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William Shakespeare

 

CIMBELINO

 

 

 

PERSONAGGI

 

CIMBELINOre di Britannia

CLOTENfiglio di primo letto della Regina

POSTUMO LEONATOgentiluomomarito di Imogene

BELARIOsignore esiliatoin incognito sotto il nome di Morgan

GUIDERIOARVIRAGO: figli di Cimbelino in incognito sotto i nomi di POLIDORO e CADWALsupposti figli di MORGAN

FILARIOamico di Postumo; JACHIMOamico di Filario: italiani

CAIO LUCIOgenerale delle forze romane

PISANIOservo di Postumo

CORNELIOmedico

Un Capitano romano

Due Capitani britanni

Un Franceseamico di Filario

Due Baroni della corte di Cimbelino

Due Signori della corte di Cimbelino

Due Carcerieri

LA REGINAmoglie di Cimbelino

IMOGENEfiglia di Cimbelino e della sua prima moglie

ELENAdama di compagnia di Imogene

SignoriDameSenatori romaniTribuniun Indovinoun Olandeseuno SpagnuoloMusiciUfficialiCapitaniSoldatiMessialtri del Seguito. Apparizioni

 

 

 

Scena: BritanniaRoma

 

 

 

ATTO PRIMO

 

SCENA PRIMA - Britannia. Il giardino del Palazzo di Cimbelino

(Entrano due Gentiluomini)

 

PRIMO GENTILUOMO: Non incontrerete nessuno che non sia accigliato. Le nostre passioni non sono più ubbidienti ai cieli che i nostri cortigiani all'aspetto del re.

SECONDO GENTILUOMO: Ma per qual ragione?

PRIMO GENTILUOMO: Sua figliae l'erede del suo regnoquella che egli destinava all'unico figlio di sua moglie - una vedova che ha sposato da poco - si è data a un povero ma degno gentiluomo. Lo ha sposato:

suo marito è banditolei imprigionatatutto nelle apparenze è tristezza; ma il relo credo ferito nel profondo del cuore.

SECONDO GENTILUOMO: Soltanto il re?

PRIMO GENTILUOMO: Anche quello che l'ha perduta; e così la reginache molto desiderava questa unione. Ma non v'è alcuno dei cortigianipur se essi atteggiano il loro volto secondo l'aspetto del reche non sia lieto in cuor suo di quello che gli fa far viso da funerale.

SECONDO GENTILUOMO: E perché?

PRIMO GENTILUOMO: Colui che ha perduto la principessa è un essere troppo cattivo per parlarne male; e quello che la possiede - voglio dire che l'ha sposataahimè pover'uomoe perciò è stato bandito - è tale creatura che a cercare in tutte le regioni della terra uno come luimancherebbe sempre qualche cosa a chi gli si volesse paragonare.

Non credo che un così bell'aspetto e tanti doni interiori adornino un altro uomo.

SECONDO GENTILUOMO: Lo vantate assai.

PRIMO GENTILUOMO: Lo lodomessereentro i limiti del suo merito; piuttosto che accrescere diminuisco l'elogio che gli è dovuto.

SECONDO GENTILUOMO: Come si chiama? Di che famiglia è?

PRIMO GENTILUOMO: Non posso scavare fino alla sua radice. Suo padre si chiamava Sicilioe unì il suo valore a Cassibelano contro i Romani; ma ebbe i suoi titoli da Tenanzioche servì con gloria e ammirato successo. Così si guadagnò il soprannome di Leonato; ed ebbeprima del gentiluomo del quale parliamoaltri due figli che morirono con la spada in pugno nelle guerre di quel tempo. Di questo il padregià vecchio e desideroso di discendenzaebbe tal dolore che ne morìla sua gentile sposaincinta del gentiluomo del quale parliamomorì quando egli nacque. Il re prende il piccino sotto la sua protezionelo chiama Postumo Leonatolo fa educare e lo tiene come paggio. Lo fa educare in ogni scienza adatta alla sua età: egli la fece sua come noi facciamo dell'arianon appena gli era data; e fin dalla sua primavera dette raccolto. Visse a corterara cosamolto lodato e molto amatomodello ai più giovaniera per i più maturi uno specchio al quale azzimarsi; eper i più graviun ragazzo che guidava i vecchioni. In quanto alla sua sposa per la quale oggi è banditoil suo stesso merito dice quanto stimasse lui e la sua virtù: lo ha sceltoe questo dice chiaramente che uomo egli sia.

SECONDO GENTILUOMO: Io lo onoro proprio per quello che mi dite. Mavi pregoil re ha soltanto questa figlia?

PRIMO GENTILUOMO: Soltanto questa figlia. Ebbe due figli - se questo è degno della vostra attenzioneascoltatemi - e il maggiore aveva tre anni e l'altro era ancora in fasce quando furono rapiti alla nutrice.

Fino ad ora nessun indizio che riveli dove possano essere.

SECONDO GENTILUOMO: Quanto tempo è passato?

PRIMO GENTILUOMO: Circa vent'anni.

SECONDO GENTILUOMO: Che i figli d'un re siano rapiti così! così mal custoditi! e le ricerche così lente che non si siano potuti rintracciare!

PRIMO GENTILUOMO: Per quanto stranoo per ridicola che sembri la negligenzaè la veritàsignore.

SECONDO GENTILUOMO: Vi credo.

PRIMO GENTILUOMO: Dobbiamo andare. Ecco che vengono il gentiluomola regina e la principessa.

 

(Escono)

(Entrano la REGINALEONATO e IMOGENE)

 

REGINA: Nofiglia miasiatene certanon troverete in me l'ostilità che secondo la calunnia si suol rimproverare alle matrigne. Siete mia prigionierama la custode vi darà le chiavi che chiudono la vostra prigione. In quanto a voiPostumoappena potrò calmare la collera del resarò proprio io il vostro avvocato. Ma in veritàil fuoco dell'ira è ancora in luie sarebbe bene vi inchinaste alla sentenza con la sopportazione che la vostra saggezza vi consiglierà.

LEONATO: Se piace a Vostra Altezzapartirò oggi di qui.

REGINA: Voi sapete il pericolo. Io farò un giro per ii giardinocompiangendo le angosce di un amore vietatosebbene il re abbia ordinato che non vi parliate.

 

(Esce)

 

IMOGENE: O falsa gentilezza! Come sa bene questa tiranna carezzare mentre ferisce! Diletto sposotemo un poco la collera di mio padre; masenza venir meno al mio santo doverenon quello che la sua ira può farmi. Voi dovete partiree io dovrò a ogni istante sopportare lo sguardo fiero di occhi iratisenz'altro conforto alla mia vita se non nel pensiero che c'è al mondo questo gioiello che potrò rivedere.

LEONATO: Mia reginamia amante! Oh mia signoranon piangere piùo sarò sospettato di maggior tenerezza che non convenga a un uomo.

Resterò il più fedele sposo che mai abbia giurato fede. Starò in Romapresso un certo Filario che fu amico di mio padree che io conosco soltanto per lettera. Scrivimi làmia reginae berrò con gli occhi le parole che manderaianche se l'inchiostro fosse fatto di fiele.

 

(Rientra la REGINA)

 

REGINA: Siate brevivi prego. Se il re venissenon so quanto potrebbe adirarsi con me. (A parte) Voglio persuaderlo a passare di qui. Non gli faccio un male che egli non me ne compensi come di un benefizioper restarmi amico; egli paga care le mie offese.

 

(Esce)

 

LEONATO: Dovesse il nostro congedo durare quanto la vita che ci restal'amarezza della separazione non farebbe che crescere. Addio!

IMOGENE: Norimanete un poco. Se montaste a cavallo soltanto per una breve passeggiataquesto addio sarebbe troppo meschino. Eccoguardateamorequesto diamante era di mia madre: prendetelocuor mioma serbatelo finché non sposerete un'altraquando Imogene sarà morta.

LEONATO: Come un'altra? O dèi clementidatemi solo questa che mi appartienee inaridite i miei abbracci ad un'altra coi legami della morte! (Mettendosi l'anello) Rimanirimani qui finché i miei sensi ti possano tenere. Emia bellamia dolcecome con vostra gran perdita ho scambiato la mia povera persona con la vostracosì anche nelle inezie io ci guadagno. Portate questo per amor miosono le manette d'amore che metto alla più bella prigioniera.

 

(Le infila un braccialetto)

 

IMOGENE: Oh dèi! Quando ci rivedremo?

LEONATO: Ahimèil re!

 

(Entra CIMBELINO con Baroni)

 

CIMBELINO: Vattenevilissima creatura! via dal mio sguardo! Se dopo quest'ordine ingombrerai ancora la corte con la tua indegna presenzamorrai. Via! Sei veleno al mio sangue.

LEONATO: Gli dèi vi proteggano e benedicano i buoni che rimangono a corte! Vado.

 

(Esce)

 

MOGENE: Non può esservi nella morte spasimo più acuto di questo.

CIMBELINO: Oh creatura slealeche dovresti darmi una nuova giovinezzae accumuli gli anni su di me!

IMOGENE: Vi supplicosignorenon vi fate del male con questa agitazione. Io sono insensibile alla vostra ira; un sentimento più raro vince ogni angoscia e ogni timore.

CIMBELINO: Oltre la salute? l'obbedienza?

IMOGENE: Oltre la speranzae in disperazione; e cosìoltre la salute dell'anima.

CIMBELINO: Avresti potuto sposare l'unico figlio della mia regina!

IMOGENE: Oh beatache non potei! Ho scelto un'aquila e sono sfuggita a un nibbio.

CIMBELINO: Hai scelto un mendicante; avresti fatto del mio trono un seggio di ignominia.

IMOGENE: Noanzi ne ho accresciuto lo splendore.

CIMBELINO: Oh vile creatura!

IMOGENE: Signoreè colpa vostra se ho amato Postumo: lo avete fatto crescere compagno dei miei giuochi; ed è uomo degno di qualunque donna: mi sorpassa in valore di quasi tutta la somma che gli costo.

CIMBELINO: Come? sei pazza!

IMOGENE: Quasi signoreil cielo mi guarisca! Ahperché non sono la figlia di un bifolcoe il mio Leonato il figlio del pastore nostro vicino!

CIMBELINO: Insensata!

 

(Rientra la REGINA)

 

Erano di nuovo insieme; non avete agito secondo i nostri ordini.

Uscite con leie sia rinchiusa.

REGINA: Imploro la vostra pazienza. Tacicara figliataci! Mio sovranolasciateci sole; e cercatevi conforto nel vostro miglior consiglio.

CIMBELINO: Nolanguisca d'una goccia di sangue al giorno; e quando sarà vecchiamuoia di questa sua follia!

 

(Escono Cimbelino e i Baroni)

 

REGINA: Via! dovete cedere.

 

(Entra PISANIO)

 

Ecco il vostro servo. Ebbenemesserequali notizie?

PISANIO: Mia Signoravostro figlio ha sguainato la spada contro il mio padrone.

REGINA: Ah! Non è avvenuto nessun malespero?

PISANIO: Sarebbe avvenutose il mio padrone non avesse giocato più che combattutoe non gli fosse mancato l'aiuto dell'ira. Furono separati da gentiluomini che erano presenti.

REGINA: Ne sono molto lieta.

IMOGENE: Vostro figlio è amico di mio padree prende le sue parti.

Sguainar la spada contro un esiliato! Oh ardito cavaliere! Vorrei fossero in Africal'uno contro l'altroe io accanto a loro con un agoper poter pungere quello che indietreggiasse. Perché avete lasciato il vostro padrone?

PISANIO: Per suo ordine. Non ha voluto permettere che lo accompagnassi fino al porto; e mi ha lasciato questo scritto con gli ordini di quello che dovrò fare quando vi piacerà servirvi di me.

REGINA: Costui vi è stato sempre servo fedele e giurerei sul mio onore che tale rimarrà.

PISANIO: Ringrazio umilmente Vostra Altezza.

REGINA: Vi pregopasseggiamo un poco.

IMOGENE: Fra circa mezz'ora vi prego di venire a parlare con me.

Dovete almeno vedere il mio signore imbarcarsi. Lasciatemi fino ad allora.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SECONDA - Britannia. Una piazza pubblica

(Entra CLOTEN con due Baroni)

 

PRIMO BARONE: Messerevi consiglierei di mutar la camicia. La violenza dell'azione vi ha fatto fumare come un olocausto; dove aria escearia entra; e non ce n'è qui intorno di così salubre come quella che voi esalate.

CLOTEN: Se la mia camicia fosse insanguinataallora la cambierei.

L'ho ferito?

SECONDO BARONE (a parte): Noin fede mia; neppure la sua pazienza.

PRIMO BARONE: Ferito! Il suo corpo è una carcassa fatta d'ariase non è ferito; è una strada maestra per l'acciarose non è ferito.

SECONDO BARONE (a parte): Il suo acciaro era pieno di debiti; è scappato dall'altra parte della città.

CLOTEN: Quel gaglioffo non voleva farmi fronte.

SECONDO BARONE (a parte): Noma fuggiva sempre in avantiverso la vostra faccia.

PRIMO BARONE: Farvi fronte! Avete abbastanza terre del vostro; ma quello aumentava i vostri averi col cedervi terreno.

SECONDO BARONE (a parte): Tanti pollici quanti avete oceani. Buffoni!

CLOTEN: Vorrei che non si fossero messi di mezzo.

SECONDO BARONE (a parte): Anch'iofinché non aveste misurato che pezzo d'imbecille eravate lungo disteso in terra.

CLOTEN: E che debba amare quell'uomo e rifiutare me!

SECONDO BARONE (a parte): Se fare una buona scelta è peccatoè dannata.

PRIMO BARONE: Messereve l'ho sempre dettola sua bellezza non è pari al suo cervello. Ha un bell'aspettoma ho veduto pochi riflessi della sua intelligenza.

SECONDO BARONE (a parte): Non splende sopra gli sciocchiper paura che il riflesso la ferisca.

CLOTEN: Venitetornerò in camera mia. Almeno ci fosse stata qualche ferita!

SECONDO BARONE (a parte): Non è il mio desiderio; a meno che non fosse caduto un somaroche non sarebbe gran male.

CLOTEN: Venite con noi?

PRIMO BARONE: Accompagnerò Vostra Signoria.

CLOTEN: Allora andiamo insieme.

SECONDO BARONE: Sìmio signore.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA TERZA - Una stanza nel Palazzo di Cimbelino

(Entrano IMOGENE e PISANIO)

 

IMOGENE: Vorrei tu ti spingessi fino alle rive del porto e domandassi a ogni vela; se scrive e non ricevo è come andasse perduto un rescritto di grazia. Quali sono le ultime parole che ti ha dette?

PISANIO: Diceva: "Mia reginamia regina!".

IMOGENE: E poi sventolava il fazzoletto?

PISANIO: E lo baciavasignora.

IMOGENE: Insensibile linoin questo più felice di me! E questo è tutto?

PISANIO: Nosignora. Fin che ha potuto fare che lo distinguessi dagli altri con l'occhio o con l'orecchiorestò sul pontee agitava senza posa un guantoil cappello o il fazzolettosecondo che i moti e gl'impulsi del suo cuore sapevano meglio esprimerequanto lenta era a far vela la sua animaquanto veloce la sua nave.

IMOGENE: Non dovevi lasciarlo con gli occhi finché non fosse apparso piccolo come un corvoo anche più piccolo.

PISANIO: Così ho fattosignora.

IMOGENE: Avrei spezzato i nervi dei miei occhili avrei schiantati solo per guardarlo finchédiminuito dalla distanzanon fosse divenuto sottile come un ago; anzilo avrei seguito fino a cheda minuscolo come un moscerinonon fosse scomparso in aria: e allora avrei distolto gli occhi per piangere. Mabuon Pisanioquando avremo sue notizie?

PISANIO: Siate certasignoraappena gli sia possibile.

IMOGENE: Non ho potuto salutarloe avevo tante cose gentili da dirgli. Prima che gli potessi dire come penserò a lui in certe oree con questi e questi pensieri; prima che potessi fargli giurare che le donne d'Italia non gli faranno tradire il mio amore né la sua fede?

prima che gli raccomandassi di unire le sue alle mie preghiere alle sei del mattinoa mezzogiorno e a mezzanotteperché allora sono in cielo per lui; o prima che gli potessi dare il bacio dell'addio fra due parole magiche: è venuto mio padree come il tirannico vento del nord ha fatto cadere questi germogli sul crescere.

 

(Entra una Dama)

 

DAMA: La reginasignoradesidera la compagnia di Vostra Altezza.

IMOGENE: Eseguite gli ordini che vi ho dati. Vado dalla regina PISANIO: Sìsignora.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA QUARTA - Roma. In casa di Filario

(Entrano FILARIOJACHIMOun Franceseun Olandese e uno Spagnuolo)

 

JACHIMO: Credetemimesserel'ho veduto in Britannia: la sua rinomanza era allora sul crescere e in attesa di provare quel merito che col tempo gli ha dato fama; ma allora io avrei potuto guardarlo senza l'aiuto dello stuporeanche se l'elenco delle sue virtù gli fosse stato in uno specchietto a latoe io avessi potuto leggervi ogni articolo.

FILARIO: Voi parlate di lui quando era meno ricco che non sia ora di dentro e fuori.

FRANCESE: L'ho veduto in Francia. C'eran da noi moltissimi che potevano guardare il sole con occhi fermi quanto lui.

JACHIMO: Questo aver sposato la figlia del reper cui deve essere stimato piuttosto dal valore di lei che dal propriolo fa vantarenon ne dubitoassai più che non meriti.

FRANCESE: E poi il suo esilio.

JACHIMO: Sìe il calore di quelli che piangono questa dolorosa separazione militando sotto le bandiere di leiesalta lui meravigliosamente; non fosse altro per fortificare il giudizio di leiche altrimenti una piccola batteria basterebbe a demolireper aver preso un mendicante senza la minima qualità. Ma come mai viene a stare con voi? Come si è insinuato nella vostra conoscenza?

FILARIO: Suo padre e io fummo soldati insiemee gli fui più volte debitore della vita stessa. Ecco che viene il Britanno: accoglietelo fra voi come si convienecon gentiluomini del vostro sennoa uno straniero della sua qualità.

 

(Entra LEONATO)

 

Vi prego tuttifate miglior conoscenza con questo gentiluomoche vi raccomando come mio nobile amico. Quanto sia degnopreferisco appaia in seguitopiuttosto che dirvi di lui in sua presenza.

FRANCESE: Messerenoi due ci siamo conosciuti a Orléans.

LEONATO: Da allora vi son rimasto debitore per cortesie che vi dovrò sempre pagareeppure pagare ancora.

FRANCESE: Messerevoi date troppo valore al mio povero servigio: fui lieto di riconciliarvi col mio concittadino; sarebbe stato peccato se vi foste incontrati con le intenzioni così ostili che avevate entrambiper cosa di natura tanto insignificante e da poco.

LEONATO: Perdonatemimessere. Io ero allora un giovane viaggiatoree evitavo di approvare quello che udivo piuttosto di lasciarmi guidare in ogni azione dall'altrui esperienza; masecondo il mio senno più maturo - se non v'è offesa nel dire che è maturo - le mie ragioni non erano così da poco.

FRANCESE: In fede mia sìlo erano troppo per chiamarne arbitre le spade; e da parte di due dei qualicon tutta probabilitàuno avrebbe spacciato l'altroo sarebbero caduti entrambi.

JACHIMO: Possiamo chiederesenza indiscrezionequale fosse la contesa?

FRANCESE: Ma certocredo; era una pubblica discussioneche può indubbiamente essere raccontata. Era molto simile alla disputa che avemmo ieri seranella quale ognuno di noi lodava le belle del suo paese. Allora questo gentiluomo affermava - e metteva il suo sangue a garanzia - che la sua dama era più bellapiù virtuosapiù saggiapiù castapiù costante e meno facile da conquistare di qualunque delle più rare dame di Francia.

JACHIMO: O quella dama non è più in vita o adesso l'opinione di questo gentiluomo è cambiata.

LEONATO: Ella conserva sempre la sua virtùe io il mio pensiero.

JACHIMO: Non dovreste metterla tanto al di sopra delle nostre d'Italia.

LEONATO: Se fossi tanto provocato come lo fui in Francianon ritratterei nulla; per quanto mi professi suo adoratoree non suo amante.

JACHIMO: Tanto bella e tanto buona - facendo un paragone come fra eguali - è troppo bello e troppo buono per qualsiasi donna di Britannia. Se vince le altre che ho vedutecome quel vostro diamante vince in splendore molti di quelli che ho miratinon potrei fare a meno di credere che non ne sorpassi parecchie; ma io non ho mai veduto il più prezioso diamante che ci siané voi la donna LEONATO: L'ho lodata secondo la stima che ne faccio; e così faccio di questa pietra.

JACHIMO: Quanto la stimate?

LEONATO: Più d'ogni tesoro al mondo.

JACHIMO: O la vostra dama senza pari è morta o è vinta in valore da un gingillo.

LEONATO: Vi sbagliate: l'uno può essere venduto o donato; se vi fosse ricchezza bastante per l'acquistoo merito per il dono; l'altra non è cosa da vendereed è soltanto un dono degli dèi.

JACHIMO: Che gli dèi vi hanno dato?

LEONATO: Checon la loro graziasaprò conservare.

JACHIMO: Potete dirla vostra di nome; mavoi lo sapeteuccelli forestieri si posano sugli stagni vicini. Anche il vostro anello vi può essere rubato: sicchédei vostri due tesori inestimabiliuno è fragilel'altro è accidentale. Un ladro astutoo un altrettanto perfetto cavalierepotrebbero tentare di appropriarsi l'uno e l'altro.

LEONATO: La vostra Italia non ha un cavaliere tanto perfetto da vincere l'onore della mia donnase la chiamate fragile pensando che lo conservi o lo perda. Io non dubito affatto che siate ben provvisti di ladri; eppure non temo per il mio anello.

FILARIO: Basta cosìsignori LEONATO: Di tutto cuoremessere. Questo degno signoree io lo ringrazionon mi tratta come uno straniero; siamo subito in confidenza.

JACHIMO: Con una conversazione che durasse cinque volte questasaprei vincere la vostra bella amante e farla cedere fino a concedersi solo che potessi conoscerla e avere l'occasione amica.

LEONATO: Nono.

JACHIMO: Oserei impegnare metà della mia fortuna contro il vostro anelloche a mio avviso vale un po' meno. Ma faccio la scommessa piuttosto contro la vostra fiducia che contro la sua reputazione; e ancheperché non vi sia ragione di offesadico che tenterei la prova contro ogni donna di questo mondo.

LEONATO: Sbagliate assai nella vostra troppo ardita convinzione; e non dubito che non dobbiate sopportare quello che meritate per la vostra prova.

JACHIMO: Vale a dire?

LEONATO: Una ripulsa; benché la vostra provacome voi la chiamatemeriti qualche cosa di più: una punizione.

FILARIO: Signoribasta con questi discorsi; son venuti troppo all'improvviso. Lasciateli morire come sono nati evi pregofate migliore conoscenza.

JACHIMO: Vorrei aver impegnato la fortuna mia e del mio vicino a conferma di quello che ho detto.

LEONATO: E qual è la donna che vorreste attaccare?

JACHIMO: La vostrala cui costanza voi credete tanto sicura.

Scommetto diecimila ducati contro il vostro anello chese mi raccomandate alla corte dove è la vostra signora senza maggior vantaggio che l'opportunità di due colloquile porterò via quell'onore che immaginate sia tanto ben custodito.

LEONATO: Scommetterò dell'oro contro il vostro oro; il mio anello tengo caro quanto il dito: sono una cosa sola.

JACHIMO: Siete un amantee perciò prudente. Se compraste carne di donna a un milione la drammanon potreste preservarla dal corrompersi; ma vedo che avete della religionepoiché temete.

