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Emile Zola



GERMINALE

 

 

 

 

PARTE PRIMA

 

 

Capitolo primo

 

In mezzo all'aperta pianurasotto un cielo senza stellenero d'unnero d'inchiostroun uomo percorrevasolola strada maestra traMarchiennes e Montsou; dieci chilometri di massicciata che si lanciavain linea retta attraverso campi di barbabietole. Quasi non vedeva dovemetteva i piedi; e dell'immenso orizzonte piatto che lo circondavaaveva solo sentore per le raffiche del vento di marzo: vaste rafficheche spazzavano la pianura come un mare; gelate da leghe e leghe dipalude e di landa sulle quali erano passate. Non un profilo d'alberisul cielo; diritta come un molola strada si protendeva in un buioimpenetrabile allo sguardo.

Partito verso le due da Marchiennesl'uomo camminava a passiaffrettatirabbrividendo sotto la giacchetta logora di cotone e lebrache di velluto; impacciato da un pacco avvolto in un fazzolettone aquadri che si stringeva contro e mutava spesso di fianco per ficcarein tasca le mani intirizzite che la sferza del vento scorticava. Nelsuo capo vuoto di operaio senza lavoro e senza tetto rimuginava ununico pensiero: la speranza che col sorgere dell'alba il freddo sifarebbe sentir meno.

Camminava così da un'ora quandoa due chilometri da Montsouscorse asinistracome sospesi a mezz'ariarosseggiare tre fuochisimili abracieri che ardessero all'aperto. Subito esitò; poitant'ènon potéresistere alla tentazione di scaldarsi un momento le mani.

Il sentiero incassato che prese gli sottrasse i fuochi alla vista. Oral'uomo aveva a destra una palizzatauna specie di paratia di grossetavole che costeggiava una strada ferrata; a sinistra un argine erbosooltre il quale si distinguevano in confuso dei tetti: una borgata dicase basseuniformi.

Un duecento passi più in làa una svoltai fuochi ricomparvero; piùvicini questa volta; manon fosse stato il vapore che li annebbiavasi sarebbero detti delle lunee apparivano così alti sul cielo grigioda lasciare incerti di che si trattasse. L'uomo se lo chiedevaquandoun altro spettacolo lo arrestò. Eraa livello del suolouna macchiamassicciaun tozzo agglomerato di edifizidi dove si slanciava ilcamino d'una fabbrica. Vaghi bagliori uscivano dalle sudice finestre;fuoricinque o sei smorte lanterne appese a travature anneritelasciavano intravedere di scorcio una fila di enormi cavalletti. E daquella apparizione fantasticaimmersa nella notte e nel fumononsaliva che un suono; il respiro lungo e affannoso d'uno scappamentoche non si riusciva a vedere.

Ahuna miniera! Presentarsi? per sentirsi dire di no? L'uomo si sentìriprendere dall'avvilimento. Invece di dirigersi verso il fabbricatosi decise a salire sul terrapienosul quale ardevanoin bracieri dighisai tre fuochi che aveva avvistati per primi e che servivano afar luce agli operai nel loro lavoro e a riscaldarli.

I terrazzieri dovevano aver finito il turno da pocoperché stavanosgombrando lo sterro. Già i manovali avviavano i trenini sulle rotaieche correvano sui cavalletti e presso ogni fuoco si scorgevano ombreumane occupate a ribaltare berline.

- Buon giorno- feceavvicinandosi a uno dei bracieri.

Colui che aveva salutato voltava le spalle al fuoco; era uncarrettiere; un vecchio vestito d'un maglione violettocon in capo unberretto di pelo di coniglio; il suo cavalloun grande cavallo fulvoaspettavafermo come un macignoche si scaricassero i sei vagonciniche aveva trainato sin lì. Il manovale addetto alla manovra discaricoun ragazzone di pelo rossosfiancatonon mostrava fretta:manovrava la leva così fiaccamente che pareva dormisse. E qui in altoil vento soffiava più impetuoso che mai; una tramontana ghiacciata cheinvestiva con la violenza d'una falciata.

Il vecchio rese il saluto.

Vi fu una pausa. Avvedendosi dello sguardo diffidente dell'altroilnuovo venuto si affrettò a presentarsi - Mi chiamo Stefano Lantiermeccanico... Nonci sarebbe lavoro permequi?

Orain lucemostrava ventun anno; bell'uomobrunopiuttosto smilzoma d'aspetto robusto.

Rassicuratoil carrettiere scosse il capo:

-Da meccanicono... Ancora ieri se ne sono presentati due inutilmente. Nono.

Lasciata passare una raffica che mozzava le parole in boccaStefanoindicando la macchia scura del fabbricato lì sotto:

-E' una minieranon è vero?

Questa voltaa impedire all'altro di risponderefu un impeto ditosse che lo strangolò. Quando poté sputarelo sputo lasciò sulterreno imporporato dal braciere una chiazza nerastra.

- Sìuna miniera; il Voreux. Ed eccolàle case operaie... - etendeva il braccio a indicare nella notte la borgata di cui l'altroaveva intravisto i tetti.

S'era finito di scaricare; da sésenza che il carrettiere avesseneanche da schioccare la frustail grosso cavallo fulvo ripartìcamminando tra le rotaie e trainando pesantemente la berlina vuotailpelo arruffato sotto una nuova raffica; mentre il vecchio gli simetteva dietroarmeggiando a fatica le gambe irrigidite daireumatismi.

Ormaiagli occhi del giovaneil Voreux aveva perso il suo aspettofantastico. Indugiandosi a scaldarsi le mani scorticate dal freddoora Stefano riconosceva la tettoia incatramata del capannone dellacernitail castello del pozzolo stanzone del macchinario perl'estrazionela torretta quadra della pompa di eduzione. La minierapigiata a quel modo in una piega del terrenocoi suoi tozzifabbricati in mattonecol camino che ne sporgeva come un cornominaccioso; aveva l'aria malvagia d'un animale ingordoappiattato lìper divorare gli uomini. Contemplandolapensava a sé; all'esistenzadi vagabondo che da otto giorni menava in cerca di lavoro; si rivedevanelle Officine delle Ferrovie dove lavoravail giorno che avevaschiaffeggiato il suo capo. Scacciato da Lillascacciato dappertuttoil sabato prima era arrivato a Marchiennesattrattovi dalla speranzadi trovar lavoro in quelle ferriere; ma nulla: né alle ferrierené daSonneville. La domenica l'aveva passata nascosto tra le cataste dilegname d'una fabbrica di carridonde poc'anzi - quella stessa nottealle due - un sorvegliante l'aveva scoperto e scacciato. Non aveva piùun soldo né un cantuccio di pane: a che seguitare a battere le stradesenza una metasenza neppure un luogo dove ripararsi dallatramontana?

Sìora la vedeva bene; era proprio una miniera. Le rade lanternerischiaravano il locale delle macchine: l'improvviso schiudersi d'unaporta gli aveva permesso di intravederein un lampo accecanteifuochi delle caldaie. Ora si spiegava tutto; anche lo scappamentodella pompaquel lungo affannoso soffio incessante che si sarebbedetto la respirazione strozzata del mostro.

L'addetto allo scarico dei vagoncinioccupato a schermirsi dalfreddonon aveva neanche alzato gli occhi su Stefano; e questi già sichinava a raccattare da terra l'involto cadutogli e si disponeva adandarsenequando una tosse stizzosa gli annunciò il carrettiere diritorno. A poco a poco si vide il vecchio emergere dall'ombraseguìtodal cavallo fulvo che trainava altre sei berline colme.

- Ci sono delle fabbriche a Montsou?

Il vecchio sputò neropoi rispose con una voce che il vento lasciavaappena udire:

- Oh mica sono le fabbriche che mancano! Bisognavaessere qui tre o quattr'anni or sono! Tutte le fabbriche lavoravano;non si trovavano uomini; non s'era mai guadagnato tanto... Ed ecco cheora si ricomincia a stringere la cintola... Uno strazio da questeparti! si licenziano le maestranzele fabbriche chiudono una dopol'altra... La colpa non sarà forse sua; ma perché mai l'Imperatore vaa battersi in America? Senza contare che le bestie muoiono di coleratale e quale come i cristiani.

Toccato questo tastotutti e duea frasi smozzicate per via delvento che portava via le parole di boccapresero a lamentarsi.

Stefano raccontava tutti i passi che da una settimana facevainutilmente per trovare lavoro: bisognava dunque crepar di fame? presto per le strade non si vedrebbero che accattoni. Il vecchio glidava ragione; sìnon poteva che finir male; non era permessoperdìogettare tanti cristiani sul lastrico.

- La carne compare di radoin tavola!

- Ma si avesse almeno del pane!

- Giustodel panealmeno!

A stento si udivano a vicenda; il lugubre ululato delle raffichestrappava le parole di bocca.

Alzando la voce e volgendosi verso mezzodì:

-Eccoè lì Montsou... -E indicando via via col braccio le località che nominavaimmerse nelbuio:

-A Montsoulo zuccherificio Fauvelle lavora ancora; ma quellodi Hoton ha già ridotto il personale; che tengano duronon c'è quasialtro che i mulini Dutilleul e la corderia Bleuze per canapi daminiera. A nord poi- e il vecchio si rivolse nella nuova direzionee abbracciò d'un gesto vago mezzo orizzonte- i cantieri Sonnevillenon hanno ricevuto due terzi delle ordinazioni degli anni precedenti;due solidei tre altiforni delle ferriere di Marchiennessonoaccesi; infinenelle vetrerie Gageboissi minaccia lo scioperoperché corre voce d'una riduzione di paga. Noi quifinora si tiraavanti- concluse. - Nondimeno l'estrazione del carbone è scemata. Eguardatein faccia a noila Victoire; anche lì sono rimaste infunzione solo due batterie di forni a coke.

Sputòriattaccò il cavallo assonnato alle berline scariche e ripartìdietro a lui.

V'era appena giuntoe orail paeseil giovinotto lo conoscevameglio che se lo abitasse da tempo. Quel buioil braccio teso delvecchio lo aveva popolato di grandi miserie; di quelle miseriesenzarendersene contoStefano sentiva ovunque intorno a sé la presenza. Non era un annuncio di fame che il vento di marzo lanciava attraversola campagna spoglia? Le raffichesempre più rabbioseparevano recarseco con la cessazione d'ogni lavoro la carestia; econ la carestiala morte di chi sa quanta gente. E Stefano frugava con lo sguardo letenebre tutt'intornocome sforzandosi a penetrarledisputato tra ildesiderio e la paura di vedere ciò che nascondevano.

Nella notte che celava nel suo grembo ogni cosanon scorgeva che lefonderie e i gasometri laggiùlontanissimi. In questecentociminiere a coppia si allineavano di sbiecosimili a ribalte di lumirossi; mentre le due torria sinistraardevano contro il cielo d'unaluce turchina come torce gigantesche. Spettacolo che stringeva ilcuore come quello d'un incendio. Altri astri non si affacciavano alminaccioso orizzonte che i fuochi notturni delle terre dell'antracitee del ferro.

- Siete mica belgaper caso?

Era il carrettiere che gli ricompariva alle spalle. I carrellistavolta erano solo tre. Scaricherebbe intanto questi; un guasto allacabina d'estrazionela rottura d'una madrevitesospendeva il lavoroper un buon quarto d'ora.

Infattisotto il terrapienos'era fatto silenzio; i vagoncini nonscrollavano più col loro continuo rullio i cavalletti del binario; edalla miniera non veniva più cheaffievolitoil battere d'unmartello su una lamiera.

- Nosono del Mezzodì.

Felice dell'interruzioneil manovalevuotati i carrellis'eraseduto per terra; in tutto il temposenza uscire dal suo scontrosomutismoaveva appena alzato sul carrettiere uno sguardo spentoquasia rinfacciargli la sua loquacità. Insolitaa dire il veronelvecchio; bisognava che la fisionomia dello sconosciuto gli fosseandata a genio o che l'avesse preso una di quelle smanie di confidenzaper le quali a volte i vecchi parlano ad alta voce da soli.

- Io sono di Montsou. Bonnemortmi chiamo.

- Buonamorte! E' un soprannome? - chiese Stefanostupito.

Il vecchio fu felice dell'osservazione. Ridacchiando esultante:- Proprio così... Tre volte m'hanno tirato fuori di lì in fin di vita- e indicava il Voreux. - Una volta senza più un pelo che non fossestrinato; un'altra con della terra persino nel gozzo; la terza gonfiod'acqua come un rospo. Alloravisto che di morire non volevo saperneper celia m'hanno messo nome Bonnemort.

E ci rise sopra a suo agio; un ridere che somigliava al cigolio d'unacarrucola male oliata e che finì per procacciargli un nuovo attacco ditosse.

Adessobene in luceil vecchio mostrava un testone seminato di radicapelli bianchiun viso rincagnatolividochiazzato di macchievinose. Basso di staturaaveva un collo di torole gambe a roncolamani tozze in cima a lunghe braccia che quando ciondolavano toccavanoi ginocchi. Si sarebbe detto del restoanche lui come il suo cavallodi pietra; come il cavallo immobile sulle zampenon pareva accorgersiné del freddo né dell'ululo del vento. Finito che ebbe di tossireconun raschio profondocome volesse con lo sputo divellere anche leviscerescaracchiòcostellando il terreno di un'altra chiazzad'inchiostro.

- E' da tanto tempo che lavorate nella miniera?

Bonnemort allargò espressivamente le braccia:

-Ohda tantosì! Nonavevo otto anni quando sono sceso in miniera! giusto quial Voreuxeadessone ho cinquantotto... Fate il conto... Sono passato per tuttii mestieri; manovale primapoi spingicarichiappena ne ho avuto laforza; quindiper diciott'anni staccatore... In seguitoper colpa diqueste maledette gambemi hanno messo coi terrazzieri a rinterrareariparare i guastifinché è venuto il momento che si è dovuto tirarmidi là dentroper via che il medico ha detto chese noci restavo.

Alloraè ormai da cinque annim'hanno impiegato al traino deivagoncini... Ehche ne dite? Mica malecinquant'anni di minieradicui quarantacinque all'ombra!

Tizzi accesi che ogni tanto traboccavano dal bracieregli mettevanosul livore del viso bagliori di sangue.

- Stattene a casami dicono. Ma io non ci sento da quest'orecchio! Non sono allocco al punto che credono! Due anni tirerò bene avanti; eraggiunti i sessantaavrò diritto ai miei centottanta franchi dipensione. Se dessi loro rettanon ne toccherei che centocinquanta.

Volponi loro! Ma io non ci casco! Del resto sono ancora robustononfossero le gambe. E' l'acquacapiteche mi è entrata nella pelleaforza di docciature. Certi giorni non posso muovere un piede senzaurlare.

Lo interruppe un nuovo impeto di tosse.

- Ed è l'acqua che vi dà questa tosse?

Il vecchio negò col capo; mai più! Equando poté parlare:

-Nono.

E' un'infreddatura che mi sono buscata il mese scorso. Non sapevo checosa fosse tossire! e ora non faccio altro... E il curioso è chesputoche sputo...Nuovo raschio violento in golaseguìto dal solito scaracchio.

- Sanguemica? - s'arrischiò Stefano a chiedere.

A tutto suo agio Bonnemort s'asciugò la bocca col dorso della mano.

- Mai più! E' carbone... Ne hodentrodi carbonetanto dariscaldarmi per il resto dei miei giorni... Eppuresono cinque anniormai che di polvere di carbone non ne mangio. Si vede che senzasaperlo ne avevo immagazzinato una buona provvista. Bah! il carbonepurifica! allunga la vita!

Ci fu un silenzio. Dalla miniera giungevano i colpi cadenzati delmartello; il vento fischiava e il suo lagno arrivava dalle profonditàdella notte come un grido di fame e di morte.

Nel bagliore delle fiammestrapazzate dal ventoora il vecchio abassa voce rimasticava antichi ricordi. Ah non era certo da poco chelui e i suoi lavoravano alla miniera! Era da quando la Compagnia erastata fondatach'essi in famiglia lavoravano nella miniera diMontsou; da un bel po'vale a dire da centosei anniormai. Anzierastato il padre di suo padreGuglielmo Maheuragazzino quindicenne aquel tempoche aveva scoperto il carbone a Réquillart; e Réquillartuna miniera ormai sfruttatalaggiù presso lo zuccherificio Fauvelleera stato il primo pozzo della Compagnia. Tutto il paese potevatestimoniarlo; tanto è vero che il giacimento scoperto làsi chiamavaancora col nome di suo nonno: giacimento Guglielmo. Un nonno che luinon aveva conosciuto: un omaccioneper quel che si raccontavafortecome un toromorto a settant'annidi vecchiaia. Dopo di lui suopadreNicola Maheu detto il Rossoa quarant'anni appenanel Voreuxci aveva lasciato la pelle; la miniera si stava allora scavando: unafrana lo aveva schiacciato; di lui non s'era più trovato né traccia disangue né un osso: bevuto! Più tardi v'erano rimasti due suoi zii etre suoi fratelli. LuiVincenzo Maheupoteva chiamarsi ancorafortunatochea parte le gambe male in sestoaveva portato viasipuò direla ghirba sana. Mad'altrondeche fare? Lavorarebisognava. E quel mestiere che si passavano di padre in figliononera un mestiere al pari d'un altro? Adesso era la volta di suo figlioOgnissanti Maheudi crepare lì dentro; e col figlioi nipotil'intera famiglia; alloggiata lì in faccianelle case operaie.

Centosei anni di minierai nipoti dopo i nonnisempre a serviziodello stesso padrone. Quanti borghesiè vero?non avrebbero saputocontare altrettanto bene la storia della loro famiglia!

- E passifinché c'è da mangiare! - commentò Stefano di nuovo.

- E' quel che dico anch'io: finché c'è panesi può tirare avanti.

E il vecchio s'indugiò a guardare la borgata operaia che s'andavapunteggiando di lumi. Al campanile di Montsou suonarono le quattro; ilfreddo si acuiva.

- E' ricca la Compagnia? - Stefano domandò.

Il vecchio alzò le spallepoi le lasciò ricadere come glieleaccasciasse una valanga di scudi.

- Oh sìoh sì... Non forse tanto quanto quella qui vicinodi Anzin.

Ma riccacomunquea milioni e milioni. Da non poterli contare.

Diciannove pozzidi cui tredici per l'estrazione; il VoreuxlaVittoriaCrèvecoeurMirouSaint-ThomasMadeleineFeutry-Cantelealtri ancorae sei per l'eduzione e l'aerazionecome sarebbeRéquillart... Diecimila operai; concessioni che s'estendono susessantasette comuni; cinquemila tonnellate al giorno di estrazioneuna ferrovia che allaccia insieme tutte le miniere; e poi opificifabbriche... Ahsì! ah sì! del denaro ce n'è!

S'udì un rotolar di carrelli sulle rotaie: il cavallo drizzò leorecchie. Il guasto alla cabina doveva essere stato riparato: imanovali avevano ripreso a lavorare. Nel riattaccare per il viaggio diritornoil vecchio aggiunse sottovocecome indirizzandosi alcavallo:

- Non prendere mica l'abitudine di cianciarebattifiaccadella malora! Se il signor Hennebeau sapesse in che perdi il tempo!

Stefanocon gli occhi al buiosovrappensiero:- E' di codesto Hennebeau la miniera?

- No. Lui non è che il direttore generale. E' pagato come noi.

Il giovaneaccennando con un largo gesto intorno:

-E tutto questoalloraa chi appartiene?

Strangolato da un nuovo attacco di tosseBonnemort non potérispondere. Solo quando ebbe sputato e si fu asciugato dalle labbra labava nerastradissenel vento che rinforzava:

- Che? a chiappartiene tutto questo?... E chi lo sa! A della gente che sta daquelle parti! - e indicava vagamente con la mano un punto perso nelbuiola località lontana e da lui mai vistadove abitava la famigliaper la quale i Maheudi padre in figliosi sfiancavano da oltre unsecolo nella miniera. La sua voce aveva preso un tono di timoreriverenzialequasi parlasse del tabernacolo inaccessibile in cui sinascondeva il dio infingardo e satollo al quale tutti loros'immolavano senza averlo mai visto.

Ancora una voltasenza nesso apparente:

-Almeno di paneci sipotesse saziare! - Stefano tornò a dire.

- Sìsi avesse almeno tutti i giorni del pane! Sarebbe già bello!

Da sé il cavallo s'era avviato; il carrettiere gli tenne dietrostrascicando faticosamente le gambe.

Presso la levail manovale non aveva dato segno d'udire;raggomitolato in sé come un riccioil mento tra le ginocchiafissavanel vuoto i grossi occhi spenti.

Stefano s'era rimesso sottobraccio l'involtoma non si decidevaancora ad andarsene. Il riverbero del braciere gli scottava il pettomentre le raffiche gli gelavano la schiena. Non gli converrebbeaogni buon contopresentarsi nella miniera? Il vecchio poteva averparlato senza sapere; e poi lui non si adattava a qualunque lavoro? Dove andare d'altrondeche fare in quel paese affamato dalladisoccupazione? crepare dietro un muro come un cane randagio? Eppurequalche cosa lo faceva esitare: la paura che gli incuteva il Voreuxin mezzo a quella piatta pianura inghiottita dalla notte. A ognirafficail respiro del vento pareva farsi più vasto come sel'orizzonte da cui sfociava s'andasse allargando. Non barlume d'albain cielo; solo gli altiforni e i gasometri fiammeggiavanoinsanguinando il buio senza diradarlo. E in fondo alla sua buca ilVoreux s'accucciava sempre di piùsimile a una bestia in agguato; eil suo respiro si faceva sempre più faticoso e più lungo come loappesantisse la digestione di tutta quella carne umana da smaltire

 

 

Capitolo secondo

 

In mezzo a campi di grano e barbabietolala borgata operaia deiDuecentoquaranta dormiva nella notte nera. Vagamente si distinguevanoi suoi quattro vasti isolati di piccole abitazioni addossate; isolatigeometriciparallelievocanti la caserma e l'ospedale; separati datre spaziosi vialispartiti in tanti orticelli eguali. E sullospiazzo deserto non s'udiva che il lagno delle raffiche nei graticcidivelti degli steccati.

In casa Maheual numero 16 del secondo isolatonulla si muoveva.

Nell'unica stanza al primo piano regnava un buio pesto che parevaschiacciare del suo peso il sonno dei vivi che vi si indovinavanoammucchiati; a bocca apertaatterrati dalla stanchezza. Nonostante ilfreddo intenso del di fuoril'aria appesantita conservava un caloreanimale; quel soffoco che si respira nelle stanzeper bene tenute chesianoe che sa di bestiame umano.

Suonarono le quattro al cucù della sala a pianterreno. Nulla ancora simosse; sibili di respiri esili cui tenevano bordone due ronfi sonori.

La prima ad alzarsi fu Caterina. Sebbene stanca mortala ragazzaaveva udito al piano di sotto scoccare le ore e per abitudine le avevacontatepur senza ancora trovare la forza di scuotersi del tutto ilsonno di dosso. Buttate le gambe fuori delle copertecercò a tastonila candela; estrofinato un fiammiferol'accese. Ma a tirarsi su nonce la faceva; la testa pesantecedendo al bisogno invincibile diricadere sul cuscinole ciondolava da una spalla all'altra.

Ora la candela rischiarava la camera; una stanza quadracon duefinestreoccupata da tre letti. C'era un armadiouna tavoladuevecchie seggiole di noceche staccavano sull'ocra chiaro dellepareti. Nient'altro: dei vestiti appesi a un chiodouna brocca posataper terrapresso una ciotola grezza che serviva da catino. Nel lettodi sinistra Zaccariail primogenito di ventun annoera coricato colfratello Gianlinoche ne compiva undici; in quello di destra duemarmocchiLeonora ed Enricola prima di seiil secondo di quattroannidormivano abbracciati; mentre Caterina divideva il terzo con lasorella Alziracosì poco sviluppata per i suoi nove anni che laragazza non ne avrebbe neppure avvertita la vicinanzanon fosse statala gobba della piccola malata che le sfondava le costole. Per la portaa vetri apertasi vedeva il pianerottolo; specie di corridoiodoveil padre e la madre occupavano il quarto lettocontro il qualeavevano dovuto sistemare la cuna dell'ultima nataEstelladi appenatre mesi.

Caterina faceva sforzi disperati per vincere la sonnolenza. Sistiravasi ficcava le dita nella selva di capelli rossicci che lecadevano arruffati sulla fronte e sulla nuca. Mingherlina per i suoiquindici annidi séfuori dalla stretta guaina della camicianonlasciava vedere che i piedi infreddoliti e le braccia delicated'unbiancore latteo che contrastava con la tinta smorta del visogiàsciupato dal quotidiano lavarsi con sapone scadente.

Un ultimo sbadiglio le spalancò la boccaun po' grandesu deibellissimi denti che smagliavano sul rosa anemico delle gengive;mentre gli occhi grigi prendevano un'espressione di piantoun'espressione affrantache pareva gonfiare di fatica tutta la suanudità.

Dal pianerottolo giunse un grugnito; la voce impastoiata di Maheu cheborbottava:- Perdìoè ora!... Hai acceso tuCaterina?

- Sìpadre. E' suonato orada basso.

- Spicciati dunquefannullona! Se ieri sera avessi smesso primadiballareci avresti svegliato da un po'... Bella vita che si fa!

E seguitò a brontolare; mariguadagnato dal sonnola lingua gli siingarbugliòi rimproveri cessarono: riprese a russare.

La giovinetta in camicia s'aggirava sull'ammattonato della stanza apiedi scalzi. Nel passare davanti al letto di Enrico e di Leonoraricondusse sui due le coperte che n'erano scivolate; annientati dalsonno dell'infanziaquelli seguitarono a dormire. Alzira aveva apertogli occhi; ezitta zittas'era rigirata per occupare il postolasciato caldo dalla sorella.

- Su dunqueZaccaria! e tuGianlinoandiamo! - ripeteva Caterinaritta davanti ai fratelli che non si muovevanoil naso ficcato nelcuscino.

Dovette afferrare il maggiore per le spalle e scuoterlo; poimentreegli masticava ingiuriesi decise a scoprirlistrappando loro lecoperte di dosso. Vedendoli dibattersi a gambe nudeli trovò buffi erise.

- Non far la stupidapiantala! - borbottò Zaccaria di malumorequando si fu rizzato a sedere. - Non mi vannoa megli scherzi... Diresanto Dioche bisogna alzarsi!

Era magrodinoccolatocon un viso lungoseminato di radi peliicapelli biondicci e il colorito anemicocomune a tutta la famiglia.

Non per pudorema per non prendere freddoabbassò la camicia che gliera risalita sul ventre.

- E' suonato da basso- ripeteva Caterina. - Andiamosaltate giù. Senoil babbo... Gianlino che s'era raggomitolato su se stessorichiuse gli occhidicendo:- Vatti a fare... Io dormo.

Di nuovo lei rised'un riso di buona figliola. Gianlino era cosìpiccolomingherlinocon le articolazioni ingrossate dei linfaticiche lei non durò fatica a toglierlo di peso dal letto. Lui sidivincolavamentre il viso scialbo e grinzoso di scimmiabucatodagli occhi verdiimpallidiva di rabbia impotente. Senza parlarelamorse a un seno.

- Mascalzone! - mormorò lei trattenendo un grido; e lo depose interra.

Alzirazitta zittail mento ficcato sotto le coperteseguiva coisuoi occhi svegli d'inferma ogni movimento della sorella e deifratellioccupati ora a vestirsi. Una disputa s'accese a propositodel catino; i due maschi respinsero a spintoni la sorellatrovandoche impiegava troppo tempo a lavarsi. Le camicie svolazzandoscoprivano ciò ch'erano destinate a nasconderementregonfi ancoradi sonnotutti e tre facevano pipì con la placida disinvoltura d'unacovata di cuccioli cresciuti insieme.

Caterina fu la prima a essere pronta. Infilò le brache da minatoreilcamiciotto di telaannodò intorno alla crocchia la cuffia turchina. Negli abiti puliti del lunedìl'avresti detta un maschionon avessedenunziato il suo vero sesso un lieve molleggiare delle anche.

- Quando rincasa il vecchio- osservò maligno Zaccaria- avràpiacere a vedere il letto sossopra. Ma non dubitaregli dirò io chideve ringraziare.

Il vecchio era il nonno: Bonnemortchelavorando di nottesicoricava di giorno; sicché la cuccia non faceva mai a tempo afreddarsi; dopo l'unov'entrava l'altroa russare.

Senza dargli rispostaCaterina tirava su le copertele rincalzava.

Ormai dei rumori giungevano attraverso i muri dell'appartamentoattiguo. In quelle case che la Compagnia aveva fatto per economiacostruire in mattonile pareti erano così sottili che un respiro leattraversava. Si viveva gomito a gomito; e la vita intima d'ognuno nonaveva segreti neppure per i bambini. Oras'era prima udito un passopesante per la scala che ne vibrava; quindi l'abbandonarsi d'un corpoin qualcosa di sofficeseguìto d'un rifiato di sollievo.

- Benone! - commentò Caterina. - Ecco Levaque che scendee Bouteloupche prende il suo posto nel letto della moglie.

Gianlino sghignazzò e persino negli occhi di Alzira passò un lampo dimalizia. Ogni mattino li metteva di buon umore il trio dei vicini: unoperaio di turno di giorno ne alloggiava un altro di turno di notte:combinazione che garantiva alla Levaque un marito di notte e uno digiorno.

- Filomena tossisce- riprese Caterina che tendeva l'orecchio.

Dei LevaqueFilomena era la figlia maggiore; una spilungona didiciannove annil'amante di Zaccariail quale le aveva già fatto duefiglioli; così cagionevole di petto chenon avendo mai potutolavorare in fondo alla minieral'avevano messa alla cernita delcarbone.

- Beh! Filomena! - chiosò Zaccaria. - Lei se ne impipalei se ladorme! E' da sporcacciona dormire sino alle sei!

Si stava infilando le brachequandoattraversato da un'ideaaprì lafinestra. Fuorinel buioil borgo operaio si svegliava; le impostechiuse si punteggiavano di lumi. Ed ecco scoppiare un nuovobattibecco: Zaccaria si sporgeva a curiosare sedalla casa deiPierronlì in facciauscisse Danseartil sorvegliante del Voreuxche si diceva se la facesse con la Pierron; mentre la sorella gligridava che già dal sabato il marito aveva preso servizio di giornoper cuievidentementeDanseart non poteva aver dormito quella nottecon l'amante. Tutti e due si riscaldavano a sostenere ciascunol'esattezza delle sue informazioni; e intanto l'aria dell'esternoentrava a ventate nella camerafinché Estellaraggiunta nella cullada quel geloscoppiò in lacrime e strilli.

Quel pianto destò di colpo Maheu. Che aveva addosso da riaddormentarsia quel modocome un buono a nulla? E sacramentava con tanta energiache più nessuno nella stanza fiatava.

Gianlino e Zaccaria finirono di lavarsi con infastidita lentezza. Nonostante il baccanoi due marmocchiEleonora ed Enricouno nellebraccia dell'altronon s'erano mossi e si continuava a udire il loropiccolo respiro.

- Caterinaporta di qua la candela! - gridò Maheu.

Finendo di abbottonarsila ragazza obbedìlasciando che i fratellicercassero i loro abiti alla poca luce che veniva dalla porta.

Mentre suo padre saltava giù dal lettolei scese a tastoniincalzerotti di lana come stava; e in sala accese un'altra candela perpreparare il caffè. Sotto la credenza erano schierati tutti glizoccoli della famiglia.

- Vuoi piantarlamalanno! - gridò Maheu a Estella che non la smettevadi strillare.

Basso di statura come il vecchio Bonnemortgli somigliava per quantoun grasso può somigliare a un magro; lo stesso testonela stessafaccia piatta e livida sotto i capelli biondicci tagliati corti.

L'armeggiare delle sue lunghe braccia nerborute sopra la cullaspaventava la bambina che berciava sempre di più.

- Lasciala gridare; intanto non c'è verso di chetarlalo sai! - dissela moglie allungandosi nel letto ormai tutto per sé. Anche lei adessos'era svegliata; e si lagnava di non poter dormire in pace una notteintera. Che non avrebbero potuto andare al lavoro senza romperle ognivolta il sonno? Ficcata sotto le copertenon lasciava vedere che illungo viso dai tratti marcatid'una bellezza massicciagià sciupataa trentanove anni dalla sua vita disagiata e da sette gravidanze. Indolentecon gli occhi al soffittoprese a discorrerementre ilsuo uomo si vestiva. Ora né lei né lui avvertivano più gli strillidella bambina che si strangolava a gridare.

- Sai che mi trovo già a secco? E non siamo che a lunedì! Ancora seigiorni per arrivare alla quindicina. Così non si può andare avanti. Fra tutti portate in casa nove franchi. Come vuoi che ce la faccia?

Siamo in dieci bocche.

- Nove franchi! - protestò Maheu. - Io e Zaccariatre: sono già sei. Caterina e il vecchio due: fanno quattro. Quattro e sei: dieci. E unfranco Gianlinofa undici!

- E sia: undici. Ma le domeniche non le conti? E i giorni che non silavora? In medianon sono mai più di nove franchi al giorno.

Il marito non rispose: cercava in terra la cinghia. Rialzandosi:

-Va'lànon lamentiamoci! Io sono ancora in gamba. Quanti a quarant'annipassano alla manutenzione!

- Va benecaro; ma con questo il pane resta quello che è. Come mel'aggiusto oggi? Non hai nientetu?

- Due soldiho.

- Tienli per il tuo gotto di birra... Mio Diocome rimedio? Seigiorni sono lunghi a passare! Con Maigrat siamo in debito di sessantafranchi. Ieri l'altro mi ha messo alla porta. Andrò lo stesso avedere; ma se si ostina...E la donna seguitò con voce querula il suo lagno; immobilechiudevaogni tanto gli occhi alla luce smorta della candela. Diceva delladispensa vuotadei marmocchi che le chiedevano da mangiare; del caffèesauritodell'acqua che provocava delle colichedelle interminabiligiornate passate a ingannar la fame con foglie di cavolo lesse. A pocoa poco aveva dovuto alzar la voce per soverchiare gli strilli diEstella. Solo quando questi divennero assordantiMaheu diede segnod'udirli; fuori di séafferrò l'urlante fagottino e lo buttò sulletto della madre.

- Tieni- e l'ira lo faceva tartagliare- prendila tuse no lastrozzo. Maledetta bambina! Tettanon le manca nullaa lei; eprotesta più forte degli altri!

Già Estella s'era attaccata al capezzolo; ricoverata sotto la copertacalmata dal calduccio del lettogià non lasciava più udire che ilpiccolo succhio ingordo delle labbra.

Maheuin capo a un silenzio:

- Quei signori della Piolaine nont'avevano detto che ti facessi vedere?

Lei torse la bocca: c'era poco da sperarne.

- Sìli ho incontrati per strada. Vanno in giro a portare dei vestitiai bambini poveri. Insommastamattina andrò da loro. Mi porteròLeonora ed Enrico. Mi dessero anche solo uno scudo...Una pausa. Maheu era pronto. Restò un momento lì irresoluto; poi convoce sorda:- Che cosa posso farci io? E' com'è; aggiustati per la minestra... Aparlarne non si rimediameglio andare al lavoro.

- Hai ragione. Spegni la candela: non m'occorreper vedere di checolore sono i miei pensieri...Già Zaccaria e Gianlino scendevano; il padre li imitò e la scalascricchiolò sotto i passi pesantiattutiti dai calzerotti di lana. Alle loro spallelo stanzino e la camera ricaddero nel buio. Ora ipiccoli dormivano e anche Alzira aveva calato le palpebre sugli occhi. Solo la madre restò a fissare il buio a occhi apertimentre Estellaappesa alla mammella cascante lasciava sfuggire un borbottio digattino sazio.

Da bassoCaterina s'era anzitutto preoccupata d'accendere il fuoconella stufa; una stufa di ghisa con un fornello a graticola al centroe due ai latinei quali bruciava giorno e notte del carbon fossile. La Compagnia passava mensilmente a ogni famiglia otto quintali discagliettacarbone duro che veniva raccattato nei cunicoli. Siccomes'accendeva con difficoltàla ragazza ogni sera lo copriva; e così ilmattino dopo non aveva che da scuotere la cenere e da aggiungerequalche pezzetto di carbone tenero.

Quindimesso il bricco al fuoco venne a dare un'occhiata a ciò cherestava nella credenza.

La stanza assai ampia (occupava l'intero pianterreno) era tenuta conestrema pulizia. Intonacata di verde chiaroaveva il pavimento lavatoa sguazzo e cosparso di sabbia bianca. Con la credenza di abeteverniciatola ammobiliava una tavola e delle seggiole dello stessolegno. Alle paretistampe a colori chiassosi - i ritrattidell'imperatore e dell'imperatrice regalati dalla Compagnia; guerrierie santi dorati - contrastavano con la nudità dell'ambiente. Completaval'arredamento una scatolasulla credenzadi cartone rosso el'orologio a cucùdal quadrante dipinto a vivaci colori che riempivadel suo tic-tac il vuoto del soffitto. Presso la porta che dava sullascalaun altra se ne apriva per la quale si scendeva in cantina. Adispetto della pulizia che vi regnavaammorbava l'aria - un'ariacostantemente appesantita dal sentore del carbon fossile - il tanfo disoffritto di cipolla che vi persisteva dal giorno prima.

Davanti alla credenza apertaora Caterina rifletteva. Nell'armadionon restava che un pezzo di panedel formaggio molle da tavola e solopiù un'ombra di burro; bisognava ricavarne quattro pagnottelle daportarsi sul lavoro. La ragazza si decise: affettò il pane; una fettala coprì di formaggiol'altra la spalmò parsimoniosamente di burro:il primo panino era fatto. Un momento dopo tutte e quattro lepagnottelle s'allineavano sul tavolo; dalla più grossa destinata albabboalla più piccola destinata a Gianlino.

Per quanto assorta in apparenza nella bisognaCaterina aveva certocontinuato a ruminare in mente le chiacchiere di Zaccaria su Pierron ela moglieperché a un certo punto schiuse a mezzo la porta d'ingressoe gettò un'occhiata fuori. Il vento seguitava a soffiare; luci semprepiù numerose correvano dietro le facciate basse delle case; la svegliaanimava il borgo. Già porte sbattevano chiudendosinere file d'operais'allontanavano nel buio.

Era ben scioccaleia star lì a prender freddo; certoPierron se ladormiva placido sino alle sei. Era ancora in contemplazione dellacasaquando la porta di là degli orti s'aperse; la sua curiositàs'acuìma a uscire fu la piccola dei Pierron: Lidiache si recava allavoro.

Il traboccare del bricco la fece voltare. Chiuse la portaaccorse:l'acqua bollente spandendosi minacciava di spegnere il fuoco. Caffènon ce n'era piùbisognò utilizzare i fondigli rimasti il giornoprima. Addolcì quell'acqua tinta con zucchero grezzo. Giusto a temposuo padre e i fratelli scendevano.

- Capperi! - commentò Zaccaria. - Ecco un caffè che non ci agiterà inervi!

ConcilianteMaheu spallucciò:

-Bahcaldo lo è. E' già qualche cosa.

Gianlinoraccolte le briciole di pane dal tavolole buttò nellatazza. Mesciuto che ebbe a tuttiCaterinaversò il caffè cheavanzava nelle fiaschette di latta. Tutti e quattroin pieditrangugiavano in fretta al fumoso chiarore della candela.

- Siamo prontialla fine! Si direbbe che viviamo di rendita! - disseil padre.

Per la porta rimasta apertagiunse dal piano di sopra la voce dellaMaheu:

- Il pane prendetelo tutto- gridava. - Ho un po' divermicelliper i bambini.

- Va benesì- rispose Caterina.

Aveva ricoperto il fuoco e messo su un canto del fornello un resto dizuppa: il nonnoal ritorno dal lavorola troverebbe calda.

Ciascuno prese di sotto la credenza il suo paio di zoccoli; mise lafiaschetta a tracollaficcò tra veste e camiciasulla schienal'involto del pane. Uscirono; ultimala ragazzache soffiò sullacandela e chiuse la porta a chiave. La casa ripiombò nel buio.

- Tohsi parte a tempo- osservò un uomo che stava chiudendo laporta accanto. Era Levaquecol figlio Bertoun monellucciododicennegrande amico di Gianlino. Caterinadallo stuporesoffocòuna risatina all'orecchio di Zaccaria. CosicchéBouteloup nonaspettava neanche piùper prendere il suo posto nel letto coniugaleche il marito fosse uscito.

Ormai nelle case i lumi si spegnevano. Ancora lo sbatterenelchiudersid'una porta; poi tutto ricadde nel silenzio. Finalmente aloro agio nei lettidonne e bambini riattaccarono a dormire. E dalvillaggio spento al Voreux che ansimavafusotto le raffiche delventoun lento sfilar di ombre: minatori che s'avviavano al lavorocurve le spalle donde l'involto delle provviste sporgeva come unagobbaconserte sul petto le braccia checosì sfaccendateliimpacciavano.

Nella leggera tenuta di tela battevano i denti dal freddo; senzaaffrettarsi per questo di più; sbandandosi lungo tutta la strada conun pesticcìo di mandria

 

 

Capitolo terzo

 

Stefano s'era alfine deciso esceso dal terrapienoera entrato nelVoreux.

Ma tutti quelli ai quali si rivolgeva per sapere se ci fosse lavoroscuotevano il capo: il sorvegliante non poteva tardare; chiedesse alui. Lo lasciarono libero di muoversi a piacer suo tra le costruzionimale illuminatepiene di vani buiin un groviglio di piani e di saleche disorientava.

Salita una scala buia mezzo crollataStefano s'era trovato su unapasserella traballante; aveva quindi attraversato il capannone dellacernitaimmerso in un buio così fitto cheper non sbattere controqualche ostacoloaveva dovuto procedere a tastoni. Improvvisamentegli si pararono davantibucando le tenebredue occhi giallienormi:era nella ricevitoriasotto il castelloall'imboccatura stessa delpozzo.

Un caposquadrapapà Richommeun omaccione dalla faccia di gendarmebonario sbarrata da baffoni grigistava giusto dirigendosi versol'ufficio del ricevitore. Anche a lui Stefano ripeté la domanda:

-Cisarebbe mica bisogno d'un operaioche s'adatterebbe a qualunquelavoro? - L'altro stava per dir di no; ma si ripresee come gli altririspose allontanandosi:

-Aspettate Danseartil sorvegliante: è luiche comanda.

Nel locale quattro grandi lampade a riflettore investivano di luce ilpozzoilluminando a giorno le scale di ferrole leve dei segnali edei cardinii panconi di guida su cui scivolavano le due gabbie. Ilresto della vasta salasimile a una navata di chiesasparivapopolato di grandi ombre scintillanti. Solo la lampisteria splendevain fondomentre nell'ufficio del ricevitore la fioca lampada parevauna stelluzza prossima a spegnersi. Si cominciava a estrarre; e sullelastre di ghisa era un rintronare continuoun rullare incessante diberlineun correre di operai che le spingevano curvando la schienatra l'agitarsi e lo strepitare di tutti quegli ordigni al buio.

Un momento Stefano restò fermo dov'eraassordato e come cieco. D'ogniparte entravano correnti d'ariaghiacciandolo. Per sottrarvisieattirato dalla macchina di cui ora vedeva luccicare gli ottoni el'acciaiole si accostò.

Era installata in alto a una distanza di venticinque metri dal pozzo;e poggiava così saldamente sulla sua base di mattoni chepur andandoa tutto vapore e sviluppando una forza di quattrocento cavalliloscorrere dell'enorme biellache da una parte emergeva e dall'altra sisprofondava silenziosa come olionon comunicava alle pareti la minimavibrazione. Il macchinistaritto alla sbarra di comandotendeval'orecchio ai segnali a soneriasenza lasciare un attimo dell'occhiola tabella indicatrice sulla quale il pozzo era raffigurato coi suoipiani di caricoda uno spaccato verticale percorso da piombini - cherappresentavano le gabbie - appesi a funicelle. Ea ogni partenzaeper tutto il tempo che la macchina era in motole puleggele dueimmense ruote di cinque metri di raggioai cui mozzi i due cavi diacciaio si avvolgevano e si svolgevano in senso contrariogiravanocon tale velocità da non apparire più all'occhio che come mulinelli dipolvere grigia.

- Attenzione! - gridarono tre manovali che trascinavano una scalaaltissima. Per poco Stefano non v'era rimasto schiacciato sotto. Isuoi occhi si andavano abituando al buio; adesso vedeva scorrere icavi - trenta metri e più di treccia d'acciaio - che arrivati divolata nel castellopassavano lassù sulle pulegge fisseper scenderequindi a picco nel pozzoattaccati alle gabbie. Portava le puleggeun'alta armatura di ferrosimile a quella che regge le campane.

Il rapido scorrere del cavoquel continuo andirivieni d'un filoenormemente pesante checon la velocità di dieci metri al secondoarrivava a sollevare dodicimila chilisi compiva con la leggerezzad'un volo d'uccellosenza un rumoresenza un urto.

- Attentosacradìo! - Erano i due di prima che con la scala andavanoa verificare la puleggia di sinistra.

Intontito da tutto quel trambustoStefano tornò nella ricevitoria.

Quel turbinare di ordigni sul suo capo lo sconcertava. Rabbrividendonelle correnti d'ariale orecchie intronate dal rotolare deivagonciniosservò la manovra delle gabbie. Presso il pozzoilsegnale funzionava: un pesante martello mosso da una leva che unacordatirata dal fondolasciava ricadere su una specie di incudine. Un colpo per fermaredue per far discendere il cavotre per farlorisalire: era un battere incessante come di mazze ferrate che dominavail tumultoaccompagnato da uno squillare di soneria: frastuono chel'operaio preposto alla manovra accresceva lanciando a pieni polmonigli ordini al macchinistaattraverso un portavoce.

In mezzo a tutto quel fracassole gabbie aggallavano erisprofondavanosi vuotavano e si riempivanosenza che Stefanocapisse gran che in quel complicato lavoro. Una cosa sola gli erachiara: che il pozzo inghiottiva gli uomini a bocconi di venti e ditrenta con tanta disinvoltura che del loro passare non pareva neancheavvedersi.

La discesa degli operai nel ventre della terra s'iniziava allequattro. Arrivavano nella «baracca» a piedi scalzila lampada inmano; e a gruppetti qua e là aspettavano per imbarcarsi d'essere innumero sufficiente.

Col balzo silenzioso dell'animale notturno che scatta dalla sua tanala gabbia di ferro emergeva nel buiosi calava sui palettiportandoin ciascuno dei suoi quattro scomparti orizzontali due berline colmedi carbone. Ai pianerottoli corrispondenti ai quattro scompartideibraccianti tiravano fuori le berlinele sostituivano con altre vuoteo riempite in anticipo di legname da rivestimento. Ed era nelleberline vuote che gli operai si pigiavano in cinque per ciascunacosìda raggiungere in un solo viaggio il numero di quaranta quandotrovavano tutte le berline sgombre.

Compiuto il caricoun ordine partiva dal portavoceun boato sordo einintelligibile; mentre veniva tirata quattro volte la corda cheannunciava giù nel pozzo l'arrivo di quel carico di carne umana. Quindicon un leggero sobbalzola gabbia si tuffava in silenziopiombava giù come un ciottolo nell'acqualasciandosi dietrounicascialo scorrere e il vibrare del cavo.

- E' profondo? - s'informò Stefano da un minatorechecon occhi disonnoaspettava il suo turno.

- Cinquecentocinquantaquattro metri- rispose quello. - Ma attraversaquattro livelli; il primoa trecento metri.

Tacquero tutti e duegli occhi al cavo che risaliva.

- E se si spezza?

- Ahse si spezza... - e l'altro finì la frase col gesto.

Era giunto il suo turno; la gabbia era riapparsa con la consuetaleggerezza di sughero che aggalla. Con altri compagniquello siaccosciò nella berlina vuota; la gabbia si rituffò per riemergere dinuovo in capo a quattro minuti appenae inghiottire un nuovo caricod'uomini.

E d'uominia questo modonel corso d'una mezz'ora il pozzo nedivorò! Con più o meno ingordigiaa seconda della profondità dellivello cui erano destinati; ma senza arrestarsi un momentocon lafame che sempre si rinnova d'un buzzo capace di digerire un popolointero. Il budello si riempivasi riempiva senza che dal suo buiovenisse segno di vita; mentre la gabbia seguitava a sorgere dal vuotosempre nello stesso silenzio vorace.

Stefanoa forza di aspettarefu ripreso dal malessere che già avevaprovato sul terrapieno. Perché ostinarsi? Il sorvegliante cheattendeva lo congederebbe come avevano fatto gli altri. E una speciedi vaga paura improvvisamente lo decise; venne via di là; e fuori nonrallentò il passo che davanti al reparto delle caldaieattratto dalcalore che ne usciva. La porta spalancata lasciava vedere settecaldaie a due fornelli. In mezzo a una bianca nebbianel fischiodelle fughe di vapore acqueoun fuochista stava caricando uno deifornelliil cui riverbero si faceva sentire fin sulla soglia. Ilgiovinotto s'avvicinava per approfittarnequando incrociò una nuovasquadra di operai in arrivo. Erano i Maheu con Levaque. Scorgendo intesta Caterina: «tant'è- si disse- ha un'aria così affabile questoragazzo; potrebbe portarmi fortuna. Perché non azzardare un'ultimadomanda?»- Scusatecameratanon ci sarebbe bisognoche sappiated'unoperaio che s'adatterebbe a qualunque lavoro?

Trasalendo alla voce che usciva così inaspettatamente dall'ombralaragazza lo guardò interdetta. Rispose per lei il padreche avevaudito la domandae che s'intrattenne un momento con lo sconosciuto. Nodi lavoranti non s'aveva bisogno. Poveraccio peròMaheu si disseper le stradein questi tempiin cerca di lavoro... E raggiungendogli altri commentò:

-Eh! a ciascuno di noi potrebbe ben capitare lostesso... Non lagniamoci. Non tutticome noipossono schiattar dilavoro.

Il gruppetto s'avviò diritto alla «baracca»: uno stanzone imbiancatoalla megliocon tutto intorno alla parete degli armadi chiusi dalucchetti. Al centro s'arroventava una specie di stufa di ferromancante di sportello: talmente rimpinzata di carbon fossile che deitizzoni ne traboccavano crepitando sul pavimento di terra battuta. Altra illuminazione non c'era che quel bracierei cui riflessisanguigni tremolavano lungo i sudici zoccoli di legnos'allungavanosin sul soffitto che la polvere di antracite anneriva.

Nel momento che vi arrivavano i Maheunell'aria surriscaldata dellostanzone scoppiavano delle risate. Una trentina d'operaicon laschiena rivolta alla fiammase la stavano arrostendo con evidentesoddisfazione. Prima di raggiungere il loro postotutti venivano lì afare una buona provvista di caldoper sfidare con più coraggiol'umidità del pozzo. Ma quel mattino il divertimento era doppio: sidava la berta alla Mouquetteuna spingicarichi diciottenneuna pastadi figliolasolo un po' troppo esuberante di tette e di deretano. Abitava a Réquillart col padreil vecchio Mouquestalliere; e colfratello Mouquetmanovale come lei al Voreux; ma i tre lavorando aore diversela ragazza veniva alla miniera da sola; e d'estate inmezzo al granocontro un muro d'invernosi sollazzava con l'amorosoche ogni settimana era un altro. Tutta la maestranza maschile delVoreux era passata fra le sue braccia; una vera messa comune tracolleghisenza alcuna conseguenza.

Una volta che a Mouquette avevano rinfacciato di essersi obliata conun chiodaiolo di Marchiennesera mancato poco che dalla rabbia laragazza schiattasse: aveva troppo rispetto di sélei; vorrebbeperdere un braccio il giorno che qualcuno potesse vantarsi di averlavista con altri che con uno delle miniere.

- Non sei più con Chavalallora? - le diceva un minatoreridacchiando.

- Ti sei presa quel piccolino lìallora? Ma a quello lìgli civorrebbe una scala! Vi ho vistidietro Réquillart; tanto è vero cheposso dirti che luiper sposartiera salito su un paracarro.

Mouquette di rimandosenza prendersela:

-E con ciò? Che te ne fa ate? Non ti si è mica scomodato perché tu lo aiutassi a salire!

Trivialità bonacciona che scatenò un nuovo scoppio di risa e fecesussultare le schiene degli uomini che s'arrostivano intorno allastufa; mentre la ragazza portava a spasso in mezzo a loro l'indecenzadel suo costume provocantema al tempo stesso grottescoper via diquella esuberanza di cicciaspinta quasi alla deformità.

Senonchécome già a suscitarlafu ora Mouquette a spegnere tuttaquella ilaritàannunziando a Maheu che Fiorenzala grande Fiorenzanon verrebbe più; il giorno prima l'avevano trovata nel suo lettostecchita; chi diceva per una «caduta» del cuorechi a causa d'unlitro di grappa bevuto a garganella.

- Giusto oggi! E come rimedio così sui due piedi con una spingicarichidi meno su due che ne avevo? - si disperò Maheu. - Ma è una veradisdetta! - (Maheu - in società con lui ZaccariaLevaque e Chaval -lavoravano a cottimo). - Con Caterina solanon ce la faccio! - Maecco si batte la fronte:

-Ah! ci sarebbe quel giovinotto di poco fache cercava lavoro!

Danseart passava per l'appunto davanti alla baracca. Maheu gli esposeil caso e chiese che l'autorizzasse ad assumere l'operaio: laCompagnia non aveva appunto in programma di sostituire alle ragazzedei maschisull'esempio della miniera di Anzin? Il sorvegliante ebbedapprima un sorrisetto: quel progetto d'escludere le donne a pro degliuomini ripugnava di solito ai minatoripreoccupati di impiegare lefiglie e poco curanti delle conseguenze che derivavano alla salute ealla moralità delle ragazze.

Solo dopo aver esitato un po' acconsentìriservandosi però di farratificare la sua decisione da Négrell'ingegnere.

- Be'- fece Zaccaria- chi sa dov'è a quest'oraquello là!

- L'ho visto che si fermava presso le caldaie- disse Caterina.

- E allora vallo a chiamarespìcciati! - la incitò il padre.

La ragazza uscì di corsafacendosi largo tra una frotta di operaichecedendo ad altri il posto intorno alla stufasalivano al pozzo.

Imitandoli Gianlinosenza attendere il padreandò anche lui amunirsi della sua lampada; e uscì dalla baracca insieme a Bertounragazzo più sviluppato di corpo che di cervelloe a Lidiaunamingherlina appena decenne.

Precedendoli su per la scala buiala Mouquette ora strillavatrattando i due ragazzi di sudici mocciosi e minacciandoli di ceffonise seguitavano a pizzicottarla.

Stefano era ancora infatti nel locale delle macchinee stavadiscorrendo col fuochistaoccupato ad alimentare i forni. Lotratteneva lì la ripugnanza che provava a riaffrontare il gelo dellanotte. Ma s'era ormai deciso a partirequando sentì una manoposarglisi sulla spalla: Caterina.

- Si è trovato qualche cosa da farvi fare. Venite.

Alla prima non capì. Poilo invase una tale esultanza che dallagratitudine afferrò ambe le mani della ragazza e le strinse con forza.

- Graziecamerata... Ah voi siete davvero un bravo giovinottononc'è che dire!

Nel rosso riverbero dei forniCaterina lo guardò ridendodell'equivoco. La divertiva il fatto chepoco sviluppata com'era ecol mazzocchio nascosto dalla cuffialui la scambiasse per unmaschio. Stefano pure rideva; di contentezza; e un momento restaronotutti e due lì a guardarsicon le guance accese e gli occhi ridenti.

Rientrando nella baraccatrovarono Maheu cheaccosciato davanti allacassetta dove li riponevastava cavandosi gli zoccoli e i calzerottidi lana. In quattro parole i due uomini s'accordarono: un franco emezzo di paga giornaliera; il lavoro era faticosoma vi si facevapresto la mano. Quanto alle scarpetenesse quelle che aveva; e gliprestò un berretto usato e un copricapo di cuoio destinato asalvaguardare l'integrità del cranio: precauzione che il padre e ifigli disdegnavano.

Dalla cassetta prese gli utensili tra i quali c'era giusto il badiledi Fiorenza; quindi vi chiuse dentrocon gli zoccoli e le calze ches'era toltianche l'involto di Stefano.

A questo punto accorgendosi che Chaval non s'era ancora vistosbottò:- Che sta mai facendo per non essere ancora quiquel porco di Chaval? Qualch'altra sgualdrina da ribaltare su un mucchio di pietre! Siamogià in ritardo di mezz'oraquest'oggi!

Lo scatto tirò dal suo trasognamento Zaccariache con Levaque stavaplacidamente arrostendosi le spalle presso la stufa.

- E' Chaval che aspetti? E' arrivato prima di noi! è già nel pozzo daun po'!

- Come! e aspetti adesso a dirlo? Andiamoandiamospicciamoci!

Caterina smise di scaldarsi le mani per seguirli. Stefano le lasciò ilpasso e le tenne dietro su per le scale.

Ripassò così per un dedalo di scale e di corridoi buidove ilcalpestio dei piedi scalzi si avvertiva appena. Ed ecco fiammeggiaredi nuovo con tutti i suoi lumi la lampisteria: una stanza vetratatappezzata tutto attorno di rastrelliere sovrapposte cui erano appesecentinaia di lampade Davycollaudate e ripulite dal giorno primaetutte accese come i ceri d'una cappella. Allo sportelloogni operaioritirava la suacontrassegnata col punzone del proprio numero; laesaminavala chiudeva lui stesso; mentre il marcatempo segnava l'orasul registro. Maheu dovette intervenire perché una lampada fosseassegnata al suo nuovo spingicarichi. E non era finita: ultimaprecauzionegli operai dovevano sfilare davanti a un verificatore ilquale si assicurava che tutte le lampade fossero chiuse a dovere.

- Diancine! non fa caldoqui- sussurrò Caterinacolta da unbrivido. Stefano si limitò a scuotere il capo. Ecco che si trovava dinuovo davanti al pozzoal centro del vasto locale spazzato dacorrenti d'aria.

Certola sua risoluzione era presa: eppurein mezzo a quelrintronare di berlinetra i colpi sordi dei segnalilo strozzatomuggire del portavocedavanti a quell'incessante saettare sul suocapo di cavi che le pulegge avvolgevano e svolgevano con pazzavelocitàtant'è una specie di sgomento lo prendeva alla gola. Legabbie sprofondavanoaffioravanocome di soppiattosenza treguainabissavano uominiche la nera fauce pareva bevesse. Lui pure oranella fauceingoierebbe: il suo turno era venuto. Intirizzito taceva;e quel silenzio tradiva così bene lo stato di eccitazione nervosa incui si trovavache Zaccaria e Levaqueridacchiandose lo indicavanoa vicenda: né l'uno né l'altro infatti approvava l'assunzione dellosconosciuto; emeno che maiil secondooffeso che non lo si fosseconsultato. Sicché Caterina rifiatò di sollievo a udire il padre dareal giovinotto delle spiegazioni:- Vedetesopra la gabbia c'è un dispositivo per ovviare aglieventuali guasti; una specie di paracadute: dei ramponi di ferro chese mai il cavo si spezzassesi incastrano nelle guide. Non già cheogni rischio sia escluso!... Sìil pozzo è diviso in tre scompartiseparati da paratie verticali; al centroquello delle gabbieasinistra il bugigattolo delle scale a pioli...E interrompendosi e smorzando la voce:- Ma che diavolo si fa quisacradìo! è lecito farci crepare di freddo a questo modo?

Il capo-squadra Richommeche si disponeva a scendere pur luilalampada a fiamma libera agganciata al cuoio del berrettolo udì:

-Non farti sentirenon ti fidare! - mormorò paterno; era statominatore anche lui e per gli antichi colleghi gli restava una grandecomprensione. - Del resto per le manovre ci vuole il suo tempo... Eccoci siamo.Suvviaimbàrcati.

La gabbia era aggallata; rivestita di bandone e d'una fitta retemetallica attendevaa piombo sui cardini. MaheuZaccariaLevaque eCaterina presero posto nella berlina di fondo; e siccome ogni veicolodoveva bastare per cinqueStefano vi si introdusse a sua volta; maevidentemente qualcuno dei passeggeri ci teneva a star comodoperchéil giovane dovette pigiarsi vicino alla ragazza; che in quellaristrettezza di spazio era costretta a puntargli un gomito nel ventre.

La lampada lo impacciava; lo consigliarono di appuntarla a un'asoladella giacca; ma non udì e continuò a tenerla goffamente in mano.

Sopra e sotto di loro si seguitava a imbarcarsi: un'infornata dibestiame alla rinfusa. «Perché non si parte? che succede?» A Stefanopareva di attendere un anno. Finalmente una scossa lo fece sussultare:tutto andò a piccogli oggetti intorno presero il volo; mentre luiprovava il capogiro di chi cadeun rimescolìo nelle viscere. Lapenosa sensazione durò finché si fu in luce: il tempo per le gabbie diattraversaretra un vorticare di armaturei due piani dellaricevitoria. Poiuna volta piombato nel buio della minieranon fupiù che uno stordimento che ottundeva ogni altra sensazione.

- Eccoci in viaggio- disse placidamente Maheu.

Tutti intorno erano come a casa loro. Luicerti momentisi domandavase si scendeva o si saliva. A tratti avveniva che ci si credesse fermied era quando la gabbia filava a piombo senza toccare le guide; poieccola improvvisamente vibrar tuttai panconi di guida mettersi aballare. «Ci siamo! la catastrofe!» pensava Stefano. Incollavaperrendersi contola fronte alla grigliama senza riuscire a scorgerela parete del pozzo. Anche nell'interno era molto se si distingueva ilgroviglio dei corpi. Solo la lampada a fiamma libera di Richommebrillavanell'altra berlinadi viva luce.

Maheu seguitava a metterlo al corrente:

-Questo scompartimento quiha quattro metri di diametro. Il rivestimento avrebbe bisogno diessere rifatto; perde acqua da tutte le parti... Eccosi arriva alprimo livellosentite?

S'udiva strepito d'acqua che cade; e Stefano si stava appuntochiedendo di che si trattasse. Era stato da principio comel'avvisaglia d'un acquazzone: un rimbalzar di goccioloni sul tettodella gabbia; ma ora la pioggia cadeva a rovescioruscellava sulleparetisi tramutava in diluvio. Doveva esserci qualche fessura sultettoperché già un filo d'acqua gli colava lungo le spallegliarrivava alla pelle.

Si sprofondava nel buio e nell'umiditàin un freddo che diventavaglacialequando vi fu come un lampo: s'attraversava una zonailluminata; si ebbe appena la visione d'una caverna dove forme umanesi agitavano in una luce accecanteche già tutto ripiombava nel buio.

- E' il primo piano di carico- spiegò Maheu. - Siamo atrecentoventi. Guardate come si fila! - edicendoalzava la lampadae ne faceva cader la luce sul pancone di guida; emergendo essa soladal buiola massiccia trave fuggiva con la rapidità della rotaiasotto il treno lanciato. Altri tre livelli passarono in un barbagliodi luci. Nel buio la pioggia strepitava. - Si scende ben fondi! -mormorò Stefano. Nella posizione in cui si trovava e dalla quale latimidezza gli impediva di togliersicol gomito di Caterina puntatonel ventregli pareva che quella caduta durasse da ore. La ragazzanon apriva bocca; ma aderendogli contro gli comunicava un po' delproprio calore.

Quando alfine la gabbia si arrestò - si era acinquecentocinquantaquattro metri di profondità - Stefano si stupì asentirsi dire che la discesa era durata esattamente un minuto. Loscatto dei cardini che si incastravanoil sentire sotto di sé ilterreno solidogli fu di tale sollievo che prese celiando a dare deltu a Caterina:

-Che ci hai sotto la pelleper essere così caldo?... E verificaun po' se il gomito ce l'hai ancora a postoperché misembra d'averlo nella pancia.

Allora anche lei non si tenne. Ma come! era cieco a scambiarla per unmaschio?

- Direi piuttosto che ce l'hai nell'occhioil mio gomito! - e partìin una risatache lo lasciò interdetto.

La gabbia si vuotava; gli operai attraversarono il piano di carico:uno stanzone ricavato nella rocciacon la volta in muraturache tregrandi lampade a fiamma libera rischiaravano. Spinte a braccialeberline cariche rotolavano sul pavimento di lastre di ghisa. Le paretitramandavano un sentore di cantinauna frescura pizzicante disalnitronella quale passavano a tratti buffate di caldoprovenientidalla vicina scuderia. Quattro gallerie vi si aprivano spalancate comebocche.

- Di qui- disse Maheu a Stefano. - Non siamo giunti ancora; cirestano da fare due chilometri buoni.

Gli operai si separavanoa gruppi si dileguavano in fondo ai neribudelli. Una quindicina prese per la galleria di sinistra: Caterina intesta con Zaccaria e Levaque; dietroMaheu; Stefanoin coda. Era unabella galleria di carriaggiotagliata contro vena in una rocciasolida che solo qua e là era occorso armare di muro. Procedevano perunoin silenziosenz'altra compagnia che la fiammella della lampada;avantisempre avanti.

Stefano a ogni passo incespicavainciampava nelle rotaie. Da un po'oratendeva inquieto l'orecchio a un sordo rumore che si faceva viavia più minaccioso e che pareva venire dalle viscere della terra: unlontano rombo di tempesta. Il fragore d'una frana che stava perprecipitare su di loroper schiacciarlil'enorme massa di terra cheli divideva dalla luce del giorno? Un bagliore bucò la tenebralaroccia vibrò; Stefanosull'esempio degli altris'addossò alla paretee si vide passare rasente un cavallone bianco. Trainava una fila divagoncini; sul primoBerto che guidava; spingeva l'ultimo coi pugniGianlinocorrendogli dietro a piedi scalzi.

Rimessosi in camminogiunsero a un bivio dove altre due galleries'aprivano e dove il gruppo si sdoppiò. La galleria per la qualepresero era tappezzata di legname; sostegni di quercia puntellavano lavoltavestivano la roccia franosa di fitte armatureche lasciavanointravedere negli interstizi qui lastre di schisto pagliettate dimicalà grezzi massi di arenariascuri e rugosi.

Senza tregua passavano tonitruandos'incrociavanotreni di berlinepienedi berline vuote; e il loro tuono se lo portavano via al trottofantasmi d'animali che si penava nell'ombra a distinguere. Su undoppio binario di scambionero serpente in letargoun treno erafermo; il cavallo di traino starnutì; così solosi distinse dal buiocol quale celava tutt'unosimile a un blocco staccatosi dalla volta.

Sportelli d'aerazione s'aprivano sbattendosi richiudevano adagio. Evia via che si procedevala galleria si faceva più angustala voltaineguale si abbassavacostringendo a curvarsi ogni momento.

Stefano prese una tremenda zuccata; se non si spaccò il craniofu ingrazia del berretto di cuoio. Eppure spiava dinanzi a séperimitarloogni movimento di Maheuil cui profilo si staccava nero sulchiarore della lampada. Come Maheuanche gli altri dovevanodiquella voltaconoscere l'armatura in ogni dettagliola roccia inogni sua sporgenzaperché non capitava mai che vi battessero controdel capo. Al giovaneimpacciava il passo anche il suolo scivolosoche più si procedeva più s'inzuppava d'acqua. Ogni tanto gli toccavaguadare veri acquitrini che solo il diguazzare delle scarpe nellafanghiglia rivelava.

Ma la cosa cui era meno preparato erano i bruschi cambiamenti ditemperatura. In fondo al pozzol'aria era viva; e nella galleria dicarriaggioper la quale s'incanalava tutta l'aria della minierasoffiava un vento gelato chenelle strozzaturepigliava la violenzad'una bufera. Via via poi che ci si addentrava negli altricamminamentidove arrivava soloe razionatal'aria immessailvento cadeva e cresceva il caldo: un caldo soffocantegreve comepiombo.

Nello svoltare a destra per imboccare una nuova galleriaMaheu ruppeil lungo silenzio; senza volgersi:

-La vena Guglielmo! - disse aStefano.

Era il massiccio in cui si trovava il loro cantiere. Pochi passi sulnuovo camminamento bastarono perché Stefano si trovasse col capo e igomiti indolenziti. Il tetto in pendio s'abbassava al punto che pertratti di ventitrenta metri gli toccava avanzare piegato in due. L'acqua arrivava alle caviglie. Si percorsero in queste condizioniduecento metri; quand'ecco davanti a lui LevaqueZaccaria e Caterinasparire: come assunti. Restava Maheu solodei quattro; che:

- Sisale- avvertì. - Appendete la lampada a un'asola e tenetevi alpiedritto- e sparì a sua volta. Stefano gli si mise dietro. Si trovòin un pozzetto aperto nella vena; era riservato ai minatori e servivatutte le gallerie secondarie del quartiere. Era alto quanto il filonesessanta centimetri appena. Per buona fortuna che il giovane erasmilzoperchénuovo a quell'eserciziosi tirava su con un dispendiodi forze sproporzionato al profitto; aggrappandosi ai puntelli disostegnoavanzava a furia di bracciaappiattendo spalle e fianchipiù che poteva. Quindici metri più in sus'incontrò la prima galleriasecondaria; ma bisognò proseguireil cantiere di abbattimento diMaheu e dei suoi era al sesto: «all'inferno»com'essi dicevano; e legallerie secondarie si scaglionavano una sull'altra di quindici inquindici metri; non la si finiva più di salire attraverso quellafessura che acciaccava la schiena e il petto. Stefano rantolava; eracome se il peso delle rocce lo stritolasse; ma più dello sforzo chegli strappava i polsi e contundeva le gambesoffriva della mancanzad'aria: sembrava che il sangue gli bucasse la pelle.

Vagamentein una delle gallerie che attraversaronoscorse due esseri- o bestie? - checurvispingevano delle berline: erano Lidia e laMouquette già al lavoro. E lui doveva arrampicarsi due piani più suancora! I goccioloni di sudore gli impedivano la vista; disperava diraggiungere gli altricheessi sìscivolavano via spediti comeniente fosse.

Lo accolse la voce di Caterina:

- Coraggioci siamo! - C'eranoinfatti. Mamentre Stefano metteva piede nel cantieredal fondoun'altra voce gridò:

-Ebbene! che faccenda è questa? ci si infischiadegli altrieh! Io che ho due chilometri da fare per veniresono quida un'ora!

Era Chaval che protestava; un giovanotto altomagrosui venticinqueossutodal viso maschio. Scorgendo la nuova reclutachiesecon untono tra stupito e sprezzante:

-Che novità è questa? - E ragguagliatoda Maheucommentò tra i denti:

-Sicché gli uomini portano via ilpane alle ragazze!

Nello sguardo che i due si scambiaronosi lesse uno di quegli odiistintivi che divampano all'improvviso. Stefano aveva avvertito nelleparole una offesa ma lì per lì non ne afferrò il motivo.

Nel silenzio che si fecetutti si misero al lavoro. Finalmente lemaestranze erano al loro posto; a ogni livelloin fondo a ognicunicoloil lavoro riprendeva.

Il pozzo vorace aveva inghiottito la sua quotidiana razione d'uomini -poco meno di settecento operai - che a quest'ora nell'immensoformicaio attendevano al loro lavoroscavando d'ogni parte la terracrivellandola di buchitarlandola come un vecchio legno. E dai piùprofondi strati della minieraa incollare l'orecchio alla rocciasisarebbe potuto udirenel pesante silenzioil brusìo di tutti quegliinsetti umani in motodal veloce scorrere del cavo che alzava ecalava la gabbia d'estrazionesino al morso degli utensili che infondo ai cantieri d'abbattimento intaccavano il carbone.

VolgendosiStefano si trovò di nuovo pigiato contro Caterina; maquesta volta ne indovinò la forma nascente del seno; ed ecco si spiegòil tepore che la sua vicinanza gli aveva comunicato.

- Sei dunque una ragazza? - mormorò stupefatto.

Leid'un'aria gaiasenza arrossire:

-Ma certo! Ce n'hai messo peròdel tempo!

 

Capitolo quarto

 

I quattro minatori s'erano allungati uno sopra l'altroper tuttal'altezza del fronte di attacco. Divisi da assiti agganciati tra loroche trattenevano il carbone via via che cadevaaccudivano ciascuno aquattro metri circa di filone; e il filone era così sottile - in quelpunto raggiungeva appena i cinquanta centimetri - cheschiacciati tramuro e tettodovevano trascinarsi sui ginocchi e sui gomiti népotevano muoversi senza acciaccarsi le spalle.

Sicchéper intaccare il mineraleerano costretti a star sdraiati suun fiancoa storcere il collo e maneggiare di sbieco la cortapiccozza da minatore.

In bassoaveva preso posto Zaccaria; sopra di luiLevaque e Chaval;in altoMaheu. Cominciavano col demolire a colpi di piccozza lostrato di schisto; quindipraticate due intaccature verticali nelfilonestaccavano il massofacendovi leva dall'alto con un cuneo diferro. Il carbonegrassosi frantumava e i rottami rotolavano lungoil ventre e le cosce dell'operaio. Quandotrattenuto dall'assitoilcarbone aveva fatto mucchio ai suoi piedilo scavatore sparivacomemurato nella stretta fenditura.

Chi stava peggioera Maheu. Là in altola temperatura saliva sino atrentacinque gradi; l'aria non circolava e la sua mancanza diventavaalla lunga mortale. Per vederciaveva dovuto appendere a un chiodovicinissima alla testala lampada; chescaldandogli il craniofiniva di arroventargli il sangue. Supplizio che aggravava ancoral'umidità. La roccia sopra di luia pochi centimetri dal visotrasudava acqua che in goccioloni rapidi e continui cadevacon unaspecie di ritmo ostinatosempre nello stesso punto. Lui aveva un beltorcere il collorovesciare la nuca; senza tregua i goccioloni locolpivano in facciavi si schiacciavano schioccando. In capo a unquarto d'ora n'era inzuppato; emadido per conto suo di sudorefumava come un cencio nella conca del bucato.

Stamane poi una goccia gli si accaniva contro l'occhio; bestemmiava;maostinandosiseguitava lo stesso a menar colpi che lo facevanosobbalzare tra le due pareti di rocciasimile a un moscerino che lepagine d'un libro minacciano di spiaccicare.

I quattro non si scambiavano parola. Dal loro affannarsi non uscivaaltra voce cheattutito e come lontanoquel battere irregolare dellepiccozze.

Nell'aria mortai rumori prendevano un suono sordosenza eco. E ilbuio che regnava intornoinspessito dalla polvere di carbone eappesantito dal gas che opprimeva le palpebreera d'una compattezzache i lucignoli delle lampade incappucciati di rete metallicariuscivano solo a forare di punti rossastri. Non si distingueva nulla;lo scavo s'aprivasaliva su a mo' di un ampio caminopiatto eobliquoin cui si fosse andata accumulando la fuliggine di dieciinverni.

Delle forme spettrali che vi si agitavanoil vago barlume lasciavaora indovinare la curva d'un'ancaora un braccio nodosoora unafaccia accesa e come insanguinata. A voltenello staccarsivibalenavacon le sue sfaccettature e i suoi spigoli luccicanti dicristalliun blocco di carbone. Tutto quindi ripiombava nella notte;animata solo dai sordi colpidall'ansimare dei pettidai sospiri odai sagrati che l'incomoda posizione e la faticain quell'aria pesa esotto quel continuo stillicidiostrappavano agli scavatori.

Zaccariache la sbornia del giorno prima infiacchivasmise presto dibattere col pretesto d'un rivestimento urgente da fare: occupazioneche gli permetteva di obliarsi a fischiettare sottovocelo sguardoperso nell'ombra. Alle spalle degli scavatoric'erano infatti giàquasi tre metri di roccia sfruttatacheavari del loro tempo eincuranti del rischioancora non si erano preoccupati di puntellare.

- Ehitul'aristocratico! - gridò il giovane a Stefano- passami unpo' di tavole!

Stefanocui Caterina stava insegnando a maneggiare il badileandò aquel che della catasta era rimasto dal giorno prima (ogni mattinadisolitola catasta veniva rifornita di assi bell'e prontetagliate sumisura).

E vedendo il nuovo spingicarichi venire avanti traballando sulcarbonecon le braccia impacciate da quattro assicelle di quercia:

-Spìcciati dunquebattifiacca! - lo incitò.

Avuto l'occorrenteZaccaria praticò con la piccozza un'intaccaturanel tettoun'altra nel muro in corrispondenza della prima e v'inserìquindi per i due capi l'asse. Nel pomeriggio i terrazzieriutilizzavano lo sterro lasciato dai compagni in fondo al cunicolo perinterrare le parti sfruttate del giacimentoseppellendo le armaturedi legno che vi trovavano e lasciando solo il passaggio superiore einferiore libero per il carriaggio.

Maheu smise di sbuffare. Finalmente aveva avuto ragione del blocco chestava demolendo. S'asciugò con la manica il viso grondante e solo orasi volse a guardare che mai Zaccaria fosse salito a fare alle suespalle.

- Lascialascia! - disse. - Si vedrà poidopo colazione. Megliooradarci dentro e scavare; dobbiamo spicciare più berline che sipuò..

- Ma crolla! C'è già una fendituranon vedi? Temo che frani.

Il padre spallucciò. Macché franare! E se mai? non sarebbe la primavolta! si caverebbero d'impiccio egualmente. Finì per stizzirsi erispedì il figlio al suo posto di scavatore.

Tutti stavanodel restoprendendosi un po' di riposo. Levaquesenzaessersi mosso dalla sua posizione di lavorobestemmiavacontemplandosi il polliceche la caduta d'un pezzo d'arenaria gliaveva scorticato a sangue. Chavalper mettersi più a suo agiosicavava a furia la camicia di dossorestando a torso nudo. Erano giàneri di carbonecoperti d'un minuto pulviscolo che il sudoretrasformava sulla pelle in chiazze e rivoletti.

Fu Maheu a riprendere a battere; più in bassoorail capo a filodella roccia. Adesso la goccia gli cadeva sulla frontecon unaostinazione che pareva volesse trivellargli il cranio.

- Non ci far caso! - diceva intanto Caterina a Stefano. - E' la loroabitudinedi alzare la voce! - e da buona figliolariprese la sualezione: ogni vagoncino usciva alla luce come partiva di lìcontrassegnato da un gettone che all'ufficio ricevitore permetteva diiscriverlo in conto del cantiere di abbattimento; per cui bisognavabadare che il vagoncino fosse ben colmo e di buon mineraleper nonincorrere nel rischio che venisse rifiutato.

Nell'oscuritàcui gli occhi s'andavano abituandoStefano distinguevaora il viso della ragazza; ancora risparmiato dal carboneera d'unpallore anemico. Che età poteva avere? A giudicare dalla gracilitàStefano non le avrebbe dato più di dodici anni; ma capiva bene chedoveva averne di più. La sua disinvoltura di maschioquell'ingenuasfrontatezzalo mettevano in soggezione. Non gli piaceva; avevaun'aria troppo sbarazzina quel viso infarinato di "pierrot"chiusoalle tempie dalla cuffia; maciò che più lo stupivaera la forza dicui la ragazza dava prova: una forza nervosa che s'accompagnava a unagrande destrezza. A riempire il carrello faceva prima di luimaneggiando il badile con perizia e sveltezza; lo avviava quindi sinoal piano inclinatocon una spinta lenta ma continua e senza strappi;e senza difficoltà lo accompagnavascivolando come niente fossesotto la bassa volta; mentre luiper farlotrafelavas'incagliavaogni po' deragliava.

Non già che il compito fosse facile. Il piano inclinato distava dalcantiere una sessantina di metri; e il passaggio - che ancora glisterratori non avevano allargato - era un vero budelloschiacciatosotto una volta inegualetutta bozze e sporgenze. In certi punti ilvagoncino carico passava appena; e il conducente doveva alloraaccucciarsispingere piegato sulle ginocchia se non voleva spaccarsiil cranio. In piùil rivestimento già cedeva; grucce che nonresistevano al pesoi puntelli si spezzavano a metàs'incrinavano dilunghe fenditure. Bisognava stare attenti a non ferirsi contro queglispunzoni; e sotto quell'incombere della voltache schiantava col suopeso travi di quercia massiccisi strisciava ventre a terracolterrore di essere da un momento all'altro stritolati.

- Di nuovo! - scattò Caterina in una risata.

Il carrellonel punto più difficileera uscito dal binario. Dove lerotaie nel terreno cedevole si piegavanoStefano non riusciva amantenervi il veicolo. Sacramentavasi arrabbiavas'accaniva arimettere le ruote sulla via giustasenza riuscirvi per quanti sforzifacesse.

- Aspetta dunque! Se ti arrabbiè solo peggio!

Lestagià Caterina s'era insinuata rinculoni sotto il vagoncino; ed'uno sforzo di reniora lo sollevavalo rimetteva a posto. Un pesodi sette quintali! Stupitovergognosolui balbettava delle scuse.

La ragazza dovette mostrargli come bisognava divaricare le gambepuntare i piedi contro il paramento da ambo i lati del cunicolopertrovarvi un solido punto di appoggio. Il corpo doveva piegarsilebraccia irrigidirsiin modo da far forza con le spallecoi fianchicon ogni muscolo. Per imparare a non esser da menolui durante unviaggio la guardò fare: la ragazza filava viapiegata in dueprotendendo il deretanoi pugni così vicini a terra che parevacamminasse carponicome la scimmietta che si produce nel circo.

Sudavaansimavale sue giunture scricchiolavano; maresaindifferente dalla abitudine che vi aveva fattonon emetteva unlagno; si sarebbe detto che vivere piegati in due a quel modofossesorte comune di tutta l'umanità... A fare altrettantolui non arrivava;le scarpe lo impacciavano; l'avanzare a quel modoa testa bassagli fiaccava le reni. In capo aqualche minutoquella posizione diventava un supplizio; al punto cheera costretto a mettersi in ginocchio per raddrizzarsi un momento eriprender fiato.

Poial piano inclinatoricominciavano le difficoltà. Caterina gliinsegnò ad agganciare in un batter d'occhio la berlina.

In cima e in fondo al pianoche serviva tutti i cantieri dicoltivazione compresi fra un livello e l'altrostava un ragazzoaddetto alla manovra: il frenatore in altoil ricevitore in basso. Due monellaccid'un'età tra i dodici e i quindiciche si lanciavanoa vicenda delle oscenitàe ai quali bisognava urlare di peggio perrichiamarne l'attenzione. Quando s'otteneva lo scopoal presentarsid'una berlina da far risalireil ricevi-carichi lanciava il segnale;la spingi-carrelli agganciava il suo colmo; checol pesorimontaval'altronon appena il frenatore gli dava il via. Nella galleria infondo si formavano i trenini che i cavalli si incaricavano di trainaresino al pozzo.

Dalla cima al piano inclinato - chelungo un centinaio di metri erivestito interamente di legnorisonava come un gigantesco portavoce- adesso Caterina chiamava:

-Ohèbastardi maledetti!

Non venne risposta: i due se la dovevano dormire. A tutti i ripiani iltraffico s'arrestò. Nel silenziouna sottile voce di bimba lanciò:- Uno dei due è sulla Mouquettescommetto!

La frase suscitò uno scoppio di ilarità; tutte le spingi-carichi sispanciavano.

- Chi è? - chiese Stefano a Caterina.

- Che ha gridato così? la piccola Lidia; una cosina che sa il fattosuo e che coi suoi braccini di bambola fa filare il carrellocome nonpotrebbe meglio una donna fatta. Quanto alla Mouquetteha ragione laLidia! oh quella è capacissima di farsela con tutti e due i ragazzi aun tempo.

Invece di laggiù la voce del ricevi-carichi arrivò. Certounsorvegliante ch'era venuto a passare. Nei nove ripiani il trafficoripresenon si udì più che il richiamo alternato dei due manovalilosbuffare delle spingi-carichi che arrivavanosfiatateal pianoinclinatofumanti come giumente troppo cariche.

Era alloraalla vista di quelle ragazze abbrivate carponi dietro ilvagoncinole reni arcuatele anche che minacciavano di schiantare icalzoncini da maschioche la foia si accendeva nei maschi e un ventodi bestialità soffiava nella miniera.

Edi ritorno da ciascun viaggioStefano ritrovava l'aria soffocantedel cantierepiena del sordocadenzato rumore delle piccozzedelpenoso ansare dei minatori che s'accanivano al lavoro.

Tutti e quattro s'erano messi nudi; einteramente coperti di polvereche il sudore appiccicava alla pellefacevano ormai tutt'uno colcarbone. C'era stato anzi un momento che s'era dovuto soccorrere Maheuche rantolava e rimuovereper liberarlole assi che arginavano ilcarbone.

Zaccaria e Levaque sacramentavano contro il filone chedicevanodiventava sempre più faticoso estrarre: ciò che avrebbe resodisastroso il lavoro a cottimo. Chaval ogni tanto si metteva sullaschiena e dava sfogo al suo malumore investendo di male paroleStefanola cui presenza manifestamente gli dava sui nervi: -Battifiacca della malora! un giovanotto che non ha la forza d'unaragazza! Lo riempi sì o no quel carrello? Ah! ti risparmieh? Sta'all'occhiosacradìoche se ci rifiutano un caricoil mezzo francodi ritenuta lo trattengo a te!

Il giovane evitava di rispondere; gli premeva troppo non perdere ilpostose posto si poteva chiamare quel supplizio da galeotto; per cuis'acconciava a obbedireper brutali che fossero i modi di chi locomandava. Ma non ne poteva più; aveva i piedi scorticatile membraspezzateil torace come stretto in una morsa di ferro.

Per fortunail cantiere si disponeva a far colazione: erano le dieci. Per saperloMaheu non ebbe bisogno di guardare l'orologio; il buioche regnava lì dentroper fitto che fossenon lo faceva sgarrare dicinque minuti. I quattro si rivestirono; escesi dallo scavosiaccosciarono sui calcagni; i gomiti stretti ai fianchinellaposizione consueta a minatori cheanche fuori della minieranonhanno bisognoper sedersiné di pavimentoné d'altro. E ciascunotirato fuori il suo pacchettocome compiendo un ritoprese asbocconcellare e a masticare la spessa fetta di panelasciando caderea tratti qualche breve commento sul lavoro della mattinata.

Caterinache non s'era sedutafinì per raggiungere Stefano che s'eraallungato in dispartele gambe attraverso le rotaieil dorsoappoggiato all'armatura di legno; in un punto in cui il terreno eraabbastanza asciutto.

- Non mangi tu? - gli chiese con la bocca pienala ragazza. Madicendosi sovvenne d'averlo trovato a errare nella nottee intuendoche non aveva un soldo e neancheforseun pezzo di pane:

-Vuoifavorire? - si affrettò a soggiungere. E siccome lui si schermivaasserendo di non aver fame con un tremito nella voce che lo smentiva:- Ahnon ti giovi! ma ho morso di quisaiio; tu attacca dall'altraparte- e già della fettona di pane imburrato ne aveva fatto due.

Prendendo quella che la ragazza gli porgevaStefano dovette fare unosforzo per non inghiottirla tutta in una volta. Appoggiò i gomitisulle cosce per non lasciar vedere che le braccia gli tremavano. Conla tranquilla disinvoltura della buona compagnagià Caterina gli siera allungata accantobocconiil mento in una manonell'altra ilpane che sbocconcellava adagio. Deposte in terra in mezzo a lorolelampade li rischiaravano.

Caterina lo osservò un momento in silenzio: con quel viso affilatoibaffetti neridoveva trovarlo bello. Guardandolosorrideva vagamentedi piacere.

- Sicché eri meccanico in ferroviae ti hanno licenziato... E perchémai?

- Perché ho schiaffeggiato il mio capo.

Schiaffeggiare un superiore! Una cosa che sconvolgeva tutte le idee digerarchiadi obbedienza passiva che la ragazza aveva succhiato collatte materno.

- Davvero?!

- Devo dire che avevo bevuto- spiegò lui. - Quando bevonon so piùquello che mi faccio. Mi ammazzerei e ammazzerei il primo che vedo. Sìbastano due cicchetti per mettermi addosso idee sanguinarie. Doposto male per due giorni di fila.

Leifacendosi seria:

-Ma non bisogna bere!

- Ohva' là che lo so! mi conosco! - e scoteva il capo.

Lo detestaval'alcool. Ultimo di una razza di ubriaconi che l'alcoolaveva impregnato sino alle midolla e portato alla rovinascontava orala tremenda eredità: una goccia di acquavite bastava ad avvelenarlo.

Inghiottito un boccone:

-E' per via di mia madre che mi rincresced'aver perso il posto- aggiunse. - Mia madre non è davveronell'agiatezzae qualche soldo ogni tanto glielo mandavo.

- Dove l'hai tua madre?

- E' a Parigi. Lavandaiain via della Goccia d'oro.

Una pausa. Quando ci pensavaa queste coseall'eredità che glicovava nel sanguealla minaccia che incombeva sulla sua salute esulla sua gioventùnegli occhi gli passava lo sgomento. Restò unistante come smarrito a fissare il buio. Si rivedeva bambinopressola madre cheancora bella e nel pieno delle forzeera stata piantatadal marito; poi ripresadopo che s'era sposata con un altro; larivedeva vivere tra quei due uomini che se la disputavanoavviarsicon essi alla rovinatra il vino e la sporcizia. Rivedeva la stradain tutti i suoi dettagli; la bottega ingombra di biancheria sporcalacasa appestata da fiati vinosiecheggiante di schiaffi da slogar lemascelle. Come parlando a se stesso:- Ora- fece- non è con la paga di un franco e mezzo che la potròaiutare... Morirà di fameè certo -. Scrollò con disperazione lespalle e rimise i denti nella fetta di pane.

Caterinache sturava la borracciagli offrì da bere:- Oh questo non ti può far male! è caffè. Ci si strozzaa masticare asecco!

A lui pareva d'aver già abusato mangiandole metà della colazione erifiutò. Ma l'altra insisteva con tanta buona grazia! - Ebbeneberròio per primavisto che sei così gentile... Ma ora non puoi piùrifiutare; mi offenderesti... - e gli porgeva la fiaschetta.

Per farlosi era alzata sui ginocchi. Vista così da presso erischiarata in pieno dalla lampadala ragazzaoragli apparivagraziosa. «Come ho potuto trovarla brutta?» Stefano si chiedeva.

Adesso che la polvere di carbone lo scurivail giovinotto trovava aquel volto una strana attrattiva. I dentinella bocca un po' grandescintillavano bianchissimi; gli occhicome dilatatiavevano iriflessi verdognoli degli occhi dei gatti. Sfuggita alla cuffiaunaciocca di capelli le vellicava l'orecchiofacendola ridere. In quelmomentodi annisi poteva ben dargliene quattordici; non pareva piùla ragazzetta di prima.

- Se è per farti piacere... - e Stefanobevuto un sorsole rendevala fiaschetta. Lei la portò alla bocca; ma per tendergliela di nuovo;- si fa a mezzo- dicendo. Il passare del recipiente da una boccaall'altra li divertiva. Ed eccoil giovinotto si chiese se non fosseil momento di attirarla a sédi baciarla sulla bocca. Lo tentavanoora quelle labbra tumided'un rosa che il nero del carbone avvivava. Ma lei lo intimidivanon osava: a Lillapiù che donne di strada edella peggior specie non aveva praticato; con un'operaiauna ragazzadi famigliasi trovava impacciato. Riprendendo a mordere il suo pane:- Indovinoche hai quattordici anni?

Lei quasi si risentì.

- Quattordici? Quindicine ho! E' vero che sonomingherlina... Ma qui in miniera stentiamo a svilupparcinoiragazze...Allora lui cominciò a interrogarla; né sfrontata né timidaCaterinarispondeva alle sue domande senza reticenze. Il giovane presto si reseconto di non aver nulla da insegnare a quella ragazza; ma insiemesentiva che ragazza era ancorabambina anzi nel corpo; sessualmenteimmatura per colpa certo dell'ambiente malsano in cui viveva edell'esistenza faticosa che menava. Nella speranza di metterla inimbarazzolui riportò il discorso su Mouquette. Ah ne combinava dibellequella lì! e sul conto di Mouquette Caterina gliene raccontò dicrude e di cottecon la più grande naturalezzadivertendocisi unmondo.

- E tu non ce l'hai un amoroso?

- No; ma l'avrò bene prima o poi. Mi rincresce dare dei dispiaceri amia madrema prima o poi... Lo disse curvando le spalle erabbrividendo un niente negli abitibagnati di sudore; il viso prese l'espressione docile e rassegnatadella creatura che è pronta a subire uomini e cose.

- Vivendo in questa promiscuitàse ne trovanoè verodei galanti?

- Come no?

- E poinon si fa del male a nessuno... Il parroco non l'ha dasapere.

- Ohdel parroco non me ne do pensierome ne infischio... L'Uomoneropiuttostomi fa paura... - Comel'Uomo nero?

- Il vecchio minatore che anche da morto bazzica la miniera estrangola le ragazze che sgarrano.

Che si pigliasse gioco di lui?

- Tu credi a queste frottole? Sei ingenua a questo punto?

- Ohso leggere e scrivereio... E' una cosa che serveun po'd'istruzione. Ancora al tempo dei miei genitorisi veniva suanalfabeti.

«E' carina davvero; tanto! - si diceva Stefano. - Le lascio finire ilsuo panepoi l'attiro e la bacio su codeste sue labbra color dirosa».

Era la decisione del timido; un proposito di violenza che lo facevatartagliare. Quegli abiti maschili su quel corpicino di femminaquelcamiciottoquelle brachettelo eccitavano e al tempo stesso lointimidivano.

Inghiottito l'ultimo bocconebevve alla fiaschettaquindi glielaporse perché la vuotasse. Il momento era venuto di mettere in atto ilsuo proposito; e Stefano gettava un'occhiata sospettosa laggiù versoil gruppo dei minatoriquando un'ombra ostruì il cunicolo: Chaval.

Di làl'uomo restò un momento a guardarli. Poi venne avanti; eassicuratosi che Maheu non lo vedevaafferrò Caterinache non s'eramossa da sedereper le spallele rovesciò il capo tranquillamentecome se Stefano neanche esistessela marchiò in bocca d'un baciobrutale come un morso: il bacio della gelosiaimperioso come unapresa di possesso. La ragazza si ribellò:

-Oh lasciamisai!

Tenendole fermo il capolui la fissava in fondo agli occhi. Sul visoannerito dell'uomocui il naso dava un'aria rapacefiammeggiavanorossi la barba e i mustacchi. Finché mollò la presa e s'allontanòsenza dir parola.

Stefano era allibito alla scena. Che stupidoluiad averci pensatotanto! Baciarla ormai non poteva più: lei avrebbe creduto che glienedesse il coraggio l'esempio dell'altro. Si sentì profondamentemortificato nel suo amor proprio.

- Ah- commentò sottovoce- era dunque una bugia! Ce l'haivedol'amoroso!

- Ma che amoroso! ti giuro! - protestò lei. - Non c'è nulla fra noi. Fa cosìa volteper scherzo... Non è neppure di queste parti; ci èarrivato qui sei mesi fa da Pas-de-Calais.

S'erano intanto alzati; il lavoro riprendeva.

La freddezza che in Stefano era sottentrataaddolorò Caterina. Certoin cuor suo la ragazza trovava Stefano preferibile a Chaval. Avrebbevoluto mostrarsi gentileconsolarlo: e non sapeva come. Le offrìl'occasione di distrarlo almenola meraviglia con cui il giovanottonotava che la fiamma della lampada era adesso turchina e che bruciavain un alone pallido. Affettuosa sussurrò:

-Vieni che ti faccio vedereuna cosa! - E condottolo in fondo al cantieregli indicò nel carboneun crepaccio. Un leggero gorgoglìo ne sfuggivasimile allo zufolod'un uccello. - Mettici la mano... Pare ventosenti? E' il grisù!

Una cosa così innocenteil grisù? il terribile gas che poteva da unmomento all'altro far saltare una miniera? Del suo stuporeleirideva. - Ce n'ha da essere parecchio ogginell'aria! è per via delgrisù che la fiamma prende questa tinta!

Dall'alto venne la voce irritata di Maheu:

-Ebbenequando la finitedi cianciarefannulloni?

I due si affrettarono ai carrelli e misero mano alle pale. Colmati cheli ebberoingobbendosi sotto la bassa voltali spinsero sino alpiano inclinato. Già al secondo viaggioerano zuppi di sudore e conle giunture dolenti.

I minatori s'erano rimessi a scavare. Spessoper non prender freddocapitava abbreviassero il pasto; checonsumato in silenzio e al buiocon quella voracitàpesava poi sullo stomaco come piombo. Distesi sulfiancoadesso maneggiavano la piccozza con più accanimento di primadecisi a spicciare più lavoro possibile. Assillati dal bisogno diguadagnarese pure a costo di tanta faticaall'infuori di quellonon vedevano più altro. Lo stillicidio cui erano espostil'umiditàche gonfiava le loro giunturei crampi che dava loro la posizione cuierano costrettila notte in cui erano immersi e che li sbiancava comepiante allevate in cantinatutto questo non lo avvertivano più. Eppure più le ore passavanopiù l'aria si guastavascaldata dallelampade fumosedai fiati malsaniresa irrespirabile dal grisù cheaggravava le palpebrele impigliava come una ragnatela; e che solol'aerazione notturna avrebbe dissipato. Ma che importava? Seppellitisotterranel loro buco di talpesenza più aria nei polmoni arsiessi seguitavano a batterea battere

 

 

Capitolo quinto

 

Maheusenza consultare l'orologio - l'avevatogliendololasciatonella giacca - smise di battere per dire:

-A momenti è il tocco. HaifinitoZaccaria?

Da un po' il giovane s'era messo a puntellare la roccia. Ma più chelavorare era rimasto sul dorsolo sguardo vagoa pensare allapartita di calcio del giorno prima. Alla voce del padre si riscosse:

-Sìmi pare che ora basti. Domani si vedrà- e tornò a riprendere ilsuo posto nello scavo.

Sull'esempio di Maheuanche Levaque e Chaval avevano deposto lapiccozza. Ci fu una tregua. Asciugandosi col braccio nudo la facciaguardavano il tetto di schisto crepato di fenditure. Il discorsocaddeal solitosul lavoro.

- Ci voleva anche questa- mormorò Chaval- che ci toccasse unterreno che frana... Il cottimo di questo non tiene conto!

- Farabutti! - borbottò Levaque. - Non cercano altro che metterci nelsacco.

Zaccaria rise. Poco gli importava a luidel lavoro e del resto; ma lodivertiva sentir sparlare della Compagnia.

PacatoMaheu osservò che bisognava farsi una ragione; prevedere diche natura sarebbe il terrenoun terreno che ogni venti metricambiavaera impossibile. Poicome gli altri due seguitavano ainveire contro i dirigentiguardandosi intorno inquieto:

-Zitti! orabasta!

- Hai ragione- disse Levaquesmorzando a sua volta la voce. - Farsiudirenon è igienico.

Anche lì a quella profonditàli ossessionava il terrore delle spiequasi che anche il filone fosse provvisto d'orecchie.

Chaval invece alzòcome a sfidala voce:

-Ciò non toglie che sequel porco di Danseart s'arrischia ancora a parlarmi sul tonodell'altra voltaun mattone nel ventre non glielo leva nessuno... Nongli impedisco micaiodi pagarsi le bionde che hanno la pellefina...A questaZaccaria si smascellò dalle risa. La tresca del sorvegliantecon la Pierron era nella miniera un argomento inesauribile di frizzi. Anche Caterinalaggiùs'appoggiò al badile per ridere più a suoagio; poiin due parole mise Stefano al corrente; mentre Maheuassalito da una paura che non dissimulava più:

-Insommapiantala! -intimò a Chaval. - Se vuoi attirarti dei guaiaspetta a farlo quandosei solo!

Non aveva finito di direche dalla galleria sovrastante giunse unsuono di passi. Ed eccolì in altocomparire l'ingegnere dellaminierail piccolo Négrelcome le maestranze lo chiamavano:accompagnato da Danseartil sorvegliante.

- Ve lo dicevo? - bisbigliò Maheu. - Qualcuno c'è sempre che sbucadalla terra.

Paolo Négrelnipote di Hennebeauera uno scapolo sui ventiseisnello e prestantedai capelli crespi e i baffetti castani. Il nasoappuntitola vivacità dello sguardo gli davano l'aria d'un simpaticofuretto. Scettico e intelligentes'imponeva agli operai coi suoi modisecchi e recisi. Era vestito come lorosporco come loro di carbone;eper guadagnarsene la stimamostrava un coraggio a tutta prova;sempre il primo a passare nei punti più rischiosia farsi avanti seavveniva una frana o uno scoppio di grisù.

- E' quiveroDanseart? - lo si udì chiedere di lassù.

Il sorveglianteun belga grassodal naso carnoso:

-Sissignore-rispose con esagerato servilismo:

-eccolo làl'uomo che è statoassunto stamattina.

Tutti e due s'erano lasciati scivolare in mezzo al cantiere. Stefanosi venne a presentare. Négrel gli alzò in viso la lampadaloconsiderò un attimosenza rivolgergli domande. - Sta bene- dissealfine. - Però mi piace poco che si raccattino sconosciuti per lastrada... Che sia l'ultima volta!

E senza ascoltare le spiegazioni che gli davano- necessità dilavorointenzione della Compagnia di sostituire nel carriaggiopersonale maschile a quello femminile - prese a esaminare il tettomentre i minatori ripigliavano a scavare.

Quand'eccolo gridare:

-Dite dunqueMaheuve ne stropicciate voidella vita! Finirete per restarci tutti quanti qui sottonome d'uncane!

L'interpellatocon tono sicuro di sé:

-Oh è solido!

- Come! solido! Ma se la roccia cede già! e voi m'avete l'aria dicredere d'aver fatto già troppo a piantare un paletto ogni due metri epiù! Ah siete tutti gli stessivoialtri! vi lascereste crollare ilmondo sul capo piuttosto che interrompere lo scavo e impiegare nelrivestimento il tempo che ci vuole!... Vi prego di puntellare quiimmediatamente. Il doppio ne occorredi paletti! capite?

E vedendoli nicchiarediscutereudendoli dire che della loroincolumità erano da sé buoni giudiciandò in furia:

- Andiamo! andiamo! come se rimanendocifoste voi a sopportarne le conseguenze! Sìeh? Niente affatto! Sarà la Compagnia a sopportarlecon lepensioni che dovrà pagarvia voi o alle vostre donne... Vi conoscoripeto: dareste la pelle per spicciare due berline di più.

Dominando l'ira che gli bolliva dentroMaheucon voce ancora pacata:- Se ci pagassero a sufficienzai rivestimenti li faremmo meglio.

L'ingegnere spallucciòma non rispose. Solo quando fu sceso dalcantierelanciò di là sotto:

-Vi resta un'ora; mettetevici tutti.

Intanto vi avverto che infliggo al cantiere tre franchi di ammenda.

Alla frase rispose da parte dei minatori un sordo brontolìo. Solo ilsentimento della subordinazione li tratteneva; quella specie digerarchia militare chedal manovale al sorveglianteli curvava tuttisotto lo stesso giogo. Ciò malgradoe sebbene Maheu li tenesse afreno con lo sguardoChaval e Levaque ebbero un gesto di rabbia eZaccaria alzò a scherno le spalle. Ma il più sdegnato era forseStefano. Dacché si trovava in fondo a quell'infernosentiva maturarein sé uno spirito di ribellione. Guardò Caterina rassegnatala suaschiena curva. Era mai possibile che ci si ammazzasse a sfacchinare inquel modoin quel buio di tombasenza guadagnare neppure i pochisoldi del pane quotidiano?

Négrel intanto stava allontanandosi con Danseartche non avevacessato di approvarlo con continui dondolii del capo. Nella galleriale loro voci si alzarono di nuovo: s'erano fermati a esaminare com'erastato rivestito il tratto che spettava ai minatori di armare - untratto di dieci metri alle spalle di ogni cantiere.

- Quando vi dico che se ne infischiano! - strillava l'ingegnere. - Evoinome d'un caneche cos'è che sorvegliate?

- Ma sìma sì- l'altro balbettava. - Gliel'ho cantato in musica! Hola gola secca a forza di ripeter sempre le stesse cose!

- Maheu! Maheu! - chiamò imperioso Négrel.

Tutti scesero dal cantierementre Négrel seguitava:- Guardate quiè puntellare questo? Sta in piedi per miracolo! Eccoqui una traversa che scappa già dai quadritanto si è avuto fretta dispicciarsi... Perdìo! ora capisco perché la manutenzione ci costa unocchio del capo. Ma per voialtripurché il rivestimento duri finchéne siete responsabilinon è vero? E poi tutto crolla e la Compagnia ècostretta a tenere un esercito d'operai per le riparazioni! E laggiù? guardate un po'se non sembra fatto per dispetto!

Chaval volle parlarema lui non lo lasciò:- Nolo conosco il vostro ritornello... Che vi si paghi di piùeh? Ebbene vi prevengo che finirete per costringere la direzione a fareuna cosa: sìvi si pagherà il rivestimento a partee il compenso perberlina verrà ridotto in proporzione. Vedremo se ci guadagnerete... Intanto rifatesubito tutto questo rivestimento. Domani passo averificare.

La minaccia produsse tanta impressione che poté allontanarsi senza chealcuno ribattesse. Danseartcosì servile con l'ingegnererestòindietro di qualche passoper dire fuori dei denti:

-Mi fate daredei cicchettivoialtri... Ma con me non saranno solo tre franchi dimulta che vi toccheranno! State all'erta!

Allontanato che si fu il sorveglianteMaheu esplose:

-Dio santo!

quel che non è giustonon è giusto. A me piace che si conservi lacalma perché è il solo modo d'intendersi; ma alla fine vi farebberouscire dai gangheri... Avete sentito? la berlina pagata meno e ilrivestimento a parte! ancora una trovata per diminuirci quel poco! Diosanto benedetto!

Cercava su chi sfogarsi. Vedendo Stefano e la figlia con le bracciaciondoloni:

-Vi spicciate voi due a darmi l'occorrente? Cosa state lìa guardare? Finisce che vi prendo a calci.

Stefano andò a caricarsipunto offeso da quella rudezza; era perconto suo così inferocito contro i capi che trovava i minatori tropporemissivi. Dal canto loro Levaque e Chaval s'erano sfogati inparolacce. Tutti oracompreso Zaccariaci davano dentro ad armare.

Per quasi mezz'ora non s'udì che il gemere dei paletti conficcati acolpi di mazza. Sbuffavano in silenzioirritati contro la roccia chepotendoavrebbero ributtato su d'una spallonata.

- Mi pare che bastiadesso! - disse finalmente Maheutrafelato eschiumante di rabbia. - Il tocco e mezzo... Oh una bella giornata! nonsi ricaverà mezzo scudo!... Io pianto lìne ho fin sopra i capelli! -E sebbene ci fosse ancora una mezz'ora di lavorosi rivestì.

Gli altri lo imitarono. Non ci si potevano più vederenel cantiere. Esiccome Caterina aveva ripreso a spingere la berlinala richiamaronoirritati dal suo zelo:

-Anche il carbonese avesse i piedifarebbecome noi -. E i sei partirono coi loro arnesi sottobraccio: rifacendola strada del mattinoavevano due chilometri da percorrereperarrivare al pozzo.

Mentre gli altri si spicciavano a scender giùCaterina e Stefanorimasero indietrotrattenuti in una galleria secondaria dalla piccolaLidia che aveva fermato la berlina per farli passare. Angustiatalaragazza raccontò che la Mouquette un'ora prima era stata presa da unaemorragia al naso e l'aveva piantata per andarsi a fare delleabluzioni; ma doveva essere una cosa seriaperché ancora non eratornata. Confidata la sua penamentre i due si allontanavanolapiccina riprese a spingere il carico; sfiancatainfangatairrigidendo i braccini e le gambe d'insettosimile a una formichettaimpegnata a trascinare un peso sproporzionato alle sue forze.

Stefano e Caterinacoricati sul dorsoora si calavano giù per ilpozzettoaderendo più che potevano con le spalle al suoloper nonscorticarsi contro la volta; e filavano così veloci sulla roccalevigata da tutti i deretani del quartiereche dovevano ogni tantoafferrarsi al rivestimento «perché»dicevano scherzando«le chiappenon pigliassero fuoco».

Maper quanto s'affrettasseroquando giunsero in fondo non scorseropiù nessuno dei camerati. Forse erano già laggiùdove la galleriafaceva gomito: dovevano essere quelli delle loro lampadei puntirossi che vi si vedevano sparire. Allorala momentanea eccitazioneche li aveva tenuti allegri sin alloracadde; non avvertirono più chela stanchezza; lei davantilui dietrosi rimisero pesantemente incammino.

Al poco chiarore delle lampade che moccolavanoStefano distinguevadavanti a sé Caterina come in una nebbia. Il pensiero che era unaragazza gli dava una specie di disagio; si diceva ch'era ben sciocco anon abbracciarla; e più sciocco ancora perché glielo aveva impedito ilricordo dell'altro. Certolei gli aveva mentito: Chaval era il suoamante e ogni mucchio di scaglietta gli era buono per godersela: acapire che era cosìnon bastava quel molleggiare delle anche? Tacevapiccato senza ragione contro di leicome se la ragazza gli avessefatto le corna.

Nonostante l'ostilità di quel silenziolei invece tutti i momenti glisi volgevalo avvertiva degli inciampipareva invitarlo a mostrarsigentile. Erano tutti e duein quel momentocosì soli e sperduti! perché almeno non scherzare insieme da buoni amici?

Finalmente sbucarono nella galleria di carriaggio: per l'irresolutezzadi luifu un sollievo; lo sguardo della ragazza invece si attristò:del rimpianto di un'ora di gioia perduta per sempre.

Adessointorno a essirumoreggiava la vita sotterranea: viavai dicaposquadraincrociarsi di treni trainati da cavalli al trottobrillare di lampade nel buio come stelle nella notte. Dovevanoappiattarsi contro la roccia per lasciare il passo ad ombre: uomini edanimali di cui ricevevano l'alito in faccia. Gianlino che correva apiedi scalzi dietro il suo trenogridò loro una malignità chenelfracasso del trainonon udirono.

I due seguitavano a camminareanche lei ora in silenzio; mentre luinon riconoscendo il percorso fatto al mattinosi chiedeva dove maidiavolo la ragazza lo conducesse a perdersi. Ma ciò di cui piùsoffriva era il freddo: un freddo che lo aveva colto all'uscita dalcantiereche andava crescendo e del quale tremava quanto più siavvicinava al pozzo. Nelle stretturel'aria riprendeva la suaviolenza di bufera. Il giovane disperava ormai di giungerequand'eccosi trovò nella stanza di livello.

Chaval gli lanciò un'occhiata sospettosa. Con lui erano gli altri;madidi di sudore nella corrente gelatasmaltivano nel mutismo ilmalumore. Arrivati troppo prestonon avrebbero potuto risalire chefra mezz'ora; tanto più che c'era un cavallo da calar giùoperazioneche richiedeva un'infinità di precauzioni. In un fragore di ferragliasi scaricavano ancora berline; le gabbie sparivano su per il nerobudellotra l'acqua che ne cadeva a dirotto e cheriempiendo losmaltitoio melmoso ch'era sotto il pozzoaccresceva l'umiditàintorno.

Con gli abiti fradici di pulviscolo d'acquauomini s'affaccendavanosenza posa intorno al pozzo; tiravano corde di segnalimanovravanoleve. Le tre lampade a fiamma libera immergevano l'ambiente in unaluce rossastraagitavano sulle pareti ombre giganteschedandoglil'apparenza d'una tana di briganti; d'una fucina di banditipiantatain prossimità d'un torrente.

Maheu fece un ultimo tentativo; s'avvicinò a Pierrondi serviziodalle sei:

-Suvviase vuoi puoi bene lasciarci risalire -. Mal'addetto al caricoun aitante giovanotto d'aspetto miteintervennespaventato:

-Impossibilechiedi al caposquadra... Mi buscherei unamulta.

Smozzicando bestemmiedovettero rassegnarsi.

Caterinachinandosi all'orecchio di Stefano:

-Vieni a vedere lascuderia: sentiraic'è un altro stare!

Per svignarseladovettero darsi l'aria di girellare: l'accesso allascuderia era vietato. S'apriva a sinistrain fondo a una cortagalleria. Larga venticinque metri e alta quattroricavata nellarocciacon la volta in mattonila scuderia poteva alloggiare venticavalli. Vi si stava bene infattiin quel tepore animalein quelsentore di paglia rinnovata di fresco. L'unica lampada vi spandeva unchiarore discretouna luce calma.

I cavalli alla mangiatoia volgevano il caposgranando occhi umani perrimettersi tosto a macinarea tutto loro agiol'avenacome deilavoratori ben pasciuti e in salutebenvoluti da tutti.

Caterina stava leggendo ad alta voce il nome degli animali sulleplacche di zinco inchiodate sopra le mangiatoiequandoall'improvviso sorgere di un corpo di sulla pagliasoffocò un grido.

Era la Mouquette chedisturbata nel sonnobalzava su dal suoimprovvisato giaciglio.

Era un'abitudine che la ragazza aveva preso: nei lunedì in cui sirisentiva troppo delle baldorie del giorno primasi procurava da séassestandosi un pugno sul nasoun'emorragia; e col pretesto d'andarein cerca d'acqua per arrestarlapiantava il lavoro e veniva aschiacciare un sonnellino sulla paglianel caldo della scuderia. Ilpadred'una grande condiscendenza per la figliatollerava la cosaarischio d'aver delle seccature.

In quellaeccolo per l'appunto entrare. Tozzocalvocol visosolcato da rughepapà Mouque s'era però conservato in carne - fattoraro in un vecchio minatore cinquantenne. Dacché l'avevano messo allascuderiamasticava tabacco con un impegno da farsi sanguinare legengive.

Vedendo altri due con la figliamontò in furia:

-Che ci fate quidentrovoialtri? Aria! aria! filate. E in due con un uomo! sgualdrine! E sulla mia paglia! Non avete altro posto per fare levostre sudicerie?

Mouquettedivertitasi teneva la pancia. Ma Stefanoa disagios'avviò all'uscitamentre Caterina gli sorrideva.

Di ritornotrovarono Gianlino e Berto ch'erano arrivati allora colloro treno di berline e aspettavano di caricarle. Nell'attesaCaterina si avvicinò ad accarezzare il cavallo di traino e intanto lopresentava al compagno. Era Battagliaquello lìil più anziano dellaminiera; un cavallo bianco con dieci anni di servizio a quellaprofondità. Da dieci anniBattaglia viveva in quel bucosenza averrivisto il sole; occupando nella scuderia sempre lo stesso postopercorrendonell'adempimento del suo doveresempre le stessegallerie. Ben pasciutolustro di pelobonariovi conduceva una vitadi saggioal riparo dai rischi di lassù. Del restoa vivere al buios'era fatto malizioso. La galleria in cui lavorava aveva finito perdiventargli così familiareche spingeva da sé col muso gli sportellid'aerazione e chinava la testaper non urtarci contronei punti incui la volta s'abbassava troppo. Senza dubbio aveva contato i viaggiche gli spettavanoperchéraggiunto quel numeronon c'era verso difargliene fare uno di più: bisognava ricondurlo alla mangiatoia. Ormaiinvecchiava e la limpidità del suo sguardo si velava a volte dimalinconia. Chi sa che nel suo testone confuso non rivedesse vagamenteil mulino dov'era nato; un mulino nei pressi di Marchiennesaffacciato sulla Scarpecircondato di verzurabattuto sempre dalvento. Un mulino sul qualealtissimaardeva una lampada; immensa;che la sua memoria di bestia stentava ormai a ricordar bene. E latesta ciondolantele vecchie zampe prese da un tremitoBattaglia sisforzavasenza riuscirvidi ricordare il sole.

Quattro colpi di martello annunziavano che si calava il nuovo cavallo:momento emozionanteperché non era raro che nel tragitto la bestiamorisse di spavento. Già nella rete in cui lo imbracavanol'animalesi dibatteva atterrito; quando poisollevatosi sentiva mancar laterra di sottos'impietriva e senza un fremito sotto il corto pelospariva nel pozzol'occhio fisso e dilatato dallo spavento.

Questo qui era troppo grosso per passare tra i panconi di guida; enell'agganciarlo sotto la gabbiagli si era dovuto piegare e fermarela testa sul fianco. La gabbiacalata per precauzione con piùlentezza del solitomise tre minuti a compiere il tragitto. Ritardoche acuì l'impazienza dell'attesa: che si faceva? si lasciaval'animale sospeso in aria a mezza stradanel buio? Finalmenteilcavallo comparvenella sua immobilità di macignol'occhio fissodilatato di stupore. Era un cavallo baiod'appena tre annie sichiamava Trombetta.

Babbo Mouqueincaricato di riceverlosi fece avanti:- Attenzione! Tiratelo giùma senza ancora slegarlo.

Poco dopo Trombetta era coricato sul pavimento di ghisa. Seguitava anon muoversicome fosse ancora sotto l'incubo dell'interminabilebudello nero che lo aveva ingoiato; e adessodi questo piano dicarico pieno di frastuono.

Si cominciava a slegarloquando Battagliastaccato in quel momentodal trainoallungòad annusarloil collo. Quindi s'accostò al nuovocompagno piovutogli in quel modo dal cielo.

I presentidivertitifecero cerchio intorno. Ebbenesa di buono ehvecchio Battagliail nuovo collega? Sordo ai frizziBattaglia sianimava. Certo avvertiva nel compagno il buon odore dell'aria apertal'odoreche lui aveva scordatodell'erba al sole. Ed eccolo tutto aun tratto partire in un sonoro nitritoin una specie di fanfara digioiache si sarebbe detto velassecome un singhiozzoun sentimentodi pietà. C'era in quel nitrito il benvenuto al nuovo compagnoilrimpianto dell'aperto e del solema anche della commiserazione per ilnuovo prigioniero che non risalirebbe alla luce che morto.

- Ah che bel tipoBattaglia! - gridavano gli operaimessi inallegria dalle prodezze del loro beniamino. - Eccolo lì a discorrerecoll'amico.

Neanche adesso che l'avevano slegatoTrombetta si muoveva. Restavasul fiancostrangolato dallo spaventocome se si sentisse ancorapreso nella rete. Ci volle una scudisciata per farlo alzare: solo orabalzò sugli zoccolistorditoil corpo percorso da un lungo brivido. E babbo Mouque condusse i dueche già se l'intendevanoverso lascuderia.

- Suvviasi è a tiro adesso? - chiese Maheu.

Non ancora: si dovevano vuotare le gabbie edel restoall'uscitamancavano dieci minuti.

Poco alla volta i cantieri si vuotavanole maestranze affluivano. Aipiedi del pozzo c'era già in attesa una cinquantina d'uominizuppi etremantiminacciati d'ogni parte dalle correnti d'aria. La piccolaLidia s'ebbe in faccia a tutti uno schiaffo dal padre (chi l'avrebbedetto così manesco quel Pierrongiudicandolo al viso?)perché eravenuta via prima dell'ora. Zaccariadi nascostoallungava manatealla Mouquettecol pretesto di riscaldarsi.

Ma intorno il malcontento si diffondeva. Chaval e Levaque riferivanola minaccia dell'ingegneredi scemare il compenso della berlina e dipagare il rivestimento a parte. La notizia venne accolta daesclamazioni; incurantile voci si alzavano di tono. Ben presto nellapiccola folla che si pigiava laggiù a poco meno di seicento metri dalsuolotra quegli uomini sporchi di carbone e intirizziti dall'attesasi delineò una rivolta: accusarono la Compagnia di far perire una metàdi loro in fondo alla miniera e di mettere alla fame l'altra metà.

Stefano ascoltava fremendo.

- Sbrighiamoci! sbrighiamoci! - ripeteva impaziente Richomme peraffrettare lo scarico. Prima si risalivameglio. Da quel brav'uomoche erafinora aveva fatto finta di non udire per non vedersicostretto ad appioppare multe. Ma il coro delle proteste a un certopunto divenne tale che non poté più fare il sordo. Ora alle sue spallesi gridava che «così non poteva durareche un bel giorno la bottegasalterebbe».

- Tu che hai la testa sul collo- disse a Maheu- falli dunquetacere. Quando non si è i più fortibisogna bene essere i piùgiudiziosi.

Ma Maheu che s'era andato calmando e già si inquietava anche lui diciò che udiva intornonon ebbe bisogno di intervenire. Già il vocìoera caduto da sé: Négrel e Danseartdi ritorno dal loro giro diispezionesbucavanoanch'essi trafelatida una galleria.

Per l'abitudine alla disciplinaautomaticamente la folla s'aprì efece ala; e l'ingegnere passò senza dir motto. Prese posto in unaberlinain un'altra il sorvegliante; fu tirata cinque volte la corda:«ciccia di riguardo» come chiamavano quel segnale gli operai. E lagabbia s'involòin mezzo a un cupo silenzio

 

 

Capitolo sesto

 

Nella gabbia che lo riportava alla lucepigiato fra gli altriquattroStefano si decise: sfidando la fameriaffronterebbe lastrada. Meglio crepar subito che ridiscendere in quell'infernoa nonguadagnare neppure il necessario per il pane. Al suo fianco ora nonc'era più Caterina: stivata con gli altri lì soprala ragazza non glicomunicava più con la sua vicinanza il buon tepore che lo intorpidiva.

Meglio non pensare più a sciocchezzevenir via di lì. Avevaabbastanza istruzioneluiper non rassegnarsi a vivere come quelgregge di pecore: finirebbe prima o poi per strozzare qualche capo.

Quando si sentì come accecare. Il risalire era stato così rapido chela luce lo intontì; sbatteva le palpebre in tutto quel chiarocui isuoi occhi s'erano già divezzati. Ciò non gli tolse di sentir consollievo la gabbia fissarsi sui cardini. Uno scaricatore apriva leportegli operai saltavano dalle berline.

- Di'Mouquetsi va allora stasera al Vulcano? - bisbigliò Zaccariaall'orecchio dell'amico. (Il Vulcano era un caffè-concerto diMontsou). Mouquet assentì strizzando l'occhio e un ridere silenziosogli fendette in due la faccia. Piccolo e traverso come il padreilragazzo aveva l'aria del menimpippo che non pensa che all'oggi. Vedendosi passar vicino la sorellale appioppò una manatona sul culoin segno d'amor fraterno.

Adesso Stefano stentava a riconoscere la ricevitoria: spoglio esporcoalla terrea luce che vi penetrava per le finestre nere dicarboneil vasto locale aveva perso l'aspetto che all'ambigua lucedella lanterna lo aveva tanto impressionato. Solo la macchina coi suoiottoni vi riluceva in fondo; i cavi d'acciaiospalmati dilubrificantescorrevano simili a nastri inzuppati d'inchiostro; lepulegge lassùla possente armatura che le portavale gabbieleberlinetutto quello sfoggio di metallo non faceva che accrescerecol suo grigiore agghiacciante di vecchia ferragliala tetragginedello stanzone. Senza treguail rullìo delle berline scrollava ilpavimento di ghisa; mentreda tutto quel rimestìo di carbon fossilesi diffondeva nell'aria un fine pulviscolo che anneriva il suololepareti e fin le ultime travature del castello.

Chavalch'era andato a dare un'occhiata al quadro dei gettoninellosgabuzzino a vetri del ricevitoretornò dai compagni furibondo. Duedelle berline erano state rifiutateuna perché deficiente di caricol'altra perché di materiale scadente.

- Non mancava che questo! che ci trattenessero ancora due franchi! Ecco che cosa si guadagna ad assumere dei fannulloni che delle bracciasi servono come il porco della coda!

E la sguardataccia chedicendolanciò a Stefano non lasciò dubbio achi alludeva. Il giovane fu tentato di rispondere a suon di pugni. Maa che pro? visto che partiva. E nella sua decisione si confermòdefinitivamente.

- Non si può far bene dal primo giorno- osservò Maheuconciliante.-Domani farà meglio.

Non per questo la notizia della ritenuta causò minore irritazione;un'irritazione che cercava su chi sfogarsi. Levaque nel restituire lalampadase la prese col lampista chea sentir luitrascurava dipulirla. Non si calmarono un po' che nella baraccaal caldo dellastufa che vi ardeva ancora.

Un caldoanzieccessivo; troppo alimentatala stufa era rovente; eil suo riverbero insanguinava le paretiavvampando l'aria dellostanzone senza finestre. Standone a distanzatutti a quel fuoco siscaldavano con mugolii di gioiaprima la schiena che fumava comezuppa appena scodellata; poiil ventre. La Mouquetteper farsiasciugare la camiciaaveva come niente fosse calato le brachette. Esiccome i ragazzi le davano la bertaeccola leitra un uragano dirisascoprirsi il culo e mostrarlo - gesto che significavaai suoiocchiil colmo del disprezzo.

- Io vado via- disse Chavalche aveva riposto gli attrezzi. Solo laMouquette si spicciò per corrergli dietrocol pretesto della stradada fare insieme sino a Montsou. Ma con la sua partenzai frizzi noncessarono: si sapeva che di lei Chaval era stufo.

PreoccupataCaterina parlava intanto all'orecchio del padre; Maheumostrò alla prima stuporepoi assentì col capo; echiamato Stefanogli disse sottovocenel rendergli l'involtino:

-Come credete; peròsenza un soldo in tascarischiate entro quindici giorni di morir difame... Potrei trovare dove vi facciano credito: volete che tenti?

Il giovane resto un momento interdetto. La sua intenzione era dichiedere a Maheu che gli versasse i pochi soldi della giornata. Ma lapresenza di Caterinache lo fissavalo trattenne: la ragazza potevaprenderlo per uno scansafatica.

- Non vi prometto nientebeninteso- proseguì Maheu. - Si prova:alla peggio rischiamo un rifiuto.

Stefano allora acconsentì. Il rifiuto era certo; mase anchelui nons'impegnava per questo a restare; mangerebbe un boccone e subito dopopartirebbe. Ma a vedere la gioia con cui Caterina accolse il suo sìil sorriso che la illuminòl'occhiata piena di amicizia che glirivolsela contentezza d'essergli venuta in aiutogli dolse di averaccettato. Intantoa che pro?

Una volta rimessi gli zoccoli e chiusi i ripostigli dove custodivanole loro robei Maheu lasciarono la baracca. Stefano li seguì e conlui Levaque col figliolo. Ma nell'attraversare il locale dellacernitaun battibecco che v'era scoppiato li arrestò.

Quello della cernita era un vasto capannone dai travi anneriticonfinestroni senza vetri che mantenevano l'ambiente in una corrented'aria continua.

Le berline che vi giungevano direttamente dalla ricevitoriarovesciavano il loro contenuto sulle tramogge dei lunghi sdruccioli dilamiera - ai due lati dei quali le operaie addette alla cernitainpiedi su gradini e armate di pala e rastrelloseparavano le pietredal carbone; per quindi spingere questo verso delle specie di imbutidai quali cadeva nei carri ferroviarifermi lì sotto in attesa dicarico.

C'era tra quelle operaie la figlia di LevaqueFilomena: esile epallidal'aria remissiva della ragazza che sputa sangue. Con la testafasciata in uno straccio di lana turchinale braccia nere sino aigomitisi trovava a lavorare a fianco della suocera di Pierronl'Abbruciata come la soprannominavano: una vecchia strega dagli occhidi gufo e la bocca stretta come la borsa d'un avaro.

Le due stavano in quel momento azzuffandosi; Filomena accusava l'altradi rastrellarecon le propriele sue pietre; tanto che lei nonriusciva in dieci minuti a farne su una cesta. Venivano pagate aceste; di lì un continuo esplodere di litigi. Si accapigliavanosistampavano a vicenda sul viso acceso d'ira la nera impronta deglischiaffi.

- Dàlle uno spintoneche la butti a terra! - gridò di lassù Zaccariaall'amante.

Le lavoranti scoppiarono a ridere. Ma l'Abbruciatarivolgendosiringhiosa verso il giovane:

- Ah tu! - lo rimbeccò- invece diparlarefaresti meglio a riconoscere i due bastardi che le hai fatto! Domando io se è permesso: una cosina di diciott'anni che stenta atenersi ritta!

Maheu dovette intromettersi perché il ragazzo non mettesse in atto laminacciad'andare un po' a vederedicevadi che colore avesse lapellequella carogna.

Al comparire d'un sorveglianteaccorso al putiferiotutti irastrelli ripresero a frugare il carbone. Ai due lati della tramoggianon si videro più che dorsi curvi di donneaccanite a disputarsi lepietre.

Fuoriil vento era a un tratto cadutoora pioveva dal cielo grigioun umidore gelato. Insaccati nelle spallele braccia conserteiminatori s'avviarono a casa alla spicciolatacon un dondolio nellereni chesotto la giacca lisane metteva in mostra la forteossatura.

Adessoalla luce del giornoli avresti detti un branco di negri chesi fossero rotolati nel fango. A chi non aveva finito il suo paneilpacchetto delle provviste ricollocato tra la camicia e la pellesporgeva sul dorso come una minuscola gobba.

- Toh! Bouteloup! - annunziò ghignando Zaccaria.

Senza arrestarsiLevaque scambiò due parole col suo inquilino; ungiovanottone brunosui trentacinquedall'aria placida e onesta.

- E' cottaLuigi?

- Credo!

- Allora è di buon umoreoggila consorte?

- Direi di sì.

Diretti al lavoro gli sterratori passarono: nuove squadre di operaicheuna ad unas'inabissavano. Era il turno delle tre; altri uominiche mai sazio il pozzo inghiottiva e chein fondo alle galleriesottentravano nel lavoro a cottimo agli scavatori. La miniera nonscioperava mai; notte e giorno c'erano insetti umani che frugavano laroccia a seicento metri sotto i campi di barbabietole.

I ragazzi camminavano in testa. Gianlino confidava a Berto tutto unpiano complicato per ottenere a credito quattro soldi di tabacco. Lidiaper discrezioneseguiva i due a distanza. Dietro a leiCaterina con Zaccaria e Stefano camminavano in silenzio. Si fermaronodavanti all'osteria del Risparmio. Raggiungendoli:- E' qui- disse a StefanoMaheu. - Vogliamo entrare? Si tenta!

Al momento di separarsiCaterina trattenne un istante gli occhi sulgiovanecome a prendere a malincuore congedo da lui; dei grandi occhid'un verde d'acqua sorgivaillimpiditi dal nero del viso. Glisorrise; poi s'avviò con gli altri su per la salita che conduceva allecase operaie.

L'osteria si trovava tra la borgata e il Voreuxall'incrocio delledue strade. Era una costruzione in mattonia due pianiimbiancata dicalcecon le finestre incorniciate da una larga fascia turchina.

Sull'insegna quadrainchiodata sopra l'ingressosi leggeva in giallola scritta: «Al Risparmiospaccio tenuto da Rasseneur». Aveva sulretrochiuso da una siepeun gioco di bocce. La Compagnia avevafatto di tutto per acquistare quello scampolo di terrenoincastratotra i suoi vasti possedimenti e dovea farlo appostasi tenevaosteria; proprio lìall'uscita della miniera.

La salaangustaimbiancata di frescoera spoglia ma chiara. Laarredavano tre tavoliuna dozzina di sedie e un banco d'abete non piùgrande d'un armadio da cucina.

Sul banconon più d'una dozzina di boccalitre bottiglie di liquoriuna caraffauna cassetta di zinco con rubinetto di stagno perspillare la birra. Non altronon una mensolaun quadrettoné unmazzo di carte. Nella stufa di ghisalucida di vernicesiconsumavano lentamente dei pezzetti d'antracite. Sul pavimento unostraterello di sabbia bianca preservava l'ambiente dall'umidità cheimbeveva il paese.

- Una birra- ordinò Maheu ad una biondonala figlia d'una vicinache stava qualche volta al banco- Rasseneur c'è?

Era uscitoma non poteva tardare; e dicendo quello spillava la birra.

A tutto suo agioma senza staccare dal vetro le labbraMaheu bevvemetà del bicchiereper liberare la gola dalla polvere di carbone. Alcompagno non offrì nulla. Nel locale non c'era che un cliente: unminatorezuppo e infangato anche luiche seduto a un tavolocentellinava la sua birracome assorto.

In quella ne entrò un altro; ordinò d'un cennopagò e se ne andòsenza aver aperto bocca.

Ed ecco un omaccione sui trentott'annidal viso tondosbarbato difrescofarsi avanti con un sorriso bonario. Era Rasseneurminatoreun tempo anche lui e ottimo operaioche da tre anni la Compagniaaveva licenziato in seguito a uno sciopero.

Buon parlatore e sempre il primo a battersi per le rivendicazioni diclasseRasseneur aveva finito per trovarsi a capo dei malcontenti. Già prima del licenziamento sua moglie - come tante altre mogli diminatori - teneva osteria; per cuiuna volta disoccupatoRasseneurs'era fatto oste a sua voltae con danaro ottenuto in prestito avevacome a sfidaaperto bottega proprio in faccia al Voreux. Ora il suocommercio prosperavala bottega era diventata un centro di ritrovo elui s'andava arricchendo grazie ai risentimenti che aveva saputo apoco a poco instillare in cuore ai colleghi d'un tempo.

Maheu senza preamboli:

-Questo qui è il giovanotto che ho assuntostamani- gli disse. - Hai una camera libera e sei disposto a farglicredito per la prima quindicina?

Il faccione di Rasseneur prese subito un'aria di grande diffidenza. Lanciò a Stefano un'occhiata scrutatrice e senza darsi la pena dimostrarsi dispiaciuto:- Impossibile. Ho tutte e due le camere occupate.

Sebbene fosse la risposta che il giovane s'attendevanon per questone soffrì meno; lo sorprese anzi accorgersi quanto già l'idea dipartire gli fosse diventata incresciosa. Ma non importa; appena avutii pochi soldi della giornatapartirebbe. Il minatore seduto al tavolose n'era andato. Altri clienti entrarono alla spicciolata; restavanoin piedi al banco il tempo d'umettarsi la gola arsa dalla polvere dicarbone; poi uscivanoesfiaccatiriprendevano la strada. Nessunagioia in quel bere: solo un risciacquarsi l'ugolail silenziosoappagamento d'un bisogno.

- Alloranovità nessuna? - chiese l'oste smorzando la vocea Maheuche assaporava a piccoli sorsi quel che restava di birra.

A quel tono sospettosoMaheu si volse intorno; evedendo che nonc'era altri che Stefano:

-C'è che hanno trovato un nuovo pretesto... Sìilrivestimento.

E riferì l'incidente del mattinochiusosi con la minaccia di Négrel;via via che parlavail sangue affluiva al viso dell'osteun'iracrescente gli lampeggiava negli occhi. Finché esplose:- Ah bene! il giorno che si attentano a scemare i prezzisonospacciati!

E seguitò; ma messo a disagio dalla presenza di Stefanoal qualesenza parere lanciava ogni tanto un'occhiata. Con reticenza esottintesiparlava di Hennebeaudella moglie di luidel nipoteilpiccolo Négrelsenza far nomi; ripetendo che così non poteva durareche a breve scadenza le cose precipiterebbero. C'era in giro troppamiseria; citò le officine che chiudevanoi continui licenziamenti dioperai. Da oltre un mese egli dava a credito giornalmente più di seilibbre di pane. Gli era stato dettoil giorno primache Deneulinilproprietario della miniera vicinanon sapeva più come far fronte. Delrestoproprio quel giorno gli era arrivata da Lilla una letterapiena di particolari preoccupanti.

