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Edgar Allan Poe

 

RACCONTI

 

 

 

  • Berenice
  •  

    La miseria è molteplice. E la sventura sulla terra è multiforme.

    Essa difatti domina il largo orizzontesimile all'arcobaleno ecome quelloè di vario coloree consente alle diverse tintepur essendo tra loro fused'essere l'una dall'altra distinta. Come l'arcobalenoessa domina il largo orizzonte! E cosìda un'immagine di bellezzaio avrei tratto il paragone con una tale bruttura? Dal simbolo della pace io avrei tratto una similitudine col dolore? Eppureallo stesso modo chenell'eticail male è considerato come una conseguenza del benenella realtà delle cose è soltanto dalla gioia che nasce il dolore. O è la memoria della felicità trascorsa a formare l'angoscia del presenteovvero sono le attuali agonie a essere originate da estasile quali avrebbero potuto essere.

    Il mio nome di battesimo è Egeus; quello di famiglia lasciate ch'io non lo scriva. Non esiste un castello più ricco di anni e di gloria della malinconica e antica dimora dei miei antenati. Essi sono sempre passati per una razza di visionari ed è indubitabile che in non pochi e rilevanti particolaricome ad esempio nel carattere della casanegli affreschi del salone principalenei parati delle camere da lettonei lavori di cesello di alcuni sostegni della sala d'armima soprattutto nella galleria di quadri antichi e nella biblioteca e da ultimo nella natura degli specialissimi oggetti contenuti in questavi sia molto più di quanto occorra a giustificare una simile reputazione.

    Le memorie dei miei primi anni d'infanzia sono intimamente collegate a quella sala e a quei libri dei qualiperaltronon avverrà ch'io dica più nulla. E' là che morì mia madreè là che sono nato io. E nondimeno è del tutto ozioso affermare ch'io non abbia già vissuta un'altra vitache l'anima mia non abbia avuta nessuna esistenza anteriore! Credete che non sia così? Ma non è luogo questo di discussioni per una simile materia: a me basta che sia convinto io; non tento affatto di convincere gli altri. Vi sono tuttavia alcune memorie d'aeree formedi occhi che dicono la loro spiritualitàe melodiosi e mesti suoni ancora... memorie che non si lasciano cancellareombre vaghemutevolisfumate e non mai ferme un solo istantecome quell'ombra della quale non sarà concesso ch'io mi liberi fintanto che nel mio cervello sarà luce.

    Io sono nato in quella camera. Nell'atto di ridestarmi dalla lunga notte di quel che sembrava - ma non era - la non esistenzae nel trovarmid'un subitoin un magico paesein un fantastico manieronegli stravaganti dominii del pensiero e dell'erudizione monasticanon dovrebbe meravigliare ch'io mi sia guardato all'intorno con occhio vivido e impaurito... e che poi abbia logorata sui libri la mia infanzia e nei sogni la mia giovinezza... ma è singolareinvecech'io mi trovassi ancora nella dimora dei miei padri negli anni della virilità... ed è singolare ancora eanzistraordinariocome man mano le sorgenti della mia vita furono arrestate e spente dall'inazionecome una completa inversione nei miei più ordinari pensieri intervenne a confonderli... le realtà del mondo esterno m'impressionavanoinfattisoltanto come visioni e nulla più che visioninel mentre che le pazze fantasie che abitavanoinvecela regione dei sognierano divenute per me molto più che non la materia della mia esistenza quotidianaesse erano divenute la mia esistenza medesimain assoluto.

    Berenice e io eravamo cuginied eravamo cresciuti assieme nelle sale del mio castello avito. Tuttavia crescemmo assai diversi l'uno dall'altra. Io ero di salute cagionevole e d'umore sempre melanconicoe leiinveceagileaggraziata e nel pieno rigoglìo della salute. A lei le corse pazze giù per la collinaa me gli studi severinel chiostro. Io non vivevo che nell'intimo del mio cuoreconsacrando l'anima mia e il mio corpo alla più estenuante meditazionee leiper controerrava spensierata per la vitasenza preoccuparsi se mai calasse qualche ombra sul suo camminoovvero se volassero via silenziose le ore dalle nere ali del corvo.

    Berenice! Io invoco il suo nomeBerenice! E dalle grigie rovine della memoria ecco risvegliarsia quel suonomille tumultuanti immagini! O meravigliosa e pur fantasiosa bellezza! O sìlfide gentile fra i roveti d'Arnheim! O Najade tra le sue acque! Ed oltre... oltre non c'è che orrore e mistero einsommauna storia che è meglio non raccontare. Un morboun fatale morbo s'abbatté su di lei come il vento infuocato del desertoe mentre io la stavo ancor riguardandoscorreva su di lei il sinistro spirito della sua trasformazione e invadeva l'essere suo e le sue abitudiniil suo caratteree perfino alteravanel più sottile e orribile dei modil'identità della sua persona. Venneahimèil Distruttore! Venne e tornò via! E la vittima? Dov'era la vittima?

    Io non la conobbi piùvoglio dire che non la conobbi più come Berenice.

    Tra i numerosi mali che seguirono quel primo e fataleil quale tanto operò e così radicalmente a mutare il fisico e lo spirito di mia cuginaio ricordo che il più penoso ed ostinato fu una sorta di epilessìa che terminava sovente in uno stato di transein tutto simile ad una morte apparente e dal quale accadevatalvoltach'ella si riavesse d'un subitocon uno spasmodico sussulto.

    Nello stesso tempo il mio male - quel male di cuicome ho già dettonon specificherò il nome e la natura - cresceva rapidamente e finì con l'assumere il carattere d'una monomanìa di nuova e straordinaria formala qualed'ora in ora e di minuto in minutoacquistava novello impulsorinvigorendoin mela più misteriosa delle influenze. Tale monomanìas'io debbo definirla con questa espressioneconsisteva in una morbosa irritabilità di quelle facoltà psichiche che la scienza ha convenuto di definire facoltà d'attenzione. Non sono sicuro d'esser compresoa questo puntoma temo davvero di essere nella più assoluta impossibilità di fornire al lettore medio un'idea esatta di questa sorta di nervoso acuirsi dell'interesse in virtù del qualela mia facoltà di riflettere - per non usare un linguaggio tecnico - si fissava e si sprofondava nella contemplazione dei più volgari oggetti materiali.

    Meditavoin tal modosenza stancarmiper ore intereavendo tutta la mia attenzione concentrata su una qualche puerile notazione sul margine ovvero nella pagina d'un qualsivoglia volume... restavo interamente assortodurante una lunghissima parte del giornoin un'ombra bizzarra che il sole moribondo disegnava obliquamente sui damaschi polverosi e sul tappeto tarlato... e mi perdevoinoltreintere notticon l'occhio fisso al palpito della fiammella d'un lumeovvero alle braci rosseggianti del camino... e ancoraper giorni e giornifantasticavo sul profumo dei fiori... o ripetevocon esasperante monotonìauna parola assolutamente banale... e la ripetevo tanto e poi tanto che essa finiva per spogliarsi totalmente d'ogni larva di umano significato... e così perdevo ogni senso del movimentocome pure dell'esistenza fisicaprolungando ostinatamente un ozio assoluto...

    Tali furono le più ordinarie e le meno dannose fra le aberrazioni a cui si abbandonarono la mia mente e il mio spirito: non del tuttocertamenteeccezionalie nulladimeno al di fuori d'ogni spiegazione o analisi. Ma io non voglio essere frainteso.

    L'attenzione avidamorbosa e del tutto anormale che era in tal modo eccitata in me dai più comuni e futili oggettinon va in alcun modo scambiata con quella disposizione dell'animo d'andar ruminando tra sé le proprie dogliela quale è comune a tutto il genere umano ed in special modo alle persone afflitte da una vivace immaginazione. La mia non eraquindiuna condizione puramente esterna o una esagerazione di quella tendenza: essaal contrariosi distingueva dall'altra così per l'origine come per l'intima essenzale quali erano del tutto opposte. In quel primo casoil sognatore - ovvero l'esaltatose così si vuole definire - il quale ha l'interesse risvegliatosolitamenteda oggetti di non futile naturaperde di vistaappuntocotesto interessecol mezzo d'innumerevoli deduzioni o supposizioni che a quello si riferisconofintantochéal termine d'una giornata trascorsa a sognarela quale è spesso piena di piacerescopre che l'incitamento - e cioè la causa prima e origine di tutte le sue divagazioni - è del tutto svanito e come straniato dalla mente.

    Nel caso mioal contrarioil punto di partenzaera costantemente frivolo anche sealterato dalla mia fantasia sovreccitatafiniva con l'assumereper riflessoun'irreale consistenza. Seppure mi accadeva di farneio ero pochissimo propenso alle deduzionie quelle poche in cui m'imbrogliavo tornavano con ostinazionesempre e sempresull'oggetto di partenza come su di un centro magico d'attrazione. Tali meditazioni non erano mai piacevoli eal dileguarsi di quelle chimeriche fantasieanziché disperdersi anch'essala causa principale e originatrice di esse era la prima caratteristica del mio male. Le facoltàin breve che venivano più facilmente eccitate in meerano quelle dell'attenzione al contrario di quelle che sono eccitate nel sognatore comunele quali sono puramente speculative.

    Seppure non erano causa diretta nello stuzzicare quel mio male segretoè fatale che i libriper la loro stessa fantastica ed inconseguente naturapartecipasseronella maniera più ampiaa svilupparne le peculiari caratteristiche. Io rammento benetra gli altriil trattato ' De amplitudine beati regni Dei ' del nobile italiano Celius Secundus Curiocome pure il capolavoro di Sant'Agostino' La città di Dio 'e quello di Tertulliano ' De carne Cristi 'il cui paradossale pensieroMortuus est Dei filius; credibile est quia ineptus est; et sepultus resurrexit; certum est quia impossibile estassorbì per più settimanein laboriose e sterili investigazioniil mio povero tempo.

    Appare in tal modo evidente come la mia ragionemessa a repentaglio dai più futili motivipotesse paragonarsi a quella rupe di cui dice Tolomeo Efestionela quale resisteva ad ogni umana violenza e al più orribile infuriare delle acque e dei venticome una torre saldamente radicata nel terrenoepperònon appena toccata dal fiore chiamato asfodelovacillava fin dalle scaturìgini.

    Potrà sembrare ovvioad un superficiale pensatoreche la terribile alterazione prodotta dalla malattia sulle condizioni spirituali di Berenicefornissea menon poco incremento per una intensa meditazionequella medèsima della quale ho potuto testé definire la natura soltanto in modo eccessivamente complicato e confuso. Non era cosìinvece. Negli intervalli che la mia malattia consentiva alla luciditàquella sventura mi colmava di pena e come io prendevo a cuorenel più partecipe dei modila compiuta rovina della bella e dolce Berenicenon mancavosoventedi riflettere con amarezzaal modo misterioso per il quale era avvenuto in lei un sì strano rivolgimento. Queste riflessioninon partecipavanoperòdell'idiosincrasia del mio male ed erano tutte le medesimeanziche sarebbe avvenuto di fare alla media degli uominiin circostanze analoghe. La mia infermitàfedele alla propria naturafaceva presa sui meno importanti - epperò più repentini - mutamenti che avvenivano nel fisico di Berenice e cioè sulla singolare e paurosa alterazione che subiva la sua personale identità.

    Io ero sicurissimonei più radiosi giorni della sua bellezzala quale era al di fuori d'ogni paragoneche non mi era mai accaduto d'amarla. Sonoinfattiin grado d'affermarecon tutta certezzache per le strane anomalìe della mia naturai miei sentimenti non furono mai originati dal cuore e le mie passioni ebbero sempre ad accendersi soltanto nel mio cervello. Nel grigio annuncio dell'albanel meriggiotraverso i foschi tralicci d'ombre della selvae ancorala seranel silenzio della mia bibliotecaBerenice m'era balenata davanti agli occhi ed io l'avevo veduta non già quale era da viva e col respiro sulle labbrama come una Berenice di sogno; non una creatura terrestre fatta di carnel'astrazionebensìd'una tale creatura. E non una creatura da contemplare e ammirare: da studiareinvece. Non tema d'amoreinfinema di astrusa e strampalata speculazione. Ed eccomi dinanzi a leiin preda a un tremore violento e convulsopallido al suo accostarsiepperò dolente della sua condizione e sventura.

    Poiché essa mi aveva lungamente amatocom'io poteiinfinerammentarmi e in un maligno istanteio le avevo anche parlato di sposarla.

    S'avvicinava l'epoca fissata per le nostre nozze ed eccoin una sera d'invernoma calda per la nebbia stagnante delle giornate care ad Alcioneio sedevo - credendo d'essere solo - nella mia biblioteca. E come sollevai gli occhi da un volume nel quale ero immersovidi Bereniceritta innanzi a me.

    Era la mia immaginazione sovreccitataovvero soltanto un effetto dell'atmosfera nebbiosa dei paraggio l'incerta penombra che regnava nella stanzao ancora i drappi grigi dei quali ella s'era avviluppata la persona che rendevano tanto sfumato il suo profilo?

    Non posso affermarlo con certezza. Ella non disse parola e io non aveva parimenti l'animo di rivolgerle in quel punto alcuna domanda. Un brivido ghiacciato mi corse giù per la schiena enel mentre che ero oppresso da una sensazione d'insoffribile ansietàmi sentii penetrar l'animo d'una curiosità divorante. Mi abbattei su una sedia e rimasi per qualche istante immobilecon gli occhi sbarratifissi su di lei. La sua magrezzaahimèera estrema e non le appariva indosso alcun segno di ciò che essa era stata un temponeppure in uno solo dei suoi lineamenti. Il mio sguardo allucinato si posò infine sul suo volto. La fronte era altapallidissima e stranamente calma; i capelli che le ricoprivanoun tempoombreggiandolele scarne tempie d'innumerevoli boccoli neri come l'ebano s'andavano trasformandoorain un biondo rossiccio la cui apparenza fantastica formava uno stridente contrasto con la mestizia cui era ispirata tutta la sua fisionomìa. Senza più vita e splendorei suoi occhi sembrava non avessero più pupilleper modo ch'io distolsi il mio sguardo di su quella vitrea immobilità e lo posai sulle sue labbra sottili che apparivanoin quel puntocontratte. Ed esse s'aprirono e con un riso il quale apparve subito carico di mille significatii denti della nuova Berenice furono lentamente rivelati alla mia vista. Così volesse il Cielo che io non li avessi mai veduti!... O che almenouna volta vedutiio non fossi subito morto!

    Il rumore d'una porta richiusa mi scosse da una sorta di torpore ebuttato uno sguardo in giro per la bibliotecami accorsi che mia cugina l'aveva abbandonata. Ma il mio cervelloeccitato e sconvoltonon sarebbe mai stato abbandonato dal bianco e sinistro aspetto di quei denti. La loro superficie non presentava alcuna screpolaturanon alcuna ombra il loro purissimo smaltosul loro filo non era il minimo intacco! Era stato sufficiente quel suo breve riso a fissarmene per sempre l'immagine nella memoria. Ed io potevo vederliora che essa non era più dinanzi a meassai più distintamente di quanto non li avessi già visti nella realtà...

    quei dentioh! quei denti... erano dappertuttovisibili davanti a meed io potevo perfino toccarli... lunghi erano e strettie terribilmente bianchinel mentre che le pallide labbra si contraevano sopra di essicome nell'istante in cui mi si rivelarono per la prima volta. Fui nuovamente possedutocosìdalla furia della mia monomanìa e fu invano che lottai per sottrarmi al suo strano ed irresistibile influsso. Ed arrivai a non essere capace di nutrire alcun altro pensiero che fosse estraneo a quei terribili denti. Provavoper essiun frenetico desiderio ecome se fosse assorbita da quella particolare contemplazionesparì ogni altra materia d'interesse. Essi ed essi soli furono sempreda allorapresenti all'animo mio e in quella loro singolare individualità divennero come l'intima essenza della mia vita spirituale. Ioper l'intantoli andavo considerando in ogni loro aspettostudiavo le loro caratteristiche e indugiavo a riflettere sulla loro conformazionemeditavo sulle alterazioni della loro pàtina e rabbrividivo al pensiero che potessero esser dotati di sensibilità e come d'una facoltà di sentire ed ancorasebbene fossero privi delle labbrad'una capacità di espressione morale. Furono dette molte cose a proposito di Mademoiselle Salléque tous ses pas etaient des sentimentsedi Bereniceio credetti sul serio QUE TOUS SES DENTS ETAIENT DES IDEES. DES IDEES!... Ecco lo sciocco pensiero che mi annientava! DES IDEES!... Era forse solo per questo che io ero portato fino a idolatrarti! Io sentivo che soltanto se li avessi posseduti avrei ritrovato la mia pacesarei tornato sullo smarrito sentiero della ragione.

    E la sera si chiuse in tal modo su me e vennero le tenebresoggiornarono e poi se ne andarono e spuntò un altro giorno e nuovamente le notturne ombre si raccolsero e ancora s'addensaronoma io restavo sedutosenza muovermisolonella mia stanzaed ero assorto completamente a meditarenel mentre che il terribile fantasma dei denti di Berenice manteneva su di me la sua sinistra influenza e volteggiava intorno a mevariando in una con l'alternarsi della luce e dell'ombra.

    Ma tra quei sogni avvennea un trattoche irrompesse un gridosimile a quello di un'anima sopraffatta dal terrore edopo una pausaavvenne che gli tenesse dietro un suono d'afflitte e meste voci e di sordidolorosi e affannosi lamenti. Mi drizzaid'un subitoin piedie spalancata una delle porte della bibliotecavidi nell'anticamera una fante chesciogliendosi in lacrimemi narrò come Berenice non fosse più.

    Essa era stata colpitaall'albada un attacco di epilessia.

    Giunta la serail sepolcro attendeva l'ospite sua. Ed ogni cosa era preparata per la funebre cerimonia.

    Ero nuovamente seduto nella mia biblioteca ed ero solo. E ancora credevo d'essermi desto da un sogno angoscioso e non bene chiaro.

    Sapevo che la notte erain quel puntoal suo mezzoe che Berenice era stata inumata al calar del sole. E nondimenodei paurosi istanti ch'erano seguitinon riuscivo a ricordar nulla.

    La mia memoria era piena soltanto del terroreil quale era tanto più orribile in quanto era vago e in quantodel pariesso era ambiguo. Una paurosa pagina della mia vita era stata scritta con oscure e indecifrabili memorie di raccapriccio. Tutti i miei sforzi intesi a decifrarla furono vaniepperòdi tanto in tantocome lo spirito d'un suono svanitoil grido penetrante d'una voce femminile sembrava risuonare alle mie orecchie. Avevo fatto qualcosa. Ma che cosa? Me lo chiedevo ad alta vocee sempre l'eco della stanza bisbigliavain rispostache cosa?.

    Sul tavolo accanto a meardeva un lume e vicino ad esso era una piccola scatola. La sua foggia non presentava nulla di notevole ed io l'avevo già veduta altre volteprima d'allorapoiché essa era appartenuta al medico della mia famiglia. Ma quale poteva essere la ragione per cui essa era làsul mio tavolo? E sopra tuttoperché rabbrividivonel guardarla? Erano coseper certoa cui non metteva conto di far caso e i miei occhi cadderocosìsulla pagina aperta d'un librosu una frase che in essa era stata sottolineata. Erano alcune semplici e pur tuttavia singolari parole del poeta Ebn Zaiat: "Dicebant mihi sodalessi sepulcrum amice visitaremcuras meas aliquantulum fore levàtas". Ma perchénel mentre che io scorrevoi capelli mi si drizzarono sul capo e il sangue mi si agghiacciò nelle vene?

    Ed in quel punto s'udì un lieve picchiare alla porta della biblioteca e un famiglio si fece innanziin punta di piedied era più pallido che l'ospite di una tomba. Il suo occhio era stravolto dal terrore e la sua voce era tremanteraucabassissima. Che cosa disse? Udii solo delle frasi rotte. Egli raccontò d'un urlo selvaggio che aveva incrinato la silenziosa pace della notte e come l'intera servitù si fosse adoperata a ricercare nella direzione da cui il grido sembrava scaturito e la sua vocea questo puntosi fece più chiara e penetrante e mi sussurrò all'orecchio d'una tomba violata e d'una spoglia sfigurata cui era stato tolto il sudario... e d'essa che ancora respiravache ancor palpitava... che era ancor viva!

    Puntò un dito sui miei abiti. Essi erano lordi di fango e di sangue. E mi prese dolcemente una manocome per mostrarglielaed io vidi che su di essa s'erano impressi i segni di unghie umane. E poi richiamò la mia attenzione su di un oggetto poggiato al muro.

    Mi volsi a guardarlo: era una vanga.

    Scattaiallorain piedi e mi diressi urlando verso la tavola: e afferrai la scatola che era vicina al lume. Ma non riuscii ad aprirla e poiché tremavo in tutte le giuntureessa mi scivolò dalle mani e cadde in terrapesantementee si ruppe in pezzi e da essacon uno strepito che risuonò per tutta la casarotolarono fuori degli strumenti di chirurgia dentaria e ancoramescolati a quellitrentadue piccole bianche cose simili all'avorioed esse si sparpagliarono qua e làper terra.

     

     

     

  • Eleonora
  •  

    "Sub conservatione formae specicae salva anima".

    Raimondo Lullo.

    Io appartengo a una stirpe nota per vigore di fantasia e ardore di passione. Gli uomini mi hanno chiamato pazzo; ma ancora non è risolta la questione se la pazzia sia o non sia l'intelligenza più elevatase molto di ciò che è gloriosose tutto ciò che è profondonon scaturisca da una malattia del pensieroda umori della mente esaltati a spese dell'intelletto generale. Coloro che sognano a occhi aperti avvertono molte cose che sfuggono a chi sogna soltanto di notte. Nelle loro grigie visioni essi afferrano squarci d'eternitàe svegliandosi vibrano intimamente allo scoprire di essere stati sul limitare del gran segreto. A trattiimparano qualcosa della sapienza che riguarda il benee qualcosa di più sulla pura conoscenza del male. Penetranobenché senza bussola e timonenel vasto oceano della ' luce ineffabile ' e ancoracome gli avventurieri del geografo nubianoagressi sunt mare tenebrarum, quid in eo esset exploraturi.

    Diremo allora che sono pazzo. Ammettoalmenoche la mia esistenza mentale ha due condizioni distinte: uno stato di ragione lucidaindiscutibilee relativa alla memoria di eventi che formano la prima epoca della mia vitae una condizione d'ombra e di dubbiolegata al presente e al ricordo di quella che costituisce la seconda grande epoca della mia vita. Perciò quanto dirò del periodo precedente credetelo; e a quanto potrò narrare del tempo successivo date solo quel credito che vi sembri dovuto; ose non saprete dubitarnecomportatevi come Edipo di fronte al suo enigma. La donna che amai in gioventù e della quale vergo ora calmo e preciso questi ricordiera figlia unica della sorella di mia madreda tempo dipartita. Eleonora era il nome di mia cugina.

    Avevamo sempre vissuto insiemesotto un sole tropicalenella Valle dell'Erba Multicolore. Mai passo fortuito giunse a quella valle; poiché giaceva lontano fra una catena di alture giganti che la sovrastavano tutt'intornoescludendo la luce del sole dai suoi più dolci recessi. Non un sentiero era battuto in vicinanza; e per raggiungere la nostra casa felice bisognava scostare con la forza il fogliame di molte migliaia di alberi della forestae schiacciare mortalmente le glorie di molti milioni di fiori fragranti. E così vivevamo solisenza nulla sapere del mondo oltre la valleiomia cugina e sua madre.

    Dalle regioni indistinte oltre le montagne che limitavano all'estremità superiore il nostro dominio isolatosbucava un fiume stretto e profondopiù lucente d'ogni altra cosa tranne gli occhi di Eleonora; e serpeggiando lento in molti meandrisi allontanava infine attraverso una gola ombrosa tra alture ancor più indistinte di quelle da cui era scaturito. Noi lo chiamavamo ' Fiume del Silenzio '; poiché nel suo fluire pareva ìnsito un alone taciturno. Non un mormorìo sorgeva dal suo lettoe così dolcemente errava seguendo il suo corso che i ciottoli perlacei cari al nostro sguardogiù in fondo al suo senonon si muovevano per nullama giacevano in immobile contentezzaciascuno al suo vecchio postobrillando gloriosamente perenni.

    Il margine del fiumee dei molti abbaglianti ruscelli che per vie oblique vi confluivanocome pure gli spazi che dai margini si stendevano alle profondità dei corsi d'acqua sino a raggiungerne il letto sassosoquesti spiazzinon meno della valle in tutta la sua superficie dal fiume alle montagne circostantierano tappezzati di un'erbetta teneraverdefittaperfettamente pareggiata e profumata di vanigliama talmente costellata di gialli ranuncolicandide margheriteviolette purpuree e asfodeli rossi come rubiniche la sua generosa bellezza parlava ad alta voce ai nostri cuori dell'amore e della gloria di Dio. E qua e làa boschi sparsi per quest'erba come intrichi di sognisorgevano alberi fantasticii cui tronchi slanciati non erano diritti ma s'inclinavano graziosamente verso la luce affacciantesi a mezzogiorno sul centro della valle. La loro corteccia si variegava d'uno splendore alterno d'ebano e argentoed era più liscia d'ogni cosa tranne le guance d'Eleonora; cosicché se non fosse stato per il verde brillante delle enormi foglie che dalle cime si spandevano a lunghe linee tremulescherzando con gli zefirili si sarebbe potuti scambiare per giganteschi serpenti di Siria che rendessero omaggio al loro Sovranoil Sole.

    La mano nella manoper questa valle ben quindici anni vagai con Eleonora prima che Amore entrasse nei nostri cuori. Fu una sera al volgere del terzo lustro della sua vitae quarto della miache ci sedemmo stretti in reciproco abbraccio sotto gli alberi serpentinie abbassando lo sguardo sul Fiume del Silenzio vi cercammonel vivo dell'acquale nostre immagini. Per il resto di quella dolce giornata non dicemmo una parola; e anche all'indomani le nostre parole furono tremule e rade. Avevamo tratto da quell'onda il dio Erose ora sentivamo che egli ci aveva acceso dentro le anime di fuoco degli antenati. Le passioni che da secoli contraddistinguevano la nostra stirpe affiorarono in folla con gli impeti visionari per cui andava altrettanto famosae assieme spirarono una delirante felicità sulla Valle dell'Erba Multicolore. Colse ogni cosa un mutamento. Strani fiori brillanti a forma di stella scoppiarono sugli alberi dove non s'era mai vista traccia di fiore. Le tinte del tappeto verde si fecero più intense; e quando ad una ad una appassirono le bianche margheritesbocciarono al loro posto a dieci per volta gli asfodeli color del rubino. E la vita trionfava sul nostro cammino; poiché l'alto fenicotterosinora invisibilecon tutti gli altri uccelli allietati da fulgido piumaggio sfoggiava davanti a noi le sue ali scarlatte. Pesci d'oro e d'argento frequentavano il fiumedal cui seno esalava a poco a poco un mormorìo crescente fino a farsi soave melodìa più divina dell'arpa eòlia; più dolce d'ogni altra voce tranne quella d'Eleonora. E ora pure una nube voluminosache avevamo a lungo osservato nelle regioni di Esperone salpòin uno sfarzo di crèmisi e d'oroe fermatasi in pace sopra di noi affondò di giorno in giorno sempre di piùfinché non giunse a poggiare con gli orli sulle vette dei monticonvertendone la penombra in splendore e rinserrandoci sempre in una magica prigione di grandiosità e di gloria. La leggiadrìa di Eleonora era quella dei serafini; ma la fanciulla era ignara e innocente come la sua breve vita trascorsa tra i fiori. Nessuna astuzia mascherava il fervido amore che le avvivava il cuoree con me essa esaminò i suoi più intimi recessi mentre insieme passeggiavamo per la Valle dell'Erba Multicoloree discorrevamo dei grandi cambiamenti che vi si erano prodotti.

    Finalmenteavendo parlato un giornotutta in lacrimedel mutamento estremo che doveva incogliere all'Umanitàda allora in poi si soffermò unicamente su questo tema dolorosointessendolo in tutto il nostro conversarecome nelle canzoni del bardo Sciraz si vedono ricorrere più volte le stesse immagini in ogni espressiva variazione di fraseggio.

    Aveva visto che il dito della Morte era sul suo pettoche al pari della effimera essa era stata fatta in perfezione di forme solo per morire; ma i terrori della tombaper leistavano soltanto in una considerazione che mi rivelòin un crepuscolo vespertinopresso le rive del Fiume del Silenzio. La addolorava il pensiero che iodopo averla inumata nella Valle dell'Erba Multicolorene abbandonassi per sempre i recessi feliciper donare a qualche fanciulla del mondo esterno e quotidiano l'amore che adesso era così appassionatamente suo. E io subito mi gettai ai piedi di Eleonorae feci voto a lei e al Cielo di non legarmi mai in matrimonio a nessuna figlia della Terradi non venir mai meno alla sua cara memoriao alla memoria del devoto affetto che mi aveva elargito. E invocai il Re Sovrano dell'Universo a testimone della pia solennità del mio voto. E la maledizione che da Lui e da leisanta d'Helusioninvocaiqualora tradissi quella promessacomportava un castigo di tale immenso orrore che non posso qui precisarlo. E gli occhi luminosi di Eleonora si fecero più luminosi alle mie parole; e sospirò come se un peso mortale le fosse stato levato dal petto; e tremò e amaramente pianse; ma accettò il voto (era forse altro che una bambina?) ed esso le rese lieve il morire. E dal letto della sua morte tranquilla mi disse di lì a non molti giorniche a causa di quanto avevo fatto per confortare il suo spiritoin quello spirito avrebbe vegliato su di me dopo la dipartitae se le era concesso sarebbe visibilmente tornata a me nelle veglie notturne; ma che se questa cosa non era in potere delle anime del Paradisomi avrebbe almeno dato frequenti indizi della sua presenza; sospirando su di me nei venti della serao riempiendo l'aria che respiravo di profumi esalati dagli incensieri degli angeli. E con queste parole sulle labbra rese a Dio la sua vita innocenteponendo fine alla prima epoca della mia vita.