LEONATO: Questo non è che un vezzo della vostra lingua; ma spero che abbiate più seria natura.

JACHIMO: Son padrone dei miei discorsi e sono pronto a tentare quanto ho detto lo giuro.

LEONATO: Davvero? Metterò in pegno il mio diamante fino al vostro ritorno. Che sia steso un patto fra di noi. La mia signora sorpassa in bontà la grossolanità dei vostri indegni pensieri. Vi sfido alla prova. Ecco il mio anello.

FILARIO: Non voglio si faccia questa scommessa.

JACHIMO: Per gli dèiè cosa fatta. Se non vi porto prova bastante di aver goduto la più cara parte del corpo della vostra bella i miei diecimila ducati sono vostrie anche il diamante. Se ritorno lasciandole quell'onore nel quale credeteella che è il vostro gioielloquesto vostro gioiello e il mio orosono vostri. Purché mi diate una raccomandazione che mi permetta di vederla liberamente.

LEONATO: Accetto queste condizioni. Fissiamo gli articoli fra di noi.

Soltantodovreste rispondermi di questo: se fate il vostro tentativo con lei e poi mi fate sapere che avete vintoio non sono più vostro nemicopoiché ella non è degna della nostra disputa; se rimarrà non sedottae voi non mi dimostrerete il contrariodella vostra oltraggiosa opinione e dell'attacco alla sua virtù mi risponderete con la spada.

JACHIMO: Qua la mano. E' detta. Faremo redigere queste cose da un uomo di leggee partirò subito per la Britanniaper paura che il patto prenda freddo e ne muoia. Vado a prendere l'oro e a far registrare le nostre due scommesse.

LEONATO: E' convenuto.

 

(Escono Leonato e Jachimo)

 

FRANCESE: Terranno la scommessacredete?

FILARIO: Il signor Jachimo non si tirerà indietro. Seguiamolivi prego.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA QUINTA - Britannia. Una stanza nel Palazzo di Cimbelino

(Entrano la REGINADame e CORNELIO)

 

REGINA: Mentre la rugiada è ancora sulla terraraccogliete quei fiori; fate presto. Chi ne ha la nota?

PRIMA DAMA: Iosignora.

REGINA: Andate.

(Escono le Dame) Oramaestro dottoreportaste quelle droghe?

CORNELIO: Piaccia a Vostra Altezzasìeccolesignora. (Le dà una scatoletta) Ma imploro Vostra Graziasia detto senza offesa... la mia coscienza mi impone di domandarvi perché mi avete ordinato queste velenosissime misceleche sono causa di morte per languoree benché lente sono mortali.

REGINA: Mi stupiscedottoreche tu mi faccia una simile domanda. Non sono da lungo tempo tua discepola? Non m'hai insegnato a fare i profumi? a distillare? a conservare? sìcosì che anche il nostro gran re spesso mi sollecita per i miei preparati? Poiché ho tanto imparatonon è giusto - a meno che tu non mi creda diabolica - che accresca la mia scienza con altri esperimenti? Voglio provare la potenza di queste tue miscele su creature che non giudicheremmo valer la spesa della forcama su nessuna che sia umanaper provare la loro forza e usare gli antidoti al loro effettoe così conoscerne le varie virtù e l'efficacia.

CORNELIO: Queste pratiche non faranno che indurire il cuore di Vostra Altezzae inoltre l'osservare tali effetti vi riuscirà insieme pericoloso e infettivo.

REGINA: Ohsta' tranquillo.

 

(Entra PISANIO)

 

(A parte) Ecco che viene un furfante adulatore. Farò su di lui la prima prova. Sta per il suo padrone ed è nemico di mio figlio. EbbenePisanio! Dottorei vostri servigi sono terminati per questa volta; potete andare.

CORNELIO (a parte): Io vi sospettosignora; ma voi non farete alcun male.

REGINA (a Pisanio): Ascoltauna parola.

CORNELIO (a parte): Costei non mi piace. Crede di avere degli strani lenti velenima conosco il suo animoe non confiderei alla sua perfidia miscele di così infernale natura. Quelle che hadaranno gravezza e stupore ai sensi per un poco; e forseda principiole proverà su gatti e caniper salir poi più in alto; ma non c'è pericolo nell'apparenza di morte che esse dannose non quello di rinchiudere gli spirti per un poco e farli poi rivivere più freschi.

Sarà ingannata dall'effetto più falso; e io sarò più onesto per averla così ingannata.

REGINA: Non ho più bisogno dei tuoi servigi dottorefinché non ti faccia chiamare.

CORNELIO: Prendo umilmente congedo.

 

(Esce)

 

REGINA: Dici che piange ancora? Non credi che col tempo si calmeràe lascerà entrare la ragione dove ora regna la follia? All'opera. Quando mi verrai a dire che ama mio figlioin quell'istante ti dirò che sei grande quanto il tuo padroneanzi più grandeperché le sue fortune sono tutte mute e la sua fama boccheggia; non può tornarené rimanere dov'è. Mutar dimora è per lui cambiare una miseria con un'altrae ogni giorno che vieneviene a distruggere in lui il lavoro di un giorno. Che cosa speri appoggiandoti a uno che vacillache non può essere rialzato e non ha neppure amici che lo possano sostenere? (La Regina lascia cadere la scatoletta. Pisanio la raccoglie) Tu non sai cosa sia quello che raccogli. Prendila per le tue faticheè una cosa che ho fatta io stessa e che ha salvato cinque volte il re dalla morte. Non conosco cordiale migliore. Noprendiloti pregoè un pegno dei favori che voglio farti. Di' alla tua padrona quale sia la sua situazionefallo come se venisse da te. Pensa al vantaggio del cambioe pensa che conservi la tua padrona e per di più hai mio figlio che si occuperà di te. Persuaderò il re a farti avanzare in ogni maniera secondo il tuo desiderioe io stessaio soprattuttoche ti ho messo sulla via di acquistar benemerenzami impegno a ricompensarti riccamente. Chiama le mie donnepensa alle mie parole.

(Esce Pisanio) Uno scaltro e fedele furfanteimpossibile a smuovere; agente del suo padronee quello che le ricorda di conservar la fede al marito. Gli ho data una cosa chese la prendela priverà di messaggeri per il suo amore. E che poi lei stessase non vorrà piegare la sua volontàpotrà essere sicura di assaggiare.

 

(Rientra PISANIO con le Dame)

 

Sìsìben fattoben fatto. Portate nella mia stanza le violettee le auricole e le primule. AddioPisanio; pensa alle mie parole.

 

(Escono la Regina e le Dame)

 

PISANIO: Ci penseròma quando mi trovassi infedele al mio padronemi strozzerei con le mie stesse mani. E' tutto quello che farò per voi.

 

(Esce)

 

 

 

SCENA SESTA - Britannia. Un'altra stanza nel Palazzo

(Entra IMOGENEsola)

 

IMOGENE: Un padre crudele e una matrigna perfida! Uno sciocco che fa la corte a una dama sposatache ha il marito in esilio! Ohche marito! La corona suprema del mio dolore! E queste afflizioni che si rinnovano! Fossi stata rapita dai ladri come i miei due fratellioh me felice! Ma il desiderioquanto più è altotanto più è misero.

Felice chiper quanto poveropuò appagare i suoi onesti desiderie così dar sapore alla sua felicità. Chi sarà mai costui? Ahimè!

 

(Entrano PISANIO e JACHIMO)

 

PISANIO: Signoraun nobile gentiluomo di Roma viene con lettere del mio padrone.

JACHIMO: Cambiate coloresignora? Il degno Leonato sta bene e saluta teneramente Vostra Altezza.

 

(Le dà una lettera)

 

IMOGENE: Graziebuon signore. Vi do di gran cuore il benvenuto.

JACHIMO (a parte): Tutto quello che si vede di lei è splendido! Se è fornita di un animo altrettanto raroè unicaè la fenice d'Arabiae io ho perduta la scommessa. Ardiresiimi amico! Audaciaarmami da capo a piedi! ocome il Partocombatterò fuggendo; opiuttostofuggirò addirittura

IMOGENE (legge): "E' uno dei più nobili gentiluominie con le sue cortesie mi ha molto obbligato. Fatene il debito caso secondoché voi stimate il vostro fedele Leonato". Vi leggo questo soltantoma nel più profondo del cuore sono commossa dal restoche lo colma di riconoscenza. Siete il benvenutodegno signorepiù che non vi dicano le mie parole; e ve lo proverò in tutto quello che potrò fare.

JACHIMO: Graziebellissima signora. Cheson forse pazzi gli uomini?

Hanno avuto da natura gli occhi per vedere la volta celeste e i ricchi tesori della terra e del mare; per distinguere i globi di fuoco di lassù dalle pietre uguali sulle innumeri spiagge; e non possiamocon organi tanto perfettiscegliere fra il bello e il brutto?

IMOGENE: Che cosa cagiona la vostra meraviglia?

JACHIMO: Non possono essere gli occhiperché scimmie e bertucceposte fra due simili femminesquittirebbero verso l'una e sprezzerebbero l'altra con smorfie; né può essere il giudizioperché anche degli idiotiin questa alternativa di bellezzasarebbero saviamente espliciti; né il desiderio: la laidezzamessa al paragone di sì perfetta beltàfarebbe vomitare l'appetito a vuotoinvece di tentarlo a soddisfarsi.

IMOGENE: Che cosa dite mai?

JACHIMO: Il desiderio satolloquella brama saziata ma non soddisfattaquella botte che si vuota a misura che si riempieprima divora l'agnelloe poi ricerca la sozzura.

IMOGENE: Messer mio caroperché questi trasporti? Non state bene?

JACHIMO: Graziesignorasto bene. (A Pisanio) Vi pregomesseredi dire al mio servo di restare dove l'ho lasciato. E' stranieroe stordito.

PISANIO: Volevo andare a dargli il benvenutomessere.

 

(Esce)

 

IMOGENE: Come sta il mio signore? La sua saluteditemivi prego.

JACHIMO: Buonasignora.

IMOGENE: E' di buon umore? Spero di sì.

JACHIMO: Fin troppo allegro; nessuno straniero v'è da noi più lieto e più gioviale: lo chiamano il Britanno gaudente.

IMOGENE: Quando era quiera incline alla tristezzae spesso non ne sapeva il perché.

JACHIMO: Non l'ho mai veduto triste. C'è là un Francesesuo compagnoun "monsieur" di gran lignaggiochepareama molto una giovane gallicanella sua patria. Sforna gran sospiri a tutto andarementre l'allegro Britanno - il vostro signoredico - ride a pieni polmoni e grida: "Oh come non tenersi le costole a vedere un uomoche sa per tradizioneraccontoo per propria esperienza quello che è una donnasìquello che essa deve esserevoglia o non vogliavederlo languire nelle sue ore libere per la schiavitù a cui è impegnato?".

IMOGENE: Così parla il mio signore?

JACHIMO: Certosignorae ridendo fino alle lacrime. E' uno spettacolo esser lì a sentirlo beffare il Francese. Ma lo sa il cielocerti uomini meritan parecchio biasimo.

IMOGENE: Non luispero.

JACHIMO: Non lui; eppure la munificenza del cielo verso di lui potrebbe essere usata con maggior gratitudine: in lui quella munificenza è abbondante; in voiche considero suasorpassa ogni dono. Mentre sono costretto ad ammiraresono anche costretto a compiangere.

IMOGENE: E chi compiangetemessere?

JACHIMO: Due creaturee con tutto il cuore.

IMOGENE: E io sono una di questemessere? Guardatemi: che dolore vedete in me che meriti la vostra pietà?

JACHIMO: Infelice! Dovrò fuggire il sole radiosoe consolarmi con un lucignolo in una prigione?

IMOGENE: Ve ne pregomessererispondete con maggior chiarezza alle mie domande. Perché mi compiangete?

JACHIMO: Perchéstavo per dirvialtre godono il vostro... Ma spetta agli dèi farne vendettanon a me di parlarne.

IMOGENE: Pare che sappiate qualche cosa di meo che concerne me. Vi pregopoiché il dubbio che le cose vadan male fa soffrire spesso più della sicurezza; perché o la certezza è senza rimedioo dall'averla a tempo può nascere il rimedio; rivelatemi quello che al tempo stesso insinuate e trattenete.

JACHIMO: Se avessi questa guancia per bagnarvi le mie labbra; questa mano il cui toccoil cui solo tocco dovrebbe obbligare l'animo di chi lo sente a un giuramento di fedeltà; questo oggetto che tien prigioniero il fiero moto dei miei occhi e lo concentra in sé soloe dovessi - e meriterei allora di esser dannato - biascicare labbra pubbliche come i gradini che salgono al Campidogliostringerecon le miemani incallitecome dal lavoroda strette menzognere di tutte le oreocchieggiare infine occhi vili e smorti come la luce fumosa alimentata dal fetido sego: sarebbe giusto che tutti i mali dell'inferno insieme mi punissero di simile tradimento.

IMOGENE: Il mio signoretemoha dimenticato la Britannia.

JACHIMO: E se stesso. Non è spontaneamente che mi induco a dirvi la miseria di questo mutamentoma sono le vostre grazie che evocano alla mia lingua questa rivelazione dal fondo più muto della mia coscienza.

IMOGENE: Non ditemi più nulla.

JACHIMO: Cara animala vostra causa colpisce il mio cuore con una pietà che mi fa male! Una donna tanto bellache unita a un impero raddoppierebbe la potenza del maggiore dei reesser divisa con sgualdrine comprate proprio con l'assegno largito dai vostri forzieri!

con avventuriere infette che per dell'oro arrischiano tutte le infermità che la corruzione può dare alla natura! esseri immondi che ben potrebbero avvelenare lo stesso veleno! Vendicatevi; o colei che vi ha portata non fu reginae voi mentite alla vostra illustre origine.

IMOGENE: Vendicarmi! E come potrei vendicarmi? Se questo è vero- poiché il mio cuore non deve lasciarsi ingannare alla svelta dalle mie orecchie: - se quel che dite è verocome potrei vendicarmi?

JACHIMO: Dovrebbe costringere me a vivere fra gelide lenzuola come le sacerdotesse di Dianamentre lui inforca volubili baldracche a vostro dispetto e a spese della vostra borsa? Vendicatevi. Io mi consacro al vostro dolce piacereché son più degno di quel disertore del vostro lettoe sarò fedele al vostro amoresempre segreto e sicuro.

IMOGENE: A mePisanio!

JACHIMO: Lasciate che offra alle vostre labbra la mia devozione.

IMOGENE: Via di qui! Condanno le mie orecchie per averti ascoltato così a lungo. Se tu fossi onestola virtù ti avrebbe fatto parlaree non il fine strano e vile che ti proponi. Tu oltraggi un gentiluomo lontano dal ritratto che ne fai quanto tu dall'onoree vieni qui a tentare una donna che disprezza egualmente te e il demonio. A me Pisanio! Il re mio padre sarà messo a conoscenza del tuo assalto. Se trova giusto che uno straniero insolente venga a trafficare alla sua corte come in un bordello di Roma e ci mostri il suo animo bestialeallora ha una corte della quale si cura ben poco e una figlia per la quale non ha nessun rispetto. A mePisanio!

JACHIMO: Oh felice Leonato! Posso dirlo: la stima che la sua sposa ha di te merita la tua fiducia. Come la tua rara virtù merita la sicura stima dl lei. Vivete a lungo felici! voimoglie del più degno uomo che mai sia stato il vanto di un paesee voi sua sposasolo adatta al più degno. Perdonatemi. Ho parlato così per sapere se la vostra fedeltà avesse radici profonde; oravi dipingerò di nuovo il vostro sposoe quale è veramente: il più lealee un così virtuoso incantatore che attrae la gente a frequentarlo; metà del cuore di tutti gli uomini è suo.

IMOGENE: Fate ammenda.

JACHIMO: Sta fra gli uomini come un dio disceso e gli dà risalto un onore che lo fa parer più che mortale. Non serbatemi rancorepotente principessase ho osato mettervi alla prova con un falso raccontoche ha servito a confermare la vostra grande saggezzache sapete incapace di errorenella scelta di uno sposo così raro. L'amore che gli porto mi costrinse a vagliarvima gli dèi vi hanno fatta diversa da ogni altrasenza mondiglia. Vi pregoperdonatemi.

IMOGENE: Va benemessere; disponete del mio potere alla corte.

JACHIMO: Vi ringrazio umilmente. Quasi dimenticavo di pregare Vostra Grazia di un piccolo favoreeppure importantepoiché concerne il vostro sposo; io e altri nobili amici siamo associati in questo affare.

IMOGENE: Ditedi che cosa si tratta?

JACHIMO: Una dozzina di noi romani e il vostro sposo - la miglior penna della nostra ala - abbiamo messa insieme una somma per comperare un dono all'imperatore; e ioincaricato dagli altril'ho scelto in Francia: vasellame di raro disegno e gioielli di forme ricche e squisite e di gran valore. Poiché sono stranierosono un po' ansioso di saperli in sicuro deposito. Vorreste prenderli sotto la vostra protezione?

IMOGENE: Volentieri. E prendo impegno sul mio onore della loro sicurezza. Poiché il mio sposo vi ha interesseli terrò nella mia stanza.

JACHIMO: Sono in un baulecustodito dai miei uomini. Mi permetterò di mandarvelosolo per stanotte. Devo essere a bordo domani.

IMOGENE: Oh nono.

JACHIMO: Sìve ne supplicoo dovrò mancare alla mia parolaritardando il ritorno. Ho passato il mare dalla Gallia solo col proposito e per la promessa di vedere Vostra Grazia.

IMOGENE: Vi son grata per la vostra bontàma non partite domani!

JACHIMO: Devo andaresignorae perciòse volete salutare per iscritto il vostro sposovi supplico di farlo questa notte. Ho già passato il tempo prefissoed è cosa importante per l'offerta del nostro dono.

IMOGENE: Scriverò. Mandatemi il baulesarà ben custodito e vi sarà reso fedelmente. Siete il benvenuto.

 

(Escono)

 

 

 

ATTO SECONDO

 

SCENA PRIMA - Britannia. Davanti al Palazzo di Cimbelino

(Entrano CLOTEN e due Baroni)

 

CLOTEN: C'è stato mai un uomo così sfortunato! quando per un caso toccavo il pallinom'hanno sbocciato via! Ci avevo scommesso cento sterline e viene uno scemo d'un figlio di puttana a rimproverarmi di bestemmiarecome se avessi preso le mie bestemmie a prestito da lui e non le potessi spendere come mi pare.

PRIMO BARONE: E che cosa ci ha guadagnato? Gli avete rotto la zucca con la vostra palla.

SECONDO BARONE (a parte): Se non avesse avuto più senno di chi gliel'ha rottasarebbe venuto fuori tutto.

CLOTEN: Quando un gentiluomo ha voglia di bestemmiarenon tocca ai presenti spuntargli le bestemmieeh?

SECONDO BARONE: Nomio signore. (A parte) Né mozzar loro le orecchie.

CLOTEN: Cane d'un figlio di puttana! Io dargli soddisfazione? Ohfosse stato uno del mio sito!

SECONDO BARONE (a parte): Per puzzar di scemo.

CLOTEN: Non c'è niente al mondo che mi dia più fastidio. Canchero!

Vorrei non esser nobile come sono; non osano combattere con me perché la regina è mia madre. Qualsiasi gaglioffo può far delle spanciate di rissee io devo andar su e giù come un gallo che non trova competitori.

SECONDO BARONE (a parte): Sei gallo e cappone insiemee di gallo non hai che la voce e la cresta.

CLOTEN: Che cosa dici?

SECONDO BARONE: Non è degno di Vostra Signoria misurarsi con tutti i cialtroni a cui reca offesa.

CLOTEN: Nolo soma è giusto che io possa offendere i miei inferiori.

SECONDO BARONE: Sìnon è giusto che per Vostra Signoria.

CLOTEN: E' quel che dico.

PRIMO BARONE: Avete sentito di uno straniero che è giunto a corte stanotte?

CLOTEN: Uno straniero! e io non ne so niente!

SECONDO BARONE (a parte): Anche lui è un tipo strano e non lo sa.

PRIMO BARONE: E' venuto un Italianoe si crede sia un amico di Leonato.

CLOTEN: Leonato! Un furfante banditoe questo ha da esserne un altrochiunque sia. Chi vi ha detto di questo straniero?

PRIMO BARONE: Uno dei paggi di Vostra Signoria.

CLOTEN: E' degno di me andarlo a vedere? Non sarebbe un fallo l'andarci?

SECONDO BARONE: Voi non potete fallaresignore.

CLOTEN: Credo anch'io che non sia facile.

SECONDO BARONE (a parte): Siete uno scemo garantito; perciò i vostri dirizzoniessendo sceminon possono fare un fallo.

CLOTEN: Andiamoandrò a vedere questo Italiano. Quello che ho perduto oggi alle boccelo voglio vincere a lui stasera. Andiamo via.

SECONDO BARONE: Sono agli ordini di Vostra Signoria. (Escono Cloten e il Primo Barone) Che una diavolessa astuta come sua madre abbia potuto mettere al mondo questo somaro! Una donna che dà punti a tutti col suo cervelloe questo suo figlio che non si ricorda che venti meno due fa diciotto. Ahimèpovera principessadivina Imogenequanto sopportifra un padre governato dalla tua matrignauna madre che inventa nuovi complotti a tutte le oreun pretendente più odioso dello stesso turpe esilio del tuo sposopiù odioso dell'orribile atto di divorzio ai quale ti vorrebbe costringere! Il cielo tenga salde le mura del tuo caro onore e mantenga incrollabile il tempio della tua bell'animaperché tu possa vivere per godere dello sposo esiliato e di questo gran paese.

 

(Esce)

 

 

 

SCENA SECONDA - La stanza di Imogene

(Un baule in un angolo. IMOGENE a lettoche legge. Una Dama le fa compagnia)

 

IMOGENE: Chi è là? Sei tuElena?

DAMA: Con vostra graziasignora

IMOGENE: Che ora è?

DAMA: Quasi mezzanottesignora.

IMOGENE: Ho letto per tre oredunque ho gli occhi stanchi. Piega la pagina dove sono rimastae va' a letto. Non portar via la candelalasciala accesa. E se ti puoi svegliare verso le quattrochiamamiti prego. Son proprio presa dal sonno. (Esce la Dama) O dèimi affido alla vostra protezione! Guardatemi dalle streghe e dalle tentazioni della notteve ne supplico!

 

(Dorme. Jachimo esce dal baule)

 

JACHIMO: I grilli cantanoe i sensi dell'uomo affaticato si ristorano col riposo. Così il nostro Tarquinio calpestò i giunchi con piede leggeroprima di destare la casta bellezza che violò. Citereacome adorni il tuo letto! Fresco gigliopiù bianco delle lenzuola! Ohpotessi toccarti! Un bacioun solo bacio! Rubini senza ugualicome devon baciare soavemente! E' il suo respiro che profuma così la stanza; la fiamma della candela si piega verso di lei e vorrebbe spiare sotto le sue palpebre per vedere le racchiuse luciora coperte da quelle cortine bianche e azzurrevenate del medesimo turchino del cielo. Ma il mio disegno è osservare la stanzae scriverò ogni cosa: queste e queste pittureecco la finestraquesti gli ornamenti del lettogli arazzile figure come? così e così; e il soggetto delle storie. Ahma qualche particolare fisico del suo corpo sarà testimonio migliore di diecimila più meschini arredi per arricchire il mio inventario. Oh sonnotu scimmia della mortesii greve su di lei!

