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William Shakespeare

 

RE LEAR

 

 

 

PERSONAGGI

LEARre di Bretagna

IL RE DI FRANCIA

IL DUCA DI BORGOGNA

IL DUCA DI CORNOVAGLIA

IL DUCA D'ALBANIA

IL CONTE DI KENT

IL CONTE DI GLOUCESTER

EDGARDOfiglio di Gloucester

EDMONDOfiglio bastardo di Gloucester

CURANOcortigiano

OSVALDOmaggiordomo di Gonerilla

Un vecchiovassallo di Gloucester

Un Dottore

Un Matto

Un Ufficiale al servizio di Edmondo

Un Gentiluomo del seguito di Cordelia

Un Araldo

Servi del Duca di Cornovaglia

GONERILLAREGANACORDELIAfiglie di Lear

Cavalieri che fanno parte del seguito di re LearUfficialiMessiSoldatied alcuni Personaggi del seguito

 

 

 

 

 (La scena è in Bretagna)

 

ATTO PRIMO

 

SCENA PRIMA - Una sala di parata nel Palazzo di Re Lear

(Entrano KENTGLOUCESTERe EDMONDO)

 

KENT: Io pensavo che il re avesse più inclinazione per il duca d'Albaniache per il duca di Cornovaglia.

GLOUCESTER: A noi è parso sempre così; ma oranella divisione del regnonon apparisce quale dei duchi egli apprezzi di più; poiché le parti uguali sono pesate così beneche la stessa meticolosità non saprebbe scegliere fra la porzione dell'uno e quella dell'altro.

KENT: Questo non è vostro figliosignore?

GLOUCESTER: Il peso della sua educazione è toccato a me. Io ho arrossito così spesso di non riconoscer costuiche ormai ci ho fatto la faccia di bronzo.

KENT: Io non riesco a concepire...

GLOUCESTER: Messerela madre di questo giovinotto vi riuscì: e appunto per questo le si arrotondò il gremboe in veritàmesseresi trovò ad avere un bambino per la sua culla prima di avere un marito per il suo letto. Vi sa di peccato?

KENT: Non saprei desiderare che il peccato non fosse stato commessoil frutto essendone così bello.

GLOUCESTER: Ma iomessereho un figlio in regola con la leggedi circa un anno maggiore di questoche tuttavia non è più caro ai miei occhi; sebbene questo briccone sia venuto al mondo un po' impertinentementeprima d'esser mandato a chiamaresua madre però era bellafu un dolce sollazzo il farloe il bastardello dovette essere riconosciuto. Conosci questo nobile signoreEdmondo?

EDMONDO: Nosignor mio.

GLOUCESTER: Il signore di Kent: ricordalod'ora innanzicome mio onorabile amico.

EDMONDO: I miei servigi a Vostra Signoria.

KENT: Io debbo volervi benee cercare di conoscervi meglio.

EDMONDO: Signoremi studierò di meritarlo.

GLOUCESTER: Egli è stato fuori per nove annie dovrà tornar via di nuovo. Viene il re.

 

(Fanfara. Entrano: uno che reca una coronapoi RE LEARi Duchi D'ALBANIA e DI CORNOVAGLIAquindi GONERILLAREGANA e CORDELIA con Persone del seguito)

 

LEAR: Accompagnate qui i sovrani di Francia e di BorgognaGloucester.

GLOUCESTER: Sarà fattomio signore.

 

(Escono Gloucester e Edmondo)

 

LEAR: Intanto noi esporremo i nostri più segreti propositi. Datemi quella mappa. Sappiatedunqueche noi abbiamo diviso il nostro regno in tre parti; ed è nostro tenace proposito di scrollare ogni cura ed ogni occupazione dalle nostre vecchie spalleaffidandole a più giovani forzementre noi liberati dal fardelloci trasciniamo lentamente verso la morte. Nostro figlio di Cornovagliae voi nostro non meno affezionato figlio d'Albanianoi abbiamo ferma volontàin quest'oradi proclamare pubblicamente le singole doti delle nostre figliuoleaffinché possa essere impedita fin d'ora ogni futura contesa. I sovrani di Francia e di Borgognarivali illustri nell'amore per la nostra più giovane figliuolahannoormaifatto lungo il loro soggiorno di amore presso la nostra cortee qui debbono avere una risposta. Dite sufigliuole miegiacché noi oggi vogliamo spogliarciad un tempodel governodi ogni potestà di terre e dl ogni cura di Statoquale di voi dovrem dire che ci vuole più bene?

Sentiamoaffinché la nostra liberalità più grande possa estendersi làdove l'affetto naturale la reclama con diritto. Gonerillaprimogenita nostraparla tu per prima.

GONERILLA: Signoreio vi amo più di quanto possano riuscire ad esprimere le parole: v'ho più caro della vistadello spaziodella libertà; vi amo al di sopra di tutto ciò che può essere stimato ricco e raro; non meno della vitaquando è unita alla graziaalla salutealla bellezzaall'onore; vi amo quanto figliuolo amò mai padreo padre si vide amato; di un amoreil quale rende povero il fiato e impotente la parola; io vi amo al di là di tutti questi modi così alti di amare.

CORDELIA (a parte): Che potrà fare Cordelia? Amare e starsene zitta.

LEAR: Di quanto è dentro questi confini (precisamente da questa linea a quest'altra)ricco di foreste ombrose e di campagned'irrigui fiumi e di sterminate praterienoi ti facciamo signora: rimanga ciò in perpetuo proprietà dei discendenti tuoi e del duca d'Albania. Che cosa dice la nostra seconda figliuolala nostra carissima Reganamoglie del Cornovaglia? Parla.

REGANA: Io sono fatta dello stesso metallo di mia sorellae mi stimo del suo medesimo valore. Nel mio cuore schietto io trovo che essa esprime proprio i termini dell'amor miosoltanto essa resta un po' al di sotto: giacché io mi protesto nemica di tutte le altre gioie che la più preziosa perfezione del senso possiedee trovo che sono felice solamente nell'amore di vostra cara Altezza.

CORDELIA (a parte): Allora povera Cordelia! Eppureno; poichéne sono sicurail mio amore ha più peso della mia lingua.

LEAR: A te e ai tuoi rimanga per sempre in eredità questo ampio terzo del nostro bel regnonon inferiore in quanto a spaziovaloree amenitàa quello assegnato a Gonerilla. Orasentiamo la nostra gioiala nostra ultima figliuolama non quella che vale di menonel cui giovane amore cercano a gara di impegnarsi le vigne della Francia e le cascine di Borgogna: che cosa sai dire per strapparci un terzo più abbondante di quello delle tue sorelle?

CORDELIA: Nullamio signore.

LEAR: Nulla?

CORDELIA: Nulla.

LEAR: Nulla verrà dal nulla: rispondi un'altra volta.

CORDELIA: Infelice ch'io sononon so far sollevare il mio cuore fino alle labbra: io voglio bene a Vostra Maestà quanto comporta il mio dovere; né più né meno.

LEAR: ComecomeCordelia! Correggete un poco il vostro parlareper timore di poter danneggiare la vostra fortuna!

CORDELIA: Mio buon signorevoi mi avete generatoallevatovoluto bene: io vi corrispondoda parte miacon quei doveri che sono giustamente convenienti; cioè vi obbediscovi amoe vi onoro del mio meglio. Perché hanno marito le mie sorellese dicono che tutto il loro amore è per voi? Probabilmentequando un giorno mi sposeròl'uomo che riceverà dalla mia mano il pegno della mia fedeporterà via con sé metà dell'amor miometà delle mie curee dei miei doveri:

certoio non mi mariterò mai come le mie sorelleper dedicare tutto intero l'amor mio a mio padre.

LEAR: Ma c'è il tuo cuore in questo che dici?

CORDELIA: Sìmio buon signore LEAR: Così giovanee così priva di tenerezza!

CORDELIA: Così giovanemio signoree così sincera!

LEAR: Sia pure: la tua sinceritàallora sia la tua dote; poiché per il sacro splendore del solepei misteri di Ecate e della notteper tutto l'influsso delle sfereper effetto del quale noi esistiamo e cessiamo di essereio qui sconfesso ogni mia cura paternaogni legame ed ogni affinità di sanguee da questo momento io ti ritengo per sempre come una estranea al mio cuore e a me. Il barbaro Scita o colui che della sua stirpe fa pasto per saziare la sua famesaranno buoni vicini del mio cuoree vi troveranno pietà e soccorso al pari di teche un giorno eri mia figlia.

KENT: Mio buon sovrano...

LEAR: SilenzioKent! Non ti mettere fra il drago e il suo furore. Io l'amavo sopra ogni altra cosae pensavo di affidare il mio riposo alle sue cure amorose. (A Cordelia) Via di quae fuggi gli occhi miei! La mia tomba sia la mia pacecome è vero che qui io ritiro da lei il cuore di suo padre! Chiamate il re di Francia. Viachi si muove? Chiamate il duca di Borgogna. Cornovagliae voi duca di Albaniacon le doti delle mie due figliuole cumulate questo terzo:

l'orgoglioche essa chiama sinceritàla faccia sposa. Io investo voi due uniti insiemedel mio poteredella mia sovranitàe di tutte le grandi prerogative che si adunano intorno alla maestà. Noi per il periodo di un mese faremo la nostra dimora con ciascuno di voisecondo un turno regolarecon una scorta di cento cavalieri che ci riserbiamoe che dovranno essere mantenuti da voi. Noi riterremo solamente il nome di ree tutti i titoli; il poterei redditi del regnoil disbrigo di tutto il restomiei amati figliuolisia affar vostro: a conferma della qual cosadividete tra di voi questa corona.

KENT: Regale Learche io ho sempre onorato come mio reamato come padre mioseguito come mio signorea cui mi sono rivoltocome a mio grande protettorenelle mie preghiere...

LEAR: L'arco è piegato e la corda tesa: schiva lo strale.

KENT: Lascialo pure scoccarequand'anche la punta forcuta dovesse penetrare la regione del mio cuore. Kent sia scorteseuna volta che Lear è pazzo. Che cosa pretenderesti di farevecchio? Credi tu che il dovere possa aver paura di parlareallorché la potenza si inchina all'adulazione? L'onore è tenuto alla sinceritàquando la maestà si umilia fino alla pazzia. Annulla la tua sentenza; edopo miglior consigliofrena cotesto tuo impeto orrendo. Risponda la mia vita del mio giudizio: la più giovane delle tue figliuole non è quella che ti vuole meno bene; né è vuoto il cuore di colorola cui voce sommessa non ripercuote il vuoto LEAR: Kentper la tua vitabasta!

KENT: La mia vita io non l'ho considerata mai altro che una posta da rischiare contro i tuoi nemiciné mi fa paura il perderlaquando la tua salvezza ne sia la cagione.

LEAR: Via dagli occhi miei!

KENT: Vedici meglioLear e lascia che io rimanga ancora il vero punto di mira dell'occhio tuo.

LEAR: Oraper Apollo...

KENT: Oraper Apolloo retu giuri pei tuoi dèi invano.

LEAR: Ahvile! traditore!

 

(Mettendo mano alla spada)

 

ALBANIA e CORNOVAGLIA: Caro signorefrenatevi.

KENT: Colpisci; uccidi il tuo medicoe il suo onorario dallo alla sozza malattia. Revoca la tua sentenza; o finch'io possa far uscire un grido dalla mia golati dirò che tu fai male.

LEAR: Ascoltamirinnegato! Per il tuo dovere di sudditoascoltami!

Poiché tu hai cercato di farci rompere il nostro giuramento (ciò che noi non osammo mai fare fino ad ora)e di interporticon tracotanza estremafra la nostra sentenza e il nostro potere (ciò che la natura nostra e il nostro grado non possono ammettere)sia fatta valere la potenza nostrae tu ricevi il premio che meriti. Noi ti accordiamo cinque giorniperché tu provveda a metterti al riparo dalle sciagure del mondo; nel sesto pensa a volgere al nostro regno le tue spalle esecrate: se nel decimo giorno da questo la tua bandita carcassa sarà trovata nei nostri dominiquell'istante è la tua morte. Va'per Gioveciò non sarà revocato!

KENT: Addiore: poiché tu vuoi apparire cosìla libertà vive lungi da questi luoghi e qui c'è l'esilio. (A Cordelia) Gli dèi prendano sotto la loro cara protezione teo fanciullache pensi giustamenteed hai parlato benissimo! (A Regana e a Gonerilla) E possano le vostre azioni esser d'accordo coi vostri magniloquenti discorsisicché da parole di amore possano derivare buoni effetti. Cosìo principiKent dice a voi tutti addioegli continuerà la sua vecchia strada in un paese nuovo. (Esce)

 

(Squillo di tromba. Rientra GLOUCESTER col RE DI FRANCIAil DUCA DI BORGOGNA e le Persone del seguito)

 

GLOUCESTER: Ecco il re di Francia e il duca di Borgognamio nobile signore.

LEAR: Mio signore di Borgognanoi ci rivolgiamo prima a voi che siete stato rivale di questo re nell'amore per la nostra figliuola. Che cos'è il meno che voi pretendete in dote correnteinsieme con leiper non desistere dalla vostra richiesta di amore?

BORGOGNA: Regalissima Maestàio richiedo non più di quanto Vostra Altezza ha offertoné voi vorrete accordare di meno.

LEAR: Nobilissimo duca di Borgognaallorché essa ci era caranoi la tenevamo così altama ora il suo prezzo è in ribasso. Signore eccola là: se in quella parvenza di sostanzaqualche cosao tutto l'insiemepuò convenire e piacere a Vostra Graziacon la sola aggiunta del nostro disfavore e niente altroessa è laed è vostra.

BORGOGNA: Io non so che cosa rispondere.

LEAR: Insommacoi difetti che essa hapriva d'amiciadottata testé dall'odio nostrodotata della nostra maledizionee straniata dal nostro giuramentointendete di prenderla o di lasciarla?

BORGOGNA: Perdonatemiaugusto signore: a tali condizioni non può avanzarsi scelta.

LEAR: Allora lasciatelasignore; poichéper quella potenza che mi creòio con questo vi ho detto tutta la sua ricchezza. (Al Re di Francia) In quanto a voigran reio non vorrei tanto sviarmi dal vostro affettoda unirvi a chi detesto: quindiio vi scongiuro di indirizzare l'amor vostro per una via più degnadi quel che non sia una sciaguratache la natura ha quasi vergogna di riconoscere per sua.

FRANCIA: Ciò è molto stranoche coleila quale pur ora era il vostro più prezioso oggettol'argomento delle vostre lodiil balsamo della vostra vecchiaiala migliorela più cara delle vostre figliuoleabbia potuto commetterein questo breve attimouna cosa tanto mostruosada venir spogliata del numeroso ammanto del vostro favore.

Certo il suo delitto dev'essere di un genere così snaturatoda rendersi mostruosooppure il vostro decantato affetto di prima deve essersi corrottoma per credere di lei questa cosaè necessaria una fedeche la ragione non potrebbe mai far radicare in me senza un miracolo.

CORDELIA: Io supplico ancora Vostra Maestà... che se è perché a me manca l'arte sdrucciolevole e untuosa di parlare e non aver propositi (giacché quando mi propongo fermamente una cosaio la faccio prima di dirla)voi facciate sapereche non la macchia di un vizionon un assassinionon un'ignominianon un azione impudicao un passo disonorevolemi ha fatto perdere la vostra grazia e il vostro favore; ma proprio il non possedere ciòper la cui mancanzaappuntoio sono più riccacioè un occhio che chiede sempreed una lingua che io sono contenta di non averesebbene il non averla mi abbia perduta all'affetto vostro.

LEAR: Meglio che tu non fossi natapiuttosto che non aver incontrato di più il mio piacimento.

FRANCIA: Non è che questo? una inerzia della naturala quale spesso lascia inespressa la storia che essa vuol raccontare? Mio signore di Borgognache cosa dite alla nobile fanciulla? Amore non è amoreallorché esso ha che fare con delle considerazioni che sono lungi dal suo oggetto principale. La volete? Essa è di per se stessa una dote.

BORGOGNA: Nobile reaccordate non più che quella parte del regno che voi medesimo offristee qui stesso io prendo per mano Cordeliaduchessa di Borgogna.

LEAR: Nulla. Ho giurato: sono irremovibile.

BORGOGNA: Allorasono dolente che voi abbiate perduto un padre fino al punto da dover perdere un marito.

CORDELIA: Si dia pace il duca di Borgogna! Dal momento che considerazioni di interesse formano l'amor suoio non sarò sua moglie.

FRANCIA: Bellissima Cordeliache sei ancor più ricca perché sei poverapiù eletta perché abbandonatapiù amata perché disprezzataio mi impossessoquidi te e delle tue virtù: iomi sia lecitoraccolgo ciò che vien gettato via. Dèidèi! E' strano che alla gelida noncuranza di costorol'amor mio dovesse accendersifino a divampare in venerazione. Rela tua figliuola senza dotegettata nelle mie braccia dalla venturaè regina nostradei nostri sudditidella nostra bella Francia: tutti i duchi dell'acquosa Borgogna non potranno ricomperare da me questa preziosa fanciulla disprezzata. Cordeliadi' addio a costoroper quanto snaturati: tu perdi questo luogoper trovarne uno migliore.

LEAR: Tu la possiedire di Francia: sia pur tuapoiché noi non abbiamo una tal figliae non rivedremo mai più la sua faccia. Perciòvattene senza la nostra graziasenza il nostro affettosenza la nostra benedizione. Venitenobile duca di Borgogna.

 

(Squillo di trombe. Escono Learil Duca di Borgognail Duca di Cornovagliail Duca d'AlbaniaGloucester e le Persone del loro seguito)

 

FRANCIA: Dite addio alle vostre sorelle.

CORDELIA: Gioielli del padre nostrocon gli occhi inondati di lacrime Cordelia vi lascia. Io so quello che sieteecome sorellami ripugna immensamente chiamare i vostri difetti col loro vero nome.

Trattate bene nostro padre: io lo affido ai vostri cuori pieni di protestazioni; tuttaviaahimèse fossi nelle sue grazielo raccomanderei a miglior luogo. Cosìaddio a tutte e due.

REGANA: Non ci prescrivete il nostro dovere.

GONERILLA: Il vostro pensiero sia quello di far contento il signor vostroil quale vi ha presa per carità della fortuna: voi avete lesinato l'obbedienzae siete ben degna che vi manchi quel che vi è mancato.

CORDELIA: Il tempo svelerà ciò che l'avvolgimento dell'astuzia nasconde: chi copre i propri difettiè schernito alla fine dalla vergogna. Possiate avere buona fortuna!

FRANCIA: Venitemia bella Cordelia.

 

(Escono il Re di Francia e Cordelia)

 

GONERILLA: Sorellaio ho da dirvi non pocodi una cosa che interessa molto da vicino tutte e due. Credo che nostro padre andrà via di qui stanotte.

REGANA: E' certissimoe verrà con voi; con noi il mese venturo.

GONERILLA: Voi vedete come è piena di cambiamenti la sua vecchiaia; l'esperienza che ne abbiamo fatta non è stata lieve: egli ha sempre voluto più bene alla nostra sorella che a noi; e con quanta miseria di discernimento ora l'abbia ripudiataapparisce in modo troppo evidente REGANA: E' la debolezza dell'età; del restoegli ha avuto sempre una scarsa coscienza di sé.

GONERILLA: Il periodo migliore e più sano della sua vita non è stato altro che avventataggine; perciò noi dobbiamo aspettarcidalla sua vecchiaianon soltanto i difetti di un'abitudine da lungo tempo inveteratamaoltre a questila capricciosa ostinatezza che gli annii quali rendono l'uomo cagionevole e biliosoportano con sé.

REGANA: Noi corriamo il rischio di ricevere da lui uno di quegli scatti improvvisicome quello dell'esilio di Kent.

GONERILLA: C'è ancora lo scambio di qualche altro complimento di congedo fra il re di Francia e lui. Ve ne pregomettiamoci d'accordo:

se nostro padre fa valere la sua autoritàcon quell'umore che si ritrovaquest'ultima resa del potere da parte sua non potrà che nuocerci.

REGANA: Ci ripenseremo ancora.

GONERILLA: Bisogna fare qualcosae battere il ferro finché è caldo.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SECONDA - Una sala nel Castello del Conte di Gloucester

(Entra EDMONDOcon una lettera)

 

EDMONDO: Tuo Naturasei la mia deai miei servigi sono legati alla tua legge. Perché io dovrei essere vittima di quella peste che è il costumee permettere all'esagerato scrupolo delle nazioni di diseredarmiper il solo fatto che sono indietro di dodici o quattordici lunerispetto ad un fratello? perché bastardo? perché ignobile? una volta che le mie proporzioni sono così ben congegnatela mia anima è così generosae la mia conformazione così schietta come se io fossi la prole di un'onesta dama? Perché ci bollano col titolo di ignobilie parlano di ignobiltàdi bastardigia? Ignobili? ignobili? noi che nel furto vigoroso della natura attingiamo una tempra più solidae maggior fierezza di carattereche non vada a creare tutta una tribù di gonzigeneratifra il sonno e la vegliain un letto torpidofrollofiacco? Ebbenelegittimo Edgardoio debbo avere la tua terra. L'amore di nostro padre spetta al bastardo Edmondocome al figliuolo legittimo. Legittimobella parola! Eh! mio bel legittimose questa lettera camminae il mio disegno riescel'ignobile Edmondo prevarrà sul legittimo... Io divento grandela fortuna mi assiste; orao dèiparteggiate per i bastardi!

 

(Entra GLOUCESTER)

 

GLOUCESTER: Kent esiliato cosìil re di Francia andato via in collerail re partito stanotteil suo potere passato ad altriridotto ad una pensione! Tutto ciò nell'estro del momento! Edmondo!

Ebbeneche notizie?

EDMONDO: Piaccia a Vostra Signorianessuna.

 

(Fingendo di metter via la lettera)

 

GLOUCESTER: Perché cerchicon tanta premuradi metter via quella lettera?

EDMONDO: Non ho notiziesignor mio.

GLOUCESTER: Che cos'è quella carta che leggevi?

EDMONDO: Nientemio signore.

GLOUCESTER: Niente? Allora che necessità c'era di quella terribile fretta di mandarla a finire nella tua tasca? Ciò che ha la qualità del nullanon ha tutto questo bisogno di nascondersi. Vediamose si tratta di niente non avrò bisogno degli occhiali.

EDMONDO: Ve ne scongiurosignoreperdonatemi: è una lettera di mio fratelloche non ho finita di leggere tutta; ma da quanto ne ho lettatrovo che non è conveniente che voi ci mettiate gli occhi sopra.

GLOUCESTER: Datemi quella letteramessere.

EDMONDO: Io faccio male tanto a sottrarlaquanto a darvela. Il contenutoper quel che in parte ne comprendo è da biasimare.

GLOUCESTER: Vediamovediamo.

EDMONDO: Io speroa giustificazione di mio fratelloch'egli abbia scritto ciò soltanto per avere un saggio della mia virtùo metterla alla prova.

GLOUCESTER (legge) "Questo civile uso del rispetto alla vecchiaia ci amareggia il mondo nei nostri tempi migliori; ci sequestra i benifin che la nostra vecchiaia non è più in grado di goderli. Io comincio a trovare una vana e sciocca pastoia nell'oppressione della tirannide senileche governa non perché è potentema perché è tollerata.

Venitech'io possa parlarvi di ciò più a lungo. Se nostro padre dormisse finché io lo svegliassivoi vi godreste per sempre metà della sua rendita e vivreste prediletto dal vostro fratello. Edgardo".

Ah! una congiura? "...dormisse finché lo svegliassi... voi vi godreste metà della sua rendita". Mio figlio Edgardo! Ha egli avuto una mano per scrivere questo? un cuore ed un cervello per concepirlo? Quando vi è giunto questo foglio? Chi l'ha portato?

EDMONDO: Non mi è stato portatomio signore: lì sta l'astuzia. L'ho trovato in terra vicino alla finestra del mio gabinetto.

GLOUCESTER: Riconoscete che il carattere sia quello di vostro fratello?

EDMONDO: Se la sostanza andasse benesignor mioio oserei giurare che fosse suo: ma in considerazione di quellavorrei credere molto volentieri che non lo fosse.

GLOUCESTER: E' suo.

EDMONDO: E' la sua manosignor mioma nel contenutoio lo speroil suo cuore non c'è.

GLOUCESTER: Aveva mai scandagliatoprima d'ora il vostro pensiero su questa faccenda?

EDMONDO: Maisignor mio. Ma l'ho sentito spesso sostenere esser giusto chematuri i figli e fatti vecchi i padriil padre fosse come sotto tutela del figlioe il figlio amministrasse le sue rendite.

GLOUCESTER: Oh scelleratoscellerato: proprio l'opinione ch'egli ha espresso nella sua lettera. Furfante abominevole! Snaturatodetestatobestiale furfante! peggio che bestiale! Via giovanottoandate a cercarlo; lo farò arrestare. Abominevole furfante! Dov'è?

EDMONDO: Non so benesignor mio. Se vorrete sospendere il vostro sdegno contro mio fratellofinché possiate raccogliere da lui stesso una prova migliore delle sue intenzionibatterete una via sicuramentrese agiste violentemente contro di luiingannandovi circa i suoi propositiciò aprirebbe una gran breccia nel vostro onoree strapperebbe la radice della sua obbedienza. Oso scommettere la mia vita in favor suoche egli ha scritto questo per provare il mio affetto per Vostro Onoree non per altra intenzione criminosa.

GLOUCESTER: Lo credete?

EDMONDO: Se Vostro Onore lo giudica convenienteio vi metterò in un posto donde ci sentirete ragionare di ciò e voiassicurandovi con le orecchie vostreavrete la vostra soddisfazionee senza un indugio più lungo di questa sera stessa.