    Finora ho parlato in modo veritiero. Ma varcando la barriera che la morte della mia amata forma nel sentiero del Tempoe passando alla seconda epoca della mia esistenzasento un'ombra addensarmisi sul cervello e diffido della lucidità o attendibilità dei miei ricordi. Ma proseguiamo. Gli anni si trascinavano pesantie ancora dimoravo nella Valle dell'Erba Multicolore; ma un secondo mutamento era sopraggiunto in tutte le cose. I fiori a forma di stella si ritrassero nei tronchi degli alberie non ricomparvero più. Le tinte del tappeto verde svanirono; e ad uno ad uno gli asfodeli color del rubino avvizzirono; e al loro posto spuntarono scure viole simili ad occhiche si torcevano inquiete sotto un gravame perpetuo di rugiada. E la Vita si allontanò dai nostri sentieri; poiché l'alto fenicottero non sfoggiò più davanti a noi il suo piumaggio scarlattoma triste svolò dalla valle alle collinecon tutti i fulvidi uccelli che in sua compagnia erano giunti ad allietarci. E i pesci d'oro e d'argento guizzarono fuori dalla gola che delimitava il nostro dominio dalla parte più bassa e non animarono più il dolce fiume. E la soave melodia più delicata dell'arpa eòlia mossa dal vento e più divina d'ogni altra voce tranne quella d'Eleonoramorì a poco a pocofacendosi sempre più sommessa nel suo mormoriofinché il fiume non risprofondò nella solennità del suo silenzio originario. E poida ultimo la nube voluminosa si alzòe abbandonando le cime dei monti all'antica penombra ricadde nelle regioni di Esperoe privò di tutta la sua gloria d'oro la Valle dell'Erba Multicolore.

    Eppure le promesse di Eleonora non furono dimenticate; poiché udivo il suono degli oscillanti incensieri degli angeli; fiumane di sacro profumo aleggiavano perenni sulla valle; e nelle ore solitariequando il cuore mi batteva più grevei venti giungevano alla mia fronte carichi di tenui sospiri; e mormorii indistinti spesso riempivano l'aria notturna; e una volta - ohma solo una volta! - mi destò da un sonno come di morte il bacio di labbra spirituali.

    Ma anche così il vuoto del mio cuore non si colmava. Anelavo all'amore che un tempo l'aveva riempito fino a traboccarne. Alla fine la valle mi riuscì penosa per il ricordo di Eleonorae la lasciai per sempre per le vanità e i turbolenti trionfi del mondo.

    Mi trovavo in una città stranieradove tutto poteva giovare a cancellarmi dal ricordo i dolci sogni così a lungo sognati nella Valle dell'Erba Multicolore. Fasto e cerimonie d'una corte maestosae il folle strepito delle armie la raggiante bellezza delle donnemi stordivano d'ebbrezza. Ma finora l'anima mia si era mantenuta fedele ai suoi votie ancora mi giungevano nelle silenziose ore notturne gli indizi della presenza di Eleonora. Di colpo queste manifestazioni cessarono; e il mondo si oscurò davanti ai miei occhi; e rimasi allibito ai pensieri brucianti che mi possedevanoalle terribili tentazioni che mi insidiavano; poiché da qualche terra lontanalontana e sconosciutavenne alla gaia corte del re che servivo una fanciulla alla cui bellezza tutto il mio cuore infedele subito cedette; ai suoi piedi mi chinai senza lottanella più ardentenella più schiava adorazione d'amore. E che cos'era infatti la mia passione per la giovinetta della valle in confronto al fervoreal delirio e all'esaltante estasi di adorazione con cui riversavo in lacrime tutta l'anima mia ai piedi dell'etèrea Ermengarda? Ohluminosa era la serafica Ermengarda! e in questa certezza non avevo posto per altra. Ohdivina era l'angelica Ermengarda! e guardando nelle profondità dei suoi occhi memori pensavo soltanto ad essi; e a lei.

    Mi sposai; e non temetti la maledizione che avevo invocato; e la sua amarezza non mi fu inflitta. E una voltasolo una volta ancora nel silenzio della nottemi giunsero attraverso le persiane i tenui sospiri che mi avevano abbandonato; e si modellarono in una voce soave e familiareche diceva:

    "Dormi in pace! perché lo Spirito d'Amore regna sovranoe stringendo al tuo cuore appassionato colei che è Ermengardatu sei scioltoper ragioni che ti saranno rese note in Cielodai tuoi voti verso Eleonora".

     

     

     

  • Morella
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    "Esso stessodi per sé soloeternamente UNOe singolo".

    PlatoneIl Simposio.

    Con un senso di affetto profondo e pur singolarissimo consideravo la mia amica Morella. Capitato a godere della sua compagnia molti anni fasin dal primo incontro l'anima mia arse di fuochi che non aveva mai conosciuto; ma i fuochi non erano di Erose amara e tormentosa per il mio spirito la graduale convinzione di non poterne affatto definire l'insolito significato o regolare la vaga intensità. Eppure ci incontrammo; e il fato ci legò all'altare; e io non parlai mai di passione né pensai all'amore. Essa però rifuggiva dalla vita di societàe attaccandosi a me soltanto mi rese felice. E' una felicità vivere nella meraviglia; è una felicità sognare.

    L'erudizione di Morella era profonda. Quant'è vero che spero di vivereil suo ingegno era fuori del comunele sue capacità mentali gigantesche. Io lo sentivoe in molte cose divenni suo alunno. Mi accorsi però ben presto cheforse a causa dei suoi studi fatti a Presburgoessa mi proponeva molti di quegli scritti mistici che vengono solitamente considerati una semplice scoria della letteratura tedesca primitiva. Per una ragione che non potevo immaginareessi divennero il suo studio favorito e costantee che con l'andar del tempo dovesse succedere la stessa cosa a me bisogna attribuirlo al semplice ma efficace influsso dell'abitudine e dell'esempio.

    In tutto questose non sbagliola mia ragione ben poco c'entrava. Le mie convinzionipurché la memoria non mi tradiscanon subirono affatto l'influsso dell'idealeesalvo grande errorele mie letture mistiche non lasciarono traccia alcuna sulle mie azioni o pensieri. Persuaso di ciòmi abbandonai implicitamente alla guida di mia mogliee mi addentrai a cuore saldo nel groviglio dei suoi studi. E allora - alloraquandomeditando su pagine proibitesentivo accendersi dentro di me uno spirito proibito - Morella poneva sulla mia la sua fredda manoe dalle ceneri d'una filosofia morta smuoveva sommessesingolari paroleil cui strano significato si stampava a fuoco nella mia memoria. E alloradi ora in oraindugiavo al suo fianco e mi soffermavo sulla musica della sua vocesinché alla fine la sua melodìa non si macchiava di terroree un'ombra cadeva sull'anima miaed io impallidivointernamente rabbrividendo a quei toni troppo ultraterreni. E così la gioia svaniva in subitaneo orroree ciò che era vi era di più bello diveniva quanto mai spaventevolecome Hinnon divenne Ge-Henna.

    Non è necessario precisare il carattere di quelle disposizioni cheprendendo lo spunto dai volumi menzionatiper tanto tempo formarono quasi l'unica conversazione fra Morella e me. I dotti in quella che si potrebbe chiamare morale teologica se ne faranno prontamente un'ideae i profani comunque non ne capirebbero gran che. Lo sfrenato panteismo di Fichte; ' la palingenesi ' modificata dei pitagorici; e soprattutto le dottrine dell'IDENTITA' caldeggiate da Shelling erano in genere gli argomenti che più attraevano per la loro bellezza la vivace fantasia di Morella. Quell'identità che si chiama personale il signor Lockecredola definisce opportunamente come sano equilibrio di un essere razionale. E siccome intendiamo come persona un'essenza intelligente fornita di ragionee c'è una coscienza che sempre accompagna il pensieroè questo appunto che fa di noi tutti ciò che chiamiamo NOI STESSIcosì distinguendoci da altri esseri pensantie conferendoci un'identità personale. Ma il PRINCIPIUM INDIVIDUATIONISla nozione di quella identità "che con la morte si perde o non si perde per sempre"fu per mein ogni momentouna considerazione di intenso interesse; non solo per la natura sconcertante ed eccitante delle sue conseguenzema anche e altrettanto per la maniera spiccata e agitata con cui ne parlava Morella.

    Ma a dire il vero era ormai arrivato il tempo in cui il mistero dei modi di mia moglie mi opprimeva come una stregoneria. Non potevo più sopportare il tocco delle sue ceree ditané il tono basso del suo eloquio musicalené la lucentezza dei suoi occhi malinconici. Ed essa ben lo sapevama non mi rimproverava; pareva consapevole della mia debolezza o folliae sorridendo la chiamava Fato. Pareva anche conoscere una causaa me ignotadel mio graduale straniarmi; ma non mi dava cenno o indizio alcuno sulla sua natura. Ma era pur sempre donnae giornalmente languiva. Col tempola chiazza rossastra si fissò sulla guanciae sulla fronte sporsero le vene azzurre; e a un dato momento il mio essere si scioglieva in pietàma un attimo dopo incontravo lo sguardo di quegli occhi significativie allora l'anima mi si rivoltava e pativa le vertigini di chi guarda in un abisso squallido e insondabile.

    Dovrò dunque dire che con desiderio fervido e struggente andavo al momento della dipartita di Morella? Così era; ma il fragile spirito si aggrappò per molti giorni alla sua dimora di creta - per molte settimane e mesi esasperanti - finché i miei nervi torturati non riuscirono a dominare la mia mentee io mi infuriai del ritardoe con cuore di demonio maledissi i giornile ore e gli amari attimiche parevano allargarsi sempre più a misura che declinava la sua vita gentilecome ombre allo spegnersi del giorno.

    Ma una sera d'autunnoquando i venti tacevano immoti in cieloMorella mi chiamò al suo capezzale. Su tutta la terra si stendeva una vaga nebbiae un caldo bagliore illuminava le acquee tra le fastose foglie della foresta ottobrina era certo caduto dal cielo un arcobaleno.

    "E' un giorno eletto"disse al mio avvicinarmi; "un giorno fra tutti i giorni fatto per vivere o per morire. E' un bel giorno per i figli della terra e della vita: ahpiù bello ancora per le figlie del cielo e della morte!".

    Le baciai la fronteed essa continuò:

    "Io muoioma vivrò".

    "Morella!".

    "Ripeto che muoio. Ma dentro di me vi è un pegno di quell'affetto - ohquanto scarso! - che tu provasti per meMorella. E quando il mio spirito si dipartirà vivrà la creaturala creatura tua e miadi Morella. Ma i tuoi giorni saranno giorni di dolorequel dolore che è la più duratura delle impressionicome il cipresso degli alberipoiché i giorni della tua felicità sono finiti; e la gioia non si raccoglie due volte in una vitacome le rose di Pesto non si colgono due volte in un anno. Tu quindi non giocherai più col tempo alla maniera di Anacreontema ignaro del mirto e della vite porterai con te il tuo sudario sulla terracome i Musulmani alla Mecca".

    "Morella!" gridaiMorella! come fai a saperlo?ma essa girò il viso sul guancialee sopraggiunta da un lieve tremore nelle membra morì cosìe non udii più la sua voce.

    Eppurecome aveva predettola sua creatura - a cui morendo aveva dato nascitae che non respirò fin quando la madre non ebbe cessato di respirare - la sua creaturauna figliavisse. E crebbe stranamente di statura e d'intellettoed era il ritratto perfetto della defuntae io l'amavo di amore più intenso che non avessi creduto possibile sentire per una creatura terrena.

    Ma non andò molto che il cielo di questo puro affetto si oscuròe cupezzaorrore e dolore lo invasero a nuvole. Ho detto che la figliola crebbe stranamente di statura e d'intelligenza. Strana davvero fu la sua rapida crescita fisicama tremendiohtremendi erano i pensieri tumultuosi che mi incalzarono all'osservarne il suo sviluppo mentale. E poteva essere altrimentiquando ogni giorno scoprivo nelle concezioni della bambina le capacità e facoltà della donna adulta? quando le lezioni dell'esperienza sgorgavano dalle labbra infantili? quando di ora in ora scorgevo saggezza e passioni mature splendere da quegli occhi pieni e pensosi? Quandodicotutto ciò divenne chiaro ai miei sensi sgomentati - quando non potei più nasconderlo all'anima miané respingerlo da quelle percezioni che tremavano al riceverlo - c'è da stupirsi che sospetti d'indole paurosa ed eccitante si insinuassero nel mio spiritoo che i miei pensieri tornassero esterrefatti ai racconti pazzeschi e alle mirabolanti teorie della sepolta Morella? Io sottrassi all'attenzione del mondo un essere che il destino mi costringeva ad adoraree nel rigoroso isolamento di casa mia sorvegliai con ansia tormentosa tutto ciò che riguardava la mia diletta.

    E col passare degli annimentre di giorno in giorno contemplavo il suo viso santomite ed espressivoe meditavo sul maturare della sua personadi giorno in giorno scoprivo nella figlia nuovi punti di somiglianza con la madrecon la malinconica morta.

    E di ora in ora si addensavano più oscure queste ombre di somiglianzafacendosi più piene e definitepiù sconcertantipiù orrende all'aspetto. Poichése aveva il sorriso di sua madrequesto potevo sopportarlo; ma poi rabbrividivo alla sua troppo perfetta IDENTITA'che gli occhi fossero come quelli di Morella potevo del pari sopportarlo; ma poi troppo spesso sondavano le profondità dell'anima mia con l'intenzione concentrata ed enigmatica di Morella. E nella forma dell'alta frontee nei tristi toni musicali del suo discorreree soprattutto - ohsoprattutto - nelle frasi ed espressioni della morta che scaturivano dalle labbra dell'amata e vivatrovavo alimento a pensieri struggenti e orrorea un verme che non voleva morire.

    Così passarono due lustri della sua vitae ancora mia figlia rimaneva senza nome su questa terra. ' Figlia mia 'e ' amore mio ' erano le designazioni solitamente suggerite dall'affetto di un padree il rigido isolamento delle sue giornate precludeva ogni altro contatto. Il nome di Morella morì con lei. Della madre non avevo mai parlato alla figlia; era impossibile parlare. Anziper il breve tempo che era durata finora la sua esistenza quest'ultima non aveva ricevuto impressioni di sorta dal mondo esternotranne quelle compatibili con gli angusti limiti della sua intimità. Ma finalmente la cerimonia del battesimo fornì alla mia mentenel suo stato di snervata agitazioneun'immediata liberazione dai terrori del mio destino. E al fonte battesimale esitai nello scegliere un nome. E molti nomi appartenuti a donne sagge e bellenomi di tempi antichi e modernidella mia terra e di terre stranieresi affollarono alle mie labbracon moltimolti nomi di donne gentilie felicie buone. Che cosa dunque mi indusse a disturbare la memoria della morta? Quale demone mi spinse a esalare quel suono che al solo ricordo faceva fluire a torrenti il purpureo sangue dalle tempie al cuore? Quale spirito maligno parlò dai recessi dell'anima miaquando fra quelle fosche navatee nel silenzio della nottesussurrai all'orecchio del sacerdote le sillabe - Morella? Quale demonio più che demonio contorse i lineamenti della mia creatura e vi diffuse una tinta di mortequando trasalendo a quel suono appena udibile rivolse gli occhi vitrei dalla terra al cieloe cadendo prostrata sui neri lastroni della nostra cappella avìta rispose: "Sono qui!"?

    Distintifreddamente e quietamente distinti caddero quei semplici suoni sul mio orecchioe di lìcome piombo fusosibilando colarono al cervello. Gli annigli anni potranno passarema la memoria di quell'epocamai! Né fui davvero ignaro dei fiori e della vitema cicuta e cipressi mi adombrarono giorno e notte. E non tenni più calcolo di tempo e di luogoe le stelle del mio destino svanirono dal cieloe le sue figure mi passarono accanto come ombre effimeree fra tutte vedevo soltanto Morella. I venti del firmamento non spirarono che un suono al mio orecchioe le increspature del mare per sempre mormorarono Morella. Ma essa morì; e con queste mani la portai alla tomba; e risi d'un riso lungo e amaro quando non trovai traccia della prima nel sepolcro ove deposi la seconda Morella.

     

     

     

  • Metzengerstein
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    L'orrore e la fatalità hanno avuto a che fare in tutti i secoli.

    A che mettereallorauna data nella storia che sto per raccontare? Mi basta appena premettere cheall'epoca di cui parlosussistevanel centro dell'Ungheriauna ferma credenza nelle dottrine della metèmpsicòsi. Di tali dottrine per esse stessedella loro inattendibilità ovvero della loro probabilitàa me non interessa dire e non dirò nulla. Io posso affermarenondimenoche gran parte di tutta la nostra incredulità - secondo che dice La Bruyèreil quale attribuisce tutte le nostre disgrazie a quest'unica causa - ' vient de ne pouvoir être seuls '.

    Ma alcuni punti di quella superstizione ungherese toccavano quasi l'assurdo. I Magiari differiscono essenzialmente dalle autorità Orientaliper ciò che riguarda tale argomento. (Nota dell'autore:

    Il Mercier nel suo ' L'an deux milles quatre cent quarante 'sostienecon decisionele dottrine della metèmpsicòsie J.

    d'Israeli afferma che non esiste sistema semplice come quello e che tantocome quelloripugni all'intelligenza. E persino il colonnello Etham Allenil ' Green Mountain Boy 'passa per essere stato un convinto metèmpsicosìsta). Etanto per fare un esempiociterò le parole d'un acuto e intelligente parigino:

    "L'âme ne demeure qu'une seule foi dans un corps sensible. Ainsi un chevalun chienun homme mêmene sont que la rassemblance illusoire de ces êtres".

    Le famiglie Berlifitzing e Metzengerstein erano state in discordia per secoli. Non s'erano mai viste due casate tanto illustri reciprocamente inasprite in una inimicizia addirittura mortale.

    Quest'odio poteva aver avuto origine dalle parole d'una antica profezia: "Un grande nome cadrà da una terribile altezzaallorchésimile a un cavaliere sul proprio cavallola mortalità di Metzengerstein trionferà sull'immortalità di Berlifitzing".

    In sé e per séè indubitato che tali parole contenessero poco senso. Ma cause ancor più volgari di quelle hanno condotto - e senza risalire troppo in alto nel tempo - a conseguenze ugualmente gravide d'avvenimenti. E d'altro canto i due domìnich'erano confinantiavevano esercitatoa lungoun'influenza rivale nelle vicende d'un tumultuoso governo. Vicini tanto vicini com'essi eranoraramente sono amicie gli abitanti del castello di Berlifitzing potevano spingere i loro sguardi fin dentro le finestre del palazzo Metzengerstein dove il dispiegamento d'una magnificenza feudale era inadatto a calmare i sentimenti irritabili dei Berlifitzing che erano di meno antica e meno ricca origine. Perché meravigliarsiallorase le parole della surriferita predizione - le quali non suonanoper questomeno bizzarre - avevano potuto determinare e tener desta la rivalità tra due famiglie le quali vi erano già predisposte dalle continue istigazioni d'una gelosìa ereditaria? Se qualcosa essa stava a significarela predizione prometteva il trionfo finale alla parte più cospicua ed è quindi naturale che fosse rammentata con una cotale animosità da quella partefra le dueche era più debole e meno influente.

    Wilhelmconte di Berlifitzingmalgrado il suo alto lignaggioall'epoca dell'odierno racconto era un vecchio carico di malanni e per metà svanito di menteil quale poteva solo essere distinto da una radicata antipatia personale ai danni della casata rivale e da un amore così appassionato per i cavalli e la caccia che nemmeno le infermità fisiche e l'età avanzatacome pure la debolezza del suo cervellopotevano vietargli di correreogni giornoi pericoli che quegli esercizi comportano seco.

    E Frederickd'altro cantobarone di Metzengersteinnon aveva ancora raggiunto la maggiore età. Il ministro G.suo padreera morto giovane e sua madreLady Maryaveva raggiunto il marito con breve intervallo. Frederick avevaalloradiciott'anni.

    Diciott'anni spesi in una cittàin una vita collettivanon sono un grande periodo di tempo. Ma nella solitudinenella magnifica e solenne solitudine di un antico e aristocratico ritiroil pendolo oscilla con più profonda e significativa maestà.

    In seguito ad alcune particolari modalità dell'amministrazione paternanon appena il suo avo ebbe a morireil giovane barone entrò in possesso dei suoi vasti domìni. Prima di quel tempo s'era vista raramentein Ungheriatanta e così nobile proprietà nelle mani d'un solo. I castelli erano innumerevoli e il più splendido e il più vasto era il palazzo di Metzengersteintanto che il limite delle terre intorno non era mai stato ben definito. Il parco principalead ogni modoabbracciava un circuito di cinquanta miglia.

    La successione di persona così giovane e dal caratterepertantoassai ben conosciutonon lasciava supporre nulla di preciso attorno alla probabile condotta ch'egli avrebbe seguita. E questaper la veritàoscurò la fama di Erode nello spazio d'appena tre giorni superandoin magnificenzale speranze dei suoi più entusiasti ammiratori. Orgie vergognoseflagranti perfìdietradimentiinganniatrocità inaudite resero ben presto noto ai suoi trepidanti vassalli che nullané la loro servile sottomissionené alcun probabile scrupolo di coscienza da parte del medesimo signoreavrebbero potuto proteggerliin qualche mododagli artigli impietosi di quel piccolo Caligola. La notte del quarto dìfurono viste bruciare delle scuderìe del castello di Berlifitzing. E così anche il delitto di quell'incendio andò ad aggiungersisecondo l'unanime opinione dei vicinialla orribile lista degli atroci misfatti del barone. Quanto al giovane gentiluomoegli se ne stetteper tutto il tempo che durò il tumulto provocato da quell'accidenteassorto in apparente meditazioneseduto in una stanza vasta e solitarianella parte più remota ed elevata del palazzo avìto dei Metzengerstein. La tappezzeria riccaancorché sbiaditache pendeva malinconicamente alle paretirappresentava i ritratti fantastici e maestosi di mille antenati illustri. Prelaticolàriccamente parati d'ermellinodignitari pontifici familiarmente assisi con l'autocrate o il sovranoopponevano il loro veto ai capricci d'un re temporale ecol favore del poterein mano lorodella supremazia papaletrattenevano il ribelle scettro del Gran Nemico. Altrove le cupe smisurate stature dei principi di Metzengersteini cui muscolosi cavalli da guerra pestavano le spoglie dei nemici cadutiscuotevanoper la loro feroce espressioneanche i nervi più solidi. Ed ancorasimili a cignile voluttuose immagini delle dame dei tempi andati fluttuavano negli intrichi d'una danza fantasticaintente all'accento di melodie immaginarie.

    Ma nel mentre che il barone prestava orecchio - ovvero sembrava prestarlo - al baccano ognor crescente che veniva dalle scuderie dei Berlifitzing- e probabilmente rifletteva attorno a un nuovo pianopiù risoluto e ancora più audace - i suoi occhi ebbero a posarsi involontariamente sulla figura d'un enorme cavallod'un colore innaturaleil qualesecondo la leggenda raffigurata nell'arazzosembrava appartenere a un antenato saraceno della famiglia rivale. Il cavallo restava immobile come una statuanel primo piano del quadronel mentre chepoco discostoil suo cavaliere perivasotto il pugnale d'un Metzengerstein.

    Un'espressione diavolesca increspò le labbra di Fredericknon appena egli s'avvide della direzione ch'aveva presa il suo sguardo. Pure non distolse gli occhi e non potéal contrarioliberarsi dall'oppressione di un'ansia che gli era piombata pesantemente addosso come un drappo mortuario e gli era difficoltoso connettere le sue incoerenti sensazioni materiate di sognocon la sicurezza d'esser desto. E più indugiava in quella contemplazione e più avvertiva che quella magia lo andava possedendoe più ancora gli sembrava impossibile sottrarre lo sguardo dal perfido fascino di quell'arazzo. E come il baccano esterno salì improvvisamente di ferociaegli spostòcon uno sforzola propria attenzione sul viale chedal palazzoconduceva fino alle scuderie della proprietà.

    "No"disse il barone voltandosi di scatto. "E' morto?".

    "Certamentesignor mio e nondimeno io ritengo cheper voiciò non costituisca quel che si dice una cattiva nuova".

    Un sorriso illuminò il volto del barone.

    "E come è morto?" s'affrettò a chiedere.

    "Nel mentre che s'affannava a tentar di salvare alcuni suoi favoriti cavalli da cacciaegli è miseramente perìto tra le fiamme".

    "Dav... ve... ro...?" esclamò il barone al modo stesso che se si andasse convincendo per gradi della veridicità d'una sua misteriosa supposizione.

    "Davvero!" disse il vassallo.

    "Orrore!" concluse il barone ma con calmaquasi dimentico del significato di quella parola; e rientrò tranquillamente nel suo palazzo.

    A partir da quel giornoun notevole mutamento si verificò nella condotta esteriore del giovane e dissoluto barone Frederick von Metzengerstein. Egli s'era comportatoper la veritàin modo da provocare il disappunto di molte speranze e da sconcertare i disegni di più d'una madre intrigante. Oraper controle sue abitudinifinirono coll'uniformarsi in tutto e per tutto a quelle della società aristocratica del vicinato. Eglicosìnon fu più visto fuori dei suoi domìni e non coltivò del pari alcun amico nel vasto mondo della società conterraneaove non si voglia calcolar per un amico quel sovrannaturale e impetuoso cavallo di fiamma ch'egli non smetteva mai di montare dal giorno dell'incendio.

    Dalle famiglie confinantituttaviacontinuarono a pervenirgli inviti d'ogni sorta. "Sarà così gentile il signor barone d'onorare la nostra festa con la sua presenza?"; "Sarà così gentile il signor barone da prendere parte alla nostra caccia al cinghiale?"; "Metzengerstein non va a caccia"; "Metzengerstein non può accettare"erano le sue brevi ed altere risposte.

    Il ripetersi di tali ingiuriose ripulse non potéalla lungaessere sopportato da quella altera nobiltà. Gli inviti divennerocosìmeno cordialimeno frequenti ea poco a pococessarono del tutto. E fu intesa la vedova del defunto conte Berlifitzing esprimere il voto che "il barone potesse esser costretto a starsene in casadal momento che disprezzava la compagnia dei suoi ugualiproprio quando avrebbe desiderato di non trovarvicisi e ancoradal momento che a quella di coloro preferiva la compagnia d'un cavalloa cavalcare quando non ne aveva nessuna voglia". La qual cosa non eracertamenteche una volgare esplosione del rancore ereditario e dimostrava soltanto come le parole che noi usiamo rischiano di perdere ogni loro significato se noi vogliamo a ogni costo conferir loro una estrema energia.

    E tuttavia le persone caritatevoli attribuivano il mutamento della condotta del giovane gentiluomo al suo più che naturale dolore di figlio - ahimè - troppo presto privato dei suoi genitori. E così facendodavano a vederenondimenod'aver dimenticato il suo feroce contegno e la sua indifferenza nei giorni che seguirono immediatamente quella sua duplice perdita. Vi fu taluno che lo accusò d'essersi forgiata un'idea esagerata della propria importanza e della propria dignitàe altri ancora - e tra questi converrà mettere il medico della famiglia - i quali non dubitarono di attribuire il tutto a una sorta di morbosa malinconìa ereditata dai suoi avi. Torbide insinuazionioltre a questee d'ancor più dubbia naturacorrevanonel frattemposulle bocche dei pettegoli.

    Il perverso attaccamentoper la veritàdel barone per la sua nuova cavalcatura - il quale pareva aumentare di forza e di passione ogniqualvolta l'animale dava nuova prova e incentivo alle sue sfrenate e demoniache tendenze - fu giudicatoda tutte le persone ragionevolial pari d'una orripilante tenerezza contro la natura. Al rosseggiar del meriggio e nelle morte ore notturnecol bel tempo e con la tempestasia ch'egli fosse ammalato o in saluteil giovane Metzengerstein sembrava inchiodato alla sella del suo gigantesco corsiero del quale l'audacia senza freni s'accordava troppo bene al suo proprio carattere.

    E si detteroancoratalune circostanze le qualiriferite agli avvenimenti più recenticrearono un'atmosfera mitica e soprannaturale attorno alle manie del cavaliere e alle qualità della bestia. Fu misurato meticolosamente lo spazio che questi poteva superare con un suo salto e fu trovato che esso era assai più ampio di quanto non fosse supposto dai più esagerati. Il baroneinoltrenon aveva dato all'animale nessun nome particolarementre tutti gli altri cavalli della sua scuderia ne avevano uno. La scuderia per quell'eccezionale corsiero era stata ricavata a una certa distanza dalle altre e nessuno maieccettuato il baroneaveva osato varcarne la sogliafoss'anche per attendere alla cura e alla pulizia della bestia. E fu inoltre notato che nessuno dei tre inservienti o palafrenieri i quali erano riuscitia mezzo d'una cruda che terminava in un cappioa impadronirsi del corsiero in fuga dall'incendio del vicino castello di Berlifitzingera in grado di affermare con sicurezza d'aver poggiato le maninel corso di quella lotta perigliosa o in alcun altro momento successivosu alcuna parte del corpo dell'animale. Il fatto che un cavallo di nobile razza e di generoso impeto dia prove d'una intelligenza affatto particolare non è cosa che possa destare un interesse del tutto eccezionale e nondimenoper quel che concerne il caso del cavallo di Metzengersteinsi verificarono circostanze tali da riuscire ad impressionare anche coloro che si dicevano scettici e indifferenti di professione. E di fatto si ricordava di una volta che la bestia aveva fatto retrocedere un'intera folla in preda al terrorela quale un istante prima gli si stringeva attorno per ammirarlosolo a causa dell'impressionante profondità del pensiero adombrato nel terribile pestar del suo zoccoloe d'una altra volta ancora in cui il giovine Metzengerstein s'era volto a riguardare dalla parte oppostasbiancato in visoper sfuggire a una subitanea occhiata scrutatrice del cavallo che pareva guardarlo con un'espressione di serietà e quasi d'umanità.

    Nessunotra i servisollevò mai qualche dubbio sull'affezione del tutto eccezionale che il giovine gentiluomo portava al cavallo per le sue brillanti qualitànessuno ove si eccettui un insignificante servitorello le cui difformità erano sempre tra i piedi delle persone e alle cui opinioni non era il caso d'attribuire soverchia importanza. Egli aveva la tracotanza d'affermare - seppure il suo parere merita d'essere rammentato - che il suo padrone non era mai salito in sella senza un inesplicabile e quasi impercettibile brivido e cheal ritorno dalle sue lunghe cavalcatenon mancava di tradireogni giornoun'espressione trionfante di malvagità la quale gli tendeva tutti i muscoli facciali.