- Me l'ha scritto quella personasaiche hai visto qui una sera.

La mogliecomparendo a sua voltagli levò la parola di bocca:

-Pluchartvuoi dire! Oh se comandasse luiquel tipo lìle cose nontarderebbero ad andar meglio!

Era una spilungona di donnanasutadai pomelli violacei; unafanatica; in politicaassai più radicale del marito.

Da un po' fattosi attentoora Stefano s'interessava al discorsocapiva più che non dicesseros'appassionava anche lui a quelle ideedi riscossa. Al nome di Pluchart trasalì; - Pluchart? Io lo conoscoPluchart! - gli scappò dettoquasi suo malgrado.

Al loro sguardo interrogativo:

-Sì- spiegò- sono meccanicoeaLillaPluchart l'ho avuto capo nell'officina dove lavoravo. Ho avutospesso occasione di parlare con lui; è un uomo capace!

In Rasseneurche di nuovo lo scrutavasi produsse un improvvisocambiamento: di punto in bianco il suo viso s'illuminò di simpatia. Tanto cherivolgendosi alla moglie:

-Il signore lavora con Maheu. E'Maheu che me lo conduce per vedere se ci fosse una camera libera e sepotessimo fargli credito per una quindicina.

Allora tutto s'appianò e in quattro parole s'accordarono. La cameraera libera dal mattino. E l'ostelasciandosi andaremise da bandaogni reticenza; pur ripetendo che lui non chiedeva ai padronil'impossibilecome tanti altri facevanoma solo delle concessioniragionevoli. Al che sua moglie alzava le spalle: ma chema che! leinon transigeva: l'operaio doveva ottenere il pieno trionfo dei suoidiritti.

E siccome cominciava a perorare:- Belle cosesì- tagliò corto Maheuaccomiatandosi. - Ma questonon impedirà che si continui a scendere nella miniera; efinché vi siscenderàci saranno di quelli che ci lasceranno la pelle... GuardatuRasseneur: sono tre anni che ne sei uscito e rieccoti ungiovanotto.

- Sìmi sono rimesso benedevo dire! - ammise l'oste lusingato.

Stefano accompagnò sin sulla porta Maheu che se ne andavaringraziandolo del servizio che gli aveva reso; ma l'altro scoteva ilcaposenza dir nulla. Di sulla soglia il giovane lo guardò affrontarecon passo stracco la salita. La Rasseneur l'aveva pregato di scusarlase non poteva condurlo subito in camera a lavarsi: aveva i clienti daservire; pazientasse un momento. Ora ch'era fattaStefano fu ripresodall'indecisione: doveva restare? Qualche cosa gli fece rimpiangere lalibertà della stradala fame sofferta alla luce del sole macompensata dalla gioia di sentirsi padrone di sé. Tra il momento ches'era spinto sul terrapieno della minierasfidando le raffiche dellatramontana e quello in cui era tornato alla luce dopo ore e oretrascorse carponi al buioora gli pareva che non un giorno fossepassatoma degli anni. Ricominciare una simile vita gli ripugnava;all'idea di ridursi una bestia che si lascia accecare e schiacciareil suo orgoglio si ribellava.

Disputato da questi pensierilasciava intanto errare lo sguardosull'immensa pianura che di là si dominava. A scoprirla qual eraorastupì.

Non così se l'era figurata il mattinoal gesto con cui il vecchioBonnemort gliela aveva indicata nel buio. C'era ben sempre lì infaccia il Voreuxcon le sue costruzioni in legno e in mattoni; ilcapannone incatramato della cernitail castello del pozzo col suotetto di ardesiail locale della macchina d'estrazione e l'altaciminiera rossiccia; tutto quell'agglomerato di edifizipigiati l'unocontro l'altroappiattati in una piega di terreno con l'aria malvagiadella bestia in agguato. Ma tutt'attornoStefano non s'aspettava unospiazzo vasto come questo che ora aveva sott'occhi; trasformato inun'enorme chiazza d'inchiostro da cumuli e cumuli di carbon fossileirto di giganteschi cavalletti sui quali correvano i binari deicavalcaviaingombro in disparte di tanto legname in cataste da farpensare a un'intera foresta abbattuta.

A destrasimile a una barricata eretta da gigantisbarrava la vistail terrapieno; invaso ormai d'erba nella parte abbandonata daltrafficonell'altra roso da un fuoco sotterraneo che ardeva da oltreun annoemettendo uno spesso fumoe che lasciava alla superficietra il grigiore degli schisti e delle arenarielunghe strisce diruggine rossa. Tutto intorno alla macchia d'inchiostro si stendevano aperdita d'occhio campi di grano e di barbabietoleadesso in riposo;terreni acquitrinosi dovetra stocchi di piante palustriqualchesalcio intristiva e praterie laggiù solcate da radi filari di pioppi. Più lontanomacchie bianche indicavano le borgate: Marchiennes asettentrioneMontsou a mezzogiorno; mentre a levante chiudeval'orizzontecol suo orlo violetto d'alberi brullila foresta diVandame. Enell'aria livida del tramonto invernalepareva che sututto si fosse abbattuta la polvere di carbone che vomitava il Voreux;incipriando gli alberitappezzando le stradeseminando di sél'intera pianura.

Ma la cosa che più lo sorprese fu il vedere il fiume Scarpe sistematoa canale: lavoro di cui nella notte non s'era reso conto. Un canaleche dal Voreux raggiungeva in linea retta Marchiennes: un nastrolungo due leghed'argento brunitosimile a un viale fiancheggiatod'alti alberisoprelevato sul terreno intorno e che scorreva aperdita d'occhio tra due scarpate verdeggianti viste di scorcioconle sue acque chiare su cui scivolava la poppa tinta di minio dellechiatte. Vicino alla minierac'era un porticciolo d'imbarcoconormeggiate delle chiatte sulle quali le berline si scaricavanodirettamente. Quindi il canale faceva gomito e tagliava diagonalmentei terreni paludosi; e l'anima della piatta pianura pareva raccogliersitutta lìin quell'acqua disciplinata che l'attraversava come unastrada maestratrainandone via il carbon fossile e il ferro.

Lo sguardo di Stefano risaliva dal canale al borgo operaiocostruitolassù sull'altura pianeggiante e del qualedi lìsolo i tettid'embrici sporgevano. Poiridiscendeva verso il Voreux; e ai piedidella scarpata argillosa s'arrestava su due enormi cumuli di mattonifabbricati e cotti sul posto.

Serviva il pozzo una diramazione della ferroviadi proprietà dellaSocietà Minerariache passava dietro la palizzata che Stefano avevacosteggiato arrivando. Sul binario non c'era piùin movimentoche unvagone; spinto a bracciastrideva con un fischio acuto. L'estrazioneera cessata: il pozzo stava certo inghiottendo le ultime squadre deglisterratori. Al paesaggioil giorno aveva tolto il suo mistero! nonpiù fragori di cui restasse inspiegabile la causanon piùfiammeggiare d'astri sconosciuti. Dall'alba gli altiforni e i gasogenilà in fondo non insanguinavano più il cielo.

Del fantasmagorico spettacolo notturno restava solo il soffio dellapompa d'eduzionequella specie di incessante respiro prolungato efaticoso: il fiato d'un orco che nulla poteva saziare e che lasciavaora scorgere il suo grigio pennacchio di fumo.

Allora Stefano di colpo si decise. A persuaderlo a restarefu ilriaffacciarglisi in mente di due limpidi occhi? o non piuttosto ilvento di rivolta che soffiava dal Voreux? Neanche lui sapeva. Madecise di ridiscendere nella miniera per soffrire e per battersipreso da un sordo rancore contro quella «gente» di cui parlavaBonnemort: per quel dio infingardo e satollo al quale diecimila «mortidi fame» immolavano la loro esistenzasenza conoscerlo.

 

PARTE SECONDA

 

 

Capitolo primo

 

La villa dei Grégoire sorgeva a due chilometri a levante di Montsousulla strada di Joiselle. Era una grande casa quadrasenza stilecherisaliva al principio del Settecento. Dei vasti poderi che un tempo nedipendevanonon restava che una trentina di ettaricintatidifacile coltivazione. L'orto e il frutteto erano tuttora conosciuti peri loro prodottii più apprezzati della regione. Un boschetto facevale veci di parco. Il viale di tigli secolari - cupola di verzura checorreva per trecento metri dal cancello alla scalinata d'ingresso-costituiva un oggetto di curiosità in quella pianura piattadove daMarchiennes a Beaugniesgli alberi di alto fusto si contavano.

Quel mattino i padroni erano già in piedi alle otto: cosa insolitaabituati com'erano a fare lunghi sonni. Gli è che l'agitazione cheaveva messo loro indosso il ventaccio della notte li aveva persuasi adalzarsi con un'ora buona di anticipo.

Mentre il marito andava a vedere se il vento aveva recato dannileiavvolta in una calda vestagliaera scesa in pantofole in cucina.

Piccolottapinguela Grégoire conservavaa dispetto dei suoicinquantott'annisotto la smagliante canizieun faccione fresco edingenuo.

- Melania- disse alla cuoca- non potresti cuocerla adessolaciambellavisto che la pasta è pronta? Ci vorrà mezz'ora almeno primache la signorina si alzi. Le si farebbe una sorpresa: la inzupperebbenella cioccolata.

- Giusto! una buona idea! - esclamò la cuocailluminandosi. Era unavecchia magrain casa da trent'anni. - Ci vuole poco! Il fuoco èacceso; il forno dev'essere caldo. E poi c'è Onorina che mi dà unamano.

Onorina era una ragazza sui vent'anniche i Grégoire s'erano presi incasa da bambina e che faceva loro da cameriera. Oltre le due donnediservitù non avevano che il cocchiere: Francescoil quale sbrigava ilavori pesanti. L'orto e il frutteto erano affidati a un contadinochecon la moglieaccudiva anche al giardino e al pollaio. Tuttagente che viveva insieme d'amore e d'accordograzie all'andamentopatriarcale della casa e il trovarsi come in famiglia per l'affabilitàcon cui erano trattati.

La Grégoire che aveva avuto svegliandosi l'ispirazione di fare allafiglia la ghiotta sorpresarestò a veder mettere la ciambella alfuoco. L'ampiezza della cucinal'estrema pulizia che vi regnaval'arsenale di casseruoledi attrezzi e di recipienti che la guernivalasciava indovinare l'importanza che i Grégoire attribuivano allatavola. Si doveva mangiar bene in quella casa! Credenzescaffalettimensoletutto traboccava di provviste.

- Falla indorare benesai! - E fatta quest'ultima raccomandazionelaGrégoire passò nella sala da pranzo.

Come non bastasse il calorifero che intiepidiva la casalì era accesoanche il caminetto. A parte questonessun lusso: una grande tavoladelle sedieun buffè d'acagiù. Solo due soffici poltrone tradivanonei padroni un debole per le comoditàparlavano di lunghi chilibeati. Dopo i pasti non si passava mai in salotto; si restava lì infamiglia.

In quellail marito rientrava: vestito di fustagnoportava beneanche lui i suoi sessant'anni. Un viso bonario d'onest'uomoroseosotto le candide ciocche di capelli. Tanto Francesco che il contadinogli avevano assicurato che di danni non ce n'erano stati: in tuttouna canna del camino abbattuta. Ogni mattina egli amava dareun'occhiata alla Piolaine: non tanto grande da procurargli grattacapiabbastanza per fargli gustare le soddisfazioni del proprietario.

- E Cecilia? - chiese. - Non si alza piùquest'oggi?

- Mah! Eppuremi pareva d'averla udita muoversi.

In tavola era apparecchiato per la colazione: tre tazze sulla candidatovaglia. Spedirono Onorina a vedere. La ragazza ridiscese quasisubitosbuffando dal ridere; esmorzando la voce come se anche di lìtemesse di svegliare la signorina:

-Ohma la vedessero! se la dormecome un angioletto! Da non credere! è un godimentoguardarla!

Inteneriti i genitori si scambiarono un'occhiata. - Chesi va? - luipropose. - La cara! - mormorò lei seguendolo.

La stanza della figlia era la sola messa con lusso: tappezzata di setacelestearredata di mobili laccati bianchifilettati d'azzurro: ilcapriccio esaudito di una bambina viziata. Il letto biancheggiavavagamente alla luce discreta che una tendina scostata vi lasciavapiovere; e in mezzo a tutto quel candorela fanciulla dormivalaguancia mollemente appoggiata sul braccio ignudo. Non bella; troppoprosperosascoppiante di salute; già donna a diciott'anni; ma avevala carnagione d'una freschezza latteai capelli castaniun nasettoimpertinenteammorbidito dal tondo viso pienotto. Semiscopertarespirava così soavemente che il pettogià pesoappena lievitava.

- E' stato quel maledetto ventoche non l'ha lasciata dormire! - Luile fece cenno di tacere. Ambedue si chinavano in estaticacontemplazione su quella figlia così a lungo desideratavenuta quandoquasi non speravano più. La fanciulla seguitava a dormirenell'innocenza della sua nuditàignara della loro presenzadi queivisi che quasi toccavano il suo. Ad un leggero fremito tuttavia chepassò su quel volto immobiletremando di svegliarlapadre e madre siritrassero e in punta di piedi uscirono dalla stanza.

Solo sul pianerottolo:

-Scendiamo piano! - lui raccomandò. - Se nonha dormitoè meglio non destarla.

Lei:

-Ohsino all'ora che vuole! la cara! A colazioneaspetteremo.

E mentre in cucina le donnesenza brontolareanzi divertitebadavano che la cioccolata non si freddassei Grégoirerientrati insala da pranzosi sprofondavano ciascuno nella loro poltrona; lui adare una scorsa al giornalelei a lavorare a un copriletto a maglianel gran silenzio tiepido della casa.

Il patrimonio dei Grégoired'un reddito di circa quarantamilafranchiera interamente investito in una azione delle miniere diMontsou. Con compiacimento essi ne raccontavano l'originecherisaliva alla fondazione della Compagnia.

Circa al principio del Settecentola scoperta di giacimenticarboniferi tra Lilla e Valenciennes aveva scatenato nel paese unaspecie di follia. Il successo dei primi che avevano ottenutoconcessioni dallo Stato - gli stessi che più tardi dovevano fondare laCompagnia di Anzin - aveva esaltato le fantasie. In ogni comune sifacevano scandaglile società spuntavano come funghiera una gara aottenere concessioni. Mafra i tantinessuno per certo aveva datoprova di maggior perspicacia e costanza del barone Desrumaux. Unaostinazione eroica: per quarant'anni di filasenza mai perdersid'animoDesrumaux s'era dibattuto in mezzo a continui ostacoli: primericerche infruttuose: pozzi dovuti abbandonare dopo mesi e mesi dilavoro; frane che ostruivano gli scaviimprovvise inondazioni in cuiperivano gli operai; centinaia di migliaia di franchi buttati atrivellare il suolopoile difficoltà e i grattacapidell'amministrazionele improvvise sfiducie degli azionisti; la lottacontro i signorotti feudali proprietari di latifondiostinati a nonriconoscere le concessioni reali se prima non si trattava con loro. Edera finalmente riuscito a fondare la Società DesrumauxFauquenoix eC.e già i pozzi cominciavano a renderequando la spietataconcorrenza di due concessioni vicine - quella di Cougnyappartenenteal conte omonimo e quella di Joiselleappartenente alla SocietàCornille e Jeardper poco non avevano fatto fallire l'impresa. Perfortuna il 25 agosto 1760 le tre concessioni venivano a un accordo esi fondevano in una. Con questo accordo la Compagnia delle Miniere diMontsou era fondatatal quale esiste ancor oggi. Per la spartizionedegli utili fra i socipresa a campione la moneta d'allorasi eradivisa l'intera proprietà in ventiquattro soldisuddiviso ciascuno indodici denari ciò che faceva complessivamente duecentottantottodenari; e poiché il denaro era di diecimila franchiil capitaleassommava quasi a tre milioni.

In quegli anniil barone possedeva la Piolainecon annessi trecentoettari di terreno; e aveva alle sue dipendenzein qualità diamministratoreOnorato Grégoire; un giovane della Picardiailbisnonno di Leonepadre di Cecilia. Quando s'era fondata laCompagniaOnorato che aveva da parte una cinquantina di migliaia difranchicedendo al contagio dell'incrollabile fiducia che animava ilpadronecavò il malloppo dalla calza in cui lo teneva e acquistò undenaro; tremando al pensiero di derubare della somma i figli. L'eredeEugenionon riscosse infatti che dividendi ben modesti; esiccomes'era messo a vivere di rendita e i quarantamila franchi lasciatiglidal padre se li era scioccamente fatti mangiare in una speculazionerovinosavisse piuttosto a stecchetto. Ma a poco a poco gli interessidel denaro salirono; la fortuna della famiglia cominciò con Felicianoil quale poté realizzare il sogno che il nonno aveva accarezzato peril nipotino: l'acquisto della Piolaine chesmembrata e messa all'astacome bene nazionalegli fu aggiudicata a un prezzo irrisorio. Tuttavia le annate che seguirono furono cattive; bisognò attendere lafine delle catastrofi che accompagnarono la Rivoluzione sino allasanguinosa sconfitta e alla caduta di Napoleone. A beneficiare deltimido e peritoso investimento dell'avofu Leone Grégoire; fu lui avederlo fruttare con un crescendo che aveva del miracolo. Colprosperare della Compagnia quei poveri diecimila franchi simoltiplicavano. Già nel 1820 fruttavano il cento per cento: diecimilafranchi; nel 1844 ne resero ventimila; nel 1850quaranta. Due anniprimainfineil dividendo era salito all'incredibile cifra dicinquantamila; il valore del denaroquotato alla Borsa di Lilla unmilionenel giro di un secolo s'era centuplicato.

A questo punto qualcuno consigliò a Grégoire di vendere; sorridendopaternolui si rifiutò. Sei mesi dopo scoppiava nell'industria unacrisiper cui il valore del denaro cadeva a seicentomila. Il crollolo lasciò indifferente; non rimpianse nulla. Ormai i Grégoire avevanonella loro miniera una fiducia incrollabile: il corso dell'azione eracalato? risalirebbe. Nella sua solidità credevano come in Dio. Religiosa fiduciaalla quale si mescolava la profonda gratitudine chenutrivano per un titolo che da un secolo manteneva la famiglia a farnulla. Eraper i Grégoirequel titolocome una divinità privatache il loro egoismo circondava d'una specie di culto; la fata beneficache consentiva loro di cullarsi nel dolce far nientedi dormire sonnibeatid'appagare a tavola la loro golosità. Di padre in figlio ilbeneficio durava; perché correre l'aleadubitandoned'indisporre lasorte? E c'era in fondo alla loro fedeltà anche un terroresuperstizioso: la paura che se avessero realizzato e chiuso in untiretto il milione del titoloesso come per incanto si sarebbevolatilizzato. Lo vedevano più al sicuro nelle viscere della terradonde un popolo di minatorigenerazioni e generazioni di affamatiloestraevano un po' per giornoa seconda del loro bisogno.

Né del resto solo di questi beni la sorte gratificava la famiglia.

GiovanissimoGrégoire aveva sposato la figlia d'un farmacista diMarchiennes: bruttinasenza un soldo di dote; ma che lui adorava eche lo aveva ripagato in tanta felicità. Chiusasi in casalei vivevain estatica contemplazione del maritosenz'altra volontà che quelladi lui; i gusti dell'uno erano quelli dell'altro; comune l'idealech'era di condurre un'esistenza comoda. E cosìpieni di tenerezza edi piccole premure l'uno per l'altrovivevano da quarant'anni unavita di saggiconsumando il reddito quasi alla chetichellasenzaalcuna ambizione di comparire. Solo la nascita tardiva della figliaaveva scompigliato un po' il bilancio familiare. Per appagare ogni suocapriccio - un altro cavallouna nuova carrozzadei vestiti fattivenire da Parigi - volentieri mettevano mano ai risparmi.

Accontentarla in tuttoanche adesso ch'era grandeera per i genitorigustare una gioia di più. Per la figlianiente ai loro occhi apparivatroppo bello; mentre essi personalmente avevano una tale ripugnanzaper tutto ciò ch'era pompa e ostentazioneche vestivano ancora abitidi moda al tempo della loro gioventù. Ogni spesa poi che non fossefatta in vista d'un utilela consideravano insensata.

L'uscio della sala da pranzo si spalancò di colpo e una vocesquillante:- Ahdunque vi mettevate a tavola senza di me!

Era Cecilia chesaltata allora da letto e piena ancora di sonnos'era affrettata a scenderedandosi appena il tempo di ravviare icapelli e di infilare la vestaglia.

- Ma no! Vedi anzi che ti si aspettava! - protestò la madre. - E'stato il ventaccio di stanotteeha non lasciarti dormire?

- Che vento? ha fatto ventostanotte? Non me ne sono accorta. Hodormito tutto d'un fiato.

- Ah questa! si chiama dormire! - Ne risero insieme; ilarità cui siunirono le donneentrate a servire la colazione: l'idea che lasignorina avesse dormito dodici ore filate metteva di buon umore tuttala casa.

Alla vista della ciambella:

-Come? di già cotta! - e Cecilia batté lemani festante. - Oh la bella improvvisata! - E mentre tutti i visiintorno a lei si illuminavanose possibileanche di più:

-Oh bene!

E' così calda caldache mi piace nella cioccolata!

Le tazze fumavano e finalmente si misero a tavola. Ma i commenti sullaciambella non finirono lì. Melania e Onorina fornivano particolarisulla cottura; guardavano i padroni impinzarsiimpiastricciarsiingordamente le labbra: era un piaceredicevanofare un dolce quandolo si vede festeggiare così.

In quella abbaiarono i cani: la maestraprobabilmenteche due voltela settimana veniva da Marchiennes a insegnare il piano a Cecilia.

(Siccome anche l'insegnante di lettere le lezioni gliele impartiva adomiciliotutta l'istruzione di Cecilia s'era fatta in casa; e lacapricciosa ragazza cresceva in una beata ignoranza che le consentivaalla prima difficoltàdi buttare dalla finestra il libro che laannoiava).

- Il signor Deneulin- annunciò Onorinache era andata ad aprire.

Già l'annunciato entrava. Deneulin era un cugino di Grégoire. Sebbeneavesse varcato la cinquantinaconservava nerissimi i grossi mustacchie i capelli che portava corti. Parlava forte e gestiva con vivacità:si sarebbe detto un ufficiale di cavalleria in congedo.

Avanzando con fare disinvolto:

- Sìsono io! Buongiorno! Non viscomodateprego!

Le esclamazioni che lo avevano accolto duravano che già lui s'eraseduto. I Grégoire ripresero la colazione.

- Hai qualcosa da dirmi? - chiese Leone.

- Oh nulla! Sono uscito a fare una cavalcata per sgranchirmi un po';epassando di quiho voluto salire un momento a darvi il buongiorno.

Cecilia gli domandò delle figlie. Stavano benissimo. Gianna era ormaitutta presa dalla pittura; mentre Luciala maggiorepassava legiornate al pianoa esercitarsi nel canto. Dicendola sua voce ebbeun leggero tremitocome se sotto la gaiezza che ostentava celassequalche preoccupazione.

- E al pozzo? Tutto bene? - chiese Grégoire.

- Eh sai! bene! Mi risento anch'iocome tutti noidi questamalaugurata crisi. Ahle stiamo scontandole annate buone! Si sonoaperte troppe fabbrichecostruite troppe ferrovie! Nella prospettivadi chi sa quali guadagnisi è immobilizzato troppo capitale! E oggiil denaro scarseggia; non se ne trova più abbastanza per far lavorarele fabbriche. Grazie a Diola situazione non è però disperata;nonostante tuttospero che me la caverò.

Come il cuginoanche lui aveva ereditato una azione delle miniere diMontsou maingegnere intraprendenteche anelava a farsi una grossafortunail giorno che il titolo aveva raggiunto il miliones'eraaffrettato a vendere. Da mesimaturava un piano. La moglie avevaereditato da uno zio la piccola concessione di Vandamema i due pozzidella concessioneil Jean-Bart e il Gaston-Mariesi trovavano in unostato tale di abbandono ed erano di un'attrezzatura così difettosache il loro sfruttamento copriva a stento le spese. Oraegliaccarezzava il progetto di riattare la Jean-Bartdi attrezzarla anuovo e di allargare il pozzo per arrivare a maggiore profonditàriservando la Gaston-Marie al prosciugamento. Si dovevaasserivatrovare là dentro carbone a iosada farci l'oro a palate. La suaprevisione era giusta; senonché nei lavori di riattamentoil milioneera andato; e giusto nel momento che i fatti cominciavano a dargliragioneera scoppiata nell'industria quella maledetta crisi. In piùcattivo amministratorebuonosebbene burberocoi suoi operaisifaceva derubare; e poidacché gli era morta la moglielasciavabriglia sciolta alle figlie: la maggioreche sognava di diventare unagrande attrice; l'altrache neppure il rifiuto di tre tele mandate alSalon aveva guarito del suo ticchio per la pittura. Due ragazzedelrestod'un inalterabile buonumore anche nelle ristrettezze e chesapevano all'occorrenza cambiarsi in ottime massaie.

- VediLeone- proseguì esitante- hai avuto torto tua nonvendere quando io l'ho fatto. Adesso che il titolo precipitahai belcorrergli dietro! Se mi avessi affidato il tuo denaroavresti visto iquattrini che si sarebbero fatti con Vandame!

Il cugino non si scomposeplacidoseguitando a sorbire la suacioccolata:- Mai! ... Mi conoscisai che non mi piace speculare. Vivo in pace.

Sarei matto a mettermi negli affari per procacciarmi dei grattacapi. Equanto al titolo di Montsouribassi pure: per i bisogni che homirenderà sempre abbastanza. Non bisognache diavolo!lasciarsiprendere la mano dall'avidità! Poiascolta quel che ti dico: saraituun giornoa morderti le dita; le azioni di Montsou siriprenderanno egrazie a loromangeranno ancora pane bianco i figlidei figli di Cecilia!

Deneulin lo ascoltava con un sorriso impacciato.

- Sicché- mormorò- se ti proponessi di mettere cento biglietti damille nella mia impresarifiuteresti?

L'aria allarmata che presero i Grégoire lo fece pentire d'esser corsotroppo; meglio riservare quella richiesta d'un prestito per il giornoin cui si trovasse con l'acqua alla gola.

- Oh non sono a questi punti! - s'affrettò a tranquillizzarli. - Hodetto così per dire... Dio miochi sa che tu non abbia ragione; ildanaro che gli altri guadagnano per noi è quello che ingrassa senzadare preoccupazioni!

Mutarono discorso. Cecilia tornò a parlare delle cugine: le loroaspirazioni artistiche la mortificavano un po'ma pungevano la suacuriosità. La madre le promise che il primo giorno di sole lacondurrebbe a trovarlequelle care figliole. Grégoire distrattopensava ad altro:- Io- finì per dire- se fossi nei tuoi panni non mi intesterei piùoltre e tratterei con Montsou. Fa golaa Montsoula tua miniera. Potresti rifarti di quello che hai speso.

Alludeva alla gelosia che esisteva da lunga data tra la concessione diMontsou e quella di Vandame. Sebbene la miniera di Deneulin avesseun'importanza ridottala sua potente vicina vedeva di malocchioincastrata tra i suoi sessantasette comuniquella lega quadrata diterrenoquel pozzo che non le apparteneva; e dopo aver cercato invanodi ucciderlo con la concorrenzaora spiava il momento che agonizzasseper incorporarselo a buon mercato. Era una lotta senza quartiere(d'ambo le parti gli scavi di gallerie non si arrestavano che aduecento metri l'una dall'altra); se anche dissimulato sotto il buonviso che i rispettivi dirigenti si facevanoera un duello all'ultimosangue che le due imprese avevano impegnato.

Un lampo di collera era passato negli occhi di Deneulin:

-Mai! -esclamò a sua volta. - Finché sarò vivo ioMontsou non l'avràVandame! Mi son bene accortogiovedìa cena da loroche Hennebeaumi faceva la corte! Già lo scorso autunnoquando vennero a Montsouivostri capocchioni mi usarono ogni sorta di cortesie. Li conoscova'làquei marchesi e duchiquei generali e ministri! dei briganti chese potesserovi toglierebbero di dosso anche la camicia!

Preso l'airenon si fermava più. Grégoiredel restonon difendevaaffatto i dirigenti della Compagnia - quei sei padreterniistituitidall'accordo del 1760che facevano e disfacevano a piacer loro; echese un membro veniva a morireil nuovo lo sceglievanoimmancabilmente tra gli azionisti più forti e influenti. Al riguardol'opinione personale del proprietario della Piolaine era che queisignori spesso passavano il segno nella loro ingordigia per il danaro.

Melania era venuta a sparecchiare. Fuorii cani ripresero adabbaiare; e già Onorina si avviava alla porta; ma Ceciliache ilcaldo e l'abbondante colazione infastidivanola prevenne:

-Vado io.

E' certo la maestra.

Anche Deneulin s'era alzato. Seguìta dello sguardo la fanciulla:- Ebbene- chiese sorridendo- e queste nozze col piccolo Négrel?

- Oh niente di decisoper ora- rispose la madre. - Cose per aria... Sarà benepensarci su.

- Direi anch'io! - E in una risata maliziosa:

- Credo che zia enipote... Ciò che mi stupisceè che sia la Hennebeau a buttarsi cosìal collo di Cecilia!

Grégoire protestò: come si potevano fare di quelle insinuazioni! unasignora così distinta e più anziana di Négrel di quattordici anni! Viavia: non scherziamo su queste cose!

Senza smettere di ridacchiareDeneulin gli diede la mano e partì.

Ceciliarientrando:

-Noneanche ora è la maestra. E' quella donnacon due bambinisaimamma... quella moglie di minatore che s'èincontrata insieme... Si fan passare qui?

Come si presentavanoi tre? Erano mica troppo sudici? Non tanto; egli zoccolili lascerebbero fuori... I genitori esitavano. Ma s'eranogià sprofondati nelle poltroneavevano iniziato il chilo. Doversiscomodareli decise.

- Fateli passareOnorina.

E la Maheu e i due piccini entrarono; intirizzitiaffamati; insoggezione e quasi spauriti a vedersi in quella sala dove si stavacosì caldi e dove si respirava un così buon odore di ciambella

 

 

Capitolo secondo

 

A poco a poco era trapelata nella stanzaper le stecche dellapersianala grigia luce dell'albariflettendosi a ventaglio sulsoffitto. Nell'aria chiusafatta quasi irrespirabiletutti ancoradormivano: Leonora ed Enricoin braccio uno dell'altro; Alzirapervia della gobbacol capo più basso del busto; il vecchio Bonnemort-a tutto suo agio nel letto lasciato da Zaccaria e da Gianlino -russando a bocca spalancata. Non il suono d'un respiro veniva dalbugigattolo del pianerottolodovenell'allattare Estellala madres'era riassopitala mammella ciondoloni; sotto il cui traboccarerischiava di soffocare la pupa chebuttata di traverso sul ventrematernodormiva anche leisatolla.

Fuoriin istradasbatté qualche portazoccoli strepitarono suimarciapiedi: le operaie della cernita che si recavano al pozzo. Poipiù nulla sino alle sette. Alle settesbattere di persiane ches'aprivanocolpi di tosse e sbadigli di gente che si alzava. Maneanche lo stridoreche seguitò parecchiod'un macinino da caffèdestò nessuno nella stanza.

Quandoa far balzare Alzira sul lettoscoppiò chi sa dove unputiferio: strilli intercalati da suoni di schiaffi. Avvistasidell'ora avanzatala gobbina corse a piedi scalzi a scuotere lamadre:- Mammamammaè tarditu che hai da andare... - E:

-Ve'-dicendo- che soffochi Estella! - tirava via la piccina di sotto lacioccia materna.

Stropicciandosi gli occhi:

-Porca vita! - imprecò la Maheu con voceimpastata di sonno. - Si va a letto che si è da sotterrare e non ci sialzerebbe più! Vesti Leonora ed Enricoli porto con me. Estella te lalascio: non mi fidocon questo freddo canea tirarmela dietro.

Dicendo si levava. S'infilò una vecchia sottana turchinala meglioche aveva; un giubbetto grigio di lanacui il giorno prima avevamesso due toppe. E brontolando - anche la minestraquel mattinodacucinare! -urtando dove passavascese da basso.

Alzira si portò in camera Estella che s'era messa a strillare. A ottoanniquanti ne contavagià Alzira aveva imparato le piccoleamorevoli astuzie con cui si distrae un bambino che piange; equantola madregià sapeva come prendere la sorellina per calmarne le bizze. La coricò nel suo letto ancor caldo; edandole un dito da suggerelariaddormentò. Appena in tempo per poter correre a separare Leonora edEnrico chealfine sveglistavano dandosi il solito buongiorno. Idueinfattinon andavano d'accordo che quando dormivano. Appenasvegliala bambinaforte dei suoi due anni di vantaggio sull'altrosi lanciava sul quattrenne maschiettoil quale riceveva gli schiaffisenza renderglieli. Tutti e due avevano un testone più enfio chegrosso e dei capelli giallicci arruffati. Perché smettesseAlziradovette tirare via la prepotente per le gambeminacciando disculacciarla. Li aiutò quindi a lavarsi e a vestirsi: operazioni allequali non si prestarono senza nuovi strilli e gran pestare di piedi. Di aprire le persiane si evitava perché la luce non svegliasseBonnemort il quale seguitava a russare in mezzo a tutto quel chiasso.

- E' cotta! - annunziò da basso la Maheu. - Siete pronti lassù?

Scesala donna aveva aperto le imposteaggiunto carbone e ravvivatoil fuoco. La sua speranza che della minestra fosse sopravvanzatoqualcosa all'appetito di Bonnemortl'aveva smentita la casseruolatrovata pulita. S'era quindi rassegnata a far cuocere la manciata divermicelli che teneva in serbo da tre giorni. Quanto a condirlase nefarebbe a meno: il burro rimasto dalla vigilia era così poco che nonpoteva esserne avanzato. E invecebrava Caterina! tanto come unanocel'aveva lasciato. Ora però nella credenza non restava più nulla:neppure una crosta di pane. Che ne sarebbe di loro se Maigrat siostinava a rifiutarle credito? se l'andata alla Piolaine non lefruttava neanche l'agognato scudo? Di ritorno dal lavorogli uominiavrebbero voluto mangiare: il mezzo di vivere senza cibarsi finoradisgraziatamentenon era stato inventato. Spazientendosi:

-Venitegiù sì o no? A quest'ora dovrei essere per strada!

Ecome sceserodella minestra fece tre parti: lei non aveva fame. Per séfece bollire per la terza volta i fondigli di caffè; ediquell'acqua tintane trangugiò due bicchieroni: sempre meglio cheniente. E ad Alzira:- Ascoltami bene: fa' pianoche il vecchio non sisvegli; e sta' attenta che Estella non si butti giù da letto. Se sidesta e si mette a strillareecco qui un pezzetto di zucchero. Non tidico di non mangiarteloperché so che non lo farai... Lo scioglinell'acqua e gliela dài a cucchiaini. Inteso?

- E la scuolamamma?

- La scuolaebbene ci andrai un altro giorno... Oggi ho bisogno dite.

- E la minestra? Devo metterla al fuocose ritardi?

- La minestrala minestra... Noaspettami.

Visto che far la minestra Alzira sapeva - e non soloma tante altrecose che con la sua intelligenza precoce di ammalata aveva imparatoper tempo - ora la gobbina capì e non insistette.

Ormai il borgo si destava; frotte di ragazzi passavano sulla stradastrascicando le scarpediretti a scuola. Suonarono le otto. Un vocìocrescente ora giungeva anche dall'appartamento di faccia: erano iLevaque che si facevano sentire. Intorno alle caffettiere le comariiniziavano la loro giornatai pugni sui fianchile lingue in motocome pale di mulini a vento. Una dalla strada venne a schiacciare lafaccia vizzail naso rincagnato contro il vetro della finestra:

-Ciho una cosa da raccontartida' retta!

- Dopodopo! Adesso ho premura: devo uscire! - E nel timore dicapitolare davanti all'offerta d'un caffè caldola Maheu spintonòfuori i due rampolli e uscì; mentre alle sue spalle Bonnemortseguitava a riempir la casa del suo ronfio cadenzato.

Fuorila donna notò con sorpresa che il vento era caduto e con essodi colpoil gelo. Il cielo era terreo; ingrommati di verdei murisputavano una umidità appiccicosa; il fango delle strade invischiavail passo: il fango caratteristico dei paesi del carbonenero comefuliggine stemperata nell'acquaspesso e tegnente da lasciarci glizoccoli. Manco a dirlola piccina si divertì subito a sguazzarvidentro con le ciabatte; sicché s'era appena messa in cammino e già lamadre doveva fermarsi per suonargliele.

Uscita dal borgoe costeggiato il terrapienola Maheu seguì ilcanalescorciando per strade appena segnatetra terreni incoltichiusi da palizzate che la borraccina inverdiva. Capannoni sisuccedevanolunghi edifizi di fabbrichealte ciminiere eruttantifuliggineche finivano d'insudiciare quella tetra campagna disobborgo industriale. Dietro un ciuffo di pioppil'antico pozzo diRéquillart drizzava le possenti armature; tutto ciò che della torrettacrollata restava ancora in piedi. Di lìsvoltando a destrarientrarono sulla strada maestra. Quiad attirarsi il rabbuffo e lacorrezione fu il maschiettochinatosi a manipolare una pallottola difango:

-Aspetta sudicioneche te lo do io il tiro a segno! -Equamente distribuitigli scapaccioni materni persuasero i due acontentarsi di diguazzaresbirciando beati le pillacchere chesollevavano; mentre li andava ammansendo la faticaa ogni passomaggioreche costava alle reni lo sforzo di sfangarsi.

Oraalle loro spallela strada si slanciava diritta per due leghe indirezione di Marchiennessimile a un nastro intriso di lubrificantetra terreni rossastri sull'orlo e traboccante sul pendio d'un grandeavvallamento. Queste strade del Nordtracciate diritte tra le cittàmanifatturiere e che ora salgono ora scendonoma con pendii sempredolcivengono aperte poco alla volta; e dell'intero dipartimentotendono a fare un unico centro industriale. Le piccole case inmattonedipinte a vivaci colori per reagire alla tetraggine delpaesaggioin giallo le unein celeste le altre - quellee nonmancavanodipinte in neroanticipavano il colore che col tempoassumerebbero - digradavano ai due latiserpeggiando sino in fondoalla discesa. Doppia fila di casette addossate l'una all'altracheinterrompevano qua e là grandi edifizi a due piani: abitazioni dicapi-officina. La chiesapur essa in mattonisi sarebbe dettaconquel suo campanile quadro già anneritoil nuovo modello d'unaltoforno. E tra gli zuccherificile fabbriche di cavi per minierele raffinerie di farinapullulavano i locali di danzai caffèglispacci di birra; con tale abbondanza che su mille case di abitazionese ne contavano più di cinquecento.

Avvicinandosi ai Cantieri della Compagnia - una lunga fila dimagazzini e di officine - la Maheu si decise a prendere i rampolli permano. Cento passi più oltresorgeva l'abitazione del direttore: unaspecie di comodo villino che un cancello separava dalla strada e cheaveva dietro un giardino con qualche magro albero. Davantiall'ingresso si eraproprio in quel momentovenuta a fermare unacarrozzacon dentro una signora in pelliccia e un signore colnastrino all'occhiello: parigini certo venuti in visitaperchénellapenombra dell'ingressoecco comparire la Hennebeau e prorompere inesclamazioni di sorpresa e di giubilo.

Scrollatiperché non si facessero tirarei bambini che ora dallastanchezza si trascinavanola Maheucol cuore in golasi diresseverso la bottega di Maigrat.

Maigrat abitava una casetta separata dalla villa del direttore da unsemplice muro; e aveva lì un magazzeno: un lungo fabbricato che aprivasulla via una bottega senza vetrina. Vendeva un po' di tutto:colonialisalumifruttapanebirrastoviglie da cucina.

Sorvegliante in passato al Voreuxaveva in un primo tempo aperto unabotteguccia; poigrazie alla protezione degli antichi capieraandato allargando il suo commercio sino a costringere i piccoliesercenti a chiudere. Comperava a grandi partite; il cheunito allosmercio che la numerosa clientela operaia gli assicuravaglipermetteva di vendere a miglior mercato e a più lungo respiro. Senzadire che godeva del favore della Compagniacon la quale s'eramantenuto in stretti rapporti e chea sue spesegli aveva fatto lacasa e il magazzeno.

L'uomo per l'appunto era in piedi sulla soglia. Abbordandolo con ariaumile:

-Sono di nuovo quisignor Maigrat! - disse la Maheu.

Quello la guardava senza rispondere. Era un grosso uomod'unacortesia gelidache sulle proprie decisioni si vantava di non tornarmai. - Andiamonon mi manderete via come ieri... Vorrete benedi quia sabatofarmi credito del pane... Non mi scordonon dubitatecheda due anni vi siamo in debito di sessanta franchi...Era un debito che i Maheu avevano contratto al tempo dell'ultimosciopero. Tante volte avevano promesso di saldarlomagari lasciandogiù due franchi a quindicina; ma neanche così ce l'avevano fatta.

L'impaccio toglieva alla donna ogni disinvoltura; a ogni frase siimpuntava; umiliarsi cosìle costava.

Non credesse; anche lorocome gli altrisarebbero arrivati alsabato; ma due giorni avantiil calzolaio li aveva minacciati difarli arrestare se non lo pagavano: venti franchiuna tegola che liaveva ridotti senza un centesimo.

A ogni supplicaMaigratle braccia consertela pancia sporta inavantinegava col capo.

- Mica caffèvi chiedo; vedesignor Maigrat... due pani... trelibbre di pane al giorno...Finché quellouscendo dai gangheri:

-No! - gridò brutalmente.

Dietro a lui era comparsa la moglie: una meschinella che passava legiornate a tenere la contabilitàsenza ardire alzare il capo dalregistro. All'ardente supplica che gli occhi della Maheu leindirizzaronosi scansò.

Si raccontava che alle clienti del marito la Maigrat cedeva il suoposto nel letto coniugale. Quando un minatore aveva bisogno di qualchegiorno di credito di piùbastava - era risaputo - mandasse in bottegala moglie o la figlia; belle o brutte non contavapurché fosserocompiacenti.

Riportando sull'uomo lo sguardo supplichevolela Maheu s'urtò inquello di lui; in quegli occhietti scialbi che ora impudenti laspogliavano. Che la si potesse guardare così al tempo che era giovanela Maheu avrebbe ancora capito; ma adessoch'era madre di settefigli!

Indignatatirò a sé con uno strattone i marmocchi cheraccattati deigusci di nocevi frugavano dentro nella speranza di trovarviqualcosa.

- Non vi porterà fortunasignor Maigrat! Ricordatevene- disse; epartì.

Ormai non le restava altra speranza che di ottenere qualcosa daisignori della Piolaine; se falliva anche quella... meglio nonpensarci.

Svoltò a manca per la via di Joiselle. (Lì all'angolo sorgeva la sededell'amministrazione: un vero palazzo in mattonidove ogni autunnovenivano a celebrare sontuosi banchetti i pezzi grossi dellaCompagnia). Estrada facendogià in cuor suo la poveraccia spendevalo scudo che si faceva sicuro: del paneanzitutto; poi un po' dicaffèun quarto di burroun moggio di patate per la minestra delmattino e un boccone la sera per non andar a letto digiuni; infinesec'entravauna fetta di pasticcio di maiale per il vecchio che avevabisogno di carne.

Incrociarono il parroco del luogo. Il reverendo Joire veniva avantiattento a dove metteva i piedirimboccandosi la sottanaper nonbagnarlacome un gattone che ha paura dell'acqua. Di carattere miteostentava di non impicciarsi di nulla per stare in buona così coipoveri che coi ricchi. Chi sa perchésebbene coi preti la Maheu se lafacesse pocolì per lì sperò che questo le darebbe qualcosa.- Buongiornosignor parroco! - Ma lui sorrise ai piccini e tirò dritto.

C'erano ancora due chilometri da farein quella mota nera eappiccicosa. Avvilitii piccini ora non si divertivano più; e più siandavapiù si facevano rimorchiare.

Ai due lati della strada si susseguivano sempre gli stessi terreniincolticintati di palizzate verdi di muffa; gli stessi agglomeratidi fabbriche sporchi di fumoirti di alte ciminiere. Quindi si entròin aperta campagna: terre piattesenza il profilo d'un albero; unmare di brune zolle che si stendeva a perdita d'occhiolimitatolaggiù dall'orlo violetto della foresta di Vandame.

- Mammaprendimi in braccio! - Dovette portarli un po' l'uno un po'l'altro.

Pozzanghere invadevano la strada; la donna si rimboccavaper paura diarrivare in condizioni impresentabili. Più volte rischiò di scivolaretanto si sdrucciolava. E quando i tre giunsero finalmente davanti alloscalone d'ingressosi videro balzar contro due enormi canicheabbaiando furiosi spaventarono i bambini. Per tenerli a badailcocchiere dovette ricorrere alla frusta.

- Lasciate qui gli zoccoli- ripeteva intanto Onorina.

Nella sala da pranzo madre e figli restarono lì piantati; intontiti daquel teporemessi in soggezione dagli sguardi che rivolgevano loroquel vecchio signore e quella vecchia signorasprofondati nelle loropoltrone.

- Figlia mia- disse la Grégoire- fa' il tuo piccolo dovere.

I Grégoire incaricavano Cecilia delle loro beneficenze. Per unafanciullamostrarsi caritatevole eraa loro direindispensabilecomplemento d'una buona educazione; in una casa poi come la lorocheeradicevanola casa del buon Dio. Senonché la carità va fatta condiscernimento: è così facile ingannarsi econ le migliori intenzioniincoraggiare il vizio! Per non correre questo rischioi Grégoire siastenevano da dar danaro; per principiomai un centesimo. Da' duesoldi ad un povero e immancabilmente quello corre a berseli. Motivoper cui le loro elemosine erano sempre in natura; e consistevanosoprattutto in vestiti chedurante l'invernodistribuivano aibambini poveri per ripararli dai rigori della stagione.

- Ohi cari angioletti! - esclamò Cecilia. - Come sono pallidiniperaver fatto la strada con questo freddo! Onorinava' su: c'è uninvolto nel mio armadio.

Le domestiche anch'esse contemplavano quei tre con la commiserazione econ quel certo disagio che ispira lo spettacolo dell'indigenza a chiha il cibo e il letto assicurato. Mentre la cameriera saliva al pianodi soprala cuoca rimise in tavola quel che era avanzato dellaciambella; e restava lìdimenticaa gingillarsile mani in mano.

- Ho giusto ancora due vestitini di lana e degli scialletti-proseguì Cecilia. - Vedrete come staranno caldi questi amorini!

La Maheuritrovando la lingua:

- Mille graziesignorina! -balbettò.- Tutti loro sono così buoni!

Dicendogli occhi le si gonfiarono di lagrime; ormai dello scudo sifaceva sicura; restava solo di trovare il modo di chiederlocaso nonci pensassero.

La cameriera non ricompariva; seguì un silenzio impacciato.

Aggrappati alla sottana della madrei bambini non avevano occhi cheper la ciambella.

La Grégoireper rompere il silenzio:

-Avete questi due soli?

- Ohsette ne hosignora!

Grégoire che aveva ripreso il giornaleebbe un sobbalzo:

-Settefigli! ma perchéDio mio!

- E' un'imprudenza metterne al mondo tanti! - mormorò la vecchia.

La Maheu abbozzò un gesto come a scusarsi. E' la natura che vuolecosì; vengono al mondo senza che si voglia. E poiper i poverirappresentano una risorsai figli; una volta cresciutiportano incasaaiutano a mandare avanti la baracca. Tanto è vero che ancheloroi Maheuavrebbero potuto camparenon fosse stato che il nonnoera immobilizzato su una sedia dai reumatismi e chedi sette figlidue soli e la ragazza più grande si trovavano in età di scendere nelpozzo. D'altrondeanche le bocche inutili bisognava bene sfamarle.

- E' da molto tempo che lavorate nella miniera? - chiese la Grégoire.

Alla Maheu venne da riderema si contenne:

-Ohper questosì! Ionon ci ho lavorato che sino all'età di vent'anni. Quando ho avuto ilsecondo bambinoil medico m'ha detto chese seguitavoci lasciavola pelle. Perchédicequella vita mi metteva non so che dissestonelle ossa. E poiormai m'ero sposata; eda farene avevoabbastanza in casa. Ma dalla parte del mio uomooh essi è dai tempidei tempi che lavorano nelle miniere! a cominciare dal nonno delnonno! insommanon si sa da quando; dal primo colpo di piccone chehanno dato a Réquillart.

Grégoire osservava pensoso quei tre meschinidai visi cereidaicapelli di stoppa; quegli ultimi campioni d'una razza minataimpoverita nel sanguebrutti della bruttezza tetra dei morti di fame.

Nel nuovo silenzio che si feces'udì il borbottìo del carbon fossileche bruciava nel caminettoil sibilo del gas che se ne sprigionava.

La salapiena d'un caldo umidoaveva quell'aspetto opprimente dibenessere in cui si crogiola la felicità borghese.

- Non viene dunque più giùOnorina! - scattò Cecilia impaziente.

- Melaniava' a dirle che il pacco è in fondo all'armadioasinistra. Chi sa dove lo cerca!

Grégoire concluse ad alta voce le riflessioni che lo spettacolo diquella miseria gli ispirava:

-Nonon è allegra la vitamia buonadonna. Bisogna però dire che anche gli operai si mostrano poco saggi. Invece di mettersi dei soldi da parte come fanno i nostri contadiniiminatori bevonosi indebitanofiniscono per mancare del necessarioper mandare avanti la famiglia.

- Il signore ha ragione- rispose remissiva la donna. - Non sempre sicammina per la buona strada. E' ciò che non mi stanco di dire a quelliche sgarranoquando li sento lagnarsi... Iosono caduta bene: miomarito non beve. Non dico con questo che anche lui nei giorni di festanon si passi un bicchiere di più; peròa onor del veronon eccedemai. Cosa checome moglieapprezzo tanto piùin quantoprima disposarmibevevacon rispetto parlandocome un lavandino... Contutto ciòvedemica ci avvantaggia tanto il fatto che non beva. Càpitano lo stesso dei giornie oggi è uno di quelliche leipotrebbe per modo di direappenderci col capo in giù senza che dallenostre tasche uscisse il becco d'un quattrino.

Con questo accennola Maheu sperava di suggerire ai Grégoire l'ideadello scudo. E insistette perciò sull'argomentopassando a parlaredel debito contratto; insignificante dapprimapoi ingrossatosi viavia sino a diventare preoccupante. Si aveva un bel pagare puntualmentealla riscossione della quindicina; veniva sempre quella volta che siprendeva la roba a credito; e allora addio! Non si pareggiava più. Ilbuco diventava incolmabile; e gli uomini perdevano l'amore a un lavoroche non permetteva loro neppure più di sdebitarsi. Arrivati a questopuntonon c'era più speranza: dai guai li tirava più solo la morte. D'altra partesi doveva anche riconoscere che chi lavora nei pozzid'un bicchierotto di birra per liberarsi la gola dalla polvere dicarboneaveva bisogno. Senonché si cominciava con uno e si finiva chedall'oste si piantavano le tende. Del restosenza farne colpa anessunopoteva ben essere che i minatori non guadagnasseroabbastanza...

- Credevo- obiettò la Grégoire- che la Compagnia vi dessel'alloggio e il riscaldamento.

Andando istintivamente con l'occhio all'allegra fiammata che bruciavanel caminetto:

- E sìsì- ammise la Maheu- il carbone ce lopassa; non sarà di prima scelta; ma bruciarebrucia. Per l'alloggioversiamo sei franchi al mese; pare niente e spesso non si sa come farea pagarli. Oggiad esempiomi si potrebbe fare a pezziche da menon si tirerebbero due soldi che sono due soldi. Dove non ce n'ènonce n'è.

Sprofondati nelle poltronei coniugi tacevanopresi a poco a poco datedio e disagio davanti a quell'ostentazione di miseria. Nel timore diaverli urtatila Maheu col suo tono di donna ragionevole che vede ilpro e il contro e non se la piglia:- Oh- soggiunse- non è per lagnarmi! le cose sono come sono ebisogna accettarle; tanto più che noi avremmo bel farenon vicambieremmo nulla di sicuro! Il meglio è ancoranon è verosignore? non è verosignora? cercar di fare onestamente il nostro doverenelposto che il buon Dio ci ha assegnato.

Ah orasì! Queste parole riscossero la piena approvazione diGrégoire:

- Quando si nutrono di questi sentimentisi è al disopradella sventura!

Arrivò finalmente l'involto. Cecilia lo svolsene trasse i duevestitinivi aggiunse qualche sciallettoqualche paio di calzedeiguanti di lana. Tutti capi che ai piccini andrebbero a pennellodissepassandoli alle donne che li involtassero; di premuraché lamaestra di piano era arrivata.

Vedendosi spinta lei e i piccini verso l'uscitala Maheu prese ilcoraggio a due mani:

- Oggi è miseria neraper noi- balbettòstrozzata. - Se potessimo avere solo uno scudo... - La voce le mancò:i Maheu erano fierinon mendicavano.

Ceciliainterdettaguardò il padre.

- Nonon è nelle nostre abitudini- disse quellosecco; col tono dichi allega un preciso dovere. - Non possiamo farlo.

Toccata dall'espressione d'angoscia che lesse sul volto della madreCecilia volle almeno dar qualcosa ai piccini. Andata alla ciambellache calamitava ancora gli sguardi dei duene fece due parti: unafetta per ciascuno:

-Eccoè per voi! - Poiravvedendosiavvoltociascun pezzo in un vecchio giornale:

-Ne darete anche ai vostrifratelli e sorellenon è vero?

Esotto gli occhi inteneriti dei genitorili avviò all'uscita.

E i poveri mimmidigiuni anche di panese ne andaronotenendoreligiosamente nella mano intirizzita dal freddo ciascuno il pezzo diciambella. Ma la madre che se li tirava dietronon vedeva più nulla:campistradacielotutto girava e si confondeva ai suoi occhi.

Traversando Montsourisoluta entrò da Maigrat; e tanto fecenellesue suppliche seppe mettere tanta forza di persuasione che finì perportarsi via due pagnottedel caffèdel burro e persino uno scudo. (Maigrat accordava a breve scadenza anche dei piccoli prestiti).

Non leiera Caterina che l'uomo voleva: lo capì alla raccomandazioneche quello le fece: che per gli acquisti gli mandasse la figlia. Ebbenesi vedrebbe. Se Maigrat si faceva troppo sottoCaterina eratipo da scostarlo a ceffoni

 

 

Capitolo terzo

 

Suonavano le undici alla chiesetta del borgo: una cappella in mattonidove alla domenica il parroco di Montsou veniva a dir messa. Dallascuola chepur essa in mattonile sorgeva a fiancoarrivavanonostante le finestre chiuse per il freddoil compitare dei ragazzi.

I larghi spiazzi che correvano tra i quattro grandi isolati di caseuniformiavaramente spartiti in tanti orticellierano deserti;spogliati dall'invernoi coltivi non dissimulavano più lo squalloredel terreno marnosopunteggiato qua e là e reso più triste dai radilegumi superstiti. Nelle case la minestra era al fuocoi caminifumavano. Di quando in quando una donna s'affrettava rasente lefacciate; apriva una portaspariva. Sebbene non piovessenelle bottiscaglionate lungo i marciapiedi i tubi di scarico delle grondaiegocciolavanoalimentati dall'umidità di cui l'aria era pregna sottoil grigiore del cielo. E il villaggiosorto da un giorno all'altro inmezzo alla sterminata pianuraorlato dalle strade nere che parevanolistarlo a luttonon aveva di allegro che il rosseggiare dei suoitetti di coccioravvivato di continuo dagli acquazzoni.

Rincasandola Maheu passò prima a comprare le patate dalla moglied'un sorveglianteche ne aveva ancora del raccolto. Dietro unacortina di magri pioppi - il solo albero che crescesse in quelle terrepiatte - sorgeva un gruppo di edifizi: isolati di quattro caseciascunocircondati di orti. Siccome quelle case la Compagnia leriservava ai capisquadragli operai avevano soprannominato lafrazione «borgo delle "Calze-di-seta"»; allo stesso modo checonbonaria allusione alla loro miseriachiamavano il proprio«borgo deiPaga i tuoi debiti».

- Uff! ci siamo finalmente! - e la Maheucarica di fagotti ed'involtinispinse in casa i due rampolliinfangati e morti distanchezza.

Davanti al fuocoAlzira stava ninnando tra le braccia Estellastrillante. In mancanza d'acqua zuccheratala gobbina aveva cercatodi ingannarla dandole il seno; simulazione che spesso riusciva; maquesta volta aveva avuto bello scartare la camicia e imboccare la pupadel magro seno d'inferma; quella che lo mordeva senza trarne unagoccia di lattesi imbizziva sempre di più. Sbarazzata che si fudegli involti:

-Dàlla qui a me- s'infuriò la Maheu; e cavava dalcorpetto l'otre della mammella. - Altrimenti non ci lascia scambiareparola -. La strillona vi si appesedi colpo si chetò e si potédiscorrere.

Grazie alla piccola massaiain casa tutto bene: il fuoco mantenutoaccesoil pavimento scopatola saletta in ordine. Di su seguitava avenire il cadenzato russare del nonnoun ronfio che dal mattino nons'era interrotto un istante.

Alla vista di tutto quel ben di Dio che ingombrava la tavola - ilfagottino degli abitidue pagnotteil monticello di patateipacchetti del caffèdel burrodella cicoriala mezza libbra dipasticcio di maiale - Alzira esclamando:

-Quanta robamammache haiportato! Allorase vuoimi metto dietro alla minestra.

- La minestra... - fece eco la voce stanca della madre. - Non ci haiper farla né l'acetosella né i porri; dovresti uscire a coglierli. Nolasciala farò iola minestra per gli uomini. Per noi metti abollire delle patate; con un po' di burro vanno benissimo. E il caffèti raccomando! non ti scordare il caffè!

Dicendole sovvenne della ciambella. Guardò sotto il tavolo doveLeonora ed Enricogià riposati e più vispi di primalottavano traloro: avevano le mani vuote. Quei due ingordila ciambellanon sel'erano pappata dietro le sue spallestrada facendo? Al suono deglischiaffila gobbina che metteva la marmitta al fuoco:

- Nonpicchiarlimamma! Se è per mesai che non ci tengo. Con tutti ipassi che hanno fattoavranno avuto fame.

Suonò mezzogiorno. In istrada si udì scarpettare: l'uscita dallascuola. Le patate erano cotte; il caffèinspessito per una buona metàdi cicoriagorgogliava nel filtro. Sbarazzato un canto della tavolala madre vi mangiò sola. I ragazzi si contentarono delle ginocchia: ilmaschiettoadocchiando tutto il tempo l'involtino unto del pasticciodi maialesenza osare chiederne. E la Maheu era ancora dietro asorseggiare il suo caffè scaldandosi le mani al bicchierequandoscese Bonnemort. In anticipo; tanto che di solito la minestra glielatenevano sul fuoco. Oggivedendo che minestra non eraprese aborbottare; esolo all'osservazione della nuora che «non sempre si faquel che si vuole»si azzittì e attaccò le patate. Ogni tantoperpulizias'alzava e andava a sputare nella cenere; per quindiripiombare sulla sedia a masticare senza dentiil capo bassolosguardo spento.

- Ahmi scordavomamma- Alzira si risovvenne a un tratto. - E'venuta a cercarti la vicina...

- Ohquella noiosa! - s'infastidì la Maheu. Ce l'avevaadessolaMaheucon la Levaque; cheil giorno primarichiesta d'un prestitoper rifiutarglielo aveva pianto miseria; come non si sapesse chegiusto quel giorno Bouteloup le aveva anticipato la quindicina. (Eranorarinel borgoi prestiti tra famiglia e famiglia).

- Ahmi fai ricordare! Mettimi in un pacchetto una macinata di caffè.

Vado a renderlo alla Pierron che me l'ha imprestato avant'ieri.

Preso il pacchettodisse che tornerebbe subito per mettere laminestra al fuoco. Ed uscì con Estella in bracciolasciando ilvecchio Bonnemort a ruminarementre sotto il tavolo Leonora ed Enricosi disputavano le bucce cadute.

Evitando la strada per non sentirsi chiamare dalla Levaquela Maheuscorciò attraverso gli orti. Il suoappuntoconfinava con quello deiPierron e i due orti comunicavano per un varco apertosi nello steccatotraballante. In quel punto era il pozzo al quale attingevano quattrofamiglie; e di fianco al pozzoriparato alla vista da una gramapianta di lillàc'era un basso casottoaddetto a ripostigliodove iMaheu trovavano modo di allevare il coniglio che ingrassavano per igiorni di festa.

Sonò il toccol'ora del caffè: non un'anima sulle soglie né allefinestre. Solo uno sterratore intento a vangare il suo pezzetto diterrain attesa dell'ora di turno. Nell'arrivare all'isolato difacciala Maheu ebbe la sorpresa di vedere sbucare davanti allachiesa un signore con due dame. Si arrestò un momento e li riconobbe:era la Hennebeau che accompagnava in visita al borgo operaio gliospiti del mattino.

- Ma perché tanta premura? Avevi ben tempo! - esclamò la Pierron allavista del caffè.

Ventottennela Pierron passava per la bella della borgata. Brunaunafronte esiguadegli occhioniuna boccucciaun seno non sciupatodalla maternità; per giuntasempre linda e leccata come un gatto. Suamadrel'Abbruciatavedova d'uno staccatore perito nella minieraaveva impiegato la figlia in una fabbricagiurando che non la darebbemai a un carboniere; e che quella invecenel timore di restarezitellasi fosse sposata proprio con un carbonierevedovo per giuntae con una bambina di otto anninon s'era mai data pace. Ciò nontoglie che la coppia vivesse feliceincurante delle chiacchiere checorrevano sulla compiacenza di lui e sugli amanti di lei. Mai undebito; la carne due volte la settimanala casa tenuta come unospecchio. Quasi non bastassela Compagniasollecitata da qualcunol'aveva autorizzata a tenere un piccolo spaccio di biscotti econfettiche la Pierron esponeva in barattoli su mensolette nel vanodella finestra. Piccolo commercio che le rendeva sei sette soldi algiorno; sin dodicila domenica. A disturbare quella felicità nonc'era che l'Abbruciatacoi suoi asti di vecchia rivoluzionaria dasfogare contro i padroni e le vendette da prendere contro la Compagniache le aveva ucciso il marito; e la piccola Lidia che scontava introppo frequenti scapaccioni i malumori della famiglia.

- Ma sai che ti cresce a vista d'occhioquesto tesoro! - lacomplimentò la Pierronvezzeggiando Estella.

- Ahil daffare che mi dànon parliamone! Beata te che non haimarmocchi! Tu almeno puoi badare alla casa.

Anche la Maheu la casa la teneva in ordine e ogni sabato faceva ilbucato; e tuttavia mandava gli occhiinvidiosaper quella salettacosì linda; con qualche pretesa di eleganzaanzi: uno specchioduevasi dorati sulla credenzadelle stampe nella loro cornice.

La Pierron stava prendendo il caffè; sola: i suoi erano al pozzo. - Nepigli un goccio con me? - Nograzie. Ho finito ora il mio... - E conciò?

Già: uno di più non guastava; e la Maheu accettò. Di tra i barattolidi confetture e biscotti si scorgevano le case di faccia. E gli occhidelle due donne si fermarono sulle tendinette delle finestreche colloro colore rilevavano la maggiore o minore diligenza delle rispettivemassaie. Le più sozzeveri strofinacci da tavolo di osteriaerano letendine della Levaque: ma che se n'era servita per pulire il fondodelle casseruolequella là?

- Mi domando com'è possibile vivere in una simile sporcizia! -commentò la Pierron.

Per la Maheufu lo spunto d'uno sfogo che minacciava di non finirepiù. Ah se lei avesse avuto un dozzinante come Bouteloupla sua casaavrebbe cambiato faccia! A saper fareun uomo a dozzina è una granderisorsa. Purbenintesonon andarci a letto insieme! Del restodalcanto suoche faceva il marito? Bevevabastonava la moglie e correvadietro alle canterine dei caffè-concerto di Montsou.

Ahquelle! la Pierronsolo a sentirle nominareprese un'ariaprofondamente disgustata. Altro che malattie non c'era da prendersicon quelle! Una di loroa Joisellenon aveva impestato tutti glioperai d'un pozzo?

- A propositosai che mi fa specie che tu lasci andare tuo figlio conla Filomena!

- Brava! e impediscilo tu! Il loro orto è attiguo al nostro. D'estateZaccaria è sempre con Filomena dietro i lillà. E che credi che siprendano soggezione? Non si può andare ad attingere acqua senzasorprenderli sulla conigliera che fanno i comodi loro.

Era la storia di tutti i giorni; l'inevitabile conseguenza dellapromiscuità in cui si viveva. Di lìla corruzione che imperversavanella gioventù; la disinvoltura con cuicalato il giornole ragazzesi buttavano a gambe all'aria sul basso tetto in pendio di quelcasotto. Quando non si prendevano il disturbo di andarlo a fare aRéquillart o nel granoera su quel casotto che tutte le spingi-carichi facevano il loro primo bambino. Poco maledel restovistoche di solito le coppie finivano per sposarsi; il brutto era perquelle madri che vedevano il figlio ammogliarsi troppo presto; a ognifiglio che prende moglieè una quindicina di meno che entra in casa.

- Se fossi in te- riprese la Pierronfacendosi seria- preferireivederli sposati. Il tuo Zaccaria l'ha già ingravidata due volte;finiranno per far famiglia a parte. Anche se non lo ammoglisulguadagno di lui non puoi più contare.

A questala Maheu andò in bestia:

-Ascolta quel che ti dico: se simettono insiemeli maledico- e protese le mani come a giurare. -Zaccaria non ha forse degli obblighi verso di noi? Ci è costatonon èvero? Ebbeneha il dovere di risarcirciprima di accollarsi unadonna da mantenere. Che ne sarebbe di noime lo dicise appenasvezzati i nostri figli si mettessero a guadagnare per gli altri? Tanto vale allora crepare!

Ma dopo un po'ravvedendosiconcluse:

-Parlo in generale. Quanto aZaccariacol tempo si vedrà... Come è forte il tuo caffè! si senteche tu ci metti quel che ci vuole!

Si intrattennero ancora un po'; poi la Maheuprotestando che dovevaancora mettere al fuoco la pignatta per la minestrasi congedò.

Fuori - già i ragazzi tornavano da scuola - un curiosare di donnerichiamate sulle soglie dal passare della Hennebeau che accompagnavagli ospiti in visita alla borgata. La presenza di quei tre nelvillaggio cominciava ad attirare l'attenzione: lo sterratore smise unmomento di vangare; in un orto due galline rizzarono la crestaallarmate.

Nel rincasarela Maheu andò a sbattere nel naso della Levaque cheappostata sulla viaattendeva al varco il medico della Compagnia:Vanderhaghenun ometto sempre indaffaratosempre frettoloso che iconsulti li dava correndo. Eccolo!

- Dottorenon chiudo più occhiola notte... Mi ascolti un momento...Vanderhaghenche dava del tu a tuttesenza fermarsi:- Lasciami in pace! Bevi meno caffèse vuoi dormire...La Maheuprofittando a sua volta:

-E mio maritodottoreche hasempre quei dolori alle gambe... Non avrebbe un momentino?...

- Sei tu che lo direni! non ho tempo da perdere!

E le piantò in asso in mezzo alla stradaa guardare la sua schienache s'allontanava. Le due si scambiarono un'occhiata e spallucciarono: niente da fare. Poi la Levaque:

-Entra un momento da me. Ci sonodelle novità. Intanto pigli un caffè: l'ho fatto or ora.

La Maheu avrebbe voluto sottrarsi; ma tant'èper non usarle unosgarbo...La saletta dove entrò manteneva a iosa la promessa delle tendine:pavimento e pareti lardosi; la credenza e la tavola da restarciattaccati a toccarle; un tanfo di casa maltenuta che pigliava allagola.

Con le spalle al fuocoi gomiti piantati sul tavoloil naso nelpiattoBouteloup finiva un resto di bollito. Massiccio di corporaturae giovane ancora per i suoi trentacinque anniaveva l'aria mansuetad'un buon ragazzone. Ritto vicino a luiAchillinoil primo nato diFilomenagià quasi treennelo guardava mangiare; con un'espressionedi golosità negli occhi così supplichevoleche l'uomodissimulandonel barbone la pietà che la muta preghiera gli facevala esaudivaogni tantoficcando in bocca al bambino un pezzetto di carne.

- Attendi- e la Levaque metteva a bollire e rimescolava nellacaffettiera una cucchiaiata di zucchero greggio.

Sempre spettinatacon un viso piatto seminato di peli grigiil senoche le cascava sul ventre e il ventre che le traboccava sulle coscela Levaquesebbene solo di sei anni più anziana del ganzoaveval'aspetto ripugnante della donna finita. Lui l'aveva presa pernaturale condiscendenzaper lo stesso spirito di adattamento che glifaceva accettare la minestra coi capelli dentroil letto con lelenzuola che si rinnovavano ogni tre mesi. La donnainsommafacevaparte della pensione; orasoleva dire il maritoun dozzinante che citrova il suo tornacontonon è più un dozzinante ma un amico.

- Sai che ti volevo dire? - seguitava la Levaque. - Che iersera laPierron è stata vista gironzolare nei pressi delle "Calze-di-seta". Ilmessere che sai la aspettava dietro il Risparmio; e se la sono filatainsieme lungo il canale. Che te ne pareeh? Che faccia tostaper unadonna che ha marito!

- E ti fa specie a te? - la Maheu di rimando. - Pierronprima disposarsia quel messere mandava dei conigli in regalo; oraprestandogli la mogliei conigli li risparmia.

Bouteloup che stava imboccando Achillino d'una mollica di panemasticataesplose in una risata che scrollò la tavola; mentre le duedonne davano libero sfogo alla maldicenza: una civetta mica più belladi un'altrala Pierron; ma sempre occupata a rinfrescarsi il deretanoe il restoa lustrarsia impomatarsi. D'altrondese al maritopiaceva mangiare di quel paneaffar suo. Ci sono degli uomini cosìambiziosi chesolo per sentirsi dire grazieai capi leccherebbero lescarpe.

Le interruppe l'entrare d'una vicina che riportava dal Voreux labambina di FilomenaDesideratauna pupetta di nove mesi. Tutti igiorni la madre se la faceva portare nel reparto dove lavorava e sisedeva un momento sulla tramoggia ad allattarla.

- Potessi fare lo stesso con questa! - sospirò la Maheu guardandoEstella che le si era addormentata in braccio. - La miase la lascioun minuto si mette subito a strillare!

E se ne sarebbe andata; ma la trattenne l'intimazione a restare cheleggeva da un po' negli occhi della Levaque. Non era solo per parlarledella Pierron che la vicina l'aveva attirata in casa. Infatti:- Di' su: non ti parrebbe tempo che si sposassero quei due?

Sinoradi tacito accordole due madri avevano preferito non parlaredi matrimonio fra Zaccaria e Filomenadesiderose ambedue di nonvedere il bilancio famigliare scemarsi d'una quindicina. Perché averefretta? La Levaque s'era persino rassegnata a tenersi in casa il primonipotino; ma adesso che se ne era aggiunto un secondo e che il primocresceva e mangiava anche lui la sua parte di panelei si sentiva inperdita; e perciòda donna che non intende rimetterci del suoormainon vedeva l'ora che Filomena si sposasse.

- Zaccaria è franco di leva: ostacoli non ve ne sono più... Di' su:quando?

- Rimandiamo almeno a primavera! - proposeper cavarselala Maheu. -Che seccaturequesti figlioli! Per appiccicarsinon avrebbero potutoaspettare d'essere marito e moglie? Se Caterina mi combina lo stessoguaioparola mia d'onorela strozzo!

L'altraspallucciando:

-Lascia andare! Ci passerà anche lei come lealtre!

Bouteloupcon la disinvoltura di chi è in casa suaera andato allacredenza e vi rovistava in cerca di pane. Non finite di sbucciarerestavano su un angolo del tavolo le patate per la minestra diLevaque: prese e lasciate chi sa quante volte. E la vicina vi sirimettevaquando piantò di nuovo lì per impalarsi davanti allafinestra ed esclamare:

-Che succede in strada? Ve'la Hennebeau condei signori! Eccoli che entrano dalla Pierron!

E tutte e due ricaddero a parlare di quella fraschetta. Sempre così! si sapeva! Se capitava qualcuno a visitare le case operaieeradiritto dalla Pierron che la Compagnia lo portava. Tacendoglibenintesoche quella se la intendeva col suo sorvegliante-capo. Nonci voleva molto a curare la puliziaquando si aveva alloggio eriscaldamento gratis e si disponeva d'un amante con uno stipendio ditremilae che quindi poteva largheggiare in regali! Puliziad'apparenzaperché a guardarci sotto...E le due non smisero finché:

- Eccoli che escono! - annunziò laLevaque. - Fanno il giro... Guarda! direi che si dirigano da te!...La Maheu si allarmò: chi sa se Alzira aveva pensato a dare un colpo dispugna al tavolo? E poilei che aveva ancora da mettere la minestraal fuoco! Salutò esenza guardarsi intornofilò a casa.

Trovò tutto in perfetto ordine e Alzira chevedendo la madreritardares'era messa a preparare la minestra. Con un cencio davantia mo' di grembiulela gobbinaseria seriastava pulendo gli ultimiporri e l'acetosella colti nell'orto; mentre in un calderone al fuocosi scaldava l'acqua per il bagno che gli uomini farebbero rientrandodal lavoro. Per miracoloanche Leonora ed Enrico erano quieti: liteneva buoni un vecchio almanacco di cui strappavano i fogli. Bonnemort fumava in silenzio la pipa. La Maheu aveva appena ripreso fiatoche la Hennebeau bussava. - Permetteteè verobuona donna-chiese sorridendo con ostentata affabilità. Altabiondad'unabellezza sontuosa che la quarantina appesantiva un po'indossavasotto la mantella di velluto nero un abito di seta paglierina. Siarrischiò dentro senza dar troppo a vedere il timore che aveva dimacchiarsi; e rivolta al signore dal nastrino all'occhiello e allasignora in pelliccia:

-Entrinoentrino... Non disturbiamo nessuno... Che ne diconoeh? Anche qui non è tutto lindo? Eppure questa bravadonna ha ben sette figli! Tutte cosìle abitazioni dei nostrioperai... Per sei franchi al meseché tanti ne pagano d'affittounagrande sala a pianterrenodue camere al primouna cantina e unorto... I visitatori non lesinavano la loro ammirazionesi guardavano intornocome stentassero a credere ai propri occhi.

- E un orto! - fece eco la dama. - Ma farei patto di viverci io! Incantevole!

- Di carbone ne ricevono più che non ne consumino... Hanno il medicodue volte la settimana; esebbene sulla paga non si faccianoritenutela pensione assicurata per la vecchiaia.

- Un paradiso! il vero paese della cuccagna! - mormorò il signoreestasiato.

La Maheu s'era precipitata a offrire delle sedie. Le signore fecerosegno che non si disturbasse. Snocciolate le poche frasi dicircostanza che aveva appresogiàinfattila Hennebeau eraimpaziente di togliersi di lì. Se qualche distrazione alla sua noiaanche quel girare per i borghi operai gliela procuraval'odore dimiseria che si respirava pure nelle case in cui sapeva di potersiarrischiarefaceva presto a indisporla. E poi che gliene importava infondodi tutta quella gente che col lavoro manteneva il suo lusso?

- Che bei bambini! - la visitatrice si sentì in obbligo di dire;sebbene in cuor suo li trovasse orribilicon quei testonile selvearruffate di quei capelli giallicci. Al chela madre dovette direl'età di ciascunoe anche su Estella rispondere alle domande che pereducazione le rivolgevano. Per un senso di rispettoBonnemort s'eratolto la pipa di bocca; ma le sue gambe irrigiditeil viso terreolostato in cui quarant'anni di miniera lo avevano ridottonon perquesto mettevano meno a disagio. Dovette accorgerseneperché colto daun violento impeto di tosseuscì a sputare nell'ortonel timore chela vista di quello nero scaracchio indisponesse quei signori. La piùfesteggiata fu Alzira. Che donnina di casache cara! Complimentaronola madre: quale risorsa una bambina così svegliacosì assennata aquell'età! Della gobba nessuno fiatò; sebbene proprio a quellaandassero con più insistenza gli sguardicombattuti tra pietà emalessere.

- Ebbene- concluse la Hennebeau- oraa Parigilor signoripotranno direall'occasionecome si sta nei nostri borghi operai. Mai più frastuono di adesso; costumi patriarcali; tutti felici e inbuona salutecome hanno modo di constatare. Per l'aria che vi sirespira e per la pace che vi regnaun soggiornosto per diredaconsigliare a chi avesse bisogno di rimettersi!

- Meravigliosoveramente meraviglioso! - riepilogò il signoreinun'ultima esplosione di entusiasmo. E i visitatori accompagnati sinsulla soglia dalla Maheuuscirono coll'espressione incantata con cuisi esce da un baraccone di fiera; e lemme lemme si avviaronosfogandoad alta voce la loro ammirazione.

La strada s'era animata; dovettero aprirsi il passo tra capannelli dicomariaccorse alla notizia e indaffarate a propagarla. La Levaqueper l'appunto aveva sequestrato davanti alla sua porta la Pierronuscita anch'essa a curiosare. - Sai? Sono ancora dai Maheu! - Davvero? Che ci mettono le tende? - Tutte e dueinvidioseaffettavanosorpresa: che potevano trovarci dai Maheuper intrattenercisi così alungo?

- Sempre in bollettacon tutto quello che guadagnano! Ma giàquandosi hanno dei vizi da mantenere!

- Ho appreso proprio ora che stamattina lei è andata a piangeremiseria da quelli della Piolaine! E che Maigrat le fa di nuovocredito... Ora tutti sanno con che genere di moneta si ripaga Maigrat!

-Non intenderai mica che si ripaga su di lei! ci vorrebbe un bellostomaco! E' Caterina che salda i conti!

- Beninteso. Eppurevuoi ridere? Non più tardi d'un momento fasaila madre che cosa ha avuto la faccia tosta di dirmi? Che se sua figliaci cascassela strozzerebbe! Come se ChavalCaterinanon se lafosse da un bel pezzo servita sulla conigliera!

- Ssst! Eccoli!

Ricompostesi di colpoallora le due s'erano contentate di spiareaffettando indifferenzal'uscita dei visitatori. Via quellifecerocenno alla Maheu di raggiungerle; e oraimmobili tutte e trelistavano a guardare allontanarsi. E quelli non avevano fatto trentapassi che nel gruppetto i commenti riprendevano più velenosi che mai:- Ne hanno per parecchio danaro di vestiti e di cianfrusaglie addossoquelle due: per più danaroper certoche non valgano esse stesse!

- Oh sicuro! L'altra non la conosco; ma quella di quinon la paghereiquattro soldiciccia compresa! Si raccontano di lei certe cose...

- Che mai? di'!

- Che ha degli amanti... L'ingegnereintanto.

- Quel magropiccolino? Mi fa specie! uno spillo che se lo perde nonlo ripesca più tra le lenzuola!

- Che vuol direse lei ci trova il suo gusto? Piuttosto ioper mequando vedo una che a tutto fa boccacce e ha sempre l'aria diannoiarsi dov'è... Ve' con disprezzo ci volta a tutte il sedere! Chigliel'ha insegnata l'educazione?

I tre seguitavano a camminare passo passo chiacchierandoquando unavettura venne a fermarsi davanti alla chiesa. Ne scese un signoresulla cinquantinachiuso in un soprabito nero; il viso abbronzatoaveva un'espressione autoritariaaffabile ma compassata.

- Il marito! - bisbigliò la Levaqueabbassando la voce quasi quellopotesse udirlapresa dalla soggezione che il direttore incuteva atutti. - Eppurela faccia del cornutodite quel che voletece l'ha!

Ormai tutta la borgata s'era riversata sulla strada. In un crescendodi curiositài crocchi si fondevanoformavano folla; mentre file dimocciosi si piantavano sui marciapiedi a bocca aperta. Vi fu persinoun momento che di dietro lo steccato della scuola fece capolino ilviso scialbo dell'insegnante. Appoggiato col piede alla vangalosterratore adesso seguiva la scena con occhi sgranati. E il cicalecciodelle comari si propagava con lo strepito d'una ventata in un mucchiodi foglie secche. Soprattutto davanti alla porta della Levaque c'eraun vero assembramento. Con tanti orecchi in ascoltoadessoprudentemente la Pierron si era azzittita. Anche la Maheuda quelladonna ragionevole che erasi contentava di guardare; e siccomeEstellasvegliata dal vocìos'era rimessa a strillareper chetarlasenz'ombra di soggezione aveva tirato fuorisotto gli occhi di tuttila lunga cioccia penzolante.

Quandocaricati gli ospitila carrozza si mosse e filò in direzionedi Marchiennesda tutta quella folla adunata s'alzò un ultimo confusovocìo; le donne gesticolavanosi parlavano faccia contro faccia: sisarebbe detto un formicaio in sommossa.

In quellarintoccarono le tre. Già gli operai addetti allo sterrotra cui Boutelouperano partiti; quand'ecco svoltare dalla chiesa iprimi minatori di ritorno dal pozzo: neri in facciabagnati disudorevenivano avantile spalle curvele mani intrecciate sullereni.

Allora fu un fuggi fuggi generale. Sbandatesi come galline al calaredel nibbiotutte le donne rientrarono in casa di corsaspaventatealla prospettiva che ora sconterebbero il troppo tempo perduto acicalare e a mescersi caffè. E - preludio di chi sa quanti battibecchiconiugali - si sparse per tutto il borgo il grido:

-Oh povera me! Ela mia minestra che non è pronta!

 

Capitolo quarto

 

Sistemato che ebbe Stefano al RisparmioMaheu rincasò e trovò atavola CaterinaZaccaria e Gianlino checoi vestiti umidi ancoraindossostavano finendo la minestra. Al ritorno dal lavorol'appetito era così imperioso che ognuno si metteva a tavola senzadarsi neanche una lavata e senza aspettare nessuno; per cui in salaera sempre apparecchiato.

Per prima cosaentrandoMaheu notò le provviste; non disse nullamala sua fronte si spianò. Il pensiero che la credenza era vuotache incasa non c'era più né burro né caffènon lo aveva lasciato un momentoin tutta la mattinata: che farebbe sua moglie? e se rincasava a manivuotecome si rimedierebbe la cena? Invece ecco che tutto era andatobene. Poi le chiederebbe come aveva fatto. Intanto rifiatava.

Già in piediCaterina e Gianlino sorbivano il caffè; mentre Zaccariad'appetito più esigentesi imburrava una fetta di pane. Il giovinottovedeva bene lì nel piatto il pasticcio di maiale; ma s'asteneva dalprenderne: era in tutto una porzionedestinata quindi al padre.

- Birra non ne ho comprata- si scusò la Maheuquando il suo uomo sifu a sua volta seduto a tavola. - Altrimenti finivo i soldi... Ma sela gradisciAlzira va a prendertene una pinta -. (In fine diquindicina la minestra si buttava giù con un bel bicchierone d'acquafresca).

Maheu la guardò ammirato: anche del danarodunqueera riuscita aprocurarsi!

- Nono. L'ho bevuta al Risparmiola birra. Mi basta -. E a piccolecucchiaiate attaccò nella ciotola che gli serviva di scodella ilpastone di pane e di patateinsaporito di porri e acetosellache giàsi rassodava; mentreaiutata da Alzirala moglie lo servivaattentaa che non gli mancasse nulla; con la mano che Estella le lasciavaliberagli avvicinava il burro e l'affettatoriponeva al fuoco ilcaffè per mescerglielo bollente.

Caterina intanto aveva riempito dell'acqua del calderone la bottedimezzata che serviva di tinozza; e senz'ombra di soggezioneabituatacom'era a farlo dall'età di otto annilesta lesta ora si spogliava.

Solo sfilandosi la camiciadiede le spalle; e prese a stropicciarsida capo a piedi con un pezzo di saponaccio. Nessuno la guardava;neppure Enrico mostrava curiosità di vedere come era fatta. Lavata chesi fu si lanciò nuda su per le scalelasciando sul pavimentocon lacamicia molle di sudoreil mucchietto dei vestiti. Adesso sarebbetoccato a Zaccaria entrare nella tinozza; col pretesto che il fratelloera ancora dietro a mangiareGianlino v'era già saltato dentro.

Scoppiò un litigio: Zaccaria protestava il suo diritto di precedenza;se per cavalleria aveva ceduto il posto alla sorellanon per questosi rassegnava a lavarsi nell'acqua sporca che lascerebbe Gianlino:un'acqua da rifornirci d'inchiostro tutti i calamai della scuola. Ilbattibecco finì che tutti e due si lavarono insiemevoltati comeCaterina verso il fuoco; aiutandosi anzi a vicenda a insaponarsi doveda sé non arrivavano. Dopodiché anch'essi infilarononudi com'eranola scala.

- Ve' se è il modo di lavarsi! Ogni volta allagano il pavimento! - ela Maheu raccattava da terra i vestiti per metterli ad asciugare. -Alziradài un colpo di spugnada brava!

Ma si interruppe in ascolto: nell'appartamento attiguo era scoppiatoun pandemonio: l'imprecare d'una voce maschileun pianto di donnacolpi sordi di percosse: il trambusto d'una zuffa.

- La Levaque che riscuote! - osservò placido Maheuraschiando colcucchiaio il fondo della ciotola. - E Bouteloup che lo rassicurava chela minestra era cotta!

- Ahsìcotta! Se ancora un momento fa le ho visto sul tavolo lepatate ancora da sbucciare!

Il putiferio cresceva. Seguì contro la parete l'urto d'un corpocosìviolento che la saletta ne rimbombò. Poipiù nulla.

Maheuinghiottendo l'ultima cucchiaiatacol tono imparziale d'ungiudice:

-Se neanche la minestra gli fa trovare pronta- sentenziò- non ha torto Levaque!

Ebevutoci sopra un bicchierone d'acquasi mise davanti il pasticciodi maiale. Ne tagliava dei pezzetti e con la punta del coltello lispalmava sul pane. Amava consumare i pasti in silenzio; abitudine chetutti in casa rispettavano. Adesso per esempio la curiosità lo pungevadi sapere dove lo aveva presoquel pasticciola Maheu; non certo daMaigratche non usava tenerne. Ma dal chiedere si asteneva. Domandòsolo se Bonnemort era ancora su. Noil vecchio era uscitocome ilsolitoa fare due passi. E si rifece silenzio.

Ma l'odorino di ciò che il babbo stava mangiando aveva fatto alzare ilcapo a Leonora ed Enrico chesotto il tavolosi divertivano aderivare dei rigagnoletti dall'acqua rovesciata. Tiratisi sui duevennero a piantarsi presso il padre: Enricocome il più piccolodavanti. I loro occhi seguivano la traiettoria d'ogni boccone; consperanzaal partire dal piatto; con costernazioneall'arrivo. Maheufinì per accorgersi della golosità con cui lo spiavano: una golositàche li faceva inghiottire a tempo con lui.

- Non ne è toccatoai bambinidi pasticcio?

All'esitazione di lei:

-Sai che queste ingiustizie non mi vanno? Mitoglie l'appetito vedermeli intorno a piatire.

Leistizzendosi:

-Ne hanno avuto sì! - mentì. - Se badi a loropuoidargli la tua parte e quella degli altri. Basta non lo diranno mai. Non è veroAlzirache ne abbiamo avuto tutti del pasticcio?

- Ma sìmamma! - confermò senza battere ciglio la gobbina cheinquelle occasionisapeva mentire con la sicurezza d'un grande.

Davanti a tanta impudenzaLeonora ed Enrico restarono senza fiatoessi abituati a buscarle alla minima bugia. I loro cuoricini sigonfiavano di sdegno. Avrebbero voluto protestaredire chese maiessi non c'erano quando gli altri ne avevano mangiato. Ma già la Maheuli cacciava:

-Levàtevi dai piedi a vostro padre! Non vi vergognate distar sempre lì col naso nel suo piatto? E se anche ne mangiasse luisolodel pasticciocon questo? Lui guadagna; mentre voialtri sietesolo buoni a spendere. Divorate più che non pesiate voi stessi!

Maheu li richiamòse li sedette uno per gamba; eimboccandoli aturnodivise con loro il resto del pasticcio. I bambini erano alsettimo cielo.

Alzandosi da tavola:

-Nolàscialo nella caffettierail mio. Primami lavo... Piuttosto dammi una mano a buttar via l'acqua sporca.

E stavano vuotando la tinozza nella cunetta della stradaquandoGianlino comparve sulla soglia. S'era cambiato; ora indossava un paiodi calzoni e una blusa di lana: smessi da Zaccaria; e si vedevadatanto gli erano larghi. La madrevedendolo svignarsela allachetichella:

-Dove vai? - Qui. - Dove qui? Sentiva' a raccogliereun po' di radicchiello per l'insalata di stasera. Dico a tehaicapito? Se torni senzale buschi.

Senza dire né sì né noquello partìle mani in tascastrascicandogli zoccoli e dondolandosi sulle reni come un vecchio minatore.

Dopo di luicomparve Zaccaria; un po' meglio aggeggiatolui; con unamaglia di lana a righe nere e turchine che gli modellava il torso.

Maheu gli gridò di non farsi attendere per cena; lui scosse inrisposta il capo e s'allontanò con la pipa tra i denti.

La tinozza era di nuovo piena; e Maheu si toglieva la giacca; senzafrettaper dar tempo ad Alzira di condurre fuori i piccini a giocare. Non gli piaceva fare il bagno in presenza dei figli; se nella borgatatutti lo facevanobuon pro; ma lui trovava che sguazzare insiemepoteva andare per i bambini.

Ma che faceva su Caterina?

- Mi do due punti alla sottana. Ieri mi ci sono fatto uno strappo.

- Bene... Ora però non scendere: tuo padre si lava.

Così i coniugi rimasero soli. La Maheu s'era decisa a deporre Estellasu una sedia; persuasa una volta tanto dal tepore del fuoco a starbuonaquella occhieggiava di là i genitori col suo sguardo incerto dicreaturina che non pensa. Una volta che si fu spogliatoMaheus'inginocchiò per prima cosa a tuffare il capo nella tinozza;insaponandoselo quindi ben bene con un pezzo di quel sapone nero chealla lunga finiva per dare ai capelli una tinta giallastra. Ciò fattoentrò nell'acqua e si spalmò allo stesso modo pettoventre e coscestropicciandosi energicamente la pelle con ambi i pugni. La moglieritta lì a guardarlo:

-Sentiallora. Ho vistosail'occhiata chehai avuto arrivando... Eri in pensieroehché vedendo la roba ti seirasserenato? Figurati che quelli della Piolaine non m'hanno dato unsoldo. Oh sono stati gentilinon dico; hanno vestito i bambini dacapo a piedi. Tanto più quindicapiraim'è costato chiedere; amendicaremi manca la voce...Si interruppe per andare alla sedia a sistemare meglio Estella chepericolava; mentre il marito seguitava a stropicciarsi con forzaattendendo pazientementenonostante la curiosità che lo mordevalafine del racconto senza sollecitarla con domande.

- Prima che alla Piolainedevi sapereero stata da Maigratche miaveva detto di no; e in che modo! come si scaccia un cane! ... Figuratiquindi i momenti che ho passato! Tengono caldo i vestiti dilanama non riempiono la panciaè vero?

Maheu alzò il capo: niente alla Piolaineniente da Maigrat: oheallora? Ma anche questa volta si astenne dal chiedere.

Lei intanto s'era rimboccate le maniche per insaponarlo dove a lui eramalagevole arrivare. Le spalleintanto; e l'uomo si mise ritto pernon vacillare sotto la spinta. Gli piacevaa Maheuche la moglie loinsaponasselo massaggiasse dappertutto con forza.

- Sicché sono tornata da Maigrat; e questa volta gliene ho detteohse gliene ho dette! Che era un senza cuoreche se c'era una giustiziase ne avrebbe a pentire... Imbarazzatosenza trovare che risponderestornava gli occhi; si vedeva chepotendose la sarebbe svignata... Dalle spallela donna era scesa alle natiche; einfervorandosi nellabisognadi là si spingeva a stropicciarlo fra le gambedappertuttosenza lasciare una piega; presa dallo zelo che metteva a lucidare irami di cucina alla vigilia delle grandi ricorrenze. E soffiando dallafatica nella scalmana di tutto quello armeggiarele parole le sistrozzavano in gola:

-Finchéper farla cortamesso alle strettem'ha gratificato di vecchio empiastroma ha ceduto... Ci darà il panea credito sino a sabato; e intantoquel che è il megliom'haavanzato uno scudo. In piùho preso da lui il burroil caffèlacicoria; enon contentastavo per farmi dare anche il salame e lepatate ma siccome già borbottava... Sette soldi il pasticciodiciottole patatedello scudo mi restano ancora tre franchi e settantacinque;c'entra dunque ancora un po' di carne in umido e un bollito... Che nedici? Non ho perso la mattinataeh?

Adesso lo asciugavalo strofinava con un pannonei punti dove stentaa seccare. E lui esultantesenza pensiero del debito e dell'indomanila approvava tra grandi risatela abbrancavala stringeva a sé.

- Che ti piglia? Matto! finiscila! Non vedi che sei bagnato e miinfradici tutta... Ti diròperò: temo che Maigrat abbia delle idee...Stava per parlare di Caterina; ma a che mettergli quella pulcenell'orecchio? Maheu non era uomo da prendere la cosa alla leggera.

- Quali idee?

- Di rifarsi sui contino? Bisognerà che Caterina li rivedaattentamente.

Rassicuratolui la abbrancò di nuovo; e questa volta per non mollarlapiù. Era quasi sempre così che il bagno in famiglia finiva. Il rudemassaggioil solletico che asciugandolo lei gli faceva per tutto ilcorporingagliardiva l'uomo. Del restol'ora del bagno era in tuttele case l'ora dei grilli; l'ora in cuisenza averne l'intenzionesimettevano al mondo più bambini. Alla nottela vicinanza della proleimpediva le effusioni coniugali.

Ecco infatti che ora lui la spingeva verso la tavolaceliandomalizioso: andiamoperché rifiutargli l'unico momento buono dellagiornata? Non se lo meritava forse? Era la sua fruttaquella; e unafrutta che non costava niente.

Più per stare al gioco che sul seriolei si dibatteva un po'ma colseno in tumultopiegandosi già in vita sotto l'assalto.

- Che ti piglia? Ma sei mattocon Estella che ci guarda! Fammelaalmeno voltare di là!

- Gnamo! ha tre mesi! sì che capisce!

Festeggiata che ebbe la sua donnaMaheu non si rivestì; restò incalzoni; gli piaceva dopo il bagno starsene un po' a torso nudo. Sullapelle che aveva bianca come quella d'una donnasul largo petto d'unlucore di marmo venato d'azzurrosulle braccia nerborute cheostentavail minerale aveva lasciato dei graffidei tagli -innestinel gergo dei minatori -; e di quei segni del mestiereMaheu andava fiero. Né solo lui; tanto che dopo il bagno erano molti iminatori cheper farsi ammirareuscivano sulle soglie.

Anche lui ora vi si affacciò un istantesfidando l'umidità del difuori; lanciò una grassa facezia a un collega avvistato di là degliortipure lui a torso nudo. Altri si affacciarono. E i ragazzi chebighellonavano sui marciapiedi alzavano il caporidevano anch'essi aquell'allegra esposizione di petti che si ritempravano dalla faticaaffrontando ignudi l'aria aperta.

Neanche rientrato in casainfilò la camicia; eprendendo il caffèraccontò alla moglie la grana che l'ingegnere aveva piantato aproposito dei rivestimenti. Ormai l'ira per il rabbuffo gli erasbollita; e ai consigli di prudenza che lei gli davaassentiva colcapo. La Maheu era donna piena di moderazione e di buon senso: non cisi profitta di nientesoleva direa mettersi in urto con laCompagnia; come a battere la testa nel muro. A sua voltala mogliegli raccontò della visita fattale dalla signora Hennebeau. Non se lodicevano; madi quella visitatutti e due erano fieri.

Dalla scala arrivò la voce di Caterina:

-Posso scendere? La fanciullaaveva indosso l'abito nuovo: un vestituccio di lana e seta rigatasbiadito dall'uso e liso nelle pieghe; in capouna cuffia nera ditullesenza nastro.

- Dove vaiche ti sei messa in ghingheri?

- A Montsoua comprarmi un nastro per il cappello. Quello vecchiol'ho tolto: era diventato indecente.

- Sicché sei in quattrinitu?

- No. E' la Mouquette che s'è offerta di prestarmi dieci soldi.

La madre la lasciò partirema sulla soglia la richiamò:

-Senti: ilnastro non andarlo mica a comprare da Maigratsai! Penserebbe chescialiamo e te lo farebbe pagare il doppio.

- E cerca di rientrare prima che sia notte! - aggiunse il padre cheaccosciato presso il fuocostava facendosi asciugare le ascelle.

Il pomeriggio Maheu lo dedicò all'orto. Già vi aveva seminato pisellifagioli e patate; ora gli restavano da trapiantare delle piantine dicavolo e di lattuga che aspettavano dal giorno prima nella loro mottadi terra. I legumi che tiravano da quello scampolo di terrenobastavano per i loro bisogni; solo le patatecon l'uso che nefacevanoerano sempre insufficienti. Maheu era molto bravo comeagricoltore; persino dei carciofiotteneva dal suo orto:raffinatezzaquestache agli occhi dei vicini passava per una posa.

Stava dunque dissodando il terreno per il trapiantoquando nell'ortoattiguo Levaque uscì a fare una pipata e a dare un'occhiata allelattughe piantate quel mattino da Bouteloup. (Non fosse stato per ildozzinantein quell'orto sarebbe cresciuta l'ortica).

- Che si va al Risparmio? - propose Levaqueche a menar le mani s'erariposato e al tempo stesso ringalluzzito. - Non sarà poi un guaio unabirra! - Farebbero una partita a boccedue chiacchiere con gli amici;e rientrerebbero per cena. Che vivere è se non ci si concede un po' disvago dopo il lavoro?

Mica cattival'idea; ma Maheu non si lasciò tentare:

-Se non letrapianto oggidomani addio lattughe! - In realtàera per economiache rifiutava; per non scemare sia pure di poco quello che avanzavadello scudo.

Alle cinquecapitò la Pierron a vedere se era con Gianlino che la suaLidia se l'era svignata. Probabilmente sìintervenne Levaqueperchéanche il suo Berto era sparito; le scappate quei tre le facevanosempre insieme. Ma Maheu non era dello stesso parere: Gianlinosuamoglie l'aveva mandato a raccogliere radicchio. Tranquillizzata cosìla donnatutti e due presero a bersagliarla di sboccate galanterie edi grasse facezie. Quella fingeva d'offendersi; ma restava lìsolleticata in fondo da quella bonacciona crudità di linguaggio;strillando alle parolaccema ridendo da tenersi la pancia. Aprenderenon chiamatale sue difesearrivò una spilungona;tartagliavastrozzata dallo sdegnoche pareva una gallina chechioccia. Altre dalle soglie le diedero man forteimbaldanzite dallalontananza. Intanto l'uscita dalla scuola aveva riempito la strada dimonelliche gridavanosi rotolavano in terrasi azzuffavano; mentrea ridosso delle facciateaccoccolati anche lì sui calcagni comefossero nella minierai padri ch'erano rimasti a casafumavano lapipascambiandosi una parola ogni tanto.

Finì che Levaque allungò la mano sulla Pierron per assicurarsi dellasodezza della sua coscia; solo allora quella s'offese e partì;dopodiché anche lui si decise ad andare al Risparmio da solomentreMaheu seguitava a rincalzare di terra le sue piantine.

La luce del giorno scemò quasi di colpo. La Maheu accese il lumeborbottando contro Caterina e gli altri due che ancora noncomparivano. L'avrebbe scommessoleiche andava così! Nemmenoquell'unico pastosi riusciva a farlo insieme: mancava semprequalcuno. Epoil'insalata! che diavolo poteva ancora raccogliere aquell'oracon quel buioquel gaglioffo di ragazzo? Sarebbe venutocosì beneun po' di radicchielloper accompagnamento all'intingoloche lei aveva rimediato: uno spezzatino di porri e patateinsaporitodi acetosellacrogiolava al fuoco nel soffritto di cipolla! (Dicipolla soffritta tutta la casa puzzava; un odorino per sé buonomache ha il difetto di irrancidire presto e d'impregnare talmente i muriche era con quel tanfo di cucina povero che i borghi operais'annunciavano a distanza).

Ricacciato in casa dal calare della notteMaheu si lasciò andare suuna sedia; econ la testa contro il murosi appisolò. In fine digiornata era così stracco chese si sedevas'addormentava. D'unsonno che non ruppe neppure la scodella chenel suo zelo di aiutareAlziraLeonora s'era lasciata sfuggire di mano.

Il cucù sonava le settequando comparve Bonnemort: l'ora del suoturno s'avvicinava e doveva ancora cenare.

Allora la Maheu svegliò il marito:

-Ebbenemangiamo noi! Sono delresto abbastanza allevati per trovare da sé la porta di casa. Me nedispiace per l'insalata! ma pazienza!

 

Capitolo quinto

 

Inghiottita la minestraStefano salì alla stanza che la Rasseneur gliaveva assegnato: una cameretta a tettolarga un palmo; con vista sulVoreux. Era talmente spossato (da due nottiquasi non dormiva) chestramazzò sul letto vestito. Si svegliò all'imbrunireintontito chelì per lì non si raccapezzava dov'era. Aveva le ossa indolenzite e alcapo una grande pesantezza. Stentò a rizzarsi in piedi. Meglio uscire:una boccata d'aria prima di cena forse lo rimetterebbe.

Fuoriil vento era caduto e la temperatura s'andava mitigando. Ilcielo si copriva di nubi cariche di pioggia: di quelle piogge del nordche si protraggono per giorni e giorni e che s'annunciano appunto coltepore e l'umidità dell'aria. Già laggiù il calar della notteinghiottiva i margini dell'immensa pianuraquel mareggiare di terrenirossicci sul quale il cielo basso pareva sfarsi in nero pulviscolo.

Spettacolo d'uno squallore e d'una tristezza che metteva la mortenell'anima.

Il giovane prese a camminare a casosenz'altro scopo che discrollarsi quel malessere d'addosso. Passando davanti al Voreuxgiàimmerso nella notte e senza ancora un lumes'arrestò un momento adassistere all'uscita del turno di giorno. Erano certo le seiperchédal pozzo venivano via a gruppi bracciantimanovalicaricatoristallieri; mescolati alle operaie della cernita che si distinguevanonel buio alle risate.

Primi a venirgli incontrofurono l'Abbruciata e Pierron. La vecchiaquestionava col generoperché in una contestazione avuta colsorvegliante circa il suo ricavo di pietrelui non l'avevaspalleggiata.

- Va' làcappone! vale la pena di portare le brache per poiinconiglirsi così davanti a un sudicione che ci succhia il sangue!

Come non dicesse a luiPierron le teneva dietro in silenzio. Finché:- Che avrei dovuto faresecondo te? saltargli alla gola? Graziemille! per tirarmi addosso un subisso di guai!

- Cala i calzoniallora! - rincarò inviperita. - Ah sacramento! semia figlia m'avesse dato retta... Non basta dunque che m'abbianoammazzato il mio uomo; dovrei ancora dire grazieeh? Ah nosai! devoaverla la mia vendetta!

S'allontanarono. Stefano li seguì con gli occhi; con quella crinierabianca scarmigliataquel naso a beccole lunghe braccia scheletrichegesticolantila vecchia aveva l'aria d'una furia.

Da lei lo distrasse il dialogo che ora si svolgeva alle sue spalle;tra Zaccaria - lo aveva riconosciutopassandoin uno in attesa almargine del la strada - e il suo amico sopraggiunto: Mouquet.

- Vieni? Si mangia un bocconepoi si fila insieme al Vulcano.

- Sì. Ma non subito: aspetto una persona.

- Chi mai?

La «persona» già l'altro l'aveva avvistataperchéseguendo il suosguardoMouquet si voltò e vide Filomena che usciva dal capannonedella cernita. Credette di capire:

-Ah bene... Allora io ti precedo.

- Sì; ti raggiungo subito.

Qualche passo più avantiMouquet incontrò il padre che usciva anchelui dal Voreux; si diedero appena la buonasera; il figlio proseguì perla strada maestrail padre svoltò lungo il canale.

Su questa via appartata già Zaccaria attirava Filomena riluttante. Anche staserala ragazza protestava di avere frettae i duebisticciavano con l'irritazione di due vecchi amanti. Non potersivedere altro che per stradanon era un divertimento; specie d'invernoche in terra è bagnato e manca anche la comodità che d'estate offre ilgrano.

- Ma nosenti: non è per questo! - borbottò lui impaziente. - E' peruna cosa che ho da dirti... - La allacciava alla vitala traeva consé dolcemente. Solo quando furono entrati nell'ombra del terrapieno:

-Hai denaro? - le chiese. - Per che farne? - Lui si confuse; parlò d'undebito di due franchi chei suoiguai se lo sapessero...

- Fa' a menoviadi contarmi delle frottole! Come se non lo avessivisto Mouquet! Vai con lui da quelle donnacce del Vulcano.

Lui protestòsi batté il pettodiede la sua parola d'onore. Poivedendo che neppure così la ragazza bevevasmentendosi di colpo:- Vieni anche tuse ti ci diverti... Vedi bene che non ci vado perquello che credi... Sìche me ne faccio iodi quelle là! Vieniallora?

- E il piccino? Posso muovere un passo con un bambino che non fa chestrillare? Lascialascia che vada: lo sento di quiche grida.

Ma lui la trattennela supplicò. Fosse buona; era per non fare unafiguraccia con l'amico; aveva promesso. Un uomodel restonon potevatutte le sante sere andare a letto con le galline!

Vintalei s'era messa a frugare in un risvolto del giubbetto; conl'unghia ne scucì l'orlo e ora ne tirava fuori delle monete da mezzofranco. Nascondeva lì i soldi delle ore in piùnel timore chetrovandolila madre se li appropriasse.

- Ne ho cinquevedi. Te ne do volentieri tre. Ma prima bisogna che tumi giuri d'ottenere da tua madre il consenso al nostro matrimonio. Nonne posso più di fare questa vita; e di sentirmicome non bastasserinfacciare da mia madre ogni boccone che mangio... Giuragiuraprima! - Glielo disse senza che nella voce vibrasse la minimapassionecon quel suo tono stracco di ragazza malatastanca solo divivere. Lui giurò: l'aveva promessola promessa era sacra. Poiottenuto quel che volevala baciòla oppresse di moinela costrinsea ridere; epoiché erano lì in quel cantuccio complice dei loroamorisarebbe andato oltre; ma lei disse di nodi no; che non glieneverrebbe alcun piacere. Allora impaziente di raggiungere l'amicoluiscorciò per i campimentre lei prendevasolala strada di casa.

Stefanotanto per muoversili aveva seguiti a distanzacredendo sitrattasse d'un semplice appuntamento.

«Come in tutti i centri industrialianche quisi vedele ragazzecominciano presto»si disse. E ricordava le operaie chea Lillaaspettava all'uscita dalle fabbriche: branchi di ragazze che già aquattordici anni si davanospinte dalla miseria.

Ma un nuovo incontro doveva stupirlo di più. Da una buca sotto ilterrapienoin un punto dove erano dei macigni ch'erano crollatidall'altousciva una voce irritata. S'arrestò. Era Gianlino cherimbrottava Lidia e Bertoseduti vicini a lui.

- Ehche dici? Volete toccarne un altro paio di schiaffi? Che ciavete da protestare? Chi è che ha avuto l'ideasentiamo?

Quel giorno infatti Gianlino aveva avuto un'idea. In un primo tempoottemperando all'ingiunzione della madreaveva scorrazzato i pratilungo il canale in cerca di radicchiello; eaiutato dagli altri dueche s'era tirato dietroin meno d'un'ora ne aveva fatto una buonaprovvista. A questo punto però s'era detto che tutta quella insalataera troppa per mangiarla a cena; perché non andare a Montsou avenderne nelle case una parte? si ricaverebbe qualche soldo. Làasuonare alle porte aveva delegato la piccina; la sua esperienza glidiceva che una ragazza che offre della merce ha sempre maggioreprobabilità che un uomo di vedersela comprare. Senonché la vendita eraandata così bene che la provvista di radicchio c'era andata tutta. Eoradi ritorno dall'impresai tre stavano spartendo il ricavo:undici soldi.

- E' ingiusto! Per tredevi dividere! - Berto protestò. - Se tu tiintaschi sette soldiche ci rimane a noi?

- Come ingiusto? - ribatteva l'altro furente. - Intanto io ho raccoltodi più che voialtri due insieme!

Credulo e pieno di ammirazione per il capodi solitoper timidezzaBerto si sottomettevaal punto di non reagire agli schiaffisebbenefosse maggiore d'età e più robusto di Gianlino. Ma questa volta ilbottino era grosso e la parte che gliene toccava di diritto gli facevagola.

- Di' tuLidia: non ci deruba a questo modo? Se non ci dà la nostraparteè la volta che noi andiamo a dirlo a sua madre!

Gianlinomettendogli il pugno sotto il naso:

-Ripeti un po'se haiil coraggio! ... Sono io piuttosto che andrò a dire ai vostri genitoriche l'insalata che avevo raccolto per mia madrevoi ve la sietevenduta! E poitutesta di cavolocome si fa a dividere undici pertre? Guarda un po' se ci riescitu che sei furbo... Eccovi qui ivostri due soldi a testa; e fate presto a farli sparirese no me liintasco io.

Berto ingollò malema prese i due soldi. TremanteLidia non avevaaperto bocca. La bambina nutriva per Gianlino l'amore misto di paurache prova la meschinella per il marito che la batte. E con un umilesorriso già allungava la mano al soldone che Gianlino le porgevaquando di colpo questi mutò parere:

-Sìma che fine fanno in manotua? A nasconderli non sei buona e tua madre te li piglia. E' meglioche te li tenga io. Li chiederai a mese ti occorreranno -. Dicendointascò anche quelli. Eper impedirle di protestareridendo laabbracciòsi rotolò in terra con lei.

Lidia era infatti la sua mogliettina; nei cantucci buii due siprovavano insieme a mettere in pratica quell'amore di cui sentivanodiscorrere e al quale anche troppo spesso assistevano dal buco delletoppedi dietro le staccionate degli orti. Se però dell'amore nonignoravano nullaerano troppo giovani per farlo davvero: tentavanosi spossavano in inutili tentativigingillandosi in giochetti lascivicome cuccioli viziosi. Lui lo chiamava «fare a babbo e mamma»; equando a giocare quel gioco la invitavalei accorreva; e si lasciavaprenderetutta tremante del delizioso tremito dell'istinto;adombrandosi spesso alle sue esigenzema cedendo sempre a un'attesaogni volta delusa. Da quegli spassiai quali i due s'abbandonavanosenza prendersi minimamente soggezione della sua presenzaBerto eraescluso; bastava anzi che lui si attentasse a toccare la bambina evolavano pugni; sicchéa trovarsi a disagioin quelle occasionieralui. Allora per rifarsi della stizza e del rodimentocercava tutti imodi per interrompere i loro abbracciper spaventarli.

Così ora:

-Vi vedono! - sibilò fra i denti. - Siete frittic'è unuomo che vi guarda! - E questa volta non era un'invenzione: l'uomo eraStefano che riprendeva la sua passeggiata. I due colpevoli balzaronosu e se la diedero a gambe.

Divertito di quel panicoil giovanegirato il terrapienoproseguìlungo il canale. Certocominciavano un po' troppo prestoquei duediscoli. Ma tant'è: che altro c'era da aspettarsi da bambini che nevedono d'ogni sortane sentono di tutti i colori? a meno dilegarli... Ma pur dicendosi cosìuna certa tristezza in cuor suoStefano la provava.

Ma non era finita: doveva vederne delle altre. Arrivando a Réquillartcadde in mezzo a un brulicare di coppie che si aggiravano furtiveintorno all'antico pozzo in rovina. Era infatti in quella localitàfuori mano e pochissimo frequentata che davano convegno all'amoroso leragazze di Montsou; era lì che le operaie del pozzoquelle almeno cheavevano ritegno a esporsi in pubblico sulla conigliera di Maheuvenivano a fare il loro primo bambino. Lo stato delle palizzate dava atutti libero accesso a quello ch'era stato il piazzaletto dellaminierae che ora non era più che un terreno incoltoingombro deiresti dei due capannoni crollati e delle carcasse dei giganteschicavalletti rimasti in piedi. Qua e là berline fuori uso finivano diarrugginirsi; cataste di legnamedi marcire; una lussureggiantevegetazione riconquistava passo passo quell'angolo di terralocopriva d'un intrico d'erbaccetra cui già si slanciava al cieloqualche alberogiovane ma vigoroso. Spesseggiandovi i nascondiglileragazze vi si trovavano a loro agio; ognuna vi aveva scovato il suo;mentre le cataste di legnale berlinele travi offrivano ai maschile maggiori comodità. Pur trovandovisi si può dire gomito a gomitolecoppie non si importunavano. E con quell'orgia all'apertoin cuil'istinto scatenato fecondava grembi e grembi quasi ancora acerbisisarebbe detto cheintorno al pozzo esauritoalla macchina per semprefermala natura intendesse prendersi una specie di rivincita.

Pureun abitanteil pozzo lo aveva; ed era il guardiano: il vecchioMouque al quale la Compagnia aveva consentito di occupare due stanzesottostanti alla torrettache il prevedibile crollo delle ultimetravature minacciava: tanto che il vecchio aveva dovuto puntellareparte del soffitto.

Là dentroMouque - che di mestiere era stalliere al Voreux - sitrovava d'incanto; una stanza la divideva col figlio e lasciaval'altra alla figlia.

Siccome le finestre erano prive di vetrile aveva chiuse con tavole;se in casa ci si vedeva pocoin compenso si stava caldi. Un custodedel resto che non aveva niente da custodireperché della miniera soloil pozzo veniva ancora utilizzato come caminoper l'aerazione delvicino Voreux.

E così babbo Mouque finiva d'invecchiare in mezzo agli amori; deiqualianziuno almeno lo riguardava piuttosto da presso. Sua figliainfatti - la Mouquette come la chiamavano - non aveva undici anni chegià contentava chi voleva di lei; buttandosi sulla schiena in tutti icantucci della miniera; e non da monelluccia acerba e spaurita come laLidiama da pollastra bene in carneappetita dai maschi barbuti.

Senza per questo dar motivo al genitore di rimostranzevisto cheperrispetto a luiin casa non introduceva mai nessuno. A quegli spassidell'etàdel restoa forza di viverci in mezzoil vecchio nonfaceva più caso. Si recasse al lavoro o ne ritornasseuscire dal suobuco per lui voleva dire correre a ogni passo il rischio di mettere ilpiede su una coppia; peggio poise doveva aggirarsi nelle vicinanzedel pozzo in cerca di legna per accendere il fuoco o di erica per ilconiglio; ché allora vedeva spuntare un po' dovunque di tra l'erbavisi accesi di ragazze e in pari tempo doveva stare attento a noninciampare contro gambe allungate attraverso i sentieri. Incontrid'altronde che avevano finito alla lunga per non scomodare piùnessuno: né luipreoccupato ormai soltanto di non caderené leragazze che egli lasciava finissero di trastullarsiallontanandosi apiccoli passi discretida quel brav'uomo che era che non si facevaspecie di fatti così naturali. Soltanto se quelle ormai lo conoscevanobenenon meno bene aveva finito per conoscerle lui; di sorprenderlein certe posizioniMouque non si stupiva più di quello che possastupire l'ortolano il tripudiare delle gazze lascive sui peri del suoorto. Ah quella gioventù! come sapeva mettere il suo tempo a profitto! come si satollava! Anzi non di radoa quella vistaun rimpianto lopungeva di non poter pure lui far lo stesso; etentennando il mentodistraeva lo sguardo dai maschiacci irruenti chesenz'ombra didiscrezioneansimavano nel buio dei loro nascondigli. Qualche attimodi malumore glielo procurava una coppia: non s'erano scelti quei dueper scaldarsi a vicendaproprio il muro sotto la sua camera? Non giàche gli disturbassero i sonni; ma all'irruenza con cui s'amavanoilmuroalla lungaminacciava di risentirsi.

Vecchio come luitutte le sere veniva a trovarlo Bonnemortche nellasua passeggiata serotina immancabilmente passava di lì. Visita d'ambole parti poco loquace; nella mezz'ora che trascorrevano insiemeeratanto se si scambiavano dieci parole. Mapure in silenziostareinsieme li confortava; rimuginare il passatoriandare tutti e duealle comuni vicendegià di per sé costituiva un piacere che non avevabisogno di esprimersi in parole. Si sedevano su una trave fianco afianco; e bastava la parola che di tanto in tanto uno lasciava cadereperché ambedue chinassero su quella il capo e ciascuno per suo contopartisse per il paese dei ricordi. Era ringiovanire. Intorno gliamanti rimboccavano sottane di pulzellebaci scoccavanocrepitavanoqua e là sommesse risatenell'ombra complice si diffondevaconquello acuto delle erbe calpestateun sentore di fornicazione. Nonera stato pure lìa ridosso della minierache quarantatré anniinnanzibabbo Mouqueanche luiaveva assaggiato la sua prima donna? una spingi-carichi così mingherlina cheper sentirsela sottolacoricava sul fondo d'un carrello. Bei tempiquelli! Ed esalato questorimpiantotentennando il capoi due vecchi si separavano; a voltedimenticandosi persino di darsi la buonanotte.

Non quella seraperò: se Stefano arrivando che Bonnemort prendevacongedolo udì che diceva a Mouque:

-Buonanottemio caro!... - Poiarrestandosi:

-E senti: l'hai conosciuta tu la Strinata? - NoMouquela Strinatanon l'aveva conosciuta; perché rimasto un momentoa pensarescosse in risposta le spalle; quindi rientrando in casa:

-Buonanottemio carobuonanotte!

A prendere il loro posto fu Stefano. Si lasciò andare sul traveaccasciato da una tristezza che d'ora in ora crescevasenza ch'egline vedesse il motivo. E forse adessoa fargliela sentire di piùerala vista del dorso curvo di Bonnemort che s'allontanava e che gliricordava il suo arrivo quel mattino al Voreuxgli interminabililagni del vecchioreso loquace dal vento strapazzone che gli cardavai nervi. Che vita da bestietrascinava quella gente! E tutte quelleragazze checondannate a una simile esistenzapure erano ancoraabbastanza stupide per lasciarsi andarela seraa mettere al mondodei bambinidestinati alla loro volta a faticare e a penare! Anzichédarsi con tanto trasportonon avrebbero fatto meglio a scordarsi delsessoa votarsi alla sterilitàa schivare il maschio come si fuggela peste? O era l'invidia a parlare in lui? il rimpianto di esseresolomentre gli altri a quell'ora se ne andavano a due a due asollazzarsi? O era il tempoquel tepore umido e malsano dell'ariache lo opprimeva! Cominciava a piovere; rade gocceper ora; neavvertiva la freschezza sulle mani che gli bruciavano. Sìcicascavano tutte: come mosche nel latte; l'istinto era più forte dellaragione.

A confermarglielo se ve ne fosse stato bisognoin quel momento unacoppiache arrivava da Montsoulo rasentò da sfiorarlo - senzaavvedersi di luiimmobile com'era nel buio. La ragazzacerto unanovellinaaccorgendosi solo ora verso dove il compagno la attiravas'impuntavacercava di svincolarsisupplicava sottovoce di nodino; ma l'altrosenza darle rettaseguitava a spingerla verso uno deicapannoni: quello dove restava in terra a marcire qualche rotolo difuni. I due erano Chaval e Caterina; ma Stefano non li avevariconosciuti; e ora li seguiva con lo sguardodistratto dai suoipensieri dal desiderio di vedere come andava a finire; desiderio cheadesso acuiva una curiosità sporcacciona. Perché prendere le difesedella ragazza? Come tutte le sue parise diceva di novoleva direche ci stava.

Uscita di casaCaterina aveva preso la via di Montsou. Dall'età didieci annida quando cioè aveva cominciato a guadagnarsi il pane chemangiavala fanciulla correva le strade solacome in paese tutte lesue coetanee; e senonostante che i genitori le avessero lasciatocosì presto la briglia sul collos'era conservata vergine erapiùche altroal suo sviluppo tardivo che lo doveva.

Arrivata davanti ai Cantieri della Compagniaattraversò ed entrò dauna lavandaia dov'era certa di trovare la Mouquette; la casa erafrequentata da comari che vi passavano delle ore intorno allacaffettiera. Ve la trovòinfatti; senonché il prestitola Mouquettenon era più in grado di farglieloperché quei dieci soldi li avevaproprio allora spesi per offrire a sua volta. - E' bollente: prendineun bicchiere anche tu -. E siccome Caterina rifiutava:

-Vuoi che lichieda io per te a qualche amica? - Anche adesso la fanciulla rifiutò;ormaimeglio risparmiarliquei soldi: il contrattempo le diceva cheil nastrose lo compravaormai le porterebbe male. E s'era rimessacoraggiosamente in strada per tornare al borgoquandogiunta alleultime casesi sentì apostrofare:

-EhiCaterinadov'è che vai cosìdi premura?

Era Chaval sulla soglia del caffè Piquette. Si fermò contrariata; nongià che il giovinotto le dispiacesse; ma in quel momento si sentivacosì di cattivo umore...

- Entra dunque a bere qualcosa! Un bicchierino di dolcevuoi?

- Grazie di cuore; come accettassi. Ma è tardi e a casa m'aspettano -.

Lui l'aveva raggiunta in mezzo alla strada e insisteva supplichevole.

Era da un po' che Chaval meditava di attirarla in camera sua; abitavalìsopra Piquetteal primouna bella stanza con un letto a duepiazze.

- Ti metto mica paurache non vuoi mai farmi una visitina?

Leibuona figliolarideva: certo che gliela farebbe la visitina: lasettimana però che le donne non figliano. Senonché così schermendosile venne fatto di accennare al nastro che non s'era potuta comprare.

Lui colse la palla al balzo:

-Ma te lo compro ioil nastro! Chediamine!

La fanciulla s'imporporò. La coscienza le diceva di rifiutarema quelnastro le faceva talmente gola! «Glielo rendoquello che spende»sidisse; ed accettò a quel patto.

- Come vuoi ! ... Me li renderai se non vieni a letto con me -. E sidiresse verso la bottega di Maigrat; proprio dove la madre le avevaraccomandato di non andare.

- Nonon lì. Mia madre m'ha detto di non comprarloda Maigrat.

- Che fa? Non hai mica bisogno di dirglielo! Non c'è che MaigrataMontsouche tenga dei bei nastri.

A vederseli entrare in bottegainsieme come due fidanzati cheacquistano il regalo di nozzeMaigrat diventò paonazzo e la scatoladei nastri la spinse sul banco con la stizza dell'uomo che si vedepreso per il bavero. E all'uscita li seguì sulla soglia e si piantò lìa guardarli allontanarsi; dove lo scomodò la timida voce della moglievenuta a chiedergli un chiarimento; allora si sfogò su di leilacoprì d'improperisacramentò che un giorno avrebbe a fare con luicerta sporca gente che ai benefici rispondeva con calcimentreavrebbe dovuto buttarsi ai suoi piedi e leccargli le scarpe.

Uscitii due s'avviarono insieme. Chaval non l'aveva presa abraccetto; ma con piccoli urti che potevano passare per involontaricamminando la indirizzavasenza pareredove voleva lui. Solo dopo unpo'Caterina improvvisamente s'accorse che avevano lasciato la viamaestra per inoltrarsi sulla stradetta di Réquillart. Ma lui non lediede il tempo di protestare; l'aveva allacciata alla vita e laubriacava di paroline tenere. Com'era sciocca ad avere paura di lui! come Chaval poteva volere del male a una bambina graziosa come leimorbida come la setadolce come un agnellinoun bomboncino proprioda sgranocchiare? A quel caldo fiato d'uomo che le sfioraval'orecchiola nucala fanciulla si sentiva percorrere da un brividodelizioso. La voce le mancavanon trovava che rispondere. Dovevavolerle bene davveroChaval. Non era la prima volta che Caterina selo diceva. Ancora una di quelle serea lettospenta la candelas'era giusto chiesta come si comporterebbe se Chaval si dichiarassese le parlasse come ora faceva; eaddormentatasiaveva sognato chegli diceva di sì; e a quel sì aveva provato per tutto il corpo unlanguore voluttuoso.

Come mai allora all'idea di cedergli adesso provava ripugnanza e unaspecie di rimorso? Doveva capirlo un momento dopo. Chaval s'erachinato a baciarla sul collo; rabbrividendo al vellichìo dei suoibaffi sulla nucala fanciulla chiuse gli occhi; da quel buio emerseun viso; il viso di un altro uomo: del giovane appena visto quellamattina.

Solo ora riaprendo gli occhisi guardò intorno: Chaval l'avevacondotta tra le rovine di Réquillart. Alla vista del capannone versoil quale la spingevaebbe un sobbalzo e indietreggiò:

-Ah no! ah lìno! Ti pregolasciami! - supplicava. La paura del maschio la invase:quella specie di panico che in un istinto di difesa irrigidisce imuscolianche quando la ragazza desidera l'uomo e sta già persoccombergli. Sebbene non le restasse più nulla da impararelafanciulla sbigottiva davanti alla minaccia d'una violenzad'unostrazio nella carne chenon conoscendos'esagerava.

- No! ti dico di no! Non voglio! Sono troppo giovane... ti giuro! è laverità! Più tardiquando almeno sarò fatta.

Lui con voce sorda:

-Stupida! tanto meglioallora! Che ti fase nonrischi niente?

Non disse altro; l'afferrò brutalmentela spinse nel capannone.

Caterina cadde riversa su un mucchio di funi; eripresa dallasottomissione che aveva succhiato col lattecessò di difendersi. Unbalbettio sbigottito che presto si spense e s'udì soltanto l'ansimaredell'uomo.

Stefano chefermo al suo postoera rimasto in ascoltopreso dadisagio si alzò. Ancora una volta la corta farsa era finita; unaragazza di più era caduta nella trappola. Ma nel malessere che provavac'era anche dell'invidia e della stizza. Si tolse di làscavalcandoostacoliincurante di richiamare l'attenzione: ormai quei due eranotroppo occupati per lasciarsi distrarre dalla presenza di chicchessia. Credeva; invecenon aveva percorso cinquanta metri sulla via delritorno chevolgendosi a un suono di passili rivide. Di già! Lacoppia riprendevacome luila strada di casa. Lui la tenevaallacciata alla vita; riconoscente seguitava a bisbigliarle nel collo;lei invece ora pareva solo contrariata d'aver fatto tardiimpazientedi rincasare.

Chi sa perchéil giovane fu preso dal desiderio di vederli in faccia;ma una simile curiosità la giudicò così stupida cheper non cederleaffrettò invece il passo. Per poco; un minuto dopo giàquasi suomalgradorallentava; e al primo lampione non resistette: si celònell'ombra.

Chavallo riconobbe alla prima; maera davvero Caterina quellaragazza lì vestita di celeste? era lei la monella del mattinoinbrache da uomo e col capo imprigionato nella cuffia di tela? Sfido! Adesso capiva perché dianziquando gli era passata vicinononl'aveva riconosciuta!

Il giovane restò lìinchiodato dallo stupore. Eppure non c'eradubbio: quegli occhi erano i suoi: degli occhi un po' verdid'unatrasparenza d'acqua sorgiva. Ahla sgualdrina! Preso - perché poi? -da un impeto di sdegnoin cuor suo la ingiuriòrimuginò propositi divendetta. Del restosi dissesta malissimo vestita da donna!

Ora i due lo precedevano; e lui era costretto ad assistere alleeffusioni alle quali si abbandonavanoignari d'essere spiati. Chavalogni po' la obbligava ad arrestarsi per baciarla nel collo; e già leidimentica della frettasotto quelle carezze s'attardavagorgogliandodi piacere.

Era stata veritiera dunqueCaterinaquando il mattino gli avevagiurato di non avere un amante! e luistupidochepur noncredendoleinvece di fare come l'altrol'aveva rispettata! evedersela poi ora soffiare sotto gli occhi! provando per colmo unosporco piacere alla prospettiva di ciò che quei due andavano a fare! Vedeva rossoa pensarcistringeva i pugni; l'avrebbe strozzatoquell'altro!

Il supplizio si prolungava. Arrivati nei pressi del Voreuxi duerallentarono ancora più il passo; non contentisi fermarono due voltelungo il canale; treall'ombra del terrapieno; diventatiallegrissimisi scambiavano ogni sorta di moine. E Stefanose nonvoleva farsi vederedoveva fermarsi a tempo con lorofare le stessesoste. Si sforzava di soffocare dentro di sé ogni altro sentimento chenon fosse il rancore puro e semplice d'essersi lasciato sfuggirel'occasione: questo smaccosi dicevami insegnerà ad avere menoscrupolia trattare le donne come vanno trattate!

Ma quando alfine la coppia si fu lasciata alle spalle il Voreux earrivò il sospirato momento che Stefano avrebbe potuto mettere finealla sua tortura rientrando al Risparmioeccolo invece proseguirescortare i due sino alle case operaie; e restare in piedi un buonquarto d'ora nell'ombraad assistere alle ultime effusioni. Soloquando vide Chaval partiresi staccò di là; ma per rimettersi acamminare e spingersi per un buon tratto sulla via di Marchiennes;gingillandosi per stradasforzandosi di non pensare più a nulla;unicamente desideroso di ritardare il momento di chiudersi in cameranello stato d'animo in cui era.

Erano le novequando riattraversò la borgatadeciso finalmente acenare e a coricarsi: se noalle quattro chi si alzava? Nero nelbuioil villaggio dormiva; non una luce trapelava dalle persianechiuse; simili a casermele case dormivano d'un sonno pesante. Soloun gatto gli attraversò la stradaper sparire d'un balzo negli orti. Come a ogni fine di giornatai minatoriingozzata la minestraeranoa lettofulminati dal chilo e dalla stanchezza.

Arrivato al RisparmioStefano occhieggiò attraverso i vetri nellasaletta illuminata: di avventoriun meccanico e due operai del turnodi giorno. Prima di spingere la portail giovane indugiò ancora unmomento ad abbracciare con lo sguardo il paesaggio lì sottoimmersonella notte.

Davanti a luitrafitto di nudi lumiil Voreux conservava il suoaspetto di orco famelicoin agguato nella sua buca. I tre bracieridel terrapieno ardevanocome sospesi a mezz'ariasimili a lune disangue; e nel loro rosso riverbero veniva ogni tanto a stagliarsismisuratal'ombra nera di Bonnemort e del suo cavallo. Al di lànella piatta pianurala notte aveva inghiottito tutto: MontsouMarchiennesil bosco di Vandamele distese di barbabietole e digrano. Interrompevano quel buiosimili a fari lontanisolo i fuochiazzurri degli altiforni e quelli rossi dei gasogeni. Sempre più lanotte s'infittiva; e la pioggia che ora cadeva lentacontinualariempiva del suo monotono goccioliosoverchiato solo dall'affannosorespiro intermittente della pompa di eduzione che giorno e notteanfanava

 

PARTE TERZA

 

 

Capitolo primo

 

L'indomaniStefano riprese il lavoro nella miniera. A quellaesistenza che in principio gli era parsa così duras'andavaabituando. Sopravvenne soloa interrompere la monotonia della primaquindicinauna febbre che lo tenne due giorni a lettocon le membrafracassate. Nel semi deliriosi vedeva dietro a spingere la berlinaper un camminamento così stretto che il suo corpo non vi passava.

Effetto del tirocinioconseguenze d'uno strapazzo dal quale presto sirimise.

E così i giorni si susseguivano ai giorni; settimanemesi passavano. Anche lui ora saltava da letto alle tresorbiva il caffèsi munivadella doppia fettona di pane imburrato che la Rasseneur gli preparava.

Immancabilmentenel recarsi al pozzoincrociava il vecchio Bonnemortche ne tornava; uscendoneBouteloup che vi si recava per il suoturno. Come gli altriaveva la cuffia da minatorela tuta di tela;come gli altriarrivando si scaldava la schiena alla stufa dellabaracca. Poia piedi nuditra le correnti d'aria della ricevitoriaaspettava d'imbarcarsi. Ma il motore luccicante di ottoni lassùnell'ombranon lo intimidiva piùné i cavi che scorrevano colsilenzioso volo di uccelli notturni nétra il fragore dei segnalidelle berline che scrollavano il pavimento di ghisa e il tuonare degliordinil'incessante affiorare e inabissarsi delle gabbie. La lampadafaceva poco chiaro; e dentro di sé Stefano imprecava contro illampistaquando dal suo torpore lo tirava quel mattacchione diMouquetcheall'apparire della gabbiavi spingeva tutti dentroprofittandone per schioccare manate sui deretani delle ragazze. Ed orala gabbia si sganciava e precipitava giù come un ciottolosenza chelui volgesse neanche il capo a dire addio alla luce. Il timore diprecipitare non gli si affacciava nemmeno; più si scendeva tra loscrosciare della pioggiapiù si sentiva a casa sua. E al piano dicarico dove Pierron li accoglieva con la sua aria sornionasiripeteva ogni volta lo scalpiccio di mandria delle squadre chestrascicando i piedis'avviavano ciascuna al suo cantiere. Quellegallerieormai il giovane le conosceva meglio delle strade diMontsou; sapeva da che parte bisognava piegarei punti in cuioccorreva curvarsisaltare una pozzanghera. Equel che più importaadesso sapeva economizzare le forze; nel lavoro aveva acquistatodestrezzacon una rapidità che stupiva i compagni. Non era nel pozzoda tre settimane e già veniva citato tra i manovali più abili; nessunaltro spingeva la berlina con più fermezza e energia di lui né alpiano inclinato l'agganciava in meno tempo di lui. La sua corporaturagli consentiva di insinuarsi dovunquee le braccia che aveva pocomuscolosesotto quella pelle bianca e delicata di donna dovevanoessere di ferrotanto si mostravano resistenti alla fatica. Non silagnava maicerto per amor proprioneppure quando la stanchezza glimozzava il fiato. Un appunto solo gli facevano i compagni: quello dinon stare allo scherzo. Al primo motteggiosi inalberava. A parte ciòi camerati lo consideravano uno di loroun vero minatore; l'abitudineinfatti lo riduceva ogni giorno più una specie di macchina. A quei duechilometri di strada sotterranea aveva preso talmente la mano cheavrebbe potuto percorrerli senza lampadacon le mani in saccoccia.

