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Oscar Wilde

 

RACCONTI PER RAGAZZI

 

 

 

 

 

IL PRINCIPE FELICE

 

Nel punto più alto della cittàsu un'alta colonnastava la statua del Principe Felice. Era tutto coperto di sottili lamine di oro preziosissimocome occhi aveva due zaffiri lucentie un grande rubino brillava sull'impugnatura della spada.

Era molto ammirato da tutti.

"E' bello come una banderuola - notò un membro del Consiglio della Torre che si vantava di essere un esperto d'arte- ma non è altrettanto utile" aggiunsetemendo che la gente potesse pensare che era una persona dotata di scarso senso pratico.

"Perché non assomigli al Principe Felice? - domandava una mamma al suo bambino che era solito piangere per niente. - Il Principe Felice non si sogna neppure di piangere per qualcosa".

"Mi fa piacere che ci sia qualcuno al mondo che è sempre felice" mormorò un uomo deluso dalla vita alzando lo sguardo sulla magnifica statua.

"Sembra proprio un angelo" dissero i ragazzi della Carità mentre uscivano dalla cattedrale con le loro lucenti mantelline scarlatte e i lindi grembiulini.

"Come lo sapete? - disse il Maestro di Matematica. - Non ne avete mai visto uno".

"Ahma noi li vediamonei nostri sogni" risposero i bambini; e il Maestro di Matematica corrugò le sopracciglia e li guardò con molta severitàperché non approvava che i bambini sognassero.

Una notte volò sulla città un piccolo Rondone.

I suoi amici erano partiti per l'Egitto sei settimane primama lui era rimasto indietroperché si era innamorato della più bella Canna del fiume.

L'aveva incontrata all'inizio della primavera mentre volava lungo il fiume inseguendo una farfalla giallaed era stato così attratto dalla sua esile figura che si era fermato a parlarle.

"Posso amarti?" chiese il Rondonea cui piacevano le maniere spiccee la Canna gli fece un profondo inchino. Così volò più volte intorno a leitoccando l'acqua con le sue alie formando leggeri increspature. Questo era il suo modo di fare la cortee continuò per tutta l'estate.

"E' una passione ridicola - squittirono le altre Rondini- quella non ha denaroma solo troppi parenti".

In verità il fiume era pieno di canne. Poiquando arrivò l'autunnole altre rondini volarono via.

Dopo che le compagne se ne furono andateegli si sentì soloe cominciò a stancarsi della sua innamorata.

"Non c'è conversazione - disse egli- e io ho paura che sia una civettaperché sta sempre ad amoreggiare con il Vento".

E certamenteogni qualvolta soffiava il Ventola Canna faceva il più grazioso degli inchini.

"E poi ha la stoffa della casalinga - continuò il Rondone- mentre io amo viaggiaree mia mogliedi conseguenzadovrebbe viaggiare anche lei".

"Vuoi venire con me?" le chiese alla fine; ma la Canna scosse la testa poiché era molto affezionata alla sua casa.

"Ti sei preso gioco di me" gridò lei.

"Io parto per le Piramidi. Arrivederci!" e volò via.

Volò tutto il giornoe di notte arrivò in città.

"Dove mi poserò? - si domandò il Rondone. - Spero che la città possa ospitarmi".

Detto questovide la statua sull'alta colonna.

"Mi metterò là - disse ad alta voce- è una posizione bellissimaben esposta all'aria aperta".

Così il Rondone scese tra i piedi del Principe Felice.

"Ho un letto d'oro" disse tra séguardandosi attornoe si preparò per dormire; ma aveva appena messo la testa sotto l'alache una grossa goccia d'acqua cadde su di lui.

"Che cosa curiosa! - pensò. - Non c'è neppure una nuvola nel cielole stelle sono chiarissime e lucentieppure sta piovendo.

Il clima nel nord dell'Europa è veramente capriccioso. La Canna amava la pioggiama il suo era puro egoismo".

Poi un'altra goccia cadde.

"A che serve una statua se non ti ripara dalla pioggia? - disse. - Devo cercare una cappa di camino" e si decise a volare via.

Ma prima che aprisse le aliuna terza goccia caddeed egli guardò in sue vide... ah! che cosa vide?

Gli occhi del Principe Felice erano pieni di lacrimee le lacrime scivolavano giù dalle guance d'oro. La sua faccia era così bella nella luce lunare che il piccolo Rondone si sentì impietosire.

"Chi sei?" chiese.

"Io sono il Principe Felice".

"Perché allora stai piangendo? - continuò il Rondone. - Mi hai completamente bagnato".

"Quando ero vivo e avevo un cuore da uomo - rispose la statua- io non sapevo cosa fossero le lacrime perché vivevo nel Palazzo di Sans-Soucidove alla tristezza non era permesso di entrare.

Durante la giornata giocavo con i miei compagni nel giardinoe di sera mi lanciavo nelle danze nel Grande Salone. Intorno al giardino c'era un alto muroma io non mi sono mai preoccupato di chiedere cosa ci fosse al di là perché tutto quello che stava intorno a me era bellissimo. I miei cortigiani mi chiamavano il Principe Felicee felice lo ero veramentese il piacere significa anche felicità. Così io vissi e così io morii. E ora che sono morto mi hanno sistemato quicosì in alto che posso vedere tutte le brutture e le miserie della mia cittàe sebbene il mio cuore sia fatto di piombo non posso far altro che piangere".

