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MarkTwain



UNAMERICANO
ALLA CORTEDI RE ARTU'

 

 

 

 

Capitolo1


UNOSTRANO INCONTRO


Funel Castello di Warwick che incontrai quello strano forestiero di cuisto per parlarvi. Fui attratto da tre cose in lui: la sua candidasemplicitàla sua meravigliosa conoscenza delle armatureantiche e la sua riposante compagniadato che parlava solo lui.

Ciincontrammo nella coda del gruppo che visitava il castelloe luicominciò subito a dire cose che destarono il mio interesse.

Mentreparlava in tono sommesso e piacevolesenza mai interrompersisembrava che si allontanasse pian piano da questo mondo e da questitempi e si addentrasse in un'epoca remota e in un antico paesedimenticatoe a poco a poco mi avvolse in un'atmosfera cosìincantata che mi pareva di muovermi tra gli spettri e le ombre.Proprio come io potrei parlare dei miei più intimi amici onemicio dei vicini che conosco megliocosì lui parlava diser Bedivereser Bors de Ganisser Lancillotto del LagoserGalahade tutti gli altri grandi nomi della Tavola Rotonda. Oh! comediventava vecchiovecchioindicibilmente vecchiosbiaditoseccopolveroso e antico il suo aspetto a mano a mano che raccontava! Ad uncerto punto si volse verso di me e dissecome se parlasse del tempoo di qualunque altra faccenda quotidiana:

-Lei ha sentito parlare della trasmigrazione delle animema che cosasa della trasposizione di epoche e di corpi?

Dissiche non ne sapevo niente. Ma a lui importava così poco propriocome quando si parla del tempo - che non si accorse se gli avevorisposto o no. Ci fu un mezzo istante di silenziosubito interrottodalla voce ronzante della guida stipendiata:

-Antico usbergodatato al sesto secoloepoca del re Artù edella Tavola Rotondaritenuto proprietà del cavaliere serSagramor il Desideroso. Osservino il foro circolare nella magliametallica sul petto a sinistra. Non esistono spiegazioni: si supponesia stato fatto da un proiettile dopo l'invenzione delle armi dafuocoforse dai soldati di Cromwell.

Ilmio compagno sorrise - non di un sorriso modernoma di uno chedoveva esser caduto in disuso molti molti secoli prima - e mormoròapparentemente tra sé e sé:

-Noti beneio l'ho visto fare -. Poidopo un pausaaggiunse:- L'hofatto io stesso.

Primache io potessi riavermi dalla sorpresa e dalla scossa provocata dallesue paroleera sparito.

Passaitutta la serata seduto vicino al mio caminetto nella locanda WarwickArmsimmerso in un sogno dei tempi antichimentre la pioggiabatteva sui vetri e il vento infuriava. Di tanto in tanto mi tuffavoin quell'incantevole libro del vecchio sir Thomas Malorymi nutrivoal suo ricco banchetto di prodigi e di avventuree poi di nuovosognavo.

Mentreposavo il libroqualcuno bussò alla porta e lo stranoforestiero entrò. Gli offrii una pipauna poltrona ed unacordiale accoglienza. Lo confortai anche con un bel whisky scozzesebollentegliene diedi un altro e poi un altrosempre sperando disentire la sua storia. Dopo un quarto bicchierino persuasivoluistesso si mise a raccontarla con semplicità e naturalezza.




Capitolo2


LASTORIA DEL FORESTIERO


"Sonoamericano. Nato e allevato a Hartfordnello stato del Connecticutin campagna. Perciò sono proprio uno yankee. Mio padre erafabbro ferraiomio zio era dottore di cavallied io ero tutti edueall'inizio almeno. Poi mi trasferii alla grande fabbrica di armie imparai il mio vero mestiere. Imparai a costruire tutto: fucilirivoltellecannonicaldaiemotoritutti i tipi di macchine chesostituiscono lavori a mano.

Perbaccoero capace di costruire qualsiasi cosa uno volessee se non c'eranessun rapido sistema moderno per farlalo inventavo io. Diventaisovrintendente capo: avevo due migliaia di uomini sotto di me.

Be'un uomo così è un uomo pieno di spirito battaglieroquesto va da sé. Con due migliaia di omacci rozzi dasorvegliarec'è di che divertirsi a muovere le mani. Almenoper quanto mi riguarda.

Allafine incontrai qualcuno del mio stampo e ricevetti una bella lezione.Accadde durante una discussione a colpi di sbarra con un tipo cheavevamo soprannominato Ercole. Mi stese a terra con una botta intesta che mi fece scricchiolare tutto e sembrò far saltareogni giuntura del mio cranio e mandarla ad accavallarsi sull'ossoaccanto. A quel punto il mondo sparì in un gran buio ed io nonsentii più niente e non capii più nientealmeno per unbel po'.

Quandorinvenni stavo seduto sotto una querciasull'erba. Il panorama dellacampagna circostante era magnifico e sembrava tutto per meo quasi.Più in làinfattic'era un tipo a cavallo che miguardava dall'alto in basso: pareva uscito fresco fresco da un libroillustrato. Indossava un'armatura di ferro dei tempi antichicompleta da capo a piedicon un elmo in testa a forma di barilottofornito di fessure; aveva uno scudouna spada e una lanciaprodigiosaanche il cavallo aveva un'armatura indosso e un cornod'acciaio sporgente sulla fronte. Una stupenda gualdrappa di setarossa e verde gli pendeva tutt'intorno come una trapuntafino quasia toccar terra.

-Mio bel messerevolete giostrare? - disse il tipo.

-Voglio che?

-Volete affrontarmi in singolar tenzone a conquista di una terraouna damao...

-Ma per chi mi prendi? - gli dissi - Fila viatorna al tuo circooti faccio arrestare.

Macosa feceal contrariocostui? Si tirò indietro di qualchecentinaio di metri e si precipitò contro di me alla massimavelocitàcon la sua testa a barilotto piegata giù finoa toccare quasi il collo del cavallo e la sua lunga lancia puntatadritta in avanti. Mi accorsi che faceva sul serio ed ero in cimaall'albero quando lui ci arrivò.

Egliasserì che io ero sua proprietàprigioniero della sualancia. Aveva una certa ragionetutto sommatoperciògiudicai opportuno assecondarlo. Fissammo un accordo per cui iol'avrei seguitoma lui non mi avrebbe fatto del male. Scesidall'albero e ci avviammolui a cavallo e io a fianco. Continuammo amarciare tranquillamente per boschetti e ruscelli che io nonricordavo di aver visto prima - il che mi confondeva e mi stupiva - etuttavia non arrivavamo a nessun circo o qualcosa del genere. Allorarinunciai all'idea del circo e dedussi che costui proveniva da unmanicomio. Ma non giungemmo a nessun manicomio: ero propriodisorientatoa dirla in poche parole. Gli domandai quanto distavamoda Hartford. Mi disse che non aveva mai sentito nominare quel posto.Io lo giudicai un bugiardoma lasciai perdere.

Finalmentedopo un'ora avvistammo in lontananza una città addormentata inuna valle lungo un fiume serpeggiante; ed al di là di questasulla collinaun'enorme fortezza grigia con torri e torrettelaprima che io avessi mai vistoeccetto che nei quadri.

-Bridgeport? - domandai - indicandola col dito.

-Camelot - mi rispose." Arrivato a questo punto del racconto ilforestiero cominciò a dar segni di sonnolenza. Quando sisorprese a ciondolare la testasorrise di uno di quei suoi sorrisipatetici e antichi e disse:

-Vedo che non ce la faccio; ma venga con meho tutta la storiascritta e lei può leggerlase vuole. Giunti in camera sua midisse:

-Dapprima tenevo un diariopoi dopo anni ed anni lo trasformai in unlibro. Ohquanto tempo fa! - Mi tese il manoscritto e indicòil punto dove dovevo cominciare:

-Cominci quiquello che successe prima gliel'ho giàraccontato.

Stavaormai sprofondando in un gran sopore. Mentre uscivolo sentiimormorare semiaddormentato:

-Buon riposo a voibel messere.

Misedetti accanto al caminetto ed esaminai il mio tesoro. Era unapergamena ingiallita dal tempo. Ne osservai una paginainparticolaree vidi che si trattava di un palinsesto. Sotto lavecchia scrittura sbiadita dello storico del Connecticut apparivanotracce di un lavoro a penna che era ancora più antico e piùsbiaditoparole e frasi latine: sicuramente frammenti di anticheleggende di monaci. Cercai il punto indicato dal forestiero ecominciai a leggere quanto segue.




Capitolo3


CAMELOT


-Camelot... Camelot - ripetei tra me. - Non mi sembra di averlo maisentito nominare prima. Il nome del manicomioprobabilmente.

Eraun dolce riposante paesaggio estivobello come un sogno emalinconico come la domenica. L'aria era piena del profumo dei fioridel ronzar degli insetti e del cinguettio degli uccelli e non c'eranopersonecarrinessun segno di vita. La strada era per lo piùun sentiero serpeggiante segnato da impronte di cavalli e ogni tantoda una tenue traccia di ruote che sembravano avere un copertone largocome una mano.

Benpresto vidi venire verso di noi una bella ragazzina snelladi circadieci annicon una cascata di capelli d'oro che le scendevano per lespalle. Portava in testa una ghirlanda di papaveri rosso fiammalamoda più graziosa che io avessi mai visto. L'uomo del circonon le prestò attenzionenon sembrò nemmeno vederla.In quanto a leiera così poco sorpresa da quel suo fantasticotravestimentocome se fosse abituata a vederne di simili tutti igiorni della sua vita! Veniva avanti indifferentemente come se stessepassando vicino a un paio di mucche; ma quando si accorse di meallora sì vidi un mutamento!

Buttòle braccia in alto e diventò rigida come una statuaspalancòla bocca e sgranò gli occhi pieni di timore. Sembravadiventata il ritratto della curiosità e dello stupore misti apaura. E rimase così incantata a guardare finchégirammo l'angolo del bosco e sparimmo alla sua vista. Che la ragazzafosse rimasta sorpresa nel veder me anziché il mio compagnoera troppo davvero:

nonriuscivo a spiegarmelo. E che considerasse me uno spettacoloquandoera lei a dover essere considerata taleera cosa sorprendente.

Neavevo di che rimuginare per un po'. Continuai a camminare come insogno.

Manmano che ci avvicinavamo alla cittàincominciarono adapparire segni di vita. Ad intervalli passavamo accanto ad unacapanna miserabile con il tetto di pagliacircondata da orti ecampicelli in povero stato di coltivazione. C'era anche della gente:omacci muscolosi con lunghi capelli disordinati che scendevano sullafaccia e li facevano assomigliare ad animali. In genere indossavanocome pure le donneuna rozza tunica di canapa che scendeva fin sottoil ginocchio e dei sandali grossolani; molti avevano un collare diferro. I bambini erano sempre nudima nessuno sembrava accorgersene.Tutta questa gente mi guardava ad occhi spalancatiparlava di mecorreva nelle capanne e spingeva fuori gli altri perchévenissero a guardarmi; ma nessuno fece la minima attenzione al miocompagno eccetto che per salutarlo umilmentesenza ricevere alcunarisposta a questi gesti servili.

Incittà c'erano alcune grandi case di pietra senza finestresparse tra una desolata moltitudine di capanne di paglia; le stradeerano vicoli tortuosi senza selciato; frotte di cani e di bambininudi giocavano al sole creando vita e rumore; porci razzolavanointorno pacificamente.

Benpresto sentimmo in lontananza gli squilli di tromba di una bandamilitare; si avvicinarono sempre più finché comparvealla nostra vista un gruppo di nobili a cavallo. Erano gloriosamenteadorni di elmi piumaticotte luccicantibandiere sventolantiricche giubbegualdrappe e lance dorate. Si fecero stradaaltezzosamentetra la sporcizia e i maialitra i monellacci nudiicani festanti e le squallide capanne e noi li seguimmo.

Percorremmoun sentiero tortuoso e poi un altro e un altro ancorasalendo sempresalendofinché arrivammo sull'altura ventosa dove sorgeval'immenso castello. Ci fu uno scambio di squilli di tromba poi unparlamentare dalle muradove uomini d'arme in usbergo marciavanoavanti e indietroalabarda alla spallasotto bandiere sventolanti.Poi il gran portone fu spalancatoil ponte levatoio abbassato e latesta del gruppo si spinse avanti sotto gli archi tetri. Noiseguendolaci trovammo ben presto in una grande corte lastricatacon torri e torrette che si slanciavano nell'aria azzurra da tutti equattro i lati. Tutt'intorno a noi era un gran smontar di cavallo esalutarsi e far cerimonie e correr di qua e di là e un allegrosfarfallio e mescolarsi di colori: insomma proprio uno spettacolopiacevolepieno di animazionerumore e confusione.




Capitolo4


LACORTE DI RE ARTU'


Appenami fu possibile colsi l'occasione per appartarmi un momento. Toccaisulla spalla un vecchio e gli dissi in tono confidenziale:

-Amico miofammi questa gentilezza. Dimmiappartieni anche tu almanicomioo sei solo qui per fare una visitao qualcosa del genere?

Misquadrò da capo a piedi con un'aria idiotae disse:

-Poffaremio signoreinvero mi parrebbe.

-Graziemi basta. Direi che sei anche tu un paziente.

Miallontanai pensierosoma al tempo stesso attento ad individuare trai passanti qualcuno che sembrasse veramente in sé e chepotesse darmi delle spiegazioni. Ben presto giudicai di avernetrovato unoperciò lo tirai da parte e gli dissiall'orecchio:

-Se potessi vedere il sorvegliante capo un momentoproprio solo unmomento.

-Di grazianon tenermi.

-Tenerti?

-Trattenermi allorase la parola ti aggrada meglio.

Poicontinuò dicendo che lui era un sottocuoco e non potevafermarsi a chiacchierarema l'avrebbe fatto volentieri un'altravoltapoiché moriva dalla voglia di sapere dove mi eroprocurato i vestiti che portavo. Mentre se ne andava mi indicòqualcuno col dito e mi disse che quello là aveva abbastanzatempo da perdere per soddisfare la mia richiesta e per di piùmi stava cercando.

Eraun ragazzino snello e vivace con brache attillatissime color gamberoche lo facevano assomigliare a una carota biforcuta. Il resto del suoabbigliamento era di seta blututto pizzi e guarnizioni elaborate;aveva lunghi riccioli biondi e portava un berretto piumato di rasorosa calato su un orecchio. Dall'aspetto sembrava di buon caratteredal portamento sembrava soddisfatto di sé. Arrivòvicino a memi squadrò sorridendo con curiositàdisseche era venuto a prendermi e mi informò che era un paggio.

Mentrecamminavamo incominciò a parlare e ridere in modofanciullescofelice e spensierato. Diventammo subito amici. Mi fecedomande di ogni genere su di me e sui miei vestitima non aspettavamai la risposta: continuava semplicemente a chiacchierarecome senon avesse fatto alcuna domanda.

Adun certo punto disseper casoche lui era nato all'inizio dell'anno513.

Misentii i brividi correr su per la schiena! Mi fermai e gli dissi conla voce un po' tremante:

-Forse non ti ho capito bene. Dimmelo di nuovo e dillo lentamente. Cheanno era?

-Il 513.

-Il 513? Non si direbbe a vederti. Viaragazzo mioio sonoforestiero e senza amici: sii onesto con me e parla sul tuo onore.

Seisano di mente?

Risposedi sì.

-E tutti costoro sono anch'essi sani di mente?

Risposenuovamente di sì.

-E questo non è un manicomio? Voglio direnon è unposto dove si curano i matti?

Dissedi no.

-Allora - dissi - il pazzo sono ioo qualcosa di altrettanto orribileè successo. Ora dimmiin tutta onestà e veritàdove mi trovo?

-Allacorte di re Artù.

Feciuna pausa per lasciar che l'idea mi penetrasse con un brivido fino infondopoi dissi:

-E secondo le tue nozioniche anno è questo?

-Il 528il 19 giugno.

Sentiiil cuore venirmi meno dalla tristezza e mormorai:

-Non rivedrò mai più i miei amicimai piùmaipiù. Loro nasceranno fra più di milletrecento anni.

Sentivodi dover credere a quel ragazzosenza sapere perché.

Qualcosain me gli credevama la mia ragione no. Essa cominciò subitoa protestare rumorosamentecom'è naturale. Io non sapevo comesoddisfarla. Ma di colpo per pura fortuna trovai quel che cercavo.Sapevo che l'unica eclissi totale di sole 2nella prima metàdel sesto secolocapitava il 21 giugno dell'anno del Signore 528 ecominciava tre minuti dopo mezzogiorno. Sapevo anche che nessunaeclissi totale di sole era prevista in quello che per me era l'annocorrentecioè il 1879. Perciòse l'ansietà ela curiosità non mi rodevano il cuore entro le prossimequarantott'oreavrei potuto verificare di sicuro se il ragazzodiceva o no la verità.

Aquesto puntoessendo una persona praticacacciai via l'interoproblema dalla mia mente fino al giorno e all'ora stabilitacosìda potermi concentrare completamente sulla situazione ed esserepronto a trarne il maggior vantaggio possibile.

Decisiin cuor mio di fare una di queste due cose: se questo era ancora ildiciannovesimo secolo e io mi trovavo in mezzo ai matti e non potevouscirneavrei finito per farla da padrone nel manicomio o per venirea sapere il perché di tutto ciò; e se per caso eradavvero il sesto secoloebbeneero pronto ad usare altrettantaforza. L'avrei fatta da padrone nell'intero paese entro tre mesipoiché ritenevo che avrei avuto il vantaggio iniziale di piùdi milletrecento anni sugli uomini più colti di tutto ilreame. Non sono il tipo da mettermi a perder tempo quando ho presouna decisione e c'è del lavoro da fareperciò dissi alpaggio:

-AlloraClarenceragazzo mio - ammesso che questo sia il tuo nome -vorrei che tu mi mettessi al corrente di alcune cosese non tidispiace. Come si chiama il tipo che mi ha condotto qui?

-Ilmio e tuo padrone? E' il buon cavaliere e gran signoreser Kay ilsiniscalcofratello di latte del re nostro sovrano.

-Benissimosuvviaraccontami tutto.

Mitirò fuori una lunga storia.

Quantoa medisse che ero prigioniero di ser Kay e che secondo le usanzesarei stato gettato in una prigione sotterranea e abbandonato làcon scarso cibofinché i miei amici avessero pagato per ilmio riscattoa meno che non marcissi prima. Mi resi conto che laseconda possibilità era la più probabilema non persitempo a preoccuparmi: il tempo era troppo prezioso. Il paggioaggiunse poi che a quell'ora il banchetto nella grande sala era quasifinito e appena i signori avessero cominciato a bere forte e arichiedere intrattenimentiser Kay mi avrebbe fatto chiamare e messoin mostra davanti a re Artù e ai suoi illustri cavalieriseduti alla Tavola Rotonda. Si sarebbe vantato di come mi aveva fattoprigioniero e probabilmente avrebbe esagerato un po' i fattima nonsarebbe stata buona educazionené troppo prudente da partemiacorreggerloe quando avesse finito di mettermi in mostraallora viain prigione. Ma luiClarenceavrebbe trovato un sistemaper venire a trovarmi ogni tanto e consolarmi e aiutarmi ad avvertirei miei amici.

Avvertirei miei amici! Lo ringraziai. Era il minimo che potessi fare. A questopunto un servo venne a dire che ero desiderato; perciòClarence mi fece entraremi portò da un lato della sala e sisedette accanto a me.

Ebbeneera proprio uno spettacolo strano ed interessante. Era una stanzaimmensa e piuttosto spoglia: il soffitto era altissimo alle dueestremità della salain altoc'erano due gallerie conbalaustre di pietrauna per i musici e l'altra per le donne cheerano vestite di colori sgargianti. Il pavimento era di grandi lastredi pietra a riquadri bianchi e neriassai logorate dagli anni edall'uso e in gran bisogno di essere riparate. In quanto adecorazioni propriamente dette non ce n'eranoma c'erano alcunienormi arazzi sulle paretiche rappresentavano scene di battagliacon cavalli che assomigliavano a quelli che i bambini ritaglianonella carta e con uomini a cavallo con certe strane armature.

C'erapoi un camino così grande da potercisi accampare dentro; lungole pareti erano allineati armigeri in corazza e morione con alabardecome uniche armirigidi come statue.

Inmezzo a questa piazza pubblica con archi e voltec'era una tavola diquercia che chiamavano la Tavola Rotonda. Era grande come la pista diun circo. Intorno ad essa era seduta una grande compagnia di uominivestiti di colori così vari e sgargianti che faceva male agliocchi guardarli. Tenevano sempre in testa il loro cappello piumatoeccetto quando si rivolgevano direttamente al renel qual caso losollevavano appena un poco.

Quasitutti stavano bevendo da interi corni di buema alcuni stavanoancora ruminando pane o rosicchiando ossa. C'era una media di duecani per ogni uomo; stavano accucciati con aria d'attesa speranzosafinché gli si gettava un osso già ben spolpato. Alloraci si buttavan sopra con impeto e ne veniva fuori una zuffaun caostumultuoso di teste e corpi che si tuffavano nella mischia e code chebalenavano qua e là e una tempesta di ululati e di latrati checopriva ogni voce umana. Ma a nessuno dava fastidio perché lalotta dei cani era comunque un gran divertimento.

Diregola la conversazione e il comportamento di quella gente eranocortesi e raffinatie osservai che erano ottimi e seri ascoltatoriquando qualcuno raccontava qualcosavoglio dire nell'intervallo trauna lotta canina e l'altra. Ed era chiaro anche che erano proprioingenui e infantilidato che raccontavano le bugie più grossecon un'ingenuità gentile ed accattivanteed erano pronti edesiderosi di ascoltare le bugie di chiunque altro e per di piùcrederci.

Nonero l'unico prigioniero presente. Ce n'erano venti o più.

Poveridiavolimolti di loro erano mutilatitagliuzzati in modo orrendo:avevano i capellila facciagli abiti incrostati di sangue.Dovevano di sicuro essere in preda ad acuti dolori fisiciastanchezzafame e sete. Nessuno aveva dato loro almeno il confortodi un lavaggio e nemmeno la misera carità di un unguento perle loro ferite; eppure non si sentiva da loro un lamentonon sivedeva alcun segno di inquietudinené alcuna tendenza alagnarsi.




Capitolo5


ICAVALIERI DELLA TAVOLA ROTONDA


Idiscorsi della Tavola Rotonda erano quasi solo dei monologhiresoconti delle avventure in cui questi prigionieri erano staticatturatii loro amici e i loro sostenitori uccisi e privati deidestrieri e delle armature. In genereper quanto potevo capirequeste avventure sanguinarie non erano fatte per vendicare dei tortio sistemare vecchie dispute; nodi regola erano semplicemente duellitra sconosciuti tra cui non esisteva alcuna ragione di offesa. Mi eracapitato molte volte di vedere un paio di ragazzi che non siconoscevano imbattersi l'un nell'altro per caso e dire allo stessotempo "Scommetti che te le do" e picchiarsima avevosempre immaginato finora che queste fossero cose da ragazzie segnodi fanciullezza; ma ecco qui questi gran sciocconi che sicomportavano allo stesso modo e se ne vantavano nel pieno della loromaturità e oltre. E tuttavia c'era qualcosa d'affascinante inquesti grand'uomini dal cuore semplicequalcosa che faceva tenerezzae simpatia. Di cervello non ce n'era abbastanza in tutto quell'asiloinfantilema uno non ci faceva più caso dopo un po'perchési accorgeva che il cervello non era necessario in una societàdel genere e anzi l'avrebbe guastatabloccata.

Suquasi ogni volto si poteva osservare il coraggio ed in alcuni ancheuna certa dignità e dolcezza. Bontà e onestàerano visibili nell'aspetto di colui che era chiamato ser Galahad ein quello del ree c'era maestà e grandezza nella figuragigantesca e nel portamento fiero di ser Lancillotto del Lago.

Adun certo punto ser Kay si alzò a parlare e lodòLancillottoraccontando di come avesse ucciso sette giganti con unsolo colpo di spada e successivamente avesse abbattuto novecavalieri. Poi narrò di comein due battaglie successiveavesse sconfitto prima sedici e poi trentaquattro avversari.

Ebbeneera proprio commovente veder la regina arrossire e sorridereconaria felice e imbarazzatalanciando a ser Lancillotto delle occhiatefurtive.

Tuttilodarono il valore e la generosità di ser Lancillotto.

Quantoa meero totalmente stupefatto che un sol uomosenza aiuto alcunoavesse potuto sconfiggere e catturare tali battaglioni di espertiguerrieri. Lo confidai a Clarence ma quel beffardo sventatello dissesolo:

-Se ser Kay avesse avuto il tempo di tracannare un altro otre di vinovoi avreste visto il suo calcolo raddoppiare.

Guardaiil ragazzo con tristezza e mentre lo guardavo vidi un'aria diprofonda costernazione sul suo viso. Seguii la direzione del suosguardo e vidi che un uomo molto vecchio dalla barba biancaavvoltoin una veste nerasi era alzato e stava ritto accanto al tavolosulle gambe malfermedondolando debolmente il capo e ispezionando lacompagnia con occhi acquosi e smarriti. Lo stesso sguardo disofferenza che era sul volto del paggio si poteva notare su tutti ivolti intorno.

-Accidentidobbiamo sentirla di nuovo- sospirò il ragazzoquella stessa vecchia e noiosa storia che ci ha già raccontatomigliaia di volte con le stesse parole e che continuerà araccontare fino alla morte tutte le volte che si è benriempito di vino e che sente la sua macchina racconta-frottoleentrare in azione. Volesse il Cielo che fossi morto piuttosto chevedere questo giorno!

-Machi è?

-Merlinoil magopotente e bugiardo: possa bruciare dannato per latremenda noia che provoca con la sua unica storia! Se non fosse chelo temono perché ad un suo cenno obbediscono tempeste e lampie tutti i diavoli dell'infernocostoro gli avrebbero giàtanti anni fa tirato fuori le budella per scovarci questa storia esoffocarla. Mio caro amicoti pregochiamami per il vespro. Ilragazzo si rannicchiò sulla mia spalla e finse diaddormentarsi.

Ilvecchio cominciò la sua narrazione e ben presto il ragazzo siaddormentò davvero e così pure i canila corteiservi e le file di armigeri. La voce cantilenante continuò aronzareda ogni parte si levò un lieve russare che lasostenne come un accompagnamento di strumenti a fiato. Alcuni avevanochinato la testa sulle braccia consertealtri l'avevano lasciatacadere all'indietro con la bocca aperta che mandava fuori stranisuonigli insetti ronzavano e pungevano indisturbatifrotte di topiuscirono silenziosamente da cento buchi e si misero a zampettaretutt'intorno: uno si sedette come uno scoiattolo sulla testa del re erosicchiando un pezzo di formaggio nelle zampette ne lasciava caderele briciole sulla sua faccia. Era una scena tranquilla e riposanteper gli occhi stanchi e lo spirito estenuato. Questa fu la storia delvecchio. Egli così la raccontò:

"Dunqueil re e Merlino partirono e si recarono da un eremita che era unsant'uomo e un gran cerusico. Così l'eremita esaminòtutte le sue ferite e gli diede dei buoni unguenti; e così ilre si fermò in quel luogo tre giornidopo di che le sueferite erano così ben guarite che poteva cavalcare e andarseneviae così ripartì. E mentre cavalcavano Artùdisse:

-Non ho spada.

-Non importa - disse Merlino - qui vicino c'è una spada chesarà tua con il mio aiuto.

Ecosì cavalcarono finché giunsero ad un lago e nel mezzodel lago Artù scorse un braccio avvolto in un bianco drappoche teneva una bella spada nella mano.

Mira- disse Merlino - là è la spada di cui ti parlai.

Eallora videro una donzella andare sul lago.

-E' la Dama del Lago - disse Merlino - e dentro il lago c'è unoscoglio e lì vi è un luogo bello come nessun altrosulla terrae questa donzella verrà a te tra breve e alloratu le parlerai cortesemente affinché ti dia quella spada.

Epoco dopo venne la donzella da Artù e lo salutò.

-Donzella - disse Artù - che spada è mai quella che ilbraccio laggiù tiene sospesa sull'acqua? Vorrei che fosse miapoiché io non ho spada.

-Sire - disse la donzella - quella spada è mia e se tu mi daraiun dono quando te lo chiederòpuoi averla.

-In fede mia - disse Artù - ti darò qualunque dono tuchiederai.

-Allora - disse la donzella - entra in quella barca laggiù erema fino a raggiungere la spadaprendila e prendi anche il fodero eio ti chiederò il mio dono a suo tempo.

Cosìsire Artù e Merlino smontarono e legarono i cavalli a duealberi e così entrarono nella barcae quando giunsero allaspada che la mano tenevasire Artù la prese per l'impugnaturae la trasse a sé. E il braccio e la mano sparirono sott'acqua;e così essi tornarono alla terraferma e se ne andarono via acavallo.

SireArtù guardò la spada e gli piacque in sommo grado.

-Quale ti piace di più - disse Merlino - la spada o il fodero?

-Mi piace di più la spada - disse Artù.

-Non sei veramente saggio - disse Merlino - poiché il foderovale dieci volte più della spadainfatti finché loavrai su di te non perderai mai sangue e non avrai mai gravi ferite;perciò tienilo sempre ben stretto a te".




Capitolo6


SERDINADAN L'UMORISTA


Ame parve che quella bizzarra serie di menzogne fosse raccontata nelmodo più semplice e bello possibile; ma si capisceio l'avevosentita solo ora e questo fa una bella differenza. Senza dubbio erastata piacevole anche per gli altrila prima volta. Ser Dinadanl'Umorista fu il primo a svegliarsi e ben presto svegliò glialtri con uno scherzetto piuttosto di bassa lega. Legò deiboccali di metallo alla coda di uno dei cani e poi lo lasciòandaree quello si mise a correre in giro nella sala all'impazzatapieno di terrore. Tutti gli altri cani gli abbaiavano dietro eurtavano e sfondavano tutto quello che trovavano davantifacendo unaconfusione e un frastuono assordantial che tutti gli uomini e ledonne di quella gran folla risero fino alle lacrime e alcuni cadderogiù dalle sedie e si rotolarono sul pavimento con convulsionidi risa. Erano proprio come tanti bambini. Ser Dinadan era cosìlanciato che decise di tenere un discorsonaturalmente umoristico.Penso di non aver mai sentito così tante vecchie barzellettecucite insiemein tutta la mia vita. Era peggio di un suonatoreambulantepeggio di un pagliaccio del circo. Mi sembravaparticolarmente triste starmene seduto lìmilletrecento anniprima di esser natoa riascoltare quelle barzellette ammuffite chemi avevano fatto venire i crampi allo stomaco quand'ero ragazzomilletrecento anni dopo. Il che mi convinse finalmente che quellacosa che chiamiamo una nuova barzelletta non esiste.

Aquesto punto si alzò ser Kay e cominciò a mettere inmoto la sua macchina di racconti usando me come combustibile. Eragiunto per me il momento di ritornare serio e lo feci davvero. SerKay disse che mi aveva incontrato in una terra lontanapopolata dibarbari che indossavano tutti lo stesso ridicolo costume che portavoioun costume che era opera magica e aveva lo scopo di rendereimmune da ferite di mano umana chi lo indossava. Tuttavia lui avevaannullato la forza dell'incantesimo con la preghiera e aveva ucciso imiei tredici cavalieri in una battaglia durata tre ore.

Poimi aveva fatto prigioniero risparmiandomi la vita per poter esibirequello strano fenomeno che io ero allo stupore e all'ammirazione delre e della corte. Per tutto il tempo parlò di mechiamandomi"questo gigante prodigioso""questo orribile mostroche si eleva torreggiante fino al cielo""quest'orcomangiauomini con zanne e artigli". E tutti rimasero lì abere queste fandonie nel modo più ingenuosenza sorrideresenza pensar di notare se ci fosse una qualche discrepanza tra questedefinizioni e me. Disse poi che nel cercar di sfuggirgli io avevofatto un sol balzo alto circa duecento cubiti in cima ad un alberoma lui mi aveva snidato con una pietra grossa quanto una vaccacheaveva spezzato completamente la maggior parte delle mie ossa e miaveva fatto giurare di apparire alla corte di Artù per esseregiudicato.

Terminòcondannandomi a morire a mezzogiorno del 21e gliene importava cosìpoco che si fermò a sbadigliare prima di indicare la data.

Aquesto punto io ero in uno stato di terribile scoramento. A dir laveritànon ero nemmeno abbastanza in me da seguir la disputache sorse riguardo al modo migliore per farmi morirepoichéalcuni dubitavano che io potessi essere uccisodato l'incantesimodei miei vestiti. E dire che non era nient'altro che un comunissimoabito comprato bell'e fatto per quindici dollari.

Eranocosì preoccupati della magia dei miei abiti che tirarono ungran respiro di sollievo alla fine quando il vecchio Merlino spazzòvia la difficoltà con un suggerimento di buon senso.

Domandòloro perché mai fossero così stupidi e a nessuno fossevenuto in mente di spogliarmi. In un batter d'occhio mi ritrovaibell'e nudo! Esanto cieloa pensarci beneio ero la sola personaimbarazzata tra tutti quanti.

Erooggetto di discussione da parte di tutti; e lo facevano senza alcunriguardo come se stessero parlando di un cavolo. La regina Ginevraera piena di innocente curiosità proprio come gli altri edisse che non aveva mai visto nessuno con gambe esattamente come lemie. Fu l'unico complimento che ricevettise era un complimento.Alla fine io fui trascinato via in una direzione e i miei pericolosivestiti in un'altra. Mi spinsero giù in una cella buia estretta nei sotterraneicon dei miseri avanzi per cenadella pagliaammuffita per letto e un'infinità di topi per compagni.




Capitolo7


UN'ISPIRAZIONE


Erocosì stanco che nemmeno tutte le mie paure riuscirono atenermi sveglio a lungo.

Quandoritornai in memi sembrò di aver dormito per un periodolunghissimo. Il mio primo pensiero fu:

"Mammamiache sogno straordinario ho fatto! Credo di essermi svegliatoproprio in tempo prima di essere impiccato o affogato o bruciatovivoo roba del genere... Farò ancora un sonnellino fino aquando suona la sirena e poi andrò giù alla fabbrica diarmi a prendermi la rivincita su Ercole".

Maproprio in quel momento sentii una roca musica di catene e dichiavistelli arrugginitiuna luce improvvisa mi abbagliò equel farfallinoClarencemi comparve davanti! Rimasi senza fiatodallo stupore; non riuscivo quasi più a respirare.

-Come! - dissi - Sei ancora qui tu? Vattene via con il resto dei mieisogni! Sparisci!

Malui fece solo una risatinaa cuor leggero come suo solito e si misea scherzare sulla mia triste condizione.

-E va be' - dissi rassegnato - lasciamo andare avanti questo sognotanto io non ho fretta.

-Di graziache sogno?

-Che sogno? Ma come! Il sogno che io sono alla corte di re Artùuna persona che non è mai esistita; e che sto parlando con teche sei solo frutto dell'immaginazione.

-Ohdavvero! Ed è solo un sogno il fatto che sarete bruciatovivo domani? Ehehrispondetemi un po'!

Lascossa che ne ricevetti fu tremenda. A quel punto cominciai a pensareche la mia situazione era sommamente grave.

-AhClarencemio buon ragazzomio unico amicotu sei mio amiconon è vero? Non abbandonarmiaiutami a escogitare qualchemodo per scappar via di qui!

-Ma siete fuor di senno? Fuggire? Signor mioi corridoi sono guardaticontinuamente da uomini d'arme.

-Certocerto. Ma quantiClarence? Non moltispero.

-Almeno una ventina. Non c'è speranza di fuga.

Edopo una pausa aggiunse esitante:

-E ci sono altre ragioniassai più gravi.

-Altre ragioni? E quali sono?

-Be'si dice... oh nonon osonon ho il coraggio!

-Ma perchémio povero ragazzoche ti succede? Perchéti rifiuti di parlare? Perché tremi così?

Esitòdiviso com'era tra il desiderio e il terrore di parlare; poi siavvicinò furtivo alla portasbirciò fuori e stette inascoltoinfine mi si avvicinò silenziosamenteportòle labbra al mio orecchio e mi bisbigliò la tremenda notizia:

-Merlinocon la sua astuzia malignaha tessuto un incantesimointorno a questi sotterranei e non c'è nessuno in questo reameche farebbe il gesto disperato di cercar di rompere questa tramainsieme a voi! Ora Dio abbia pietà di meio ho parlato! Ohsiate buonoabbiate pietà di questo povero ragazzo che cercadi aiutarvi; poiché se voi mi traditeio sono perduto!

Ioscoppiai in una risatal'unica veramente a cuor leggero da un po' ditempo in qua e dissi forte:

-Merlino ha tessuto un incantesimoMerlino davvero! Quel vecchioimpostore da quattro soldiquel vecchio idiota farfugliante!

Idioziaidiozia bell'e buonala più grande idiozia del mondo Ohall'inferno questo Merlino!

MaClarence si era buttato in ginocchio prima che io avessi finito esembrava uscir di senno dalla paura.

-Ohguardatevene bene! Queste sono parole tremende! Da un momentoall'altro queste mura crolleranno su di noi se parlate così.Ohritirate ciò che avete dettoprima che sia troppo tardi!

Questastrana scena mi diede una buona idea e cominciai a far lavorare ilcervello. Se tutti quanti in questo paese erano onestamente esinceramente così spaventati dalla presunta magia di Merlinocome lo era Clarencecertamente un uomo superiore come me dovevaessere abbastanza furbo da escogitare un sistema di trarre vantaggioda tale stato di cose. Continuai a pensare e tracciai un pianod'azione. Poi dissi:

-Alzati. Calmati. Guardami negli occhi. Lo sai perché ridevo?

-No main nome della Vergine Marianon fatelo più.

-Beneti dirò perché ridevo. Perché anch'io sonoun mago!

-Voi!

Ilragazzo arretrò di un passo e trattenne il fiatoperchéla cosa lo colpì di sorpresa; ma l'atteggiamento che assunseera moltomolto rispettoso. Ne presi rapidamente nota: questoindicava che un impostore non aveva bisogno di una reputazione inquesto manicomiola gente era pronta a credergli sulla parolasenz'altra prova. Ripresi a dire:

-Conosco Merlino da settecento anni e lui...

-Settecen...

-Non interrompermi. E' morto e rinato tredici volteviaggiando ognivolta sotto nuovi nomi: SmithJonesRobinsonJacksonPetersHaskinsMerlinun nuovo pseudonimo ogni volta che ricompare. L'hoincontrato in Egitto trecento anni fapoi in India cinquecento annifa. Ovunque io vada me lo trovo davanti a blaterare; mi stancaproprio. Non vale niente come mago; conosce qualcuno dei solitivecchi trucchima non è mai andato oltre i primi rudimenti emai ci andrà. Va abbastanza bene per i giri in provincia: unasera qui e una là e roba similemi capisci ma santo cielonon dovrebbe farsi passare per espertoin ogni caso non làdove c'è un vero artista come me. Adesso fa' attenzioneClarenceio ti sarò amico fino in fondo e tu in cambio deviesserlo per me. Voglio che tu mi faccia un favore. Voglio che tufaccia arrivare al re la notizia che io stesso sono un mago e per dipiù il Supremo Grande Sommo Muckamuckcapo della tribùdei maghi. Voglio che lui capisca ben bene che io sto silenziosamentepreparando una piccola calamità da creare un vero scompiglioin questo reame se il progetto di ser Kay sarà portato atermine e mi verrà fatto del male. Vuoi farlo sapere al re daparte mia?

Ilpovero ragazzo era in tale stato che non riusciva a rispondermi.Faceva pena vedere una creatura così terrorizzata. Ma promisetutto. Quanto a memi fece promettere più e più volteche io sarei sempre rimasto suo amico e che mai avrei tessuto unincantesimo contro di lui. Poi si fece strada verso l'uscitatenendosi con la mano al muro come una persona malata. Poco dopoquesto pensiero mi colpì:

"Comesono stato stupido! Quando Clarence si calmeràcominceràa chiedersi perché un grande mago come me ha avuto bisogno diimplorare l'aiuto di un ragazzino come lui per uscir da questo luogo;così si accorgerà che sono un impostore".

Mipreoccupai per quello stupido errore per un'ora e intanto continuavoa darmi del cretino. Ma alla fine mi venne in mente di colpo chequesti animali non sapevano ragionareche essi non mettevano maiinsieme una cosa con l'altra; e che tutti i loro discorsi mostravanoche essi non sapevano riconoscere una contraddizione quando lavedevano. Allora mi calmai.

Maappena uno è un po' calmo in questo mondosubito comincia apreoccuparsi per qualcos'altro. Mi venne in mente che avevo fatto unaltro errore: avevo spedito via il ragazzo a mettere in allarme isuoi superiori con una minaccia; e se mi avessero chiamato per fareuna piccola dimostrazione? E se mi avessero chiesto qual era questacalamità? Sìavevo fatto un errore; avrei dovutoinventare la mia calamità prima.

Cosapotevo fare? Cosa dire per guadagnare un po' di tempo? Ero di nuovonei guai...

Eccodei passi! Stanno venendo. Se avessi solo un momento per pensare...Bene! Trovato. Adesso sono a posto.

Capiteera l'eclissi. Mi venne in menteappena in tempo.

Clarenceentròabbattuto e angosciatoe disse:

-Feci pervenire subito il messaggio al re nostro sovrano e subito luimi ammise alla sua presenza. Era profondamente spaventato e avevadeciso di dar ordini per la vostra immediata liberazione e per farvivestire con gli abiti più fini e alloggiare come si conviene asì grande persona; ma poi arrivò Merlino e rovinòtutto. Riuscì a persuadere il re che voi siete pazzo e nonsapete di cosa parlate; disse che la vostra minaccia è soloidiozia.

Discusseroa lungoma alla fine Merlino disse che non avevate menzionato questavantata calamità perché in verità non eravate ingrado di farla. Questa stoccata chiuse di colpo la bocca al rechenon riuscì a pensare nulla per controbatterla. E cosìpur con riluttanza e ripugnandogli di farvi tale affrontovi pregadi considerare la sua situazione imbarazzantenotando come stanno lecosee di menzionare questa calamità. Ohvi suppliconontardate. Siate saggiomenzionate la calamità!

Lasciaiche il silenzio si facesse più profondo mentre mettevo in mototutta la mia capacità di impressionarepoi chiesi:- Da quantotempo sono rinchiuso in questo buco?

-Siete stato rinchiuso qua dentro quando la giornata di ieri era altermine. Sono le 9 del mattino ora.

-Mano! Allora ho dormito sodo. Oggi è il 20allora?

-Il 20sì.

-E devo essere bruciato vivo domani. A che ora?

-A mezzogiorno in punto.

Alloradunqueti dirò che cosa devi riferire.

Feciuna pausa; poi con voce profondamisurata e carica di sventuracominciai a parlare e alzai gradatamente e drammaticamente il tonofino al culmine altissimo dell'annuncio:

-Torna e riferisci al re che a tale ora soffocherò l'interomondo in una mortale oscurità a mezzo il giorno; annienteròil sole che non brillerà mai più; i frutti della terramarciranno per mancanza di luce e di calore e le popolazioni dellaterra soffriranno la fame e morirannofino all'ultimo uomo! Dovettiessere io a trasportare il ragazzo fuori poiché era crollato.Lo consegnai ai soldati e rientrai nella cella.




Capitolo8


L'ECLISSI


Nellaquiete e nel buio la conoscenza del fatto che io ero in pericolomortale assunse un significato sempre più profondo; unqualcosa che era il senso della realtà stillò goccia agoccia nelle mie vene e mi gelò. Poiperòil mioanimo riprese speranza. Mi dissi che la mia eclissi mi avrebbesicuramente salvato e per di più trasformato nell'uomo piùimportante del reame; e di colpo le mie ansietà svanirono. Erol'uomo più felice del mondo. Ero persino impaziente chearrivasse l'indomanitanto desideravo raccogliere gli allori di quelgran trionfo ed essere il centro della meraviglia e del rispetto ditutta la nazione.

Inoltredal punto di vista degli affarisarebbe stata la mia fortuna: ne eroben cosciente.

Intantoriflettevo: quando la natura della calamità che intendevoinfliggere fosse stata resa nota a quella gente superstiziosal'effetto sarebbe stato tale da indurli a chiedere un compromesso.

Perciòpoco dopoquando sentii dei passi avvicinarsiquel pensiero mitornò in mente e dissi a me stesso:

"Sicurocome l'oroquesto è il compromesso. Benese ne vale la penalo accetto; ma diversamenteho intenzione di tener duro e di giocarele mie carte fino in fondo".

Laporta si aprì e comparvero uomini d'arme. Il loro capo disse:

-Ilrogo è pronto. Venite!

Ilrogo! Le forze mi vennero meno e stavo per crollare. E' difficiletirare il fiato in quei momentiti vengono certi nodi in gola. Maappena riuscii a parlare dissi:

-Ma è un errorel'esecuzione è domani.

-Ordine cambiato: anticipo di un giorno. Sbrigatevi!

Eroperduto. Non c'era salvezza per me. Ero inebetitostupefatto; nonavevo più padronanza di me. Mi misi a girare intorno senzascopocome uno fuor di sé. Allora i soldati mi afferraronomi trascinarono con loro fuori dalla cella e lungo il labirinto dicorridoi sotterraneie alla fine nell'accecante fulgore del giorno edel mondo soprastante. Appena entrammo nel vasto cortile cintato delcastellone ebbi un colpo: la prima cosa che vidi fu il rogoerettoproprio nel mezzo e vicino le fascine accatastate e un frate. Sututti e quattro i lati del cortile la folla sedutafila su filaformava terrazze digradanti ricche di colore. Il re e la regina eranoseduti in trono ed erano naturalmente le figure più in vista.

Anotar tutto questo ci volle solo un secondo. Il secondo successivoClarence era sgusciato via da qualche nascondiglio e mi snocciolavauna serie di informazioni all'orecchiocon un bagliore di trionfo edi gioia negli occhi. Mi disse:

-Questo cambiamento è tutto merito mio. E ci ho lavoratoproprio sodoper di più. Ma quando ebbi rivelato loro lacalamità che gli serbavate ed ebbi visto l'enormità delterrore che generavaallora capii che questo era il momento diattaccare! Perciò io finsi con molta cura cheper un motivo oper l'altroil vostro potere contro il sole non avrebbe raggiunto lasua pienezza fino a domani. Se si voleva dunque salvare il sole e ilmondovoi dovevate essere ucciso oggiquando la trama dei vostriincantesimi era appena all'inizio. Santo cieloera solo una stupidabugiama avreste dovuto vedere come se la bevvero. Ohcome si starisolvendo rapidamente e felicemente la cosa! Voi non avete piùbisogno di fare un vero danno al sole. Create solo un pochinod'oscuritàsolo proprio un tantinomi raccomandoe poismettete. Sarà sufficiente. Loro vedranno che io ho parlatoerroneamenteessendo ignorantecome loro penserannoe con ilcadere della prima ombra di quella oscurità li vedretediventar pazzi di paura. E vi libereranno e vi faranno grande! Oraandate al vostro trionfo! Ma ricordatemio buon amicovi imploro dinon dimenticare la mia preghiera e di non far alcun danno al solebenedetto.

Nelmio dolore e nella mia miseria riuscii a dire qualche parolasoffocata riguardo al fatto che avrei risparmiato il sole. Al che gliocchi del ragazzo mi ripagarono con una gratitudine cosìprofonda e affettuosa che non ebbi cuore di dirgli che la suabenintenzionata stupidità era stata la mia rovina e micondannava a morte.

Mentrei soldati mi aiutavano ad attraversare il cortileil silenzio eraprofondo. Non si percepiva il minimo movimento fra il pubblico: eranotutti rigidi come pietra e altrettanto pallidi. Un profondo timore sileggeva su ogni viso. Questo silenzio continuò mentre venivoincatenato al rogo; continuò ancora mentre le fascine venivanoammucchiate accuratamente intorno alle mie cavigliealle ginocchiaalle coscea tutto il mio corpo. Poi ci fu una pausa e un silenzioancor più profondo. Un uomo si inginocchiò ai mieipiedi con una torcia accesa; il frate alzò le mani sulla miatesta e gli occhi al cielo azzurro e cominciò a dire alcuneparole in latino. In quella posizione continuò a biascicareper un po'poi si fermò. Attesi qualche secondopoi guardaiin su; se ne stava là pietrificato. Spinta da un comuneimpulsola folla si alzò lentamente e fissò il cielo.Io seguii i loro sguardi: sicuro come l'orola mia eclissi stavacominciando!

Lavita tornò a ribollirmi nelle vene; ero un uomo rinato! L'orlonero si diffuse lentamente sul disco solareil cuore mi battésempre più forte e ancora gli sguardi della folla e del preteerano fissi al cielonell'immobilità più assoluta.Sapevo che un momento dopo quegli sguardi si sarebbero posati su dime. Quando accaddeero pronto. Ero in una delle pose piùgrandiose che avessi mai assuntocon un braccio teso puntato sulsole. Era un effetto di gran dignità. Si poteva vedere ilbrivido che corse per la folla come un'onda. Due grida risonaronol'una subito dopo l'altra.

-Sia dato il fuoco!

-Lo proibisco!

Unoveniva da Merlinol'altro dal re. Merlino si mosse dal suo postoper applicare lui stesso la torciapensai. Io dissi:

-Rimani dove sei. Se uno chiunque si muoveanche il reprima che iogliene dia il permessolo fulminerò col tuonolo consumeròcoi lampi!

Lafolla ricadde docilmente sui sedilicome mi aspettavo. Merlino esitòper un istante o due e fui sulle spine per quel breve momento. Poi sisedette e tirai il respiropoiché sapevo che ora il padronedella situazione ero io. Il re disse:

-Siate misericordiosomio buon signore e non procedete oltre inquesta faccenda pericolosaaffinché non ne venga un disastro.Ci è stato riferito che i vostri poteri non avrebberoraggiunto la loro pienezza fino a domani; ma...

-Vostra maestà pensa che la notizia fosse una menzogna? Lo era!

Questofece un immenso effetto. In alto si levarono mani supplichevoli daogni lato e il re fu assalito da una tempesta di suppliche affinchémi si offrisse qualunque prezzo per fermare tale calamità. Ilre fu pronto ad acconsentire. Disse:

-Stabilite qualunque condizionemesserepersino la metà delmio regno; ma bandite questa calamitàrisparmiate il sole!

Lamia fortuna era fatta. Avrei potuto accettare la sua offertasull'istantema non potevo fermare l'eclissi. Perciò chiesiun po' di tempo per pensarci su. Il re disse:

-Quanto tempoahquanto tempomio buon signore? Siatemisericordioso. Guardatediventa sempre più buio. Visupplicoquanto tempo?

-Non tanto. Mezz'oraforse un'ora.

Cifurono mille patetiche protestema io non potevo fermarlepoichénon riuscivo a ricordare quanto durasse un'eclissi totale.

Inogni casoavevo un dubbio e volevo pensarci. C'era qualcosa che nonandava. Se questa non era l'eclissi che io credevocome potevosapere se questo era veramente il sesto secolo oppure nient'altro cheun sogno? Dio miose solo avessi potuto provare che si trattava diun sogno! Questa era un nuova e bella speranza.

Seil ragazzo aveva ragione riguardo alla dataed oggi era sicuramenteil 20allora questo non era il sesto secolo. Afferrai il frate perla manica con grande eccitazione e gli chiesi che giorno del mesefosse. Maledizionedisse che era il 21! Mi fece raggelare tutto asentirlo. Dunque quello sventato di un ragazzo aveva di nuovo fattoun pasticcio! L'ora del giorno era quella esatta per l'eclissi; loavevo visto io stesso all'inizio sulla meridiana lì vicino.Sìero alla corte di re Artùe tanto valeva che netraessi il maggior vantaggio possibile.

L'oscuritàandava costantemente aumentando e la gente diventava sempre piùspaventata. A questo punto dissi:

-Ho riflettutosire. Per darvi una lezione lascerò chequest'oscurità avanzi e diffonda la notte sul mondo; ma che iocancelli il sole completamente o lo riporti in vitadipende da voi.Queste sono le mie condizioni. Voi rimarrete sire sui vostri domini ericeverete tutti gli onori e le glorie che spettano alla sovranità;ma mi nominerete vostro ministro ed esecutore a vita e mi darete peri miei servigi l'uno per cento dell'aumento di reddito rispetto aquello attuale che io riesca ad ottenere per lo Stato. Se questo nonmi sarà sufficiente per viverenon chiederò aiuto anessuno. Sono condizioni soddisfacenti?

