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Guyde Maupassant



UNAVITA

 

 

 

 

Capitolo1


Giovannafatte le valigiesi avvicinò alla finestra: che insistenzala pioggia!

L'acquazzoneaveva battuto per tutta la notte sul lastricato e sui tetti. Il cielobassocarico d'acquasembrava rompersi e vuotarsi sopra la terra; espappolarlala terrafonderla come zucchero. Passavano raffichepiene d'un calore pesante. Il mugghiare dei ruscelli straripatiriempiva le strade deserte là dove le case bevevano l'umiditàcome spugne; l'umidità che invade gli interni e fa sudare imuri dalla cantina al solaio.


Giovannaera appena uscita di convento; ormai liberata per semprepronta acogliere tutte le gioie della vita che sognava da così grantempo. Ora temeva che suo padre esitasse a partire se il cielo non sischiarivae interrogava l'orizzonte senza sostafin dal mattino.Poinon appena si accorse che aveva dimenticato di mettere il suocalendario nella borsa da viaggiostaccò dal muro il piccolocartone diviso per mesiche aveva in mezzo a un ghirigoro la datadell'anno in corso1819in cifre dorate; e cancellò con lamatita le prime quattro colonne radiando ciascun nome di santo finoal 2 maggio: giorno della sua uscita dal convento.


"Giannetta!"chiamò una vocedietro la porta.


"Entrapapà." E comparve il papà.


Ilbarone Simone Giacomo Le Perthuis des Vauds era un gentiluomodell'altro secolo: un po' maniacoma buono. Discepolo entusiasta diGian Giacomo Rousseauaveva vere tenerezze d'amante per campiboschi e bestie. Aristocratico di nascitaodiava per istinto ilNovantatré; mafilosofo per temperamento e liberale pereducazioneperseguiva la tirannia d'un odio inoffensivodeclamatorio. La bontà era la sua grande forza e la sua grandedebolezza: una bontà che non aveva abbastanza braccia peraccarezzarestringeredonare: una bontà da creatorediffusae senza resistenzasimile al torpore d'un nervo della volontàa una lacuna dell'energiaquasi un vizio. Uomo teoricoeglimeditava tutto un piano d'educazione per sua figliavolendolafeliceretta e sensibile.


Giovannaera rimasta in casa fino ai dodici anni: poimalgrado le lacrimematernel'avevano chiusa in convitto. Lui l'aveva voluta al SacroCuorein clausuraignorata e ignorante di tutto; affinchégliela rendessero casta a diciassette anni quando l'avrebbe temprataegli stesso in una specie di bagno di poesia ragionevoleaprendoquell'animaistruendo quell'ignoranza ponendola davanti davantiall'amore semplicealle tenerezze naturali delle bestiealle leggiserene della vita.


Uscivaintanto dal chiusoraggiantepiena di vivacità e didesideriopronta a tutte le gioiea tutti i casi piacevoli che ilsuo spirito aveva già percorso nell'ozio dei giorninellalunghezza delle nottinella solitudine delle speranze. Sembrava unritratto del Veronese; coi capelli d'un biondo lucente che si sarebbedetto un po' scolorito sulla sua carne ombrata come da una leggerapeluriadi una specie di pallido velluto che era il sole a svelarelambendolo. I suoi occhi erano azzurridi quell'azzurro opaco degliocchi di certe statuette di porcellana olandese. Aveva anche unpiccolo neo sull'aletta sinistra delle narici; un altro a destrasulmentodove si arricciavano alcuni peli così somiglianti allasua pelle che si distinguevano appena.


Altacol petto maturoondeggiava un poco nel corpo. La sua voce chiarasembrava talvolta troppo acuta; ma il suo riso schietto diffondevatutt'intorno la gioia. Spessocon un gesto consuetoportava le manialle tempie come per lisciarsi i capelli.


OraGiovanna corse incontro a suo padree lo abbracciò:

"Benesi parte?" Egli sorrisescosse i capelli che portava assailunghigià bianchie accennò la finestra.


"Partirecon un tempo simile?" "Ohpapà" pregavacarezzevole e tenera. "Farà bello dopo mezzogiorno.Andiamoandiamo!" "Ma tua madre certamente non...""Sìsì. Vuole. Me ne incarico io." "Be'se riesci a convincere mamma..." Giovanna si precipitòverso la camera della baronessa; perché aveva atteso il giornodella partenza con un orgasmo sempre più forte. Dopo la suaentrata al Sacro Cuorenon aveva più lasciato Rouennonpermettendole il padre alcuna distrazione prima dei diciassette annifissati. Due volte soltanto l'avevano portata un paio di settimane aParigima Parigi era ancora una città e lei sognava soltantola campagna. Ora andava a passare l'estate nella tenuta dei "Pioppi"vecchio castello di famiglia situato sulla scogliera presso Yportesi riprometteva una gioia infinita da quella vita libera sul mare.Era anche stabilito che le si sarebbe fatto dono di questo castellodove avrebbe abitato da sposa. E la pioggia che cadeva senza sostadalla sera prima le dava il primo vero dispiacere della sua vita.


Dilì a poco usciva di corsa dalla camera di sua madre gridandoper tutta la casa:

"Papàpapà! Fa attaccare! Mamma è contentaècontenta!" Continuava il mal tempo. Sembrava anzi cheraddoppiasse la pioggia quando il calesse si fermò davantialla porta.


Giovannametteva il piede sul montante e la baronessa scendeva le scale fra ilmarito e una robusta cameriera che la sostenevano.


Rosalìala cameriera vigorosa come un giovanottouna normanna del paese diCauxdimostrava almeno vent'anni benché non ne avesse piùdi diciotto. In famiglia la trattavano un po' come una secondafigliaperché era stata la sorella di latte della padroncina.La sua mansione principale era di guidare i passi della signoradivenuta enorme da qualche annoin seguito a un'ipertrofia di cuoredella quale la poveretta si lamentava ormai senza requie.


Quandola baronessa raggiunse ansimando la scalinata del vecchio palazzoguardò nel cortile dove l'acqua scorreva a ruscelli e sostennecheveramentenon era ragionevole partire.


Ilmaritosempre sorridenteintervenne:

"Manon siete voimadama Adelaideche avete dato il permesso?"Poiché aveva questo nome pomposolui la chiamava sempre"madama Adelaide" con una certa aria di rispetto un po'motteggiante.


Quindilei riprese a muoversi e salì con fatica sulla carrozzafacendone piegare le molle. Il barone si sedette al suo fianco;Giovanna e Rosalìa presero posto sul seggiolino di fronte.


Lacuoca Liduina portò un mucchio di mantelli da mettere sulleginocchiapoi due panieri da nascondere sotto le gambee siarrampicò fino a papà Simonea cassettae qui siavviluppò in un'ampia coperta che la nascose quasi del tutto.Il portiere e sua moglie vennero a salutare chiudendo poi losportelloricevettero le ultime raccomandazioni per le valigie chedovevano seguire in un carro: e si partì.


Simoneil cocchierecon la testa abbassatail dorso curvo sotto lapioggiascompariva nel suo soprabito a triplice collaretto. Laburrasca batteva i vetriinondava la strada. Al trotto dei duecavallila berlina scese veloce lungo il cigliocosteggiò lalinea delle grandi navi i cui pennoni e cordami si alzavano tristinel cielo piovoso simili ad alberi spoglie si inoltrò sulbastione del monte Riboudet. Le praterie furono oltrepassate; e manmano un salice fradiciocoi rami cascanti in un abbandonocadavericosi incideva forte attraverso un turbine d'acqua. I ferridei cavalli scalpicciavano e le quattro ruote lanciavano girandole difango.


Tuttitacevano: anche gli spiriti parevano in ammollo come la terra.Mamminariversata all'indietroappoggiò la testa e chiusegli occhi; il barone osservava con occhio malinconico la campagnamonotona così flagellata; Rosalìaun pacchetto sulleginocchiasognava con la fantasticheria quasi animale della gentedel popolo. Ma Giovannasotto la pioggia tiepidasi sentivarivivere come una pianta che dal chiuso viene portata alla luceel'intensità della sua gioia era una specie di fogliame cheriparasse il suo cuore dalla tristezza. Benché non parlasseaveva voglia di cantaredi stendere fuori la mano per riempirlad'acqua da beree gioiva di essere portata via al gran trottoseguendo la desolazione del paesaggiosentendosiin mezzo aquell'inondazioneal coperto.


Sottola pioggia incessante le groppe lucenti delle due bestie esalavano unvapore come d'acqua bollente. La baronessaa poco a pocosi eraaddormentata. La sua faccia incorniciata da sei riccioli regolari ependenti si ripiegò mollemente sostenuta da tre ampi giri dipappagorgia le cui ultime ondulazioni si perdevano nel pieno mare delseno. La testa si sollevava ad ogni respiro ma ricadeva subito ingiù; le guance si gonfiavano quandofra le labbra socchiusepassava un sonoro russìo. Il marito si piegò verso dilei e insinuò pian piano un piccolo portafogli di cuoio fra lemani incrociate sul gran ventre. La signora al contatto si svegliaguarda l'oggetto con uno sguardo assentecon l'ebetudine dei sonniinterrotti: monete d'orobiglietti di banca vanno qua e làper il calesse. Si sveglia del tutto; la gaiezza della figliolaesplode in uno scoppio di risa; il barone raccoglie il denaro e lorimette in grembo alla dama.


"Amicamiaecco ciò che rimane della fattoria di Életot. L'hovenduta per i restauri dei "Pioppi": ai "Pioppi"d'ora in poiresteremo molto più spesso." La signoracontò seimila quattrocento franchi; e se li mise in tascatranquilla.


Erala nona fattoria delle trentuno ereditate dai vecchi. Adessopossedevano ancora circa ventimila "lire" di terrenichebene amministratiavrebbero reso facilmente trentamila franchil'anno.


Poichéessi vivevano senza sfarzoquesta rendita avrebbe potuto bastare; mac'era in casa un buco senza fondosempre apertoe cioè labontà che prosciugava il danaro nelle loro mani come il soleprosciuga l'acqua degli stagni. Colavafuggivaspariva...


Inche modo? Nessuno sapeva. Uno dei due diceva a un certo momento: "Nonso come siama oggi mi ci sono andati cento franchi senza aver fattouna spesa importante". Questo di dare era d'altrondeper lorouna delle grandi felicità della vita: e si intendevanosuquesto puntomagnificamente.


"E'dunque bello adesso il mio castello?" chiedeva intanto Giovanna.Egli rispose allegro:

"Bambina:vedrai." Diminuiva a poco a poco la violenza dell'uragano; nonfu più che una specie di nebbiauna fine polvere di pioggiache volteggiava.


L'arcodelle nuvole sembrava alzarsi e impallidire: poiimprovvisamenteunlungo raggio di sole obliquo scese sulle praterie attraverso unostrappo invisibile. Rotte le nubiil fondo azzurro del firmamentoapparvelo squarcio si ingrandì come un velo che sisbrindellie un cielo puro d'un azzurro fresco e profondo si stesetutto sul mondo. Un soffio dolce e vivace passò come unsospiro felice sulla terrae costeggiando boschi e giardini si udivatalvolta il canto d'un uccellino che si asciugava le piume.


Scendevala sera. Tutti dormivanooranella vettura: meno Giovanna. Ci sifermò due volte: per lasciar riposare i cavalliper dar loroacqua ed avena.


Ilsole era tramontato. Suonavano campane lontane. In un villaggetto siaccese qualche fanale: si accese un formicolìo di stelle nelcielo. Case illuminate apparivano qua e làdi quando inquando: maimprovvisamentesorse la lunarossaenormecomeintorpidita dal sonnodietro la collinatra i rami dei pini.


L'ariaera così tiepida che i vetri potevano restare abbassati.


OraGiovanna si riposavaesaurita dai sognisazia di visioni felici.Talvolta l'intorpidimento d'una posizione prolungata le facevariaprire gli occhie allora guardava fuorinella notte luminosaevedeva passare gli alberi d'una fattoria o anche mucche sdraiate inun campoqua e làche alzavano il muso.


Cercavauna posizione nuovaprovava a riprendere un sogno appena cominciatoma il rotolìo della vettura le riempiva gli orecchileaffaticava il pensierocosì che riabbassava le palpebrestanche le membralo spirito stanco.


Lavettura si ferma. Uominidonne davanti agli sportellicon lanterne.Arrivati! Giovanna salta giù prontamentedestata come disoprassalto. Un mezzadro fa luce al papà e a Rosalìache portano quasi di peso la povera baronessa estenuatatutta unlamento: "Ah mio Dio! oh miei poveri figlioli!". E non vuolberenon vuol mangiarenon vuol saperne di nulla: si corica e siaddormentadi colpo.


Padree figlia mangiano soli. Si guardanosi sorridonosi prendono lemani attraverso la tavolaeinvasi entrambi da una gioia infantiledecidono di visitare il castello. Una di quelle vaste dimorenormannedi pietra bianca divenuta grigiaun po' castelloun po'fattoriacon tanto spazio da alloggiare tutta una stirpe: un immensovestibolo che divide la casa in due parti e l'attraversa da una parteall'altra aprendo le sue grandi porte sui lati: una vasta scalinatache sembra allargare questo atrio e lascia vuoto il centro unendo alprimo piano le sue due rampe a mo' di ponte. Al piano terrenoadestrasi entra nel salone immensotutto tappezzerie a foglie incui uccellini allegri svolazzano. L'arredo in tappezzeria a mezzopunto non è che una rappresentazione delle favole di LaFontaine: e Giovanna ha un sussulto di piacere ritrovando unapoltronaamata fin da piccinacon la storia della Volpe e dellaCicogna. Di fianco al salone si aprono la biblioteca zeppa di vecchilibri e due altre stanze inutilizzate; a sinistra la sala da pranzocol tavolo nuovoe poi guardarobacredenzacucinaun piccoloappartamento col bagno.


Uncorridoio taglia per il lungo tutto questo piano: dieci porte didieci camere si allineano su questa sfilata. In fondoa destraeccol'appartamento di lei. Padre e figlia ci entrarono.


Eglil'aveva fatto rimettere a nuovo impiegando soltanto mobili e paratirimasti per lungo tempo in solaio.


Vecchietappezzerie di tipo fiammingo popolavano questo luogo di personaggimolto curiosi. Ma appena scorse il suo lettola fanciulla lanciòun grido di gioia. Ai quattro latiquattro grandi uccelli diquercianeri e lucenti di cerareggevano il letto e sembrava nefossero i custodi; i fianchi simulavano due larghe ghirlande di fiorie frutta scolpiti; quattro colonne finemente scanalate terminavano incapitelli corinzi e sollevavano una cornice formata da un intrecciodi amorini e di rose. Letto monumentaleeppure graziosomalgrado laseverità del legno annerito dal tempo. Lo strapuntino e l'arcodel cielo scintillavano come due firmamenti. Erano di seta antica ilcui azzurrodensissimosi costellava di grandi gigli ricamati inoro.


Dopoaver molto ammirato il suo letto Giovanna sollevò il lume edesaminò le tappezzerie per capirne bene il soggetto. Un giovinsignore e una giovane dama vestita di verdedi rosadi giallonelmodo più stravaganteparlano sotto un albero turchino su cuimaturano candidi frutti. Un grosso coniglio dello stesso coloremangia un po' di erba grigia. Al di sopra dei due personaggiin unalontananza convenzionalecinque casine tondeacuminatee piùin altoquasi nel cieloun bel mulino a ventotutto rosso.


Siinsinuano per tutta questa rappresentazione grandi ramificazioni difiori.


Glialtri due pannelli somigliano al primo; eccetto per il fatto che sivedono uscire dalle case quattro omuncoli vestiti alla fiammingaaprendo le braccia al cielo con meraviglia e grande collera. Poiviene il dramma. Accanto al coniglio che brucail giovanotto steso aterra sembra mortonell'ultimo pannello. La dama lo guarda e sitrapassa il petto con una spada: e in cima all'albero i fruttidiventano neri. Che vuol dire ciò? Giovanna rinuncia a capire;ma poi scopre in un angolo una bestiolina microscopica che ilconigliose vivopotrebbe mangiarsi come un filo d'erba: ed èinvece un leone. Allora comprende: la leggenda di Piramo e di Tisbe!E quantunque sorrida della semplicità del disegnosi sentefelice di essere mescolata a questa avventura d'amore che parleràal suo cuore di care speranze e farà librare ogni nottesoprail suo sonnoquell'antica leggendaria mollezza.


Tuttoil resto dei mobili riunisce gli stili più vari: mobili cheogni generazione lascia dietro di sé e fanno d'ogni vecchiacasa una specie di museo dove si mischia un poco di tutto. Un superbocassettone Luigi Quattordicitutto corazzato di rame splendenteèfiancheggiato da due poltrone Luigi Quindici ancora coperte dellaloro seta a mazzetti. Ecco un armadio di legno di rosa di fronte alcamino che presenta una pendola dell'Imperosotto il suo globorotondoe questa pendola è un'arnia di bronzo sorretta daquattro colonnine di marmo al di sopra d'un giardino dai fioridorati. Il sottile pendolo esce dall'alveare per una lunga fessura efa dondolare eternamente su quel giardino una piccola ape dalle alidi smalto. E il quadrante di maiolica dipinta è incastrato nelfianco dell'alveare.


Lapendola scatta. Le undici. Il barone abbraccia sua figlia; si ritirapoi in camera sua. Giovanna va a lettonon senza rammarico.Accarezza con un ultimo sguardo la stanzae spegne il lume. Il lettosi appoggia al muro con la sola testatae sulla sinistra ha unafinestra da cui entra un fascio di raggi che si allargaa terrainuna bella chiazza lunare. Riflessi sono rimbalzati sui muri: riflessiche accarezzano dolcemente gli immobili amori di Tisbe e di Piramo.Dall'altra finestradi fronte ai suoi piediGiovanna scorge ungrande albero tutto inondato da una luce tenue. Si gira verso ilpianochiude gli occhima poi li riapre. Crede di sentirsi ancorascossa dai sobbalzi della vettura che sembra riprodurre o continuareil suo rotolio in quella testolina. Tuttavia resta immobile sperandodi favorire il sonno; ma ormai tutto il suo corpo è invasodall'irrequietezza del suo spiritoqualcosa come uno spasimo allegambeun'agitazione febbrileche crescecresce. Allora si alza ea piedi nudia braccia nudecon la sua lunga camicia che le dàun aspetto di fantasmaattraversa la macchia di luce sul pavimentoapre la finestraguarda nella chiarore della nottericonosce comein pieno giorno il paesaggio amato fin dalla più tenerainfanzia. Ha di fronte a sé un largo piano erbosogiallo comeil burrosotto la luce notturna: due alberi giganti si ergono ailati davanti al castello (a sud un tiglioun platano a nord): infondo alla verde distesa un piccolo fitto bosco segna il limite dellatenuta che ha per difensoridurante gli uraganiquei grandi antichiolmi in cinque filequegli alberi enormicontortirasatilogoratitagliati in discesa come un tetto dagli scatenati venti delmare. Questa specie di parco è limitato a destra e a sinistrada due lunghi viali di pioppi smisuratichiamati "popoli"in Normandiache separano la residenza padronale da due fattorieattigue (questa occupata dai Couillardl'altra dalla famigliaMartin)e sono questi "popoli" che hanno dato il nome alcastello. Al di là dei pioppi si stende un vasto pianoincoltocosparso di cannedove la brezza giorno e notte fischia egaloppa: poidi colpola spiaggia si imbatte in una costierascoscesa di cento metribianca e diritta che bagna il piede nelmare.


Giovannaguarda lontano la lunga superficie ondulata dei flutti che sembranodormire sotto le stelle. In quella calma di sole assente tutti iprofumi della terra si diffondono intorno: il gelsomino arrampicatoai balconi esala il suo alito penetrante che si mischia all'odoremolto più lieve delle foglie che nascono:

lenteventate portano il sentore forte dell'aria salina e dell'umorevischioso delle alghe: e la fanciulla si abbandona alla gioia direspirare e il riposo della campagna la calma come un bagno fresco.Tutti gli animali che si svegliano quando arriva la sera e nascondonola loro oscura esistenza nella tranquillità della notteriempiono la semioscurità di un'agitazione silenziosa. Grandiuccelli muti fuggono per l'aria come macchiecome ombre: ronzii diinsetti invisibili sfiorano gli orecchi:

corsemute traversano l'erba piena di rugiada o la sabbia dei sentierideserti: solo qualche rospo malinconico manda alla luna il suo versobreve e monotono. Il cuore di Giovanna sembra che si allarghi pienodi mormorii proprio come quella notte chiaraformicola di milledesideri vagabondi simili a quegli animali notturni il cui fremito lacirconda tutta; come un'affinità la unisce a quella poesiaviventee sul molle candore notturno si sente tutta percorsa dabrividi sovrumanipalpiti di speranze inafferrabiliqualcosa comeun soffio di felicità. Comincia a sognare d'amore...


L'amore!Da due anni la riempie con l'ansia del suo dolce muto avvicinarsi.Ormai è libera di amare e le rimane soltanto da incontrare"lui". Comecome sarà? Non sanon si chiede."Egli" sarà "lui": ecco tutto. Sa soltantoche lo adorerà con tutta l'anima e che lui le risponderàcon passione. Nelle notti simili a questa passeggeranno sotto ilpulviscolo luminoso delle stelle e andranno cosìcon la manonella manostretti strettisentendo il calore delle loro spallemescolando il loro amore alla limpidezza soave delle notti d'estatetalmente uniti che per sola forza di tenerezza penetreranno senzafatica nei loro pensieri più nascosti: e ciò continueràall'infinito nella serenità d'un affetto indicibile. Le sembradi averlo lìdi sentirlo contro il suo pettoe bruscamenteun vago brivido di sensualità l'attraversa dai piedi aicapelli. Stringe le braccia al seno con un movimento incosciente comeper spegnere il sognomentre sulle sue labbra tese verso l'ignotopassa qualcosa che la fa quasi svenire come se il soffio dellaprimavera le avesse dato un bacio d'amore.


D'untrattolaggiùsulla strada dietro il castellosente uncalpestìo nella nottee in uno slancio dell'anima esaltatain un trasporto di fede nell'impossibilenei casi della provvidenzanei presentimenti divininelle combinazioni della sorteGiovannapensa a lui che cammina sulla strada dietro il castello. Diofosselui! Ansiosaascolta quel passo; con la certezza che egli si fermeràal cancello chiedendo ospitalità. Ma noil viandante èpassatoe lei è triste come dopo un crudele disinganno. Poiancora sorride della sua folliacomprende l'esaltazione del suospiritolasciacalmanavigare il suo spirito in una fantasticheriapiù ragionevolecerca di penetrare l'avvenire architettandola sua stessa esistenza. Con lui vivrà qui dentroin questocastello tranquillo che domina il mare. Avrà due figlioli: ilmaschio per luiper sé la mimmina. E già li vedecorrere sull'erbatra il platano e il tiglioseguiti dagli sguardiestatici della madre e del padre che si scambiano occhiate piene dipassione al di sopra delle due testoline. Così fantastica alungo mentre la luna compie il suo cammino nel cielo fino ascomparire nel mare. L'aria è più fresca. Impallidiscel'orizzontea oriente. Canta un gallo nella fattoria di destra:

altririspondono dalla fattoria di sinistra. Voci rauche che sembranovenire da molto lontanoattraverso i muri dei pollai; e giàle stelle spariscono nell'immenso arco del cielo albeggiante.


Unpiccolo grido di uccello. Escono dalle foglie mormorii timidi timidisi fanno più arditidiventano più vibrantipiùallegridi ramo in ramodi albero in albero. E lei è giàin piena luce.


Alzala testa china sulla cavità delle palmerichiude gli occhiabbagliata da quello splendore di aurora. Una montagna di nubipurpureenascoste in parte dietro il gran viale dei pioppigettabagliori di sangue sulla terra così risvegliata. Appare a pocoa poco l'immenso globo fiammeggianterompendo le splendide nuvolecrivellando di fuoco gli alberii pianil'oceanotuttol'orizzonte. E Giovanna è folleè felice. Una gioiadeliranteun intenerimento infinito dinanzi al fulgore delle coseinonda il cuoree il cuore viene meno. E' il suo sole! E' la suaaurora! E' il principio della sua vita! E' la nascita delle suesperanze!

Tendele braccia verso lo spazio radioso col desiderio di abbracciare ilsole volendo parlare e gridare qualcosa di divino come quelprorompere del giornoma resta inerteparalizzata in un entusiasmoimpotente. Allora posa la fronte sulle manisente i suoi occhi pienidi lacrimee piangepiange: piange e gode il suo pianto.


Quandorialza la testail grande spettacolo del giorno nascente ègià finito. Si sente esauritainfreddolitaun po' fiaccaesenza chiudere la finestra si stende sul lettosogna ancora qualcheminutosi addormenta così profondamente che alle nove nonsente la chiamata del padre e non si sveglia che quando egli èquinella stanza.


Ilpadre voleva mostrarle gli abbellimenti del castellodel "suo"castello. La facciata che dava sull'interno dei terreni era separatadalla strada da un vasto cortile disseminato di meli: la stradadetta vicinaleche passava fra i muri dei contadini e raggiungevauna mezza lega più lontanola grande strada dall'Havre aFécamp. Una viale diritto raggiungeva la scalinata partendodall'orlo del bosco. I locali di serviziopiccoli fabbricati inrocce marinecoperti di stoppiesi allineavano ai due lati delcortilelungo i fossati delle due fattorie.


Itetti erano nuovile serramenta erano state rifattei muririparatile camere ritappezzatetutto l'interno ridipinto. E ilvecchio scuro castello portavacome macchiele imposte fresche diun bianco argenteo e le sue recenti intonacature sulla grande facciagrigiastra. L'altra facciataquella su cui si apriva la finestra diGiovannaguardava il mare lontanosopra al boschetto e allamuraglia di olmi rosi dal vento.


Padree figliola visitarono tuttosenza tralasciare nemmeno gli angoletti;passeggiarono lentamente nel viale dei pioppi che chiudevano quel chesi chiamava "il parco". L'erba era spuntata sotto glialberi stendendovi il suo verde tappetoe in fondo il boschettograzioso arruffava i suoi sentieruoli tortuosiseparati come datramezzi di fogliame. Una lepre schizzò bruscamente (Giovannane fu impaurita) e se la batté fra le canne marineverso laspiaggia.


Dopocolazionepoiché la signora Adelaideancora estenuataavvertì che andava a riposarsiil barone propose di scenderefino a Yport. Partirono padre e figlia attraversando subito ilpiccolo villaggio di Etouvent dove si trovavano i "Pioppi"(tre contadini li salutarono come se li avessero sempre conosciuti)poi entrarono nei boschi in discesa che si abbassavano fino al mareseguendo una vallata tortuosa. Ed ecco Yport. La strada inclinatacon un ruscello nel mezzo e mucchi di rifiuti dinanzi alle porteesalava un acuto odore di salamoia. Donne sulle soglie cheraccomodavano i loro poveri cenci guardarono quella coppia passare.Reti brunastredove erano rimaste scaglie lucenti simili a pagliuzzed'argentosi asciugavano contro le porte delle casupole da cuiuscivano gli odori delle famiglie numerose brulicanti in una camerasola. Qualche colombo passeggiava sull'orlo del ruscello in cerca delcibo. Giovanna si interessava a tutto; tutto le sembrava curioso enuovo come una scena di teatro. Ma improvvisamentesvoltato un muroscorse il mared'un blu opaco e liscio che si stendeva a perditad'occhio.


Sifermarono sulla spiaggiaa guardare. Passavano al largo vele bianchecome ali di uccelli: la scoglieraenormea destra o a sinistra: unaspecie di promontorio chiudeva la vista da un lato mentre dall'altrola linea della costa si prolungava indefinitamente fino a non esserepiù che una lineaUn segno appena segnato. Appariva un portoaltre casein una delle spaccature più prossimee le trepiccole ondicine che guarnivano il mare di frangette schiumoserotolavano sui sassolini con un leggero mormorìo. Le barchepaesanetirate a secco sul pendìo del ghiaretoriposavano suun fianco offrendo al sole le loro guance rotonde spalmate di pece. Ipescatori le stavano preparando per la marea della sera.


Unmarinaio si avvicinò presentando i suoi pescie Giovannaacquistò un grosso rombo che voleva portare ai "Pioppi"lei stessa. Allora l'uomo offrì i suoi servigi per lepasseggiatine in barcaripetendo il suo nome spiccatamentein mododa farlo entrar bene in mente ai signori.


"LastiquePeppino Lastique." Il barone promise di non dimenticarlo. Poipadre e figliuola ripresero la via del castello; e siccome il grossopesce affaticava Giovannagli passò nelle branchie il bastonepaternoe ciascuno ebbe la sua estremità. Così essiandavano allegri risalendo la costachiacchierando come due ragazzila fronte al ventogli occhi brillantimentre il rombo affaticavail loro braccioa poco a pocospazzando l'erba con la coda grassa.




Capitolo2


Unaesistenza piacevole e libera cominciò per Giovanna. Leggevasognavagirellavasola solanei dintornio vagava lenta lungo lestradecon lo spirito perduto dietro le sue fantasticherieoppurescendeva sgambettando per le piccole valli tortuose le cui groppeportavanocome una cappa d'oroun vello di fiori di giunco. Il loroodore dolce e penetranteesasperato dal calorela inebriava come unvino profumatocosì che lei cullava il suo spirito alsussurro lontano delle ondicine che rotolavano sulla spiaggiaanzi aquest'ultima ondata. La stanchezza a volte la faceva cadere sull'erbafitta di un pendìo: a voltequando scopriva di colpo dopo unasvoltain un'insenaturaun triangolo di mare turchinoscintillanteal sole e con una vela all'orizzonteallora Giovanna provava unagioia disordinatacome al misterioso avvicinarsi di una felicitàlibrata su lei. L'amore della solitudine la afferrava nella dolcezzadel fresco paesenella calma del morbido orizzontee restava cosìa lungo seduta in cima alle alture che i piccoli conigli selvaticivenivano a saltellarle tra i piedi.


Spessosi metteva anche a correre sulla scogliera sferzata dall'aria dellacostatutta vibrante della gioia squisita di potersi muovere come ipesci nell'acquacome le rondini nell'aria. Ovunque seminava ricordicome si getta il seme sulla terra; ricordi le cui radici resistonofino alla morte; e le sembrava di gettare in quei luoghi anche un po'del suo cuore. Poi cominciò a bagnarsi con passione. Nuotava aperdita d'occhioforte e ardita com'erasenza coscienza delpericolo. Si sentiva bene in quell'acqua freddalimpida e azzurrache la portava con séla cullava. Quand'era lontana dallaspiaggiasi metteva supinale braccia incrociate sul pettogliocchi perduti nell'azzurro fondo del cielo rapidamente attraversatodal volo di una rondinedal biancore di un uccello marino. Non siudiva più alcun rumorese non il mormorìo lontanodella risacca o un vago bisbiglio della terra che sembrava scivolassenell'ondulazione dei flussi: ma confusopressochéinafferrabile. Poi Giovanna si sollevava e in un impeto di gioiagettava grida acute sbattendo l'acqua con tutte e due le mani. Se siavventurava troppo lontanouna barca veniva a cercarla. Rientrava alcastello pallida per la famema leggerailaresnellail sorrisosulle labbrala perfetta letizia negli occhi.


Intantoil barone meditava grandi imprese agricolevoleva fare esperimentiseguire il progressoprovare nuovi strumentiacclimatare piantestranieree passava buona parte della giornata a discutere coicontadini che scrollavano la testa un po' increduli. Spesso andavaanche per marecoi marinai d'Yport.


Quandoebbe visitato le grottele fontane e le guglie dei dintorni eglivolle pescare come un semplice marinaio.


Neigiorni di brezzaquando la vela piena di vento fa correre sul dorsodelle onde il guscio gonfio delle barche che trascinano fino in fondoal mare la gran lenza sfuggente che le schiere degli sgombriinseguonoegli teneva fra le dita tremanti per l'ansia la cordicellache si sente vibrare appena un pesce preso si dibatte.


Partivaal chiaro di luna per alzare le reti calate alla vigilia; amavasentir scricchiolare l'albero della naverespirare le raffichefischianti e fresche della notte; e dopo aver lungamente bordeggiatoper ritrovare i gavitelli dirigendosi verso una cresta di rocciaverso la cima di un campanile o verso il faro di Fécampgodeva a restare immobile sotto i raggi del sole che si levava efaceva brillare sul ponte del battello la groppa viscida delle largherazze a ventaglio o il ventre grasso dei rombi.


Atavola egli raccontava con entusiasmo le sue passeggiatee mamminain compenso gli narrava quante volte aveva percorso il gran viale deipioppiquello di destraconfinante con la fattoria dei Couillardnon avendo l'altro abbastanza sole. Poiché le avevanoraccomandato di "far del moto" si accaniva a camminare.


Appenail fresco della notte si era dissipatoscendeva appoggiata albraccio di Rosalìaavvolta in un mantello e due sciallilatesta riparata da un cappellino nero che riparava a sua volta unarossa cuffietta. Alloratrascinando il piede sinistroun po' piùpesantee dopo aver seguito per tutta la lunghezza del vialel'unoall'andatal'altro al ritornodue solchi polverosi dove l'erba eramortala poveretta ricominciava senza fine l'interminabile viaggioin linea retta dall'angolo del castello fino ai primi arbusti delboschetto. Aveva fatto collocare una panchetta a ciascuna estremitàdi questa pista e ogni cinque minuti si arrestava dicendoall'infinita pazienza di colei che la reggeva:

"Orasediamocifigliolaperché sono un po' stanchetta." E aogni fermata lasciava su una panca prima la cuffietta rossapoi unosciallepoi l'altro sciallepoi il cappellinopoi il mantelloetutto ciò formava ai due capi del viale due grossi mucchi diindumenti che Rosalìa riportava sul braccio libero quando sirientrava per la colazione.


Nelpomeriggio la baronessa ricominciavacon passo più molleconriposi più lunghisonnecchiando anche un po' di tanto intanto su una sedia a sdraio che le portavano lì fuori. Questolei lo chiamava fare "il suo esercizio"così comediceva "la mia ipertrofia". Erano passati dieci anni daquando un medico chiamato d'urgenza perché soffriva disoffocazioni aveva parlato di ipertrofia: dopo di allora questaparoladi cui non capiva nemmeno il significatosi era conficcatanella sua testa. Da ostinatavoleva che il barone e Giovanna eRosalìa le tastassero il cuoreche nessuno più udivatanto era sepolto sotto la gonfiezza del senoma rifiutava conenergia di lasciarsi visitare da un nuovo medico per la paura che lescoprissero altri malannie parlava della "sua ipertrofia"in ogni occasione e così spesso da sembrare che questo malefosse una sua particolaritàle appartenesse come una cosaunicasulla quale gli altri non avevano nessun diritto. E il baronediceva "l'ipertrofia della mamma"come avrebbe detto "ilvestito""il cappello""l'ombrello". Epensare che era stata graziosa da giovanee più sottile diuna canna. Dopo aver ballato fra le braccia di tutte le uniformidell'Imperoaveva letto "Corinna" che le aveva fattoversare tante lacrimee le era rimasto come il sigillo di questoromanzo. Man mano che la sua figura si era ingrossatala sua animaaveva acquistato slanci più poeticie quando l'obesitàl'aveva inchiodata su una poltronail suo pensiero cominciò avagabondare attraverso avventure tenere di cui si credette l'eroina.Ohne aveva sempre delle preferite da richiamare nei suoi sogni;come una scatoletta musicale chea girare la manovellaripetesempre la stessa canzone. Tutte le romanze in cui si parla diprigionieri e di rondinelle le inumidivano gli occhie poi amavaanche certe canzoni libertine di Béranger per i rimpianti cheesprimono. Spesso restava immobile ore e orelontana nelle suefantasticheriee i "Pioppi" le piacevano infinitamenteperché quasi facevano da scenario ai romanzi della sua animaricordandolee per i boschi dei dintorni e per la landa deserta eper la vicinanza del marele storie di Walter Scott che da qualchemese andava leggendo. Nelle giornate di pioggia restava chiusa nellasua stanza a far passare ciò che chiamava le sue "reliquie"ed erano le sue vecchie letterequelle di suo padre e di sua madrequelle del barone quando erano fidanzati: altre ancora. Le avevachiuse tutte in uno stipetto di mogano che aveva agli angolialtrettante sfingi di rame e diceva con un'inflessione di voceparticolare:

"Rosalìafigliola miaportami il cassettino dei 'ricordi.'" La ragazzaapriva lo stipettotoglieva il cassettolo posava sulla sediadavanti alla sua padrona che si metteva a leggere lentamentea una aunaqueste lettere carelasciandovi cader sopradi quando inquandouna lacrimuccia.


Qualchevolta Giovanna rimpiazzava Rosalìa e faceva lei passeggiaremammina che le raccontava i suoi ricordi d'infanzia.


Lafanciulla si ritrovava in quelle storie d'altri tempi tutta stupitadi quella comunanza di pensieridi quell'affinità didesideriperché ciascun cuore si immagina di aver trasalitoprima d'ogni altro sotto una folla di sensazioni che hanno fattobattere i cuori delle prime creature come faranno palpitare ancora ilcuore dell'ultimo uomoil cuore dell'ultima donna. La lentezza delpasso seguiva la lentezza del raccontointerrotto talvolta perqualche attimo dall'affanno della narratrice e allora il pensierodella figliuolasaltando al di là delle avventure cominciatesi slanciava verso l'avvenireverso le speranze e la gioia.


Unpomeriggiomentre si riposavano sulla panchetta videro tutt'a untrattodal fondo del vialeavvicinarsi un gran prete. Egli salutòdi lontanoassunse un'aria sorridentesalutò ancora quandofu a tre passi e gridò: "Ebbenesignora baronessacomesi sta?". Era il parroco del paese.


Mamminanata nel secolo dei filosofiallevata da un padre poco credenteaitempi della Rivoluzionenon frequentava molto la chiesa; benchéamasse i preti per un istinto religioso di donna.


Oraaveva totalmente dimenticato l'abate Picotil suo curatoe arrossìal primo vederlopoi si scusò di non averlo avvertito dellariapertura del castello. Ma il buon uomo non sembrava affattoscontentoe continuava a interessarsi a Giovannaa farle icomplimenti per il suo aspetto fiorentepoi si sedetteappoggiòil cappello sulle ginocchia e si asciugò la fronte imperlata.Siccome era molto grossoacceso e tutto sudatosi tirava fuoridalla tasca continuamente un fazzolettone enorme a quadrettiimbevuto già di sudoree se lo passava sul voltosul collo;ma appena la tela umida era rientrata nelle profondità dellasua vestenuove gocce spuntavano sulla sua pellenuove goccecadevano sulla sottana raccolta sul ventree fermavano in piccolemacchie circolari la danza aerea della polvere. Era gaioun veroprete di campagnatollerantechiacchieroneun brav'uomotanto èvero che ora raccontava le sue storieparlava della gente del paesesenza neppure mostrare che le sue due parrocchiane non si erano ancorfatte vedere alle funzioni. Ma in verità la baronessa avevagià messo d'accordo la sua indolenza con la sua fede confusa eGiovanna era troppo felice di essersi liberata dal convento dovel'avevano saturata di pratiche religiose.


Edecco il barone. La sua religione panteista lo lasciava indifferenteai dogmi. Fu cortese col parroco che conosceva da lungo tempoe lotrattenne a pranzo. E il parroco seppe piaceregrazie a quellaspecie d'astuzia incosciente che la cura di anime dà ancheagli uomini più mediocri chiamati per caso a esercitare unpotere sui propri simili. Quanto alla baronessalo trattava con ogniriguardoattirata forse da una di quelle simpatie che avvicinanotutti coloro che si somigliano fisicamentepiacendo all'obesitàdella dama la figura sanguigna e il fiato corto della reverendapinguedine.


Allafrutta egli ebbe una vivacità di curato d'ottimo umorequell'abbandono confidenziale che si ha nel finire degli allegriconviti. D'un tratto gridò come se un'idea felice gli avesseattraversato il cervello: "Ma io ho un parrocchianoil signorvisconte di Lamare! Bisogna bene che ve lo presenti!" Labaronessa che aveva sulla punta delle dita tutta l'araldica dellaprovinciascattò:

"Appartienealla famiglia di Lamare dell'Eure?" "Sìsignorabaronessa" rispose il prete con un inchino. "E' figlio delvisconte Giovanni di Lamare che morì l'anno passato."Allora la dama che adorava la nobiltà fece un mucchio didomandee così seppe chepagati i debiti del padreilgiovanotto aveva venduto il castello di famiglia per ridursi in unpiccolo appartamento in una delle tre fattorie che possedeva ancora aEtouvent. Questi beni rappresentavano in tutto cinque o seimila"lire" di renditama il visconte era economo e saggio econtava di vivere semplicemente due o tre anni in quel luogo modestoper metter da parte tanto da permettergli di figurare in societàammogliarsi benesenza far debitisenza ipotecare le sue fattorie.


"E'un simpatico ragazzo" aggiunse il curato "e cosìordinato e così quieto! Ma non si diverte molto in questipaesi..." "Conducetelo da noi" disse il barone. "Quasi potrà distrarre qualche volta..." E si passò adaltro argomento. Dopo aver preso il caffè nel saloneil pretechiese il permesso di fare un giro in giardinoessendo abituato amuoversi un po' dopo i pasti. Il barone volle seguirloe camminaronosu e giù lungo la facciata del castello.


Leloro ombrel'una magral'altra grossa e come coperta da un fungoandavano e venivanoora avantiora indietrosecondo checamminassero verso la luna o le volgessero il dorso. Il parrocomasticava una specie di sigaretta che aveva tirato fuori dalla tascae ne spiegò l'utilità col parlar franco dei campagnoli:

"E'per facilitare i rutti. Io ho le digestioni piuttosto pesanti..."Poiimprovvisamenteguardando il cielo dove nuotava l'astro lunare:

"Nonci si sazia mai di quello spettacolo là!" E rientròin casa per congedarsi dalle signore.




Capitolo3


Ladomenica seguente la baronessa e Giovannaper deferenza verso ilcuratoandarono a messa. Dopo la funzione lo attesero per invitarloa colazione per il giovedì.


Egliuscì dalla sagrestia accompagnato da un giovane altoeleganteche gli dava il braccio con confidenza; e appena vide ledue signore fece un gesto di lieta sorpresa.


"Comegiungono a proposito! Signora baronessasignorina Giovannapermettetepermettete che vi presenti il vostro vicino. Il viscontedi Lamare." Il visconte si inchinòespresse il suoantico desiderio di conoscere le signoresi mise a parlare condisinvolturada uomo di mondoda uomo che sa il fatto suo. Egliaveva nella fisonomia quel non so che d'attraente che seduce le donneed è estremamente antipatico agli uomini. I suoi capellibruniarricciati ombreggiavano una fronte liscia e abbronzata e duegrandi sopracciglia così regolari da parere artificialirendevano teneri e profondi i suoi occhi scuri il cui bianco avevauna delicata sfumatura azzurrina. Ciglia fitte e lunghe davano al suosguardo l'eloquenza della passionequella stessa che nei salottiturba un poco la dama bella e superba e fa voltare per la strada laragazza del popolo in giro col suo paniere. Il fascino languido diquell'occhio illudeva di una profondità di pensiero e davaimportanza anche alle più comuni parolette. La barba lucida efine occultava una mascella un po' forte.


Nuovicomplimentinuove cerimonie e il gruppo si sciolse. Due giorni dopoil signor di Lamare fece la sua prima visita ai "Pioppi".


Giunsementre si discuteva su una panchina messa a prova fin dal mattinosotto il gran platano di contro alle finestre del salone.


Ilbarone voleva che sotto il tiglio si mettesse un'altra panchina: persimmetria. Nemica della simmetriainterveniva mammina opponendosi. Eil visitatore le diede ragione.


Poiil visitatore parlò del paese che chiamò "pittoresco"in grazia dei tanti "punti" incantevoli che gli avevaofferto nelle sue passeggiate solitarie. Di quando in quando i suoiocchi incontravano gli occhi di Giovannacome per casoe Giovannaprovava una sensazione strana sotto quello sguardo rapidosubitodistoltoin cui spuntava una blandizia ammirativauna simpatia giàvivace.


Ilsignor di Lamare padremorto l'anno primaaveva appunto conosciutoun intimo amico del signor Cultauxpadre della baronessa: e lascoperta di questa conoscenza portò a una conversazioneinterminabile di matrimonidateparentele. La dama faceva sforzi dimemoria prodigiosi per fissare le ascendenze e le discendenze dialtre famiglie muovendosi assai benesenza perdersi nel labirintocomplicato delle genealogie.


"Ditevisconteavete mai sentito parlare dei Saunoy-Varfleur? Il figliomaggioreGontranoaveva sposato una signorina de CoursilunaCoursil-Courvillee il minore una delle mie cuginela signorina dela Roche-Aubert che era parente dei Crisange. Ora il signor Crisangeera intimo di mio padre e deve aver conosciuto anche il vostro.""Sìsignora baronessa. Non è quel signor Crisangeche emigròe il suo figliolo è andato in rovina?""Proprio lui. Aveva chiesto in matrimonio mia zia dopo la mortedi suo maritoil conte d'Éretry; ma la zia non volle saperneperché... perché tabaccava. A propositosapete checosa è avvenuto dei Viloise? Hanno lasciato la Turenna versoil 1813 in seguito a rovesci di fortunae non ne ho piùsentito parlare." "Credo che il vecchio marchese sia mortoin seguito a una caduta da cavallolasciando una figliuola maritatacon un inglesee l'altra con un certo Bassolleun commerciantediconoriccoche pare l'avesse sedotta..." Ritornavano nellaloro memoria nomi imparati nell'infanzia dalle conversazioni deivecchie i matrimoni di queste famiglie loro pari assumevanoattraverso il ricordo l'importanza di grandi avvenimenti pubblici.Trattavano di gente mai vista come se la conoscessero a fondo; epoiché altrove quelle persone parlavano di loro nello stessomodo e linguaggiobaronessa e visconte sentivano di lontano quellequasi amiciziequelle quasi alleanzeper il solo fatto diappartenere alla stessa castadi equivalersi nel sangue.


Ilbaroneun po' selvatico per natura eper educazionein disaccordocontinuo con le credenze e i pregiudizi di castanon conosceva lefamiglie dei dintorni e ne chiese al visconte. Il visconte risposenello stesso modo con cui avrebbe dichiarato che non c'erano molticonigli intorno: non c'era molta nobiltà nei dintorni. Diedeparticolari. Tre sole famiglie in una cerchia relativamente vicina:il marchese di Coutelieruna specie di capo dell'aristocrazianormanna: il visconte e la viscontessa di Brisevilledi nobilissimastirpema che vivevano per conto loro:

ilconte di Fourvilleuna specie di orcodi cui si sussurrava cheavesse fatto morire la moglie. Costui viveva da cacciatore nel suocastello della Vrillettecostruito sopra uno stagno. Poi c'erano inuovi ricchi (quelli che si intendono fra loro) che avevanoacquistato terrenichi quachi là. Il visconte non liconosceva.


Sicongedòe il suo ultimo sguardo fu per Giovanna: come se leavesse rivolto un addio particolareun più affettuoso e dolcesaluto. La baronessa lo trovò simpatico e sopra tutto "moltodistinto". Il barone ammise che era un giovanotto "moltoeducato".


Lasettimana dopo egli sedette per la prima volta a mensa. Da quelgiorno egli tornò tutti i giorni.


Giungevain genere verso le quattro del pomeriggioandava incontro a mamminanel "suo viale"le offriva il braccio per aiutarla nel"suo esercizio". Se Giovanna era in casaera lei chesosteneva la baronessa dall'altra partee tutt'e tre camminavanolentamente da un capo all'altro del vialeandando e ritornando senzatregua. Quasi mai egli rivolgeva la parola a Giovannama i suoiocchi che sembravano di velluto nero incontravano spesso quelli dilei che si sarebbero detti di agata azzurra.


Mapoi c'erano le gite a Yport col barone. Una sera che si trovavanosulla spiaggia si fece avanti papà Lastique con la pipa.


Senzapipa papà Lastique sarebbe parso un papà Lastique senzanaso.


"Signorbaronecon questo vento si potrebbe andare domani fino a Étretate ritornare senza fatica." Giovanna giungeva le mani.


"Papàpapà! Se tu volessi!" "Volete venire?" disse ilbarone al visconte. "Andiamo a far colazione a Étretat?"Fu un'escursione decisa. Giovanna in piedi all'aurora: Giovanna cheaspettava il padre più lento a vestirsi: Giovanna checamminava al suo fianco sulla rugiada e attraversava la pianura e ilbosco tutto vibrante di canti di uccelli. E il visconte e papàLastique erano seduti quasopra un argano!

Almomento della partenza ci fu bisogno di due marinai di rinforzoiqualiappoggiando le spalle al fasciame della barcaspingevano sìa tutta forzama avanzavano a fatica sulla piattaforma del ghiareto.Lastique faceva rotolare sotto la chiglia un cilindro di legno untodi grasso e poi riprendeva il suo posto modulando con vocestrascicata il suo interminabile "ohé op!" perregolare lo sforzo comune. Improvvisamentequando avvertì ladiscesala barca prese l'avvio e sdrucciolò sui ciottolitondi con un gran sibilo di stoffa che si lacera. Poi si fermòtra la spuma delle prime ondicine come a permettere a ciascuno disedersi dentro finché i due marinai rimasti a terra le diederol'ultima spinta. Una brezza leggera e costante che veniva dal largosfiorava e increspava la superficie dell'acqua. La vela fu issatasiarrotondò un poco e la barca filò tranquillamentecullata appena dal mare.


Comesi erano già allontanati! Ecco il cielo abbassarsiall'orizzonteconfuso già con l'oceano. Eccoverso terral'alta scogliera diritta che stende una grande ombra ai suoi pieditutta frastagliata dai pendii erbosi zuppi di sole. Vele brune esconolaggiù dalla bianca scogliera di Fécamp; una roccia distrana formalaggiù uno scoglio rotondo e forato da parte aparteprende a poco a poco l'aspetto di un enorme elefante che tuffila sua proboscide nelle ondeed è la piccola porta diÉtretat.


Giovannatenendosi in bilicoun po' stordita dal dondolio delle ondeguardava lontano lontano e le sembrava che al mondo ci fossero tresole cose belle: la lucel'acqualo spazio. Non parlavae nessunaltro parlava. Papà Lastique teneva la barra e la scottamadi quando in quando beveva un sorso da una bottiglia nascosta sottola pancae fumava senza tregua in quel suo moncherino di pipa chesembrava inestinguibile. La pipa di Lastique! Ne usciva sempre unsottile filo azzurrognolo mentre la stessa spira di fumo sfuggiva alui dall'angolo della bocca: né mai lo si vedeva occupato colsuo fornello di terrapiù nero dell'ebanoper accenderlo oper ricaricarlo di tabacco. Solo qualche volta egli avvicinava lamano alla pipase la toglieva di boccae dallo stesso angolo dondeusciva la spira azzurrognola lanciava il suo sputo nero al mare.


Ilbaroneseduto sul davantifaceva da marinaio e sorvegliava la vela.Giovanna e il visconte erano vicinientrambi un poco turbati. Unaforza ignota faceva così che i loro occhi si incontrasseroche li alzassero allo stesso momentocome avvertiti da un'affinitàdi pensieroperché ondeggiava già fra di loro quelsenso di tenerezza vaga e sottile che nasce così presto fradue giovani quando lei è graziosa e lui non è brutto.Forse si sentivano felici l'uno accanto all'altraperché sipensavano.


Ilsole saliva come per contemplare da un più alto cielo il vastomare che gli si stendeva lì sotto; ma il mare ebbe come unacivetteria e si avvolse in una bruma leggera che lo velava ai raggidel sole. Era una nebbietta trasparentebassadoratache nonnascondeva nullama che rendeva più soavi le cose lontane. Ilsole incalzavail sole scioglieva la bella nuvola splendente: ilsole era al colmo della sua forza; ed ecco svanire la caligineeccoil mare liscio come un cristallo splendere di luce. "Com'èbello!" sussurrò Giovanna commossa.


"Sìsìè bello" rispose il visconte.


Laserena chiarezza di quella mattinata risvegliava come un'eco neicuori.


Esubito si scorsero le grandi arcate di Étretat simili a duegambe della scogliera che camminassero nel mare così alte dafar arco ai bastimenti; mentre una guglia di roccia bianca eacuminata si ergeva davanti alla prima. Toccarono terrae fu ilbarone che scese per primo per trattener la barca a riva tirando unacordae fu il visconte che prese nelle sue braccia Giovanna perdeporla a terra senza che avesse a bagnarsi i piedini: e i duegiovani risalirono insieme l'erto banco di ciottolil'uno vicinoall'altracommossistupiti di quel rapido contattoudendo ciòche papà Lastique diceva al barone:

"C'èda farne una bella coppiae... senza perdere tempo." Lacolazionein una piccola locanda della spiaggiafu deliziosa.


L'oceanoparalizzando voce e pensiero li aveva fatti silenziosi:

orala tavola li mutava in ciarlieri. Erano tutti come scolaretti invacanza. Una gaiezza interminabile saliva fino a loro dalle cose piùsemplici. Ecco papà Lastique che prima di sedersi a tavolanasconde la sua pipa: e la nascondeancora fumantenel suo berrettoe ne ride! Il suo naso rosso attira una mosca che viene a posarvisisoprae quando egli la scaccia con un gesto troppo lento per poterlaafferrareecco la mosca posarsi su una tenda di mussolina che portai segni delle sue sorellinee di lì adocchiare avidamente illucido naso e tornar subito dopo a installarvisi. A ogni viaggiodell'insetto scoppiavano pazze risate; ma l'ilarità fu smodataquando il vecchio si infastidì del solletico: "Ma èmaledettamente ostinata!" e Giovanna e il visconte si torcevanocon le lacrime agli occhisoffocavanotenevano il tovagliolo allabocca. Giovanna disse dopo il caffè:

"Seandassimo a far due passi?" Il visconte si alzò. Ilbarone preferiva la siesta sul ghiaretoe disse ai "ragazzi"che andassero puretornassero pure fra un'ora. E i "ragazzi"via tra le poche capanne del borgoverso un piccolo castello chesomigliava a una gran fattoriaverso una vallata che si scopriva esi allargava tutta per loro. Il dondolìo del mare li avevaillanguiditi turbando il loro normale equilibriol'aria salina liaveva affamatila colazione storditila contentezza snervatie orasi sentivano forse un po' matticon una gran voglia di correrediquadi làper i campi.


