscherzosamente su quale fosse questo problema così elevato eal contempo urgenteessa replicò alquanto beffardamente chenon aveva minimamente a che fare con quella cabala con la quale ilcavaliere di Seingaltcosì si raccontavaconseguivarisultati significativie quindi egli non avrebbe saputo chefarsene. Lo irritò il fatto che parlasse della cabala contanto malcelato disprezzo; e per quanto egli stesso fosse coscientenei suoi pur rari momenti di raccoglimentoche quella singolaremistica dei numeri detta cabala non avesse né senso négiustificazione alcunache non esistesse affatto in natura e fosseutilizzata soltanto da imbroglioni e burloni - ruoli che recitavaalternativamentema sempre dopo matura riflessione - onde menare peril naso faciloni e pazzicercò oracontro le sue miglioriconvinzionidi difendere la cabala di fronte a Marcolina comescienza seria e pienamente valida. Parlò della natura divinadel numero settecui si sarebbe accennato già nella SacraScritturadel profondo significato profetico delle piramidi dinumeri che egli stesso aveva insegnato a costruire con un sistemanuovo e del frequente avverarsi delle sue previsioni basate su questosistema. Non aveva lui stessopochi anni primaindotto il banchiereHope di Amsterdam a rilevare l'assicurazione di un mercantile giàdato per perdutofacendogli così guadagnare duecentomilafiorini d'oro? Ed era ancora così abile nell'esporre le sueteoriericche di erudizione fino a dare le vertiginiche anchestavoltacome gli accadeva spessocominciò a credere a tuttele assurdità che sostenevae arrivò persino aconcludere affermando che la cabala non costituiva tanto un ramoquanto lo stesso completamento metafisico della matematica.Marcolinache fino a quel momento lo aveva ascoltato moltoattentamente e con aria apparentemente serialo guardòall'improvviso con espressione mezzo dispiaciuta e mezzo birichinadicendogli: «Voi state cercandoegregio signor Casanova(sembrava non chiamarlo "cavaliere" intenzionalmente)didarmi un'eccellente dimostrazione della vostra famosissima eloquenzacosa per la quale io vi sono sinceramente grata. Ma sapetenaturalmente quanto me che la cabala non solo non ha niente a chefare con la matematicama costituisce addirittura un'offesa alla suavera essenza enei suoi confrontinon si comporta diversamentedalle chiacchiere confuse o menzognere dei sofisti rispetto alledottrine chiare ed elevate di Platone e di Aristotele».


«Purtuttavia»ribatté rapidamente Casanova«voi mi dovete concederebella e dotta Marcolinache anche i sofisti non si possonoassolutamente considerare quei tipi spregevoli e stolti che il vostroseverissimo giudizio farebbe supporre. Così - per addurre unsolo esempio a noi contemporaneo - si potrebbe definire il signorVoltairea partire dal suo modo di pensare e di scrivereun sofistaesemplare; eppure a nessuno verrebbe mai in menteneppure a mechepur mi dichiaro suo deciso avversario e anzicome non voglionasconderesto proprio componendo un'opera contro di luineppure ame viene in mente di negare al suo straordinario talento ilriconoscimento che merita. E voglio sottolineare che non mi sonolasciato corrompere dall'eccessiva cortesia che il signor Voltaireebbe la bontà di usarmi in occasione di una mia visita aFerneydieci anni fa.» Marcolina sorrise. «E' gentile daparte vostracavaliereche abbiate la benevolenza di giudicare contanta mitezza il più grande spirito del nostro secolo.»«Un grande spirito... addirittura il più grande?»esclamò Casanova.


«Definirlocosì mi sembra inammissibile già solo perchécon tutto il suo genioè un uomo irreligiosoanziun ateo.E un ateo non potrà mai essere un grande spirito.»«Secondo mesignor cavalieretra le due cose non c'ècontraddizione alcuna. Ma prima di tutto dovrete dimostrare cheVoltaire può essere definito un ateo.» Ora Casanova eranel suo elemento. Nel primo capitolo del suo libello aveva raccoltotutta una serie di passi tratti dalle opere di Voltairemasoprattutto dalla famosa "Pucelle"che gli parevanoparticolarmente adatti a dimostrare la sua incredulitàpassiche adesso seppe citare letteralmentegrazie alla sua eccellentememoriainsieme alle sue argomentazioni in contrario. Ma inMarcolina aveva trovato un'avversaria che gli lasciava ben pocospazio sia come dottrina che come acutezza di spirito e che inoltrese non nell'eloquenzagli era però superiore nell'arte vera epropria della parolae in particolare nella chiarezzadell'espressione. Quei passi che Casanova aveva cercato diinterpretare come prove del sarcasmodello scetticismo edell'ateismo di VoltaireMarcolina li interpretò abilmente eprontamente come altrettante prove del genio scientifico e letterariodel francesenonché del suo instancabileardente anelitoalla veritàe affermò senza timore che dubbiosarcasmo e la stessa mancanza di fedese uniti a una sapienza cosìabbondantea un'onestà così incondizionata e a uncoraggio così elevatodovevano giungere a Dio piùgraditi dell'umiltà dei devotidietro la quale perlopiùnon si nascondeva nient'altro che un'insufficiente capacità dieseguire ragionamenti coerenti e spessocosa di cui non mancavanoesempipigrizia e codardia.


Casanovala ascoltava con crescente stupore. Poiché non si sentiva ingrado di convertire Marcolinatanto più che si rendeva contoche una certa fluttuante disposizione d'animo degli ultimi annichesi era abituato a considerare fedeminacciava di dissolversicompletamente sotto le obiezioni di Marcolinasi mise in salvo conl'osservazione di carattere generale per cui opinioni come quelleappena esposte da Marcolina erano altamente pericolose non solo perl'ordinamento della Chiesama soprattutto per le fondamenta delloStatoe passò quindi abilmente a parlare di politicaargomento in cuicon la sua esperienza e la sua conoscenza delmondopoteva contare su una certa superiorità nei confrontidi Marcolina. Ma se anche le mancavano conoscenze ed esperienzepersonali dei meccanismi diplomatico-cortesi e dovette quindirinunciare a contraddire Casanova su quei particolari rispetto aiquali l'esposizione di lui le ispirava sfiduciadalle sueosservazioni egli trasse comunque l'incontestabile conclusione cheella non nutriva particolare rispetto né per i principi diquesta terra né per le istituzioni dello Statoin quantotalied era della convinzione chenel piccolo come nel grandel'egoismo e la sete di potere contribuissero non tanto a governarequanto a confondere ulteriormente il mondo. Una simile libertàdi pensieroCasanova l'aveva incontrata di rado in una donnae maiin una fanciulla che sicuramente non aveva ancora vent'anni; e nonsenza nostalgia ricordò che il suo spirito in giorni passatipiù belli di quelli presentiaveva percorso con un'audaciacosciente e un po' autocompiaciuta quelle stesse vie sulle qualivedeva ora Marcolinasenza che però questa sembrasseminimamente cosciente della propria audacia. E tutto assorto nellaspecificità del modo di pensare e di esprimersi di leidimenticò quasi che stava camminando accanto a un esseregiovanebello ed estremamente desiderabilecosa ancora piùstraordinaria se si considera che si trovava tutto solo con lei nelviale ormai completamente in ombra e piuttosto lontano da casa. D'untratto peròinterrompendo una frase che aveva appenainiziatoMarcolina esclamò vivacementecome con gioia: «Eccolo zio!...». E Casanovacome per recuperare il tempo perdutole sussurrò: «Che peccato. Mi sarebbe piaciuto parlarecon voi ancora per oreMarcolina!». Egli stesso sentìcomementre diceva queste parolenei suoi occhi riprendesse abrillare il desiderioal che Marcolinala quale durante ilprecedente colloquiononostante ogni ironiasi era comportata inmodo quasi confidenzialeassunse subito un contegno piùfreddo e il suo sguardo espresse quella stessa aria di difesa equella stessa ripugnanza che già una voltaoggitantoavevano ferito Casanova.


Ispirodavvero tanto ribrezzo? si domandò angosciato. Nosi risposeda solo. Non è questo. Ma il fatto che Marcolina... non èuna donna.


Unadottauna filosofaun prodigio sicuramente... ma non è unadonna. Ma sapeva al tempo stesso chein quel modocercava soltantodi ingannarsidi consolarsidi salvarsie che questi tentativierano vani. Olivo era davanti a loro. «Ebbene»disse aMarcolina«non ho fatto bene a portarti finalmente in casaqualcuno con cui puoi fare discorsi intelligenti come quelli ai qualisei abituatacon i tuoi professori di Bologna?» «Maneppure tra lorocarissimo zio»replicò Marcolina«c'è qualcuno che oserebbe sfidare a duello lo stessoVoltaire!» «ComeVoltaire! Il cavaliere lo sfida?»esclamò Olivo senza capire. «La vostra arguta nipoteOlivoparla del libello che mi tiene occupato negli ultimi tempi. Unpassatempo per le ore di ozio. Un tempo avevo di meglio da fare.»Marcolinasenza badare a questa osservazionedisse: «Avreteuna piacevole arietta fresca per la vostra passeggiata. Arrivederci».Fece un rapido cenno e si affrettò verso casa passando per ilprato. Casanova si guardò bene dal seguirla con lo sguardo edomandò: «La signora Amalia ci accompagna?».


«Noegregio cavaliere»rispose Olivo«ha tutta una serie dicose da preparare e organizzarea casa; inoltre a quest'ora èsolita fare lezione alle bambine.» «Che donna e mammabrava e solerte! C'è da invidiarviOlivo!» «Sìme lo dico tutti i giorni»rispose Olivoe gli salirono lelacrime agli occhi.


Siallontanarono lungo il lato corto della casa. La finestra diMarcolina era apertacome prima; sul fondo buio della stanzabaluginava la veste chiara di velo. Lungo l'ampio viale fiancheggiatodagli ippocastani arrivarono sulla stradagià completamentein ombra.


Siavviarono lentamente in sulungo il muro del giardino; le vignecominciavano dove la strada piegava a destra. Tra gli alti vitignicui erano appesi grossi acini blu scuroOlivo guidò il suoospite sulla sommità della collinada dove indicòconun movimento pacifico e soddisfatto della manola sua casapiuttosto in basso rispetto a loro. A Casanova parve di vedere unafigura femminile apparire e scomparire dietro la finestra dellacamera nella torre.


Ilsole era quasi al tramontoma faceva ancora abbastanza caldo.


Sulleguance di Olivo scendevano gocce di sudorementre la fronte diCasanova restava perfettamente asciutta. Ripresero a camminare ecambiando leggermente direzionegiunsero su campi rigogliosi. Larete dei rami correva da un olivo all'altro senza soluzione dicontinuità; tra i filari degli alberi ondeggiavano le altespighe gialle.


«Benedizionidel sole»disse Casanova come per esprimere ammirazione«inmille forme.» Olivo raccontò di nuovoe con maggioredovizia di particolari rispetto a primacome col passare del tempoavesse acquistato quella piccola proprietàe come un paio diraccolti e di vendemmie fortunate avessero fatto di lui un uomobenestanteanzi ricco. Casanova però era immerso nei suoipensieri e si riallacciava solo di rado a una parola di Olivoperdimostrare la sua attenzione con una domanda interlocutoria. Soltantoquando Olivochiacchierando di tutto un po'giunse a parlare dellasua famiglia e poi di MarcolinaCasanova lo stette a sentire. Poichégià da bambinaancora in casa di suo padrequel fratellastrodi Olivo rimasto vedovo prematuramente il quale esercitava l'artemedica a Bolognale precocissime capacità del suo intellettoavevano seminato stupore nel suo ambientesi era avuto modo diabituarsi al suo modo di essere.


Suopadre era morto da qualche anno e da allora lei viveva nella famigliadi un celebre professore dell'università di Bolognaproprioquel Morgagni che si proponeva di fare della sua allieva una grandeerudita; nei mesi estivi era sempre ospite dello zio. Aveva rifiutatotutta una serie di richieste di matrimonioda parte di un mercantedi Bolognadi un possidente dei dintorni e di recente delsottotenente Lorenzie pareva davvero intenzionata a dedicarecompletamente la sua esistenza al servizio della scienza. MentreOlivo così raccontavaCasanova sentì il suo desiderioaumentare smisuratamente e l'idea che esso fosse così folle eprivo di speranza lo gettò quasi nella disperazione. Propriomentre dai campi ritornavano sulla via maestra videro avvicinarsi unanuvola di polvere da cui li raggiunsero esclamazioni e saluti. Emerseuna carrozzain cui un signore anzianotto vestito distintamente eraseduto accanto a una signora un po' più giovaneformosa etruccata. «Il marchese»sussurrò Olivo al suoaccompagnatore«sta venendo da me.» La carrozza sifermò. «Buona seramio eccellente Olivo»esclamòil marchese. «Posso pregarla di presentarmi il cavaliere diSeingalt? Non dubito infatti di avere il piacere di trovarmi davantia lui.» Casanova si inchinò leggermente. «Inpersona»disse. «Io sono il marchese Celsie questa èla marchesala mia consorte.» La signora porse a Casanova lapunta delle ditache egli sfiorò con le labbra.


«Oracarissimo Olivo»disse il marcheseal cui magro volto giallocereo non conferivano ceno un aspetto amichevole le fittesopracciglia rosse che sporgevano unite sopra i penetranti occhiverdi«carissimo Olivonoi facciamo la stessa stradacioèverso casa vostra. E poiché ci manca sì e no un quartod'oravoglio scendere e fare due passi con voi. Tu non hai niente incontrarioveroa proseguire da sola per questo piccolo tratto»continuò rivolto alla marchesache per tutto il tempo avevaosservato Casanova con occhi maliziosi e indagatori; senza attenderela risposta della consortefece un cenno al cocchiereal che questispronò subito impetuosamente i cavallicome se avesse avutochissà quale motivo per portar via la sua padrona il piùin fretta possibile; e la carrozza era già scomparsa dietrouna nuvola di fumo.


«Neidintorni si sa già»affermò il marcheseche eraun paio di pollici più alto di Casanova e di una magrezzainnaturale«che è arrivato il cavaliere di Seingalt edè sceso presso il suo amico Olivo. Portare un nome cosìcelebre deve dare una vera sensazione di sollievo.» «Sietemolto gentilesignor marchese»rispose Casanova«etuttavia lo non ho ancora abbandonato le speranze di guadagnarmi unsimile nomeanche se per il momento sono ancora molto lontano dallameta...


Speroche mi ci possa avvicinare un'opera alla quale sto lavorando proprioin questi giorni.» «Possiamo tagliare di qui»disse Olivo imboccando un viottolo tra i campi che portava diritto almuro del suo giardino. «Opera?»ripeté ilmarchese con espressione incerta. «Si può chiedere diche genere di opera parlatecavaliere?» «Se me lochiedetesignor marchesemi vedo allora costretto a rivolgervianch'io una domandaovvero di che genere di celebritàparlavate poc'anzi.» E guardò orgogliosamente ilmarchesein quei suoi occhi penetranti. Perchéper quantosapesse perfettamente che né il suo romanzo fantastico"Icosamerone" né la sua "Confutazione dellaStoria del governo veneto di Amelot"in tre volumigli avevanoprocurato una fama letteraria degna di questo nomegli premevadimostrare che era quella l'unica fama cui aspiravae frainteseintenzionalmente tutte le caute osservazioni e allusioni delmarcheseil quale al nome di Casanova associava senz'altro uncelebre seduttoregiocatoreaffaristaemissario politico e chi piùne ha più ne mettama certamente non uno scrittoretanto piùche non gli era mai giunto sentore né della confutazionedell'opera di Amelot né dell'"Icosamerone". Allafine questi osservòcon un certo cortese imbarazzo: «DiCasanova ce n'è uno solo». «Anche questo èun erroresignor marchese»replicò freddamenteCasanova. «Ho alcuni fratellie il nome di uno di loroilpittore Francesco Casanovadovrebbe dire qualcosa a un intenditore.»Fu subito evidente che il marchese non era un intenditoree cosìpassò a parlare di conoscenti che vivevano a NapoliRomaMilano e Mantovache supponeva Casanova potesse avereincontratooccasionalmente. In tale contesto fece anche il nome del baronePerottima in un tono di leggero disprezzoe Casanova dovetteammettere che talvolta andava a giocare in casa del barone Perotti«per distrarmi»aggiunse«una mezz'oretta primadi andare a dormire.


Peril restonon mi dedico quasi più a questo genere dipassatempo».


«Midispiacerebbe»disse il marchese«perché nonposso nascondervisignor cavaliereche il sogno della mia vita èsempre stato quello di misurarmi con voisia nel gioco che - in annipiù giovani - anche su qualche altro terreno. Pensate un po'arrivai a Spa - quanto tempo faormai? - lo stesso giornoanzi lastessa ora in cui voi partivate. Le nostre carrozze si incrociarono.E a Ratisbona accadde qualcosa di simile. Là mi venneaddirittura assegnata la camera che voi avevate lasciato l'oraprima.» «E' una vera sfortuna»disse Casanova unpo' lusingato«quando nella vita ci si incontra troppo tardi.»«Non è ancora troppo tardi»esclamòvivacemente il marchese.


«Suqualche altro terrenosono disposto a darmi per vinto in partenzaeme ne importa poco... ma per quel che riguarda il giocomio carocavalieresiamo entrambi proprio negli anni...» Casanova lointerruppe: «Negli annipuò darsi. Ma purtroppoproprio sul terreno del gioconon posso più aspirare alpiacere di misurarmi con un rivale del vostro rangoperché...»e lo disse con la voce di un principe detronizzato«perchécon tutta la mia famaegregio signor marchesenon sono diventatoniente di più che un mendicante».


Ilmarcheseinvolontariamenteabbassò gli occhi davantiall'orgoglioso sguardo di Casanovae poi scosse la testa incredulocome davanti a uno strano scherzo. Olivo peròche avevaascoltato tutto il colloquio con grande emozioneaccompagnando concenni di assenso le risposte eleganti e ponderate del suostraordinario amiconon seppe reprimere un moto di orrore. Sitrovavano lungo il muro posteriore del giardinodavanti a unaporticina di legnoe Olivomentre la apriva con una chiavecigolante e lasciava che il marchese entrasse per primo nel giardinosussurrò a Casanovaprendendolo per un braccio: «Ritireretele vostre ultime parolecavaliereprima di mettere piede in casamia. Il denaro di cui vi sono debitore da sedici anni è avostra disposizione. Non osavo... chiedetelo ad Amalia. E' giàstato contato. Intendevo prendermi questa libertà al momentodel commiato...». Casanova lo interruppe dolcemente. «Voinon siete mio debitoreOlivo. Quella manciata di ducatierano - elo sapete benissimo - un dono di nozze che ioin quanto amico dellamamma di Amalia... Non parliamone più. Che importanza ha unamanciata di ducati? Il mio destino è davanti a una svolta»aggiunse con voce intenzionalmente altain modo che potesse sentirloanche il marchesefermatosi a pochi passi di distanza. Olivo scambiòun'occhiata con Casanovaonde accertarsi del suo consensoe poiosservòrivolto al marchese: «Il cavaliere èstato richiamato a Venezia enel giro di pochi giornipartiràper la sua città natale». «Di più»aggiunse Casanova«da qualche tempo mi si chiama sempre piùinsistentemente.


Iocredo però che i signori senatori si siano presi abbastanzatempo.


Chepazientino adesso.» «Un orgoglio»disse ilmarchese«cui avete estremamente dirittocavaliere!»Quando dal viale uscirono sul pratoormai completamente in ombravidero riunita vicino alla casa la piccola compagnia che liaspettava.


Tuttisi alzarono per andare loro incontro: per primo l'abatetraMarcolina e Amalia; li seguì la marchesaa fianco di ungiovane ufficiale alto e glabro in uniforme rossa con gli alamarid'argento e lucidi stivali da cavaliereil quale non poteva esserealtri che Lorenzi. Il modo in cui parlava alla marchesaaccarezzandocon lo sguardo le sue spalle incipriate come una ben nota prova dialtre cose graziose non meno note; e ancor più il modo in cuila marchesa alzava gli occhi verso di luisorridendo e con lepalpebre semichiusenon poteva dar adito a dubbipersino a personemeno espertesulla natura del rapporto esistente tra i due nonchésul fatto che non si curavano minimamente di tenerlo segreto.Interruppero il loro colloquiosommesso ma animatosoltanto quandofurono davanti ai nuovi venuti.