GLOUCESTER: Egli non può essere un tal mostro...

EDMONDO: E non lo èsicuramente.

GLOUCESTER: ...verso suo padreche lo ama così teneramente e con tutto l'affetto. Cielo e terra! Edmondotrovatelo; entrate per me nella sua confidenzave ne prego; conducete la cosa con la vostra saggezza. Io mi spoglierei di tuttopur di essere già in una convinzione assoluta.

EDMONDO: Vado subito a cercarlosignore; condurrò la cosa con tutti i mezzi che troveròe quindi vi terrò informato.

GLOUCESTER: Queste ultime eclissi di sole e di luna non ci presagiscono nulla di buono: sebbene la saggezza naturale sappia rendercene ragione in questo o quel modotuttavia la natura rimane afflitta lo stesso dagli effetti che ne seguono. L'amore si raffreddal'amicizia se ne vai fratelli si dividono; nelle città ribellioni; nelle campagne discordianei palazzi tradimento e spezzato il legame fra padre e figlio. Questo mio scelleratocade sotto la predizione:

ed ecco il figlio contro il padre; il re devia dalla inclinazione della natura: ecco il padre contro il figlio. Noi abbiam visto il meglio dei tempi nostri: congiureperfidiatradimentoe perturbamenti funesti d'ogni specieci accompagnanosenza treguaalla tomba. Trova questo scelleratoEdmondotu non ci perderai nulla: fallo con cura. E il nobile e leale Kent esiliato! la sua colpa? l'onestà! E' strano!

 

(Esce)

 

EDMONDO: Ecco la sublime stoltezza del mondo: quando la nostra fortuna si ammala (e spesso è il reo effetto della nostra stessa condotta) noi diamo la colpa delle nostre sciagure al solealla lunae alle stelle: come se noi fossimo degli scellerati per necessitàdegli stolti per impulso celeste; dei furfantidei ladri e dei traditoriper la predominazione delle sfere; degli ebbridei bugiardi e degli adulteriper una forzata obbedienza all'influsso dei pianeti; e tutto ciò in cui siamo perversiper effetto di una spinta divina. Bella scappatoia da puttanierequesta di affibbiare ad una stella la colpa della propria lascivia! Mio padre se la intese con mia madre sotto la Coda del Dragoed io nacqui sotto l'Ursa Maior: sicché io sonodi conseguenzabrutale e lascivo. Bah! sarei stato quello che sono anche se la stella più verginale del firmamento avesse brillato sulla mia bastardificazione. Edgardo!...

 

(Entra Edgardo)

 

E in buon punto vienecome la catastrofe dell'antica commedia: la mia parte è una infame malinconiaaccompagnata da un sospiro da accattone. Eh! queste eclissi presagiscono queste dissonanze. Fasollami.

EDGARDO: Ebbenefratello Edmondoin quale grave contemplazione siete assorto?

EDMONDO: Sto pensandofratello mioad una predizione della quale ho letto l'altro giornoa proposito di ciò che dovrebbe accadere in seguito a queste eclissi.

EDGARDO: E voi vi occupate di questo?

EDMONDO: Vi garantisco che le conseguenze di cui l'autore scrivesventuratamente si avverano; quali: snaturatezza fra padre e figliomortecarestiarottura di antiche amicizie scissioni nel regno; minacce e maledizioni contro il re e contro i nobilidiffidenze irragionevoliesilio di amicidispersione di bandeinfrazioni coniugalie non so che cosa.

EDGARDO: Da quanto tempo siete un seguace delle dottrine astronomiche?

EDMONDO: Viavia; quando avete veduto mio padre l'ultima volta?

EDGARDO: Ieri sera.

EDMONDO: Gli avete parlato?

EDGARDO: Sìper due ore di seguito.

EDMONDO: Vi siete lasciati in buoni termini? Da qualche parolao dal suo contegnoavete notato in lui alcun indizio di contrarietà?

EDGARDO: Nessunoaffatto.

EDMONDO: Ripensate benein che cosa potete averlo offeso: ese ascoltate una mia preghieraevitate la sua presenzafinché un po' di tempo abbia mitigato l'ardore della sua collerala quale in questo momento infuria in lui a tal punto che appena si calmerebbe col sacrificio della vostra persona.

EDGARDO: Qualche infame mi avrà calunniato.

EDMONDO: Questa è la mia paurafratello. Vi pregosappiatevi contenere e abbiate pazienzafinché la foga della sua collera rallenti un poco; ecome vi dicoritiratevi con me nel mio alloggiodal quale io vi metterò convenientemente in grado di sentire che cosa dice il mio signore. Ve ne pregoandate: eccovi la mia chiave. Se usciteandate armato.

EDGARDO: Armato? fratello!

EDMONDO: Fratelloio vi avverto per il vostro meglio; non sono un uomo onestose in aria c'è qualche buona disposizione a vostro riguardo. Io non vi ho dato che una pallida idea di quello che ho veduto e sentito: nulla ho dettoche assomigli all'immagine e all'orrore di ciò. Vi pregoandate.

EDGARDO: Saprò presto qualche cosa da voi?

EDMONDO: In questa faccenda lasciatevi servire da me.

 

(Edgardo esce)

 

Un padre credulo ed un nobile fratellola cui natura è così lontana dal fare il malech'egli non sa sospettarne alcuno: la loro sciocca onestà si presta agevolmente al mio giuoco! La faccenda io la vedo chiara. Se non ho terre per diritto di nascitache io le abbia per opera della mia intelligenza! Tutto per me è buonoquello che posso rendermi utile.

 

(Esce)

 

 

 

SCENA TERZA - Una stanza nel Palazzo del Duca d'Albania

(Entrano GONERILLAe OSVALDOsuo maggiordomo)

 

GONERILLA: Mio padre ha percosso il mio gentiluomo di corte perché ha rimproverato il suo buffone?

OSVALDO: Sìsignora.

GONERILLA: Egli mi offende giorno e notte: ogni momento prorompe in questo o in quell'eccesso inconsultoche mette la discordia fra tutti noi; io non lo tollero. I suoi cavalieri incominciano a farsi turbolentied egli stesso ci rimprovera per ogni inezia. Quando tornerà dalla caccia gli direte che io mi sento male: non ho voglia di parlargli. Se vorrete essere meno pronto a servirlo che per l'innanzi farete bene: della colpa rispondo io.

OSVALDO: Egli giungesignora; lo sento.

 

(Corni dal di dentro)

 

GONERILLA: Assumete pure quell'aria di svogliata negligenza che crederete megliovoi e i vostri compagni: io sarei contenta che ciò provocasse una discussione. Se non gli piacese ne vada da mia sorellail cui pensiero e il miolo so benein questa cosa sono uno solo: non lasciarsi dettar legge. Stolto di un vecchioil quale pretende di far valere ancora quell'autorità di cui si è privato!

Davvero che questi vecchi pazzi diventano un'altra volta bambini; e si meritano rabbuffi per carezzequando si vede che sono indotti in errore. Ricordatevi di ciò che vi ho detto.

OSVALDO: Sta benesignora.

GONERILLA: E i suoi cavalierid'ora innanziincontrino in mezzo a voi sguardi più freddi: quel che ne succedenon importa. Avvertitene i vostri compagni. Io vorrei farne nasceree vi riusciròqualche buona occasione per poter parlare. Scrivo senz'altro a mia sorelladi tenere la mia precisa condotta. Fate preparare il pranzo.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA QUARTA - Una sala nello stesso Palazzo

(Entra KENTtravestito)

 

KENT: Sol che altrettanto bene io riesca a prendere in prestito un'altra voceche sappia alterare il mio modo di parlarela mia buona intenzione mi condurràdi per se stessaal pieno conseguimento di quello scopo per il quale ho cancellato le mie sembianze. Ed orao bandito Kentse puoi entrare a servizio (e possa tu riuscirvi!) proprio là dove tu sei condannatoil signore tuoche tu amiti troverà pronto ad ogni fatica.

 

(Corni dal di dentro. Entrano LEARCavalierie Persone del seguito)

 

LEAR: Non mi si faccia aspettare un minuto per il pranzo; andateguardate che sia pronto. (Esce uno del seguito)

Ebbene! chi sei tu?

KENT: Un uomosignore.

LEAR: Qual è la tua professione? Che cosa vorresti da noi?

KENT: Io faccio professione di non essere da meno di quello che sembro; di servire fedelmente colui che mi ammetterà alla sua fiducia; di amare colui che è onesto; di far compagnia a chi è saggio e parla poco di temere l'ira del Signore; di battermi quando non ho altra scelta; e di non mangiare pesce.

LEAR: Chi sei?

KENT: Una perla di galantuomoe povero come il re.

LEAR: Se tucome sudditosei povero quanto egli lo è come resei povero davvero. Che cosa vorresti?

KENT: Trovar servizio.

LEAR: Chi vorresti servire?

KENT: Voi.

LEAR: Mi conoscitugiovanotto?

KENT: Nosignore; ma nel vostro aspetto voi avete ciò che io chiamerei volentieri mio padrone.

LEAR: E che cos'è questo?

KENT: L'autorità.

LEAR: Che servizi sai fare?

KENT: So serbare un segreto onestoso montare a cavallocorrereguastareraccontandolauna storia troppo complicatae riferire alla buona una semplice ambasciata: io sono capace in tutto ciò per cui bastano uomini comuni; e il mio miglior pregio è la diligenza.

LEAR: Quanti anni hai?

KENT: Non sono così giovanesignor mioda innamorarmi di una donna perché canta; e neppure così vecchioda spasimare per lei per un'altra ragione qualunque: ho sulle spalle quarantotto anni.

LEAR: Vieni con me; tu mi servirai: se dopo pranzo non mi piacerai meno di quanto mi piaci oranon ti manderò via. Questo pranzodicoquesto pranzo! Dov'è il mio uomoil mio matto? Va'e fammi venir qui il mio matto.

 

(Esce uno del seguito. Entra OSVALDO)

 

Giusto voimariuolodov'è mia figlia?

OSVALDO: Col vostro permesso... (Esce)

LEAR: Che dicelà il marrano? Richiamate quella testa di legno. (Esce un Cavaliere) Dov'è il mio matto?... Pare che il mondo dorma!

 

(Rientra il Cavaliere)

 

Ebbene! dov'è quel can bastardo?

CAVALIERE: Egli dicesignor mioche vostra figlia non si sente bene.

LEAR: Perché il mariuolo non è tornato indietroquando l'ho chiamato?

CAVALIERE: Signoremi ha rispostochiaro e tondoche non ne aveva voglia.

LEAR: Non ne aveva voglia?

CAVALIERE: Signor mioio non so che cosa accada: maa mio giudizioVostra Altezza non è più trattata con quell'affetto pieno di riguardi al quale voi eravate abituatoc'è una grande diminuzione di cortesia che apparisce manifesta nei dipendentiin generalecome anche nel duca stesso e in vostra figlia.

LEAR: Ah! dici proprio così?

CAVALIERE: Ve ne supplicoperdonatemisignor miose mi sbaglio:

poiché la mia coscienza non può stare zittaquando io credo che sia stato fatto un torto a Vostra Altezza.

LEAR: Tu non fai che ricordarmi un mio stesso sospetto. Io ho notatodi recenteun'ombra di trascuratezza verso di mema l'ho biasimata piuttosto come una eccessiva suscettibilità da parte miache come una vera intenzione ed un voluto proposito di scortesia. Osserverò ancora meglio la cosa. Ma dov'è il mio matto? Non l'ho più visto da due giorni.

CAVALIERE: Da che la mia padroncina è in viaggio per la Franciasignoreè andato molto giù.

LEAR: Basta di ciò: me ne son bene accorto. Voiandate e dite a mia figlia che le vorrei parlare. (Esce uno del seguito) Voiandate e fatemi venir qui il mio matto. (Esce uno del seguito)

 

(Rientra OSVALDO)

 

Ehi! voimesseredico a voivenite quamessere: chi sono iomessere?

OSVALDO: Il padre della mia signora.

LEAR: "Il padre della mia signora"! il servitore di mia Signoria:

canaglia figlio di puttana! manigoldo! botolo ringhioso!

OSVALDO: Io non sono nessuna di queste cosesignor miodomando il vostro perdono.

LEAR: Pretendereste di rispondere ai miei sguardi coi vostrifurfante? (Lo batte)

OSVALDO: Io non voglio essere battutosignore!

KENT: E nemmeno esser mandato a gambe per ariacattivo giocatore di calcio.

 

(Gli dà lo sgambetto)

 

LEAR: Ti ringraziogiovinotto; tu mi rendi un servigioed io ti vorrò bene.

KENT: Andiamomesserealzatevie andatevene! Vi insegnerò io a stare al vostro posto: via di qua via! Se volete misurare un'altra volta la vostra lunghezza di tangheroindugiate ancora; ma via di qua! Andatevene: avete senno? allora via!

 

(Spinge fuori Osvaldo)

 

LEAR: Ed oramio buon garzoneio ti ringrazio: eccoti una caparra del tuo servizio. (Dà del denaro a KENT)

 

(Entra il Matto)

 

MATTO: Voglio dargli anch'io la paga: eccoti il mio berretto.

 

(Offre a Kent il suo berretto)

 

LEAR: Ebbenebricconcello miocome va?

MATTO: Messerefareste meglio a prendere il mio berretto.

KENT: Perchématto?

MATTO: Ecco... perché tu prendi le parti di unoil quale è in disgrazia. Ese tu non sai sorridere secondo il vento che tirapresto sentirai che raffreddamento! viaprendi il mio berretto. Vediquesto buon uomo ha bandito due delle sue figliuolee ha fatto la felicità della terza contro sua voglia: se tu lo servi dovrai necessariamente portare il mio berretto. Come vazio? Ahse avessi due berretti e due figliuole!

LEAR: Perchéragazzo mio?

MATTO: Se io dessi loro tutto quello che posseggoalmeno mi terrei per me i miei berretti. Ecco qui il mio; un altro domandalo in elemosina alle tue figliuole.

LEAR: Sta' attentomariuoloc'è la frusta!

MATTO: La verità è un cane che deve andare a caccia nel caniledev'esser mandato fuor di casa a frustatementre la signora cagna può starsene accanto al fuoco e puzzare.

LEAR: Un boccone amaro per me!

MATTO: Comparevoglio insegnarti un discorso.

LEAR: Insegnamelo.

MATTO: Sentilo benezio.

Mostra men di quel che hai Parla men di quel che sai Presta men che in serbo avraiPiù a caval che a piedi andrai. Credi pocoimpara assaiPunta men che vincerai. Lascia il bere e la tua ganza. Non uscir dalla tua stanza:

Più che doppia una decina Tu avrai per la ventina.

KENT: Questo è un bel nullamatto.

MATTO: Allora è come il fiato d'un avvocato senza pagae voi non mi avete dato nulla per il mio discorso. Non sapete farne nessun usodi un nullazio?

LEAR: Ehnoragazzo; dal nulla non si cava nulla.

MATTO (a Kent): Ti pregodigli che a tanto ammonta la rendita delle sue terre: a un matto non gli vorrà credere.

LEAR: E' asproil matto!

MATTO: Saiamicola differenza che c'è fra un matto aspro e un matto dolce?

LEAR: Noragazzoinsegnamela.

MATTO: Quei che pose in capo a te Di dar via le terre tueVenga a mettersi accanto a meO fa’ tu le veci sue:

Chi sia dolce e chi amaro De' due matti si vedrà L'un qui in veste di giullaroE quell'altroeccolo là.

LEAR: Mi dài del mattoragazzo?

MATTO: Tutti gli altri tuoi titoli li hai dati via: con quello ci sei nato.

KENT: Costui non è interamente mattosignor mio.

MATTO: Noin fede miai signori e i potenti non me lo permettono; se io avessi il monopolio della pazziaessi vorrebbero averne la parte loro; e le signoreanche loro non vogliono lasciarmi avere la pazzia tutta per me solo; me la strappano per forza. Ziodammi un uovoed io ti darò due corone.

LEAR: Che cosa saranno queste due corone?

MATTO: Eccole due cocce dell'uovodopo che io l'abbia tagliato nel mezzo e ne abbia mangiato la sostanza. Quando spezzasti nel mezzo la tua coronae desti via tutte e due le partiti portasti l'asino sulle spalleattraverso il fango della strada; tu avevi poco sennosotto la tua coccia pelataallorché davi via la tua corona d'oro. Sedicendo questoio parlo da quel matto che sonosia frustato chi è il primo a riconoscerlo. (Canta) Mai tanto pei matti andò mal che quest'anno Ché i saggi divenner sciocchiE un uso miglior pel cervello non sanno Che fare gli scimmiotti.

LEAR: Da quando in qua hai l'abitudine di essere così ben fornito di canzonibriccone?

MATTO: Ho quest'usoziodal giorno che delle tue figliuole hai fatto le tue madri: poiché quando hai dato loro in mano la vergae ti sei calato le brache... (canta) Dalla gioia esse versan di lacrime un lago Ed io pel duolo fo lazzi Che un tal re debba mettersi a far baco baco In compagnia dei pazzi.

Ti pregozioprendi un maestro che sappia insegnare la menzogna al tuo matto: io imparerei volentieri a mentire.

LEAR: Se voi mentitesignorinovi faremo frustare.

MATTO: Io vorrei sapere che parentela c'è fra te e le tue figliuole:

esse mi voglion far frustare perché dico la veritàtu vuoi farmi frustare perché mento e qualche volta sono frustato perché sto zitto.

Io vorrei essere qualunque cosapiuttosto che un matto; eppure non vorrei essere tezio: tuti sei fatto cimare il senno da tutte e due le partie nel mezzo non ti c'è rimasto nulla: ecco qua una delle cimature.

 

(Entra GONERILLA)

 

LEAR: Ebbenefigliuola! perché quella benda sulla fronte? Mi pare cheda qualche tempovoi siate un po' troppo accigliata.

MATTO: Tu eri un uomo in gambaquando non avevi bisogno di preoccuparti della sua aria accigliata; ora sei uno zero senza una cifra accanto. Ora io valgo più di te: io sono un mattotu nulla. (A Gonerilla) Sìdiaminemi cheterò; così mi ordina la vostra facciaper quanto voi non diciate niente.

Bucibuci!

Per chi lascia tinche e ceci Nulla ne farà le veci.

Costui (indicando Lear) è una buccia di pisello sgranato.

GONERILLA: Signorenon solamente questo vostro mattoal quale è permesso tuttoma altri del vostro seguito insolentetrovanoogni momento da ridire e da litigare abbandonandosi a risse truculente e intollerabili. Signoreio avevo credutoinformandovi bene della cosadi aver trovato un rimedio sicuro: ma oradopo ciò che voi stesso avete detto e fatto recentementeincomincio a temere che voi proteggiate una simile condottae la incoraggiate con la vostra approvazione. Ché se voi faceste questola colpa non sfuggirebbe al biasimoe non tarderebbero rimedinell'interesse di un bene salutare per tuttil'applicazione dei quali potrebbe farvi un'offesache in altre circostanze sarebbe una vergognama che allora la necessità chiamerà misura prudente.

MATTO: Poiché tu lo saizio:

Tanto nutrì la passera scopaiola il cucùChe il capo dai suoi piccoli mangiato alfin le fu.

Cosìla candela si spensee noi fummo lasciati al buio.

LEAR: Siete nostra figlia voi?

GONERILLA: Viasignore! Io vorrei che voi faceste uso del vostro buon sensodel quale so che siete pienoe che metteste via questo umoreche da qualche tempo vi porta ben lontano da quello che voi siete veramente.

MATTO: Un asino non può saper quando è che il carretto tira il cavallo? SuDocio ch'io ti vuo' bene!

LEAR: C'è qualcuno che mi riconoscaqui? Questi non è Lear: camminaforsecosì Lear? parla così? dove sono i suoi occhi? o la sua intelligenza si indebolisce o la sua ragione è in letargo. Ah! sono desto? non è vero! Chi è che mi sa dire chi sono?

MATTO: L'ombra di Lear.

LEAR: Vorrei saperlopoiché i segni della sovranitàl'intelligenza e la ragionemi persuaderebberoingannandomiche io avevo delle figliuole.

MATTO: Le quali vogliono far di te un padre obbediente.

LEAR: Il vostro nomebella signora?

GONERILLA: Questa vostra meravigliasignoremi sa molto del gusto delle altre vostre recenti scappate. Io vi supplico di comprendere nel loro vero senso le mie intenzioni: vecchio come sietee venerandodovreste essere savio. Voi tenete qui fra cavalieri e scudieriun centinaio di uominicosì sregolaticosì corrotti e tracotantiche questa nostra corteviziata dai loro costumisembra una rissosa locanda: l'epicureismo e la lussuria l'hanno ridotta in modo che essa somiglia più ad una bettola o ad un bordelloche ad un palazzo dove alberghi la grazia. La vergogna stessa reclama un pronto rimedio:

lasciatevi dunque pregare (da colei chese nofarà senz'altro quello che ora chiede) di diminuire un poco il vostro seguitoe di provvedere che il restoil quale rimarrà ancora al vostro serviziosia composto di uomini taliche possano convenire all'età vostrae che sappiano chi sono essi e chi siete voi.

LEAR: Tenebre e diavoli! Sellate i miei cavalli: radunate il mio seguito. Bastarda degenerata! Io non ti darò più noia: mi resta ancora una figliuola.

GONERILLA: Voi battete la mia servitùe la vostra licenziosa canaglia tratta come servi i suoi superiori.

 

(Entra il DUCA D'ALBANIA)

 

LEAR: Guai a chi si pente troppo tardi! (Al Duca d'Albania) Ah!

signoresiete qui? E' questa la vostra volontà? Parlatesignore.

Preparate i miei cavalli. O ingratitudinedemonio dal cuore di marmopiù orrenda del mostro del mare allorché ti manifesti in una figliuola!

ALBANIA: Ve ne pregosignoreabbiate pazienza.

LEAR (a Gonerilla): Esecrato nibbio! Tu menti: il mio seguito è composto di uomini scelti e di non comuni qualitàche conoscono le esigenze del doveree tengono alto l'onore del loro nome con il più scrupoloso riguardo. Ohla più piccola delle colpe come mi apparisti brutta in Cordelia! Tu checome uno strumento di torturadislogasti tutte le mie più intime fibrestrappasti dal mio cuore tutto l'amoree vi sostituisti il fiele! O LearLearLearbatti a questa porta (si batte la fronte)che ha lasciato entrare la tua pazziae ha fatto uscire il tuo prezioso senno! Andiamoandiamogente mia.

ALBANIA: Signoreio sono innocentequanto ignarodi ciò che ha suscitato il vostro sdegno.

LEAR: Può esseresignor mio. Ascoltao Naturaascolta! cara deaascolta! Sospendi il tuo propositose tu intendesti di render feconda questa creatura! Nel suo grembo metti la sterilità! Inaridisci in lei le fonti della generazionee dal suo corpo tralignato non esca mai una figliolanza che la onori! Se deve concepirecreale un figliuolo di fieleche possa vivere per essere il suo tormento perverso e snaturato! Possa egli stampare di rughe la fronte della sua giovinezza; possa scavarle solchi nelle gote con le lacrime che le farà versarepossa ricambiare tutte le sue cure e sollecitudini di madrecon le risa e il disprezzo: sicché ella possa provare quanto sia più crudele del dente di una serpeavere un figliuolo ingrato!

Andiamo. andiamo!

 

(Esce)

 

ALBANIA: Per gli dèi che noi adoriamod'onde nasce tutto ciò?

GONERILLA: Non vi date pensiero di saperne la cagione ma lasciate che il suo cattivo umore abbia quello sfogo che l'età barbogia gli consente.

 

(Rientra LEAR)

 

LEAR: Come! cinquanta del mio seguito in un sol colpo! Entro quindici giorni?

ALBANIA: Che c'èsignore?

LEAR: Te lo dirò... (A Gonerilla) Vita e morte! Io mi vergogno che tu abbia il potere di scuotere così questa mia fibra di uomo; che tu debba esser degna di queste calde lacrimeche mi vengono strappate a forza. Furia di venti e nebbie sulla tua testa! Le inciprianite piaghe della maledizione di un padre possano penetrarti tutti i sensi! O mie vecchie credule pupilleprovatevi a piangere un'altra volta per questa ragione ed io vi strappo via dall'orbitae insieme con l'acqua che perdetevi getto in terra a formar fango. Oh! siamo giunti a questo? Sia così! Mi rimane ancora una figliuola cheson sicuroè buona e premurosa; quando sentirà che tu hai fatto questoti scorticherà con le unghie cotesta faccia di lupo. Vedrai che riprenderò la figura che tu credi ch'io abbia gettata via per sempre; vedraite lo assicuro.

 

(Escono LearKente il Seguito)

 

GONERILLA: Sentitesignor mio?

ALBANIA: Io non posso essere così parzialeGonerilladel grande amore che vi porto...

GONERILLA: Vi pregonon insistete. EbbeneOsvaldoehi! (Al Matto) Voimessere più briccone che mattoseguite il vostro padrone.

MATTO: Zio Learzio Lear! aspettae porta con te il tuo matto.

Volpe presa in guise accorteE una figlia di tal sorteCerto andrebbero alla morte Se il berretto mio fosse forte Di comprar funi ritorte.

Così va il matto di corte.

GONERILLA: Quest'uomo ha avuto giudizio: cento cavalieri! Bello e sicuro accorgimento lasciargli tenere cento cavalieriarmati di tutto punto: giàaffinché ad ogni sognoad ogni pettegolezzoad ogni fantasialagnanza e scontentoegli possa difenderecon la forza lorola sua imbecillitàe tenere la vita nostra alla sua mercé.

Osvaldo dico!

ALBANIA: Viapuò darsi che voi esageriate la vostra paura.