"Che cosa? Non è solido oro?" disse tra sé il Rondone. Era troppo educato per fare osservazioni ad alta voce.

"Lontano da qui - continuò la statua con una profonda voce musicale- lontanoin una piccola viac'è una povera casa. Una delle finestre è apertae attraverso essa posso vedere una donna seduta al tavolo. La sua faccia è magra e consumatae ha mani arrossate e ruvideche portano i segni delle punture dell'agopoiché è una ricamatrice. Sta ricamando alcune passiflore sui guanti di satinche le più graziose damigelle della Regina indosseranno al prossimo ballo di corte. In un letto nell'angolo della stanza c'è un ragazzino ammalato. Ha la febbresta chiedendo qualche arancia. Sua madre non ha nient'altro da dargli che l'acqua del fiumee è per questo che lei sta piangendo.

Rondinerondinerondinellale porterai il rubino dell'impugnatura della mia spada? I miei piedi sono fissati a questo piedistallo e non posso muovermi".

"Sono attesa in Egitto" disse il Rondone.

"Starai con me una nottevuoi essere il mio messaggero? Il ragazzo ha setee sua madre è così triste..." replicò il Principe.

"Non credo mi piacciano i ragazzi - rispose il Rondone- l'estate scorsamentre volavo sul fiumedue ragazzi malvagii figli del mugnaiolanciavano sempre i sassi contro di me.

Non mi hanno mai colpitonaturalmente; noi rondini voliamo troppo bene perché ci raggiunganoe inoltre io provengo da una famiglia famosa per la sua agilità; comunqueè irrispettoso da parte di un ragazzo comportarsi in così".

Ma il Principe Felice sembrava così triste che il piccolo Rondone ne fu dispiaciuto.

"Fa molto freddo qui - gli disse- ma io starò con te questa nottee sarò il tuo messaggero".

"Graziepiccolo Rondone" disse il Principe.

Così il Rondone prese il grande rubino dalla spada del Principee volò via con questo nel becco sopra i tetti della città.

Passò vicino alla torre della cattedralecon gli angeli di marmo bianco scolpiti.

Vicino ad un palazzo sentì la musica di una sala da ballo. Una bellissima ragazza uscì sul balcone con il suo spasimante.

"Che meraviglia le stelle - le disse lui- meraviglioso il potere dell'Amore!" "Spero che il mio vestito sia pronto in tempo per il ballo di Stato - intervenne la ragazza- ho ordinato che vi venissero ricamate alcune passiflore; ma la ricamatrice è così pigra!" Passò sopra al fiumee vide le lanterne appese al bompresso delle navi. Passò sopra il Ghettoe vide i vecchi ebrei che contrattavano tra loroe pesavano il denaro sui loro bilancini di rame.

Alla fine il Rondone arrivò alla povera casa e guardò all'interno.

Il ragazzo si agitava nel suo letto per la febbre e la madre si era addormentata perché troppo stanca. Balzò dentro e lasciò il grande rubino sul tavolodietro al ditale per cucire. Quindi volò gentilmente intorno al lettofacendo leggermente vento al capo del ragazzo con le sue ali.

"Che frescura - disse il ragazzo- mi sento meglio" e cadde in un delizioso torpore.

Quindi il Rondone tornò dal Principe Felicee gli raccontò cosa aveva fatto.

"E' curioso - notò il volatile- ma ora mi sento abbastanza caldoanche se fa freddo".

"Senti caldo perché hai compiuto una buona azione" commentò il Principe.

E il piccolo Rondone cominciò a riflettere fino a quando si addormentò. Pensare lo aiutava sempre a prendere sonno.

Quando il giorno spuntòegli volò lungo il fiume e fece un bagno.

"Che fenomeno strano! - esclamò il Professore di Ornitologiache stava passando sul ponte. - Una rondine in inverno!" e scrisse una lunga relazione sull'episodio per il locale quotidiano.

La relazione ebbe grande risonanza e venne citata da tuttitanto era piena di parole che nessuno capiva.

"Questa notte partirò per l'Egitto" disse il Rondone pieno di entusiasmo davanti a questa prospettiva. Visitò tutti i monumenti della cittàe si posò a lungo sulla cima del campanile.

Dovunque egli andassei passeri si rallegravanodicendosi l'un l'altro:

"Che uccello stranodiverso dagli altri!".

Così trascorse una piacevole giornata. Quando la luna spuntòritornò dal Principe Felice.

"Posso farti qualche favore in Egitto? - gli domandò. - Sto partendo".

"Rondinerondinerondinella - disse il Principe- starai con me una notte di più?" "Mi aspettano in Egitto - rispose il Rondonedomani le mie amiche voleranno fino alla seconda cateratta. L'ippopotamo nuota tra i giunchi e su un trono di granito siede il dio Memnon. Tutte le notti guarda le stellee quando la stella del mattino brillaegli lancia un grido di gioiapoi fa silenzio. A mezzogiorno i leoni dalla bionda criniera scendono a bere fino al bordo dell'acqua. Essi hanno occhi come berilli verdi e il loro ruggito è fragoroso come il rumore della cateratta." "Rondinerondinerondinella - disse il Principe- lontano dalla città io vedo un giovane uomo in una soffitta. Egli è piegato sopra un tavolo coperto di cartee in un grosso bicchiere al suo fianco c'è un mazzo di violette bianche e rosse. I suoi capelli sono castani e crespie le sue labbra sono rosse come una melagranae ha occhi grandi e sognanti. Sta tentando di scrivere una commedia per il Direttore del Teatroma fa troppo freddo per continuare ancora. Non c'è fuoco nel caminoe la fame lo fa barcollare".