Cifu un prodigioso scoppio di applausi e in mezzo a questi si levòla voce del re che disse:

-Via quelle catene e lasciatelo libero! Rendetegli omaggionobili epopoloricchi e poveripoiché egli è diventato ilbraccio destro del re. E' rivestito di potere e di autorità eil suo seggio è sul gradino più alto vicino al trono!Ora spazza via questa notte orrenda e riporta la luce e la gioiaaffinché tutto il mondo ti benedica. Ma io dissi:

-Che un uomo comune sia stato umiliato davanti al mondonon ènulla; ma sarebbe un disonore per il re se chiunque ha visto il suoministro nudo non dovesse anche vederlo liberato da tale vergogna. Sepotessi riavere i miei abiti...

-Essi non sono degni di te - interruppe il re. - Portategli unabbigliamento di altra sorta; vestitelo come un principe!

Lamia idea funzionava. Cercavo di mantenere le cose nello stato in cuierano finché l'eclissi era totalealtrimenti avrebbero dinuovo tentato di indurmi a cacciar via le tenebre e naturalmente nonpotevo farlo. La ricerca degli abiti mi fece guadagnare un po' ditempoma non abbastanza. Dovetti inventare un'altra scusa.

Dissiche sarebbe stato naturale per il re cambiare opinione e pentirsi diciò che aveva promesso in un momento di eccitazione; perciòavrei lasciato aumentare un poco l'oscurità e se alla fine diun tempo ragionevole il re non avesse cambiato opinioneavreicacciato le tenebre. Né il re né gli altri eranosoddisfatti di questa decisionema io dovevo attenermici. Divennesempre più buio e sempre più neromentre io lottavocon quei goffi abiti del sesto secolo. Si raggiunse infine l'oscuritàtotalee la folla gemette di orrore nel sentire il freddo dellanotte e nel vedere le stelle apparire nel cielo. Infine l'eclissi futotale ed io ne fui ben lietoma tutti gli altri erano nella piùprofonda infelicitàlogicamente.

Iodissi:

-Il recol suo silenziorispetta le condizioni stabilite.

Poialzai le bracciarimasi così un momento e dissi con la piùtremenda solennità:

-Che l'incantesimo si dissolva e passi senza lasciar alcun danno!

Nonci fu alcuna reazione per un momentoin quella profonda tenebra e inquel silenzio di tomba. Maquando l'orlo argentato del soleriapparve un momento o due più tardila folla proruppe in ungrido immenso e si rovesciò su di me come un diluviocoprendomi di benedizioni e di gratitudine.




Capitolo9


LATORRE DI MERLINO


Poichéero adesso il secondo personaggio del regno quanto ad autoritàe potere politicoero trattato con tutti gli onori. I miei abitierano di setadi velluto e intessuti d'oro e perciò eranomolto vistosi e anche scomodi. Ma ci avrei ben presto fattol'abitudinelo sapevo. Mi furono assegnati gli appartamenti piùeleganti del castellodopo quelli del re. Le stanze scintillavano ditendaggi di seta a colori sgargiantima i pavimenti di pietra nonavevano che stuoie di canne per tappetoe per di più malfatte. Quanto a comodità vere e propriemancavano del tutto.Non c'erano saponefiammiferispecchieccetto uno di metallo cherifletteva tanto quanto un secchio d'acqua. E non una sola stampaalle pareti.

Nonc'era nemmeno un campanello o un tubo per trasmettere la voce nelcastello. Io avevo un mucchio di servitori e quelli di turno se nestavano a ciondolare pigramente nell'anticamera; quando avevo bisognodi uno di lorodovevo andare io stesso a chiamarlo.

Nonc'era gasnon c'erano candele. Una coppetta di bronzo riempita ametà di burro irrancidito con uno straccetto accesogalleggiante sulla superficieera l'oggetto che produceva quel cheveniva considerato un lume. Ce n'erano molti appesi alle pareti:servivano a modificare l'oscuritàattenuandola appena queltanto che bastava a renderla lugubre. Se si usciva alla sera iservitori portavano delle torce. Non c'erano né librinépennené cartané inchiostroe neppure vetri allefinestre. E' una piccola cosail vetrofino a quando ti mancaallora diventa una gran cosa. Ma forse la cosa peggiore era chemancavano lo zuccheroil caffèil tè e il tabacco. Miresi conto che ero proprio come un altro Robinson Crusoe abbandonatosu un'isola disabitata. Se volevo rendermi la vita sopportabiledovevo fare come aveva fatto lui: inventareescogitarecreareriorganizzare le cose; tenere il cervello e le mani occupati nellavoro. Be'questo mi andava a genio.

Unacosa mi diede molto fastidio all'inizio: l'enorme interesse che lagente mostrò di avere per me. Sembrava che l'intera nazionevolesse venire a darmi un'occhiata. Ben presto venne fuori chel'eclissi aveva spaventato quasi a morte l'intero mondo britannico.Quel giorno l'intero paeseda un capo all'altroera stato preso dalpanico e le chiesegli eremi e i monasteri si erano riempiti dipovere creature preganti e piangenti che credevano fosse arrivata lafine del mondo. In seguito era giunta la notizia che l'artefice diquesto terribile evento era un forestieroun mago possente venutoalla corte di re Artù. Orase si pensa che tutti credevano aquesto fattosi può facilmente capire come non ci fosse unasola persona in tutta la Britannia che non avrebbe fatto cinquantamiglia a piedi per venire a darmi un'occhiata. Naturalmente non siparlava di altro che di meogni altro argomento di conversazione erastato dimenticato. Persino il re diventò improvvisamente unapersona di scarso interesse e notorietà. Nel giro diventiquattr'ore i curiosi cominciarono ad arrivare e da quel momentoin poi per una quindicina di giorni continuarono a sfilare. Eranoaffollati il villaggio e la campagna circostante. Io dovevo uscire inpubblico una dozzina di volte al giorno e mostrarmi a quella gentepiena di riverenza e di religioso timore.

C'erauna cosa che mi preoccupava un po'. Ben presto le folle cominciaronoad agitarsi chiedendo un altro miracolo. Era naturale. La richiestadiventò sempre più pressante. Ci sarebbe stataun'eclissi di luna; ne conoscevo la data e l'orama era troppoavanti nel tempo. Due anni dopo. Clarence scoprì che ilvecchio Merlino si stava dando da fare sotto sotto tra quelle folle.Stava spargendo la voce che io ero un impostore e la ragione per cuinon li accontentavo con un miracolo era che non ne ero capace. Miresi conto che dovevo agire. E ben presto architettai un piano.

Invirtù dei miei poteri esecutivi feci gettare Merlino inprigionenella stessa cella che avevo occupato io. Poi feciannunciare pubblicamente che sarei stato occupato in affari di statoper quindici giornima alla fine di quel periodo mi sarei preso unmomento di libertà e avrei fatto saltare in aria per mezzo difuochi celesti la torre di pietra di Merlino. Nel frattempo chiunqueavesse dato ascolto a voci maligne sul mio contodoveva stare inguardia. E per di piùal momento attualeio avrei compiutosolo quest'unico miracolo e nient'altro. E se non fosse statosoddisfacente e qualcuno avesse osato mormorare contro di meavreitrasformato tali mormoratori in cavalli e fatto buon uso di loro. Neseguì una gran quiete. Confidai il mio progetto a Clarence eci mettemmo al lavoro segretamente. Gli dissi che era una specie dimiracolo che richiedeva un tantino di preparazione e che morteimprovvisa avrebbe colpito chiunque osasse parlare di talipreparativi a qualcuno. Questo gli chiuse la bocca quanto bastava.Preparammo di nascosto alcuni barilotti di polvere da sparo di primaqualitàe sotto il mio controllo i miei armieri costruironoun parafulmine e dei fili metallici.

Quellavecchia torre di pietra era molto massiccia ed anche piuttostocadentedato che era romana ed aveva almeno quattrocento anni. Siergeva su una cima solitariaben visibile dal castelloa circamezzo miglio di distanza.

Lavorandodi nottestivammo la polvere nella torre. Ne inserimmo una dataquantità per voltain una dozzina di punti. Avremmo potutofar saltare in aria la torre di Londra con quelle cariche.

Quandogiunse la tredicesima nottetirammo su il parafulminene piantammola base in uno dei mucchi di polvere e tirammo dei fili metallici daquesto agli altri mucchi. Tutti avevano evitato quella localitàdal giorno del mio proclama; ma al mattino del quattordicesimo giornopensai bene di far avvertire la gente dagli araldi in modo che sitenesse lontanaad un quarto di miglio di distanza. Poi aggiunsi conun decreto che ad un certo punto nelle seguenti ventiquattr'ore avreicompiuto il miracoloma ne avrei dato un breve preavvisosventolando bandiere sulle torri del castellose fosse stato digiorno e agitando torcese di notte.

Itemporali erano stati discretamente frequenti nell'ultimo periodo enon avevo paura di un insuccesso. In ogni caso un ritardo di ungiorno o due non mi avrebbe preoccupato: avrei spiegato che eroancora occupato in affari di stato e che la folla doveva attendere.

Naturalmentefu una giornata di sole splendentepiù o meno la prima senzanuvole da tre settimane in qua; le cose vanno sempre così. Iomi tenni nascosto e continuai ad osservare il tempo.

Clarenceveniva da me di tanto in tanto a dirmi che l'eccitazione della follacresceva di continuo e che l'intera contrada si andava riempiendo digente. Infine si levò il vento ed apparve una nube Per un po'osservai quella nuvola lontana che si allargava e diventava semprepiù cupapoi decisi che era giunto il momento per la miacomparsa. Ordinai che si accendessero le torce e che Merlino fosseliberato e condotto da me. Dopo un quarto d'ora salii sul bastione evi trovai il re e la corte riuniti con lo sguardo fisso nell'oscuritàverso la torre di Merlino. Il buio era già così fittoche non si poteva vedere lontano; la gente del castello e le vecchietorriparte nell'ombra profondaparte nel chiarore rossastro dellegrosse torce sovrastantiformavano un quadro impressionante. Merlinoarrivò di umor nero. Io dissi:

-Voi volevate bruciarmi vivo quando non vi avevo fatto alcun male erecentemente avete cercato di danneggiare la mia reputazioneprofessionale. Perciò intendo far scendere il fuoco e farsaltare in aria la vostra torre. Ma è più che giustodarvi un'ultima possibilità: dunquese pensate di poterspezzare i miei incantesimi ed evitare questi fuochisiate pronto acolpiretocca a voi.

-Lo posso e lo faròbel messerenon dubitatene.

Tracciòun cerchio immaginario sulle pietre del tetto e vi bruciòdentro un pizzico di polvere che produsse una nuvoletta di fumoaromaticoal che tutti si tirarono indietro e cominciarono a farsiil segno della croce e a sentirsi a disagio. Poi cominciò abiascicare qualcosa e a tracciar segni nell'aria con le mani.

Lentamentee gradualmente si eccitò fino a uno stato di frenesia e presea roteare le braccia come le pale di un mulino a vento. A questopunto ormai il temporale ci aveva quasi raggiuntole folate di ventofacevano divampare le torce e ondeggiare le ombrele prime grossegocce di pioggia cominciavano a cadere. Il mondo intorno era nerocome la pecei lampi cominciavano a balenare.

Naturalmenteil mio parafulmine si stava caricando proprio ora.

Glieventi erano imminenti. Perciò dissi:

-Avete avuto tempo a sufficienza. Vi ho dato ogni possibile vantaggiosenza interferire. E' chiaro che la vostra magia è debole. Edè più che giusto che ora cominci io.

Fecitre segni nell'aria e ci fu un tremendo schiantola vecchia torre fuproiettata in cieloin frantumiinsieme ad un immenso gettovulcanico di fuoco che trasformò la notte in mezzogiorno emostrò un migliaio di acri di esseri umani striscianti a terrain uno stato di crollo e costernazione generali. Ebbenepiovverocalcinacci e pietre per tutto il resto della settimanasecondoquanto fu raccontato forse con un po' di esagerazione.

Fuun miracolo di grande efficacia. Quella gran folla fastidiosa che siera radunata temporaneamente svanì. C'erano molte migliaia diorme nel fango la mattina dopoma tutte rivolte ad uscir dal paese.

Ilprestigio di Merlino era crollato. Il re intendeva levargli lostipendio; voleva persino esiliarlo ma io mi intromisi. Dissi chesarebbe stato utile per lavorare sulle condizioni del tempo eoccuparsi di cosette del genereed io lo avrei aiutato di tanto intantoquando la sua povera piccola magia da salotto gli fossedivenuta insufficiente. Non era rimasto in piedi nemmeno un briciolodella sua torrema gliela feci ricostruire a spese dello Statoegli consigliai di prendere gente a pensione. Ma era troppo altezzosoper abbassarsi a far questo. E in quanto a gratitudinenon mi dissemai neppure grazie. Era un tipo piuttosto duroda qualunque parte losi prendesse.




Capitolo10


ILCAPO


L'episodiodella torre consolidò e ingigantì il mio potere. Seprima di quell'evento c'erano ancora persone gelose o critiche neimiei confronticostoro avevano ora cambiato parere. Non c'eranessuno in tutto il reame che giudicasse cosa saggia immischiarsinelle mie faccende.

Iomi stavo adattando rapidamente alla mia condizione e allecircostanze. Per un po' di tempo continuai a svegliarmi al mattinosorridendo di questo mio "sogno" e aspettandomi di sentirela sirena della fabbricama questi fenomeni svanirono a poco a pocoe alla fine divenni pienamente cosciente che stavo veramente vivendonel sesto secoloalla corte di Artù e non in un manicomio.Dopo di chemi sentii a mio agio in quel secolo come lo sarei statoin qualunque altro ein quanto a preferenzanon lo avrei scambiatocon il ventesimo secolo. Pensate un po' all'occasione che essooffriva ad un uomo di sapereingegno coraggio e intraprendenza permettersi al lavoro e diventar grande insieme al paese. Il campod'azione più vasto che ci fosse mai stato e tutto miosenz'ombra di concorrenzacon gente intorno ch'erano bambinirispetto a me in quanto a cognizioni e abilità; invece quantoavrei potuto valere nel ventesimo secolo? Avrei potuto esserecaporeparto in una fabbricatutt'al più.

Chebalzo in avanti avevo fatto! Non riuscivo a smettere di pensarci e digioirneproprio come uno che abbia appena scoperto il petrolio. Ilmio potere era colossale.

Sìin quanto a questo ero uguale al re. Al tempo stesso c'era un altropotere che era un tantino più forte dei nostri due messiinsieme. Era la Chiesa. Non intendo nascondere questo fatto.

Nonpotreinemmeno volendolo. Ma non pensiamoci per adesso; verràfuori a tempo debito più tardi. All'inizio non mi diede nessunfastidio.

Be'era proprio un paese curioso e interessante. E che gente! Era larazza più stranaingenua e fiduciosa: insommanon eranoaltro che conigli. Faceva pena ad una persona nata in una atmosferasana e libera ascoltare le loro umili e sentite confessioni di lealtàverso il rela Chiesa e la nobiltà. Come se essi avesseromaggior motivo di amare ed onorare il re e la Chiesa e la nobiltàdi quanto ne abbia uno schiavo di amare e onorare la frustao uncane di amare e onorare il forestiero che lo prende a calci! Lamaggior parte degli abitanti della Britannia di re Artù eracomposta da schiavi puri e semplici e ne portavano il nome e ilcollare di ferro intorno al collo. Gli altri erano schiavi di fattose non di nome; ma si credevano uomini e liberi cittadini e se neattribuivano il nome. La verità era che la nazione nel suoinsieme esisteva per uno scopouno solo: strisciare davanti al realla Chiesa e ai nobili. Sgobbare per lorosudar sangue per loropatir la fame perché essi potessero saziarsilavorare perchéessi potessero divertirsiandar nudi perché essi potesseroindossare sete e gioiellipagare le tasse perché essipotessero evitare di pagarle ed usare per tutta la vita il linguaggioe i gesti degradanti dell'adulazione perché essi potesseroincedere orgogliosi e credersi gli dei di questo mondo. E inringraziamento di tutto ciò non ricevevano altro che schiaffie disprezzo; ed erano così sottomessi che consideravano unonore persino questo tipo di attenzione.

Leidee ereditate sono una cosa curiosa da osservare ed esaminare.

Ioavevo le mieil re e la sua gente avevano le loro. Sia le une che lealtre scorrevano in solchi scavati profondamente dal tempo e dalleabitudini e chi avesse avuto intenzione di mutarne il corso conragionamenti e discussionisi sarebbe trovato tra le mani un lavoroassai lungo. Per esempiocostoro avevano ereditato l'idea che tuttigli uomini senza titolo e senza un lungo albero genealogicocheavessero o meno grandi doti naturali o grandi conoscenzenon eranocreature degne di maggior considerazione di un animale o un moscerinoo un insetto. Mi consideravano stranoma era solo logico. Sapetebene come il guardiano e il pubblico considerano l'elefante nelserraglio: be'questo rende l'idea Sono pieni di ammirazione per lasua mole enorme e la sua forza prodigiosa; parlano con orgoglio delfatto che esso può compiere centinaia di meraviglie ben al dilà dei loro propri poteri Ma questo forse lo rende uno diloro? Nopersino il mendicante più stracciato del pubblicosorriderebbe a quest'idea. Non potrebbe comprenderlaaccettarlaconcepirla neppure lontanamente. Ebbene per il rei nobili e tuttala nazionegiù giù fino proprio agli schiavi e aivagabondiio rappresentavo proprio quel tipo di elefante e niente dipiù. Ero ammirato ed anche temutoma come si ammira e si temeun animale. L'animale non è riverito e neppure io lo ero; nonero neppure rispettato. Non avevo alcun albero genealogicoalcuntitolo ereditarioperciò agli occhi del re e del nobili nonero che fango. Il popolo mi considerava con meraviglia e timoremanon c'era alcuna riverenza in ciò. Grazie alle idee ereditatenon erano in grado di concepire qualcosa che avesse diritto a taleriverenza ad eccezione della stirpe e dei titoli onorifici. Qui sipuò vedere la mano di quella tremenda potenza che è laChiesa Cattolica Romana. In due o tre brevi secoli aveva trasformatouna nazione di uomini in una nazione di vermi. Prima dei giorni dellasupremazia della Chiesa nel mondogli uomini erano uominitenevanola testa alta e avevano l'orgoglioo spirito e l'indipendenza di unuomo; e quel che un uomo raggiungeva in quanto a grandezzalo dovevaalle sue azioni e non alla sua nascita. Ma poi la Chiesa iniziòla sua operainventò il "diritto divino dei re";predicòal plebeol'umiltàl'obbedienza aisuperiorila bellezza del sacrificio; predicòal plebeo lamitezza di fronte all'insulto; predicò ancora al plebeosempre al plebeola pazienzala mediocrità di spiritolasottomissione di fronte all'oppressione. E introdusse le aristocrazieereditarie e insegnò a tutte le popolazioni cristiane dellaterra ad inchinarsi avanti a loro e ad adorarle.

Maper tornare alla mia strana posizione nel regno di re Artùero làgigante tra pigmeiuomo adulto tra bambiniintelligenza maestra fra talpe intellettuali: secondo la ragionel'unico uomo veramente grande di tutto il mondo britannico. Eppure unconte dal cervello di gallina che potesse vantare una discendenza dauna favorita del reera considerato migliore di me. Un similepersonaggio era adulato servilmente nel regno di Artù etrattato con riverenza da tuttianche se le sue inclinazionila suaintelligenza e la sua moralità erano di poco valore. C'eranodei momenti in cui lui poteva sedersi in presenza del rema non io.

Ioavrei potuto ottenere un titolo con gran facilità e questo miavrebbe innalzato di gran lunga agli occhi di tuttipersino del reche me lo concedeva. Ma io non lo chiesi e lo rifiutai quando mi fuofferto. Non avrei potuto sentirmi realmente soddisfatto e orgogliosodi nessun titolo a meno che mi fosse dato dalla nazione stessachene è l'unica legittima fonte. Un tal riconoscimento io speraidi meritare e nel corso di molti anni di onesti e onorevoli sforzi melo guadagnai e lo portai con orgoglio. Questo titolo cadde per casodalle labbra di un fabbroun giornoin un villaggiofu afferratocome una bella trovata e rimbalzò di bocca in boccacon unarisata e il consenso generale. Entro dieci giorni aveva percorsotutto il reame ed era diventato popolare come il nome del re. Daallora in poi non ebbi altro nomesia sulle labbra della gente chenei seri dibattiti delle faccende di Stato alle riunioni di consigliodel sovrano. Questo titolo tradotto in linguaggio modernosarebbe"Il Capo". Scelto dalla nazione. Questo mi andava bene. Edera un titolo ben importante.

C'eranoben pochi "Il" ed io ero uno di loro. Se dicevate il ducail conteil vescovocome si poteva capire di chi intendevateparlare? Ma se dicevate "Il Re" o "La Regina" o"Il Capo"era un'altra faccenda. Be'il re mi piaceva elo rispettavoriconoscevo la sua funzione; ma come uominiioguardavo dall'alto in basso lui e i suoi nobiliin segreto. E lui ei suoi nobili avevano simpatia per me e rispettavano la mia funzione;ma in quanto animalesenza titoli per nascitaessi guardavano medall'alto in basso e non ne facevano neppure gran segreto.




Capitolo11


ILTORNEO


Sitenevano sempre dei grandi tornei là a Camelot. Eranosenz'altro delle corride umane molto emozionantipittoresche eridicoleperò disturbavano un pochino una mente pratica comela mia. Ma in genere io ero presenteper due ragioni: un uomospecialmente un uomo di statonon deve tenersi al di sopra dellecose che i suoi amici e la sua comunità hanno a cuoresevuole essere amato; inoltre volevo studiare il torneo e vedere se miriusciva di inventare qualche miglioramento. A questo propositovorrei far notaretra parentesiche il primo atto ufficiale dellamia amministrazione - e fu proprio nel primo giorno di carica - ful'istituzione di un ufficio brevetti. Sapevo infatti che un paesesenza un ufficio brevetti e buone leggi in proposito era proprio comeun granchio che può viaggiare solo all'indietro o di traverso.

Lecose continuavano per il loro versocon un torneo alla settimanacirca. Ogni tanto i ragazzicioè ser Lancillotto e gli altrimi chiedevano di parteciparvima io dicevo che l'avrei fatto piùavanti; non c'era frettaavevo troppo lavoro da svolgere nei mieiincarichi.

Cifu uno dei tornei che andò avanti da un giorno all'altro perpiù di una settimana e vi presero parte ben cinquecentocavalieri.

Cimisero delle settimane per radunarsi. Arrivarono a cavallo da tuttele partidai più lontani confini del paese e persino daoltremare. Molti avevano portato con sé le loro dame e tuttiavevano scudieri e schiere di servi.

Sicombatteva o si stava a guardare quotidianamente per tutta la duratadel giorno; e c'erano cantiscommessedanzegozzoviglie ogninottefino all'alba. Si divertivano da matti quei nobili.

Gentecome non ne avete mai vista.

Ilrumore di notte mi avrebbe disturbatonormalmentema date lecircostanze non mi dava fastidiopoiché mi impediva disentire i cerusici che tagliavan via gambe e braccia da quellistorpiati nella giornata. Mi rovinarono una speciale vecchia e ottimasega da legnama io lasciai perdere. In quanto alla mia scurebe'decisi che se avessi dovuto imprestarla a un chirurgo una secondavoltaavrei scelto io il secolo. Non solo stetti a guardare queltorneo giorno per giornoma vi mandai un prete intelligente dal mioDipartimento della Morale Pubblica e dell'Agricolturacon l'ordinedi stenderne un rapporto. Avevo intenzione in futurodopo averistruito un po' la gentedi iniziare un giornale. La prima cosa dicui avete bisogno in un paese nuovo è un ufficio brevettipoiorganizzate il sistema scolasticoe poi fate uscire il giornale. Ungiornale avrà i suoi difettiforse anche moltima nonimporta: è un risveglio dalla tomba per una nazione mortanondimenticatevelo. Non potete risuscitare una nazione morta senzagiornale. Perciò io volevo mettere insieme un campionario evedere che razza di materiale da cronaca avrei potuto rastrellare nelsesto secoloquando se ne fosse presentato il momento. Be'il pretefece un buon lavorotutto considerato. Ci mise dentro tutti idettagliil che è una buona cosa per un articolo di caratterelocale.

Naturalmenteil resoconto di questo principiante mancava di elementi sensazionalie descrizioni a fosche tinte e perciò non suonava come un veroarticolo di cronaca; ma il suo modo di scrivere antiquato eragraziosodolcesemplicee questi piccoli meriti supplivano inparte alle altre importanti manchevolezze.

Ecconeun esempio:

"SerAgwisance re d'Irlanda si scontrò con ser Gareth e ser Garethlo sbalzò di cavallo con sella e tutto. Poi venne re Caradosdi Scozia e ser Gareth abbatté a terra lui e il suo cavallo. Ein simil guisa servì re Uriens della terra di Gore. E allorase Galahault il nobile principe gridò ad alta voce:

-Cavaliere dai molti coloribene hai giostrato; preparati or affinchéio possa giostrare con te.

SerGareth lo udì e afferrò una lancia e si scontrarono eil principe spezzò la sua lancia; ma ser Gareth lo colpìdal lato sinistro dell'elmo ed egli barcollò qua e là esarebbe caduto se i suoi uomini non lo avessero soccorso. Di certodisse re Artùquel cavaliere dai molti colori è unvalente cavaliere. Perciò il re chiamò ser Lancillottoe lo pregò di scontrarsi con quel cavaliere.

-Sire - disse Lancillotto - io scopro nel mio cuore indulgenza per luiin questo momentopoiché egli ha avuto abbastanza travaglioin questa giornata e quando un buon cavaliere si comporta cosìbene in una giornatanon tocca ad un altro buon cavaliere levargliil suo merito. Forse - continuò ser Lancillotto - egli èmolto amato da una delle dame che sono qui oggi poiché io vedobene che ha molto lottato e sofferto per compiere grandi imprese.Perciòegli merita l'onore di vincere questa giornataeanche se fosse in mio potere di levarglieloio non lo farei".

Cifu un piccolo episodio spiacevole quel giorno che per ragioni distato cancellai dalla cronaca del mio prete.

Ioero seduto nel palco privato riservato a mein quanto ministro delre. Ser Dinadan mentre aspettava il suo turno per entrare in lizzavenne da mesi sedette e cominciò a parlare. Cercava sempredi adularmi perché ero un forestiero e a lui piaceva avere unnuovo pubblico per le sue barzellettele quali per lo piùavevano raggiunto quello stadio di usura in cui il narratore devefare anche la risata finale mentre l'ascoltatore ha l'aria nauseata.

SerDinadanl'umoristacontinuò ad annoiare il Capo con le suebarzellette. Alla fine lo mandò su tutte le furieraccontandogli una storiella che egli aveva già sentitomilioni di volte e sperava proprio di non dover sentire mai più.

Propriomentre finiva la storiellavenne il ragazzo che annunciava il suoturno. Cosìsghignazzando come un demoniose ne andòsferragliando e risonando come una cassetta piena di pezzi di metalloalla rinfusa e io non seppi altro. Ci vollero alcuni minuti prima cheio tornassi in me e aprii gli occhi proprio in tempo per vedere serGareth assestargli un colpo tremendo.

Inconsciamentepregai ad alta voce:

-Voglia il Cielo che sia ucciso!

Maper sfortunaprima che avessi pronunciato metà delle paroleser Gareth colpì ser Sagramor il Desideroso e lo fece volarecon rumor di tuono al di là della groppa del suo cavallo e serSagramor sentì la mia osservazione e pensò che fossediretta a lui. Ebbenequando uno di costoro si metteva qualcosa intestanon c'era verso di levargliela. Io lo sapevoperciòrisparmiai il fiato e non diedi alcuna spiegazione. Appena serSagramor si sentì megliomi fece sapere che c'era unconticino da sistemare fra noi due. Gli dissi che al suo ritornosarei stato pronto. Vedetelui stava partendo alla ricerca del SantoGraal. I ragazzitutti quantifacevano di tanto in tanto una volataa questo Santo Graal. Era una crociera di parecchi anni. Passavanotutto il tempo della loro lunga assenza a curiosare qua e lànel modo più coscienziosobenché nessuno di loroavesse la minima idea di dove fosse realmente il Santo Calice e noncredo che nessuno di loro si aspettasse di trovarlo in realtào sapesse che cosa farnese per caso lo avesse trovato. Ogni anno simandavano delle spedizioni a sangraallare e l'anno dopo se nemandavano delle altre alla ricerca delle prime. Si accumulava cosìuna gran famama niente soldi. E loro volevano che io mi cimettessi. Be'mi vien voglia di sorridere.




Capitolo12


ALBORIDI CIVILTA'


LaTavola Rotonda venne ben presto a conoscenza di tale sfida chenaturalmente fu discussa a lungo perché questo tipo di coseinteressava molto quei ragazzi. Il re pensava che ormai era giuntoper me il momento di partire alla ricerca di avventureperconquistarmi fama ed esser ancor più degno di confrontarmi conser Sagramor. Io mi scusai per il momento: dissi che mi ci sarebberovoluti tre o quattr'anni per finire di organizzare le cose e avviarlebene. Poi sarei stato pronto.

Eroabbastanza soddisfatto di quanto avevo già potuto creare. Indiversi angolini tranquilli avevo dato avvio ad ogni genered'industriaprimi germi di future grandi fabbriche. In esse avevoradunato le menti giovani più brillanti ch'io potessi trovaree mantenevo una pattuglia di agenti che rastrellava continuamente ilpaese alla ricerca di altre. Addestravo una folla di gente ignoranteper farne degli esperti in ogni sorta di lavoro manuale e dioccupazione scientifica. Questi asili infantili della civiltàfiorivano tranquillamente nei loro nascosti rifugi di campagnasenzaalcuna interferenzadato che nessuno poteva entrare nel loroterritorio senza un permesso specialepoiché io temevo laChiesa.

Perprima cosa avevo una fabbrica che sfornava insegnanti e una serie discuole di istruzione religiosa. Come risultato avevo ora un magnificosistema di scuole che funzionava a tutto vapore.

Quantoalla religione ciascuno poteva scegliere di essere il tipo dicristiano che preferiva: c'era completa libertà in materia.

Tuttele miniere erano di proprietà reale e ce n'erano parecchie.

Finoa poco tempo prima vi si lavorava come fanno di solito i selvaggi: siscavavano buchi nella terra e si portava su il minerale a manoinsacchi di cuoio al ritmo di una tonnellata al giorno Ma appenapossibile avevo cominciato ad organizzare l'estrazione mineraria subasi scientifiche.

Siero veramente a buon punto con i miei progetti quando fui colpitodalla sfida di ser Sagramor. Quattro anni passarono e alla fine...

Lemie scuole e le mie chiese erano diventate adulte ora; le mie piccoleofficine erano diventate enormi fabbriche; dove avevo una dozzina diuomini bene addestratiora ne avevo mille; dove avevo un brillanteespertoora ne avevo cinquanta. Stavo con la mano sull'interruttoreper così direpronto a girarlo da un momento all'altro e adinondare di luce quel mondo immerso nel buio. Ma non avevo alcunaintenzione di farlo così all'improvviso. Non era quello il miomodo di procedere. Il popolo non sarebbe stato in grado di sopportareuna cosa simile e per di più mi sarei tirato addosso nel girodi un minuto la Chiesa Cattolica Romana.

Noavevo sempre proceduto con cautela. Ad un certo punto avevo fattoinfiltrare degli agenti segreti per tutto il paesecon l'incarico diindebolire la cavalleria a poco a pocoe corrodere un po' qua e unpo' là le varie superstizionicosì da prepararegradatamente la strada per un miglior ordine di cose.

Avevoseminato le mie scuole segretamente per tutto il reameeprosperavano molto bene. Intendevo estendere sempre più questaorganizzazione clandestina col passar del tempose niente fosseintervenuto a spaventarmi. Uno dei segreti meglio custoditi eral'accademia militare. La tenevo gelosamente lontana dagli occhi ditutti. Lo stesso era per l'accademia navale che avevo stabilito in unporto lontano e nascosto. Ambedue prosperavano soddisfacentemente.Clarence aveva ormai ventidue anni ed era il mio amministratore capoil mio braccio destro. Era un vero tesoro all'altezza di tutto: nonc'era nulla che non sapesse fare. Negli ultimi tempi avevo cominciatoa prepararlo al giornalismopoiché mi sembrava il momentogiusto per un tentativo in quella direzione. Non un gran chema soloun piccolo settimanale da far circolare sperimentalmente nei mieiasili infantili di civiltà.

Luici si mise con un gusto e una facilità come se l'avesse semprefatto: era veramente un redattore nato. Aveva già raddoppiatose stesso in una cosa: parlava come nel sesto secolo e scriveva comenel diciannovesimo.

Stavamoanche lavorando ad un altro grande lancio: quello di un telegrafo eun telefono. Queste reti per il momento erano solo per uso privato ele dovevamo tenere nascoste fino a che i tempi fossero maturati.Avevamo una squadra di uomini sulla strada che lavorava soprattuttodi notte. Stendeva dei fili sotterranei perché avevamo pauraad erigere dei pali nel caso che attirassero troppa curiosità.I miei uomini avevano ordine di avanzare per la campagnaevitando lestrade e creando collegamenti tra tutte le città di una certaimportanza.

Inquanto allo stato generale del paese era virtualmente rimasto comeera quando io ero arrivato. Avevo apportato dei mutamentima eranonecessariamente minimi e non si notavano. Fino a ora non mi eronemmeno immischiato dei problemi di tassazionea parte le tasse chefornivano i redditi del re. Quelle le avevo riorganizzate sulla basedi un sistema giusto ed efficace. Il risultato era che questi redditierano già quadruplicati e il loro peso era piùequamente distribuito rispetto al passato. Tutto il regno ne provavaun senso di sollievo e le lodi per la mia amministrazione eranosincere e generali.




Capitolo13


LOYANKEE IN CERCA DI AVVENTURE


Nonè mai esistito un paese simile per i bugiardi erranti. E cen'erano di ambo i sessi. Non passava mese senza che uno di questivagabondi non arrivasse generalmente carico di racconti circa questao quella principessa cherinchiusa in un lontano castellochiedevaaiuto per essere liberata dalla prigionia in cui la teneva un ribaldofuorileggequasi sempre un gigante.

Orasi potrebbe pensare che il resentita una simile favola da unperfetto sconosciutochiedesse per prima cosa le credenziali emagari un paio di indicazioni sulla località del castellolastrada migliore per arrivarci e così via. Ma nessuno pensavamai a una cosa tanto semplice e sensata. Macchétuttibevevano le frottole di quella gente e non facevano mai domande dinessun generenon s'informavano di niente. Ebbeneun giorno in cuiio non c'eroarrivò uno di quei tipiera una donna questavoltae raccontò una storiella del solito genere. La suapadrona era prigioniera in un immenso e tetro castelloinsieme conaltre quarantaquattro giovani e belle fanciulletutte più omeno principesse. Esse stavano languendo in quella crudele prigioniada ventisei anni. I padroni del castello erano tre stupefacentifratelliognuno con quattro braccia e un solo occhio in mezzo allafrontegrosso come un frutto. Genere del frutto: non specificato. Lasolita negligenza dei rendiconti.

Locredereste? Il re e l'intera Tavola Rotonda andarono in visibiliodavanti a questa assurda occasione di avventure. Ogni cavaliere dellaTavola Rotonda si fece prontamente avanti e implorò affinchégli venisse concessa questa opportunitàma con loro rabbia edolore il re accordò l'onore a me che non l'avevo chiestoaffatto.

Conuno sforzo contenni la mia "gioia" quando Clarence mi portòla notizia. Ma egli non riuscì a contenere la sua. Dalla suabocca sgorgavano a fiotti gioia e gratitudine: gioia per la mia buonafortunagratitudine verso il re per questa splendida prova del suofavore per me.

Daparte mia avrei voluto maledire il favore che conferiva a me questabuona azionemaper ragioni di diplomaziatenni ben nascosta lamia contrarietà e feci del mio meglio per apparire contento.

Be'bisogna cavarsela alla meno peggio e non sprecare tempo in vanerecriminazionima mettersi al lavoro e vedere cosa si puòfare.

Mandaia chiamare la ragazzae lei venne. Era abbastanza graziosadolce emodestama dalle apparenze ne doveva sapere quanto un orologio dasignora. Le domandai:

-Mia carasei stata interrogata sui particolari?

Risposedi no.

-Dove abiti quando sei al tuo paese?

-Nella terra di Modergentil messere.

-Terra di Moder? Non mi sembra di averla mai sentita prima. I tuoigenitori sono vivi?

-In verità non so se sono ancora in vitapoiché permolti anni sono rimasta chiusa nel castello.

-Il tuo nomeper favore?

-Mi chiamo damigella Alisanda la Carteloisese non vi dispiace.

-Conosci qualcuno qui che ti possa identificare?

-Questo non è probabilemio signoreessendo venuta qui oraper la prima volta.

-Hai portato delle letteredei documentidelle provea dimostrareche sei persona degna di fiducia?

-Certamente no. Per quale ragione avrei dovuto? Non ho io una lingua enon posso dire tutto ciò io stessa?

-Ma vediche sia "tu" a dirlo e che lo dica un altroèdiverso.

-Diverso? Come può essere? Temo di non capire.

-Non "capisci"? Per la terra di... Ma vedivedi. Ohperbaccocome fai a non capire una cosina tanto semplice? Noncapisci la differenza fra la tua... Ma perché mi guardi conquell'aria innocente e idiota?

-Io? In verità non lo soma forse questo è il volere diDio.

-Sìsìsuppongo che sia più o meno così.Non farci caso se sembro un po' agitato. Non lo sono. Ma cambiamoargomento.

Oraparliamo di questo castello con quarantacinque principesseprigioniere dentro e tre orchi che comandano il tutto. Dimmidov'èquesto harem?

-Harem?

-Il castellohai capito. Dov'è il castello?

-Ohin quanto a quelloè enormeforte e ben difeso ed èsituato in un lontano paese. Sìa molte leghe da qui.

-Quante?

-Ahmesseresarebbe estremamente complicato stabilirlo. Sono tante esi sovrappongono una all'altra ed essendo tutte uguali e dello stessocolore non si può distinguere una lega da quella accantonési sa come contarle...

-Bastabastalasciamo andare la distanza. Dove si trova il castello?In quale direzione da qui?

-Ohnon vi dispiacciamesserenon c'è direzione da quiperché la strada non va drittama gira sempre. Quindi ladirezione del luogo non è sempre la stessama ora èposta sotto un cielo e poco dopo sotto un altro.

-Ohva beneva benelascia perdere. Non importa la direzione"aldiavolo" la direzione. Chiedo scusachiedo mille scusenon misento bene oggi. Non far caso ai miei brontolii: è una vecchiaabitudineuna vecchia e cattiva abitudinedifficile da vincerequando la digestione è sottosopra per aver mangiato robacoltivata secoli e secoli prima che venissi al mondo. Diamine! Unuomo non può avere funzioni regolari se mangia pollastrellivecchi di milletrecento anni. Masuvvialasciamo perdere questo.Andiamo avanti. Hai con te una mappa di quella regione? Intendo unabuona mappa...

-E' per caso quella specie di cosa che ultimamente gli infedeli hannoportato dai grandi mari e chebollita nell'olio e con l'aggiunta diuna cipolla e di sale fa...

-Che? Una mappa? Che stai dicendo? Non sai che cosa è unamappa?

Viavianon importanon spiegare nulladetesto le spiegazioni:

confondonole cose in modo tale che poi non si capisce più niente.

Va'va'mia cara. Buongiorno. Clarenceaccompagna madamigella Alisandaalla porta.

Oraera abbastanza chiaro perché quei somari non tentasseroneppure di interrogare quei bugiardi per conoscere i particolari.

Potevadarsi che questa ragazza fosse a conoscenza di qualche fattoma noncredo che si sarebbe riusciti a cavarglielo fuori con una pompaidraulica e nemmeno con i primi rudimentali metodi esplosivi; quelloera un caso da dinamite. Ma sìera un'oca perfetta. Eppure ilre e i suoi cavalieri erano stati ad ascoltarla come fosse stata unapagina del Vangelo. Questoin un certo qual mododà un'ideadi tutta quanta la compagnia.

Mentreconcludevo queste mie riflessioni rientrò Clarence. Eglisembrò un po' sorpreso e mi fece capire che veramente si erachiesto perché mai io avessi fatto tutte quelle domande allaragazza.

-Maper mille bombe! - dissi io - non devo trovare il castello?

Ein che altro modo potrei sapere dove si trova?

-Mamio dolce signoreè facile rispondere a ciòiopenso. Lei verrà con te. E così che fanno. Leicavalcherà con te.

-Cavalcare con me? Che assurdità!

-Ma così farà. Cavalcherà con te. Vedrai.

-Che cosa? Lei a esplorare i colli e perlustrare i boschi con mesolae io che sono quasi fidanzato? Ma è scandaloso! Pensache figura Ci farei.

Ohil caro viso che mi sorse davanti! Il ragazzo moriva dalla voglia disapere tutto di quella tenera vicenda. Gli feci giurare di mantenereil segreto e poi gli sussurrai il suo nome"Puss Flanagan".Sembrò deluso e disse che non ricordava quella contessa. Eranaturale per il piccolo cortigiano attribuirle un titolo. Mi chiesedove abitava.

-Nella zona est di Har... - Mi fermai in tempoun po' confuso.

Poidissi:

-Non orate lo dirò un'altra volta.

Eavrebbe mai potuto vederla? Gli avrei permesso di vederlaun giorno?Ci voleva così poco a promettere. Milletrecento anni o giùdi lì... e lui ci teneva tanto: così gli dissi di sì.Ma sospirai.

Nonpotevo farne a meno. In veritànon aveva molto sensosospirare perché lei non era ancora nata. Ma noi siamo fatticosìnon ragioniamo quando siamo presi da un sentimento:sentiamo e basta. Per tutto il giorno e la notte non si parlòche della mia spedizione e i ragazzi si comportarono molto bene conme e mi trattarono con tutti i riguardi. Sembrava avesserodimenticato la loro rabbia e la loro delusione e fossero diventatiansiosi di vedermi sconfiggere quegli orchi e rimettere in libertàquelle damigelle come se fossero loro stessi impegnati nell'azione.

Insommaerano buoni bambinima appunto bambini e non più di questo.Mi diedero consigli a non finire sul modo migliore per scovaregiganti e attirarli in una trappola. Mi rivelarono ogni genere disortilegi contro gli incantesimi e mi regalarono balsami e altrarobaccia da mettere sulle ferite.

Secondol'usanza avrei dovuto fare colazione di buon'ora e partire primadell'alba; ma faticai come un diavolo con l'armatura e questo mi fecetardare un po'. E' difficile infilarsi dentro e ci sono tantidettagli. Prima bisogna avvolgere un paio di coperte intorno alcorpocome cuscino di protezione e per non sentire il freddo delferro; poi si infilano le maniche e la camicia di maglia d'acciaioche è molto pesante ed è il materiale piùscomodo del mondo per camicie da notte. Poi si mettono le scarpebarche a fondo piatto con la parte superiore fatta di strisce diacciaio intrecciatee si avvitano ai tacchi i rozzi speroni. Poi siaffibbiano gli schinieri alle gambe e i cosciali alle coscedopovengono lo schienale e il pettorale e si comincia a sentirsi pesanti.Poi si aggancia alla corazza il mezzo gonnellinodi larghe striscedi metallo sovrapposteche pende davantima dietro ètagliato più corto per permettere di sedersi; questoespediente non è affatto un miglioramento rispetto a unsecchio di carbone capovoltoné come aspettoné comeindumento e neppure per asciugarsi le mani. Poi si cinge la spada;poi si mettono alle braccia i raccordi da tubi di stufai guanti diferro alle mani e alla testa la trappola da topi in ferroda cuipenzola uno straccio di ragnatela di acciaio che ricade sulla nucaed eccoci prontiimmobilizzati come una candela nel suo stampo.Questo non è il momento di ballare. Insommaun uomo cosìimpacchettato è come una noce che non vale la pena dischiacciare.

Iragazzi mi aiutaronoaltrimenti non sarei mai riuscito a entrarenell'armatura. Il sole si era appena levatoil re e la corte miaspettavano per vedermi partire e augurarmi buona fortunaperciònon sarebbe stata buona creanza da parte mia farli attendere. Non sipuò montare a cavallo da solinopuoi provarci ma rimarrestideluso. Ti portano fuoriproprio come si porterebbe in farmacia unuomo che ha preso un colpo di soleti mettono suti aiutano asistemartiti fissano i piedi nelle staffe e intanto tu ti sentitanto strano e soffocatocome un'altra persona...

comeuno che si è sposato all'improvvisoo che è statocolpito da un fulmineo qualcosa di similee che non si èancora riavuto del tuttosi sente stordito e non riesce aorientarsi. Poi issarono quell'albero maestroche chiamavano lanciae io lo afferrai con la mano. Infine mi appesero lo scudo intorno alcollo ed ero al completopronto ad alzare l'ancora e a prendere ilmare. Furono tutti molto buoni con me e una damigella d'onore mioffrì personalmente la coppa della staffa. Non era rimastoaltro da fare se non far salire la fanciulla dietro di mesu di unsellinocosa che fece e poi mi mise un braccio intorno alla vita perreggersi. E così incominciammo il nostro viaggio. Tutti cidissero addio e agitarono i fazzoletti o gli elmi.




Capitolo14

LENTATORTURA


Prestofummo in aperta campagna. Era bello e piacevole trovarsi in quellesolitudini silvanenell'aria fresca del mattinonella primafrescura autunnale. Dalla cima dei colli vedevamo stendersi laggiùampie vallate verditraversate da corsi d'acqua serpeggiantie quae là isole di boschettiesparse intornodelle enormiquerce solitarie che gettavano scure macchie d'ombra.

Aldi là delle valli si vedevano file di colli azzurri nellafoschiache si estendevano in lontananza fino all'orizzontein unpaesaggio ondulato interrotto ogni tanto da un'indistinta macchia dibianco o di grigio e si sapeva che quello era un castello.Attraversavamo vasti prati naturali scintillanti di rugiada e cimuovevamo come spiriti su quel morbido terreno erboso che non davaalcun suono di passi. Passavamo come in sogno per le radurein unanebbia di luce verde che prendeva il suo colore dal tetto di fogliebagnato di sole. Ai nostri piedi i più limpidi e freschiruscelletti scorrevano saltellando e mormorando sui sassifacendouna musica sussurrante piacevole ad udirsi. A volte lasciavamo ilmondo alle spalle e penetravamo nelle profondità grandi esolenni e nelle intense tenebre della forestadove creature furtivee selvatiche guizzavanoscappavano e scomparivano ancor prima che sipotesse volgere l'occhio verso il luogo da dove proveniva il rumore.Soltanto gli uccelli più mattinieri erano in piena attivitàoccupati con una canzone qua e una baruffa là ein distanzaun misterioso martellare e tambureggiare sul tronco di un albero acaccia di vermilaggiùin qualche impenetrabile recesso deiboschi. E poco dopo riemergevamo di nuovo nello splendore della luce.La terza o la quarta o la quinta volta che riemergemmo alla luce vivadel giornocirca un paio d'ore dopo il sorgere del solenon fu piùcosì piacevole come prima. Cominciava a far caldo e in modonotevole e dovevamo percorrere un lunghissimo tratto senza ombraalcuna. E' un fatto curioso come le piccole irritazioni crescano e simoltiplichino progressivamenteuna volta che iniziano. Cose a cuinon avevo dato alcuna importanza all'iniziocominciarono ainfastidirmi orae sempre di piùvia via che il tempopassava.

Leprime dieci o quindici volte che mi trovai ad aver bisogno delfazzoletto non me ne ero preoccupato; avevo tirato avantiavevodetto:

"Nonimportanon fa nulla" e non ci avevo pensato più.

Maora era diverso: ne avevo bisogno continuamente. Era un incessantefastidio che non mi dava tregua; non me lo potevo togliere dallamente. Cosìalla finepersi la pazienza e dissi:

"S'impicchiquello che ha fatto quest'armatura senza tasche".

Dovetesapere che avevo il fazzoletto nell'elmo insieme ad altre cosemaera quel tipo d'elmo che non ci si può togliere da soli.

L'avevomesso là dentro senza rifletterepoiché avevoimmaginato che sarebbe stato particolarmente comodo averlo lìdentro E orail pensiero che era lìcosì a portata dimano e tanto vicino eppure irraggiungibile peggiorava la situazione ela rendeva insopportabile. Giàla cosa che non si puòavere è la cosa che più si desidera; tutti lo sanno.Insommaquel pensiero distolse la mia mente da qualsiasi altra cosala occupò interamente e la concentrò sull'elmo e lìrimase per miglia e migliaa immaginare il fazzolettoaraffigurarsi il fazzoletto. Ed era amaro ed esasperante sentire ilsudore salato che continuamente gocciolava fin dentro gli occhi e nonessere in grado di raggiungere il fazzoletto.

Sembrauna piccolezzaqui sulla cartama non lo era affatto: era la piùautentica forma di tormento. Non lo direi se non fosse stato così.Decisi che la prossima volta mi sarei portato dietro una reticellasenza preoccuparmi dell'aspetto e di quello che la gente avrebbedetto. Naturalmentequei bellimbusti di ferro della Tavola Rotondal'avrebbero considerato scandaloso e avrebbero fatto un putiferiomaquanto a mele comodità prima e lo stile poi. Cosìproseguivamo lentamente e di tanto in tanto capitavamo su un sentieropolveroso e la polvere si alzava in nugoli e mi penetrava nel naso emi faceva starnutire e piangere. Enaturalmentedicevo cose che nonavrei dovuto direnon lo nego.

Nonsono migliore degli altri. Sembrava non si dovesse incontrare nessunoin quella solitaria Britannianeppure un orco edato il mio umorein quel momentoera una fortuna per l'orcosoprattutto se avesseavuto un fazzoletto. La maggior parte dei cavalieri non avrebbepensato ad altro che a prendergli l'armatura; per conto mio misarebbe bastato prendergli il fazzoletto di seta e lui avrebbe potutotenersi tutta la sua ferraglia. Intantolì dentro facevasempre più caldo. Capireteil sole picchiava e riscaldavasempre di più il ferro. Be'quando si ha caldo a quel modoqualunque piccolezza irrita. Quando andavo al trotto facevo rumorecome un cesto di stoviglie e questo mi infastidiva. Inoltre nonriuscivo più a sopportare quello scudo che mi sbatacchiavarintronando ora sul pettoora sulla schiena. Se mi mettevo al passoi miei giunti cigolavano e stridevano con quel rumore noioso dellecarriole; poisiccome a quell'andatura non c'era un filo d'ariacorrevo il rischio di finire arrosto in quella stufa.

Quantopiù adagio andavo tanto più il peso del ferro migravava addosso e ogni minuto che passava mi sembrava di pesarequalche tonnellata di più. E dovevo continuamente cambiar dimano e passare la lancia da una parte all'altra tanto era faticosoreggerla a lungo con una mano sola.

Ebbenequando si suda a quel modoa fiumiviene il momento in cui... incui... be'in cui tutto dà prurito. Tu sei dentrole tuemani sono fuori ed eccoti là; e in mezzo non c'è altroche ferro.

Puòsembrare una sciocchezzama non lo è. All'inizio è unpunto solopoi un altroe poi un po' di più e continua adiffondersi e a dilagare. Alla fine tutto il corpo è occupatoe nessuno può immaginare come ci si sente e quanto siasgradevole. Quando fui arrivato al colmo e mi pareva di non poter piùresistereuna mosca s'infilò tra le sbarre dell'elmo e mi siposò sul naso.

Volevoalzare la visiera ma le sbarre si erano inceppate e non c'era versodi farle funzionare. Non potevo far altro che scuotere la testa chenel frattempo era cotta e tostatae la mosca - be'si sa come sicomporta una mosca quando si sente sicura - si preoccupava delloscotimento solo quel tanto da spostarsi dal naso al labbro e dallabbro all'orecchioe ronzavaronzava lì dentroecontinuava a posarsi e a pungere in un modo che una personagiàtribolata come ero ionon poteva assolutamente sopportare. Cosìmi arresimi feci smontare l'elmo da Alisanda e me ne liberai.

Poiella lo svuotò di tutte le cose che vi avevo riposto e me loriportò pieno d'acqua e io bevvi. Mi alzai in piedi ed ella miversò l'acqua rimasta dentro l'armatura. Non si puòimmaginare che refrigerio fosse. Alisanda continuò a portareacqua e a versare finché non fui inzuppato ben bene e misentii completamente a mio agio.