Olivofece le presentazioni di rito tra Casanova e Lorenzi. I due simisurarono con uno sguardo rapido e freddoche parve rassicurarlidella reciproca antipatiapoi sorrisero appena e si inchinaronosenza porgersi la manopoiché a tal fine avrebbero dovutoavvicinarsi entrambi d'un passo. Lorenzi era bellodal volto magroeconsiderata la sua giovinezzadai lineamenti estremamenteaffilati; in fondo ai suoi occhi brillava qualcosa di inafferrabileche doveva invitare gli esperti alla cautela. Casanova riflettésolo un secondo su chi gli ricordasse Lorenzi: poi seppe che stavaincontrando il suo stesso ritrattodi trent'anni più giovane.Mi sono forse reincarnato nella sua figurasi domandò. Madovrei prima essere morto... Ed ebbe un tremito: ma non lo sono giàda tempo? Cos'è rimasto in me del Casanova che era giovanebello e felice? Udì la voce di Amalia. Gli domandòcome da lontanobenché fosse accanto a luise gli fossepiaciuta la passeggiataal che egli espresse ad alta vocein modoche tutti lo potessero sentireil massimo apprezzamento per iterreni fertili e ben curati che aveva visitato con Olivo. Nelfrattempo la cameriera apparecchiòsul pratouna tavola diforma allungatacon l'aiuto delle due figlie più grandicelledi Olivoche portavano da casa tra grandi smancerie e risatinepiattibicchieri e quanto altro era necessario. Gradualmente sceseil crepuscolo; il giardino fu accarezzato da una brezza lieve erinfrescante. Marcolina si affrettò verso la tavolaperportare a compimento quanto era stato iniziato da bimbe e cameriera eper rimediare alle eventuali mancanze. Gli altri si sparpagliaronoliberamente tra prato e viali. La marchesa dimostrò moltacortesia a Casanovaed espresse il desiderio di udire da lui lacelebre storia della sua fuga dai Piombi di Veneziabenchénon le fosse affatto ignoto - come aggiunse con un sorrisetto ambiguo- che avesse superato avventure ben più pericolose chetuttaviapoteva avere maggior ritegno a raccontare. Casanova ribattécheper quanto avesse anch'egli incontrato le sue difficoltàgravi e allegrenon poteva dire di conoscere quella vita il cuisenso e la cui stessa essenza significano pericolo; infattiperquanto molti anni prima avesse fatto per un paio di mesi il soldatoin tempi inquietisull'isola di Corfù - c'era forse un solomestiere sulla terra al quale la sorte non l'avesse costretto?! -non aveva mai avuto la fortuna di partecipare a una vera campagnacome quella che era imminente per il signor sottotenente Lorenzi eper la quale quasi lo invidiava. «Allora voi ne sapete piùdi mesignor Casanova»disse Lorenzi con voce chiara esfrontata«e addirittura più del mio comandanteperchého appena ottenuto un prolungamento a tempo indeterminato della mialicenza.» «Davvero!»esclamò il marchesecon malcelata stizzae aggiunse sarcasticamente: «E pensateLorenziche noisoprattutto la mia consorteavevamo tanto contatosulla vostra partenza che abbiamo invitato nel nostro castellopergli inizi della prossima settimanauno dei nostri amiciil cantanteBaldi». «Ottima cosa»replicòtranquillamente Lorenzi«Baldi e io siamo buoni amicicisopporteremo. Non è vero?»proseguì rivolto allamarchesamostrando i denti bianchissimi. «Ve lo consiglierei»rispose la marchesa con un sorriso allegro.


Conqueste parole si sedette a tavolaper prima; al suo fianco Olivo edall'altra parteLorenzi. Di fronte a lui era seduta Amaliatra ilmarchese e Casanova; accanto a questisul lato più strettodella tavolaMarcolina; sull'altrodi fronte a lei e accanto aOlivol'abate. Le due bambine più grandiTeresina e Nanettaporsero le scodelle e si occuparono di mescere l'ottimo vino checresceva sulle colline di Olivoe sia il marchese che l'abateringraziarono le fanciulle con carezze scherzosamente rudi che unpadre più severo di Olivo non avrebbe forse tollerato. Amaliasembrava non accorgersi di niente: era pallidacon lo sguardo torvoe l'aspetto di una donna che ha deciso di invecchiareperchéessere giovane non ha più senso per lei. E' tutto qui il miopotere? pensò amaramente Casanovaosservandola di lato. Maforse era l'illuminazione a modificare così tristemente itratti di Amalia. Sui commensali cadeva infatti un ampio raggio diluce proveniente dall'interno della casa; per il restoci siaccontentava del chiarore crepuscolare del cielo. Le cime dei monticon le loro linee nere e affilatetoglievano ogni vistae ilricordo di Casanova andò a un misterioso giardino dovemoltianni primaaveva atteso nottetempo un'amata. «Murano»sussurrò tra séed ebbe un fremito; poi disse forte:«C'è un giardino su un'isola vicino a Veneziailgiardino di un monasterodove non metto piede da qualche decennio...la sera vi aleggiava questo stesso profumo».


«Sietestato anche monaco?»domandò scherzando la marchesa.«Quasi»rispose Casanovae raccontò con unacerta veridicità comeall'età di quindici anniavessericevuto gli ordini inferiori dalle mani del patriarca di Veneziamache già da ragazzino aveva preferito deporre la vestereligiosa. L'abate menzionò un vicino monastero femminile chenel caso in cui Casanova non lo conoscessegli consigliavacaldamente di visitare. Olivo si unì entusiasticamente allaproposta:

elogiòil cupo edificio anticoi gradevoli dintorni in cui era ubicatolastrada assai varia che conduceva colà. Inoltreproseguìl'abatela badessasuor Serafina - donna estremamente coltaduchessa di nascita - gli aveva espresso in una lettera (per iscrittoperché in quel monastero regnava il voto del silenzioperpetuo) di conoscere di persona Marcolinadella cui erudizione eravenuta a sapere. «SperoMarcolina»disse Lorenziedera la prima volta che le rivolgeva direttamente la parola«chenon vi lascerete sedurre a imitare la duchessa-badessa sotto ogniaspetto.» «E perché dovrei?»ribattéallegramente Marcolina«si può conservare la proprialibertà anche senza voti; anzi meglioperché i votisono una coercizione.» Casanova era seduto accanto a lei. Nonosava neppure sfiorarle appena il piede o toccarle il ginocchio conil proprio: percepire un'altra volta nel suo sguardoquell'espressione di orroredi nausea - ne era certo - lo avrebbespinto immancabilmente a compiere una pazzia. «Ho parlato conMarcolina.» «Tu hai...» In lui si accese unasperanza folle. «PianoCasanova. Non si è parlato ditesoltanto di lei e dei suoi piani per il futuro. E ti ripetoancora: non apparterrà mai a un uomo.» Olivoche si eraservito abbondantemente di vinosi alzò inaspettatamente ecol bicchiere in manopronunziò goffamente qualche parolasull'alto onore che rendeva alla sua casa la visita del suo caroamico il cavaliere di Seingalt.


«Dov'èil cavaliere di Seingaltmio caro Olivodi cui andate parlando?»domandò Lorenzi con la sua voce chiara. Il primo impulso diCasanova fu quello di scaraventare in faccia allo spudorato il suobicchiere pieno; Amalia però gli toccò appena ilbraccio e disse:

«Moltagentesignor cavalierevi conosce ancora soltanto col vostrovecchio nomepiù famosodi Casanova».


«Nonsapevo»disse Lorenzi con oltraggiosa gravità«cheil re di Francia avesse conferito al signor Casanova un titolonobiliare.» «Ho potuto risparmiare al re questa fatica»replicò tranquillamente Casanova«e spero che voisottotenente Lorenzivi accontenterete di una spiegazione alla qualeil borgomastro di Norimberga non ebbe niente da obiettare quandoinun'occasione peraltro irrilevanteebbi l'onore di esporgliela.»E mentre gli altri tacevano tesi: «L'alfabeto ènotoriamente un bene comune. Mi sono cercato una serie di lettere chemi piacessero e sono diventato nobile senza essere obbligato a unprincipeil quale peraltro non sarebbe stato in grado di soddisfarele mie esigenze. Io sono Casanova cavaliere di Seingalt. Midispiacerebbe per voisottotenente Lorenzise questo nome nondovesse trovare la vostra approvazione». «Seingalt... unnome eccellente»disse l'abatee lo ripeté un paio divoltequasi volesse assaporarlo con le labbra. «E non c'ènessuno al mondo»esclamò Olivo«che potrebbechiamarsi cavaliere con maggior diritto del mio nobile amicoCasanova!» «E non appena la vostra famaLorenzi»aggiunse il marchese«giungerà così lontano comequella del signor Casanovacavaliere di Seingalt non esiteremosevi aggradaa chiamare anche voi cavaliere.» Casanovairritatoper l'indesiderato sostegnoera quasi in procinto di affermare cheera perfettamente in grado di difendersi da solo quandodal buio delgiardinosi avvicinarono al tavolo due vecchi signori vestiti ancoraelegantemente. Olivo li salutò cordialmente e rumorosamenteben lieto di poter così smussare un dissidio che minacciava difarsi importante e di compromettere l'allegria della serata. I nuovivenuti erano i fratelli Ricardiscapoloni checome Casanova seppeda Olivoavevano vissuto un tempo nel bel mondodove avevanotentato con poca fortuna imprese d'ogni generee si erano poiritirati nel villaggio vicinodov'erano natiper vivervi a pigionein una miserabile casupola.


Gentesingolarema innocua. I due Ricardi espressero la loro felicitàdi rivedere il cavaliereche avevano conosciuto anni prima a Parigi.


Casanovanon ricordava. O era forse Madrid?... «Può essere»rispose Casanovama sapeva perfettamente che non li aveva mai visti.A parlare era uno di loroevidentemente il più giovane;l'altroche pareva avere novant'annisi limitava ad accompagnare idiscorsi del fratello con incessanti cenni del capo e uno smarritosogghigno.


Cisi era alzati da tavola. Le bambine erano già scomparse.Lorenzi e la marchesa passeggiavano sul pratonel crepuscolo.Marcolina e Amalia comparvero presto nel salonedove sembravanoattendere agli ultimi preparativi per il gioco. Che cosa significatutto ciòsi domandò Casanovasolo in giardino. Micredono ricco? Mi vogliono spennare? Perché tutti questieventianche la premura del marchesepersino la sollecitudinedell'abatel'apparizione dei fratelli Ricardigli giungevano un po'sospetti; non poteva darsi che anche Lorenzi fosse coinvoltonell'intrigo? O Marcolina? O addirittura Amalia? Forse non èaltropensò fugacementeche un tiro dei miei nemicicheintendono ostacolare il mio ritorno a Veneziaaddirittura impedirloall'ultimo momento? Ma dovette subito dirsi che si trattava diun'idea completamente assurdasoprattutto perché non avevapiù nemmeno nemici. Era un vecchio cretinoinnocuo edecaduto; a chi poteva importare del suo ritorno a Venezia? E mentredalle finestre aperte della casaguardava i signori disporsiprontamente intorno al tavolo sul quale erano già pronte lecarte ed erano stati riempiti i bicchieri di vinofu certo al di làdi ogni dubbio che qui non si aveva in mente nient'altro cheun'innocua partitacome d'abitudinealla quale un nuovo giocatoreera sempre il benvenuto. Marcolina gli scivolò accanto e gliaugurò buona fortuna. «Non restate? Neppure a guardareil gioco?» «Perché dovrei? Buona nottecavalieredi Seingalt... a domani!» Si udirono fuori alcune voci.«Lorenzi»fu chiamato«signor cavalierestiamoaspettando.» Casanovanell'ombra della casapoteva vederecome la marchesa cercasse di trascinare Lorenzi dal prato verso ilbuio degli alberi. Là lo abbracciò impetuosamentemaLorenzi si strappò da lei con un gesto di ribellione e siaffrettò verso la casa.


IncontròCasanova all'entrata econ una specie di beffarda cortesiaglicedette il passocosa questa che Casanova accettò senzaringraziare.


Ilmarchese tenne per primo il banco. Olivoi fratelli Ricardi el'abate puntarono somme così basse che l'intera partita fu perCasanova - anche oggi che tutto il suo patrimonio ammontava a un paiodi ducati - un gran divertimento. Gli parve quindi ancora piùridicolo che il marchese raccogliesse e distribuisse il denaro conaria così compresacome se si trattasse di importivertiginosi. All'improvviso Lorenziche fino a quel momento nonaveva partecipatogettò nel piatto un ducato e vinse; giocòallora il doppio e vinse una seconda e una terza voltaproseguendocosì con poche interruzioni. Gli altri signori continuavano apuntare bassocome primae soprattutto i due Ricardi sembravanoestremamente scontenti se il marchese pareva non trattarli con lostesso riguardo riservato al sottotenente Lorenzi. I due fratelligiocavano insieme; l'unoil più vecchioche prendeva lecarteaveva il volto imperlato di sudore; l'altroin piedi dietrodi luigli parlava incessantementecome per dargli consigliimportanti e infallibili. Quando vedeva che il fratello taciturnoincassavai suoi occhi lampeggiavano; altrimenti li volgevadisperato al cielo.


L'abatepartecipava pocoe al massimo sentenziava che «Fortuna e donnebaciano chi vogliono» oppure che «La terra è tondae grande il cielo»; talvolta guardava Casanova con un'ariabirichina e incoraggiante e subito dopo Amaliaseduta davanti aquesti e accanto al maritocome se spettasse a lui riaccoppiare idue vecchi amanti.


Casanovaperò pensava soltanto cheadessoMarcolina si stavalentamente spogliando nella sua stanza e chese la finestra eraapertala sua pelle bianca baluginava nella notte. Colto da undesiderio che gli turbava i sensivoleva alzarsi dal suo postoaccanto al marchesee lasciare la stanza; il marchese peròintese questo movimento come una decisione di partecipare al gioco edisse:

«Finalmente!Sapevamo che non sareste rimasto spettatore a lungo cavaliere».Gli mise davanti una carta e Casanova scommise tutto quello che avevacon sé - ed era praticamente tutto quello che possedevacircadieci ducati: non li contò nemmenoli lasciò scivolaresul tavolo dal suo borsellinosperando di perderli in un colpo soloperché sarebbe stato un segnoun segno propizio - non sapevadi che cosase del suo prossimo ritorno a Venezia o della vista diMarcolina nuda davanti a lui -; ma prima che decidesse tra le dueilmarchese usciva già perdente dal confronto con lui. AncheCasanovacome Lorenzigiocò il doppioe anche a lui lafortuna rimase fedele come al sottotenente. Il marchese non si occupòpiù degli altri; il Ricardi taciturno si alzò offesol'altro si torse le manie si recarono entrambi in un angolo delsalonecome annientati.


L'abatee Olivo non se la presero: il primo mangiava dolci e ripeteva le suesentenze; l'altro guardava eccitato l'avvicendarsi delle carte.


Allafine il marchese aveva perduto cinquecento ducatiche Casanova eLorenzi si divisero. La marchesa si alzò eprima di lasciarela salaammiccò a Lorenzi; Amalia l'accompagnò. Lamarchesa ancheggiavacosa questa che Casanova trovòripugnante; Amalia scivolò al suo fianco come un'umilevecchia. Poiché il marchese aveva perduto tutti i suoicontantiil banco passò a Casanovache con rammarico delmarchese insistette affinché gli altri riprendessero agiocare. I fratelli Ricardi furono subito al loro postocuriosi eagitati; l'abate scosse la testane aveva abbastanzae Olivo giocòsoltanto per non venire meno al desiderio del suo nobile ospite.Lorenzi fu di nuovo fortunato; quando ebbe vinto in tuttoquattrocento ducatisi alzò e disse: «Domani sonopronto a dare loro la rivincita. Adesso chiedo licenza di potercavalcare verso casa». «Verso casa»esclamòcon un riso di scherno il marcheseche pure si era giàripreso qualche ducato«ben detto! Il sottotenente abitainfatti in casa mia!»aggiunse rivolto agli altri. «E lamia consorte è rincasata anticipatamente. Buon divertimentoLorenzi!» «Voi sapete benissimo»ribattéLorenzi senza mutare espressione«che cavalco alla volta diMantova e non del vostro castellodove ieri foste cosìbenevolo da darmi alloggio.» «Cavalcate dove voleteanche al diavoloper quel che mi riguarda!» Lorenzi siaccomiatò dagli altri con la massima cortesia e se ne andòsenza dare al marchese la risposta che meritavacosa questa chemeravigliò oltremodo Casanova. Scoprì di nuovo le cartee vinsetanto che il marchese gli fu presto debitore di qualchecentinaio di ducati. A che scopo? si domandò inizialmenteCasanova.


Poiperò il fascino del giocoa poco a pocolo avvinse di nuovo.Non va malepensò... Tra poco sono mille... possono diventareanche duemila. Il marchese pagherà il suo debito. Entrare aVenezia con un piccolo patrimonio non sarebbe male. Ma perchéa Venezia. Di nuovo riccodi nuovo giovane. La ricchezza ètutto. Quanto meno adesso me la potrò comprare. Chi? Non nevoglio altre... E' nuda alla finestrane sono certo... aspetta...sente che verrò... E' alla finestra per farmi impazzire. E iosono qui. Nel frattempo aveva di nuovo distribuito le carteconespressione impassibilenon solo al marchesema anche a Olivo e aifratelli Ricardiai quali ogni tanto spingeva una moneta cui nonavevano diritto. A loro non dispiaceva.


Dallanotte giunse un rumorecome lo scalpitio degli zoccoli di undestriero al galoppo sulla strada. Lorenzipensò Casanova...Dal muro del giardino giunse come un'eco; poi rumore ed eco sispensero pian piano. A questo punto però la fortuna volse lespalle a Casanova. Il marchese puntava altosempre più alto;e a mezzanotte Casanova si ritrovò povero come primaanziancora di piùperché aveva perduto anche quei pochiducati. Spinse le carte lontano da sé e si alzòsorridendo: «Graziesignori».


Olivospalancò le braccia verso di lui. «Amico miocontinuiamo a giocare... Centocinquanta ducati - lo avete dimenticato- nonon centocinquanta! Tutto ciò che hoche sono... tuttotutto!» Balbettava; infatti non aveva smesso di bere per tuttala sera.


Casanovasi schermì con un gesto della mano esageratamente distinto.


«Ledonne e la fortuna baciano chi vogliono»disse inchinandosiall'abate. Questi annuì soddisfatto e batté le mani. «Adomani allorastimatissimo cavaliere». disse il marchese«ciriprenderemo i nostri solditogliendoli a Lorenzi.» I Ricardiinsistettero per continuare a giocare. Il marchesemolto allegrolilasciò tenere il banco. Essi tirarono fuori le monete cheCasanova aveva fatto loro vincere: in due minuti il marchese se leera ripresee rifiutò decisamente di continuare a giocare conloro se non avevano contanti in mano. Essi si torsero le mani. Il piùvecchio cominciò a piangere come un bambino; l'altrocome percalmarlolo baciò su entrambe le guance. Il marchese domandòse la sua carrozza fosse già tornata; l'abate risposeaffermativamente: l'aveva sentita arrivare mezz'ora prima. Ilmarchese invitò l'abate e i fratelli Ricardi nella suacarrozzali avrebbe accompagnati presso il loro domicilio; e tuttilasciarono la casa.


Quandogli altri se ne furono andati Olivo prese il braccio di Casanova egli assicurò ripetutamentecon la voce rottache in quellacasa tutto apparteneva a luiCasanovae che poteva farne quel chemeglio credeva. Passarono davanti alla finestra di Marcolina. Nonsolo era chiusama davanti era calata anche una grata; dentropendeva una tenda. In altri tempipensò Casanovatutto ciònon sarebbe servito a nienteo non avrebbe significato niente.Entrarono in casa.


Olivonon si fece impedire di accompagnare l'ospite su per la scala un po'cigolante fino alla camera nella torredove lo abbracciò.


«Domaniallora»gli disse«andremo a visitare il monastero. Madormite tranquillamente: non partiamo certo troppo presto e comunqueall'ora che più vi è comoda. Buona notte.» Se neandò chiudendo piano la porta dietro di séma i suoipassi sulla scala risuonarono in tutto l'edificio.


Casanovaera solo nella camera timidamente rischiarata da due candelee isuoi occhi correvano dall'una all'altra delle quattro finestreorientate secondo i vari punti cardinali. Il paesaggioimmerso in unalone azzurrognoloera quasi uguale da tutte le parti: ampie pianurecon pochi rilievisoltanto verso nord le creste delle montagnequae là singole casepoderianche edifici più grandi;tra questi uno un po' più in alto rispetto agli altriin cuibrillava una luceche Casanova suppose essere il castello delmarchese. Nella camerache oltre all'ampio letto vuoto non contenevanient'altro se non un lungo tavolo sul quale ardevano le due candeledue seggioleun cassettone con sopra uno specchio dalla corniced'oroavevano fatto ordine mani premurose; anche la sua sacca daviaggio era stata disfatta. Sul tavolo si trovavano la cartella dicuoio chiusa e consunta che conteneva le carte di Casanovanonchéqualche libro che gli serviva per il suo lavoro e aveva quindiportato con sé; vi era preparato anche il materiale perscrivere. Poiché non sentiva la minima sonnolenzaestrassedalla borsa il suo manoscritto e rilessea lume di candelaleultime cose che aveva scritto. Poiché si era fermato a metàdi un paragrafonon ebbe difficoltà a ripartire da lì.Prese in mano la pennascrisse rapidamente un paio di frasi eall'improvviso si fermò di nuovo. A che scopo? si domandòcome per un'orribile illuminazione interiore. E se anche sapessi chequanto scrivo e scriverò sarà incomparabilmentegrandiososìse anche riuscissi davvero ad annientareVoltaire e a superare la sua fama con la mianon sarei forse prontoe con gioiaa dar fuoco a tutte queste cartese in cambio mi fosseconcesso di abbracciarein quest'oraMarcolina? Sìallostesso prezzo non sarei pronto a far voto di non mettere mai piùpiede a Veneziaanche se mi ci volessero trasportare in trionfo?Venezia!... Ripeté la parolache gli risuonò dintornoin tutta la sua magnificenza: e già la vecchia potenza avevapreso il sopravvento su di lui. Gli sorse davanti la cittàdella sua giovinezzacircondata da tutta la magia del ricordoe ilcuore gli si gonfiò di una nostalgia così straziante esmisurata che pensava di non averne mai provata d'uguale. Rinunciareal ritorno gli parve il più impossibile di tutti i sacrificiche il destino potesse pretendere da lui. Che ci facevain questomondo pietosamente sbiaditosenza la speranzala certezza dirivedere un giorno quella città amata? Dopo anni e decenni diperegrinazioni e avventuredopo tutta la felicità el'infelicità che aveva vissutodopo tutto l'onore e glismacchidopo i trionfi e le umiliazioni che aveva subìtodoveva avere infine un posto in cui riposareuna patria. E c'era perlui un'altra patriase non Venezia? Un'altra felicità se nonla coscienza di avere di nuovo una patria? In un paese stranieronongli era proprio possibile attirare accanto a sé una felicitàduratura. Gli era ancora concessatalvoltala forza di concepirlama non più quella di trattenerla. Il suo potere sugli altriuomini e donnenon c'era più. Soltanto là dove eglisignificava ricordi la sua parolala sua voceil suo sguardoavvincevano ancora; al suo presente questo effetto era negato.