Giovannapoi con quei ronzii alle orecchie era tutta agitata da sensazionirapide e nuove.


Unsole scottante li investiva come quelle messi mature che si piegavanosotto il calore. Le cavallette si sgolavanonumerose come i filid'erbagettando ovunquetra il granotra la segalatra i giunchimarini delle riveil loro grido stridulo e secco.


Nessun'altravoce saliva sotto il cielo torridod'un azzurro così terso eingiallito come se dovesse improvvisamente mutarsi in rossoscarlattosimile ai metalli avvicinati troppo a un braciere.


Finalmenteapparve la linea di un boschetto; e andarono verso il boschetto. Viconduceva uno stretto vialeincassato fra due scarpatee cosìfolto di alberi e fronde che non vi entrava raggio di sole. Unafrescura umida li penetrò improvvisamentedi quell'umiditàche fa accapponare la pelle e va nei polmoni. La delicatezzavellutata del muschio sostituiva l'erba non nata per mancanza di lucee di aria libera.


"Guardateohguardate! Non potremmo sederci un poco laggiù?" Eranomorti due alberisì che approfittando del vuoto nel fogliamecome di una lacerazione nel verdecadeva là un fascio disole; e questo sole scaldando quell'angolinoaveva risvegliato igermi delle erbequelli del lichene e della radicchiellae facevasbocciare dei fiorellini bianchifini come la nebbiae digitalisimili a fusi. Farfalleapitozzi calabronizanzare interminabilisimili a scheletri di moschemille insetti volantianimali del buonDio rosei e maculatibestioline infernali dai riflessi verdastribestioline nere con le corna popolavano questo pozzo splendido ecaldo scavato nell'ombra gelida di un intrico di fronde.


Sedettero.Avevano la testa in ombra e i piedi al sole e guardavano tutta questavita minuta e brulicante che era nata da un raggio di sole. Giovannaripeteva intenerita:

"Comesi sta bene qui! La campagnaohè pur bella! Ci sono deimomenti che vorrei essere una mosca o una farfalla per poterminascondere in un fiore..." Parlarono a lungo di sédelleloro abitudinidei loro gusticol tono bassointimo e grave concui ci si confida a vicenda. Egli si mostrava già disgustatodel mondostanco di una vita futile giacché era sempre lastessa cosa e non ci si trovava niente di genuinoniente dischietto. Il mondo! Oh sìavrebbe voluto conoscerlo; ma eragià convinta che non valesse la bella campagna.


Epiù i loro cuori si avvicinavanopiù si chiamavanocerimoniosamente "signorina" e "signore"; piùi loro sguardi si sorridevano e si intrecciavanopiù sembravache una bontà nuova li prendesseun affetto per tutte lecoseun interesse per le cose di cui non si erano curatia cui nonavevano fatto attenzione.


Tornaronoindietro. Il barone non c'era ancora perché era andato a piedifino alla Chambre-aux-Demoisellesuna grotta sospesa in una crestadella scogliera; e lo aspettarono al piccolo albergo. Egli non tornòche alle cinque del pomeriggio dopo una lunga passeggiata sullacostiera.


Risalironoin barca. Andava molle la barca col vento in poppasenza la piùpiccola scossae non sembrava neppure che avanzasse.


Giungevala brezza a soffi lenti e tiepidi che sollevavano per un momento lavela e la lasciavano poi ricadere lungo l'alberofloscia. L'ondaopaca sembrava morta. Il soleun po' fiaccoseguendo il suo camminocircolaresi avvicinava all'acqua dolcemente. Il languore del marefaceva ancora tacita ogni cosa.


Giovannasi scosse.


"Comemi piacerebbe viaggiare!" "Sìsì"rispose il visconte. "Ma viaggiar soli è triste.


Bisognerebbeessere in due. Per comunicarsi le proprie impressioni..." "E'vero. Però io amo passeggiare sola. Si sta così benesoli quando si sogna!" "Si può sognare anche indue..." Giovanna abbassò gli occhi perché eglil'aveva guardata un po' a lungo. Era un'illusione? Forse. E fissòl'orizzonte come per veder più lontano.


"Vorreiandare in Italia... o in Grecia... Oh sìin Grecia...


anchein Corsica! La Corsica! Dev'essere bella... selvaggia." Eglipreferiva la Svizzera per i suoi "châlets" e per isuoi laghi.


"Ohno! Io amerei i paesi nuovi come la Corsica o i paesi molto vecchi epieni di ricordi come la Grecia. Dev'essere così dolceritrovare le tracce dei popoli di cui sappiamo la storia findall'infanziavedere i luoghi dove si sono compiuti i grandieventi!" "Io mi sento attirato dall'Inghilterra. E' unpaese molto istruttivo." Allora percorsero tutto l'universodiscutendo i pregi e le bellezze di ogni paesedal poloall'equatoreestasiati all'idea di luoghi immaginaridi costumiinverosimili di popoli come i cinesi e i lapponie finirono colconcludere che il più bel paese del mondo è la Francia.La Franciasìcol suo clima temperatofresco d'estate emite d'invernocon le sue campagne opulentele sue verdi foresteisuoi grandi fiumi calmie un culto delle belle arti che non eraesistito mai in nessuna parte del mondo dopo i grandi secoli diAtene. E poi rimasero zitti.


Ilsole si era fatto più bassoe sanguinava: una larga striscialuminosauna via splendente correva sull'acquaallacciandol'orizzonte all'umile scia. Cessava l'ultima bava: si appianavano leincrespature delle onde: la vela era immobilerossa. Una calmainfinita sembrava intorpidisse lo spaziofasciasse di silenzioquesto incontro dei due elementi; e l'acquafidanzata mostruosacurvando sotto il cielo il suo ventre lucido e liquidoaspettaval'amante di fuocoche doveva piombare su lei. Egli acceleròla caduta. Era divenuto tutto di porporacome per la voluttàdell'amplesso. Eccoha toccato il segno: ma l'acqua a poco a poco loinghiotte.


Accorseallora dall'orizzonte un vento blando e leggero e un brivido piegòil seno mobile dell'acqua come se l'astro inghiottito avesse esalatoun sospiro. Nell'atto che papà Lastique afferrò i remigli altri si accorsero della fosforescenza del mare. Giovanna e ilviscontel'uno vicino all'altraguardavanoguardavano insieme imobili splendori che la barca lasciava dietro di sé. Nonsognavano piùma si perdevano in una muta e vagacontemplazione aspirando la sera in un dolce vellutato benessere:

esiccome lei teneva una mano abbandonata sulla panchinaun dito dilui si avvicinò come per casosfiorando la pellee lei nonsi mossecolpitafeliceconfusa di quel contatto leggero.


Laseraquando fu rientrata nella sua stanzasi trovò cosìstranamente commossacosì inteneritache tutto le dava comeuna voglia di piangere. Guardò la sua pendolapensòche la piccola ape batteva come un cuore (un cuore amico)chesarebbe stata la testimone della sua vitache avrebbe accompagnatole sue ansie e le sue gioie con quel ticchettìo regolareefermò l'insetto dorato per mettergli un bacio sulle ali.Avrebbe abbracciato non importa che. Ricordò di aver nascostoin fondo a un cassetto una bambola: la pescò fuorila salutòle fece festa come a un'amica adoratala serrò al pettolebaciò le guance dipintele baciò i capelli di stoppa.Poi la tenne fra le bracciae sognò. Era proprio "lui"lo sposo annunziato da mille voci segrete che la Provvidenzaconduceva così sulla sua via? Era quello l'essere creato perleil'uomo a cui consacrare la vita? Erano essilui e leii duepredestinati le cui tenerezze incontrandosi dovevano stringersiunirsiconfondersie generare l'"amore"? Nonon sentivaancora quegli slanci tumultuosi di tutto il suo esserequeirapimenti folliquel profondo sconvolgimento che era o credeva fossela vera passionema le sembrava di cominciare ad amare perchétalvolta si sentiva come mancare pensando a luie non cessava mai dipensarlo. La presenza di lui l'agitavaarrossiva e impallidiva ogniqualvolta incontrava il suo sguardorabbrividiva vedendoloparlare...


Quasinon dormì quella notte. Poidi giorno in giornoiltormentoso desiderio di amare la invase sempre piùsemprepiù.


Interrogavasempre se stessachiedeva ai petali delle margheriteconsultava lenuvolegettava in aria monete.


"Fattibella domattina" le disse una sera suo padre.


"Perchépapà?" Era un segreto.


Eil giorno dopoquando scese tutta ilare e fresca in veste chiaratrovò sulla tavola del salone tante scatole di confettie suuna sedia un gran mazzo di fiori. Proprio in quel momento un carroentrò nel cortilee vi si leggeva su un fianco: "Leratpasticcere a Fécamp. Servizi per nozze"e Liduinaaiutata dalla sguattera tirava fuori da uno sportello aperto dietroil veicolo grandi ceste piatte che odoravano di buono.


Comparveil visconte. I suoi pantaloni erano tesi e tenuti fermi sotto piccolescarpe verniciate che facevano risaltare la estrema piccolezza delpiede. La sua lunga "redingote"serrata alla vitalasciava uscire dallo sparato i ricami della camiciae una cravattadi seta a più giri lo obbligava a tener alta la sua bellatesta bruna che aveva quasi il suggello della distinzione. Avevaun'aria diversa dal solitoquel non so che di particolare che unabbigliamento nuovo dà subito ai volti più noti.Stupitalo guardava come se non lo avesse mai visto prima di allorae lo trovava straordinariamente gentile: gran signore dalla testa aipiedi.


"Ebbenesiete prontamadrina?" egli disse tutto sorridenteinchinandosi.


"Maperché? Ma che c'è?" "Saprai fra poco"disse il barone.


S'avanzòla vetturae apparve la baronessa in gran gala al braccio diRosalìala quale sembrò talmente rapita dall'eleganzadel signor di Lamare che il barone fece osservare all'amico:

"Vedetedunque che anche la nostra cameriera vi trova di suo gusto". Ilvisconte arrossì fino agli orecchifinse di non aver sentitopresentò a Giovanna il mazzo di fiorie Giovanna lo tenneimbambolata. Poi salirono tutt'e quattro in vetturae ci fu anche ladichiarazione della cuoca Liduina avanzatasi per recare allabaronessa un brodo freddo ristoratore:

"Davverosignorache si direbbe uno sposalizio!" Quando furono a Yportscesero e camminarono a piedie man mano che avanzavano nel cuoredel villaggioi marinai uscivano dalle casupole tutti vestiti anuovo (lo si vedeva dalle pieghe degli abiti)salutavanostringevano la mano al baroneseguivano il gruppo come inprocessione. Il visconte aveva offerto il braccio a Giovanna; ecamminavano in testa aprendo il corteo.


Dirimpettoalla chiesa si arrestarono. Comparve la grande croce d'argentosostenuta da un chierichettoe dietro veniva un altro ragazzo metàbianco e metà rosso che portava il secchiello dell'acquabenedetta con dentro l'"asperges". Ed ecco i tre vecchicantori (uno zoppica)poi quello dei fagottopoi il curato il cuiventre aguzzo solleva la stola dorata: e dà il buon giorno conun sorriso e un cenno del capo. Poi con gli occhi appena socchiusile labbra che biascicavanoil tricorno tirato sul nasoil buonparroco seguì il suo stato maggiore in cotta dirigendosi versola spiaggiadove una folla attendeva circondando festosamente unabarchetta nuovainghirlandata.


Alberovela cordameerano allacciati in lunghi nastri che garrivano alventoe c'era scritto a poppa: GIOVANNA: il suo nome a lettered'oro.


PapàLastiquecapitano della barca costruita a spese del baronesi feceincontro al corteo enello stesso tempo tutti gli uomini insieme siscoprirono il capo e una turba di devoti incappucciati dentro nerimantelli a grandi pieghe si inginocchiò in cerchio davantialla croce. Il curatofra i due chierichettiavanzò verso unfianco della barcamentre dall'altra parte i tre vecchi cantori inbianca tonacamento pelosoaria graveocchi sul libro delcantofermotuonavano a gola piena nel chiaro mattino: e ogni voltache riprendevano fiato lo strumento proseguiva da solo il suomugghiocosì che il suonatore nella gonfiezza delle guancepiene di ventostringeva gli occhietti sino a farli scomparire quasidel tutto. Il mareimmobile e trasparentesembrava assistere graveal battesimo della sua navicella sollevando deboli ondicine non piùalte di un ditocon sul ghiareto un piccolo raspare come dirastrello. E i grandi gabbiani passavano ad ali tesebalenantidescrivendo curve bianche nel cielo turchinofuggivanotornavanoroteavano ancora sulla folla inginocchiatacome per vedere che cosamai si facesse. Il canto cessò dopo un "amen" duratoben cinque minutie il prete con voce strozzata biascicòalcune parole latine delle quali non si distinguevano che le finalisonore. In ultimo fece il giro della barcaaspergendola tutta diacqua santapoi venne la volta degli "oremus" borbottatisotto la tolda di fronte al padrino e alla madrina che restavanozittiimmobilila mano nella manolui con la sua gravità dibel giovanelei con la gola stretta da un nodo improvvisocosìche le battevano i denti per l'emozione e il tremore. Ecco: il sognoche la preoccupava da tanto tempo assumeva come improvvisamenteinquella specie di allucinazioneapparenze reali. Avevano parlato dinozzee un prete era lì e benediceva: uomini in cottasalmodiavano: chi si sposava? Ebbe come una scossa nervosa alle dita:il palpito del suo cuore era giunto correndo lungo le vene fino alcuore di luidel vicino? Indovinava? Capiva? Egli pure invaso daquella specie di ebbrezza amorosa? O lo sapeva per esperienza chenessuna donna poteva resisterglia lui? Allora Giovanna si accorseche egli le stringeva la mano dolcissimamentepoi un poco piùfortepiù forte ancoraoh Diofino a farle malefino aspezzarle le dita. E senza che la sua persona avesse un sussultosenza che nessuno se ne accorgesseegli dissesìcertocertoegli disse cosìdistintamente:

"OhGiovannase voi voleste! Questo sarebbe il nostro fidanzamento..."Abbassò la testa con un moto lentissimo che forse voleva dire"sì". E il prete che diffondeva ancora acqua santagliene spruzzò sulle dita.


Erafatto. Le donne si rialzavano. Il ritorno fu uno scompiglio.


Nellemani del chierichetto la lunga croce aveva perduto la sua dignitàcorrevaoscillavasi sbandava da destra a sinistra o si curvava inavanti fin quasi a cadergli sul naso. Il parrocoche non pregavapiùgaloppava anche lui dietro gli altri; i cantori e quellodel fagotto scomparvero in un vicoletto per svestirsi più infrettae i marinai si affrettavano a gruppi a causa di quel pensieropiacevole che metteva nella loro testa come un odore di cucinariempiva la bocca di salivascendeva fin nei meandri del ventrefacendovi brontolar le budella. Era così che si allungavano legambe verso il buon pasto dei "Pioppi".


Lagrande tavola era stata portata nel cortilelìsotto i meli.


Sessantapersone vi presero postomarinaicontadinie la baronessasfolgorava al centro avendo ai lati i due parrociquello d'Yport equesto dei "Pioppi" e di fronte il suo nobile sposo frasindaco e sindachessauna campagnola magragià vecchiachedispensava salutini a destra e a sinistra. La sindachessa aveva unviso stretto e tutto chiuso nella gran cuffia normannauna veratesta di gallina dalla cresta biancadagli occhi tondi e semprestupefatti: mangiava a colpi rapidi come beccasse col naso nelpiatto.


Giovannanavigava nella gioiaaccanto al padrino. Non vedeva piùnulla. Non sapeva più nulla. Tacevacon la testa confusanella felicità.


"Qualè il vostro nome?" gli chiese.


"Giuliano.Non lo sapevate?" Ma lei non risposee pensò: "Quantevolte ripeterò questo nome!".


Acolazione terminatai signori lasciarono libero il cortile aimarinai e passarono all'altro lato del castello. La baronessa si misea fare il suo "esercizio"appoggiata al baronescortatadai suoi due curatie Giovanna e Giuliano si spinsero fino alboschettopenetrarono nei piccoli viottoli ombrosi.


Eglile afferrò le maniall'improvviso.


"Diteditevolete essere mia moglie?" Giovanna abbassa la testa.


"Ditevi pregorispondete!" Giovanna alza gli occhi su luiconinfinita dolcezza. In quello sguardo egli ha la risposta.




Capitolo4


Unamattina il barone entrò in camera di Giovanna prima ancora chesi fosse alzata. Sedette ai piedi del letto.


"Ilsignor visconte di Lamare ci ha chiesto la tua mano." Quasinascose la faccia sotto il lenzuolo.


"Cisiamo riservati di rispondere." Ansimava e il papà avevasulle labbra un fine sorriso. Diceva:

"Nonabbiamo voluto far nulla senza parlartene. Tua madre ed io non siamocontrarima non credere che ti si voglia obbligare. Tu sei molto piùricca di lui: ma il denaro non conta quando si tratta della felicitàdi una vita. Egli non ha più nessuno. Se tu lo sposassisarebbe un figliolo che entrerebbe nella nostra famigliamentre conun altro saresti tufigliola nostrache andresti fra estranei. Ilgiovane ci piace. Piace a te?" Giovanna divenne rossa fino allapunta dei capelliin quel balbettìo:

"Io...sono contentapapà." Papà la guardò infondo agli occhicon sulle labbra un fine sorriso.


"Nedubitavo un pocomadamigella." Restò fino a sera mezzoubriacasenza sapere quello che facevascambiando macchinalmentegli oggetticon le gambe rotte dalla fatica senza aver camminato.Verso le sei era seduta sotto il platano con mamminaed ecco ilvisconte. Il suo cuore batteva sempre più fortesempre piùda pazzo. E lui invece si avvicinava senza emozioneafferrava lamano della baronessa e la baciavaafferrava quest'altra manotremante e la baciava: ma questo fu un lungo baciopieno ditenerezza e di riconoscenza. Cominciò il fidanzamentocomeuna stagione ebbra di luce. Parlavano soli negli angoli del saloneoppure sul rialzo del muro in fondo al boschettodavanti alla landaselvaggia. Talvolta passeggiavano su e giù nel viale dellamammalui sempre parlando di avvenirelei con gli occhi abbassatisulla traccia polverosa del piede materno.


Decisala cosase ne volle affrettare il compimento e così si fissòla cerimonia fra sei settimaneil I5 agosto e poi gli sposisarebbero partiti per il viaggio di nozze senza indugio. Giovanna fuconsultata sul paese da visitare in quella occasione. E la preferenzafu per la Corsica. In Italia non sarebbero stati così soli!

Oraessi attendevano il grande momento senza un'ansia troppo vivacemaavviluppatitrascinati da una tenerezza deliziosaassaporando lagrazia squisita delle carezze insignificantidelle strette di manodelle dita premutedegli sguardi sempre più appassionatisempre più lunghiohcosì lunghi che le stesse animevi sembravano confuse ed anche vagamente tormentati dal desiderioindeciso delle grandi strette. Fu stabilito che non avrebberoinvitato nessuno al matrimoniofuorché la zia Lisettalasorella della baronessache viveva come in pensione in un conventodi Versailles.


Lastoria di questa Lisetta era un po' triste. Dopo la morte del padrela baronessa avrebbe voluta tenerla con séma la vecchiazitellaperseguitata dall'idea di recar disturbo a questo e aquelloconvinta di essere inutile e importunasi era ritirata inuna di quelle case di preghiera che ospitano le persone stanchesoleal mondo. Di quando in quando veniva a passare uno o due mesi infamiglia. Era una donnina che parlava pocosi vedeva ancor menoappariva solo all'ora dei pasti per risalire subito nella sua stanzadove restava chiusa ore e oresempre la stessacon quell'aria divecchiabenché non avesse che quarantadue annicon quegliocchi malinconici e miti Non era mai stata tenuta in nessun contodalla famiglia: bambinanon l'avevano mai accarezzata perchénon era né graziosa né allegrae lei era rimastatranquilla e serena in disparte: a diciotto e a vent'anni non avevatrovato nessuno che si occupasse un poco di lei. Era qualcosa comeun'ombra o un oggetto familiareun mobile vivente che si èabituati a veder tutti i giornima di cui non ci si occupa mai. Suasorellaper un'abitudine presa nella casa paternala consideravacome un essere incompletoinsignificantebanalené glialtri la trattavano con maggior riguardoma con quella familiaritàspiccia che nasconde una specie di bontà mista a disprezzo. Sichiamava Lisama questo nome lezioso e giovanile non le erapiaciutoe quando i parenti si accorsero che non si maritavachenon si sarebbe mai maritataallora Lisa scomparve e sorse Lisetta.Nacque Giovannae lei diventò "zia Lisetta":

parenteumilissimaordinatissimadi una timidezza spaventevole:

timidaperfino con gli intimiperfino con la sorella e il cognatoche purle volevano benebenché fosse anche questo un affetto vagoche confinava con la tenerezza indifferentela compassioneinconsciala tenerezza istintiva. Qualche volta la baronessa quandoparlava di cose lontane fissava una data così:

"Fual tempo del colpo di testa di Lisetta". Non si diceva di piùe questo "colpo di testa" restava come avvolto nellanebbia. La verità è che Lisa una sera (aveva alloravent'anni) aveva tentato di annegarsi senza che se ne sapesse ilperchénon essendovi mai stato nullanella sua vitaneisuoi modiche potesse far presagire di queste follie. Salvatala astentoi suoi genitori indignatilevate al cielo le bracciainvecedi cercare le cause dell'atto inconsulto si erano accontentati diparlare del "colpo di testa" come parlavano dell'incidentecapitato al cavallo che si era non molto prima fracassato una gambain un fossatoe l'avevano dovuto ammazzare. Dopo di allora Lisa (poiLisetta) fu considerata un debolissimo spiritotanto che il dolcedisprezzo che ispirava ai congiunti passò a poco a poco nelcuore di tutti.


Quantoalla piccola Giovannacon quel senso di naturale divinazione che èdei ragazzinon si occupava di leinon entrava nella sua cameranon ne era affatto curiosalasciando che la cameriera Rosalìavi facesse un po' d'ordine in frettapoiché era la sola chesapesse veramente dove fosse questo trascurabilissimo vano. Quando lazia Lisetta si affacciava in sala da pranzola "piccina"andava per abitudine a offrirle la frontee nient'altro. Se qualcunovoleva parlarlemandavano un servo a cercarla: se non la vedevanonessuno si occupava di leinessuno pensava o avrebbe pensato mai diinquietarsidi chiedere: "Come mai stamattina non si èvista Lisetta?". Non occupava un postoera di quegli esseri cherestano sconosciuti anche ai loro congiunticome inesploratiinspiegati: scompaionomuoionoe nessuno sente un vuotounamancanza in famigliaperché ci sono pure esseri che non sannoentrare nell'esistenzanelle abitudini e neppure nell'amore deifamiliari con cui dividono la vita. Si diceva: "zia Lisetta"e non risvegliava nello spirito di chi pronunciava queste due parolenessun particolare sentimento come se si fosse nominata lacaffettiera o la zuccheriera. Camminava sempre a passettiniaffrettati e leggerinon faceva rumorenon urtava mai nienteeracome se comunicasse agli oggetti la facoltà di non renderealcun suono. Le sue mani sembravano fatte di una specie di bambagiatanta era la leggerezzatanta la delicatezza con cui toccava eadoperava una cosa.


Arrivòverso la metà di giugno tutta sconvolta dall'idea di quelmatrimonioe con una gran quantità di regaliche erano dileidi Lisettae passarono perciò inosservati. Arrivòe il giorno dopo non si sapeva più che ci fosse. Eppure sivedeva bene che era eccitatache si agitava in lei una grandeemozioneche i suoi occhi non lasciavano mai i promessi sposichesi occupava del corredo con un'energia singolarecon un'attivitàsempre più mossapiù febbrilelavorando come unasemplice operaia nella sua stanza dove nessuno andava a vederla.Eccoladi quando in quandomostrare alla baronessa fazzolettini acui aveva fatto l'orlotovaglioli a cui aveva fatto la cifra.


"VabeneAdelaide? Così?" "Non t'affaticare tanto miapovera Lisetta" rispondeva mammina esaminando distrattamente lastoffa.


Unaseraverso la fine del mesedopo una giornata di pesante caluralaluna si levò in una di quelle notti chiare e tiepide cheturbanointenerisconoesaltanosembrano risvegliare una poesiasegreta dell'anima. La dolce brezza dei campi entrava nel salonetranquillo. La baronessa e il marito giocavano a cartesvogliatamentenel cerchio di luce della lampada familiare; la ziaLisetta lavorava a maglia lì accanto; e i due giovaniappoggiati alla finestra apertaguardavano il giardino pieno diluce. Il platano e il tiglio spandevano le loro ombre sul pratoerboso che si stendeva innanzi alla villapallido e luminoso fino alboschetto tutto nero. Attratta dal fascino di quella luce vaporosache sembrava avvolgere alberi e pietreGiovanna chiese il permessodi fare una passeggiata sull'erbalì fuori.


"Andatepurefiglioli miei." Uscirono mentre ricominciava la partitaecamminarono lentamente sul gran prato bianco di lunafino al piccolobosco laggiù in fondo. Le ore passavano senza che la coppiapensasse a rientraree la baronessa era stanca e voleva andare adormire. Chi richiamava i due innamorati? Il baronesulla vetratapercorse d'un colpo d'occhio il vasto giardino dove le due ombreerravano labili nella luce.


"Lasciamolicara. Si sta così bene qui fuori! Ecco: li aspetta Lisetta.VeroLisetta?" "Certoli aspetterò" risposecon voce timida leialzando gli occhi con una certa inquietudine.


Rimastasolala zia Lisetta si alzòlasciò sulla poltrona illavoro incominciatoil gomitolo e il ferro da calzasi appoggiòalla finestra per contemplare la notte incantevole. I due fidanzaticamminavano sempre attraverso il pratodal boschetto alla scalinatadalla scalinata al boschettoe non parlavano piùma sistringevano la manocome in un oblìo di sécome fusinella poesia visibile che esalava dalla terra. Leiimprovvisamentescorse nel vano della finestra il profilo della zitella disegnatodalla chiarità della lampada.


"Guardaguarda! Lisetta ci osserva." "Sizia Lisetta ci osserva"disse lui alzando la testa e con quella voce indifferente che parlasenza pensiero.


Eancora sogni e passi lenti e tenerezze sotto la luna. La rugiadacopriva l'erba; gl'innamorati ebbero un primo brivido di freddo.


"Rientriamo"disse Giovanna.


Lazia Lisetta si era rimessa a lavorare: la sua fronte era china sullamaglia: le dita magre tremavano un poco come se fossero stanche.


Giovannasi avvicinò.


"ZiaLisettaandiamo a dormire?" La zitella alzò gli occhi:erano gonfi come se avessero pianto.


Gl'innamoratinon se ne avvidero; egli si avvide piuttosto che le scarpette diGiovanna erano bagnate di guazza.


"Nonavete mica freddo ai vostri cari piedini?" A questo punto lemani della zia Lisetta furono scosse da un tremito così forteche le sfuggì il suo lavoroil gomitolo della lana rotolòlontano sul pavimentoe la poveretta nascose la faccia tra le mani escoppiò in un pianto convulso davanti ai due fidanzati che laguardavano immobilisenza capire.


"Mache haizia Lisetta?" chiese Giovanna che le si erainginocchiata davanti e tentava di scostarle le braccia. "Chehaiche hai?" Allora la poveretta balbettò con la vocemolle di lacrimecon tutta la persona contratta:

"GiovannaGiovannaegli t'ha domandato... t'ha domandato... "Non avetefreddo... ai vostri cari piedini..." A me... non me le hannodette mai queste cose... Mai a me... mai a me..." Giovanna erasorpresa e impietosita; eppure aveva voglia di ridere. Era buffainfatti l'idea di un innamorato che avesse di queste tenerezze perzia Lisetta e il visconte si era voltato dall'altra parte anascondere la sua ilarità. Ma la zia si levò di colpolasciò la sua lana sul pavimentoil lavoro sulla poltronaefuggì via senza lampadasu per le scale buiecercando la suastanza a tentoni.


"Poverazia!" "Dev'essere un po' mattastasera." Si tenevanoper mano senza decidersi a separarsie cosìdolcementedolcissimamentesi scambiarono il primo bacio davanti alla poltronalasciata vuota proprio allora dalla povera zia. E il giorno dopo nonpensavano già più a quelle lacrime.


Ledue settimane che precedettero il matrimonio lasciarono Giovannatranquilla e serena e come stanca di dolci emozioni.


Nemmenoil mattino del giorno decisivo si fermò un poco a riflettere.Provava soltanto una grande sensazione di vuoto come se tutto il suocorpola sua carneil suo sangue le si fossero fusi sotto la pelle:si accorsetoccando gli oggettiche le sue dita tremavano. Inchiesa riprese il dominio di sé: e si era già allafunzione.


Sposa!Era sposa! La successione delle cosedei movimentidegliavvenimenti di quella mattina le parevano un sognoun gran sognocome nei momenti in cui tutto sembra cambiato intorno a noii gestistessi hanno un significato diversole ore stesse non sanno compiereil giro ordinario. Si sentiva storditasbalordita. Solo il giornoprima nulla c'era di diversodi modificato nella sua esistenza;c'erasìla speranza costante della sua vita diventata piùprossimaquasi palpabile. Addormentarsi fanciulla:

svegliarsidonna. Era donna! Aveva dunque superato la barriera che sembranascondere l'avvenire con tutte le sue gioiecon tutto il suo benesognatoe sentiva che davanti a lei c'era una porta aperta: daquesta porta entrava nell'"Atteso".


Lacerimonia finiva. Si passò nella sagrestia quasi vuotachénon avevano invitato nessuno. Quando apparvero sulla porta dellachiesaun fragore inumano fece sobbalzare la povera sposinae labaronessa gettò un alto grido: era una salva di fucilatetirate dai contadini e le detonazioni non cessarono più finoai "Pioppi".


Unacolazione era stata preparata per la famigliaper due curatiquellodei castellani e quello d'Yportper i testimoni scelti tra i piùgrossi coltivatori dei dintorni. Il baronela baronessala ziaLisettail sindaco e l'abate Picotaspettando di mettersi a tavolapercorrevano in su e in giù il viale della mammamentre inquello di faccia l'altro prete leggeva il breviario camminando a granpassi. Giungevadall'altra parte del castellola clamorosa allegriadei contadini che bevevano il sidro sotto i meli. Tutto il paesevestito a festa riempiva il cortile. I giovanotti e le ragazze sirincorrevano.


Inquel momento Giovanna e Giuliano attraversavano il boschettosalivano sull'argine emutiinsiemeguardarono il mare. Benchési fosse a mezzo agostofaceva un po' fresco; soffiava il vento delnord; un gran sole splendeva incandescente nel cielo tutto turchino.E per trovare un riparo attraversarono la landa girando a sinistrapuntando alla vallata ondulata e boscosa che scendeva giùverso Yport. Raggiunto il bosconessuna ventata li importunòpiùe lasciarono il viale per internarsi in uno strettosentierosotto il fogliame. Lì dentro si poteva appenacamminarecosìl'uno dietro l'altro: allora sentì unbraccio che le scivolava lentamente intorno alla vita. Ansimava senzaparoleil respiro mozzoil cuore convulso. I capelli erano toccatiaccarezzati dai rami più bassi: bisognava chinarsi perpassare. Giovanna colse una foglia: due bestioline del buon Diosimili a fragili conchiglie rossevi si rannicchiavano sopra. E lasposina disse con innocenzaun po' rassicurata:

"Unmatrimonio. Guardate." Lui le sfiorò l'orecchio con labocca.


"Saretemia mogliestasera." Quantunque avesse imparato molte cosenella sua vita fra i campinon pensava ancora che alla poesiadell'amoree fu sorpresa. Sua moglie? Non lo era forse di già?Allora egli si mise ad abbracciarla dandole dei piccoli baci rapidisulle tempie e sul collolà dove si arricciano i primicapelli. Colpita ogni volta da quei baci di uomo a cui non eraavvezzarovesciava dall'altra parte il capod'istintoper evitareuna carezza che pur la rapiva. Eccoli dunque al confine del bosco. Sifermò come impressionata di essere lì. Che avrebberodetto di loro?

"Torniamoindietro" pregò.


Egliritirò il braccio che le cingeva la vita evoltandosientrambisi trovarono faccia a facciavicinioh cosìprossimi che ognuno sentiva sul proprio volto l'alito dell'altro: esi guardaronosi cercarono negli occhidentro gli occhilàdentrodove l'ignoto dell'essere è impenetrabile; siesaminarono in una muta ostinata domanda. Che saranno mai l'uno perl'altra? Quale sarà la vita che cominciano insieme? Qualigioiequali felicità e disinganni si riserbano reciprocamentenella lunga indissolubile comunanza del matrimonio? E sembròloro che si vedessero per la prima volta in questo momento. PoiGiulianoposando le mani sulle spalle di sua mogliele diede unbacio sulla bocca così profondo come lei non ne aveva mairicevuti. Questo bacio discesepenetrò nelle sue venenellesue midollae ne sentì una scossa misteriosa; cosìmisteriosa che respinse con forza il suo sposo e poco mancònon cadesse riversa in quell'appassionato smarrimento.


"Susu... torniamo indietro..." Senza rispondereegli le prese lemani e le tenne strette dentro le sue. Né parlarono piùfino a casa. Il resto del pomeriggio parve interminabile. E si giunseal banchetto che era notte.


Fuun banchetto semplice e brevecontrariamente agli usi normanni. Unaspecie di disagio paralizzava i convitati. Solo i due pretiilsindaco e i quattro fittavoli mostrarono un po' di quell'allegriagrossolana che nelle feste nuziali è di prammatica.


Ilriso sembrava spento: lo rianimò un'arguzia del sindaco. Poivenne il caffèed erano circa le nove. Fuorisotto i melidel primo cortileincominciava il ballo campestre. Dalla finestraaperta si vedeva tutta la festa con quei suoi lampioncini appesi airami che davano alle foglie certe sfumature di un color verde grigio.Villani e villanelle danzavano in tondo urlando un'aria di danzaselvaggia che i suonatori (due violiniun clarino) accompagnavano unpo' debolmente accoccolati sul palco lassùche era unamodesta tavola di cucina. Il canto disordinato copriva talvolta ilsuono degli strumentie la debole musicalacerata da quelle vociscatenatesembrava cadere a brani dal cieloa piccoli frammenti dipoche povere note disperse. Due grandi barili circondati da torcefiammeggianti versavano da bere alla folla:

dueserve non facevano che risciacquare coppe e bicchieri in una concaper metterliancora sgocciolantisotto i rubinetti da cui colava ilfilo rosso del vino o il filo dorato del sidro. E i balleriniassetatii vecchi tranquillile ragazze pazzesudatesipigiavanotendevano le braccia per afferrare a turno un recipientequalsiasi e versarsi a gran sorsi nella gola il liquido preferitorovesciando il capo all'indietro. Ciascuno si avvicinava alla tavoladov'erano paneburrosalsicceformaggio e inghiottiva di quando inquando un bocconee quella festa sana e veemente sotto il soffittodelle foglie illuminate metteva anche nei taciturni convitati dellasala il desiderio di ballaredi bere alle grosse botti e mangiareuna fetta di paneburroformaggiouna cipolla cruda.


"Perbacco!"gridò il sindaco che batteva il tempo col coltello "Cosìva bene! E' come chi dicesse le nozze di Ganascia!" Corse unsussulto di risa soffocate. Ma l'abate Picotnemico naturaledell'autorità civilecorresse:

"Voletedire le nozze di Cana?" "Nonosignor curato" siintestardiva quell'altro per non accettare la lezione "so quelche mi dico: quando dico Ganascia è Ganascia!" Sialzarono da tavolasi unirono un po' alla gazzarra. Poiritiratisigl'invitatiil barone e la baronessa ebbero fra lorosottovoceunaspecie di battibecco. La signora Adelaidepiù ansante chemaisembrava rifiutare quel che il marito le chiedeva.


"Noamico mio" disse infine quasi ad alta voce. " Non posso.Non posso. Non saprei da che parte incominciare..." Allora ilbarone la lasciò bruscamente e si avvicinò allafigliola.


"Vuoifare un giro con mebimba mia?" "Come vuoipapà"rispose lei tutta commossa.


Appenafurono sulla porta a mare li assalì un venticello frizzanteuno di quei venti freddi d'estate che fan già presagirel'autunno. Le nuvole galoppavano per il cielo ora velando orascoprendo le stelle. Il padre stringeva contro di sé ilbraccio della fanciulla serrandole pure la mano in un tenerissimofremito.


Sembravaindecisoturbato. Infine si decise.


"Bimbamiami assumo adesso una parte difficileuna parte che veramentetoccava a tua madrema siccome lei non vuolebisogna bene cheprenda il suo posto. Ignoro ciò che tu sai della vita. Ci sonomisteri che si nascondono gelosamente alla gioventù especialmente alle fanciulle che debbono conservare la purezzadell'anima e restare illibate finché noi le rimettiamo nellebraccia dell'uomo che deve difendere la loro felicità. Sta aluista a lui togliere quel velo teso sul dolce mistero della vita.Ma le fanciullese nessun sospetto le ha ancora sfioratespesso sirivoltano davanti alla realtà un po' brutale nascosta dietro iloro sogni. Ferite nell'animaferite anche nel corpotalvoltarifiutano allo sposo ciò che la legge gli accorda come undiritto assoluto. La legge umana... la legge naturale... Bastanonposso dirti di più. Ma non dimenticare questosoltantoquesto: tu appartieni interamente al tuo sposo." Che cosaveramente sapeva lei? Che cosa indovinava? Aveva cominciato a tremareoppressa da una malinconia snervante e dolorosa come unpresentimento.


Unasorpresa li fermò sulla porta della salaquando rientrarono.


Lasignora Adelaide singhiozzava sul petto di luidello sposo. I suoisingultile sue lacrime veementicome risospinti da un mantice difucina sembrava le uscissero nello stesso tempo dal nasodallaboccadagli occhi; e lo sposointerdettoconfusoscontentososteneva la grossa signora che gli si abbandonava fra le braccia perraccomandargli la sua carala sua buonala sua diletta la suaadorata figliola. Accorse il barone.


"Nonfate scenenon v'inteneritenonove ne prego..." E cosìstaccò la moglie dal giovane e la fece sedere su una poltronaper darle modo di asciugarsi le lacrime.


"Andiamopiccina mia" disse egli rivolto a Giovanna. "Abbraccia allasvelta tua madree va' a coricarti." Giovanna stava quasi perpiangere anche lei: abbracciò i suoi genitori e fuggì.


ZiaLisetta si era già ritirata nella sua stanza. Il barone e labaronessa rimasero soli con Giuliano. Erano così confusitutt'e tre che non sapevano spiccicare parolai due uomini in abitoneroin piedicon gli occhi smarritila signora abbattuta sullapoltrona con un resto di singhiozzi nella gola. Siccome questoimbarazzo diventava intollerabile il barone cominciò a parlaredel viaggio che i giovani sposi dovevano intraprendere dopopochissimi giorni.


IntantoGiovannanella sua camerasi lasciava spogliare da Rosalìache piangeva dirottamente. Queste povere mani di Rosalìaerravano a casonon trovavano più né gli spilli néi nastri e sembrava davvero più commossa della sua padroncina.Ma come poteva pensare Giovanna alle lacrime della sua cameriera? Lesembrava di essere entrata in un altro mondopartita da un'altraterraseparata da tutto ciò che aveva conosciuto eprediletto. Eccod'un trattol'esistenza sconvolta! Le venneperfino un'idea strana: suo marito... lo amava? Ed ecco anchedicolpoil suo sposo apparirgli come un estraneo: ma sìma sìlo conosceva appena! Tre mesi prima non sapeva nemmeno che esistesse.Allora non sapeva nemmeno che esistessee adesso era sua moglie.Perché?

Perchécader così presto nel matrimonio come in una buca aperta sottoi piedi?

Scivolòrapida nel lettoe il contatto delle lenzuola la fece rabbrividire eaumentò questa sensazione di freddodi tristezzadisolitudine che le gravava da due ore sull'anima. Rosalìa se neandòsempre singhiozzandoe Giovanna attese. Attendevaansiosacol cuore convulsonon sapeva bene che cosaqualcosa comedi divinoo anche ciò che le aveva annunziato confusamentesuo padrequella rivelazione misteriosa di ciò che èil gran segreto d'amore.


Furonbattuti tre colpi leggerisenza che lei avesse udito un passo su perla scala. Trasalì spaventata e non rispose. Fu bussato ancoraun po' più forte: e poi la serratura che stride.


Nascosela testa sotto il lenzuolocome se stesse per entrare un ladro.Quelle scarpe che scricchiolano sul pavimento... qualcuno che toccail suo letto... Allorain un sussulto nervosogettò unpiccolo gridoe fu così che scoprì la testa e videGiuliano in piedidavantilui che guardava e rideva.


"Chepaura m'avete fatto!" "Forse non m'aspettavate?" Nonrispose. Egli era ancora vestito da cerimoniain gran tenutacon lasua faccia seria di bel giovanee lei sentì una grandevergogna di essere a letto in presenza di un uomo cosìirreprensibile. Non sapevano più che cosa direche cosa fare:non osavano nemmeno guardarsi in quel momento così decisivo dacui dipende l'intima felicità della vita. Egli forse intuivavagamente qual pericolo offrae quanta docile padronanza di sestessiquale astuta tenerezza sia necessaria per non ferire nessunodi quegli istintivi pudoridelle infinite delicatezze di un'animavergine e nutrita di sogni. Alloradolcementele prese una mano egliela baciò; poi si inginocchiò ai piedi del lettocome davanti a un altare.


"Miamerete?" Tutta rassicurataGiovanna sollevò sulguanciale il suo capo come aureolato d'un soffio di trine.


"Maio vi amo giàamico mio." Egli prese in bocca le ditaaffusolate di sua mogliee quell'impedimento di carne mutò lasua voce.


"Voletedimostrarmi che mi amate?" Rispose leidi nuovo turbatasenzacapire quel che si dicevaricordandosi delle parole paterne:

"Sonotutta vostraamico mio." Egli le coprì il polso di baciumidi eraddrizzatosi pian pianosi accostò alla faccia dilei che ricominciava a nasconderla.


Improvvisamentestendendo un braccio in avantial di sopra del lettoabbracciòsua moglie attraverso le lenzuolamentreintrodotto l'altro bracciosotto il cuscinole sollevava il docile capo.


"Alloraallora" domandò a voce bassamolto bassa "voletefarmi un posticino accanto a voi?" Ebbe paurauna pauraistintivae balbettò:

"Ohnon ancoranovi prego!" Egli sembrò sconcertatoancheun po' urtato. Riprese con un tono ancora supplichevolema brusco:

"Perchépiù tardi? Prima o poinon sarà la stessa cosa?"Giovanna si sentì come punta da queste parole e tuttaviaripeté sottomessa e rassegnata:

"Sonovostraamico mio..." Allora egli scomparve nell'attiguospogliatoio e la sposina intese distintamente quei movimenti di luiquel fruscio di abiti tolti di dossoil tintinnio del denaro nelletaschele scarpe posate per terra. D'un tratto egli attraversòrapidamente la stanzain mutande e calziniper andare a posarel'orologio sul caminetto:

tornòcorrendo nella stanzetta vicinasi agitò ancora un pocoeGiovanna si volse di colpo dall'altra partechiudendo gli occhiquando lo sentì avvicinarsi. Egli arrivaegli arriva! Siscosse di soprassaltocome per buttarsi a terraquando sentìscivolare contro la sua gamba un'altra gamba fredda e pelosae conla faccia tra le manismarritasconvoltadecisa a gridare di paurae di sgomentosi rannicchiò sulla sponda del letto. Subitoegli la prese fra le bracciabenché gli voltasse le spallebaciandole avido il collo e le trine fluttuanti dell'acconciaturanotturna e il colletto ricamato e il tessuto della camicia. Non simuoveva irrigidita in un'orribile ansietàsentendo una manogreve cercarle il seno nascostopremuto coi gomiti. Ansimavasconvolta sotto quel contatto brutale e voleva fuggirecorrere perla casarinchiudersi in un luogo qualsiasi ma lontana da luidaquell'uomo. Egli non si muoveva più e Giovanna sentiva ilcalore di lui sul suo dorso: allora il suo spavento si calmòdi nuovo e pensò improvvisamente che non le restava chevoltarsi per abbracciarlo.


"Nonvolete dunque essere la mia mogliettina?" "E non lo sonoforse?" rispose lei attraverso le dita.


"Manocara" disse egli con una sfumatura di cattivo umore. "Vianon vi burlate di me..." Giovanna si senti tutta agitata da queltono di malcontento e si voltò subito a lui come perdomandargli perdono. E lui l'afferrò per la vitarabbiosamenteaffamato di leile percorse tutta la faccia e tuttoil collo di baci rapidifollimordentistordendola di carezzeepoi ancora il collola boccala gola.


Avevaaperto le mani e rimaneva inerte sotto gli sforzi di luinon sapendoquel che egli facessené quel che facesse lei stessain unturbamento di spirito che non lasciava comprendere nulla. Ma unasofferenza acuta la straziò tutt'a un trattoe si mise agemere e a torcersi fra le braccia di lui che la faceva sua conviolenza.


Cheavvenne poi? Non ricordòperché aveva perduto latesta: le parve soltanto che egli le coprisse le labbra di baciriconoscentifitti fittipiccoli piccoli. Doveva averle ancheparlato ed leiforserisposto. Poi egli fece altri tentativi chelei respinse con spavento; e siccome si dibattevaincontròsul petto di lui quel pelo ruvido che aveva già sentito sullagamba e si trasse indietro con orrore. Stanco di sollecitarla pernullaegli rimase immobilesupino. Allora Giovanna si pensòe si sentì disperata fin nel profondo dell'animaneldisinganno di un'ebbrezza sognata così diversadi una caraattesa distruttadi una felicità perduta per sempre: "Eccoecco ciò che egli chiama essere sua moglie: è questoèquesto!". E rimase così lungo tempoangosciatagliocchi erranti sulle tappezzerie della stanzasulla vecchia leggendad'amore che aveva avvolto e riempito il suo nido. Ma poichéGiuliano taceva e non si muovevagirò lentamente lo sguardoverso di lui e si accorse sìche dormiva! Dormivala boccasocchiusail viso calmo... Dormiva!

Quasinon poteva credere a questo: era indignata: si sentiva oltraggiatadal quel sonno più che dalla crudeltàpiù chedalla brutalità. Eccola trattata come la prima venuta giacchéegli poteva dormire in una notte simile! Oh Dio ciò che c'erastato fra loro non aveva dunque nulla di straordinario per lui? Sìsìavrebbe preferito essere picchiataviolentata ancoramacchiata di carezze odiosesìsìfino a perderne isensi! E rimase immobileappoggiata su un gomitopiegata verso diluiascoltando fra quelle labbra il passaggio del soffio leggero chesomigliava alla volgarità del russìo...


Venneil giornocupo in principiopoi chiaropoi rosae poisfavillante. Giuliano apri gli occhisbadigliòguardòsua moglie e sorrise.


"Haidormito benemia cara?" Si accorse che le dava del tu e loguardò stupefatta.


"Masì. E... voi?" "Oh! Io benissimo." Si volseverso di leila abbracciòe si mise a ragionare tranquillomanifestando i suoi progetti per l'avvenirecon strane ideeidee di"economia": e questa parola ripetuta più e piùvolte stupì la sposina. Lo ascoltava senza afferrar bene ilsenso delle parolelo guardavapensava a mille cose rapide chepassavano e sfioravano appena il suo spirito.


Suonaronole otto.


"Suvviabisogna alzarsi" egli disse. "Saremmo ridicoli serestassimo a letto fino a tardi." Scese dal letto per primo. Equando fu vestitoaiutò premuroso sua moglie in tutti i piùminuti particolari della sua eleganza e non permise che chiamasseRosalìa.


"D'orainnanzi" egli disse fermandola al momento di uscir dalla stanza"fra noi soli ci si potrà dare del tu. Davanti ai tuoigenitori è meglio attendere ancora. Il tu sarànaturalissimo al ritorno dal viaggio di nozze. Va bene?" Non sifece vedere che all'ora di colazione. E la giornata passò comesempre: come se non ci fosse nulla di nuovo. Non c'erain casacheun uomo di più.




Capitolo5


Eccoquattro giorni dopola berlina che deve portarli a Marsiglia.


Passatal'angoscia della prima seraGiovanna si era abituata al contatto diGiulianoe alle tenerezze e ai baci e all'amorebenché lasua ripugnanza nei rapporti più intimi non fosse per nulladiminuita. Ma lo trovava bellolo amavae ritornava gaia e felice.


Gliaddii furono brevisenza tristezza. Solo la baronessa sembrava unpoco commossa; e al momento della partenza mise nelle mani dellafigliola una gran borsa che pesava come se ci fosse dentro delpiombo.


"Perle tue piccole spese di sposina..." Giovanna intascòe icavalli partirono.


"Quantoti ha dato tua madre?" egli le chiese poiverso sera.


Nonci pensava piùe rovesciò in grembo la borsa. Unfiotto d'oro si sparse: duemila franchi. Giovanna batté lemani puerilmente.


"Faròdelle pazzie!" disse nascondendo il suo oro.


Dopootto giorni di viaggio arrivanocon un orribile caldoa Marsiglia el'indomani il "Re Luigi"il piccolo piroscafo che andava aNapoli passando da Ajaccioli portava verso la Corsica.


LaCorsica! La macchia! I briganti! Le montagne! La patria di Napoleone!Giovanna credeva di uscire dalla realtà per entrarecosìdestain un sogno.


L'unoaccanto all'altrasul ponte della naveguardavano perdersi lontanole spiagge della Provenza. Il mareimmobile: d'un azzurro caricocome rappreso nella luce calante dal sole: il cieloinfinitosottoil cielo di un turchino quasi esageratoinsolente.


"Ricordila nostra passeggiata nella barca di papà Lastique?"Invece di rispondereegli si chinò di furia a baciarle unorecchio.


Leruote del vapore sbattevano l'acqua rompendone il sonno pesante e lalunga traccia schiumosauna lunga pallida scia dove l'acqua mossaspumeggiava come champagneprolungava fino a perdita d'occhio ilsolco del navigliodirittissimo. D'un trattolì davantiapochi metri balza un pesce dall'acquaun delfinovi rituffa latestascompare. Giovannasorpresaebbe pauragettò ungridosi abbandonò sul petto di lui. Rise del suo spavento eguardò ansiosa se l'animale ricomparisse. Ed eccolodopo unminutoscattare ancora come un grosso giocattolo meccanico:

ricaddee uscì un'altra volta: e furono duetresei delfini cheparevano saltellare intorno al pesante piroscafo e quasi scortarequel loro mostruoso fratelloquel pesce di legno dalle pinne diferroora a destraora a sinistrao tutt'insiemeo l'uno dopol'altroin un giuocoin un rincorrersi allegroslanciandosi inaria con la gran curva di un salto e ricadendo in fila nei tuffi.


Giovannabatteva le mani entusiastatrasaliva a ogni apparizione di queglienormi agili nuotatoriil suo cuore balzava come quei delfini in unapazza allegria di bambino. Scomparvero. Si videro ancora una voltalontanilontaniin alto mare: poi niente. E questa scomparsaperun momento almenodispiacque.


Venivala sera; una sera calmaradiosapiena di chiaroredi pace serena.Non un fremito nell'aria o sull'acqua e questo riposo illimitato delmare e del cielo si stendeva sulle anime stancheche non trasalivanopiù. Il sole calava là mollementeverso l'Africainvisibileverso la terra infuocata di cui si avvertivano quasi gliardori; e una specie di fresca carezza sfiorava le fronti dopo che ilsole era tramontato e scomparsoe non era nemmeno un soffioma unaparvenza di brezza.


Giovannae Giuliano non vollero scendere in cabinalà dove si sentival'orribile odore del piroscafo: si stesero fianco a fianco sul pontesotto i loro mantellie dormirono. Giuliano dormiva; lei rimaneva aocchi apertiagitata dal senso d'ignoto del viaggiocullata dallamonotonia delle ruoteguardando passar sul suo capo legioni distellestelle così chiaredi una luce così acutacosì scintillante e come inumidita in quel puro cielod'estate.


Siassopì verso il mattino. Ma la svegliarono voci e rumori:

eranoi marinai che cantavano e rifacevano bella la nave. Scosse suomaritolo obbligò ad alzarsimentre beveva esaltata quelsapore di bruma salina che le penetrava fin nell'estremitàdelle dita. Quanto mare! Non altro che mare! Purelà infondosembrava che qualcosa di grigio si posasse sulle ondequalcosa di ancora confuso nell'alba nascentequalcosa come unagglomeramento di nuvole stranetutte sporgenze e frastagli. A pocoa poconel cielo sempre più chiaroi contorni si svelanosieleva come una grande linea di montagne cornute e bizzarre: laCorsica! E' proprio la Corsica avvolta in una specie di velo leggero.Dietro le sorge il sole disegnando i rilievi delle creste in ombrenere e compattepoi le vette si incendiano e il resto dell'isolarimane come annebbiata di vapore.


Apparveil capitano sul ponteun vecchio ometto disseccatoinduritorattrappito dai crudi venti salmastri.


"Losentite questo odore?" disse a Giovanna con una voce arrochitada trent'anni di comandologorata dalle grida lanciate nelleburrasche.


Sentivainfatti un odore singolare di piante; un aroma selvaggio.


"E'la Corsica che fiorisce cosìè il suo profumo di donnabella.


Lariconoscerei a cinque miglia di distanza dopo vent'anni. Io sonocorso. Si dice che laggiùa Sant'ElenaEgli parli sempredell'odore del suo paese. E' della mia famiglia." E il capitanosi levò il cappello per salutare la Corsica: e salutòlaggiùattraverso l'oceanocolui che apparteneva alla suafamiglia: il grande imperatore prigioniero.


Giovannafu così commossa che si sentì le lacrime agli occhi.


"Lesanguinarie" annunziò poi l'uomo di mare col braccio tesoverso l'orizzonte. Giuliano e Giovanna guardavano lontano lontano(lui la stringeva alla vita) per scoprire il punto indicato. Efinalmente scorsero alcune rocce in forma di piramide che la navegirò con destrezza entrando in un golfo immenso e tranquillotutto contornato di cime. Il capitano indicò i piùbassi pendii che parevano coperti di muschio: "Le macchie".Man mano che si avanzava il cerchio dei monti sembrava chiudersidietro la nave che navigava lenta in un azzurro cosìtrasparente che non se ne vedeva il fondo. E la città apparvedi colpoin fondo al golfoai piedi delle montagnelambita dalmare.