E sia ella insensibile come una tua sepolcralecosì distesa in una cappella! Vienivieni... (Le toglie il braccialetto) Lento quanto il nodo gordiano fu tenace. E' mioe per la disperazione di suo marito sarà testimonianza esteriore tanto forte quanto la consapevolezza lo è per l'interno. Sul suo seno sinistroun neo con cinque macchiecome le gocce color cremisi nel fondo di un'auricola: ecco una prova più forte di quelle che mai legge poté dare. Questo segreto lo costringerà a credere che ho forzata la serratura e preso il tesoro del suo onore.

Basta. E a che scopo? Perché dovrei scrivere questoche è ribaditoavvitato nella mia memoria! Ha letto fino a tardi la storia di Tereo; qui la pagina è segnatadove Filomena cedette. Ho quel che basta. Di nuovo nel baulee chiudiamo la molla. Prestoprestodraghi notturnivenga l'aurora a nudare l'occhio del corvo! Vivo in paura; sebbene questo sia un angelo del cieloqui è l'inferno. (L'orologio suona) Unodue. tre. E tempoè tempo!

 

(Va nel baule. La scena si chiude)

 

 

 

SCENA TERZA - L'anticamera contigua all'appartamento di Imogene

(Entrano CLOTEN e Baroni)

 

PRIMO BARONE: Vostra Signoria è l'uomo più paziente del mondo quando perdeil più freddo che giocando abbia mai voltato un asso.

CLOTEN: Chiunque diverrebbe freddoperdendo.

PRIMO BARONE: Ma non tutti pazientisecondo il nobile carattere di Vostra Signoria. E siete ardentissimo e impetuoso quando vincete.

CLOTEN: Vincere fa diventar coraggioso chiunque. Se potessi avere questa sciocca di Imogeneavrei oro abbastanza. E' quasi giornonon è vero?

I BARONI: Giornomio signore.

CLOTEN: Vorrei che questa musica venisse: mi han consigliato di darle musica tutte le mattine. Dicono che penetri.

 

(Entrano dei Musici)

 

Venite; accordate; se potete penetrarla coi vostri pizzicatibene; e proveremo anche con la lingua. Se niente serviràla lasceremo stare ma non mi darò mai per vinto. Primo una cosa di molto eccellente ingegnositàe poi una meravigliosa aria soave con parole mirabilmente ricche. E poilasciamola riflettere.

 

 

CANZONE

 

Odi? Canta l'allodola alla porta del cieloe Febo già si leva:

bevera i suoi cavalli alle sorgive che in fondo ai fiori nascono.

Già gli occhi d'oro incerti comincian le calendole ad aprire.

Con ogni cosa bella lévatidolce mia signoralévati!

CLOTEN: E adesso andatevene. Se questa penetreràapprezzerò meglio la vostra musica. Altrimentivuol dire che c'è un difetto nelle sue orecchieche né crine di cavalloné minugia di vitellonéper giuntala voce dell'eunuco sgranellatopotranno mai guarire.

 

(Escono i Musici)

 

SECONDO BARONE: Ecco che viene il re.

CLOTEN: Sono contento di aver fatto così tardiperché per questa ragione sono in piedi così di buon'ora. Non potrà che approvare paternamente questo mio servizio.

 

(Entrano CIMBELINO e la REGINA)

 

Buon giorno alla Maestà Vostra e alla mia graziosa madre.

CIMBELINO: Aspettate alla porta della nostra austera figliuola? E non viene fuori?

CLOTEN: L'ho assalita con la musicama non si degna di farvi attenzione.

CIMBELINO: L'esilio del suo favorito è troppo recente: non lo ha ancora dimenticato. Ci vuole qualche tempo ancora per cancellare il segno del suo ricordoe allora sarà vostra.

REGINA: Dovete molto al reche non perde occasione di farvi valere presso sua figlia. Mettetevi a farle una corte in piena regolasappiate cogliere l'occasione favorevole; i suoi dinieghi accrescano le vostre premure; cercate di parere ispirato dal cuore negli omaggi che le fateobbediente in tuttomeno quando i suoi ordini saranno per congedarvie a questi siate insensibile.

CLOTEN: Insensato! No.

 

(Entra un Messaggero)

 

MESSAGGERO: Permettetesire. Ambasciatori da Romae fra essi è Caio Lucio.

CIMBELINO: Un degno uomosebbene ora venga con minacciose intenzionima non per sua colpa. Dobbiamo riceverlo con tutti gli onori dovuti a colui che lo manda; equanto a luiper le bontà che ebbe in passato verso di noiaccoglierlo con riguardo. Caro figlioquando avrete dato il buon giorno alla vostra signoravenite a raggiungere la regina e me. Avremo bisogno di servirci di voi con questo Romano.

Andiamomia regina.

 

(Escono tutti meno Cloten)

 

CLOTEN: Se è levatale voglio parlare; altrimentistia ancora a letto e sogni. Olàpermettete. (Bussa) So che le sue donne sono con leie se ungessi le mani di una di esse? E' l'oro che apre le porte soventesìe corrompe anche le guardacaccia di Dianacosì che portano i cervi all'agguato del bracconiere; ed è l'oro che fa uccidere l'onest’uomo e salva il ladroanzi a volte fa impiccare il ladro e anche l'onest'uomo: che mai non può fare e disfare? D'una delle sue donne voglio fare il mio avvocatoperché ancora non capisco bene il caso. (Bussa) Con vostra licenza.

 

(Entra una Dama)

 

DAMA: Chi è che bussa?

CLOTEN: Un gentiluomo.

DAMA: Niente di più?

CLOTEN: Sìe figlio di gentildonna.

DAMA: Questo è più di quanto non possano giustamente vantare alcuni che pagano il sarto caro quanto voi. Che cosa desidera Vostra Signoria?

CLOTEN: La persona della vostra signora. E' pronta?

DAMA: Sìper stare in camera sua.

CLOTEN: Ecco dell'oro per voi; vendetemi la vostra buona reputazione.

DAMA: Come! il mio buon nome? o che io debba riferir di voi quel che reputo buono? La principessa!

 

(Esce la Dama)

(Entra IMOGENE)

 

CLOTEN: Buon giornobellissima. Sorellala vostra dolce mano.

IMOGENE: Buon giornosignore. Voi vi date troppa pena per non acquistare che guai. I ringraziamenti che vi doè dirvi che sono povera di ringraziamentie che non ne ho da donare.

CLOTEN: Eppure vi giuro che vi amo.

IMOGENE: Se lo diceste soltantomi farebbe lo stesso effetto; ma se poi giurateil vostro premio è sempre sentirvi dire che non me ne importa.

CLOTEN: Questa non è una risposta.

IMOGENE: Se non doveste dire che tacendo acconsentonon parlerei. Vi pregorisparmiatemi: sull'onor miomostrerò altrettanta scortesia alle vostre migliori gentilezze. Un uomo del vostro gran senno dovrebbe impararedopo tante lezionia ritirarsi.

CLOTEN: Lasciarvi alla vostra follia sarebbe un peccato che non commetterò.

IMOGENE: Gli scemi non sono pazzi.

CLOTEN: Mi chiamate scemo?

IMOGENE: Sìperché sono pazza. State quieto e io non sarò più pazza e guariremo entrambi. Mi spiace assaisignoreche mi obblighiate a dimenticare il contegno di una donna parlandovi così. Sappiateuna volta per tuttequesto che ioche conosco il mio cuorevi dichiaro adesso con tutta la mia sincerità: non mi curo di voi. E la carità stessa mi manca a tal puntoe me ne accusoche vi odio; e vorrei piuttosto l'aveste sentitosenza che mi costringeste a vantarmene.

CLOTEN: Peccate contro l'obbedienza che dovete a vostro padre. Poiché il contratto che pretendete aver fatto con quel vile sciaguratoallevato per elemosina e nutrito d'avanzidelle briciole della cortenon è un contrattoassolutamente. E benché possa essere permesso a gente volgare - e chi più volgare di lui? di unire le loro vite che non producono se non marmocchi e miseria con un legame fatto a loro immaginequesta libertà vi è preclusa dalle esigenze d'una corona. E non dovete macchiarne il prezioso splendore con uno schiavo vileun miserabile nato a portare livreaun lacchèun dispensieree neppure di prim'ordine.

IMOGENE: Sacrilego! Fossi tu figlio di Giove senza aver altre doti che quelle che haisarebbe per te onore sufficientee perfino da farti invidiaresetenuto conto del valore dei vostri merititu fossi nominato tirapiedi del boia del suo regno. E saresti odiato per sì altolocata posizione.

CLOTEN: Che le nebbie del sud lo marciscano!

IMOGENE: Non gli può accadere maggior sventura che di essere nominato da te. La sua veste più miserase appena ha toccato il suo corpoè assai più cara a me di tutti i capelli del tuo capoanche se tutti diventassero uomini come te. A mePisanio!

 

(Entra PISANIO)

 

CLOTEN: "La sua veste". Che il diavolo...

IMOGENE: Vai subito da Doroteala mia fantesca...

CLOTEN: "La sua veste"!

IMOGENE: Questo scemo mi fa impazziremi spaventa e mi esaspera. Va'di' alla mia donna di ricercare un gioiello che per caso ha lasciato il mio braccio. Era del tuo padrone. Che io sia maledetta se vorrei perderlo per le rendite del più gran re d'Europa. Mi pare di averlo visto stamanee sono certa che era ieri sera al mio bracciol'ho baciato. Spero non sia andato a raccontare a mio marito che bacio altri che lui.

PISANIO: Non sarà perduto.

IMOGENE: Lo spero. Va' a cercarlo.

 

(Esce Pisanio)

 

CLOTEN: Voi mi avete ingiuriato. "La sua veste più misera"!

IMOGENE: Così ho dettosignore. Se volete farmi un processochiamate dei testimoni.

CLOTEN: Ne informerò vostro padre.

IMOGENE: E anche vostra madre. E' la mia protettrice e non penseràsperoche maggior male di me. Così vi lasciosignoreal massimo del vostro scontento.

 

(Esce)

 

CLOTEN: Mi vendicherò. "La sua veste più misera"! Bene.

 

(Esce)

 

 

 

SCENA QUARTA - Roma. In casa di Filario

(Entrano LEONATO e FILARIO)

 

LEONATO: Non temetesignore. Vorrei essere tanto sicuro di vincere il recome sono certo che non le sarà tolto il suo onore.

FILARIO: E che mezzi potrete tentare col re?

LEONATO: Nessuno; se non attendere che il tempo mutitremare ora che è inverno e desiderare che vengano giorni più caldi. Conto soltanto su queste timide speranze per ripagare le vostre bontà: se quelle mi abbandonanodovrò morire vostro debitore d'assai.

FILARIO: La vostra bontà e la vostra compagnia mi ripagano ad usura di quanto posso fare. Ormai il vostro re deve aver avuto notizie del grande Augusto. Caio Lucio adempirà compiutamente la sua missione; e credo che il re concederà il tributo e manderà gli arretratipiuttosto che guardare in faccia i nostri Romaniil cui ricordo è ancor vivo nel loro dolore.

LEONATO: Io credobenché non sia uomo di Stato e non sia probabile lo diventiche questo finirà in una guerra; e sentirete dire che le legioni che sono ora in Gallia sono sbarcate nella nostra intrepida Britanniaprima di aver notizia che un solo denaro del tributo sia stato pagato. I nostri concittadini sono uomini più allenati di quando Giulio Cesare sorrideva della loro inesperienzapur trovando il loro coraggio degno del suo accigliarsi. La loro disciplinaora unita al coraggiomostrerà a chi li metta alla prova che son gente capace di progredire nel mondo.

FILARIO: Ecco Jachimo!

 

(Entra JACHIMO)

 

LEONATO: I cervi più veloci vi han trasportato in poste sulla terrae i venti di tutti gli angoli dell'orizzonte hanno baciato le vostre vele per far spedito il vostro vascello.

FILARIO: Benvenutomessere.

LEONATO: Spero sia la brevità della risposta che vi fu data a farvi ritornare così velocemente.

JACHIMO: La vostra signora è una delle più belle che io abbia vedute.

LEONATO: E anche la miglioreo la sua bellezza potrebbe mettersi alla finestra per adescare i cuori ingannatori e ingannarli a sua volta.

JACHIMO: Ecco lettere per voi.

LEONATO: Con buone nuovespero.

JACHIMO: E' assai probabile FILARIO: Caio Lucio era alla corte britanna quando c'eravate?

JACHIMO: V'era aspettatoma non giunto.

LEONATO: Finora tutto va bene. Questa pietra brilla come un tempo? O è forse troppo opaca perché ve ne adorniate?

JACHIMO: Se l'avessi perdutaavrei perduto il suo valore in oro.

Farei un viaggio due volte più lontano per godere un'altra notte dl tanto dolce brevità quanto quella che fu mia in Britannia; perché l'anello è vinto.

LEONATO: La pietra è troppo dura per cedere così.

JACHIMO: Affattopoiché la vostra sposa è tanto facile.

LEONATO: Signorenon voltate la vostra perdita in scherzo. Spero sappiate che non dobbiamo restare amici.

JACHIMO: Mio buon messerelo dobbiamose state al patto. Se non riportassi a casa la conoscenza della vostra signoralo concedopotremmo spingere la discussione più oltre. Ma io qui vi dichiaro di aver vinto il suo onore insieme al vostro anelloe senza aver fatto torto né a voi né a leiavendo agito secondo il volere d'entrambi.

LEONATO: Se potete provare di averla goduta nel suo lettola mia mano e il mio anello sono vostri. Altrimentil'infame opinione che avete avuta della sua pura virtù vince la mia spada e perde la vostrao le lascia entrambe senza padroneper chi le troverà.

JACHIMO: Messerei particolariessendo così vicini alla verità com'io saprò darvelidebbono indurvi a credere; e sono pronto a confermarne la forza col giuramento. Ma non dubito che me ne dispenseretequando troverete di non averne bisogno.

LEONATO: Continuate.

JACHIMO: Primala sua stanza da letto; dovelo confessonon ho dormito; ma dichiaro che v'ebbi cosa che valeva ben la pena di star sveglio. Era parata di tappezzerie di seta e argento: la storia dell'altera Cleopatra quando incontrò il suo Romano; e il Cidno gonfio oltre le rive per la ressa delle navi o per orgoglio: un lavoro così stupendamente eseguito e tanto ricco che l'opera e la materia si contendevano il primato. Ero meravigliato potesse esser fatto in modo tanto raro e perfettoperché la vita stessa v'era...

LEONATO: Questo è veroe avreste potuto sentirlo raccontare quida me o da qualcun altro.

JACHIMO: Altri particolari giustificheranno la mia effettiva conoscenza.

LEONATO: Così debbonoo danneggiare il vostro onore.

JACHIMO: Il camino è a mezzogiorno della stanzae la cappa rappresenta la casta Diana al bagno. Non ho mai veduto figure più parlanti. Lo scultore era come un'altra naturama senza parolee ha sorpassata la natura meno che nel moto e nel respiro.

LEONATO: Anche questa è una cosa che avreste potuto raccogliere da qualche descrizionepoiché molto se ne parla.

JACHIMO: Il soffitto della stanza è adorno di cherubini d'oro; gli alariche dimenticavoerano due Cupidi d'argento bendatiritti su d'un piede e appoggiati con grazia alle loro torce.

LEONATO: E questo è il suo onore! Ammettiamo che abbiate visto tutto questoe sia data lode alla vostra memoria; ma la descrizione di quello che vi è nella sua camera non basta per farvi vincere la scommessa che avete fatta.

JACHIMO: Allorase lo potete(gli mostra il braccialetto) impallidite. Sol che mi si dia licenza di dar aria a questo gioiello:

guardate! E ora lo ripongo. Lo devo sposare con quel vostro diamante; li serberò tutti e due.

LEONATO: Giove! Lasciatemelo osservare ancora. E' proprio quello che le ho lasciato?

JACHIMO: Quellomesseree ne ringrazio lei. Se lo tolse dal braccio:

la vedo ancora. Il gesto leggiadro vinse il valore del suo donoe insieme lo fece più prezioso; me lo diede e disse che un tempo l'ebbe caro.

LEONATO: Forse lo staccò per mandarlo a me.

JACHIMO: Così vi scrivenon è vero?

LEONATO: Ohnonono! E' vero. Prendete anche questo. (Gli da l'anello) E' un basilisco per i miei occhi e m'uccide se lo guardo. Si dica dunque che non è virtù dove è bellezzaverità dove è apparenzae amore dove è un altro uomo. I giuramenti delle donne non le leghino a coloro cui sono fatti più di quanto esse non siano legate all'onor loroche non è niente. Oh falsa oltre misura!

FILARIO: Siate pazientesignoree riprendete il vostro anello: non è ancor vinto. E' possibile che l'abbia smarrito; o chi sa che una sua donnaessendo stata corrottanon glielo abbia rubato?

LEONATO: Verissimo; e così spero egli l'abbia ottenuto. Ridatemi il mio anello. Datemi qualche particolare del suo corpo più convincente di questo; perché questo fu rubato.

JACHIMO: Per Gioveio l'ho avuto dal suo braccio.

LEONATO: Sentitegiura; lo giura per Giove. E' verosìtenete l'anelloè verosono certo che non l'avrebbe perduto. Le sue serventi sono tutte giurate e oneste: indotte a rubarlo! e da uno straniero! Noegli l'ha goduta; ecco qui il segno del suo disonore; a questo prezzo ha pagato il nome di puttana. Prendiecco la tua ricompensae che tutti i diavoli dell'inferno si dividano fra voi!

FILARIO: Messerestate calmo. Questa non è prova forte abbastanza per essere creduta da uno ben persuaso di...

LEONATO: Non ne parlate più. Egli l'ha uccellata.

JACHIMO: Se cercate altre provesotto il suo senoche merita bene d'essere strettoc'è un segnogiustamente orgoglioso di un sito così delicato. Per la mia vital'ho baciatoe mi diede immediato appetito di cibarmi di nuovobenché fossi sazio. Ricordate quella macchia su di lei?

LEONATO: Sìe conferma un'altra macchiatale da riempire l'infernofosse pure essa sola.

JACHIMO: Volete sentire di più?

LEONATO: Risparmiatemi la vostra aritmetica; non contate le volte: una è come un milione!

JACHIMO: Giuro...

LEONATO: Non giurate. Se giurate di non averlo fattomentite. E io ti ucciderò se neghi d'avermi fatto becco.

JACHIMO: Non negherò nulla.

LEONATO: Oh potessi averla qui per farla a brani! Andròe lo faròa cortedavanti a suo padre. Farò qualche cosa...

 

(Esce)

 

FILARIO: La pazienza non lo governa più. Avete vinto. Seguiamolo e sviamo l'ira che ha ora contro se stesso.

JACHIMO: Di tutto cuore.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA QUINTA - Un'altra stanza in casa di Filario

(Entra LEONATO)

 

LEONATO: Non c'è dunque modo per gli uomini di nascere senza che le donne facciano metà dell'opera? Siamo tutti bastardi; e quel venerabilissimo uomo che chiamavo mio padre era non so dove quando fui stampato. Un falsario coi suoi strumenti mi ha contraffatto: eppure mia madre sembrava la Diana dei suoi tempicome mia moglie sembra il paragone di questi. O vendettavendetta! Essa mi impediva i miei piaceri legittimi e mi pregava spesso di astinenza; e lo faceva con tanto roseo pudore - la sua dolce vista avrebbe ben potuto riscaldare il vecchio Saturno che io la credevo casta come la neve non tocca dal sole. Ohtutti i diavoli! Questo livido Jachimoin un'oranon è vero? o meno al primo incontro? forse non parlò nemmenoe come un cinghiale impinzato di ghiandeun cinghiale di Germaniaha gridato "Oh!"e l'ha avuta sotto. Non trovò altro ostacolo se non quello che lui s'aspettava e ch'ella doveva guardare da ogni assalto. Potessi scoprire in me quel che mi viene di donna! Perché nell'uomo non v'è impulso che tenda al vizio chelo affermonon venga dalla donna. Sua la menzogna chenotatelovien dalla donnasua la lusingasuo l'inganno; la lussuria e i pensieri immondi son suoisuoi sua la vendetta. Le ambizionila cupidigiale mutevoli vanitàil disprezzole voglie bizzarrele calunniel'incostanzae tutte le colpe che hanno nomeanziche l'inferno conoscesìson sue tutte o in parte. Noè giustotuttepoiché esse persino nel vizio non sono costantiche sempre mutano un viziovecchio appena di un minutoper un altro meno vecchio di neppure la metà. Voglio scrivere contro di essedetestarlemaledirle. Ma vi è maggiore sottigliezza in un vero odio: nel pregare che possano aver quel che desiderano. Gli stessi demoni non le saprebbero meglio tormentare.

 

(Esce)

 

 

 

ATTO TERZO

 

SCENA PRIMA - Britannia. Una sala nel Palazzo di Cimbelino

(Fanno solenne ingresso da una porta CIMBELINOla REGINACLOTEN e Baroni; da un'altra CAIO LUCIO e il suo Seguito)

 

CIMBELINO: Ora diteche vuol da noi Cesare Augusto?

LUCIO: Quando Giulio Cesare - il cui ricordovivo tuttora negli occhi degli uominiper le orecchie e per le lingue sarà eterno tema e racconto - fu qui in Britannia e la conquistòtuo zio Cassibelanofamoso per le lodi di Cesare e non meno per le sue gesta che le meritavanopromise a Roma per sé e per i suoi successori un tributo annuo di tremila sterlineche negli ultimi tempi non hai offerto.

REGINA: Eper uccidere ogni meraviglianon lo sarà maiCLOTEN: Ci saranno molti Cesariprima di un altro Giulio. La Britannia è un mondo per sé solae non vogliamo pagar niente per portare il nostro naso.

REGINA: La possibilità che avevano allora di prendere a noila abbiamo ora noi di riprendere. Ricordatesire mio sovranoi re vostri antenatie insieme la formidabilità naturale della vostra isolache sta come un parco di Nettuno irto e difeso da rocce inaccessibili e acque ruggenti; con sabbie che non sosterranno le navi dei vostri nemici ma le risucchieranno fino alla cima dell'albero maestro. Cesare fece qui una specie di conquistama non è qui che s'è vantato: "Vennividie vinsi". Con vergognala prima che mai gli toccassefu respinto lontano dalle nostre costedue volte sconfitto; e i suoi vascelli poveri ignari gingilli! - sui nostri terribili mari si muovevano come gusci d'uovo sulle onde e altrettanto facilmente s'infransero contro i nostri scogli. Per il chein segno di gioiail famoso Cassibelano che fu una volta sul punto - oh meretrice Fortuna!

- di battere la spada di Cesarefece che la città di Lud splendesse di fuochi d'allegrezzae che i Britanni si gonfiassero di coraggio.

CLOTEN: Suvvianon ci son più tributi da pagare. Il nostro regno è più forte che non fosse a quel tempo; ecome ho dettonon ci sono più Cesari come quello: altri possono avere il naso ricurvoma nessuno il braccio così dritto.

CIMBELINO: Figliolasciate finire vostra madre.

CLOTEN: Abbiamo ancora molti tra noi che possono abbrancar forte come Cassibelano; non dico di essere uno di loroma ho anch'io una mano.

Perché un tributo? Perché dovremmo pagare un tributo? Se Cesare può nasconderci il sole con una copertao mettersi in tasca la lunagli pagheremo tributo per la luce; altrimentisignorenon più tributove ne prego.

CIMBELINO: Dovete sapere che fino a quando gli oltraggiosi Romani ci estorsero questo tributoeravamo liberi. L'ambizione di Cesareche si gonfiò tanto da allargar quasi i banchi del mondocontro ogni ragione ci impose questo giogo; e scuoterlo è il dovere di un popolo bellicosoquale noi stimiamo di essere.

CLOTEN e BARONI: E così siamo.