GONERILLA: Meglio che fidarsi troppo: lasciatemi toglier sempre di mezzo i mali che io temoanziché temer sempre di esservi presa in mezzo: conosco il suo cuore. Tutto ciò ch'egli ha proferitol'ho scritto a mia sorella: se essa sostentasse lui e i suoi cento cavalierimentre io le ho mostrato la poca convenienza...

 

(Rientra OSVALDO)

 

EbbeneOsvaldo! Dunqueavete scritto quella lettera a mia sorella?

OSVALDO: Sìsignora.

GONERILLA: Prendetevi una scortae via a cavallo: informatela appieno del mio personale timore; e aggiungetevi di vostro delle ragioniche valgano a renderlo più consistente. Andatee affrettate il vostro ritorno. (Esce Osvaldo) Nonomio signoresebbene questa arrendevole cortesia che è nella vostra condotta io non la condannipure col vostro perdono voi siete molto più biasimato per mancanza di sennoche lodato per una mitezza dannosa.

ALBANIA: Fino a qual punto gli occhi vostri riescano a penetrare nelle cose non posso dirlo: spesso il meglio è nemico del bene.

GONERILLA: Maallora...

ALBANIA: Benebeneaspettiamo la fine.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA QUINTA - Corte davanti allo stesso Palazzo

(Entrano LEARKENTe il MATTO)

 

LEAR: Andate voi primada Gloucester con queste lettere. Di quanto sapetenon informate mia figlia più di quello che essa vi domandi a proposito della mia lettera. Se la vostra diligenza non è sollecitaio sarò là prima di voi.

KENT: Non dormiròsignor miofinché non avrò consegnato la vostra lettera. (Esce)

MATTO: Se il cervello dell'uomo fosse nei suoi calcagninon correrebbe il rischio di avere i geloni?

LEAR: Sicuroragazzo mio.

MATTO: Allorati pregosta' allegro: il tuo senno non anderà in ciabatte.

LEAR: Ah! ah! ah!

MATTO: Vedrai che l'altra tua figliuola ti avrà a sangue; poichésebbene essa somigli a questacome una mela selvatica somiglia ad una mela buonapure io posso dire quel che posso dire.

LEAR: Che cosa puoi direragazzo?

MATTO: Che essa sarà dello stesso gusto di questacome una mela selvatica ha lo stesso sapore di un'altra mela selvatica. Sai dirmi perché il naso sta proprio in mezzo alla faccia?

LEAR: No.

MATTO: To'perché gli occhi stiano uno da una parte del nasoe l'altro dall'altra: sicché ciò che non si può fiutare col nasosi possa spiare con gli occhi.

LEAR: Io sono stato ingiusto con lei...

MATTO: Sai dire come un'ostrica si fa il guscio?

LEAR: No.

MATTO: Ed io nemmeno; ma ti so dire perché una chiocciola ci ha la casa.

LEAR: Perché?

MATTO: To'per tirarci dentro la testa; e non per darla via alle sue figliuolee lasciar le sue corna senza tetto.

LEAR: Voglio dimenticare il mio affetto... Un padre così amoroso! Son pronti i miei cavalli?

MATTO: I tuoi asini sono andati ad occuparsene. La ragione per la quale le sette stelle non sono più di setteè bellina.

LEAR: Perché non sono otto?

MATTO: Giàprecisamente. Tu potresti riuscire un buon matto.

LEAR: Riprenderlo per forza!... Mostruosa ingratitudine!

MATTO: Ziose tu fossi il mio mattoti farei bastonareperché tu sei vecchio prima del tempo.

LEAR: Che vuoi dire?

MATTO: Tu non avresti dovuto farti vecchioprima d'esser diventato savio.

LEAR: Non permettere ch'io diventi pazzooh! pazzo no. benigno cielo!

Conservami la mia ragione: io non voglio essere pazzo!...

 

(Entra un Gentiluomo)

 

Ebbene! Sono pronti i cavalli?

GENTILUOMO: Prontisignore.

LEAR: Vieniragazzo mio.

MATTO: Colei che adesso è verginee ride ch'io m'assento Nol sarà a lungoa men che si scorci l'argomento. (Escono)

 

 

 

ATTO SECONDO

 

SCENA PRIMA - Un cortile nel Castello del Conte di Gloucester

(Entrano EDMONDO e CURANOincontrandosi)

 

EDMONDO: Salute a teCurano.

CURANO: Ed anche a voi messere. Sono stato da vostro padree gli ho dato la notizia che il duca di Cornovaglia e Reganasua duchessastasera saranno qui da lui.

EDMONDO: Come mai?

CURANO: Manon lo so. Avete sentito le notizie che corrono? Voglio direquelle che si sussurranopoiché per ora non sono altro che voci che sfiorano l'orecchio.

EDMONDO: Io no: di graziaquali sono?

CURANO: Non avete sentito parlare di probabili guerre imminenti fra il duca di Cornovaglia e quello d'Albania?

EDMONDO: Neppure una parola.

CURANO: Allora ne sentirete parlare a suo tempo. Statevi benesignore. (Esce)

EDMONDO: Il duca sarà qui stasera? Tanto meglio! Benissimo! Questo è un altro filo che si intrecciadi necessitànella mia trama. Mio padre ha fatto appostare una guardia per prendere mio fratello; ed io ho per le mani una cosaun affare delicatoche debbo sbrigare.

Speditezza e fortunaall'opera! Fratellouna parola; scendete giù:

fratellodico!

 

(Entra EDGARDO)

 

Mio padre vigila. O messerefuggite di qua; si è sparsa notizia del luogo dove siete nascosto; ora avete il vantaggio della notte. Voi non avete mica parlato contro il duca di Cornovaglia? Egli viene qui oranella nottein gran frettae insieme con lui Regana: avete detto nullamettendovi dalla sua partecontro il duca d'Albania? Cercate di ricordarvene.

EDGARDO: Ne sono sicuronon una parola.

EDMONDO: Sento venir mio padre. Perdonatemi: debbo ricorrere ad un'astuziae fingere di tirar fuori la spada contro di voi: tirate fuori la vostrae fingete di difendervi: ora disimpegnatevi bene.

Arrendetevivenite davanti a mio padre. Luce quaehi! Fuggitefratello. Delle torcedelle torce! Cosìaddio. (Esce Edgardo) Un po' di sangue ch'io mi facessi uscirefarebbe credere ad un più accanito sforzo da parte mia: ho visto degli ubriachi far questo ed altroper galanteria. (Si ferisce un braccio) Padrepadre! Fermaferma! Non un aiuto?

 

(Entrano GLOUCESTER e dei Servi con torce)

 

GLOUCESTER: EbbeneEdmondodov'è il furfante?

EDMONDO: Stava qui al buiocon la sua spada tagliente sguainataborbottando malvagi incantesimie scongiurando la luna d'essergli benigna protettrice...

GLOUCESTER: Ma dov'è?

EDMONDO: Guardatesignoreio sanguino.

GLOUCESTER: Dov'è il furfanteEdmondo?

EDMONDO: E' fuggito da questa partesignore. Quando ha visto che non riusciva in alcun modo a...

GLOUCESTER: Inseguiteloolà! Corretegli dietro. (Esce un Servo) In alcun modo... a far che cosa?

EDMONDO: A persuadermi ad assassinare Vostra Signoria: ma anzi gli dicevo che gli dèi vendicatori dirigono tutti i loro fulmini contro i parricidi; gli facevo riflettere da quanto stretti e molteplici vincoli il figlio è legato al padre; finalmentesignorevedendo con quanto raccapriccio io mi opponevo al suo snaturato disegnoegliin un impeto ferocecon la sua pronta spadaattacca a fondo la mia persona indifesae mi ferisce al braccio. Ma allorché ha visto il meglio del mio spirito all'ertafatto ardito dalla buona causaanimarsi alla riscossao sia che lo spaventasse il rumore che io ho fattoimprovvisamente è fuggito.

GLOUCESTER: Fugga pure lontano; egli non resterà in questa terra senza essere arrestato; e una volta trovato... spacciato! Il nobile ducamio padronemio degno capo e protettorestasera vien qui: per mezzo della sua autorità farò bandire che chi lo trova meriterà i nostri ringraziamentiportando al supplizio il vile assassino; chi lo nascondemeriterà la morte.

EDMONDO: Quando cercai di dissuaderlo dal suo propositoe lo trovai risoluto a metterlo in attocon parole di esecrazione minacciai di scoprirlo; ma egli rispose: "O bastardo non abbientecredi tuse io volessi levarmi a smentirtiche la fiducia in una qualche lealtàvirtùo valore in te ripostifarebbe prestar fede alle tue parole?

Noper poco che io negassi (come negherei questo: sìquand'anche tu producessi la mia stessa scrittura)farei credere tutto ciò una tua suggestioneun complotto e un diabolico intrigo tuo; e tu dovresti far rimbecillire il mondoperché tutti non pensassero che i vantaggi della mia morte furono per te uno sprone manifesto ed efficace a fartela cercare".

GLOUCESTER: Impenitente e matricolato furfante! Pretenderebbe di negare la sua lettera? Io non l'ho mai generato! (Squilli di tromba di dentro) Sentile trombe del duca! Ignoro perché egli venga. Farò sbarrare tutte le porte; il furfante non sfuggirà; bisogna che il duca me lo consenta: quindi spedirò in ogni luogolontano e vicinoil suo ritrattoaffinché tutto il reame possa avere i suoi contrassegni precisi; e troverò il mezzoo mio leale e affezionato ragazzodi mettere te in grado di ereditare le mie terre.

 

(Entrano il DUCA DI CORNOVAGLIAREGANAe Persone del seguito

 

CORNOVAGLIA: Ebbenemio nobile amico: dacché son giunto qui (e posso diresenz'altroin questo istante) ho sentito delle strane notizie.

REGANA: Se la cosa è veraogni vendetta che possa raggiungere il colpevoleè inadeguata. Come vamio signore?

GLOUCESTER: Ohsignorail mio vecchio cuore è schiantato... è schiantato!

REGANA: Come! il figlioccio di mio padre attentava alla vostra vita?

Quegli ch'ebbe il nome da mio padre? il vostro Edgardo?

GLOUCESTER: Ohsignorasignorala mia vergogna vorrebbe tenerlo nascosto.

REGANA: Egli non era un compagno di quei dissoluti cavalieri che formano il seguito di mio padre?

GLOUCESTER: Non lo sosignorala cosa è troppo infametroppo infame.

EDMONDO: Sìsignoraera di quella combriccola.

REGANA: Allora nessuna meraviglia ch'egli avesse malvagie intenzioni:

sono loro che l'hanno spinto a cercar la morte del vecchioper potersi dare al dispendio e allo sperpero delle sue rendite. Proprio questa sera sono stata bene informata da mia sorella sul conto loro; e con tali raccomandazioni di prudenzache se essi vengono a soggiornare in casa miaio non ci sarò.

CORNOVAGLIA: E neppure iote l'assicuroRegana. Edmondo sento che voi avete reso a vostro padre un servigio da vero figliuolo.

EDMONDO: Era mio doveresignore.

GLOUCESTER: Egli ha svelato le sue menee ha ricevuto questa ferita che vedetementre cercava di arrestarlo.

CORNOVAGLIA: E' inseguito?

GLOUCESTER: Sì. mio buon signore.

CORNOVAGLIA: Se viene presonon ci sarà più da temere ch'egli faccia del male: perseguite il vostro intento e servitevi della mia autorità fin dove vi aggrada. Quanto a voiEdmondola cui virtù e la cui obbedienza in questo momento si raccomandano tantosarete dei nostri:

di caratteri così profondamente lealine avremo molto bisogno e noiper prima cosaci impossessiamo di voi.

EDMONDO: Signoreio vi servirò fedelmentequali che possano essere gli altri miei meriti.

GLOUCESTER: Io ringrazio per lui Vostra Grazia.

CORNOVAGLIA: Voi ignorate perché siamo venuti a trovarvi...

REGANA: Così fuor d'orainfilando la cieca cruna della notte; motivinobile Gloucesterdi qualche importanzaintorno ai quali noi abbiamo bisogno del vostro consiglio. Nostro padre ci ha scritto (e nostra sorella anche) di certi screzied io ho creduto opportuno di non rispondere da casa: i messi rispettivi attendono qui la risposta.

Nostro buono e vecchio amicomettete un po' di conforto nell'animo nostroe concedete il vostro necessario consiglio al nostro affareil quale ne ha uopo immediato GLOUCESTER: Sono a vostra disposizionesignora. Le Vostre Grazie sono veramente le benvenute.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SECONDA - Davanti al Castello di Gloucester

(Entrano KENT e OSVALDOseparatamente)

 

OSVALDO: Buon mattinoamico: sei tu di questa casa?

KENT: Sì.

OSVALDO: Dove possiamo mettere i nostri cavalli?

KENT: Nel fango.

OSVALDO: Ti pregose mi vuoi benedimmelo.

KENT: Io non te ne voglio.

OSVALDO: Ebbeneallora non mi curo di te.

KENT: Se io ti curassi con sugo di boscoti farei curare io di me.

OSVALDO: Perché mi tratti così? Io non ti conosco.

KENT: Compareio conosco te.

OSVALDO: Per chi mi conosci?

KENT: Per un bricconeun ribaldoun leccapiatti; per un volgareorgogliososcemomiserabile furfantecon tre mute di panni e cento sterlineun sudicione dalle calze di lana; per un malandrino querelante dal fegato bianco come un cencioper un figlio di puttana smancerosoper un manigoldo affettato e arcizelante; per un gaglioffo che ha tutto il patrimonio in un baule; per uno che vorrebbe fare il mezzano per guadagnarsi il benservitoe non è altro che un impasto di furfantedi pezzentedi codardodi ruffianoe il figlio e l'erede di una cagna bastarda; per uno che io bastonerò fino a farlo guaire a squarciagolasol che tu neghi la menoma sillaba di questi tuoi titoli OSVALDO: Ma qual mostruoso individuo sei tuper oltraggiare così uno che tu non conosci e che non conosce te!

KENT: Qual briccone dalla faccia di bronzo sei tuper negare che mi conosci? Due giorni fanon ti feci andare a gambe per ariae ti bastonaidavanti al re? Fuori la spadamanigoldopoichése è nottesplende la luna: ed io voglio far di te una pappa al chiaro di luna. Smaina la spada! Fuori la spadafiglio di puttanacoglione di un bazzicabarbierifuori.

OSVALDO: Via! Io non ho nulla da spartire con te.

KENT: Fuori la spadacanaglia; tu vieni qui con delle lettere contro il ree prendi le parti di Vanitàla marionettacontro la regale maestà del padre suo. Tira fuori la spada o ti affetto gli stinchi in questo modoper farne carbonata! Fuori la spadabirbante: vieni al tuo posto!

OSVALDO: Aiutoolà! all'assassino! aiuto!

KENT: Difenditimiserabile! in guardia ribaldoin guardiavigliacco consumatocolpisci. (Lo colpisce)

OSVALDO: Aiutoolà! all'assassino! all'assassino!

 

(Entra EDMONDO)

 

EDMONDO:. Che c'e? Cos'e stato? (Li separa)

KENT: E voise vi piacemio bel ragazzino: veniteio vi svergineròavantisignorino.

 

(Entrano il DUCA DI CORNOVAGLIAREGANAil DUCA Dl GLOUCESTERe Servi)

 

GLOUCESTER: Spade! armi! Che accade qui?

CORNOVAGLIA: State fermiper la vostra vita; il primo che tira un altro colpoè morto! Che cosa c'è?

REGANA: Sono i messi di nostra sorella e del re.

CORNOVAGLIA: Che questione c'è fra voi? parlate.

OSVALDO: Posso appena respiraresignor mio.

KENT: Nessuna meraviglia: voi avete strapazzato tanto il vostro valore! Vile furfante la natura ti rinnega: tusei stato fatto da un sarto.

CORNOVAGLIA: Sei un individuo stranotu: un sarto fare un uomo?

KENT: Sìun sartosignore: uno scultoreo un pittore non avrebbero potuto farlo così malequand'anche avessero impiegatonella faccendadue ore soltanto.

CORNOVAGLIA: Ma parla: come nacque la vostra disputa?

OSVALDO: Questo vecchio manigoldosignoreal quale ho risparmiato la vita a istanza della sua barba grigia...

KENT: Bastardo d'un ipsilon! lettera inutile! Signore miose voi me ne date permessoio pesterò questo pezzo di furfante fino a ridurlo polvere di calcinae ci intonacherò il muro di un cesso. Tubatticodarisparmiare la mia barba grigia?

CORNOVAGLIA: Zittomariuolo! bestiale bricconenon conosci tu alcun rispetto?

KENT: Sìsignore; ma la rabbia ha i suoi diritti.

CORNOVAGLIA: Perché sei arrabbiato?

KENT: Che un miserabile come costui debba avere una spadamentre egli non ha un briciolo di onore. I ribaldi di questa specieche hanno il sorriso sulle labbraspessocome i topicol loro morso fanno in due pezzi i sacri vincoliche sono troppo stretti perché sia possibile scioglierli; lusingano tutte le passioni che insorgono in fondo all'anima dei loro padroni; mettono olio sul fuoco e neve sui loro glaciali sentimenti; neganoaffermanoe girano il loro becco di alcione secondo il suono del vento e ad ogni cambiamento dei loro padroninon sapendo fare altro che seguirecome fanno i cani. La peste su cotesta vostra faccia di epilettico! Vi ridete delle mie parolecome se io fossi un matto? Ocase io vi avessi nella pianura di Sarumvorrei ricondurvi strepitante a casa fino a Camelot.

CORNOVAGLIA: Viasei mattovecchio arnese?

GLOUCESTER: Come veniste a parole? diteci questo.

KENT: Non vi sono contrariche abbiano tra loro sì grande antipatiacom'è tra me e codesto ribaldo.

CORNOVAGLIA: Perché lo chiami ribaldo? Qual è la sua colpa?

KENT: La sua faccia non mi piace.

CORNOVAGLIA: Né ti piace di più la miaforsee neppure la suané quella di costei.

KENT: Signoreè mio mestiere essere franco: ai miei tempi ho visto delle facce migliori di quelle che stanno su qualsiasi tra le spalleche in questo momento mi vedo davanti .

CORNOVAGLIA: Costui dev'essere un cotaleche essendo stato lodato per non aver peli sulla linguaaffetta una impertinente zotichezzae forzadel tutto contro la propria naturail suo modo di fare: lui non sa adulare; luianima onesta e semplice... deve dire ad ogni costo la verità: se gli altri l'accettanobene; se no egli vuole essere sincero ad ogni costo. Io la conosco questa genìa di birbanti che sotto questa loro sincerità nascondono più scaltrezza e più corrotti fini di venti cortigiani pieni di ridicoli salamelecchiche si fanno in quattro per adempiere a puntino i loro doveri.

KENT: Signorein buonafedeper dire la schietta veritàcol permesso del vostro imponente aspettoil cui influssocome il serto di radiante fuoco che fiammeggia sulla fronte di Febo...

CORNOVAGLIA: Che intendi con ciò?

KENT: Di uscire dal mio linguaggioche voi biasimate tanto. Iosignoreso di non essere adulatore: chi vi ingannò con accento schiettoera un altrettanto schietto briccone; ciò che ioper parte mianon sarò maiquand'anche dovesse confortarmi a esserlo la speranza di guadagnarmi il vostro disfavore.

CORNOVAGLIA: Che offesa gli avete fatto?

OSVALDO: Io non gliene ho fatta mai alcuna: al re suo padrone piacqueor non è moltodi battermi per un suo malinteso: e allora eglid'accordo col ree per lusingarne lo sdegnomi dette lo sgambetto; quando fui in terrami insultòmi oltraggiòe assunse un'aria così eroicache gli die' lustroe gli procurò gli elogi del reper avere attentato alla vita di un uomoche si dava per vinto; etronfio di questa prima impresa terribilequi ha tratto di nuovo la sua spada contro di me.

KENT: Non c'è uno di questi furfanti e di questi vigliacchiche non pretenda di far passare Aiace per il suo buffone.

CORNOVAGLIA: Si vadano a prendere i ceppi! Vecchio malandrino cocciutovenerabile smargiassovi insegneremo noi.

KENT: Signoreio sono troppo vecchio per imparare: non ordinate i vostri ceppi per me; io sono un servo del ree sono stato mandato a voi da parte sua: voi agireste con poco rispettodareste prova di una cattiveria troppo audace contro la graziosa persona del mio padronemettendo i ceppi al suo messo.

CORNOVAGLIA: Andate a prendere i ceppi! Com'è vero che ho vita e onoreegli ci resterà fino a mezzogiorno!

REGANA: Fino a mezzogiorno? Fino a nottemio signoree tutta la notte ancora!

KENT: Eccosignorase io fossi il cane di vostro padrevoi non mi trattereste così.

REGANA: Poiché invece siete il suo servosignoreio vi tratto in questo modo.

CORNOVAGLIA: Costui è un ribaldo proprio della risma stessa di coloro dei quali parla nostra sorella. Viaportate qua i ceppi.

 

(Sono portati i ceppi)

 

GLOUCESTER: Lasciate che io scongiuri Vostra Grazia di non farlo. La sua colpa è gravee il buon re suo padrone gliene farà rimprovero: il castigo umiliante che voi vi proponete di infliggergliè quello onde vengono puniti i più vili e spregiati miserabiliper furti e delitti della più volgare specie. Il re può aversi a male d'esser tenuto in così poco contonella persona del suo messoda vederselo privar della libertà in tal modo.

CORNOVAGLIA: Ne rispondo io.

REGANA: Mia sorella può prendersela anche peggioche un suo gentiluomoper attendere agli affari di leisia stato oltraggiatoaggredito. Mettetegli dentro le gambe. (Kent è messo nei ceppi) Venitemio signoreandiamo.

 

(Escono tuttimeno Gloucester e Kent)

 

GLOUCESTER: Me ne dispiace per teamico; è questo il piacere del ducail carattere del qualetutto il mondo lo sanon soffre urti né intoppi: intercederò per te.

KENT: Ve ne pregonon lo fatesignore. Ho vegliato e viaggiato molto; una parte del tempo la passerò a dormireil resto fischierò.

La fortuna di un uomo onesto può diventar scalcagnata: vi do il buon giorno!

GLOUCESTER: Il duca in ciò è da biasimare: la cosa sarà presa in mala parte. (Esce)

KENT: Buon reche devi dimostrar vero il detto: "Tu cerchi miglior pan che di grano"avvicinatio tu faro di questo più basso mondoaffinché con l'aiuto dei tuoi raggi io possa scorrere questa lettera.

Non c'èquasiche la sventuracapace di vedere miracoli: lo soquesta lettera è di Cordelia che fortunatamente è stata informata del mio misterioso procedereed essa trarrà occasione da questo iniquo stato di coseper cercar di apportare a questi mali i loro rimedi. O miei occhi esaustie che troppo vegliasteapprofittatestanchi come sieteper non vedere l'ignominia di questo alloggio. Buona notteFortuna: arridi ancora; gira la tua ruota! (Si addormenta)

 

 

 

SCENA TERZA - Un bosco

(Entra EDGARDO)

 

EDGARDO: Io mi son sentito bandire emercé il propizio cavo di un alberosono sfuggito alla caccia. Non c'è varco libero; non v'è luogodove una guardiaed una sorveglianza assolutamente insolitanon siano pronte ad arrestarmi. Finché posso sfuggire loroio cercherò di mettermi al sicuro; e son risoluto ad assumere la più volgare e la più miserabile apparenzaonde la povertàper degradare l'uomosi sia mai avvicinata alla bestia: mi insozzerò la faccia di sudiciume mi avvolgerò le reni con una copertami arrufferò tutti i capelli con nodie con ostentata nudità sfiderò i venti e l'inclemenza del cielo. Il paese me ne offre un saggio ed un precedente nei poveri di Bedlami quali con grida simili a ruggitisi cacciano nella nuda carne delle loro bracciaintorpidite e mortificatespillistecchichiodifrasche di ramerino; e in quest'orrido aspetto strappano la carità alle piccole fattoriea poveri ed infimi villaggiagli oviliai muliniora con pazze imprecazioniora con preghiere. Povero Turlupino! e povero Tom!

Questo è ancora qualche cosa: come Edgardoio non sono più nulla.

 

(Esce)

 

 

 

SCENA QUARTA - Davanti al Castello di Gloucester: Kent nei ceppi

(Entrano LEARil Matto e un Gentiluomo)

 

LEAR: E' strano che essi se ne siano andati di casae non abbiano rimandato il mio messo.

GENTILUOMO: A quel che ho intesola sera precedente non c'erain loroalcuna idea di questa partenza.

KENT: Salute a temio nobile padrone!

LEAR: Che! di simile vergogna tu fai il tuo passatempo?

KENT: Nomio signore.

MATTO: Ahah ! guarda che brutte giarrettiere egli porta. I cavalli si legano alla testai cani e gli orsi al collole scimmie per le renie gli uomini per le gambe: quando un uomo ha le gambe troppo gagliardegli tocca portare le calze di legno.

LEAR: Chi ha disconosciuto il posto che ti si convienefino al punto di metterti costì?

KENT: Luie lei: vostro figlio e la vostra figliuola.

LEAR: No!

KENT: Sì.

LEAR: Nodico!

KENT: Io dico di sì.

LEAR: Nono; non l'avrebbero fatto!

KENT: Sìl'hanno fatto.

LEAR: Per Gioveio giuro di no!

KENT: Per Giunoneio giuro di sì.

LEAR: Non hanno osato farlonon l'avrebbero saputonon l'avrebbero voluto fare: è peggio che un assassiniofar di proposito un oltraggio così violento. Spiegamiin discreta frettacome tu hai potuto meritare un simile trattamentoo come essi poterono imporlo a teche venivi da parte nostra.

