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Honoré de Balzac
SARRASINE
Ero immerso in una di quelle meditazioni profonde che capitano a tuttianche a un uomo frivoloin seno alle feste più tumultuose.
Mezzanotte era suonata da poco all'orologio dell'Elysée-Bourbon.
Seduto nel vano d'una finestrae nascosto sotto le pieghe ondulate d'una tenda di moirepotevo contemplare a mio agio il giardino del palazzo in cui passavo la sera. Gli alberiimperfettamente coperti di nevesi staccavano debolmente sul fondo grigiastro d'un cielo nuvoloso appena schiarito dalla luna.
Visti in quell'atmosfera fantasticasomigliavano vagamente a spettri male avviluppati nei loro lenzuoli funebriimmagine gigantesca della famosa "danza dei morti". Poivolgendomi dall'altra partepotevo ammirare la danza dei vivi! un salotto splendidodalle pareti d'argento e orodai lampadari scintillantisplendente di candele. Làformicolavanos'agitavano e sfarfallavano le più belle donne di Parigile più ricchele più titolatebrillantipomposeabbaglianti di diamanti! con fiori sulla testasul senonei capellisparsi sulle vestio in ghirlande ai loro piedi. Erano leggeri fremiti di gioiapassi voluttuosi che facevano ondeggiare i merlettile blondela mussolina intorno ai fianchi delicati. Qualche occhiata troppo vivace si faceva strada qua e làeclissava le luciil fuoco dei diamantie animava ancor più cuori già troppo ardenti.
Si sorprendevano così cenni di teste significativi per gli amantie negativi per i mariti. Gli scoppi di voce dei giocatoria ogni colpo imprevistoil tintinnio dell'oro si frammischiavano alla musicaal mormorio delle conversazioni; per finir di stordire quella folla inebriata da tutto quello che il mondo elegante può offrire di seduzioniun vapore di profumi e l'ebbrezza generale agivano sulle immaginazioni che si smarrivano. Cosìalla mia destrala fosca e silenziosa immagine della mortea sinistrai decenti baccanali della vita: quila natura freddacupain lutto; làuomini in gaudio. Iosulla frontiera di questi due quadri disparatichemille volte ripetuti in diversi modirendono Parigi la città più divertente del mondo e la più filosoficafacevo una macedonia moralemezzo faceta mezzo funebre. Col piede sinistro segnavo il tempoe credevo d'aver l'altro nella tomba. La mia gamba destra era di fatti ghiacciata da uno di quegli spifferi che vi gelano una metà del corpo mentre l'altra metà sente il calore umido dei salotticosa abbastanza frequente nei balli.
- Non è molto tempoè vero? che il signor de Lanty possiede questo palazzo?
- Ma sì. Sono quasi dieci anni che il maresciallo de Carignan glielo ha venduto...
- Ah!
- Devono avere un patrimonio immenso?
- Certo.
- Che festa! un lusso insolente.
- Li credete ricchi come il signor de Nucingen o come il signor de Gondreville?
- Ma non lo sapete anche voi?
Sporsi la testa e riconobbi i due interlocutori come appartenenti a quella razza curiosa chea Parigisi occupa esclusivamente dei "Perché?" dei "Come?" " Di dove viene?" "Chi sono?" "Che succede?" "Che ha fatto lei?". Si misero a parlare sottovocee s'allontanarono per andare a discorrere con più comodo su qualche canapé solitario. Una miniera feconda s'era aperta ai dilettanti di misteri. Nessuno sapeva da quale paese veniva la famiglia de Lantyné da quale commercioda quale spoliazioneda quale pirateria o da quale eredità provenisse un fortuna stimata parecchi milioni. Tutti i membri della famiglia parlavano l'italianoil franceselo spagnolol'inglese e il tedescocon sufficiente correttezza per far supporre che avevano dovuto soggiornare a lungo tra quei diversi popoli. Zingari?
filibustieri?
- Fossero anche il diavolo! - dicevano i giovani politici danno ricevimenti meravigliosi.
- Se anche il conte de Lanty avesse svaligiato qualche "Casauba"ne sposerei volentieri la figlia! - esclamava un filosofo.
E chi non avrebbe sposato Marianninagiovinetta di sedici annila cui bellezza realizzava le favolose concezioni dei poeti orientali? Come la figlia del sultano nella favola della Lampada meravigliosaessa avrebbe dovuto restare velata. Il suo canto faceva impallidire i talenti incompleti delle Malibrandelle Sontagdelle Fodornelle quali una qualità dominante ha sempre escluso la perfezione dell'insieme; mentre Mariannina sapeva unire allo stesso grado di perfezione la purezza del suonola giustezza del movimento e delle intonazionil'anima e la tecnicala correttezza e il sentimento. Quella ragazza era il tipo di quella poesia segretaluogo comune di tutte le artie che sfugge sempre a quelli che la cercano. Dolce e modestaistruita e intelligentenessuna donna poteva eclissare Marianninatranne sua madre.
Avete mai incontrato qualcuna di quelle donne la cui bellezza sfolgorante sfida le offese dell'etàe che a trentasei anni appaiono più desiderabili di quel che dovevano essere quindici anni prima? Il loro volto è un'anima appassionatascintilla; ogni lineamento vi brilla d'intelligenza; ogni poro possiede uno splendore specialesoprattutto alla luce artificiale. I loro occhi seducenti attiranorespingonoparlano o tacciono; il loro passo è innocentemente sapiente; la voce spiega le melodiose ricchezze dei toni più seducentemente dolci e teneri. Fondati su paragonii loro elogi accarezzano l'amor proprio più suscettibile. Un movimento delle sopraccigliala minima occhiatail labbro che si corruga incutono una specie di terrore a quelli che fanno dipendere da loro la vita e la felicità. Inesperta dell'amore e docile ai discorsiuna ragazza può lasciarsi sedurre; ma per quella specie di donneun uomo deve saperecome il signor de Jaucourtnon gridare quandonascosto in fondo a un salottinola cameriera gli spezza due dita nella fessura d'una porta. Amare quelle potenti sirenenon è forse mettere in gioco la vita? Ed ecco perché forse le amiamo con tanta passione! Tale era la contessa de Lanty.
Filippofratello di Mariannaaveva ereditatocome sua sorellala bellezza meravigliosa della contessa. Per dir tutto in una sola parolail giovanotto era un'immagine vivente dell'Antinoocon delle forme più gracili. Ma quelle magre e delicate proporzioni quanto si addicono alla giovinezza quando una carnagione olivastrasopracciglia vigorose e il fuoco d'un occhio vellutato promettono per l'avvenire passioni maschieidee generose! Se Filippo restavanei cuori di tutte le ragazzecome un tipo di perfezionerimaneva anche nel ricordo di tutte le madricome il miglior partito di Francia.
La bellezzala ricchezzalo spirito e le grazie di quei due ragazzi venivano unicamente dalla madre. Il conte de Lanty era piccolobrutto e butterato; cupo come uno Spagnolonoioso come un banchiere. Passava del resto per un profondo politicoforse perché raramente ridevae citava a ogni proposito Metternich o Wellington.
La misteriosa famiglia offriva tutta l'attrattiva d'una poesia di Lord Byron: le sue difficoltà venivano tradotte in modo diverso da ciascuna persona del bel mondo; era un canto oscurodi strofa in strofa sublime. Il riserbo del conte e della contessa de Lanty sulla loro originesulla loro vita passata e sulle loro relazioni con le quattro parti del mondo non sarebbe stato a lungo una ragione di meraviglia a Parigi. In nessun paese forse l'assioma di Vespasiano è meglio inteso. Gli scudianche macchiati di sangue o di fango non rivelano niente e rappresentano tutto. Purché il mondo conosca la cifra delle vostre renditesiete classificato tra le somme eguali a voie nessuno chiede di vedere le vostre pergameneperché tutti sanno quanto costino poco. In una città in cui i problemi sociali si risolvono con equazioni algebrichegli avventurieri hanno molte probabilità in loro favore. Ammettendo che la famiglia de Lanty fosse d'origini zingarescheera così riccacosì attraenteche il mondo poteva ben perdonarle i suoi piccoli misteri. Madisgraziatamentela storia enigmatica di casa Lanty offriva un rinascente interesse di curiositàmolto simile a quello dei romanzi di Anna Radcliffe.
Gli osservatorigente che tiene a sapere in quale negozio comprate i vostri candelabrio che vi chiedono quanto pagate di pigione quando il vostro appartamento sembra loro belloavevano notatodi tanto in tantoin mezzo alle festeai concertiai balliai grandi ricevimenti dati dalla contessal'apparizione d'uno strano personaggio. Un uomo. La prima volta che si fece vedere fu durante un concertoe sembrò che fosse stato attirato in salotto dalla voce incantatrice di Mariannina.
- Da un momento in quaho freddo - disse alla sua vicina una signora che stava vicino alla porta.
Lo sconosciutoche si trovava vicino alla signorase ne andò.
- E' strano! ho caldo - disse la donna dopo che l'estraneo si fu allontanato. - E direte forse che sono pazzama non posso fare a meno di pensare che il mio vicinoquel signore vestito di nero che se n'è andato oraera la causa di quel freddo.
Presto l'esagerazione naturale alle persone dell'alta società fece nascere e accumulare le idee più buffele espressioni più bizzarrele favole più ridicole su quel misterioso personaggio.