CIMBELINO: Dite dunque a Cesare che nostro avo fu quel Mulmuzio che dettò le nostre leggiil cui uso la spada di Cesare ha troppo mutilato. Ristabilirle e metterle in vigore con le forze in nostro potere sarà la nostra bella impresaanche se Roma sarà per questo irata. Mulmuzio fece le nostre leggi; fu colui che per primo in Britannia cinse la sua fronte con una corona d'oro e si chiamò re.

LUCIO: Mi duoleCimbelinodi dover dichiarare Cesare Augusto Cesareil quale ha più re suoi servi che tu non abbia ufficiali nella tua casa - tuo nemico. Sappi dunque questo da me: in nome di Cesare proclamo guerra e rovina contro te. Preparati a una furia irresistibile. Dopo questa sfidati ringrazio per me.

CIMBELINO: Sii il benvenutoCaio. Il tuo Cesare mi ha fatto cavaliere e ho trascorso molta della mia gioventù sotto di lui; e da lui ricevetti onoreche volendomi egli oggi riprendere con la forzaio debbo difendere a oltranza. Ho sicure informazioni che i Pannoni e i Dalmati sono ora in armi per la loro libertà: e il non leggere questo precedente mostrerebbe i Britanni freddi: tali non li troverà Cesare.

LUCIO: Parlino gli eventi.

CLOTEN: Sua Maestà vi dà il benvenuto. Passate in festa con noi un giornoo dueo più. Se ci verrete a trovar poi con altro intentoci troverete nella nostra cintura d'acqua salata. Se ce ne cacceretesarà vostra; se cadrete nell'avventurai nostri corvi mangeranno meglio a vostre spese; e questa è la conclusione.

LUCIO: Sia puresignore.

CIMBELINO: Io so il volere del vostro padroneegli il mio. Quanto al resto: Benvenuto!

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SECONDA - Un altra stanza nel Palazzo

(Entra PISANIO con una lettera)

 

PISANIO: Come! d'adulterio? E perché non mi scrivete chi è il mostro che l'accusa? Leonato! O padrone! Quale strana infezione è caduta nel tuo orecchio! Quale perfido Italianodalla lingua avvelenata come la manoha prevalso sulla tua troppo facile credulità? Infedele! No:

essa è punita per la sua fedeltàe sopporta più da dea che da donna gli assalti che vincerebbero più d'una virtù. Oh padrone! il tuo animo è ora al di sotto del suo quanto lo era la tua fortuna. Come! Io dovrei ucciderla? Per l'amore e la fedeltà e i giuramenti che ho messo ai tuoi ordini? Iolei? il suo sangue? Se questo è ben servirenon voglio esser contato fra i servitori. Che cosa sembroda essere creduto così privo di umanità quanto questo delitto vorrebbe? (Legge) "Fallo. La lettera che le ho mandata te ne darà l'occasione per suo stesso comando". Oh foglio dannato! Nero come l'inchiostro che è su di te! Insensibile quisquiliapuoi esser complice di questo atto e restare così vergine d'aspetto? Eccolaviene. Io non so nulla di quanto mi è comandato.

 

(Entra IMOGENE)

 

IMOGENE: EbbenePisanio?

PISANIO: Padronaecco una lettera del mio signore.

IMOGENE: Chi? Il tuo signore? Il mio signore Leonato! Sapiente davvero sarebbe l'astronomo che conoscesse le stelle come io la sua scrittura:

l'avvenire gli sarebbe aperto. Buoni dèifate che il contenuto sappia d'amoredella salute del mio sposodella sua contentezza (ma non perché siamo separatianziche questo lo addolori: vi sono sofferenze salutari e questa è una di esse poiché corrobora l'amore):

della sua contentezza in tutto fuor che in questo! Col tuo permessobuona cera; e voiapisiate benedetteche fate questi suggelli del segreto! Gli amanti e gli uomini legati da pericolose obbligazioni non fanno gli stessi voti: voi mandate in prigione i debitorima siete fermaglio alle tavolette del giovane Cupido. Delle buone notizienumi! (Legge) "La giustizia e l'ira di vostro padredovesse egli sorprendermi nei suoi domininon potranno essermi tanto crudeli che voio carissima fra le creaturenon possiate rianimarmi col vostro sguardo. Sappiate che sono in Cambria. a Milford-Haven. Seguite in questa circostanza quello che l'amore vi suggerirà. Vi augura ogni felicità colui che rimane fedele ai suoi giuramentie il vostroche vi ama sempre di piùPostumo Leonato". Ohavere un cavallo alato!

OdiPisanio? E' a Milford-Haven; leggi e dimmi quanto è lontano di qui. Se chi ha faccende da poco può andarvi faticando in una settimanaperché non potrò io volarvi in un giorno? Allorafedele Pisanioche spasimi quanto me di vedere il tuo padrone... che spasimi... ma non voglio eccedere... non quanto meeppure spasimima più debolmente; ohnon come meperché il mio desiderio è di là del di làdimmi e parla presto - un consigliere d'amore deve riempire i fori dell'udito fino a soffocarne il senso - quanto è lontano questo Milford benedetto. Intanto dimmi come il Galles possa essere tanto felice da possedere un tal porto; ma prima di tuttocome fuggire di qui? E il vuoto che faremo nel tempodal nostro andar via di qui al ritornocome scusarlo? Ma primacome partire di qui? Perché la scusa dovrebbe nascere prima che ne sia generato il bisogno? Parleremo di questo più tardi. Dimmiti pregoquante ventine di miglia potremo fare a cavallo da un'ora all'altra?

PISANIO: Una ventina fra un sole e l'altrosignoraè abbastanza per voie fin troppo.

IMOGENE: Comeamicouno che cavalcasse verso il supplizio non potrebbe andar tanto lento. Ho sentito parlare di scommesse sul cavalcaredove i cavalli erano più veloci della sabbia che scorre al servizio dell'orologio. Ma queste sono inezie. Va'di' alla mia ancella di fingersi malatae di dire che va a casa da suo padre. E procurami subito un abito da viaggionon più ricco di quello che converrebbe alla massaia di un proprietario di terre.

PISANIO: Signorafareste meglio a riflettere.

IMOGENE: Vedo davanti a meuomo; quilàe dietro a me tutto è in una nebbia che non posso penetrare. Viati pregofa' come ti comando. Non v'è altro da dire: non v'è altra strada possibile se non quella di Milford.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA TERZA - Galles. Un paese montuoso. Una caverna

(Entrano BELARIOGUIDERIO e ARVIRAGO)

 

BELARIO: Una bella giornatanon da starsene in casase ha il tetto basso come la nostra. Curvateviragazzi: questa porta vi insegna ad adorare il cielo e vi fa inchinare al santo ufficio mattutino. Le porte dei monarchi hanno un arco tanto alto che i giganti possono uscirne orgogliosamente senza togliersi gli empi turbantisenza dare il buon giorno al sole. Salvebel cielo! Noi abbiamo casa nella rocciama non ti trattiamo così duramente come fanno uomini più alteri.

GUIDERIO: Salvecielo!

ARVIRAGO: Salve cielo!

BELARIO: Ora ai vostri diporti montanari. Salite su quella collina laggiù! le vostre gambe son giovaniio camminerò per questi ripiani.

Quando dall'alto mi vedrete piccolo come un corvoconsiderate che è il luogo che rimpicciolisceoppure mette in valore. E potrete allora riflettere ai racconti che vi ho fattidelle cortidei principidelle astuzie della guerradove un servigio non è un servigio perché è stato resoma perché fu ammesso tale. Così considerando possiamo trarre profitto da tutte le cose che vediamo; e spessoper nostro confortotroveremo che lo scarabeo chiuso nella sua scaglia è meglio protetto dell'aquila dalle grandi ali. Ohc'è più nobiltà in questa vita che nel fare inchini per avere ripulsepiù ricchezza che nel non far nulla dopo essersi vendutopiù fierezza che nel far frusciare sete non pagate: taluni sono riveriti da colui che li fa eleganti eppure non salda il loro debito nel suo registro; non è vita che valga la nostra.

GUIDERIO: Voi parlate per vostra esperienza; noipoveri impluminon abbiamo mal volato fuor di vista del nidoné sappiamo quale aria vi sia lontano da casa. Forse questa vita è migliorese la vita tranquilla è la migliore; più dolce per voiche ne avete conosciuta una più durae ben conveniente alla vostra rigida età. Ma per noi è una cella d'ignoranzaun viaggio fatto da lettola prigione di un debitore che non osa passarne la soglia.

ARVIRAGO: Di che mai potremo parlarequando saremo vecchi come voi? quando sentiremo la pioggia e il vento battere il fosco dicembredi che cosa ragioneremo per trascorrere le gelide orechiusi in questa nostra diaccia caverna? Noi non abbiamo veduto nullasiamo come le bestie: astuti come la volpe alla predabellicosi come il lupo per quello che mangiamoil nostro valore è nel dar la caccia a quello che fugge; della nostra gabbia facciamo una cantoriacome l'uccello prigionieroe cantiamo liberamente la nostra schiavitù.

BELARIO: Come parlate! Se almeno conosceste le usure della cittàe le sentiste per averne fatto esperienza; gli artifici della cortedalla quale è tanto difficile andarsene quanto restaredove salire alla cima è certa cadutao così sdrucciolevole che la paura è penosa quanto la caduta; il mestiere della guerra è una fatica che pare vada soltanto in cerca del pericolo in nome della fama e degli onoriche muore nella ricercae ha un epitaffio calunnioso altrettanto di frequente che una menzione di onorevole atto; anzimolte volte è punita per aver fatto il bene equel che è peggiodove inchinarsi alla rampogna. Oh ragazziil mondo può leggere questa storia in me.

Il mio corpo è segnato dalle spade romanee un tempo la mia fama era fra le più illustri. Cimbelino mi amava; e se si parlava di soldatiil mio nome non era lontano. Ero allora come un albero i cui rami piegavano sotto i frutti; ma in una notte una tempesta o un furtochiamatelo come voletefece cedere il mio maturo peso e perfino le foglie e mi lasciò nudo alle intemperie.

GUIDERIO: Favore incerto!

BELARIO: Io non avevo colpacome spesso vi ho dettose non che due furfantii cui falsi giuramenti prevalsero sul mio onore integrogiurarono a Cimbelino che ero in lega coi Romani; così seguì il mio esilio; e per questi venti anni questa roccia e queste terre sono stati il mio mondodove son vissuto in onesta libertà e ho pagato al cielo più debiti pii che in tutta la parte precedente del mio tempo.

Ma suai monti! Questo non è linguaggio da cacciatori. Chi colpirà la prima selvaggina sarà il signore della festa; gli altri due lo serviranno; e non avremo paura del veleno che sta a servizio in luoghi di più grande apparenza. Vi ritroverò nelle valli. (Escono Guiderio e Arvirago) Come è difficile soffocare le scintille della natura! questi ragazzi non sospettano nemmeno di essere i figli del rené Cimbelino sogna che essi siano vivi. Credono di esser mieie per quanto cresciuti cosìumilmente nella caverna ove devon curvarsii loro pensieri toccano il tetto dei palazzi e la natura li ispiranelle cose semplici e volgariad agire come principial di sopra del costume degli altri. Ecco Polidorol'erede di Cimbelino e della Britanniache il re suo padre chiamò Guiderio: o Giove! quando siedo sul mio sgabello a tre piedi e racconto le imprese guerresche che ho compiutela sua anima vola nella mia storia. Se io dico: "Così cadde il mio nemico e così gli posi il piede sul collo"subito il sangue principesco affluisce alle sue guanceegli sudatende i suoi giovani muscoli e si mette in una posa che rifà le mie parole. Il fratello più giovaneCadwaluna volta Arviragocon uguale atteggiamento vibra vita nel mio discorsoeancor piùmostra il suo pensiero. Sentila selvaggina è levata! O Cimbelinoil cielo e la mia coscienza sanno che mi esiliasti ingiustamente; perciò rapii questi bambini di tre e due annipensando di privarti di successionecome tu mi spogliasti delle mie terre. Eurifiletu fosti la loro nutrice; essi ti credettero la loro madree ogni giorno onorano la tua tomba. Credono meBelarioche son chiamato Morganil loro padre naturale. La selvaggina è levata.

 

(Esce)

 

 

 

SCENA QUARTA - Campagna presso Milford-Haven

(Entrano PISANIO e IMOGENE)

 

IMOGENE: Mi hai dettoquando scendemmo da cavalloche il luogo era vicino. L'impazienza che ebbe mia madre di vedermi la prima voltanon fu tanta quanta la mia adesso. Pisanioamicodove è Postumo? Che cosa pensiche ti fa guardare così fisso? Perché rompe quel sospiro dal tuo profondo? Se si dipingesse uno come tesarebbe interpretato come l'immagine d'un tormento inesprimibile. Prendi un'espressione meno paurosa prima che la pazzia vinca la mia ferma ragione. Che cosa c'è? Perché mi porgi quella carta con uno sguardo senza pietà? Se son notizie d'estateannunciale con un sorriso; se sono d'invernonon devi che conservare la tua espressione. La scrittura di mio marito!

L'Italia dai maledetti veleni l'avrà vinto d'ingegnoed egli è in un grave momento. Parlauomola tua lingua può scemare un colpo che alla lettura potrebbe anche essermi mortale.

PISANIO: Vi pregoleggete; e mi troveretedisgraziato che sonol'essere più maltrattato dalla Fortuna.

IMOGENE (legge): "La tua padronaPisanioha fatto la sgualdrina nel mio letto; ne ho testimonianze che sanguinano in me. Non parlo per deboli congetturema per prova forte come il mio dolorecerta come la vendetta che aspetto. Questa partePisaniodevi fare per mese la tua fedeltà non è stata contaminata dalla sua colpa. Le tue stesse mani le tolgano la vita: te ne darò l'occasione a Milford-Havendove la condurrà la mia lettera. Se colà temi di colpire e non mi dai la certezza che la cosa è fattasei il mezzano del suo disonoree sleale a me quanto lei".

PISANIO: Che bisogno ho di snudare la spada? Quel foglio le ha già tagliato la gola. Noè la calunniache ha il taglio più affilato di quello della spadae la lingua più velenosa di tutti i serpenti del Nilo; il cui fiato prende i venti per corsieri e propaga la menzogna in tutti gli angoli del mondo. Reregineuomini di Statoverginimatroneperfino i segreti della tomba penetra questa viperina calunnia. Ebbenesignora?

IMOGENE: Infedele al suo letto! Che cos'è essere infedele? Giacervi vegliando e pensando a lui? Piangere d'ora in ora? Se il sonno s'impone alla naturaromperlo con un sogno che mi spaventa per luie svegliarmi al mio proprio grido? Questo è tradire il suo letto? Questo?

PISANIO: Ahimèbuona signora!

IMOGENE: Io infedele! Mi sia testimone la tua coscienzaJachimo; quando lo accusasti d'incontinenza mi apparisti un furfanteora il tuo aspetto mi appare abbastanza onesto. Qualche svergognata italianache ebbe per madre la sua tinturalo ha sedotto; e io poveretta sono stantìauna veste fuori moda; eperché sono troppo ricca per appendermi al murodebbo essere sdrucita; a pezzi! Ohi giuramenti degli uomini sono i traditori delle donne! Le migliori apparenzeper questo tuo tradimentoo spososembreranno perfide ipocrisie: non naturali dove cresconoma portate come un'esca per le donne.

PISANIO: Buona signoraascoltatemi.

IMOGENE: Uomini fedeli e onestiquando parlano come il traditore Eneafurono ai suoi tempi creduti traditori; e il pianto di Sinone calunniò molte lacrime sante e tolse pietà a molte vere afflizioni.

Così tuPostumocoprirai col tuo fermento tutti gli uomini onesti; i leali e i prodi saranno creduti falsi e spergiuri per questa tua grande colpa. Orsùamicosii onestofa' quello che ti comanda il tuo padrone. Quando lo vedraisii almeno testimone della mia obbedienza. Guardaio stessa snudo la spada: prendila e colpisci l'asilo innocente del mio amoreil mio cuore. Non temereè vuoto di tutto fuorché di dolore; il tuo padrone non v'èlui che ne era veramente il tesoro. Fa' quello che ti comandacolpisci. Potrai essere valoroso in una causa migliorema ora sembri un codardo.

PISANIO: Via da mearma villana! Tu non dannerai la mia mano.

IMOGENE: Ma io devo morire; ese non è per tua manonon sei servo al tuo padrone. Contro l'uccisione di sé v'è un divieto talmente divino che fa vile la mia debole mano. Eccoqui è il mio cuore (qualche cosa v'è sopra; aspettaaspettanon voglio difesa)obbediente come il fodero. Che cosa c'è? Gli scritti del leale Leonatodivenuti eresie?

Viaviacorruttori della mia fede: non farete più da pettorina al mio cuore. Così possono i poveri sciocchi credere a falsi maestri; ma se quelli che son traditi soffrono in modo crudele il tradimentoal traditore spetta dolore più grande. E tuPostumoche hai sollevata contro il re mio padre la mia disobbedienzae mi hai fatto disprezzare gli omaggi di principi miei egualiti accorgerai più tardi che non era un atto comunema un raro impulso: e mi addoloro a pensare comequando il tuo appetito sarà smussato da quella della quale oggi ti saziiti ripugnerà la memoria di me. Ti pregofa' presto: l'agnello implora il beccaio; dov'è il tuo coltello? Sei troppo lento al comando del tuo padronequando anch'io lo desidero.

PISANIO: Oh graziosa signorada quando ho ricevuto l'ordine di eseguire questo delittonon ho chiuso occhio.

IMOGENE: Eseguiscie poi va' a letto.

PISANIO: Piuttosto mi renderò cieco a forza di vegliare.

IMOGENE: Alloraperché hai accettato? Perché mi hai ingannata per tante miglia con un pretesto? perché questo luogo? il mio atto e il tuo? la fatica dei nostri cavalli? il tempo che ti è opportuno? la cortedove non penso di tornareturbata dalla mia assenza? Perché sei andato tanto lontanoper allentar l'arco quando sei alle poste e la cerbiatta designata è davanti a te?

PISANIO: Solo per guadagnar tempo e liberarmi d'una sì trista impresa; per questo ho immaginato un espediente. Buona signorauditemi con pazienza.

IMOGENE: Dimmi fino a stancare la tua linguaprosegui. Mi son sentita chiamare sgualdrina e il mio orecchiocosì colpito a tradimentonon può ricevere ferita più grandené sonda per scrutarla. Ma prosegui.

PISANIO: Ebbenesignoraho pensato che non sareste tornata indietro.

IMOGENE: Secondo ogni apparenzapoiché mi conducevi qui per uccidermi.

PISANIO: Noneppur questo. Ma se sono stato tanto savio quanto onestoallora il mio disegno riuscirà a buon fine. Non può essere che il mio padrone non sia stato ingannato; qualche furfantesìe singolare nell'arte suavi ha fatto a tutti e due questa maledetta offesa.

IMOGENE: Qualche cortigiana romana.

PISANIO: Nosulla mia vita. Farò soltanto sapere che siete mortae gli manderò un segno sanguinosoperché mi è comandato di far così. La vostra assenza dalla corte ne sarà conferma.

IMOGENE: Mabuon amicoche farò io intanto? Dove abiterò? Come vivrò? E che conforto avrò nella mia vitaquando sarò morta al mio sposo?

PISANIO: Se volete tornare a corte...

IMOGENE: Non più cortenon più padrenon più contese con quel brutaleper nulla nobilema semplice nulla di Cloten. Quel Cloten del quale temevo le assiduità come un assedio.

PISANIO: Se non volete tornare a corteallora non dovete restare in Britannia.

IMOGENE: Dove allora? Il sole brilla soltanto per la Britannia? Il giornola notte son soltanto in Britannia? Nel volume dei mondo la nostra Britannia sembra come una partema fuori di esso; in un grande stagnoun nido di cigno. Pensati pregoche ci sono esseri viventi fuori della Britannia.

PISANIO: Sono molto lieto che pensiate a un altro luogo.

L'ambasciatore Lucioil Romanoverrà domani a Milford-Haven. Orase poteste farvi un animo oscuro come la vostra sortee soltanto dissimulare quello chemostrandosi qual ènon può essere che pericolo per voicamminereste per una via piacevole e piena di promesse. Sìfors'anche vicina alla residenza di Postumoalmeno vicina tanto chese pure le sue azioni non vi saranno visibilila fama dirà ora per ora esattamente al vostro orecchio ogni suo movimento.

IMOGENE: Ohaver questo mezzo! Anche se con pericolo del mio pudorepurché non sia mortalemi avventurerei!

PISANIO: Ebbenequesto è il punto; dovete dimenticare di essere una donnamutare il comando in obbedienzala paura e la timidezza - queste ancelle di tutte le donneopiù veramentela stessa leggiadra essenza della donna - in un coraggio birichinopronto alla beffalesto a rispondereimpertinente e litigioso come la donnola.

Anzidovete dimenticare il raro tesoro delle vostre guance ed esporlo - o crudeltà! ma ahimènon c'è rimedio! - all'avido contatto di Titano che dà a tutti i suoi baci; e dimenticare i vostri minuziosi e graziosi ornamenticoi quali facevate gelosa la grande Giunone.

IMOGENE: Orsùsii breve: vedo il tuo scopo e son già quasi un uomo.

PISANIO: Primaprendetene l'aspetto. Prevedendo questo ho già prontinella mia sacca. giustacuorecappellobrachee tutto quello che occorre con essi. Voi dovrestecol loro aiutoe imitando meglio che potrete un giovane della vostra etàpresentarvi al nobile Luciochiedergli serviziodirgli le vostre abilita e questo capiràse in quella sua testa ha orecchio per la musica. Senza dubbio vi accoglierà con gioiaperché è uomo d'onore e rivestito di molte virtù. Per i vostri mezzi fuori di casaavete mericco; e non mancherò di rifornirvi né al principioné in seguito.

IMOGENE: Tu sei l'unico conforto col quale gli dèi mi sostentino. Va'te ne prego. Ci sono altre cose da considerarema faremo di volta in volta quello che il tempo vorrà. A questa impresa io milito come un soldatoe la sosterrò con un coraggio da principe. Va'ti prego.

PISANIO: Benesignora. Dobbiamo darci un frettoloso addioperchése mancassimi si potrebbe sospettare di avervi fatto fuggire dalla morte. Mia nobile signoraecco una scatola: l'ebbi dalla regina; quello che contiene è prezioso. Se soffrite il marese avete delle nausee in terrauna goccia di questo manderà via ogni male. Cercate un po' d'ombra e assumete la vostra virilità. Possano gli dèi guidarvi al meglio!

IMOGENE: Amenti ringrazio!

 

(Escono da parti diverse)

 

 

 

SCENA QUINTA - Una stanza nel Palazzo di Cimbelino

(Entrano CIMBELINOla REGINACLOTENLUCIO e Baroni)

 

CIMBELINO: Vi lascio qui e vi dico addio.

LUCIO: Grazieregale signore. Il mio imperatore ha scritto: devo partire di quie molto mi dispiace di dovervi rapportare nemico del mio padrone.

CIMBELINO: I nostri sudditisignorenon tollerano il suo giuoco; e in quanto a noimostrare meno sovranità di loroapparirebbe indegno d'un re.

LUCIO: Con ciòsirevi domando una scorta per terra fino a Milford- Haven. Signoraauguro ogni gioia a Vostra Graziae a voi!

CIMBELINO: Miei signoria voi è assegnato questo ufficio. Non dimenticate nulla degli onori che gli sono dovuti. Cosìaddionobile Lucio.

LUCIO: La vostra manomio signore.

CLOTEN: Ricevetela in amicizia; ma da ora in poi la porto come vostra nemica.

LUCIO: Signorel'evento deve ancora fare il nome del vincitore.

Addio.