Erabello avere un po' di riposo e di pace. Ma nulla è perfetto inquesta vita in nessun momento. Tempo addietro mi ero fatto una pipa eanche un discreto tabacconon quello veroma qualcosa di simile aquello che usano gli indiani: l'interno della corteccia di salicedisseccato. Questi generi di conforto erano stati messi nell'elmo eora li avevo di nuovoma non avevo fiammiferi. Pian pianocolpassar del tempocominciai a rendermi conto di una spiacevolerealtà: eravamo nell'impossibilità di proseguire. Unnovizio in armatura non può montare a cavallo senza un aiuto egliene occorre parecchio.

Sandynon bastavaalmeno per me. Dovevamo aspettare che passasse qualcuno.Aspettare in silenzio sarebbe stato abbastanza piacevoleperchéavevo molte cose a cui pensare e volevo approfittare di questaoccasione per riflettere. Volevo cercare di capire perchéuomini ragionevolio anche semi-ragionevoliavessero potutoimparare a indossare l'armaturaconsiderandone gli inconvenientiecome avessero fatto a conservare tale usanza per tante generazioniquando era evidente che quello che avevo sofferto io quel giorno essilo dovevano soffrire ogni giorno della loro vita. Inoltre volevotrovare il modo di eliminare questo male e di persuadere la gente alasciar morire quella stupida usanza; ma pensarein quellecircostanzeera fuori discussione. Dove si trovava Sandy eraimpossibile pensare. Era una creatura docilissima e di buon cuoremaquel suo incessante macinar parole come un mulinofaceva venire ilmal di testacome il rumore di carri in città. Se avesseavuto un tapposarebbe stato un sollievo.

Manon si possono tappare tipi siffatti: ne morrebbero. Il suo cianciareandava avanti tutto il giorno e veniva fatto di pensare chea uncerto puntosarebbe sicuramente accaduto qualcosa agli ingranaggi.Macchénon si guastavano maie non era mai costretta arallentare per mancanza di parole. Era capace di macinarepomparefrullare e ronzare per settimanesenza mai fermarsi per mettere unpo' d'olio o aprire lo sfiatatoio. Non avevo badato al suo mulinodurante la mattinata perché mi trovavo in un vespaio di altriguai; ma in quel pomeriggio dovetti dirle più di una volta:

-Riposatibambinase vai avanti così a consumare tutta l'ariadel paeseil regno sarà costretto a importarne dell'altra perdomanie le finanze dello Stato sono già abbastanza poveresenza questa spesa.




Capitolo15


UOMINILIBERI!


E'davvero strano come si possa essere contenti solo per cosìbreve tempo alla volta. Soltanto poco primamentre cavalcavo esoffrivoche paradiso mi sarebbero sembrati questo riposoquestapacequesta dolce serenitàin questo angolo solitario eombroso presso il ruscello mormorante.

Eppuregià incominciavo a sentirmi insoddisfattonon potevoaccendere la pipa poichésebbene avessi avviato da moltotempo un fabbrica di fiammiferiavevo dimenticato di portarmenedietro un po'. E c'era un altro problema: non avevamo niente damangiare.

Questoè un altro esempio dell'infantile imprevidenza di quell'epocae di quella gente. Un uomo in armi si affidava sempre alla sorte pertrovare cibo quand'era in viaggio e si sarebbe scandalizzato all'ideadi appendere un cestino di panini alla sua lancia. Probabilmente nonc'era un solo cavaliere in tutta la compagnia della Tavola Rotondache non avesse preferito morirepiuttosto che farsi vedere in girocon un oggetto simile appeso sull'asta della sua bandiera. Eppuresarebbe stata la cosa più sensata da fare. Avevo avuto l'ideadi mettere di nascosto un paio di panini nell'elmoma ero statocolto sul fatto e avevo dovuto trovare una scusa e metterli da partecosì un cane se li era presi.

Siavvicinava la notte e con essa un temporale. Stava facendosi buiorapidamente. Dovevamo accamparci ovviamente. Trovai un buon riparosotto una roccia per la damigellapoi andai a cercarne un altro perme. Ma fui costretto a tenermi l'armatura perché non potevotogliermela da solod'altronde non potevo permettere che Alisanda miaiutasse perché mi sarebbe sembrato di spogliarmi davanti allagente. In realtànon sarebbe stato proprio cosìperché sotto ero vestito. Ma non è facile liberarsicosì di colpo dei pregiudizi della propria educazione e sapevochequando fosse venuto il momento di togliermi quel gonnellino diferro a coda mozzami sarei sentito imbarazzato.

Conil temporale si verificò un cambiamento di temperatura e piùil vento soffiava forte e più violentemente la pioggiascrosciavatanto più il freddo si faceva intenso. Ben prestovari tipi di insettiformichevermi e altre bestioline presero auscire a frotte dal bagnato e a strisciare dentro la mia armatura perstare al calduccio; e mentre alcuni tennero un contegno discretosiaccomodarono fra i miei abiti e non si mosseroi piùdi unarazza irrequieta e agitatanon stavano mai fermi e scorrazzavanocontinuamente a caccia di chissà che cosa. Specialmente leformiche che percorrevano il mio corpo da una estremitàall'altra in irritante processioneper ore ed orefacendomi ilsolletico.

Auna persona che dovesse trovarsi in una simile situazioneconsiglierei di non rigirarsi o dimenarsiperché ognimovimento desta l'interesse di tutti i diversi tipi di bestiolineche vengono fuori dal primo all'ultimo a vedere quel che succede; ciòpeggiora le cosenaturalmentee vi fa imprecare ancora di piùse è possibile. D'altra partese uno non si rigirasse e nonsi dimenassemorrebbe. Alloraforseuna cosa vale l'altranon c'èscelta vera e propria. Perfino dopoquando non ero che un blocco dighiacciosentivo ancora quel formicolioproprio come succede a uncadavere sottoposto alla cura elettrica. Giurai che dopo quel viaggionon avrei più indossato un'armatura.

Quandofinalmente giunse il mattino ero in uno stato davvero pietoso;malconciostorditosfinito dalla mancanza di sonnospossato per ilcontinuo dimenarmiaffamato per il lungo digiunodesideroso di unbagno e di liberarmi degli insetti e paralizzato dai reumatismi. Ecome era andata alla nobilearistocratica e titolata damigellaAlisanda la Carteloise? Ebbeneera vispa come uno scoiattolo: avevadormito come un ghiro. Quanto al bagnoprobabilmente né leiné alcun altro nobile del paesel'aveva mai fatto e perciònon ne sentivano la mancanza. Secondo i principi moderni quegliindividui non erano che una massa di selvaggi. E la nobile damigellanon dava alcun segno d'impazienza per la colazione. Quandoviaggiavanoquei Britannierano abituati ai lunghi digiuni esapevano come sopportarlidal momento che si riempivano di ciboprima della partenzain vista di eventuali digiuni. ProbabilmenteSandy si era preparata per una tirata di tre giorni.

Riprendemmoil cammino prima dell'alba. Sandy a cavallo e io dietro zoppicando.Dopo una mezz'ora incontrammo un gruppo di povere creature cencioseche si erano riunite ad aggiustare quella cosa che veniva consideratauna strada. Nei miei riguardi si dimostrarono umili come animali equando proposi di far colazione con lorofurono cosìlusingati che quasi non riuscivano a convincersi che io dicessi sulserio. La mia damigella arricciò il naso sdegnosa e si fece daparte. Eppure quegli uomini non erano schiavinon erano proprietàaltrui. Per ironia della legge e della parolaessi erano uominiliberi. I sette decimi della popolazione libera del paese erano dellaloro stessa classe e condizione sociale: piccoli agricoltori"indipendenti"artigiani e così via.

Valea dire che essi erano la nazionela nazione vera e propria e dellanazione essi rappresentavano tutto quello che era utile e degno diessere salvato. Gli altriil rei nobili e i gentiluominioziosiimproduttiviesperti soltanto nelle arti dello spreco e delladistruzione e di nessuna utilità o valore in un qualsiasimondo razionalmente costruitonon erano la nazione.

Eppuregrazie a un ingegnoso ingannoquesta dorata minoranzainvece diessere in coda alla processionedove meritava di staremarciava atesta alta e a bandiere spiegatea capo del corteo. Si eraautoeletta a nazionee quegli innumerevoli molluschi lo avevanopermesso per tanto tempo che avevano finito con l'accettare il fattocome una verità. Non soloma anche col crederlo giusto.

Idiscorsi di quella gente sottomessa suonavano molto strani a unorecchio che era stato americano. Erano uomini liberima nonpotevano lasciare i possedimenti del loro signore o del loro vescovosenza permesso; non potevano preparare il pane in casa propriamadovevano macinare il grano e cuocere il pane al mulino e al forno delpadrone e pagare adeguatamente; non potevano vendere un solo pezzodel proprio terreno senza pagargli una bella percentuale sulricavato; se compravano un pezzo di terreno da qualcun altro dovevanomostrargli la loro gratitudine con denaro contante per il privilegio;dovevano mietere il suo grano senza compenso ed essere pronti adaccorrere in qualsiasi momentoanche se il loro raccolto rimanevaesposto al pericolo di essere distrutto da un temporale imminente;dovevano lasciargli piantare alberi da frutta nei loro campi e poimangiarsi il fegato dalla rabbia quandodurante la raccolta dellafruttail grano attorno agli alberi veniva calpestato senzariguardo: e dovevano soffocare l'ira quando le sue comitive dicacciatori galoppavano per i campi distruggendo il frutto del loroduro lavoro. Infinequando il raccolto era ammassatoalloraarrivava la processione dei ladroni a riscuotere il tributo dei lororicatti. Prima di tutti la Chiesa si portava via la sua pinguedecimapoi l'incaricato del re si prendeva il suo ventesimopoi legenti del padrone facevano man bassa su quello che era rimasto; dopodi che allo spellato uomo libero era concesso di riporre i resti nelsuo granaiose ne valeva la pena. Poi c'erano tasse e tasse e tassee altre tasse e poi ancora tasse addosso a quel poveraccio libero eindipendente ma non ce n'era alcuna per il suo signorebarone ovescovonessuna per la nobiltà sprecona o per l'avida Chiesa.

Edeccoli qui questi uomini libeririuniti di buon mattino a lavorarealla strada del loro signoreil vescovotre giorni ciascunogratis. Ogni capo famiglia e ogni figlio di famigliatre giorniciascunogratispiù un giorno da aggiungere per i loroservi. Eppure quei poveri uominiapparentemente liberichespartivano con me la loro colazione e i loro discorsierano pieni diumile riverenza verso il rela Chiesa e i nobili. C'era inquell'atteggiamento qualcosa di penosamente ridicolo. Chiesi loro sepensavano che se fosse stato introdotto il libero voto di tutti icittadini in una nazioneessi avrebbero eletto a regnare per sempreun'unica famiglia e i suoi discendentiintelligenti o rimbambitiedavrebbero dato potere ed autorità a poche centinaia difamiglie investendole di glorie e privilegi ereditari e dannosi adesclusione di tutte le altre famiglie della nazionecomprese leloro.

Nessunosembrò impressionato e risposero che non sapevanoche non ciavevano mai pensato prima e che non era mai venuto loro in mente cheuna nazione potesse trovarsi nella situazione in cui ogni uomo avessevoce nel governo. Io dissi che ne avevo vista una e che sarebbedurata finché non avesse avuto una Chiesa costituita. Anchequesta volta nessuno sembrò reagiredapprima.

Mapoi un uomo alzò lo sguardo e mi chiese di ripeterequell'affermazionelentamente in modo che potesse entrargli intesta.

Cosìfeci e dopo un po' egli afferrò l'idea. Batté il pugnoe disse che "egli" non credeva che una nazione dove ognunoaveva il diritto di voto si sarebbe volontariamente buttata giùnel fango e nel sudiciume in quel modo e che rubare a una nazione lasua volontà e la sua libertà di scelta doveva essere undelittoil peggiore di tutti. Io pensai:

"Questoè un uomo. Se fossi sostenuto da un numero sufficiente diuomini di tal stamposcenderei in campo armato per il benessere diquesto paese e cercherei di dimostrarmi il suo cittadino piùlealecambiando totalmente il suo sistema di governo".

Illato istrionico della mia natura mi avrebbe spinto a dare ledimissioni da Capo e a provocare un'insurrezione e scatenare unarivoluzione. Ma sapevo che chi fa simili tentativi senza primaeducare il popolo e prepararlo allo stato rivoluzionariopuòessere quasi assolutamente certo di essere piantato in asso. Io nonavevo l'abitudine di essere piantato in asso. Non parlaidunquedisangue e di insurrezione a quell'uomo che stava lì seduto amasticare pane nero con quel maltrattato e ignorante branco di pecoreumanema lo presi da parte e gli feci discorsi di altro genere.Quando ebbi finitomi feci dare un po' d'inchiostro delle sue vene econ questo e una scheggia di legno scrissi su un pezzo di corteccia:

"Mettilonella Fabbrica d'Uomini". Glielo diedi e dissi:

-Portalo a Camelotal palazzoe consegnalo nelle mani di Clarenceegli capirà.

-Allora egli è un prete - disse l'uomoe un po' d'entusiasmoscomparve dal suo viso.

-Comeun prete? Non ti ho detto che nessun servo della Chiesanessuno schiavo di papa o di vescovo può entrare nella miaFabbrica d'Uomini?

L'uomoappariva tutt'altro che persuaso. Disse:

-Non è un preteeppure sa leggere.

-Non è un prete eppure sa leggeresì e anche scrivereper questo. Gliel'ho insegnato io.

Ilviso dell'uomo si rischiarò.

-E sarà la prima cosa che insegneranno anche a te in quellaFabbrica...

-Ame? Darei il sangue del mio cuore per conoscere tale arte.

Inverosarò il tuo schiavoil tuo...

-Nonon lo sarainon sarai lo schiavo di nessuno. Prendi la tuafamiglia e va'... Il tuo signoreil vescovoconfischerà latua proprietàma non importaClarence ti sistemeràbenissimo.




Capitolo16


DIFENDITISIGNORE!


Pagaitre soldi per la colazioneuna somma davvero esagerata se siconsidera che con quel denaro avrebbero potuto far colazione unadozzina di persone. Ma in quel momento mi sentivo molto generoso epoi ero sempre stato un po' spendaccione: senza contare che quellagente aveva voluto offrirmi la colazione senza alcun compensobenchéle loro provviste fossero assai scarse. Fu dunque un vero piaceredimostrare il mio apprezzamento e la mia sincera gratitudine. A direil veroin quei giorni spendevo il denaro con notevole prodigalitàma una delle ragioni era che non mi ero ancora abituato al sensodelle proporzionineanche dopo un così lungo soggiorno inBritannia. Non ero ancora riuscito a rendermi conto chiaramente cheun soldo nel paese di Artù e un paio di dollari nelConnecticut erano proprio la stessa cosain quanto a potered'acquisto. Se la mia partenza da Camelot fosse stata rimandata diqualche giornoavrei potuto pagare quella gente con belle monetenuove fiammanti della nostra zecca e questo avrebbe fatto moltopiacere sia a mesia a loro. Avevo adottato esclusivamente i valoriamericani. Ancora una settimana o due e poi continui rivoli dicentesiminichelinimonetine d'argentoquarti di dollaromezzidollari e anche un po' d'oro avrebbero cominciato a scorrereattraverso tutto il regno ed io ero ansioso di vedere quel sanguenuovo rinvigorirne la vita. I contadini ci tenevano a darmi qualcosaper compensare un po' la mia generositàche io volessi o no:così lasciai che mi regalassero una pietra focaia e unacciarino. Appena ebbero sistemato comodamente me e Sandy sulcavalloaccesi la pipa. Quando il primo sbuffo di fumo uscìattraverso le sbarre del mio elmotutta quella gente fuggìverso il bosco e Sandy cadde all'indietro e precipitò al suolocon un gran tonfo. Pensavano che io fossi uno di quei draghisputafuoco di cui avevano tanto sentito parlare dai cavalieri e daaltri bugiardi di professione. Dovetti faticare un bel po' perconvincerli ad avvicinarsi di nuovo a mequel tanto da poter udirele mie spiegazioni.

Lirassicurai dicendo che quello era soltanto un piccolo esempio dimagia che non avrebbe recato danno a nessunotranne che ai mieinemici. E promisicon la mano sul cuoreche se tutti quelli che mierano amici si fossero avvicinati e mi fossero passati davantiavrebbero potuto vedere che soltanto quelli che rimanevano indietrosarebbero caduti morti. Il corteo si mosse verso di me con moltaprontezza. Non ci furono perdite perché nessuno fu abbastanzacurioso da rimanere indietro a vedere che cosa sarebbe successo.

Quipersi del tempoperché quei fanciulloniscomparsa la pauraerano talmente sbalorditi dai miei impressionanti fuochi d'artificioche fui costretto a trattenermi un po' e a fumare un paio di pipeprima che mi lasciassero andare. Tuttavia l'indugio non fu del tuttoinutileperché a Sandy ci volle tutto quel tempo perabituarsi completamente alla novità della cosadato che ci sitrovava tanto vicina. La meraviglia arrestò anche il suomulino di parole per un tempo considerevole e questo fu un vantaggio.Ma oltre a tutti i benefici risultantiavevo imparato qualcosa. Oraero pronto a sfidare qualsiasi orco o gigante che si trovasse apassare da quelle parti.

Passammoquella notte ospiti di un santo eremita. Verso la metà delpomeriggio seguentestavamo attraversando un vasto prato perabbreviare la stradaquando Sandy improvvisamente interruppeun'osservazione che aveva cominciato al mattinocon un grido:

-Difenditio signore! Pericolo di morte ci sovrasta!

Silasciò scivolare giù da cavallosi allontanò unpo' correndo e poi si fermò. Alzai gli occhi e scorsiinlontananzaall'ombra di un alberouna mezza dozzina di cavalieriarmaticon i loro scudieri. Immediatamente ci fu un gran trambustofra di loro e un serrar di cinghie per montare in sella. Io avevopronta la pipa e sarebbe stata accesa se non fossi stato immerso neimiei pensieri:

comeeliminare l'oppressione dal paese e come restituire al popolo idiritti che gli erano stati sottratti e la sua dignità umanasenza far torto a nessuno. Accesi subito la pipa e avevo giàuna buona riserva di vapore quando quelli arrivarono. Venivano avantitutti insieme a testa bassacon le piume ondeggianti al vento e lelance abbassate in avanti. Era uno spettacolo splendidobellissimo... per un uomo in cima a un albero. Misi la lancia inresta e aspettaicol cuore che mi battevafinché quellamarea di ferro fu quasi sul punto di abbattersi su di mepoi cacciaifuori una colonna di fumo bianco attraverso le sbarre dell'elmo.Avreste dovuto vedere l'ondata frantumarsi e disperdersi! Era unospettacolo ancora più bello del primo.

Maquelli si fermaronoa due o trecento metri di distanza e questo mirese perplesso. La mia soddisfazione crollò e subentròla paura; mi sentii un uomo perduto. Sandyal contrarioeraraggiante e si preparava a far sfoggio di eloquenzama io la fermaiper dirle che la mia magiachissà comeaveva mancato alloscopo e che lei doveva salire a cavallo in tutta fretta e chebisognava galoppare per salvare la vita. Ma lei non voleva. Disse cheil mio incantesimo aveva paralizzato quei cavalierinon avanzavanoperché non potevano. Bastava aspettare e sarebbero caduti disella da un momento all'altro e noi avremmo potuto prendere i lorocavalli e le loro bardature. Non potevo deludere tanta fiduciosasemplicitàperciò le dissi che era un errore.

Quandoi miei fuochi d'artificio uccidevano veramenteuccidevano di colpo;noquegli uomini non sarebbero mortic'era qualcosa che nonfunzionava nella mia magiama non sapevo che cosa.

Dovevamoaffrettarci ad andarcenese notra pocoquella gente ci avrebbeattaccato di nuovo. Sandy disse ridendo:

-Non sono di quella razzasignore! Ser Lancillotto darebbe battagliaai draghi e non li lascerebbeli assalirebbeuna voltaun'altra epoi un'altra ancora finché non li avesse vinti e distrutti.Guarda quei vili attaccabrighe laggiùcredi che non neabbiano avuto abbastanza e che ne desiderino dell'altro?

-Be'allora che cosa aspettano? Perché non se ne vanno?Nessuno glielo impedisce.

-Andarsene? Ohsta tranquillonon se lo sognano neppureno davvero.Essi attendono per fare atto di sottomissione.

-Suvviadavvero è questo "fededegno"come dite voi?Se hanno questa intenzioneperché non lo fanno?

-Ne avrebbero gran desiderioma se tu sapessi che fama hanno idraghinon li biasimeresti. Essi hanno paura di accostarsi.

-Ebbeneallora supponiamo che vada io da loro e...

-Ahsappiallorache essi non starebbero ad attenderti. Andròio.

Ecosì fece. Lei era molto utile come compagna di scorrerie. Perconto mio l'avrei considerata una missione pericolosa. Poco dopo vidii cavalieri che si allontanavano e Sandy che ritornava.

Miraccontò che quando aveva detto a quella gente che io ero ilCapoessi erano sbiancati di paura impietriti dallo sgomento; poi sierano dichiarati pronti ad accettare ogni sua richiesta. Cosìli aveva fatti giurare che si sarebbero presentati alla corte di reArtù entro due giorni per fare atto di sottomissioneconcavalli e bardature e divenireda allora in poimiei cavalierisoggetti al mio comando.

Sandyaveva condotto le trattative molto meglio di quanto avrei saputo fareio stesso. Era un tesoro.




Capitolo17


LAFATA MORGANA


-Così sono diventato proprietario di qualche cavaliere - dissimentre ci allontanavamo a cavallo. Chi poteva mai immaginare cheavrei avuto un giorno un patrimonio simile? Non so davvero chefarmenea meno che non li metta in lotteria. Quanti sonoSandy?

-Settese così ti aggradamesseree i loro scudieri.

Stavamoavvicinandoci a un castello che si ergeva su un'altura; una enormemassicciaantica costruzione le cui grigie torri e merlature eranoabbellite da un manto d'edera e la cui mole imponente era immersanello splendore del tramonto. Era il castello più grande cheavessimo visto finora e così pensai che potesse essere quelloche stavamo cercandoma Sandy disse di no.

Ellanon sapeva a chi appartenesse. Disse che ci era passata vicino senzafermarsi quando era venuta a Camelot.

Sec'era da fidarsi della parola dei cavalieri errantinon tutti icastelli erano luoghi desiderabili per chiedervi ospitalità.In realtàla loro parola non era degna di fedema seguendo icriteri del loro tempo e facendo la debita tarasi otteneva laverità. Era molto semplice: bastava eliminare il novantasetteper cento di un'affermazione e quello che restava era vero. Orapurtenendo conto di questorimaneva il fatto che scoprire qualcosa sulcastello prima di bussare alla porta era la cosa piùragionevole da fare. Perciò mi rallegrai quando scorsi a unacerta distanza un uomo a cavallo che svoltava l'ultima curva dellastrada tortuosa che scendeva dal castello.

Appenaci avvicinammovidi che portava un elmo piumato e che per il restopareva vestito d'acciaioma con qualcosa di bizzarro in piùun indumento rigido e quadrato simile alla cotta di un araldo. Ma nonpotei fare a meno di sorridere della mia smemoratezzaappena fui unpo' più vicino e lessi questa scritta sull'indumento:

"SaponePersimmons. Usato da tutte le Prime Donne".

Erastata una mia trovata che si prefiggeva diversi scopi per civilizzareed elevare il livello della nazione. Anzitutto era un bel colpomancino a quella balorda istituzione della cavalleria errante. Avevomandato in giro un certo numero di cavalierii più valorosiche avevo potuto trovareciascuno inserito tra due cartelloni conscritte pubblicitarie diverse. Pensavo cheun po' alla voltaquandofossero arrivati ad essere abbastanza numerosiavrebbero cominciatoad apparire ridicoli; e alloraanche quell'asino ferrato che fosseandato in giro senza cartelloneavrebbe cominciato ad apparireridicoloperché sarebbe stato fuori moda. In secondo luogoquesti missionarigradualmente e senza creare sospettiavrebberointrodotto i primi rudimenti di pulizia fra la nobiltàe daquesta la pulizia si sarebbe fatta strada giù fino al popolo.Ai miei missionari veniva insegnato a leggere l'insegna dorata dellaloro cotta. Dovevano quindi leggere queste insegne e poi spiegare aisignori e alle dame che cosa era il sapone; e se i signori e le damene avevano timorepersuaderli a farne la prova su di un cane. Ilpasso successivo del missionario consisteva nel riunire tutta lafamiglia e provare il sapone su se stesso. Non si doveva fermaredavanti a nessun esperimentoper quanto disperatopur di convincerei nobili che il sapone era innocuo. Se rimaneva ancora qualche ultimodubbio doveva acchiappare un eremita - i boschi erano pieni di questiuomini che tutti credevano santi e capaci di fare miracoli. Se uneremita sopravviveva a una lavata e questo non bastava a convincereun ducameglio rinunciarci e lasciarlo perdere.

Tuttele volte che i miei missionari s'imbattevano per la strada in uncavaliere errantelo lavavano; poiquando si era rimessoglifacevano giurare di andare a farsi dare un cartellone pubblicitario edi diffondere sapone e civiltà per il resto dei suoi giorni.Di conseguenzai lavoratori in questo campo andavano aumentando e lariforma si diffondeva costantemente. La mia fabbrica di sapone nerisentì ben presto gli effetti. All'inizio c'erano solo dueoperaima prima che io partissi da casa ne impiegavo giàquindici e la fabbrica funzionava giorno e notte.

L'inquinamentosi era fatto così rilevante che il re andava in giro ansimandoe boccheggiando e dicendo che non credeva di poter resistere piùa lungo. Ser Lancillotto era arrivato a un tale stato che non facevaaltro che passeggiare su e giù per il tettoimprecando;continuava a lamentarsidicendo che un palazzo non era un postoadatto per una fabbrica di sapone e che se qualcuno avesse provato aimpiantarne una in casa sualo avrebbe strangolatodannazione!

Ilnome di questo cavaliere missionario era La Cote Male Taile.

Eglidisse che quel castello era la dimora della fata Morgana; sorella dire Artùe moglie di re Uriens. La Cote era molto abbattutoperché aveva subito qui il peggiore insuccesso della suacampagna pubblicitaria. Non era riuscito a smerciare un solo pezzo disapone; eppure aveva provato tutti i trucchi del mestiereavevapersino lavato un eremita. Ma l'eremita era morto.

Venneil momento in cuiarrivati al castelloi guardiani ci dettero ilchi va là dall'alto delle murae dopo aver parlamentatocilasciarono entrare.

Nonho niente di bello da raccontare a proposito di quella visita.

Nonrestai deluso perché conoscevo di fama la signora Morgana enon mi aspettavo niente di piacevole. Tutti quantinel reamelatemevano perché aveva fatto credere di essere una grande maga.

Tuttele sue azioni erano malvagietutti i suoi istinti diabolici. Erapiena fino agli occhi di fredda perfidia. Tutta la sua vita eraun'oscura trama di delitti. Per lei ammazzar la gente era cosaabituale. Ero molto curioso di vederlatanto curioso quanto lo sareistato di vedere Satana. Ma con mia grande sorpresa vidi che erabella. La malvagità non era riuscita a rendere repellente lasua espressionené l'età a segnare di rughe la suapelle di seta. Avrebbe potuto passare per la nipote del vecchioUriens e la si poteva credere la sorella del proprio figlio.

Appenaarrivati oltre la porta del castelloricevemmo l'ordine dipresentarci al suo cospetto. C'erano anche re Uriensun mite vecchiodall'aria sottomessa e il figlioser Uwaine Blanchemains.

MaMorgana era la principale attrazionela personalità piùnotevole lì. Era evidente che il capo famiglia era lei. Cifece sedere e poi cominciò con modi graziosi e moine a farmidelle domande Dio mio! Era come se ascoltassi un uccellinoo ilsuono di un flautoo qualcosa di simile. Mi stavo convincendo chequella donna doveva essere stata calunniata e messa in cattiva luce.Mentre trillava e cinguettavaun paggio giovane e bellovestitocome un arcobalenocon movimenti leggeri e flessuosi arrivòcon qualcosa su di un vassoio d'oro einginocchiandosi perpresentarlo a leiperse l'equilibrio urtando leggermente il suoginocchio. Morgana gli fece scivolare una daga in corpocon lanaturalezza che un'altra persona avrebbe avuto nell'infilzare untopo.

Poveroragazzo! Si accasciò al suolocontorse le sue membra morbidein una sola gran convulsione di dolore e morì. Il vecchio resi lasciò sfuggire un involontario "Oh!..." dicompassione.

L'occhiatache ricevette glielo fece bruscamente interrompere. Ser Uwainea uncenno di sua madreandò in anticamera a chiamare deiservitori e madamanel frattempocontinuò a parlaredolcemente.

Chedonna meravigliosa! E che sguardo aveva: quando si posava conun'espressione di rimprovero sui servitoriquesti si facevanopiccini e tremavano come fa la gente che ha paura quando il lampobalena tra le nubi. Avrei potuto prendere anch'io quell'abitudine.

Eralo stesso per quel povero vecchio re Uriens: era sempre sulle spine etrasaliva prima ancora che ella si voltasse verso di lui.

Nelbel mezzo della conversazionemi lasciai sfuggire una parola dicomplimento per re Artùdimenticando per un attimo quantoquella donna odiasse il fratello. Quell'unico piccolo complimento fusufficiente. Si fece scura come un cielo tempestosochiamò leguardie e disse:

-Rinchiudete questi furfanti nelle segrete.

Misentii gelareperché le sue prigioni avevano una certa fama.

Nonmi venne in mente niente da direo da fare. Ma non fu cosìper Sandy. Appena la guardia mi mise le mani addossoella alzòla sua vocina con la massima tranquillità e disse:

-In nome del cielosei pazza? Brami tu lo sterminio? Costui èil "Capo"!

Chebella idea fu! E così semplice! Eppure a me non sarebbe maivenuta in mente.

L'effettosu madama fu elettrico. Il suo viso si rischiarò: il suosorrisola sua grazia persuasiva e le sue moine riapparvero manonostante ciònon riuscì a nascondere del tutto ilfatto che moriva di paura. E disse:

-Orsùascolta dunque la tua ancella! Come se una dotata dipoteri quali i mieipotesse dire quel che ho detto a colui che havinto Merlinose non per scherzo! In virtù dei mieiincantesimi avevo previsto la tua venuta e ti ho riconosciuto appenasei entrato qui. Ti ho giocato questo tiro nella speranza disorprenderti a fare sfoggio della tua arte. Pensavo che tu avrestiarso le guardie con le fiamme e ridotti i loro corpi in cenere sulposto meraviglia questa di gran lunga superiore alla mia abilità.

Damolto tempo sono curiosa di vederla.

Leguardie erano meno curiose e se ne andarono sveltenon appena neebbero il permesso.




Capitolo18


UNBANCHETTO REALE


Morganavedendomi pacifico e senza risentimentosenza dubbio pensòche mi fossi lasciato ingannare dalle sue parole. Infatti ogni suotimore scomparve e ben presto divenne talmente insistente perchéio dessi spettacolo e uccidessi qualcunoche la cosa cominciòad essere imbarazzante. Tuttaviacon mio sollievodi lì apoco fu interrotta dalla chiamata alla preghiera. Devo dire in favoredei nobili che per quanto fossero tiranniassassinirapaci emoralmente corrottiessi erano profondamente religiosi.

Nientepoteva distoglierli dall'adempimento regolare e fedele delle pratichereligiose imposte dalla Chiesa. Più di una volta avevo vistoun nobile chedopo aver sopraffatto il suo nemicosi era fermato apregare prima di tagliargli la gola. Più di una volta avevovisto un nobile chedopo aver attirato in un'imboscata e speditoall'altro mondo il suo nemicosi era ritirato nel più vicinosantuario a rendere umilmente grazie al cielo.

Dopole preghiere ci fu un banchetto in una grande sala illuminata dacentinaia di lampade a sego: ogni cosa era bella e fastosacome siconveniva alla regale nobiltà degli ospiti. A capo della salasopra un palco rialzatoc'era la tavola del redella regina e delloro figlioil principe Uwaine. Di qui si stendeva lungo il salonesenza alcun rialzola tavola comune. Quial posto d'onore sedevanoi nobilinei posti meno importanti sedevano i funzionari subalternidella casacon i loro principali dipendenti: era un bellissimospettacolo. In una galleriauna banda composta di cembalicorniarpe e altri orroriaprì le manifestazioni con qualcosa chesembrava la brutta copia o l'originale agonia del lamento noto neisecoli futuri come "Nelle dolci braccia degli angeli". Eranuovo e avrebbe avuto bisogno di altre prove. Non so bene per qualeragionela regina fece impiccare il compositoredopo pranzo.

Dopoquesta musicail prete che stava in piedi dietro la tavola realerecitò un nobile e lungo ringraziamento in qualcosa chesembrava latino. Poi l'esercito dei servitori ruppe le file e silanciòprese a correrea volteggiarea portar roba avanti eindietro e il festino ebbe inizio. Non una parolada nessuna parte.Le file di mascelle si aprivano e si chiudevano in unisono con unrumore che era simile al rombo attutito di un macchinariosotterraneo.

Quelsaccheggio durò un'ora e mezza e incredibile fu lo scempiodelle vivande. Del piatto forte del banchettol'enorme cinghiale cheall'inizio giaceva disteso in tutta la sua imponente e maestosainterezzanon rimaneva più nulla; e quello non era che unesempio di quanto era accaduto a tutte le altre portate.

Quandoarrivarono i dolcisi cominciò a bere in grande abbondanza ea parlare. Galloni e galloni di vino e idromele sparivano uno dopol'altroe tutti - uomini e donne cominciarono a sentire un senso dibenesseredi allegria. Un po' alla voltadiventarono alquantorumorosi.

Gliuomini raccontavano aneddoti terribili e tutta la compagnia scoppiavain risate fragorose che facevano tremare la fortezza.

Versomezzanotte erano tutti sfinitiindolenziti dal gran ridere ecomedi regolaubriachi. Parecchi erano tramortiti sotto la tavola.

Aun trattoproprio mentre il prete alzava le mani e le teste ancoracoscienti si inchinavano in reverente attesa della benedizioneapparve in fondo al salone una vecchia damacurva e bianca dicapelliche si appoggiava ad un bastone. Lo sollevò epuntandolo verso la regina gridò:

-Lo sdegno e la maledizione di Dio ricadano su tedonna senza cuoreche hai ucciso il mio innocente nipote e straziato questo vecchiocuore che non aveva figliné amiciné sostegnonéconforto al mondoall'infuori di lui.

Tuttisi segnarono in preda al panicoperché una maledizione eraqualcosa di tremendo per quella gente. Ma la regina scattò inpiedi con fare maestosocon una luce di morte nello sguardo e pertutta risposta lanciò questo ordine spietato:

-Prendetela!Mandatela al rogo!

Leguardie si mossero pronte a ubbidire. Era una vergognauna cosacrudele da vedere. Che cosa si poteva fare? Sandy mi lanciòun'occhiata ed io capii che le era venuta un'altra ispirazione.

Dissi:

-Fa'come vuoi.

Inun attimo Sandy fu in piedi di fronte alla regina. Ella mi indicòe disse:

-Madama"egli" dice che ciò non si farà.Annullate il comando oppure egli farà scomparire il castelloche svanirà nell'aria come un sogno!

Accidenti!Che impegno pazzesco da mantenere! E se la regina... Ma la miacosternazione ebbe breve durata e ogni timore svanìpoichéla reginain preda a smarrimentonon mostrò nessun segno diresistenzama annullò con un cenno l'ordine dato e ricaddesul suo seggio. Quando lo toccòi fumi del vino erano svanitie lo stesso era accaduto a molti dei presenti. L'assemblea si alzòe infischiandosene delle cerimonie si precipitò verso le portecome una turba in tumultorovesciando seggiolerompendo stoviglietrascinandosilottandodando spallateaccalcandositutto pur diuscire prima che io cambiassi idea e con un soffio facessi svanire ilcastello nello sconfinatooscuro vuoto dello spazio.

Ebbeneerano proprio una massa di superstiziosi.

Erapiuttosto tardi e io ero stanco e avevo un gran sonno.

Rimpiangevodi non essermene andato a letto quando ne avevo avuto l'occasione.Ora dovevo resistere fino alla finenon c'era via di scampo. E cosìla voce squillante della regina seguitò a risuonare nelprofondo e spettrale silenzio del castello addormentatofinchédi lì a poco giunsecome se uscisse da una caverna sotto dinoiun suono lontanosimile a un urlo soffocatocon un tono cosìangoscioso che mi fece accapponare la pelle. La regina si interruppee i suoi occhi s'illuminarono di piacere. Inclinò da un latoil grazioso capocome fa un uccellino quando sta in ascolto.

Ilsuono si fece strada nel silenzio ancora una volta.

-Che cos'è? - domandai.

-E' davvero un'anima ostinata e resiste a lungo. Sono ormai molte ore.

-Resistea che cosa?

-Al cavalletto. Vienivedrai un lieto spettacolo. E se non svela ilsuo segreto oralo vedremo fare a pezzi.

Chedolce e delicata demone era costei e com'era composta e serena!Guidati da guardie armate che portavano torce ardentipassammoattraverso corridoi echeggianti e giù per scale di pietraumide e gocciolanti che avevano odor di muffa e di chiuso secolare.Era un gelidomisteriosointerminabile camminoche le chiacchieredella maga sulla vittima e sul suo delittonon rendevano certo piùbreve o più allegro. L'uomo era stato accusato da uninformatore anonimo di avere ucciso un cervo delle riserve reali. Iodissi:

-Una testimonianza anonima non è un'accusa molto attendibileAltezza. Sarebbe più leale mettere a confronto l'accusato conl'accusatore.

-Non ci avevo pensatopoiché non era cosa importante. Ma anchese avessi voluto non lo avrei potuto fareperché l'accusatorevenne di nottemascheratoparlò con il guardiacaccia e se neandò via immediatamente. Così il guardiacaccia non loconosce affatto.

-Allora questo sconosciuto è la sola persona che abbia vistouccidere il cervo?

-In veritànessuno vide l'uccisionema questo sconosciutovide questo miserabile scellerato vicino al luogo dove giaceva ilcervo e con vero leale zelo venne a denunciarlo al guardiacaccia.

-Così anche lo sconosciuto era vicino al cervo ucciso? Non èpossibile che sia stato lui ad ucciderlo? Il suo zelo leale appare unpo' sospetto. Ma perchéVostra Altezzaha fatto mettere ilprigioniero alla tortura?

-Altrimenti egli non confesserà e allora l'anima sua saràdannata. Per il suo delittola legge vuole che egli paghi con lavita e certo io avrò cura che egli paghima metterei inpericolo la mia stessa anima se lo lasciassi morire senza confessionee senza assoluzione. Nodovrei essere pazza e gettarmi nell'infernoper la sua comodità.

-MaAltezzasupponiamo che non abbia niente da confessare?

-Quanto a ciòlo sapremo presto. Se io lo torturo a morte edegli non confessaciò mostrerà che egli davvero nonaveva nulla da confessare. Ammetterai che questo è innegabile.Allora io non sarò dannata per un reo non confesso che nonaveva nulla da confessare equindisarò salva.

Erail caparbio assurdo modo di ragionare dell'epoca. Era inutilediscutere con lei. Gli argomenti non hanno alcun effetto control'educazione pietrificata.

Comeentrammo nella cella della tortura mi si presentò una scenache non mi uscirà più dalla mente. Un giovane gigantedel luogosui trent'annigiaceva supino sul cavalletto con i polsie le caviglie legati a corde collegate ad argani alle due estremità.

Nonvi era ombra di colore su quel volto; i lineamenti erano contorti erigidi e la fronte era imperlata di sudore. Ai latidue preti eranochini su di lui. Il boia gli stava vicino. C'erano delle guardie diservizio; torce fumose erano infilate in cavità lungo i muri.In un angolo stava accovacciata una povera giovane creatura con ilviso stravolto dal dolorecon un'espressione selvaggia negli occhidi animale braccato e con un bambino addormentato in grembo.

Nelmomento in cui varcavamo la sogliail boia dette un giro al suostrumento di torturache strappò un urlo sia al prigionieroche alla donna. Ma io cacciai un grido e il boia allentòsubito la stretta senza aspettare di vedere chi aveva gridato. Nonpotevo permettere che quell'atrocità continuasse; sarei mortosolo a vederla.

Chiesialla regina di consentirmi di fare allontanare tutti quanti dallacella e di parlare da solo con il prigioniero e quando ella stava perprotestarele parlai a voce bassa e dissi che non volevo fare unascena davanti ai suoi servima che si doveva fare a modo mioperchéio ero il rappresentante del re Artùe parlavo in suo nome.

Ellasi rese conto che doveva cedere e disse:

-Per tutte le cosefarete come questo signore comanderà. Egliè "Il Capo".

Leguardie della regina si misero in fila e uscirono con lei e siallontanarono marciando con i portatori di torceridestando gli echidelle gallerie cavernose con il rumore cadenzato dei loro passi.Ordinai di togliere il prigioniero dal cavallettodi adagiarlo sulsuo letto e di applicare dei medicamenti alle ferite. Poi gli fecibere qualche sorso di vino. La donna si avvicinò strisciando erimase a guardarlointentacon tenerezza e al tempo stesso contimore.

-OhSignore - dissi - accarezzalofigliolase vuoi. Fa' tuttoquello che vuoi: non badare a me.

Isuoi occhi esprimevano gratitudine come quelli di un animale quandoriceve un atto di bontà e lo capisce. Subito si liberòdel bambino e poggiò la sua guancia contro quella del maritomentre le sue mani gli accarezzavano i capelli e lacrime di gioia lesgorgavano dagli occhi. L'uomo si riprese e carezzò con losguardo la mogliedato che non poteva fare nulla di più.Pensai che fosse giunto il momento di far sgombrare la tana e cosìfeci uscire tuttitranne quella famiglia. Poi dissi:

-Oraamico mioraccontami la tua versione della storia; l'altra laconosco già.

L'uomoscosse la testa in segno di rifiuto. Ma la donna sembròcontenta della mia propostaalmeno così mi parve. Econtinuai:

-Tu mi conosci di nome?

-Sìtutti conoscono il tuo nome nei reami di Artù.

-Se la mia fama è arrivata a te nel modo giusto e correttonondovresti aver paura di parlare. La donna intervenne concitatamente:

-Ahmio buon signoreconvincilo tu. Tu che puoise vuoi. Ahquantoegli soffree per meper me! Come posso sopportarlo?

Vorreivederlo moriredi una morte dolce e rapida. Ohmio Ugonon possosopportare questa morte!

Esi mise a singhiozzare e a strisciare ai miei piedisempreimplorando. Implorando che cosa? La morte dell'uomo? Non riuscivoproprio a raccapezzarmi. Ma Ugo la interruppe e disse:

-Calmati! Tu non sai quel che chiedi. Dovrei forse far morire di famecoloro che amo per guadagnarmi una morte dolce? Credevo che tu miconoscessi meglio.

-Insomma- dissi io - non riesco proprio a capire. E' un enigma.

Ora...

-Ahmio dolce signorese tu soltanto volessi persuaderlo!

Consideracome queste sue torture mi feriscono! Ed egli non vuol parlare!Mentre il rimedioil sollievo che sono in una rapida e beatamorte...

-Ma che stai farneticando? Egli uscirà di qui liberosanosalvonon deve morire.

Ilvolto pallido dell'uomo si illuminò e la donna si slanciòverso di me in una sorprendente esplosione di gioiagridando:

-E' salvo! Perché il re ha parlato per bocca del suo ministro.

Artùil re la cui parola è oro!

-Dunqueora credete che ci si può fidare di medopo tutto.

Perchénon vi siete fidati prima?

-Chi dubitava? Non iodavveroné lei.

-Malgrado tutto non sono ancora certo di aver capito bene. Tu hairesistito alla tortura senza confessaree ciò dimostra nelmodo più evidenteanche al cervello più ottusochenon avevi niente da confessare...

-Iomessere? Ma come? Fui io ad uccidere il cervo!

-Sei stato tu? OhDioquesta è la storia piùcomplicata che mai...

-Dolce signoreio l'ho supplicato in ginocchio di confessarema...

-Tu? La cosa diventa sempre più confusa. E perché voleviche lo facesse?

-Perché ciò gli avrebbe concesso una morte rapida e gliavrebbe risparmiato tante sofferenze.

-Be'sìtutto ciò è ragionevole. Ma lui nonvoleva una morte rapida.

-Lui? Ohsìcertamente la desiderava.

-E alloraperché mai non ha confessato?

-Ahdolce messeree lasciare la mia sposa e il mio bambino senzapane e senza tetto?

-Oh cuore generosoora capisco! La legge spietata spoglia dei beni ilreo confesso e riduce alla miseria la vedova e gli orfani.

Tipotevano torturare a mortemasenza prove e senza confessionenonpotevano derubare tua moglie e il tuo bambino. Tu li hai affrontatida uomo. E tumoglie e donna leale quale sei avresti voluto la sualiberazione dalla tortura a costo di pagarla con una lenta morte perfame... Davvero ci si sente umiliati quando si pensa a quello che puòfare il tuo sessoquando si tratta di sacrificio. Vi prenoto tutti edue per la mia colonia; vi ci troverete bene. E' una Fabbrica dove mipropongo di trasformare degli automi brancolantisfiancati dallavoroin altrettanti "uomini".




Capitolo19

NELLESEGRETE DELLA REGINA


Cosìsistemai tutto quanto e feci rimandare quell'uomo a casa sua.

Laregina rimase molto offesa quandola mattina seguentevenne asapere che non avrebbe avuto né la vita di Ugoné lasua proprietà. Ma io le dissi che doveva rassegnarsi a portarequella crocepoichémentre per legge ella aveva certamentediritto sia alla vita sia alla proprietà di quell'uomoc'erano delle circostanze molto attenuanti per cuiin nome di Artùil reio lo avevo perdonato. Il cervo rovinava i campi dell'uomo edegli l'aveva ucciso in un impeto d'irae non per guadagno personale.

Poil'aveva trasportato nella foresta realesperando così direndere impossibile la scoperta del colpevole. Al diavolo! Nonriuscivo a farle capire che un impeto d'ira è una circostanzaattenuante nell'uccisione di selvagginao di una personae cosìrinunciai e lasciai che tenesse il broncio. Ero sicuro che sareiriuscito a farglielo capirefacendole notare come la sua stessacolleranel caso del paggioavesse attenuato il suo delitto.

-Delitto! - esclamò la regina - Ma che dici! Delittoin fedemia! Io "pagherò" per lui!

Erainutile discutere con lei. L'educazionel'educazione è tutto;l'educazione è tutto in una persona. Parliamo di natura: èuna follia. Non esiste quella cosa che noi chiamiamo naturaciòche noi definiamo con questo ingannevole nome è semplicementeereditarietà ed educazione. Non abbiamo pensieri nostriopinioni nostre. Ci vengono trasmessiimpressi con l'educazione.

Accidentila sua intelligenza era buonaaveva cervello a sufficienzama lasua educazione aveva fatto di lei un'asinaalmeno dal punto di vistadi molti secoli dopo. Uccidere il paggio non era un delittoera unsuo diritto. Ella era il risultato di generazioni educate nellaconvinzioneindiscussa e incrollabileche la legge che lepermetteva di uccidere un suo suddito quando le parevaeraperfettamente giusta e retta. Alcune leggi invece erano troppoingiusteveramente troppo malvagie. Un padrone poteva uccidere ilproprio schiavo senza motivosemplicemente per dispetto o permalvagità o per passatempoproprio come abbiamo visto fare daquella testa coronata con il "suo" schiavo. Un gentiluomopoteva uccidere un libero cittadino e pagare per luiin contanti oin natura. Un nobile poteva uccidere un altro nobile senza speseperquanto riguardava la leggema doveva aspettarsi rappresaglie dellostesso tipo. Chiunque poteva uccidere qualcuno.

Ilcittadino comune e lo schiavoinvece non avevano questi privilegi.Se uccidevanoera omicidioe la legge non tollerava l'omicidio. Sisbarazzavano di chi tentava l'esperimento e anche della sua famigliase egli aveva assassinato qualcuno che apparteneva alla nobiltà.Ne avevo ormai abbastanza di quel luogo spaventoso.

Mac'era qualcosa che volevo fare prima di andarmeneanche se era unafaccenda spiacevole e detestavo doverci mettere mano. Mi tennepreoccupato per tutta la mattina. Alla fine mi feci coraggio esottoposi la mia richiesta a Sua Altezza Reale. Dissi che stavofacendo uno svuotamento generale delle prigioni di Camelot e deicastelli vicini e checon il suo permessoavrei avuto piacere divedere la sua collezionevale a dire i suoi prigionieri. Ella feceresistenzama questo me l'aspettavo. Ma alla fine acconsentì.Anche questo mi aspettavo ma non così presto. E con ciòebbe fine il mio disagio. La regina chiamò le guardie e iportatori di torce e andammo giù nelle segrete. Queste eranosituate sotto le fondamenta del castello e per lo più eranopiccole celle scavate nella roccia viva. Alcune celle erano del tuttoprive di luce. In una di esse c'era una donna coperta di luridicenciaccovacciata a terra. Non rispose a una sola domanda e nonpronunciò una sola parolasi limitò a guardare in suun paio di volte attraverso una ragnatela di capelli arruffaticomese si volesse rendere conto della novità che veniva a turbarecon suoni umani e con luci il vacuo monotono sogno che era diventatala sua vita. Poi rimase sedutacurvacon le dita incrostate disporciziaintrecciate e abbandonate in gremboe non diede altrisegni di vita. Quel povero mucchio di ossa era apparentemente unadonna di mezza etàma solo apparentemente. Era làdentro da nove anni e ne aveva diciotto quando vi era entrata. Erauna donna del popolo ed era stata mandata lì dentro la seradelle sue nozze da ser Breuse Sans Pitiéun signorotto deidintorniperché a quel signore ella aveva rifiutato ciòche gli storici moderni chiamano "le droit du seigneur".Inoltreaveva opposto violenza a violenza e aveva versato un quartodi pinta di quel sangue quasi sacro. A quel punto il giovane maritoera intervenutocredendo la vita della sua sposa in pericoloeaveva scaraventato il nobiluomo nel salottoin mezzo agli umili etremanti invitati alle nozze e l'aveva lasciato làsbalorditoda quell'inaspettato trattamento e implacabilmente inasprito controla sposa e lo sposo. Il signoreche aveva le celle delle segretestipateaveva chiesto alla regina di ospitare i suoi due criminalie da allora erano rimasti in questa prigione. Quando vi giunsero nonera trascorsa neppure un'ora dal loro delitto e dal quel momento nonsi erano più rivisti. Erano rintanati lì dentro comerospi nella stessa roccia; avevano passato nove anni nelle tenebre aventi metri l'uno dall'altroe nessuno dei due sapeva se l'altro eravivo o morto.

Peri primi anni l'unica loro domanda chiesta con suppliche e lacrimeera stata: "E' vivo?""E' viva?". Ma non avevanomai ottenuto risposta. E alla fine quella domanda non era piùstata fatta né nessun'altra.

Dopoaver sentito tutto ciòvolli vedere l'uomo. Avevatrentaquattro anni e ne dimostrava sessanta. Stava seduto su unblocco squadrato di pietrail capo chino sul pettole bracciapoggiate sulle ginocchiai lunghi capelli pendenti sul viso come unafrangiaborbottava fra sé e sé. Alzò il viso eci guardò lentamente da capo a piedicon aria ottusa eindifferentesbattendo le palpebreinfastidito dalla luce delletorce. Poi lasciò ricadere il capo e riprese a mormorare trasé senza più badare a noi. Ai polsi e alle caviglieaveva delle cicatricivecchie ferite ormai rimarginate. Assicurataalla pietra su cui sedeva c'era una catena collegata a manette eceppi; ma questo apparato giaceva abbandonato ricoperto da uno spessostrato di ruggine. Le catene non sono più necessarie quando lospirito ha abbandonato il prigioniero.

Nonriuscii a scuotere quell'uomoe allora decisi che lo avremmo portatoda lei per vedere... Dalla sposa che una volta era stata per lui lacosa più bella della terra. La vista di lei avrebbe fattopalpitare il suo sangue intorpiditola vista di lei...