Senza essere precisamente un vampiroun uomo artificialeuna specie di Faust o di Robin dei boschiavevasecondo le persone amanti del fantasticoqualcosa di tutte quelle nature antropomorfe. C'erano qua e là dei Tedeschi che prendevano sul serio questi motteggi ingegnosi della maldicenza parigina. Lo straniero era semplicemente un vecchio. Parecchi di quei giovanottiabituati a decideretutte le mattine in qualche frase elegante dell'avvenire dell'Europavolevano vedere nello sconosciuto un gran criminalepossessore d'immense ricchezze. Dei romanzieri raccontavano la vita di quel vecchioe vi davano particolari veramente curiosi sulle atrocità da lui commesse quando era a servizio del principe di Mysore. Dei banchierigente più positivaaccreditavano una favola convincente:
- Bah! - dicevano alzando le larghe spalle in una mossa di commiserazione - il vecchietto è una "testa genovese"!
- Signorese non sono indiscretovorreste avere la bontà di spiegarmi che cosa intendete per una testa genovese?
- E' un uomosignoresulla cui vita riposano enormi capitalie dalla salute di lui dipendono probabilmente le rendite di questa famiglia.
Mi ricordo d'aver sentito in casa della signora d'Espard un magnetizzatore il quale provavacon considerazioni storiche molto specioseche quel vecchiomesso sotto vetroera il famoso Balsamo detto Cagliostro. Secondo il moderno alchimistal'avventuriero siciliano era sfuggito alla morte e si divertiva a fare dell'oro per i suoi nipoti. Infine il balivo de Ferette sosteneva d'aver riconosciuto nello strano personaggio il conte di San Germano. Queste sciocchezzedette in tono spiritosocon l'aria beffarda che ai giorni nostri caratterizza una società incredulamantenevano sulla casa de Lanty come un'aura di sospetto. E poiper uno strano concorso di circostanzei membri di quella famiglia giustificavano le congetture del bel mondotenendo una condotta misteriosa verso il vecchiola cui vita era in qualche modo sottratta a ogni investigazione.
Se questo personaggio varcava la soglia dell'appartamento che doveva occupare nel palazzo Lantyla sua apparizione causava sempre nella famiglia una grande sensazione. Si sarebbe detto un avvenimento importante. FilippoMarianninala signora de Lanty e un vecchio domestico erano i soli che avevano il privilegio di aiutare lo sconosciuto a camminaread alzarsia sedersi.
Ciascuno ne sorvegliava i minimi movimenti. Pareva che fosse una persona incantata da cui dipendessero la felicitàla vita o la fortuna di tutti. Timore o affetto? La gente del bel mondo non riusciva a scoprire nessun indizio che li aiutasse a risolvere il problema. Nascosto per mesi interi in fondo a un santuario sconosciutoquel genio familiare ne usciva a un tratto come furtivamentesenza essere attesoe compariva in mezzo ai salotti come le fate d'altri tempi che scendevano dai loro draghi volanti per venire a turbare solennità a cui non erano state invitate.
Solo gli osservatori più esercitati potevano allora indovinare l'inquietudine dei padroni di casache sapevano dissimulare con singolare abilità i loro sentimenti. Maa voltepur continuando a ballare una quadrigliala troppo spontanea Mariannina gettava un'occhiata di terrore sul vecchio che sorvegliava da lontano.
Oppure Filippo si slanciava scivolando attraverso la follaper raggiungerloe restava accanto a luitenero e attentocome se il contatto con gli uomini o il minimo soffio dovesse spezzare quella creatura bizzarra. La contessa cercava di avvicinarsi a luisenza mostrare di aver l'intenzione di raggiungerlopoiassumendo dei modi e una fisionomia improntati di servilità e d'affettodi sottomissione e di dispotismodiceva due o tre parole alle quali il vecchio quasi sempre obbedivae spariva condottooper meglio direportato via da lei. Se la signora di Lanty non c'erail conte impiegava mille stratagemmi per arrivare a lui; ma pareva che gli riuscisse difficile di farsi ascoltaree lo trattava come un bambino troppo accarezzato di cui la madre ascolta i capricci o teme le bizze. Qualche indiscreto si era azzardato a interrogare con una certa storditaggine il conte de Lantyma quest'uomo freddo e riservato pareva che non capisse mai le domande dei curiosi. Cosìdopo molti tentativiresi vani dalla circospezione di tutti i membri della famiglianessuno cercò più di scoprire un segreto così ben custodito. Le spie di alto gradoi creduloni e i politici avevano finitoscoraggiaticol non occuparsi più di quel mistero.
Main quel momentoc'erano forse in quei salotti splendenti dei filosofi cheprendendo un gelatoun sorbettoo posando sopra una mensola il bicchiere vuotosi dicevano:
- Non mi stupirei di venire a sapere che sono dei bricconi. Quel vecchio che si nasconde e compare ogni equinozio o ogni solstiziomi ha tutta l'aria d'un assassino...
- O d'un fallito...
- E' quasi lo stesso. Uccidere il patrimonio d'un uomoè qualche volta peggio che uccidere lui.
- Signoreho scommesso venti luigime ne vengono quaranta.
- In fede mia! signorece ne sono solo trenta sul tappeto...
- Ebbenevedete che razza di gente frequenta qui. Non ci si può giocare.
- E' vero. Ma sono quasi sei mesi che non abbiamo visto lo spirito. Credete che sia una persona viva?
- Eh! eh! tutt'al più...
Queste parole venivano detteintorno a meda sconosciuti che se ne andarono nel momento in cui ricapitolavoin un ultimo pensierole mie riflessioni miste di bianco e di nerodi vita e di morte. La mia sbrigliata immaginazione da un lato e i miei occhi dall'altro contemplavano volta a volta e la festa giunta al suo più alto grado di splendore e il quadro cupo del giardino. Non so quanto tempo meditai su queste due facce della medaglia umana; ma all'improvviso il riso soffocato d'una giovane donna mi riscosse. Restai stupefatto all'aspetto dell'immagine che mi si offrì allo sguardo. Per uno dei più rari capricci della naturail pensiero in mezzo lutto che mi si aggirava per la testa ne era uscitosi trovava innanzi a me personificatovivoera balzato come Minerva dalla testa di Giovegrande e forteaveva allo stesso tempo cent'anni e ventidue anniera vivo e morto. Sfuggito dalla sua cameracome un pazzo dalla sua cellail vecchietto era senza dubbio abilmente scivolato dietro una siepe di persone attente alla voce di Mariannina che finiva la cavatina del "Tancredi". Pareva fosse uscito di sottoterraspinto da una macchina di teatro. Immobile e cuporestò per un momento a contemplare la festa il cui frastuono gli era forse giunto all'orecchio. La sua preoccupazioneche aveva del sonnambulismoera così concentrata sulle cose che si trovava in mezzo alla gente senza vederla. Era spuntato senza cerimonie accanto a una delle più seducenti donne di Parigidanzatrice elegante e giovanedalle forme delicateuno di quei visi freschi come quello d'un bambinobianco e rosae così fragilicosì trasparenti che uno sguardo d'uomo dovrebbe attraversarlecome i raggi del sole attraversano un pezzo di ghiaccio limpido. Stavano lìinnanzi a metutti e dueinsiemeuniti e così viciniche lo straniero sfiorava e il vestito di veloe le ghirlande di fiorie i capelli leggermente crespie il nastro ondeggiante della cintura.
Ero stato io a condurre al ballo della contessa de Lanty quella giovane donna. Siccome era la prima volta che veniva in quella casale perdonai il suo riso soffocato; ma le feci vivacemente un cenno imperioso che la fece restare interdetta e le ispirò rispetto per il suo vicino. Essa sedette accanto a me. Il vecchio non volle lasciare la deliziosa creaturaa cui s'attaccò capricciosamente con quella ostinazione muta e senza causa apparente a cui vanno soggette le persone molto vecchiee che le fa somigliare a bambini. Per sedersi accanto alla giovane signoradovette prendere un seggiolino pieghevole. I suoi minimi movimenti ebbero la pesantezza freddala stupida indecisione che caratterizzano i gesti d'un paralitico. Si accomodò lentamente sul suo seggiolinoborbottando qualche parola inintelligibile. La sua voce fessa somigliò al rumore che fa un sasso cadendo in un pozzo.
La giovane donna mi strinse forte la manocome se avesse voluto garantirsi da un precipizioe rabbrividì quando l'uomoche essa guardavarivolse su di lei due occhi senza caloredue occhi glauchi che non si potevano paragonare che a una madreperla che ha perduto la sua lucentezza.
- Ho paura - mi disse piegandosi verso il mio orecchio.
- Potete parlare - risposi. - Sente molto difficilmente.
- Lo conoscete dunque?
- Sì.