CIMBELINO: Non lasciate il degno Luciomiei buoni signorifinché non abbia passato la Severn. Sii felice!

 

(Escono Lucio e i Baroni)

 

REGINA: Se ne va accigliato; ma è un onore per noi avergliene data la causa.

CLOTEN: Tutto è per il meglio; così sono esauditi i voti dei vostri valorosi Britanni.

CIMBELINO: Lucio ha già scritto all'imperatore quello che accade qui.

Perciò bisogna che i nostri carri e i nostri cavalieri siano pronti in tempo. Le forze che ha già in Gallia saranno presto adunate e di là muoverà guerra contro la Britannia.

REGINA: E' un'impresa che non consente di dormirema bisogna condurla rapidamente e con forza.

CIMBELINO: La nostra previsione che sarebbe stato cosìci ha fatto predisporre. Mamia dolce reginadov'è nostra figlia? Non è apparsa davanti al Romanoe non ha fatto oggi il suo dovere con noi. Ci sembra fatta di malvolere più che di obbedienzalo abbiamo notato.

Chiamatela davanti a noiché siamo fin troppo deboli nella nostra tolleranza.

 

(Esce un Gentiluomo)

 

REGINA: Regale signoreda quando Postumo è in esilio la sua vita è stata molto ritirata. La curamio signoreè il tempo che deve farla.

Supplico Vostra Maestà di trattenersi da parole dure con lei: è una dama così sensibile ai rimproveri che le parole son colpie i colpi sono morte per lei.

 

(Rientra il Gentiluomo)

 

CIMBELINO: Dov'èmessere? Come può giustificare la sua noncuranza?

GENTILUOMO: Permettetesirele sue stanze sono tutte chiusee nessuno dà risposta per quanto rumore si faccia.

REGINA: Mio signorel'ultima volta che sono stata a visitarlami pregò di scusarla se stava rinchiusa; costretta a questo dalla sua infermitàdoveva trascurare quell'omaggio che giornalmente era suo obbligo di farvi. Questo desiderò che vi dicessima i doveri della nostra gran corte mi hanno fatta biasimevole per la mia memoria.

CIMBELINO: Le sue porte chiuse? Non s'è vista di recente? Voglia il cielo che quello che temo non sia vero!

 

(Esce)

 

REGINA: Figlio miovi pregoseguite il re.

CLOTEN: Quel suo uomoPisanioil suo vecchio servitorenon lo vedo da due giorni.

REGINA: Andateseguitelo. (Esce Cloten) Pisaniotu che sei così devoto a Postumo! Egli ha un mio veleno e magari la sua assenza venisse dall'averlo inghiottitopoiché lo crede preziosissima cosa.

Ma leidove è andata? Forse è stata presa dalla disperazione; o il suo fervente amore le ha fatto metter l'ali ed è volata al suo adorato Postumo. E' andata alla morte o al disonore; e i miei fini possono far buon uso dell'una come dell'altro. Se è cadutadispongo io della corona britanna.

 

(Rientra CLOTEN)

 

Ebbenefiglio mio?

CLOTEN: Certamente è fuggita. Andate a calmare il re. E fuori di sénessuno osa andargli vicino.

REGINA (a parte): Tanto meglio. Possa questa notte privarlo del giorno che viene.

 

(Esce)

 

CLOTEN: Io l'amo e l'odioperché è bella e regale e possiede ogni cortesia più squisita in maggior grado di qualsiasi damadi tutte le damedi tutte le donne. Di ognuna ella ha il meglio edi tutte formataval più di tutte: per questo l'amo. Ma sdegnandomi e gettando i suoi favori al vile Postumo scredita il suo giudizio e soffoca ogni sua rara dote: e per questo concluderò con l'odiarla anzicol vendicarmi di lei. Perchéquando gli sciocchi...

 

(Entra PISANIO)

 

Chi è? Comestate complottandogalantuomo? Venite quivile mezzano!

Gaglioffodov'è la tua signora? In una parolao altrimenti ti mando dritto ai demoni.

PISANIO: Ohmio buon signore!

CLOTEN: Dov'è la tua signora? oper Giove... non ripeterò la domanda.

Inscrutabile bricconeavrò questo segreto del tuo cuore o ti aprirò il cuore per trovarlo. E' con Postumo? quel cumulo di bassezze dal quale non si può cavare un'oncia di valore?

PISANIO: Ahimèmio signorecome può ella essere con lui? Quando si è notata la sua assenza? Egli è a Roma.

CLOTEN: Dov'è leimessere? Vieni più vicinonon esitare piùdimmi tutto. Che cos'è accaduto di lei?

PISANIO: Oh mio degnissimo signore...

CLOTEN: Degnissimo gaglioffo! Rivelami dov'è la tua padrona subitocon la prima parola... Basta col "degno signore; parla o il tuo silenzio è sull'istante la tua condanna e la tua morte.

PISANIO: Allorasignorequesto foglio è la storia di quello che so riguardo alla sua fuga.

 

(Gli dà una lettera)

 

CLOTEN: Fa' vedere. La cercherò fin sul trono di Augusto.

PISANIO (a parte): O questoo perire. E' lontana abbastanza. E quello che apprenderà da questa gli potrà far fare un viaggionon metter lei in pericolo.

CLOTEN: Uhm!

PISANIO (a parte): Scriverò al mio signore che è morta. Oh Imogenepossa tu sicura viaggiare e sicura ritornare.

CLOTEN: Ehituquesta lettera dice la verità?

PISANIO: Signorecosì credo.

CLOTEN: E' la scrittura di Postumola conosco. Tu canagliase invece di essere un gaglioffo volessi servirmi fedelmenteincaricandoti con seria applicazione di fare ogni cosa in cui avrò occasione d'usartivale a dire compiere immediatamente e fedelmente tutte le cattive azioni che ti comanderòti considererei uomo onestoe non ti mancherebbe né la mia fortuna per tuo confortoné il mio voto per farti strada.

PISANIO: Benemio buon signore.

CLOTEN: Mi vuoi servire? Poiché sei rimasto attaccato pazientemente e costantemente alla magra fortuna di quello straccione di Postumonon potraisecondo la natura della gratitudineessere che un diligente seguace per me. Vuoi servirmi?

PISANIO: Sìsignore.

CLOTEN: Dammi la mano. Ecco la mia borsa. Hai in tuo possesso qualche vestito del tuo antico padrone?

PISANIO: Ho in casamio signorelo stesso abito che indossava il giorno che si congedò dalla mia signora e padrona.

CLOTEN: Il primo servizio che mi fai: porta qui quell'abito. Sia questo il tuo primo servizio. Va'.

PISANIO: Obbediscomio signore.

 

(Esce)

 

CLOTEN: Ci incontreremo a Milford-Haven! Ho dimenticato di domandargli una cosa; me ne ricorderò fra poco. E' làinfame Postumoche ti ucciderò. Vorrei che quegli abiti fossero arrivati. Ella disse una volta - l'amarezza ancora mi rigurgita dal cuore - che aveva più in considerazione lo stesso vestito di Postumo che la mia persona nobile per nascitacon tutto l'ornamento delle mie qualità. Con quell'abito indosso la voglio violare. Prima ucciderò luisotto i suoi occhi; allora vedrà il mio valoreche sarà un tormento al suo disprezzo.

Quando lui sarà a terrafinito il mio discorso d'insulto sul suo cadavere e quando la mia lussuria sarà sazia - questocome ho dettofaròper tormentarlacon le vesti che ella tanto lodava - a corte a pugnia casa a calcila riporterò. Mi ha disprezzato allegramentee io sarò allegro nella mia vendetta.

 

(Rientra PISANIOcon i vestiti)

 

Sono questi i vestiti?

PISANIO: Sìmio nobile signore.

CLOTEN: Quanto è che è partita per Milford-Haven?

PISANIO: Può appena esserci arrivata.

CLOTEN: Porta questo costume nella mia stanza; questa è la seconda cosa che ti ho comandata. La terza èche tu devi essere muto volontario sul mio disegno. Sol che tu sia zelanteun giusto avanzamento ti verrà incontro. La mia vendetta è ora a Milford. Vorrei aver l'ali per seguirla! Vienisii fedele.

 

(Esce)

 

PISANIO: Tu mi comandi la mia perditaperché essere fedele a te vorrebbe dire esser traditoree tale non sarò maiverso il più leale degli uomini. Vai a Milfordma non ci troverai quella che insegui.

Piovetepiovete su di leibenedizioni celesti! La fretta di questo insensato sia ostacolata dalla lentezza; la fatica sia la sua ricompensa!

 

(Esce)

 

 

 

SCENA SESTA - Galles. Davanti alla caverna di Belario

(Entra IMOGENEvestita da ragazzo)

 

IMOGENE: Vedo che la vita di un uomo è penosa. Mi sono stancatae per due notti di seguito ho fatto della terra il mio letto. Sarei malatase la mia risoluzione non mi fosse cura. Milfordquando Pisanio ti mostrava dalla cima del monteeri a portata della mia vista. O Giove!

mi pare che gli asili fuggano i disgraziati; quellivoglio direin cui dovrebbero trovare conforto. Due mendicanti mi dissero che non potevo smarrire il cammino. Mentiranno i poveri che hanno le loro afflizioni e sanno che sono una punizione o una prova? Sìnon c'è da meravigliarsiquando anche i ricchi di rado dicono il vero: mentire nell'abbondanza è più colpevole che mentire per bisogno; e la menzogna è peggiore nei re che nei mendichi. Mio dolce signoretu sei uno di quei perfidi. Ora che penso a tela fame è passata; eppure or ora stavo per svenire dal bisogno di cibo. Ma che cosa è questo? Ecco un sentiero che vi conduce: è un selvaggio abituro. Sarà meglio io non chiami; non oso chiamareeppure la fameprima di abbattere del tutto la naturala fa valente. L'abbondanza e la pace generano i codardi la miseria è sempre madre dell'ardimento. Ohchi è là? Se è un essere civileparli; se è selvaggioprenda o presti. Oh! Nessuna risposta?

Allora entrerò. E' meglio che snudi la spadae se il mio nemico ha tanto timore di una spada quanto meoserà appena guardarla. Oh cielodammi un nemico così!

 

(Scompare nella caverna)

(Entrano BELARIOGUIDERIO e ARVIRAGO)

 

BELARIO: VoiPolidorovi siete mostrato il miglior cacciatore e siete il signore della festa. Cadwal e io saremo il cuoco e il servo:

è il nostro patto. Il sudore dell'operosità seccherebbe e morrebbese non fosse il fine a cui s'affaccenda. Veniteil nostro appetito farà saporoso quello che è casalingo: la stanchezza può russare sopra la selcementre la pigrizia inquieta trova duro il guanciale di piume.

Orala pace sia quipovera casa che ti custodisci da sola.

GUIDERIO: Sono stanco morto.

ARVIRAGO: Son debole di faticama forte d'appetito.

GUIDERIO: C'è della carne fredda nella caverna; ce ne pasceremomentre quello che abbiamo ucciso si cuoce.

BELARIO: Ferminon entrate. (Guardando nella caverna) Se non mangiasse le nostre provvistecrederei fosse un'apparizione.

GUIDERIO: Che cosa c'èsignore?

BELARIO: Per Gioveun angelo! o una meraviglia terrestre! Guardate:

la divinità non ha più anni d'un ragazzo.

 

(Rientra IMOGENE)

 

IMOGENE: Buoni padroninon fatemi male: prima di entrare quiho chiamatoe pensavo mendicare o comprare quello che ho preso. In veritànon ho rubato nullané l'avrei fatto anche se avessi trovato l'oro sparso per terra. Ecco denaro per il mio cibo: lo avrei lasciato sulla tavola non appena finito il mio pasto; e sarei partitopregando per chi mi aveva provvisto.

GUIDERIO: Denarogiovane?

ARVIRAGO: Piuttosto tutto l'oro e l'argento si trasformino in fango! E non valgono di più se non per quelli che adorano idoli immondi.

IMOGENE: Vedo che siete in collera. Sappiate se mi ucciderete per questa colpache sarei morto se non l'avessi commessa.

BELARIO: Dove andate?

IMOGENE: A Milford-Haven.

BELARIO: Qual è il vostro nome?

IMOGENE: Fedelesignore. Ho un parente che parte per l'Italia e s'imbarca a Milford. Mentre andavo da luiquasi sfinito dalla fameho commesso questa colpa.

BELARIO: Vi pregobel giovanenon prendeteci per villanie non misurate le nostre buone anime da questo selvaggio luogo in cui viviamo. Ben trovato! E' quasi notte. Avrete pasto migliore prima di partiree vi ringrazieremo di essere rimasto e di mangiarlo. Ragazzidategli il benvenuto.

GUIDERIO: Giovanese foste una donnavi farei una corte assidua per essere il vostro onesto sposo; quello che vi promettosarei pronto a pagare.

ARVIRAGO: Mi consolerò che è un uomo: lo amerò come un fratello: e il benvenuto che gli darei dopo una lunga assenza lo do a voi. Benvenuto tra noi: state allegro che capitate in mezzo ad amici.

IMOGENE: Fra amicise fratelli! (A parte) Fosse cosìfossero i figli di mio padre! Il mio valore sarebbe allora meno grandee così più uguale di peso al tuoPostumo!

BELARIO: Si strugge per qualche dolore.

GUIDERIO: Come vorrei sollevarlo!

ARVIRAGO: Anch'io: qualunque siaa qualsiasi prezzo e con qualsiasi pericolo! O dèi!

BELARIO: Ascoltateragazzi.

 

(Parla a bassa voce)

 

IMOGENE: Uomini grandiche avessero una corte non più vasta di questa cavernache si servissero da sée avessero la virtù suggellata dalla loro coscienza - non curando il tributo delle mutevoli moltitudinidono da nulla - non potrebbero valer di più di questi fratelli.

Perdonatemidèi! Vorrei mutar sesso per essere loro compagnopoiché Leonato è infedele.

BELARIO: Così deve essere. Ragazziprepariamo la nostra selvaggina.

Bel giovaneentrate. A digiunogreve è discorrere. Dopo aver cenatoti domanderemo con discrezione la tua storiafin dove vorrai dircela.

GUIDERIO: Andate avanti vi prego.

ARVIRAGO: La notte al gufo e il mattino all'allodola sono meno benvenute.

IMOGENE: Graziesignore.

ARVIRAGO: Vi pregoandate avanti.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SETTIMA - Roma. Una pubblica piazza

(Entrano due Senatori e Tribuni)

 

PRIMO SENATORE: Ecco il tenore del rescritto imperiale: "Poiché i plebei sono ora in azione contro i Pannoni e i Dalmatie le legioni ora in Gallia sono d'assai troppo deboli per sostenere la guerra contro gli insorti Britanniincitiamo i patrizi a questa impresa.

Crea Lucio proconsole: e a voi tribuni per questa leva immediatadelega i suoi poteri assoluti". Viva Cesare!

PRIMO TRIBUNO: E' Lucio il generale delle forze?

SECONDO SENATORE: Sì.

PRIMO TRIBUNO: E sta ora in Gallia?

PRIMO SENATORE: Con quelle legioni delle quali ho parlatoe che le vostre leve debbono rinforzare. I termini del vostro incarico vi fissano il numero degli uomini e il tempo della loro partenza.

I TRIBUNI: Faremo il nostro dovere.

 

(Escono)

 

 

 

ATTO QUARTO

 

SCENA PRIMA - Galles. Presso la caverna di Belario

(Entra CLOTEN)

 

CLOTEN: Sono vicino al luogo dove dovrebbero incontrarsise Pisanio mi ha dato indicazioni esatte. Come i suoi vestiti mi vanno a pennello! Perché la sua padronache fu fatta dallo stesso che creò il sarto non mi dovrebbe andare a pennello anche lei? Tanto più checon rispetto parlandosi dice che la donna è come il pennellosi muove a seconda del vento. Costì devo mettermi all'opera. Oso dirlo a me stesso - perché non è vanagloria per un uomo discorrere con lo specchio nella sua stanza - voglio direle linee del mio corpo sono ben disegnate quanto quelle del suo; non meno giovanesono più forte; non al di sotto di lui in fortunapiù favorito dalle circostanzemaggiore di lui per nascitacapace quanto lui nelle imprese di ogni genere e più notevole nei combattimenti singoli: eppure quella insensata l'ama a mio dispetto. Che cosa è la vita mortale! Postumola tua testache si alza adesso sulle tue spallecadrà entro quest'ora; la tua signora violatai tuoi abiti stracciati a pezzi davanti alla tua faccia: efatto tutto questoa calci a casa da suo padre; che forse potrà essere un po' adirato per il mio trattamento così brusco; ma mia madreche ha ogni potere sul suo cattivo umorevolgerà ogni cosa a mia lode. Il mio cavallo è ben legato; fuorispadae a un'opera crudele! Fortuna mettili nelle mie mani! Questo è proprio ii luogo descrittomi del loro appuntamento e quel compare non osa certo ingannarmi

 

 

 

SCENA SECONDA - Davanti alla caverna di Belario

(Entrano dalla caverna BELARIOGUIDERIOARVIRAGO e IMOGENE)

 

BELARIO (a Imogene): Non state bene: rimanete qui nella caverna:

torneremo a voi dopo la caccia.

ARVIRAGO (a Imogene): Fratelloresta qui. Non siamo fratelli?

IMOGENE: Così uomo e uomo dovrebbero esserlo; ma argilla differisce da argilla in dignitàsebbene la loro polvere sia uguale. Sto molto male.

GUIDERIO: Andate voi a caccia; io resterò con lui.

IMOGENE: Non sono così malato; eppure non sto bene; ma non sono uno di quei bellimbusti cittadineschi che si credono morti prima d'essere malati. Cosìvi pregolasciatemi; attendete alle vostre occupazioni giornaliere: interrompere le abitudiniè interrompere ogni cosa. Sto malema il vostro stare vicini a me non può guarirmi; la compagnia non è conforto a chi non è socievole. Non ho un gran malese ne posso ragionare. Vi pregolasciatemi qui senza timore. Non posso sottrarre nientese non me stesso; e lasciatemi morireil furto è così piccolo.

GUIDERIO: Ti voglio benel'ho detto; qualunque sia la quantitàil peso è quello del bene che voglio a mio padre.

BELARIO: Che cosa? come! come!

ARVIRAGO: Se è peccato dir cosìsignoremi aggiogo alla colpa del mio buon fratello. Non so perché io ami questo giovane; e vi ho sentito dire che la ragione dell'amore è senza ragione: con la bara alla portase mi domandassero chi deve moriredireimio padre, non questo giovane.

BELARIO (a parte) O nobile carattere! O dignità di natura! Grandezza di razza! I codardi son padri dei codardi e i vili generano i vili: la natura ha farina e cruscacose spregevoli e cose graziose. Io non sono il loro padrema chi può essere questo che compie il miracolo di farsi amare più di me? (Forte) E' la nona ora del mattino.

ARVIRAGO: Addiofratello.

IMOGENE: Vi auguro buona caccia.

ARVIRAGO: A voisalute. Signoreai vostri ordini.

IMOGENE (a parte): Queste son buone creature. Oh dèiquali menzogne ho udite! I nostri cortigiani dicono che tutto è selvaggiofuor che a corte. Oh esperienzatu smentisci la fama! I mari sovrani generano mostri; i poveri tributarii fiumidanno invece alla nostra tavola pesci squisiti. Sto ancora male; mi sento affranta. Pisanioora proverò la tua medicina.

GUIDERIO: Non ho potuto muoverlo a parlare. Ha detto di essere nobilema disgraziato; ingiustamente colpito eppure giusto.

ARVIRAGO: Così ha risposto a me; eppureha dettopiù tardi potrò saperne di più.

BELARIO: A cacciaa caccia! Vi lasciamo per ora; entrate e riposate.

ARVIRAGO: Non staremo fuori a lungo.

BELARIO: Cercate di non essere malatoperché dovete essere la nostra massaia.

IMOGENE: Ammalato o sanovi son legato.

BELARIO: E lo sarete sempre. (Imogene scompare nella caverna) Questo giovaneper quanto disgraziatomostra di aver avuto buoni antenati.

ARVIRAGO: Come canta angelicamente!

GUIDERIO: E la sua squisita cucina! Ha tagliato le nostre radici in forma di lettere e condito i nostri brodi come se Giunone fosse malatae lui il suo infermiere.

ARVIRAGO: Nobilmente sposa un sorriso con un sospirocome se il sospiro fosse quel che era dal dispiacere di non essere un sorriso; e il sorriso irridesse il sospirodi volere volar via da un tempio così divino per mescolarsi ai venti che i marinai insultano.

GUIDERIO: Ho notato che la pena e la pazienzatutt'e due abbarbicate in luiintrecciano le loro radici.

ARVIRAGO: Crescipazienza! E che la penafetido sambucodistrichi la sua radice languente dalla tua florida vita!

BELARIO: Il mattino è alto. Andiamo! Chi è là?

 

(Entra CLOTEN)

 

CLOTEN: Non posso trovare quei fuggitivi; quel gaglioffo mi ha ingannato. Sono sfinito.

BELARIO: "Quei fuggitivi"! Non parla di noi? Mi pare di riconoscerlo; è Clotenil figlio della regina. Temo un'imboscata. Non l'ho veduto per tutti questi annieppure so che è lui. Siamo tenuti per fuorilegge. Andiamo!

GUIDERIO: E' solo: voi e mio fratello cercate se ha dei compagni qui vicini. Vi pregoandate; lasciatemi solo con lui.

 

(Escono Belario e Arvirago)

 

CLOTEN: Piano! Chi siete che mi fuggite così? Dei gaglioffi di montanari? Ne ho sentito parlare. Che marrano sei tu?

GUIDERIO: Non ho mai fatto cosa più da marrano che rispondere a un "marrano" senza picchiare.

CLOTEN: Sei un briganteun senza leggeun furfante. Arrenditiladro.

GUIDERIO: A chi? A te? Chi sei tu? Non ho un braccio grande quanto il tuo? Un cuore altrettanto grande? Le tue parolelo concedosono più grandiperché io non porto il mio pugnale in bocca. Dimmichi seiche io debba arrendermi a te?

CLOTEN: Tu vile gaglioffonon mi conosci dagli abiti?

GUIDERIO: Nofurfantené il tuo sartoche è tuo nonnoha fatto quegli abitiche a quanto pare fanno te.

CLOTEN: Emerito ribaldonon li ha fatti il mio sarto.

GUIDERIO: Vattene dunquee ringrazia l'uomo che te li ha dati. Sei proprio uno scioccoe non c'è gusto a picchiarti.

CLOTEN: Ladro insolenteodi soltanto il mio nome e trema.

GUIDERIO: Qual è il tuo nome?

CLOTEN: Cloteno furfante.

GUIDERIO: Cloteno due volte furfantesarà il tuo nomema non riesco a tremare. Fosse Rospoo Viperao Ragnomi commuoverebbe più facilmente.

CLOTEN: Perché tu abbia più pauraanzi per tua suprema confusionesappi che sono il figlio della regina.

GUIDERIO: Mi dispiace; il tuo aspetto non è degno della tua nascita.

CLOTEN: Non hai paura?

GUIDERIO: Quelli che rispettotemo: i saggi; degli sciocchi ridonon li temo.

CLOTEN: Muori dunque ammazzato. Quando ti avrò ucciso di mia propria manoinseguirò quelli che son fuggiti di qui adessoe attaccherò le vostre teste alle porte della città dl Lud. Arrenditirozzo montanaro.

 

(Escono combattendo)

(Rientrano BELARIO e ARVIRAGO)

 

BELARIO: Nessuno qui intorno?

ARVIRAGO: Nessuno al mondo. Vi siete certamente sbagliato su di lui.