Alcunipiccoli bastimenti italiani ancorati nel porto. Quattro o cinquebarche venivano intorno al "Re Luigi" per prenderne ipasseggeri. Giuliano riuniva i bagagli; domandò sottovoce asua moglie:

"Bastanoventi soldi per il facchinono?" Da otto giorni Giuliano facevacontinuamente la stessa domandae Giovanna ne soffriva quasi ognivolta. Rispose con un'ombra d'impazienza:

"Quandosi è sicuri di non dare abbastanzasi dà troppo."Egli discuteva sempre con tutticoi padroni e coi camerieri deglialberghicoi fiaccheraicoi venditori di ogni generee quandoaveva a forza d'astuzia ottenuto anche un piccolo ribasso diceva aGiovanna: "Non mi piace d'essere derubato" e si fregava lemani. E lei tremava tutte le volte che gli presentavano i contigiàsicura delle osservazioni che egli avrebbe fatto su tuttoumiliataper quel piccolo mercanteggiareinfiammata fino ai capelli sotto losguardo sprezzante dei camerieri che seguivano con la codadell'occhio il suo sposo tenendo nel palmo della mano la manciameschina. E ora anche una discussione col barcaiolo che li portava aterra.


Ilprimo albero che vide fu una palma.


Sifermarono in un grande albergo vuoto all'angolo d'uno spiazzoe sifecero portare la colazione. Dopo colazionementre Giovanna sialzava per andare a veder la cittàGiuliano le afferra unbraccio e le dice qualcosa all'orecchio:

"Seci coricassimo un pocotesoruccio mio?" "Coricarci? Ma ionon sono stanca." "Non capisci?" disse stringendola asé. "Non capisci che ti desidero? Dopo due giorni..."Giovanna arrossì di vergogna.


"Ohadesso! Ma che diranno? Che penseranno? Come oserai chiedere unacamera di pieno giorno? Oh Giulianoti supplico...." "Mene infischio di quel che può dire e pensare l'albergo! Sta' avedere" e suonò.


Restavaa occhi bassisenza parlare. Ma sentiva che la sua anima siribellava a quel desiderio inesaustoe che obbedivasìmacon disgustoe che era rassegnatainsiemee umiliata e che vedevain ciò qualcosa di bestialedi degradanteeccoecco...


unaporcheria! I suoi sensi dormivano ancora e il suo sposo la trattavacome se già dividesse il piacere! Il cameriere arrivaGiuliano gli dice di condurli in cameral'altro non capisce eassicura che la stanza sarà prontagiàgià...per la sera.


Giulianoimpazientitosi spiega: subito subitobisogno di riposostanchidel viaggio... Allora un sorriso cala giù per la barba delcameriere (un vero corsopeloso fino agli occhi) e Giovanna vorrebbefuggire...


Quandoridiscesedopo un'oranon osava passare davanti alla gentepersuasa che qualcuno avrebbe riso e bisbigliato dietro le suespalle. Serbava rancore a Giuliano di non capir queste cosequestidelicati pudoriqueste delicatezze istintivee le sembrava che fraloro due ci fosse come un veloun ostacolo; e poteva anche darsi chedue esseri non potessero penetrarsi mai fino in fondoe che essicamminassero sì a fianco a fiancomagari abbracciatima nonconfusinon immedesimati l'uno nell'altroperché l'essenzamorale di ciascuno rimane sola per tutta la vita.


Idue giovani sposi passarono tre giorni in quella cittadina nascostain fondo al golfo turchinocalda come una fornace dietro la suacortina di montagne che non permetteva al vento di arrivare fin lì.Poi prepararono l'itinerario del viaggioe per non indietreggiaredavanti a nessun passaggio difficile decisero di noleggiare deicavalli: due piccoli stalloni corsi dall'occhio furiosomagri einfaticabili. La partenza avvenne il giorno dopoallo spuntar delsole. Seguiva una guida con le provvigionipoiché glialberghi sono sconosciuti in questo paese selvaggio.


Lastrada correva dapprima sul golfo e si internava poi in una vallatapoco profonda che si apriva verso le alture. Spesso attraversavanoterreni quasi asciutti dove una parvenza di ruscello scorreva ancorasotto le pietrecome una bestia nascostagorgogliando timidotimido. Il territorio incolto sembrava nudocoi fianchi delle costecoperti di erbe alte e gialle per l'ardore dell'estate. Talvoltaincontravano un piccolo montanaro a piedi o a cavallo o sul dorso diun asinonon più grosso di un canee tutti avevano adarmacollo il fucile già carico: vecchie armi arrugginite manelle loro manitemibili. Il forte profumo delle piante aromaticheche erano come il vello dell'isolafaceva l'aria sempre piùdensa e la strada si elevava a poco a poco lungo la tortuositàdelle montagne. Cime di granito rosa e azzurro davano al paesaggioqualcosa di coreograficoe sui più bassi declivi foresteimmense di castagni parevano soltanto cespugli tanto eranogigantesche in quei paraggi le ondulazioni terrestri. Talvolta laguida diceva un nome tendendo il braccio verso le cime dirupate;Giovanna e Giuliano guardavanoma non vedevano nullapoi scoprivanoqualcosa di grigiosimile a un ammasso di pietre cadute dall'alto;ed era un villaggioun casolare di granitoappollaiato lassùaggrappato come un nido di uccelloquasi invisibile nell'immensitàdella montagna.


Quellungo viaggio al passo snervava Giovanna.


"Corriamoun poco" propose. E lanciò il suo cavallo.


Poisiccome non udiva dietro galoppare il suo spososi volse e rise d'unriso vivace vedendolo accorrere pallidotenendo la crinieradell'animale e balbettando in modo goffissimo. La sua stessabellezzail suo viso di "bel cavaliere" rendevano ancorpiù ridicole la sua goffaggine e la sua paura. Alloracominciarono a trottare lentamente. La stradaadessosi stendevafra due boschi infiniti che coprivano tutta la costa come con unmantello.


Erala macchia. Era la macchia impenetrabilela macchia formata diquerce verdidi ginepricorbezzolilentischialaternierichemirtibossi. che allacciavano fra loroarruffandoli comecapigliaturecisti e caprifogli e rosmarini e lavande e rovi e felcimostruosee gettavano così sul dorso dei monti uninestricabile vello.


Avevanofame. La guida li raggiunse e li condusse presso una di quellesorgenti incantatecosì frequenti nei paesi rocciosinon piùdi un sottile filo d'acqua gelata che esce da un buco di rocciacadendo e gemendo sull'estremità di una foglia di castagnomessa li da un passante per condurre la lieve corrente fino allabocca. Ne fu talmente felice che stentava a non gridare la sua gioia.


Poicominciarono a scendere girando il golfo di Sagona e verso seraattraversavano Cargeseil villaggio greco fondato da una colonia diprofughi scacciati dalla loro patria. Ragazze alte e forti (manilunghevita sottile) sostavano a capannello verso la fontana.Giuliano diede la buona sera e quelle risposero con voce cantantenella lingua del paese abbandonato.


Giungendoa Pianabisognò chiedere ospitalità come nei tempiantichinelle località più selvagge. Lei sussultavatutta felice attendendo che si aprisse la porta a cui Giuliano avevabussato.


Ohquello era proprio un viaggiocon tutto l'imprevisto delle stradeinesplorate! E si trovarono in faccia a due giovani sposi chericevevano quest'altri due giovani sposi come i patriarchi dovevanoricevere l'ospite mandato da Dio; e così dormirono sopra unpagliericcio di fogliein una vecchia casa tarlata dove tutto illegname roso dai vermipercorso dalle lunghe teredinimangiatori ditravibisbigliava occultamentecome se vivesse e sospirasse insegreto.


Alsorgere del sole partirono; ma li fermò quasi subito unastraordinaria forestauna foresta di granito tutta di porpora;picchigugliecolonnefigure sorprendenti modellate dal tempodalvento roditoredalle brume del marealtesnelletondecontortedifformistranefantastiche rocce simili ad alberianimaliuoministatuediavoli cornutimonaci in tonacauccelli smisuratiun popolo di mostriuna famiglia di geni del male pietrificati peril capriccio di qualche iddio stravagante.


Giovannaaveva il cuore serratonon parlava piùteneva la mano diGiuliano come invasa dal bisogno d'amare davanti alla bellezza delmondo. Poiimprovvisamenteuscendo da quel caosun nuovo golfocinto da una muraglia che sanguinavadi granito rosso. E tuttequelle rocce scarlatte che si specchiavano nel mare turchino!

"OhGiuliano..." balbettava lei senza trovare altre paroleintenerita dall'ammirazionela gola strettadue lacrime lìper lì cadere.


"Checos'haitesoruccio mioche cos'hai?" Lei si asciugò leguance e sorrise.


"Nonè nulla... i miei nervi... Non so... Ero affascinata... Sonocosì felice che anche una piccolezza mi mette sottosopra..."Ma lui non capiva i languori femminilile scosse di questi esserivibranti per nullapercossi da un entusiasmo come da una catastrofesconvolti e fatti pazzi di dolore o di gioia da una sensazioneimpercettibile. Era preoccupato dalla strada cattiva e lacrime similigli parevano alquanto ridicole. Giovanna faceva meglio a badare alsuo cavallo.


Perla strada impraticabile erano scesi in fondo a quel golfopoigirarono a destra per salire la cupa Val d'Ota.


Mache orrendo sentiero! Egli propose: "Se salissimo a piedi?"e Giovannafelice di camminaredi essere sola con luidopo lacommozione di dianziringraziò la guida che doveva precederecon mulo e cavallie si avviò al suo fianco a piccoli passi.


Lamontagnaspaccata dall'alto al bassosi apriva. Il sentiero siaddentra in questa brecciasegue il fondo fra due muraglieprodigioseun grosso torrente percorre il crepaccioe l'aria èghiacciatae il granito sembra neroe ciò che si vede làin altodi cielo azzurrostupisce e stordisce. Giovanna trasalìa un repentino strepito aereo e vide un uccello spiccare il volo daun buco: era un'aquila. Pareva che le ali aperte toccassero le duepareti del pozzo: salì fin nell'azzurro: scomparve.


Piùlontanola spaccatura del monte si divideva in due: fra i dueburroni il sentiero si arrampicava in bruschi zigzag. Giovannaallegra e leggeraandava avanticome divertendosi a far rotolare isassi sotto i suoi piedipoi si sporgeva intrepida sugli abissielui la seguiva un poco ansimantecon gli occhi a terra per timoredella vertigine. Il sole li inondò quasi d'un colpocosìche credettero di uscire dall'inferno. Avevano sete. Una tracciaumida li guidò attraverso un caos di pietre fino a unapiccolissima sorgente incanalata in uno di quei bastoni a tubo deicaprai. Un tappetino di muschio vellutava il suolo lì intorno.


Giovannasi inginocchiò per bere. E mentre assaporava quellafreschezzaGiulianostando in ginocchiola prendeva per la vitacercava di rubarle il posto all'imboccatura del tubo di legno. Leiresisteva: le labbra si urtaronosi incontrarono ancorasirespinsero. Nella lottaafferravano quella sottile estremitàe la mordevanosìper non perderlae il filo di acquagelataconquistato e lasciato senza tregua si spezzava e si rifacevaspruzzando volticolliabitimani. Goccioline simili a perlelucevano qua e là fra i capellibaci volavano cometrasportati dalla corrente. Allora Giovanna ebbe un'ispirazioned'amore. Si riempì la bocca del chiaro liquore e con le guancegonfie come otre mostrò a Giuliano che voleva dissetarlo così;labbra su labbra. Egli tese la golafelicearrovesciò latestaaprì le mani e così bevve alla fonte di carneche gli versava anche il desiderio d'amore. E lei gli si appoggiavacon una tenerezza nuovatutta in palpitocoi seni piùsporgenticon gli occhi che parevano mollistillanti. Dissesottovoce: "Giuliano...


tiamo..." e lo attirava a sériversandosinascondendo frale mani un viso rosso di ansia e di vergogna. Egli si gettò sulei e la strinse con forza mentre lei ansimava e gettava un grangridocolpita come dalla folgoredalla sensazione bramata. Quantotempo impiegarono a toccare la cima di quella salita! Solo la seragiunsero a Evisapresso il parente della loro guidaPaoloPalabretti.


Quest'uomodi alta staturaun po' curvocon l'aspetto di tisicoli condussein una triste camera di pietra nudatriste e pur bella per quelpaese dove l'eleganza è ignorataesprimendo il piacere diriceverli nel suo dialetto corsomisto di italiano e di francesequando una voce chiara lo interruppe e una brunettina schizzònella stanza.


"Buongiornosignora! Buon giornosignore! Come la va?" La piccoladonna brunagrandi occhi neripelle abbronzata dal solevitastrettadenti in mostrasorriso tenace si era slanciataavevafatto festa ai suoi ospitiabbracciato leistretto la mano di lui.Ora prendeva i cappelli e gli sciallifaceva ogni cosa con un solbracciopoiché portava l'altro fasciatopoi spinse tuttisull'uscio raccomandando al marito:

"Faifare a questi signori una passeggiata fino all'ora del pranzo."Il signor Palabretti obbedì subito. Si mise in mezzo ai duegiovani per mostrar loro il villaggioe strascicava i passi e leparoletossendo frequentementelamentandosi a ogni colpo di tosseche l'aria fresca della vallata gli fosse caduta sul petto.


"Quimio cugino Giovanni Rinaldi fu ucciso da Matteo Lori" disse colsuo accento monotono quando ebbe guidato gli ospiti per un sentieroperdutosotto i castagni. "Guardate. Io ero làvicinissimo a Gianniquando Matteo comparve a pochi passi da noi.""Giovanni" gridò"non andare ad Albertaccionon andarciGiovannio t'uccido." Io presi il braccio diGianni: "Non andarci; quello è capace di farlo...".Era per una ragazza a cui stavano dietro tutti e duela PaolinaPercupi. Ma Giovanni si mise a gridare "Ci andròMatteoci andrò! Non sei tu che me lo impedirai!". "AlloraMatteo abbassò il fucile prima che io potessi spianare ilmio... e sparò. Giovanni fece un gran salto con tutt'e due ipiedicome un ragazzo che salti la cordasissignorecosìsissignoree mi cascò fra le braccia in modo che il fucile micadde dalle mani e rotolò fin verso quel castagno laggiù.Egli aveva la bocca apertama non disse più nessuna parola:era morto." Orastupefattii due sposi guardavano iltranquillo testimone di un tale delitto.


"El'assassino?" fece Giuliano.


"Fuggìper la montagna" disse Paolo Palabretti in un sussulto di tosse."L'anno dopo lo uccise mio fratello. Voi sapetemio fratelloFilippo Palabrettiil bandito." Giovanna ebbe un brivido.


"Vostrofratello... un bandito?" "Sìsignora" affermòil corso tranquillocon un lampo di fierezza negli occhi. "Eracelebre lui. Sei gendarmi ha abbattuto.


E'morto con Nicola Moraliquando furono soverchiati dal Niolodoposei giorni di lottache stavano per morire di fame." Poiaggiunse in tono rassegnato: "E' il paese che vuole così"non diversamente di come soleva dire: "è l'aria dellavalle che è fresca".


Tornatia casa per il desinare la piccola corsa li trattò come se liconoscesse da vent'anni. Ma un'inquietudine pungeva la giovane sposa.Avrebbe ritrovato ancora fra le braccia di Giuliano quella strana eveemente scossa di nervi che aveva avuto laggiùtra i muschidella fontana? Quando fu sola con luinella nuda stanza nuzialetremava al pensiero di restare ancora insensibile sotto i suoi baci.Ma ben presto fu rassicuratae fu quella la sua prima notte d'amore.


Ilgiorno dopoprima d'andarsenenon si decideva a lasciare l'umilecasa dove le sembrava di aver trovato la felicità. Chiamòin camera la piccola donnae facendole ben comprendere che nonvoleva farle regaliinsistettequasi arrabbiandosiper ottenere dimandarle da Parigi un ricordoun oggetto qualsiasi che le piacesseche avesse un significatomagari superstiziosoper lei. La corsaresistette a lungo: non voleva accettare: finalmente acconsentì.


"Ebbenemandatemi una pistola. Una pistola piccola piccola." Giovannasgranò gli occhi. L'altra aggiunse pianissimo quasiall'orecchiocome se confidasse un dolce segreto:

"E'per ammazzar mio cognato." E sorridendo e con un moto rapidosciolse le bende del braccio inservibile mostrando la sua carnerotonda e biancatraversata da parte a parte da un colpo di pugnalema ormai quasi cicatrizzata:

"Senon fossi stata forte come luisarei morta a quest'ora. Mio maritonon è geloso; lui mi conosce e poi è malatolo sapetee ciò gli calma il sangue. Io sono una donna onestasignorae mio cognato crede a tutto quel che gli dicono. Lui è gelosoper conto di mio maritoe ricomincerà certamente. Ma alloraio avrò la mia pistola e sarò tranquilla: sapròvendicarmi." Giovanna promise d'inviare l'armaabbracciòteneramente la sua nuova amica e partì.


Ilresto del viaggio non fu più che un sognoun'ebbrezzaunoslancioun continuo abbracciarsi. Non vide nullané ipaesagginé la gentené i luoghi dove si fermava. Nonguardava più che Giuliano. Così cominciòl'intimità infantile e incantevole delle sciocchezze d'amoredelle piccole paroline idiote e pur deliziosecosì sorsero ivezzeggiativi e i diminutivi per tutte le pieghei rilievilesinuosità dei loro corpilà dove la bocca indugiava.Siccome Giovanna dormiva sul fianco destrola mammella sinistrarestava spesso scoperta e Giuliano chiamava quella mammella "SignoraDormi-in-fuori" e l'altra "Signora Ardente" perchéil roseo capezzolo gli sembrava più sensibile ai baci. Ilsolco profondo fra le due mammelle divenne il "viale dellamammina" perché vi si passeggiava di continuoe un'altrastradaquesta più segretafu chiamata "via di Damasco"in ricordo della Val d'Ota.


Arrivatia Bastiafu necessario pagare la guida. Non trovando l'occorrentenelle sue tascheegli disse a Giovanna:

"Giacchénon ti servi dei duemila franchi di tua madre lasciali a me daportare. Saranno più al sicuro nella mia cintura. E mirisparmierò di far moneta." Giovanna gli diede la borsa.


Giunseroa Livornovisitarono FirenzeGenovatutta la Costa Azzurra. Unmattino che spirava il maestrale si ritrovarono a Marsigliaed eranopassati due mesi dalla loro partenza dai "Pioppi"era ilI5 ottobre. Colpita da quel vento freddo che sembrava venir dilaggiùdalla lontana NormandiaGiovanna si sentiva un po'malinconica. Giuliano non era già stancoindifferentecambiato? Lei aveva pauranon sapeva bene di che.


Ritardòancora di quattro giorni il viaggio di ritornonon potendo decidersia lasciare quel bel paese del soleforse perché temeva diaver compiuto il suo giro di felicità. Finalmente partirono. AParigi dovevano fare gli acquisti necessari al loro insediamento incampagnae Giovanna gioiva al pensiero di portar cose splendide ai"Pioppi"grazie alla prodigalità della mammama ilprimo pensiero fu per la giovane corsa d'Evisa a cui aveva promessola pistola della vendetta.


"Miocaro" disse arrivando "vuoi rendermi il mio danaro perchéio possa fare le compere?" Egli si volse verso di lei con unafaccia scontenta.


"Quantoti occorre?" Balbettòun po' sorpresa:

"Ma...ciò che vuoi..." "Ti darò cento franchi. Mabadiamoveh: niente spreco!" Non sapeva che dire. Era confusastordita.


"Ma..." disse infine esitando "io t'avevo dato quel danaroper..." "Sicertamente. Che sia nella tasca tua o nellamiache importadal momento che abbiamo la stessa borsa? Io non telo rifiuto mica. Non vedi? Ti do cento franchi!" Giovannaaccettò le cinque monete d'oro senza aggiungere una sillaba:non osò chiedere altro denaro: non comperò che lapistola. Otto giorni dopo si misero in cammino verso i "Pioppi".




Capitolo6


Famigliae domestici aspettavano presso i pilastri del cancello bianco. Lacarrozza di posta si fermae gli abbracci non finiscono più.Mammina piange; Giovanna intenerita si asciuga una lacrima; il padreva e vienenervosamentesu e giù.


Ilviaggio è narrato mentre si scaricano i bagagli davanti alcaminetto del salone. Le parole fluiscono abbondanti dalle labbradella sposinae tutto è dettotutto in meno di mezz'ora:eccetto forse qualche piccolo particolare lasciato per via nella fogadel rapido discorso.


Poila sposina andò a disfare i bauli; e Rosalìacommossae feliceaiutava la sua padroncina. Quando ebbero fattoquando labiancheriai vestitigli oggetti di toilette tornarono a postolabuona ragazza scomparve e Giovanna si sedette un po' stanca.


Chefare? Cercare un'occupazione per il suo spiritoun lavoro per le suemani? Ah nonon le sorrideva il pensiero di scendere nel salone dovemammina certo sonnecchiava; forse avrebbe preferito una passeggiatama la campagna le sembrava ora così triste che solo aguardarla dalla finestra aveva un peso di malinconia nel suo cuore.Ammise così che non aveva nulla da fareche non avrebbe avutomai più nulla da fare. Nullanulla! In convento tutta la suagioventù era stata occupata dal pensiero dell'avveniredatutta una folla di sogni; il continuo agitarsi delle sue speranzeriempivaa quel tempotutte le sue ore senza che le sentissepassare. Poi appena uscita da quelle mura arcigne dov'erano sbocciatele illusioniil suo sogno d'amore si era mutato di colpo in vitareale. L'uomo desideratoincontratoamato in poche settimane (cosìci si sposa in certe decisioni repentine) l'aveva presa fra le suebraccia senza lasciarla riflettere a nulla. Ma ecco che la realtàsognante dei primi giorni stava per diventare realtàquotidiana chiudendo le porte alle indefinite speranzealledeliziose inquietudini dell'ignoto:

l'attesaera finita. E poiché aveva finito di attendere non c'era piùnulla da farené ogginé domaniné mai. Tuttociò le dava una vaga delusione. E' così che crollano isogni.


Sialzòappoggiò la sua fronte ai vetri freddiguardòil cielo dove correvano nuvole cupepensò di uscire fuori.Quella la stessa campagna del mese di maggio? l'erbai fiori diallora?

Dovepiù la gaiezza luminosa delle foglie? e la verde poesia deiprati dove fiammeggiavano le radicchielledove sanguinavano ipapaverisplendevano le margherite; e le fantastiche farfalle giallesorvolavano irrequiete come mosse da fili invisibili?

Perdutaperduta anche quella dolce ebbrezza dell'aria così densa diatomi fecondantidi aromi! S'allungavano i viali pieni di sangue conle continue piogge d'autunnocoperti da uno spesso tappeto di fogliemorte sotto lo squallore rabbrividente dei pioppi quasi spogli; e igracili rami tremavano al ventoagitavano ancora qualche fogliettaprossima a volare nell'aria.


Tuttoil giornosenza treguacome in una pioggia tristeinsistentequelle ultime foglie ormai tutte giallesimili a tanti soldonidoratisi staccavanoroteavanovolteggiavanogiungevano aterra...


Sispinse fino al boschetto. Triste come la stanza di un morente.


Eccoladispersa qua e là la parete di verde che separava i viottolisinuosi circondandoli come di mistero. Gli arbusti aggrovigliaticome una trina di legno finoi ramoscelli stecchiti urtavano gli unicontro gli altrie il mormorio delle foglie secche cadutespintesconvolteammonticchiate qua e là dalla brezzarendeva comeun doloroso sospiro d'agonia. Qualche uccellino piccolo piccolosaltava di rametto in rametto con un leggero grido freddolosocercando riparo. Solo il tiglio e il platanoprotetti dallo spessovelario degli olmi che fungevano da avanguardia contro il soffiomarinosolo il platano e il tiglio erano sempre gli stessidell'estate; e sembravano vestiti l'uno di rosso vellutol'altro diuna bella seta color aranciocolorati così dai primi rigorisecondo la natura delle linfe.


Giovannaandava e venivasu e giù per il viale di mamminalungo lafattoria dei Couillard. Che cosa dunque la opprimeva? Forse ilpresagio delle lunghe ore di noia che ormai non potevano tardare?

Sedettesul pendiodove Giuliano per la prima volta le aveva parlatod'amore. E rimaneva lìvaneggiandoquasi senza pensareillanguidita in una specie di sognocol desiderio di coricarsidormiresfuggire alla tristezza di quel giorno... Improvvisamenteapparve un gabbiano che attraversava il cielo in una rafficae siricordò allora dell'aquila che aveva visto in Corsicalaggiùnella cupa Val d'Ota; la scossa fu così viva come quella chedà al cuore il ricordo di una cosa buona e finitae rivide dicolpo l'isola calda e radiosa col suo profumo selvaggioil suo soleche matura i cedri e gli aranci e le montagne dalle cime rosate e iburroni dove precipitano i torrenti. Allora fu avvolta come dalladesolazione del paesaggio umido e duro che la circondava (quellacaduta di foglie! quelle nuvole trascinate dal vento!)non vollevedere più nulla e rientrò per non piangere.


Mamminaormai avvezza a quelle malinconiche giornatenon le avvertiva piùe sonnecchiava intorpidita accanto al caminetto.


Giulianoe il padre erano usciti insieme parlando d'affari. Venne la seraediffuse una luce cupa nel vasto salone illuminato a guizzi dairiflessi del fuoco. Di fuori un resto di giorno lasciava appenadistinguere dalle finestre quella natura sudicia di fine d'anno e ilcielo grigiastro come se fosse anch'esso infangato.


Ilbarone rientrò con Giuliano.


"Luceluce!" tempestò nella camera buiae suonò ilcampanello.


"Luceluce! Perché queste tenebre?" E si sedette al caminettoguardando i suoi piedi umidi fumare alla fiamma e la crosta fangosadelle scarpe disseccarsi al calore e cadere. E si fregava le manitutto contento.


"Credoche gelerà. Il cielo si schiarisce a nord. E' luna piena.


Ilfreddo pizzicheràquesta notte." Si volse versoGiovanna.


"Ebbenepiccolasei contenta di essere tornata al tuo paesealla tua casaaccanto ai tuoi vecchi?" Una domanda così sempliceintenerì talmente Giovanna che si gettò fra le bracciadel padre con gli occhi pieni di lacrime e lo abbracciònervosasconvoltacome per farsi perdonare qualcosa; chénonostante i suoi sforzi di apparire un po' allegra si sentiva piùtristetriste a morte. E intanto pensava alla gioia che si eraripromessa nel rivedere i suoi cari e si meravigliava di certafreddezza che paralizzava il suo amorecome sequando si èmolto pensato da lontanoi a coloro che si amano e si è perdutal'abitudine di averli sempre sott'occhiosi dovesse provare alritorno una specie di arresto negli affetti finché i legamidella vita quotidiana non siano riallacciati.


Ilpranzo fu lungo. Nessuno parlò. Giuliano sembrava avessedimenticato sua moglie.


Piùtardiin saloneGiovanna si lasciò intorpidire dal fuocodifronte a mammina che dormiva ormai completamente; erisvegliata d'untratto dalla voce dei due uomini che discutevanotentò discuotere il suo spirito e si chiese se non stava per essere vinta daquesta triste letargìa delle abitudini ininterrotte.


Lafiamma del caminettofiacca e rossastra lungo la giornataeccolachiaravivacrepitantecon questi grandi improvvisi bagliorigettati sulle tappezzerie scoloritesulla volpe e sulla cicognasulmalinconico aironesulla cicala e sulla formica.


S'avvicinavail padre sorridendotendendo le dita aperte verso i tizzoni cheardevano.


"Ahahche bel fuoco stasera! Gelafiglioligela!" E appoggiavala mano su una spalla di Giovannasempre mostrando il fuoco: "Eccofigliola mia. Ecco ciò che abbiamo di meglio: il focolare. Ilfocolarecoi nostri cari intorno. Non v'è nulla che uguagliil focolare. Ma se andassimo a letto? Sarete stanchiragazzi."Risalita nella sua stanzasi domandava come mai due ritorni aglistessi luoghi che credeva di amare potevano essere cosi differenti.Perché si sentiva come abbattuta? Perché questa casaquesto caro paese e tutto ciò che fino allora aveva gonfiatodi tenerezza il suo cuore le sembrava oggi snervante? In quel momentovolse lo sguardo e incontrò la sua pendola. La piccola apeoscillava ancora da destra a sinistra col suo noto movimento rapido econtinuoal di sopra dei fiori di smalto. Alloradi colposi sentìcolpita come da uno slancio d'affettocommossa fino alle lacrimedinanzi a quel piccolo meccanismo che sembrava vivocontava l'orapalpitava come un cuore. Non era stata così commossariabbracciando il padre e la madre...


Perla prima volta dopo il suo matrimonio era sola nel suo lettoavendoGiuliano preferito un'altra stanzacol pretesto della stanchezza.D'altrondeera già stabilito che ognuno avrebbe avuto unacamera sua.


Lefu difficile addormentarsisorpresa di non sentire un corpo al suofiancoormai disabituata al sonno solitarioed anche turbata eirritata di quella tramontana rabbiosa che si accaniva contro iltetto. Ma la mattina la svegliò una gran luce che tingeva ilsuo letto come di sanguee i vetri delle finestretutti ricopertidi brinaerano rossi come se bruciasse l'intero orizzonte. Avvoltain un grande accappatoiocorse alla finestra e l'aprì. Unabrezza gelatasanafrizzante penetrò subito nella stanza ele sferzò la pelle d'un freddo acuto da svegliar le lacrimeagli occhi. In mezzo a un cielo purpureoil sole rutilante e tondocome la faccia di un ubriaco appariva là dietro gli alberi. Laterra solcata di brina biancaormai dura e seccacrepitava sotto ipassi dei contadini. In quella sola notte i rami dei pioppi si eranospogliati dell'ultime foglie; dietro la landa appariva la grandelinea verdastra dei fluttitutta sparsa di candide strisce. Anche ilplatano e il tiglio si svestivano rapidamente sotto le raffichee alpassaggio della brina gelata turbinii di foglie staccate sisparpagliavano nel vento come tante fughe di uccelli. Giovanna sivestìuscì e andò a far visita ai fattori perfar qualche cosa.


IMartin l'accolsero allegri e la padrona l'abbracciò e la baciòsulle guance; poi la costrinsero a bere un bicchierino di rosolio.


Passòall'altra fattoria. I Couillard le fecero le stesse festela padronala sbaciucchiò sulle orecchie e il bicchierino fuquestavoltadi ribes. Dopo di cherientrò per la colazione. E oggifu come ieri: giornata secca invece che umida. Tutti i giorni dellasettimana rassomigliarono molto a quei due; tutte le settimane furonouguali alla prima.


Apoco a pocotuttaviail suo rimpianto dei paesi lontani siaffievolì. L'abitudine metteva sulla sua vita come uno stratodi rassegnazione simile a quel rivestimento calcareo che certe acquedepositano sugli oggetti. Nel suo cuore rinacque un po' d'interesseper le mille cose insignificanti dell'esistenza quotidianauna certacura per le mediocri e semplici occupazioni consuete: si sviluppavain lei una specie di malinconia meditativauna vaga stanchezza dellavita. Che cosa le mancava?

Checosa desiderava? Non sapeva. Nessun desiderio mondanosete dipiacere nemmenonemmeno uno slancio verso gioie ancora possibili.


Epoi... quali gioie? Ecco le vecchie poltrone del salone sbiadite daltempo: e come quelletutto si scoloriva dolcementesi attenuavaprendeva ai suoi occhi una sfumatura pallida e triste.


Comeerano cambiate le sue relazioni con Giuliano! Egli sembrava un altrodopo il ritorno dal viaggio di nozze; simile a un attore cherecitata la sua parteriprenda la fisionomia consueta. Si occupavaappena di leiquasi non le parlava; ogni traccia d'amore scomparsa;rare le notti che egli venisse a passare con lei. Ora egli avevapreso la direzione della casa e degli affari e rivedeva i contifaceva tribolare i contadinidiminuiva le spese eassunti i modidel gentiluomo di campagnaaveva perduto l'apparenza e l'eleganza diun tempodi quand'era fidanzato.


Figurarsiche non si decideva a smettere un vecchio abito da caccia (e nonmancavanodi frittelle) guarnito di bottoni di rameritrovato nelsuo guardaroba di scapolo. E aveva anche smesso di radersicosìche la sua barba lunga e incolta lo rendeva bruttobruttissimo; néle sue mani erano meglio curate; ma si capiva questa sua negligenzache era poi la negligenza stessa di quelli che non hanno bisogno piùdi essere belli. E dopo il pasto era capace di tracannare cinque osei bicchierini di cognac.


Giovannaaveva provato a fargli qualche dolce rimprovero: egli era stato quasisgarbato. "Mi lascerai tranquillono?" Non si arrischiòpiù a consigliarlo. S'era adattata a questi cambiamenti in unmodo che la stupiva. Che era più Giuliano per lei? Unestraneo. Tanto è vero che gliene restavano chiusi l'anima eil cuore. Ci pensava a voltee si chiedeva come dopo essersiincontratiamati e sposati in uno slancio di tenerezzaeccosiritrovassero estranei: estranei l'uno all'altro come se non avesserodormito nello stesso letto. E perché lei non soffrivamaggiormente di questo abbandono? Questala vita? S'erano forseingannati? L'avvenire non le serbava dunque più nulla? SeGiuliano fosse rimasto belloaccuratoeleganteavrebbe forsesofferto di più?

Erastato convenuto che dopo il capodanno gli sposini sarebbero rimastisoli e che papà e mammina sarebbero ritornati a passarequalche mese nella loro vecchia casa a Rouen. Gli sposiniquell'invernonon dovevano lasciare i "Pioppi"per finirdi installarsidi abituarsidi affezionarsi ai luoghi doveavrebbero trascorso tutta la vita. Essid'altrondeavevano qualchevicino a cui Giuliano avrebbe presentato sua moglie: i BrisevilleiCourtelieri Fourville. Ma veramente gli sposi novelli non potevanoancora far queste visiteperché non era stato possibile finoa quel momento avere il pittore che cambiasse gli stemmi allecarrozze. Il barone aveva ceduto infatti a suo genero la vecchiacarrozza di famigliae Giuliano per nulla al mondo avrebbeacconsentito a presentarsi ai vicini castelli se lo scudo dei Lamarenon fosse stato inquartato con quello dei Perthuis des Vauds.


Orain tutto il territorionon esisteva che uno solo che avesse laspecialità degli ornamenti araldiciun pittore di Balbeccerto Battagliachiamato a turno in tutti i castelli normanni perdipingere sugli sportelli dei veicoli quei preziosi segnacoli.


Finalmenteun mattino di dicembreal termine della colazioneun individuo conuna cassetta sulle spalle aprì il cancello e avanzò nelviale. Era Battaglia.


Fufatto entrare in sala da pranzo e gli dettero da mangiare come sefosse stato un signore; perché la sua specialitàisuoi continui rapporti con l'aristocrazia della provinciala suaconoscenza di stemmiemblemitermini consacrati ne avevano fattouna specie di uomo-blasone al quale i gentiluomini potevano stringerla mano. Poi fecero portare carta e matita ementre egli mangiavail barone e Giuliano schizzarono i loro scudi inquartati. Labaronessa dava il suo parere tutta agitatatrattandosi di cosa ditanta importanza; Giovanna stessa prendeva parte alla discussionecome se qualche misterioso interesse si fosse svegliato in leiimprovvisamente. Battagliasempre mangiandodiceva la sua opinionemagari afferrava la matitatracciava un disegnocitava esempidescriveva tutte le vetture signorili della regione; sembrava portarecon sénel suo spiritonella sua voce stessauna specie diatmosfera di nobiltà.


Unometto dai capelli grigi e rasati: mani macchiate di colori etuttavia profumate. Si diceva che una volta fosse entrato in unabrutta faccenda riguardante i buoni costumi: la considerazioneunanime di tutte le famiglie titolate aveva cancellato ormai questamacchia.


Dopoche ebbe bevuto il suo caffèlo condussero nella rimessa dovefu tolta subito alla carrozza la copertura di tela cerata.


Battagliala esaminòespose con gravità il suo parere sulledimensioni necessarie al disegnosi mise all'opera dopo un nuovoscambio d'idee. Nonostante il freddola baronessa fece portare unasedia per veder lavorarepoi domandò uno scaldino per i piediche le si gelavano e così si mise a chiacchierare col pittorea interrogarlo sui matrimonisui mortisulle nuove nascitecompletando con queste informazioni gli alberi genealogici cheportava sempre con sé.


Giulianoera rimasto accanto alla suoceraa cavallo di una sediae fumava lapipasputava per terraascoltavaseguiva con l'occhio latraduzione in colori della sua nobiltà. Papà Simoneche se ne andava per l'orto con la vanga sulle spallesi fermòa guardare il lavoro; e poiché la notizia dell'arrivo diBattaglia si era sparsa nelle due fattoriele due fattoresse nontardarono a farsi vederee ora eccole ai lati della baronessaestasiate.


"Cene vuol di bravura per far quella roba lì".


Glistemmi dei due sportelli non poterono essere finiti che il giornodopoverso le undici. Accorsero tutti. La carrozza fu tirata fuoriperché si potesse vedere e giudicar meglio. Stemmi eseguiti inmodo perfetto. Battaglia ricevette molti complimenti e ripartìcon la sua cassetta sulle spalle. Il baronela baronessaGiovannaGiulianotutti furono d'accordo che in tal genere di cose il pittoreera un uomo di prim'ordine e chese le circostanze lo avesseropermessosarebbe diventatooh! senza dubbioun artista.


Intantoper ragioni di economiaGiuliano aveva pensato a riforme cherendevano indispensabili altre modifiche. Il cocchiere passavagiardinieree il visconte aveva già venduto i cavalli pereconomia ed'altrondesi incaricava di guidare egli stesso. Poisiccome era necessario che qualcuno tenesse i cavalli quando isignori scendevano di carrozzaaveva messo l'occhio su un giovanevaccarodi nome Marioe ne aveva fatto un piccolo domestico.


Quantoai cavalliegli aveva introdotto nel contratto dei Couillard e deiMartin una clausola speciale che costringeva i due fittavoli afornirne uno per ciascunouna volta al mesealla data fissata daluiin compenso di che venivano esonerati dal tributo del pollame.Un giorno i Couillard avevano condotto una gran rozza di pelo gialloe i Martin un piccolo animale bianco di pelo lungole due bestiefurono attaccate in pariglia e Marioaffogato in una vecchia livreadi papà Simonecondusse l'equipaggio dinanzi allo scalone delcastello. Giulianotutto ripulitoaveva ritrovato un poco della suapassata eleganza; ma la barba lunga gli dava sempre un aspettovolgare. Considerò la parigliala carrozzail piccolodomestico e si dichiarò soddisfattotanto più che davamolta importanza agli stemmi.


Labaronessascesa dalla sua stanza a braccio del maritosalìin carrozza a fatica e si sedettecol dorso sostenuto dai cuscini.


Giovannacomparve a sua volta. E sorrise dapprima di quell'appaiamento dicavalli; trovò che il bianco era il figlio del giallo; poiquando scorse Mariola testa sepolta nel cappello con la coccarda(di cui solo il naso poteva arrestar la discesa)le mani affondatenella profondità delle manichele gambe infagottate nellefalde della livrea donde uscivano i piedi perduti in enormi stivali;quando lo vide rovesciare indietro la testa per poter guardareealzare un ginocchio per fare il passocome dovesse scavalcare unfiumee agitarsi al modo dei ciechi per obbedire a un nuovo ordineperdutoannegatoscomparso nell'ampiezza della palandranaeccoGiovanna fu scossa da un riso invincibileda un'ilarità senzafine. Nello stesso tempo il barone si volsefissò l'omettostordito e cedette al contagiochiamando sua moglienon potendoquasi parlare:

"Gua...guarda... Ma... Ma... Mario! Com'è buffooh Diocom'èbuffo!" Allora la baronessa si affacciò allo sportello eguardò. La crisi d'ilarità che la scosse fecetraballare sulle molle l'intera carrozzascombussolata come datrabalzi.


"Chec'è?" chiese Giuliano pallido in volto. "Perchéridete cosi?

Mabisogna essere matti!" Giovannaquasi sofferentequasiconvulsaimpotente a calmarsia frenarsisedette su un gradinodella scalinata. Il barone fece altrettantomentre nella carrozzastarnuti ripetuti e fitti fitti dicevano che la baronessa scoppiava.Improvvisamente la palandrana di Mario cominciò a palpitare;aveva cominciato a capiree rideva senza ritegno egli stesso dallaprofondità del copricapo.


AlloraGiulianoesasperatoscattò. Con un ceffone ben assestatoraggiunse il ragazzoe il cappello gigantesco volòruzzolòsull'erbamentre il genero girava la sua collera al suocero:

"Mipar bene che non abbiate il diritto di ridere! Non saremmo a questopunto se voi non aveste dilapidato il patrimonio! Di chi la colpadichise vi siete ormai rovinato?" Tutta l'allegriacome gelatacesso improvvisamente. Nessuno aggiunse parola. Con una gran vogliadi piangereGiovanna salì nella carrozza e si sedette accantoa sua madre. Il baronemuto e sorpresosedette in faccia alle dame.Giuliano si accomodò a cassettadopo aver issato accanto a séil ragazzo che piagnucolavacon la guancia gonfia.


Lagita fu triste e parve lunghissima. Nella vetturaassoluto silenzio.Tutt'e tre cupi e impacciatinon volevano confessare ciò chepesava in quel momento sui cuori. Di che cosa avrebbero potutoparlare se erano oppressi da quel pensiero angoscioso?

Megliotacererestarsene così zitti zittianziché ridestarequella pena.


Altrotto ineguale delle due bestiela carrozza oltrepassava i cortilidelle fattoriee le galline fuggivano spaurite ficcandosi fra lesiepiscomparendovioppure talvolta era un cane lupo che seguiva ilcocchio abbaiando e poi riguadagnava la casa col pelo rittoma sirivolgeva ancora per abbaiare dietro la carrozza. Un ragazzo con glizoccoli infangati e le lunghe gambe dinoccolate che se ne andavatenendo le mani sprofondate nelle taschevestito di un camiciottoturchino gonfio di vento alla schienasi mise da un lato dellastrada per lasciar passar l'equipaggio equando si scoprìgoffamentelasciò vedere i suoi poveri capelli incoltiincollati sul cranio. Efra una fattoria e l'altrala pianuraricominciava con altre fattorie finché si giunse a un granviale di abeti che metteva capo alla via. Solchi fangosi e profondifacevano pendere la carrozzalanciare grandi strida a mammina. Infondo al vialeun cancello: Mario corse ad aprirlo e la carrozzagirò intorno a un gran pratopercorse un sentiero rotondo sifermò dinanzi a un vasto malinconico fabbricato dalle impostechiuse. La porta centrale si aprìe un domestico paraliticocon un panciotto scarlatto rigato di nero che copriva in parte il suogrembiule di servizioscese i gradini della scalaobliquamente apassettini brevi. Fattosi dire il nome dei visitatorili introdussenel vasto salone di cui aprì a fatica le persiane ancorchiuse. Mobili coperti come da gualdrappependola e candelabririvestiti di biancoun'aria che sentiva di muffaun'aria disepolcroghiacciata e umidache sembrava impregnare di tristezza ipolmoniil cuore e la pelle. Tutti si sedettero e attesero. Duepassi nel corridoio di sopra annunciavano una premura insolita.


Sorpresii castellani si vestivano in fretta. Fu cosa lunga. Un campanellotintinnò più volte. Altri passi discesero una scala;poi risalirono. La baronessacolpita dal freddocominciò astarnutire; Giuliano andava su e giù; Giovannacupasi eramessa accanto alla madre; il barone si appoggiava al marmo delcaminettocon la fronte bassa.


Infineuna delle porte si aprì e il visconte e la viscontessa diBriseville fecero il loro ingresso in salone. Erano entrambi piccinimagroliniun po' saltellantidi età indefinibilecerimoniosiimpacciati. La dama indossava un abito di seta a fioriaveva in testa una cuffia di vedova tutta guarnita di nastriparlavasvelta svelta con una voce un po' aspretta. Il marito invecechiusoin una redingote pomposasalutò con una flessione deiginocchi. Il nasogli occhii denti sporgentii capelli che sisarebbero detti spalmati di cera e il suo bell'abito di cerimonialuccicavano come cose di cui si abbia una cura particolare.


Dopoi primi complimenti e le cortesie d'obbligo tra vicininessuno avevapiù niente da dire. Alloraecco da una parte e dall'altra icomplimenti senza ragione. Speravano gli uni e gli altri che sisarebbe continuata quell'eccellente relazione. Era una risorsa farsivisita quando si vive tutto l'anno in campagna.


L'atmosferagelata del salone penetrava nelle ossaseccava la gola. La baronessaintanto tossivasenza aver mai cessato di starnutire. Il barone sidecise e diede il segnale della partenza; ma i Brisevilleinsistevano:

"Macome? Così presto? Restate ancora un momento!" Giovannasi era alzata nonostante i cenni di Giulianoil quale trovava inverità la visita troppo breve. Si volle richiamare ilservitore per far avvicinare la carrozza; il campanello nonfunzionava. Il padrone di casa si precipitò fuorima tornòcon la notizia che i cavalli erano stati messi in scuderia. Bisognòdunque aspettare. Ognuno cercava nel suo cervello una frasequalcosada dire. Ahecco: l'inverno piovoso. Con certi involontari brividid'angosciaGiovanna chiese che cosa potessero mai fare i loroospitiquant'è lungo l'annocosì soli soli.


Ingenuadomanda! I Briseville se ne stupironoperché essi eranoinvece molto occupatie scrivevano senza tregua alla loro nobileparentela sparsa per tutta la Franciae attendevano a mille piccolecosee continuavano a farsi le cerimonie restando l'uno in facciaall'altro come estraneie potevano sempre trattare con maestàle faccende più insignificanti. Quell'omino e quella donninacosì piccinicosì corretticosì precisiniecome impacchettati nella biancheriasembravano a Giovannasottol'alto soffitto annerito del salone disabitato qualcosa come unamarmellata di nobiltà.


Infinela carrozza passò sotto le finestre guidata dai due ronzinispaiati. Marioil servitorellodov'era? Non lo si trovava.


Scomparso!In realtàcredendosi libero fino alla seraegli se n'eraandato liberamente fra i campi. Giulianofuribondopregò cheglielo rimandassero a piedi e cosìdopo molti saluti da unaparte e dall'altra si riprese la strada dei "Pioppi".Appena in carrozzaGiovanna e suo padrequasi per combattere lapenosa impressione delle brutalità di Giulianosi misero aridere e a contraffare i gesti e le intonazioni di quegl'impagabiliBriseville. Lui imitava il maritolei la signora; ma la baronessaun po' ferita nelle sue ideenel suo concetto di castanon lasciòpassar questi lazzi:

"Avetetorto di ridere di persone così ammodoche appartengono afamiglie eccellenti." Non si poté contraddire mammina; mapoidi tanto in tantopadre e figliola si guardavano ericominciavano. "Ohil vostro castello dei Pioppi"contraffaceva lui dopo un saluto di cerimonia "dev'essere moltofreddo... eh sìmolto freddo... con quel vento di mare... chegli entrerà dentro da tutte le parti..." Lei assumevaun'aria affettata e faceva la graziosa con un leggero dondolìodella testa simile a quello dell'anatra che si bagna:

"Ohquisignoreho tantetante cose da fare! scrivere a tantiparenti... E il signor de Briseville lascia a me da sbrigare ognicosaperché lui si occupa di ricerche scientifiche conl'abate Pelle... Il signor de Briseville e l'abate Pelle fannoinsieme la storia religiosa della Normandia...". La baronessasorrideva a sua voltatra contrariata e benevolae scuoteva latesta e ripeteva:

"Nonè benenon è bene beffarsi così di persone delnostro rangodella nostra classe..." Improvvisamente lacarrozza si fermò e Giuliano si mise a gridare chiamandoqualcuno dietro di sé. Affacciati agli sportelliGiovanna eil barone si accorsero di un essere singolare che rotolava verso diloro. Era Mario. Con le gambe impacciate nella sottana fluttuantedella sua livreaaccecato dal cappello che gli ballava in testasenza posaagitando le maniche come due ali di mulinodiguazzandonelle larghe pozzanghere che attraversava a rompicolloinciampandonei sassidimenandosisaltandoschizzandoimpillaccherato finoagli occhiil servitorello seguiva la carrozza con la prodezza deipiedi veloci. Ma appena la raggiunseecco il padrone si piegaloacciuffa pel baverolo tira su con sélascia le redinilotempesta di pugnigli sprofonda il cappellogiù giùfino alle spallefacendolo rullare come un tamburo. Il servitorelloentro il suo copricapourla e muggiscee poi tenta la fugacercadi saltar sul sedilema il padrone l'ha in pugno e la gragnuolacontinua fitta fittainesorabile. Giovanna balbetta smarrita:"Papà... ohpapà!" stringendo il braccio disuo padre al colmo dell'indignazione.


"Chefate lìGiacomo? Ma dite almeno che smetta!" Allora ilbarone abbassò di colpo il vetro davanti eafferrata lamanica di suo generogli gridò con voce fremente:

"Non la finite ancora di picchiar quel ragazzo?" L'altro si voltòstupefatto.


"Nonavete visto in qual modo mi ha ridotto la livreaquesto briccone?""Che m'importa della livrea?" gridava il barone con latesta in fuoriinterponendosi fra i due. "Non bisogna esserebrutali fino a questo punto!" "Lasciatemi tranquilloviprego" disse Giuliano di nuovo stizzito. "Non sono cose chevi riguardino queste." E stava per alzare ancora la mano quandoil suocero gliel'afferrò bruscamentegliel'abbassò contal impeto da urtarla contro il legno del sedile: "Se non lasmettete scendo e vi faccio smettere io!" così che ilvisconte parve calmatoalzò le spalle senza rispondere e fecepartire i cavallicon una frustataal gran trotto.


Ledue donnelividenon si muovevanosi udivano distintissimi ibattiti pesanti del cuore più vecchio.


ApranzoGiuliano fu più cortese del solito come se nulla fosseavvenuto. E gli altri che erano facili all'oblioper benevolenza emansuetudinequasi lusingati di ritrovarlo gentilesi lasciaronoportare dall'allegria ancora una voltacon la sensazione beneficadei convalescenti; e siccome Giovanna alluse di nuovo ai Brisevilleanche suo marito celiò aggiungendo però che essi eranoin ogni modo"gente distinta". Non si parlò dialtre visiteperché ciascuno temeva in cuor suo dirisuscitare la "questione Mario"; decisero soltanto cheavrebbero inviato ai nobili vicini i biglietti da visita perCapodanno e che sarebbero tornati a vederli coi primi tepori.


VenneNatale. S'invitò a pranzo il curatoil sindacolasindachessa; si rinnovò l'invito a Capodannoe queste furonole sole distrazioni che ruppero la monotona catena dei giorni. Papàe mammina dovevano partire il 9 gennaio; Giovanna voleva trattenerli;Giulianoper la veritànon sembrava secondarlacosìche il baronedinanzi alla freddezza crescente del generofecevenire da Rouen una carrozza di posta. Alla vigilia della partenzaappena ultimati i bagagliperché la giornata era gelida mabellaGiovanna e suo padre pensarono di scendere a Yport dove nonerano più stati dopo il ritorno dalla Corsica. Traversarono ilbosco che lei aveva percorso lo stesso giorno del suo matrimoniostretta a colui che stava per diventare il suo compagnoil carobosco dove aveva avuto il primo baciodove aveva avvertito il primofremitopresentito la sensualità conosciuta più tardinella selvaggia Val d'Otapresso la sorgente a cui avevano bevutoavidi insiememescolando i baci con l'acqua. Non più foglienon più erbe rampicantinull'altro che lo stormire dei ramispoglii rumori secchi dei boschi invernali. Nel piccolo villaggiole strade vuotesilenzioseconservavano il loro odore di maredialghedi pesce. Le grandi reti nerastre erano sempre stese adasciugare sul ghiareto o dinanzi alle porte. Il mare grigio e freddocon la sua eterna schiuma mugghiantecominciava a calare scoprendoverso Fécamp le rocce verdognole ai piedi della scogliera.Lungo la rivagrosse barche coricate su un fianco simili a enormipesci morti...


Cadevala sera. I pescatori venivano avanti a piccoli gruppi camminandopesantemente coi loro grandi stivaloni da marinaioil collo avvoltodi lanain una mano il litro di grappanell'altra la lanterna dellabarca. Giravano a lungo intorno alle barche inclinate; poi conlentezza tutta normanna portavano a bordo le retii gavitelliunpezzo di burroun gran paneun bicchierela bottigliadell'acquavite; eraddrizzata la barcala spingevano verso l'acquacon lo scricchiolio del ghiaretocosì che essa fendeva laschiumasaliva sulle ondesi dondolava un pocoapriva le suegrandi ali brunespariva nella notte col suo lumino acceso in cimaall'albero. E le donne dei marinaicon quelle forme rigidesporgenti di sotto gl'indumenti leggeri restavano lì sullaspiaggia fino alla partenza dell'ultimo uomoe rientravanofinalmente nel borgo assopitofrustando con le voci acute il sonnogreve dei vicoli oscuri. Anche Giovanna e suo padre aspettavanoimmobiliil perdersi lento di quegli uomini che se ne andavano allaventura ogni notterischiando la vita per viveree tuttavia cosìpoveri da non poter mai cibarsi di carne.


Ilbarone si esaltava davanti all'oceano.


"Terribilee bello. Com'è superbo questo mare su cui cadono le tenebre!con tante esistenze in pericolo! Non ti pareGiannetta?" "Tuttociò non vale il Mediterraneo" rispose lei con un sorrisogelato.


"IlMediterraneoil Mediterraneo!" si indignava il padre. "Olioacqua zuccherataacqua azzurra in una tinozza di lisciva. Guardaquesto com'è terribile con le sue creste di spuma! E pensa atutti quegli uomini partiti là sopra che ormai non si vedonopiù." Ma la parola che le era venuta alle labbra"Mediterraneo"le aveva dato come una fitta al cuoreecosì aveva spinto ogni suo pensiero verso lontane contradelaggiùlaggiùdove vagavano tutti i suoi sogni.