Riacquistò allora abbastanza coraggio per esaminare per un istante quella creatura senza nome nel linguaggio umanoforma senza sostanzaessere senza vitao vita senza azione. Era sotto il fascino di quella paurosa curiosità che spinge le donne a procurarsi emozioni pericolosea vedere tigri incatenatea guardare serpenti boapiene di spavento all'idea di non esserne separate che da deboli barriere. Benché il vecchietto avesse la schiena curva come quella d'un vecchio contadinoera facile accorgersi che la sua persona aveva dovuto essere regolare. La sua eccessiva magrezzala delicatezza delle sue membraprovavano che le sue proporzioni erano sempre state svelte. Portava dei calzoni di seta nerache ondeggiavano intorno alle cosce scarnite facendo le stesse pieghe d'una vela ammainata. Un anatomista avrebbe riconosciuto subito i sintomi di una spaventosa etisia vedendo le magre gambette che servivano a sostenere quello strano corpo: due ossa messe in croce sopra una tomba. Un senso di profondo orrore vi prendeva il cuore quando una fatale attenzione vi rivelava i segni impressi dalla decrepitezza su quella macchina casuale. Lo sconosciuto portava un panciotto biancoricamato in oroall'anticae la sua camicia era d'un bianco abbagliante. Una gala di merletto d'Inghilterra un po' ingiallitola cui ricchezza avrebbe fatto invidia a una reginas'increspava in onde gialle sul suo petto; ma su di lui quel merletto era più un cencio che un ornamento. In mezzo al merlettoun diamante d'un valore incalcolabile scintillava come un sole. Quel lusso antiquatoquel tesoro intrinseco e senza gustofacevano anche meglio risaltare il volto di quell'essere bizzarro. La cornice era degna del ritratto. La faccia nera era angolosa e incavata dappertutto. Il mento incavatole tempie incavate; gli occhi si perdevano nelle orbite giallastre. Gli ossi mascellarimessi in evidenza da una magrezza indescrivibiledisegnavano cavità in mezzo alle gote.
Quelle protuberanze più o meno rischiarate dalla luce artificialeproducevano ombre e riflessi curiosi che finivano per togliere a quel volto ogni carattere umano. Poi gli anni avevano così fortemente incollata sulle ossa la pelle gialla e fine di quel volto che essa vi descriveva dappertutto una quantità di rughe o circolaricome i cerchi dell'acqua turbata da un sasso che vi getta un fanciulloo a raggi come la frattura d'un vetroma sempre profonde e così fitte come i fogli nel taglio d'un libro.
Ci sono vecchi che presentano spesso un aspetto più orrendo; ma quel che maggiormente contribuiva a dare l'apparenza d'una creazione artificiale allo spettro sopravvenuto innanzi a noiera il rosso e il bianco vistosi del belletto. Le sopracciglia della sua maschera ricevevano luce da un lampadario che rivelava una pittura molto bene eseguita. Fortunatamente per la vista rattristata da tante rovineil cranio cadaverico era nascosto da una parrucca bionda i cui riccioli innumerevoli tradivano una pretesa straordinaria. Del restola civetteria femminile di quel personaggio fantasmagorico era molto energicamente affermata dagli orecchini d'oro che gli pendevano dalle orecchiedagli anelli le cui ammirevoli pietre preziose brillavano sulle sue dita ossificateda una catena da orologio che scintillava come una riviera di diamanti al collo di una donna. Infinequella specie d'idolo giapponese conservava sulle sue labbra bluastre un riso fisso e decisoun riso implacabile e canzonatoriocome quello d'una testa di morto. Silenziosoimmobile come una statuaesalava l'odore muschiato dei vecchi abiti che gli eredi d'una duchessa esumano dai loro cassetti durante un inventario. Se il vecchio volgeva gli occhi verso gli invitatipareva che i movimenti di quei globi incapaci di riflettere una luce fossero dovuti a un artificio ignoto; e quando gli occhi si fermavanocolui che li osservava finiva col dubitare che si fossero mossi.
Vedereaccanto a quei resti umaniuna giovane donna col collole bracciae il petto nudi e bianchidalle forme piene e fiorenti di bellezzadai capelli ben piantati sopra una fronte d'alabastro che ispiravano l'amoredagli occhi che non ricevevanoma diffondevano la luceche era soavefresca e i cui riccioli vaporosil'alito odoroso sembravano troppo pesanti per quell'ombraper quell'uomo ridotto in polvere; ah! erano proprio la morte e la vitail mio pensieroun arabesco immaginariouna chimera orribile per metàdivinamente donna nel torso.
"Eppure ci sono matrimoni di questa specie che si fanno abbastanza spesso nel bel mondo" mi dissi.
- Manda odore di cimitero - esclamò la giovane donna spaventata che mi strinse come per accertarsi della mia protezionee i cui movimenti tumultuosi mi dissero che aveva molta paura. - E' una visione orribile - riprese - non posso più restar qui. Se lo guardo un'altra voltacrederò che la morte in persona è venuta a cercarmi. Ma è vivo?
Pose la mano sul fenomeno con l'audacia che le donne attingono dalla violenza dei loro desideri; ma un sudore freddo uscì dai suoi poriperchéappena ebbe toccato il vecchiosentì un grido simile a quello d'una raganella. Quella voce acrese pure era vocesfuggì da una gola quasi inaridita. Poi a quel clamore tenne dietro una tossettina di bambinoconvulsa e d'una sonorità speciale. A quel rumoreMarianninaFilippo e la signora de Lanty rivolsero gli occhi verso noie i loro sguardi furono come lampi.
La giovane donna avrebbe voluto trovarsi in fondo alla Senna.
Prese il mio braccio e mi trascinò verso un salottino. Uomini e donnetutti ci fecero largo. Arrivati in fondo all'appartamento da ricevimentoentrammo in un salottino semicircolare. La mia compagna si gettò sopra un divanopalpitando di spaventosenza sapere dove si trovasse.
- Signorasiete pazza - le dissi.
- Ma - riprese lei dopo un momento di silenzio durante il quale l'ammirai - è forse colpa mia? Perché la signora de Lanty lascia andare in giro fantasmi in casa sua?
- Via - risposi - voi fate come gli sciocchi. Prendete un vecchietto per uno spettro.
- State zitto voi - replicò lei con l'aria imponente che tutte le donne sanno prendere così bene quando vogliono aver ragione. - Che grazioso salottino! - esclamò guardandosi intorno. - Il raso azzurro fa sempre un bell'effetto come tappezzeria. Com'è fresco!
Ah! che bel quadro! - aggiunse alzandosie andando a mettersi in faccia a una tela magnificamente incorniciata.
Restammo un momento in contemplazione davanti a quella meravigliache sembrava opera d'un pennello soprannaturale. Il quadro rappresentava Adone steso sopra una pelle di leone. Il lume sospeso in mezzo al salottino dentro un vaso d'alabastroilluminava in quel momento la tela d'una luce dolce che ci permise di cogliere tutte le bellezze della pittura.
- Ma esiste un essere così perfetto? - mi chiese dopo aver esaminatonon senza un dolce sorriso di soddisfazionela grazia squisita dei contornila posail colorei capellitutto insomma.
- E' troppo bello per un uomo - aggiunse dopo un esame eguale a quello a cui avrebbe sottoposta una rivale.
Oh! come sentii il morso di quella gelosia a cui un poeta aveva invano cercato di farmi credere! la gelosia delle stampedei quadridelle statuein cui gli artisti esagerano la bellezza umanain conseguenza della dottrina che li porta a idealizzare tutto.
- E' un ritratto - le risposi. - E' dovuto al talento di Vien. Ma il grande pittore non ha mai visto l'originalee la vostra ammirazione sarà forse meno viva quando saprete che questo nudo è stato fatto su una statua di donna.
- Ma chi è?
Esitai.
- Voglio saperlo - aggiunse lei con vivacità.
- Credo - le dissi - che questo Adone rappresenti un... un... un parente della signora de Lanty.
Ebbi il dolore di vederla immergersi nella contemplazione di quella figura. Sedette in silenzioio mi misi accantoe le presi la mano senza che se ne avvedesse! Dimenticato per un ritratto! In quel momento il rumore leggero d'un passo di donna la cui gonna frusciavarisuonò nel silenzio. Vedemmo entrare la giovane Marianninapiù brillante ancora per la sua espressione d'innocenza che per la sua grazia e la sua fresca toletta; camminava lentamentee teneva per il braccio con una cura maternacon una filiale sollecitudinelo spettro vestito che ci aveva messi in fuga dalla sala di musica; lo condusse guardando con una specie d'inquietudine come posava i suoi piedi deboli.
Tutti e due arrivarono con una certa difficoltà a una porta dissimulata nella tappezzeria. Mariannina bussò piano. Subito apparvecome per magiaun uomo altomagrouna specie di genio familiare. Prima di affidare il vecchio a quel guardiano misteriosola giovinetta baciò rispettosamente il cadavere ambulantee la sua casta carezza non fu esente da quel vezzeggiamento grazioso il cui segreto appartiene a qualche donna privilegiata.
- ADDIOADDIO! - diceva con le più graziose inflessioni della sua voce.
Aggiunse anche sull'ultima sillaba un gorgheggio eseguito ammirevolmentema a voce bassa come per esprimere poeticamente l'effusione del suo cuore. Il vecchiocolpito all'improvviso da qualche ricordorestò sulla soglia di quel ridotto segreto.
Sentimmo alloragrazie a un silenzio profondoil pesante sospiro che gli uscì dal petto: sfilò il più bello degli anelli di cui le sue dita di scheletro erano carichee lo mise in seno a Mariannina. La pazzerella si mise a ridereriprese l'anellol'infilò di sopra al guanto in uno dei suoi ditie si slanciò verso la salain cui in quel momento risonarono i preludi d'una contraddanza. Ci vide.
- Ah! eravate lì! - disse arrossendo.
Dopo averci guardati come per interrogarcicorse al suo cavaliere con la spensierata petulanza della sua età.
- Che vuol dir questo? - mi chiese la mia giovane interlocutrice.- E' suo marito? Mi pare di sognare. Dove mi trovo?
- Voi! - risposi - voisignorache siete esaltatae checomprendendo così bene le emozioni più impercettibilisapete coltivare in un cuore d'uomo i più delicati sentimentisenza avvilirlosenza infrangerlo sin dal primo giornovoi che avete pietà delle pene d'amoree che allo spirito d'una Parigina unite un'anima appassionata degna dell'Italia o della Spagna...