"Starò con te una notte ancora - replicò il Rondoneche aveva veramente un grande cuore- gli porterò un altro rubino?" "Ehnon ho più rubini ora - sospirò il Principei miei occhi sono tutto quello che mi resta. Sono fatti di rari zaffirie vennero portati dall'India mille anni fa. Strappamene uno e portaglielo. Lo venderà a un gioiellieree comprerà cibo e legna da arderecosì finirà il lavoro". "Caro Principe - disse il Rondone- non posso farlo" e cominciò a piangere.

"Rondinerondinerondinella - insistette il Principe- fai come ti dico".

Così il Rondone strappò l'occhio del Principee volò via verso la soffitta dove abitava il giovane scrittore.

Fu abbastanza facile entraredato che c'era un buco nel tetto.

Il giovane teneva la testa fra le maniperciò non sentì il battito delle ali dell'uccelloe quando alzò gli occhi trovò il bellissimo zaffiro tra le violette bianche e rosse.

"Sto cominciando ad essere apprezzato esclamò- questo è da parte di un grande ammiratore. Ora io posso finire il mio lavoro" e nel suo sguardo passò finalmente la felicità.

Il giorno seguente il Rondone volò sul porto. Si posò sull'albero maestro di un grande vascello e guardò i marinai che trasportavano grandi casse fuori dalla stiva per mezzo di corde di canapa.

"Ohissa!" urlavano appena una cassa veniva su.

"Sto andando in Egitto" gridò il Rondonema nessuno lo capìequando la luna spuntòvolò dal Principe Felice.

"Sono venuto a salutarti" gli disse.

"Rondinerondinerondinella - supplicò il Principe- starai con me ancora una notte?" "E' inverno - rispose il Rondone- e la fredda neve scenderà ben presto. In Egitto il sole è caldo sui palmeti verdie il coccodrillo si allunga pigramente nella palude. Le mie compagne stanno costruendo un nido nel Tempio di Baalbece le colombe rosa e bianche stanno guardandoli e tubano fra loro.

Caro Principeio devo lasciartima non ti dimenticheròe la prossima primavera ti porterò due bellissimi gioielli in cambio di quelli che hai ceduto. Il rubino sarà più rosso di una rosa rossae lo zaffiro sarà blu come il grande mare".

"Nella piazza giù in basso - lo interruppe il Principe Felice- c'è una piccola fiammiferaia . Ha lasciato cadere i fiammiferi nel fangoe sono tutti rovinati. Suo padre la picchierà se lei non porterà a casa un po' di denaroe per questo sta piangendo. Non ha scarpe né calzee la sua testolina è scoperta. Strappami l'altro occhioe daglielocosì suo padre non la picchierà".

"Starò con te un'altra notte - sospirò il Rondone- ma non posso strapparti un altro occhio. Diventeresti cieco".

"Rondinerondinerondinella - disse il Principe- fai come ti dico".

Così il Rondone strappò l'altro occhio al Principe.

Poi passòvolando impetuosovicino alla fiammiferaiae fece scivolare il gioiello nel palmo della sua mano.

"Che splendido pezzo di vetro" esclamò la ragazzina; e corse a casa ridendo.

Quindi il Rondone tornò dal Principe.

"Ora sei cieco - gli disse- starò con te per sempre".

"NoRondinella - disse il povero Principe- devi volare in Egitto".

"Starò con te per sempre" insisté il Rondonee dormì ai piedi del Principe.

Tutti i giorni che seguirono il Rondone si sedette sulla spalla del Principe e gli raccontò quello che aveva visto di strano nelle terre dove era stato. Gli parlò degli ibis rossiche stavano in lunghe file sulle rive del Nilotrasportando pesci rossi nel becco; della Sfingeche è vecchia come il mondoe vive nel desertoe conosce ogni cosa; dei mercantiche camminano lentamente al fianco dei loro cammelliportando rosari d'ambra nella mano; del re della Montagna della Lunache è nero come l'ebanoe adora una grossa sfera di cristallo; e del grande serpente verde che dorme tra le palmee ha venti preti che lo nutrono di torte al miele; e dei Pigmei che navigano su un grande lago a bordo di una vasta foglia piattae sono sempre in guerra con le farfalle.

"Caro Rondone - disse il Principe- tu hai visto cose meravigliosema più meravigliosa di tutto è la sofferenza di un uomo e di una donna. Non c'è mistero tanto grande quanto la miseria. Vola sulla mia cittàpiccola Rondinee dimmi cosa vedi laggiù".

Così il Rondone volò sulla grande città e vide i ricchi che si divertivano nelle loro bellissime casementre i mendicanti chiedevano l'elemosina davanti ai loro portoni. Volò sui vicoli bui e vide la faccia smunta dei bambini affamati che osservavano tristemente la strada desolata. Sotto l'arco del ponte due ragazzini stavano distesi l'uno nelle braccia dell'altro nel tentativo di difendersi dal freddo.

"Che fame!" si lamentavano di tanto in tanto.

"Non potete stare qui" gridò loro la guardiae i due se ne andaronovagabondi sotto la pioggia.

Allora il Rondone tornò indietro per raccontare al Principe quello che aveva visto.

"Io sono coperto di oro prezioso - disse il Principe- prendilofoglia per fogliae portalo ai poveri; gli uomini sono sempre convinti che l'oro dia la felicità".