    Una notte d'uraganoMetzengerstein si destò all'improvviso da un sonno pesanteuscì come impazzito dalla sua stanzasalì in gran furia sul suo cavallo di fuoco e scomparve in un balzo negli intrichi della selva. L'avvenimento era così comune che nessuno vi pose mente; epperò i servi attesero il ritorno del barone con viva ansietà poichéqualche ora dopo che egli era scomparsoi mirifici edifizi del palazzo di Metzengerstein avevano cominciato a scricchiolare e a vacillare dalle fondamenta sotto l'azione d'un fuoco improvviso e irriducibile il quale ricopriva le costruzioni d'una massa livida e spessa di fumo. E nondimenoallorché la gente se ne avvidele fiamme avevano già menata innanzi di tanto la loro opera distruttrice che qualsiasi sforzo per salvare una parte soltanto delle costruzioni apparve palesemente vanoe così gli accorsi se ne stettero attoniti là intornopreda d'uno stupefattose non apatico silenzio. Ma un oggetto nuovo e terribile attrasse ben presto l'attenzione della moltitudine e mostrò come sia molto più intenso l'interesse che può fomentarein una follala contemplazione d'una umana agonia che non il più orripilante spettacolo offerto dalla materia inanimata.

    Sul lungo viale di querce vetuste che portavadalla selvaall'ingresso del palazzo di Metzengerstein apparve all'improvviso un corsieromontato da un cavaliere scapigliato e con le vesti in disordineil quale spiccava tali balzi da sfidareper l'ìmpetoperfino il Dèmone dell'uragano.

    Il cavaliere - era evidente - non riusciva a frenare quella corsa impazzitaed apparivadall'espressione atterrita della sua faccia e dal convulso agitarsi del suo corpoch'egli stava sostenendo uno sforzo sovrumano. E purtuttaviaall'infuori d'un unico grido - e come fu inteso rintronare! - che gli sfuggì dalle labbralacerate dai suoi stessi morsi che la intensità del terrore gli suggeriva sempre più frequentinon fu udito alcun suono che provenisse da lui.

    Un solo istante ancora e lo scalpitìo degli zoccoli stridette più alto e acuto che il ruggito delle fiamme e l'urlìo del vento. Un solo istante ancora edopo aver superatoin un sol balzoil fossato e la sogliail cavallo si slanciò su per le scale del palazzoprossime a crollarecol suo cavaliere in groppanitrendo alto fra i turbini di fuoco.

    E all'improvvisoalloras'acquietò la furia dell'uragano e sopravvenne una tetra calma di morte. Salì una candida fiamma e avviluppò tutto il palazzo come un sudario evampando su per l'aria tranquilladardeggiò in lontananza una luce soprannaturale. In quello stesso istanteuna spessa nube di fumo s'appesantì sull'antica costruzione e prese la forma d'un gigantesco cavallo.

     

     

     

  • Il pozzo e il pendolo
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    Io ero ammalato... ammalato fino alla morte per quella lenta agonia; e come alfine essi mi sciolsero e potei sederemi sentii venir meno. La sentenza - la paurosa sentenza di morte - fu l'ultimo accento distinto che mi arrivasse all'orecchio. Poi le voci degli inquisitori sembrarono perdersi in un sognante e indefinito ronzio. Il suono che udivoridestavain mel'idea di una ' rotazione ' ma soltantoforseperchénella mia immaginazionesi associava al ritmo d'una macina da mulino. Tutto questo durò pochissimo tempo: in capo ad alcuni minuti non udii più nulla. E nondimeno vidi ancoraper qualche istantevidi - ma per quale orribile deformazione del mio organo? - vidi le labbra dei giudici vestiti di nero. Esse mi parvero bianchepiù bianche ancora del foglio dove io segnoal presentequeste parole; e sottiliancora mi parverosottili fino a diventar grotteschesottiliper l'ostinazione e profondità della loro dura espressioneper l'irrevocabile decisione che tradivanoper il severo spregio dell'umano dolore che esse ostentavano. Così ch'io vidi uscire fuori da quelle labbra i decreti di ciò cheper meera il Fato. Le vidi mentre si torcevano in un mortifero eloquio. Le vidi mentre foggiavano le sillabe del mio nome e fui squassato da un violento tremore poichéa quel movimentonon seguì alcun suono. E vidi ancoraper taluni istanti di delirio e di orrorela lenta e quasi impercettibile ondulazione dei neri cortinaggi che pendevano dai muri della sala. E in quel punto il mio sguardo cadde sopra i sette enormi candelabri che erano poggiati sul tavolo. E distinguendoin essida principiosolo i simboli della caritàfurono veduti da me quali snelli angeli candidivotati alla mia salvezza; ma come in seguitoimprovvisamenteuna nausea mortale annegò il mio spirito e sentii vibrare il mio corpo in tutte le sue fibrecome se avessi toccato il filo d'una batteria galvanicaquelle angelicate immagini si trasmutarono in incomprensibili spettri dalla testa incendiata e parlarono per apprendermi che sarebbe stato invanoper mesperare nel loro soccorso. E allorasimile a una armoniosa nota musicalepenetrò nel mio animo l'idea del dolce riposo dal quale siamo attesi nel sepolcro. E quel pensiero mi vinceva fuggevolmente e con grande dolcezza e sembrò che impiegasse un lungo tempo ad assumere tutt'intero il suo valoree proprio nel mentre che l'animo mio giungeva a possederloe a divenireinfineuna sola cosa con essosparironoper opera di magiale figure degli inquisitorisi disfecero gli steli dei lunghi candelabrisi spensero le loro fiammelle e gravò la tenebra.

    Tutti i sensi dell'anima sembrò che fossero ingoiati in una discesa folle e precipite all'imo Ade. Ed ogni cosa dell'universo fu nottefu silenziofu immobilità.

    Io ero svenuto. Non dirò tuttavia che avessi perduto ogni sentimento. Non sarò tentato a descrivere e non pure a definire quel che poteva rimanerne di speranza: essanondimenonon era del tutto perduta. No: nel sonno più fondonel delirionel venir menoe ancora nella morte einfinenel sepolcrotutto NON è perduto. A che si ridurrebbealloral'immortalità dell'uomo?

    Quando noi ci destiamo da un sonno profondonoi non facciamo che strappare la ragnatela di un QUALCHE sognoe nondimenoappena un solo istante appressonoi non riteniamo - tant'è fragile la tela - d'aver mai sognato. Nel ritorno alla vita da un mancamentovanno distinti due gradi: è il primo quello che ci da il senso dell'esistenza mentale ovvero spiritualeè il secondo quello in cui acquistiamo coscienza dell'esistenza fisica. E quando siamo pervenuti al secondo gradoè da credere chese potessimo ritenere le impressioni che riguardano il primoesso conterrebbe alquante rivelazioni dell'abisso che s'apre oltre. E cos'è questo abisso? E come si possono distinguereda quelle del sepolcrole sue ombre? Se le impressionibensìdi quel ch'io ho definito il primo gradonon rispondono tempestivamente al nostro vano richiamarle allo spiritoesse riaffiorano nondimenodopo un lungo spazio di temposenza che siano evocatementre noi ci chiediamo stupiti donde possano esser sorte. Colui che non è mai venuto menonon ha mai potuto vedere stravaganti strutture di palazzi nelle braci mentre ardonoe volteggiare quideformati in modo bizzarrovolti familiari; egli non può contemplarenel mentre che si librano nell'ariale malinconiche visioni al volgo proibitee ancora egli non sa meditare sul profumo d'un qualche ignoto fiore e non sa correre dietro al suo cervello mentr'esso si perde in una melodia che non aveva mai fermataprimala sua attenzione.

    In mezzo ai tentativi insistiti e concentratiin mezzo ai vigorosi sforzi per recuperare una qualche vestigia di quello stato d'annullamento nel quale era stata apparentemente sommersa l'anima miavi sono stati pure degli istanti in cui ho fantasticato di riuscirvi. E furono istanti brevissimidurante i quali ho evocato delle memorie chea freddoin seguitoho avuto la certezza di saper ricondurre a quell'apparente incoscienza. E coteste larve di memorie mi dicono di enormi forme indefinite le quali mi sollevarono e mi trascinarono silenziosamente in bassoin bassosempre più in bassofintantoché l'idea medesima della discesa all'infinito non mi comunicò la vertigine. E mi dicono ancora d'un vago orrore che mi possedette l'animoper la ragione appuntoche una sovrumana calma abitava il mio cuore. E poi mi dicono di un'improvvisa immobilità di tutte le cosecome se coloro che mi trascinavano in spettrale corteo avessero passatiin quella loro cadutai limiti dell'infinito e si fossero arrestatistremati dalla loro stessa fatica. E ancoradopo questola sensazione dell'infimodell'umido... il resto è pazziapazzia della memoria che si affanna dietro argomenti proibiti.

    Tutt'a un tratto ho ritrovato il SUONO. E poi il MOVIMENTO. Il tumulto del cuore. E il suono dei suoi battitiall'orecchio. E poi una pausadurante la quale ogni cosa divennecome dianzivuota. E poi ancora il suono e il movimento e le facoltà TATTILIe i brividie un formicolare delle membra che mi si perdeva per tutto l'essere. Poi la coscienza d'esistere nuovamentesenza tuttavia poterlo pensare. Tale condizione durò a lungo. Poitutt'a un trattoil PENSIERO: e subito un fremebondo terroreuno struggente e concentrato studio per capire il mio effettivo stato.

    E un desiderio vivissimoquindidi tornare al più presto nell'insensibilità e un rivivere subitaneo dello spirito assieme al tentativo di muovermi. Quest'ultimo riuscì. E allora tornòtutt'interoil ricordo del processodei giudicidei neri cortinaggidella sentenzadella mia debolezza e infine del mio mancamento. Indi la più completa perdita di memoria per tutto quello che seguìper tutto quello che sono riuscito a ricordaree con molta approssimazionesoltanto molto tempo dopo e a prezzo di applicato studio.

    Fino a quel punto non avevo aperti gli occhi. Sentivo d'essere distesosul dorso e senza lacci. Tentai d'allungare una mano ma essa ricadde subitoe con pesantezzasu alcunché d'umido e di duro. Ve la lasciai qualche minuto mentre duravo gli sforzi per indovinare in qual luogo potessi essere e che cosa fosse per accadermi. Crescevain mel'impazienza di servirmi degli occhi:

    e tuttavia non osavo. Temevo la prima occhiata sugli oggetti all'intorno. Non mi aspettavo di vedere cose orribilima ero bensì atterrito dall'idea che attorno a menon ci potesse essere nulla da vedere. Alfinementre il mio cuore era divorato da una folle angosciaapersid'un sol colpogli occhi. I miei più orribili presentimenti si stavano confermando. Tutto all'intorno era soltanto la tenebra d'una notte sempiterna. Mi sforzai di respirarema la profondità di quel buio aveva come il potere di soffocarmi. L'aria era pesante fino a non poterla più sopportare.

    Tentai di tenere in esercizio la ragione nel mentre che rimanevo disteso.

    Tentai ancora di fissare i miei pensieri sulla procedura dell'Inquisizione ecominciando di lìpervenni a identificare la mia reale condizione. La sentenza era stata pronunciata: ed io avevo la sensazione cheda allorafosse trascorso un tempo lunghissimo. Epperò non supposi d'essere già trapassatonemmeno un solo istante. Nonostante si legga diversamente nei romanziuna simile idea è incompatibile con l'esistenza reale. Ma in qual luogo e in quale stato io mi trovavo? Ero a parte del fatto che di solito le sentenze venivano eseguite negli ' auto-da-fé 'e che uno di questi era stato tenuto la sera medesima del giorno in cui s'era svolto il mio processo. M'avevano ricondotto nella segreta e mi ci avrebbero lasciato fino al prossimo sacrificio che non sarebbe avvenuto prima di alcuni mesi? Immediatamente capii che non poteva essere così. Le vittime si dovevano offrire immediatamentee la segreta che abitavo prima della sentenzacome del resto tutte quelle dei condannati di Toledoera lastricata di pietra e vi filtrava un qualche lume.

    Un agghiacciante pensiero mi fece affluiretutt'a un trattoil sangue al cuore ed io perdetti nuovamente i sensi. Al mio risvegliobalzai in piedi: un convulso tremore mi scuoteva ogni fibra. Tesi le braccia attorno a mesopra di melevandomi sulle punte dei piediin tutte le direzioni senza incontrar nullae avevo nondimenoil terrore di muovere un passoché non avessi ad urtare contro le mura di una TOMBA. Il sudore si scioglieva da tutti i pori e sulla fronte mi si gelava in grosse gocce.

    L'angoscia per quell'incertezza della mia sorte divenne a un tratto insopportabile e avanzai guardingoprotendendo le braccia in avanti e sporgendo gli occhi fuori dalle orbitenella speranza di poterinfinepercepire un qualche debole raggio di luce.

    Mossi qualche passo ancorama ogni cosa all'intorno era tenebra e vuoto. Respiravooracon maggiore libertà. Era evidentealmenoche non mi era stata riservata la più orribile delle morti.

    E nel mentre che seguitavo ad avanzare con cautelala memoria mi s'affollava di mille dicerìe contrastanti e vaghe sugli orrori di Toledo. Si raccontavanoattorno alle segretealcuni bizzarri fatti che io avevo sempre considerati come delle folema tanto bizzarrie insieme tanto paurosi che si possono solo bisbigliare all'orecchio. Ero forse dannato a morire di fame in quella tenebra sotterranea? Quale altro destinofors'anche più spaventosom'era riservato? Che il risultato dovesse essere la morte eper giuntauna morte straordinariamente amaranon era più dubbioda che conoscevo troppo bene il carattere dei miei giudicie nondimeno io ero angosciato dal desiderio di conoscere il modo e l'ora.

    Le mie mani tese in avanti urtaronoinfinein un solido ostacolo. Era un muro che pareva costruito di pietramolto levigatomolto umido e freddissimo. Lo seguii con quella diffidente prudenza che m'avevano ispirata taluni antichi racconti. Quell'aggirarmiperònon mi offriva alcun modo di capire quali realmente fossero le dimensioni della mia prigionedal momento che il muro appariva tanto uniformemente levigato che potevo fare il giro completo del vano e tornare al luogo donde ero venuto senza peraltro accorgermene. Tastai alloranelle mie tascheper vedere se avessi ancora il coltello che avevo al momento in cui mi condussero al tribunale dell'Inquisizione: era scomparso. E i miei abiti erano stati sostituiti da un ruvido saio. L'idea che m'era balenataera stata quella di infigger la lama in una qualche crepa dell'intonacoper fissaree quindi poter ritrovareil mio punto di partenza. La difficoltà di attuare un disegno consimile era minimae nondimeno per il disordine di cui era preda in quel momento la mia mentemi parve in quel momento insormontabile. Lacerai una striscia dall'orlo del mio abito e la posi in terra per tutta la sua lunghezzaad angolo retto con la parete di muro. Seguendo il camminoa tentoniattorno alla segretanon avrei potuto far di meglio che ritrovare quello straccioe in quel punto il mio giro sarebbe stato completo: almeno supponevo così. Ma in quella supposizione non avevo tenuto conto dell'eventualità che l'ambiente fosse molto vasto e della certezza che io eroper controassai debole. Il terreno era umido e sdrucciolevole. Procedetti ancora per qualche tempovacillandopoi inciampai e stramazzai a terra. L'estrema stanchezza mi fece restare prono per un pezzo e fui così fui ripreso dal sonno.

    Al mio risveglionell'atto che feci di stendere le bracciaurtai contro un pane e una brocca piena d'acqua. Non ero in condizioni di rifletterea causa della mia debolezzasu questa nuova circostanzae nondimeno bevvi e mangiai con avidità. Ripresi a camminare attorno al mio carceree infinedopo molta faticapervenni a rintracciare la striscia di stoffa. Prima di cadere ero riuscito a contare cinquantadue passied oradopo aver ripreso il camminone contaiper ritrovare lo straccioaltri quarantotto. Erano dunque un centinaio di passi fra tutto; calcolando una yarda ogni due passila mia cella poteva misurare un circuito di cinquanta yarde. Avevo incontratiperònel mio camminoalcuni angoli e non potevo farein questo modoalcuna congettura sulla probabile forma di quel sotterraneoda che io lo credevo tale.

    Non v'era alcun preciso oggetto - e meno che meno poteva esservial fondoil desiderio d'alimentare una qualche speranza a quelle mie ricerche; - una vaga curiositànondimenomi spingeva a seguitarle. Mi staccaicosìdal muroe mi decisi a traversarediametralmentela superficie circoscritta dalle pareti del vano.

    Avanzaiin principiocon estrema circospezioneda che il pavimentoquantunque sembrasse costruito di materiale solido e duroera nondimeno come allagato da una viscida palta. Mi rinfrancaiin seguitoe presi un'andatura più speditastudiando di seguire una direzione la più dritta possibile. Avevo fattoa quel modouna dozzina appena di passiallorché il rimanente dell'orlo stracciato al mio vestito mi s'attorcigliò alle gambe e mi fece inciampare e stramazzare nuovamente a terracolla faccia in avanti.

    Nella confusione di quella cadutanon badai ad osservare subito una circostanza abbastanza bizzarrala qualenondimenoqualche secondo appressoallorché ero ancora distesoattrasse la mia attenzione. Il mio mento toccava il suolo del carcerema le labbra e la parte superiore del capoquantunque sembrassero essere in luogo meno elevato che non il mentonon lo toccavano.

    Nello stesso momento mi sentii la fronte madida per un vapore ghiacciatoe le narici furono feriteancor esse dall'odore caratteristico dei funghi putrefatti. Tesi il braccio in avanti e trasalii. Ero caduto sull'orlo d'un pozzo circolare del quale non avevoperòalcun mezzo per calcolare l'ampiezza. Tastando la parete al di sotto del margineriuscii a rimuovere un piccolo frammento e lo lasciai cadere nell'abisso. Restai qualche secondocolle orecchie tese ai rimbalzi che esso faceva contro le pareti del pozzocadendoe infine udii un tonfo sordo e lontanoseguito da echi e sciacquii rumorosi. Nell'identico istante un rumore si produsse al di sopra della mia testa - come di una porta aperta e poi richiusa con grande rapidità - e un debole chiarore balenò all'improvviso e subito sparì.

    Compresicon tutta chiarezzala sorte che mi era stata riservatae mi rallegrai non poco per l'opportuno incidente cui dovevo la salvezza. Ancora un passo e nessuno al mondo avrebbe saputo più nulla di me. Quella mortecosì tempestivamente evitataapparteneva proprio al genere che io mi ostinavo a considerare partecipe dell'assurdo e del fiabesco in tutto ciò che mi era giunto all'orecchio riguardo all'Inquisizione. Alle vittime di quella tirannide era riservata una scelta tra la morte in preda alle più atroci agonìe fisicheovvero quella che traeva tutto il suo orrore dalle più feroci torture dello spirito. Io ero stato votato a quest'ultima. I miei nervi erano talmente eccitati dalle estenuanti sofferenze che perfino il suono della mia stessa voce mi spingeva a rabbrividire. Ero diventatoin breveun soggetto particolarmente atto alla specie di tortura che mi si voleva infliggeree sotto tutti gli aspetti.

    Scosso da un pauroso tremito per tutte le membraarretrai paurosamentea tentoniverso la paretenella ferma risoluzione di lasciarmi morire addossato ad essaanziché affrontare l'orrore dei pozzi che la mia immaginazione moltiplicava nell'oscurità dalla cella. S'io mi fossi trovato in una diversa condizione di spiritonon c'è dubbio che avrei avuto il coraggio di finirein un sol colpole mie miseriegettandomi a capofitto in uno di quei baratri; ma in quel momento mi sentivo il più codardo fra tutti gli uomini. Giacché non potevo aver dimenticato che quei pozzi erano costruiti - secondo talune mie antiche letture - in modo tale che chi vi precipitava non poteva in alcun modoper questo soltantoassicurarsi d'una morte subitanea.

    L'agitazione dell'anima mia ebbe ragione del mio sonno durante interminabili orein capo alle quali mi assopii nuovamente. Al mio risvegliocome già l'altra voltami trovai accanto un pane e una brocca d'acqua. La sete mi ardeva la gola e vuotai il boccale d'un solo sorso. Un narcotico doveva essere stato sciolto nell'acquapoiché non appena ebbi finito di berericaddi subitosospinto da una irresistibile forzaa dormire. Un sonno profondissimoun sonno in tutto simile a quello mortales'impadronì di me. Quanto durassenaturalmentenon so dire; ma nel momento in cui mi destai di nuovo ed ebbi nuovamente riaperti gli occhimi accorsi che gli oggetti intorno a me erano diventati man mano visibili. Ciò era grazie a uno strano riflesso sulfureodel quale sul principio tardai a scoprire l'originema che mi permetteva di vedere l'ampiezza e l'aspetto del mio carcere.

    Scopriicosìche per quel che riguardava la grandezzaio m'ero molto discosto dal vero; la circonferenzainfattidi tutte intere le paretinon poteva misurare un giro superiore alla venticinque yarde. Tale scoperta fu causaper qualche minutod'un grande turbamento il quale eraper la veritàdel tutto inutile e ingiustificatopoichédi fattonon v'era nulla che potesse rivestirenei terribili frangenti in cui erominore importanza che le dimensioni della segreta. Epperò l'animo mio prendeva un profondo interesse per consimili futilità ed io non mi diedi pace fintantoché non ebbi trovato la ragione dell'errore commesso nell'assumere quelle misure. Quella ragione mi balenò alla mente improvvisa: durante il mio primo tentativo d'esplorazioneinfattifino al momentocioèin cui stramazzai a terraavevo contati cinquantadue passi: dovevo essere statoalloraa un passo o due dalla striscia di stoffae per conseguenzadovevo aver già compiuto l'intero periplo del carcere. Ma al momento di risvegliarmidovevo esser ritornato sui miei passi ed avevoin tal modocalcolata una circonferenza quasi doppia di quella reale. La confusione cui era in preda il mio cervellonon m'aveva permesso di osservare che avevo iniziato il mio giro col muro alla mia sinistrae l'avevo invece terminato col muro alla mia destra.

    E ancora mi ero ingannatoper ciò che riguardava l'aspetto dell'ambiente. Nell'avanzare tentoni avevo incontrato parecchi angoli e da ciò avevo dedotto che il carcere doveva avere una pianta del tutto irregolare. Gli angoli - tanto può l'effetto d'una totale oscurità su colui che viene da uno stato letargico! - altro non erano che semplici rientranzeovvero nicchiele quali s'aprivano nelle pareti a intervalli regolari. La segreta era quadrata. Ciò che io avevo scambiato per una parete di muro erainveceuna sorta di materia simile al ferroovvero a un altro metalloin enormi lastrele cui giunture determinavano le rientranze che ho detto sopra. L'intera superficie di quella struttura metallica era rozzamente istoriata di tutti quegli emblemi orribili e ripugnanti alla vista dei quali è soltanto origine la sepolcrale superstizione dei monacied essi rappresentavano dèmoni in atto di minacciae scheletri e altre forme e figure più orribili e verosimiglianti. Notai cosìche i contorni di quei mostri erano sufficientemente definiti ma che i colori eranoinvece alterati e sbiaditicome se avesse operatosu di essil'atmosfera umida del luogo. Anche il pavimento era di pietra enel suo centros'apriva un pozzo circolare - uno solo - quello medesimo alla cui voragine io ero miracolosamente scampato.

    Tutto questo fu vedutoda mein modo annebbiato e non senza che io operassi un qualche sforzoda che nel frattempola mia posizione era singolarmente cambiata. Nel sonnoinfattiero stato coricato sul dorso e solidamente legato con una sorta di lunga fasciasu di un basso telaio di legno. La fascia mi s'avvolgevapiù volteattorno al corpo e lasciava liberi soltanto la testa e il braccio sinistrosicché io potessi prenderesebbene a prezzo d'un incredibile sforzo per torcermiil cibo che era posto accanto a mesul suoloin un recipiente.

    Rimasi atterrito nell'avvedermi che la brocca era stata tolta.

    Atterritodicodal momento ch'io ero divorato da una insoffribile sete. E credo che l'esasperazione di questa fosse calcolata nel piano dei miei persecutorigiacché il piatto che m'era posto accantoera della carne terribilmente pepata.

    Levai gli occhi ad esaminare il soffitto della segreta. Esso era ad un'altezza di trenta o quaranta piedi da mee costruito in maniera assai somigliante a quella delle mura laterali. In uno degli scomparti vidi dipinta una figura talmente strana che assorbì tutta la mia attenzione: essa rappresentava il Tempocon tutti gli attributi che sogliono darglisieccetto cheinvece d'una falceegli aveva in mano un oggetto che io credettia una prima occhiataun grosso pendolosimile a quello che posseggono taluni orologi antichi. Nell'aspetto di quell'ordignov'eraperòqualcosa che mi costrinse ad esaminarlo più attentamente.

    Mentre lo stavo guardandodi sottinsù - poiché esso si trovava proprio sopra di me - mi parve che si muovesse. La sua oscillazione era breve ecom'è naturalemolto lenta. Continuai a guardarlo per alcuni minuti diffidente e stupìto: stancoin seguitodi quel suo monotono oscillamentoabbassai gli occhi per scoprire gli altri oggetti di quella mia prigione.

    Un lieve fruscìo attirò in quel momento la mia attenzionee buttando un'occhiata sul pavimentonella direzione da cui provenivavidi alcuni sorci giganteschi che lo attraversavano.

    Uscivano dal pozzo - del quale potevo vedere la bocca alla mia destra - lestia gruppicon occhietti avidistimolati dall'odore della carne. Per tenerli lontani dal recipiente dove questa era conservata dovetti spendere non poco di fatica e d'attenzione.

    Era passata una mezz'orao forse anche tutt'intera un'ora - dato che io potevo calcolare il tempo solo con grande approssimazione - allorchénell'alzare gli occhividi tale spettacolo da confondermi e vieppiù meravigliarmi. Il percorso oscillatorio del pendolo era infatti aumentato di una yarda all'incirca. Ne veniva di conseguenza che la velocità del suo moto era aumentata anch'essa. Esopra ogni altra cosaebbe a turbarmi l'impressione che esso fosse discesoe sensibilmente. Vidi - in preda a quale agghiacciante terrore è inutile che io dica - che la sua estremità inferiore era formata da una lamada una lucente falce d'acciaiolungada corno a cornoun piede all'incircacolle punte all'insù e il taglio inferiore affilato come un rasoio. E difatti la falce sembrava massiccia e pesantecome appunto un rasoioe dal filo si allargava in una struttura ampia e solida. Esso era appeso a una grossa verga di ottone enel mentre che oscillava nell'aria della segretamandava un orribile fischio.

    Non potevo più serbare alcun dubbio sul destino che l'inventiva dei monacitanto esperti di torturem'aveva preparato. Era evidente che gli agenti dell'inquisizione s'erano accorti della scoperta che avevo fattadel pozzo; il POZZOdel quale avevano divisato di riservare gli orrori a un temerario eresiarca qual'io sonoil POZZO emblema dell'infernoe che l'opinione considerava come l'ultima Thule di tutti i loro castighi. Un caso fortunatomi aveva fatto evitare il salto fatale nella sua voraginema io sapevo che l'arte di trasformare il supplizio in un continuo agguatoin una snervante successione di sorpreseera tra i canoni fondamentali di tutto quel fantasioso sistema di segrete esecuzioni. Poiché io avevo mancato di precipitar nell'abissonon rientrava piùnei loro pianiil costringermi a cadervi mediante la forza. Mi attendevacosìnon essendoci alternativauna morte differente e più mite. Più mite! Mi venne quasi da sorriderein quella mia agoniaal pensiero di quell'espressione che m'era fiorita nel cervello.

    A quale scopo raccontare lungheeterne ore d'angoscia più che mortaledurante le quali io non mi stancavo di contare le oscillazioni fischianti dell'acciaio? Pollice per pollice...

    frazione per frazione... in una discesa apprezzabile solo a intervalli che mi parevano secoliesso si abbassava man manosenza fermarsimaimai...

    Trascorsero alcuni giorni - è probabile che fossero anche molti - prima che egli venisse ad oscillare tanto vicino a me da farmi vento col suo alito acre. L'odore dell'acciaio affilato mi s'infilava nelle narici. Io supplicai il cielolo stancai con le mie preghiereperché egli facesse scendere il ferro il più rapidamente possibile. E montai fino a una rabbiosa follia e operai sforzi sovrumani per andare incontro al moto regolare di quell'orribile scimitarra. Finché io non caddi tutt'a un trattopreda d'una calma vasta e potentee giacquiarridendo a quella morte lampeggiantecome un bimbo a un raro balocco.

    Una nuova porzione di tempo in totale insensibilitàseguì in breve. Ma fu di corta durata. Com'io ritornai in memi accorsi che il pendolo non si era abbassato in misura apprezzabile. E nondimeno la durata del mio assopimento poteva anche essere stata lungamaessendovi alcuni dèmoni a spiarmiessi avevano sospesain quel frattempol' oscillazione. Mentr'io riprendevo i sensiassaporai un malessereuna sensazione di fiacchezza che meglio non so esprimerepari a quella che mi avrebbe preso dopo un lungo digiuno. Anche in quelle orribili torturela natura umana chiedeva d'essere sostentata. Allungaiin uno sforzo penosoil braccio sinistro quanto m'era consentito dai laccie tolsi il misero avanzo di cibo che i topi m'avevano lasciato.

    Nell'istante che ne recavo alle labbra un bocconeun pensiero d'indistinta gioiadi balenante speranzam'attraversò in furia il cervello. E nondimenocosa poteva esservi ormai di comunetra la speranza e me? Esso era - l'ho già detto - un pensiero non ben precisatoquale l'uomotalvoltaassaporafuggevoleda non vederne con chiarezza il fondo e le ragioni e la natura. Ma compresi che esso era un pensiero di gioia e di speranzae nel medesimo tempoche esso era già morto in sul nascere. Tentai di riafferrarlo e di completarloma tutto fu vano. Le interminabili sofferenze cui ero sottopostoavevano annientate le facoltà che la mia mente aveva d'ordinario: io ero divenuto un completo imbecilleun assoluto idiota.