Vide bene che il mio linguaggio era pieno d'un'amara ironia; eallorasenza mostrare di essersene accortam'interruppe per dirmi:
- Oh! voi mi fate quale mi volete. Strana tirannia! Volete che io non sia ME STESSA.
-Oh! non voglio niente - esclamai spaventato della sua severità. - Ma è vero almeno che vi piace sentir raccontare la storia di quelle passioni energiche prodotte nei nostri cuori dalle seducenti donne del Mezzogiorno?
- Sì. Ebbene?
- Ebbeneverrò domani da voi verso le novee vi svelerò questo mistero.
- No - rispose con aria capricciosa - voglio saperlo subito.
- Non m'avete ancora dato il diritto di obbedirvi quando dite:
"Voglio".
- In questo momento - rispose con una civetteria da far disperare - ho il più vivo desiderio di conoscere questo segreto. Domaniforsenon vi ascolterò neppure...
Sorrise e ci separammo; lei sempre così fieracosì rudee io sempre così ridicoloin quel momento come sempre. Ebbe l'audacia di ballare con un giovane aiutante di campoe io restai via via offesoimbronciatoammirandolaamandolageloso.
- A domani - mi disse verso le due del mattinoquando lasciò il ballo.
"Non andrò"pensaiti lascio. Sei più capricciosa, più fantastica mille volte forse... della mia immaginazione.
Il giorno dopoeravamo davanti a un buon fuocoin un salottino eleganteseduti tutti e due; lei sopra una poltronaiosu dei cusciniquasi ai suoi piedie col mio occhio sotto il suo. La strada era silenziosa. La lampada diffondeva una luce dolce. Era una di quelle serate deliziose all'animauno di quei momenti che non si dimenticano maiuna di quelle ore passate nella pace e nel desiderioe di cuipiù tardiil fascino è sempre oggetto di rimpiantoanche quando siamo più felici. Chi può cancellare la viva impronta delle prime sollecitazioni dell'amore?
- Su - disse - vi ascolto.
- Ma io non oso cominciare. L'avventura ha dei punti scabrosi per il narratore. Se mi entusiasmo mi farete tacere.
- Parlate.
- Obbedisco - Ernesto-Giovanni Sarrasine era l'unico figlio d'un procuratore della Franca-Contea - ripresi dopo una pausa. - Suo padre aveva abbastanza onestamente guadagnato da sei a ottomila franchi di renditapatrimonio da magistratocheun tempoin provinciapassava per colossale. Il vecchio procuratoreche aveva un solo figlionon volle trascurare nulla per la sua educazionesperava di farne un magistratoe vivere tanto da vederein vecchiaiail nipote di Matteo Sarrasinebifolco nel paese di San Diésedersi sui gigli e addormentarsi all'udienza per la maggior gloria del Parlamento; ma il cielo non gli riserbava questa gioia. Il giovane Sarrasineandato per tempo ai Gesuitidiede prova d'una turbolenza poco comune. Ebbe l'infanzia d'un uomo di talento. Non voleva studiare che a modo suosi ribellava spessoe restava a volte ore intere immerso in confuse meditazionioccupatoora a contemplare i suoi compagni che giocavanoora a figurarsi gli dei di Omero. Poise gli accadeva di divertirsimetteva nei suoi giochi un ardore straordinario. Quando sorgeva una lotta tra un compagno e luiraramente il combattimento finiva senza sangue. Se era il più debolemordeva. Di volta in volta pieno d'iniziative o passivosenza attitudini o troppo intelligenteil suo carattere bizzarro lo fece temere dai suoi maestri quanto dai suoi compagni.
Invece d'apprendere gli elementi della lingua grecadisegnava il reverendo padre che gli spiegava un passo di Tucidideschizzava il maestro di matematicail prefettogli inservientiil censoree ricopriva i muri di abbozzi informi. Invece di cantare in chiesa le lodi del Signoresi divertivadurante le funzionia tagliuzzare il suo banco; o quando aveva rubato qualche pezzo di legnoscolpiva qualche figura di santa. Se il legnola pietra o la matita gli mancavanoesprimeva le sue idee con la mollica di pane. Sia che copiasse i personaggi dei quadri che guarnivano il corosia che improvvisasselasciava sempre al suo posto grossolani abbozziil cui carattere licenzioso faceva disperare i padri più giovani; e i maldicenti dicevano che i vecchi gesuiti ne sorridevano. Alla finese dobbiamo prestar fede alla cronaca del collegiofu cacciatoperchémentre aspettava il suo turno al confessionaleun venerdì santoaveva scolpito un grosso ceppo in forma di Cristo. L'empietà impressa in quella statua era troppo forte per non attirare una punizione all'artista. Non aveva egli avuto l'audacia di collocare sull'alto del tabernacolo quella figura passabilmente cinica? Sarrasine venne a cercare a Parigi un rifugio contro le minacce della maledizione paterna. Aveva una di quelle forti volontà che non conoscono ostacoliobbedì perciò agli ordini del suo genio ed entrò nello studio di Bouchardon.
Lavorava tutta la giornataela seraandava a mendicare di che vivere. Bouchardonmeravigliato dei progressi e dell'ingegno del giovane artistaindovinò presto la sua miseria; lo soccorsegli si affezionòe lo trattò come un figlio. Poiquando il genio di Sarrasine si fu rivelato con una di quelle opere in cui il futuro talento lotta contro l'effervescenza della giovinezzail generoso Bouchardon cercò di riconciliarlo col vecchio procuratore. Di fronte all'autorità dello scultore celebre lo sdegno paterno si raddolcì. Tutta Besançon si rallegrò d'aver dato i natali a un futuro grand'uomo. Nel primo momento d'estasi in cui lo immerse la vanità lusingatal'avaro curiale mise il figlio in condizioni di far buona figura nel mondo. I lunghi e laboriosi studi reclamati dalla scultura domarono per molto tempo il carattere impetuoso e il genio selvaggio di Sarrasine. Bouchardonprevedendo la violenza delle passioni che si sarebbero scatenate in quella giovane animache aveva forse la tempra vigorosa di Michelangelone soffocò l'energia sotto continui lavori. Riuscì a mantenere in giusti limiti la foga straordinaria di Sarrasineproibendogli di lavorare e offrendogli distrazioni quando lo vedeva trasportato dalla furia di qualche ideao affidandogli importanti lavori nel momento in cui stava per abbandonarsi alla dissipazione. Macon quell'anima appassionatala dolcezza fu sempre l'arma più potentee il maestro prese un grande ascendente sul suo allievo eccitando in lui la riconoscenza con una bontà paterna. All'età di ventidue anniSarrasine fu per forza sottratto alla salutare influenza che Bouchardon esercitava sui suoi costumi e sulle sue abitudini. Scontò la pena del suo genio vincendo il premio di scultura fondato dal marchese di Marignyfratello di madame de Pompadourche tanto fece per le Arti. Diderot vantò come un capolavoro la statua dell'allievo di Bouchardon. Non fu senza dolore che lo scultore del re vide partire per l'Italia un giovane di cuia ragion vedutaaveva favorito l'ignoranza profonda nelle cose della vita. Sarrasine da sei anni era il commensale di Bouchardon. Fanatico della sua arte come fu più tardi Canovasi alzava all'albaentrava nello studio per non uscirne che a serae viveva solo con la sua musa. Se andava alla Comédie-Francaisevi era trascinato dal maestro. Si sentiva così imbarazzato nel salotto di madame Geoffrin e nel gran mondo in cui Bouchardon cercò d'introdurloche preferì restare soloe ripudiò i piaceri di quei tempi licenziosi. Non ebbe altre amanti che la Scultura e Clotildeuna delle celebrità dell'Opera. E del resto questo intrigo non durò molto. Sarrasine era piuttosto bruttosempre mal vestitoe per natura così liberocosì poco regolare nella sua vita privatache l'illustre ninfatemendo qualche catastroferestituì presto lo scultore all'amore delle Arti. Sofia Arnould ha detto non so quale spiritosaggine a questo proposito. Si stupìcredoche la sua collega avesse potuto vincerla sulle statue.