Invecedi tornare per il bosco raggiunsero la strada e risalirono la costa apassi più lenti. Non parlavano. Il pensiero della prossimaseparazione li faceva tristi. Di quando in quandocosteggiando ifossati delle fattoriesi sentivano come presi in quel sentore dimele schiacciatein quell'aroma di sidro fresco che sembra fluttuarein quel periodo su tutta la campagna normannaoppure saliva alleloro narici un lezzo di stallaquel puzzo buono e caldo che emanadal concime delle mucche. Una finestrina illuminata indicava la casain fondo al cortile e Giovanna sentiva che la sua anima si aprivasiallargavacapiva le cose invisibili. Quelle piccole luci sparse peri campi le davano improvvisamente la sensazione viva dell'isolamentodi tutti gli esseri che tutto disgiungetutto separatutto trascinalontano da ciò che amerebbero. Allora mormoròrassegnata:

"Nonè sempre allegrala vita." Il barone emise un sospiro.


"Enoi non possiamo farci nullabambina mia!" Il giorno dopo papàe mammina partivano. Giovanna e Giuliano restavano soli.




Capitolo7


Daquel momento qualche altra cosa trovò posto nella vita deigiovani sposi: le carte da giuoco. Ogni giorno dopo colazioneGiulianofumando la pipasorseggiando il suo cognac (a poco pervolta ne beveva ormai da sei a otto bicchierini)faceva parecchiepartite a bazzica con sua moglie. Poi lei saliva in camera suasisedeva presso la finestrasi ostinava a ricamare la guarnizione diuna sottanamentre la pioggia batteva i vetri o il vento liscuoteva; e così qualche voltaun po' affaticataalzava gliocchi a guardare il mare cupo e agitato laggiùrestavaassorta un momento in quella vaga contemplazioneriprendevatranquillamente il lavoro. D'altrondesi sentiva disoccupata.Giuliano aveva preso la direzione della casa interae aveva modo disoddisfare il suo spirito autoritariola sua mania di economia. Eglisi mostrava di una parsimonia ferocenon dava mancieaveva ridottole spese del vittoaveva perfino disapprovato Giovanna che si eraconcesso il lusso della mattiniera focaccia normannacondannandolaal pane comune per eliminare una piccola spesa.


Giovannataceva per evitare spiegazionidiscussioni e litigima ognimanifestazione di spilorceria maritale era un altro colpo di spillo.Com'era odioso e basso tutto ciò! Non poteva dimenticare diessere nata in una famiglia dove non si dava importanza al denaroesua madre aveva pur detto in ogni occasione: "Il denaro èfatto per spenderlo". Ora invece il marito diceva: "Nonpotrai mai abituarti a non buttarlo dalla finestrail denaro?".E ogni volta che aveva risparmiato qualche soldarello su un conto osu un salariosorrideva con compiacenza e: "I piccoli ruscelliformano i grandi fiumi" facendo scivolare in tasca quei pochi.


Eppurein certi giorni Giovanna ricominciava a sognare. Arrestava il lavoroe ritesseva uno dei suoi romanzi di fanciulla diviso in capitoli dileggiadre avventure. Ma improvvisamente la voce di Giuliano (unordine dato a papà Simone) la strappava al suo dolce lentofantasticaree riprendeva il suo lavorotutta rassegnatapensando:"Ma sìtutto ciò è finito... oramai!"e una lacrima cadeva proprio lìsulle dita che trattenevanol'ago.


Cambiataanche Rosalìaun tempo così gaiala Rosalìacanterina.


Nonpiù pienotte e non più rosse le guancema quasiincavate e a volte perfino terree.


"Tisenti maleRosalìa?" "Nosignora" rispondevainvariabilmente la servettamentre un po' di sangue le saliva alleguancee se ne andava confusain gran fretta.


Cheaveva questa ragazza? Non correva più come un tempotrascinava i piedi a faticanon era nemmeno più civettuola:

invanoinvano i merciaiuoli ambulanti le mostravano bustiprofumerienastri di seta. E la vecchia casa aveva un'aria cupadi grandespazio vuotocon la sua facciata tutta strisce lasciate dallepiogge.


Versola fine di gennaio cominciò a nevicare. Si vedevano di lontanole grandi nubi avanzare dal nord al di sopra del mare accigliato; edecco il candido sfarfallìo delle falde. La pianura sepolta inuna notte; gli alberi riapparsi al mattino tutti ricamati da quellaspuma di ghiaccio.


Congli stivaloniGiuliano aveva l'aspetto di un vero selvaggio quandorestava imboscato dietro il fosso che dava sulla landa ad appostaregli uccelli che migravano. Di quando in quandoun colpo di fucilerompeva il silenzio gelido dei campi: stormi di corvi neri spaventatifuggivano via dagli alberi in turbini pesanti.


Alloravinta dalla noiaGiovanna scendeva la scalinata e ascoltava i rumoridi vita che venivano di molto lontanoripercossi nella tranquillitàdormiente di quel lenzuolo livido e triste. Poi non udiva piùche una specie di muggito delle onde lontane e lo scivolìovago e continuo di questo polverìo di acqua gelata che cadevacadeva senza tregua. E il letto di neve si alzava sempre piùsempre piùsotto questa caduta infinita di spuma lieve lievefitta fitta.


Inuna di queste pallide mattinate Giovannaimmobilescaldava i piedial fuoco della sua stanzaavendo alle spalle quella Rosalìasempre più cambiatasempre più stancache rifacevalentamente il letto. Ora ecco la padrona ode dietro di sé comeun doloroso sospiro. Chiedesenza girare la testa:

"Mache c'è dunque? Che hai?" Quellacome semprerisponde:"Nullasignora" ma è una voce rottaspirante.


Giovannagià pensava ad altroquando avvertì che la ragazza nonsi muoveva più.


"Rosalìa?"La credette uscita e inavvertitamente la chiamò ancora piùforte:

"Rosalìa!Rosalìa!" e stava per suonare il campanello quando ungemito profondoesalato presso di leila fece alzare con un brividod'angoscia. Rosalìalividacon gli occhi sbarratieraseduta in terrale gambe lunghe disteseil dorso appoggiato controuno spigolo del letto.


Giovannasi slanciò:

"Mache hai? Che hai?" L'altra non diceva nullanon faceva ungestoma fissava sulla sua padrona gli occhi folliansimandocomestraziata da un'orrenda doglia. Poi improvvisamentestirandosituttascivolò sulla schiena soffocando fra i denti chiusi ungrido di angoscia.


Allorasotto la veste aderente alle cosce aperte qualcosa si mossee quasisubito partì di lì sotto un rumore stranounondeggiamentoun respiro strozzato come di chi sta per soffocare:

seguìcome un mugolìoun pianto debole e già dolorosolaprima sofferenza della creatura che entra nella vita.


Giovannavidecompresecorse sulla scalachiamò quasi fuori di sé:

"Giuliano!Giuliano!" Egli rispose dal basso:

"Chevuoi?" Giovannaa stentorispose:

"Rosalìaè... si è..." Egli si slanciòsalìgli scalini a due a dueentrò nella stanzasollevòbrutalmente le vesti della ragazza e scoprì un piccolocorpicino rannicchiatorattrattoviscido che si agitava fra duegambe nude. Si raddrizzò con la faccia cattivae cacciòfuori la moglie smarrita:

"Questecose non ti riguardano. Vattene. Mandami Liduina; mandami papàSimone." Tutta tremante Giovanna scese in cucina: poinonosando più risalireentrò nel salonegelatosenzapiù fuoco dopo la partenza dei vecchie qui atteseansiosamente notizie. Che avviene? Eccoil domestico che esce dicorsapassano cinque minutiritorna con la vedova Dentu: ah sìla levatrice del paese! Per le scale un gran tramestìo come sesi portasse un ferito. Giuliano arriva e dice soltanto che puòritornare in camera sua. Trematrema come se avesse assistito adalcunché di sinistro. Seduta di nuovo presso il caminettodomanda: "Come sta?". Giuliano è preoccupatoènervososembra incolleritocammina su e giù. Dapprima nonrisponde: infine si fermasi volta:

"Chepensi di farnesìdicodi quella ragazza?" Lei noncapisce: guarda suo marito senza capire.


"Come?Che vuoi dire? Che vuoi che sappia io?" "Non possiamotenerci in casa un bastardo" gridò lui al colmodell'irritazione.


"SentiGiulianosi potrà forse metterlo a balia..." "Abalia? E chi pagherà? Tu pagherai?" Giovanna riflettéancora a lungo: cercava una soluzione.


"Ecco"riprese "il padre se ne incaricheràdel bambinosesposerà Rosalìa..." "Il padre!" esclamòGiuliano incolleritoall'estremo della pazienza. "Il padre! Loconosci tu il padre? Novero? E allora?" Giovanna era commossae si animava.


"Nonoegli non abbandonerà in questo modo quella povera ragazza.Sarebbe un vigliacco. Noi chiederemo il suo nomeandremo a trovarlobisognerà ben che si spieghi...." Giuliano si era calmatoe aveva ripreso ad andare su e giù.


"MiacaraRosalìa non vuol dire il nome di luiRosalìa nonte lo confesserà maicome non lo ha confessato a me... E seegli non volesse saperne? Intanto noi non possiamo tenere in casa unaragazza in quelle condizioni... col suo bastardocapisci?""Allora quell'uomo è un miserabile" ripetevaGiovanna ostinata.


"Mabisognerà bene che si spieghie allora avrà da farecon noi!" Giulianorosso in voltoricominciava a infuriarsi.


"Ma...intanto?" "Che proponi tu?" chiese lei per non sapersidecidere.


"Ohper me è una cosa molto semplice. Le darei un po' di danaroeche vada al diavolo col suo marmocchio." "Maimai" siribellò Giovannaindignata. "E' mia sorella di lattequella ragazza; siamo cresciute insieme. Ha commesso un errore? Malemalissimo; ma non la butterò nella stradae se sarànecessario avrò cura di leidel bambino..." AlloraGiuliano scattò; "E noi ci faremo una bella riputazionenoicol nostro nomecon le nostre relazioni! Si diràdovunque che proteggiamo il vizioche ricoveriamo sgualdrineefinirà cosìche la gente non vorrà metter piùpiede in casa nostra. Ma che idee ti frullano per la testa?Impazzisci?" Giovanna era rimasta calmissima.


"Ebbene...no. Io non lascerò mai scacciare Rosalìa. Se non vuoitenerla quici sarà sempre mia madre che la riprenderà.E finiremo col conoscere il padre di luidico del bambino..."Egli rispose andandosenesbattendo l'usciogridando:

"Comesono stupide le donne! Le idee delle donne!" Nel pomeriggioGiovanna salì dalla puerpera. La piccola serva restavaimmobile nel suo lettovegliata dalla vedova Dentumentreun'infermiera cullava il neonato sulle braccia. Quando vide la suapadronaRosalìa si mise a piangeree nascondeva la facciatra le lenzuola nella disperazione dei singhiozzi. La padrona volleabbracciarlama lei resistevasempre coprendosi il viso; poi lasciòfarepiangendo ancorama più debolmente. Una piccolafiammata ardeva nel caminetto: faceva freddoil piccino fiottava.


Giovannanon osava parlare della creatura per non provocare un'altra crisimacarezzava una mano alla puerpera e ripeteva macchinalmente:

"Nonsarà nullavianon sarà nulla..." La poveraragazza guardava furtiva verso l'infermieratrasaliva ai vagiti delmarmocchiosoffocava come in un resto di disperazionescoppiava insinghiozzi convulsi quando le lacrime ringhiottite le facevano unaspecie di gorgoglio nella gola.


"Neavremo cura noi. Sta' tranquillafigliola" e se ne andòpoiché sentiva che un nuovo accesso di lacrime era pronto.


Cosìtutti i giorni. Giovanna tornava da Rosalìa e Rosalìavedendo la sua padronaaveva pronte le lacrime e i singhiozzi.


Ilbambino fu messo a balia lì da una vicina.


Giulianointantoappena parlava a sua mogliecome se le serbasse rancore diaver impedito l'espulsione di quella ragazza.


Ungiorno egli ritornò sull'argomentoma allora Giovanna si levòdi tasca una lettera in cui la baronessa reclamava la Rosalìase non la si voleva più ai "Pioppi". Giulianofuribondogridò: "Tu e tua madredue pazze compagne!".Ma non insistette più oltre.


Quindicigiorni dopo la puerpera era in grado di alzarsie riprese ilservizio. Finché Giovanna la fece sederele prese le manilascrutò in voltole disse:

"Orafigliola miami dirai tutto." Rosalìa si mise a tremaree balbettò:

"Checosasignora?" "Di chi è questo bambino?"Allora la povera ragazzaripresa dalla sua disperazione cercòdi liberare le sue mani per nascondere il voltoma Giovannal'abbracciava lo stesso e la voleva consolare:

"Vedifigliolaè una disgrazia. Tu sei stata debolema la cosacapita a tante! Se il padre del bambino ti sposanon ci si pensa piùe noi potremo prenderlo al nostro servizio con te..." Rosalìagemeva come a martirizzarla; e di quando in quando dava un sobbalzoforse per liberarsi e fuggire.


"Capiscola tua vergogna" Giovanna riprese. "Ma vedi bene che io nonmi ci arrabbiovedi che ti parlo con tutta dolcezza. Se ti domandoil nome di luiè perché capisco dal tuo dolore che tivorrebbe abbandonare e io non lo permettocapisci? Stai certa cheGiuliano andrà da luie l'obbligheremo a sposarti e a fartifelicegiacché vi terremo qui tutt'e due..." Questavolta Rosalìa fece uno sforzo così brusco che riuscìa liberar le sue mani da quelle della padronae così scappòvia da forsennata.


Laseraa tavolaGiovanna disse a Giuliano:

"Hotentato di persuadere Rosalìa a dirmi il nome del suoseduttore. Non ci sono riuscita. Prova dunque anche tu; cosìpotremo decidere quel miserabile a... " Giuliano si adiròsubito: "Basta con questa storiabastabasta!

Haivoluto tener la ragazza? Ebbenetienitela; ma non farmi andare inbestia per questo. Hai capito? Ora basta!".


Dopodi che egli sembrava peggiorato d'umoretanto che aveva presol'abitudine di non parlare a sua moglie senza gridarecome se fossesempre adirato mentre leial contrarioraddolciva la voce e simostrava gentileconcilianteper evitare le discussioni (la nottepoi piangeva nel suo letto). Eppurenonostante questa irritazioneinsistenteegli aveva ripreso certe abitudini d'amore trascurate findal ritorno e ben raramente lasciava passare tre sere di seguitosenza varcar la soglia coniugale.


Rosalìaguarì interamente e divenne un po' meno tristebenchéfosse rimasta come spaventatacome perseguitata da non si sa chepaura. Due volte ancora fuggì quando Giovanna la interrogòsul piccino. Nello stesso tempo Giuliano riapparve un po' piùcortese così che la giovane sposa si riafferrava a vaghesperanzeritrovava qualche momento un po' allegro quantunquesoffrisse talvolta di strani malesseri di cui non parlava. Noncominciava ancora il disgeloma da alcune settimaneun cielo chiarodi giorno come un vetro azzurroe la notte pieno di stelle che sisarebbero dette di brina tanto lo spazio era rigidosi stendeva sultappeto durounitolucente delle nevi. Dietro le cortine dei grandialberi ricamati come di canizieisolate nelle loro zone quadrelefattorie parevano addormentate sotto un drappo bianco.


Nessunousciva più: uominibestie. Solo i comignoli delle capannerivelavano la vita nascosta per quei gracili pennacchi di fumo chesalivano diritti nell'aria di gelo. Il pianole siepigli olmidelle cinturetutto sembrava mortoucciso dal freddo. Di quando inquando si udivano scricchiolare gli albericome se le loro membra dilegno si fossero spezzate sotto la corteccia; talvolta anche un granramo si strappava e cadevavittima del gelo invincibile cheindurisce le linfe e rompe le fibre. Giovanna aspettava con ansia iprimi tepori attribuendo alla cattiva invernata le vaghe sofferenzeche la tormentavano. Che aveva? Che male era questo? Ora non potevamangiar nulla per quel disgusto del ciboora il polso battevaall'impazzataora il pasto più leggero le dava una specie dinausea d'indigestionee i nervi sempre tesisempre vibrantilatenevano in un'agitazione continuainsopportabile. Finché unasera il termometro discese ancora e Giulianoalzandosi da tavolatutto tremante di freddo (la sala non era mai abbastanza tiepidatanto egli faceva economia di riscaldamento)si fregò le manie avvertì: "Sarà una bella cosa dormire in duenevverotesoruccio mio?" Egli rideva del suo buon riso d'untempodi gran fanciullonee lei gli saltò al collo felice;ma quella sera appunto era così sofferentecosìstranamente nervosache lo pregò fra i bacisottovocedilasciarla sola quella notte.


"Tipregocaro" gli disse per spiegargli in poche parole il suomale. "Credi che non mi sento bene stasera. Domani staròmegliovedrai." Egli non insistette.


"Comevuoi. Ma se sei malatabisogna ben che ti curi." Si coricòprestoGiuliano volle che le accendessero il fuoco nella stanza: efu una gran concessione. Quando gli fu detto che c'era una bellafiammatabaciò la moglie in fronte e se ne andò.


Tuttaquanta la casa sembrava angustiata dal freddo; gli stessi muri nerabbrividivano con rumori leggeriGiovanna nel suo letto tremava.Due volte si alzò per aggiungere legna nel caminetto ed ancheper cercare una vecchia sottanaqualche corpettovecchi abiti daammucchiare sulle coltri: nullanulla la riscaldava. I suoi piedinisi intirizzivanocontinue vibrazioni le correvano per i polpacci eperfino per le cosce fino a farla girare e rigirare senza mai treguain un'agitazione che l'aveva ormai completamente prostrata. Poi lebatterono i dentile mani tremaronoil petto si strinseil cuoreindebolito batté grandi colpi e sembrò spegnersi.L'anima fu come presa da una spaventosa angoscia; nello stesso tempoun freddo invincibile le penetrava fino al midollo. Maimai avevaprovato niente di simile: la vita stessa l'abbandonava. Non esalaval'ultimo respiro? "Sto per morire... muoio..." pensò.Spaventatasaltò fuori dal lettocercò il campanellosuonò per chiamar Rosalìa: attesesuonò dinuovoattese ancoraintirizzitafremente. Niente. Nessuno. Laragazza dormiva senza dubbioe di quel primo sonno che non siscuoteil sonno di piombo. Allora Giovanna perse il controllo e apiedi nudi si precipitò per la scalasalì a tentonisenza far rumoretrovò una portal'aprì:

"Rosalìa!"S'inoltròurtò contro il lettovi passò soprale manisentì che era vuoto: vuoto e freddo come se non vifosse entrato nessuno.


"Come?Va a farne delle altre con questo tempo!" E in un tumultorepentino del suo povero cuoreoppressasoffocatacon le gambe chele si piegavanofece quell'ultimo sforzo: discese per chiedere aiutoa Giuliano. Entrò da lui con violenzaspintaassillata dallacertezza che stava per moriredal desiderio di veder lui prima diperdere la conoscenza. E alla luce del fuoco morentevidesulguancialeaccanto alla testa di suo maritola testa di Rosalìa.


Luie lei si rizzarono insiemecome rispondendo a quel grido.


Giovannarestò un momento immobile come se la scoperta l'avesseimpietritapoi fuggìrientrò nella sua stanzaepoiché lui spaventato chiamava: "Giovanna! Giovanna!"una paura atroce l'assalì: di vederlodi riudire la sua vocedi ascoltare le sue menzognedi incontrare il suo sguardo faccia afaccia: e giùgiùancora giù per la scala.Giùgiù di corsa nel buio a costo di cadere suigradinia costo di fracassarsi sulle pietre; sempre avantisemprespinta dalla necessità di fuggiredi non sapere nulladi nonvedere più nessuno. Eccola dabbassosiede su un gradinosempre in camiciaa piedi nudie rimane lì sbigottita.


Masi raddrizza perché ode la voce di luiperché egli giàscende le scale: "Giovanna? AscoltaGiovanna...". Nononon vuole ascoltarenemmeno vuole che le si tocchi la punta di unditoe si slancia nella sala da pranzo come se sentisse un assassinoalle spalle. Cerca un'uscitaun nascondiglioun angolo oscurounmezzo qualunque per evitarlo. Eccosi raggomitola sotto la tavolama egli ha già aperto la portacol lume in manoe ripete:"Giovannaascolta... Giovanna...". Balza come una lepresi slancia in cucinadue volte gira intorno come una bestiainseguitama egli è qui ancorae allora lei apre di colpol'uscio del giardino e via per la campagnaa precipizio. Le suegambe entrano nella neve fin quasi ai ginocchie quel contattogelido le dà un'energia disperata. E' nudae non ha freddonon vedenon sente più nullatanto la convulsione della suaanima intorpidisce il suo corpo. E correcorrecandida come laterra.


Eccoil viale grandeecco il boschettoil fossola landa... Non c'èlunaci sono le stelleun seminìo di fuoco nel cielo neroma la pianura è chiaradi un fosco candoreimmobilitàcongelatasilenzio infinito. Cammina sempresenza respiraresenzapensare.


Eccoil precipizio: si ferma di colpod'istintosi accascia vuotata ditutto. Nella cupa voragine davanti a lei il mare invisibile e mutoesala un odore salmastro di relitti della bassa marea. Quanto temporesta cosìle membra inertilo spirito inerte? Tutt'a untratto si mette a tremareed è un tremito follequalcosacome una vela agitata dal vento. Bracciamanipiedi scossi da unaforza invincibile; tutto palpita in leitutto vibrasussultaprecipita: e la coscienza le torna di colpochiara e pungente. Poisono come antiche visioni che passano davanti ai suoi occhilapasseggiata con lui nella barca di papà Lastiquei discorsil'amore nascenteil battesimo della barca:

piùin làpiù in làancora più in là:ecco: la notte popolata di sogni del suo primo arrivo al castello. Eora? Ohla sua vita ora è spezzataperduta ogni gioiaognisperanza impossibilee l'avvenire è làtuttotradimentodisperazionetorture. Meglio morire! Si muoree tutto èfinito...


Unavoce lontana? "E' qui... ecco i suoi passi... presto... daquesta parte..." Giuliano? E' lui che la cerca? Nonon lo vuolrivedere! Dall'abisso che le si scopre dinanziora le giunge unfruscìo: è la leggera risacca del mare. Allora si alzagià decisa a slanciarsia buttarsi di sottoe nel darl'addio alla vital'addio disperatogeme l'ultima parolaquelladei moribondiquella dei soldati feriti in battaglia: "Mamma...". Di colpo le balena il pensiero di leidi "mammina"la vede singhiozzarevede il papà in ginocchio accanto alcadavere dell'annegataraccoglie in un attimo tanta disperazionetanto spasimo; e ricade giù nella nevee nemmeno fugge quandoGiuliano e papà Simone (c'è anche Mario che tiene lalanterna) l'afferrano per le bracciala tirano indietropoichéè arrivata sull'orlo... Non può più muoversi:facciano di lei quel che vogliono. Sente che la trasportanolamettono a lettole fanno delle frizioni con panni bollenti: ogniricordo si cancella: la conoscenza è perduta. Poil'oppressione di un incubo. Ma si tratta proprio di un incubo?

Eccolasdraiata nella sua stanza. Sivede bene che è giornoma leinon può alzarsinon può. Perché? Non lo sanonsa niente. E ode come un rumore nel soffitto o una specie diraspamentoe subito un topoun piccolo topo grigio passarapidamente sul lenzuolo. Un altro lo segueun terzo le si avvicinaal petto col suo trotterello vivace. Non sa comema non ha nessunapaura e vuole afferrar la bestiola e stende la mano... Noniente!Allora altri topidieciventi topicentinaiamigliaia di topivengono d'ogni partesi arrampicano in colonnescorrono in filasulle tappezzeriecoprono il lettoentranopenetrano nel letto: elei li sente scivolare sulla pelleecco che le solleticano le gambesalgonoscendono per tutto il suo corpo: e le giungono alla golaesi dibatte stendendo le mani per afferrare un topoapre e chiude lemani: vuote! Si disperagridaurlavuol fuggiree le pare chequalcuno la tenga lì a forzaimmobile: due braccia di ferrola stringonola paralizzano: guarda e non vede nessuno. Ha perdutoil senso del tempo. Tutto ciò dura a lungoa lungoalungo...


Poisi svegliò. Fu un risveglio stancoaccasciatoeppure dolce.


Sisentiva debole debole. Aprì gli occhi e non si stupì divedere sua madre seduta con un omone grossomai conosciutomaivisto.


Cheetà aveva mai? Non lo sapevae si credeva piccina piccina.


Nonsi ricordava proprio di nulla.


"Vedete?"disse l'uomo corpulento. "La conoscenza ritorna." Mamminasi mise a piangere. Allora l'uomo corpulento riprese:

"Calmatevisignora baronessa. Vi dico che ora ne rispondo io.


Perònon bisogna parlarle di nullaassolutamente di nulla.


Lasciateche dorma." Sembrò a Giovanna di restare assopita ancorachi sa quantorighermita forse da un sonno pesante durante il qualeprovava a pensaresenza però tentare di ricordarsi di nulla edi nessunocome se avesse un vago timore della realtà che sifaceva strada nel cervello. Una voltasvegliandosivide Giuliano:era lui solo accanto al letto: e allora tutto fu chiarotutto letornò alla memoriacome se avessero alzato il velo checopriva il suo passato. Ebbe una fitta acutissima al cuoree vollefuggire.


Gettòvia le copertesaltò a terrale gambe non le reggevano ecadde. Giuliano si slanciò su di leisi mise a gridare: nonla toccassenon la toccasse! L'uscio si aprì e accorse la ziaLisetta con la vedova Dentupoi il baroneinfine la baronessasmarritaansimante. Fu così che la rimisero a lettoe leichiuse subito gli occhidissimulando per non parlare e perriflettere meglio.


Suamadre e sua zia la assistevano tutte premurosee dicevano:

"Giovanna!Ci sentiGiannetta? Ora ci sentici senti?" e lei faceva lasordanon rispondeva: però si accorse benissimo che il giornofiniva. Finiva il giornovenne la notte. L'infermiera prese posto lìaccantoe spesso la faceva bere. Beveva senza dire nulla. Riflettevacon fatica cercando cose che le sfuggivanocome se avesse dellelacune nella memoriagrandi spazi bianchi e deserti dove gliavvenimenti non erano segnati. A poco a pocodopo lunghi sforziriuscì a riordinare tutti i fatti e vi rifletté sopracon ferma tenacia. Erano venuti il babbomamminazia Lisetta:dunqueera molto malata. Ma Giuliano? Che aveva detto? I suoigenitori sapevano quel che era successo? E Rosalìa?

Dov'eraRosalìa? E poi... che fareche fare? Un'idea le balenònel cervello: sìsìcome primaa Rouencol papàe con la mamma. Sarebbe stata vedova: ecco tutto. Allora atteseascoltando tutto quel che si diceva attorno al suo lettocomprendendo ogni cosasenza far capir che capivagodendo di questoritorno alla ragionescaltrapaziente. Infinela serasi trovòsola proprio con mammina e la chiamò sottovoce. La sua voce lastupì; le parve cambiata. Mammina le prese le mani:

"GiannettaGiannetta carabambina miadi'mi riconosci?" "Simammina. Ma non bisogna piangere. Dobbiamo discorrere a lungo.Giuliano ti ha detto perché sono fuggita fra la neve?""Sibambina mia. Tu hai avuto una gran febbreuna febbrepericolosa..." "Non è questo. Nonon èquesto. La febbre l'ho avuta dopo.


Giulianonon ti ha detto perché ho avuto la febbre e perché sonoscappata?" "Nocara." "Fu perché hotrovato Rosalìa a letto con lui." La baronessa credetteche delirasse ancora e l'accarezzò dolcemente.


"Dormibambina mia. Calmati. Cerca di dormire." "Mammina"riprese ostinata Giovanna "adesso sono perfettamente cosciente.Non dico pazzie come debbo averne dette i giorni scorsi. Una notte iomi sentii male e allora andai a cercar di Giuliano. Rosalìaera con luinel suo letto... Ioper il doloreho perduto la testae sono fuggita fra la neve: volevo buttarmi in mare..." "Sìsìbambina mia" ripeteva sempre la mamma "tu seimolto malata..." "Non è questomamma. Io ho trovatoRosalìa a letto con Giuliano e non voglio più restarecon lui. Tu mi condurrai a Rouensìa Rouencome unavolta..." La mamma sapeva bene che il medico aveva raccomandatodi non contrariare in nulla la malatae le dava sempre ragione: sìsì.


Lamalata si spazientì.


"Vedobene che non mi credi. Va' a cercare papà. Lui finiràcol capirmi." Mammina si alzò a faticaprese i bastonie uscì strascinando i piedi: quando tornòdopo pochiminutiera sorretta dal barone.


Sisedettero insieme accanto al letto. Giovanna cominciò subito.


Dissetuttolentamentecon voce ancor debolema con molta chiarezza: ilcarattere bizzarro di luile sue asprezzela sua avariziala suainfedeltà. Quando ebbe finitoil barone vide bene che nondivagavanon fantasticava e non sapeva nemmeno lui che pensarerisolvererisponderee le prese una mano teneramentecome unavoltaquando l'addormentava con le sue storielle.


"Sentimia carabisogna agire con molta prudenza. Non precipitiamo le cose.Cerca di sopportare tuo marito fino a quando avremo preso unarisoluzione. Me lo prometti?" "Sipapà. Ma nonrimarrò quiquando sarò guarita." Poi domandòsottovoce:

"Dov'èadesso Rosalìa?" "Non la vedrai mai più."Ma lei si ostinava:

"Vogliosapere dov'è." Il padre dovette confessare che non avevalasciato la casa.


Assicuròche se ne sarebbe andata.


Poiegli uscì dalla stanzatutto acceso di colleraferito nelsuo cuore di padre. Cercò di Giuliano; non fece preamboli:

"Signoreio vengo a domandarvi conto della vostra condotta verso mia figlia.Voi l'avete ingannata con la vostra cameriera. Ciò èdoppiamente indegno." Ma Giuliano recitò bene la suaparte: negò con passionegiuròprese Dio atestimonio. Quali prove? Fuori le prove! Forse che Giovanna non avevaavuto una febbre cerebrale? Non era fuggita fra la nevedi notteinun accesso di delirioin principio della sua malattia? Ed eraproprio nel colmo di questo accessoquando era corsa seminuda per lacasache pretendeva di aver visto Rosalìa nel letto di lui! Esi arrabbiòminacciò un processoreplicò conveemenzatanto che il baroneconfusodovette ricredersichiederescusatendere la sua mano leale che l'altro nemmeno volle stringere.


Giovannaconobbe la risposta del marito senza irritarsi. Rispose:

"Eglimente. Ma noi finiremo con lo smascherarlopapà." Ilterzo giorno volle vedere Rosalìa. Il barone rifiutava difarla salire e la dava già per partita.


"Ebbeneandate a cercarla" ripeteva Giovanna imperterrita .


Entròil medico. Gli si espose subito il caso perché desse il suoparere. Ma Giovannaindebolita all'estremopiangeva e diceva senzaremissione:

"Voglioveder Rosalìa... voglio veder Rosalìa..." e ilmedico le prese la mano e le parlò sottovoce:

"Calmatevisignora. Ogni emozione potrebbe riuscirvi dannosaperchésiete incinta." Restò sorpresacome colpita: le parvesubito che qualcosa si agitasse dentro di lei. Si chiuse nelsilenziosenza ascoltare ciò che si dicevatutta raccoltaintorno a un pensiero. La notte non poté chiudere occhiopoiché la teneva sveglia questa idea nuova e strana di unacreatura che viveva quinel suo ventree si sentiva triste eangosciata perché era un figlio di luie non poteva frenarel'inquietudine che egli assomigliasse un giorno a suo padre.


"Papà"disse subito la mattina dopo "la mia risoluzione è bensalda. Io voglio sapere tutto. Tu mi capisci: voglioe tu sai chenon si può più contrariarminelle condizioni in cui mitrovo.


Ascoltamibene. Va a cercare il signor curato: ho bisogno di lui per impedire aRosalìa di mentire. Poi lo farai salire subitoe tu e mamminanon vi moverete di qui. Attentosoprattuttoattento che Giulianonon sospetti qualcosa!" Un'ora dopo il prete entravaancoraingrassatoansimante non meno di mamminae si sedeva vicino allettoin una poltronacol ventre ammassato fra le gambe aperteincominciando a scherzarepassandosi e ripassandosi sulla frontecome d'usoil fazzolettone a quadretti.


"Ebbenesignora baronessavedo che non si dimagrisce. Mi pare che noi due sifaccia il paio." Poivolgendosi verso la malata:

"Eheh! che cosa mi hanno dettosignora sposina! Avremo presto un nuovobattesimo? Ahahah! Questa volta non si tratta già di unabarca!". E aggiunse in tono grave: "Un difensore dellapatria". Poidopo una breve riflessione: "Purchénon sia una brava madre di famiglia". E salutando la baronessa:"Come voimadama".


Mala porta in fondo si aprìe si vide Rosalìa smarritalacrimosache rifiutava di farsi avanti e si aggrappava allostipitefinché il barone che la spingeva per di dietroperduta la pazienzala fece entrare con uno strattone. Allora sicoprì il volto con le mani e restò in piedi lìsinghiozzante. Giovannaappena la scorsesi drizzò conimpeto e sedette sul lettobianca più del lenzuolo. Il suopovero cuore sollevava coi suoi battiti la leggera camicia aderentealla pelle. Non poteva parlare:

respiravaappena: soffocava.


"Io...io... " cominciò con la voce rotta dall'emozione "nonavrei... non avrei bisogno... di interrogarti... Mi basta...


vederticosì... vedere la tua vergogna... la vergogna che providinanzi a me..." Il fiato le mancava. Riprese:

"Maio voglio saper tutto... tutto! Ho fatto venire il signor curatoperché sia come una confessionecapisci?" Rosalìaimmobilesi copriva sempre la faccia e mandava come delle grida frale sue dita contratte. Incolleritoil barone le afferra le bracciale strappa con forza le mani dal volto e finisce col gettar la donnain ginocchio presso il letto .


"Parladunque. Rispondi!" Rimase a terranella posizione in cui siritraggono le Maddalenela cuffia a sghimbescioil grembiule sulpavimentoil viso ancora nascosto nelle mani ridivenute libere.


"Suvvia"le disse il curato "ascolta ciò che ti si dice erispondi. Noi non vogliamo farti alcun malema vogliamo sapere quelche è successo." "E' vero" gridòGiovanna sporgendosi dalla sponda del letto "è vero cheti trovavi a letto con lui quand'io vi ho sorpresi?" "Sìsignora" Rosalìa gemette attraverso le mani.


Alloradi colpola baronessa si diede a piangere lei pureangosciatae isuoi singhiozzi convulsi rispondevano ai singhiozzi di Rosalìa.


"Daquanto tempo durava la tresca?" chiese Giovanna con gli occhisempre fissi sulla disgraziata.


"Dacchéè venuto..." balbettò Rosalìa.


Giovannanon capiva.


"Dacchéè venuto... Allora... allora... dopo la primavera? »"Sìsignora..." "Dacché èentrato in questa casa?" "Sìsignora..." EGiovannacome oppressa dalla smania di sapereinterrogavainterrogava in fretta:

"Macome è accaduto? Come ti ha sedotta? Come ti ha avuta? Checosa ti ha detto? Quando... come hai ceduto? Come hai potuto darti alui?" Rosalìa aveva scostato le mani dal volto e parlavaoracome presa da un febbrile bisogno di rispondereconfessaredire tutto:

"Chene so io? Fu il giorno che pranzò qui la prima voltachevenne la sera a trovarmi in camera mia... S'era nascosto nelgranaio... Non osai gridare per evitare uno scandalo... Venne a lettocon meio perdetti la testa in quel momentoe così ha fattoquel che ha voluto... Stavo zitta perché... lo trovavo moltocarino..." Allora Giovanna lanciò un grido.


"Ma...il tuo... il tuo bimbo... è suo?" "Sisignora..."Tacquero entrambe. Non si udivano più che i singhiozzi diRosalìae i singhiozzi della baronessa. Giovannaaccasciatasentiva a sua volta che le si inumidivano gli occhi: lacrimelacrimesilenziosecadevano giù per le guance. Il figlio della suacameriera aveva lo stesso padre del suo! La collera era caduta.


Oraera tutta presa da una disperazione cupalentaprofondainfinita.Con voce cambiatainteneritacon la voce di una povera donna chepiangechiese ancora:

"Quandosiamo tornati di laggiù... dal viaggio di nozze... haricominciato subito?" "La prima sera..." confessòla ragazzasempre prostrata sul pavimento.


Chestrazio! Ogni parolauno strazio. Cosìla prima sera la seradel suo ritorno ai "Pioppi"egli l'aveva lasciata perquella ragazza! Ecco perché voleva dormire solo. Ormai neaveva abbastanza: non voleva sapere di più.


"Vattene!Vattene!" Rosalìa non si muovevacome annichilitaeGiovanna si rivolse allora a suo padre.


"Conducilavia! Fammi il piacereconducila via!" Ma il curatoche nonaveva ancora aperto boccagiudicò che era giunto alfine ilsuo turno. Era il momento del predicozzo.


"Figliolamiaquello che hai fatto è gran malegrandissimo malee ilbuon Dio non ti perdonerà facilmente. Pensa all'inferno chet'aspetta... se non serberai d'ora innanzi una buona condotta. Orache hai un bimbo è necessario che tu metta giudizio. Lasignora baronessa farà senza dubbio qualche cosa per tee titroveremo marito." Egli avrebbe avuto qualche altra cosa dadirema il barone aveva di nuovo afferrato per le spalle quelladisgraziatala sollevavala trascinava fino alla portala buttavanel corridoio come un fagotto. Quando rientròpiùpallido di sua figliail signor curato riprese il discorso:

"Chevolete? Tutte cosìnel paese. E' una desolazione. Non ci sipuò far nullae dunque bisogna avere un po' di indulgenza perle debolezze della natura. Maimai queste ragazze si sposano senzaessere incinte: giammaio signoragiammai." Aggiunsenonsenza sorridere: "Si direbbe un costume locale". Poiindignatissimo: "I ragazziperfino i ragazzi! Non ho trovato iostesso l'anno scorso in cimitero due bamberottoli che vengono alcatechismoun maschio e una femmina? Ho avvertito i parenti. Sapeteche cosa mi hanno risposto? "Che possiamo farcisignor curato?Non gliele abbiamo mica insegnate noiquelle porcherie." Eccosignora: la vostra serva ha fatto come le altre..." "Nonm'importa di lei" interruppe il barone che tremava sempre perl'eccitazione dei nervi. "E' Giulianoè lui che misdegna. Ha commesso un'infamia e io porterò via mia figlia..."E andava su e giùesasperatoanimandosi tutto. "Sìsìè un'infamiaaver tradito così la miafigliolaun'infamiaun'infamia! Quell'uomo è una canagliaun miserabile; e glielo diròlo prenderò a schiaffilo finirò a bastonate." Ma il prete annusava una presa ditabacco al fianco della baronessa piangentepensava di compiere ilsuo ministero di pace e diceva:

"Sentitesignor baroneparliamo schietto fra noi: egli ha fatto quel che fantutti gli uomini. Ne conoscete molti di mariti fedeli?" Aggiunsecon bonomia maliziosa: "Scommetto che al vostro tempo voi stessoavrete fatto le vostre. Vediamomettete una mano sulla coscienza: horagione?".


Ilbarone si era fermato come se queste parole gli facessero moltaimpressione.


"Ehsìvoi avrete fatto come gli altri. Chi sa che voi stesso nonabbiate messo mano a qualche bella servotta come quella là. Iovi dico che tutti fanno lo stesso. Vostra moglie non è statameno amata e meno feliceno?" Il baronesconvoltonon siagitava più. Perbacco! Era vero. Egli aveva fatto altrettanto.Spesso... sìspesso... quando aveva potuto... E neppure luiaveva rispettato il letto coniugale. Né aveva esitato davantialle cameriere di sua moglie... quando erano graziose... Era perciòun miserabile? Perché giudicare severamente la condottadell'altrodal momento che non si era mai sentito colpevole lui?

Labaronessa soffocava dai singhiozzima poi lasciò errar sullelabbra come un'ombra di sorriso al ricordo delle scappatelle di suomaritoessendo di quelle nature sentimentali che presto siinteneriscono e più presto ancora perdonano: e poi leavventure d'amore non fanno parte dell'esistenza? Giovanna pensava esoffrivacosì accasciatastesa supinale braccia inertigli occhi sbarrati e ciò che le faceva più male era ilricordo di quella parola di Rosalìauna parola che le ferival'animache le penetrava come un trivello nel cuore: "Non hodetto nulla perché lo trovavo molto... carino!". Anchelei lo aveva trovato carinoed era per questo - perché loaveva trovato carino - che si era data a lui per la vitache avevarinunciato ad ogni altra speranzaai progetti appena intravistiall'ignoto del domani:

perchélo aveva trovato carino! Era caduta in quel matrimonioinquell'abisso senza spondeper risalire al dolorealla tristezzaalla disperazioneperché... sìcome Rosalìacome Rosalìa lo aveva trovato "carino"!

Laporta si aprì con violenza: e apparve luicol suo visoferoce.


Avevaincontrato per la scala Rosalìa che piangevae venivaluiper saperepoiché qualcosa si stava tramandopoichéRosalìa aveva certo parlato. La vista del prete lo inchiodòsui due piedi.


Chiesecon voce tremante e pur tranquilla:

"Ebbeneche c'è?" Il baronegià tanto violentonon osavapiù dire una parola come se temesse che il genero riprendessel'argomento del prete sulle sue stesse infedeltà maritali.Mammina piangeva più forte; Giovannasollevata sulle maniguardava ansante colui che la faceva così crudelmentesoffrire.


"C'è"balbettò "che noi sappiamo tuttotuttotutto.Conosciamo le vostre infamiedal giorno che siete entrato quidentro...


Sappiamoche il figlio di quella ragazza è vostroè vostro...sìsìcome il mio... come il mio..." e ricaddesfinita sulle coltri in un lungo pianto disperato.


Giulianoera rimasto intontitonon sapendo che direche fare.


"Susu" intervenne il curato "vediamo un po'non disperiamocitanto... Vediamovediamosignoradi essere un po' ragionevoli..."S'alzòsi avvicinò al lettoposò la sua manotiepida sulla fronte della poveretta. Strano! Quel semplice contattola tranquillizzò. Si sentì illanguidirecome se quellamano forte di un uomo rustico avvezzo al gesto che assolveallablandizia che riconfortale avesse dato una pace misteriosa alsemplice tocco.


Ilbuon uomorimasto in piediriprese:

"Signorabisogna sempre perdonare. Sìsìuna gran disgrazia viha colpitoma Dio nella sua immensa misericordia l'ha compensata conuna grande gioia: perché voi sarete madre. Questo bambino saràla vostra consolazionesignora. E' in nome suo che v'imploroviscongiuro di perdonare l'errore del signor Giuliano. Questo saràun nuovo legame tra voiun pegno della sua fedeltà futura.Come?

Potresterestar divisa dal cuore dell'uomo di cui portate il frutto nel seno?"Non rispondevaabbattutaspossatasenza più forzanéper il rancorené per la collera. Le sembrava che i suoinervi fossero rilassatitagliuzzati: appena respiravaappenaviveva. La baronessaincapace di serbar rancoreincapace diresistere a uno sforzo un po' prolungatomormorò: "SuvviaGiovanna...". In quel momento il prete afferrò la manodel giovane e così lo attirò verso il letto per posarequella mano sulla manina stessa di leie vi batté sopra uncolpetto come per congiungere definitivamente i due sposi.


"Andiamo"disse poi lasciando il solenne tono professionale. "E' cosafatta. Credete che è la miglior soluzione." Le due maniunite per un attimosi separarono. Giulianonon osando baciare suamogliebaciò in fronte la suocera: poi girò sui tacchie prese a braccio il barone che lasciò farecontento in fondoche la faccenda si fosse così accomodata: e uscirono insiemea fumare. E la malataesaustasi assopì mentre il prete emammina chiacchieravano a bassa vocepacificamente.


"Dunquesiamo intesi" egli diceva dopo aver spiegatosviluppato le sueideesempre col consenso della signora baronessa"Voi darete aquella ragazza la fattoria di Barville e io m'incarico di trovarle unmarito: ohsìun bravo ragazzoun ragazzo con molto buonsenso. Una dote di ventimila franchi ce ne procurerà didomande! Non avremo che l'imbarazzo della scelta." Ora labaronessa sorrideva tutta felicecon due lacrime a mezza viasulleguance (ma quelle tracce umide erano già bell'e asciutte):

"Siamod'accordo. Barville vale ventimila franchia dire poco. Ma ilcapitale verrà intestato al bambino. I genitori non negodranno che l'usufrutto vita natural durante..." Il curato sialzò e strinse la mano alla dama.


"Nonpreoccupatevisignora baronessa. Lasciate fare a me: ci penso io..."Uscendoincontrò zia Lisetta che veniva a veder la malata.Non si era accorta di nullanon le si disse nullanon seppecomesemprenulla.




Capitolo8


Rosalìaaveva lasciato la casa e Giovanna compiva il periodo della gestazionedolorosa. Il pensiero della maternità la lasciava comeindifferente. Troppi dolori l'avevano accasciata: ora attendeva lanascita del suo bambino senza curiositàtutta presa in ungiro come di percezioni di disgrazie non ben definite.


Laprimavera era giunta con lentezza. Gli alberi spogli fremevano sottola brezza ancora pungentema nell'erba umida dei fossati doveimputridivano le foglie autunnali occhieggiavano già leprimule gialle. Da tutta la pianuradai cortili delle fattoriedaicampi in disgelosi sollevava un sentore umidocome un sapore difermentazione. Una quantità di puntine verdi uscivano dallaterra bruna e lucente ai raggi del sole.


Unadonna robusta e ben piantata aveva sostituita Rosalìa esosteneva la baronessa nelle sue passeggiate monotone lungo il vialesu cui rimaneva invariabilmente la traccia umida e fangosa del suopiede ancor più pesante. Il papà dava il braccio aGiovanna ormai appesantita e sempre più sofferentee ziaLisetta inquietaspaventata dal prossimo eventola teneva per manodall'altra partetutta turbata per quel mistero che non avrebbe maiconosciuto. Camminavano ore e ore cosìsenza parlarementreGiuliano percorreva a cavallo i dintornipoichéimprovvisamente lo aveva preso questa nuova mania del cavalcare.Nulla turbava più questa vita uniforme. Il baronesua moglieil visconte fecero visita ai Fourvilleche Giuliano sembravaconoscere ormai da gran tempo senza aver mai accennato alle originidi questa amicizia. Fu anche scambiata una visita di etichetta coiBrisevillesempre nascosti nel loro castello addormentato.


Unpomeriggioverso le quattrodue cavalieriuomo e donnaentraronoal trotto nel cortile davanti al castello. Giuliano li scorse e siprecipitò da sua moglie tutto affannato:

"PrestoprestoGiovanna; ecco i Fourville. Sono venuti da buoni amiciinconfidenzaconoscendo il tuo stato. Di' che sono uscitoche nontarderò molto a tornare. Intantomi faccio un po' bello..."Stupitascese. C'era giù una giovane signorapallidagraziosaespressione dolenteocchi esaltaticapelli di un biondosbiaditocome se non fossero mai stati accarezzati da raggio disole; e costei presentò molto tranquillamente suo maritounaspecie di giganteun orco dai gran baffi rossiaggiungendo:

"Noiabbiamo avuto più volte l'occasione di incontrar il signor diLamare. Sappiamo da lui le vostre sofferenzee non abbiamo volutorimandare ancora il piacere di venirvi a trovareda buoni amicisenza cerimonie. Del restolo vedetesiamo a cavallo. E poi hoavuto l'onore di ricevere la vostra signora madre e il baronesìl'altro giorno..." Parlava con molta affabilità e con untono confidenziale e garbatocosì che Giovanna ne fuincantata e sentì di volerle subito bene. "Eccoun'amica"pensò.


Viceversail conte di Fourville sembrava un orso entrato in salotto. Quando sifu sedutoposò il cappello sulla sedia vicinarimase inforse prima di decidere che cosa dovesse far delle manile appoggiòsui ginocchipoi sui braccioli della poltronainfine le incrociòcome se dovesse pregare.


EccoGiuliano. Giovanna si volse stupita: non lo riconosceva più.


S'erasbarbatoera belloeleganteseducenteera proprio il Giuliano deiprimi giorni del fidanzamento. Strinse la zampa pelosa del contesvegliatosi a quell'arrivo improvviso; baciò la mano dellacontessae la contessa sorrise mentre le sue guance d'avorio sicolorivano leggermente e le palpebre trasalivano un poco.


Giulianoparlò. Amabilesìcome un tempo! I suoi larghi occhivero specchio d'amoresapevano ancora carezzaree quei suoi capelliispidi e duri avevano riacquistato di colposotto l'olio profumato ela spazzolaondulazioni lucide e molli.


IFourville stavano per accomiatarsie la contessa si voltòverso di lui:

"Caroviscontevi piacerebbe una passeggiata a cavalloper giovedì?""Ma certamentecontessa" rispondeva con un inchino ilviscontee la contessa intanto si rivolgeva a Giovanna e leafferrava una mano.


"Ohquando sarete guarita! Galopperemo tutt'e tre nei dintorni.


Saràbello! Carasiete contenta?" Con un gesto agile rialzòla coda della sua amazzonepoi balzò in sella con unaleggerezza d'uccello mentre suo marito salutava goffamente e poiinforcò la sua grossa bestia normanna dando subito l'idea diun centauro.


Quandofurono scomparsi alla svolta del cancelloGiuliano sembravaincantato e ripeteva:

"Chegente simpatica! Ecco una conoscenza che ci sarà utile."Anche Giovanna era contentasenza quasi rendersene conto.


"Lapiccola contessa rapisce. Sìsento che le vorrò bene;ma il marito ha l'aria di un bruto. Dove li hai conosciuti?""Per casodai Briseville" disse egli fregandosi le mani."Sìil marito pare un po' rozzo. E' un cacciatoreaccanito; ma è nobile davveroquello lì." Ilpranzo fu quasi allegrocome se un benessere fosse penetrato infamiglia. E non avvenne nulla di nuovo fino agli ultimi giorni diluglio.


Unmartedì seramentre erano seduti sotto il platano intorno aun tavolino di legno con bicchierini e liquori Giovanna impallidìimprovvisamentemandò un gridosi coprì il ventre conle mani...


Undolore rapidoacuto l'aveva colpita come a tradimentoma perandarsene subito. Dopo una diecina di minutialtro spasimo: piùlungobenché meno gagliardo. Poté a gran faticarientrareportata quasi di peso dal marito e dal padre. Il tragittodal platano alla sua stanza le parve interminabile; e gemeva quasisenza accorgersenechiedendo di fermarsidi sedereaccasciataspossata da quell'intollerabile sensazione di peso nel ventre. Lagravidanza era ancora immaturatanto è vero che il parto nonera previsto che per la fine di settembre; ma temendosi un casodisgraziatofu attaccata la carrettella e papà Simone partìdi galoppo in cerca del medico.


Ilmedicoarrivato verso mezzanottericonobbe subito a colpo d'occhioi sintomi del parto prematuro.


Nellettole sofferenze di Giovanna si erano un po' calmatema lapoveretta sentiva ora un'angosciauna debolezza disperata di tuttoil suo esserequalcosa come il presentimentoil tocco misteriosodella morte. E' adessoè adesso che essa ci sfiora cosìda vicinoche col suo soffio ci raggela il cuore.


Lastanza era piena di gente. Mammina soffocava abbandonata su unapoltrona; il baronecon mani tremanticorreva da tutte le partiportava oggettiparlava col medicoperdeva la testa; Giulianocamminava in lungo e in largo; preoccupato di fuoricalmissimodentro; e la vedova Dentu si teneva in piedi vicino al lettocon nelvolto un'espressione di circostanzadi donna esperta che non sistupisce proprio di niente. Infermieralevatricevegliatrice dimortiricevendo quelli che vengono al mondoraccogliendo il loroprimo vagitolavando con la prima acqua la loro tenera carneavvolgendola nei primissimi liniascoltando poi con la stessaimperturbabilità l'ultima parolal'ultimo brivido di quelliche se ne vannofacendo loro l'ultima tolettabagnando con l'acetoi loro corpi distruttiavvolgendoli nell'ultimo drappoeccosìla vedova Dentu si era chiusa in un'indifferenza ben resistente atutti i casi della nascita e della morte. La cuoca Liduina e ziaLisetta rimanevano nascoste discretamente dietro la porta delvestibolo.


Diquando in quando la malata emetteva un lamento debole debole.


Perdue ore intere si pensò che l'avvenimento si sarebbe fattoattendere a lungoma verso l'alba i dolori riattaccarono conviolenzae la poveretta lasciò sfuggire le prime grida daidenti serrati. E pensava senza tregua a quella Rosalìa che nonaveva soffertoche quasi non aveva piantoe a quel bambinoilpiccolo bastardoche era venuto alla luce senza spasimosenzafatica.


Nellasua disgraziata anima faceva comparazioni incessantimalediceva ilSignore senza pensare di averlo già creduto giustissimosiindignava di certe colpevoli preferenze del destinodelle menzognedelittuose di tutti coloro che predicano l'onestàil benel'amore. Talvolta la crisi era così violenta che le sispegneva ogni idea. Non aveva più forzanon più vitanon più conoscenza che per soffrire. Sopraggiungeva un momentodi calmae allora non poteva distogliere il suo sguardo da luidaGiuliano; e un altro doloremorale questol'angosciava ricordandoil giorno in cui la sua cameriera era caduta ai piedi dello stessoletto col suo piccino tra le gambe: il fratello dell'esserino che orale lacerava così barbaramente le viscere.


Ohricordava bene i gestigli sguardile sue paroleil suoatteggiamento di fronte a quella ragazza distesa per terraed oraleggeva in lui come se i suoi pensieri fossero scritti nei suoimovimentisìla stessa noia leggerala stessa indifferenzaper lei come per l'altral'incuranza egoistica dell'uomo irritatodalla paternità. Poi l'assalì una convulsionespaventosauno spasimo così crudele che disse: "Muoio...sto per morire...".


Allorauna rivolta furiosaun bisogno di maledire le riempì tuttal'animaun odio disperato contro quell'uomo che l'aveva perdutacontro la creatura ignota che la uccideva. Armò le membra inuno sforzo supremo per gettare lontano da sé quel fardellolesembrò che il ventre le si vuotasse di colpoe la suasofferenza era finita.