Gli incontri che faceva erano sempre gli stessi: un caposquadra chealzava la lampada in faccia agli arrivati; babbo Mouque cherimorchiava un cavallo; Battaglia cheguidato da Berto per lacavezzastarnutiva e scoteva il capoGianlino che correva dietro iltreno chiudendo via via le porte d'aerazione; la prosperosa Mouquettela mingherlina Lidia curve dietro la loro berlina.

Anche all'umidità soffocante del cantiere d'abbattimentoil giovanes'era a poco a poco assuefatto. Salire il pozzetto gli sembrava adessoun gioco da ragazzi; quasi si fosse assottigliato e potesse passareper fessure dove una volta non avrebbe arrischiato la mano. Respiravasenza risentirsene il pulviscolo di carbone; al buioci vedeva comedi giorno; a forza di sentirsi sulla pelle da mane a sera gli abitizuppiil sudore non lo importunava più.

Maheu specialmenteche apprezzava il lavoro ben fattogli si andavaaffezionando ogni giorno di più. Né solo per quello; al pari deglialtriintuivariconosceva al giovane un'istruzione superiore allasua; lo vedeva leggerescrivereschizzare progetti sulla carta; loudiva discorrere di cose di cui egli ignorava sin l'esistenza. Il chenon lo stupiva; sapeva beneMaheuche un meccanico ha la mente piùaperta d'un carboniere; ma questo gli faceva solo apprezzaremaggiormente il tranquillo coraggio con cui Stefano s'era adattatoper non morire di famea lavorare nel pozzo. Fra gli avventiziquesto giovane era il primo ch'egli vedeva acclimatarsi in così pocotempo. Sicchéquando il lavoro di scavo urgevaaffidava a lui ilrivestimentosicuro di ottenere un lavoro eseguito a regola d'arte edi lunga durata. Per quel maledetto rivestimentoi capi infatti glierano sempre addosso; c'era ogni momento da aspettarsi di vedercomparire Négrel e Danseartdi sentirli gridare che il rivestimentocosì non andavache bisognava rifarlo daccapo. Orai tratti armatida Stefano - Maheu aveva notato - avevano la virtù di accontentarel'ingegneresebbene né lui né il suo tirapiedi lo dessero a vedereanzi seguitassero a sbraitare che un giorno o l'altro la Compagniaadotterebbe al riguardo un provvedimento radicale. Minaccia chealimentava nelle maestranze un sordo malcontento eal cui accennoanche Maheuper solito così calmostringeva i pugni.

Una rivalità s'era delineata in principio tra Zaccaria e Stefano; idue una sera s'erano minacciati a vicenda di schiaffi. Ma l'offertad'una birra era bastata ad ammansire il primo; chebuon figliolo infondo e unicamente preoccupato del proprio piacereaveva prestofinito anche lui per inchinarsi alla superiorità dell'altro. Levaquepureormaifaceva buon viso al nuovo venuto: unodicevache avevale sue idee ma col quale trovava piacere a discutere di politica. Unasorda ostilità Stefano avvertiva soltanto in Chaval; non che i due sifacessero il viso dell'armiche anzi si trattavano da amici; maquando scherzavano insiemegli sguardi che si lanciavano non dicevanonulla di buono. Tra i due uominiCaterina aveva ripreso il suocontegno di ragazza stanca e rassegnatacontinuamente curva aspingere la sua berlina; sempre gentile col compagno di trainoche simostrava a sua volta servizievole; ma sottomessa all'amantedi cuisubiva apertamente le carezze. Era quella ormai una relazioneaccettataun legame riconosciutosul quale anche la famiglia di leichiudeva gli occhi; al punto che Chaval si recava ogni sera con laragazza dietro il terrapieno; quindi l'accompagnava sin sulla sogliadi casa e lì la lasciava dopo averla abbracciata sotto gli occhi deigenitori e dell'intera borgata.

Stefano che s'illudeva d'essersi messo il cuore in pacelapunzecchiava spesso a proposito di quelle passeggiate; eceliandonon le risparmiava qualcuna di quelle espressioni crude che cosìsovente nella miniera ricorrevano tra giovinotti e ragazze; e leirispondeva sullo stesso tonoarrivando a spiattellare per bravataquel che l'amante le aveva fatto; non senza però riuscire adissimulare un certo turbamento quando i loro occhi si incontravano.

Tutti e due allora stornavano il capo; ed a volte restavano ancheun'ora senza parlarsicome risentiti uno contro l'altroper qualcosache non si dicevano e che ciascuno aveva come seppellito nel cuore.

La primavera era arrivata. Uscendo dal pozzo una sera d'aprileStefano ne aveva ricevuto in volto il tiepido alito: un buon odore diterra giovanedi verzura tenerad'aria libera e pura; e da alloraogni giorno che passavaall'uscire dalle sue dieci ore di vitasotterrada quell'inverno senza mutamento di cui nessuna estateriusciva a diradare il buio o a mitigare l'umiditàquel sentorel'aveva avvertito più acutoquell'alito più tiepido. Coll'allungarsidelle giornatein maggio arrivò al pozzo che il sole sorgevaaureolando d'un pulviscolo d'oro il Voreux e tingendo di rosa ilpennacchio di vapore che lanciava al cielo imporporato la pompa dieduzione. Si era finito di battere i denti; una tiepida brezza spiravadai margini della pianura mentreperdute in cielole allodoletrillavano. Alle trepoiuscendo dal pozzolo accoglieva il caldoabbraccio del sole che incendiava l'orizzonte e faceva rosseggiare icumoli di mattoni anche sotto lo strato di carbone che li rivestiva.

Col giugnoil verde glauco del grano già adulto spiccò su quello deicampi di barbabietole. Era un mare di verzura mobile a ogni soffio dibrezzache si stendeva a vista d'occhio; e d'una crescita così rapidache ogni sera il giovane stupiva di vederlo tanto più rigoglioso cheal mattino. I pioppi del canale si impennacchiavano di foglie; l'erbainvadeva il terrapienofiori costellavano i prati: tutta una vita chegermogliava e prorompeva alla superficiementre seppellito sotterralui accudiva al suo penoso lavoro.

Adesso non era più a ridosso del terrapienoche le sue passeggiateserotine importunavano le coppie. Avvertito dalle scie che del loropassaggio serbavano le messi già biondeggiantiegli indovinava ilnido dove si nascondevano all'ondeggiare qua e là delle spighealleoscillazioni che la loro turbolenza comunicava alle fiorite dirosolacci. Nel granoper nostalgia della loro prima stanza nuzialeerano tornati Zaccaria e Filomena. L'Abbruciatasempre in cerca diLidiala scovava tutti i momenti in compagnia di Gianlino: annidaticosì profondamente nel folto cheperché spiccassero il volodovevapocomeno mettere loro i piedi sopra. La Mouquettepoinon avevapreferenze: ogni posto le era buono per buttarsi sulla schiena; eradifficile attraversare un campo senza vedere la sua testa spariredentro l'erba ed emergerne solo i ginocchieloquenti di piacere. Mase alle altre coppie Stefano non trovava nulla a ridirearricciavainvece il naso le sere che sorprendeva a fare com'esse Caterina eChaval. Due volteal suo appressarsiaveva scorto i due appiattirsia terra e restare lì senza che più uno stelo si muovesse intorno aloro; un'altra voltanel percorrere un sentiero gli erano apparsi trala messeper sparire subitogli occhi verdi della fanciulla. Alloratrovò che l'immensa pianura era troppo angusta; esmesse lepasseggiatepreferì passare la serata al Risparmio.

- Una birrasignora Rasseneur... Nostasera non ho voglia d'andarein giro; ho le gambe indolenzite -. E volgendosi verso il cliente chenon mancava mai al tavolo di fondo e che fumavail capo appoggiatoalla parete:

-Souvarinevuoi favorire? - Grazie. Non prendo nulla.

Di SouvarineStefano aveva fatto la conoscenza al Risparmio; era ilsuo compagno di pensione. Macchinista al Voreuxoccupava la cameraattigua alla sua. Sui trent'anniesilebiondoaveva un visodelicatoincorniciato dai capelli che portava lunghi e dalla radabarba. La dentatura bianca e appuntitala bocca e il naso sottiliilcolorito roseo della carnagione gli davano l'aria d'una ragazza:un'aria di mansuetudine caparbia che lo sguardo a tratti incrudelivacol suo freddo lampo d'acciaio. Nella cameretta di operaio poverononaveva di suo che una cassa di libri e di cartacce. Russodi sé nonparlava maiincurante delle leggende che correvano sul suo conto. Iminatoriper natura quanto mai diffidenti verso gli stranieriloarguivano d'un'altra classe sociale dalle mani: delle mani delicate diaristocratico; e la sua presenza tra loro l'avevano in principioattribuita alla necessità di sottrarsi all'espiazione di qualchetrascorsod'un omicidio magari. Ma poi lui s'era mostrato cosìfraterno verso di lorocosì scevro li fierezza; l'avevano vistodistribuire con tanta generosità gli spiccioli che aveva in tasca allaragazzaglia del borgoche ormai non ne diffidavano piùrassicuratidalla parola «rifugiato politico» con cui lo udivano designare:espressione vaga in cui vedevano l'attenuante fosse pure d'un delittoe come un titolo di fratellanza nel dolore.

Nelle prime settimaneStefano lo aveva trovato di una riservatezzascoraggiante; sicché la sua storia l'aveva appresa solo dopo.

Souvarine era l'ultimo discendente d'una famiglia nobile delgovernatorato di Toula. A Pietroburgodove studiava medicinacome lamaggior parte della gioventù d'allorafervente socialistas'eraindotto a imparare un mestiere manualequello del meccanicoper avermodo di mescolarsi al popolo e di aiutarlo con l'amore d'un fratello.

Ed era lavorando da meccanico che campavadacché era espatriato inseguito ad un attentatoandato fallitocontro lo zar. Perprepararloera vissuto un mese nella cantina d'un fruttivendolooccupato a scavare una mina sotto la strada ferrata e a caricarebombecol continuo rischio di saltare lui e la casa. Rinnegato dallafamigliasenza soldirifugiato in Francia come operaio nellefabbriche che sospettavano nello straniero una spiagià rischiava dimorire di famequando finalmentein un momento di bisognolaCompagnia di Montsou lo aveva assunto. Da un anno vi lavoravamostrandosi buon operaiosobriodi poche parole; e accudendo al suoservizio una settimana di giorno e una di notte alternativamenteconuna puntualità per la quale veniva citato ad esempio.

Al rifiuto:

-Sicché sete tu non ne hai mai? - osservò Stefanoceliando. Quellocon voce assente:

-Sete? Quando mangio.

Anche a proposito di donneStefano amava punzecchiarlo; insinuandomettiamoche lo aveva visto in compagnia dalle parti delle "Calze-di-seta". Era tanto se quello spallucciava. Con una ragazza? per chefare? la donna per lui era un compagno. Noniente donnein quelsenso: perchéper amore di una donnacorrere il rischio diinvigliacchirsi? No: né donna né amico. Non voleva legami. Come nonteneva alla sua vitanon voleva farsi schiavo della vita degli altri. Così ogni sera verso le novequando l'osteria si vuotavaStefanos'intratteneva un po' a discorrere con Souvarine; lui facendo durarepiù a lungo possibile l'unica birral'altro fumando sigarette susigaretteda averne le dita ingiallite. Lo sguardo trasognato delrusso seguiva le spire del fumo come assorto in un miraggio; mentresotto il tavolo la sua mano cercavairrequietaqualcosa dabrancicareun oggetto sul quale indugiarsi; e finiva per trovarlonella grossa coniglia sempre pregna che girava in libertà per la casa. Ormai Polonia - così lui l'aveva battezzata - veniva da sé a cercarele sue carezze: gli annusava i pantalonisi rizzavagrattandolo conle zampe richiamava la sua attenzione; finché lui non la pigliava sucome si piglia un bambino. Aggomitolata contro l'amicole orecchie inriposola bestia chiudeva gli occhi; e luisenza mai stancarsiinun'involontaria carezzale passava la mano sul grigio pelame serico;eal contatto di quella morbidezza tiepida e vivala fronte gli sispianava.

Una sera chepartito l'ultimo avventorenon rimaneva coi due chel'oste:

-Sapete? - Stefano uscì a dire- ho ricevuto una lettera diPluchart.

- Ah! - s'interessò Rasseneurin piedi presso il tavolo. - A chepunto è l'Internazionale?

Da due mesiil giovane aveva iniziato e intratteneva un'assiduacorrispondenza col meccanico di Lillaal quale aveva avuto l'idea dicomunicare la notizia della sua assunzione al Voreux e che ora loandava indettando in vista della propaganda che Stefano poteva faretra i minatori a pro dell'Internazionale.

- A gonfie veleva! Piovono adesioni da tutte le partia quel chescrive Pluchart!

Rasseneur a Souvarine:

- E tuche ne pensi tudi questaassociazione?

L'interpellato che stava grattando dolcemente il capo della coniglialiberò una lunga boccata di fumo; poi con la solita voce assente:

-Sciocchezze! - mormorò. - Sempre sciocchezze!

Nel suo ingenuo zelo di neofitanel suo astio di ribelle contro ilcapitalismoStefano insorse. Come «sciocchezze»? si trattava dellaInternazionale dei lavoratoridella famosa Associazione di cui dapoco erano state gettate le basi. Non era un tentativo imponenteunacampagna che avrebbe una buona volta portato al trionfo dellaGiustizia? Abolite le frontiere; le classi lavoratrici di tutto ilmondo che insorgevanoche s'univano per assicurare all'operaio ilpane che si guadagna. Come si poteva chiamare una sciocchezzaun'organizzazione come quella? semplice e grandiosa al tempo stesso? Alla basela sezioneche rappresenta il comune; poi la federazioneche raggruppa le sezioni d'una stessa provincia; quindi la nazione; esopra la nazionefinalmentel'Umanitàimpersonata in un Consigliogenerale dove ogni nazione è rappresentata da un segretariocorrispondente. Prima di sei mesil'Internazionale conquisterebbe ilmondo e detterebbe legge ai padroni riottosi.

- Tutte stupidità! - rincarò Souvarine. - Il vostro Carlo Marx è cosìarretrato che confida ancora nel libero svolgersi delle forze naturaliperché il miracolo si compia. Niente politicaniente cospirazioneèvero? tutto alla luce del sole e unicamente per ottenere un rialzo deisalari. Finitela dunque una buona volta di rompermi le scatole con lavostra evoluzione! Ci vuol altro! Appiccate il fuoco ai quattro cantidelle cittàfalciate i popolifate repulisti di tutto; e quando diquesta società putrefatta non resterà più l'ombraallorama soloalloraci sarà la speranza che ne rispunti una migliore!

Stefano sbottò in una risata. I discorsi del russo gli riuscivanospesso sibillini; e quella teoria della distruzione integrale gliaveva l'aria di una posa. Rasseneurpiù ancorato al sodo di lui ed'un buonsenso d'uomo sistematonon rilevò neppure la sfuriata. Desideroso solo di informarsi:- Sicché allora- chiese a Stefano- tenterai di creare una sezionea Montsou?

Era quello infatti che Pluchartnella sua qualità di segretario perla Federazione del Nordlo incitava a fare. Nelle sue lettere egliinsisteva soprattutto sui vantaggi che nell'eventualità d'unoscioperoverrebbero ai minatori dall'appartenere all'Internazionale.

Orache lo sciopero fosse in vistaera la convinzione di Stefano; lafaccenda dei rivestimenti non poteva che finir male; un giro di viteancora da parte della Compagnia e le maestranze insorgerebbero.

Col tono di chi pesa il pro e il contro:

- L'ostacolo- osservòRasseneur- sta nelle quote da versare. Cinquanta centesimi l'annoper il fondo socialedue franchi per sezionepare nulla; mascommetto che molti si tireranno indietro.

- Tanto più- Stefano aggiunse- che occorrerebbe anzitutto fondareuna cassa di previdenzada diventare all'occasione fondo diresistenza. Non importac'è tempo a pensarci. Io sono prontose glialtri lo sono.

Seguì un silenzio. Sul bancoil lume a petrolio filava. Per la portaspalancata arrivò dal Voreuxdistintissimoil rimestare d'un badilenel carbone: un fuochista che alimentava la sua caldaia. Fu laRasseneur che era entrata epiù alta del vero nell'immancabilevestito a luttoascoltava scura in visoa rompere il silenzio:

-Iprezzi sono alle stelle! - esclamando. - Indovinate cos'ho pagatostamattina una serqua di uova: ventidue soldi! A questo modo non puòdurare. Qualcosa bisogna che scoppi.

Su questo tutti furono d'accordo. E i tre uominiuno alla voltasisfogarono. L'operaio non poteva più far fronte; la Rivoluzione nonaveva fatto che aggravare la situazione; dall'Ottantanove era laborghesia che s'impinguavacon un'ingordigia che al lavoratore nonlasciava neanche i piatti da leccare. Della ricchezza e dell'agio chenegli ultimi cent'anni s'erano straordinariamente accresciutichipoteva dire che la classe operaia avesse anche in minima partebeneficiato? Li avevano dichiarati liberii lavoratori; e con ciòs'erano lavati le mani di loro. Liberi di che? di crepare di fame; ohper questoquanto volevano! Non era il diritto di votare per dei beitipi cheuna volta elettipensavano alla propria pancia e dellapovera gente si preoccupavano quanto della terza gambache facevaentrare pane nella madia! Noad un modo o ad un altrocosì nonpoteva durare; fosse pacificamentecon leggicon un'intesaamichevoleo fosse con la violenzaappiccando fuoco a tutto emassacrandosi a vicendabisognava uscirne. Se non i vecchii giovaniuna soluzione la vedrebbero certo. Il secolo non finirebbe senza cheun'altra rivoluzione scoppiasse; quella degli operaiquesta volta: uncataclisma che ripulirebbe la società da capo a fondoe laricostruirebbe su basi più giuste.

- Ha da scoppiare il bubbone! - dichiarò recisa la Rasseneur. - Sìsì- fecero coro i tre uomini- ha da scoppiare!

Ora Souvarine lisciava le orecchie a Polonia che dal piacerearricciava le nari. A fior di labbrolo sguardo persocome parlandoa se stesso:

-Aumentare il salarioche forse si può? Una legge diferro lo fissa allo stretto necessario; all'indispensabileperchél'operaio possa mangiare pane e sputo e procreare dei figli. Se ilsalario scende sotto quel livellol'operaio crepa; e la richiesta dinuovi operai lo fa risalire. Se supera quel livellocresce l'offertadi manodopera e lo fa calare. E' l'altalena delle pance vuotelacondanna a vita alla galera della fame.

Le volte checome oraSouvarine si lasciava andare a toccareproblemi ch'essi ignoravanoRasseneur e Stefano lo ascoltavano adisagio: turbati da quelle sconsolanti affermazioni ch'essi nonsapevano come controbattere.

Luisenza uscire dalla sua flemmafissandoli:

-Capitelo una volta!

o si fa piazza pulita di tutto o saremo sempre daccapo. Sìl'anarchiaci vuole: un repulisti generalela terra lavata dal sanguepurificata dal fuoco! E' la premessa necessaria: doposi vedrà.

- Dice beneil signore! - approvò la Rasseneurche anche nelle sueintemperanze di rivoluzionaria si manteneva sempre compitissima.

Stefano che la constatazione della propria ignoranza avvilivavolletroncare. Alzandosi:

-Andiamocene a letto. Tutto questo non impediràche alle tre io mi debba alzare.

Già Souvarine aveva soffiato via dalle labbra il mozzicone e prendevadelicatamente sotto la pancia la grossa coniglia per deporla a terra. L'oste chiudeva. Si separarono in silenziorimuginando in menteciascuno per suo conto i grossi problemi che li preoccupavano.

E discorsi del genere si rinnovavano ogni sera intorno all'unicoboccale di birra che Stefano impiegava un'ora a vuotare. In quellediscussionile idee checonfuse ancorasonnecchiavano nel giovanesi andavano sviluppando e chiarendo. Assillato dal desiderio diistruirsia lungo egli aveva esitato a chiedere al vicino di cameralibri in prestito; senonché disgraziatamente Souvarine non possedevaquasi altro che trattati in russo o in tedesco. Tra essiil giovaneaveva finito di scovare un libro in francese sulle SocietàCooperative. - Ancora delle sciocchezze! - aveva commentatovedendoglielo prendereSouvarine; e puntualmente leggeva «laBattaglia»un foglio anarchico che si pubblicava a Ginevra e che ilrusso riceveva. Ma sebbene i due si vedessero ogni giornoSouvarinenon usciva dal suo riserbo; si sarebbe detto un uomo che vivesse allagiornatasenza interessi né sentimenti e tanto meno beni che loattaccassero alla vita.

Soltanto ai primi di luglioStefano vide la sua situazionemigliorarsi. Un fatto nuovo era venuto a interrompere la monotonia dellavoro nel pozzo: nei cantieri del giacimento Guglielmos'eraverificato un perturbamento nel filonesicuro indizio d'unainterruzione della vena; falla che infatti poco dopo si palesò e checon tutta la loro conoscenza del terrenogli ingegneri non avevanoprevisto. Al Voreux non si discorreva più d'altro. Il minerale erasparito e non lo si sarebbe rintracciato che più in bassoal di làdella falla. Il punto in cui riaffiorerebbei vecchi minatori già lofiutavano come segugi la lepre. Ma per intanto occorreva impiegarealtrove gli uomini rimasti disoccupati; e dei manifesti annunciaronoche la Compagnia metteva all'asta dei nuovi lotti. Fu così che ungiornoall'uscitaMaheu si accompagnò con Stefano e gli offrì diassumerlo in qualità di staccatore al posto di Levaquepassato a unaltro cantiere. Già per questa assunzione egli aveva il benestare delsorvegliante capo e dell'ingegnereche si mostravano ambedue moltocontenti del giovane. Sicché Stefanolusingato dalla stima che conquell'offerta Maheu gli testimoniavanon ebbe che da accettarel'insperato avanzamento. La sera stessa i due tornarono insieme alpozzo a prendere conoscenza del bando d'asta. I cantieri messiall'incanto appartenevano alla vena Filonnière e si trovavano nellagalleria settentrionale del Voreux. Alla lettura che Stefano glifacevaMaheu scoteva il capo: le condizioni d'appalto non si potevanodire davvero vantaggiose. Come infatti Maheu fece notare recandosiall'indomani sul postoil cantiere distava dal piano di caricoilterreno era di natura franosail minerale duroe tenue lo spessoredella vena. Ma che fare? se si voleva rimediare il paneconvenivaadattarsi. Cosìla domenica seguentei due intervennero all'asta chesi teneva nella baracca. In assenza dell'ingegnere divisionale lapresiedeva l'ingegnere del pozzoassistito dal capo-sorvegliante.

Davanti al piccolo palco improvvisato in un angolo della baracca sipigiavano già una folla di cinque o seicento concorrenti; e leaggiudicazioni si susseguivano con un tale ritmo che sul confuso vocìonon si udiva che lanciare cifresubito sopraffatte da altre. Sebbenei lotti all'incanto fossero ben quarantaun momento Maheu temette dinon farcela a ottenerne uno per sé. Tutti i concorrenti calavanopreoccupati dalle voci che correvano di crisicolti dal panico direstare senza lavoro. Impassibile davanti a quell'accanimentoNégrellasciava che le offerte scendessero alle cifre più basse; mentreDanseartnel suo zelomentiva sulla vantaggiosità dei contratti.

Maheu dovette entrare in lizza con un collega che anche luis'intestava a ottenere quel lotto; i due finirono per disputarseloscemando a gara il compenso d'un centesimo per berlina. E se Maheuriuscì vittorioso fu abbassando a tal punto le sue pretese chedietrodi luiRichomme si stizzivalo urtava del gomitoborbottando tra identi che a un simile prezzo era impossibile se ne tirasse.

All'uscire dalla baraccaStefano bestemmiava. Alla vista di Chavalche lemme lemme se ne tornava da spasso con Caterina - certo i dueerano stati a sollazzarsi nel grano mentre Maheu si sacrificava perassicurare il pane alla famiglia - la sua ira esplose:

-Sacradìoèprendere per la golaquesto! Sicché oggi si è arrivati a costringerel'operaio a far la pelle all'operaio!

Messo al correnteChaval andò in escandescenze: ah mai lui avrebbeaccettato a quel prezzo! A sua voltaZaccariavenuto per curiosaredichiarò ch'era un trattamento che gridava vendetta. Ma Stefano d'ungesto iroso troncò le recriminazioni:- Finirà! Saremo noiun giornoi padroni!

A questaMaheu che non aveva più aperto boccaparve uscire dal suointontimento:- I padroninoi! - fece eco. - Ah porca miseria! Sarebbe tempo!

 

Capitolo secondo

 

Era l'ultima domenica di luglioil giorno della fiera di Montsou. Dalsabato sera le brave massaie del borgo operaio avevano lavato asguazzo la saletta: interi secchi d'acqua lanciati sull'impiantito econtro le pareti. Ancora il pavimento non s'era asciugatononostantela sabbia di cui l'avevano cosparso: una spesaccia per borse cosìmagre. La giornata si annunciava caldissimasotto la cappa di piombod'uno di quei cieli temporaleschi che opprimono in estate le terre delNordspoglie e piatte a vista d'occhio.

Alla domenicain casa Maheuci si alzava da letto con comodo Se ilpadre sveglio per abitudine dalle cinquenonostante il desiderio direstare un po di più coricatofiniva per vestirsii ragazzi invecedormivano sin tardi. Quella domenicauscito a fumare nell'orticelloMaheucom'ebbe finito la pipatatornò dentro e consumò da solo lasolita fetta di pane imburrato. Quindi occupò la mattinata in piccolilavoretti; riparò la tinozza che perdevaincollò sotto l'orologio acucù un ritratto del principe ereditario trovato tra le mani dei duepiccini. Intantoad uno ad unocomparivano in sala gli altri.

Bonnemort si portò una sedia fuori e restò lì a prendere il solementreaiutata da Alzirala Maheu si dava a sfaccendare in cucina.

Scese quindi Caterinaspingendosi avanti Leonora ed Enrico che avevaaiutato a vestirsi. E suonavano le undicigià l'odore dello stufatodi coniglio si spandeva per la casaquando comparvero ultimisbadigliando e con gli occhi ancora gonfi di sonnoZaccaria eGianlino.

Intornola festa metteva la borgata in subbuglio. In tutte le case cisi affrettava ad allestire la colazioneper poi scendere in comitivaa Montsou. Bande di monelli scorrazzavano per stradauomini inmaniche di camicia strascicavano le suoladondolandosi sulle anchecon la pigra andatura dei giorni di vacanza. Finestre e portespalancate sulla bella giornata lasciavano scorgere gli internichele famiglieuna volta tanto al completoanimavano di gesti e divoci. E l'odorino appetitoso del coniglio al fuoco riempiva da un capoall'altro la contradasoverchiando per una volta quelloinveteratodi soffritto di cui erano impregnate sin le facciate.

A mezzodì in puntoi Maheu si misero a tavola. In confronto albaccano intornoal cicaleccio delle comari da soglia a sogliaalfuoco di fila di domande e risposte - scambi d'oggetti in prestitomocciosi scacciati o tirati in casa a scapaccioni - il pasto dei Maheufu silenzioso. Gli è anche perché da tre settimane i Maheu lebattevano fredde ai Levaqueper via del matrimonio tra Zaccaria eFilomena ancora rimandato. Se gli uomini si trattavanole donnefacevano addirittura finta di non conoscersi. Dissapore che li avevaavvicinati di più alla Pierron; senonché quella domenica la Pierronpiantato il consorte e la figliaera partita all'alba per andare atrovare una cugina a Marchiennes; una cugina che faceva a tavola lespese di infiniti motteggi: ah sìsi sapeva bene di che cugina sitrattava! Una cugina con tanto di mustacchicaposorvegliante alVoreux! Da svergognatanotò la Maheupiantare la famiglia proprio inun giorno come quello!

Oltre il coniglioingrassato da un mese per l'occasionei Maheu sigodettero quel giorno una succulenta minestra e un bollito. Nelloscialo era andata tutta la paga della quindicinatoccata perl'appunto il giorno prima. Chi se ne ricordava d'una simile pacchia? Neppure l'ultima Santa Barbara - la patrona che i minatori festeggianocon tre giorni consecutivi di vacanza - il coniglio era stato cosìgrasso e tenero. Per cui le dieci paia di ganascea cominciare daquelle di Estella che metteva i primi denti per finire a quelle diBonnemort che stava perdendo gli ultimimasticarono d'una tale lenache anche gli ossicini sparirono. Ghiottala carnema piuttostoindigestaper chi com'essi ne assaggiava così di rado! Di tuttaquella grazia di Dio non restò che un pezzetto di lesso; la serachiavesse ancora appetitorimedierebbe con pane e burro.

Il primo a svignarsela fu Gianlino. Berto lo aspettava dietro lascuola; ma i due dovettero girellare parecchio intorno alla casa diLidia prima di poter tirare con loro la ragazzina: l'Abbruciatadecisa a non uscirele faceva la guardia. Quando s'accorse che lanipote gliela aveva fatta egualmentela vecchia alzò al cielo lebraccia scheletriche e partì in imprecazioni; mentre infastidito daquello schiamazzoPierron usciva filosoficamente a fare due passi conl'aria del marito che non ha scrupolo a svagarsi un po' sapendo cheneanche sua moglie si sta annoiando. Sull'esempio di BonnemortpureMaheu si decise a uscire; ma prima:

-Scendi tu? Ci si ritrova aMontsou? - chiese alla moglie. No: coi bambini da rimorchiarsi dietrola gita la allettava poco. Ma chi saforse sìci ripenserebbe. SescendevaMontsou non era Parigisi ritroverebbero.

Uscito sul pianerottoloMaheudopo un'esitazioneentrò in facciaper vedere se Levaque era pronto. Vi trovò Zaccaria in attesadell'amante; e la Levaque dietro a battere il suo chiodo: che siprendevano gioco di lei? Questa volta era decisa ad avere con la Maheuun'ultima spiegazione. Era un viveretenersi in casa i marmocchisenza padre di sua figlia? quando questa continuava a farsela colganzo?

- Io sono contentose mia madre vuole- ripeteva Zaccaria. E siccomeFilomena aveva finito tranquillamente di aggiustarsi in capo lacuffiala coppia se la svignò. Appreso che Levaque era già viaMaheudisse alla donna che se la spicciasse con sua moglie e filò a suavolta. Invitato fuori a bere una birraBouteloup cheaggomitolato altavolostava terminando il suo formaggioaveva rifiutatoostinatamente l'offerta. Nolui restava con la donna. Da buon marito!

Il borgo s'andava intanto spopolando; gli uomini ne partivano gli unidietro gli altri; mentre le ragazzesportesi ad adocchiare dallesoglies'allontanavano in direzione oppostaciascuna al bracciodell'amoroso. Così Caterina: suo padre aveva appena svoltato dallachiesa che la figliaavvistato Chavals'affrettava a raggiungerloper prendere con lui la strada di Montsou. Rimasta sola coi duepiccinila Maheu si mescé un secondo caffè bollente e restò lì sullasedia a centellinarselosenza trovare la forza di alzarsi. Del borgoerano rimaste padrone le donne; e s'invitavano a vicenda a scolare lecaffettiere intorno alle tavole ancora calde della grassa mangiata.

Sicuro di trovare Levaque al RisparmioMaheu lemme lemme si diresse aquella volta. Non s'era ingannato: nello spiazzocircondato di siepedietro l'osteriaLevaque stava giocando una partita a bocce.

Bonnemort e l'inseparabile Mouquein piediseguivano degli occhi labocciacosì assorti che si scordavano persino di scambiarsi dellegomitate. Nella striscia d'ombra che il sole a picco lasciava lungo lacasaStefano seduto a un tavolo sorbiva la birra. Era solo: Souvarinel'aveva lasciato per salire in camera sua e chiudersi a scrivere o aleggerecome aveva l'abitudine di fare quasi tutte le domeniche.

- Giochi? - chiese Levaque a Maheu. No; di caldoMaheu ne aveva giàabbastanza e moriva dalla sete.

- Rasseneuruna birra! - lanciò Stefano. E a Maheu:

-Te la offro io-. (Tutti quel giorno si davano del tu).

Il giovane dovette ripetere l'ordine; e alla terza chiamataful'ostessa a portare la birra. Stefano abbassò la voce per lagnarsi deltrattamento: buona gentecertoi Rasseneurche la pensavano comeloro; ma birra scadente; e almeno la servissero fredda! Delle minestrepoiche si mangiavano al Risparmiomeglio non parlare. Non fossestata la vicinanza al Voreuxlui si sarebbe cercato da un pezzoun'altra sistemazione. Ma così non poteva durare; bisognavaassolutamente che si trovasse una pensione al borgoin qualchefamiglia.

- Certocerto- assentiva placido Maheu. - In famigliavuoimetterestaresti assai meglio.

Scoppiarono acclamazioni: un colpo maestrocol quale Levaque avevabattuto tutti i competitori. Mouque e Bonnemortil naso a terraconservavano in mezzo agli applausi un silenzio quanto maiapprovativo. L'esultanza per il bel colpo traboccò in faceziecherinforzò l'apparire d'oltre la siepedel viso acceso della Mouquette.

La ragazza che gironzolava da un po' nei pressiall'udire quellaesplosione di gioias'era azzardata a far capolino.

- Come?! Sola? - la apostrofò Levaque. - Tula Mouquettesenza unuomo al fianco! E i tuoi galanti?

Quellasenza punto confondersiridendo anzi impudente:

-I mieigalanti? li ho messi a riposo: ne hanno bisogno. Ne cerco uno fresco.

Fu una gara a offrirsiuna bordata di lazzi e di parole crude. Leitra grandi risaterifiutava del capofaceva la difficile. Presentealla scenail genitore non alzò neppure gli occhi dalle bocce.

Levaque lanciando un'occhiata in direzione di Stefano:

- Va' làlosappiamo bene a chi tirifiglia mia!... Ma ho paura che se lo vuoidovrai prenderlo con la forza!

Stefano rise. Era intorno a luiinfattiche la ragazza faceva laruota. Divertitoma per niente lusingatoil giovane a sua voltarifiutava col capo. Qualche minuto ancora la Mouquette restò piantatadietro lo steccatoin contemplazione di Stefano. Poi si tolse di là es'allontanò a lenti passiimprovvisamente seria e come accasciatadalla sferza del sole.

Sottovoceil giovane prese a spiegare minutamente a Maheu lanecessità per i minatori di Montsou di istituire un fondo diprevidenza. - Dal momento che la Compagnia proclama che ci lascialiberiche possiamo temere? A nostro favore non ci sono che lepensioni ch'essa accorda; masiccome non ci fa trattenute sulla pagaè a piacer suo che le assegna. Orbenenon ti pare che sarebbe daparte nostra una misura di prudenza creare un'associazione di mutuosoccorso sulla quale poter contare almeno nei casi di bisogno urgente?

- E precisava nei suoi dettagli il progettone discuteva l'organico:tutto il daffare se lo accollerebbe lui.

PersuasoMaheu finì per dire:

-Ioper meci sto. Sono gli altripiuttosto. Cerca di decidere gli altri.

Al gioco delle bocceLevaque era uscito vincitore. La vittoria vennecelebrata con nuove bevute di birra. Maheu declinò l'offerta d'unsecondo boccale; più tardise mai: c'era tempo prima di sera. Eintanto si chiedeva dove potrebbe trovare Pierron: a colpo sicuroalcaffè Lenfant. Decise Stefano e Levaque ad accompagnarlo; e i tres'avviarono alla volta di Montsoumentre una nuova comitiva invadevail gioco da bocce.

Per stradabisognò far tappa da Casimiroquindi al Progresso:vedendoli passaredei compagni li invitavano dentro e non c'era mododi dire di no. E ad ogni sosta era una birra; quando non erano dueseessi per cortesia ricambiavano. Si intrattenevano dieci minutiscambiavano quattro parole; e il gioco poco più in là si ripeteva.

Meno male che di birra ci si può caricare senza risentirne altroincomodo che l'urgenza di fermarsi un po' troppo spesso in intimocolloquio con un muro. Da Lenfantcapitarono su Pierron che si stavascolando la sua seconda birra; e cheper non rifiutare di brindareinsiemene gradì una terza in loro compagnia.

Accresciuti di unosi diressero al Tizzoneper vedere se c'eraZaccaria. Il locale era vuoto; per intrattenervisi un momentocolpretesto che poteva capitareordinarono anche lì una birra. Sispinsero quindi al Sant'Eligiodove fu Richomme a proporre unabevuta; dopodiché vagarono di locale in locale senza darsi più la penadi trovare giustificazioni ai loro sopraluoghi; cosìunicamente persgranchirsi le gambe.

Eccitatoad un certo punto:

-Perché non si va al Vulcano? - proposeLevaque. Gli risposero delle risatine impacciate. Poiperché no? etutti si misero sulla scia ch'egli s'apriva fra la crescente calca.

Al Vulcano - un corridoio più che una sala - cinque o sei scollacciatecanterineil rifiuto dei postriboli di Lillasfilavano con mossettedi bertuccia su una specie di palcoscenico rizzato in fondomettendogenerosamente in vista un'anatomia da mostri. Previo esborso di mezzofrancochi ne avesse l'uzzolopoteva scegliersene una e servirselasulle assi del retroscena. Il pubblico era costituito in maggioranzada giovinastri delle minieretra i quali figuravano dei manovali nonancora quindicenni; tutti che ostentavano una preferenza per ilcicchetto. Ma si arrischiava là dentro anche qualche vecchio minatore: viziosimanco dirloche lasciavano la famiglia andare in malora.

Appena la comitiva si fu sistemata intorno a un tavolinoStefanos'accaparrò Levaque; econ lo zelo dei neofiti che si credonoinvestiti d'una missioneprese a iniziare anche lui al suo progettod'una cassa di previdenza. - Un franchetto al mese- perorava- chinon si sentirebbe di versarlo? E in quattro cinque annisai ilgruzzolo che si metterebbe da parte? Ora quando si ha del danaro dapartequalunque cosa accadaci si sente fortiti pare?... Ebbene: che ne dici tu?

Levaquecol capo a tutt'altro:

-Ma per me non dico di no. Ci saràtempo a discorrerne -. Visibilmente ora lo interessava di più unabiondona corpulenta che gracchiava una romanza. Prima che neattaccasse una secondaMaheu e Pierronche avevano finito la birrasi alzarono; Levaque restò: si rivedrebbero fuori.

In istradaStefanouscito coi duesi ritrovò tra i piedi laMouquette: gli dava la cacciaera chiaro. Questa volta la ragazza glisi parò davantiridendo del suo riso di buona figliolaa fissarlocon occhi che dicevano: «Mi vuoi dunque?» Spallucciando il giovane lelanciò un frizzo. Lei allora ebbe un gesto di dispetto e si perdettenella folla.

- E Chaval? dove sarà mai? - chiese Pierron.

- Già: Chaval- fece Maheu. - Lo troviamo certo da Piquette. Si va?

Ma sulla soglia un principio di tafferuglio li arrestò. Col pugnoalzato Zaccaria minacciava un chiodaioloun tipo di belga massiccio eflemmatico. Chaval assisteva con le mani in saccoccia.

- Eccolo Chaval! - annunziò placido Maheu. - E' con Caterina.

Da cinque ore Caterina e l'amante si aggiravano instancabiliattraverso la fiera. Lungo la via di Montsou - una spaziosa strada chescendeva a zigzag tra due file di basse case dipinte a vivaci colori - erasotto il soleun pigiarsi di gentesimile al traboccareall'aperto d'un formicaio: uno scalpiccio che sollevava da terra unanera nube di polvere. I caffeucci che si aprivano ai due lati eranocosì gremiti che coi tavolini invadevano la strada; dove merciaioliambulantischierati su due alisciorinavano in vendita ogni sorta dimercanzie: fisciù e specchi per le ragazzecoltelli da tasca eberretti per i maschi; nonché dolciumi e biscotti per ogni borsa.

Davanti alla chiesa s'era impiantato un tiro all'arco; giochi diboccein faccia ai Cantieri. Di fianco alla sede della Compagniaallo svolto per la strada di Joiselledentro un recinto improvvisatocon assisi assisteva a un combattimento di galli: due crestuti gallibattaglierisperonati di ferroche si sgozzavano a colpi di becco.

Più oltreda Maigrat si poteva vincere al biliardo un grembiule oasceltaun paio di mutande donnesche. Esimili a grandi pauselunghisilenzi cadevano ogni tanto sulla folla; su quel pigia pigia di genteche si abbeverava e s'impinzava senza parlarecovando nell'afachele padelle bollenti all'aperto accrescevano ancorauna solaindigestione di birra e di patate fritte.

A CaterinaChaval acquistò uno specchietto da diciannove soldi epertre franchiun fazzoletto da collo. Immancabilmente a ogniandirivienii due incrociavano la coppia Mouque e Bonnemortscesianch'essi alla festa; e che la percorrevano in su e in giù chiusi insédel loro passo pesante. Ma un altro incontro dovevano fare che liindignò: quello di Gianlinodietro a incitare Lidia e Berto a rubareuna bottiglia di ginepro da uno spaccio all'apertorizzato al margined'un terreno incolto. Senonché al loro arrivogià la bambina se labatteva col bottino: a Caterina non restò che prendere il fratello aceffoni. Quei due arnesiun giorno o l'altrofinirebbero dentro!

Sull'ingresso della Testa-Mozzaun avvisoche vi figurava daparecchioindiceva per quel giorno una gara di canto per fringuelli:Chavalpassando davanti al localeebbe l'idea di farvi assisterel'amante. Una quindicina di chiodaioli di Marchiennes partecipavanoalla garaciascuno con una dozzina di gabbie. Nella cortelegabbiette semibuieappese a chiodierano disposte su più file a unassitoe ognuna aveva dentroimmobilel'uccello accoccato. Uscirebbe vincitoreil cantore che in un'ora ripetesse il suo versoil maggior numero di volte. Ogni concorrente si tenevapresso le suegabbieuna lavagnetta segnapunti in manosorvegliando i rivali e daessi sorvegliato. Già la gara s'era accesa tra i fringuelli di timbrovellutato e quelli di timbro squillante. Timidi sulle primeazzardando solo rari gorgheggii cantori erano andati poi eccitandosia vicenda e accelerando sempre più il ritmo; per abbandonarsi allafine a una tale frenesia di emulazione che se ne videro alcunisoccombere allo sforzo e spirare. I proprietari li sferzavano con lavocegridavano loro in vallone di cantare ancora; ancora un piccologorgheggio; mentreappassionandosi al giocoil pubblicouncentinaio di spettatoritra quella musica assordante di centottantafringuelli chea contrattemporipetevano il medesimo versotratteneva il fiato. Fu un fringuello dal timbro squillante astrappare il primo premio: una caffettiera in ferro battuto.

Caterina e Chaval erano lìquando entrarono Zaccaria e Filomena. Iquattro si strinsero la mano e fecero gruppo. Quand'ecco Zaccariainquietarsi: aveva sorpreso una mano che s'allungava a pizzicare nellecosce la sorella: la mano d'un chiodaiolo checoi compagniassistevaallo spettacolo. Accesa in visoCaterina accennò al fratello ditacerenel timore d'una baruffa se l'amante se ne accorgeva e siadontava. Per questosino allora aveva fatto finta di nulla. OraChaval s'era avvisto sì del maneggioma non se la pigliava; sicontentava di ghignare. Uscirono e l'incidente pareva liquidato.

Senonché i quattro erano appena entrati da Piquette a rinfrescarsil'ugola ed ecco il chiodaiolo ricomparire più imbaldanzito eprovocante che mai. Al nuovo attentato contro l'onore della famigliaZaccaria non si tenne; si scagliò sull'insolente:

-E' mia sorellabrutto porco! Aspetta che ti insegno io a mancarle di rispetto!

Tutti si intromisero; mentre Chavalimperturbabile:

-Lascia stareZaccaria- badava a ripetere. - E' cosa che mi riguarda. Ti dico chedi quel tipo lì faccio meno conto che d'uno sputo!

In quella arrivava Maheuin punto per far animo alla figlia e aFilomenagià lì per piangere. Il provocatore se l'era squagliata eintorno si rideva.

Per metterci una pietra sopraChavalche da Piquette era di casapropose una bevuta. Brindarono. Stefano dovette toccare con Caterina. Fu quindi Pierron a voler offrire ad ogni costo; e regnava nellacomitiva il più invidiabile affiatamentoquando la vista di Mouquetchi sa comerinfocolò in Zaccaria il risentimento per l'oltraggio nonvendicato:

- Vieni con meMouquet! ho un conto da regolare. Devorompergli il muso a quel maiale! - Eavviandosi con l'amico: -Chavalti affido Filomena. Vado e torno.

Dopo tuttose il giovinotto ci teneva a vendicare l'onore dellasorellaera un buon esempio che dava. EriconoscendoloMaheu sisentì in dovere di berci su in compagnia una nuova birra. Filomenainvecevedendo Mouquet s'era rassicurata: Zaccaria non correva alcunpericolo; l'onore della sorella era stato un pretesto per svignarselaal Vulcano col compagno di baldoria.

La consuetudine voleva che le giornate di fiera si chiudessero alBuontemponedove si ballava. Tenitrice del ballo era la Désirunavedovella tonda come una bottema così ben conservata e arzilla che acinquant'anni si passava ancora sei amanti: unospiegavaper giornodi settimana; e li allenava così senza stancarli per la provageneraleuna specie di ricapitolazioneche aveva luogo la domenica.

Da trent'anni spillava birra ai minatori; in riconoscenza di chelichiamava tutti «i miei bambini». E del resto quelle marmotte dispingi-carichi della minierase si sveltivanoa chi lo dovevano senon al suo ballo dove imparavano a sciogliere le gambe?

Il Buontempone consisteva di due vani: la mescitacol banco e itavoli; ecomunicante con essa per un'ampia entratala sala daballocon l'impiantito di legno e le pareti rivestite di mattoni. Adabbellirladue festoni di fiori dl carta si incrociavano da un angoloall'altro del soffitto e li riuniva al centro una ghirlanda deglistessi fiori; mentre lungo le pareti spiccavano in bell'ordine degliscudetti dorati recanti nomi di santi: Sant'Eligiopatrono deimetallurgici; San Crispinopatrono dei calzolai; Santa Barbarapatrona dei minatori: tutti i santi protettori dei diversi mestieriesercitati a Montsou. La volta era così bassa che dalla pedananonpiù larga d'un pulpito di chiesadell'orchestra i tre musicanti vibattevano contro il capo. Provvedevano all'illuminazione quattro lumia petrolio che venivano appesi ai quattro canti della sala.

Quella domenica si ballava dalle cinquealla luce del giorno. Ma soloverso le sette cominciò la ressa. In istrada s'era levato un ventaccioche sollevava da terra neri nugoli di polvere; una polvere che entravanegli occhi e faceva crepitare l'olio nelle padelle. Un po' perquestoun po' per sedersianche MaheuStefano e Pierron finironoper approdare al Buontempone; e vi trovarono Chaval che ballava conCaterinamentre Filomenasolastava a guardarli. Né Levaque néZaccaria erano ricomparsi. In mancanza di panche intorno al balloCaterinadopo ogni giroveniva a sedersi al tavolo del padre.

Invitata a imitarlaFilomena preferì restare in piedi. La serascendeva; l'orchestra crepitava; nella sala non si distingueva piùtra un confuso armeggiare di gomitiche un mareggiare di anche e diseni. Uno schiamazzo salutò la comparsa delle lampade: la scena siilluminò di colpo; facce accesepettinature disfatteciocche dicapelli incollati alla pellesvolazzare di sottane che diffondevanoper tutta la sala un fortore di coppie in sudore. Maheu indicò aStefano la Mouquetteche grassa e tonda come una palla di sugnavolteggiava come una trottola al braccio d'un allampanato caricatore. Un uomo le ci voleva ed aveva finito per pescarlo.

Erano le otto quando comparve la Maheucon Estella alla poppa eappiccicata alla gonna la minuta figliolanza. Era venuta direttamentelìa cercare il suo uomosicura di trovarlo. Oggila cena si potevaritardare: chi aveva fame? con tanto caffè poi e tanta birraingurgitata? Dietro la Maheu spuntòtra l'affluire di altreanche laLevaque; un mormorio la accolse: la pilotava Bouteloup ed era lui cheteneva per mano i marmocchi di Filomena. La Maheu si volgeva aparlarle: le due donne erano dunque di nuovo in buona. Esse infattiavevano avuto per strada una vivace discussione; col risultato che laMaheu aveva finito per dare il suo consenso al matrimonio; certo lecuoceva rinunziare al guadagno che il suo maggiore portava in casa; masentiva anche l'ingiustizia di defraudare Filomena. Il buon viso cheora faceva alla vicinanon le impediva tuttavia di chiedersi conansietà come farebbe a mandare avanti la baraccaadesso che le giàmagre entrate venivano così sensibilmente a ridursi.

- Non è con voi mio marito? - chiese la Levaque; ementre larassicuravanosi sistemava alla meglio al tavolo vicino a quellooccupato dai MaheuleiBouteloupi marmocchi: tuttipigiati comesalacche. Anche Filomena adesso venne a sedersi e parve contenta chela sposassero. Richiesta di Zaccariacon la voce incolore di sempre:- Era qui ora: verrà.

Maheu intanto aveva scambiato un'occhiata con la moglie: ahsicchéaveva dato il suo consenso? Oscurandosi in frontes'accese la pipapreoccupato anche lui del domani. Mettete dunque al mondo dei figli! appena sono in grado di aiutarviecco che vi piantano.

Il galoppo finale d'una quadriglia riempiva l'aria d'un rossopulviscolo; ancora qualche bercio di tromba simile al richiamo d'unalocomotiva in pannae i ballerini si arrestaronofumanti comecavalli giunti al traguardo. Chaval ricondusse Caterina; e i dueinpiedi alle spalle di Maheufinirono la loro birra. La Levaque sichinò all'orecchio della Maheu:

- Ti ricorditu che parlavi distrozzarlatua figliase ci cascava?

- Bah- fece l'altra rassegnandosi in viso. - Sono cose che sidicono. Ma mi tranquillizza il fatto che Caterina bambini non ne puòavere; di questo almeno sono certa... Se così non fossese dovessiper forza darle maritome lo dici noi che si mangerebbe?

L'orchestra riattaccava: una polca. Nell'assordante frastuono chericominciavaMaheu fece parte alla moglie d'una buona ispirazione chegli era balenata: perché non prenderebbero uno a dozzina? Stefanoadesempio che era appunto in cerca d'una pensione? La stanza da darglil'avrebbero ora che Zaccaria se ne andava. Riguadagnerebbero da unaparte quellosuppergiùche perdevano dall'altra. Ma certo! ottimaidea! bisognava farlo. E rianimata da quella prospettivala Maheuinun impulso di generositàordinò un'altra birra per tutti.

Stefano stava intanto catechizzando Pierronconquistandolo al suoprogetto d'una cassa di previdenza. E già era riuscito a farglipromettere di aderirviquando commise l'imprudenza di scoprire loscopo cui la cassa doveva servire. - Nell'eventualità d'uno scioperocapisci di che utilità ci sarebbe? Potremmo fregarci della Compagnia;attingere di lì i primi fondi per la resistenza. Eh? dunque tu cistai?

A questaPierron aveva abbassato gli occhi:

-Ahcosì? - tartagliò.

- Ci penserò sopra... Ma portarsi bene non è la migliore cassa diprevidenza?

Stefano non ebbe tempo di rispondergli; Maheu lo prendeva da parteecon la sua franchezza di brav'uomo gli offriva su due piedi diprenderlo come dozzinante. Con la stessa franchezzail giovaneaccettò. Ben lieto! era il suo sogno abitare nel borgo operaioviverein stretto contatto coi compagni di lavoro. Si accordarono in quattroparolema - avvertì la Maheu - occorreva aspettare che Zaccaria siaccasasse.

Ed eccolo finalmente Zaccaria; e con lui i compari. Chi avesseignorato donde venivanol'avrebbe capito dai fiati che sentivano ilcicchettodall'acre odore di muschio e di baldracca che si portavanodietro. All'olio tutti e tre soddisfattissimi di séridacchiavanosispingevano a gomitate a vicenda. La notizia che stava per prenderemogliescatenò in Zaccaria una tale ilarità che per poco dal riderenon si strozzava. PlacidaFilomena osservò che preferiva ancoravederlo ridere che piangere.

Sedie non ve n'erano più; Bouteloup dovette far posto alla sua aLevaque chevedendosi in mezzo alla famiglia al completodi colpo siintenerì e una volta di più ordinò da bere per tutti. - Porca l'oca! -berciava. - Non tutti i giorni ci si diverte!

Si restò sino alle dieci. Donne seguitavano ad arrivare con codazzi diprolein cerca del loro uomo da rimorchiare a casa; le madriperdutaogni soggezionecavavano dal corpetto ciocce bionde e lunghe cometette di mucca e impiastricciavano di latte bebé tutti guance; mentrei più grandicelli senz'ombra di ritegnocarponi sotto i tavolidavano il via alla birra ingurgitata. Di birra era un'orgia chevuotava le botti; di birra si arrotondavano le pance; zampillava birradai più insoliti rubinetti. Pigiati e gonfi a quel modoglispettatori si ficcavano in corpo a vicenda gomiti e ginocchiallegribeati di affratellarsi così. Un ridere in pelle spalancava le bocchecome salvadanai. In quel calore di fornonel nebbione di fumoognunosi metteva a suo agiosi sbracavasi scamiciava. Unicoinconvenientela difficoltà di spostarsi di dove si era; spinta danecessitàogni tanto una ragazza vi riuscivas'apriva il passo sinoalla pompa laggiùsi rimboccavarientrava nel ballo. Sotto i festonidi fiori di cartai balleriniaccecati dal sudore di cui grondavanonon si scorgevano più l'un l'altro; ciò che incoraggiava gliintraprendenti a cogliere il momento giusto per approfittarne. Equando una ninfa piegava sopraffatta sotto l'assalto del faunol'orchestra attutiva il tonfo di quella capitolazione sotto il suostrepito indiavolatoscarpettandole intorno le coppie danzanti lasottraevano alla vista; e allora si sarebbe detto che tutto il ballofranasse su quei due.

Qualcuno venne ad avvertire Pierron che sua figlia dormiva di traversosul marciapiededavanti all'ingresso. Avendo beneficiato della suaparte nel furtola ragazzina s'era ubriacata. Per riportarla a casail padre dovette togliersela in collo - seguìto a distanza da Gianlinoe da Berto chein cimbali anche loro ma ancora abbastanza sicurisulle gambealla scena si spanciavano dal ridere.

Fu il segnale della partenza. I Maheu e i Levaque si decisero arincasare; il Buontempone cominciava a sfollarsi. Nello stesso momentoanche Bonnemort e Mouque si mettevano sulla via del ritorno;taciturnichiusi nei loro ricordicon passo di sonnambuli. Tuttiinsieme riattraversarono un'ultima volta la fieratra le padelle dipatate fritte che si freddavanogli spacci segnalati da rigagnolettiche s'allungavano sino in mezzo alla strada.

Una volta ch'ebbero oltrepassate le ultime case e rientrarono inombrarisa cominciarono a zampillare da tutta quella gente incamminoa propagarsi per la buia campagnasotto il cielo che simanteneva minaccioso. Un alito ardente usciva dalle messi mature:quante coppie quella notte dovettero smarrirvisi!

Al borgo arrivarono sbandati. Chi a casa cenòlo fece per abitudinefra cascaggini di sonno.

Giunto davanti al RisparmioStefano invitò Chaval a bere il bicchieredella staffa; e dell'occasione profittò per perorare anche con lui lacausa della cassa di previdenza.

- Perbaccose ci sto! - esclamò Chaval. - Spuntala! Tu sei uomo dariuscirci!

- Sìmettiamoci tutti a una... VediChavalioper il trionfo dellagiustizia darei tutto: il berele donne... Ah non c'è che un'idea chemi scaldi il cuore! l'idea che saremo noi a spazzare dalla facciadella terra queste carogne di borghesi!

 

Capitolo terzo

 

Verso la metà d'agostoappena cioè Zaccaria si trasferì con lafamiglia nella nuova abitazione concessa dalla CompagniaStefanovenne a stare dai Maheu.

Abitare sotto lo stesso tetto con Caterina lo mise nei primi tempi adisagio. In casa egli aveva il posto del fratello maggiore. Come giàZaccariaera lui ora che divideva il letto di Gianlinoa fianco diquello della sorella; e l'intimità tra lui e la fanciulla eracontinua. Coricandosialzandosi doveva spogliarsi e vestirsi davantia lei; e lo stesso l'altra. Al momento che la ragazza restava incamiciaegli non poteva a meno di notare la bianchezza quasitrasparente di bionda anemica che la vestiva dai calcagniall'attaccatura del collosegnata da una collana di ambra; unabianchezza lattea in così vivo contrasto col viso e le mani giàsciupateda lasciare il giovane turbato. Ostentava di stornare da leigli occhima a poco a poco imparava a conoscerla: una volta erano ipiedi cheabbassandosiil suo sguardo incontrava; un'altrailginocchio intravisto mentre si coricava; al mattinoi piccoli senierti chelavandosila ragazza scopriva.

Anche Caterinasenza mai guardarlosi spicciava più che poteva asparire sotto le coltri; in un lampo si svestiva elesta come unabiscias'allungava al fianco di Alzira; ancora Stefano non avevafatto tempo a cavarsi le scarpeche già lei gli voltava le spallenon lasciandogli scorgere di sé più altro che la pesante crocchia.

Del restoil contegno del giovane non diede mai a Caterina occasionedi adombrarsi. Se la tentazione di sbirciarla era troppo forte perchélui vi resistesseStefano però non si lasciava mai andare a scherzidi parola e tanto meno di mano. Anche senza il ritegno che gliispirava la presenza dei genitoriil sentimento di amiciziavenatodi risentimentoche provava verso la ragazzagli impediva dimancarle di rispetto; mentre smorzava il desiderio l'intimità stessacui la vita in comune li costringeva; intimità d'ogni istante per laqualedegli altrinon restavano segreti neppure i bisogni corporali. Fra individui costretti a vivere così sotto gli occhi gli uni deglialtriun senso di pudore si risvegliava ormai solo al momento delbagno quotidiano; ed era questa l'unica occasione in cui Caterina siappartavaritirandosi al piano di sopra.

L'abitudine del resto fece presto a dissipare quel disagio; in capo aun mesei due già si aggiravano svestiti per la stanza alla lucedella candela senza quasi vedersi. Lei non si spicciava più a sparirefra le coltri; ripresa l'antica abitudines'indugiava sulla spondadel lettole braccia alzatead acconciarsi i capelli per la nottesenza accorgersi della camicia che le rimontava sulle cosce; e luiinmutandequalche volta la aiutavale porgeva le forcelle cadute.

L'abitudine aboliva il pudore; trovarsi insieme seminudidiventavanaturale; male non ne facevano e non era colpa loro sein tantisidisponeva d'una camera sola.

Ciò non toglie che li cogliessero ancora subitanei turbamenti; disorpresaquando meno pensavano a male. Per luiera quando dopo seree sere che non vi aveva fatto casogli riappariva di colpo labianchezza di quel corpo; scottatodoveva stornare gli occhi per noncedere alla bramosia di abbrancarlo. Altre sereera lei che sisentiva invadere senza motivo da uno sgomento pudore; si infilavasotto le lenzuolacome fuggissecome già si sentisse addosso le maniavide dell'altro. Ed erano le notti chespenta la candelasisentivano a vicenda svegli e capivano che era il pensare l'unoall'altro chenonostante la stanchezzaimpediva al sonno di venire. Insonnie che li lasciavano innervositi e come imbronciati per tuttol'indomanie alle quali preferivano le volte che si coricavanotranquillamentecome due buoni camerati.

Nella nuova vital'unico inconveniente o quasi di cui Stefano ebbe alagnarsi fu la posizione in cui Gianlino dormiva: raggomitolato comeun riccio. Alzira s'udiva appena; al mattinoLeonora ed Enrico litrovavano in braccio l'un dell'altrotal qual si erano addormentati. Nel buio della casarompeva solo il silenzio il russare di Maheu e disua moglie: cadenzato e regolare come il soffiare di due mantici.

InsommaStefano si trovava meglio che al Risparmio: il letto non eracattivo e una volta al mese vi cambiavano le lenzuola. Anche laminestra era migliore; solo la carne si vedeva di rado. Ma era cosìper tutti; con quello che pagava di pigioneil giovane non potevapretendere che gli passassero tutti i giorni il coniglio. I suoiquarantacinque franchi mensili aiutavano la famiglia a tirare avanti;grazie ad essi e a qualche debituccio fatto nelle botteghesicampava; e i Maheu mostravano all'ospite la loro gratitudinefacendogli trovare la biancheria lavatai vestiti in ordine. Orainsomma Stefano provava che vuol dire per uno scapolo avere una donnache si cura di lui.

Fu dai Maheu che Stefano ebbe agio di chiarire a sé le idee che glifermentavano in capo. Sin qui il sordo malcontento che regnava tra isuoi compagni di lavoro non aveva svegliato in lui che l'istinto dellarivolta. Ogni sorta di confusi problemi gli si presentarono: perché lapovertà degli uni e la ricchezza degli altri? perché i primi sotto ilcalcagno dei secondisenza la speranza di poter mai prenderne ilposto? Il primo passo fu intanto di rendersi conto della propriaignoranza. Da allorauna segreta vergognaun cruccio lo morse: nonsapeva nulla e questo gli toglieva l'ardire di discorrere delle coseche più gli stavano a cuore: l'eguaglianza degli uominila giustiziaper cui ai beni della terra tutti avrebbero dovuto partecipare. Allorasi buttò con ardore a studiare; ma senza metodocome fa l'ignorantenella sua sete di apprendere.

Della conoscenza di Pluchartesponente del partito socialista epersona tanto più istruita di luiprofittò per farsi mandare deilibri. Mal digeritala loro lettura non fece che esaltarlo di più;quella soprattutto d'un manuale di medicinaL'Igiene del Minatorein cui l'autoreun medico belgapassava in rivista le malattie cheinsidiano la vita dei carbonieri. Altriche trattavano di problemieconomicigli rimasero ostici; l'aridità tecnica dell'esposizione lorespinse. Il suo vero pasto lo trovò invece in opuscoli di propagandaanarchica che produssero su di lui un'enorme impressione; in giornalidello stesso colore che anzi conservò come quelli che in eventualidiscussioni gli avrebbero fornito argomenti inoppugnabili. AncheSouvarine gli prestava dei libri; e il "Trattato sulle SocietàCooperative" gli aveva fatto vagheggiare tutto un mese la possibilitàd'una società universale di scambio che aboliva il danaro e a basedell'intera vita sociale poneva il lavoro. Cominciò a sentirsi menoignorante; a concepireadesso che «pensava»un certo orgoglio di sé.

Durante i primi mesinon andò oltre l'entusiasmo dei neofiti; il suocuore traboccava d'indignazione contro gli oppressorisi esaltavanella speranza del prossimo trionfo degli oppressi. A costruirsi unsistema non era giunto ancora: restava nel vago delle letture fatte. In lui le rivendicazioni pratiche di Rasseneur si confondevano con leteorie incendiarie di Souvarine; e quasi ogni giornovenendo via dalRisparmioseguitava a declamare coi due contro la Compagniatuttopreso nel suo sogno che gli mostrava a portata di mano larigenerazione radicale del mondopacificamente ottenutaperché noncosterebbe una goccia di sangue né una rottura di vetri. I mezzituttavia per arrivarvi restavano nell'ombra; preferiva credere che lecose andrebbero da sé: ed era perchédavanti al compito di formulareun progetto di ricostruzionela sua mente si smarriva. Rifuggiva anzidal trarre conseguenze e si mostrava pieno di moderazione; sino adasserire che dalla questione sociale bisognava bandire la politica:frase che aveva letto e che gli pareva buono ripetere coi compagni dilavoro; gente poco incline alle novità ed'istintoconservatrice.

Adesso ogni sera in casa Maheu ci si attardava una mezz'ora achiacchierare prima di salire a coricarsi; ed era ogni sera la stessadiscussione che Stefano intavolava. Più i suoi gusti s'affinavanopiùil giovane si sentiva urtato dalla promiscuità in cui gli operaivivevano. Che si era delle pecore per vivere com'esse segregati in unostabbio in mezzo alla campagna e pigiati uno contro l'altro al puntoda non potersi mutare la camicia senza mostrare il sedere al vicino? Bel vantaggio che ne veniva alla salute e alla morale da unapromiscuità che favorivarendeva anzi inevitabilela corruzione!

- Eh già- ammetteva Maheu- certo che se si avesse più danaro siabiterebbe più al largo! Comunqueè ben vero che vivere pigiati comesalacche non giova a nessuno. Si sa come va a finire: uomini bevuti eragazze gravide.

Prendendo lo spunto di quiciascuno diceva la sua; e nel tanfo dipetrolio che appestava la stanzagià ammorbata da quello disoffrittola conversazione si protraeva. Noben certonon eraallegro vivere. Si faticava come bruti in un lavoro al quale un tempocondannavano i galeotti; vi si lasciava spesso la ghirba prima dellanostra ora; e tutto questo per non rimediare neanche un po' di lesso acena. Certocome i polli il becchimelo stretto necessario per fartacere la fame si aveva; si mangiavama appena quel tanto chepermetteva di stare in vita e di seguitare a patire; o carichi didebiti perseguitati dai creditori quasi che il pane si rubasse. Quandoarrivava la domenicasi era così stracchi che si passava il tempo adormire. I soli piaceri che restavanoquello di sborniarsi ed'ingravidare la moglie. Per di più la birra ti fa mettere pancia e lapancia ti fa mancare di rispetto dai figli. Ah no; in quellecondizioni vivere non era punto allegro.

La Maheu interloquendo:

-Il più bruttovedeteè quando ci sipersuade che le cose non possono cambiare... Finché uno è giovane sifa delle illusionispera che un po' di bene verrà... Ma la vita gramaduravi si resta dentro imprigionati e si capisce che non se neuscirà più... Io non voglio male a nessunoma vengono dei momenti cheda questa ingiustizia mi sento rivoltare.

Cadeva un silenzio. Come oppressi da malessere alla prospettiva diquell'orizzonte chiusotutti sospiravano. Solo Bonnemortse erapresentesgranava gli occhi dalla sorpresa: ai tempi suoi non ci sitormentava così: si nasceva nella minierasi abbatteva il carbone enon si chiedeva di più; mentre oggi spirava un'aria che faceva alzarela cresta anche ai carbonieri.

- Non bisogna sputare su niente- borbottava. - Una buona birra è unabuona birra... Chi comanda è spesso una canaglia; ma qualcuno ci saràsempre a comandareè vero? Inutile dunque rompersi la testa aragionare su quel che è.

- Ah si? - prorompeva allora Stefanoanimandosi di colpo. - Sicchéall'operaio anche di pensare sarebbe proibito?

Invece proprio perché l'operaio aveva cominciato a pensarele cosecambierebbero; e più presto che non si credesse. Ai tempi del vecchioil minatore viveva nella miniera come una talpacome una macchina daestrarre carbone; senza nulla udiresenza nulla vedere di quello chesuccedeva fuori del suo buco. A questo modo i ricchi che governanoavevano buon gioco a mettersi d'accordo per tirare dalla sua pelletutto il profitto possibile: lui nemmeno lo sospettava. Ma ora infondo al pozzo il minatore si stava svegliando; era una vera messe chein grembo alla terra germogliava e che un bel giorno proromperebbealla luce. Sìuna messe di uominiun esercito d'uomini cheristabilirebbe la giustizia. Con la Rivoluzione tutti i cittadini nonerano diventati eguali? Per quale motivoavendo anche lui il dirittodi votol'operaio dovrebbe restare lo schiavo del padrone che lopaga? La macchina ha reso le grandi società onnipotenti; contro diesse l'operaio non ha neanche più le garanzie d'un tempoquando gliappartenenti a uno stesso mestiereriuniti in corporazioniavevanomodo di difendersi. Tutte ragioniqueste e altreper le quali unsimile stato di cose non poteva durare; e l'istruzione un giornoavrebbe cambiato le cose. Anche senza uscire dal borgo operaioerafacile constatare che il lavoratore non era già più l'ignorante d'unavolta: se i nonni non sapevano fare la loro firmai padri la facevanogià; i figli poi già scrivevano e leggevano come professori. Ah seveniva superbaccose a poco a poco cresceva la messe d'uominirisoluti che presto maturerebbe al sole! Dal momento che non si erapiù come alberi radicati al proprio posto e ognuno poteva nutrirel'ambizione di prendere il posto del suo vicinoperché mai l'operaionon inizierebbe la lottanon cercherebbe di spuntarla?

Sebbene scossoMaheu restava diffidente:

-Già; ma muovi un dito e tirendono il libretto. Il vecchio dice bene; a penare sarà sempre ilminatore e senza mai la speranza di offrirsi un cosciotto di castrato. La Maheuuscendo dal silenzio assorto che da un po' manteneva:

- Ancora fosse vero ciò che i parroci ci raccontano! si potesse almenocredere che i poveri di questo mondo saranno i ricchi nell'altro!

Un coro di risa la interruppe; persino i ragazzi spallucciavano:l'incredulità bevuta nell'ariase li lasciava ancora nel loro intimoprestar fede alla comparsa dei trapassati nel pozzoli aveva liberatidalla paura del Cielo.

- Ah i parrocimacché! - esclamava Maheu. - Lo credessero quello chepredicanos'impinzerebbero meno e lavorerebbero di più peraccaparrarsi lassù un buon posto... Ehno: quando si è morti si èmorti.

La Maheu abbandonando le braccia e sospirando accasciata:

- Ah mioDiomio Dio! Alloranoi altri siamo davvero fottuti!

Si guardavano a vicenda. Bonnemort si spurgava nel fazzolettoMaheunon si avvedeva che la pipa gli si era spenta tra i denti. Alziraascoltava tutta orecchitra i due piccini addormentati sulla tavola. Quella più presa dall'entusiasmo con cui Stefano annunciava l'avvento peri diseredati d'un paradiso in terraera Caterina: i suoi limpidiocchi non lasciavano il giovane un momento. Intornosulle caseoperaie scendeva il silenzio del sonno; appenalontanoilpiagnucolare d'un bambinoil rissoso soliloquio d'un ubriacoritardatario. Nella salettalo scandito tic-tac del cucù; enonostante il soffoco dell'ariaun frescolino che dall'impiantitoancora umido saliva su per le gambe.

- Ma come? - Stefano riprendeva. - Siete dunque ancora a questa? Vifate ancora di queste idee? Forse che c'è bisogno d'un buon Dio e delsuo paradiso per essere felici? non è in vostro potere di farvelo davoisulla terrail paradiso?

E con voce ispirata cominciava a parlare a parlare. Alle sue parolel'orizzonte che li imprigionava s'apriva per gli infeliciun fasciodi luce ne erompeva a illuminare la loro vita. Spazzata via da tuttoquel solespariva di colpo la vita di miseria e di stento ch'essiavevano sino allora conosciutola sorteche li schiacciavadipecoredestinate prima alla tosa e poi al macello; il lavoro da bruticui dalla nascita piegavano la schiena; tutto d'incanto spariva e inun barbaglio mai visto di luce la Giustizia scendeva dal cielo. Se ilbuon Dio non c'era piùsarebbe la Giustizia ad assicurare la felicitàagli uominiinaugurando sulla terra il regno della fraternità e dellaeguaglianza. Sorgeva in un giornocome accade nei sogniuna immensacittàsplendente come un miraggiodove ogni cittadino viveva del suolavoro e partecipava alle gioie di tutti. Putrefattoil vecchio mondoera crollato in polvere; una umanità giovanelavata dei suoi crimininon formava più che un solo popolo di lavoratoriavente a divisa: «aciascuno secondo il suo meritoun merito proporzionato alrendimento». E il sogno via via si colorivas'allargava adabbracciare il mondodiventava allettante quanto più usciva dailimiti del possibile.

Come presa da capogirole prime volte la Maheu si rifiutava diascoltare. Nono: troppo bello; sogni ai quali era pericolosoabbandonarsi; dopola delusione renderebbe la vita invivibile; acosto di fare una carneficinanessuno più vi si rassegnerebbe. Inquieta al vedere che il suo uomo vi cadevagià gli luccicavano gliocchi:

-Non dargli rettaMaheu! - gli gridava.- Vedi bene che sonofavole che ci racconta... Ti pare mai possibile che i ricchiconsentano a piegare la schiena come noi?

Eppurea poco a pocoanche lei si lasciava conquistare; finiva peranimarsi in viso; solleticata nella fantasiacominciava a sperareanche lei in quel mondo meraviglioso. Faceva così bene scordare per unmomento la dura realtà! Quando si vive piegati a terra come bestiesiha bisogno d'una briciola di menzognadi concederci almenonell'immaginazione i beni di cui non godremo mai. E poi l'idea che sitrattava di mera giustiziala appassionava; in questo era d'accordocol giovane:

-Su questo puntoesclamava- avete ragione! Io quandoho il diritto dalla mia partemi farei tagliare a pezzi! E che deibeni della vita dovremmo avere anche noi la nostra parteè una veritàsacrosanta.

Approvato indirettamente cosìMaheu s'infiammava:

- Io non sonoricco; mapagherei volentieri uno scudoperbaccoper non morireprima di aver visto questa!... Quale capovolgimento!... Ebbenecisarà molto da attendere? e come ci si arriverà?

Era la domanda che Stefano attendeva. L'edifizio della vecchia societàscricchiolava; non avrebbe durato al di là di qualche mese - affermavaperentorio. Quanto ai mezzi coi quali vi si arriverebbesi mostravameno reciso; fidando sull'ignoranza dell'uditoriomescolava coseletteazzardava spiegazioni non chiare neppure a lui. Ne veniva fuoriuna accozzaglia di tutti i sistemi; ma tutti li addolciva la certezzain un facile successoin una riconciliazione generale che metterebbefine ai malintesi fra le classi. Certoammettevatra i padroni e icapitalisti qualche recalcitrante si troverebbe; che si renderebbemagari necessario ridurre alla ragione con la forza...I Maheu davano segno di capireapprovavano; senza batter ciglioaccettavano le soluzioni più miracolosecon la cieca fede deineofitidei primi credenti che dalla putredine del mondo anticos'attendevano sorgesse d'incanto il regno di Dio. Aggrappandosi aqualche parola colta nella conversazionela piccola Alzira immaginavala felicità sotto l'aspetto d'una casa ben riscaldatadove i bambinimangiavano a sazietà e giocavano quanto volevano. Caterina immobilerestava con gli occhi fissi su Stefano; e quando il giovane tacevaera corsa da un piccolo brivido e impallidiva come colta da freddo.

Era la Maheu di solito chealzando gli occhi al cucù:

- Le novepassateGesummaria! - esclamava. - A che ora ci si sveglieràdomattina?

E a malincuore tutti si alzavano. Ritrovarsi faccia a faccia con laloro miseria dopo essere stati per qualche minuto ricchi e felicieraricadere di colpo nella disperazione. Bonnemortche partiva per ilsuo turno di lavoroborbottava che tutte quelle storie non rendevanola minestra migliore; mentre gli altri uno ad uno salivano suurtatidall'umidore delle paretidal tanfo d'aria chiusa come se per laprima volta lo avvertissero.

Erano le notti checoricatasi per ultima e spenta la candelaCaterina sentiva Stefano voltarsi e rivoltarsi smanioso nel lettosenza riuscire a prendere sonno.

Spesso a quelle veglie prendevano parte i vicini: Levaque che siesaltava all'idea della spartizione dei beni; Pierron che si eclissavaprudentemente appena si attaccava la Compagnia. Di tanto in tantocompariva un momento Zaccaria; ma alle discussioni di politica siannoiava a morte e preferiva scendere al Risparmio a berne un gotto. Quanto a Chavaltrovava ch'erano troppo moderati nelle loro pretese:era del sangue che lui voleva. Quasi ogni sera adesso egli passavaun'ora dai Maheu: assiduità cui lo spingeva un'inconfessata gelosiail timore che qualcuno gli soffiasse Caterina. All'amantedi cui giàsi stava stancandosi era riattaccato da quando un altro uomo dormivanella stanza di lei e la notte poteva approfittarne.

L'ascendente di Stefano sui compagni s'andava affermando e sin d'oranel borgo operaio se ne avvertivano gli effetti. La sua era unapropaganda in sordinatanto più efficace in quanto s'appoggiava sullastima in cui tutti ogni giorno più lo tenevano. A dispetto della suadiffidenza di prudente massaiala Maheu lo aveva in considerazione: il giovane non beveva e non giocavapagava puntualmente il mensileed era sempre curvo sui libri. Grazie alla Maheula sua fama dipersona istruita s'era sparsa tra le vicine che profittavano per farsiscrivere le lettere. Stefano diventava così una specie d'uomo difiduciaincaricato della corrispondenzaconsultato dalle famiglienei casi delicati. Considerazione che sin dal settembre gli avevapermesso di creare il suo famoso fondo di previdenza; modesto per orapartecipandovi solo i minatori della borgata; ma al quale egli speravadi far aderire le maestranze di tutti i pozzise la Compagnia chefinora se n'era disinteressatanon lo ostacolava. Dell'Internazionalelo avevano da poco nominato segretario e per lesue prestazioni egli riceveva anzi una piccola retribuzione. Per cuisi trovava ad essere quasi ricco; se un minatore con famiglia stenta asbarcare il lunariouno scapolo sobrio e senza impegni come luiriesce ancora a mettersi qualcosa da parte.

Da questo momento una lenta trasformazione si andò operando nelgiovane. Aspirazioni di eleganza e di agiosoffocate sinora dallapovertàcominciarono a far capolino. Si comprò un vestito decorosoun buon paio di scarpe; e bastò perché tutto il borgo gli si serrasseintornolo riconoscesse capo. Soddisfazioni d'amor proprioprimegioie della popolaritàche il giovane assaporò con delizia e dallaquale si lasciò ubriacare. Trovarsi alla testa degli altricomandare- lui così giovane e ancora ieri semplice manovale - lo riempiva diorgogliodava consistenza al suo sogno d'una prossima rivoluzionealla parte che ambiva rappresentarvi. L'espressione del suo viso mutòdivenne gravesi ascoltò parlare; mentre la nascente ambizioneinfluenzava in senso estremista le sue teorielo inclinava a piùviolente soluzioni.

L'autunno intanto s'avanzava; già il frizzare dell'ottobre arrugginivagli orti della borgata. Spoglii lillà non servivano più di schermoalle amorose intraprendenze dei maschi. Nei solchi sopravvivevanoormai solo gli ortaggi d'invernoi cavoli ingioiellati di pruinaisapori da mettere da parte per la cattiva stagione. Di nuovo gliacquazzoni scrosciavano sugli embrici rossitraboccavano dallegrondaiecon strepito di torrente andavano a colmare le botti. Nelleabitazionila stufarimpinzata di carbonigliarestava accesa dicontinuoavvelenando l'aria chiusa della saletta. Si era di nuovoalle soglie d'un inverno che s'annunciava durissimo.

Fu una di quelle prime notti d'ottobre - una notte d'un freddo canecheeccitato dai discorsi tenuti a vegliaStefano non riuscì achiudere occhio.

Quella sera aveva spiato Caterina mentre si ficcava a letto e avevanotato l'impazienza con cui la ragazza aveva soffiato sulla candela. Anche lei quella sera appariva turbatissima; presa da una di quellecrisi di pudore chespingendola a far prestola impacciavano neimovimenticol risultato di scoprirla quanto meno voleva. Oraalbuionon dava più segno di vita; ma Stefano sentiva bene che nondormiva neanche lei; che anzi pensava a luicome lui a lei: mutacomunione che non li aveva mai turbati a quel punto. Trascorsero deiminuti; né l'uno né l'altro si muoveva; solo le respirazioni sifacevano affannose più cercavano di smorzarle. Due volte lui fu peralzarsiper prenderla. Era stupidoalla fineavere tanta voglia unodell'altro e non appagarla mai! Perché resistere così al desiderio? Ibambini dormivano; lei certo lo aspettava col cuore in gola;chiuderebbe le braccia su di luimutastringendo i denti. In questatensione passò quasi un'ora. Né lui si alzò né lei si volse dalla suaparte: dalla paura di non resistere a chiamarlo.

Più vivevano fianco a fianco e più il ritegno che li separava divenivainsormontabile; fatto di pudoridi scontrositàdi scrupoli diamicizia ch'essi stessi non avrebbero saputo spiegarsi

 

 

Capitolo quarto

 

- Senti- fece la Maheu al suo uomo- giacché ci vai per laquindicinaa Montsouprendimi una libbra di caffè e un chilo dizucchero.

Senza alzare gli occhi dal suo lavoro - si stava rabberciando unascarpa per risparmiare i soldi del ciabattino - Maheu assentì.

L'altraesitante:

- E senti: ti direi anche di passare dalmacellaio... Un pezzetto di vitellache ne penseresti? E' tanto chenon ne vediamo!

Questa volta lui alzò il capo:

-Ma che credi? che oggi mi paghino abigliettacci da mille? E' magraoggila mia donna! Non vedimaledizioneche tutti i momenti ci fanno incrociare le braccia perforza?

La Maheu si azzittì. S'era alla fine d'ottobreil pomeriggio d'unsabato. Quel giorno ancorala Compagnia aveva sospeso l'estrazione intutti i pozzicol pretesto che le operazioni di paga disturbavano ilregolare andamento del lavoro. La verità era invece cheimpressionatadall'aggravarsi della crisila Compagnianon volendo aumentare unostock già di difficile esitocoglieva ogni pretesto per mettere inforzato sciopero i suoi diecimila operai.

- E non scordarti che Stefano ti aspetta al Risparmio- riprese lamoglie. - Va' con lui; se cercano di imbrogliarti nel conteggio delleorelui è più fino di teper accorgersene -. Maheu annuì.

- E poi senti un po' da quei signori per quel che riguarda tuopadre... Il medico è d'intesa con la direzione... - E volgendosi versoil suocero:

-Dico benevoiche il medico si sbaglia? che a lavorarece la fate ancora?

Da dieci giorni Bonnemort non si muoveva dalla sedia; gli si eranodiceva«intorpidite le zampe». La Maheu dovette ripetergli ladomanda.

- Sicuro- borbottò il vecchio- che ce la farei! Non si èspacciatiper aver male alle gambe. Sono tutte storie che tiranofuori per non passarmi la pensione di centottanta.

Ben quaranta soldiil vecchioportava a casa. Angosciata al pensieroche potessero venirle a mancare anche quelli:

-Dio mio! - la donna sisfogò. - Se seguita cosìpassa poco che ci seppelliscono tutti!

- Da mortinon si ha più fame! - tagliò corto Maheu; epiantataqualche altra bullettasi decise a partire.

Per le maestranze del Voreuxla paga della quindicina non si sarebbefatta che verso le quattro. Sicché nessuno si affrettava; gli uominisi gingillavanos'incamminavano alla spicciolata; inseguiti dallamoglie che raccomandava loro una volta ancora di tornare presto. Molteli incaricavano di commissioninella speranza che così non siattarderebbero a bere.

Al Risparmio Stefano era sceso ad attingere notizie. Correvano vociallarmanti: la Compagniasi dicevaera sempre più scontenta del modocon cui si eseguivano i rivestimenti; caricava gli operai di multe; unurto pareva inevitabile. Questoche confessavanon era del resto cheun appiglio che serviva a dissimulare tutto un complesso di motivi benpiù gravi tenuti segreti.

Arrivando al RisparmioStefano vi trovò un collega di ritorno daMontsouentrato a bere una birra; il quale raccontava che allosportello della cassa era stato affisso un manifesto; che cosadicessecon precisione non sapeva. Un secondoun terzosopravvennero; ognuno con una versione diversa. Comunqueparevasicuro che la Compagnia avesse preso una decisione.

Vedendo Souvarine al solito tavolocon solo davanti il solitopacchetto di trinciato:

-Che ne dici tu? - Stefano gli chiesesedendogli accanto. Il russo finì di arrotolarsi la sigaretta; poi conla sua flemma abituale:

-Dico che era da prevedere. E' il laccio alcolloche vogliono mettervi!

Nella situazione era lui solocol suo acumea vederci chiaro. Pacatamente prese a spiegare. Colpita dalla crisila Compagniasenon voleva soccombereera costretta a ridurre le spese; enaturalmentea dover stringere la cinghiasarebbero gli operai: siservirebbe quindi d'ogni pretesto per ridurre le paghe. Da due mesile riserve di carbone giacevano intatte sui piazzaletti; quasi tuttele officine erano ferme. Siccome di sospendere il lavoro la Compagnianon ardivaspaventata dal ristagno nelle venditeper uscire da unasituazione che la rovinavaandava in cerca di una via di mezzo: chepoteva essere uno scioperodal quale gli operai uscirebbero sconfittie pronti ad accettare paghe ridotte. In piùl'istituzione d'una cassaoperaia la preoccupavarappresentando una minaccia per l'avvenire;minaccia di cui lo sciopero farebbe presto a sbarazzarlafinché ifondi fossero modesti.

Rasseneur era venuto anche lui a sedersi al tavolo e i due ascoltavanocosternati. Non essendovi più nel locale che l'ostessa alla cassaorasi poteva discorrere liberamente.

- Che idea! - mormorò Rasseneur. - Perché tutto questo? La Compagnianon ha alcun interesse ad uno sciopero e gli operai neppure. Il meglioè intendersi.

Era la voce della saggezza. Rasseneur parteggiava sempre per lerivendicazioni ragionevoli. Da quando anzi aveva visto il suo anticopensionante salire così rapidamente nel favore popolareegliinclinava ad esagerare la sua moderazionea predicare che non siottiene nulla quando si vuole avere tutto d'un colpo. Nella suaremissività di uomo pinguenutrito di birras'andava facendo stradauna segreta gelosiaaggravata dal vedere il suo locale disertatodalnotare la sempre minore frequenza con cui lo si consultava eascoltava. Al punto chedimentico del suo rancore contro laCompagniache lo aveva licenziatoarrivava qualche volta a prendernele parti.

- Sei contro lo scioperotuallora? - lo apostrofò dalla cassa lamoglie. E siccome lui dichiarava reciso di sìlei dandogli sullavoce:

-Ebbenesei un coniglioecco cosa! Lascia parlare i signori!

Stefanocon gli occhi sul boccale che la donna gli aveva servitorifletteva. Alzando alfine il capo:

-Probabilissimo quel che dice ilcollega; e a questo sciopero bisognerà risolversise cicostringeranno... Pluchart per l'appunto m'ha scritto in propositocose giustissime. Lui pureper principioè contrario allo scioperovisto che l'operaio non ne soffre meno del datore di lavoro; senza checon ciò si arrivi a nulla di decisivo. Manello scioperoegli vedeun'ottima occasione per decidere i nostri ad aderire alla sua grandeAssociazione... Del restoecco qui la lettera.

InfattiPluchartdeluso dalla diffidenza che l'Internazionaleincontrava fra i minatori di Montsousperava di vederli aderire adessa in massa il giorno che entrassero in conflitto con la Compagnia. Per quanto si fosse adoperatoStefano non era riuscito a procurargliun nuovo iscritto; vero è che del proprio ascendente si era valsosoprattutto a pro della cassa di previdenza; ma il fondo raccolto eraper ora così tenue checome diceva Souvarinefarebbe presto adesaurirsi; e fatalmente gli scioperanti si butterebbero allora nellebraccia dell'Internazionale per essere soccorsi nella lotta dai lorofratelli di tutto il mondo.

- Quanto avete in cassa? - chiese Rasseneur.

- Tremila appena. Eavant'ierinon lo sapete?la Compagnia m'hafatto chiamare. Oh sono stati compitissimi; m'hanno ripetuto che nonavevano nulla in contrario a che i loro operai si creassero un fondodi previdenza... Ma ho ben capito che desidererebbero però averne ilcontrollo... Senza dubbio dobbiamo aspettarci un'opposizione da quellaparte.

Udita la cifral'oste s'era messo ad andare su e giù e a fischiettaresprezzante. Tremila franchi! che ci esce con tremila franchi? il panedi una settimanaa dir molto! E se era sui soccorsi dal di fuoridall'Inghilterrache bisognava contaremeglio fin d'ora andarsene ananna e tenersi ben chiotti. Nouno sciopero in quelle condizioniera troppo stupido.

Allora tra quei due uomini che nel loro comune odio per il capitalefinivano di solito per intendersicorsero per la prima volta paroleaspre.

Indirizzandosi a Souvarine:

-Vediamo: e tu che ne dici? - chieseStefano.

In risposta il russo lanciò la solita frase sprezzante:

-Gliscioperi? Sciocchezze! - Poinell'imbarazzato silenzio che seguìaggiunse placido:- Insommano non dicose vi fa piacere. Lo scioperoè una cosa che rovina gli uniuccide gli altri; per cui un po' dipiazza pulita la fa. Solo che di questo passoper rigenerare ilmondooccorrerebbero almeno dieci secoli. Cominciate dunque a farmisaltare codesta galera che vi succhia il sangue a tutti -e dellamano femminea indicava gli edifizi del Voreuxin vista per il vanodella porta rimasta aperta.

Ed avrebbe seguitatoma un incidente lo interruppe: Polonia la grassaconiglia domesticache s'era arrischiata fuoririentrava d'un balzofuggendo la sassaiola d'un branco di monelli; e riparando spauritacontro di luile orecchie ciondoloniil codino rittogli sistrofinava negli stinchiimplorava perché la pigliasse su. Comel'ebbe accolta sulle ginocchia e ricoverata sotto le maniil russocadde in quella specie di trasognato torporein cui il contatto dellamorbida e tiepida pelliccia ogni volta lo immergeva.

Quasi all'istante stessocomparve Maheu. Invano la Rasseneur insistéperché bevesse (la donna aveva un modo di proporre una birra che sisarebbe detto la regalasse). Stefano si alzò e i due partirono insiemeper Montsou.

Nei giorni che ai cantieri si facevano le paghela cittadina assumeval'aria di festa delle allegre domeniche di fiera. Da tutte le borgateoperaie i minatori vi affluivano in massa.

L'ufficio cassa essendo troppo angustoattendevano sull'ingressostazionavano in crocchi in mezzo alla stradala sbarravano d'una codache continuamente si rinnovava. Profittando dell'occasionevenditoriambulanti impiantavano lì le loro bancarelleesponendo in venditaogni sorta di mercanzie; taluni persino stoviglie e salumi. Ma a farebuoni incassi erano soprattutto gli spacci di birra e le liquoreriedove i minatori entravano di preferenza: primaper ingannarel'attesa; intascata la pagaper bagnarla. Né mancavano scapestratiche non rincasavano senza aver fatto una punta anche al Vulcano.

Nei gruppetti di minatori che affollavano la strada non regnava quelgiorno il buonumore che vi metteva di solito l'aver toccato laquindicina e l'andare scemandola di locale in locale. Maheu e Stefanovi avvertirono invece un sordo malcontentosempre più evidente viavia che si inoltravano. Pugni si serravanoparole di minacciacorrevano di bocca in bocca.

- E' veroallora? - chiese Maheu a Chavalincontrato davanti aPiquette. - Hanno fatto la porcata? - Ma quellolanciata a Stefanoun'occhiata di traversosi limitò a rispondere con un grugnito dirabbia. Dacché era passato a lavorare con altriChaval aveva sentitocrescere in sé nei riguardi di Stefano un'ostilità fatta d'invidia:«quell'ultimo venuto- diceva- che si dà arie di padreterno e alquale tutto il borgo lecca le scarpe». Invidia che si complicava digelosia; tanto che conducendo Caterina a Réquillart o dietro ilterrapienonon c'era volta che non l'accusasse nei termini piùoffensivi di farsela col pigionante di sua madre; dopodichéripresoper la ragazza da un desiderio bestialela massacrava di carezze.

Maheu chiese ancora:

-Hanno cominciato a pagare il Voreux? - Chavalaccennò di sì e volse le spallementre i due si decidevano ad entrareai cantieri.

L'ufficio paga consisteva in una stanzetta rettangolarespartita indue da un assito. Sulle panchecinque o sei minatori sedevano inattesa; mentre il cassiereassistito dall'impiegatoera dietro apagarne un altroritto col berretto in manodavanti allo sportello. Sull'intonaco grigio-fumo della parete di sinistraspiccavaincollato di frescoun manifesto giallo: il manifesto davanti alquale dal mattino i minatori sfilavano. In duein tre restavano lìpiantati; poisenza far mottoripartivanoaccasciando le spallecome fiaccati alla spina dorsale. Due adesso vi sostavano davanti: ungiovane con una testa quadra di bruto e un vecchio pelle e ossadall'aria ebete. Le labbra del primo compitavano sillaba a sillabasenza che ne uscisse suono; l'altro che non era in grado di fareneppure questosi limitava a fissare intontito l'avviso. Erano moltiche venivano cosìunicamente a vedere.

- Leggici dunque che dice- disse al compagno Maheuche anche lui aleggere stentava.

L'avviso era diretto alle maestranze di tutti i pozzi. La Compagniainformava chevista la trascuratezza con cui si seguitavano aeseguire i rivestimentistanca di infliggere multe senza alcunrisultatoera venuta nella determinazione di adottare per gli operaidei cantieri un nuovo sistema di pagamento. D'ora in poicioècompenserebbe il rivestimento a parte; a metro cubo di legname reso incantiere e impiegatobasandosi sulla quantità necessaria a un lavoroben fatto. Il prezzo per berlina di carbone estratto verrebbe diconseguenza abbassato da 50 a 40 centesiminon senza tuttavia tenerconto della natura del terreno e della distanza del cantiere dal pianodi carico. Seguiva un calcolopochissimo chiarotendente adimostrare che la diminuzione di dieci centesimi per berlina veniva aessere esattamente compensata dal prezzo corrisposto per ilrivestimento. Affinché ciascuno avesse il tempo di convincersi delvantaggio che il nuovo sistema di pagamento presentava - aggiungeva ilmanifesto - la Compagnia differiva sino al primo dicembreun lunedìl'applicazione della nuova tariffa.

Dallo sportelloil cassiere:

-Voilìnon potreste leggere senzagridare? qui non ci si intende più!

Stefano seguitò come quello avesse parlato ai muri. La voce glitremava.

La lettura era finita e nessuno ancora staccava gli occhi dalmanifesto; il vecchio minatore e il giovane avevano l'aria diaspettare dell'altro; finché si decisero e uscironoaccasciando lespalle.

- Ah perdìo! - fececon appena il fiatoMaheu. S'erano lasciatiandare sulla panca; assortia testa bassaconteggiavano mentalmentementre altri prendevano il loro posto davanti al manifesto. Che ci sibeffava di loro? Col rivestimentomai riuscirebbero a riacchiappare idieci centesimi che perdevano per berlina: di ottoa dir tantosirifarebbero. Erano due centesimi bell'e buoni di cui la Compagnia liderubava; a non tener conto del tempo che un rivestimento ben fattoporterebbe via... Ecco dunque a che cosa la Compagnia voleva venire! aun ribasso di salario mascherato! Realizzava delle economie nelletasche dei suoi operai.

- Ah perdìo! - ripeté Maheu risollevando il capo. - Siamo deivigliacchi se accettiamo!

Lo sportello era libero; vi si diresse. Gli assuntori di lavoro acottimo ritiravano la paga anche per i soci: ciò che facilitaval'operazione.

- Maheu e socivena Filonnièrecantiere numero sette.

Cantilenandol'aiuto cassiere cercava sulle liste risultanti dallospoglio dei libretti di lavoro dove i capisquadra segnavano giorno pergiorno il numero delle berline spicciate. Trovato che ebbecon lastessa voce:

-Maheu e soci- ripeté- vena Filonnièrecantierenumero sette... Centotrentacinque franchi -. E già il cassiere contaval'importo.

AllibitoMaheu guardò quel poco danaromentre un senso di freddo gliarrivava al cuore; e astenendosi dal toccarlo:

-Scusi- balbettò-è sicuro che non ci sia errore?

Certouna paga magra se l'aspettava; maa meno che non avesse fattomale i continon a quel punto! Di così pocoversato a ogni socioquello che gli spettavaper sé e la famiglia gli resterebbe sì e nouna cinquantina di franchi.

- Nononon c'è sbaglio- rispose l'impiegato. - Dovete levare duedomeniche e quattro giorni di sospensione di lavoro. Avete dunque novegiorni.

Maheu rifaceva mentalmente il conto; noneanche con la sottrazione disei giorniil conto tornava. E stava per dirloquando l'impiegatoaggiunse:

-E non scordate le multe: venticinque franchi di ammendaper la cattiva esecuzione dei rivestimenti.

Maheu ebbe un gesto disperato. Quattro giorni di disoccupazioneventicinque franchi d'ammendaora sìnon c'era più nulla da ribattere. Ohimè! e dire che quando Bonnemort lavorava e il guadagno di Zaccariaentrava in casasino a centocinquanta franchi incassava diquindicina!

- Insomma- s'impazientì il cassiere- lo ritirate o no questodenaro? Vedete bene che ci sono altri che attendono d'essere pagati. Senon lo voleteditelo!

E con la grossa mano che tremavaMaheu s'era deciso a raccogliere ildanaroquando l'impiegato sovvenendosi:

-Aspettate! ho qui il vostronome. Ognissanti Maheuè vero? Il segretario generale desideraparlarvi. Entrateè solo.

FrastornatoMaheu obbedì e si trovò in uno studio tappezzato direpsverde stintoammobiliato di vecchio acagiù. E per cinqueminuti ascoltòsenza quasi udire tanto le orecchie gli ronzavanociòche il segretario gli diceva: un tipo alto slavato che gli parlava dasedutod'oltre la valanga di cartacce che ingombravano lo scrittoio. Ahdi suo padre gli parlava; di Bonnemort che stava per essere messoa riposo con una pensione di centocinquanta franchi; centocinquantaaun uomo di cinquant'anni che ne ha passati quaranta nella miniera. Manon era tutto; e con voce più dura il segretario passava a parlare diluiMaheu Ognissanti; lo accusava di occuparsi di politicaaccennavaal giovane che teneva a dozzinaalla faccenda della cassa diprevidenza; infineper il suo benelo consigliava a non lasciarsimontar la testaa non commettere pazziea non compromettersi lui cheera uno dei migliori operai del Voreux. Alla lavata di capoMaheuvolle ribattere; ma non gli uscì che qualche parola sconnessa;strapazzò tra le mani febbrili il berretto e si ritirò balbettando:

-Certamentesignor segretario... Le assicuro che... Fuoriraggiunto Stefanosbottò:- Sono un buono a nullaavreidovuto rispondergli per le rime! Non ci dànno di che sfamarci e poivengono ancora a romperci le scatole con queste osservazioni... Sìècontro di te che ce l'ha; dice che hai messo su contro la Compagniatutto il borgo operaio... Ma che faresanto Dio? piegare la schiena edire grazie... Ha ragione lui: è ancora il meglio... - e tacquecombattuto tra stizza e paura. Stefanobuio in visorifletteva.

Ripassarono attraverso i capannelli di operai che sbarravano lastrada. Nei crocchi l'esasperazione cresceva: un'esasperazione chiusasenza gestidi gente calma per temperamento; un sordo mormorio salivada tutta quella folla pesanteforiero di tempesta. C'era stato chiaveva fatto il conto del profitto che la Compagnia realizzava con lanuova tariffa; e la notizia di quell'economia fatta ai loro dannicircolavasdegnava i più tardi a capire. Maa irritare gli animiera soprattutto la delusione per la disastrosa paga riscossa; laribellionecui li incitava la famecontro le continue sospensioni dilavoro e le continue multe. Se già stentavano a sfamarsicomecamperebbero guadagnando ancor meno? Nei caffè si alzava apertamentela voce; le proteste asciugavano a tal punto le gole che la sparutaquindicina finiva sul banco degli spacci.

Nel ritornoStefano e Maheu non scambiarono parola.

A vedere il marito rincasare a mani vuotela Maheuch'era sola coiragazzi:

-Ebbenecosì mi torni? né caffè né zucchero? Bel modo! Unpezzetto di vitella non sarebbe stato la rovina!

Preso da un groppo alla golache non riusciva a vincerel'uomo nonrispondeva. Poi un impeto di disperazione gli scompose il rozzo visoincallitoun impeto di pianto gli gonfiò gli occhi. Abbandonandosi suuna sediabuttò i cinquanta franchi sul tavolo e ruppe in singulticome un bambino:

-Tieni- tartagliando- è tutto quello che tiporto: il nostro guadagno fra tutti!

Quasi a chiedergli spiegazionela donna si volse verso Stefano;vedendolo muto e accasciatocapì e s'abbandonò anche lei alladisperazione. Come vivere quindici giorniin novecon cinquantafranchi? Zaccaria li aveva piantatiil vecchio non poteva più muoverele gambe: era la fine a breve scadenza. Sconvolta a vedere la madrepiangereAlzira le si buttò al collo; i due piccini presero asinghiozzare.

E ben presto da tutto il borgo operaio sorse lo stesso grido didisperazionelo stesso lagno. Gli uomini erano rientrati; ognifamiglia si desolava alla vista dell'irrisoria quindicina. Delle portesi aprirono; quasi che gli interni fossero troppo angusti percontenere la loro disperazionedelle donne si fecero sulle soglie asmaniare. Piovigginavama chi se ne accorgeva? Si chiamavano l'unl'altral'un l'altra si mostravano sulla mano tesa il ricavo dellaquindicina.

- Ve'ecco che gli hanno messo in mano! Non è infischiarsi dellapovera gente?

- E ioguardate! Neppure di che pagare il pane!

- E ioallora? Contate! Ci toccherà venderci la camicia!

Con le altreuscì sulla strada la Maheu. Un assembramento si formòintorno alla Levaque che strillava più delle altre: quel lazzarone disuo marito aveva addirittura fatto a meno di rincasare; certomagra ograssala quindicina si stava liquefacendo al Vulcano. Filomenateneva d'occhio Maheu: la parte che di quei cinquanta franchi lespettava non finisse in mano di quello scriteriato di Zaccaria. Padrona di séappariva solo la Pierron: oh lei sapeva bene che il suoaccomodante marito si tirerebbe sempre di impiccio; che sul suolibretto di caposquadra comparirebbero sempre più ore che non neavesse fatto. Sdegnata della viltà del generol'Abbruciata invecestava con le più scalmanate: ritta al centro d'un gruppotendevaminacciosa il braccio scheletrico verso Montsou; esenza nominarligridava all'indirizzo degli Hennebeau:

-Dire che non più tardi distamane ho visto passare in carrozza la loro domestica. Sìla cuocain tiro a dueche certo andava a comprare il pesce a Marchiennes! -Le rispose un coro di voci indignate. L'idea di quella cuoca ingrembiule biancomandata in carrozza al mercatoesasperò le donne. Neanche del pescepotevano fare a menoquelli làmentre i lorooperai crepavano di fame! Ahma non sarebbe sempre così! anche per ipoveri verrebbe il loro turno! E quel grido di rivolta riecheggiava leidee seminate da Stefanole diffondeva. L'attesa della promessa etàdell'oro si acuiva; impazienti di ottenere la loro parte di felicitàsmaniavano di evadere dalla povertà che li imprigionava. Ormail'ingiustizia con cui erano trattati passava ogni limite; visto cheanche il pane strappavano loro di boccaessi finirebbero bene peresigere il loro diritto. Le donne in specie avrebbero voluto prenderesubito d'assaltoentrare subito con la forza nella città ideale dovenon esisterebbero più miserabili.

Già scendeva la notte; esotto il rinforzare della pioggiatra loscatenato scorrazzare dei ragazzile donne seguitavano ancora ariempire la contrada di strilli e di pianti.

Quella sera stessaal Risparmiolo sciopero venne deciso. Rasseneurnon vi si opponeva più; Souvarine lo accettava come un primo passo. FuStefano a riassumere la situazione in una frase: dacché lo volevacome coi fatti mostravala Compagnia avrebbe lo sciopero

 

 

Capitolo quinto

 

Passò una settimana. Al Voreux si seguitava a lavorare; ma torvi esospettosi nell'attesa del conflitto.

Per i Maheu la quindicina si annunciava anche più grama dellaprecedente: prospettiva che inaspriva la Maheunonostante la suamoderazione e remissività. Una notte Caterina non s'era permessa didormire fuori di casaper ricomparire il mattino dopo così sfinita emale in gamba da non essere in grado di recarsi al pozzo? Piangendola ragazza aveva raccontato che era stato Chaval a trattenerla pressodi séminacciandola di botte se non gli ubbidiva. Preso da una crisidi gelosial'amante voleva impedirle di tornare nel letto di Stefanodovesostenevai suoi la facevano dormire. Furentela madre avevaingiunto alla figlia di romperla con un simile bruto; andrebbe lei acercarlo a Montsou e a prenderlo a schiaffi. Ma intanto era un'altragiornata di lavoro perduta; e del resto Caterinaormai che s'eramessa con Chaval preferiva ancora restare con lui.

Due giorni dopoun altro guaio. Il lunedì e il martedìGianlino chetutti in casa credevano a lavorare nel pozzose l'era invecesquagliata per i campi spingendosi sino al bosco di Vandame etirandosi dietro Berto e Lidia. In quali ruberiein quali spassi didiscoli precoci avessero occupato le due intere giornatemistero. Luis'ebbe in pubblico dalla madre una sculacciata così persuasiva che laragazzaglia che vi assistette ne restò atterrita.

- Che se ne sono mai viste di compagne? - gridava la Maheu. - Figlioliche è costato un occhio allevareche hanno ormai il sacrosanto doveredi portar soldi in casa e che invece... - Grido che le strappava dalcuore il ricordo della sua giovinezza di stentil'abitudine allamiseria che in ogni figlio fa vedereda quando è in cullaunsostegno per l'avvenire. E ancora l'indomaniall'ora che tuttipartivano per il pozzola Maheu si sollevò da letto per dire aGianlino:

-E tugaglioffotieni a mente che se ti ci provi ancoraè la volta che al deretano ti ci levo la pelle!

Nel nuovo cantiere il lavoro era duro. In quel punto la venaFilonnière era così sottile che i minatorischiacciati tra tetto emuroper abbattere si scorticavano i gomiti... Aggiungi che più siavanzava più cresceva l'umidità; c'era da temere d'ora in oral'improvviso erompere di uno di quei torrenti d'acqua che schiantanole rocce e travolgono gli uomini. Ancora il giorno primaStefanonelritirare la piccozza conficcata profondamente nel terrenoavevaricevuto in faccia un getto d'acqua: semplice allarme per fortuna cheaveva solo inzuppato e reso più malsana la cava.

Al pari dei compagnidel restoil giovane ormai non si preoccupavapiù di possibili rischiassorto interamente nel suo lavoroeradiventato com'essi incurante del pericolo; allo stesso modo chevivendo in mezzo al grisùnon ne avvertiva più il peso sullepalpebrela sensazione di ragnatela che metteva sulle ciglia. Eratanto se di esso ci si ricordava quando la fiammella della lampadascemava e si tingeva di turchino; qualcuno allora metteva l'orecchiocontro la vena e restava un attimo in ascolto di quel gorgoglìo chesfuggiva dalle crepe. Piuttostosempre incombente era la minacciadelle frane; non solo perché i rivestimentisbrigati in frettaeranoinsufficientima anche perchéimpregnato d'acqua com'erail terrenosmottava facilmente.

Già la terza volta quel giorno Maheu aveva dovuto far puntellare. Ederano le due e mezzos'avvicinava l'ora dell'uscita; allungato su unfianco Stefano finiva di staccare un bloccoquando un lontano rombocome di tuonoscosse tutta la miniera. - Che diavolo succede? -gridòlasciando la piccozza. Avrebbe detto che alle spalle gli fossecrollata la galleria. Ma già Maheu si lasciava scivolare sul pendiodel cantiere:

-Corriamopresto! E' una frana!

Tutti lo imitarono; in un unanime impulso di solidarietàtutti silanciarono di corsain mezzo al silenzio di morte che s'era fatto. Agitando in pugno le lampadecorrevano in fila indiana lungo icunicolicarponi come quadrupedi; esenza rallentaresiinterrogavano e rispondevano a vicendalaconici: dove mai potevaessere? nei cantieri d'abbattimento? Noil rumore veniva da sotto! dallagalleria di carriaggiopiuttosto!

Raggiunto il pozzettovi scomparvero dentro inghiottitiincitandosie urtandosi l'un l'altroincuranti di farsi male.

Gianlinocol ricordo ancora bruciante della correzione maternaattendeva quel giorno al suo solito lavoro. Trottava a piedi scalzi incoda al suo trenochiudeva lui le porte d'aerazione; e solo quandonon aveva a temere l'incontro d'un caposquadrasaliva sull'ultimaberlina: abuso chefavorendo il sonnoera proibito. Ogni volta poicheper dare il passo a un altroil treno sostava in un binariomortoil suo più grande divertimento era di correre in testa atrovare il conducente: il suo amico Berto. Gli arrivava sopra disorpresasenza lampada; lo pizzicava a sanguegli giocava ogni sortadi scherzettiquali può farne una scimmietta maligna; e a una scimmiail monello infatti somigliava con quei suoi capelli color carotaleorecchie a ventolail musetto argutoi piccoli occhi verdi cheluccicavano al buio. D'una precocità morbosaaveva l'intelligenzaottusa e l'indemoniata sveltezza d'un aborto d'uomo che sta regredendoal primitivo stato animalesco.

Quel pomeriggio era al traino Battaglia; ed orafermo su un binariomortoil vecchio cavallo ripigliava fiato. Raggiungendo l'amico:

-Che cos'ha nelle corna questa vecchia brenna per arrestarsi così asecco? - chiese Gianlino. - Finirà per farmi spezzare le gambe -.

L'altro stava per rispondere; ma dovette invece trattenere Battagliache all'appressarsi dell'altro trenodava segni di irrequietezza. L'animale aveva riconosciuto di lontanoal fiutoil suo compagnoTrombetta; il cavallino per cui s'era preso di grande affetto dalgiorno che l'aveva visto piovere dal cielo. La suasi sarebbe dettal'amorevole commiserazione d'un vecchio filosofodesideroso diconsolare un giovane amico infondendogli la sua pazienza erassegnazione. Trombettainfattinon riusciva ad acclimatarsi;trainava la berlina controvoglia; restava con la testa ciondoloniaccecato dal buiostruggendosi sempre nel rimpianto del sole. Perciòogni volta che lo incontravaBattaglia allungava a lui il musostarnutendo lo innaffiavaquasi che con quella specie di carezzavolesse fargli coraggio.

- Eccoli daccapo a sbaciucchiarsi! - rise Berto. E come Trombetta fupassato; - Va' làche è malizioso il vecchio! - spiegò a Gianlino. -Quando s'arresta come ha fatto poco fagli è che subodora unostacolo; un sasso o una buca. Bada alla salutelui; non vuol farsimale. Oggi poichi sa che diavolo ci trovalaggiùdov'è la boccad'aerazione. Spinge la porta e "alt": si pianta sulle quattro zampe. Mica hai notato qualcosatuin quel punto?

- Io nulla. Acqua a bizzeffe! Ne sono inzuppato sino al ginocchio.

Il trenino ripartì. E nel viaggio successivocom'ebbe d'una capataaperto la porta d'aerazionedi nuovo l'animale s'impuntò: nitrivatremava. Quando si decisefece tutto un tratto al galoppo. Gianlinoera rimasto indietro per chiudere la porta. Incuriositosi chinò ascrutare la pozzanghera in cui diguazzava; poialzato il caponotòche sotto il continuo gocciolare d'una sorgenteil rivestimento avevafatto pancia.

In quella lo raggiunse un minatore: certo Berloqueconosciuto colnomignolo di Chicot; il quale veniva di corsa dal cantiereavvertitoche la moglie era stata presa dalle doglie del parto. Lui pure sifermò a guardare ciò che il monello guardava. E già questi spiccava lacorsa per raggiungere il trenoquando tutto a un tratto ecco prodursiuno spaventoso scricchiolio: fulminea la frana inghiottì uomo eragazzo.

Seguì un profondo silenzio. Sollevata e cacciata innanzi dal ventosuscitato dalla franauna densa nube di polvere s'ingolfò per icunicoli. Accecatisoffocati da essai minatori scesero da ognipartedai più lontani cantieritra un danzare di lampade cherischiaravano a malapena quell'accorrere di diavoli neri per quelletane di talpe.

Come i primi arrivati inciamparono nell'ostacolosi volsero a dar lavoce agli altri. Quelli che provenivano dall'opposto cantiere sitrovarono la strada sbarrata dal cedimento che ostruiva la galleria. Fu facile constatare che il tetto era crollato per una dozzina circadi metri. Il guasto in sé non aveva nulla di grave; ma ogni cuoreprovò una fitta quando di sotto il cumulo di materiale franato s'udìuscire un rantolo.

Arrestato il trenoBerto era tornato sul posto gridando:

-C'è sottoGianlino! c'è rimasto sotto Gianlino!

In quello stesso istante Maheu sbucava trafelato dal pozzetto incompagnia di Zaccaria e di Stefano. Strozzato dall'angoscianon potésfogarla che in imprecazioni:

-Sacradìo! sacradìo! sacradìo!

Arrivate anch'esse di corsain mezzo a tutto quel trambusto che ilbuio accrescevaCaterinaLidia e la Mouquette si abbandonarono ascene di disperazione. Invano si cercò di farle tacere; a ognirantolocome impazziteripigliavano a strillare.

Richommeaccorso fra i primie desolato che né Négrel né Danseart sitrovassero nella minieraincollò l'orecchio al cumulo di macerie. Nofinì per diredopo essere rimasto alquanto in ascolto; non era ilrantolo d'un ragazzo quello che arrivava. Certo c'era anche un uomolì sotto.

Già a più ripreseil padre aveva chiamato Gianlino per nome; nessunarisposta: il ragazzo doveva esserci rimasto sul colpo. E il rantoloseguitavauguale. Alle domande:

-Chi sei? Di' il tuo nome! - soloquel rantolo rispondeva.

- Sottosotto! spicciamoci! - incitava Richomme che già avevadisposto il salvataggio. - Non è ora di commenti!

D'ambo i lati gli uomini attaccarono la frana con zappe e badili. TraMaheu e StefanoChaval lavorava in silenzio; mentre Zaccaria dirigevalo sgombro dello sterrato. L'ora dell'uscita era giunta; ma per quantoaffamatia nessuno veniva in mente di abbandonare i compagni inpericolo. Mapoiché dell'insolito ritardo le famiglies'inquieterebberocercarono di mandare le ragazze ad avvertire; ma néCaterina né Mouquette e neppure Lidia vollero muoversi: davano unamano anche loro; e poisenza saperenon se la sentivano diallontanarsi.

Andò Levaque; dicesse solo che c'era stata una franaun sempliceguasto che stavano riparando.

Alle quattronon si fosse verificato il cedimento di qualche altromassola frana si sarebbe potuta dire ridotta di metà: in menod'un'ora s'era fatto il lavoro d'una giornata. Maheu in specie ci davadentro con tale accanimento che se uno si accostava per dargli ilcambiosi vedeva respinto come un intruso.

Finché:

-Attenti adesso! Già quasi ci siamo! - raccomandò Richomme. -Adagio! che non corriamo noi il rischio di finirli!

Infatti il rantolo diventava sempre più distinto. Era esso a guidareil lavoro di scavo. Ora poi si sarebbe detto che sfiorasse i badili.

Quandoall'improvvisocessò. Ammutoliti tutti si guardarono;rabbrividendocome avessero sentito passare nel buio la gelida aladella morte. Grondanti sudorei muscoli tesi a spezzarsicautamenteprocedevano nello scavo. Incontrarono un piede. Alloralasciati ibadilipresero a rimuovere la terra con le mania liberare ilsepolto membro per membro. La testa era intatta; le lampade larischiararonoe corse su tutte le bocche il nome di Chicot. Atoccarlosi sarebbe detto ancora in vita; la caduta di un macigno gliaveva spezzato la spina dorsale.

Richomme:

-Avviluppatelo in una coperta e caricatelo su una berlina. Il piccoloora! Sotto!

Toccò a Maheu il colpo di zappa che aprì nella frana il primo varco;gli uomini che lavoravano di là gridarono di aver trovato Gianlinosvenuto: il ragazzo aveva ambedue le gambe spezzatema respirava. Fuil padre a toglierselo sulle braccia; a portarlo imprecando a dentistretti - che era il suo modo di dare sfogo al dolore; mentrestraziante si levava intorno il lamento delle donne.

Il piccolo convoglio funebre fu allestito in un momento; Battagliatrainava le sue berline; nella primail corpo di Chicottra lebraccia di Stefano; nella secondaMaheu che seduto sul fondositeneva sulle ginocchia Gianlino coperto da un cencio strappato a unaporta di aerazione. Si partì al passo. Su ciascuna berlina metteva lasua stella rossa una lampada da minatori. Dietro venivano i minatori:una cinquantina d'ombre in fila. Solo adesso gli uomini avvertivano lafatica durata; come schiacciati dal suo pesostrascicavano i piedibarcollavano sulla fanghiglia; tetro corteo a luttosimile a unamandria colpita da epidemia.

Quasi mezz'ora s'impiegò ad arrivare al piano di carico; in quel buiopestolungo quelle gallerie che si lanciavano dirittesvoltavanosibiforcavanoil sotterraneo corteo pareva non finir mai.

All'imboccatura del pozzoprevenuto da Richomme corso avantiPierronteneva pronta una gabbia; vi furono caricate le due berline. Sotto lagelida pioggia che scrosciava dall'altola gabbia impiegò due minutia risalire. Gli uomini che vi avevano trovato posto guardavano in supiù impazienti del solito di rivedere la luce. All'uscita già ilmedico attendeva (il manovale spedito a cercarloaveva avuto lafortuna di trovarlo in casa). Nella stanza dei capisquadradove tuttol'anno ardeva un gran fuocoerano stati approntati secchi d'acquacalda e stesi per terra due materassi; sui quali il morto e il feritovennero adagiati. Solo Stefano e Maheu furono ammessi; gli altris'accalcarono lì fuoricommentando a bassa voce l'accaduto.

Data un'occhiata a Chicot:

-Andato! - disse subito Vanderhaghen. -Potete lavarlo -. Il corpo fu spogliatolavato con una spugnadeterso del carbone che il sudore appiccicava ancora alla pelle.

Inginocchiato sull'altro materassoora Vanderhaghen esaminava ilferito. Liberò il capo dalla cuffia; sfilò con destrezza ilcamiciottoi calzonila camicia. E il misero corpicino apparve intutta la sua magrezza d'insetto; sudicio di carboneimbrattato difangochiazzato qua e là di sangue.

Niente né al capo né al torace... Ahecco qui: sono le gambe che nehanno toccato!

Per mettere le ferite a nudolo lavarono. Sotto la spugnail corpoapparì anche più scarno; la carne era così livida che ne trasparivanole ossa. Faceva pena vedere come era ridotto quell'esserinoquell'ultimo rampollo di tutta una discendenza di morti di famesemistritolato dal peso delle rocce. Una volta che il corpo fu pulitosi distinsero nettamente le contusioni alle cosce: due ecchimosipaonazze che spiccavano sul biancore della pelle.

RinvenendoGianlino emise un gemito. Piantato in piedi a piè delmaterassole braccia penzoloniMaheu lo guardava; la commozione losopraffecesi lasciò sfuggire un singulto. Alzando il capo:

-Ah seitu il padre? - fece il medico. - Non è il caso di disperarsivedibene che è vivo. Dammi una manopiuttosto...Si trattava di due fratture semplici; ma quella della gamba destradestava preoccupazione; quasi certo si sarebbe reso necessarioamputare.

Informati dell'accadutoarrivarono intanto Négrel e il capo-sorvegliantein compagnia di Richomme che aveva finito per pescarli. Evidentemente irritatol'ingegnere ascoltava il racconto che ilcaposquadra gli faceva. Non si tenne: sempre per via di quei maledettirivestimenti! Non l'aveva detto e ripetuto cento volteluichequalcuno finirebbe per lasciarci la pelle? Razza di animalicheseli si costringeva ad armare meno alla carlonauscivano a parlare disciopero! E fossero loroalmenoin caso di disgraziaa pagare icocci! ma era la Compagnia che adesso doveva far le spese. Bellaaccoglienza gli farebbe Hennebeauquando lo informerebbedell'accaduto!

Sfogatosi:

-Chi è? - chiese a Richommeche durante quella sfuriatanon aveva aperto boccagli occhi sul morto che stavano avvolgendo inun lenzuolo.

- E' Chicotun buon operaio... lascia tre bambinipoveraccio!

Vanderhaghen chiese che il ferito venisse senza indugio trasportato incasa dei genitori. Suonavano le seigià la sera calava; megliosgombrare di lì anche il morto; e Négrel ordinò che si attaccassero icavalli al carro funebre e si recasse una barella. In questa venneadagiato il feritomentre sul furgone si caricava il cadaverein unacol materasso. Il gruppo di operai che si pigiava fuoritrattenuto dacuriosità e da desiderio di notizieammutolì all'aprirsi dell'uscio.

Dietro il carro funebre e la barellaun nuovo corteo si formò cheattraversato il piazzalettoa lento passo attaccò l'erta che salivaal borgo operaio. Intorno la sconfinata pianura che i primi freddiavevano spogliato e che il calar della notte andava via vianascondendo alla vistacome dentro un sudario caduto dal lividocielo.

Stefano suggerì sottovoce a Maheu di mandare avanti Caterina apreparare la madre. Maheuche seguiva la barella con l'aria intontitadel toro che ha ricevuto la mazzataassentì col capo; e la ragazzaspiccò la corsa.

Ma già si arrivava; già nel borgo era stata segnalata la comparsa dellugubre carro. Come impazzitedonne uscivano sulla stradaabbandonandosi alla disperazione; altrevestite come si trovavanocorrevano incontro al corteo. Il loro numero crebbe in un batterd'occhio; le strozzava tutte la stessa angoscia. Ah c'era dunque unmorto? chi era? La notizia della franaportata da Levaquese eraservita lì per lì a rassicurarleora contribuiva ad allarmarle. Unafrana! chissà allora quanti c'erano rimasti! questa non era che unaprima vittima! chissà quante ne seguirebbero!

La Maheuche già covava in sé un brutto presentimentoalle primeparole balbettate dalla figlia:

-Ahtuo padre! - era balzata su agridare; esenza voler sentire altros'era precipitata fuori. Allavista del furgone che proprio in quel momento sbucava di dietro lachiesa si sbiancò in visovacillò.

Sulle portedonnemute di spaventoallungavano il collo; altre siaccodavano al corteochiedendosi trepidanti davanti a che soglia siarresterebbe.

Quandopassato che fu il funebre veicolola Maheu scorse il suo uomoche accompagnava la barella e vide la barella fermarsi davanti a casasua e nella barella Gianlino storpiato ma vivo pure luil'angoscia lesi convertì dentro in tanta stizzaementre intorno a lei AlziraLeonora ed Enrico si buttavano a piangerelei senza una lacrima:

-Ahnon è che questo! - balbettò infuriandosi:

-Anche i figli adessoci storpiano! Tutt'e due le gambemio Dio! che me ne faccio adesso?

Vanderhaghen le diede sulla voce: avrebbe dunque preferito che cifosse rimasto? Tacessealmeno! Ma le sue parole non fecero cheinasprirla di più; pur dando una mano a portare in casa il ferito eprocurando al medico ciò che gli occorrevaimprecava contro la sorte:ecco ora un invalido di più da mantenere che si aggiungevacome nonne avesse abbastanza di bocche inutili da sfamare! Dove lo troverebbeil danaro?

Ai suoi strilli che non accennavano a cessares'erano intanto uniti ilamenti strazianti che uscivano da una casa vicina; quelli dellamoglie e dei tre bambini di Chicot.

La notte era calata; dopo la spossante giornatagli uomini potevanoalfine sedersi davanti alla grama minestra. Un tetro silenzio eracaduto sul borgorotto solo da quegli ululati.

Tre settimane trascorsero. L'amputazione era stata evitatamaGianlino continuerebbe a zoppicare per il resto della vita. In seguitoad un'inchiestala Compagnia s'era indotta a venire in aiuto allafamiglia con un'elargizione di cinquanta franchi; impegnandosi inoltredi trovare al ragazzouna volta che si fosse ristabilitoun'occupazione che gli risparmiasse di ridiscendere nel pozzo. Delcolpocomunque la situazione dei Maheu si risentì parecchioancheperché un febbronecausato dalla scossa ricevutacostrinse il padrea restare per qualche giorno a letto.

Arrivò la domenica; solo da tre giorni Maheu aveva ripreso il lavoro. Quella seraa vegliaStefano portò il discorso sulla nuova tariffache col primo dicembre avrebbe dovuto entrare in vigore. Lamanterrebbela Compagniaquella minaccia? si mostrava preoccupato.

Stettero alzati più del solitoin attesa che Caterina rincasasse: laragazza erasi capiscecon Chaval. Ma Caterina non rincasò. Allediecila madre tirò il palettomuta d'ira. Quella notte Stefanostentò a prendere sonno: lo teneva sveglio quel letto lì vicino;vuotosi poteva diretanto poco posto Alzira vi teneva.

Neppure l'indomani Caterina si fece viva. Fu solo la seratornandodal lavoroche i Maheu appresero la decisione di Chaval di tenereormai l'amante con sé. Stanca delle continue scenate di gelosia cheChaval le faceva Caterina s'era indotta a mettersi definitivamente conlui. Per evitare le recriminazioni della famigliadi punto in biancoChaval aveva lasciato il lavoro al Voreux e s'era ingaggiato allaJean-Bartil pozzo di Deneulindove lei lo aveva seguìto. La coppiaabitava però sempre a Montsouda Piquette.

Maheusulle primeparlòsìdi andare a prendere a schiaffi Chavale di ricondurre a casa la figlia a calci in culo. Ma poi ci ripensò: ache pro? non era sempre così che andava a finire? Impossibile impedirea una ragazza di attaccarsi a un uomoil giorno che gliene vienel'uzzolo; meglio pazientarenell'attesa che lui la sposasse. Avvisoche la Maheu non condivideva:

-Forse che l'ho picchiataioquando èvenuto fuori questo Chaval? - gridava prendendo a testimone Stefanoche ascoltava pallido in silenzio. - Orsùditevoi che siete ungiovane ragionevole. L'abbiamo lasciata libera di fare quel chevolevanon è così? visto chemio Diofiniscono tutte percascarci... Io stessa che parloero incinta quando Maheu mi hasposato. Io però non me la sono filatasono rimasta coi miei. Maidaragazzaavrei fatto la porcheria di portare il mio guadagno a un uomoche non ne aveva bisogno... Ahè una cosa che mi rivoltavedete! Cisarebbe da perdere per sempre la voglia di mettere al mondo dei figli!

E siccome Stefano scuoteva solo il capos'ostinava a tacereleiaccalorandosi:

-Una ragazza che tutte le sere andava dove le pareva epiaceva! Che cosa ci ha dunque nel sangue? il pepe? Non potevaaspettare che fosse sua madre a maritarlauna volta che ci avesseaiutato a cavarci dai guai? Non ho forse ragione? Ma ecco com'è; noisiamo stati troppo buoni con leinon avremmo dovuto lasciare cheandasse con un uomo. Concedi un dito ed esse ti prendono la mano.

Alzira approvava col capo. Leonora ed Enricoimpauriti al veder lamadre così adiratapiangevanocercando di non farsi sentire; mentrela donna passava ora a elencare i suoi guai: primoZaccaria che s'erastati costretti ad accasare; poiil vecchioparalizzato lì su quellasedia dai reumatismi; poiGianlino con le gambe male rabberciatechenon sarebbe in grado di lasciare il letto che fra dieci giorni; einfine questa ultima tegolaquella poco di buono di Caterinache lipiantava per il ganzo! Tutta la famiglia si sfasciava. A tirare ilcarro non restava che il padre! Come vivere in sette personea noncontare Estellasui tre franchi di Maheu?

- Non ci cambi nullaa roderti! - osservò questicupo. - E non si èancora alla fineho paura!

Stefano che durante tutta la sfuriata della donna non aveva tolto gliocchi da terraa questa alzò il capo; e con lo sguardo come assortoin un lontano miraggio:- Ah l'ora è venuta! è venutal'ora!

 

PARTE QUARTA

 

 

Capitolo primo

 

Per quel lunedìgli Hennebeau avevano invitato a colazione i Grégoirecon la figliola. Nel pomeriggioPaolo Négrel avrebbe condotto !asignorina a visitare gli importanti lavori con cui si stavarimodernando il pozzo di Saint-Thomas; pretestisia la colazione chela gitaescogitati dalla Hennebeau per affrettare le nozze tra ilnipote e Cecilia. Ed ecco che proprio quel lunedìscoppiava losciopero: come un fulmine a ciel sereno.

Il primo dicembreallorché la Compagnia aveva annunciato la prossimaentrata in vigore del nuovo salarioi minatori erano rimasti calmi; ecosìil giorno in cui s'era fatta la paga della prima quindicinanessuno di loro aveva sollevato la minima obiezione. Per cui tuttidal direttore all'ultimo sorvegliantecredevano la nuova tariffaaccettata; tanto maggiore perciò la sorpresa per l'improvvisa levatadi scudi. Lo sciopero era stato preparato con tanta segretezza eriusciva così unanime da far sospettare in chi l'aveva direttoun'energia non comune.

Il direttore ne ebbe la prima notizia da Danseartvenuto a svegliarloalle cinque per avvertirlo cheal Voreuxnon un uomo era sceso; eche la borgata dormiva profondamentea porte e finestre chiuse. Mapeggiori notizie lo aspettavano. Balzato da letto e messosi al lavoroancora pieno di sonnoHennebeau vedeva abbattersi sullo scrittoiocome una gragnuoladispacci su dispacci; mentre ogni quarto d'ora unnuovo latore di cattive notizie chiedeva di essere ricevuto. Inprincipio egli sperò che la rivolta si limitasse al Voreux; ma dovettepresto disilludersi. A Miroua Crèvecoeuralla Madeleine non s'eranopresentati che gli addetti ai cavalli; alla Victoire e a Feutry-Canteli due pozzi più disciplinatisolo due terzi delle maestranzeavevano preso servizio; unicoSaint-Thomas si teneva sinora fuori delmovimento.

Sino alle noveil direttore non fece che battere telegrammi: alprefetto di Lillaalle autorità civili e militariagliamministratori della Compagniaper avvertire e chiedere istruzioni. Infineper avere precisi ragguaglimandò Négrel a fare un giro diispezione nelle miniere vicine.

Solo a questo puntosi sovvenne dell'invito a colazione; e già stavaper mandare il cocchiere dai Grégoire per disdirloquandoun'esitazione lo arrestò. L'uomo che con tanta risolutezza aveva nelgiro di poche ore predisposto ogni cosa per affrontare la situazioneadesso mancava d'iniziativa davanti a una decisione di nessun conto. Salì dalla moglie e la trovò in accappatoio. Senza scomporsi:

-Ahsisono messi in sciopero- fece la donnaquando lui l'ebbe richiestadel suo avviso. - Ebbeneche ci fa? Non lasceremo mica di farcolazione per questoè vero? - Lui ebbe bel dire che la giornata nonsi annunziava adatta per un invito a pranzoe che la visita a Saint-Thomas non si sarebbe potuta fare; lei trovava risposta a tutto:perché mandare a monte un desinare già avviato? Quanto alla gitasivedrebbe al momento: se davvero presentava qualche rischioci sirinunzierebbe.

- Del resto- aggiunse quando la cameriera che la pettinava se ne fuandata- sai perché mi sta a cuore avere qui quella brava gente... Questo matrimonio dovrebbe importarti di più che non le bizze dei tuoioperai... Insommami piace così: non mi contrariare.

Lui la guardò e un leggero tremito tradìsu quel viso duro e chiusodi uomo d'ordineil morso d'un segreto dolore. L'accappatoio lasciavascoperte le spalle e il seno della donna: delle spalle e un seno diPomona indorata dall'autunno; d'una bellezza sontuosa eper quantomaturadesiderabile ancora. Un attimo lui dovette provare prepotenteil desiderio di prenderladi morderla come un fruttonel tepore enell'irritante profumo di muschio di quella stanza dove tuttorespirava lusso e sensualità. Ma si contenne: da dieci anni dormivanoseparati.

- Sta bene- disse andandosene. - Lasciamo tutto com'è.

Hennebeau era nato nelle Ardenne. I suoi inizi erano stati difficili. Trovatosiragazzo ancoraorfano e senza mezziaveva seguìto conogni sorta di sacrifici il corso di ingegnere minerario a Parigi.

Laureatosi a ventiquattr'anni e partito per la Grand'Combeavevafatto la prima pratica nella miniera di Santa Barbara. Tre anni dopoi pozzi di Marlesnel Pas-de-Calaislo avevano visto ingegneredivisionale; ed era stato qui ch'egli s'era ammogliatosposando -colpo di fortuna di regola nella sua carriera - la figlia d'un riccofilandiere di Arras. Quindici anni la coppia aveva abitato la piccolacittà di provincia. La monotonia di quella vitanon allietata neppuredalla nascita d'un figliocongiurò a distaccare sempre più i dueconiugi. La donnaallevata nell'adorazione del danarocominciò adisdegnare quel marito che guadagnava con tanto stento così poco danon consentire alla sua vanità alcuna di quelle soddisfazioni che daeducanda aveva vagheggiato.

Luidi un'onestà intransigentenon speculavarigido come un soldatonell'adempimento del suo dovere. Ad aggravare il disaccordo tra i dues'era aggiunto sin dal principio uno di quei curiosi malintesi dellacarne che gelano i temperamenti più ardenti; lui adorava la moglie;lei era d'una sensualità ingorda di bionda; e già dormivano divisiadisagio ambedueirrimediabilmente urtati sin dal primo approccio. Eall'insaputa di luigià la moglie aveva un amantequandoneldesiderio di venire incontro alle aspirazioni di leiHennebeau lasciòi pozzi di Marles per accettare a Parigi un posto negli uffici. Ed erainvece Parigi che doveva rendere definitiva la loro disunione; quellaParigi dove leisin dal tempo della prima bambolaaveva sognato divivere; e dovediventata di colpo elegantespogliatasi nel girod'una settimana d'ogni provincialismola donna si lanciò nel vorticedi tutte le dispendiose follie del tempo. I suoi dieci anni disoggiorno parigino furono riempiti da una grande passione: scandalosolegame con un uomo; il cui abbandono poco mancò la uccidesse. Questavolta lui non poté ignorare; avvennero fra i due coniugi scenatetremende; madisarmato davanti alla placida incoscienza con cuiquella donna prendeva il suo bene dove lo trovavaegli si rassegnò.

Fu dopo la rottura tra i dueallorché la vide ammalarsi di doloreche Hennebeau aveva accettato il posto di direttore nelle miniere diMontsounella estrema speranza cheportata a vivere in quel desertola donna finisse per correggersi.