Sarrasine partì per l'Italia nel 1758. Durante il viaggiola sua calda immaginazione s'infiammò sotto un cielo di rame e all'aspetto dei monumenti meravigliosi di cui abbonda la patria delle Arti. Ammirò le statuegli affreschii quadri; e pieno d'emulazione venne a Romain preda al desiderio d'iscrivere il suo nome tra quelli di Michelangelo e di Bouchardon. Cosìnei primi giornidivise il tempo tra i suoi lavori di scultura e l'esame delle opere d'arte di cui Roma è ricca. Aveva già passato quindici giorni nella specie d'estasi che s'impadronisce di tutte le giovani immaginazioni all'aspetto della regina delle rovinequandouna seraentrò nel teatro Argentinainnanzi al quale s'accalcava una gran folla. Chiese la causa di quell'affluenzae gli fu risposto con due nomi: "Zambinella! Jomelli!". Entra e siede in plateatra due abati notevolmente grossima il posto era buonovicino alla scena. Si alzò il sipario. Per la prima volta nella sua vita sentì quella musica di cui il signor Gian Giacomo Rousseau gli aveva così eloquentemente vantato le deliziein una serata in casa del barone d'Holbach. I sensi del giovane scultore furonoper così direlubrificati dagli accenti della sublime armonia di Jomelli. Le languide originalità di quelle voci italiane abilmente intrecciate lo immersero in un'estasi deliziosa. L'anima gli passò nelle orecchie e negli occhi; gli parve d'ascoltare con ognuno dei suoi pori. A un trattoapplausi da far crollare la sala accolsero l'entrata in scena della prima donna. Questa s'avanzò per civetteria sul davanti del teatroe salutò il pubblico con grazia infinita. Le lucil'entusiasmo di tutto un popolol'illusione della scenail prestigio d'una toletta chein quei tempiera molto seducentecospirarono in favore di quella donna. Sarrasine mandò gridi di piacere. Ammirava in quel momento la bellezza ideale di cui aveva fino allora cercato qua e là le perfezioni nella naturachiedendo a un modello spesso ignobileil tondeggiare d'una gamba perfetta; a un altroi contorni del senoa questo le sue bianche spalle; prendendo infine il collo d'una giovinetta e le mani di questa donnae i ginocchi lisci di quel fanciullosenza mai incontrare sotto il cielo freddo di Parigi le ricche e soavi creazioni della Grecia antica. La Zambinella gli mostrava riunitepiene di vita e delicatele squisite proporzioni della natura femminile così ardentemente desideratee di cui uno scultore èinsiemeil giudice più severo e più appassionato. Una bocca espressivaocchi pieni d'amoreuna carnagione splendida. E aggiungete a questi particolariche avrebbero rapito in estasi un pittoretutte le meraviglie delle Veneri riverite e ritratte dallo scalpello dei Greci. L'artista non si stancava d'ammirare la grazia inimitabile con cui le braccia s'attaccavano al bustola rotondità piena di prestigio del collole linee armoniosamente tracciate dalle sopraccigliadal nasopoi l'ovale perfetto del voltola purezza del suo vivo disegnoe l'effetto delle folte ciglia ricurve che terminavano larghe e voluttuose palpebre. Era più che una donnaera un capolavoro! C'era in quella creatura insperata tanto amore da mandare in estasi tutti gli uomini e bellezze degne di accontentare un critico. Sarrasine divorava con gli occhi la statua di Pigmalionescesa per lui dal piedistallo. Quando la Zambinella cantòfu un delirio. L'artista ebbe freddo; poisentì una fiamma che divampò all'improvviso nelle profondità del suo essere intimodi quello cheper mancanza di parolediciamo cuore! Non applaudìnon disse nullaprovava un impeto di pazziaspecie di frenesia da cui siamo agitati solo in quella età in cui il desiderio ha un non so che di terribile e d'infernale.
Sarrasine voleva slanciarsi sul palcoscenico e rapire quella donna. La sua forza centuplicata da una depressione morale impossibile a descriveregiacché tali fenomeni si verificano in una sfera inaccessibile all'osservazione umanatendeva a proiettarsi con una violenza dolorosa. A vederlosi sarebbe detto un uomo freddo e stupido. Gloriascienzaavvenireesistenzaalloritutto crollò. Essere amato da leio moriretale fu la sentenza che Sarrasine pronunciò su se stesso. Era così completamente ubriaco che non vedeva più né la plateané gli spettatoriné gli attorinon sentiva più la musica. Anche piùnon c'erano distanze tra lui e la Zambinellala possedevai suoi occhiattaccati a leise ne impadronivano. Una potenza quasi diabolica gli permetteva di sentire il fiato di quella vocedi respirare la cipria profumata di cui i suoi capelli erano impregnatidi vedere i passaggi da un piano all'altro di quel voltodi contarne le vene azzurre che ne sfumavano l'epidermide di raso. In fine quella voce agilefresca come un campanellino d'argentodocile come un filo a cui il minimo soffio d'aria dà una formache avvolge e distendesvolge e disperdequella voce assaliva così vivamente il suo animo che egli si lasciò più volte sfuggire di quei gridi involontari strappati dalle convulse delizie troppo raramente concesse alle passioni umane. Presto fu obbligato a uscire di teatro. Le gambe gli tremavano e rifiutavano quasi di sostenerlo. Era abbattutodebole come un uomo nervoso che s'è abbandonato a una collera spaventevole. Aveva provato tanto piacereo forse aveva tanto soffertoche la vita gli era sfuggita come l'acqua da un vaso rovesciato da un urto. Sentiva in sé un vuotoun annientamento simile a quelle atonìe che sono la disperazione dei convalescenti all'uscire da una grave malattia.
Invaso da una tristezza inesplicabileandò a sedersi sui gradini d'una chiesa. Lìcol dorso appoggiato a una colonnasi perse in una meditazione confusa come un sogno. La passione lo aveva fulminato. Tornato a casacadde in uno di quei parossismi di attività che ci rivelano la presenza di principi nuovi nella nostra esistenza. In preda a quella prima febbre dell'amore che partecipa ugualmente del piacere e del dolorevolle ingannare la sua impazienza e il suo delirio disegnando a memoria la Zambinella. Fu una specie di meditazione materializzata. Sopra un fogliola Zambinella aveva l'atteggiamento calmoe freddo in apparenzapreferito da Raffaelloda Giorgione e da tutti i grandi pittori. Su di un altrovolgeva la testa con finezza mentre finiva un gorgheggioe sembrava ascoltarsi da sé.
Sarrasine disegnò la sua amata in tutte le pose: la fece senza velosedutain piedigiacenteo casta o innamoratarealizzando grazie al delirio della sua matitatutte le idee capricciose che sollecitano la nostra immaginazione quando pensiamo fortemente a una donna amata. Ma il suo pensiero furioso andò più oltre del disegno. Vedeva la Zambinellale parlavala supplicavadivorava mille anni di vita e di felicità con leimettendola in tutte le situazioni immaginabiliabbozzandoper così direil suo avvenire con lei. Il giorno dopomandò il lacché a prendere in affittoper tutta la stagioneun palco vicino alla scena. Poicome tutti i giovani dall'animo potentesi esagerò le difficoltà della sua impresae diedecome prima pastura alla sua passionela felicità di poter ammirare senza ostacoli la sua amata. Questa età dell'oro dell'amoredurante la quale godiamo del nostro proprio sentimento e in cui ci troviamo felici quasi di noi stessinon doveva durar molto per Sarrasine.
Pure gli avvenimenti lo sorpresero quand'era ancora sotto il fascino di quella primaverile allucinazioneingenua quanto voluttuosa. Per circa otto giornivisse tutta una vitaoccupato il mattino a impastare la creta con l'aiuto della quale riusciva a copiare la Zambinellaa dispetto dei velidelle gonnedei busti e i fiocchi di nastro che gliela dissimulavano. La serainstallato per tempo nel suo palco solosdraiato sopra un sofàsi fingevasimile a un Turco ubriaco d'oppiouna felicità così fecondacosì prodiga quale la desiderava. Per prima cosa si familiarizzò gradatamente con le emozioni troppo vive che gli procurava il canto della sua amata; poi addomesticò i suoi occhi a vederlae finì col contemplarla senza dover temere l'esplosione della sorda rabbia da cui era stato animato la prima volta. La sua passione divenne più profonda facendosi più tranquilla. Del restoil selvaggio scultore non permetteva che la sua solitudinepopolata d'immaginiornata delle fantasie della speranza e piena di felicitàfosse turbata dai suoi colleghi. Amava con tanta forza e così ingenuamente che dovette subire gli scrupoli innocenti da cui siamo assaliti quando amiamo per la prima volta.
Cominciando a intravvedere che presto avrebbe dovuto agireintrigaredomandare dove abitava la Zambinellasapere se aveva una madreuno zioun tutoreuna famiglia; pensando insomma al modo di vederladi parlarlesentiva il cuore gonfiarglisi così forte a idee tanto ambizioseche rimandava queste cure al giorno dopofelice delle sue sofferenze fisiche quanto dei suoi piaceri intellettuali.
- Ma - mi disse la signora Rochefide interrompendomi - non vedo ancora né Mariannina né il suo vecchietto.