Passatoera il suo tempo! E si confessava anche quanto altrimenti cercava dinascondersi con particolare solerziacioè che anche i suoisforzi letterari e persino il suo libello contro Voltairenel qualeaveva riposto la sua ultima speranzasicuramente non sarebbe maistato un tale successo da giungere lontano. Anche per quello eratroppo tardi. Sìse in anni più giovani avesse avutoil tempo e la pazienza per occuparsi seriamente di cose consimili -lo sapeva bene - sarebbe stato pari ai primi poeti e filosofi del suosecolo; allo stesso modo in cui la grande perseveranza e cautela chegli erano proprie avrebbero fatto di lui il più eccelso deifinanzieri o dei diplomatici. Ma dove finivano tutta la sua pazienzae la sua cauteladove tutti i suoi progettiquando lo attraeva unanuova avventura d'amore? Donnedonne dappertutto. Per loro avevagettato via tuttoin ogni istante: per le nobili come per levolgariper le passionali come per le freddeper le vergini comeper le sgualdrine; per una notte in un nuovo letto si era semprevenduto tutti gli onori e tutte le beatitudini di quel mondo. Marimpiangeva ciò che dell'esistenza poteva aver perduto inquesto eterno cercare e mai-o-sempre trovarein questo eternofuggire di brama in piacere e di piacere in brama?

Nonon rimpiangeva niente. Aveva vissuto la sua vita come nessun altro;e non la viveva ancora oggi a modo suo? Dappertutto c'erano ancoradonne sulla sua stradaanche se non gli impazzivano piùintorno come una volta. Amalia? Poteva averla quando volevainquella stessa oranel letto del suo ebbro consorte; e la locandieradi Mantovanon era innamorata di lui come di un bel ragazzocontenerezza e gelosia? E l'amante butterata ma ben fatta del baronePerottinon l'aveva imploratoinebriata dal nome Casanova chepareva sprizzarle addosso la voluttà di mille nottidiconcederle una sola notte d'amoreed egli non l'aveva disdegnatacome uno che poteva ancora scegliere di suo gusto? Certo - Marcolina- quelle come Marcolina non facevano più per lui. O forse...che lei non avesse mai fatto per lui? C'erano anche donne così.Negli anni passati ne aveva forse incontrata qualcunama poichéce n'era sempre un'altra più disponibilenon vi si eratrattenutoper non sospirare invano neppure un giorno. E poichéneppure Lorenzi era riuscito a conquistare Marcolinapoichéaveva addirittura rifiutato la mano di quest'uomoche era bello esfacciato come in gioventù lo era stato luiCasanovapotevadarsi davvero che Marcolina fosse proprio quella creatura prodigiosadella cui esistenza sulla terra egli aveva sinora dubitato:

ladonna virtuosa. Ma scoppiò in una risata così sonorache riecheggiò in tutta la stanza. «Incapacecretino!»esclamò fortecome spesso faceva durante i suoi monologhi.«Non ha saputo sfruttare l'occasione.


Ola marchesa non lo molla. Oppure se l'è presa soltanto perchénon è riuscito ad avere Marcolinal'erudita... la filosofa?!»E all'improvviso gli venne un'idea: domani le leggerò il miolibello contro Voltaire! E' l'unica creatura che possa comprenderlo.La convincerò... Mi ammirerà. Naturalmente mi dirà...«Eccellentesignor Casanova! Voi scrivete in uno stilemagnificovecchio signore! Per Dio... Avete annientato Voltaire...vecchio geniale!» Così parlòsibilando tra sée sé e andando avanti e indietro per la camera come in unagabbia. Era stato colto da un immane furorecontro MarcolinacontroVoltairecontro se stessocontro il mondo intero. Raccolse le sueultime forze per non mettersi a urlare. Infine si gettò sullettosenza spogliarsie rimase a guardare con gli occhi spalancatile travi del soffittodove ogni tanto al lume di candela vedevabrillare tele di ragno. Poicome talvolta gli capitava quando andavaa dormire dopo aver giocatogli saettarono davanti a velocitàfantastica immagini di cartee infine sprofondò davvero in unsopore senza sogniche però durò pochissimo. Teseallora l'orecchio al misterioso silenzio intorno a lui. Le finestredella camera nella torre erano aperte verso est e verso sud; dagiardino e campi penetravano soavidolci profumi d'ogni genere; dalpaesaggio rumori indistintidi quelli che l'incipiente aurora amaportare da lontano e da vicino.


Casanovanon riusciva più a restare coricato; lo colse un vivacedesiderio di cambiamentoche lo spingeva fuori. Da fuori lo chiamavail canto degli uccellila fresca brezza mattutina gli accarezzava lafronte. Casanova aprì piano la portascese piano le scale econ la sua consumata abilitàriuscì a non farescricchiolare minimamente sotto i suoi passi i gradini di legno;lungo la scala di pietra giunse poi al pianterreno e dalla sala dapranzosulla cui tavola erano ancora i bicchieri pieni a metàin giardino. Poiché sulla ghiaietta i suoi passi si sentivanoandò subito sul pratoche nel chiarore dell'aurora assumevaun'estensione irreale. Poi imboccò il vialedalla parte incui si sarebbe trovato sotto gli occhi la finestra di Marcolina. Erachiusamunita di grata e di tenda come l'ultima volta che l'avevavista. Casanova si sedette su una panchina di pietra a forsecinquanta passi dalla casa. Sentì passare una carrozza oltreil muro del giardinopoi silenzio. Sul prato aleggiava una delicatafoschia grigiaquasi uno stagno torbido-trasparente dai confiniincerti. Casanova ripensò ancora a quella notte di gioventùnel giardino del convento di Murano - o di un altro parco - o aun'altra notte - non sapeva più quale: forse erano cento nottiche nel suo ricordo diventavano unacome talvolta cento donne cheaveva amato nel ricordo diventavano unala cui figura enigmatica silibrava davanti ai suoi sensi confusi. Ma non erano tutte ugualilenottialla fin fine? E le donne? Soprattutto quando non c'erano più?E la parola «più» prese a martellargli le tempiequasi fosse destinata a diventare il battito della sua esistenzaperduta.


Gliparve di percepire un fruscio dietro di luilungo il muro. O erasoltanto un'eco? Sìil rumore veniva dalla casa. La finestradi Marcolina era improvvisamente apertala grata era stata spostatae la tenda tirata da una partementre dal buio della stanza silevava una figura scura: era proprio Marcolinache si avvicinòal davanzale con la camicia da notte bianca abbottonata fino allagolacome per respirare la soave aria del mattino. Casanova si eralasciato scivolare lesto giù dalla panchina; al di sopra delbordotra i rami del vialeguardava incantato Marcolinai cuiocchi affioravano dalla penombra come senza pensierianzisenzadirezione. Soltanto dopo un paio di secondi il suo essereancoracome assonnatoparve riuscire a raccogliersi in uno sguardochelasciò vagare lungamente a destra e a sinistra. Poi si piegòin avanticome per cercare qualcosa sulla ghiaiettae subito dopoalzò la testacoi capelli scioltiverso l'altocome versouna finestra del piano superiore. Poi rimase un attimo immobilelemani appoggiate ai due stipiti della finestracome inchiodate a unacroce invisibile. Soltanto adessocome se all'improvviso si fosseroilluminati dall'internoCasanova riuscì a scorgeredistintamente i suoi tratti in penombra. Sulla bocca le aleggiòun sorriso che si irrigidì subito. Lasciò cadere lebraccia; le sue labbra si muovevano in modo singolarequasibisbigliassero una preghiera; il suo sguardo vagò di nuovolentamente nel giardinoindagatorepoi annuì brevemente enello stesso istantequalcuno saltò il davanzale per uscirequalcuno che fino ad allora doveva essere rimasto accovacciato aipiedi di Marcolina: Lorenzi. Volòpiù che camminaresulla ghiaiettaverso il vialelo attraversò ad appena diecipassi di distanza da Casanova il qualetrattenendo il respirorimaneva sotto la panchinae si precipitò poi oltre il vialedove accanto al muro correva una stretta striscia di pratofino ascomparire agli occhi di Casanova. Casanova udì una portagemere sui cardini: non poteva essere altro che quella da cui eglistesso era tornato in giardinoieri seracon Olivo e il marchese...poi silenzio. Marcolina era rimasta per tutto il tempo completamenteimmobile: non appena seppe che Lorenzi era al sicuro respiròprofondamentechiuse grata e finestrala tenda ricadde di nuovocome per forza propriae tutto tornò come prima; soltanto chenel frattempoquasi non avesse più motivo di indugiaresucasa e giardino si era levato il giorno.


AncheCasanova era ancora làcome primale mani distese davanti asésotto la panchina. Dopo un po' strisciò avantifinendo in mezzo al vialee proseguì a quattro zampe finchénon arrivò in un punto dove non potevano vederlo nédalla finestra di Marcolina né da qualsiasi altra finestra.Allora si alzòcon la schiena dolentesi stiracchiògli arti e finalmente tornò in sé; si ritrovòproprio come seda cane bastonatosi fosse di nuovo trasformato inun uomo condannato a percepire le bastonate non come dolore fisicoma come profonda vergogna. Perchési domandònon misono avvicinato alla finestra finché era aperta? E a leisaltando il davanzale? Avrebbe potuto resistermil'ipocritalabugiardala sgualdrina? E continuò a imprecare quasi che neavesse avuto dirittoquasi che lei gli avesse giurato fedeltàcome a un amante e lo avesse tradito. Giurò a se stesso chel'avrebbe portata sulla bocca di tuttiche le avrebbe gettato fangoaddosso davanti a Olivodavanti ad Amaliadavanti al marcheseall'abatealla domestica e ai domesticidicendo che non era altroche una puttanella lascivae niente più. Come peresercitarsisi raccontò nei minimi particolari quel che avevaappena vistocompiacendosi di inventare tutto ciò che potessemortificarla:

cheera nuda alla finestrache aveva accettato le carezze oscenedall'amante mentre la lambiva la brezza del mattino. Dopo che ebbecosì placato la sua collerarifletté su che cosa fossemeglio fare con ciò che adesso sapeva. Non era ora in suopotere? Non poteva estorcerle con le minacce quei favori che non gliconcedeva spontaneamente? Ma questo piano ignominioso riaffondòimmediatamenteperché Casanova dovette riconoscerne non tantol'ignominia quanto l'insensatezza e l'inadeguatezza al caso inquestione. Che poteva importare delle sue minacce a Marcolinalaquale non doveva rendere conto a nessuno e che d'altrondese glienefosse importatoera abbastanza scaltra da cacciarlo di cameratacciandolo di calunnia e ricatto? E persino se fosse stata dispostaa concedersi a lui per comprare il suo silenzio sulla sua tresca conLorenzi (ma sapeva bene di trovarsi al di là dei limiti diogni possibilità)per uno come luiche quando amavadesiderava mille volte di più dare felicità chericevere felicitàun piacere estorto con la violenza non sisarebbe inevitabilmente trasformato in un tormento indicibiletaleda spingerlo sull'orlo della pazziadell'autoannientamento? Si trovòimprovvisamente davanti alla porta del giardino. Era chiusa colchiavistello. Lorenzi aveva quindi una copia della chiave. E chi erastato - gli venne in mente all'improvviso - ad avventarsi nella nottesu un destriero al galoppoquando Lorenzi si era alzato dal tavoloda gioco? Evidentemente un domestico prezzolato. Senza volerloCasanova si trovò costretto a sorridere. Erano degni l'unodell'altraMarcolina e Lorenzila filosofa e l'ufficiale. E davantia loro si apriva una magnifica carriera. Chi sarebbe stato ilprossimo amante di Marcolina? si domandò. Il professore diBolognapresso il quale abita. Ma che stupido: lo è giàstato... Chi ancora? Olivo? L'abate?

Perchéno?! O il giovane domestico che ieriquando siamo arrivatierafermo sulla porta con gli occhi spalancati? Tutti! Io lo so. MaLorenzi no. E' questo il mio vantaggio su di lui. In realtànon solo era convintonel suo intimoche Lorenzi fosse il primoamante di Marcolinama presumeva addirittura che quella fosse laprima notte che gli avesse donato; ma questo non gli impedì diproseguire nel suo gioco di pensieri malvagiamente osceni per tuttoil tempo che impiegò a percorrere il perimetro del giardinolungo il muro. Si trovò così di nuovo davanti allaporta della salache aveva lasciato apertae vide che per ilmomento non gli restava altro che tornare nella camera della torre.senza farsi né vedere né sentire. Scivolò per lescale con la massima cautela euna volta in camerasi abbandonòsulla poltrona dove era già stato seduto: davanti al tavolodove i fogli sciolti del suo manoscritto parevano aspettare il suoritorno.


Involontariamentegli occhi gli caddero sulla frase che prima aveva interrotto a metàe lesse: «Voltaire sarà immortalecertamente; ma sisarà comprato questa immortalità con la sua parteimmortale; l'arguzia ha consumato il suo cuore come il dubbio la suaanimae quindi...». In quel momento la stanza fu inondata dalrosseggiante sole del mattinotanto che il foglio che teneva in manocominciò ad ardere ed eglicome sconfittolo lasciòcadere sul tavolosopra gli altri. Si rese improvvisamente conto cheaveva le labbra secche e si versò un bicchiere d'acqua dallabottiglia che era sul tavolo; era tiepida e dolciastra. Disgustatogirò la testa da una parte: dalla paretedallo specchio sulcassettonelo fissava un volto pallido e vecchiocoi capelliscomposti che gli ricadevano sulla fronte. Nel piacere ditormentarsiabbassò ulteriormente gli angoli della boccacome un attore di teatro che debba recitare un ruolo disgustoso; sipassò le mani tra i capelli in modo che le ciocche gliricadessero in modo ancora più disordinato; fece la linguacciaalla sua immagine allo specchiogracchiò con voceintenzionalmente più roca una serie di insulse imprecazionicontro se stesso e infinesoffiando come un bambino maleducatofececadere dal tavolo i fogli del suo manoscritto. Poi riprese aimprecare contro Marcolinae dopo averla fatta oggetto delle parolepiù sconcesibilò tra i denti: pensi che la gioia duria lungo? Diventerai grassa e grinzosa e vecchia come le altre donneche sono state anch'esse giovani come te: una donna vecchia dai senicadenti e dai capelli ispidi e grigisenza denti e maleodorante... einfine morirai! Puoi morire anche giovane! E ti decomporrai! E saraicibo per i vermi. Per vendicarsi ancora di leicercò diimmaginarla morta. La vide distesa in una bara apertavestita dibiancoma fu incapace di immaginare su di lei alcun segno didistruzione; anzila sua bellezza davvero ultraterrena gli provocòun nuovo accesso di furore. Davanti ai suoi occhi chiusila baradivenne un letto nuziale; Marcolina vi era sdraiata e sorrideva congli occhi socchiusicon le pallide mani affusolatecome perdispettosi lacerò la bianca veste sui seni delicati. Mamentre egli tendeva le braccia verso di leimentre si avventava sudi lei l'apparizione si dissolse nel nulla. Bussarono alla porta edegli si scosse da quel torbido sonno: davanti a lui c'era Olivo.«Comegià allo scrittoio?» «E' miaabitudine»rispose Casanova subito tornato in sé«dedicare al lavoro le prime ore del mattino. Che ore sono?»«Le otto»rispose Olivo; «la colazione èpronta in giardino; non appena comandatecavaliereci metteremo inviaggio per il monastero.


Vedoperò che il vento vi ha sparpagliato i fogli!» E si misea raccogliere le carte dal pavimento. Casanova lo lasciò fareperché si era avvicinato alla finestra e guardavaallineateintorno alla tavola della colazione che era stata apparecchiata sulpratoall'ombra della casaAmaliaMarcolina e le tre bambine. Glidettero il buon giorno.


Eglivide soltanto Marcolina: gli sorrideva gentilmente con occhiluminositeneva in grembo un grappolo d'uva precocemente matura e simetteva in bocca un acino dopo l'altro. Come ebbro della sua vistasi ritirò nuovamente nella camera dove Olivoancora inginocchio sul pavimentocercava i fogli sparpagliati sotto tavolo ecassettone; gli proibì di continuare nei suoi sforzi edespresse il desiderio di essere lasciato solo per potersi prepararealla gita. «Non c'è fretta»disse Olivotogliendosi la polvere dai pantaloni«saremo tranquillamentedi ritorno per pranzo. Il marchese ci ha pregato inoltre di potercominciare a giocare nelle prime ore del pomeriggio; evidentementedesidera essere a casa prima del tramonto.» «Mi èdel tutto indifferente a che ora si comincia»disse Casanovamentre metteva in ordine i suoi fogli nella cartella; «tanto ionon ho intenzione di giocare.» «E invece giocherete»dichiarò Olivo con una risolutezza che gli era insolitaedepose sul tavolo un gruzzolo di monete d'oro. «Il mio debitocavalierein ritardoma con tutta la mia gratitudine.»Casanova rifiutò. «Dovete accettare»protestòOlivo«se non volete offendermi profondamente; inoltre Amaliastanotte ha sognato qualcosa che vi indurrà a farlo... ma velo racconterà lei stessa.» E tacque subito. Casanovastava comunque contando le monete; erano centocinquantaesattamentela somma chequindici anni primaaveva regalato allo sposo o allasposa o alla mamma di lei... non lo sapeva più nemmeno lui. Lacosa più ragionevole sarebbesi disseche intascassi ildenaroprendessi congedo e lasciassi la casase possibile senzarivedere Marcolina. Ma ho mai fatto la cosa più ragionevole? Ese nel frattempo fossero giunte notizie da Venezia?... A dire il verola mia eccellente locandiera ha promesso di trasmetterle qui senzaindugio...


Nelfrattempo la cameriera aveva portato su una grande brocca diterracotta con acqua fresca di sorgentee Casanova si lavòtutto il corpocosa questa che lo rinfrescò molto; poi simise il suo vestito miglioreuna specie di abito da cerimoniacomeavrebbe fatto già la sera prima se solo avesse trovato iltempo di cambiarsi; fu comunque molto contento di potersi presentarea Marcolina in abbigliamento più elegante del giorno primaanziquasi sotto una forma nuova.


Conuna giacca di seta grigia lucida e ricamataguarnita di ampi ricamid'argento alla spagnolapanciotto giallo e calzoni di seta rossociliegiaportamento nobile ma non troppo altezzosoun sorrisomeditabondo ma cordiale sulle labbra e gli occhi che irradiavano unagiovinezza il cui fuoco non si poteva spegnere: così entròin giardino dovecon sua grande delusionetrovò sulle primesoltanto Olivoche lo invitò a sedersi accanto a lui e aservirsi a volontà di quel modesto pasto. Casanova si ristoròcon latteburrouovapane bianco e poi ancora pesche e uvachegli parvero le più gustose che avesse mai assaggiato. Eranogiuntecorrendo sul pratole tre bambine; Casanova le baciòtutte e tree alla più grande allungò qualche carezzadi quelle che ieri aveva accettato dall'abate; ma le scintille che siaccesero nei suoi occhi eranocome Casanova ben si accorseilfrutto di un piacere ben diverso da quello di un innocuo giocoinfantile. Olivo fu felice di vedere che il cavaliere ci sapeva farecosì bene con le bimbe. «E ci volete davvero lasciaregià domani?»domandò con timida dolcezza.«Stasera»rispose Casanovaammiccando scherzosamente.«Sapeteottimo Olivoi senatori di Venezia...» «Nonvi meritano»lo interruppe vivacemente Olivo. «Cheaspettino. Restate con noi fino a dopodomanima noper unasettimana.» Casanova scosse lentamente la testamentrestringeva la mano della piccola Teresina e la teneva come prigionieratra le ginocchia. Ella si stava divincolando dolcementecon unsorriso sulle labbra che non aveva niente di infantilequando dallacasa uscirono Amalia e Marcolinal'una con uno scialle nerol'altracon uno scialle bianco sulle spalle chiare. Olivo le pregò diunire le loro preghiere alle sue. «E' impossibile»disseCasanova con eccessiva durezza nella voce e nell'espressioneperchéné Amalia né Marcolina trovavano le parole per unirsiall'invito di Olivo.


Mentreprocedevano lungo il viale di ippocastani verso la portaMarcolinadomandò a Casanova se durante la notte avesse sensibilmenteproseguito nel suo lavoroal quale Olivo le aveva raccontato diaverlo trovato di primo mattino. Casanova pensava già di darleuna risposta ambigua e malignache l'avrebbe sorpresa pur senzatradirlo; ma represse quel motto di spirito in considerazione delfatto che ogni fretta avrebbe potuto essere nociva e risposecortesemente di avere apportato unicamente alcune modifiche cui erastato stimolato dal colloquio con lei. Salirono su una carrozzasformata e mal imbottita ma comunque comoda. Casanova era sedutodavanti a Marcolina e Olivo davanti alla sua consorte; ma la vetturaera così spaziosa che nonostante le molte scosse eraimpensabile che gli occupanti potessero toccarsi senza volerlo.Casanova pregò Amalia di raccontargli il suo sogno. Lei glisorrise gentilmentequasi bonariamente; dai suoi tratti erascomparsa ogni traccia di risentimento o di rancore. Poi cominciò:«Vi ho vistoCasanovapassare in una magnifica carrozzatirata da sei cavalli scuri davanti a un edificio chiaro. Di più:la carrozza si fermava e io non sapevo ancora chi c'era dentroquando siete sceso voicon un magnifico abito da cerimonia biancocoi ricami d'oroquasi ancora più elegante di quello cheindossate oggi (nei suoi modi c'era un'amichevole ironia) e portavate- davvero - la stessa catena d'oro che avete oggi e che io non viavevo mai visto!