Il trasferimento a Montsou significò per la coppia un ritorno allanoia e all'irritazione dei primi tempi del matrimonio. Leisulleprimeparve trarre sollievo da quella grande paceattingere calmadalla monotonia di quella piatta pianura sconfinata. Prese anzi learie della donna finita il cui cuore è morto per sempre e che ormai sisente così distaccata dal mondo che non si cruccia neanche più diingrassare. Ma sotto quella cenere covava un'ultima fiamma che nontardò a manifestarsi: un bisogno di vivere ancora che la donna ingannòdandosi durante sei mesi febbrilmente da fare per sistemare e arredarea suo modo la casa. Dichiarando chenello stato in cui si trovavaera impossibile vivercila riempì di tappezzeriedi ninnolidioggetti d'artecon un gusto ed un lusso che della casa degliHennebeau si parlò anche a Lilla. Ma appena quell'occupazione cessò diassorbirlatutto a Montsou le divenne odiosoil paese intorno laesasperò: quelle mortificanti distese di campiquelle strade nere chenon finivano maiquella terra senza alberibrulicante d'unapopolazione che la schifava e spaventava al tempo stesso. I lamentidell'esiliata cominciarono. Accusò il marito di averla sacrificata auno stipendio di quarantamila franchiuna miseria che bastava appenaa mandare avanti la casa. Non avrebbe potuto anche lui come i suoicolleghidarsi dattorno? esigere una cointeressenzaottenere delleazioniarrotondare insomma in qualche modo i suoi proventi? E suquesto tasto insisteva con la crudeltà della moglie che ha portato indote un patrimonio. Lui intantosenza mai darlo a vederenascondendolo anzi dietro l'impassibilità dell'uomo d'affarisitorturava nel desiderio di quella creatura: passione tardiva d'unaviolenza che s'acuiva con l'aggravarsi dell'età. Quella donnalui nonl'aveva mai goduta da amante; e la smania di averla anche lui unavolta nel modo che l'avevano avuta gli altrilo ossessionava. Ognimattino si proponeva di conquistarla; ma davanti alla scostantefreddezza con cui quella lo guardavaalla precisa sensazione chetutto in lei si rifiutavafiniva per evitare di sfiorarle sia pureuna mano. Erala suauna sofferenza senza possibilità di guarigionech'egli gelosamente celava sotto un contegno gelido; lo strazio d'uncuore bisognoso di affetto che si struggeva in segreto di non avertrovatonella compagna che s'era sceltola felicità che si eraripromesso.

Quando più nulla la distrassela Hennebeau cadde in una crisi ditedio; s'atteggiò a vittima d'un esilio che ormai si auguravaapertamente la conducesse alla tomba. Fu allora che arrivò a MontsouPaolo Négrel. Sua madre cherimasta vedova d'un militare di carrieraviveva ad Avignone d'una piccola renditas'era costretta alla piùrigida economia per mettere il figlio in grado di concorrere ad unacattedra nel Politecnico. Ma la riuscita del giovane agli esami erastata così modestache lo zio lo aveva persuaso a rinunziare alpostooffrendosi di assumerlo come ingegnere al Voreux. Accolto eospitato in casa di Hennebeau come un figlioPaolo si trovò sin dalprimo momento nella possibilità di mandare alla madre millecinquecentofranchila metà dello stipendio. Per indurlo ad accettare un cosìgeneroso trattamentolo zio gli aveva fatto presente l'imbarazzo incui alla sua età chiunque si sarebbe trovatose avesse dovuto mettersu casa per suo contoin una delle villette che la Compagniariservava agli ingegneri dei pozzi. Dal canto suola Hennebeau avevadal primo giorno trattato il giovane con l'amorevolezza della buonazia che dà del tu al nipote e che veglia a che in tutto e per tutto sitrovi bene. Nei primi mesi specialmentegli aveva testimoniato uninteressamento maternosino a soccorrerlo di consigli pur nelleminime cose. Ma anche in questo compitonon cessava di essere donna;e facilmente si lasciava andare con lui a confidenze di carattereintimo. Quel giovinotto così praticod'una intelligenzaspregiudicatache manifestava sull'amore tanto pessimismolainteressava; mentre la attirava l'arguzia del suo viso mefistofelico.

Manco a dirlofinì che una sera Paolo si trovò fra le braccia dellazia; lei ebbe l'aria di darsi per buoncuore: amare non poteva più; perlui intendeva unicamente essere un'amica. Infattinon fu gelosia; siburlava di lui che trovava le operaie del pozzo al riparo di ognitentazione e quasi gli teneva il broncio per il fatto che non avessemai qualche avventura piccante da raccontarle. Poil'idea di darglimoglie la appassionò; le sembrava bello sacrificarsimetterlo leistessa nelle braccia di una ragazza ricca. Nonostante questo progettoi loro rapporti seguitarono; Paolo era il suo passatempoil suobalocco; su lui riversava le sue ultime tenerezze di donna annoiata eprossima al tramonto. Il sospetto della tresca non sfiorò Hennebeauche due anni dopo: una notte che avvertì presso l'uscio un fruscio dipiedi scalzi. Ma l'idea che tra quel ragazzo e quella donna che potevaessergli madre ci fosse qualcosache i due ardissero consumarel'adulterio proprio in casa sua sotto i suoi occhigli apparì cosìenorme che la scacciò senz'altro. Il fatto poi che l'indomani lamoglie gli confidava esultante la sua scelta d'una sposa per ilnipotedel mostruoso sospetto lo fece addirittura arrossire; e perPaolo non nutrì più che riconoscenzase grazie a lui la casa eradiventata meno tetra.

Scendendo dalla camera della moglietrovò giusto il giovinotto cherientrava dal suo giro di ispezione.

- Ebbene? Niente di gravea giudicare dal tuo viso!

- Ho fatto il giro dei borghi. Gli operai si mantengono tutti calmi. Credo solo che ti invieranno una loro rappresentanza.

Hennebeau avrebbe voluto chiedere maggiori ragguagli; ma dall'altogiunse la voce della moglie:- Sei tuPaolo? Vieni dunque a darmi notizie. Buffiquesti vostrioperai che vorrebbero anche fare i cattivimentre stanno meglio dinoi!

Privato così del suo informatoreHennebeau tornò al suo tavolo dilavorodove nel frattempo s'erano accumulati altri telegrammi.

Alle undici arrivarono i Grégoire; i quali restarono stupiti divedersi aprire immediatamente e della premura con cui Ippolitogettata un'occhiata in cima e in fondo alla stradali sollecitò aentrare. In salottole tende erano calate; furono fatti passaredirettamente nello studiodove Hennebeau si scusò di riceverli; ma ilsalotto era in vista dalla strada: indugiarvisi sarebbe stata unaprovocazione ch'era meglio evitare. E siccome quelli non capivano:

- Come? non sapete nullaallora? - Ma neanche quando apprese delloscioperoGrégoire uscì dalla sua flemma. Bah! non succederebbe nulla! erano tutti dei così bravi ragazzi! Agitando il mentola moglieapprovavaradicata anche lei nella fiducia in cui la confermava lasecolare rassegnazione dei minatori; mentre Ceciliaallegrissima quelgiornoe incantevole di salute nel suo vestito color albicoccasorrideva alla parola scioperoche alla sua spensieratezza evocavasolo passeggiate di beneficenza in giro per i borghi operai.

In quella compariva la padrona di casachiusa in un abito di setanera e scortata da Négrel. Già di sulla soglia:- Che ne dite di questa seccatura? Non poteva scegliere un altrogiornoquella gente? Paolosapeteè d'avviso che per oggi convengarinunciare a Saint-Thomas!

- Oh poco male! - s'affrettò a dire Grégoire. - Resteremo qui e saràtanto di guadagnato!

Siccome Paolo s'era contentato di salutared'una occhiata imperiosala Hennebeau lo spinse verso Cecilia: che diamine! così s'accoglie lafidanzata? E quando udì i due colombi tubareli avvolse in unosguardo materno. E mentre il marito finiva di scorrere i dispacci erispondeva ai più urgentici tenne ad avvertire gli ospiti chedell'arredamento dello studio lei non era responsabile; se noilpesante mobilio di acagiù che lo ingombrava avrebbe da gran tempopreso la porta; come sarebbe sparita dalle pareti quella tappezzeriadi carta un tempo rossa e ormai stinta; né si sarebbero viste in giroquelle cartelle tutte gualcite dall'uso.

In queste chiacchiere trascorse quasi un'ora; e si stava per passarein sala da pranzoquando capitò Deneulin. Inchinatosi appena allapadrona di casa e salutati i GrégoireDeneulin si rivolse preoccupatoa Hennebeau:

-Sicché ci siamo! Me l'ha detto ora il mio ingegnere... Da mestamattinagli uomini sono discesi tutti... Ma lo sciopero puòestendersinon sono affatto tranquillo. Sentiamocom'è la situazioneda voi?

Aveva attaccato subito l'argomento che gli stava a cuore; il tonoconcitato e la nervosità dei gesti che tradivano una viva ansietàglidavano in quel momento l'aspetto d'un ufficiale di cavalleria incongedo. E il direttore cominciava a metterlo al correntequandoIppolito annunciò che la colazione era servita.

- Resta con noi- disse allora Hennebeau. - A tavola si discorremeglio.

Col capo altroveDeneulin accettò su due piedi; solo doporavvedendosisi scusò con la Hennebeaula quale già aveva fattomettere un nuovo piatto a tavola e che si mostrò lietissima di averloa colazione.

A destra e a sinistra di Hennebeau sedettero la Grégoire e Cecilia;Paolotra questa e Grégoire; quindi la padrona di casacon a fiancoDeneulin.

- Mi scuserete- disse la Hennebeaumentre si serviva l'antipastomi scuserete se non vi docome volevodelle ostriche... Al lunedì aMarchiennes c'è un arrivo di ostriche d'Ostenda; e la mia intenzioneera di mandare la cuoca con la vettura... Ma la donna ha avuto paurad'essere presa a sassate.

A sassate? Trovando una simile paura ridicolai convitati partironoin un coro di risacosì rumoroso che preoccupò Hennebeau. Lanciandoun'occhiata inquieta alla strada sulla quale s'aprivano le finestre:

- Ssst- raccomandò. - Non facciamoci troppo sentirestamane! Non èigienico.

- Ahcomunque vada- celiò Grégoire in risposta- d'un affettatocome questonon intendo far parte a nessuno!

Si rise ancorama più sommessamente. Nella sala ovattata di sontuosetappezzeriecon antiche cassapanche di quercia lungo le paretiiconvitati si mettevano a loro agio. Credenze a vetri luccicavano diargenteria; un lampadario di rame pendeva dal soffitto e nelle suebocce si specchiavano palme e ciuffi di aspidistra che sorgevano davasi di maiolica. Fuorila giornata di dicembreche una pungentebrezza gelava; mentre il tepore di serra che regnava nell'internopermetteva di avvertire nell'aria l'aroma dell'ananas che aspettavatagliato a fettein una coppa di cristallo.

Per impressionare i Grégoireil mefistofelico Négrel:

- Se sitirassero le tendine? - propose a un certo punto. E siccomecredendoa un ordinela domestica che aiutava Ippolito abbassò qualchetendinanella penombra della sala tutti per scherzo cominciarono adar segni di paura; posando la forchettaun bicchieresi badava anon far rumore; e si salutava ogni nuovo piatto come fosse sfuggito aun saccheggio. Gaiezza più ostentata che sentitadietro la quale sicelava una paura bell'e buonase tutti loro malgrado lanciavano ognitanto occhiate inquiete alla stradaquasi che davvero un'orda diaffamati fosse lì fuori in agguato.

Dopo l'imbrogliata d'uova con tartufivennero servite delle trote difiume. La conversazione era caduta sulla crisi che da un anno e mezzosi andava aggravando.

- Era inevitabile! - disse Deneulin. - Una prosperità come quella diquesti ultimi anni non poteva portare ad altro... Pensate agli immensicapitali che si sono immobilizzati in costruzioni di ferroviediportidi canali; a tutto il danaro andato in speculazioniavventate... Soltanto qui da noiguardate quanti zuccherifici si sonoimpiantati! tanti che sarebbero già troppi se la barbabietola dessetre raccolti all'anno! Quale meravigliaallorache il danaro liquidoscarseggi? finché non fruttano i milioni che si sono spesi!... Di quiquesto ingorgoquesto ristagno degli affari.

Hennebeau vedeva altrove le cause della crisi; ma ammise che le annategrasse avevano avvezzato male gli operai.

- Quando penso- esclamò- che nei nostri pozzi dei ragazziarrivavano a guadagnare persino sei franchi al giornoil doppio diquanto guadagnano oggi! Si capisce che vivessero comodi e pigliasserol'abitudine di spendere. Oggi naturalmente trovano duro ritornare allafrugalità d'un tempo!

- Viasignor Grégoire! - s'udì la voce della Hennebeau- prendaquest'altra piccola trotala prego... Sono squisiteè vero?

Il marito proseguì:

-Ma francamenteè nostra la colpa? Anche noi nesoffriamoe come!di questa crisi. Da quando una dopo l'altra leofficine chiudonoanche il minerale in giacenza è diventato unproblema esitarlo; e davanti a una richiesta che va sempre scemando citocca per forza ridurre il prezzo di costo. E' questo che gli operainon vogliono capire!

Seguì un silenzio. In tavola venivano servite pernici arrostomentrela domestica mesceva intorno del Chambertin.

Deneulincome parlando a se stesso:

-Prima la carestia in India. Poila cessata ordinazioneda parte dell'Americadi ferro e di ghisache ha portato un grave colpo ai nostri altiforni. Un disastro tiral'altro; e delle conseguenze tutto il mondo degli affari si risente. El'Impero che era così fiero del prosperare dell'industria! - Attaccòun'ala di pernice. Poialzando la voce:

-Il peggio si è che perabbassare il prezzo di costo occorrerebbe produrre di più; altrimentiil ribasso si ripercuote sui salari e l'operaio non ha torto di direche chi ci va di mezzo è lui! - La franca ammissione suscitò unbattibecco. Quei discorsi interessavano ben poco le signore; perfortuna l'appetito era ancora vivace e ciascuno s'occupava soprattuttodi ciò che aveva nel piatto.

Ippolito era ricomparso e mostrava di voler dire qualcosa.

- Che c'è? dispacci? Portali qui; aspetto delle risposte.

- Nosignore. C'è Danseart in anticamera; ma non vorrebbe disturbare.

Hennebeau si scusò di farlo introdurre. Trafelatoil corpulentosorvegliante del Voreux entrò tra la curiosità di tutti e si tenne aqualche passo dalla tavola. Gli operai seguitavano a mantenersi calmima avevano deciso di mandare al direttore una loro rappresentanza chesarebbe lì fra qualche minuto.

- Sta benegrazie. E voisoprattuttonon vi scordate di farmitenere due volte al giorno un rapporto dettagliato della situazione.

Partito Danseartsi riprese a celiare. Tutti si buttaronosull'insalata russa; a sentirlinon c'era un secondo da perdere se sivoleva finirla. Ma la tavolata si sganasciò addiritturaquando aNégrelche chiedeva del panela domestica rispose con un «sìsignore» così terrificato che non lo sarebbe stato di più se si fossesentita alle spalle una banda di forsennatipronti al massacro e allostupro.

- Puoi parlaresai- le osservò agra la Hennebeau. - Ancora non sonoqui.

In un fascio di corrispondenza recatagli alloraHennebeau trovò unalettera che volle leggere ad alta voce. Era di Pierron. Il caposquadraavvertiva rispettosamente il direttore di trovarsi costrettoperevitare vendettead aderire allo sciopero; anzia far parte dellarappresentanzasebbene personalmente deplorasse quel passo. A letturafinita:

-Ecco la libertà di lavoro! - commentò Hennebeausarcastico.

Richiesto del suo parere sulla durata dello sciopero:

-Ohnon è ilprimo che vediamo! Durerà come l'ultimo: una settimanadue a farlalunga. Le passeranno all'osteriasi capisce; ma appena proveranno ilmorso della fametorneranno ai pozzibuoni buoni.

Deneulin scosse il capo:

-Non la vedo così rosea... Questa volta misembrano meglio organizzati. Non hanno una cassa di previdenza?

- Sìma con un fondo di appena tremila franchi. Che vuoi che faccianocon tremila franchi? Io sospetto che li capeggi un certo StefanoLantier. E' un buon operaio; mi rincrescerebbe dovergli restituire illibrettocome sono stato costretto a fare con Rasseneur; che continuaad avvelenarmi il Voreux con le sue idee e la sua birra. Comunqueentro otto giorni la metà degli scioperanti ridiscende e tra duesettimane tutti i diecimila sono in fondo ai pozzi.

Di questo era certo. La sua sola preoccupazione era che la Compagniapotesse addossare a lui la colpa dello sciopero. Da qualche tempo eglisi sentiva meno nelle grazie dei superiori. Tanto che oradimenticodella porzione di insalata russa che si era servitoriprendeva inmano i telegrammi ricevuti da Parigiper penetrarne meglio ilsignificato; distrazione che gli ospiti scusavano: per Hennebeau ilpranzo non era ormai un rancio consumato sul campo di battagliainattesa delle prime schioppettate?

Allora le signore presero a discorrere fra loro. La Grégoire siimpietosiva sulla sorte di quei poveracci che assaggerebbero che cos'èla fame; e la figlia già si vedeva in giro a distribuire buoni per ilpane e la carne. Ma la Hennebeau fece alte meraviglie che si potesseparlare così: i carbonieri di Montsou nell'indigenza? nella miseriadella gente che la Compagnia forniva gratuitamente di casadiriscaldamento e di medico? Il suo disinteresse per quel gregge eratale che la conoscenza che aveva dei minatori si limitava allalezioncina appresa sul loro conto e con la quale edificava i pariginiche accompagnava a visitare i borghi operai; una lezioncina alla qualela donna aveva finito per credere e che quindi la indignavasull'ingratitudine di quella gente.

Négrel intanto insisteva nel suo tentativo di spaventare Grégoire. Cecilia non gli dispiaceva eper accontentare la ziaera disposto asposarla; ma innamorato non era; aveva troppa esperienza per perderecome dicevala testa. Repubblicano di tendenze quale si professavanon per questo si mostrava meno rigido ed esigente con gli operai; nétrovandosi in compagnia di signorerifuggiva dal parlarne con sottilesarcasmo.

Cogliendo il momento in cui Grégoireilluminato del suo bonariosorrisoappoggiava la moglierincarando anzi in sentimenti paterniverso i minatori:- Per parte mia- obiettò Négrel- iodevo direnon condividol'ottimismo di mio zio. Temo al contrario qualche grave disordine. Percui la consigliosignor Grégoiredi barricare la Piolaine. Idimostranti potrebbero metterle la villa a sacco.

- Saccheggiarmi! - trasecolò il vecchio. - E perché mai saccheggiarmi?

- Non è lei un azionista di Montsou? Non fa niente; vive sul lavorodegli altri; incarnain una parolal'odiato capitale. Ce n'è quantobasta. Stia certo che se la rivoluzione avesse a trionfarelaforzerebbero a restituire il suo patrimonio come danaro rubato.

A questail vecchio smarrì la sua calma di bambinola serenitàdell'incoscienza in cui viveva. Tartagliò:

-Danaro rubatoil mio?

come sarebbe a dire? Non se l'era forse guadagnatoe duramenteilcapitale iniziale il mio povero bisnonno? e non abbiamo forse corsotutti i rischi dell'impresa? O forse che oggi io faccio cattivo usodelle mie rendite?

Vedendo a quei discorsi i due Grégoire sbiancarsila Hennebeaus'affrettò a correre in aiuto dell'ospite:

-Non vedecaro signoreche Paolo celia?

Ma Grégoire era fuori di sé; al punto che dal piatto che il camerierepassavapresesenza sapere quel che facessetre gamberi in unavolta e cominciò a romperne i gusci coi denti.

- Ah non dico! vi sono certo degli azionisti che abusano. Ho saputoad esempiodi ministri imboccati con grosse somme in compenso diservizi resi alla Compagnia. Per non dire di quell'alto personaggiodi cui taccio il nomeun ducail più forte dei nostri azionistichemena una vita scandalosadilapidando milioni in donnein orgeinogni sorta di lussi. Ma noima noi che viviamo senza dar nell'occhioa nessunoda quei buoni diavoli che siamo; noi che non speculiamoche ci contentiamo di campare onestamente di quello che abbiamosenzascordarci della povera gente... Andiamovia! bisognerebbe proprio chei nostri operai fossero dei briganti matricolati per venire a rubare anoifoss'anche una spilla!

Esultante d'essere riuscito a spaventarloNégrel si adoperava ora arassicurarlo.

Mentre tutte le mascelle seguitavano a sgranocchiare gamberettiildiscorso cadde sulla politica. Grégoire che ancora non s'era rimessodall'emozionedichiarò chenonostante tuttolui restava liberaleerimpianse Luigi Filippo. Deneulin invece era per un governo forte; aparer suol'Impero stava scivolando sulla pericolosa china delleconcessioni.

- Ricordate l'Ottantanove? - disse. - Furono i nobili che con la lorocomplicitàcon la loro simpatia per le nuove ideeresero possibilela Rivoluzione. Ebbene che succede oggi? oggi è la borghesia che colsuo liberalismo spintola sua smania di novitàla sua indulgenzaverso il popolofa lo stesso gioco imbecille... Sìsì; voi affilatele zanne alla belva perché ci divori. E ci divoreràstatene certi!

Le signore lo costrinsero a cambiare discorso chiedendogli dellefiglie. Lucia era a Marchiennes a esercitarsi nel cantoospite diun'amica; Gianna stava facendo un ritratto per il quale posava unvecchio mendicante. MadicendoDeneulin appariva distratto; il suosguardo andava a Hennebeauassorto nella lettura dei telegrammi. Finché cedendo ancora una volta alla sua preoccupazione:

-Insomma-chiese a bruciapelo- voialtri che pensate di fare? - L'altro trasalìe se la cavò con una frase vaga:

-Vedrò. Mah! Vedremo un po'!

Deneulin come pensando ad alta voce:

-Certovoialtri avete le renisolidepotete aspettare. Io invecese lo sciopero si estende aVandamesono spacciato. Col mio unico pozzoper quanto in pienaefficienzaio posso cavarmi d'impiccio solo se lavoroininterrottamente. Ah non è una prospettiva allegrala miat'assicuro!

L'involontaria confessione diede a riflettere ad Hennebeau. Nel casoche lo sciopero si protraesseperché non utilizzarlo sino a lasciareche il vicino si rovinasseper incorporarvi quindi con poca spesa laconcessione? Era il mezzo più sicuro per lui di rientrare nelle graziedella Compagniache quel pozzo lo agognava da anni.

Chiese ridendo:

- Se la Jean-Bart ti dà tante preoccupazioni perchénon la cedi?

Già l'altro s'era morsa la lingua. - Oh questo mai e poi mai! -dichiarò con una violenza che fece sorridere tutti.

Si era arrivati al dolce: la torta di mele meringata fufesteggiatissima; l'ananasdichiarato del pari squisitooffrì lospunto a una discussione sulla ricotta con cui era stato preparato.

Uva e pere coronarono il pasto. Un vino del Reno chein sostituzionedello sciampagna giudicato volgaruccioIppolito andava mescendogenerosamentecompletò quel beato intorpidimento di fine pranzoincui le parlantine si sciolgono e i cuori si affratellano.

Certoil progetto di matrimonio tra Paolo e Cecilia fece inquell'occasione un buon passo avanti. Sollecitato dalle occhiate dellaziaNégrel si riconquistò con ogni sorta di amabilità e piacevolezzei due vecchi che aveva atterrito. Al sorprendere un'intesa così intimatra zia e nipoteHennebeau ancora una volta fu sfiorato dall'atrocesospetto; ma ancora una volta lo scacciò: sua moglie non stava appuntocombinando sotto i suoi occhi lo sposalizio di Paolo?

Si recava il caffèquandoallarmatissimairruppe la domestica:

-Signoresignoreeccoli qui! - Intendeva: i rappresentanti deglioperai. S'udirono usci sbattere; una ventata di panico parveattraversare la casa.

- Fateli passare in salotto- disse Hennebeau.

Tra i convitati era corsa un'occhiata di disagio. Vinta la primaimpressioneche li aveva ammutolitiritentarono di scherzare: unoabbozzò il gesto di vuotarsi la zuccheriera in tasca; un altro proposedi far sparire i piatti. Ma davanti al viso che s'era oscurato delpadrone di casa la posticcia gaiezza cadde; le voci si spensero inbisbiglimentre arrivava dalla stanza vicina il passo pesante deglioperaismorzato appena dallo spessore dei tappeti.

- Spero che berrai prima il tuo caffè- disse sottovoce al marito laHennebeau.

- Ma certo! Che aspettino! - Fingendosi unicamente occupato della suachiccheralui però tendeva innervosito l'orecchio.

Paolo aveva condotto Cecilia a mettere un occhio alla toppa. I duesoffocavano risateparlottavano col fiato.

- Li vede?

- Sì. Uno grossone vedo; e due piccoli dietro.

- Delle ghigneeh?

- Ma no. Perchépoverini? Anzi.

Bruscamente Hennebeau lasciò la sedia: il caffè scottava: lo berrebbedopo. E uscendo si pose un dito sulle labbra: fossero prudenti.

Tutti s'erano riseduti. E così restarono in silenziosenza osaremuoversil'orecchio teso verso il salotto; messi a disagio da quellevoci d'uomo che ne venivano

 

 

Capitolo secondo

 

Il giorno primain una riunione da RasseneurStefano con qualchealtro aveva scelto i delegati che l'indomani dovevano recarsi alladirezione.

Quando la sera la Maheu apprese che fra questi era il suo uomosidesolò:

-Vuoi che ci buttino sul lastrico? - Lui pure aveva accettatoa controvoglia. Ambedueal momento di passare ai fattierano ripresidalla rassegnazione di sempre: a un indomani incertoavrebbero ancorapreferito piegare la schiena. Di solito luinei dubbisi rimettevaal parere della moglie che era donna di buon consiglio. Questa voltaperò alla sua osservazione si risentì; tanto più che nel suo intimodivideva i timori di lei. - Ohinsommalasciami in pace! - borbottòbuttandosi a letto e volgendole le spalle. - Faccio il mio dovere. Sarei un bel vigliacco a piantare i compagni.

La donna si coricò a sua volta. Né l'uno né l'altro parlava. In capo aun lungo silenziolei:

-Hai ragionevacci. Soltantocaro il miouomolo capisci anche tusiamo spacciati.

A mezzogiorno in punto si misero a tavola: l'appuntamento era per iltoccoal Risparmio; di là si recherebbero direttamente da Hennebeau. Patate. Restava sì un pezzetto di burroma quello bisognava lasciarloper companatico la sera.

Stefano a bruciapelo a Maheu:

-Sai che contiamo su di te per fare lenostre ragioni -. Maheu restò senza fiato.

- Ah questo no! è troppo! - protestò la moglie. - Che vengasta bene;ma che sia anche il capoquesto no. Oh bella! perché lui piuttostoche un altro?

Stefano allora accalorandosi spiegò i motivi della scelta. Maheu erail miglior operaio del pozzo: il più benvolutoil più stimatoquelloche tutti portavano ad esempio per la sua moderazione. In bocca sua lerichieste degli operai acquisterebbero un peso decisivo. In un primotempodisseaveva pensato di parlare lui: ma era lì da troppo pocotempo. Uno anziano sarebbe più ascoltato. Insommascegliendo Maheu icompagni affidavano al più degno la difesa dei loro interessi. Maheunon poteva esimersi; sarebbe stata una viltà.

Alla moglie non restò che arrendersi:

- Va'va'mio uomo:sacrificati. Io non ti dico di nodopotutto!

- Ma io non ce la farò a parlare. Dirò delle stupidaggini!

Felice d'averlo decisoStefanobattendogli la mano sulla spalla:

-Tu dirai quello che hai nel cuore e andrà benone.

Vi fu un silenzio. Ingozzandolile patate tenevano buoni anche iragazzi. A bocca pienaBonnemort ascoltavascuotendo il capo. Quandoebbe inghiottito:

-Oh quanto a diredi' quello che vuoi; intantosarà sempre come se non avessi aperto bocca. Ah se ne ho visto iodiqueste commissioni operaie! Quarant'anni fa alla direzione ci hannobuttato fuori; e nemmeno a calci: a sciabolate! Oggi vi riceverannoforse; ma quanto a rispondervirisponde questo muro? Minchia! hannoil danaroloro; se ne strafottono!

Ricadde il silenzio. Maheu e Stefano si alzaronolasciando lafamiglia mogia davanti ai piatti vuoti. Passarono a prendere Pierron eLevaque; e tutti e quattro si recarono al Risparmio dove i delegatidei borghi vicini stavano arrivando alla spicciolata. Quando daRasseneur ci furono tutti e ventisi accordarono un'ultima voltasulle richieste da fare alla Compagnia e partirono per Montsou. Unabrezza pungente spazzava la strada. Arrivarono che suonavano le due.

Bussato che ebberosi videro per prima cosa richiudere la porta infaccia: aspettassero. Quando tornòil domestico li introdusse insalotto e scostò le tende. Una luce discretafiltrata dalle tendinericamateriempì la stanza. Rimasti soligli operai non ardironosedersi; rasi e lavati di fresco; vestiti dell'abito buonorimaserolì in piedi a rigirare in mano i berrettia guardarsi intornoimpacciati.

Nel salottoarredato col gusto che l'amore per le anticaglie avevamesso di modafiguravano gli stili più diversi: poltrone Enricosecondoseggiole Luigi quindiciun panciuto stipo del Seicentoitalianoun "contador" spagnolo del Quattrocento; un davantid'altarea paravento del caminetto; fregi d'antiche pianete riportatisulle portiere. Quegli ori stintiquelle antiche sete cangiantitutto quel lusso di cappella li metteva in soggezionementreimpigliava i piedi il lungo vello degli spessi tappeti orientali. Mapiù di tutto li opprimeva il caldo che regnava nell'ambientequeltepore uniforme che ora il calorifero fiatava sulle loro facce ancoragelate dal freddo dell'esterno.

Erano lì da cinque minuti e nell'aria chiusa del sontuoso salotto illoro disagio crescevaquando finalmente il direttore entrò; chiusonel lungo abito a doppio petto militarmente abbottonatoche recavaall'occhiello il nastrino d'una onorificenza.

- Ah eccovi! - esclamò per primo. - Siete in rivoltadunquea quelche pare... - Poiinterrompendosiaggiunse cortese ma freddo:

-Accomodatevi... Non chiedo di meglio che discorrere.

I minatori si volsero intorno cercando dove sedersi. Qualcuno siazzardò a calarsi su una sedia; ma i piùintimiditi dai ricami edalle setepreferirono restare in piedi.

Seguì un silenzio. Hennebeau aveva spinto la poltrona davanti alcaminetto; e ora li contavasi sforzava di ricordarne i nomi dallafisonomia. Riconosciuto alla prima Pierron che si teneva dietro lespalle degli altrifermò lo sguardo su Stefano che gli sedeva difaccia.

- Sentiamoche avete da dirmi?

A prendere la parolas'attendeva fosse Stefano. Vedendo invece farsiavanti Maheunella sorpresa non poté trattenersi dall'esclamare:

-Come! voi! il bravo operaio che si è sempre dimostrato cosìragionevoleun anziano di Montsoud'una famiglia come la vostra chelavora nei nostri pozzi dal giorno che il primo è stato inaugurato! Ahquesta non me l'aspettavo! Mi addolora che proprio voi siate a capodei malcontenti!

Maheu lo lasciò dire a occhi bassi. Poi con voce sorda in principio edesitante:

-Signor direttoregli è appunto perché io sono un uomotranquillo che non ha mai dato motivo a lagnanzeche i compagni mihanno scelto. Questo deve provarle che non si tratta d'una rivolta discalmanatidi teste calde in cerca di disordini. Noi chiediamo sologiustizia; siamo stanchi di patire la fame e ci sembra giunta l'ora divenire a un accordo perché almeno non ci abbia a mancare il panequotidiano.

Via via la sua voce s'era rinfrancata. Alzò gli occhi a quelli deldirettore e proseguì:

-Ella sa bene che noi non possiamo accettare ilnuovo sistema di paga. Ci si incolpa di eseguire male i rivestimenti. E' vero; non impieghiamo in quel lavoro il tempo che esigerebbe. Mase facessimo altrimentila nostra giornata verrebbe ancora a ridursi;e visto che neanche qual è adesso arriva a procurarci lo strettonecessarioscemarla ancora vorrebbe dire la fineil colpo di grazia. Ci paghi meglio; einvece di accanirci ad abbattereche è l'unicolavoro che ci rendefaremo i rivestimenti megliovi impiegheremo iltempo che ci vuole. Non c'è altra uscita: perché sia fattoil lavorodev'essere pagato... Che cosa si è andati invece a escogitare? unacosavedeche non riesce a entrarci nella zucca. Loro ribassano ilprezzo della berlina; poi pretendono che quel che pagano per ilrivestimento ricompensi quel ribasso. Se anche fosse veronoi non citroveremmo per questo meno danneggiatiin quanto il rivestimentoporta sempre via maggior tempo. Ma quello che ci esasperaè che non èneppure vero: la Compagnia non compensa un bel niente: si mettesoltanto due centesimi a berlina in tascaecco tutto!

- Sìsì! E' così! - si udì intorno mormorarea un gesto d'impazienzacol quale Hennebeau cercava d'interrompere l'oratore.

Ma Maheu non lo lasciò parlare. Ormaivinta la prima timidezzaleparole gli venivano da sole; tanto chea momentisi ascoltava consorpresachiedendosi se era lui a parlare. Erano idee che covava incuore da tanto e che ora traboccavano fuori tutte in una volta. Parlòdell'indigenza in cui vivevano tuttidel duro lavorodell'esistenzada bruti che conducevano; delle mogli e dei bambini che a casachiedevano inutilmente pane. Citò la scarsezza delle ultime paghelequindicine irrisorie divorate dalle ritenute e dai giorni di forzatadisoccupazioneportate alle famiglie in lagrime. La Compagniaintendeva dunque farli crepare tutti?

- Per cuisignor direttore- concluse- ci siamo decisi a venirle adire checrepare per creparepreferiamo crepare a far niente. Ci siguadagneràalmenodi non faticare... Abbiamo abbandonato i pozzi; viridiscenderemo solo se la Compagnia accetta le nostre richieste... Essa vuole ridurre il prezzo della berlinapagare il rivestimento aparte. Noi vogliamo che le cose restino com'erano e in più chiediamoche ci venga riconosciuto un aumento di cinque centesimi per berlina. Ora sta a loro mostrare se sono per la giustizia e il lavoro.

Voci si alzarono qua e là ad approvare:

-E' così! ... Ha espresso ilnostro pensiero... Non si chiede che ciò che è giusto -. Altrisenzaparlareassentirono gravemente col capo.

Il lussuoso salotto coi suoi ori e i suoi pizzicon l'accozzaglia dimobili che li intimidivano per la loro stranezzaera sparito. Iminatori non si sentivano neppure più sotto i piedi i tappeti checalpestavano coi pesanti scarponi.

La stizza strappò a Hennebeau un gesto d'impazienza:- Datemi dunque modo di rispondervi- scattò. - Anzitutto è inesattoche con la nuova tariffa la Compagnia ci guadagni due centesimi aberlina. Vediamo le cifre.

Seguì una discussione confusa: ognuno diceva la sua. Nell'intento didividerliil direttore interpellò in proposito Pierronchebalbettando si schermì. Levaquespalleggiato dai più aggressiviingarbugliava le coseasseriva fatti che ignorava.

- Se parlate tutti insiemenon ci si capirà mai! - osservò Hennebeau.

L'uomo aveva ricuperato la calmala fredda cortesia impersonaledell'amministratore che ha ricevuto una consegna e intende farlarispettare. Dal principio della sedutateneva Stefano sotto il fuocodel suo sguardoper provocarlo a uscire dal suo silenzio. A questoscopolasciata cadere la discussione sui due centesimiuscì a dire:- Noammettete dunque la verità: c'è fra di voi qualche testa guastache vi mette su. E' una specie di contagioormaiche si propaga comeun'epidemia tra gli operai e che corrompe i migliori... Oh non hobisogno che lo riconosciate: lo vedo coi miei occhiche vi hannocambiato da quelli che eravate. Non è forse vero che vi hanno promessopiù burro che pane? che vi hanno detto che il vostro turno è venutodi essere i padroni? Per finire con irreggimentarvi nella famigerataInternazionale; in quella associazione a delinquere che ha per mira ladistruzione della Società.

Stefano allora lo interruppe:

- Lei s'ingannasignor direttore:finoranon un minatore vi ha aderito. Mase vi si spingonotutti ipozzi si iscriveranno. Dipende dalla Compagnia.

Da questo momentofu come gli altri non esistessero più; la lotta siridusse a un duello tra lui e Hennebeau.

- La Compagnia è la Provvidenza per i suoi uominiavete torto aminacciarla. Quest'anno ha speso trecentomila franchi nellacostruzione di case operaieche non le fruttano che il due per centoe non parlo né delle pensioni che passa né del combustibile né deimedicinali che dà... Voi che avete l'aria intelligenteche in pochimesi siete diventato uno dei nostri più abili operainon farestemeglio a far conoscere queste veritàinvece di rovinarvifrequentando gente poco raccomandabile? Sìintendo parlare di quelRasseneurdel quale abbiamo dovuto liberarci per salvare i nostripozzi dalla lue socialista. Vi si vede continuamente nel suo locale;ed è senza dubbio Rasseneur che vi ha spinto a istituire quella cassadi previdenzacontro la quale nulla avremmo da eccepire serappresentasse solo una forma di risparmio; ma nella quale abbiamoinvece motivo di ravvisare un'arma contro di noiun fondo di riservaper pagare le spese d'una guerra. Ea questo propositodebboavvertirvi che su quella cassala Compagnia intende avere uncontrollo.

Stefano lo lasciava diregli occhi negli occhi; le labbra agitate daun piccolo tremito nervoso. Sorridendo all'ultima frase:

-Ecco dunqueuna nuova pretesadi cui ella non m'aveva sinora fatto cenno. Miduolema noi desideriamo proprio il contrario: che di noi laCompagnia si occupi meno; che invece di assumersi nei nostri riguardila parte della Provvidenzasi mostri con noi puramente esemplicemente giustadandoci quello che ci viene e cioè il guadagnoch'essa si spartisce. E' forse onesto chein ogni crisidell'industrialasci morire di fame i lavoratori per salvare idividendi degli azionisti? Dica quel che vuolela nuova tariffa è unribasso di salario mascherato; ed è ciò che ci indignaperché se laCompagnia si trova nella necessità di fare delle economiefa malequeste economiea realizzarle unicamente sull'operaio.

- Ah ci siamo finalmente! - esclamò Hennebeau. - L'aspettavoquestaaccusa di affamare il popolo e di vivere del suo stento! Come potetedire delle stupidaggini similivoi che dovreste sapere gli enormirischi che i capitalisti corrono nell'industria? Prendiamo appunto adesempio l'industria mineraria: un pozzo attrezzato di tutto puntoimporta una spesa da centocinquantamila a due milioni di franchi; e dauna simile somma immobilizzataquanto ce ne vuole prima di trarre unmeschino interesse! Quando va bene; visto che da noi la metà quasidelle società minerarie fallisce regolarmente... Le poche chefruttanod'altrondeè stupido accusarle di crudeltà... Quando i lorooperai stanno malevuol dire che anch'esse stanno male. Credete forsechenell'attuale crisila Compagnia ci rimetta meno di voi? Non èessa che fissa i salari; è la concorrenza che li fissa. Se così nonfossela Compagnia si rovinerebbe. Prendetevela con la situazionegeneralenon con lei. Ma voialtri non volete udirlenon voletecapirle queste palmari verità!

- Sìcomprendiamo benissimo che per noi non c'è possibilità di starmeglio fintanto che le cose andranno in questo modo; è questo anzi ilmotivo per cui i lavoratori finiranno un giorno per fare in modo chele cose vadano diversamente.

Questa frase così pacata nella forma e nel tonoStefano la pronunciòcon un accento così convinto e in cui vibrava una tale minacciacheun leggero brivido colse Hennebeau. Seguì un profondo silenzio.

Senza avere ben capitoi compagni sentivano che Stefano avevaaffermato il loro diritto a partecipare di quel benessere che licircondava; e di nuovo gettavano intorno sguardi ostili alle sontuosetappezzeriealle comode poltronea tutto quel lusso dove il piùinsignificante dei ninnoli sarebbe bastato a nutrirli per un mese.

Alfinesenza avere spianato la fronteil direttore si alzò percongedarli. Mentre tutti lo imitavanoStefano toccò nel gomito Maheuil quale con un impaccio nella voce che tradiva il suo scoraggiamento:- Allorasignor direttore- disse- questo è tutto ciò che cirisponde... Riferiremo ch'ella respinge le nostre richieste...- Iobrav'uomo? Ma io non respingo un bel niente! - si stupìHennebeau. - Io sono un salariato al pari di voi. In questa faccendaio non ho più voce in capitolo di quanto ne abbia l'ultimo dei vostrimanovali. Mi dànno degli ordini e il mio solo compito è di vegliare ache siano osservati. Io vi ho detto quello che ho creduto mio doveredirvi; ma mi guarderei bene dal decidere... Le richieste che m'avetesottoposto le comunicherò all'amministrazione; eappena la riceveròvi farò conoscere la risposta.

Adesso parlava col distacco dell'alto funzionario che dalla questionedi cui si occupa non è toccato; con la freddezza cortese del sempliceintermediario. Ed ora i minatori lo guardavano diffidentichiedendosiche interesse potesse avere a fingere così; quanto doveva intascareper mettersi così tra loro e i veri padroni. Un disonestocerto;altrimentiun uomo pagato come un operaio come avrebbe potutoconsentirsi quel lusso?

Stefano volle fare un ultimo tentativo:

- Vede dunquesignordirettorecome è brutto per noi non avere con chi perorarepersonalmente la nostra causa. Altrimenti potremmo spiegare moltecosetrovare delle ragioni che a lei per forza sfuggono... Hennebeau non se la prese; ebbe anzi un sorriso:

-Ah diavolola cosasi complicase non avete fiducia in me. Allora bisogna andiatelaggiù...Ealzando gli occhigli operai videro la sua mano accennarevagamente in direzione d'una finestra. "Laggiù"dove? A Parigicerto. Ma doveesattamente? Mah! Il gesto del direttore arretravaquel "laggiù" a una lontananza insuperabilenel paese sacro einaccessibile dove accosciato nel suo sacrario troneggiava il numesconosciuto.

Mai la vedrebbero essiquella divinità; la avvertivano solo come unaforza cheda lontanopesava sui diecimila minatori di Montsou. Edera quella forzainvisibile ma dalle decisioni inappellabiliche ildirettore aveva alle spalle quando parlava.

Sulla commissione operaia piombò lo scoraggiamento.

Anche Stefano si strinse nelle spalle come a dire che non restava cheandarsene; mentre Hennebeaubattendogli amichevolmente sul bracciochiedeva a Maheu notizie di Gianlino:- Mi rallegro di quel che mi dite; ma è stata egualmente una duralezione! E voi che mi venite a difendere i rivestimenti mal fatti! - E alzando la voce ed indirizzandosi a tutti:

-Pensateci beneamicimiei: vi renderete conto che uno sciopero sarebbe un disastro pertutti. Prima d'una settimanasarà la fame. Come farete? Io faccioassegnamento sulla vostra saggezza: lunedì al più tardi sono sicuroche ridiscenderete.

Tutti s'avviarono all'uscitacurviin uno scalpiccio di mandria;senza rispondere parola a quella speranza di sottomissione.

Toccò a Hennebeau ricapitolare: da una partela Compagnia con la suanuova tariffa; dall'altragli operai con la richiesta di cinquecentesimi in più per berlina. Ma non si facessero illusioni; eglisentiva il dovere di prevenirli che l'amministrazione respingerebbesicuramente le loro condizioni.

- Rifletteteci bene prima di commettere delle bestialità- ripetéinquieto davanti al loro silenzio.

In anticameraPierron colse un momento in cui nessuno lo osservavaper accennare un saluto; mentre Levaque ostentatamente si calcava ilberretto in capo. Maheu cercava una parola per congedarsi; ma Stefanolo toccò del gomito; questa voltaper farlo tacere. E tutti se neandarono in mezzo a un minaccioso silenzioche il tonfo della portachiusa con forzasuggellò.

Rientrando in sala da pranzoHennebeau trovò i commensali come liaveva lasciati: immobiliin silenzio; davanti al bicchierino diliquore che nessuno aveva toccato. In due parole mise al correnteDeneulin cheda pensieroso che erasi fece buio. Poimentre ilpadrone di casa sorbiva il suo caffè freddosi tentò di cambiarediscorso. Ma senza riuscirci: persino i Grégoire ricaddero subito aparlare dello sciopero: come maisi stupivano non c'erano delle leggiper impedire agli operai di abbandonare il lavoro? Paolo rassicuravaCecilia: con l'arrivo della gendarmeria ogni pericolo di disordiniscomparirebbe.

Finchéchiamato il domestico:- Ippolito- ordinò la Hennebeau- prima che noi si passi in salottospalanca le finestreche si cambi l'aria

 

 

Capitolo terzo

 

Quindici giorni passarono; e si arrivò all'inizio della terzasettimana. Per quel lunedì la direzione contava nella ripresa dellavoro; ma l'ostinazione della Compagnia aveva esasperato lemaestranze. Anziché un aumentoi fogli di presenza segnalarono unadiminuzione nel numero degli operai. Il VoreuxCrèvecoeurMirouMadeleine non erano più i soli a scioperare; alla Victoire e a Feutry-Canteli minatori discesi s'erano ridotti a un quarto; e persino aSaint-Thomas cominciavano le astensioni. Lo sciopero tendeva adiventare generale.

Sullo spiazzo del Voreux pesava il silenzio; quel tetro silenzioquell'abbandono e quel vuoto in cui piombano i grandi cantieri quandovi cessa il lavoro. Lassù sul binario della "decauville"tre oquattro berline rimaste a mezza stradasi profilavano sul grigioredel cielo dicembrino con la muta eloquenza delle cose inanimate. Sottotra i piedi dei giganteschi cavallettilo stock di carbonfossileche s'andava esaurendolasciava scoperti tratti sempre piùgrandi di nero suolo; mentre le cataste di legname marcivano sotto gliacquazzoni. Nel porticciolo d'imbarco una chiatta non finita dicaricare sonnecchiava sull'acqua sporca del canale; e sul terrapienodesertodove i solfuri decomponendosi seguitavano a fumare nonostantela pioggiaun carretto alzava al cielo le stanghe come bracciaimploranti. Ma più impressionante ancoraera il letargo in cui eranocaduti i fabbricati: il capannone della cernita aveva tutte le impostesbarrate; la ciminiera non emetteva più che a certe ore qualche radofumacchio; non un suono usciva dalla ricevitoriadi solito cosìfragorosa; nel locale delle caldaie si gelava. Solo sino alle nove gliascensori funzionavano; il tempo di calare nel pozzo gli stallieri colforaggio per le bestie e i capisquadra: i soli chetornati operailavoravano nella minierapiù che ad altro a riparare i guasti che perla cessata manutenzione si verificavano nei camminamenti. (Dalle novein suchi doveva scendere o risalire si valeva delle scale).

Sull'altura in facciail borgo dei Duecentoquaranta pareva anch'essomorto. La calma che vi regnava aveva rassicurato il prefetto accorsoda Lilla e persuaso a ritirarsi la gendarmeria che ne aveva battuto lestrade. Gli scioperanti mantenevano un contegno esemplare. Gli uominiper non andare a beredormivano la maggior parte del giorno; pertenere i nervi e la lingua a frenole donne si misuravano il caffè;persino i bambini parevano compresi del momento: nei giochi come nellerisse erano diventati meno rumorosi. Mantenersi a ogni costo calmiera la parola d'ordine cui nessuno veniva meno.

Dai Maheuera un continuo andirivieni. Lì Stefanonella sua qualitàdi segretarioaveva distribuito il fondo di previdenza fra lefamiglie più bisognose; distribuzione alla quale era seguita quella diqualche altro centinaio di franchi pervenuti da diverse partiricavidi sottoscrizioni e di collette. Ma con questo i mezzi di resistenzasi erano esauriti; gli operai non avevano più danaro per far fronte ela fame s'annunciava minacciosa. Maigrat aveva sì promesso sulle primedi far credito per una quindicina di giorni; ma in capo a otto giorniaveva tutto a un tratto mutato parere. A mutarlonel suo servilismoera stato probabilmente indotto dalla Compagnia che nell'affamare glioperai vedeva il mezzo più spiccio per troncare lo sciopero. Sempliceipotesi; perchéda quel capriccioso tiranno che era l'esercentepoteva anche aver obbedito ai suoi umori personalilui chenormalmente accordava o negava credito a seconda della ragazza più omeno piacente che gli entrava in bottega. Con la Maheu in specie simostrava inesorabileper ripicco di non essersi potuto godereCaterina. Alla mancanza di panesi aggiungeva poi il freddo; le donnevedevano ogni giorno scemare la provvista di carbonigliasenza lasperanza di poterla rinnovare finché gli uomini non riprendesserolavoro. Saltare i pasti non bastava; bisognava anche battere i denti.

Dai Maheututto già mancava. I Levaque seguitavano a campare suquattro scudi prestati da Bouteloup. Chi di danaro non difettavaerano i Pierron; maper non esporsi a richieste di prestitisiprovvedevano a credito da Maigratil qualealla Pierronavrebbedato a fido anche la bottega. Era da sabatoormaiche in parecchiecase s'andava a letto senza cena. Eppurela prospettiva di ciò che liattendevanon strappava un lamento a nessunotutti con tranquillocoraggio tenevano fede alla parola data. Per quanto male andassero lecoseli sosteneva tutti una incrollabile fiducia nell'avvenireunaspecie di fedel'accecamento del credente. Poiché era stato loropromesso l'avvento di un'èra di giustiziaper la conquista di quelbene comune erano pronti a tutto soffrire. La fame esaltava icervelli; mai una situazione senza scampo come la loro aveva dischiusoa occhi allucinati un più promettente orizzonte. Ed era proprio quandoper i digiuni la loro vista si intorbidavache più distintamenteavvistavano laggiù la città del loro sogno; e vicina ormaigià quasia portata di mano: una specie d'età dell'oro dove tutti lavoravano esi era tutti come fratelli. Nulla faceva vacillare la convinzione cheentro poco tempo il loro sogno s'avvererebbe. Il fondo di previdenzas'era liquefattola Compagnia non accennava a cedereogni giornoinevitabilmente la situazione si aggraverebbe; ed essi conservavanointatta la speranza e alla realtà non guardavano che con un sorriso disprezzo. La terra poteva aprirsi sotto i loro piediche un miracololi salverebbe. Questa fede suppliva alla mancanza di panebastava dasola a rifocillarli. Quando i Maheu - come gli altri - avevanodigerito troppo presto l'acquosa minestrauna specie di vertigine lisollevava al disopra di se stessi - che era per loro come l'estaticaattesa del paradiso per i martiri dati in preda alle fiere.

OrmaiStefano era senza contrasto il capo. Nelle veglieoracolava;più si istruivapiù il giovane si lasciava andare a trinciaresentenze non importa su che argomento. Le notti le passava a leggere;s'era messo in corrispondenza con altri esponenti del partito; s'erapersino abbonato al «Vendicatore»un foglio socialista belga; e quelgiornaleil primo che girava nella borgatagli aveva attirato daparte dei compagni una grande considerazione. La crescente popolaritàdi cui godeva lo inorgogliva ogni giorno più: tenere una vastacorrispondenzadiscutere con le personalità più in vista dellaprovincia la sorte dei lavoratorisentirsi soprattutto il centro d'unmondoquesto esaltava sempre più la vanità dell'antico meccanicodelminatore di ieri dalle mani sudice di carbone. Era salire d'un gradinonella scala sociale; e le soddisfazioni morali e materiali chedall'entrare così a far parte dell'odiata borghesia si ripromettevanon se le confessava neanche a se stesso. Un solo cruccio gli restava:la coscienza che aveva della propria ignoranza: coscienza che lorendeva timido e impacciato appena si trovava in presenza d'un uomoben vestito. Seguitava sì a studiaredivorando ogni libro che glicapitava; ma questa mancanza appunto d'un criterio nella scelta dellesue lettureimpediva una rapida assimilazionegli inzeppava la mented'una tale farragine che finiva per sapere cose che non aveva capito. Per cui venivano momenti di lucidità in cui si dubitava capace diassolvere il compito che s'era assuntoin cui la paura lo assaliva dinon essere l'uomo che i suoi fedeli si attendevano. Un avvocatouncompetente che sapesse parlare e al tempo stesso agirenon sarebbestato meglio di lui a quel posto? Ma un simile scrupolo lo scacciavasubitostizzosamente. Nono! niente avvocati! tutte canaglie chemettevano a profitto ciò che sapevano per impinguarsi alla pelle delpopolo! Andasse come voleva; ma i lavoratori dovevano sbrigare da séle loro faccende. Edi nuovosi vagheggiava a capo della folla:Montsou ai suoi piedi; Parigilaggiù in prospettivacome attraversouna nebbia. Chi sa? l'elezione a deputato un giorno; un seggio inparlamento dall'alto del qualeprimo operaio del mondoegli avrebbecon un discorso fulminato la borghesia...Da qualche giornodelle lettere di cui Pluchart lo bersagliavalotenevano esitante. L'antico meccanico si offriva di venire a Montsou apresiedere una riunione privata dove terrebbe un discorso perrinfocolare negli animi la resistenza. L'occasione gli apparivainoltre propizia per spingere i minatori di Montsourimasti sinoradiffidentiad aderire all'Internazionale.

Sebbene paventasse dei disordiniStefano personalmente avrebbeaccettato l'offertama Rasseneur aveva vivacemente disapprovatoquell'intervento. Nonostante la sua popolaritàil giovane doveva farei conti coll'oste che serviva la Causa da più tempo e che contava trai clienti dei seguaci convinti. Sicchénell'incertezzaall'offertadi Pluchart non aveva ancora risposto.

Ora proprio quel lunedì verso le quattrouna nuova lettera gli venivarecapitatamentre si trovava con la Maheu nella saletta apianterreno. La donna era sola: nella sua insofferenza per l'ozioilmarito era andato a pescare sotto la chiusase aveva la fortuna diprendere un bel pesce col suo ricavo avrebbe comprato del pane;Bonnemort e Gianlino erano usciti per collaudare le loro gambe; e idue bambini avevano accompagnato Alzira sul terrapienodove lagobbina passava le ore a frugare lo sterro per racimolare un po' dicarboniglia.

Seduta vicino alla poca braceche non si osava più alimentareladonnacon la mammella che traboccava dal corpetto sbottonatoallattava Estella.- Buone notizie? - chiesequando gli vide ripiegatala lettera. - Ce ne manderanno del danaro? - Al gesto con cui ladisingannava:

-Questa settimana non so proprio come ce la caveremo... Ma duro terremo; a qualunque costo. Quando si sa d'avere la ragionedalla propria partesi finisce sempre per essere i più fortinon èvero?

Ormaiseppure con qualche riservaanche lei stava per lo sciopero.

Certosarebbe stato meglio indurre la Compagnia a riconoscere i suoitortisenza venire a quell'estremo. Ma ormai era fatta e il lavoronon si doveva riprenderlo senza aver prima ottenuto giustizia. Suquesto punto era intransigentissima: piuttosto crepare cheridiscendendoriconoscere di fatto d'avere tortoquando si avevaragione.

- Ah scoppiasse un colera coi fiocchi! - uscì Stefano a imprecare-che sbarazzasse di tutti gli sfruttamiseria della Compagnia!

Ma lei gli diede sulla voce. Quello no; la morte non si dovevaaugurare a nessuno. - Che profitto ne avremmo? Tolti di mezzo questine spunterebbero degli altri. Io chiedo solo che quei signori siravvedano; e non dispero che avvengaperché delle brave persone ve nesono dappertutto. Le vostre ideelo sapeteio non le condivido perniente.

Infattila Maheu non mancava mai di disapprovare le intemperanze delgiovane; lo trovava troppo battagliero. Farsi pagare il proprio lavoroil prezzo che valevaquesto era più che giusto; ma perché andarsi aimpicciare del governodei ricchi e che so io? perché mettere il nasonelle faccende degli altriesponendosi immancabilmente ad avere lapeggio? Dissentire da luinon le impediva beninteso di conservarglila sua stima: il giovane non si ubriacavale versava regolarmente iquarantacinque soldi della pensione: quando uno si porta dagalantuomoil resto gli si può passare.

Stefano allora venne a fare l'elogio della Repubblica; chedicevaavrebbe dato del pane a tutti. Ma la Maheu scosse il capo: siricordava beneleidel Quarantotto: un'annatacciadalla quale lei eil suo uomo erano usciti nudi come vermi. Era stato nei primi tempidel loro matrimonio. E con voce querula prese a dire di tutto quelloche avevano soffertolo sguardo smarrito dietro i ricordi; mentreEstellasenza staccarlesi dal senole si addormentava in grembo. Assorto anche luiil giovane non riusciva a togliere gli occhi daquell'enorme ciocciada quella floscia valanga di carned'unabianchezza che contrastava col colorito itterico del povero visoavvizzito.

- Non un centesimonon un centesimo di pane da mettere sotto i denti;e tutti i pozzi che chiudevano. Insommalo sterminio della poveragentetal quale come oggi.

Diceva ancorache la porta si aprì. Ammutolirono di stupore:Caterina. Dacché era scappata con Chavalneanche nei dintorni laragazza s'era più fatta vedere. Anche a leiricomparire in casadoveva costarle perché ora dal turbamento si scordò di richiudere erestò lì davanti ai duezitta e tremante. S'aspettava di trovare lamadre sola; la presenza del giovanotto le mozzava in bocca le paroleche s'era preparate per via.

Senza alzarsi da sedere:

-Che ci vieni a fare qui? - la investì laMaheu. - Non ne voglio più sapere io di te! Riprendi la porta!

Sgomentata da quella accoglienzaCaterina a precipizio:- Madrenon è che un po' di zucchero e caffè... Per i bambini... Hofatto qualche ora in piùnel pensiero di loro...E così tartagliando cavava di tasca e metteva sul tavolo un involtino.

Alla Jean-Bartil pensiero dei suoi nella miserianon le dava pace;e ora metteva il pretesto dei bambini per evitare un rifiuto. Maquesta prova di buoncuore non disarmò la madre:- In luogo di portarci della roba di cui si può fare a menoavrestifatto meglio a restare con noi a guadagnare del pane!

E sfogandosi la caricò di rimproverile buttò in faccia tutto quelloche la gente da un mese diceva sul suo conto. Scappare con un uomomettersi a sedici anni con un uomoquando si ha la famiglia instrettezze! bisognava essere una senza cuorela più ingrata dellefiglie. Uno sbaglio tutti lo possono commetteresi può scusarlo; maun trattamento simile ricevuto da una figliauna madre non lo scordapiù. E ancora potesse dire che in casa la angariavano! Al contrariotroppo libera l'avevano sempre lasciataa contentarsi che rincasasseper la notte!

- Di' suche cos'è che hai nel sangue? a sedici anni!

Caterinaimmobile presso il tavoloascoltava a testa bassa. Untremito agitava il suo corpicino di ragazza ancora non fatta. A frasimozze tentò di difendersi. - Oh se fosse per me! per il gusto che cipiglio! ... E' lui! quando vuoledevo ben piegarmivisto che il piùforte è lui... Si sa mai come le cose vanno a finire? Comunque èfatta; è inutile tornarci su. Ormailui o un altroè lo stesso. Dovrà ben sposarmi...Si difendeva fiaccamentecon la rassegnazione al destino delleragazze che subiscono il maschio ancora acerbe. Non era la sorte ditutte? Ma lei s'era aspettata di meglio: uno che prima o poi l'avrebbepresa per forzaun bambino ne sarebbe nato; poiil responsabile lasposavala miseria in due in famiglia. E non arrossiva di dirlosetremava a quel modoera che le coceva d'essere trattata da sgualdrinadavanti a Stefano: una presenza che la metteva alla tortura.

Comprendendoloil giovane s'era alzato e fingeva d'attizzare le pochebraci che restavano. Ma ciò non impedì che i loro sguardis'incontrassero. Lui la trovò pallidaaffrantama carina sempre conquei suoi occhi chenel viso che le si era scuritosplendevano piùlimpidi che mai. Nel cuore del giovane ogni risentimento sfumò;avrebbe desiderato solo di saperla felice con l'uomo che gli avevapreferito. Provò il bisogno d'occuparsi ancora di lei; il desiderio diandare a Montsoudi ottenere dall'altro che la trattasse un po' piùumanamente. Ma nell'affetto che lo sguardo di lui le offriva ancoraCaterina non vide che della pietà e dello sprezzo. Il cuore le sistrinse; e le parole di scusa che avrebbe voluto balbettare le sistrozzarono in gola.

- Fai meglioa tacere! - riprese implacabile la madre. - Se è perrestare che sei venutabene; altrimentitoglimiti subito dai piedi. E ringrazia che Estella dorme; se no a quest'ora t'avrei allungato uncalcio nel sedere.

Quasi che tutto a un tratto la minaccia s'avverasseuna pedataraggiunse infatti la ragazza: un calcio così brutale che la lasciòstorditatra sorpresa e dolore. Era Chaval che l'aveva pedinata e laspiava da un po' di dietro la porta.

Stefano e la Maheu rimasero impietriti di stupore.

- Ah sudiciona! - l'altro intanto inveiva- lo sapevo bene chetornavi qui a farti accarezzare dal tuo ganzo! E sei tu che lo paghieh? Col mio denaro ehe lo mantieni a caffè! - E spingendolafuribonda verso l'uscita:

-Esci di qui dentroperdiosanto!

E siccomesfuggendoglilei si rincantucciaval'energumeno prese ainveire contro la madre:

-E tucomplimentiun bel mestiere lo faia stare sulla porta a farle da palomentre quella puttana di tuafiglia si dimena al piano di sopra!

E dicendoriacchiappata per un braccio la fanciullaa strapponi latrascinava via. Sulla soglia si volse; e di nuovo alla Maheu - cheinchiodata sulla sedia da Estella che dormivasi scordava dirientrare la mammella:

-E quando non c'è la figliaè la madrevedoche si fa tamponare! Mostraglielamostragliela la mercanzia! non sene schifaquel porco del tuo inquilino!

Stefanocheper non mettere la borgata a rumores'era già a stentotrattenuto da strappargli dalle mani la fanciullavinse anche adessouna voglia pazza di turargli la bocca con un manrovescio. Ma anche lasua sopportazione aveva un limite; e fremente dell'antico odiodellagelosia a lungo dissimulata e che ora esplodevaa questo punto sialzòe affrontando il prepotentea denti stretti:

-Vuoi mica che tifaccia la pelledi'?

- Provati!

E per qualche istante i due stettero a fissarsi con gli occhiiniettati di sanguecosì da presso che l'uno sentiva il fiatodell'altro bruciargli la pelle.

Fu Caterina a impedire che passassero ai fatti: supplichevole siintromisetirò via per un braccio l'amantese lo trasse dietro inistrada.

- Che bruto! - E Stefanorichiuse d'impeto la porta alle spalle deiduedovette sedersitanto tremava d'ira repressa.

La Maheuche non aveva battuto ciglioebbe un gesto dirassegnazionedesolato; cui seguì un penoso silenziopesante ditutto ciò che i due sentivano inutile dirsi. Suo malgradoil giovanericadeva a guardare quel senoquel traboccare di carned'unabianchezza che lo metteva a disagio. Certo l'aver tanto figliatol'aveva avvizzita e sfiancatala Maheu; ma solidamente costruitalarga d'anche e di pettocon quel suo volto massicciod'una bellezzanon del tutto cancellatac'era chi la trovava ancora piacenteadispetto dei suoi quarant'anni.

Tranquillamentesenz'ombra di soggezioneora lei raccoglieva a duemani e rientrava la poppa; il capezzolo s'ostinava a sporgere. Rintuzzato anche quellos'abbottonò; e nel vecchio giubbetto neroriprese di colpo il suo solito aspetto mortificato di buona massaia.

Solo adesso commentò l'accaduto:

-E' un maialeChaval. Soltanto a unlurido porco come lui possono venire in mente simili sudicerie! Ahmaa meche mi fa? Se non gli ho detto quel che gli spettavaè che nonne valeva la botta -. Poisenza distogliere gli occhi dal giovanecol tono disarmato dl chi si confessa:

-Anch'ionon dicoho i mieidifetti; ma quello lìno. Non ci sono che due uomini che mi hannotoccata; a quindici anniun manovale che lavorava con me; edopoluiMaheu. Se Maheu pure mi avesse piantatoeh certochi può direcome sarebbe andata? Ma neanche d'essermi portata bene con luimifaccio un vanto; perchéquando noi donne non sgarriamoè spesso checi sono mancate le occasioni. Dico solo quello che è; e conoscoqualche mia vicina che non potrebbe dire altrettantonon è vero?

- Oh questo è sacrosanto! - E Stefano si alzò.

Via luila donna depose su due sedie accostate il fagottino che laimpacciava e si decise a ravvivare il fuoco; se mai il suo uomo avevaavuto fortunaun po' di minestra quella sera si rimedierebbe.

FuoriStefano trovò già buio. Nella notte glacialeil giovanecamminava a testa bassa e si sentiva invadere da una grandemalinconia. Non era già per la scena brutale cui aveva poco primaassistito; anche la sua indignazione contro Chaval e la pietà perCaterina s'attenuavano ora davanti a un dolore più vasto: lacommiserazione per l'intera umanitàper l'atroce vita di stento dellapovera gente. Pensava alla borgata senza pane; alle donneai bambiniche quella sera non cenerebbero; a tutta quella folla che lottavanella fame contro l'ingiustizia. Enella tetraggine dell'oraildubbioche sinora solo a momenti l'aveva sfioratolo riassalivadandogli un malessere mai prima provato. Quale spaventosaresponsabilità s'era accollato. Ora che il danaro era finito e lebotteghe non facevano più creditodoveva spingerli ancora sullastrada sulla quale li aveva messicostringendoli ancora a resistere? E quale sarebbe il risultato se nessun soccorso più arrivavase lafame abbatteva gli animi? La visione del disastro gli apparivaimprovvisamente in tutta la sua gravità: bambini che morivanod'inediamadri in piantogli uomini costretti a ridiscendere neipozzi in condizioni di salute peggiorate. L'idea che a spuntarlapotesse essere la Compagnialo riempiva di sgomento; in tal casoegli avrebbe fatto solo la rovina dei compagni.

Inciampando nei sassiseguitava a camminare. Quando alzò gli occhisi vide in faccia il Voreux. L'incombere della notte appesantiva lamassa oscura dei fabbricatiche in mezzo al piazzaletto desertoprendeva l'aria d'un forte abbandono. Con l'arresto della macchinad'estrazionesulla miniera era calata la morte. A quell'oranon piùun segno di vita: non una vocenon il barlume d'una lampada. Neltotale annientamento del pozzoanche l'ansimare della pompad'eduzione non arrivava più che come un rantolo lontano.

Stefano guardava; e di nuovo il sangue gli affluiva al cuore. Glioperai pativano la famema anche i capitali della Compagnia siintaccavano. Perché sarebbe essa la più forte nella guerra che illavoro aveva impegnato col capitale? Ammesso anche che la Compagniavincessela vittoria le costerebbe cara. Si vedrebbe dopo chi ciaveva rimesso di più. Di nuovo il giovane si sentiva ripreso dalfurore della lottadal bisogno selvaggio di farla finita con lamiseriapure a costo della vita. Meglio morire tutto d'un colpo cheun poco giorno per giornovittime rassegnate dell'ingiustizia e dellafame.

Esempi di eroismoincontrati nelle sue abborracciate lettureglitornavano a mente: popoli cheper arrestare il nemicoavevano datoalle fiamme le loro città; padri cheper scamparli dalla schiavitùavevano spaccato ai figli il cranio sui lastrici delle vie; uominiche s'erano lasciati perire d'inedia piuttosto che assaggiare il panedei tiranni. Questi esempi della storia lo esaltavanolo liberavanodal pessimismo per infondergli la baldanza del ribelle; fugavano isuoi dubbilo facevano vergognare d'essersianche per un'oraabbandonato allo sconforto. E con quel ridestarsi della fededi nuovol'orgoglio gli gonfiava il cuore; l'ambizione cresceva in lui diessere il capodi vedersi obbedito sino al sacrificio della vita. Ilpotere anzi cui aveva sinora ambìtonon lo appagava più; sognava iltrionfo. Ma una volta arbitro della situazioneegli farebbe il grangesto: il gesto semplice e magnanimo di rinunziare al poteredirimetterlo nelle mani del popolo...Da questo sogno lo risvegliò la voce di Maheu: la fortuna lo avevaassistitoaveva preso una magnifica trota e dalla vendita ricavatotre franchi: in tavola quella sera ci sarebbe la minestra.

Dicendogli che lo avrebbe raggiuntoStefano lo lasciò proseguireverso casa ed entrò al Risparmio. C'era un solo cliente. Aspettò chese ne andasse; quindisecco secco informò Rasseneur che la serastessa avrebbe scritto a Pluchart di venire senz'altro. La suadecisione era presa: organizzerebbe una riunione privata. La vittoriaera certase i minatori di Montsou aderivano in massaall'Internazionale

 

 

Capitolo quarto

 

Fu la Désirla proprietaria del Buontemponea offrire il suo localeper la riunione - fissata per le due del giovedì. Inferocita per leingiustizie che si facevano ai suoi «ragazzi»i minatorida quandospecialmente vedeva il suo esercizio vuotonel suo risentimentocontro chiai suoi occhine aveva la colpala vedovella avevaaccolto con entusiasmo l'occasione di vendicarsi. Uno sciopero«asciutto» come questo non s'era visto a memoria d'uomo. Per evitareogni occasione di perdere la calmai bevitori più incalliti nonmettevano il naso fuori di casa. La via principale di Montsou che neigiorni di riposo formicolava per solito di gentes'allungava ora mutae tetra in un'aria di desolazione. Birra non se ne spillava piùlecunette erano asciutte. Stato di cose di cui si aveva sentore ancheprima d'entrare in cittàdai visi preoccupati che i proprietariaffacciavano sulla strada dalle soglie del Casimiro e del caffè delProgresso. In Montsoupoinon un cliente in tutta la filza di localiche s'aprivano sulla via di cittàa cominciare dal caffè Lenfantadarrivare - passando per il caffè Piquette e lo spaccio della TestaMozza - al caffè Tizzone. Solo il Sant'Eligiobazzicato daicapisquadraqualche birra la mesceva ancora. E persino al Vulcanoquelle figliole sbadigliavano da smascellarsi per mancanza dicorteggiatorisebbenein considerazione del momentoavesseroribassato a cinque la tariffa di dieci soldi. Per gli esercentiinsomma era un piantoun crepacuore generale.

Alla proposta di Stefano:

-Beninteso! - aveva esclamato la Désirsmanacciandosi le cosce. - E' tutta colpa dei gendarmise si è aquesto! Mi schiaffino in prigionese credono; ma il gusto difargliela in barbame lo voglio levare! - Per leitutti eranogendarmidal prefetto all'ultimo sorvegliante dei pozzi. «Gendarmi»era la parola spregiativa con cui bollava tutti i nemici della poveragente. Ma certo! perché glielo chiedeva? Tutta la sua casa era adisposizione dei minatori. Presterebbe gratuitamente la sala da ballo;s'incaricherebbe anzi leidi spedire gli inviti; se proprio locredeva necessario; perchéper suo conto lei ne avrebbe fatto a meno:uno spasso di più vedere le ghigne che farebbero quelli della legge!

L'indomani Stefano la portò a firmare una cinquantina di inviti cheaveva fatto ricopiare dai vicini più istruiti; e che venneroindirizzati ai venti della commissione operaia e a quegli altricompagni di cui si era sicuri. Come ordine del giornovi figurava ladiscussione sul proseguimento dello sciopero; in realtà Pluchartavrebbe tenuto un discorso per convincere le maestranze ad aderire inmassa all'Internazionale.

Ma Pluchart che aveva telegraficamente annunciato il suo arrivo per lasera del mercoledìera il mattino del giovedì e ancora non s'eravisto. Che succedeva? Stefano era sulle spine. Se anche si trattavasolo d'un ritardo quel ritardo gli impediva di prendere accordi conl'oratorecome avrebbe voluto fareprima della riunione. Inquietoalle nove si recò a Montsounella speranza che Pluchart fosse andatodirettamente làsenza passare prima dal Voreux.

- Nofinora il vostro amico non s'è visto- gli disse la Désir. - Maè tutto pronto; venite a vedere -. E lo precedette nella sala daballo. L'arredamento aveva subìto pochi cambiamenti: al soffitto c'erasempre la ghirlanda di fiori finti dalla quale pendevano i festoni esulle pareti gli scudetti di cartone dorato recanti i nomi di santi odi sante. Solo che al posto dell'orchestra figurava ora un tavolo contre seggiole e delle panche disposte traversalmente occupavano lospazio riservato ai ballerini.

- A meraviglia!

- E fate contoinutile dirlod'essere in casa vostra. Gridate finchévi pare... Se vorranno venirei gendarmidovranno prima passare sulmio corpo!

Nonostante le sue preoccupazionila frase lo fece sorridere. Vastacom'era la vedovellaa passarle sul corpoi gendarmi avrebbero messoil loro tempo. Più che una donnauna barricata. Un seno cheperabbracciarloun uomo non bastava. Tanto che le male lingue avevanobuon gioco quando asserivano chedei sei amanti di settimanaduemontavano di turno ogni seratanto era il daffare cui dovevanosobbarcarsi.

In quella entrarono Rasseneur e Souvarinementre la Désir siritirava. - Ohgià qui? come mai così per tempo? - esclamò Stefanosorpreso.

Souvarine che usciva dal suo turno di notte (i macchinisti non eranoin sciopero) venivadisseper curiosare. Rasseneur invece non rilevòl'osservazione. Nell'osteda due giorniil giovane notava un certoimpaccio; il solito sorriso bonario non illuminava più il suo tondofaccione.

- Pluchart ancora non s'è visto. Non capisco come sia.

Rasseneur distolse lo sguardo e tra i denti:

-Non mi stupisce: io nonlo aspetto più.

- Che intendi dire?

L'altro allora si decise; guardando Stefano in visoaffrontò laspiegazione.

- Sono stato io a scriverglise vuoi saperlo; pregandolo di nonvenire... Sìio sono d'avviso che le nostre faccende dobbiamosbrigarle fra noisenza intervento d'estranei.

Stefano gli ficcò gli occhi negli occhi:

-Hai fatto questo! hai fattoquesto! - ripeteva fuori di sétartagliando dalla collera.

- Sìio! eppure sai se ho stima di Pluchart! E' un uomo abilecoraggioso: una guida di cui ci si può fidare. Ma vediio non cicredo alle vostre ideeio! alla politicaal governoa tutte questestorienon ci credo. Quello che io desidero è che il minatore siatrattato meglio: ecco! Non per niente ho lavorato vent'anni nel pozzovi ho sudato di fatica e di stenti. Uscendonemi son giurato diarrivare a rendere almeno sopportabili le condizioni di vita deipoveri diavoli che nel pozzo penano ancora. Oralo sento benissimoquello che voialtri otterrete con le vostre storie sarà solo direndere la sorte dell'operaio anche più dura. Quando sarà costrettodalla fame a ridiscenderela Compagnia gli farà scontare la rivoltainfierendo su di luicome si fa rientrare a randellate nella cucciail cane che ne è scappato. Ed è questo che io voglio evitarecapisci?

Piantato sulle gambesporgeva il ventrealzava la voce. La suanatura d'uomo ragionevole e paziente si palesava in frasi chiaretraboccanti senza sforzo. Non era stupido credere che si potessecambiare il mondo in quattro e quattr'ottomettere gli operai alposto dei padronispartire la ricchezza come si fa a spicchi unamela? Ammesso che una cosa simile fosse realizzabileci vorrebberoper arrivarci migliaia d'anni. Per cui non lo seccassero coi miracoli! Il partito più saggiose non si voleva rompersi il muso contro unmuroera di non uscire dalla legalitàdi esigere le riformepossibilidi cogliere insomma ogni occasione per migliorare la sortedei lavoratori. Per questa viaegli era sicurose lo si lasciavafaredi ottenere dalla Compagnia condizioni migliori; mentreostinandosi nella strada in cui si erano messiaddio! sarebbe la finedi tutti!

Strozzato dall'indignazioneStefano lo aveva lasciato parlare.

- Mache haial posto del sanguenelle vene? - sbottò alla fine. E perresistere alla tentazione di prenderlo a schiaffisi mise apercorrere concitato la salaad aggirarsi tra le panchea sfogare sudi esse la rabbia.

- Chiudete la portaalmeno- consigliò Souvarine. - Non è necessarioche vi facciate sentire -. E andato a chiuderla lui stessotranquillamente prese posto su una sedia. S'era arrotolato unasigarettaecon un sorrisetto che gli assottigliava le labbraosservava ironico i due.

- Quando ti sarai arrabbiato- proseguì Rasseneur- mi dici che cosarimedi? Iosul principioho creduto che tu avessi buonsenso. Tivedevo raccomandare ai compagni la calmacostringerli a stare incasa; adoperare insomma la tua autorità per mantenerli nell'ordine. Eti ammiravo. Ma ecco che sei tu stessooraa buttarli allosbaraglio!

A ogni giro per la stanzaStefano tornava a luilo impugnava per lespallegli gridava in faccia:

-Ma sacradìoio voglio sì esserecalmo... Sìho tenuto i compagni a freno; anche adesso li sconsigliodi muoversi. Ma c'è un limite alla fine! Non bisogna neanche lasciarsiprendere per il bavero! Beato te che resti di ghiaccio. Ioa certeoresento la mia testa che se ne va.

Così dicendosi confessava. Ormai egli derideva le proprie illusionidi neofitala cieca fede con cui aveva creduto prossimo l'avventod'un regno di giustiziatra uomini diventati fratelli. Ah sìdavvero! incrocia le braccia e aspetta che quel regno si avverichecosì gli uomini seguiteranno sino alla fine del mondo a divorarsi traloro. Al contrario! se non si voleva che l'ingiustizia si perpetuasseche i ricchi seguitassero a succhiare il sangue dei poverieranecessario intervenire. Per cuiora arrossiva d'avere un tempo potutodire che dalla questione sociale bisognava bandire la politica. Eral'ignoranza che glielo aveva fatto dire; ora si era istruitole sueidee si erano maturatesi vantava di possedere un sistema. Maquandotentava di esporlovi riusciva male; le basi su cui lo imbastivaerano confuse; si risentivano delle teorie che il giovane via viaaveva abbracciato e ripudiato una dopo l'altra. Il concetto che vidominava ancoraera quello di Marx: il capitale è il risultato d'unaspoliazioneil lavoro ha il dovere e il diritto di riconquistarequella ricchezza rubata. Quanto al modo di raggiungere lo scopoin unprimo tempo Stefano s'era lasciato sedurre dalla utopia proudhonianadel mutuo credito: una grande banca di scambio che sopprimesse gliintermediari. Poilo avevano attratto le società cooperative diLasalle; dotate dallo Statodestinate a trasformare gradualmente laterra in un'unica città industriale; finché anche questa soluzionel'aveva rigettata davanti alla difficoltà d'un controllo. E di lì erapoco dopo approdato al collettivismoalla restituzione allacollettività di tutti gli strumenti di lavoro. Ma il nuovo sognorestava vago; come realizzarlo non vedeva; scrupoli sentimentali e diragionamento gli impedivano di arrischiare le affermazioni categorichedei fanatici. Si trattavadicevadi impadronirsi prima di tutto delpotere; più in là non si azzardava. In seguito si vedrebbe.

Tornando a piantarsi davanti all'oste:

-Mi dici che ti prende? perche motivo ti schieri dalla parte della borghesia? Non dicevi anche tu«bisogna che il bubbone scoppi»?

Un fugace rossore salì al viso di Rasseneur:

-Sìl'ho detto. E sescoppieràvedrai che non sarò da meno degli altri. Solomi rifiutodi stare con quelli che fomentano disordini per pescarvi unaposizione.

Ad arrossire ora fu Stefano. Da questo momento i due cessarono digridare. Una volta dichiaratala rivalità che covava tra loro ligelò. Divennero aggressivicattivi.

Era del resto quella latente rivalità il sentimento che li avevaportati a esagerare ciascuno le proprie ideespingendo l'uno airrigidirsi in un atteggiamento rivoluzionariol'altro inun'ostentazione di prudenza; il sentimento che li aveva loro malgradotrascinati al di là delle loro vere convinzionisino a costringerlientrambi ad assumersi delle parti che non si erano scelte.

Per questo il biondo viso femmineo di Souvarine che li ascoltavalasciava trapelare un silenzioso disprezzo; lo schiacciante disprezzodell'uomo pronto a sacrificare oscuramente la vitasenza neanche laaureola del martirio.

- Allora è per me che dici questo? - chiese Stefano. - Sei dunqueinvidioso?

- Invidioso di che? Io non mi atteggio mica a grand'uomo- ribattél'altro. - Non cerco mica di aprire a Montsou una sezionedell'Internazionaleper diventarne il segretario! - E senza lasciarsiinterrompere:

- Sii dunque sincero. Tu te ne infischidell'Internazionale! Smanii solo di metterti alla nostra testadifare il signoretenendo la corrispondenza col tuo famoso ConsiglioFederale del Nord!

Stefano restò un momento senza fiato. Poifremente:

-Ah così? Iocredevo di non avere nulla a rimproverarmi. Non mancavo occasione diconsultartiperché sapevo chequitu avevi combattuto per la Causamolto prima di me. Ma visto che tu non puoi tollerare nessuno al tuofiancod'ora innanzi farò da solo. Eper cominciareti avverto chela riunione avrà luogo anche se Pluchart non viene; e che i compagniaderiranno all'Internazionale malgrado te.

- Oh... "aderiranno"- balbettò l'altro. - Non è detto ancora.

Occorrerà deciderli a pagare la quota d'iscrizione.

- Niente affatto! Agli operai che si trovano in scioperol'Internazionale accordaper questouna dilazione. Pagheranno quandopotranno. Mentre è essa che verrà fin d'ora in nostro aiuto.

Allora Rasseneur perdette ogni ritegno:

-Ebbenela vedremo. Allariunione ci sarò anch'io e parlerò. Sì; non ti permetterò di montarela testa ai camerati; li illuminerò io sui loro veri interessi. Sapremo chi essi intendono seguire; se mech'essi conoscono datrent'anni; o teche in meno d'un anno hai messo tutto sossopra incasa nostra. Nononon voglio sentire più niente! Tra noiormaièa chi dei due schiaccerà l'altro!

E uscì sbattendo l'uscio. I festoni di fiori finti ondeggiaronoglistemmi dorati sobbalzarono sulla parete. Poi nello stanzone ricaddepesante il silenzio. Seduto al tavoloSouvarine se la fumavafilosoficamente.

Fatto qualche passo in silenzioStefano prese a sfogarsi. Era colpasua se i compagni piantavano quel grosso fannullone per seguire lui? Non era per nulla vero che lui avesse cercato la popolarità; così pocol'aveva cercatache gli riusciva difficile spiegarsi come si fosseconquistato la simpatia degli operaila loro fiducial'ascendenteche ora aveva su di loro. L'accusa poi di spingerli allo sbaraglio persoddisfare un'ambizione personalelo indignava; e si batteva ilpettoprotestando che quel che faceva era unicamente per spirito difraternità.

E arrestandosi di colpo davanti a Souvarine:

- Vedi? - esclamò. -Sapessi che l'opera mia deve costare una goccia di sangue ad uncompagnofilerei subito in America.

Il macchinista spallucciò e un sorriso gli assottigliò di nuovo lelabbra:- Oh per questo! - sussurrò. - Che conta il sangue? Ne ha bisognolaterra.

CalmatosiStefano prese una sedia e si aggomitolò all'altro capo deltavolo di fronte a Souvarine. Quel viso biondo dallo sguardotrasognatoche un guizzo di luce rossa a tratti incrudelivaloinquietavaesercitava su di lui una strana attrattiva.

Non occorreva per questo che Souvarine parlasse; era anzi il suosilenzio cheintrigandololo conquistava.

- Sentiamoche faresti tu al mio posto? - gli chiese. - Non horagione di voler agire? ... Il meglionon ti pare? è che entriamo afar parte dell'associazione.

A tutto suo agio Souvarine emise un filo di fumo; poi:

- Ohsciocchezze! - rispose al solito. - Ma nell'attesaperché no? Delrestola loro Internazionale sta per diventare davvero efficiente. Sene occupa Lui.

- Lui chi?

- Lui!

Pronunciò il monosillabosmorzando la vocecon tono di religiosorispetto. Del Maestroparlava: di Bakunin lo sterminatore.

- Lui solo può dare il colpo di grazia- proseguì- mentre con laloro teoria dell'evoluzionei tuoi scienziati non sono che deicodardi... Sotto la sua direzionel'Internazionaleprima di tre anniannienterà il vecchio mondo.

Smanioso di istruirsidi comprendere quel culto della distruzione sulquale il russo non lasciava cadere che qualche vaga frase quasivolesse tener per sé il segretoStefano pendeva ora dalle sue labbra.

- Ma insomma spiegami... Quale scopo vi proponete?

- La distruzione di tutto... Non più nazioninon più governinon piùproprietànon più Dionon più culto.

- Sìcapisco... Soltanto a che vi porterà questo?

Alla comunità primitivainforme; a un mondo nuovoal ricominciamentodi tutto.

- E i mezzi? Come contate di arrivare a questa distruzione integrale?

- Col fuococol velenocol pugnale. Il brigante è il vero eroeilvendicatore del popoloil rivoluzionario in attoche non sa di frasiattinte nei libri. Occorre che una serie di spaventosi attentatiatterrisca i potenti e svegli il popolo.

Parlandoil viso di Souvarine diventava spaventoso; gli occhi chiaris'accendevano d'un ardore misticole mani femminee si contraevanosull'orlo del tavolo quasi volessero spezzarlo; una specie di estasipareva sollevarlo dalla sedia. Sconcertatol'altro lo guardava; e ilpensiero gli andava alle rade confidenze che il russo gli aveva fatto:di mine caricate sotto il palazzo dello zardi capi di poliziascannati come cinghiali; d'una compagna di fedela sola donna cheSouvarine avesse amatoimpiccata a Mosca un mattino di pioggiamentreperduto nella follalui le inviava l'ultimo saluto.

Scartando da sé tutte quelle visioni atroci:

-Nono! - Stefanoprotestò. - Non si è ancora arrivati a questoda noi! L'assassiniol'incendionono! E' iniquoè mostruoso. Da noi tuttiinsorgerebbero e farebbero giustizia sommaria del colpevole!

E poi lui seguitava a non capire; contro l'abominevole proposito disterminare l'umanità alla radicecome si falcia raso terra un campodi segaletutto in lui si ribellava. E dopo? Che si farebbedopo? Daun simile salasso come risorgerebbe l'umanità?

- Spiegami meglio! Qual è il vostro programma? Per metterci incamminonoi francesi abbiamo bisogno di conoscere la meta.

L'altrosenza uscire dalla sua trasognata impassibilità:

-Tutti iragionamenti sono criminaliperché impediscono la distruzione pura esemplice e ostacolano la marcia della rivoluzione.

Sebbene gli facesse correre un brivido nella schienala placidarisposta mosse Stefano a riso. Per attirarloqualche cosa di buonoquella teoria doveva averlonella sua spaventosa semplicità. Maaccennarvi anche solo coi compagnisarebbe stato dare partita vinta aRasseneur. Si trattava di essere pratici.

Era l'ora e la Désir venne a chiedere se volevano far colazione. I duepassarono nell'entratache durante la settimana un paravento mobiledivideva dalla sala da ballo. Come ebbero finito la frittata e ilformaggioSouvarine volle partire. Alle insistenze dell'altro perchérestasse:

-A che fare? ad ascoltare delle inutili sciocchezze? Ne houdite già troppe. Buon divertimento! - e con la sua aria placida ecocciuta se ne andòla sigaretta penzolante tra le labbra.

Era il tocco: Pluchart certo gli mancava di parola. Verso l'una emezzo cominciarono ad arrivare gli invitati alla riunione. Stefano simise lui stesso all'ingresso a verificare gli invitinel timore checome al solitola Compagnia mandasse qualcuno dei suoi. Dei compagniriconosciutifurono fatti passare anche senza invito. Alle duericomparve Rasseneur che si sedette davanti al banco a finiretranquillamente la pipatachiacchierando. La provocante sicurezza disé che l'oste ostentavamise a dura prova i nervi già così eccitatidi Stefano; e non meno la comparsa nel caffè di alcuni giovinastricome ZaccariaMouquet ed altrivenuti unicamente per far chiasso. Essi si infischiavano dello scioperoin cui non vedevano che unagiustificazione alla loro fannullaggine. Seduti davanti al gotto dibirrasghignazzavanodavano la berta ai compagni che prendevano lacosa sul seriocompassionandoli di doversi sorbire compunti la noiosacerimonia.

Un altro quarto d'ora trascorse. Il pubblico cominciava aimpazientirsi e già Stefano si decideva a entrare e prendere lui laparolaquando la Désirin vedetta sulla soglia dell'esercizio:

-Eccolo- gridò- eccolo!

Era infatti Pluchartche arrivava in una vettura tirata da unosfiancato ronzino. Saltò a terra. Mingherlino di corporaturaaveva untestone quadrol'aspetto insignificante dello zerbinotto diprovincia. Sotto il soprabito nerovestiva nel modo pretenziosodell'operaio che si è rimpannucciato da poco. Una certa rigidità nelmuoversile larghe mani dove le unghiemangiate dalla limanonricrescevanoricordavano ancoraalla distanza di cinque anniilmestiere che aveva lasciato; mentre l'evidente cura della personailmodo specialmente con cui si pettinavatradivano la vanità dell'uomoinorgoglito dai suoi successi tribunizi. Attivissimosempre in motosu e giù per la provinciaa diffondere le sue ideePluchart erainfatti soprattutto il servitore della propria ambizione.

Appena a terramise le mani avanti:

-Scusateminon fatemene colpa!

Iericonferenza a Preully il mattinola sera comizio a Valençai;oggi colazione a Marchiennes con Sauvagnat. Appena adesso ho potutonoleggiare una carrozza. Sono a pezzila mia voce ve lo dice. Ma nonimportaparlerò lo stesso -. E s'avviava verso la salaquando:

-Accidenti! e le mie carte! La facevo bellase le scordavo in vettura!

Tornò alla carrozza che il cocchiere stava già mettendo in rimessaene ritirò una cassetta nera di legno che prese sottobraccio.

Mentre Stefano raggiante camminava nella sua ombraRasseneurmortificato non ardiva farsi avanti a tendergli la mano. Ma giàPluchart gliela stringeva. Alla lettera ricevuta accennò appena:perché quell'idea di non fare la riunione? le riunioni vanno semprefatteogni volta che si può! La proprietaria gli offrì da bere;grazieno; non aveva bisogno di bere per parlare. Soltantodovevaspicciarsi: la sera contava di spingersi ancora a Joiselledove loaspettava Legoujeux per prendere accordi.

Tutti allora entrarono in crocchio nella sala; in coda Maheu e Levaquearrivati in quel mentre. Dietro di loro l'uscio fu chiuso a chiave;ciò che fece sghignazzare il gruppetto degli spiritosiperchéZaccaria gridò a Mouquet:

-Si chiudono a chiavecapisciper fare unfigliofra tutti!

Nell'aria chiusa della sala da ballodove il caldo risuscitava unsentore di coppie sudateun centinaio di minatori sedevano in attesa. Mormorii corseroteste si voltaronomentre l'oratore e il suoseguito andavano a prendere posto al tavolo. Era quelloPluchart? Tutti gli occhi s'appuntarono su di lui; il suo modo di vestirecagionava sorpresa e disappunto.

Su proposta di Stefanosi procedette subito alla nomina dellapresidenza; i nomi che lanciava venivano approvati per alzata di mano. A presiederevenne nominato Pluchart; ad assisterloStefano e Maheu.

Seguì un tramestìo di seggiole: la presidenza s'insediava. Ma dov'erapiù Pluchart? sparito? S'era solo chinato dietro il tavoloasistemare lì in terra presso di sé la cassettache aveva finoracontinuato a tenere sottobraccio. Quando si raddrizzòbattéleggermente il pugno sul tavoloper richiamare l'attenzione; poi convoce arrochita:

-Cittadini... Cittadini...Lo interruppe l'aprirsi d'una porticina che dava accesso alla cucina eil comparire della proprietaria chetant'èrecava sei birre su unvassoio. A Maheu che s'era alzato per liberarla del vassoio:

-Nondisturbatevi! - sussurrò la vedova. E sentenziando:

-Quando si parlala gola si secca- se ne andò.

Pluchart poté proseguire. Si disse commosso per l'accoglienza fattaglidai minatori di Montsousi scusò del ritardoallegando il daffareche aveva e l'indisposizione di gola. Diede quindi la parola alcittadino Rasseneur che l'aveva chiesta.

In previsionegià Rasseneur s'era piantato a fianco del tavolo pressoil vassoio delle birre. Una sedia rivoltata gli serviva di tribuna.

Era visibilmente emozionato. Prima di lanciare il suo «Camerati!»tossì per schiarirsi la voce.

L'ascendente che esercitava sugli operai era dovuto alla facilità delsuo eloquioalla possibilità che aveva di parlar loro alla buona peroresenza mai stancarsi. Senza azzardare un gestoma senza smetteremai di sorridereli annegavali intontiva di parolefinché tuttinon gridassero:

-Sìsìè verissimo! Hai ragione!

Questa volta però aveva sin dalle prime parole avvertito nell'uditoriouna sorda ostilità; per cui procedeva guardingolimitandosi per ora atrattare del proseguimento dello sciopero e riservandosi di attaccarel'Internazionale se gli applausi lo incoraggiavano a farlo.

Certoammettevail sentimento dell'onore esigeva che non si cedessealle pretese della Compagnia; senonché quante sofferenze si sarebberodovute affrontarea quali tristi tempi bisognava prepararsi seoccorreva resistere ancora a lungo! Epur senza consigliare lasottomissioneseminava scoraggiamento; descriveva le borgate in predaalla famechiedeva ai fautori del proseguimento dello sciopero suquali risorse contassero. Tre o quattro dei suoi tentarono unapplauso; ma quel consenso non fece che irrigidire di più gli altri inun freddo silenzio e accentuare la disapprovazione in cui le frasicadevano. Alloraperduta la speranza di riconquistarliRasseneurcedendo alla stizzapredisse ai compagni le peggiori sciagure se silasciavano montare la testa da provocatori venuti di fuori. Offesi disentirsi trattare come ragazzi incapaci di governarsi da séa questopuntoi tre quarti dei presenti si alzarono esasperati per impedirglidi proseguire. Ma luisfidando il tumultoseguitava a parlareumettandosi sempre più spesso con sorsi di birra l'ugola; finchéperdute le staffegridò che «non era ancora natooh nochi gliimpedirebbe di compiere il suo dovere illuminando i compagni».

Pluchart s'era alzato; ein mancanza di campanellopicchiava pugnisul tavolo:

- Cittadini... cittadini... - ripeteva. Quando ebbeottenuto un po' di silenziosi venne ai voti e l'assemblea ritirò laparola a Rasseneur. Risultato previstoperché i venti dellacommissione operaia guidavano gli altriinferociti dalla fame esempre più ostinati nella speranza di spuntarla.

- Te ne freghitu! hai la pancia pienatu! - urlava all'oste Levaquemostrandogli il pugno. Maheupoiera così irritato dall'ipocrisia diquel discorso cheper calmarloStefano dovette chinarsi a parlarglidietro le spalle del presidente.

Questi s'era alzato e chiedeva ora di parlare. Si fece un religiososilenzio.

Pluchart parlò. La parola gli usciva roca e stentata; ma l'uomo eracosì avvezzo a portare in giro in una con le idee quella faringiteche parlando rinfrancava la voce e dalla sua cagionevolezza traevaanzi effetti patetici. Spalancando le bracciaaccompagnava i periodicon un dondolio delle spalle. La sua era un'eloquenza un po' dapredicatore; la untuosità con cui lasciava cadere la frasecon la suastessa monotonia finiva per convincere.

Il pistolotto era quello che sfoderava in tutti i posti dove parlavaper la prima volta: l'importanza dell'Internazionalele sue grandibenemerenze. Dell'Associazione enunciò lo scopo: l'emancipazione dellaclasse operaia. Delineò la sua imponente struttura: il comune allabase; soprala provincia; più in alto ancorala nazione; ein cimaa tuttoinfine l'Umanità. Le braccia si muovevano maestosesovrapponevano i diversi piani dell'edificioinnalzavano la grandiosacattedrale del mondo futuro. Passò quindi a dire dell'organizzazioneinterna; lesse gli statutiparlò dei congressiaccennòall'importanza crescente dell'istituzione; al suo programma chepartito dal problema salariales'era andato via via allargando sino aproporsi la liquidazione della società capitalistica e la conseguenteabolizione del salariato. Non più nazionalità; i lavoratori di tuttoil mondouniti da un comune bisogno di giustiziaspazzerebbero viail marciume della borghesiafonderebbero alfine la Società Liberaincui chi non lavora non mangia.

Muggiva; il suo fiato faceva danzare i fiori finti dei festonimentreripercossa dal basso soffittola voce rimbombava. La folla di testeondeggiò; s'udì gridare:

-Bene! E' quello che ci vuole! Ci stiamo!

Lui non si lasciò interrompere. In capo a tre anniasserìl'Internazionale avrebbe conquistato il mondo; enumerò le nazioni chegià vi avevano aderito. Da ogni parte piovevano consensi; mai nessunareligione aveva in così poco tempo contato tanti fedeli. Diventati chesi fosse i padronisi detterebbero leggi ai datori di lavoro; esarebbe allora la volta dei padroni di sentirsi stringere da un pugnoalla gola.

- Sìsì! Saranno essi allora a discendere nei pozzi!

Pluchart chiese silenzio col gesto. E passò a trattare degli scioperi.

Per principioegli li disapprovava; erano un'arma d'un'efficaciatroppo lenta che inaspriva più che altro le sofferenze degli operai. Main attesa di meglioquando diventava inevitabilebisognavaricorrerviperché lo sciopero aveva il vantaggio di disorganizzare ilcapitale. E anche in questo campo l'Internazionale si rivelava per loscioperante una provvidenza; e citava esempi: a Parigiin occasionedello sciopero dei bronzierii padroniatterriti dalla notizia chel'Internazionale alimentava coi suoi fondi lo scioperoavevano su duepiedi accordato tutte le richieste; a Londral'associazione avevasalvato le maestranze d'un pozzo di carbonerimpatriando a propriespese un treno di belgiingaggiati dal proprietario della miniera.

Bastava aderiree i trusts industriali tremavano; gli operaientravano a far parte del grande esercito dei lavoratoridecisi amorire gli uni per gli altri pur di affrancarsi dalla schiavitù delcapitale.

Applausi lo interruppero. L'oratore si asciugò col fazzoletto lafrontementre respingeva del gesto la birra che Maheu gli porgeva. Quando accennò a proseguirenuovi applausi glielo impedirono.

- Non c'è bisogno d'altro! - sussurrò allora a Stefano. - Presto! imoduli!

Dicendosi tuffò sotto il tavoloriemerse con la cassetta. Superatoil vocìo:

-Cittadini! - gridò. - Ecco i moduli d'iscrizione. Che ivostri delegati si avvicinino; io li consegnerò loro ed essi ve lidistribuiranno... La quota d'iscrizione verrà pagata a suo tempo.

Rasseneur si buttò avanti per protestare. Stefano che sentiva ilprogettato discorso restargli in golasi agitava; Levaque sprangavapugni in aria; Maheuin piediparlava senza che si afferrasse paroladi ciò che diceva. E in tutto quel baccanodal piancito di legno piùacre saliva alle naricon la polvere che se ne alzavail fortore dipiedi e d'ascelle di cui tanti balli lo avevano impregnato.

In quellala porticina di nuovo s'aprì; eostruendola col ventre ecol seno:

-Zittidunquesanto Dio! - strillò la Désir. - Ci sono igendarmi!

Era il commissario del rione cheaccompagnato da quattro armigeriarrivava con qualche ritardo a stendere verbale e a sciogliere lariunione. Da cinque minuti la vedova li teneva a bada sulla sogliadell'esercizio: lì era a casa propriae in casa propria lei aveva bendiritto di radunare degli amici. Ma quelli ora l'avevano respinta; elei veniva ad avvertire i suoi ragazzi. - Sgattaiolatevela di qui! Incortile c'è una sporcacciona di guardia di sentinella. Ma la legnaiadà direttamente sul vicolo. Andiamosuspicciatevi!

Già il commissario tempestava l'uscio di pugni; enon vedendosiaprireminacciava di sfondarlo. Qualcuno certo era andato a fargli laspiaperché gridava che buon numero dei presenti erano senzabiglietto d'invitoper cui la riunione era illegale.

Ma oracome sciogliersi così? non s'era votato né per l'adesioneall'Internazionale né per il proseguimento dello sciopero. Nella salala confusione era al colmo; tutti si ostinavano a parlare insieme. Quando a Pluchart venne un'ispirazione: votassero per levata di mani.

Braccia si alzarono; i delegati dichiararono di aderire in nome deicompagni assenti. E fu così che i diecimila carbonieri di Montsoudivennero membri dell'Internazionale.

Intanto si cominciava a scappare. Per proteggere la ritiratala Désirera andata a barricare della sua mole l'uscio; contro il quale giàrisuonavano i calci dei fucilicon colpi che si ripercuotevano nelsuo dorso. I minatori scavalcavano le panchese la svignavano in filaindiana attraverso la cucina e la legnaia. Rasseneur fu tra i primi asquagliarsi; seguìto da Levaquechegià dimentico d'averloingiuriatosi riprometteva di farsi offrire una birra per rimettersidall'emozione. Stefanocaricatosi della cassettaaspettava che illocale si vuotasse; con Pluchart e Maheuche ci tenevano all'onore diuscire per gli ultimi.

I tre erano appena partitiche la serratura dell'uscio saltava; e ilcommissario si trovava faccia a faccia con la vedova solacheopponeva ancora all'irruzione della forza pubblica il baluardo delpetto e del ventre.

- Bel profitto ci trovate a scassinarmi tutto! Vedete che non c'èanima viva!

Il commissarioun tipo pletorico che non aveva nessun gusto per idrammisi contentò di minacciarla di tradurla in prigione. E se neandò a stendere flemmatico il verbaletra gli sghignazzi di Zaccariae comparimessi in umore dal bel tiro che i compagni avevano giocatoalla polizia.

Fuorinel vicoloStefanoimpacciato dalla cassettatrottavaseguìto dagli altri duequando si ricordò che alla riunione Pierronnon s'era vistoe ne chiese a Maheu; e Maheu senza smettere dicorrerelo informò che il caposquadra s'era fatto prendere da unacompiacente indisposizione: la paura dl compromettersi.

Vollero trattenere Pluchart; ma egli dichiarò che partiva all'istanteper Joiselledove Legoujeux attendeva ordini. Allorasemprecorrendogli augurarono buon viaggio e proseguironogambe in colloattraverso Montsou. Esoli oraper quel che l'affanno della corsa lopermettevasi scambiavano frasi di esultanzaper la certezza deltrionfo: quando l'Internazionale avrebbe inviato gli aiutisarebbe laCompagnia a supplicarli di riprendere il lavoro.

Enella frenesia di quella speranzain quel rimbombare di scarponiecheggiante sui lastrici delle viesi avvertivaoltre l'esultanzaqualcosa di cupo e di selvaggio: una sete di violenza che avrebbepresto contagiato tutti i borghi operaiper propagarsi in un balenoda un capo all'altro del paese

 

 

Capitolo quinto

 

Una quindicina di giorni ancora e si arrivò ai primi di gennaio. Unagelida coltre di nebbia inghiottì l'immensa pianura. La miseria eracresciutala fame si faceva sentire ogni giorno di più; nei borghioperai si tirava la vita coi denti. L'aiuto spedito da Londraiquattromila franchi dell'Internazionaleerano andati nel pane di tregiorni; dopodiché non era arrivato più niente. Quella grande speranzadelusa abbatteva gli animi. In chi contare ormai se anche i fratellili abbandonavano? Si sentivano perdutiisolati dal mondonel cuoredell'inverno.

Il martedìogni risorsa venne a mancare nella borgata deiDuecentoquaranta. Stefano e gli altri venti della Commissione s'eranodati dattornosi erano prodigati in tutti i modi; sottoscrizionierano state aperte nelle città vicine e persino a Parigi; si facevanocollettesi organizzavano conferenze. Ma con magri risultati;l'opinione pubblica che s'era tanto commossa all'inizioora sidisinteressava d'uno sciopero che si protraeva all'infinito nellamassima calmasenza dar luogo a incidenti.

Solo le famiglie più povere beneficiavano ancora di qualche elemosinache bastava a stento a tenerle in vita. Le altre tiravano avantiimpegnando la robavendendo pezzo per pezzo le suppellettili di casa. Tutto andava a finire dai rigattieri: la lana dei materassilemasserizie; qualche mobilepersino. Un momento c'era stato che sierano creduti salvi; quando i piccoli esercenti di Montsou avevanoofferto creditonel tentativo di portar via a Maigratche lirovinavala clientela; edurante una settimana infattiVerdonck ildroghierei due panettieri Carouble e Smelten vendettero a fido; male loro provviste si esaurivano; si fermarono. Ne godette qualcheusciere; l'unico risultato fu che i minatori si indebitarono in mododa risentirsene per lunga pezza. Cessato ogni creditovendutal'ultima vecchia casseruolanon restava che buttarsi in un canto acrepare di fame come cani randagi.

Stefano si sarebbe venduto vivo. Perché i Maheu potessero ancoramettere al fuoco la pignattaaveva vuotato le tasche nelle loro edera andato a Marchiennes a impegnare i calzoni e il soprabito buono. Solo le scarpe s'era tenutoper sentirsidicevaalmeno i piedi sulsodo. Si rodeva al pensiero che lo sciopero era scoppiato troppoprestoprima che la cassa di previdenza avesse avuto tempo diriempirsi; in ciòegli vedeva l'unica causa del disastroperché ilgiorno che i risparmi fossero stati sufficienti ad alimentare laresistenzala vittoria contro i padroni sarebbe stata sicura. Abbandonando il lavoro prima del tempos'era fatto il gioco dellaCompagnia checome diceva Souvarineaveva tutto l'interesse adaffrettare lo sciopero per distruggere i primi fondi.

La vista di quei poveracci senza pane e senza fuocogli erainsostenibile. Preferiva uscirestancarsi in lunghe passeggiate. Unaseradi ritorno da una di quelle corse per la campagnapassando neipressi di Réquillart il giovane scorse a terra una vecchia svenuta. Diinediacertamente. La rialzò e diede la voce a una ragazza chepassava di là dello steccato. Era la Mouquette.

- Ahsei tu! Aiutami; bisogna farle bere qualche cosa di forte.

La Mouquettecommossa sino alle lacrimerientrò in casa di corsa;una crollante topaia che il padre aveva ricavato tra le macerie e resoalla meglio abitabile. Ne tornò subito con del pane e una borraccia diginepro. Il liquore rianimò la vecchiache senza parlare si buttòavidamente sul pane. Era la madre di un minatore; abitava in unaborgata operaia dalla parte di Cougny; e tornava da Joiselledove erastata inutilmente a chiedere dieci soldi in prestito a una sorellaquando s'era sentita mancare. Come la vecchia ebbe finito il panesene andò più ubriaca che sazia.

I due restarono soli in quel lembo di terra inselvatichitodavanti aicapannoni crollati che la vegetazione inghiottiva.

- Ebbenenon entri a berne un bicchierino? - gli domandò tuttaallegra la ragazza. E vedendolo esitare:

-Hai sempre paura di mevuol dire?

Toccato dal buoncuore con cui l'aveva vista correre in aiuto dellavecchia e sedotto da quel suo ridereStefano la seguì. Lei se lo tiròdietro in camera; e uno sull'altro gli versò due bicchierini diginepro. La stanzetta era così ben tenuta e pulita che Stefano glienefece i complimenti. Lì dentrodel restorespirava un certo agio: ilpadre seguitava ad accudire i cavalli del Voreux; e leicol pretestodi non farcela a stare con le mani in manos era improvvisatalavandaialavoro che le fruttava un buon franco e mezzo al giorno.

- Se mi piacciono gli uomininon vuol mica dire per questo che io siauna fannullona!

Ea bruciapeloprendendolo alla vita:

-Di'perché non mi vuoiamare?

All'uscitalui non poté trattenersi da ridere.

- Ma te lo voglio sìbene!

- No. Non come intendo io... Saiche mi struggo dalla voglia... Di'sarei così felice!

Era infatti da mesi che glielo diceva. Lui la guardava: la ragazza glisi incollava addossolo stringeva fremente fra le bracciaalzava alsuo un viso così innamorato e supplichevole ch'egli si sentìrimescolare.

Non aveva certo nulla di bello quel faccione tondodalla pelleingiallitasegnata dal carbone. Ma gli occhi bruciavano di un talefuocol'attesa lo soffondeva di un così dolce rossorevi metteva untale tremitoche lo ringiovaniva. Davanti a una offerta così umile eardenteil giovane non se la sentì di dirle di no.

Leggendogli negli occhi che cedeva:

-Oh vuoinon è vero? - balbettòleiai sette cieli. - Vuoi! vuoi! - E gli si diede con la goffagginee l'abbandono d'una vergine; come fosse la prima volta che lesuccedeva e prima di lui non avesse conosciuto altro uomo.

Quando la lasciòfu lei a traboccare di gratitudine: graziegliripeteva; gli baciava le mani.

Dell'avventura Stefano restò un poco vergognoso; non ci si vantavad'aver avuto la Mouquette. Andandosenesi giurò di non ricaderci; manon poteva impedirsi di ripensare a lei con tenerezza: era davvero unagran buona figliola.

Rincasandodel restole notizie che apprese gli fecero scordarel'avventura. Correva voce che la Compagnia si indurrebbe a qualcheconcessione purché a fare il primo passo fosse la rappresentanzaoperaiarecandosi di nuovo dal direttore. Dei capisquadraper lomenoavevano sparso questa voce.

La verità era chenella lotta ingaggiatala miniera soffriva piùancora dei minatori. Ostinarsiaccumulava rovine da ambo le parti: sela mano d'opera periva di fameil capitale si distruggeva. Ognigiorno di scioperoerano centinaia di migliaia di franchi che siperdevano. Ogni macchina che si arresta è una macchina morta;attrezzature e materiale si danneggiavanoil danaro spariva comeacqua nella sabbia.

Coll'esaurirsi delle poche riserve di carbonela clientela parlava diprovvedersi nel Belgio: ciò che costituiva una minaccia perl'avvenire. Ma non era ancora questo che spaventava di più laCompagnia; sì i guasti che con un crescendo allarmante si producevanonella galleria e nei cantieri d'abbattimento. A ripararliicapisquadra non bastavano più; i rivestimenti cedevano da tutte leparti; non passava ora che non si verificasse qualche frana.

In breve volgere di tempo i danni erano giunti a tal puntoche giàora sarebbero occorsi parecchi mesi prima di poter riprenderel'estrazione. La Compagnia li teneva gelosamente celati; ma già pertutto il paese si sussurrava che a Crèvecoeur erano crollati di colpotrecento metri di galleriaostruendo l'accesso alla vena Cinquepalmi; che alla Madeleinela vena Malgradotutto smottava e siriempiva di acqua.

La direzione seguitava a smentire quando davanti a due disastrisusseguitisi a breve distanzasi trovò improvvisamente costretta aconfessare. Un mattinopresso la Piolaineil suolo apparve spaccatoda una larga crepa: dovuta al franamentoprodottosi il giorno primanella galleria nord di Mirou che vi correva sotto. E l'indomanituttoun angolo di sobborgo sprofondò per uno scoscendimento nell'internodel Voreux: poco mancò che nel baratro che s'aprì due case restasseroinghiottite.

Stefano e i rappresentanti operai esitavano a rischiare un passo senzaconoscere le intenzioni della Compagnia. Interrogarono Danseart; ma ilcapo sorvegliante si schermì: certosi deplorava il malinteso e sifarebbe tutto il possibile per venire a un accordo; ma di più nonprecisò. Finirono per decidere di tornare da Hennebeau per non dareappigli: non volevano che poi li si potesse accusare d'aver rifiutatoalla Compagnia un'occasione di riconoscere i suoi torti. Ma giuraronodi non cedere su nessun puntodi mantenere a qualunque costo lecondizioni già fatteche erano le sole giuste.

L'incontro avvenne il martedì mattino: il primo giornoper il borgooperaiodi miseria nera. L'abboccamento si svolse meno cordiale delprimo. Fu ancora Maheu a parlare: i compagni lo mandavano a chiederese quei signori avevano nulla di nuovo da comunicar loro. Sulle primeHennebeau affettò sorpresa: a lui nessun ordine era giunto; nulla delresto poteva cambiarefinché i minatori si intestassero nella loroinsensata ribellione. Questa rigidità autoritaria fece suirappresentanti una pessima impressione; anche se si fossero mossi conle intenzioni più conciliantiil modo con cui si vedevano accoltisarebbe bastato a ribadirli nella loro intransigenza.

In un secondo tempoil direttore vollesìcercare insieme una basesu cui trattare; proponendo che gli operai accettassero che ilrivestimento venisse compensato a parte; in cambio di chelaCompagnia si impegnerebbe ad accrescere quel compenso dei duecentesimi di cui la si accusava di profittare. Concessione del restoavvertìdi cui prendeva lui l'iniziativanulla essendovi di deciso;ma che si lusingava di far accettare a Parigi. I delegati rifiutaronoe ripeterono le loro richieste: che si mantenesse l'antico sistema dipaga e si aumentasse di cinque centesimi il prezzo della berlina. Soloora venne fuori la verità: Hennebeau confessò che le condizioni cheaveva fatto balenare come possibilie dovutein tal casoal suointeressamentoerano invece state proposte dall'amministrazione; einsisté perché senz'altro le accettasseroper amore delle loro donnee dei bambini che morivano di fame. Gli occhi a terracocciutiirappresentanti dissero di nodi no; negando violentemente col capo. Si separarono in malo modo; Hennebeau sbattendo gli usci alle lorospalle; gli operai facendonell'allontanarsirisuonare i tacchi sullastricato con la rabbia muta dei vintispinti dalla disperazione.

Dal canto loro le donneverso le duetentarono un passo da Maigrat;ammansirlostrappargli una settimana ancora il credito era l'ultimasperanza che restava. L'idea era stata della Maheuche si facevatroppo spesso illusioni sul buon cuore della gente. Decisel'Abbruciata e la Levaque ad accompagnarla; con altre donne ches'aggiunseroscesero in città in una ventina. Invitata a unirsi alorola Pierron si era schermita: il consorte seguitava a star maledi lasciarlo non si fidava.

A vederle arrivarei benestanti di Montsou scossero il capo: nondiceva niente di buono quella banda di donnecupe in viso e male inarneseche avanzavano occupando in tutta la larghezza la strada. Alcune porte si chiusero; una signoranon si sa mais'affrettò anascondere l'argenteria. Era la prima volta che comparivano in cittàcosì: pessimo segno: di solito le cose si mettono malequando ledonne si mostrano a quel modo per le vieDa Maigrat le aspettava una scenataccia. Il bottegaio le accolsesghignazzandoaffettando di credere che venissero a saldare i debiti:bravebravevi siete data la voce per portarmi tutto in una voltaquello che mi dovete!

Ma quando la Maheu prese la parolatroncando bruscamente quellafarsal'uomo finse d'andare in bestia per la delusione.

Che si beffavano del prossimo? dell'altro credito ancora avevano lafaccia di chiedere? desideravano dunque di vederlo sul lastrico? No;non una patatanon un briciolo di panea fido. Andassero daVerdonckda Caroubleda Smelten a chiedere roba a creditovisto cheormai si provvedevano da quelli.

Le donne lo lasciarono dire con aria di spaurita umiltà; si scusavano;spiavano nei suoi occhiin quegli occhi porcinise mai si lasciasseimpietosire.

Sfogata la finta colleraMaigrat riprese a schernirle: all'Abbruciataoffrì addirittura la bottega purché lo pigliasse per ganzo. Allascreanzata faceziaerano così avvilitele poveretteche riuscironoa ridere; la Levaqueanzis'offrì: lei ci stava! altroché!

Allora mutò registro; diventato di colpo villanole buttò fuori aspintoni: si togliessero di lì. E siccomearretrandoesseseguitavano a insisterea implorarene malmenò una. Le altregiàsulla stradalo trattarono di venduto; mentre in un impeto di sdegnola Maheule braccia in ariagli augurò che crepassegridando che unuomo simile non era degno di stare al mondo.

Il ritorno fu ben triste. Al loro appariregli uomini alzarono ilcapo; vedendole a mani vuotelo riabbassarono senza chiedere. Perogginon c'era scampos'andrebbe a letto senza una cucchiaiata diminestra; ma più tetra era la prospettiva dei giorni che seguirebbero:così ormai per chi sa quantosenza speranza di mutamento. Ma eranostati loro a volerlo; e nessuno parlava di cedere. La gravità anzidella situazione li intestardiva nella resistenza; come fiereaccerchiatepreferivano crepare in silenzio in fondo al loro bucopiuttosto che arrendersi. Chi avrebbe osato per primo parlare disottomissione? avevano giurato di tenere duro tutti insieme e tuttisarebbero solidali; come nella minieraquando un compagno restavasotto una frana. Il loro dovere era quello; la vita della miniera liaveva abituati a rassegnarsi; non si spaventava all'idea di unasettimana di fame chicom'essidall'età di dodici anniaveva fattoil callo a una esistenza di continui rischi; a sostenerli nel lorosacrificio si aggiungeva quindi un orgoglio di soldatidi uominifieri del loro mestiereche nella quotidiana lotta con la morteavevano imparato a sfidarla.

In casa dei Maheula serata fu tetra. Seduti davanti al fuocherellofumoso in cui si consumava l'ultima manciata di carbonigliatuttitacevano. La stanza pareva morta; da due giorni non l'animava piùl'amico tic-tac dell'orologio a cucù; dacchépartito l'ultimo pugnodi lanaavevano venduto anche quello per ricavarne tre franchi. Tuttoil lusso della sala si compendiava ora nella scatola di cartone rosarimasta a pavoneggiarsi sulla credenza: un antico regalo di luialquale la Maheu teneva più che ai suoi occhi. Le due sole seggiolebuoneavevano preso anch'esse la porta; il nonno e i bambini sistringevano ora gomito a gomito su una panchetta muffitaritiratadall'orto. E la livida luce del crepuscolo che calava parevaaccrescere il freddo dell'ambiente.

- Che fare? - ripeté la Maheuaccosciata nel canto del fuoco. Stefanoin piedi guardava i ritratti dell'augusta coppia imperiale incollatialla parete. Se a quelle stampe la famiglia non avesse tenuto come auna belluriale avrebbe lacerate da un pezzo.

- E dire- fece- che di questi gaglioffi che ci guardano creparenon si ricaverebbe un baiocco!

Dopo un'esitazionela Maheuimpallidendo:

-Se portassi a vendere lascatola?

Maheu cheseduto sull'orlo del tavolole gambe penzoloniteneva ilviso sul pettosi drizzò come punto:- Noquella no!

Con uno sforzo la moglie si alzò e fece il giro della stanza. Erapossibilebuon Dioche si fosse ridotti in quella miseria? Lacredenza pulita come la mano; non più un oggetto da vendere; neppurel'idea di come procurarsi un pezzo di pane!

E il fuoco che si stava spegnendo! Quel mattino aveva mandato Alzira araccattare carboniglia sul terrapieno; ma la Compagnia aveva proibitoanche quello e la bambina era tornata a mani vuote. Fu con lei che orala madre se la prese: era proprio il caso di badarci alle proibizionidella Compagnia? si derubava forse qualcuno a raccattare un po' discaglietta buttata? Solo adessola piccina in lacrime perl'immeritato rimproveroraccontò che un uomo l'aveva colta inflagrante e minacciata di schiaffi. Ma ci tornerebbe; ci tornerebbel'indomani; la picchiasse purequell'uomo.

- E quel lazzarone di Gianlino? - gridò allora la madre nel suobisogno di sfogarsi. - Dov'è andato a finiremi domando? Dovevaportare dell'insalata: almenoavremmo brucato come bestie. Vedreteche neanche oggi rincasa. Già ieri ha dormito fuori. Che cosatraffichi non so; ma quell'animale mi ha l'aria d'avere sempre lapancia piena!

- Rimedierà forse qualche soldo per strada- suppose Stefano.

A questa ideala madrefuori di séalzò i pugni:

-Se sapessi maiuna cosa simile! i miei figli mendicare! Preferirei vederli mortimeinsieme.

Maheu s'era di nuovo accasciato su di sé. Leonora ed Enricostupitiche non si cenassecominciavano a frignare; mentre filosoficamente ilvecchio Bonnemort rivoltava in bocca la lingua per illudere la fame.

Più nessuno fiatò. L'appetito isolava ciascuno nella contemplazionedei propri malanni: Bonnemort pensava alla tosse che non gli davatreguaai reumatismi che aggravandosi degeneravano in idropisia;Maheu alla sua asmaai suoi ginocchi gonfi d'acqua; la moglie allescrofole dei due bambiniconseguenza dell'anemia ereditata colsangue.

Era il mestiere certo che voleva così; e nessuno se ne lagnavafinchéa inasprire quei mali non si aggiungevacome orala denutrizione:una denutrizione che già mieteva vittime nelle case.

La tetraggine del crepuscolo abbuiava sempre più la stanza.

- Che fare? - ripeté la Maheu. - Dove andaremio Dioper trovarequalche cosa da mettere sotto i denti?

Non reggendo allo strazioallora Stefano si decise:- Aspettatemi. Vado a vedere. Chi sa che... - e uscì.

Da un po' lo tentava l'idea di tornare dalla Mouquette: secome eraprobabilela ragazza ne avevaun po' di pane glielo cederebbe. Certonon era senza ripugnanza che si risolveva a quel passo: la Mouquettegli bacerebbe le manicome la servetta innamorata al suo principe; malui era anche disposto ad accontentarla di nuovopur di venire insoccorso a degli amici come i Maheu.

Via luianche la Maheu si alzò:

-Vado anch'io a vedere. E' stupidostar qui con le mani in mano... Qualcosa bisogna pur fare.

Al rabbioso sbattere della portanessuno nella stanza si scosse.

Alzira aveva acceso un moccoletto. A quel poco chiaroretuttirestarono muti in attesa.

Fuorila Maheu ebbe un attimo d'esitazione. Poi entrò dai Levaque.

- Sentil'altro giorno ti ho prestato un pane. Non potrestirendermelo?... - Ma s'interruppe; lo spettacolo che le si presentavanon era punto incoraggiante: la casa puzzava di miseria peggio dellasua.

La Levaque fissava come ebete la stufa spenta; mentre il consortestravaccato sul tavolodormiva; ubriaco a digiuno di birraoffertagli da chiodaioli suoi amici. Bouteloup si strofinava le spallecontro il murocon l'aria intontita del buonuomo cui è stato spillatosin l'ultimo risparmio e che non si capacita di dover ancora saltare ipasti.

- Magari! Ma avercelomia cara! Ed io che giustappunto pensavo dichiederne uno a te! - E siccomeindisposto dalla birra mal digeritail marito tra il sonno guaivagli si avventògli schiacciò il musosul tavolo:- Zittoporcone! - intimandogli. - Ti brucia le budelleehlasbronza! Ben ti sta. Invece di farti pagar da berenon avresti potutochiedere qualche cosa in prestito ai tuoi compari?

Epreso l'aireseguitòin mezzo a tutta quella sporciziaaimprecarea sfogarsi: da tanto tempo il pavimento non assaggiava lascopa che ne saliva un tanfo che pigliava alla gola. - Ma che mi fa! caschi anche il tettose vuole! Quel rompicollo di Berto è sparito dastamane. Così non mi tornasse più davantisarebbe un imbarazzo dimeno.

Dopo di che dichiarò che lei se ne andava a letto; in letto almeno sista caldi. E scrollò Bouteloup:- Andiamovieni su. Il fuoco è spento; eper vedere delle scodellevuotenon mette conto consumare la candela... Vieni dunqueLuigi? Tidico che ce ne andiamo a letto. Ci si appiccicaè un sollievo anchequello. E che questo maialone schiatti pure qui dal freddo!

Uscita di làla Maheu scorciò risolutamente per gli ortidirettadalla Pierron. Nell'internosi udiva ridere: ma al suo bussarevocie risa cessarono di colpo. Dovette aspettare un po' prima che leaprissero.

- Tohsei tu? - esclamò la Pierron affettando sorpresa. - Credevofosse il dottore. - Esenza lasciarla parlareindicando il maritoseduto davanti a un gran fuoco:

-Ah va male! Sempre allo stessopunto! Di facciasi direbbe che sta benino; gli è che il male l'hanel ventre. Gli abbisogna molto caldodice il medico; per questobrucio tutto quello che ho.

Pierron infatti era il ritratto della salute. L'affanno nellarespirazioneche simulavanon ingannava nessuno. E poientrandolaMaheu aveva annusato un buon odore d'intingolo: conigliosi sarebbedetto. Evidentementeil ritardo nell'aprire era servito a far sparirei piatti.

- Mia madre ha fatto un salto a Montsou per vedere di procurarsi unpane. Noi siamo sulle spine ad aspettarla.

Qui interdetta si arrestò; aveva seguito lo sguardo che la vicinalanciava alla tavola; con le briciole di panesi erano dimenticatinella frettala bottiglia di bordò. Ma si riprese subito: sìeravino: ordine del medico; e quei bravi signori della Piolaine glieloavevano portato per il suo uomo. E si diffuse in parole di gratitudineper quei buoni Grégoire; gente d'oro. E la figliolaspecialmentecosì alla mano! entrava nelle casedistribuiva lei stessa isoccorsi... - Soli conosco- disse la Maheu. E: «Piove sempre sul bagnato: laroba va a chi ne ha»pensava intantocon una stretta al cuore. Ma sequei signori davvero erano venuti nella borgatacome mai lei non liaveva visti? E se ne rammaricò: anche lei avrebbe forse potuto tirarnequalche cosa.

Alfine si decise:

-Ero venutanella speranza di trovarti un po' piùal largo di me... Non avresti per caso da prestarmi un pugno divermicelli? A buon renderebeninteso...Allora la Pierron fece una scena di disperazione:

-Vermicelli? unaparola! Neanche quel che si dice un granello di semola -. E anche suamadre doveva aver fatto buco; altrimenti a quell'ora sarebbe lì. Sicché la prospettiva era d'andare a letto digiuni.

In quella arrivò agli orecchi un pianto soffocato. EsasperatalaPierron si alzò eper farla tacereandò a tempestare di pugnil'uscio che dava in cantina. Sìvi aveva chiuso a chiave quellavagabonda di Lidia. Non era rientrata alle cinquequella sgualdrinadopo essere stata tutto il giorno chi sa dove? Non la si poteva piùdomarespariva continuamente.

Epur sentendosi scacciatala Maheu restava lìsenza sapersidecidere a partire. Il bel caldo di cui si godeva in quella stanza lapenetrava di benessere e insieme la indignava; il pensiero che lì simangiavale faceva sentire più acuto il morso della fame. Era chiaroormai: i due s'eranocon un pretestosbarazzati della vecchia edella bambina per sbafarsi da soli il coniglio. Ahsi ha un bel direma quando una donna si comporta malein casa sua va a gonfie vele!

Di colposi decise:

-Buonasera!

Fuori era notte fatta; la lunavelata da nuvoliscialbava appena delsuo chiaro la terra. Invece di riattraversare gli ortila Maheu feceil giro: non si sa mairientrare a mani vuote la desolava.

Ma lungo le case che rasentavanon una porta incoraggiava a bussare;già le facciate col loro buiocol loro silenzio parlavano di miseria. Anche il puzzo di soffrittocol quale prima la borgata si annunziavaa distanzadopo settimane di quel regime di quaresimaera sparito;le case operaie non tramandavano più che un umido tanfo di cantinal'odore dei luoghi che la vita ha disertato. Appena qualche vagorumore ne usciva: di pianti soffocatidi bestemmie represse. Ilsilenzio che vieppiù si appesantiva annunciava il sonnovisitatodagli incubi della famedi corpi stramazzati attraverso i letti.

Nel passare davanti alla chiesavide un'ombra scantonare furtiva: ilparroco di Montsouil reverendo Joire che la domenica veniva acelebrare la messa nella cappella del borgo. Certo usciva disacrestiadove qualche dovere del suo ministero lo aveva chiamato.

Insaccato nelle spallesforzava la sua consueta andatura d'uomograssoccio e bonariopreoccupato solo di vivere in buona con tutti. Se si era scomodato così di notteera stato certo per noncompromettersifacendosi vedere tra gli scioperanti. Filonel'uomo! Non per niente aveva ottenuto di recente una promozione. Era almeno lavoce che correvama il fatto ch'era già stato visto in giro colsuccessore - uno magrodallo sguardo di fuoco - la confermava.

- Sor prevostosor prevosto! - tartagliò la Maheu. Ma il reverendonon si fermò. Lanciato un:

-Buonaseramia buona donna! - allungòanzi il passo.

Era arrivata davanti a casa. Le gambe le si piegavano; rientrò.

Trovò tutti come li aveva lasciati: Maheu sulla sponda della tavolaaccasciato; Bonnemort e i bambini cheper aver meno freddosistringevano uno contro l'altro sulla panchetta. In tutto quel temponon avevano scambiato una parola; solo il moccoletto s'era consumato eora la fiammella lappolava.

Allo schiudersi della portasolo i bambini alzarono il capo; mavedendo la madre a mani vuoteriabbassarono gli occhi a terrareprimendo una gran voglia di piangere per non farsi anche sgridare.

La Maheu s'era riafflosciata al suo solito postopresso il fuocoormai quasi spento. Nessuno le chiese nulla; avevano tutti capito;meglio non affaticarsi a parlare. E nel silenzio che si ristabilìtuttiin uno scoraggiato avvilimentosi afferrarono ormai al solofilo di speranza che restava: l'arrivo di Stefanola possibilità chequalche cosa portasse. Ma i minuti passavanoquel filo si facevasempre più tenue.

Eccolofinalmente. E un involtino lo aveva; ne venne fuori unadozzina di patate lessefredde.

Anche dai Mouque il pane mancava: quelle patate erano la cena diMouquette; per forza la ragazza aveva voluto fargliene un involtinobaciandogli le mani di gratitudine.

La parte che la Maheu gli offrivail giovane la lasciò protestandoche s'era servito per il primo. Non era vero; maanche volendooranon avrebbe potuto fare altrimentia vedere l'avidità con cui ibambini si buttavano sul cibo. Maheu e la moglie feceropiù chealtrol'atto di mangiare; il vecchio inveceperduto il lume degliocchipoco mancò ingurgitasse tutto lui. Una patata dovetteroriprendergliela per darla ad Alzira che non ne aveva ancora avuto.

Quando ebbero placato la prima fameStefano riferì le notizie cheaveva raccolto. Irritata dall'ostinarsi degli scioperantilaCompagnia parlava di restituire i libretti di lavoro agli operai piùcompromessi. Una vera e propria dichiarazione di guerrainsomma. Mac'era di peggio: se la notizia era attendibilela Compagnia sivantava d'aver persuaso un gran numero di minatori a riprendere illavoro; già l'indomanialla Victoria e a Feutry-Cantel le maestranzeridiscenderebbero al completo: alla Madeleine e a Mirouun terzodegli operai si ripresenterebbe.

Per Maheu e la moglie fu una mazzata.

- Ah perdìo! - urlò lui- se ci sono tra noi dei traditorinon sipuò lasciar passare così!

Esaltato in piedinel bollore dell'ira:

-Domani seratutti allafaggeta! Là siamo in casa nostra; là non verranno a scomodarci comedalla Désir.

«Tutti alla faggeta» era l'antica parola d'ordineche adunava i padridei loro padri quando vi andavano per organizzarsi e resistere controi soldati del re.

L'antico grido svegliò di soprassalto Bonnemort che già si appisolavasul chilo.

- Sìsìa Vandame! - gridò anche luipreso da sacro fuoco. - Stocon voise si va alla faggeta!

- Tutti si andrà! - scattò la Maheu. - E' tempo di farla finita con itradimenti e le ingiustizie!

Stefano decise di comunicare l'indomani in mattinata l'ordine a tuttele borgate.

Il fuoco intanto s'era spento e la candela dava l'ultimo guizzo. Nellamancanza di ogni mezzo d'illuminazionedovetterotremando dalfreddocoricarsi a tastoni. Trascinati a letto al buioi bambinipiangevano

 

 

Capitolo sesto

 

Gianlino era guarito e aveva ripreso a camminare; ma con le gambe cosìmale in sesto che zoppicava d'ambo le parti. Mapure conquell'andatura da anatroccolobisognava vedere come filava! Piùspeditosi sarebbe dettodi primacon l'agilità furtiva e sospettad'una faina.

Quella seratra lusco e bruscostava in agguato sulla via diRéquillart; in compagniamanco a dirlodi Berto e Lidia. S'eraappostato in un campo incolto a riparo d'uno steccatodi fronte a unabotteguccia di commestibili che s'apriva di fianco a un sentiero edesponeva in vista tre o quattro sacchi di lenticchie e di fagioliincipriati di carbone; tenuta da una vecchia quasi orba. Sull'antadella portaappeso a uno spagopenzolava uno stoccafisso; ed eraquello stoccafissorinsecchito e seminato da sopraluoghi di moscheche i suoi occhi di furetto covavano. Già due volte aveva dato il viaa Bertoperché andasse a spiccarlo; ma ogni volta qualcuno eracomparso al gomito della strada. Sempre dei rompiscatole che viimpediscono di attendere ai vostri affari!

Stavolta a sbucare fu un uomo a cavallo: il direttore delle miniere! Itre si appiattirono a terra per non farsi scorgere.

Dacché durava lo scioperolo si vedeva spessoHennebeaupassarecosìda soloincurante del pericoloin mezzo alle borgate inrivolta; per accertarsi coi suoi occhi di come andassero le cose. Emai un sasso era fischiato ai suoi orecchi; per le strade nonincrociava che uomini taciturnilenti a scoprirsi al suo passaggio;ma rari anche quelli; assai più frequentiinvecele coppie sullequali senza volerlo capitavaoccupate nei loro nascondiglipiù chedi politicaa mettere il tempo a profitto.

Per non disturbarle nei loro colloqui tirava diritto senza dar segnodi scorgerle; ma quell'orgia sfacciata di amori all'aperto acuiva inlui i rimpiantigli gonfiava il cuore di desideri inappagati. Né oradietro lo steccatogli sfuggì il groviglio dei due maschietti bocconisulla bambina: anche i marmocchi pigliavano già gusto a strofinare unocontro l'altro la loro miseria! E ritto in sellamilitarmenteabbottonatosi allontanò; ma gli occhi gli si erano inumiditi.

- Disdetta porca! non la finiscono più di passare! - brontolòGianlinorialzandosi guardingo. - SuBertosu! è il momento! Lànciatipresto! Gli dài uno strapponeper far prima!