L'infermierail medicocurvi su di leila palpavano. Eccostaccavano qualcosa;e ben presto un rumore soffocato (ricordò di averlo giàudito) la fece trasaliree quel piccolo grido dolorosoquelmiagolio sottile di neonato le entrò nell'animanel cuoreintutto il suo povero corpo esausto: tese le braccia in un gestoincosciente... Ahche gioia! Che slancio verso una felicitàtutta nuovaallora allora sbocciata! In un attimo si sentìliberacalmafelice: felice come non era mai stata.


Rifiorivail suo cuore. L'anima sua rifioriva. Mammaera mamma!

Immediatamentevolle vederloil bambino. Era nato troppo presto e non aveva capelliné unghie; ma quando vide agitarsi quella larvaquando videaprirsi quella boccaquando udì quei vagitiquando toccòquell'aborto con la pelle sgualcitatutta crespema vivaallora fuinvasa da una gioia irresistibilecomprese di essere salvagarantita contro ogni disperazionesentì che non si sarebbemai più curata del mondo perché era questo il suoamore.


Daquel momento ebbe un solo pensiero: il suo piccino. Diventòsubito una mamma fanaticatanto più esaltata quanto piùera stata delusa nel suo amoreingannata dalle sue speranze. Tenevasempre la culla accanto al lettopassava intere giornate seduta difronte alla finestradondolando la lieve culla. Fu gelosa dellanutrice. Quando il piccolo essere assetato tendeva i braccini versoquel grosso seno dalle vene bluastre e coi labbruzzi si impadronivadel capezzolo bruno e grinzosolei guardava con tremorepallidapallidala calma e forte ragazzae avrebbe voluto strapparle suofiglioavrebbe voluto batterlagraffiare con le unghie il seno acui beveva avidamente suo figlio. Poi volle ricamare da sécerti fini abitinidi una eleganza complicatama sìperabbigliarlo. E così il piccolino fu avvolto in un nimbo ditrineebbe cuffie a bizzeffetutte belle. Non parlava piùche di queste cosine: interrompeva la conversazione perché siammirasse una fasciaun bavaglinouna cuffietta di squisitafatturanon badava a quel che si diceva intorno a leima siestasiava su uno di questi oggetti di biancheria girandolo erigirandolo nelle maniper osservarlo meglioe domandava:

"Credeteche sarà bello con questo?" Il baronemamminaindulgevano a quella tenerezza frenetica; ma Giuliano la pensavadiversamente perché turbato nelle sue abitudinidiminuitod'importanza dacché era venuto quel piccolo essereonnipotente e strillante.


"E'insopportabile con quel suo marmocchio" ripeteva egli senza posasmaniosocollericogeloso in fondo del minuscolo essere che glirubava il posto nella casa.


Eratalmente "insopportabile"cioè ossessionata dal suoaffettoche passava le notti seduta vicino alla culla per vederdormire il suo bimbo. Finché il medico si accorse che siesauriva in quella contemplazione appassionata e morbosasenza mairequiesi indebolivadimagriva e tossivae ordinònettamente la separazione. Giovanna si irritòpianseimplorò; ma non si volle cedere. Ogni sera il bambino venivaportato nella stanza della nutricee così la mamma si alzavadi nottea piedi nudi attirata da quella portada quella serraturaper sapere se dormivase si svegliavase aveva bisogno di nulla.Una volta fu trovata là da Giuliano che rientrava tardi (avevapranzato dai Fourville) e d'allora in poi fu chiusa a chiave nellasua stanza per costringerla a restar nel suo letto.


Versola fine di agosto ebbe luogo il battesimo. Padrinoil barone; la ziaLisettamadrina. Il rampollo ricevette i nomi di PietroSimonePaolo: Paolo per l'uso corrente.


Aiprimi di settembre la zia Lisetta ripartì senza scalporeenon se ne accorse nessunotanto la sua presenza e la sua assenzapassavano ugualmente inavvertite.


Unaseradopo il pranzocomparve il curato. Pareva un poco imbarazzatocome se nascondesse qualcosae infattidopo una quantità didiscorsi inconcludentipregò la baronessa e suo marito diconcedergli un breve colloquio. Se ne andarono tutt'e tre lentamentefino in fondo al grande vialeparlando animati fra lorocosìche Giulianorimasto qua con Giovannasi stupiva e si irritava diquesti segreti. Poi volle accompagnare il prete che aveva presocongedoe uscirono insieme andando incontro alla chiesa da cuiveniva il suono dell'Angelus. Faceva frescoquasi un po' freddoesi rientrò nel salone. Già tutti sonnecchiavano unpocoquando Giuliano rientrò improvvisamenterosso in voltofremente di sdegno. Sulla portasenza pensare che Giovanna era lìgridò verso i suoceri:

"Mavivaddiosiete pazzi a buttar via ventimila franchi per quellaragazza!" Nessuno rispose. Egli ricominciò furibondo:

"Nonsi dev'essere scemi fino a questo punto. Non volete dunque lasciarciun soldo?" Allora il barone si rimise dallo stupore e tentòdi fermare quell'energumeno:

"Tacete.Pensate che c'è vostra moglie." "Me ne infischio"gridò Giuliano esasperatopestando i piedi.


"Leisa bene di che si tratta: è un furto a suo danno."Giovannaattonitaguardava senza capire. Domandò che cosac'era di nuovo.


AlloraGiuliano si voltò verso di leila chiamò a testimoniocome parte interessatacome una compagna delusa essa stessa in unbeneficio sperato. Denunziò bruscamente il complotto permaritare Rosalìail dono della tenuta di Barvilleuna tenutache valeva almeno ventimila franchi. E ripeteva:

"Ituoi genitori sono pazzifigliola miapazzi da legare.


Ventimilafranchi! Ventimila franchi! Hanno perduto la testa.


Ventimilafranchi per un bastardo!" Giovanna ascoltava senza emozionesenza collerastupita essa stessa della sua tranquillitàindifferente ormai a tutto quello che non riguardasse il piccino.


Ilbarone soffocava e non sapeva che rispondere: finalmentebattendo ipiedigridando:

"Pensatepiuttosto a quel che dite. Oh infine... infine... èrivoltante. Di chi la colpa se bisogna fare la dote a quella ragazza?Di chi è quel bambino? L'avreste voluta abbandonareora?"Giulianostupito da quella violenzaguardò fissamente ilbarone.


Continuòin tono più calmo:

"Millecinquecentofranchi bastavano. Ne hanno tutte dei figlioli prima di prenderemarito. Che siano dell'uno o dell'altroche importa! Invecese datecosì una vostra tenuta del valore di ventimila franchioltreal danno che ci recatefate conoscere a tutti quel che èsuccesso. Potevate almeno pensare al vostro nomealla vostraposizione..." Parlava con voce severada uomo forte del suodirittodella logica del suo ragionamento. Il baroneturbato daquesto argomento inattesogli restava davanti a bocca aperta.Giuliano intuì il proprio vantaggio e concluse:

"Fortunatamentenon c'è nulla di fatto. Conosco il giovane che la vorrebbesposare. E' un brav'uomoe con lui ci si accomoda. Me ne incaricoio." E uscì senza indugioquasi temesse il seguito dellaconversazionesoddisfatto del generale silenzio che era unconsentimento per lui.


Ilbarone non si poteva dar pace e gridava:

"Ahnonoquesto è troppo!" ma Giovanna alzò gliocchi sul volto agitato del padre e risesìrise di quel suoriso fresco d'una voltadi quando udiva qualche stramberia:

"Papàpapàti sei accorto? Quante volte ha ripetuto: ventimilafranchiventimila franchi!" Mamminapronta all'allegria comealle lacrimeripensò alle furie del generoalla suaindignazioneal suo rifiuto violento di indennizzare la ragazzasedotta proprio da luisentì che il buon umore di Giovanna leallargava il cuoree fu squassata dal suo riso convulso che leriempiva gli occhi di lacrime. Non ci volle altro perché ilbarone subisse il contagioe allora tutt'e tre si abbandonaronoall'ilarità serena e concorde del tempo felice.


"E'strano" disse Giovanna non senza sorpresaquando si furono unpoco calmati "certe cose non mi fanno più nessunissimoeffetto.


Luiormailo considero come un estraneo. Non mi sembra di essere suamoglie. Vedete bene che io mi diverto un mondo alle sue...


allesue... delicatezze..." E così tutt'e tre siabbracciaronointeneriticontentisenza saper neppure il perché.


Madue giorni dopofinita la colazionequando Giuliano era uscito acavalloun giovanottone dai ventidue ai venticinquevestito di unablusa turchina nuovissimaa pieghebene stiratale maniche gonfieentrò dal cancello con aria sornionacome se fosse statonascosto là dal mattinorasentò il fossato deiCouillardgirò attorno alla casa e si avvicinò quasisospettoso al gruppo del platano. Si levò il berretto appenasi accorse di essere stato vistoe faceva gli ultimi passi con ariaimpacciata.


Quandofu abbastanza vicinoborbottò:

"Servovostrosignor baronemadama e la compagnia." Nessuno gliparlavae dovette ben presentarsi:

"SonoDesiderato Lecoq." Chiese il baronegiacché questo nomenon gli diceva niente:

"Ebbene?Che volete?" Davanti alla necessità di spiegare il suocasoil giovanotto finì col turbarsi.


"Ilsignor curato..." balbettòe rialzava e riabbassava gliocchi dal berrettoche teneva in manoal tetto della casa "Ilsignor curato... mi ha detto due parole... per quell'affare..."e si tacque temendo di andare troppo oltre e compromettere i suoiinteressi.


"Qualeaffare?" chiese il barone senza capire. "Io non ne sonulla." L'altro alloraabbassando la vocesi decise:

"L'affaredella vostra cameriera... la Rosalìa..." Giovannacompresesi alzòsi allontanò col suo bimbo.


"Veniteavanti" disse il barone indicando al giovanotto la sedialasciata allora allora da Giovanna.


Ilcontadino sedette borbottando: "Troppo gentile..." easpettòcome se non avesse più niente da dire.Finalmentedopo un altro silenziosi decise e levò gli occhiverso il cielo sereno: "Bel tempo per questa stagione... laterra ne approfitta per quello che ci hanno già seminato..."e tacque di nuovo.


Ilbarone si spazientì e con un tono asciutto riattaccò laquestione:

"Allorasiete voi che sposate Rosalìa?" Qui l'uomo apparvealquanto preoccupatocome se lo si obbligasse a uscire dalle sueabitudini di cautela normanna.


"Secondo"disse con voce più chiarama diffidando sempre. "Puòessere di sì... può essere di no..." "Perbacco!"gridò il barone irritato da questo tergiversare.


"Rispondetefrancamente. E' per questo che siete venutosì o no?

Laprendetesì o no?" L'uomoperplessonon guardava piùche i suoi piedi.


"Sele cose stanno come ha detto il signor curatola prendo; se le cosestanno come ha detto il signor Giulianonon la prendo." "Eche v'ha detto il signor Giuliano?" "M'ha detto che avreiavuto millecinquecento franchie il signor curato che ne avrei avutiventimila. Sta bene ventimilanon sta bene millecinquecento."Allora la baronessasprofondata nella sua poltronasi mise a riderea piccoli sussulti davanti all'ansietà di quel tanghero. E iltanghero la guardò di sbiecocon evidente malumorechénon poteva capire l'innocenza di quell'allegriae aspettava.


"Hodetto al signor curato" tagliò corto il barone per ildisgusto d'un simile mercanteggiare "ho detto che avrete lafattoria di Barville vita natural durantee che un giorno rimarrebbeal bambino. La fattoria vale ventimila franchi. Io non ho che unaparola. E' fattosì o no?" Quello sorride con un'ariatutta umile e soddisfatta e diventa perfino loquace:

"Ohallora non dico di no. Non c'era che questo contrasto. Quando ilsignor curato mi parlòfui subito contentoperdinci! e poiero contento di far piacere al signor baroneche poi mi rivedràmi dicevo... Non è forse vero che quando ci si obbligatrapersonesi finisce col ritrovarsi? Ma il signor Giuliano èvenuto da me e mi ha detto che erano millecinquecentoniente dipiù...


Iomi sono detto: bisogna sapereed eccomi qua. Non dico che non avevofiduciama volevo sapere. Patti chiari e amicizia lunganosignorbarone?" Ora bisognava arrestarloe il barone gli chiese quandovoleva fare il matrimonio. Allora quello ridiventa di colpo timidoimbarazzatoesitante. Alla fine si arrischia:

"Vogliamointanto scrivere in un pezzetto di carta?" Questa volta ilbarone si arrabbia davvero:

"Macorpo d'un canenon avete il contratto di matrimonio? Non èquello il miglior documento?" "Ma intanto... intanto"si ostinava il contadino "potremmo scrivere due righe... Ciònon nuocesapete..." Il barone si alzò per finirla.


"Subito.Rispondete sì o no. Se non la voleteditelo. Abbiamo altripretendenti." Fu la paura che decise l'astuto normannoil qualetese la mano come dopo l'acquisto di una mucca:

"Toccatequisignor baroneed è fatto. Guai a chi manca." Ilbarone toccò la manoe chiamò:

"Liduina"(La cuoca si affacciò a una finestra). "Portate unabottiglia di vino." Bevettero per innaffiare l'affare concluso.E il giovanotto se ne andò tutto contento.


Giulianoignorò questa visitae il contratto fu preparato in segreto.Poifatte le pubblicazionisi celebrarono le nozze. Era la mattinadi un lunedì. Una vicina portava il marmocchio subito dietrogli sposicome promessa di fortuna. E nessuno ci trovò daridire: ma sembrò piuttosto degno d'invidiaquel DesideratoLecoq. Con un sorriso un po' maliziosodove non c'era neanche un po'di indignazionela gente diceva che egli era nato con la camicia.


Giulianofece una scenata che abbreviò il soggiorno dei suoceri ai"Pioppi". Giovanna li vide partire senza troppo dolore. Oraaveva il suo Paolo: aveva il suo bambino: era felice.




Capitolo9


Giovannasi era rimessa ormai completamente del puerperioe si pensòdi restituire la visita ai Fourville e presentarsi pure al marchesedi Coutelier; tanto più che Giuliano aveva comperato a un'astapubblica una nuova carrozzaun "phaeton" a un solocavalloper uscire almeno due volte il mese. In una bella giornatadi dicembre il "phaeton" fu attaccatoe dopo due ore dicammino attraverso la pianura normanna si cominciò adiscendere in una piccola valle dai fianchi boscosima coltivata giùin basso; finché ai campi seguirono le praterie e allepraterie una palude irta di canne: canne secche il cui fogliame daval'idea di tanti nastri gialli che stridessero al vento. Aun'improvvisa svolta della valle il castello della Vrillette simostrò quasi di colpoaddossato da questa parte a un pendioboscosodall'altra immerso con tutte le mura in un grande stagnolimitato in faccia da una selva di abeti che digradava per l'altroversante. Bisognò passare su un ponte levatoio e varcare ungran portone Luigi Tredicesimo per entrare nel cortile d'onoredavanti a un elegante castello della stessa epocacon torricellecoperte d'ardesia.


Giulianospiegava a Giovanna le varie parti dell'edificioda espertoconoscitorefaceva insomma gli onori di casa estasiandosi a tantabellezza.


"Guardaguardaquesto portone! Di'non ti sembra grandiosa un'abitazionecome questa? Tutta l'altra facciata dà sullo stagnocon unampio scalone che giunge fino all'acqua: quattro barche aspettano infondo ai gradinidue per il contedue per la contessa. Laggiùa destradove vedi quella fila di pioppilo stagno finisce ed èlìche comincia la riviera che va sino a Fécamp.Questa regione è piena di selvagginail conte è ungran cacciatore. Che residenza signorile!" S'era aperta la portad'entrata ed ecco la contessa venire incontropallidasorridentein un abito a strascico come una castellana d'altri tempi. Sembravaproprio la "bella signora del lago" nata per quel manieroda fiaba.


Quattrodelle otto finestre del salone si aprivano sullo stagno e sul cupobosco di pini che risaliva la costa di fronte. Il verdea tonidensirendeva profondoausterolugubre lo stagnoe quando ilvento soffiava i gemiti degli alberi parevano i lamenti della palude.


Lacontessa afferrò le mani a Giovannacome a un'amicad'infanziae la fece sederele si mise vicino su una sedia piùpiccolamentre Giuliano chiacchieravasorridevadomestico eamabilepoiché da ben cinque mesi era tornato alledimenticate eleganze. La contessa parlava con lui delle loropasseggiate a cavallo. Rideva un po' del suo modo di cavalcarechiamandolo:

"CavaliereInciàmpica"; rise con più gusto quando eglipertutta rispostala battezzò "Regina delle Amazzoni".Un colpo di fucile sparato sotto le finestre spaventò Giovannache emise un piccolo grido. Era il conte che aveva uccisoun'alzàvola.


Suamoglie lo chiamò. Uno sbattere di remil'urto della barcacontro la pietraed egli comparvegigantescoin tenuta da cacciaseguito da due cani tutti bagnatirossastri come lui (siaccovacciarono sul tappeto davanti alla porta). In casa sua eglisembrava più disinvoltoaccoglieva con festa gli amici. Fecerimetter legna sul fuocoordinò che si portasse qualcosa:maderabiscotti. "Voi pranzate quisiamo intesi?"Giovanna che non dimenticava il suo bambino oppose un rifiuto; ilconte insistevaGiovanna pure insisteva: allora Giuliano fece ungesto d'impazienza un po' bruscocosì che lei ebbe paura diridestare il cattivo umorel'umore litigioso di luie acconsentìsebbene torturata dall'idea di non rivedere il suo Paolo fino adomani.


Fuun pomeriggio incantevole. Visitarono prima di tutto le sorgenti chescaturivano ai piedi di una roccia vellutata di muschio in un bacinolimpidosmosso come da un'acqua bollente; poi la gita in barcaattraverso i piccoli sentieri tagliati in una selva di cannee ilconte remava seduto fra i due cani che annusavano il vento esollevava la gran barca a ogni tuffo di remi spingendola avanti. Diquando in quando Giovanna immergeva la sua manina nell'acqua gelata egodeva di quel senso di freddo che dalla punta delle dita le correvasu su fino al cuore. Indietroall'estremità della barcarestarono Giuliano e la contessa (la contessa ravvolta negli scialli)e sorridevano insieme di quel sorriso persistente della gente felicea cui la felicità non lascia esprimere più desideri. Lasera scendeva con lunghi brividi gelati; passavano tra i giunchiappassiti i soffi del nord. Il sole era calato dietro gli abeti;restava un cielo rossocrivellato da piccole nubi scarlatte ebizzarreche metteva freddo solo a guardarlo.


Rientrarononel vasto salone dove scoppiettava un fuoco gigante.


Unasensazione di calore e di benessere rendeva allegri anche prima divarcare quella porta. Tanto è vero che il contedivenutogaioafferrò la moglie fra le sue braccia d'atleta esollevandola fino alla sua boccacome avrebbe fatto d'un bimbolescoccò sulle guance due bacioni di brav'uomo soddisfatto.


Giovannasorrise e guardò con simpatia quel buon gigante mascherato daorcocon quei baffie pensava: "Come ci si inganna sempre... esu tutti!". Ma quando girò quasi involontariamente losguardovide Giuliano in piedi nel vano della portaterribilmentepallidocon gli occhi fissi sul conte. Preoccupatagli si avvicinachiede sottovoce:

"Tisenti male? Che hai?" "Nulla" egli rispose quasiindispettito. "Lasciami tranquillo. Ho preso freddo."Quando passarono in sala da pranzoil conte chiese il permesso dilasciare entrare i suoi canie i cani balzarono quasi subito e glisedettero ai lati. Ogni tanto il padrone dava loro qualche bocconecarezzava le lunghe orecchie morbide come la setae le due bestieallungavano la testadimenavano la codafremevano di gioiadi quae di là del padrone.


Dopopranzosiccome Giovanna e Giuliano si disponevano a partireilsignor di Fourville li arrestòli trattenne perchéassistessero a una pesca "alla fiaccola". E cosìvolle che gli ospiti e la contessa si collocassero sullo scalone chedava sull'acquapoi scese in barca con un domestico che aveva inmano una rete e una torcia accesa. La notte era chiara e frizzantesotto un gran cielo seminato d'oro. La torcia rifletteva sull'acquastrisce di fuoco mobili e strane gettando bagliori danzanti sullecanneilluminando tutta la distesa dei pini.


Improvvisamenteavendo la barca viratoun'ombra colossalefiabescaun'ombra diuomo si drizzò su quell'orlo rischiarato del boscoe la testasorpassava gli alberisi perdeva nel cieloe i piedi sprofondavanogiù nello stagno. Poi l'essere smisurato solleva le bracciacome per prendere le stellee queste braccia immani si drizzanobruscamente e ripiombanoe si sente insieme un piccolo sciabordìodi acqua percossa. La barca vira di nuovo debolmente e il prodigiosofantasma sembra correre lungo il boscoora penetrato di luce e poisprofonda nell'orizzonte invisibileper ricomparire meno grandemadelineato più nettamentecon tutti i suoi movimentisullafacciata del castello.


"Gilbertane ho otto!" avverte la grossa voce del conte.


Iremi battono l'onde. Ora la vasta ombra rimane in piedi immobile sulmurodiminuendo a poco a poco di larghezza e d'altezzala testasembra discendereil corpo restringersie quando il signor diFourville risale lo scalonesempre seguito da quello della torcial'ombra è ridotta alle proporzioni della sua stessa personaene rifà i movimenti. Ecco: egli ha in una rete otto grossipesci che guizzano...


QuandoGiovanna e Giuliano si rimisero in cammino bene avvolti nei mantellie nelle coperte prestatedisse quasi involontariamente Giovanna:

"Chebrav'uomo quel gigante!" "Sì" ammise lui cheguidava "ma non sa contenersi davanti alla gente." Ottogiorni dopovisita ai Coutelierche passavano per la prima famiglianobile della provincia. Il loro dominio di Reminil confinava colgrosso borgo di Cany. Il castello nuovofabbricato sotto LuigiQuattordicesimoera nascosto in un parco magnifico circondato damura: da un'altura si vedevano i ruderi dell'antico castello.


Serviin livrea fecero entrare i visitatori in una sala imponente che avevanel mezzo una specie di colonna con sopra un'immensa coppa di Sèvrese nello zoccolodietro il suo cristallouna lettera autografa delsovrano che invitava il marchese Leopoldo Giuseppe de Varneuville deRollebosc de Coutelier a ricevere il dono regale. Giovanna e Giulianoosservavano questa immensa coppa di Sèvres quando entraronomarchese e marchesa. La dama era incipriata: amabile di proposito emanierosa per il desiderio di sembrare condiscendente: luiun grossopersonaggio dai capelli a spazzolabianchimetteva nei gestinellavocein ogni atteggiamentoun'alterigiaun sussiego che dicevacome egli fosse contento di sé: insomma gente cerimoniosa ilcui spiritonon meno dei sentimenti e delle parolesembrava sempresui trampoli. Parlavano sempre lorosenza attendere la rispostaconun'aria d'indifferenzacon sorrisi poco benevolicome sericevendola piccola nobiltà dei dintornicompissero una funzioneimposta loro dalla nascita.


Giovannae Giulianosopraffattisi sforzavano di piacerema non sapevanorimanere e non trovavano il modo di andarsenefinché lamarchesa stessa pose fine alla visita spezzando la conversazione alpunto giustocome una regina chemolto garbatamentecongedi.


Nelritornare a casaGiuliano disse:

"Secredilimiteremo anche le visite. Per me sono sufficienti iFourville." E Giovanna fu di questo parere.


Passavamolto lentamente il dicembremese cupobuco nero in fondo all'anno:ricominciava la solita vita casalinga. E Giovanna non si annoiavaGiovanna era tutta presa da quel piccolo Paolo che Giuliano guardavainvece di traversocon aria inquieta e scontenta. Spessola madrequando teneva fra le braccia il suo pargolo e lo vezzeggiava con lafrenesia di tenerezze che le donne hanno sempre pei figlilopresentava al padre e diceva: "Ma bacialo dunque! si direbbe chenon gli vuoi bene!" e lui sfiorava appenacon disgustolafronte glabra del piccolopoi descriveva un arco con tutto il suocorpo quasi per evitare il moto incessante di quelle manine grinzosee se ne andava via subito poiché non sapeva vincereforseuna ripugnanza istintiva.


Ilsindacoil medico e il curato venivano a pranzo di tanto in tantoma era coi Fourville che si stringevano sempre più fortilegamiIl contepoisembrava adorare il bambino! Lo teneva sulleginocchia durante tutta la visita; ed anche per interi pomeriggi; eallora lo maneggiava delicatamente con quelle sue grosse mani dicolossogli solleticava la punta del naso co' suoi lunghi baffoni olo abbracciava con un vero slancio di passionecome fanno le mamme.Soffriva della sterilità di sua moglie.


Marzofu chiaroasciuttoquasi dolce. La contessa Gilberta riparlòdi passeggiate a cavallodi quelle passeggiate che avrebbero fattotutt'e quattro insieme. Giovannaun po' stanca delle lunghe seratedelle lunghe nottidei giorni uguali e monotoniconsentivalietamente ai progettie così preparò la sua amazzonee fu lo svago di una settimana. Poile escursioni. Essi andavanosempre a due a dueavanti la contessa e Giulianocento passiindietro il conte e Giovanna. Il conte e Giovanna parlavanotranquillamente come due amicipoiché erano diventati amicidavvero nel contatto delle loro anime onestedei loro semplicicuori; mentre quegli altri due parlavano sottovoce o ridevano conimprovvisa violenza o si guardavano come se volessero dirsi con gliocchi ciò che non si dicevano con le labbra oppure sislanciavano al galoppocome sospinti dall'idea di fuggire: sìsìlontanopiù lontano ancora... Poi Gilberta parveirritabile; la sua voce stridulaportata dal ventogiungevatalvolta agli orecchi della coppia che seguiva a cavallocon piùcalma.


"Miamoglie non si alza sempre di buon umore" diceva allora il contea Giovanna.


Unaseramentre tornavano verso casala contessa eccitava la suacavalla e la speronava e poi la tratteneva con bruschi strattonieil suo compagno le ripeteva ogni volta: "Vi prenderà lamanobadate!". La contessa rispose: "Meglio così.Non è cosa che vi riguardi" e il tono fu cosìnettocosì duro che le parole risuonarono intorno comesospese nell'aria.


L'animalescalpitavasi impennavala bava alla bocca.


"Sta'in guardiaGilberta" gridò il conte inquieto con tuttala forza de' suoi polmoni.


Alloracome a sfidarloin uno di quegl'impeti nervosi di donna che nessunoarrestala contessa colpì la sua bestiala colpì frale orecchie col frustinocosì che essa cominciò adimpennarsi furiosabatté l'aria con le zampe anteriorisiabbassò e si riprese con la potenza di un balzo e fini collanciarsi nella pianura come a divorarla. Da prima oltrepassòuna prateriapoi si precipitò sul coltivato sollevando nembidi terra umida e grassae continuò così rapida cheamazzone e cavallo si distinguevano appena.


"Contessa!Contessa!" chiamava disperatamente Giuliano rimasto al suoposto.


Mail conte dietro grugnìe curvandosi sulla groppa del suopesante animalelo gettò avanti con la spinta di tutto il suocorpo; e lo lanciò con tal impetoeccitandolotrascinandolospaventandolo con la voceil gestolo sproneche l'enormecavaliere parve portare la gran bestia fra le sue cosce e sollevarlaa volo. Giovanna vedeva laggiù in fondo i due profiliquellodella moglie e quello del maritofuggirediminuireimpallidirecosì come si vedono due uccelli che si inseguono perdersiall'orizzontesvanire. Giuliano si avvicinò sempre di passomormorando in tono di dispetto a Giovanna:

"Credoche quella sia pazzaoggi." E mossero entrambi dietro i loroamicinascosti in quel momento da un'ondulazione della pianura. Dopoun quarto d'orali videro tornare e li raggiunsero. Il conterossoin voltotrionfantesudatobeatoteneva nel suo pugnoirresistibile il cavallo fremente di sua moglie chepallidissimacon un volto tutto dolente e convulsosi appoggiava con una manoalla spalla di lui quasi stesse per svenire. Giovanna comprese quelgiorno che il conte amava perdutamente sua moglie.


Pertutto il mese seguente la contessa fu allegra come non mai.


Venivaai "Pioppi" anche più spessorideva di continuoabbracciava l'amica con veri slanci di tenerezza; si sarebbe dettoche un misterioso fascino fosse disceso sulla sua vita; e il suogigantebeatissimo anche eglinon cessava mai di guardarlatoccarlatoccarle la manoil vestitoin un continuo accrescimentod'amore.


"Inquesto momentosiamo felici" diceva una sera a Giovanna.


"Maimai Gilberta è stata così gentile con me. Non èpiù di cattivo umorenon è mai in colleramai... Miama... mi amasento che mi ama. Prima d'ora non ne ero sicuro..."Anche Giuliano sembrava cambiato: più allegromenoirritabile.


Forseche la comune amicizia aveva portato la pace e la gioia in ciascunadelle due famiglie?

Laprimavera fu stranamente calda e precoce. Dall'inizio del dolcemattino fino alla calma e tiepida serail sole faceva germogliare lasuperficie della terra; ed era come un brusco e potente rigoglìodi tutti i giorni enello stesso tempouna di quelle irresistibiliondate di vitauno di quegli ardori di rinascita che la naturasfoggia talvolta in certe annate privilegiate che farebbero credereal ringiovanire del mondo. Questo fermento di vita turbava vagamenteGiovanna che era capace di provare un languore improvviso davanti aun fiorellino nato fra l'erbao malinconie delizioseore dimollezza fantastica. Poi l'assalivano perfino i ricordi teneri teneridei primi tempi d'amorebenché sapesse bene che non potevavenir dal suo cuore un nuovo moto d'affetto per lui (ohtutto ciòera finitofinito)ma la sua carneaccarezzata dall'ariapenetrata dai profumi della primavera si turbava come incitataistigata da una voce invisibilemorbida. Si compiaceva di esseresolasi abbandonava sotto il tepore del solesi sentiva percorsa dasensazioni vaghe e serene che le lasciavano inerte il cervello. Inuno di questi assopimentiuna voltale tornò fulmineo ilricordo del vano soleggiatoche si apriva nel denso fogliame delboschetto di Étretatlà dove per la prima volta avevasentito fremere il suo corpo accanto all'uomo che amava (allora loamava)là dove aveva balbettato per la prima volta il primodesiderio del cuoredove aveva creduto di trasformare le speranze invita vera. Rivedere il piccolo bosco farvi una specie dipellegrinaggio sentimentale e superstizioso come se il ritorno a quelluogo potesse variare il corso dei suo destino!

Giulianonon c'erané lei sapeva dove fosse andato fino dall'alba.Fece dunque sellare il piccolo cavallo bianco dei Martindi cui siserviva qualche voltae partì. Era una di quelle giornatetranquille in cui nulla si muove foglia o filo d'erbae tutto restaimmobile per semprecome se il vento fosse per sempre caduto:sembrava perfino un'immobilità senza insetti.


Venivainsensibilmente dal sole una calma ardente e suprema e come avvoltain aereo vapore; e lei se ne andava felicebeataal lento passo delsuo ronzinoalzando gli occhi di tanto in tanto verso una nuvolettabianchissimanon più grossa di un ciuffo di cotonefiocco divapore sospesodimenticato lassùrimasto solo in mezzoall'azzurro.


Discesenella valle che finiva nel maretra quegli archi della scogliera chesi chiamavano porte di Étretate a lenti passi giunse fino albosco. La luce pioveva tra il verde ancora coperto di brina. Giovannacercava quel luogo senza trovarloerrando per quei piccoli sentierifinché improvvisamentetraversando un viale più lungovide laggiù in fondo due cavalli da sella legati ad un albero.Li riconobbe: GilbertaGiuliano! La solitudine cominciava a pesarleed ora si allietò di quell'incontro insperato mettendo altrotto il suo cavallino. Quando raggiunge le due bestie pazienti ecome abituate alle lunghe sosteGiovanna chiama: nessuno risponde.Un guanto di donnadue frustini sull'erba calpestata. Dunque si sonoseduti qui! Poi si sono allontanatilasciando i cavalli... Aspettaun quarto d'oraventi minutimezz'orasenza capire che cosa maipossano fare quei due.


Scesadi sellasi appoggia al tronco di un albero e resta immobile; dueuccelliniche non l'hanno vistasi posano sull'erbavicinissimi alei: uno si agita e saltella intorno all'altro con le ali sollevate evibrantibisbigliando e movendo il capinoed ecco i due pennuti siaccoppiano. Pensa Giovannasorpresacome se non sapesse quellacosa: "E' verosìprimavera". Ma le balena unpensieroun sospetto; guarda di nuovo il guantoi frustinii duecavalli abbandonati: balza subito in sella con la voluttà difuggire. Viaviadi galoppoverso i "Pioppi"! La mentelavoraragionariunisce i fattiriavvicina le circostanze... Ohcome non ha capito prima? Come non ha capito mai nulla? Le assenze diGiulianoil suo ritorno alle passate eleganzeil suo caratterepacificato. E poigli scatti nervosi di Gilbertale sue smorfieesageratequella specie di beatitudine in cui la piccola contessaviveva da qualche tempoquella beatitudine che mandava il marito insolluchero...


Giovannarimise al passo il cavalloperché le serviva riflettere moltoe il passo veloce le disturbava le idee. Mapassata la primaemozioneeccoil suo cuore calmo. Senza odiosenza gelosiamacolmo - questo sì - di disprezzo. Nonon pensava a Giuliano(poteva stupirsi ancora di lui?)ma era il duplice tradimento dellacontessadella sua amicache la nauseava. Tutti erano dunquementitoriperfidi e falsi? Gli occhi le si riempirono di lacrime. Sipiangono pure le illusionitalvoltacon la tristezza con cui sipiangono i morti...


Cosìdecise di fingeredi non saper nulladi chiudere il cuore agliaffetti correntidi non amare più che i genitori e ilpiccinodi sopportare gli altri con calma. Appena rientrata in casasi gettò sul suo figliolinolo portò nella sua stanzalo tenne stretto al senointerminabilmentesenza saziarsene. Equando Giuliano tornò per il pranzoamabilesorridentepieno d'intenzioni cortesichiese perfino: "Babbo e mammina nonvengono dunque ai Pioppi quest'anno?" lei gli fu cosìgrata di questa gentilezza che quasi quasi gli perdonò larecente infedeltà e non ebbe più che quel desiderio:rivedere le due persone che nel cuore venivano subito dopo ilbambinoe passò la serata a scrivere una lettera in cuichiamavareclamava i suoi cari.


Essiannunziarono il loro arrivo per il 20 maggio. E si era ancora al 7!Giovanna li aspettava con impazienza sempre crescentecome seprovasseoltre all'affetto filialeun bisogno nuovo di mettere ilsuo cuore a contatto di cuori virtuosiparlare a viso aperto congente probalibera da ogni infamiagente scrupolosa e perfetta dicui non si potesse rimproverare un tristo desiderioun cattivopensiero. Perché ciò che sentiva adesso piùvivamente era l'isolamento della sua coscienza onesta in mezzo atutte quelle coscienze corrotte; e benché avesse imparato adissimularebenché continuasse a ricevere la contessa con lamano tesa e col sorriso sulle labbraquesta sensazione di vuoto e didisprezzo cresceva a dismisurafino ad avvolgerla tuttae ognigiorno si aggiungevano le brutte novità del paese adaumentarle il disgusto che era come una disistima dell'umanità.Ecco: la figlia dei Couillard aveva avuto un bambinoma si sarebbepresto sposata. La serva dei Martinquell'orfanellaera incinta:un'altra vicina che non aveva più di quindici annieraincinta: e c'era anche una vedova incintaquella disgraziata"Pillacchera"così chiamata per il suo sudiciume.Ogni tanto si veniva a sapere di una nuova gravidanzadellascappatella di una ragazzadi una contadina maritata e madre difamigliadi qualche ricco e facoltoso fittavolo. Quell'ardenteprimavera sembrava avesse sconvolto insieme la linfa degli uomini equella delle piante. Giovanna restava confusasbalorditapiena diripugnanza e quasi d'odio per questa grande sconcezza della naturaanche perché i suoi sensi erano spenti e solo il cuore feritoe l'anima intenerita parevano ancora un po' mossi dagli aliti tepidie fecondatoritanto che si esaltava senza desideri e si appassionavad'idealeimmunizzata dalle necessità della carne.L'accoppiamento degli esseri la indignava ormai come una cosa contronaturae il suo rancore per Gilberta non era perché le avessesedotto il maritoma perché era caduta nel fango universaleleileiche non era della razza dei contadini dove i bassi istintipredominano. Come dunque aveva potuto darsi alla maniera dei bruti?

Ilgiorno stesso in cui dovevano arrivare i due vecchi Giuliano ravvivòle sue ripugnanze raccontandole allegramentecome cosa naturalissimae divertenteche ieri mattina il fornaioavendo udito rumore nelfornoe non era giorno di cotturaaveva pensato di sorprendere untopo e aveva trovato invece sua moglie chenaturalmente"noninfornava del pane".


"Ilfornaio tappò l'aperturadi modo che per poco quei due nonsono morti soffocati là dentro. Ed è stato il figliominore ad avvertire i viciniavendo visto sua madre entrare nelforno. Ci fanno mangiare del pane d'amore quei briganti là"aggiungevadivertitoGiuliano.


Giovannanon osava più toccare il pane.


Quandola carrozza di posta si fermò davanti alla gradinata e siaffacciò allo sportello il viso beato di suo padreGiovannanon poté nascondere una emozione profondaun impetuososlancio d'affettoun'espansione ardente dell'anima. Ma restòcolpitaquasi si sentì venir menoallorché videmammina. Invecchiata!

Invecchiatadi dieci anni in sei mesi. Le sue enormi guance ricadevano flosceimporporatequasi gonfie di sangue; lo sguardo sembrava ormaispento; la poveretta non poteva muoversi più se non sostenutasotto le braccia; e la penala pena di quella respirazione semprepiù difficilesempre più faticosache sibilava! Ilmarito l'aveva sott'occhio ogni giorno e non si era accorto di tantadecadenzacosì che quando la poveretta si lamentava di quelsuo soffocamento continuodi quella sua crescente pesantezzaeglirispondeva invariabilmente che "l'aveva conosciuta sempre così".


Giovannadopo averli accompagnati nella loro stanza andò a piangerenella suasmarritasconvolta. Poi volle vedere suo padre da soloegli si gettò sul petto con gli occhi pieni di lacrime.


"Lamammala mamma! Com'è cambiata! Che ha? Dimmi tu che ha!"Egli era rimasto sorpreso.


"Credi?...Che idea? Ma no... Io che non l'ho mai lasciatati assicuro che nonla trovo maleohproprio per niente. Sempre è stata così."La sera Giuliano disse a sua moglie: "Tua madre ha una granbrutta cera. Ho paura che... ". E poiché Giovannascoppiava in singhiozziegli si impazientì subito. "Andiamoandiamonon dico mica che sia agli estremi. Tu sei sempre la grandeesaltata. Si capisce che tua madre sia cambiata: è l'età."In capo a otto giorni Giovanna era già tranquillizzata. Avevafatto l'abitudine alla fisionomia di sua madree così forserespingeva i suoi timori come si respingono le paurele ansietàle apprensioniper una specie d'istinto egoistaper un bisognonaturale di serenità dello spirito. La baronessaormaiimpotente a camminareusciva tutti i giorni per una mezz'oretta; nonpiù.


Quandoaveva percorso una sola volta il "suo viale"rinunziava amuovere un altro passo e voleva sedere sulla "sua" panca;quando poi si sentiva incapace di finire la passeggiata dicevainvariabilmente:

"Fermiamoci.La mia ipertrofia oggi mi tronca le gambe." Non rideva più.Le cose che l'anno prima l'avrebbero fatta sussultareora non lestrappavano che un lieve sorriso. Ma la vista era buona e lepermetteva di consumar le giornate a rileggere "Corinne" ele "Meditazioni" di Lamartine: poi voleva che le portasseroil cassettino dei "ricordi"e si vuotava in grembo levecchie lettere care al suo cuoreappoggiando il cassetto sullasedia vicinaper rimetterle dentro a una a unale sue dolci"reliquie"dopo averle così ripassate. Quando erasolaproprio solane baciava qualcuna come si baciano - di nascosto- i capelli dei morti che si sono molto amati.


TalvoltaGiovannaentrando improvvisamentetrovava mammina che piangeva.Piangeva le sue tristipovere lacrime.


"Chehaimammina?" "Sono le mie reliquie che mi fanno piangere"rispondeva mammina con un lungo sospiro. "Si risvegliano dellecose... delle cose che erano tanto belle e che non sono più. Epoi ci sono delle persone a cui non si pensava affatto e che ungiorno si ritrovano come se risuscitassero. Si ha l'impressione divederledi sentirle parlare... Che effetto! Un effetto spaventevole:lo proverai più tardifigliola." In quei momenti dimalinconia sopraggiungeva qualche volta il baronee diceva:

"SentiGiovanna. Brucia le tue letterequelle di tua madrele miebruciabrucia. Non c'è niente di peggioquando si è vecchiche rimettere il naso nella propria giovinezza." Ma Giovannainvece conservava la sua corrispondenzapreparava la scatola delle"reliquie"obbedendo a una specie d'istinto ereditariodisentimentalismo fantasticobenchéin veritàfossetanto diversa da sua madre.


Ilbaronedopo qualche giornodovette assentarsi per un suo affareepartì.


Stagioneincantevole! Le notti dolcissimeformicolanti di stellesuccedevanoalle tiepide serele sere calme ai giorni luminosii giorniluminosi alle aurore che sfolgorano. Mammina si sentiva giàmolto meglio; Giovanna aveva già dimenticato gli amori diGiuliano e Gilberta ed era poco meno che felice. Tutta la campagnaera fiorita e profumata e il gran maretranquillo semprerisplendeva sotto il soledall'alba al tramonto.


Giovannaun pomeriggioprese Paolo fra le braccia e se ne andò per icampi. Guardava ora suo figlioora l'erba screziata di fiori lungola stradae si lasciava portare da una felicità senza frenobaciando di continuo il bambino oppure lo stringeva appassionata oanche si sentiva accarezzare da quella brezza profumata dellacampagna e le sembrava di venir menodi perdersi come in un infinitobenessere. E sognò l'avvenire di lui. Che sarebbe maidiventato il piccino? Ora lo voleva un grand'uomoun uomo famosopotente. Ora lo preferiva invece umile umileche rimanesse presso dileidevototenerole braccia sempre aperte a mammina. Quando loamava col suo egoismo di madrepretendeva che restasse suo figlionull'altro che suo figlio: quando lo amava con la sua intelligenzaappassionataaspirava diventassenel mondoqualcuno. Lo guardavaseduto sulla riva di un fosso.


Lesembrava di vederlo per la prima volta. E sbigottìimprovvisamentesbigottì al pensiero che quell'esserinosarebbe diventato grandeche avrebbe camminato con un passo fermoavrebbe avuto la barbaavrebbe avuto un vocione. Da lontano qualcunochiamava. Sollevò la testa. Ohera Mario. Pensò cheegli annunciasse una visita ai "Pioppi" e si alzòcontrariata mentre il ragazzo che giungeva a spron battuto gridava:

"Signorala signora baronessa sta male." Ebbe un'impressione come d'acquafredda che le scendesse giù per la schiena. Sbalorditaquasicorrendosi avviò. Di lontano vide un crocchio di gente sottoil platanoallora si slanciò e fu quandoapertosi il gruppovide sua madre stesa a terracon due guanciali che le sostenevano ilcapo. Faccia neraocchi chiusi; e quel petto che da venti anniansava non si muoveva più. La nutrice tolse pronta il piccinoalle braccia materne e lo portò via.


Giovannadomandòquasi violenta:

"Cheè successo? Com'è caduta? Subitoa chiamare ilmedico." Mavolgendosiscorse il curatochiamato da non si sachiche offriva i suoi servigisi preparava rimboccando le manichedella sua tonaca. Ma l'acetol'acqua di coloniale frizioninienteserviva.


"Bisognerebbespogliarla e metterla a letto" avvertì il prete.


Ilfattore Giuseppe Couillard era lìe anche papà Simonee Liduina. Aiutati dall'abate Picotessi decisero di trasportare ilcorpo della baronessa; ma non appena l'ebbero sollevatola testa sirovesciò all'indietro e il vestito subì un largostrappotanto era pesante e difficile a muovere. Giovanna si mise agridare inorriditae il corpo enorme inerte fu riadagiato per terra.


Allorasi pensò a una poltrona del salone: sederla sulla poltronasollevarla così. Passo a dopo passo salirono la gradinatapoila scalaecco la sua stanzail suo lettoe la depositarono sulletto. Ma qui la cuoca non riusciva a spogliarla da solaed eccofarsi avanti al momento giustovenuta improvvisamentecome ilpretela vedova Dentu: forse che l'uno e l'altrasecondo ilpensiero dei domesticiavevano sentito l'"odore della morte"?

GiuseppeCouillard partì a spron battuto in cerca del medico mentre ilprete pensava all'olio santoma l'infermiera che la sapeva lunga glidisse una cosina all'orecchio:

"Nondisturbatevisignor curato. E' passata." Giovannacome pazzaimploravanon sapeva che farenon sapeva che tentarecercavaancora nella sua povera testa un rimedio. Il curatoa ogni buoncontobrontolò l'assoluzione. E per due ore si aspettòdavanti a quel corpo inanimatoviolaceo; e Giovanna aspettòsinghiozzandoin ginocchiodivorata dal dolore e dall'ansia. Finchéla porta si aprì e il medico apparvee le sembrò cheportasse la salutela consolazionela speranzae gli si slanciòcontro balbettando tutto quel che sapeva.


"Passeggiavacome tutti gli altri giorni... stava bene... quasi benissimo... avevapreso un brodo e due uova a colazione... è divenuta nera com'èadesso... e... e non si è più mossa... abbiamo fatto ditutto per rianimarla... di tutto..." Tacquecolpita da quelpiccolo cenno che l'infermiera aveva fatto al sopraggiunto:

forse...forse per dire che tutto era finito... finito? Rifiutò dicapiresi volse ancora al medicococciuta:

"E'grave? Credete che sia grave?" Finalmente il medico dice:

"Temopurtroppo che... che sia finito... finito... Bisogna farsi coraggioun gran coraggio..." Giovanna aprì le braccia e si gettòsul corpo di sua madre.


IntantoGiuliano rientrava. Egli restò cosìsenza un grido didolore e di sconforto apparentema piuttosto stupitoanzicontrariatoe preso troppo alla sprovvista per assumere un contegnodi circostanza! Non seppe che dire: "Me l'aspettavo...


sentivoche la fine era prossima... e cercò un fazzolettosi asciugògli occhisi inginocchiò si fece il segno della santa croceborbottò qualche cosa erialzandosivolle pure che sirialzasse sua moglie. Giovanna non dava retta: si stringeva con forzaal cadavere e lo baciavacosì tutta sottosopra. Bisognòportarla via a viva forza. Sembrava impazzita.


Dopoun'ora la si lasciò tornare. Non c'era più alcunasperanza.


Lastanzatrasformata in camera ardente. Il prete e Giuliano parlavanosottovoce presso la finestra. La vedova Dentu si assopiva in unacomoda poltronada donna abituata alle veglie e che si sente a suoagio là dove è entrata la morte. Cadeva la sera. Ilcurato si avvicinò a Giovannale prese le manicercòdi farle animo versando in quel povero cuore l'onda untuosa deiconforti chiesasticiparlò della mortala celebrò intermini sacerdotalimostrandosi triste di quella falsa tristezza deipreti per i quali un cadavere rappresenta pur sempre un beneficio:

infinesi offrì di passar la notte pregando accanto al cadavere.


Giovannarifiutò fra i singhiozzi. Nono: voleva essere solaassolutamente solain quella notte d'addio "Non èpossibile" dichiarò Giuliano facendosi innanzi "Be'allora resteremo insieme..." Nonodiceva sempre no con latestaincapace ormai di aprir bocca.


"E'mia madre" poté dire finalmente. "Voglio vegliarlada sola." Il medico intervenne.


"Lasciatelafare a modo suo. L'infermiera resterà nella camera accanto. Vabene?" Il prete e Giulianopensando ai loro lettiacconsentirono.


L'abatePicot si inginocchiò ancora una voltapregòsirialzòuscì dicendo: "Era una santa!" con lostesso accento con cui diceva: "Dominus vobiscum".


"Vuoiprendere qualche cosa?" chiese Giuliano a sua moglie con la suavoce di sempre.


Giovannanon rispose. Non si era neppure accorta che egli parlasse con lei.


"Farestibene a mangiare qualcosa per sostenerti un pochino..." Ripetécon aria smarrita:

"Mandasubito a chiamare papà." Egli uscì per inviare unmesso a Rouen.


Giovannarestò accasciata in un dolore immobilecome se perabbandonarsi all'onda di questo disperato rimpianto avesse attesoproprio quest'ora ultima da passare con la mamma. Le ombre avevanoinvaso la stanzacome coprendo la morta di tenebra. La vedova Dentugirava qua e là col suo passo leggerocercandomettendo apostocoi suoi gesti d'ombraoggetti invisibili. Ecco: accendevadue candelele posava sul comodino accanto al lettosu quellatovaglietta candida candida. Pareva che l'altra non vedessenonsentissenon comprendesse nulla. Aspettava di essere sola.


Giulianorientrò. Aveva pranzato. Di nuovo azzardò:

"Proprio?Non vuoi prendere niente?" Giovanna fece segno di no con latesta.


Eglisi sedette con un'aria più rassegnata che tristee rimasecosì senza parola. Tutt'e trenon viciniimmobili sulle lorosediein silenzio. Poi l'infermiera cominciò a sonnecchiarerussava un po'si svegliava di soprassalto. Infine Giuliano si alzòsi avvicinò a sua moglie in punta di piedi.


"Vuoirestar solaora?" "Ohsìlasciami!" risposelei prendendogli la mano in uno slancio involontario.


"Torneròa vederti di tanto in tanto" promise Giulianoe la baciòsulla fronte.


Uscìcon la vedova Dentuche spinse la sua poltrona nella stanza vicina.Giovanna chiuse la portapoi aprì le finestretutt'e due.Carezza d'una sera di fienagione! Il fieno della prateriafalciatoil giorno innanziera steso sotto la luna. Ma quella sensazionedolcissima le fece male: non era come un'ironia? Meglio ritornarepresso il lettoprendere una di quelle mani fredde e inertiguardare a lungoa lungo la mamma...


Ohnonon era più così gonfiae dormivadormivaplacidamente come non le accadeva più da gran tempo. Le fiammedelle candeleagitate dai soffi d'ariamuovevanodiradavano ombresul suo viso come se la facessero rivivere: eccoeccosi èmossa. Giovanna guardava avidamentee quale folla di ricordiaccorreva dalla fanciullezza lontana! Ecco le visite di mamma alparlatorio del conventoil gesto con cui le porge il cartoccetto deidolciquei piccoli particolaripiccoli fattipiccole tenerezzeigesti familiarile pieghe degli occhi di quando rideil gransospiro soffocato di quando si mette a sedere. E ora restava làa contemplarla e ripeteva in quella specie d'intontimento: "Morta...


morta..."e allora capì che cosa voleva dire questa parola. Quella donnache giaceva immobilela mammamamminamadama Adelaideera propriomorta? Non si muoverà piùnon parlerà piùnon riderà piùnon pranzerà più sedutadi fronte al papànon dirà più:

"BuongiornoGiannetta". Mortamorta. La inchioderanno in una cassala seppellirannoe tutto è finito. Non la si vedràpiù. Ma è possibile? Come? Leilei non avrà piùmamma? Quel caro volto così familiareun volto che si èvisto da quando si sono aperti gli occhiun volto che si èamato da quando si sono aperte le bracciaquell'affetto cosìdiverso da ogni altroquell'essere amicola madrela mammal'essere superiorel'essere preferito dall'anima fra tutti gli altriesseri... nienteniente:

scomparso.La figliola non ha più che poche ore per contemplare quelvoltoun volto immobile e senza pensieroe poi... nienteniente:un ricordo. S'abbandona sulle ginocchia in una crisi di disperazionetorce il lenzuolo con le mani convulsepreme la bocca sulle copertegrida: "Mammamammamia povera mamma". Le sembra diimpazzire come quella notte che era fuggita attraverso la neve. Sirialzacorre alla finestracome per rinfrescarsiper bere un po'd'ariaariaaria nuovache non sia quest'aria di morte. Il marela landacome riposano laggiù in una pace silenziosae anchegli alberianche le erbe tagliatesotto la soavità dellaluna! Come penetra nel cuore di lei questa dolcezza calmantee ilpianto si fa più dolce anch'essopiù sommesso...


Cosìsi riavvicina al lettosi siederiprende la mano di mammina come sela vegliasseammalata. E' entrato un grosso insetto nella stanzaforse attirato dal lumerimbalza contro i muri come una pallava dauna parete all'altra come impazzito. Giovanna lì per lìsi distrae da quel volo ronzantealza gli occhinon vede cheun'ombra errante nel chiarore del soffitto. Non lo sente più.


Alloraecco il tictac leggero della pendolaecco un rumore anche piùpiccoloo piuttosto un ronzìo come di insettoquasiimpercettibile. Ah! l'orologio! l'orologio di leidi mamminachecontinua a camminare nell'abito buttato su una sedia ai piedi delletto. Strana cosa! Il confronto fra la morta e quel piccolomeccanismo che non si è mica arrestato! Guarda l'ora. Le diecie mezzosoltanto. E la paura folleimprovvisa di questa notte dapassare qui dentrotuttatutta!

Altriricordialtre cose della sua vita: RosalìaGilbertatanteamarezze del cuore... Tutto dunque non è che miseriadoloresventurasolitudinemorte. Tutto ingannatutto mentetutto fasoffrire e tutto fa piangere. Dove trovare un po' di riposoun po'di gioia? Sìforse in un'altra esistenza; quando l'anima saràlibera da questa lunga prova terrena. L'anima! Fantastica su questomistero impenetrabile; accetta a un tratto ipotesi poeticheledistrugge con altre ipotesi vaghe. Dov'è ora l'anima di suamadre? dov'è l'anima di quel corpo immobile e gelato?