(Questacatenacon l'orologio d'oro e una tabacchiera d'oro tempestate dipietre semipreziose che Casanova teneva in manogiocherellandocierano gli ultimi gioielli di un certo valore che aveva saputoconservare.) Lo sportello fu aperto da un vecchio che aveva l'aspettodi un mendicante: era Lorenzi; voi peròCasanovaeravategiovanegiovanissimoancora più giovane di quanto non fosteallora. (Disse "allora" incurante del fatto cheda questaparolavolassero tra un frullar d'ali tutti i suoi ricordi.) Voisalutavate in tutte le direzioniper quanto in lungo e in largo nonsi vedesse nessunoed entravate dalla porta; essa si chiuseviolentemente dietro di voinon so se per opera del vento o diLorenzi: tanto violentemente che i cavalli si imbizzarrirono evolarono via con la carrozza. Allora udii un urlo dai vicoli vicinicome di persone che cercassero di mettersi in salvoma tacquesubito. Voi però vi affacciaste a una finestra della casaadesso sapevo che era una casa da giocoe salutaste in tutte ledirezionima non c'era nessuno. Poi vi volgeste all'indietrosoprale vostre spallecome se dietro di voinella stanzaci fossequalcuno; ma io sapevo che anche là non c'era nessuno. Poi viscorsi all'improvviso a un'altra finestraa un altro pianodoveaccadde esattamente la stessa cosapoi sempre più in altoeancoraera come se l'edificio crescesse all'infinitoe sempresalutavate verso il basso e parlavate con qualcuno che era allevostre spalleanche se in realtà non c'era nessuno. Lorenziperò continuava a rincorrervi per le scale senza raggiungervi.Voi non avevate neppure pensato a fargli l'elemosina...».


«Epoi?»domandò Casanova quando Amalia tacque. «Succedevaqualcos'altroma io l'ho dimenticato»disse Amalia. Casanovaera deluso; al posto di lei avrebbecome sempre faceva in similicasisi trattasse di sogni o di realtàcercato diperfezionare il raccontodi conferirgli un sensoe cosìosservòalquanto scontento: «Come è tutto allarovescianel sogno. Io ricco e Lorenzi mendicante e vecchio».«Lorenzi non andrà lontanocon la sua ricchezza»disse Olivo: «suo padre è piuttosto benestantema isuoi rapporti col figlio non sono dei migliori». E senza chedovesse fare domandeCasanova venne a sapere che si doveva laconoscenza del sottotenente al marcheseche un giornoqualchesettimana primal'aveva semplicemente portato con sé in casadi Olivo. Non c'era certo bisogno di spiegare espressamente a unesperto come il cavaliere che tipo di rapporto intercorresse tra ilgiovane ufficiale e la marchesa; d'altro cantopoiché ilconsorte sembrava non trovarci niente da ridirenon si capiva perchéla cosa dovesse turbare loroche non erano direttamente interessati.


«Cheil marchese sia così d'accordo come voi sembrate credereOlivo»disse Casanova«mi permetterei di metterlo indubbio. Non avete notato con quale miscuglio di disprezzo e astiotratti il giovane? Non potrei giurare che la cosa andrà afinire bene.» Anche adesso niente si mosse sul volto diMarcolinané cambiò posizione. Pareva non prendereminimamente parte al colloquio su Lorenzi e godersi tranquillamentela vista del paesaggio. Casanova preferì scendere e proseguireaccanto alla carrozza. Marcolina parlò dei dintorni di Bolognae delle belle passeggiate vespertine che amava fare con la figlia delprofessor Morgagni. Menzionò anche la sua intenzione direcarsil'anno dopoin Franciaper conoscere personalmente ilcelebre matematico Saugrenuedell'università di Parigi.«Forse mi concederò il piacere»disse sorridendo«di fermarmi a Ferneyper sapere dallo stesso Voltaire comeegli abbia accolto lo scritto polemico del suo più pericolosooppositoreil cavaliere di Seingalt.» Casanovacon la manosul bordo della carrozzaaccanto al braccio di Marcolinala cuimanica gonfia gli sfiorava le ditareplicò freddamente: «Nonsi tratta tanto di come il signor Voltaire accoglierà la miaoperama di come l'accoglieranno i posteri: infatti soltanto costoroavranno il diritto di prendere una decisione definitiva». «Voicredete»chiese Marcolina seriamente«che sullequestioni di cui andiamo parlando possano davvero essere presedecisioni definitive?» «Questa domanda mi meravigliasulla vostra boccaMarcolinale cui opinioni filosofiche eseposso usare la parolareligiosenon mi sembrano assolutamenteinconfutabili di per sé ma comunque ben saldamente fondatenella vostra animapurché ammettiate di averne una.»Marcolinanon facendo caso alle frecciate nel discorso di Casanovaalzò tranquillamente gli occhi al cielo che si apriva azzurrointenso sulle chiome degli alberi e rispose:

«Talvoltasoprattutto in giorni come oggi»e in queste parole risuonòsolo per Casanovache sapevauna palpitante devozione provenientedal profondo del suo cuore di donna«mi pare che tutto ciòche definiamo filosofia e religione sia solo un gioco di parolepiùnobilecertamentema anche più insensato di tutti gli altri.


Concepirel'infinito e l'eternità ci sarà sempre negato; lanostra strada procede dalla nascita alla morte; che cosa ci resta senon vivere secondo la legge che ciascuno ha nel suo pettoo anchecontro questa legge? Perché ribellione e umiltà sonouguali davanti a Dio».


Olivoguardava la nipote con timida ammirazione e Casanova con una certapaura; questi cercava una risposta con la quale spiegare a Marcolinache leiper così diredimostrava e al contempo negaval'esistenza di Dio; ma sentiva che alla sensibilità di lei nonpoteva opporre che parole vuotee non gli vennero neppure quelle.Tuttavia l'espressione particolarmente stravolta del suo volto parverisvegliare in Amalia il ricordo delle sue folli minacce del giornoprimaed si affrettò a osservare: «E tuttavia Marcolinaè devotacredetemicavaliere». Marcolina sorrisesmarrita. «Lo siamo tuttia modo nostro»dissecortesemente Casanovae guardò davanti a sé.


Unacurva repentinae all'improvviso davanti a loro c'era il monastero.Sull'alto muro di cinta svettavano le esili chiome dei cipressi. Alrumore della carrozza che avanzava si era aperta la porta; unportinaio dalla lunga barba bianca salutò devotamente e feceentrare gli ospiti. Lungo un loggiato ad architra le cui colonne sivedeva da ambo le parti un giardino coperto di vegetazione verdescurosi avvicinarono al monastero vero e propriodalle cui muragrigiecompletamente prive di ornamenti e simili a quelle di unaprigionesoffiava verso di loro un'arietta sgradevole e freddina.


Olivotirò la fune della campanella; questa emise un suono acuto chesubito riecheggiò e una suora velatissima aprì insilenzio e condusse gli ospiti in un parlatorio ampio e spoglioincui si trovavano soltanto alcune semplici sedie di legno. Sul retroesso era chiuso da una grata di ferro dalle sbarre molto grossealdi là della quale la stanza svaniva in una fitta oscurità.Con l'amarezza nel cuoreCasanova ripensò a quell'avventurache a tutt'oggi gli pareva una delle più straordinarie cheavesse vissuto e che aveva avuto inizio in un ambiente assai simile:nella sua anima affiorarono le figure delle due suore di Murano chenell'amore per luisi erano ritrovate amichee gli avevano regalatoinsieme incomparabili ore di piacere. E quando Olivoa vocebassissimacominciò a parlare della rigorosa disciplina chequi le suore erano tenute a osservaretanto che dopo la vestizionenon potevano più mostrare il loro volto a un uomo ed eranocondannate al silenzio perpetuosulle sue labbra tremò unsorriso che si irrigidì subito.


Inmezzo a loro c'era la badessacome spuntata dall'oscurità.Mutasalutò gli ospiti; con un inchino oltremodo benevolo delcapo velato accettò il ringraziamento di Casanova per ilpermesso di entrare concesso anche a lui; Marcolina peròchevoleva baciarle la manola strinse tra le braccia. Poicon un gestodella manoinvitò tutti a seguirlae attraverso unastanzetta laterale li guidò in un portico di forma quadratache correva tutt'intorno a un fiorente giardino.


Rispettoall'altroinselvatichitosembrava curato con particolaresollecitudine; e nelle molte aiuolericche e illuminate dal solegiocavano colori che si accendevano e smorzavano in modostraordinario. Ai profumi caldi che fluivano dai calici dei fiorieche quasi lo stordivanoa Casanova pareva ne fosse mischiato unoparticolarmente misteriosodi cui la sua memoria non riusciva atrovare l'eguale. Tuttaviaproprio mentre stava per dire qualcosa aMarcolina a questo propositonotò che questo profumomisteriosoche gli eccitava il cuore e i sensiveniva da leistessache si era appoggiata sul braccio lo scialle che aveva tenutosino a quel momento sulle spallecosicché dalla scollaturadella sua veste adesso libera si levava il profumo del suo corpochesi univa a quello dei centomila fiori come se fosse loro affine pernatura eppure diverso.


Labadessasempre mutacondusse i visitatori tra le aiuolepersentieri stretti e molto tortuosisimili a un delicato labirinto;nella leggerezza e nella rapidità del suo incedere sipercepiva la gioia che lei stessa provava nel mostrare agli altri lavariopinta magnificenza del suo giardino; e quasi si fosse prefissadi far venire loro le vertiginicome se guidasse un'allegra riddali precedeva andando sempre più in fretta. All'improvviso però- Casanova ebbe l'impressione di svegliarsi da un sogno confuso - siritrovarono tutti nel parlatorio. Al di là della grataaleggiavano figure scure; nessuno sarebbe riuscito a distinguere sefossero tre o cinque o venti donne velatequelle che vagavano avantie indietro al di là delle spesse gratecome spiritiperseguitati; e soltanto gli occhi abituati alla notte di Casanovaerano in grado di distinguere figure umane in quella profondapenombra. La badessa accompagnò i suoi ospiti alla porta esenza parlarefece loro cenno che erano congedatiscomparendo primache avessero il tempo di esprimere i loro obbligati ringraziamenti.


All'improvvisoprima che lasciassero la salarisuonò dai pressi della grataun «Casanova» pronunziato da una voce di donna:

nient'altroche il nomema con un'espressione che Casanova credeva di non avereancora mai udito. Che fosse stata una sua amata o una donna mai vistaa infrangere un sacro voto per alitare un'ultima o una prima volta inaria il suo nome; se vi avesse tremato la beatitudine per un inattesorivedersiil dolore per qualcosa di irrimediabilmente perduto o illamento perché un ardente desiderio di giorni lontani siesaudiva così tardi e inutilmenteCasanova non potésaperlo: sapeva soltanto questoche il suo nomeche tante volte latenerezza aveva sussurratola passione balbettato e la gioiadeclamato oggiper la prima voltaarrivava al suo cuore col suonopieno dell'amore. Ma proprio per questo ogni altra curiositàgli pareva assurda e insensata: e dietro un segreto che nessunoavrebbe mai svelato si chiuse quella porta. Se gli altri non avesserofatto capirecon i loro sguardi timidi e fugacidi aver uditoanch'essi quel richiamosubito riecheggiatociascuno avrebbe potutocredereda parte suaa un'illusione sensoriale; infatti mentreavanzavano lungo il loggiato fino alla porta nessuno proferìparola. Casanova però seguiva per ultimo; camminava a capochinocome dopo un grande addio.


Ilportinaio era accanto alla porta e ricevette la sua elemosina; gliospiti salirono sulla carrozza che li ricondusse a casa senzaulteriori indugi. Olivo sembrava imbarazzatoAmalia rapitaMarcolina invece perfettamente tranquilla; e anche troppointenzionalmentecosì parve a Casanovatentò diavviare con Amalia una conversazione su questioni di economiadomesticache però fu Olivo a sostenere al posto dellamoglie. Presto vi si unì anche Casanovache si intendeva ameraviglia di questioni che riguardassero cucina e cantina e nonvedeva motivodate le sue conoscenze ed esperienze anche in questocampoquasi una dimostrazione della sua poliedricitàditenersene lontano. A questo punto anche Amalia si destò dalsuo trasognamento; dopo l'avventura quasi favolosa e tuttaviaopprimente da cui erano riaffioratiparevano tuttima soprattuttoCasanovatrovarsi particolarmente a loro agio in un'atmosfera cosìterrena e quotidiana; e quando la carrozza si fermò davantialla casa di Olivoda cui li raggiunse un invitante profumo diarrosto e di erbe d'ogni genereCasanova si era appena imbarcatonell'appetitosa descrizione di un pasticcio polacco che ancheMarcolina ascoltava con un'amabile partecipazione da casalingacheCasanova trovò lusinghiera.


Inpreda a un umore stranamente tranquillo e quasi compiaciuto chemeravigliava anche luisedette poi a tavola con gli altrifacendo aMarcolina una corte scherzosa e giovialecome ci si aspetta che unvecchio signore distinto possa fare con una giovane beneducata difamiglia borghese. Lei accettò di buon grado e rispose allesue gentilezze con grazia infinita. Egli faceva una gran fatica aimmaginare che la sua costumata vicina fosse quella stessa Marcolinadalla cui finestrala notte addietroaveva visto fuggire un giovaneufficiale che evidentemente era stato nelle sue braccia fino a pochisecondi prima; come gli restava difficile supporre che questa dolcefanciullache amava rotolarsi sull'erba con ragazzine non ancoracresciuteintrattenesse una dotta corrispondenza col celebreSaugrenue di Parigi; e subito si rimproverò per questaridicola pigrizia della sua fantasia. Non aveva giàsperimentatoinnumerevoli volteche nell'anima di ogni uomo davverovivo convivono nel modo più pacifico elementi apparentementenemici? Lui stessoche fino a poco prima era un uomo agitatodisperatoanzi pronto a compiere atti malvagi: non era adesso cosìmitebonario e incline ad allegri giochetti che le figliolette diOlivo ridevano talvolta a crepapelle?

Soltantodalla sua fame straordinariaquasi animalescadi quelle che locoglievano sempre dopo forti emozioniegli si accorse che nella suaanima l'ordine non si era ancora completamente ristabilito.


Insiemeall'ultima portata la domestica consegnò una lettera appenagiunta per il cavaliere con un messaggero proveniente da Mantova.


Olivoche notò come Casanova fosse impallidito dall'eccitazioneordinò di dare al messo da bere e da mangiare e poi disse alsuo ospite: «Non vi disturbatecavaliereleggetetranquillamente la vostra lettera». «Col vostropermesso»rispose Casanova; si alzò da tavola con unleggero inchinosi avvicinò alla finestra e lesse la letteracon simulata indifferenza. Era di Bragadinosuo paterno amico deigiorni di gioventùun vecchio scapolone cheormai piùche ottantennee da dieci anni membro del Consiglio dei Diecipareva prendersi cura della sorte di Casanova più degli altribenefattori che questi aveva a Venezia. La letteraeccezionalmentegentile e scritta da una mano un po' tremantediceva letteralmente:

"Miocaro Casanovaoggi mi trovo finalmente nella gradita posizione dipotervi inviare una notizia che spero sia sostanzialmente all'altezzadei vostri desideri. Nella sua ultima sedutatenutasi ieriilConsiglio dei Dieci non solo si è dichiarato pronto aconcedervi di rientrare a Veneziama desidera addirittura che loacceleriate il più possibilepoiché ha intenzione diricorrere quanto prima alla fattiva riconoscenza che aveteprospettato in numerose lettere. Come forse ignoratecaro Casanova(poiché purtroppo è da tanto che abbiamo dovutorinunciare alla vostra presenza)nel corso degli ultimi tempi lasituazione della nostra cara città natale dà un po' dapensareda un punto di vista sia politico che morale. Nasconosocietà segrete contro la nostra costituzioneche pare siprefiggano una rivoluzione violenta; e com'è nella naturadelle cosesono soprattutto certi elementi votati al liberopensieroirreligiosi e del tutto dissoluti a partecipare in numeroprevalente a queste società checon una parola piùdurasi potrebbero definire anche congiure. Sulle pubbliche piazzenei caffèper non parlare dei luoghi privaticome bensappiamosi tengono i discorsi più spaventevolidi vero eproprio alto tradimentoma solo di rado si riesce a cogliere icolpevoli sul fatto o a provare qualcosa di sicuro sul loro contopoiché certe confessioni estorte con la tortura si sonodimostrate così inattendibili che alcuni membri del nostroConsiglio dei Dieci preferiscono prescindere da metodi investigativicosì orribili e per giunta spesso fuorvianti. Non mancanocerto persone che si mettano al servizio del governo per il benedell'ordine pubblico e dello Stato; ma i più sono troppo noticome ardenti sostenitori della costituzione esistente perchéqualcuno si lasci facilmente sfuggirein loro presenzaun'osservazione incauta o addirittura un discorso di alto tradimento.Ora da uno dei senatoridi cui per il momento non voglio fare ilnomeè stata avanzatadurante la seduta di ieril'ipotesiper cui qualcuno che abbia la fama di uomo senza principi morali eper giunta di un libero pensatore - in breve qualcuno come voiCasanova - otterrebbe immediatamente la simpatia di quei circolisospetti di cui andiamo parlando e - con qualche accortezza da partesua - incontrerebbe presto una fiducia incondizionata. A mio pareteintorno a voi si raccoglierebbero necessariamentequasi ottemperandoa una legge naturaleproprio quegli elementi la cui neutralizzazionee punizione esemplare sta particolarmente a cuore al Consiglio deiDiecinella sua instancabile sollecitudine per il bene dello Stato;e noi considereremmo non solo una prova del vostro zelo patriotticomio caro Casanovama anche un segno inequivocabile della vostracompleta conversione da tutte quelle tendenze che a suo tempo dovestescontare certo duramentema non del tutto ingiustamentecome voistesso oggi riconoscete (se possiamo credere alle vostrerassicurazioni epistolari)nei Piombise voi foste pronto a cercaresubito dopo il vostro rimpatrio collegamenti nel senso appenaaccennato con gli elementi che abbiamo caratterizzatoa stringerecon loro rapporti amichevoli come uno che nutra le stesse tendenze esoprattutto a riferire senza indugio e dettagliatamente al Senatoquanto vi sembri sospetto o comunque degno d'esser saputo. Per taliservizi si sarebbe inclini ad assegnarvi in un primo momento unostipendio mensile di duecentocinquanta lirea prescindere dagratificazioni extra per singoli casi di particolare importanzanonché naturalmente a rimborsarvi senza esitazioni ospilorcerie tutte le spese derivanti dall'esercizio del vostroservizio (mance a questo o a quell'altro individuopiccoli doni amembri del gentil sessoeccetera). Non mi nascondo assolutamente cheavrete da combattere diversi scrupoli prima di potervi decidere nelsenso da noi auspicato; ma permettete al vostro vecchio e sinceroamico (che è stato anche lui giovane) di ricordarvi che non èmai disonorevole rendere alla propria amata patria un servizioindispensabile al proseguimento della sua sicura esistenzaanche sefosse un servizio tale che un cittadino superficiale e non animato daintenti patriottici potrebbe ritenerlo meno degno. Vorrei ancheaggiungere che voiCasanovasiete abbastanza conoscitore dell'animoumano per poter distinguere lo sventato dal criminale e il burlonedall'ereticoe quindi starebbe a voinei casi che riterresteopportunidare la precedenza alla grazia sul diritto. Rifletteteperò soprattutto sul fano che differireste di lungo tempoeanzicome temoa data imprevedibilel'adempimento del vostro piùardente desiderioil vostro ritorno in patriase doveste rifiutarela benevola proposta del Consiglio dei Diecie che io stessose miè lecito farne menzioneessendo un vecchio di ottantuno annisecondo ogni calcolo umano dovrei rinunciare alla gioia di rivederviin questa vita. Poiché il vostro impiegoper comprensibilimotivinon avrebbe carattere pubblico ma anzi piuttostoconfidenzialevi prego di indirizzare a me personalmente la vostrarispostache mi impegno a comunicare al Consiglio dei Dieci nelcorso della prossima sedutache avrà luogo di qui a ottogiorni; e inoltre con la maggiore celerità possibile perchécome già ho accennatoci giungono quotidianamente istanze daparte di persone in parte estremamente degne di fiducia che simettono volontariamente a disposizione del Consiglio dei Dieci peramore della patria. Certamente nessuno di costoro potrebbe competerecon voimio caro Casanovaper esperienza e spirito; e se avrete unminimo di considerazione per la mia simpatia nei vostri confrontiallora non dubito che risponderete con gioia alla chiamata che vigiunge da persona così altolocata e bendisposta. Fino adallora rimangocon immutata amiciziail vostro affezionatoBragadino.


'Postscriptum'.Avrò il piacerenon appena mi avrete comunicato la vostradecisionedi emettere una cambiale dell'importo di duecento liresulla banca Valori di Mantova onde coprire le vostre spese diviaggioIl suddetto".