KENT: Mio signore allorchégiunto a casa loroconsegnai le lettere di Vostra Altezzaprima che mi fossi alzato in piedi dal luogo che mostrava il mio rispetto inginocchiatosopraggiunse un corriere fumante in un bagno di sudore per la frettae mezzo trafelatoil quale proferìtutto ansantei saluti da parte di Gonerillasua padronae in barba all'inopportunità di quella intromissioneconsegnò delle lettereche essi lessero immediatamente: appresone il contenutochiamarono a raccolta la loro gentemontarono pronti a cavallo mi ordinarono di seguirlie di attendere il comodo della loro rispostae intanto mi davano delle occhiate di gelo. A questo punto incontrai l'altro messoil cui gradito arrivome ne accorsi beneaveva avvelenato il mio. Costui era proprio il ribaldoche poco prima erasi mostrato così insolente verso Vostra Altezza: ed iosentendo dentro di me l'uomo prendere il sopravvento sul sennotrassi fuori la spada. Eglialloramise a soqquadro tutta la casa con grida alte e vigliacche; e il vostro figliuolo e la figliuola vostra trovarono che questa mia colpa era degna della vergogna che qui essa subisce.

MATTO: L'inverno non se n'è ancora andatose le oche selvatiche volano da quella parte.

Padri che indossan stracci Rendono i figli diacci Padri che han sacchi pesi Vedon figli cortesi Fortunagran bagasciaFuori i poveri lascia.

Manonostante tutto ciòtu per causa delle tue figliuole avrai tanti doloriquanti potrai contarne in un anno.

LEAR: Oh ! come questo mal di madre gonfia e mi sale al cuore!

"Hysterica passio"! giùo angoscia che monti: il tuo elemento è in basso. Dov'è questa mia figliuola?

KENT: Col contesignore; qui dentro.

LEAR: Nessuno mi segua; restate qui. (Esce)

GENTILUOMO: Non avete commesso altra colpa più grave di ciò che dite?

KENT: Nessuna. Ma come mai il re viene con sì poca gente?

MATTO: Se tu fossi stato messo nei ceppi per una domanda come questal'avresti ben meritato.

KENT: Perchématto?

MATTO: Ti manderemo a scuola da una formicaperché ti insegni che d'inverno non si lavora. Tutti quelli che van dietro al loro naso son guidati dai loro occhitranne i ciechi; e non c'è un solo nasofra ventiil quale non senta chi puzza. Quando una ruota grande ruzzola giù da un montelasciala andareper paura che tu non abbia a romperti il collo nel seguirlama se una ruota grossa va su per il montelasciati trascinare da lei. Quando un uomo savio ti dia un consiglio migliorerestituiscimi il mio: io vorrei che non lo seguissero altro che i bricconipoiché è il consiglio di un matto.

Colui che serve per lo scotto E "pro forma" ti fa restaSe vien la pioggia fa fagottoE ti pianta nella tempesta.

Io resto; il matto non la fa bassa.

Lascia il savio uscir dai piè Briccon che fuggeda matto passaMa il matto un briccon non è.

KENT: Mattodove hai imparato codesto?

MATTO: Nei ceppi no di certomatto.

 

(Rientra LEARcon GLOUCESTER)

 

LEAR: Rifiutano di parlare con me? Sono malati? Sono stanchi? Hanno viaggiato tutta la notte? Magri pretestiimmagine di rivolta e di fuga! Portatemi una risposta migliore.

GLOUCESTER: Mio caro signorevoi conoscete l'impetuoso carattere del ducacom'egli è irremovibile ed ostinato nelle sue risoluzioni.

LEAR: Vendetta! pestilenza! morte! sterminio! Impetuoso? quale carattere? ViaGloucesterGloucesterio voglio parlare col duca di Cornovaglia e con sua moglie.

GLOUCESTER: Sta benemio buon signoreio li ho informati.

LEAR: Informati! Mi intendiamico?

GLOUCESTER: Sìmio buon signore.

LEAR: Il re vuol parlare col duca di Cornovaglia; il caro padre vuol parlare con la sua figliuolaegli le ordina di obbedire: sono "informati" di questo? Pel mio respiroe per il mio sangue!

Impetuoso? il duca impetuoso? Dite al bollente signor ducache... ma noancora no: può essere che egli non si senta bene. Il male fa sempre trascurare tutti i doveridai quali la salute non può esimersi; noi non siamo più noi stessiallorché la naturatrovandosi oppressaordina alla mente di soffrire insieme col corpo. Pazienterò:

e ce l'ho col mio troppo violento impulso che ha preso per un uomo sanouno che era in un momento di indisposizione e di malessere. La maledizione sul mio regno! (Guardando Kent) Perché lui deve trovarsi qui a quel modo? Un simile atto mi persuade che questo appartarsi del duca e di costei non è che una manovra. Liberatemi il mio servo.

Andatedite al duca e a sua moglie che io voglio parlare a tutti e dueorasubitoordinate loro di uscir fuori e di ascoltarmi: se no mi metterò a battere il tamburo sull'uscio di camera lorofinché esso abbia sonato la morte del sonno.

GLOUCESTER: Vorrei che tuttofra voisi accomodasse. (Esce)

LEAR: Ohimè! mio cuoremio cuoretu sei gonfio! ma... posa!

MATTO: Ziogridagli come gridava la sciocchina alle anguille quando le metteva vive nella pastella; lei dava loro sulla testa con un bastonee gridava: "Giùpazzerelle giù!". Fu suo fratello cheper pura gentilezza verso il suo cavallogli imburrava il fieno.

 

(Entrano il DUCA DI CORNOVAGLIAREGANAGLOUCESTER e Servi)

 

LEAR: Buon giorno a tutti e due.

CORNOVAGLIA: Salute a Vostra Grazia!

 

(Kent è messo in libertà)

 

REGANA: Io sono lieta di vedere Vostra Altezza

LEAR: Reganalo credo; e so quale ragione ho di crederlo: se tu non fossi lieta di vedermifarei divorzio dalla tomba di tua madrepoiché sarebbe la sepoltura di un'adultera. (A Kent) Ah! sei libero?

Ma di ciòin altro momento. Mia diletta Reganatua sorella è malvagia: o Reganaessa m'ha legato qui (accenna il cuore) l'ingratitudine dal dente acuto simile ad un avvoltoio. Io ho appena la forza di parlarti; tu non lo crederaiin che modo perverso... OhRegana!

REGANA: Vi pregosignoreabbiate pazienza. Io spero bene che voi siate meno capace di apprezzare il suo meritodi quel che essa non sia capace di mancare al proprio dovere.

LEAR: Come può essere ciòdimmelo?

REGANA: Io non posso pensare che mia sorella abbia voluto mancaremenomamenteall'obbligo suo: signorese essaper avventuraha messo un freno agli eccessi della gente del vostro seguitolo ha fatto con tale fondamentoe per un fine così salutareche la rende pura da ogni biasimo.

LEAR: Le mie maledizioni su lei!

REGANA: Ohsignore! voi siete vecchio; la natura in voi si trova proprio sull'orlo del suo limite: voi dovreste lasciarvi governare e dirigere dalla prudenza di qualcunocapace di comprendere il vostro stato meglio di voi stesso. Perciò vi prego di fare ritorno alla sorella nostra: ditele che l'avete offesasignore.

LEAR: Chiederle perdono? Vi pregostate un po a sentire come ciò si addica al decoro della casa: "Cara figliuolaio confesso di esser vecchioi vecchi non son buoni a nulla: (s'inginocchia) io ti supplico in ginocchioperché tu ti degni di concedermi un vestitoun lettoe da mangiare".

REGANA: Mio buon signorebasta: questi sono scherzi che non si possono vedere. Tornate presso mia sorella.

LEAR (alzandosi in piedi): MaiRegana. Essa mi ha diminuito della metà il mio seguito; mi ha guardato con occhio velenoso; mi ha colpito al cuore con la sua linguache par proprio quella di un serpente.

Tutte le vendette del cieloaccumulate una su l'altracadano sopra il suo capo ingrato! O voiinfettivi soffi dell'ariacolpite la sua prole da nasceree storpiatela!

CORNOVAGLIA: Viasignorevia!

LEAR: O voiagili lampiscagliate in quegli occhi pieni di scherno le vostre fiamme che accecano. O voinebbie succhiate dalle paludi e tratte su dal sole possentecontaminate la sua bellezzaper umiliare e distruggere il suo orgoglio!

REGANA: O dei benedetti! voi augurerete lo stesso anche a me quando l'ira vi trasporti.

LEAR: NoReganatu non avrai la mia maledizione: la tua natura piena di tenerezza non permetterà che tu mi tratti duramente; gli occhi di lei sono ferocima i tuoi spirano confortoe non sono occhi che bruciano. Tu non sei capace di rinfacciarmi i miei piaceridi ridurre il mio seguitodi rispondermi parole avventatedi lesinarmi gli assegnidi impedirmi infine di entrare in casa mettendo il chiavistello: tu conosci meglio di lei i doveri di naturai vincoli filialii modi della cortesiagli obblighi della gratitudine; tu non hai dimenticato la metà del regno ond'io ti ho fatto la dote.

REGANA: Mio buon signorevenite all'argomento.

LEAR: Chi ha messo il mi0o servo nei ceppi? (Fanfara di dentro)

CORNOVAGLIA: Che tromba è questa?

REGANA: La conoscoè quella che annunzia mia sorellava d'accordo con quanto diceva nella sua letteracioè: che essa sarebbe venuta qui subito.

 

(Entra OSVALDO)

 

E' giunta la vostra signora?

LEAR: Questi è un furfanteil cui orgogliopreso a prestito senza faticariposa sul volubile favore di colei che egli serve.

Scelleratovia dagli occhi miei!

CORNOVAGLIA: Che cosa intende dire Vostra Grazia?

LEAR: Chi ha messo nei ceppi il mio servo? Reganaio spero bene che tu non ne abbia saputo nulla. Chidunquequa?

 

(Entra GONERILLA)

 

O cielise voi amate i vecchise il vostro mite impero ammette l'obbedienzase voi stessi siete vecchifate vostra la mia causa:

mandate giù qualcuno che mi assista! (A Gonerilla) Non ti vergogni di alzar gli occhi su questa barba? O Reganale darai tu la mano?

GONERILLA: Perché no la manosignore? In che cosa ho offeso? Non sempre è un'offesa ciò che la mancanza di discernimento trova talee che l'età barbogia chiama con questo nome.

LEAR: O miei fianchisiete anche troppo duri: resisterete ancora?

Come mai il mio servo è stato messo nei ceppi?

CORNOVAGLIA: Ve l'ho fatto mettere iosignore; ma le sue mancanze avrebbero meritato assai minor promozione.

LEAR: Voivoi avete fatto questo?

REGANA: Vi pregopadre miopoiché voi siete indebolito dagli anninon lo dissimulate. Se intanto vorrete ritornare presso mia sorellae farvi soggiorno finché il mese sia spiratolicenziando metà del vostro seguitodopo potrete venire con me: ora io sono assente da casae sprovvista di quello che sarà necessario per accogliere voi come si conviene.

LEAR: Ritornare da lei? e cinquanta uomini licenziati? Nopiuttosto rinunzio a tutti i tetti del mondoe preferisco mover guerra all'inclemenza del cielopreferisco esser compagno del lupo e dei gufonell'aspra distretta della miseria! Tornare con lei? Vediio mi adatterei meglio a inginocchiarmi davanti al trono del re di Francia dal sangue bollenteche prese la nostra più giovane figliuola senza doteecome uno scudieroelemosinare da lui una pensionetanto per reggere in piedi una esistenza ignominiosa. Ritornare con lei?

Persuadetemipiuttostoad essere lo schiavo e la giumenta di questo esecrato mozzo di stalla. (Accennando a Osvaldo)

GONERILLA: A vostra sceltasignore.

LEAR: Ti pregofigliuolanon rendermi pazzo: io non ti darò noiafigliuola mia; addio. Noi non ci incontreremo piùnon ci rivedremo più: ma pure tu sei mia carnesangue miofigliuola mia; omegliotu sei una malattia della mia carneche io debbo per forza chiamare mia: tu sei un foruncoloun gavocciolouna pustola di carbonchionel mio sangue corrotto. Ma non ti moverò rimprovero; la vergogna ti colga quando vorràio non la chiamo. Io non invoco chi ha in mano il fulmineperché lo scagli sopra di tené racconto la tua condotta a Giovegiudice supremo: emendati quando puoi; diventa migliore a comodo tuo: io posso aver pazienza; posso restare con Reganaio coi miei cento cavalieri.

REGANA: Non proprio così. Io non vi aspettavo ancorae non ho il mezzo di accogliervi come si conviene. Signoredate ascolto a mia sorella; ché coloro che cercano di moderare i vostri impeti con la ragionedebbono contentarsi di pensare che siete vecchioe così...

ma lei sa quello che fa.

LEAR: Si chiama ragionar bene questo?

REGANA: Io oso affermarlosignore. Come? una cinquantina di uominiper il vostro seguitonon va bene? Che necessità di averne di più?

Anziqual bisogno di averne fin tantidal momento che la spesa e il pericolo parlanotutti e duecontro un numero così grande? Come potrebbein una medesima casaandare d'accordo tanta gentesotto due comandi diversi? E' difficile; quasi impossibile.

GONERILLA: Perchésignor mionon potreste farvi servire da coloro che lei chiama suoi servio da quelli miei?

REGANA: Perché nosignor mio? Allora sì che se essi per caso mancassero verso di voinoi potremmo metterli a dovere. Se volete venire da me (giacché ormai prevedo un tale pericolo)vi raccomando di non portarne più di venticinque: io non intendo di dar posto a di piùo riconoscerne più di tanti.

LEAR: Io vi ho dato tutto...

REGANA: Ed era l'ora che ce l'aveste dato.

LEAR: Vi feci mie custodimie depositarie: ma mi riserbai il diritto di avere al mio seguito un tal numero di uomini. Come? io debbo venire da voi con venticinque persone? Reganaavete detto questo?

REGANA: E lo ripetomio signore; non uno di più con me.

LEAR: Anche le creature malvagie sembrano tuttaviaprivilegiatequando ve ne sono altre più malvagie di loro: non essere il peggiorecostituisce già un qualche grado di lode. (A Gonerilla) Verrò con te:

i tuoi cinquanta formano il doppio dei suoi venticinqueed il tuo affetto è il doppio del suo.

GONERILLA: Ascoltatemisignor mio: che bisogno avete voi di venticinquedi diecio cinque uomini che sianoal vostro seguitoin una casa dove due volte tanti hanno l'ordine di servirvi?

REGANA: Che bisogno avete anche di uno solo?

LEAR: Oh! non ragionatemi di bisogno; i nostri più poveri mendichi han qualcosala più meschinache ad essi riman superflua: non concedere alla natura più di quel che alla natura è strettamente necessarioe la vita dell'uomo vale quella della bestia. Tu sei una signora:

ebbenese tutto il tuo lusso tu lo facessi per star caldala natura non avrebbe bisogno del lusso che tu porti addossoche sì e no ti tien calda. Main quanto al vero bisogno... o cielo! dammi tu quella pazienzaquella pazienza che è il mio vero bisogno! Voi mi vedete quio dèi: un povero vecchiopieno di dolori e di anni; disgraziato in tutte e due le cose: se siete voi che aizzate il cuore di queste mie figliuole contro il padre loronon mi rendete così stolto da sopportarlo in pace; infiammatemi di nobile furore e non permettete che le lacrimeche sono le armi delle donnebruttino le mie guance di uomo! Nostreghe snaturateio avrò di voi due tale vendettache tutto il mondo dovrà... io farò tali cose... quali sono non lo so ancora; ma saranno il terrore della terra. Voi vi credete di farmi piangere: noio non piangerò... avrei ben ragione dl piangerema questo cuore si spezzerà in centomila schegge prima che io pianga. O mio mattoio finirò pazzo!

 

(Escono LearGloucesterKent e il Matto)

 

CORNOVAGLIA: Rientriamofra poco vi sarà un uragano. (Si sente in distanza l'uragano)

REGANA: Questa casa è piccola: il vecchio e la sua gente non possono esservi alloggiati comodamente.

GONERILLA: La colpa è sua: egli si è messo da sé nella condizione di non riposareed è necessario che provi le conseguenze della sua follia.

REGANA: Per quanto riguarda la sua personaio lo riceverò ben volentierima non un solo uomo del suo seguito.

GONERILLA: Tale è il mio proposito. Dov'e monsignore di Gloucester?

 

(Rientra GLOUCESTER)

 

CORNOVAGLIA: Ha accompagnato fuori il vecchio. E' qui di ritorno.

GLOUCESTER: Il re è su tutte le furie.

CORNOVAGLIA: Dove va?

GLOUCESTER: Dà l'ordine di montare a cavallo: ma dove vanon saprei.

CORNOVAGLIA: Il meglio è lasciarlo andare: si guiderà da sé.

GONERILLA: Signor mionon vi raccomandatedavveroperché egli resti.

GLOUCESTER: Ahimè! La notte si avanzae la raffica imperversa furiosamente: per molte miglia all'intorno v'è appena appena un cespuglio.

REGANA: Messereper gli uomini testardi i mali che essi si procurano da loro stessi debbono essere una lezione. Chiedete le vostre porte:

egli ha al suo seguito della gente disperatae la prudenza consiglia di temere di ciò che costoro possono istigarlo a farepoiché egli si lascia metter su facilmente.

CORNOVAGLIA: Chiudete le vostre portesignor mio: è una notte selvaggiala mia Regana ci consiglia bene. Ripariamoci dall'uragano.

 

(Escono)

 

 

 

ATTO TERZO

 

SCENA PRIMA - Una landa

(Uragano con tuoni e lampi)

(Entrano KENT e un Gentiluomoincontrandosi)

 

KENT: Chi c'è làoltre il mal tempo?

GENTILUOMO: Uno che ha l'anima agitata come il tempo.

KENT: Vi conosco. Dov'è il re?

GENTILUOMO: Egli è in lotta con il furore degli elementi; ordina ai venti di spingere la terra nel mare col loro soffioo di sollevare le acque destate al di sopra del continente sicché ogni cosa si muti nel mondoo cessi di esistere. Egli si strappa i bianchi capelliche le raffiche impetuosenella loro cieca rabbiaafferrano e disperdono.

Nel suo piccolo mondo di uomo egli si sforza di vincere col suo disdegno il vento e la pioggia che ondeggiano cozzando. In una notte come questanella quale l'orsa munta dai suoi orsacchiotti non uscirebbe dalla tanae il leone e il lupo dal ventre attanagliato dalla fame terrebbero il pelo all'asciuttoegli corre a testa nuda e invoca il finimondo.

KENT: Ma con lui chi c'è?

GENTILUOMO: Nessunotranne il mattoil quale cerca di lenirgli con gli scherzi le angosce del suo cuore ferito.

KENT: Messereio vi conoscoe sulla garanzia della mia personale osservazioneoso confidarvi una cosache è un segreto prezioso. Il duca d'Albania e il Cornovaglia sono in rottasebbene per ora la cosa sia mascherata da una reciproca dissimulazione: essi hanno dei servi (e chi non ne hache dalle propizie stelle sia stato messo in trono e spinto in alto?)i quali non sembrano niente di meno che servima in realtà sono spie del re di Franciae osservatori che riferiscono sul nostro regno; di quanto da loro e stato vistosia degli screzi e delle segrete mene dei duchisia del duro stile che ognuno di loro due ha tenuto contro il vecchio e buon reo d'altra cosa più gravedi cui forse quest'avvenimenti non sono che gli accessori. Ma quel che è certo è che dalla Francia penetra in questo nostro regno in isfacelo un esercito potenteil qualeapprofittando della nostra negligenzaha già messo piedesegretamentein alcuni dei nostri porti migliori ed è sul punto di spianare al vento la sua bandiera. Ora veniamo a voi: se della fiducia che avete in me voi farete tale costruttoda recarvi in fretta a Dovertroverete là qualcuno che vi ringrazieràquando gli facciate un esatto racconto del dolore inumanoe tale da impazzirnedel quale il re ha ragione di lamentarsi. Io sono un gentiluomoper sangue e per educazionee vi offro questo incarico con una certa cognizione di causa e sicurezza.

GENTILUOMO: Ve ne ripagherò.

KENT: Nove ne prego. A conferma che io sono molto più della mia apparenza esterioreaprite questa borsae prendete quanto contiene.

Se vedrete Cordeliae la vedrete senza dubbiomostratele questo anelloed essa vi dirà chi è quel tale che ancora non conoscete.

Maledizione alla tempesta! Andrò in cerca del re.

GENTILUOMO: Datemi la mano: avete da dirmi altro?

KENT: Poche parolemaper l'importanza loropiù di quanto vi ho detto fino ad ora: cioèche quando abbiamo trovato il re (per il che vostra cura sarà di andare da quella parteio anderò da questa)chi di noi lo incontra per primodeve avvertirne l'altro con un grido.

 

(Escono separatamente)

 

 

 

SCENA SECONDA - Un'altra parte della landa. La tempesta continua

(Entrano LEAR e il Matto)

 

LEAR: Soffiateo ventie fatevi scoppiare le gote! infuriate!

soffiate! Cateratte e trombe del cieloriversatevi sulla terrafinché abbiate sommerso tutti i campanilied annegati i galli sulle loro cime. O voi sulfurei guizzi di fuocorapidi come il pensieroprecursori dei fulmini che fendon le quercestrinate la mia testa canuta! E tuo tuono scotitor dell'universospianta d'un colpo la solida sfera del mondo! Infrangi le matrici della naturadisperdi tutti in una volta i germiche producono l'uomo ingrato!

MATTO: O ziole acque chete di cortein una casa all'asciuttoson meglio di quest'acqua piovana in mezzo alla strada. Mio buon zio rientrachiedi la benedizione alle tue figliuole: questa è una notte che non ha misericordia né dei matti né dei savi.

LEAR: Romba con quanto n'hai in corpoo tempesta! vomitao fuoco!

giù a rovescio pioggia! La pioggiail ventoil tuonoil fuoconon sono mie figliuole: io non vi accuso di ingratitudineo elementi; a voi io non ho dato un regnonon vi ho chiamati figli mieivoi non mi dovete obbedienza alcuna: perciò fate pur cadere su me il vostro orrendo arbitrioeccoio sono quaschiavo vostropovero vecchioinfermodebole disprezzato... Ma noio vi chiamo servili ministrivoi che avete unito con due inique figliuole le vostre schiere generate nell'alto dei cielicontro una testa così vecchia e bianca come questa. Oh! oh! è infame!

MATTO: Chi ha una casa per tirarvi dentro il capoha un buon elmo.

Chi prima alla braghetta Che al capo suo dà stanzaMille pidocchi aspetta I poveri fan razza.

Chi fa del piede quello Che avrebbe a far del cuoreD'un callo avrà rovelloE veglia dal dolore.

Poiché fino ad ora non c'è mai stata una donna bellache non abbia fatto smorfie davanti a uno specchio.

LEAR: Noio sarò un modello di pazienza: non dirò nulla.

 

(Entra KENT)

 

KENT: Chi c'è là?

MATTO: Afféuna Maestà ed una braghetta: cioè un savio ed un matto.

KENT: Ah! signorevoi siete qui? Gli esseri stessi che amano la nottenon amano notti come questa; i cieli infuriati atterriscono perfino gli animali che vagano nelle tenebre e li fanno rimanere nelle loro tane. Da quando fui uomoio non ricordo di aver mai visto tali lingue di fuocodi aver sentito scoppi di tuono così orrendiululi e mugghi di vento e di pioggia come questi: umana natura non può sopportarne né il tormento né il terrore.

LEAR: Gli dèi potentiche fanno sulla nostra testa questa orribile tregendapossano scovare in quest'ora i loro nemici! Tremao sciaguratotu che hai in fondo alla coscienza segreti delittinon ancor flagellati dalla giustizia: nasconditio sanguinosa mano dell'assassino; nasconditio spergiuroe tu pureo incestuoso simulatore di virtù; trema fino a cadere in pezzio tu miserabile che sotto la maschera di un'apparenza onesta hai teso insidie alla vita di un uomo! Squarciate i veli che vi nascondonoo delitti impenetrabilmente chiusi agli sguardie gridate mercé a questi tremendi ministri della giustiziache vi citano. Io sono un uomo men peccatore che vittima di peccato.

KENT: Ahimè! a capo scoperto! Mio grazioso signorea due passi di qui v'è una capanna; essa vi presterà qualche amico riparo contro la tempesta. Riposatevi làmentre io tornerò a quella dura casa (più dura delle pietre stesse ond'è costruitadove proprio in questo istante mi fu negato di entrareallorché andavo in cerca di voi )e proverò di far violenza alla loro avara cortesia.

LEAR: I miei sensi cominciano a vacillare. Andiamoragazzo mio. Come varagazzo mio? Hai freddo? Anch'io ho freddo. Dov'è questa pagliaamico mio? L'arte del bisogno è straordinaria: essa ha la virtù di rendere prezioseper noile cose più vili. Andiamola vostra capanna? Mio povero mattopovero ragazzo mioc'è ancora un pezzo del mio cuore che si affligge per te.

MATTO (canta): Chi di senno ha solo una crunaOilí oilà col vento e la pioggiaDe' far buon viso alla sua fortunaAnche se cada pioggia ogni dì.

LEAR: E' veromio buon ragazzo. Viamenaci a questa capanna.

 

(Escono Lear e Kent)

 

MATTO: Questa è una eccellente notte per rinfrescare gli ardori di una cortigiana. Prima di andarmene vuo' dire una profezia.

Quando i preti men dotti saran che parolai; Quando il malto con l'acqua sciuperanno i birrai; Quando ai lor sarti i nobili faran da precettori; Né scottati altri eretici saran che i donnaioli; Quando tutti i processi saran ben giudicati Né più scudieri in debitoné cavalier spiantati; Quando la maldicenza su lingua non rampollaNé i tagliaborse andranno dovunque c'e una folla; E gli usurai il denaro conteranno in paleseE ruffiani e bagasce costruiran delle chiese; Allora il regno d'Albione Cadrà in gran confusione:

Allor sarà il tempochi vivrà vedràChe per camminare coi piedi s'andrà.