- Ma io vi sto parlando di lui - esclamai impazientito come un autore che vede guastato l'effetto d'un suo colpo di scena. - Da qualche giorno - ripresi dopo una pausa - Sarrasine era venuto con tanta puntualità a sedersi nel suo palcoe i suoi sguardi esprimevano tanto amoreche la sua passione per la voce della Zambinella sarebbe diventata la favola di tutta Parigise questa avventura fosse avvenuta qui; ma in Italiasignoraa teatroognuno assiste per conto proprio allo spettacolocon le sue passionicon un interesse di cuore che esclude lo spionaggio dei binocoli. Pure la frenesia dello scultore non poteva sfuggire a lungo agli occhi dei cantanti e delle cantanti. Una serail Francese si accorse che ridevano di lui dietro le quinte. Sarebbe difficile sapere a quali estremi sarebbe arrivatose in quel momento non fosse entrata in scena la Zambinella. Gettò a Sarrasine una di quelle occhiate eloquenti che dicono spesso molto più di quel che una donna vorrebbe. Quello sguardo fu per lui una rivelazione. Sarrasine era amato! "Se non è che un capriccio"pensò accusando già la sua amante di troppo ardorenon sa sotto quale dominio sta per cadere. Il suo capriccio durerà, spero, quanto la mia vita. In quel momentotre colpi leggeri alla porta del palco eccitarono l'attenzione dell'artista. Aprì. Una vecchia entrò misteriosamente. "Giovanotto"dissese volete essere felice, siate prudente, avvolgetevi in una cappa, abbassate sugli occhi un gran cappello; poi, verso le dieci di sera, trovatevi in via del Corso, davanti all'Albergo di Spagna. "Ci sarò"rispose mettendo due luigi nella mano grinzosa della vecchia. Uscì dal palcodopo aver fatto un segno d'intelligenza alla Zambinellache abbassò timidamente le sue palpebre voluttuose come una donna felice d'essere stata finalmente compresa. Poi corse a casaper chiedere alla toletta tutte le seduzioni che avrebbe potuto prestargli. Uscendo di teatrouno sconosciuto lo fermò prendendolo per il braccio. "Badate a voi signor Francese"gli disse all'orecchio. "Il cardinale Cicognara è il suo protettoree non scherza". Se anche un diavolo avesse messo tra Sarrasine e la Zambinella le profondità dell'infernoin quel momento egli le avrebbe superate d'un balzo. Simile ai cavalli degli immortali dipinti da Omerol'amore dello scultore aveva in un batter d'occhio valicato spazi immensi. "Se anche la morte dovesse attendermi all'uscire dalla casa di leivi andrei ancora più presto"rispose."Poverino!"esclamò lo sconosciuto dileguandosi. Parlare di pericoli a un innamorato non è forse proporgli dei piaceri? Mai il lacché di Sarrasine aveva visto il padrone così minuzioso in fatto di toletta. La sua più bella spadadono di Bouchardonil suo abito ricamato di lustriniil panciotto di damasco d'argentola tabacchiera d'orogli orologi preziositutto fu tratto fuori dal bauleed egli si adornò come una ragazza che deve incontrare a passeggio il suo primo innamorato. All'ora dettaebbro d'amore e ardente di speranzaSarrasinecol naso nel mantellocorse al convegno fissato dalla vecchia. La governante lo aspettava. "Avete tardato molto!" gli disse. "Venite". Trasse il Francese per parecchie stradinee si fermò innanzi a un palazzo di abbastanza bell'apparenza. Picchiò.
La porta si aprì. La vecchia condusse Sarrasine attraverso un labirinto di scaledi gallerie e di stanze illuminate solo dalla incerta luce della lunae giunse presto a una portadalle cui fessure sfuggivano vive lucida cui partivano gioiosi scoppi di molte voci. Tutto a un tratto Sarrasine fu abbagliatoquandoa una parola della vecchiafu ammesso nel misterioso appartamentoe si trovò in una sala così brillantemente illuminata come sontuosamente arredata. In mezzo alla sala sorgeva una tavola ben servitacarica di sacrosante bottigliedi ridenti boccette le cui sfaccettature arrossate scintillavano. Riconobbe i cantanti e le cantanti del teatroin compagnia di donne incantevolitutti pronti a cominciare un'orgia di artisti che non aspettava più che lui. Sarrasine represse un movimento di dispettoe fece buon viso a cattivo gioco. Aveva sperato di trovare una camera poco illuminatala sua donna accanto a un braciereun geloso a due passila morte e l'amoreconfidenze scambiate a voce bassada cuore a cuorebaci pericolosie i volti così viciniche i capelli della Zambinella avrebbero accarezzato la sua fronte carica di desideriardente di felicità. "Viva la pazzia!"gridò.
"SIGNORI E BELLE DONNEmi permetterete di prendere più tardi la mia rivincita e di mostrarvi la riconoscenza per il modo come accogliete un povero scultore". Dopo aver ricevuto complimenti abbastanza affettuosi dalla maggior parte delle persone presentiche conosceva di vistacercò di avvicinarsi alla poltrona su cui la Zambinella stava negligentemente sdraiata. Oh! come gli batté il cuore quando vide un piedino calzato di quelle pianelle chepermettetemi di dirlosignoradavano un tempo al piede delle donne un'espressione così civettuolacosì voluttuosache non so come gli uomini potessero resistervi. Le calze bianche ben tirate e ad angoli verdile gonne cortele pianelle a punta a tacchi alti del regno di Luigi Quindicesimo hanno forse contribuito un poco a demoralizzare l'Europa e il clero.
- Un poco! - disse la marchesa. - Non avete dunque letto niente?
- La Zambinella - ripresi sorridendo - aveva sfrontatamente incrociato le gambee agitava scherzando quella di sopraatteggiamento di duchessache stava bene al suo genere di bellezza capricciosa e piena di una certa mollezza invitante. Si era tolti gli abiti di teatro e portava un corpetto che disegnava un personale svelto messo in valore da "panieri" e una veste di raso ricamata di fiori azzurri. Il pettodi cui un merletto dissimulava con un lusso di civetteria i tesoririsplendeva di bianchezza. Pettinata presso a poco come si pettinava madame du Barryil suo voltobenché sormontato da una larga cuffianon ne risultava che più graziosoe la cipria le stava bene. Vederla cosìsignificava adorarla. Essa sorrise graziosamente allo scultore. Sarrasinebenché scontento di non poterle parlare che in presenza d'altrisedette educatamente accanto a leie le parlò di musica lodandola del suo prodigioso talento; ma la voce gli tremava d'amoredi timore e di speranza. "Che paura avete?" gli disse Vitaglianiil cantante più celebre della compagnia.
"Andate francoqui non avete nessun rivale da temere". Il Tenore sorrise silenziosamente. Quel sorriso si ripeté sulle labbra di tutti i commensalila cui attenzione aveva una specie di malizia nascosta di cui non poteva accorgersi un innamorato. Quella pubblicità fu per Sarrasine come un colpo di pugnale. Benché dotato d'una certa forza di caratteree benché nessuna circostanza potesse influire sul suo amorenon aveva ancora pensato che Zambinella era quasi una cortigianae che lui non poteva avere insieme i puri godimenti che rendono l'amore di una giovinetta una cosa tanto deliziosa e i trasporti focosi coi quali una donna di teatro fa pagare i tesori della sua passione.
Rifletté e si rassegnò. La cena venne servita. Sarrasine e la Zambinella si misero senza cerimonie l'uno accanto all'altra.
Nella prima metà della cenagli artisti osservarono una certa misurae lo scultore poté discorrere con la cantante. Trovò in lei un certo spirito e una certa finezza; ma era di un'ignoranza sorprendentee si mostrò debole e superstiziosa. La delicatezza dei suoi organi si riproduceva nella sua intelligenza. Quando Vitagliani stappò la prima bottiglia di ChampagneSarrasine lesse negli occhi della sua vicina un timore abbastanza vivo della piccola detonazione prodotta dalla sfuggita del gas. Il trasalimento involontario di quell'organismo femminile fu dall'innamorato interpretato come indiziodieccessiva sensibilità. Quella debolezza affascinò il Francese. C'entra tanta protezione nell'amore di un uomo! "Disporrete del mio vigore come d'uno scudo!". Questa frase non è forse scritta in fondo a tutte le dichiarazioni d'amore? Sarrasinetroppo appassionato per snocciolare galanterie alla bella italianaeracome tutti gli innamoratia volta a voltaridente o concentrato in sé. Benché paresse ascoltare i commensalinon sentiva una parola di quel che dicevanotanto s'abbandonava al piacere di trovarsi vicino a leidi sfiorarle la manodi servirla. Nuotava in una gioia segreta.
Nonostante l'eloquenza di qualche occhiata scambievolefu stupito della riservatezza della Zambinella verso di lui. Aveva certo cominciato lei a premergli il piede e a stuzzicarlo con la malizia di una donna libera e innamorata; ma subito s'era ravvolta in una modestia di giovinettadopo aver sentito raccontare da Sarrasine un tratto che dipingeva la grande violenza del suo carattere.
Quando la cena si mutò in orgiai commensali si misero a cantare ispirati dal "Peralta" e dal "Pedro Ximenes". Furono duetti deliziosiariette calabresiseguidiglie spagnolecanzonette napoletane. L'ebbrezza era in tutti gli occhinella musicanei cuori e nelle voci. Sgorgò a un tratto una vivacità incantevoleun abbandono cordialeuna bonomia italiana di cui non si può dar l'idea a quelli che conoscono soltanto le riunioni di Parigii ricevimenti di Londra o i circoli di Vienna. Gli scherzi e le parole d'amore s'incrociavanocome palle in una battagliaattraverso le risatele empietàle invocazioni alla Santa Vergine o al "Bambino". Uno si coricò sopra un divano e si mise a dormire. Una ragazza ascoltava una dichiarazione d'amore senza accorgersi che versava vino di Xeres sulla tavola. In mezzo a quel disordinela Zambinella come presa da terrorerestò pensierosa.
Rifiutò di beremangiò forse un po' troppo: ma la golositàsi diceè una grazia nella donna. Meravigliandosi del pudore della sua innamorataSarrasine fece serie riflessioni sull'avvenire.