Casanovaaveva da tempo finito di leggerema continuava a tenere il fogliodavanti agli occhiper non far notare il pallore mortale dei suoitratti sconvolti. Nel frattempo il rumore del pasto era proseguitotra sbattere di posate e tinnir di bicchierima nessuno diceva unaparola. Alla fine Amalia si permise di notaretimidamente:

«Laminestra si freddacavalierenon volete servirvi?». «Grazie»disse Casanova mostrando nuovamente il voltocui soltanto graziealla sua consumata abilità di attore era riuscito a conferireun'espressione calma. «Sono notizie magnifichequelle che migiungono da Veneziae devo spedire senza indugio la mia risposta.Chiedo perciò licenza di potermi ritirare subito.» «Fatecome meglio vi aggradacavaliere»disse Olivo. «Ma nondimenticate che tra un'ora si comincia a giocare.» Casanovaandò in camera suasprofondò su una sedia e tutto ilcorpo gli si coprì di sudore freddo; era scosso dai brividiegli salì in gola una nausea tale che pensò di doversoffocare sul posto. Non era in gradotanto per cominciarediconcepire un pensiero; e comunque impiegava tutte le sue forze pertrattenersisenza che sapesse dire da che cosa. Infatti in quellacasa non c'era nessuno con cui avrebbe potuto sfogare la sua colleraimmanee riusciva pur sempre a riconoscere come folle l'oscuraimpressione che Marcolina fosse in qualche modo corresponsabiledell'indicibile onta che gli era capitata. Quando si fu ricompostoil suo primo pensiero fu quello di vendicarsi di quei farabutti cheavevano creduto di poterlo assoldare come informatore della polizia.Avrebbe voluto insinuarsi a Venezia sotto mentite spoglie e ucciderecon l'inganno tutti quei furfanti...


oquanto meno colui che aveva escogitato quel piano miserevole. Erastato forse lo stesso Bragadino? Perché no? Un vecchioormaicosì spudorato che aveva osato scrivere a Casanova quellaletteracosì stupido da credere che Casanova - Casanova! chepure aveva conosciuto - fosse adatto a fare la spia! Nonon loconosceva piùCasanova!

Nessunolo conosceva piùné a Venezia né altrove. Ma loavrebbero conosciuto di nuovo. Certonon era più abbastanzané bello né giovane da sedurre una fanciulla virtuosané più abbastanza abile e agile da scappare di prigionee fare esercizi ginnici sulla linea di colmo dei tetti... ma era pursempre più intelligente di tutti loro! E una volta a Veneziaavrebbe potuto darsi da fare come meglio credeva:

l'importanteera arrivarci! Forse non ci sarebbe stato neppure bisogno di ucciderequalcuno: esistevano vendette d'ogni generepiù argute e piùdiaboliche di quanto non fosse un banale omicidio; e se avesseaccolto solo in apparenza la proposta di quei signorisarebbe statala cosa più facile del mondo rovinare proprio quelli chevoleva rovinare e non quelli che invece premevano al Consiglio deiDieci e chetra tutti i venezianierano senz'altro i migliori!Come? Perché erano nemici di questo infame governoperchéerano considerati ereticidovevano finire in quegli stessi Piombidove anch'egli aveva languitoventicinque anni primao addiritturasotto la mannaia? Egli odiava il governo cento volte di più econ motivi migliori di costoroed eretico lo era stato per tutta lavitalo era ancora oggi e con convinzioni più sacre di tuttiloro! Si era recitato soltanto una fastidiosa commediain questiultimi anni: per noia e nausea. Lui credere in Dio? Che Dio era maiquestobenevolo solo ai giovaniche piantava in asso i vecchi? UnDio chequando volevasi trasformava in diavoloe convertivaricchezza in povertàinfelicità in felicitàpiacere in disperazione? Tu ti diverti con noie noi ti dobbiamopregare? Dubitare di te è l'unico mezzo che ci rimaneper nonbestemmiarti! Non essere! Perchése seiti devo maledire!Strinse i pugni verso il cielo e si drizzò. Involontariamentealle sue labbra affiorò un nome odiato. Voltaire! Sìadesso era nella disposizione d'animo giusta per portare a compimentoil suo libello contro il vecchio saggio di Ferney. Compimento? Ma nocominciava soltanto adesso. Una nuova opera! Diversa! In cui quelridicolo vecchio fosse strapazzato come meritava... per la suacautelala sua superficialitàil suo servilismo. Unincredulo lui? Di cui ultimamente si diceva che avesse ottimirapporti coi preti e con la Chiesa e chenei giorni solennisiandasse addirittura a confessare?

Uneretico lui? Un chiacchieroneun vigliacco millantatorenient'altro! Era però giunta la terribile resa dei contidopola quale del grande filosofo non sarebbe rimasto nient'altro se nonun'operetta buffa. Come si era atteggiatoil buon signor Voltaire...


«Ahmio caro signor Casanovaio ce l'ho davvero con voi. Che cosa miimporta delle opere del signor Merlin? Siete voi il responsabileseho sprecato quattro ore con queste stupidaggini.» «Questionedi gustoottimo signor Voltaire! Le opere di Merlin continueranno aessere lette anche quando la "Pucelle" saràdimenticata da tempo... e saranno probabilmente apprezzati anche imiei sonettiche mi restituiste con uno spudorato sorrisosenza unasola parola in merito. Ma queste sono piccolezze. Non turbiamo unmomento importante con suscettibilità da scrittori: si trattadi filosofiaper Dio!... Incrociare le spadesignor Voltairemifaccia il piacere di non morire troppo presto.» Giàpensava di mettersi immediatamente all'opera quando gli venne inmente che il messo attendeva una risposta. E con la mano che volavavergò una lettera a quel vecchio sciocco di Bragadinounalettera carica di lusinghiera umiltà e falsa delizia: egliaccoglieva la grazia del Consiglio dei Dieci con gioiosa gratitudinee attendeva a stretto giro di posta la cambiale onde potersi gettareil più presto possibile ai piedi dei suoi benefattori masoprattutto del suo veneratissimo amico paternoBragadino. Propriomentre stava per sigillare la lettera bussarono piano alla porta: lafiglioletta più grande di Olivola tredicenneentrò eriferì che tutta la compagnia era già riunita eattendeva con impazienza il cavaliere per poter giocare. Lebrillavano stranamente gli occhi e aveva le guance arrossate; i fitticapelli da donna mandavano riflessi nero-blu sulle sue tempie; labocca infantile era semiaperta. «Hai bevuto vinoTeresina?»«Proprio così... e il signor cavaliere se ne accorgeimmediatamente?» Arrossì ancora di più ecomeimbarazzatasi passò la lingua sul labbro inferiore. Casanovala afferrò per le spallele alitò il suo respiro involto e la gettò sul letto; lei lo guardò con i suoiocchioni inermidai quali era scomparsa ogni luce; ma quando la suabocca si aprì come per gridareCasanova fece una faccia cosìminacciosa che ella quasi si irrigidì e gli lasciò faretutto quello che volle. La baciò con una tenerezza selvaggia esussurrò: «Non devi dirlo all'abateTeresinaneppurein confessione. E quandopiù tardiavrai un innamorato o unfidanzato o persino un maritonon c'è bisogno che lo sappianeppure lui. Del resto devi sempre mentire; anche al papà ealla mamma e alle tue sorellese vuoi che le cose ti vadano benesulla terra. Ricordatelo bene». Così bestemmiò; ea Teresina dovette certo sembrare una benedizione perché gliprese la mano e la baciò devotamente come quella di un prete.Egli scoppiò in una fragorosa risata. «Vieni»disse poi«vienimia piccola donnascendiamo dabbasso abraccetto!» Lei fece un po' la ritrosa ma poi accettòsorridendonon scontenta.


Eraproprio l'ora che uscissero dalla portaperché Olivo stavasalendo le scale accaldato e con le sopracciglia aggrottateeCasanova suppose subito che qualche scherzo indelicato del marchese odell'abate potesse avergli dato da pensare. I suoi tratti sirischiararono subito quando vide Casanova sulla soglia a braccettocon la piccolacome per scherzo. «Perdonatemimio ottimoOlivose vi ho fatto aspettare. Dovevo finire la mia lettera.»La porse a Olivo come prova. «Prendila»disse Olivo aTeresina mentre le carezzava i capelli un po' scompigliati«eportala al messo.» «E qui»aggiunse Casanova«ecco due monete d'orodalle a quell'uomo e digli che siaffretti affinché la lettera parta oggi stesso da Mantova perVeneziae informi la mia locandiera che stasera sarò di nuovoda lei.» «Stasera?»esclamò Olivo. «Be'vedremo»disse Casanova con condiscendenza. «E quiTeresinac'è una moneta d'oro per te»... e alleobiezioni di Olivo: «Mettila nel tuo salvadanaioTeresina: lalettera che hai in mano vale duemila ducati». Teresina corseviae Casanova annuì soddisfatto: gli procurava unparticolare divertimento pagare per i suoi servigi quella ragazzinadi cui aveva già posseduto la mamma e la nonnain presenza disuo padre.


QuandoCasanova entrò con Olivo nel salonesi era giàcominciato a giocare. Egli ricambiò con allegra dignitàgli enfatici saluti degli altri e prese posto davanti al marcheseche teneva il banco. Le finestre erano aperte verso il giardinoeCasanova udì avvicinarsi alcune voci: passarono Marcolina eAmaliagettarono una rapida occhiata dentro la salascomparvero enon si videro più. Mentre il marchese distribuiva le carteLorenzi si rivolse con grande cortesia a Casanova. «Vi faccio imiei complimenticavaliere: eravate meglio informato di quanto nonfossi ioe il nostro reggimento si mette davvero in marcia domaniprima di sera.» Il marchese parve stupito.


«Ece lo dite soltanto adessoLorenzi?» «Non è certocosì importante!» «Per me non tanto»affermò il marchese«ma per mia moglie! Non trovate?»E scoppiò in una risata rocaripugnante. «E comunqueanche per me! Ieri mi avete vinto quattrocento ducatie non mirimane abbastanza tempo per recuperarli.» «Anche a noi ilsottotenente ha vinto dei soldi»intervenne il piùgiovane dei due Ricardie il più vecchiosenza parlarealzògli occhi verso le spalle del fratello checome il giorno primaerain piedi dietro di lui. «La fortuna e le donne...»cominciò l'abate. Ma il marchese concluse: «baciano chisa come trattarle». Lorenzi sparpagliò i suoi soldidavanti a sécome sbadatamente. «Eccoli qua. Sedesideratetutti in un solo piattomarchesecosì nondovrete correre troppo dietro al vostro denaro.» Casanova provòall'improvviso una specie di compassione per Lorenzi che non seppespiegarsi bene neanche lui; ma poiché aveva una certa stimadella sua intuizionesi convinse che il sottotenente sarebbe cadutonel primo combattimento cui avrebbe partecipato. Il marchese nonaccettò quella puntata così alta; Lorenzi noninsistette e così il giococui anche gli altri preseromodestamente partecome il giorno primainiziò con puntatemoderate.


Questesi fecero più alte già nel secondo quarto d'ora; eprima che terminasse quello seguente Lorenzi aveva già perdutoi suoi quattrocento ducati col marchese. Di Casanova pareva che lafortuna non si curasse: egli vinseperse e vinse ancoraaintervalli quasi ridicolmente regolari. Quando l'ultimo ducato fuspinto verso il marcheseLorenzi tirò un respiro di sollievoe si alzò. «Vi ringraziomiei signori. Dovràpassare»e indugiò«lungo tempo prima che possagiocare ancora in questa casa accogliente. E adessomio egregioOlivoprima che io torni in cittàconsentitemi di prenderecongedo dalle signore: vorrei infatti arrivare prima del tramontoper preparare il mio equipaggiamento per domani.» Spudoratobugiardopensò Casanova. Stanotte sei di nuovo qui... conMarcolina! In lui si riaccese la collera. «Come?»esclamò il marchese di pessimo umore«mancano ancoramolte ore a sera e abbiamo già finito di giocare? SedesiderateLorenziil mio cocchiere può andare ad avvertirela marchesa che tardate.» «Sto andando a Mantova»ribatté impaziente Lorenzi. Il marchesesenza badarglicontinuò: «Abbiamo ancora tempo; tirate fuori i vostrisoldianche se sono pochi». E gli tirò una carta. «Nonho un solo ducato» disse stancamente Lorenzi. «Che cosadite mai!» «Nemmeno uno» ripeté Lorenzi comenauseato. «Che importa»esclamò il marchese inpreda a un'improvvisa gentilezzadall'effetto non gradevolissimo.«Mi dovete dieci ducatiandiamoe se necessario anche dipiù.» «Un ducatoallora»disse Lorenziprendendo le carte.


Quelledel marchese erano più alte. Lorenzi continuò agiocarecome se fosse naturalee presto fu debitore al marchese dicento ducati.


Casanovaprese il banco ed ebbe ancora più fortuna del marchese. Nelfrattempo erano rimasti in tre a giocare: oggi nemmeno i fratelliRicardi avevano sollevato obiezioni e si erano messi a guardareconOlivo e l'abate. Non fu scambiata una parola: a parlare erano solo lecartee parlavano abbastanza chiaramente. Il caso volle che tutti icontanti andassero a Casanovae un'ora dopo aveva sì vintoduemila ducati a Lorenzima venivano tutti dalle tasche delmarcheseche era rimasto senza un soldo. Casanova gli mise adisposizione quanto voleva. Il marchese scosse la testa: «Grazie»disse. «Basta così. Io ho finito di giocare.» Dalgiardino riecheggiarono le risa e le urla delle bambine. Casanova udìla voce di Teresina; era seduto con le spalle alla finestra e non sivoltò. Cercò un'ultima voltain favore di Lorenzinonsapeva neppure lui perchédi convincere il marchese a giocareancora. Questi rispose scuotendo la testa in modo ancora piùrisoluto. Lorenzi si alzò. «Mi permetteròsignormarchesedi consegnarvi personalmente l'importo di cui vi sonodebitore domani prima di mezzogiornodirettamente nelle vostremani.» Il marchese fece una risatina. «Sono curioso divedere come ve la caveretesignor sottotenente Lorenzi. Non c'èanima vivaa Mantova o altroveche vi presterebbe anche solo dieciducatifiguriamoci duemilain particolare oggi che state partendoper una campagna di guerra; e non è detto che torniate.»«Avrete il vostro denaro domani mattina alle ottosignormarchesesulla mia... parola d'onore.» «La vostra parolad'onore»rispose freddamente il marchese«non vale perme neppure un ducatoche è molto meno di duemila.» Glialtri trattennero il respiroma Lorenzi replicò soltantoapparentemente senza troppa agitazione: «Mi daretesoddisfazionesignor marchese». «Con piaceresignortenente»rispose il marchese«non appena avrete pagatoil vostro debito.» Olivodispiaciutissimointervennebalbettando un po': «Mi rendo garante per l'importosignormarchese. Purtroppo non ho sottomano abbastanza contantima c'èla mia casala mia proprietà...» e fece un goffomovimento circolare con la mano. «Non accetto la vostragaranzia»disse il marchese«per il vostro beneperchéperdereste i vostri soldi.» Casanova vide che gli sguardi ditutti erano fissi sul denaro posto davanti a lui. Se io garantissiper Lorenzipensò. Se pagassi per lui... Il marchese nonpotrebbe rifiutare... Non sarebbe quasi mio dovere? Sono pur sempresoldi del marchese. Ma tacque. Sentiva che dentro di lui stavanascendo un pianoper ora oscurocui doveva dare il tempo diprendere forma.


«Avreteil vostro denaro oggi stessoprima che cali la notte»disseLorenzi. «In un'ora sono a Mantova.» «Il vostrocavallo potrebbe rompersi il collo»replicò ilmarchese«e anche voi... magari intenzionalmente.»«Purtuttavia»intervenne involontariamente l'abate«ilsottotenente non può far apparire denaro come per magia.»I due Ricardi riseroma smisero subito. «E' evidente»disse Olivo al marchese«che dovete innanzitutto permettere alsottotenente Lorenzi di allontanarsi.» «Contro un pegno»esclamò il marchese con occhi scintillanticome se l'accadutogli procurasse un particolare piacere. «Non mi pare male»disse Casanova distrattamenteperché il suo piano stavamaturando. Lorenzi si tolse un anello dal dito e lo fece scivolaresul tavolo. Il marchese lo prese. «Questo può valeremille ducati.» «E quest'altro?» Lorenzi spinse unsecondo anello davanti al marchese. Questi annuìaffermando:«Altri mille». «Siete soddisfattoadessosignormarchese?»domandò Lorenzie fece per andarsene. «Sonosoddisfatto»rispose compiaciuto il marchese«tanto piùche questi anelli sono rubati.» Lorenzi si voltòrapidamente e alzò un pugno sul tavoloper abbatterlo sulmarchese. Olivo e l'abate gli trattennero il braccio. «Conoscoqueste due pietre»disse il marchese senza muoversi dal suoposto«anche se la montatura è diversa. Vedetemieisignorilo smeraldo ha un piccolo difettoaltrimenti varrebbe diecivolte tanto. Il rubino è perfettoma non molto grande. Questedue pietre facevano parte di un gioiello che io stesso donai a miamoglie. E poiché non posso pensare che la marchesa abbia fattomontare queste pietre come anelli per il sottotenente Lorenziesseanzi tutto il gioiello non può essere altro che rubato.


Comunque...il pegno mi bastasignor sottotenentealla prossima.»«Lorenzi!»esclamò Olivo. «Avete da noitutti la parola che nessuna anima viva saprà mai quello che èappena accaduto.» «Ma poiche cosa ha mai commesso ilsignor Lorenzi»disse Casanova. «Dei due la canagliasiete voisignor marchese.» «Voglio sperarlo»rispose il marchese. «Quando uno ha la nostra etàsignor cavaliere di Seingaltalmeno in furfanteria non si puòfar superare da nessuno. Buona seramiei signori.» Si alzònessuno rispose al suo salutoe se ne andò.


Perun po' ci fu un tale silenzio che si percepirono come eccessivamenteforti le risa delle bimbe provenienti da fuori. Chi avrebbe potutotrovare le parole adatte per giungere all'animo di Lorenziancoraimmobile accanto al tavolo col braccio sollevato?

Casanoval'unico a essere rimasto seduto al suo postoprovò uninvolontario piacere estetico nell'osservare questo gesto ormaiassurdocome pietrificato ma nobilmente minacciosoche parevatrasformare il giovane in una statua. Infine Olivo gli si rivolse conun gesto come di pacificazione; si avvicinarono anche i Ricardiel'abate parve volere decidersi a parlare; allora le membra di Lorenzifurono scosse come da un leggero tremito; un gesto imperioso esdegnato impedì ogni tentativo di ingerenza econ un cortesecenno del capoegli lasciò la stanza senza fretta. Nelmedesimo istante si alzò anche Casanovache aveva raccoltol'oro sparso davanti a lui in un fazzoletto di setae lo seguì.Sentivapur senza vedere le espressioni degli altriche tuttipensavano si stesse affrettando a fare quello che si erano attesi pertutto il tempoche mettesse cioè la somma vinta adisposizione di Lorenzi.


RaggiunseLorenzi nel viale di ippocastani che portava da casa al castelloedisse in tono leggero: «Mi permetterestesottotenente Lorenzidi unirmi alla vostra passeggiata?». Lorenzisenza guardarlorispose in tono un po' altezzosoper niente adeguato alla suasituazione: «Come meglio vi aggradasignor cavaliere; ma temoche non troverete in me un compagno che faccia conversazione».«Ma forse sarete voisottotenente Lorenzia trovarne uno inme»disse Casanova«e se siete d'accordoprendiamo ilsentiero su per le vignedove potremo chiacchierare indisturbati.»Lasciarono la via maestra su quello stesso sentiero lungo il muro dicinta che Casanova aveva percorso il giorno prima con Olivo. «Voipresumete giustamente»così esordì Casanova«che io abbia intenzione di offrirvi la somma di denaro chedovete al marchese; non a mo' di prestito perché - miperdonerete - mi pare un affare un po' troppo rischiosoma comericompensa - a dire il vero non di pari valore - per un piacere cheforse sarete in grado di farmi.» «Vi ascolto»disse freddamente Lorenzi. «Prima che vada avanti»riprese Casanova nello stesso tono«mi trovo costretto a porreuna condizione dalla cui accettazione da parte vostra dipende laprosecuzione di questo colloquio.» «Sentiamo questacondizione.» «Pretendo la vostra parola d'onore che miascolterete senza interrompermi anche se quanto ho da dirvisuscitasse la vostra sorpresa o la vostra riprovazione o anche lavostra collera.


Stacompletamente a voisottotenente Lorenzise poi accettare o meno lamia propostasul cui carattere insolito non nutro nessun dubbio; mala risposta che mi attendo da voi è soltanto un sì o unnoe qualunque essa sianessuno saprà mai niente di quantoqui è stato trattato tra due uomini d'onore che sono forseentrambi anche perduti.» «Sono pronto ad ascoltare lavostra proposta.» «E accettate la mia condizione?»«Non vi interromperò.» «E non mi daretealtra risposta se non un sì o un no?» «Nient'altrose non sì o no.» «Benissimo»disseCasanova. E mentre lentamente risalivano la collinatra i vitignisotto un afoso cielo pomeridianoCasanova cominciò:«Affrontiamo la questione partendo dalle leggi della logicacosì ci intenderemo meglio. Evidentemente non avetepossibilità alcuna di procurarvi il denaro che dovete almarchese entro il termine da lui stabilito; e nel caso in cui non lofacciatenon c'è dubbio che egli sia ben deciso adannientarvi. Poiché sa di voi più (qui Casanova azzardòun po' più del dovutoma egli amava queste piccole avventurenon del tutto prive di pericoli su una strada per il restopredeterminata) di quanto ci abbia oggi rivelatovoi siete davverocompletamente nelle mani di questa canagliae il vostro destino diufficiale e di nobiluomo sarebbe segnato. Questo è un latodella cosa.