Mafu una delusione. Rimasero tutti e due seduti a terra a guardarsi inviso con un vago stupore e con una specie di debole curiositàanimalescapoi dimenticarono la presenza l'uno dell'altra eabbassarono lo sguardo. Si vedeva che erano di nuovo lontanivagantiin qualche remota terra di sogni e di ombre. Li feci liberare e lirimandai ai loro amici. Questo non fece molto piacere alla regina.Non che avesse alcun interesse personale nella faccendama pensavache fosse una mancanza di riguardo nei confronti di ser Breuse SansPitié. Tuttavia le assicurai che se egli avesse considerato ilfatto intollerabileavrei trovato io il modo di farglielo tollerare.

Tiraifuori da quella spaventosa topaia quarantasette prigionieri.

Diomio! Per quali insignificanti reati la maggior parte di queiquarantasette uomini e donne erano stati rinchiusi là dentro.

Anzialcuni erano lì senza aver commesso nessuna trasgressioneprecisama soltanto per soddisfare la malvagità di qualcunomagari un semplice amico della regina. Il delitto dell'ultimoprigioniero arrivato consisteva in una piccola osservazione che avevafatto. Aveva detto chea suo pareregli uomini erano su per giùtutti uguali e che un uomo valeva l'altroa parte gli abiti. Avevadetto chea suo parerese avessero denudato tutta la popolazione eavessero mandato in giro tra la folla uno stranieroquesti nonsarebbe riuscito a distinguere un re da un medicantené unduca da un portiere d'albergo. A quel che sembravaquesto era unuomo il cui cervello non era stato ridotto in poltiglia daun'educazione idiota. Lo feci rimettere in libertà e lo mandaialla Fabbrica.

Pensatefra quei quarantasette prigionieri ce n'erano cinque di cui non sisapevano più né i nominé le colpenéle date d'incarcerazione!

Unadonna e quattro uominitutti d'età avanzatacurviraggrinzitie svaniti di mente. Essi stessi avevano dimenticato damolto tempo quei particolari operlomenoavevano in proposito dellevaghe ideenulla di preciso. L'unica cosa che poteva essere provatafu che nessuno dei cinque vedeva la luce del giorno da almenotrentacinque anni. Il re e la regina non sapevano niente sul conto diquelle povere creaturese non che erano lascitibeni ereditatiinsieme al tronodalla ditta precedente. Nulla era stato trasmessodella loro storiasolo le loro persone fisiche e così i nuoviproprietari li avevano considerati di nessun valore e non avevanoprovato per loro alcun interesse.

Chiesialla regina:

-Ma alloraperché mai non li avete rimessi in libertà?

Ladomanda era sconcertante. Ella non sapeva "perché"non lo aveva fatto; la cosa non le era mai venuta in mente. Ora miappariva chiarodata la sua educazionecome quei prigionieriereditati non fossero altroper leiche proprietànépiù né meno. Ebbenequando si ereditano dei beninonsi pensa di buttarli via anche se non si apprezzano.

Quandoportai la mia processione di pipistrelli umani all'apertonella lucesplendente del sole pomeridianodopo averli bendati per proteggere iloro occhi da tanto tempo disabituati alla luceera uno spettacoloche meritava di essere visto. Scheletrispaventapasserifollettispauracchi pateticitutti quanti.

Mormoraidistrattamente:

-Vorrei poterli fotografare!

Visarà certamente capitato d'incontrare quel tipo di persone chenon vuole mai ammettere di non conoscere il significato di una parolanuova. Più sono ignorantitanto più sono penosamentesicuri nel far finta di avervi capito. La regina apparteneva proprioa questo genere e commetteva sempre i più grossolani sbagliper questa ragione. Ebbe un attimo di esitazionepoi il suo visos'illuminò d'improvvisa comprensione e disse che l'avrebbefatto lei per me. Pensai fra me: "Lei? Ma che cosa puòsapere sulla fotografia?".

Manon era quello il momento adatto per pensare. Quando mi guardaiattorno vidi che si stava incamminando verso il gruppo con una scurein mano!

Be'era davvero una donna bizzarra quella fata Morgana. Ho visto moltitipi di donne nella mia vitama ella le superava tutte per varietà.E com'era tipico del suo carattere questo episodio. Ella non nesapeva più di un cavallo sul modo di fotografarema neldubbioera proprio nel suo stile provarsi a farlo con una scure.




Capitolo20


ILCASTELLO DELL'ORCO


Ilgiorno seguente io e Sandy riprendemmo il camminoallegri emattinieri. Era così bello aprire i polmoni e respirare interibarili di aria benedetta da Diopurafresca di rugiadaprofumatadi boscodopo essersi sentiti soffocare il corpo e l'anima per duegiorni e due notti dal fetore fisico e morale di quell'intollerabilevecchio covo di avvoltoi! Parlo per meperché per Sandyabituata fin dalla nascita alla vita dell'alta societàquelluogo andava benissimo ed era più che piacevole.

Frale 6 e le 9 percorremmo una decina di migliache era molto per uncavallo con triplo carico: uomodonna e armatura. Poi ci fermammoper una lunga siesta sotto l'ombra degli alberivicino a un limpidoruscello.

Ripresoil camminoverso la metà del pomeriggio incontrammoalleporte di un povero villaggiouno dei cinque vecchi liberati dallesegretela sera prima. Si stava godendo l'affetto dei parenti edegli amici che non vedeva da cinquant'anni. Intorno a lui adaccarezzarlo c'erano anche i suoi diretti discendenti che non avevamai visto prima di allora; ma per lui erano tutti estraneila suamemoria era svanita e la sua mente intorpidita. Pareva incredibileche un uomo avesse potuto resistere per mezzo secolo rinchiuso in unbuco al buio come un topoma c'erano lì la sua vecchia mogliee alcuni vecchi compagni a testimoniarlo. Lo ricordavano com'eranella freschezza e nel pieno vigore della sua virilitàquandoaveva baciato il suo bambino e lo aveva affidato alle mani dellamadre per poi scomparire in quel lungo oblio. La gente del castellonon aveva saputo dire quanto tempo quell'uomo fosse rimasto rinchiusolà dentro per una trasgressione non registrata e dimenticatama lo sapevano la sua vecchia moglie e sua figlia.

Erauna strana situazione. Ma non è per questa ragione che ho datospazio a questo episodiobensì per via di un fatto che miparve ancora più strano. Vale a dire che quella dolorosastoria non aveva provocato in quella gente vilipesa nessunaribellione contro gli oppressori. Erano stati eredi e sudditi dellacrudeltà e dell'oltraggio da tanto tempo che niente potevascuoterli se non un atto di bontà. Sìquesta eradavvero una singolare rivelazione: l'abisso di schiavitù incui era sprofondato questo popolo. Il loro essere era ridotto a unmonotonoinerte livello di pazienzarassegnazione e mutaaccettazione senza lamentidi qualsiasi cosa potesse accadere loroin questa vita. Anche la loro immaginazione era morta. Quando si puòdire questo di un uomosignifica che ha toccato il fondo; non puòscendere più in basso.

Duegiorni dopoverso mezzogiornoSandy cominciò a dar segni diagitazione e di febbrile attesa. Disse che ci stavamo avvicinando alcastello dell'orco. L'annuncio mi colse di sorpresa e m'inquietò.L'oggetto della nostra ricerca mi era a poco a poco passato di mente.Questa improvvisa rievocazione lo fece apparire per un momento comeuna cosa vera e sensazionale e destò in me un vivo interesse.L'eccitazione di Sandy cresceva di momento in momentoe anche lamiaperché questo genere di cose è contagioso. Ilcuore cominciò a battermi forte. Di lì a pocoSandy silasciò scivolare giù da cavallofacendomi cenno difermarmi e avanzò strisciando furtivacon il capo chino finquasi alle ginocchiain direzione di alcuni cespugli sul ciglio diun declivio. I battiti del cuore si fecero più forti e piùfrequenti.

Econtinuarono così finché ella raggiunse il posto diosservazione e lanciò un'occhiata oltre il declivio. Io laraggiunsi strisciando sulle ginocchia. I suoi occhi orascintillavanomentre mi indicava col dito la direzione e disse in unbisbiglio:

-Il castello! Il castello! Guarda come si erge in lontananza!

Chegradita delusione provai! Dissi:

-Castello? Ma non è che un porcile; un porcile con un recintodi canne.

Sandyapparve sorpresa e sgomenta. L'animazione scomparve dal suo viso erimase per qualche istante in silenzioimmersa nei suoi pensieri.Poi:

-Non era incantato prima d'ora - disse in tono meditabondocomeparlando fra sé. - E come appare strano e terribile questoprodigioalla percezione di uno esso appare incantato e di miserandoaspettoe tuttavia alla percezione di un altro non èincantato e non ha subito cambiamentima spicca solido e maestosocinto dal suo fossatocon i suoi stendardi sulle torri ondeggiantinel cielo azzurro. E che Dio ci proteggacome fa male al cuorevedere quelle graziose prigioniere e l'impronta del dolore sui lorodolci volti! Abbiamo indugiato troppo a lungo e siamo da biasimare.

Compresil'imbeccata. Il castello era incantato ai "miei" occhimanon ai suoi. Sarebbe stato tempo sprecato cercare di toglierlequell'illusionenon ci sarei riuscito. Dovevo soltanto assecondarla.Quindi risposi:

-E' un caso comune: una cosa appare incantata agli occhi di unapersona e conserva la propria forma agli occhi di un'altra. Tu ne haicerto sentito parlare prima d'oraSandyanche se non ti era maicapitato di farne l'esperienza. Ma non c'è niente di male.

Anziè un fortuna che sia così. Se queste dame sembrasseromaiali a tutti quantianche a se stesseallora bisognerebbe romperel'incantesimocosa forse impossibile se non si riuscisse a scoprireil procedimento esatto della magia. E' rischioso anche perchétentando di sciogliere un incantesimo senza conoscerne la chiavegiusta ci si potrebbe sbagliare e mutare i maiali in cani e i cani ingatti e i gatti in topi e così via. Ma quiper fortunasoltanto i miei occhi sono sotto l'effetto dell'incantesimo e perciònon ha alcuna importanza spezzarlo. Queste signore restano signoreper teper se stessee per tutti gli altri. Del resto non avrannoda soffrire in alcun modo della mia delusioneperché quandoio so che ciò che mi appare maiale è una signoraquesto per me è sufficiente. So benissimo come trattarla.

-Grazieo dolce mio signoretu parli come un angelo. E sono certache le libereraiperché tu sei bramoso di grandi imprese esei cavaliere tanto forte di braccio e tanto audace nel pensiero enell'azione quanto nessun altro cavaliere vivente.

-Non lascerò una sola principessa nel porcileSandy. Sonoforse quei tre laggiù che al mio sguardo turbato paiono poveriguardiani di porci mezzi morti di famesono...

-Gli orchi? Anch'essi trasformati? E' davvero un prodigio. Adesso hopaura. Come potrai tu colpire con sicura mira se cinque dei loro novecubiti di statura sono a te invisibili? Ohsii cautodolce messere:questa impresa è assai più pericolosa di quanto potessiimmaginare.

-Sta' tranquillaSandy. Quel che mi occorre sapere è quantaparte di un orco è invisibile; allora saprò dove sonole sue viscere. Non aver paurame la sbrigherò presto conquesti imbroglioni. Resta dove sei.

LasciaiSandy làin ginocchio e pallida come un cadaverema piena dicoraggio e di speranzami diressi a cavallo giù verso ilrecinto e cominciai a mercanteggiare con i porcari. Mi guadagnai laloro gratitudine acquistando tutti i maiali per la cifra tonda disedici penniesche era un prezzo alquanto superiore alle ultimequotazioni. Ero arrivato appena in tempoperché all'indomanila Chiesail signore del castello e tutti gli altri esattori delletasse sarebbero arrivati e avrebbero fatto razzialasciando iporcari a corto di porci e Sandy senza principesse.

Mandaivia i tre uominipoi aprii il porcile e feci segno a Sandy diavvicinarsi. Ella si precipitò con la rapidità delfuoco in una prateria. E quando la vidi gettarsi su quei maiali conlacrime di gioia che le scendevano sulle guance e stringerseli alcuore e baciarli e accarezzarli chiamandoli rispettosamente congrandiosi titoli principeschimi vergognai di leimi vergognaidella razza umana.

Dovemmoguidare quegli animali verso casa per dieci miglia; mai ci furonodame più capricciose e ostinate. Non volevano seguire nessunavianessun sentiero. Scappavano attraverso i cespugli sui lati dellastrada e fuggivano in tutte le direzionisu per le rocceper icollinei posti più impervi che riuscivano a trovare.

Enon dovevano essere né picchiatené trattaterudemente. Sandy non sopportava di vederle trattare in modo nonconforme al loro rango. La più turbolenta fra le vecchiescrofe del branco doveva essere chiamata Milady e Vostra Altezza cometutte le altre. E' fastidioso e difficile correre all'inseguimentodei porci con l'armatura addosso. C'era una contessina con un anellodi ferro al grugno che era un demonio di perversità. Mi fecefare una corsa di un'ora attraverso sentieri e ostacoli di ognisortafinché ci ritrovammo proprio al punto di partenzasenza aver progredito di un passo. Infine riuscii ad afferrarla perla coda e me la trascinai dietro mentre lanciava acutissime strida.Quando raggiunsi Sandy ella fu inorridita e disse che eraestremamente indelicato trascinare una contessa per lo strascico.

Riuscimmoa ricondurre a casa i maiali proprio sull'imbrunireperlomeno lamaggior parte di essi. Mancavano la principessa Nerovens deMorganamore e due delle sue dame di compagniavale a dire missAngela Bohum e madamigella Elaine Courtemains: la prima era unagiovane scrofa nera con una stella bianca in frontela seconda unascrofa bruna con le zampe sottili. Mancavano inoltre all'appellovarie semplici baronesse e volevo lasciarle perdere.

Manotutta quella carne da salsicce doveva essere ritrovata.

Cosìa questo scopo furono mandati in giro dei servitori con torce aperlustrare il bosco e le colline. Naturalmente tutto il branco fusistemato in casa ecorpo di mille bombenon avevo mai visto nésentito niente di simile. E neanche annusato niente di simile. Eracome una irrefrenabile fuga di gas.




Capitolo21


IPELLEGRINI


Quandofinalmente riuscii ad andare a lettoero stanco morto: che deliziache piacere distendersi e rilassare i muscoli tanto a lungo tesi!

Maquesto fu tutto il mio riposodormire era fuori discussione per ilmomento. Le corse e le strida della nobiltà su e giùper le sale e per i corridoi erano un vero pandemonio e mi tenneroben sveglio. Essendo sveglioi miei pensieri erano in piena attivitàe pensavo soprattutto alla stramba illusione di Sandy. Eccounapersona tanto sana di mentedal mio punto di vistasi comportavacome una pazza. Santo cieloil potere dell'educazione!

Dell'ambiente!Dell'istruzione! Può portare una persona a creder a qualsiasicosa. Dovevo mettermi al posto di Sandy per convincermi che non erauna pazza. Sìe poi mettere lei al mioper dimostrare quantosia facile apparire pazzi a una persona che ha avuto un'educazionediversa dalla nostra. Se avessi detto a Sandy di aver visto unavettura chesenza incantesimifilava a cinquanta miglia all'ora odi aver visto un uomo non dotato di poteri magicientrare in uncanestrolibrarsi in volo e sparire tra le nubio di aver ascoltatoi discorsi di una persona a parecchie centinaia di miglia didistanzaSandy non avrebbe avuto dubbisarebbe stata certa dellamia pazzia. Tutti intorno a lei credevano negli incantesimi: nessunone dubitava. Dubitare che un castello potesse essere trasformato inun porcile e i suoi occupanti in maiali sarebbe stato come se iofrai miei concittadini del Connecticutavessi messo in dubbio la realtàdel telefono e le sue meraviglie ein entrambi i casiil dubbiosarebbe stato la prova certa di una mente malatadi una ragionesconvolta. SìSandy era sana di mentequesto bisognavaammetterlo. Se anch'io volevo apparire sano a leidovevo tenere perme le mie superstizioni sulle locomotivegli aerostatii telefoniche non erano né magici né miracolosi. E inoltreiocredevo che il mondo non fosse piatto e che non avesse sotto deipilastri a sorreggerloné un cupola sopra per proteggerlodall'universo d'acqua che riempiva tutto lo spazio superiore. Ma datoche io ero la sola persona del reame afflitta da tali empie ecriminali opinioniriconoscevo che sarebbe stato saggio mantenere ilsilenzio anche a questo propositose non volevodi colpoessereevitato e allontanato da tutti come pazzo.

Lamattina seguente Sandy radunò i maiali nella sala da pranzo ediede loro la colazione. Avrei potuto mangiare insieme ai maiali sefossi stato per nascita all'altezza del mio alto grado ufficiale; manon era così e quindi accettai l'inevitabile affronto senzalagnarmi.

Ioe Sandy facemmo colazione alla seconda tavola. La famiglia non era incasa. Chiesi:

-Quanti sono in famigliaSandye dove sono?

-Quale famigliamio buon signore?

-Diaminequesta famigliala tua.

-A dire il veronon ti comprendo. Io non ho famiglia.

-Non hai famiglia? Ma comeSandynon è casa tua questa?

-Inverocome potrebbe essere ciò? Io non ho casa.

-Be'allora di chi è questa casa?

-Ahben volentieri te lo direise lo sapessi.

-Suvvianon conosci neppure questa gente? Allora chi ci ha invitatiqui?

-Nessuno ci ha invitatici siamo venuti.

-Mabenedetta donnaquesto è un comportamento davveroincredibile. La tua sfrontatezza mi lascia stupefatto. Noi entriamoqui tranquillamente in casa di un uomogliela riempiamo zeppa dellasola nobiltà veramente preziosa che il sole abbia maiilluminato sulla terra e poi viene fuori che non sappiamo nemmeno ilnome di quest'uomo. Come mai ti sei arrischiata a prenderti questastravagante libertà? Naturalmente io immaginavo che fosse casatua. Cosa dirà quest'uomo?

-Cosa dirà? In fede mia che potrà dire se nonringraziarci?

-Ringraziarci di che?

Sulsuo viso apparve un'espressione di confuso stupore.

-In verità tu confondi la mia mente con strane parole. Pensiforse che a uno della sua condizione possa capitare un'altra volta invita sua l'onore di intrattenere una tale compagnia come quella danoi condotta qui ad onorare la sua dimora?

-Be'nose le cose stanno così. Nopossiamo scommettere cheè la prima volta che gli capita una fortuna simile.

-E allora deve esserci grato per questo e manifestarlo con parole diriconoscenza e con la debita umiltà. Altrimenti sarebbe uncanefiglio di cani e progenitore di cani.

Amio parere la situazione era spiacevolee poteva diventarlo ancoradi più. Ci conveniva radunare i maiali e andarcene. Perciòdissi:

-Si sta facendo tardiSandy. E' ora di riunire la nobiltà e dimettersi in cammino.

-Per quale ragionebel messere e Capo?

-Le portiamo a casa lorono?

-Ohma sentite questa! Esse provengono da tutte le regioni dellaterra!

-Allorachi accompagnerà a casa l'aristocrazia?

-I loro amici. Essi verranno a cercarle dalle più lontanecontrade della terra.

Questofu come un fulmine a ciel serenoquanto a sorpresama il sollievoche mi arrecò fu come la grazia per un prigioniero.

Pensaiche lei sarebbe rimasta a consegnare la merce.

-Beneallora Sandyora che la nostra impresa è giunta atermine lietamente e con successoio torno a casa a riferire. Se maiun'altra...

-Anch'io sono pronta. Vengo con te.

Questoera come revocare la grazia.

-Come? Vieni con me? E perché?

-Credi che io voglia tradire il mio cavaliere? Sarebbe un disonore.Non mi è lecito dipartire da te fino a quandoin cavallerescatenzone sul campoun avversario di forze superiori mi conquisteràlealmente e mi porterà lealmente con sé. Mi meritereibiasimo se pensassi che ciò mai avvenire possa.

"Elettoa vita" sospirai fra me. "Tanto vale che faccia dinecessità virtù". E così dissi:

-E va benecominciamo a muoverci.

MentreSandy era andata a piangere le sue lacrime d'addio sui maialiioregalai quell'aristocratico branco ai servi. E chiesi loro diprendere una scopa e di dare una pulitina qua e làdove lanobiltà aveva alloggiato e passeggiato più a lungo.

Laprima cosa in cui ci imbattemmo quel giorno fu una processione dipellegrini. Non andavano nella nostra direzionema noi ci unimmo aloro lo stessoperché d'ora in ora cresceva in me laconvinzione chese volevo governare bene questo paesedovevomettermi al corrente di tutti gli aspetti della sua vitae non persentito direma attraverso l'osservazione e il giudizio mieipersonali.

Inquesta compagnia di pellegrini c'erano uomini e damegiovani evecchipersone di ogni condizione.

Eraun branco di gente simpaticacordialesocievole: gente pialietaallegracandidamente grossolana e sboccatasenza malizia.

Ciòche essi consideravano come un'allegra storiella circolavacontinuamente e non causava maggior imbarazzo di quanto ne avrebbecausato nella migliore società inglese dodici secoli piùtardi.

Scherzidi cattivo gusto scaturivano qua e là lungo il corteo eprovocavano deliziati applausi. Qualche voltaquando un'osservazionebrillante veniva fatta a una estremità della processione ecominciava il suo viaggio verso l'altro caposi poteva seguire ilsuo avanzare dallo spumeggiante getto di risate che erompevano dallasua pruavia via che questa fendeva le onde.

Sandyconosceva la meta e lo scopo di quel pellegrinaggio e mi mise alcorrente:

-Essi viaggiano verso la Valle Santa per essere benedetti dai piieremiti e per bere l'acqua miracolosa ed essere purificati dalpeccato.

-Dove si trova questa sorgente?

-Si trova a due giorni di viaggio da quipresso i confini della terrache si chiama il Regno del Cuculo.

-Dimmiè un posto famoso?

-Ohin verità lo è. Non ve n'è un altro che losia di più. Nei tempi antichi viveva colà un abate coni suoi monaci. Non c'era forse nessuno al mondo più santo diloro. Essi si dedicavano allo studio dei libri sacrinon parlavanotra di loro e nemmeno con altrimangiavano erbe marce e nientealtrodormivano su un duro giaciglio e pregavano molto e non silavavano mai. Inoltre portavano la stessa veste fino a che pervecchiaia e consunzione cadeva a brandelli dai loro corpi. Ben prestofurono conosciuti nel mondo intero proprio per questa loro santaausterità e furono visitati e venerati da ricchi e poveri.

-Prosegui.

-Ma c'era sempre scarsità d'acqua. E allorauna volta il santoabate pregò ein rispostaun grande getto d'acqua limpidascaturì miracolosamente in un luogo deserto. Poi quei debolimonaci furono tentati dal demonio e incessantemente assillaronol'abate con preghiere e suppliche affinché costruisse unbagno.

Quandoegli si stancò e arrivò al punto di non poter resistereoltreacconsentì e concesse ciò che essi chiedevano.Osserva ora che cosa significa abbandonare le vie della purezza efarsi sedurre dai piaceri mondani e peccaminosi. Questi monacientrarono nel bagno e ne uscirono lavatibianchi come neveed eccoin quell'istante apparve il segno divinoin forma di miracolosorimprovero: le oltraggiate acque cessarono di sgorgaree scomparverocompletamente! Preghierelacrimemortificazioni della carnetuttofu vano per indurre quell'acqua a sgorgare di nuovo. Persino leprocessionii sacrificile candele votive alla Vergineognitentativo fallìe tutti nel paese rimasero stupiti.

-Va avantiSandy.

-E cosìuna voltadopo un anno e un giornoil buon abate siarrese umilmente e distrusse il bagno. E "miracolo" lacollera divina si placò: le acque presero a sgorgare di nuovoabbondanti e fino a questo giorno non hanno mai cessato di scorrerein tale generosa quantità.

-Allora immagino che da quel momento non si sia più lavatonessuno.

-Chi lo tentasse avrebbe il suo capestro per ricompensa. Sìene avrebbe anche bisogno velocemente.

-La comunità ha prosperato da allora?

-Da quel giorno stesso. La fama del miracolo si sparse per tutte leterre. Da ogni contrada vennero monaci per unirsi a loro; venivanocome vengono i pescia frotte. E il monastero aggiunse edificio aedificio. E vennero monache anchee altre ancora e ancora altre. Ecostruirono altri edifici di fronte al monasterofino a che quelconvento divenne possente. E diventarono amici gli uni degli altriunirono il loro amorevole lavoro e insieme costruirono un bel rifugioper i trovatelli.

-Tu avevi parlato di eremitiSandy.

-Questi si sono radunati colà dai confini della terra. Uneremita vive meglio dove ci sono moltitudini di pellegrini. Troveraiche non ci manca alcun tipo di eremita.

Nelprimo pomeriggio raggiungemmo un'altra processione di pellegrinimain questa non c'era allegriané burlené risatenémodi scherzosiné gaia spensieratezzasia fra i giovani siafra i vecchi. Eppure erano presenti entrambe le etàlavecchiaia e la gioventù: vecchi dai capelli grigiuomini edonne di mezza etàgiovani mariti e giovani moglibambini ebambine e tre neonati. Neanche i bambini sorridevano: non c'era unsolo volto in quel mezzo centinaio di persone che non fosse abbattutoe che non avesse impressa quell'espressione fissa di sconforto chenasce da prolungate e dure esperienze. Erano schiavi. Dai loro piediserrati in ceppi e dalle mani ammanettate partivano delle catenefissate a una cintura di cuoio che cingeva loro la vita. Tuttieccetto i bambinierano incatenati insiemein filaa due metri didistanzada un'unica catena che passava da un collare all'altro pertutta la lunghezza della fila. Viaggiavano a piedi e avevano percorsotrecento miglia in diciotto giorni; nutrendosi di povero cibo erimasuglianche questi razionati con avarizia.

Avevanodormito con quelle catene tutte le nottiammucchiati insieme comeporci. Erano ricoperti di miseri straccinon si poteva dire chefossero vestiti. I ceppi avevano scorticato la pelle delle caviglieproducendo delle piaghe ulcerose e purulente.

Iloro piedi nudi erano lacerati e nessuno di loro camminava senzazoppicare. In origine questi disgraziati erano un centinaioma lametà era stata venduta durante il viaggio. Il mercante che liaveva in consegna era a cavallo e teneva in mano una frusta dalmanico corto e dal nerbo lungo e pesante. Con questa frusta sferzavale spalle di quelli che barcollavano per la stanchezza e lasofferenza e li faceva raddrizzare. Non parlava: la frusta comunicavail suo volere senza bisogno di parole. Nessuna di queste poverecreature alzò lo sguardo quando passammo vicino a loro; nonmostrarono in alcun modo di aver notato la nostra presenza. E non siudiva che un suono: quel cupo e lugubre clangore delle loro cateneda un capo all'altro della lunga filaquando quarantatre piedi inceppi si alzavano e ricadevano all'unisono.

Lafila avanzava in una nube di polvere. Ma notai i volti di alcune diquelle donnegiovani madri che portavano fra le braccia bambini giàvicini alla morte e alla liberazione. Una di queste giovani madri nonera che una ragazzina e mi fece male al cuore leggere quellasofferenza e pensare che scaturiva dall'animo di una bambinaunanimo che non avrebbe dovuto ancora conoscere il dolorema soltantola gioia del mattino della vita; e senza dubbio...

Proprioin quel momento ella vacillòstordita dalla faticae lafrustavenne giù strappando un lembo di pelle dalla suaspalla nuda. Mi fece male come se fossi stato colpito io. Il padronearrestò la fila e saltò giù da cavallo. Siscagliò e imprecò contro la ragazza dicendo che gliaveva già dato abbastanza fastidi con la sua pigrizia e cheessendo quella l'ultima occasione che egli avevaora avrebbe fatto iconti con lei.

Laragazza si buttò in ginocchioalzò le mani e cominciòa pregarea piangerea implorarefolle di terrorema il padronenon ne tenne conto. Le strappò il bambino e poi ordinòagli schiaviche erano incatenati davanti e dietro a leidigettarla a terradi tenerla ferma e di denudarla. Poicome unpazzosi mise a colpire con la frustafinché la schiena dilei non fu tutta piagatamentre ella urlava e si dibattevapietosamente. Uno degli uomini che la reggevano distolse il viso eper questa prova di umanità fu insultato e frustato.

Avreivoluto mettere fine a tutto questo e ridare la libertà aglischiavima sarebbe stato un errore. Non dovevo intromettermi e farmila fama di uno che calpesta le leggi del paese. Se fossi vissutoabbastanza e avessi avuto successoavrei stroncato la schiavitù.Su questo avevo già decisoma avrei cercato di fare in modoche quando fossi diventato il giustizierelo sarei stato per ordinedella nazione.

Proprioin quel puntolungo la viac'era la bottega di un fabbroe quigiunse un proprietario di terre chepoche miglia prima avevacomprato questa ragazza che gli doveva essere consegnata in questoluogo dove le si potevano togliere i ferri.

Questifurono rimossi. Non appena la ragazza fu liberata dai ferri si gettòpiangendo e singhiozzando violentemente tra le braccia dello schiavoche aveva voltato la testa quando era stata frustata. Egli se lastrinse al petto e coprì di baci il suo volto e quello delbambino e li inondò in un diluvio di lacrime. Mi venne unsospetto. Indagai. Sìavevo ragioneerano marito e moglie.Dovettero separarli con la forza e trascinare via la ragazza che sidibattevalottava e urlava come se fosse impazzitafino a che unasvolta della strada la nascose alla vista. Ma anche dopo potevamoancora distinguere il debole lamento di quelle grida che siallontanavano.

Cifermammo alla locanda di un villaggio proprio al cader della notte.Il mattino dopo quando mi alzai e guardai fuori scorsi un cavaliereche veniva cavalcando nella luce dorata del nuovo giorno e loriconobbi come uno dei miei uominiser Ozana le Cure Hardy.

Eranel ramo abbigliamento maschile e la sua specialitàmissionaria erano i cappelli a cilindro. Era tutto vestito inacciaiocon la più bella armatura dell'epoca. Ma non avevaelmo; al suo posto portava un lucente cilindro ed era lo spettacolopiù ridicolo che si potesse desiderare di vedere. Era un altrodei miei piani segreti per distruggere la cavalleria erranterendendola grottesca e assurda.

Allasella di ser Ozana erano appese delle cappelliere di cuoio e ognivolta che egli sconfiggeva un cavaliere errante gli faceva giurare dimettersi al mio serviziogli forniva un cilindro e glielo facevaindossare. Mi vestii e scesi ad accogliere ser Ozana e a riceverenotizie.

-Come va il commercio? - gli chiesi.

-Noterete che me ne sono rimasti soltanto quattroed erano sediciquando partii da Camelot.

-Caspitati sei comportato da prodeser Ozana. Dove sei stato avendere ultimamente?

-Vengo or ora dalla Valle Santaa voi piacendosignore.

-Sono diretto anch'io da quella parte. Sta succedendo qualcosa didiverso dal solito al monastero?

-Perdincie me lo domandate!... Messeresono inaudite le notizie cheio vi reco e... e questi sono pellegrini? Allora non potreste farcosa migliorebuona genteche radunarvi qui e ascoltare il raccontoche ho da narrareperché riguarda voiin quanto voi andate atrovare ciò che non troverete e a cercare quel che invanocercheretee sia la mia vita pegno della mia parola.

Unfatto è accaduto di cui non si è visto l'egualese nonuna volta sola in duecento annie fu la prima e l'ultima volta chequella sventura colpì la Valle Santa in quella formapercomando dell'Altissimo.

-La fonte miracolosa ha cessato di sgorgare!

Questogrido proruppe dalle bocche di venti pellegrini nello stesso istante.

-Dite benebuona gente. Ci stavo arrivando proprio quando voiparlaste.

-Qualcuno si è lavato di nuovo?

-No. Si sospettama nessuno lo crede. Si pensa che sia per qualchealtro peccatoma nessuno sa quale.

-Come hanno preso questa sciagura i frati?

-Non ci sono parole per descriverlo. La sorgente è secca ormaida nove giorni. Da allora le preghierele lamentazioni in cilicio ecenerele sante processioni non sono cessatené di giorno nédi notte. Così i monacile monache e i trovatelli sono tuttiesausti e appendono preghiere scritte su pergameneperché nonè rimasta forza a nessuno per alzare la voce. E infine hannomandato a cercare temesser Capoper tentare con la magia e gliincantesimi. Se voi non potevate recarviallora il messaggero dovevacondurre Merlino. Ed ora egli è là da tre giorni e diceche farà ritornare quell'acqua anche se per riuscirci dovessefar scoppiare il globo e mandare in rovina tutti i reami. E congrande destrezza fa uso della sua magia e invoca gli spiritiinfernali affinché si rechino ad aiutarlo. Ma finora non haottenuto nemmeno uno sbuffo di vaporenemmeno quel tanto che sipotrebbe definire come umidità su uno specchio di ramese nonsi tiene conto del barile di sudore che egli versa fra un sole el'altro durante le fatiche della sua impresa. Se voi...

Lacolazione era pronta. Non appena fu terminatamostrai a ser Ozanaqueste parole che avevo scritto nell'interno del suo cappello:"Reparto Chimica. Laboratorio. Sezione G. Pxxp. Mandate duearticoli della prima misuradue del numero 3e sei del numero 4insieme con i rispettivi accessori complementarie due dei mieiassistenti specializzati". Poi dissi:

-Ora vola a Camelot più veloce che puoibravo cavaliereemostra questo scritto a Clarence: digli di mandare il materialerichiesto alla Valle Santa con la maggiore sollecitudine possibile.

-Ben lo faròser Capo.

Epartì.




Capitolo22


LASACRA FONTE


Seprima i pellegrini erano ansiosi di vedere la fonte miracolosa oradopo gli ultimi eventilo erano quaranta volte di più. Nonc'è spiegazione per il comportamento degli esseri umani.

Camminammodi buon passo e un paio d'ore prima del tramonto eravamo sulle altureche limitavano la Valle Santa. La percorremmo con lo sguardo daun'estremità all'altra: le masse dei suoi tre edifici eranodistanti e isolateridotte a proporzioni di giocattoli in quelladesolata distesa che pareva un deserto... Una scena simile èsempre lugubrecosì solenne nel suo silenziocosìimpregnata di morte. Ma qui si udiva un suono che interrompeva ilsilenzio solo per renderlo ancora più lugubre: fievoli elontani rintocchi di campane arrivavano fino a noi a tratti con ilsoffio della brezzacosì fiochicosì sommessichenon sapevamo nemmeno se li sentivamo con le orecchie o con lospirito.

Giungemmoal monastero sull'imbrunire e qui fu dato alloggio agli uominimentre le donne furono mandate al convento delle monache.

Lecampane erano vicine ora e il loro solenne rintocco colpival'orecchio come un messaggio funesto. Una superstiziosa disperazionedominava il cuore di tutti i monacila si leggeva sui loro voltispettrali. Dappertutto questi fantasmi in tonaca neradai passifelpatidai visi cereiapparivanosvolazzavano intorno escomparivanosilenziosi come le creature di un sogno angosciosoaltrettanto inquietanti.

Lagioia del vecchio abate nel vedermi fu commovente fino alle lacrime;ma fu lui a versarle. Disse:

-Non indugiarefiglioloma dà inizio alla tua opera disalvezza. Se non riportiamo l'acquae subitosaremo rovinati etutto il buon lavoro di duecento anni avrà fine. E bada benedi operare con incantesimi che siano sacriperché la Chiesanon tollera che il lavoro per la sua causa sia fatto con magie deldemonio.

-Quando lavoro iopadresiate certo che l'opera del diavolo nonc'entra. Ma Merlino lavora seguendo una linea esclusivamente pia?

-Ahegli disse che così avrebbe operatofiglio miosoltantoin quel modo e fece giuramento di mantenere la sua promessa.

-Be'in questo caso lasciamolo continuare.

-Ma sicuramente non resterai lì a guardare. Lo aiuterai?

-Non servirebbe allo scopo mescolare i metodipadrenésarebbe correttezza professionale. Due dello stesso mestiere nondevono farsi sleale concorrenza. Tanto varrebbe abbassare subito letariffe e farla finita; si arriverebbe comunque a questa conclusione.Merlino ha avuto questo contratto e nessun altro mago puòintervenirefinché egli non vi rinuncia.

-Ma glielo toglierò io. E' un caso di assoluta emergenza e taleazione sarebbe perciò giustificata.

-Forse non è possibilepadre. Merlino nel suo piccolo èun ottimo mago e gode di una buona reputazione in provincia. Stalottandosta facendo del suo meglio e non sarebbe educato da partemia accettare di fare il suo lavoro finché egli non loabbandoni di sua iniziativa. Il viso dell'abate si illuminò.

-Ahma allora è semplice. Ci sono modi per persuaderlo adabbandonarlo.

-Nonopadrenon convienecome dice questa gente. Se lo siallontanasse contro la sua volontà egli graverebbe quel pozzocon un incantesimo che mi ostacolerebbe fino a che non riuscissi ascoprirne il segreto. Ci vorrebbe forse un mese. Sìvoicapitemi potrebbe bloccare per un mese. Vorreste voi rischiare unmese in un periodo di siccità come questo?

-Un mese! Il solo pensiero mi fa fremere. Fa' dunque come vuoifigliomio. Ma il mio cuore è oppresso da questa delusione. Va' ora elasciami logorare lo spirito nell'inattività e nell'attesacosì come ho fatto in questi dieci lunghi giorni.

Naturalmentesarebbe stato megliotutto sommatoche Merlino avesse messo daparte il protocolloabbandonando l'impresa a metàgiacchémai sarebbe riuscito a far ritornare quell'acqua.

Egliinfatti era un vero mago del suo tempoil che significa che i grandimiracoliquelli che gli avevano dato la celebritàavevanosempre avuto la fortuna di essere compiuti quando nessunoeccettoluiera presente. Non poteva certo far funzionare quel pozzo contutta quella folla intorno a guardare. Ma non volevo che Merlinorinunciasse all'incarico finché io non fossi stato pronto adoccuparmene in modo efficacee non lo potevo fare finché nonavessi ricevuto le mie cose da Camelot: per questo ci sarebberovoluti due o tre giorni.

Lamia presenza dette speranza ai monaci e li rallegròmoltissimotanto che quella sera consumarono un buon pasto per laprima volta in dieci giorni. Non appena ebbero lo stomacoadeguatamente rinforzato dal ciboil loro spirito cominciò arisollevarsi rapidamentequando l'idromele cominciò acircolaresi risollevò più rapidamente che mai.Allorché furono tutti brilli la santa comunità era inbuona forma per passare una nottata di vegliacosì restammo atavola e facemmo tutta una tirata. La situazione diventò moltoallegra. Vennero raccontate vecchie storielle di dubbio gusto chefacevano scorrere le lacrime e spalancare le bocche cavernose escuotere dalle risa le rotonde pance. E canzoni poco pulite vennerocantate con voce tonante in un coro poderoso che copriva il rombodelle campane.

Ilgiorno seguente andai al pozzo per tempo. Merlino era làintento a fare incantesimi raspando il suolo come un castoro senzaperò riuscire ad ottenere una sola goccia d'acqua. Non era dibuon umore e ogni volta che io alludevo al contratto che era forse unpo' troppo gravoso per un principianteegli scioglieva la lingua ebestemmiava come un vescovo.

Lecose stavano su per giù come mi aspettavo. La "Fonte"era il solito pozzo: era stato scavato e rivestito nel solito modo.Non c'era nessun miracolo. Il pozzo era in una stanza buia che sitrovava al centro di una cappella costruita con pietre tagliatelecui pareti erano ricoperte di pie immagini: scene commemorative diguarigioni miracoloseper virtù delle acqueavvenute quandonon c'era nessuno a guardare. Cioè nessuno all'infuori degliangeli.

Lastanza del pozzo era fiocamente illuminata da lampade. L'acquaquando ancora c'eraveniva tirata su dai monaci per mezzo di unargano e una catena e poi versata in canali che la distribuivano invasche di pietra all'esternonella cappella. Soltanto i monacipotevano entrare nella stanza del pozzo. Io entrai perchéavevo un permesso provvisorio per gentile concessione del mio collegae mio subordinato. Ma egli non vi era entrato. Faceva tutto perincantesimonon usava mai il cervello. Se fosse entrato làdentro un momento e avesse usato i suoi occhi invece della sua mentesconvoltaavrebbe potuto curare il pozzo con mezzi naturali e poifarlo credere un miracolocom'era consuetudine. Ma noera unvecchio testardoun mago che credeva nella sua magiae nessun magose è ostacolato da una simile superstizionepuòprosperare.

Lamia idea era che nel pozzo si fosse aperta una falla: forse qualchepietra della parete sul fondo aveva cedutolasciando scoperte dellefessure che facevano scorrere via l'acqua. Misurai la catena:trentadue metri. Allora chiamai dentro un paio di monacichiusi achiave la portapresi una candela e mi feci calare giù nelsecchio. Quando la catena fu mollata tuttala candela confermòil mio sospetto: una considerevole parte della parete era rovinatascoprendo una grossa fessura.

Quandorisaliimandai fuori i monaci e calai nel pozzo una lenza da pesca.Il pozzo era profondo cinquanta metri e c'erano quattordici metrid'acqua. Chiamai dentro un monaco e gli chiesi:

-Quanto è profondo il pozzo?

-Questomessereio non sonessuno mai me lo disse.

-Fin dove arriva l'acqua di solito?

-Vicino all'orlonegli ultimi due secolisecondo le testimonianze anoi tramandate dai nostri predecessori.

Eravero - almeno per il periodo più recente - perché c'erauna testimonianza molto più attendibile di quella del monaco:soltanto otto o dieci metri circa della catena mostravano tracce diuso e di logorioil resto era intatto e arrugginito. Che cosa eraaccaduto quando il pozzo si era inaridito la volta precedente?

Senzadubbio era venuta una persona che sapeva il fatto suo e avevariparato la fallapoi era risalita e aveva detto all'abate di averscoperto per divinazione chese fosse stato distrutto il bagnopeccaminosol'acqua sarebbe fluita di nuovo nel pozzo. Ora si erariaperta la falla e quei bambinoni avrebbero continuato a pregareafare processioni e a suonare le campane per invocare l'aiuto divinofino a che tutti si fossero rinsecchiti e polverizzati. E neanche unodi quei semplicioni avrebbe mai pensato di scandagliare il pozzo o discendervi dentro per vedere come stavano veramente le cose. Dissi almonaco:

-E' un miracolo laborioso restituire l'acqua a un pozzo inariditomaci proveremose mio fratello Merlino fallisce.

FratelloMerlino è un artista abbastanza bravoma solo nel ramo "magiada salotto"e può darsi che non ci riesca. Infattièpoco probabile che ci riesca. Ma questo non dovrebbe andare a suodiscredito: l'uomo che sa fare questo genere di miracoli ne saabbastanza per dirigere un "hotel".

-Hotel? Non ricordo di aver mai udito...

-Nominare un "hotel"? E' quello che voi chiamate ostello.L'uomo che può fare questo miracolo può dirigere unostello. Io posso fare questo miracolo: io farò questomiracolo. Tuttavia non cerco di nascondervi che è un miracoloche metterà alla prova i poteri occulti fino all'estremolimite.

-Invero nessuno conosce tale verità meglio della confraternitapoiché è documentato che in passato fu estremamentedifficile e ci volle un anno. Nondimeno vi conceda Iddio buonsuccessoe a tal fine noi pregheremo.

Ascopo pratico era una buona idea mettere in giro la voce che era unacosa difficile. Molte cose di nessun conto sono diventate importantigrazie al tipo giusto di pubblicità. Questo monaco era piùche convinto della difficoltà dell'impresa e avrebbe convintoanche gli altri. Entro due giorni l'ansia dell'attesa avrebberaggiunto la fase più acuta.

Mentretornavo a casa a mezzogiorno incontrai Sandy. Era andata a esaminareda vicino gli eremiti. Dissi:

-Lo farei volentieri anch'io. Oggi è mercoledì. C'èuno spettacolo pomeridiano?

-Un chea voi piacendomessere?

-Spettacolo pomeridiano. Tengono apertoil pomeriggio?

-Gli eremitis'intende.

-Tengono aperto?

-Tengono aperto. Non è abbastanza chiaro? O staccano amezzogiorno?

-Staccano?

-Staccano. Sìstaccano. Ma che c'è che non va con"staccano"?

Nonho mai visto una testona simile. Ma non capisci proprio nulla?

Inparole poverechiudono bottegalevano le tendesmontano labaracca...

-Chiudono bottegalevano...

-Vianon importalasciamo andare. Mi hai stancato. Sembra che tu noncapisca le cose più elementari.

Vagammoda un eremita all'altro tutto il pomeriggio. Era un serraglio stranodavvero. Si sarebbe detto che la principale forma di competizione fradi loro consistesse nel gareggiare a chi riusciva ad essere il piùsudicio e il più ricco di parassiti. Per un anacoreta eramotivo di orgoglio giacere nudo nel fango e lasciare che gli insettiindisturbati lo pungessero e lo ricoprissero di vesciche; per unaltrorimanere appoggiato a una roccia per tutto il giornobenesposto all'ammirazione della moltitudine di pellegrinie dipregare; per un altrogirare nudocamminando a quattro zampe; perun altro trascinarsi dietro continuamente ottanta libbre di ferro;per un altro non sdraiarsi mai per dormirerestando in piedi inmezzo ai rovi e russando quando c'erano dei pellegrini intorno aguardare. Una donnache aveva i capelli bianchi per vecchiaiaeranera da capo a piedi per quarantasette anni di santa astinenzadall'acqua.

Gruppidi pellegrini curiosi stavano intorno a questi strani esserirapitiin reverente stupore e invidiosi dell'immacolata santità cheessi avevano conquistato con quelle pie austerità.

Dopoun po' andammo a vederne uno dei più riveriti. Era una grancelebritàla sua fama si era sparsa in tutto il mondocristiano; uomini nobili e famosi venivano dalle più remoteterre del globo a rendergli omaggio. Il suo "posto" era nelcentro della parte più larga della vallespazio necessarioper contenere la folla dei suoi ammiratori.

L'eremitastava su una colonna alta venti metricon una larga piattaforma incima: ripetendo quello che andava facendo lassù ogni giorno davent'annichinava il corpo incessantemente e rapidamente fin quasi alivello dei piedi. Era il suo modo di pregare. Gli controllai iltempo con il mio cronometro e vidi che faceva 1.244 piegamenti in 24minuti e 46 secondi. Mi sembrava un peccato che tutta quella energiaandasse sprecata. Il movimento a pedale era uno dei movimenti piùutili in meccanicacosì ne presi nota nella mia agendaproponendomi di applicargli un giorno o l'altro un sistema di cordeelastiche per far azionare una macchina da cucire.

Inseguito realizzai questo progetto e ricavai da quell'uomo cinque annidi redditizio lavoronei quali egli produsse più didiciottomila camicie di lino di prima qualitàossia dieci algiorno. Lo facevo lavorare anche la domenica. Quelle camicie non micostavano nulla - a parte una sciocchezza per la stoffa che fornivoio perché non sarebbe stato giusto farlo fare a lui - sivendevano facilmente ai pellegrini ad un dollaro e mezzo l'unaprezzo di cinquanta mucche o di un purosangue da corsa nel regno diArtù. Erano considerate come una sicura protezione contro ilpeccato e i miei cavalieri ne facevano la pubblicità in questosenso ovunquecon il secchiello della vernice e lo stampino per leletteretanto che in tutta l'Inghilterra non c'era una scoglieraoun masso o un muro in rovina su cui non si potesse leggere a unmiglio di distanza: "Comprate l'unico prodotto genuino SanStilita. Fornitore della Nobiltà. Rilascio di brevetto incorso".




Capitolo23


LAFONTE VIENE RIPRISTINATA


Sabatoa mezzogiorno mi recai al pozzo e mi fermai un po' a guardare.Merlino stava ancora producendo fumo con le sue polveriagitando lemani nell'aria e mormorando parole incomprensibili con piùimpegno che maima con un'aria piuttosto avvilitaperchénaturalmentenon era riuscito a ricavare dal pozzo nemmeno un po' diumidità. Infine dissi:

-Allorasocioc'è qualche prospettiva di successo?

-Guardateproprio adesso mi accingo a tentare la più potentemagia nota ai principi delle arti occulte nelle terre d'Oriente:

sefalliscenulla più vale tentare. Tacetefinché hofinito.

Questavolta sollevò un nuvolone di fumo che oscurò tutta laregioneprocurando parecchio disagio agli eremitiperché ilvento soffiava nella loro direzione e rotolava giù sulle lorotane in ondate di densa nebbia.

Insiemeal fumo Merlino rovesciò torrenti di parolecontorcendosi etagliando l'aria con le mani in una maniera veramente straordinaria.Dopo una ventina di minuti si accasciò al suolo ansimando equasi del tutto esausto. A questo punto arrivarono l'abate eparecchie centinaia di monaci e monache e dietro di loro unamoltitudine di pellegrini. L'abate s'informò ansiosamente suirisultati. Merlino disse:

-Se l'opera di un mortale potesse spezzare l'incantesimo che trattienequeste acquequesta che io ho appena tentato l'avrebbe fatto. E'fallita. Ragion per cui ora io so che ciò che temevo èverità stabilita. Il segno di questo fallimento è cheil più potente spirito noto ai maghi dell'Orienteil cui nomenessuno può pronunciare senza perdere la vitaha posto il suoincantesimo su questo pozzo. Non esiste né mai esisteràuomo che possa penetrare il segreto di quell'incantesimo. L'acqua nonsgorgherà mai piùbuon padre. Io ho fatto quanto a unuomo mortale era concesso di fare. Permettetemi di andarmene.

Questeparolenaturalmentegettarono l'abate in uno stato di grandecosternazione. Egli si rivolse a mecoi segni di questo turbamentoimpressi sul voltoe disse:

-L'avete sentito. E' vero?

-In parte.

-Non tuttoalloranon tutto! Quale parte è vera?

-Che quello spirito con il nome russo ha messo un incantesimo sulpozzo.

-Per le piaghe di Dio! Allora siamo rovinati!

-Può darsi.

-Ma non con certezza? Intendete dire non con certezza?

-Proprio così.

-Quindiintendete anche dire che quando egli afferma che nessuno puòrompere l'incantesimo...

-Sìquando dice questoegli dice cosa che non ènecessariamente vera. Ci sono condizioni in cui uno sforzo perrompere la magia può avere qualche probabilitàcioèqualche piccolainfinitesima probabilità di successo.

-Le condizioni...

-Ohnon sono affatto difficili. Soltanto queste: voglio il pozzo e idintorni per un raggio di mezzo miglio interamente per medaltramonto di oggi fino a quando revocherò il bando e che anessuno sia permesso di attraversare questo territorio senza la miaautorizzazione.

-E' tutto?

-Sì.

-Enon avete timore di tentare?

-Ohnonessun timore. Si può fallirenaturalmentema si puòanche riuscire. Si può provare e io sono pronto a farlo.Accettate le mie condizioni?

-Queste e tutte le altre che vogliate richiedere. Darò ordini atal scopo.

-Aspettate - disse Merlinocon un sorriso maligno. - Voi sapete checolui che voglia spezzare questo incantesimo deve conoscere il nomedi quello spirito?

-Sìio conosco il suo nome.

-E sapete anche che il conoscerlo non bastama che dovete anchepronunciarlo? Ahahsapevate questo?

-Sìsapevo anche questo.

-Eravate a conoscenza di ciò! Siete pazzo? Avete intenzione dipronunciare quel nome e morire?

-Pronunciarlo?Ma certo.

-Allora siete già un uomo morto: vado a riferirlo ad Artù.

-Benissimo. Prendete la vostra roba e andatevene. Quel che dovete farevoi è andare a casa e fare previsioni sul tempomisterMerlino.

Avevocolpito nel segno ed egli sussultò poiché egli era ilpeggior fallimento meteorologico di tutto il reame. Ogni volta cheordinava di alzare i segnali di pericolo lungo la costa si aveva disicuro una settimana di bonaccia e ogni volta che prediceva beltempopioveva a catinelle. Ma io lo tenevo apposta nell'ufficiometeorologico per minare la sua reputazione. Però quellafrecciata aumentò la sua rabbia e invece di incamminarsi versocasa per dare la notizia della mia mortedisse che sarebbe rimasto agodersela.

Imiei due esperti arrivarono in seratapiuttosto affaticati perchéavevano viaggiato giorno e notte. Avevano con loro muli da carico etutto quello che mi occorrevaattrezzipompetubi di piombofuocogrecofasci di grossi razzicandele romanegirandole colorateapparecchi elettrici e una quantità di oggetti varitutto ilnecessario per il più grandioso dei miracoli.