    L'oscillazione del pendolo procedeva in una direzione ad angolo retto con quella della mia lunghezzaed osservai che la lama era così disposta che avrebbe attraversata la regione del cuore: essa avrebbe dapprima leggermente graffiata la stoffa della mia veste e poi sarebbe di nuovo tornata indietro a ripetere quel debole graffioe poi di nuovoe poi ancora... e ancora... e nonostante l'ampiezza dell'oscillazione - la quale s'apriva per una trentinase non di piùdi piedi - e la fischiante forza della sua discesala quale sarebbe stata sufficiente anche ad atterrare quelle ferree muragliela lama del pendolo non avrebbe potuto far altrodurante alcuni lunghi minutiche lacerarmi il vestito. M'arrestai a questo pensiero giacché non osavo spingermi oltre. E mi concentrai in quello con ostinazionecome searrestandomi a pensare lìavessi potuto fermare lì anche la lamanella sua discesa. Io facevo ogni sforzoper pensare al suono che avrebbe emesso la lama al momento di tagliare il panno della vestee posi mente ancora al brivido che produce lo sfregamento della stoffa. E non smisi di pensare a tutte queste sciocchezze fintantoché non mi sentii allegare i denti.

    Giù... la lama scendeva uniformementesempre più giù. Io provavo un piacere spasmodico al paragone che facevo tra la velocità laterale e quella invece dall'alto in basso. A destrae poi a sinistrama alla largama di lontanomentre urlava e fischiava come un'anima dannata e poi... poi mi veniva rasente al cuoree avevaallorail passo felpato e furtivo della tigre! Io urlavo e ridevo alternosecondo che una differente immagine mi possedesse il cervello.

    Giù... con ineluttabile certezza... sempre più giù! Essa oscillavaormai a soli tre pollici dal mio petto! Con uno sforzo violentoinfuriatotentai di liberarmi tutt'intero il braccio sinistro che aveva giuoco soltanto dalla mano al gomitogiacché io potevo soltanto portare la mano dal recipiente del cibo fino alla boccama non potevo spingerla oltre. Ove fossi pervenuto a spezzare i lacci al di sopra del gomitoavrei afferrato il pendolo e avrei anche tentato di fermarlo. Ma sarebbe stato lo stesso che fermare una valanga.

    Giù... senza fermarsi mai... sempreinevitabilmente più giù. Io ero soffocato dall'affanno e mi torcevo a ogni vibrazione e mi rattrappivocome in preda a convulsioniad ogni oscillazione.

    Gli occhi seguivano disperati il pendolo nel suo modo ascendente e discendentevanamente smaniando. Essi si chiudevano in uno spasimo al momento della discesa; e quantunque la morte sarebbe stata un sollievo - ohquale incredibile sollievo! - io tremavo in ogni mia fibra nel mentre che calcolavo quale minimo abbassamento della macchina sarebbe stato sufficiente a precipitarmi sul petto quell'ascia affilata e lucente. Ed era la SPERANZA a farmi tremare in ogni mia fibraa farmi trarre indietro con tutto l'essere mio. Ed era la SPERANZAla quale trionfa anche sul patibolo e discorre all'orecchio dei condannati a morte fin nelle segrete dell'Inquisizione.

    Notaiinfineche sarebbero occorse soltanto dieci o dodici oscillazioniperché l'acciaio venisse a contatto col mio vestito econ tale considerazionemi penetrònell'animola calma spietata e gremita dei disperati. E per la prima volta dopo molte oredopo molti giorniforseio PENSAI. Ero legato con una fascia di un solounico pezzo. Su qualsiasi parte della legatura fosse piombatoil primo colpo della falce l'avrebbe senza dubbio allentata; e sarebbe stato possibile alloraalla mia mano sinistradi svolgerla del tutto dal mio corpo? E nondimeno pensai come sarebbe diventata pericolosain tal casola vicinanza dell'acciaio. La minima scossa avrebbe potuto essere fatale. Ed era possibile che gli inventori e agenti del supplizio non avessero preveduto e quindi anche provveduto acciocché quella possibilità non si potesse dare? E la fasciami attraversavaessanel punto in cui il pendolo avrebbe percorso la mia persona?

    Nel timore di vedermi sparire anche quella debole ultima - come poteva esserese non l'ultima? - speranzaio levai la testa tanto che potessi vedere chiaramente sul mio petto. E vidi che la fascia mi legava le membra e il corpo in tutti i sensiTRANNE CHE NEL PERCORSO DELLA FALCE DISTRUTTRICE.

    Avevo appena lasciato ricadere il capo nella posizione in cui esso eraprima che m'attraversasse la mente quel ch'io non saprei definire se non l'altra metà del pensiero indefinito di liberazione che ho già richiamato di soprae del quale mi era balenata prima una sola metàmentre portavo il cibo alle labbra che mi ardevano. Ora era presenteinvecel'idea nella sua interezza - un po' confusaragionevolmente appenaappena definita - ma intera. Così che io mi posi immediatamentee con la nervosa energia della disperazionea tentare di metterla in atto.

    Il suolo attorno al tavolato sul quale ero distesoformicolava di topi. Essi erano eccitatiaudaciaffamatie i loro occhietti rossi erano fissi su di me quasi che non attendessero altro che la mia immobilità perché io divenissi loro preda. "A qual cibo sono stati abituati in quel pozzo!" dissi tra me.

    Nonostante tutti i miei sforzi per impedirglieloessi avevano divorato tutt'interosalvo un piccolissimo restoil mio cibo. La mia mano aveva contratto una sorta d'abituale movimento d'andirivieni verso il piattoe la incosciente e meccanica uniformità del movimento le aveva tolta ogni efficacia. Le immonde bestieper la loro voracità... mi ficcavano spesso i loro dentini aguzzi nelle dita ma intantocon i resti della carne unta e piccanteio stropicciai forte la legatura fin dove potessi arrivare. Ritiraipoila mano dal suolo e restai immobiletrattenendo quasi il fiato.

    Le voraci bestie furono dapprima spaventate dal mutamentodall'improvviso stare dei movimenti della mia personae indietreggiarono come in allarmee moltianzise ne tornarono dentro al pozzo. Ma ciò fu per un solo istante. Né avevo fatti vani calcoli sulla loro voracità. Poiché io restavo immobilequalcunopiù ardito degli altrisaltò sul telaio e annusò la fascia che mi teneva. Parve che quello fosse come un segnale prestabilito per una invasione generale. Altri sorci si precipitaronoin quellafuori della gola del pozzo.

    S'attaccarono al legnogli diedero la scalata e saltarono sul mio corpo a centinaia. Il movimento regolare del pendolo sembrava che non li molestasse affatto. Essi evitavano i suoi colpi e lavoravano con lena sulla fascia unta. E si spingevanointantobrulicavanoe si stipavano di continuo su di me. Si divincolavano sulla mia gola: le loro labbra gelate venivano in cerca delle miecosì che io ero a metà soffocato dalla loro pesante pressionenel mentre che un ribrezzo innominabile mi sollevava il pettoed un gelo inesorabile m'agghiacciava il cuore.

    Io sentivoperòche tra qualche momentola lotta sarebbe finita. Sentivoinfattidistintamentesenza che potessi avere dei dubbiche la fascia si stava allentando. Sentivo che essa era già stracciata in qualche punto. E con una fermezza più che umanami mantenevo IMMOBILE. I miei calcoli non erano sbagliati. Non era stato invano che io avevo sofferto una tal pena. SentiiinfineCHE IO ERO LIBERO. La fascia pendevaa grosse bandedal mio corpo. Ma il pendolo aveva già sfiorato il mio pettoaveva già lacerata le mia veste. Aveva raggiunta e tagliata anche la camicia. Esso fece due oscillazioni nel mentre che un dolore estremamente acuto mi fece vibrare ogni diramazione del sistema nervoso. Ma l'istante della mia liberazione era giunto. A un gesto che io fecial momento giustocon la manoi miei liberatori se ne fuggironoa tormeper ogni dove. Con un moto calmoma fermo e risoluto - lentoobliquoarretrando - scivolai dalla stretta morsa delle fascelungi dal taglio della falce. Per il momentoalmenoIO ERO LIBERO.

    Libero einsiemenegli artigli dell'Inquisizione! Ero appena disceso dal mio letto d'orrore sull'impiantito della segretaallorché il moto dell'infernale macchina s'arrestò di colpoed io la vidi attratta su da una forza invisibileverso il soffitto.

    Quell'ammonimento mi ripiombò nella più cieca disperazione. Ogni mio movimento era spiato; non poteva esservi più alcun dubbio in proposito. Libero! Oh! io ero sfuggito alla morte attraverso una orribile forma d'agoniasoltanto per essere votato a qualcosa di peggiore che non fosse la mortea prezzo di un'altra. A tal pensieroio guardai attorno alle lastre di ferro che m'imprigionavano. E così mi accorsi che un qualche strano cambiamento era avvenuto nella disposizione di esse. Durante alcuni lunghi minuti mi persicosìdietro astrazioni fantastiche e in supposizioni che mi diedero un brivido sottile. Fu in quei momentiinfattiche mi accorsiper la prima voltada dove provenisse la luce sulfurea che rischiarava la cella. Essa era originata da una fessura non più larga d'un mezzo pollicela quale girava attorno attorno alla base delle pareti della segretale qualia quel modoapparivano e lo eranodifatticompletamente staccate dal suolo. Tentai di guardare attraverso quella fessura macome si può facilmente supporrenon riuscii a veder nulla.

    Nell'atto che feci per rialzarmiil mistero del mutamento avvenuto nella cella mi si disvelò tutt'assieme. Ho già detto che i colori delle figure sulle paretibenché i contorni ne fossero distintiapparivano confusi e imprecisi. Questi colori avevano assunto e sempre più andavano assumendoun abbagliante e intenso splendoreil quale dava un aspetto a quelle fantasiose e demoniache figurazioni che avrebbe scosso un sistema nervoso ben più saldo del mio. Le occhiate di innumerevoli demoni convergevano su di me e mi guardavano con una vivacità sinistra da tutte le direzioni - di là dove prima non c'era che tenebra fonda - e splendevano della lugubre fiamma d'un incendio ch'io tentai inutilmente di supporre irreale.

    IRREALE! Non mi veniva forsenell'atto di respirareil puzzo del ferro rovente alle narici? Un soffocante vapore si sparse allora per la segretamentre un puzzo più intenso si sprigionava da quegli innumerevoli occhi fissi sulla mia agonia. Ma quei dipinti erano fatti col sanguee risplendevano nei suoi grumi! Io affannavo e ricercavo disperatamente il fiato. Sulle intenzioni dei miei carnefici non c'eraormaipiù alcun dubbio. I più irriducibilii più demoniaci degli uomini! Mi ritrassi dal metallo che ardevaverso il centro della cella. Al pensiero dell'incendio che mi aspettaval'idea della frescuraper controdel pozzomi scese nell'anima come un balsamo. Accorsi al suo orlo fatale ed aguzzai lo sguardo nelle sue profondità. La luce su per la volta infiammata rifletteva nei suoi più segreti recessi. E nondimenoper il mancamento d'un istanteil mio cervello si rifiutò di capire quel che vedeva. La visionequindia forzapenetrò nell'animo e si stampò a caratteri di fuoco sulla mia ragione che vacillava. Ohdatemi la voce! Datemi la voce ch'io possa parlare! Orrore! Qualunque orrore piuttosto che quello! Con un urlo balzai lungi dalla gola del pozzo e mi nascosi il volto tra le mani. E amaramente piansi.

    Il caloreintantocresceva e cresceva. Guardai verso l'alto un'ultima volta e rabbrividii come per un accesso di febbre. Un nuovo mutamento era intervenuto nella segreta e riguardavaquesta voltala sua FORMA. Come primami sforzaiinvanodapprincipiodi capirne il senso. Ma non dovevo rimanere troppo a lungo nel dubbio. La vendetta dell'Inquisizione era stata affrettata dallo studio stesso che io avevo messo nell'evitarla. Non m'era più concessooradi prendere a scherzo il Re medesimo dei Terrori.

    L'ambiente era quadratoprima. Ora vedevo chiaramente che esso aveva due angoli acuti eper controdue ottusi. La terrificante differenza aumentava... aumentava con feroce rapiditàe nel contempo udivo un sordo lagnoun cupo borbottare. In un istante la cella aveva mutato la forma in quella d'una losanga. Ma la trasformazione non s'arrestò a questo. Ed io non desideravo né speravo che vi si arrestasse. Avrei voluto stringermi al petto le mura infuocate come se fossero state una veste acconcia alla mia eterna pace. La morte! Qualunque morteripetei a me stessoma non quella del pozzo! Stolto ch'io ero! Perché non capivo ch'era proprio nel POZZO che quelle pareti di fuoco volevano spingermi? E la losanganel mentresi stringeva sempre di più e con tale rapidità che non m'era concesso il tempo per pensare. Il suo punto centralenaturalmenteove avesse raggiunta la sua maggiore larghezzacoincideva con il pozzo. Indietreggiaima le pareti mi respingevanosenza tuttavia toccarmisempre più irresistibilmente in avanti. E arrivò l'istante in cui il mio corpo arso e convulso non ebbe più luogo per i propri piedisul pavimento della segreta. Io non lottavo più e la mia anima agonizzante parve esalarsi in un supremo urlo di disperazione!

    Sentivo che stavo vacillando sull'orlo! Voltai gli occhi...

    Ed ecco un rimbombo lontano e discorde di voci umane. Ed ecco uno scoppiocome lo squillo di una moltitudine di tube insieme. Ed ecco l'aspro rollar di mille tuoni. E le mura incandescenti si ritrassero spegnendosilente. E un braccio afferrò il mio in una morsa di ferro nell'istante in cui stavo per precipitare svenuto nell'abisso. Era il braccio del generale Lassalle. L'esercito francese era entrato in Toledo. L'Inquisizione era alla mercè dei suoi nemici.

     

     

     

  • Il gatto nero
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    Per la narrazione stravagantissima eppure quanto mai domestica che sono sul punto di vergarenon mi aspetto né sollecito né fede.

    Pazzo sarei davvero ad aspettarmelain un caso in cui i miei sensi stessi respingono la propria testimonianza. Eppure non sono un pazzoe con ogni certezza non sogno. Ma domani muoioe oggi vorrei togliermi dall'anima un gran peso. Il mio scopo immediato è di mettere a conoscenza del mondoin modo semplice e succintoe senza commentiuna serie di puri avvenimenti casalinghi. Nelle conseguenze avutequesti avvenimenti mi hanno atterritotorturatodistrutto. Ma non mi proverò a esporle. In me hanno destato non altro che orrore; a molti parranno meno terribili dei grotteschi da baraccone. D'ora in poiforsesi troverà qualche intelletto più calmopiù logico e assai meno eccitabile del mioche nelle circostanze da me specificate con tanta paura non vedrà nulla di più di un'ordinaria successione di cause ed effetti normalissimi.

    Sin dall'infanzia mi feci notare per la mia indole docile e umana.

    La mia tenerezza di cuore era anzi così spinta da fare di me lo zimbello dei miei compagni. Avevo un particolare attaccamento per gli animalie i miei genitori mi assecondavano regalandomi una gran quantità di bestiole addomesticate. Con queste passavo la maggior parte del mio tempoe non ero mai così felice come quando le cibavo o accarezzavo. Questo tratto peculiare del mio carattere andò crescendo in me col crescere della mia personae giunto che fui a virilità divenne per me una delle principali fonti di piacere. A chi abbia nutrito affetto per un cane fedele e sagacenon ho certo bisogno di affannarmi a spiegare natura o intensità della soddisfazione così procurabile. Nell'amore disinteressato e generoso di una bestia c'è qualcosa che va diritto al cuore di chi ha avuto frequenti occasioni di mettere alla prova la dozzinale amicizia e labile fedeltà del semplice UOMO.

    Io mi sposai prestoe fui lieto di trovare in mia moglie un'indole non aliena dalla mia. Osservando la mia predilezione per gli animali da casa e da salottonon perdeva occasione di procurarmi quelli delle specie più piacevoli. Avemmo così uccellipesci doratiun cane di razzaconigliuna scimmietta e un GATTO.

    Quest'ultimo era un animale di notevoli proporzioni e bellezzatutto nero e dotato di intelligenza sbalorditiva. A tale propositomia moglieincline in cuor suo alla superstizionefaceva continue allusioni all'inveterata credenza popolare che considera tutti i gatti neri streghe travestite. Non che prendesse mai tale idea SUL SERIOe se io ne parlo adesso è soltanto perché mi è capitato di ricordarmene.

    Pluto - era questo il nome del gatto - era il mio animaletto favorito e compagno di giochi. Io solo gli davo da mangiaree lui mi seguiva dovunque mi recassi in casa. A stento anzi riuscivo ad impedirgli di seguirmi per le strade.

    In questo modo la nostra amicizia durò parecchi annidurante i quali (e arrossisco al confessarlo) temperamento e carattere ebbero a subire in me - sotto l'azione del Dèmone Intemperanza - un radicale peggioramento. Di giorno in giorno mi facevo più lunaticopiù irritabilepiù irriguardoso per i sentimenti degli altri. Mi lasciavo andare a espressioni scorrette verso mia moglie; e finii per usarle violenza materiale. Naturalmente i miei favoriti risentirono del mutamento d'animo: poiché non soltanto li trascuravoma li maltrattavo. Per Pluto però serbavo ancora tanto riguardo da frenarmi in fatto di maltrattamentimentre non mi facevo scrupolo alcuno di maltrattare i coniglila scimmia o anche il cane quando il caso o l'affetto me li mettevano tra i piedi. Ma la mia malattia si aggravò - quale mai malattia è pari all'Alcool? - e infine anche Plutoche invecchiando si andava facendo un po' petulanteanche Pluto cominciò a provare gli effetti del mio malumore.

    Una serarincasando in preda a forte ubriachezza da uno dei locali che frequentavo in cittàcredetti di notare che il gatto mi evitava. Lo afferrai; e alloraspaventato della mia violenzaesso mi ferì lievemente alla mano con un morso. Si impadronì subito di me una furia demoniaca. Non mi riconoscevo più. Sembrava che l'anima mia originaria fosse fuggita via dal corpo; e una malignità più che diabolicaaccesa dal ginmi fece vibrare in ogni fibra. Estrassi un temperino dal taschino del panciottolo apriighermii la povera bestiola per la gola e con la lama deliberatamente le cavai un occhio dall'orbita! Arrossiscobruciorabbrividisco al mettere per iscritto quest'infame atrocità.

    Quando la ragione ritornò al mattino - svaporati nel sonno i fumi dell'orgia notturna - provai un senso misto d'orrore e rimorso per il delitto di cui mi ero macchiato; ma era tutt'al più un sentimento debole ed equivocoe l'anima non ne fu sfiorata. Di nuovo mi buttai agli eccessie ben presto affogai nel vino ogni ricordo del mio atto.

    Frattanto il gatto pian piano guarì. L'orbita vuota del suo occhioè veroera spaventosa a vedersima ogni dolore fisico sembrava scomparso. L'animale girava per casa come al solitoma logicamente fuggiva terrorizzato al mio avvicinarsi. Tanto mi rimaneva ancora dell'antico cuoreche a tutta prima mi afflisse questa evidente antipatia da parte di una creatura che mi aveva voluto così bene. Ma questo sentimento cedette ben presto all'irritazione. E poiquasi a mia definitiva e irrevocabile rovinasopraggiunse lo spirito della PERVERSITA'. Di questo spirito la filosofia non tiene conto alcuno. Eppurequanto sono certo che l'anima mia vivesono sicuro che la perversità sia fra gli impulsi primitivi del cuore umano una delle invisibili facoltà primarieo sentimentiche imprimono un indirizzo al carattere dell'Uomo. A chi mai non è capitato cento volte di commettere un'azione vile o insulsa per la sola ragione che sapeva di NON doverla commettere? Non abbiamo noi la perpetua inclinazionea dispetto del nostro miglior giudiziodi violare ciò che è LEGGE solo perché tale la riconosciamo? Questo spirito di perversitàdicovenne a rovinarmi per sempre. Fu questa insondabile brama dell'anima di DANNEGGIARE SE STESSAdi far violenza alla propria naturadi commettere il male per il maleche mi spinse a continuare e poi portare a compimento la tortura da me inflitta alla bestiola innocente. Una mattinaa sangue freddole infilai un cappio al collo e la impiccai a un ramo d'albero; la impiccai con gli occhi pieni di lacrime e col più amaro rimorso in cuorela impiccai PERCHE' sapevo che non mi aveva fatto nulla di male; la impiccai PERCHE'sapevo che così facendo commettevo un peccatoun peccato mortale che avrebbe compromesso l'anima mia indistruttibile fino al punto di porla - se ciò fosse possibile - fin oltre la portata dell'infinita misericordia del Dio di pietà e terrore.

    La notte della giornata in cui commisi quest'atto crudelemi svegliò dal sonno il grido: "Al fuoco!". I tendaggi del mio letto erano in fiamme. La casa divampava tutta. Fu a stento che mia moglieuna domestica ed io sfuggimmo all'incendio. La distruzione fu completa. Tutta la mia sostanza fu divoratae da allora in poi mi rassegnai alla disperazione.

    Io sono superiore alla debolezza di voler assodare una susseguenza di causa ed effetto fra il disastro e l'atrocità. Ma ora sto specificando una catena di fattie non voglio trascurarne possibilmente nemmeno un anello. All'indomani dell'incendioperlustrai le macerie. I muria eccezione di uno soloerano crollati; e tale eccezione consisteva in un muro divisorionon molto spessoche sorgeva circa nel mezzo della casa. Contro di esso poggiava a suo tempo la testata del mio letto; e qui l'intonaco resistette in gran parte all'azione del fuocofatto che attribuii alla data recente in cui era stato tinteggiato.

    Intorno a questo muro si era radunata una fitta follae molte persone mostravano di esaminarne una certa parte con attenzione minuta e assai intensa. Le parole "strano!"singolare!e altre del genere eccitarono la mia curiosità. Mi avvicinai e vidiquasi scolpita a bassorilievo sulla bianca superficiela figura di un gigantesco GATTO. L'impressione era così precisa che aveva del meraviglioso. L'animale aveva una corda al collo.

    Al primo scorgere quest'apparizione - poiché non potevo considerarla da meno - meraviglia e terrore furono in me estremi.

    Ma infine la riflessione mi venne in aiuto. Il gattoricordaiera stato impiccato in un giardino adiacente alla casa.

    All'allarme dell'incendioquesto giardino era stato subito invaso dalla folla e alcuni dei suoi componenti dovevano aver staccato l'animale dall'albero per gettarloattraverso una finestra apertain camera mia. Questoprobabilmenteper svegliare me. Il crollo di altri muri aveva spiaccicato la vittima della mia crudeltà contro la paretesino a impregnarne l'intonaco fresco; e poi la calcina sotto l'azione delle fiammecombinata con l'ammoniaca della carognaaveva creato l'effige come la vidi io.

    Sebbene così spiegassi prontamente alla mia ragionese non proprio alla mia coscienzalo strabiliante fatto appena descrittoesso non mancò di fare profonda impressione alla mia fantasia. Per mesi e mesi non potei liberarmi del fantasma del gatto; e in questo periodo riaffiorò nel mio spirito un sentimento che sembravae non erarimorso. Giunsi a rimpiangere la perdita dell'animalettoe a guardarmi intornonei locali innominabili che ora abitualmente frequentavoper cercarne un altro della sua stessa speciee di aspetto più o meno similecon cui sostituirlo.

    Una seramentre sedevo mezzo intontito in una sentina d'infamiala mia attenzione fu improvvisamente attirata da un certo oggetto neroadagiato in cima a una delle immense botti di gin e rum che costituivano la mobilia quasi esclusiva del locale. Da vari minuti fissavo la cima di questa bottee la mia sorpresa scaturì dal fatto che non avessi scorto prima l'oggetto sovrastante. Mi accostai e lo toccai. Era un gatto nero molto grosso; grosso quanto Plutoe a lui somigliantissimo per ogni versotranne uno.

    Pluto non aveva un solo pelo bianco; ma questo gatto aveva una estesa benché indefinita chiazza bianca che gli copriva quasi per intero il petto.

    Al contatto della mia manoesso subito si alzòfacendo sonoramente le fusami si soffregò controe apparve arcicontento della mia attenzione. Era dunque proprio questa la creatura di cui andavo in cerca. Proposi subito l'acquisto al padrone del localema costui non rivendicò alcun diritto - non ne sapeva nulla - non l'aveva mai visto prima.

    Io continuai a far carezzee quando mi accinsi a rincasare l'animale si mostrò desideroso di accompagnarmi. Glielo permisi senz'altro; e ogni tanto mi chinavo a coccolarlo strada facendo.

    Quando esso raggiunse la casavi si ambientò subitoe divenne là per là un grande favorito di mia moglie.

    Per parte miami sentii ben presto nascere antipatia nei suoi riguardi. Era proprio l'inverso di quanto avevo previsto; ma - non so come o perché avvenisse - il suo evidente affetto per me non faceva che disgustarmi e seccarmi. A poco a pocoquesti sentimenti ostili assursero all'asprezza dell'odio. Mi diedi a evitare l'animaletto; un certo senso di vergogna e il ricordo del mio precedente atto di crudeltà mi impedivano di fargli del male fisico. Per varie settimane mi astenni dal colpirlo o arrecargli comunque violenza; ma a lenti gradi - insensibilmente - giunsi a considerarlo con aborrimento inesprimibile e a fuggirne in silenzio l'odiosa presenzacome un fiato di peste.

    Ciò che senza dubbio rinfocolò in me l'odio per la bestiola fu il fatto di scoprirela mattina dopo che l'ebbi portato a casache al pari di Pluto anch'essa era stata privata di un occhio.

    Tuttavia tale circostanza non fece altro che renderla più cara a mia mogliela qualecome ho già dettopossedeva ad alto grado quell'umanità di sentimenti che era stata una volta il mio tratto caratteristicoe mi aveva procurato i piaceri più semplici e puri.

    Ma con la mia avversione per questo gatto sembrava aumentare di pari passo la sua predilezione per me. Seguiva i miei passi con una tenacia che sarebbe arduo far comprendere al lettore. Dovunque sedessisi accoccolava sotto la mia sedia o mi saltava sulle ginocchiacoprendomi delle sue aborrite carezze. Se mi alzavo per camminaremi si metteva tra i piedi rischiando così di farmi ruzzolareoppure mi piantava nel vestito gli artigli lunghi e aguzzi per arrampicarmisi sul petto. E allorapur sentendo la voglia di ucciderlo sul colpomi trattenevo dal farloin parte per il ricordo del mio vecchio criminema soprattutto - sarò sincero - per un'invincibile PAURA che la bestia mi incuteva.

    Non era proprio una paura di mali fisici: eppure non saprei altrimenti come definirla. Quasi mi vergogno di ammetteresìanche in questa cella da criminalemi vergogno quasi di ammetterlo che il terrore e l'orrore suscitati in me dall'animale avevano trovato incentivo in una delle più folli chimere immaginabili. Più di una volta mia moglie aveva richiamato la mia attenzione sul carattere della chiazza di peli bianchi di cui ho parlatoe che costituiva l'unica differenza visibile fra la strana bestia e quella da me massacrata.

    Il lettore ricorderà che questa chiazzasebbene estesaera in origine assai indefinita; ma passo passo - a gradi quasi impercettibiliche per molto tempo la mia ragione si adoperò a respingere come fantasia bizzarra - aveva finito per assumere una rigorosa nettezza di contorni. Era adesso la raffigurazione di un oggetto che rabbrividisco a nominare - e per questo soprattutto aborrivo e temevo il mostroe me ne sarei sbarazzato SE AVESSI OSATO - era adessodicol'immagine di una cosa orrendamalaugurata: della FORCA! Ohluttuoso e terribile meccanismo di Orrore e Delittodi Agonia e Morte!

    E ora davvero ero disperato di una disperazione che la semplice Umanità non conosce. Ed era UN ESSERE BRUTO a ordirmi: a MEuomo fatto a immagine di Diotanto insopportabile affanno! Ahimè! né di giorno né di notte conobbi più la benedizione del riposo! Di giorno l'animale non mi lasciava solo un momentoe di notte mi svegliavo di soprassalto da sogni di indicibile paura per trovarmi sulla faccia l'alito caldo della bestiae il suo gran pesoun Incubo incarnato che non mi potevo scuotere di dossogravante per sempre sul MIO CUORE. Sotto la pressione di tormenti come questiil fioco residuo di bene che avevo in me finì per soccombere.

    Pensieri malvagi divennero i soli abitatori della mia intimità; i più neri e malvagi. Il mio temperamento già così lunatico si acuì fino a odiare tutto e tutti; mentre i repentinifrequenti e incontrollabili scoppi di una furia alla quale mi abbandonavo ora ciecamente trovavanoahimèin mia mogliealiena com'era da lamentelela vittima più consueta e paziente.

    Un giorno essa mi accompagnòper qualche faccenda domesticanella cantina del vecchio edificio che la povertà ci costringeva ad abitare. Il gatto mi seguì per le ripide scalee facendomi quasi capitombolare mi esasperò fino alla follia. Brandendo alta un'asciae scordando nella collera il timore infantile che mi aveva finora fermato la manovibrai all'animaletto un colpo che certo gli sarebbe risultato istantaneamente fatale se fosse calato come volevo io. Ma questo colpo fu arrestato dalla mano di mia moglie. Aizzato dalla sua interferenza a una rabbia più che demoniacaliberai il braccio dalla sua presa e le affondai l'ascia nel cervello. Cadde morta sul posto senza un gemito.

    Compiuto questo orribile assassiniomi accinsi seduta stantee con piena coscienzaall'impresa di occultare il cadavere. Sapevo bene di non poterlo asportare dalla casadi giorno o di nottesenza il rischio di essere osservato dai vicini. Molti disegni mi affollarono la mente. A un dato momento pensai di tagliare il cadavere in minuti pezzi e distruggerli col fuoco. Poi invece decisi di scavargli una tomba nel pavimento della cantina. Ancoraventilai tra me e me l'idea di gettarlo nel pozzo del cortiledi imballarlo in una cassa come fosse una merce qualsiasicon le solite formalitàe chiamare un facchino che lo portasse via.

    Infine mi balenò un espediente che consideravo molto migliore di questi. Decisi di murarlo in cantinacome si vuole che i monaci medioevali murassero le loro vittime.

    A uno scopo simile la cantina si prestava benissimo. Aveva muri poco compattie il rozzo intonaco di cui erano stati recentemente spalmati da cima a fondo non aveva potuto indurirsi per via dell'atmosfera umida. Inoltre una parete presentava una sporgenzadovuta a un falso camino o focolareche era stata riempita così da assomigliare al resto della cantina. Non dubitai minimamente di poter smuovere i mattoni in questo punto per poi inserirvi il cadavere e murare tutto come prima in modo che occhio umano non riuscisse a scoprirvi indizio alcuno.