Questa profezia la faràun giornoMerlinopoiché io vivo prima dei tempi suoi.

 

(Esce)

 

 

 

SCENA TERZA - Una stanza nel Castello di Gloucester

(Entrano GLOUCESTER e EDMONDO)

 

GLOUCESTER: Ohimèohimè! Edmondoa me non piace questa condotta snaturata. Quando chiesi il permesso di aver pietà di luiessi mi tolsero l'uso della mia propria casami imposerosotto pena del loro perpetuo disfavoredi non parlare di luidi non supplicare per luidi non prendere in alcun modo le sue parti.

EDMONDO: Ciò è estremamente selvaggio e snaturato!

GLOUCESTER: Andatee non dite nulla. Fra i duchi v'è rotturae c'è anche di peggio. Stanotte ho ricevuto una lettera di cui è pericoloso parlare... l'ho messa sotto chiave nel mio gabinetto. Le offese che il re ora soffresaranno vendicate interamente; parte di un esercito ha già messo piede in terra: bisogna tenere per il re. Io anderò in cerca di luie lo aiuterò segretamente: voi andatee intrattenete il duca in discorsiaffinché la mia opera caritatevole non sia da lui scoperta. Se chiede di meio sto male e sono andato a letto. Se dovrò morirne (e non meno di questo mi è stato minacciato) sia: il reil mio vecchio signoredev'essere soccorso ad ogni costo. Strane cose sono imminenti. Edmondomi raccomando siate prudente.

 

(Esce)

 

EDMONDO: Di questo atto di caritàche ti è stato interdettoil duca sarà informato subito e anche di quella lettera. Questo mi sembra un bel servigioe deve portare a me quanto mio padre perde... cioètutto: il giovane sorgeallorché il vecchio cade.

 

(Esce)

 

 

 

SCENA QUARTA - Una parte della landacon una capanna. Continua l'uragano

(Entrano LEARKENT e il Matto)

 

KENT: Ecco il luogosignor mio; mio buon signoreentrate: la tirannia della notte aperta è troppo aspraperché la natura possa sopportarla.

LEAR: Lasciatemi solo.

KENT: Mio buon signoreentrate qui.

LEAR: Vuoi spezzarmi il cuore?

KENT: Vorrei prima spezzare il mio. Mio buon signoreentrate.

LEAR: Tu credi che sia tropposentirsi penetrare fin dentro le ossa questa tempesta furibonda: per te è cosìma dove ha preso piede un male più graveil male più piccolo si sente appena. Tu cercheresti di evitare un orso; ma se la tua fuga ti conducesse verso il mare ruggenteaffronteresti la gola dell'orso. Quando l'anima è serenail corpo è sensibile: la tempesta che è nell'anima miaoffusca nei miei sensi ogni altro affettoche non sia quello che vibra là dentro.

L'ingratitudine filiale! non è forse lo stesso che se questa mia bocca facesse a brani questa manoperché le porge il nutrimento? Ma io punirò fino in fondo: nonon voglio pianger più. In una notte come questachiudermi fuori di casa... Giùrovesciatio pioggia; io sopporterò!... in una notte come questa! O ReganaGonerillail vostro vecchio e amorevole padreil cui generoso cuore vi ha dato tutto... oh! da quella parte sta la pazzia; bisogna che io la eviti; non più di ciò.

KENT: Mio buon signoreentrate qui.

LEAR: Ti pregoentraci tu; cercavi riparo per te stesso: questa tempestaalmenonon mi permetterà di riflettere su cose che mi farebbero anche più male. Ma tuttaviavi entrerò. (Al Matto) Entraragazzo; va' tu per primo. Oh! la miseria senza tetto!... viaentra dentro. Io voglio pregaree poi dormirò. (Il Matto entra) O poveri disgraziati ignudidovunque siateche soffrite l'assalto di questo uragano senza pietà! le vostre teste scoperte e i vostri fianchi digiunii vostri stracci tutti buchi e finestrecome potranno difendervi da una stagione come questa? Oh! troppo poco pensiero io mi son preso di voi! Eccoti la medicinao lusso: esponi te stesso a soffrire ciò che soffrono i miseriaffinché un giorno tu possa riversare su loro il superfluoe far sembrare più giusto il cielo.

EDGARDO (di dentro): Un braccio e mezzoun braccio e mezzo! povero Tom! (Il Matto si precipita fuori della capanna)

MATTO: Non entrar quizio; qui dentro c'è uno spirito. Aiuto! aiuto!

KENT: Dammi la mano. Chi va là?

MATTO: Uno spiritouno spirito: egli dice che il suo nome è povero Tom.

KENT: Chi sei tuche brontoli costà sulla paglia? Esci fuori.

 

(Entra EDGARDOtravestito da pazzo)

 

EDGARDO: Fuggite! il sozzo demonio è dietro di me! Fra i rami pungenti del biancospino soffiano i venti. Via! Va' nel tuo letto freddoe riscaldati.

LEAR: Anche tu hai dato tutto alle tue figliuole e ti sei ridotto a questo?

EDGARDO: Chi dà qualcosa al povero Tom? Il sozzo demonio l'ha menato attraverso il fuoco e la fiammaattraverso guadi e gorghiper pantani e per paludi; gli ha cacciato dei coltelli sotto il guancialee gli ha messo dei capestri nell'inginocchiatoio; gli ha messo il veleno per i topi accanto alla minestra; gli ha gonfiato il cuore di tale orgoglioche eglisu di un baio al trottopassa sopra dei ponti larghi quattro polliciper rincorrere la sua ombrascambiandola per un traditore. Dio ti salvi i cinque sensi! Tom ha freddo. Ah! brr! brr! ah! brr! brr! Dio ti protegga dalle raffichedalle cattive stellee dagl'influssi! Fate un po' di carità al povero Tomche è perseguitato dal sozzo demonio. Eccolo làora lo potrei acchiappare... eccolo là... eccolo là... di nuovo là... eccolo là.

 

(L'uragano continua)

 

LEAR: Come? le sue figliuole l'hanno ridotto in questo stato? Non sei riuscito a salvar nulla? Hai dato tutto a loro?

MATTO: Nos'è serbato una copertaaltrimenti noi avremmo dovuto fare tutti il viso rosso.

LEAR: Alloratutti i flagelli che per volere del destino incombono sulle colpe degli uomininell'aria sospesacadano sopra le tue figliuole!

KENT: Egli non ha figliuolesignore.

LEAR: A morteimpostore! nulla avrebbe potuto sottomettere la natura fino a tanta abiezionese non le sue figliuole inique. E' dunque usanza che i padri reietti debbano avere così poca pietà della loro carne? Giusta punizione essi s'infliggono! poiché questa loro carne generò quelle figlie di pellicano.

EDGARDO: Pellicocco stava a sedere sul colle di Pellicocco:

lallerallera e lallerallà!

MATTO: Questa nottataccia così fredda ci farà diventare tutti pazzi e farnetici.

EDGARDO: Guardati dal sozzo demonio. Obbedisci ai tuoi genitori; mantieni puntualmente la tua parolanon bestemmiarenon ti compromettere con la sposa legittima di un altro; non far sfoggiare la tua bella... Tom ha freddo.

LEAR: Che cosa facevi?

EDGARDO: Ero un servitore superbo di cuore e di mente; mi arricciavo i capelliportavo i guanti al cappelloservivo la lascivia della mia padrona e facevo con lei quella cosa che si fa al buio; facevo tanti giuramentiquante erano le parole che dicevoe li rompevo tutti dinanzi alla soave faccia del cieloero uno che si addormentava meditando qualche atto di lussuriae si svegliava per compierlo.

Amavo profondamente il vinoteneramente i dadi e in quanto a donne ne avevo per amanti più del Turco. Ero falso di cuorefacile di orecchio sanguinario di mano: maiale nella pigriziavolpe nel furtolupo nella voracitàcane nella rabbiadavanti alla preda leone. Non lasciare che lo scricchiolìo delle scarpe e il fruscìo della seta diano il tuo povero cuore in balìa della donna; tieni il piede fuori dei bordellila mano fuori dell'apertura delle sottanela penna lontana dai libri degli strozzinie sfida pure il sozzo demonio. Il vento gelato soffia ancora attraverso il biancospino e dice:

Vu...u...uds...s...svu...u...uds...s...s! Delfinoragazzo mioragazzo miosusu! Lascialo trottar via.

 

(L'uragano continua)

 

LEAR: Eccotu staresti meglio nella tua tomba che qui ad esporre il tuo corpo mezzo nudo a questa estrema furia dei cieli. L'uomo non è dunque altro che questo? Osservalo bene. Tu non devi la seta al bacola pelle alla bestiala lana alla pecoranessun profumo allo zibetto. Ah! ecco tre di noi che sono sofisticati: tu sei l'uomo genuino. L'uomo non conciato non è nulla di più che un poveroignudoforcuto animale come sei tu. Viaviaquesta roba prestata! Andiamosbottonami qua.

 

(Si straccia le vesti)

 

MATTO: Ti pregoziosta' cheto; è una cattiva nottequestaper mettersi a nuotare. In questo momento un focherello in mezzo alla campagna deserta somiglierebbe al cuore di un vecchio libertino: una piccola favillamentre tutto il resto del suo corpo è freddo. Guardaecco un fuoco che cammina.

 

(Entra GLOUCESTER con una torcia)

 

EDGARDO: Costui è il sozzo diavolo Flibbertigibbet: egli esce fuori all'ora del coprifuocoe va in giro finché si sente il primo gallo; da l'albugine e la caterattastorce gli occhi e fa il labbro leporinofa venir la ruggine sulla bianca spiga del granoe affligge la povera creatura della terra.

San Vital traversò la capanna tre volteIncontrò la fantasma e le sue nove scolte Le ordinò di smontare E sua fede impegnareE fatti in là stregafatti in là !

KENT: Come sta Vostra Grazia?

LEAR: Chi è?

KENT: Chi va là? Che cosa cercate?

GLOUCESTER: E voi costà chi siete? i vostri nomi?

EDGARDO: Sono il povero Tomil quale mangia la ranocchia che nuotail rospoil girinola tarantola e il tritone; che nella rabbia del suo cuoreallorché il sozzo demonio gl'infuria dentrosi mangia la bovina per insalata; manda giù topi vecchie carogne di cane gettate alle fossebeve il verde manto della gora stagnante; che è cacciatoa suon di frustada una parrocchia all'altrapunito coi ceppie imprigionato; che ebbe già tre mute di panni da mettere in dossosei camicie per il suo corpoUn caval da cavalcareuna spada da portare Ma topi e sorci e tali bestiole Da sette lunghi anni Tom mangiar suole.

Guardatevi da chi m'è dietro. PaceSmulkinpaceo demonio!

GLOUCESTER: Come? Vostra Grazia non ha miglior compagnia di questa?

EDGARDO: Il principe delle tenebre è un gentiluomo: si chiama Modo e Mahu.

GLOUCESTER: La nostra carne e il nostro sanguesignor miosono così degeneratiche odiano chi li mette al mondo.

EDGARDO: Il povero Tom ha freddo.

GLOUCESTER: Venite dentro con me. Il mio dovere non può permettermi di obbedirein tuttoai duri ordini delle vostre figliuole: sebbene esse mi abbiano ingiunto di sbarrare le porte di casa miae di lasciarvi in balìa di questa tirannica notteiotuttavia mi sono arrischiato a venire in cerca di voiper condurvi in un luogo dove troverete pronti fuoco e cibo.

LEAR: Lasciatemiprimaparlare col filosofo... Qual è la causa del tuono?

KENT: Mio buon signoreaccettate la sua offerta: entrate in casa con lui.

LEAR: Voglio scambiare una parola con questo saggio Tebano. Che cosa studi tu?

EDGARDO: Come frustare il demonio e uccidere gl'insetti.

LEAR: Lascia che ti domandi una parola in segreto.

KENT: Fategli premuraancora una voltaaffinché venga con voisignor mio: la sua ragione incomincia a turbarsi.

GLOUCESTER: Puoi dargli torto? (L'uragano continua) Le sue figliuole vogliono la sua morte. Ah! quel buon Kent! Egli lo diceva che sarebbe andata a finire così... povero esiliato! Tu dici che il re impazzisce:

ma io ti diròamico mioche io stesso sono quasi pazzo. Avevo un figliuoloche ora ho bandito dal sangue mio; egli attentava alla mia vitapoco farecentissimamente: io lo amavoamico mio... nessun padre ebbe più caro il proprio figlio: ti dico la verità il dolore mi ha sconvolto la ragione. Che notte è questa! Io supplico Vostra Grazia...

LEAR: Oh! vi domando perdono messere... Nobile filosofola vostra compagnia.

EDGARDO: Tom ha freddo.

GLOUCESTER: Va'ragazzoentra nella capanna: scaldati.

LEAR: Via entriamo tutti.

KENT: Di quasignor mio.

LEAR: Con lui: io voglio restare ancora col mio filosofo.

KENT: Mio buon signorecercate di calmarlo: lasciate ch'egli porti via con sé costui GLOUCESTER: Conducetelo innanzi voi stesso.

KENT: Amicoandiamovieni con noi.

LEAR: Vienimio buon Ateniese.

GLOUCESTER: Non più parolenon più parole: Zitti!

EDGARDO: Sire Orlando venne alla torre neraE sempre diceva: Mucci mucci Sento puzza di Britannucci.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA QUINTA - Una stanza nel Palazzo di Gloucester

(Entrano il DUCA DI CORNOVAGLIA e EDMONDO)

 

CORNOVAGLIA: Avrò la mia vendetta prima di uscire da questa casa.

EDMONDO: Signor mioil biasimo a cui potrò andare incontroper aver lasciato cederecosìl'affetto filiale alla lealtàmi dà alquanto timore solo a pensarvi.

CORNOVAGLIA: Ora me ne accorgo: non era solamente l'indole malvagia di vostro fratello che gli faceva cercar la morte di suo padrema v'era un lodevole stimolomesso in moto dalla nequizia detestabile che era nel padre stesso.

EDMONDO: Come è triste la mia sortela quale fa sì ch'io debba pentirmi di essere giusto! Ecco la lettera di cui egli parlavala quale dimostra che egli complotta a vantaggio del re di Francia. O cieli! così non esistesse questo tradimento o almeno non fossi io colui che lo ha rivelato!

CORNOVAGLIA: Vieni con me dalla duchessa.

EDMONDO: Se il contenuto di questo foglio è sicurovoi avete nelle vostre mani una grave faccenda.

CORNOVAGLIA: Veroo falsoesso ti ha fatto conte di Gloucester.

Cerca dov'è tuo padreaffinché l'abbiam pronto per l'arresto.

EDMONDO (a parte): Se io lo colgo mentre sta a confortare il reciò darà consistenza anche più piena al sospetto contro di lui. (Forte) Io persevererò sul mio cammino di lealtàper doloroso che sia il conflitto fra questo e il sangue mio.

CORNOVAGLIA: Io riporrò in te la mia fiducia; e tu troverai nel mio affetto un padre più amoroso del tuo.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SESTA - Una camera in una fattoria attigua al Castello di Gloucester

(Entrano GLOUCESTERLEARKENTil Matto e EDGARDO)

 

GLOUCESTER: Qui si sta meglio che all'aria aperta; accettate di buon grado. Io cercherò di rendere più comodo questo luogocon tutto quello che posso aggiungervi: non resterò a lungo lontano da voi

KENT: Tutte le forze della sua ragione hanno ceduto alla sua smania.

Che gli dèi ricompensino la vostra bontà. (Esce Gloucester)

EDGARDO: Frateretto mi chiamae mi dice che Nerone sta a pescare con la lenza nel lago delle tenebre. Pregainnocentee guardati dal sozzo demonio.

MATTO: Ti pregoziodimmi se un pazzo è un gentiluomo o un borghese.

LEAR: Un reun re!

MATTO: No: è un borgheseche ha un gentiluomo per figlioperché è un bel pazzo quel borgheseil quale vede il proprio figlio gentiluomo prima di lui.

LEAR: Averne un migliaio con degli schidioni rossi infocatiche piombassero su di loro sibilando...

EDGARDO: Il sozzo demonio mi morde la schiena.

MATTO: Pazzo è colui che si fida della mansuetudine del lupodella salute del cavallodell'amore di un ragazzoo del giuramento di una puttana.

LEAR: Sta bene: io li cito subito in giudizio... (A Edgardo) Vienimettiti a sedere quisapientissimo giustiziere... (Al Matto) Tu mio saggio signoremettiti costì... Adesso a voivolpacce!

EDGARDO: Guardatelo làcome sta bello diritto e gli occhi gli sfavillano! Hai bisogno di occhi che ti guardinoanche in giudiziosignora?

Varca il fiumeBettae vien da me...

MATTO: Il suo burchiello è rotto Ed essa non dee far motto Perché varcar non osa fino a te.

EDGARDO: Il sozzo demonio perseguita il povero Tomnascondendosi nella voce di un usignolo. Hopdance grida nella pancia di Tomper avere due aringhe bianche. Non gracchiareangelo neroio non ho cibo per te.

KENT: Come vi sentitesignore? Non restate stupito così: volete sdraiarvi e riposare sui cuscini?

LEAR: Prima voglio assistere al loro processo. Fate entrare i testimoni d'accusa. (A Edgardo) Tu giudice in togaprendi il tuo posto. (Al Matto) E tusuo collega in equitàimpàncati al suo fianco. (A Kent) Voi siete della commissionemettetevi a sedere anche voi.

EDGARDO: Procediamo con giustizia.

 

Dormi o sei destogiulìo pastorello?

Le tue pecore son tra il grano; E per un soffio del bocchin tuo bello Le tue pecore non avran danno.

Ron ron! il gatto è bigio.

LEAR: Giudicate prima lei: è Gonerilla. Giurodavanti a questa onorevole assembleache costei ha preso a calci il povero re suo padre.

MATTO: Venite quasignora. Il vostro nome è Gonerilla?

LEAR: Non può negarlo.

MATTO: Vi domando perdono: vi avevo presa per uno sgabello.

LEAR: Ed eccone qua un'altrai cui sguardi biechi dicono chiaro di che stoffa è fatto il suo cuore. Arrestatela! Delle armidelle armiuna spadadel fuoco! Anche in questo luogo la corruzione! Giudice traditoreperché l'hai lasciata scappare?

EDGARDO: Dio ti salvi i cinque sensi!

KENT: Oh pietà! Signoredov'è mai la calma che così spesso vi siete vantato di serbare?

EDGARDO (a parte): Le mie lacrime cominciano a prendere le sue parti fino al punto da compromettere il mio travestimento.

LEAR: I cani piccini e tutta l'altra caneaTrogolinoBianchilloe Cordolcevedimi abbaiano dietro.

EDGARDO: Tom scaglierà ad essi la sua testa. Indietrocagnacci!

Abbi nero o bianco il musoSia il tuo morso velenoso Sii mastinbracco o levrieroSii spagnuolbastardo fieroCodimozzo o coda ritta Tom li fa guaire tuttiChé se squasso la testa miaSaltando il portello fuggono.

Brrbrrbrrbrr. Susu! Viain marcia alle feste e alle fieree alle città dove c'è mercato. Povero Tomla tua borraccia è all'asciutto.

LEAR: Allorasi notomizzi Regana; si osservi che cosa cresce intorno al suo cuore. C'èin naturauna ragioneper la quale essa crea dei cuori duri come questi? (A Edgardo) Voimesserevi arruolo come uno dei miei cento: solamentenon mi piace la foggia dei vostri vestiti; voi mi direte che è il costume persiano: ma cambiateveli.

KENT: Viamio buon signoresdraiatevi quie riposate un poco.

LEAR: Non fate rumorenon fate rumoretirate le cortine: cosìcosìcosì. A cena anderemo domattina: cosìcosìcosì.

MATTO: Ed io me n'anderò a letto a mezzogiorno.

 

(Rientra GLOUCESTER)

 

GLOUCESTER: Vieni quaamico: dov'è il re mio padrone?

KENT: Qui signore; ma non lo disturbate la sua ragione se n'è andata.

GLOUCESTER: Mio buon amico ti pregoprendilo nelle tue braccia; io ho sorpreso un complotto di morte contro di lui. La c'e pronta una lettiga: adagiavelo sopra e va' verso Doveramico miodove troverai buona accoglienza e protezione. Prendi su il tuo padrone: se tu dovessi tardare mezz'orala sua vitala tuae quella di quanti si prestano a difenderlo andrebbe a sicura perdizione. Tiralo sutiralo sue seguimich'io ti condurrò prestamentedove sia qualche provvigione per il viaggio.

KENT: La natura vinta dalla stanchezzadorme: questo riposo potrebbe ancora essere un balsamo per i suoi nervi affrantii qualise la buona ventura non lo permetteràdifficilmente possono riaversi. (Al Matto) Vieniaiuta anche tu a portare il tuo padrone: tu non devi restare indietro.

GLOUCESTER: Viaviaandiamo.

 

(Escono. KentGloucester e il Matto trasportando via il Re)

 

EDGARDO: Allorché vediamo chi vale più di noi soffrire le nostre penenon ci vien quasi fatto di pensare che le miserie nostre sono nostri nemici. Chi soffre solosoffre straordinariamente nell'anima suapoiché egli lascia dietro a sé cose libere dal doloree spettacoli di felicità; invece l'anima si sottrae a grandi sofferenzequando il dolore ha compagni e amici di sventura. Come mi sembra leggera e sopportabile la mia penaora che quell'angosciala quale mi fa chinare la testafa incurvare la fronte al re: tali figlie a luiquale a me il padre! FuggiTom! segui l'alto rumore degli eventi e svelati allorché la calunniail cui maltalento ti macchiaverrà distrutta dinanzi alla prova della tua lealtàe tu sarai riabilitato.

Avvenga ciò che vuolein questa nottepurché il re si metta in salvo! Nasconditinasconditi.

 

(Esce)

 

 

 

SCENA SETTIMA - Una stanza nel Castello

(Entrano il DUCA DI CORNOVAGLIAREGANAGONERILLAEDMONDOe alcuni Servi)

 

CORNOVAGLIA: Correte in fretta da monsignore vostro maritoe mostrategli questa lettera: l'esercito del re di Francia è sbarcato.

Andate a cercare quel traditore di Gloucester. (Escono alcuni Servi)

REGANA: Impiccatelo immediatamente.

GONERILLA: Strappategli gli occhi.

CORNOVAGLIA: Lasciatelo alla mia collera. Edmondoaccompagnate nostra sorella: la vendetta che noi siamo costretti a prendere sopra quel traditore di vostro padre è tale che non è conveniente che voi ne siate spettatore. Consigliate al ducadal quale vi recatei più solleciti preparativi per la guerra: noi siamo pronti a fare altrettanto. I corrieri che ci scambieremo fra noi due dovranno essere svelti ed accorti. Addiocara sorellaaddiomonsignore di Gloucester (Entra OSVALDO)

Ebbene! dov'è il re?

OSVALDO: Monsignore di Gloucester lo ha condotto via di qui: circa trentacinque o trentasei dei suoi cavalierii quali lo cercavano febbrilmentelo incontrarono presso la portaeinsieme con altri seguaci del contesono andati con lui verso Doverdove si vantano di trovare degli amici bene armati.

CORNOVAGLIA: Preparate i cavalli per la vostra signora.

GONERILLA: Addiomio amabile signoreaddio sorella.

 

(Escono GonerillaEdmondo e Osvaldo)

 

CORNOVAGLIA: Edmondoaddio. Andatecercatemi il traditore Gloucesterlegatelo come un ladroe portatelo davanti a noi. (Escono altri Servi) Sebbene non ci sia lecito sentenziare sulla vitasenza le forme della giustiziail nostro poteretuttaviauserà alla nostra collera una cortesiache gli uomini potranno biasimarema non impedire. Chi c'è? il traditore?

 

(Rientrano i Servi con GLOUCESTER)

 

REGANA: L'ingrata volpe! è lui.

CORNOVAGLIA: Legategli bene strette quelle braccia di cartapecora.

GLOUCESTER: Che voglion fare le Vostre Grazie? Miei buoni amiciconsiderate che voi siete ospiti miei: non mi fate un tiro mancinoamici.

CORNOVAGLIA: Legatelovi dico! (I Servi lo legano)

REGANA: Strettostretto. Schifoso traditore!

GLOUCESTER: Donna spietataio non son tale.

CORNOVAGLIA: Legatelo a questa seggiola. Scelleratoimparerai...

 

(Regana gli strappa la barba)

 

GLOUCESTER: Per gli dei pietosiè l'atto il più ignobilestrappare la barba così.

REGANA: Averla tanto biancaed essere un traditore simile!

GLOUCESTER: Donna malvagiaquesti peli che tu mi porti via dal mentosi animeranno per accusarti. Voi siete in casa mia: non dovreste strapazzare in questo modo il mio volto di ospite con le vostre mani di ladri! Che intendete fare?

CORNOVAGLIA: Orsùsignoreche lettere avete ricevuteultimamentedi Francia?

REGANA: Rispondete schiettamentetanto la verità la sappiamo.

CORNOVAGLIA: E quale cospirazione vi lega ai traditori recentemente sbarcati nel regno?

REGANA: In mano a chi avete mandato il re demente? Parlate.

GLOUCESTER: Ho ricevuto una lettera scritta su semplici congettureche mi è giunta da persona il cui cuore è neutralee non già da una persona avversa a voi.

CORNOVAGLIA: Astuto!

REGANA: E' falso!

CORNOVAGLIA: Dove hai mandato il re?

GLOUCESTER: A Dover.

REGANA: Perché a Dover? Non ti era stato ordinato sotto pena di...