Cenaronoe si presero un po' di riposo. Verso mezzanotte uscimmo in totalesolitudine. Prendemmo possesso del pozzo e dei dintorni.

Imiei ragazzi erano esperti in ogni campodalla costruzione dellepareti di un pozzo a quella di uno strumento di precisione.

Un'oraprima dell'alba avevano riparato quella perdita in modo perfetto el'acqua cominciò a risalire. Poi mettemmo i fuochi artificialinella cappellala chiudemmo a chiave e andammo a casa a dormire.Prima che la messa di mezzogiorno fosse finita eravamo di nuovo alpozzoperché c'era ancora tanto da fare ed io avevo deciso dieseguire il miracolo prima di mezzanotte per ragioni di convenienza:se un miracolo eseguito per la Chiesa in un giorno feriale valeparecchiose lo si fa di domenica vale sei volte tanto.

Innove ore l'acqua era salita al livello normalevale a dire a circaotto metri dall'apertura del pozzo. Montammo una piccola pompa diferrouna delle prime prodotte dalle mie officine. Poi aprimmo unforo in una vasca di pietracontro il muro esterno della stanza delpozzoe vi inserimmo un pezzo di tubo di piombo.

Eraabbastanza lungo da arrivare alla porta della cappella e sporgereoltre la sogliadove il getto d'acqua sarebbe stato visibile aiduecentocinquanta acri di persone che io volevo fossero presenti almomento giusto nella pianura davanti a quel sacro poggio.

Togliemmola parte superiore a un barile vuoto e lo issammo sul tetto piattodella cappelladove lo fissammo saldamente. Ci versammo dentro dellapolvere da sparopoi mettemmo nel barile tanti razzi quanti ce nepotevano entraredritti senza forzarlirazzi di ogni tipo cheformavano un fascio grandioso ed imponente.

Facemmopassare sotto quella polvere il filo di una pila elettrica tascabiledisponemmo un intero deposito di fuoco greco ad ogni angolo del tetto- azzurro in un angoloverde in un altrorosso in un altro ancora eviola nell'ultimo- e in ciascuno affondammo un filo elettrico.

Acirca duecento metri di distanzasul terreno pianeggiantecostruimmo un recinto di assicelle su cui appoggiammo delle tavole inmodo da formare una piattaforma. La ricoprimmo con sontuosi arazzi ecome tocco finalevi mettemmo il trono personale dell'abate. Quandoci si accinge a compiere un miracolo per una razza di genteignorantebisogna curare tutti quei particolari che possonovalorizzare l'effetto; bisogna preparare tutta l'attrezzatura in modoche s'imponga agli occhi del pubblico. Io so il valore di queste coseperché conosco la natura umana. Non è mai troppo lostile con cui si organizza un miracolo. Costa lavoro fatica e qualchevolta denaroma alla fine rende. Portammodunquei fili elettricia terra nella cappella e poi li facemmo passare sotto il terreno finoalla piattaforma e là nascondemmo le pile. Intorno allapiattaformaper tenere lontana la folla mettemmo un recinto di cordee con ciò i nostri preparativi erano terminati.

Lamia idea era: ingresso alle dieci e trenta; inizio dello spettacoloalle undici e venticinque in punto. Mi sarebbe piaciuto far pagarel'ingressoma naturalmente non era il caso. Diedi istruzione ai mieiragazzi di trovarsi nella cappella non più tardi delle 10prima che ci fosse qualcuno in giropronti a manovrare le pompe almomento giusto. Poi andammo a casa a cenare.

Ormaila notizia della sventura del pozzo era giunta lontano e giàda due o tre giorni una costante valanga di gente si riversava nellavalle. La parte più bassa della valle era diventata un immensoaccampamento: avremmo avuto il teatro pienosu questo non c'eradubbio. Sul far della sera dei banditori andarono in giro adannunciare l'imminente avvenimentoil che provocò in tuttiuno stato di febbrile attesa. Poi fu reso noto che l'abate e il suoseguito ufficiale avrebbero fatto un ingresso solenne e avrebberooccupato la piattaforma alle dieci e mezza. Fino a quell'ora tutta laregione che era sotto il mio bando doveva essere sgombra; allora lecampane avrebbero cessato di suonare e questo sarebbe stato ilsegnale che la folla poteva avvicinarsi e prendere posto.

Ioero sulla piattaformagià pronto a fare gli onori di casaquando il solenne corteo dell'abate fosse apparso all'orizzonte.

Conil corteo arrivò anche Merlino che prese posto in prima filasulla piattaformauna volta tanto aveva mantenuto la parola data.

Poiil buio.

Nonsi riusciva a vedere la moltitudine di gente assiepata al di làdella zona proibitama si sentiva lo stesso la loro presenza.

Nonappena le campane tacqueroquella massa contenuta irruppe e sirovesciò oltre la linea di confinecome un'immensa ondatanera che continuò a scorrere per una buona mezz'ora e poi sisolidificò. Si sarebbe potuto camminare su quel pavimento diteste umane per miglia.

Aquesto punto ci fu una solenne attesa di circa venti minuticosa sucui contavo per creare maggior effetto - è sempre beneaccrescere l'aspettativa degli spettatori. Alla finedal silenzioun nobile canto latinodi voci maschilisi alzòsi gonfiòe si allontanò nella notte come una maestosa ondata melodica.Avevo organizzato anche quello e fu uno degli effetti piùriusciti che io avessi mai creato. Quando fu finito salii sullapiattaforma e stesi le bracciaper due minuticol viso rivoltoverso l'altoil che produce sempre un silenzio di tombae poilentamente pronunciai questa spaventosa parola con tono terrificanteche fece tremare centinaia di persone e svenire molte donne:

-Constantinopolitanischerdudelsackpfeifenmachersgesellschaft!

Propriomentre stavo pronunciando lamentosamente l'ultima parte di questaparolatoccai lievemente uno dei miei contatti elettrici e tuttoquell'oscuro mondo di gente risaltò in un raccapricciantebagliore azzurro! L'effetto fu enorme! Una quantità di gentesi mise a urlarele donne si curvarono e scapparono in ognidirezione. L'abate e i monaci si fecero il segno della croce infretta e le loro labbra mormorarono agitate preghiere. Merlino tenneduroma era chiaramente sbalordito fino ai calli; non aveva maivisto niente che cominciasse così. Ora era il momento diaccumulare i colpi di scena. Alzai le braccia e pronunciai gemendoquesta parolacome in uno spasimo:

Nihilistendynamittheaterkaestchensprengungsattentaetsversuchungen!

-e feci scaturire il fuoco rosso! Avreste dovuto udire quell'oceano digente lamentarsi e ululare quando l'inferno rosso si unì aquello azzurro! Dopo sessanta secondi urlai:

Transvaaltruppentropentransporttrampelthiertreibertrauungsthraenentragoedie! - e accesi il fuoco verde! Dopo aver atteso soltantoquaranta secondiquesta voltaspalancai le braccia e con vocetonante pronunciai le sconvolgenti sillabe di questa parola:

Mekkamuselmannenmassenmenchenmoerdermohrenmuttermarmormonumentenmacher! - e scatenai il bagliore viola!

Eccolilà divampare tutti insiemerossoazzurroverdeviola!

Quattrovulcani infuriati che eruttavano enormi nubi di fumo luminoso che sispandeva con accecanti luci variopinte fino ai più lontaniconfini della valle. Sapevo che ora i ragazzi erano pronti allepompe. Perciò dissi all'abate:

-E' giunto il momentopadre. Sto per pronunciare quel terribile nomee comandare all'incantesimo di dissolversi. Dovete raccogliere levostre forze e aggrapparvi a qualcosa. Poi urlai alla folla:

-Guardateun minuto ancora e l'incantesimo sarà spezzatoonessun mortale potrà mai spezzarlo. Se si spezzeràtutti lo saprannoperché vedrete l'acqua sacra sgorgare dallaporta della cappella!

Aspettaiqualche attimo per dare la possibilità a quelli che avevanosentito di spargere la voce del mio annuncio fra coloro che nonavevano udito e per farlo arrivare fino alle ultime filepoi miesibii in una posa grandiosaaccompagnata da gesti specialieurlai:

-Guardate! Comando al corrotto spirito che si è impossessatodella fontana sacra di scaricare ora in cielo tutto il fuocoinfernale che ancora rimane in lui e di sciogliere all'istante il suoincantesimodi scomparire nell'abisso e di rimanere làconfinato per mille anni. Con il suo stesso nome spaventoso io locomando:

-BGWJJILLIGKKK! - Poi detti la corrente al barile dei razzieun'immensa fontana di abbaglianti lance di fuoco eruttò versoil cielo con un sibilo impetuoso scoppiando in una tempesta digioielli scintillanti. Un possente grido di terrore si levòdalla folla ammassatapoiimprovvisamente si mutò in unosfrenato osanna di gioiapoiché làbella e chiaranel magico bagliorevidero sgorgare l'acqua liberata!

Ilvecchio abate non riuscì a dire una parolaa causa dellelacrime e del nodo che gli stringeva la gola. Mi prese fra lebracciastritolandomi. Fu più eloquente di un discorso.

Avrestedovuto vedere quegli acri di persone che si buttavano nell'acqua e labaciavanol'accarezzavanola coccolavano e le parlavano come sefosse stata un'amica e la salutavano con gli appellativi affettuosiche davano ai loro caricome se fosse stata un'amica partita datanto tempo e perdutache ora fosse tornata a casa. Sìerabello a vedersi e me li fece stimare più di quanto avessifatto fino allora.

MandaiMerlino a casa in barella. Aveva ceduto ed era crollato come unafrana quando avevo pronunciato quel terribile nome e non si era piùriavuto. Non aveva mai udito quel nome prima di allora - e nemmeno io- ma per lui era quello giusto. Qualsiasi guazzabuglio sarebbe statoquello giusto. Egli ammisein seguitoche neppure la stessa madredello spirito sarebbe riuscita a pronunciare quel nome meglio di me.Non riuscì mai a capire come io avessi potuto sopravvivere eio non glielo dissi. Sono i maghi giovani che svelano segreti comequesto. Merlino passò tre mesi a fare incantesimi per cercaredi scoprire il misterioso trucco che permetteva di pronunciare quelnome e sopravvivere. Ma non ci riuscì.

Quandomi avviai verso la cappellala plebaglia si scoprì il capo esi trasse da parte rispettosamente per lasciarmi un ampio passaggiocome se fossi stato una sorta di essere superioree lo ero. Me nerendevo conto. Portai con me dei monaci per il turno di notteinsegnai loro il mistero della pompa e li misi al lavoroperchéera chiaro che una buona parte della gente che era là fuorisarebbe rimasta a vegliare l'acqua tutta la notte: quindi era piùche giusto che ne avessero quanta ne volevano. Per quei monaci lapompa era un grande miracolo di per sée la guardavano colmidi stupore e di ammirazione per l'eccezionale efficienza del suofunzionamento.

Fuuna grande nottatauna nottata memorabile. La mia influenza nellaValle Santa era considerata ora come qualche cosa di prodigioso.




Capitolo24


UNMAGO RIVALE


Eropronto ora a proseguire il viaggioma mi capitò uncontrattempo. Presi un forte raffreddore che ridestò un miovecchio reumatismoche naturalmente andò a scovare il puntopiù debole e lì si stabilì. Era il punto dove lebraccia dell'abate mi avevano strettostritolandomiquella voltache aveva sentito l'impulso di esprimere la sua gratitudine con unabbraccio.

Quandofinalmente ne usciiero un'ombra. Ma tutti furono pieni diattenzioni e di gentilezze e queste riportarono l'allegria nella miavita: così mi rimisi presto.

Sandysi era sfinita nell'assistermi perciò decisi di andarmene ingiro da sololasciandola all'abbazia a riposare. La mia idea era ditravestirmi da uomo libero di classe contadina e di girare per ilpaese una settimana o duea piedi.

Questomi avrebbe dato la possibilità di mangiare e di alloggiare conla classe più umile e più povera dei cittadini liberiin condizioni di parità. Non c'era altro modo per raccogliereinformazioni precise sulla loro vita quotidiana e su come la leggeagiva nei loro confronti.

Unamattina ero uscito a fare una lunga passeggiata per rinforzare imuscoli in vista del mio viaggioquando mi trovai davanti adun'apertura artificiale sulla parete di un basso dirupo e riconobbila tana di un eremita molto rinomato per la sua sporcizia e la suaausterità.

Sapevoche gli era stata offertadi recenteuna sistemazione nel GranSaharadove i leoni e le zanzare rendevano la vita d'eremitaparticolarmente attraente e difficileed egli era andato in Africaper prenderne possessoperciò pensai di dare un'occhiatadentro.

Lamia sorpresa fu grande: il luogo era stato spazzato e pulito da poco.Poi ebbi un'altra sorpresa. In fondonell'oscurità dellacaverna udii il tintinnare di un campanello e questa esclamazione:

-Prontocentralino! Parlo con Camelot? Ascoltate: c'è qui ilCapo in carne ed ossa e lo udirete parlare con le vostre stesseorecchie.

Chefantastica combinazione di cose opposte e inconciliabili: la dimoradel miracolo artificiale diventata dimora di un miracolo verolatana di un eremita medievale trasformata in ufficio telefonico!

Iltelefonista si mosse verso la luce e io riconobbi uno dei mieigiovani. Dissi:

-Da quanto tempo è stato impiantato qui questo ufficioUlfio?

-Soltanto da mezzanottemesser Capoa voi piacendo. Vedemmo molteluci nella valle e così reputammo conveniente mettere qui unastazionepoiché la necessità di così tante luciindicava una città di grandi dimensioni.

-Giustissimo. Non è una città nel vero senso dellaparolama è comunque una buona posizione. Sapete dove siete?

-Non avemmo tempo di informarci su ciòpoiché quando imiei compagni se ne andarono da quilasciandomi di guardiaio mipresi un po' di riposoproponendomi di indagare al mio risveglio epoi riferire il nome del luogo a Camelotaffinché venissedocumentato.

-Ebbenequesta è la Valle Santa.

Lanotizia non lo sorprese. Disse semplicemente:

-Loriferirò.

-Ma comein tutte le regioni circostanti non si fa che parlare degliultimi prodigi che sono accaduti qui! Non hai udito nulla?

-Ahricorderete che noi ci muoviamo di notte ed evitiamo di parlarecon tutti. Sappiamo soltanto ciò che apprendiamo per telefonoda Camelot.

-Ma "essi" sanno tutto su questa cosa. Non ti hanno dettoniente sul grande miracolo della reintegrazione della Fonte Sacra?

-Ahquello? Sìcertoma il nome di "questa" Valleè diverso grandemente dal nome di "quella": davverodifferire di più non sarebbe possibile...

-Che nome era quelloallora?

-La Valle di Satana.

-Questo spiega tutto. Accidenti al telefono. E' un vero demonio nelrendere somiglianze di suono quando la differenza di significato ècosì sorprendente. Ma non importaora tu sai il nome delluogo. Chiama Camelot.

Eglieseguì e fece chiamare Clarence. Fu un piacere riudire la vocedel ragazzo. Era come essere di nuovo a casa. Dopo uno scambio diparole affettuose e un breve resoconto della mia malattiadissi:

-Che c'è di nuovo?

-Il rela regina e molti cortigiani stanno partendo proprio ora pervenire alla vostra Valle a rendere devoto omaggio alle acque che voiavete restituito e a purificarsi dal peccato.

-Il re sa la strada per venire qui?

-Noe forse nessun altro nel reame. Ma i giovani che vi aiutarono nelmiracolo saranno la sua guida e gli mostreranno la via.

-Con tutto ciòquando si troveranno qui?

-Il terzo giornoa metà pomeriggio o più tardi.

Quandoritornai al monasterotrovai che stava succedendo qualcosad'interessante. L'abate e i monaci erano riuniti nella grande sala estavano osservando con fanciullesca meraviglia e fiducia un nuovomagoarrivato di fresco. Il suo abito era vistoso e stravagante comequel genere di cose che indossano gli stregoni indiani. Falciaval'aria con le maniborbottava e gesticolava e tracciava figuresimboliche nel vuoto e sul pavimento... La solita messa in scenacapite.

Erauna celebrità venuta dall'Asiacosì diceva luietanto bastava. Quel genere di testimonianza veniva preso per orocolatoed era accettato ovunque.

Comeera facile e a buon mercato essere un gran magocosì come lofaceva questo individuo. La sua specialità consisteva nel direquello che stava facendo in quel momento una persona qualsiasi sullafaccia della terraquello che aveva fatto in qualunque momento delpassato e quello che avrebbe fatto in qualunque momento del futuro.Egli domandò se qualcuno desiderava sapere che cosa stessefacendo in quel momento l'imperatore d'Oriente. Gli occhiscintillanti e le soddisfatte fregatine di mani davano un'eloquenterisposta: questa veneranda folla "voleva" sapere che cosastesse facendo quel monarca proprio in quel momento.

L'imbroglioneeseguì qualche altra pagliacciata e poi fece questo solenneannuncio:

-L'alto e potente imperatore d'Oriente in questo momento sta mettendodel denaro nella mano di un santo frate: unaduetre monetee sonotutte d'argento.

Unbrusio di esclamazioni ammirative sorse da ogni parte:

-E' prodigioso! Straordinario!

Forseil pubblico desiderava sapere quello che stava facendo il sommoimperatore delle Indie? Sì. Egli lo disse loro immediatamente.Poi disse loro in che cosa era occupato il sultano d'Egitto ed anchedi che cosa si stesse occupando il sovrano dei Mari Remoti. E cosìviadi seguito. E ad ogni nuova meraviglia lo stupore per la suaprecisione aumentava sempre più.

Miresi conto che se questa cosa fosse andata avanti avrei perduto lamia supremazia: questo mago si sarebbe accattivato i miei seguaci eio sarei stato tagliato fuori. Dovevo mettergli il bastone fra leruote e bisognava farlo subito. Dissi:

-Se mi è concesso fare una domandaci terrei molto a sapereche cosa sta facendo una certa persona.

-Parlate liberamenteve lo dirò.

-Sarà difficileforse impossibile.

-Lamia arte non conosce tale parola. Quanto più èdifficiletanto più chiaramente vi svelerò ciòche volete sapere. Sferrai l'ultimo attacco:

-Se voi non commettete errorise mi dite veramente quello che vogliosaperevi darò duecento monete d'argento.

-Tal fortuna è già mia! Vi dirò ciò chevolete sapere.

-E allora ditemi che cosa sto facendo con la mano destra.

-Ah...! - Ci fu un generale sussulto di sorpresa. Non era venuto inmente a nessuno della folla quel semplice trucco di far domande suqualcuno che non fosse a diecimila miglia di distanza. Fu un durocolpo per il mago: era un caso imprevisto che nella sua esperienzanon gli era mai capitato primae gli tappò la bocca.

Nonsapeva come risolverlo. Appariva sbigottitoconfusonon riusciva aspiccicar parola.

-Suvvia - dissi - che cosa state aspettando? E' mai possibile che voisappiate rispondere immediatamente su ciò che sta facendo unaqualunque persona all'altro capo della terra e non sappiate poi direche cosa sta facendo una persona che si trova a meno di tre metri davoi? Le persone che sono dietro a me sanno quello che sto facendo conla mano destra e vi daranno conferma se la vostra risposta saràcorretta.

Eglicontinuava a rimanere muto.

-Benissimovi dirò io perché non parlate. La ragione èche non lo sapete. "Voi" un mago! Cari amiciquestovagabondo non è che un imbroglione e un bugiardo.

-Queste parole sgomentarono i monaci e li atterrirono. Non eranoabituati a sentire ingiuriare questi esseri spaventosinon sapevanoquali potevano essere le conseguenze. C'era un silenzio di tombaora. Il mago cominciava a riprendere la sua baldanza e quandodi lìa poco sorriseun gran sollievo si propagò intornoperchéquesto significava che il suo stato d'animo non era distruttivo.Disse:

-La frivolezza del linguaggio di costui mi ha lasciato senza parole. Imaghi del mio rango non si degnano di interessarsi delle azioni dinessuno se non di reprincipiimperatoridi coloro che sono natinella porpora e soltanto di questi. Se voi mi aveste chiesto che cosastava facendo il grande re Artùsarebbe stato diverso e io vel'avrei detto. Ma le azioni di un suddito non m'interessano.

-Oh! Vi avevo frainteso. Mi pareva che aveste detto "chiunque"e così supponevo che "chiunque" includesse... behchiunquecioè tutti.

-Così èchiunque sia di nobile nascita.

-Questomi sembrapotrebbe essere giusto - disse l'abateche volevacogliere l'opportunità per appianare le cose ed evitare unacatastrofe - perché non è possibile che un donomeraviglioso come questo sia conferito per la rivelazione di fattiriguardanti esseri inferiori a quelli che per nascita sono vicinialle vette della grandezza. Il nostro re Artù...

-Volete sapere di lui? - lo interruppe il mago.

-Sìmolto volentieri.

Immediatamentequegli incorreggibili idioti furonodi nuovotutti pieni di timoree di curiosità.

-Il re è stanco per la caccia e giace nel suo palazzo da dueoreimmerso in un sonno senza sogni.

-La benedizione di Dio sia con lui - disse l'abate.

-E così sarebbese dormisse - dissi - ma il re non stadormendoegli cavalca.

Quici fu un'altra difficoltàun conflitto di autorità.Nessuno sapeva a chi di noi due credere.

L'abateallora chiese notizie della regina e della corte ed ottenne questainformazione:

-Stanno tutti dormendo sopraffatti dalla stanchezzacome il re.

Iodissi:

-Questa è soltanto un'altra bugia. Metà della corte èoccupata a divertirsi: la regina e l'altra metà non stannodormendoma cavalcando. Oraforsepotreste fare un piccolo sforzoe dirci dove stanno andando il rela regina e tutti quelli che inquesto momento cavalcano con loro.

-Dormono tutti oracome ho detto. Ma domani cavalcherannopoichéfaranno un viaggio verso il mare.

-E dove saranno dopodomanial vespro?

-Lontanoa nord di Camelot e avranno percorso metà del loroviaggio.

-Ecco un'altra bugia della grandezza di centocinquanta miglia. Il loroviaggio non sarà solo a metàma sarà finito.Essi saranno quiin questa valle.

"Quello"sì che fu un bel colpo. Gettò l'abate e i monaci in unostato di grande agitazione e scosse il mago fino alle fondamenta.

Ioincalzai:

-Se il re non arriverà mi farò mettere alla berlina; mase arriverà ci farò mettere voi.

Ilgiorno dopo andai all'ufficio telefonico e appresi che il re erapassato per due città che erano lungo il percorso. Il giornosuccessivo seguii le tappe del suo viaggio allo stesso modo. Tenniqueste notizie per me. Dai bollettini del terzo giorno poteicalcolare chese avesse mantenuto quell'andaturasarebbe arrivatoverso le 4 del pomeriggio. Non si vedeva ancora da nessuna partealcun segno d'interesse per il suo arrivo: sembrava che non cifossero preparativi per riceverlo con grandi festeuna cosa davverostrana. C'era una sola spiegazione plausibile:

l'altromago doveva avermi giocato qualche brutto tiro. Ed era vero. Chiesi aun monacomio amicoinformazioni a questo propositoed egli midisse che il mago aveva fatto altri incantesimi ed aveva scoperto chela corte aveva deciso di non fare nessun viaggio e di restare a casa.Pensate un po'! Notate che valore aveva la reputazione in un talepaese. Questa gente mi aveva visto eseguire il piùspettacolare esempio di magia della storiaeppure eccoli lìpronti a intendersela con un avventuriero che non poteva dare nessunaprova dei suoi poterise non la sua parola che non eracontrollabile.

Adogni modo non era una buona politica permettere che il re arrivassesenza alcun festeggiamentoné pennacchi al vento. Cosìscesi a procurarmi un corteo di pellegrinie verso le due li mandaiincontro al re. E quello fu tutto il cerimoniale che Artùtrovò al suo arrivo. L'abate rimase annichilito per la rabbiae l'umiliazione quando lo portai fuori sul balcone a vedere il capodello Stato che entrava senza nemmeno un monaco presente a dargli ilbenvenutoné un gioioso suono di campane per allietarglil'animo. Lanciò una sola occhiata e poi volò via aradunare la sua gente. Un minuto dopo le campane risuonavanofuriosamente e i vari edifici vomitavano monaci e monache che siprecipitarono a frotte verso il corteo che si avvicinava. E con loroc'era il magoalla berlinaper ordine dell'abate. La suareputazione era nel fango e la mia era di nuovo alle stelle.




Capitolo25


ILPRIMO GIORNALE


Quandoil re viaggiava per cambiare ariao faceva un viaggio ufficialeoandava a far visita a qualche nobile lontano che egli voleva mandarein rovina con le spese del suo mantenimentouna partedell'amministrazione si muoveva con lui. Era un'usanza di quei tempi.

Esebbene questa spedizione fosse esclusivamente una gita di piacereil re continuò lo stesso a svolgere le sue funzioni.

Toccavai malati come di solitopresiedeva il tribunale alle porte del paeseal sorgere del sole e giudicava le causeperché egli stessoera il Presidente del Tribunale della Regia Corte.

Lesentenze del re causavano frequenti ingiustiziema la colpa erasoltanto della sua educazionedelle sue naturali e inalterabilisimpatie. Era tanto adatto ad amministrare la giustizia quanto unamadre sarebbe adatta a distribuire la razione di latte ai bambiniaffamati in tempo di carestia: i suoi bambini sarebbero nutriti unpo' meglio degli altri.

Ilpopolo di Artù rappresentava sicuramente un materiale miseroper una repubblicaperché era stato degradato per troppotempo dalla monarchia. Eppure anch'essi sarebbero stati abbastanzaintelligenti da sbarazzarsi di quelle leggi ingiustese fosserostate sottoposte al loro voto libero e universale.

Quandodissi al re che sarei andato in giro per il paese travestito dacomune uomo liberoper conoscere da vicino la vita più umiledel popoloegli si accese subito di entusiasmo per la novitàdella cosa e decise di prendere parte egli stesso all'avventura.Nulla lo avrebbe fermatoavrebbe lasciato perdere ogni cosa esarebbe partito con me; era l'idea più bella che gli fossecapitata negli ultimi tempi. Voleva svignarsela dalla porta diservizio e cominciare subitoma io gli dimostrai che non era larisoluzione migliore. Capireteera scritturato per la scrofolavoglio dire per guarire grazie al tocco delle sue manie non sarebbestato giusto deludere il pubblico. E poi pensavo che avrebbe dovutoinformare la regina della sua partenza.

Aqueste parole il re si rabbuiò e prese un'aria triste. Midispiacque di aver parlatospecialmente quando mi disse in tonocupo:

-Tu dimentichi che Lancillotto è qui e quando c'èLancillotto ella non nota né la partenza del rené inqual giorno egli ritorni.

Naturalmentecambiai argomento. SìGinevra era bellaè veromanell'insieme era piuttosto dissoluta. Non mi sono mai immischiato inqueste faccendenon erano affar mioma non mi piaceva affattovedere il modo in cui andavano le cose e non m'importava affatto didirlo. Molte e molte volte ella mi aveva chiesto:

-Messer Capohai visto ser Lancillotto? Ma non si era mai preoccupatadi sapere dove fosse il re.

C'eraun'ottima messa in scena per la cerimonia della scrofolatutto moltoordinato e lodevole. Il re sedeva sotto un baldacchino di gala eintorno a lui era raccolta una vasta rappresentanza del clero inparamenti da cerimonia. Spiccavafra tuttisia per il posto cheoccupavasia per l'abbigliamentoMarinelun eremita del generemedico-ciarlatanoche introduceva i malati.

Tutt'intornosul pavimento spaziosogiù giù fino alle portein unfitto guazzabugliogiacevano o sedevano gli scrofolosi sotto unaluce intensa.

Eranopresenti ottocento malati. Il lavoro procedeva lentamente.

Perme mancava l'interesse della novitàperché avevo giàvisto queste cerimonie. Ben presto la cosa divenne noiosama labuona creanza esigeva che io resistessi fino alla fine.

C'eraanche il dottore per la ragione che in una tale folla c'erano moltepersone che immaginavano di avere qualche cosa e molti che eranosanima che volevano l'onore immortale del contatto fisico con un ree altri ancora che fingevano di essere malati per ricevere lamonetina che accompagnava l'imposizione delle mani.

Marinelriceveva i pazienti via via che arrivavano. Esaminava il candidato:se questi non era idoneogli veniva intimato di allontanarsi; se loera veniva passato al re. Un prete pronunciava le parole:

-Essi imporranno le loro mani sugli infermied essi guariranno.

Poiil re dava un leggero tocco alle ulcerementre la lettura continuavae finalmente il paziente veniva "guarito"dopodichériceveva il suo nichelinoe veniva congedato.

Certoche guariva. Qualsiasi ciarlataneria può guarirese la fededel paziente in essa è forte.

Ebbenedopo tre ore che il prete andava biascicando e il buon re lustrandole piaghe e i malati continuavano ad avanzare più numerosi chemaiio cominciai a provare una noia intollerabile.

Eroseduto vicino a una finestra apertanon lontano dal baldacchinoreale. Per la cinquecentesima volta un paziente si fece avanti perfarsi toccare le repellenti piaghequando là fuori squillòchiaro come una tromba un suono che m'incantò l'animo e fececrollare tredici secoli senza valore:

-L'Osanna Settimanale e il Vulcano letterario di Camelot! Solo duecents. Tutto sul grande miracolo della Valle Santa!

Eraarrivato qualcuno più grande dei relo strillone! Ma io erola sola personain tutta quella follache conoscesse il significatodi quel grandioso evento e che cosa fosse venuto a fare nel mondoquesto mago imperiale. Lasciai cadere un nichelino fuori dallafinestra ed ebbi il mio giornale.

Eraun piacere vedere di nuovo un giornaletuttavia avvertii un segretodisagio quando il mio sguardo cadde sulla prima serie di titoli agrandi caratteri.

Erovissuto così a lungo in un'atmosfera di viscida riverenzadirispetto e di deferenzache nel leggere quei titoli sentii unbrivido di freddo:


AVVENIMENTISENSAZIONALI NELLA VALLE SANTA!

Gliimpianti dell'acqua bloccati!

FRATELLOMELRINO mette in opera le sue Artima fallisce!

INVECEIL CAPO SEGNA ALLA PRIMA BATTUTA!

ILPOZZO MIRACOLOSO STURATO FRA TREMENDE ESPLOSIONI DI FUOCO E FUMO ETUONI INFERNALI!

SBIGOTIMENTONEL COVO DEI FALCHI!

INCOMPARABILIFESTEGGIAMENTI!

ecosì viae così via. Sìera troppo vistoso.Una volta me ne sarei rallegrato e non vi avrei trovato nulla daridirema ora c'era una nota stridente. Era un buon giornalismodell'Arkansasma questo non era l'Arkansas. Inoltrel'articolodalla prima all'ultima rigasembrava fatto apposta per offendere glieremiti e farci correre il rischio di perdere la loro pubblicità.

Inverità c'era un tono troppo frivolo e leggero in tutto ilgiornale. Era evidente che io avevo subito un notevole mutamentosenza accorgermene. Mi sentivo spiacevolmente colpito nel leggereimpertinenti irriverenze che nel precedente periodo della mia vita misarebbero parse ben appropriate. C'erano in abbondanza esempi delseguente tipoche mi davano un senso di disagio:


FATTILOCALI E CRONACA SPICCIOLA


SerLancillotto ha avuto uno scontro imprevisto con il vecchio red'Irlanda Agrivance la settimana scorsa nella pianura a sud delpascolo di porci di ser Balmoral le Merveilleuse. La vedova èstata avvertita.

Ilettori dell'Osanna apprenderanno con rincrescimento che il popolareser Charolais di Gaulche nelle quattro settimane del suo soggiornoal "Toro e Passera" di questa città ha conquistatotutti i cuori con i suoi bei modi e la sua elegante conversazionepartirà oggi per tornare a casa. Torna a farci un'altravisitaCarletto!

Ipreparativi per il funerale del defunto ser Dalliance figlio del ducadi Cornovagliaucciso in uno scontro con il Gigante del RandelloNodoso martedì scorso ai confini del Pian dell'Incantesimoera nelle mani del sempre efficiente Mumbleil principe degliimpresari di pompe funebridi cui non vi è alcuno dal qualesi possa avere maggiore soddisfazione e piacere nell'esecuzione degliultimi tristi uffici. Mettetelo alla prova.

Ipiù cordiali ringraziamenti della redazione dell'Osannadaldirettore giù fino al galoppinoal sempre cortese e premurosoTrezo Assistente Valletto del Lord Cerimoniere di Palazzo per lenumerose coppette di gelato di qualità tale da fare inumidiredi gratitudine gli occhi dei riceventi; e così avvenne. Quandoquesta amministrazione vorrà segnalare un nome per una rapidapromozionel'Osanna sarà lieto di avere l'opportunitàdi proporlo.

Ilgiovane Barker aggiustatore di mantici è tornato a casa edappare assai migliorato grazie al suo giro di vacanze tra i fabbridei dintorni. Vedere la sua pubblicità.



Senzadubbio era un giornalismo discreto come esordiome ne rendevo contobenissimoeppure era in qualche modo deludente.

"L'Effemeridedi Corte" mi piacque di piùla sua semplice e dignitosadeferenza fu un vero sollievo per me dopo tutte quelle riprovevolifamiliarità. Ma anche questo avrebbe potuto essere migliorato.Per quanto si faccianon si può ottenere un'apparenza divarietà in un bollettino di cortelo riconosco. C'èuna profonda monotonia nei suoi avvenimenti che annienta i piùsinceri sforzi per renderli vivaci ed entusiasmanti. Il modo miglioreper descrivere questi fatti è di mascherare la ripetizione conla varietà della forma.

Questoinganna l'occhio. Si crede che sia un fatto nuovodà l'ideache la corte funzioni a tutto vapore. Questo stimola l'interesse e sidivora l'intera colonna di buon appetito e forse non ci si accorgeneppure che è un barile di minestra fatto con un fagiolo solo.

Ilmetodo di Clarence era buonosemplicedignitoso. Era diretto epratico; dico soltantoperòche non era il metodo migliore.


EFFEMERIDEDI CORTE


Lunedìil re ha cavalcato nel parco.

Martedìil re ha cavalcato nel parco.

Mercoledìil re ha cavalcato nel parco.

Giovedìil re ha cavalcato nel parco.

Venerdìil re ha cavalcato nel parco.

Sabatoil re ha cavalcato nel parco.

Domenicail re ha cavalcato nel parco.


Tuttaviaconsiderando il giornale nel suo insiemene fui ampiamentesoddisfatto. Si notavano qua e là piccoli errori di caratteretecnicoma non ce n'erano così tanti da farci caso.

Diregola la grammatica lasciava a desiderare e la costruzione era piùo meno zoppicantema io non mi preoccupavo molto di queste cose.Sono difetti miei abituali e non bisogna criticare gli altri su unterreno in cui non riusciamo a rimanere dritti noi stessi.

Erotanto affamato di parole scritte che mi sarei divorato il giornaleintero in un pasto soloma ne gustai appena qualche boccone. Poidovetti rimandare a più tardiperché i monaci intornoa me mi assillavano di domande impazienti:

"Checos'è questa strana cosa? A che serve? E un fazzoletto? Unacoperta per sella? Un pezzo di camicia? Di che cosa è fatta?Com'è sottilee com'è delicata e fragile! E comefruscia! Credete che durerà e che la pioggia non ladanneggerà? E' una scritta quella che appare su di essao èsoltanto un ornamento?" Sospettavano che fosse scritturaperchéquelli tra loro che sapevano leggere il latino e avevanoun'infarinatura di grecoriconobbero alcune letterema nonriuscirono a concludere nulla nell'insieme. Presentai la miaspiegazione nella forma più semplice che potei:

-E' un giornale pubblico: vi spiegherò che cosa vuol direun'altra volta. Non è una stoffaè fatto di carta. Vispiegherò una volta o l'altra che cos'è la carta. Lerighe rappresentano il materiale per lettura; e non sono scritte amanoma stampate. Vi spiegherò poi che cos'è lastampa. Sono stati fatti un migliaio di questi foglituttiesattamente come questoin ogni minimo particolare. Non sidistinguono uno dall'altro.

Alloratutti scoppiarono in esclamazioni di sorpresa e di ammirazione:

-Un migliaio! Davvero un'opera straordinariaun anno di lavoro permolti uomini.

-Nosemplicemente una giornata di lavoro per un uomo e un ragazzo.

Imonaci si fecero il segno della croce e bisbigliarono un paio dipreghiere invocanti protezione.

-Ahmiracolomeraviglia! Oscura opera di incantesimo!

Lasciaicorrere. Poi lessi a bassa vocea quanti di loro riuscirono aspingere le loro teste rasate a portata di voceparte del resocontodel miracolo del ripristino del pozzo. La lettura fu accompagnatadall'inizio alla fine da esclamazioni di stupore e di riverenza:

-Ah! Com'è vero! Sorprendente! Sorprendente! Sono gli eventiproprio come sono accaduticon meravigliosa esattezza!

Echiesero se potevano prendere in mano quella strana cosatoccarla edesaminarla. Sarebbero stati molto attenti. Col mio permessolapreserotoccandola con tale cautela e devozione come se fosse statoun oggetto sacro venuto da qualche regione soprannaturale:delicatamente si accertavano della sua consistenzane accarezzavanola superficie gradevolmente liscia con lenti movimenti e nescrutavano i caratteri misteriosi con occhi affascinati. Chesoddisfazione vedere tutte quelle teste chine raggruppatequei voltiincantatiquegli occhi parlanti!

Chebello per me! Non era forse questa la mia amata creatura? E tuttoquel muto stupore e quell'interesse e quell'omaggio non erano forseil più eloquente e il più spontaneo complimento adessa?

Durantetutto il resto della seduta il mio giornale viaggiò da ungruppo all'altrosu e giùintorno a quella immensa sala. Ilmio sguardo felice lo seguiva semprementre stavo seduto immobileimmerso nella soddisfazioneebbro di piacere. Sìquello erail paradiso; se non avessi potuto più gustarloalmeno lostavo assaporando una volta.




Capitolo26


LOYANKEE E IL RE VIAGGIANO IN INCOGNITO


Quandosi avvicinò l'ora di andare a lettocondussi il re nel mioalloggio per tagliargli i capelli e aiutarlo a prendere dimestichezzacon l'umile abbigliamento che doveva indossare. Le classi riccheportavano i capelli tagliati a frangetta sulla fronte ma lunghi finoalle spallementre i ceti più bassi li avevano a frangettadavanti e dietro; gli schiavi erano senza frangia e lasciavanocrescere i loro capelli liberamente. Così gli misi sulla testauna scodella rovesciata e tagliai via tutte le ciocche che pendevano.Gli spuntai anche le basette e i baffilasciandone appena uncentimetro e mezzo di lunghezza. Cercai di farlo in modo nonartistico e ci riuscii. Era un'abominevole deturpazione. Quando ebbeindossato i goffi sandali e la lunga veste di rozza tela marrone chericadeva dritta dal collo alle caviglienon era più l'uomopiù avvenente del suo regnoma uno dei meno bellidei piùcomuni. Eravamo vestiti e pettinati allo stesso modo e potevamopassare per dei piccoli proprietari di terreo fattorio pastoriocarrettieri. Sìoppure per artigiani di villaggiosevolevamoperché il nostro costume era in realtà quelloadottato universalmente dalla povera genteper la sua robustezza eil suo basso prezzo. Non voglio dire che fosse veramente a buonmercato per una persona molto poverama intendo dire che era lastoffa più a buon mercato che ci fosse per abbigliamentomaschilea roba confezionata beninteso.

Uscimmodi soppiatto un'ora prima dell'alba e quando il sole era alto avevamogià fatto otto o dieci miglia ed eravamo in mezzo a unacampagna scarsamente abitata. Portavo uno zaino piuttosto pesantecarico di provviste che dovevano servire al refino a che non sifosse assuefattosenza inconveniential cibo grossolano dellacampagna.

Trovaiper il re un posto comodo vicino al ciglio della strada poi gli diediun boccone o due per calmare lo stomaco. Poi dissi che sarei andato acercargli un po' d'acqua e me la svignai. Il mio piano era disottrarmi alla sua vista per sedermi e riposare un po' anch'io.

Trovail'acqua a circa trecento metri più avanti e mi stavo riposandogià da una ventina di minutiquando udii delle voci.

"Nonè niente" pensai "saranno dei contadini che vanno allavoro" non poteva esserci nessun altro in giro cosìpresto. Ma un istante dopo i nuovi arrivati apparvero alla vista auna svolta della strada. Erano persone d'alto rangoelegantementevestitecon un seguito di muli da carico e di servitori! Partii comeun razzo attraverso i cespugli e le scorciatoie. Per un momentosembrò che quella gente sarebbe passata davanti al re primache io potessi raggiungerlo. Ma la disperazionesi sadà leali. Tesi il corpo in avantigonfiai il pettotrattenni il respiroe volai.

Arrivai.E anche parecchio in anticipo.

-Perdonatemio rema non c'è tempo per le cerimoniealzatevi!

Alzateviin piedi: sta arrivando gente di alto rango!

-Che c'è da stupirsi? Lasciateli venire.

-Mamio signore! Non devono vedervi seduto. Alzatevi! E assumete unatteggiamento umile mentre passano. Siete un contadinoricordatevelo.

-Verome n'ero dimenticatotanto ero immerso nel progetto di unagrandissima guerra contro la Gallia.

Intantosi era alzatoma una fattoria si sarebbe mossa più allasveltase ci fosse un qualche tipo di attività nei beniimmobili.

-Unatteggiamento più umilemio signore e ree presto! Chinatela testa!... Di più!... Ancora di più!... Piùgiù!

Facevadel suo megliomabuon Dionon era gran che. Aveva un aspettoumile quanto la torre pendente di Pisa. E' il massimo che si puòdire. A dire il vero fu un insuccesso talmente clamoroso che sollevòsguardi di sorpresa lungo tutta la fila e un servitore in sgargiantelivreache chiudeva il corteoalzò la frusta. Ma io feci unbalzo in tempo e mi ci trovai sotto quando ricadde.

Copertodalla scarica di rozze risate che seguìparlai al re in tonobrusco e lo avvertii di non badarci. Egli riuscì a dominarsisul momentoma fu una dura imposizione; voleva mangiarsi tutto ilcorteo. Io dissi:

-Sarebbe la fine delle nostre avventure prima che comincino.

Essendonoi senza armi non potremmo fare nulla con quella banda armata. Sevogliamo riuscire nella nostra impresadobbiamo non soltanto averel'aspetto di contadinima comportarci da contadini.

-Questa è saggezzanessuno può negarlo. Proseguiamoser Capo.

Prenderònotaimparerò e farò meglio che potrò.

Mantennela parola. Fece del suo meglioma io ho visto fare di meglio. Seavete mai osservato un bambino attivospericolatointraprendentepassare diligentemente da un danno all'altro per tutto il giorno euna madre ansiosa di continuo alle sue calcagnache lo salva proprioper un pelo dall'annegarsi o dal rompersi il collo ad ogni nuovoesperimentoebbeneavete visto il re e me.

Mifaceva avere continui spaventiriservandomi sempre nuove sorpresenei luoghi più inaspettati. Il secondo giornoverso serachefece? Tirò fuori tranquillamente un pugnale da sotto la veste!

-Per mille bombemio signoredove l'avete preso?

-Da un contrabbandiere alla tavernaieri sera. Come diamine vi èsaltato in mente di comprarlo?

-Siamo scampati a diversi pericoli grazie all'astuziala tua astuziama ho pensato che sarebbe prudente se anch'io avessi un'arma. La tuapotrebbe venirti meno in qualche tranello.

-Ma alla gente della nostra condizione non è permesso portarearmi. Che cosa direbbe un nobileo qualsiasi altra persona diqualsivoglia condizionese sorprendesse un villano con indosso unpugnale?

Fuper noi una vera fortuna che in quel momento non passasse nessuno.Riuscii a convincerlo a gettar via il pugnale e fu tanto facilequanto persuadere un bambino a rinunciare a un bel modo nuovo perammazzarsi. Continuammo a camminare in silenzioassorti nei nostripensieri. Alla fine il re disse:

-Quando tu sai che sto meditando una cosa inopportunao che possarecare qualche pericoloperché non mi avverti di desistere datale progetto?

Erauna domanda sorprendente e imbarazzante. Non sapevo bene comeprenderlané che risponderee cosìnaturalmentefinii col dire la cosa più naturale:

-Masirecome posso "io" sapere quali sono i vostripensieri?

Ilre si fermò di colpo e mi guardò sbalordito.

-Credevo che tu fossi più grande di Merlino. Ein veritànelle arti magiche tu lo sei. Ma la profezia è piùgrande della magia. E Merlino è un Profeta.

Miresi conto di aver fatto un errore grossolano. Dovevo riguadagnare ilterreno perduto. Dopo lunga riflessione e accurato calcolodissi:

-Siresono stato frainteso. Mi spiegherò meglio. Ci sono duetipi di profezia. Una è il dono di predire avvenimenti nonlontani nel tempol'altra è il dono di predire eventi chedistano da noi epoche e secoli interi. Qual è secondo voiildono più straordinario?

-Ohquest'ultimosenza dubbio!

-Giusto. E Merlino lo possiede?

-In partesì. Predisse misteri sulla mia nascita e sul miofuturo regno a distanza di venti anni.

-E' mai andato oltre quel tempo?

-Non credo che egli potrebbe spingersi oltre.

-Questo probabilmente è il suo limite. Tutti i profeti hanno unloro limite. Il limite di alcuni dei grandi profeti è stato dicento anni.

-Questi sono pochiimmagino.

-Ce ne sono stati due ancora più grandi il cui limite era diquattrocento o seicento anni e un altro il cui limite era arrivatopersino a settecentoventi.

-Cielo! E' meraviglioso!

-Ma che sono mai costoro al mio confronto? Non sono niente.

-Che? Puoi veramente vedere persino oltre un così enormeperiodo di tempo come...

-Settecento anni? Mio signoreil mio occhio profeticoacuto come lavista di un'aquilapenetra e rivela il futuro del mondo per quasitredici secoli e mezzo!

Perdinciavreste dovuto vedere come si spalancavano gli occhi del re. Questosistemò fratello Merlino. Non succedeva mai di doverdimostrare la verità dei fatticon questa gentetutto quelloche si doveva fareera di affermarli. Non veniva mai in mente anessuno di mettere in dubbio l'affermazione.

-Or dunque - continuai - io "potrei" esercitare tutti e duei tipi di profeziala lunga e la brevese volessi prendermi la penadi mantenermi in esercizio. Ma è raro che io mi occupi diprofezia che non sia a lunga distanzaperché l'altra èal di sotto della mia dignità. Naturalmentedi tanto intantocome spuntinomi diletto anche di qualche profezia minoremanon spessoquasi maiin verità. Ricorderete che si fece ungran parlarequando giungeste alla Valle Santadel fatto che ioavevo profetizzato la vostra venuta e l'ora precisa dell'arrivodueo tre giorni prima.

-Sìinveroora mi sovviene.

-Ebbeneavrei potuto farlo quaranta volte più facilmentesefosse stato a una distanza di cinquecento anni invece di due o tregiorni.

-Sembra incredibile!

-Sìun vero esperto può sempre predire una cosa acinquecento anni di distanza più facilmente di una cosa chesia soltanto a cinquecento secondi di distanza.

-Eppurea lume di ragionedovrebbe essere esattamente l'opposto:dovrebbe essere cinquecento volte più facile predire la cosapiù vicina anziché quella più lontanapoichéin realtà è così vicina che potrebbe vederlaanche uno non ispirato.

Erauna persona saggia. Un berretto da contadino non era un travestimentosicuro per quella testa; la si sarebbe riconosciuta per quella di unre anche sotto un casco da palombarose si fosse riusciti a udire ilsuo intelletto in funzione.

Oraavevo una nuova occupazione che mi avrebbe dato molto da fare.

Ilre era così avido di scoprire tutto quello che sarebbeaccaduto nei prossimi tredici secolicome se si aspettasse diviverli. Da quel momento in poi feci profezie fino a diventare calvonel tentativo di soddisfare la richiesta.

Ognigiorno incontravamo uno o più cavalieri erranti e ogni voltaa quella vistalo spirito guerriero del re si infiammava. Si sarebbedi certo dimenticato della sua parte e avrebbe detto loro qualcosa inuno stile superiore al suo grado apparentese non lo avessi sempretrascinato via dalla strada in tempo. Allora restava là aguardareattentissimo. Nei suoi occhi balenava un lampo di orgoglioe le sue narici si dilatavano come quelle di un cavallo da guerra edio capivo che moriva dalla voglia di scontrarsi con loro. Verso ilmezzodì del terzo giorno mi ero fermato per la strada perprendere una precauzione che mi era stata suggerita da quellafrustata che mi ero preso due giorni prima. Avevo deciso dapprima dinon prenderlama ora qualcosa me l'aveva fatta venire in mente dinuovo: mentre camminavo a grandi passisbadatamenteero inciampatoed ero caduto lungo disteso. Ero impallidito al punto cheper unmomento non riuscii neppure a pensare. Poi mi alzai pian piano e concautela mi sfilai lo zaino. Lì dentroin una scatolac'erauna bomba di dinamite avvolta nella lana. Era una cosa utile daportarsi dietro: forse sarebbe venuto il momento in cui avrei potutousarla per compiere un prezioso miracoloma mi rendeva nervosoportarla addosso e non volevo chiedere al re di portarla lui. Dovevobuttarla viao trovare un modo sicuro per andare avanti in suacompagnia. La tirai fuori e la feci scivolare nella bisaccia eproprio in quel momento sopraggiunsero un paio di cavalieri. Il restava rittomaestoso come una statuacon lo sguardo fisso su diloro. Naturalmente si era dimenticato di nuovo della sua parte eprima che io potessi pronunciare una parola di avvertimentoera giàtempo per lui di farsi da parte; e buon per lui che lo fece. Siaspettava che quelli si sarebbero scostati.

Scostarsiper evitare di calpestare un sudicio contadino? Quando mai si erascostato lui stessoo quando mai gli si era presentata l'occasionedi farlose un contadino vedeva lui o qualunque altro nobilecavaliere in tempo ragionevole per risparmiargli il disturbo? Icavalieri non prestarono alcuna attenzione al re:

toccavaa lui stare attento e se non si fosse tirato da parte in temposarebbe stato tranquillamente calpestato e per di più beffato.Il re avvampò di collera e lanciò la sua sfida e i suoiepiteti con un vigore veramente regale. I cavalieri erano giàa una certa distanza. Si fermaronomolto stupitisi girarono sullasella e guardarono indietrocome per chiedersi se valesse la pena diprendersela con della feccia come noi. Voltarono i cavalli e silanciarono verso di noi. Non c'era un istante da perdere. Io milanciai verso di loro. Li sorpassai a gran carriera e nel passarglivicino scagliai un insulto da far rizzare i capelli e da bruciarel'anima. Lo avevo attinto dal diciannovesimo secolodove in questocampo sono degli esperti. I due cavalieri avevano preso un taleslancio che arrivarono quasi addosso al reprima che riuscissero afermarsi. Allorapazzi di rabbiafecero impennare i cavallilifecero rigirare rapidamente e un istante dopo eccoli venire fianco afianco. Io in quel momento ero a una settantina di metri di distanzae stavo arrampicandomi su un grosso masso al margine della strada.Quando furono a circa trenta metri da meabbassarono le loro lunghelance orizzontalmentechinarono le loro teste protette dall'elmo;cosìcon le criniere piumate svolazzanti questo trenosfrecciante si lanciò alla carica contro di me! Quando furonoa una quindicina di metri lanciai con mira sicura la bombache colpìil suolo proprio sotto il naso dei cavalli.

Sìfu una cosa ben fattamolto ben fatta e bella a vedersi.

Rassomigliavaall'esplosione di un battello a vapore sul Mississippi. Per iquindici minuti che seguirono rimanemmo fermi sotto una pioggerellacostante di frammenti microscopici di cavalieridi ferraglia e dicarne di cavallo. Dico noiperché il renaturalmentesi unìagli spettatorinon appena ebbe ripreso fiato. Là c'erarimasto un buco che avrebbe dato lavoro ininterrotto a tutta lapopolazione di quella regione per alcuni anni a venire.

Diedidelle spiegazioni al re. Dissi che avevo agito con una bomba alladinamite. Questa informazione non gli fece alcun dannoperchélo lasciò intelligente come prima. Tuttaviaa parer suoerastato un nobilissimo miracolo e questo fu un altro duro colpo perMerlino. Pensai bene di spiegare che si trattava di un miracolo ditipo tanto raro che non si poteva compiere se non in determinatecondizioni atmosferiche. Altrimenti il re mi avrebbe chiesto un bisogni volta che avessimo avuto un buon pretesto e questo sarebbe statospiacevoleperché non avevo con me altre bombe.