    E in tale calcolo non mi ingannavo. Mediante una grossa sbarra di ferro sloggiai facilmente i mattonie deposto attentamente il corpo contro la parete interna ve lo rizzai in tale posizionementre con poca fatica rimisi tutto a posto come prima.

    Procuratomi un po' di calcinasabbia e pelocon ogni precauzione possibilepreparai un intonaco indistinguibile dal vecchioe con esso diedi una passata meticolosa all'ammattonato nuovo.

    Quand'ebbi finitomi sentii sicuro che tutto andava bene. Il muro non dava il minimo segno di ritocco. La spazzatura fu raccolta da terra con la massima cura possibile. Mi guardai attorno con aria trionfantee mi dissi: "Qui almeno la mia fatica non è stata vana".

    Il passo successivo fu di cercare la bestia che aveva provocato tanta malvagità; poiché mi ero infine fermamente deciso a metterla a morte. Se avessi potuto incontrarla al momentosul suo destino non avrebbero potuto esserci dubbi; ma a quanto pareva lo scaltro animale si era allarmato della mia violenta collera precedentee con l'umore che avevo adesso si guardava bene dal farsi vivo.

    Impossibile descrivere o immaginare il profondobeato senso di sollievo che l'assenza dell'odiato animale mi suscitò in petto.

    Non comparve durante la notte e così per una notte almenodacché era entrato in casaio dormii saporitamente e tranquillo; sìDORMII pur col fardello dell'omicidio sull'anima.

    Passarono il secondo giorno e il terzoe ancora non si vedeva il mio tormentatore. Ancora una volta respirai da uomo libero. Il mostroterrorizzatoera fuggito per sempre da casa mia! Non l'avrei rivisto più! La mia felicità era suprema! Ben poco mi turbava la colpa del mio misfatto. Si erano fatte alcune indaginima avevano ricevuto pronta risposta. Era stata predisposta anche una perquisizionema naturalmente nulla si poteva scoprire.

    Guardai alla mia felicità futura come cosa assicurata.

    Il quarto giorno dell'assassiniovenne in casa senza preavviso una squadra di poliziottiche procedettero a una nuova rigorosa investigazione dei locali. Sicuro però dell'introvabile nascondiglio che avevo presceltonon provavo il minimo imbarazzo.

    I funzionari mi ordinarono di accompagnarli nella perquisizione.

    Non lasciarono inesplorato nessuna nicchia o angolo. Finalmenteper la terza o quarta voltascesero in cantina. In me non tremava un muscolo. Il cuore mi batteva calmo come quello di chi dorma un sonno innocente. Percorsi la cantina da un capo all'altro. Mi ripiegai le braccia sul pettoe girellai disinvolto. Quelli della polizia erano più che convintie si disposero ad andarsene. La gioia era troppo forte perché potessi contenerla. Smaniavo dalla voglia di dire almeno una parolain segno di trionfoe raddoppiare in loro la certezza della mia innocenza.

    "Signori dissi alfine, mentre il gruppo risaliva le scale, sono felice di aver placato i vostri sospetti. Vi auguro salute e un po' più di cortesia. Tra parentesisignori mieiquestaquesta è una casa molto ben costruita (nella smania di buttar là parole disinvolte, non sapevo quasi che cosa dicessi), direi anzi una casa costruita in maniera ECCELLENTE. Questi muri - ve ne andatesignori? - questi muri sono solidamente fabbricati"; e quiper pura frenesia di fare una bravatapicchiai forte con un bastone che avevo in mano proprio su quella parte dell'ammattonato che dietro di sé celava il cadavere della mia povera moglie.

    Ma possa Iddio proteggermi e salvarmi dalle zanne dell'Arcidiavolo! Il riverbero dei miei colpi si era appena smorzatoche mi rispose una voce dall'interno della tomba; con un grido dapprima attutito e rotto come il singhiozzo di un bimboe poi rapidamente acuito fino a diventare un lungo urlo sonoro e ininterrottoassolutamente anomalo e inumano: un ululatoun grido lamentosometà d'orrore e metà di trionfocome avrebbe potuto sorgere solo dall'infernodalle gole dei dannati nel loro spasimo congiunto all'esultanza dei demoni.

    Dei miei pensieri è follia parlare. Svenendobarcollai per andare ad appoggiarmi alla parete opposta. Per un attimo il gruppo di poliziotti sulla scala rimase immobilein preda a estremosacro terrore. Subito dopo una dozzina di braccia vigorose lavoravano al muroche cadde di schianto. Il cadaveregià putrefatto in gran parte e incrostato di sangue rappresoapparve eretto agli occhi degli spettatori. Sulla testale rosse fauci spalancate e l'occhio singolo in fiammesi appollaiava la bestia orrenda che con le sue arti mi aveva sedotto all'assassinio econ la sua voce accusatriceconsegnato al boia. Avevo murato vivo il mostro nella tomba.

     

     

     

  • La cassa oblunga
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    Alcuni anni fa prenotai la traversata da Charlestone (nella Virginia Meridionale) alla città di New Yorksul postale ' Indipendenza 'comandato dal capitano Hardy. Avremmo dovuto salpare il quindici del mese di giugnotempo permettendo. Il quattordici salii a bordo per sistemare alcuni oggetti nella mia cabina.

    Là venni a sapere che avremmo avuto a bordo moltissimi passeggeri fra cui un gran numero di signore.

    Nell'elenco le persone di mia conoscenza erano parecchie efra gli altri nomifui lieto di scoprire quello di Mister Cornelio Wyattun giovane artistaper il quale nutrivo sentimenti di profonda amicizia; era stato mio compagno di studi all'Università di C.dove eravamo sempre insieme. Aveva il vero temperamento del genioed era un misto di misantropiadi sensibilità e d'entusiasmo; a tali pregipoiuniva il cuore più ardente e fedele che abbia mai battuto nel petto di un uomo.

    Osservai che tre cabine erano intestate a suo nomeescorrendo di nuovo la lista dei passeggerividi che aveva prenotato la traversata per séla moglie e due sorelle. Le cabine erano abbastanza spaziose e fornite ciascuna di due lettinil'uno sopra l'altro. Tali lettinicertoerano eccessivamente strettida non bastare per più di una persona; ma dopo tutto non riuscivo a comprendere come maiper quattro personefossero prenotate tre cabine.

    A quell'epoca mi trovavo in una di quelle cupe disposizioni di spirito che rendono un uomo anormalmente curioso d'ineziee confessonon senza vergognacheintorno a questa storia della cabina in piùfeci una gran quantità di grossolane e assurde congetture.

    Naturalmentela cosa non mi riguardavama non per questo tentai di risolvere l'enigma con minore ostinazione. Alla fine giunsi ad una conclusione che mi fece meravigliare di non esserci arrivato prima: "Si tratta di una domesticanaturalmente mi dissi, come sono stato sciocco a non pensar prima ad una soluzione così ovvia!".

    E allora di nuovo guardai la listama vidi chiaramente che nessuna domestica doveva accompagnare il gruppoanche sein realtàin un primo tempo si fosse pensato di condurne una a bordo; infatti le parole "... e domestica" erano state dapprima scritte e poi cancellate.

    "Oh! Sarà per i bagaglicertamente dissi allora a me stesso; qualche cosa che non desidera sia messo nella stivache vorrà tenere sott'occhio - aheccoci sono! - un dipinto o qualcosa di similee questo deve essere l'oggetto che ha contrattato con Niccolinol'ebreo italiano." Questa idea mi appagòeper il momentocalmai la mia curiosità.

    Conoscevo benissimo le due sorelle di Wyattche erano ragazze graziosissime e intelligentissime. Invece non avevo mai visto sua moglie che egli aveva sposato da poco; l'avevo però sentito parlare di lei con le sue solite maniere entusiastiche e descriverla come una donna di una bellezzadi un'intelligenza e di un'istruzione eccezionali.

    Perciò ero veramente curioso di fare la sua conoscenza.

    Il giorno in cui visitai la nave (il quattordici del mese)anche Wyatt e la sua compagna la visitavano - così m'informò il capitano - e io rimasi a bordo un'ora in più di quanto avevo stabilitonella speranza di essere presentato a sua moglie; maa questo punto giunse un biglietto di scuse: la signora Wyatt era un poco indisposta e non sarebbe salita a bordo che il giorno dopoall'ora della partenza.

    L'indomani mi stavo recando da casa verso il molosenonché Hardy m'incontrò e mi disse che "date le circostanze" (una frase stupidama comoda)egli pensava che l'' Indipendenza ' non avrebbe salpato l'àncora per un paio di giorni ancora, e che, quando tutto fosse stato pronto, avrebbe mandato da me qualcuno ad avvertirmi. La cosa mi parve stranaperché spirava dal Sud una brezza costante; ma poiché "le circostanze" non si rivelavano per quanto cercassi con molta perseveranza di farle uscire dal misteronon mi restò da far altro che tornarmene a casa a digerire la mia impazienza con tutto comodo. Passò circa una settimana senza che ricevessi l'atteso messaggio del capitano.

    Alfine giunse e io corsi a bordo immediatamente; vi era una gran folla di passeggeri e da per tutto il trambusto che è la caratteristica della partenza di una nave. Il gruppo dei Wyatt arrivò circa dieci minuti dopo di me; vi erano le due sorellela moglie e l'artistaquest'ultimo in una delle sue abituali crisi di misantropia. Ma mi ci ero troppo abituato per prestarvi particolare attenzione. A sua moglie non mi presentò nemmenocostringendo a tale dovere di cortesia sua sorella Miriamuna ragazza assai gentile e intelligenteche con poche affrettate parole ci fece conoscere.

    La signora Wyatt era accuratamente velata; e quando sollevò il velo rispondendo al mio inchinoconfesso che rimasi profondamente sorpreso. Ma sarei rimasto sorpreso assai di più se una lunga esperienza non mi avesse consigliato di non credere con troppa fiducia ai grandi entusiasmi del mio amico artista quando si abbandonava alla descrizione della grazia femminile.

    Quando il tema era la bellezzasapevo bene con quale facilità egli si lanciasse nelle regioni del puro idealismo.

    La verità è che io non potevo non considerare la signora Wyatt come una donna del tutto comune; se non era proprio bruttacredo che non fosse molto lontana dalla bruttezza. Era vestitaperòcon gusto squisitoe poine ero sicurodoveva essersi cattivato il cuore del mio amico con le grazie più durature dell'intelletto e dell'anima.

    Non disse che poche parole ed entrò subito nella sua cabina con il signor Wyatt.

    A questo punto si risvegliava il mio spirito inquisitivo. Non vi era alcuna domestica; questo era un fatto ormai accertato; perciò mi diedi a cercare i bagagli in soprannumero. Dopo qualche tempogiunse al molo un carro con sopra una cassa di pino oblunga che sembrava fosse l'unica cosa che si attendesse dato chedopo il suo arrivosalpammo ein breveuscimmo dal porto diretti al largo.

    La cassa in questione eracome ho dettooblunga; misurava in lunghezza sei piediin larghezza due e mezzo; la osservai attentamente perché mi piace essere esatto. Tale forma invero era ' caratteristica '; e appena l'ebbi vistami compiacqui d'aver colto nel segno; ero giunto alla conclusionecome si ricorderàche i bagagli in soprannumero del mio amico artista sarebbero stati costituiti da quadrioalmenoda un quadro; infatti sapevo che aveva trattato per parecchie settimane con Niccolino; e adesso ecco qui una cassa chea giudicare dalla formanon poteva contenerecon tutta probabilitànient'altro che una copia dell''Ultima Cena ' di Leonardo: una copia di questa stessa ' Ultima Cena 'eseguita a Firenze da Rubini il giovaneavevo saputo che era da qualche tempo in possesso di Niccolino. Giudicai quindi che il problema era risolto; pensando all'acume di cui avevo dato prova sogghignai soddisfatto. Era la prima volta che Wyatt mi nascondeva un segreto della sua arte; maquesta voltaera chiaro che intendeva giocarmiportando clandestinamente a New York un bel quadroproprio sotto il mio nasoconvinto che io non ne sapessi nulla. Quindi risolsi prima o poi di beffarlo ben bene.

    Una cosa però m'imbarazzava un poco; la cassa non era entrata nella cabina in soprannumerobensì era stata depositata in quella di Wyatte làper di piùrimaneva sul pavimento ingombrando quasi tutta la cabinasenza dubbio con grave incomodo dell'artista e di sua moglie; tanto più che il catrameo il colore con cui era stata ricoperta di vistose lettere maiuscoleemanava un odore che la mia fantasia mi faceva supporre disgustoso. Sul coperchio erano marcate della parole: "Miss Adelaide CurtisAlbanyNew York. Mittente: Cornelio WyattEsq.

    Non capovolgere. Fragile".

    Io sapevo che Miss Adelaide Curtis di Albany era la madre della moglie dell'artistama poi considerai l'indirizzo come un trucco congegnato apposta per me; ed ero naturalmente sicuro che la cassa e il suo contenuto non sarebbero mai andati oltre lo studio del mio amico misantroposituato in Chambers Street a New York.

    I primi tre o quattro giorni il tempo fu belloquantunque avessimo il vento in pruapoichéappena perduta di vista la costagirammo in direzione nord. I passeggeri erano quindi eccitati e socievoli; ma fra essi devo eccettuare Wyatt e le sue sorelle che continuavano a mostrarsi rigidi e (non potevo non pensare) villani verso il resto dei passeggeri. Del comportamento di Wyatt non mi curavo tantoquantunque fosse assorto anche più del solitoeanziaddirittura ' funebre '; alla sua eccentricità ero preparato. Ma per le sorelle non riuscivo a trovare una scusa; durante la maggior parte del viaggio rimasero nelle loro cabine come recluseequantunque le sollecitassi più volte vivamenterifiutarono ogni contatto con qualsiasi persona che si trovava a bordo. La signora Wyatt dal canto suo era assai più gentile; vale a dire era ciarlierae a bordo essere ciarlieri non è raccomandazione da poco.

    Divenne esageratamente amica della maggior parte delle signore econ mia profonda meravigliamostrò una disposizione inequivocabile a civettare con ' gli uomini '. Ne eravamo tutti assai divertiti: e quasi non so come spiegarmi. La verità è che presto mi accorsi che si rideva molto di più di lei che con lei.

    Gli uomini ne parlavano poco; ma le signoredopo breve temposentenziarono che "era una buona donnad'aspetto quasi indifferentemaleducata esenza dubbiovolgare". La grande meraviglia era come mai Wyatt fosse rimasto preso nella trappola di un simile matrimonio.

    La ricchezza era per quasi tutti la soluzione del problemama io sapevo che non era così poiché Wyatt mi aveva detto che sua moglie non gli aveva portato un dollaroné aveva speranza di doverne ricevere da qualsiasi fonte.

    L'aveva sposataalmeno così m'aveva dettoper amoresoltanto per amoree di tale amore sua moglie era più che degna. Confesso chepensando a tali considerazioni da parte del mio amicomi sentivo indescrivibilmente imbarazzato. Possibile che gli stesse dando di volta il cervello? E che altro avrei potuto pensare? Luicosì raffinatocosì intellettualecosì incontentabile; dotato di una percezione così squisita nel cogliere il minimo difettodi un senso così acuto per la bellezza! Certamentela signora sembrava avesse per lui un attaccamento speciale - in particolare quando egli era assente - se si rendeva ridicola con l'affermare ogni momento che questo e quest'altro le era stato detto dal "suo amato consorte Mister Wyatt".

    La parola ' consorte ' era eternamenteper usare una delle sue delicate espressionieternamente sulla punta della sua lingua.

    Frattantotutti a bordo osservavano che egli la evitava nel modo più palesee per lo più si rinchiudeva solo nella sua cabinadovein realtàsi sarebbe potuto dire che viveva semprelasciando a sua moglie piena libertà di divertirsi come meglio credesse in mezzo alla gente che frequentava la sala centrale.

    Dopo quanto avevo veduto e uditola mia conclusione fu che l'artista per qualche capriccio del destinoo forse in un accesso di passione entusiastica e chimericasi fosse indotto a unirsi a una persona affatto inferiore a luie che poi fosse pervenuto alla conseguenza naturale di tutto ciòun completo e rapido disgusto.

    Lo compiangevo con tutto il cuorema tuttavia non potevo perdonargli la sua diffidenza per me riguardo all'' Ultima Cena '; per questodecisi di vendicarmi.

    Un giorno egli salì in copertaed ioprendendogli un bracciosecondo la mia abitudinecominciai a passeggiare con lui su e giù; il suo tetro umore però (che consideravodate le circostanzeaffatto naturale) non mi parve migliorato; pronunciò poche parole con accento cupo e con visibile sforzo. Tentai alcune facezieed egli fece un debole tentativo di sorridere. Poveretto!

    Pensando a ' sua moglie 'mi meravigliavo che avesse il coraggio di fingere addirittura un po' di allegria. Alla fine tentai un attacco diretto; decisi di cominciare con una serie di velate allusioni o insinuazioni intorno alla cassa oblungatanto per fargli capirea poco a pocoche non ero proprio lo zimbello o la vittima del piccolo imbroglio che aveva così ben ordito. La mia prima osservazione fu una specie di scoprimento delle batterie; dissi qualcosa sulla forma singolare di ' quella cassa '; ecosì dicendoebbi un sorriso d'intesaeammiccandogli puntai un dito sulle costole.

    Il modo in cui Wyatt accolse questa innocua facezia mi convinsedi colpoche era pazzo: prima mi guardò come se gli fosse impossibile comprendere lo spirito della mia osservazionema via via che il significato d'essa sembrava entrargli nel cervelloi suoi occhi parevano protendersi dalle occhiaie; poi si fece scarlattoquindi spaventosamente pallidoe infinecome se ciò che avevo insinuato lo esilarasse tremendamentescoppiò in una sonora e violenta risatache duròin un continuo crescendoper una decina di minutie mi lasciò completamente sbigottito. Alla finecadde pesantemente lungo disteso sul pontee quando mi precipitai per rialzarloaveva tutto l'aspetto di un ' morto '.

    Chiesi aiuto econ molta difficoltàriuscimmo a richiamarlo in vita; masiccome anche dopo essere tornato in sécontinuava a pronunciare parole incoerentigli facemmo un salasso e lo mettemmo a letto. La mattina seguentele condizioni di salute del corpo erano buonedello spiritonaturalmentenon posso dire nulla.

    Durante il resto della navigazione lo evitaicosì mi consigliava il capitanoche condivideva la mia opinione della pazzia del mio amico e che inoltre mi suggerì di non far parola del fatto con nessuno.

    Immediatamente dopo tale accesso di Wyattsi verificarono parecchie circostanze che contribuirono ad accentrare la mia curiosità; etra le altrequesta: avendo i nervi eccitati per aver bevuto tè troppo forte che m'impediva di dormire tranquillamentetrascorsi due notti quasi insonni. Orala mia cabina dava sulla sala centraleo stanza da pranzocome tutte quelle di uomini soli a bordo. Le tre camere di Wyatt facevano parte delle cabine di poppa e dalla sala centrale le separava soltanto una sottile porta che non veniva mai chiusa a chiave neppure di notte. Orapoiché avevamo il vento con noi e questo era assai fortela nave s'inclinava notevolmente; e ogni volta che il fianco destro era sottoventola porta scorrevole si apriva e rimaneva apertae nessuno pensava di chiuderla. La mia cuccetta era in posizione taleche quando la mia cabina era aperta (la lasciavo sempre così per via del caldo) ed era aperta anche la porta scorrevole di cui ho parlatopotevo vedere distintamente in fondo verso poppa e proprio in quella parte dove stavano le cabine del signor Wyatt.

    Ebbenedurante le due notti (non consecutive) che rimasi svegliovidi chiaramente la signora Wyatt verso le undici uscire cautamente dalla cabina di Wyatt ed entrare in quella in soprannumero dove poi rimase sino allo spuntar del giornoquando il marito la chiamò per farla tornare da lui. Era dunque chiaro che virtualmente vivevano separati; in attesa di un divorzio più duraturooccupavano camere separate; questo (pensai) era il mistero della cabina in più.

    Vi fu ancora un'altra circostanza che mi interessò moltissimo.

    Durante le due notti insonni di cui ho parlatosubito dopo la scomparsa della signora Wyatt nell'altra cabinafui attirato da certi singolari rumori in quella di suo marito.

    Dopo averli ascoltati per qualche tempo con profonda attenzionealla fine riuscii a spiegarne la natura. Erano i rumori che faceva l'artista aprendo con una leva e un martello la cassa oblunga; i colpi del martello poia quanto sembravadovevano essere attutiti quasi completamente da qualche sostanzalana o cotoneche ne avvolgeva la testa.

    In tal modo nella mia fantasia distinsi il preciso istante in cui egli sollevava delicatamente il coperchio; credetti perfino di poter determinare il momento in cui lo toglieva del tutto e quello in cui lo posava sul lettino mentre egli cercava di deporvelo pianonon essendovi posto sul pavimento. A ciò fece seguito un silenzio assolutoe non udii nullané la prima né la seconda nottefin quasi all'alba; eccezion fatta per un lieve suonocome di singhiozzio un mormorio così soffocato che era quasi impercettibilese non era addirittura prodotto dalla mia immaginazione.

    Dico che sembrava simile a un singhiozzo o a un sospiromanaturalmentenon poteva essere né l'uno né l'altro e credo dovesse essere piuttosto un ronzio dei miei orecchi. Senza dubbioWyattsecondo il suo solitostava abbandonandosi a una delle sue ubbiesi lasciava trasportare da uno dei suoi accessi d'entusiasmo artistico; aveva aperto la cassa oblunga per offrire alla propria vista il tesoro che racchiudeva; in questo però non c'era nulla che dovesse farlo ' singhiozzare '.

    Ripeto quindi che doveva trattarsi semplicemente di uno scherzo della mia fantasiasovreccitata dal forte tè del buon capitano Hardy. Poco prima dell'albatutte e due le nottiudii distintamente Wyatt rimettere il coperchio della cassa oblunga e piantare i chiodi al loro posto per mezzo del martello imbottito; fatto ciòegli uscì dalla cabina completamente vestitoe andò a chiamare la signora Wyatt.

    Eravamo in navigazione da sette giorni ed ormai a largo di Capo Hatterasquando un tremendo vento ci assalì.

    Eravamo però abbastanza preparati poiché il tempo da qualche giorno era minaccioso. Fu fatto tutto il necessario per affrontare la tempestasia sopra che sotto coperta; e siccome il vento aumentavamettemmo in panna con due mani di terzaruolo alla randa di mezzana e al trinchetto. In tale assetto procedemmo quarantott'ore abbastanza sicuri. La nave si rivelò eccellente sotto molti punti di vista e non imbarcò tanta acqua da doverci preoccupare.

    Al termine di tale periodo peròil fortunale era divenuto uraganoe la nostra vela di poppa era ridotta in brandelli; di conseguenzaci trovammo talmente spesso nel mezzo delle ondate che ricevemmo prodigiosi colpi di mare. In tale accidente perdemmo tre uomini che furono gettati fuori bordola cucina e quasi tutto il parapetto di sinistra. Non appena riacquistato l'uso della ragioneprima che la controranda andasse a brandellialzammo una vela di stallo di fortuna e con questa reggemmo abbastanza bene alcune ore poiché in tal modo la nave prendeva il mare di prora molto più saldamente di prima.

    Tuttavia la tempesta continuava e non dava alcun cenno di smettere. Si trovò che il sartiame era disposto male e molto forzato; e il terzo giorno di ventoverso le cinque del pomeriggioil nostro albero di mezzanain una rollata improvvisa più fortecadde sopra bordo. Per un'ora e piùil rollio della nave frustrò ogni nostro tentativo di liberarci dell'albero eprima che riuscissimo a farloil carpentiere venne ad annunciarci che nella stiva c'erano quattro piedi d'acqua. Per colmo di sventuraci accorgemmo che le pompe erano ostruite e quasi del tutto inutili.

    A bordo non vi era altro che confusione e disperazionema fu fatto uno sforzo per alleggerire la nave gettando fuori bordo tutto ciò che potemmo prendere dal carico e tagliando i due alberi che rimanevano. Alfine ci riuscimmoma eravamo sempre nell'impossibilità di usufruire delle pompe; e intanto l'acqua che entrava aumentava il livello. Verso il tramonto la violenza della tempesta era sensibilmente diminuita e poiché anche il mare si era un poco calmatoavemmo qualche speranza di poterci salvare con le scialuppe.

    Alle otto pomeridiane le nubi si squarciarono sotto l'infuriare del vento e avemmo il vantaggio di una luna pienauna fortuna che servì a rincuorare i nostri spiriti depressi.

    Con una fatica incredibile alla fine riuscimmo a gettar fuori sul fianco della nave la scialuppa a vela senza gravi incidenti; in questa si accalcò tutto l'equipaggio e la maggior parte dei passeggeri; questo primo gruppo si allontanò subitoedopo una fortunosa navigazioneil terzo giorno dopo il naufragio giunse finalmente in salvo a Ocracoke Inlet.

    Rimanevamo ancora a bordo quattordici passeggeri e il capitanoche decisero di affidare la loro sorte all'imbarcazione di salvataggio di poppa. La calammo senza difficoltàquantunque solo un miracolo le impedisse di affondare nel momento in cui sfiorò l'acqua. Quando poté essere caricata vi entrarono il capitano e sua moglieil signor Wyatt e familiariun ufficiale messicano con la moglie e quattro bambini e infine io e un servo negro.

    Com'è naturalenon vi era posto per nient'altro che gli strumenti assolutamente indispensabilialcune provviste e le sole vesti che indossavamo. Nessuno aveva nemmeno pensato di portare in salvo qualcosa. Immaginatevi quindi lo stupore di tutti quandoallontanatici dalla nave di pocoil signor Wyatt si levò in piedi sulla poppa e chiese tranquillamente al Capitano Hardy che la barca tornasse indietro a prendere la sua cassa oblunga!

    "SedeteMister Wyatt rispose il capitano, con una certa durezza; ci rovescerete tutti in acqua se non state tranquillo!

    Il bordo va quasi sotto ormai!".

    "La cassa!" gridò Mister Wyattcontinuando a stare in piedi; "la cassaripeto! Capitano Hardynon potetenon DOVETE rifiutare.

    Pesa pochissimonon pesa nullanulla! In nome di vostra madre che vi ha dato la vitain nome del cielo! per la salvezza della vostra animavi supplico di tornare indietro a prendere la cassa!".

    Per un istante il capitano sembrò vinto dall'ardore di quella implorazionema poi si riprese e disse semplicemente:

    "Signor Wyattvoi siete pazzo. Io non posso darvi ascolto.

    Sedetevi dicoo farete rovesciare la barca! Fermo! Tenetelo!

    Prendetelo! Vuol saltare fuori! Eccolo sapevo! E' finito!".

    Infattimentre il capitano pronunciava queste paroleil signor Wyatt saltò fuori dalla barcae poiché eravamo ancora sottovento del relitto della navecon uno sforzo quasi sovrumano riuscì ad afferrare una corda penzolante. Un momento dopo era già a bordo e si precipitava freneticamente verso le cabine.

    Nel frattempoeravamo stati spinti verso la poppa della navee non essendo più sottoventoci trovammo alla mercè di un mare tremendo che ci spingeva sempre. Compimmo uno sforzo per tornare indietroma la barchetta era come una piuma nella violenza della tempesta. Si vide subito che il destino dell'artista era ormai suggellato. Mentre la nostra distanza dal relitto aumentava rapidamenteil pazzo (poiché non potevamo considerarlo che tale) fu visto tornare in copertadovecon uno sforzo gigantescotrascinò la cassa oblunga. Mentre lo contemplavamo attonitipassò rapidamente parecchi giri di una corda di tre pollici prima intorno alla cassapoi intorno al proprio corpo. L'istante successivotanto il suo corpo che la cassa erano in mare dove scomparivano immediatamente e per sempre.

    Indugiammo un poco tristemente con gli sguardi fissi sul luogo della scena; poi ci allontanammo. Il silenzio durò ininterrotto per un'ora. Alla fine arrischiai un'osservazione.

    "Avete vistoCapitanocome sono affondati improvvisamente? Non è stato molto strano? Confesso d'aver avuto qualche debole speranza che finisse con il salvarsi quando l'ho visto legare il suo corpo alla cassa e gettarsi in mare".

    "Naturalmente sono andati a fondo rispose il Capitano; e con la rapidità di una fucilata. Torneranno presto a gallaperò'ma non prima che il sale si sia disciolto'." "Il sale!" esclamai.

    "Sssst!" fece il Capitanoindicando la moglie e le sorelle del defunto. "Parleremo di queste cose in un momento più opportuno".

    Ci toccò soffrir moltoe a stento potemmo salvarci; ma la fortuna non ci fu meno favorevole che ai nostri compagni della scialuppa a vela. E finalmentedopo quattro giorni di gravi disagisbarcammo più morti che vivi sulla spiaggia di fronte all'isola di Roanoke.

    Restammo là una settimananon troppo maltrattati dai piratie alla fine riuscimmo ad ottenere un passaggio per New York.

    Circa un mese dopo la perdita dell''Indipendenza 'incontrai per caso a Broadway il capitano Hardy. Naturalmente la nostra conversazione cadde sul disastro e specialmente sulla triste fine del povero Wyatt.

    E così appresi i particolari che seguono.

    L'artista aveva prenotato il passaggio per séla mogliedue sorelle e una domestica. Sua moglie era davverocom'egli l'aveva descrittauna graziosissima e compitissima donna. La mattina del quattordici giugno ( il giorno che io avevo visitato la nave per la prima volta) la signora si era improvvisamente ammalata ed era morta. Il giovane marito era quasi impazzito dal dolorema imperiose circostanze gli impedirono di rimandare il viaggio a New York; era necessario portare alla madre di lei la salma dell'adorata moglie; d'altra parte era ben noto il pregiudizio universalmente diffuso che gli avrebbe impedito di far ciò apertamente; infattii nove decimi dei passeggeri avrebbero abbandonato la navepiuttosto che fare il viaggio con un cadavere.

    In tale dilemmail capitano Hardy stabilì che la salmadopo essere stata parzialmente imbalsamata e chiusa in una cassa di dimensioni convenientifosse portata a bordo come merce. Della morte della signora non si doveva far parola; e poiché era risaputo che Mister Wyatt aveva prenotato il posto anche per leifu necessario che qualcuno dovesse impersonarla durante il viaggio; ciò che fu persuasa a fare senza difficoltà la cameriera della defunta. La cabina in piùche in origine era stata prenotata per la ragazzamentre la signora era ancora in vitafu allora semplicemente conservata; e in essanaturalmentedormiva ogni notte la falsa moglie. Durante il giornopoila ragazza sostenevacon tutta l'abilità di cui era capacela parte della signorala cui persona com'era stato rigorosamente accertatoera sconosciuta a bordo a qualsiasi passeggero.