"Vuole senza dubbio farsi sposare" si disse. Si abbandonò allora alle delizie di quel matrimonio. La sua vita intera non gli pareva abbastanza lunga per esaurire la sorgente di felicità che si sentiva in fondo all'anima. Vitaglianiche era suo vicino di tavolagli versò così spesso da bere cheverso le tre del mattinosenza essere completamente ubriacoSarrasine si trovò senza forza contro il suo delirio. In un momento di fogaportò via la donna correndo a chiudersi in una specie di salottino che comunicava colla sala da pranzoe alla cui porta aveva più volte rivolto lo sguardo. L'Italiana era armata d'un pugnale. "Se ti avvicini" dissesarò costretta a immergerti quest'arma nel cuore. Va' ! mi disprezzeresti. Ho concepito troppo rispetto per il tuo carattere per abbandonarmi così. Non voglio decadere dal sentimento che tu m'accordi. "Ah! ah!" disse Sarrasineè un cattivo mezzo per estinguere una passione quello di eccitarla. Sei dunque già così corrotta, che, vecchia di cuore, agiresti come una giovane cortigiana, che stuzzica le emozioni di cui fa commercio?. "Ma oggi è venerdì"rispose lei spaventata della violenza del Francese. Sarrasineche non era bigottosi mise a ridere. La Zambinella con un balzo da capriolo si slanciò nella sala del banchetto. Quando Sarrasine vi apparve correndole dietrofu accolto da una risata infernale. Vide la Zambinella svenuta sopra un divano. Era pallida e come esaurita dallo sforzo straordinario che aveva fatto. Benché Sarrasine sapesse poco d'italianosentì la sua amante dire a voce bassa a Vitagliani:
"Ma egli mi ucciderà!". Quella scena strana rese tutto confuso lo scultore. La ragione gli tornò. Restò sulle prime immobile poi ritrovò la parolasedette accanto alla sua amante e le protestò il suo rispetto. Trovò la forza di ingannare la sua passionedicendo a quella donna le cose più esaltate; eper dipingerle il suo amorespiegò i tesori di quella eloquenza magicainterprete officioso che raramente le donne si rifiutano di credere. Nel momento in cui le prime luci del mattino sorpresero i convitatiuna donna propose di andare a Frascati. Tutti accolsero con vive acclamazioni l'idea di passare una giornata alla villa Ludovisi.
Vitagliani scese per trovare delle vetture da nolo. Sarrasine ebbe la fortuna di condurre la Zambinella in "phaeton". Appena usciti di Romal'allegriarepressa un momento dalla lotta che ciascuno aveva sostenuto col sonnosi risvegliò subito. Uomini e donnetutti parevano abituati a quella strana vitaa quei piaceri continuia quella foga d'artisti che fa della vita una festa perpetua in cui si ride senza pensare ad altro. La compagna dello scultore era la sola che apparisse abbattuta. "Vi sentite male?" le disse Sarrasine. "Preferireste tornarvene a casa?". "Non sono abbastanza forte per sopportare questi eccessi"rispose. "Ho bisogno di grandi riguardi; maaccanto a voimi sento così bene!
Se non ci foste stato voinon sarei rimasta a cena; una notte senza sonno mi fa perdere tutta la mia freschezza". "Siete così delicata!" riprese Sarrasine contemplando i lineamenti graziosi di quella incantevole creatura. "Le orgie mi rovinano la voce". "Ora che siamo soli"esclamò l'artistae che non avete da temere l'effervescenza della mia passioneditemi che mi amate".
"Perché?" replicò la Zambinellaa che serve? Vi sono parsa graziosa. Ma voi siete un Francese, e il vostro sentimento passerà. Oh! non mi amereste come vorrei essere amata. "Come?".
"Senza scopi di passione volgarepuramente. Abborro gli uominianche più di quel che odio le donne. Ho bisogno di rifugiarmi nell'amicizia. Il mondo è deserto per me. Sono una creatura maledettacondannata a comprendere la felicitàa sentirlaa desiderarlaecome tante altrecostretta a vederla sfuggirmi continuamente. Ricordatevisignoreche non vi avrò ingannato. Vi proibisco di amarmi. Posso essere un amico devoto per voiperché ammiro la vostra forza e il vostro carattere. Ho bisogno d'un fratellod'un protettore. Siate tutto questo per mema niente altro". "Non amarvi!"esclamò Sarrasine; "maangelo carotu sei la mia vitala mia felicità!". "Se dicessi una parolami respingereste inorridito". "Civettuola! niente può farmi paura.
Dimmi che mi costerai l'avvenireche tra due mesi moriròche sarò dannato per averti solo baciata". E la baciò nonostante gli sforzi della Zambinella per sottrarsi a quel bacio appassionato.
"Dimmi che sei un demonioche vuoi quanto posseggoil mio nomela mia celebrità! Vuoi che non sia più scultore? Parla". "E se non fossi una donna?" domandò timidamente la Zambinella con una voce argentina e dolce. "Che bella trovata!"esclamò Sarrasine. "Credi di poter ingannare l'occhio d'un artista? Non sono dieci giorni che divoroscrutoammiro le tue perfezioni? Solo una donna può avere questo braccio rotondo e morbidoquesti contorni eleganti.
Ah! vuoi dei complimenti!". Essa sorrise tristementee disse mormorando: "Fatale bellezza!". Levò gli occhi al cielo. In quel momento il suo sguardo ebbe non so che espressione d'orrore così potentecosì vivache Sarrasine ne trasalì. "Signor Francese"riprese leidimenticate per sempre un momento di pazzia. Vi stimo; ma, quanto ad amore, non me lo chiedete; questo sentimento è stato soffocato nel mio cuore. Non ho cuore!esclamò piangendo.
"Il teatro su cui mi avete vedutagli applausila musicala gloria a cui m'hanno condannataecco la mia vitanon ne ho altra. Fra qualche ora non mi vedrete cogli stessi occhila donna che voi amate sarà morta". Lo scultore non rispose. Era in balia di una sorda rabbia che gli opprimeva il cuore. Non poteva che guardare quella donna straordinaria con degli occhi infiammati che gli bruciavano. Quella voce piena di debolezzal'atteggiamentoi modi e i gesti di Zambinellaimprontati di tristezzadi malinconiadi scoraggiamento gli risvegliavano in cuore tutte le ricchezze della passione. Ogni parola era un pungolo. In quel momento erano arrivati a Frascati. Quando l'artista porse il braccio alla sua amante per aiutarla a scenderela sentì tutta tremante. "Che avete? Mi fareste morire"esclamò vedendola impallidirese aveste il minimo dolore di cui io fossi causa anche innocente. "Una serpe!" disse lei mostrando una biscia che strisciava lungo un fosso. "Ho paura di queste odiose bestie".
Sarrasine schiacciò col tallone la testa della biscia. "Come siete coraggioso!" riprese la Zambinella contemplando con visibile spavento il rettile morto. "Ebbene"disse l'artista sorridendooserete ancora dire che non siete donna?. Raggiunsero i loro compagni e passeggiarono nei boschi della villa Ludovisiche apparteneva allora al cardinale Cicognara. La mattina passò troppo presto per l'innamorato scultorema fu piena di una folla d'incidenti che gli rivelarono la civetteriala debolezzala leziosaggine di quell'anima molle e senza energia. Era la donna con le sue subite paurecoi suoi capricci irragionevolii suoi turbamenti istintivile sue audacie senza motivole sue vanterie e la sua deliziosa finezza di sentimento. Ci fu un momento in cuiavventurandosi nella campagnala piccola comitiva dei gioiosi cantanti vide da lontano degli uomini armati fino ai dentie il cui costume non aveva niente di rassicurante. Alla parola: "I briganti!" ciascuno raddoppiò il passo per mettersi al sicuro nel recinto della villa del cardinale. In quel momento criticoSarrasine s'avvide dal pallore della Zambinella che essa non aveva più la forza di camminarela prese tra le braccia e la portòper qualche tempo di corsa. Quando fu arrivato a una vigna vicinala mise a terra. "Spiegatemi"le disseperché la vostra estrema debolezza che, in ogni altra donna, sarebbe orribile, mi dispiacerebbe, e la cui minima prova basterebbe quasi a spegnere in me l'amore, in voi mi piace, mi affascina? Oh! quanto vi amo!riprese. "Tutti i vostri difettii vostri terrorile vostre piccolezze aggiungono non so qual grazia alla vostra anima. Sento che detesterei una donna forteuna Saffo coraggiosapiena di energiadi passione. O fragile e dolce creatura! come puoi essere diversa? Questa voce d'angeloquesta voce delicatasarebbe un controsenso se uscisse da un altro corpo". "Non posso" disse leidarvi nessuna speranza. Cessate di parlarmi così, perché si befferebbero di voi. Non m'è possibile vietarvi l'entrata del teatro ma, se mi volete bene, o se avete giudizio, non ci verrete più. Ascoltatemi, signore. "Oh! taci"disse l'artista inebriato.
"Gli ostacoli attizzano l'amore nel mio cuore". La Zambinella restò in un atteggiamento grazioso e modesto; ma tacquecome se un pensiero terribile le avesse rivelato qualche disgrazia. Quando fu necessario tornare a Romaessa salì in una berlina a quattro postiordinando allo scultorecon un'aria imperiosamente crudeledi ritornarvi solo nel "phaeton". Durante il viaggioSarrasine risolse di rapire la Zambinella. Passò tutta la giornata a far piani l'uno più stravagante dell'altro. Al cader della nottenel momento in cui usciva di casa per andare a domandare a qualcuno dove era situato il palazzo abitato dalla sua amanteincontrò sulla soglia della porta uno dei suoi colleghi. "Mio caro"gli disse questisono stato incaricato dal nostro ambasciatore d'invitarti a venire questa sera da lui. Dà un concerto magnifico e quando saprai che ci sarà Zambinella....