Percontro sarete salvo non appena avrete saldato il vostro debito eavrete di nuovo in mano gli anellicomunque siano venuti in vostropossesso; e questo non è meno importanteper voipoichétornate padrone di un'esistenza con la quale avevate giàchiusoun'esistenzapoiché siete giovanebello e arditopiena di splendorifelicità e fama. Una tale prospettiva misembra abbastanza magnificain particolare se dall'altra parte nonc'è altro che un tramonto senza famaanzi deprecabilepersacrificarla a un pregiudizio che personalmente non si è mainutrito. Io soLorenzi» aggiunse rapidamentecome se stessearrivando un'obiezione e la volesse prevenire«che voi nonavete pregiudizicome non ne ho mai avuti io; quello che intendochiedere a voi è cosa che io stessoal vostro posto e nellestesse circostanzenon esiterei un attimo a esaudirecome del restonon mi sono mai tirato indietroquando lo volevano il destino oanche solo il mio umorea commettere una canagliatao meglio ciòche i folli di questo mondo amano definire così. Anch'ioLorenzicome voisono stato pronto in ogni momento a giocarmi lavita per meno di nientee questo pareggia tutto. Lo sono ancheadessonel caso in cui la mia proposta non vi piaccia. Noi siamofatti della stessa stoffaLorenzisiamo fratelli di spiritoe cosìle nostre anime possono stare l'una davanti all'altra senza falsipudoriorgogliose e nude. Ecco i miei duemila ducati - anzi ivostrise permetterete che io trascorra questa notte con Marcolinaal posto vostro. Non fermiamociLorenzicontinuiamo a camminare».


Proseguironotra i campitra i bassi alberi da fruttoinsinuandosi tra le viticariche di grappoli; Casanova continuava a parlare. «Non mirispondete ancoraLorenzinon ho finito. Le mie pretese sarebberonaturalmentese non sacrileghequanto meno prive di prospettive equindi assurdese voi aveste intenzione di fare di Marcolina lavostra sposao se la stessa Marcolina orientasse le sue speranze e isuoi desideri in questa direzione. Ma come la scorsa notte èstata la vostra prima notte d'amore (espresse anche questa suacongettura come un'incrollabile certezza)così quella venturaè destinata a esseresecondo ogni calcolo umano ma puresecondo le intenzioni vostre e di Marcolinala vostra ultimapermolto tempo e probabilmente per sempre: e io sono convinto che lastessa Marcolinaper salvare il suo amato da una rovina sicurasarebbe pronta senza indugiose lui lo desiderassea concederequesta notte al suo salvatore. Perché anche lei è unafilosofae quindi come noi libera da pregiudizi. Ma per quanto iosia certo che supererebbe questa provanon ho assolutamenteintenzione di imporgliela. Perché possedere una donna che nonmi vuole e che intimamente mi rifiuta è cosa chein questocasonon soddisferebbe le mie esigenze. Non solo come amantemacome amatovoglio godere una felicità chealla finemi pareabbastanza grande da essere pagata con la vita. Comprendetemi beneLorenzi. Per ciò Marcolina non deve neppure presagire che sonoio a stringere il suo seno celestiale: deve essere convinta di nonavere tra le sue braccia altri che voi. Preparare questa illusione èaffar vostro; mantenerlaaffar mio. Non avrete particolaridifficoltà a farle capire che dovete partire prima che facciagiorno; né sarete in imbarazzo a trovare una scusa per ilfatto che la farete felice senza parlare. Del restoper escludereanche ogni pericolo di una scoperta successivaa un certo momentofingerò di aver udito un rumore sospetto fuori dalla finestraafferrerò il mio mantelloanzi il vostroche naturalmente midovrete prestare alla bisognae scomparirò dalla finestraper non farmi vedere mai più. Perché naturalmenteinapparenzapartirò oggi stessopoi col pretesto di averedimenticato documenti importanti a metà strada faròtornare indietro il cocchiere e mi introdurrò nel giardinodalla porta di dietro - la copia della chiave me la darete voiLorenzi - fino alla finestra di Marcolinache si aprirà amezzanotte. Di abitocalze e scarpe mi sarò sbarazzato incarrozzae indosserò soltanto il mantellocosicchéalla mia precipitosa fuga non rimanga niente che possa tradire me ovoi. Il mantello lo riavrete domani mattina alle cinque nella mialocanda di Mantovainsieme ai duemila ducatiin modo che possiatescagliare questa somma ai piedi del marchese prima ancora dell'orastabilita. In questo senso avete il mio solenne giuramento. E adessoho finito.» Tutto a un tratto si fermò. Il soleinclinava al tramontouna brezza leggera carezzava le spighe giallee un rossiccio chiarore vespertino circondava la torre della casa diOlivo. Anche Lorenzi si fermò; sul suo volto pallido non simuoveva un muscoloe guardava immobile lontanooltre le spalle diCasanova. Le braccia gli pendevano fiacchementre la mano diCasanovache era pronto a tuttoera casualmente finita sull'elsadella spada. Trascorsero alcuni secondi senza che Lorenzi recedessedalla sua rigida postura e dal suo silenzio. Sembrava immerso in unatranquilla riflessione; ma Casanova rimase all'ertae proseguìtenendo con la destra il fazzoletto coi ducati e con la sinistral'elsa della spada: «Avete rispettato la mia condizionecomeun uomo d'onore. So che non vi è stato facile.


Infattianche se non abbiamo pregiudizil'atmosfera in cui viviamo èda essi così avvelenata che non possiamo sottrarcicompletamente alla loro influenza. E come voiLorenzinel corsodell'ultimo quarto d'ora siete stato più volte in procinto disaltarmi alla golacosì io - lo devo ammettere - ho giocatoun po' con l'idea di regalarvelii duemila ducaticome a un amiconoal mio amicoperché raramente ho provato per una personasin dal primo istanteuna simpatia così enigmatica come pervoi. Ma se avessi ceduto a questo generoso istintome ne sareiprofondamente pentito all'istante stessoproprio come voiLorenziprima ancora di cacciarvi la palla in testaavreste disperatamentericonosciuto che eravate stato un folle senza pari a gettare viamille notti d'amore con donne sempre nuove per un'unica notte cui nonsarebbe seguita nessuna notte... e nessun giorno».


Lorenzitaceva ancora; il suo silenzio durò secondiduròminutie Casanova si chiese per quanto tempo aspettare ancora. Stavagià per allontanarsi con un breve salutoindicando cosìche considerava la sua proposta respintaquando Lorenzisempremutocon un movimento tutto fuorché rapido infilò lamano nella tasca della giacca e porse a Casanovache nello stessoistante era indietreggiato di un passo come per abbassarsiora comeprima pronto a tuttola chiave del giardino.


Ilmovimento di Casanovache aveva pur sempre espresso un moto dipaurafece apparire sulle labbra di Lorenzi un sorriso di schernoche subito scomparve. Casanova seppe reprimereanzi nasconderelasua crescente collerail cui effettivo scoppio avrebbe potutorovinare tuttoe prendendo la chiave con un leggero cenno del caposi limitò a notare: «Posso bene farlo valere per un sì.Tra un'ora esatta - nel frattempo sarete riuscito a parlare conMarcolina - vi aspetto nella camera della torredove mi permetteròdi consegnarvi immediatamente i duemila ducatiin cambio del vostromantello. In primo luogo come segno della mia fiducia e in secondoluogo perché non saprei davvero dove custodire il denaro perla notte». Si separarono senza altre formalità; Lorenziriprese la strada da cui erano venuti assiemeCasanova un'altraperil villaggio vicinodove con una copiosa caparra si assicuròalla locanda che una vettura lo aspettasse alle diecidavanti allacasa di Olivoper portarlo a Mantova.


Pocodoponon prima di aver riposto il denaro in un posto sicuro nellacamera della torreentrava nel giardino di Olivodove gli si offrìuna vista che in sé non aveva niente di singolare ma chenell'atmosfera di quell'oralo commosse in modo abbastanza strano.Su una panchinasul bordo del pratoera seduto Olivo con Amaliacon un braccio intorno alle spalle di lei; ai loro piedi eranoaccucciate le bambinecome spossate dai giochi del pomeriggio; lapiù piccolaMariaaveva appoggiato la testa sul grembo dellamamma e pareva assopita. Nanetta era sdraiata sul pratoai suoipiedicon le braccia sotto la nuca; Teresina era appoggiata alleginocchia del padrele cui dita giocavano teneramente con i suoicapelli; e quando Casanova si avvicinòdagli occhi di lei nonlo salutò assolutamente uno sguardo di desiderio e di intesacome involontariamente si aspettavama un aperto sorriso diconfidenza infantilecome se quel che era accaduto tra lei e luipoche ore prima non fosse stato nient'altro che un gioco da nulla. Itratti di Olivo si accesero gentilmente quando lo vide avvicinarsieAmalia gli fece un cenno cordiale e grato. Entrambi lo accoglievanoCasanova non ne dubitavacome si fa con qualcuno che abbia compiutouna nobile azione e che al tempo stesso si aspetti che gli altriabbiano la delicatezza di evitare di farne parola. «E' propriovero»domandò Olivo«che ci abbandonate giàdomanimio caro cavaliere?» «Non domani»risposeCasanova «ma - come vi ho detto - stasera.» E poichéOlivo stava per sollevare una nuova obiezioneproseguìscrollando le spallecome rammaricandosi: «La lettera che horicevuto oggi da Venezia non mi lascia altra scelta. L'invitogiuntomi è così onorevolesotto ogni punto di vistache ogni rinvio del mio ritorno significherebbe una perversaanziimperdonabile scortesia nei confronti dei miei alti benefattori».Chiese al tempo stesso licenza di potersi ritirare per prepararsialla partenza e poter così trascorrere indisturbato le ultimeore della sua permanenza nella cerchia dei suoi cari amici.


Esenza ascoltare tutte le obiezioni tornò in casasalìle scale fino alla stanza della torre eprima di tuttosi cambiòl'abito elegante con quello più sempliceche sarebbe andatobene per il viaggio. Poi rifece la sacca da viaggio econun'attenzione che si faceva più vibrante di minuto in minutotese le orecchie ai passi di Lorenzi.


Ancorprima del termine prestabilito si udì un leggero colpo allaporta ed entrò Lorenzicon un ampio mantello blu dacavaliere. Senza dire una parolase lo fece scivolare dalle spallecon un movimento lievecosicché tra i due uomini si venne atrovaresul pavimentoun informe cumulo di stoffa. Casanovaestrasse i suoi ducati dall'imbottitura del letto e li sparse sultavolo. Li contò accuratamente davanti agli occhi di Lorenzicosa che fu abbastanza rapida perché molte monete erano da piùdi un ducatoconsegnò a Lorenzi la somma convenutadopoaverla distribuita in due borsellinial che gli rimasero ancoracirca cento ducati. Lorenzi mise i borsellini nelle due tasche dellagiaccae stava per allontanarsi senza dire una parola. «AltolàLorenzi»disse Casanova«è pur semprepossibile che ci incontriamo ancoranella vita. Che sia senza astio.E' stato un affare come un altrosiamo pari»e gli porse lamano. Lorenzi non la strinsema pronunciò le prime parole.«Non ricordo»disse«che anche questo fosseprevisto dal nostro patto.» Si girò e se ne andò.


Siamoa posto cosìamico mio? pensò Casanova. Posso esserquindi certoa maggior ragioneche non mi hai defraudato. A dire ilvero non aveva mai pensato seriamente a questa possibilità:sapeva per esperienza personale che la gente come Lorenzi aveva unsenso dell'onore molto particolarele cui leggi non eranosuddivisibili in paragrafi ma sulle qualinei singoli casinon sipoteva avere dubbi.


Sistemòil mantello di Lorenzi in cima alla sua sacca da viaggio e la chiuse;si nascose addosso il denaro che gli restavacontrollòdappertutto la sua cameradove non avrebbe mai rimesso piedee conspada e cappellopronto per partiresi recò nel salonedovetrovò Olivo già seduto a tavola con la moglie e lefiglie. Marcolinaproveniente dal giardinoentrò insieme aluidall'altra partecosa questa che Casanova interpretòcome un segno favorevole del destinoe rispose al suo saluto con undisinvolto cenno del capo. Fu servita la cena; la conversazionedapprima stentòcome rallentata dall'atmosfera dell'addio.Amalia sembrava occuparsi particolarmente delle figliesempreattenta che non riempissero troppo o troppo poco i loro piatti.


Olivosenza un motivo plausibileparlò di un insignificanteprocesso con un suo vicino che si era concluso in suo favore e di unviaggio d'affari che l'avrebbe tra poco condotto a Mantova e aCremona.


Casanovaespresse la speranza di poter rivedere l'amico a Venezia tra nonmolto. Tra l'altroche strana coincidenzaOlivo non c'era maistato. Amalia aveva visitato quella città meravigliosa moltianni primada bambina; come fosse statonon avrebbe piùsaputo dirlo; ricordava soltanto un vecchio signore avvolto in unmantello rosso scarlatto che era sceso da un'imbarcazione nera diforma allungataaveva inciampato ed era caduto disteso. «Neppurevoi conoscete Venezia?»domandò Casanova a Marcolinache era seduta proprio davanti a lui e guardava la profonda oscuritàdel giardino dietro le spalle di lui. Lei scosse la testasenza unaparola. E Casanova pensò: se te la potessi mostrarela cittàin cui sono stato giovane!

Ohse tu fossi stata giovane con me... E gli venne un altro pensieroquasi assurdo quanto quello: e se adesso ti portassi via con me? Mamentre tutto ciò attraversava inespresso la sua animaavevagià cominciato a parlare della città della sua gioventùcon quella leggerezza che gli era data anche nei momenti di piùforte agitazione interiore: con tanta artificiosità efreddezza come se si fosse trattato di descrivere unquadrofinchériscaldando involontariamente il tonogiunse aparlare della storia della sua vitae si trovòimprovvisamente con la sua persona in mezzo a quel quadrochesoltanto adesso cominciò a vivere e a rilucere. Parlòdi sua madrecelebre attrice per la quale il grande Goldonisuoammiratoreaveva composto l'eccellente commedia "La pupilla";raccontò poi del suo squallido soggiorno nella pensionedell'avaro dottor Gozzidel suo amore infantile per la figliolettadel giardiniereche poi era scappata con un lacchè; della suaprima predica da giovane abatedopo la quale aveva trovato nelborsello del sacrestano non solo le solite monetema anche qualchedolce letterina; delle mascalzonate che era solito combinareconalcuni compagni animati dagli stessi sentimentiquand'era violinistanell'orchestra del teatro di San Samuelemascherato o senzamascheraper callimescitesale da gioco e da ballo; ma anche diquesti tiri spavaldi e talvolta davvero inquietanti riferìsenza adoperare una sola parola sgradevoleanzi in modopoetico-trasfigurantequasi volesse avere riguardo delle bimbechependevano dalle sue labbra come gli altriMarcolina non esclusa. Mail tempo passava e Amalia mandò le figlie a letto. Prima cheandassero Casanova le baciò tenerissimamenteTeresina come ledue più piccolee tutte dovettero promettergli di andarlopresto a trovare a Veneziacon i genitori.


Quandole bambine se ne furono andate poté controllarsi di menomacontinuò il suo racconto senza ambiguità e soprattuttosenza vanità di qualunque sortacosì che pareva disentire più il racconto di un pazzo sentimentale deditoall'amore che quello di un seduttore e avventuriero pericoloso esfrenato. Parlò della splendida sconosciuta che per settimaneaveva viaggiato con lui travestita da ufficiale e una mattina eraimprovvisamente scomparsa dal suo fianco; della figlia del nobileciabattino di Madrid chetra un abbraccio e l'altroaveva cercatodi fare di lui un cattolico fervente; della bella ebrea LiadiTorinoche andava a cavallo meglio di qualsiasi principessa; delladeliziosa e innocente Manon Ballettil'unica che aveva quasisposato; della scadente cantante che aveva fischiato a Varsavia dopodi che aveva dovuto battersi a duello col suo amanteil generaledella corona Branitzkye poi fuggire dalla città; dellamalvagia e miserabile Charpillonche a Londra l'aveva trattato dapazzo; di un viaggio notturno nella bufera attraverso la lagunafinoa Muranodalla sua monaca adorataviaggio che gli era quasi costatola vita; del giocatore Croce chedopo aver perduto un patrimonio aSpaaveva preso congedo da lui in lacrimesulla via maestrae siera messo in cammino verso Pietroburgo: così com'erain calzedi setagiacca di velluto verde mela e bastoncino di bambù inmano. Raccontò di attricicantantimodistecontesseballerinecameriere; di attoriufficialiprincipiambasciatorifinanzierimusicisti e avventurieri; e cosìstraordinariamente fu avvinto dalla magia del suo stesso passatomagia che per quanto esso fosse irrimediabilmente trascorso adessorisentivacosì completo era il trionfo delle sue splendideesperienze sulle misere ombre di cui poteva vantarsi il suo presenteche era quasi sul punto di raccontare la storia di quella fanciullagraziosa e pallida che gli aveva confidatonella penombra di unachiesa di Mantovale sue pene d'amoresenza pensare che quellastessa creaturadi sedici anni più vecchiaera sedutadavanti a lui a tavolamaritata al suo amico Olivoquando lacameriera goffamente entrò e avvertì che davanti alcancello era pronta la carrozza. E subitocon il suo incomparabiledono di raccapezzarsi senza indugio nel sogno e nella vegliaogniqual volta fosse necessarioCasanova si alzò per prenderecongedo. Invitò ancora cordialmente Olivoal quale perl'emozione mancavano le parolea visitarlo con moglie e figlie aVeneziae lo abbracciò; quando si avvicinò ad Amaliacon la stessa intenzioneessa si scostò leggermente e gliporse solo la manoche egli baciò con venerazione.


Quandosi rivolse a Marcolinaquesta gli disse: «Tutto quello che ciavete raccontato stasera - e altro ancora--dovreste scriverlosignorcavalierecome avete fatto per la vostra fuga dai Piombi».«Dite sul serioMarcolina?»domandò lui colritegno di un giovane scrittore.


Leisorrise con lieve ironia. «Presumo»disse«che untale libro sarebbe ancora più interessante del vostro libellocontro Voltaire.» E' probabile che sia veropensò luisenza dirlo. Chissà che un giorno o l'altro non segua il tuoconsiglio? E tu stessaMarcolinane sarai l'ultimo capitolo. Questaideao più ancora il pensieroche quest'ultimo capitolosarebbe stato vissuto nel corso della notte a venirefecelampeggiare così stranamente il suo sguardo che Marcolinalasciò scivolare da quella di lui la mano che gli aveva portoper salutarlo prima ancora che luiinchinandosifosse riuscito aimprimervi un bacio. Senza far notare alcunchéfossedelusione o astioCasanova si voltò per andaredando aintendere con uno di quei gesti chiari e semplici che soltanto a luiriuscivano così bene che non voleva essere accompagnato danessunoneppure da Olivo.


Siaffrettò per il viale di ippocastani a rapidi passi; diede unamoneta d'oro alla cameriera che aveva portato la sua sacca da viaggioin carrozzasalì e partì.


Ilcielo era carico di nubi. Dopo aver lasciato il villaggiodietro lecui povere finestre si intravedeva ancoraqua e làqualchelucinaa brillare nella notte fu soltanto la lanterna gialla fissatadavantisul timone. Casanova aprì la sacca da viaggio depostaai suoi pieditirò fuori il mantello di Lorenzi edopoesserselo drappeggiato addossosi spogliò sotto la suaprotezionecon tutta la cautela del caso. Chiuse nella sacca gliabiti che si era toltoanche calze e scarpee si avvolse bene nelmantello. A quel punto gridò al cocchiere: «Ehidobbiamo tornare indietro!». Il cocchiere si voltòseccato. «Ho lasciato in quella casa le mie carte. Mi senti?Dobbiamo tornare indietro.» E poiché quelloun uomoscontentomagrodalla barba grigiasembrava esitare: «Nonpretendo certo che tu lo faccia gratis. Tieni!». E gli mise inmano una moneta d'oro. Il cocchiere annuìmormoròqualcosa eassestando al cavallo una frustata del tutto superfluagirò la carrozza. Quando riattraversarono il villaggio le caseerano tutte mute e spente. Ancora un breve tratto lungo la viamaestrae il cocchiere stava per imboccare la stradina piùstretta leggermente in salita che conduceva a casa di Olivo.