Capitolo27


LACAPANNA DEL VAIOLO


Ametà del pomeriggio del quarto giorno arrivammo a una capanna.

Nonscorgemmo intorno alcun segno di vita. Il campo vicino era statospogliato del raccolto già da qualche tempo e sembravaspellato tanto a fondo era stato mietuto e spigolato. Il recintoletettoieogni cosa aveva un aspetto di rovinasegno eloquente dimiseria. Non c'erano animali in gironon un essere vivente in vista.Il silenzio era spaventososimile al silenzio della morte.

Lacapanna era a un solo pianocon il tetto di paglia a pezzi permancanza di riparazioni. La porta era socchiusa. Ci avvicinammofurtivamente.

Ilre bussò. Aspettammo. Nessuna risposta. Bussò di nuovo.Nessuna risposta ancora. Spinsi piano la porta e guardai dentro.Intravidi delle forme vaghe: una donna si alzò di scatto daterra e mi fissòcome succede quando si è svegliatidal sonno.

-Abbiate pietà! - supplicò. - Hanno preso tuttonon èrimasto niente.

-Non sono venuto a prendere nullapovera donna.

-Non siete un prete?

-No.

-Né venite da parte del signore del maniero?

-Nosono uno straniero.

-Ohalloraper timore di Dioche manda sventure e morte a coloroche sono innocentinon indugiate quifuggite! Questo luogo èsotto la Sua maledizione e quella della Sua Chiesa.

Lasciateche entri e che vi aiutisiete malata e nei guai.

Ormaimi ero assuefatto a quella luce fioca. Potevo vedere gli occhiinfossati della donna fissi su di me. Potevo vedere quanto fosseemaciata.

-Vi dico che questo luogo è al bando della Chiesa. Salvatevi...

andateveneprima che qualche viandante vi veda qui e lo racconti.

-Non datevi pensiero per me: non me ne importa niente dellamaledizione della Chiesa. Lasciate che vi aiuti - Che tutti glispiriti buoni ti benedicano per queste parole.

VolesseIddio che io potessi avere un sorso d'acqua!

Mafermatifermatidimentica quel che ho detto e fuggiperchéc'è qualcosa qui che anche colui che non teme la Chiesa devetemere: questa malattia di cui moriamo. Lasciacicoraggioso e buonstranieroe porta con te tutta la sincera benedizione che possonodare coloro che son maledetti.

Maprima che avesse finitoavevo raccolto una ciotola ed ero andato dicorsaoltrepassando il reverso il ruscello distante una decina dimetri. Quando ritornai nella capannail re era dentro e stavaaprendo l'imposta della finestra per far entrare aria e luce. Illuogo era pieno di un disgustoso fetore. Accostai la ciotola allelabbra della donna e mentre ella l'afferrava con avidi artiglil'imposta si aprì e la luce viva inondò il suo viso.Vaiolo! Mi precipitai verso il re e gli dissi all'orecchio:

-Fuori di qui all'istantesire! La donna sta morendo di quellamalattia che ha funestato i dintorni di Camelot due anni fa. Egli nonsi mosse.

-In verità rimarrò e anch'io darò soccorso.

Bisbigliaiun'altra volta:

-Sirenon è possibile. Dovete andare.

Ilvostro intento è buono e savio il vostro parlarema sarebbeun disonore per un re conoscere la paura e disonore per un cavaliereritirare la sua mano là dove son coloro che hanno bisogno disoccorso. Calmatevinon me ne andrò.

Eraestremamente pericoloso per lui restare in questo luogo e gli potevacostare la vitama era inutile discutere. Se riteneva che fosse ingioco il suo onore di cavalierenon c'era più niente dadiscutere. Sarebbe rimasto e nulla glielo avrebbe potuto impediremene rendevo conto. E così lasciai cadere l'argomento. La donnaparlò:

-Bel messerevolete essere così gentile di salire quella scalae darmi notizia di quel che troverete? Non abbiate timore diriferirepoiché può venire il momento in cui anche ilcuore di una madre non può più spezzarsiperchéè già spezzato.

Restate- disse il re - e date da mangiare alla donna. Andrò io. Edepose lo zaino. Feci l'atto di muovermima il re si era giàavviato. Si fermò e chinò lo sguardo su un uomo chegiaceva nella penombra e che fino a quel momento non si era accortodi noiné aveva parlato.

-E' tuo marito? - chiese il re.

-Sì.

-Dorme?

-Dio sia ringraziato per quest'unica carità: sìda treore.

Dissi:

-Staremo attenti. Non lo sveglieremo.

-Ahnoquello non lo fareteperché è morto.

-Morto?

-Sìche gioia il saperlo! Nessuno può fargli del maleoranessuno può insultarlo. Egli è in cielooraefelice. Se invece non è làha dimora miglioreall'inferno ed è contentoperché in quel luogo nontroverà né abatiné vescovi. Siamo cresciutiinsieme da bambini; siamo stati marito e moglie per venticinque annie fino a questo giorno non ci siamo mai separati. Pensate quantotempo per amare e soffrire insieme.

Siudì un leggero rumore in direzione dell'angolo oscuro dov'erala scala. Era il re che scendeva. Vidi che portava qualcosa su unbracciomentre con l'altro si aiutava a scendere. Venne avanti nellaluce: contro il suo petto era adagiata un'esile fanciulla di quindicianni. Era solo a metà cosciente. Stava morendo di vaiolo.

Questoera eroismo nella sua estrema e più alta espressione.

Questaera una sfida alla morte in campo apertodisarmatocon tutte leprobabilità a svantaggio dello sfidantesenza nessun premionella contesasenza un pubblico di ammiratori in abiti di seta edoro intento a guardare e ad applaudire. Eppureil contegno del reera serenamente coraggioso come lo era sempre stato in quelle contesedi poco valoredove un cavaliere si scontra con un cavaliere ad armipari e protetto dall'armatura d'acciaio. Era grandeoragrande inmodo sublime. Alle rozze statue dei suoi antenati nel suo palazzodoveva esserne aggiunta un'altraa questo avrei provveduto io. E nonsarebbe stata l'immagine di un re in armatura nell'atto di uccidereun gigante o un dragocome tutti gli altri; sarebbe stato un re inabiti popolanirecante fra le braccia la morte affinché unamadre contadina potesse dare un ultimo sguardo alla propria creaturae riceverne conforto. Egli depose la fanciulla accanto alla madre cheriversò su di lei tutta la tenerezza e le carezze di un cuorepalpitante e si poté scorgere una vaga luce tremula direazione negli occhi della figlia. Ma questo fu tutto. La madre sichinò su di lei baciandolacarezzandola amorosamenteimplorandola di parlarema le labbra si mossero appena e non uscìalcun suono.

Presiin fretta dallo zaino la fiaschetta del liquorema la donna mitrattenne dicendo:

-Noella non soffreè meglio così. Potrebberichiamarla alla vita. Nessuno che sia buono e gentile come voivorrebbe colpirla così crudelmente. Perchévedetequal ragione di vivere le resta mai? Scomparsi sono i suoi fratelliscomparso suo padresua madre sta per andarsenela maledizionedella Chiesa è su di lei e nessuno può darle protezioneo esserle amicoanche se giacesse morente sulla strada. Ella èderelitta. Non vi ho chiestocuore generosose sua sorella èancora in vita di sopra. Non ce n'era bisognoaltrimenti voi sarestetornato indietro e non avreste lasciato quella povera creaturaabbandonata.

-Ella giace in pace - interruppe il re sottovoce.

-Non vorrei che fosse altrimenti. Com'è ricco di felicitàquesto giorno! Ahmia Annispresto raggiungerai tua sorellaseigià in camminoe questi che sono amici pietosi non te loimpediranno. E allora ricominciò a bisbigliare e a sussurraretenere parole alla fanciullacarezzandole dolcemente il viso e icapellibaciandola e chiamandola coi nomi più affettuosi; maormai non c'era più segno di risposta negli occhi vitrei. Vididelle lacrime sgorgare dagli occhi del re e colargli giù peril viso. Anche la donna se ne accorse e disse:

-Ahconosco questo segno. Tu hai una moglie a casapovera creaturae tu e lei tante e tante volte siete andati a letto affamati affinchéi piccoli potessero avere il vostro tozzo di pane. Tu conosci lamiseria e i quotidiani insulti dei tuoi superiori e la mano pesantedella Chiesa e del re.

Ilre trasalì a questa stoccata casualema rimase in silenzio.

Stavaimparando la sua parterecitandola anche bene per un principiantepiuttosto ottuso.

Introdussiuna diversioneOffrii alla donna cibo e liquorema ella rifiutòl'uno e l'altro. Non accettava nulla che venisse a frapporsi fra leie la liberazione della morte. Allora sgusciai di sopraportai giùla bambina morta e gliela adagiai accanto.

Questola riportò in uno stato di prostrazione e ci fu un'altra scenada spezzare il cuore. Di lì a poco trovai un'altra diversionee la indussi a descriverci sommariamente la sua vita.

-La conoscete bene voi stessiavendola soffertaperché inverità in Britannia nessuno della nostra condizione ne sfugge.E' la vecchiasolita storia. Abbiamo combattuto e lottato e siamoriuscitivoglio dire che siamo riusciti a vivere e non siamo morti:più di tanto non ci è permesso pretendere. Non giunseromai tribolazioni che non potessimo superarefinché quest'annole recò. Allora arrivarono tutte insieme e fummo sopraffatti.Anni fa il signore del maniero aveva piantato degli alberi da fruttanel nostro terrenoproprio nella parte miglioreuna graveingiustizia e una vergogna...

-Ma era suo diritto - interruppe il re.

-Nessuno lo negainfatti: ma ha un qualche senso la legge chestabilisce che quel che è del signore è suo e quel cheè mio è anche suo? La nostra campagna era solo inaffitto e perciò era anche sua e poteva disporne come voleva.Qualche tempo fatre di quegli alberi furono trovati abbattuti. Inostri tre figli grandi corsero spaventati a dar notizia del fattocriminoso. Ebbenefurono rinchiusi nelle segrete di sua signoriailquale dice che là giaceranno e marciranno finché nonavranno confessato. Essi non hanno nulla da confessareessendoinnocenti e perciò là rimarranno fino alla morte. Voisapete questo molto beneimmagino. Pensate come eravamo rimasti dopoquesta sciagura: un uomouna donna e due bambine a mietere unraccolto che era stato seminato da forze tanto più grandisìe a proteggerlo giorno e notte dai colombi e dagli animali da predache sono sacri e non devono essere colpiti da gente della nostraspecie. Quando il raccolto del signore fu quasi pronto per lamietituracosì era anche il nostro. Quando la sua campanasuonò per farci accorrere nei suoi campi a raccogliere le suemessi senza alcun compensoegli non volle concedere che io e le miedue bambine contassimo per i nostri tre figli prigionierima soloper due di loro; perciòper quello mancantefummo multatigiornalmente. Nel frattempo il nostro raccolto andava in rovina perl'incuria. Cosìsia il prete sia sua signoria ci multaronoperché la loro quota risentiva del danno. Alla fine le multedivorarono il raccolto ed essi se lo presero tutto e dovemmo mietereper lorosenza paga né cibo e noi stavamo morendo di fame.Poi arrivò il peggioquando iouscita di senno per la famela perdita dei miei ragazzi e la pena di vedere mio marito e le miebambine in cenciin miseria e in disperazionepronunciai un'orrendabestemmia - oh! un migliaio di esse - contro la Chiesa e ilcomportamento della Chiesa.

Accaddedieci giorni fa. Mi aveva già colto questo morbo e fu al preteche dissi queste paroleperché era venuto a rimproverarmi perla mia mancanza di dovuta umiltà sotto la mano castigatrice diDio. Egli riferì la mia trasgressione ai suoi superiori. Iofui ostinata e cosìdopo poco sulla mia testa e su quella ditutti coloro che mi erano caricadde la maledizione di Roma.

Daquel giorno siamo evitatisfuggiti con orrore. Nessuno si èpiù avvicinato a questa capanna per sapere se siamo vivi omorti... Poi anche gli altri della famiglia vennero colti dal morbo.Allora io mi feci forza e mi alzaicome deve fare una mamma e unamoglie. In ogni caso avrebbero potuto mangiare ben pococ'eradell'acqua e gliela diedi. Come la desideravano! E come labenedirono! Ma ieri giunse la finele mie forze cedettero. Ieri ful'ultima volta che vidi mio marito e la mia bambina piùpiccola ancora in vita. Sono rimasta distesa qui tutte queste oresecolisi può direin ascoltoin ascolto di un suono che dalassù... Rivolse uno sguardo rapido e penetrante alla figliamaggiorepoi gridò forte:

-Oh! mia diletta - e debolmente raccolse fra le sue bracciaprotettrici il corpo che stava irrigidendosi. Aveva riconosciuto ilrantolo della morte.

Ilre e il Capo ripresero il viaggio e furono ospitati nella capanna diun carbonaiodi nome Marcoil quale li trattò con cortesia edisse che avrebbero potuto fermarsi per tutto il tempo che avesserovoluto. L'invito venne accettato.

IlCapo voleva visitare il vicino villaggio di Abblasoure: fu Marco adaccompagnarlomentre il re - che si era presentato con il falso nomedi Jones - rimase nella capanna a riposare.




Capitolo28


MARCO


Oraio e Marco camminavamo senza frettacon una certa indolenzaediscorrevamo. Io volevo soddisfare una curiosità che non siera mai affievolita e non aveva ancora perso la sua novità permeda quando mi trovavo nel regno di Artù: osservare ilcomportamento - nato da precise e rigide suddivisioni di casta - deipassantil'uno verso l'altro. Verso il monaco sbarbato chearrancavacon il suo cappuccio buttato all'indietro e il sudore chegli scorreva giù per le guance paffuteil carbonaio Marco eraprofondamente rispettoso; verso il gentiluomo era servile; con ilpiccolo fattore e il libero artigiano era loquace e cordiale; quandopassava uno schiavocon il viso rispettosamente abbassatoil nasodi questo compare era volto per arianon lo vedeva nemmeno.

Behci sono dei momenti in cui si vorrebbe impiccare l'intera razza umanae finire la farsa.

Nonfu una passeggiata noiosa per me. Trovai il modo d'impiegare bene ilmio tempo. Feci diverse conoscenze enella mia qualità distranieropotei fare tutte le domande che volevo. Una cosa che miinteressava come uomo di stato eranaturalmentela faccenda deisalari. In quel pomeriggio raccolsi sull'argomento tutte leinformazioni che potei.

Feciparecchie conoscenze nel villaggio e una cosa che mi procuròun gran piacere fu il vedere in circolazione le nostre nuove monete:una quantità di decimillesimimillesimi e centesimi 1un belpo' di nichelini e qualche moneta d'argento. Vidi perfino qualchemoneta d'oroma queste alla bancavale a dire dall'orefice. Capitailì mentre Marcofiglio di Marcostava mercanteggiando con unbottegaio l'acquisto di un po' di sale e chiesi di cambiare unamoneta d'oro da 20 dollari. Me la cambiaronoma soltanto dopo averlaprovata coi denti e fatta risuonare sul banco e provata con l'acido eavermi chiesto dove l'avevo avuta e chi ero e da dove venivo e doveandavo e quando prevedevo di arrivarci e così viacon un paiodi centinaia di altre domande. Sìmi cambiarono la moneta daventi dollarima mi resi conto che ciò doveva aver strematoalquanto la banca e c'era da aspettarseloperché era come sefossi entrato in una misera bottega di paese nel diciannovesimosecolo e avessi chiesto al principale di cambiare lì per lìun biglietto di banca da duemila dollari. Forse ce l'avrebbe fatta maal tempo stesso si sarebbe domandato come mai un modesto agricoltoresi trovasse a portare in tasca tanto denaro. E forse se lo stavachiedendo anche questo oreficeperché mi seguì sinoalla porta e rimase là a guardarmi con reverente ammirazione.

Nonsolo la nostra nuova moneta stava circolando molto benema anche lesue denominazioni erano usate comunementevale a dire che la genteaveva smesso di usare i nomi delle vecchie monete e ormai parlavadelle cose valutandole in tanti dollari o centesimi o millesimi odecimillesimi. Era molto soddisfacente. Stavamo facendo progressiquesto è certo.

Fecila conoscenza di parecchi mastri operai. Il più interessantefra questi era il fabbro ferraio Dowley. Era un uomo energico e unvivace parlatore. Aveva due uomini a giornata e tre apprendisti e isuoi affari andavano a gonfie vele. Infatti si stava rapidamentearricchendo ed era notevolmente rispettato. Marco era moltoorgoglioso di avere un tale uomo come amico. Mi aveva portato lìcon il pretesto di mostrarmi la grande azienda che comprava tanto delsuo carbonema in realtà per farmi vedere in che buonirapportiquasi familiariegli fosse con questo grand'uomo.

Dowleyed io fraternizzammo: avevo avuto uomini proprio così sceltisplendidi giovanialle mie dipendenzenella fabbrica d'armi. Erocerto che l'avrei rivisto spessocosì lo invitai a venire ladomenica da Marco a cenare con noi. Marco rimase esterrefatto etrattenne il fiato. Quando il grand'uomo accettòfu cosìriconoscente che quasi dimenticò di stupirsi di tantacondiscendenza.

Lagioia di Marco fu grandema soltanto per un momento. Poi diventòpensierosopoi triste. Quando mi udì dire a Dowley che avreivoluto avereinsieme con luianche Dicksonil mastro muratoreeSmugil mastro carraiola polvere di carbone sulla sua facciadiventò gesso ed egli vacillò. Ma io sapevo che cosa lopreoccupava: la possibile spesa. Vedeva davanti a sé larovinapensava che finanziariamente i suoi giorni erano contati. Mamentre ci avviammo ad invitare gli altridissi:

-Mi devi permettere di far venire questi amicie mi devi anchepermettere di pagare le spese. Il suo viso si rischiarò erispose con animazione:

-Ma non tuttonon tutto. Non potete sostenere da solo un caricosimile. Lo interruppi e dissi:

-Oraparliamoci chiaramentevecchio mio. Io non sono che un fattoreè vero; ciononostantenon sono povero. Sono stato moltofortunato quest'annosaresti stupefatto se sapessi quanto hoprosperato. Ti dico la pura verità quando affermo che potreisperperare denaro in una dozzina di banchetti come questosenzabadare alla spesa più di così! E feci schioccare ledita.

Mividi crescere di una trentina di centimetri per volta nella stima diMarco e quando pronunciai queste ultime paroleero diventato unavera torre per altezza e imponenza.

-Perciòvedi bene che mi devi lasciar fare a modo mio. Tu nondevi contribuire nemmeno con un centesimo a quest'orgiainteso.

-E' grande e bello da parte tua...

-Nonon lo è. Tu hai aperto la tua casa a Jones e a me nelmodo più generoso. Jones ne parlava oggiun momento prima chetu tornassi dal villaggio. Egli ha un cuore buono e riconoscente equando è trattato bene lo sa apprezzare. Sìtu e tuamoglie siete stati molto ospitali con noi...

-Ahfratellonon è nienteun'ospitalità simile!

-Ma è qualcosa; il meglio che un uomo hase datogenerosamenteè sempre qualcosa. Equivale a quello che puòfare un principe e ha la stessa importanza. E così andremo unpo' in girooraa fare acquisti e a organizzare questo programma. Enon ti preoccupare della spesa. Io sono uno dei peggiori spendaccioniche siano mai venuti al mondo. Ma figurati chequalche voltain unasola settimana spendo... Ma lasciamo andaretanto non ci crederesti.

Ecosì ce ne andammo in girofacendo una capatina qua e una làchiedendo i prezzi delle cose e chiacchierando con i bottegai. Levesti di Marco e di sua moglie erano di rozza canapa e di ruvidamezza lana e rassomigliavano a carte topograficheessendo fattequasi esclusivamente di toppe che erano state aggiunteregione suregionenel corso di cinque o sei annifino a chedel vestitooriginale era sopravvissuto a malapena un pezzetto non piùlargo di un palmo. Ora desideravo fornire questa gente di vestitinuoviin vista dell'elegante compagnia e non sapevo proprio comeproporlo con delicatezza. Alla finemi venne un'idea e cosìdissi:

-E c'è un'altra cosa che mi devi permettereMarcopergentilezza verso Jonesperché certo tu non vorrestioffenderlo.

Eramolto ansioso di testimoniarti il suo apprezzamento in qualche modoma è tanto timido che non poteva avventurarsi a farlo dipersona. Così mi ha pregato di comprare qualche piccola cosa edi darla a te e a dama Phyllis e di far pagare a luisenza che voilo sappiate e così io gli dissi che l'avrei fatto e cheavremmo mantenuto il segreto. Behla sua idea era un completo diabiti nuovi per voi due...

-Ohquesto è uno spreco! Non può esserefratellononpuò essere. Considera l'immensità della somma...

-Al diavolo l'immensità della somma! Cerca di stare quieto unmomento e di pensare all'effetto che farebbe; non si riesce ainfilare una parolatu parli troppo. Dovresti cercare di guarire daquesto vizioMarco. Sìora entriamo qui e sentiamo i prezzidella roba che vende quest'uomo e ricordati di non far capire a Jonesche sai che lui ha avuto a che fare con tutto questo. Non ti puoiimmaginare quanto sia stranamente sensibile e orgoglioso. E' unagricoltorepiuttosto benestantee io sono il suo fattore.

Sapessiche immaginazione ha quell'uomo! Ebbene qualche voltaquando perdela padronanza di sé e comincia a spararle grosse si potrebbepensare che sia uno dei grandi della terra. E si potrebbe stare adascoltarlo per cento annisenza prenderlo mai per un agricoltore.

Marcosi sentì solleticato fino al midollo nell'udir parlare di uncosì bizzarro personaggio. Inoltre la cosa lo preparò apossibili incidenti e soper mia esperienzache quando si viaggiacon un re che vuol passare per qualcos'altro e non riesce aricordarselo per la metà del temponon si prendono maiabbastanza precauzioni.

Questaera la migliore bottega che avessimo trovato finora. Aveva di tuttoin piccole quantitàdalle incudini ai tessutigiùfino al pesce e ai gioielli di similoro. Conclusi che avrei fatto quitutta l'ordinazione senza andare ancora in giro a chiedere i prezzi.

Quindimi liberai di Marco mandandolo a invitare il muratore e il carraioil che mi lasciò il campo libero. Devo ammettere che non provomai piacere a fare le cose in modo quietoquello che faccio deveessere teatralese no non mi interessa. Mostrai dunque denaro inabbondanzacon fare noncuranteper suscitare il rispetto delbottegaio. Poi scrissi una lista delle cose che volevo e glielaconsegnai per vedere se era capace di leggerla.

Eracapace ed era fiero di mostrarlo. Disse che era stato istruito da unprete e che sapeva leggere e scrivere. Dette una scorsa alla lista enotò con soddisfazione che era un conto piuttosto grosso.

Nonsolo richiedevo un pranzo sontuosoma anche oggetti variextra.Ordinai che tutto quanto fosse caricato e consegnato al domicilio diMarcoper sabato sera e che il conto fosse mandato a me la domenicaall'ora di pranzo.

Eglidisse che potevo contare sulla sua prontezza e precisione:

erala regola della ditta. Mi avvertì anche che per Marco avrebbeaggiunto gratis un paio di portamonete a pistolache ora usavanotutti. Teneva in grande considerazione quell'ingegnosa trovata. Iodissi:

-Per favoreriempiteli fino a metà e aggiungete al conto anchequello.

Loavrebbe fatto con piacere. Li riempì e io me li portai via.Non potevo rischiare di dirgli che il portamonete a pistola era unamia piccola invenzione e che avevo dato ufficialmente l'ordine cheogni bottegaio del reame dovesse tenerli a portata di mano e venderlial prezzo fissato dal governo.

Ilre non si era quasi accorto della nostra assenza quando tornammoall'imbrunire. Era ben presto ricaduto nel suo sogno di una grandeinvasione della Galliacon tutte le forze del suo regno a sostenerloe il pomeriggio era passato senza che egli si fosse ridestato allarealtà.




Capitolo29


L'UMILIAZIONEDI DOWLEY


Quandoquel carico arrivòil sabato pomeriggio verso il tramontoebbi un bel da fare per impedire a Marco e a sua moglie di svenire.Erano convinti che Jones ed io fossimo rovinati in modo irrimediabilee si rimproveravano di aver contribuito al nostro fallimento.Capireteoltre alle provviste per il banchettoavevo comprato unaquantità di cose extra per il futuro benessere della famiglia:una gran quantità di granouna ghiottoneria tanto rara sullamensa di gente della loro classequanto il gelato sulla mensa di uneremita; poiuna tavola da pranzo di legno piuttosto grande; eancoradue intere libbre di salecheagli occhi di quella genteera un'altra stravaganza; poi stovigliesgabellivestitiunbarilotto di birra e così via. Raccomandai a Marco dimantenere il segreto su queste ricchezzecosì avrei potutofare una sorpresa agli ospiti e fare bella figura. Quanto ai vestitinuoviquei candidi sposi si comportarono come dei bambini; sialzarono mille volte quella notte per vedere se si era fatto giàgiornoper poterli indossare e alla fine ci furono dentro almenoun'ora prima dell'alba. Allora il loro piacere fu cosìnaturalecosì insolitoche la sua vista mi ripagòabbondantemente delle interruzioni che avevo sofferto nel sonno. Ilre aveva dormitocome il solitocome un masso. Marco non potevaringraziarlo per i vestitipoiché glielo avevo vietato; mafece del suo meglio per dimostrargli quanto gliene fosse grato. Ilche fu tutto sprecato:

ilre non notò alcuna differenza.

Erauna di quelle magnifiche e rare giornate d'autunno in cui è unparadiso starsene all'aperto. Verso mezzogiorno arrivaronogl'invitati e ci riunimmo sotto un grande albero e ben presto citrovammo affiatati come vecchie conoscenze. Persino il riserbo del resi sciolse un pochinosebbene dapprima trovasse un po' di difficoltàad assuefarsi al nome di Jones. Lo avevo pregato di cercare di nondimenticarsi che era un agricoltoreperché lui era proprio iltipo di persona su cui si poteva contare per rovinare una piccolafesta come quellase non veniva avvertito primatanto la sua linguaera pronta.

Dowleyera di ottimo umore e riuscii ben presto ad avviare la conversazione.Poicon destrezzafeci in modo da fargli scegliere la sua storiacome soggetto e se stesso come protagonista e da allora fu un piacerestarsene seduti e sentire il suo ronzio. Un uomo che si era fatto dasécapite. Questi uomini sanno come parlare. Meritano piùcredito di qualsiasi altra specie di uomini.

Eglici raccontò che aveva cominciato ad affrontare la vita daragazzo orfanosenza denaro e senza amici in grado di aiutarlo.

Avevavissuto come vivevano gli schiavi del più avaro dei padroni:

lasua giornata di lavoro durava dalle sedici alle diciotto ore e gliprocurava appena quel tanto di pane nero che lo manteneva in unostato di denutrizione. Poi le sue incessanti fatiche avevanofinalmente attirato l'attenzione di un buon fabbroil quale poco cimancò che non lo stendesse morto con la sua bontàoffrendogli all'improvviso di prenderlo come apprendista fisso pernove anni e di dargli vittoalloggio e vestiario e di insegnargli ilmestiere. Questo fu il suo primo grande passo avantiil primomagnifico colpo di fortuna. E si vedeva che ancora non riusciva aparlarne senza una specie di piacere al pensiero che una tale doratapromozione fosse toccata in sorte a un essere umano qualsiasi. Nongli furono dati abiti nuovi durante il suo tirocinioma il giorno incui venne promossoil suo padrone lo agghindò con un vestitodi canapa nuovo fiammante che lo fece sentire indicibilmente ricco edelegante.

-Rammento bene quel giorno! - gridò il carraio con entusiasmo.

-Anch'io! - gridò il muratore. - Non potevo credere che queipanni fossero proprio tuoi!

-E nemmeno gli altri! - urlò Dowleycon occhi scintillanti.

Stavoquasi per perdere la mia reputazioneperché era corsa vocefra i vicini che io li avessi rubati. Fu un gran giornoun grangiorno. Non si dimenticano giorni come quelli.

Sìil suo padrone era un uomo come si devegenerosoun signorepercosì dire. E col tempo Dowley gli subentrò nell'aziendae ne sposò la figlia.

-Ed ora considerate ciò che è avvenuto - disse in tonosolenne.

-Due volte al mese c'è carne fresca sul mio desco.

Quifece una pausa per permettere che questo fatto fosse bene impressonella nostra mentepoi aggiunse:

-E otto volte carne salata.

-E' proprio vero - disse il carraiocol fiato mozzo.

-Sul mio tavolo il pane bianco compare ogni domenica dell'anno -aggiunse con solennità il mastro ferraio. - Ditelo voi incoscienzaamicise anche questo non è vero!

-Sulla mia testaè vero! - gridò il muratore.

-Io posso testimoniarlo e lo faccio - disse il carraio.

-E quanto alla mobiliadite voi stessi come ne sono fornito.

Parlatecon sinceritàparlate come fareste se io non fossi qui.

-Voi avete cinque sgabelli e della più squisita fatturabenchéla vostra famiglia sia di tre persone soltanto - disse il carraio conprofondo rispetto.

-E sei coppe di legno e sei piatti di legno e due di peltro per bere eper mangiare - disse il muratore in tono solenne:

-E dico ciò ben sapendo che Dio è mio giudice.

-Adesso voi sapete che tipo di uomo sonofratello Jones disse ilfabbro con cortese e amichevole condiscendenza - e sicuramente saretepropenso a credere che io sia un uomo geloso del rispetto che gli èdovuto e restio a dividerlo con stranieri fino a che il loro valore ele loro qualità non siano state provate. Ma non datevi penaper questo; rassicuratevitroverete in me un uomo che non tieneconto di queste cose e che è disposto a ricevere chiunque comecompagno ed uguale purché abbia in petto un cuore onestopermodesti che siano i suoi beni terreni. Ein pegno di ciòecco la mia mano ed io dicocon la mia stessa boccache siamouguali"uguali" - e sorrise alla compagnia con lasoddisfazione di un dio che sta compiendo un atto di generositàe di clemenza e ne è perfettamente conscio.

Ilre prese la sua mano con malcelata riluttanza e la lasciòandare con la stessa prontezza con cui una gentildonna lascerebbeandare un pesce. Tutto ciò fece un buon effettoperchéfu scambiato per imbarazzo naturale in un uomo che era statoilluminato dalla luce di un grande.

Aquesto punto la dama portò fuori la tavola e la sistemòsotto l'albero. Questo provocò una visibile sorpresa perchéera un mobile nuovo di zecca e sontuoso. Ma la sorpresa aumentòancora di più quando la dama che sprizzava indifferenza datutti i porima i cui occhi addirittura fiammeggianti di vanitàla tradivano in pienospiegò lentamente una autenticatovaglia e la stese sulla tavola. Questo era un gradino più supersino delle grandiosità domestiche del fabbro e fu un durocolpo per lui: si vedeva. Ma Marco era in paradisosi vedeva anchequesto. Poi la dama portò due sgabelli nuovi. Che colpofecero! Si vedeva negli occhi di tutti i convitati. Poi ne portòaltri duecon tutta la calma di cui era capace. Altro colpo emormorii sbigottiti. Ne portò ancora altri duequasi volandotanto era soddisfatta. Gli ospiti erano impietriti.

Comela dama si voltò per andarseneMarco non potétrattenersi dal portare l'effetto al culmine finché la cosaera ancora calda; perciò dissecon un'aria che voleva esseredi compostezza:

-Questi bastano; lascia stare gli altri.

Allorace n'erano altri ancora! Fu un effetto stupendo! Io stesso non avreipotuto giocare meglio quella carta.

Daquel momento in poila gentildonna accumulò le sorprese a unavelocità che infiammò lo stupore generale fino araggiungere 65 gradi all'ombra e al tempo stesso ne paralizzòla facoltà di esprimersiriducendola a boccheggianti: "Oh"e "Ah" e a un muto sollevar di mani e di occhi. Portòtante stoviglie; nuovi boccali di legno ed altri oggetti per latavola; poibirrapescepolloun'ocauovamanzo arrostocarnedi montoneun prosciuttoun porcellino arrostito e del vero panebianco di frumento.

Tuttocompreso e consideratotutta quell'abbondanza eclissava di granlunga tutto quanto quella gente aveva mai visto prima. E mentrequelli rimanevano seduti làsemplicemente inebetiti dallameraviglia e dalla soggezioneio feci un cenno della manocome percasoe il figlio del negoziante emerse dallo spazio e disse che eravenuto a riscuotere.

-Va bene - dissi con indifferenza. - Quant'è? Leggi le varievoci.

Alloraegli lesse il conto ad alta vocementre quei tre uomini ascoltavanostupefatti:

2libbre di sale 200.

8dozzine di pinte di birra in barile 800.

3stai di frumento 2.700.

2libbre di pesce 100.

3galline 400.

1oca 400.

3dozzine d'uova 150.

1arrosto di manzo 450.

1arrosto di montone 400.

1prosciutto 800.

1porcellino da latte 500.

2servizi da tavola di stoviglie 6.000.

1abito da donna di lana1 di mezzalana e biancheria 1.600.

2abiti da uomo e biancheria 2.800.

8boccali di legno 800.

Mobilida camera da pranzo 10.000.

1tavolo di abete 3.000.

8sgabelli 4.000.

2portamonete a pistola carichi 3.000.

Ilragazzo aveva finito. Ci fu un momento di tremendo silenzio.

Nonsi muoveva un muscolo. Non una narice tradiva il passaggio delrespiro.

-E' tutto? - chiesi con voce perfettamente calma.

-Tuttobel messere.

-Ditemi la somma totaleper favore.

Ilcommesso si appoggiò all'albero per sostenersi e disse:

-Trentanovemilacentocinquanta decimillesimi!

Ilcarraio cadde dallo sgabello; gli altri si aggrapparono alla tavolaper salvarsi e ci fu una profonda e generale esclamazione:

Ilcommesso si affrettò a dire:

-Mio padre mi ha incaricato di dirvi che onorevolmente non puòesigere che voi paghiate tutto subitoperciò vi pregasoltanto...

Nongli badai più di quanto si faccia col vano venticello e conun'aria di indifferenza che rasentava la noiatirai fuori il denaroe buttai sulla tavola quattro dollari. Ahavreste dovuto vedere cheocchi sbarrati!

Ilcommesso era stupito e incantato. Mi pregò di trattenere undollaro in garanzia finché egli fosse andato in cittàe... lo interruppi:

-Che? Per riportarmi nove centesimi? Sciocchezze! Prendete tutto.

Teneteil resto.

Cifu un mormorio di stuporecome per dire:

"Inverità questo essere è fatto di denaro! Lo getta viacome se fosse spazzatura".

Ilfabbro era annichilito.

Ilcommesso prese il denaro e si allontanò barcollandoebbro diricchezza.

Dissia Marco e a sua moglie:

-Buona genteecco qui una sciocchezza per voi - porgendo loro iportamonete a pistola come se fossero una cosa da nullasebbeneciascuno di essi contenesse quindici centesimi in contanti. E mentrele povere creature erano sopraffatte dallo stupore e dallagratitudinemi rivolsi agli altri e dissicon la stessa calma diuno che chiede l'ora:

-Benese siamo tutti prontimi pare che anche il pranzo lo sia.

Sucominciamo.

Ah!Fu davvero una cosa straordinariasìuna delizia. Nonricordo di aver mai combinato meglio una situazioneo di averottenuto effetti spettacolari più felicitenendo conto delmateriale disponibile. Il fabbrobehera semplicemente ridotto inpolvere. Mio Dio! Non avrei voluto provare quel che provavaquell'uomo per nulla al mondo. Era stato lì a pavoneggiarsi ea vantarsi dei suoi grandi banchetti di carne due volte all'anno e lacarne fresca due volte al mese e la carne salata due volte allasettimana e il pane bianco ogni domenica per tutto l'anno e tutto ciòper una famiglia di tre persone: il costo totale non superava isessantanove centesimidue millesimi e sei decimillesimi all'anno. Eall'improvvisoecco che arriva un uomo che getta fuori quasi quattrodollari in un solo colpo; non soloma si comporta come se fossestanco di maneggiare somme così piccole.

SìDowley era un bel po' ammosciatorattrappitocrollato. Aveval'aspetto di una vescica gonfiata che è stata pestata da unamucca.




Capitolo30


ECONOMIAPOLITICA DEL SESTO SECOLO


Ilre si era rimpinzato ben bene e poidato che la conversazione nonriguardava battaglieconquiste o duelli in armaturasi lasciòsopraffare dalla sonnolenza e se ne andò a fare un pisolino.La moglie di Marco sparecchiò la tavolasistemò aportata di mano il boccale di birra e andò a mangiare il suopranzo di avanzi umilmente appartatamentre noi altri ci lasciammopresto trascinare in discussioni relative al nostro lavoroaffari epaghenaturalmente. A prima vista pareva che le cose fosseroeccezionalmente floride in quel piccolo reameil cui signore era reBagdemagusin confronto allo stato delle cose nella mia regione.Loro applicavano in pieno il sistema del "protezionismo"mentre noi stavamo procedendo verso il libero scambio a piccole tappeed eravamo ormai a metà strada. Ben presto i soli a parlareeravamo Dowley ed iomentre gli altri ci ascoltavano avidamente.Dowley si scaldòfiutò nell'aria un certo vantaggio ecominciò a farmi domande che egli considerava piuttostoimbarazzanti per me.

-Nel vostro paesefratelloqual è il salario di un mastrofattoredi un mastro contadinodi un carrettieredi un pastorediun porcaro?

-Venticinque decimillesimi al giorno; vale a dire un quarto di uncentesimo. Il viso del fabbro era raggiante di gioia. Disse:

-Da noi ricevono il doppio! E che cosa può guadagnare unartigianofalegnameimbianchinomuratorepittorefabbrocarraioe simili?

-In media cinquanta decimillesimi: mezzo centesimo al giorno.

-Oh-oh! Da noi ne prendono cento! Da noi ogni buon artigiano prende uncentesimo al giorno! Non includo il sartoma tutti gli altriricevono un centesimo al giorno e quando c'è molto lavoroanche di piùsìfino a centodieci e perfinocentoquindici decimillesimi al giorno. Ne ho pagati io stessocentoquindici questa settimana. Evviva il protezionismo e abbasso illibero scambio! Il suo viso splendeva su tutta la compagnia come unosprazzo di sole. Ma io non mi impressionai affatto. Gli domandai:

-Quanto pagate una libbra di sale?

-Cento decimillesimi.

-Noi ne paghiamo 40. Quanto pagate il manzoil montone... quando locomprate? Questo era un bel colpo che lo fece arrossire.

-Varia un po'ma non molto: si può dire 75 decimillesimi allalibbra.

-Noi lo paghiamo 33. Quanto pagate le uova?

-Cinquanta decimillesimi la dozzina.

-Noi 20. Quanto pagate la birra?

-Ci costa 8 decimillesimi e mezzo la pinta.

-Noi l'abbiamo a 4; 25 bottiglie per un centesimo. Quanto pagate ilfrumento?

-Al prezzo di 900 decimillesimi lo staio.

-Noi lo paghiamo 400. Quanto pagate un abito da uomo di canapa?

-Tredici centesimi.

-Noi lo paghiamo 6. Quanto pagate un vestito di lana per la moglie diun contadino o di un artigiano?

-Lo paghiamo 8 centesimi e 4 millesimi.

-Ebbenenotate la differenza: voi pagate 8 centesimi e 4 millesiminoi paghiamo soltanto 4 centesimi. A questo punto mi apprestai avibrargli il colpo. Dissi:

-Ditemicaro amico"che è successo degli alti salari dicui vi vantavate tantopochi minuti fa?" - E lanciaiun'occhiata in giro a tutta la compagnia con serena soddisfazioneperchéa poco a pocoero arrivato ad incastrarlo e lo tenevolegato mani e piedi.

-Dove sono andati a finire quei vostri grandiosi alti salari?

Malo credereste? Si mostrò soltanto stupito e questo fu tutto!

Nonafferrò affatto la situazionenon capì di esserecaduto in una trappolanon si accorse che "era" intrappola. L'avrei uccisotanto mi faceva rabbia. Con l'espressioneannebbiata e la mente in subbugliose ne uscì così:

-Davveromi pare di non capire. E' "provato" che i nostrisalari sono il doppio dei tuoi.

Behio ero sbalorditoin parte per quella sua imprevista stupiditàe in parte perché i suoi compagni si erano schieratiin modoevidentedalla sua parte e avevano le sue stesse ideese cosìsi potevano chiamare. Il mio punto di vista era molto semplice echiaro. Com'era possibile semplificarlo di più? Ad ogni mododovevo tentare:

-Insommafratello Dowleycome fate a non capire? I vostri salarisono più alti dei nostri solo di nome non di fatto.

-Sentitelo! Sono il "doppio" voi stesso l'avete confessato.

-Sìsìnon lo nego affatto.

Mala questione è quanto potete "comprare" coi vostrisalari...

Eccoqual è l'idea. Mentre è vero che da voi un buonartigiano prende circa tre dollari e mezzo all'anno e da noi soltantoun dollaro e settantacinque circa...

-Eccovoi lo confessate ancoralo confessate ancora!

-Maledizionenon l'ho mai negatovi dico! Ciò che intendodire è questo. Da noi con "mezzo" dollaro si compradi più che da voi con "un" dollaro e perciò èevidentesecondo il più comune buon sensoche i nostrisalari sono "più alti" dei vostri. Egli parvesgomento e disse in tono disperato:

-Davvero non riesco a capire. Avete appena detto che i nostri sono piùalti e nel medesimo istante smentite quello che avete detto.

Ciòche quella gente apprezzava erano gli "alti salari". Parevache non avesse alcuna importanza per loro il fatto che non potevanocomprare nulla o quasi nulla con i salari alti. Essi sostenevano ilprotezionismo e vi credevano ciecamenteil che era abbastanzalogicoperché le parti interessate avevano dato loro aintendere che era stato il protezionismo a creare i loro alti salari.Dimostrai loro che in un quarto di secolo i loro salari eranoaumentati soltanto del trenta per centomentre il costo della vitaera salito del cento per cento; da noiinvecein minor tempoisalari erano aumentati del quaranta per centomentre il costo dellavita era andato costantemente diminuendo. Ma non servì aniente. Nulla poteva scuotere le loro strane convinzioni.

Insommasentivo un bruciante senso di sconfitta. Sconfitta immeritatama chevuol dire? Questo non la rendeva meno bruciante.

Discusseroa lungo di molti argomentima il ragionamento e la logica del Caponon venivano mai compresi dai suoi interlocutoriincapaci di pensarein modi diversi da quelli legati alle loro tradizioni. Questo avvenneanche quando discussero della gogna. Fu Dowley a proporre questapunizione per coloro che non avevano rispetto per l'autorità.

-Ohaspettafratello - lo fermai - non dite bene di questaistituzione. "Io" penso che la gogna dovrebbe essereabolita.

-Un'idea davvero strana. Perché?

-Behvi dirò io perché. E' stato mai messo alla gognaun uomo per un delitto capitale?

-No.

-E' giusto condannare un uomo a una lieve punizione per una piccolatrasgressione e poi ucciderlo?

Nonci fu risposta. Avevo segnato il mio primo punto! Per la prima voltail fabbro non fu pronto a parare. La compagnia se ne accorse.Bell'effetto.

-Voi non rispondetefratello. Eppure stavate per glorificare la gognaun momento fa. "Io" penso che dovrebbe essere abolita. Checosa avviene di solito quando un povero diavolo viene messo allagogna per qualche piccola trasgressione che non ha la minimaimportanza? La plebaglia cerca di divertirsi un po' a sue spesenonè vero?

-Sì.

-Cominciano a lanciargli zolle di terra e poi si sganasciano dallerisa quando vedono che cerca di schivare una zolla e viene colpito daun'altra?

-Sì.

-Poi gli buttano gatti mortinon è vero?

-Sì.

-Behsupponete che egli abbia tra la folla qualche nemico personaleun uomo o una donna con un segreto rancore verso di luie supponetesoprattutto che non sia benvisto dalla comunità per unaqualsiasi altra ragionesassi e mattoni prenderebbero quanto primail posto delle zolle e dei gattinon è vero?

-Non c'è alcun dubbio.

-Di regola resta storpiato per tutta la vitanon è vero?

Mascellerottedenti spezzatioppure gambe mutilateincancrenite e poiamputate. Oppure un occhio cavato e magari tutti e due.

-E' verolo sa Iddio.

-E se non è benvisto può essere sicuro di morire lànei ceppinon è vero?

-Di certo! Non si può negarlo.

-Immagino che nessuno di voi sia malvistoper ragioni di orgogliodiinsolenzadi ricchezzao alcun'altra di quelle cose che destanoinvidia o malignità tra la feccia di un villaggio...

"Voi"non pensereste di correre un gran rischio a far la prova della gogna?

Dowleyvacillò visibilmente. Reputai che fosse colpito. Ma non sitradì a parole. Quanto agli altriparlarono chiaromostrandocon veemenza i loro sentimenti. Dissero che della gogna ne avevanovisto quanto bastava per sapere quali probabilità rimanevanoall'uomo che ci capitava e che non avrebbero mai consentito adentrarci se avessero avuto l'alternativa di una rapida morte perimpiccagione.

-Dunqueper cambiare argomentogiacché credo di aver chiaritola mia idea che la gogna dovrebbe essere abolitapenso che alcunedelle nostre leggi siano alquanto ingiuste. Per esempiose io facciouna cosa che dovrebbe condurmi alla gogna e voi lo sapete e tacete enon mi denunciatevoi sarete condannati alla gogna se qualcunodenuncia voi.

-Ahma questo vi servirebbe a dovere - disse Dowley - poiché èun "dovere" denunciare. Così dice la legge. Glialtri si trovarono d'accordo.

-Behallora lasciamo andaredato che siete contro di me. Ma c'èuna cosa che certamente non è giusta. Il magistrato fissa ilsalario di un operaio a un centesimo al giornoper esempio. La leggedice chese un padrone si arrischiasia pure per assoluta necessitàdi lavoroa pagare qualche cosa "in più" di quelcentesimoanche per un giorno solosarà multato e messo allagogna. E chiunque lo sappia e non lo denuncia sarà anch'eglimultato e messo alla gogna. Orami sembra ingiustoDowleye ancheun pericolo mortale per tutti noiperchéavendo voisventatamente confessato un momento fa che questa settimana avetepagato un centesimo e quindici mil...

Ohvi assicuro che fu una mazzata. Avreste dovuto vederli crollare apezzitutti quanti. Mi ero lavorato il sorridente e povero Dowley inmodo così sottiledisinvolto e delicatoche egli non avevamai sospettato che stesse per accadergli qualcosa finché ilcolpo non gli arrivò addosso riducendolo a brandelli.

Uneffetto magnifico. A dire il veroil più bell'effetto che ioavessi mai prodottoconsiderando il breve tempo che avevo avuto perprepararlo. Ma mi resi subito conto di avere esagerato un pochino. Miero aspettato di spaventarlima non di spaventarli a morte. Invecec'erano molto vicini. Capiretedurante un'intera vita erano statiaddestrati ad apprezzare la gogna e oravedersela proprio di frontee sentirsi tutti chiaramente alla mercé miadi un forestierose mi fosse piaciuto di andare a denunciarli... Certo era tremendo epareva che non riuscissero a riaversi dal colpo e che non potesseroriprendere coraggio.

Palliditremantimutimiserevoli. Behnon erano certo meglio dialtrettanti cadaveri. Era molto imbarazzante. Naturalmente pensai chemi avrebbero pregato di tenere la bocca chiusa e allora ci saremmostretti la manoavremmo bevuto insieme e ci avremmo fatto su unarisata e sarebbe finita lì... Ma no. Vedeteio ero unosconosciutoin mezzo a un popolo crudelmente oppresso e sospettososempre abituato a vedere altri approfittare della sua debolezzachenon si aspettava mai un trattamento giusto e benevolo da nessunosenon dalla famiglia e dagli amici più intimi. Implorare "me"di essere benignoleale e generoso? Si capisce che avrebbero volutoma non osavano.




Capitolo31


LOYANKEE E IL RE VENDUTI COME SCHIAVI


Ebbeneche cosa mi conveniva fare? Niente in frettasicuramente.

Dovevoescogitare un diversivo: qualunque cosa che mi tenesse occupato e milasciasse il tempo per pensare e nel frattempo quei poveri diavoliavrebbero avuto la possibilità di riprendere i sensi.

Aquesto punto si unì a noi il reche era completamenteristorato dal suo sonnellino e si sentiva in forma. Ormai qualunquecosa bastava a rendermi nervosotanto ero inquietoperché lenostre vite erano in pericolo. Perciò mi impensierìscorgere negli occhi del re un certo compiacimento che parevaindicare che egli avesse in mente un'impresa di qualche genere. Aldiavoloperché doveva andare a scegliere proprio un momentocome questo?

Avevoragione. Cominciò senza esitazionenel modo piùinnocente e goffoa trattare l'argomento dell'agricoltura. Sentii unsudore freddo per tutto il corpo. Gli volevo sussurrare all'orecchio:

-Amico miosiamo in un tremendo pericolo! Quiogni istante vale unprincipatofinché non riconquistiamo la fiducia di questiuomini. Non sprecate un attimo di questo tempo prezioso.

Manaturalmente non lo potevo fare. Sussurrargli qualche cosa?

Potevasembrare che stessimo cospirando. Cosìdovevo star lìseduto e fingere di essere calmo e soddisfattomentre il re stava suquel carico di dinamite e farneticava sulle sue maledette cipolle ecose del genere.

-Taluni affermano che la cipolla altro non sia che una bacca malsanastrappata anzitempo dall'albero...

Gliascoltatori mostrarono segni di vita e si guardarono l'un l'altronegli occhi in modo sorpreso e turbato.

-...mentre altri affermano tuttavia che questo non ènecessariamente il casocitando ad esempio che le prugne e altrisimili cereali vengono sempre sradicati allo stato acerbo...

Gliascoltatori dettero segni palesi di sgomentosìe anche dipaura.

-...e pur tuttavia sono sicuramente buoniin special modo quando leasperità della loro natura siano placate con miscela del succocalmante del cavolo...

Unaluce di terrore folle cominciò a balenare negli occhi diquegli uomini e uno di loro mormorò:

-Questi sono sproposititutti spropositi... Dio ha sicuramentecolpito la mente di questo agricoltore. Io ero in uno stato di penosaapprensione. Ero sulle spine.

-...e inoltreportano a riprova la nota verità chenel casodi animalii piccoliche si possono considerare i frutti acerbidella creaturasono i miglioripoiché tutti confessano...

Quellisi alzarono e gli si scaraventarono addossocon un urlo feroce:

-L'uno ci vuol tradire e l'altro è pazzo! Ammazziamoli!

Ammazziamoli!

Esi scagliarono su di noi. Che gioia fiammeggiò negli occhi delre! Avrà zoppicato in agricolturama queste cose eranoproprio il suo genere. Era stato a digiuno per tanto tempo e oraaveva fame di battaglie. Colpì il fabbro sotto la mascella conun diretto che lo sollevò netto da terra e lo mandòlungo disteso sulla schiena.

Poiatterrò il carraio. Il muratore era grossoma io lo stesicome niente fosse. I tre si rialzarono e tornarono alla carica:

cadderodi nuovo. Tornarono ancora e continuarono a ripetere la stessa cosacon naturale britannico coraggiofinché non furono ridotti agelatinabarcollanti di spossatezza e talmente accecati da nonriuscire più a distinguersi l'uno dall'altro. Eppurecontinuarono a martellare con quanta forza era rimasta in loro. Simartellavano l'un l'altro perché noi ci eravamo tirati daparte e stavamo a guardarli mentre essi si rotolavano e sidibattevano e si cavavano gli occhi e si pestavano e si mordevano conil preciso e silenzioso accanimento di altrettanti molossi.

Mentrequelli si stavano esaurendo a poco a pocoall'improvviso mi vennefatto di chiedermi che cosa era successo di Marco. Mi guardaiintorno: non si vedeva da nessuna parte. Ohma quello era un segnofunesto! Tirai il re per la manica e insieme sgusciammo via e ciprecipitammo verso la capanna. Non c'era né Marconéla moglie! Erano andati di sicuro verso la strada a chiamare aiuto.