    I miei errori avevano avuto origineabbastanza logicamentedalla precipitazionecuriosità ed eccessiva impulsività del mio temperamento. Ma adesso mi accade di rado di dormire tranquillamente la notte: per quanto facciaogni notte mi si presenta un voltoogni notte ai miei orecchi risuona un'istericainterminabile risata.

     

  • Il ritratto ovale
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    Il castello in cui il mio cameriere personale si era avventurato a entrare forzando una porta anziché permettermigravemente ferito com'erodi passare la notte all'addiaccioera una mole cupa insieme e grandiosadi quelle che da tanto tempo adombrano gli Appennini col loro cipiglio così ben descritto dalla fantasia della signora Radcliffe. Stando a tutte le apparenze era stato recentissimamente abbandonato in via provvisoria. Noi ci insediammo in uno degli appartamenti più piccoli e meno lussuosisito in una torricella fuori mano. Aveva addobbi pregevolima laceri e consunti dall'età. Alle pareti erano appesi arazzi e trofei e panoplie d'ogni generenonchéin numero straordinarioanimatissimi quadri moderni adorni di sontuose cornici dorate.

    Questi quadriche tappezzavano i muri non solo sulle superfici principalima anche in molte nicchie rese necessarie dalla bizzarra architettura del castello; questi quadri avevano suscitato in me un profondo interesse determinato forse dal mio incipiente delirio; cosicché ordinai a Pedro di chiudere le massicce imposte della stanza - poiché era calata già la notte - di accendere i rami di un alto candelabro posto a capo del mio letto e di aprirescostandole al massimole frangiate cortine di velluto nero che avvolgevano il letto. Tutto questo perché volevo potermi abbandonarese non al sonnoalmeno alla contemplazione dei quadri alternata alla lettura di un volumettotrovato sotto il guancialeche ne offriva critica e catalogo.

    A lungo - a lungo lessi - e con devoto fervore contemplai. Le ore volavano rapide e gloriosee fu mezzanotte. La posizione del candelabro mi dava fastidioe sporgendo la mano con difficoltà per non disturbare il sonno del mio cameriere lo collocai in modo da illuminare il libro più in pieno.

    Ma quest'atto produsse un effetto completamente imprevisto. I raggi delle numerose candele (poiché ce n'erano molte davvero) andarono a investire una nicchia che una colonna del letto aveva finora tenuto in ombra assoluta. Scorsi così in una luce viva un quadro che prima mi era del tutto sfuggito: un ritratto di fanciulla in pieno sboccio. Diedi al quadro un'occhiata frettolosa e poi chiusi gli occhi. Perché lo facessi non fu chiaro dapprima nemmeno a me; ma mentre le palpebre mi rimanevano chiusemi andavo mentalmente interrogando per scoprirne la ragione. Era stato un modo impulsivo per guadagnar tempo al pensiero - accertarmi che la vista non mi avesse ingannato - calmare e frenare la mia immaginazione disponendola a uno sguardo più lucido e sicuro. Di lì a pochi momenti tornavo a fissare il dipinto.

    Che ora vedessi giusto non potevo né volevo dubitare; poiché il primo bagliore delle candele su quella tela pareva aver dissipato il sognante stupore che mi pervadeva i sensiper riportarmi di colpo alla veglia cosciente.

    Eracome ho dettoun ritratto di fanciulla. Solo un mezzo bustoeseguito con la tecnica dello sfumato che si chiama ' vignette 'molto simile allo stile delle celebri teste di Sully. Bracciaseno e finanche estremità della raggiante capigliatura si fondevano impercettibilmente con l'ombra vaga ma densa che formava lo sfondo. La cornice era ovalericcamente dorata e filigranata alla moresca. Come oggetto d'artenulla poteva essere più ammirevole di quel dipinto. Ma né la sua fattura né l'immortale bellezza del viso potevano spiegare la subitanea veemenza dell'emozione che mi aveva assalito. E meno che mai poteva darsi che la mia immaginazioneemergendo d'un balzo dal dormivegliaavesse scambiato la testa per quella di una persona viva. Vidi subito che le peculiarità del disegnodello sfumato e della cornice dovevano aver dissipato di colpo simile ideaprevenendone anche un momentaneo perdurare. Riflettendo intensamente su questi puntirimasi forse per un'oraun po' seduto e un po' sdraiatocon gli occhi inchiodati sul ritratto. Finalmenteaccertato il vero segreto del suo effettoricaddi supino fra le coltri. Avevo ravvisato la magia del dipinto in un'assoluta FEDELTA' dell'espressione AL VEROche dopo avermi sbalorditofinì per confondermisoggiogarmi e sgomentarmi. Con timore profondo e reverente rimisi il candelabro nella posizione di prima. Esclusa così dalla vista la causa della mia profonda agitazionecercai ansiosamente il volume che trattava dei quadri e della loro storia. Aprendo il numero che designava il ritratto ovalevi lessi le vaghe ma strane parole che seguono:

    "Era una fanciulla di rara bellezzae non meno gioconda che leggiadra. E malaugurata fu l'ora in cui videamò e sposò il pittore. Luiappassionatostudiosoausterogià aveva una sposa nella sua Arte; leifanciulla di rarissima bellezzaera di una giocondità pari alla sua leggiadrìa: tutta luce e sorrisie scherzosa come una cerbiatta: piena d'amore e di cura per tutte le coseodiava soltanto l'Arte come sua rivale: temendo solo tavolozza e pennelli e altri ostici arnesi che le toglievano la presenza del suo amato. Fu quindi terribile per questa signora sentir parlare il pittore del suo desiderio di ritrarre anche la propria giovane moglie. Ma essa era umile e obbedientee per molte settimane posò nell'alta e buia camera della torricella dove solo dall'alto la luce filtrava sulla pallida tela. Ma luiil pittoresi gloriava dell'opera suache proseguiva di ora in ora e di giorno in giorno. Ed era un uomo passionaleselvaggio e balzanoche si perdeva in fantasticherie; così da NON VEDERE che la luce spettrale di quella torre solitaria minava salute e spirito della sua giovane sposacondannata a languire in modo visibile a tutti tranne che a lui. Eppure essa insisteva nel sorrisosenza lamentivedendo che il pittore (artista famoso) traevadal proprio attivo impegnoun piacere fervido e ardente e lavorava giorno e notte per dipingere colei che tanto lo amavama che giornalmente perdeva animo e forze. E in verità alcuni che videro il ritratto parlarono della sua somiglianza a voce bassacome di un grande portentoche comprovasse non meno la maestrìa del pittore che il suo profondo amore per la donna così insuperabilmente ritratta. Ma alla fineavvicinandosi l'opera alla sua conclusionenessuno fu più ammesso nella torricella; poiché il pittore si era invasato del suo lavoroe raramente stornava gli occhi dalla telaquand'anche per guardare il viso di sua moglie. E non RIUSCIVA a vedere che i colori da lui spalmati sulla tela erano attinti alle guance di chi gli sedeva accanto. E quandotrascorse molte settimanepochissimo restava da fare tranne una pennellata sulla bocca e un grano di colore all'occhiolo spirito della signora guizzò di bel nuovo come la fiamma della lucerna. E allora la pennellata fu applicatae messo a segno il colore; e per un attimo il pittore stette rapito davanti all'opera compiuta; ma subitomentre ancor guardavatremò e impallidìe attonito esclamando a gran voce: "Questa è proprio la VITA stessa!" si volse repentinamente a guardare l'amata: ESSA ERA MORTA!

     

     

     

  • I delitti della Rue Morgue
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    "Quale canzone cantassero le sireneo quale nome assumesse Achille quando si nascose tra le donne per quanto problemi sconcertantinon sono al di là di ogni congettura".

    Sir Thomas Browne

    Le facoltà mentali che definiamo analitichesonodi per sépoco suscettibili di analisi. Le apprezziamo unicamente nei loro effetti. Sappiamo fra l'altro cheper chi le possiede in misura straordinariacostituiscono sempre una fonte di vivissimo godimento. Come l'uomo forte esulta delle sue doti fisichedilettandosi di quegli esercizi che chiamano in causa i suoi muscolicosì l'analista si compiace di quell'attività mentale che DISTRICA. Egli trae piacere da qualsiasi occupazioneanche la più banalepurché metta in azione il suo talento. E' appassionato di enigmidi rebusdi geroglificinel risolvere i quali da prova di ACUMEN che può apparire soprannaturale a un'intelligenza comune. I risultati che egli consegue applicando l'essenzal'anima stessa del metodohanno in realtà tutta l'aria dell'intuizione.

    La facoltà di risoluzione è forse molto rinforzata dallo studio della matematicae in particolar modo dal ramo più nobile di essa cheingiustamentee solo a causa del processo a ritroso delle sue operazioniè stata definita ANALISIcome se lo fosse PER ECCELLENZA. Eppure calcolare non è di per sé analizzare. Un giocatore di scacchiper esempioesegue il primo procedimento senza ricorrere al secondo. Ne segue un'interpretazione completamente errata degli effetti che il gioco degli scacchi ha sulla struttura mentale dell'individuo. Non intendo qui scrivere un trattatoma semplicemente introdurrecon delle osservazionifatte molto a casaccioun racconto un po' strano; colgo quindi l'occasione per sostenere che le facoltà più elevate dell'intelligenza riflessiva sono messe alla prova più a fondo e con maggiore utilità dal gioco più modesto della dama piuttosto che dall'elaborata frivolezza degli scacchi. In quest'ultimo giocodove i pezzi si muovono con mosse diverse e BIZZARREsecondo dei valori vari e variabiliciò che è soltanto complesso viene scambiato (errore piuttosto comune) per ciò che è profondo.

    Si richiede qui la massima capacità d'attenzione. Distrarsi per un attimo significa commettere una svista da cui deriverà un danno o una sconfitta. Poiché le mosse possibili non sono soltanto molteplicima anche complessele occasioni per simili sviste si moltiplicanoe nove volte su dieci vince la partita non il giocatore più acutoma quello che sa maggiormente concentrarsi.

    Nel gioco della damainvecedove il movimento è UNICO e consente poche variazionile probabilità di distrazioni sono minorie dal momento che la semplice attenzione viene impegnata solo relativamentei risultati ottenuti da entrambi gli avversari sono attribuibili soltanto a una maggiore dose di ACUMEN. Per toglierci dall'astratto: immaginiamo una partita a dama dove i pezzi siano ridotti a solo quattro damee dove naturalmente non ci sia da aspettarsi alcuna svista. E' chiaro che qui la vittoria sarà decisa (dal momento che i giocatori si trovano su un piano di parità) da una mossa ' recherchée 'risultato di un eccezionale sforzo mentale. Non potendo valersi dei consueti stratagemmil'analista s'insinua nello spirito dell'avversariosi identifica con essoe non di rado vede cosìa colpo d'occhiol'unica mossa (a volte assurdamente semplice) mediante la quale può indurlo a commettere un errore o affrettare un calcolo sbagliato.

    Da molto tempo si è notata l'influenza che lo ' whist ' esercita su ciò che viene definita capacità di calcolo; e si sa che uomini dotati di eccezionale intelligenzamentre disdegnavano come frivoli gli scacchiricavano da questo gioco un piacere apparentemente inspiegabile. Senza dubbio non c'è nulla del genere che riesca ad impegnare altrettanto profondamente la facoltà dell'analisi. Il miglior giocatore di scacchi della cristianità non sarà nulla di più del miglior giocatore di scacchi; ma il grado di eccellenza nello whist implica una probabilità di successo in tutte quelle imprese tanto più importanti in cui una mente umana si trova a fronteggiarne un'altra. Per grado di eccellenza intendo quella perfezione che presuppone la conoscenza di TUTTI gli espedienti del gioco da cui si possono trarre vantaggi legittimi. Questi non sono soltanto molteplicima multiformie si celano sovente in abissi di pensiero del tutto impenetrabili all'intelligenza ordinaria. Osservare con attenzione significa ricordare distintamente; e sotto questo aspetto il giocatore di scacchi riuscirà molto bene nello whist perché sa concentrarsi; d'altra parte le regole di Hoyle (basate sul puro e semplice meccanismo del gioco) sono in genere sufficientemente chiare a tutti. Cosìavere una memoria incisiva e attenersi al regolamento di gioco sono due requisiti che sembrano definire il buon giocatore per eccellenza. Ma è oltre i limiti delle regole che l'abilità dell'analista si manifesta. In silenzio egli fa tutte le sue osservazioni e deduzioni; altrettanto forse fanno i suoi avversari; ma la differenza nella portata delle indicazioni così ottenute non consiste tanto nella validità della deduzione quanto nella qualità dell'osservazione. Quel che è necessario sapere è che cosa si deve osservare. Il nostro giocatore non si pone limitinéper il fatto che il gioco è l'oggetto primo della sua concentrazioneegli manca di trarre deduzioni da fattori estranei alla partita. Scruta l'espressione del suo compagnoconfrontandola attentamente con quella di tutti i suoi avversari.

    Osserva il modo in cui ciascuno ordina le proprie cartecontando sovente un atout dopo l'altro e un punto dopo l'altro dalle occhiate che via via vi lanciano quelli che ne sono in possesso.

    Nel corso del gioco non si lascia sfuggire le minime alterazioni dei voltitraendo le sue prime considerazioni in base al loro atteggiarsi ad espressioni di sicurezzadi sorpresadi trionfo o di dispetto. Dal modo di raccogliere un'alzata giudica se la persona che la prende ha o no la possibilità di combinarne un'altra. Riconosce la carta che viene giocata per ingannare dal modo con cui essa viene gettata sul tavolo. Una parola buttata là per caso o pronunciata inavvertitamente; una carta caduta o scoperta accidentalmente che venga quindi nascosta con nervosismo o con indifferenza; il conteggio delle alzatel'ordine in cui si succedono; imbarazzoesitazioneprontezza o ansia - tutto serve alla sua percezione apparentemente intuitiva per trarre indicazioni sullo stato effettivo delle cose. Dopo che sono state giocate le prime due o tre maniegli conosce alla perfezione le carte di cui ciascuno disponee da quel momento può buttar giù le sue seguendo un piano così preciso come se il resto della compagnia giocasse a carte scoperte. Il potere di analisi non dovrebbe essere confuso con la semplice ingegnosità; poiché mentre l'analista è necessariamente ingegnosol'uomo ingegnoso è sovente notevolmente incapace di analisi. La capacità di ricostruzione o di combinazioneattraverso cui si manifesta comunemente la ingegnositàe alla quale i frenologi hanno assegnato (a tortodirei) un organo separatoconsiderandola una facoltà primordialeè stata riscontrata tante volte in persone il cui livello intellettivo sfiorava - per il resto - l'idioziada attirare l'attenzione di tutti gli scrittori di psicologia. Tra le ingegnosità e l'abilità analitica esiste in effetti una differenza ancor più notevole di quella che corre fra la fantasia e l'immaginazionebenché di un genere strettamente analogo. Si constaterà difatti che l'uomo ingegnoso è sempre pieno di fantasiamentre l'uomo veramente ricco di immaginazione non è mai altro che analitico.

    Il racconto che segue costituirà per il lettore una specie di commento a quanto si è andato fin qui dicendo.

    Fu a Parigidove mi trattenni per tutta la primavera e parte dell'estate del 18..che feci la conoscenza di un certo Monsieur C. Auguste Dupin. Questo giovane apparteneva a un'ottimaanzi ad un'illustre famigliama una serie di disgrazie l'aveva ridotto in uno stato tale di povertà da spegnere in lui ogni energiatanto che aveva smesso di lottare per una posizione in società e di preoccuparsi di ricostituire il nostro patrimonio. Grazie alla clemenza dei suoi creditori aveva potuto trattenere per sé una piccolissima parte dei suoi beni; econ la rendita che questi gli fruttavanoriuscivaper mezzo di una inflessibile economiaa procurarsi il necessario per viveresenza darsi pensiero del superfluo. La sua unica debolezza erano i libricosa tutt'altro che difficile da procurarsi a Parigi.

    Ci incontrammo la prima volta in un'oscura libreria di Rue Montmartredove il fatto di essere entrambiper casoalla ricerca dello stesso libro di considerevole rarità e interesseci rese subito amici. Ci rivedemmo di sovente da allora. Mi interessò estremamente la breve storia della sua famiglia che egli mi raccontò fin nei minimi dettagli con tutto quel candore di cui è capace un francese quando si tratta di parlare di sé. Rimasi anche meravigliato nel constatare quanto fosse vasto il campo delle sue letture; e soprattutto sentii il mio spirito infiammarsi a contatto con la forza travolgente e la vivida freschezza della sua immaginazione. Dato quel che mi interessava scoprire allora in Parigiebbi la sensazione che la compagnia di un uomo simile mi sarebbe stata preziosa oltre ogni diree francamente glielo confidai. Combinammo alla fine di abitare insieme per tutta la durata del mio soggiorno in città; e poiché la mia situazione finanziaria non era così disperata come la suapotei addossarmi le spese dell'affitto e dell'arredamento in uno stile che armonizzasse con la malinconia un po' estrosacaratteristica del nostro temperamentodi una casa grottescarosa dal temporimasta a lungo disabitata a causa di certe superstizioni che trascurammo di indagaree che sorgevasemidiroccata ormaiin una zona solitaria e squallida del Faubourg St.-Germain.

    Se la gente fosse venuta a conoscenza delle nostre abitudini in quella casacerto ci avrebbe considerato dei pazzianche seforsepazzi innocui. Il nostro isolamento era assoluto. Non ricevevamo visite. Mi ero anzi preoccupato di tenere segreto alle mie amicizie di vecchia data il luogo del nostro ritiro; e in quanto a Dupinerano ormai molti anni che non conosceva e non era più conosciuto da nessuno a Parigi. Esistevamo soltanto per noi stessi.

    Una delle stranezze del mio amico (come diversamente potrei definirle?) consisteva nell'amare la Notte per se stessa; ed io mi lasciai andare a questa sua ' bizarrerie 'come a tutte le altrepiegandomi ai suoi capricci fantastici con assoluto ' abandon '.

    La tenebrosa dea non era sempre con noima noi potevamo ricrearla artificialmente. Al primo accenno d'alba accostavamo tutte le pesanti imposte della vecchia casaaccendendo un paio di candelefortemente profumateche spandevano soltanto una pallida luce spettrale. Con il loro aiutoschiudevamo l'anima nostra ai sognileggendoscrivendo o conversandofinché l'orologio ci annunziava l'ora della vera Oscurità. Allora uscivamo per le stradesottobraccioriprendendo gli argomenti discussi in giornatao gironzolando di qua e di là fino a tarda notteperseguendotra le luci accecanti e le ombre della città popolosaquello stato mentale di esasperato eccitamento che solo ci può venire da un'osservazione tranquilla.

    In quelle occasioni non potei fare a meno di notare e ammirare in Dupin "anche se a questo mi aveva preparato la sua eccezionale capacità intellettiva) una sviluppatissima abilità analitica.

    Sembrava anche che dall'esercizio di questa facoltàse non proprio dall'ostentazione di essaegli traesse grande piacerecome d'altronde egli stesso non esitava a confidarmi. Con una piccola risatina sommessa si vantava con me del fatto che la maggior parte degli uomini gli si presentava con delle finestre spalancate sul pettoed era pronto a convalidare tali spiegazioni con delle prove dirette e sbalorditive della conoscenza profonda che aveva di me. In quei momenti i suoi modi erano freddi e distanti; gli occhi inespressivimentre la vocedi solito caldamente vellutatasi inaspriva in un tono acuto che sarebbe parso petulante se non fosse stato per la determinazione e l'assoluta chiarezza della pronuncia. Osservandolo in questi particolari stati d'animomi sorprendevo sovente a meditare sull'antica filosofia dell'anima bipartitadivertendomi all'idea di un duplice Dupin: uno creativo e l'altro analizzatore.

    Non si deve pensareda quanto ho dettoche io stia rivelando un mistero o costruendo un romanzo. Quello che ho descritto in questo francese era soltanto il risultatol'effetto di un'intelligenza eccitata e forse ammalata. Ma un esempio varrà meglio di ogni altra cosa ad illustrarvi la natura delle sue osservazioni nei momenti ai quali ho accennato.

    Passeggiavamo una notte per una lunga strada sudicia nelle vicinanze del Palais Royal. Immersi entrambi nei nostri pensierinon avevamo profferito sillaba da almeno un quarto d'ora.

    All'improvviso Dupin ruppe il silenzio con queste parole:

    "E' davvero molto piccoloe sarebbe più adatto per il Théâtre des Variétés".

    "Non c'è dubbio risposi meccanicamente, non rendendomi conto al primo momento (tanto ero preso dalle mie riflessioni) della straordinaria esattezza con cui il mio interlocutore si era riagganciato al filo delle mie meditazioni. Me ne sovvenni un istante dopo, e il mio sbalordimento fu profondo.

    Dupin dissi, gravemente, questo è più di quanto riesca a capire. Devo ammettere che mi avete sbalorditoe sono quasi tentato di non credere ai miei sensi. Come avete potuto indovinare che stavo pensando a...?" E qui m'interruppiper accertarmi definitivamente se sapesse davvero a chi stavo pensando.

    "... a Chantilly finì Dupin, ma perché v'interrompete? Stavate rilevando fra di voi che la sua bassa statura lo rende inadatto a recitare tragedie".

    E questo era stato per l'appunto l'oggetto delle mie riflessioni.

    Chantilly era un ex-ciabattino della Rue St.-Denisil qualepazzo per il teatrosi era cimentato nel ' rôle ' di Sersenell'omonima tragedia di Crébillone i suoi sforzi erano stati oggetto di scherno generale.

    "Ditemiper amor del cielo esclamai, quale metodo - se pure metodo c'è - vi ha permesso di scandagliare il mio pensiero su questo argomento".

    Effettivamente ero anche più sorpreso di quanto fossi disposto ad ammettere.

    "E' stato il fruttivendolo rispose il mio amico, a portarvi alla conclusione che quel rappezza-suole non aveva statura sufficiente per Serse et id genus omne".

    "Il fruttivendolo!... Mi stupite... Non conosco nessun fruttivendolo".

    "L'uomo che vi ha urtato quando abbiamo imboccato questa strada...

    sarà circa un quarto d'ora fa".

    Mi ricordai infatti che un fruttivendoloche reggeva sul capo un enorme cesto di melemi aveva quasi buttato per terraper sbagliomentre passavamo dalla Rue C... nella via dove adesso ci trovavamo; ma che cosa avesse a che vedere questo con Chantilly proprio non mi riusciva di capire. Non c'era un briciolo di ' charlatanerie ' in Dupin.

    "Ora vi spiegherò mi disse, e perché possiate capire ogni cosa con chiarezzacominceremo col riesaminare l'ordine di successione dei vostri pensieri dal momento in cui vi ho parlato fino a quello della ' rencontre ' col fruttivendolo in questione. Gli anelli principali di questa catena si saldano in questa successione:

    ChantillyOrionDottor NicholsEpicurola stereotomiail selciatoil fruttivendolo".

    Sono poche le persone che non si siano divertitein qualche periodo della loro vitaa ripercorrere i passi compiuti dalla loro mente per arrivare a certe determinate conclusioni. E' un'occupazione che ha in sé molti motivi di interesse; e colui che l'esperimenta per la prima volta si stupisce dell'incoerenza e della distanzaapparentemente incolmabileche corre tra il punto di partenza e quello d'arrivo. Quale non fu dunque la mia meraviglia quando mi sentii dire dal francese quel che vi ho riportato e quando fui costretto a riconoscere che le sue parole corrispondevano a verità. Dupin continuò:

    "Avevamo parlato di cavallise ben ricordoprima di lasciare la Rue C... Fu questo il nostro ultimo argomento. Mentre attraversavamo la strada per imboccare questa viaun fruttivendolo con una grande cesta in bilico sul caposuperandoci di gran frettavi spinse sopra un mucchio di pietre da pavimentazione accatastate in un punto in cui il marciapiede è in riparazione. Siete inciampato in una delle pietre sparse all'intornosiete scivolato storcendovi leggermente la cavigliaavete assunto un'aria seccata o perlomeno rannuvolataavete borbottato qualche parolavi siete voltato indietro a guardare il mucchio di sassi e poi avete ripreso a camminare in silenzio. Non prestavo soverchia attenzione a quanto facevate; ma ultimamente l'osservazione è diventata per me una specie di mania.

    "Avete tenuto abbassati gli occhi per terralanciando sguardi indispettiti alle buche e ai solchi del marciapiede (per cui conclusi che stavate ancora pensando alle pietre)finché giungemmo al vicoletto Lamartineche è stato lastricato in via sperimentale con dei blocchi saldati e sovrapposti. Qui notai che il vostro viso si rasserenava e da un movimento delle vostre labbra mi convinsi che stavate mormorando la parola 'stereotomia' termine che si applica con una certa affettazione a questo tipo di lastricato. Sapevo che non avreste potuto pronunciare tra voi il vocabolo 'stereotomia' senza essere portato a pensare agli atomi e di conseguenza alla teoria di Epicuro; e poiché quando discutemmo questo argomento non molto tempo fa vi accennai al fatto davvero singolareanche se praticamente ignoratoche le vaghe ipotesi di questo illustre greco fossero state confermate dalla più recente cosmogonia nebularemi parve che non avreste potuto fare a meno di alzare gli occhi verso la grande nebulosa d'Orione e mi apprestai con una certa sicurezza a vedervelo fare. Voi guardaste in alto; e fui allora certo di aver seguito esattamente il corso del vostro pensiero. Ma in quella spietata ' tirade ' contro Chantillypubblicata ieri sul ' Musée ' l'articolistaalludendo ironico e malevolo al cambiamento di nome del calzolaio all'atto di calzare il coturnocitò un verso latino sul quale abbiamo sovente discusso. Mi riferisco a quel verso che dice:

    Perdidit antiquum litera prima sonum.

    "Vi avevo spiegato che questo si riferiva a Orioneche in passato si scriveva Urione; e per certe particolarità pungenti connesse alla spiegazione ero certo che non l'avreste dimenticato. Era evidente perciò che non avreste mancato di riaccostare le due idee di Orione e Chantilly. E che effettivamente le associaste lo capii dalla natura del sorriso che vi aleggiò sulle labbra. Pensavate al sacrificio del povero ciabattino. Fino allora avevate camminato tutto ricurvo ma ora notai che vi erigevate in tutta la vostra statura. Fui certo a questo punto che stavate riflettendo sull'altezza di Chantilly. Fu allora che interruppi il corso dei vostri pensieri per osservare che era proprio un ominoquel Chantillye che avrebbe figurato meglio al Théâtre des Variétés".

    Poco tempo doposcorrendo l'edizione della sera della ' Gazette des Tribunaux 'la nostra attenzione fu attratta da questo articolo di cronaca.

    SENSAZIONALE DELITTO. - Verso le tre di questa mattinagli abitanti del quartiere St.-Roch furono destati da un susseguirsi di urla terrorizzanti provenienti apparentemente dal quarto piano di una casa situata in Rue Morguenotoriamente abitata soltanto da Madame L'Espanaye e da sua figliaMademoiselle Camîlle L'Espanaye. Dopo qualche minutoperso nel vano tentativo di entrare nel caseggiato per via normaleil portone veniva forzato con una sbarrae un gruppetto di viciniuna decina circavi fecero irruzione insieme a due gendarmi. Nel frattempo le grida erano cessate; mamentre gli accorsi salivano precipitosamente la prima rampa di scalesi udirono due o più voci aspre impegnate in un violento alterco che parevano provenire dal piano superiore della casa. Ma nel momento in cui fu raggiunto il secondo pianerottolo anche questi rumori cessarono e tutto ripiombò nel più profondo silenzio. Il gruppo si divise irrompendo nelle diverse stanze. Arrivati a una vasta stanza sul retro del quarto piano (la cui portachiusa dall'internodovette essere forzata)agli occhi dei presenti si offrì uno spettacolo tale da agghiacciarli d'orrore oltre che di sbalordimento.

    L'appartamento era tutto sottosoprai mobili rotti e scaraventati in ogni direzione. C'era un unico lettoe da questo era stato divelto il pagliericcio e gettato nel mezzo del pavimento. Su una sedia era posato un rasoiomacchiato di sangue. Nel caminetto c'erano due o tre lunghe e folte ciocche di capelli grigianch'esse intrise di sangueche parevano essere strappate dalle radici. Sul pavimento furono rinvenuti quattro napoleoniun orecchino di topaziotre grandi cucchiai d'argentotre più piccoli di métal d'Algere due borsecontenenti quasi quattromila franchi in oro. I cassetti di un bureauposto d'angoloerano aperti ed erano stati evidentemente saccheggiatinonostante contenessero ancora svariati oggetti. Una piccola cassaforte in ferro venne trovata sotto il pagliericcio (non sotto il letto). Era apertacon la chiave ancora nella serratura. Non conteneva che lettere di vecchia data e altre scartoffie di trascurabile importanza.

    Non veniva scoperta traccia alcuna di Madame L'Espanaye; ma essendo stata notata una quantità insolita di fuliggine nel caminosi procedeva a un esame della cappae (orribile a dirsi!) ne veniva trattoa testa all'ingiùil cadavere della figliache era stato forzato in quella posizione per un buon tratto su per la angusta apertura. Il corpo era ancora caldo. Osservandolo si riscontrarono molte escoriazioni provocate senza dubbio dalla violenza con cui era stato spinto su per il camino e successivamente liberato. Il viso presentava numerose e profonde graffiaturee la gola lividi violacei e marcate impronte di unghiecome se la disgraziata vittima fosse stata strangolata.

    Dopo una minuziosa perlustrazione condotta per ogni angolo della casa che non portò però a nessuna ulteriore scopertail gruppo di persone si diresse a un piccolo cortile lastricato sul retro della casadove giaceva il cadavere della vecchia signoracon la gola tagliata tanto selvaggiamente chenel tentativo fatto per sollevare la salmala testa si staccò nettamente dal busto. Sia il corpo che la testa erano orribilmente mutilatiil primo specialmente era così sfigurato da non serbare quasi più traccia di parvenza umana.

    A quanto ci risulta non è ancora stato scoperto il minimo indizio che possa gettare luce su questo orrendo mistero.

    All'indomani il giornale portava in aggiunta questi particolari.