CORNOVAGLIA: Perché a Dover? Lasciate che risponda a questo.

GLOUCESTER: Sono legato al palo: ormai debbo sostener l'assalto.

REGANA: Perché a Dover?

GLOUCESTER: Perché non volevo vedere le tue unghie crudeli strappar via quei suoi poveri occhi di vecchio; né la tua feroce sorella cacciare nella sua carne consacrata le sue zanne di cinghiale. Con una tempesta come quella che il suo nudo capo ha sopportatoin una notte buia come l'infernoil mare si sarebbe sollevato e avrebbe spento i fuochi stellatieppurepovero vecchio cuoreegli con le sue lacrime aiutava il cielo a piovere. Se in quel tempo tremendo i lupi avessero ululato alla tua portatu avresti detto: "O buon portieregira la chiavee apri". Ogni altro essere crudele sarebbe stato ammesso: ma io vedrò la vendetta alata piombare addosso a figli come questi!

CORNOVAGLIA: Vederlo? mai!... Voialtri tenete ferma la sedia... Sopra cotesti tuoi occhi io ci voglio mettere il mio piede!

GLOUCESTER: Chi spera di viver tanto da diventar vecchiomi dia un po' d'aiuto! O crudele! O dèi!

REGANA: Ora una parte del viso schernirà l'altra: via anche l'altr'occhio!

CORNOVAGLIA: Se vedete la vendetta...

PRIMO SERVITORE: Fermate quella manosignore. Io vi servo fin da quando ero bambinoma non vi ho reso mai un servigio migliore di quello che vi rendo oraesortandovi a trattenervi.

REGANA: Che vuoi tu? Cane!

PRIMO SERVITORE: Se voi aveste la barba al mentoio gli darei una buona strappata in una disputa come questa. Che cosa pretendete di fare?

CORNOVAGLIA: Mio gaglioffo!

 

(Tira fuori la spada e si slancia verso di lui)

 

PRIMO SERVITORE: Su via venite avantie correte il rischio della collera.

 

(Sguaina la spada e combattono. Il Duca di Cornovaglia è ferito)

 

REGANA (strappando la spada a un altro Servo): Dammi la tua spada. Un villanzone tener testa così!

 
(Lo colpisce alle spalle)

 

PRIMO SERVITORE: Oh! sono ucciso! Signor miovi resta ancora un occhioper veder cadere su lui la sciagura... Oh! (Muore)

CORNOVAGLIA: S'impedisca che veda altro. Viavile gelatina! Dov'è ora la tua luce?

GLOUCESTER: Tutto è tenebra e desolazione. Dov'è mio figlio Edmondo?

Edmondo accendi tutte le faville dell'affetto che è in naturaper far giustizia di questo atto infame.

REGANA: Viatraditore scellerato! Tu invochi uno che ti odia: fu proprio lui che ci fece la rivelazione dei tuoi tradimentiluiche è troppo onesto per avere pietà di te.

GLOUCESTER: Oh! la mia follia! Dunque Edgardo fu calunniato... O dèi pietosiperdonatemi questoe proteggete lui!

REGANA: Viagettatelo fuori delle porte e lasciate che trovi col fiuto la strada di Dover. Come vamio signore? Quale aspetto!

CORNOVAGLIA: Ho ricevuto una stoccata. Seguitemisignora. Cacciate fuori quello scellerato senz'occhie gettate questo manigoldo al letamaio. Reganaio perdo il sangue a fiottiquesta ferita mi capita in un brutto momento: datemi il vostro braccio.

 

(Escecondotto da Regana: i Servi sciolgono Gloucestere lo conducono fuori)

 

SECONDO SERVITORE: Se quell'uomo va a finir beneio non bado più a commettere qualunque malvagità.

TERZO SERVITORE: Se costei vive a lungoe finisce di morte naturaletutte le donne diventeranno mostri.

SECONDO SERVITORE: Accompagniamo il vecchio contee cerchiamo l'uomo di Bedlamche lo conduca dov'egli vorrà andare: il suo estro di vagabondo si adatta a far di tutto.

TERZO SERVITORE: Va' tu; io anderò a prendere un po' di filacce e chiaro d'uovoper metterle sulla sua faccia sanguinante. E che il cielo lo assista!

(Escono separatamente)

 

 

 

ATTO QUARTO

 

SCENA PRIMA - La landa

(Entra EDGARDO)

 

EDGARDO: D'altronde meglio cosìe sapere di essere disprezzatoche vedersi disprezzato e adulato ad un tempo. Chi si trova ridotto al peggioad esser la cosa più meschina e più avvilita dalla fortunasta sempre nella speranzae non vive nella paura. Il cambiamento doloroso è quello che muove dal meglio: il peggio va a ritroso verso il sorriso. Siidunquela benvenutao tuaria impalpabile che io abbraccio: lo sventuratoche col tuo soffio hai gettato nel peggionon deve nulla alle tue raffiche. Ma chi viene?...

 

(Entra GLOUCESTERcondotto da un Vecchio)

 

Mio padrepoveramente condotto! O mondomondomondo! Se non fosse per i tuoi strani cambiamentii quali fanno sì che noi t'odiamola vita non si rassegnerebbe alla vecchiaia.

VECCHIO: Mio buon signoreio sono stato un fittavolo vostroe di vostro padreda ottant'anni a questa parte.

GLOUCESTER: Va'vattene via; mio buon amicolasciami: i tuoi conforti a me non possono arrecare assolutamente alcun bene: a te possono far del male.

VECCHIO: Voi non potete vedere la strada vostra.

GLOUCESTER: Io non ho stradae quindi non ho bisogno di occhi; quando ci vedevoho inciampato. Noi lo vediamo molto spesso: i mezzi di cui disponiamoci fanno troppo sicurie le nostre mere imperfezioni riescono a vantaggio nostro. AhEdgardomio caro figliuolovittima dell'ira del padre tuo ingannato! S'io potessi viver soltanto per arrivare a rivederti col tocco della mia manoio direi di aver riacquistato gli occhi!

VECCHIO: Ehichi c'è?

EDGARDO (a parte): O dèi! Chi può dire: "io sono al peggio"? Oraio sto peggio di quanto sia stato mai!

VECCHIO: E' Tomil povero matto.

EDGARDO (a parte): E peggio potrà capitarmi ancora: non è venuto il peggiofinché possiamo dire: "questo è il peggio".

VECCHIO: Buon diavolodove vai?

GLOUCESTER: E' un povero?

VECCHIO: E' un mattoe per giunta anche povero.

GLOUCESTER: Un po' di ragione gli rimane ancorase no non potrebbe chiedere l'elemosina. Durante l'uragano della notte scorsa ho visto uno di questi sventuratiil quale mi fece pensare che l'uomo non fosse altro che un verme: allora mi venne in mente il figlio mio; eppure in quel momentoil mio pensiero gli era poco amico: ma da allora ho sentito ben altro. Noi siamo per gli dèi quel che le mosche sono per i monelli: essi ci uccidono per loro divertimento.

EDGARDO (a parte): Sarebbe egli possibile? triste ufficioquesto di dover fare il matto davanti al doloreirritando se stesso e gli altri. (A Gloucester) Sii benedettopadrone.

GLOUCESTER: E' costui quel poveraccio ignudo?

VECCHIO: Sìsignor mio.

GLOUCESTER: Allorati pregova' pure. Se per amor mio vorrai raggiungerci a un miglio o due di quisulla via di Doverfallo per l'antica devozionee porta da coprirsi a quest'anima ignudache io pregherò di condurmi.

VECCHIO: Ahimèsignoreegli è matto.

GLOUCESTER: Sciagurati quei tempiin cui i matti guidano i ciechi!

Fa' come ti dicoopiuttostofa il tuo piacere; soprattuttova'.

VECCHIO: Io gli porterò il miglior vestito che hoaccada quello che vuole. (Esce)

GLOUCESTER: Ehi! povero ignudo!

EDGARDO: Il povero Tom ha freddo. (A parte) Io non posso mentire più a lungo.

GLOUCESTER: Vieni quaamico.

EDGARDO: (a parte): Eppur lo debbo. Benedetti cotesti tuoi cari occhiessi stillano luce. GLOUCESTER: Sai la via che conduce a Dover?

EDGARDO: Barriera e cancellosentiero per cavallie passaggio per i pedoniio conosco tutto. Il povero Tom è stato fatto uscir di senno per lo spavento: Dio ti salvi dal sozzo diavoloo figlio di un uomo dabbene! Cinque diavoli sono entratitutti in una voltadentro il povero Tom: Obidicutquello della lussuria; Hobbidanceprincipe dei mutiMahuprincipe del furto; Modoprincipe dell'assassinio; e Flibbertigibbetprincipe delle smorfie e dei lezziil quale da tempi remoti invasa donne di servizio e cameriere. Dunquesii benedettopadrone!

GLOUCESTER: Tieniprendi questa borsao tu che le sciagure del cielo hanno umiliato a tutti i loro colpi; l'essere io uno sventuratorende più felice te: cielioprate sempre così! Fate che l'uomo cresciuto nel superfluo e in mezzo ai piaceriil quale fa suo schiavo il vostro alto ordinamentoe non vuol vedere perché non senteprovi sul vivo il vostro potere; in questo modo dovrebbeun'equa distribuzionedistruggere l'eccessoe ogni uomo avere abbastanza. Conosci Dover?

EDGARDO: Sìpadrone.

GLOUCESTER: Là c'è una ripala cui testa alta e sporgente guata paurosamente sul circoscritto abisso giù nel mare profondo che essa recinge: tu non hai che a condurmi proprio sull'orlo di essaed io rimedierò alla miseria che soffricon un oggetto di valore che ho con me: giunto a quel luogonon avrò più bisogno di chi mi conduca.

EDGARDO: Dammi il braccio: il povero Tom ti condurrà.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SECONDA - Davanti al Palazzo del Duca d'Albania

(Entrano GONERILLA e EDMONDO)

 

GONERILLA: Vi do il benvenutomio signore: mi meraviglio che il nostro mite marito non ci sia venuto incontro sulla strada.

 

(Entra Osvaldo)

 

Ebbenedov'è il vostro padrone?

OSVALDO: In casasignora: ma un uomo non fece mai un simile cambiamento. Gli dissi dell'esercito che era sbarcato: ne sorrise; gli annunziai il vostro arrivo: la risposta fu: "tanto peggio"; e quando lo informai del tradimento di Gloucestere del leale servigio di suo figliomi chiamò stoltoe mi disse che io capivo le cose alla rovescia. Ciò che dovrebbe dispiacergli di piùpare che gli riesca gradito; quello che dovrebbe dargli piacerepar che gli sia odioso.

GONERILLA: (a Edmondo) Allora non andate più oltre. Il vile terrore che ha nell'animo non osa avventurarsi in imprese: egli non vuol sapere di oltraggi che l'obblighino a chiedere una riparazione. I voti che ci confidammo lungo la stradapotranno aver compimento. Edmondotornate presso mio fratello: affrettate l'adunata delle sue truppe e mettetevi a capo delle sue forze: in questa casa è necessario che io cambi arme e metta la conocchia in mano a mio marito. Questo servo fedele sarà il nostro intermediario: prima che molto tempo sia trascorsose voi osate arrischiarvi per il vostro benesentirete che ordine vi darà una donna la quale vi ama. Mettetevi questo; e non parlate. (Gli dà un pegno d'amore) Chinate la testa: questo baciose osasse parlarefarebbe arrivare l'anima tua fino al cielo.

Comprendimie addio.

EDMONDO: Vostroanche nelle file della morte.

GONERILLA: Mio carissimo Gloucester! (Esce Edmondo) Ohche differenza fra uomo e uomo! I favori che una donna concedea te son dovuti:

quello stolto usurpa il corpo mio.

OSVALDO: Signoraecco il mio padrone!

 

(Entra il DUCA D'ALBANIA)
 

GONERILLA: Una volta valevo una pispola per voi.

ALBANIA: O Gonerilla! voi non valete la polvere che il vento sgarbato vi soffia in faccia. Il vostro carattere mi fa paura: un essere il quale disprezza la propria originenon può trovare un argine in se stesso. Quel ramo che da sé vuole staccarsi e separarsi dal tronco d'onde gli viene il succo vitaledeve appassire per forzae servire a uso letale.

GONERILLA: Basta; il vostro sermone è sciocco.

ALBANIA: La saggezza e la bontà ai vili sembrano cose vili; la sozzura non gusta che se stessa. Che avete fatto? Tigrinon figliuoleche mai avete potuto compiere? Un padreun vecchio pieno di bontà che l'osso arrovellato avrebbe leccato con reverenzavoile più barbarele più snaturate creature del mondolo avete reso pazzo! E il mio buon fratello ve lo poté permettere? Un uomoun principeda lui così beneficato! Se il cielo non manda prontamente i suoi visibili spiriti a mettere un freno a queste orrende colpeandrà a finireper forza che gli uomini si divoreranno tra lorocome fanno i mostri in fondo al mare.

GONERILLA: Uomo dal fegato di latte! che hai un viso per gli schiaffie una testa per gli oltraggi; che sotto i cigli non hai un occhio capace di discernere il tuo onore dalla tua sofferenza delle ingiurieche non sai che soltanto gli stolti hanno pietà degli scelleratiche vengon puniti prima di aver fatto il male. Dov'è il tuo tamburo? Il re di Francia spiega le sue bandiere nella nostra pacifica terrail tuo uccisore con l'elmo piumato già minacciae tusciocco moraleggiantete ne stai neghittoso e gridi: "Ahimè! perché mai fa questo?".

ALBANIA: Guardati in facciademonio! La bruttezza che è propria del diavolo non appare così orrenda in lui come in una donna!

GONERILLA: Ohvano sciocco!

ALBANIA: O essere che hai falsato e nascosto la tua naturavergognati di cambiare le tue sembianze in quelle di un mostro! Se la convenienza mi permettesse di lasciare che queste mani obbedissero all'impulso del mio sangueesse sarebbero abbastanza buone a slogarti le ossa e fare a pezzi la tua carne: sebbene tu sia un demonioa te fa scudo una sembianza di donna.

GONERILLA: Alla buon'ora! che razza di uomo siete! ...puh!

 

(Entra un Messo)

 

ALBANIA: Che notizie?

MESSO: Oh! mio buon signoreil duca di Cornovaglia è morto; è stato ucciso da un suo servomentre si accingeva a strappare l'altr'occhio a Gloucester.

ALBANIA: Gli occhi a Gloucester!

MESSO: Un servoche egli stesso si era allevatopreso da un brivido di pietàsi oppose ad un simile attorivolgendo la spada verso il suo potente padroneil quale furibondo si scagliò su di luie lo fece cadere morto in mezzo agli astantima non senza aver prima ricevuto quel colpo terribileche in seguito se l'è portato via!

ALBANIA: Ciò mostra che voi esistetelassùo giudici supremi i quali potete vendicare così prontamente i nostri delitti quaggiù! Ma il povero Gloucester! ahimèha egli perso anche l'altr'occhio?

MESSO: Tutti e duetutti e duemio signore! Questa letterasignoraesige una pronta risposta: è di vostra sorella.

GONERILLA: (a parte) Da una parte ciò mi fa molto piacerema il fatto che essa è vedovae il mio Gloucester con leipuò far rovinaresulla mia vita detestabiletutto il castello della mia fantasia: d'altra parte peròla notizia non è tanto agra. Leggerò e risponderò.

 

(Esce)

 

ALBANIA: Dov'era suo figlioquando gli strappavano gli occhi?

MESSO: Era venuto qui con la mia signora.

ALBANIA: Ma qui non c'è.

MESSO: Nomio buon signore; l'ho incontrato che ritornava.

ALBANIA: Lo sa di questa infamia?

MESSO: Sìmio buon signore; fu lui che lo denunziòe lasciò apposta il palazzoaffinché il castigo loro avesse il più libero corso.

ALBANIA: Gloucesterio vivo per ringraziarti dell'affetto che hai dimostrato al ree per vendicare i tuoi occhi. Vien quaamico: dimmi tutto quello che sai ancora.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA TERZA - Il campo francese vicino a Dover

(Entrano KENT e un Gentiluomo)

 

KENT: Perché il re di Francia è ripartito così improvvisamente? ne sapete la ragione?

GENTILUOMO: Una faccenda di Stato che egli aveva lasciata pendentee che dopo la sua partenza lo preoccupava: essa costituisce per il regno una tale inquietudine e un pericolo così graveche il ritorno in persona del re era assolutamente richiesto e indispensabile.

KENT: Chi ha lasciato al suo posto come generale?

GENTILUOMO: Il maresciallo di Franciamonsieur La Far.

KENT:. Le vostre lettere han commosso la reginafino a farle dimostrarein qualche modoil proprio dolore?

GENTILUOMO: Sìsignore; le ha presele ha lette in mia presenza; ed ogni tanto una grossa lacrima le gocciolava giù per la guancia delicata. Essa sembrava dominare come una regina il proprio dolore: ma questoda vero ribellecercava di farsi re di lei.

KENT: Ah! dunque la cosa l'ha commossa?

GENTILUOMO: Ma non fino all'ira: la rassegnazione e il dolore facevano a gara a chi esprimeva meglio tutta la sua bontà. Voi avete visto risplendere il solee piovere nello stesso momento: ebbenei suoi sorrisi e le sue lacrime erano uno spettacolo somigliantema più vago. Quei dolci sorrisetti che le scherzavano sul vermiglio labbro sembrava ignorassero che ospiti c'erano negli occhi di lei; i quali ospiti si partivano di làcome perle staccate da due diamanti.

Insommail dolore sarebbe una cosa peregrina e adorabilese in tutti potesse essere così bello.

KENT: Non vi ha fatto nessuna domanda?

GENTILUOMO: In veritàuna o due volte ha pronunziato il nome "padre" con un palpito nella vocecome se le opprimesse il cuore; ha gridato "Sorelle! sorelle! o mie sorelleobbrobrio delle donne! Kent! padre!

sorelle! Come? in mezzo all'uragano? di notte? Ohnon si creda più alla pietà!". A questo punto essa lasciò cader giù l'acqua santa dai suoi occhi di cieloe così stemperò le sue grida di dolore: poi scappò viaper intrattenersi sola con la sua angoscia.

KENT: Son le stellele stelle al di sopra di noiche governano le nostre inclinazioni: altrimenti il medesimo connubio non potrebbe dare origine a prole così diversa. Non le avete più parlato da allora?

GENTILUOMO: No.

KENT: Questo avveniva prima che il re ritornasse?

GENTILUOMO: Nodopo.

KENT: Ebbenesignore; il povero e sventurato Lear è nella cittàe qualche voltanei suoi momenti miglioriegli si ricorda perché siamo venuti qui; ma non vuol saperne a nessun costo di vedere la sua figliuola.

GENTILUOMO: Perchémio buon signore?

KENT: Una suprema vergogna lo tira indietro così. La durezza ond'egli la privò della sua benedizionel'abbandonò alla ventura presso lo stranierodette via alle altre sue figliuoledal cuore di canei sacrosanti diritti di lei: tutte queste cose pungono il suo pensiero con sì acerbo rimorsoche una vergogna scottante lo trattiene lontano da Cordelia.

GENTILUOMO: Ahimèpover'uomo!

KENT: Degli eserciti dei duchi di Albania e di Cornovaglia ne avete sentito parlare?

GENTILUOMO: E' proprio vero: sono in armi.

KENT: Sta benesignorevi condurrò da Learnostro padronee vi lascerò presso di luiperché gli prestiate i vostri servigiUna ragione preziosa mi costringe ad avvolgermiancora per poconel manto del travestimento: quando sarò conosciuto quale io sononon vi dorrete di esservi dimostrato mio amico. Vi pregovenite con me.

 

(Escono)

 

 

 

 

SCENA QUARTA - Lo stesso luogo. Un accampamento

(Entranocon tamburi e bandiereCORDELIAun Dottoree alcuni Soldati)

 

CORDELIA: Ahimè! è lui: sìl'hanno incontrato poc'anzipazzo come il mare in tempesta: egli cantava a gran voceincoronato d'acre fumaria e di erbacce di solcodi lappoledi cicutadi ortichedi billéridi loglio e di tutte le inutili erbe che crescono in mezzo ai grano che ci sostenta. Si faccia uscir fuori una centuria; si frughi ogni palmo di terranella campagna dove sono alte le messied egli sia condotto dinanzi agli occhi nostri. (Esce un Ufficiale) Che cosa può fare la scienza umana per rendergli il senno che ha perduto? Chi lo guariscesi prenda tutti i beni che io possiedo.

DOTTORE: Signorav'ha un mezzo: la nostra natural nutrice è la calma del sonnodel quale egli manca; per conciliarlo a luivi sono molte erbe efficacissimela cui virtù fa chiuder gli occhi all'angoscia.

CORDELIA: O voi tuttisegreti benedettivoi tuttearcane virtù della terragermogliate sotto le mie lacrime! Portate aiuto e rimedio all'affanno di quell'uomo buono! Cercatelocercateloper tema che la sua furia irrefrenabile abbia a distrugger la sua vitaalla quale manca la ragione che la guidi.

 

(Entra un Messo)

 

MESSO: Notiziesignora: le truppe britanne marciano a questa volta.

CORDELIA: Si sapeva già; i nostri preparativi stanno in attesa del loro arrivo. O caro padre miociò che a me sta a cuoreè la tua causa; e per questo il nobile re di Francia ha avuto pietà del mio dolore e delle mie lacrime insistenti. Non tronfia ambizione muove le nostre armima l'amoreun tenero amoree i diritti del nostro vecchio padre: ohch'io possa sentir presto la sua voce e rivederlo!

 

(Escono)

 

 

 

SCENA QUINTA - Una stanza del castello di Gloucester

(Entrano REGANA e OSVALDO)

 

REGANA: Ma le truppe di mio fratello sono scese in campo?

OSVALDO: Sìsignora.

REGANA: E lui v'è in persona?

OSVALDO: Sìsignorama molto a malincuore: vostra sorella èdei due il soldato migliore

REGANA: Monsignor Edmondo non ha parlato col vostro padroneal castello?

OSVALDO: Nosignora.

REGANA: Che può contenere la lettera di mia sorella a lui?

OSVALDO: Non lo sosignora.

REGANA: Certamenteegli è partito di qui per qualche grave faccenda.

Fu un grande errore lasciar vivere Gloucesterdopo avergli cavato gli occhi: dovunque vaegli solleva il cuore di tutti contro di noi.

Edmondoio credo mosso a pietà della sua misera sorteè andato a sbarazzarlo di una vita su cui è scesa la notte; e al tempo stesso a spiare la forza del nemico.

OSVALDO: Io debbo assolutamente affrettarmi a raggiungerlo con la mia letterasignora.

REGANA: Le nostre truppe scendono in campo domani: rimanete con noi; le strade sono pericolose.

OSVALDO: Non possosignora; la mia padrona ha impegnato il mio zelo in questo affare.

REGANA: Che ragione aveva di scriverglia Edmondo? Voi non potevate riferirgli a voce i suoi disegni? Suppongo che si tratti di una cosa... non so precisamente... Io ti vorrò molto bene: lasciami dissuggellare questa lettera.

OSVALDO: Signorapreferirei piuttosto...

REGANA: Io so che la vostra padrona non ama suo marito; ne sono sicura: e l'ultima volta che fu quiessa dava al nobile Edmondo delle occhiate stranee degli sguardi che parlavano molto chiaro. Lo sovoi siete il suo confidente.

OSVALDO: Iosignora?

REGANA: So quel che mi dico; voi siete il suo confidentelo so.

Perciòve ne avvertoricordatevi bene di questo: mio marito è morto; io ed Edmondo ci siamo intesi; egli conviene più alla mia mano che a quella della vostra signora . Voiquindi. potete trarne la conclusione. Se lo trovatevi prego dategli questo; e quando la vostra padrona sentirà da voi tutto ciòdi graziaesortatela a fare appello alla sua saggezza. Dunqueaddio. Se per caso sentite parlare di quel traditore senz'occhiricordatevi che avrà una bella promozione chi lo leverà di mezzo.

OSVALDO: Così potessi incontrarlosignora: vi farei vedere ioda quale parte tengo!

REGANA: State bene!

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SESTA - La campagna vicino a Dover)

(Entrano GLOUCESTER e EDGARDO travestito da contadino)

 

GLOUCESTER: Quando arriverò sulla cima di quel monte?

EDGARDO: Cominciate a salirla proprio ora: osservate come fatichiamo!

GLOUCESTER: A me pare che il terreno sia piano.

EDGARDO: L'erta è terribile! Ascoltatelo sentite il mare?

GLOUCESTER: Nodavvero.

EDGARDO: Ebbeneallora si vede che gli altri sensi vi si indeboliscono per lo spasimo degli occhi.

GLOUCESTER: Può essere davvero. Mi pare che la tua voce sia cambiata; e che tu parli esprimendoti meglioe con più costruttodi quel che facevi prima.

EDGARDO: Vi ingannate molto: nulla è cambiato in mese non i miei panni.

GLOUCESTER: A me pare che voi parliate meglio.

EDGARDO: Avantisignore; eccoci arrivati al luogo: non vi movete.

Come fa paurae come gira la testaa ficcare gli occhi così in fondo! I corvi e le gracchieche batton con l'ala lo spazio frappostosembrano appena grossi come scarafaggi: giù a mezza costa c'è uno sospeso che raccoglie il finocchio marino: mestiere spaventevole! a me egli non pare più grande della sua testa. I pescatori che van lungo la spiaggia sembrano topi e quel grosso bastimento laggiùsull'àncoraappare ridotto alle dimensioni della sua lancia; e la sua lancia a quelle di un gavitello così piccoloche sfugge quasi alla vista. Il fiotto che mormorae struscia sulle innumeri pietruzze inertinon può essere udito a quest'altezza. Non voglio guardar piùper paura che il mio cervello sia preso dalla vertiginee la vistasmarritaprecipiti giù a capofitto

GLOUCESTER: Mettimi lì dove sei tu.