Il Rondone staccò foglia dopo foglia l'oro del quale era rivestito il Principefino a che egli non apparve del tutto scuro e grigio.

Foglia dopo foglia l'oro preziosissimo venne portato ai poverie la faccia dei bambini si fece coloritae iniziarono a ridere e a giocare nella strada.

"Ora abbiamo il pane!" gridarono.

Poi allora scese la nevee dopo la neve arrivò il gelo. Le strade sembrava fossero fatte d'argento tanto erano cristalline e luccicanti; lunghi ghiaccioli pendevano dalle grondaie delle casele persone indossavano le pelliccee i bambini portavano berretti scarlatti e pattinavano sul ghiaccio.

Il povero Rondone sentiva sempre più freddoma non avrebbe mai lasciato il Principelo amava troppo. Beccò un po' di mollica davanti al negozio del panettiere senza essere vistoe tentò di mantenersi al caldo battendo continuamente le ali.

Ma infine capì che la morte si stava avvicinando.

Gli restò la forza per andare una volta ancora sulla spalla del Principe.

"Arrivedercicaro Principe! - mormorò. - Permettete che vi baci la mano?" "Sono felice che tu stia partendo per l'Egitto disse il Principe- sei rimasto troppo a lungo con me; ma vorrei che tu mi baciassi sulle labbraperché io ti amo".

"Non è in Egitto che sto andando - disse il Rondone- sto per entrare nella Casa della Morte. La Morte è la sorella del Sonnonon è vero?" Baciò il Principe Felice sulle labbrae cadde al suolo morto.

In quel momento uno strano scricchiolio si sentì arrivare da dentro la statuacome se qualcosa si fosse rotto. In effetti il cuore di piombo si era spezzato proprio in due.

Certamente era stato il gelo.

La mattina dopodi buon'orail Sindaco si trovò a passeggiare nella piazzasotto la statuaaccompagnato dal Consigliere della Torre. Quando passarono davanti alla colonna guardarono in su e il primo disse:

"Cielo! Com'è malvestito il Principe Felice!".

"Che aspetto miserabile!" replicò il secondoche era sempre d'accordo con il Sindaco; e salirono sul piedistallo per controllare meglio.

"Il rubino è caduto dalla spadail Principe non ha più gli occhi e non è più ricoperto d'oro - esclamò il Sindaco- è poco meglio di un mendicante!" "Un po' meglio di un mendicante" ribadì il Consigliere della Torre.

"E c'è anche un uccello morto ai suoi piedi! continuò il Sindaco.

- Dobbiamo dichiarare pubblicamente che all'uccello non era stato accordato il permesso di morire qui".

E il Segretario Comunale redasse un bando.

Quindi la statua del Principe Felice venne abbattuta.

"Poiché non è più bella a vedersinon è più nemmeno utile" disse il Professore d'Arte dell'Università.

Quindi venne fusa in una fornacee il Sindaco riunì il Consiglio per decidere che cosa si dovesse farne del metallo ottenuto.

"Naturalmentedobbiamo costruire un'altra statua - egli disse- e sarà la mia effigie".

"Nosarà la mia" disse ognuno dei Consiglierie cominciarono tutti a protestare. L'ultima volta che li ho sentiti parlare stavano ancora discutendo a chi andava dedicata la statua.

"Che strana cosa! - disse il capo fabbrica agli operai della fonderia. - Questo cuore di piombo spezzato non riesce a fondersi.

Dovremo gettarlo via".

Così egli lo buttò tra i rifiutiproprio dove giaceva anche il Rondone morto.

"Portami le due cose più preziose che ci sono nella città" disse Dio ad uno dei suoi Angeli; e l'Angelo gli portò il cuore di piombo e l'uccello morto.

"Hai scelto bene - disselodandoloDio- perché nel mio giardino in Paradiso questo uccellino canterà per sempree nella mia città d'oro il Principe Felice sarà il simbolo della mia gloria".

 

 

 

L'USIGNOLO E LA ROSA

 

"Ha detto che ballerà con me se le porto rose rosse esclamò il giovane Studente- ma in tutto il mio giardino non c'è nemmeno una rosa rossa".

Dal suo nido nel folto della Quercia l'Usignolo lo sentì e guardò attraverso le foglie e si stupì.

"Nemmeno una rosa rossa nel mio giardino! - ripeté e i suoi begli occhi si riempirono di lacrime. - Oh! Da che misere cose dipende la felicità! Ho letto tutto quello che i saggi hanno scrittoe possiedo ogni segreto della Filosofia; ma orapoiché mi manca una rosa rossala mia vita è rovinata." "Eccodunqueun vero innamorato! - disse l'Usignolo. - Notte dopo notte ho cantato per luianche se non lo conoscevo: notte dopo notte ho raccontato la sua storia alle stelle efinalmentelo vedo. I suoi capelli sono scuri come il bulbo del giacintoe le sue labbra sono rosse come la rosa che bramerebbe avere; ma la passione ha reso il suo viso pallido come avorio e il dolore ha impresso il suo sigillo sulla sua fronte".

"Il Principe darà un ballo domani sera - mormorò il giovane Studente- e il mio amore ci andrà. Se le porterò una rosa rossalei danzerà con me fino all'alba. Se le porterò una rosa rossala potrò tenere tra le mie braccia e lei appoggerà il suo capo sulla mia spalla e la sua mano stringerà la mia. Ma non c'è nemmeno una rosa rossa nel mio giardinocosicché io siederò da solo e lei mi passerà vicino. Non si curerà di me e il mio cuore sarà spezzato".