Lontanoforse molto lontano. In qualche parte dello spazio? Ma dove?Evanescente come il profumo di un fiore disseccato? Vagante come unuccellino invisibile fuggito dalla sua gabbia? Richiamata a Dio?Dispersa a caso fra nuove creazioniconfusa insieme coi germiprossimi a sbocciare? Vicinissima forse? In questa stessa stanzaattorno a questa carne inanimata che pure ha lasciato? Ah che paura!Le sembra a un tratto di sentirsi sfiorata da un soffio come dalcontatto di uno spirito. E' una paura atroce e violenta; il cuore ètutto un rombo di battiti; non osa muoversirespirarevoltarsi...Ahl'insettol'insetto invisibileche ha ripreso il suo volochesbatte sul muro e giragira! Rabbrividisce e poi si calmaquasicontenta di aver riconosciuto il ronziosi alzasi volta e i suoiocchi vedono... Ohguarda! lo stipetto con le teste di sfinge ilmobile delle "reliquie"! Oh Dioche strana idea! Se inquest'ultima veglia si mettesse a leggere - come si legge un libro dipreghiere - le vecchie lettere così care a mammina? Non ècome compiere un dovere delicato e sacroqualcosa di veramentefilialequalcosa che farà piacere a mamminadi là?

E'l'antica corrispondenza del nonno e della nonnache non haconosciuto. Vuol tender loro le braccia al di sopra del corpo dellaloro povera figliolaandar incontro a loro in questa notte funereacome se ne soffrissero anch'essivuol formare una specie di catenamisteriosa di tenerezza tra quei morti di allora e colei che ora oraè scomparsa e lei stessa che rimane ancora di qua. Si alzaapre lo stipettoafferra nell'ultimo cassetto una decina di queipiccoli pacchetti ingialliti: quei piccoli pacchetti così benlegatidisposti con tanto ordine. E li depone sul lettoquiquifra le braccia della mortacome per una raffinatezza del suosentimentoe comincia a sfogliaree legge: "Mia cara""mia cara piccina""cara figlietta""miacarina""mia figlia adorata""mia carabambina""mia cara Adelaide"gli inizi delle lettereche variano secondo che erano indirizzate alla bimbaalla fanciullaalla dama... Tutte così piene di tenerezze appassionate epuerilidi mille piccole cose intimedi quei grandi e sempliciavvenimenti della famigliacosì meschini per gl'indifferenti.


"Papàha l'influenza""Ortensia (la cameriera) si èbruciata un dito""Mangiatopi (il gatto) è morto""il pino a destra del cancello è stato abbattuto""la mamma ha perduto il suo libro da messa nel ritornare dallachiesama crede che gliel'abbiano rubato"... Personesconosciute a Giovanna; ma lei si ricorda un po' vagamente di averlesentite ricordareuna voltalaggiùnell'infanzia...S'intenerisce a tutti questi particolari che le sembrano vere eproprie rivelazionicome entrasse improvvisamente in tutta una vitain tutta una vita segretanella vita del cuore di mamma. Alza gliocchi sul corpo gelido e poiquasi di furiasi mette a leggere adalta vocee leggesìper la mortacome per distrarlacomeper consolarla. E mammina sembra felice.


Auna a una getta le lettere ai piedi del lettoe pensa che bisognadeporle nella bara come vi si deporrebbero fiori. Scioglie un altropacchetto. E' una scrittura nuovaquesta volta.


Comincia:"Non posso più fare a meno delle tue carezzeti amo allafollia...". Niente più; nessun nome. Volta il fogliettosenza comprendere. Pure c'è l'indirizzo: "alla signorabaronessa Le Perthuis des Vauds". Apre la seconda lettera:"Vieni questa seraappena lui sarà uscito. Avremo un'oraper noi. Ti adoro".


Apreuna terza lettera: "Ho passato una notte di delirio adesiderarti inutilmente. Avevo il tuo corpo fra le bracciala tuabocca sulle mie labbrai tuoi occhi sui miei occhi. E poi mi sentivoprendere da un tal furore che mi sarei buttato dalla finestra alpensiero che tu nella stessa ora dormivial suo fiancoche egli tipossedeva...". Non capisce. Che è questo? A chiper chidi chi queste parole d'amore? China la testa; continua. Sempredichiarazioni appassionateappuntamentiraccomandazioni diprudenzae in fondo le parole immancabili: "Ti raccomando sopratutto di bruciare questa lettera". Apre infine un bigliettobanalela semplice accettazione di un invito a pranzoma dellastessa scrittura e con la firma "Paolo d'Ennemare":

quelloche il padre chiama ancoraparlandone"il mio vecchio Paolo"e sua moglie è stata la più intima amica di mammina.


Dubbio...certezza... Sìla mamma ha avuto un amante! Respingererespingere quelle lettere infami come respingerebbe una bestiavelenosa salitale a poco a poco sul corpo. E corre alla finestraepiange alla finestra con grida disperatecon grida involontarie chequasi le squarciano la golae poi si accascia giù nascondendola faccia fra le tende perché nessuno oda il suo dolorelasua disperazione infinita. Un rumore di passi nella stanza accanto?

Balzain piedi di botto. Forse suo padre? E quelle letterequelle letteresparse sul pavimentosul letto! Basterebbe che egli ne aprisse una.Saprebbe. Si slanciaafferra a piene mani quelle vecchie carteingiallitequelle dei nonni e quelle dell'amanteanche quelle chenon aveva apertoanche quelle che erano ancora nello stipettolegetta tutte in un fascio nel caminettoaccende il fuoco con una diquelle candele. Divampa la grande fiammatae rischiara la camera dalettoil cadavere con una luce mobile e vivadisegna in nero sulbiancore del cortinaggio in fondo al letto il profilo tremolantedella faccia rigidala linea del corpo enorme sotto il lenzuolo.


Quandonon c'è più che un mucchio di ceneretorna a sedersiaccanto alla finestra aperta come se non osasse più rimanerevicino alla morta e si rimette a piangere con la faccia tra le mani:"Oh mia povera mamma! Poverapovera mamma!". Poi le vieneun pensiero atroce. E se non fosse morta? Se non fosse cheaddormentatacaduta in un sonno letargico? Se a un tratto si levassee parlasse? Se non le volesse più bene perché lei hascoperto il segreto? Nonon la bacerebbe con le stesse labbra.


Nonl'accarezzerebbe con l'affetto di prima. Dice che nonon èpossibilee questo pensiero la strazia.


Lanotte si diradale stelle impallidisconoè la fresca ora cheprecede il giorno. La luna calante si tuffa nel mare con una lungascia di madreperla. E allora Giovanna ricorda un'altra notte passataalla finestraquella del primo arrivo al castello. Com'èlontano! Tutto è cambiato. L'avvenire è "un'altracosa". Ecco il cielo che si colora di rosadi un rosa vivaceleggiadroamoroso. Giovanna guardaorasorpresa come davanti a unfenomenoguarda quella radiosa nascita del giornoe si chiede se èpossibile che su questa terra dove sorgono simili aurore non ci siaposto né per la gioia né per la felicità.Trasale: è la porta che si apre.


"Ebbene?"chiese Giuliano. "Non sei troppo affaticata?" Negòcol capo. Si sentiva sollevata al pensiero di non essere piùsola.


"Adessova a riposarti" le raccomandò suo marito.


Abbracciòdolcemente sua madre; le diede un bacio lungodoloroso; ritornòin camera sua.


Lagiornata trascorse nelle tristi occupazioni della casa che accoglieuna salma. Il barone arrivò verso sera; pianse molto. Labaronessa fu sepolta il giorno seguente. Dopo che per l'ultima voltaebbe appoggiato le sue labbra sulla fronte gelidaed ebbe vestitomammina per l'ultima voltaed ebbe visto chiudere il povero corponella baraGiovanna si ritirò. Giungevano allora gl'invitati.Gilberta arrivò per prima e si gettò singhiozzando frale braccia della sua povera amica.


Dallafinestra si vedevano arrivare le carrozze svoltando dal cancello:arrivavano al trotto. Voci risuonavano nel grande vestibolo; signorevestite di nero (Giovanna non le conosceva) entravano in camera.L'abbracciava la contessa di Coutelier.


L'abbracciavala viscontessa di Briseville. D'un tratto si accorse che la ziaLisetta strisciava verso di lei. Ohzia Lisetta! La strinse al pettocon tenerezzae quella quasi quasi sveniva.


Giulianoentròchiuso in un lutto strettissimoeleganteaffaccendatosoddisfatto di quell'affluenza. Parlò sottovocea sua moglie per domandarle un consiglio. Aggiunse confidenzialmente:

"Tuttala nobiltà è intervenuta. Questa è una cosa cheporta i suoi frutti." Se ne andò salutandovia viacongravitàle signore.


ZiaLisetta e la contessa Gilberta rimasero sole con Giovanna mentre lacerimonia funebre si svolgevae la contessa se l'abbracciava quasidi continuo e diceva:

"Miapovera caramia povera povera cara!" Quando il conte diFourville tornò per prendere sua mogliepiangeva anche luicome se la mamma morta fosse la sua.




Capitolo10


Seguironogiorni tristissimi: i giorni tetri sospesi su una casa vuota perl'assenza di una persona scomparsa per sempre: giorni pieni disofferenza per il continuoimplacabile incontro con i tanti oggettiche hanno subìto il contatto di lei. Ogni momentoè unricordo che cade sul cuore e lo strazia. Ecco la sua poltronail suoombrello rimasto nel vestiboloil suo bicchiere che la cameriera nonha ripostoper dimenticanza. Ovunque si trova qualcosa lasciata lìper combinazione: le forbiciun guantoun volume le cui pagineportano i segni delle dita pesanticento cosecento nonnullacheora hanno ben altro aspettoben altra espressioneperchéricordano cento piccoli fatti... E la sua voce ci perseguita: sicrede di udirlasi vorrebbe fuggire non importa dovesi vorrebbesottrarsi alla persecuzione di questa casae bisogna invece restareperché altri rimangonoaltri vivonosoffronoin questapovera casa.


Giovannaera poi accasciata dal ricordo di ciò che aveva saputo escoperto nella funesta veglia: un pensiero che pesae il cuoreinfranto ormai non ne guarisce. E questa solitudine che aumenta ilgravoso segreto. L'ultima illusione caduta con l'ultima fede. Poidopo qualche tempo anche il papà volle andarseneperchéaveva bisogno di muoversicambiar ariaevadere da questo cupodolore in cui tutti i giorni un po' si sprofonda. E la grande casache vedeva cosìdi quando in quandouno dei suoi padroniecco riprendeva il suo ritmo. Quando lo riperdette fu per la malattiadel piccino. Giovanna perse la ragione: restò dodici giornisenza dormirequasi senza mangiare. Paolo guarì; ma l'ideache egli potesse morire sconvolse la madre. Oh Diooh Dio! Cheavrebbe fatto senza di lui? Che sarebbe accaduto di lei? E cosìdolcementesi abituò al pensiero di un altro bambino. Losognò; fu riassalita dal suo antico desiderio di avere intornodue cari piccoli esseri: bambino e bambina.


Madopo il fatto di Rosalìaviveva separata da Giulianonésembrava possibile un riavvicinamentodati i loro rapporticoniugali. Giuliano amava un'altra donna: lei lo sapeva benesino afremere di ripugnanza al pensiero di nuove carezze di lui.


Eppure...eppurea queste carezze si sarebbe rassegnatatanto la perseguitavala bramosìa di riessere madre; ma poi si chiedeva in qual modoavrebbero potuto ricominciare a dividere il talamo.


Giovannasarebbe morta d'umiliazione anziché lasciar sospettare il suopensieroe ormai Giuliano non si curava di lei e non vedeva in leipiù la donna. Forse avrebbe rinunziato anche alla secondamaternitàma ecco il sogno di ogni notte: una bambina chegioca sotto il platano col piccolo Paolo! Talvolta perfino leprendeva la smania di alzarsi dal lettodi andare nella stanza diluicosìimprovvisamentesenza aprir bocca. Due voltearrivò fino all'uscio: tornò indietro tutt'e due levoltecol cuore angosciatoche le batteva come per vergogna.


Ilpapà era partito. Mammina era morta. Giovanna non aveva piùnessuno a cui confidarsia cui chiedere aiuto e consiglio. Deciseallora di andare a vedere l'abate Picotperché sentiva cheall'abate Picot avrebbe confidato il suo intimo segretosotto ilsuggello della confessione. Lo trovò che leggeva il breviarionel suo piccolo giardino che era piuttosto un frutteto.


Cosìdopo aver parlato per qualche minuto del più e del menoGiovanna balbettò non senza arrossire:

"Signorabatevorrei... confessarmi..." Il prete si stupì fino atogliersi gli occhialisìper guardarla meglioe poi rise.


"Ohnon dovete avere grossi peccati sulla coscienzavoi" "Noma ho un consiglio da chiedervi" riprese lei turbandosi tutta."Un consiglio così... così... difficile a dirsiche non oso... non oso chiedervelo qui ." Egli si spogliòimmediatamente della sua naturale bonarietà e assunse ladignità del suo grado.


"Ebbenefigliola miav'ascolterò nel confessionale. Venite." Nono! Lo trattenne con un'esitazione angosciosa per quella specie discrupolo di parlare di certe cose "non belle" nelraccoglimento di una chiesa vuota "Eccosignor curatoioposso... posso .. se volete... posso dirvi anche qui... Se andassimoa sederci laggiù... sotto il chiosco?" Andaronolentamente verso quel piccolo chiosco. Lei cercava intanto le parolele prime parolepoiquando si sedette con luicome se stesse perconfessarsiincominciò:

"Padremio..." esitò ancoraripeté: "Padre mio..."e non osò proseguiresconcertatissima.


"Ebbenefiglia mia" diss'egli infine per incoraggiare quell'imbarazzo"si direbbe che non osiate. Andiamosu fatevi animo.""Padre mio" si decise Giovanna come un codardo che sislanci verso un pericolo "vorrei avere un altro bambino..."Egli non sapeva proprio che dire: non capiva. Allora Giovanna cercòdi spiegarsiperdendo le paroleconfondendosi:

"Iosono sola nella vita... mio padre e mio marito non vannod'accordo.... mia madre è morta... e... e..." (quirabbrividisce e abbassa la voce) "l'altro giorno poco èmancato che perdessi mio figlio... E se moriva? Che sarebbe stato dime?" Tacque. Il prete la guarda senza sapercisi raccapezzare.


"Insomma"disse "venite al fatto." Lei ripeteva sempre la stessa cosa"Vorrei un altro bambino... Vorrei avere un altro bambino..."Allora egli sorriseabituato com'era alle facezie grossolane deicontadini che non avevano riguardi con luie rispose crollando ilcapo da malizioso:

"Ebbenemi sembra che non dipenda che da voi." Giovanna alzòverso di lui i suoi occhi limpidionestie si confuse.


"Ma...ma..." balbettò "voi capite che dopo quel fatto...il fatto a vostra conoscenza... della mia cameriera... capite beneche mio marito ed io viviamo separati... già...completamente..." L'abate Picot era troppo abituato allepromiscuità e al costume libero della campagna per nonstupirsi di una rivelazione come questa; ma tutt'a un tratto credettedi aver intuito e guardò di sbieco la giovane signoratuttopieno di benevolenza e di simpatia per il suo tenero affanno:

"Capiscocapisco perfettamente. La vostra... sìla vostra "vedovanza"vi pesa. Siete giovanesana. In fin dei conti la cosa ènaturale... naturalissima..." Si rimetteva a sorrideresecondoil suo temperamento di prete di campagnae dava certi colpettiniconfidenziali sulla mano a Giovanna: "E' permessopiùche permessodai comandamenti. L'opera della carne non saràfatta che nel matrimonio. Voi siete maritatano? E non certo perpiantar rape." Fino allora non aveva compreso i sottintesi delparroco come il parroco non aveva compreso le esitazioni di lei; manon appena le parve intuirediventò rossatremòsiagitòle si empirono gli occhi di lacrime: "Ohsignorcuratoche dite mai? che pensate?

Vigiuro... vi giuro che..." I singhiozzi la soffocavano.


"Manoma no" ribatteva luitutto sorpresoper consolarla "nonho voluto mica addolorarvi. Non vi siete accorta che scherzavo?

Nonsi può dunque scherzare? Ma contatecontate su mepotetecontare su me: vedrò il signor Giuliano..." Giovanna nonsapeva ormai più che cosa dire. Forse bisognava ancherifiutare un intervento da riputarsi inabile e pericoloso; ma nonosava più neppure questoe scappò via ringraziando ilsignor curato con un balbettìo. E così passarono perlei otto giorniotto lunghi giorni di un'angosciosa inquietudine.


Unaseraa pranzoGiuliano la guardò in un modo stranissimoconuna certa piega del labbrocome una "contusione" nelsorrisoche era quasi il preannunzio del desiderioe lei lo sapeva.C'era anche nei suoi modi una specie di galanteria lievementeironica; e un poco più tardi camminandole a fianco lungo ilviale di mamminaegli si chinò per dirle sottovoceall'orecchio:

"Pareche abbiamo fatto la pace." Lei non rispose. Guardava in terraquella specie di linea dirittaquasi invisibileper l'erba ormairispuntata: era la traccia del piede materno che si cancellava comesi cancella un ricordo. E si sentì stringere il cuoreil suocuore inondato di tristezza. Era così sperduta nella vitalontanadivisa da tutti!

"Permenon domando di meglio" riprese Giuliano. "Credevo dispiacertiGiovanna." Il sole tramontava; l'aria era dolce.Giovanna non sapeva che cosa fosse. La opprimeva come un desiderio dipiantoun bisogno di espansione verso un cuore amicoun bisogno diabbracciaredi stringere e di confidare insieme il suo affanno.Eccoil singulto che sale alla gola... Aprì le braccia ecadde sul petto di lui per quest'altro sfogo di lacrime. Sorpresoegli le guardava i capellinon potendo vedere il viso che gli eranascosto sul pettoe pensò che sua moglie lo amasse ancora ele depose sui capellipresso la nucail suo bacio condiscendente.


Rientraronosenza parlare. Giuliano la seguì nella sua stanza e passòla notte con lei.


Cosìfurono ripresi gli antichi rapporti. Per lui erano semplicemente undovereche tuttavia non dispiacelei li subiva come una necessitàdisgustosa e penosadecisa a troncarli nettamente appena siaccorgesse di essere incinta. Ma si accorse ben presto che gliamplessi di lui erano diversi da quelli d'un tempo: piùraffinatiforsema incompleti.


Oh!La trattava da amante discreto: non più da sposo tranquillo.


Allorauna notteGiovanna gli mormorò sulla bocca:

"Perchénon ti dài a me completamente come una volta?" "Perbacco"il marito ghignò "ma per non ingravidarticarina.""Perché?" chiese lei trasalendo. "Non vuoi piùavernebambini?" Pareva che la sorpresa lo istupidisse:

"Che?Sei pazza? Un altro bambino? Ah no davvero! Ce n'è d'avanzo diuno per strillare. E il danaro che costa. E il daffare per tutti. Ahno! Graziegrazie." Lo prese fra le braccialo baciòlo circuì di carezzegli parlò sottovoce:

"GiulianoGiulianote ne supplicofammi madre ancora una volta." Egli siirritò come se lo avessero offeso.


"Viatu perdi la testa. Risparmiami le tue sciocchezzeda brava."Giovanna tacquema non si diede per vintae sempre piùangustiatasempre più divorata dal suo desideriodalla suaidea fissapronta ad affrontare tuttoa osar tuttoritornòdall'abate Picot.


L'abatePicot finiva di far colazione e appariva più rosso del solitoper via di quelle palpitazioni che lo tormentavano un po' dopo ipasti. Appena la vide entrareegli espresse con un rumoroso"ebbene?" tutta la sua curiosità di sapere che cosaaveva fruttato il suo consiglio.


Risolutaadessosenza vergognasenza timidezzafece di colpo:

"Miomarito non vuol più bambini." L'abate Picot si voltòverso di leiinteressato di quei misteri intimi che gli rendevanopiacevole il confessionale:

"O...come mai?" "Lui... lui..." spiegava Giovannagiàun po' turbatanon ostante gli arditi propositi "lui rifiuta direndermi madre..." Il prete capì tutto. Egli sapeva benequeste cose; e si mise a far domande precise e minutecon unagolosità di uomo costretto al digiuno. Poi ci pensò subrevementee con voce tranquilla come se parlasse del raccolto cheprometteva benele prospettò un piano di condotta abile permettere a posto ogni cosa:

"Nonavete che un mezzofigliola miaed è quello di farglicredere che siete già incinta. Egli non si controlleràpiù e voi rimarrete incinta davvero." "E... se nonmi crede?" osò Giovanna determinata a tuttoarrossendofino agli occhi.


"Annunziatea tutti di essere incinta" insistette il curato che conoscevatroppo bene le astuzie che muovono e trattengono gli uomini "diteloa tuttiditelo dovunquee finirà per crederci anche lui."Aggiunsequasi per assolversi di quello stratagemma:

"E'infine il vostro diritto. La Chiesa non tollera i rapporti fra uomo edonna che allo scopo della procreazione." Giovanna seguìl'astuto consiglio; e quindici giorni dopo annunziava tranquillamentela cosa al marito. Egli sussultò:

"Nonè vero! E' impossibile!" Indicò subito la ragionedei suoi sospetti.


"Bah"fece egli rassicurato. "Aspetta un poco. Vedrai." Edomandava tutte le mattine: "Ebbene? e così?". E leirispondeva:

"Nonon ancora". E aggiungeva: "Sarebbe una bella delusione senon fossi incinta". Ma Giuliano finì con l'arrabbiarsidavveroe si mostrava irritato e furioso nello stesso tempo checonfessava di non raccapezzarcisi più.


"Sìsìnon mi ci raccapezzo" diceva. "Se sapessi comequesta cosa è accadutato'vorrei m'impiccassero." Incapo a un mese diffuse la notizia. Tacque solo con la contessaGilbertaper una specie di pudore complesso e delicato. Quanto aGiulianonon avvicinò più sua moglie dopo la primasfuriatapoi - benché a malincuore - si abituò aquell'ideadisse: "Eccone uno che non era stato chiesto" eriprese a frequentare la camera di sua moglie. Cosìtrionfarono le previsioni dell'astuzia pretesca.


Giovannaera incinta.


Alloratutta invasa da una gioia spasmodicachiuse la sua porta ogni seraein uno slancio di riconoscenza verso la vaga divinità cheadoravasi votò a perpetua castità. Era felice. E sistupiva che il dolore per la morte di sua madre si fosse addolcitocosì rapidamente. Non si era creduta inconsolabilefino aieri? Eccoin due mesi appena la piaga si rimarginaèchiusa. Resta solo una malinconia leggeracome un tenue velo didolore gettato sulla sua vita. Nessun altro avvenimento le sembravapossibile più: i suoi bambini e lei che invecchia tranquillacontentasenza più occuparsi di lui.


Versola fine di settembre l'abate Picot venne in visita di congedo con unatonaca nuova (non aveva ancora otto giorni di macchie) e presentòil suo successorel'abate Tolbiac: un prete giovanissimomagrounpo' piccoloenfatico; ma gli occhi incavati e cerchiati di neroindicavano un temperamento violento.


Alsentire che il vecchio curato veniva nominato decano di GodervilleGiovanna era stata presa da grande tristezza. Ohcome la faccia diquel brav'uomo era legata a tutti i suoi ricordi di fanciulla! Eglil'aveva sposataaveva battezzato Paoloaveva seppellito la mammaeormai non poteva immaginarsi Etouvent senza la grossa panciadell'abate Picotche andava qua e là per i cortili dellefattoriee poi sentiva di volergli bene perché era allegro esincero. Manonostante l'emozioneegli sembrava contentoe diceva:

"Midispiacesignora contessa; pensate che sono qui da diciotto anni.Ohil comune rende poco e non vale granché. Gli uomini nonfanno gran calcolo della religionee le donne... quellevedetenonhanno moralità. Le ragazze non si avvicinano all'altare permaritarsi se prima non hanno fatto un pellegrinaggio a Nostra Signoradel Ventre Grossoe i fiori d'arancio è inutile cercarli daqueste parti. Tanto peggiosìtanto peggioma io lo amavoquesto paeselo amavo." Il nuovo curato faceva segni diimpazienzasmaniavaarrossivae finì col dire bruscamente:"Con me le cose andranno altrimenti".


Aveval'aria di ragazzo rabbiosopallidomagronella sua sottana un po'consuntasìma pulita.


L'abatePicot gli diede un'occhiata di sbieco come faceva nei momenti di buonumore.


"Vedeteabate mioper impedire certe cose bisognerebbe che metteste allacatena tutti i vostri parrocchianie poi... e poi..." "Lovedremo" rispose alteramente il pretino "Eccol'età;vi calmerà l'età" disse il vecchio curatoannusando la sua presa di tabacco. "E poi saràl'esperienza. Perché altrimentiallontanereste dalla chiesagli ultimi fedelie buona notte. In questo paese sono testardimatestardibadate! In fede miaquando vedo venire alla predica unaragazza che mi pare un po' grossadico fra me: "Costei miconduce un parrocchiano di più" e procuro di metterla inregola. Credetemivoi non potete impedir loro di peccarema potreteandar a trovare il giovanotto e impedirgli di abbandonare la piccolamamma. Maritateli abatemaritatelie non occupatevi di altro."Il nuovo curato rispose con durezza:

"Noipensiamo in modo diverso. E' inutile insistere." L'abate Picotsi rimise a rimpiangere il suo villaggioil mare che vedeva dallefinestre del presbiteriole vallicelle concave dove si recava aleggere il breviarioguardando di lontano passare i battelli. Poi idue preti si congedarono. Il vecchio abbracciò Giovanna chequasi piangeva.


Ottogiorni dopol'abate Tolbiac ritornò e si mise subito aparlare delle riforme che stava compiendo come avrebbe potuto fare unprincipe che prende possesso del suo stato; poi pregò lasignora viscontessa di non mancare alla messa domenicale; poi leraccomandò la comunione nelle solennità.


"Voie io" diceva "siamo a capo del paesenoi dobbiamogovernarlo e quindi è necessario mostrarci sempre come unesempio da seguire.


Bisognaessere uniti per essere potenti e rispettati. Se la chiesa e ilcastello si daranno la manola capanna ci temerà e ciobbedirà." Ma la religione di Giovanna era fatta disentimentoe lei aveva quella fede sognante che hanno quasi semprele donnesì chese osservava press'a poco i precetti dellachiesaera sopra tutto per un'abitudine conservata fin dal conventopoiché la filosofia del barone aveva scosso da tempo le sueconvinzioni. L'abate Picot si era accontentato del poco che lei avevapotuto dargli e non l'aveva mai rimproverata; ma il successore non lapensava mica così. Non avendo visto la dama in chiesa ladomenica dopoera ricomparso al castello inquieto e severo.


Giovannanon volle mettersi in rotta e promise per compiacenzasapendo benequanto la sua assiduità sarebbe durata: non più diquelle prime settimane. Ma a poco a poco cedette all'abitudine e finìcol subire l'influenza di quel fragile prete autoritario e tutto d'unpezzo. Eppure sentivain virtù del suo misticismochequell'esaltazione e quegli ardori di prete non le spiacevano e cheegli faceva vibrare in lei quella corda della poesia religiosa cherisuona in tutte le anime femminili. Un'austerità rigidissimaun disprezzo del mondo e della sensualitàun disgusto dellepreoccupazioni umaneun timore di Dio senza limitila giovanile eselvaggia inesperienzaquella parola rudequella volontàinflessibiletutto ciò dava a Giovanna un'idea dei martiri edel martirioe si lasciava sedurrelei addolorata e delusadalfanatismo inflessibile di un ragazzo ministro di Dio. Perchéegli la guidava al Cristo consolatore mostrandole come le mistichegioie calmano tutte le sofferenze e la poveretta si inginocchiavadavanti a questo prete che sembrava avesseal piùquindicianni.


Maben presto la campagna lo odiò. D'una severitàrigidissima verso se stessoegli si mostrava con gli altri diun'intolleranza implacabile. E ciò che lo indignava edesaltava e lo metteva fuori di sé era quella cosa orrenda:l'amore. Nelle sue prediche ne parlava con veemenzain terminicrudisecondo l'uso ecclesiasticolanciando su un uditorio dicontadini certi periodoni tonanti contro la concupiscenzae tremavadi rabbiabattendo i piediesaltatospaventato dalle immaginievocate nelle sue stesse sfuriate. Allora le ragazze e i giovanottisi scambiavano occhiatine furtive da una parte all'altra dellachiesae i vecchi contadini che amavano sempre scherzare su questecose disapprovavano l'intolleranza del piccolo curato ritornando allafattoriadopo la messaaccanto al figlio in blusa turchina e allafattoressa in nera mantiglia. Il paese intero era sconvolto. Siraccontavano a bassa voce le severità del nuovo curato alconfessionalesi sbigottiva al rigore delle penitenze che egliinfliggeva; ma quando egli si ostinò a rifiutare l'assoluzionealle ragazze la cui castità aveva cedutoalloraincominciarono i motteggi. Alle messe solennise si notava qualcheragazza rimasta al suo banco invece d'andarsi a comunicare con lealtreerano tutti sogghigni e risatine. Poiegli si mise a spiaregl'innamorati. Voleva impedire che si incontrasserovoleva fare comefanno le guardie coi bracconieri. Nelle notti di luna dava la cacciaagli amanti dietro i granaifra i boschetti di giunchisul versantedelle costarelle. Una volta ne scoprì due chevedendolononsi staccarono: essi tenevano le braccia allacciate alla vita eandavano così allacciati verso un borro colmo di sassi.


Ilprete gridò:

"Voletefinirla una buona voltatangheri che siete?" "Pensate agliaffari vostri" gli rispose il giovanotto voltandosi.


"Questisignor curatonon sono affari che riguardino voi." Allora ilprete si chinò a raccogliere sassi e ne scagliò controquei due come si fa con i cani. E quei due se ne fuggirono ridendofelicima egli li denunziònomi e cognomiin piena chiesa.Così i giovanotti del paese cessarono di andare alle funzioni.


Ilcurato tutti i giovedì pranzava al castelloma si recavaspesso durante la settimana a parlare con la sua penitente che siesaltava con luidiscuteva sulle cose materialimaneggiava tutto ilvecchio e complicato arsenale delle controversie religiose.


Camminavanoinsieme in su e in giù per il grande viale della baronessaparlando di Cristo e degli Apostolidella Vergine e dei santi padricome se li avessero conosciuti: di quando in quando si arrestavanoproponendosi questioni profonde che erano soltanto mistiche ubbielei perdendosi in ragionamenti poetici che salivano al cielo comerazziluipiù precisoargomentando come un avvocatomonomane che dimostri matematicamente la quadratura del circolo.


Giulianotrattava il nuovo curato con grande rispettoe ripeteva sempre:"Questo prete mi piace: non transige" e si confessava ecomunicava volentieriper dar l'esempiocon una certa prodigalità.


OraGiuliano andava quasi ogni giorno dai Fourvilletanto più cheil conte amava averlo compagno come cacciatore e non poteva fare ameno di luie con la contessa continuava ad andare a cavallononostante le piogge e il tempo cattivo.


"Sonofanatici con quel loro cavallo" il conte osservava. "Ma ilcavalcare fa bene a mia moglie." A metà novembre tornòfinalmente il barone. Era malatoinvecchiatofiaccosopraffatto dauna tristezza cupa che aveva invaso il suo spirito. Sembrava quasiche l'amore per la sua cara Giovanna fosse accresciuto; come se queimesi di triste solitudine avessero acuitoesasperato il suo bisognodi tenerezza e di confidenza. E Giovanna non gli confidò lesue nuove ideené il suo ardore religiosoné la suaintimità con l'abate Tolbiac; ma la prima volta che egli videil pretino provò un'antipatia veemente contro di luie quandola figlia gli chiese: "Come lo trovi?" egli risposefrancamente che quell'uomo gli sembrava un inquisitore e dovevaessere molto pericoloso. Poi seppe dai suoi amici contadini tutte leseverità del curato e le sue prepotenze e quella specie dipersecuzione contro le leggi e gli istinti congeniti e l'odio avvampònel suo cuore. Egli era della razza dei vecchi filosofi adoratoridella natura che si inteneriscono se vedono due animali accoppiarsirestano in ginocchio davanti a una specie di Dio panteista e siribellano alla concezione cattolica di un Dio con intenzioniborghesicollere gesuitichevendette da tiranno; un Dio cherimpiccioliva la creazionefatalesenza limitionnipotentementrela creazione era luceterrapensieropiantorocciauomoariabestiastellaDioinsetto; e creava appunto perché era lacreazionepiù forte della volontàpiù vastadella ragioneproduttrice sempresenza scopo e senza fine in tuttii sensi e in tutte le formeattraverso l'infinità dellospazioseguendo le necessità del caso e le vicinanze dei soliche riscaldano il mondo. La creazione conteneva tutti i germipoichéil pensiero e la vita si sviluppavano in lei come i fiori e i fruttisugli alberi. Per lui dunque la riproduzione era la gran leggegeneralealtasacra rispettabiledivinache compie l'oscura ecostante volontà dell'Essere Universale. E cominciò difattoria in fattoria una campagna animosa contro il preteintollerante persecutore della vita.


Giovannane fu desolata. Pregava il Signorepregava e implorava suo padremaegli inesorabile:

"Bisognacombattere questi uomini. E' nostro doverenostro diritto. Non sonoumani." Riprendevascuotendo la sua zazzera bianca:

"Nonsono umani: non capiscono nulla; agiscono in una fatale incoscienza.Sono antifisici" e gridava come per maledire: "antifisici!"Il prete sentiva perfettamente il nemicoma voleva restar padronedel castello e della giovane signorae così temporeggiavasicuroconvinto della vittoria finale. E poi c'era l'idea fissa:

gliamori di Giuliano e Gilberta che aveva scoperto per caso.


Volevafarla finita anche con questi.


Ungiornotrovandosi in visitadopo una conversazione misticalunghissimaeternaegli chiese finalmente a Giovanna di unirsi alui per combattereuccidere il male che era sulla sua stessafamigliaper salvare due anime in pericolo. Lei non comprese.


Vollesapere. Il prete rispose che l'ora non era ancora venuta.


"Arrivedercipresto" e scomparve.


L'invernostava per finire: un inverno marciocome si dice in campagnaumidotiepido. L'abate Tolbiac ritornò qualche giorno piùtardi e parlòin termini oscuridi una di quelle relazioniindegne fra persone che dovrebbero essere irreprensibili; e poi a chispetta impedire con tutti i mezzi questi orrendi fatti se non acoloro che li sono venuti a conoscere? Passòa poco a pocoaconsiderazioni più elevatefinché afferrò lemani di lei e la scongiurò di aprire gli occhidicomprenderedi aiutarloin nome di Dio. Giovanna aveva capitosìquesta volta; aveva capito e tacevaspaventata al pensiero dellatempesta che poteva addensarsi sulla sua casaper il momentotranquillae fingeva di cader dalle nuvole: che voleva mai direl'abate? Allora egli troncò gl'indugiparlòchiaramente.


"E'un dovere spiacevole che sto per compieresignora contessama nonposso fare altrimenti. E' il mio ministero che m'impone di nonlasciarvi ignorare un fatto che voi potete impedire. Sappiate dunqueche vostro marito mantiene una relazione colpevole con la signora diFourville." Abbassò la testarassegnatasenza piùforza.


"Ebbene?"riprese il prete. "Che contate di fare?" Allora Giovannabalbettò:

"Checosa volete che faccia?".


"Combattere"rispose lui con violenza. "Combattere questa passionecolpevole." "Ma se mi ha già ingannata con unacameriera; ma se non mi ascolta; ma se non m'ama più; se mimaltratta appena esprimo un desiderio che non gli garbi... Che cosaposso fare io? che cosa posso fare io?" "Allora piegate latesta? L'adulterio è sotto il vostro tetto! Voi consentite.Voi tollerate. Il delitto si compie sotto i vostri occhi e voiguardate da un'altra parte. Chi siete voi? Non siete una sposa? unacristiana? una madre?" "Che cosa volete che faccia? checosa volete che faccia?" singhiozzava la poveretta.


"Tuttopiuttosto che permettere questa infamia. Tuttovi dicotutto.Abbandonatelofuggite da questa casa immonda!" "Ma io nonho denarosignor abate. E poi sono senza coraggio.


Partirecosì senza prove... Mi pare di non averne il diritto...""E' la viltà che vi consiglia" gridò il pretelevandosi fieramente.


"Iovi credevodiversa signora. Voi siete indegna della misericordia diDio." "Ohve ne prego" disse cadendo in ginocchio"consigliatemiconsigliateminon abbandonatemi." "Apriregli occhi al signor di Fourville" consigliò il prete convoce seccaimplacabile. "E' il signor di Fourville che romperàquesta relazione. Tocca a lui." "Ma li ucciderebbe"gridò Giovanna impaurita a questo pensiero. "E dovreiessere io a denunciarli? Signor abatenoquesto no." Alloraegli alzò la mano come per maledirlatutto rosso e vibrantedi collera:

"Restatenella vostra onta e nella vostra colpagiacché voi siete piùcolpevole di loro. Voivoila sposa compiacente! Qui non mi restaaltro da fare" e fece l'atto di andarsene così furibondoche tutto il suo corpo tremava.


Giovannalo seguìsmarritadisposta a cederedisposta a promettereeccosìprometteva; ma egli era tutto in preda alla suasanta ira e camminava a passi sempre più rapidiagitando ilsuo ombrellone azzurroalto come lui. Vicino al cancello si imbattéproprio in Giuliano che dirigeva i lavori di potaturae allorasvoltò a sinistraper attraversare la fattoria dei Couillarde ripeteva sempre: "Lasciatemisignora; non ho piùniente da dirvi". E si diresse verso il cortilelà doveun crocchio di ragazzidella casa e del vicinatotutti aggruppatiintorno al casotto della cagna Mirzaosservavano curiosamentequalcosaattentisilenziosicome concentrati in quello spettacolo.In mezzo ad essi il barone (sembrava un maestro di scuola) guardavapure con interessele mani dietro la schiena. Ma quando scorse dilontano l'abatefilò dirittoper evitare di incontrarlosalutarloparlargli.


EGiovanna veniva dietrosempre supplicando:

"Lasciatemiqualche giornosignor abatepoi ritornate al castello... Vi diròquel che avrò potuto farequel che avrò preparato...ci regoleremo..." Passarono l'una e l'altro presso il gruppo deiragazzi in mezzo al cortilee il curato si avvicinò pervedere. Era la cagna che partoriva. Mentre il prete si curvalabestiola rattrappita si allungasi allarga e appare il sesto canino.Tutti i monelli si mettono a gridar dalla gioia.


"Ecconeun altro! eccone un altro! un altro!" Era un gioconon piùche un gioco: un gioco naturale in cui non v'era niente di impuroeconsideravano quella nascita come avrebbero guardato cader dellemele.


L'abateTolbiac dapprima allibìpoipreso da furore irresistibilelevò alto il grande ombrellone e con quellopicchiandoall'impazzatasbaragliò la ragazzagliafinché sitrovò davanti soltanto la cagna partoriente che si sforzava dialzarsi essa pure. Ma egli non le lasciò il tempo didrizzarsiché la copriva già della sua rabbiae lapovera bestiacome incatenatagemeva di strazio dibattendosi sottola furia dei colpi. In quel momentosi spezzò l'ombrellone.Alloraa mani libereil prete montò sulla cagnacalpestandolaspiaccicandolamassacrandolamentre la povera bestiasotto la violenta pressione metteva al mondo un altro piccino; unaltro colpo di tallone brutale e il corpo sanguinolento finìdi agitarsi in mezzo ai piccoli neonati che pigolavanociechiincapaci di muoversi e pur cercando oscuramente il latte materno.


Giovannaera scappata; ma il prete a un tratto si sentì preso per ilcolloe uno schiaffo fece volare il tricorno: era il barone cheesasperatoportò il prete di peso fin presso il cancello e logettò in mezzo alla strada. Si volsee vide sua figliaginocchioni che singhiozzava sui poveri cagnolini e li raccoglievanella sottana. Egli ritornò a gran passi verso di leigesticolandogridando:

"Eccoloeccolol'uomo in gonnella! L'hai visto adesso? l'hai visto?" Icontadini accorrevano; tutti guardavano la bestia massacrata.


"Maè possibile" disse Couillard "è possibileessere selvaggi fino a questo punto?" Giovanna aveva raccolto isette neonati e pretendeva di allevarli.


Sitentò di dare loro del latte; ne morirono tre il giorno dopo.


PapàSimone corse per tutto il paese in cerca di una cagna che allevasse ipiccini; non trovò che una gattae diceva che sarebbe andatabene lo stesso. Bisognò allora uccidere altri tre cuccioli eaffidare l'ultimocome il più fortunatoalla cara nutricedell'altra razza. La gatta adottò immediatamente il cagnolinoe gli tese la mammella così coricata sul fianco. Ma per nonesaurire la madre adottivail cagnolino fu svezzato in capo aquindici giorni e Giovanna si incaricò di nutrire lei stessacol poppatoio il povero Totò. Lo aveva chiamato Totò;il barone volle ribattezzarlo e lo chiamò Massacro.


L'abateTolbiacche non si era più fatto vederelanciòdall'alto al pubblicola domenica doponon si sa quanteimprecazionimaledizioni e minacce contro il castello dicendo chebisognava introdurre il ferro infuocato nelle piaghescagliandoanatemi contro il baroneche ne riseaccennando con un'allusionevelataancora timidaai nuovi amori di Giuliano. Giuliano ne fuesasperatoma il timore di uno scandalo maggiore fermò lìper lì la sua collera. Alloradi predica in predicail preteripeté gli annunzi delle sue vendetteprofetando che siavvicinava l'ora di Dioche tutti i suoi nemici sarebbero staticolpiti da Dio.


L'altroscrisse all'arcivescovo una lettera rispettosama energica. L'abateTolbiac fu minacciato di sanzionie tacque.


Adessolo si incontrava che camminava a grandi passiesaltatocon lafaccia stravolta. Giuliano e Gilbertanelle loro passeggiate acavallolo incontravano spessotalvolta lo vedevano spuntare dilontano in fondo alla pianura o sulla spiaggiacome un punto neroaltre volte lo trovavano che stava leggendo il breviario nella stessavalletta dove stavano per scenderee allora facevano svoltare icavalli per non passargli vicino.


Laprimavera era venuta a ravvivare l'amore di quei duegettandoli ognigiorno l'uno nelle braccia dell'altroora qui ora làsottoun qualsiasi riparo incontrato nelle loro scorribande.


Mail fogliame era rado e l'erba umida e non potevano ancora perdersifra i cespugli dei boschi come in estatee così finivano colnascondere i loro amori vagabondi nella capanna mobile di un pastoreabbandonata fin dall'autunno in cima alla costa di Vaucotte. Era làquella capannaisolataalta sulle ruotea cinquecento metri daldeclivioproprio nel punto in cui cominciava il ripido pendio dellavallata. Là erano sicurilà non sarebbero stati coltiin flagranteperché dominavano la pianurae i cavallicosìlegati alle stanghe della capannaavevano l'abitudine di aspettarepazientemente che i loro padroni fossero sazi di baci. Se non cheungiornonel momento che essi lasciavano questo rifugioscorserol'abate Tolbiacsedutoquasi nascosto tra i giunchi dellascogliera. Giuliano credette necessario lasciare i cavalli giùnel burroneperché altrimenti li avrebbero potuti denunciaredi lontano: avrebbero fatto la spia. E da quel momento preserol'abitudine di legare i cavalli in una sinuosità della valletutta aggrovigliata di sterpi. Poiuna seramentre ritornavanotutt'e due alla villadove dovevano pranzare col conteincontraronoil curato di Étouvent che usciva dal castello e chefacendosida parte per lasciar passare i colpevolisalutòma senzaguardare negli occhi. I due lì per lì si sorpreseromafu un'inquietudine breve.


Aiprimi di maggioin un pomeriggio di gran vento (Giovanna indugiavaancora al caminettoe leggeva)scorse d'un tratto il conte diFourville che veniva avanti così di furiacosìscalmanatoche temette una disgrazia. Si alzògli andòincontrolo guardò in viso: era pazzo. Aveva sulla testa ungrosso berretto di pelo che portava solo in casala solita giacca dacaccia lo infagottava dandogli qualcosa di selvaggioera cosìpallido che i suoi baffi rossicci che non spiccavano di solito su unafaccia molto coloritaparevano accesidi fiammae gli occhierravano mutismarritivuoti di pensiero.


"E'qui mia moglie?" "Veramente... non l'ho veduta... oggi..."Allora sedettecome se gli si fossero spezzate le gambe. Si tolse ilberrettosi asciugò la fronte col fazzoletto più e piùvolte.


Poibalzò in piedisi avvicinò alla signorale mani tesela bocca spalancatacome se volesse parlareconfidarle il suostrazioma si arrestòla guardò fissamentedelirò:

"Maè vostro maritoè vostro marito... Anche voi..."E fuggì verso il mare.


Giovannacorse dietro per fermarlochiamandoimplorandocon la morte nelcuore. Perchésìegli sapeva tutto. E ora? e ora? Cheavrebbe fatto? Oh Diopurché non li trovasse! Correvacorreva senza poterlo raggiungeree lui non la vedevanonl'ascoltavaandava sempre avanticome se avesse una sicurezzaunamèta: valicava il fossatoscavalcava le cannevia via apassi di gigantefino al declino. Giovannadritta sul boscosopendiolo seguì lungamente con gli occhipoi lo perse divista e dovette rientrare tutta divorata dall'ansia. E lui vasvoltaa destrasi è rimesso a correre. Il mare romba rotolando isuoi cavallonigrosse nubi nerastre arrivano follivelocipassanosvoltano inseguite da altre compagne più follirovesciandoognuna una marea d'acqua. Il vento fischiagemespiana l'erbacurva le messi recentitrasporta nella sua corsa come dei fiocchi dispuma che sono grandi uccelli marini e li trasporta là fra lecampagne.


Viafra le spighe di grano che gli spazzano il visogli bagnano i baffie le guanceriempiono di strepito le sue orecchieriempiono ditumulto il suo cuore. Eccolaggiùdavanti a luila valle diVaucotte che apre la sua gola profonda. Null'altro fin là cheuna capanna di pastore presso una stalla di montoni vuota. Duecavalli legati alle stanghe della casetta mobile. Essi erano là.


Chemai potevano temere con quella tempesta?

Appenali scorgeegli si mette per terra bocconi e si trascina sulle mani esui ginocchicome una specie di mostrocosì coperto di fangoe con quel berretto di peloe si arrampicasufino alla capannasolitariae vi si nasconde al di sotto per non essere svelato dallefessure dell'assito. Ma i cavalli lo vedono e si inquietano. Colcoltello che ha in mano egli taglia le brigliecosì chequelli fuggono via impauriti nella tempestaimpauriti della stessagrandine che flagella il tetto inclinato della casetta di legnofacendola tremare sulle ruote. Allora egli si drizza sulle ginocchiaaccosta l'occhio alla portaa uno spiraglio e guarda: guarda dentro.Ora non si muove piùsembra attendere. Passa un tempoinfinito. A un trattosi alza tutto coperto di fangopieno di fangodalla testa ai piedi. Con un gesto da forsennatospinge ilcatenaccio che chiude la capanna dal di fuorie poi afferra lestanghe e poi si mette a scuotere quella nicchia come perfracassarlae poi a quelle stanghe si attacca come una bestia dasomapiegando l'alta figura in uno sforzo disperatotirando similea un buesoffiandoansimandoe trascina verso il ripido pendio lacasetta mobile e quelli che vi sono dentroquelli che gridanoquelli che battono i pugni nel tavolato senza saper che succede. Eccoil precipizioecco l'orlo!

Alloraegli lascia la casetta leggera che rotola giù giù perla costa inclinataprecipita nella sua corsa pazzagiù giùsaltandoinciampandoballonzolando come una bestiapercuotendo laterra con le stanghe. Un vecchio mendicante che sta rannicchiato inun fosso la vede passare d'un balzo quasi sopra la sua testasentegrida disperate partire da quella cassa di legnoe la cassa di legnoperde una ruota in una scossa violenta e si abbatte su un fianco e simette a rotolare come una pallacome una casa divelta rotolerebbegiù da una montagna. Eccola giunta all'orlo dell'ultimoburronee sobbalzadescrive una curvaprecipita nel fondosischiaccia laggiù come un uovo. Allora il vecchio mendicanteche l'ha vista passarescende cautamente fra i rovifinchéla sua prudenza di contadino non lo consiglia di evitare il casottosventratoma di raggiungere piuttosto la vicina fattoria doveracconterà l'accaduto. Accorre gente; cercano tra i frantumi;appaiono due corpi sanguinolentipestimaciullati. Lui ha la frontespaccatail volto fracassato; la mascella di lei penzolaforsestaccata da un urto; povere membra molli come se non avessero ossasotto la carne.


Furonotuttavia riconosciuti; e quella gente fece lunghe supposizioni sullacausa dell'infortunio.


"Checosa facevano in quel casotto?" chiese una donna.


Naturalesecondo il mendicanteche si erano rifugiati là dentro perripararsi dalla bufera e il vento impetuoso aveva dovuto svellere eprecipitare la casupola: e spiegava che egli stesso stava pernascondercisi quando aveva visto i cavalli legati alle stanghe eaveva capito che il posto era preso. "Senza di questo"aggiunse con una certa soddisfazione "sarebbe capitata a me.""Non sarebbe stato meglio?" disse qualcuno.


"Perché?Perché sarebbe stato meglio?" replicò il buon uomoquasi infuriandosi. "Perché io sono povero e loro sonoricchi?

Guardateliguardateli ora." E cosìtutto tremolantelacerosordidogrondante acquala barba incolta e i lunghi capellispioventi dal cappellaccio sformato mostrò i due cadaveri conla punta del suo bastone ricurvo:

"Tuttiuguali davanti a Quella!".


Altricontadini erano giunti e guardavano attorno con occhio inquietosornionespaventatoegoista e vigliacco. Si deliberò sul dafarsi. Fu deciso che i corpi sarebbero stati portati al castellonella speranza di una ricompensa. Si attaccarono due carrettelle; maqui sorse una nuova difficoltà; alcuni erano del parere dicoprire semplicemente di paglia il fondo della carrettaaltriavrebbero voluto mettervi dei materassiper convenienza.


"Masi inzupperanno di sangue" disse la donna che aveva giàparlato "e poi bisognerà lavarliquei materassi."Intervenne un grosso fattore dal viso gioviale! "Vi pagherannobene. Più costeràpiù sarà caro." El'argomento parve decisivo. Le due carrettealtesospese alleruotesenza mollepartirono al trottol'una di qual'altra di làscuotendosballonzolando ad ogni urto dei solchi profondi queirimasugli di esseri umani.


Ilconte di Fourvilledopo aver visto rotolare la casupola sul ripidopendiosi era dato alla fugavelocissimoattraverso la pioggia ela burrasca. Aveva corso così parecchie orepassando lestradesaltando gli arginidevastando le siepied era tornato alloscendere della nottesenza sapere comeal castello. I domestici loaspettavanospaventati. Dissero che i due cavalli erano ritornatisenza cavalieri. Dissero che il cavallo del signor Giuliano avevaseguito l'altrodella dama.


Ilsignor di Fourville barcollò.


"Saràcapitata qualche disgrazia con questo tempo orribile" disse convoce rotta. "Si vada in cerca di loro." Ripartì eglistesso; ma appena lo perdettero di vistasi nascose in un rovo erimase lì a spiare la strada per la quale doveva tornare mortao moribondaforse storpiataforse sfigurata per semprecolei cheegli amava ancora selvaggiamente. E la carretta che portava qualcosadi strano passò. Sìegli se la vide passare davantinel suo nascondiglio.


Dinanzial castello la carretta sosta un momento. Poi entra. E' leisìè lei; ma un'angoscia spaventosa lo inchioda lìnelsuo covoun'ansia di sapereuno spavento della veritàe nonsi muove piùsi accovacciaresta lì come una lepretrasalendo al minimo soffio. Aspetta un'oraaspetta due ore. Lacarretta non esce. Pensa che sua moglie sta forse per renderel'ultimo respiroe allora il pensiero di vederladi incontrare ilsuo sguardolo riempie di tale orroredi tal raccapriccioche haperfino paura di essere scoperto nel suo nascondigliodi essereobbligato a rientrare per assistere a quell'agonia. E fugge ancora;si rintana nel mezzo del bosco. Poiquasi di colporiflette cheforse ha bisogno di soccorso e nessuno l'assistee torna indietrodisperato correndo. Eccoil giardiniere al cancello. Gli grida:

"Ebbene?".Quegli non sa rispondere. "E' morta?" Il servitorebalbetta: "Sìsignor conte". E allora è comeil sollievo; è la calma che penetra nel sangueche entra neimuscolie così egli sale a passo franco i gradini del grandescalone.


L'altracarretta era giunta all'altro castello. Giovanna la vide di lontanosi accorse del materassoindovinò che un corpo v'era stesosoprae capì tutto. Allora cadde svenuta. Quando riprese isensisuo padre le teneva il capo e le bagnava le tempie d'aceto.


Poile domandò se sapeva. Lei mormorò: "Sìpapà". Volle alzarsi.


Nonpoténon potétanto soffriva.


Lasera stessa partorì una creatura morta: era una piccina.


Nonvide nulla del seppellimento di leinon vide e non seppe piùnulla. Si accorse soltanto dopo un giorno o due che era tornata ziaLisetta. Nelle allucinazioni febbrili che l'agitavano cercava diricordarsi con ostinazione da quanto tempo la vecchia zitella fossepartita dai "Pioppi"in quale epocain quali circostanze.


Nonci riusciva nemmeno nei momenti di lucidità: era sicurasoltanto di averla vista dopo la morte della sua povera mamma.




Capitolo11


Giovannarimase tre mesi nella sua cameracosì debole e pallida che lacredevano e la dicevano perdutama poi a poco a poco si riprese. Ilbabbo e la zia non l'abbandonavano piùrestavanosistabilivano ai "Pioppi". Quelle ultime scosse avevanolasciato la poveretta prostrata e con una malattia nervosa: il minimorumore la faceva quasi svenire: cadeva in lunghe sincopi per nulla.


Com'eramorto Giuliano? Non aveva mai chiesto. Non chiedeva. Che glieneimportava? Non ne sapeva abbastanza? Tutti credevano a una disgraziama lei non si faceva illusionilei custodiva nel suo cuore quel suotormentoso segretoed era la sicurezza dell'adulterioera lavisione di quell'improvvisa e terribile visita del conteil giornodella catastrofe. Ed eccoorala sua anima come penetrata diricordi teneridolci e malinconici delle brevi ore d'amore che leaveva un giorno prodigato il suo sposo.