EDGARDO: Datemi la mano; ora siete ad un passo dall'estremo orlo del precipizio: per tutto quello che c'è sotto la lunaio non farei un salto sui piedi.

GLOUCESTER: Lasciami andare la mano. Amicoeccoti un'altra borsa; dentro c'e un anelloche mette conto a un povero di prenderlo: le fate e gli dèi te lo rendano propizio! Allontanati; dimmi addioe fa' ch'io ti senta andar via.

EDGARDO: Allora addiobuon signore.

GLOUCESTER: Con tutto il cuore.

EDGARDO (a parte): Se io scherzo in questo modo con la sua disperazionelo faccio per guarirlo.

GLOUCESTER (inginocchiandosi): O dèi possentiio rinuncio a questo mondoe sotto gli occhi vostri mi scuoto di dossorassegnatola mia grande sventura; se potessi sopportarla più a lungosenza bisticciarmi con la vostra incontrastabile volontàil lucignolo di questo aborrito avanzo della mia esistenza brucerebbe fino in fondo.

Se Edgardo viveohbeneditelo! Oraamicosta' bene.

EDGARDO: Me ne vadomessere: addio. (Gloucester si getta in avanti e cade) (A parte). Eppure io non so quanto l'immaginazione possa rubare il tesoro della vitaquando la vita stessa si abbandona al furto. Se egli fosse stato dove pensava di esserea quest'ora il suo pensiero non esisterebbe più. Vivo o morto?... Olàmessere! amico!... Udite voimessere?.. parlate!... Che sia potuto morir davvero così?... noegli ritorna in sé. Chi siete messere?

GLOUCESTER: Vattenee lasciami morire.

EDGARDO: Se tu fossi stato altro che un pappouna penna o un soffio d'ariaprecipitando da un'altezza di tante braccia ti saresti sfracellato come un uovo: ma invece tu respiri; tu hai sostanza che pesaeppure non sanguini; parli; sei sano e salvo. Dieci alberi di navemessi l'uno su l'altronon fanno l'altezza dalla quale tu sei caduto perpendicolarmente: la tua vita è un miracolo. Viaparla ancora.

GLOUCESTER: Ma io sono cadutoo no?

EDGARDO: Dalla sommità spaventosa di questo confine cretoso. Guarda su in alto; l'allodola dalla gola acutada questa distanza non può essere né vista né sentita: guardasolo per un momentoin su.

GLOUCESTER: Ahimè! io non ho più occhi. Alla sventura è dunque tolto il beneficio di metter fine a se stessa con la morte? C'era ancora un confortoallorché il dolore poteva ingannale la rabbia del tirannoe render vano il suo orgoglioso volere.

EDGARDO: Datemi il braccio: su... così... Come va? Ve le sentite le gambe? Vedo che vi reggete.

GLOUCESTER: Troppo benetroppo bene.

EDGARDO: Ciò è al di sopra di ogni inverosimiglianza. Che cos'era quell'essere che si separò da voi sulla cima della rupe?

GLOUCESTER: Un povero disgraziato mendicante.

EDGARDO: Mentre stavo quaggiù a me parve che gli occhi suoi fossero due lune piene; aveva un migliaio di nasidelle corna bernoccolutee ondulate come il mare quando è pieno di solchi: era qualche demonio; perciòo tu padre avventuratopensa che gli dèi più purii quali si fanno una gloria delle impossibilità umaneti hanno salvato.

GLOUCESTER: Ora ricordo bene: d'oggi innanzi sopporterò la mia afflizionefinché essa stessa mi gridi: "bastabasta" e muoia.

Quell'essere di cui tu parliio lo presi per un uomospesso ripeteva: "il demonioil demonio". Mi ha condotto lui lassù.

EDGARDO: Nutri pensieri sereni e rassegnati. Ma chi viene?

 

(Entra LEARfantasticamente adorno di fiori selvatici)

 

Una mente sana non acconcerà mai così il suo padrone.

LEAR: Nonon mi possono toccare per aver battuto moneta: io sono il re in persona.

EDGARDO: O vista che trafiggi il cuore!

LEAR: La natura in questo rispetto è al di sopra dell'arte... Eccovi il soldo del vostro arruolamento... Quel ragazzo impugna l'arco come uno spaventapasseri: tirami una freccia della lunghezza di un metro di drappiere... Guardaguardaun topo. Zittozitto! questo pezzetto di formaggio abbrustolito è quello che ci vuole... Ecco il mio guanto di ferrovoglio provarlo sopra un gigante... Fate avanzare le alabarde brunite... Oh! ben volatouccello!... nel centro! nel centro!...

Za!... Dammi la parola d'ordine.

EDGARDO: Dolce maggiorana.

LEAR: Passa.

GLOUCESTER: Conosco quella voce.

LEAR: Ah! Gonerilla!... con la barba bianca! Mi accarezzavano come un canee mi dicevano che avevo dei peli bianchi nella barbaprima che ci fossero quelli neri. Dire "sì"e "no" a tutto quello che dicevo io!. Questo "sì" e "no" non eraanch'essobuona teologia. Quando la pioggiaun bel giornovenne ad innaffiarmi e il vento a farmi battere i denti; quando il tuono non volle stare zitto al mio comandoallora ho conosciuto chi fosseroallora ho fiutato chi erano. Vianon sono gente di parola: mi dicevano che io ero tutto; è una menzognaio non reggo ad un attacco di febbre.

GLOUCESTER: Il timbro di quella voce io lo ricordo bene: non è il re?

LEAR: Sìun re in ogni palmo. Quando gli fisso gli occhi in facciaguarda come il suddito trema A quell'uomo io gli faccio grazia della vita... quale fu la tua colpa?... L'adulterio?... Tu non morrai:

morire per un adulterio! No: fin lo scricciolo lo commette e il moscerino dorato si abbandona alla lussuria sotto gli occhi miei. Si lasci fiorire in pace l'accoppiamento dei sessi: poiché il figlio bastardo di Gloucester fu più amoroso verso suo padredi quel che non siano state con me le mie figliuolegenerate fra legittime coltri.

Buttatecilussuriaalla rinfusa! poiché io ho bisogno di soldati...

Guardate quella signora làche sorride scioccamenteche ha una facciala quale vi farebbe credereche fra le sue gambe ci stesse di casa la neve; che fa la santerellinascuote il capo scandalizzata a sentir pronunziare il nome del piacere: ebbenela puzzola e il cavallo pasciuto d'erba fresca non ci si buttano con un appetito più sfrenato. Dalla vita in giù esse sono dei centaurisebbene nella parte superiore siano donne; solo fino alla cintola appartengono agli dèila parte di sotto è tutta del demonio: lì c'è l'infernolì ci sono le tenebrelì c'è l'abisso sulfureoche bruciache scottac'è il fetorela consunzione... viaviavia! puah! puah! Dammi un'oncia di zibettoper profumare la mia immaginazioneo buon farmacista!

ecco qua del denaro per te.

GLOUCESTER: Oh! lasciate che io baci quella mano!

LEAR: Prima lasciatemela asciugare: essa puzza di mortalità!

GLOUCESTER: O capolavoro della naturamandato in rovina! Questo gran mondo stesso finirà così nel nulla... Mi riconosci tu?

LEAR: Ricordo abbastanza bene gli occhi tuoi. Mi guardi in tralice?

Nofa' pure del tuo peggioo cieco Cupidoio non voglio amar più...

Leggi questa sfida; osserva soltanto come è scritta.

GLOUCESTER: Se le tue lettere fossero tutte dei soliio non potrei arrivare a vederne una.

EDGARDO: (a parte): Se uno me lo raccontasseio non ci crederei; eppure è veroe il mio cuore a tanto si spezza.

LEAR: Leggi.

GLOUCESTER: Come! con le occhiaie vuote?

LEAR: Oh! oh! proprio questo mi volete dire? Senz'occhi nella testae senza denari nella borsa? Il vuoto degli occhi è gravequello della borsa è leggero: eppurevoi vedete lo stesso come va questo mondo.

GLOUCESTER: Lo vedo col sentimento.

LEAR: Come! sei pazzo? Un uomo può vedere anche senza gli occhi come va il mondo. Guarda con gli orecchi: vedi come quel giudice là maltratta quel ladroncello. Ascolta in un orecchio: cambia i loro posti eruotaruotaquale è il giudicee quale è il ladro?... Hai mai visto il cane di un fattore abbaiare dietro a un povero?

GLOUCESTER: Sìsignore.

LEAR: E il pover uomo scappare davanti al cagnaccio? Allora hai potuto osservare la grande immagine dell'autorità: un cane che è obbedito quand'è nelle sue funzioni... Birbante d'un aguzzino ferma la tua mano sanguinosa! Perché frusti quella puttana? Denuda le tue proprie spalle: tu ardi dalla brama di usare con lei in quel modoper il qualeappuntotu la frusti. L'usuraio impicca il truffatore.

Attraverso le vesti stracciate si mostrano i vizi minori: i roboni e le pellicce li nascondono tutti. Ricopri il peccato con una lamina d'oroe la forte lancia della giustizia si spezza innocua: armalo di straccila paglia di un pigmeo lo trafigge. Nessuno è colpevolenessunodiconessuno: resto garante io. Credi a meamico mioa me che ho il potere di suggellare le labbra dell'accusatore. Mettiti gli occhialie come un volgare politicastrofingi di vedere ciò che non vedi... Viaviaviavialevatemi le scarpe... più fortepiù forte... così!

EDGARDO: (a parte): Oh! miscela di buon senso e di stravaganza! La ragione nella follia!

LEAR: Se vuoi piangere sulle mie sventureprenditi gli occhi miei. Io ti riconosco assai beneil tuo nome è Gloucester: bisogna che tu abbia pazienza. Noi siamo venuti quaggiù piangendo: lo sai benela prima volta che sentiamo l'odore dell'ariamandiamo un vagito e ci mettiamo a piangere. Io ti farò una predica: fammi attenzione.

GLOUCESTER: Ahimèahimèfunesto giorno!

LEAR: Appena natinoi piangiamo per esser venuti in questo grande teatro di pazzi... Questa è una bella forma di cappello!... Sarebbe un sottile stratagemma ferrare i piedi col feltro a uno squadrone di cavalleria: voglio far la prova; e quando sarò piombato addosso di soppiatto a questi miei generiallora ammazzaammazzaammazzaammazzaammazzaammazza!

 

(Entra un Gentiluomo con una scorta)

 

GENTILUOMO: Oh! eccolo qui: impadronitevi di lui. Signorela vostra carissima figliuola...

LEAR: Nessuno mi soccorre? Come! prigioniero? Io sono proprio nato per essere lo zimbello della fortuna... Trattatemi bene; avrete il prezzo del riscatto. Fatemi avere dei cerusici: io sono colpito al cervello.

GENTILUOMO: Avrete ogni cosa.

LEAR: Non uno che mi assista? Tutto da me solo? Ecco... ciò trasformerebbe un uomo in un uomo di lacrimee gli occhi suoi potrebbero servire da annaffiatoio per il giardinoe per smorzare la polvere d'autunno.

GENTILUOMO: Mio buon signore...

LEAR: Morirò coraggiosamentecon l'aria di uno sposo novello tutto agghindato. Come! Voglio esser d'umore allegro; viaviaio sono un resignori mieilo sapete?

GENTILUOMO: Voi siete un reinfattie noi vi obbediamo.

LEAR: Allora c'è sempre speranza. Ma se mai lo raggiungetelo raggiungerete correndo. Susususu.

 

(Esce correndo; gli uomini di scorta lo inseguono)

 

GENTILUOMO: Vista pietosissimanel più umile degli sventurati: al di sopra di ogni parolain un re! Tu hai una figliuolache redime la natura dalla maledizione generalea cui l'avevano condotta le altre due.

EDGARDO: Salute cortese signore!

GENTILUOMO: Signoreil cielo vi aiuti! che cosa volete?

EDGARDO: Sentite dir nulladi una battaglia imminente?

GENTILUOMO: E' certissimoe a tutti noto; ne sente parlare chiunque è capace di percepire un suono.

EDGARDO: Madi graziaa che distanza si trova l'altro esercito?

GENTILUOMO: Vicinoe s'avanza a gran passi; si crede che il grosso sarà in vista da un'ora all'altra.

EDGARDO: Vi ringraziosignore: questo è quanto volevo sapere.

GENTILUOMO: Sebbene la regina sia qui per sue ragioni specialiil suo esercito è in marcia.

EDGARDO: Vi ringraziosignore.

 

(Esce il Gentiluomo)

 

GLOUCESTER: O dèi sempre benignitoglietemi voi la vita; non lasciate che il mio cattivo genio abbia a indurmi un'altra volta nella tentazione di morire prima che piaccia a voi!

EDGARDO: Voi pregate benepadre.

GLOUCESTER: Ma voimio buon signorechi siete?

EDGARDO: Un uomo poverissimodomato dai colpi della fortunauno il qualeper l'esperienza dei dolori conosciuti e sentitiè pronto alla pietà umana. Datemi la manoio vi condurrò in qualche asilo.

GLOUCESTER: Grazie di cuore: e la benevolenza e la benedizione del cielo per giunta e con usura!

 

(Entra OSVALDO)

 

OSVALDO: La taglia bandita! Quale fortuna! Cotesto tuo capo senz'occhi fu incarnato dapprima per accrescere le mie ricchezze. O vecchio e sciagurato traditoreripensa in fretta ai tuoi peccati: la spada che ti deve distruggere è pronta.

GLOUCESTER: Su viala tua amica mano mettanel farlola forza necessaria.

 

(Edgardo s'interpone)

 

OSVALDO: Insolente d'un contadinoperché osi sostenere un uomo dichiarato pubblicamente traditore? Vatteneper paura che il contagio della sua sorte non si attacchi anche a te. Lascia andare il suo braccio.

EDGARDO: Io non lo lascio andare senza un'altra ragione meglio.

OSVALDO: Lascialo andaremarranoo tu sei morto.

EDGARDO: Sentasignorese ne vada per il suo camminoe lasci andare in pace la povera gente. Se m'avesse dovuto mandare all'altro mondo un prepotentela mia vita non sarebbe durata quindici giorni. Vianon s'accosti tanto al vecchio: stia a distanzaglie l'avvertose nosi vedrà s'è più dura la sua zucca o il mio leccio. Le parlo chiaroio.

OSVALDO: Va' viamucchio di letame!

EDGARDO: Badile stuzzicherò i denti con questo stecchino. Si faccia avanti: non mi fanno mica paura le sue botte.

 

(Si battonoed Edgardo lo accoppa)

 

OSVALDO: Marranomi hai ucciso... Ribaldoprendi la mia borsa. Se un giorno vuoi star beneseppellisci il mio corpoe consegna le lettere che mi troverai indosso a Edmondo conte di Gloucester: cercalo nel campo inglese; o morte intempestiva! (Muore)

EDGARDO: Io ti conosco bene: tu sei un servizievole scellerato; compiacente coi vizi della tua padronaquanto la malvagità avrebbe potuto desiderare.

GLOUCESTER: Che! è morto?

EDGARDO: Mettetevi a sederepadre; riposatevi. Guardiamogli nelle tasche: può essere che le lettere delle quali egli parla mi siano amiche... E' morto: mi dispiace soltanto che egli non abbia avuto ben altro boia. Vediamo. Cedio compiacente cera dei suggelli; e tubuona creanzanon rimproverarmi. Per conoscere il pensiero dei nostri nemici noi apriremmo loro il cuore: aprirne gli scritti è cosa ancor più lecita. (Legge) "Ricordatevi dei nostri voti reciproci. Voi avrete molte occasioni per levarlo di mezzo: se non vi manca la volontàtempo e luogo favorevoli vi si offriranno in abbondanza. Nulla è fattos'egli ritorna vincitore: in questo caso io sono sua prigionierae il suo letto è la mia prigione. Liberatemi dall'aborrito tepore di quel lettoed occupate voi il posto di luiin ricompensa del vostro disturbo.

Vostra (vorrei poter dire moglie!) serva affezionataGonerilla".

O incommensurabile estensione d'una bramosia di donna! Un complotto contro la vita del suo virtuoso maritoe a sostituirlomio fratello!

Quisotto la sabbiaio ti seppelliròempio messaggero di lascivi assassini; eal momento opportunocon questo foglio infame aprirò gli occhi al ducadel quale si trama la morte. Ben per luiche io posso narrargli della tua morte e della tua missione!

GLOUCESTER: Il re è impazzito: come è tenace la mia sciagurata ragionein virtù della quale io resistoed ho piena coscienza delle mie immani sventure! Meglio che io fossi pazzo: così i miei pensieri sarebbero separati dalle mie angosce; e le mie sventureper effetto di un falso immaginareperderebbero la coscienza di se stesse.

 
(Rullo di tamburi in distanza)

 

EDGARDO: Datemi la mano: mi pare di sentirein distanzail rullo del tamburo. Andiamopadreio vi affiderò ad un amico.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SETTIMA - Una tenda nel campo francese

(Entrano CORDELIAKENTun Dottore e un Gentiluomo)

 

CORDELIA: O mio buon Kent! come potrò io vivere tanto e far tantoda ricompensare la tua bontà? La mia vita sarà troppo breve ed ogni sforzo non mi basterà.

KENT: Essere ringraziatosignoraè esser pagato ad usura. Tutte le mie informazioni vanno d'accordo con l'esatta verità: nulla ho aggiuntonulla ho toltole cose stanno proprio così.

CORDELIA: Vestiti meglio: questi panni sono un ricordo di ore troppo tristi: te ne pregomettili via.

KENT: Perdonocara signora; l'essere riconosciuto in questo momentofarebbe fallire lo scopo che mi sono proposto: io vi domandocome un favoreche voi non mi riconosciatefinché il tempo ed io non lo crediamo opportuno.

CORDELIA: Allora sia cosìmio buon signore. (Al Dottore) Come sta il re?

DOTTORE: Signoradorme ancora.

CORDELIA: O dèi pietosichiudete voi la grande ferita che è stata aperta nella sua oltraggiata natura! Oh! ristabilite l'armonia e l'accordo dei sensi di questo padre ridotto un fanciullo.

DOTTORE: Ci consenta Vostra Maestà di svegliare il re: egli ha dormito a lungo.

CORDELIA: Lasciatevi guidare dalla vostra scienzae seguite l'ispirazione della vostra volontà. E vestito come a lui si conviene?

 

(Entra LEAR su una sedia portata da Servi)

 

DOTTORE: Sì signora; in un momento di sonno profondogli abbiamo messo indosso degli abiti nuovi.

KENT: State pure vicina a luimia buona signoraquando lo svegliamo:

io non dubito della sua calma.

CORDELIA: Benissimo.

DOTTORE: Di graziaavvicinatevi. Più fortelà quella musica!

CORDELIA: O mio caro babbo! La guarigione metta sulle mie labbra la medicina che ci vuole per te: e questo bacio ripari i danni violentiche le mie due sorelle hanno fatto nella tua veneranda vecchiaia!

KENT: Affettuosa e cara principessa!

CORDELIA: Anche se tu non fossi stato il padre loroqueste ciocche bianche di capelli avrebbero dovuto suscitare la loro pietà. Era questa una testa che doveva esser lasciata a lottare contro i venti in guerrae a sfidare il cupo tuono dalla folgore tremenda? che doveva restare sotto il terribile e agile guizzo del lamposerpeggiante rapido pel cieloe vigilare povera sentinella perduta! - coperta soltanto con questo sottile elmo?. Il cane del mio nemicose anche mi avesse morsoavrebbe dovuto passare una notte come quella accanto al fuoco. E tupovero babbofosti costretto a metterti al riparo insieme con dei maiali e dei vagabondi senza tettosu poca ed ammuffita paglia! Ahimèahimè! E' un miracolo che la tua vita e la tua ragione non abbiano cessato di esistereinteramentenel medesimo tempo. Si sveglia; parlategli.

DOTTORE: Signoraparlategli voi; è molto meglio.

CORDELIA: Come sta il mio regale signore? Come si sente Vostra Maestà?

LEAR: Fate male a trarmi fuori dalla tomba... Tu sei un'anima nella beatitudine; ma io sono legato sopra una ruota di fuocosicché le mie lacrime stesse scottano come gocciole di piombo fuso.

CORDELIA: Signoremi riconoscete?

LEAR: Voi siete uno spiritolo so. Quando siete morta?

CORDELIA: Ancoraancoratanto divaga!

DOTT: E' appena sveglio: lasciatelo tranquillo per un momento.

LEAR: Dove sono stato? Dove sono?... La bella luce del giorno?... Io sono vittima di un grande inganno... Certo io morrei di pietà a vedere un altro così... Non so che cosa dire... Io non lo giurerei che queste sono le mie manivediamo: io sento che questo spillo buca. Ohquanto vorrei esser certo del mio stato!

CORDELIA: Oh! guardatemisignoree alzate le vostre mani su me per benedirmi... Nosignorevoi non dovete inginocchiarvi.

LEAR: Vi pregonon vi fate giuoco di me: io sono uno sciocco e svanito vecchio di ottant'anni passatiné un'ora di più né una di meno; eper esser francotemo di non aver la mente del tutto a posto. Mi sembra di conoscervie di conoscere quest'uomo; ma sono in dubbiopoiché ignoro assolutamente che luogo è questo: per quanto io faccianon riesco a ricordarmi di questi abitiné so rendermi conto dove io abbia alloggiato la notte scorsa. Non ridete di me... poichécome è vero che sono un uomoio credo che questa signora sia la mia figliuola Cordelia.

CORDELIA: E infatti sono iosono io!

LEAR: Le vostre lacrime sono di quelle che bagnano? Sìdavvero! Vi pregonon piangete; se avete del veleno per melo beverò. Io lo so che voi non mi amate... perché... le vostre sorellecome ben ricordomi hanno maltrattato: voi avete una ragione... loro non l'hanno.

CORDELIA: Nessunanessunaio.

LEAR: Sono in Francia?

KENT: Nel vostro regnosignore.

LEAR: Non mi ingannate.

DOTTORE: Rassicuratevibuona signora: l'accesso di furore è vinto in lui; ma sarebbe pericoloso metterlo al corrente del tempo ch'egli ha perduto. Consigliatelo a rientrare; non lo disturberete piùfinché le sue condizioni non siano migliorate ancora.

CORDELIA: Vorrebbe ritirarsi Vostra Altezza?

LEAR: Voi dovete aver pazienza con me. Ve ne prego dimenticate e perdonate; io sono vecchio e non ho più la testa a segno.

 

(Escono LearCordeliail Dottore e i Servi)

 

GENTILUOMO: Messereè confermato che il duca di Cornovaglia è stato ucciso così?

KENT: Certissimo signore.

GENTILUOMO: Chi è alla testa delle sue genti?

KENT: A quel che si diceil figliuolo bastardo di Gloucester.

GENTILUOMO: Dicono che Edgardoil suo figliuolo esiliatosia col conte di Kent in Germania.

KENT: Ehse ne dicon tante! E' tempo di stare all'erta: le forze del regno si avvicinano a grandi passi.

GENTILUOMO: La decisione probabilmente sarà sanguinosa State benemessere. (Esce)

KENT: Il mio scopo e il mio segno saran raggiunti bene o malesecondo l'esito della battaglia d'oggi.

 

 

 

ATTO QUINTO

 

SCENA PRIMA - Il campo britannico presso Dover

(Entranocon tamburi e bandiereEDMONDOREGANAUfficialiSoldati ed altri)

 

EDMONDO: Sentite dal duca se egli è fermo nel suo ultimo propositoo se in seguito sia stato indottoda qualche cosaa cambiare d'avviso.

Egli è pieno di titubanza e di pentimenti. Portatemi la sua risoluzione definitiva. (A un Ufficiale che esce)

REGANA: Al servitore di nostra sorella deve esserecertamenteseguìto male.

EDMONDO: C'è ragione di sospettarlosignora.

REGANA: Oraamabile signorevoi sapete le mie buone intenzioni a vostro riguardo: rispondetemi dunquesinceramentema dite proprio la verità: voi non amate mica mia sorella?

EDMONDO: Di un affetto rispettoso.

REGANA: Ma non avete mai trovato la strada riservata a mio fratellola quale conduce al luogo proibito?

EDMONDO: Questo pensiero vi fa torto.

REGANA: Io ho il dubbio che voi siate stato congiunto e intrinseco con lei per tutto quel che possiamo chiamare suo.

EDMONDO: Nosul mio onoresignora.

REGANA: Io non glielo permetterò mai: mio buon signorevoi non dovete avere nessuna familiarità con lei.

EDMONDO: Non temete di me. Leie il duca suo marito!

 

(Entrano con tamburi e bandiere il DUCA D'ALBANIAGONERILLAe Soldati)

 

GONERILLA (a parte): Preferirei perdere la battagliapiuttosto che quella mia sorella dovesse separare lui e me.

ALBANIA: Ben trovatanostra amatissima sorella. Signorequesto è ciò che io ho sentito: che il re è andato presso la sua figliuolainsieme con altre personeche il rigore del nostro governo spinse a gridare aiuto. Là dove non potei essere onestonon fui mai valoroso: questo affare ci toccain quanto la Francia invade il nostro paesema non perché essa rinfranca il reinsieme con altri cheio lo temo purtropporagioni assai giuste e gravi fanno levar contro di noi.

EDMONDO: Signorevoi parlate nobilmente.

REGANA: Che c'entra questo discorso?

GONERILLA: Uniamoci contro il nemico: poiché qui non si tratta di questioni private e personali come queste.

ALBANIA: Allora stabiliamod'accordo con gli uomini di guerra più provettiil nostro piano di battaglia.

EDMONDO: Sarò subito alla vostra tenda.

REGANA: Sorellavoi venite con noi?