E l'altroobbedientestava per scattarequando ecco sulla stradacomparire altri due. - Mio fratelloaccidenti! - imprecò Gianlinoriconoscendo Zaccaria alla voce; Zaccaria che raccontava a Mouquetd'avere scovatocucita nella sottana della moglieuna moneta da duefranchi. Un bazza! Scambiandosi manate sulla spallei due amicisghignazzavano di esultanza - Se domani si facesse una bella partitadi pallone? che te ne pare? - proponeva Mouquet. - Si partirebbe dalRisparmio alle duesi andrebbe dalle parti di Montoire... - Già! buona idea! - approvava Zaccaria. - Ma che comizio! che sciopero!

(Mille volte meglio goderselequelle ferie insperate!)E i due già svoltavanoquando - porca disdetta! - l'incontro diStefano li fermò e si misero a chiacchierare. Gianlino friggeva:

-Maci mettono le tende ora qui? E' quasi notte; a momenti la vecchiaritira la mercanzia.

Accompagnandosi a un minatore che andava a Réquillartora Stefanopassava loro davanti. Dalle parole dei dueGianlino apprese chel'adunata nella faggeta era rimessa all'indomani: non si sarebbe fattoa tempo in giornata ad avvertire tutte le borgate.

- Sentite? - bisbigliò ai suoi complici il monello. - E' per domani ilcomizio. Dobbiamo esserci anche noi. Domani pomeriggio si filainteso? - E vedendo la strada finalmente sgombradiede il via aBerto.

Per fortunafaceva già quasi buio. Spiccata la corsaBerto s'eraappeso allo stoccafissostrappando lo spago. E agitandolo in ariacome un aquiloneora si metteva in salvoseguito a gambe levatedagli altri due. Richiamata dal trambustola vecchia uscì sullasoglia; einterdettarestò lì a strizzare nel buio gli occhicisposisenza distinguere chi scappasse a quel modo.

I tre piccoli teppisti cominciavano a impensierire il paeseche ormaiscorrazzavano come una banda ladresca. Da principio s'eranoaccontentati per i loro spassi del piazzaletto del Voreux: ruzzavanonei mucchi di carboneuscendone conciati come spazzacamini; giocavanoa moscacieca tra le cataste di legnamesmarrendovisi in mezzo come inuna foresta vergine. Poi avevano dato l'assalto al terrapieno; silasciavano sdrucciolare sul sedere per le ripide scarpatescottantipel fuoco che vi covava sotto; si ficcavano nel groviglio di rovi chene copriva la parte abbandonata; enascosti lì dentropassavanointere giornate a divertirsi zitti come topi in ogni sorta dimaliziosi giochetti. Ma il teatro delle loro gesta s'andava ognigiorno allargando: si picchiavano a sangue tra i cumoli di mattoniscorrazzavano i prati in cerca d'erbe sugose che mangiavano;perlustravano gli argini del canalefrugando nelle pozzanghere eagguantando pesciolini che inghiottivano vivi; si spingevano semprepiù lontanosu su sino al bosco di Vandamealla cui ombra facevanoscorpacciate di fragole in primaveradi nocciole e mirtilli d'estate. Sicché in poco tempo l'immensa pianura era diventata tutta loro.

Ma a spingerli a quelle scorribandea farli battere come lupacchiottile strade da Montsou a Marchienneseraogni giorno più imperiosounistinto di rapina. Il capo di quelle spedizioni restava Gianlino; eralui che adocchiava la predache aizzava gli altri due a fare manbassa di cipolle nei coltivia saccheggiare i fruttetia sguarnirele mostre delle botteghe. Già in paese quei guasti venivano imputatiagli scioperanti; enella fantasia della genteil terzetto diventavauna banda di razziatori perfettamente organizzata. Una volta Gianlinonon era arrivato a costringere Lidia a derubare sua madre? Tutto unbarattolo di zucchero d'orzo era sparito dalla finestra dove laPierron lo teneva. E la ladruncolamassacrata di bottenon avevafiatatotanto era il terrore che il capo le incuteva. Il peggio erachenella spartizione del bottinoGianlino si faceva la parte delleone. Berto pure doveva consegnare a lui il ricavo dei furti eringraziare se il prepotente non lo persuadeva a ceffoni a lasciarglitutto. Sìda un po' di tempodella sua autorità Gianlino abusava. Lidia la batteva come si batte un moglie legittima; e delladabbenaggine dell'altro profittava per spingerlo in imprese sballate;per poi sghignazzargli in faccia quando quel ragazzoneche con unpugno lo avrebbe atterratone usciva scornato e malconcio.

Gli è che in fondo Gianlino li disprezzava ambedueli trattava dasuoi tirapiedi. Da qualche giornoanzidava loro a bere d'avere peramante una principessa che si sarebbe schifata di vederseli davanti. Frottola che agli occhi dei due acquistava verosimiglianza dal fattocheda qualche giorno appuntolo vedevano spesso dileguarsiall'improvvisoa un capo di stradaallo svolto d'un sentierodoveche sia; non senza beninteso aver prima intascato il bottino e averloro ferocemente intimato di rincasare all'istante. Né quella seraandò diversamente.

Fermandosi infatti al primo gomito di strada:

-Da' qui! - ingiunse aBertostrappandogli lo stoccafisso di mano.

Il ragazzo protestò:

-Ne vogliosai! Sono io che l'ho preso!

Gianlino alzando la voce:

-Ehi? che dici? Ne avrai se te ne darò; enon staseraper certo. Domani... se ce ne sarà ancora.

E spinta di malagrazia la bambina a fianco del ragazzocome uncaporale che allinea i suoi soldatipassò alle loro spalle:

-Adessorestate lì fermi come vi ho messi... Se vi voltatevedete che visuccede! E quando avrete contato sino a centoe non primafilatedritti a casa. E se tuBertot'azzardi a toccare Lidia foss'anchecon un ditoricordati che lo saprò e saranno schiaffi che vi vedretearrivare! - E sgusciò via sui piedi scalzisparendo con la leggerezzad'un'ombra.

Fedeli alla consegnai poveretti non si mosseronella certezza chese solo si fossero voltatisi sarebbero sentiti arrivare deglischiaffisenza vedere di dove. I loro cuori erano gonfi del benetaciuto che si volevano; un affetto che aveva fatto maturare a poco apoco tra i due il timoreche li affratellavadi Gianlino. Lui sistruggeva dal desiderio di attirarla a sédi serrarla fra le bracciaforte forte come vedeva fare alle coppie; e lei pure ci sarebbe stata:le sarebbe piaciuto sentirsi coccolareassaggiare un amore che nonfosse quello brutale che conosceva. Ma né all'uno né all'altro sarebbevenuto in mente di disobbedire al tiranno. E così nel ritornosebbenefosse buio pestonemmeno si abbracciarono; camminavano fianco afiancotraboccanti l'un per l'altro di tenerezza e disperati; certichese solo si toccavanola minaccia di Gianlino s'avvererebbe.

Alla stessa oraStefano arrivava a Réquillart. Il giorno primalaMouquette lo aveva scongiurato di tornare; e lui tornava; non senzavergognacedendo a un'inclinazione per quella figliola che lo adoravacome il Bambin Gesù. Ma ritornava col proposito di rompere: lavedrebbele spiegherebbe che bisognava rinunziare a vedersi così dispessose non si voleva dar nell'occhio. Il momento che i compagniattraversavano era così penosoche darsi spensieratamente al beltempo sarebbe stata da parte loro una imperdonabile leggerezza e unaffronto alla troppa gente che moriva di fame.

La ragazza però non era in casa. Il giovane allora si decise adaspettarla lì fuori; e ora cercava di riconoscerla tra le ombre chepassavano. In faccia a luisotto i resti della torretta crollatas'apriva l'ingresso dell'antica miniera. Un trave rimasto in piedicui era ancora attaccato un pezzo di tettosi profilavasinistrocome il braccio d'una forcaal disopra del buio vano; e nel muro disostegnoschiantatoche orlava la bocca del pozzodue alberiavevano messo radice: un sorbo e un platano chesospesi così amezz'ariaparevano sbucare dalle profondità della terra. Era unangolo che l'abbandono aveva rinselvatichitol'apertura d'un baratroingombra di assi ammuffitemascherata d'erba e cespugli; sui qualiemergevano dei prugnoli e dei biancospinipopolati a primavera dinidi di capinere. Per evitare ingenti spese di manutenzionelaCompagnia si proponeva di colmare quel pozzo sfruttato; ma il progettoveniva da dieci anni differito per metterlo in esecuzionesiattendeva d'avere provvisto il Voreux d'un sistema d'aerazioneindipendente; il focolaio che ora lo alimentava trovandosi in fondo alpozzo di Réquillart il cui canale d'eduzione funzionava da camino. Cisi era perciò accontentati di rafforzare il livello d'acqua conpuntelli che attraversavano lo scomparto d'estrazione; ed erano stateabbandonate a sé le gallerie superioriper non tenere in efficienzache la galleria di fondoin cui ardeva l'enorme braciere d'antracited'un tiraggio così potente chealla chiamata d'ariascatenava da uncapo all'altro del vicino pozzo una vera bufera. Per misura diprudenzaperché non venisse a mancare ogni comunicazione conl'esternoera stato sì dato l'ordine di conservare il passaggio dellescale; ma di quella manutenzione in realtà nessuno se ne occupava; lescale marcivano nell'umiditàe già qualche pianerottolo era crollato. All'esterno un fitto cespuglio di rovi ostruiva l'entrata; esiccomela prima scala non esisteva piùper raggiungere in discesa i primigradini che tenevanobisognava appendersi a una radice del sorbo e dilì lasciarsi cadereraccomandandosi l'anima a Dio.

Celato dietro un cespuglioStefano aspettavaquando lì vicino unlungo fruscio corse nella ramaglia: certola fuga spaventata diqualche biscia. Ma no! che qualcuno strofinava un fiammifero! e albrusco lampo di luce un'ombra si profilava nel buio. Il giovanetrasecolò: nell'ombra aveva riconosciuto Gianlinocheaccesa unacandelasi calava sotterra. Dove poteva mai andare? Si sporse sulvuoto; il monello già era sparitosolo un vacillante chiarore salivadal secondo pianerottolo. Non esitò un attimo; abbrancandosi alleradici del sorboanche lui si calò; e dopo un salto che avrebbepotuto essere di cinquecentottanta metri - quanti ne misurava il pozzo- e non fu che di settecon sollievo si sentì un gradino sotto ilpiede. Prese a scendere cercando di fare meno rumore possibile. Diessere seguìtoGianlino non s'era avvistoperché la luce continuavaa sprofondareagitando sulle paretiingigantital'ombra inquietantedel ragazzoil suo sgangherato zoppicare. Il monello scendeva conl'agilità d'una scimmia; afferrandosi con le manipuntellandosi coipiediaiutandosi col mento nei punti in cui i gradini mancavano. Lescaledi sette metri ciascunasi susseguivano; alcune ancora solide;altre traballantiscricchiolantilì lì per rompersi sotto il peso; ecosì i ripiani che le intercalavanotavolati talmente coperti dimuffa che il piede vi affondava come dentro la borraccina. Più siscendevapiù l'aria diventava calda e soffocante: un riverbero difornoproveniente dal canale di tiraggioper fortuna poco attivodacché durava lo sciopero; chéin tempi normaliquando il focolaiosmaltiva la sua razione giornaliera di cinque tonnellate d'antraciteavventurarsi là dentro sarebbe stato arrischiare la vita.

«Non si ferma dunque più questo rospo? dove va mai a finire?»imprecava tra sé Stefanotrafelato. Già due volte il giovane avevarischiato di precipitare. Sul legno mucido il piede scivolava. Avesseavuto almeno anche lui una candela! il riflesso di quella che fuggivalì sottogli era di così poco profitto che tutti i momenti cozzava inqualche sporgenza. S'erano già discese venti scale; e quello nonaccennava a fermarsi. Ventunaventidueventitré... e si sprofondavasi sprofondava sempre. La testa gli pigliava fuoco in quell'ariaarroventata. Si giunse finalmente al primo piano di carico: s'eranopercorse trenta scalesi era cioè a circa duecentodieci metri diprofondità. Lì la luce che lo precedeva si mise a filare lungo unagalleria. Per non perderla d'occhiovi si affrettò dietro anche lui.

«Ancora per molto mi porterà a spasso? - si chiedeva. - Certo è nellascuderia che questa talpa ha messo la tana».

Neanche! il camminamento di sinistraquello che menava alla rimessalo sbarrava una frana. La corsa ricominciò; più malagevole ora e piùrischiosa. Pipistrelli impauriti s'alzavano a voloandavano aincollarsi alla volta. Se anche lì il monello avanzava destreggiandosicon un'agilità di biscianon era lo stesso per il giovane cheprocedeva con immensa difficoltà. Gli è checome succede per tutte legallerie abbandonateanche questa s'era andata via via restringendoricolmata in gran parte dal cedimento delle pareti; tanto che in certipunti il passaggio si riduceva a un budelloprossimo a ostruirsi deltutto. Strozzature per di più che lo sfasciarsi del rivestimentoarmava di spunzonicosì scheggiati ed aguzzi che ci si feriva controrischiando di restarvi infilzati. Stefano doveva quindi avanzare suiginocchi o carponimandando nel buio le mani in avanscoperta. Ci fuun momento che si sentì passare addossogaloppare dalla nuca aicalcagnitutta una frotta di grossi ratti atterriti.

Aveva percorso in quelle condizioni un buon chilometroquando dovettearrestarsi; si sentiva le reni spezzateil fiato mancare: «Sacradìosi arriva una buona volta?» Sìsi era arrivati. In quel punto ilbudello si allargava in una specie di grotta spaziosadovuta allavolta rimasta pressoché intatta. Si trovavano in fondo all'anticagalleria di carriaggioscavata contro vena e formante come una grottanaturale.

Gianlino s'era arrestato; e orapiantata tra due sassi la candelasimetteva con evidente sollievo a suo agiocome chi riprende finalmentepossesso del proprio domicilio. Aggeggiata come se l'erala grottapresentava infatti le comodità d'una abitazione. In un angolo unospesso strato di fieno invitava a coricarsi; su un tavolo improvvisatocon assiogni sorta di provviste erano in vista: del panedellemelebottiglie di ginepro incignate - tutto un bottino accumulato insettimane di ruberienel quale figurava anche il superfluocome deipezzi di sapone e delle scatole di lucido da scarperubateevidentemente per il semplice gusto di rubare. Era dunque ancheegoistaGianlino! ferocementese tutta quella abbondanza se lateneva per sé.

Rimasto in contemplazione di quel magazzino di refurtiva il tempo dirifiatare:

- Ahè dunque qui! - esclamò a un trattofacendolosobbalzare- ah è dunque qui che vieni a rimpinzarti! te ne infischituche noi di sopra si crepi di fame!

Riconoscendo la vocel'altro si riprese subito:

-Ce n'è anche pertese ne vuoi! Ti andrebbe per esempio un pezzetto di questoscottato sulla brace? - e mostrava lo stoccafisso. Dicendocavò uncoltello a lama fissanuovo di trinca; e con quello si mise aripulire il pesce delle cacatine di mosca.

- Che bel coltello che hai! - l'altro lo adulòfacendoglisi vicino.

Era uno di quei piccoli coltelli-pugnale dal manico d'ossoinscrittodi solito di un motto. Su questo si leggeva: "Amour".

- E' stata Lidia a regalarmelo! - rispose lui. (In realtàlaragazzinaincitata da luilo aveva sottratto con destrezza a unvenditore ambulante fermo col suo carretto davanti al caffè dellaTesta Mozza. Ma Gianlino non entrò in particolari).

Seguitando a raschiare:

-Non è vero che si sta bene qui? Si patiscemeno freddo e l'aria sa di buono.

Stefano gli si era seduto vicino: ci teneva a farlo discorrere. La suaira era sfumata per lasciare il posto a una specie di ammirazione perquello scavezzacollo così abile e industrioso quando voleva.

Si stava beneinfattiin quel buco. Nel tepore che vi regnavanonsi poteva pensare senza raccapriccio al freddo dell'esterno. Coltempole miniere si liberano dei gas nocivi: non si avvertiva alcunsentore di grisùma solo un odore di vecchio legno muffitoun aromacome di eterepimentato da una punta di garofano. Il rivestimento inquell'ombra aveva assunto invecchiando la patina giallina del marmo; esi fregiava di bianche efflorescenze simili a trinedi vegetazionifioccose che parevano vestirlo d'una passamaneria di seta o di perle.

Altre travi si coprivano di fungosità. Ragni di neve s'appendevano afili; farfalle e mosche bianche aliavano intorno: tutta una faunascolorita che il sole non aveva mai toccato.

- Sicché non hai paura tu qui? - La domanda lo sorprese:

-Di chepaura? dal momento che sono solo!

Aveva finito di raschiare; e oraacceso un fuocherello di legnanesparpagliava le bracivi teneva sopra il pesce ad arrostire. Quandolo giudicò sufficientemente cottospartì un pane in due: metà per sémetà per l'inatteso ospite. Il piatto era terribilmente salatomasquisito per uno stomaco di struzzo. Mordendo la sua parte Stefano:

-Ora non mi stupisco più che tu ingrassi mentre noi si dimagrisce avista d'occhio! Ma non lo sai che sei un bel porco a rimpinzarti dasolo? Agli altri non ci pensi?

- Oh bella! che colpa ho io se gli altri sono fessi?

- Fai bene del resto a nasconderti. Se tuo padre sapesse che rubiticoncerebbe per le feste.

- Come se i ricchi non rubassero anche loro! E a noi! Non lo dicisempretu? Il pane l'ho fregato a Maigrat; ma sapevo beneportandoglielo viache era roba nostra sacrosanta che mi riprendevo. Il non trovare che rispondere e la bocca piena persuasero Stefano anon ribattere. Lo osservavaquel ragazzoche la miniera si può direaveva figliatoper poi quasi accopparlo; quel musoquegli occhiverdiquelle orecchie a ventolaquel cranio dove una furberia daselvaggio teneva il posto d'intelligenza; quella specie d'aborto umanoavviato a tornare allo stato di bruto.

- E Lidia- chiese- la conduci qui qualche volta?

Lui con un riso sprezzante:

- La piccola? Neanche per idea. Lepiscione chiacchierano troppo!

Che s'erano mai vistiseguitava a dire pieno di disdegnodeglistupidi come lei e Berto? Il pensiero che si bevevano tutte le suefrottole e se ne andavano a mani vuote mentre lui si godeva al caldo iproventi delle loro fatichelo faceva gongolare. Poicon la comicagravità dell'uomo vissuto:

-Meglio vivere soli! - concluse. - Almenosi va sempre d'accordo!

Stefanoche aveva finito il suo panevi bevve sopra un sorso diginepro. Un momento fu tentato di ricambiare l'ospitalitàriportandofuori per un'orecchia il piccolo gaglioffo e minacciandolose non lasmetteva di rubacchiaredi spifferare ogni cosa al padre. Ma un'ideache gli era balenata da un po'lo dissuase: chi sa che unnascondiglio sicuro come quello non diventasse prima o poiprovvidenziale per i compagni e per sé: se le cose si mettevanomale... Cosicché si contentò di far giurare a Gianlino di andare almeno adormire a casa; epreso un pezzo di candelapartìlasciando l'altrotranquillamente occupato a riordinare la casa.

Fuoritrovò la Mouquette cheseduta su una traves'eranonostanteil geloostinata ad aspettarlo. Vedendolola ragazza gli si buttò alcollo; e quando lui le disse che aveva deciso di non vedersi piùfucome le piantasse un coltello nel cuore. Ohma perché? non gli volevaforse abbastanza bene? Nel timore di cedere alla tentazione diseguirla in casaStefano la trasse con sé sulla stradaspiegandolecon la maggiore dolcezza possibile che quella relazione lopregiudicava agli occhi degli amici.

- Nella mia posizionecapisci? Politicamente!

Lei si stupì. Che c'entrava la loro relazione con la politica? Poi lebalenò il sospetto che il giovane si vergognasse di lei; e trovava lacosa quanto mai naturalenon se ne offendeva:

-Se è per questotido ragione- gli disse. - Anzisenti: ti fai vedere da tutti a darmiuno schiaffo: io mi presto. Così tutti sapranno che m'hai piantato. Madi quando in quandoperònoi si seguita a vederci; di nascostounmomentino. Ohdi questote ne scongiuro! nonon mi dire di no! Tene vai quando vuoiio non ti tratterròte lo giuro!

Nonostante la pietà che gli facevaStefano tenne duro. Noeraproprio necessario troncarla. Ma di piantarla lìdopo quel rifiutonon si sentiva; lasciandolaalmeno abbracciarla. Passo passo eranogiunti alle prime case di Montsou; sul loro capo splendeva una grandeluna piena; e i due si tenevano strettamente abbracciatiquandoqualcuno venne a passare: una ragazza che riconoscendoli ebbe unbrusco sobbalzocome inciampasse in un sasso.

- Chi è? - chiese Stefanocontrariato.

- E' Caterina che torna dalla Jean-Bart.

Eccolainfattidi spalle. Proseguiva a capo bassole spalleaccasciateil passo incerto. Gli bruciò d'essersi fatto vedere daleine provò rimorso... Perché poi? non aveva anch'essa un uomo? nonera stata lei la prima a dare a lui quel dolore la sera di Réquillart? Eppure il pensiero d'averle reso pan per focaccia lo desolava.

La Mouquette dovette leggergli in cuoreperché sciogliendosi dal suoabbraccio:

-Devo dirtelo? - tra i singhiozzi mormorò. - Se non mivuoi è che c'è un'altra che ti preme.

L'indomani fu una splendida giornata: una di quelle rigide e tersegiornate d'inverno che la terra indurita risuona sotto i passi comeuna lastra di cristallo.

Dal tocco Gianlino se l'era battuta; ma dovette aspettare un pezzodietro la chiesa l'amico e poco mancò partissero senza Lidia. Soloall'ultimo momento la madre l'aveva liberataminacciandola dichiuderla di nuovo la notte seguente in cantina coi topise nontornava con una buona provvista di radicchio. Per cuiatterrita dallaminacciala ragazzina avrebbe voluto prima di tutto riempire ilcavagno; ma Gianlino si oppose: che urgenza c'era? Urgente era inveceimpadronirsi di Poloniala grossa coniglia di Rasseneur: una catturache il monello meditava da tempo. Caso volle che mentre passavanodavanti al RisparmioPolonia sbucasse giustappunto sulla strada. D'unbalzo Gianlino le fu soprala abbrancò per le orecchiela ficcò nelcavagno; e via tutti e tre: ora ci si divertirebbe a farle fare lecorse sin su alla faggeta.

In quella comparirono sulla strada Zaccaria e Mouquet con altri due;bevuta una birra al Risparmioi quattro si disponevano a iniziare lagrande partita. La posta era un berretto e un fazzolettone rosso dacollodepositati nelle mani di Rasseneur. Le due coppie - capitanateuna da Zaccarial'altra da Mouquet - si disputarono la prima tappa:un tratto di circa tre chilometridal Voreux alla fattoria Paillot.

Vincitore uscì Zaccaria che aveva scommesso di coprirlo in settemandatecontro le otto chieste da Mouquet. La palla o "cholette" - unuovo di bosso - fu collocato in terra ritto. I giocatori brandivanociascuno la "crosse"un mazzuolo dalla testa di ferro innestata su unlargo manicosul qualeper facilitarne la presaera fittamenteavvolta una cordicella.

Il rintoccare delle due fu il segnale della partenza. Zaccaria iniziòla partita con un colpo magistrale che in tre riprese mandò la palla apiù di quattrocento metri attraverso i campi di barbabietole. (Per lestrade e nell'abitato era proibito giocareché il gioco aveva giàfatto delle vittime).

Non meno in gamba dell'avversarioMouquet ribatté la palla con tantaenergia che con un colpo solo la ributtò indietro cinquecento metri. Ecosì seguitarono: una coppia lanciandola innanzil'altrarintuzzandola; sempre a passo di corsaattraverso campi aratiinciampando e ammaccandosi i piedi contro le zolle indurite dal gelo.

Da principioGianlino e gli altri dueentusiasmati dai bei colpiavevano seguìto i giocatori. Ma poiricordatisi della coniglia che sisballottavano dietro nel canestrol'avevano tirata fuori e mollata inpiena campagnaper vedere come se la cavava a correre. Al suoscattarei tre spiccarono la corsa; e si iniziò uno scalmanatoinseguimentoche si protrasse un'ora buona; tra strilli lanciati perspaventarlacontinue insidie tese per farla caderetentativi diriacchiapparlache Polonia ogni volta eludeva. Se non l'avesseimpacciata un principio di gravidanzai tre si sarebbero spolmonati acorrere invano. Ripigliavano fiatoquando un'imprecazione li fecevoltare; era Zaccariache aveva visto la sua palla passare a un ditodalla testa del fratello. I tre erano ricaduti in piena partita. Sidisputava la quarta tappa; la seconda aveva spinto i giocatori dallafattoria Paillot ai Quattro Canti; di lì a Montoirela terza; e orain sei riprese stavano coprendo il tratto da Montoire al Prato delleVacche. In totale due leghe e mezzo in un'ora; senza contare il tempoperduto a rinfrescarsi l'ugola da Vincenzo e allo spaccio dei TreSaggi. Di manostavolta era Mouquet; due scatti ancora in avanti eavrebbe vinto. Ma Zaccaria fu così abile nel controgioco che mandò lapalla a ruzzolare in un fossato; così profondo che il compagno diMouquet non riuscì a ripescarla. Tutti e quattro gridavano;l'interesse della partita s'acuiva perchéil punteggio essendo paribisognava ricominciare. Dal Prato delle Vacche alle Erberosse nonc'erano che due chilometrida coprire in cinque mandate. Una voltaarrivati làne berrebbero un gotto da Lerenard.

Gianlino lasciò che andassero avanti: gli era venuto in mente un belgioco. Si cavò di tasca e legò a una zampa posteriore di Polonia unpezzo di spago. Se l'era immaginatoluiche lo spettacolo sarebbebuffo! Nel tentativo di distanziarsi dai suoi tormentatorilaconiglia arrancavasciancandosi in modo così pietoso che dal riderequelli si spanciavano. Non contentidello spago le fecero un collare;e s'aspettavano di poter metterla al trotto come un animale da tiro;ma visto che Polonia non galoppava come avrebbero volutopresero essia tirarlaa trascinarla un po' sul dorsoun po' sulla pancia. Ilpassatempo durava da più d'un'oraquandorantolantela rificcaronoin fretta e furia nel cavagno: di lì sopradal bosco di Cruchotarrivavano le voci di Zaccaria e degli altriai quali i monellivenivano per la seconda volta ad attraversare il gioco. Quelli ormaidivoravano i chilometri senza concedersi altro riposo che il tempo divuotare un gotto nei locali che si proponevano a meta. Dalle Erberosses'erano spinti a Buchy; di lì alla Croce di Pietradalla Croce aChamblay. Del loro scalpitare dietro i balzi della pallail terrenorisonava; con quel gelonon si affondava e quindi non c'era rischiodi rompersi una gamba. Nell'aria asciutta i colpi di mazzuolocrepitavano come fucilate. Impugnandone il manicoi giocatori sibuttavano avanti con tutto il corpocome assestassero la mazzata albue; per oresenza mai stancarsi; percorrendo leghe e leghe; saltandofossi a piè pariscavalcando siepimuretti di cintarovinando giùper scarpate. Un esercizio chea durarlooccorrevano polmoni comemantici e ai ginocchi cerniere di ferro; e nel quale i quattro sidisanchilosavano le articolazioni arrugginite nelle miniere. Un giocoche agli appassionati di venticinque anni faceva percorrere sin diecileghe; e nel qualeper mancanza di elasticitàgià a quaranta nessunosi cimentava più.

Suonarono le cinque; il giorno cominciava a declinare. Per decidere achi toccava la postarestava un'ultima tappasino cioè alla faggetadi Vandame; «dove»ridacchiava Zaccaria nel suo sprezzo per lapolitica«sarebbe bella capitassimo in pieno comizio».

Gianlinoal contrariosenza averne l'arianon un momento in tuttala passeggiataaveva perso di vista quella meta. Tanto che s'infuriòcontro Lidia chepresa da scrupoliparlava di tornarsene percogliere il radicchio. Non assistere al comizioora che ne erano apochi passi? per conto suoegli ci teneva a sentire quello che ivecchi avrebbero detto. E propose di accorciare la strada che restavacon una nuova trovata: sino ai primi alberi si farebbero precedere daPoloniacacciata avanti a sassate. In cuor suoma lo tacevailmonello s'augurava che nel tragitto la bestia ci restasse; lo mordevauna sorda bramosia di accoppare la conigliaper portarsela nellaminiera a Réquillart e papparsela da solo. Rimessa a terralamalcapitata riprese la corsale orecchie ciondoloniarricciando ilnaso. Un sasso le spelacchiò il dorsoun altro le mozzò la coda; eper quanto il calar della notte la aiutasse a sottrarsi ai colpicisarebbe rimastase tutto a un tratto i suoi carnefici non si fosserovisti davantia pochi passiMaheu e Stefanoritti al centro d'unaradura. Impauritiraccattarono Polonia e la rificcarono nel cavagno.

Quasi nello stesso istantel'ultimo colpo di mazzuolo mandava lapalla a cadere a qualche metro dal luogo del raduno. E così giocatorie monelli capitavano insieme in pieno comizio.

Dal primo calare del crepuscoloper strade e sentieri erain tuttoil paeseun incamminarsi di genteun silenzioso affluire d'ombredirette in comitiva o alla spicciolata verso l'orlo violaceo dellafaggeta spoglia. I borghi operai si vuotavano; donne e bambini nepartivano come per una passeggiatasotto il vasto cielo terso. Ormainon si distinguevano più: l'ombra aveva invaso i camminamenti; ma diquella folla in marcia chespinta da un solo impulsosorretta da unasola speranzas'indirizzava alla stessa metasi percepiva il frusciocontro siepi e cespugliil sommesso parlottareil concordescalpiccio.

Ed era a quei vaghi confusi rumori che Hennebeaudi ritorno dalla suacavalcatatendeva a quella stessa ora l'orecchio. Quante coppie avevaincontrato nella bella serata invernale! quanti amanti visto perdersinella macchia o sparire dietro un murettocon le labbra unite!

Non gli capitava ogni volta che uscivadi scoprire dall'alto dellasua cavalcatura ragazze ribaltate in fondo a fossatistraccionioccupati a far scorpacciate della sola gioia che non costava nulla? Epoiquesti imbecilli ardivano ancora lagnarsi della loro vitaquandoa tiro di mano avevano l'unica felicità che meritasse al mondo un talnome! Oh come volentieri egli avrebbe accettato di dividere con lorola famepurché gli fosse stato concesso di ricominciare l'esistenza afianco d'una donna che gli si fosse data con tutto l'ardore dell'animae dei sensimagari su un mucchio di ghiaia! Come li invidiava queipoveracci! come li sentiva senza confronto più felici di lui!

E cosìa capo bassoprocedeva lentamente verso casa; straziato daquei bisbigli che sorgevano e si spegnevano qua e là per la campagnagià buia e nei quali la sua amarezza non riconosceva che baci

 

 

Capitolo settimo

 

Era al Pian delle Dame che si teneva il comizio: una vasta raduraindolce pendioche un taglio di alberi aveva aperto da poco nel fittodel bosco; e che bellissimi faggi dagli alti tronchi istoriati dilicheni chiudevano tutto attorno d'un bianco colonnato. Qualchegigante giaceva abbattuto sull'erba; mentre a sinistra sorgeva il cubogeometrico d'una catasta di tavole. Col calar della sera il freddo sifaceva più vivo; la borraccina gelata scricchiolava sotto i piedi. Dabassodove il buio era fittosi vedevano i rami profilarsi lassù sulpallore del cielodove la luna piena che sorgeva all'orizzonteandava spegnendo le stelle.

Poco meno di tremila minatori erano accorsi all'appello: una follabrulicante d'uominidi donne e bambini che riempiva via via laraduratraboccava sotto gli alberi. Ritardatari seguitavano adaffluireinvadendo i tratti di bosco ceduo vicini dove straripava nelbuio l'ondeggiare delle teste. Un sordo mugghio usciva da tutta quellafollasuonava nella spoglia foresta come un vento di burrasca. Lassùin cima al pendiodominavano l'adunata tre ombre gesticolanti: quelledi Stefanodi Maheu e di Rasseneur. Un dissenso doveva esserescoppiatoperché giungevano a tratti le loro voci alterate. Intornoerano in parecchi ad ascoltarli: Levaque che stringeva i pugni;Pierron che distraeva altrove il capoevidentemente seccato di nonaver potuto invocare più oltre a scusa la malattia per assentarsi.

Vicino a lorosedevano fianco a fianco su una ceppaia Bonnemort e ilvecchio Mouqueimmersi nei loro pensieri. In disparte si tenevano conaltrivenuti anch'essi per curiosareZaccaria e Mouquet; mentreattentissimein un atteggiamento che si sarebbero dette in chiesasistringevano in gruppo le donne: la Maheu che scuoteva in silenzio ilcapo alle sorde imprecazioni della Levaque; Filomenacheripresadall'inizio dell'inverno dalla solita bronchitenon faceva chetossire. Non abbastanza compresa del momentosi mostrava solo laMouquetteche rideva senza ritegno ascoltando gli improperi di cuil'Abbruciata caricava la figlia: una snaturata che per impinzarsi dasola di coniglio mandava via di casa sua madreuna poco di buono chesi ingrassava in barba a quel cornuto contento di Pierron. Gianlinoadocchiata la catasta di tavolevi si era arrampicato coi duecomplici; e ora i tre discoli dominavano di lassù tutta l'adunata.

A provocare il dissenso era stato Rasseneurcon la pretesa che siprocedesse regolarmente all'elezione d'una presidenza. Lo smaccosubito al Buontempone gli bruciava; e l'uomo s'era giurato diprendersi la rivincita: al comizio non avrebbe più davanti i delegatima la folla stessa dei minatori; cosa che gli avrebbe permessosilusingavadi riacquistare su di essi l'antico ascendente. AllapretesaStefano s'era ribellato; trovava imbecille l'idea d'unapresidenza nella faggeta: dovese non lìera il caso di bandirequelle pastoiedi agire rivoluzionariamente? Finchéseccatodall'insistere dell'altroil giovane lo piantò e salito su un troncod'albero abbattuto:- Compagni! - gridò- compagni...S'accaparrò subito l'attenzione. Mentre Maheu costringeva Rasseneur adazzittirsigià il confuso rumoreggiare della folla si spegneva in unlungo mormorio.

- Compagni! - ripeté Stefano; e con voce squillante:

-Poiché ci siproibisce anche d'incontrarci e di discutere tra noipoiché contro dinoiper impedircelosi mandano i gendarmi come fossimo deidelinquentiè qui che dobbiamo accordarci e far le nostre ragioni! Qui siamo liberisiamo in casa nostra! nessuno verrà a chiuderci labocca perché sarebbe come volerla chiudere agli uccelli nell'aria!

Scoppiò un coro di approvazioni:

- Sìdici bene... La faggeta ènostra! Almeno qui abbiamo diritto di parlare! Parla!

Stefano fece una pausa. La lunatroppo bassa ancora all'orizzontenon rischiarava che le cime degli alberi. Immersa nel buiosottostantela folla tratteneva il fiato. Al buio anche luil'oratore non era che un'ombra nera che la sovrastava.

Levato lentamente il braccioStefano prese a parlare. Lasciata ognienfasi oratoriala sua voce era scesa al tono dimesso del compagnoche rende conto ai compagni del mandato da loro affidatogli. (Era ildiscorso che avrebbe pronunciato al Buontempone se l'irruzione dellapolizia non glielo avesse impedito).

Esordì riepilogando oggettivamente e succintamente i motivi e glisviluppi dello sciopero: fattinient'altro che fatti. Uno scioperodissecui lui stesso s'era indotto a malincuore; che i minatori nonavevano volutoma che la direzione aveva provocato con la nuovatariffa imposta per i rivestimenti. Ricordò quindi il passo che larappresentanza operaia aveva fatto presso la Direzionela malafededimostrata in quell'occasione dalla Compagniala tardiva concessionein un secondo tempo dei dieci centesimi ch'essa aveva offerto inrestituzionedopo aver tentato di metterli in tasca. Passò poi agiustificarecon le cifre alla manol'esaurimento del fondo diprevidenzal'impiego fatto dei quattromila franchi inviatidall'Internazionale; brevemente scusò l'AssociazionePluchart e glialtridi non aver potuto far di piùimpegnati com'erano nellaconquista del proletariato di tutto il mondo. Ammise che la situaziones'aggravava di giorno in giorno: la Compagnia restituiva i libretti eminacciava di assumere operai nel Belgio; inoltrefaceva pressionesui tentennanti e un gran numero di essi li aveva persuasi adiscendere. Con una voce incolore che sottolineava le cattive notizieparlò della fame che minacciava d'aver ragione della resistenzadellepoco liete prospettive che restavanodella durezza della lotta chestava per impegnare gli ultimi coraggi.

Di punto in biancosenza mutar di tono:- E' in queste circostanzecompagniche stasera siete chiamati aprendere una decisione. Siete per la continuazioneil proseguimentodello sciopero? Ein caso affermativoche contate di fare percostringere la Compagnia ad arrendersi?

Si fece un grande silenzio. Invisibile sotto lo stellatola follataceva oppressa dal peso di quelle parole; non si udiva tra gli alberiche il suo respirare affannoso.

Ma già Stefano aveva ripreso a parlare. La sua voce era cambiata. Sefinora a parlare era stato il segretario dell'Associazionechiparlava adesso era il capobandal'apostolo.

Vi sarebbero forse fra quelli che lo ascoltavano dei codardi inclini avenir meno alla parola data? Come! quel che da un mese si soffrivasarebbe come non stato? Si tornerebbe ai pozzi a capo basso e la vitada cani ricomincerebbe come prima? Non era preferibilein tal casomorire fin d'oranell'eroico tentativo di distruggere la tirannia delcapitalismo affamatore?

Rassegnarsi ogni volta alla fame fino al giorno che la fame di nuovospingesse i più remissivi a insorgerenon era uno stupido gioco chegià da troppo durava? E metteva sotto gli occhi dell'uditorio la sortedel minatore: sfruttatodestinato a scontare lui solo le restrizionidella crisiridotto a non mangiare ogni qual volta le necessità dellaconcorrenza abbassavano il prezzo di costo. No! La tariffa offerta peril rivestimento era inaccettabile; non era che una economia larvata;si tirava a derubare l'operaio di un'ora di lavoro al giorno. Questavolta la misura era colma; il momento era giunto che la povera gentespinta alla disperazione farebbe giustizia.

Dicendoaveva alzato le braccia. Prima che le riabbassassela follaelettrizzata dalla parola giustiziascoppiò in applausi: un crepitìodi mani che si propagò come uno scrosciare di foglie secche. Gridasorsero:

-Giustizia! E' tempo! Giustizia!

Stefano via via s'accalorava. Come oratorenon disponeva dellafacondia di Rasseneur; spesso la parola non gli veniva: dovevastorcere la frase; un colpo di spalla sottolineava lo sforzo con cuine usciva. Main quel continuo incespicarelo soccorrevano immaginialla buonad'un'evidenza e d'una efficacia che gli conquistaronol'uditorio; mentre il gestirequel suo tenere parlando i pugnistretti alla vita per poi avventarli insieme di colpoquel bruscosporgere la mascella come per azzannare - tutta quella mimica chetradiva così bene il minatore al lavoro - produceva sui compagni ungrande effetto. Se non era un grande oratoretutti però convenivanoche sapeva farsi ascoltare.

Con voce più vibrante:

-Il salario- proseguì- non è che una nuovaforma dell'antica schiavitù. La miniera dev'essere del minatoreallostesso modo che il mare è del pescatorela terra del contadino. E'vostrami capitela miniera! appartiene a voi tuttiche da unsecolo la pagate con tanti stenti e tanto sangue! - E audacementeaffrontò oscure questioni di dirittoleggi speciali sulle minieretutto un groviglio di provvedimenti in cui lui stesso si smarriva. Ilsottosuolo al pari del suolo apparteneva alla nazione; solo per unodioso privilegiole Compagnie ne detenevano il monopolio: unprivilegio tanto più iniquo a Montsoudove la pretesa legalità delleconcessioni era contraddetta dai patti conclusi coi proprietari degliantichi feudiin forza d'una vecchia consuetudine dell'Hainaut. Per iminatori non si trattava dunque che di riconquistare ciò che a loroapparteneva - e le braccia dell'oratore s'allargavano ad indicarel'intero paese che s'estendeva al di là della faggeta.

Nel gesto lo investì il chiaro di luna che già le vette degli alberirimandavano. Scorgendolo lassù aureolato di lucein atto didistribuire a mani aperte i beni della terrala follaancora inombrascoppiò in un nuovo prolungato applauso. - Sìsì! parla bene! ha ragione! bravo!

Lui allorail momento era venutosaltò in groppa al suo cavallo dibattaglia: la restituzione degli strumenti di lavoro allacollettività: frase che amava ripetere e chenella sua astrattezzasolleticava deliziosamente la sua vanità. Mai come in quel momentoaveva sentito le proprie convinzioni mature. Partitonel suo generosozelo di neofitadal bisogno sentimentale di riformare il salariatoadesso non vedeva più che la necessità di sopprimerlo. Dopo l'adunataal Buontemponeil suo collettivismo ancora umanitario e informes'era irrigidito in un complicato programmadove ogni articolo erastabilito con rigore scientifico. Il principio su cui lo fondavaerail dogma che la libertà non era realizzabilese prima non sidistruggeva lo Stato. Solo quando il popolo si fosse impossessato delgovernonon primasarebbe possibile procedere alle riforme: ritornoalla comunità primitiva pura e semplice; sostituzione d'una famigliafondata sulla libertà e l'eguaglianza dei suoi membrialla famigliaoppressiva di tipo patriarcalefondata sull'obbedienza; eguaglianzaassoluta dei cittadinicivile politica ed economica; indipendenzadell'individuogarantita dal possesso dei mezzi di lavoro edell'intero profitto da essi ricavato; infineistruzioneprofessionale gratuitaa spese della collettività. Un totalerinnovamento insomma della vecchia società corrotta. Attaccò ilmatrimonio; il diritto di testare; fissò i limiti entro cui ognunopoteva possedere; con un ampio gesto del braccioche ripeteva ilgesto del mietitore che falcia la messe - spazzò dalla terral'ingiustizia che sin allora vi aveva regnato; e con l'altra manoprese a costruire sulle rovine della vecchia la nuova Umanità: tuttoun edificio di verità e di giustizia che l'alba del nuovo secoloavrebbe visto giganteggiare. Nell'ebbrezza del sogno che andavadelineandola logica vacillava; di fermorestava l'idea fissa delfanatico. La foga del dire faceva tacere gli scrupoli della coscienzale obiezioni del buonsenso. Nulla diventava più facile di quel nuovomondo; di esso ormai parlava come di una macchina che in due ore sisarebbe sentito di montare; e non aveva più alcun peso quantedistruzioni e quanto sangue costerebbe.

Travolto dall'entusiasmo:

-E' venuto il nostro turno! - concludendoesclamò. - Dipende ora da noi disporre del potere e della ricchezza!

Dai margini della faggeta si scatenòsi propagò sino a luiunsubisso di applausi. Ora la luna imbiancava tutta la radura; nellamarea che vi si agitavaprofili di teste spiccavano ora nettamentesin laggiù tra i grigi tronchi dove la vista quasi si perdeva. Eranoin quell'aria glacialeespressioni di colleraocchi che luccicavanobocche spalancate: tutta una folla in subbuglio; uominidonnebambini lanciati al sacrosanto saccheggio dell'antico bene di cuierano stati spossessati. Scaldati dentro dal fuoco di quelle parolenon avvertivano più il freddo. Un'esaltazione religiosa li sollevavada terra: la febbre di speranza dei primi cristianiin attesadell'imminente regno di Dio.

Molte frasi del discorso erano sfuggite al loro comprendonio; pocoavevano capito in quei ragionamenti tecnici e astratti; ma era anziquella oscuritàquella astrattezza che moltiplicava le loro speranzeschiudeva ai loro occhi miraggi che li accecavano. Quale sogno! esserei padronicessar di penaregodere a loro volta! - Giustoperdiosanto! Il nostro turno! Morte agli sfruttatori!

Le donne in specie erano fuori di sé: la Maheupresa dal capogirodella fameera uscita dalla sua solita calma; la Levaque urlava;l'Abbruciatacome ossessaagitava le braccia di strega. Filomena sitorceva in un attacco di tosse; alla Mouquette luccicavano gli occhinell'entusiasmo gridava frasi d'amore all'oratore. Tra Pierron chetremava e Levaque che parlava troppoMaheuconquistatoaveva avutouno scatto di rabbia mentre messi a disagioZaccaria e i suoi comparitentavanosenza riuscircidi far dello spirito:

-Come aveva fattoil compagno a parlare così a lungo senza umettarsi l'ugola?

Ma chi schiamazzava di più erasulla catastaGianlino; incitando glialtri due a imitarlo e agitando il cavagno con dentro la miseraPolonia.

Appena cessatol'applauso si rinnovò. Stefano assaggiava finalmentel'ebbrezza della popolarità: era il potere che ora stringeva in pugnoche prendeva alfine consistenza in quei tremila petti che una suaparola bastava a far vibrare. «Anche Souvarine- pensava- miapplaudirebbese soltanto si fosse degnato di venirmi ad ascoltare!»In luiil russo avrebbe riconosciuto un ottimo allievo; solo un puntodel programmaSouvarinenon avrebbe accettato: quello che concerneval'istruzionegiudicandolo un'ingenuità sentimentalelui che nellasacra e salutare ignoranza vedeva la condizione necessaria perché ilcarattere dell'uomo si ritemprasse.

In mezzo al consenso generalesolo Rasseneur spallucciava d'ira e disprezzo. - Lascerai parlare meadesso! - gridò a Stefano. Checedendogli il posto:

-Fa' pure! Vedremo se ti ascolteranno!

Già l'oste era salito sul tronco d'alberocol gesto chiedevasilenzio. Ma la folla seguitava a rumoreggiare; nelle prime file loavevano riconosciuto eripetutoil suo nome si propagava a tuttal'assemblea. Ci si rifiutava di ascoltarlo; anche i suoi ultimifedelibastava la sua vista a indignarli. La sua facile eloquenzaquel suo scorrevole e bonario discorreredi cui avevano subìto così alungo il fascinoora lo consideravano una blanda camomilla buona soloper addormentare i pusillanimi.

Inutilmente egli parlò tra l'ostile rumoreggiare; invano riprese ilsolito discorso conciliantesull'impossibilità di cambiare il mondocon leggisulla necessità di lasciare al tempo il compito diriformare la società. Lo schernivanolo zittivano. Lo smacco subìtoal Buontempone si aggravavasi mutava in un'irrimediabile sconfitta. Glilanciarono manciate di borraccina gelata.

- Abbasso il traditore!

- strillò una voce di donna.

Lui seguitò a spiegare che la miniera non poteva essere proprietà delminatorealla stessa stregua che l'arte del tessere è proprietà deltessitore. Ciò che il minatore poteva ottenereera piuttosto dipartecipare agli utilid'essere interessato nell'industriadidiventare il figliolo dell'azienda. Le grida di «Abbasso iltraditore!» si moltiplicarono; fischiò qualche sassata. AlloraRasseneur impallidì; il senso della propria impotenza gli riempì gliocchi di lacrime. Era il fallimento di vent'anni di ambiziosocameratismotutta la sua vita che crollava sotto l'ingratitudinedella folla. Colpito al cuorenon ebbe più la forza di continuare escese dall'improvvisata tribuna. Vedendo Stefano esultare:

- Tu neriditu! - balbettò. - Bene. Ti auguro che ti capiti lo stesso... Eti capiteràricordatelo!

E abbozzando un largo gesto con cui respingeva da sé ogniresponsabilità nei disastri che prevedevas'allontanò solo per labianca campagna silenziosa.

Fece tacere i fischi che partivano al suo indirizzola sorpresa divedere Bonnemort succedere al posto di Rasseneur. Sinoracome Mouqueil vecchio non era uscito dal suo solito trasognamento in cui parevaruminare antichi ricordi. Senza dubbioassalito dalla nostalgia delpassatoora egli cedeva a uno di quegli improvvisi bisogni diloquacitàper cui capitava si diffondesse per ore a rievocare ilpassato.

S'era fatto un profondo silenzio. Impressionava quel visocui ilchiaro di luna prestava un pallore spettrale; ma più ancorasconcertavano i racconti in cui si perdevacomprensibili solo a lui esenza alcun nesso con lo scopo della riunione. Bonnemort diceva dellasua giovinezza; dei suoi due zii periti nel Voreux; della polmoniteche gli aveva portato via la moglie. Maa ogni ricordol'idea chetornava con insistenza era che le cose non erano mai andate benechenon andrebbero mai. - Così la volta che ci riunimmo in questa stessafaggetasi era in cinquecentoper accordarci contro il re che nonvoleva diminuirci le ore di lavoro... - Elasciato in tronco ilraccontopassava a dire d'un altro sciopero:

-Ah quanti ne ho vistiiodi scioperi! E tutti venivano a finire sotto questi alberi; oppurelaggiù alla Carbonaiao più lontano ancora al Salto del Lupo. A voltegelavaa volte si scoppiava dal caldo. Una sera - e sorrideva alricordo - si rovesciò un tale acquazzone che si dovette scappare senzaesserci potuto dire nulla. E i soldati del re arrivavano e tuttofiniva a schioppettate. Noi si alzava la mano come mi vedete faresigiurava di non ridiscendere... Ah l'ho giurato anch'io e sempre siridiscendeva...Un certo malessere cominciava a serpeggiare nella folla che loguardava a bocca aperta; quando Stefanoche nulla aveva perso dellascenasaltò a fianco del vecchio. Nelle prime file aveva scortoChaval: «Di certoc'è anche Caterina»s'era detto; e il desiderio difarsi applaudire davanti a leiaveva rinfocolato il suo impetooratorio. Tenendosi vicino Bonnemort:

-Compagni- gridò- aveteudito? Ecco uno dei nostri anziani; ecco che cosa ha sofferto! E'quello checome noitoccherà ai nostri figli di soffrirese non lafacciamo una buona volta finita coi ladri che ci affamano e ci tolgonola pelle!

Mai aveva parlato con tanta violenza. Additò nel vecchio la vittimad'un'esistenza di stenti e di lutti; la sbandierò come un esempio chegridava vendetta. Risalendo al primo dei Maheufece brevemente lastoria di tutta quella famiglialogoratasi nei pozzisfruttataall'osso dalla Compagnia; e che dopo cent'anni di miniera si trovavapiù affamata di prima. Ad essa contrappose i succhioni dellaCompagniatrasudanti danaro; tutta la cricca degli azionistimantenuti da un secolo dal lavoro altrui nell'ozio e nei godimentialpari di baldracche. Non era inconcepibile che migliaia e migliaia dicreature umane crepassero di padre in figlio sotto terraperché ilricavo del loro sudore andasse a impinguare gli scrigni dei nababbiservisse loro a imbandire festinia celebrare orge e a corrompere iministri?

Fece quindi sfilare davanti agli occhi dei compagni il corteo dimalattie che insidiano la vita del minatoredando di ognunaparticolari raccapriccianti: l'anemiala scrofolosila bronchitenerai reumi che paralizzano. Era tutta la povera genteche legrandi Compagnie a poco a poco assorbivanoper gettarla in pasto allemacchineaccantonarla come bestiame nei borghi operai: milioni dibracciatenute in schiavitù per far la fortuna d'un migliaio difannulloni. Ma ormai quel tempo era passato; il minatore non era piùl'ignorante d'una voltala bestia che si manda a morire nei pozzi. Dal fondo delle miniere un esercito stava sorgendo; un esercito incontinua crescitache con impeto irresistibile traboccherebbe prestoalla gran luce del sole. Si vedrebbe allora chi avrebbe ancora ilcoraggio di assegnare centocinquanta franchi di pensione in compensodi quarant'anni di servizio a un vecchio di sessant'anni che sputapolvere di carbone e non si regge in piedi per i reumatismiguadagnati a lavorare nei cantieri! Sì! quel giorno la manodoperafarebbe i conti col capitale: con quel dio anonimo che l'operaio nonha mai visto in faccia e che s'accoscia chi sa dovenel segreto delsuo tabernacolo; e di là succhia il sangue ai morti di fame che lomantengono! Lo si andrebbe a scovare quel giornoper vederlo infaccia al chiarore degli incendi; lo si affogherebbe nel sanguel'idolo immondo che si satolla di carne umana!

Aveva finito e ancora il braccio additava laggiù il nemico; chi sadoveall'altro capo del mondo.

Il clamore che questa volta si scatenò fu tale che si udì da Montsou;dovenelle case dei ricchiqualcuno alzò il capo e gettò inquieto losguardo dalla parte di Vandamechiedendosi se qualche spaventosafrana non ne fosse stata la causa. Spaventatidegli uccelli notturnisi levarono a volo.

A Stefano parve il momento di concludere:

-E alloracompagniqual èla vostra decisione? Siete per il proseguimento dello sciopero?

Un urlo affermativo gli rispose.

- E quali provvedimenti intendete prendere contro i traditori? Dobbiamo impedire che i vigliacchi riprendano il lavoro; altrimenti lanostra sconfitta è sicura.

- Morte ai traditori! - gridò la folla frenetica.

- Sicché decidete di richiamarli al doveredi costringerli a tenerfede ai patti... Ebbeneecco ciò che propongo di fare: rechiamocianche noi ai pozzi. La nostra presenza impedirà ai codardi diconsumare il tradimento; e la Compagnia si persuaderà che siamo tuttia unache moriremo piuttosto di cedere.

- Sì! così! Bene! Ai pozzi! ai pozzi!

Lo sguardo di Stefanosempre in cerca di Caterina - la ragazzaevidentemente non c'era - incontrava invece ogni volta quellosardonico di Chaval. Piantato lì davantil'uomo spallucciava;l'invidia per il successo del giovane lo rodeva; Si sarebbe vendutopur di beneficiare a sua volta di un po' di quella popolarità.

- E se ci sono tra noi degli spionistiano all'ertaperché liconosciamo! Sì: vedo dei minatori di Vandame che non hanno abbandonatoil lavoro.

- Mica dici per me? - chiese Chavalprovocante.

- Per te o per altri... Ma visto che la prendi per teebbenedovresti capire che quelli che mangiano non hanno nulla da fareinquesto momentocon quelli che hanno fame. Tu lavori alla Jean-Bart.

- Ohlavora! - commentò una voce di scherno. - Ha una donna chelavora per lui!

Chaval facendosi rosso e imprecando:

-Oh bella! che allora è proibitolavorare?

- Certo! quando i compagni fanno la fame per il bene comuneèproibito mettersi ipocritamente ed egoisticamente dalla parte deipadroni! Se tutti si fossero astenuti dal lavoroè da un po' chel'avremmo spuntata! Dal giorno che Montsou ha scioperatonon unoperaio di Vandame avrebbe dovuto più scendere! Il colpo di grazia perla Compagnia sarebbe che il lavoro s'arrestasse in tutto il paesedaDeneulin come qui... Capisci? Ad abbatterealla Jean-Bartnon cisono che dei traditori! tutti traditorisiete voialtri!

Intorno a Chaval la folla si faceva minacciosa; pugni si alzavano; giàserpeggiava il grido:

-A morte! a morte! - L'uomo impallidì. Ma giàil desiderio d'avere il sopravvento sull'altro gli aveva suggeritoun'idea. - Lasciatemi dunque parlare- gridò a sua voltaraddrizzandosi in vita. - Venite domani alla Jean-Bart: vedrete comelavoro! Vandame è solidale con voi: mi hanno mandato a dirvelo. Maastenersi dal lavoro non basta: dobbiamo spegnere i fuochicostringere a scioperare anche i macchinisti. Tanto meglio se le pompesi arresteranno; l'acqua demolirà i pozzi e la rovina sarà davverocompleta.

La violenza di questi propositi incontrò tanto favore che le sueparole furono accolte da frenetici applausi; eda alloraancheStefano passò in ombra. In mezzo allo schiamazzoaltri oratori sisusseguirono sul tronco d'albero; ciascuno gesticolando rincarava inviolenza. Come nell'esaltazione d'una fede religiosaora la follastanca di attendere il miracolosi decideva nella sua impazienza aprovocarlo. La fame la faceva vedere rosso; dall'incendio e dallacarneficina sarebbe sortain un'apoteosi di gloriala felicitàuniversale. E intanto la luna bagnava del suo mite chiarore la mareadi teste; e la foresta chiudeva nel suo cerchio di silenzioquell'invito al massacro. Solo la borraccina gelata scricchiolavasotto quel calpestio; tra l'indifferenza degli alti faggi cheritagliavano in nero sul cielo gli svelti tronchi vigorosi e il nitidointrico dei rami.

Spintavi dal pigia pigiala Maheu si trovò accanto al marito: tutti edueesasperati da un'attesa che durava da mesioraperduta la calmaabitualeapprovavano la Levaque che chiedeva addirittura la testadegli ingegneri. Pierron se l'era squagliata. Parlando tutti e due atempoMouque e Bonnemort divagavano o proponevano atrocità; ma delleloro parole ben poco arrivava. Per far lo spiritosoZaccariareclamava la demolizione delle chiese; mentre il suo compagno di giocostrepitava e batteva la mazzuola al solo scopo di accrescere ilbaccano. Le più accese erano le donne; la Levaquecoi pugni sulleancheinvestiva Filomena accusandola d'avere riso; la Mouquette siproponeva a gran voce di demolire i gendarmi a calci nel sedere;l'Abbruciatanon paga di aver preso a ceffoni la nipote trovata senzaradicchio e senza cavagnoseguitava a far lo stesso con l'ariaperdare un esempio di come si comporterebbe con «quei signori» appena lefossero caduti nelle grinfie. Gianlinorimasto un momento male allanotizia che la Rasseneur aveva visto benissimo chi le aveva rubato laconiglias'era poi rinfrancato al pensiero che la mollerebberipassando davanti al Risparmio; e ora urlava più degli altri ebrandiva il coltello nuovofacendone orgogliosamente lampeggiare lalama.

- Compagni! Compagni... - badava a ripetere Stefano ormai rocoperottenere un momento di silenzio e concludere il comizio.

Appena riuscì a farsi ascoltare:

- Compagni! allora domattina allaJean-Bart! E' inteso?

- Sìsìalla Jean-Bart. Morte ai traditori!

Un uragano di tremila voci riempì il cielo e si spense nel limpidochiaro di luna.

 

PARTE QUINTA

 

 

Capitolo primo

 

Alle quattro la luna tramontòla notte si fece d'inchiostro. Lavecchia casa in mattoni di Deneulin - che sorgeva sulla strada diVandamea tre chilometri da quella grossa borgata - era immersa nelsonno. L'ingegnereche il giorno prima l'aveva passato quasi tutto infondo alla minierarussava con la faccia alla paretesognando che lochiamavano. Finì per svegliarsi: dall'orto lì sottovasto emaltenutoche separava la casa dal pozzo della Jean-Bart - qualcunochiamava davvero. Corse alla finestra. Era uno dei suoi capisquadra:

-Che è? - Una rivoltaingegnere. Metà degli uomini s'è messa insciopero e impedisce all'altra metà di prendere servizio.

Intontito dal sonno e intirizzito dall'aria gelata della notteDeneulin stentava a capire:

- Obbligateli a scendereperdìo! -tartagliò.

- E' da un'ora che cerchiamo di farloma non c'è verso. Tantoche cisiamo indotti a venire da lei. Non c'è che lei che possa ridurli allaragione.

- E sia! Vengo!

Si vestì in fretta. Con lo schiarirsi delle ideelo prendeva una vivaansietà. Il domestico e la cuoca seguitavano a dormire: ohper essiavrebbero potuto demolire la casa! Invece dalla stanza di frontegiungeva un bisbigliare allarmato.

Infatti usciva di camera che tutte e due le figlie comparivano inaccappatoio sul pianerottolo:

-Che succedebabbo?

Luciala maggiore (aveva ventidue anni)era altabrunaaltera;mentre Giannadi tre anni più giovaneera piccolabiondatuttagrazia.

- Oh perché vi siete alzate? Non era proprio il caso! - il padre lerassicurò. - Qualcuno alla miniera che vuol fare un po' di chiasso. Vado a vedere.

- Ma non vorrai mica partire così! Prendi qualche cosa di caldo. Ti famalelo saiandare sul lavoro digiuno!

Lui si schermiva; non aveva tempodoveva andare. Ma Giannaappendendoglisi al collo:

-Sentipapalino: o prendi due biscotti eun bicchierino oppure resto così: non ti mollo!

Pur borbottando che i biscotti gli resterebbero sullo stomacodovetteaccontentarle. Già le due ragazze con la bugia in mano lo precedevanoin sala da pranzo; e mentre una mesceva il ruml'altra arrivava dalladispensa coi biscotti.

Rimaste giovanissime prive della madre e viziate dal padrele dueDeneulin avevano fatto da sé la propria educazione. La maggioreaccarezzava l'ambizione di cantare nei teatri; l'altra quella didiventare una grande pittricearte del resto nella quale manifestavauna personalità sconcertante. Ma quando in conseguenza di dissestifinanziaris'era dovuto modificare il tenore di vitaeccoinaspettatamente le due estrose ragazze mutarsi in abili eparsimoniose massaiecapaci di scoprire nei conti dei fornitoril'errore d'un centesimo. Sicché oggipur senza rinunciare al loroatteggiamento spregiudicato di artistele Deneulin sorvegliavano lespesediscutevano i prezzilesinavano il soldorimodernavano da séi vecchi abitiriuscendo a conservare alla casapur fra le crescentiristrettezzeun certo decoro.

- Ancora un biscottopapà! - insisteva Lucia. E notandone l'ariapreoccupata e il silenzio:

- Non dev'essere affatto una cosa danientea giudicare dal tuo viso. Non vorresti che ti accompagnassimo? Sìsì. A quella colazione sapranno bene fare a meno di noi.

Alludeva a una passeggiata combinata per quel mattino. La Hennebeauandava a prendere con la carrozza Cecilia alla Piolaine; per passarequindi con la carrozza da loro e recarsi tutte insieme a Marchiennesdove la moglie del direttore delle ferriere le invitava a colazione.

Era un'occasione per visitarecon le ferrieregli altiforni e igasogeni.

- Sìsì! veniamo con te! - insistette Gianna a sua volta.

Ma l'ingegnere si inquietò:

-Siete matte! se vi ripeto che non ènulla! Fatemi il santo piacere di rificcarvi a lettoe di farvitrovare prontecome d'accordoper le nove! - eabbracciate lefiglies'affrettò a partire. S'udirono i suoi stivali risuonare sulterreno gelato dell'orto.

Turata la bottiglia e chiusi a chiave i biscottile Deneulinprofittarono dell'insolita occasione per verificare se tutto era inordine nella saletta linda ma un po' freddache parlava di parchipasti. Trovarono un tovagliolo non riposto; proponendosi di dare unastrapazzata al domesticorisalirono finalmente in camera.

Nello scorciare attraverso l'ortoDeneulin pensava al rischio checorreva il milione di Montsou: quel capitaletto che aveva realizzatocon la speranza di decuplicarlo. Era stato finora un ininterrottosusseguirsi di disdette; enormi e imprevedibili spese per riparazionivenute ad aggiungersi a contratti di manodopera rovinosi; il tuttoculminato nella disastrosa crisi dichiaratasi nell'industria minerariaproprio al momento che l'impresa cominciava a fruttare. Se lo scioperoscoppiava anche alla Jean-BartDeneulin era a terra.

La Jean-Bart non aveva l'importanza del Voreux; marimessa com'era anuovocostituivasecondo l'espressione degli ingegneri«una piccolaminiera modello». Non ci si era accontentati di allargare il pozzod'un metro e mezzo e di portarlo a una profondità di settecento metri;lo si era rinnovato da capo a fondo: macchinario nuovogabbie nuove:tutta una attrezzatura rispondente agli ultimi perfezionamentitecnici. Non solo: nelle costruzioni si avvertiva addirittura unaricerca di eleganza. Un festone di legno lavorato intorno alla tettoiadi cernita; abbelliva la torretta un orologio; la ricevitoria e illocale delle caldaie s'arrotondavano a cupola; mentre ingentiliva laciminierache li sormontavauna spirale di mattoni neri e rossialternati a mosaico. La pompa di eduzione era impiantata nell'altropozzo della concessioneil vecchio pozzo Gaston-Marie riservatounicamente a quest'uso. Sicché a destra e a sinistra del pozzo diestrazione non aveva che due scomparti: quello del ventilatore avapore e quello delle scale a pioli.

Era andata così. Quel mattinoarrivato alle treChaval s'era dato asobillare i compagni: piantassero il lavoroimitassero quelli diMontsouchiedessero anch'essi l'aumento di cinque centesimi aberlina. Messi sui quattrocento operai ch'erano nella baracca e sidisponevano a discenderetumultuando s'erano riversati nellaricevitoria. Chi non aderiva allo scioperovi arrivava a piediscalzie con gli attrezzi sotto braccio e la lampada in manoattendeva di discendere; mentre gli altriin zoccoli e con sullespalle il cappotto col quale erano arrivatisbarravano l'accesso alpozzo. I capisquadra si spolmonavano per mettere ordine: i rivoltosisi mostrassero ragionevoli; non impedissero almeno di discendere a chinon intendeva scioperare.

Vedendo tra questi Caterina in tenuta da lavoroChaval la aggredì:non le aveva intimatoprima di usciredi non muoversi da letto?

Era veroma la ragazza s'era presentata lo stesso; è che non potevafarne a meno. Lui non le dava mai un soldo; lasciava anzi spesso chefosse lei a pagare per due. In queste condizioni come scioperare? Caterina sapeva bene dove andavano a finire le operaie disoccupate: aMarchiennesin una casa pubblica.

- Perdìoche ci sei venuta a fare tu qui? - E alle scuse che leibalbettava:

-Allora ti metti contro di mebagascia! Fila a casa o tici riaccompagno a calci in culo!

Impauritalei si scansòma rimase: voleva almeno vedere che piegaprenderebbero le cose.

In quellasbucando dal locale della cernitacomparve Deneulin. Nonostante la mezz'ombra in cui le lanterne lasciavano lo stanzoned'un'occhiata abbracciò la scena: nella folla che vi si pigiavanonun viso gli era sconosciuto. Nel localepulito e come nuovotutti isegni del lavoro sospeso: dalla macchina sotto pressione il vaporesfuggiva con leggeri sibili; le gabbie pendevano immobili dai cavi;berlineabbandonate sui binariingombravano il pavimento di ghisa;un gran numero di lampade brillava ancora nella lampisteria: soloottanta ne erano state ritirate.

Certo che la sua parola non mancherebbe di fare effetto e che illavoro riprenderebbe:

-Ebbeneche succede mairagazzi miei? -chiese Deneulin con voce sicura. - Di che v'avete a lagnare? Apritevicon mefaremo presto a intenderci.

D'abitudinesi mostrava paterno coi dipendentipur esigendo chefacessero il loro dovere. Autoritariobrusco di modicercava diconquistarseli con una bonarietà non scompagnata però da risolutezza;e per lo più vi riusciva. Gli operai rispettavano in lui l'uomo difegatoil padrone che si faceva vedere spessissimo fra loro neicantieri d'abbattimentoed era sempre il primo a comparire ogni voltache un incidente si verificavache un pericolo minacciava lemaestranze. In occasione di scoppi di grisùmentre i più bravi sitiravano indietrodue volte già egli s'era fatto calare sul luogo deldisastroappeso per le ascelle a una corda.

- Andiamonon vorrete mica farmi pentire di aver risposto di voi. Sapete che ho respinto l'offerta d'un picchetto di gendarmi che dovevamontare la guardia al pozzo. Non abbiate timore di parlare: sono quiper ascoltarvi.

Messi in soggezioneora tutti tacevanosi tiravano indietro. FuChaval a prendere la parola:

-Eccosignor ingegnere; c'è che allecondizioni attuali non ci sentiamo più di lavorare. E' necessario checi venga accordato un aumento di cinque centesimi a berlina.

Deneulin mostrò sorpresa:

-Come? un aumento? in base a chequestarichiesta? Io non mi lagno dei lavori di rivestimentoné intendoimporvi una nuova tariffacome fa la Compagnia di Montsou.

- Sta bene; ma anche se non ci sono questi motivi di scontentoper inostri compagni sussistono ragioni d'agitarsi. Essi esigono un aumentoa berlina di cinque centesimiperché le condizioni ora in vigore sonoinsufficienti. Non è verovoialtriche vogliamo cinque centesimi dipiù?

Delle voci assentirono; si ricominciava a rumoreggiarea gesticolareminacciosamente. A poco a poco intorno a Deneulin il cerchio deglioperai si restringeva. Un lampo passò negli occhi dell'ingegnere; sidominò per non cedere alla tentazione di afferrare qualcuno per ilcollo. Meglio discutereragionare.

- Voi volete dunque un aumento di cinque centesimi e io non hodifficoltà a riconoscere che il lavoro lo vale. Senonché io non hopossibilità di accordarvi questo aumento. Se ve l'accordassisareiperduto. Rendetevi conto anzitutto cheperché voialtri viviatedevoanzitutto vivere io. Ora la verità è che io mi trovo in una situazionetale che il minimo aumento nei prezzi di costi mi condurrebbe dirittoal fallimento. Due anni or sonoricordateveloin occasionedell'ultimo sciopero che vi fuho ceduto alle vostre richieste;potevo ancora farlo. Ma non per questo quell'aumento è stato menorovinoso; sono due anni infatti che lottoche faccio fronte a stento. Oggi come oggipreferirei chiudere bottegapiantare ogni cosapiuttosto che trovarmi sin dal mese venturo a non saper dove prendereil danaro per pagarvi.

Chaval sogghignava: sì che si poteva credergli! sì che un padronesciorina così in pubblico i propri interessi! Gli altri tenevano ilcapo bassococciutiincreduli: l'andasse a raccontare a chi volevache non s'arricchiva alle spalle dei suoi operai!

Deneulin allora ricorse a nuovi argomenti. Spiegò la lotta chesosteneva contro quelli di Montsousempre in agguatosempre pronti afar di lui un boccone al primo passo falso. Era una concorrenzaspietata che lo costringeva a tutte le economie; tanto più che laprofondità del pozzo faceva salire il costo della estrazione:condizione sfavorevoleche il maggior spessore dei filoni compensavaa stento. All'aumento di paga accordato sotto la pressione dell'ultimoscioperomai egli si sarebbe indotto se non si fosse trovato nellanecessità di seguire l'esempio di Montsou per timore che le maestranzelo abbandonassero. Pensassero all'indomani: se lo costringevano avenderebel risultato per loropassare sotto il gioco dellaCompagnia di Montsou! Lui non era uno di quei padroni che troneggianolontano in un sacrario inaccessibile; non eraluiuno di quegliazionisti che il minatore non vede mai e che pagano degli aguzzini persfruttarlo. Lui era un imprenditore in proprioche rischiava benaltro che il suo danaro; lui rischiava tutto: ingegnosalutevita. La sospensione del lavoro significherebbe per lui la fineperchériserve di minerale non ne aveva e alle ordinazioni quindi non avrebbepotuto dare esito. D'altra parte il capitale investitonell'attrezzatura del pozzonon poteva restare infruttuoso. Altrimenticome potrebbe lui far onore ai suoi impegni? chipagherebbe l'interesse delle somme affidategli dagli amici? Sarebbe labancarotta.

- Ecco dunque come stanno le cose- concluse. - Vorrei convincervi... Non si chiedeè veroa un uomo di sgozzarsi da sé. Ora che io viaccordi l'aumento che domandate o che pure vi lasci scioperareè lostesso preciso che se mi segassi la gola.

Tacque. Nella folla corsero mormorii. Una parte degli ascoltatorisembrava esitare. Parecchi si riaccostarono al pozzo.

- Almeno- propose un caposquadra- che ognuno sia libero di sé. Chisono quelli che vogliono lavorare?

Vedendo Caterina farsi avanti tra i primiChaval furibondo larespinse:

- Noi si è tutti a uno! - gridò. - Soltanto i vigliacchipiantano i compagni!

A questo punto ogni conciliazione apparve impossibile. Ripresero avociare. A spintoni si scacciavano dal pozzo i volenterosia rischiodi schiacciarli contro il muro. Deneulinnella sua disperazionetentò un istante di lottare da solo contro tuttid'imporsidiridurre i forsennati all'obbedienza. Ma si rese subito contodell'insensatezza dell'impresa e si ritirò nell'ufficio delricevitore. Lì rimase qualche minuto senza fiato su una sedia; cosìmortificato della propria impotenza da non vedere più che fare. Soloquando si fu un po' calmatogli venne un'ispirazione: parlare aChavalvedere che avesse in buzzo quell'uomo. E quando ilsorvegliante gli riferì che quello acconsentiva al colloquiocongedòtutti d'un gesto.

Sin dalle prime paroleDeneulin capì d'aver a fare con un vanitosoroso dall'invidia. Allora ricorse all'adulazione: si stupivaveramente si stupiva che un operaio del suo merito compromettesse cosìil suo avvenire. Da tempodisseaveva messo gli occhi su di lui e lodestinava ad un rapido avanzamento. Concluse offrendogli a bruciapelodi nominarlo a breve scadenza caposquadra. L'altro ascoltava insilenzio: i pugni che in principio stringevavia via che l'ingegnereparlavas'andavano allentando. Un lavorio avveniva nel suo cervello:se le cose stavano cosìa che pro intestarsi nello sciopero? egliresterebbe sempre il tirapiedi di Stefano; mentre ora alla suaambizione ben altra prospettiva si schiudeva: quella di passare nelnumero dei capi. Solleticato dalla proposta di Deneulingiàl'orgoglio gli scaldava il sanguelo ubriacava. D'altra partesullabanda di scioperantidi cui dal mattino attendeva l'arrivoormai nonc'era più da fare assegnamento: qualche ostacolo era certosopravvenutol'intervento fors'anche della gendarmeria. Era dunque -o non più - il momento di sottomettersi. Così si diceva; ma col caposeguitava lo stesso a fare cenni di diniegoa darsi indignato grandimanate sul pettoad atteggiarsi a uomo che non si lascia corrompere. Finchétacendo dell'appuntamento dato agli scioperanti di Montsoupromise di calmare i compagnidi convincerli a riprendere il lavoro.

Deneulin non si mostrò; gli stessi capisquadra si tennero in disparte. Fu Chaval dall'alto di una berlina a parlare; peroròdiscusse perun'ora. Una parte degli operai lo fischiava; di questi un centinaios'allontanarono esasperatiostinandosi nella risoluzione ch'era statoChaval a patrocinare.

Erano da poco passate le settein un tripudio di sole l'alba sorgevasu una giornata che si annunciava rigidissimaed ecco ridestarsinella miniera il lavoro. Fu la macchina d'estrazione a dare il segnaledella ripresa: la biella si tuffò; le pulegge svolsero i cavi. Poifra lo strepitare dei segnalisi iniziò la discesa: le gabbie siriempivanos'inabissavanoriaggallavano; il pozzo inghiottiva la suagiornaliera razione di carne umana; mentre sulle lastre di ghisa altrioperai spingevano a braccia le berline in un fragore di tuono.

Vedendo Caterina in attesa del suo turno:

- Sacradìo- Chavalimprecò- che stai lì a fare con le mani in mano? ti spicci adiscendere?Alle novearrivando puntuale con Ceciliala Hennebeau trovò le dueDeneulin bell'e pronte; elegantissime negli abiti chi sa pure quantevolte riaccomodati. Non era solascortava la carrozza Négrel acavallo. Come mai? si stupì Deneulin: anche Négrel della partita?

Placidala Hennebeau spiegò che l'avevano allarmata col dirle che lestrade erano piene di brutti ceffi; per questo aveva chiesto al nipoted'accompagnarle. Négrel rideva: non c'era di che impensierirsi;minacce al solito di pochi scalmanatima non uno che ardirebbelanciare un sasso contro un vetro. Deneulincaldo ancora del successoriportatoraccontò come aveva domato la rivolta nel suo pozzo: ormaiogni apprensione era sfumata. E lì sulla strada di Vandamementrequelle donzelle prendevano posto in vetturatutti si rallegravano perl'incantevole giornataben lungi da sospettare che poco lontanofermentava e dilagava per la campagna il malcontento; e una folla simetteva in marciadella qualesolo che avessero appoggiato controterra l'orecchioavrebbero avvertito il minaccioso avvicinarsi.

- Allora siamo intesi- concluse la Hennebeau. - Stasera leiDeneulinviene a riprendere le sue figliole e cena con noi. Anche lasignora Grégoireche viene a riprendere Ceciliasarà dei nostri.

- Non mancherò.

La vettura partì in direzione di Vandamescortata al trotto dalgalante Négrel; mentre le Deneulin si sporgevano ancora una volta asorridere al padrefermo sul ciglio della strada.

Attraversata la forestasi pigliò per la strada che da Vandame portaa Marchiennes. Giunti che si fu in prossimità del TartaretGiannachiese alla Hennebeau se era mai stata alla Collina Verde. No; sebbenelì ormai da cinque annila Hennebeau non s'era mai spinta sin là. Allorasi svoltò: valeva la pena di allungare d'un po' la strada.

Il Tartaret eraal margine della forestauna landa incoltad'unasterilità di terreno vulcanico; sotto la quale ardeva da secoli unaminiera di carbon fossile che aveva preso fuoco. La storia di quellaminiera si perdeva nella leggenda. Minatori del paese raccontavanocheper punire i peccatacci di cui le operaie di quella sotterraneaSodoma s'erano macchiateil fuoco era piovuto dal cielo; cosìimprovviso e copioso che non una delle sciagurate aveva fatto a tempoa trovare scampo all'aperto; trasformando l'antico pozzo in una geennadove oggi ancora le malnate bruciavano. Alla superficie le roccecalcinated'un rosso cuposi coprivanocome di una lebbradiincrostazioni di allume; mentre spuntava lungo le crepe il giallofiore dello zolfo. Chi la notte era abbastanza coraggioso per metterel'occhio a quelle spaccaturegiurava di vedere tra un lingueggiare difiamme torcersi tuttora le anime delle dannate. Fuochi fatui correvanoraso terra; e calde buffate di fumo si sprigionavano di continuo daquella cucina del diavoloappestando l'aria del loro tanfo. Ma inmezzo alla maledetta landa - miracolo di eterna primavera - unacollina sorgevala Collina Verde appunto; perennemente verzicanted'ameni praticellipopolata di faggi il cui fogliame a ogni primaverasi rinnovellavaseminata di coltivi che sin tre volte all'annomaturavano il raccolto. Era una serra naturaleche il caloresotterraneo alimentava. Su di essa la neve si squagliava nel volgeredi poche ore. Anche adessoe si era in dicembrel'enorme mazzo diverdura si spampanava in tutto il suo rigoglioin contrasto con glialberi spogli della vicina foresta; il morso del gelo non ne avevastrinato neanche gli orli.

Mentre la carrozza filava di nuovo in pianuraNégrel prese amotteggiare sulla leggenda. Era di solito per combustione spontaneadovuta all'attrito della polvere di carboneche le miniere prendevanofuoco.

Se l'incendio non si domava subitonon c'era più rimedio; e citaval'esempio d'una miniera del Belgio: per spegnerlas'era dovutoinondarladeviandoci dentro un fiume.

Ma a questo punto anche Négrel si ammutolì. Con sempre maggiorefrequenza si incontravano da un po' gruppi di minatori. Passavano insilenziolanciando sguardi ostili a tutto quel lusso che licostringeva a fare ala. Davanti al loro crescereal ponticello sullaScarpe si dovettero mettere i cavalli al passo. Che accadeva maiperché si vedessero tanti sfaccendati in giro? Le signorines'impaurirono; Négrel cominciò a subodorare qualche disordine. Per cuifu per tutti un vero sollievo arrivare finalmente a Marchiennes.

Sotto il sole che pareva spegnerlele batterie dei gasogeni e letorri degli altiforni emettevano pennacchi di fumo cheinquinandol'ariaripiovevano in fuliggine

 

 

Capitolo secondo

 

Da un'ora Caterina attendeva al suo lavoroche giàgrondante disudoredoveva arrestarsi. Si asciugava il visoquando Chavaldietroad abbatterenon udendo più il rumore del traino né potendoper ilpulviscolo ch'era nell'ariarendersi contoalla scarsa luce dellalampadadel perché di quell'arresto:

- Che è? - gridò. E allarisposta della ragazza:

-Soffocomi manca il cuore. - Fa' come noistupida! - ribatté furibondo- togliti la camicia!

Lavoravano a settecento e più metri di profonditànella primagalleria del filone Desideratadistante tre chilometri dal piano dicarico: un punto della minieradel quale i minatori che vi avevanolavorato parlavano impallidendo e abbassando la vocecon lo sgomentocon cui avrebbero parlato dell'inferno; di parlarne anzi evitavanodiquel braciere; si contentavano di scuotere il capo. Gli è chequantopiù le gallerie si spingevano verso il nordtanto più si avvicinavanoal Tartaretcioè al fuoco sotterraneo che a fior di terra calcinavale rocce. Lìla temperatura raggiungeva in media i 45 gradi. Si eradunque nel cuore della città maledettain mezzo alle fiamme che - acredere a chi diceva d'averle viste lingueggiare attraverso le crepedel terreno - spuntavano all'aperto zolfo e gas mefitici.

Dopo un attimo d'esitazioneCaterinache non aveva più indosso chele brachesi tolse anche quelle; e legatasi con uno spago la camiciaintorno ai fianchia braccia e cosce nude si rimise al lavoro:

- Unpo' meglio va! - Nel malessere che il soffoco le davaentrava ancheuna vaga paura. Sebbene già da cinque giorni lavorasse lìancora laragazza non aveva vinto un certo superstizioso terroreinculcatoledai racconti tante volte uditi da bambina: il terrore delle antichecolleghe che seguitavano a bruciare sotto il Tartaret in punizione dipeccatacci sui quali si sorvolava. Certo lei non era più in età daprestar fede a quelle fole; purese all'improvviso una di quelledannate le fosse comparsa davantiarroventata come una padella alfuococon due tizzoni per occhi? L'idea solo le dava la pelle d'oca.

Allo scambioche si trovava ad ottanta metri dal cantierelesottentrava una compagna che per altri ottanta spingeva la berlinasino al piano inclinatodove il manovale s'incaricava d'inoltrarlainsieme ai carichi provenienti dalle gallerie sottostanti. La collega- una vedova macilenta sui trent'anni - vedendo Caterina in camicia:

-Capperi! tu almeno soggezione non te ne pigli! Potessi mettermianch'io in camicia come te! Anche così come sonoquei porci dimanovali me ne dicono già tante!

- Oh a me che me ne fa degli uomini! Non voglio crepare! - e ripartìspingendo innanzi la berlina vuota.

Né solo per la vicinanza del Tartaret si boccheggiava là sotto. Ilpeggio era che la galleria ne costeggiava un'altraprofondissimadella Gaston-Marieabbandonata dieci anni innanzi in seguito a unoscoppio di grisù. Il filone aveva preso fuoco e seguitava tuttora abruciare dietro il muro d'argilla- la «concia» come i minatori lochiamavano - che era stato innalzato per arginare l'incendio; muro cheogni poco occorreva riparare. Isolato cosìil fuoco avrebbe dovutospegnersi per mancanza d'aria; ma qualche corrente doveva alimentarlose dopo dieci anni arroventava ancora la pareteal punto chepassandos'era investiti come da una vampa. Oraera appunto lungo la«concia» che il carriaggio si svolgeva per oltre un centinaio dimetriin una temperatura di sessanta gradi.

In capo a due viaggiCaterina si sentì di nuovo mozzare il respiro. Fortuna che lìlo spessore del filone - uno dei più spessi che sifossero incontrati nella regione - aveva consentito di allargare ilcamminamento in modo che ci si muoveva comodamente. Il suo metro enovanta di altezzapermetteva anzi agli staccatori di lavorare inpiedi: vantaggio tuttavia al quale essi avrebbero preferito un po' difresco.

Al nuovo arresto nel trainoChaval riprese a imprecare:

-Dormi mica?

Chi è che mi ha messo alle costole una simile brenna? Ti sbrighi o nonti sbrighi?

A piè del cantierecolta da un malessere che le impediva di ubbidirela ragazzaappoggiata al badileguardava i compagni con aria ebete. Stentava a distinguerli nella luce rossastra delle lampadeinteramente nudima d'una nudità che non offendeva tanto lamascherava la polvere di carbone che il sudore incollava alla pelle. Parevano scimmioni occupati in chi sa che oscura menaspine dorsaliche si protendevanomembra arsicce che si agitavano in un lavorospossantetra tonfi di piccozze e anfanare di petti: una visioned'inferno. Essi però la distinguevano meglio si vede; perché cessaronodi battere e presero a beffarla: ah anche le brache s'era cavata!

- Bada che non ti prenda un'infreddatura!

- Mica per niente s'è tolta i calzoni! E' che può mostrarle le gambe! E con tutta quella grazia di Diopretenderesti di godertela tu soloehChaval! Ce n'è per due!

- Mica detto! Bisognerebbe vedere! Tirala supiccinala camicia! piùsu! più su ancora!

Senza prenderselaChaval ne approfittò per un nuovo sfogo:

-Ohperquestoce n'ha! E ci gode a sentirselo dire! Ohper questostarebbelì sino a domanila sudiciona!

Raccogliendo tutte le forzela ragazza aveva intanto riempito laberlina ed ora la avviava. L'ampiezza del camminamento le impediva siada un lato che dall'altro di puntellarsiper spingerealrivestimento. I piedi scalzi si storcevano in cerca d'appoggionelsolco dei binari; spezzata in dueprocedeva a rilentoprotendendo eirrigidendo le braccia. Arrivata alla «concia»a quel supplizios'aggiungeva quello dell'arroventato riverbero; cominciava a grondareda capo a piedigoccioloni che parevano l'avvisaglia d'un acquazzone. Non era che a un terzo della meta e i goccioloni si cambiarono inrigagnoli; la accecaronola impiastricciarono di nera fanghiglia. Lascarsa camiciache pareva imbevuta d'inchiostrole si incollò allapellele risalìnel movimento delle anchealle reni;imbrigliandolala impacciò al punto che la costrinse un'altra volta afermarsi. Che diavolo le succedeva quel giorno? Mai come oggi s'erasentita le ossa di mollica. Forse l'aria viziata. La ventilazione aquella profondità non arrivavaper cui si respirava ogni sorta dimiasmi. Sfuggivano dal filone con un gorgoglio di fonte; a volteintale copia da spegnere la lampada; senza parlare del grisùdi cui nonci si preoccupava quasi piùtanto se ne respirava. La conosceva beneCaterinaquell'aria! l'«aria morta»come i minatori la chiamavanopregna in basso di gas pesanti che producono asfissia; in altodi gasleggeri chese si infiammanofulminano in men che non si dicaconlo schianto d'un tuonotutti i cantieri d'una minieraseminandoli dimorti. Con tanta che ne aveva sorbita di quell'ariaa cominciare dabambinacome mai oggi la sopportava così male? le orecchie leronzavanola gola ardeva. Non reggendo piùprovò il bisogno ditogliersi la camicia: quella tela diventava sulla pelle una tortura;la più piccola piega la scottavala scorticava. Volle resistere allatentazionepiegarsi ancora a spingere: dovette raddrizzarsiall'istante. Allorasmaniosasi strappò d'addosso la camicia «per ilritorno- dicendosi- me la rimetterò». E ignuda ormaimiserevolecome la femmina che mendica trottando nella belletta delle straderiprese a spingere; carponi quasi; imbrattata di carbone e di fangosino al ventre e alle renisimile alla bestia da tiro d'una vetturadi piazza.

Ma il sollievo non fu che momentaneo. Che togliersi ancora? la pellese avesse potuto. Una morsa la serrava alla tempiail ronzio alleorecchie la assordava. S'abbandonò sui ginocchi. S'ingannava o davverola lampadapiantata lì davanti nel carbone del carrellosi stavaspegnendo? Rimontarne il lucignolofu l'unico pensiero che inquell'oscurarsi della coscienza restò a galla. Due volte posò interraper esaminarlala lampada ed entrambe le volte la videimpallidirecome alla fiammella pure mancasse l'aria. E di colpoeccola spegnersi. Tutto allora sprofondò nel buio. Il capo le giravacome una trottolail cuore le mancavacessava di battereparalizzato anch'esso dalla spossatezza che le legava le membra. Caterina era stramazzata all'indietro e ora agonizzava nell'ariairrespirabile che s'accumulava raso terra.

- Scommetto che si sta prendendo un altro po' di svagomaledizione! -e Chaval sportosi in ascoltonon udendo alcun rumore di traino:

-EhiCaterinadicobattifiacca della malora!

La sua voce si perdeva lontano nel buio della galleriasenza ottenererisposta. - Vuoi proprio che venga io a farti spicciare? - Silenzio dimorte.

FurenteChaval balzò giù; e con la lampada in mano si lanciò inavanti con tale impeto che poco mancò inciampasse; riversoil corpodella ragazza sbarrava il camminamento. A bocca apertasi chinò aguardare. Che era? mica una finta per schiacciare un sonnellino? Manell'avvicinarle la lampada al visonotò che la fiammella vacillava. Ripeté ilgestocon lo stesso risultato; e finalmente capì: il gas! un brutto tiro del gas! Davanti al camerata in pericoloallora dicolpo la sua collera cadde; si destò in lui lo spirito di solidarietà. Già dava la voce ai compagni; gli portassero da vestirsi. E intantotolta in braccio la svenutala sollevava più in alto che poteva. Comegli ebbero buttato sulle spalle i vestiti suoi e di Caterinaimpugnate le due lampade e reggendo sul braccio libero la ragazzasimise di corsa. Galoppavaprendendo ora a destra ora a sinistradigalleria in galleriaverso la più vicina bocca d'aerazioneversol'aria gelida e vivificante. A un gorgogliare d'acqua che filtravadalla roccia si arrestò; si trovava all'imbocco della grande galleriadi carriaggio per la quale passava un tempo il traffico della Gaston-Marie. Lì faceva capo una bocca d'aerazione che scatenava in quelchiuso poco meno d'una tempestarinfrescando l'aria al punto cheseduta che ebbe la ragazza con la schiena appoggiata al piedrittol'uomo fu colto da un brivido. Spiandola e vedendola rinvenire:

-AnimoCaterina! - ed alzava la voce come l'altra potesse udirlo. -Tienti un po' ritta che io possa inzuppare questo nell'acqua!

Lo allarmava vedersela ciondolare. Riuscì comunque a immergerenell'acqua la camicia di lei e a passargliela bagnata sul viso. Esilea quel modoper la sua età così poco sviluppatala fanciulla sisarebbe detta più di là che di qua. Finalmente un brivido corse suquel seno appena accennatosi propagò al ventrealle cosce. ECaterina aperse gli occhi:

-Ho freddobalbettando. - Ah bene! -esclamò l'altroe rifiatava. - Parola miapreferisco! - E prese arivestirla. Se metterle la camicia fu impresa da pocomeno agevole fuinfilarle le brache tanto poco lei poteva aiutarsi.

- Dove sono? - lei ora chiedeva. - E come mai ero nuda? - Poiricordandosisi confuse: come mai aveva osato spogliarsi del tutto? Ea lui chiedeva:

-In quello stato m'hanno vista? senza neanche unostraccio davanti? - Luidiventato allegroadesso inventava: certo! per portarla lìaveva ben dovuto passare con lei nuda fra le bracciatra i compagni che facevano ala! Colpa suadel resto: che le eravenuto in mente di togliersi anche la camicia? Poivedendolaavvilitala tranquillizzò: portandolacorreva così veloce chenessunostesse certaaveva visto se fosse maschio o femmina. -Accidenti! ma qui fa un freddo cane! - e Chaval si rivestì a suavolta.

Mai Caterina lo aveva visto così premurosocosì gentile con lei. Disolito per una parola buona doveva aspettarne due villane. Comesarebbe bello vivere d'amore e d'accordo! Nello stato di spossatezzain cui si trovavala ragazza provava adesso un languido bisogno diaffetto. Sorridendogli:

- Dammi un bacio- bisbigliò. Lui laabbracciòs'allungò al suo fianco. - Vedi- lei riprese- che avevitorto a sgridarmi? Era vero che non ne potevo più. Voialtri lassù inalto non lo sentite il caldo che fa da basso. Nel camminamento sicuoce.

- Certolo credo anch'iosotto gli alberi si starebbe meglio... Noscherzo! Mi rendo conto benissimo che dove lavori adesso ci stai male.

Sentire che le dava ragionela commosse al punto che volle mostrarsibrava:

-Oh è stato solo perché ero indisposta! e l'ariaanchecheoggi è proprio irrespirabile. Ma vedraiadesso che si tornase sonouna battifiacca! Quando è tempo di lavoraresi lavorano? Iopiuttosto che darmi vintaci schiatterei.

Ci fu un silenzio. Allacciandola alla vitalui se la stringevacontrocome a proteggerla. E leipur sentendosi già in grado ditornare nel cantieres'abbandonava con delizia a quell'attimo difelicità; così struggente che le gonfiò gli occhi di pianto. Chavalcon trasporto:

-Perché piangi? T'avrei preso con me se non ti volessibene? - Lei scosse in risposta il capo: quante volte gli uominiprendono una donna infischiandosi di leicosì per cavarsi uncapriccio! Oraa pensare quanto la sua vita sarebbe stata più felicea fianco d'un altro che la tenesse sempre cosìavvinta a sélaprendeva la disperazione e le sue lacrime scorrevano più calde. Unaltro? un altrodi cui ora le sorgeva innanzi confusa l'immagine e alcui ricordo le si gonfiava il cuore. Ma ormai... Ormailei desideravapiù solo vivere sino alla fine con quello lì... purché non lamaltrattasse tanto... - Se mi vuoi bene- disse allora- cerca diquando in quando di essere con me come sei ora- e i singhiozzi letroncarono la voce. Lui baciandola di nuovo:

-Scioccona che sei! Masìsarò come vuoi! te lo giuro. Mica sono più cattivo d'un altrosai! - Mentre dicevalei gli spiava con speranza il viso e di tra lelacrime cominciava a sorridere. Forse Chaval non aveva torto: se neincontrano così di rado di donne felici! E comunqueanche senzacredere troppo nel suo giuramentoora lo vedeva appunto come avrebbevoluto fosse sempre; e Caterina si abbandonava alla felicità delmomento.

Si erano riabbracciati e si stringevano ancora una contro l'altroquando un avvicinarsi di passi li fece saltar su. Erano tre compagniche non avendoli visti ripassarevenivano per notizie.

I due amanti si rimisero in strada verso il cantiere. Ma erano ormaile dieci; tanto valeva trovarsi un angolo fresco dove consumare lacolazione. Così fecero; e stavano per berci sopra dalla fiaschetta unsorso di caffèquando li colpì un rumore in lontananza. Che potevaessere? qualche nuovo incidente? E si misero di corsa verso i lontanicantieri donde il rumore proveniva. A ogni passo incontravano compagniallarmati; tutti gridavanoma nessuno sapeva dire che fosse: certoqualche cosa di grave. L'allarme s'andava propagando per tutta laminiera. Ombre gesticolanti sbucavano dalle gallerielampades'agitavano nel buiofilavano via veloci. Che diavolo era successo? dove? perché non si diceva? Finché un caposquadra passò gridando:

-Tagliano i cavi!

Allora fu il panico. Tutti perdevano la testa; tutti correvanoall'impazzata verso il pozzo. I cavi? perché si tagliavano i cavi? echi li tagliava? con le maestranze ancora nella miniera? Eraimpossibile!

La spiegazione l'ebbero da un secondo capo-sorvegliante che passògridando:

- Quelli di Montsou stanno tagliando i cavi! Che tuttiescano! - Correva gettando l'allarme; la sua voce si riudì giàlontana.

AllibitoChaval si arrestòcostringendo anche la ragazza a fermarsi. La squadra degli scioperanti ch'egli già si figurava in prigioneeradunque arrivata! La prospettiva di caderci in mezzo all'uscitagliparalizzava le gambe. Un istante pensò di tornare indietrodirisalire per il pozzo della Gaston-Marie; ma l'ascensore da quellaparte non funzionava più. Sacramentavaindecisocercando didissimulare la propria pauraripetendo ch'era stupido correre a quelmodo; come si poteva pensare che li abbandonassero in fondo allaminiera?

Già il caposquadra di prima ripassava:

-Uscireuscire tutti! Allescalealle scale!

Travolto via con gli altriChaval se la prese con la ragazza che noncorreva abbastanza: voleva che ci restassero loro due soli in fondoacrepare di fame? perchégridòerano ben capaciquei banditi diMontsoudi fare a pezzi le scale prima che il pozzo si vuotasse.

Gridata cosìl'ipotesi che i dimostranti potessero arrivare aquell'estremosi sparse e finì per far perdere la testa a tutti. Nonfu più per le gallerie che una fuga disordinata e tumultuosaunacorsa insensata a chi arrivava prima. Già c'era chi asseriva che lescale erano state interrotteche si era bloccati.

E quando sbucando a gruppi atterriti dalla galleria gli operaicominciarono ad affluire nello stanzone del piano di caricofu unvero avventarsi verso l'imboccatura del pozzouno schiacciarsi controla porticina d'accesso alle scaleun ingolfarsi di forsennati su peril nero budello. Calmo in mezzo al tumultosolo un vecchio stalliereche aveva finito allora di ricondurre per misura di prudenza le suebestie in scuderiali guardava come si guarda una folla di mentecatti- lui abituato a passare le notti nella miniera e sicuro che nonmancherebbero di tirarlo fuori di là dentro.

- Sacradìo! vuoi sì o no salire per prima? Almeno se scivoli ti reggo!

Trafelata e ansante per quella corsa di tre chilometriCaterinasgomenta s'abbandonavasenza raccapezzarsiai risucchi della folla. Chaval allora la tirò a sé con una brutalità così inaspettata che lafece gridare e traboccare in pianto: ecco come l'amante manteneva ilgiuramento appena fatto! ah mai lei sarebbe felice!

- Passa dunque! - urlò quello. Ma lei nicchiava; obbedendoglisiesporrebbe per tutto il tragitto ai suoi maltrattamenti; e intanto ilpigia pigia li spingeva entrambi da parte. Sotto il calpestio dellafolla in preda al panicoil tavolatosotto il quale s'apriva ilpozzetto di scarico profondo dieci metriscricchiolava paurosamente. E tutti ricordavano che due anni innanzi proprio lì sottonell'acquamelmosa di quello smaltitoioin seguito alla rottura d'un cavoeranoannegati due uomini. Questa volta sarebbe ben peggiose il tavolatocedeva al peso!

- Zuccona della malora! Crepa dunque: mi ti toglierai una buona voltadai piedi! - epersa la pazienzaChaval passò primo. Caterina gli simise dietro.

Per sbucare alla lucec'erano da salire centodue scale; e ogni scaladi sette metri circapoggiava su una specie di pianerottolo di legnoche occupava tutta la larghezza del bugigattolo e nel quale unaapertura quadrata permetteva appena alle spalle di passare. Era comeun pozzetto verticaledi settecento metri d'altezza che correva trala parete del pozzo e la paratia dello scompartimento d'estrazione: unumido budello nero interminabiledove le scale si rizzavano quasi aperpendicolo una sull'altraa distanze eguali. Un uomo robustoimpiegava quasi mezz'ora per arrampicarsi sino in cima alla gigantescacolonna; di più oradato lo stato in cui si trovava quel passaggioche serviva ormai solo in caso di disastro.

In principio Caterina salì di buona lena. I suoi piedi avvezzi acamminare scalzi sull'aguzza carboniglia dei cunicoliquasi nonavvertivano la guarnitura di ferro che armava i pioli contro illogorio; e le sue mani incallite di spingi-carichi s'afferravano senzadifficoltà ai montantiche pure non arrivavano a impugnare. Laoccupava anzila distraeva dai suoi tristi pensieri quell'imprevistaarrampicata; quel lungo serpente d'uomini - tre per scala- che siissava così lento che quando la testa sbucherebbe alla luceancora lacoda si trascinerebbe laggiù sul pozzetto di scarico. Per oral'avanguardia non doveva trovarsi che a un terzo del tragitto. Piùnessuno parlava; nel gran silenzio s'udiva solo il sordo scalpicciodei piedi; mentre le lampadesimili a stelle errantisiscaglionavano dal basso in altoin una fila che s'allungavas'allungava...Sull'esempio di qualcuno dietro a leianche Caterina prese a contarele scale via via che se le lasciava alle spalle. Se ne erano giàsuperate quindicicon che si era arrivati al primo piano di carico. Aquesto punto ci fu un arresto; così inattesoche Caterina sbattécontro le gambe di Chavalfacendolo prorompere in bestemmie. Digradino in gradino l'arresto si propagò finché tutta la colonna fuferma. Che succedeva? ognuno ritrovava la voce per chiedere allarmatoche fosse. Per il non sapere che succedeva lassùl'ansietà crescevaquanto più s'era vicini alla meta. Non mancò chi gridò che le scaleerano interrotteche bisognava ridiscendere.

E già ci si credevail terrore di tutti essendo quello; ma un'altraspiegazione dell'arresto già passava di bocca in bocca: un minatoreche era scivolato. Senonchéla nuova versione era poi la giusta? Mah! il vocìo impediva di capire. - Che dovremo dormire qui? - Finalmentesenza che il motivo della fermata venisse meglio chiaritol'arrampicata ripreselenta e penosa come primatra il calpestio dipiedi e l'oscillare delle lampade. Non c'era però da illudersi: certopiù su troverebbero le scale interrotte.

Alla trentaduesima scalaoltrepassato appena il terzo piano dicaricoCaterina sentì le braccia e le gambe intormentirsi. Era statoin principio un leggero formicolio; ma ora piedi e mani avevano persola sensibilitànon riconoscevano più quello che toccavano; mentre lamuscolatura cominciava a dolerle: un dolore che da vago si faceva apoco a poco cocente. E nell'intorpidimento che la invadeva le tornavaa mente ciò che raccontava il nonnoBonnemortdel tempo chel'estrazione si faceva a spalle. Ragazzine di dieci annicurve sottola corbas'arrampicavano per scale semplicemente appoggiate allaparete del pozzo; sicché se avveniva che una di esse scivolasse oanche solo che da una cesta traboccasse un blocco di carbonetre oquattro erano travolte e ruzzolavano giù a capofitto.

Il morso dei crampi intanto cresceva; la ragazza perdeva la speranzadi farcela.

Nuovi arresti le permisero di riprendersi un po'; ma le vociallarmanti che ognuno provocava finivano di intontirla. Davanti edietro a séi respiri si facevano faticosi; quella ascensione che nonfiniva maicominciava a dare a tutti il capogiro: una vertiginecollettivauna specie di mal di mare che coglieva anche lei. Vacillando come ebbra in quel buiourtando continuamente nelle paretiche la schiacciavanola ragazza soffocava. E oraall'approssimarsidel livello d'acquasi aggiungeva la pioggia battente che minacciavadi spegnerle la lampada e che inzuppandole il corpo in sudorelapercorreva di lunghi brividi. Due volte Chaval le si rivolse senzaottenere risposta:

-Che faceva lì sotto? aveva perso la lingua? Glidicesse almeno se ce la faceva!

Si saliva da mezz'orama così straccamente che s'era arrivati appenaalla cinquantanovesima scala: quarantatré ne restavano!

Caterina finì per tartagliare chesìce la faceva; a scanso disentirsi dare dell'infingarda. Il ferro dei pioli adesso dovevascorticarle i piedi: lo avvertiva come il dente d'una sega che giàattaccasse l'osso. Ad ogni afferrarsi ai montantis'aspettava che lemanisbucciate e intormentite da non poterle più chiuderesilasciassero sfuggire il sostegno; e sentendosi le spalle slogatelecosce come divelte dal troppo prolungato sforzogià si vedevaprecipitare all'indietro. Ciò che più la faceva soffrire era la pocapendenza delle scalemesse quasi verticalmenteche obbligava atirarsi su a spese dei polsiil ventre schiacciato contro il legno. Le respirazioni adesso erano così affannose che coprivano loscalpiccio: un rantolo enorme che riempiva il budello da cima a fondomoltiplicato dalle vibrazioni della paratia.

Un grido di dolore a un certo punto lo sopraffece: un manovalecorsevoceche s'era spaccato il cranio contro lo spigolo d'un ripiano.

E Caterina saliva saliva. Il livello d'acqua venne oltrepassato. Cessata la pioggiauna specie di nebbia appesantì quell'aria dicantinaavvelenata dal tanfo di legno bagnato e di tutta quellaferraglia arrugginita.

Macchinalmente la ragazza seguitava a contare: ottantunoottantadueottantatré... Diciannove scaleancora. Era solo quel compitare a fiordi labbro che con la cadenza del suono la sosteneva. Dei movimenti chefaceva aveva perduto la conoscenza. La fila di lampade turbinavadavanti ai suoi occhiogni volta che li alzava. Perdeva sanguesisentiva mancare: a farla precipitaresarebbe bastato un soffio. Ilpeggio era che dal basso ora si spingeva; che la catena d'uominicedendo alla crescente irritazione prodotta dalla faticaal furibondobisogno di rivedere il soleadesso si buttava avanti tutta insieme. Iprimi erano ormai sbucati alla luce; ma se questo dimostrava che lescale non erano interrottenon liberava chi era lontano dall'uscitadal timore che potessero esserlo ancora; e il pensiero di restare lìmentre gli altri già respiravano l'aria liberali faceva impazzire. Tanto chea un nuovo arrestotutti imprecando seguitarono a salirespintonandosiscavalcandosicamminando su chi cadevanon badandopiù a nulla pur di arrivare.

SopraffattaCaterina stramazzò:

-Chaval! - gridandoin un appellodisperato. Ma Chaval non la udì; si stava battendo anche lui a calci ea pugni per passare prima. La ragazza fu travoltacalpestata; svenne. E nello svenimento sognava d'essere anche lei una di quelle piccoleoperaie di cui il nonno raccontava; anche leioraun blocco dicarbone scivolato da una cesta l'aveva travolta e di colpocome unpassero raggiunto da una sassataera precipitata in fondo al pozzo. Cinque scale soltanto restavano da salire; si era impiegato più diun'ora. Portata a spalletenuta ritta nella strozzatura del budelloCaterina non seppe mai come era sbucata alla luce. Di colpo si trovòin mezzo a una luce accecantetra lo schiamazzare d'una folla che lafischiava

 

 

Capitolo terzo

 

Sin dall'albeggiareun fermento di rivolta aveva corso i borghioperaiavvisaglia della sommossa che ora andava crescendo minacciosaper le stradedilagando per la campagna. Ma lo spargersi dellanotizia che cavalleria e gendarmi battevano la pianuraavevaconsigliato di differire l'ora della partenza. Quelle truppesidicevaerano arrivate da Douai nella notte; si accusava Rasseneur diaver venduto i compagniprevenendo Hennebeau; una spingi-carichiassicurava anzi d'aver visto il domestico che il direttore avevamandato a spedire il telegramma. Di dietro le imposte i minatorispiavanostringendo i pugniil passare dei soldati nel barlumedell'alba.

Verso le sette e mezzoal sorgere del soleun'altra voce venne acalmare gli animi. Non di tradimento si trattava; bensì d'uno deiperiodici spiegamenti di forza cheda quando era scoppiato loscioperoil comando del distretto ordinavasu invito del prefetto diLilla. I minatori esecravano questo funzionario chedopo averpromesso di intervenire in senso conciliativosi limitava ora a farsfilare ogni otto giorni le truppe con l'evidente scopo diintimorirli. Sicché quando dragoni e gendarmi ripreserotranquillamente la via di Marchiennespaghi d'avere intronato iborghi del trotto dei loro cavallii minatori risero alle spalle diquel bonomo di prefetto che ritirava le truppe proprio al momentobuono. Sino alle nove rimasero sulle soglie a farsi buon sangue acontemplare con aria sorniona allontanarsi le schiene bonarie degliultimi gendarmi. Crogiolandosi nei morbidi letti di piumaibenestanti di Montsou dormivano ancora. La Hennebeau era stata vistauscire in carrozza e lasciarsi alle spalle la villa silenziosadovecerto il marito era già al suo tavolo di lavoro. Non un pozzo erapresidiato: mancanza di previdenza che si verifica fatalmente almomento del pericolo e che dà la misura dell'incapacità d'un governo edegli errori di ogni sorta che commette quando si tratterebbe di nonlasciarsi sorprendere dagli avvenimenti. E suonavano le novequandofinalmente i minatori presero la via di Vandame per recarsi al postodi convegno.

Stefano si rese subito conto che non troverebbe alla Jean-Bart itremila compagni sui quali aveva contato. Molti ritenevano lamanifestazione differita; maquel che è peggiogià due o tre bandes'erano avviate; ese egli esitava a mettersi alla loro testac'erarischio che compromettessero ogni cosa. Quasi un centinaiopoipartiti avanti luceavevano dovuto rifugiarsi nella faggetainattesa degli altri. Souvarineche Stefano era salito a consultares'era stretto nelle spalle: il più spiccio eradisseappiccare ilfuoco a Montsou; e dieci tipi risoluti avrebbero raggiunto meglio loscopo che una folla; mentre così la cosa rischiava di prendere dinuovo una piega sentimentale. Rifiutò perciò di partecipare e sirichinò sul libro che teneva aperto davanti. Uscendonell'attraversare il gioco da bocceStefano scorse Rasseneur sedutodavanti alla stufa; pallidissimoascoltava i rimproveri di cui lamoglienell'immancabile vestito a lutto che la cresceva di staturalo bersagliava; in forma educata ma non per questo meno pungente.

Maheu fu d'avviso che non si dovesse mancare all'appuntamento: unappuntamento come quello era sacro. Anche in lui del restocome intuttila notte aveva calmato gli ardori; ora Maheu temeva deglieccessi da parte della folla: il loro dovere era quindi di trovarsisul posto per impedire ai compagni di abbandonarsi a violenze. Lamoglie lo approvava col capo. Stefano ripetécompiaciutochebisognavasìagire rivoluzionariamentema senza attentare alla vitadi nessuno. Partendorifiutò di accettare la parte che gli spettavadella pagnotta avuta il giorno prima; dalla bottiglia di ginepro sivuotò invece tre bicchierini che bevve uno sull'altroper vinceredisseil freddo; del liquore si riempì anzi una fiaschetta. Alziraresterebbe a badare ai bambini; quanto a Bonnemortle sue gambe sirisentivano troppo della passeggiata del giorno prima perché potessealzarsi da letto.

Per prudenza partirono alla spicciolata. Gianlino se l'era giàsvignata da un bel po'; mentre Maheu e la moglie s'incamminavano perla via più lunga alla volta di MontsouStefano si diresse allafaggeta incontro ai compagni. Per istrada raggiunse una frotta didonnetra le quali riconobbe l'Abbruciata e la Levaque; camminandomangiavano delle castagne portate dalla Mouquette; con la bucciapersentirsi più a lungo qualcosa sullo stomaco. Nella faggeta il giovanenon trovò più nessuno; già i compagniche in un primo tempo vi sierano rifugiatisi trovavano alla Jean-Bart. Messosi di corsaStefano arrivò davanti al pozzo nel momento che un centinaio didimostrantitra cui Levaquemettevano piede sul piazzaletto dellaminiera. Altri affluivano d'ogni parte: i Maheu dalla via maestraledonne attraverso i campi; sbandatisenza armi né guidaconfluendotutti lì come rigagnoli che avvia in unico punto la pendenza delterreno. Arrampicato su un cavallettoGianlino si disponeva di lassùad assistere allo spettacolo. Non si era in più di trecento. D'unbalzo Stefano si portò fra i primi.

Ci fu un'esitazione quando in cima alla scala della ricevitoriacomparve Deneulin. - Cos'è che volete? - chiese risoluto l'ingegnere.

Seguìta con gli occhi la carrozza di dove le figlie si sporgevanoancora a sorridergliDeneulin era tornato al pozzoripreso da unavaga inquietudine. Non c'era di che; tutto vi procedeva regolarmente:la discesa era avvenutal'estrazione era stata ripresa. Etranquillizzatosis'intratteneva col capo-sorvegliante nel capannonedella cernitaquando venne segnalato l'arrivo degli scioperanti.

Sportosi a una finestraalla vista di quella folla cheingrossandosivia viainvadeva il piazzalettoebbe subito netta la sensazionedella propria impotenza. In che modo difendere quell'agglomerato diedifici accessibili da ogni parte? A fatica avrebbe racimolato tra isuoi operai una ventina d'uomini disposti a stringerglisi intorno. Sisentì spacciato. Facendosi forza per non accasciarsi davanti aldisastro:

-Che volete? - ripetépallido d'ira repressa. Dei mormoriicorsero la folla che ondeggiò minacciosa. Stefano si decise a farsiavanti:

-Signorenon siamo venuti con alcuna intenzione di farle delmale. Ma è necessario che il lavoro cessi in tutti i pozzi.

Deneulin non si contenne:

-Imbecilli! - sbottò. - Sarebbe del beneallorasecondo voiche mi fareste arrestando il lavoro nel miopozzo? Tanto varrebbe che mi tiraste a bruciapelo una schioppettatanella schiena. Sìi miei uomini sono discesi; ma per farli risaliretenete presente che dovete prima farmi la pelle!

A questa risolutezza di linguaggiola folla rumoreggiò. Maheu dovettetrattenere Levaque che si buttava avanti minaccioso; mentre Stefanoseguitava a ragionare: si convincesse Deneulin della legittimità dellaloro richiesta; ma Deneulin rispondeva allegando il diritto per tuttidi lavorare.

- Mi rifiuto del resto di scendere a queste stupide discussioni. Incasa mia intendo comandare io. Mi rammarico solo di non avere quiquattro gendarmi per spazzarvi via tutti. La colpa è mialoriconoscod'essere sempre stato troppo buono con gli operai. Ho quelche mi merito. Con gente della vostra speciel'unico argomento chevalga è la forza. Capiterà lo stesso al governo che si illude dicomprarvi; con le sue concessioninon farà che fornirvi le armi conle quali lo rovescerete; ecco tutto!

Stefano faceva uno sforzo per dominarsi. In tono quanto possibilepacato:

-Badisignoresta a lei evitare un disastro. Dia ordinelapregoai suoi operai di sospendere il lavoro. Altrimentidebboavvertirla che io non rispondo dei miei compagni.

- Non faccio cessare nullalevàtemivi dai piedi. Io voi non viconosco; non appartenete al mio pozzonon ho nulla da discutere convoi. Bisogna essere dei briganti per venire in questo modo a fare iprepotenti in casa d'altri.

Vociferazioni si alzaronocoprirono la sua voce. Le donne lobersagliavano d'insulti. Lui seguitava a tenere testa; in quellarudezza di linguaggionella quale si sfogava il suo temperamentoautoritariotrovava sollievo. Dal momento che la rovina era ad ognimodo inevitabilescendere a patti gli ripugnava come una viltà.

Ma il numero dei dimostranti cresceva ogni minuto. In poco meno dicinquecentogià si avventavano contro l'ingresso; e lui rischiava perfierezza di rimetterci la vitaquando d'uno strattone il caposorvegliante lo trasse indietro:

-Per caritàingegnerequi succedeun massacro! A che pro? - Deneulin si dibatteva. Tirato dentro:

-Razza di banditi- lanciò in un ultimo grido di protesta- lavedrete il giorno che si tornerà ad essere noi i più forti!

Premuta alle spalle dalle donne che strillavano incitandoligià laprima fila s'avventava su per la scalaammassandovisi da schiantarnela ringhiera. La portachiusa solo da un saliscendicedette subito. Ma il varco di lì era troppo angusto per l'impazienza degliassalitori; pigiatischiacciati uno contro l'altroquelli in codacercarono altre entrate; chi passò dalla baraccachi dal capannonedella cernitachi dal locale delle caldaie. Fu da ogni parte untraboccare nell'interno; in meno di cinque minutil'intera minieracadde in mano dei dimostranti: cheesultando per la vittoriariportata sull'ostinazione del proprietariotumultuando invaserotutti i tre piani dell'edificio. Lanciandosi dentro tra i primi:

-Chenon gli facciano la pelleperòadesso ! - disse a Stefano Maheuallarmato. E già il giovane anche lui accorreva; ma quando si fu resoconto che Deneulin s'era barricato nella sala dei capisquadra:

-E seanche? - rispose. - Sarebbe colpa nostra? un cocciuto simile! - Cosìdicevama dentro di sé era inquieto: si controllava ancora abbastanzaper non cedere al cieco impulso del risentimento. E poi vedere che giàla folla cominciava a eccedereche si era appena al principio e giàgli sfuggiva di manolo urtava nel suo orgoglio di capo. Invanoesortava alla calma; invano si spolmonava a ripetere che non bisognavafare il gioco degli avversariabbandonandosi a inutili distruzioni.

- Alle caldaie! - urlava l'Abbruciata. - Spegniamo i fuochi! - Levaqueche aveva trovato una lima la impugnava minacciosodominando il vocìocol grido:

-Tagliamo i cavi! tagliamo i cavi!

L'incitamento insensato si propagò in un baleno; presto Stefano eMaheu si trovarono soli a protestare contro di esso; ma il tumulto eraassordante e non riuscivano a farsi ascoltare. Ce ne volle prima cheStefano riuscisse a collocare la frase:- Ma ci sono degli uomini in fondo al pozzocompagni!

Lo schiamazzo crebbe; da ogni parte partirono voci:

-Peggio per loro!

Non dovevano scendere! Traditori! Ben gli sta! Sìche cirimangano!... E poi hanno le scale per salvarsi!

L'idea che ai compagni restava quella via di scampo li confermòliincocciutì nel loro proposito; visto che non gli restava che cedereStefanoper evitare il peggiocorse alla macchina: bisognava almenofar risalire le gabbie; il peso dei cavi precipitandovi sopra daquell'altezza non le fracassasse. Coi pochi altri presenti al momentodell'invasioneil macchinista se l'era svignata; fu Stefano aimpugnare la sbarra di comando e ad eseguire la manovra; appena intempo che già Levaque con altri due s'arrampicava sull'armatura dighisa che portava le pulegge. Le gabbie infatti s'erano appena calatesui palettichecigolandola lima cominciava a mordere la trecciad'acciaio. Nel silenzio che si fecequello stridore parve riempiretutta la miniera; a orecchi tesi e occhi alzatitutti seguivano conimpazienza l'operazione. Maheuin prima filaanche luisi sentivainvadere da una gioia ferocequasi che il morso della lima liliberasse tutti dalla loro vita di stentiimpedendo con la recisionedel cavo che si discendesse mai più in quel maledetto budello.

Frattanto dalla scala che scendeva alla baraccal'Abbruciataseguitava a incitare:

-I fuochibisogna spegnere! Alle caldaieallecaldaie!

Delle donne già la seguivano. Per impedire che fracassassero ognicosala Maheu si affrettò a raggiungerle: anche lei come il maritopensava che era meglio far valere i propri diritti senza abbandonarsial saccheggio della roba altrui. Già nel locale delle caldaie le donnestavano cacciandone i due fuochisti; mentre l'Abbruciataarmata dibadileginocchioni davanti a uno dei fornilo vuotava dicombustibile; gettato sull'impiantito di mattoniil carboneincandescente seguitava a bruciare emettendo un nero fumo. Dieci fornialimentavano le cinque caldaie. Presto tutte le donne s'accanirono inquel lavoro di spegnimento; la Levaquemaneggiando il badile a duemani; la Mouquette con le sottane rimboccate sin sulle cosce;insanguinate tutte in viso dal riverbero delle bracisudanti escarmigliate come streghe.

Sul pavimento i tizzoni si ammucchiavano in cumuli sempre più alti; eal calore che emanavano già nel soffitto dello stanzone s'apriva unacrepa. Fu la Maheu a gettare l'allarme:

- Bastasmettete! pigliafuoco la baracca! - Meglio così- l'Abbruciata ribatté. - Ah è venutaalfine l'ora che ho attesa tanto della vendetta! Me la paganooradiavermi ammazzato il mio uomo!

In quella una voce squillante soverchiò il tumulto:

-Attenzione! -strillava. - Attenzioneche do il via! - Era Gianlino. Esultantenella gazzarrail monello s'era intrufolato tra i primi in quelbranco di furie; smanioso di combinarne qualcuna anche luiavevaadocchiato i rubinetti di scarico. I getti di vapore eruppero con laviolenza di cannonate; in un fragore di tempesta le cinque caldaie sivuotaronofischiando da far sanguinare le orecchie. Tutto sparì nellanebbia; i mucchi di tizzoni s'oscuraronole donne non furono più cheombremarionette gesticolanti. In vistasolo lassùdietro i bianchivortici di fumoil monello che trionfavala bocca spalancata perl'esultanza d'avere scatenato quell'uragano.

Ma se qualche secchio d'acqua ancora bastò a scongiurare ogni pericolod'incendionon per questo si placò il furore della folla; ladelusione anzi lo aizzò. Uomini scendevano brandendo martelliledonne s'armavano di sbarre di ferro. Già si parlava di bucare lecaldaiedi fracassare il macchinariodi demolire il pozzo. Stefanoavvertitos'affrettò con Maheu ad accorrere. Sebbene anche luicominciasse a scaldarsisi padroneggiavas'adoperava a calmare icompagni: i cavi tagliatii fuochi spentile caldaie vuotate nonimpedivano già la ripresa del lavoro? che volevano di più? Ma nessunogli badava; e già Stefano vedeva naufragare quel poco di autorità chegli rimanevaquando lì fuori scoppiò un putiferio. Tra i fischis'udiva gridare:

-Abbasso i traditori! Ah i porcile carogne! Dàglidàgli!

Era il saluto col quale i dimostranti accoglievano all'uscita glioperai rimasti bloccati nel pozzo. Abbarbagliati dal ritorno allalucequelli restavano lì un momento a sbattere le palpebre; poi sibuttavano avantitentando di raggiungere la strada e mettersi inscampo.

- Abbasso i giuda! abbasso i rinnegati!

Richiamati da quel vociaretutti si rovesciarono fuori; i locali inun lampo si vuotarono. Facendo alai cinquecento di Montsoucostrinsero i traditori a passare in mezzo a loro. E ognuno chesbucava dalla porticinaimbrattatocoi vestiti a brandelliloaccoglievano a fischilo investivano d'insultilo coprivano discherni; ve' quello lìcol culo sui calcagni! e quell'altrocol nasorosicchiato dalle baldracche del Vulcano! e quest'altroche perdesego dagli occhi da rifornire di ceri un altare maggiore! e quellospilungone senza natichelungo come la quaresima! Una spingi-carichinel panico ruzzolò in terraenormesfasciatae suscitò un subissodi risa. Le mani s'allungavano sui malcapitatigli insultidiventavano sanguinosii pugni s'alzavano; e i poveracci seguitavanoa sfilarebattendo i dentizitti sotto il piovere delle invettivespiando di sotto in su l'arrivare dei colpi; felici quando finalmentepotevano spiccare la corsa.

- Ma ce n'è sempre? Non finiscono mai d'uscire? - Stefano non potétrattenersi dall'esclamare. Non si trattava piùalloradi qualcheoperaio persuaso a discendere dalla fame o spinto dalle pressioni deicapisquadra! alla Jean-Bartallorale maestranze erano scese quasial completo! era stato dunque menzognero il consenso che le sue paroleavevano riscosso al comizio?

Se lo chiedevaquando sulla porticina uno comparve che gli strappò ungrido: Chaval.

- Tu? Ahperdìoè qui che ci avevi dato appuntamento?

Scoppiarono imprecazioni; i dimostranti si spinsero avanti perbuttarsi sul traditore. Come? il giorno prima aveva giurato d'esseresolidale con loro ed era disceso lo stesso? Se questo non si chiamavainfischiarsene!

- Al pozzo! al pozzo! Pigliatelo subuttatelo nel pozzo!

Livido di pauraChaval balbettava delle scuse. Cedendo alrisentimento generaleStefano glielo impedì:

-Te la sei cercata datel'avrai! Susucamminapezzo di farabutto!

Coprì la sua voce un nuovo scoppio di indignazione: sull'uscita stavaCaterina: accecata dal solesgomenta di vedersi in mezzo a quellafolla di energumeni. Con le gambe spezzate dall'interminabile salitapigliava appena fiatoquando la madre la scorse; alzando il pugnolesi avventò:

-Ah sudiciona! anche tu! mentre la madre fa la fametula tradisci col tuo magnaccia! - Maheu le trattenne il braccio; ma perscrollare lui la figliabianco d'ira; rinfacciarle la sua condottagridando più di tutti.

La comparsa della ragazza aveva finito di esasperare Stefano; come pernon vederlasi volse ai compagni:

-Viaandiamo! agli altri pozzi! -e a Chaval:

-E tu vieni con noischifoso pidocchio!

Gli diedero appena il tempo di prendersi nella baracca gli zoccolidiinfilarsi la maglia. Stringendoglisi addossolo trascinarono viaobbligandolo a correre con loro. Ora certo gli farebbero la pelle! atterritaCaterina s'abbottonò alla meglio sul collo il camiciotto dauomo edecisa più che mai a non abbandonarlos'affrettò dietrol'amante.

Gianlinoche aveva trovato un corno da pastorelo imboccò;soffiandovi dentro a pieni polmonine traeva dei suoni rochi: ilrichiamo con cui si radunano le mandrie. Le donne - l'AbbruciatalaLevaquela Mouquette si rimboccarono le sottane per correre meglio;mentre Levaque brandiva un'asciaagitandola in aria come il tamburmaggiore la mazza. E di nuovo la folla si rovesciò sulla strada; indisordinesimile a un torrente che straripa. Ormai si era quasi unmigliaio; all'uscitaper far primaabbatterono qualche palizzata.

- Ai pozzi! ai pozzi! Abbasso i giuda! Morte al lavoro!

In un baleno la Jean-Bart si vuotò; al fragore delle distruzioni eallo schiamazzo dei dimostranti subentrò un silenzio di tomba. AlloraDeneulin uscì dal suo rifugio; erifiutando col gesto che lo siaccompagnassevisitò da solo la miniera. Era pallidoma calmissimo. La prima sosta la fece davanti al pozzo; alzò gli occhivide i cavitagliati: penzolavano inerti; tra il nerume del lubrificante luccicavala recente feritaprodotta dal morso della lima. Quindi salì a dareun'occhiata alla macchina; contemplò la biella cheimmobilizzatapareva l'arto colpito da paralisi d'un colosso; il metallo già freddogli comunicò il gelo che dàa toccarloun cadavere. Esceso nellocale delle caldaiepassò lentamente in rivista i fornelli: spentivuotiinondati; bussò col piede alle pareti delle caldaiechesuonarono a vuoto.

Era davvero finita; era la rovina. Anche se riallacciava i caviseriaccendeva i fuochidove trovare gli uomini? Altri quindici giornidi arresto ed era il fallimento.

Ma pure davanti alla gravità del disastroDeneulin non provava piùalcuna animosità contro i briganti di Montsou; sentiva che i vericolpevoli erano tutti; che tutto ciò era la conseguenza d'una colpacollettivasecolare. Oh certo dei brutigli autori di quelloscempio; ma dei bruti che non sapevano leggere e che crepavano difame

 

 

Capitolo quarto

 

E per l'aperta pianura bianca di brina la banda avanzò sotto ilpallido sole d'invernotraboccando ai lati della stradaattraversole piantagioni di barbabietole.

A partire dalla Fourche-aux-BoeufsStefano aveva preso il comando. Senza che si sostasselanciava ordiniregolava la marcia. In testasuonando la sua rustica fanfaratrottava Gianlino. Dietrole donneformavano l'avanguardiaalcune armate di bastoni; la Maheu che conocchi torvi fissava l'orizzontequasi a cercarvi quel regno digiustizia che le era stato promesso; l'Abbruciatala LevaquelaMouquette chedi sotto i cencibuttavano avanti bellicosamente lagambacome soldati che muovono alla battaglia (in caso di bruttiincontrisi vedrebbe se i gendarmi avrebbero l'animo di infieriresulle donne). Seguivano gli uomini cheammassati come un greggeformavano il grosso e s'allargavano in una retroguardia irta di sbarredi ferrotra le quali lampeggiava l'ascia brandita da Levaque.

Stefanoal centroteneva d'occhio Chaval e lo costringeva acamminare davanti a lui; mentredietroMaheubuio in visolanciavaocchiate a Caterina cheintrodottasisola del suo sessotra tuttiquegli uominis'ostinava a restare presso l'amantenel timore chegli facessero del male. Capi scoperti si scarmigliavano alla brezza. Non si udiva che il battere degli zoccolisimile al trepestio d'unamandria in libertàspinta avanti dal rauco strombettare di Gianlino. Quando da quella folla in marcia ecco sorgere un nuovo grido:

-Pane!

pane! pane! - Era mezzogiorno; la fame accantonata in sei settimane disciopero mordeva le viscereattizzata dall'aria frizzante e dallacorsa. Le poche croste masticate all'albale castagne offerte dallaMouquette non erano più che un ricordo; i ventri protestavano e laloro protesta acuiva il risentimento contro i traditori.

- Ai pozzi! ai pozzi! Non più lavoro! Panevogliamo!

Stefanoche al mattino aveva rinunciato anche a quel pocoavvertivaallo stomaco dei crampi. Non gli usciva un lamento; masenza quasiavvedersenesi portava ogni tanto la fiaschetta alla bocca; era cosìintirizzito che senza quel sorso sentiva che non arriverebbe allameta. I pomelli gli si accendevanogli luccicavano gli occhi; ma siconservava ciò nonostante abbastanza padrone di sé per non rinunciareal proposito di evitare inutili eccessi.

Al bivio di Joiselleun minatore che s'era unito ai dimostranti perrancore verso Deneulintentò di avviare la banda a destra gridando:

-Alla Gaston-Marie! Andiamo ad arrestare la pompa! Inondiamo la Jean-Bart!

Stefano reagì: a che pro distruggere la miniera? Nonostante il suorisentimentol'inutile gesto ripugnava al suo cuore di operaio. Maheulo spalleggiò: trovava ingiusto pigliarsela con una macchina. Mapoiché già la banda eccitata svoltava a destra e quello s'ostinava alanciare il suo grido di vendettasoverchiandone la voce:

-A Mirou! - gridò Stefano. - Ci sono là dei traditori! A Mirou!

La sua presenza di spirito e la risolutezza del piglio ricacciò labanda sulla strada di sinistra; la direzione di marcia si invertìmentre Gianlino balzava di nuovo in testasoffiando a tutti polmoninel corno. Per questa volta la Gaston-Marie era salva.

I quattro chilometri che separavano da Mirou vennero superati inmezz'ora; a passo quasi di corsa. Da questa partela sterminatapianurache si perdeva laggiù all'orizzonte come in un mareeraattraversata dal nastro di ghiaccio del canale; e solo gli alberispogli degli arginitrasformati dalla galaverna in giganteschicandelabrine rompevano la piatta monotonia. Né Montsou néMarchiennes erano in vista; li sottraeva allo sguardo un avvallamentodel terreno.

Sbucando davanti alla minierai dimostranti videro un uomo piantarsicome in attesasulla passerella d'accesso al capannone della cernita;e avvicinandosi riconobbero in esso babbo Quandieuil più anzianocaposquadra della regione; un vecchio ben conosciuto da tutticheadispetto dei suoi settant'anni e dei capelli interamente bianchisiconservava ancora così vegeto e robusto da costituire una veraeccezione nel paese del carbone.

- Che venite a fare da queste partimassa di fannulloni?

Apostrofata cosìla banda si arrestò. Non era un padronequello; eraun operaio al pari di loro; un vecchio compagno che incuteva a tuttirispetto.

- Ci sono degli uomini in fondo al pozzo- disse Stefano. - Falliuscire.

- Ci sono- ammise il vecchio. - Una settantinace n'è; perché glialtri si sono presi paura di voialtripezzi di delinquenti! Ma viavverto che non ne uscirà uno o avrete prima da fare con me!

Scoppiarono esclamazioni; gli uomini spingevanole donne si buttaronoavanti. D'un balzo il vecchio scese la passerellasbarrò l'ingresso.

Allora intervenne Maheu:

-Quandieusiamo nel nostro diritto. Comepossiamo ottenere che lo sciopero sia compatto se non costringiamo icompagni a essere con noi? - Il vecchio restò un momento interdetto;quello della solidarietà di classe era un argomentosi vedeche gliriusciva nuovo. Finì per dire:

-Sarete nel vostro dirittonon nego.

Ma io conosco solo la consegna. Sono soloqui. Il turno degli uominidura sino alle tre; e sino alle tre non uscirà nessuno.

Le ultime parole si persero tra i fischi. Pugni si alzaronominacciosi; avanzando contro il vecchiogià le donne lo assordavanodi stridagli soffiavano in faccia il caldo dei fiati. Ma Quandieuteneva durola testa canuta e la bianca barbetta erette a sfida. Soverchiando con la voce lo schiamazzo:

- Ahdi qui non passateperbacco! Come è vero Diopreferisco farmi ammazzare che lasciarvitoccare i cavi... Smettetela di spingermi! o mi butto nel pozzo sottoi vostri occhi!

Dallo stuporela folla s'arrestò.

- Chi è quell'idiota che non capisce questo? Io sono un operaio alpari di voi; mi è stato comandato di far la guardia al pozzo; lafaccio.

E più in là il suo comprendonio non andava; altra idea non capiva inquel cervello che quella del doveredella supina obbedienza allaconsegna. Irrigidito in essarestava lì cocciutocon nello sguardospento la negra tristezza di cinquant'anni di miniera.

I compagni ora lo guardavano ammirati; sentendo nel loro intimoqualche cosa vibrare alle sue parole; riconoscendo in esse la voceneppure in loro estintadel dovereil sentimento di fraternità e disacrificio nel rischio nel quale anch'essi erano cresciuti.

Credendo che esitasseroil vecchio ripeté:

-Sotto i vostri occhimibutto!

Una così eroica fermezza dissuase i dimostranti dall'insistere. Tuttivolsero le spalle. Tornata sulla stradala banda si rimise in marciaal grido:

-A Madeleine! a Crèvecoeur! Non più lavoro! Pane! pane!

E la marcia aveva ripreso il suo slancioquando vi fu al centro unprincipio di tafferuglio: profittando del momentoChaval doveva avercercato di svignarsela. Stefano infatti ora lo teneva saldamente perun bracciominacciava di fargli la pelle se ripeteva il tentativo.

Quello si dibattevaprotestava rabbioso: non era dunque più liberonemmeno di togliersi d'addosso il sudicio del carbone? - Mòllami! èun'ora che batto i denti dal freddo! - Che dal gelo lo riparasse pocola maglia che aveva indossosi vedeva; e si capiva che loinfastidisse la polvere di carbone che il sudore gli aveva incollatoalla pelle.

- Camminao il sudicio te lo leviamo noi d'addosso! - ribattéStefano; trattenendosiper non dare il mal esempioda minacciarlo dipeggio.