"Eccodunqueun vero innamorato! - disse l'Usignolo. - Per ciò di cui io cantolui soffre: ciò che è gioia per meper lui è sofferenza. Certamente l'amore è una cosa meravigliosa. E' più prezioso di uno smeraldo e più raro del più splendido opale. Le perle e i granati non riescono a comprarloe nemmeno si riesce a trovarlo al mercato. Non può essere acquistato dai mercantiné può essere pesato su un bilancino per l'oro".

"L'orchestra siederà sul palco - disse il giovane Studente- e suoneràe il mio amore ballerà al ritmo dell'arpa e del violino.

Danzerà con leggerezzasenza nemmeno toccare il pavimento e i cortigiani si affolleranno nei loro vestiti variopinti attorno a lei. Ma con me non ballerà: non ho una rosa rossa da donarle".

Detto questo si gettò sull'erba e si coprì il volto con le mani e pianse.

"Perché sta piangendo?" chiese una piccola Lucertola verdecorrendo accanto a lui agitando la coda in aria.

"Perchéinsomma?" chiese una Farfallamentre volava in un raggio di sole.

"Perchéinsomma?" sussurrò una Margherita alla sua vicina con voce bassa e sottile.

"Sta piangendo per una rosa rossa" rispose l'Usignolo.

"Per una rosa rossa! - esclamarono. - Che cosa ridicola!" E la piccola Lucertoladavvero cinicagli rise in faccia.

Ma l'Usignolo capì il segreto dispiacere dello Studente e rimase silenziosoappollaiato su un ramo della Querciapensando al mistero dell'Amore.

Improvvisamenteaprì le sue ali marroni e si librò nell'aria.

Passò attraverso il boschetto come un'ombrae come un'ombra volò attraverso il giardino.

Al centro di un'aiuola cresceva un bellissimo Cespuglio di rosee quando lo vide gli volò sopraposandosi su di un piccolo ramo.

"Dammi una rosa rossa - esclamò- e ti canterò la mia canzone più dolce".

Ma il Cespuglio scrollò il capo.

"Le mie rose sono bianche - rispose- bianche come la schiuma del maree più bianche della neve sulle montagne. Ma vai da mio fratello che cresce vicino alla vecchia meridianae forse lui ti darà quello che desideri".

Così l'Usignolo volò sopra il Cespuglio di rose che cresceva vicino alla vecchia meridiana.

"Dammi una rosa rossa - esclamò- e ti canterò la mia canzone più dolce".

Ma il Cespuglio scosse la testa.

"Le mie rose sono gialle - rispose- gialle come il capelli della ninfa marina che siede vicino al trono d'ambrae più gialle dell'asfodelo che spunta nel prato prima che il giardiniere giunga con la sua falce. Ma vai da mio fratello che cresce vicino alla finestra dello Studentee forse lui ti darà quello che desideri".

Così l'Usignolo volò sopra il Cespuglio di rose che cresceva vicino alla finestra dello studente.

"Dammi una rosa rossa - esclamò- e ti canterò la mia canzone più dolce".

Ma il Cespuglio scosse la testa.

"Le mie rose sono rosse - rispose- rosse come le zampe della colomba e più rosse dei grandi ventagli di corallo che ondeggiano nelle caverne dell'oceano. Ma l'inverno ha gelato le mie venee il gelo ha fatto cadere i miei germoglie la tempesta ha spezzato i miei ramie io non avrò più rose per quest'anno".

"Una sola rosa rossa mi basta - insistette l'Usignolo- solo una rosa rossa! Non c'è nessun modo per averla?" "C'è un modo - disse il Cespuglio- ma è così terribile che non oso parlartene..." "Dimmelo - replicò l'Usignolo- non ho paura!" "Se vuoi una rosa rossa - proseguì il Cespugliodevi costruirtela con il tuo canto alla luce della Lunae colorarla col sangue del tuo cuore. Devi cantare per me con il petto squarciato da una spina. Devi cantare tutta la notte e la spina deve straziare il tuo cuore e il tuo sangueil tuo fluido vitaledeve scorrere nelle mie venediventando il mio".

"La morte è un caro prezzo da pagare per una rosa rossa - si lamentò l'Usignolo- e la Vita è cara a tutti. E' bello stare nel folto degli alberi e seguire il corso del Sole sul suo carro dorato e della Luna sul suo cocchio di perle. Dolce è il profumo del biancospino e dolci sono le campanule che si nascondono nella valle e l'erica che cresce sulla collina. Però l'Amore è più bello della Vitae cos'è il cuore di un piccolo uccellino paragonato al cuore di un uomo?" Così l'usignolo distese le sue alucce marroni per il volo e s'innalzò in aria. Passò il giardino sfiorandolo come un'ombra e come un'ombra volò dentro il folto del boschetto.

Il giovane Studente stava ancora disteso sull'erbacome lo aveva lasciatoe le lacrime non si erano ancora asciugate nei suoi splendidi occhi.

"Stai allegro - disse l'Usignolo- stai allegro: avrai la tua rosa rossa. Te la costruirò con il mio canto alla luce della Luna e la colorerò con il sangue del mio cuore. Tutto quello che ti chiedo in cambio è che tu sia un buon innamorato poiché l'Amore è più saggio della Filosofiabenché essa sia saggia e più forte della stessa Forzala quale è tuttavia potente. Le ali dell'Amore sono colore di fiamma e colore di fiamma è il suo corpo. Le sue labbra sono dolci come il miele e il suo alito è profumato come l'incenso".