«Alt!»gridò Casanova«non avviciniamoci troppoaltrimenti lisvegliamo. Aspetta qui sull'angolo. Torno presto... E se ci mettessiun po' di piùogni ora vale un ducato!» A questo puntol'uomo credette di sapere di che cosa si trattava; Casanova lo notòdal modo in cui annuì con la testa. Scese e si affrettòpresto scomparendo agli occhi del cocchierefino al cancello chiuso;seguì poi il muro fino al punto in cui piegava ad angolo rettoverso l'alto e imboccò il viottolo tra le vigneche seppetrovare facilmenteavendolo percorso due volte alla luce del giorno.Si tenne vicino al muro e lo seguì anche dovea circa metàdella collinapiegava di nuovo ad angolo retto. Camminava ora sulsoffice pratonel buio di quella notte coperta; doveva ora fareattenzione a non mancare la porta del giardino. Andò tastonilungo la recinzione di pietra liscia finché le sue dita nonsentirono il rozzo legno; a quel punto riuscì a distinguerechiaramente anche i sottili contorni della porta. Infilò lachiave nella serraturasubito trovatal'aprìentròin giardino e richiuse la porta dietro di sé. Al di làdel prato vide svettare la casa con la torre a una distanzaimprobabile e a un'altezza altrettanto improbabile. Rimase un po'fermoguardandosi intorno:

perchéquelle che per altri occhi sarebbero state tenebre impenetrabilierano per i suoi soltanto una profonda penombra. Invece di procederesul vialela cui ghiaietta gli faceva male ai piedi nudiosòprocedere sul pratoche inghiottiva il rumore dei suoi passi.Credeva di volaretanto era leggero il suo passo. Ero diversopensòquando percorrevo simili strade a trent'anni? Nonsentocome allorascorrere nelle mie vene tutto l'ardore deldesiderio e tutta la linfa della giovinezza? Non sono oggi Casanovacome lo ero allora?... E giacché sono Casanovaperchénon dovrebbe fallirecon mequell'orrida legge alla quale sonosoggetti gli altri e che si chiama invecchiare? E facendosi semprepiù ardito si domandò: perché mi insinuo daMarcolina mascherato? Casanova non è più di Lorenzianche se è di trent'anni più vecchio? E non sarebbe leidonna da concepire l'inconcepibile? Era necessario commettere unapiccola canagliata e indurre un altro a commetterne una ben piùgrande? Con un po' di pazienza non avrei raggiunto lo stesso scopo?Lorenzi domani parteio sarei rimasto... Cinque giorni... treesarebbe stata miaconsapevolmente mia. Era schiacciato contro ilmuro della casaaccanto alla finestra di Marcolinaancora benchiusae i suoi pensieri continuavano a volare. E' davvero troppotardi? Potrei tornaredomanidopodomani... e iniziare la mia operadi seduzioneda uomo d'onoreper così dire. Questa nottesarebbe un'anticipazione delle prossima. Ma Marcolina non avrebbe maidovuto sapere che oggi ero ioo comunque soltanto più tardimolto più tardi.


Lafinestra era sempre chiusa; anche dietro non si muoveva niente.


Mancavaancora qualche minuto a mezzanotte. Doveva farsi notare in qualchemodo? Forse bussare piano alla finestra. Poiché non avevanoconcordato niente del genereforse la cosa avrebbe potuto farnascere in Marcolina qualche sospetto. Aspettarequindi. Non potevamancare molto. Fu colto dal pensiero - e non era la prima volta - chelo avrebbe riconosciuto subitosvelando l'inganno prima che fossecompiuto: un pensiero fugacissimoquasi la naturaleragionevoleconsiderazione di una possibilità che sfumavanell'improbabilepiù che un serio timore. E gli venne inmente un'avventura piuttosto ridicola successa vent'anni prima:quella con la bruna vecchia di Solettacon cui aveva trascorso unanotte deliziosa convinto di possedere una giovane bella e adorata eche per giuntail giorno dopolo aveva schernito con una spudoratalettera per quell'errore da lei estremamente desiderato e favoritocon ogni astuzia. Nel ricordare fu assalito dalla nausea: non avrebbeproprio dovuto pensarciadessoe scacciò quell'immagineobbrobriosa. Be'era finalmente mezzanotte?

Quantodoveva rimanerci ancoraschiacciato contro quel murogelando nelfreddo della notte? O addirittura aspettare invano? Esseredefraudatodopo tutto? Duemila ducati per niente? E Lorenzi con leidietro la tenda? Prendendosi gioco di lui? Involontariamente strinsela spada che teneva sotto il mantellosopra il suo corpo nudo. Da untipo come Lorenzi ci si dovevano aspettarein fondoanche lesorprese più penose. Ma poi... in quell'istante udì unleggero scricchiolio: sapeva che la grata della finestra di Marcolinasi stava muovendo; subito dopo si spalancarono i due battentimentrela tenda rimaneva ancora tirata. Casanova rimase qualche secondoimmobilefinché la tendatirata da mano invisibilesi alzòda una parte: per Casanova fu il segno di lanciarsi oltre ildavanzalenella stanzae di chiudere subito dietro di séfinestra e grata. La tenda che era stata tirata ricadde sulle suespalletanto che egli fu costretto a uscirne strisciandoe sisarebbe trovato nella più completa oscurità se dalfondo della stanzaquasi risvegliato dal suo stesso sguardounopaco bagliore non gli avesse mostrato la strada. Soltanto tre passie fu accolto da braccia che lo desideravano ardentemente; si lasciòscivolare la spada di mano e il mantello dalle spalle e sprofondònella sua felicità.


Dall'abbandonoe dai sospiri di Marcolinadalle lacrime di beatitudine che baciòsulle sue guancedall'ardore sempre nuovo con cui accoglieva le suetenerezze si accorse ben presto che lei condivideva il suo rapimentoche gli pareva più elevato di ogni altro mai godutoanzi ditipo nuovodiverso. Il piacere diventava devozionela piùprofonda ebbrezza diventava vigilanza senza eguale:

quiera finalmente quanto già spessoabbastanza stoltamenteaveva creduto di viveree che pure non aveva mai vissuto davvero:

l'appagamentoera sul cuore di Marcolina. Teneva tra le braccia la donna alla qualepoteva dare tutto se stesso per sentirsi inesauribile: sul suo senol'istante dell'ultimo abbandono e del nuovo desiderio coincidevano inun'unicainimmaginata voluttà dell'anima.


Suqueste labbra non erano la stessa cosa vita e mortetempo edeternità? Non era egli un dio? Gioventù e vecchiaiasolo una favola inventata dagli uomini? Patria ed esterosplendore emiseriafama e oblio: distinzioni prive di essenza a uso dei senzafamadei solidei vanidiventate assurde se si era Casanova e siera trovata Marcolina? Indegnaanzi di minuto in minuto piùridicola gli pareva l'idea di fuggire da questa splendida notte comeun ladrosenza una parolasenza farsi riconoscerefedele a unproposito preso vilmente poco prima. Nell'infallibile sensazione diaver dato felicità come ne aveva ricevutasi credeva giàdeciso a rischiare e a fare il suo nomeper quanto fosse coscientedi giocare altoa un gioco chese avesse perdutoavrebbe dovutoessere pronto a pagare con l'esistenza.


Intornoa lui c'era ancora buio fittoe poteva posticipare la suaconfessionedalla cui accoglienza da parte di Marcolina dipendeva ilsuo destinola sua stessa vitafino a quando dalla spessa tenda nonpenetrassero le prime luci dell'aurora. Ma questo stare insiememutoe beatodolce e perdutonon era fatto apposta per legare Marcolinaa lui più indissolubilmente di bacio in bacio? Quel che erasorto come inganno non diventava verità nell'ineffabilerapimento di questa notte? Non era percorsaleila raggiratal'amatal'unicada un brividoun presagio che non fosse Lorenziil giovanela canagliama Casanovaai cui ardori divini si stavaabbandonando? E così cominciò a ritenere possibile cheil momento tanto anelato e tuttavia temuto della confessione glisarebbe stato totalmente risparmiato; sognò che Marcolinastessapalpitanteavvintaliberatagli avrebbe sussurrato il suonome. E poiquando l'avesse così perdonatonoquando avesseaccolto il perdono di luivoleva portarla via con sésubitoin quella stessa ora: lasciare con lei quella casa nel grigiore delprimo mattinosalire con lei sulla carrozza che attendeva sullacurva della strada... andarsene con leitenerla sempre con sécoronare così l'opera di una vitaavendo conquistato conl'enorme potenza del suo inestinguibile esserenegli anni in cui glialtri si accingono a una triste vecchiaiala più giovanelapiù bellala più intelligentee avendola fatta suaper sempre. Perché questa era sua come nessuna prima di lei.Scivolava con lei per stretti canali misteriositra palazzi alla cuiombra era di nuovo a casatra ponti arcuati sui quali guizzavanofigure scure; alcune gli facevano un cenno dalla spalletta escomparivano prima che potesse scorgerle. Adesso la gondolaattraccava; gradini di marmo portavano nella magnifica casa delsenatore Bragadinol'unica illuminata a festa; giù e su perle scale correvano figure mascheratee alcune si fermavanocuriosema chi poteva riconoscere Casanova e Marcolinadietro le loromaschere? Entrò con lei nella saladov'era in corsoun'importante partita a carte. Tutti i senatorianche Bragadinoneiloro mantelli purpureierano allineati intorno al tavolo. Quandoentrò Casanovasussurrarono tutti il suo nomecome in predaal terroreperché l'avevano riconosciuto dal lampo dei suoiocchi dietro la maschera. Egli non si sedettenon prese le cartemagiocò. Vinsevinse tutto l'oro che era sul tavoloma eratroppo poco: i senatori dovettero firmare cambialiperdendo il loropatrimonioi loro palazzii loro mantelli color porpora... eranomendicantigli strisciavano intorno a grappoligli baciavano lemanie accantoin una sala rosso scuroc'erano musica e danze.Casanova voleva danzare con Marcolinama se n'era andata. I senatoricoi loro mantelli purpurei erano di nuovo seduti intorno al tavolocome prima; ma ora Casanova sapeva che non si trattava di carte ma diimputaticriminali e innocentiil cui destino era in gioco. Dov'eraMarcolina? Non l'aveva tenuta tutto il tempo stretta per il polso? Siprecipitò giù per le scalela gondola attendeva;allora avantiavantiattraverso l'intrico dei canalinaturalmenteil gondoliere sapeva dove si trovava Marcolina: ma perché eramascherato anche lui? Un tempo ciò non era comune a Venezia.Casanova voleva dirglieloma non osò. Si diventa cosìvili da vecchi? E sempre avanti: che città enorme si era fattaVeneziain questi venticinque anni! Finalmente le case arretravano eil canale si faceva più largo: scivolavano tra le isolelàsvettavano le mura del monastero di Murano in cui si era rifugiataMarcolina. La gondola non c'era più - adesso c'era da nuotare- com'era bello! E' veronel frattempo i bambini di Veneziagiocavano con le sue monete d'oro: ma che cosa gliene importavadell'oro?...


L'acquaera ora caldaora fresca; mentre si arrampicava su per il muro gligocciolava dai vestiti. Dov'è Marcolina? domandò nelparlatorio a voce alta e sonantecome può domandare unprincipe. La chiameròdisse la badessa-duchessae sprofondò.Casanova prese a volaresbattendo le aliavanti e indietro lungo lesbarre della gratacome un pipistrello. Se avessi saputo che sovolare. Lo insegnerò anche a Marcolina. Dietro le sbarre silibravano figure femminili. Suorema indossavano tutte abitiborghesi. Egli lo sapeva per quanto non le vedesse affattoe sapevaanche chi fossero. C'erano Henriettela sconosciutae la ballerinaCorticelli e Cristinala sposae la bella Dubois e la maledettavecchia di Soletta e Manon Balletti... e altre centomancava soloMarcolina! Mi hai ingannatogridò al gondoliere che aspettavanella gondola; non aveva mai odiato nessuno sulla terra come lui egiurò a se stesso di infliggergli una raffinata vendetta. Manon era una follia aver cercato Marcolina in un monastero di Muranoquando lei si era recata da Voltaire? Che bello che sapesse volare:non avrebbe più potuto permettersi una carrozza. E nuotòvia: ma non era più felice come aveva pensato; faceva freddo esempre più freddoavanzava in mare apertolontano da Muranolontano da Venezia; tutt'intorno non una navee il suo abito pesantericamato d'oro lo tirava sotto; cercò di sbarazzarsenema eraimpossibile perché teneva in mano il suo manoscrittoquelloche doveva consegnare al signor Voltaire: gli entrò acquanella bocca e nel nasofu sopraffatto da un'angoscia mortaletesele manirantològridò e aprì faticosamente gliocchi.


Dauna sottile fessura tra tenda e telaio della finestra era penetratoun raggio di luce dell'aurora. Marcolinaavvolta nella sua biancacamicia da notteche teneva chiusa sul seno con ambo le manieraferma ai piedi del letto e osservava Casanova con uno sguardo diindicibile orroreche lo svegliò subitoe completamente.


Involontariamentequasi in un gesto di implorazionetese le mani verso di lei.Marcolinaquasi a risponderelo respinse con un movimento dellamano sinistramentre con la destra stringeva ancora piùspasmodicamente la sua veste sul seno. Casanova si alzò ametàappoggiandosi con entrambe le mani al giaciglioe lafissò. Riusciva tanto poco a distogliere lo sguardo da leicome lei da lui. In quello di lui c'erano collera e vergognainquello di lei vergogna e orrore.


ECasanova sapeva come lei lo vedevaperché lui stesso sivedeva nello specchio dell'ariaper così diree si scorgevacome si era visto ieri allo specchio appeso nella camera della torre:un volto giallo e cattivo con rughe profondamente scavatelabbrasottiliocchi penetranti... per giunta triplicemente devastato dalledissolutezze della notte passatadall'affannoso sogno del mattinodal terribile riconoscimento del risveglio. E quanto lesse nellosguardo di Marcolina non fu quello che avrebbe preferito mille volteleggerviladrolibertinocanaglia: vi lesse un'unica parolacheperò lo abbatté al suolo più ignominiosamente diqualsiasi altra offesavi lesse la parola che più temevachepronunziò la sua sentenza definitiva: vecchio. Se in quelmomento avesse avuto il potere di annientarsi con una parola magical'avrebbe fattopur di non dover strisciar fuori dal lenzuolo edoversi mostrare a Marcolina nella sua nuditàche dovevaparerle più degna di disprezzo della vista di un animalenauseabondo. Lei peròcome tornando lentamente alla realtàed evidentemente nel bisogno di concedergli l'opportunità difare il più in fretta possibile quanto era comunqueindispensabilesi voltò verso la pareteed egli sfruttòquel tempo per scendere dal lettoraccogliere il mantello dalpavimento ed avvolgervisi. Recuperò subito anche la spadaeoragiacché pareva fosse sfuggito all'onta peggiorequelladel ridicolosi chiese se non fosse possibile mettere in un'altraluce tutta quella storia per lui così penosa con qualcheparola ben dettache non avrebbe avuto imbarazzo a trovareeaddirittura volgerla in suo favore. Sul fatto che Lorenzi gli avessevenduto Marcolina non poteva sussistere per leidata la situazionealcun dubbio; ma per quanto lei potesse in quell'istante odiare quelmiserabileCasanova sentiva che luivile ladrodoveva sembrarlemille volte più odioso. Un'altra ipotesi prometteva forse piùsoddisfazione: sminuire Marcolina con discorsi allusivibeffardamente lascivi: ma anche questa perfida idea si dissolsedavanti a uno sguardo la cui espressione carica di orrore si eragradualmente trasformata in una tristezza infinitacome se Casanovanon avesse svergognato soltanto la femminilità di Marcolina:noquella nottein modo indicibile e inespiabilel'inganno avevaviolato la fiduciail piacere l'amorela vecchiaia la giovinezza. Aquello sguardoche con grande tormento di Casanova riaccese per unattimo tutto ciò che in lui c'era ancora di buonoegli sivolse: senza girarsi più per guardare Marcolinaandòalla finestratirò da una parte la tendaaprìfinestra e gratagettò uno sguardo nel giardino immerso nelchiarore dell'auroracome ancora assopitoe con un salto superòil davanzaleritrovandosi all'aperto. Poiché temeva chequalcuno in casa fosse già sveglio e potesse scorgerlo da unafinestraevitò il prato e si lasciò accoglieredall'ombra protettiva del viale. Uscì dalla porta del giardinoe l'aveva appena chiusa dietro di sé quando qualcuno gli sifece incontro e gli sbarrò la strada. Il gondoliere... fu ilsuo primo pensiero. Perché adesso sapevaall'improvvisocheil gondoliere del suo sogno altri non era se non Lorenzi. Era là.La rossa giacca dell'uniforme con gli alamari d'argento ardeva nellaluce del mattino. Che magnifica uniformepensò Casanova nelsuo cervello confuso e stanconon sembra nuova? E sicuramente non èstata pagata... Queste sobrie considerazioni lo riportaronocompletamente in sé enon appena ebbe coscienza dellasituazionene fu contento.


Assunseil suo atteggiamento più orgogliosoafferrò piùsaldamente l'elsa della spada sotto il mantello in cui era avvolto edissenel tono più amabile: «Non trovatesottotenenteLorenziche questa idea vi viene un po' in ritardo?». «Mano»ribatté Lorenzie in quel momento era piùbello di qualsiasi uomo che Casanova avesse mai visto«perchétanto soltanto uno di noi uscirà vivo da questo posto.»«Andate di frettaLorenzi»disse Casanova con vocequasi melliflua.


«Nonvogliamo rimandare la cosa almeno fino a Mantova? Sarà per meun onore accompagnarvi con la mia carrozza. Aspetta alla curva.Mantenere la forma avrebbe i suoi lati positivi... proprio nel nostrocaso.» «Non occorrono forme. VoiCasanovao ioproprioadesso.» Estrasse la spada. Casanova scrollò le spalle:«Come desiderateLorenzi.


Vorreiperò ricordarvi che purtroppo sarei costretto a presentarmi inabbigliamento totalmente inadeguato». Aprì il mantello erimase nudola spada in mano come per gioco. Negli occhi di Lorenzisalì un'ondata di odio. «Non sarete svantaggiatorispetto a me»risposee con grande velocità cominciòa sbarazzarsi dei suoi abiti. Casanova si voltò eper ilmomentosi avvolse di nuovo nel suo mantelloperchénonostante il sole che si levava tra la foschia mattutina si erafatto sensibilmente fresco. I pochi alberi che si trovavano sullasommità della collina gettavano sul prato le loro lungheombre. Per un momento Casanova si trovò a pensare: e se allafine passasse qualcuno? Ma il sentiero che correva lungo il muro finoalla porta sul retro era usato solo da Olivo e dai suoi. A Casanovavenne in mente che stava forse vivendo gli ultimi minuti della suaesistenzae si meravigliò di essere così tranquillo.Il signor Voltaire ha fortunapensò fugacemente: ma in fondoVoltaire gli era completamente indifferente e avrebbe preferitoinquel momentopoter materializzare davanti alla sua anima immaginipiù soavi di quella del ripugnante viso aquilino del vecchioletterato. Non era stranoperaltroche al di là del muro noncinguettasse nemmeno un uccellino? Stava per cambiare il tempo. Mache cosa gliene importava del tempo? Avrebbe preferito ricordareMarcolinala voluttà che aveva goduto tra le sue braccia eche avrebbe pagato cara. Cara? Abbastanza a buon mercato! Qualcheanno di vecchiaiain miseria e nullità... Che gli restava dafare al mondo?... Avvelenare il signor Bragadino? Ne valeva la pena?Niente valeva la pena... Come svettavano sottili gli alberilassù!Cominciò a contarli. Cinque... sette... dieci. Che non abbianiente di più importante da fare? «Sono prontosignorcavaliere!» Casanova si voltò di scatto. Lorenzi era difronte a luimagnifico come un giovane dionella sua nudità.Ogni volgarità era scomparsa dal suo volto: sembrava pronto auccidere come a morire. E se io gettassi via la mia spada?

pensòCasanova. Se lo abbracciassi? Si lasciò scivolare il mantellodalle spalle e fu così come Lorenzislanciato e nudo. Lorenziabbassò la spada in segno di saluto. secondo le regole dellascherma. Casanova restituì il saluto; un attimo dopo le lamesi incrociavano e l'argentea luce del mattino giocava scintillante diacciaio in acciaio. Quanto tempo è passatopensòCasanovadall'ultima volta in cui mi sono trovato con la spadadavanti a un avversario? Non gli venne tuttavia in mente nessuno deisuoi duelli più serima soltanto gli esercizi di scherma chedieci anni prima amava ancora praticare con Costail suo domesticoquel farabutto che era poi scappato con centocinquantamila lire. Adogni modopensò Casanovaera un valente spadaccino... eanch'io non ho disimparato niente! Il suo braccio era sicurola suamano leggerail suo occhio acuto come non mai.


Gioventùe vecchiaia sono una favolapensò... Non sono un dio? Nonsiamo entrambi dèi? Se qualcuno ci vedesse! Ci sono signoreche chissà che cosa darebbero. Le lame si piegavanole puntescintillavano; ogni volta che le spade si toccavano si udiva un lievecanto nell'aria del mattino. Un combattimento? Noun torneo...Perché quello sguardo di orroreMarcolina? Non siamo entrambidegni del tuo amore? Egli è giovanema io sono Casanova!... ELorenzi caddecon una stoccata in mezzo al cuore. La spada gli caddedi manoegli spalancò gli occhicome in preda allo stuporesollevò ancora la testa; le sue labbra si contrassero didoloreabbassò di nuovo la testagli si spalancarono lenaricirantolò appena e morì. Casanova si piegòverso di luigli si inginocchiò accantovide qualche gocciadi sangue colare dalla ferita e passò la mano vicino allabocca del caduto: non un soffio di vita la sfiorò. Un brividofreddo percorse le membra di Casanova. Si alzò e prese il suomantello. Poi si riavvicinò al cadavere e guardò quelcorpo giovanile di una bellezza incomparabile disteso sul prato.