BELARIO: Non posso dire; è tanto che non l'ho vedutoma il tempo non ha in nulla mutato i tratti che il suo volto aveva allora; gli sbalzi nella sua vocee quegli scoppi di paroleerano come i suoi. Ho la certezza che era proprio Cloten.

ARVIRAGO: Qui li abbiamo lasciati. Auguro a mio fratello di averla avuta buona con lui; dite che è tanto feroce.

BELARIO: Non essendo ancora maturovoglio dire come uomoignorava i ruggenti terrori: in un'età in cui il difetto di giudizio è spesso causa di paura. Ma ecco tuo fratello.

 

(Rientra GUIDERIO; con la testa di Cloten)

 

GUIDERIO: Questo Cloten era uno scioccouna borsa vuotanon v'era denaro in essa. Ercole stesso non avrebbe potuto fargli schizzar fuori il cervelloperché non ne aveva. Eppurese non avessi fatto questolo sciocco avrebbe portato la mia testa come io porto la sua.

BELARIO: Che cosa hai fatto?

GUIDERIO: So benissimo quello che ho fatto: ho tagliato la testa a un certo Clotenfiglio della reginaa quel che diceva. Mi ha chiamato traditoremontanaro; e ha giurato che con la sua sola mano ci avrebbe vinti e avrebbe tolte le nostre teste da dovegrazie agli dèifiorisconoper attaccarle alle porte della città di Lud.

BELARIO: Siamo tutti perduti.

GUIDERIO: Perchédegno padre? che cosa abbiamo da perdere se non quello che giurava di togliercila vita? La legge non ci protegge:

perché allora dovremmo esser tanto delicati da lasciare che un pezzo di carne arrogante ci minaccifaccia lui solo da giudice e da carneficeperché noi temiamo la legge? Chi avete visto intorno?

BELARIO: Non abbiamo visto un'anima vivama la semplice ragione dice che deve avere qualcuno con sé. Per quanto il suo umore non fosse se non mutamentosìe questo da una cosa cattiva a una peggiorené frenesiane assoluta pazzia potrebbero esser giunte all'eccesso di condurlo qui da solo. Benché forse si dica a corte che gente la quale come noi sta qui in una caverna e caccia quiè fuorileggee un giorno potrebbe rafforzarsi; e sentendo questo - è nella sua natura - forse egli s'è iratoe ha giurato di venire a prenderci: pure non è probabile che sia venuto solo: né egli è tanto arditoné gli altri lo avrebbero permesso. Perciò temiamo con giusta ragione se temiamo che questo corpo abbia una codapiù pericolosa della testa.

ARVIRAGO: Avvenga quello che vorranno gli dèi; comunquemio fratello ha fatto bene.

BELARIO: Non avevo voglia di cacciareoggi. La malattia del giovane Fedele mi ha fatto parere ben lunga la via.

GUIDERIO: Con la sua stessa spadache agitava contro alla mia golagli ho tagliato la testa. La getterò nel torrente dietro alla nostra roccia; e vada al maree dica ai pesci che è Clotenfiglio della regina. Questo è quello che m'importa.

 

(Esce)

 

BELARIO: Temo sarà vendicato. Oh Polidoro; tu non avessi fatto questo!

Per quanto il valore bene ti si addica.

ARVIRAGO: Vorrei averlo fatto ioe che la vendetta colpisse me solo.

Polidoroio ti amo fraternamenteeppure t'invidio molto per avermi rubata questa impresa. Vorrei che tutte le vendette che forza umana può affrontare venissero fin qui a cercarci e a chiederci conto.

BELARIO: Orbeneè cosa fatta. Oggi non cacceremo piùné cercheremo pericolo dove non c'è profitto. Ti pregoalla nostra grotta; tu e Fedele sarete i cuochi. Io aspetterò finché torni l'impetuoso Polidoroe lo porterò a pranzo fra poco.

ARVIRAGO: Povero Fedele malato! Andrò volentieri da lui. Per rendergli i suoi colori dissanguerei una parrocchia di simili Cloten e mi loderei della mia carità.

 

(Esce)

 

BELARIO: Oh tu deatu divina Naturacome ti riveli in questi due regali fanciulli! Sono dolci come gli zefiri che soffiano sotto la violetta senza agitarne il capo profumato; eppurenon appena il loro sangue regale si scaldasono violenti come il vento più impetuosoche prende per la cima il pino dei monti e lo fa piegare verso la valle. E' meraviglioso che un invisibile istinto li formi a regalità non appresaa onore non insegnatoa urbanità in altri non vedutaa valore che cresce in essi selvaggioma dà messe come se fosse stato seminato. Eppure mi turba quello che la presenza di Cloten qui può presagire a noio quello che la sua morte ci apporterà.

 

(Rientra GUIDERIO)

 

GUIDERIO: Dov'è mio fratello? Ho mandato la zucca di Cloten giù per la correnteambasciatrice a sua madre; finché non torniil suo corpo è in ostaggio.

 

(Musica solenne)

 

BELARIO: Il mio sapiente istrumento! AscoltaPolidoro: suona! Ma che ragione ha Cadwal di farlo suonare? Ascolta!

GUIDERIO: E' in casa?

BELARIO: E' andato via di qui or ora.

GUIDERIO: Che cosa vuol dire? Dalla morte della mia carissima madre non ha più risuonato. Tutte le cose solenni dovrebbero rispondere a eventi solenni. Quale sarà la ragione? Le gioie senza motivo e i lamenti per cose da pocosono allegrie da scimmie e dolori da fanciulli. Cadwal è impazzito?

BELARIO: Guardaviene e porta nelle sue braccia la ragione terribile di quello per cui lo rimproveriamo.

 

(Rientra ARVIRAGO portando IMOGENEcome morta nelle sue braccia)

 

ARVIRAGO: Morto è l'uccellino che ci era tanto caro. Avrei voluto balzare da sedici anni a sessanta e cambiare la mia agile età con le gruccepiuttosto di aver veduto questo.

GUIDERIO: Oh dolcissimobellissimo giglio! Mio fratello ti porta assai meno bene di come eri quando fiorivi sul tuo stelo.

BELARIO: Oh malinconia! chi mai poté sondare il tuo fondotoccare il fangomostrare la riva dove la tua inerte navicella potesse più facilmente trovar rifugio? Oh creatura benedetta! Giove sa qual uomo saresti potuto divenire; ma io so che sei mortoincomparabile fanciullodi malinconia. Come l'avete trovato?

ARVIRAGO: Irrigiditocome vedete; così sorridentecome se avesse sentito ridendo una mosca sfiorare il suo sonnoe non il dardo della morte; colla guancia destra posata su un cuscino.

GUIDERIO: Dove?

ARVIRAGO: In terracon le braccia così incrociate: ho creduto dormissee mi son tolto dai piedi le scarpe ferratela cui rudezza aveva un'eco troppo sonora ai miei passi.

GUIDERIO: Infattiè soltanto addormentato. Se è mortofarà della sua fossa un letto; le fate visiteranno la sua tomba; e i vermi non verranno a te.

ARVIRAGO: Con i fiori più bellifin che duri l'estate e io viva quiFedeleprofumerò la tua triste tomba. Non ti mancherà il fiore che è simile al tuo voltola pallida primula; né la campanula azzurrina come le tue vene; noné i petali della rosa caninache senza calunniarlanon era più profumata del tuo alito. O il pettirossocol suo becco misericorde - oh beccoche farai vergognosi quegli eredi arricchiti che lasciano il loro padre sepolto senza un monumento - ti porterebbe tutto questo; sìe anchequando non ci saranno più fioriuna pelliccia di musco per proteggere d'inverno la tua salma.

GUIDERIO: Bastati pregoe non scherzare con parole femminili su cose tanto gravi. Andiamo a seppellirloe non tardiamo con il nostro sgomento quello che è ora il nostro debito. Alla tomba!

ARVIRAGO: Ditedove lo seppelliremo?

GUIDERIO: Presso la buona Eurifilenostra madre.

ARVIRAGO: Così sia. EPolidorobenché ora le nostre voci abbiano il tono virileaccompagnamolo cantando alla fossacome già per nostra madre; usiamo le stesse note e le stesse parolesolo che "Eurifile" dovrà essere "Fedele".

GUIDERIO: Cadwalnon posso cantare; piangerò e dirò con te le parole; perché le note di dolore stonate sono peggiori che templi e preti menzogneri.

ARVIRAGO: Allora le diremo.

BELARIO: I grandi dolorivedocurano i minoriperché Cloten è del tutto dimenticato. Era figlio di reginaragazzie per quanto venisse come nostro nemicoricordate che ne fu ripagato. Per quanto umili e potenticorrompendosi insiemefacciano una sola polverela reverenzaquell'angelo del mondofa distinzione di posto fra piccoli e grandi. Il nostro nemico era principee benché gli abbiate tolta la vita come a nostro nemicoseppellitelo tuttavia come un principe.

GUIDERIO: Vi pregoportatelo qui. Il corpo di Tersite vale quello di Ajacequando entrambi sono senza vita.

ARVIRAGO: Mentre andrete a prenderlodiremo il nostro canto.

Incominciafratello.

 

(Esce Belario)

 

GUIDERIO: NoCadwaldobbiamo rivolgere la sua testa verso oriente; mio padre ha una ragione per questo.

ARVIRAGO: E' vero.

GUIDERIO: Vieni dunquee rimuoviamolo.

ARVIRAGO: Così. Incomincia.

 

CANZONE

 

GUIDERIO: Non temer vampa di sole né se furia d'inverno fiedeil suo compito più non duoletu sei a casa ed hai mercede.

Spazzacamini o giovani d'orodeve ciascuno divenir cenere.

ARVIRAGO: Non temer l'ira del grandené di dèspota superbianon curar vesti o vivande; per te canna è come quercia.

Scettroscienzamedicinatutto dee seguir questodivenir cenere.

GUIDERIO: Non del lampo avrai paura

ARVIRAGO: folgor non ti dà spavento;

GUIDERIO: né calunniaaspra censura;

ARVIRAGO: finita è gioia e lamento.

A DUE: Tutti gli amantii giovani tutti devon seguirtidivenir cenere.

GUIDERIO: Né stregone ti prendaARVIRAGO: né magia ti sorprendaGUIDERIO: né insepolto ti offenda; ARVIRAGO: nessun male ti attenda.

A DUE: Abbi un quieto riposoe un sepolcro famoso.

 

(Rientra BELARIO col corpo di Cloten)

 

GUIDERIO: Abbiamo finito le esequie. Venite mettiamolo giù.

BELARIO: Ecco pochi fiori; masulla mezzanottedegli altri. Le erbe coperte dalla fredda rugiada notturna sono le più adatte a coprire le tombe. Sopra la terra foste come fiorie ora siete appassiti; così anche saranno queste erbette che spargiamo su di voi. Ora veniteritiriamoci e inginocchiamoci. La terra che li ha dati li riprende; i loro piaceri sono passatie così le loro pene.

 

(Escono BelarioGuiderio e Arvirago)

 

IMOGENE (risvegliandosi): Sìsignorea Milford-Haven; qual è la via?

Grazie. Vicino a quel cespuglio laggiù? Per favorequal è la distanza? Misericordia! possono essere ancora sei miglia? Ho camminato tutta la notte; in fede miavoglio stendermi in terra e dormire. Ma pianoche non ci sia compagno di letto. O dèie dee! (Vede il corpo di Cloten) Questi fiori sono come i piaceri del mondo; quest'uomo sanguinoso il suo dolore. Spero di sognareperché a questo modo mi pareva di essere massaia dl una cavernae cuoca di oneste creaturema non è cosi. Ero soltanto una saetta fatta di nullalanciata verso il nullache il cervello fa coi suoi vapori; i nostri stessi occhi sono a volte come i nostri giudizi: ciechi. In veritàtremo ancora di paurama se v'è ancora in cielo una stilla di pietà piccola come l'occhio d'uno scriccioloo temuti iddiidatemene una parte! Il sogno è ancora qui; anche quando mi sveglioè fuori di me come dentro di me; non immaginatosentito. Un uomo senza il capo! I vestiti di Postumo! Riconosco la forma della sua gambaquesta è la sua mano; il suo piede da Mercuriola sua coscia da Martei muscoli da Ercolema la sua faccia da Giove... Si assassina in cielo? Come? Non c'è più...

Pisaniotutte le maledizioni che Ecuba in delirio lanciò ai Greciunite alle miesiano scagliate su di te! Tu hai cospirato con Clotenquel dèmone perverso; hai qui scannato il mio sposo. Scrivere e leggere sia d'ora in poi tradimento! Il maledetto Pisanio con le sue lettere false... dannato Pisanio... al più bel vascello del mondo ha troncato l'albero maestro! O Postumoahimè! dov'è il tuo capo? dov'è?

Ahidov'è? Pisanio poteva ben colpirti al cuore e lasciarti il capo.

Come può essere questoPisanio? Sono stati lui e Cloten; la loro scelleraggine e cupidigia han causato questa calamità. Ohè chiaroè chiaro! La droga che mi diedeche diceva preziosa e un cordiale per menon l'ho trovata micidiale ai miei sensi? Questa è una piena conferma: è opera di Pisanio e di Cloten. Ohda' colore alle mie pallide guance col tuo sangueche possiamo apparire più orrendi a quelli che per caso ci troveranno. Oh mio signoremio signore!

 

(Si getta sul corpo)

(Entrano LUCIOun Capitano e altri Ufficiali e un Indovino)

 

CAPITANO: Inoltrele legioni di stanza in Galliasecondo il vostro ordinehanno passato il mare e vi aspettano qui a Milford-Haven con le vostre navi: sono pronte all'azione.

LUCIO: Ma che notizie da Roma?

CAPITANO: Il Senato ha fatto le leve dei cittadini e dei gentiluomini d'Italiaspiriti ardenti che promettono nobile servizio. Vengono sotto il comando del valoroso Jachimofratello dei principe di Siena.

LUCIO: Quando li aspettate?

CAPITANO: Col primo vento favorevole.

LUCIO: Questo ardore ci dà buone speranze. Ordinate la rivista delle forze presenti; dite ai capitani di provvedere. Ebbenesignoreche cosa avete sognato di recente sull'esito di questa guerra?

INDOVINO: La scorsa notte gli dèi stessi mi hanno mostrato una visione. Avevo digiunato e pregato perché mi illuminassero. Cosi: ho visto l'uccello di Giovel'aquila romanavolare dall'umido mezzogiorno a questa parte dell'occidente e qui svanire nei raggi del sole: il che presagiscea meno che i miei peccati non ingannino la mia divinazioneil successo all'oste romana.

LUCIO: Sogna spesso cosie mai il falso. Fermioh! che tronco è questosenza il suo capo? La rovina mostra che un tempo era un degno edificio. Come! un paggio! o mortoo che dorme su di lui? Ma morto piuttostoperché la natura aborrisce dividere il letto con i defuntio dormire sui morti. Vediamo il volto del ragazzo.

CAPITANO: E' vivomio signore.

LUCIO: Allora ci dirà di questo corpo. Giovaneinformaci delle tue avventurepoiché sembra che implorino di essere domandate. Chi è questo di cui ti fai sanguinoso guanciale? O chi fu colui che alterò questa bella immagine da come la nobile natura l'aveva fatta? Che interesse hai in questa triste rovina? Come accadde? Chi è? Chi sei tu?

IMOGENE: Io non sono niente; o se noesser niente sarebbe meglio.

Questi fu il mio padroneun molto valoroso e buon Britanno che qui giace ucciso da montanari. Ahimènon ci sono altri padroni come lui.

Posso errare da oriente a occidentesupplicare serviziotrovarne molti e tutti buoniservire fedelmentemai non troverò un simile padrone.

LUCIO: Ahimèbuon giovane! Tu non commuovi meno con i tuoi lamenti che il tuo padrone sanguinante. Dimmi il suo nomebuon amico.

IMOGENE: Riccardo du Champ. (A parte) Se mentoe nel farlo non faccio malebenché gli dèi mi odanospero mi perdoneranno. Come dite signore?

LUCIO: Il tuo nome?

IMOGENE: Fedelesignore.

LUCIO: Tu provi veramente di esserlo. Il tuo nome ben si addice alla tua fedeltàla tua fedeltà al tuo nome. Vuoi tentar la tua sorte con me? Non dico che avrai un così buon padrone; masii certonon sarai meno amato. Lettere dell'imperatore romano mandate con un console a menon ti otterrebbero un avanzamento più rapido di quello che avrai per tuo merito. Vieni meco.

IMOGENE: Vi seguiròsignore. Ma primapiaccia agli dèivoglio nascondere il mio padrone dalle mosche tanto profondo quanto queste povere vanghe possono scavare. E quando avrò ricoperto la sua tomba di foglie selvatiche e d'erbee detto su di essa cento preghierepiù che potròper due voltecon pianti e sospirilasciando il suo servizioseguirò voise vorrete prendermi.

LUCIO: Sìbuon giovanee ti sarò piuttosto padre che padrone. Amiciil ragazzo ci ha insegnato virili doveri. Cerchiamo la zolla più gentile fiorita di margherite e facciamogli una fossa con le nostre picche e le nostre partigiane. Susollevatelo. Ragazzoci è raccomandato da tee avrà la sepoltura che posson dare i soldati.

Coraggioasciugati gli occhi. Vi son cadute che sono il mezzo per farci rialzare più felici.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA TERZA - Una stanza nel Palazzo di Cimbelino

(Entrano CIMBELINOBaroniPISANIOe Gentiluomini del seguito)

 

CIMBELINO: Ritornatee ditemi come ella sta. (Esce un Gentiluomo) Una febbre causata dall'assenza di suo figlioun delirio che mette la sua vita in pericolo. Cielocome in un sol punto mi colpisci profondamente! Imogenela mia più grande consolazionepartita; la mia regina su un letto senza speranza e in un momento che terribili guerre mi minacciano; suo figliocosì necessario in questo momentopartito. Sono colpito oltre ogni speranza di conforto. Quanto a tecompareche certo devi sapere della sua partenza e fai così l'ignoranteti strapperemo le parole con una crudele tortura.

PISANIO: Sirela mia vita è vostrae umilmente la metto in vostro potere. Ma in quanto alla mia padronaio non so dove siaperché sia partitané quando si proponga di ritornare. Supplico Vostra Altezza di tenermi per suo servitore leale.

PRIMO BARONE: Mio buon sovranoil giorno in cui ella disparveegli era qui. Oso farmi garante che dice il vero e che adempirà fedelmente tutti i suoi doveri di suddito. In quanto a Clotennon manca diligenza nel ricercarloe sarà senza dubbio ritrovato.

CIMBELINO: Il momento è difficile. (A Pisanio) Vi lasceremo libero per ora; ma i nostri sospetti su di voi rimangono.

PRIMO BARONE: Con licenza di Vostra Maestàle legioni romanetutte raccolte dalla Galliasono sbarcate sulle vostre costecon un rinforzo di gentiluomini romaniinviati dal Senato.

CIMBELINO: Ora ci vorrebbero i consigli di mio figlio e della regina!

Sono sopraffatto dagli eventi.

PRIMO BARONE: Mio buon sovranole forze che avete pronte possono affrontare non meno di queste che voi udite. Altre ne vengano: siete pronto anche a queste. Non manca che mettere in moto quelle forze che sono impazienti di marciare.

CIMBELINO: Vi ringrazio. Ritiriamocie facciamo fronte al tempo che ci viene incontro. Noi non temiamo che quello che viene dall'Italia ci molestima ci affliggono le disgrazie di qui. Andiamo!

 

(Escono tutti fuorché Pisanio)

 

PISANIO: Non ho avuto lettera dal mio padrone dopo che gli scrissi come Imogene fosse stata uccisa: è strano. Né ho avuto notizie dalla mia signorache promise di darmene spesso; e neppure so quello che è accaduto a Cloten; sicché resto perplesso in ogni cosa. Il cielo dovrà ancora agire. Quando sono menzognerosono onesto; non essendo fedeleson fedele. La guerra presente mostrerà che amo il mio paesee anche il re dovrà accorgerseneo vi cadrò. Gli altri dubbisarà il tempo a chiarirli: la fortuna conduce in porto più di una nave senza pilota.

 

(Esce)

 

 

 

SCENA QUARTA - Galles. Davanti alla caverna di Belario

(Entrano BELARIOGUIDERIO e ARVIRAGO)

 

GUIDERIO: Il rumore è tutto intorno a noi.

BELARIO: Allontaniamocene.

ARVIRAGO: E qual piacere troviamo nella vitasignoreda sottrarla all'azione e all'avventura?

GUIDERIO: Sìche speranza abbiamo nel nasconderci? In questo modoi Romani dovranno ucciderci come Britanni: o tenerci come barbari e innaturali ribelli finché si potranno servire di noie poi ucciderci.

BELARIO: Figliandremo più in alto sulle montagne per essere sicuri.

E' impossibile unirci al partito del re. La recente morte di Clotenpoiché non siamo conosciutiné arruolati nelle bandepuò costringerci a render conto di dove abbiamo vissuto; e strapparci quello che abbiamo fattoe la risposta sarebbe per noi morteprolungata dalla tortura.

GUIDERIO: Questosignoreè un dubbio per niente degno di voi in questo tempo; e non ci soddisfa.

ARVIRAGO: Non è probabile che quando sentiranno nitrire i cavalli dei Romanivedranno il fuoco dei loro accampamentiavranno gli occhi e le orecchie insieme occupati da cose tanto importantivogliano perdere il loro tempo a far caso di noia sapere di dove siamo.

BELARIO: Ohio sono conosciuto da molti dell'esercito; e molti anniper quanto allora Cloten fosse giovaneavete vistonon lo cancellarono dal mio ricordo. E inoltreil re non ha meritato né i miei servigi né il vostro amore; voi che nel mio esilio vi trovate a mancare di educazionecondannati a questa vita duraanzi senza speranza di avere le grazie promesse a voi dalla culla per essere sempre soltanto quelli che s'abbronzano nella calda estate e gli schiavi tremanti dell'inverno.

GUIDERIO: Meglio cessare di vivere che vivere così. Vi pregosignoreandiamo all'esercito: io e mio fratello non siamo conosciuti; voi siete così fuori del loro pensiero e tanto mutato dagli anni che non potete essere sospettato.

ARVIRAGO: Per questo sole che splendeio vi andrò. Qual vergogna per me non aver mai visto un uomo morire! Altro sangue non ho visto se non quello delle lepri paurosedelle capre in calore e della selvaggina!

Non ho mai cavalcato un cavallose non quello che solo conobbe per cavaliere meche mai portai sperone o ferro ai miei talloni! Mi vergogno di guardare il santo soledi godere i suoi raggi benedettirestando così a lungo un povero sconosciuto.

GUIDERIO: Per il cieloandrò. Se mi benediretesignoree mi darete il permessoavrò miglior cura di me; ma se non voleteil rischio della mia disobbedienza ricada su di meper mano dei Romani!

ARVIRAGO: Così dico anch'io. Amen.

BELARIO: Io non ho ragionepoiché voi fate tanto poco conto della vostra vitadi aver maggior cura della mia in rovina. Son dei vostriragazzi! Se la sorte vorrà che moriate nelle guerre del vostro paesequello è anche il mio lettoragazzie in esso giacerò. Avantiavanti. (A parte) Il tempo par lungo; il loro sangue è umiliato fin che non sgorghie mostri che sono nati principi.

 

(Escono)

 

 

 

ATTO QUINTO

 

SCENA PRIMA - Britannia. Il campo romano

(Entra LEONATO con un fazzoletto insanguinato)

 

LEONATO: Sìlino insanguinatoti conserverò poiché fui io a volere che tu prendessi questo colore. Voi maritise ognuno di voi seguisse questa viaquanti dovrebbero uccidere spose assai migliori di loro per aver deviato un poco appena! Oh Pisanio! Ogni buon servo non eseguisce tutti gli ordini; non ha obbligo se non per quelli giusti.