"Zambinella!" esclamò Sarrasine delirante a quel nomeio ne vado pazzo!. "Tu come tutti"gli rispose il suo collega. "Ma se voi siete amici mieituVienLauterbourg e Allegrain mi darete aiuto per un colpo di mano dopo la festa"chiese Sarrasine. "Non ci sono cardinali da ucciderenon ci sono...?". "Nono"disse Sarrasinenon vi chiedo niente che una persona onesta non possa fare. In poco tempo lo scultore dispose tutto perché la sua impresa riuscisse. Fu uno degli ultimi ad arrivare all'ambasciatama vi venne in una vettura da viaggio tirata da cavalli vigorosi guidati da uno dei più intraprendenti vetturini di Roma. Il palazzo dell'ambasciatore era pieno di gentee non riuscì facile allo scultoresconosciuto a tutti gli invitatiarrivare alla sala dove in quel momento cantava Zambinella. "Per riguardo probabilmente ai cardinalivescovi e abati che son qui"chiese Sarrasineessa si è vestita da uomo, e ha una borsa dietro la testa, i capelli arricciati e una spada a fianco!. "Essa! Chi essa?" rispose un vecchio signore a cui Sarrasine s'era rivolto.
"La Zambinella". "La Zambinella?" rispose il principe romano.
"Scherzate? Da dove venite? Mai una donna è salita sul palcoscenico a Roma! E non sapete da quali creature sono tenute le parti di donna negli stati del Papa? Sono stato iosignoreche ho dotato Zambinella della sua voce. Ho pagato io tutto per quel mariuoloanche il suo maestro di canto. Ebbene! ha così poca riconoscenza per il servigio che gli ho resoche non ha voluto mai rimettere piede in casa mia. Eppurese fa fortunalo dovrà interamente a me". Il principe Chigi avrebbe potuto parlarecertomolto tempoSarrasine non lo ascoltava. Una orribile verità era penetrata nel suo animo. Era stato colpito come da un fulmine. Restò immobilecon gli occhi fissi sul preteso cantante.
Il suo sguardo fiammeggiante ebbe una specie d'influsso magnetico su Zambinellaperché il "musico" finì col volgere gli occhi verso Sarrasinee allora la sua voce celeste s'alterò. Tremò! Un mormorio involontario dell'assembleache egli teneva come sospesa alle sue labbrafinì di turbarlo; sedettee interruppe l'aria che cantava. Il cardinale Cicognarache con la coda dell'occhio aveva spiato la direzione presa dallo sguardo del suo protettoscorse allora il Francese; si chinò verso uno dei suoi aiutanti di campo ecclesiasticie parve domandare il nome dello scultore.
Quando ebbe ottenuto la risposta che desideravacontemplò con molta attenzione l'artistae diede qualche ordine a un abateche sparì subito. Frattanto Zambinellache s'era riavutoricominciò il pezzo che aveva interrotto così capricciosamente; ma lo eseguì malee rifiutònonostante tutte le istanze che gli vennero fattedi cantare altri pezzi. Fu la prima volta che esercitò quella tirannia capricciosa chepiù tardilo rese non meno celebre del suo talento e della sua fortunadovutasi dissenon meno alla sua voce che alla sua bellezza. "E' una donna"si disse Sarrasine credendosi solo. "C'è sotto qualche intrigo segreto. Il cardinale Cicognara inganna il Papa e tutta Roma!". Immediatamente lo scultore uscì dalla salariunì i suoi amicie li nascose nel cortile del palazzo. Quando Zambinella si fu assicurato della partenza di Sarrasineparve recuperare qualche tranquillità.
Verso mezzanottedopo aver errato nelle sale come un uomo che cerca un nemicoil "musico" lasciò l'adunanza. Nel momento in cui varcava la porta del palazzofu abilmente preso da uomini che lo imbavagliarono con un fazzoletto e lo misero nella vettura presa a nolo da Sarrasine. Agghiacciato d'orroreZambinella restò in un angolo senza osare fare il più piccolo movimento. Si vedeva innanzi la figura terribile dell'artista che serbava un silenzio di morte. Il tragitto fu breve. Zambinellarapito da Sarrasinesi trovò presto in uno studio oscuro e nudo. Il cantantemezzo mortorestò sopra una sediasenza osar guardare una statua femminilenella quale aveva riconosciuto i suoi lineamenti. Non proferì una parolama batteva i denti. Era ghiacciato di paura.
Sarrasine andava in su e in giù a grandi passi. A un tratto si fermò innanzi a Zambinella. "Dimmi la verità"domandò con voce sorda e alterata. "Sei una donna? Il cardinale Cicognara...".
Zambinella cadde in ginocchioe non rispose altrimenti che abbassando la testa. "Ah! sei una donna"gridò l'artista in delirio; "perché anche un...". Non continuò. "No"ripresenon avrebbe tanta bassezza. "Ah! non m'uccidete"gridò Zambinella scoppiando in lacrime. "Non ho acconsentito ad ingannarvi che per far piacere ai miei compagniche volevano ridere". "Ridere!" rispose lo scultore con una voce che ebbe uno scoppio infernale.
"Ridereridere! Tu hai osato prenderti gioco d'una passione d'uomotu?". "Oh! grazia!" replicò Zambinella. "Dovrei farti morire!" gridò Sarrasine sfoderando la spada con mossa violenta "Ma"riprese con un freddo disdegnofrugando il tuo essere con un pugnale, vi troverei forse un sentimento da spegnere, una vendetta da soddisfare? Tu non sei niente. Uomo o donna, t'ucciderei! ma.... Sarrasine fece un gesto di disgustoche lo obbligò a volgere la testae allora guardò la statua. "Ed è un'illusione!" esclamò. Poi rivolgendosi verso Zambinella: "Un cuore di donna era per me un asilouna patria. Hai delle sorelle che ti somigliano? No. Ebbene! muori! Ma novivrai. Lasciarti la vita non è forse votarti a qualche cosa di peggio della morte? Non rimpiango né il mio sangue né la mia vitama l'avvenire e la mia fortuna di cuore. La tua mano debole ha abbattuto la mia felicità.
Quale speranza posso rapirti in compenso di tutte quelle che tu hai fatto appassire? Tu m'hai abbassato fino a te. Amareessere amato! sono oramai parole vuote di senso per mecome per te.
Continuamente penserò a questa donna immaginaria ogni volta che vedrò una donna reale". Indicò la statua con un gesto disperato.
"Avrò sempre nel ricordo un'arpia celeste che verrà ad affondare i suoi artigli nei miei sentimenti d'uomoe che segnerà tutte le altre donne d'un suggello d'imperfezione! Mostro! tu che non puoi dar vita a nientetu m'hai spopolata la terra di tutte le donne".
Sarrasine sedette di fronte al cantante spaventato. Due grosse lacrime uscirono dai suoi occhi aridicorsero lungo le sue gote maschie e caddero a terra: due lacrime di rabbiadue lacrime acri e scottanti. "Niente più amore! sono morto a ogni piacerea tutte le emozioni umane". A queste paroleprese un martello e lo lanciò contro la statua con una forza così stravagante che non la colpì.
Credette d'aver distrutto quel monumento della sua pazziae allora riprese la spada e la brandì per uccidere il cantante.
Zambinella gettò acute grida. In quel momento entrarono tre uominie subito lo scultore cadde trafitto da tre colpi di stile.
"Da parte del cardinale Cicognara"disse uno di essi. "E' un beneficio degno d'un cristiano"rispose il Francese spirando. I cupi emissari dissero a Zambinella l'inquietudine del suo protettore che aspettava alla portain una vettura chiusaper poterlo portar via appena liberato.
- Ma - mi disse la signora de Rochefide - che relazione c'è tra questa storia e il vecchietto che abbiamo visto dai Lanty?
- Signorail cardinale Cicognara s'impadronì della statua di Zambinella e la fece eseguire in marmosi trova oggi nel museo Albani. Lì la famiglia Lanty la ritrovò nel 1791e pregò Vien di copiarla. Il ritratto che vi ha mostrato Zambinella a vent'anniun momento dopo che l'avevate visto centenarioè servito più tardi per l'Endimione di Girodetavete potuto riconoscerne il tipo nell'Adone.
- Ma quel o quella Zambinella?
- Non può essere che il prozio di Mariannina. Dovete capire ora l'interesse che può avere la signora de Lanty a nascondere la fonte d'una fortuna che proviene...
- Basta! - disse lei facendomi un cenno imperioso.
Restammo un momento immersi nel più profondo silenzio.
- Ebbene? - le dissi.
- Ah! - esclamò alzandosi e passeggiando tutt'agitata nella stanza. Venne a guardarmie mi disse con voce alterata: - Mi avete disgustata per molto tempo della vita e delle passioni.
Salvo la mostruositàtutti i sentimenti umani non si risolvono così in atroci delusioni? Madrii figli ci assassinano o con la loro cattiva condotta o con la loro freddezza. Sposesiamo tradite. Amantisiamo lasciateabbandonate. L'amicizia! esiste poi? Domani mi darei alla vita devotase non sapessi che posso restare inaccessibile come una roccia in mezzo alle tempeste della vita. Se l'avvenire del cristiano è ancora un'illusionealmeno essa si distrugge solo dopo la morte. Lasciatemi sola.
- Ah! - le dissi - voi sapete punire.
- Ho forse torto?
- Sì - le risposi con una specie di coraggio. - Terminando questa storiache in Italia è abbastanza notaposso darvi un'altra idea dei progressi fatti dalla civiltà attuale. Non vi si fanno più di quelle infelici creature.
- Parigi - disse lei - è un paese molto ospitale; accoglie tuttoe le fortune vergognose e le fortune insanguinate. Il delitto e l'infamia vi godono diritto d'asilov'incontrano simpatie; solo la virtù vi è senza altari. Sìle anime pure hanno una patria nel cielo! Nessuno mi avrà conosciuta! Ne sono fiera.
E la marchesa restò pensosa.
Pariginovembre 1830