Ilsilenzio era percorso da un lieve mormorio. Era il vento del mattinoche carezzava la chiome al di là del muro. Che fare? sidomandò Casanova. Chiamare qualcuno? Olivo? Amalia? Marcolina?A che scopo? La vita non gliela ridà nessuno! Rifletteva conquella fredda calma che gli era sempre stata propria nei momenti piùpericolosi della sua vita. Prima che lo trovino possono passare molteoreforse fino a serao anche più. Io ho tempo fino a quelmomentoe poi si vedrà. Teneva ancora la spada in mano; vivide brillare il sanguee la pulì sull'erba. Gli venne l'ideadi vestire il cadaverema gli avrebbe fatto perdere minuti preziosie irrecuperabili. Come per un ultimo sacrificiosi piegòancora una volta e chiuse gli occhi al morto. «Beato te»disse tra sée in preda a una commozione come trasognatabaciò l'ucciso sulla fronte. Poi si alzò rapidamente esi affrettò lungo il murogirò l'angolo e piegòverso il bassoin direzione della strada. La carrozza era ancoraall'incrocio dove l'aveva lasciata; il cocchierea cassettadormivasodo. Casanova fece ben attenzione a non svegliarlo; prima salìcon estrema cautela e soltanto allora lo chiamò. «Ehi!E' ora!» e gli diede una pacca sulla schiena. Il cocchiere sispaventòsi guardò dintornostupito che fosse giàgiornopoi spronò i cavalli e partì. Casanova siappoggiò allo schienaleavvolto nel mantello che era stato diLorenzi. Nel villaggio c'era soltanto qualche bimbo per strada;evidentemente uomini e donne erano già tutti nei campi. Quandosi furono lasciati le case alle spalleCasanova tirò unrespiro di sollievo; aprì la sacca da viaggione tiròfuori le sue cose e cominciò a rivestirsisotto la protezionedel mantellonon senza timore che il cocchiere si voltasse e potesseessere sorpreso dal singolare comportamento del suo passeggero. Manon accadde niente di simile; Casanova poté prepararsiindisturbatorimise il mantello di Lorenzi nella sacca e tiròfuori il suo. Guardò il cieloche nel frattempo si eraoscurato. Non si sentiva stancoanziestremamente energico evigile. Rifletté sulla sua situazione ecomunque laosservassearrivava alla conclusione che era davvero un po'preoccupanteper quanto non pericolosa come forse sarebbe sembrata aspiriti più ansiosi. Che lo avrebbero subito sospettato diavere ucciso Lorenzi era certo probabilema nessuno poteva dubitareche fosse accaduto nel corso di un onorevole duelloo meglio ancora:era stato assalito da Lorenzi e costretto al combattimentoe nessunopoteva accusarlo di un delittoperché aveva agito perdifendersi. Ma perché lo aveva lasciato morto sul pratocomeun cane? Neppure questo potevano rimproverargli: fuggire rapidamenteera un suo buon dirittoquasi un suo dovere. Lorenzi non avrebbefatto diversamente. Ma Venezia non avrebbe potuto consegnarlo?

Alsuo arrivo si sarebbe subito messo sotto la protezione del suobenefattore Bragadino. Ma non si incolpava così egli stesso diun'azione che poteva anche non essere scoperta o comunque nonimputata a lui? C'era una sola prova contro di lui? Non era statoconvocato a Venezia? Chi poteva dire che era una fuga? Il cocchiereforseche aveva aspettato per metà notte lungo la strada? Conqualche moneta d'oro gli si tappava la bocca. Così correvano isuoi pensieriin cerchio. Improvvisamente gli parve di udire unoscalpitio di cavalli alle sue spalle. Già qui? fu il suo primopensiero. Avvicinò la testa al finestrino della carrozza eguardò all'indietro: la strada era vuota. Erano passati vicinoa una fattoria: aveva sentito l'eco degli zoccoli dei loro stessicavalli. Il fatto che si fosse ingannato lo tranquillizzò perun po'al punto che gli parve di essere scampato a ogni pericolo. Làsvettavano le torri di Mantova... «Avantiavanti»dissetra sé e séperché non voleva che il cocchierelo sentisse.


Questiperòormai vicino alla metaspronò i cavalli di suainiziativa; furono presto alla porta attraverso la quale Casanovaaveva lasciato la città con Olivo meno di quarantotto oreprima; diede al cocchiere il nome della locanda davanti alla qualefermarsi e dopo pochi minuti apparve l'insegna con il leone d'oroalche Casanova saltò giù dalla carrozza. Sulla portac'era la locandiera: frescacol volto sorridente e non scontenta diricevere Casanovaproprio come si accoglie un amante chedesideratissimoritorna dopo un'assenza indesiderata; egli accennòperò torvo al cocchieretestimone sgraditoe disse poi aquesto di entrare e mangiare e bere a volontà.


«Ierisera è arrivata per voi una lettera da Veneziasignorcavaliere.» «Un'altra?»domandò Casanovaesalì di corsa le scale che portavano alla sua camera. Lalocandiera lo seguì. Sul tavolo c'era una lettera sigillata.Casanova l'aprì in preda alla massima agitazione. Unripensamento? si chiedeva angosciato. Ma quando l'ebbe letta il suovolto si rischiarò. Erano poche righe di Bragadinoche gliaccludeva un ordine di pagamento per duecentocinquanta lire di modochequalora avesse deciso in tal sensopotesse non rimandare ilviaggio di un sol giorno. Casanova si voltò verso lalocandiera e le spiegòsimulando un'espressione seccatacheera purtroppo costretto a proseguire all'istante il suo viaggiosenon voleva correre il pericolo di perdere il posto che il suo amicoBragadino gli aveva procurato a Venezia e al quale aspiravano altrecento persone.


Tuttaviaaggiunse subito quando vide levarsi sulla fronte della locandieranubi minaccioseegli intendeva soltanto assicurarsi quel posto ericevere la sua nominaa segretario del Consiglio dei Dieci diVenezia; poiuna volta insediatosi nella sua caricaavrebbe chiestoimmediatamente una licenza per sistemare le sue cose a Mantovalicenza che naturalmente non avrebbero potuto negargli; lasciavainfatti qui la maggior parte dei suoi beni... e poi dipendevasoltanto dalla sua caraaffascinante amica se intendesse cedere lalocanda e seguirlo a Venezia come sua sposa... Lei gli si gettòal collo e gli domandò con gli occhi colmi di lacrime seprima della partenzanon potesse almeno portargli in camera unabuona colazione.


Eglisapeva che si stava preparando una festa d'addioper la quale nonprovava il benché minimo desiderio: ma si dichiaròd'accordoper potersi finalmente liberare di lei; quando lei ebbesceso le scalemise in valigia la biancheria e i libri che glioccorrevano più urgentementescese nella sala da pranzodovetrovò il cocchiere davanti a un pasto abbondante e gli domandòse non fosse disposto - in cambio di una somma che superava deldoppio il prezzo consueto - a partire subito con gli stessi cavalliin direzione di Veneziafino alla successiva stazione di posta. Ilcocchiere si dichiarò senz'altro d'accordoe per il momentoCasanova si era liberato della sua più urgente preoccupazione.Entrò la locandierarossa in faccia dalla collerae glichiese se avesse dimenticato che in camera lo attendeva la colazione.Casanova rispose con la massima disinvoltura che non l'avevadimenticato affatto e la pregò al tempo stessopoichéaveva i minuti contatidi recarsi presso la banca sulla quale eraemessa la sua cambiale e di ritirargli duecentocinquanta lire conl'ordine di pagamento che le porgeva. Mentre lei correva a prendergliil denaro Casanova andò in camera econ aviditàdavvero animalescacominciò a ingoiare il pasto che gli avevapreparato. Non lo disturbò che comparisse la locandierasilimitò a intascare lesto il denaro che gli aveva portato;quando ebbe finito si voltò verso la donnache era scivolatateneramente al suo fianco e cheritenendo finalmente giunta la suaoragli aveva teso le braccia in modo inequivocabile: egli laabbracciò calorosamentela baciò su entrambe le guanceequando pareva pronta a non negargli più nientesidivincolò dicendo: «Devo andare... arrivederci!»con tanta irruenza che lei cadde all'indietrosull'angolo del sofà.La sua espressioneun miscuglio di delusionerabbiaimpotenzaaveva qualcosa di così irresistibilmente comico che Casanovamentre si chiudeva la porta alle spallenon poté trattenereuna risata.


Ilfatto che il suo passeggero avesse fretta non poteva essere sfuggitoal cocchiere; chiedersene il perché non era affar suo e a ognimodoquando Casanova uscì dalla porta della locandaera giàseduto a cassettae non appena quegli fu salito spronòenergicamente i cavalli. Gli parve opportuno anche non attraversarela città:

infattila aggiròper riprendere la via maestra dall'altra parte. Ilsole non era ancora altomancavano tre ore a mezzogiorno. Casanovapensò: è anche possibile che non abbiano ancora trovatoil cadavere di Lorenzi. Il fatto che era stato lui a uccidere Lorenzigli affiorava appena alla coscienza: era solo contento di potersiallontanare sempre più da Mantovache finalmente gli fosseconcessa quieteper un po'... Cadde nel sonno più profondodella sua vitache in certo qual modo durò due giorni e duenotti; perché le brevi interruzioni necessarie per cambiare icavalli e durante le quali rimaneva seduto nelle sale di mescitadelle locandecamminava avanti e indietro davanti alle stazioni dipostascambiando qualche parola occasionale con postieriostidoganieriviaggiatorierano particolari che non era riuscito aimprimere nella memoria. Così il ricordo di questi due giornie notti confluì con il sogno che aveva sognato nel letto diMarcolinae di questo sogno faceva partein qualche modoanche ilduello tra due uomini nudi su un prato verde al chiarore dell'aurorasogno in cui talvoltaenigmaticamentelui non era CasanovamaLorenzinon il vincitorema il cadutonon il fuggitivoma ilmortointorno al cui pallido corpo giovanile giocava solitario ilvento del mattino; ed entrambilui stesso e Lorenzinon erano piùreali dei senatori nei rossi mantelli purpurei che erano scivolati inginocchio davanti a luie non meno reali di quel vecchio appoggiatoalla spalletta di un qualche ponte al qualenella penombraavevagettato un'elemosina dalla carrozza. Se Casanova non avesse saputotenere separatein virtù della sua capacità digiudizioesperienze vissute ed esperienze sognateavrebbe potutoimmaginare di essere cadutofra le braccia di Marcolinain un sognoconfuso dal quale si svegliò soltanto alla vista del Campaniledi Venezia.


Fual terzo giorno del suo viaggioda Mestreche rivide per la primavoltadopo più di vent'anni di nostalgiail campanile: unacostruzione di pietra grigia che gli si levò davanti lontanacome svettando dalla penombra. Ma egli sapeva che ormai solo due oredi viaggio lo separavano dall'amata città in cui era statogiovane. Pagò il cocchieresenza sapere se fosse il quartoil quinto o il sesto con cui facesse i contida Mantovae siaffrettòseguito da un ragazzino che gli portava i bagaglilungo le misere strade che conducevano al portoper raggiungere ilmercantile che ancora oggicome venticinque anni primapartiva allesei per Venezia. Pareva che aspettasse solo lui: non appena ebbepreso posto tra donne che portavano in città le loromercanziepiccoli commercianti e artigiani su una stretta pancal'imbarcazione si mise in movimento. Il cielo ero fosco e la lagunaimmersa nella nebbia; c'era odore d'acqua stagnantelegno umidopesce e frutta fresca. Sempre più alto svettava il campanile enell'aria si stagliavano anche altre torri; divennero visibili cupoledi chiese e da un tettoda dueda molti gli giunse il riflesso deiraggi del sole del mattino; le case si separavano e crescevano inaltezza; dalla nebbia spuntavano imbarcazioni più o menopiccoledalle quali ci si scambiavano saluti.


Lechiacchiere intorno a lui si fecero più chiassose; una bambinagli offrì di comprare dell'uva; egli assaporò i chicchiblusputando le bucce fuoribordo alla maniera dei suoi concittadinie prese a parlare con qualcuno che gli espresse la sua felicitàper il fatto che pareva essere finalmente arrivato il bel tempo.Comeerano tre giorni che pioveva? Non ne sapeva niente: veniva dalsudda Napolida Roma...


Giàla nave attraversava i canali della periferia; case sporche lofissarono da finestre opachecome con occhi ebeti ed estranei; duetre volte si fermò il battellone scesero alcuni giovaniunocon una grande cartella sottobraccioe donne coi loro panieri; orasi arrivava finalmente in quartieri più ospitali. Non eraquesta la chiesa in cui si era confessata Martina? E questa la casain cuia modo suoaveva ridato rossore e salute alla pallida Agataaffetta da una malattia mortale? E in quell'altra non aveva fattonerodi bottel'infame fratello dell'affascinante Silvia? E in uncanale laterale quella casetta gialliccia sui cui gradini dilavatidall'acqua stava a piedi nudi una donna grassa... Prima che riuscissea ricordare quale figura dei lontani giorni di gioventùpotesse collocarvil'imbarcazione era entrata nel Canal Grande eprocedeva ora lentamente tra i palazzi di quell'ampia via d'acqua. ACasanovasulla scia dei suoi sognisembrava di averla percorsa ilgiorno prima. Scese al ponte di Rialto perchéprima direcarsi dal signor Bragadinovoleva lasciare i bagagli e assicurarsiuna stanza presso una misera pensioncina di cui ricordaval'ubicazione ma non il nome. Trovò la casa più decadutao quanto meno più trascurata di quanto non ricordasse: unseccato cameriere dalla barba lunga gli assegnò una camerapoco accogliente con vista sul muro senza finestre della casadavanti. Ma Casanova non voleva perdere tempo; inoltre gli giunseassai graditopoiché durante il viaggio aveva quasi esauritoi suoi contantiil basso prezzo della stanza; decise così dirimanere provvisoriamente lìsi liberò dalla polvere edalla sporcizia del lungo viaggiorifletté un po' seindossare il suo abito elegante ma trovò più indicatorimettersi quello più modesto e infine lasciò lalocanda. Appena cento passiper una calle stretta e sopra un pontelo separavano dal palazzotto elegante in cui viveva Bragadino.


Casanovasi annunziò a un giovane domestico dalla faccia un po'insolente che fece finta di non avere mai udito quel celebre nome;ritornò però dalle stanze del suo signore conun'espressione un po' più gentile e fece entrare l'ospite.Bragadino era seduto a un tavolo vicino a una finestra aperta: stavafacendo colazione; voleva alzarsicosa questa che Casanova nonpermise. «Carissimo Casanova»esclamò Bragadino«come sono felice di rivedervi! Giàchi avrebbe maipensato che ci saremmo rivisti?» E gli tese entrambe le mani.Casanova le afferrò come se volesse baciarlema non lo fecee rispose a quel cordiale saluto con parole di calorosoringraziamentoin quel modo un po' reboante di cui la suaespressione non era esente in tali occasioni. Bragadino lo invitòa sedersi e gli chiese innanzitutto se avesse già fattocolazione. Quando Casanova rispose di noBragadino suonò aldomestico e gli impartì le relative istruzioni. Quando ildomestico si fu allontanatoBragadino espresse la sua soddisfazioneper il fatto che Casanova avesse accettato senza riserve l'offertadel Consiglio dei Dieci; l'aver deciso di dedicare i suoi servigialla patria non gli avrebbe certo arrecato danno. Casanova dichiaròche sarebbe stato felice di soddisfare le aspettative del Consiglio.Lo dissee in proposito aveva idee ben precise. Non percepiva dentrodi sé più tracce di odio contro Bragadino; semmai unacerta commozione per quell'uomo vecchissimo e istupidito che glisedeva davanti con la barba bianca ormai rada e gli occhi cerchiatidi rossomentre la tazza gli tremava nella mano magra. L'ultimavolta che Casanova lo aveva vistoBragadino poteva avere l'etàche aveva oggi Casanova; a dire il vero gli era parso vecchio giàallora.


Aquesto punto il domestico portò la colazione per Casanova chesenza parlare troppola apprezzò a doverepoichédurante il viaggio aveva consumato soltanto qualche frettolosospuntino. Sìaveva viaggiato notte e giornoda Mantova finlìtanto aveva fretta di dimostrare la sua disponibilitàal Consiglio dei Dieci e al suo nobile benefattore la suainesauribile gratitudine; lo disse per scusare l'avidità quasiindecente con cui ingurgitò la cioccolata fumante. Dallafinestra penetravano i mille rumori della vita dei canaligrandi epiccoli; le grida dei gondolieri si alzavano monotone su tutte lealtre; da qualche partenon troppo lontanoforse nel palazzodavanti - era palazzo Fogazzari? - gorgheggiava una bella voce didonnapiuttosto alta: apparteneva evidentemente a una creatura moltogiovaneuna creatura che ai tempi in cui Casanova era fuggito daiPiombi non era ancora nata. Mangiò biscotti e burrouovacarne freddacontinuando a scusarsi per la sua insaziabilitàcon Bragadinoche invece lo guardava soddisfatto. «Mi piace»disse«che i giovani abbiano appetito! E per quanto ricordomio caro Casanovaa voi non è mai mancato!» E rammentòun pranzo chei primi tempi della sua conoscenza con Casanovaavevaconsumato con lui - o più propriamente che aveva guardatoconammirazioneil suo giovane amico consumare - come oggi; perchénon era ancora completamente ristabilitoera infatti poco dopo cheCasanova aveva buttato fuori di casa il medico checoi suoi perpetuisalassiaveva portato il povero Bragadino quasi nella tomba...Parlarono dei tempi passati; sìallora a Venezia si vivevameglio di oggi. «Non dappertutto»disse Casanovaaccennando con un lieve sorriso al tetto dei Piombi. Bragadino sischernì con un movimento della manocome se non fosse ilmomento di ricordare quei particolari sgradevoli. Del resto alloraluiBragadinoaveva fatto del suo meglio per salvare Casanova dallapenaanche se purtroppo invano. Ohse avesse già fatto partedel Consiglio dei Dieci!

Giunserocosì a parlare di politicae Casanova seppe da quel vecchioil qualeacceso dal suo temapareva ritrovare l'arguzia e tutta lavivacità dei suoi anni più giovanimolte cose esingolari sulla preoccupante tendenza spirituale cui aderiva partedella gioventù veneziana e sui pericolosi disordini che segniinequivocabili cominciavano ad annunziare; ed egli non eraassolutamente maldisposto quandola sera di quello stesso giornoche aveva trascorso chiuso nella sua cupa camera d'albergo ariordinare e in parte bruciare alcune cartesolo per placare la suaanima alquanto turbataentrò nel Caffè Quadriinpiazza San Marcoconsiderata il principale punto di ritrovo diliberi pensatori e sovversivi. Tramite un vecchio musicista che loriconobbe subitol'ex maestro di cappella del teatro di San Samuelelo stesso in cui Casanova trent'anni prima suonava il violinofuintrodotto nel modo più naturale in una compagnia di personeper lo più giovani i cui nomi gli erano rimasti impressi nellamemoria dal suo colloquio mattutino con Bragadinoche li avevadescritti come particolarmente sospetti. Il suo nome parve perònon fare alcun effetto sugli altricome avrebbe avuto ragione diaspettarsi; anzi i più parevano non sapere nient'altrodiCasanovase non che molto tempo prima era stato rinchiuso nei Piombiper qualche motivo o forse pure innocente e che ne era fuggito tramille pericoli. Certoil libriccino in cui già anni primaaveva descritto così vivacemente la sua fuga non era rimastoignotoma nessuno pareva averlo letto con la meritata attenzione.Divertì alquanto Casanova pensare che dipendeva soltanto dalui procurare il più presto possibile a ciascuno di questigiovani signori un'esperienza personale delle condizioni di vita neiPiombi di Venezia e delle difficoltà dell'evasione; ma benlungi dal far baluginare o addirittura indovinare un'idea cosìmalvagiaseppe invece recitare anche qui la parte della personainnocua e amabileintrattenendo ben presto la compagnia a modo suoraccontando allegre avventure d'ogni genere che gli erano capitatedurante il suo viaggio da Roma a Venezia: storie cheper quanto nelcomplesso piuttosto vererisalivano in realtà a quindici oventi anni prima. Mentre tutti ancora lo ascoltavano eccitatiqualcuno portòcon altre novitàla notizia che unufficiale di Mantova era stato ucciso nei pressi della proprietàdi un amico di cui era ospite e che il suo cadavere era statosaccheggiato dai brigantiche gli avevano tolto persino la camicia.Poiché simili aggressioni e omicidi all'epoca erano tuttoeccetto che rarianche questo non suscitò particolarescalpore in quella cerchiae Casanova proseguì il raccontoche aveva interrottoquasi che la cosa gli interessasse ben pococome agli altri; in realtà peròliberato daun'inquietudine che non aveva confessato neppure a se stessotrovòaccenti ancora più divertenti e insolenti di prima.


Erapassata la mezzanotte quandodopo un breve commiato dai suoi nuoviconoscentiattraversò da solo la grande piazza vuota su cuisi apriva un cielo caliginoso e senza stellema egualmentescintillante.


Conuna specie di sicurezza da sonnambulosenza essere davvero coscienteche lo faceva per la prima volta dopo un quarto di secolotrovòla strada per strette callitra muri scuri e passerellefino allasua misera locandala cui porta gli si aprì davantipigra einospitalesolo dopo che ebbe ripetutamente bussato; e pochi minutidopoin preda a una dolorosa stanchezza che gli appesantiva lemembra senza rilassarle e con un retrogusto amaro sulle labbra chesentiva salire dal più intimo del suo esseresi gettòspogliato soltanto a metàsu un cattivo lettoper dormiredopo venticinque anni di esilio il primotanto desiderato sonno inpatriache finalmentealle prime luci del mattinoebbe pietàdel vecchio avventuriero e sopraggiunse senza sogni e profondo.


NOTA:


Unavisita di Casanova a Ferney ebbe luogo davveroma tutti gli eventidella presente novella a essa riferitiin particolare il fatto cheCasanova avrebbe lavorato a un'opera polemica contro Voltairenonhanno niente a che vedere con la verità storica. Storicamenteattestato è inoltre che Casanova tra i cinquanta e i sessantaanni si vide costretto a fare l'informatore per la sua patriaVenezia; notizie più precise e più fedeli a questoproposito e su altre precedenti avventure del celebre avventurieroalle quali si fa incidentalmente riferimento in questo libro sipossono trovare nelle sue "Memorie". Per il resto tuttol'intreccio del "Ritorno di Casanova" ècompletamente inventato.


A.S.




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