Dissial re di mettersi le ali ai piediche gli avrei spiegato tutto piùtardi. Traversammo velocemente il terreno scoperto e mentre cilanciavamo nel rifugio del boscodiedi un'occhiata indietro e vidiapparire una turba di contadini in rivolta capeggiati da Marco.Facevano un baccano indiavolatoma questo non faceva male a nessuno:il bosco era folto e non appena fossimo stati ben addentro ci saremmoarrampicati su di un albero e li avremmo lasciati fischiare. Ahmapoi si udì un altro suono: i cani! Giàallora eraun'altra faccenda. Bisognava mettercisi d'impegnooccorreva trovareun corso d'acqua. Corremmo di gran carriera e ben presto ci lasciammodietro le voci che diminuirono fino a diventare un mormorio. Trovammoun torrente e ci buttammo dentro. Lo percorremmo a guado per almenotrecento metripoi trovammo una quercia con un grosso ramo chesporgeva sull'acqua.

Ciarrampicammo su quel ramo e cominciammo a farci strada verso iltronco dell'albero. Ora cominciavamo a sentire le voci piùdistintamente. Per un po' si avvicinarono piuttosto velocemente.

Poinon si avvicinarono più. Senza dubbio i cani avevano trovatoil luogo dove eravamo entrati nel torrente e ora stavano correndo sue giù lungo la spondacercando di ritrovare le tracce.

Quandofummo comodamente sistemati sull'alberonascosti dal fogliameil refu soddisfatto. Ma io ero in dubbio. Pensavo che avremmo potutostrisciare lungo un ramo e passare sull'albero vicino e conclusi chevaleva la pena di tentare. Provammo e ci riuscimmo.

Trovammoun comodo alloggio e un nascondiglio soddisfacente tra le foglie. Oranon dovevamo fare altro che ascoltare la caccia. Di lì a pocoli sentimmo avvicinarsida tutte e due le parti del torrente. Piùfortepiù fortee un minuto dopo il rumore crebberapidamente fino a diventare un rombo di urlalatraticalpestio.

Poipassò di furiacome un ciclone.

-Venitemio signore - dissi - sarebbe bene fare buon uso del nostrotempo. Li abbiamo sviati. Fra poco sarà buio. Se riusciamo atraversare il torrente con un buon vantaggio e a prendere a prestitoun paio di cavalli al pascolo di qualcunosaremo salvi.

Cominciammoa scendere ed eravamo quasi arrivati al ramo più bassoquandoci parve di udire i cacciatori che ritornavano. Ci fermammo adascoltare.

-Sì - dissi - sono delusici hanno rinunciatostanno tornandoa casa. Risaliamo sul nostro trespolo e lasciamoli passare.

Cosìci arrampicammo su un'altra volta. Il re stette un momento in ascoltoe disse:

-Cercano ancoraconosco i segni. Abbiamo fatto bene a nasconderci.

Avevaragione. Ne sapeva più di me in fatto di caccia. Il rumore siavvicinava semprema non di corsa. Il re disse:

-Essi stanno pensando che noi non siamo partiti con un gran vantaggiosu di loro e che essendo a piedi non possiamo ancora essere moltolontani dal luogo dove siamo entrati in acqua.

-Sìsireho paura che sia così.

Ilrumore si avvicinava sempre più e ben presto l'avanguardiacominciò a passare sotto di noiai due lati del torrente. Unavoce dette l'alt dall'altra sponda e disse:

-Se tale era il loro intento avrebbero potuto salire su quell'alberoper mezzo di questo ramo che pendesenza toccare terra. Fareste benea mandare su un uomo.

Fuicostretto ad ammirare la mia scaltrezza nel prevedere proprio questonel cambiare albero per evitarlo. Ma non sapete che ci sono certecose che possono battere l'astuzia e la previdenza?

Sonol'inettitudine e la stupidità. Il migliore spadaccino delmondo non ha bisogno di temere il secondo migliore spadaccino delmondo. Nola persona di cui deve aver paura è un antagonistaignoranteche non ha mai tenuto una spada in mano in vita suaperché egli non fa quello che dovrebbe fare. Cosìl'esperto non può prevedere le sue mosse: fa quello che nondovrebbe fare e spesso coglie di sorpresa l'esperto e lo ammazza sudue piedi.

Behcome avrei io potuto con tutte le mie dotifare un qualsiasiintelligente preparativo contro un buffone miopestrabico e tontoche si sarebbe diretto all'albero sbagliato e sarebbe capitato suquello giusto? E fu proprio quello che fece. Andò versol'albero sbagliato ches'intendeera quello giusto per sbaglio ecominciò a salire.

Ormaila situazione era grave. Restammo fermi ad aspettare gli sviluppi. Ilcontadino si arrampicava con difficoltà e fatica. Il re sialzò e rimase in piedi. Tenne pronta una gamba equando latesta del nuovo arrivato giunse a tirosi udì un tonfo sordoe l'uomo volò a terra agitando le braccia. Ci fu un violentoscoppio di collera di sotto e la turba giunse a sciami da tutte leparti e così noi restammo in trappolaprigionieri. Un altrouomo cominciò a salire. Il ramo che aveva servito da ponte fuscoperto e un volontario si mise a salire sull'albero che ci avevafornito il ponte.

Perun po' il nemico ci attaccò rapido e numeroso. Ma pocoimportava; l'uomo di testa di ogni processione riceveva sempre uncolpo che lo buttava giù non appena giungeva a tiro. Il moraledel re era altola sua gioia era senza limiti. Disse che se noncapitava niente a guastarci l'aspettativaavremmo avuto unabellissima nottataperché seguendo quella tatticaavremmopotuto tenere l'albero contro l'intero contado.

Tuttaviaanche la folla giunse ben presto alla stessa conclusioneper cuil'assalto fu sospeso e cominciarono a discutere altri piani. Nonavevano armima c'erano sassi in quantità e i sassi potevanoservire allo scopo. Noi non avevamo obiezioni da fare. Un sassoavrebbe potuto penetrare fino a noi di tanto in tantoma non eramolto probabile. Eravamo ben protetti dai rami e dalle foglie e noneravamo visibili come bersaglio da nessun punto. Se proprio citenevano a sprecare una mezz'ora nel lancio di sassipoi l'oscuritàci sarebbe venuta in aiuto. Ci sentivamo soddisfattissimi. Potevamosorridereridere quasi.

Manon lo facemmoil che fu un beneperché saremmo statiinterrotti. Non erano passati quindici minuti da quando i sassiavevano cominciato a infuriare tra le foglie e a rimbalzare sui ramiquando cominciammo a sentire un odore. Un paio di fiutate bastòa darci la spiegazione: era fumo! Il nostro gioco era finito ormai.Lo dovemmo ammettere.

Essialzavano sempre più alto il loro mucchio di sterpi secchi e dierbacce umide e quando videro che la nube densa cominciava a salirein volute e ad avvolgere l'alberoscoppiarono in una scatenata gioiaclamorosa.

Trovaiabbastanza fiato per dire:

-Avantimio signoredopo di voisecondo l'usanza. Il re disseaffannosamente:

-Seguimi giù e poi addossati contro un lato del tronco e a melascia l'altro. Poi combatteremo. Che ciascuno accumuli i suoi mortisecondo l'usanza e il gusto suoi propri.

Poiscese abbaiando e tossendo ed io lo seguii. Toccai terra un istantedopo di lui. Balzammo ai nostri posti e cominciammo a darle e aprenderle con tutte le nostre forze. Il baccano e il trambusto eranoenormi: era una tempesta tumultuosa di confusione e di colpi chepiovevano fitti. Improvvisamente alcuni uomini a cavallo irruppero algaloppo in mezzo alla calca e una voce gridò:

-Fermio siete morti!

Chesuono gradito! L'uomo che aveva parlato recava nella persona tutte lecaratteristiche del gentiluomo: l'abbigliamento pittoresco e costosol'atteggiamento di comandoil viso duro.

Laplebaglia si tirò indietro umilmentecome tanti leccapiedi.Il gentiluomo ci esaminò con occhio criticopoi disse aicontadini con asprezza:

-Che cosa state facendo a questa gente?

-Sono due pazzivenerabile signoreche sono capitati qui non si sada dovee...

-Non sapete da dove? Fingete dunque di non conoscerli?

-Onorabilissimo signorediciamo il vero. Sono stranieri e sconosciutia tutti in questa regione. E sono i più violenti e i piùsanguinari che mai...

-Silenzio. Voi non sapete quel che dite. Non sono pazzi. Chi sietevoi? E da dove venite? Parlate.

-Non siamo che dei pacifici stranierisignore - dissi - e viaggiamoper i nostri interessi. Veniamo da un paese lontano e non abbiamoconoscenze qui. Non abbiamo nessuna intenzione di fare del male.Eppuresenza la vostra valorosa intercessione e protezionequestagente ci avrebbe uccisi. Come voi avete indovinatosignorenonsiamo pazziné siamo violentiné assetati di sangue.

Ilgentiluomo si rivolse al suo seguito e disse con calma:

-Ricacciate a frustate questi animali nei loro canili.

Laturba scomparve in un istante e dietro ad essa si gettarono gliuomini a cavallomenando all'intorno con gli scudisci.

Apoco a poco le grida e le suppliche svanirono in lontananza e benpresto i cavalieri cominciarono a tornare alla spicciolata.

Nelfrattempo il gentiluomo ci aveva fatto un interrogatorio piùstringentema non riuscì a tirar fuori da noi altriparticolari.

Quandotutta la scorta fu di ritornoil gentiluomo disse a uno dei suoiservi:

-Porta i cavalli di ricambio e fa salire queste persone.

Cimisero in coda al corteofra i servitori. Viaggiammo abbastanzavelocemente e alla fine ci fermammopoco dopo il tramonto in unalocanda lungo la stradaa dieci o dodici miglia dalla scena deinostri guai. Il milord andò subito in camera suadopo averordinato la cena e noi non lo vedemmo più. Il mattino seguenteall'alba facemmo colazione e ci preparammo a partire.

Inquel momento il primo aiutante del milord avanzò con graziaverso di noi e disse:

-Avete detto che avreste proseguito per questa strada che èproprio nella nostra direzione. Perciò il mio signoreilconte Gripha dato ordine che voi teniate i cavalli per il vostroviaggio e che alcuni di noi cavalchino con voi per venti migliafinoa una bella città chiamata Cambenetove sarete fuoripericolo.

Nonpotemmo fare altro che esprimere i nostri ringraziamenti e accettarel'offerta. Ce ne andammo trotterellando in gruppo di seiaun'andatura moderata e comoda. Durante la conversazione apprendemmoche milord Grip era un personaggio importantissimo nella sua regioneche si trovava a una giornata di cammino oltre Cambenet. Indugiammotanto che era quasi metà mattina quando entrammo nella piazzadel mercato della città.

Scendemmolasciammo ancora una volta i nostri ringraziamenti per milord e poici avvicinammo verso una folla riunita nel mezzo della piazzapervedere quale poteva essere l'oggetto di tanto interesse.

Erail rimanente di quella vecchia banda errante di schiavi!

Dunquesi erano trascinati dietro le loro catene per tutto quel tempospossante.

Ilre non provava nessun interesse e voleva andare avantima io eroassorto e pieno di compassione. Non potevo distogliere lo sguardo daquei relitti umanilogori e distrutti. Erano seduti làraggruppati a terrasilenziosisenza lamentarsia capo chino.

unospettacolo penoso. Ecome odioso contrastoun oratore stavarivolgendo un discorso a un altro assembramento a meno di trentapassi di distanza: un nauseante elogio alle "nostre glorioselibertà britanniche!" Mi sentivo ribollire il sangue.Avevo dimenticato di essere un plebeo e mi ero ricordato di essere unuomo. A qualunque costo sarei salito su quel palco e...

Clic!Il re ed io eravamo ammanettati insieme! Erano stati i nostricompagniquei servitoria farlo; milord Grip stava lì aguardare. Il re scoppiò come una furia e disse:

-Che significa questo scherzo di cattivo genere?

Ilmilord disse soltantofreddamenteal suo capo masnadiere:

-Porta su gli schiavi e vendili!

"Schiavi"!Questa parola aveva un suono nuovoindicibilmente orribile! Il realzò le manette e le fece ricadere con tutta forzama ilmilord non era più a tiro quando arrivarono.

Unadozzina di servi di quella canaglia balzò avanti e in unistante fummo ridotti all'impotenzacon le mani legate dietro laschiena. Allora ci proclamammo uomini liberi a voce tanto alta e contanta veemenza che ottenemmo l'interesse e l'attenzione dell'oratoredifensore della libertà e della sua folla patriottica. Questisi riunirono intorno a noi e assunsero un atteggiamento molto deciso.L'oratore disse:

-Se davvero siete uomini liberi non avete nulla da temere. Le libertàdella Britanniadate da Diosono intorno a voia vostro scudo eprotezione! (Applausi) Lo vedrete subito. Esibite le vostre prove.

-Che prove?

-Le prove che siete uomini liberi.

"Ah"!Mi ricordai! Tornai in me e non dissi nulla. Ma il re tempestò:

-Tu sei folle! Sarebbe meglio e più logico se questo ladro efellone provasse che noi "non" siamo uomini liberi.

Vedeteconosceva le sue leggi proprio come le altre persone conoscono leleggi: a parolenon a fatti. Le leggi acquistano un significatomolto reale quando vengono applicate a noi stessi.

Tuttii presenti scossero il capo e parvero delusi. Alcuninon piùinteressatisi allontanarono.

L'oratoredissequesta volta in tono pratico e distaccato:

-Se voi non conoscete le leggi del vostro paeseè tempo che leimpariate. Per noi siete degli stranieri; non potete negarlo.

Poteteessere uomini liberinon lo neghiamo; ma potete anche essereschiavi. La legge è chiara: non richiede che il reclamanteprovi che voi siete schiaviessa richiede che voi proviate che nonlo siete.

Iodissi:

-Caro signoredateci soltanto il tempo di mandare qualcuno alla ValleSanta...

-Silenziobuon uomoqueste sono richieste eccezionali e non puoisperare che ti siano accordate. Ci vorrebbe troppo tempo e causerebbeun disagio ingiustificato al tuo padrone...

-"Padrone"! Idiota! - tuonò il re. - Io non ho nessunpadroneio sono il pa...

-Silenzioper l'amor di Dio!

Pronunciaiqueste parole in tempo per fermare il re. Avevamo giàabbastanza guai. Non ci poteva essere di alcun aiuto dare a questagente l'idea che fossimo pazzi.

E'inutile riferire i particolari. Il conte ci mise all'asta e civendette.

Ilmercante di schiavi ci comprò tutti e dueci attaccò aquella sua lunga catena e noi formammo la retroguardia del corteo.

Amezzogiorno ci mettemmo in marcia e uscimmo da Cambenet. Mi sembravadavvero strano e bizzarro che il re d'Inghilterra e il suo primoministromarciando ammanettati e incatenati e aggiogati in unconvoglio di schiavipotessero passare vicino a ogni sorta di uominie donne oziosi e sotto le finestre dove sedevano fanciulle leggiadree amabilisenza mai attirare uno sguardo di curiositàosuscitare una sola osservazione.

MioDiomio Dioquesto dimostra soltanto che in un re non vi ènulla di divinonon più di quanto vi sia in un vagabondo. Nonè altro che una vuota e meschina artificiositàquandonon si sa che egli è un re.

Marivelate il suo grado eDio miosolo a guardarlo vi sentite mancareil fiato. Io credo che siamo tutti degli sciocchi. Nati cosìsenza dubbio.

Questoè un mondo pieno di sorprese. Il re era meditabondoquestoera naturale. Su che cosa stava meditandochiederete voi.

Diaminesulla sorprendente natura della sua cadutasenza dubbiodal postopiù elevato nel mondo al più basso; dalla posizione piùillustre a quella più oscura; dalla più grandiosaprofessione fra gli uomini a quella più umile. Nosono prontoa giurare che la cosa che più lo turbavatanto percominciarenon era questama il prezzo al quale era stato venduto!

Parevache non riuscisse a riaversi dal colpo di quei sette dollari. Aldiavolo! Mi stancava con tutti i suoi argomenti per dimostrarmi chein un buon mercato avrebbe raggiunto sicuramente venticinque dollaricosa chiaramente priva di senso e piena della più arrogantepresunzione; io stesso non valevo tanto. Ma era un terreno troppodelicato per avventurarmi a discuterne. Infatti dovetti di propositoevitare l'argomento e fareinveceil diplomatico. Dovetti mettereda parte la coscienza e ammettere spudoratamente che egli avrebbedovuto fare venticinque dollari.

Inveceero perfettamente consapevole chein tutte le epochenon si era maivisto al mondo un re che valesse la metà di tale somma e neiseguenti tredici secoli non se ne sarebbe visto uno che ne valesse unquarto. Sìmi stancava. Se cominciava a parlare del raccoltoo del tempoo della situazione politicao di canio di gattio dimoraleo di teologiainsomma di qualsiasi argomentoio sospiravoperché sapevo quello che veniva dopo:

avrebbefinito col tirar fuori con una scusa quella noiosa vendita a settedollari. La cosa non accennava ad esaurirsiperché ognigiornoin un posto o nell'altroeventuali compratori ci esaminavanoe il loro commento sul re era più o meno di questo tipo:

"Eccoqui un babbeo da due dollari e mezzo con uno stile da trenta dollari.Peccato che lo stile non sia commerciabile".

Allafinequesto genere di commento provocò una bruttaconseguenza. Il nostro proprietario era una persona pratica e siaccorse che questo difetto doveva essere corretto se voleva trovareun acquirente per il re. Perciò si mise al lavoro conl'intento di togliere lo stile alla sua sacra maestà. Io avreipotuto dare a quell'uomo alcuni preziosi consiglima non lo feci.

Nonbisogna offrire consigli a un mercante di schiavia meno che non sivoglia danneggiare la causa per la quale ci si batte. Avevo trovatoabbastanza difficile il compito di ridurre lo stile del re a unostile da contadinoanche quando egli era un allievo volenteroso eansioso di imparare; quinditentareoradi ridurre lo stile del rea quello di uno schiavo era un'impresa colossale Alla fine dellasettimana c'erano abbondanti prove che la frusta; il bastone e ilpugno avevano fatto un buon lavoro: il corpo del re era unospettacolo da vedersi - e da piangerci sopra - Ma il suo spirito?Behquello non era nemmeno scalfito. Persino quell'ottuso bestionedi mercante di schiavi si rese conto che può esistere qualcosacome uno schiavo che resterà uomo fino alla morte; gli sipotranno spezzare le ossama non la sua dignità di uomo.

Cosìalla fineil mercante rinunciò e lasciò il re inpossesso del suo stile inalterato. Il fatto è che il re eramolto più di un re: era un uomo. E quando un uomo è unuomo non lo si può piegare.

Cela passammo male per un mesevagando su e giù per il mondo esoffrendo. E in quel periodo quale inglese era più di ognialtro interessato alla questione della schiavitù? Sua graziail re! Sìdall'essere il più indifferenteeradiventato il più interessato.

Eradiventato il più accanito oppositore di questa istituzione cheio avessi mai sentito. E cosìmi arrischiai a fargli unadomanda:

avrebbeabolito la schiavitù?

Lasua risposta fu tagliente e risuonò come musica al mioorecchio. Non avrei potuto desiderare di udirne una piùpiacevole sebbene il turpiloquio non fosse gran chemesso insiemealla meglio e...

Oraero pronto e desideroso di riacquistare la libertà: ora eraun'atmosfera nuova! La libertà adesso valeva qualsiasi prezzoci fosse imposto per ottenerla. Ideai un piano e ne fui subitoaffascinato. Avrebbe richiesto tempoquesto sìe anchepazienza.

Sisarebbero potuti inventare modi più rapidi e altrettantosicuri ma nessuno sarebbe stato pittoresco come questonessunosarebbe potuto riuscire più teatrale. Perciò nonintendevo rinunciarci.

Avrebbepotuto farci ritardare dei mesima pazienzal'avrei messo m praticaa costo di spaccare qualcosa.

Ditanto in tanto ci capitava un'avventura. Una notte fummo sorpresi dauna bufera di neve a un miglio di distanza dal villaggio dove eravamodiretti. Quasi istantaneamente ci trovammo avvolti come in unanebbiatanto era fitta la neve che incalzava.

Nonsi riusciva a vedere niente e ben presto smarrimmo la strada.

Ilmercante di schiavi ci sferzava furiosamenteperché si vedevadavanti la rovinama le sue frustate non facevano che peggiorare lecoseperché ci ricacciavano lontano dalla strada e da ogniprobabilità di soccorso. Così dovemmo fermarcifinalmentee ci lasciammo cadere nella neve là dove citrovavamo. La tempesta continuò fin verso mezzanottepoicessò. Ma intantodue dei nostri uomini più deboli etre delle donne erano morti. E gli altrinon più in grado dimuoversierano in pericolo di vita. Il nostro padrone era quasifuori di sé. Fece muovere i vivi e ci costrinse a starealzatia saltarea darci colpi a vicenda per riattivare lacircolazione e fece del suo meglio per aiutarci con la frusta.

Aquesto punto capitò un fatto nuovo. Udimmo delle urla e deglistrilli e subito dopo arrivò correndo una donna che piangeva evedendo il nostro grupposi gettò in mezzo a noi implorandoprotezione. Una turba di gente sopraggiunse inseguendolaalcuni contorce.

Disseroche la donna era una stregache aveva fatto morire parecchie vacchedi una strana malattia e che praticava le sue arti con l'aiuto deldiavolo in forma di gatto nero. Questa povera donna era statalapidata fino al punto che non aveva quasi più aspetto umanotanto era pesta e sanguinante. La folla voleva bruciarla.

Ebbeneche cosa immaginate che avrebbe fatto il nostro padrone?

Quandoci stringemmo intorno a questa povera creatura per proteggerlaegliapprofittò dell'opportunità e disse:

-Bruciatela qui o non l'avrete affatto.

Immaginateun po'! Quelli non chiedevano di meglio. La legarono a un paloportarono della legna e l'ammucchiarono intorno a lei.

Quindivi appiccarono il fuoco con la torciamentre lei urlava e supplicavae si stringeva al petto le sue figliolette. E il nostro bruto cheaveva cuore solo per gli affarici costrinse a frustate a prendereposto intorno al rogocosì da farci riacquistare vita evalore commerciale al calore dello stesso fuoco che toglieval'innocente vita a quella povera madre indifesa. Questo era il tipodi padrone che avevamo noi.

Quellatempesta di neve gli costò la perdita di nove elementi del suobranco. Dopo di cheper molti giornifu con noi più brutaleche maitanto era furente per quella perdita.




Capitolo32


UNINCONTRO NELL'OSCURITA'


Londraper uno schiavoera un posto abbastanza interessante. Non era altroche un grosso villaggiofatto per la maggior parte di argilla epaglia. Le vie erano fangosetortuose e senza selciato.

Lapopolazione era un continuo sciameche si accalcava e si disperdevadi stracci e di splendoridi pennacchi ondeggianti e di risplendentiarmature. Il re aveva qui un palazzo; ne vide l'esterno. Ciòlo fece sospirare. Vedemmo cavalieri e personaggi che conoscevamomache non ci riconobberoricoperti com'eravamo di cenci sporchi epieni di piaghe viveper le sferzate. Non ci avrebbero riconosciutinemmeno se li avessimo chiamati e non si sarebbero neppure fermati arispondercipoiché non era lecito parlare con schiavi allacatena. Sandy mi passò a dieci metri di distanzaa dorso diun mulo: andava alla mia ricercaimmagino.

Maquello che proprio mi spezzò il cuore fu una cosa che accaddedi fronte alla nostra baraccasulla piazzamentre subivamo lospettacolo di un uomo che veniva fritto nell'olio bollente per averfalsificato delle monetine. Fu la vista di uno strillone di giornalie io non lo potevo raggiungere! Tuttavia ebbi una consolazione:quella era la prova che Clarence era vivo e si dava da fare. Era miaintenzione ritrovarmi con lui quanto prima. Quel pensiero mi riempìdi letizia.

Ungiorno intravidisia pure fuggevolmenteun'altra cosa che mi diedeun gran sollievo. Era un filo metallico teso da tetto a tetto.Telegrafo o telefono di certo. Avrei voluto moltissimo averne unpezzettino. Era proprio quello che mi occorreva per mettere inpratica il mio progetto di fuga. La mia idea era di liberarci daiferri una notteinsieme al repoi di imbavagliare e legare ilnostro padronescambiare i nostri vestiti con i suoipestarlo finoa cambiargli i connotatiattaccarlo alla catena degli schiaviprendere possesso della proprietà e metterci in viaggio versoCamelote...

Macerto avrete capito; immaginate con quale sbalorditiva drammaticasorpresa avrei potuto concludere la vicenda a palazzo.

Eratutto fattibilese soltanto fossi riuscito a metter mano su di unsottile pezzetto di ferro con cui avrei fatto un grimaldello. Alloraavrei potuto aprire gli ingombranti lucchetti con cui eranoassicurate le nostre catenequando avessi voluto.

Manon avevo mai avuto fortuna; mai un oggetto del genere mi eracapitato sottomano. Ma finalmente mi si presentò l'occasionebuona. Un gentiluomo che era già venuto due volte acontrattare il mio acquisto senza risultatovenne un'altra volta.Ero ben lontano dall'aspettarmi di diventare proprietà suapoiché il prezzo richiesto per mefin da quando ero statopreso come schiavoera esorbitante e provocava sempre irritazione oderisione. Ma il mio padrone era restato caparbiamente fermo sullacifra: ventidue dollari. Non voleva ridurla di un centesimo. Il reera molto ammirato per il suo fisicoma il suo stile regale era asuo svantaggio e non era vendibile: nessuno voleva quel tipo dischiavo. Pensavo di non correre il rischio di una separazione dal rea causa del mio prezzo stravagante. Nonon mi aspettavo di dover maiappartenere al gentiluomo di cui ho parlatoma egli aveva qualcosachesecondo le mie aspettativemi sarebbe appartenuto ben prestose solo fosse venuto a farci visita abbastanza spesso. Era un oggettodi acciaio fornito di un lungo spillocon cui teneva allacciato ildavanti del suo gabbano. Ce n'erano tre. Egli mi aveva deluso duevolteperché non mi era venuto abbastanza vicino da renderedel tutto sicura l'esecuzione del mio progetto. Ma questa volta ciriuscii: mi impadronii della fibbia più bassa e quando egli siaccorse che gli mancava pensò di averla perduta per la strada.Ebbi l'occasione di essere contento per circa un minuto e subito dopoquella di essere di nuovo triste. Perchéquando l'acquistostava come al solito per fallireil padrone improvvisamente parlòsenza riserve e disse:

-Sapete che faccio? Sono stufo di mantenere questi due senza nessuntornaconto. Datemi ventidue dollari per questo qui e vi ci mettoanche l'altro per giunta.

Ilre non riusciva a tirare il fiato tanto era furente. Cominciòad ansimare e a boccheggiare e intanto il padrone e il gentiluomo siallontanarono discutendo.

-Se mantenete l'offerta...

-La terrò in sospeso fino a domani a quest'ora. Allora vi daròla risposta entro quell'ora - disse il gentiluomoe scomparveseguito dal padrone.

Mici volle un bel po' di tempo per calmare il rema ci riuscii.

Perottenere questo gli sussurrai all'orecchio:

-Vostra grazia andrà via per nientema in un altro modo. Eanch'io. Stanotte saremo liberi entrambi.

-Ah! E come?

-Con questo oggetto che ho rubato aprirò questi lucchetti e cilibereremo di queste catenestanotte. Quando il padrone verràverso le nove e mezzoa fare l'ispezione notturnalo acciufferemolo imbavaglieremolo pesteremo e domattina presto marceremo fuori diquesta cittàproprietari di questa carovana di schiavi.

Nonaggiunsi altroma il re era felice e soddisfatto. Quella seraattendemmo pazientemente che i nostri compagni di schiavitù siaddormentassero.

Misembrava che ci mettessero un'eternità a iniziare il lororegolare russare. Il tempo scorreva lentamente e io cominciavo atemere che non ce ne sarebbe rimasto abbastanza per mettere in attoil nostro piano. Così feci diversi tentativi prematuri e nonriuscii che a ritardare le cosepoiché sembrava che nonpotessi toccare un lucchettolà in quel buiosenza provocareun tintinnio che interrompeva il sonno di qualcuno e lo facevasvegliare.

Maalla fine riuscii a sfilarmi l'ultimo ferro e fui di nuovo un uomolibero. Tirai un gran respiro di sollievo e tesi la mano verso iferri del re. Troppo tardi! Ecco il padronecon una lanterna in manoe la pesante mazza nell'altra. Mi rannicchiai stretto contro il bragorussante per nascondere come meglio potevo il fatto che ero senza iferrie tenni gli occhi bene apertipronto a balzare sul mio uomonon appena si fosse chinato su di me.

Manon si avvicinò. Si fermòdiede distrattamenteun'occhiata verso la massa scura dei nostri corpi per un minutoevidentemente pensando a qualcos'altro. Poi posò il lumesiavviò con aria meditabonda verso l'uscio e prima che sipotesse prevedere quello che avrebbe fattoera già fuoridalla porta e se l'era chiusa dietro - Presto! - disse il re -Riportalo indietro!

Eraevidente che era questa la cosa da farsi; fui in piedi e fuori dallaporta in un istante. Mapovero menon c'erano fanali a quei tempi ela notte era buia. Riuscii però a scorgere una figuraindistinta a pochi passi di distanza. Spiccai un balzo e mi ciavventai sopra e allora sì che la situazione divenne animata!Ci battemmo e ci azzuffammo e lottammo e attirammo una folla in menche non si dica. Tutti seguivano il combattimento con immensointeresse e ci incoraggiavano più che potevano. Poi scoppiòuna tremenda rissa dietro di noi e almeno metà del pubblico cilasciò per correre a dare il suo appoggio a quegli altri. Datutte le parti cominciarono a dondolare delle lanterne: era la scoltache si andava radunando da vicino e da lontano. E di lì a pocoun'alabarda mi cadde sulla schiena e capii cosa significava. Ero inarresto. E così il mio avversario. Ci fecero marciare verso laprigione ognuno a fianco della guardia. Che disastro! Ecco il crolloimprovviso di un bel progetto! Cercai di immaginare che cosa sarebbeaccaduto quando il padrone avesse scoperto che ero stato io abattermi con lui e che sarebbe successo se ci avessero imprigionatiinsieme nel reparto comune per i turbolenti e i piccoli trasgressoridella leggesecondo l'usanza. E che cosa avrebbe potuto...

Proprioin quel momento il mio antagonista voltò il viso dalla miapartela luce della lanterna di latta della guardia lo illuminòeper san Giorgioavevo sbagliato uomo!




Capitolo33


UNASITUAZIONE SPAVENTOSA


Dormire?Era impossibile. Sarebbe stato normalmente impossibile in quellarumorosa caverna di prigionecon la sua miserabile folla di furfantiubriachilitigiosi e sguaiati. Ma ciò che rendeva il sonnoassolutamente impossibile era la bruciante impazienza di scappare daquesto luogo e di scoprire per intero quello che era accaduto laggiùnella baracca degli schiaviin conseguenza di quel mio imperdonabilefiasco.

Fuuna notte lungama finalmente venne mattino. Feci una schietta ecompleta dichiarazione in tribunale. Dissi che ero uno schiavo diproprietà del grande conte Gripil quale era arrivato dopo iltramonto alla locanda del Tabarronel villaggio dall'altra parte delfiumeed era stato costretto a fermarsi là per la notteessendosi gravemente ammalato di uno strano e improvviso malore.

Miera stato ordinato di traversare la città in tutta fretta perandare a chiamare il miglior medico: naturalmente correvo con tuttele mie forze. La notte era buia ed ero andato ad urtare contro quelpopolanoil quale mi aveva afferrato per la gola ed aveva cominciatoa pestarmisebbene io gli avessi detto la mia incombenza e lo avessiimploratoin nome del mortale pericolo in cui versava l'illustreconte mio padrone...

Ilpopolano mi interruppe e disse che era una menzogna e stava perspiegare come io gli fossi saltato addosso e lo avessi aggreditosenza nemmeno una parola...

-Silenziovoi! - lo interruppe il giudice. - Portatelo fuori di qui edategli qualche frustata per insegnargli a comportarsi diversamenteun'altra voltacon il servo di un nobiluomo.

Andate!Poi la corte mi chiese scusa ed espresse la speranza che io non avreimancato di spiegare a sua signoria che non era assolutamente colpadel tribunale se era accaduto quell'abuso.

Dissiche avrei messo ogni cosa a posto e così presi congedo.

Nonpersi tempo. Fui presto agli alloggi degli schiavi. Vuotituttispariti! Cioètutti eccetto unoil padrone degli schiavi.

Giacevalìridotto in poltiglia e tutt'intorno c'erano i segni di unalotta terribile. Alla portasu un carroc'era una rozza bara diassi e degli operaiaiutati dalla poliziastavano aprendosi unvarco tra la follache assisteva a bocca apertaper riuscire aportarla dentro.

Scelsiun uomo di condizione abbastanza umile da accondiscendere a parlarecon uno straccione come me ed ebbi la sua versione dell'accaduto.

-C'erano sedici schiavi qui. Si sono ribellati al loro padrone durantela notte e tu vedi com'è finita.

-Sìma com'è cominciata?

-Non c'erano testimonise non gli schiavi. Essi dicono che lo schiavodi maggior valore si era liberato dai ceppi ed era scappato in modomisteriosoper mezzo di arti magichesi pensaperché nonaveva chiavi e i lucchetti non erano spezzatiné danneggiatiin alcun modo. Quando il padrone scoprì tale perditadiventòuna furia per la disperazione e si gettò con il suo pesantebastone sulla sua genteche oppose resistenza e gli spezzò laschiena e in altri diversi modi gli inflisse ferite che lo portaronorapidamente alla morte.

-E' orribile. Andrà male per gli schiavi al processosenzadubbio.

-Affèil processo è finito.

-Finito!

-Credi forse che ci avrebbero messo una settimana per decidere unafaccenda tanto semplice? Non si sono soffermati nemmeno la metàdi un quarto d'ora su tale questione.

-E gli schiavi quando moriranno?

-Probabilmente entro le ventiquattro oresebbene vi sia chi dice cheattenderanno un paio di giorni in piùperché potrebbedarsi il caso che nel frattempo si trovi quello che manca.

Quelloche manca! Queste parole mi fecero sentire a disagio.

-C'è qualche probabilità che lo trovino?

-Sìprima che sia finito il giorno. Lo cercano ovunque. Sonoalle porte della città con alcuni degli schiavi che losegnaleranno appena lo vedranno e nessuno può uscire senzaessere prima esaminato.

-Si può vedere il luogo dove gli altri sono rinchiusi?

-Di fuori. sì.

Presil'indirizzo di quella prigione per una futura eventualità epoi mi allontanai. Alla prima bottega di abiti usati che incontrai inuna strada secondariami procurai un rozzo abbigliamento adatto a unuomo di mare che dovesse partire per un lungo viaggio e mi fasciai lafaccia con un'ampia bendadicendo che avevo mal di denti. Questonascondeva i miei lividi più evidenti. Fu una trasformazione.Non somigliavo più a quello di prima. Poi mi buttai allaricerca di quel filo di ferrolo trovai e lo seguii fin alla suabase segreta. Era una stanzetta sopra a una bottega di macellaioilche significava che non c'era molta attività nel campotelegrafico. Il giovanotto addetto all'ufficio sonnecchiava al suotavolo. Chiusi la porta e mi misi in petto la grossa chiave. Questoallarmò il giovane che già si apprestava a far chiassoma io gli dissi:

-Risparmia il fiato. Se apri bocca sei mortogarantito. Mettitiall'apparecchio. Sveltosu! Chiama Camelot.

-Ciò mi stupisce! Come può uno come te conoscere tuttodi faccende così...

-Chiama Camelot! Sono alla disperazione. Chiama Cameloto levatidall'apparecchio e lo farò io stesso.

-Che? Tu?

-Sìcerto. Smetti di ciarlare. Chiama il palazzo.

Fecela chiamata.

-E adesso chiama Clarence.

-Clarence "chi"?

-Non importa Clarence chi. Dì che vuoi Clarence: tirisponderanno.

Cosìfece. Aspettammo cinque logoranti minutidieci minutie poi si udìun click che mi era familiare quanto una voce umanaperchéClarence era stato mio allievo.

-Oraragazzo sgombra!

Eglilasciò libero il posto e drizzò le orecchie perascoltarema non gli servì. Io usai un linguaggio cifrato.Non sprecai il tempo in convenevoli con Clarencema andai dritto alfattocosì:

"Ilre è qui e si trova in pericolo. Siamo stati catturati eportati qui come schiavi. Non siamo in grado di provare la nostraidentità e il fatto è che non sono in condizioni ditentarlo.

Mandacinquecento cavalieri scelti al comando di Lancillottoe mandali dicorsa. Dovranno entrare dalla porta sud-ovest e cercare l'uomo con unpanno bianco intorno al braccio destro".

Larisposta fu sollecita.

"Partirannofra mezz'ora".

"BenissimoClarence. E ora dì a questo ragazzo che io sono amico tuo eche non pago e che deve essere discreto e non dir nulla di questa miavisita".

Clarencecominciò a parlare al giovane e io mi allontanai in fretta. Mimisi a calcolare. Fra mezz'ora sarebbero state le nove.

Cavalierie cavalli in armatura pesante non potevano viaggiare molto svelti.Avrebbero marciato al miglior tempo possibile e ora che il terrenoera in buone condizionisenza neve né fangoavrebberoprobabilmente tenuto un'andatura di sette miglia.

Avrebberodovuto cambiare i cavalli un paio di volte. Sarebbero arrivati versole sei o poco più tardi; ci sarebbe stata ancora luce asufficienza. Avrebbero visto il panno bianco che mi sarei legatointorno al braccio destro e io avrei assunto il comando.

Avremmocircondato la prigione e avremmo liberato il re in un batterd'occhio. Sarebbe stato abbastanza grandioso e pittorescotutto benconsideratoanche se io avrei preferito l'ora di mezzodìpervia dell'aspetto più teatrale che la cosa avrebbe assunto.

Mail mio progetto colò a picco come un pezzo di piombo! Appenagirato l'angoloandai a cadere in pieno addosso a uno dei nostrischiavi che andava in giro a ficcanasare con una guardia. Io tossiiproprio in quel momento e quello mi dette un'occhiata improvvisa chemi penetrò fino al midollo delle ossa. Immagino che pensòdi avere già udito quella tosse. Mi infilai immediatamente inuna bottega e mi accostai al bancochiedendo i prezzi degli oggettie vigilando con la coda dell'occhio. Quei due si erano fermati sullasoglia e parlavano guardando dentro. Decisi di uscire dal retro dellabottega e domandai alla bottegaia se potevo uscire un momento di làa cercare lo schiavo fuggito che si credeva fosse nascosto da quelleparti. Dissi che ero un ufficiale travestito e che il mio compagnoera là alla porta con uno degli assassini in custodia e chiesise voleva essere tanto cortese da affacciarsi e dirgli che non miaspettasse e cheanziavrebbe fatto meglio a recarsi subitoall'altro capo del vicolo dietro la casaper essere pronto atagliargli la stradanon appena io l'avessi scovato.

Ellaardeva dal desiderio di vedere uno di quei criminali ormai celebrieandò subito a fare la commissione. Io sgusciai fuoridall'uscita posterioremi chiusi la porta alle spallemi misi lachiave in tasca e mi allontanai ridacchiando soddisfatto fra me e me.

Avevofatto un altro sbaglio. L'ufficialeinvece di fare la cosa piùnaturaleentrare nel negozio per poi trovare la porta sbarratamiprese in parola e seguì le mie istruzioni. E cosìmentre uscivo trotterellando da quel vicolo ciecosoddisfattissimodella mia astuziaegli girava l'angolo e io entrai dritto nelle suemanette. Se avessi saputo che era un vicolo cieco... ma non ci sonoscuse per un errore così grossolanolasciamo andare.

Naturalmentemi indignai e giurai che ero appena sbarcato da un lungo viaggio permare e altre cose del generetanto per vedere se riuscivo a trarrein inganno quello schiavo. Ma non la bevve.

Miconosceva. Allora lo rimproverai per avermi tradito. Egli parve piùstupito che offeso e disse:

-Ma comeavrei dovuto lasciar fuggire tefra tutti e non fartiimpiccare con noituche sei la vera causa della nostraimpiccagione? Ma va' là!

"Mava' là!" era il loro modo di dire "Mi fai ridere!"oppure "Questa è bella!". Che strano modo di parlareaveva quella gente.

Lasciaicadere il discorso. Quando non si può rimediare una catastrofecon la discussionea che serve discutere? E così dissisoltanto:

-Tu non sarai impiccato. Nessuno di noi lo sarà. I due uominirisero e lo schiavo disse:

-Non eravate considerato pazzofino ad ora. Fareste meglio a cercaredi mantenere la vostra reputazionevisto che lo sforzo non dureràa lungo.

-Credo che resisterò. Prima di domani saremo tutti fuori diprigione eper di piùliberi di andare dove vorremo.

Lospiritoso ufficiale si portò il pollice all'altezzadell'orecchio sinistrosi schiarì la gola e disse:

-Fuori di prigione... sì... dite il vero. E anche liberi diandare dove vorretepurché non sia fuori del regno soffocantedi sua grazia il diavolo. Restai calmo e dissi con indifferenza:

-Dunquesuppongo che voi crediate davvero che noi saremo impiccatitra un giorno o due.

-Lo credevo fino a pochi minuti faperché così èstato deciso e proclamato.

-Ah! Allora avete cambiato parerenon è vero?

-Proprio così. Allora lo pensavo soltanto. Adesso lo so. Misentivo sarcasticoperciò dissi:

-Ohsapiente servitore della leggeaccondiscendi a dircidunqueciò che sai.

-Che voi sarete tutti impiccati "oggi"a metàpomeriggio. Oh!Oh!

Questoha colpito nel segno! Appoggiati a me.

Ilfatto è che avevo proprio bisogno di appoggiarmi a qualcuno. Imiei cavalieri non potevano arrivare in tempo. Sarebbero arrivatitroppo tardidi almeno tre ore. Nulla al mondo poteva salvare il red'Inghilterra e neppure meil che era più importante. Piùimportantenon solo per mema anche per il paesel'unico paese almondo che si stava preparando a sbocciare alla civiltà. Misentivo male. Non dissi più niente: non c'era piùniente da dire.

Sapevoche cosa intendeva dire quell'uomoche se fosse stato trovato loschiavo mancanteil rinvio sarebbe stato revocato e l'esecuzioneavrebbe avuto luogo in giornata. Behlo schiavo mancante era statotrovato.




Capitolo34


SERLANCILLOTTO E I CAVALIERI ALLA RISCOSSA


Eranocirca le quattro del pomeriggio. La scena era appena fuori delle muradi Londra. Una giornata frescaserenamagnificacon un solesplendentequel tipo di giornata che fa venire la voglia di viverenon di morire. La moltitudine era imponente e di grande portata.Eppure noi quindici poveri diavoli non avevamo lì in mezzoneppure un amico. C'era qualcosa di doloroso in questo pensierocomunque lo si volesse considerare.

Eravamoseduti lìsu quell'alto patibolobersaglio dell'odio e delloscherno di tutti quei nemici. Avevano fatto di noi lo spettacolo diun giorno di festa. Avevano costruito una specie di grande palco peri nobili e i gentiluominie questi erano lì al completo conle loro signore. Ne riconoscemmo parecchi.

Lafolla ricevette un breve e inaspettato diversivo dal re.

Nell'istantein cui fummo liberati dai legamiegli balzò sunei suoipittoreschi cencicol viso irriconoscibile per le ammaccature e siproclamò Artùre di Britanniaminacciando tremendepene per tradimento a ogni anima presentese fosse stato torto unsolo capello della sua sacra testa. Rimase sbalordito e interdettonel sentirli scoppiare in una dilagantefragorosa risata. Questoferì la sua dignità ed egliallorasi chiuse nelsilenziosebbene la folla lo pregasse di continuare e cercasse diprovocarlo a parlare con fischilazzi e grida di:

-Lasciatelo parlare! Il re! il re! I suoi umili sudditi hanno fame esete delle sagge parole che escono dalla bocca del loro padronesuaSerenissima e Sacra Cenciosità!

Matutto fu vano. Egli assunse il contegno più maestoso e rimaseimpassibile sotto quella pioggia di spregi e d'insulti. Certoa modosuoera grande.

Distrattamentemi ero levato la benda bianca e l'avevo avvolta intorno al bracciodestro. Quando la folla se ne accorseincominciò aprendersela con me. Dissero:

-Senza dubbio questo marinaio è il suo ministroosservate lasontuosa insegna della sua dignità!

Lilasciai continuarefinché non furono stanchi e poi dissi:

-Sìsono il suo ministroil Capo. E domani udrete ciòda Camelot che...

Nonpotei proseguire. Mi subissarono di festosa derisione. Ma di lìa poco si fece il silenziopoiché gli sceriffi di Londrainabito da cerimoniacominciarono a muoversisegno che lo spettacolostava per avere inizio. Nel silenzio che seguì fu dichiarato avoce alta il nostro delittofu letta la sentenza di mortepoi tuttisi scoprirono il capo mentre un prete recitava una preghiera.

Poiuno schiavo fu bendato; il boia sciolse la sua corda. Sotto di noi sistendeva la strada liscia. Noi su un lato di essa e la moltitudineassiepata formava un muro sull'altro lato: una bella strada liberatenuta sgombra dalla polizia. Come sarebbe stato bello vederearrivare al galoppo i miei cinquecento cavalieri. Ma noeraassolutamente impossibile. Seguii con lo sguardo il suo percorso chesi perdeva in lontananza: non si vedeva un cavaliere.

Cifu uno strattone e lo schiavo penzolò dondolando edivincolandosi orrendamenteperché le sue membra non eranolegate.

Unaseconda corda fu sciolta e un momento dopo un secondo schiavopenzolava dondolando.

Unaltro minuto e un terzo schiavo si dibatteva per aria. Era orribile.Distolsi il viso per un momento e quando mi voltai di nuovo non vidipiù il re! Lo stavano bendando! Ero paralizzato:

nonmi potevo muoveresoffocavoavevo la lingua pietrificata.

Finironodi bendarlo e lo condussero sotto la corda. Non riuscivo a scuotermida quello stato di impotenza che mi pesava addosso.

Maquando vidi che gli mettevano il nodo scorsoio intorno al colloqualcosa mi scattò dentro e balzai alla riscossa. Nel farequestolanciai un'altra occhiata in distanza. Per Giove! Eccoli chearrivanoa gran carriera! Cinquecento cavalieri in cotta di maglia ecinturain bicicletta!

Lospettacolo più grandioso che mai si era visto. Signorecomesventolavano i pennacchicome fiammeggiava e balenava il sole daquell'interminabile corteo di ruote raggiate!

Agitaiil braccio destromentre Lancillotto giungeva in volata.

Egliriconobbe il mio cencio. Strappai cappio e benda e urlai:

-In ginocchiotutti voi furfantie rendete omaggio al re! Chi non lofarà cenerà all'inferno stanotte!

Usosempre uno stile altezzoso quando voglio portare al massimo uneffetto. Ahfu bellissimo vedere Lancillotto e i miei ragazzibuttarsi all'arrembaggio di quel patibolo e rovesciare di sottosceriffi e compagni. E fu bello vedere quella sbalordita moltitudinecadere in ginocchio e supplicare di avere salva la vita da quel reche poco prima aveva deriso e insultato.

Eroimmensamente soddisfatto. Considerando la situazione nel suo insiemeera uno degli effetti più spettacolari che avessi maiprovocato.

Edopo poco ecco che arriva Clarence in carne ed ossa e mi strizzal'occhio e dice in stile molto moderno:

-Bella sorpresanon è vero? Sapevo che ti sarebbe piaciuta.

Avevofatto allenare i ragazzi per parecchio temposegretamente.

Enon vedevano l'ora di mettersi in mostra.




Capitolo35


ILCOMBATTIMENTO FRA LO YANKEE E I CAVALIERI


Dinuovo a casaa Camelot. Una mattina o due dopo trovai il giornaleancora umido di stampavicino al mio piatto sul tavolo dellacolazione. Andai a guardare la colonna della pubblicitàsapendo che ci avrei trovato qualcosa che mi avrebbe interessatopersonalmente. Era questo:

Sappiateche il grande signore e illustre cavaliereSER SAGRAMOR IL DESIROSOavendo consentito di incontrare il Ministro del reHank Morganilquale è soprannominato Il Capoper soddisfazione di offesaanticamente datasi impegneranno in lizza presso Camelot verso l'oraquarta del mattino del sedicesimo giorno di questo prossimo seguentemese. La pugna sarà a oltranzadato che la detta offesa fu dicarattere mortale e che non ammetteva conciliazione.

Finoal giorno fissatoin tutta la Britannia non si parlò d'altroche di questo combattimento. Non perché un torneo fosse unavvenimento di grande importanza; non perché ser Sagramoravesse trovato il Santo Graalpoiché non era riuscito atrovarlo; non perché il secondo personaggio del regno fosseuno dei duellanti.

Notutte queste caratteristiche erano molto comuni. Tuttavia c'era unabuona ragione che giustificava lo straordinario interesse suscitatoda questa imminente contesa. Questo nasceva dal fatto che tutto ilpaese sapeva che non sarebbe stato un duello fra semplici uominipercosì direbensì un duello fra due maghi potenti. Unduello non di muscolima di intellettinon di umane abilitàma di arte e abilità sovrumanela lotta decisiva fra i duemaestri incantatori dell'epoca. Tutti si rendevano conto che le gestapiù prodigiose dei più celebri cavalieri non potevanoreggere al paragone di uno spettacolo come questo.

Sìil mondo intero comprendeva che si sarebbe trattatoin realtàdi un duello fra Merlino e mela misura dei suoi poteri magicicontro i miei.

Sisapeva che Merlino si era affaccendato giorno e notte a infonderealle armi e all'armatura di ser Sagramor poteri soprannaturali e chesi era procurato per lui dagli spiriti dell'aria un velo impalpabileche avrebbe reso chi lo portava invisibile al suo antagonistapurlasciandolo visibile agli altri uomini. Contro ser Sagramor cosìarmato e protettomille cavalieri non avrebbero potuto fare nullanessuno degli incantesimi conosciuti avrebbe potuto prevalere.

Questifatti erano certi. A questo proposito non c'erano dubbi.

Nonc'era che un interrogativo: ci potevano essere altri incantesimi"ignoti" a Merlino che potessero rendere trasparente a meil velo di ser Sagramor e vulnerabile alle mie armi la sua cotta dimaglia incantata? Questa era l'unica cosa che si sarebbe decisa nellalizza. Fino a quel momento il mondo doveva restare nell'incertezza.

Perciòil mondo pensava che ci fosse una gran posta in gioco ed avevaragione; ma non era la posta che tutti avevano in mente. Noera ingioco una puntata molto più alta: l'esistenza della cavalleriaerrante. Io ero un campioneè vero. Ma non il campione dellafrivola magia nera: io ero il campione del più sincero buonsenso e della ragione. Scendevo in lizza per distruggere lacavalleria errante o per rimanerne vittima.

Perquanto vasto fosse il campo del torneonon c'era un solo postolibero fuori dell'arenaalle dieci del mattino del sedici.

Ilgigantesco palco era rivestito di bandierepennacchi e ricchi arazzie stipato di parecchi ettari di piccoli re con i loro seguitiedall'aristocrazia britannicacon la nostra comitiva reale al postod'onore. L'immenso campo di tende vivacemente colorate eimbandieratecon le sentinelle in piedi immobili ad ogni ingresso euno scudo lucente appeso accanto per la sfidaformavano un altrobello spettacolo. Vedeteogni cavaliere che avesse una certaambizione o un certo spirito di casta era presentepoiché imiei sentimenti verso la loro categoria non erano un segreto equindiquesta era l'occasione buona per loro.

Sevincevo il mio combattimento contro ser Sagramorgli altri avrebberoavuto il diritto di chiamarmi in campofinché io avessi avutovoglia di rispondere. Alla nostra estremità del campo c'eranodue tende soltanto: una per me e una per i miei servi.

All'orafissata il re fece un cenno e gli araldi lessero il proclamadicendoi nomi dei combattenti e dichiarando la ragione della sfida. Ci fuuna pausapoi un alto squillo di tromba che era per noi il segnaledi presentarci. Tutta la moltitudine trattenne il fiato e una vivacuriosità balenò su tutti i volti.