Lo Studente alzò la testa dall'erba per ascoltarema non poté capire quello che l'Usignolo gli stava dicendo dato che conosceva solo le cose che sono scritte nei libri.

Ma la Quercia comprese e si sentì tristeperché che amava molto il piccolo Usignolo che aveva costruito il suo nido nel folto dei suoi rami.

"Cantami un'ultima canzone - sussurrò- mi sentirò molto triste quando tu non ci sarai più".

Così l'Usignolo cantò per la Quercia e la voce gli uscì dalla gola come acqua che sgorga da un vaso d'argento.

Quando concluse il suo canto lo Studente si alzò e tirò fuori di tasca un quaderno e una matita.

"E' bella - disse a se stessomentre usciva dal folto del boschetto - e questo non si può negarlo; ma avrà del sentimento?

Ho paura di no. In effetti è come la maggior parte degli artisti:

è solo apparenzaapparenza senza sincerità. Non si sacrificherebbe per gli altri. Lei pensa solo alla musica e tutti sanno che le arti sono egoiste. Però bisogna ammettere che ha una bella voce. Che peccato che tutto questo non significhi niente ocomunquenon porti nessun beneficio pratico". Si diressedunqueverso la sua stanza. Si gettò sul suo lettuccio e cominciò a pensare al suo amore; dopo poco si addormentò.

E quando la Luna iniziò a splendere in cielol'Usignolo volò dal Cespuglio di rose e gettò il suo petto contro una spina. Tutta la notte cantò con il petto contro la spina e la freddapallida Luna si sporse ad ascoltare il suo canto. Tutta la notte cantòe la spina penetrò sempre più profondamente nel suo pettoe il suo sangueil suo fluido vitalefuggì da lui.

Dapprima cantò della nascita dell'Amore nel cuore di un ragazzo e una ragazza. E sul ramo più alto del Cespuglio di rose spuntò un fiore meravigliosopetalo dopo petaloman mano che una canzone seguiva l'altra. Era pallidoall'iniziocome la bruma che cala sulla riva del fiume nel primo mattinoe colore dell'argentocome le ali dell'aurora. Come l'ombra di una rosa in uno specchio d'argentocome l'ombra di una rosa in uno stagnocosì si colorò il fiore che cresceva sul ramo più alto del Cespuglio.

Ma il Cespuglio disse all'Usignolo di premere più forte contro la spina che gli trafiggeva il petto. "Premi più fortepiccolo Usignolo! - incitò il Cespuglio. - O il Giorno si alzerà prima che la Rosa sia spuntata".

Così l'usignolo premette più forte e sempre più alta salì la sua canzone mentre cantava della nascita della passione nell'animo di un uomo e una donna.

E un delicato flusso di colore tinse i petali del fioresimile al rossore che coglie il volto del fidanzato mentre bacia la sua promessa. Ma la spina non aveva ancora raggiunto il suo cuore e per questo motivo il centro dei petali rimaneva bianco: solo il sangue del cuore di un Usignolo può arrossare il cuore di una rosa.

E ancora il Cespuglio disse all'Usignolo di premere più forte contro la spina. "Premi più fortepiccolo Usignolo! - incitò il Cespuglio. - O il Giorno si alzerà prima che la Rosa sia spuntata".

Così l'usignolo premette più forte e la spina trafisse il suo cuore: sentì una fitta dolorosa. Amaroamaro fu il dolore e la sua canzone salì sempre più forte: cantava dell'Amore che è reso perfetto dalla Mortedell'Amore che non può morire in una tomba.

E la meravigliosa rosa divenne cremisiil colore del cielo ad oriente. Cremisi la ghirlanda dei petali e rosso rubino il cuore del fiore.

Ma la voce dell'Usignolo divenne più debole e le sue piccole ali cominciarono a sbattere: un velo gli annebbiò la vista. Sempre più debole saliva la sua canzone e cominciò a sentire qualcosa che gli soffocava la voce in gola.

Quindi cantò un'ultima volta. La Luna bianca l'ascoltò e si dimenticò dell'alba incombenteindugiando in cielo. La rosa rossa l'ascoltò e fu scossa da una specie di estasiaprendo i suoi petali alla fresca brezza del mattino. L'eco portò il suo canto alla sua caverna purpurea sulle colline e svegliò i pastori dai loro sogni. Il suo canto galleggiò attraverso i canneti del fiume e arrivò fino al mare.

"Guardaguarda! - esclamò il Cespuglio. - La rosa ora è spuntata".

Ma l'Usignolo non rispose perché giaceva morto nell'erba altacon una spina piantata nel petto.

E a mezzogiorno lo Studente aprì la sua finestra e guardò fuori.

"Che fortuna incredibile! - esclamò. - Ecco una rosa rossa! Non ne ho mai vista una uguale in tutta la mia vita. E' così bella che sono sicuro che deve avere un lungo nome latino". Si sporse e la colse.

Si mise quindi il cappello e andò alla casa del Professore con la rosa in una mano.

La Figlia del Professore era seduta sulla soglia di casa ed era intenta a dipanare dall'arcolaio una matassa di seta azzurra. Il suo cagnolino era accoccolato ai suoi piedi.