Oh dèise aveste preso vendetta delle mie colpenon sarei vissuto per istigare a questa; così avreste salvato la nobile Imogene al pentimentoe percosso me miserabilepiù degno della vostra vendetta.

Ma ahimèvoi strappate alcuni di qui per piccole colpeper amor loroperché non cadano più; ad alcuni permettete di aggiungere delitti a delitti sempre peggiorie fate che ne abbiano terroreper loro profitto. Ma Imogene è cosa vostra: sia fatta la vostra miglior volontàe fatemi la grazia di rendermi ubbidiente! Son portato quifra i nobili d'Italia e a combattere contro il regno della mia donna.

E' abbastanzaBritanniache io abbia uccisa la tua signorapace! Io non ti darò ferita. Dunquebuoni dèiudite con pazienza la mia risoluzione: mi spoglierò di queste vesti italianee mi vestirò da contadino britanno; così combatterò contro la parte con la quale sono venuto; così morirò per teImogeneche fai della mia vitaa ogni respirouna morte. E cosìignotonon rimpianto né odiatomi consacrerò a sfidare il pericolo. Voglio che gli uomini riconoscano in me più valore che i miei vestiti non ne dimostrino. Dèimettete in me la forza dei Leonati! A svergognare i modi del mondovoglio incominciare l'usanza: meno di fuorie più di dentro.

 

(Esce)

 

 

 

SCENA SECONDA - Campo di battaglia tra l'accampamento britanno e il romano

(Entranoda un latoLUCIOJACHIMOIMOGENE e l'Esercito romano; dall'altrol'Esercito britanno. POSTUMO LEONATO seguevestito da povero soldato. Avanzano e escono. Poi entrano combattendo JACHIMO e LEONATOche insegue e disarma JACHIMOe poi lo abbandona)

 

JACHIMO: Il peso del delitto nel mio petto mi toglie il valore. Ho calunniato una signorala principessa di questo paesee l'aria che vi spira per vendetta mi fiacca; o avrebbe potuto questo villanovero schiavo della naturasuperarmi nel mio stesso mestiere? La cavalleria e gli onoriportati come io li portonon son che titoli di derisione. Se quella tua nobiltào Britanniaavanza tanto questo villano come egli sorpassa i nostri signoriil divario è che noi siamo appena uominie voi siete dèi.

 

(Esce)
(La battaglia continua; i Britanni fuggono; CIMBELINO è preso. Poi entranoa liberarlo BELARIOGUIDERIO e ARVIRAGO)

 

BELARIO: Fermifermi! Abbiamo il vantaggio del terreno; la gola è guardata. Niente ci può sconfiggerese non la viltà della nostra paura.

GUIDERIO e ARVIRAGO: Fermifermie combattete!

 

(Rientra LEONATO e aiuta i Britanni; liberano CIMBELINO e escono. Poi rientrano LUCIOJACHIMO e IMOGENE)

 

LUCIO: Lascia l'esercitoragazzoe salvati; perché gli amici uccidono gli amicie il disordine è tale come se la guerra fosse bendata.

JACHIMO: Sono le loro truppe fresche.

LUCIO: Ecco una giornata stranamente mutata; o rinnoviamo in tempo l'attaccoo fuggiamo.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA TERZA - Un'altra parte del campo di battaglia

(Entrano LEONATO e un Barone britanno)

 

BARONE: Vieni dal luogo dove hanno fatto resistenza?

LEONATO: Sìma voia quanto parevenite dai fuggiaschi .

BARONE: Sì.

LEONATO: Non siete da biasimaresignoreperché tutto era perso se il cielo non avesse combattuto: il re stesso privato delle sue alil'esercito rottonon si vedeva che il dorso dei Britannitutti in fuga per una stretta gola. Il nemicopieno di coraggiocon la lingua fuori dal gran massacrareaveva più lavoro che braccia per compierlo; colpiva questi mortalmentealtri feriva appenaaltri cadevano soltanto per paura: così che lo stretto passaggio era sbarrato da morti colpiti alle spallee da codardi che vivevano per morire con più lunga vergogna.

BARONE: Dov'era questa gola?

LEONATO: Vicina al campo di battagliainfossata e chiusa da spalti erbositale da dar vantaggio a un vecchio soldatoun onest'uomove lo garantiscoche ha meritato di essere mantenuto tanti anni quanti hanno reso bianca la sua barbapoiché ha fatto questo per il suo paese. Attraverso la golaeglicon due adolescenti - ragazzi più adatti a correre al giuoco delle barriere che a compiere un simile massacro; coi volti adatti alle maschereo meglio più freschi di quelli che per protezione o pudore si coprono così - tennero duro al passoe gridavano a quelli che fuggivano: "I nostri cervi britanni muoiono fuggendonon i nostri uomini! Alle tenebre voleranno le anime di quelli che indietreggiano. Fermi: o noi saremo Romanie daremo morte da bestie a voi che da bestie cercate di sfuggirla e potreste salvarvi solo voltandovi e guardando fieramente; fermifermi!".

Questi tretremila per ardiree altrettanti per l'azioneperché tre che combattono sono falangese tutti gli altri non fanno nullacon questa parola: "Fermifermi!"favoriti dal luogoe più ancora dal prestigio del loro coraggio che avrebbe potuto mutare una conocchia in una lancia e indorar volti pallidirisvegliarono in parte il senso d'onorein parte il coraggio; così che alcuni che soltanto l'esempio aveva mutato in vili - ohpeccatoin guerrada dannarsi in chi primo comincia! - ricominciarono a essere quelli che erano stati e a mostrare i denti come leoni davanti alle picche dei cacciatori. Allora cominciò negli assalitori un arrestouna ritiratae presto 1a rottauna fitta confusione; e subito fuggono come polli per la via sulla quale calavano come aquilerifanno da schiavi i passi che avevano fatto da vincitori. E ora i nostri vili - come i rimasugli nelle dure traversate - diventano il sostentamento in tempo di carestia. Poiché trovano aperta la porta dietro i cuori indifesioh cielocome feriscono! Alcuni i già mortialtri i morentialcuni i loro amici trascinati dalla prima ondata: dieci cacciati da uno sono ora quelli che ne scannano venti; quelli che erano pronti a morire senza resistere son diventati il terrore mortale del campo di battaglia.

BARONE: E' stato uno strano caso: una stretta golaun vecchio e due ragazzi!

LEONATO: Nonon vi stupite. Voi siete fatto per meravigliarvi delle cose che udite più che per compierne alcuna. Volete far delle rime su questo e comporre una pasquinata? Eccone una:

Due giovaniun vecchione rimbambitoun sentieroal Britanno vittoriaal Roman morte diero.

BARONE: Ohnon vi adiratemessere.

LEONATO: Ma no: perché? Di colui che il nemico affrontare non osa io sarò amico; prestose fa quello che è nato a fareanche la mia amicizia ha da evitare Mi fate far delle rime.

BARONE: Addiosiete adirato.

 

(Esce)

 

LEONATO: Scappa ancora? Questo è un barone? O misera nobiltà! Essere sul campo e domandare "quali novelle?" a me! Quanti oggi avrebbero dato l'onore per salvare la loro carcassa! Han voltato il tallone per questoeppure son morti lo stesso! Ioreso magato dai miei malinon potevo trovare la morte dove la sentivo gemerené sentirla dove colpiva. E' strano che essendo un brutto mostro si nasconda nelle fresche coppenei letti morbidinelle dolci parole; o che vi trovi più ministri che tra noiche snudiamo i suoi coltelli nella guerra.

Benela troverò. Poiché ora favorisce i Britanninon sarò più Britanno e tornerò di nuovo alla parte con la quale sono venuto. Non combatterò piùe mi abbandonerò al più vile marrano che mi tocchi una volta la spalla. Grande è la strage qui fatta dai Romani; grande sarà la vendetta che devono prendersi i Britanni. Per meil mio riscatto è la morte. Da una parte o dall'altra vengo a esalare il mio respiropoiché non lo voglio più conservare qui né riportarlo indietroma la voglio finire in qualche modoper Imogene.

 

(Entrano due Capitani britanni e Soldati)

 

PRIMO CAPITANO: Sia lode al gran Giove! Lucio è preso. Si dice che il vecchio e i suoi figli fossero angeli.

SECONDO CAPITANO: Ce n'era un quartovestito da contadinoche andò con essi incontro al nemico.

PRIMO CAPITANO: Così si dice; ma nessuno di essi si può trovare. Fermo! Chi è là?

LEONATO: Un Romanoche non sarebbe qui esausto se altri lo avessero secondato.

SECONDO CAPITANO: Prendetelo; è un cane! Non una gamba romana tornerà a raccontare quali corvi li hanno beccati qui. Si vanta dei suoi servigi come se fosse un personaggio importante. Portatelo dal re.

 

(Entrano CIMBELINOBELARIOGUIDERIOARVIRAGOPISANIO e Prigionieri romani. I Capitani presentano LEONATO a CIMBELINO che lo consegna a un Carceriere; poi escono tutti)

 

 

 

SCENA QUARTA - Una prigione britanna

(Entrano LEONATO e due Carcerieri)

 

PRIMO CARCERIERE: Adesso che siete nelle pastoie non vi ruberanno.

Brucatese trovate pastura.

SECONDO CARCERIERE: Sìovvero appetito.

 

(Escono i Carcerieri)

 

LEONATO: Sii benvenutaschiavitùpoiché credosei la via verso la libertà! Eppure sto meglio di un malato di gottapoiché egli vorrebbe piuttosto lamentarsi così in perpetuo che essere liberato da quel medico infallibilela morteche è la chiave per aprire questi ceppi.

Coscienza miatu sei nei ferri più che le mie caviglie e i miei polsi. Voibuoni iddiidatemi l'ordigno del pentimento per aprire questi serrami; e alloralibero per sempre! Basta che io sia pentito?

Così i fanciulli placano il loro padre temporale; gli dèi sono più ricchi di misericordia. Se debbo pentirminon posso farlo meglio che nelle manettepiù desiderate che imposte; se debbo espiare per ottenere la mia libertà non esigete da me minor sacrificio che tutto me stesso. So che siete più clementi che non i vili uominiche dai loro debitori falliti prendono un terzoun sestoun decimoe li lasciano di nuovo prosperare con quello che rimetton loro. Io non desidero questo: per la cara vita di Imogeneprendete la mia; ebenché non valga tantoè pure una vita; voi la coniaste. Fra uomo e uomo non vengon pesate tutte le monete; anche se sono leggereprendono il prezzo dall'effigie: così voi dovreste far con la miache porta la vostra. E cosìpotenze celestise accettate questo pagamentoprendete questa vitae annullate questi miei freddi vincoli. O Imogene! voglio parlarti in silenzio.

 

(S'addormenta)

(Musica solenne. Entracome in un'apparizioneSICILIO LEONATOpadre di Postumovecchio vestito da guerrieroconducendo per mano una vecchia matronasua moglie e madre di Postumocon musica. Dopo altra musicaseguono i due giovani LEONATIfratelli di Postumocon le ferite per le quali morirono in guerra. Circondano Postumomentre giace addormentato)

 

SICILIO: Non sfogar piùsignore del tuonosulle mosche mortali il tuo sdegno.

Rissa con Martegrida con Giuno che i tuoi adultèri all'ire sue fa segno.

Altro che bene ha fatto il misero mio figliodi cui non vidi la figura?

Morii mentr'egli ancora entro il grembo attendeva la legge di natura; suo padre allora - ché padre ti dicono degli orfani le genti - esser dovevie fargli schermo a quanti ci affliggono tormenti.

MADRE: Lucina non mi diè il suo aiutoma mi prese ne' miei dolori; da me recisoPostumo venne in lacrime tra i suoi persecutorioggetto di pietà!

SICILIO: Madre natura a immagine degli avi nobil stampo gli diedeche il mondo lo lodò siccome degno del gran Sicilio erede.

PRIMO FRATELLO: Quando maturo fu all'età virilechi dirsi a lui maggiore poteva in tutta la Britannia?

Qual frutto era migliore agli occhi d'Imogenela più atta a pregiarne il valore?

MADRE: Perché le nozze gli furon dileggioché n'ebbe esilioe de' Leonati venne espulso dal seggioe strappato alla sua dilettala dolce Imogene?

SICILIO: Perché soffriste che Jachimovile d'Italia insettoil suo più nobil cuore e il cervello macchiasse di van sospettoe ch'egli fosse la beffa e lo scherno di quell'essere abietto?

SECONDO FRATELLO: Perciò da più calme sedi venimmo noi fratellie i genitoriche pugnando pel nostro paese siam caduti da prodila fedeltàe i diritti di Tenanzio serbando con puri cuori.

PRIMO FRATELLO: Con eguale ardimento anche Postumo per Cimbelino ha pugnato.

Perché allorre dei numiGiovehai sì a lungo tardato il premio dovuto al suo meritoma l'hai in dolor mutato?

SICILIO: Apri la cristallina finestra; guarda; perché pur vuoi affligger de' tuoi possenti oltraggi una stirpe d'eroi?

MADRE: PoichéGiovenostro figlio è buonoliberalo dai tormenti suoi.

SICILIO: Guarda dal marmoreo palazzo; soccorri; o noipovere ombreurleremo contro il tuo numeal sinedrio degli altri dèi supremo.

SECONDO FRATELLO: SoccorriGioveo il tuo giudizio Farem d'effetto scemo.

 

(GIOVE scende con tuoni e lampisu un'aquila. Lancia una folgore. Gli Spiriti cadono in ginocchio)

 

GIOVE: Non piùmisere larve delle basse regioniturbate il nostro orecchio. Silenzio! Come osate accusare il Tonanteche con folgori e tuoni dal cielo sottomette le terre ribellate?

Povere ombre d'Elisovia di qui; abbiate pace sopra le vostre aiuole che sono sempre in fiore; non v'angustin più i casi a cui l'uomo soggiace; ché non son vostra curama del vostro Signore.

Chi più amocastigoper fare che il mio dono più attesopiù sia grato. Orsùstatevi quieti.

Vostro figlio umiliato sollevo al nostro trono:

finiscon le sue provetornano i giorni lieti.

Regnò sulla sua culla la stella del Tonante; nel suo tempio fu sposo. Levatevi e svanite.

Di madonna Imogene sarà sposo ed amantepiù felice per tante sofferenze patite.

Mettetegli sul cuore questo scritto che segna tutte le sue fortune. E voinon più frastuono per dir l'impazienza vostrao la mia si sdegna.

Aquilasali ormai al cristallin mio trono.

 

(Sale)

 

SICILIO: Venne col tuono; il fiato suo celeste di solfo aveva odor; l'aquila santa calòquasi a ghermirci; più de' nostri beati campi è dolce la sua ascesa; l'ali eterne l'uccel regale mondasi e aguzza il rostrocome quando è lieto il suo dio.

TUTTI: Giovegrazie ti sian rese.

SICILIO: Si chiude il suol marmoreo. Al suo raggiante tetto Egli torna. Il suo favor cercando obbediamo all'augusto suo comando.

 

(Gli Spiriti svaniscono)

 

LEONATO (svegliandosi): O sonnosei stato un avo e hai generato a me un padre e hai creato una madre e due fratelli; mao derisionesono fuggiti ! Se ne sono andati di qui appena natie così sono sveglio.

Gli infelici che sono sottomessi al favore dei grandisognano come mesi risveglianoe non trovano nulla. Ma ahimèmi smarrisco. Molti nemmeno sognano di trovarliné lo meritanoeppure sono colmi di favori; così ioche ho avuto questa sorte doratae non so perché.

Quali fate abitano questo luogo? Un libro? Oh raro libro! Non essere come nel nostro bizzarro mondo una veste più nobile di quello che ricopri; il tuo aspettoper essere ben diverso dai nostri cortigianimantenga quello che promette. (Legge) "Quando un leoncelloignoto a se stessotroverà senza cercarlo un dolce soffio d'aria che lo abbraccerà; e quando i rami di un cedro maestosotagliati e morti da molti annirivivranno per unirsi al vecchio tronco e di nuovo germoglieranno; allora finiranno le miserie di Postumola Britannia sarà felice e fiorirà in pace e abbondanza". E' ancora un sognoo sono cose come quelle che i pazzi proferiscono e non ragionano: o l'una cosa e l'altraoppure niente. O un discorso dissennatoo un discorso che il nostro senno non può sciogliere. Qualunque cosa siaI'opera della mia vita gli assomigliae lo conserverònon fosse che per la somiglianza.

 

(Rientra il Primo Carceriere)

 

PRIMO CARCERIERE: Suvviasignoresiete pronto a morire?

LEONATO: Piuttosto troppo cotto; pronto da lungo tempo.

PRIMO CARCERIERE: Si tratta della forcasignore; se siete pronto per quellasiete cotto a punto.

LEONATO: Cosìse riuscirò un buon pasto per gli spettatoriil piatto varrà il suo scotto.

PRIMO CARCERIERE: Un conto caro per voimessere. Ma il conforto è che non dovrete far più pagamentitemere più conti di tavernache sono spesso la tristezza del partirecosì come procurarono allegria:

entrate debole per bisogno di cibove ne andate barcollando per aver bevuto troppo; dolente per aver troppo pagatoe dolente di aver troppo ricevuto. La borsa e il cervello son vuoti tutti e due; il cervello è più peso per essere stato troppo leggerola borsa troppo leggera per essere stata vuotata del suo peso. Ohsarete libero adesso da questa contraddizione. Ohla carità di un soldo di corda!

Vi libera di mille debiti in un batter d'occhionon avete altro dare e avere che con leivi sbarazzerete del passatodel presente e dell'avvenire: il vostro collosignoreè pennaregistroe gettoni; e segue la quietanza.

LEONATO: Son più contento io di morireche tu di vivere.

PRIMO CARCERIERE: Davveromesserechi dorme non sente il mal di denti. Ma un uomo che dovesse dormire il vostro sonnocol boia che lo aiuta a mettersi a lettocredo vorrebbe mutar posto coll'aiutante; perché vedetesignorenon sapete che strada state per prendere.

LEONATO: Sì che lo socompare.

PRIMO CARCERIERE: Allora per voi la morte ha gli occhi in capo; non l'ho mai veduta dipinta così. Dovete esser guidato da uno che pretende di saperloo pretendete di sapere quello che son sicuro non sapeteo azzardate una verifica a vostro pericolo. E come finirà il viaggiocredo non tornerete mai a raccontarlo a nessuno.

LEONATO: Ti dicocomparea nessuno mancan gli occhi per dirigersi nella via che sto per faremeno a quelli che li chiudono e non se ne vogliono servire.

PRIMO CARCERIERE: Che enorme scherzo è questoche un uomo abbia il miglior uso degli occhi per vedere la via della cecità! Sono sicuro che la forca è la via del chiuder gli occhi.

 

(Entra un Messaggero)

 

MESSAGGERO: Togliete via le sue manette; portate il vostro prigioniero dal re.

LEONATO: Tu porti buone nuove; son chiamato per essere liberato.

PRIMO CARCERIERE: Allora sarò impiccato io.

LEONATO: Allora sarai più libero che da carceriere; per i morti non ci sono catenacci.

 

(Escono Leonato e il Messaggero)

 

PRIMO CARCERIERE: A meno di trovare un uomo Che voglia sposare la forca e generare giovani gibettinon ho mai visto uno così bramoso.

Eppurein fede miaper quanto costui sia romanoci sono dei più veri furfanti che desiderano vivere e ce ne sono che muoiono contro voglia: sarei anch'io cosìse fossi uno di loro. Vorrei che tutti la pensassimo in un modoe in modo giusto; ohsarebbe la rovina dei carcerieri e delle forche! Parlo contro il mio interesse presente; ma quel che desidero mi darebbe un posto migliore.

 

(Esce)

 

 

 

SCENA QUINTA - La tenda di Cimbelino

(Entrano CIMBELINOBELARIOGUIDERIOARVIRAGOPISANIOBaroniUfficiali e il Seguito)

 

CIMBELINO: State al mio fiancovoi che gli dèi hanno fatto salvatori del mio trono. Quale tristezza per il mio cuore che il povero soldato che combatté così nobilmente e i cui stracci fecero vergognare le armature dorateil cui petto ignudo marciava innanzi agli scudi impenetrabilinon si possa trovare. Sarà felice chi lo ritroveràse la nostra grazia lo può far tale.

BELARIO: Non ho visto mai così nobile furia in creatura tanto misera; imprese tanto valorose in uno che non prometteva se non povertà e avvilimento.

CIMBELINO: Ci sono notizie di lui?

PISANIO: E' stato cercato in mezzo ai morti e ai vivi: nessuna traccia di lui.

CIMBELINO: Con mio dolore sono l'erede della sua ricompensa(a BelarioGuiderio e Arvirago) che aggiungerò a quella di voifegatocuore e cervello della Britannia: per i qualilo riconoscoessa vive ancora. Ora è tempo di domandare di dove siete. Dite.

BELARIO: Siresiamo nati in Cambriae gentiluomini; vantare di più non sarebbe né giusto né modestoa meno che io non aggiunga che siamo onesti.

CIMBELINO: Piegate le ginocchia. Rialzatevimiei cavalieri di battaglia. Vi creo compagni della nostra persona e vi darò dignità conformi al vostro stato.

(Entrano CORNELIO e Dame) C'è dell'ansia su questi volti. Perché salutate così tristi la nostra vittoria? Sembrate romanie non della corte di Britannia.

CORNELIO: Salvegran re! Ad amareggiare la vostra gioiadebbo dirvi che la regina è morta.

CIMBELINO: A chi peggio converrebbe questo messaggio che a un medico?

Ma rifletto che se la vita può essere prolungata dalla medicinala morte coglierà anche il medico. Come è finita?

CORNELIO: Con orrore è morta furiosa come fu in vita. Crudele verso il mondoè finita crudelissima verso di sé. Vi riferirò quello che ha confessatocol vostro beneplacito; queste sue donne mi smentiranno se sbaglio. Essecon le guance bagnateerano presenti quando finì.

CIMBELINO: Parlati prego.

CORNELIO: Prima confessò di non avervi mai amato. Soltanto portava amore alla vostra grandezzanon a voi; sposò la vostra regalitàmoglie del vostro seggioaborriva la vostra persona.

CIMBELINO: Ella sola seppe questo; ese non lo avesse detto morendomi rifiuterei di credere alle sue labbra che lo rivelarono. Continua.

CORNELIO: Vostra figliache fingeva di amare così profondamenteconfessò che era uno scorpione ai suoi occhi. Se la sua fuga non glielo avesse impeditole avrebbe tolto la vita col veleno.

CIMBELINO: Oh raffinatissimo demonio! Chi può leggere una donna? Vi è altro?

CORNELIO: Dell'altrosiree peggiore. Confessò di avere per voi un minerale mortifero chepresodoveva minuto per minuto nutrirsi della vostra vita e lentamente consumarvi a poco a poco. Frattanto si proponeva con vegliepianticure e bacidi dominarvi con le sue fintee col tempoquando foste ben disposto dal suo ingannodi insinuare suo figlio per l'adozione della corona. Mafallita nel suo disegno per la strana assenza di luifu presa da una disperazione senza vergognascopersea dispetto del cielo e degli uominii suoi propositi; sentì che i mali covati non avessero effettoe così morì disperando.

CIMBELINO: Voidonneavete udito tutto questo?

PRIMA DAMA: Sìcosì piaccia a Vostra Altezza.

CIMBELINO: Non furono in colpa i miei occhiperché era bella; le mie orecchieche udirono le sue adulazioni; né il mio cuoreche la credeva simile al suo aspetto. Sarebbe stato colpevole diffidare di lei; eppureoh figlia mia! tu puoi ben dire che la follia era in mee attestarla con le tue sofferenze. Il cielo ripari ogni cosa!