GONERILLA: No REGANA: Ciò è molto opportuno: ve ne pregovenite con noi.

GONERILLA (a parte): Oh! Oh! Comprendo l'enigma! Vengo.

 

(Entra EDGARDOtravestito)

 

EDGARDO: Se Vostra Grazia ebbe mai a parlare con un uomo così poverovogliate ascoltare da me una parola.

ALBANIA: Vi raggiungerò. Parlate.

(Escono EdmondoReganaGonerillagli Ufficialii Soldatie le Persone del seguito).

EDGARDO: Prima di attaccare battaglia aprite questa lettera. Se avrete la vittoriafate sonare la tromba per chiamare chi ve la portò: per quanto miserabile vi sembriio posso presentare un campioneil quale sarà in grado di provare ciò che è affermato in quella lettera. Se perdeteper voi è finita nel mondoe cessa ogni trama. La fortuna vi assista!

ALBANIA: Aspettatefinché io abbia letta la lettera.

EDGARDO: Mi è stato proibito. Quando sarà il momentol'araldo non avrà che a gridare il bandoed io apparirò di nuovo.

ALBANIA: Alloraaddio: leggerò la tua lettera. (Esce Edgardo)

 

(Rientra EDMONDO)

 

EDMONDO: Il nemico è in vista: schierate le forze. Eccosecondo una diligente ricognizioneil computo approssimativo della loro reale forza e delle loro truppe: ma ora vi s'impone sollecitudine.

ALBANIA: Affronteremo la contingenza.

 

(Esce)

 

EDMONDO: Io ho giurato l'amor mio a tutte e due queste sorelle; e ciascuna è sospettosa dell'altracome coloro che ne sono stati morsi hanno sospetto della serpe. Chi di esse prenderò? Tutte e due? una? o nessuna delle due? Io non posso godermi né l'una né l'altrafinché ambedue son vive: prender la vedovasignifica esasperaree fare impazziresua sorella Gonerilla; e d'altra parte io difficilmente guadagnerò la partitafinché il marito di costei è vivo. Intanto noi ci serviremo del suo appoggio per la battaglia; condotta a termine questapensi leiche vorrebbe disfarsi di luia trovare un modo sbrigativo per levarlo di mezzo. In quanto alla pietà ch'egli intende avere per Lear e per Cordelia... una volta finita la battagliae ch'essi siano in nostro poterenon vedranno mai la sua clemenza; poiché la condizione in cui mi trovo vuole che io mi difendanon ch'io discuta.

(Esce)

 

 

 

SCENA SECONDA - Una pianura fra i due campi nemici

(Di dentro suona l'allarme. Entranocon tamburi e bandiereLEARCORDELIAe le loro milizie; e quindi escono)

(Entrano EDGARDO e GLOUCESTER)

 

EDGARDO: Qui padreaccettate la buona ospitalità che vi offre l'ombra di quest'albero; pregate che il diritto possa trionfare. Se mai io ritorni presso di voivi porterò qualche consolazione.

GLOUCESTER: Il cielo vi accompagnimessere! (Esce Edgardo)

 

(Allarme; quindi ritirata. Rientra EDGARDO)

 

EDGARDO: Fuggivecchio! dammi la mano: fuggi! Re Lear ha perdutoegli e sua figlia sono prigionieri: dammi la mano; vieni via.

GLOUCESTER: Io non muovo più un passomessere: un uomo può putrefarsi anche qui.

EDGARDO: Che? Ancora pensieri cattivi? Gli uomini debbono pazientare per uscir di questo mondoproprio come per entrarvi: tutto sta d'essere pronti. Andiamo.

GLOUCESTER: E anche questo è vero.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA TERZA - Il campo britanno presso Dover

(Entrano: EDMONDOvittoriosocon tamburi e bandiereLEAR e CORDELIA prigionieri; un CapitanoUfficialiSoldatieccetera)

 

EDMONDO: Alcuni ufficiali li conducano via: stiano sotto buona guardiafinché prima non siano noti i voleri sovrani di coloro che debbono pronunciare la loro sentenza.

CORDELIA: Noi non siamo i primichecon le migliori intenzionisi tirano addosso il peggio. Re sventuratoio sono afflitta per te: se si trattasse di me solasaprei ben risponderecol cipiglioal cipiglio della perfida fortuna. Non le vedremonoiqueste figliuole e queste sorelle?

LEAR: Nono. nono! Vieniandiamocene in prigione; solinoi due canteremo come uccelli in gabbia: quando tu mi dirai di benedirtiio mi inginocchieròe chiederò il tuo perdono. Così noi passeremo la vita pregando e cantandoe ci racconteremo delle vecchie storiee sorrideremo delle farfalle dorate; sentiremo i poveri vagabondi chiacchierarefra lorodelle notizie di corte; e anche noi parleremo con essi di chi perde e di chi vince; di chi sale e di chi scende; noi faremo nostro compito il mistero delle cosecome se fossimo spie di Dio. E fra le mura di una prigione cancelleremo dalla memoria il ricordo delle congiure e delle fazioni dei grandiche vanno e vengono come la marea sotto la luna.

EDMONDO: Conduceteli via.

LEAR: Su sacrifici come questio mia Cordeliagli dèi stessi spargono incenso. Ti ho ritrovata? Chi ci vorrà separaredovrà rapire al cielo un tizzo ardentee snidarci di qui col fuoco come volpi.

Asciugati gli occhi; la malora li struggeràcarne e ossaprima che ci facciano piangere: li vedremo morire di fameprima! Vieni.

 

(Escono Lear e Cordeliascortati da Guardie)

 

EDMONDO: Vieni quacapitano; ascolta. Prendi questo biglietto (gli dà una carta); va'segui costoro sino alla prigione Io ti ho già fatto avanzare di un grado: se metti in opera le istruzioni che ti dà questo foglioti apri la via ad alti destini. Sappi che gli uomini sono come i tempi: aver l'animo tenero non si addice ad una spada. L'importante ufficio che ti è commesso non consente discussioni: o dimmi che lo adempiraio cerca fortuna con altri mezzi.

CAPITANO: Lo adempiròmio signore.

EDMONDO: All'opera; e chiamati felice quando ti sarai sbrigato. Bada bene a quello che dico: immediatamente; e conduci la cosa nel modo che ho scritto.

CAPITANO: Non posso tirare un carroo pascermi di avena secca: se è cosa che un uomo possa fareio la farò. (Esce)

 

(Squillo di trombe. Entrano il DUCA D'ALBANIAGONERILLAREGANAUfficialie Gente del seguito)

 

ALBANIA: Signoreoggi voi avete dato prova della razza valorosa dalla quale discendetee la fortuna vi ha guidato bene. Voi avete in poter vostro i prigionieriche ci furono di fronte nella battaglia di quest'oggi: noi ve li domandiamoper disporre di loro cosìcome troveremo che possano indurci a trattarliad un tempoi riguardi che essi meritano e la sicurezza nostra.

EDMONDO: Signoreio ho pensato che fosse conveniente mandare il vecchio e misero re in un luogo di custodia. e sotto buona scorta. La sua etàe più ancora il suo nome regaleha in sé un fascino così grandeda conquistargli il favore popolaree far rivolgere le lance da noi assoldate contro gli occhi nostri che le comandano. Insieme con lui ho mandato la reginaper la stessa ragione; e domaniovvero più tardisaranno pronti a comparire dove voi terrete le vostre assise.

In questo momento noi grondiamo di sudore e di sangue: l'amico ha perduto l'amicoe le battaglie più giustenel calore del momento sono maledette da chi ne risente gli aspri colpi. La questione di Cordelia e di suo padre vuol esser trattata in miglior luogo.

ALBANIA: Messerecol vostro permessoin questa guerra io vi ritengo soltanto un mio sudditonon già un mio fratello.

REGANA: Questo è appunto il titolo onde ci piace gratificarlo. Mi sembra che voiprima di andare così innanzi con le paroleavreste potuto domandare il nostro parere. Egli ha condotto le nostre forzeha avuto l'incarico di esercitare la mia autorità e di rappresentare la mia persona: questa diretta relazione può ben alzare il capo e proclamarsi vostro fratello.

GONERILLA: Non tanto ardore: egli innalza se stesso col merito propriopiù che per virtù del vostro titolo.

REGANA: Investito da me dei miei dirittiegli è alla pari dei più grandi.

ALBANIA: Non potreste dire di piùse egli dovesse sposarvi.

REGANA: Beffeggiatori riescon sovente profeti.

GONERILLA: Eh via! eh via! L'occhio che vi disse questonon poteva essere che un occhio locco.

REGANA: Signoraio non mi sento bene; altrimenti vi risponderei lasciando traboccare tutto quel che ho sullo stomaco. Generaleprenditi i miei soldatii miei prigionieriil mio patrimonio; disponi di loro e di me: io mi arrendo a discrezione. Testimone il mondoche io qui stesso ti eleggo mio signore e mio padrone.

GONERILLA: Pretendereste di possederlo?

ALBANIA: Il vietarlo non dipende dalla vostra buona volontà.

EDMONDO: Neppure dalla vostrasignore.

ALBANIA: Sìgiovinotto di mezzo sangue.

REGANA (a Edmondo): Fa' suonare il tamburoe prova che il mio titolo è quello tuo.

ALBANIA: Fermatevi un momento; ascoltate la voce della ragione...

Edmondoio ti arresto per alto tradimento; e nell'arresto tuo è compreso quello di questo serpente dorato... (accennando Gonerilla) In quanto alla vostra pretesaamabile sorellaio faccio opposizione nell'interesse di mia moglie; sta il fattoche essa ha un precedente impegno con questo signoreed iosuo maritomi oppongo al vostro bando di nozze. Se avete voglia di maritarvifate a me la vostra dichiarazione: la mia signora è fidanzata.

GONERILLA: Questa è una commedia!

ALBANIA: Tu sei armatoGloucester; suonidunquela tromba: se nessuno si presenta a sostenerecontro la tua personai nefandimanifesti e molteplici tradimenti che tu hai commessiecco qui il mio pegno (gettando a terra un guanto); prima di assaggiar di nuovo il paneio proverò sul tuo cuore che tu non sei niente di meno di quello che ti ho proclamato.

REGANA: Sto maleohsto male!

GONERILLA (a parte): Se fosse altrimentinon crederei più al veleno.

EDMONDO: Eccoin ricambioil pegno mio (gettando a terra un guanto):

chiunqueal mondomi chiami traditoremente come un furfante.

Squilli pure la tua tromba: contro colui che oserà farsi avanticontro voicontro chiunque siaio sosterrò la mia lealtà e il mio onore con fermezza.

ALBANIA: Un araldoolà!

EDMONDO: Un araldoolàun araldo!

ALBANIA: Conta unicamente sul tuo valore: poiché i tuoi soldatitutti quelli che tu arruolasti nel nome mionel nome mio hanno avuto il loro congedo.

REGANA: Il mio malessere aumenta!

ALBANIA: Essa non si sente bene: portatela nella mia tenda. (Esce Regana accompagnata. Entra un Araldo)

Vieni quaaraldo. Suona la trombae leggi questo ad alta voce.

UFFICIALE: Suonatrombettiere!

 

(Una tromba suona)

 

ARALDO (legge): "Se c'è un uomo di alto grado o qualitànelle file dell'esercitodisposto a sostenere contro Edmondopreteso conte di Gloucesterche egli è più volte traditoresi faccia avanti al terzo squillo di tromba. Egli è pronto a difendersi".

EDMONDO: Sonate!

 

(Primo squillo)

 

ARALDO: Ancora!

 

(Secondo squillo)

 

ARALDO: Ancora!

 

(Terzo squillo. Una tromba risponde di dentro)

(Entra EDGARDOarmatopreceduto da un Trombettiere)

 

ALBANIA: Domandagli quali sono le sue intenzionie perché egli si presenta a questo bando della tromba.

ARALDO: Chi siete? Il vostro nome? La vostra qualità? e perché rispondete al presente appello?

EDGARDO: Sappiate che il mio nome io l'ho perdutospolpato e smozzicato dal dente del tradimento: pureio sono nobile quanto l'avversario col quale vengo a misurarmi.

ALBANIA: Qual è questo avversario?

EDGARDO: Chi è colui che risponde per Edmondo conte di Gloucester?

EDMONDO: Egli stesso: che cos'hai da dirgli?

EDGARDO: Tira fuori la tua spadaaffinchése le mie parole offenderanno un nobile cuoreil tuo braccio possa farti giustizia; ecco qui la mia. Vediquesto è un diritto che mi danno il mio onoreil mio giuramentoe la mia professione: in nome di essomalgrado la tua forzala tua giovinezzala tua condizionee il posto elevato che tu occupi; a dispetto della tua spada vittoriosae della tua fortuna ancor caldadel tuo valore e del tuo coraggioio dichiaro che sei un traditoresleale ai tuoi iddiia tuo fratello e a tuo padreche hai cospirato contro questo nobile e illustre principe: e che dall'estrema punta dei capelli fin giù alla polvere che è sotto i tuoi pieditu sei un traditore chiazzato di veleno come il rospo. Di' "no": e questa spadae questo braccioe tutto il meglio del mio spiritosono pronti a provare sul tuo cuoreal quale io parloche tu menti.

EDMONDO: Secondo prudenza io dovrei domandare a te il tuo nome: ma poiché il tuo aspetto esteriore è così decoroso e marzialee nel tuo linguaggio spira un accento di nobiltàquell'indugio che io ben potrei opporre a rigor di terminisecondo le regole della cavalleriaio lo disdegno e lo sprezzo. Io respingo sul tuo capo questi tradimenti dei quali mi accusicon le tue menzogneodiose come l'infernoopprimo il tuo cuore: e poiché esse non fan che sfiorarlo e arrivano appena a ferirloquesta mia spada aprirà loro una subita via colàdove poseranno per sempre. Trombesonate!

 

(Squilli. Edgardo e Edmondo si battono. Edmondo cade)

 

ALBANIA: Risparmiatelo! risparmiatelo!

GONERILLA: Questa è un'insidiaGloucester; secondo la legge delle armi tu non eri obbligato a rispondere ad un avversario sconosciuto:

tu non sei vintoma ingannato e tradito.

ALBANIA: Chiudete quella boccasignora; o volete che ve la tappi io con questo foglio?... Prendetesignoreo tu la cui nequizia è senza nomeleggi il tuo maleficio stesso... E' inutile cercar di strapparlosignoravedo bene che voi lo conoscete (Dà la lettera a Edmondo)

GONERILLA: Supponiamo che io lo conosca: delle leggi dispongo ionon voi. Chi potrà citarmi in giudizio per questo?

ALBANIA: Che mostruosità incomparabile! Conosci tu questo foglio?

GONERILLA: Non mi domandate quello che io conosco.

 

(Esce)

 

ALBANIA: Seguitela: ella è fuori di sé; sorvegliatela.

 

(Esce un Ufficiale)

 

EDMONDO: Quello di cui mi accusatel'ho commessoe più ancoramolto di più; il tempo lo rivelerà: ormai è passatoed io ancora... Ma tu chi seiche hai sopra di me questa buona ventura? Se tu sei nobileio ti perdono.

EDGARDO: Scambiamoci un atto di pietà. Per sangue io non sono meno nobile di teEdmondo: se sono di piùl'offesa che mi hai fatto è ancora più grande. Il mio nome è Edgardoed io sono figlio di tuo padre. Gli dèi sono giustie dei nostri vizi allettatori essi si fanno strumento per flagellarci: il luogo oscuro e corrotto nel quale tuo padre ti generògli è costato gli occhi.

EDMONDO: Dici beneè vero. La ruota ha compiuto il suo giroed io son qui.

ALBANIA: Ben mi pareva che il tuo incedere stesso rivelasse una regale nobiltà. Bisogna che ti abbracci: possa il dolore lacerarmi il cuorese io ebbi mai odio per te o per il padre tuo.

EDGARDO: Degno principelo so.

ALBANIA: Dove vi siete tenuto nascosto? Come avete saputo le sciagure di vostro padre?

EDGARDO: Cercando di lenirlesignor mio. Ascoltate un breve raccontoe quando avrò finitooh! il mio cuore si spezzi! La necessità di sfuggire al bando sanguinoso che mi incalzava così da vicino (ohdolcezza della vita! per la quale noi preferiremmo di subire la pena di morte ad ogni ora che passaanziché morire una volta per sempre!)mi suggerì l'idea di cambiare le mie vesti con gli stracci di un dementedi assumere un aspetto tale da provocare lo sdegno dei cani stessi: e in questo arnese incontrai mio padre con le occhiaie sanguinantianelli che pur ora avean perduto le loro pietre preziose; io divenni la sua guidalo conducevochiedevo l'elemosina per luilo salvai dalla disperazione. Non mi rivelai mai a lui (oh! quale errore!) fino a una mezz'ora faallorché ebbi indossate le armi: non essendo sicuropur sperandodi questo fortunato successoio gli chiesi la sua benedizionee gli narraidal principio alla fineil mio pellegrinaggio: ma il suo cuore affranto (troppo deboleahiméper reggere all'urto!) in mezzo ai due estremi della passionela gioia e il doloresi è spezzato con un sorriso.

EDMONDO: Il vostro racconto mi ha commossoe forse potrà far del bene: ma seguitate a parlarevoi avete l'aria di voler dire ancora qualche cosa.

ALBANIA: Se c'è altroche sia strazio anche maggioretacetelo; poiché questo che ho sentitomi spinge quasi a struggermi in lacrime.

EDGARDO: A chi non ami il dolorequesto mio racconto potrebbe esser sembrato il colmo; ma un altroad ampliarlo troppovi aggiungerebbe molto di piùe varcherebbe il limite estremo. Mentre io mi abbandonavo ad alte gridasopraggiunse un uomoil qualeavendomi visto in quello stato miserevoleda principio schivò la mia ripugnante presenzama poi ravvisando chi era colui che soffriva a quel modomi si attaccò al collo con le sue vigorose bracciae si mise ad urlare così disperatamentecome s'egli volesse squarciare la volta dei cieli; poi si gettò sul corpo di mio padree raccontòdi re Lear e di se stessola più straziante storia che orecchio umano abbia mai sentito: e durante il racconto di essa il suo dolore si fece così possente che le corde della vita cominciarono a spezzarsi in lui; a questo punto la tromba sonò due volteed io lo lasciai lì privo di sensi.

ALBANIA: Ma chi era quell'uomo?

EDGARDO: Kentsignorel'esiliato Kent; il quale travestito aveva seguito sempre il re che gli era avversoprestandogli servigi indegni di uno schiavo.

 

(Entra un Gentiluomo con un pugnale insanguinato)

 

GENTILUOMO: Aiutoaiutooh! aiuto!

EDGARDO: Che aiuto?

ALBANIA: Parla.

EDGARDO: Che vuol dire quel pugnale insanguinato?

GENTILUOMO: E' ancora caldofuma; è uscito in questo istante dal cuore di... Oh! è morta!

ALBANIA: Chi morta? parla.

GENTILUOMO: Vostra mogliesignorevostra moglie: e sua sorella è stata avvelenata da lei; lei stessa lo ha confessato.

EDMONDO: Io m'ero impegnato con ambedue: ora noi ci uniamo in matrimonio tutti e tre nel medesimo istante.

EDGARDO: Ecco qui Kent.

ALBANIA: Portate qui i loro corpivivi o morti che siano: questo giudizio del cieloche ci fa tremarenon ci muove a pietà.

 

(Esce il Gentiluomo)

(Entra KENT)

 

Oh! è lui? il momento non consente i complimenti che le creanze impongono.

KENT: Io sono venuto a dire addio per sempre al mio re e signore: non è qui?

ALBANIA: Quale dimenticanza da parte nostra! ParlateEdmondodov'è il re? e dov'è Cordelia? Vedi quale spettacoloKent?

 

(Vengono portati i cadaveri di Gonerilla e Regana)

 

KENT: Ahimè! come mai?

EDMONDO: Eppure Edmondo era amato: una ha avvelenato l'altra per amor mioe poi si è uccisa.

ALBANIA: Proprio così! Coprite loro il viso.

EDMONDO: La vita mi manca; a dispetto della mia naturavoglio fare un po' di bene... Prestomandate al castello... non perdete tempo... c'è un ordine mioche riguarda la vita di Lear e di Cordelia... viamandate prima che non siate più in tempo.

ALBANIA: Corretecorreteoh! correte!

EDGARDO: A chimio signore? Chi n'è incaricato? Manda un tuo segno di contrordine.

EDMONDO: E' giusto: prendi la mia spadapresentala al capitano.

ALBANIA: Fa' prestoper la tua vita!

 

(Edgardo esce)

 

EDMONDO: Costui è incaricatoda vostra moglie e da med'impiccare Cordelia in carceree di attribuire alla sua disperazione un atto onde ella avrebbe distrutto se stessa.

ALBANIA: Gli dèi la proteggano! Portatelo via di qui per un momento.

 

(Edmondo è portato via)

(Rientra LEARcon CORDELIA morta fra le braccia; EDGARDOun Ufficiale ed altri)

 

LEAR: Urlateurlateurlateurlate! Oh voi siete uomini di pietra:

se io avessi le vostre lingue e i vostri occhivorrei adoperarli in modoche la volta del cielo si dovrebbe squarciare. Essa è andata via per sempre. Io lo so quando uno è mortoe quando vive ancora: lei è morta come terra! Prestatemi uno specchio; se il suo respiro appanna ed offusca il vetroebbeneessa vive ancora.

KENT: E questa la fine del mondo a noi predetta?

EDGARDO: O un'immagine di quel giorno tremendo?

ALBANIA: Cadae finisca il mondo!

LEAR: Questa piuma si muove: essa vive! se è veroè tal venturache redime tutti i dolori che io ho sofferti fin qui!

KENT: O mio buon padrone!

 

(S'inginocchia)

 

LEAR: Ti prego vattene.

EDGARDO: E' il nobile Kentamico vostro.

LEAR: La peste cada su voiassassinitraditori tutti! Io avrei potuto salvarla; ora se n'è andata per sempre! CordeliaCordelia!

aspetta un poco. Ah! che cosa dici? La sua voce fu sempre soavecarezzevolee sommessaqualità eletta in una donna. Il miserabile che t'impiccavaio l'ho ucciso.

UFFICIALE: E' verosignorilo ha fatto.

LEAR: Non è veroche l'ho uccisogiovinotto? Ci fu un tempoin cui con la mia buona lama affilata li avrei fatti saltare: ora son vecchioe questi strazi mi finiscono. Chi siete voi? I miei occhi non sono dei migliori: ve lo dirò subito KENT: Se la fortuna si vanta di due uominiche essa ha amato e odiatonoi vediamo l'un d'essi.

LEAR: Questa mia vista s'è offuscata... Voi non siete Kent?

KENT: Lui stesso; il vostro servo Kent. E il vostro servo Caio dov'è?

LEAR: Egli è un bravo giovinottoposso assicurarvelo; sa menar le maniluie presto anche. E' morto e putrefatto.

KENT: Nomio buon signore; io sono proprio quell'uomo...

LEAR: Lo vedrò subito.

KENT: ...che fin dal principio del vostro cambiamento di fortunae delle vostre sventureha seguìto sempre i vostri passi dolorosiLEAR: Voi siete il benvenuto qui.

KENT: Né ioné alcun altro lo sarebbe. Tuttoquiè tristezzatenebrae morte: le vostre figlie maggiori si sono distrutte da loro stessee sono morte disperate.

LEAR: Sìlo credo ALBANIA: Egli non sa quello che diceed è vano cercare di farsi riconoscere da lui.

EDGARDO: E' proprio inutile.

 

(Entra un Ufficiale)

 

UFFICIALE: Edmondo è mortomio signore.

ALBANIA: E' una cosa da nulla in questo momento. Signori e nobili amicisappiate ora i nostri intendimenti. Ogni conforto che possa venire a questa grande sciagurasarà ad essa prodigato: quanto a noifinché duri la vita di questa veneranda Maestàintendiamo di rassegnare nelle sue mani il nostro potere assoluto. (A Edgardo e a Kent) Voi sarete reintegrati nei vostri diritticon una giuntae con quel titolo che le vostre onorevoli persone hanno più che meritato.

Tutti i nostri amici gusteranno le ricompense della loro virtù e tutti i nemici beveranno alla coppa della loro retribuzione. Oh! guardateguardate!

LEAR: E la mia povera sciocchina l'hanno impiccata! Nononon più vita! Perché un caneun cavalloun topodebbono aver vitae tu neanche un soffio? Tu non ritornerai piùmaimaimaimaimai! Vi pregoslacciatemi questo bottone; graziesignore. Vedete questo?...

Guardatelaguardatele sue labbraguardate lìguardate lì!

 

(Muore)

 

EDGARDO: Egli si spegne! Signor mio! signor mio!...

KENT: Spezzatio mio cuoredehspezzati!

EDGARDO: Signor mioaprite gli occhi.

KENT: Non affliggete il suo spirito: ohlasciate ch'egli muoia in pace! sarebbe odiarloil volerlo disteso più a lungo sulla ruota di tortura di questo duro mondo!

EDGARDO: E' proprio morto!

KENT: E' un miracoloche abbia resistito così lungamente: egli usurpava la sua vita.

ALBANIA: Portateli via di qui. Nostro pensiero in questo momentoè il lutto generale. (A Kent e a Edgardo) Amici del mio cuoreprendete voi due il governo di questo regnoe sorreggete lo Stato ferito a sangue.

KENT: Io signore debbo mettermi in viaggio! il mio signore mi chiamanon posso dirgli di no.

EDGARDO: Noi dobbiamo rassegnarci al peso di questi tristi tempie dire quello che sentiamo non quello che dovremmo. Il più vecchio è quegli che ha sopportato di più; noi che siamo giovaninon vedremo altrettantoné vivremo così a lungo.

 

(Escono al suono d'una marcia funebre)



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