Con pena il giovane sentiva Caterina arrancare alle sue spalle. Nonpoté fare a meno di darle un'occhiata. A vederla in quello statoprovò una stretta al cuore. Aveva i calzoni infangati e sotto ilcamiciotto da uomo batteva i denti dal freddo. Doveva essereall'estremo delle forze; eppure non si lasciava distanziare d'un passodall'amante. - Te ne puoi andaretu- le disse. Ma la ragazza nonsembrò neanche udire; solo i suoi occhiincontrandosi con quelli diStefanoebbero un lampo di rimprovero: perché voleva che abbandonasseil suo uomo? Certo non era molto gentile con leiChaval; ma era ilsuo uomoil primo che l'aveva avuta. Non era bello che si mettesserocontro di lui in tanti. Anche se non gli avesse voluto beneper amorproprio lei lo avrebbe difeso.

- Vattene! - le ripeté seccamente Maheu. L'ingiunzione paterna la fecerallentare un momento. Tremantesi sentì salire il pianto agli occhi. Poivinta la paurariprese di corsa il suo posto. Allora non laimportunarono più.

La bandaattraversata la strada di Joiselleseguì per un brevetratto quella di Cronper risalire quindi verso Cougny. Oraall'orizzonte si profilavano camini di officine; e lungo tutta lastrada era un susseguirsi di depositi di legnamedi fabbriche dimattoni dai finestroni polverosi. Senza sostarepassarono davantialle borgate operaie dei Centottanta e dei Settantasei; e da ambedueall'appello del cornoal clamore alzato da tutti quei pettifamiglieal completo uscirono sulle soglie delle basse casette; uomini donne eragazzi corsero a unirsi ai dimostrantisi misero al passo con essi.

Quando si arrivò davanti alla Madeleine si era in millecinquecento. Lastrada d'accesso alla miniera scendeva con dolce pendio; lavociferante colonna dovette aggirare il terrapienoper quindispiegarsi sul piazzale della miniera. Erano in quel momento passate dipoco le due. Ma i sorvegliantiavvertitiavevano anticipato l'uscitadelle maestranze; sicché all'arrivo dei dimostrantistavano sbarcandodall'ascensore gli ultimi venti operai. Cercarono scampo nella fuga;furono inseguiti a sassate. Due furono picchiatiuno ci rimise unamanica. Questa caccia all'uomo salvò il materiale; né i cavi né lecaldaie soffrirono danni. Già la banda s'allontanavadiretta al pozzovicino.

Crèvecoeur non distava di lì che mezzo chilometro. Anche qui si arrivòche gli operai uscivano. A una spingi-carichicaduta in mano alledonnefurono strappati i calzoni; a chiappe nude fu frustata sottogli occhi degli uomini che ridevano. Dei manovali furono presi aceffoni; altri se la cavarono con qualche livido e un'emorragia alnaso. E questo scatenarsi d'una ferocia che andava crescendoquestosfogarsi d'un rancore accumulato da anni e che ormai pigliava a tuttila manos'accompagnava a gridaa urla strozzate esprimenti odio peril lavoro mal retribuitoreclamanti pane per gli stomachi famelicimorte per i traditori. Si misero a tagliare i cavi; ma li intaccaronosolo: la lima non faceva abbastanza presto per la fretta febbrile cheli spingeva agli altri pozzi. Nel locale delle caldaie fu fracassatoun rubinetto; mentre l'acqua rovesciata (per errore) a secchi suifornelli ne faceva saltare le griglie.

- A Saint-Thomas! a Saint-Thomas! - fu il nuovo ordine di marcia. Inquella minierala più disciplinatalo sciopero non era arrivato. L'idea che in quel pozzo stavano lavorando settecento loro compagni opoco menoli faceva vedere rosso. All'uscita li accoglierebbero arandellate; una battaglia in piena regolaquesta volta; si vedrebbe achi toccherebbe la peggio! Senonché la voce si sparse che a Saint-Thomas c'erano i gendarmiquegli stessi di cui si erano beffati ilmattino. Come si sapeva? Mah! nessuno l'avrebbe potuto dire. Comunqueparve più prudente dirigersi altrove; si decisero per Feutry-Cantel.

Ripresi da vertiginetutti con rinnovato slancio si rimisero inmarciatra un grande strepitare di zoccolial grido:

- A Feutry-Cantel! a Feutry-Cantel! - Laggiùse non settecentoquattrocentolavoravano certovigliacchi! valeva sempre la pena; si riderebbe!

Il pozzo di Feutry-Cantel si appiattava in una bassura a trechilometri di lì in prossimità della Scarpe. Già s'erano lasciati allespalle la strada di Beaugnies e stavano superando la salita delle Cavedi Gessoquando corse voce - chi era stato a lanciarla? - che aFeutry-Cantel doveva esserci la cavalleria. In un lampo la notizia sipropagò da un capo all'altro della colonna che rallentò all'istante lamarcia. La cosa appariva probabile: se nocome mai da tante ore chesi batteva la campagnaancora non si sarebbe incontrato un elmo né unchepì? Una certa inquietudine cominciò a insinuarsi negli animi;troppo bello; che si avvicinasse il momento di scontare l'impunità dicui avevano sinora goduto?

Esitavano ancoraquando un nuovo grido scoppiò; anche questo partitonon si seppe da chi:

-Alla Victoire! alla Victoire!

Perché alla Victoire non c'era né cavalleria né gendarmeria? Mah! Tutti comunque parvero rassicurarsi. Invertita la direzione di marciascesero dalla parte di Beaumonttagliarono per i campi perraggiungere la strada di Joiselle. Quando si videro la strada sbarratadalla ferroviane abbatteronoper passarele palizzate. Ormai ci siavvicinava a Montsou: il terreno s'andava avvallandole piantagionidi barbabietole dilagavano a vista d'occhio sino a toccare laggiù lecase nere di Marchiennes. Stavolta c'erano da percorrere cinquechilometri buoni. Li fecero di volataspinti avanti da un taleslancio chesebbene spossatinon avvertivano più la fatica nésentivano più i piedi dolere. Quandoattraversato il canale al ponteMagachecomparvero davanti alla Victoire erano in duemila. Ma ormaierano le tre suonatel'uscita degli operai era avvenutanel pozzonon rimaneva più nessuno. Delusisi sfogarono in vuote minacce; tuttociò che poterono fare fu di accogliere con un lancio di mattoni glisterratori che arrivavano per il loro turno. Una volta che anchequesti si furono sbandatila miniera cadde in loro mano; ma eradeserta: non un traditore su cui rifarsi. Allorainfuriatise lapresero coi materiali. Fu lo sfogarsi tutto in un colpo d'un rancoreaccumulato in anni di stentiuna specie di frenesia di distruzione edi massacro che finalmente si appagava.

Sorpresi dietro un capannone dei manovali che caricavano di antraciteun carro:

-Sparite all'istante! - Stefano intimò. - Non un pugno dicarbone deve uscire dalla miniera! - Persuasi dal comparire dietro alui d'una frotta di dimostrantiquelli non se lo fecero ripetere. Allora chi staccò i cavallichefrustatisi misero atterriti algaloppo; chiribaltato il veicolone fracassò le stanghe.

Levaque intantos'era avventato brandendo l'ascia contro i cavallettidella "decauville"; e vi menava sopra colpi all'impazzata nell'intentodi demolire i cavalcavia. Siccome massicci come erano i cavallettiresistevanotrovò più spiccio divellere le rotaie. Maheufacendoleva con una sbarra di ferrofece saltare i cuscinetti; e un momentodopo tutta la banda era impegnata a sradicare il binario.

Capitanate dall'Abbruciatale donne intanto avevano invaso lalampisteria. Maneggiati da quelle furiei bastoni fecero presto alastricarne l'impiantito di rottami di vetro. Per accanimentolaMaheu in quello scempio non si mostrò da meno della Levaque. Tutte silordarono d'oliola Mouquette felice addirittura di sentirseneinzuppata (non s'era accorta che Gianlino gliene aveva scolato nelcollo un'intera lampada). Ahc'era gusto a vendicarsiuna voltatanto! solo che non si placavano con questo i morsi della fame. Prestoinfattisu ogni altrodominò il grido:

- Pane! pane! vogliamomangiare! - Non c'era giusto alla Victoire una cantina? si troverebbecerto incustodita. Comunicarono la bella ispirazione agli uomini; iqualicom'ebbero finito di divellere le rotaiecircondarono labaracca. Le imposte non resistettero a lungo; ma nell'interno non sitrovò che qualche pezzo di carne cruda e un sacco di patate. Ilsaccheggio tuttavia portò a scoprire in un ripostiglio una cinquantinadi bottiglie di ginepro. Fu la goccia nella sabbia: le cinquantabottiglie furono scolate in un baleno. Stefano colse l'occasione perrifornirsi la borraccia. A forza di bere a stomaco vuotoil giovaneperò era ormai quasi ubriacodell'ebbrezza pericolosa degli affamati. I suoi occhi si erano andati iniettando di sangue; e sempre più spessouna specie di ghigno scopriva tra le labbra esangui i canini. A questopunto s'accorse che Chavalprofittando della confusionese l'erasquagliata. Ruppe in imprecazioni; accorsero e il fuggiasco fu scovatodietro una catasta di legnamedove s'era nascosto con Caterina. - Ahsudicione d'un sudicione! - Stefano prese a urlare- hai pauraehdi comprometterti! Fosti tu nella faggeta a chiedere lo sciopero deimacchinisti per arrestare le pompe e ora cerchi di lavartene le manidi far cadere su di noi tutta la responsabilità. Ebbeneperdìositorna alla Gaston-Marieadesso! Voglio che sia tucon le tue maniafracassare la pompa. Sìperdìotula fracasserai!

Edicendonon s'accorgeva d'essere lui ora ad aizzare i compagni adistruggere quella pompa che poche ore prima aveva salvato! Laproposta fu accolta da un subisso di applausi. Tutti si precipitaronofuori; mentre Chavalafferrato per le spalletrascinatospintonatoin malo modoseguitava a chiedere che lo lasciassero almeno lavarsi.

Vedendo la figlia affrettarglisi dietro:

-Va' viatu! - Maheu leintimò. Ma questa volta all'ingiunzione Caterina alzò appena sul padregli occhi che fiammeggiavano e seguitò a correre.

Di nuovo la banda avanzava per l'aperta campagnarifacendo la stradaa ritroso. Erano le quattro; il sole prossimo al tramonto allungavasul suolo ghiacciato le ombre gesticolanti di quell'orda in cammino. Evitata Montsousboccaronoin un punto più altosulla via diJoiselle; eper risparmiarsi il lungo giro Fourche-aux-Boeufspassarono sotto la villa della Piolaine.

Grégoire ne era giusto uscito da pocodovendoprima di recarsi acena dagli Hennebeaupassare dal notaio. Col suo viale di tiglidesertol'orto e il frutteto spoglila villa pareva dormire; nessunsegno di vita ne usciva. Le finestre erano chiuse e i vetri appannatidal buon tepore di dentro. Nel suo silenzio la casa parlava ditranquillità e di benesseredi placidi sonni e di lauti pasti;tradiva l'esistenza patriarcale che i proprietari vi conducevanoun'esistenza felice perché priva di crucci e paga di sé.

Passandola banda lanciava sguardatacce nell'interno; alzava gliocchi sui muri di cintaarmati in cresta di cocci di vetro. Il grido:- Pane! pane! vogliamo del pane! - sorse irresistibile. Al clamorerispose solorabbiosoil latrato dei cani: due fulvi danesi sirizzarono minacciosi ai cancelli mostrando le zanne. Attirate dalrumorele due donne di servizio rimaste sole in casaora spiavano ditra le stecche d'una persianapallide di pauraquello sfilare dienergumeni. Quando a un passo da loro un fragore scoppiòchegesummariale fece cadere in ginocchiopiù morte che vive: un sassoaveva mandato in frantumi un vetro della finestra vicina. Era statauna prodezza di Gianlino: il monelloche con un pezzo di spago s'erafatto una fiondanon aveva voluto tirare dritto senza inviare conquella un salutino ai signori della Piolaine.

Sottolineato dai borborigmi del cornoil grido:

-Pane! pane! - siaffievolì in lontananza.

Seguitando sempre a ingrossarsila bandache adesso non contava menodi duemilacinquecento uominiarrivò alla Gaston-Marietuttorovesciando e spazzando davanti a sé come un torrente in piena.

Appena un'ora avanti dei gendarmi erano passati di lì; mamessi suuna falsa pista dai contadiniavevano proseguito in direzione diSaint-Thomassenza prendere neppure la precauzione di lasciare nellaminiera qualche uomo di guardia. In meno d'un quarto d'ora i fuochifurono spentile caldaie vuotatel'edificio invaso e devastato. Maera soprattutto con la pompa che i dimostranti ce l'avevano. Divederla arrestarsinon si accontentarono. - A teporcone! - intimòStefano a Chavalmettendogli in mano una mazza. - Tocca a tecominciare! andiamo sbrìgati! hai ben giurato con noi! - TremandoChaval tentò di sottrarsi; nel corpo a corpo che ne seguìil martellocadde a terra; alloranella loro impazienzai presentisenzaaspettare altrosi avventarono sulla pompaferma ma intattacome suun vivo da accoltellare. A colpi di sbarradi mattonid'ogni oggettoche capitava loro fra manofracassarono la macchina. Qualcuno persinovi spezzò sopra il bastone. I dadi saltavanoi pezzi d'acciaio ed'ottone si sconnettevano; una zappamaneggiata a due manisventròil serbatoio di ghisa che si vuotò inondando il locale; un ultimogorgoglìosimile a un rantolosegnò la morte della pompa.

Regolato anche questo contoi dimostranti si rovesciarono fuori comeforsennati; avanzando pigiati dietro Stefano che teneva saldamenteChaval per i polsi.

- A morte il traditore! al pozzo! al pozzo! - Livido di paurail disgraziato seguitava tartagliando a ripetereconl'ebete cocciutaggine del fissatoche aveva bisogno di darsi almenouna risciacquata al viso. Levaque finì per accontentarlo:

-Ahse nonvuoi altro! Tohche vuoi di meglio d'un catino come questo? Qui cisguazzi!

Una perdita d'acqua nella conduttura della pompa trasformava in quelpunto il suolo in un acquitrino che il gelo copriva d'una spessalastra di ghiaccio. Rotta a calci la crostaa spintoni costrinseroChaval a inginocchiarsia ficcare nella buca la testa.

- Tuffati dunque! - strillava l'Abbruciata- perchése non ti tuffici pensiamo noialtri... Da bravo!... Ed ora bevitene una buona sorsatasusucol muso nel truogolo!

Gli convenne ubbidire; carponi bevve tra un esplodere di risa malvage.

Una donna gli tirò le orecchie; un'altra gli buttò in faccia unamanciata di fimoraccolto fumante sulla strada. Imbestialitol'uomodava strattoni per liberarsi.

A spingerlo carponi aveva dato una mano anche Maheu; né sua moglie simostrava da meno nell'infierire: i due sfogarono così su Chaval unrancore d'antica data. Persino la Mouquetteche di solito restavabuona amica dei suoi ganzicon quello lì si mostrava spietata: lotrattava di impotenteproponeva di cavargli i calzoni per vedere seera ancora un uomo. Stefano le impose silenzio:

-Bastabasta! Nonc'è bisogno che vi ci mettiate in tutti... OraChavalse te lasentiè tra noi due che ce la vediamo -. Dicendostrinse i pugninello sguardo gli lampeggiò un furore omicida: era l'ebbrezza che simutava in sete di sangue.

- Sei pronto? Uno di noi due deve restarci. Dategli un coltello; io hoil mio.

AllibendoCaterina lo guardò. In un lampole tornarono a mente leconfidenze che il giovane le aveva fatto: della smania di uccidere chepoco alcool bastava ad accendergli nel sanguein quel sanguetrasmessogli intossicato da tutta una generazione di ubriaconi. Fulminea allora gli si parò davanti emettendovi tutta la sua forzagli appioppò due schiaffigridandogli in faccia strozzata di sdegno:- Vergognativigliacco! Non basta ancora tutto quello che gli haifatto? vuoi anche assassinarlo adesso che non si regge più in piedi? -E indirizzandosi a Maheualla madrea tutti intorno:

-Siete deivigliacchi! una massa di vigliacchisiete! Uccidetemi con lui. Vicavo gli occhiiose lo toccate ancora. Vigliacchivigliacchi!

E si piantò davanti al suo uomo risoluta a difenderlo contro tutti;dimentica delle percossedella vita di stenti che Chaval le facevafaretraboccante d'un coraggio che le dava il pensiero di appartenerea quell'uomo dal momento ch'era stata suail pensiero che siritorceva in tanta onta per lei il trattamento ingiurioso che gliusavano.

Sotto gli schiaffiStefano era diventato verde. Il primo impulso fudi strozzare la ragazza. Invece si passò la mano sulla fronte colgesto dell'ubriaco che torna in sé. Poinel silenzio che s'era fatto:- Ha ragione lei- disse a Chaval- ora basta... Levamiti davanti!

Chaval non se lo fece ripetere; spiccò la corsaedietro di luiCaterina. Solo la Maheu mormorò:

-Avete fatto male a lasciarlo. Correcerto a tradirci.

La banda s'era rimessa in moto. Erano vicine le cinque; il soleormaiall'orizzontearrossava la pianura della sua luce di sangue. Unmerciaiolo ambulante che passava portò la notizia che la cavalleriastava scendendo dalla parte di Crèvecoeur. Allora la banda ripiegòunordine corse:- A Montsou! alla direzione! Pane! pane!

 

Capitolo quinto

 

Hennebeau s'era fatto alla finestra per salutare la moglie che partivaper Marchiennes. Seguìto un momento con lo sguardo Négrel chegaloppava a lato della carrozzatornò a sedersi al suo tavolo dalavoro. Quando la presenza della moglie e del nipote non l'animavalacasa si sarebbe detta disabitata. Così era quel giorno: via perservizio il cocchierevia Rosa la nuova cameriera in permesso sinoalle cinque - non restava in casa a muoversi in pantofole di stanza instanza che Ippolito il cameriere; e in cucina tra le sue casseruole lacuocain faccende dall'alba per farsi onore al pranzo della sera. Sicchédato l'ordine di rimandare chiunque si presentasseHennebeausi riprometteva questa volta una buona giornata di lavoro nel grandesilenzio della casa deserta.

Verso le nove tuttavianonostante la consegnaIppolito si azzardò adannunziare Danseart; il capo-sorvegliante aveva qualcosa di urgente dacomunicare. Solo ora il direttore venne a conoscenza della riunionetenuta il giorno prima nella faggeta; ma il resoconto che ne ascoltavaera così ricco di particolariche Hennebeau indovinò alla prima dachi potevano essere trapelatidalla Pierronindubbiamentela cuitresca con Danseart era così nota che non passava settimana senza chedue o tre lettere anonime arrivassero alla direzione a denunciare lacondotta scandalosa del capo-sorvegliante. Il racconto sapeva troppodi alcova; la Pierronera chiaroaveva messo l'amante a parte delleconfidenze del marito. Fu per Hennebeau una buona occasione per farcapire al suo dipendente che era al corrente della sua intimità con ladonna e per consigliargli un po' più di prudenza se voleva evitare unoscandalo. A questa uscita che non s'attendevaDanseart balbettòsconcertatotentò di negare; ma l'improvviso rossore che gliimporporava il grosso naso confessava per lui. Non insisté; felice delresto di cavarsela così a buon mercato; di solito il direttorenellasua intransigenza d'uomo da quel lato irreprensibilesi mostrava benaltrimenti severo coi suoi dipendenti in fatto di moralità. Riportatoil discorso sullo scioperoHennebeau si disse d'avviso che delcomizio non era il caso di preoccuparsi; non si trattava che di unarodomontata di pochi scalmanati; comunqueper orale masse operaienon si muoverebbero certointimidite come dovevano essere dallospiegamento di forze cui avevano assistito il mattino.

Del che tuttavia nel suo intimo egli certo si sentiva meno sicuro diquanto avesse voluto apparireseappena via Danseartfu tentato dimandare un dispaccio al prefetto. Se non lo fecea trattenerlo fu lapaura di dare a vedere una preoccupazione che poteva mostrarsiinfondata. Gli bruciava già abbastanza di aver dato prova di pocofiuto con l'assicurare in giro - e peggio con lo scrivere allaCompagnia - che entro quindici giorni lo sciopero sarebbe liquidatoquando invece dopo due mesi ancora non accennava a cessare. Ilprotrarsi di quello sciopero era la sua spina d'ogni giorno; ognigiorno egli sentiva di perdere terreno nella considerazione dei suoisuperiori; e andava in cerca d'un successo clamoroso - ma non vedevaquale potesse essere - che lo risarcisse dello smacco e lo rimettessein buona luce presso i capi. Ai quali appunto aveva chiesto istruzioniper il caso che si verificassero disordini. La risposta si facevaattendere: sperava che arrivasse con la posta del pomeriggio. Sarebbeallora in tempo a chiedere telegraficamente l'occupazione militare deipozzise in tale senso quei signori si pronunciavano. Con tutta lasua energiad'assumersi lui quella responsabilità Hennebeau non sisentiva; a suo modo di vedereuna misura così drastica non poteva chescatenare la battagliacon tutto il suo accompagnamento di violenze edi lutti.

Sino alle undicipoté lavorare in pace; in un silenzio che rompevaappena lo strascichìoquasi impercettibile per la lontananzadell'arnese col quale il servo dava la cera a una stanza del primopiano. Ma dopo quell'oraecco arrivare uno dopo l'altro duetelegrammi: il primo annunciava l'invasione della Jean-Bart da partedegli scioperanti di Montsou; il secondo ne precisava i particolari: icavi tagliatii fuochi spentila devastazione del pozzo. La notizialo stupì: che erano andati a fare gli scioperanti da Deneulin? comemai non avevano invece attaccato un pozzo della Compagnia? Megliocosìdel resto: il saccheggio di Vandame affrettava l'attuazione delsuo progetto: l'esproprio della Jean-Bart.

La solitudine in cui consumò la colazionenella vasta salaservitoin silenzio dal domestico cheanche in pantofolesi studiava di nonfar rumorecontribuìcol freddo che gli metteva in cuoread acuirele sue preoccupazioni; ed era in questo stato d'animo quando l'arrivod'un caposquadra gli apprese che gli scioperanti marciavano su Mirou. Quasi subito dopomentre finiva di prendere il caffègli furecapitato un terzo telegramma: anche Madeleine e Crèvecoeur eranominacciate. Allora la necessità gli si impose di prendere unadecisione: ma quale? era meglio attendere la posta delle duenon farnulla senza aver prima ricevuto istruzionioppure chiedere senz'altrol'invio di truppa? Non si sapeva decidere.

Sovrappensierorientrò nello studioin cerca d'un promemoriadestinato al prefetto chea sua domandala sera innanzi Négrel avevastilato. Non lo trovò: che il nipote lo avesse lasciato in camera suadove soleva dopo cena trattenersi a scrivere? Erimandando a dopo ladecisione da prenderedominato dall'idea di quella carta che nontrovavasalì a cercarla in camera di Négrel.

Con sua sorpresatrovò la stanza ancora sossopra: certoIppolitos'era dimenticato opeggioaveva trascurato di farla. Vi sirespirava ancora l'aria chiusa e calda della notteinumidita dallarespirazione di chi vi aveva dormito e appesantita dal caloriferorimasto aperto. Main quell'arialo aggredì alle narida mozzargliquasi il respirol'acuto profumo che vi restava e che certo provenivadal catinoancora pieno dell'acqua in cui il nipote s'era lavato. Ungrande disordine regnava nella stanza: vestiti buttati alla rinfusaasciugamani stesi ad asciugare sulle spalliere delle seggioleilletto disfatto; come strappato via dalle coperteun lenzuolopenzolava sul tappeto.

A tutto questo del restolì per lìHennebeau non diede cheun'occhiata distrattadirigendosi verso il tavolo ingombro di carte. Due volte passò in rivista foglio per foglio: il promemoria non c'era.

Dove diavolo quel disordinato di Paolo poteva averlo ficcato? Neltornare verso il centro della camerail suo sguardo che sempre incerca passava da mobile a mobilefu arrestato da un oggetto cheluccicava fra le pieghe del lenzuolo. Attiratomacchinalmente siavvicinò e allungò la mano all'oggetto. Era un flaconcino montato inoro. Lo riconobbe di colpo: il flacone d'etere dal quale la moglie nonsi separava mai. Come si trovava lì? nella stanza da letto di Paolo? Impallidì: era anche troppo chiaro: sua moglie aveva dormito in quellastanza.

- Scusi... - si udì attraverso l'uscio che s'apriva la voce diIppolito:

-Scusima... - E alla vista della stanzacosternato:

-Ohè vero! ho ancora da far la camerascusi. Ma con Rosa che è uscitatutto è caduto sulle mie spalle...Hennebeau aveva fatto sparire il flacone nel pugnoche lo stringevaconvulso. - Che vuoi? - C'è uno giù che arriva da Crèvecoeur. Ha unalettera. - Sta benevattene e digli che aspetti.

Sua moglie aveva dormito lì! Chiuse l'uscio dal di dentro; riaprì lamano: il flacone vi aveva lasciato la sua impronta in rosso. Unaimprovvisa illuminazione si fece in lui. Vedevaora: era da mesi chequell'abominio durava. Si ricordò del sospetto chemesi primagliera balenato; ricordò i fruscii di vesti contro gli uscilo scivolaredi piedi scalzi sul pavimento chenel silenzio della casaqualchenotte il suo orecchio aveva avvertito: sua moglie che saliva in cameradi Négrel. Si lasciò andare su una sedia; e restò a lungo a fissarecon occhio ebete il lettocome un uomo colpito da una mazzata.

Ma di nuovo una mano bussò all'usciotentò la maniglia. - Ohscusinon sapevo che si fosse chiuso... - Che vuoi ancora? - E' urgente; glioperaipareche fracassano tutto. Altri due che cercano di lei; esono arrivati dei telegrammi... - Lasciami in pace! tra un momentoscendo!

Al pensiero che senza una provvida dimenticanzasarebbe stato ilservo a trovare il flaconeallibì. Come poteva illudersi del restoche Ippolito non sapesse? Chi sa quante volte aveva trovato il lettoancora caldo degli adulteri amplessi; capelli di lei sul guancialetracce più intime ancorainnominabilisulle lenzuola! Certo piùd'una voltaanzi- gli pareva di vederlo Ippolito - s'era indugiatolì fuori a origliaredivertito dai gemitidai sospiri lascivi chel'uscio appena soffocava. E perché ora tutti i momenti con un pretestoo un altro il servo si affacciavase non era per soddisfare a unacuriosità maligna?

Come impietrito davanti a quel lettoora Hennebeau riandava ilpassato; ricapitolava tutto ciò che dal primo giorno di matrimonioquella donna gli aveva fatto soffrire: l'irrimediabile divorziod'anima e di corpo che sin dal principio li aveva divisi; gli amantiche uno dopo l'altro lei si era presi senza ch'egli ne avesse ilsospetto; il ganzo che per dieci anni lui le aveva tollerato come sitollera in una inferma una voglia immonda; la loro venuta a Montsou;poila speranza insensata in cui lui s'era cullato di arrivare aguarirla; il torporesimile a una laboriosa convalescenzain cui ladonna era vissuta per mesi; l'apparire sul volto amato dei primi segnidell'etàdi quella vecchiaia ch'egli si illudeva gliela avrebbe resa;e invece la comparsa in casa del nipote; gli atteggiamenti materni cheverso Paolo lei aveva presole confidenze che al ragazzo faceva sulsuo cuore per sempre mortoseppellito per sempre sotto la cenere... Ela sua cecità di maritolontanissimo dal prevedere ciò cheavverrebbein adorazione sempre davanti a quella donna che s'ostinavaa considerare sua e che lui solo non poteva averementre tantil'avevano avuta. La passione vergognosa che ancora adesso lo tenevaschiavoal punto che di gratitudine sarebbe caduto ai suoi piedisesoltanto quella donna avesse consentito ad accordargli gli avanzidegli altri! Gli avanziera a quel ragazzo che lei li dava.

Lo squillare da basso d'un campanello lo strappò ai suoi pensieri: erail segnale con cui lo si avvertiva dell'arrivo della posta. Si tiròsu; mainvece di scendereandò come forsennato per la stanzaimprecando: «Me ne infischio iooh come me ne infischio dei lorodispacci e delle loro lettere!»Ahse la collera che lo invadeva avesse potuto sfogarla spazzando viada sérintuzzando a colpi di tacco in qualche cloacail cumulo diimmondezze che appestava la casa! «Sudiciona d'una donna!» e nontrovava per bollarla qualifica che lo appagasse. Adesso non eraarrivata a macchinare con l'aria più maternail matrimonio tra il suoganzo e Cecilia? era dunque ormai solo vizio quella insaziabilitàsenon provava neppure più il morso della gelosia? Semplice depravazionedunque; abitudine contrattacome quella del dolce in fin di tavola.

Per gettare ogni colpa sulla moglieadesso Hennebeau ne scagionavaquasi interamente il nipote: un pomo acerbo che a lei aveva ridatol'appetito ed al quale aveva morso come al frutto che s'offredall'albero a cui si allunga come ladri la mano. Che finirebbe perappetire quella donnaa che cosa non si abbasserebbe il giorno chenon avesse più un nipote compiacenteabbastanza di manica larga peraccettare in casa loro la tavolail letto e la donna?

Un picchio discreto all'uscio; e Ippolito attraverso la toppatimidamente azzardò:

-La postasignore... C'è anche Danseartchel'attendeè tornato per dire che si stanno sgozzando...

- Scendoscendomaledizione!

E ora che farebbe? Li scaccerebbe entrambi come appestati appena siripresentasseroa randellateli accoglierebbe! griderebbe loro infaccia che ad accoppiarsi andassero almeno altrove. Erano i lorofiatii loro respiri mescolati che appesantivano l'aria di quellastanza; il profumoche entrando lo aveva aggreditoera l'odore dimuschio di cui sua moglie si impregnava la pelle - una perversitàanch'essaquella preferenza per i profumi violenti -; ed era ilsentore della fornicazionedella consumazione dell'adulterio che ilsuo olfatto avvertiva intorno in ogni oggetto: nei catini ancoracolminel letto sconvoltonel mobilioin tutta la stanza appestatadal vizio.

In uno scatto d'ira impotente si avventò contro il lettolo martellòdi pugniaccanendosi nei punti dove più evidente restava l'improntadei corpi; furente contro quelle coperte in disordinequelle lenzuolagualcite che cedevano inerti ai colpicome spossate anch'esse dallelascivie di tutta la notte... Quando gli giunse dalla scala il passodi Ippolito. Arrossendo della stoltezza del suo gestosi fermò.

Ansantesi passò la mano sulla fronte madida. La faccia che ora lospecchio gli rimandava non la riconobbe. E solo quando si sentì un po'più padrone di sési decise finalmente a scendere.

Oltre Dansearterano in cinque ad attenderlo. Tutti latori di cattivenotizie: la situazione peggiorava d'ora in ora. Il capo-sorvegliantein mancanza di megliosi diffuse sull'episodio di Mirousalvatadalla fermezza del vecchio Quandieu. Hennebeau ascoltava simulandoattenzione; ma la sua mente era altrove.

Appena poté li congedòassicurando che prenderebbe le misure delcaso. Tornato nello studio e risedutosi davanti allo scrittoiorestòlì come intontitoil capo tra le manigli occhi sbarrati. Quando losguardo gli cadde sulla postafece uno sforzo per cercarvi la letterache attendeva dal mattino. C'era. Ma le righe gli ballavano davantiagli occhi. Finì comunque per capire che quei signori qualchesubbuglio se lo auguravano; certo non gli ordinavano di provocarlo; malasciavano capire cheove un'energica repressione si rendessenecessariaessa affretterebbe la cessazione dello sciopero. Allorascaricato di responsabilitàHennebeau lanciò una serie di dispacci:al prefetto di Lillaal comando della guarnigione di Douaiallagendarmeria di Marchiennes.

Finalmente ora poteva restare un po' a tu per tu con se stesso.

Protestando un attacco di gottasi chiuse a chiave nello studio; e lìrestò tutto il pomeriggiofacendo dire che non riceveva a chiunque sipresentasselimitandosi a scorrere i telegrammi e le lettere cheseguitavano ad arrivare. Fu quindi di lì che seguì la marcia deidimostranti: da Madeleine a Crèvecoeurda Crèvecoeur alla Victoiredalla Victoire alla Gaston-Marie. Ma ciò non gli tolse di constataredalle notizie che gli pervenivanoil completo disorientamento delleforze mandate a difendere i pozzi; le qualimesse su false pisteimmancabilmente voltavano le spalle alla miniera proprio nel momentoche veniva attaccata. Ma a lui che importava? Si scannasserodistruggessero pure tutto. S'era ripreso la testa tra le mani; esigillati con le dita gli occhisi sprofondava sempre più nel grandesilenzio della casarotto solo di tanto in tanto dal rumore deldaffare che la cuoca si dava in cucina per il pranzo della sera.

Erano le cinque; già il crepuscolo invadeva lo studio; ed Hennebeauera ancora lì aggomitato al tavoloimmobile come una statua; quandoun vocìo gli arrivò che lo fece trasalire: certo i due sciagurati diritorno da Marchiennes. Ma il vocìo cresceva; eper vedere chi fosseHennebeau stava appressandosi alla finestraquando da quelloschiamazzo scaturì pauroso il grido:

-Pane! pane! pane! - Era labanda degli scioperanti che irrompeva in Montsou; mentremanco adirlola gendarmeria se ne allontanava di corsadiretta al Voreuxche le risultava minacciato.

Alla sfilata di quella stessa banda aveva poco prima assistito laHennebeau e la sua comitiva. L'incontro era avvenuto sulla stradamaestra a due chilometri dalle prime case di Montsouun po' oltre ilbivio di Vandame.

La giornata a Marchiennes era trascorsa allegramente: s'era fattaun'ottima colazione in casa del direttore delle ferriere; poi s'eraoccupato il pomeriggio in un'interessante visita alle fabbriche e auna vetreria dei dintorni. Enel limpido tramonto della bellagiornata d'invernoci si avviava a casaquando Cecilia s'eralasciata prendere dal capriccio di bere una tazza di latte caldo inuna piccola fattoria che costeggiava la strada. Aiutate dal galanteNégreltutte allora erano scese di vettura; e la contadinaimpressionata della visitagià si disponeva premurosa adapparecchiare; ma avendo le due Deneulin gridato che il bello eraassistere alla mungituratutteportandosi dietro le tazzeeranopassate nella stalladove tra grandi risa e capitomboli sulla pagliaavevano improvvisato una specie di merenda campestre. E la Hennebeauostentando di farlo per compiacere la fanciullaavvicinavaschifiltosa le labbra alla tazzaquandotendendo l'orecchio:

-Che èmai? - Una specie di boato s'udiva infatti in distanza.

Fattesi sull'ingresso - servendo anche di fienilela stalla avevasulla strada una larga entrata per i carri - già le ragazze partivanoin esclamazioni: laggiù a sinistrasbucando dalla via di Vandameunnero flutto vociferante di gente s'avanzava compatto. Négrel uscìanche lui a vedere:

-Diavolo! che stiano passando ai fatti i nostrisbraitoni? - Saranno di nuovo gli operai dei pozzi- suggerì lacontadina. - Sarebbe la seconda volta che passano di qui. Pare che lecose si mettano poco bene; che i dimostranti stiano prendendo ilsopravvento... - Lasciava cadere le parole spiandone l'effetto suivisi dei visitatori. Accortasi dell'ansietà e del panico chesuscitavas'affrettò a concludere:

-Che canaglie!

A raggiungere Montsou non si faceva più a tempo. Allora Négrel ordinòal cocchiere di spicciarsi a togliere la carrozza di mezzo la strada;e gliela fece portare sull'aia dietro una tettoiasotto la quale luicondusse il cavalloche un monello gli aveva tenuto per la briglia.

Al ritorno nella stallatrovò la zia e le ragazze cheallarmatissimesi disponevano a seguire la contadina che s'eraofferta di nasconderle in casa sua. Noera meglio restare lì; si erapiù al sicuro; nel fienonessuno li verrebbe a cercare. Chiusero ilportonesebbenenello stato in cui eradesse poca garanzia diresistere a un'eventuale spinta dall'esterno e fosse così spaccato difessure da riparare appena dalla vista.

- Animosuvvia! Vuol dire che venderemo cara la pelle! - celiòNégrelper incoraggiarle; ma il suo spirito ottenne solo d'impaurirledi più.

Lo schiamazzo si appressava; sebbene lì davanti la strada fosse ancorasgombraai loro occhi già la spazzava la raffica forieradell'uragano. Tanto che Ceciliacorsa a ficcare la testa nel fieno:

-Nono- smaniò- io non voglio nemmeno vedere!

Stizzita contro quella gente che veniva a sciuparle all'ultimo momentola bella giornatala Hennebeau pallidissima si teneva discosta dallaportail viso atteggiato a sprezzo e disgusto; mentre le dueDeneulinpur anch'esse tremandoavevano messo l'occhio ad unafessuradesiderose di non perdere nulla dello spettacolo.

Primo a comparireannunciato da un rombo di tuono e dal sussultaredel suolo sotto la violenza dei passifu Gianlino che soffiava nelcorno. - Il popolo lavoratore che passa: mano ai salisignore! -Malgrado le sue convinzioni repubblicanecol bel sesso Négrel amavabeffarsi della canaglia. Ma la sua spiritosaggine si perse nelfrastuono.

Urlanti e gesticolantile donne erano apparse; un migliaio o pocomeno; scarmigliate dalla corsamal coperte da cenci che lasciavanointravedere qua e là la pelledei corpi di femmine sfiancate a forzadi figliare. Alcune tenevano fra le braccia l'ultimo natolosollevavanolo mostravano come brandissero e agitassero un segno divendetta e di lutto. Altrepiù giovaniprocedevano impettite comemuovessero alla battagliaimpugnando bastoni; mentre le vecchiesimili a furie scatenateurlavano così forte che nei colli scarnitile corde si tendevano quasi a schiantarsi. Seguiva la valanga degliuomini; duemila forsennati; manovalibracciantistaccatori; unamassa pigiata e confusa che avanzava compatta al punto che non vi sidiscerneva più nulla: camiciotti di tela o maglie a brandellituttospariva in un'unica tinta terrea. Galleggiavano su quella uniformitàsolo il lampeggiare degli occhilo spalancarsi dei neri buchi dellebocchebercianti la «Marsigliese»; le cui strofe naufragavano in unmugghio confusoaccompagnato dallo schioccare degli zoccoli. Sullamarea di teste irta di sbarre di ferroun'ascia passò; e quell'unicaasciatenuta verticaleche era come il vessillo della bandasiritagliava sul limpido cielo con l'aguzzo profilo d'una mannaia.

- Che ghigne spaventose! - balbettò la Hennebeau. Négrel tra i denti:- Il diavolo mi porti se ne riconosco una! di dove sbucano fuori tuttiquesti banditi? - L'irala famei patimenti che da due mesiduravanola stanchezza prodotta da quello scalmanato correre diminiera in minieraaveva infatti allungato quei pacifici visi inmascelle di belve. In quel momento il sole tramontavainsanguinandola pianura della cupa porpora dei suoi ultimi raggi.

Tinti di quella porporauomini e donne seguitavano a correre simili abeccai imbrattati di sangue; e fu come senon più una follama unfiume di sangue dilagasse per la strada.

La tragica bellezza dello spettacolo strappò alle due Deneulin unsoffocato grido di ammirazione:

-Stupendo! - Manel sussurrarloimpressionate anch'esseistintivamente si ritrassero e si trovaronopresso la Hennebeau. La donna s'appoggiava ora all'orlodell'abbeveratoio; il pensiero che bastava che uno di quei forsennatimettesse l'occhio a una fessura perché per loro fosse finitalaagghiacciava. Persino Négrela dispetto di tutto il suo coraggioadesso era preso da un panico che stentava a dominarequanto più logiudicava irragionevole. Sparita dentro il fienoCecilia non davasegno di vita; mentre gli altriper quanto si proponessero distornare gli occhi dalla scenacome affascinati seguitavano aguardare.

Quel che passava lì davanti era il minaccioso preludio d'unarivoluzione che a breve scadenza fatalmente li travolgerebbe tutti.

Sìil secolo non volgerebbe a termineche in una rossa sera comequestail popolo scatenato strariperebbe così per le strade:grondante del sangue della borghesiaagiterebbe sulle picche delletestesventrerebbe i forzieri e ne seminerebbe l'oro. Le donneurlerebbero; minacciosi come questigli uomini spalancherebbero faucidi belva. Sìsarebbero gli stessi cenci che ricomparirebberolostesso strepitio di zoccoli che rintronerebbe le vie; sarebbe lastessa raccapricciante follalacerasudiciadal fiato appestatoche spazzerebbe via il vecchio mondo sotto la sua barbarica spintairresistibile. Incendi fiammeggerebbero; delle città non resterebbepietra su pietra; si ritornerebbe all'esistenza selvaggia dei boschidopo il pauroso esplodere di foiadopo l'immane orgia che vedrebbe inuna notte i diseredati sfiancare le donne dei ricchimettere a saccole loro cantine. Più nulla resterebbe; non un soldo delle fortuneaccumulatenon un titolo o una posizione sociale; sino al giorno incui forse un nuovo mondo sorgerebbe sulle rovine dell'antico. Sìeraun'avvisaglia di questociò che ora si scatenava su quella strada conla irresistibilità d'una forza di natura; era dell'imminente cicloneche essi ora ricevevano in viso la ventata che bastava a farlitrascolorire.

Un grido sorse che soverchiò il canto della «Marsigliese»:

-Pane!

pane! pane! - Le Deneulin si strinsero contro la Hennebeau ch'era lìper svenire; mentre Négrel si metteva loro davanticome per ripararledel suo corpo. Che già fosse suonata l'oraper il vecchio mondodisfasciarsi?

Ma qualcosa quelle signore dovevano ancora vedere che finì disbalordirle. Della colonna dei dimostranti stava ormai sfilando ilcodazzo dei ritardatariquando sulla strada comparve la Mouquette.

Procedeva senza fretta occhieggiando intorno per sorprendere allafinestrasulla soglia del giardinoqualche grasso borghese; e appenane avvistava unonon potendocome le sarebbe piaciutosputargli infacciagli volgeva di colpo le spalle; escoprendo certa parte delcorpofaceva al suo indirizzo il gesto ch'essa riteneva il piùoltraggioso. In quel momento doveva averne visto uno da quel lato lìdella strada; perchévolte le spalledi scatto si rimboccò sino incapo le sottane; esporgendo le natichemise in mostra un enormetafanario cheall'ultimo sole - non di vergogna - si imporporò. Underetano punto osceno; ferocepiuttosto; che non fece ridere nessunolì nella stalla.

La strada si vuotò; già lontanala colonna proseguiva su Montsousvoltandosfilando tra le basse case variopinte. La carrozza vennefatta uscire dall'aia; ma il cocchiere non si sentiva di assumersi laresponsabilità di ricondurre tutte quelle signore finché gliscioperanti fossero padroni della strada. Ed altra via non c'era. LaHennebeaucoi nervi tesi dalla paura che s'era presastrillava fuoridi sé:

-Ma bisogna bene che rientriamo! la cena non può aspettare!

L'ha fatto apposta quella sporca gentea scegliere il giorno che hodegli invitati! Andate a far loro del bene!

Le due Deneulin s'adoperarono intanto per persuadere Cecilia a usciredal suo nascondiglio. La fanciulla resisteva: non era vero che queiceffi avessero finito di sfilare e lei non voleva vederli.

Finalmente rimontarono tutti in vettura. Négrelrisalito a cavalloebbe allora l'ispirazione di passare per la stradetta di Réquillart.

- Va' al passo- raccomandò al cocchiere. - E' una strada da capre. Selaggiù dei dimostranti ti impediscono di rientrare sulla maestratuallora ci fermi dietro il vecchio pozzo. Noi si rientra a piedi per laporticina del giardino; la carrozza e i cavalli li metti dove puoinella rimessa di qualche albergo -. Si partì.

La colonna straripava ormai per le vie di Montsou. Gli abitanti chegià due volte avevano visto passare gendarmi e cavalleriaerano ingran fermento. Circolavano voci allarmanti; si sussurrava di manifestiscritti a manonei quali i dimostranti minacciavano di morte i grassiborghesi. Nessuno li aveva letti; ma ciò non impediva che se necitassero frasi testuali. Specialmente in casa del notaioil panicoera al colmo; giusto in quel momento gli era stata recapitata unalettera anonimala quale lo avvertiva che negli scantinati della casaera interrata una botte di esplosivo che la farebbe saltare se lui nonsi dichiarava per il popolo.

La lettera era arrivata che in visita dal notaio c'erano i Grégoire; iqualipropensi a crederla lo scherzo d'un burlonestavanodiscutendonequando l'irruzione nelle vie della banda fece perderedel tutto la testa ai padroni di casa. I Grégoire sorridevano: non erail caso di spaventarsi così; e scostando le tendinespiavano inistrada: nononessun serio pericolo; tutto s'appianerebbefinirebbe in una bolla di sapone.

Suonavano le cinque; per cenaavevano tempo: gli Hennebeau abitavanolì di fronte; di certovi troverebbero la figlia ad aspettarli. Meglio aspettare che le strade si sgombrassero un po'. Ma nessuno inMontsou aveva l'aria di condividere il loro ottimismo; dappertuttolìsottogente spaventata che correvaporte e finestre che sichiudevano con fracasso. Maigratpoilì in facciasi barricavaaddirittura in bottegane sprangava con sbarre l'ingressocosìpallido e tremebondo che quella meschinella della moglie doveva leifissare le imposte.

La colonna dei dimostranti s'era intanto fermata davantiall'abitazione del direttore; il grido echeggiava:

-Pane! pane! pane!

- Hennebeau era ancora in piedi nel vano della finestraquandoIppolitonel timore di qualche sassatavenne a chiudere le persiane. La stessa operazione ripeté al pianterreno e al primo; e per tutta lacasa fu uno sbattere d'imposte e uno stridere di spagnolette. Disgraziatamentenon si poteva allo stesso modo sottrarre alla vistala cucinala cui finestrache s'apriva sotto il livello dellastradaoffriva il provocante spettacolo dei grassi preparativi dellacena.

Privato del suo posto d'osservazionemacchinalmente Hennebeau salì incerca d'un altro al secondo; e ricapitò nella stanza del nipote cheper la sua posizionepermetteva di dominare tutta la strada sino aicantieri della Compagnia. Si appostò dietro le persiane. Ora nellacamera ogni segno di disordine era scomparso. Certorimetterci piedenon fu per lui senza emozione. Senonché ormai dello strazio che allascoperta aveva provato il mattinodella lotta che tutto il giornoaveva sostenuto con se stessonon risentiva che la stanchezza: unaimmensa stanchezza.

Come la camera tornata fredda e ordinatacosì si sentiva lui nel suointimo. A che pro uno scandalo? che forse in casa era cambiatoqualcosa? Aveva scoperto alla moglie un amante di più: e con ciò? Un'aggravante c'eraè vero: che se lo fosse scelto in famiglia. Matale scelta non costituiva alla fine un vantaggio? visto che salvavale apparenze? D'essersi abbandonato quel mattino a un accesso digelosia furiosaora si faceva compassione. Come era stato ridicoloaprendere il letto a pugni! Conoscerle un amante di piùche potevaormai voler dire se non disprezzarla un po' di più? non altro. Provavaun'atroce amarezza; tutto gli appariva inutilela vita una sequela didolori; ma soprattutto sentiva una grande vergogna di sé cheinertedavanti a quella abiezionepure seguitava ad adorare e a desiderarequella donna!

Sotto la finestrale grida si rinnovaronocrebbero di violenza:

-Pane! pane! pane! - «Imbecilli!» e Hennebeau strinse i denti.

La folla gli rinfacciava le laute prebendelo trattava da fannullonee di grasso borghesedi sporco maiale che si regala indigestioni dileccorniementre chi lavora crepa di fame. Avvistata la cucinaledonne vi si pigiavano davanti: inferocite alla vista del fagiano chesi rosolava sullo spiedoall'odore degli intingoli che straziava iloro stomachi vuotiimprecavano in coro. Guarda lì se se ne passanodi buone bottiglie e di tartufi quei porci di borghesi! da farnestrippate!

- Pane! pane! pane! - «Imbecilli- si disse di nuovo Hennebeau- sevi illudete con questo che io sia felice!»Che stizza lo pigliava contro l'ottusità di quei bruti! comevolentieri avrebbe regalato loro i suoi guadagni per possedere incambio la loro mancanza di sensibilità; per potercome essiaccoppiarsi senza rimorsi con chi gli piaceva! Ah perché non potevacedere loro il suo posto a tavola perché s'impinzassero sino al vomitodei suoi fagiani; e andarsene luiin vece loroa godersi le ragazzesulle aie e dietro le siepisenza alcun pensiero di quelli che sel'erano godute prima! Tuttolui avrebbe dato: la sua educazionel'agioil lussola sua autorità di direttorepur di potere per ungiorno essere l'ultimo dei miserabili che gli ubbidivalibero di sésenza scrupoli moraliabbastanza irresponsabile per picchiare lamoglie e trescare con le vicine! E magarisìanche di provare lafames'augurava! chi sa cheottundendogli il cervellola fame nonlo liberasse del tarlo che lo rodevadal suo quotidiano rovello! Ahvivere come un brutonulla più possederebattere il grano con la piùsudiciala più nauseosa delle operaie dei suoi pozzied esserecapace di accontentarsene!

- Pane! pane! pane! - Pane! come se bastasse! L'aveva il panelui; manon era meno per questo il più infelice degli uomini. Il rimpiantodella sua vita fallitala vita del cuorel'unica che gli importasselo prese alla gola come una mano che lo strozzasse. Ahno; nonbastava avere del pane per essere felice! Chi era quell'idiota chefaceva dipendere la felicità dalla spartizione dei beni? Questiacchiappanuvole di rivoluzionaripotevano bene distruggere la societàe farne sorgere una nuova; con l'assicurare a tutti un tozzo di panenon darebbero all'umanità una gioia di più né la libererebbero da unsolo dolore! Al contrariosarebbe l'infelicità che farebbero regnaresulla terra; perché persino i cani finirebbero per urlare didisperazione il giorno chenon più paghi di soddisfare i loroistintiillusi di elevarsicadessero in balìa delle passioni chenulla può saziare. Noil solo bene era non esistere; madovendonascerenascere alberonascere pietra; granello di sabbiameglioancorache non sa del piede che lo calpesta.

A questo puntosopraffatto dal doloreHennebeau ruppe in pianto. Ilcrepuscolo era calato sulla stradaquando contro i muri s'abbatté laprima sassaiola.

- Imbecilli! imbecilli! - ripeté fra i singulti. Ma ormai senzarisentimentoassorbito com'era nel suo dolore.

Ma l'urlo della fame si rinnovò più fortesi scatenò come un uraganoche spazza via ogni cosa:

-Pane! pane! pane!

 

Capitolo sesto

 

Rientrato in sé agli schiaffi di CaterinaStefano s'era rimesso allatesta dei dimostranti. Mamentre li lanciava su Montsoucon una voceche lo strapazzo di tutto il giorno arrochivaun'altra voce sielevava in luiquella della ragionea chiedergli stupita che stavafacendo. Nessuno degli eccessi cui si era finora abbandonata la bandaera nelle sue intenzioni; come poteva essere chepartito il mattinocol proposito di non lasciarsi prendere la mano da risentimentidiconservare il controllo dei suoi uomini e d'evitare inutili violenze edistruzionifosse invece passato di eccesso in eccessosino adarrivare adesso a mettere l'assedio alla casa del direttore? Eppureera ben lui che oradavanti alla villaaveva dato l'alt. Gli è cheanche questa voltase si trovava ad assecondare i compagni nel nuovoeccessoera per scongiurarne uno maggiore: il saccheggio dei cantieriche già nelle file si ventilava. Tanto è vero che anche adessoalcrepitare delle prime sassate contro la facciataegli si chiedevainutilmenteverso quale più ragionevole bersaglio indirizzare unfurore che non era più in grado di frenare.

Mentre era lì impotente in mezzo alla stradasi sentì chiamare; inpiedi sulla soglia del Tizzoneche la proprietaria s'era affrettata amunire d'impostec'era un uomo:

-Senti una parola... - Lo seguì.

Il locale era affollato d'una trentina di operaitra uomini e donne;appartenenti per la maggior parte alla borgata dei Duecentoquaranta;tutti che al mattino erano rimasti a casa e chescesi per notizieerano stati sorpresi dall'arrivo dei dimostranti. C'era Zaccaria conFilomena; Pierron con la moglieche voltavano le spalle pernascondere la faccia. Siccome non erano entrati che per mettersi alriparonessuno beveva.

Al riconoscere nell'uomo che l'aveva chiamato RasseneurStefano giàs'allontanava: ma quello:

-Ti cuoceehrivedermi? Le seccaturecomincianoti avevo avvertito. Ormai potete chiedere pane; saràpiombo che riceverete!

Il giovane alloratornando sui suoi passi:

-Quel che mi bruciaahquesto sìè vedere dei vigliacchi che con le mani in manostanno aguardarci mentre noi rischiamo la pelle!

- Sicché avete intenzione di rifarvi con quelli di faccia?

- La mia intenzione è di restare sino in fondo coi miei amicialmenosi creperà insieme -. E più che mai deciso a morire coi compagniliraggiunse.

A emulare i grandiora si mettevano anche i ragazzini; a tre che glivennero tra le gambeStefano allungò una pedatagridando - e non eraper loro che lo gridava - che a fracassare dei vetri non si profittanulla. Berto e Lidiavenuti a raggiungere Gianlinostavano facendosiinsegnare dal monello a maneggiare la fionda. Lanciavano un sasso aturnogareggiando a chi producesse più guasto. Per imperiziaLidiaaveva oranella confusionemandato un sasso a finire in testa a unapassante; e della prodezza i due si spanciavano. Li stavano aguardareseduti lì dietro su una pancaBonnemort e Mouque. Laprospettiva di quale svago avesse indotto il primo a trascinare sin lìle sue gambe malazzatenon si capiva: il vecchio aveva il viso terreodei giorni in cui non gli si cavava parola di bocca.

A Stefano nessuno obbediva più. A dispetto dei suoi ordinii sassiseguitavano a grandinare. Constatare come quei bruticosì lenti amuoversiuna volta scatenati diventavano pericolosi e tenacinell'iralo stupiva e sgomentava. Eccolo lì sotto i suoi occhiall'operail vecchio sangue fiammingo: torpidoche impiega dei mesiper scaldarsi; ma che una volta scaldato si butta senza più ritegno aqualunque eccesso e non ascolta ragione finché la sua ferocia non si èsaziata.

Al suo paesenel meridionele folle pigliano fuoco prima; ma siplacano anche prima. Per strappargli l'ascia di manodovette battersicon Levaque; né sapeva più in che modo calmare i Maheuchescagliavano pietre a due mani. Ma le donnesoprattuttoloatterrivano: la LevaqueMouquette e altreinvasate da furoreomicidatutte unghie e dentiabbaianti come cagne; dominatedall'allampanata figura dell'Abbruciata che le aizzava.

Quando ciò che Stefano non poteva più ottenerelo ottenne unincidente da nulla; chesuscitando stuporecausò un momento dibonaccia. Fu la comparsa dei Grégoiredecisisi finalmente acongedarsi dal notaio. Nell'attraversare la stradai due coniugiavevano un'aria così placida e fiduciosadai loro visi trasparivacosì bene la persuasione che i loro bravi operai facevano per chiassoche questinel timore di colpire quel vecchio signore e quellavecchia signora piovuti dal cielosmisero davvero di tirare. Il tempoper i due di attraversareentrare nel giardinosalire la scalinatasuonare alla porta barricata; epoiché non si aprivarestare lì inattesa. Pochissimoper fortuna; perché in quella attraversava a suavolta la calca Rosa che rientrava; volgendosi intorno sorridente aidimostranti cheessendo di lìconosceva uno ad uno. Fu lei a farsiriconoscere da Ippolitoche finì per aprire. Erano appena dentrochei sassi riprendevano a fioccare. Uscita dal momentaneo intontimento lafolla ora gridava più forte:

- Morte alla borghesia! evviva larepubblica sociale! - A non impressionarsil'unica restava Rosacheal domestico allibito seguitava a dire:

-Macchéli conosco. Non sonomica cattivimacché! - Parere del resto condiviso da Grégoire; cheappeso con meticolosa cura il copricapo all'attaccapanni e aiutata laconsorte a liberarsi della mantella:

- Certo- rincarava- sonobuoni figlioliin fondo! Quando avranno gridato ben benese neandranno a cenare di miglior appetito.

In quellascendeva la scala e si faceva incontro agli ospitiHennebeau. Aveva ripreso la sua aria abitualefredda e cortese. Soloil pallore del viso tradiva la giornata trascorsa. Il direttoreilpadrone di casa aveva ripreso il sopravvento sull'uomo.

- Ma sanno- disse- che ancora le signore non sono rientrate?

Solo adesso i Grégoire si turbarono. Cecilia ancora per strada! comefarebbe a rientrarese lì fuori lo scherzetto si protraeva?

- Avrei mandato il domestico in cerca dei gendarmi- si scusavaHennebeau. - Ma dove pescarli? Dicono sì che ce ne sono in giro; ma intutta la giornataancora non m'è riuscito di ottenerne uno. Quattrochepì e un caporale sarebbero bastati a spazzare la strada di questacanaglia!

Canaglia! Rosa volle dire ancora la sua:

-Ma non c'è da aver paurasignore! E' tutta brava gente!

Il direttore scosse il capo; mentre a confermare l'ottimismo dellacameriera il tumulto in istrada cresceva e i sassi piovevano piùfitti.

- Io non ne faccio loro colpa. Scuso anzi la loro ignoranzadicredere che noi ci si accanisca a volere il loro male. Senonchéresponsabile sono iodi ciò che può accadere!

Escansandosi davanti alla Grégoire:

-La pregosignoranon restiqui in piedis'accomodi -. E avrebbe accompagnato gli ospiti insalotto; ma fu trattenuto in anticamera dalla cuoca. Abbandonate lesue casseruolela donna veniva a declinare ogni responsabilità per ilpranzose non arrivavano le sfogliate che aveva ordinato alpasticciere di Marchiennes e che avrebbero dovuto essere lì per lequattro. Che il commesso si fosse preso paurasi fosse perso perstrada? o che gli avessero vuotato la cestaquelle canaglie? e già ladonna vedeva le sue sfogliate finite nella pancia di quegli affamati. Ad ogni buon contolei avvertiva: se le sfogliate non arrivavano...

- Ma arriverannoarriveranno... - la consolò Hennebeau. - Un po' dipazienza. Non bisogna fasciarsi la testa prima di essersela rotta.

Ed apriva alla Grégoire l'uscio del salottoquandoseduto su unacassapanca ad attenderescorse un uomodel quale l'oscuritàin cuiera immerso il vestibologli aveva sin allora impedito di avvertirela presenza.

- VoiMaigrat? che succede?

L'esercente s'era alzato ed ora Hennebeau ne vedeva la facciastravolta dalla paura. Non era più Maigratil grosso uomo di primaplacido e ben saldo sulle gambe.

- Signor direttore- disse tartagliando- mi scusi se mi sonointrodotto così in casa sua. E' per chiederle se può darmi aiuto nelcaso che mi assaltino la bottega.

Hennebeau allargò le braccia:

-Mi spiace; ma vedete bene che sonominacciato anch'io e che in casa non ho nessuno. Non era meglio cherestaste dove eravatea far la guardia alla vostra roba?

- Ma l'ho sprangatala bottega; e poi ci ho lasciato mia moglie.

Sua moglie di guardia! bella guardia che poteva fare quellameschinellaridotta come lui l'aveva a forza di botte!

Spazientito e non senza una punta di sprezzo:

- Insommache voleteche ci facciacaro Maigrat! Io non sono in grado di far niente pervoi; cercate di difendervi. Il consiglio che vi posso dare è ditornare subito a casa. Li sentite che cosa gridano? E' proprio paneche vogliono.

Infatti! Nello schiamazzo anzi Maigrat credette di udire il suo nome. Ma ormai come passare? Rischiava d'essere fatto a pezzi. D'altraparteil pensiero che gli saccheggiassero la bottega... Incollò ilviso al vetro della porta esudando freddo e tremandorestò lì aspiare fuori.

Intanto i Grégoire s'erano decisi a passare in salottodove Hennebeauimpassibile cercava di fare gli onori di casa. Ma invano invitava gliospiti ad accomodarsi; restavano in pieditrasalendo a ogni nuovoclamorepunto a loro agio in quella stanza chiusa e barricatadoveprima del tempo due lampade erano state accese. Chi sa perché lìattutito dalle tappezzerie e dai tendaggil'urlo dei dimostrantiarrivava anche più minaccioso. Avviarono comunque una larva diconversazione; ma il discorso ricadeva sempre su quella sommossadicui non ci si rendeva ragione. Hennebeau si dichiarava stupito di nonaver avuto in anticipo sentore di qualche cosadi quello che bollivain pentolaegli era stato così poco informatoche degli avvenimentiora attribuiva la colpa soprattutto a Rasseneur.

- E' quell'uomo-diceva- che li ha sobillati -. Ma si rassicurassero; i gendarmi nonpotevano tardare; non era da credere che lasciassero così la suaabitazione alla mercé della folla. Dal canto loroi Grégoireeradella figlia che si preoccupavano; poverinacosì facile aimpressionarsi per nulla! Chevisto il pericolola carrozza fossetornata a Marchiennes?

L'attesa durò un altro quarto d'orasnervante. Al baccano esternooraogni tantos'aggiungevano raffiche di sassi contro le finestrele persiane chiuse che ne rimbombavano come tamburi. La situazionediventava insostenibile; e già Hennebeau parlava di uscire luidiaffrontare da solo la marmagliae di andare incontro alla carrozzaquando nel salotto irruppe il domestico gridando:

-Signoreè quifuorisua moglie! Ammazzano la signora!

Come Négrel aveva previstola vettura non aveva potuto rientraresulla strada maestra per la minacciosa presenza di gruppi discioperanti; sicché l'ingegnere aveva deciso di fare a piedi i centometri che li separavano da casa; una volta raggiunta la porticina chedava sul giardinodal giardiniere o da chi per lui riuscirebbe bene afarsi aprire. E tutto sul principio era andato liscio; e già laHennebeau bussava alla porticinaquandoavvertitedelle donneinvasero il vicolo. Allora cominciarono i guai: la porta non s'aprivainvano Négrel tentò d'aprirla a spallonate. Vedendo crescere nelvicolo il numero delle donnetemette di essere soverchiato; e spinseavanti la zia e le ragazze nel disperato tentativo di aprirsi il passotra gli assedianti e raggiungere l'ingresso principale. Ma le donne simisero alle loro calcagnavociando li attorniarono; mentre il grossodei dimostrantidisorientato dalla presenza di quelle signore benvestite smarritesi nella mischias'accalcava sul loro passaggio.

Raggiunta la scalinata d'ingressole due Deneulin s'erano infilate incasa per la porta che Rosa teneva semiaperta; la Hennebeaudietro; eultimo Négrelche aveva tirato il catenacciopersuaso d'aver vistoCecilia sgattaiolare dentro per prima. Non era così: la fanciullal'avevano persa nel tragitto; rimasta indietrola fanciulla era statacolta da un tale panico chevoltate le spalle alla casas'erabuttata da sé in bocca al lupo.

Ad accoglierlas'alzò il grido:

-Evviva la repubblica sociale! amorte la borghesia! a morte! - Dei dimostrantii più lontanilascambiarono per la Hennebeauaiutati nell'abbaglio dalla veletta chele nascondeva il viso; altri fecero il nome d'un'amica di leilagiovane moglie d'un proprietario d'opificiodetestato dagli operai. Del restofosse chi volevapoco importava; per esasperare la follabastava quell'abito di setala pellicciala piuma bianca sulcappello; in più quella fraschetta era profumataaveva un orologio ela pelle delicata di chi carbone non ne tocca.

- Vieni quicarina- gridò l'Abbruciata- che te li mettiamo noi ifronzoli in un certo posto dove non ce li hai!

E la Levaque:

- E' da noialtre che li spremono fuoriquestefraschette! ve' che pellicciamentre noi si crepa dal freddo! Viavia tutto! Spogliatela nudache le insegniamo a vivere!

E la Mouquettebuttandosi avanti:

-Sìsìsculacciarla dobbiamo!

Erose d'invidiascalmanateallungavano le grinfiecome perprendersi ciascuna un pezzetto di quella figlia di ricchi.

- Non c'e l'avrà mica più bello del nostroil sedere!

- Noi almeno di sotto siamo sane; mentre per solito quelle lìsotto ifronzoli...

- E' durata abbastanza l'ingiustizia! Si dovranno vestire come noiqueste troieche per farsi lavare la sottanina spendono quanto noiper campare una settimana!

In mezzo a quelle furieCecilia tremanteparalizzata dalla pauranon sapeva che balbettare:

-Signoreve ne pregosignorenon mifate del male! - Quando emise un grido che le si strozzò in gola: unpaio di tozze mani gelate l'aveva afferrata alla gola. Le mani diBonnemortpresso il qualespinta dalle donnela fanciulla eravenuta a trovarsi. Ubriaco di fameinebetito dalla lunga vita distentiil vecchiomosso da chi sa mai che sotterraneo rancoreusciva improvvisamente con quel gesto da una rassegnazione duratacinquant'anni. Dopo avere in vita sua salvato dalla morte una dozzinadi compagnirischiando la pelle nel grisù e nelle franeadessoneppure lui avrebbe saputo dire a quale demonea quale subitaneoimpulso cedevacome calamitato dalla bianchezza di quel collo difanciulla. E poiché quel giorno aveva perso la favellaseguitando astringeremuoveva senza emettere suono le labbracol biascichiodell'idiota che rumina ricordi.

Ma le donne s'intromisero:

-Nono! - gridavano. - Il culo vogliamoche mostri! a culo all'ariala vogliamo!

Appena accortisi della sparizione di CeciliaNégrel e Hennebeauriaperta la portas'erano animosamente lanciati fuori per correre insuo aiuto. Ma al cancellocontro il quale ormai la folla premevadovetteroper aprirsi il passoimpegnare una colluttazione; mentresulla gradinata s'affacciavano i Grégoire atterriti.

Fortuna volle che una delle sue persecutrici strappasse intanto aCecilia la veletta; e chericonoscendolala Maheu gridasse aBonnemort:

-Lascialavecchio! Non vedi che è la signorina dellaPiolaine? - Sdegnato che se la prendessero con un'innocenteancheStefano s'adoperava per liberare la fanciulla da quel cerchio difurie. Un'ispirazione lo soccorse: brandendo l'ascia che avevastrappato a Levaque:

-Da Maigrat! - gridò. - Da Maigratamici! C'èdel pane là dentro! Sfondiamo la baracca di Maigrat! - E facendoseguire il gesto alle paroles'avventò coll'ascia alzata; seguìto daLevaqueda Maheu e da qualcun altro. Ma il diversivo non valse adistrarre le donne dalla loro preda chedalle mani di Bonnemortcadeva in quelle dell'Abbruciata. Incitati da Gianlinogià Lidia eBerto s'introducevano carponi sotto le gonne della fanciulla pervedere com'era fatta; giàtirati da più partii vestiti sischiantavano quand'ecco apparire un uomo a cavallo e buttarsi avantid'impetomenando intorno scudisciate su chi non faceva presto ascansarsi. - Ah canaglia! a picchiare le nostre figlie siete dunquearrivati!

Era Deneulin che giungeva per la cena. D'un balzo fu a terra; afferròCecilia per la vita; emanovrando con l'altra mano con destrezza ilcavallolo spinse avanti a mo' di cuneoaprendosi un passaggio nellafollacheallo scalciare dell'animaleindietreggiava. Al cancellola battaglia continuava; maschiacciando e travolgendoriuscì apassareliberando in pari tempo col suo arrivo inaspettato Négrel eHennebeau chetempestati di colpistavano per soccombere. Solo incima alla scalaper aver voluto fare scudo del suo corpo a Hennebeaunell'entratafu raggiunto da una sassata che per poco non gli slogòla spalla.

- Bravi! - gridò. - M'avete fracassato le macchine; rompetemi anche leossa adesso! - e sbatté la porta; appena in tempo; perché unagragnuola di sassi la investì.

- Un secondo di più- commentòrifiatando- e la mia testa partiva. Ma che dire a dei forsennati simili? Non ragionano più. Non ci sarebbeche ammazzarli.

Cecilia riprendeva i sensi. Non aveva riportato neppure unagraffiatura; ci aveva rimesso solo la veletta. E i Grégoire siabbandonavano alla commozionequando:

-Tu? che succede? come titrovi qui? come hai fatto a entrare?

Era Melaniala loro cuoca. Scappatafolle di pauradalla Piolaineper venire ad avvertire i padroni che i dimostranti «avevano buttatogiù la villa»aveva trovato la porta d'ingresso semiaperta e s'eraintrodotta dentro senza chenella confusionenessuno la notasse. Ecominciò un interminabile racconto dove l'unica sassata che avevacolpito la Piolainequella lanciata dalla fionda di Gianlinodiventava una cannonata che aveva squarciato i muri. Oh questa! glisgozzavano la figliagli spianavano la casa! Nella testa di Grégoirel'opinione che aveva dei suoi operai cominciò a modificarsi. Allorabisognava proprio credere che ce l'avessero con lui! E perché mai? perché viveva onestamente del loro lavoro?

La Hennebeau stentava a rimettersi: pallidissimanon s'era più mossadalla poltrona sulla quale s'era afflosciata arrivando. Ebbe solo unfugace sorriso quando intorno si complimentarono con Négrel. I piùcalorosi nel ringraziarlo erano i Grégoire: ormaisi capivailmatrimonio tra Cecilia e l'ingegnere era cosa fatta.

Hennebeau andava con lo sguardo dall'uno all'altro; più chepartecipareassisteva. La prospettiva di quel matrimoniose da unaparte gli dava un certo sollievo perché sbarazzava la casa del ganzodall'altra lo impensieriva: privata di Négrelnelle braccia di chifinirebbe sua moglie? Poteva aspettarsi di tutto.

- E voimie carecome ve la siete cavata? - chiese Deneulin allefiglie. - In tuttocon un po' di paura? - Un po' di paurasìl'avevano avuta; ma ora erano contente dell'avventura e ridevano.

- Non c'è che dire- seguitò lui- è stata una bella giornata! Oraperò se vorrete sposarvila dote dovrete farvela da voi! E che non vitocchi di dover pensare anche a vostro padre! Aspettatevelo!

Scherzava con l'amarezza in gola. Le figlie gli si buttarono fra lebraccia; gesto che visibilmente lo commosse.

Deneulin dunque si confessava rovinato: Hennebeau dissimulò un lampodi gioia. Finalmente lo scopo che da anni perseguitavastava peressere raggiunto; Vandame stava per cadere nelle mani della Compagnia.

Era il successo personale che il direttore si auguravaquello che lorimetterebbe nelle grazie dei suoi capi. Soddisfazioni che l'uomotraeva dall'adempimento soldatesco del proprio dovere; modestefelicità che lo compensavano in parte delle amarezze e dei disinganniche la vita gli infliggeva.

Ma che stava succedendofuori? Nel tiepido e ovattato ambiente delsalottoil rumore della strada arrivava adesso attutito. La sassaiolaera cessata e con essa lo schiamazzo. Soloin lontananzadei sorditonficome di colpi d'accetta menati contro il legno. Per rendersicontogli uomini passarono nell'ingresso e misero l'occhio al vetrodella porta; mentre le donne salivano al primo pianoa curiosare didietro le stecche delle Persiane.

- Me l'aspettavo! Come poteva mancare quel furfante di Rasseneur? - edesclamandoHennebeau cedeva a Deneulin il suo posto d'osservazione. - Eccolo lìlo vedeingegnere?sull'ingresso del caffè di fronte. Iol'avevo subodoratoche in tutto questo c'era il suo zampino!

Non era Rasseneur peròsibbene Stefano che stava intanto sfondando acolpi d'ascia la porta del negozio di Maigrat; e incitava in paritempo i compagni: non apparteneva a loro sacrosantamente la roba chec'era dietro quell'uscio? Non avevano gli operai il diritto diriprendersela? non era ad essi che l'aveva rubata quel ladro diMaigratche da tanto tempo li sfruttava e li affamava d'intesa con laCompagnia? Attratti dalla prospettiva del saccheggiotutti a poco apoco venivano via dalla casa del direttore per accorrere lì. Di nuovoil grido:

-Panepane! - s'alzava minaccioso. Lì finalmentedietroquella portane troverebbero davvero del pane! Fu come siaccorgessero tutto a un tratto che se non si sfamavano all'istantestramazzerebbero d'inedia sulla strada. In tanti ora si avventavano acatapulta contro quella porta chenel maneggiare l'asciaStefanodoveva fare attenzione a non colpire qualcuno.

Maigrat intantoche Hennebeau aveva lasciato in anticameradi lìs'era in un primo tempo rifugiato in cucina; ma in cucina non arrivavaquasi nulla di ciò che avveniva all'esterno. Non reggendo alla torturaalla quale lo metteva la sua immaginazionelavorando a vuotorisalìal primo piano euscito nel giardinosi nascose dietro la pompa.

Alloratra lo schiamazzo dei dimostranti e i colpi d'accettaudìdistintamente gridare il proprio nome. Non c'era più dubbiogliassaltavano la bottega; se non vedevaora udiva; era come assistesseallo scassinamento; e ogni colpo d'ascia era un colpo che gli arrivavaal cuore. - Eccoquesto è un cardine che è saltato... E' questione diminuti e m'invadono la bottega! - Le orecchie gli ronzavano; lafantasia gli rappresentava al vivo l'irrompere dei briganti nelnegozio; gli scassinavano i tirettigli sventravano i sacchifacevano man bassa su tutto... Neppure la casa risparmierebbero; loridurrebbero povero in canna; e già si vedeva ridotto sul lastricocostretto dalla miseria a battere le strade mendicando... A una simileprospettiva si sentiva impazzire; ahpiuttosto affrontare la morteche lasciarsi ridurre a quel punto!

Di dov'era appostatovedeva il muro di fianco di casa sua; eallafinestra che vi si aprivadistingueva un profilo di donna; vagosbiadito: sua moglie cheaffacciata dietro i vetritendeva anche leil'orecchio ai colpicon la stessa muta rassegnazione con cuiaccettava le percosse del marito. Ma sotto quella finestra sorgeva unarimessa; situata in modo che dal giardino degli Hennebeau si potevaraggiungerne il tetto; bastava per questo arrampicarsi in cima al murodi divisionesalita che facilitava l'ingraticciata di cui il muro eracoperto. Una volta lassùstrisciando carponi sul tetto della rimessaavrebbe potuto arrivare alla finestra e issarsi in casa. In questotentativo Maigrat vide l'unica possibilità che gli restasse discongiurare il saccheggio del suo avere; rientrato in casaavrebbeforse il tempo di barricare la bottegaaccatastando banco e scaffalicontro la porta; e magariperché no? di ricorrere ai mezzi eroicidell'olio bollentedel petrolio acceso rovesciati dall'alto sugliassalitori.

Senonchénon si decideva; l'attaccamento alla proprietà lottava inlui con la codardiacombattuto tra i due sentimentil'uomo restavalì a mordersi i pugni. Finché a un colpo che sembrò squarciare laportanon resistette; ahneppure una pagnotta doveva cadere in manodi quei banditi! piuttosto lui e sua moglie avrebbero difeso i sacchicoi loro corpi!

Aveva appena raggiunto il tetto della rimessa che dalla strada lìsotto scoppiò una salve di fischi:

-Ve've'! guardatelo lassùguardatelo lassùil gattone! Dàidài!

Dal pensiero dell'imminente saccheggio spronato a spicciarsiMaigratbenché tozzos'era arrampicato in un momento in cima al murosenzadarsi pensiero del graticcioche si spezzava sotto i piedi in cercad'appoggio. Ed ora stava strisciando carponiappiattendosi più chepoteva per non farsi scorgere.

Ma il ventre lo impacciava e la forte pendenza del tetto locostringeva ad aggrapparsi ai tegoli con le unghie. Tuttavia anchecosì sarebbe arrivato alla metanon fosse stato il tremito che loinvase alla prospettiva di finire lapidato: lì sotto infattilafollache ora il tetto gli nascondevaseguitava a gridare:

-Dàglial gattone!! dài! facciamogli la festa! - Ed ecco tutto a un tratto lesue mani mollarono la presa; rotolando come un barilotto traboccòdalla grondaiacadde di traverso sul muro di divisioneerimbalzando sulla stradasi spaccò il cranio contro un paracarro. Alla finestra lassù la larva di donna che s'affacciava ai vetrinonsi ritrasse; continuò a guardare.

Seguì un attimo di stupore; a Stefano l'ascia sfuggì di mano.

InterrompendosiLevaqueMaheu e gli altri s'erano voltati; e oraguardavano il muro che si rigava d'un filo di sangue. Allo schiamazzoera sottentrato un profondo silenzio.

Per poco; in un urlo d'esultanzale donnecome ubriacate dalla vistadel sangues'avventarono.

- Esiste dunque un Dio! Ahl'hai finitabrutto porco! - e sfogandoin scherni e invettive il lungo rancore attorniarono il cadavereancora caldo.

- Ve' com'è bellino oracon la zucca incignata!

- E il mio debitoallora? - gridava la Maheu. - Ma eccoti pagato! etutto in una voltaladro maledetto! Non rifiuterai piùadessodifarmi credito!

E come eccitata dalle sue stesse parolechinandosi a turargli con unamanata di terra la bocca:

-Tohanche gli interessi ti pago! Mangiasumangiatu che ci mangiavi!

- E' il pane che ci hai rifiutatola terra che mordi!

- Non ne mangerai altro d'ora in poi!

- Non ti ha portato fortuna negarlo a chi non ne aveva!

Ein un crescendoinsulti e sberleffi piovevano; mentresteso suldorsoil morto fissava immobile il cielo donde calava la notte.

Ma non solo del pane negato le donne l'avevano con Maigrat; un altroconto restava da regolare con lui. Per saldare anche questoora gligiravano intorno annusandolo come lupe. Che farglidi quale oltraggiomarchiarlo per mettersi in pari?

A dar voce al segreto rancore di tutte fu l'Abbruciata.

- Accapponiamolo! - gridò. Sìsìaccapponarlo. Troppe ne aveva fattequel maiale!

Già la Mouquette gli tirava giù i calzoni; la Levaque le diede unamano a cavarglieli. Con le sue secche mani di vecchial'Abbruciatadivaricò le cosceimpugnò quel cencio di pelle grinzosa. Loabbrancava tutto; e nello sforzo di svellerlola sua schiena ossutasi arcuavale braccia di scheletro scricchiolavano. Flaccidoquelloresisteva: dovette riacchiapparlo meglio. Quando alfine strinse inmano quella poca carne villosa e sanguinantela agitò in aria con ungrido di trionfo.

Il laido trofeo fu salutato da un coro di imprecazioni:- Ah non le ingraviderai più le nostre figliesporcaccione!

- L'hai finita di pagarti su noi! Non ci verremo più a pararti ilderetano per ottenere un po' di pane in cambio!

- Te lo vuoi mica prendere un acconto sui dieci franchi che ti devo? Io ci sto... setu ci stai!

S'additavano a vicenda il sanguinoso carnicciola bestia malvagia dicui tutte avevano avuto a soffrire; l'avevano schiacciatafinalmente;l'avevano lì inerte in loro balìa! Vi sputavano sopra; avanzavanoverso di lei le mascelleripetendo in un'esplosione di schernofurente:

-Non puoi più! non puoi più! Non è più un uomo chesotterreranno! Va' dunque a fartela coi vermicappone!

Inalberato in cima a un bastone quel brandellol'Abbruciataseguìtadal vociferante codazzosi lanciò sulla strada. Lo agitava in altocome un vessillo. Il lamentevole avanzo umano penzolava di lassùgocciolando sanguesimile a un resto di frattaglie appeso al ganciod'un macellaio.

Dalla finestralassùla Maigrat non s'era mossa; all'ultima luce deltramonto la sua faccia scialba pareva ora ridesse; e non era forse cheil vetro difettoso cui s'appoggiava a deformarne in quel modo ilineamenti. O magari rideva davverola disgraziata checurva a farecontiaveva passato tutta la vita fra umiliazioni e percosse. Ipresenti avevano assistito con raccapriccio all'oscena mutilazione. NéStefano né Maheu avevano potuto intervenire; troppo tardi avevanocapito ciò che le donne stavano facendo. E tutti ora guardavanoallibiti quella sfilata di furie.

Richiamato dal vocìoqualcuno si fece sulla soglia del Tizzone:Rasseneurstomacatopallidissimo; Zaccaria e Filomenatrasecolati.

Al passare delle donneBonnemort e Mouque uscirono dal loro torporeper disapprovare crollando il capo. Solo Gianlino era esultante: davagomitate a Berto e incitava Lidia:

-Guardaguarda cosa c'è lassù!

Di ritornoil laido corteo passò sotto le finestre degli Hennebeau.

Le signore e le ragazze che spiavano di dietro le persiane siincuriosirono. Che era quella processione? Ignare dell'accaduto (ilmuro di faccia aveva loro impedito di vedere) aguzzavano gli occhi perdistinguere di che si trattasse.

- Che cos'è che hanno in cima a quel bastone? - chiese Ceciliache ilsentirsi al sicuro aveva rianimato.

Gianna:

-Mah! una pelle di conigliosi direbbe! - Anche Lucia eradel parere della sorella.

- Non mi pare- disse la Grégoire. - Lo direi piuttosto un pezzettodi lardo. Avranno svaligiato la pizzicheria. Oppure...La Hennebeau la toccò col ginocchio; la vecchia allora capì es'interruppe. E le due donne restarono lì allibite. Mangiata lafogliale ragazze si astennero dal fare altre domande; sbiancandosiin visoseguirono a occhi sbarrati il cruento segnacolo finchél'oscurità non lo sottrasse alla vista.

Stefano aveva ripreso in mano l'accetta; ma la lasciò ricadere. Nelbestiale sfogo delle donnecome quella dei compagnianche la sua iraera sbollita. Il cadavere che sbarrava la strada sbarrava adesso anchela bottega.

Maheu stava lì impietritoquando si sentì sussurrare all'orecchio dimettersi in salvo. Si volse: era Caterinatrafelatavestita ancoradel camiciotto da uomo. La respinse:

-Ripeti; che questa volta lepigli! - La ragazza si torse disperata le mani; restò lì un momentointerdetta; poi corse a Stefano:

- Mettiti in salvo! arrivano igendarmi! - Anche lui la ricacciò; e cominciava a ingiuriarlagià ilricordo degli schiaffi gli accendeva i pomelli. Ma lei insistetteloobbligò a buttare l'asciaa viva forza lo tirò di là:

-Arrivano igendarmiti dico! E' stato Chavalse vuoi saperload andare achiamarliè lui che li porta qui. E' stato un tradimento cosìvigliacco che mi ha sdegnato... Per questosono qui! Svìgnatela! nonvoglio che ti acchiappino.

Stefano allora cedette. S'era appena allontanato con Caterinaquandos'udì in lontananza un galoppar di cavalli. Il grido s'alzò:

- Igendarmi! i gendarmi!

All'allarme seguì un fuggi fuggi generale; come spazzata da unciclonein un baleno la strada si vuotò. Non restò che laggiù lamacchia rossa del corpo di Maigrat.

Sulla soglia del TizzoneRasseneur si affacciò; come liberato da unincuboapplaudiva a viso aperto alla facile vittoria delle armimentre in Montsou desertanelle buie case sprangatei ricchitremavano di paurasenza arrischiare un'occhiata fuori. La pianuraintorno ormai inghiottita dalla notte; vi bruciavano soloall'orizzontei sinistri fuochi degli altiforni e dei gasogeni.

Il pesante galoppo s'avvicinava. Lo squadrone sbucò in una massacompattache si distingueva nelle tenebre soltanto per la macchia piùscura che vi metteva. E dietro i gendarmiprotetto da loroilcarretto del pasticciere di Marchiennes finalmente arrivò. Un ragazzosaltò a terra e cominciò tranquillamente a sballare la sua merce e atirare fuori l'involto delle sfogliate che la cuoca degli Hennebeauaspettava dalle quattro.

 

PARTE SESTA

 

 

Capitolo primo

 

Si arrivò così alla metà di febbraiotra il protrarsi d'un invernorigido e senza sole che metteva a dura prova la resistenza degliscioperanti. Una seconda volta le autorità avevano percorso il paese:il prefetto di Lillaun rappresentante del governoun generale. Dirinforzo ai gendarmi era arrivata a Montsou della truppa: unreggimento al completoche si teneva accampato da Beaugnies aMarchiennes. Picchetti armati presidiavano i pozzi; ad ogni macchinamontava la guardia una sentinella. Una siepe di baionette proteggevala villa del direttorei cantieri della Compagniapersinol'abitazione privata di qualche ricco. Le strade non risuonavano piùche del passo cadenzato delle pattuglie. Sul terrapieno del Voreuxnel vento gelido che vi soffiavapasseggiava notte e giorno unsoldato con la baionetta inastatadominando di lassù la piattapianura come il gabbiere il bastimento. E ogni due orecome in paesedi conquistaecheggiava il cambio della guardia:

-Chi va là? Parolad'ordine!

Anziché allentarsilo sciopero s'era esteso ad altri pozzi; aCrèvecoeura Miroualla Madeleine l'estrazione era sospesa; aFeutry-Cantel e alla Victoireil numero degli operai scemava ognigiorno; a Saint-Thomastenutasi finora in dispartecominciavano ledefezioni.

Era ormai un ostinarsi delle maestranze nello scioperola loro mutarisposta a quello spiegamento di forze che le offendeva profondamentenel loro orgoglio. Tra le piantagioni di barbabietolele borgateoperaie parevano disabitate. Era un caso incontrare per le stradequalche torvo solitariocheimbattendosi in gendarmiabbassava losguardo. Ma sotto quell'apparenza tetra e inoffensivasotto quellaresistenza cocciuta e passivacovava l'ipocrita mansuetudineladocilità coatta e paziente della belva in gabbia che non perded'occhio il domatorepronta a saltargli alla nuca se volta la testa.

La Compagniache la morte nei pozzi rovinavaparlava di assumereoperai nel Borinagealla frontiera belga; ma non osava farlo; sicchéla battaglia s'era come arrestatalimitandosi da una parteall'astensione dal lavorodall'altra all'occupazione militare deipozzi. Specie di apparente treguache inauguratasi sin dall'indomanidei torbidiera suggerita dalla vicendevole paura: una paura chepersuadeva sia l'una che l'altra parte a seppellire quanto possibilel'accaduto nel silenzio. L'inchiesta che era stata aperta sui fattiaveva concluso che causa della morte di Maigrat era stata una caduta;sul particolare della mutilazione riscontrata sul cadaveresisorvolavalasciandolo nell'alone di leggenda che già vi si formavaintorno. Dal canto suola Compagnia s'era astenuta dal confessare idanni sofferti; per gli stessi motivi che avevano dissuaso i Grégoiredall'esporre Cecilia alla pubblicità d'un processodove la fanciullaavrebbe dovuto comparire come testimone. Qualche arresto tuttaviac'era stato: comparsecome sempreall'oscuro di tuttoterrorizzatedi trovarsi sul banco degli accusati. Per un equivocoPierron erastato tradotto ammanettato a Marchiennes: episodio di cui si ridevaancora. Così pure era stato per un filo che Rasseneur non s'era vistoportar via tra due gendarmi. Alla direzione ci si contentava dicompilare liste di operai da licenziare; i libretti di lavoro venivanorestituiti a dozzine. Nella sola borgata dei Duecentoquarantabentrentasei operai lo ricevettero; tra i quali Maheu e Levaque. Laresponsabilità dell'accaduto si faceva ricadere interamente suStefanoscomparso senza lasciare traccia la sera dei torbidi e ancoraoggi inutilmente ricercato. A denunciarloera stato nel suo astioChaval; il qualevinto dalle suppliche di Caterinaper salvare igenitori di leis'era astenuto dal fare altri nomi. I giornipassavano; tutti sentivano che questa era solo una tregua; e conl'anima tesa si aspettava l'epilogo. Ormaia Montsoui ricchi lanotte si svegliavano di soprassaltoscambiando il ronzio degliorecchi per rintocchi d'allarmeannusando nell'aria odore di spari.

Ma il colpo più impensatouna vera mazzatala assestò loro dalpulpito il nuovo parrocoil reverendo Ranvier: un magro prete dallosguardo di fuocosucceduto all'abate Joire. Che salto dallasorridente mansuetudine del predecessoregrasso e bonariopreoccupato solo di tenersi in buona con tutti! Non s'era permessoquest'altrodi prendere in una predica le difese dei banditi chestavano disonorando il paese? Delle scelleratezzeper i cui autoriaveva trovato delle scusantiin un attacco in piena regola contro laborghesiaaveva su di essa riversato l'intera responsabilità. Erastataa sentirlola borghesia che spossessando la Chiesa dei suoiantichi privilegi per attribuirseli e abusarneaveva fatto dellaterra un luogo maledetto di ingiustizia e di patimento. Era essalaborghesiache alimentava la discordia tra le classi: essa che col suoateismocol suo rifiutarsi di tornare alla fedealla fraternaconvivenza dei primi cristianipreparava all'umanità una paurosacatastrofe. Ed aveva osato minacciare i ricchiavvertendoli che se siostinavano a fare i sordi alla voce di DioDio si metterebbe dallaparte dei poveri; agli increduli gaudenti riprenderebbe i loro benili distribuirebbe agli umili della terra per il maggior trionfo dellaSua gloria.

La predica aveva fatto sulle devote un'enorme impressione. Questoaveva dichiarato il notaioera pretto socialismo e della peggiorspecie. Già tutti vedevano il nuovo parroco impugnare la crocemettersi alla testa d'una bandaassestare alla società borghesedell'Ottantanove colpi tali che l'avrebbero demolita.

Informato di quella predicaHennebeau s'era limitato a dire con unaspallucciata:

-Se ci darà troppa noiail vescovo ci sbarazzerà dilui.

Mentre in tutto il paese il panico teneva così gli animi inagitazioneStefanoche s'era trovato un nascondiglio a Réquillartabitava sotterra nella tana di Gianlino. Chi lo avrebbe immaginatocosì vicino?

Ma era appunto la tranquilla audacia con cui s'era scelto il rifugioproprio dentro la minierain quella galleria abbandonata dell'anticopozzoche aveva sviato e fatto fallire le ricerche. Per arrivarvibisognava cominciare con aprirsi il passaggio attraversol'inestricabile groviglio di cespugli spinosi checresciuti tra learmature crollate del castelloostruivano l'imbocco. Nessuno làdentro si rischiava più; bisognavaper farloappendersi alle radicidel sorbodi lì lasciarsi caderesenza vedere dovesino araggiungere coi piedi i gradini che ancora tenevano della prima scalaa pioli. Una volta lìe cioè allo sbocco dell'antico passaggio difortunaaffrontare in un'aria calda che mozzava il respirocentocinquanta metri di discesairta di rischi; quindi strisciarefaticosamente carponi per un quarto di lega tra le anguste paretid'una galleria prima di raggiungere la tana ladrescazeppa dibottino.

Il giovane viveva là dentro in mezzo all'abbondanza. Arrivandovi avevatrovatooltre ciò che restava dello stoccafissoogni sorta diprovvistecomprese delle bottiglie di ginepro. Il giaciglio di fienoera comodissimo; l'assenza di correnti d'aria manteneva nell'ambienteuna temperatura costanteda tiepidario. Di luce solo scarseggiava;questa minacciava anzi di venirgli a mancare del tutto. Gianlino ches'era improvvisato suo fornitore e lo provvedeva di tutto con unaprudenza e una segretezza che erano effetto della sfrenata gioia chegli dava il farla in barba ai gendarmiancora non era riuscito amettere la mano su un pacco di candele. A partire dal quinto giornoStefano non accese più che al momento dei pasti: mangiato al buioilboccone non gli andava giù. Il non avere a temere sorprese nel sonnol'abbondare di panelo stare caldo non lo compensavano che in partedi dover vivere in quel buio. Era questo il suo maggiore tormento. Ilpesoche gli schiacciava il cervellodi quelle tenebrediventavatutt'uno col peso dei pensieri che lo opprimevano. Quello anzituttoche ormai campava di furtoa dispetto delle teorie comuniste cheprofessavalo riempiva di scrupoli. Per farli taceresi lesinava ilcibosi contentava di pane. Ma doveva bene nutrirsi; ancora il suocompito non era assolto. Un altro pensiero che non gli dava pace eraquello della minaccia che covava nel suo sangue intossicato; delfurore omicida che un dito d'alcool bastava a scatenare e che gliavevapoco primaarmato la mano contro Chaval.

Alla fine di quella giornataappena calatosi sotterras'era sentitoal sicurospossato e quasi accoppato dall'orgia di violenza dallaquale usciva aveva dormito due giorni d'un sonno di piombo; eppurequel sonno non aveva smaltito gli effetti dell'orgiase ancora adessogliene restava la nausea. Si sentiva la bocca amarale membra rotteil cervello indolenzito come all'indomani d'una tremenda gozzoviglia.

Allo scadere della settimanadovette rinunciare a vederci anche almomento dei pasti. Gianlino era tornato a mani vuote: neppure i Maheupotevano mandargli una candela. OrmaiStefano passava ore e oresdraiato sul fieno. Portato da quell'isolamento a esaminarsiconstupore scoprì che certo per un lavorio operatosi in lui a suainsaputa il suo modo di pensare s'era venuto orientando in un sensofinora insospettato. Era la coscienza della propria superiorità checoll'istruirsiil giovane acquistava; una specie di esaltazione di séche sempre più lo distaccava dai compagni. Come spiegarsise noildisgusto che di loro aveva provato subito all'indomani di quel giorno? Troppe cose in essi gli ripugnavanogià a ricordarle: la bassezza deiloro appetitila grossolanità degli istintiil tanfo di tutta quellamiseria sciorinata al sole. Tanto che anche adessocondannato a quelbuiobastava l'idea di tornare a vivere in loro compagnia a dargli unurto di stomaco. Che schifoquei corpi ammucchiati alla rinfusaquellavarsi tutti nella stessa tinozzaquel viverecome bestie in unastallain quell'aria chiusain quel puzzo di soffritto irrancidito! Non uno con cui si potesse parlare sul serio di politica. Elevarlidar loro il gusto d'una vita miglioreportarli al grado di educazioneche ha il borghesesino a fare di essi la classe dirigenteoh chelunga impresa sarebbe! E finché divideva la loro sortequale speranzaper lui di arrivare a tanto? Così il giovane ragionava; e nons'avvedeva che a distaccarlo dai compagni era l'ambizione di mettersialla loro testala presunzione di pensare in vece loro.

Una sera Gianlino arrivò con un mozzicone di candela: l'aveva portatavia dalla lanternetta d'un carrettiere. Fu per Stefano una festa. Quando in quel buio si sentiva inebetireaccendeva un momento;bastava perché l'incubo di quelle tenebre si dissipasse; e allorasubito spegnevaavaro d'una luce che gli era diventata necessariaquanto il pane. Se non lo rompeva la scorribanda dei topiloscricchiolare delle vecchie armature o il minimo rumore del ragno chefilava la sua telail silenzio arrivava alle sue orecchie come unrombo. Con gli occhi sbarrati nel tiepido vuotoricadeva a pensare aicompagnia chiedersi come andasse lassù. Abbandonarlil'avrebbegiudicata la peggiore delle viltà. Se si teneva nascostoera perconservare la sua libertàper poterli soccorrere di consigliperaiutarli. Ormaia forza di scrutarsiil giovane vedeva chiaro in sestesso: in attesa di megliola sua ambizione sarebbe stata di essereun altro Pluchart: abbandonare il lavorodedicarsi unicamente allalotta di classe; ma soloin una camera sua; ambizione chegiustificava a se stesso dicendosi che il lavoro intellettuale ètroppo assorbente per consentire distrazionied esigeper essereproficuoun'assoluta tranquillità.

Informato da Gianlino che i gendarmi lo credevano passato nel Belgiouna seraal calar della notte- s'era al principio della secondasettimana - s'azzardò a uscire dal suo buco. Desiderava rendersi contodella situazione; vedere se conveniva ostinarsi o meno nello sciopero. Nel suo intimoegli riteneva la partita perduta. Se prima checominciassenutriva dei dubbi sul risultato dello scioperoenell'aderirvi aveva solo ceduto agli avvenimentiora che diribellione s'era ubriacatoricadeva nella convinzione che fararrendere la Compagnia era impresa disperata. Ma non se lo confessavaancoratrattenuto dal pensiero delle conseguenze della disfattadella grave responsabilità che ricadrebbe su di lui per le sofferenzeche ne conseguirebbero. E poi la fine dello sciopero non segnerebbe ilsuo tramontoil naufragio della sua ambizione? non significherebbeanche per lui il ritorno all'abbrutimento della minieraalla bestialeconvivenza coi compagni di lavoro? Per cuisenza infingimenti con sestessosi sforzava di recuperareritrovare la fiducia d'un tempodipersuadersi che resistere metteva ancora conto; chedavantiall'eroico suicidio del lavoroil capitale non potrebbe a lungo tenerduro senza distruggersi da sé.

Il paese infatti risuonava da capo a fondo di crolli: fabbriche eopificiche la situazione fallimentare delle società abbandonava a sestessi. Errando la notte per la buia campagnalupo che s'arrischiafuori della sua tanaStefanoper quanto camminassenon vedeva ailati della strada che edifici minaccianti rovina profilarsi sul lividocielo. L'industria zuccherierasoprattuttos'era risentita dellosciopero; la riduzione delle maestranze non aveva salvato né lozuccherificio Hoton né quello Fauvelle. Da Dutilleul non si macinavafarina dal secondo sabato del mese; e la fabbrica di cavi per minieraBleuze aveva definitivamente chiuso i battenti. Dalla parte diMarchiennesla situazione s'aggravava ogni giorno; non un fornorestava acceso nella vetreria Gagebois; da Sonnevillei licenziamentierano quotidiani; nelle ferriereuno solo dei tre altiforni lavoravaancora; dei gasogeninon una batteria fiammeggiava all'orizzonte. Losciopero dei pozzi di Montsoudeterminato dalla crisi che l'industriaattraversava da due anni aveva aggravato quella crisiaffrettando ildisastro. Alle sue cause - cessate ordinazioni dall'Americaingorgodi capitali immobilizzati in un eccesso di produzione - s'aggiungevaora l'improvviso mancare del combustibile per le poche caldaie chelavoravano ancora. Impauritasi davanti al disagio generalelaCompagniariducendo l'estrazione e affamando i minatorigià dallafine di dicembre era venuta fatalmente a trovarsi senza un chilo dicarbone sullo spiazzo dei suoi pozzi. Era tutta una catena: la rovinad'uno si tirava dietro quella d'un altroil crollo d'un'industriatrascinava con sé quello dell'industria affinein un susseguirsi cosìrapido di catastrofi che il loro contraccolpo si avvertiva anche nellecittà vicinea Lillaa Douaia Valenciennesdove banchieri in fugamettevano sul lastrico intere famiglie.

Spessonella gelida notteStefano si fermava in ascoltoarrestato auno svolto da un rovinio di pietre e calcinacci. Alloraaspirandol'aria a pieni polmonisi sentiva invadere dall'esultanza delprossimo sfacelo; dalla speranza che l'alba stava per sorgere sulcrollo del vecchio mondo: non più un capitale in piedil'eguaglianzapassata a livellare tutto come una falce maneggiata raso suolo. Mainquel crollolo interessavano soprattutto i pozzi della Compagnia. Nelbuiosi rimetteva in cammino; li visitava uno a unofelice a ogniconstatazione d'un nuovo danno. Frane seguitavano a prodursisemprepiù preoccupanti quanto più l'abbandono si protraeva. Sopra lagalleria settentrionale di Miroulo sprofondamento del suolo s'eraesteso al punto che la via di Joiselle ne era stata inghiottita per untratto di cento metri: quanto avrebbe potuto fare una scossa diterremoto; e allarmata dalla prova che un simile cedimento fornivadella sua incuriala Compagnia pagava senza mercanteggiare i terreniai proprietari danneggiati. Crèvecoeur e Madeleinescavate in unaroccia facilmente franabiles'andavano ostruendo ogni giorno più. Alla Victoiresi dicevadue capisquadra erano rimasti sepolti; unafuga d'acqua aveva inondato Feutry-Cantel; a Saint-Thomass'era resaurgente la costruzione d'un muro per puntellare un chilometro digalleriala cui armatura si schiantava d'ogni parte.

Spese e spese che si venivano accumulando; brecce che si aprivano neidividendi degli azionisti; la distruzione a breve scadenza dei pozziche non poteva mancare alla lunga d'inghiottire i famosi capitali diMontsouper quanto centuplicati da un secolo di prosperità.

Alloradavanti a tanto accanirsi della sorte contro il trust delleminiereStefano ricominciava a sperare; si persuadeva che un meseancora di resistenza - il terzo - avrebbe assestato il colpo di graziaal mostroalla belva stracca e satolla che s'accasciavacome unidololaggiù nel suo ignorato sacrario. Sapeva che i disordiniverificatisi a Montsou avevano avuto una grande eco nella stampa dellacapitale; una violenta polemica s'era accesa tra i fogli ufficiosi equelli dell'opposizione; dai primiversioni terrificanti dei fattierano state sfruttate soprattutto contro l'Internazionaleche ilregimedopo averla incoraggiataora paventava. Sapeva chenonavendo la Compagnia delle Miniere più potuto fare il sordodue deidirigenti s'erano degnati di venire per un'inchiesta; ma come loromalgradomostrandosi quanto mai sicuri circa l'esito del conflitto ecosì poco preoccupati della situazione che appena tre giorni dopoerano ripartitidichiarando che tutto andava per il meglio.

D'altra parte peròStefano aveva appreso che i duedurante il lorosoggiornonon avevano fatto che tenere sedutespiegando un'attivitàfebbrile nella trattazione di affaricirca i quali tuttavia nessunaindiscrezione era trapelata. Dal cheStefano aveva dedotto che latranquillità dei due era ostentata; e aveva concluso chese gentecome quella abbandonava la partitavoleva dire che la vittoria deglioperai era certa. Senonché il giorno dopo doveva ricredersi: laCompagnia era troppo forte per lasciarsi vincere così facilmente; essapoteva perdere dei milioniché del danno si sarebbe in seguitorisarcita alle spalle degli operailesinando sulle paghe. Lo capìquando seppe da un sorvegliante della Jean-Bartdove s'era spinto lanotte seguenteche si parlava della cessione di Vandame a quelli diMontsou. I Deneulinsi dicevasi dibattevano nelle ristrettezze;ristrettezzenaturalmentedi gente agiata; ma gli imbarazzifinanziari e il sentirsi impotente minavano la salute e invecchiavanoil padre; mentre le figlie dovevano lottare perché anche quello di cuisi vestivano non finisse in mano dei creditori. In quella casa diricchi si viveva peggioinsommache nelle famiglie operaienonobbligate come quelli a mantenere un certo decoro e non gelosecom'erano i Deneulinche dei loro guai nulla trasparisse.

Alla Jean-Bart il lavoro non era stato ripreso; mentre s'era resonecessario installare una nuova pompa alla Gaston-Marie; per di piùnon s'era potuto evitare - per quanto ci si fosse spicciati - unprincipio di allagamento che imponeva forti spese. Tanto che Deneulins'era finalmente indotto a chiedere al cugino un prestito di centomilafranchi; ma ne aveva avuto un rifiuto cheper quanto previstoavevafinito di accasciarlo. Se i Grégoire glielo rifiutavanoera peraffettoper non vederlo ostinarsi in una lotta impossibile: il loroconsiglio era che vendesse. Nolui non vendeva; non se ne parlasseneanche. Doveva essere proprio lui a fare le spese dello sciopero? S'auguravaprima di morire d'un colpo apoplettico. Ma poiche fare? aveva ascoltato le proposte offerte. Un pozzo come quellocostatotante riparazionitutto attrezzato a nuovoche solo il rifiuto d'unprestito gli impediva di sfruttarese l'era visto deprezzare con ognisorta di pretesti. Quel che gli offrivanogli avrebbe permessonellamigliore ipotesidi pagare i debiti. Due giorni interiDeneulins'era battuto coi due amministratori della Compagniavenuti aMontsou. Esasperato dalla olimpicità con cui quelli cercavano diabusare ignobilmente della situazione in cui si trovavaDeneulinperduta la pazienzaaveva finito per dichiarare che a quellecondizioni mai e poi mai si sarebbe indotto a vendere. E le cose eranorimaste lì; i due erano tornati a Parigi ad attendere pazientemente ilmomento immancabile in cuicon l'acqua alla golal'altro avrebbeceduto.

Allora Stefano capì e lo riprese lo scoraggiamento: ecco che già laCompagnia aveva trovato un compenso ai suoi disastri. I grandicapitali sono così forti che s'impinguano anche nella disfattadivorano i piccolivittime della battaglia che era stata ingaggiatacontro di loro.

Lo risollevò un poco l'indomani la notizia che gli portò Gianlino: alVoreuxil rivestimento cedevagià tutti i giunti facevano acqua. S'era dovuto in fretta e furia correre ai riparimandando a lavorareuna squadra di carpentieri. Sin lànei suoi sopraluoghi notturniilgiovane non s'era ancora arrischiato; dissuaso dal profilo dellasentinella sempre all'erta sul terrapieno. Impossibile non farsiscorgere; dominando i dintornila sentinella sembravalassù in ariala bandiera del reggimento.

Questa voltaprofittando che il cielo s'era copertoverso le tre visi recò. Voleva assumere informazioni dirette dai compagni. Glidissero che le condizioni in cui l'armatura si trovava erano tali chea loro pareresarebbe stato urgente rifarla daccapo: ciò che avrebbeimpedito l'estrazione per tre mesi. A lungo il giovane indugiò pressol'imboccatura del pozzo; il concerto di mazze che ne usciva loriempiva di esultanza.

Venne via che albeggiava. La sentinella era lì: adessodi passareinosservatonon poteva sperare; meglio dunque non tentare neanche dischivarla. Ah come la rivoluzione avrebbe trionfato facilmentese nonvi fossero stati i soldati che la borghesia pigliava nel popoloperarmarli contro il popolo! Sarebbeper questobastato che l'operaioil contadinoricordandosi della loro originefossero improvvisamentepassati dall'altra parte. Era questo pensiero che atterriva laborghesiache la faceva sudare freddo: il pericolo di quelladiserzione. Se fosse avvenutanel giro di due ore essa sarebbe stataspazzata viaannientata; e con essa l'abominevole ingiustizia che ilsuo egoismo aveva instaurato sulla terra. Del restochi sa! Già sidiceva chedi socialismofossero infetti interi reggimenti. Eravero? proprio alle cartucce distribuite dalla borghesia sarebbetoccato di inaugurare il regno della giustizia? E già Stefanoaccarezzava la speranza che fosse di lìche l'ammutinamentocominciasse; che il reggimento di presidio ai pozzi fosse il primo aunirsi agli scioperantia mettere al muro in massa i dirigenti dellaCompagniaa consegnare finalmente la miniera ai minatori. Immerso inqueste fantasticherieera senza quasi accorgersenesalito sulterrapieno. Ebbeneperché no? avrebbe scambiato quattro chiacchierecon la sentinella; un'occasione per sondare lo stato d'animo deisoldati. Come distrattoproseguì alla sua volta dandosi l'aria d'unochepassando di lìne profitta per raccattare i pezzi di legna chetrova fra lo sterro e farsene un fastello.

- Tempaccioè verocompagno? Vorrei sbagliarmima siamo alla neve.

Di sentinellaera un biondino timidodal viso pallido seminato dichiazze rosse. L'impaccio che gli dava il cappottolo diceva unarecluta.

- Giàdirei anch'io- e i suoi occhi azzurri cercavano in cielo laconferma della previsionenella bassa nebbia che pesava laggiù sullapianura come una cappa di piombo.

- Che poco criterioi tuoi superioripiantarti lì a crepare dalfreddo! Ci fossero i cosacchi in vistacapirei! E col vento poi checi tiraqui!

Caldinonon si stava di certo; ma non si lagnavail soldatino.

C'era del resto lì una specie di garittadove se voleva potevaripararsi e indicava il casotto che nelle nottatacce di vento servivadi rifugio al vecchio Bonnemort. Ma la consegna era di non muoversidalla sommità del terrapieno; per cuiluianche se le mani nonavvertivano più il fucilenon si muoveva. Sìapparteneva alpicchetto distaccato al Voreux; in sessantaerano. E siccome dimontare di guardia ogni tanto toccava a luisìpiù di una volta giàaveva corso il rischio che gli si congelassero i piedi. Ma era ilmestiere che voleva così. E già intontito dall'abitudine alladisciplina militareil soldatino rispondeva alle domande balbettandocome un bambino svegliato nel sonno.

InutilmenteStefano portò il discorso sulla politica. Ai suoipistolottil'altro assentiva senza aver l'aria di capire.

Repubblicano? Sìanche il suo capitano aveva sentito dire che lo era;lui però di queste cose non se ne intendeva; per lui era tutto lostesso. Se gli ordinavano di spararesparerebbeper non buscarsi unapunizione; solo per questo. Stefano lo ascoltava e sentiva crescere lasua avversione per l'esercito; per quei suoi fratelli ai qualibarattavano il cuoresemplicemente con l'insaccarli dentro unadivisa.

- Come ti chiami? - Giulio. - E di dove sei? - Di Plogoflaggiù... -e allungò a caso il braccio. "Laggiù"intendeva in Bretagna; di piùnon sapeva. Al nome del paese natio s'era illuminato in visosorrideva:- Laggiù ho mia madre e mia sorella che mi aspettano... Ahma chi saquando le rivedrò... Quando sono partitom'hanno accompagnato sino aPont-l'Abbé. Col cavallo dei Lepalmecche per poco non s'è spezzatole gambe in fondo alla discesa di Audierne. Priscillomio cuginociaveva preparato le salsicce; ma le donne piangevano troppoci sonorimaste in gola... Oh quanta stradaDio buonoche c'è di qui a casamia! - Seguitava a sorridere e gli occhi gli si inumidivano. Forse sirivedeva nella landa deserta di Plogofsu quella punta selvaggia delRazflagellata dalle tempesteun giorno di gran solealla stagioneche la sua terra è tutta rosea di eriche in fiore.

- Mi dica lei che lo sapràsignore- s'azzardò. - Se tengo buonacondottadice che me lo daranno tra due anni un mese di licenza?

Il mattino era ormai alto; fiocchi di neve cominciavano a scendere dalcielo terreo. E anche Stefano s'era lasciato andare a discorrere delsuo paese; della Provenza di dove era venuto via bambino; quando lomise in sospetto vedere lì sotto sbucare dai rovi Gianlino. Stupito ditrovarlo lìil monello gli faceva segno di venire via. Sìperchéintanto era un sognoper orache i soldati potessero far lega congli operai. Ci vorrebbero anni e anniper questo. Comunque eraun'altra delusione; e lo rattristava come se non vi fosse statopreparato. Quand'eccocapì il segno di Gianlino: era l'ora del cambiodella guardia. Alloraaccasciato dalla certezza della disfattas'allontanò alla volta di Réquillart; mentretrottando al suo fiancoil ragazzo accusava la sentinellaquel vendutodi aver chiamatofuori gli uomini di picchetto per sparare loro addosso. Lassù intantoavveniva il cambio della guardia; s'udirono le frasi sacramentali:

-Chi va là? Parola d'ordine! -; poi il passo cadenzato del picchetto diritorno; pesante come in un paese di conquista.

Sebbene ormai fosse giornoi borghi operai non davano segno di vita;sotto il tallone militarei loro abitanti mordevano il freno insilenzio

 

 

Capitolo secondo

 

Dopo una nevicata di due giorniil gelo quel mattino aveva tuttoghiacciatoil paese dell'antracitecon le sue strade d'inchiostroisuoi muri e alberi nerinon era più che un candido lenzuolo che sistendeva tutto eguale a perdita d'occhio. Sotto la nevela borgatadei Duecentoquaranta spariva. Non un filo di fumo dai tetticopertid'una spessa coltre che le abitazioni senza fuocogelide come iparacarri delle vienon intaccavano nemmeno. L'abitato si sarebbedettonella bianca pianurauna cava di marmo bianco; un villaggiodefuntoavvolto nel suo sudario. Lungo le stradesolo le ormefangose che vi avevano stampato le pattuglie.

In casa dei Maheus'era consumata da un giorno l'ultima palata dicarboniglia; con un tempo similein cui neppure i passerottitrovavano un filo d'erbaa raggranellarne foss'anche una manciata suiterrapieni dei pozzinon c'era più da pensare. Per essersi ostinata acercarnefrugando nella neve con le sue povere mani intirizziteAlzira stava morendo. Già due volte la madre l'aveva portata daVanderhaghenavviluppata dentro una coperta e tutte e due le voltesenza trovarlo in casa; la seconda peròla domestica le avevapromesso che il dottore passerebbe prima di notte da loro; e oraritta dietro i vetrine spiava l'arrivo; mentre la piccola infermache aveva voluto scendere dal letto nell'illusione che vicino allastufa spenta avrebbe meno freddoseduta su una sedia batteva i denti.

In faccia a leiil vecchio Bonnemortche di gambe stava un po'megliosembrava dormisse. Leonora ed Enrico erano ancora fuori abattere questuando le strade. Maheu passeggiava accasciato su e giùper la stanza spoglia di mobilioa ogni andirivieni urtandosi quasinelle paretisimile al moscone chenon vedendolodà continuamentedel capo nel vetro. Anche il petrolio era finito; masebbene fosseormai calata la notteil riflesso della neve bastava a vederci.

Quandoannunciata da un fragore di zoccoliecco la Levaquespalancare d'impeto la portae gridarefuori di sédalla soglia:

-Sicché sei stata tu a dire che dal mio inquilino io mi faccio pagareun franco per ogni nottata che passa con me?

La Maheu alzò le spalle:

-Non mi seccare che ho altro per la testa!

Io non ho detto un bel niente!... Chi te l'ha dato a intendereintanto?

- M'hanno detto che l'hai detto; chinon hai da saperlo... Hai anziaggiunto che ci sentivi attraverso la parete fare le porcherie; e chese in casa mia non ci si entra dalla sporciziaè perché io sonosempre a letto c on qualcuno... Ripeti che non l'hai dettose ne haiil coraggio!

Non passava giorno che non scoppiassero liti in conseguenza dichiacchiere donnesche. Tra le famiglie poi che abitavano uscio ausciole baruffe erano così frequenti che capitava s'accapigliasseroe si riconciliassero nel giro della stessa giornata. Questo in tempinormali; ora poi che la fame acuiva gli astii e che il bisogno disfogarsi faceva prudere a tutte le manigli alterchi s'eranomoltiplicati e inveleniti più che mai: una «spiegazione» tra duecomari finiva sempre in una colluttazione fra i rispettivi mariti.

Ecco infattidi rinforzo alla mogliearrivare Levaque che si tiravadietro riluttante Bouteloup:

-E' qui Bouteloup; dica un po' lui se hamai dato del danaro a mia moglie per andarci a letto insieme!

Nascondendo la timidezza e l'imbarazzo nel barbonequello sischermivabalbettava:

-Oh questo no! Macché! che vi pare? Mai unsoldomai!

TrionfanteLevaque venne a Maheu; emettendogli il pugno sotto ilnaso:

-Sainon mi vanno a me queste storie! Quando per moglie si hauna linguacciuta come la tuale si rompe il filo della schiena... Oppureè checi creditua quello che è andata a dire?

Esasperato di dover intervenire- neanche ruminare in pace la propriadisperazionesi poteva? - Ma perdìo- Maheu sbottò. - Non ne abbiamogià abbastanza di guai? anche questi pettegolezziora? Lasciami inpacese no meno. E chi t'ha detto intanto che l'ha detto mia moglie?

- Chi l'ha detto? E' la Pierron che l'ha detto!

- Ahah! - La Maheu scattò in un risolino seccodi gioia; e andandoalla Levaque:

-Ahla Pierroneh? Buona quella! E a me la Pierronvuoi sapere che m'ha detto? che tu vai a letto con tutti e due i tuoiuomini alla voltauno sopra e l'altro sotto!

Allora scoppiò un putiferio.

- Di ben altrela Pierronne ha dette sul vostro conto! - gridaronodi rimando i Levaque ai Maheu. - Che avete venduto Caterinaha detto;e vi siete impestati tutti quantibambini compresiper via d'unacarogna di malattia che Stefano s'è buscato al Vulcano!

Maheu perdette il lume degli occhi:

- Questoha detto! ha dettoquesto! Benone! Vado io a chiederglielo; e se mi dice che l'ha dettole stampo queste cinque dita sulla faccia!

Dicendosi slanciò fuori; i Levaque lo seguirono per testimoniarementre Bouteloupche aveva un sacro orrore per i litigise lasvignava chiotto chiotto.

Eccitata dalla disputala Maheu si disponeva a seguire anche lei ilmaritoma un lagno di Alzira la trattenne. Rimboccò la copertaintorno alla poverinache batteva i denti dalla febbre; econl'angoscia negli occhitornò ad appostarsi alla finestra. E quelmedico che non si faceva vedere!

Maheu e i Levaquearrivati alla porta della Pierrontrovarono lìfuori Lidia cheper ingannare il temposcarpettava nella neve. Leimposte erano chiuse; ma da una trapelava la luce. Alle loro domandela ragazzina rispose impacciata; noil babbo non era in casa; eraandato al lavatoio a ritirare i panni lavati dalla nonna. Richiestadella madresi turbò: che facesse non sapeva. Poitant'èin unarisatina sorda che sfogava il suo malumorespiattellò ogni cosa: lamadre l'aveva chiusa fuoriper via che in casa c'era Danseart; conlei lìnon avrebbero potuto discorrere a loro agio.

Il capo-sorvegliante infatti era arrivato nella borgata dal mattinoaccompagnato da due gendarmicol proposito d'indurre gli operai ariprendere il lavoro; e s'era aggirato di casa in casafacendopressioni su quelli che tentennavanoannunciando a tutti che se entrolunedì non si presentavanola Compagnia era decisa a ingaggiareminatori nel Borinage. E al cadere della nottetrovando la Pierronsola in casas'era spicciato della scorta per attardarsi a bere incompagnia dell'amante un bicchierino davanti al fuoco.

Ahcosì? Inuzzolito alla prospettiva dello spettacolo che pregustavaLevaque intimò brusco a Lidia di andare altrove a giocare; e con unarisatina grassa che gli chiocciò in gola:

-Ssssst- fece agli altri.

- Ora godiamoci questa. Le nostre ragioni le faremo dopo- e misel'occhio alla fessura illuminata.

Non s'era sbagliato! Curvosoffocando piccole esclamazioniLevaquedava ora a vedere per più segni il gusto matto che quello che vedevagli dava. La moglie volle la sua parte; ma ritraendosi quasi subitodichiarò con una smorfia da mal di panciache queste erano cose chele davano l'urto di vomito. Maheu invece cedette il postosoddisfattissimo: capperise valeva la pena! Allora ciascuno a turnobuttò un'occhiata dentro; ed era come se a teatro si passassero dimano il binoccolo.

La salalustra che ci si specchiavaera rallegrata da un gran fuoco;sul tavolobottiglia di liquore e pasticcini: una vera orgia. Cosìsfacciatache finì per esasperare i due capifamigliai quali purein altro momentone avrebbero avuto per due mesi di buonumore. Chequella si facesse dare su sino in gola a cosce all'ariabuon pro lefacesse. Maperdìoregalarsi la pacchia davanti a quel buon fuoco eper rimettersi in forzatrattarsi a liquori e pasticcinimentre ivicini non hanno un cantuccio di pane né un pezzetto di carbone!

In quella:

-Il babbo! - strillò Lidia arrivando di corsa.

Pierroninfattiveniva avanti lemme lemmecon l'involto del bucatoin spalla. Maheua bruciapelo:

-Di' su; mi riferiscono che tuamoglie è andata a dire che io ho venduto Caterina e noi in casa siamotutti impestati... Ein casa tuaquanto è che te la pagatuamoglieil messere che ora è dietro a lustrarla?

Colto all'impensataPierron faceva le viste di non capire; quando lamoglieallarmata da quelle voci lì fuoriperse la testa; eperrendersi contoaprì addirittura la portaaffacciando un viso infiamme che l'avrebbe tradita anche senza il corpetto slacciato e lasottana rimboccata alla vita; e lasciando intravedere dietro le suespalle il complice che si rimboccava in fretta e furia i pantaloni. Questisgomento all'idea che la sua disavventura potesse giungereall'orecchio del direttoreinfilò la porta e se la battéseguìto daun coro di risadi sberleffi e di fischi.

Allora le lingue si sbrigliarono:

-Tu che trovi sempre che le altresono sporche- gridava la Levaque alla Pierron- non hai di granchéa vantarti d'esser pulita! Sfido! hai chi ti lustra!

E Levaque di rincalzo:

-E sparla delle altrepoi! Guardatela lì lasudiciona che è andata a dire che mia moglie va a letto con due uominialla voltauno sopra e l'altro sotto!

Ma già l'altra s'era ripresa; eforte di sapersi la più bella e lapiù riccateneva testa alla canèa. Con un'aria di regina offesa:

-Hodetto quello che ho detto- rimbeccò. - Levatevi di qui. Vi riguardaforse quello che faccio? E' l'invidia che vi fa parlare! Ce l'avetecon noi perché noi ne mettiamo ancora da parte. Andateandate: nonsaranno le vostre calunnie che metteranno male tra me e mio marito:lui sa benissimo perché il signor Danseart si trovava in casa.

Anche Pierron infatti ora alzava la voceprendeva le difese dellaconsorte. Allora fu contro di lui che tutti si rivolsero:gratificandolo di vendutodi spiadi tirapiedi della Compagnia.

Maheu:

-Ti tappi in casaehperché non ti vedano quando ti ingozzidelle leccornie che ti pagano quelli ai quali ci tradisci!

- Sta' zittotuMaheu; ti conviene. Credi che non lo sappia chi èstato a ficcare sotto la mia porta il pezzo di carta coi due ossi incroce e sopra un pugnale?

Alloracome sempre da quando la fame imbestialiva anche i piùmansuetigli uomini vennero alle mani e si scazzottarono di santaragione. Si dovette sottrarre Pierron alla gragnuola di pugni che idueavventatiglisi addossogli somministravano. Perdeva ancorasangue dal nasoquando sopraggiunse la suocera. Messa al correntelavecchia disse solo:

-Quel porco lì è la vergogna e il disonore dellamia famiglia!

Rientrando in casa:

-E' venuto? - chiese Maheu. Dal vano dellafinestra di dove non s'era mossa:

-Non ancora! - rispose la moglie.

- E i ragazzi sono rientrati?

- Non ancora.

L'uomo allora riprese a camminare in su e in giù col passo di prima:il passo pesante del bue che ha ricevuto la mazzata. Immobile sullasua sediaBonnemort non aveva neanche alzato il capo. Fissando congli occhi sbarrati il soffitto dove la neve metteva un bianco barlumeche immergeva la stanza in un chiarore lunareAlzira taceva. Per nondare dolore ai suoisi sforzava di contenere il tremito da cui erapresa; maper quanto impegno ci mettesseci riusciva così pococheogni tanto la coperta tradiva il rabbrividire del magro corpicino.

Intornole pareti spoglie testimoniavano già da sole l'agonia dellacasa. Le fodere dei materassi erano andate a raggiungere dalrigattiere la lana che avevano contenuto. Poi erano partite lelenzuola; e via via tutto quello da cui si poteva tirare qualcheprofitto. Una sera s'era cenato con due soldi: il ricavo d'unfazzolettone del nonno. A ogni oggetto da cui ci si separavaeranolacrime che scorrevano. Ancora adesso la Maheu rimpiangeva la scatoladi cartone rosa di cui pure aveva dovuto disfarsi: un antico regalodel suo uomo; era uscita di casa stringendosela al seno come unbambino e consegnandola aveva provato una fitta al cuore; la stessache ad abbandonare in un portone il nato che non si può mantenere. Ormai da vendere non avevano che la pelle; una pelle così malandatache nessuno l'avrebbe pagata un centesimo. Non si davano neanche piùla pena di cercare; sapevano che in casa non c'era più nulla e chequindi non c'era più speranza d'ottenere nulla: né una candelané unamanciata di carbonigliané una patata; e di quella totale indigenzaaspettavano di morire; e se insorgevano ancora era quando si trattavadei bambiniperché allora si ribellavano all'inutile crudeltà dellasorte: perché invece di farla morire subitoil destino aveva volutoche Alzira si ammalasse?

- Eccolo finalmente! - esclamò la Maheu. Una forma nera era passatadavanti alla finestra. Ma l'aprirsi della porta la disingannò: non eraVanderhaghenera il nuovo parrocoil reverendo Ranvier.

La vista di quella desolazione non parve impressionarlo minimamente.

Non era la prima casa che vedevanel borgo; perché anche luiasomiglianza di Danseartandava di casa in casa; non in cerca dioperai come l'altroma di «uomini di buona volontà».

Aggredendoli infatti a bruciapelo con nella voce l'ardore delfanatico:

-Perchéfigli mieinon siete venuti domenica alla messa?

Male! Eppure non c'è che la Chiesa che possa salvarvi... Suvviapromettetemi che domenica non mancherete.

Dopo averlo squadratoMaheu s'era rimesso a camminare.

Per lui rispose la moglie:

- Per che farcialla messasignorparroco? Non le pare che il buon Dio di noi se ne lavi le mani? Checosa ha fatto al buon Dio la mia piccina che è lì che batte i dentidalla febbre? Non ce ne aveva mandato abbastanzaè verodi prove? bisognava che me la facesse anche cadere ammalataproprio ora che nonho neanche la possibilità di farle una tazza d'acqua calda.

Alloraritto in mezzo alla stanzaa lungo il prete parlò. Sfruttandoil momentoil pauroso stato d'indigenza prodotto dallo sciopero el'esasperazione contro la borghesia che esso metteva negli animipredicò con l'ardore del missionario che vuol convertire dei selvaggialla fede. Disse che la Chiesa era coi poveri; sarebbe Essa un giornoa far trionfare la Giustizia sulla terraattirando sullascelleratezza dei ricchi il castigo del Cielo. Che quel giorno nontarderebbe a spuntareperché i ricchi avevano usurpato quaggiù ilposto di Dio; eimpadronendosi con la violenza del potere che solo aDio competeerano arrivati a governare senza di Lui. Ma che se glioperai volevano che si giungesse a un'equa spartizione dei beni dellaterraera nelle mani dei preti che dovevano mettersiallo stessomodo chealla morte di Gesùi piccoli e gli umili s'erano strettiintorno agli Apostoli. Quale forza non avrebbe il Ponteficedi qualeEsercito non disporrebbe il Clero il giorno che comandasse allesterminate masse operaie? Nel giro d'una settimanail mondo sarebbepurgato dei malvagi; i padroni indegni verrebbero cacciatila leggedel lavoro governerebbe la societàognuno sarebbe ricompensatosecondo il suo merito; si instaurerebbe allora finalmente il veroregno di Dio.

Ascoltandoloalla Maheu pareva d'udire Stefano quando nelle veglieprofetizzava la fine di tutti i loro guai. Soloquesta volta restavascettica: degli uomini in sottana non s'era mai fidata.

- Parla benereverendo... E dunque non se la faleicoi ricchi? Isuoi predecessori andavano tutti a pranzo in casa del direttore; e senoi chiedevamo del paneci minacciavano l'inferno.

Ranvier dichiarò allora che tra la Chiesa e il popolo esisteva undeplorevole malinteso; esenza accusare esplicitamente nessunoattaccò i parroci delle cittài vescovil'alto clero checorrottoda una vita di agiavido di dominioera venuto a patti con laborghesiasenza accorgersi nella sua cecità che era la borghesia chelo spossessava dell'impero del mondo. La salvezza verrebbe dai pretidi campagna; essi insorgerebbero in massa; econ l'aiuto deidiseredatiristabilirebbero sulla terra il regno di Cristo. Edicendoquasi già si vedesse alla loro testaergeva l'ossuta figuramandava lampi dagli occhi - capobanda dei diseredatirivoluzionariodel Vangelo. Senonchétrascinato dall'entusiasmogià infiorava ilsuo dire di espressioni mistichetroppo astruse per il modestouditorioche da un po' non lo seguiva più.

FinchébrutalmenteMaheu:

-Tutto belloreverendo; ma non sono lebelle frasi che cavano la fame. Una pagnotta sarebbe servita meglioallo scopo!

- Quanto a questovenite intanto a messa e Dio provvederà!

E uscì per entrare dai Levaque a catechizzarli alla loro volta. Cosìtutto assorto nel suo sogno d'un immancabile trionfo della Chiesacheai suoi occhi toglieva importanza alle sofferenze attraverso le qualipassavae quasi non gliele lasciava vedereil reverendo Ranviercorreva a mani vuote di borgata in borgataper nulla preoccupato chequei poveracci morissero di famevedendo anzi nei patimenti cheduravano il lievito più efficace per la loro eterna salute!

Via luinon si udì più nella stanza che l'andirivieni di Maheupesante da scuotere l'impiantito; soverchiato solo un momento daldirugginio di vecchia carrucola con cui Bonnemort si schiarì la gola. Assopitaora Alzira vaneggiava sottovocerideva: nel delirio dellafebbreforse si credeva al caldoal solea giocare. La madre vennea tastarle la fronte:

-Scottaadesso! Disdetta infame! Non c'ènemmeno più da aspettarloquello là! quei briganti gli avrannoproibito di venire -. (Quello là era il medico e i briganti laCompagnia).

Ma la porta s'apriva: lui certo. Macché! la luce di speranza sispensele braccia della donna ricaddero. Non senza impaccio:- Buonasera- fece Stefanouna volta che si fu assicurato d'averrichiuso.

Spesso il giovane arrivava così all'improvvisoprofittando del buio.

Informati quasi subito del suo rifugioi Maheu non lo avevanorivelato a nessuno; sicché nella borgata tutti ignoravano che ne fossedi lui; ecircondata di leggendala sua persona alimentava ancoradelle speranze. Un giornosi sussurravaricomparirebbe; enellasuperstiziosa attesa del miracolo che è sempre l'ultima a moriregiàlo vedevano arrivare colmo d'oroal comando d'un esercito: ciò cheaveva predetto allora si avvererebbesi instaurerebbe di colpo sullaterra il regno promesso. Chi diceva d'averlo visto sulla strada diMarchiennes che si celavacon altri trein fondo a una vettura; chiasseriva che era in Inghilterra e fissava entro due giorni la data delsuo ritorno. Qualcun altro invece lo accusava di nascondersi in unacantinacon la Mouquette che gli teneva caldo: amorazzo cherisaputolo aveva un po' screditato (primi sintomiquestideldeclinare della sua popolarità; effetto della delusione seguìta allacieca fede e che era fatale ogni giorno di più dilagasse).

- Che tempo da cani! ... Evoinessuna novità? sempre di peggio inpeggio?... Ho sentito dire che Négrel è partito per la frontiera belgacon l'incarico di ingaggiare degli uomini. Se fosse verosarebbe lafine per noi!

Stefano questa volta aveva dovuto farsi violenza per tornare daiMaheu; per entrare in quella stanza gelida e buiariaffrontare lavista di quei disgraziatiche ora l'oscurità gli lasciava appenaindovinare. A trovarsi lìprovava il disagiola ripugnanza di chiper aspirazioni e cultura si sente già distaccato dai compagni. Combattuto tra pietà e ribrezzo davanti a quello squalloreal lezzodi quei corpi ammucchiati alla rinfusaora il giovane cercavasenzatrovarloil modo d'entrare in discorso: era venuto per esortarli acessare un'inutile resistenza.

Già l'accenno che aveva azzardato suscitava una violenta reazione;piantandoglisi davantiMaheu:

-A ingaggiare degli uomini nel Belgio?

- gridò. - Si provino a farloquei delinquenti! li facciano venireche sarà la volta che saltano i pozzi!

Certola Compagnia se lo meriterebbeammise Stefano; mapurtroppoche possibilità c'era di farlo? coi soldati che li presidiavano eproteggerebbero la discesa di quegli altri? Edavanti all'obiezioneMaheu stringeva i pugni; «sentirsi quelle baionette alle spalle»comelui s'esprimevaera la cosa che lo esasperava di più. I minatori nonerano dunque più padroni in casa loro? li si trattava dunque comegaleottili si costringeva al lavoro coi fucili carichi? Lui c'eraaffezionatoalla sua miniera; sapeva lui che cosa gli costava nondiscendervi da due mesi. Ma appunto per questoal pensiero che altriglielo portassero viail suo pozzoche glielo usurpasserovedevarosso.

A questo punto dovette ricordarsi che gli era stato reso il libretto;perchéinterrompendo lo sfogocon altra voce:

-Quantunquenon soperché me la prendo così caldaio. Io non ci ho più niente a chefarecol Voreux. Mi buttino fuori anche di qui e non mi resterà checrepare sulla strada.

Stefano colse la palla al balzo:

- Oh per questo non ti darpensiero... Se vuoiil tuo libretto lo riprendono sin da domani. Nonci si priva così alla leggera d'un operaio come te.

Lo interruppelo fece volgere intorno un ridere sommessoinfantileche usciva dall'ombra: il ridere di Alzira nel delirio.

Finora in quel buio era tanto sedalla sua immobilitàStefano avevariconosciuto il profilo di Bonnemort. L'ilarità di quel fagottino loraccapricciò: anche i bambini si mettevano a morire!

Questo gli fece trovare la voce per dire:

-Suvviacosì non puòdurare. Ci è andata male; riconosciamolo e arrendiamoci. Non ci restaaltro da fare.

A questafu la Maheutenutasi sin qui in dispartea insorgere comeuna vipera. Bestemmiando come un uomovenne a piantarglisi davanti edandogli improvvisamente del tu:

-Che cos'è che hai detto? - gligridò sulla faccia. - Tu? tuparli così?

Tartagliando sconcertatolui tentò di rimediare; ma quella non lolasciò:

-Non lo ripeteresai! non lo ripetere! odonna come sonoti spacco la faccia! Sicché noi si sarebbe patita due mesi la famesisarebbe venduto tutto il po' che si avevaavrei visto i bambiniammalarmisie tutto sarebbe come non stato? tutto questo per nienteper ritrovarsi come prima? Aha un pensiero simileio non ci vedopiù! Nono! io do fuoco a tuttofaccio un macelloormaipiuttostoche arrendermi! - Eadditando nel buiominacciosail marito:

-E seil mio uomolo vedi? rimette piede là dentrolo vado ad aspettaresulla strada per sputargli in faccia e dargli il titolo che si merita!