Trasalivaspesso a certi inattesi risveglie rivedeva lui da fidanzatorivedeva il Giuliano che le era stato caro per quella breve passionesbocciata sotto il sole della Corsica. I suoi difetti si erano comeaffievoliti al ricordosparite le durezzeattenuate le infedeltàvia via che i giorni accrescevano la lontananza fra la vita e latomba Era come se Giovanna fosse invasa da una specie di gratitudinepostuma per quell'uomo che l'aveva tenuta fra le bracciae scartavale sofferenze passate per non sognare che i giorni felici. Poiilperpetuo fluire del tempoi mesi che si susseguivano ai mesicopersero d'obliocome di una polvere accumulatareminiscenze edolori: Giovanna si era dedicata interamente a suo figlio.


Eccol'idolol'unico pensiero dei tre esseri riuniti intorno a luiedecco il regno del despota. Una specie di gelosia nacque in ciascunodei tre schiavia cominciare dalla madre che non guardava di buonocchio il nonnino quando riceveva i baci del piccolo in cambio dellagaloppata sul ginocchio. E la povera zianegletta da lui come erastata sempre da tuttitrattata come una serva da questo padrone chenon spiccicava ancora le parolela zia Lisetta si chiudeva apiangere in camera sua paragonando sconsolatamente quelle pocheinsignificanti carezze che le toccavanomendicate e appena ottenutecon le grandi espansioni che toccavano di diritto alla mamma e alnonnino.


Passaronocosì due anni: due anni tranquilli senza alcun avvenimento;con la preoccupazione incessante del piccolo. Sul principio del terzoinverno si decise di andare a stabilirsi a Rouenfino allaprimaverae tutta la famiglia partì. Maarrivati allavecchia dimora abbandonata e umidaPaolo cadde malato: e fu unabronchite così grave che si temette degenerasse in pleuriteei tre poveri esseri smarriti si convinsero che non poteva fare a menodell'aria dei "Pioppi" e ve lo ricondussero appena guarito.


Ebbeinizio una serie di anni monotoni e dolci. Sempre insiemetutt'etreintorno al piccolo: ora nella sua stanzaora nel gran saloneora in giardino: e si estasiavano ai balbettamentialle espressionistranealle mossette. La mamma lo chiamavaper vezzoPaolino; maera una parola difficile per quel bamberottolo che diceva invecePollinoe non è da dire quanto facesse ridere una simileinesattezza. Il soprannome restò: egli non era più néPaolo né Paolino: era Pollino.


Poichécresceva in frettauna delle preoccupazioni predilette dei suoi treammiratori (il barone diceva "le tre madri") era dimisurargli la staturae così fu che sulla parete di frontealla porta del salone piccoli segni a matita ne indicaronodi mesein meseil progresso. Questa scalabattezzata "la scala diPollino"occupava un posto considerevole nell'esistenza ditutti.


Poiun nuovo individuo venne a rappresentare in famiglia una parteimportante: il cane "Massacro"che era stato in un primotempo negletto dalla padrona preoccupata unicamente del figlio.Sicché il povero Massacronutrito da Liduina e messo adormire in un vecchio barile davanti alla scuderiaera vissutosolitario e sempre alla catena; finché un giorno il bambino lonotò e si mise a gridare per andar incontro al cane eabbracciarlo. E quando con infinite precauzioni lo avvicinarono aMassacroil cane fece festa al bambino e il bambino pianse perchénon voleva più essere separato da un simile amico. Da alloraMassacro fu liberato e ammesso in famiglia. E divenne l'amico diPaolo: l'amico di tutte le ore. Cane e bimbo si rotolavano insiemedormivano vicini sul tappetoanzi Massacro finì col dormirenel letto di Paolino che non voleva più lasciare il suo amico.Giovanna talvolta se ne desolava a causa delle pulcima zia Lisettacominciò a nutrire un rancore sordo verso quel cane cheprendeva tanta parte delle possibilità affettive del piccoloperché era tutto amore - così le sembrava - rubato aleiconteso al suo desiderio.


Rarevisite si erano scambiate coi Briseville e coi Coutelier; solo ilsindaco e il medico rompevano regolarmente la solitudine del vecchiocastello. Giovannadopo la strage della cagna e sospettando che ilprete avesse una parte di responsabilità nella morte orribiledella contessa e di Giulianonon entrava più in chiesairritata contro un Dio che poteva avere di questi ministri. E l'abateTolbiacdi quando in quandolanciava anatemi con allusioni chiarecontro il castello: il castellosicurovisitato dallo Spirito delMaledallo Spirito di Eterna Rivoltadallo Spirito di Menzogna e diErroredallo Spirito di Iniquitàdallo Spirito di Corruzionee d'Impurità. Così egli designava il barone.


Quasituttid'altrondesi tenevano lontani dalla sua chiesae quandoegli andava per i campi dove i lavoratori spingevano l'aratroicontadini non solo evitavano di fermarlo e parlarglima si giravanodall'altra parte per non salutarlo. Si credeva perfino che fosse unostregone perché aveva scacciato il demonio da un'ossessasidiceva che egli conoscesse parole misteriose per scongiurare imalefici: le "diavolerie" o magari anche (era il suopregio) le "burle di Satana". Stendeva le mani sulle muccheche davano il latte turchino o che avevano la coda attorcigliataofaceva ritrovare gli oggetti smarriti borbottando una misteriosaparola. Il suo spirito gretto e fanatico si dava con passione allostudio dei libri religiosi che trattano dell'apparizione del Diavolosulla terrale diverse manifestazioni della sua potenzale sueinfluenze occulteche sono infinitetutte le risorse di cuidisponei soliti raggiri delle sue innumerevoli astuzie. E siccomeegli si sentiva particolarmente chiamato a combattere questa potenzatenebrosa e fatalesi era premunito di tutte le formule di esorcismiindicate nei manuali ecclesiastici. Così che l'abate Tolbiaccredeva sempre di sentir errare nell'ombra il Malignoed ecco sullesue labbra lo scongiuro immancabile: "Sicut leo rugiens circuitquaerens queum devoret".


Allorail terrore della sua fama occulta si diffuse. I suoi stessi colleghipreti ignoranti di campagnaquelli per cui Belzebù èun articolo di fedequelli che si turbano delle prescrizioniminuziose dei riti nel caso che si manifesti quella potenza del malee giungono a confondere la religione con la magìaquei poveripretonzoli considerarono l'abate Tolbiac né più némeno che uno stregone e lo rispettarono tanto per il potere occultoche gli attribuivano quanto per l'irreprensibile austeritàdella vita.


L'abateTolbiacincontrando Giovannanon salutava. E non è a direcome questo stato di cose turbasse la zia Lisetta che nel suo animotimoroso di vecchia zitella non capivaproprio non capiva come sipotesse disertare la chiesa. Perché lei era piacertamentesi confessava e si comunicava benché non si sapesse e non sicercasse di sapere. E allora quando era sola con Paolo - ma solavehproprio sola - gli parlava a bassa vocemisteriosamentediDioed era "il buon Dio". Egli l'ascoltava quasi conattenzione se gli narrava storie prodigiosema se diceva che eranecessario amarlo moltoil buon Dioallora faceva una smorfia echiedeva:

"Madov'èziail buon Dio?" Quella indicava il soffittocon una gran paura del barone:

"Lassùlassùma non bisogna dirlo." Un giorno le dissePollino: "Il buon Dio è dappertutto ma non in chiesa".E si capiva che si era confidato col nonno e che il nonno rispondevacosì alle rivelazioni della zia.


Oraaveva dieci anniil ragazzoe sua madre ne dimostrava almenoquaranta. Era forteera audaceturbolento: sapeva arrampicarsisugli alberi: non sapeva fare quasi altro. Tutte le volte che ilnonno provava a mettergli un libro davantiecco l'immancabileinterruzione materna:

"Lascialostarelascialo giocare. Non bisogna affaticarlo troppo.


E'tanto ragazzo!" Per leiaveva sempre sei mesi o un anno. Appenasi rendeva conto che camminavacorrevaparlava come un omettocosìche lei viveva nel perpetuo timore che cadesse che avesse freddocheavesse caldo (quando si agitava)che mangiasse troppo per il suostomacotroppo poco per il suo sviluppo. Nacqueproprio in queltempouna grave questione: quella della prima comunione. Un belmattino la zia Lisetta si presenta in camera di Giovanna e le fanotare che non si può lasciare più a lungo quel poveropiccolo senza l'adempimento dei primi doverie mette in campo milleargomentiinvoca mille ragioniin primo luogo l'opinione autorevoledelle persone di conoscenza. La madre si turbaesitaèindecisacrede che si possa aspettare ancora un pochino. Ma un mesepiù tardi era in visita dalla viscontessa di Brisevillechele domandava come a casaccio:

"Nonè quest'anno che il vostro Paolo deve far la sua primacomunione?" Giovannapresa alla sprovvistamormorò:"Sissignora" e fu questa semplice parola che la deciseesenza dire nulla a suo padre incaricò zia Lisetta di portareil ragazzo al catechismo.


Perun mesetutto andò bene. Ma Pollino tornò una voltacon la gola rocae il giorno dopo tossiva. Sua madre lo interrogòspaventatae seppe così che il curato lo aveva mandato adaspettare la fine della lezione sulla porta della chiesa (con quellacorrente d'aria dell'atrio!) perché aveva fatto il cattivo.


Alloranon lo mandò più alle lezioni e preferìinsegnargli in casaalla buonaquella specie di alfabeto dellareligione; ma l'abate Tolbiacnonostante le suppliche di Lisettarifiutò di ammettere Paolino fra i comunicandi perché"non sufficientemente istruito".


Ecosì l'anno dopo: "non sufficientemente istruito"!Il barone giurò e spergiurò che il ragazzo non avevabisogno di credere a quelle sciocchezzea quel simbolo puerile dellatransustanziazioneper essere un galantuomo; e fu deciso che sarebbestato educato da cristianoma non da cattolico praticante: liberoliberissimo alla maggiore età di fare il piacer suo. MaGiovannache aveva recentemente visitato i Brisevillenotòche la visita non veniva restituitae ne fu un poco stupitaconoscendo la gentilezza meticolosa di quella gente.


Lamarchesa di Couteliercon alterigiale disse come andavano le cose.Perché la marchesa di Coutelierper la posizione di suomaritoil marchese di Coutelierper il suo titolo autenticoper lasua ricchezza considerevolesi riteneva una specie di regina dellanobiltà normannae regnava da vera sovrana mostrandosisecondo le occasionigentile o sgarbatae ammoniva e redarguiva odispensava le sue grazie. Questa voltadopo alcune parole glacialisentenziò in tono secco:

"Lasocietà si divide in due classi: quelli che credono in Dio equelli che non credono in Dio. Gli unianche i più semplicisono amici nostri: gli altri non possono essere nulla per noi."Giovanna sentì l'attacco e si difese:

"Nonsi può credere in Dio senza frequentare le chiese?" "Nosignora. I fedeli vanno a pregar Dio nella sua chiesa come si va atrovare gli uomini nelle loro case." "Dio èdappertutto" riprese Giovannaferita. "Quanto a mesecredo dal fondo del cuore alla sua bontànon lo sento piùquando certi preti si mettono fra lui e me.


Lamarchesa si alzò.


"Ilsacerdote porta il vessillo della Chiesa. Chiunque non segue il suovessillo è contro di lui e contro di noi." Giovanna siera alzataa sua voltae fremeva.


"Signoravoi credete al Dio di un partito. Io credo al Dio della genteonesta." Salutò e uscì.


Peròperòanche i contadini la biasimavano di non aver fatto farela comunione a Pollino. Perché i contadini non andavano allefunzioninon si accostavano ai sacramentio a mala pena sicomunicavano a Pasquasecondo le formali prescrizioni della Chiesa;ma per le creature era un'altra cosaper i marmocchi l'inimicizia ol'indifferenza cadevae quella gente si sarebbe ritratta davantiall'audacia di educare un ragazzo al di fuori della legge comune:insomma... insommala religione era la religione.


Siaccorse subito di essere così disapprovatae si indignònella sua anima di tutti questi patteggiamentidi queste transazionicon la coscienza e di questo mercanteggiaredi questa gran paura dituttodella viltà annidata in fondo ai cuorila bella viltàdissimulata da tanta rispettabilità quando vorrebbe farcapolino.


Ilnonno assunse la direzione degli studi di Paolo e pensò diiniziarlo al latino. La madre non aveva che una raccomandazione:

"Soprattuttonon affaticarlo troppo" e restava inquieta dietro la porta dellastanza da studio perché il barone gliene aveva vietatol'ingressodato che aveva già provato a interrompere lelezioni in ogni momento per chiedere: "Hai freddo ai piediPollino?" o anche: "Pollinoti fa male la testa?" omagariinterrompendo il maestro: "Non lo far parlar tanto: glistanchi la gola". Appena veniva rilasciatoil ragazzo scendevain giardinocon la mamma e la ziatanto più che avevacominciato ad appassionarsi alla terra e la coltivava a suo modocosì che a primavera anche la mamma e la zia lo aiutavano apiantare giovani alberi o seminavano erbe o si incantavano a vederlespuntare e tagliavano i rami e coglievano fiori per farne grandimazzi.


Ilmaggior pensiero del giovinetto era forse la coltivazione delleinsalate. S'era messo a dirigere quattro grandi quadrati dell'ortodove coltivava con cura infinita lattughelattughe romanecicoriaindiviaradicchitutte le specie conosciute di queste piantecommestibilie vangava e annaffiava e sarchiava e trapiantavae lesue due mamme gli andavano dietro sommessamentepoiché lefaceva lavorare come due donne a giornatané era difficilevederle in ginocchio sulla terra grassa (sporche le manimacchiati ivestiti) mentre introducevano quelle radici di tenere pianticine neibuchi che scavavano con un solo dito ficcato nella terraperpendicolarmente.


EccoPollino già grandeeccolo già a quindici anni: lascala del salone segna esattamente un metro e cinquantottocentimetri. Ma egli è rimasto spiritualmente un bambinoignoranteun po' scioccoe come soffocato tra quelle due donnette equel vecchioquel caro vecchio amabilema che ormai ha fatto il suotempo. Una sera infine il barone parlò di collegioe la madrenon trovò di meglio da fare che mettersi a piangere mentresgomentazia Lisetta se ne stava rincantucciata in un angolo buio.


"Mache bisogno ha mai di saper tante cose?" azzardò lapovera mamma. "Ne faremo un uomo di campagnaun 'gentilhommecampagnard'. Coltiverà le sue terre come fanno tanti nobilivivrà e invecchierà felice in questa casa dove avremovissuto prima di luidove moriremo... Che gli si può chiederedi più?" Ma il barone crollava la testa:

"Checosa gli risponderai se a venticinque anni ti dirà: 'Non sonienteper colpa tuaper colpa del tuo egoismo materno. Eccomisento incapace di lavoraredi diventare qualcunoeppure non erofatto per questa vita oscuraper questa vita umile e triste a cui miha condannato la tua imprevidente tenerezza...'".


Piangevasempre: implorava sempre che le lasciassero il figlio.


"DimmiPollinodimminon mi rimprovererai di averti troppo amato?""Nomamma" rispondeva quel fanciullone.


"Melo giuri?" "Sìmamma." "Vuoi restar quinon è vero?" "Sìmamma." Allora ilbarone parlò con chiarezzacon fermezza:

"SentiGiovanna. Tu non hai il diritto di disporre così di quellavita. Ciò che tu fai è vileè quasi criminososìperché sacrifichi tuo figlio alla tua felicitàindividuale." "Sono stata così disgraziata"gemette la poveretta singhiozzandonascondendo la faccia tra lemani. "Ohcosì disgraziata! Ora che sono tranquilla conluiora me lo portano via... Che cosa sarò io mai? Solasolasempre sola..." "E ioGiovanna?" chiese ilpadre dolcementee le sedette vicinol'attirò al suo pettostringendola forte.


Giovannagli cinse il collo con furialo abbracciò con violenzaepoiansimanteancora soffocata dai singhiozzifinì coldargli ragione.


"Sìforse è veropapà... Ero pazzama ho tanto sofferto!Sìdesidero anch'io che entri in collegio..." Senzacapire chiaramente che cosa stavano per fare di luiil ragazzo simise a piagnucolare. Allora le sue tre madri lo baciaronogli fecerocoraggioe quando si rinchiusero nelle proprie stanzemammanonnoe zia Lisetta avevano il cuore stretto e finirono col piangere alettonon escluso il barone che aveva sempre dimostrato di sapersialmeno luicontenere.


Fudunque deciso che alla riapertura delle scuole si sarebbe chiuso ilfigliolo in un collegio dell'Havree così nell'estate Pollinoebbe più carezze che mai. Sua madreche piangeva spesso alpensiero della separazionepreparò per lui un corredospettacoloso come se dovesse intraprendere un viaggio di dieci anni;e un mattino d'ottobredopo una notte insonnesalirono con lui inuna carrozza a due cavalli e partirono al trotto. In un viaggioprecedente avevano già scelto il suo posto: il posto inclasseil posto in dormitorio. Mamma e zia passarono tutto il giornoa disporre gli oggetti nel piccolo comòma il mobile nonconteneva nemmeno la quarta parte di quello che avevano portato e lamadre chiese del provveditore per ottenerne subito un altro. Fuchiamato l'economoil quale non poté esimersi dal dichiarareche tanti effetti ed oggetti avrebbero soltanto ingombrato senzaservire mai veramente; poi rifiutò la concessione colregolamento alla mano. La madredelusapensò di affittareuna stanza d'albergo raccomandando all'albergatore di recare eglistesso a Pollino ciò che egli avrebbe richiesto. Poi fecero ungiro lungo il porto per veder entrare e uscire i piroscafi. La tristesera cadde sulla città che si illuminò a poco a poco.Pranzarono in una trattoria: nessuno aveva fame: si guardavano l'unl'altro con gli occhi un po' umidi: i piatti passavano davanti aicommensali e tornavano indietro quasi intatti. Poilentamenteripresero la via del collegio. Ragazziragazzi di tutte le staturearrivavano da tutte le partiin compagnia di qualcuno: mammeparentidomestici. Molti piangevano. Si udiva qualche singhiozzoqualche sommessa voce di pianto nel grande cortile appena rischiaratada un lume. La madre e Pollino si strinsero a lungo. Zia Lisettarestava indietrogiàdimenticata leidimenticata! Enascondeva la faccia nel fazzolettopovera vecchia zia. Ma il baroneche cominciava a intenerirsi anche luiaccorciòautorevolmente gli addiie trascinò lontano sua figlia. Lacarrozza li attendeva alla porta: salirono in silenzio tutti e tre:si trottò verso i "Pioppi" che era notte. Di quandoin quando un singhiozzonell'ombra...


Giovannail giorno dopopianse fino a sera. Quell'altro giorno fece attaccaree partìnaturalmenteper l'Havre. Il ragazzo sembrava sifosse già rassegnato alla separazione; per la prima volta invita sua aveva dei compagni e il desiderio di giocarenello stessoparlatoriolo faceva saltare sulla sedia. Ritornò cosìogni due giorni; non mancò per l'uscita delle domeniche. Nonsapendo che fare durante le lezioni fra l'una e l'altra ricreazionese ne stava seduta in parlatoriosenz'aver né la forza néil coraggio di allontanarsi di lìfinché ilprovveditore la esortò a venire meno spesso. Naturalmentenontenne conto di una raccomandazione come questa. Allora il superioreavvertì che se continuava cosìcioè sedistoglieva il figliolo dallo studiose gli impediva di unirsi aicompagni nelle ore di riposoegli avrebbe dovuto ridarglieloe diciò fu avvertito con un biglietto il barone. Rimase dunque aisuoi "Pioppi" guardata a vista come una prigionieraaspettando le vacanze con maggiore ansietà di quanto non leaspettasse suo figlio.


Alloral'assalì una strana inquietudine: girava sola qua e làper il paesepassava intere giornate fantasticando a vuotoincompagnia di Massacropassava ore e ore a guardare il mare sedutasulla scoglierascendeva fino a Yport attraverso il boscorifacendole antiche passeggiatecoi ricordi che la perseguitavano. Com'eralontano il tempo in cui aveva percorso quelle stesse stradefanciullafanciulla inebriata di sogni!

Ognivolta che rivedeva suo figlio le sembrava come se fossero statiseparati per tanto tempo: dieci anni! Egli diventava uomo di mese inmese: di mese in mese diventava sempre più vecchia. Il baronesembrava suo fratello. Zia Lisetta aveva l'aria di una sorellamaggiore; perché quella non invecchiava e restava com'era aventicinque anni: appassita. E Pollinoluinon studiava:

ripetéla quartala terza non andò né bene né malemaripeté la secondae quando si trovò in liceo avevaesattamente vent'anni.


Eradiventato un giovanottone biondocon favoriti già foltiec'era anche l'ombra dei baffi. Ormai era lui che venivaognidomenicaai "Pioppi"tanto più che da qualchetempo frequentava una scuola di equitazione e con un cavallo preso anolo faceva la strada in due ore. La mattina presto la madre gliandava incontro con la zia Lisetta e col nonno (il barone si curvavasempre piùcamminava come un vecchiettole mani dietro laschienaquasi volesse sostenersi a quel modo) e andavano lentamentelungo la strada sedendosi a volte sul margine di un fossato oguardando da lontano se non si vedesse ancora il bel cavaliere.Appena il giovanotto apparivacome un punto nero sulla linea biancai tre agitavano i loro fazzoletti e lui metteva il suo cavallo algaloppo per piombare come l'uraganocosì che i teneri cuorifemminili si impaurivano e il nonno si esaltava e gridava: "Bravobravissimo!" con l'entusiasmo di chi non è più datanto.


SebbenePollino avesse sopravanzato sua madre di tutta la testaGiovanna lotrattava sempre come un bambinogli chiedeva ancora:

"Nonhai freddo ai piediPollino?" e quando egli passeggiava davantialla gradinata fumando una sigarettaapriva una finestra pergridargli: "Ti pregoPollinonon uscire a capo scoperto: tiprenderai un raffreddore di testa". Ma soprattutto tremava diinquietudine quando il figliolo partiva a cavallodi notte: "OhDiomio piccolo Pollinonon andrai troppo in fretta! Per caritàsii prudente: pensa alla tua povera mamma che morirebbe se ticapitasse qualcosa...".


Maecco cheun sabato mattinariceve una lettera di Paolo conl'annuncio che domani non verrà per via di una gita di piacereche gli hanno organizzato gli amici. E così per tutta ladomenica fu torturata dall'angosciaper non sapeva qualepresentimentoe il giovedì successivo non poté piùresistere: partì. Le sembrò cambiato senza che se nespiegasse il motivo. Era più animatoparlava condisinvolturaaveva una voce maschia. Disse subitocome una cosatutta naturale:

"Saimammagiacché sei venuta ogginon verrò domenica ai"Pioppi". Rifaremo ancora una gita." L'altra restòcolpitasoffocatacome se egli le avesse annunziato che partiva peril nuovo mondo.


"OhPollino!" esclamò quando poté parlare. "ChehaiPollino?

Dimmiche succede." "Nulla" rispose egli ridendo eabbracciandola. "Vado a divertirmi coi miei amicimamma: èl'età." E lei non seppe che dire. Era l'età! Maritornando al castellosolarannicchiata nella carrozzale venneuno strano pensiero:

nonaveva riconosciuto il suo Pollinoil suo piccolo Pollinoil suoragazzo d'un tempo. Si accorse per la prima voltasi accorse che eragrandeche era cresciutoche non era più suoche volevavivere a modo propriosenza occuparsi dei vecchi. Le sembrava cheegli si fosse trasformatoin un giorno. Come? Era suo figlioil suopiccolo povero ragazzo che una volta le faceva piantar l'insalata(lattuga e radicchioindivia e cicoria) quel giovanotto robusto lacui volontà si affermava?

Perdue mesi Paolo non tornò a rivedere i suoi cari che a lunghiintervallie sempre col desiderio (ohglielo leggevano in viso) diandarsene prestocercando di guadagnare un'ora ogni volta.


Giovannasi spaventavae il padre le ripeteva sempre per consolarla:

"Lascialofarequel ragazzo. Ha vent'anni!" Ma un giorno si presenta unsignore d'etàassai mal vestitoche chiede con un forteaccento teutonico: "La signora contessa?" edopo moltisaluti e complimentitira fuori di tasca un portafogli sordido edichiara: "Io afere... piccola carta per foi..." e tendespiegandoloun foglio di carta unta.


Giovannalesserilesseguardò l'ebreorilesse ancorainfinedomandò:

"Ebbene?Che cosa vuol dire?" Il vecchio spiegò tutto ossequioso:

"Fidirò. Fostro figlio afefa bisogno di danaro et iosapendo foiessere buona matregli ho dato piccola somma per suo pisogno..."Tremava.


"Maperché non chiederla a me?" L'ebreo spiegò che sitrattava di un debito di gioco da pagare il giorno dopoprima dimezzogiorno: che Paolo non era ancora maggiorenne e perciònessuno gli avrebbe prestato un centesimo:

cheil suo onore sarebbe stato "compromesso" senza il "piccoloservizio di favore" che lui l'ebreoaveva reso a quelgiovanotto.


Giovannaavrebbe voluto alzarsichiamare suo padrema era come se non neavesse la forza: l'emozione la paralizzava. Disse infine a quellostrozzino:

"Voleteavere la compiacenza di suonare il campanello?" Egli esitòcome temendo un inganno.


"Sefi disturbatornerò..." Nono: lei fece segno di no conla testa. Il vecchio suonò: e aspettaronol'uno di fronteall'altroin silenzio.


Comparveil barone. Capì subito di che si trattava. L'obbligazione eraper millecinquecento franchi. Ne pagò milledicendo all'uomogli occhi negli occhi:

"Soprattutto:non tornate mai più." L'altro salutasi inchinascompare.


Lamadre e il nonno partirono immediatamente per l'Havre; ma in collegiosi sentirono dire che Paolo non si era più fatto vivo da unmese. Il rettoreanziaveva ricevuto quattro lettere firmate daGiovanna: la prima annunziava una malattia dell'allievole altredavano ampie e dettagliate notizie con l'ausilio dei certificatimedici: tutto falsonaturalmente. Quei poveretti restavano lìa guardarsimutiatterriti.


Ilrettoredesolatoli condusse dal commissario di polizia.


Giovannae suo padre alloggiaronoper quella notteall'albergo.


Eil giorno dopo il giovanotto fu trovato all'Havre in casa di una pocodi buono. E lo condussero vialo portarono ai "Pioppi"senza che una sola parola fosse scambiata fra loro durante iltragitto.


Giovannapiangeva sommessamente con la faccia nascosta nel fazzoletto; Paoloindifferentealzava gli occhi a guardar la campagna.


Inotto giorni si scoprì che negli ultimi tre mesi aveva fattodebiti per una somma discreta: quindicimila franchi. I creditori nonsi erano fatti subito avanti perché sapevano che ben prestoegli sarebbe stato maggiorenne.


Nientenientenessuna "spiegazione". Si voleva riconquistarlo conla dolcezza. Gli offrivano pietanzine delicategli sorridevanoloblandivanoquasi a finirlo di guastare. Era di primavera. E gli sinoleggiò a Yport un battellino perché potesse fare (ohi nuovi timori di Giovanna!) tutte le gite in mare che voleva. Solonon gli si lasciava il cavallo per paura che ritornasse ancoralaggiù. Disoccupatoegli divenne irritabiletalvolta perfinobrutale. Invece il barone si inquietava per via degli studiincompletimentre Giovanna si spaventava all'idea di una separazionee nello stesso tempo si chiedeva che cosa avrebbero fatto di lui.


UnaseraPaolo non tornò. Si seppe che era andato in barca condue marinai. Sua madre ansiosa scese a Yportsenza niente in testadi notte. C'erano alcuni uomini che attendevano sulla spiaggia ilritorno dell'imbarcazione. Appare al largo un piccolo lume: vienesiapprossimadondola. Ma Paolo non c'ènon è a bordo.Non è a bordo perché si è fatto condurreall'Havreall'Havre!

Lapolizia ebbe un bel cercarlo: questa volta non lo trovò. Laragazza che lo aveva già nascosto una prima volta era anchelei scomparsa senza lasciar traccia: venduto il mobiliopagatol'affitto. Nella stanza di Paoloai "Pioppi"siscoprirono due lettere di questa ragazza che sembrava pazza d'amoreper luie poi questa ragazza parlava di un certo viaggio inInghilterraavendo trovato finalmente (questo affermava) i denari.


Queitre poveretti vissero silenziosi e tristi al castello nel cupoinferno delle torture morali. I capelli della madregiàgrigierano ormai tutti bianchi. Si chiedeva ingenuamente perchéil destino la colpisse così. E fu il giorno che ricevette unalettera dell'abate Tolbiac: "Signorala mano di Dio pesa suvoi.


Voigli avete rifiutato il vostro bambino. Egli ve l'ha preso pergettarlo nelle braccia di una sgualdrina. Non aprite gli occhinemmeno a questo avvertimento del Cielo? La misericordia del Signoreè infinita. Forse vi perdonerà se voi verrete ainginocchiarvi davanti a Lui. Io sono il suo servitore ed io viaprirò la porta della sua Casa quando verrete a bussarvi".Rimase a lungo cosìcon questa lettera in grembo. Forse eravero. Sìforse quel che diceva il prete era vero. E tutte leincertezze religioseeccovenivano a straziarea lacerare la suacoscienza. Dio poteva essere vendicativo e geloso come gli uomini?

Mase Egli non si fosse mostrato gelosochi lo avrebbe temuto?

Nessuno.Chi lo avrebbe adorato? Nessuno. Per farsi meglio conoscere a noisenza dubbioEgli si mostrava agli uomini coi loro stessisentimenti. E allora il dubbio vile che spinge nelle chiese coloroche esitanocoloro che dubitanopenetrò dentro di leialpunto da spingerla una seraal calar della notteverso ilpresbiterioe cosìdi nascostosi inginocchiò aipiedi dello smunto abate implorando l'assoluzione. Egli le promise unmezzo perdononon potendo Iddio riversare tutte le sue grazie sopraun tetto che proteggeva un uomo come il barone Le Perthuis des Vauds.


"Voi"affermò "sentirete presto gli effetti della DivinaProvvidenza." Infattidue giorni doporicevette una letteradel suo figliolo; e nell'esaltazione del suo affanno consideròquesta lettera come il principio del sollievo promesso dal sacerdote:

"Miacara mammanon essere inquieta. Sono a Londra in buona salutema hogran bisogno di denaro. Non abbiamo più un soldo e nonmangiamo tutti i giorni. Colei che mi segue e che amo con tuttal'anima mia ha speso tutto ciò che possedeva per nonlasciarmicioè cinquemila franchie tu capisci che renderequesta somma è per me obbligo d'onore. Tu sarai cosìbuona da anticiparmi una quindicina di migliaia di franchisull'eredità del papàperché io saròpresto maggiorenne. Mi trarrai così da un grande imbarazzo.


"Addiocara mamma. T'abbraccio con tutto il cuore e così abbraccio ilnonno e zia Lisetta. Spero di rivederti presto. Tuo figlioViscontePaolo di Lamare."


Leaveva scritto! Dunque... non la dimenticava. Non pensò nemmenoche egli bussava a quattrini. Ma sìgliene avrebbe mandatodel denaropoiché egli non ne aveva più. Che importavail denaro? Le aveva scritto! E corsepiangendoa mostrare questalettera al padre. Zia Lisetta fu chiamata e si rilesse parola perparola questa cara carta di lui. Ogni frase fu ripetuta. Ogni frasefu discussa. E Giovanna passava dalla disperazione completa a unaspecie di ebbrezzae lo scusavaPaoloil suo Paolo:

"Ritorneràritornerà presto. L'ha scritto!" "E' lo stesso"dissepiù calmoil barone. "Egli ci ha lasciati perquella femmina.


Dunquel'ama più di noi perché non ha esitato tra lei e noi."Era un ragionamento così chiaro che si ripercosse nel cuore diGiovanna con una fitta acutissimae da quel momento la poveretta sisentì nascere l'odioun odio invincibileselvaggioun odiodi mamma gelosaper quell'amante che le rubava il figliolo. Fino aquel momento tutti i suoi pensieri erano stati per Paolo. Appenaricordava che una sgualdrina fosse stata la causa dei suoi errori; maorad'un trattoda quando le avevano evocato la rivaleda quandole avevano rivelato il suo funesto potereeccosentiva che fra leie quella donna cominciava una lotta accanita e pensava perfino cheavrebbe preferito perdere suo figlio piuttosto che dividerlo conquella. Tutta la sua gioia crollò. D'accordo col padre mandòi quindicimila franchi al figlioloe non se ne seppe nulla per bencinque mesi. Dopo cinque mesi si presenta un uomo d'affari perregolare la successione di Giuliano. Giovanna e il barone rendono iconti senza discutere: concedono anzi la parte di usufrutto chetoccherebbe alla madre. Paolo intasca centoventimila franchi eritorna a Parigi. E scrive quattro lettere in sei mesi:

lostile è conciso: un po' freddine le proteste d'affetto in ognichiusa. "Lavoro: trovato un posto alla Borsa. Spero diabbracciarvi tutti ai 'Pioppi'miei cari." Non una parola delladonna e quel silenzio diceva più che se avesse parlato di leiper quattro pagine. Giovanna sentiva quella donna nascosta dietro lelettere gelideera lìera lìl'implacabilel'eternanemica delle madrila prostituta.


Itre solitari discutevano sempre sul modo di salvare quel poverettoenon trovavano nulla. Un viaggio a Parigi? A che scopo? Il barone eradel parere di lasciar esaurire quella passione: poi il ragazzosarebbe tornato da sé. Ma intantoche vita penosa! Giovanna ela zia continuano ad andare in chiesa di nascosto del vecchio... Epassa il tempoe le notizie non giungono: finché un bruttogiorno arriva una letterauna lettera disperatache mozza ilrespiro:.


"Miapovera mammaio sono perdutonon mi resta più che bruciarmile cervella: se tu non vieni in mio aiuto. Una speculazione chepresentava tutte le probabilità del buon successoèandata a rotoli e io sono debitore di ottantacinquemila franchi. Senon pagoè la rovinaè il disonoreèl'impossibilità di poter fare qualcosa in avvenire. Sonoperdutoti ripetoe mi ucciderò anziché sopravviverealla vergogna. Forse lo avrei già fattosenzal'incoraggiamento di una donna di cui non ti parloma che èla mia provvidenza. Ti bacio dal fondo del cuoremia cara mammaeforse per sempre. Addio.


Paolo."


Alcunifogli di carta bollata aggiunti alla lettera davano i chiarimentiparticolareggiati del disastro.


Ilbarone rispose immediatamente che avrebbe provveduto. Partìper l'Havre per consultarsi e trattare; poi ipotecò alcuneterre ed ebbe il denaro per Paolo. Paolo rispose con tre letterepiene di tenerezza e di entusiasmoannunciando sempre il suoprossimo arrivoper abbracciare i cari parenti; ma non si fece maivivo.


Unanno intero passò.


Giovannae il barone stavano per andare in cerca di lui e tentare un ultimosforzoquando seppero da un suo biglietto che era di nuovo a Londraa costituire un'impresa di battelli a vapore: PAOLO DELAMARE ECOMPANY. Egli scriveva: "E' la fortuna assicurata per meforsela ricchezza. E non rischio nulla. Voi vedete già tutti ivantaggi. Quando ritorneròavrò una bella posizionesociale.


Ogginon vi sono che gli affari per trarsi d'impaccio".


Tremesi più tardi la compagnia dei piroscafi era in stato difallimentoe il direttore ricercato per irregolarità neilibri commerciali. Giovanna ebbe una crisi di nervi che duròparecchie ore: poi si allentò. Il barone riparte per l'Havrevedesi informaparla con avvocatiparla con uomini d'affari e conusciericonstata che il deficit della società DELAMARE èdi duecentotrentacinquemila franchiipoteca di nuovo i suoi beni.


Gravatoper una forte somma il castello dei "Pioppi" con le sue duefattorie... Una seramentr'egli regolava le ultime formalitàin un gabinetto di procuratorerotolò sul pavimentoper uncolpo apoplettico. Giovanna fu avvertita da un messo ma quando arrivòsul luogoil suo povero papà era spirato. Ritornò ai"Pioppi" così annientata che il suo dolore era piùche disperazionestordimento. L'abate Tolbiac nonostante lesuppliche delle due donnenon volle il cadavere in chiesae ilbarone fu seppellito senza cerimoniasul far della notte.


Paolo(sempre nascosto in Inghilterra) seppe della disgrazia da uno deiliquidatori del suo fallimentoe scrisse per scusarsi di non esserevenutoavendo appreso la disgrazia con troppo ritardo.


"D'altronde"diceva "ora che mi hai tolto da ogni impicciorientreròin Francia e così potrò riabbracciarti." MaGiovanna viveva in un tale abbattimento di spirito che sembrava noncapire più nulla.


Versola fine dell'invernozia Lisettain età di sessantotto anniebbe una bronchite che degenerò in polmonite. Disse: "Miapovera Giannettaio vado a chiedere al buon Dio che abbia pietàdi te"e spirò dolcemente. Giovanna la seguì alcimiterovide cadere la terra sulla cassa e quasi svennecomeprostrata dal desiderio di finiredi morire anche leidi nonsoffrir piùdi non pensare piùe allora si feceavanti una robusta contadina che afferrò quella poveretta frale sue solide braccia e se la portò via con séinbraccioproprio come una bambina.


AlcastelloGiovannache aveva passato cinque notti al capezzale dellavecchia ziasi lasciò spogliare e mettere a letto da quellasconosciuta che la maneggiava con dolcezza e con autoritàecadde in un sonno profondoun sonno d'esaurimentodopo tanta faticae tanto dolore. E si svegliò a mezzanotte. Ardeva una lampadasul caminetto. Una donna dormiva su una poltronalì vicino.Chi era?

Nonla riconosceva. E si sporgeva sulla sponda del lettoper sapere.Difficile distinguere i lineamenti in quella luce tremolante dellostoppino che fluttuava nell'olio di un bicchiere di cucina. Eppure...eppure le sembrava di aver visto quel viso.


Sìqualche volta. Ma quando? Dove? La donna dormiva tranquilla col capoinclinato sulla spallae la cuffia era caduta per terra.


Potevaavere quarantaquarantacinque anni: fortecoloritaquadratapossente... Le mani pendevano abbandonate ai lati della poltrona. E icapelli alle tempie erano grigi... Giovanna guardava ostinataconquel turbamento dello spirito che è proprio del risvegliarsida un sonno febbricitante che segue a una grande sventura. Oh sìaveva già visto quel viso! Da molto tempo? Da poco? Nonsapeva. Nulla sapeva. E si alzò piano piano per guardar ladormiente più da vicinole si accostò in punta dipiedi. Sìera leiera la donna che l'aveva presa in braccioal cimiteroe poi coricata. Ricordava confusamentesìmaricordava. Non l'aveva incontrata altrovein un'altra epoca dellasua vita?

Oppurecredeva di riconoscerla soltanto per il ricordo oscuro diquell'ultimo giorno? E come mai la sconosciuta era in questa stanzae perché?

Ladonna solleva le palpebrevede la signorasi drizza di colpo.


Sonocosì vicinefaccia a facciache i loro petti quasi sitoccano.


"Come?In piedi? Prenderete un malannoa quest'ora. Tornate a lettochesarà meglio." "Chi siete?" domanda Giovanna.


Mala donna apre le bracciaafferra quel povero corpolo sollevaloriporta a lettocon la sua forza virile. E mentre lo adagiadelicatamente sulle coltripiegataquasi coricata su quel poverocorposi mette a piangere e a baciare: bacia con passione quel visobacia quei capellibacia quegli occhibacia e bagna di lacrimeedice:

"Miapovera padronasignorina Giovannasignorina Giovannanon miriconoscete dunque più?" "Rosalìa?" Sibuttano le braccia al collosi stringono e si baciano e singhiozzanotutt'e due ecosì strettemescolano le loro lacrime: non sisciolgono più.


Rosalìafu la prima a calmarsi.


"Adessobasta. Bisogna che facciate giudizio. Non dovete prendere freddo."Raccolse le coperterincalzò il lettoriaccomodò ilguanciale sotto il capo della sua antica padrona che soffocava ancoranel piantotutta agitata dai ricordi che nascevano via via nel suocuore.


"Comemai sei tornataRosalìapovera figliola mia?" "Potevolasciarvi sola in questo momento?" "Accendi una candelaaccendiaccendiperché possa vederti." Il lumino a oliopassò sul comodinoe allora si guardaronosi considerarono alungosenza sapersi dire una parola. Poi Giovanna stese alla suavecchia serva le braccia.


"Nonti avrei riconosciuta. Sei molto cambiata. Non però come menon come me..." Rosalìa non si saziava di guardare quellasignora dai capelli bianchimagraavvizzitache aveva lasciatagiovane e bella.


"E'vero. Voi siete cambiata più di quel che dovrebbe essere. Mapensate che sono ventiquattr'anni. Sono ventiquattro anni che non cisiamo viste." "Sei stata almeno felice?" chieseGiovanna dopo una pausadopo aver riflettuto.


Rosalìaesitòcome temendo di ridestare in lei qualche ricordopenoso.


"Peuh...Non ho da lagnarmi. Sono stata più felice di voi... sì...


certamente...Una cosa sola mi ha sempre addolorataed è di non essererimasta qui..." Tacque improvvisamentespiacente di aver dettoquestosenza pensarci su.


"Masaifigliola mia"riprese con dolcezza Giovanna "non sifa sempre ciò che si vuole. Anche tu sei vedova no?" Poicon una voce che trema d'angoscia: "Altri figlioli... hai altrifiglioli?" "Nossignora." "E luituo... tuofiglioche cosa fa? Com'è? sei contenta?" "Sissignora.E' un buon ragazzolavora volentieri. E' ammogliato da sei mesisiprenderà la mia fattoria. Perché io... sono ritornatacon voi..." "Allora.. tu non mi lascerai piùfigliamia?" "Certamente" affermò con un tono bruscola serva. "Ho dato tutte le mie disposizioni per questo."Eper un lungo temponon si dissero altro. Giovanna si rimettevasuo malgradoa confrontare la sua vita e quella di Rosalìama senza amarezzarassegnata ora alla crudeltà della sorte.


"Tuomarito... com'è stato con te?" "Ohera unbrav'uomosignoramica un fannullonee il denaro l'ha messo daparte. E' morto tisico..." In questo momento Giovanna si sedetteaddirittura sul lettocon una gran voglia di sapere.


"Vediamodimmi tuttofigliola. Raccontami la tua vita. Sento che mi faràbene." Rosalìa avvicina una sediasi siedesi accomodae si mette a raccontar la sua vita. Parla di sédella suacasadella sua famiglia: entra in tutti quei piccoli particolari chesono così cari alla gente di campagna: descrive il suo cortilee rideride delle cose antiche che le richiamano le ore buone dellavita: e a poco a poco alza anche la voceda fattoressa avvezza alcomando.


Finisceper dichiarare:

"Ohsìormai ho della terra al sole e non ho paura di nulla."Riprese a voce più bassaun po' turbata:

"E'a voi che debbo tuttosignora. E mettetevi bene in mente che nonvoglio salario. Ahno! Mai! E poi se vorreste darmeneme ne andreisubito via." "Non pretenderai mica di servirmi per nulla?""Sissignorasissignora. La paga! Voi mi dareste la paga! Ma sene ho ormai come voi! Sapete quel che vi resta con tutto quelgarbuglio di ipotechedi prestiti e di interessi non pagati cheaumentano a ogni scadenza? Lo sapete? Novero? Ebbeneio scommettoche non avete più di diecimila franchi di rendita.


Nemmenodiecimilacapite? Ma io metterò in ordine tuttosìeanche presto." S'era messa a parlare a voce altaeccitataindignata per quegli interessi trascuratiper la rovina cheincombeva. E siccome passava sul volto della sua padrona un vagosorriso di tenerezzaesclamòribellandosi: "Non bisognarideresignoraperché senza soldi ci sono solo i tangheri ei villanacci." Giovanna le prese le mani e le tenne un po' frale sue. Disse poi lentamentesempre perseguitata dal pensiero che laopprimeva:

"Ohio non sono stata fortunata. Tutto è andato male per me. Lafatalità si è accanita contro di me." Ma Rosalìascoteva la testa.


"Nonbisogna dire queste cose. Non bisogna dire queste cose. Voi sietestata maritata maleecco tutto. Non ci si marita a quel modosenzaconoscere bene chi si prende." Cosìcontinuarono aparlar di se stesse come avrebbero fatto due vecchie povere amiche.Il sole spuntae parlano ancora.




Capitolo12


Inotto giorni Rosalìa assunse il governo della casa e dellagente del castello (ed era governo assoluto) mentre Giovannarassegnatapassivamente sorrideva e obbediva. Giovanna era deboledebole; trascinava le gambe come già la sua mammasempreappoggiata al braccio della camerierache la faceva camminare alenti passi e non le risparmiava le parole brusche o la riconfortavacon paroline tenere trattandola come una bambina malata. E parlavanosempre del passato! La padrona con le lacrime che le facevano nodoalla golal'altra col tono calmo e tranquillo dell'apatia contadina.Rosalìa ritornava spesso su quell'argomento scottantedegl'interessi non pagatie pretendeva le si dessero tutte le cartequelle tristi carte che la padrona ignara di affariavrebbe volutonascondere per materna pietà verso il suo Paolo. Alloraperuna settimanaRosalìa andò tutti i giorni a Fécampdal notaioperché il notaio le spiegasse tutto ben bene.


Unaseradopo aver messo a letto la sua padronasi sedette accanto alletto e cominciò:

"Orache vi ho messo a nannasignora miadiscorriamo un poco fra noi."Ed espose la situazione. Quando tutto fosse stato regolatosarebberorimasti sette o otto mila franchi di rendita: non di più.


"Chevuoivecchia mia? So bene che non invecchierò e ne avròsempre abbastanza." Rosalìa ci si arrabbiò.


"Pervoicertamentesignora; ma il signor Paolo volete lasciarlo senzail becco d'un quattrino?" "Te ne prego" disse lei conun brivido "non parlarmi di luinon parlarmene mai. Soffrotroppo quando ci penso..." "E io voglio parlarvene! E iovoglio parlarveneperché voi non siete capace di far niente!Ora fa delle sciocchezzema non ne farà sempresiammoglieràavrà i suoi figlioli e ci vorrà ildenaro per allevarli... Eccova bene: voi vendete i "Pioppi"."Giovanna sobbalzòe restò seduta sul letto.


"Dicisul serio? Vendere i "Pioppi"? Ah no! questo no!"Rosalìa non si scompose.


"Iovi dico che venderete il castello dei "Pioppi". Perchésignorabisogna." E sfoderò la sua scienza:ragionamenticalcoliprogetti. Venduto il castello con le sue duefattorie a un compratore che aveva sottomanosarebbero rimaste lequattro fattorie di San Leonardole quali fattorieliberate da ogniipotecaavrebbero dato una rendita di ottomilatrecento franchi.Occorrevano milletrecento franchi l'anno per la manutenzione deibenie restavano esattamente settemila franchicinquemila per ilbilancio annualeduemila per il fondo di riserva. E aggiungeva:

"Tuttoil resto è stato mangiato ed è finito. E poi io terròle chiavicapite? e quanto al signor Paolonon avrà piùun soldo che è un soldocapite? Egli vi porterebbe via anchel'ultimo spicciolo." Giovanna piangeva in silenzio.


"E...se non avrà da mangiare?" "Se avrà fameverrà a mangiare da noi. Ci sarà sempre un posto atavola e un letto per lui. Credete voi che egli avrebbe fatto tantesciocchezze se aveste resistito fin dal principio?" "Maeglivediaveva dei debiti... sarebbe stato disonorato se...""Quando voi non aveste più nullaciògl'impedirebbe di farne? Voi avete pagato e sta benema adesso nonpagherete più: sono io che ve lo dico. E orasignora buonanotte." Giovanna non poté chiudere occhioagitata dalpensiero di vendere i "Pioppi"di andarsenedi lasciar lasua bella casa a cui era legata tutta la sua vita. E la mattina dopoquando vide entrare Rosalìaammise che non si sarebbe maidecisa ad allontanarsi di lì. La cameriera ci si arrabbiòper davvero.


"L'hogià dettosignora: è indispensabile. Il notaio sta pervenire con quello che vuol comperare il castello. Altrimentifraquattro anni voi non avrete più un cavolo." "Maimainon potrònon potrò" andava ripetendoGiovanna che sembrava svanitaannichilita.


Un'oradopo il fattore le rimetteva una lettera di Paolo: Paolo le chiedevaaltri diecimila franchi. Che fare? SbigottitaconsultòRosalìa.


"Eh?Che vi dicevo?" rispose Rosalìa levando al cielo lebraccia.


"Senon fossi tornata iosareste proprio restati senza un soldosenzaun soldotutt'e due." Giovanna piegò il capoe rispose:

"Figliomio caroio non posso fare più nulla per te. Mi hai rovinata.Sono perfino obbligata a vendere i 'Pioppi'. Non dimenticare peròche avrò sempre un tetto da offrirti quando vorrai rifugiartipresso la tua vecchia mamma che hai fatto tanto soffrire.


Giovanna."


Quandopoi arrivò il notaio col signor Jeoffrinun vecchioraffinatore di zuccheroricevette questi signori lei stessa e liinvitò a visitare tutto minutamente. Un mese dopo firmava ilcontratto di vendita e comprava nello stesso tempo una casinaborghese presso Godervillesulla strada maestra di Montivilliersfrazione di Batterville. Poi passeggiò sola nel viale dimamminafino a sera. Che affanno! Che strazio! Camminava e mandavasinghiozzi e addii disperati a tutte quelle cose note e care chesembravano entrate nei suoi occhi e nella sua anima: al sediletarlato sotto il platanoal giardinoal boschettoa un vecchiotronco contro cui si appoggiavaall'argine davanti alla landa dovesi era tante volte sedutada cui aveva visto correre il conte diFourville il giorno della morte di Giulianoun terribile giorno!Rosalìa venne a chiamarlala prese per un bracciola obbligòa rientrare. Un robusto contadino di venticinque anni attendevadavanti alla porta. Salutò amichevolmente come se questasignora la conoscesseluida gran tempo.


"Buongiornosignora Giovanna. Come state? La mamma mi ha detto di venireper via dello sgombero. Vorrei saper subito quel che c'è datrasportareperché porterò via la roba un poco allavolta.


Pernon sospendere i lavori in campagna." Era il figlio della suadomesticaera il figlio di Giulianoil fratello di Paolo. Le parveimprovvisamente che il cuore le si fermasse: e nello stesso tempoavrebbe voluto abbracciarloma sìquel ragazzo! Lo guardavalo guardavae tentava di scorgere su quel viso una rassomiglianza:sìcol marito! col figliolo! Egli era tutto rubicondovigorosocapelli biondiocchi azzurri (gli occhi di Rosalìa)eppure... eppure rassomigliava a Giuliano!

Dove?Perché? Non sapevaprecisamenteproprionon sapevama egliaveva certo qualche cosa di luidi Giuliano...


"Mifareste un favore" continuava il ragazzo "se mi mostrastesubito quello che c'è da portare." Ma lei non sapevaancoranon sapeva come si sarebbe decisa a scegliereessendo la suanuova casa piccola assaie lo pregò di tornareeccoversola fine della settimana. Allora il suo trasloco la preoccupòla distrasse nella sua vita tristesenza scopo. Passava da unastanza all'altra cercando con gli occhi i mobili che le ricordavanoqualche avvenimentoi mobili amici che fanno parte della nostraesistenzaquasi del nostro essereconosciuti e amati findall'infanzia e a cui sono legati ricordi di gioia e di tristezza etante date della nostra esistenzache sono stati i compagni mestidelle ore liete e delle ore nere e hanno vegliatosi sono logorativicino a noistoffe in parte stracciatefodere consunteintelaiature sconnessecolori sbiaditi. E lei li sceglieva a uno aunospesso esitandoaffannataturbatacome se prendesse unadecisione importantee ritornava di continuo sulle sue decisioni opesava i meriti di due poltrone o di qualche vecchio stipetto inconfronto a un tavolino da lavoro o apriva cassetti cercando diricordarsi dei fattie finalmentequando si era ben detto: "Be'prenderò questo"si portava l'oggetto prescelto in salada pranzo. Naturalmente non rinunciava al mobilio della sua camera daletto e salvava le sue tappezzeriesalvava la pendolatutto;sceglieva qualche sedia del salonequelle stesse di cui nella suainfanzia aveva adorato i disegnila volpe e la cicognala volpe eil corvola cicala e la formica e il malinconico airone. Poifrugando in tutti gli angoli di quella cara dimorache dovevaabbandonare per sempre saliun giornosu nel solaio. E qui restòsbigottita. Un ammasso di oggetti d'ogni generealcuni spezzatialcuni coperti di polverealtri confinati lassù senzaragioneperché non piacevano piùperchérimpiazzati alla svelta; rivedeva certi oggettinicertecianfrusaglie già conosciute e simpatiche un tempo e poitutt'a un tratto scomparsescomparse cosìsenza che ciavesse mai fatto caso; certi nonnulla che aveva avuto fra le manivecchi piccoli oggetti insignificanti che aveva trascinato perquindici anni presso di séche si era abituata a rivedereogni giorno senza curarsene troppo e adessoquiritrovati di colpoin solaiovicino ad altri più antichi di cui ricordavabenissimo il posto al momento del suo arrivo al castelloeccoassumevano improvvisamente una grande importanzadi testimonidimenticatidi amici finalmente ritrovati. Ma sìle facevanol'effetto di quelle persone che si sono frequentate a lungo senza chesi siano mai rivelate e tutt'a un trattouna seraa proposito dinon si sa chesi espandonosi espandonofino a svelare un'animache non sembrava proprio ci fosse.


"Guardaguardasono io che ho incrinato questa tazza cinese" si dicevaGiovanna con piccoli sussulti al cuore passando dall'uno all'altropezzo. "Ricordo ancora quando fu: pochi giorni prima del miomatrimonio. Ahecco la lucernina della mamma. Ecco il bastone chepapà ruppe quando voleva aprire il cancello: il legno si eragonfiatogiàper la pioggia..." E c'erano purelàin mezzo cose che lei non conoscevache non le ricordavano nullaquelle che provengono dai nonni e dai bisnonniche sembrano piùpovere delle altre con quell'aria di esilio in questo tempo che non èpiù il loroe sono tanto tristi per l'abbandono in cuivengono lasciate; cose di cui nessuno sa più la storia perchénessuno ha mai visto coloro che le hanno scelteacquistateposseduteamateperché nessuno ha conosciuto le mani che letoccavano ogni giornogli occhi che le guardavano con gioia. EGiovanna sfiorava questi oggetti con le sue manili girava e lirigiravalasciava la traccia delle sue dita su quegli strati dipolvererestava lì in mezzo ai vecchiumi nella luce scialbache pioveva da qualche finestrino a vetri aperto nel tettoosservavaattenta certe sedie a tre gambe chiedendosi se non le ricordasseronulla o una bacinella di rame o uno scaldapiedi sfondato (questo lesembrava di riconoscerlo) o un mucchio di utensili fuori uso. Poiriunì tutti gli oggetti da portar via e Rosalìa fuincaricata di ritirarli. Ma Rosalìa si indignava. Non volevanonon voleva caricarsi di tutte quelle "sudicerie".Giovanna non aveva ormai più una volontà suama quellavolta tenne duro e bisognò proprio obbedirla.