"Hai detto che avresti danzato con me se ti avessi portato una rosa rossa - cominciò lo Studente. - Eccoti la rosa più rossa del mondo. L'appunterai vicino al tuo cuore stasera e mentre balleremo ti dirà quanto ti amo".

Ma la ragazza aggrottò le ciglia.

"Ho paura che non si adatti al mio vestito rispose- einoltre il Nipote del Ciambellano mi ha mandato dei veri gioielli e tutti sanno che i gioielli valgono molto di più dei fiori".

"Ebbeneparola miasei proprio ingrata" replicò lo Studente arrabbiatogettando la rosa in strada. Il fiore cadde in un rigagnolo e la ruota di un carro la schiacciò.

"Maleducato! - esclamò la ragazza. - Sei proprio maleducato. E dopo tutto chi sei? Solo uno Studente. In verità non credo nemmeno tu abbia fibbie d'argento alle scarpe come il Nipote del Ciambellano." Detto cosìsi alzò e rientrò in casa.

"Che cosa sciocca è l'Amore! - esclamò lo Studente. Non vale la metà della Logica: non dimostra nientefa sperare in eventi che non succedono mai e fa credere cose che non sono vere. In effetti è poco utilementre in quest'epoca tutto deve essere utile.

Tornerò alla Filosofia e studierò la Metafisica".

Così egli ritornò alla sua stanzatirò fuori un vecchio libro polveroso e si mise a leggerlo.

 

  

  

IL GIGANTE EGOISTA

 

Ogni pomeriggioappena uscivano dalla scuolai bambini avevano l'abitudine di andare a giocare nel giardino del Gigante.

Era un grazioso e vasto giardinocon erba soffice e verde. Qua e là sull'erba c'erano bellissimi fiori che sembravano stellee dodici alberi di pesco che in primavera fiorivano di bianco e rosae in estate davano frutti succosi. Gli uccelli si posavano sugli alberi e cantavano così dolcemente che i bambini interrompevano i loro giochi per ascoltarli.

"Come siamo felici qui!" gridarono gli uni agli altri.

Un giorno il Gigante tornò. Era stato a visitare suo fratellol'Orco di Cornovagliae si era trattenuto con lui per sette anni.

Dopo sette anni aveva detto tutto quanto aveva da dire e si era deciso a ritornare nel suo castello. Quando arrivòvide i bambini che giocavano nel giardino.

"Che cosa state facendo laggiù?" gridò con voce burberae i bambini scapparono via.

"Il mio giardino è mio! - proclamò il Gigante. - Chiunque può capirloe non permetterò a nessun altro di giocarci". Così vi costruì un alto muro tutt'intornoe mise un cartello:

VIETATO L'INGRESSO

I TRASGRESSORI SARANNO PERSEGUITI A TERMINI DI LEGGE

Era veramente egoista quel Gigante.

I poveri bambini ora non avevano un posto dove giocare. Provarono a giocare sulla stradama la strada era veramente sporca e piena di polvere e sassi acuminatie a loro non piaceva. Erano soliti gironzolare intorno alle mura invalicabili dopo l'orario di lezioneparlando tra loro dello stupendo giardino all'interno.

"Come eravamo felici lì!" si dicevano.

Poi arrivò la Primaverae in tutto il paese spuntarono deliziosi fiorellini sui quali svolazzavano gli uccellini novelli. Soltanto nel giardino del Gigante Egoista era ancora inverno. Gli uccelli non si preoccupavano di cantare perché non c'erano i bambinie gli alberi si dimenticarono di fiorire. Un solo bellissimo fiore mise la sua testolina fuori dall'erbama quando vide il cartello fu così dispiaciuto per i bambini che si infilò nuovamente nella terrae ritornò a dormire. I soli contenti furono la Neve e il Gelo.

"La Primavera ha dimenticato questo giardino esclamarono- cosicché noi potremo viverci tutto l'anno".

La Neve coprì l'erba con il suo grande mantello biancoe il Gelo dipinse d'argento tutti gli alberi. Quindi invitarono il Vento del Nord a stare con loroed egli venne. Era avvolto in una pellicciae ruggì dal mattino alla sera nel giardinoe abbatté i comignoli.

"Questo è un posto piacevolissimo - disse- dobbiamo invitare la Grandine".

E la Grandine arrivò. Ogni giorno per tre ore questa crepitò sul tetto del castello finché non ebbe rotto la maggior parte delle tegolee allora si mise a correre senza mai fermarsi intorno al giardinopiù forte che poteva. Era vestita di grigioe il suo alito era di ghiaccio.

"Non capisco proprio come mai la Primavera tardi così tanto ad arrivare - disse il Gigante Egoista guardando dalla finestra il suo giardino freddo e coperto di neve- spero che il tempo possa cambiare presto".

Ma la Primavera non arrivòe nemmeno l'Estate.

L'Autunno portò frutti dorati in tutti i giardini ma non in quello del Gigante.

"E' troppo egoista" disse l'Autunno. Così là era sempre Invernoe il Vento del Nordla Grandineil Gelola Neve danzavano qua e là fra gli alberi.

Una mattina il Gigante stava disteso nel suo lettosveglioquando sentì una musica dolcissima. Gli sembrò così dolce che pensò dovessero essere i musicanti che passavano. In realtà era soltanto un piccolo fanello che cantava davanti alla finestrama era da tanto tempo che non sentiva cantare un uccello nel suo giardinoche quella gli sembrò la musica più soave del mondo.