Il viso di lei Stefano non lo distinguevama l'alito della sua boccagli bruciava la faccia. Sgomento allo spettacolo di quelladisperazioneche era opera suaaveva indietreggiato. In quella furiache non udiva ragione e parlava di fare un macellocome riconoscerela moglie di Maheula donna equilibrata d'un tempoaliena da ogniviolenzaaborrente dal sangue? Non era più lui ora; era leiche siergeva a paladina dei diritti delle masseche reclamava la repubblicae la ghigliottinaper farla finita con quei ladri di ricchiimpinguatisi alle spalle dei morti di fameper sbarazzare una buonavolta la terra degli sfruttatori della povera gente!

- Sì- gridava- con queste unghie li spellerei vivi!... Bastabasta! Non eri tu pure a dirloche la nostra ora era venuta? Quandopenso che mio padreil padre di mio padree il padre del padre dimio padretutti i nostri vecchihanno sofferto quello che noisoffriamo; e che ai nostri figli e ai figli dei nostri figli toccheràla stessa sortemi sento impazzire! Ben altro dovevamo fare quelgiorno! Dare fuoco a Montsousi doveva; che non ne restasse pietra supietra. E se ho un rimorsosai qual è? è di non avere lasciato che ilvecchio la strozzassela loro Cecilia! Lasciano benequelli dellaPiolaineche me li strangoli la famei miei figlioli!

Nel buio le parole della donna cadevano sorde e secche come colpi discure. La speranza che le avevano messo in cuoresi mutavaallasmentita dei fattiin tanto veleno.

Stefano batté in ritirata:

-Non mi sono fatto capire- s'affrettò adireappena la Maheu glielo permise. - Intendevocon le mie paroleche si dovrebbe venire a una transazione con la Compagnia. Mi constache i pozzi stanno andando in rovina; per salvarlicerto la Compagniaacconsentirebbe a trattare.

- Scendere a patti? Noniente affatto! - insorse daccapo la Maheu; esi sarebbe rimessa a urlarema le tolse la parola l'aprirsi dellaporta.

Nemmeno ora era Vanderhaghen; erano Enrico e Leonora che rincasavano:a mani vuote. Avevano avutosìdue soldi da un signore; manelruzzare tra loroli avevano persi; e per quanto in tre avesserofrugato nella nevenon c'era stato verso di ripescarli.

- E Gianlino dov'è rimasto? - Se l'è filata; ha detto che aveva dafare.

Stefano si sentì stringere il cuore. Erano dunque arrivati a tenderela mano! ed era la madre che li mandava! la Maheuuna voltaorgogliosissima; e che adesso proponeva che a tendere la mano siandasse tutti; tutti i diecimila operai di Montsou; con tanto dibastone e di bisaccia come dei vecchi invalidi: tutto un esercito dimendicanti che allarmerebbe il paese.

Alloraun nuovo strazio si aggiunse: con la fame che avevanoraggranellato per le stradei due volevano mangiare. - Perché non sicena? - chiedevano. E frignando si trascinavano per la stanzacome incerca di quel che non c'era; finchéin quel buiopestarono i piediad Alzirastrappandole un gemito. Fuori di séla madre avventò lorodue schiaffi; nel buioa caso. E fu peggio; perché quelli si misero astrillare che avevano fame. Alla donna allora mancò il cuore; fu comese le gambe le diventassero sotto di cencio; s'afflosciò per terra eattirati a sé i due e Alzira anche leise li strinse disperatamenteal seno e ruppe in pianto: un lungo pianto che le distese i nervi e lalasciò lì senza più forzeannientataa invocare la morteabalbettare come in una litania:

-Perché non ci prendi tuttimio Dio?

Per pietàfacci morireche sia finita!

Il nonno conservava la sua immobilità di vecchio tronco colpito dalfulmine; mentre Maheusenza volgere il capos'ostinava nel suoandirivieni di automa.

La porta s'aprì; questa volta fu il medico che entrò.

- Diavolo! non vi accecherebbe mica una candela! Spicciamoci: ho iltempo contato -. Oppresso dal daffarecome al solito era di pessimoumore.

Per fortunaaveva lui dei fiammiferi. Accendendone parecchi uno dopol'altroMaheu gli fece luce. A quel vacillante chiaroreil corpodella ragazzina apparve in tutta la sua atroce magrezza: la magrezzadell'uccellino che agonizza nella neve. Di leisi poteva direlagobba sola restava. Eppure sorrideva: un sorriso smarrito dimoribonda; gli occhi sbarratile mani rattrappite sul petto incavato.

Estraziata a quella vistala madre si chiedeva se era giusto cheDio gliela prendessequella poverina così sveglia e quietal'unicache le desse una mano in casa; quando:

-Addio! - esclamò il medico. -Se n'è andata. Di inedia. Non è la prima: un'altraqui accanto... Tuttimi chiamatema io che posso fare? ordinarvi delle bistecche?

Maheu scottato lasciò cadere il fiammifero; e il buio coprì del suovelo pietoso il cadaverino ancora caldo.

Già Vanderhaghen era partito. Nel buio della stanza non si udì più cheil singhiozzare della madrela sua invocazione ostinatamenteripetutail lugubre interminabile lagno:

-Mio Dioanche me orapiglia anche me... Prendi il mio uomo e tutti i miei! Per pietàperché sia finita una volta

 

 

Capitolo terzo

 

Quella domenicaalle otto di sera l'osteria del Risparmio era giàvuota; seduto al solito postoil capo appoggiato alla pareterestavaSouvarine.

Nei locali non s'erano mai visti così pochi clienti come adesso; èchetra i minatoriera ormai una mosca bianca chi riusciva arimediare i due soldi della birra. Al bancola Rasseneur non uscivada un silenzio ingrugnato; mentre il marito in piedi presso la stufaseguiva sovrappensiero il fumo rossiccio che si svolgeva dal carbone. Quandonel silenzio del locale surriscaldatoun bussare di nocchecontro i vetri della finestra fece volgere Souvarine; che si alzò:aveva riconosciuto i tre colpetti secchi con cui Stefanole volte chepassando sulla strada lo vedeva solo al tavololo chiamava fuori. Maprima che il meccanico raggiungesse la portagià l'oste l'avevaaperta; ericonoscendo Stefano nel rettangolo di luce che la finestrarifletteva sulla strada:

-Che sono queste storie? - gli diceva. -Temi forse che io ti faccia la spia? Entra; starete sempre megliodentroa discorrere.

Il giovane entrò. Rivedendolopremurosa la Rasseneur fece l'atto dimescergli una birra; ma lui d'un gesto rifiutò; mentre il maritoproseguiva:- Non è da ora che so dove ti nascondi. Se io fossi la spiache i tuoi amici vanno dicendoi gendarmi te li saresti visticapitare da un po'.

- Non hai bisogno di dirmelo- l'altro rispose. - Lo so che non haimai mangiato di quel pane... Si può non avere le stesse idee estimarsi lo stesso.

Seguì un silenzio. Souvarine aveva ripreso il suo postole spalle almurolo sguardo perso nelle spire dell'immancabile sigaretta. Irrequietele mani gli andavano da sé sulle ginocchiacome vicercassero qualcosa; qualcosa che gli mancava; ed erasenza che luise ne rendesse contoil tepido pelame di Polonia.

Fu Stefanoche gli si era seduto di frontea rompere il silenzio:

-Dunquesapete la notizia? Domani al Voreux il lavoro riprende. Négrelè tornato con gli uomini.

- Già! - confermò Rasseneurritto al tavolo. - Hanno aspettato chefacesse buioa scaricarli. Purché adesso non si ricominci coisubbugli... - Espallucciandoa Stefano:

-Non èsaiStefanoperricominciare a discutere... Soltantoandrà a finire malese viintestate oltre. Vedi? si ripete per voi quello che sta succedendo perl'Internazionale. Avantieri ero a Lilla per affari; e per l'appunto hoincontrato Pluchart. Ebbenele cose non vanno come vorrebbe; pare chel'associazione minacci di sfasciarsi...Entrò in particolari. Dopo aver conquistato le masse operaie di tuttoil mondo con una rapidità di cui la borghesia ancora tremavaoral'Internazionale andava ogni giorno più perdendo terrenominataall'interno da competizioni e dissidi. Da quando gli anarchici viavevano preso il sopravvento e ne avevano scacciato i riformisti dellaprima orala baracca scricchiolava; la lotta fra le diverse tendenzeaveva relegato in soffitta il programma inizialequello della riformadel salariato; mentre l'insofferenza per la disciplina toglievainalto come in bassoogni autorità ai capi. Tanto che si poteva find'ora prevedere il fallimento di quella ribellione delle masse che perun momento aveva minacciato di spazzare via d'un colpo la vecchiasocietà capitalistica.

- Pluchart ci fa una malattia- proseguì Rasseneur. - In conseguenzadi questo stato di cose lui non è più ascoltato affatto. Ciònonostantenon mollaseguita a tenere discorsi. Unoanzihaintenzione di tenerlo a Parigi... Quanto al nostro scioperolui loconsidera fin d'ora fallito; me l'ha detto e ripetuto più volte.

A capo bassoStefano lo lasciava diresenza muovere obiezioni. Ilgiorno primain un abboccamento che aveva avuto coi compagnis'eraaccorto che cominciava a spirare contro di lui un vento di fronda;aveva avvertito nei loro discorsi quei primi segni di impopolarità cheannunciavano la disfatta. Ma non voleva confessare l'abbattimento chesolo il viso tradivadavanti all'uomo che gli aveva predetto chealla prima delusionela folla gli si rivolgerebbe contro e che quelgiorno anche lui assaggerebbe i suoi fischi.

- Certo- ammise- neanch'io mi illudo: lo sciopero è fallito. Maera previstoquesto. E' stato uno sciopero chein gran partenoiabbiamo subìtocon poca speranza di spuntarla. Senonché ci si montala testaci si fanno delle illusioni; e quando le cose si mettonomaleci si scorda che bisognava aspettarselocominciano lerecriminazionie ci si incolpa a vicenda come davanti a un disastrocapitato fra capo e collo.

- Ma allora- disse Rasseneur- se credi la partita perdutaperchénon lo fai capire ai tuoi e non li persuadi a cessare lo sciopero?

Stefano lo fissò bene in faccia:

-Sentinon insistere su questopunto. Tu hai le tue idee e io le mie: il che non impedisce che io tistimi; non sarei entratose non fosse così. Ma io resto sempre diavviso che se noi soccomberemo in piedile nostre carogne di morti difame saranno sempre più utili alla causa del popolo che non tutta latua politica di uomo giudizioso... Ah se uno di questi vigliacchi disoldati mi mettesse una pallottola nel cuorecome sarei contento difinire così! - Dicendogli occhi gli si erano inumiditi. Era stato ilgrido del vinto; con esso il giovane s'era augurato l'unica sorte chepotesse liberarlo dai dubbi e dai rimorsi tra i quali si dibatteva.

- Bravo! - approvò nella sua intransigenza la Rasseneurfulminando diun'occhiata di sprezzo l'accomodante marito.

Con le mani sempre inquietebrancicanti sulle ginocchiaSouvarineseguitava a fissare il vuoto e non dava segno d'udire. Il suo visofemmineodai baffetti biondiil naso sottilela minuta dentatura dirosicantecon l'espressione di crudeltà che prendevatradiva levisioni che passavano per quel capo di mistico sanguinario. Soloadesso aprì boccaindottovi da una parola che il suo cervello avevacolto nei discorsi di Rasseneure che il suo cervello ruminavaancora. Come parlando a se stesso:

- E' tutta un'accolta divigliacchi! Non c'era che un uomo capace di fare dell'Internazionaleuno strumento di distruzione formidabile. Ma occorrerebbe volere;nessuno vuole ed è perciò che una volta ancora la rivoluzioneabortirà.

E mentre alle sue confidenze di sonnambulo gli altri due restavano aguardarlo sconcertatiseguitò a sfogarsi sulla imbecillità degliuomini col tono d'uno che è stomacato di tutto. In Russia nulla andavabene; le notizie che aveva ricevuto di là gli avevano tolto ognisperanza. Tutti i suoi compagni d'un tempo s'erano dati alla politica;i famosi nichilisti al cui nome in Europa si tremava- figli di popipiccoli borghesicommercianti - non andavano oltre il ristrettoorizzonte della liberazione nazionale; avevano l'aria di credere cheuna volta tolto di mezzo lo zaril mondo sarebbe bell'e liberato. Eappena egli parlava loro della necessità di falciare alle radici comeuna messe matura la vecchia umanitàappena anzi pronunciaval'innocentissima parola repubblicanon era più capitoera anzisospettato; come ormai fuori giocolo si metteva nel numero deiteorici falliti del cosmopolitismo rivoluzionario. Tra tutte questeaccuseil suo attaccamento al paese dov'era nato traspariva tuttaviadall'amarezza con cui ogni tanto esclamava:

- Stupidi! Non verrannomai a capo di nientecon delle idee così balorde!

Poismorzando ancora la vocein frasi amare rievocò il suo anticosogno di fraternità. Se aveva rinunciato ai beni e alla posizione cuila sua nascita gli dava dirittose aveva fatto causa comune con glioperaiera stato unicamente nella speranza di vedere finalmentesorgere una nuova società fondata sul lavoro di tutti. Per anniisoldi delle sue tasche erano passati nelle mani dei monelli dellaborgata operaia; per anniegli aveva testimoniato ai suoi compagni dilavoro un affetto di fratellosorridendo alle loro diffidenzeconquistandoseli col suo fare tranquillo d'operaio puntuale e pocoloquace. Eppurein tanto tempoad affratellarseli davvero non erariuscito; ai loro occhi egli restava un estraneo: da essi lo dividevala sua irriducibile avversione per ogni legamela volontà di restarepadrone di séil suo disprezzo per i piaceri e le meschine vanità.

Quel mattinopoiuna notizia di cronaca letta sui giornalilo avevamesso fuori dei gangheri.

A questo puntorivolgendosi a Stefanocon gli occhi che glilampeggiavano:

-Come la intendi tuuna cosa così? Voglio dire queidue operai d'un cappellificio di Marsiglia cheavendo vinto a unalotteria centomila franchinon hanno saputo di meglio che investirliin tanti titoli; e hanno dichiarato che d'ora innanzi si proponevanodi vivere di rendita senza più lavorare!... Sìmica soltanto loro:voi francesisiete così tutti; è la vostra aspirazione di tutti voioperai questa: di scovare un tesoro per ritirarvi in qualche cantuccioa godervelo da solinell'oziotrincerati nel vostro egoismo. Aveteun bel gridare contro i ricchise poi vi manca il coraggio di rendereai poveri persino il danaro che vi piove dal cielo! Finché sarete cosìattaccati al vostro e fintantoché il vostro odio per i borghesi saràsolo effetto dell'invidia di non essere al posto loronon sarete maidegni d'una sorte migliore!

Come? quei duesecondo luiavrebbero dovuto rinunciare alla vincita? Una simile pretesa gli apparì così balordache Rasseneur scoppiò inuna risata.

Davanti alla sua ilarità e al silenzio dell'altroSouvarine divenneverde; preso da una di quelle sacre collere che sterminano i popolicon un viso che faceva paura:

-Sarete tutti spazzati dalla facciadella terrabuttati a marcirevoialtri francesise la pensate così! Nascerà colui che annienterà la vostra razza di infingardi e digaudenti! Vi dico di più: le vedete le mie mani? se ne avessi laforzaafferrerei io la terra come afferro questo tavololascrollerei sino a mandarla in frantumi perché le sue macerie viseppellissero tutti quanti!

- Ben detto! - approvò di nuovo la Rasseneurmetà per convinzionemetà per cortesia.

Seguì un silenzio. PoiStefano ricadde a parlare degli operaiassoldati nel Belgio. Avrebbe voluto sapere da Souvarine chedisposizioni erano state prese al pozzo per proteggerli. Ma Souvarinericaduto nel trasognamentorispondeva appena: tutto ciò che gliconstava era ch'era stata fatta una distribuzione di cartucce agliuomini di guardia. Intanto l'irrequietezza delle mani sui suoiginocchi era giunta a un punto cheeccol'uomo si rese conto diquello che gli mancava:- Dov'è Polonia?

Alla domandal'oste allungò un'occhiata alla moglie; poi scoppiò inuna nuova risata. E dopo un attimo d'esitazione:

-Polonia? E' alcaldoPolonia! - (Dopo il suo movimentato incontro con Gianlinolagrossa conigliarimasta certo feritanon aveva più partorito checoniglietti morti; eper non mantenere una bocca inutileproprioquel giorno lì ci si era rassegnati a metterla in casseruola concontorno di patate).

- Sìne hai mangiato una coscia anche tustasera. E se non sbaglioti sei leccato le dita.

Souvarine subito non aveva afferrato. Impallidìil mento gli tremò. Ma i due non ebbero il tempo di notarlo: la porta s'era apertaChavalentravaspingendosi avanti Caterina.

Dopo essersi ubriacato di birra e di fanfaronate in tutti i locali diMontsouora veniva al Risparmioper far vedere agli antichi compagniche non aveva paura.

- Ti dico che berrai anche tu una birra qui. E vedremo se c'è qualcunoche s'arrischia a guardarmi in cagnesco.

Scorgendo a un tavolo Stefanola ragazza si sbiancò; mentre il suocompagno partiva in una sghignazzata provocante.

- Due birremadama! Noi si brinda alla ripresa del lavoro!

Nel silenzio che s'era fatto nel localesenza rispondere mottolaRasseneur li servì. Né l'oste né i due al tavolo avevano dato segno diudire. Lui allorain un crescendo d'arroganza:

-Conosco qualcuno cheè andato a dire che io sono una spia. Me lo ripeta un po' in faccia;così si liquida la partita.

Nessuno rispose. Gli uomini volsero altrove il capodistrassero gliocchi sulle pareti.

Quelloalzando ancora la voce:

-C'è chi si nasconde e c'è chi non sinasconde. Ioda nascondere non ho niente. Ho piantato Deneulin e lasua sporca baracca; e domani scendo al Voreuxperché c'è gente che mistima e m'ha affidato dodici belgi da comandare. E se la cosa dà ainervi a qualchedunopuò dirlo: si discorrerà.

Non ricevendo neanche adesso rispostaChaval scaricò la sua stizzasulla ragazza:

-Vuoi bere o no? Brinda con me alla salute di tutti iporci che si rifiutano di lavorare! con l'augurio che possanoschiattare.

Caterina ubbidìma con mano così tremante che fu molto se si avvertìl'urto dei due bicchieri. Chaval aveva intanto cavato di tasca econl'ostentazione dell'ubriacofaceva saltare nella palma una manciatadi monete d'argento:

-Danaro mio sacrosantoguadagnato col sudoredella fronte! Sfido qualcuno qui dentro a fare altrettanto: scommettoil collo che non arriva a tirar fuori dieci soldi.

Nessuno neanche adesso fiatò. EsasperatoChaval allora passòall'attacco diretto:

-Sicché- prese a dire- è di notte che ibagherozzi sbucano fuori? bisogna aspettare che i gendarmi siano ananna per incontrare le facce proibite?

Stefano si alzòcalmissimo:- Sentitu mi annoi... Sìsei una spia. Il tuo danaro puzza ditradimento lontano un miglio. E se non ti ho udito finoraè che mischifa toccare la tua pelle di venduto. Ma tant'è! io sono quello checerchi: è da un po' che tra noi c'è un conto sospeso.

Chaval strinse i pugni.

- Ora sì! ma ce n'è voluto per svegliartipezzo d'un vigliacco! Tu dasoloci sto. Preparati a pagarmi le mascalzonate che mi hai fatto.

Caterina già s'avanzava supplichevole fra i due; ma i due non ebberobisogno di respingerla. Vinto il primo impulsoda sé la ragazza siritrasse: questa volta o un'altradoveva ben finire così. Paralizzatada un'angoscia che la ammutoliva e le impediva persino di tremares'appoggiò alla paretegli occhi sbarrati sui due uomini che stavanoper scannarsi a causa sua.

Senza frettala Rasseneur si alzò a ritirareper precauzioneibicchieri dal banco; poiolimpicasi risedette. Dare a vedere anchesolo curiositànon sarebbe stato confacente alla sua dignità dipadrona.

Non si poteva però lasciare che due vecchi compagni di lavoro sisgozzassero così; e Rasseneur si ostinava a intervenire tanto cheSouvarine dovette scomodarsi; venne a prenderlo per una spalla ericonducendolo al tavolo:

-Non ti impicciarenon ti riguarda... Cen'è uno di troppo: sopravviverà il più forte.

Senza attendere che l'altro attaccassegià Chaval sferrava pugni avuoto. Era lui il più alto e il più snello. Mirava al viso; ebuttandosi avanti impetuoso col corpoavventava ora l'uno ora l'altrobraccio come maneggiasse due spade; senza lasciar per questo dilanciare all'avversario insulti sempre più sanguinosiun po' per laplateaun po' per eccitarsi.

- Ah ruffiano della malora! è il suo naso che voglio! per ficcarmeloin culo! Sufammela vedere quella ghignaquello specchietto perputtaneche io ne faccia del pastone per i maiali! vedremodoposequelle troie di donne ti correranno ancora dietro!

Stefano invece si manteneva corretto. Zittoserrando i dentistavain guardiaraggomitolato in sériparandosi coi pugni il petto e lafaccia; per balzare avantispiato il momentocome una molla chescatta e assestare all'avversario tremendi colpi di punta.

Sul principionon si fecero gran male. L'avventarsi a catapultadell'unola fredda attesa dell'altro tiravano il duello in lungo. Sotto le spesse suola la rena scricchiolava. Una sedia ribaltò. Maalla lunga non poteva durare; già i respiri si facevano mozzi eaffannosimentre l'afflusso del sangue congestionava i visi chediventavano paonazzi.

- Toccato! - urlò Chaval. - Ho la tua carogna!

Vibrato di sbiecoil pugno di Chaval s'era infatti abbattuto come unamazza sulla spalla di Stefanoin un tonfo sordo di muscoli che siammaccano. Soffocando un gemitofulmineo Stefano rispose con undirettoche avrebbe sfondato il petto dell'altro se questiin unodei suoi continui salti di capranon si fosse scansato. Il colpotuttavia lo raggiunse al fianco sinistroabbastanza forte ancora perfarlo vacillare e mozzargli il respiro.

Sentendosi dal dolore infiacchire le bracciaChaval nell'ira gli siscaraventò contro col piede alzatomirando al ventre e tartagliandostrozzato:

-Piglia! le budellavoglio vederti!

Il calcio andò a vuoto; ma la slealtà del colpo indignò Stefanochealfine uscì dal suo silenzio:

-Taci una voltaanimale! E non ipiediperdìo! o prendo la sedia e ti fracasso il cranio!

Allora il duello s'invelenì. Di nuovoRasseneur fece l'atto diintervenire; ma un'occhiataccia della moglie lo fermò: non erapubblico il locale? anche lì due clienti potevano bene regolare i loroconti. L'oste allora si contentò di collocarsi davanti alla stufaperevitare almeno che i due andassero a finirvi dentro. ImpassibileSouvarine si arrotolava una sigarettama si scordava d'accenderla. Contro il muroCaterina pareva una statua; solo le mani le eranoandate alla cintolanervose le dita gualcivano la stoffa. Tutta lasua volontà era tesa nello sforzo di non lasciarsi sfuggire un gridochetradendolaavrebbe esposto uno dei due duellanti a più duricolpi; nello smarrimento del resto in cui si trovavachi dei dues'augurava ne uscissea lei stessa sarebbe stato difficile dire.

L'avventare colpi all'impazzata finì presto per spossare Chaval. Nonostante l'ira che sempre più lo invadevaStefano invece seguitavaa stare in guardia e quasi sempre riusciva a parare. Qualche colpotuttavia lo sfiorava: e uno gli aveva lacerato il padiglionedell'orecchioquandosubito dopoun'unghiata gli azzannò il collocausandogli un tale dolore cheprorompendo anche lui in bestemmievibrò al petto dell'altro uno dei suoi poderosi diretti. Ancora unavoltachinandosi fulmineoChaval lo evitò; ma per riceverlo in pienoviso. Il pugno gli schiacciò il naso e sfondò un occhio che situmefecedivenne violaceo; mentre dalle nari il sangue sgorgavacopioso. Intontito dal colpoaccecato dall'emorragialo sciaguratoannaspava con le braccia l'aria quando un secondo colpo di puntaraggiungendolo finalmente in pieno pettolo stramazzò all'indietrocol tonfo sordo d'un sacco di cemento.

Stefano s'arrestò.

- Alzati. Se non ti bastasi ricomincia.

Passò qualche secondo prima che l'altro desse segno di vita. Rimessosia fatica sulle ginocchiarestò lì un momentoraggomitolato in sé; lamano gli andava alla coscia come se la tastasse. Maappena si furizzato in piedieccolo di nuovo scaraventarsila gola gonfia d'unurlo selvaggio.

Senonché Caterina l'aveva visto frugarsi in tasca. Suo malgradodalcuore le traboccò un gridoche la stupìperché la rivelò a sestessa:

-Guardati! Ha il coltello!

Stefano fece appena a tempo a parare col braccio il primo colpo. Laspessa lama tagliò la maglia: una di quelle lame che una ghiera dirame fissa a un manico di bosso. Già il giovane s'era impadronito delpolso di Chaval. S'impegnò un corpo a corpo furibondo; luisentendosispacciato se mollava; l'altrodando strattoni per svincolarsi. L'armaa poco a poco s'abbassava; irrigidite nella tensionele due bracciasi stancavano; due volte Stefano avvertì sulla pelle il gelo dellalama. Allora in uno sforzo disperatostritolò quel polso in una morsatale che la mano si schiuselasciò cadere il coltello. Tutti e due sibuttarono per riprenderlo; ma fu Stefano che lo agguantòche lobrandì a sua volta. E prima che l'altro si rialzassegli fu sopracol ginocchio lo inchiodò sul pavimento:

-Ah assassinot'apro io lagolaadesso!

Di nuovo gli accendeva il sanguegli intorbidava la vistagliintronava le orecchie l'istinto omicida che ben conosceva. Maisebbene non fosse ebbrolo aveva assalito con questa violenza. Eppurela volontà di non cedergli sopravviveva in lui; contro il folleimpulso del suo sangue tarato lottava con la disperazione di chiaccecato di foias'astienesull'orlo d'uno stuprodal consumarlo.

Finì per dominarsi; si buttò l'arma dietro le spalle; e con una voceche l'orgasmo ancora strozzava:

-Tirati su e toglimiti davanti!

Questa voltaRasseneur non aveva resistito; gridando:

-Fuorifuoridi quise volete accopparvi! - (così agitato che la moglieimpettitaal bancogli aveva seccamente osservato che gridava sempre prima deltempo)s'era precipitato; ma tenendosi fuori di tiroper paura dibuscare una coltellata.

Souvarineche per poco non era stato colpito dal lancio del coltellosi decideva ad accendere la sigaretta mentre Caterinaandando con gliocchi da Stefano a Chaval e vedendoli tutti e due viviin una speciedi istupidimentosi chiedeva se era finita.

- Vattene! - ripeté Stefano. - Vattene o ti finisco!

L'altro si alzòs'asciugò col dorso della mano il sangue cheseguitava a scorrergli dal naso e a imbrattargli il mento; e in quellostato s'avviòstrascicando i piedi e bestemmiando di rabbiaversol'uscita. Come un automaCaterina fece l'atto di seguirlo; ma luivoltandosi di colposquadrandola e vomitando improperi:

-Ah noahno! Poiché è lui che vuoiva' con luicarogna. E da me non rimetterepiedese ci tieni alla pelle!

Ed uscì sbattendo con fracasso la porta. Nel silenzio che si feces'intese di nuovo il borbottio del carbon fossile che si consumavanella stufa. Per terra non restava che la sedia ribaltata e qualchechiazza di sangue che la sabbia beveva

 

 

Capitolo quarto

 

Venuti via dal RisparmioStefano e Caterina si avviarono fianco afianco in silenzio. Il disgelo cominciavaun lento disgelo cheinsudiciava la neve senza scioglierla. Lassùnel cielo lividocacciati da un vento di tempestaneri nuvoloni s'accavallavanosistracciavano; dietro i quali s'indovinava la luna piena; mentre sullaterra non spirava soffio d'aria e nel silenzio s'udiva solo losgrondare dei tettilo staccarsene ogni tanto e il cadere molle diqualche cuscinetto di neve.

Il giovanepreoccupato di trovarsi così di punto in bianco la ragazzatra le braccianel suo impaccio non trovava nulla da dire. Che fare? portarla con sé nel suo nascondiglio di Réquillartgli apparivaassurdo. All'offertad'altrondeche lui le aveva fatto di ricondurlaa casa sualei s'era rifiutata: oh no! qualunque cosapiuttosto chericadere a vivere a carico dei genitoridopo averli piantati in cosìmalo modo! Per cui né l'uno né l'altro parlavano più; procedevanodavanti a sé senza metaper le strade che il disgelo mutava in fiumida fanghiglia. Primaerano scesi verso il Voreux; poi preso a destrae ora camminavano fra il terrapieno e il canale. - Dovrai ben dormirein qualche posto- lui finì per dire. - Se avessi almeno io unacamera... - Ma una strana timidezza gli impedì di proseguire. Glisovvenne del loro passatodel gran desiderio che avevano provatol'uno per l'altrodegli scrupoli e dei pudori che avevano impeditoche si amassero. Era dunque perché la desiderava ancora che si sentivacosì turbato? e che ora al pensiero di lei avvertiva di nuovo un caldoal cuore? E perché adesso il ricordo degli schiaffi ricevuti dallaragazzaanziché irritarlolo eccitava? Se dunque non s'ingannavaquale migliore occasione poteva offrirglisi di questa? - Risòlvitisuvvia: dove vuoi che ti conduca? Ti sono dunque decisamenteantipaticoper rifiutarti così a venire a stare con me?

Caterina chein zoccoliogni momento in tutta quella fanghigliascivolavagli teneva dietro a fatica. A capo basso:

- Sono giàavvilita abbastanza; non mi amareggiare anche tu- supplicò. - Chebene ce ne verrebbeme lo dicidal metterci insiemeora che io houn amante e tu pure hai una donna?

Alludeva alla Mouquette. Non era di dominio pubblico quella relazione? Lui le giurò che non era vero; ma lei scosse il capo:

-Non ti ricordipiù che una sera vi ho sorpresi che vi baciavate in bocca?

Lui arrestandosi:

- Tutte sciocchezze! Peccato che siano esse aimpedirci di stare insieme. Si sarebbe andati così bene d'accordo!

Leicommossa:

-Va' làStefanonon rimpiangere! ci perdi poco!

Sapessi che stecco sono! così magra e così mal combinata checertonon diventerò mai una donna! - E seguitò su questo tono: si trovavamille difetti; s'accusava di quel ritardo di pubertà come d'una colpa. Pur avendo un amantelei restava sempre una ragazzina e quellaimmaturità la diminuiva ai propri occhi. Quando si ha la possibilitàdi mettere al mondo dei bambiniallora perlomeno si ha una scusa afar l'amore.

Stefanoa udirla parlare cosìsi sentì stringere il cuore da unagrande pietà:

-Mia povera piccina! - mormorò.

Si trovavano nell'ombra che proiettava il terrapieno del Voreux.

Proprio in quel momento una nube eclissò la luna; non vedendosi più invisoi loro respiri s'incontraronole labbra si cercarono; e stavanoper esaudire il desiderio che da tanto li tormentavaquando la lunariapparverivelando nettissimolassù in cima alle rocce bagnate delsuo chiaroreil profilo della sentinella. Rivelandosi in visosiritrassero - ripresi dall'antico ritegno - che era fatto di moltoaffettomescolato d'un'ombra di risentimento.

Con passo più pesante ripresero a sfangare nella mota.

- Alloraci hai pensato beneproprio non vuoi? - lui chiese.

- No. Tedopo Chavaleh? edopo teun altro... Nomi disgusta;non ci trovo nessun piacere; e a che scopoallora?

Per un altro centinaio di passi proseguirono senza scambiare parola.

- Sai almeno dove vai? Con un tempo similenon posso lasciarti per lastrada.

Leitranquillamente:

-RientroChaval è il mio uomo: è da lui chedevo dormire.

- Ma ti ammazzerà dalle botte!

In risposta lei si strinse rassegnata nelle spalle. La batterebbe; mauna volta stanco di batterlasmetterebbe. Non era sempre meglio cherestare per strada a girovagare come una mendicante? Leipoiaglischiaffi s'era abituata. Otto ragazze su diecisi disse perconsolarsinon cascano meglio di me. Se Chaval un giorno la sposassesarebbe ancora ben buono.

Senza quasi avvederseneora i due avevano preso la strada di Montsou;evia via che vi si avvicinavanocadevano in silenzi sempre piùlunghi. Già si sentivano due estranei che non avessero mai avuto nullain comune. Lui non trovava più nulla da dire per trattenerla; sebbeneal pensiero che tornava con Chavalsi sentisse spezzare il cuore. Mache poteva offrirle di meglio lui? costretto a una vita come la suaanascondersi e a fuggiresenza altra prospettiva per l'indomani che lapallottola d'un soldato? Più saggio forsenon aggiungere nuovi guai aquelli che già aveva: ricondurlacome a testa bassa stava facendodall'amante.

Sicché non mosse obiezioni quando Caterinaall'angolo dei cantieriventi metri prima del caffè Piquettesi fermò:

-Non m'accompagnareoltre. Se ti vedessesarebbe peggio.

Il caffè era chiusoma dalle imposte trapelava qualche luce. Alcampanile della chiesa suonavano le undici.

- Addio- lei mormoròe gli porse la mano che il giovane trattennenella sua. Liberatasi con dolce violenzala ragazza s'avviò senza piùvoltarsi.

Ma anche quando l'ebbe vista entrare e sparireStefanopreoccupatodell'accoglienza che Chaval le farebberestò lìin ascoltocon gliocchi sulla casa.

Ma la casa restava buia e silenziosa; finché al primo piano s'illuminòuna finestra; s'aprì e un'ombra si sporse. Quando il giovane fuabbastanza vicinol'ombra di lassù gli bisbigliò:

-Non è rientrato;io mi corico. Vatteneti scongiuro!

Stefano se ne andò. La temperatura doveva essersi addolcitaperchéora dai tetti l'acqua ruscellava; dai muridalle palizzateda tuttoil confuso agglomerato immerso nella notte di quel sobborgoindustrialetrasudava umidità.

Prima si diresse verso Réquillart; si sentiva così stanco e in preda auna tale tristezza che provava ormai solo il bisogno di spariresotterradi perdere nel sonno la coscienza di tutto. Ma poi ilpensiero delle nuove maestranze che il mattino dopo scenderebbero nelVoreux e del risentimento che fermentava tra i compagni contro latruppa che avrebbe protetto quella discesagli fece cambiaredirezione; e tra le pozzanghere del disgelo proseguì lungo il canale.

Era giunto di nuovo ai piedi del terrapienoquando la luna si svelòin tutto il suo splendore. Alzò gli occhi al cielo; le nuvolecontinuavano a galopparvi; masparpagliate dal vento di lassùora sisfilacciavano; sicché sulla faccia della luna non passavano chenuvolette trasparentioscurandola solo per attimi. E diquell'immacolato chiaro di luna Stefano si abbeverava gli occhiquandonell'abbassarliqualche cosa in cima al terrapieno arrestò ilsuo sguardo.

Ora lassù la sentinellaper vincere l'intirizzimentos'era messa apasseggiarepercorrendo un breve tratto nella direzione diMarchiennesquindi lo stesso tratto nella direzione di Montsou. Lafiamma bianca della baionetta inastata sormontava il suo nero profiloche si stagliava nitidissimo sul pallore del cielo. Ma non era questoche aveva attirato la sua attenzione; sìun'ombra che si appostavadietro la garitta di Bonnemort e si moveva guardingacome in agguato;e così nitida anch'essa che dalla felinità delle mosseil giovane nonesitò a riconoscere in essa Gianlino. Se quel birbante si riparavacosì dalla vista della sentinellanon poteva essere che per giocarlequalche brutto tiro; certezza che Stefano ebbe subitoconoscendo diche odio il monello era animato contro «quegli assassini di soldatiche erano venuti ad ammazzare a schioppettate la gente». E a unoscurarsi della lunavedendolo raggomitolarsi in sé come per spiccareil balzostava per chiamarloquando il riapparire della luce glielomostrò accosciato nella stessa posizione. Nel suo andirivienilasentinella si spingeva sino alla garitta e lì faceva dietro-front.

Stefano esitava ancora sul da farsiquando al nuovo eclissarsi dellalunaecco col balzo d'un gatto selvatico Gianlino scattare sullespalle del soldatoaggrapparvisi con l'unghie e coi dentivibrare ilcoltello alla gola; eil colletto della divisa resistendoimpugnarloa due mani e spingerlo dentroappendendovisi quasi col corpo. (Unacerta pratica a sgozzareil monello l'aveva fatta a spese deglianimali che gli venivano a tiro).

Tutto questo fu l'affare di un attimo: s'avvertì un grido soffocatoil rumore di ferraglia che fece il fucile nel cadere... Già la lunariappariva radiosa.

Pietrificato dallo stuporeStefano continuava a guardare. La voce perchiamare non gli usciva. Lassù il terrapieno era deserto; nessunaombra si profilava più sul cielo dove erravano le nuvole. Appenarinvenne dallo sbalordimentoil giovane s'avventò di corsa e trovòGianlino carponi davanti al cadavere: il soldato era stramazzato suldorso a braccia spalancate. In tutto quel chiaroil grigio delcappotto e il rosso dei pantaloni si staccavano nettissimi sul candoredella neve. Non una goccia di sangue; stagnava la ferita il coltelloconficcato sino al manico.

Preso da un impeto di rabbiaStefano assestò al precoce assassino unpugno che lo allungò bocconi presso la sua vittima:- Perchéperché l'hai fatto?

Gianlino si tirò suin guardia; gattoni si allontanò di qualchepasso; il felino arcuarsi della spina dorsalegli orecchi a ventolagli occhi verdila mascella sporgentetutto in lui fremeva ancorad'emozione per il bel colpo.

- Perché l'hai fatto?

- Così. Me n'è venuta la voglia.

E non ci fu verso di cavargli altro. Da tre giorni la tentazione diaccoppare il soldato lo ossessionava al puntodisseche gli eravenuto a dolere il capo lì - e si toccava dietro le orecchie. E conciò? Che si dovevano forse avere scrupoli quando si trattava di queivenduti di soldativenuti a farla da padroni in casa d'altri? Alcomizio nella faggetadurante la corsa di miniera in miniera nons'era appunto gridato?... E dei gridi incendiari uditi in quellaoccasione ripeteva qualche frase rimastagli in mente.

- T'ha spinto a farlo qualcuno?

Macché! l'idea era stata sua; e gli era venuta naturale come in altrigiorni quella di rubare cipolle nei campi.

Atterrito davanti a quella incoscienzaalla facilità con cui in quelcranio di ragazzo poteva germogliare il delittoStefano lo scacciò dasé come un animale irresponsabile:

-Lévamiti dattorno! - riuscendosolocon un calcioa farlo scostare.

Purché ora il grido della vittima non avesse dato l'allarme! eadogni riapparire della lunail giovane gettava gli occhi verso ilposto di guardia.

Ma nulla laggiù si muoveva. Allora si chinò sul caduto; le mani già sifreddavano; sotto il cappotto il cuore non batteva più. Dell'armausciva dal collo solo il manico d'ossosul quale spiccava in nero laparola: "Amore". Gli occhi di Stefano salirono al viso del soldato. Edecco lo riconobbe: era Giuliola recluta con la quale proprio lìs'era trattenuto un mattino a discorrere. Davanti a quel povero miteviso di biondinoseminato di macchie rosseuna grande pietà loinvase. Spalancatigli occhi celesti fissavano il cielo con lo stessosguardo incantato con cui quel mattino aveva cercato all'orizzonte ilpaese natio. Dove si trovava quel paese che la recluta vedeva nel suoricordo sfolgorante di sole? Certo a Plogofcon una notte simileilmare al largo urlava. «E forse è passato sulla landa - il giovane sidisse - il vento che soffia lassù». E ritte su quella landa vide conl'immaginazione due donnela madre e la sorella di Giulio; sitenevano la cuffiache il vento strappava di testa; evolte nelladirezione in cui si figuravano si trovasse il loro caroaguzzavano losguardoquasi che attraverso tanto spazio potessero vedere chefacevaa quell'ora. Ormai per semprelo avrebbero atteso! Cheorrenda cosaquesto uccidersi fra poveri diavoliper conto deiricchi!

Ma urgeva fare sparire il cadavere. Gettarlo nel canale? Ioripescherebbero. E allora? Il tempo stringeva; occorreva spicciarsi.Gli venne un'ispirazione: se riusciva a trasportarne il cadavere sinoa Réquillartlà avrebbe saputo come farlo sparire davvero per sempre. Chiamò Gianlinoperché gli desse una mano; manella paura di toccarealtre busseora il ragazzo si schermivaprotestava la necessità diandarsenesi diceva aspettato. (Era verodel resto; il ragazzo avevadato appuntamento a Berto e a Lidia in un nascondiglio che i tres'erano scovato sotto le cataste di legname del Voreux; unappuntamento per trovarsi presenti quando comincerebbe la sassaiolacontro i nuovi operai che all'alba scenderebbero nel pozzo).

Stefano allora ricorse alle minacce; ed ebbero miglior esito.

Alloraperché nel trasportare il cadavere il sangue non uscisse dallaboccaStefano legò strettoa mo' di cordail fazzoletto intorno alcollo del soldato. Sul posto non restava né traccia di sanguenéperlo sciogliersi della nevesegni di colluttazione per terra.

- Prendilo per le gambe.

Emessosi lui il fucile ad armacolloStefano impugnò il morto per lespalle. E tutti e due scesero passo passo con quel peso dalterrapienoattenti a non far franare qualche pietra.

Per buona fortunala luna s'era coperta. Per poco; chémentrefilavano lungo il canaleriapparve tersissima: fu un miracolo che alposto di guardia non li scorgessero. Impacciati dal dondolio delcadavere e obbligati dal suo peso a riprendere fiato ogni cento passiprocedevano in silenzio e più in fretta possibile. Nello svoltaresulla stradina di Réquillartfecero appena in tempo a nascondersidietro un muro: passava una pattuglia. Più avanti incrociarono unpassante; ma era un ubriacoche ingiuriandoli s'allontanò. Coperti disudorearrivarono finalmente all'antica minierain un tale stato ditensione nervosa che tutti e due battevano i denti.

Ma una volta lìStefano lo sapeva benerestava il più difficile: farpassare il soldato per il budello delle scale.

Bisognò intanto chedall'altoGianlino lo lasciasse scivolare a pocoa pocomentre Stefanotenendosi con una mano aggrappato ai cespuglicon l'altra lo accompagnava sino a fargli superare le due prime scaleche la mancanza di parecchi gradini rendeva rischiose. Se anche menodisagiatebisognò poi ripetere la manovra a ogni nuova scala; sicchéper ben trenta scalee cioè per una discesa di duecentodieci metriStefano camminò a ritrosocol pericolo che la spinta del cadavere lofacesse precipitare. L'operazione si svolse al buio; a che proconsumare il prezioso moccoletto che restava e che ora non avrebbefatto che impacciarli? Solo quando ebbero raggiunto il primo piano dicaricosi rese necessario vederci. In attesa di Gianlino andato incerca della candelaStefano si sedette in terra a riprendere fiatocol cuore che in petto gli martellava.

Al ritorno del ragazzolo consultò: dove era meglio nascondere ilsoldato?

Nessuno conosceva l'antico pozzo in tutti i suoi meandri quantoGianlino cheper la sua snellezzapoteva passare anche per lefessure.

Rimessisi col loro fardello in cammino attraverso un dedalo digallerie in rovina e percorso così circa un chilometro di stradaarrivarono in un punto dovesostenuta da una traballante armaturalavoltacostituita da una roccia franosas'abbassavanon lasciandolibero che uno stretto vanolungo quanto il corpo d'un uomo. Fu inquella specie di loculo naturale checome in una baracoricarono ilsoldatinocol suo fucile al fianco. Dopodichépochi colpi di taccoassestati ai paletti che ancora tenevanobastarono perché la volta sifendesse e crollassedando appena il tempo ai due di sgattaiolare viasui gomiti e i ginocchi. Voltosi a constatare gli effettiStefanonotò con sollievo che il tetto seguitava a franareschiacciando sottoil suo enorme peso il cadavere che in pochi minuti ne fu inghiottito.

Raggiunta la cavernal'uomo e il ragazzo si buttarono sul fieno;Gianlinomormorando che dormirebbe un'oraprima dell'appuntamento. Stefano spense la candela; non ne restava che un pezzetto. Anche luisi sentiva pesto e indolenzito; ma di prendere sonno non avevasperanza; troppi pensieri lo tenevano sveglio. Unosoprattutto: comemai quel monello lì non aveva esitato un momento a sgozzare un soldatodel quale ignorava anche il nomementre luiavendolo a sua mercés'era astenuto dal farlo con quel mascalzone di Chaval? Eppure le sueconvinzioni rivoluzionarie ammettevano bene il coraggioil dirittoanzid'uccidere.

«Sarei dunque un codardo?»Gianlino già russava: un russare di ebbro in cui pareva smaltirel'ubriacatura dell'omicidio. La vicinanza del piccolo assassinoilsentirlo così profondamente addormentatogli dava un disagioun'irritazione intollerabile. Quando... ma che era? trasalì; allibì.

Dalle viscere della terragiungeva un fruscio; non un fruscioungemito. Ghiacciandogli le spalle e rizzandogli i capelli in testaglisi ripresentò l'immagine del soldatinoallungato come lui in quelletenebre; premutocol suo fucile a fiancodal peso delle rocce. Ilgemito diventava un singhiozzo; un singhiozzo che riempiva la miniera. Dandosi dell'imbecilledovette riaccendere; solo la vistaallatremolante lucedella galleria vuotalo liberò dell'incubo. Unquarto d'ora restò lìa fissarein preda ai suoi pensierilavacillante fiammella. Ma la candela era agli sgoccioli. Il lucignolosfrigolòsi spense; tutto ripiombò nel buio. E nel buio il persisteredi quel ronfio intollerabile! perché Gianlino cessasse di russareloavrebbe preso a schiaffi. Allora una gran voglia di aria aperta loaggredì; lo cacciò attraverso le gallerielo spinse su per il budellodelle scale; di corsa quasicome si sentisse inseguito da un'ombra.

All'apertorifiatò. Ma l'idea della morte non lo lasciavaora anzigli si presentavagli si imponevacome l'ultima speranza. Poichéuccidere non osavatoccava a lui soccombere. Morirebbecoraggiosamenteper la causa della rivoluzione; sarebbe la fine dituttoanche dei pensieri che lo tormentavano; con una morte cosìchiuderebbe nobilmente la propria vitabuona o cattiva che fossestata. Nella dimostrazione di protesta contro i belgi si metterebbe inprima fila; se la truppa sparavauna pallottola ci sarebbe anche perlui. Rianimato da questa decisionetornò nei pressi del Voreux;suonavano le due. Dalla stanza dei capisquadradove era accantonatala truppa di presidio al pozzoarrivava un confuso vocìo: lasparizione della sentinella che metteva in subbuglio il posto diguardia. Il capitano era stato svegliato; s'era proceduto a unminuzioso sopralluogo; ma l'assenza di qualunque indizio che deponessein senso contrarioaveva fatto concludere trattarsi di diserzione.

Al ricordo che il capitano era di sentimenti repubblicaniStefanoricadde a vagheggiare la possibilità che i soldati si mettessero congli scioperantierifiutandosi di sparare sugli operaidessero ilsegnale del massacro della borghesia. Allora a morire non pensò più;coi piedi nel fangonello stillicidio del disgelorestò delle ore aruminare il suo sognoripreso dalla speranza che la vittoria fosseancora possibile.

Ma erano le cinquecome mai i belgi non arrivavano? A questo puntoStefano s'accorse che la discesa nel pozzo era cominciata. Alloracapì: per precauzionela Compagnia aveva fatto dormire nel Voreux glioperai che aveva assoldato. Del tiro informò i compagni incaricati diriferirei quali non s'erano accorti di nulla; e che corsero al borgooperaio ad avvertire; mentre lui restava in attesa sull'argine delcanale.

Suonarono le sei. Il cielo impallidiva e s'annunciava a levante ilrosseggiare dell'albaquando sbucò da un sentierocon le sottanerimboccate sui magri stinchiil reverendo Ranvierchecome ognilunedìandava a dire messa in un convento di fronte. SquadrandoStefano coi suoi occhi di bracia:- Buongiorno- gridò- amico mio! - Ma non s'ebbe risposta; giàStefano aveva spiccato la corsa: aggirarsi laggiùnei pressi delladecauvilleaveva scorto una figura di donna che non poteva essereche Caterina.

Infatti! Da mezzanotte la ragazza batteva le strade. RincasandoChaval con un ceffone l'aveva fatta saltare su da letto:

-Filasenon vuoi che ti faccia passare per la finestra! - Presa a calciavevaavuto appena il tempo di coprirsi alla meglio e di scendereche unultimo spintone la buttava in strada. Nella speranza che impietositolui la richiamassepiangendo e battendo i denti dal freddoerarimasta a sedere lì fuori su un paracarrocon gli occhi sulla casa.

Finchécacciata anche di lì dal geloera uscita da Montsou; ma pertornare ancora una voltapoco doposotto la finestra di luisenzatuttavia azzardarsi a bussare e a chiamarecome s'era proposta.

Questa volta non le restava che tornare dai suoi.

Rassegnandosi s'avviò. Ma una volta che ci fuuna tale vergogna laprese cheinvece di bussareproseguì lungo gli ortisbigottita alpensiero di poter esserenonostante l'oravista e riconosciuta daqualcuno. E da allora aveva camminato a casotrasalendo al minimorumore nella paura sempre di essere fermatascambiata per unagirovaga e di finire - ciò che da qual che mese era il suo incubo -nella casa pubblica di Marchiennes.

Due voltenel suo disperato vagabondares'era trovata davanti alVoreux; e la secondail vocìo che usciva dal posto di guardial'aveva fatta allontanare di corsa volgendosi trafelata a guardarsialle spalleaspettandosi di vedersi inseguita.

Ma finiva sempre per tornare nella stradicciola di Réquillartsebbenesapesse che immancabilmente vi troverebbe qualche avvinazzato; e laattirava la vaga speranza di incontrarvi l'uomo di cui qualche oraprima aveva rifiutato l'ospitalità. L'ora della discesa nel pozzo laricondusse al Voreux; sebbeneche poteva sperare? Ormai tra lei eChaval era tutto finito; di scendervi con luilui le aveva proibitonel timore che la ragazza lo compromettesse. Alla Jean-Bart d'altrondenon c'era più lavoro. In queste condizioniche le restava da fare? Andarsene dal paese a cercare lavoro altrove? Crepare di fame?

Rassegnarsi a subire le percosse di tutti gli uomini ai qualipiacesse? E in questi pensieri la misera seguitava penosamente atrascinarsidiguazzando nel fangoinciampando nelle carreggiate;inzaccherata sino ai capellile gambe che le si piegavano sottosenza osare neanche sostare il tempo di riprendere fiato.

Al sorgere dell'albalo scorseChaval; lo riconobbe alle spalle; chegirava guardingo il terrapieno.

Ma a che pro raggiungerlo? Preferì sedersi lì pressoa ridosso d'unacatasta di legname: di tra le tavole aveva visto Lidia e Berto farcapolino.

In quel nascondiglio i due ragazzi avevano passato la notteobbedienti all'ordine di Gianlinoil loro «capitano»di attenderlolì. E nella lunga attesaper tenersi caldoi due s'erano stretti unocontro l'altra; immaginandoal soffiare del ventodi trovarsi nellacapanna abbandonata di qualche boscaiolo. Ma era la disperazionedell'uno che cercava in quel modo rifugio in quella dell'altrosebbene per sfogarsi non trovasse la voce. Come Lidia non osavaparlare delle percosse cheprecocemente donnabuscava da Gianlinocosì Berto taceva il suo risentimento per i ceffoni di cui ilragazzaccio gli era prodigo. Ahdavvero il capitano passava lamisura! li spingeva in ruberie in cui rischiavano la pelle e poi ilbottino se lo teneva tutto per sé.

Affratellati dal rancore chesebbene lo tacesseronutrivano ambedueverso il loro aguzzinoquella notte anzii duenonostante laproibizioneavevano finito per abbracciarsi e baciarsisfidando glischiaffi di una mano invisibile di cui Gianlino li aveva minacciatise in sua assenza osassero farlo. E poiché la minaccia non s'avveravaa stringersi insieme e a baciarsi avevano seguitato; ma castamentesenza cercare altro; mettendo in quelle carezze tutta la loro passionecontrastatatutta la sacrificata tenerezza dei loro cuorimortificati. E tutta la notte s'erano scalducciatiuno control'altracosì felici in fondo a quel buco che felici così nonricordavano d'essere stati maineppure il dì di Santa Barbaraquandoin casa si mangiavano le frittelle con lo zucchero e si beveva ilvino.

Quand'ecco un improvviso squillar di tromba li fece saltare dalnascondiglio. Lì fuorial segnaleCaterina aveva trasalito e s'erarizzata a guardare: i soldati dal corpo di guardia imbracciavano ifucili. In quellatrafelato dalla corsaanche Stefano la raggiunse.

E i quattroalla luce dell'alba già altavidero laggiù scenderedalle alture del borgo operaio una frotta di uomini e donne cheavanzava minacciosa

 

 

Capitolo quinto

 

Già tutti gli accessi al pozzo erano stati bloccati; e la truppaconle armi al piedesbarrava la sola entrata rimasta libera: quella checonduceva alla ricevitoria attraverso una stretta scala in cuis'aprivano gli ingressi alla stanza dei capisquadra e alla baracca. Ilcapitano aveva schierato i suoi sessanta uomini su due filea ridossodel muro di mattoniper evitare che venissero accerchiati.

Sulle primela frotta dei dimostrantiuna trentina al piùsi tennea distanza; concitati e incertisi consultarono sul da fare.

Arrivata la primala Maheuchesorpresa dall'allarme mentre sipettinavas'era annodato in fretta e furia un fazzoletto intorno alcapoe aveva sulle braccia Estella addormentatasi scalmanava aripetere:

-Bisogna impedire che qualcuno entri o esca! Sorprenderlitutti nel pozzobisogna! - E Maheu approvavaquando arrivò daRéquillart per prendere servizio il vecchio Mouque. Volleroimpedirglielo; ma lui protestava: i suoi cavalli aspettavano l'avena;anche se c'era la rivoluzionedovevano ben mangiare. In piùquelgiorno c'era un cavallo morto e s'aspettava lui per estrarlo dalpozzo. Stefano intervenne perché i compagni lo lasciassero passare.

Non era stato un pretestoquello del cavallo morto: un quarto d'oradopomentre ingrossata da nuovi arrivi la frotta dei dimostrantidiventava minacciosaa pian di terra s'aprì una larga porta e degliuomini apparvero che si spingevano avanti un carretto con la carognadell'animale; triste carnameancora imbracato nella rete di cordache scaricarono sullo spiazzotra le pozzanghere di neve disciolta.

L'impressione che quella vista produssepermise agli uomini dirientrare e di barricare di nuovo l'uscitasenza che alcuno pensassea impedirlo. E' chedalla testa ripiegata sul collotutti avevanoriconosciuto il cavallo.

- E' Trombettaè vero? E' Trombetta!

Era Trombetta infatti. Dal giorno che l'avevano calato nel pozzoilcavallino non era mai riuscito ad acclimatarvisi. Restava tristeeseguiva controvoglia il lavoro che gli era impostocome torturatodal rimpianto della luce. InvanoBattaglia gli si strusciava controgli mordicchiava il collo per infondergli un po' della rassegnazioneche aveva messo da parte in dieci anni di miniera. Quei segni diaffetto non facevano che acuire la malinconia di Trombetta; alleconfidenze del compagno invecchiato al buioil pelame del cavallinos'arricciavapercorso da brividi; e tutti e dueogni volta ches'incontravanoparevanoannusandosiconfidarsi la loro pena; ilvecchio di non riuscire più a ricordarsiil giovane di non poterscordare. Vicini di mangiatoiaabbassavano insieme il caposisoffiavano l'un l'altro nelle froge; certo rievocavano così la luceiprati verdeggiantile strade bianchele sconfinate distese doratedal sole.

E quando Trombettacoperto di sudores'era abbandonato agonizzantesulla lettieraBattaglia disperatamente s'era messo a fiutarloaspirando in un modo che pareva singhiozzasse. La miniera gli portavavia l'ultima sua gioiaa Battaglia; quell'amico che gli era piovutodal cieloolezzante dei buoni odori che gli ricordavano la giovinezzaall'aria aperta. E quando s'era accorto che l'altro non si muovevapiùnitrendo di spaventoaveva strappato la cavezza.

Era da otto giornidel restoche il vecchio stalliere avevaavvertito Danseart: ma sì che ora c'era proprio tempo di occuparsid'un cavallo ammalato! e poi quei signori vedevano di malocchio che sitrasferissero gli animali. Adesso però che Trombetta era mortodovevano ben rassegnarvisi. Il giorno primaaiutato da altri dueMouque aveva impiegato un'ora a imbracarlo. Per portarloall'imboccatura del pozzosellarono Battaglia. E così toccò alvecchio animale di trainare la spoglia dell'amico attraverso unagalleria così angusta chea costo di scorticarlodoveva ogni tantodare degli strattoni; a ogni strattones'avvertiva l'attrito controle pareti della misera carcassaattesa dall'uomo che lo scuoierebbe;e Battaglia udendo quell'attrito dimenava la testa. E quandogiuntoal pozzo di caricol'ebbero staccato dal trainoBattaglia seguì conocchio tetro i preparativi che si facevano per riportare l'amico allaluce; lo vide spingere su delle traversinevide attaccare sotto unagabbia la rete che lo imbracava. Allo squillare del segnalealzò ilcapo per vederlo partire; lo vide sollevarsi prima adagio; poi tuttod'un colpo sparire per sempreingoiato dal nero budello. Ecome nonancora persuasol'animale restò lì a collo protesoripreso forsechi sadal confuso ricordo di ciò che Trombetta ritroverebbe lassùma neppure lui vedrebbe più. Anche lui compirebbe lo stesso tragittoimbracato in quella stessa reteattraverso quello stesso budello. L'aria che soffiava la bocca del pozzo portandogli notizia di lontanecampagnelo strangolava. Come ebbrorientrò pesantemente nellascuderia.

Sullo spiazzodavanti al cadavere di Trombettai minatori restavanobui. Una donna commentò a mezza voce:

-Pazienza un uomoche se viscende è perché vuole!

Ma un nuovo gruppo di dimostranti arrivava dal borgo operaio; con intesta Levaquecheseguìto dalla moglie e da Bouteloupgridava:

-Amorte i belgi! Non vogliamo stranieri in casa nostra! a morteamorte!

Tutti si buttavano avanti; Stefano dovette fermarli. Egli s'eraaccostato al capitano: un giovane altosnelloappena ventottennedall'espressione disperata e risoluta. Lo metteva al corrente dellasituazionecercava di conquistarlo alla causaspiando sul viso dilui l'effetto delle sue parole. Perché correre il rischio d'unainutile carneficina? Non erano nel loro diritto gli operai chiedendogiustizia? «Siamo tutti fratelli; non dovrebbe essere difficileintenderci». Alla parola "repubblica"l'ufficiale era trasalito. Mantenendo una rigidezza militaredisse brusco:

-State indietro! noncostringetemi a fare il mio dovere -. Tre volte Stefano tornò allacarica. Alle sue spalle i compagni rumoreggiavano. Correva voce cheHennebeau fosse nella miniera:

-Caliamolo appeso per il collo! sivedrà se lo abbatte da séil carbone! - Ma era una falsa voce; nellaminiera c'erano solo Négrel e Danseartche si mostrarono un momento auna finestra della ricevitoria: il capo-sorvegliante tenendosi un po'in disparte (dacché era stato sorpreso con la Pierronl'uomo avevaperso la sua sicurezza); l'ingegnereinveceimperterritoesaminandola folla con i suoi occhietti di fainacon sulle labbra il sorrisobeffardo e sprezzante che aveva per tutto. Partirono dei fischii duesi ritrassero; nel rettangolo della finestra restò solo il visobiondiccio di Souvarinech'era appunto di servizio. Dall'inizio delloscioperoil meccanico non aveva abbandonato una volta il lavoro. Taciturnoappariva ogni giorno più come assorto in qualche ideafissache gli metteva una luce durametallica in fondo alle pupille.

- State indietro! - ripeté a Stefano alzando la voce il capitano. -Non sono qui per ascoltare le vostre ragioni. Io ho la consegna di farla guardia al pozzo e la manterrò. E non premete sui miei uomini osaprò come tenervi al vostro posto!

La voce era ferma; ma dal pallore del viso traspariva una crescenteinquietudine davanti al continuo ingrossarsi delle file deidimostranti. Nel timore di non poter far fronte sino a mezzogiornoora in cui smontava di serviziol'ufficiale a ogni buon conto avevaspedito a Montsou un manovale chiedendo rinforzi.

In risposta alla sua intimazionenuove grida si alzarono:

-A mortegli stranieri! In casa nostra vogliamo comandare noi!

ScoraggiatoStefano si ritirò. Era la finenon restava che battersie morire. Non più trattenuta da luila folla dei dimostranti sispinse addosso ai soldati. Erano in quasi quattrocento; e sempre altrine affluivano dai borghi vicini; di corsalanciando tutti lo stessogrido.

- Andatevene! - Maheu e Levaque gridavano infuriati sul viso allatruppa. - Non abbiamo niente contro di voima andatevene!

E la Maheu rincarava:

-Che c'entrate voialtri? Lasciate che facciamole nostre ragioni!

Ma la più scalmanata eraalle sue spallela Levaque:

-Vi si dovràammazzareperché ci lasciate passare? Vi si chiede solo di togliervidi mezzo!

Più sfacciata ancoraLidia aggiunse lo scherno: dal pigia pigia doves'era intrufolata con Bertola sua vocina squittì:- Ve' che salami di fantaccini!

Un po' in disparteCaterina guardava e ascoltavainebetita ditrovarsi in quel nuovo scompiglio. Anche questaora! Che aveva dunquefatto di male per non poter stare quieta un momento? Ma se il giornoprima ancora le riuscivano incomprensibili le violenze dello sciopero- perchécon che profittoinfattiattirarsi dei nuovi guaiquandose ne hanno già tanti? - adesso anche a lei un bisogno di vendettagonfiava il cuore. E ricordando i discorsi ascoltati nelle veglied'autunnoaguzzava l'orecchio per cogliere ciò che Stefano diceva aisoldati; e doveva riconoscere che parlava loro da fratello: siricordassero che venivano anch'essi dal popolo e che perciò dovevanostare col popolo contro la borghesia sfruttatrice.

In quella un rimescolio avvenne nella folla; v'era piombata in mezzocome una valangala dominava del suo corpo scheletricol'Abbruciata:gesticolanteaccecata dai cernecchi che le cadevano sugli occhi:- Ci sono anch'io! - rantolò trafelata per la corsa. - Quel venduto diPierron m'aveva chiuso in cantina! - E d'impetocom'era arrivatasibuttò sui soldati vomitando ingiurie dal nero cratere della bocca:

-Razza di canaglie! di porci! che leccate gli stivali ai vostriufficialie il coraggio l'adoperate solo contro la povera gente!

Alloracome a un segnalela folla esplose in insultiinimprecazioni. I pochi gridi che s'elevavano ancora di - Evviva isoldati! a morte l'ufficiale! - naufragarono presto nel clamoregenerale:

-Abbasso le brache rosse!

Ma sotto la gragnuola degli insultila truppairrigidita nellaconsegnamanteneva la stessa impassibilitàlo stesso silenzio concui aveva accolto gli inviti a fraternizzaregli amichevoli tentatividi insubordinazione.

Alle sue spalleil capitano aveva sguainato la spada; e siccome lafolla premeva sempre di più addosso agli uominiminacciando dischiacciarli contro il muroordinò di incrociare le baionette. Unadoppia siepe di punte d'acciaio accolse i petti dei dimostranti.

Arrestata:

-Ah i mangiapani a ufo! - imprecò l'Abbruciata. Ma giàdopo aver indietreggiato un istante la folla si ributtava avantisprezzante della morte e come esaltata dal rischio.

Più di tutti s'esponevano le donneincitate dalla Maheu e dallaLevaque che strillavano:

-Uccideteciuccideteci dunque! Vogliamo inostri diritti.

Levaquea rischio di tagliarsiaveva abbrancato tre baionette in unavolta e dava strattonitirava a sé per disinastarle; con una forzache l'ira moltiplicavale storcevaper spezzarlele lame; mentrepentito d'essersi lasciato indurre a seguirloplacido Bouteloup loguardava faretenendosi a rispettosa distanza.

- Fateche vediamo! fate un po' se ne avete il coraggio! - li sfidavaMaheu; e si sbottonava la giaccatirava via la camiciaoffriva nudoil petto villoso. E spaventoso di insolenza e di coraggio si spingevacontro le baionette obbligandoper non infilzarloi soldati adarretrare. E siccome la punta di una l'aveva feritocome pazzoproprio contro quella incalzava: gli entrasse dentrogli siconficcasse nel costato.

- Vigliacchinon osateeh! Dietro a noi ce ne sono diecimila comenoi. Uccideteci pure; ve ne resteranno sempre da uccidere!

Siccome i soldati avevano l'ordine di non sparare se non in caso diassoluta necessitàla loro situazione si faceva critica. E poiridotti con le spalle al muro com'eranonell'impossibilità ormai diarretrarecome impedire che quei forsennati si infilzassero da sé? Pure in così pochi tenevano bravamente testa alla crescente mareaattenendosi con sangue freddo agli ordini ricevuti. Il capitano nonbatteva ciglio; appena un certo nervosismo gli assottigliava lelabbra. Sapeva di poter contare sui suoi uomini; se aveva paura erachebersagliati di ingiuriefinissero per perdere la pazienza. Giàun sergente- un giovane altomagro- palpebrava in modopreoccupantementre i quattro peli che gli tenevano luogo di baffi sirizzavano. Vicino a luiun vecchio con gallonicotto dal sole diquattro campagneera diventato verde quando s'era visto trattare labaionetta come fosse di latta. Un altrouna recluta cheda pocosicapivaaveva lasciato l'aratro per il fucilesi faceva paonazzo ognivolta che si sentiva dare del porco e della canaglia. Né la canèaaccennava a calmarsi: accuse e minacce che suonavano come schiaffiinvettive sanguinosepugni che si tendevano. Occorreva tutta la forzadella disciplina militareperché la truppa si mantenesse cosìimpassibileper irrigidirla in quel mutismo coattoleggermentesprezzante.

Ma già s'annunciava prossimo il momento che la truppa reagirebbequand'ecco comparire dietro i soldati il vecchio caposquadra Richommefarsi avanti gridando:- Perdìoè stupido infine! smettete! Non c'è buon senso in quello chefate!

Il suo viso di gendarme bonario era stravolto; piantandosi tra lasiepe delle baionette e i dimostranti:- Compagniascoltate! Sapete tutti che sono un vecchio operaio comevoi e che con voi sono sempre rimasto. Ebbeneio vi promettoperdìoche se giustizia non vi sarà fattasarò io che dirò ai capi ciò cheloro va detto. Ma ora eccedete! Non ci guadagnate nulla a insolentirequesti bravi ragazziné a costringerli a bucarvi la pancia!

E già quel franco parlare otteneva il suo effettoquandomalauguratamente si riaffacciò di lassù il profilo mefistofelico diNégrel. Certonel timore che la folla lo sospettasse d'aver mandatoRichomme non sentendosi di esporsi luil'ingegnere tentò di parlare. Ma la sua voce fu coperta da un tale coro di fischi e protestechestringendosi nelle spallesi ritirò.

Da quel momento Richomme ebbe un bel ripetere che lui non lisupplicava per conto d'altrima personalmentecome loro compagno:insospettitinon gli badarono più. Non per questo il vecchioabbandonò la partita:

-E sia! mi farò rompere la testa con voimanon vi lascio finché vedo che non connettete più! - E si rivolgeva aStefano perché lo aiutasse nella sua opera di persuasione; ma ilgiovane si strinse nelle spalle come a dire: «E chi ce la fa più? ètardi».

Ormai i dimostranti erano oltre cinquecento; ma a quelli che facevanosul serio s'erano mescolati dei curiosi che si divertivano a stare avedere. Tra questi Zaccaria e la moglievenuti lì come a unospettacoloal punto che s'erano tirati dietro i figlioli. Con unnuovo gruppo proveniente da Réquillartarrivò col fratello laMouquette; luiadocchiato l'amico Zaccariasogghignando venne adargli una manata sulle spalle; mentre la sorellaaccesissimacorreva a mettersi in prima fila coi più scalmanati.

Il capitano intanto lanciava continue occhiate sulla strada diMontsou; prevedendo che si troverebbe presto a malpartito se irinforzi non arrivavanol'ufficialeper intimorire la follaordinòai soldati di caricare i fucili. Ma la coperta minaccia ottenne solodi esasperare maggiormente gli animi; i dimostranti risposero al gestocon parole di sfida e di dileggio.

- Vedi? - le donne sghignazzavano. - Partono per i tiriquesticonigli vestiti da soldati!

La Maheu si buttò avanti con tanto impeto che il sergente le chieseche ci venisse a fare lì con quel marmocchio in braccio; Estellainfatti s'era svegliata e ora si aggrappava piangendo al seno dellamadre.

- Che te ne importa a te? - rispose lei. - Spara adessose ne hai ilcoraggio!

Sprezzantigli uomini scuotevano il capo: macchénon un colpopartirebbe. - Hanno cartucce a salve- asserì Levaque. E Maheu:

-Vorrei vedere anche questa! Che siamo mica cosacchi? Non si tira suicompatriotiperdìo!

Altri osservavano che comunquenon facevano soggezione le pallottolea chi tornavacome lorodalla campagna di Crimea. Per cui tuttiseguitavano a buttarsi sui fucilicosì pigiati che se in quel momentouna scarica fosse partitane sarebbe seguìto un macello.

Alla Mouquette l'ideal'idea solache dei soldati potessero spararesu delle donnefaceva vedere rosso. A corto ormai di fiato e diingiuriela ragazza nel suo sdegno ricorse al solo gesto oltraggiosoche potesse ancora appagarla. Date le spalle alle truppesi rimboccòa due mani le sottane eprotendendo il gropponemise bene in mostral'enorme tafanario. E facendolo passare sotto gli occhi d'un soldatodopo l'altro:

-Eccoprendeteper la vostra ghigna! E' ancora troppopulito perché ve lo meritiatesudicioni! E si chinavasi curvavasino a terrasi spostava in giro dall'uno all'altroper dare aciascuno la sua parteurtando con la sfacciata rotondità ildestinatario del suo omaggio:- Ecco per l'ufficiale! ecco per il sergente! ecco per i signorisoldati!

Il maneggio suscitò un coro d'ilarità: Berto e Lidia si contorcevanopersino Stefano uscì un momento dai suoi pensieri per applaudire.

Tutti oradimostranti e spettatorifischiavano la truppa come lavedessero lordata da quel deretano. Solo Caterina restava silenziosain disparte; sentendo in sé crescere un odio che le bruciava lafacciale metteva in gola un gusto di sangue.

Alloraper calmare l'evidente nervosismo dei suoi uominiil capitanoprocedette all'arresto dei più scalmanati; ma la Mouquette sisottrassesgattaiolando fra le gambe dei compagni. Levaque e altridue vennero condotti nella stanza dei capisquadra e lì guardati avista. Di lassù intanto si sporgevano Négrel e Danseart e invitavanoil capitano a far rientrare la truppa e a chiudersi dentro; mal'ufficiale si rifiutò di farlo: le porte d'accesso alla ricevitorianon presentavano alcuna garanzia di resistenza a un assalto e a luitoccherebbe l'onta di vedersi disarmare.

Gli stessi soldatid'altrondeavrebbero sentito come un disonoreritirarsi davanti a dei poveracci calzati di zoccoli.

Questo gesto di forza fece alla prima una certa impressione; maun'impressione che durò poco. Ben presto un clamore s'alzò: la follaprotestava contro l'arrestoesigeva l'immediato rilascio deiprigionieri; ai quali - già qualche voce gridava - si stava facendo lapelle. Ecome al segnale d'un'azione concertata in anticipotuttiaun trattoobbedendo a un impulso collettivocorsero ad armarsidaun cumulo lì vicinodi mattoni; i bambini recandone uno alla voltale donne riempiendosene la sottana. In breve ogni dimostrante ne ebbeai suoi piedi una provvista e il tiro cominciò. In testa alle donne sipiantò l'Abbruciata; la vecchia spezzava i mattoni sull'ossutoginocchioe con la destra e la sinistra a vicenda li lanciava. Atirarela Levaque si sfiancava: grassa com'eradisponeva di cosìpoca forza cheper non mancare tutti i colpidoveva esporsi; invanonella speranza di ricondurla a casaora che il marito era all'ombraBouteloup la tirava indietro. Alla sassaiolatutte si eccitavano. LaMouquette che a spezzare i mattoni sulla ciccia delle cosce se le erainsanguinateadesso li lanciava interi. Anche i ragazzi s'erano unitialle donne; e Berto insegnava a Lidia come si tirava megliolanciandodi sotto in su a gomito piegato. E i proiettili fioccavanograndinavanoabbattendosi con sordi tonfi. Trascinata dall'esempiotutto a un tratto anche Caterina si trovò in prima filaa lanciareanche lei tra quelle furie i suoi spezzoni con tutta la forza dellemagre braccia. Perché fosse uscita così di colpo dalla sua parte dispettatrice e ora s'accanisse più delle altrela ragazza non avrebbesaputo dire. Provava solo una pazza voglia di massacroche le mozzavail respiro. Anche quello era un modo di farla finita con la sua vitadi stenti; era stanca di ricevere schiaffi e maltrattamentiditrascinarsi come un cane randagio nel fango delle stradesenzaneanche la possibilità di mendicare una minestra a sua madreridottacome lei a ingollare la lingua. Mai un po' di requie; anzida quandoaveva l'uso della ragioneun andar sempre di male in peggio. Perquestosenza saperlos'accaniva a rompere i mattoni e a scagliarli;non altro che per il gusto di spazzare via tuttoaccecata talmented'ira da non vedere neanche a chi fracassava la ghigna.

Da un proiettile poco mancò che Stefano restasse accoppato. Contuso aun orecchiosi volse; e con stupore scoprì che a colpirlo non potevaessere stata che Caterina. A rischio della pellerestò dov'era aguardarla. Con luinon erano pochi checome smemoratistavano lìinoperositrattenuti nella ressa dall'interesse della battaglia. Mouquetpoidoveva addirittura credersi a una gara di tiro;giudicava i colpi: ben centratoquello! che schiappachi ha tiratoquest'altro! Dal giubiloa ogni commentodava gomitate a Zaccariaimpegnato in un battibecco con la moglieper via di due schiaffisomministrati ai rampolli in risposta alla loro pretesa che se litogliesse in spalla. Più prudentialtri curiosi si pigiavanosull'orlo della strada. E lassùall'ingresso del borgo operaio doves'era trascinato appoggiandosi al bastoneora si profilava rittoimmobile sul cielo color ruggineil vecchio Bonnemort.

Da quando era cominciato il tiro dei mattoniRichomme s'era ributtatotra i soldati e i dimostrantiesortando gli unisupplicando glialtri; così disperato che aveva le lacrime agli occhi. Che cosadicesselo schiamazzo impediva di udire; si vedevano solo i suoibaffoni grigi tremare.

Contagiati dall'esempioora anche gli uomini ci si mettevanodavanodi piglio ai mattoni. Maheu solobuio in visorestava in disparte. Vedendoselo alle spalle con le braccia penzoloni:

-Che stai lì a farecon le mani in mano? - lo aggredì la moglie. - Lasci che ti portino icompagni in prigione? Avrebbero per caso più fegato le donne? Mivedresti mese non ci avessi questo impiccio! - e indicava Estellache le si aggrappava strillando al collo. E siccome l'altro non davasegno di udire spingendogli tra i piedi dei mattoni:

- Perdìo! devometterteli in mano? Sputarti in facciadevo davanti a tuttiperfarti muovere.

Allora il sangue affluì al viso dell'uomo che si chinò anche lui araccattare mattoni e a scagliarli. Macome non si fidassela mogliegli rimase alle spalle; stringendosi bocconi sul petto la piccina perfarla tacereseguitò a incitarloa latrargli nelle orecchieaspingerlo avanti finché non lo vide davanti alle bocche dei fucili.

Sotto il grandinare dei mattonila poca truppa spariva. Fortuna che iproiettili passavano quasi tutti sopra le teste; di colpilì dietroil muro era sforacchiato. Un attimo l'idea di ritirarsifece salireil sangue al viso dell'ufficiale; ma per farlo era tardi; al minimocenno di ripiegamentola folla gli avrebbe fatto gli uomini a pezzi.

Lui perdeva sangue dalla fronteper un mattone che gli aveva spaccatola visiera. Nelle fileparecchi erano i feriti; l'esasperazione eragiunta al limite oltre il quale l'istinto di conservazione prende ilsopravvento sul sentimento di disciplina. A una mazzata che quasi gliaveva slogato la spallail sergente aveva smozzicato una bestemmia. La reclutacol viso scorticato in due punti e un pollice stritolatonon poteva più reggersi su un ginocchio senza vedere le stelle; che cisi sarebbe prestati ancora un pezzo a fare i fantocci da tiro a segno? Un colpo di rimbalzo aveva raggiunto all'inguine il veteranochedallo spasimos'era quasi lasciato sfuggire di mano lo schioppo. Piùd'una volta già il capitano era stato lì per ordinare il fuoco e tuttele volte era riuscito sinora a dominarsi. E solo adessodavantiall'infierire dei forsennatiapriva per farlo la boccaquando ifucili spararono da sé: prima tre colpi; poi cinque; poi una scaricaintera; infineun colpo in ritardoche echeggiò isolato nelsepolcrale silenzio.

Lo sbalordimento impietrò un attimo la folla. La truppa aveva dunquesparato? A bocca apertane dubitava ancoraquandocon lo squillo dicessato fuocolacerarono l'aria le grida dei feriti. Alloraallostuporesottentrò il panico; fu un impazzito sbandarsiun fuggifuggi generale.

Ai primi tre colpiBerto e Lidia s'erano afflosciati uno sull'altro:la piccinacolpita al viso; luiattraversato da una pallottola sottola clavicola sinistra. Lidiafulminatanon si muoveva più; luiinvece si trascinavacercavanelle convulsioni dell'agoniadiprendere fra le braccia l'altraquasi a rinnovare il loro unicoabbraccio. E Gianlino chearrivato finalmente da Réquillartsgambettava gonfio di sonno tra il fumo degli sparicapitò giusto intempo per assistere a quell'abbraccio e vedere Berto spirare. I cinquesuccessivi colpi avevano abbattuto l'Abbruciata e Richomme. Questiferito al dorso e caduto in ginocchios'era rovesciato su un fianco;e ora rantolava per terracol pianto ancora negli occhi. La vecchiacon la gola squarciataera crollata da ritta con un sinistroscricchiolio di vecchia carcassa; uno sbocco di sangue le avevastrozzato in bocca l'ultima bestemmia. A questo punto lo scroscio difucileria aveva spazzato il terreno e falciato nel raggio di centopassi i capannelli di curiosi che ridevano alla battaglia. Unapallottola era entrata in bocca a Mouquetchestramazzando ai piedidi Zaccaria e Filomenaaveva spruzzato di sangue i due bambini. Nellostesso istantela Mouquette riceveva due pallottole nel ventre.

Vedendo i soldati spianare il fucileistintivamente la ragazzanelsuo buoncuores'era buttata davanti a Caterinagridandole diripararsi; il colpo ricevuto in sua vececon un urlo l'aveva fattacadere lunga distesa sulle reni. Stefano accorse per rialzarla; ma leid'un segno gli fece capire che non ne valeva la pena. E finché nonebbe finito di rantolareseguitò a sorridere a lui e a Caterinacomeseandandosenefosse felice di vederli insieme.

Tutto pareva finitoanche l'eco dello scroscio s'era perduto lassùcontro la facciata delle case operaiequando partì quell'ultimo sparoisolato. Colpito in pieno cuoreMaheu girò su se stesso e caddebocconi con la faccia in una pozzanghera. Senza capirela moglie sichinò:

-Ehivecchioche fai? Sta' su! Non hai mica nienteeh? -Per voltargli la facciadovette mettersi Estella sotto il braccio:

-Parladunque! hai male da qualche parte? - Maheu aveva lo sguardovacuo; alla boccauna schiuma sanguigna. Allora la donna capì. Sicalò nel fango a sedere; e tenendo sotto il braccio la bambina come uninvoltorestò a guardare il suo uomo inebetita.

Lo spiazzo davanti alla miniera era sgombro. Lividoma senza darealtrimenti a vedere turbamento per il disastro della sua vitailcapitano s'era toltopoi rimesso d'un gesto secco il chepì sfondato;mentre con la stessa impassibilità i suoi uomini ricaricavano ifucili. Alla finestra della ricevitorias'erano sporte un attimo lefacce sgomente di Négrel e di Danseart; e dietro di loro s'eraintravisto Souvarine: una ruga gli sbarrava la frontecome aribadirvi il chiodo d'un'idea fissa. All'imbocco lassù del borgooperaioBonnemort pareva una statua; calava una mano sul bastoneconl'altra si faceva schermo agli occhicome per non perdere nulla delmassacro dei suoi.

I feriti urlavano; i morti si irrigidivanomarionette cui s'è rottoil filo tra le pozzanghere e le chiazze di carbone che il disgeloscopriva. E in mezzo a quei cadaveri d'uomini rattrappiti e comerimpicciolitimagri dell'atroce magrezza della fame- sinistroammasso di carnamespiccava la carogna di Trombetta.

A fianco di CaterinaStefanorimasto illesoaspettava ancora che laragazzavenuta meno per il dolore e la stanchezzafosse in grado dialzarsiquando il tuonare d'una voce lo fece trasalire. Era ilreverendo Ranvier che tornava da dir messa; e cheagitando le bracciain ariainvocava sugli assassini la punizione del Cielo. Come invasoda furore profeticoannunciava prossimo sulla terra l'avvento delregno della giustiziala scomparsa della borghesiasterminata dalfuoco celeste; di quella borghesia che metteva il colmo alla suainiquità facendo massacrare i lavoratori e i diseredati di questomondo.

 

PARTE SETTIMA

 

 

Capitolo primo

 

L'eco delle fucilate di Montsou era giunto a Parigi e vi avevasuscitato un'enorme impressione. Da quattro giorni tutta la stampadell'opposizioneindignatadava in prima pagina sotto titoli vistositerrificanti particolari dell'eccidio: quattordici mortitra cui tredonne e due bambini; venticinque feriti; numerosi arresti; Levaque -cui s'attribuiva una risposta al giudice istruttore degna d'un antico- assurto a una specie di eroe. Per controil regimecolpito alcuore da quelle poche pallottoleaffettava la calma dell'onnipotenzasenza rendersi conto neppure lui della gravità del colpo. Non sitrattava che d'un increscioso conflitto d'interessiscoppiato laggiùlontanissimo dalla capitalesenza conseguenze quindi sulla pubblicaopinione; d'un incidente di scarso rilievoche sarebbe prestodimenticato.

In via ufficiosa la Compagnia delle Miniere aveva ricevuto l'ordine dimettere la cosa a tacere e di porre fine allo scioperoil cuiirritante protrarsi minacciava di diventare un pericolo sociale. Percuisin dal mattino del mercoledìsi videro giungere a Montsou treamministratori della Società. La cittadina cheimpaurita com'eranonaveva ancora osato compiacersi dell'eccidiorifiatò: l'incubosottoil quale da un po' vivevastava per finire. Per l'appuntoil tempos'era messo al bello; splendeva il soleuno di quei primi soli difebbraio al cui tepore il glicine mette le prime foglie. Il palazzodell'amministrazionecon tutte le finestre spalancateparevarivivere. Ne uscivano voci più rassicuranti: quei signoriquanto maiaddolorati dell'accadutoerano accorsisi dicevaper schiudere aimal consigliati operai braccia paterne. Ora che il male era fatto aldi là certo di quanto non ci si fosse auguratoi tre si prodigavanonel loro compito di salvatori; decretavano misure eccellentiquantotardive. Per prima cosa licenziarono gli operai assoldati nel Belgio -licenziamento che presentarono clamorosamente come la più grandeconcessione che potessero fare alle maestranze. Quindi sospeserol'occupazione militare dei pozzi - che gli scioperanti sconfitti nonminacciavano più. Furono pur essi a ottenere il silenzio sullasparizione della sentinella del Voreux; visto cheper quante ricerchesi fossero fattené il cadavere né il fucile dello scomparso eranostati ritrovatisi decise di far passare il soldato per disertorequantunque sussistesse il sospetto d'un delitto. Quei signori insommanel timore del domani e giudicando pericoloso confessarel'irresistibilità d'una folla scatenata attraverso le vacillantistrutture del vecchio mondosi adoperarono in tutti i modi perattenuare la portata dell'accaduto. Compito conciliativoche nonimpediva conducessero in pari tempo a buon fine affari propriamenteamministrativi; tant'è vero che s'era visto recarsi da loro Deneulin eabboccarsi con Hennebeau; l'ingegneresi assicuravastava peraccettare le offerte dei tre e cedere Vandame.

Ma ciò che impressionò di più il paese furono i vistosi manifestigialli di cui i tre fecero tappezzare i muri. Vi si leggeva acaratteri di scatola «Operai di Montsou! Noi non vogliamo che glierrori di cui avete avuto sott'occhio in questi ultimi giorni lefuneste conseguenzeprivino dei mezzi di sussistenza gli operai dibuonsenso e di buona volontà. Lunedì mattina riapriremo pertanto tuttii pozzi; euna volta che il lavoro sia ripreso esamineremo concoscienza e benevolenza ogni situazione suscettibile di esseremigliorata. Faremo insomma per voi tutto quello che sarà giusto e innostro potere di fare». Per tutta una mattinata i diecimila operaidelle miniere sfilarono davanti ai manifesti. Nessuno apriva boccamolti scuotevano il capo; altri venivano via strascicando il passosenza che il viso avesse lasciato trasparire alcunché.

Sin qui il borgo dei Duecentoquaranta s'era ostinato in una selvaggiaresistenzaquasi che il sangue dei compagni che aveva arrossato ilfango del Voreux ne sbarrasse l'accesso ai compagni. Di questiappenauna dozzina era ridiscesa: Pierron e qualcun altro della sua risma. Accigliatili si guardava partire e tornare; ma senza un gesto o unaparola di minaccia. Per cui l'affissione del manifesto sulla portadella chiesa fu accolta con sorda diffidenza. Di restituzione deilibrettinon vi si parlava; significava che la Compagnia si rifiutavadi riassumerli? E la paura di rappresaglieil fraterno proposito diprotestare contro il licenziamento dei più compromessipersuadevatutti a una resistenza ad oltranza. C'era qualcosa di poco chiaro;bisognava vedere; ritornerebbero al pozzo quando quei signori sidecidessero a spiegarsi meglio.

Sulle case pesava il silenzio; neanche la fame contava più ormai chela morte violenta aveva visitato i loro tettisi poteva morire tutti. Ma una abitazionesoprattutto - quella dei Maheu - restava buia esilenziosa sotto il peso del suo lutto. Da quando aveva accompagnatoal cimitero il suo uomola Maheu non aveva più aperto bocca. Amischia finitavedendosi da Stefano ricondurre Caterina semivivanonaveva battuto ciglio. Spogliandola davanti al giovanotto per metterlaa lettoun momento aveva creduto che anche quella le tornasse con unapallottola nel ventre; ed era stato trovandole la camicia imbrattatadi sangue. Ma poi capì; nell'emozione dell'atroce giornatanellafanciulla s'era di colpo manifestata la pubertà. Ahun bel regaloanche questola possibilità fin d'ora di mettere al mondo dei figliche un giorno i soldati massacrerebbero! Né alla figlia né a Stefanola donna rivolgeva parole; e se qualche volta il suo sguardo si posavasui duequello sguardo pareva chiedere che ci stessero a fare in casasua. Restando lì anche a dormire (divideva di nuovo il letto diGianlino)il giovane rischiava di farsi pizzicare; maa tornare aRéquillartpreferiva ancora la prigione; dopo avere visto tantimortirabbrividiva al pensiero di passare la notte in quel buiodalquale lo teneva lontano - e non lo confessava a se stesso - anche lapaura del soldato che vi dormiva per sempre. E poilo scacco subìtogli bruciava talmente che alla prigione pensava come a uno scampo. Invecenessuno lo cercava; e Stefano attraversava ore diabbattimentosenza avere neanche modo di abbrutirsi in un lavoroqualsiasi.

La notte avevano ricominciato a russare tutti in mucchio. Bonnemortoccupava adesso il letto dei due piccinipassati in quello diCaterina - non più importunata dalla gobba che la povera Alzira lepiantava nelle costole. Era al momento di coricarsi che la madreavvertiva il vuoto fattosi in casadal freddo letto diventato troppovasto. Inutilmenteper colmare quel vuotoprendeva Estella con sé;rimedio inefficace; e la poveretta inghiottiva per ore le sue lacrimein silenzio.

Poi le sue giornate presero a scorrere come prima. Il pane seguitava amancare ma non per questoahimèsi moriva; qualche cosa da metteresotto i denti si raggranellava semprea destra o a manca - cherendeva ai disgraziati il cattivo servizio di mantenerli in vita. Nulla era cambiato; in menoc'era il suo uomo.

Il pomeriggio del quinto giornoStefano - che la vista di quelladonna taciturna metteva alla tortura - uscì a far quattro passi lìdavanti alla strada. (Passeggiate cui lo spingeva spesso l'inerziaintollerabilecui era costretto; e che faceva a capo bassolebraccia ciondolonisempre in preda agli stessi pensieri). Questavoltacamminava lemme lemme su e giù da mezz'oraquandodell'acuirsi del proprio disagio si rese ragione notando che icompagni si facevano sulle soglie a osservarlo. (Il po' di popolaritàdi cui ancora godevas'era dileguato al momento che la truppa avevafatto fuoco; ormai non usciva più senza sentirsi inseguire da sguardiil cui odio gli bruciava la nuca). Alzò il capo: uominidall'espressione minacciosadonne che al suo passare scostavano letendine. Sotto il peso di quella muta accusadel rancore a stentocontenuto che leggeva in quegli occhi dilatati dal pianto e dallafameil suo passo s'impacciavanon comandava più alle gambe. Alcrescere alle sue spalle di quel sordo mormoriofu preso da una talepaura che tutti gli abitanti uscissero a rinfacciargli la loromiseriache rientrò in casa sgomento. Ma lì qualcosa lo attendeva chefinì di sconvolgerlo.

Presso la stufa spenta stava il vecchio Bonnemort; inchiodato sullasedia (come sempre dal giorno dell'eccidioin cui due vicine loavevano raccolto da terradove giaceva come fulminato col bastonerotto in mano). E mentre i due bambiniper ingannare la fameraschiavanoda allegare i dentiuna vecchia casseruola dove lavigilia erano stati cotti dei cavolila Maheudeposta Estella sullatavolaminacciava col pugno alzato Caterina:

- Dillo ancora!

ripetiloquello che hai dettose hai il coraggio!

La ragazza aveva manifestato l'intenzione di tornare al Voreux. Ilpensiero di non guadagnarsi neppure quello che mangiavad'essereincasa di sua madretollerata come un animale che è solo d'impicciolepesava ogni giorno dl più; e sin dal martedì sarebbe ridiscesa nellaminieranon fosse stata la paura di Chaval.

- Ma come vuoi fare? - balbettò. - Non si può vivere senza fare nulla. Rimedieremo almeno il pane.

Dandole sulla vocela madre:

-Senti bene quel che ti dico: il primodi voi che torna nel pozzolo strangolo... Ah no! Sarebbe troppogrossache dopo avere accoppato il padre seguitassero a levare lapelle ai figli! Bastaormai! preferisco vedervi portar via tutti traquattro assicome ho visto portare lui.

E il silenzio che aveva così a lungo mantenuto lo sfogò in un diluviodi parole. Li avvantaggerebbe di moltooh sìquello che Caterinaporterebbe a casa! trenta soldi sì e no; piùa farla grossaaltriventise quei signori si degnassero di trovare qualcosa da fare perquel gaglioffo di Gianlino! Cinquanta soldi e sette bocche da sfamare. Gli altri non erano buoni che a sbarazzare la scodella. Quanto alnonnocerto nella cadutagli si era rotto qualcosa nel cervello. Bastava guardarlo! A meno che non gli si fosse rovesciato il sangueavedere i soldati sparare sui compagni.

- Dico benevecchio? E' stata l'ultima mazzata che vi hannoassestato! Con tutto il vostro pugno di ferrosiete bell'e spacciato!

Bonnemort la guardava con occhi spentisenza capire. Rimaneva delleore così con lo sguardo fisso; quel che gli restava di comprendoniolo impiegava tutto nell'astenersi dallo sputare fuori del piatto cheper istinto di puliziagli mettevano vicinopieno di cenere.

- E ancora non gli liquidano la pensione! Gliela negherannooh certoper via delle nostre idee! No! vi dico che ormai ha passato ognilimite quella gente della malora!

- Però- azzardò Caterina- sul manifesto dicono...

- Vuoi piantarla col tuo manifesto? Non capisci che è ancora unatrappola per metterci nel sacco? Gli costa poco fare i gentiliorache ci hanno fatto sparare addosso...

- Saràmamma; maalloranoi dove si va? Perché qui non ci lascianodi certo.

La Maheu ebbe un gesto evasivodisperato. Dove andrebbe? e che losapeva lei? Non voleva neanche pensarciper non uscire pazza. Inqualche posto andrebbero. E siccome il raschio della casseruoladiventava lacerantela donna piombò sui due piccini e li prese aschiaffi. Ai loro strilli s'aggiunsero quelli di Estella chetrascinatasi a quattro zampe all'orlo della tavolaera caduta.

Per consolarla:

- Che fortuna se ci restavi sul colpo! - gridò laMaheu. Così tutti loro potessero come l'Alzira togliersi d'impiccio.

Ma nell'augurarlo appoggiò il capo al muro e scoppiò in singhiozzi.

Stefanolì impalatonon aveva osato intervenire. Che contava più inquella casa dove anche i bambini si ritraevano diffidenti da lui? Ma aquello scoppio di pianto non resse:- Suvviasuvviacoraggio! Si cercherà d'uscirne...Senza dar segno d'udirloquella con voce lamentosacome parlando ase stessa:

-Ahma è possibile che ci si sia ridotti così? Primaperquanto malesi campava. Di pane secco; ma si era tutti insieme... Checosa s'è dunque fattomio Dioche delitto abbiamo dunque commessoper trovarci in questi guaigli uni sottoterragli altri senza piùaltro desiderio che andarci anche loro? Era ben vero che si era comebestie da tiro attaccate al carro; che non era punto giusto chementre quelli s'arricchivano sempre di piùnoi si avesse sempre atoccarlesenza mai la speranza d'un po' di bene. Senza speranzachesugo a vivere? Sìcome andava non poteva durareun respiro civoleva... Avessimo saputoperò! E' possibile che a chiedere ciò che ègiustoci si debba tirare addosso il finimondo?... - Ansimava; lavoce le si strozzava in gola.

- Poic'è sempre chi la sa più lunga di voi e viene a farvi credereche basta volere e si può migliorare la propria condizione... Ci simonta la testa: la realtà è così dura che si finisce per crederepossibile l'impossibile. Già io mi illudevo come una scema;vagheggiavo un mondo in cui si fosse tutti fratelli. Parola! m'esaltavogià vivevo nelle nuvole... Ma di lassù si ricasca nellamerda e ci si rompe il filo della schiena... Non era verotutteballe; di quel che ci si immaginava di vedere non esisteva un belniente. Di realela miseriaoh di quella quanto se ne vuoleecomenon bastassele fucilateper giunta...Ogni parolaogni lacrima suscitava in Stefano un rimorso. Che direche conforto dare a quella donna precipitata da tanta speranza nellapiù dura realtà?

Eimprovvisamenteaffrontandolo e dandogli del tulei in un ultimoimpeto di rabbia:- E tu? forse che anche tu parli di tornare al pozzodopo avercispinti tutti allo sbaraglio? Io non ti rinfaccio niente. Ti dico solochenei tuoi panniio sarei già morta dal dispiaceredi aver fattotanto male ai miei compagni.

Stefano volle rispondere; ma a che pro giustificarsidare dellespiegazioni che la donnanel suo dolorenon capirebbe?

Si strinse nelle spalledisperato. Poinon reggendosi tolse di làe tornò in istrada.

Lìgli uomini erano ancora sulle sogliele donne alle finestre:tutto il borgo pareva lo aspettasse. Al suo ricomparire s'alzò unmormorio minaccioso; altre facce si mostrarono. L'animosità che daquattro giorni covava contro di luiscoppiava ora in pubblico in uncoro di maledizioni. Pugni si tendevano verso di lui; madri loadditavano all'odio dei figli; vecchi sputavano guardandolo. Era ilvoltafaccia che immancabilmente si avvera all'indomani dellasconfittail fatale capovolgersi del fervore popolare; unaesecrazione che tutte le sofferenze patite inutilmente esasperavano. Stefano scontava ora la fame e le morti che aveva provocato.

Già nell'uscire di casas'ebbe uno spintone da Zaccaria che arrivavain compagnia di Filomena; lo udì ghignare:- Ve' com'è in ciccialui! Ingrassasi vedela pelle degli altri!

E la Levaquefacendosi sulla porta con Bouteloupad alta voce:- Sìperché ci sono dei vigliacchi che fanno massacrare i bambini. Ilmio Bertoper esempio; al cimitero dovrebbe andarlo a cercareperrendermelo!

Del marito in prigione si scordava: non c'era Bouteloup a farne leveci? Ma ecco se ne ricordò per soggiungerealzando ancora la voce:

-Ma si sa! I mascalzoni se la spassano quando i galantuomini sono ingattabuia!

Per scansarlaStefano andò a sbattere contro la Pierron che arrivavadi corsa attraverso gli orti. (La morte della madrela Pierronl'aveva accolta come una liberazione - quella linguaccia rischiava difarli impiccarelei e il ganzo. Né piangeva di più la figliaquellasgualdrinella della Lidia; un vero impiccio di meno. Ma ci teneva arabbonire le vicine mostrandosi solidale con esse).

- E mia madredi'? e la mia figliolina? Ti hanno visto tutti che tinascondevi dietro le loro spallequando esse si buscavano lepallottole in vece tua!

Che fare? strozzarla lei e le altre? battersi contro tutta la borgata?

Il giovane ne ebbe un attimo la tentazione. Il sangue gli ronzavanelle orecchiegli intorbidava la vista. Furente di vederli di cosìscarso comprendoniocosì zoticida addossare a lui la colpa dellasconfitta: «Che razza di bruti!» si diceva.

Com'era stupida la cosa! Oh come gli bruciava di non poterseli mettereun'altra volta ai piedi!

Si contentava di accelerare il passodi fare orecchie da mercantecome se quegli insulti non lo toccassero. Ma presto quell'affrettarsisi mutò in fuga; al suo passareda ogni casa partivano fischiuncodazzo gli si ingrossava dietrogli camminava sui calcagni; tutta lapopolazionefelice di sfogare alfine il suo rancorelo malediceva inun crescendo di imprecazioni. Eccolo lì lo sfruttatorel'assassinol'unica causa delle loro sciagure! Incalzato dall'urlante brancoStefano arrivò in fondo all'abitato: sfiatato dal correrelividoatterrito.

Lì finalmente lo lasciarono. Seguìto solo da pochi testardiilgiovane continuava a camminare; quandoin fondo alla discesadifronte all'osteria del Risparmios'imbatté in altri che uscivano dalVoreux.

Nel gruppetto c'eracon Chavalil vecchio Mouque. Questi che per lamorte dei figli non aveva mosso lagno né dato a vedere rimpianto e cheseguitava come niente a lavorare al Voreuxeccolo oraalla vista diStefanoandare improvvisamente in bestia. Gli occhi si riempirono dilacrime e dalla bocca - che l'abitudine di masticare cicche avevaridotto a un nero buco sanguinolento - traboccò una bordatad'ingiurie:- Sporcaccione! maiale! pezzo di carogna! Alto là! m'hai da pagarequei due poveretti che m'hai fatto uccidere! La tua ora è venuta!

E raccattato un mattonelo spezzòlo lanciò. E Chavalimitandolofelice dell'occasione di vendicarsi:

-Sìsìfacciamolo fuori-ghignò inferocito. - E' la tua voltaadesso! adesso ci seilavativoporco!

Grida selvagge si levaronotutti diedero di piglio ai mattonilispezzaronoli scagliarono; per fare a Stefano quello che avrebberovoluto fare ai soldati. Stordito ora il giovane faceva frontetentavadi metterli in ragione. I discorsi che un tempo gli avevanoprocacciato tanti applausigli tornarono alle labbra. Ripeteva leparole con le quali li aveva ubriacatial tempo che li aveva docilegregge ai suoi piedi. Senonché il suo ascendente era cadutoe inrisposta riceveva solo sassate. Ferito ad un braccioprese aindietreggiare; finché incontrò con le spalle il muro dell'osteria: sisentì perduto.

Da un momento Rasseneur s'era fatto sulla soglia.

- Entra- gli disse semplicemente.

Stefano esitava; gli ripugnava trovare scampo là dentro.

- Entra dunqueparlerò loro.

Rassegnandosi Stefano entrò e si andò a rintanare in fondo alla salamentre con le sue larghe spalle l'oste sbarrava l'ingresso.

- Suvviaamici mieisiate ragionevoli. Non vi ho mai ingannatolosapete beneio. Sono sempre stato per la calmaio; e se mi avestedato retta non vi trovereste certo a questa.

Dondolando le spalle e il ventrea lungo lasciò fluire la sua facilee blanda eloquenza che agiva sui nervi come un bagno d'acqua tiepida.

E quella eloquenza riscuoteva di nuovo in pieno l'antico successo;riconquistava come per incanto all'uomo l'antica popolarità; cullatoda essanessuno più nel pubblico ricordava d'avereappena un meseprimafischiato quelle stesse frasi e trattato Rasseneur di codardo.

- Bravo! - si gridava.- Siamo con te! ecco come bisogna parlare! -Scoppiò un tuono di applausi.

Stefano si sentiva mancareil cuore gli si impregnava di amarezza.

Gli tornò in mente ciò che Rasseneur gli aveva predetto nella foresta:«proverai anche tu l'ingratitudine della folla». Ahla stupidabestia! come presto scordava i benefici ricevuti! La folla: una forzacieca che continuamente divora se stessa. E sotto la stizza che glidava vedere quei bruti buttare a mare la loro causac'era in Stefanola disperazione per il proprio smaccoper la tragica fine della suaambizione. Sicché tutto era già finito? Eppurequel giornonellafaggetatremila petti avevano vibrato all'unisono col suo; quelgiorno egli aveva stretto in pugno la popolarità; di quella follasiera sentito il padrone. Folli sogni lo avevano ubriacato: Montsou alsuoi piediun seggio di deputato a Parigi. Da quel seggio egliavrebbe con un discorso fulminato la borghesia: il primo discorsopronunciato da un operaio dalla tribuna di un parlamento.

E dal sogno ora ecco si ridestava miserabile come primaesecratodalla folla che lo aveva idolatratoinseguito da essa a sassate.

La voce di Rasseneur si alzò di tono:- Non una volta la violenza ha avuto successo; in un giorno non si puòrifare il mondo. Coloro che vi hanno promesso di cambiare tutto in ungiornosono dei buffoni o dei disonesti!

- Bravo! bravo! - la folla vociferò.

Era dunque lui il colpevole? e la domanda che Stefano si poneva finìdi accasciarlo. Era proprio colpa sua lo stato di cose di cui perprimo soffrivala miseria degli uniil massacro degli altriquelledonnequei bimbi dimagriti e senza pane? Prima del disastrounaseraegli s'era prospettato le conseguenze che ora aveva sott'occhio. Ma già allora una forza che non dipendeva più da lui lo spingevalotrascinava coi compagni. Maidel restoegli li aveva guidati; eranostati sempre essi a condurloa obbligarlo a fare cose chesenza laspinta di quella folla che lo incalzavamai avrebbe fatto. Egli nonaveva previsto né voluto alcuna delle violenze cui la folla s'eraabbandonata; erano stati gli avvenimenti a sopraffarlo. Comeadesempioavrebbe potuto prevedere che un giorno i suoi fedeli loprenderebbero a sassate? Mentivano quegli ossessi quando lo accusavanodi aver loro promesso una esistenza facile e oziosa. E in questogiustificarsi ai propri occhinel ragionamenti con cui cercava diplacare i rimorsic'era il sordo cruccio di non essersi mostratoall'altezza del compitol'incertezza che sempre lo tormentavadell'uomo che non è sicuro del fatto suo.

Si sentiva senza più coraggioormai staccato col cuore dai compagni;di essi aveva anzi pauradi quella folla cieca e irresistibile cheincurante di regole e teoriesi scatena spazzando via ogni cosa comeuna forza di natura. Ad allontanarlo ogni giorno più da essasino afargli provare una vera ripugnanzaera stata la sua educazionel'affinarsi dei suoi gustil'aspirazione di tutto il suo essere a unaclasse superioreUn subisso di applausi soverchiò la voce dell'oratore:

-EvvivaRasseneur! Bravobravo! Lui sì che parla bene!

Già la folla si disperdeval'oste chiuse la porta; e i due uomini siguardarono in silenzio. Ebbero ambedue un'alzata di spalle; e finironoper bere insieme una birra.Quello stesso giorno si dava alla Piolaine un grande pranzo perfesteggiare il fidanzamento di Négrel con Cecilia. Dal giorno prima iGrégoire avevano fatto dare la cera in sala da pranzo e mettere inordine il salotto. Melania regnava in cucinasorvegliava gli arrostirimestava gli intingoli: un odore appetitoso riempiva la casa. Francesco il cocchiere aiuterebbe Onorina a servire; il giardinierericeverebbe i convitati al cancellosua moglie rigovernerebbe. Maiuna festa di gala come quella aveva messo sossopra la grande casapatriarcale.

Tutto andò come meglio non si poteva desiderare. La Hennebeau fuincantevole con Cecilia; e sorrise a Négrelquando il notaiogalantemente propose di brindare alla felicità della futura coppia. Némeno amabile si mostrò suo marito. La gioia che gli brillava in voltocolpì i convitati; si sussurrava cherientrato nelle grazie delladirezionestava per ottenere la Legion d'Onore per l'energia con cuiaveva saputo domare lo sciopero. Degli avvenimenti recenti si evitavadi parlarne; ma dall'allegria che regnava traspariva l'esultanza perla vittoria; e il pranzo acquistava sempre più l'aria di esserne lacelebrazione ufficiale. Finalmente si rifiatavaci si era liberatidall'incubosi ricomincerebbe a mangiare e a dormire in pace!

Un'allusione discreta venne fatta alle vittime del cui sangue eraancora fresco il fango del Voreux. Era stata però una lezionenecessaria. E tutti si commossero quando i Grégoire aggiunsero che ildovere di ciascuno era ora di recarsi nei borghi operai a medicare leferite.

I Grégoire avevano ripreso verso gli operai il loro atteggiamentobenevolo; li scusavanoi loro bravi minatori; già li vedevano infondo ai pozzi ridare il buon esempio di una secolare rassegnazione. Inotabili di Montsoupassata la tremarellaammiserobontà lorocheil problema dei salari esigeva di essere attentamente riesaminato.

All'arrostola vittoria apparì completaquando Hennebeau diedelettura d'una lettera con cui il vescovo gli annunciava iltrasferimento dell'abate Ranvier. Ma che s'era mai visto un pretetrattare i soldati di assassini? Cose dell'altro mondo! A proposito diche- si serviva la frutta - il notaio ci tenne a dichiararsirecisamente libero pensatore.

A tavola era presente Deneulin con le sue due figlie. In mezzo a tuttaquella allegriaegli si sforzava di dissimulare la propria tristezza. Era rovinato. Quella mattina appuntoaveva firmato l'atto di venditaalla Compagnia di Montsou della sua concessione di Vandame. Preso peril collos'era dovuto piegare alle esigenze dei gerenti la Società elasciare in loro mano la preda che da tanto tempo agognavanoricavandone a stento di che pagare i creditori. Aveva anziall'ultimomomentoaccettato come una manna l'offerta che essi gli avevano fattodi assumerlo come ingegnere divisionale; gli toccherebbe così disorvegliare da semplice impiegato il pozzo che aveva inghiottito ilsuo patrimonio.

Era il rintocco funebre che annunciava la morte delle piccole impreseprivatela sparizione imminente degli imprenditori in proprioassorbiti uno dopo l'altro dall'orco mai sazio del capitalesommersidalla sempre crescente marea dei grandi trusts. Lui solo pagava lespese dello sciopero; quando si brindava al nastrino di Hennebeausentiva bene che si brindava al proprio disastro. E se di esso un po'si consolavaera vedendo con quanta disinvoltura reggevano il colpole figlie; Lucia e Giannagraziosissime negli abiti rimediati allameglioridevano infattida quelle belle ragazze che eranoun po'maschie e sprezzanti del danaro.

Come si passò a prendere il caffè in salottoGrégoire prese il cuginoin disparte e lo complimentò della coraggiosa decisione.

- Che vuoi? il tuo unico torto è di aver rischiato a Vandame il titolodi Montsou. Dopo tutta la pena che ti sei presaecco che ti si èsquagliato in mano; mentre il mioche non è uscito dal mio tirettomi permetterà ancora di vivere senza fare nullacome lo permetterà aifigli dei figli dei miei figli.

 

Capitolo secondo

 

La domenicaal calar della notteStefano uscì dall'abitato. Sotto ilcielo limpidissimo occhieggiante di stellela notte aveva l'azzurratrasparenza d'un crepuscolo. Scese verso il canalene seguì l'arginelemme lemmerisalendo verso Marchiennes. Era la sua passeggiatafavorita; per due leghe un sentiero erboso correva dirittorasentel'acqua che scorreva simile a un lingotto d'argento liquefatto. Lì disolito non incontrava nessuno; per cui fu con una punta di contrarietàche questa volta si vide un uomo venire incontro. Non essendovi altraluce che quella delle stellelo riconobbe solo quando se lo trovòfaccia a faccia.

- Tohsei tu!

Souvarine scosse il capo senza rispondere.

Restarono un momento di fronte; poi si avviarono insieme versoMarchiennes; fianco a fiancoeppure lontaniisolati com'erano neiloro pensieri.

Stefano fu il primo a rompere il silenzio:- Hai visto sui giornali che successo ha avuto Pluchart a Parigi? All'uscita dall'adunanza di Belleville la folla che lo aspettava gliha fatto un'ovazione. Eccolo lanciato. Quello lì ormai arriva dovevuole.

L'altro spallucciò; esprimeva così il suo disprezzo per i beiparlatori che si dànno alla politica come si darebbero all'avvocatura:per arricchirsispacciando frasi.

Da pocoStefano s'era iniziato alla conoscenza di Darwin. In unlibretto ne aveva letto dei braniriassunti e messi alla portata ditutti; e da quella lettura mal digerita s'era fatto a modo suo un'ideadella lotta per l'esistenza: i magri che mangiano i grassiil popolosano che divora l'infrollita borghesia.

Ne accennò a Souvarine. Il russo sbottò: erano degli imbecilliisocialistiche accettavano Darwin; quell'apostolo d'una teoria checon la sua famigerata legge della selezionebuona solo per deifilosofi borghesivoleva dare una base scientifica alladiseguaglianza sociale.

L'altro insistevavoleva ragionare; e presentò sotto forma di ipotesiun dubbio che gli si era affacciato. Supponiamodisseche dellasocietà com'è ora si arrivi a fare piazza pulita. Orbene: posto che visaranno sempre i furbi e gli scemii sani e gli ammalatinon c'è datemere che la nuova società si macchi a poco a poco delle stesseingiustizie di quella che ha soppiantato? che daccapo i meno validifisicamente e intellettualmente diventino schiavi degli altri? Aquesta prospettiva che perpetuava la diseguaglianza nel mondol'altrosi ribellò: se davvero l'uomo non era in grado di realizzare lagiustizia sulla terraebbenemeglio perisse. Quante societàputrefatte esistevanotante dovevano essere spazzate viaoccorressemagari arrivare alla soppressione dell'ultimo uomo. Lo disse con tonoferoce; e tra i due ricadde il silenzio.

A lungoSouvarine seguitò a camminare a testa bassa sul margineerboso; così assorto che rasentava il filo dell'acqua col passo sicurodel sonnambulo che procede lungo un cornicione. Poiimprovvisamentecon un filo di voce:- Te l'ho raccontato- chiese- come è morta?

- Chi?

- La mia donnalassùin Russia...Stefano ebbe un gesto vago. Quella voce incrinata di commozionequell'improvviso bisogno di confidarsi non se lo aspettava dall'uomoche aveva conosciuto sin allora impassibile e come staccato da tutti eda se stesso. Di leisapeva solo che era stata la sua amante e cheera finita a Mosca impiccata.

Lo sguardo perduto sull'argentea striscia del canaletra i duecolonnati d'alte piante che la notte inazzurravaSouvarine raccontò:- L'impresa era fallita. Quattordici giorni si era rimasti appiattatiin una buca a minare la ferrovia. E invece del treno imperialeasaltare in aria fu un treno passeggeri... AlloraAnnuscia fuarrestata. Era lei che ogni sera travestita da contadina ci portava ilpane. Era stata pure lei che aveva appiccato il fuoco alla miccia... Unuomo sarebbe stato notato più facilmente... Confuso nella follahoseguìto il processo che durò ben sei giorni...Dissimulò la commozione che gli impacciava la lingua tossendo. Poi:- Due volte fui lì per gridarescavalcare chi avevo davantiraggiungerla. Ma a che pro? un uomo di meno è un soldato di meno; e iosentivo bene che lei me lo proibiva ogni volta che i suoi grandi occhisbarrati incontravano i miei... Ritossì.

- L'ultimo giornosulla piazzac'ero... Pioveva; disturbatidall'acquazzone quei buoni a niente perdevano la testa... Ventiminutiavevano impiegato per impiccare i primi quattro; la corda sispezzava; il quarto non riuscivano a finirlo... Annuscia era lì inpiedi ad aspettare. Mi cercava con gli occhi e non mi trovava. Saliisu un paracarro. Allora mi vide e i nostri occhi non si lasciaronopiù. Da morta mi guardava ancora... Ho agitato il cappello e sonopartito.

Un nuovo silenzio. La bianca scia del canale si allungava a perditad'occhio. Sull'erba che attutiva i passii due procedevano a fiancoricaduti nel loro isolamento. Laggiù all'orizzontel'acqua parevabucare il cielo d'uno spiraglio di luce.

Con voce dura Souvarine ripigliò:- Era il castigo della nostra colpa e la colpa era stata di amarci. Sìè bene che sia morta; dal suo sangue nasceranno gli eroi e il miocuore s'è purificato d'ogni viltà... Ahniente: né parentiné donnané amico! niente che mi faccia tremare la mano quando occorre prenderela vita degli altri o dare la mia!

Stefano s'arrestòpreso da un brivido che non era solo dovuto alfresco della notte. Non fece alcun commento.

- Ci si è allontanati parecchio- disse soltanto. - Vuoi chetorniamo?

E nel rimettersi lemme lemme in cammino verso il Voreuxaggiunsedopo pochi passi:

-Hai veduto il manifesto?

Alludeva ai nuovi manifesti che la Compagnia aveva fatto affiggerequel mattino. Erano redatti in tono più conciliante e più esplicito:la Compagnia s'impegnava a riprendere il libretto dei minatori cheridiscenderebbero l'indomani. Tutto sarebbe dimenticato; anche i piùcompromessi beneficerebbero del perdono.

- Sìho visto.

- Ebbeneche ne pensi?

- Ne penso... che è finita... Il gregge ridiscenderà. Siete tuttisenza spina dorsale.

Con calore Stefano difese i compagni: un uomo può essere bravounafolla che muore di fame è impotente; e siccome passo passo s'eragiunti al Voreuxlì davanti al buio agglomerato di edifici del pozzogiurò che lui non vi sarebbe ridisceso mai; ma scusava quelli che viridiscenderebbero.

A questo puntogli sovvenne d'una voce che gli era giunta: che icarpentieri non avevano avuto il tempo di riparare l'armatura delpozzo. Chiese a Souvarine se era vero che il premere del terrenocontro il rivestimento aveva fatto fare pancia alle assi al punto chenel passareuna delle gabbie vi strofinava contro per la lunghezza dioltre cinque metri. Tornato silenziosol'altro rispondeva laconico. Sìci aveva lavorato anche il giorno prima; c'era infatti un trattoin cui la gabbia raschiava contro l'armatura; lì anzi per passare sidoveva raddoppiare di velocità. Era stato fatto osservare ai capi; matutti dal primo all'ultimo rispondevano spazientiti che quel che orapremeva era estrarre carbone; in seguito si riparerebbe.

- Vedi dunque che si sfascia- mormorò Stefano. - E' quello che civorrebbe!

Gli occhi sul pozzoindistinto nell'ombral'altro placido:

-Se sisfasciai compagni ne sapranno qualcosavisto che tu li esorti aridiscendere.

Suonavano le nove al campanile di Montsou. Souvarine si accomiatòsene andava a dormire; poisenza neppure tendere la mano:

-Ebbeneaddio! - disse. - Io parto.

- Parti? come sarebbe a dire?

- Sì. Ho ritirato il libretto; vado altrove.

Tra stupito e commosso l'altro lo guardava. Era da due ore che cistava insieme e a dirglielo aspettava ora! e con quel tono! mentre aluisolo all'annuncio dell'improvvisa separazionesi stringeva ilcuore. Ci si era conosciutisi era penato insieme: l'idea di nonvedersi più fa sempre un certo effetto.

- Parti! e dove vai?

- Via. Che lo so iodove?

- Ma ti rivedrò?

- Nonon credo.

Tacquero e restarono un momento uno in faccia all'altrosenza trovarealtro da dirsi.

- Addioallora.

- Addio.

Come Stefano ebbe voltato le spalleSouvarine ridiscese sull'argine;e prese a passeggiare su e giù a capo bassoombra che si muovevaconfusa nella notte. Al lontano rintoccare delle oresi fermava inascolto. Solo quando scoccò la mezzanotte venne via e s'incamminò allavolta del Voreux.

Il pozzoa quell'oraera deserto: i forni non si riaccenderebberoche alle due. In tuttoincontrò un caposquadra che cascava dal sonno;gli disse che veniva a prendersi un vestito che aveva dimenticato.

Arrotolati nel vestito c'erano un cacciaviteuna piccola segarobustaun martello e uno scalpello. Messosi sottobraccio l'involtoanziché uscire per la baraccainfilò lo stretto corridoio checonduceva al passaggio delle scale; contandolelentamente prese ascendereal buio. Il cedimento nell'armatura s'era verificato atrecentosettantaquattro metri dalla bocca del pozzo. Arrivato in fondoalla cinquantaquattresima scala tastò la parete; faceva pancia. Allorasi accinse tranquillamente al lavoro che aveva studiato da tempo intutti i suoi particolari.

Per prima cosa attaccò con la sega un'asse della paratia e vi praticòun'apertura che lo mise in comunicazione con lo scompartimento dellegabbie. Di lìtenendosi a cavalcionial lampo di fiammiferi che viavia accendeva e subito spegnevapoté rendersi conto dello stato incui si trovava il rivestimento e delle riparazioni che ultimamentev'erano state fatte.

Nel tratto tra Calais e Valenciennes il trivellamento dei pozzi diminiera è reso quanto mai difficile da immense distese d'acqua ches'incontrano sotterraal livello delle valli più basse. Soltanto conla costruzione di armature di legnostagne come le doghe d'una bottesi riesce a contenere l'impeto delle sorgenti; a isolare il pozzo inmezzo a veri e propri laghi che ne battono le pareti coi loro fluttibui.

Nello scavo del Voreuxdi rivestimenti se n'erano dovuti costruiredue: quello superiorenelle sabbie franose e nelle argille bianchesottoposte allo strato cretaceo - tutte crepate di fenditure eimbevute di acqua come spugne; quello inferioreimmediatamente sopralo strato carboniferoin una sabbia gialla di consistenza farinosamobile come l'acqua; ed era qui che si trovava il Torrente: sorta dimare sotterraneoterrore delle miniere del nord; un mare insondabiledi cui nulla si sache ha come il nostro le sue tempeste e i suoinaufragi e rotola i suoi flutti a oltre trecento metri dal suolo.

Alla sua enorme pressionei rivestimentiper solitoresistonovalidamente. Il maggior pericolo che li minacciaè l'assestarsi deiterreni viciniscrollati dal continuo cedere e ricolmarsi deicantieri d'abbattimento sfruttati. In questi scoscendimenti di roccesi producono a volte linee di frattura chepropagandosi a poco a pocosino all'armatura del pozzofiniscono alla lunga per storcerla ecurvarla verso l'interno. Il grave pericolo è qui; che in quel puntoil rivestimento ceda e una valanga di acqua e di terra ricolmi laminiera.

Nel quinto tratto dell'armaturaSouvarine constatò una deformazioneallarmante: le tavole facevano panciaal punto che parecchie eranogià uscite dai quadri. Già dai giunti l'acqua sfuggiva in violentizampilli («spifferi» nel gergo della miniera)attraverso la stoppaincatramata che li calafatava. I carpentierinella frettas'eranolimitati a fissare agli angoli delle squadre di ferro; ma il lavoroera stato fatto così alla carlona che nemmeno tutte le viti eranostate messe. Non c'era dubbiodietro l'armaturasi stava producendonelle sabbie del Torrente un movimento preoccupante. Bastava dunqueallentare le viti: un'ulteriore spinta del terreno avrebbe fattosaltare tutte le squadre.

Souvarine non esitò un istante. Era un lavoro d'una temerarietà folle.

Venti volte rischiò di perdere l'equilibriodi fare un salto dicentottanta metri. Aveva dovuto afferrarsi ai panconi di guida dellegabbie; esospeso nel vuotocamminava lungo le traverse cheaeguali distanzeli congiungevano. Si lasciava scivolare dall'unaall'altra; e ora si sedevaora si rovesciava all'indietroora siprotendeva in avantiin un tranquillo sprezzo della morte; non avendospesso per punto d'appoggio che un gomito o un ginocchio. Un soffiosarebbe bastato a farlo precipitare. Tre voltesenza un brividofeceappena a tempo ad afferrarsi. Primatastava con la mano; quindisvitava. E quando non si orientava più in mezzo a quel groviglio ditravi scivolosesolo allora ricorreva ad un fiammifero.

Allentate che ebbe le vitiattaccò le assi; e il rischio crebbe. Individuata quella che tratteneva le altre - l'asse chiavedell'armatura - contro di essa si accanì. La foravala segavalariduceva di spessorein tutti i modi la indeboliva; mentreattraverso i buchi e le spaccaturel'acqua schizzava accecandoloinzuppandolo lo intirizziva. Due fiammiferi non s'accesero; gli altrisi bagnarono. Intorno a luifu il buio compattola notte senzafondo.

Allora una specie di furore lo prese; ubriacato dall'orrore di quelletenebre che l'acqua flagellava a dirottos'abbandonò a un'orgia didistruzione. Prese a menare intornodove arrivavanocolpi allacieca; accanendosi col martellola segail cacciavite contro ilrivestimentocome fosse impaziente di sentirselo crollare sul capo. Ein quel corpo a corpo metteva la ferocia con cui avrebbe sventrato acoltellate un nemico che cercasse. Ahavere finalmente ragione diquel mostro dalle fauci sempre spalancate che s'impinguava ogni giornodi carne umana e non ne era mai sazio! Maneggiati all'impazzatagliattrezzi mordevano il legno; mentre lui strisciava sulle travaturesalivascendevasi spenzolavaconservando l'equilibrio permiracolo; in un frenetico agitarsisimile allo svolazzare d'unpipistrello nell'armatura d'una cella campanaria.

Finché... Così conservava il controllo dei suoi nervi? D'avere cedutoalla stizzad'essersi lasciato travolgere da quella ventata difolliaprovò rossore. Si fermò; si riprese. Erifiatato che ebbetornò nel passaggio delle scalerimise a posto l'asse segatachiusedi nuovo la paratia. Il guasto recato era più che sufficiente; unomaggiore avrebbe gettato l'allarmefatto correre ai ripari. Prima diseraferita mortalmente al ventrela belva rantolerebbe; e ilmarchio che le troverebbero impresso nelle carni direbbe al mondo chenon era perita di morte naturale.

Arrotolati di nuovo con cura gli attrezzi nel vestitoSouvarinerisalì a tutto suo agio le scale. Senza aver incontrato nessunositrovò fuori che suonavano le tre. Di andare a cambiarsinon gli passòneppure per la testa; si piantò sulla strada in attesa.A quella stessa oranel buio silenzio della cameraStefanogiàsveglio anche luiavvertiva un lieve rumore. Si rizzò sul gomito inascolto. Nulla; solo il russare di Bonnemort e della Maheuil calmorespiro dei bambini e il sibilo chelì al suo fiancoemettevaGianlino.

S'era certo ingannato; e il giovane si ributtava sottoquando ilrumore si ripeté. Era lo scricchiolio d'un pagliericcio; qualcuno chesi alzavacercando di non farsi udire. Caterina; che si sentissemale?

- Sei tuCaterina? cos'hai? - chiese sommessamente.

Non venne risposta; e per un po' più nessuno si mosse. Poinuovoscricchiolio. Sicuro questa volta di non essersi ingannatoStefanoscese eprotendendo le manimosse verso il letto vicino. Le maniincontrarono Caterina; seduta sulla sponda del lettola ragazzatratteneva il fiato.

- Ebbeneperché non rispondi? che fai?

- Mi alzo- quella finì per dire.

Luistupito:

-A quest'ora?

- Sì: torno al lavoro.

Il giovane provò una stretta al cuorele si sedette accanto. Laragazza sottovoce:

- Non posso più seguitare così. Mi pesa troppovivere con le mani in mano. Non mi sento addosso che sguardi dirimprovero. Preferisco affrontare i maltrattamenti di Chaval. Se diquello che guadagnerò mia madre non vorrà saperneebbenesonoabbastanza grande per cuocermi la minestra da me. Lasciamiora mivesto. E non dire nientesaise non mi vuoi male!

Ma Stefano restava lì. A farle sentire la pena e la pietà che glifaceval'aveva allacciata alla vita. Stretti uno contro l'altra sullasponda del lettoavvertirono attraverso la camicia il calore dei lorocorpi. Nella ragazza il primo impulso era stato di sciogliersi daquell'abbraccio; ma poimettendosi sommessamente a piangeregliaveva passato il braccio intorno al collo e lo aveva attirato a sé inuna stretta disperata.

Restarono un po' cosìa pensare ciascuno al loro amore infelicerimasto inappagato. Tutto dunque fra loro era per sempre finito? neanche ora che erano liberiavrebbero il coraggio di amarsi? Eppurea dissipare il reciproco ritegnoil disagio che li dividevacausatoda ogni sorta di idee nelle quali neppure essi leggevano chiarounpo' di gioia sarebbe bastata!

- Torna a letto- sussurrò lei. - Non voglio accendere; se nomiamadre si sveglia. E' ora che vada... lasciami!

Senza ascoltarlalui la stringeva perdutamente a séil cuoreoppresso da un'atroce tristezza. L'invincibile bisogno di un po' difelicità lo invadeva. Si vedeva lui e lei sposi in una casetta pulitasenza più altra ambizione che quella di vivere e morire insieme. Sicontenterebbe di pane; e se di pane ve ne fosse per uno solosarebbeper Caterina. A che cercare altro? forse che la vita poteva dare dipiù?

E siccome lei:

- Lasciami- insisteva- ti prego!... - e glitoglieva le braccia dal colloStefano in un improvviso impeto ditenerezza:- Aspettache mi vesto anch'io- le bisbigliò all'orecchio. - Vengocon te!

E subitod'averlo detto lui stesso si stupì. Come maidopo avergiurato di non ridiscendere nel pozzoora di colpo vi si era deciso? così alla leggerasenza rifletterci un momentosenza pesare quelloche diceva?

Ma eccol'aveva appena pronunciata quella parolache già non provavapiù che impazienza di metterla in atto. Al suo cervello era subentratauna grande calma; tutti i suoi dubbi s'erano d'incanto dissipati. Sisentì il prigioniero che infila per caso la porta che gli restituiscela libertà; il naufrago che si trova a riva senza sapere come.

AllarmataCaterina cercò di dissuaderlo; capiva che quella decisioneil giovane la prendeva per amor suo e paventava l'accoglienza che icompagni gli farebbero. Ma lui le chiuse la bocca: la Compagniagarantiva l'impunità a chi riprendeva il lavoro; di tutto il restos'infischiava.

- Sìho decisoridiscendo... Non prolunghiamo questo colloquio chepotrebbe svegliarli e vestiamoci!

Si vestirono al buio. Leidella tenuta di lavoro checoricandosis'era messa a tiro di mano; lui d'un paio di brache e di una giaccache con mille precauzioni tolse dall'armadio.

Per non far rumore omisero di lavarsi. E già s'avviavano senza aversvegliato nessunoquando lei nell'attraversare il corridoio dovedormiva la Maheu urtò in una sedia. La madre si svegliò; di tra ilsonno:- Che è? - chiese.

Tremante la ragazza s'arrestòstringendo con forza la mano diStefano. - Sono io- lui fu pronto a rispondere. - Esco a prendereuna boccata d'aria.

- Ahsiete voi! - fece la donna; e si riaddormentò. Ma Caterina s'erapresa tanta paura che il giovane dovette spingerlaper deciderla aproseguire.

Scesi giùla ragazza fece a metà con lui d'un pane che s'eraprocurato il giorno prima per aver qualcosa da portarsi al pozzo; efinalmente in stradai due pian piano si chiusero dietro la porta.Souvarine non s'era mosso di dov'era; piantato davanti al Risparmioguardava passare i minatori checol sordo scalpiccio d'un greggeritornavano al lavoro. Li contava come il macellaio i capi di bestiameche entrano al mattatoio. Quanti ne passavano! Pure nel suopessimismoche i codardi fossero tantiSouvarine non l'avevaprevisto. E a quell'incessante sfilareil russo s'irrigidiva semprepiù nella sua indifferenza; i denti strettilo sguardo tagliente. Maa un tratto ebbe un trasalimento. Senza discernere il visouno neaveva riconosciuto all'andatura. Gli mosse incontrolo fermò.

- Dove vai?

Invece di rispondergliStefano interdetto:

-Toh- balbettò- nonsei dunque partito?

Solo all'insistenza dell'altro confessò che tornava al lavoro. E'veroancora un momento prima gli aveva giurato che non vi tornerebbe. Senonché come si poteva vivere senza fare nientenel miraggio d'unsogno che si avvererebbe sì o no fra cent'anni? E poi c'erano deimotivi personaliche lo avevano deciso.

Souvarine l'ascoltòdominandosi a stento; poiafferrandolo per lespalle e ricacciandolo verso il baraccamento:- Torna a casalo vogliocapisci?

Ma mentre l'altro si ribellava protestando che delle sue azioni eragiudice lui solonella ragazza che aveva al fianco Souvarinericonobbe Caterina. Un momento i suoi occhi andarono dall'unoall'altra; poi si tirò indietroabbozzando un gesto come a dire:«Alloracome credi! »Quando ha in cuore una donnal'uomo è spacciato. In quel momentoforsecome in un lampoil russo rivide una piazza di Moscal'amanteimpiccata: l'ultimo legame col mondo che lo impacciasse e che la forcas'era incaricata per lui di recidererendendolo libero di disporredella vita degli altri e della propria.

- Va'- disse soltanto.

Messo a disagio Stefano restava lì; gli rincresceva separarsi dalcompagno in quel modo; cercava per congedarsi una parola affettuosa.

- Allorasei sempre deciso a partire?

- Sì.

- Ebbenedammi la manomio caro. Felice viaggio e non serbarmirancore.

L'altro gli tese senza effusione la mano: né donna né amico.

- Addiodavverostavolta.

- Addio.

E Souvarinefermo al bivioseguì con lo sguardo i due che entravanoal Voreux

 

 

Capitolo terzo

 

Alle quattro la discesa cominciò. Danseartche aveva preso nellalampisteria il posto del marcatempoiscriveva ogni operaio che sipresentasse e gli faceva consegnare la lampada. Assumeva tuttiinconformità alla promessa del manifestosenza muovere osservazioni. Quando però vide presentarsi allo sportello Stefano con Caterinaebbeun sobbalzo; epaonazzo in visogià apriva bocca per rifiutarsi diiscriverli; madominandosisi contentò di ghignare trionfante: ahdunque anche il capintestal'intransigente tra gli intransigentisiconfessava vinto! Non si stava poi tanto malesi vedecon laCompagniase il più implacabile dei suoi nemici tornava a chiederledel pane!...Stefano incassò in silenzio; epresa la lampadasalì con la ragazzaal pozzo. Era lì nella ricevitoriache Caterina paventaval'accoglienza dei compagni. Nel gruppo di minatori che vi si trovavain attesa d'imbarco scorse sin dalla soglia Chaval. Già questi le siprecipitava controquando la vista di Stefano lo arrestò. Affettandoun riso di schernoebbe allora una scrollata di spalle: ahbenissimo! lui se ne infischiava della ragazzadal momento che c'eraun altro che occupava presso di lei il suo posto ancora caldo! Affarsuose al signore piacevano gli avanzi; per lui anziun impiccio dimeno. Ostentazione di sprezzo che lo sguardo smentiva e sotto la qualedissimulava la furibonda gelosia che lo mordeva. Gli altrisenzaavere neanche l'aria di vederlirestarono a capo basso in silenzio. Lanciata al più un'occhiata alla coppiaabbattuti e senzarisentimentotornarono a fissare la bocca del pozzola lampada inmanotremando sotto la tuta di tela alle correnti d'aria dellostanzone.

Finalmente la gabbia aggallòvenne l'ordine d'imbarcarsi. Stefano eCaterina trovarono posto alla meglio in una berlina dov'erano giàPierron e due staccatori. In quella accantoora Chavalad alta voceper farsi sentirelamentava che la Compagnia non aveva profittatodell'occasione per sbarazzare dei fannulloni la miniera; ma il vecchioMouqueal quale si rivolgevaricaduto nella rassegnazione di sempree già dimentico della perdita dei figlisi stringeva nelle spallecome a dire: «lascia andare!» La gabbia filò nel buio. Nessunoparlava.

Ma a due terzi del tragitto vi fu uno strofinìo pauroso. Tra unoscricchiolare di ferramei passeggeri furono gettati uno control'altro. - Accidenti! - Stefano brontolò. - Vogliono farci inpoltiglia! Finiremo col restarci tuttiin grazia al loro maledettorivestimento. E poi dicono che l'hanno riparato!