 

(Entrano LUCIOJACHIMOl'Indovino e altri Prigionieri romani con Guardie; dietro ad essiLEONATO e IMOGENE)

 

Tu non vienioraCaioper tributo; i Britanni l'hanno soppressosebbene con la perdita di molti animosi. I loro parenti mi hanno chiesto che le buone anime siano placate col sacrificio di voiloro prigionierie noi l'abbiamo concesso. Cosìpensate alla vostra sorte.

LUCIO: Consideratesirele fortune della guerra. La giornata fu vostra per caso; se avessimo vinto noinon avremmoa sangue freddominacciato con la spada i nostri prigionieri. Ma poiché gli dèi vogliono che sia cosiche null'altro fuor delle nostre vite possa essere considerato riscattosia. Basta a un Romano saper soffrire con cuore romano. Augusto vivee provvederà: ecco tuttoper quanto mi tocca. Questa cosa sola implorerò: il mio paggio è nato britannolasciate che sia riscattato. Mai padrone ha avuto un paggio tanto gentiledevotodiligenteattento ai suoi bisognifedelesveltopremuroso. Il suo merito si unisca alla mia richiestache oso sperare Vostra Altezza non sappia rifiutare. Egli non ha fatto male a nessun Britannobenché abbia servito un Romano. Salvatelosiree non risparmiare altro sangue.

CIMBELINO: L'ho sicuramente veduto: il suo volto mi è familiare.

Ragazzoil tuo aspetto ha vinto il mio favoree mi appartieni. Non so perchéné che cosami fa dire: "Viviragazzo". Non ringraziare il tuo padrone; vivi e chiedi a Cimbelino la grazia che vorrai; se si conviene alla mia munificenza e al tuo statol'accorderò. Sìanche se tu domandassi un prigionieroil più nobile preso.

IMOGENE: Ringrazio umilmente Vostra Altezza.

LUCIO: Non ti ho detto di domandare la mia vitabuon ragazzoeppure so che lo farai.

IMOGENE: Nonoahimèaltre cure mi occupano. Vedo una cosa amara a me come la morte. La vostra vitabuon padronedeve sbrigarsela da sé.

LUCIO: Il ragazzo mi disprezzami abbandonami sdegna. Presto muoiono le gioie di coloro che le fondano sulla fedeltà di giovinette o di giovani. Perché sta così perplesso?

CIMBELINO: Che cosa vuoiragazzo? Ti amo sempre di più; rifletti sempre di più a ciò che è meglio domandare. Conosci quello che guardi? Parlavuoi che egli viva? E' tuo parente? Tuo amico?

IMOGENE: E' un Romano; non più parente a me che io a Vostra Altezza; e ioessendo nato vostro vassallovi sono un po' più prossimo.

CIMBELINO: Perché lo guardi così?

IMOGENE: Ve lo diròsirein segretose vi piacerà darmi ascolto.

CIMBELINO: Sìcon tutto il cuoree ti darò la mia migliore attenzione. Qual è il tuo nome?

IMOGENE: Fedelesire.

CIMBELINO: Sei il mio buon giovane paggio: sarò il tuo padrone. Vieni con meparla liberamente.

 

(Cimbelino e Imogene parlano a parte)

 

BELARIO: Quel ragazzo non è resuscitato?

ARVIRAGO: Un granello di sabbia non somiglia di più a un altro: quel dolce roseo ragazzo che morìe fu Fedele! Che ne pensate?

GUIDERIO: Lo stesso morto che rivive.

BELARIO: Zittizitti! Vediamo. Egli non ci guardaaspettiamo. Vi sono creature che si somigliano. Se fosse luisono certo che ci avrebbe parlato.

GUIDERIO: Ma lo vedemmo morto.

BELARIO: Tacetevediamo il seguito.

PISANIO (a parte): E' la mia padrona. Poiché ella è vivalasciamo correre il tempo al meglio e al peggio.

 

(CIMBELINO e IMOGENE s'avanzano)

 

CIMBELINO: Vienimettiti al nostro fianco e fa' la tua domanda ad alta voce. (A Jachimo) Venite avantimessere; rispondete a questo ragazzoe fatelo con franchezza; oper la nostra grandezzae per la sua grazia che è il nostro onoreamara tortura vaglierà la verità della menzogna. Avantiparlagli.

IMOGENE: La grazia che domando è che questo signore voglia dire da chi ebbe questo anello.

LEONATO (a parte): Che importa a lui?

CIMBELINO: Ditequel diamante che avete al ditocome divenne vostro?

JACHIMO: Mi tortureresti perché io non dicessi quello chedettosarebbe tortura per te.

CIMBELINO: Comeper me?

JACHIMO: Sono contento d'essere costretto a svelare quello che mi tormenta nascondere. Ebbi questo anello con una ribalderia: era un gioiello di Leonato che tu bandisti e che eradi questo tu soffrirai più di meil gentiluomo più nobile che mai sia vissuto fra cielo e terra. Vuoi udir di piùmio signore?

CIMBELINO: Tutto ciò che si riferisce a questo.

JACHIMO: Quel paragone di virtùtua figliaper la quale il mio cuore gocciola sangue e che il mio animo colpevole trema nel ricordare...

Scusami. Mi sento mancare.

CIMBELINO: Mia figlia! Che cosa dici di lei? Riprendi forza.

Preferirei tu vivessi quanto vorrà la naturapiuttosto che tu morissi prima che io senta di più. Sforzatiuomo parla.

JACHIMO: Un tempo... infausto fu l'orologio che suonò l'ora!... fu a Roma... maledetta la casa dove!... Fu a una festa... Oh! fossero state avvelenate le vivandeo almeno quelle che mi portai alla bocca!... Il buon Postumo... che dovrei dire? era troppo buono per essere dove erano uomini perversi; ed era il migliore di tuttifra i più rari dei buoni... seduto tristemente ci ascoltava lodare le nostre amanti italiane per una bellezza che rendeva sterile l'eccelso vanto del miglior parlatore. Le loro fattezze digradavano il tempio di Venere o la eretta Minervaatteggiamenti che sorpassano l'effimera natura. La loro indole era un emporio di tutte le qualità per cui l'uomo ama la donna. Inoltrequell'esca matrimonialela beltà che colpisce gli occhi...

CIMBELINO: Sono sul fuoco; vieni al fatto.

JACHIMO: Ci arriverò anche troppo presto; a meno che tu non abbia fretta di soffrire. Questo Postumoproprio da nobile signore innamoratoe che aveva un'amante regaleprese la palla al balzo; esenza disprezzare quelle che lodavamoin questo era calmo come la virtùincominciò a farci il ritratto della sua signora; il qualefatto dalla sua linguae con l'animo che v'aggiunseo le nostre millanterie vantavano sguattere di cucinao la sua descrizione ci dimostrava sciocchi che non sanno parlare.

CIMBELINO: Orsùorsùal fatto.

JACHIMO: La castità di vostra figlia... eccomi al fatto. Ne parlò come se Diana avesse sogni ardenti ed essa sola fosse fredda. A questo iomiserabilemisi in dubbio la sua lodee scommisi con lui monete d'oro contro questoche egli portava allora al suo dito onoratodi riuscire a raggiungerecon la mia corteil suo posto nel suo lettovincendo questo anello coll'adulterio di lei ed il mio. Eglida vero cavalierenon meno sicuro ch'ella gli era fedele di quanto veramente la trovaimette per posta questo anelloe l'avrebbe fatto anche se fosse stato un carbonchio delle ruote di Feboe avrebbe potuto farlo con altrettanta sicurezza se avesse avuto il valore di tutto il carro.

Volai in Britannia per questo disegno: benesirepotete ricordare di avermi visto a cortedove appresi dalla vostra casta figlia la grande differenza fra l'amore e la lussuria. Così si spense la mia speranza ma non il desiderio: e il mio cervello italiano cominciò a operare in modo assai vile sopra il vostro britanno più tardoottimo per il mio vantaggio. Ein brevela mia insidia riuscì così beneche ritornai con prove simulate bastanti a render folle il nobile Leonatocol ferire la sua fiducia nella fama di leicon questi e questi segni; particolari che erano confermesugli arazzi della sua stanzasulle pitturee su questo braccialetto - ohcon che astuzia l'ebbi! - e perfino su alcuni particolari segreti della sua personacosì ch'egli non poté non credere infranto del tutto il vincolo della castitàe che io avessi vinta la posta. Allora... mi pare di vederlo adesso...

LEONATO (facendosi avanti): Sì e lo vedidemonio d'un italiano!

Ahimètroppo credulo scioccoemerito assassinoladro; a me qualunque cosa spetti a tutti gli infami del passatodel presente e dell'avvenire! Ohdatemi una cordao un coltelloo un veleno; datemi un integro giudice! Turefa' cercare ingegnosi torturatori: sono io che miglioro tutte le cose aborrite della terraperché sono peggiore di loro. Io sono Postumoche uccise tua figlia; da vile io mentoche la feci uccidere da uno meno infame di meda un sacrilego ladro. Ella era il tempio della Virtù; sìe la virtù stessa. Sputatelanciatemi pietrebuttate del fango su di meincitate i cani della strada a latrarmi contro. Ogni ribaldo si chiami Postumo Leonatoe la scelleratezza sia meno di quel che non era! O Imogene! Mia reginamia vitamia sposa! O ImogeneImogeneImogene!

IMOGENE: Calmatevimio signore; ascoltateascoltate...

LEONATO: Dovrà farsi giuoco di questo? Paggio insolenteecco il posto che ti spetta.

 

(La colpisce. Ella cade)

 

PISANIO: Ohsignorisoccorrete la mia e la vostra padrona! O mio signorePostumo! Non avete ucciso Imogene fino a questo momento.

Aiutoaiuto! Mia venerata signora!

CIMBELINO: Il mondo gira intorno a me?

LEONATO: Donde mi vengono queste vertigini?

PISANIO: Svegliatevi mia signora!

CIMBELINO: Se è cosigli dèi vogliono colpirmi mortalmente con una gioia mortale.

PISANIO: Come sta la mia padrona?

IMOGENE: Vattene dalla mia vista: tu mi hai dato il veleno. Via di quiuomo pericoloso. Non respirare dove sono dei principi.

CIMBELINO: La voce di Imogene!

PISANIO: Signoragli dèi scaglino su di me saette di zolfo se non credevo quella scatola che vi detti cosa preziosa. L'ebbi dalla regina.

CIMBELINO: Ancora del nuovo?

IMOGENE: Mi ha avvelenata.

CORNELIO: Oh dèi! Dimenticai una cosa che la regina confessòche ti proverà onesto: "Se Pisanio ha - disse - dato alla sua padrona quella miscela che gli diedi come un cordialeè stata servita come io servirei un topo".

CIMBELINO: Che vuol dir questoCornelio?

CORNELIO: La reginasiremolto spesso m'importunava perché le componessi dei velenisempre col pretesto di soddisfare il suo sapereuccidendo soltanto creature vilicome gatti e cani senza valore. Iotemendo che i suoi propositi non fossero più pericolosicomposi per lei una certa sostanza chepresasospendesse l'immediato potere di vita; ma in breve tutte le facoltà della natura avrebbero ripreso le loro funzioni abituali. Ne avete presa?

IMOGENE: Lo credopoiché rimasi morta.

BELARIO: Ragazzi mieiqui fu il nostro errore.

GUIDERIO: Questo è certamente Fedele.

IMOGENE: Perché avete respinta la donna che avete sposata? Immaginate che stiamo lottandoe ora di nuovo buttatemi giù.

 

(Lo abbraccia)

 

LEONATO: Sospenditi quianima miacome un fruttofin che l'albero muoia!

CIMBELINO: Ebbenecarne miamia figlia! Mi fai passare per sciocco in questa scena? Perché non mi parli?

IMOGENE: La vostra benedizionesire.

 

(Si inginocchia)

 

BELARIO (a Guiderio e Arvirago): Avete amato quel giovanee non vi so biasimare. C'era ben motivo.

CIMBELINO: Le mie lagrime cadendo siano acqua santa su di te! Imogenetua madre è morta.

IMOGENE: Me ne rattristomio signore.

CIMBELINO: Ohera perversa; e si deve a lei se ci incontriamo qui in modo così strano. Ma suo figlio è partitoe non sappiamo per dovené come.

PISANIO: Mio signoreora che la paura è lontana da medirò la verità. Il principe Clotenall'assentarsi della mia padronavenne da me con la spada snudatacon la schiuma alla boccae giurando che se non gli rivelavo quale via avesse presaera per me la morte immediata. Avevo allora per caso una falsa lettera del mio padrone in tascae questa lo diresse a cercare lei sulle montagne presso Milfordper dove partì forsennatocon gli abiti del mio padrone che mi aveva costretto a darglicon infame disegno e con giuramento di violare l'onore della mia signora. Quello che accadde di lui doponon so.

GUIDERIO: Lasciate che finisca la storia; laggiùio l'ho ucciso.

 

CIMBELINO: Ahche gli dèi ci salvino! Non vorrei che i tuoi buoni servigi mi strappassero dalle labbra una dura sentenza. Ti pregocoraggioso giovanerispondimi che non è vero.

GUIDERIO: Quello che ho dettoho fatto.

CIMBELINO: Era un principe.

GUIDERIO: Un principe assai incivile: gli oltraggi che mi fece non erano certo da principepoiché mi provocò con un linguaggio che mi indurrebbe ad affrontare il marese potesse ruggire così contro di me. Gli tagliai la testae sono molto lieto che lui non sia qui a dire altrettanto della mia.

CIMBELINO: Sono dolente per te: ti sei condannato con la tua linguae devi subire la nostra legge. Sei un uomo morto.

IMOGENE: Quell'uomo senza testalo credetti il mio sposo.

CIMBELINO: Legate il colpevolee toglietelo dalla nostra presenza.

BELARIO: Fermatisire. Quest'uomo val più dell'uomo che ucciseè di stirpe buona quanto la tuae ha reso a te più servigi di quanti mai procurarono cicatrici a una schiera di Cloten. (Alle Guardie) Lasciategli le braccianon sono nate per le ritorte.

CIMBELINO: Comevecchio soldatovuoi cancellare i meriti per i quali ancora non fosti pagatoe provare la nostra collera? Comedi stirpe buona quanto la nostra?

ARVIRAGO: In questo è andato troppo oltre.

CIMBELINO: E tu morrai per questo.

BELARIO: Morremo tutti e tre. Ma proverò che due di noi sono nobili come gli ho detto. Figli mieidebbo rivelare una cosa pericolosa per mema forse buona per voi.

ARVIRAGO: Il vostro pericolo è il nostro.

GUIDERIO: E il nostro bene il suo.

BELARIO: Eccotidunquecol tuo permesso: tu avevigran reun suddito che era chiamato Belario.

CIMBELINO: Che vuoi dire di lui? E' un traditore bandito.

BELARIO: E' lui che ha assunto quest'annoso aspetto; un banditoè veroma non so perché un traditore.

CIMBELINO: Portatelo via di qui; il mondo intero non lo potrebbe salvare.

BELARIO: Non tanto calore; prima pagami per aver allevato i tuoi figlie che tutto sia confiscatonon appena lo avrò ricevuto.

CIMBELINO: L'allevamento dei miei figli?

BELARIO: Son troppo brusco e ardito. Eccomi in ginocchio. Prima di alzarmivoglio ottener l'avanzamento dei miei figli; poinon risparmiate il vecchio padre. Potente signorequesti due giovani gentiluomini che mi chiamano padre e credono d'essere i miei figlinon sono affatto mieisono discesi dai vostri lombimio signoree sangue da voi generato.

CIMBELINO: Come discesi da me?

BELARIO: Come voi da vostro padre. Ioil vecchio Morgansono quel Belario che un tempo voi bandiste. Il vostro volere fu tutta la mia colpala mia punizione stessa e tutto il mio tradimento: quello che soffersi è tutto il male che ho fatto. Questi nobili principi - poiché tali e così sono - per questi vent'anni ho educati; le arti che sanno sono quelle che potei insegnar loro: la mia educazionesireera quale Vostra Altezza conosce. La loro nutriceEurifileche sposai per il rattorapì questi fanciulli dopo che fui bandito: io la mossi a farloio che avevo avuto prima la punizione per quello che feci allora. La mia lealtà punita mi eccitò al tradimento; la loro perdita così carapiù era sentita da voipiù rispondeva al mio fine di rapirli. Magrazioso signorei vostri figli sono ancora quie io devo perdere due dei più dolci compagni del mondo. La benedizione del cielo che ci copre piova come rugiada sulle loro teste! poiché son degni di intarsiare di stelle il cielo.

CIMBELINO: Tu piangi e parli. Il servigio che voi tre avete reso è più incredibile di quanto racconti. Io perdetti i miei figli: se sono questinon so come desiderare una coppia di figli più degni.

BELARIO: Aspettate ancora. Questo gentiluomoche io chiamo Polidoroo degnissimo principeè il vostro vero Guiderio. Questo gentiluomoil mio CadwalArviragoil vostro più giovane figlio e principe.

Eglisireera avvolto in un molto adorno mantello lavorato dalle mani della regina sua madre; e questoper maggior provaposso facilmente mostrare.

CIMBELINO: Guiderio aveva sul collo una vogliauna stella sanguigna.

Era un segno curioso.

BELARIO: E' luiche ha sempre su di sé quel segno naturale; fu il fine della saggia natura nel donarglielo che fosse ora suo testimone.

CIMBELINO: Ohsono io allora come una madre alla quale nascono tre figli? Mai madre fu tanto felice del suo parto. Prego che siate benedettisicché dopo così strano allontanamento dalle vostre sfereora vi possiate regnare! O Imogenecon questo tu perdi un regno.

IMOGENE: Nomio signorecon questo guadagno due mondi. O dolci fratellicosì ci siamo ritrovati? Ohnon negate d'ora in poi che io sono quella che dice più vere parole: voi mi chiamavate fratello quando ero soltanto vostra sorella; iovoi fratellie lo eravate davvero.

CIMBELINO: Vi siete già incontrati?

ARVIRAGO: Sìmio buon signore.

GUIDERIO: Al primo incontro ci amammoe continuammo finché non lo credemmo morto.

CORNELIO: Per aver inghiottito la droga della regina.

CIMBELINO: Oh raro istinto! Quando saprò dunque ogni cosa? Questo rapido riassunto si ramifica in circostanze tali da ripagare un attento esame. Dove? come viveste? Quando siete entrata al servizio del nostro prigioniero romano? Come foste separata dai vostri fratelli? Come li incontraste la prima volta? Perché fuggiste dalla corte? e dove? Questoe i motivi che indussero voi tre alla battagliacon non so quante altre cosedovrei chiedervie tutti gli altri casi accessorida fortuna a fortuna; ma né il tempo né il luogo sono adatti ai nostri lunghi interrogatori. GuardatePostumo s'è ancorato a Imogene; e leicome un lampo inoffensivolancia i suoi occhi su di luisui suoi fratellisu di mesuo signoree colpisce ogni oggetto con una gioia il cui contraccambio è separatamente in tutti. Lasciamo questo luogo e profumiamo il tempio coi nostri sacrifici. (A Belario) Tu sei mio fratelloe come tale sempre ti terremo.

IMOGENE: E voi anche siete mio padree mi soccorreste perché vedessi questa graziosa stagione.

CIMBELINO: Tutti siamo colmi di gioiasalvo questi in catene. Siano felici anch'essi e gustino la nostra gioia.

IMOGENE: Mio buon padronevoglio servirvi ancora.

LUCIO: Siate felice!

CIMBELINO: Il soldato perdutoche combatté così valorosamentestarebbe bene in questo luogoe sarebbe degno oggetto della riconoscenza di un re.

LEONATO: Sono iosireil soldato che s'accompagnò a questi tre in povero aspetto; era una veste adatta al disegno che seguivo allora.

Che ero ioditeloJachimo. Vi tenevo giùe avrei potuto finirvi.

JACHIMO: (inginocchiandosi): Sono giù ancorama adesso la mia greve coscienza piega le mie ginocchiacome allora la vostra forza.

Prendete questa vitavi scongiuroche vi debbo tante voltema prima il vostro anello. Ed ecco il braccialetto della più fedele principessa che mai abbia giurato fede.

LEONATO: Non inginocchiatevi a me. Il potere che ho su di voi è di risparmiarvi; la mia vendetta verso di voidi perdonarvi. Vivetee agite meglio con gli altri.

CIMBELINO: Nobile sentenza! Impareremo la liberalità da nostro genero.

Perdono è la parola per tutti.

ARVIRAGO: Voi ci avete aiutatisignorecome se voleste davvero essere nostro fratello. Siamo felici che lo siate.

LEONATO: Sono il vostro servoprincipi. Mio buon signore di Romachiamate qui il vostro indovino. Mentre dormivomi parve che il grande Giove m'apparisse sull'aquilacon altre spettrali apparizioni dei miei parenti. Quando mi svegliaitrovai questo foglio sul mio pettoe il suo contenuto è così lontano da ogni senso nella sua difficoltàche non lo so interpretare. Che ci mostri la sua abilità nello spiegarlo.

LUCIO: Filàrmono!

INDOVINO: Eccomimio buon signore.

LUCIO: Leggie spiega il significato.

INDOVINO (legge): "Quando un leoncelloignoto a se stessotroverà senza cercarlo un dolce soffio d'aria che lo abbraccerà; e quando i rami d'un cedro maestosotagliati e morti da molti annirivivranno per unirsi al vecchio tronco e di nuovo germoglierannoallora finiranno le miserie di Postumola Britannia sarà felice e fiorirà in pace e abbondanza". TuLeonatosei il leoncellola propria e conveniente costruzione del tuo nomeessere "Leo natus" significa questo. (A Cimbelino) "Il dolce soffio d'aria"la tua virtuosa figlianoi lo chiamiamo "mollis aer"; e da "mollis aer" noi facciamo "mulier": la quale "mulier"io interpretoè questa fedelissima sposa. Anche adessorispondendo alla lettera dell'oracoloellaignota a voi non cercatavi abbracciò con questa dolcissima aria.

CIMBELINO: Questo ha del verosimile.

INDOVINO: Il cedro maestosoregale Cimbelinoimpersonate; e i rami tagliati additano i tuoi figli: che rapiti da Belarioper molti anni creduti mortiora rivivono riuniti al cedro maestosola cui discendenza promette alla Britannia pace e abbondanza.

CIMBELINO: Bene. Incominceremo la mia pace. ECaio Luciosebbene vincitorici sottomettiamo a Cesare e all'Impero romanopromettendo di pagare il consueto tributoda cui ci aveva dissuasi la nostra perfida reginasulla quale i cielia giustizia di lei e dei suoihanno fatto cadere la loro greve mano.

INDOVINO: Le dita delle potenze di lassù intonino l'armonia di questa pace. La visione che svelai a Lucio prima dell'urto di questa battaglia non ancora freddain questo istante è in pieno avverataperché l'aquila romanalevandosi alta sull'ali dal mezzogiorno all'occidentes'impiccoliva e così dileguava nei raggi del sole.

Questo era presagio che la nostra aquila augustal'imperiale Cesaredi nuovo avrebbe stretto alleanza col radioso Cimbelinoche splende qui in occidente.

CIMBELINO: Lodiamo gli dèi; e i nostri fumi salgano in spirali alle loro narici dai nostri altari benedetti. Annunciamo questa pace a tutti i nostri sudditi. Poniamoci in via. Sventolino insieme amiche un'insegna romana e una britanna. Marciamo così attraverso la città di Lud: e nel tempio del grande Giove ratificheremo la nostra pacela suggelleremo con feste. Andiamo! Mai vi fu guerra che finisseprima ancora che le mani sanguinose fossero levatecon una simile pace.

 

(Escono)



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