Allora la Grandine smise di ballargli sulla testae il Vento del Nord cessò di ruggiree un delizioso profumo entrò attraverso i battenti aperti.

"Credo che sia veramente arrivata la Primavera" disse il Gigante; e saltò giù dal letto per guardar fuori.

Che cosa vide?

Vide una scena stupenda. Da un piccolo buco nel muro i bambini si erano insinuati nel giardinoe stavano seduti sui rami degli alberi. Su ogni albero che poteva vedere c'era un bambino. E gli alberi erano così felici di avere di nuovo i bambini con loroche si ricoprirono di germoglie agitavano delicatamente i rami sulla testa dei bambini. Gli uccelli stavano volando qua e là cinguettando allegramentee i fiori occhieggiavano tra l'erba verde e ridevano. Era una scena deliziosa: solo in un angolo era ancora inverno. Era l'angolo più lontano del giardino e lì un bambino stava dritto in piedi. Era così piccolo che non riusciva a raggiungere i rami degli alberie vi girava tutt'intornopiangendo amaramente.

Il povero albero era ancora coperto di neve e geloe il Vento del Nord soffiava e ruggiva tutt'intorno.

"Salibambino!" disse l'alberoe piegò i rami più che poté; ma il ragazzo era troppo piccolo.

E il cuore del Gigante a quella vista si squagliò immediatamente.

"Come sono stato egoista! - esclamò. - Ora so perché la Primavera tardava a venire. Metterò quel povero bambino in cima all'alberoe destinerò per sempre il mio giardino ai giochi dei bambini".

Era davvero molto dispiaciuto per quello che aveva fatto.

Così scese furtivamente e aprì senza rumore il portone di fronteuscendo dal giardino. Ma quando i bambini lo videro si spaventarono talmente che scapparono viae nel giardino ritornò l'Inverno. Soltanto il bambino più piccolo non fuggì perché aveva gli occhi così pieni di lacrime che non poté vedere il Gigante avvicinarsi. E il Gigante gli si avvicinò da dietrolo prese gentilmente per mano e lo sollevò sull'albero. E l'albero fece immediatamente sbocciare i fiorie gli uccelli si posarono cantando sui ramie il bambino tese le braccia e le gettò al collo del Gigante e lo baciò. E gli altri bambiniquando videro il Gigante che non era più cattivo come un tempotornarono di corsa e con loro tornò la Primavera.

"Bambiniil giardino è vostro ora" disse il Gigantee prese una grande scure e abbatté il muro. E alle dodiciquando la gente uscì per andare al mercatotrovò il Gigante che giocava con i bambini nel giardino più bello che avessero mai visto.

Tutto il giorno giocarono e la sera tornarono dal Gigante a salutarlo.

"Ma dov'è il vostro piccolo compagno? - domandò. - Il bambino che ho messo sull'albero". Il Gigante lo amava più di tutti gli altri perché era stato lui a baciarlo.

"Non lo sappiamo - risposero i bambini- è andato via".

"Dovete dirgli di stare tranquillo e di venire domani" disse il Gigante. Ma i bambini risposero che non sapevano dove abitavae che non l'avevano mai visto prima di allora; e il Gigante si sentì molto triste.

Tutti i pomeriggiquando la scuola terminavai bambini venivano a giocare con il Gigante. Ma il bambino che il Gigante amava non si fece mai più vedere. Il Gigante era gentilissimo con tutti i bambinieppure quel suo piccolo primo amico gli mancava moltissimoe chiedeva spesso sue notizie.

"Come vorrei vederlo ancora!" era solito ripetere.

Passarono gli annie il Gigante divenne molto vecchio e debole.

Non poteva più partecipare ai giochicosìseduto su una grande poltronasi limitava ad osservarli e ad ammirare il giardino.

"Ho tanti fiori bellissimi ma i fiori più belli di tutti sono i bambini" esclamava ogni tanto.

Una mattina d'inverno guardò fuori dalla finestra mentre si vestiva. Ora non odiava più l'Invernoperché sapeva che era semplicemente la Primavera addormentatae sapeva che i fiori si stavano solo riposando.

Improvvisamente si strofinò gli occhi e guardò con meraviglia. Era certamente una visione incredibile. Nell'angolo più nascosto del giardino c'era un albero completamente coperto di fiori bianchi. I suoi ramidai quali pendevano frutti d'argentoerano interamente d'oroe sotto c'era il bambino che il Gigante aveva amato.

Il Gigante corse al piano inferiorecon il cuore colmo di gioiae uscì in giardino.

Attraversò velocemente il prato e si diresse verso il bambino.

Quando arrivò vicino al suo visosi fece rosso dall'irae chiese:

"Chi ha osato ferirti?".

Sulle palme delle mani del bambino c'erano i segni di due chiodie i segni di due chiodi erano anche sui suoi piedini.

"Chi ha osato ferirti? - gridò il Gigante. - Dimmelo affinché io possa prendere la mia grande spada e ucciderlo".

"No! - rispose il bambino. - Queste sono le ferite dell'Amore".

"Chi sei tu?" domandò il Gigantementre uno strano timore lo prendevae si inginocchiò davanti al bambinetto.

Il bambino sorrise al Gigante e gli disse:

"Tu una volta mi hai permesso di giocare nel tuo giardinooggi verrai con me nel mio giardinoche è il Paradiso".

E quando i bambiniquel pomeriggiovennero a giocare trovarono il Gigante che giaceva morto sotto l'alberotutto coperto di fiori bianchi.




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