Finalmenteun mattinoil giovane contadino figlio di GiulianoDionigi Lecoqse ne venne con la sua carretta per fare un primo viaggio. Rosalìalo accompagnò per sorvegliare lo scarico e mettere a posto laroba. Giovannacosì rimase sola. E' solae vaga per lestanze del suo castello con la morte nell'animae bacia conimprovvisi slanci d'amore tutto ciò che non può portarecon sé nell'altra casa: e sono gli uccelli della tappezzeriadel salone sono i vecchi candelabritutto ciò che incontratutto ciò su cui posa gli occhii suoi poveri occhi gonfi dilacrime... E il mare? Bisognerà bene dire addio anche al mare!

Eraverso la fine di settembre: un cielo basso e grigio sembrava pesaresulla terra: onde tristi e giallastre si stendevano a perditad'occhio. E lei restò lànon si sa quantoin piedisull'alta scoglierain quei tormentosi pensieriaspettando l'arrivodella notte. Fece nottee lei tornò indietro sapendo bene diaver sofferto in quel giorno né più né meno cheper le sue maggiori sventure.


Rosalìal'aspettava. Era entusiasta della casa nuovaRosalìa.


Dicevache era molto più allegra di questa gran carcassa dibastimentoche non dava nemmeno su una strada. Ma Giovanna piansetutta la sera...


Daquando il castello era stato vendutoi fittavoli non avevano piùper lei i dovuti riguardi e la chiamavano "la pazza"senzasaperne bene il motivoma intuendo col loro istinto brutale quellasensibilità morbosa e crescentequelle fantasticherie daesaltatail disordine di quella povera anima sconvolta dallesventure.


Lavigilia della partenza entrò in scuderia quasi per casoe unbrontolìo la fece trasalire. Massacro! Erano mesi e mesi chenon aveva pensato a Massacro. Eccolo qua il poverettocieco eparaliticogiunto all'età venerabile ancora vivo sul suoletto di pagliaper le cure di Liduina che non lo aveva maidimenticato.


Giovannalo prese fra le sue braccialo baciòlo portò dentrocasa. Grosso come un barileMassacro si trascinava a stento sullesue gambe rigide e storte e abbaiava come quei cani di legno che siportano in dono ai ragazzi.


Edecco l'ultimo giorno. Giovanna aveva dormito nella vecchia stanza diGiuliano (la sua era rimasta senza mobili)e scese dal lettoestenuataansimantecome se avesse fatto una gran corsa.


Lacarretta era già nel cortilecon le valigie e il resto dellaroba: dietro le avevano attaccato un carrettino a due ruote dovedovevano prender posto la padrona e la serva. Papà Simone eLiduina sarebbero rimasti soli al castello fino all'arrivo del nuovoproprietariopoi si sarebbero ritirati presso i loro parenti con unapiccola rendita che la padrona aveva assegnato a entrambi i fedeli. Eavevano anche le loro economie questi poveri vecchi servitoridiventati brontoloni ed inutili. Quanto a Mariosi era volutoammogliare e così aveva già da qualche tempo lasciatola casa.


Versole otto cominciò a cadere la pioggia. Era una pioggia fine egelataspinta da una leggera brezza marina. Allora bisognòcoprire la carretta. Le foglie cominciavano già a distaccarsidai rami. Sulla tavolain cucinatazze di caffè e lattefumavano.


Giovannasi sedette davanti alla sua e bevette a piccoli sorsi.


S'alzòe disse:

"Andiamo."Poi si mise il cappello e lo sciallee Rosalìa le calzavaintanto le soprascarpe di gomma.


"Tiricordifigliolacome pioveva quando siamo partiti da Rouen pervenire qui?" Ebbe come una specie di spasimoportò lemani al pettocadde supina: svenuta. Restò cosìcomemortaun'ora interafinché aprì gli occhi e furonoconvulsioni e ancora lacrime. Ritornata la calmasi sentìcosì debole che non poteva più alzarsie alloral'energica Rosalìatemendo che un nuovo ritardo potessecagionare altre crisichiamò il suo figlioloe la padrona lasollevarono insiemela deposero nel carrettino su quella specie dipanchina di legno coperto di tela cerata. Rosalìa le sedettevicinole raccolse le gambele coprì le spalle con un granmantelloneaprì un ombrellolo tenne alto come riparoegridò:

"PrestoDionigifila!" Quello balza sul carrettinovicino a sua madreepoggiando su una sola coscia per mancanza di postolancia ilcavallo a gran trottocosì da far sobbalzare le donne.


Quandosvoltarono l'angolo del villaggioecco uno che cammina in lungo e inlargo (la strada è sua) e sembra spiare quella partenza: ilpretel'abate Tolbiac! Ora si ferma per lasciar passare la vettura.Con una mano tiene rialzata la sua sottana perché non si bagnie le sue gambette magre nelle calze nere finiscono in due enormiscarpe fangose. Giovanna abbassa lo sguardo per non incontrare gliocchi di luima Rosalìa - che sa tutto - diventa furibonda:"Mascalzone!" e tira per la manica il figliolo:

Dagliuna frustataDionigi!" E Dionigipassando vicino all'abatefece entrare in un solco la ruota del suo carrettino lanciato a tuttavelocità così che si alzò un fiotto di fango checoprì dalla testa ai piedi l'abate Tolbiac.


Rosalìaraggiantesi voltò a mostrargli i pugni mentre quel coso nerosi asciugava col suo fazzolettone. Dopo cinque minutitutt'a untratto Giovanna alzò la testa e gridò:

"Abbiamodimenticato Massacro!" Bisognò fermarsi. Dionigi scesegiù prontamentecorse a prendere il canee Rosalìateneva intanto le briglie. E lui ricomparve portando in braccio lagrossa bestia informe e spelata: e fra le sottane delle due donne sifece posto anche a Massacro.




Capitolo13


Dueore dopo il veicolo si fermò davanti a una piccola casetta dimattoni che sorgeva in mezzo a un bell'orto piantato a peri in formadi conocchiasul margine della strada maestra. Quattro chioschi apergolato tutti coperti di caprifogli e clemàtidi formavano iquattro angoli del giardino diviso in piccoli quadrati coltivati alegumi e separati da stretti sentieri tra file di alberi da frutto.Una siepe vivamolto altacingeva questa proprietà che uncampo separava dalla fattoria vicina. Una fornacesulla stradacento passi più in là; le altre abitazioni piùvicine distavano almeno un chilometro.


Lavista in giro si stendeva sulla pianura di Cauxuna pianura tuttadisseminata di fattoriecircondate ciascuna dalle solite quattrodoppie file di grandi alberi che racchiudevano il frutteto di meli.


Giovannaappena arrivatavoleva riposare. Rosalìa non fu di questoparere: forse temeva che si rimettesse a fantasticare. Ecco ilfalegname di Goderville venuto per la sistemazione dei mobilie sicominciò subito a mettere a posto quelli che c'erano giàin attesa della vettura che faceva l'ultimo viaggio. Fu un lavoroconsiderevole che esigeva lunghe riflessioniragionamenti infiniti.Poidi lì a un'orala carretta apparve al cancello e bisognòscaricarla sotto la pioggia. Scese la sera. La casa era ancora indisordinepiena di oggetti ammucchiati alla rinfusae Giovanna siaddormentò appena a lettostanca morta.


Neigiorni seguenti non ebbe tempo di intenerirsi tanto fu sopraffattadal lavoroe non si può dire le dispiacesse fare qualchecosarendere un po' più bellina la sua nuova casatanto piùche si cullava sempre nell'illusione che suo figlio l'avrebbe ungiorno abitata. Le antiche tappezzerie della sua stanza da lettofurono tese nella nuova stanza da pranzo che era anche salottoeGiovanna arredò con una cura tutta particolare uno dei localidel primo piano che chiamò pomposamente fra sé:

"l'appartamentodi Pollino". Riservò l'altradel primo pianoa sestessa: Rosalìa doveva abitare di sopra vicino al solaio.


Orala casetta poteva dirsi graziosaaccomodata così con quelgarboe Giovanna se ne compiacquedapprimabenché lemancasse qualcosauna cosa di cui non sapeva rendersi conto. Poi loscrivano del notaio di Fécamp le portò bentremilaseicento franchi come prezzo dei mobili lasciati ai "Pioppi";e ricevette questo denaro con un sottile brivido di piacere e infretta in fretta si mise il suo cappellino per correre a Goderville emandare quella somma insperata al suo figliolo. Ma eccosulla viamaestraRosalìa che torna dal mercato! Rosalìa nonintuisce subito la verità: però ha un vago sospetto:quando poi ha scoperto tuttopoiché Giovanna non sa piùnasconderle nullaallora Rosalìa posa il paniere per terraper arrabbiarsi comodo. E grida coi pugni sui fianchipoi prende lasua padrona per il braccio destroinfila nel sinistro il paniereesempre furiosa e tempestando sempresi rimette in cammino versocasa.


Quandofurono a casala serva volle che le fosse consegnato il denaro.Giovanna annuìma tenendosi seicento franchi per sépiccola astuzia che fu ben presto scoperta dalla serva che era anchepiù astutae bisognò versare anche quelli. TuttaviaRosalìamagnanimaacconsentì che questo residuo fosseinviato al figliolo.


Paoloringraziò quasi subito: "Tu mi hai reso un gran serviziocara mammaperché la nostra è miseriaquella nera".


MaGiovanna non riusciva ad abituarsi a Battervillele sembrava sempredi non respirare più come primadi essere ancora piùsolaabbandonataperduta. Usciva per far quattro passiarrivavafino al borgo di Verneuilritornava dalle Tre Paludieappenarientratasi rialzava con la smania di uscire di nuovo come seavesse dimenticato di andare dove voleva. E ciò ricominciavatutti i giornisenza che potesse farsi una ragione di questo stranobisognofinché improvvisamente le salì alle labbra unaparolauna frase che le svelò il segreto di tantainquietudine. Aveva dettosedendosi a tavola:

"Chevoglia di vedere il mare!" Il mare le mancava. Le mancava il suogrande vicino (vicino da venticinque anni)il mare con l'ariasalatala collerala voce brontolanteil mare che vedeva ognimattino dalla sua finestra (la finestra dei "Pioppi")cherespirava giorno e notteche sentiva presso di séche si eramessa ad amaresenza saperlocome una persona. Massacro stessoviveva in una strana agitazione.


S'erainstallato fin dalla sera del suo arrivo sotto l'armadio della cucinasenza che fosse possibile farlo sloggiare. Restava lì tutto ilgiorno quasi immobilerivoltandosi ogni tanto con un brontolìosordo; ma appena cadeva la notte si rialzava e si trascinava verso laporta del giardinourtando qua e là contro i muri. Usciva unmomento e rientrava e rimaneva vicino al fornello ancora caldoseduto sulle zampe di dietroe sembrava quasi aspettasse che le suepadrone fossero andate a letto per mettersi a urlare. Urlava cosìtutta notte in un tono sempre più lamentoso e piùlungoe talvolta smetteva e riprendeva con note ancora piùstrazianti. Lo si legò davanti alla casadentro un barile. Eallora urlava sotto le finestre. Poidato che era infermo e ormaivicino a morirefu riportato in cucina.


Giovannaaveva perduto il sonno per via di questa disgraziata bestia chepiangeva e raspava senza requiecercando di orientarsi nella nuovadimoracomprendendo che quella non era casa sua. Come calmarlo? Siassopiva durante il giornoquasi che i suoi occhi spenti e lacoscienza della sua infermità gli avessero impedito dimuoversi con tutti gli altri esseri viventie si metteva invece agirare senza riposo proprio al cader del giornoquasi non osassevivere e muoversi che fra le tenebre che rendono tutti gli essericiechi. Finalmente una mattina fu trovato morto. E questo fu ungrande sollievo.


L'invernosi avvicinava e l'anima di Giovanna era come stretta nella morsa diun'invincibile disperazione. Non era uno di quei dolori acuti chepaiono torcerlal'animama una cupauna lugubre tristezza. Nientela distraeva; nessuno si occupava di lei. Davanti alla sua portaadestra e a sinistrala via maestra: sempre cosìsemprevuota! Solo di tanto in tanto passava un "tilbury" altrottoguidato sempre da un tale dalla faccia rossacon una blusagonfia di ventocome una specie di pallone azzurro; a volte era unacarretta che andava lenta lentaa passi di lumaca; oppure sivedevano spuntar da lontano due contadiniun uomo e una donnapiccoli piccoli in fondo all'orizzonte: poi ingrandivanosmisuratamente epassata la casarimpicciolivano da quest'altrapartefino a parere due insetti all'estremità della lineabianca allungata a perdita d'occhiosalendo e scendendo a secondadelle tenui ondulazioni del terreno. Quando ricominciò aspuntare l'erba una ragazzetta con la sottanella corta passava tuttele mattine davanti al cancelloconducendo due mucche magre chepascolavano lungo i fossati. E tornava sul far della seracon lastessa andatura sonnolentafacendo un passo ogni dieci minutidietro le bestie.


Ogninotte Giovanna sognava di abitare ai suoi "Pioppi"; vi sitrovavacome un tempocol papà e con la mammatalvoltaanche con zia Lisettae rifaceva cose dimenticate e finitesiimmaginava di sostenere la signora Adelaide che camminava su e giùnel suo viale: e ad ogni risveglio erano lacrime.


Pensavasempre a Paolo e chiedeva a se stessa: "Che farà? Comesarà adesso? Si ricorderà di me qualche volta?".Passeggiava lentamente nei sentieri che dividevano le due fattorie ecosì poteva fantasticare su mille idee che la torturavanomasoprattutto soffriva di una gelosia invincibile contro quell'ignotache le aveva rubato il figliolo. Solo quell'odio le impediva diagiredi far qualche cosadi andare in cerca di luidi penetrarein casa di lui. Le sembrava perfino di vedere l'amante in piedi sullaporta di casa: "Che volete quisignora?".


Lasua fierezza di madre si ribellava alla possibilità di unsimile incontro e un orgoglio quasi arrogante di dama rimasta semprepurasenza debolezzesenza macchiela esasperava sempre piùcontro le turpitudini dell'uomo fatto schiavo dalle basse pratichedella sensualità che rende vili gli stessi poveri cuori.


L'umanitàle sembrava immonda se pensava a tutti i segreti impuri dei servialle carezze che avvilisconoai misteri appena intuiti di certiaccoppiamenti indissolubili.


Passòla primaverapassò anche l'estate. Ma quando tornòl'autunno con le sue lunghe pioggecol suo cielo grigiastro e lenuvole cupeallora fu presa da una tale stanchezza di vivere chedecise di fare un ultimo sforzo per riprendere il suo povero Pollino.Pensò che la passione per quella donna doveva essere sazia. Egli scrisse una lettera commovente:

"Figliomio caroti scongiuroti supplico di venire da me. Ricordati chesono vecchiamalatasola solatutto l'annocon una serva! Abitoattualmente in una casina che dà sulla strada. Ohcom'ètriste!

Mase tu ci fossitutto cambierebbe per me. Io non ho che te al mondo enon ti vedo da sette anni. Figliolotu non puoi nemmeno immaginarecome io sia stata disgraziataio che avrei voluto riposare il miocuore sul tuo. Tu eri la mia vitail mio sognola mia solasperanzail mio solo amoree tu mi manchim'hai abbandonata!

OhritornaPollinoritorna ad abbracciarmiPollino miovieni dallatua vecchia mamma che ti tende disperata le braccia. Giovanna."


Risposedopo qualche giorno il figliolo:

"Miacara mammanon chiederei di meglio che di venirti a vederema oranon ho un soldo. Mandami un po' di denaro e verrò. Del restopensavo già di venire per parlarti di un progetto che mipermetterà di appagare il tuo desiderio.


Ildisinteressel'affetto di colei che m'è stata compagna neigiorni tristi sonoa mio avvisosenza limiti. Non èpossibile che io resti più a lungo senza riconoscerepubblicamente il suo amore e la sua devozione a tutta prova. Lei had'altrondequalità magnifiche che tu potrai un giornoapprezzare: è istruitalegge moltoinsomma non puoi fartiun'idea di quel che sia sempre stata questa donna per me. Sarei unmostro se non le testimoniassi la mia riconoscenza. Ti domando dunqueil permesso di sposarla. Mi perdonerai le mie scappate e si abiteràtutti insieme nella nuova dimora.


Ohse la conoscessi mi daresti senz'altro il tuo assenso.


T'assicuroche è perfettadistintissima. L'ameraine sono certo.


Quantoa mesenza di lei non potrei vivere.


Attendola tua risposta con impazienzacara mamma ti abbracciamo con tuttoil cuore. Tuo figlio.


ViscontePaolo di Lamare."


Giovannarimase annientata. Eccola immobilecon la lettera sulle ginocchiacol pensiero rivolto a quell'astuzia di femminadi quella che avevasaputo avvincere suo figlioche non lo aveva lasciato venire unasola volta da leiattendendo l'ora propizial'ora in cui la madreche non può più resistere al desiderio di riabbracciareil suo figliolochina il capo e concede ogni cosa.


Ildolore della preferenza di Paolo per quell'altra straziava il suopovero cuore. Egli non le voleva più bene! non le voleva piùbene!

EntròRosalìa.


"Adessola vuole sposare" disse semplicemente Giovanna.


"Ohsignoranon lo permetterete! Il signor Paolo non deve raccattarequella robaccia!" "Maimaifigliola" ripetéla madre accasciatama pronta a reagire. "E siccome egli vuolvenire quisarò io che andrò da luie la vedremo.Vedremo quale delle due vincerà." Scrisse subito a Paoloper annunciargli il suo arrivochiedendo di vederlo in un altroluogo che non fosse la casa abitata da quella sgualdrina. Intantonell'attesa della rispostafece i suoi preparativie Rosalìacominciò a pigiare in una vecchia valigia la biancheria e gliabiti della sua padronama nell'atto di piegare una vesteunaantica veste di campagnaesclamò:

"Vimanca soltanto qualcosa da mettere sulle spalle. Io non vi permetteròdi andar via in questo modo. Sono sicura che tutti se nemeraviglierebbero e le signore di Parigi vi riterrebbero una serva."Giovanna si lasciò convinceree le due donne andarono insiemea Goderville a scegliere una stoffina a quadretti verdi che fu dataalla sarta del borgo. Poi passarono dal notaioil signor Rousselche faceva ogni anno un viaggio di una quindicina di giorni nellacapitalecon l'intenzione di chiedere certi chiarimentiperchéGiovanna da venti anni non aveva rivisto Parigi. E il signor Rousseldiede numerose istruzioni sul modo di evitare le carrozzesul mododi stare in guardia per non essere derubaticonsigliando di cucireil denaro nelle fodere dei vestiti e di non tenere in tasca chel'indispensabile; si dilungò a parlare delle trattorie aprezzi modicine indicò due o tre frequentate specialmente dadonne e indicò anche l'"Albergo di Normandia"dovescendeva egli stessoun ottimo albergo vicino alla stazione dellaferrovia.


Giovannasi presentasse pure a suo nome.


Dasei anni queste ferrovie (questa gran cosa di cui si parlavadappertutto) funzionavano tra Parigi e l'Havrema Giovanna era stataoppressa da troppe dolorose vicende per sapere come erano fatti glistrani carrozzoni a vapore che mettevano in subbuglio la Francia. EPollino non rispondeva! Giovanna attese otto giorniattese quindicigiornie ogni mattina andava sulla strada incontro al postino:

"Nullaper meMalaudain?" "Nulla nemmeno stamattina"rispondeva quelloinvariabilmentecon la sua voce rauca per lacattiva stagione.


Eraleiquella donnache impediva a Pollino di rispondere.


AlloraGiovanna non poté più resistere e volle partire. Seprendesse con sé Rosalìa? Nono: Rosalìarifiutava. Non voleva aumentare le spese del viaggio. E nonpermetteva nemmeno che la sua padrona avesse in tasca più ditrecento franchi.


"Seve ne occorreranno degli altriscriveretee io andrò dalnotaio perché ve li faccia avere. Se ve ne dessi di piùse li intascherebbe il signor Paolo." E quel mattino di dicembreserva e padrona risalirono sul carrettino di Dionigi Lecoq venuto aprenderle per condurle alla stazione: fin làcioè finoal trenoRosalìa avrebbe accompagnato Giovanna. Cosìpoterono informarsi prima del prezzo del bigliettopoiquando tuttofu regolato e la valigia registratasi misero ad aspettare insiemedavanti a quelle linee di ferrocercando di spiegarsi comefunzionasse una simile cosaed erano così preoccupate daquesto mistero che non pensavano già più al tristeperché del viaggio. Poi girarono la testa a un fischio lontanoe scorsero una macchina nera che diventava sempre più grande;e finalmentecon un fragore spaventosopassa davanti ai loro occhitrascinando una lunga catena di piccole casine rotolantifinchéun impiegato apre una di quelle porticine e Giovanna si gira tuttapiangente ad abbracciare la sua serva e così sale in una diquelle casine.


"Arrivedercisignora" gridò Rosalìa emozionata. "Buonviaggioa prestosignora." "Arrivederciarrivedercifigliola mia." Un fischio ancorae quella lunga fila dicarrozze si mise a rotolare pian pianinopoi un po' più infrettainfine con una velocità spaventosa.


Nelloscompartimento di Giovannadue signoritutti addossati agli angolidormivano. Giovanna guardava passare le campagnegli alberilefattoriei villaggisbigottita da quella velocitàsentendosi come trasportata in una vita nuova che non era piùla suadella sua giovinezza tranquilladella sua dolce monotoniaquotidiana.


Calavala sera: il treno giungeva a Parigi.


Edecco che un facchino si impadronisce della valigia e lei lo seguestupitasballottataincapace di farsi largo tra la folla che siintreccia e si mescolacorrendo quasi dietro quell'uomo per timoredi perderlo di vista. E quando è nello scrittoio dell'albergosi presenta così:

"Sonoraccomandata dal signor Roussel." La padronaun'enorme donnaarcignaseduta al suo postosi strinse nelle spalle perchénon sapeva nulla del signor Roussel.


"Maè il notaio di Goderville" ripreseinterdettaGiovanna"il notaio di Goderville che viene qui tutti gli anni...""E' possibile. Io non lo conosco. Volete una camera?" "Sìsignora." Un cameriere si impadronì del bagaglio e salìlo scalone davanti a lei. Lei si sentiva il cuore strettoe poi sisedette a quel tavolino e pregò che le si portasse un brodocon un'ala di polloperché non aveva mangiato nulladall'alba. E in quella stanza d'albergoalla luce di una candelamangiò con tanta tristezzapensando a mille cosericordandoil suo passaggio in quella stessa città al ritorno dal viaggiodi nozzele prime manifestazioni del carattere di luidello sposolo sposo che si rivelava fin da quel primo soggiorno a Parigi. Ma leia quel tempo era giovaneera fiduciosaera forte. Ora eccola quiuna povera vecchia impacciatadeboletimidache sbigottisce etrema per nulla.


Quandoebbe finitosi mise alla finestra a guardare la strada piena digente. Le sarebbe piaciuto uscire e non osava. Era certa che sisarebbe smarrita. Megliomeglio dormire; e si coricòsoffiando sul lume.


Matutto quel brusìola sensazione della cittàsconosciutal'agitazione del viaggioi pensieriPollinoRosalìale impedivano il sonno. Le ore passavanoi rumori della strada siattenuavano gradatamente senza che potesse dormiree quella speciedi dormiveglia della grande città la snervavaperchélei era abituata al profondo sonno dei campi che addormenta tuttogli uominile bestiele piantee sentiva invece intorno a séuna misteriosa inquietudine. Voci straneinafferrabili le giungevanocome se si fossero insinuate fra i muriun pavimento scricchiolavaun campanello suonavauna porta si chiudeva: poitutt'a un trattoverso le due del mattinoquando incominciava ad assopirsiecco unadonna che lancia un grido nella stanza vicina.


Giovannasi sedette spaventata sul lettoma le parve di sentire invece ridereun uomo. Alloraman mano che l'alba si approssimavala riassalìil pensiero di Paoloe non le restava più che aspettare quelprimo po' di luce per vestirsi.


Paoloabitava in via del Selvaggionella "Cité"e lei sidecise a raggiungerla a piedi per obbedire alla sua serva che avevaraccomandato l'economia. Il tempo era buonol'aria tiepida pungevaun poco la pellela gente si ammassava sui marciapiedi camminandorapidamentee come spronata dall'esempioaffrettava il passo ancheleiseguendo la strada che le avevano appunto indicata e sapendobene che in fondo a questa via doveva voltare a destrapoi asinistrafinchégiunta in una piazzaavrebbe dovutoinformarsi di nuovo. Mache èche non èquestapiazza non si vede; e si informò da un fornaio che le diedetutt'altre indicazioni. Si rimise in camminosi sviòsbagliògirovagò ancora a casaccioseguì altriconsiglie si smarrì senza scampo.


Erasul punto di far cenno a un vetturino quando scorse - e le si allargòil cuore - la Senna. E allora camminò sulla riva.


Un'oradopoconquistava la via del Selvaggiouna specie di vicolounchiasso. E questa era la casae la porta. L'emozione fu tanta chenon poteva più fare un sol passo. Pollinoil suo Pollinoeraqui!

Entròseguì un corridoio (le tremavano le ginocchia e le mani)scorse lo sgabuzzino del portinaiooffrì una monetad'argento.


"Potreste...potreste salire dal signor Paolo di Lamare? Dirgli che una vecchiasignoraeccoun'amica di sua madrelo attende qui dabbasso?""Il signor Paolo di Lamare? Ha cambiato casa." Che brivido!Chiese:

"Dove...dove abita adesso?" "Questo poi non lo so." Le parvedi svenire. Non aveva più parole. Poicon uno sforzoviolentosi raccapezzò e mormorò:

"Daquando... è partito?" "Saranno quindici giorni"rispose il portinaio decidendosi a fornire abbondanti ragguagli."Sono partiti una sera come se nulla fossee non sono piùritornati. Avevano debiti in tutto il quartieree così nonhanno lasciato il loro indirizzo." Ora Giovanna vedeva come deibagliorigrandi guizzi di fiammequasi le avessero sparato un colpodi fucile davanti agli occhi; ma c'era un'idea che la sostenevae lafaceva rimanere in piediin quel luogocalma in apparenzalucidadi mente. Sìecco.


Volevasapere. Voleva ritrovare Pollino.


"Cosìegli non ha lasciato detto nulla prima di andarsene?" "Nulla.Se ne sono andati per non pagare. Ecco tutto." "Ma dovràpur mandare a prendere la sua corrispondenza." "Oh sìuna bella corrispondenza! Quella gente non riceveva più didieci lettere l'anno. Gliene ho portata una quindici giorni prima chese ne andassero..." La sua letterasìla sua lettera!Disse precipitosamente:

"Ascoltate.Io sono sua madre. Sono venuta a cercarlo. Ecco dieci franchi pervoi. Se avete qualche notiziaqualche chiarimentoio abitoall'"Albergo di Normandia"Via dell'Havre. Saretericompensatobrav'uomo." "Signora" egli rispose"potete contare su me." E lei si rimette in cammino senzapensare a una metasi affretta come sospinta da qualcosa di urgentesfiora i muriurta la genteattraversa la stradanon si cura dellecarrozze (e i vetturini la ingiuriano)inciampa sui marciapiedi (nonfa attenzione ai marciapiedi)corre qua e là perdutamente.Tutt'a un tratto si trovò in un giardino. Era ormai cosìstanca che pensò di sedersie restò su quella panchinaa lungopiangendo senza accorgersenee non si accorgeva neppure chequalcuno si fermava a guardarla. Poi sentì un gran freddo e sialzò per rimettersi in marcia. Com'era debole! Com'eraaccasciata! Le gambe la sostenevano appena. Dov'era una trattoria?Sarebbe entrata a chiedere un brodo. Ma come osare passare la sogliadi uno di questi locali? Aveva insieme paura e vergognacome unaspecie di pudore del suo affannoche si vedevache doveva purevedersi sul viso. E si fermava a una porta a vetriguardava dentrovedeva tutta quella gente seduta a tavolatutta quella gente chemangiava e bevevae fuggiva via intimidita dicendosi: "Entreròin quest'altra trattoria". E finì col comperare dalfornaio un piccolo pane in forma di luna e lo sbocconcellòcamminando. Le venne setema non sapeva dove andare a beree nonbevve.


Giròun angolo ed eccola in un altro giardino con tanti bei porticiintorno. Lo riconobbe: il Palazzo Reale! Allora sedette ancoranelgiardino del Palazzo Realeperché il sole e il movimentol'avevano un poco accaldata. Ma qua entrava la follauna follaelegante che chiacchieraride e salutauna folla felice in cui ledonne sono tutte belle e gli uomini sono tutti ricchila folla chevive solo per l'eleganza e per la gioia. La poveretta fu comeimpressionata di trovarsi in mezzo a quella gente chiassosa egaudente e si alzò per fuggirema poi sentìimprovvisamente che proprio qui avrebbe potuto incontrare il suoPaoloe si mise a girare per quel giardino cittadinoda un capoall'altrosu e giùsu e giùcol suo passo umile erapidospiando i voltile fisionomieper ritrovare il suo Paolo.Ma c'era già chi si girava a guardarlaaltri se la indicavanoquella donnina buffae ridevanocosì che Giovanna fuggìpiena di vergogna pensando chesenza dubbioquelli si prendevanogioco del suo mantello a scacchi verdi scelto da Rosalìafatto dalla sarta di Godervillesempre sulle indicazioni di Rosalìa.


Oranon osava più chiedere la strada ai passanti; ma poi si decisee finì col trovare il suo albergo. E passò il restodella giornata seduta su una sedia ai piedi del lettosenza maimuoversi. Pranzò come il giorno prima: una zuppaun piatto dicarne. Si coricò come la sera prima: ogni gesto compiutoautomaticamentecome dalla macchina dell'abitudine.


Ilgiorno dopo si recò alla prefettura di polizia perchéle ritrovassero suo figlioe qui se ne sarebbero occupati ma nessunopoté prometterle nulla. E ancora girovagò per lestradesempre con la speranza di incontrare Pollinoe in quel mareumano si sentiva più solapiù sperdutapiùmiserabile che nella deserta campagna. Ma quando tornò inalbergola serale fu detto che un uomo aveva chiesto di lei daparte del signor Paolo e che egli sarebbe ripassato domani. Un fiottodi sangue le salì al cuorenon chiuse occhio per tutta lanotte. Era lui? Era proprio lui?

Sìera luibenché i connotati che le avevano dati non fosseroquelli. Verso le nove del mattinofu bussato alla portagridò:

"Entrate!"pronta a slanciarsi con le braccia apertee si presentòinvece un ignotoil quale si scusava di dover disturbare la signorama il portinaio di via del Selvaggio gli aveva indicato l'albergoegiacché non poteva rintracciare il suo debitoresi rivolgevagiustamente alla madre. La madre sentiva che le venivano le lacrimema non voleva che si vedesse e afferrò la carta che colui leporgevavi lesse una cifra (novanta franchi) trasse di tasca ildanaropagò. E non uscìper quel giorno.


Eil giorno dopo se ne presentano altritutti creditori di Paoloalpunto che lei dà tutto quel che le restae non tiene cheventi franchi per sé. Poi scrive a Rosalìa perinformarla della sua situazione. Così passò i suoigiorniattendendo la rispostasenza sapere che farecome ammazzarele orele ore lugubrile ore interminabilinon avendo nessuno acui dire una parola amicanessuno che sapesse della sua disgraziaecamminava a casostimolata ora dall'ansia di partiredi ritornarelaggiù nella piccola casasul margine della strada solitaria.Ohla sua piccola casa! Pochi giorni prima le sembrava di nonpoterci vivere tanto si sentiva povera e triste mentre ora sapevaora sapeva che la vera vita era là dove si sono radicate lepovere tristi abitudini.


Finalmenteuna seratrovò una lettera di Rosalìa con dentro unpo' di denaro:

"SignoraGiovannaritornate subitoperché io non vi manderòpiù neppure un centesimo. Quanto al signor Paoloverròio a stanarlo quando avremo sue notizie.


"Visaluto.


Vostraserva Rosalìa."


Giovannaripartì per Batterville un mattino in cui faceva molto freddo.Nevicava.




Capitolo14


Nonusci piùnon si mosse più. Si alzava tutte le mattinealla stessa oraguardava dalla finestra che tempo facessescendevae si metteva a sedere vicino al fuoco in saletta. Restava accanto alfuoco intere giornateimmobilegli occhi fissi sulla fiammalasciando vagare i suoi tristi pensieriseguendo la triste sfilatadelle memorie. L'ombra invadeva a poco a poco la piccola stanza senzache si muovessefuorché per aggiungerea intervallilegnanel caminetto. Rosalìa allora portava la lanterna e gridava:

"Andiamosusignora Giovanna. Scuotersiscuotersi! Altrimenti non avremoappetito nemmeno stasera." Spesso la perseguitavano certe ideefissetenacio la torturavano preoccupazioni quasi insignificanticome se le più piccole cose prendessero chi sa quanto spazionel suo cervello malato. Le accadeva soprattutto di rivivere nelpassatonel vecchio passatonei ricordi dei primi tempi della suagiovinezza e del suo viaggio di nozzelaggiùin Corsica.Nascevano improvvisamente davanti a leicome dai tizzoni delfocolarei paesaggi dell'isola dimenticati ormai da gran tempoeallora si ricordava tutti i particolarile figure incontrate laggiù.Tanto la perseguitava la bella testa della guida Giovanni Ravoli checredeva di udire a volte la sua voce.


Poisognava i dolci anni dell'infanzia di Paoloquando egli le facevatrapiantare le insalatine e lei si inginocchiava sulla terra grassaa fianco di zia Lisettache rivaleggiava con lei per compiacere ilbambino e la lotta era a chi avrebbe fatto germogliare meglio lepianticinee a chi ne avrebbe ottenute di più. E con appenail soffio del respirole sue labbra mormoravano: "Pollinomiopiccolo piccolo Pollino" come se parlasse proprio a Pollinoefermando le sue fantasticherie su questa parola si sforzava a voltedi disegnare col dito nell'aria le lettere che componevano il nomeele tracciava davanti al fuocopian pianoe le sembrava proprio divederlefinchécredendo di essersi sbagliataricominciavala "P" col braccio tutto indolenzitoridisegnava il nomesino in fondo per ricominciare da capo. Alla finequando non nepoteva piùcancellava ogni cosatracciava altre parolesnervandosi fin quasi a impazzirne.


Avevatutte le manie dei solitari. La minima cosa fuori postoun po' piùin qua o un po' più in làla irritava. Spesso Rosalìala obbligava a camminare e la portava là sulla stradama nonerano passati venti minuti che Giovanna dichiarava di non poterne piùe si sedeva sull'orlo di un fosso. Impigrivanon avrebbe voluto piùmuoversinon le piaceva che il letto. Una sola abitudine le erarimasta fin dall'infanziaed era di alzarsi di colpo dopo averbevuto il suo caro caffellatte. Come allorateneva esageratamente alsuo caffellattee ne avrebbe sentito la mancanza più di nonsi sa che. Attendeva ogni mattina Rosalìa con un'impazienzaquasi un po' sensualeattendeva che Rosalìa posasse la tazzasul comodinoper mettersi a sedere sul letto e la vuotavaimmediatamentecon una golosità di bambina. Poi buttavaindietro le coperte e cominciava a vestirsi.


Maa poco a poco si abituò a fantasticare qualche altro minuto edopo aver posato la tazza sul piattosi stendeva di nuovoprolungando di giorno in giorno quella pigrizia fino al momento cheRosalìa tornava furiosa e la vestiva quasi per forza.


D'altrondenon aveva più un'ombra di volontàcosì che setalvolta la sua serva le chiedeva un consiglio o le poneva unaquestione o voleva informarsi del suo parererispondevainvariabilmente: "Fa' come vuoifiglia mia". Aveva finitocol credersi presa di mira dalla cattiva sorte e l'abitudine di vedersvanire i suoi sogni e crollare le sue speranze faceva sì chenon osasse tentare la più piccola impresa o che esitasse alungointere giornateprima di fare la cosa più sempliceconvinta ormai che si sarebbe messa nella strada peggioresempre asuo scorno e a suo danno. E ripeteva:

"Nonho avuto fortuna nella vita." "Ahnon avete avutofortuna!" gridava allora Rosalìa. "Che direstedunque se vi toccasse lavorare per avere un pezzo di pane?

Sefoste obbligata ad alzarvi tutti i giorni alle sei del mattino perandare a giornata? Ci sono pure tante povere donne costrette allavoro e quando diventano vecchiecrepano di miseriasapete.""Pensa che sono sola" rispondeva lei dolcemente "pensache il mio figliolo mi ha abbandonata..." "Questo non vuoldire niente. E i ragazzi che vanno soldati? E quelli che vanno inAmerica?" (L'America era per lei un paese vago dove si andava afar fortuna e da cui non si tornava mai.) "C'è sempre unmomento in cui bisogna separarsi perchésapetei vecchi e igiovani non sono fatti per restare insieme." E concludeva quasicon ferocia: "Ebbeneche direste se fosse morto?".


Giovannanon aveva allora più niente da aggiungere.


Riacquistòun po' di forza quando l'aria si addolcì sul principio dellaprimaverama metteva anche questo ritorno di energia al servizio deisuoi più foschi pensieri. Ma quel giorno che era salita insolaio a cercare qualche cosa ebbe anche la sua gioia aprendo unacassa piena di quei vecchi calendari che la gente di campagna amaconservare di anno in anno: le parve così di ritrovare glianni stessi del suo passato e fu colpita da una strana e confusaemozione davanti a quel mucchio di cartoni quadrati che rivolle nelsuo salottino. Ce n'erano di tutte le dimensionipiccoli e grandielìsulla tavolasi mise a ordinarli per anni. Ecco il primo.Ecco quello che aveva portato ai "Pioppi" lei stessa.Eccolo quicoi giorni cancellati da lei (ricordavasìricordava) il mattino della sua partenza da Rouendopo essere uscitadal convento. E piansepianse lacrime tristi e lentelacrime divecchiadi donna finitasulla sua povera vita distesa davanti aleitutta quitutta quisulla tavola. E le venne un'ideae siaccanì in questa idea. Voleva ritrovaregiorno per giornoquel che aveva fatto: giorno per giornoricostruire tutta la vita. Eli appese al murosulla tappezzerial'uno dopo l'altroqueicartoni ingiallitie passò ore e ore di fronte a questo o aquello chiedendosi: "Che mi è successo dunque in quelmese?". Perché aveva segnato le date memorabili della suapovera storia e riusciva talvolta a ritrovare un mese interoricostruendo a uno a unoraggruppandoriattaccando l'uno all'altroi piccoli fatti che avevano preceduto o seguito un avvenimentoimportante. Riusciva cosìa forza di ostinata attenzionedivolontà concentratadi testardaggineperseveranzasforzidella memoriariusciva a ristabilire quasi interamente i suoi dueprimi anni al castellopoiché i ricordi lontani della suavita le si riaffacciavano con una facilitàun rilievo! Ma glianni seguenti era come se si perdessero nella nebbiasimischiasserosi accavallassero l'uno sull'altrocosì cherestava talvolta ore e ore con la testa piegata verso il calendariocon lo spirito teso verso il passatosenza riuscire a mettere inchiaro se quel tale ricordo potesse essere trovato in quel certocartone. Girava intorno alla stanzadall'uno all'altro di questiquadri dei giorni tramontatifermandosi qua e là come allestazioni della sua stessa via crucis. Poitutt'a un trattomettevala sedia davanti a un cartone e rimaneva lì fino a notteimmobilesedutasprofondata nelle sue assurde ricerche.


Inseguitoquando i semi si risvegliarono sotto il tepore e le messispuntarono per i campigli alberi rinverdironoi meli aprirono iloro bottoni rosei nei cortiliprofumando tutte le stradeallora lapoveretta fu tutta in subbuglio. Non poteva più star fermaandava e venivausciva e rientravagirovagava per la campagnavisitava le fattorieesaltandosi in una specie di febbrilerimpianto. La vista di una margheritina nascosta in un ciuffo d'erbadi un raggio di sole che scivolava tra le fogliedi una pozzad'acqua in un solco (vi si rispecchiava il cielo turchino)queste ealtre cose la commuovevanola intenerivanola sconvolgevanolerisvegliavano sensazioni lontanecome un'eco delle sue emozioni difanciulla quando andava sognando per i campi. Ohsìeranogli stessi fremitiera la stessa dolcezzala stessa ebbrezzaperturbatrice degli altri giorni primaveriliquando attendeval'avveniree ora che l'avvenire era chiuso riaveva tuttotutto! Negioiva e ne soffriva allo stesso tempocome se la gioia eterna delmondo risvegliatopenetrando nella sua pelle avvizzitanel suosangue gelatonella sua anima vintanon vi potesse piùinfondere che un incanto debole e dolente.


Lesembravaancheche qualcosa fosse cambiata intorno a leidappertutto. Il sole doveva essere un po' meno caldo che nei giornidella sua giovinezzail cielo un po' meno azzurrol'erba un po'meno verdee quanto ai fiorierano sicuramente più pallidimeno odorosi e non inebriavano più come allora. E tuttaviaqualche voltala prendeva un tale benessere di vitachericominciava a fantasticarea speraread attendereperché...perché è mai possibile chenon ostante la crudeltàdella sortenon si possa sognare ancora quando fa bello? E andavaandava per ore e ore come sferzata dall'eccitazione della sua animae si fermava di colpo sedendosi sull'orlo della strada a ripensaresempre le stesse cose: perché non era stata come le altre?perché non aveva avuto anche le semplici gioie di un'esistenzatranquilla? E per un momento dimenticava di essere vecchiadi nonaver più nulla davantifuorché qualche anno lugubre esolitario; dimenticava che la sua strada era già statapercorsa e faceva come un tempocome a sedici annitanti progettidolci al suo cuorevagheggiando così l'avvenire. Poi era comese le piombasse sopracrudelmentela sensazione della realtàsi rialzava esaurita come se un peso le avesse spezzato le vene ediceva a se stessa: "Oh vecchia pazza! vecchia pazza!"riprendendopiù lentamentela via della casa.


AdessoRosalìa non si stancava di ripetere:

"Mamettetevi un po' tranquilla! Che cos'avete che non state mai ferma?""Che vuoi?" rispondeva lei tristemente. "Sono comeMassacro nei suoi ultimi giorni." Quella mattina Rosalìaentrò in camera prima del solito e depose sul comodino la grantazza del caffellatte:

"Andiamobevete in fretta. Dionigi è giù che ci aspetta. Si vaai "Pioppi" perché ho qualcosa da fare laggiù."Giovanna credette di svenire per la commozionee si vestìdeboleansimantesmarrita al pensiero di rivedere la sua cara casai suoi "Pioppi".


Erauna bella giornatac'era un cielo radiosoe anche il ronzinocomecontagiato dall'allegria di stagionese ne andava quasi al galoppo.Quando si accorse di essere entrata nel comune di ÉtouventGiovanna credette di respirare a fatica tanto era il sussulto delcuore; e quando vide le colonnine del cancello disse due o tre voltesenza volerlofra sé: "Oh! oh! oh!" come davantialle cose che scompigliano o esaltano il cuore.


Sistaccò il cavallo dai Couillard e Rosalìa e il figlioloandarono per i fatti loro mentre i fattori proponevano a Giovanna diapprofittare dell'assenza dei padroni per rivedere il castello:

edecco il mazzo di chiavi. Giovanna andò solae quando fudinanzi all'antica dimoraverso la parte del maresi fermòstupita a guardarlabenché nulla fosse cambiato al di fuori.Il vasto fabbricato grigio aveva quel giorno come dei sorrisi di solesu per i vecchi muri dove tutte le imposte erano chiuse.


Unramoscello secco cadde sulla sua veste; Giovanna alzò gliocchi: era caduto dal platano! S'avvicinò al grande platanodalla scorza pallida e liscia: l'accarezzò come se fosse unanimale. Il piede urtònell'erbaun pezzetto di legnomarcito: era l'ultimo avanzo della panchina dove si era seduta cosìspesso coi suoi:

ricordòche la panchina era stata messa quisotto il platanolo stessogiorno della prima visita di Giuliano. Raggiunse così ladoppia porta del vestiboloma non riusciva ad aprire questa porta(la chiave arrugginita non girava nella serraturache finìper cedere con un acuto stridore di molle) e servì anche unaspinta per il battente rimasto. Immediatamente Giovanna salìcorrendo alla sua antica stanza da letto. Ma... era questaquesta?Non la riconobbe. Era tutta un'altra stanzatappezzata con una cartachiara... Eppure le bastò aprire una finestra per sentirsicommossa fin nel profondo dell'anima davanti al suo amato orizzontee poi il boschetto e gli olmi e la landa e il mare tutto disseminatodi vele brune che sembravano immobili laggiù.


Allorasi mise a girare da padrona nella grande casa vuota.


S'incantavaa guardare sui muri certe macchie familiari ai suoi occhie siarrestò davanti a un piccolo buco fatto dal papà in unaparetesìdal papà che si divertiva spessoinricordo della sua giovinezzaa tirar di scherma col suo bastonecolpendo appunto questa parete quando passava di qui. Ma che cosatrova mai nella stanza di mamma! Una spilla sottile dalla capocchiad'oro appuntata dietro una portain un angolo oscuro presso illettoed è proprio la spilla (ora se ne ricorda) che mamminavi ha infisso una volta e poi ha cercato invano per anni. Nessunol'ha scopertadei nuovi! E se la prende come una reliquiae comeuna reliquia la bacia.


Mettevail naso dovunquebraccava e cercava segni quasi invisibili nelletappezzerie delle camere che erano rimaste intatterivedeva quellefigure bizzarre che la fantasia vede spesso nei disegni delle stoffee dei marmi o nelle ombre dei soffitti macchiati dal tempo. Camminavaa passi silenziosisola nel grande e muto castellocome attraversoun cimitero. La sua vita era quitutta qui! Ma il salone era cuponell'ombra delle imposte chiusee Giovanna guardava e si giravaintorno senza distinguere nullafinché a poco a poco il suosguardo si abitua all'oscurità e riconosce le tappezzeriequelle su cui sono disegnati gli uccelli che svolazzano. Due poltronerestavano davanti al camino come se le avessero lasciate alloraallora; e poi c'era l'odore della stanzaun odore che il saloneaveva sempre avuto come ogni essere ha il suoun odore vago etuttavia percettibilequel sentore impreciso dei vecchiappartamenti; qualcosa che penetrava adesso Giovanna e l'avviluppavadi ricordi e la inebriava. E così era tutta ansimante arespirare quell'alito di passatocogli occhi fissi su quelle duepoltrone: finché improvvisamentein un'allucinazioneprecipitosa nata dalla sua idea fissacredette di vederevidecomeli aveva sempre vedutisuo padre e sua madre che si scaldavano ipiedi accanto al fuoco.


Indietreggiòspaventataurtò col dorso nello stipite della portasiappoggiò per non cadere: ma non poteva distogliere gli occhi!

Lavisione era scomparsa. Dopo quello smarrimentoriprese il dominio dise stessa e pensò di fuggire per paura della follia. Ma il suosguardo cadde per caso sullo zoccolo a cui si appoggiava e vide... la"scala di Pollino"! Ecco i piccoli segni che salivano super la pittura a regolari intervalliecco le cifre segnate a matitache indicavano l'etài mesila statura crescente del figlio.Talvolta era la scrittura del nonnopiù grossatalvolta lasuaun po' più piccolatalvolta quella della zia Lisettaunpo' tremolantee le parve che il ragazzo di allora fosse qui davantia leicoi suoi capelli biondicon la piccola fronte contro il murocosìcertoperché lo misurassero. Il nonno gridava:"Giovannaè cresciuto di un centimetro in seisettimane!". E alloracon una frenesia amorosala poveretta simise a baciare lo zoccolo mentre di fuori Rosalìa chiamava:

"SignoraGiovannasignora Giovanna! Venite dunque! V'aspettano per farcolazione!" Uscì con la mente sconvolta e da quel momentonulla capì e nulla seppe: non capì nulla di quel che ledicesseromangiò quello che le servironoascoltòparlare senza sapere di che si parlasseparlò senza dubbiocoi fattori che si informarono della sua salutesi lasciòbaciarebaciò lei stessa delle guance che le si offrironorisalì finalmente in carrozza. E quando perdette di vistaattraverso gli alberil'alto tetto del castellosentì nelcuore uno schianto. Eccosìaveva dato alla sua casal'ultimo addio.


Mentrestava per rientrare in quest'altra casa di Battervillescorsequalcosa di biancosotto la porta: era una lettera chedurante lasua assenzail postino aveva cercato di infilare in quella fessura.PaoloPaolo! Aveva scritto Paolo. Era una lettera di Paolo. L'aprìtremando d'angoscia. Diceva Paolo:

"Miacara mammanon t'ho più scritto perché non volevofarti fare un viaggio inutile a Parigidovendo io stesso venire date da un momento all'altro. In questo momento una grande disgrazia micolpiscee mi trovo pure in seri imbarazzi. Quella poveretta èmoribonda dopo aver dato alla luce una bambinatre giorni fain unacasa dove non c'è il becco d'un quattrino. Io non so che faredella neonata cheper orala portinaia alleva come può (colpoppatoio)ma ho una gran paura di perderla. Non potrestiincaricartene tu? Io non so assolutamente dove sbattere la testa permetterla a balia.


Rispondiper mezzo del corriere.


Tuoaffezionatissimo figlio.


Paolo."


Giovannaaccasciata su una sediaaveva appena la forza di chiamare Rosalìa.Poi rilessero insieme la lettera e non si dissero nulla per lungotemposempre restando l'una di fronte all'altra. "Vado io acercare la bambina" disse infine Rosalìa.


"Nonsi può lasciarla così." "Va'va'figliamia." "Mettete il vostro cappello" riprese Rosalìa.dopo una pausa.


"Bisognaandare a Goderville dal notaio. Se l'altra muorebisogna pure che ilsignor Paolo la sposi. Per la piccinaper dopoche diamine!"Giovannasenza dire nullasi mise il suo cappellino. Era felice.


Cheèche è questa gioia profonda e quasi inconfessabileche inonda il suo cuore? E' una gioia perfidauna gioia danascondersi ad ogni costouna di quelle felicità abominevolidi cui si arrossiscema delle quali si gode ardentissimamente insegretogiùgiù nel segreto misterioso dell'anima:quella donnal'amante di suo figlioche sta per morire!

Ilnotaio diede a Rosalìa molte indicazioni particolareggiate chelei si fece ripetere più volte. E la bravissima servadopoaver dichiarato (sicura di non commettere spropositi): "Nontemete di nullamo' me ne incarico io" partì la nottestessa per Parigi.


Giovannapassò due giorni in un tumulto dell'anima che la rendevaincapace di qualsiasi riflessione o pensiero. Il terzo giornoricevette due sole righe di Rosalìa che le annunciava il suoritorno col treno della serae niente altro. Verso le trecon lacarrozzella di un vicinosi fece condurre alla stazione diBeuzevillee lì aspettò la sua servaritta sulmarciapiedilo sguardo fisso sulla linea diritta delle rotaie chefuggivano e si avvicinavano in fondo all'orizzontelaggiù. Diquando in quando guardava l'orologio. Che ora è? Ohancoradieci minuti. Cinque minuti. Due minuti. E' l'ora. Ma sìnonè l'ora?

Nonsi scorgeva nulla sulla via lontana. Ma tutt'a un tratto ecco unamacchia biancastraecco il fumo e sotto il fumo un punto nero cheingrandisce ingrandiscecorre corre. Ora la grossa macchinarallentapassa davanti a Giovannacome ansando e russandoeGiovanna tiene d'occhio gli sportelli che si aprono qua e làlasciando giù borghesi in cappello flosciocontadini inblusafattoripanieri. Oh Rosalìa! Rosalìa con quellaspecie di fagottino candido in braccio...


Giovannacorse incontro alla servama quasi cadevatanto le sue gambe eranodiventate debolimolli. Rosalìa aveva visto benissimo eraggiunse con la sua bella calma la signora.


"Buongiornobuon giorno. Eccomi di ritorno. Che fatica!" "Ebbene?""Ebbene... la madre è morta stanotte. Si sono sposati.Ecco qua la piccina." E porse il marmocchio invisibilequellaspecie di piccolo involto. Giovanna lo prese macchinalmente e le duedonne uscirono dalla stazione per salire insieme in carrozza.


"Ilsignor Paolo" riprese Rosalìa "verrà dopo ifuneraliforse domani a quest'ora." Giovanna mormorò: "Paolo..." e non seppe dire altro.


Ilsole calava verso l'orizzonteinondava di luce i piani verdeggiantimacchiati qua e là dall'oro dei navoni fioritidal sangue deifiori di papavero. Una quiete infinita si stendeva sulla terrapacificata in cui germogliavano le sementi. Il contadino schioccavala frusta per eccitare il suo cavallino e la carrozza andava di grantrotto.


Giovannaguardava davanti a sé nell'aria e nel cielo tagliato come dafrecciate di rondini e le sembrava tutt'a un tratto che un dolcecaloreun calore di vitale attraversasse le vestiraggiungesse legambepenetrasse nella carne: ohera il calore del piccolo essereche le dormiva in gremboquiqui! E fu un'emozione infinita. Con unmoto istintivoscoprì la faccina che non aveva ancor vista:eccoeccola figlia del figlio. E come la fragile creaturacolpitadalla luce vivaapriva i suoi occhi turchini con una piccolasmorfiaGiovanna se la strinse al pettoappassionatafuriosal'alzò sulle braccia e si diede a baciarla senza remissioneanzi a mangiarla di baci.


Rosalìala fermò. "Andiamosignora" fece Rosalìabrusca bruscama in fondo contenta. "Finirete col farlastrillare." Poi aggiunserispondendo senza dubbio ai suoipropri pensieri:

"Lavitavedetenon è né così bella né cosìbrutta come si crede."