    LA TRAGEDIA DELLA RUE MORGUE. - Molte persone sono state interrogate in relazione a questo incredibile e mostruoso affare (la parola ' affaire ' non ha ancora assunto per i francesi quel significato di trascurabile importanza che ha da noi)ma nulla è trapelato che potesse servire a svelarne il mistero. Riportiamo qui sotto tutte le informazioni ricavate nel corso delle deposizioni.

    Pauline Dubourglavandaiadepone di conoscere entrambe le vittime da tre anni per aver prestato loro i suoi servizi durante tutto quel periodo. La vecchia signora e sua figlia parevano vivere in ottimi rapportimolto affezionate l'una all'altra.

    Pagavano puntualmente. Non saprebbe dire come e con quali mezzi di sussistenza vivessero. Credeva che Madame L. si guadagnasse da vivere predicendo la buona ventura. Si mormorava che avesse da parte qualche risparmio. Dichiara di non aver mai incontrato nessuno in casa quando vi andava per consegnare o ritirare la biancheria. Era sicura che non tenessero persone di servizio.

    Pareva chefatta eccezione per il quarto pianonon vi fossero mobili in nessun'altra parte della casa.

    Pierre Moreautabaccaiodepone d'aver venduto abitualmente per quasi quattro anni piccole quantità di tabacco e di polvere da annusare a Madame L'Espanaye. E' nato nel quartiere e vi ha sempre abitato. La defunta e sua figlia occupavano da più di sei anni la casa dove sono stati rinvenuti i loro cadaveri. Precedentemente vi aveva abitato un gioielliere che subaffittava il piano superiore a varie persone. La casa era di proprietà di Madame L. Scontenta dell'abuso che il suo inquilino faceva dei localivi si era trasferita lei stessarifiutandosi di affittare gli altri piani.

    La vecchia signora era un po' ritardata mentalmente. Il testimone aveva visto la figlia cinque o sei volte in tuttoin circa sei anni. Le due donne facevano vita estremamente ritiratae si diceva che avessero denaro. Aveva sentito dire dai vicini che Madame faceva la chiromantema non ci credeva. Non aveva mai visto nessuno varcare il loro portonetranne la vecchia signora e sua figliaun fattorino un paio di voltee un medico forse una decina di volte.

    Molte altre persone del quartiere hanno deposto in questo senso.

    Di nessuno è stato detto che frequentasse la casa. Non si sapeva se Madame L. e sua figlia avessero ancora qualche parente in vita.

    Le imposte delle finestre sulla facciata venivano aperte di rado.

    Quelle che davano sul retro rimanevano sempre chiuse tuttetranne quelle della grande stanza del quarto piano. La casa era un bell'edificionon molto antico.

    Isidore Musètgendarmedepone di essere stato chiamato a quell'indirizzo verso le tre del mattinoe di aver trovato davanti al portone un gruppo di circa venti o trenta persone che cercavano di entrare. Infine si era riusciti a forzarlo con una baionettanon con una spranga. Non era stato difficile aprirlo trattandosi di una porta a due battentipriva di sprangasia in alto che in basso. Le urla si ripeterono finché il portone venne sfondatopoi cessarono di colpo. Parevano emesse da qualcuno (o da più persone) che stesse soffrendo pene atrocierano forti e prolungatenon brevi e rapide. Fu il testimone a far strada verso i piani superiori. Raggiunto il primo pianerottolosentì levarsi due voci in un'aspra e violenta liteuna era una voce raucal'altra molto più acutadi un tenore davvero strano. Poté percepire alcune parole pronunziate dalla primache indubbiamente apparteneva a un francese. Era certo che si non si trattasse di una voce di donna. Riuscì a distinguere le parole ' sacré ' e ' diable '. La voce stridula era quella di uno straniero ma non saprebbe dire se si trattasse di una voce di uomo o di donna. Non era riuscito ad afferrare quel che veniva dettoma gli pareva che la lingua parlata fosse lo spagnolo. Lo stato della camera e dei cadaveri venne descritto come noi l'abbiamo riferito ieri. Henri Duvalun vicino di professione oreficedepone di essersi trovato fra quelli che per primi entrarono nella casa. Conferma (in linea di massima) la deposizione di Musèt. Appena ebbero forzato il portone lo richiusero per impedire l'accesso alla folla chenonostante l'ora tardasi era andata rapidamente assembrando. La voce stridulasecondo l'affermazione di questo testeapparteneva a un italiano. Certamente non a un francese. Non poteva affermare che si trattasse di una voce maschile; avrebbe potuto essere di donna. Non conosceva l'italiano. Non era riuscito a distinguere le parolema dall'intonazione era certo che chi parlava doveva essere un italiano. Conosceva Madame L. e sua figlia. Aveva parlato sovente con entrambe. Era convinto che la voce stridula non appartenesse né all'una né all'altra vittima.

    ... Odenheimerrestaurateur. Si è presentato spontaneamente a testimoniare. Non sapendo parlare francese è stato interrogato a mezzo di un interprete. E' nato ad Amsterdam. Passava davanti alla casa nel momento in cui riecheggiarono quelle grida. Erano urla prolungate e altepaurose e strazianti. Fu uno di quelli che entrarono nella casa. Confermava le deposizioni precedenti su tutti i punti meno uno. Era certo che la voce stridula fosse quella di un uomodi un francese. Non riuscì tuttavia a distinguere le parole pronunciate. Erano forti e rapidesconnessecome se fossero state proferite in un accesso di paura oltre che di collera. La voce era aspranon tanto stridula quanto aspra. Non l'avrebbe proprio definita stridula. La voce roca ripeté più volte "sacré"diablee una volta "mon Dieu".

    Jules Mignaudbanchieredella ditta Mignaud e FigliRue Deloraine. E' il maggiore dei Mignaud. Madame L'Espanaye aveva una piccola fortuna. Aveva aperto un conto nella sua banca nella primavera dell'anno... (otto anni prima). Effettuava sovente dei depositi di piccole somme. Non aveva mai prelevato nulla fino a tre giorni prima della sua morte quando era venuta a ritirare personalmente una somma di quattromila franchi. L'ammontare era stato pagato in oro e mandato a casa a mezzo d'un fattorino.

    Adolphe Le Bonfattorino di Mignaud e Figlidepone di aver accompagnato il giorno suddettoverso mezzogiornoMadame L'Espanaye fino alla sua abitazione con i quattromila franchi riposti in due borse. All'aprirsi della porta gli si parò innanzi Mademoiselle che gli tolse dalle mani una delle borse mentre la vecchia signora prendeva in consegna l'altra. Dopo un inchino di saluto si congedò. Non scorse nessuno per strada a quell'ora. E' un vicolo lateralepochissimo frequentato.

    William Birdsartodepone di essere stato fra le persone che penetrarono all'interno della casa. E' inglese. Vive a Parigi da due anni. Fu uno dei primi a lanciarsi per le scale. Udì le voci alzarsi nell'alterco. La voce roca apparteneva a un francese. Poté distinguere qualcuna delle parole pronunciatema al momento non se le ricorda tutte. Udì distintamente "sacré" e "mon Dieu". In quel momento c'era un rumore come di più persone impegnate in una lotta - un rumore di zuffa e di scalpiccii. La voce stridula era fortemolto più forte di quella rocae certo non era quella di un inglese. Sembrava quella di un tedesco. Avrebbe potuto essere una voce di donna. Non conosce il tedesco.

    Quattro dei sopra citati testiriconvocatihanno deposto che la porta della camera in cui fu rinvenuto il cadavere di Mademoiselle L. era chiusa dall'interno quando arrivò il gruppo di persone. Il silenzio era assolutonon un gemitonon un rumore di nessun genere. Forzata la portanon si vide nessuno nella stanza. Le finestresia quella della stanza che dà sul retro della casa quanto quella che si apre sulla facciataerano chiuse e saldamente assicurate dall'interno. Una porta di comunicazione tra le due camere era chiusama non a chiave. La porta che mette in comunicazione la stanza che dà sulla facciata con il corridoio era chiusa a chiavecon la chiave all'interno. Uno stanzino prospiciente la casaal quarto pianoall'estremità del corridoioera apertocon l'uscio accostato. Questa stanza rigurgitava di vecchi lettidi scatolee così via. Tutti questi oggetti vennero scrupolosamente rimossi e esaminati. Non c'è un centimetro di angolo di casa che non sia stato minuziosamente perquisito. Si spazzarono anche i camini con delle scope. La casa consisteva di quattro piani più le soffitte (mansardes). Un lucernario sul tetto era inchiodato molto saldamente e lasciava supporre di non essere stato aperto da anni. Il tempo trascorso tra il momento in cui si udirono le voci alzarsi nella lite e quello in cui fu forzata la portavaria secondo le deposizioni dei vari testi. Alcuni lo calcolano in tre minutialtri lo prolungano fino a cinque. La porta fu aperta con difficoltà.

    Alfonzo Garcioimpresario di pompe funebridichiara di abitare in Rue Morgue. E' spagnolo. Fu tra quelli che irruppero nella casa. Non salì ai piani superiori. E' impressionabilee temeva le conseguenze di un forte turbamento. Sentì le voci nell'alterco. La voce roca era quella di un francese. Non poté capire cosa dicesse.

    La voce acuta apparteneva a un inglesema giudica dall'intonazione.

    Alberto Montanipasticceredepone di essere stato uno dei primi a salire le scale. Sentì le voci in questione. La voce roca era quella di un francese. Distinse diverse parole. Colui che parlava sembrava rimproverare qualcuno. Non riuscì a comprendere quel che diceva la voce stridula. Parlava velocemente e a scatti. Pensa che fosse la voce di un russo. Conferma le altre testimonianze in linea generale. E' un italiano. Non ha mai conversato con un russo.

    Diversi testiqui riconvocatihanno deposto che tutti i camini delle stanze del quarto piano erano troppo stretti per permettere il passaggio di un essere umano. Per ' scope ' intendevano quelle spazzole cilindriche che vengono usate dagli spazzacamini. Quelle spazzole vennero fatte passare attraverso tutte le tubature della casa. Non ci sono passaggi sul retro che potessero offrire a qualcuno una via di scampo mentre il gruppo di accorsi saliva ai piani superiori. Il corpo di Mademoiselle L'Espanaye era così saldamente incastrato nel camino che ci vollero gli sforzi combinati di quattro o cinque persone per estrarvelo.

    Paul Dumasmedicodepone di essere stato chiamato ad esaminare i cadaveri verso l'alba. Al suo arrivo erano entrambi composti sul pagliericcio del letto nella camera dove era stata rinvenuta Mademoiselle L. Il cadavere della ragazza presentava molte ecchimosi ed escoriazioni. Il fatto che fosse stato forzato su per il camino giustificava sufficientemente le sue condizioni. Appena sotto il mento si riscontravano diversi graffi profondioltre a una serie di lividure che erano evidentemente impronte di dita. Il viso era spaventosamente lividoe gli occhi sporgevano all'infuori. La lingua era stata parzialmente morsicata. Una larga ecchimosi fu scoperta alla bocca dello stomacocausataall'apparenzadalla pressione di un ginocchio. Secondo il signor DumasMademoiselle L'Espanaye era stata strangolata da una o più persone ignote. Il cadavere della madre era orrendamente sfigurato. Tutte le ossa della gamba e del braccio destro erano più o meno fratturate. La tibia sinistracome pure le costole del fianco sinistrosi presentavano scheggiate in più punti. Il corpospaventosamente illividitoera tutto ricoperto di contusioni. Non era possibile stabilire come fossero stati vibrati i colpi. Una pesante mazza di legnoo una grossa sbarra di ferrouna sediaqualsiasi tipo di armagrandepesante e contundenteavrebbe potuto conseguire risultati simili se manovrata da un uomo di forza eccezionale. Nessuna donna avrebbe potuto inferire colpi simili con nessun'arma. La testa della vittimaquando il teste la videera completamente staccata dal bustoe a sua volta sfracellata. La gola era stata evidentemente recisa con qualcosa di molto tagliente: con tutta probabilità un rasoio.

    Alexandre Etiennechirurgofu chiamato con M. Dumas ad esaminare i cadaveri. Conferma la deposizione e il parere medico di M.

    Dumas.

    Nient'altro di importante è emersononostante siano state interrogate diverse altre persone. Un assassinio così misterioso e tanto intricato nei particolari non era mai stato finora commesso a Parigise pur si tratta di assassinio. La polizia si dibatte nelle tenebre più fittefatto davvero insolito in situazioni di questo genere. Non è stata comunque scoperta sinora nemmeno l'ombra di una traccia.

    L'edizione serale del giornale pubblicava che nel quartiere St.- Roch si viveva tuttora in uno stato di grande agitazioneche i locali in questione erano stati minuziosamente ispezionati una seconda voltae che altri testi erano stati chiamati a deporrema tutto senza alcun risultato. Un'aggiunta comunicava però che Adolphe Le Bon era stato arrestato e tradotto in carcereanche se nessuna prova era emersa contro di luiall'infuori dei fatti già riportati.

    Dupin appariva vivamente interessato allo svolgimento di questo casoperlomeno così dedussi dal suo atteggiamento perché egli si astenne da qualsiasi commento. Fu soltanto dopo aver appreso che Le Bon era stato arrestatoche mi chiese la mia opinione sul delitto.

    Non potei che limitarmi a convenire con tutta Parigi che la faccenda costituiva un mistero insolubile. Non vedevo nessun mezzo mediante il quale poter risalire fino all'assassino.

    "Non dobbiamo giudicare dei mezzi disse Dupin, da questa parvenza d'indagine. La polizia pariginatanto celebrata per il suo ACUMENè scaltrama nulla di più. Non adotta nessun metodo d'investigazione che non sia quello suggerito dal momento. Ostenta un vasto spiegamento di misuremanon di radoqueste sono così poco adatte agli scopi che si prefigge da farci rammentare di Monsieur Jourdain che ordinava la sua Robe-de-chambrepour mieux entendre la musique. I risultati così conseguiti sono spesso sorprendentimaper la maggior parte imputabili semplicemente alla diligenza e all'attività dei suoi funzionari. Venendo a mancare queste qualitàtutti i suoi piani falliscono. Vidocqper esempioaveva buona intuizione e grande perseveranzamamancando di una disciplina mentaleveniva sviato continuamente dall'intensità stessa delle sue investigazioni. La sua visione si sfocava per vicinanza eccessiva dell'oggetto. Era magari in grado di scorgere con una chiarezza non comune due o tre puntima così facendoperdeva la visione del problema nel suo insieme. Anche l'eccessiva profondità può essere dunque un difetto. Non sempre la verità è in fondo a un pozzo. In effettiper quel che riguarda le questioni più importantisono convinto che essa sia invariabilmente superficiale. Profonde sono le valli dove noi l'andiamo a cercarema è sulle vette delle montagne che la si può trovare. Gli aspetti e le origini di questo tipo di errore si trovano caratteristicamente rappresentati nella contemplazione dei corpi celesti. Guardare una stella con un'occhiatae guardarla di latovolgendo verso di essa le pareti esterne della rétina (chepiù delle internesono sensibili alle deboli impressioni della luce)significa contemplarla distintamentesignifica poter apprezzare al massimo grado la sua luminositàluminosità che si affievolisce a misura che volgiamo su di essa tutta la nostra vista. Un maggior numero di raggi investe effettivamente l'occhio in questo secondo casoma è il primo modo di visione che ci consente una percezione più raffinata. Una profondità non necessaria turba e indebolisce il pensiero; e un esame troppo prolungatotroppo concentrato o diretto potrebbe far svanire dal firmamento la stessa Venere.

    "In quanto a questo delittoconduciamo un'inchiesta per conto nostroprima di formulare un qualsiasi parere in merito. Una piccola indagine ci procurerà un po' di svago (pensai che non fosse il termine più appropriato al caso, ma non feci commenti), e poi una volta Le Bon mi ha reso un servizio di cui gli sono ancor oggi grato. Andiamo a vedere l'appartamento coi nostri occhi. Conosco G...il prefetto di poliziae non mi sarà difficile ottenere il permesso necessario".

    Il permesso fu ottenuto e senza indugi ci recammo in Rue Morgue.

    E' questa una delle miserabili strade che corrono fra Rue Richelieu e Rue St.-Roch. Ci arrivammo che era tardo pomeriggiopoiché questo quartiere dista di parecchio da quello in cui noi abitavamo. Trovammo facilmente la casaperché c'erano ancora molte persone che dal marciapiede opposto guardavano in su verso le imposte chiusecuriosando oziosamente. Era una delle tante case come se ne vedono a Parigicon un portonee su un lato di questi uno sgabuzzino a vetri con una finestra scorrevolefungente da ' loge de concierge '. Prima di entrarerisalimmo la stradaimboccammo un vicoloe quindisvoltando di nuovouscimmo sul retro della casa; intanto Dupin esaminava non solo l'edificioma le immediate vicinanze con un'attenzione così minuziosa di cui non riuscivo a spiegarmi la ragione. Ritornando sui nostri passi ci portammo di nuovo sul davanti della casasuonammoedopo aver mostrato il nostro lasciapassarefummo introdotti dagli agenti di servizio. Salimmo di sopranella camera dove era stato trovato il corpo di Mademoiselle L'Espanayee dove tuttora venivano tenuti i due cadaveri. Come d'uso la stanza era stata lasciata nel disordine in cui la si era rinvenuta. Non scorsi nulla oltre a quello che la ' Gazette des Tribunaux ' aveva descritto. Dupin esaminò attentamente ogni cosacompresi i corpi delle vittime. Passammo quindi nelle altre stanze e nel cortilettosempre scortati da un gendarme. Questo esame ci tenne occupati fino a seraquando ci congedammo. Prima di rincasare il mio amico si fermò un momento alla redazione di un quotidiano.

    Ho detto che le manie del mio amico erano molteplici e che ' je le mènageais '; poiché questa espressione non ha equivalenti in inglese. Ecco che oraper esempioera in uno stato d'animo per cui preferì evitare qualsiasi discorso che avesse per oggetto il delittofino al mezzogiorno circa dell'indomani. Fu allora che mi chiese all'improvviso se avessi notato qualcosa di particolare sul luogo dove era stato commesso il delitto.

    Il suo modo di enfatizzare la parola ' particolare ' mi fece rabbrividire senza che ne capissi il perché.

    "Nonulla di speciale dissi, perlomeno non più di quanto abbiamo visto entrambi pubblicato sui giornali".

    "Temo che la ' Gazette' rispose Dupinnon abbia pienamente afferrato l'insolito orrore della faccenda. Ma non occupiamoci dei commenti oziosi della stampa. Pare a me che questo mistero sia considerato insolubile proprio per la ragione che lo dovrebbe far considerare di facile soluzione, vale a dire per l'elemento ' outré ' che gli è caratteristico. La polizia è messa in imbarazzo dall'apparente assenza di motivo, non dal delitto in se stesso, ma dalla sua atrocità. E' anche disorientata dall'apparente impossibilità di conciliare le voci udite nell'alterco con il fatto che nessuno fu trovato di sopra ad eccezione di Mademoiselle L'Espanaye già cadavere e che non c'erano vie d'uscita che potessero sfuggire all'attenzione del gruppetto di accorsi in atto di salire le scale. Il terribile disordine della stanza; il cadavere issato, a testa in giù, su per il camino; la spaventosa mutilazione del corpo della vecchia signora; tutte queste considerazioni, insieme con quelle che ho appena menzionate ed altro che non occorre ricordare, sono bastate a paralizzare le forze dell'ordine, sviando completamente il tanto celebrato ACUMEN degli agenti. Essi hanno commesso l'errore grossolano ma comune di confondere l'insolito con l'astruso. Ma è attraverso queste deviazioni dal piano dell'ordinario, che la ragione si fa strada, se pur ci riesce, alla ricerca della verità. In indagini sul tipo di quelle che stiamo ora conducendo, non ci si dovrebbe tanto chiedere 'che cosa è avvenuto', quanto 'che cosa è avvenuto che non sia mai accaduto prima'. Infatti la facilità con la quale arriverò o sono arrivato a districare questo mistero, è in rapporto diretto con quello che agli occhi della polizia appare come l'elemento insolubilità.

    Fissai il mio interlocutore con attonito sbalordimento.

    "Ora sto aspettando continuò, guardando verso la porta del nostro appartamento, ora sto aspettando una persona cheanche se probabilmente non è l'esecutore materiale di questa stragedeve esservi in qualche modo implicato. Della parte peggiore dell'assassinio commessoècon tutta probabilitàinnocente.

    Spero che la mia supposizione non sia errata; perché è su questa tesi che mi baso per risolvere l'intero enigma. Costui può arrivare quiin questa stanzada un momento all'altro. E' vero che potrebbe anche non venirema è più probabile il contrario. Se viene bisognerà trattenerlo. Qui ci sono le pistoleed entrambi sappiamo come usarle all'occasione".

    Presi le pistolequasi senza rendermi conto di quel che facevo e stentando a credere a quel che udivomentre Dupin continuavacome in un soliloquio. Ho già parlato del fare distaccato che assumeva in momenti simili. Le sue parole erano rivolte a mema la sua vocepur rimanendo bassaaveva quell'intonazione che si prende di solito quando si debba parlare a qualcuno che ci è molto lontano. Gli occhiprivi d'espressionefissavano soltanto la parete.

    "Che le voci alzantesi in alterco disse, udite dalle persone che salivano le scalenon fossero le voci delle due donneè stato esaurientemente dimostrato attraverso le deposizioni. Questo ci toglie ogni dubbio circa la possibilità che la vecchia signora abbia prima ucciso la figlia e si sia quindi soppressa. Accenno a questo punto soltanto per amore di metodo; poiché la forza di Madame L'Espanaye sarebbe stata nettamente sproporzionata al compito di spingere il cadavere della figlia su per il camino nella posizione in cui è stato rinvenuto; e il genere di ferite riscontrate sulla sua persona escludono nel modo più assoluto la tesi del suicidio. Il delitto quindi è stato commesso da una terza personao da più persone e furono le voci di queste che il gruppetto di accorsi sentì levarsi nella lite. Passiamo adesso ad esaminare non il complesso delle testimonianze forniteci su queste vocima ciò che in esse vi è di singolare. Non avete notato niente di strano voi?" Risposi che mentre tutti i testi si erano trovati d'accordo nel ritenere che la voce roca apparteneva a un francesesi era invece riscontrata molta diversità di opinioni circa quella stridulaocome qualcuno l'aveva definitaaspra.

    "Questo è quel che venne testimoniato disse Dupin, ma non riflette ancora la singolarità della deposizione. Voi non avete osservato nulla di particolare. Eppure c'era qualcosa da osservare. I testicome avete notatofurono tutti concordi per quel che riguarda la voce roca; su questo particolare erano unanimi. Ma circa la voce stridulalo strano consiste non tanto nel contraddirsi in questionequanto nel fatto chetentando di descriverlaun italianoun ingleseuno spagnoloun olandese e un francesene parlassero tutti come della voce di uno STRANIERO.

    Ciascuno di loro è certo che non si tratti della voce di un suo connazionale. Ciascuno la confronta non alla voce di un individuo di una certa nazionalità la cui lingua gli sia conosciutama esattamente al contrario. Il francese ritiene che la voce sia di uno spagnoloe 'avrebbe potuto distinguere qualche parola SE AVESSE CONOSCIUTO LO SPAGNOLO'. L'olandese afferma trattarsi della voce di un francese; ma troviamo dichiarato che 'non comprendo il francese'questo testimone è stato interrogato a mezzo di un interprete. L'inglese pensa che la voce appartenga a un tedescoe 'non conosce il tedesco'. Lo spagnolo 'è sicuro' che sia la voce di un inglesema 'giudica unicamente dall'intonazione' perché 'non conosce l'inglese'. L'italiano ritiene che appartenga a un russoma 'non ha mai conversato con un russo'. Un secondo francese smentisce addirittura il primoe sostiene con fermezza trattarsi della voce di un italianoma'non conoscendo quella lingua'ne èal pari dello spagnolo'convinto dalla intonazione'. Oradoveva pur essere stranamente insolita quella voce per dar luogo a deposizioni tanto discordantisenel suo accentocittadini di cinque grandi stati europei non riuscivano a distinguere nulla di familiare! Si potrebbe pensare alla voce di un asiatico o di un africano. Orané africani né asiatici abbondano a Parigi; ma senza rigettare questa ipotesimi limiterò a richiamare la vostra attenzione su tre punti. La voce è definita da uno dei testi 'aspra più che stridula'. Da altri due è descritta 'rapida e sconnessa'. Nessuna parolanessun suono assomigliante a parolavenne afferrata da alcun testimone".

    "Non so continuò Dupin, che impressione posso aver prodotto fin qui sulla vostra mente; ma non esito ad affermare che anche solo da questa parte della deposizione - quella relativa alle due vocila roca e la stridula - si possono trarre delle deduzioni legittimesufficienti di per sé a sollevare un dubbio che potrebbe dare un preciso indirizzo agli ulteriori sviluppi nell'indagine di questo mistero. Ho parlato di ' deduzioni legittime 'ma con questo non ho espresso chiaramente il mio pensiero. Volevo implicare che le deduzioni sono le sole esattee che il sospetto deriva inevitabilmente da esse come unico risultato possibile. Di quale sospetto si tratti perònon intendo dirlo per ora. Desidero soltanto che ricordiate che - per quanto mi concerne - è stato sufficientemente efficace per dare una forma definitivauna esatta direzione alle mie investigazioni nella mia camera.

    "Trasportiamoci ora con l'immaginazione in quella stanza. Che cosa vi cercheremo innanzi tutto? La via d'uscita seguita dagli assassini. E' superfluo dire che né io né voi crediamo ad interventi soprannaturali. Madame e Mademoiselle L'Espanaye non sono state assassinate da spiriti. Gli esecutori del misfatto erano esseri in carne e ossa e sono fuggiti materialmente. E allorain che modo? Per fortuna esiste un'unica possibilità di ragionamento su questo puntoed è un modo questo che deve condurci ad una conclusione ben definita. Esaminiamouna per unale diverse vie d'uscita. E' evidente che mentre gli accorsi salivano su per le scalegli assassini si trovavano nella stanza dove fu rinvenuta Mademoiselle L'Espanayeo almeno nella camera attigua. Sono quindi solo due stanze in cui dobbiamo cercare le possibili vie d'uscita. La polizia ha esaminato i pavimentii soffitti e il mattonato delle pareti in tutte le direzioni.

    Nessuna uscita segreta avrebbe potuto sfuggire al loro esame. Ma non fidandomi dei loro occhiho voluto constatare di persona. Non vi era proprio nessuna uscita segreta. Entrambe le porte che si aprono dalle stanze sul corridoio erano chiuse ermeticamentecon le chiavi all'interno. Passiamo ai camini. Questisebbene presentino una certa larghezza lungo un tratto di una decina di piedi al di sopra del focolarenon permetterebbero il passaggio nemmeno a un grosso gatto per il rimanente della loro lunghezza.

    "Provata l'assoluta impossibilità di fuggire attraverso queste vienon ci rimangono che le finestre. Da quelle della stanza che dà sulla facciata nessuno avrebbe potuto fuggire senza essere veduto dalla folla raccoltasi nella strada. Gli assassini devono essere dunque passati da quelle della camera sul retro. Oragiunto a questa conclusione in modo così inconfutabilenon è degno di noiin quanto esseri dotati di raziociniorespingerla sulla base di un'impossibilità apparente. Ci resta solo da provare che questa apparente ' impossibilità ' non è in realtà tale.

    "Nella stanza ci sono due finestre. Una di esse non è ostruita da alcun mobileed è tutta visibile. L'estremità inferiore dell'altra è nascosta dalla testata del letto massiccio che vi è appoggiata contro. La prima è stata trovata chiusa saldamente dall'interno. Ha resistito ai ripetuti sforzi di coloro che hanno tentato di aprirla. Sull'intelaiaturaa sinistraera stato praticato un grosso foroin cui si trovò conficcato fino quasi alla capocchia un grosso chiodo. Esaminando l'altra finestra vi si trovò conficcato nello stesso modo un chiodo simile al primo; e anche qui fallì l'energico tentativo fatto per aprire quest'altro telaio. Così la polizia si confermò nella certezza che la fuga non poteva essere avvenuta in queste direzioni. Edi conseguenzasi pensò che fosse del tutto inutile estrarre i chiodi e aprire le finestre.

    "Il mio esatto esame fu un po' più minuziosoproprio per la ragione a cui ho accennato: perché era su questo puntolo sapevoche bisognava dimostrare che le impossibilità apparenti tali non erano in realtà.

    "Procedetti con questo ragionamento ' a posteriori '. Gli assassini erano fuggiti attraverso una di queste finestre. In questo caso non avevano potuto rinchiudere le finestre dall'internocome furono trovate; considerazione questa cheper la sua evidenzafece bloccare ogni ulteriore esame della polizia in questa direzione. Eppure le finestre erano chiuse. Dunque dovevano avere la possibilità di chiudersi automaticamente. Era giocoforza arrivare a questa conclusione. Mi avvicinai alla finestra non ostruita dalla mobiliacon qualche difficoltà ne estirpai il chiodo e tentai di aprirla. Come avevo previstoresistette a tutti i miei sforzi. Compresi soltanto che doveva esserci una molla nascosta; e questa conferma della mia idea mi convinse chealmenola mia ipotesi era esattaanche se le circostanze relative ai chiodi continuavano a rimanere misteriose.

    Una scrupolosa ricerca mi rivelò ben presto il congegno nascosto.

    Premetti la mollaesoddisfattorinunciai a sollevare il saliscendi.

    "Rimisi il chiodo al suo posto e l'osservai attentamente. Una persona che fosse uscita dalla finestra avrebbe potuto rinchiuderlae la molla sarebbe così scattatama non avrebbe potuto rimettere a posto il chiodo. La conclusione era evidente e ancora una volta veniva a restringere il campo delle mie ricerche.

    Gli assassini dovevano esser fuggiti attraverso l'altra finestra.

    Supponendo allora che le molle di entrambi i saliscendi fossero ugualicome del resto era probabiledoveva esserci una differenza nei chiodio perlomeno nel modo in cui erano stati incastrati. Salito sul pagliericcio del lettoispezionai attentamenteal di sopra della testatala seconda finestra.

    Passando la mano dietro il lettotrovai facilmente la molla e la schiacciai. Anche questo congegnocome avevo suppostoera in tutto e per tutto identico all'altro. Passai quindi ad esaminare il chiodo. Era robusto come il primoe apparentemente conficcato nel legno allo stesso modoribattuto fin quasi alla capocchia.