Superato l'ostacoloora la gabbia scendeva sotto un acquazzone cosìdirotto che gli orecchi si tendevano inquieti. Evidentementes'eraaperta nei giunti una quantità di falle. Pierroninterrogatodissimulò la sua apprensione; manifestarlapoteva metterlo in cattivaluce presso i superiori; non per niente da parecchi giorni lui avevaripreso servizio. - Ohnon c'è nessun pericolo. E' da tanto che ècosì! Certo che di tappare tutti gli spifferi non c'è stato il tempo.

Sulle loro teste il fracasso cresceva; arrivarono all'ultimo piano dicarico sotto un vero torrente. Non un sorvegliante s'era preso la penadi salire per il passaggio delle scale a vedere come stavano le cose. Per quel giorno la pompa basterebbe; nella notte i carpentieriverificherebbero i giunti.

Nelle gallerieil lavoro stentava a riorganizzarsi. Non c'era per orada pensare a riprendere l'estrazione. Négrel aveva deciso cheper iprimi cinque giornitutti gli uomini disponibili venissero impiegatinei lavori di riattamento. Dappertutto minacciavano frane; i cunicolie i camminamenti avevano talmente sofferto che occorreva anzituttoriparare i rivestimenti; e questo per centinaia di metri. Sicostituirono quindi delle squadre di dieci uomini ciascuna; esottola direzione d'un sorvegliantevennero impiegate nei punti piùdanneggiati.

A discesa finitarisultò che trecentoventidue operai avevano ripresoil lavoro: circa la metà dell'intera maestranza. A completare ildrappello di cui facevano parte Stefano e Caterina venne assegnatoproprio Chavalné fu un caso: intrufolatosi in coda agli altriChaval all'ultimo momento aveva forzato la mano al caposquadra. Limandarono in fondo alla galleria nordtre chilometri quasi di stradaa sgombrare un camminamento della vena Diciotto Polliciostruito dauna frana. Si mise mano alla pala e alla zappa. StefanoChaval ecinque altri attendevano al lavoro di sgombromentre Caterina e duemanovali caricavano e spingevano lo sterro al piano inclinato. Sottola continua sorveglianza del caposquadranessuno quasi parlava; maquesto non tolse che per poco i due rivali non venissero alle mani.

Pur borbottando che di una sgualdrina come lei non voleva più saperneChaval importunava Caterinale dava non visto degli urtoni; al puntoche Stefano dovette minacciarlo d'una lezione se non finiva dimolestarla. Già i due uomini si mangiavano con gli occhi; bisognòsepararli.

Verso le otto passò Danseart. Era di pessimo umore e lo sfogò sulcaposquadra: così non andavaoccorreva armare via via che sisgombrava; a quel modo lì non si combinava nulla! Se ne andòannunciando che tornerebbe con l'ingegnere (era dall'alba che loaspettava e non capiva come mai tardasse tanto).

Un'altra ora trascorse. Sospeso il lavoro di sgomberoil caposquadraaveva messo tutti a puntellare; compresa Caterina e i due manovali chepreparavano e portavano sul posto il legname occorrente.

In quel fondo di galleria la squadra costituiva si può dire un postoavanzatoconfinata com'era all'estremità della miniera e tagliatafuori da ogni comunicazione con gli altri cantieri. Strani rumorilontani scalpiccii di gente che correva li fecerosìdue o tre voltevolgere il capo: che stava accadendo? si sarebbe detto che le visceredella miniera si vuotasseroche già i compagni risalissero; e a passodi corsa. Ma subito dopo il silenzio si ristabiliva; ed essi sirimettevano a puntellare tra un battere di mazze che intronava leorecchie; e al quale col riprendere del lavoro di sgomberoprestos'aggiunse il fragore del traino. Quand'ecco Caterinadi ritorno dalprimo viaggioannunciare atterrita che al piano inclinato non c'erapiù anima viva.

- Ho chiamato e nessuno m'ha risposto. Sono scappati tutti.

La notizia fece una tale impressione che tutti buttarono gli attrezzie si misero di corsa: l'idea di trovarsi soli abbandonati in fondo alpozzolontanissimi dal piano di caricometteva le ali ai piedi. Conla sola lampada in manocorrevano in fila indiana. Lo stessocaposquadra perdeva la testa; lanciava appellisempre più allarmatodal silenzio che gli rispondevadal trovare sul suo cammino tutte legallerie deserte.

Che stava succedendoperché non si incontrasse un'anima? perché ilpozzo si fosse vuotato così di colpo? L'incertezza del pericolo checorrevanodella minaccia che incombeva sul loro caponon faceva cheaccrescere il panico. E stavano già per sboccare sul piano di caricoquand'ecco un torrente sbarrare loro la strada. Ebbero subito l'acquaal ginocchio; dovettero rallentarefendere a fatica il fluttocolpensiero che un minuto di ritardo poteva significare la morte.

- Maledizione! è il rivestimento che ha mollato! - Stefano gridò. - Lodicevo io!

Da quando aveva preso servizioPierron vedeva con crescenteinquietudine l'acqua cadere dal pozzo con violenza sempre maggiore.

Pur attendendo con gli altri due al carico delle berlinealzava ognipoco gli occhi a quella cascata che gli intronava gli orecchisporgendosi sino a farsi innaffiare. Ma la sua apprensione si cambiòin sgomento quando notò che ai suoi piedi il pozzetto di scaricosebbene profondo dieci metrisi riempiva; già l'acqua ne traboccavadilagava sul pavimento di ghisa: la pompa dunque non bastava più. Lasi udiva infatti anfanare con un singulto di fatica. Allora avvertìDanseart chesagrandorispose che bisognava aspettare l'arrivodell'ingegnere. Due volte Pierron tornò alla carica senza tirare altrodal belga esasperato che delle scrollate di spalle: ebbenese l'acquasalivache ci poteva fare lui?

Nel passare davanti al pozzoBattagliaallo scroscio dell'acquasiimpennò: Mouque dovette trattenerlo a due mani: allungando il collo indirezione del pozzoil vecchio cavallo nitriva di spavento.

- Chehai? di che ti prendi paura? ahperché piove! Vieni vianon è cosache ti riguardi -. Ma lo stalliere ebbe a penare per condurlo altraino; dagli zoccoli alle orecchie l'animale era tutto un tremito.

I due erano appena spariti in fondo a una galleriache lassù nelpozzo si produsse un sinistro scricchiolioseguìto dal fracasso diqualcosa che cadeva: una tavola di quercia del rivestimento s'eraschiantata e rimbalzava contro le paretiprecipitando da centottantametri di altezza. Fracassò una berlina vuota; i tre addetti al caricoavevano fatto appena in tempo a scansarsi. Al tempo stesso una massad'acqua s'abbatteva giù con la violenza d'un torrente al cadere d'unadiga.

Allora Danseart si decise; ma s'era appena avviato per andare avedereche un altro pezzo dell'armatura crollava. Davantiall'evidenza del disastrospaventatodiede l'ordine di risalire espedì i capisquadra nei cantieri e dare l'allarme.

Allora cominciò un fuggi fuggi pauroso da tutte le gallerie allavolta; file di operai arrivavano di corsasi lanciavano all'assaltodelle gabbie. Si schiacciavanosi massacravano per imbarcarsi. Alcuniche si erano lanciati su per il budello delle scale dovetteroridiscendere: il passaggio era già ostruito. Al partire di ogni gabbiala folla che restava a terra s'abbandonava a scene di panico e didisperazione: chi poteva dire se la gabbia seguente passerebbe ancora? Lassù infatti il rivestimento seguitava a sfasciarsi; sordi schiantisi susseguivano senza interruzione - assi rovinavano giù tra unfragoroso crescente diluviare. Una delle gabbie ebbe il tettosfondato; poi anche i panconi sui quali scorreva si ruppero. L'altraincontrava tale resistenza che lo sforzo che faceva per passareminacciava di spezzare il cavo. E in attesa di risalire c'era ancoraun centinaio d'uomini. Inzuppatiferitirantolanti si aggrapparonoalla gabbia superstite. Due li accoppò la caduta d'una trave; un terzoche si era appeso sotto la gabbiaprecipitò da una cinquantina dimetri e sparì nello smaltitoio.

Inutilmente Danseart cercava d'imporsi: armato di una piccozza daminatoreminacciava di servirsene contro chi non gli obbedisses'adoprava per mettere ordineintimava agli addetti al carico diattendere a imbarcarsi quando tutti gli altri si fossero messi insalvo. Nessuno gli badava.

Riacchiappato Pierronche livido di paura aveva tentato di risaliretra i primiora da ogni nuova gabbia in partenza lo teneva lontano aceffoni. Adesso però chetra il diluviare dell'acquala micidialepioggia dei rottami mostravainfittendosiche tutta l'armatura sistava rapidamente sfasciandoe un minuto di ritardo potevasignificare la morteanche lui aveva perduto il dominio dei proprinervila mascella gli ballava. E dalle gallerie sbucavano ancoraoperai quandosopraffatto dal panicoanche lui saltò su una berlinaimmediatamente imitato da Pierron. La gabbia risalì.

Proprio in quel mentre la squadra di Stefano sbucava sul piano dicarico. Vedendo la gabbia risalire si precipitarono: ma dovetteroretrocedere: in un ultimo crollo il rivestimento si sfasciavailpozzo si ostruivala gabbia non ridiscenderebbe più. CaterinasinghiozzavaChaval proruppe in bestemmie: si era in una ventinapossibile che quei porci di capi li abbandonassero così?

Babbo Mouque che del suo solito passo stava riconducendo Battagliaera ancora lì che lo teneva per la briglia; e tutti e dueil vecchioe la bestiaassistevano stupefatti al rapido crescere della piena. Già l'acqua arrivava alla coscia. Stefanoche non riusciva adisserrare i dentisollevò la ragazza tra le braccia. E tuttirestavano col viso in aria a guardare inebetiti il nero buco chefranava vomitando un fiumequasi ancora attendessero di lì unsoccorso che non poteva più venire.

Sbarcando alla luceDanseart vide Négrel che arrivava di corsa (afarlo appostaquel mattino la Hennebeau l'aveva trattenuto con sé incamera a sfogliare dei cataloghiper la scelta del corredo. Eranoormai le dieci).

- Ebbeneche diavolo mai succede? - gridò di lontano.

- Il pozzo che rovina! - E il sorvegliantebalbettandolo mise alcorrente. Incredulol'ingegnere spallucciava: andiamo! che l'armaturad'un pozzo poteva sfasciarsi così facilmente? certo si esagerava!

- Non è mica rimasto dentro qualcunovero?

Danseart si turbò. Nonessuno. Lo speravaalmeno. Qualcuno peròpoteva non aver fatto a tempo...

- Come! perdìo! Perché allora voi siete uscito? Non si abbandonano ipropri uomini! - Ordinò che si verificasse il numero delle lampade:risultò chedelle trecentoventidue distribuite il mattinosoloduecentocinquantadue erano state riconsegnate; senonché parecchiconfessavano chenello scompigliola loro l'avevano perduta. Sicercò di procedere all'appello; ma neanche così si riuscì a stabilirecon esattezza il numero dei mancantigli scampati non erano più tuttipresenti e anche fra i presenti ce n'erano chenello stato di panicoin cui si trovavanonon udivano il loro nome. Quanti mancavano? nessuno era in grado di dirlo: forse ventiforse quaranta. Una cosaera certa: che in fondo al pozzo ne erano rimasti: spenzolandosisull'imboccaturasi distingueva tra il fragore delle acque e quellodelle franeil loro urlo.

Per prima cosaNégrel mandò in cerca di Hennebeau e fece chiudere laminiera; provvedimento tardivo: i minatori chein preda al terroreerano corsi a casaavevano ormai gettato l'allarme nel borgo operaioe branchi di donnedi vecchi e di bambini già affluivano in predaalla disperazione. Si rese necessario stendere intorno al pozzo uncordone di sorveglianti chetenendo la folla a badale impedisse diintralciare l'opera di salvataggio. Molti degli scampati erano ancoralì in tenuta di lavoro che fissavano istupiditi la bocca del nerobudello in cui per poco non avevano trovato la morte. Intorno ad essidonne sgomente si pigiavanoassillandoli di domandesupplicandoli didir loro i nomi dei rimasti nel pozzo: c'era il tale? il talaltro? Equelliscossi da brividicon gesti di mentecatti che tentano discacciare da sé l'atroce visione che li ossessionarispondevanobalbettando di non poter diredi non sapere. La folla cresceva avista d'occhio; dappertutto s'alzavano lamenti mentre lassù sulterrapienoseduto per terra nella garitta di Bonnemortun uomoSouvarineseguiva con gli occhi la scena.

Négrel che passavaalle donne che con voce strozzata dai singhiozzigridavano:

-I nomi! i nomi! - Appena li sapremo- promise- liaffiggeremo. Ma nulla è perdutoli salveremo tutti. Scendo io nelpozzo -. Infatticon tranquillo sprezzo del pericolol'ingegnere sidisponeva a calarsi.

Ordinato di sganciare la gabbiaNégrel vi aveva fatto sostituireall'estremità del cavo una capace tinozza; e nella previsione chel'acqua gli spegnesse la lampadaun'altra ne aveva fatto appenderesotto la tinozzaa riparo di essa.

Lo aiutavano nei preparativi capisquadra tremantisul cui viso sileggeva il terrore.

- VoiDanseartverrete con me- disse secco; ma vedendo quellovacillare e sbiancarsilo respinse sprezzante:

-Nono; ho bell'ecapito; mi sareste solo d'impiccio. Meglio solo.

Già lui era entrato nella tinozza che oscillava all'estremità delcavoin una mano teneva la lampadastringeva con l'altra la corda disegnale. - Calami. Adagio! - gridò lui stesso al macchinista. Il cavosi svolse e l'uomo sparì nell'abissodonde seguitava a salirestraziante l'urlo dei disgraziati.

In bilico nel vuotoNégrel si rigiravafaceva cadere sulla paretetutto intorno la luce della lampada. Lì in altoil rivestimento eraintatto; se anche lì trapelava acqua dai giuntiera in così pocaquantità che la lampada non ne soffriva. Ma a trecento metricomecioè fu giunto al rivestimento inferioreeccolacome aveva previstospegnersi di colpo; mentre la tinozza si colmava d'acqua. A farglilucenon restava più che la lampada appesa sotto i suoi piedi.

Alloradavanti alla gravità del disastrol'ingegnereper quantocoraggiososi sentì correre un brivido per la schiena: dell'armaturanon restava più che qualche tavola: le altre s'erano inabissatedivellendo con sé le cornici. Dietronella pareteenormi vuoti siandavano scavando; e da quei varchi le sabbie gialle sgorgavano inmassasimili a valanghe di farina; mentre il Torrente scaricava lesue acque con la violenza d'un fiume che ha rotto le dighe. Appeso aun filo in mezzo a quel crescente sfasciarsi del pozzoseguitò ascendere; roteando insieme alla tinozzacosì poco rischiarato dallastellina rossa che lo precedeva nel buioche sotto di sé credeva diintravedere a una grande distanza strade e crocicchi d'una cittàdistrutta; ed era solo il gioco di specchi delle grandi ombre che simuovevano. A porre riparo al disastro non c'era più da pensare; tuttociò che si poteva ancora tentare era il salvataggio degli uomini inpericolo. Fin qui l'urlo che saliva dal fondo gli era giuntoall'orecchio sempre più distinto; ma scendere oltre ora non si poteva:un ostacolo insormontabile sbarrava il pozzo: un cumulo di materialedove le paratie squarciatei panconi di guida infrantis'accavallavano alla rinfusa con le condutture divelte della pompa dieduzione. E Négrel stava contemplando col cuore stretto quellosfaceloquand'ecco l'urlo cessare. Certoricacciatidall'inondazionei disgraziati avevano cercato scampo nelle gallerieseppure il rapido crescere della piena non aveva già chiuso loro labocca.

Dovette rassegnarsi a dare il segnale che lo tirassero su. Maa uncerto punto fece arrestare di nuovo: d'un disastro così fulmineo nonsi spiegava la causa. Volendo rendersi contoesaminò le poche tavoleche tenevano ancora: in essenel discendereaveva notato delleintaccaturedegli squarci che lo avevano insospettito. Siccome perl'acqua che v'era entrataanche l'unica lampada agonizzavaricorsealla mano: e al tatto constatò nel legnosenza possibilitàd'equivocodei colpi di segadi trapanotutto un lavoro didemolizione. Non c'era dubbio; il disastro era stato voluto. E tastavaancora le tavoleancora non rinveniva dalla sorpresaquando in essesi produsse uno scricchiolio; e poco mancò chedivelte con le lorocornicinon travolgessero anche lui nel loro inabissarsi. La scopertalo aveva fatto allibire; all'idea che un uomo fosse stato capace ditantoraccapricciava; quasi che la presenza del malfattore appiattatogiganteggiasse ancora in quel buiosi sentì gelare da un brividosuperstizioso. Allora gridòdiede uno strappone alla corda; appena intempo del resto: pochi metri più in suil rivestimento tentennava; lastoppa sfuggiva dai giuntil'acqua ne zampillava. Ormai era questionedi ore: i resti dell'armatura cedevano; il pozzo si ricolmava.

Fuori ad aspettarlo c'era Hennebeau. - Ebbene? - chiese ansioso. Esiccomestrozzato dall'emozione l'altro restava lì zitto:

- Non èpossibileè vero? Non è mai successo!... Hai visto bene?

Négrel lo disingannò con un cenno del capo: sìera proprio il crollo.

Enon volendo dire di più in presenza dei dipendentitrasse via dilà lo zio; e solo quando furono in dispartegli confidò in unorecchio la scoperta fatta: le assi forate e segatel'attentato alpozzosgozzato e ormai rantolante. Hennebeau impallidì; e ora anchelui smorzava la voceper quell'istintivo bisogno che si ha disoffocare nel silenzio fatti d'una mostruosità che sfida la nostraimmaginazione. Megliointantonascondere il proprio sbigottimentodavanti ai dipendenti: in seguito si vedrebbe. Ed entrambi seguitavanoa parlottare sgomenti che un uomo avesse ardito calarsi nel pozzo; esospeso nel vuotomettere in cento modi la vita a repentagliopercondurre a termine una impresa così delittuosa. Era quello un eroismonel maleche non capivanocui si rifiutavano di credere a dispettodell'evidenza; così come si rifiuta credito a racconti di evasioni od'altro che superano la nostra credibilità.

Quando Hennebeau tornò sul postoa ordinare ai capisquadracon ungesto di desolata impotenzadi far evacuare la minieraglistiracchiava il viso un tic nervoso. Gli operai s'allontanarono insilenziovolgendosi a dare un'ultima occhiata di rimpianto aquell'agglomerato di edifici ancora in piedima già desertoche piùnulla poteva salvare. Il direttore fu l'ultimo ad abbandonareconl'ingegnerela ricevitoria; al loro apparire la folla che aspettavalì fuori in angosciosa attesali accolserinnovando ostinata ilgrido:

-I nomi! i nomi! i nomi!

A gridare c'era anche la Maheu. Alla notizia dell'accadutola donnas'era ricordata del rumore che l'aveva svegliata nella notte: certosua figlia era tornata con Stefano al pozzoe i due c'erano certorimasti. E dopo averenel primo impeto di stizzagridato che ben glistava a quei senza cuorea quei vigliacchiadesso era lì in primafila a tremare di ansietà.

La sua anzi non era più apprensione; ai discorsi che udiva intornoormai era diventata certezza. Sìsì: Caterina era rimasta dentro; eStefano pure: uno affermava d'averli visti. Il dubbio perduravariguardo agli altri: noquello lì no; il talaltropiuttosto; Chavalforse anche: col quale tuttavia un manovale assicurava d'essererisalito. La Levaque e la Pierronsebbene i loro fossero tra gliscampatinon si disperavano meno delle altre.

Uscito dal pozzo tra i primiZaccariaa dispetto della sua aria dimenimpipos'era buttato piangendo nelle braccia di Filomena e dellamadre; e dal fianco di questa non s'era più mosso; ne divideval'angoscia; rivelava ora per la sorella un attaccamento che da lui nonci si sarebbe aspettato; si rifiutava di crederla nella miniera.

- I nomi! i nomi! i nomiper amor di Dio!

All'inutile insistenza Négrel si spazientì.

- Fateli dunque tacere! - gridò ai capisquadra. - Li daremoi nomiappena li sapremo! C'è diche sbattere la testa nel muroa sentirli gridare così!

E Réquillartil vecchio pozzo di Réquillart? Due ore erano trascorsedal momento del disastroe a nessuno ancoranello scompiglioeravenuto in mente che restava quella viaper tentare un salvataggio.

L'ispirazione ne era appena venuta a Hennebeauquando si sparse lavoce che proprio di là cinque operai erano allora allora tornati allalucerisalendo le scale dell'antico passaggio di fortuna. Tra glialtri si faceva il nome di babbo Mouque. Come! il vecchio stalliereaveva dunque ripreso il lavoro? tutti se ne stupivano.

Senonché ciò che i cinque scampati riferivanonon era fatto persollevare gli animi: ben quindici compagni non avevano potutoseguirlisperduti o tagliati fuori dalle frane; né c'era speranza disalvarliperché a Réquillart l'acqua raggiungeva già i dieci metri. Dei quindici si davano i nomi; e a ogni nome gridato erano scene didisperazione che scoppiavano nella folla.

- Fateli dunque tacere! - ripeté furente Négrel. - Esoprattuttochesi portino indietro d'un buon centinaio di metri! Indietroindietro! E' pericoloso stare qui!

Per farli arretrarei capisquadra dovettero battersi. Perché li siscacciava? per impedire che vedessero i morti? Immaginando nuovi guaila folla riluttava a obbedire. Bisognò spiegarle che tutta la minierarischiava d'essere inghiottita dal crollo del pozzo: allora sirassegnaronoma ce ne volle; e siccomequasi calamitatitendevano ariavanzareil cordone che li arginava dovette essere raddoppiato.

Già un migliaio di persone si pigiava tumultuando sulla strada; e datutti i borghi dei dintornie persino da Montsouaccorreva gente avedere; mentre lassù sul terrapienoper ingannare l'attesaSouvarineseguitava a fumare imperturbabilegli occhi fissi sulla miniera.

Era ormai mezzogiorno; esebbene tutti fossero digiuninessuno simuoveva. Sul grigio sporco del cielo nebbioso veleggiavano pigrenuvole color ruggine. Allarmato dalla presenza lì sotto di tuttaquella genteun grosso cane abbaiava furioso dal gioco di bocce delRisparmio. Sconfinando a poco a poco nei terreni vicinila folla sistringeva ora in cerchio a cento metri dal pozzo. Entro quel cerchioal cui centro era il Voreuxnon un'animanon un suono: il deserto. Per le porte e le finestre rimaste aperte si scorgevano gli internideserti del pari. L'unico abitanteun gatto su una scalainsospettito da quella solitudined'un balzo saltò giù e scomparve. Le caldaie dovevano stentare a spegnersiperché sbuffi di fumosfuggivano ancora dalla ciminiera; mentre in cima alla torretta labanderuola cigolava al vento e il suo stridere era l'unica malinconicavoce che usciva dal grande agglomerato d'edificicolpito a morte.

Alle due nessun crollo s'era ancora verificato. In prima filaspiccava il gruppetto dei dirigenti per i copricapi e i soprabiti cheli distinguevano dalla folla. Per quanto stanchi di stare in piedineppure essi s'allontanavano; straziati di dover assistere impotential disastrosi scambiavano rade parolesottovocecome al capezzaled'un moribondo. Improvvisi fragorischianti sotterranei di materialeche precipitavaintercalati da silenziindicavano che anche ilrivestimento superiore finiva di sfasciarsi. Era la ferita che semprepiù s'allargavail cedimento cominciato in fondo al pozzo dei terreniche s'avvicinava alla superficie. A un certo puntosopraffatto danervosismoNégrelsmanioso di rendersi conto di quel che succedevasi buttò avanti da solo; ma fu trattenuto: a che pro? Eludendo lavigilanzaun vecchio minatorespiccata la corsaraggiunse labaracca; poco dopo ricomparve: era andato a ricuperare gli zoccoli.

Suonarono le tre. Nulla ancora. Un rovescio d'acqua aveva inzuppato lafolla senza smuoverla d'un passo. Il cane di Rasseneur riprese adabbaiare. Fu solo alle tre e venti che una prima scossa si verificò. Il Voreux ne tremò; ma restò in piediindenne. Ma una seconda seguìquasi subito; nella folla le rispose un clamore: la tettoia dellacernitadopo aver oscillato due volteera crollata con spaventosofragore. Sotto l'enorme peso le armature si schiantavanosispezzavanocon un attrito che ne faceva sprizzare scintille. Daquesto momentoil terremoto divenne continuole scosse sisuccedettero senza interruzioni: franamenti sotterranei ches'accompagnavano a boati di vulcano in eruzione. Invece di latratiora il cane di Rasseneur emetteva uggiolii lamentosi; si sarebbe dettoavvertisse le scosse in anticipo; e le donnei ragazzitutta quellagente che assistevanon poteva trattenere a ciascun sobbalzounclamore d'angoscia. In meno di dieci minuti il tetto d'ardesia dellatorretta crollòe una larga breccia s'aprì nell'edificio dellaricevitoria e nel locale delle macchine. Poi ogni rumore cessò; ilcedimento ebbe una sostasi fece di nuovo un grande silenzio.

Tutta un'orail Voreux restò com'era: diroccato a metàcomedanneggiato da un bombardamento. La folla s'era istintivamente tirataindietro di qualche metro e guardava ammutolita. Sotto le armature delcapannone della cernitaammucchiatesi alla rinfusasi distinguevanole leve per il ribaltamento delle berline fracassatele tramoggesfondate e contorte. Ma soprattutto l'aspetto della ricevitoria eraimpressionanteridotta a un cumulo di macerie; tra un piovere dimattoniinteri pezzi di muro erano crollati. L'armatura in ferro cheportava le pulegge s'era piegata e spariva per metà nel pozzo; unagabbia era ancora appesa; il cavo dell'altrastrappatopenzolava suun confuso ammasso di berline fracassatedi lastre di ghisadi scalea pioli. Per contronella lampisteriarimasta miracolosamenteillesaintere file di lampade s'allineavano ancora. E in fondo allasua nicchia sventratasi vedeva la macchinaancora solidamentepiantata sulla sua base di mattoni: luccicante d'ottonicon la suamuscolatura d'acciaio che pareva indistruttibile; l'enorme biella cheripiegata in ariaevocava il possente ginocchio d'un gigantesdraiato nella placida coscienza della propria forza.

Quell'ora di treguache lasciava credere che i terreni si fosseroassestatifece nascere in Hennebeau la speranza di riuscire ancora asalvare la macchina e quel che restava in piedi degli edifici. Marifiutava ancora il permesso di accostarsi; meglio attendere un'altramezz'ora.

L'attesa divenne spasmodica; la speranza acuiva l'ansietà; a tuttibatteva il cuore. Anticipato da un nuvolo nero che invadeval'orizzonteil crepuscolo calava: sinistro tramonto su quel relittodi uno sconvolgimento tellurico. Si era fermi lì dalle sette. E giàvarcato il cordonegli ingegneri avanzavano con cautela su quellaspecie di terreno minatoquando un'ultima violenta scossa li fecearretrare di corsa; accompagnata da boati sotterraneicome da unpauroso cannoneggiamento. Le costruzioni ancora in piedi crollarono. Come travolti da un ciclone s'abbatterono per primi gli avanzi delcapannone di cernita e della ricevitoria.

A sbrecciarsia sparirefu quindi il locale delle caldaie; poi latorretta quadra in cui rantolava la pompa d'eduzioneprocombette comecolpita in pieno da un obice. Fu allora che con raccapriccio si videsul suo piedistallo la macchina vacillarespalancare le braccialottare contro la morte. Avanzòallentò la biella; come un giganteche tenta di alzarsi e non ce la fala sporse a mo' di ginocchio:stritolatasprofondò. In piedi ora non c'era più che la ciminiera;alta trenta metrioscillava alle scosse come un albero di nave nellatempesta. Ci si aspettava di vederla andare in briciolepolverizzarsi; quando tutta d'un pezzo sprofondòbevuta dalla terraliquefatta come un cero colossale; di essaalla superficienonemerse neppure più la punta del parafulmine.

Era finita: la bestia malvagianutrita di carne umanache il mattinoancora s'appiattava in agguato in quella piega del terrenoavevacessato di emettere il suo lungo respiro affannoso. Il Voreux s'erainabissato del tutto.

Urlandola folla si mise in scampo. Donne correvano tappandosi gliocchi per non vedere. Una ventata di terrore travolse gli spettatoricome una manciata di foglie secche. Loro malgradogridavano asquarciagola; agitavano le braccia alla vista dell'immenso vuoto chesimile al cratere d'un vulcanosi era spalancato sotto i loro occhi;profondo una quindicina di metris'estendeva dalla strada al canaleper una larghezza di almeno quaranta. L'intero spiazzo intorno allaminiera aveva seguito la sorte delle costruzioni: i giganteschicavallettile passerelle coi binaritutto un treno di berlinetrevagonitutto era stato inghiottito; comprese le cataste di legnascomparse come pagliuzze nel gorgo. Sul fondo non si distingueva piùche un ammasso di travidi mattonidi ferri; di blocchi di cementostritolatiaggrovigliati insiemeimbrattati di fango dalla furiadella catastrofe. E l'enorme buca seguitava ad allargarsi; crepe chepartivano dagli orlisi propagavanoirradiandosisempre più lontanoattraverso i campi. Una già minacciava l'osteria del Risparmionellacui facciata s'erano aperte delle falle. Che anche il borgo operaiocorresse il rischio d'essere inghiottito? fin dove dovevano fuggireper mettersi in scamposotto la minaccia di quel cielo di piombo chepareva anche lui abbassarsi per schiacciarli?

A Négrel sfuggì un grido di dolore; Hennebeau arretrò e si coprì conle mani la faccia. Ma qualcosa mancava ancora al disastro: un arginecedette e il canale si vuotò di colporovesciandosi in una massad'acqua schiumeggiante e ribollente in uno dei crepacci; vi sparìdentro col rombo d'una cascata nel profondo d'una valle. La minierabeveva il fiumeinondandosi per anni. Presto il cratere si riempì; euna distesa d'acqua e di fangosimile al lago sotto cui dorme unacittà maledettaoccupò il posto dove poco prima era il Voreux.

Nell'atterrito silenzio che si fecenon si udì più che il cadere diquell'acqua che sprofondava ronfando nelle viscere della terra.

Sul terrapieno anch'esso minacciatoallora Souvarine si alzò. In dueche s'avvicinavano aveva riconosciuto la Maheu e Zaccaria: madre efiglio si disperavano al pensiero degli sventurati che seppellivasotto di sé la paurosa valanga di terra. Buttato l'ultimo mozziconel'uomo s'allontanòsenza neanche darsi un'occhiata alle spallenelbuio che s'infittiva. Scemando via viala sua ombra si perse inlontananzasi confuse con la notte. Era verso l'ignoto chetranquillamente si incamminava; verso lo sterminio; a far saltaredovunque vi fosse dinamiteuomini e città.

Sarà ancora luicertoche si troverà di fronte l'agonizzanteborghesiail giorno che a ogni passo si sentirà saltare sotto i piedii lastrici delle vie

 

 

Capitolo quarto

 

La sera stessa Hennebeau era partito per Parigi; ci teneva a informaredel disastro la Compagnia prima che la notizia venisse data dallastampa. Al ritornol'indomanigià l'uomo aveva ricuperato la calmaabitualela sicurezza del direttore che nulla ha da rimproverarsi. Evidentemente era riuscito a scagionarsi d'ogni responsabilità neldisastroperché la fiducia che la Compagnia riponeva in lui nonscemò; al contrariose ventiquattr'ore dopo veniva firmato il decretoche lo insigniva della Legion d'Onore.

Ma se la posizione del direttore non se ne risentìla Compagniavacillò sotto il terribile colpo. Non già per la perdita di quei pochimilioni; sìper il terrore dell'indomaniper la quotidiana sordainquietudine in cui la teneva il fatto che uno dei suoi pozzi erastato delittuosamente fatto crollare. L'attentato al Voreux lasbigottì al puntoche ancora una volta sentì il bisogno di seppellirela cosa nel silenzio. A che pro dare pubblicità all'inqualificabilemisfatto? Ammesso che se ne scoprisse l'autoreperché farne unmartire? L'eroismo - l'incredibile eroismo di cui quell'uomo avevadato prova - non farebbe che traviare altri cervelliche partoriretutta una generazione di incendiari e di terroristi. D'altrondenellaimpossibilità di scoprire il reola Compagnia finì per credereall'esistenza di tutto un complotto; essendo inammissibile che un uomoda solo avesse trovato la forza e l'audacia di compiere un lavoro diquel genere; ed era questa la paura che la ossessionava; chel'integrità dei suoi pozzi seguitasse a essere insidiatache laminaccia che su di essi incombeva crescesse anzi di giorno in giorno.

Hennebeau ebbe l'incarico di creare intorno ai pozzi una vasta rete dispionaggioper quindi licenziare alla spicciolata e alla chetichellagli elementi sospetti di complicità nel delitto o che risultasserocomunque pericolosi. Per considerazioni di prudenza politicadiquella epurazione ci si contentò. In troncovenne licenziato soloDanseart; mantenerlo in servizio dopo lo scandalo scoppiato in casadella Pierron non si poteva; a motivovenne addotta la codardia dicui s'era macchiato abbandonando i suoi uomini. Licenziarlo era delresto dare anche una soddisfazione alle maestranze che lo esecravano. Tuttavia qualcosa della verità era trapelato nel pubblicose ladirezione si vide costretta a smentire voci che correvano; e standoalle quali a provocare il disastro sarebbe stato un barile di polveremesso nel pozzo dagli scioperanti. Intanto una sommaria inchiesta delgoverno s'era conclusa con una relazione che attribuiva il crollo delpozzo a un cedimento dell'armaturadeterminato dalla pressione delterreno. Era accusare di incuria e di scarsa sorveglianza laCompagnia; ma questa aveva preferito non ribattere.

Nella stampa della capitalegià al terzo giorno il disastro diMontsou era stato relegato tra i fatti di cronaca; e anche lì non siparlava più che delle vittime rimaste in fondo al pozzo; le notizieche su di esse giornalmente si davanovenivano lette avidamente.

A Montsoubastava nominare il Voreux per vedere i borghesiimpallidire e restare interdetti; una leggenda si andava formando chei più coraggiosi esitavano a confidarsi all'orecchio. L'interapopolazione manifestava sentimenti di viva pietà per le vittime; siorganizzavano passeggiate alla miniera distrutta; famiglie al completoaccorrevano a gustare l'orrore delle rovinecosì grevi sul capo deimiseri che vi erano sotto sepolti.

Deneulinnominato proprio ora ingegnere divisionalesi trovò a doverfar fronte a ogni sorta di difficoltà. Sua prima curafu di arginareil canale; visto che il torrente che ne dilagava aggravava d'ora inora il disastro. Impresa che non si presentava facile; per cominciareun centinaio di operaili adibì anzitutto alla erezione d'una diga;due volte l'impeto della corrente travolse le prime opere disbarramento. Vennero quindi messe in opera le pompe e cominciò unalotta accanita per riconquistare palmo a palmo i terreni inghiottiti. Ma più ancora appassionava il salvataggio dei dispersi. Incaricato diquesto era Négrel; disperato tentativo al quale non si poteva diremancassero le braccia. In un commovente slancio di solidarietàtuttivenivano a offrire spontaneamente la loro opera. Dimentichi delloscioperonon chiedevano neppure quale compenso riceverebbero; anchegratuitamentesi dicevano pronti a rischiare la pelledal momentoche era in pericolo quella dei loro compagni. Tutti erano lì pronticoi loro attrezziimpazienti di sapere in che punto mettere mano. Molti anche fisicamente menomati dalla brutta avventura alla qualeerano scampati- affetti da tremiti nervosida sudori freddiossessionati da incubi - si presentavano lo stesso; e si mostravanoanzi più ancora degli altri risoluti a battersi con la terraquasichéavessero una rivincita da prendersi. Senonché era qui che cominciavanole difficoltà: da che parte attaccare? da dove iniziare uno scavo cheavesse probabilità di successo?

PersonalmenteNégrel riteneva che non uno dei disgraziati fosseancora in vita; o per asfissia o per annegamentotutti e quindicisecondo luierano a quest'ora periti. Ma nei crolli delle miniere èdi regola supporre in vita gli uomini rimastivi; ed era perciò daquesta ipotesi che lui partiva. Il primo quesito che gli si ponevaera dedurrein base ai dati a sua conoscenzain quale parte dellaminiera i superstiti potessero essersi rifugiati. Su un punto icapisquadra e i vecchi minatori consultati erano d'accordo: davantiall'inondazionei compagni erano certo risaliti di galleria ingalleria; per cui si trovavano senza dubbio sequestrati in fondo aqualcuno dei camminamenti più alti. Ipotesi che suffragava del restola testimonianza del vecchio Mouque; dal cui confuso raccontorisultava anzi probabile chenello scompiglio della fugala banda sifosse spicciolata per via e disseminata un po' a tutti i ripiani. Maquando si veniva a discutere di ciò che si poteva tentare per ilsalvataggioi pareri divergevano. Dato che le gallerie più vicinealla superficie erano sempre a centocinquanta metri di profonditàperraggiungerlesarebbe occorso scavare un pozzo: impresa alla quale nonc'era nemmeno da pensare. Restava Réquillart: l'unica via d'accessoche vi portasse vicino. Il guaio era che l'antico pozzoanch'essoinondatonon era più in comunicazione col Voreux; e che emergessesopra il livello delle acque non restava di esso che qualche tronco digallerie dipendenti dal primo piano di carico. Il prosciugamentorichiedendo anniil meglio che si poteva fare era perciò visitarequelle gallerieper vedere se qualcuna si spingesse in prossimitàdelle gallerie sommersein fondo alle quali si supponevano rifugiatii minatori in pericolo. Conclusione logicamente accettabile; perarrivare alla quale s'era prima dovuto scartare un gran numero diprogettipraticamente inattuabili.

Négrel cercò allora tra la polvere degli archivi i piani dei duepozzi; li studiò e determinò i punti dai qualicon qualche speranzasi potevano iniziare le ricerche. Al disperato tentativol'ingegneres'andava appassionandopreso anche lui da una febbre di solidarietàumananonostante l'ironica indifferenza per tutto che era nel suotemperamento.

A Réquillartle prime difficoltà si incontrarono per penetrarvi:bisognò liberare l'entrata del pozzo dalla vegetazione che l'avevaostruita: abbattere il sorboradere al suolo i prugnoli e ilbiancospino; quindi riparare le scale a pioli. Dopodichél'ingegnerepoté calarsi e iniziare in quel buio le ricerche. Ai dieci operai cheaveva preso con séfaceva battere qua e là la roccia nei punti cheegli designava; battuto che aveval'operaio appoggiava alla roccial'orecchio per udire se ai suoi colpi qualcuno rispondeva. Ma tutte legallerie praticabili furono visitate senza che alcun suono giungessein risposta. L'incertezza si accrebbe: in che punto iniziare unoscavoin che direzione procedere se di là della roccia non giungevasegno di vita? Eppure in un crescendo d'ansietà ci si ostinava acercare.

Tutte le mattine adesso la Maheu arrivava a Réquillart; si sedeva suuna trave davanti al pozzo e di lì non si muoveva sino a sera. A ognioperaio che uscivasi alzavalo interrogava con lo sguardo: niente? Noniente. Allora si risedevasi rimetteva ad attendere; senza unaparolail viso durosigillato.

Stanato dal suo rifugioGianlino aveva girellato nei dintorni conl'aria inquieta di chi si sente la coscienza sporca. Pensava alsoldatino che dormiva sotto le rocce e temeva che quelle ricerchefinissero per turbarne il sonno provvidenziale; ma la parte dellaminiera dove il soldato giaceva era sott'acqua; e poi gli scavi sifacevano più a sinistranella galleria di ponente. Sul principioanche Filomena s'era mostrataper accompagnare Zaccariache facevaparte della squadra di ricerche; ma quasi subito aveva smesso divenire: a che pro prendere freddo inutilmente? ed era rimasta a casa atrascinare le sue giornate di donna stracca e apaticaoccupata atossire da mane a sera. Ben diverso da leiZaccaria dall'inquietudinenon viveva più; avrebbe fatto chi sa che per trovare la sorella. Se lasognavaridotta uno scheletro dalla famesenza più voce per chiamareaiuto; e gli capitava allora di balzare sul letto gridando. Due voltea Réquillart s'era messo a scavare altrove che nei punti designatidall'ingegnere: Caterinasi trovava lìne era sicuro. Tanto cheNégrel lo aveva scacciato ed escluso dalle ricerche; ma non per questolui s'allontanava; eincapace di sedersi in attesa con la madregirellava intorno al pozzo come un'anima in pena.

Si era al terzo giorno; se neanche quel giorno lì s'approdava a nullaNégreldisanimatoaveva deciso di sospendere le ricerche. Nelrientrare dopo colazione con gli uomini nella miniera per un ultimotentativos'imbatté in Zaccaria che ne usciva; acceso in viso egesticolante:

-C'èc'è! - gridava. - Mi ha risposto! Prestopresto!

- Nonostante la proibizione avuta di rimettere piede nel pozzoilgiovane vi si era calato; e ora tornava su giurando che nella primagalleria del giacimento Guglielmo qualcuno aveva risposto ai suoicolpi. - Ma se di lì siamo già passati due volte! - obiettò increduloNégrel. - Comunquevediamo!

La Maheu s'era alzata da sedere e ce ne volle per impedirle discendere anche lei. Ritta in piedi restò sull'imbocco del pozzo afissare il buio.

L'ingegnere batté lui pure tre colpiintercalati da pause; e fattofare il più assoluto silenzioapplicò l'orecchio alla vena. Nessunrumore gli giunse. Scosse il capo; evidentemente il poveretto s'erailluso. FurenteZaccaria batté a sua volta: oh se udiva luirispondere! Gli occhi gli luccicavanotremava dalla emozione. Allorauno dopo l'altro gli operai ripeterono la prova: sìsìessipercepivano nettamente dei lontani colpi in risposta. StupitoNégrelsi provò di nuovoe finì per cogliere anche lui un suono: un suonocadenzato appena percettibilenel quale riconobbe il segnale deiminatori in pericolo. Nell'antracite il suono si propaga a grandissimadistanza con limpidità cristallina. Quello lìa giudizio d'uno deicapisquadrapartiva da non meno di cinquanta metri. Ma che eranocinquanta metri? tendere il braccio era già toccare la mano deicompagni. I minatori furono presi da una tale esultanza che Négreldovette senza indugio iniziare i lavori di approccio. Zaccaria risalìdi corsa a dare la notizia alla madre; dalla commozione madre e figliosi abbracciarono. Ma la Pierronche quel giorno la curiosità avevaspinta a Réquillartnon poté astenersi da dire la sua:

- Non vimontateperòla testa; potreste andare incontro a una grossadelusione. Vostra figlia potrebbe non essere lì -. Anche questo eravero: Caterina poteva trovarsi altrove. Zaccaria la rimbeccò furente:- Chi t'ha chiesto il tuo parereuccello del malaugurio! C'èlo soio! - Già la Maheu s'era riseduta; in silenzioimpassibiles'erarimessa ad attendere.

Appena la notizia si sparseda Montsou si riversò una nuova folla digente; anche se da vedere non c'era nullarestava lì egualmente; funecessario tenere a bada i curiosi.

Nel pozzo si scavava notte e giorno. Nella previsione che si potesseroincontrare ostacolil'ingegnere aveva fatto aprire nella vena trepassaggi in discesa che convergevano verso il punto dove i superstitisi supponevano imprigionati. Data l'angustia dello scavo non potevalavorarvi che un uomo alla volta; il qualeogni due orericeveva ilcambio. Una catena d'uominiche s'allungava più si avanzava nelloscavosi passava di mano in mano le ceste di carbone ricavato. Sulprincipio il lavoro procedette spedito; nelle prime ventiquattr'ore loscavo si approfondì di sei metri. Zaccaria aveva ottenuto di prendervidi nuovo parte: onore che tutti si disputavano; e s'arrabbiava quandoin capo alle sue due ore si veniva a rilevarlo; rifiutandosi dideporre la piccozzainvadeva il turno degli altri. La galleria dovelavorava si trovò presto più avanzata delle altre. Il giovane sibatteva con tale accanimento contro il carboneche il suo respiroaffannoso pareva il soffiare d'un mantice. Quandosopraffatto dallastanchezzauscivanero e infangatodi là sottostramazzavae sidoveva avvolgerlo in una coperta. Quindimalcerto ancora sulle gambesi ributtava al lavoro; e l'eroico corpo a corpo col filonericominciava. Disgraziatamente il minerale s'andava indurendo.

Esasperato di non procedere più così sveltodue volte il giovane sitrovò in mano la piccozza spezzata. Anche il caldosi metteva controdi lui; più si avanzava più la temperatura cresceva: un caldo che inquello stretto budello per la mancanza di aerazione diventavaintollerabile. C'erasìun ventilatore a manoma serviva a poco;tanto che tre volte si dovette portar fuori di peso un minatoreboccheggiante.

Négrel faceva vita comune coi suoi uomini. Consumava nel pozzo i pastiche gli portavano; ese si concedeva qualche riposonon erano maipiù di due ore di sonno: coricato su una bracciata di pagliaavvoltolato in un mantello. Ciò che alimentava in tutti il coraggioera la supplica che arrivava di laggiùil richiamo via via piùdistinto che gli sventurati lanciavano perché ci si affrettasse. Ormaiesso arrivava nitidissimocol timbro d'una vibrazione di armonica. Era esso che serviva di guida; si avanzava a quel limpido rintoccocome in battaglia al rombo del cannone. Profittando dei momenti in cuiavveniva il cambioNégrel scendeva a incollare l'orecchio alla vena;e sinora la risposta ai suoi colpi era sempre arrivata immediata eincalzante. Non c'era dubbio: la direzione era quella buona; ma conquale lentezza si avanzava! Si arriverebbe in tempo? Nei primi duegiornilo scavo era stato di tredici metri; al terzo giornosolo dicinque; eal quartoera sceso a tre. Diventando compattoil carbones'induriva; ormai in ventiquattr'ore ci voleva tutta per progredire didue metri. Sebbene non ci si fosse davvero risparmiatial nono giornosi era avanzato in tutto di trentadue metri; ne restavanosicalcolavauna ventina. Per i prigionieri era il dodicesimo giorno checominciava: dodici volte ventiquattr'ore senza panesenza fuocoinmezzo a tenebre glaciali. Questo pensierose inumidiva le cigliainfondeva nelle braccia nuovo vigore. Pareva impossibile che degliesseri umani potessero resistere un'ora di più! Dal giorno primainfattis'era notato un affievolirsi nei colpi in risposta; e sitremava all'idea che da un momento all'altro potessero cessare deltutto.

Ogni giorno la Maheu veniva a sedersi all'imbocco del pozzocon inbraccio Estella - che non poteva lasciare sola l'intera giornata. Oraper oraseguiva così il procedere dei lavoridividendo coi minatorisperanze e scoraggiamenti. Nei gruppi di gente che stazionavano lìcome a Montsoul'attesa era febbrileinfiniti i commenti. Il cuoredi tutto il paese batteva lì sotto con quello degli sventurati.

Il nono giornoall'ora di colazioneZaccaria che aveva finito il suoturnofece il sordo a chi lo chiamava per dargli il cambio. Comeforsennatoseguitò imprecando ad accanirsi nello scavo. Approfittavacosì d'una momentanea assenza dell'ingegnere.

Con lui non c'era che un caposquadra con tre minatori.

Bisogna credere che il giovaneinfuriato di non vederciimputandoalla scarsa luce la lentezza con cui procedevaabbia commessol'imprudenza di aprire la lampada. E questo malgrado i severissimiordini che erano stati dati in contrario; s'erano infatti constatatefughe di grisùaccumulatosi in quelle gallerie sprovviste diaerazione. Fatto sta che tutto a un trattoesplose col fragore d'unacannonata una vampa di fuoco chedal budello in cui lavoravasipropagò fulminea da un capo all'altro delle gallerie.

Travolto il caposquadra e i tre minatoris'avventò su per la gola delpozzo; eruppe all'esternoproiettando intorno pezzi di roccia erottami di armature. La Maheustringendosi al seno Estellastrillantebalzò in pieditra un fuggi fuggi generale.

Quando Négrel e i suoi uomini furono di ritornola vista del disastroli riempì di costernazione; e insieme di sdegno contro la terramatrigna che massacrava in quel modo i suoi figli. Così dunquecon laperdita di nuove viteli ripagava dell'abnegazione con cui siprodigavano per salvare i compagni?

Sfidando ogni sorta di rischifaticarono tre ore buone per riaprirsil'accesso alle gallerie e per portare alla luce le vittime. Né ilcaposquadra né i tre staccatori erano morti; macoperti d'orribilipiaghetramandavano un tanfo di carne abbrustolita; avendo respiratoil fuocoerano ustionati anche in gola ed emettevano un lagnoincessante supplicando che li si finisse. Dei tre staccatoriuno eraquello chenel giorno dell'assalto ai pozziaveva assestato con unazappa il colpo di grazia alla pompa della Gaston-Marie. Le mani deidue altri serbavano ancora i segni delle piaghe che s'erano fatte ascagliare mattoni contro la truppa. Al loro passarela follaimpallidita e frementesi scoprì.

Ritta in piedila Maheu aspettava. La salma di Zaccaria fu l'ultima acomparire. Carbonizzatodecapitatoil corpo dell'infelice erairriconoscibile. La madre seguì col passo d'un automa la barella cheraccoglieva i miseri resti. Lo sguardo solo era vivo negli occhi senzauna lacrima. Faceva senso quella donna coi capelli al vento cheprocedeva come una statuarecando fra le braccia l'ultima nata. All'arrivoFilomena accolse il marito morto con aria ebete; poiproruppe in un pianto dirottonel quale il suo dolore trovò subitosfogo. Già la Maheu dello stesso passo era tornata a Réquillart:accompagnato il figliotornava ad aspettare la figlia.

Altri tre giorni trascorsero. Superando enormi difficoltài lavori discavo erano stati ripresi. Per fortuna le gallerie d'approccio nonerano franate; ma l'aria che vi si respirava era così viziata che sidovettero mettere in funzione dei nuovi ventilatori. Adesso i minatoriricevevano il cambio ogni venti minuti. La distanza che li separavadai compagni non era più che di due metri; ma ormainell'accanimentocon cui demolivano il filoneerano sostenuti più da un ripicco chedalla speranza del successo; dall'altra parte non arrivava più alcunsuono. Quel mattino - il quindicesimo dalla catastrofeil dodicesimodall'inizio dei lavori di salvataggio - un silenzio di morte s'erafatto.

Nel ceto borghese di Montsou la notizia del nuovo disastro produsseuna grande impressione. Delle gite all'antico pozzo venneroorganizzate; con tale slancio che i Grégoirecontagiati dall'esempiosi decisero a recarvisi anch'essi. Combinarono una scampagnata: con laloro vettura si recherebbero al Voreuxmentre la Hennebeau vicondurrebbe nella sua Gianna e Lucia. Visitati sotto la guida diDeneulin i lavori di riattamento in corsotornerebbero a casapassando per Réquillartdove da Négrel s'informerebbero a che puntosi trovavano gli scavi e se si nutriva ancora qualche speranza. Lasera poi si cenerebbe tutti insieme.

Quando verso le tre i Grégoire con la figlia scesero di vetturadavanti al pozzo crollatovi trovarono già la Hennebeau chetutta incelestesi schermiva con un ombrello dal pallido sole di febbraio. Non una nuvola in cielo e nell'aria un tepore di primavera. Con ilmarito a fiancola donna prestava un orecchio distratto allespiegazioni che Deneulin le dava sulle difficoltà che s'eranoincontrate per arginare il canale. Sedotta dalla tragicità delsoggettoGiannache non dimenticava mai di portarsi dietro un alboda disegnos'era messa a prendere schizzi; mentreseduta vicino elei sul rottame d'un carro ferroviariola sorella lanciavaesclamazioni di gioia davanti al panorama che dichiarava«stupefacente». Dalla diga non finita di costruireun filone d'acquasfuggiva ancorache in spumeggiante cascata si riversava nell'enormebuca del pozzo inghiottito. Quell'afflusso non impediva però che nelcratere il livello dell'acquabevuta dal terrenosi andasseabbassando; e scoprisse sempre più il pauroso groviglio di rottami chesi stendeva sul fondo: specie di cloaca che faceva pensare ai restid'una città sprofondata nel fango e che contrastava con la bellagiornata e l'azzurro tenero del cielo.

- E ci si scomoda per vedere di questa bella roba! - esclamò Grégoiredeluso.

Ceciliatutta rosea di salutefelice di respirare l'aria puranonché impressionarsi dello spettacolovi scherzava sopra; mentre laHennebeau con una smorfia di schifo:

-Già- riconosceva- non è unpanorama davvero per cui valga la pena di scomodarsi!

I due ingegneri si misero a ridere. Per interessare le signorelecondussero in girodando loro spiegazioni sui lavori in corsosulfunzionamento delle pompedei battipali con cui si conficcavano ipuntelli. Maapprendere che il prosciugamento del cratere - premessaindispensabile per la ricostruzione del pozzo - richiederebbe deglianni - seisette fors'anche - invece di interessarlele impressionòspiacevolmente. Cose alle quali era meglio non pensare; spettacolisimili servivano solo a procurare brutti sogni.

- Abbiamo visto anche troppo! Andiamocene! - tagliò corto laHennebeaudirigendosi verso la vettura. Ma le due Deneulinprotestarono. Come! digià? Si era appena arrivati; e il disegno eraancora da finire! Esse restavano; si ritroverebbero per cenadove ilpadre le condurrebbe. Sicché solo Hennebeau desideroso anche lui disentire che diceva Négrelprese posto nella carrozza a fianco dellamoglie.

- Ebbeneprecedeteci- disse Grégoire. - Noi abbiamo una visitina dafare nel borgo operaio. Ci ritroviamo tra poco a Réquillart.

Così fecero: la vettura degli Hennebeau filò lungo il canalementrequella dei Grégoire iniziava a piccolo passo la salita verso laborgata dei Duecentoquaranta.

Era un'opera buona che i coniugi si proponevanoa coronamento dellagita. Dalla morte di Zaccaria il loro cuore era stato toccato; inpaese non si discorreva più che dei Maheu; di quella disgraziatafamigliacosì duramente colpita. Non già che i Grégoirecompiangessero il padrequel brigantequel massacratore di soldatiche s'era reso necessario sopprimere come una bestia feroce. Ma lamogliesìmeritava compassione; quella povera donna cheperso ilmarito e subito dopo il figlioora poteva aspettarsi che anche lafiglia le fosse resa cadavere; senza contare che si diceva pure cheavesse in casa un vecchio invalido da mantenereun figlio storpiatoda una frana; e checome non bastassedurante lo scioperounabambina le fosse morta di fame. Per cuisebbene i suoi guai quellafamiglia in parte se li meritava per le idee malsane che professavaiGrégoire avevano deciso di dare in questa occasione una prova dellaloro magnanimitàdel loro spirito conciliativo e della buona volontàche avevano di dimenticareportando essi in persona un piccolo donoalla famiglia. Due pacchi infattiaccuratamente fasciatisitrovavano sotto un sedile della vettura.

Una vecchia indicò al cocchiere l'abitazione che cercavano: numerosedicisecondo caseggiato. Mascesi di carrozzai Grégoirebussarono invano; prima discretamentepoi col pugno; nessunarisposta; al lugubre echeggiare dei colpi nell'internola casa sisarebbe detta disabitata da un pezzospopolata dalla morte. Contrariata:

-Non c'è nessuno- disse Cecilia. - Uffche seccatura!

E ora che ne facciamo di questi pacchi?

Quand'ecco schiudersi la porta vicina e mostrarsi la Levaque.

- Ohsignore! Ohsignora! scusino tanto! Signorinami scusi! E' lamia vicina che volevano? Non c'è; è a Réquillart -. E in un'alluvionedi parole prese a raccontare il perché e il come dell'assenza; aripetere che bisognava ben darsi una mano a vicenda e che lei perl'appunto s'era presa in casa Leonora ed Enrico per permettere allamadre di andare a Réquillart.

Avendo notato gli involticon occhi che le luccicavano di cupidigiapassò a dire della sua povera figlia cheanche leiaveva perso ilmarito: a ostentare la propria miseria. Poiesitante:

-Se però lorsignori ci tengonola chiave l'ho io. C'è il vecchioin casa.

I Grégoire si guardarono sorpresi: come mai se il vecchio era in casanon rispondeva? Che dormisse? Ma quando la Levaque si fu decisa adaprire la porta la vista che si offerse ai loro occhi li impalò sullasoglia.

Inchiodato su una sedia davanti alla stufa spentaBonnemort era solo. Aveva gli occhi fissi sbarrati. Intorno a luila saletta parevaimmensaora che non c'era più il mobilio d'abete verniciatonél'orologio a cucù che una volta la animava. Sulla nudità delle paretiverdoline non restavano che i ritratti dell'imperatore edell'imperatricea sorridere del loro affabile sorriso ufficiale.

All'irrompere per la porta della luce dell'esternoil vecchio nonaveva palpebrato; restava lì immobileistupiditocome se nessunofosse entrato. Ai suoi piediuno di quei piatti con della cenere cheusa mettere sul pavimento perché i gatti non sporchino.

- Non facciano caso se non saluta nemmeno- lo scusò la Levaque. -Pare che nel cervello gli si sia guastata qualche rotella. E' da unaquindicina di giorni che non parla più di adesso.

Intanto una specie di raschio in golaun sordo raschio che parevapartire dalle profondità del ventreaffaticava il vecchio; ed eccoloinfatti liberarsi d'uno spesso scaracchio nerastro che andò araggiungere gli altridi cui la cenere del piatto era impastata. Egià Bonnemort era ricaduto nella sua immobilitàdalla quale uscivasolo per sputare a quel modo il carbone di cui cinquant'anni diminiera gli avevano intasato i polmoni.

Sconcertatilottando contro lo schifo che il vecchio causava loroiGrégoire cercavano ciò nonostante di rivolgergli qualche parolaamichevoledi conforto.

- Ebbenebuon uomoavete dunque preso freddo? - chiese Grégoire.

L'altro non volse il caponon distolse gli occhi dalla parete. Ilsilenzio ricadde pesante.

- Vi farebbe bene un buon decotto caldo! - aggiunse la Grégoire. Néuna parola né un gesto le rispose.

Ceciliasottovoce:

-Ascoltapapà: ce l'avevano dettoveramenteche era ammalato; solo che ci è passato di mente...A disagios'interruppe. Sul tavolo aveva già posto una marmitta e duebottiglie di vino. Sfasciò il secondo pacco e ne trasse un paio discarpe: un paio di grosse scarpe da uomomassicce. Era quello appuntoil dono che destinavano al vecchio. La fanciulla le teneva penzoloni econ lo sguardo andava ai piedi che avrebbero dovuto calzarle; deipiedi enfiatichesi vedeva benenon avrebbero camminato più.

Grégoire per dissipare l'imbarazzo:

- Ebbenearrivano un po' inritardoehbrav'uomo! Ma meglio tardi che mainon è vero?

Bonnemort non diede segno di udire; il viso conservò la suaimpassibilità di statua.

Per sbarazzarseneCeciliaquasi di soppiattoposò le scarpe controil muro; ma chiodate com'eranoper quanto piano facesserisuonaronosul pavimento; e restarono lìmonumentalia ingombrare la stanzadella loro incongrua presenza.

Alla Levaquealla vista delle scarpeera passato negli occhi unlampo di cupidigia:

- Nemmeno un grazie ne avranno! Scusinol'ignoranza; ma per me è come regalare un pettine a un calvo! - Eseguitò a chiacchierare: avrebbe voluto attirare i visitatori m casasuaper impietosirli sulla sua miseria; ma non sapeva come fare. Finalmente trovò: se desideravano notizie dei Maheuchi poteva darlemeglio di Leonora e di Enrico - i bambini che si era presi in casa -così carinicosì svegli?

Felice di togliersi di lìil padre disse alla figlia:

- Vieni tutesoro?

- Sìsubito.

Ciò chesuo malgrado quasila tratteneva presso Bonnemort era unacuriosità; l'impressione d'averlo già vistoe ben da vicinoquelviso mal squadratoscialbolividosegnato dal lavoro dellaminiera... Ed ecco si ricordò; si rivide circondata da una follaurlantesi sentì stringere alla gola da due mani gelide. Sìsì: eraquello seduto lìl'uomo che aveva tentato di strangolarla! loritrovava! E ora gli osservava le mani posate sulle ginocchia: manid'operaiodai polsi possenti ancoranonostante l'età. Sotto losguardo della fanciulla che lo scrutavaa poco a poco Bonnemort parveuscire dal suo torporenotare la presenza della ragazza: intontitoadesso la esaminava a sua volta; e il sangue gli saliva alle guanceun tic nervoso gli stirava la boccadonde colava un filo di salivanera. Come attirati a vicendaaffascinatii due restavano faccia afaccia: lei in pieno sbocciofresca e prosperosacresciuta com'eranel benessere e nel dolce far niente; luigonfio d'acquarattrappitoripugnante di bruttezzacon le stigmate d'una razzaminata di padre in figliodagli stenti e dalla fame.

Quandopoco doposorpresi di non vedersi raggiungere dalla figlia iGrégoire vennero a prenderlaurlarono di orrore. Cecilia giaceva sulpavimentostrangolata; aveva il viso violetto e sul collo l'enormeimpronta paonazza d'una mano. Presso di leiBonnemort: crollato sulpavimentodonde le gambe non gli avevano più permesso di alzarsi; lemani pareva stringessero ancora; con aria ebete guardava i presenti aocchi sgranati. Nel cadereaveva rotto la sputacchieraimbrattandointorno le pareti del suo contenuto. Illesorestava contro il muro ilmonumentale paio di scarpe.

Non si poté mai ricostruire con esattezza quel che fosse accaduto. Perché Cecilia s'era avvicinata? inchiodato com'era sulla sediacomeBonnemort aveva potuto afferrarla alla gola? Afferratalacerto luinon aveva più allentato la strettaimpedendole di gridare; perstramazzaresolo all'ultimo rantoloinsieme alla vittima. Non unrumorenon un gemito aveva attraversato le sottili pareti. Bisognòsupporre chealla vista di quel bianco collo femminileBonnemortfosse stato preso da un istinto sanguinariotravolto da un'improvvisademenza. Stupì tanta ferocia in quel vecchio invalido checontrarioalle nuove ideeaveva sempre vissuto da onest'uomodando sempreesempio d'una supina obbedienza. Quale antico rancore lungamentematurato e rimasto a lui stesso oscuroaveva sfogato in quel gesto?

L'efferatezza dell'atto venne spiegata con l'incoscienza: era stato ildelitto d'un idiota.

Inginocchiati presso la mortai Grégoire singhiozzavanofuori di sédalla disperazione. Uccisala loro Cecilia adorata! la figlia che pertanti anni avevano desiderato invano e cheda quando era venutaavevano colmato d'ogni tenerezza! la figliola di cui andavano a spiareil sonno in punta di piedi; quella figlia che i loro occhi nontrovavano mai abbastanza prosperosa! A che vivereora che lei nonc'era più? Era il crollo della loro esistenza.

- Ah il delinquente! - la Levaque si scalmanava a gridare. - Che hafatto mai! Chi si sarebbe aspettato una cosa simile! E stasera laMaheuquando tornerà... Non converrebbedicanoche l'andassi achiamare?

E poiché i due vecchiper quanto sbraitassenon la udivano:

-Sarebbe meglio! - decise per suo conto. - Vado!

Ma nell'uscire gli occhi le ricaddero sul paio di scarpe. Richiamatidalle sue gridagià dei vicini accorrevano. A qualcuno certo quellescarpe farebbero gola. E che ci stavano a faredel restoin una casadove non c'era più nessuno che potesse mettersele? Destramente le fecesparire: dovevano essere giusto della misura che andavano bene aBouteloup.

A Réquillart intanto gli Hennebeau aspettavano inutilmente i Grégoire. Négrel li aveva messi al corrente dei lavori: la sera stessa sisperava di raggiungere i prigionieri; senonché il loro silenzio duravada tropporestavano ben poche probabilità di trovarli in vita. Sedutasul trave alle spalle dell'ingegnerela Maheu ascoltava col fiatosospesobianca come un cencioquando capitò la Levaque. Alla notiziadella prodezza del suoceronon ebbe che un gesto di stizzaimpaziente. Tuttavia si alzò e seguì la vicina.

La Hennebeau si sentiva venir male. Quale orrore! strangolataquellapovera Ceciliaancora un'ora prima così traboccante di vitacosìallegra! Il marito dovette sorreggerlaportarla quasi di peso neltugurio di Mouque; con mani impacciate slacciarle il bustoturbatodall'odore di muschio che ne esalava. E siccomeinondata di lacrimelei abbracciava Négrelsconvolto alla notizia di quella morte chemandava a monte lo sposalizioil marito Hennebeau guardò i duelamentarsiliberato da una segreta inquietudine.

La disgrazia appianava tutto: se alla moglie rimaneva l'amanteluinon aveva più a temere che nel letto di lei succedesse al nipoteperché no?il cocchiere

 

 

Capitolo quinto

 

Abbandonati in fondo alla minieragli sventurati urlavano dispavento. Avevano ormai l'acqua al ventre. Il fragore della cascata liatterrivail precipitare degli ultimi tratti del rivestimento suonavaalle loro orecchie come la fine del mondo; ma ciò che li facevaaddirittura impazzireera il nitrito dei cavalli chiusi nellascuderia: un grido d'agonia raccapriccianteda non potersi piùscordaredi animale che sgozzano.

Mouque aveva liberato Battaglia. Il vecchio cavallo restò un momentopiantato sulle zampecolto da un tremito che gli arricciava tutto ilpeloa fissare con l'occhio sbarrato il crescere della piena. Allaluce rossastra delle tre lanterne che lo rischiaravano ancoralostanzone si colmaval'acqua verdastra saliva. Ed eccoa sentirsicogliere da quel geloBattaglia partire di scatto; in un furiosogaloppo sparire in fondo a una galleria. Fu il si salvi chi può. - Piùnulla da farequi! - gridò Mouque. - Tentiamo dalla parte diRéquillart -. La speranza di trovare scampo da quella partepurché siarrivasse in tempomise le ali ai piedi. I venti in fila si buttaronoavantitenendo alte le lampade perché l'acqua non le spegnesse. Perfortunala galleria eraanche se pocoin salita; per cui poteronoavanzare per duecento metriaprendosi il passo nell'acquasenza cheil suo livello crescesse. Negli animi degli sventurati antichecredenze si ridestavano: era la terra che sguinzagliava così il suosangue per vendicarsi dell'arteria che l'uomo le aveva reciso. Unvecchio balbettava antichi scongiuripiegando i pollici in fuoriperplacare i cattivi geni della miniera.

Ma al primo crocicchioscoppiò un dissenso: lo stalliere sostenevache bisognava prendere a sinistra; altriche prendendo a destra siaccorciava. Si perse un minuto a discutere. - E' vostra la pelle! a meche m'importa? - troncò brutalmente Chaval. - Io vado di qui- eprese a destraseguìto da due. Gli altri continuarono ad arrancaredietro a Mouque: nel pozzo di Réquillart il vecchio c'era cresciuto. Senonché neppure lui era sicuro di sé; a ogni bivio esitava. Né ivecchi come lui si raccapezzavano di più; nell'orgasmononriconoscevano più i noti camminamenti; il loro intersecarsi lidisorientava; ementre urgeva affrettarsia ogni biforcazione siarrestavano netto. Stefano veniva in coda: Caterinache la stanchezzae il panico paralizzavanogli impediva di tener dietro agli altri. Lui avrebbe presocon Chavala destra; giudicava quella la stradabuona; ma alla compagnia del rivaleaveva preferito affidarsi alcasoandasse come voleva. Di spicciolarsi per strada del resto nonavevano ancora finito; altri erano partiti in altre direzioni; dietroa Mouque non si era più che in sette.

Vedendo la ragazza accasciarsiStefano volle portarla. Leiquasisenza voce:

-Nova' tulasciami! Non posso piùpreferisco morirequi -. Si perdeva tempo; già gli altri li distanziavano di parecchio;evincendo la resistenza di leiStefano se la toglieva in braccioquand'ecco davanti a loro la volta cedereun enorme ammasso sbarrarela stradaseparandoli dai compagni. Era la piena che nel suo crescereattaccava le roccele demolivale faceva d'ogni parte franare. Dovettero tornare sui loro passi. Ma ad un certo punto perdetterol'orientamentonon seppero più in che direzione camminavano. Bisognòrinunciare a risalire per l'antico pozzo; l'unica speranza cherestavatentare di raggiungere le gallerie superioridove c'era lapossibilitàchecol decrescere della pienasi venisse a liberarli.

- Ahecco: ora m'oriento! - esclamò Stefano a un tratto: avevariconosciuto la vena Guglielmo. - Maledizione! eravamo sulla stradagiusta; ma ormai è fatta. Se andiamo dirittiarriviamo al pozzetto;saliremo di là.

Avevano l'acqua al pettoavanzavano con immensa fatica; ma finché lelampade rischiarassero la strada... Per economizzare l'olionespensero una. Stavano per raggiungere il pozzetto quandoalle spalleudirono un frastuono che li fece volgere. I compagni forsechefermati dalla franatornavano anch'essi indietro? No; si sarebbedetto piuttosto l'avvicinarsi d'una tempesta: un ribollire d'acqueuno schizzar di schiuma: animatoperché ne usciva - e s'avvertiva dilì - un respirare affannoso. Ed ecco emergere dall'ombraavanzarealla loro voltadisimpegnandosi a fatica dai rivestimenti che laschiacciavanouna massa gigantescabiancicante. Non poteronotrattenere un grido: era Battaglia.

Partito dal piano di caricol'animale s'era buttato a galoppare digalleria in galleria; a spingersi all'impazzata attraverso la cittàsotterranea che abitava da anniin quel buio al quale i suoi occhi sierano avvezzati; come se conoscesse la stradafiutasse la meta. Galoppavagaloppava; piegando il colloraccogliendo le zampe;rallentando appena nelle stretture che il suo corpaccione ostruiva. Néil succedersi delle strade né il loro biforcarsi lo faceva esitare. Verso dove galoppava così? Verso il ricordo della sua gioventùversoil mulino sulla Scarpedov'era natoverso la confusa visione delsolela reminiscenza che gli restava di quella immensa lampadaraggiante alta nel cielo? Col ravvivarsi del ricordosi ridestava inlui la volontà di vivere; era la voglia di respirare ancora una voltal'aria della pianura che lo cacciava diritto innanzi a sé; avantiavanti fino al varco per cui uscire di nuovo alla luceal caldo delsole. La rivolta prendeva il sopravvento sulla lunga rassegnazione:rivolta contro la miniera chedopo averlo privato della luceoravoleva privarlo anche della vita. L'acqua gli sferzava i fianchi; glimordeva la groppa. E più si inoltrava più le gallerie sirestringevanoabbassando la voltaraccostando le pareti. Battagliacontinuava lo stesso a trottare; incurante di scorticarsi contro irivestimentidi lasciarvi lembi di carne. D'ogni parte la minierapareva chiudersi su di luiper farlo prigionieroper soffocarlo.

E ora infatti eccolo lì chepreso tra roccia e rocciasi strizzavaper passare. Aveva le zampe anteriori fiaccate; una caduta certo chegliele aveva spezzate. In un ultimo sforzo disperatosi disimpegnòancora per qualche metro; ma lì i fianchi non passavano più; laminiera lo sequestròlo immobilizzò senza scampo. I due videro alloraBattaglia protendere il muso che perdeva sanguecercare un'ultimavolta con lo sguardo che gli si annebbiava l'agognato varco. Il rapidocrescere della piena già lo ricopriva; allora il vecchio cavallosentendosi sopraffattosi mise a nitrire: lo stesso nitrito lungoraccapricciantepiù rantolo che nitritocon cui nella scuderia eranoperiti i suoi fratelli. Era uno spettacolo straziantel'agonia aquella profondità di quel vecchio animale storpiato e ridottoall'impotenza che si dibattevalontano dalla luce. Il nitrito noncessava; già l'acqua sommergeva la criniera e ancora dalle faucispalancate e protese uscivasempre più raucoquel richiamo dianimale che annega. Vi fu un ultimo ronfioil sordo singulto d'unabotte che si riempie; quindi il silenzio.

- Ah portami viaho paura- singhiozzava Caterina. - Ho paura! Nonvoglio morire! portami via!

Era la morte che la ragazza aveva visto; né il crollo del pozzo nél'inondazione le avevano soffiato in viso la paura come ora il nitritodi Battaglia agonizzante. Nelle sue orecchie quel nitrito durava; leraggricciava la pelle.

- Portami via! portami via!

Stefano l'aveva sollevata e spinta su per il pozzetto; appena intempo: già avevano l'acqua alle spalle. Nell'aiutarla a tirarsi su(Caterina non aveva la forza di aggrapparsi)più d'una volta ilgiovane temette gli sfuggisse; di vederla precipitare nel gorgo chemugghiava lì sotto.

Raggiunta la prima galleriasgombra ancoraripresero fiato: maquando la marea li raggiunse anche lìdovettero riprendere a salire. E a salire seguitarono per orecacciati dalla piena di galleria ingalleria; su su sino alla testa; doveavendo potuto sostare un po' dipiùgià si abbandonavano alla speranza. Li deluse un più vivacecrescere della piena che credevano arrestata e che li costrinse adarrampicarsi più che in frettaalla settima e poi all'ottava. Unagalleria sola restava; quando vi furonorimasero a guardare con ansiaogni centimetro d'acqua cresceree si sentivano venir meno. Stavanodunque per fare la fine del vecchio cavalloper annegare schiacciaticontro la volta?

Boati giungevano ogni po'indizi di frane. Ricacciata e compressa infondo alla gallerial'aria acquistava la forza d'un esplosivo:schiantava roccedemoliva terreni. Era il terrificante fragore deicataclismi sotterranei; un ripetersi in misura ridotta deglisconvolgimenti telluricidel tempo che i diluvi spianavano lemontagnecambiavano faccia alla terra. Trasalendo a quel continuoromboCaterina giungeva le maniseguitava a balbettare sbigottita:

-Non voglionon voglio morire... - Luiper calmarlagiurava chel'inondazione s'era arrestata e chesiccome era ormai da sei ore chescappavano davanti alla pienai compagni non potevano tardare a venirloro in aiuto... Sei orediceva; ma del tempo non avevano piùl'esatta nozione; in realtàad attraversare la vena Guglielmoavevano impiegato un giorno intero.

Inzuppatiintirizziti si sedettero. Con la stessa libertà che sefosse stata solalei si tolse i vestitine strizzò l'acqua; quindise li rimise per farseli asciugare sulla pelle. Vedendola a piedinudilui la costrinse a mettersi i suoi zoccoli. Eabbassato illucignolo della lampadasi disponeva ad attenderequando dei crampiallo stomaco li avvertirono che dal giorno prima non avevano toccatocibo; fu questo il primo sintomo che li persuase d'essere ancora invita. Trovarono i panini ridotti ad una poltigliae Caterina dovetteinquietarsi per indurre Stefano a mangiare la sua parte. Appena ebbefinita la propriala ragazza vinta dalla stanchezza s'allungò lì perterra; e subito si assopì. Lottando anche lui contro il sonnoilgiovane la vegliòlo sguardo fissola fronte fra le mani.

Quante ore passarono così? Stefano non avrebbe saputo dirlo; ciò cheinvece purtroppo sapeva era che nel pozzetto lì sotto il nero fluttoera affiorato e che il suo livello inesorabilmente cresceva. Atraboccarne fu prima un sottile rigagnolettoche serpeggiandos'allungò; poi s'allargògorgogliòprese forzaraggiunse i piedidell'addormentata. Col cuore in golail giovane esitava a svegliarla;quale crudeltà strappare la poveretta a quel totale obliocolpericolo magari di interrompere il sogno in cui si cullavaun sognod'aria libera e di sole! E poia che pro? Per fuggire dove? Se lochiedevaquando si batté la fronte: come non ci aveva pensato? Nelpunto dov'erano della minierail piano inclinato non comunicava inalto col piano inclinato che serviva il piano di carico superiore? Erauna via d'uscita. L'occhio al progredire della montante mareailgiovane lasciò Caterina dormire il più a lungo possibile. Quandoalfine con dolcezza la scosse:

-Ah è veromio Dio! - fece leitirandosi su; e riprendendo coscienza della situazione rabbrividìsitorse disperata le mani.

- Nofatti animo- lui la confortò. - Non è come credevo; c'è unpassaggioti giuro.

Per arrivare al piano inclinato dovettero avanzare piegati in dueconl'acqua di nuovo alle spalle. Raggiuntolopresero a salire per quellostretto passaggio interamente rivestito di legnolungo un centinaiodi metri. Prima di iniziare la rischiosa salitatentarono di tirargiù il cavo per agganciarlo a uno dei carrelli ed evitare così chel'altro carrello scendesse mentre salivanoe li stritolasse. Maqualcosa impediva al meccanismo di funzionare perché il cavo noncedette. Astenendosi di aggrapparvisie rompendosi invece le unghienelle armature che non offrivano presacominciarono a salire. Ilgiovane veniva dietro alla ragazza e la tratteneva col capo quandoscivolava.

Quand'eccoli urtarsi contro dei tronconi di travi che sbarravano ilpiano inclinato. Una frana impediva di proseguire. Per buona fortunain quel punto s'apriva una porta; varcata la qualesi trovarono inuna galleria. Vi brillava una lampada. Si chiedevano come maiquandouna voce maschile gridò stizzosa:

-Ah! Ah! Non ci sono dunque iosolodi stupidoal mondo! - E riconobbero Chaval: l'uomo si trovavasequestrato lì dalla frana che aveva colmato di terra il pianoinclinato. Solo; i due che lo avevano seguito erano rimasti accoppatiper strada e luiche se l'era cavata con una ferita al gomitoavevaavuto il fegato di tornare indietro carponi a prendere le loro lampadee a frugarli per impossessarsi delle provviste. S'allontanavaquandoun secondo cedimento murava alle sue spalle la galleria.

Lì per lìvedendosi sbucare davanti quei due nuovi compagni disventuraChaval s'era proposto di sopprimerliper non aver aspartire con altri le sue provviste; mariconoscendoli:

-Ah sei tuCaterina! - e gorgogliava d'un riso malvagio. - T'è andata maleeh? Ehai pensato bene di tornare dal tuo uomo! A meraviglia! Adesso siballa insieme!

Stefano ostentava di non vederlo. Questisconcertato per l'incontroche non s'attendevaaveva avuto un gesto come per proteggere laragazza che gli si stringeva contro. Senonché non restava cheaccettare la situazione; ecome se si fossero lasciati buoni amiciun'ora primachiese solo:

-Hai guardato bene? Sei sicuro che non c'èmodo di passare per i cantieri?

L'altroseguitando a ghignare:

-Ah sìi cantieri! Aspettavo che misuggerissi tu! Sono franati anch'essi i cantieri; siamo presi tra duemuri come sorci in trappola. Ma se tu respiri sott'acquapuoi rifarela strada per cui sei venuto!

Arrivava infatti il ciangottio dell'acqua che invadeva il pianoinclinato: anche da quella parte la strada era tagliata. Chaval nonesagerava chiamando trappola il tratto di galleria in cui sitrovavano; ostruito d'ambo le parti da enormi frane. Non un varco;tutti e tre erano murati.

- Resti alloraeh? - proseguì quello beffardo. - Non hai di meglio dafare. Ea meno che mi stuzzichiper me sarà come tu non ci fossi.

Anche qui c'è posto per due. Si vedrà chi è il primo a schiattare. Ameno che non ci vengano in aiutociò che mi sembra difficile.

- Se provassimo a battere dei colpi nella roccia? Chi sapotrebberoudirci...

- Neanche questo aspettavo che me lo suggerissi tu... Eccoti il sasso.

Prova tu. Io sono stufo di battere- e gli porgeva una grossascheggia di arenaria che si vedeva già adoperata a quell'uso.

Lanciato il segnale dei minatori in pericoloStefano a sua voltaapplicò l'orecchio alla vena. Nulla. Venti volte ripeté il tentativosempre con lo stesso risultato.

Affettando disinteresseChaval disponeva intanto le sue robe. Allineòle tre lampade contro la paretelasciandone accesa una sola; quindinel cavare di tasca le due pagnotte - chea farle durarepotevanobastare per due giorni - e mettendole all'asciutto su un'asse delrivestimento:- Metà è tuasaiCaterina- disse rivolgendosi a lei- per quandonon ne potrai più dalla fame.

La ragazza non gli rispose. Ricadere tra quei due uomini che se ladisputavano era quanto di peggio poteva capitarle.

E l'atroce vita a tre cominciò. Seduti per terraa pochi passi unodall'altroi due uomini tacevano. Soloall'osservazione di Chavalche tenere accesa una seconda lampada rappresentava un inutile sprecol'altro aveva spento la sua. Dopodiché ricadde il silenzio. Preoccupata dalle occhiate che l'antico amante le gettavaCaterinas'era allungata presso Stefano. Le ore succedevano alle ore. S'udivasolo il ciangottio dell'acqua che continuava a saliresopraffattoogni tanto da rombi lontani annuncianti gli ultimi assestamenti deiterreni. Quando la lampada cominciò a lappolareesitarono un momentoad accenderne un'altra per timore del grisù. Ma a restare al buiononera preferibilepoi si disserosaltare subito in aria? Accesero enon accadde nulla. Di nuovo s'allungarono in terra; l'attesaricominciò. Quandoa un rumoreStefano e Caterina alzarono il capo;era Chaval che aveva addentato mezza pagnottella e vincendo latentazione di inghiottirla d'un colpola masticava adagio. Per i dueaffamatifu il supplizio di Tantalo. Quellocon aria provocantealla ragazza:

-Davveronon ne vuoi tu? Hai torto!

Morsa da una fame che le pungeva gli occhi di lacrimela ragazzaaveva in risposta abbassato gli occhi per paura di cedere allatentazione. Che genere di contraccambio l'offerta di Chaval esigesseCaterina non ignorava; ancora quel mattino lui le aveva soffiato infaccia il suo desiderio: un desiderio cheorail vederla con l'altrorendeva furibondo. La conosceva bene Caterina la fiamma di bramosiache bruciava in quegli occhi: la stessa di quando Chavalnelle suecrisi di gelosial'ammazzava di botteaccusandola di farsela conl'altro. Buon Dionemmeno morire in pace si poteva dunque in quellatana dove stavano agonizzando? Cedere a Chaval era gettare i dueuomini uno contro l'altro: una cosa che solo a pensarla la facevatremare. Stefano dal canto suo si sarebbe lasciato morire d'inediapiuttosto che mendicare dal rivale un boccone.

Il silenzio s'appesantivai minuti passavano con la lentezza disecoli. Ormai da un giorno i tre si trovavano imprigionati insieme. Laseconda lampada si spegneva; dovettero ricorrere alla terza. Attaccando la seconda pagnottaChaval a Caterina:

-Accòstati dunque- sussurrò- stupida che sei! - All'invito la fanciulla rabbrividì.

Stefanoper lasciarla liberas'era voltato di là. Accorgendosi chela poveretta neanche così si muoveva:

-Va'bambina mia! - la esortòsottovoce. L'affettuosa esortazione diede il via alle lacrime che laragazza tratteneva: un lungo pianto abbandonatoche le toglieva laforza d'alzarsi; se avesse fame non sapeva piùavvertiva solo intutto il corpo un indolenzimentouna grande prostrazione. Stefanos'era alzato; furente di vedersi costretto a vivere le ultime ore afianco del rivale che esecravail giovane ora andava su e giùbattendo senza speranza la vena. Ogni dieci passidoversi trovarel'altro fra i piedi! Nemmeno tanto spazio da poter crepare lontano unodall'altro! E leila disgraziata ragazzache anche sotterra dueuomini si disputavanodestinata a quello dei due che sopravvivrebbe eche poteva benissimo essere Chaval!

Col passare delle orequella situazione senza uscita si aggravava;nell'aria che i fiati e i bisogni corporali soddisfatti in comuneappestavano sempre piùquella promiscuità diventava intollerabile.

Stringendo i dentidue volte Stefano s'avventò contro le rocce comeper aprirsi un varco.

S'era giunti così alla sera del secondo giorno. Chaval era venuto asedersi presso Caterina e divideva con lei l'ultima fetta di pane.

E mentre lei con la gola come ostruita dal lungo digiunostentava abuttare giù qualche bocconed'ogni boccone di cui si privavalui sirifaceva allungandole delle carezze. Sfinita com'eralei non sidifendeva. Ma quando lui nel suo ripicco di gelosodeciso a godersila ragazza sotto gli occhi del rivaletentò di violentarlaCaterina:- Ah lasciami! - gemette. - Mi rompi le ossa!

Stefano che fremendo s'era volto altrove per non vedereal lagno:

-Lascialaperdìo! - gridò fuori di séaccorrendo.

- Che c'entri tu? - Chaval s'inviperì. - E' la mia amante! è carnemia! - ea sfidariafferrandolase la strinse controle schiacciòsulla bocca la bocca. - Lasciaci in pacehai capito? Impicciati deifatti tuoi!

Ma Stefanobianco d'iraalzando la voce:

-Se non la lascitistrozzo!

Comprendendo dal tono che non diceva per direChaval scattò in piedi. Meglio comunque per quello dei due che ci restasse; ci guadagnerebbedi risparmiarsi una lunga agonia. Si rinnovava così in quei pochimetri di spazio che consentiva a stento di muoversitra quei duedestinati ben presto ad allungarvisi fianco a fianco cadaveriilduello dei primi tempi del mondo.

- Bada- sibilò Chaval- che questa è la volta che ti faccio lapelle!

Stefano sentì il sangue affluirgli al capo; la vista gli si intorbidòmentre la gola gli si serrava da strozzarlo.

Irresistibile come un bisogno fisicocome il prudere d'una mucosa cheprovoca un attacco di tosselo invase il bisogno di uccidere. Sopraffacendo la volontàquel bisognoscatenato dal sangue taratocrebbeesplose. Da sé la mano era corsa alla paretee ora impugnavaun'enorme scheggia di schisto. Brandendola a due manicon una forzache la pazzia moltiplicavala abbatté in capo a Chaval. Chaval nonfece in tempo a scansarsi. Colpito in pienostramazzò col craniospaccatoin una pozza di sangue che dilagava. Alla luce fumosa dellalampada che vi si riflettevail corpo del caduto non fu più per terrache una macchia scurasimile a un mucchio di carboniglia.

Con occhi sbarrati il giovane si chinò sull'ucciso. Era dunque fatta;l'istinto sanguinario che gli sonnecchiava nelle vene e che tantevolte egli era riuscito a dominarequesta volta aveva avuto ilsopravvento. Eppured'alcool questa volta era digiuno; ad armargli lamano era bastato quello che gli avevano trasmesso col sangue coloro dacui discendeva. Ma per quanto la sua coscienza si rivoltasse e icapelli gli si drizzassero in capo davanti all'assassinio commessopure una specie di esultanzala gioia bestiale della voglia infineappagatagli faceva balzare il cuore; e ad essa una punta d'orgogliosi mescolava: l'orgogliosa constatazione d'essere stato il più forte. Un ragazzo come Gianlino non lo era stato abbastanza per sgozzare disua mano la sentinella del Voreux? Anche lui ora non era stato dameno.

E a Caterina che lì ritta:

-L'hai ammazzatomio Dio! - gridava diraccapricciolui torvo:

-Che lo rimpiangiforse?

Strangolata dall'emozionequella balbettava. Poi vacillò; ecadendogli fra le braccia:

-Ah uccidi me pure! che moriamo insieme! -e in un abbraccio frenetico si avvinghiarono l'uno all'altraaugurandosiquasi sperando che il voto si esaudisse.

Poi Stefano provvide a sgombrare del cadavere quel poco spazio in cuidovevano pur vivere; e mentre la fanciulla si tappava gli occhilotrascinòlo spinse giù pel piano inclinato. Ma udendolo sprofondaretra un vortice di schiumaentrambi rabbrividirono: la piena aveva giàdunque sommerso anche il piano inclinato; di là anzi già l'acquatraboccava nella galleria.

Una nuova agonia cominciò; alla luce della lampada - l'ultima - ches'andava spegnendospiavano l'implacabile incessante salire d'acqua. Prima l'ebbero alle caviglie; poi alle ginocchia. La galleria essendoin pendìocercarono scampo nella parte alta. Madopo una tregua diqualche orail flutto li raggiunse anche lìebbero l'acqua allacintola.

Ritti in piedila schiena incollata alla rocciala guardavano saliresalire: ancora un po' e chiuderebbe loro la bocca. Avevano appeso lalampada; e il suo riflesso che or ora ingialliva quel rapido pullularedi piccole ondepresto scemò; non fu più che un semicerchio che viavia si restringevadivorato dall'ombra che pareva infittirsi colcrescere della piena. Quand'ecco il buio avvilupparli di colpo;friggendola fiammella s'era spenta. Fu la notte compattaimpenetrabile; il sonno della terra che anch'essi ormai dormirebbero eche non avrebbe risveglio.

Stefano proruppe in una sorda imprecazione; mentrea sfuggirel'abbraccio delle tenebreCaterina si ricoverava contro di lui; e inun soffio le saliva alle labbra la frase dei minatori: La Morte spegnela lampada.

Eppurea quella prospettival'istinto si ribellava; una insensatavolontà di vivere moltiplicò le loro forze. Come forsennatisidiedero a scavareall'altezza delle loro testelo schisto; luicolgancio della lampadalei con le unghie; e ottenuto che ebbero nellaparete un gradinovi si issarono a sedere; piegati in due perl'incombere della voltale gambe penzoloni. Ma anche lìil gelodell'acqua avvertito dapprima solo ai calcagnifece presto a chiuderenella sua morsa le caviglie; per guadagnare quindi i polpaccileginocchiain una spinta inesorabile e senza tregua. Già il gradinotagliato in pendìoimbevendosisi faceva scivoloso; per tenersi sudovettero aggrapparvisi. Era la fine; quanto resterebbe loro davivereridotti a quella nicchiadove il minimo movimento minacciavadi farli precipitarenello stato di esaurimento e di inedia in cui sitrovavanosenza più nulla con cui ingannare la fameaccecati dalbuio?

Quel buiopiù di tutto li sgomentavagià pieno della presenza dellamorte ch'essi non vedrebbero venire.

Ormai ricolmatala miniera non aveva più suoni; nel pauroso silenzioessi percepivano solo sotto di sé il tacito salire dell'acqua dalleprofonditàquel crescere sordo della marea. Silenzio e buio cheavevano tolto loro la nozione del tempo; le ore si susseguivanoegualiaccorciateanziché rese interminabilidalla stessa angoscia. Si credevano là dentro da due giorni e due notti; e in realtà eranogià alla fine del terzo giorno. D'essere salvatiavevano perduto lasperanza: anche chi fosse stato in grado di arrivare sino a lorononavrebbe saputo dove cercarli; eposto che l'acqua li risparmiasseperirebbero comunque di fame. Ancora una volta avrebbero invocatosoccorso; ma con che cosa battere i colpi? il sasso era rimastosott'acqua. Del restoa che pro? nessuno li udirebbe.

RassegnataCaterina aveva appoggiato contro il filone il capo che ledolevaquando trasalì; e raddrizzandosi:

-Ascolta! - Lui credette lìper lì che alludesse al gorgoglio che faceva l'acqua salendo; e vollerassicurarla:

-Non è l'acqua- mentì. - Sono io che muovevo legambe!

Lei impaziente:

-Nononon questo... Laggiù è stato! ascolta! - eriaccostava l'orecchio alla parete. Indovinandone il gestoStefano laimitò. Ma per qualche secondonulla. Poilontanissimoimpercettibile quasitutti e due intesero tre colpiintercalati dapause.

Ma era vero? o li ingannava il ronzio delle orecchie? o quel cheudivano erano scricchiolii nella vena? E se era verocome rispondere?

- Non hai gli zoccoli tu? batti col tacco.

Nel buio risuonò di nuovo l'appello dei minatori; e ad essoindistanzaaltri tre colpi risposero. Non era stato un inganno. Presida frenesiaora non la finivano più di ripetere il richiamoottenendo ogni volta risposta. Piangevanosi abbracciavanoa rischiodi cascare. Finalmente! il soccorso tanto atteso arrivava! Scordati dicolpo i patimenti duratil'angoscia dell'attesal'insuccesso ditanti tentativi fattisi abbandonarono alla gioia; fu come se isalvatori fossero lìnon avessero che da allungare la mano per trarliin salvo.

- E' stata una bella fortunaehche io appoggiassi la testa!

- Hai un uditotu! Io non avrei sentito nulla!

Da allora si diedero il cambio; l'uno o l'altro era sempre in ascoltopronto a rispondere al minimo segnale. Non passò molto che distinserodei colpi di piccone: s'iniziavano i lavori d'approccioi compagniaprivano una galleria. Non un rumore sfuggiva alla loro attenzione.

Senonché quella euforia fu di breve durata. Per quanto seguitassero amostrarsi pieni di speranza per ingannarsi a vicendatutti e due apoco a poco furono ripresi dallo scoraggiamento. In un primo tempos'erano diffusi in congetture; evidentemente era dalla parte diRéquillart che si veniva loro in soccorso; la galleria venivapraticata nel filone; più d'una fors'anchevisto che erano tre lepiccozze al lavoro.

Questo li portò a calcolare lo strato di roccia che li separava daicompagni; risultò d'uno spessore che raffreddò i loro entusiasmi efinì per ammutolirli. Senza più dirseloognuno dentro di sé fece ilcomputo dei giorni che s'impiegherebbero ad aprirsi un passaggio sinlì: tanti cheall'arrivo dei soccorsiessi sarebbero morti da unpezzo.

Ripiombati da tanta speranza nel più nero sconfortoevitavano diparlarsi; ese ancora rispondevano ai segnaliera macchinalmentesolo per l'istintivo bisogno di far sapere ai compagni che eranoancora vivi.

Unodue giorni passarono: erano lì da sei giorni. L'acqua s'eraarrestata al ginocchio. In quel gelole gambe non le sentivano più. Potevano sì ogni tantotirarle su; stando così scomodiche in capo aun'ora dei tremendi crampi li costringevano a riabbandonarle. Loschistopoisotto di loro era diventato così scivoloso che ognidieci minuti dovevano con un colpo di rem tirarsi su. Impediticom'erano di aderire con le spalle al filone per via degli spuntoniche ne sporgevano e costretti a curvare il capo se non volevanospaccarselo contro la voltaalla loro tortura s'era aggiunto undolore alla nucafisso come per un chiodo che vi fosse conficcatodentro. E poi in quell'aria chiusacompressa come dentro una campanarespirare diventava sempre più faticoso. Se uno parlavala sua vocearrivava all'altro affievolitacome se partisse da chi sa qualilontananze. Il ronzio alle orecchie crebbe; credettero d'udireprecipitosi rintocchi di campane a martelloil galoppare d'unamandria in fuga sotto la gragnuola.

In un primo tempo Caterina soffrì orribilmente la fame; si recava alpetto le povere mani contratteansimava emettendo un lagnoincessantestraziante come per una tenaglia che le strappasse leviscere. Stefanoin preda allo stesso suppliziotastava intorno albuioquando la sua mano incontrò un pezzo di rivestimento fradicioche riuscì a sbriciolare. Una manciata di quella specie di segatura lapassò alla ragazzache la inghiottì ingordamente. Di quel legnotarlato si cibarono per due giorni; ma anche quello venne a fine;disperatisi scorticavano le dita nel tentativo di sgretolarnedell'altro; ma era un legno che teneva ancora e dovettero desistere.

Avessero potuto masticare i vestiti che avevano indosso! vi siprovavano invano. Una risorsa fu la cinghia di cuoio che lui avevaalla cintola; la ridussero in tanti pezzetti chea furia dimasticaresi sforzavano a inghiottire. Quel cuoio perlomeno mettevale mascelle in motodava l'illusione di mangiare. Finita anche lacinturatornarono alla stoffala succhiarono per ore.

Ma presto quei crampi allo stomaco si calmarono; la fame non fu piùche un dolore sordoil lento progressivo esaurirsi delle forze. Certoavrebbero finito per soccombere se non avessero avuto da berequanta acqua volevano... Bastava per questo che si chinasserol'attingessero nel cavo della mano. E non facevano altrotanto libruciava la sete: una sete che tutta quell'acqua non riusciva aestinguere.

S'era al settimo giornoquando Caterinanel chinarsi a beresisentì urtare la mano da qualche cosa che galleggiava. Per riconosceredi che si trattasseStefano brancicò nel buio:

-Non capisco; sidirebbe la copertura d'una porta d'aerazione -. La ragazza bevve; manell'attingere una seconda manciatatoccata di nuovogettò un gridodi raccapriccio:

-E' luimio Dio! - Chi lui? - Come chi? L'horiconosciuto dai baffi!

Era il corpo di Chaval; dal piano inclinato la piena l'avevarisospinto lì. Stefano allungò il braccio; incontrò anche lui queibaffiun naso maciullato; quel contatto lo riempì di paura e diribrezzo. Presa da un'incoercibile nauseala ragazza aveva giàrisputato l'acqua rimastale in bocca; convinta d'aver bevuto delsangue; che sangue dell'ucciso fosse tutta l'acqua lì sotto.

- Aspetta- balbettò lui. - Lo spingo via- e con una pedataallontanò il cadavere. Ma passava poco e quello ribussava alle lorogambe.

- Te ne vai maledizione! - Al terzo tentativo di scacciarlosipersuase della sua inutilità: il filo della correntesi vedeloriportava sempre lì. La vittima non voleva andarsene; voleva stare conloroaddosso a loro. Macabra compagnia che finì per rendere l'ariairrespirabile. Per tutto il giornosi astennero dal bere; preferendomorire che dissetarsi in quell'acqua. Ma già l'indomani la sete avevaragione del ribrezzo; scostando a ogni sorso il corporipresero abere. A che pro avergli spaccato il craniose era destino che dovessetornare a mettersi fra lorococciuto nella sua gelosia? Ormail'avrebbero lì sino alla finea impedir loro anche da morto di staresoli insieme. Un altro giorno passò; un altro ancora. Al menomorisucchio dell'acqua Stefano si sentiva toccare dall'uomo che avevaucciso: ohappena: la gomitata con cui il vicino ti ricorda che c'è. E ogni volta trasaliva. Non riusciva più a toglierselo davanti agliocchi; gonfiose lo figuravaputrefattocon quei mustacchi rossinel viso maciullato. Poiin un eclissi della memoria di averlouccisosi scordava; era l'altro che nuotava verso di luied ora loavrebbe morso.

Adesso Caterina era presa da crisi di lacrime; che duravano ore edalle quali usciva affrantacome esanime... Poi cadde in uno stato disonnolenza invincibile. Lui la scuoteva; leisenza neanche sollevarele palpebrebalbettava qualcosapoi subito si riaddormentava. Neltimore che cascasseil giovane le aveva passato il braccio intornoalla vita. Era lui adesso che rispondeva ai segnali. I colpi dipiccozza s'avvicinavanorisuonavano ormai alle sue spalle. Ma anchele sue forze se ne andavano; era tanto se rispondeva. I compagni lisapevano lì; a che stancarsi a battere i colpi? Né che arrivasseroimportava più; inebetito dal lungo attendereera giunto a dimenticareper ore quello che attendeva.

Seguì un miglioramento: il livello dell'acqua scemavail corpo diChaval si allontanò. E per la prima volta essi muovevano qualche passoper la galleriaquando il battere delle piccozzeche da nove giornidurava ininterrottotutto a un tratto cessò. L'improvvisoristabilirsi del silenzio li colpì come una mazzata. Che significavaquell'arresto? Presi da panico all'idea che la loro agonia potessericominciares'afflosciarono a terrasi cercaronosi strinsero comeimpazziti l'una all'altro.

E ora stavano lì seduti fianco a fiancoquando leipartendo in unasommessa risata:

- Deve far bello fuori- uscì inaspettatamente adire. - Vieniandiamo a spasso...Sulle prime Stefano tentò di reagire a quella ventata di folliamapoi anche il suo cervello cedette al contagio e il giovane smarrì lasensazione della realtà. Caddero tutti e due in una specie diallucinazione. Presa dall'irrequietudine e dalla morbosa loquacità chedà la febbreora la fanciulla scambiava il ronzio delle orecchie peruno scorrere d'acqueun cantare di uccelli; le sue narici percepivanoun acuto odore d'erba calpesta; grandi sprazzi gialli che leattraversavano la retina la persuasero di trovarsi all'apertopressoil canaletra le messiuna giornata di sole. - Che bel caldo che faeh? Ohprendimi! restiamo insieme! Oh sempresempre insieme!

Stefano la stringeva a sé; lei abbandonandoglisi contro carezzevole:

-Come siamo stati sciocchi- cinguettava felice- ad aspettare tanto! Fin dalla prima volta che ti ho vistoio mi sono sentita tuasai! Etumusoneche non l'hai capito! Poiti ricordiin casa da noilanotte? quando né tu né io si riusciva a prendere sonno? Tu ascoltaviil mio respiro e io il tuo. Che voglia che si aveva di abbracciarci! -Econquistato da quella gaiezzaanche Stefano cominciò allora arisuscitare ricordi del bene che s'erano taciuti. In tono di scherzosorimprovero:

-Tu m'hai picchiato una voltasì sì: due schiaffoniunoper guancia! - Leiaccattando perdono:

-E' che ti amavo! Vedifacevo di tutto per non pensare più a te. E' finitami ripetevotranoi. Eppure dentro di me una voce mi diceva che giorno verrebbe che cimetteremmo insieme. Bastava un'occasioneun caso felicenon è così? "Felice"ah proprio! - e Stefano rabbrividì. Avrebbe volutoriprendere contatto con la realtàscuotere da sé quel sogno. Irretitoin essoinvece:

-Nulla è mai finito- sentenziò. - Basta un attimodi felicitàperché tutto ricominci.

Leibattendo le mani:

-Ahallora mi tieni con teè vero? questa èla volta buonaallora? - Per la debolezzala voce le si spense ingola; e come venendo menos'abbandonò. Spaventatoluipersorreggerlase la strinse sul cuore. - Ti senti male? - Stupita alladomandaleirisollevandosi:

-Notutt'altro. Perché?

Ma già la domanda l'aveva destata dal suo sogno. Sgomentaguardò lanotte che li circondava; si torse le mani e ruppe in singhiozzi:

-Chebuio- gemette- che buio! mio Dio! - Non erano più le messi chevedevané odore d'erba che respirava nell'ariané il canto delleallodole che udiva. La trionfante luce del sole si eclissò davantialla realtà: la miniera franatainondata; le tenebre; il tanfo dichiusoil funebre sgocciolare del sotterraneodove da tanti giorniagonizzavano. Tutto un orrore che i sensi turbati ora moltiplicavanotrasformavano in incubo; e dovericaduta nelle superstizionidell'infanziarivide aggirarsi l'Uomo nero: l'antico minatore chericompariva nel pozzo a torcere il collo alle ragazze che sgarrano.

Infatti:

-Senti? Hai udito? - Noio nulla. - Sì sìl'Uomo nerosai? Eccoloeccolo lì! Le hanno reciso un'arteriaalla terra; e laterra si vendica inondando la miniera del suo sangue.. Ed è lìlovedi? guarda! più nero della notte!... Ho paura! ho paura! - etremando da capo a piedis'ammutolì. Poi ricredendosicol fiato piùche con la voce:

-No! è ancora l'altro!

- Chi l'altro? - Quello che sta con noiche non è più -. Eossessionata dall'immagine di Chavalconfusamente prese a parlare dilui; dell'esistenza da cani che avevano menato insieme; ricordòl'unica voltaalla Jean-Bartche lui le aveva testimoniato un po'd'affetto; le ingiurie e gli schiaffi con cui l'aveva poi sempretrattatapicchiandola a sangue per poi sfinirla di carezze.

- E' gelosoti dico! e viene per impedirci ancora di stare assieme. Oh caccialo! e tienmi con tetienmi tutta con te! - In un impeto ditenerezzagli si era appesa al collo; cercò la sua boccafremente viincollò la sua. La notte ridivenne giornoil sole riapparve; eCaterina rise d'un calmo riso d'amante. Luisentendosela controseminuda sotto i vestiti in brandelliin un brusco risveglio divirilitàl'abbrancò. E consumarono finalmente la loro notte nuzialein fondo a quella tombasu quel giaciglio di mota. Spintiall'improvviso imperioso desiderio di non morire senza prima averavuto la loro parte di benedal bisogno di sentirsi un'ultima voltavivisi amarono nella disperazionesulla soglia stessa della morte.

Appagato il loro amorenon desiderarono più nulla. Non si mossero piùdal cantuccio dove s'erano abbracciati; lui seduto in terraleicoricata sulle sue ginocchia. Ore e ore trascorsero così. La ragazzasi manteneva immobile; per gran tempo lui la credette addormentata;quando la toccòsentì ch'era morta. Pure seguitò a non muoversicometemesse di svegliarla. L'idea che per primo l'aveva avuta donnacheCaterina poteva essere incintalo inteneriva profondamente. Altripensieri - il progetto di partire con leila gioia che siriprometteva dalla loro vita in comune - lo visitavano a istanti; mavaghi fuggevoli come il respiro d'un dormiente che gli sfiorasse lafronte. Ormai esaustogli restava appena tanto di forza per muoverela mano; per assicurarsi che Caterina era lì con luipacificata nellamorte come un bambino nel sonno. Null'altro esisteva; neanche il buio. E di se stesso che ne era? si sentiva come altroveaffrancato daltempo e dallo spazio. Sìlì presso il suo capoqualcuno batteva deicolpi; sempre più fortisempre più vicino; ma se prima era stato iltorpore che lo irretival'estrema fiacchezza a impedirgli dirispondereadesso non sapeva più: sognava. Sognava Caterina; e nelsogno erano gli zoccoli di Caterina che udiva picchiettarediCaterina che camminava davanti a lui.

Due giorni trascorsero così. Caterina seguitava a tenersi immobile;lui macchinalmente la toccava ogni tanto; e sentendola tranquilla sirassicurava.

Finché qualcosa venne a scuoterlo da quel mortale sopore: un fragoredi vociun crollare là in fondo di massi. L'apparire nel buio d'unalampada gli riempì gli occhi di pianto. Incapace di staccare da essalo sguardoda quel punto rosso che bucava la tenebraseguìsbattendo le palpebreil suo avvicinarsi. Già i compagni lorialzavano da terralo sorreggevanolo portavano via di là. Qualcunolo sforzò a disserrare i dentilo imboccò di qualche cosa di caldo. Si lasciò fare.

Fu solo nella galleria di Réquillartche riconobbe un viso; il visodi Négrel là ritto in attesa. Allora si videro quei due uomini che sidisprezzavano a vicendabuttarsi uno al collo dell'altrosinghiozzando come bambinirimescolati nel profondo dai sentimenti difraternità umana che dormivano sotto la ribellione dell'uno e loscetticismo dell'altro. Lacrime versate sul male di viveresull'infelice sorte degli uominisull'abisso di dolore che puòattingere chi nasce da donna.

Intantovia via che si scoprivanoi morti venivano rimossi e portatiall'aperto. Caterina tra i primi. Quando la Maheu vide Caterina mortas'afflosciò in terra al suo fiancogemendo e ululando da spezzare ilcuore. Il viso sfigurato di Chaval fece credere che l'avesse ucciso lacaduta di qualche masso. Fu allungato accanto ad altri tre: unmanovale e due staccatorigonfi come lui d'acquacol craniofracassato come lui. Nella folladonne impazzite dal doloresistracciavano le vestisi laceravano con le unghie la faccia.

Stefano fu trattenuto nella galleria finché i suoi occhi non si furonoabituati alla luce delle lampade. Quandorifocillatosi fu un po'ripreso e poté uscirefu come uscisse uno spettro; tutti al suopassare istintivamente si ritraevano. Era d'una magrezza scheletrica eaveva i capelli completamente bianchi.

Al suo apparirela Maheu cessò di gridareper fissarlo istupiditaaocchi sbarrati come si guarda un redivivo

 

 

Capitolo sesto

 

Erano le quattro del mattino. L'avvicinarsi del giorno intiepidiva lafresca notte d'aprile. Nel limpido cielo le stelle vacillavano vicinea spegnersimentre l'orizzonte si imporporava a levante del primoannuncio dell'alba. E sulla buia campagna assopita correva un brividoquell'impercettibile fremito che precede il risveglio.

A grandi passi Stefano percorreva la strada di Vandame. Uscivadall'ospedale di Montsoudov'era rimasto degente tre settimane. Pallido ancora ed emaciatos'era sentito abbastanza in forza perpartiree partiva. La Compagnia chesempre in apprensione per i suoipozziseguitava a licenziare alla spicciolata operaigli aveva fattosapere che non poteva tenerlo. In compensogli offriva cento franchidi buona uscita; e paternamente lo consigliava a lasciare il lavorodelle miniereormai troppo gravoso per lui. Stefano aveva rifiutatol'offerta; già ora in possesso di una lettera di Pluchart che lochiamava a Parigi e gli accludeva i danari per il viaggio. Il giovanevedeva così realizzarsi il suo antico sogno.

Il giorno primauscendo dall'ospedaleaveva dormito al Buontempone;e quel mattino s'era alzato prestissimo per esaudire il solo desiderioche gli restava: salutare i compagniprima di andare a Marchiennes aprendere il treno delle otto.

Il sorgere dell'alba tingeva la strada di rosa. S'arrestò un istante. Che godimento respirare quell'aria pura della precoce primavera! Lagiornata s'annunciava bellissima. Via via che la luce crescevalaterra si ridestava dal suo sonno. Si rimise in camminofacendorisuonare il suolo sotto il bastone di corniololo sguardo tesolontano sulla pianura che emergeva dai vapori della notte.

Non aveva rivisto più nessuno dei compagni; solo una volta la Maheuera venuta a trovarlo all'ospedale: di tornareera forse stataimpedita. Ma sapeva che le maestranze del Voreux scendevano adessoalla Jean-Bart: la Maheu compresache s'era rimessa a lavorare.

Le strade si andavano animando; sempre più numerosigli passavanovicino dei minatori: chiusi in sétaciturni. La Compagniasi dicevaabusava della sua vittoria. Quandodopo due mesi e mezzo di scioperogli operaicostretti dalla fameerano tornati ai pozziavevanodovuto accettare la nuova tariffaquel larvato ribasso di salariotanto più odioso adesso cheper scongiurarlodei loro compagni eranomorti. Per derubarli di un'ora di lavoroli avevano obbligati a venirmeno al giuramento fatto: smacco che li ledeva nell'onoreche nonriuscivano a mandare giù e che li riempiva di fiele verso laCompagnia.

Il lavoro aveva ripreso dappertutto: a Miroualla MadeleineaCrèvecoeuralla Victoire. Dappertuttonella nebbia del mattinolungo le strade ancora immerse nella notteera uno scalpicciare digregge: file di uomini che trottavano a testa bassacome bestiamecondotto all'ammazzatoio. A braccia incrociatebattendo i denti dalfreddo sotto la tuta di telaprocedevano con un dondolio nelle renile mani intrecciate sul dorsocurvando la schienadonde la pagnottasistemata tra giacca e camiciasporgeva come una piccola gobba. E inquel ritorno in massa ai pozzinel tetro mutismo di quelle ombre nereche filavano via senza guardarsi intornosi sentiva la collera che fastringere i dentil'odio che gonfia il cuoree solo una rassegnataobbedienza alle necessità del ventre.

Con l'avvicinarsi ai pozziil loro numero cresceva. Camminavano quasitutti isolati; quelli che arrivavano in grupposi accodavano l'unoall'altro in fila indiana; stracchi prima di cominciareuggiti deglialtri e di se stessi. Stefano ne notò unovecchissimoagli occhi chegli ardevano come tizzoni sotto la fronte livida. Un altroungiovanesbuffava come una caldaia sotto pressione. Molti portavanogli zoccoli appesi al braccio e scivolavano via col passo felpato deicalzerotti di lana.

Era un affluire incessante; si sarebbe detta la marcia forzata d'unesercito in rottaavvilito dalla sconfittaanelante solo a impegnaredi nuovo battagliaa prendersi la rivincita.

Stefano arrivò alla Jean-Bart che il pozzo riaggallava appena dalbuio; nel primo barlume dell'albale lanterne appese ai cavallettiardevano ancora. Lassùin cima alla confusa massa degli edificiilcandido pennacchio d'uno scappamento si sfumava di carminio. Per lascala del capannone di cernitaraggiunse la ricevitoria. Già glioperai affluivano dalla baraccala discesa cominciava. Il trambustoche regnava nello stanzone lo fermò un momento. Rintronavano sotto leberline le lastre di ghisa del pavimento; i cavi scorrevano sullepuleggetra il tuonare del portavocelo scatenarsi delle suonerieitonfi della mazza sull'incudine del segnale. Ecco di nuovo le gabbieche senza sosta emergevano e si rituffavanoinabissando carichi dioperai; eccolo di nuovo lì il mostro occupato a divorare la suarazione di carne umana con la disinvoltura del gigante famelico chedel boccone che inghiotte neanche si accorge. Uno spettacoloorachei nervi del giovaneprovati dall'infortunionon tolleravano più;esasperatopreso a ogni sprofondare delle gabbie da un urto distomacodovette stornare gli occhi dal pozzo.

Ma mandandoli intorno nel buio dello stanzone che i lampioni vicini aspegnersi diradavano appena appenanon incontrò un viso conosciuto. Iminatori chea piedi scalzi con la lampada in manostavano lì inattesa d'imbarcarsigli lanciavano un'occhiata sospettosaper quindiabbassare il capo e farsi indietrocome messi in soggezione. Essicerto lo riconoscevano; ma il loro volto non esprimeva più alcunrancore. Pareva anzi che la sua presenza li intimidisse;s'aspettassero da lui di sentirsi rinfacciare la loro codardia. Un'attitudine così remissiva gli gonfiò il cuore di pietà; scordò cheerano gli stessi che lo avevano preso a sassate e accarezzò di nuovol'idea di poter fare di quei miseri degli eroi; il sogno di mettersi acapo della folladi dirigere questa forza di natura cheabbandonataai propri istintinon fa che distruggere se stessa.

Solo tra quelli che arrivavano in attesa d'una nuova infornatariconobbe alfine un viso; oh quel viso lìStefano lo conosceva bene! nello sciopero era stato il suo braccio destroun animoso chepiuttosto che cedereaveva giurato di soccombere.

- Anche tu ! -mormorò accostandolo. Quello impallidìle labbra gli tremarono; poiallargando le braccia:

-Che vuoi! ho moglie! - Macome questoquanti ora il giovane ne riconosceva tra i minatori che affluivanodalla baracca! - Anche tu? anche tu? - E le risposte erano semprequelle:

-Ho una madre... Ho dei bambini da mantenere... Bisogna purmangiare...Che altro potevano dire? e tetri restavano lìgli occhi fissi sulpozzoimpazienti di vedere la gabbia ricomparire; così avviliti dellasconfitta patita che anche tra loro evitavano di guardarsi.

Stefano chiese della Maheu. Nessuno aprì la bocca per rispondergli;solo uno fece capire col gesto che la donna stava per arrivarementreal nomealtri alzavano le braccia in segno di commiserazione: ahlapovera donna! quale pena!

Soffrendo pur lui di quell'imbarazzoil giovane tese intorno la mano:partivatutti gliela serrarono con forzaa fargli sentire quanto sirodevano in cuore d'aver cedutocon che ardore speravano nellarivincita. La gabbia aspettava; s'imbarcaronosparirono inghiottiti. VoltandosiStefano vide Pierron; agganciata al cuoio del berrettoaveva ora la lampada a fiamma libera dei sorveglianti. Promosso daotto giorni caposquadra al piano di caricol'uomo era montato intanta boria che gli operaiincontrandolosi scostavano. Il vedereStefano lìlo contrariò; si rassicurò solo quando il giovane glidisse che partiva. Scambiarono quattro parole. Adesso sua mogliegestiva il caffè del Progressograzie all'appoggio dei dirigenti che«si mostravano così gentili con lei». Diceva; e s'interruppe perinfliggere un cicchetto a babbo Mouque: l'ora era passata; che cosaaspettava per sbarazzare del letame la scuderia? Ascoltandoloilvecchio curvava le spalle. Nell'amarezza del rabbuffo ricevutoanchelui tese a Stefano la mano; e gliela strinse a lungo calorosamente: lastessa stretta degli altrifremente d'ira repressa e di irriducibilerivolta. E la manoche tremava nella suadi quel vecchio che gliperdonava i figli perdutisconvolse il giovane talmente che lo guardòsparire senza riuscire a spiccicare una parola di saluto.

- Aspettavo la Maheu. Che non venga stamattina?

La Maheutanto dire la disgrazia; e a parlare di disgraziac'è ilcaso di tirarsela addosso. Sicché Pierron fece finta di non capireallontanandosi col pretesto d'un ordine da dare. Solo vedendo perl'appunto la donna entrare:

-Che dicevi? la Maheu? Eccola qui.

Arrivava infatti dalla baracca; insaccata nelle brache e nella giaccada uomo; il capo stretto nella cuffiala lampada in mano. Mossa apietà dalla sorte di quella donna così duramente colpitala Compagniaaveva fatto per lei una eccezioneconsentendo che ridiscendesse nelpozzo nonostante i suoi quarant'anni. E visto che adibirla alcarreggio non si potevale aveva dato da far andare un piccoloventilatore a bracciaimpiantato da poco nella galleria nordin quelpuntosprovvisto d'aerazionedella miniera che la vicinanza delTartaret arroventava. In un bugigattolo dove la temperatura saliva aquaranta gradila meschina si sfiancava dieci ore di fila a girareuna ruota per guadagnare trenta soldi.

A vederla camuffata in quel modocon quel seno e quel ventre daidropica traboccanti dalla tenuta da lavoroStefano si sentì mancarela voce. Voleva dirle che partivache prima di partire aveva tenuto asalutarla; ma le parole non gli venivano e tartagliava. Davanti al suoimbarazzo lei che lo guardava senza ascoltarlo:

-Ti fa specieeh-finì per dire- di vedermi quiio che giuravo di strangolare ilprimo dei miei che vi rimettesse piede! ed ecco che a ridiscendervisono io; per cui mi dovrei strangolare da meè vero?... Ahva' lànon avrei aspettato tantoa farlose in casa non ci avessi unvecchio e dei bambini che gridano fame! - E con una voce che lastanchezza affievoliva:

-Non mi scuso- proseguì- ti dico le cosecome sono. Ho cercatosìdi tenere duroanche davanti alla fame; mapoi ci hanno minacciato di buttarci anche fuori di casa. Allora misono decisa.

- E il vecchio come sta?

- Ohluinon dà la minima noia e si tiene sempre pulito. Ma dicervello è completamente svanito... Per la faccenda che saitel'avranno dettolo hanno assolto. Volevano chiuderlo in un manicomioma io mi sono opposta; la roba di dosso che ha gliela avrebberobuttata a bollire in un calderone... Quella storia però ci hadanneggiato parecchio: ha fatto sfumare la pensione che gli dovevano;uno anzi di quei signori m'ha detto che accordargliela sarebbeun'immoralità... - Gianlino ti aiuta?

- Sì. Gli hanno trovato un'occupazione all'aperto. Porta in casa ventisoldi. Oh non mi posso lagnare! i capi si sono mostrati quanto maibuoni... come del resto si sono espressi loro stessi... I venti soldidi Gianlino fanno cinquantacoi miei trenta. Il pane ci uscirebbesenon fossimo in sei. Estella ora mangia come un grande; e il peggio èche bisognerà aspettare ancora quattro o cinque anniprima che Enricoe Leonora siano in gradoin età di discendere!

Stefano non poté trattenere uno scatto:

-Anche loro!

All'osservazioneil sangue affluì ai pomelli della donnanegli occhipassò un lampo. Poi accasciò le spalle come sotto il peso del destino.

- Che vuoi? Loro come gli altri! ... Ci abbiamo lasciato la pellacciatutti... E' la loro voltaadesso.

Dovette scostarsi per lasciar passare una berlina. Dai finestriniragnatelosi s'affacciava l'albaannegando nel suo grigiore la lucedelle lanterne. Ogni tre minutila macchina si rimetteva in motoicavi scorrevano; senza sosta le gabbie inghiottivano uomini.

- Andiamobattifiaccaspicciamoci! - gridava Pierroncon l'occhioalla Maheu. - Susuimbarcatevi! non si finisce piùaltrimentiquest'oggi!

La Maheu capì bene che diceva per leima non si mosse; lasciò cheanche quella gabbia - la terza - partisse senza di lei. Esovvenendosi delle prime parole del giovane:

-Sicché tu parti?

- Sìalle otto.

- Fai bene. Sempre meglio altrove che quiquando si può. M'ha fattopiacere vederti primacosì almeno te ne vai sapendo che non ti serborancore. Lì per lìcertovedendomeli ammazzare uno dopo l'altrotiavrei fatto la pellete lo confesso. Ma poi si rifletteci si fa unaragionenon è vero? Allora si scopre cheallo stringere dei contila colpa non è di nessuno. Nononon t'accusare: non è tualacolpa. La colpa è di tutti quanti.

E prese quietamente a discorrere dei suoi morti: il suo uomoZaccariaCaterina. Solo facendo il nome di Alziragli occhi le sigonfiarono di pianto. Era tornata la donna ragionevole d'un tempochegiudicava le cose serenamente. Ai ricchi non porterebbe benel'avermassacrato tanti poveri cristi; verrebbe indubbiamente il giorno cheavrebbero la punizione che si meritavano. Non ci sarebbe neanchebisogno di impicciarsene; la baracca crollerebbe da sé; i soldatisparerebbero sui padronicome avevano sparato sugli operai. Nellasecolare rassegnazionenella supina obbedienzasucchiata col lattecui di nuovo la donna si piegavala certezza era maturata chel'ingiustizia non poteva durare più a lungoche se lassù non c'erapiù il buon Dioun altro ne sorgerebbe a vendicare la povera gente. Parlava sottovoceguardandosi intorno diffidente. Poi vedendo Pierronaccostarsiaggiunse alzando la voce:- Allorase partiva' prima a riprenderti la tua roba... Da noihaiancora due camicietre fazzoletti e un vecchio paio di calzoni -. (Era quantodella sua robail giovane aveva salvato dai rigattieri).

- Nosono vecchi cenci; te ne servirai per i bambini... A Parigi miaggiusterò.

Altre due gabbie erano ripartitesenza che la Maheu si decidesse adapprofittarne. Questa volta Pierron la apostrofò direttamente:

-Ditedunquevoi costì! L'avete finita di chiacchierare? Ecco la gabbiaandiamo!

In rispostala Maheu gli voltò la schiena. Perché faceva tutto quellozelo? Non era responsabile luidella discesa degli operai! Non glibastavaa quel vendutol'odio che s'era già saputo attirare da partedella sua squadra? E lei s'ostinava a stare lìcon la lampada inmanoin mezzo alle correnti d'aria che nello stanzone si mantenevanogelatea dispetto della stagione. Faccia a facciai due restarono insilenzio; avevano il cuore così gonfio che avrebbero voluto dirsiancora qualcosa; che cosané l'uno né l'altro trovava. Finchéleitanto per dire:

- La Levaque è incinta e ha sempre il marito inprigione; è Bouteloupin assenzache ne fa le veci.

- Ahgià: Bouteloup...- E sentiti ho mica detto? Filomena è partita.

- Comepartita?

- Sì: se l'è svignata con un minatore del Pas-de-Calais. Subitohoavuto paura che i marmocchi me li lasciasse sulle costole. Invece nose li è portati con sé. Che ne dici? una donna che sputa sangue e paresempre lì per spirare.

Restò assorta un momento; poi:

-E di me! quante non ne hanno dette!

Ti ricordi che dicevano che venivo a letto con te? Oh Dio! morto ilmio uomofossi stata più giovaneanche questo avrebbe ben potutosuccederenon è vero? Ma non è stato; e oggi come oggipreferisco. Certoce ne rimorderebbe.

- Sìce ne rimorderebbe- fece Stefanosemplicemente.

E né l'uno né l'altro aggiunse parola.

Da una gabbia che aspettavauna voce chiamòstizzosala Maheu: sispicciasse a salirese non voleva vedersi infliggere una multa. Ladonna allora si decise; e tese a Stefano la mano. Visibilmentecommosso lui la guardava così mal ridottadavvero finita; con quelviso patitoquei capelli scoloriti che sfuggivano dalla cuffiaquelcorpo di buon animale sottomessosfiancato dai troppi partid'unadeformità ormai che la tenuta da lavoro non faceva che sottolineare. Enella stretta di mano che ora riceveva il giovane riconosceva lastessa avuta dai compagni: una stretta di mano lungamuta:l'appuntamento per il giorno in cui si ricomincerebbe la lotta. Checosì eraStefano lo lesse nella tranquilla certezza che gli occhi dilei esprimevano. A prestodunque! e questa volta per davvero!

- Fannullona della malora! - inveì Pierron. Tra spinte e urtonilaMaheu si ammucchiò con altri quattro dentro una berlina. Venne dato ilsegnale della «carne da strapazzo»; la gabbia si sganciòpiombò nelbuio; e non vi fu più che il rapido svolgersi del cavo.

Allora Stefano abbandonò il pozzo. Attraversando per uscire ilcapannone della cernitaaccoccolato in terrascorse un essere umanoche affondava le gambe dentro un cumulo di carbone. Attanagliato trale cosce teneva un blocco d'antracite e vi menava sopra colpi perliberarla dalla ganga di schisto; sparendo quasi nella nube di polvereche il martello sollevava. Il giovane certo non l'avrebbe riconosciutose quelloscorgendolonon avesse alzato la faccia: un muso dibertucciale orecchie a ventoladegli occhietti verdognoli:Gianlinoimpiegato là dentro a ripulire il minerale delle scorie piùgrosse.

Il monello ebbe un riso canzonatore; spaccò d'un colpo secco il bloccoe scomparve dentro un nuovo polverone.

FuoriStefano camminò per un poco assorto. Ogni sorta di pensieri glironzavano in capo. Poi ebbe la sensazione dell'aria apertadel cielolibero; e rifiatò a pieni polmoni. Radiosoil sole sorgevaall'orizzonteriversando sull'immensa pianura un torrente di luce. Alsuo vivificante caloregioiosa si ridestava la campagnacorreva laterra un fremito di giovinezzaun inno alla vitadove il cinguettaredegli uccelli si sposava al sentore delle zolle e dell'erbaallostormire dei boschial mormorare dell'acqua. Vivere metteva ancorconto; la decrepita terra reclamava ancora la sua primavera.

Conquistato da quella esultanzaStefano riprese a sperare; erallentando il passolasciò il suo sguardo vagare all'intorno. Intanto si esaminava; si sentì fortematurato dalla dura esperienzadella miniera. Il suo noviziato era finito; partiva di lì armatononpiù reclutama veterano della rivoluzione: una rivoluzione chelibererebbe la terra d'una societàche la sua coscienza condannava.

La gioia di raggiungere Pluchartdi diventare come lui un capoascoltatogli suggeriva spunti di discorsi; già di quei discorsi gliveniva di congegnare delle frasi. Il suo programma lo avrebberivedutoampliato. La stessa educazione borghese per la quale s'erainnalzato sopra la sua classeera adesso quella che accresceva il suoastio contro la borghesia. Quegli operai che col loro tanfo di miserialo indisponevanosentiva il bisogno di esaltarli; li additerebbe comei soli degnii soli onestil'unica forza viva in cui l'umanitàpotesse ritemprarsi. Già si vedeva deputato; e il suo trionfocoinciderebbe con quello del popolose dal popolo non si lasciavaprendere la mano.

Un canto d'allodola perduta in cielo gli fece alzare il capo; sciaveridi nebbia imporporati dall'alba - gli ultimi vapori della notte - siscioglievano nel limpido azzurro.

Vaghigli si affacciarono al ricordo i volti di Rasseneur e diSouvarine. Tutto andava a rotoliquando ognuno voleva comandare; cosìla famosa Internazionaleche pareva dovesse rinnovare il mondoabortiva per debolezza dopo aver visto il formidabile esercito di cuidisponeva scindersisgretolarsiminato all'interno da rivalità. Darwin aveva dunque ragione? il mondo non sarebbe che una lottadovei forti divorano i deboli per la continuità e il miglioramento dellaspecie? Sebbene nella sua presunzione lo scacciassequesto dubbio loturbava. Ma un'ispirazione lo soccorse: se una classe doveva perirenon era naturale fosse la borghesiainfrollita nei piaceri; asopraffarlail popolocosì giovanecosì traboccante di vita?

Era stata la sua prima interpretazione della teoria darwiniana; l'ideadi riprenderla alla prima occasioneparlando alla follaloentusiasmò. Da un sangue nuovo sorgerebbe una nuova società. E quellaprospettiva di un'irruzione di barbari che rigenerasse le vecchienazioni prossime al crolloribadiva in lui la certezza che larivoluzione era alle porte: la vera; quella dei lavoratori; il suoscatenarsi tingerebbe di porpora quello scorcio di secoloallo stessomodo che orasorgendoil sole tingeva il cielo di sangue.

Immerso in questi pensieriseguitava a camminarescartando i sassicol bastone. Ese alzava il capoera per riconoscere punti delpaesaggio a lui ben noti e per accomiatarsi da essi. Alla Fourche-aux-Boeufs si ricordò che il giorno del saccheggio dei pozziaveva presolì il comando dei dimostranti. Oggiahimèil lavoro massacrantebestialemal retribuitoricominciava. Laggiù sotto terraasettecento metri di profonditàcerto a quest'ora risuonavano - e glipareva d'udirli - i colpi sordicadenzatiincessanti delle piccozze:erano i compagni che poco prima aveva visto avviarsi; gli uomini neriche nella loro rabbia silenziosascavavanoscavavano. Certodallalotta erano usciti vinti; vi avevano rimesso vite e danaro; ma Pariginon li dimenticherebbe i colpi di fucile del Voreux; da quella feritasempre aperta colerebbe il sangue stesso dell'Impero; ese la crisiindustriale volgeva a finese una ad una le fabbriche riaprivanocheimporta? lo stato di guerra era dichiaratola pace non era piùpossibile. I lavoratori del carbone s'erano contati; avevano saggiatola loro forza; svegliato dal torporecon la loro richiesta digiustiziatutta la Francia operaia. La loro disfatta nontranquillizzava nessuno; i borghesi di Montsoupresigiànell'esultanza della vittoriada un sordo malesseresi volgevano aguardare se il grande silenzio che s'era fatto non covasseinevitabilela loro fine. Capivano che quello che era stato siripeterebbeche la rivoluzione ne figlierebbe altre; chemagaridomanipoteva dilagare in uno sciopero generalevisto che l'unionemondiale dei lavoratori disponeva di fondi tali da metterli in gradodi tenere duro per mesisenza morire di fame.

Anche quello di Montsou insomma era stato un colpo di spalla assestatoalla vacillante società capitalistica; la borghesia aveva sentitosotto di sé le fondamenta scricchiolare e capiva che sotterra altrescosse si preparavanosempre altrefino al giorno che il suo tarlatoedificio si sconquasserebbesi inabisserebbeinghiottito come ilVoreux.

Stefano svoltò a sinistra sulla via di Joiselle. Lìaveva impedito aisuoi di gettarsi sulla Gaston-Marie. Laggiùnel solescorgeva letorrette di parecchi pozzi: Mirou a destraMadeleine e Crèvecoeuruno addossato all'altro. Dovunque ferveva il lavoro; da un capoall'altro della sconfinata pianura le viscere della terra risuonavanodi colpi di piccozza; un battere incessante sotto i campile stradei villaggi che ridevano al sole; tutto l'oscuro affannarsi d'unasotterranea galeratalmente sprofondata sotto il peso delle rocce chebisognava conoscerne l'esistenza per distinguerne il dolorosoansimare.

E ora il giovane si chiedeva sequella della violenzaera poi lastrada buona per affrettare l'avvento di un'era migliore. Recidere deicavidivellere delle rotaiefracassare delle lampadeche lavoroinutile! Valeva la penaper arrivare a questodi mettersi in tremilaa scorrazzare devastando il paese? Confusamente il giovane intuiva chesolo la strada della legalità condurrebbe un giorno a conseguirerisultati decisivi. La sua intelligenza maturava. Stefano aveva ormairipudiato i suoi vecchi rancoriche oggi considerava effetto diinesperienza. Sìguidata solo dal buon sensodiceva bene la Maheu:la vera strada per riuscire era che le masse lavoratrici si unisseroinsieme pacificamentesi conoscesserosi stringessero in sindacatiappena la legge lo consentisse; e il giorno che si trovassero inschiacciante maggioranza - milioni di lavoratori di fronte a pochemigliaia di sfruttatori - s'impadronissero del poterediventassero ipadroni. Ah quel giornosìsegnerebbe il trionfo della verità edella giustizia! Il dio satollo schiatterebbe all'istante; l'idolomostruoso che se ne sta appiattato lontanochi sa dovenell'ombradel suo sacrariodove i poveri cristi lo nutriscono del loro sanguesenza averlo mai visto in faccia!

Giàlasciata la via di VandameStefano sboccava sulla maestra. Adestra aveva Montsoucon le sue case in pendio; di frontei restidel Voreuxla maledetta pozza che tre pompe lavoravano giorno e nottea prosciugare. All'orizzontela VictoireSaint-ThomasFeutry-Cantel; mentre a nord si slanciavano al cielo le torri deglialtifornii gasogeni fumavano nell'aria trasparente del mattino.

Vincendo la tentazione di indugiarsiStefano accelerò il passo: l'oradel treno s'avvicinava e aveva ancora sei chilometri da percorrere. Mail sotterraneo battere delle piccozzeche il suo cuore udivanoncessò di accompagnarlo. Li vedevali udiva dovunque si volgesseisuoi compagni: sotto quel campo di granosotto quella siepedovesorgeva quel filare di giovani pioppi.

E làsotto quella piantagione di barbabietolenon c'erapiegata induela Maheu: ansimantepoveracciadalla fatica quasi quanto il suoventilatore?

Alto nel cieloora il sole di germinale raggiava in tutta la suagloria. Al caldo dei suoi raggila terra sprigionava in mille formela vita dal suo grembo materno. Le sementi gonfiavanobucavano digermogli la zollavariavano i solchi del loro tenero verde. Le gemmedegli alberi si schiudevano in lucide foglie; i campi trasalivanosotto la spinta dell'erbaagognanti alla luce. Per la vegetazione insucchiosi propagava come un fremito: era la linfa che urgeva sottole cortecceche traboccava dovunque. Ma sotto quel tripudio dellanaturasempre più distintoil giovane continuava a udire l'oscurotravaglio dei minatori. E di questa messe soprattutto la terra eraincinta; una messe che spunterebbe un giorno alla lucegrandeggerebbenei solchi per gli imminenti raccolti. Là in fondo un esercitolentamente cresceva; un nero esercito vendicatore cheschiantando laterraben presto esploderebbe alla luce.