    "Voi penserete che sia rimasto perplessoma così facendo dareste prova di avere frainteso la natura delle mie intenzioni. Per usare un'espressione cara agli sportivinon sono uscito una sola volta 'fuori pista'. Non avevo perso la mia traccia nemmeno per un attimo. Non mancava che un anello alla mia catena. Avevo sviscerato il segreto fino al suo ultimo stadiorappresentato dal CHIODO. Questocome vi ho dettoera sotto tutti gli aspetti uguale al suo compagno dell'altra finestra; ma tale fatto non significava nulla (nonostante potesse sembrare determinante) di fronte alla considerazione che quia questo puntoterminava la traccia. 'Ci deve essere qualcosa che non va' mi dissi'in quel chiodo'. Lo toccai e la capocchiacon circa un quarto di pollice del gambomi restò fra le mani. Il resto del chiodo era rimasto nel bucodove era stato spezzato. La frattura sembrava di vecchia data (poiché i bordi erano incrostati di ruggine)e pareva essere stata provocata da un colpo di martello che aveva in parte conficcato la testa del chiodo nella parte alta del saliscendi inferiore. Rimisi quindi con cura la capocchia nella cavità da cui l'avevo toltae la rassomiglianza con un vero chiodo fu perfetta; la crepa era invisibile. Premendo la mollaalzai delicatamente la finestra di qualche pollice; la testa del chiodo si alzò con essa rimanendo ben salda nel suo incavo. Richiusi la finestrae di nuovo la rassomiglianza con un chiodo fu assoluta.

    "Fino a questo punto l'enigma era stato sciolto. L'assassino era fuggito dalla finestra che dava sul letto. Scendendo automaticamente dopo la sua uscita (o forse anche chiusa di proposito)essa era stata bloccata per mezzo della molla; ed era stata la tenuta della molla ad essere scambiata dalla polizia per l'azione del chiodoil che aveva fatto loro ritenere superflue ulteriori ricerche.

    "Il problema successivo riguarda la discesa. A questo riguardo avevo già condotto soddisfacenti indagini durante il giro fatto con voi intorno al caseggiato. A circa cinque piedi e mezzo dalla finestra in questione corre un cavo da parafulmine. Da questo cavo sarebbe impossibile a chiunque raggiungere la finestrae tanto meno penetrarvi all'interno. Notai tuttavia che le imposte del quarto piano erano del tipo che i falegnami parigini chiamano 'ferrades' - sono scuri che ben raramente vengono usati oggigiornoma che sono frequenti nelle antiche case di Lione e Bordeaux. Hanno la forma di una comune porta (a battente unico)con la sola differenza che la parte superiore è a inferriata oppure lavorata a graticcio e offre pertanto un eccellente appiglio alle mani. Nel nostro caso sono larghe tre buoni piedi e mezzo. Quando le vedemmo dal retro della casaerano entrambe semiaperteformavano cioè un angolo retto con il muro. E' probabile che anche la poliziaal pari di meabbia esaminato il resto del caseggiato; main questo casoguardando le ferrades nel senso della larghezza (come devono aver fatto) deve essere loro sfuggita l'entità di questa ampiezza ocomunquedevono aver trascurato di tenerla nella debita considerazione. Infattiuna volta convintisi che nessuna uscita era possibile da questa parteera naturale che vi svolgessero un'ispezione piuttosto superficiale. Però io capii subito che l'imposta della finestra situata dietro al lettoquando fosse stata spalancata completamentesi sarebbe trovata a circa due piedi dal cavo del parafulmine. Era anche evidente chefacendo uso di un eccezionale grado di agilità e di coraggiosi sarebbe potutodal cavoentrare attraverso la finestra. A una distanza di due piedi e mezzo (sempre supponendo che l'imposta fosse completamente spalancata) un ladro avrebbe potuto aggrapparsi saldamente al traliccio dell'inferriata. Lasciando quindi andare la presa del cavopuntando fermamente i piedi contro il muroe compiendo un grande balzoavrebbe potuto far oscillare l'imposta fino a chiuderlaese supponiamo che in quel momento la finestra si trovasse apertaproiettarsi perfino dentro alla stanza.

    "Vorrei che vi soffermaste particolarmente sul fatto che ho parlato di un grado eccezionalmente inconsueto di agilità come requisito indispensabile per riuscire in un'impresa così ardua e difficile. E' mia intenzione dimostrarviin primo luogoche era possibile compierla: ma in secondo luogo e SOPRATTUTTOdesidero attirare la vostra attenzione sul carattere straordinarioquasi soprannaturale di quella agilità che avrebbe potuto portare ad effetto l'impresa.

    "Direte senza dubbioricorrendo al linguaggio legaleche 'per provare le mie affermazioni' dovrei sottovalutare l'agilità richiesta dal caso piuttosto che insistere a volerla mettere in piena evidenza. Questo sarebbe il processo seguito dalla leggema non proprio quello della mia ragione. Il mio fine ultimo è semplicemente la verità. Il mio scopo immediato è di condurvi a combinare questa agilità eccezionalmente insolita di cui ho parlatocon quella voce molto stranastridula (o aspra) e sconnessasulla cui nazionalità non ci furono due persone che riuscissero a mettersi d'accordoe nei cui suoni non si è riusciti a identificare nemmeno una sillaba".

    A queste parole un'idea vagainforme di quel che Dupin intendeva dire mi balenò nella mente. Mi pareva di essere sull'orlo della comprensionesenza peraltro la capacità di capirecome gli uomini a volte si trovano sul punto di ricordaresenza poter per tanto riuscire a far riemergere il ricordo dall'oblìo.

    Il mio amico proseguì.

    "Avrete notato disse, che ho spostato il problema dalla via d'uscita alla via d'entrata. Era mia intenzione suggerire l'idea che sia una che l'altra sono state effettuate alla stessa maniera nello stesso punto. Ritorniamo ora all'interno della stanza.

    Esaminiamo lo stato in cui fu trovata. I cassetti del comòsi è dettosono stati saccheggiatianche se molti capi di vestiario vi si trovassero tuttora. Questa conclusione è assurda. E' una semplice supposizione e nulla piùe per giunta molto sciocca.

    Come possiamo sapere se gli articoli trovati nei cassetti non rappresentassero l'intero contenuto di questi ultimi? Madame L'Espanaye e sua figlia conducevano una vita molto ritirata... non vedevano nessuno... uscivano raramente... non avevano certo bisogno di cambiarsi sovente d'abito. Quelli trovati non erano per qualità inferiori a qualsiasi altro capo che le signore potessero possedere. Orase un ladro aveva rubato qualcosaperché non si era preso il meglio... perché non aveva trafugato tutto? Insommaperché avrebbe dovuto abbandonare quattromila franchi in oro per caricarsi un fagotto di biancheria? L'oro fu lasciato. Quasi tutta la somma a cui accennò Monsieur Mignaudil banchierefu rinvenuta in borse sul pavimento. Vi prego pertanto di scacciare dalla mente l'idea avventata del ' movente 'spuntata nel cervello degli agenti di polizia in seguito a quelle deposizioni che accennano ad una consegna di denaro sulla porta di casa.

    Coincidenze dieci volte più straordinarie di questa (consegna del denaroe assassinio commesso entro tre giorni dall'avvenuto ricevimento)accadono a ciascuno di noi in ogni momento della nostra vita senza attirare neppure momentaneamente l'attenzione.

    Di solito le coincidenze sono dei gravi inciampi sul cammino di quella classe di pensatori educati a ignorare la teoria delle probabilitàquella teoria alla quale gli oggetti più insigni dell'umana ricerca devono le più insigni illustrazioni. Nel nostro casose l'oro fosse scomparsoil fatto di essere stato consegnato tre giorni prima avrebbe dato adito a qualcosa di più di una semplice coincidenza. Avrebbe costituito una conferma a quest'ipotesi del movente. Mada come sono andate effettivamente le cosese supponiamo che l'oro sia stato il motivo di questa carneficinadobbiamo anche pensare che il suo esecutore fosse un idiota così titubante da rinunciare e all'oro e al movente insieme.

    "Oratenendo bene a mente i punti su cui ho richiamato la vostra attenzione- quella voce stranal'insolita agilità e la stupefacente assenza di motivo di un assassinio come questo stranamente selvaggio - passiamo a esaminare la strage stessa.

    Abbiamo una donna strangolata con le mani e introdotta per la cappa del camino a testa all'ingiù. Gli assassini comuni non uccidono in questo modo. E meno che mai si disfanno così della vittima. Nel modo con cui il cadavere è stato incastrato nel caminoconverrete che c'è qualcosa di eccessivamente ' outré ':

    qualcosa del tutto incompatibile con il concetto che di solito noi ci facciamo relativamente alle azioni umaneanche quando supponiamo che gli autori siano uomini fra i più depravati.

    Pensate poi quanta forza ci deve essere voluta per spingere con tanta violenza il corpo su per il camino attraverso un'apertura da cui a malapena poterono disincagliarlo gli sforzi combinati di diverse persone!

    "Occupiamoci ora degli altri indizi attestanti l'impiego di una forza così prodigiosa. Nel caminetto c'erano delle ciocche folte - molto folte - di capelli umani grigi. Sapete bene quanta forza occorra per strappare a questo modo dalla testa in una sola volta anche soltanto venti o trenta capelli. Avete visto le ciocche in questioneal pari di me. Le radici (vista atroce) erano raggrumate con dei frammenti di cuoio capelluto: segno inconfondibile della forza straordinaria esercitata a divellere forse mezzo milione di capelli in un sol colpo. Non soltanto la gola della vecchia signora era stata tagliata: la testa era letteralmente recisa dal busto: e l'arma era un semplice rasoio.

    Voglio che vi soffermiate anche sulla BRUTALE ferocia di questi atti. Non parlerò delle ecchimosi riscontrate sul corpo di Madame L'Espanaye. Monsieur Dumas e il suo insigne collega Monsieur Etiennehanno dichiarato che vennero inflitte da qualche oggetto contundente; e fin qui questi signori sono nel vero. Lo strumento ottuso era evidentemente il pavimento di pietra del cortiletto su cui la vittima è piombata cadendo dalla finestra dietro al letto.

    Questa ideaper semplice che possa sembrare oranon venne in mente alla polizia per la stessa ragione per cui sfuggì l'ampiezza delle imposte: perché la faccenda dei due chiodi aveva loro impeditonel modo più assolutodi prendere in considerazione l'eventualità che le finestre fossero mai state aperte.

    "Se orain aggiunta a tutte queste considerazioni si riflette attentamente sullo strano disordine della camerasi arriva al punto di combinare l'idea di una sorprendente agilitàdi una forza sovrumanadi una brutale ferociadi una strage senza moventedi una ' grotesquerie ' d'orrore assolutamente incompatibile con la natura umanae di una voce che risuona straniera alle orecchie di uomini di diversa nazionalitàe priva di qualsiasi sillabazione distinta o intelligente. Che conclusione se ne può dunque dedurre? Che impressione ho fatto sulla vostra mente?" Mi sentii percorrere da un brivido mentre Dupin mi rivolgeva la sua domanda.

    "Deve essere stato un pazzo dissi, a compiere questo delitto; qualche pazzo furioso fuggito da una Maison de Santé nelle vicinanze".

    "In un certo senso rispose, la vostra idea ha un qualche fondamento. Ma le voci dei pazzianche se in preda alle crisi più furiosenon sono mai state paragonabili a quella voce singolare udita sulle scale. I pazzi sono pur di una data personalitàe il loro linguaggioanche se si esprimono con parole sconnesseconserva sempre una coerenza di sillabazione. Inoltre i capelli di un pazzo non sono come quelli che vedete ora in mano mia. Ho strappato questo ciuffetto di peli dalle dita rigidamente serrate di Madame L'Espanaye. Ditemi che cosa ne pensate".

    "Dupin esclamai completamente sconvolto, ma questi capelli sono stranamente insoliti... non sono capelli UMANI".

    "Non ho detto che lo siano replicò, ma prima di decidere su questo puntovorrei che osservaste lo schizzo che ho tracciato su questo pezzo di carta. E' un fac-simile di quanto è stato descritto in una deposizione come 'ecchimosi violaceee e marcate impronte di unghie'sulla gola di Mademoiselle L'Espanayee in un'altra (dei Signori Dumas e Etienne)una 'serie di lividureevidentemente dovute a impronte di dita'.

    "Noterete continuò il mio amico, svolgendo il foglio sul tavolo che ci stava davanti, che questo disegno dà l'idea di una presa forte e salda. Non appare nessun segno di allentamento. Ciascun dito ha tenutoprobabilmente fino alla morte della vittimala spaventosa stretta in cui si era all'inizio affondato nelle carni.

    Cercate ora di far coincidere le vostre improntetutte insiemecon quelle che qui vedete".

    Mi sforzai inutilmente di farlo.

    "Probabilmente non stiamo facendo la prova come dovremmo disse.

    Il foglio di carta è spiegato su di una superficie pianamentre la gola umana è cilindrica. Qui c'è un ceppetto di legno la cui circonferenza corrisponde più o meno a quella di un collo.

    Avvolgetevi attorno il disegno e ritentate l'esperimento".

    Così fecima la difficoltà riuscì ancora più evidente di prima.

    "Questa dissi, non è un'impronta di mano umana".

    "Adesso leggete questo brano di Cuvier disse Dupin.

    Era una relazione minuziosa sull'anatomia e le caratteristiche generali del grande orang-utang fulvo delle isole Indo-Orientali.

    Sono abbastanza note a tutti la statura gigantesca, la selvaggia ferocia e le attitudini imitative di questi mammiferi. Di colpo afferrai tutto l'orrore del delitto.

    La descrizione delle dita dissi, quando ebbi finito di leggere, concorda perfettamente con questo disegno. Nessun animale tranne un orang-utangdella specie qui descrittaavrebbe potuto lasciare delle impronte sul tipo di quelle che avete qui disegnato. Anche questa ciocca di peli fulvi presenta delle caratteristiche identiche a quelle attribuite all'animale di Cuvier. Ma quel che non riesco assolutamente a capire sono i particolari di questo orrendo mistero. Inoltre due erano le voci udite nell'altercoe di queste una apparteneva indiscutibilmente a un francese".

    "E' vero; e ricorderete un'espressione attribuita a questa voce da quasi tutti i testimonil'espressione: 'mon Dieu!'. Queste due paroledate le circostanze sono state giustamente interpretate da uno dei testi (Montaniil pasticcere)come un'esclamazione di rimostranza o di supplica. Su di esse quindi ho riposto principalmente le mie speranze di risolvere l'intero enigma. Un francese era a conoscenza del delitto. E' possibile- anzi è più che probabile- che sia innocente per quel che riguarda la partecipazione ai fatti di sangue che sono stati commessi. Può darsi che l'orang-utang gli sia sfuggito. Può darsi che lo abbia seguito fino a quella stanzasenza peraltro poterlo ricatturare a seguito delle spaventose circostanze che seguirono. L'animale è ancora libero. Non svilupperò ulteriormente queste ipotesi- ché non ho il diritto di definirle altrimenti- dal momento che la consistenza di ragionamento su cui sono basate è a malapena sufficiente per renderle percepibili alla mia mentee dato che non potrei pretendere di tradurle in termini comprensibili all'intelletto di un altro. Chiamiamole dunque congetturee parliamone come tali. Se il francese in questione è davverocome suppongoinnocente di quell'atrocitàquesto annuncio che tornando a casa ieri seraho lasciato alla redazione di ' Le Monde ' (un giornale che si occupa di questioni marittime e molto letto dai marinai)ce lo porterà qui a casa".

    Mi porse un giornale su cui lessi:

    "CATTURATO nel Bois de Boulogneall'alba del... corrente (la mattina del delitto)un grosso orang-utang fulvo della specie del Borneo. Il proprietario (che si sa essere un marinaio appartenente a una nave maltese)potrà rientrarne in possesso dopo che lo avrà identificato in modo soddisfacente e rimborsato le spese di cattura e mantenimento. Rivolgersi al n. . .Faubourg St.-Germain . . . terzo piano".

    "Come avete fatto chiesi, a sapere che l'uomo è un marinaio e appartiene a una nave maltese?" "Non è che lo sappia rispose Dupin, non ne sono CERTO. Qui però c'è un pezzettino di nastro che dalla forma e dall'unto che lo ricopre è servito evidentemente a legare i capelli in una di quelle lunghe ' queues ' di cui i marinai vanno pazzi. Per giunta pochi che non siano marinai riescono a fare questo nodo che è caratteristico dei maltesi. Ho raccolto il nastro ai piedi del cavo del parafulmine. Non poteva appartenere a nessuna delle vittime. Ma sedopo tuttomi fossi sbagliato nel concluderededucendoda questo nastroche il francese è un marinaio appartenente a una nave maltesenon avrei provocato nessun danno dicendo quel che ho detto nell'annuncio. Se sono in erroreegli si limiterà a supporre che sono stato sviato da qualche circostanza su cui egli non si prenderà la briga di indagare. Ma se ho ragione allora guadagno un punto molto importante. Testimone oculareanche se innocente del delittoil francese sarà naturalmente in dubbio se rispondere all'annuncio; se richiedere l'orang-utang. Ragionerà così: 'Sono innocente; sono povero; il mio orang-utang ha un gran valore - una vera fortuna per uno che si trovi nelle mie condizioni - perché dovrei perderlo per paura di un pericolopaura che potrebbe essere infondata? Eccolo quia portata di mano. E' stato ritrovato nel Bois de Boulogne - a grande distanza dal luogo della strage. Chi potrebbe mai sospettare che sia stata una bestia a commettere un tal delitto?

    La polizia è disorientatanon è approdata alla benché minima traccia. Anche nella possibilità che risalissero fino all'animalenon potrebbero provare che sono a conoscenza del delittoo imputarmene colpevole perché ne sono al corrente. Soprattutto SONO CONOSCIUTO. Colui che ha fatto pubblicare l'annuncio mi definisce come il possessore dell'animale. Non so con certezza fino a che punto egli sappia. Il non reclamare una proprietà di così grande valorequando si sa che essa mi appartieneattirerebbe come minimo i sospetti sull'animale. Sarei un ingenuo se facessi convergere l'attenzione della polizia o su di me o sulla scimmia.

    Risponderò all'annunciomi riprenderò l'orang-utange lo terrò chiuso finché sia sbollito l'interesse per questa faccenda'".

    In quel momento udimmo un passo su per le scale.

    "State pronto con le pistole mi disse Dupin, ma non usatele e state attento a non mostrarle finché non vi farò un segnale".

    Il portone d'ingresso era stato lasciato apertoe il visitatore era entrato senza suonare salendo qualche gradino delle scale. Ora però parve esitare. Dopo qualche istante lo sentimmo scendere.

    Dupin fece per precipitarsi alla portama ecco che quello riprese a salire. Questa volta non tornò più indietroma proseguì con decisione e bussò alla porta della nostra stanza.

    "Avanti!"gridò Dupinin un tono allegro e affabile.

    Entrò un uomo. Era indubbiamente un marinaio - altofortemuscolosocon una cert'aria spavalda nell'aspettotutt'altro che antipatica. Il visomolto abbronzatoera nascosto per più di una buona metà dai baffi e dal ' mustacchio '. Aveva con sé un grosso bastone di querciama pareva questa l'unica sua arma. S'inchinò goffamentee salutò con un "buona sera" in un francese chenonostante risentisse dell'accento di Neuchâtelindicava ancora sufficientemente l'origine parigina.

    "Accomodateviamico disse Dupin, immagino che siate venuto per l'orang-utang. Parola miaquasi quasi ve lo invidio; un superbo esemplaresenza dubbio di grande pregio. Quanti anni credete che abbia?" Il marinaio trasse un lungo respirocon l'aria di chi venga alleggerito di un peso insopportabilee poi risposein un tono fattosi sicuro:

    "Non saprei... ma non può avere più di quattro o cinque anni. Lo tenete qui?" "Oh no; non siamo attrezzati per tanto. Si trova in una scuderia di Rue Dubourgqui vicino. Potrebbe rilevarlo domani mattina.

    Immagino sarete in grado di comprovarne la legittima proprietà".

    "Certosignore".

    "Mi dispiacerà separarmene disse Dupin.

    Non vi sarete preso tutto questo disturbo per nientesignoreve lo assicuro disse l'uomo. Chi ci ha mai pensato? Sono dispostissimo a pagare una ricompensa per la cattura dell'animale... qualcosabenintesonei limiti del ragionevole".

    "Bene rispose il mio amico, bene; questo è senza dubbio molto bello. Fatemi pensare! Che posso chiedervi? Oheccola mia ricompensa sarà questa. Mi darete tutte le informazioni di cui siete in possesso a proposito del delitto della Rue Morgue".

    Dupin pronunciò le ultime parole con voce molto bassa e con la massima calma. Sempre con altrettanta tranquillitàsi avviò verso la portala chiuse e si mise la chiave in tasca. Si tolse quindi una pistola dalla tasca interna della giacca deponendolasenza il minimo cenno di agitazionesulla tavola.

    Il marinaio arrossì come se fosse sul punto di soffocare. Balzò in piedi e afferrò il suo bastone; ma dopo un attimo si lasciò cadere sulla sediatremando violentementecon una espressione cadaverica sul volto. Non disse una parola. Lo commiserai dal più profondo del cuore.

    "Amico mio disse Dupin gentilmente, vi allarmate senza ragionecredetemi. Non vogliamo farvi del male. Vi assicuro sul mio onore di gentiluomo che non intendiamo arrecarvi alcun danno. So benissimo che non avete commesso le atrocità della Rue Morgue. Non potrete tuttavia negare di esservi in qualche modo implicato. Da quanto vi ho già dettoavrete capito che ho avuto delle informazioni su questa faccendada fonti che neanche vi immaginate. Ora le cose stanno così. Voi non avete fatto nulla che avreste potuto evitarenulla di certoche vi renda colpevole.

    Non vi siete nemmeno reso imputabile di furtoquando invece avreste potuto rubare impunemente. Non avete nulla da nascondere né avete motivo per nascondere nulla. D'altra parte siete tenuto a confessare tutto quel che sapete per non venir meno a ogni principio d'onore. Un innocente è stato messo in prigione sotto l'accusa di aver commesso quel delitto di cui voi potete svelare l'autore".

    Il marinaio aveva frattanto ripreso gran parte della sua presenza di spirito mentre Dupin pronunciava queste parole; ma la sua baldanza iniziale era del tutto svanita.

    "E allora che Dio mi aiuti disse, dopo una breve pausa. Vi dirò quanto so di questa faccenda; ma non mi aspetto che crediate nemmeno la metà di quel che vi racconterò; sarei un vero pazzo se ci sperassi. Eppure SONO innocentee mi toglierò questo peso dal cuoreanche se dovesse costarmi la vita".

    Questo è quantoin definitivaci disse. Recentemente aveva fatto un viaggio nell'Arcipelago Indiano. Un gruppetto di uominidi cui egli faceva parteera sbarcato a Borneoe si era inoltrato nell'interno in gita di piacere. Lui e un suo compagno avevano catturato l'orang-utang. Alla morte del camerata l'animale era divenuto di sua esclusiva proprietà. Dopo molti guai causati dalla ferocia intrattabile dell'animale durante il viaggio di ritornoera riuscito alla fine a sistemarlo al sicuro nel suo alloggio di Parigidoveper non attirare su di sé l'imbarazzante curiosità dei vicinilo teneva relegato con cura finché non fosse guarito da una ferita alla zampa procuratagli a bordo da un scheggia del ponte. Suo progetto ultimo era quello di venderlo.

    Tornando a casa la notte del delittoo per meglio dire all'alba di quel giornoda una bisboccia di marinaiaveva trovato la belva nella sua camera da lettoin cui aveva fatto irruzione da un ripostiglio adiacente dove il marinaio l'aveva rinchiusoritenendolo al sicuro. Col rasoio in mano e completamente insaponatoera seduto davanti ad uno specchio e tentava di radersicome probabilmente aveva visto fare al suo padrone spiandolo dal buco della serratura del ripostiglio. Terrorizzato alla vista di un'arma tanto pericolosa nelle mani di un animale così feroce e abilissimo nell'usarlal'uomo era rimasto per qualche momento in dubbio sul da farsi. Si era però abituato a calmare l'animaleanche nei suoi accessi più furiosiricorrendo a una frustae a questa pensò di affidarsi ora. Ma alla vista di questa l'orang-utang spiccò un gran balzo verso la portasi precipitò giù per le scalee di quiattraverso una finestradisgraziatamente apertasi lasciò cadere nella strada.

    Il francese lo inseguì disperato; la scimmiasempre col rasoio in manosi fermava di tanto in tanto per guardare indietro e motteggiare il suo inseguitore finché questi non le era quasi vicino. Poi riprendeva a fuggire. In questo modo l'inseguimento si trascinò a lungo. Le strade erano immerse in un profondo silenziopoiché erano quasi le tre del mattino. Nel passare da un vicolo sul retro della Rue Morguel'attenzione dell'animale fu attratta da una luce che brillava attraverso la finestra aperta della camera di Madame L'Espanayeposta al quarto piano della casa.

    Precipitandosi verso l'edificiola scimmia notò il cavo del parafulminevi si inerpicò con un'agilità incredibileafferrò l'imposta che aderiva al murocompletamente spalancatae in questo modo si proiettò direttamente all'internosopra la testata del letto. L'intera faccenda non richiese più di un minuto.

    L'imposta venne riaperta con un calcio dall'orang-utang nell'atto di entrare nella camera.

    Il marinaio frattanto era contento e perplesso allo stesso tempo.

    Nutriva ora buone speranze di catturare la belvadal momento che non avrebbe potuto facilmente uscire dalla trappola in cui si era cacciata se non prendendo la via del cavodove egli avrebbe potuto facilmente intercettarla qualora fosse scesa. D'altra parte peròc'era di che preoccuparsi di quel che avrebbe potuto combinare in quella casa. Quest'ultimo pensiero indusse l'uomo a persistere nella sua caccia. Non è difficile arrampicarsi su un cavo da parafulminespecialmente per un marinaio; ma giunto all'altezza della finestrache si trovavadiscostaalla sua sinistranon gli fu più possibile proseguire; tutto quello che gli riuscì di fare fu di sporgersi in modo da poter dare un'occhiata all'interno della stanza. La vista che gli si offrì per poco non gli fece abbandonare la presa dall'orrore. Fu allora che si levarono nella notte le urla spaventose che destarono bruscamente gli abitanti della Rue Morgue. Madame L'Espanaye e sua figliagià preparate per la notteerano evidentemente occupate a riordinare delle carte nella cassaforte a cui si è già accennatoche era stata trasportata in mezzo al pavimento. Era aperta e il suo contenuto era sparpagliato per terra. Le vittime dovevano essere sedute con le spalle rivolte alla finestra; e a giudicare dalla pausa di tempo trascorsa dall'entrata della belva al momento delle urlasembra probabile che di essa non si accorgessero immediatamente. Lo sbattere delle imposte poteva essere stato attribuito al vento.

    Quando il marinaio guardò all'internola bestia gigantesca aveva afferrata Madame L'Espanaye per i capelli (che erano sciolti perché se li stava pettinando) e le agitava il rasoio sul visoimitando i gesti di un barbiere. La figlia giaceva per terra esanime; era svenuta. Le grida e il furioso dibattersi della vecchia signora (a cui nel frattempo venivano strappati i capelli dalla testa) ebbero come effetto di mutare in furore le intenzioni probabilmente pacifiche dell'orang-utang. Con una sola mossa decisa del suo braccio nerboruto l'animale quasi le staccò la testa dal busto. La vista del sangue infiammò la sua collera fino alla frenesia. Digrignando i dentie con gli occhi fiammeggiantisi gettò sul corpo della ragazzaaffondandole gli unghioni nel collo e tenendo la presa finché non la vide spirare. In quel momento il suo sguardo che vagava qua e là ferocecadde sulla testata del letto dietro alla quale si sporgeva il viso del padroneirrigidito dall'orrore. La furia della belvache senza dubbio temeva ancora la frustasi mutò istantaneamente in terrore. Consapevole di meritare una punizioneparve desideroso di cancellare le tracce della sua sanguinosa impresae si mise a saltare qua e là per la stanza in un parossismo di agitazione nervosaabbattendo e fracassando i mobili sul suo camminoe strappando il pagliericcio dal letto. Alla fineafferrò dapprima il corpo della figlia e lo forzò su per la cappacome venne poi ritrovato; poi quello della vecchia signora che gettò fuori subito a capofitto dalla finestra.

    Quando la scimmia si appressò alla finestra con il suo sanguinoso fardelloil marinaioatterritoindietreggiò verso il cavoe lasciandosi scivolare più che calandosifuggì a casa; spaventato dalle conseguenze che sarebbero derivate dalla stragee ben felice di non doversi preoccuparenel suo terroredella sorte dell'orang-utang. Le parole udite dalle persone che salivano le scale erano le esclamazioni di orrore e paura del francesemescolate ai selvaggi mugolii dell'animale.

    Ho ben poco altro da aggiungere. L'orang-utang doveva essere fuggito dalla stanzagiù per il cavopoco prima che la porta venisse abbattuta. Doveva aver chiuso la finestra nel momento stesso in cui la scavalcava. La belva fu poi catturata dal suo stesso proprietarioche ne ricavò una forte sommaal Jardin des Plantes. Le Bon venne rilasciato all'istante dopo la nostra esposizione dei fatti (con qualche commento di Dupin) al bureau del prefetto di polizia. Questo funzionariosebbene fosse ben disposto verso il mio amiconon riuscì a nascondere il suo disappunto per la piega che la faccenda aveva presoe si lasciò andare volentieri a qualche sarcasmo sulla opportunità che la gente badasse agli affari propri.

    "Lasciatelo dire disse Dupin, che non aveva ritenuto necessario replicare. Lasciatelo sfogare: lo aiuterà ad alleggerirsi la coscienza. Ne ho abbastanza di averlo sconfitto sul suo stesso terreno. Tuttavia il fatto che egli sia fallito nella risoluzione di questo mistero non è poi così sorprendente come ritiene; poichéa dir la veritàil nostro amico prefetto è troppo astuto per essere profondo. La sua saggezza manca di STAMEN. E' tutta testa e non ha corpocome le figurazioni della dea Lavernaose voletetutta testa e spallecome in un merluzzo. Mi piace soprattutto per una certa magistrale definizione mercè la quale si è guadagnato la sua attuale reputazione di uomo scaltro. Alludo alla sua abilità 'de nier ce qui estet d'expliquer ce qui n'est pas'".




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