Dallasua tenda uscì cavalcando il grande ser Sagramorimponentetorre di ferrosolenne e rigidal'enorme lancia in resta e strettanella forte manoil muso e il petto del suo grande destrieroricoperti d'acciaioil corpo rivestito di ricchi drappi che sitrascinavano quasi sul terreno. Si levarono alte grida di accoglienzae di ammirazione.

Epoi venni fuori io. Ma non fui accolto da nessuna acclamazione.

Cifu un eloquente silenzio di sorpresa per un momento e poi una grandeondata di risa cominciò a dilagare su quel mare umano. Ma unosquillo ammonitore di tromba ne interruppe il corso. Io indossavo ilpiù semplice e il più comodo dei costumi da ginnasta:

magliacolor carne dal collo alle calcagnacon sbuffi di seta azzurraintorno ai fianchi ed ero a capo scoperto. Il mio cavallo non era dicorporatura superiore alla mediama era agile e snellocon muscolicome molle d'orologio e veloce come un levriero. Era una bellezzalucente come seta e nudo come quando era venuto al mondosalvo labriglia e la sella militare. La torre di ferro e la sgargiantecoperta imbottita avanzaronoingombrantima graziosamentepiroettantilungo l'arenae noi trotterellammo con leggerezza versodi loro.

Cifermammo: la torre salutòio risposi. Poi ci rigirammo ecavalcammo fianco a fianco sino al palco e ci fermammo di fronte alre e alla regina ai quali facemmo un inchino.

Letrombe squillarono ancora e noi ci separammo e cavalcammo verso leopposte estremità dell'arenadove ci mettemmo in posizione.

Allorasi fece avanti il vecchio Merlino che gettò una delicata tramadi fili di garza su ser Sagramorche lo trasformò nellospettro di Amleto.

Ilre fece un cennole trombe squillaronoser Sagramor mise la suagran lancia in resta e l'istante dopo caracollava con rombo di tuonogiù per l'arena con il velo che gli svolazzava dietro. Io gliandai incontro sibilando nell'aria come una frecciamentre tendevol'orecchiocome per indovinare la posizione e l'avanzare invisibiledel cavaliere con l'udito e non con la vista.

Uncoro di grida d'incoraggiamento si alzò per lui e una voceanimosa lanciò una parola di conforto per medicendo:

-Metticela tuttaamico!

C'erada scommettere che era stato Clarence. Quando quella formidabilepunta di lancia fu a un metro e mezzo dal mio pettofeci fare al miocavallo uno scarto da una partesenza sforzo e il grosso cavalieremi passò accanto segnando un punto nullo.

Questavolta ebbi uno scroscio di applausi. Ci voltammoraccogliemmo leforze e di nuovo ci lanciammo avanti. Altro punto nullo per ilcavaliere e applausi fragorosi per me. La stessa cosa si ripetéun'altra volta e io riscossi un tal vortice di applausi che serSagramor perse la calmamutò subito tattica e presel'iniziativa di darmi la caccia. Figurateviin questo non aveva laminima probabilità a suo favore: era come giocare arincorrersi con tutti i vantaggi dalla mia parte. Io giostravoagevolmente fuori della sua portataquando volevo e una volta glidiedi una pacca sulla schiena mentre gli giravo dietro. Alla finepresi io l'iniziativa dell'inseguimentoe da quel momentoperquanto facessegirasse e si contorcessenon riusciva mai a trovarsidietro di me. Alla fine di ogni sua manovra si ritrovava sempredavanti. Perciò rinunciò a questa tattica e si ritiròalla sua estremità dell'arena.

Lasua calma era scomparsa del tutto ormai. Aveva perso il controllo disé e mi lanciò un insulto che fece perdere le staffeanche a me. Sfilai il laccio dall'arcione e afferrai la funearrotolata con la mano destra. Questa volta avreste dovuto vederloavvicinarsi! Era animato da serie intenzioni di sicuro ea giudicaredall'andamentoi suoi occhi dovevano essere iniettati di sangue. Iosedevo comodo sul mio cavallo facendo ruotare il gran cappio del miolaccio in ampi cerchi sopra la mia testa. Nel momento in cui presel'avvioio mi mossi per andargli incontro.

Quandolo spazio fra me e lui fu ridotto a dodici metrilanciai la fune afendere l'ariapoi sfrecciai da una partemi voltai e bloccai ilmio cavallo addestratocon le quattro zampe puntatepronto per ilcontraccolpo. L'istante dopo la fune si tese di scatto e scaraventòser Sagramor giù dalla sella! Per Gioveche sensazione!

Indiscutibilmentela cosa che ha più successo in questo mondo è lanovità. Quella gente non aveva mai visto prima d'allora nulladi queste cose da cowboy e fu addirittura travolta dall'entusiasmo.

Tutt'intornoe da ogni parte si levò un grido:

-Bis! Bis!

Nonappena il mio laccio fu allentato e ser Sagramor venne aiutato arientrare nella sua tendaraccolsi la funemi rimisi in posizione ericominciai a far roteare il cappio intorno alla testa. Ero sicuroche avrei avuto modo di usarlo non appena avessero eletto unsuccessore a ser Sagramor.

Infattine elessero uno immediatamente: ser Hervis de Revel. Bzzz!

Eccolovenire come un fulmine; lo schivai. Passò come un lampo con lespire della mia fune che gli si adagiavano intorno al collo e unsecondo o due dopo... la sella era vuota.

Ebbiun'altra richiesta di bispoi un'altra e un'altra ancora.

Quandoebbi disarcionato cinque uominila cosa cominciò ad apparireseria a quelli rivestiti di ferro e si fermarono per consultarsi. Laconclusione fu che decisero che era ora di mettere da partel'etichetta e di mandarmi contro i più grandi e i migliori.Con grande stupore di quel piccolo mondopresi al laccio ser Lamorakde Galis e dopo di lui ser Galahad. Quindi non c'era proprio piùniente da farese non giocare la carta decisivatirar fuori il piùsuperbo dei superbiil più potente dei potentiil gran serLancillotto in persona!

Sefu un momento di orgoglio per me? Lo credo bene. Laggiù c'eraArtùre di Britannialaggiù c'era Ginevra. Sìl'intera tribù di piccoli re e reucci di provincia e laggiùnell'attendamentofamosi cavalieri di molte contradeil corpo piùscelto della cavalleria che si conoscessei Cavalieri della TavolaRotondai più illustri di tutta la Cristianità.

Efatto più importante di tuttiil sole stesso del lororisplendente sistema era laggiù che puntava la lancia. E iotutto soloero là ad aspettarlo.

Eccodunque arrivare "l'Invincibile" con l'impeto di un vortice.

Ilmondo dei cortigiani si alzò in piedi e si chinò inavanti. Le spire fatali rotearono in aria ein un batter d'occhiomi rimorchiavo per il campo ser Lancillottosteso sulla schienaelanciavo baci con la mano all'uragano di fazzoletti sventolanti e alrombo tonante degli applausi che mi salutavano!

Mentrearrotolavo il mio laccio e lo riappendevo all'arcionemi dissi: "Lavittoria è completanessun altro si avventurerà controdi me. La cavalleria errante è morta".

Immaginatedunque il mio stuporee anche quello di tutti gli altrinell'udirequel particolare squillo di tromba che annuncia che un altrocontendente sta per scendere in lizza! Qui c'era un mistero: nonriuscivo a trovare una spiegazione. Poi osservai Merlino che siallontanava furtivamente da me e allora mi accorsi che il mio laccioera sparito! Il vecchio esperto giocoliere me l'aveva rubato di certoe l'aveva fatto scivolare sotto la veste.

Latromba squillò un'altra volta. Guardai e vidi tornare serSagramor nuovamente a cavalloben spolverato e col velo rimesso aposto per benino. Gli andai incontro al trotto e finsi di individuarela sua presenza per il rumore degli zoccoli del suo cavallo.

Eglidisse:

-Tu sei proprio d'orecchioma ciò non ti salverà daquesta! - e toccò l'elsa dello spadone. - Se non siete ingrado di vederla a cagione dell'influsso del velosappiate che non èuna lancia ingombrantebensì una spada e mi aspetto che nonriusciate ad evitarla.

Lasua visiera era alzata: c'era la morte nel suo sorriso. Io non sareimai riuscito a schivare la sua spadaquesto era chiaro.

Questavolta qualcuno doveva morire. Se il primo colpo era il suoavreipotuto dire chi. Avanzammo insieme e salutammo i reali.

Latromba diede il segnale e noi ci separammo e cavalcammo verso inostri posti. Lì ci fermammoa distanza di cento metril'unodi fronte all'altro.

Ecosì restammoin un silenzio assolutoper un buon minuto.

Tuttici fissavanonessuno si muoveva.

Ilre alzò la mano e lo squillo chiaro della tromba seguìal cenno. La lunga lama di ser Sagramor descrisse una curvalampeggiante nell'aria ed era uno spettacolo superbo vederloarrivare. Io rimasi fermo. Egli si avvicinava. Io non mi mossi. Lagente eccitatissima mi gridava:

-Fuggifuggi. Salvati! E' un assassino!

Ionon mi spostai di un pollicefinché quella tonanteapparizione non fu che a quindici passi da me. Allora presi conrapida mossa la rivoltella dalla fondina della sella. Ci fu un lampoun romboe la rivoltella rientrò nella fondina prima chequalcuno potesse dire con esattezza quel che era successo.

Quicaracollava un cavallo senza cavaliere e là giaceva serSagramormorto stecchito.

Lagente che era accorsa rimase ammutolita nel vedere che la vita avevaveramente abbandonato quell'uomo senza alcuna ragione apparentenessun danno alla personanulla che assomigliasse a una ferita.

C'eraun buco sul petto della sua cotta di magliama non venne dataimportanza a una piccolezza come quella e poiché la ferita diun proiettile in quel punto non produce molto sanguenessuno se neaccorsea causa delle vesti e dell'imbottitura sotto la corazza.

Ilcorpo fu trascinato fuori perché il re e i dignitari potesserovederlo. Naturalmente rimasero tutti stupefatti e sbalorditi. Fuipregato di andare a spiegare il prodigio. Ma io rimasi dov'erofermocome una statua e dissi:

-Se questo è un ordine verròma il remio signoresache io sono dove le leggi del combattimento esigono che io rimangafinché vi sia qualcuno che desideri battersi con me. Attesi.

Nessunolanciò la sfida. Allora dissi:

-Se c'è qualcuno che dubiti che io abbia conquistato il campoin modo degno e lealenon attendo che egli mi sfidilo sfido io.

-E' un'offerta da prode cavaliere - disse il re - e ben ti si addice.Chi nominerai per primo?

-Non nominerò nessuno. Li sfido tutti! Io sono qui e sfidotutta la cavalleria d'Inghilterra a misurarsi con menonindividualmentema in massa!

-Che?! - gridarono una ventina di cavalieri.

-Avete udito la sfida. Raccoglietelao io vi proclamo cavalierifelloni e sconfittidal primo all'ultimo! Era un bluffcapite.

Maquella volta... behle cose assunsero un aspetto minaccioso.

Inun lampo cinquecento cavalieri balzarono in sella e in un batterd'occhio un'estesa mandria in ordine sparsosi mise in moto e venneverso di me scalpitando. Strappai le due rivoltelle dalle fondine ecominciai a misurare le distanze e a calcolare le probabilità.

Bum!Una sella vuota. Bum! Un'altra. Bumbume ne seminai due.

Eraun duello all'ultimo sangue fra noi e io lo sapevo. Se sparavol'undicesimo colpo senza convincere quella genteil dodicesimocavaliere avrebbe certamente ammazzato me. Perciònon misentii mai tanto felice come quando il nono colpo abbatté ilsuo uomo e io scorsi nella folla quell'ondeggiare che è segnopremonitore di panico. Alzai tutte e due le rivoltelle e le puntai.

L'ordache si era fermata rimase immobilegiusto un momento poi ruppe lefile e si dette alla fuga.

Lagiornata era mia. La cavalleria errante era un'istituzione ormaicondannata. La marcia della civiltà era cominciata. Quello cheio provavo? Ahnon lo potreste mai immaginare.

Efratello Merlino? Il suo prestigio era di nuovo a terra. Non si sacomeogni volta che la magia del saltimbanco gareggiava con quelladella scienzala magia del saltimbanco aveva la peggio.




Capitolo36


TREANNI DOPO


Quandoquella voltaspezzai la schiena alla cavalleria errantenon misentii più obbligato a lavorare in segreto. Perciòsindal giorno dopo esposi le mie scuole nascostele mie miniere e ilmio vasto sistema di fabbriche e di officine clandestine a un mondostupefatto. Vale a dire che esposi il diciannovesimo secolo allosguardo del sesto.

E'sempre un buon sistema approfittare subito di un vantaggio. Icavalieriper il momentoerano a terrama se volevo che cirestasserodovevo semplicemente paralizzarlinon c'era nient'altroda fare.

Rinnovaila mia sfidala feci incidere sull'ottone e affiggere dove qualsiasiprete avrebbe potuto leggerla a loro e la feci anche inserire nellecolonne della pubblicità del giornale.

Nonsolo la rinnovaima ne aumentai le proporzioni. Dissi di indicare ilgiorno e io avrei preso cinquanta assistenti e "avrei tenutotesta alla cavalleria in massa di tutta la terra e l'avreidistrutta".

Dicevosul serio; ero in grado di fare quello che promettevo.

Durantei tre anni che seguirono non mi dettero nessun fastidio che valga lapena di essere menzionato.

Fateconto che i tre anni siano passati. Ora date un'occhiataall'Inghilterra. Un paese felice e fiorente e stranamente cambiato.Scuole dappertutto e parecchie universitàun certo numero didiscreti giornali. Perfino la letteratura cominciava a prenderel'avvio. Ser Dinadanl'Umoristafu il primo a scendere in campo conun volume di vecchie barzellette che mi erano familiari da tredicisecoli. Se avesse lasciato fuori quella storiella che mi aveva fattoinfuriare tanto non avrei detto nulla. Ma quella proprio nonon lapotevo sopportare. Feci sopprimere il libro e impiccare l'autore.

Laschiavitù era morta e sepolta. Tutti gli uomini erano ugualidi fronte alla leggele tasse erano state equamente distribuite. Iltelegrafoil telefonoil fonografola macchina da scriverelamacchina da cucire e tutte le migliaia di invenzioni derivate dalvapore e dall'elettricità si facevano strada nel favorepopolare.

Avevamoun paio di battelli a vapore sul Tamigiavevamo navi da guerra avapore e l'inizio di una marina mercantile a vapore. E io mipreparavo a mandare una spedizione alla scoperta dell'America.

Stavamocostruendo varie linee ferroviarie e la nostra linea fra Camelot eLondra era già finita e in funzione.

Nonc'era più in tutto il paese un cavaliere che non fosseimpiegato in qualche cosa di utile. Andavano da un capo all'altro delpaese con ogni genere di utili incarichi missionari. La loro tendenzaalla vita errabonda e la loro esperienza in materia facevano di loroi più efficaci divulgatori di civiltà che avessimo.Andavano vestiti di acciaio ed equipaggiati di spadalancia e ascia.Se non riuscivano a persuadere una persona a provare una macchina dacucireo una fisarmonicao una staccionata di filo spinatoo ungiornaleo una qualsiasi delle mille e una cosa di cui sollecitavanol'acquistotoglievano di mezzo la persona e proseguivano. Io erofelicissimo. Le cose procedevano costantemente verso una metasegretamente agognata.

Vedeteavevo due progetti in mente che erano i più grandiosi fratutti i miei progetti. Uno era di rovesciare la Chiesa Cattolica e dielevare sulle sue rovine la fede protestante; l'altro di ottenere inbreve tempoun decreto in forza del qualealla morte di Artùsarebbe stato istituito il suffragio universale e sarebbe statoconcesso tanto agli uomini che alle donne.

Artùsarebbe andato bene per altri trent'annidato che aveva quasi la miaetàvale a dire quarant'anni. Poi ci doveva essere unarepubblica. Behtanto vale che lo confessisebbene provi un sensodi vergogna quando ci ripenso: cominciavo a sentire un forte emeschino desiderio di esserne io il primo presidente. Sìc'era in mepiù o menol'ambizione della natura umana. Me neresi conto.

Discutevodi questo con Clarencequando entrò di corsa Sandypazza diterrore e quasi soffocata dai singhiozziche per un minuto nonriuscì a ritrovare la voce. Le corsi incontrola presi tra lebracciala coprii di carezze e le dissi in tono implorante:

-Parlacaraparla! Che cosa c'è?

Abbandonòil capo sul mio petto e mormorò con voce affannosaappenaudibile:

-Pronto-Centralino!

-Presto! - gridai a Clarence - Telefona al medico del re di venire.

-Due minuti dopo ero inginocchiato accanto al lettino della bambina eSandy mandava i servi di quadi là e da tutte le parti delpalazzo. Mi resi conto della situazione quasi alla prima occhiata:laringite acuta! Mi chinai e sussurrai:

-Svegliati amore! Pronto-Centralino!

Ellaaprì languidamente i dolci occhi e riuscì a dire:

-Papà.

Misentii sollevato. Era ancora ben lontana dall'essere in pericolo divita. I dottori dissero che dovevamo portar via la bambina sevolevamo ridarle forza e salute. E doveva respirare aria di mare.Così prendemmo una nave da guerra con un seguito diduecentosessanta persone e partimmo in crociera. Dopo quindici giornisbarcammo sulla costa francese e i dottori furono del parere chesarebbe stato bene soggiornare lì per un po' di tempo.

Ilreuccio di quella provincia ci offerse ospitalità e noi fummolieti di accettarla.

Dopoun mese mandai il vascello in patria a prendere nuove provviste enotizie. Lo aspettavamo di ritorno dopo tre o quattro giorni. Miavrebbe dovuto riportareinsieme ad altre notizieil risultato diun certo esperimento che avevo iniziato. Avevo in progetto disostituire i tornei con qualcosa che offrisse una valvola di sfogoall'eccesso di energia dei cavalieri. Qualcosa che tenesse queicaproni occupati e fuori dai guai e nello stesso tempo conservassequanto c'era di meglio in lorovale a dire il loro tenace spirito diemulazione.

Questoesperimento era il baseball. Affinché la cosa prendesse piedefin dall'inizio e per tenerla fuori da ogni criticaavevo scelto lesquadre di nove uomini secondo i titoli nobiliari e non secondo lecapacità. Non c'era un cavaliere in ciascuna delle squadre chenon fosse un re fornito di scettro. S'intende che non riuscii apersuadere quella gente a mettere da parte l'armatura:

nonse la levavano nemmeno per fare il bagno. Acconsentirono adifferenziare le armature in modo che si potesse distinguere unasquadra dall'altrama quella fu la massima concessione che fecero.

Dapprimaavevo nominato come arbitri uomini non titolatima fui costretto acambiare idea. Questa gente non si accontentava facilmentenon piùdelle solite squadre. La prima decisione di un arbitro erageneralmente anche l'ultima. Lo facevano in due pezzi con un colpo dimazza e i suoi amici lo raccattavano e lo portavano a casa inbarella.

Quandosi cominciò a osservare che l'arbitro non sopravviveva mai auna partital'arbitraggio diventò impopolare. Perciòfui obbligato a nominare qualcuno il cui grado e posizione elevatanel governo lo proteggessero. Ecco i nomi delle due squadre:


BESSEMER

ReArtù.

ReLot di Lothian.

Redi Northgalis.

ReMarsilio.

Redi Piccola Britannia.

ReLabour.

RePellam di Listengese.

ReBagdemagus.

ReTolleme La Feintes.


ULSTER

ImperatoreLucius.

ReLogris.

ReMarhalt d'Irlanda.

ReMorganore.

ReMarco di Cornovaglia.

ReNentres di Garlot.

ReMeliodas di Liones.

Redel Lago.

IlSoldano di Siria.

Arbitro:Clarence.


Laprima partita in pubblico avrebbe certamente attirato cinquantamilapersone e quanto al divertimento valeva la pena di fare il giro delmondo per andare a vederla. Tutto pareva essere favorevole.




Capitolo37


L'INTERDETTO


Mala mia attenzione fu bruscamente distolta da tali faccende. La nostrabambina cominciò di nuovo a peggiorare e dovemmo riprendere avegliarlaperché il suo caso era diventato molto grave. Nonpotevamo permettere a nessuno di aiutarci in questo compito e cosìnoi due ci alternavamo a vegliarla senza tregua.

AhSandy che cuore onesto avevae come era sempliceschietta e buona.Era una madre e una moglie perfetta. Eppure io l'avevo sposata senzauna ragione particolarema solo perchésecondo l'usanzadella cavalleriaella era mia proprietà finché qualchealtro cavaliere me l'avesse conquistata in campo. Sandy mi avevacercato per tutta la Britannia. Mi aveva finalmente ritrovato allaperiferia di Londra sul palco della forca e aveva ripresoimmediatamente il suo posto di prima al mio fiancocon naturalezzacome di diritto. E ci eravamo sposati.

Alloranon sapevo di aver vinto un terno al lottoma fu proprio così.Prima che fosse passato un anno ero diventato il suo adoratore e ilnostro amore era il più caro e il più perfetto che siamai esistito.

Daprincipionei miei sogni vagavo ancora nel mondo lontano tredicisecoli e il mio spirito inquieto erravachiamando e ascoltandosu egiù nel vuoto senza risposta di un mondo svanito.

Moltevolte Sandy aveva udito quel grido implorante sfuggire dalle mielabbra nel sonno. Con grande generositàella trasferìquella mia invocazione sulla nostra bambinacredendo che fosse ilnome di un mio amore perduto. Mi sentii commosso fino alle lacrime eper poco non caddi tramortito quando ella mi guardò in facciacon un sorriso e mi fece questa bizzarra e graziosa sorpresa:

-Il nome di una persona che a te fu cara è qui conservatoquifatto sacroe il suo dolce suono dimorerà sempre con noi. Oratu mi bacerai ben sapendo il nome che ho dato alla bambina.

Manonostante ciòio non lo sapevo. Non ne avevo la piùlontana ideama sarebbe stato crudele confessarlo e guastarle il suogiuoco affettuoso. Così non la delusi e dissi:

-Sìlo soamoree quanto è buono e caro da parte tua!Ma voglio udire da queste tue labbrache sono anche miepronunciarlo per la prima volta.

Profondamentecompiaciuta ella mormorò:

-Pronto-Centralino!

Ellanon si accorse mai del suo errore. La prima volta che udìquella forma di saluto al telefono fu sorpresa e non ne fu affattocontenta. Ma le dissi che avevo dato io quell'ordinein onore dinostra figlia. Ebbenevigilammo presso la culla per due settimane emezzo. Poi venne la nostra ricompensa: la bambina superò lacrisi e cominciò a migliorare. Tornammo a questo mondo in unistante! E allora ci guardammo e nel medesimo istante leggemmo l'unonegli occhi dell'altro lo stesso pensiero di stupore: erano passatepiù di due settimane e la nave non era ancora ritornata.

Unminuto dopo ero alla presenza del mio seguito. I miei compagni eranosprofondati in tristi presentimenti per tutto quel tempolo sileggeva sui loro volti. Non riuscivamo a immaginare una spiegazionelogica. C'era stata un'invasione? Un terremoto? Una pestilenza? Lanazione era stata cancellata dalla faccia della terra? Ma non servivaa niente cercare di indovinare. Dovevo partire subito. Presi aprestito dalla flotta del re una "nave" non piùgrande di una lancia a vapore e fui subito pronto.

Laseparazioneah sìfu dura. Mentre divoravo di baci labambinaella si animò e cominciò a balbettare nel suovocabolarioper la prima volta in più di due settimane equesto ci rese pazzi di gioia tutti e due.

Accostail'Inghilterra il mattino seguentecon la vasta distesa di acquasalata tutta per me. C'erano navi nel porto di Doverma erano privedi vele e intorno a loro non c'era segno di vita. Era domenicaeppure a Canterbury le vie erano vuote. Ecosa più strana dituttenon c'era nemmeno un prete in vista e non si sentiva alcunsuono di campane. Il lugubre aspetto della morte era dovunque. Nonriuscivo a capire.

Finalmenteall'estremo limite di quella città vidi un piccolo corteofunebre: soltanto una famiglia e alcuni amici seguivano una baranonun prete. Un funerale senza campanesenza messale e senza candele.C'era una chiesa lì vicino ma essi vi passarono accantopiangendo e non entrarono. Diedi un'occhiata al campanile e vidipenzolare la campana avvolta in un sudario nerocol batacchiolegato. Ora mi rendevo conto! Ora capivo l'immensa calamitàche era piombata sull'Inghilterra. Un'invasione?

Un'invasioneè niente al confronto. Era l'Interdetto!

Nonfeci domandenon ce n'era bisogno. La Chiesa aveva colpito.

Quelloche dovevo fare era trovare un travestimento e andare in giro concautela. Uno dei miei servi mi diede un abito equando fummo alsicuro al di là della cittàlo indossai e da quelmomento viaggiai solo. Non potevo rischiare l'impaccio di unacompagnia. Fu un triste viaggio. Un silenzio desolato dappertutto.

Perfinoa Londra. Il traffico era cessato; gli uomini non parlavanononridevanonon andavano in gruppi e neppure a coppie; si aggiravanosenza scopociascuno per conto suoe capo chino con il dolore e lospavento nel cuore. La Torre recava recenti segni di guerra. Inverità molte cose erano accadute.

Naturalmenteera mia intenzione prendere il treno per Camelot.

Treno!Macché! La stazione era vuota come una caverna. Andai avanti.Arrivai a notte inoltrata. La città meglio illuminata delregnoera diventata semplicemente una macchia scura. Mi diede lasensazione di una specie di avvertimento; che ora la Chiesa avrebbemantenuto il predominio e avrebbe soffocato tutta la mia bellaciviltàproprio così. Non vidi segno di vita nellestrade buie. Avanzai a tentoni col cuore pesante. L'enorme castellosi ergeva nero sulla cima del colle e non si vedeva un barlume diluce. Il ponte levatoio era abbassatoil gran portone eraspalancato. Entrai senza incontrare ostacoli. Il rumore dei mieipassi era l'unico suono che udiied era un suono sepolcraleinquelle immense corti vuote.




Capitolo38


GUERRA


TrovaiClarence solo nel suo alloggiosprofondato nella malinconia. Alposto della luce elettrica aveva rimesso in uso la vecchia lampada estava lì seduto in una cupa penombra con tutte le tendeabbassate. Balzò in piedi e mi corse incontro con slanciodicendo:

-Vale un miliardo di decimillesimi rivedere una persona ancora viva!

Miriconobbe senza difficoltàcome se non fossi statotravestito.

-Presto su dimmiche cosa significa questo terribile disastro.

Comeè avvenuto? - chiesi.

-Behse non ci fosse stata la regina Ginevra non sarebbe successocosì prestoma sarebbe successo in ogni modo. Sarebbeavvenuto per causa tuaprima o poi. Per fortuna è accaduto acausa della regina.

-E di ser Lancillotto?

-Proprio così.

-Dammi i particolari...

Clarencespiegò al Capo che Lancillotto aveva comprato alla Borsa leazioni della ferrovia e ne aveva moltiplicato il valoremandando inrovina molti cavalieri che erano in concorrenza con lui. Questicavalieriguidati da ser Mordredavevano svelato al re l'amore traGinevra e Lancillottoprovocando una grande guerra: da una parteerano schierati i seguaci di Artùdall'altra quelli diLancillotto. Per inseguire Lancillotto nella sua città il reaveva abbandonato il regnoaffidandolo a ser Mordred.

Questinon solo non volle restituirloma tentò di sposare la reginaGinevra che fuggì e si rifugiò nella Torre di Londra.Ser Mordred tentò di assalire la Torre ed il Vescovo glipiombò addosso con l'Interdetto. Il re ritornò. Vi fuun terribile combattimento in cui nessuno rimase vivo. Lo stesso serMordredmorendoaveva trafitto con la spada il corpo di Artù.

-E' un buon pezzo di corrispondenza di guerraClarence. Sei ungiornalista di prim'ordine. Behsta bene il re? Si è rimesso?

-Poverettono. E' morto.

Rimasicompletamente stordito: non mi pareva possibile che una feritapotesse essere mortale per lui.

-E la reginaClarence?

-Si è fatta monacaad Almesbury.

-Che cambiamenti! E in così breve tempo. E' incredibile. Michiedo che altro accadrà.

-Te lo posso dire io quello che avverrà.

-Ebbene?

-Metteremo in gioco le nostre vite e le difenderemo!

-Che intendi dire con ciò?

-La Chiesa è padrona ora. L'Interdetto ha incluso anche te conMordred e non sarà rimosso finché tu sarai vivo. Lefazioni si stanno formando. La Chiesa ha riunito tutti i cavalieriche sono rimasti in vita enon appena ti avranno scopertoavremoparecchio da fare.

-Ma via! Con il nostro potente materiale scientifico di guerra con lenostre schiere di specialisti...

-Risparmia il fiatoci sono rimasti meno di sessanta fedeli!

-Che vai dicendo? Le nostre scuolele nostre universitàlenostre fabbrichele nostre...

-Quando arriveranno quei cavalieriquelle fabbriche si vuoteranno etutti passeranno al nemico. Credevi di avere sradicato lasuperstizione da questa gente con l'educazione?

-Ne ero proprio sicuro.

-Behè meglio che tu non lo sia. Hanno resistito facilmente atutte le pressionifino all'Interdetto. Da allora semplicementefingono un atteggiamento coraggiosoma in cuor loro stanno tremando.Convincitiquando gli eserciti arriveranno la maschera cadrà.

-Queste son brutte notizie. Siamo perduti. Ritorceranno la nostrastessa scienza contro di noi.

-Nonon lo faranno.

-Perché?

-Perché io e un pugno di fedeli abbiamo bloccato la possibilitàdi un tiro simile. Ti dirò quello che ho fatto e cosa mi haindotto a farlo. Per quanto tu sia scaltrola Chiesa è stataancora più scaltra. E' stata la Chiesa a mandarti in crocieracon l'aiuto dei suoi servii medici.

-Clarence!

-E' la verità. Lo so. Ogni ufficiale della tua nave era unservitore scelto della Chiesa e così tutti gli uominidell'equipaggio. Mentre eri via la nostra flotta era improvvisamentee misteriosamente scomparsa! E anchealtrettanto misteriosamente eimprovvisamentele ferrovie e il telegrafo e il telefono cessaronodi funzionare. Tutti gli uomini disertaronoi pali della luce furonoabbattuti e la Chiesa mise al bando la luce elettrica! Dovevo darmida fare e subito... La tua vita era al sicuro. Nessuno in questoregnoeccetto Merlinosi sarebbe arrischiato a toccare un mago cometesenza avere diecimila uomini alle spalle. Non dovevo pensare chea mettere a punto nel modo più efficiente i preparativi per iltuo ritorno. Mi sentivo anch'io al sicuro: nessuno avrebbe tentato dicolpire un tuo beniamino. Cosìecco quel che feci. Scelsidalle nostre varie fabbriche tutti gli uominivoglio dire i ragazzisulla cui fedeltà sottoposta a qualsiasi pressione potevogiurareli riunii in segreto e diedi loro le istruzioni. Ce ne sonocinquantadue:

unonon ha ancora quattordici anni e non ce n'è nessuno al disopra dei diciassette.

-Perché hai scelto dei ragazzi?

-Perché tutti gli altri sono nati in un'atmosfera disuperstizione e sono stati allevati in essa. Ce l'hanno nel sangue enelle ossa. Noi credevamo di avergliela sradicata con l'educazione.Lo credevano anche loro. L'Interdetto li ha svegliati come unimprovviso scoppio di tuono! Con i ragazzi è stato diverso.Coloro i quali sono stati istruiti da noi per sette o dieci anni nonhanno conosciuto il terrore della Chiesa e proprio fra questi trovaii miei cinquantadue. Come seconda mossafeci una visita segreta aquella vecchia grotta di Merlinoquella grande...

-Sìquella in cui avevamo messo di nascosto il nostro primogrande impianto elettrico.

-Proprio così. Ho approvvigionato la caverna per un assedio...

Unabuona ideaun'idea di prim'ordine.

Clarencecontinuòspiegando che aveva collegato alla cavernacon deifili elettricii depositi di dinamite messi in precedenza sotto lefabbrichei mulinile officine. Così dalla caverna si potevafar saltare tutto in ariasenza lasciare nelle mani del nemico lemodernità fatte costruire dal Capo. Inoltreattorno allagrottaper un diametro di cento metrierano state disposte dodicibarriere di filo elettrico ad alta tensionealle quali la correntepoteva essere attaccata o tolta dalla grotta. Poi erano statepiazzate su una piattaformaalta due metrivicino alla cavernatredici mitragliatrici. Infine tutto il terreno circostante lebarriere esterne era stato minato.

-Clarencehai fatto un mucchio di lavoro e l'hai fatto allaperfezione.

-Abbiamo avuto tanto tempo per farlo. Non c'era ragione diaffrettarsi.

Restammoin silenzio per un po' a pensare. Poi presi la mia decisione e dissi:

-Sìtutto è pronto. Tutto è in perfetto ordinenon manca nessun particolare. Ora so quel che bisogna fare.

-Anch'io: sedersi e aspettare.

-Nossignore! Alzarsi e colpire!

-Dici sul serio?

-Sìcertamente! La difensiva non è il mio generel'offensiva sìlo è. Oh sìci alzeremo ecolpiremo. Questo sarà il nostro giuoco.

-Cento contro uno che hai ragione tu. Quando incomincia lo spettacolo?

-Ora"! Proclameremo la Repubblica!

-Behquesto precipiterà le cosedi sicuro.

-Li farà ronzarete lo dico io! L'Inghilterra sarà unvespaio prima di domani a mezzogiornose la mano della Chiesa non haperso la sua abilitàe noi sappiamo che non l'ha persa. Orascrivi e io ti dettocosì:


PROCLAMA


SIARESO NOTO A TUTTI. Poiché il re è morto e non halasciato erediè mio dovere mantenere l'autoritàesecutiva di cui sono stato investitofino a che non venga creato emesso in funzione un governo. La monarchia è finitanonesiste più. Ne consegue che ogni potere politico ritorna allasua fonte originariail popolo della nazione. Con la monarchia sonomorte anche le sue istituzioni; perciò non c'è piùun'aristocrazianon più una classe privilegiatanon piùuna Chiesa Costituita. Tutti gli uomini sono diventati ugualisonotutti allo stesso livello e la religione è libera.


CONIL PRESENTE MANIFESTO VIENE PROCLAMATA LA REPUBBLICA.

E'dovere del popolo britannico radunarsi immediatamente econ ilproprio votoeleggere i rappresentanti e affidare nelle loro mani ilgoverno.


Firmai"Il Capo" e lo datai dalla caverna di Merlino.


Clarencedisse:

-Ma questo indica loro dove siamo e li invita a farci una visitaimmediatamente.

-E' proprio quello che intendo. Noi "colpiamo" con ilProclamapoi è il loro turno. E adesso fa preparare questacosafalla stampare e distribuire. Poi se hai a disposizione un paiodi biciclette ai piedi della collinaviaalla caverna di Merlino!

-Sarò pronto fra dieci minuti. Che ciclone ci saràdomaniquando questo pezzo di carta comincerà a funzionare!




Capitolo39


LABATTAGLIA DELLA CINTURA DI SABBIA


Nellacaverna di Merlinodunquecon me c'erano Clarencee cinquantaduegiovani ragazzi britannicifreschibrillantibene educatidall'animo puro. All'alba mandai alle fabbriche e a tutte le nostregrandi officine l'ordine di fermare il lavoro e di trasferire tutti auna buona distanza di sicurezzaperché ogni cosa sarebbesaltata in aria ad opera di mine segrete "e non si sapeva inquale momentoquindi bisognava evacuare immediatamente". Quellagente mi conosceva e si fidava della mia parola.

Dovemmoattendere una settimana. Non mi annoiai perché scrissi tuttoil tempo. Per i primi tre giorni finii di mettere il mio vecchiodiario in questa forma narrativa. Mancava soltanto un capitolo peraggiornarlo. Passai il resto della settimana a scrivere a mia moglie.

Ogninotte mandavo fuori delle spiea raccogliere informazioni.

Adogni rapporto le cose apparivano sempre più impressionanti. Leschiere si stavano riunendo e ammassando; lungo tutte le strade e isentieri d'Inghilterra cavalcavano i cavalieri econ lorocavalcavano i preti per incoraggiare questi originali crociatipoiché questa era la guerra della Chiesa.

Tuttal'aristocraziagrande e piccolaera in marcia e anche la piccolanobiltà terriera. Tutto questo era stato previsto...

Dovevamoassottigliare le file di questa gente a tal puntoche il popolo nonavrebbe poi avuto altro da fare che farsi avanti con la repubblicae... Ahche somaro ero! Verso la fine della settimana cominciai arendermi conto di questa grave e deludente realtà: la massadel popolo si era unita a loro. Aveva sventolato i berretti einneggiato alla repubblica per un giorno ed era finito tutto lì.

LaChiesai nobili e la piccola nobiltà avevano rivolto su diloro un solo sguardo severo e disapprovatore e li avevano ridotti aun branco di pecore! Da quel momento le pecore avevano cominciato aradunarsi nell'ovilevale a dire negli accampamentiper offrire leloro vite senza valore e la loro preziosa forza alla "giustacausa".

Ilgran giorno arrivò puntualmente. All'albala sentinella diguardia nel recinto venne nella caverna e riferì che una granmassa scura si muoveva all'orizzonte e che si udiva un fievole suonochea suo pareredoveva essere musica militare. La colazione eraprontasedemmo e ci mettemmo a mangiare.

Poifeci un breve discorso ai ragazzi e mandai un distaccamento apresidiare la batteriacon Clarence al comando.

Ilsole sorse di lì a poco e riversò sulla terra il suotrionfante splendore. Vedemmo un'armata enorme che si muovevalentamente verso di noi con l'impeto costante e la compattezza diun'onda del mare. Nel suo avanzare sempre più vicinoil suoaspetto diveniva sempre più solenne e imponente. Sìtutta l'Inghilterra era làevidentemente.

Benpresto vedemmo sventolare le innumerevoli bandiere e poi il soleilluminò quel mare di armature e ne fece tutto un bagliore.

Eraun spettacolo magnifico: non avevo mai visto niente che lo superasse.Improvvisamente si udì uno squillo di trombe; il passo lentosi mutò in galoppo e poi - behera meraviglioso a vedersi -quell'immensa ondata a forma di cavallo si rovesciò in avantie si avvicinò alla cintura di sabbia. Più vicinosempre più vicino...

MioDio! L'intero fronte di quell'armata schizzò in cielo con unboato di tuono e si trasformò in una vorticosa tempesta distracci e di frammenti. Sul terreno era rimasta una densa muraglia difumo che nascondeva alla nostra vista quel che rimaneva di quellamoltitudine. Via con la seconda parte del piano strategico! Toccai unbottone e le ossa dell'Inghilterra si staccarono dalla sua spinadorsale!

Inquell'esplosione tutte le nostre grandiose fabbriche di civiltàsaltarono in aria e sparirono dalla faccia della terra. Era unpeccatoma fu necessario. Non potevamo rischiare che il nemicorivolgesse contro di noi le nostre stesse armi.

Doposeguì uno dei più noiosi quarti d'ora che io abbia maisopportato. Attendemmo in silenziosa solitudinechiusi dai nostricerchi di filo elettrico e da un cerchio di denso fumo all'esterno.Non potevamo vedere oltre. attraverso il muro di fumo. Ma alla fineesso cominciò a diradarsi pigramente ein capo a un altroquarto d'orail terreno era sgombro e potemmo soddisfare la nostracuriosità. Non una creatura vivente in vista!

Ciaccorgemmo allora che si era aggiunto qualcosa alle nostre difese. Ladinamite aveva scavato un fosso largo più di trenta metritutt'intorno a noie aveva alzato un argine alto circa otto metriai due margini del fosso. Quanto alla distruzione di vite umaneeraspaventosa.

Nonc'era traccia di vita in vistama dovevano certamente esserci deiferiti nelle ultime file che dovevano essere stati portati via dalcamposotto la protezione del muro di fumo. Fra gli altricisaranno stati dei casi di nauseace ne sono sempre dopo episodi delgenere. Ma non ci sarebbero stati rinforzi: questa era l'ultimaresistenza della cavalleria d'Inghilterra. Era tutto quello che erarimasto dell'ordinedopo le recenti guerre distruttrici. Perciòmi sentivo perfettamente al sicuro nella convinzione che la massimaforza che avrebbero potuto portare contro di noi in futurononpoteva essere che piccola. Quindi mi congratulai con il mio esercito:

-Soldaticampioni della libertà umana e dell'uguaglianzailvostro generale si congratula con voi!

Laguerra contro la nazione inglese sta per concludersi. La nazione si èritirata dal campo e dalla guerra. Prima che possa essere persuasa aritornarela guerra sarà finita. Abbiamo finito con lanazione: d'ora in poi avremo a che fare soltanto con i cavalieri. Icavalieri inglesi si possono ucciderema non si possono sconfiggere.Sappiamo quello che ci aspetta. Finché uno solo di questiuomini resterà vivoil nostro compito non sarà finitola guerra non sarà finita. Li uccideremo tutti. (Clamorosi eprolungati applausi).

Misiun picchetto sui grandi argini sorti sulle nostre linee dopol'esplosioneuna semplice scolta di un paio di ragazzi per segnalareil nemico quando fosse ricomparso.

Poimandai un meccanico e quaranta uomini a deviare un ruscello montanoche era al di là delle nostre lineein direzione sudperportarlo entro le nostre linee e sotto il nostro controlloin modoche io potessi farne uso immediato in caso di necessità. Indieci ore l'opera era compiuta.

Ormaiera il tramonto e io ritirai i picchetti. Quello che era stato disentinella dal lato nord riferì che c'era in vista unaccampamentoma che era visibile solo con il cannocchiale.

Riferìancheche alcuni cavalieri si erano spinti con cautela nella nostradirezione e avevano mandato avanti alcuni capi di bestiame attraversole nostre lineema che i cavalieri non si erano avvicinati molto.Era proprio quello che mi ero aspettato.

Tastavanoil terrenocapite. Volevano sapere se avevamo l'intenzione discatenare nuovamente su di loro quel terrore rosso. Forse sisarebbero fatti più arditi durante la notte.

Potevoimmaginarmi che piano avrebbero tentatoperché erachiaramente la cosa che avrei tentato anch'iose fossi stato alposto loro e ignorante come loro. Ne accennai a Clarence.

-Credo che tu abbia ragione - rispose. - E' per loro la cosa piùovvia da tentare.

-Behallora - dissi - se lo fannoè la fine per loro.

-Certamente.

-Non avranno la minima possibilità di scampo.

-Non l'avranno di certo.

-E' terribileClarence. Mi fanno veramente pena.

Maera ora di mettersi all'opera. Provai i segnali elettrici cheandavano dalla piattaforma delle mitragliatrici alla caverna e miassicurai che funzionassero. Provai e riprovai quelli che comandavanoi reticolati: erano segnali per mezzo dei quali potevo interrompere eimmettere la corrente elettrica in ciascuna barrieraindipendentemente dalle altrea volontà. Misi il contatto perla deviazione del ruscello sotto la sorveglianza e la responsabilitàdi tre dei miei migliori ragazzi pronti a obbedire al mio segnalesesi fosse presentata l'occasione di darlotre colpi di rivoltella inrapida successione.

Nonappena fu completamente buiotolsi la corrente da tutte le barrieree poi mi feci strada a tentoni fino all'argine che limitava il nostrolato del grande fossato aperto dalla dinamite.

Strisciaifino alla cima e mi stesi làsul pendio di terriccio pervigilare. Ma era troppo buio per poter vedere qualcosa. Rumori non cen'erano. C'era un silenzio di morte. E' vero che c'erano i solitirumori notturni della campagnail fruscio degli uccelli notturniilronzio degli insettil'abbaiare dei cani in lontananzail distantesommesso muggire di mucchema questi suoni non rompevano ilsilenzioanzilo intensificavano e vi aggiungevano una lugubremalinconia.

Dopoun po' rinunciai a guardaretalmente buia si era fatta la notteetenni le orecchie tese per afferrare il minimo suono sospettopoichéero convinto che non dovevo far altro che aspettare e non sarei statodeluso. Tuttavia dovetti aspettare a lungo.

Finalmentecolsi quello che si potrebbe chiamare un vago barlume di suoniunrumore metallico attutito. Allora drizzai le orecchie e trattenni ilrespiropoiché era proprio quello che stavo aspettando. Ilsuono si fece più cupo e più vicino. Poi mi parve divedere una fila di punti neri apparire lungo quella sommità.

Udiiil rumore metallico che scendeva nel grande fossato. Aumentòrapidamente e dilagò tutto intornodandomi la provasenzapossibilità di dubbiodi questo fatto: un esercito armato siandava schierando nel fossato. Sìquesta gente ci stavaorganizzando una piccola sorpresa. Potevamo aspettarci lo spettacoloverso l'alba e forse prima.

Tornaia tentoni dentro il recinto: avevo visto quanto bastava.

Andaisulla piattaforma e feci il segnale di dare la corrente ai reticolatiinterni. Poi andai nella caverna e lì trovai che tuttofunzionava in modo soddisfacente. Svegliai Clarence e gli dissi cheil grande fossato si andava riempiendo di uomini e che pensavo che icavalieri si preparassero ad attaccarci in forza. Ero convinto cheall'appressarsi dell'alba potevamo aspettarci che i migliaia diuomini in agguato si sarebbero mossi in frotte sull'argine e ciavrebbero attaccatoseguiti immediatamente dal rimanentedell'esercito.

Benpresto distinguemmo un suono attutito e pesante e subito intuimmo diche si trattava. Era una sorpresa in forza che avanzava! Bisbigliai aClarence di andare a svegliare l'esercito e di avvertirlo diaspettare in silenzio nella caverna ulteriori ordini. Egli fu prestodi ritorno e restammo presso il reticolato interno a guardare ilfulmine silenzioso che compiva la sua opera spaventosa suquell'esercito brulicante. Si poteva vedere ben poco dei particolarima si poteva notare una grande massa scura che si andava addensandooltre il secondo reticolato. Quella grande massa crescente di mortifulminati. Il nostro campo era recintato da una solida muraglia dimortiun bastioneun baluardo di cadaveriper così dire. Lacosa terribile in tutto questoera l'assenza di voci umane: non siudivano né inneggiamenti né grida di guerra.

Intenticom'erano alla sorpresaquegli uomini si muovevano piùsilenziosamente che potevano. E semprequando la prima fila eraabbastanza vicina alla meta e al momento propizio per prepararsi alanciare il gridoessinaturalmenteurtavano la linea fatale estramazzavano senza renderne testimonianza. A questo punto mandai lacorrente attraverso il terzo reticolato e quasi contemporaneamenteattraverso il quarto e il quintorapidamente.

Pensaiche fosse ormai giunto il momento dell'effetto culminante; sapevo chel'intero esercito era in trappola. Ad ogni modo era ora diaccertarsene. Perciò toccai un bottone e feci fiammeggiarecinquanta soli elettrici in cima al nostro precipizio.

MioDioche spettacolo! Eravamo circondati da tre muraglie di morti!L'improvviso bagliore paralizzò questo esercitolopietrifico. Lanciai la corrente attraverso tutti i reticolati efulminai tutto l'esercito nemico sul posto! Ci fu un gemito udibile!Esprimeva lo spasimo di morte di undicimila uomini. Si dilatònella notte con una tremenda drammaticità.

Cibastò un'occhiata per vedere che il resto dell'esercitoforsediecimila uominiera fra noi e il fossato circostantee si spingevaavanti all'assalto. Di conseguenzali avevamo in pugno "tutti"e non avevano più speranza di salvezza. Era il momento perl'ultimo atto della tragedia. Sparai i tre colpi di rivoltellastabiliti per far aprire l'acqua.

Siudirono un improvviso scroscio e un rombo e un minuto dopo ilruscello montano scorreva impetuoso nel grande fossato e formava unfiume largo trenta metri e profondo otto.- Alle mitragliatriciuomini! Aprite il fuoco!

Letredici mitragliatrici cominciarono a vomitare la morte sui diecimilacondannati. Essi si fermaronorestarono fermi un momento ai loroposti contro quel fulminante diluvio di fuocopoi si scompigliaronofecero dietro front e si precipitarono verso il fossato come pulaspazzata dall'uragano. Un buon quarto delle loro forze non raggiunseneppure la cima dell'alto argine; gli altri tre quarti la raggiunseroe si tuffarono dall'altra parteper morire annegati.

Entrodieci brevi minuti da quando avevamo aperto il fuocola resistenzaera del tutto annientatala campagna era finita e noicinquantaquattro eravamo padroni dell'Inghilterra! Venticinquemilauomini giacevano morti intorno a noi.

Macome è infida la fortuna! In breve tempoun'oraaccadde unacosaper colpa miache... ma mi manca il coraggio per scriverla.

Lasciamoche la relazione finisca qui.




Capitolo40


POSTSCRIPTUMDI CLARENCE


IoClarencedevo scrivere per lui. Egli aveva proposto che noi dueandassimo a vedere se qualche aiuto poteva essere offerto ai feriti.Mi opposi energicamente a questo progetto. Dissi che se ce n'eranomolti si sarebbe potuto fare ben poco per loro e chead ogni modonon sarebbe stato prudente da parte nostra fidarci di andare in mezzoa loro. Ma raramente egli si lasciava distogliere da un propositouna volta che se lo era messo in testa. Cosìtogliemmo lacorrente elettrica dai reticolatiprendemmo con noi una scortaciarrampicammo sui circostanti bastioni di cavalieri morti e uscimmonel campo. Il primo ferito che invocò soccorso era seduto conla schiena appoggiata a un compagno morto. Quando il Capo si chinòsu di lui e gli parlòl'uomo lo riconobbe e gli vibròun colpo di pugnale. Quel cavaliere era ser Meliagraunceloriconobbi quando gli strappai via l'elmo. Non chiederà piùaiuto a nessuno.

Portammoil Capo nella caverna e curammo la sua feritache non era moltogravecome meglio potemmo. In questa funzione avemmo l'aiuto diMerlinosebbene non lo sapessimo. Era travestito da donna e sembravauna semplice vecchia massaia paesana. Sotto questo travestimentoconla faccia tinta di bruno e ben rasatasi era presentato pochi giornidopo che il Capo era stato ferito e si era offerto di cucinare pernoidicendo che i suoi erano andati via per raggiungere certi nuoviaccampamenti che il nemico stava formando e che ella moriva di fame.Il Capo si stava rimettendo molto bene e si divertiva a finire la suarelazione.

Fummoben lieti di avere questa donnaperché eravamo a corto dimano d'opera. Eravamo in trappolacapiteuna trappola tesa da noistessi. Se restavamo dove eravamol'aria avvelenata esalata daicadaveri ci avrebbe ucciso; se uscivamo dalle nostre difesenonsaremmo stati più invincibili. Avevamo vinto e a nostra voltaeravamo vinti.

IlCapo se ne rendeva conto: noi tutti ce ne rendevamo conto. Se fossimopotuti andare fino a uno di quei nuovi accampamenti a rimediare unqualche genere di accordo con il nemico. Giàma il Capo nonpoteva andare e nemmeno ioperché ero stato fra i primi acadere ammalato per l'aria avvelenata. Altri furono colpiti e altriancora. Domani...

Domani.Eccolo. E con questo la fine. Verso mezzanotte mi svegliai e vidiquella strega che faceva dei segni strani nell'aria intorno al capo eal viso del Capo. Mi chiesi che cosa mai significassero.

Tuttierano immersi nel sonno: non si udiva nessun rumore. La donna cessòil suo misterioso gesticolare e si avviò verso la porta inpunta di piedi. Io gridai:

-Ferma! Che cosa stavi facendo?

Ellasi fermò e dissecon accento di maligna soddisfazione:

-Eravate vincitoriora siete vinti! Costoro stanno morendoe anchetu. Morrete tutti in questo luogotuttieccetto "lui".

Eglidormeorae dormirà tredici secoli. Io sono Merlino!

Eallora lo colse un tale accesso di insane risateche cominciòa barcollare come un ubriaco e poco dopo andò a urtare controuno dei nostri fili. La sua bocca è ancora spalancataapparentemente ride ancora. Immagino che la sua faccia conserveràquel riso pietrificato finché il suo cadavere non diventeràpolvere.

IlCapo non si è più mosso. Dorme come un sasso. Se ogginon si svegliasapremo che genere di sonno è il suo e il suocorpo saràalloraportato in uno dei più remotirecessi della cavernadove nessuno lo troverà mai perprofanarlo.

Quantoa noiebbene siamo d'accordo chese qualcuno di noi usciràmai vivo da questo luogoscriverà il fatto quie poifedelmente nasconderà questo manoscritto assieme al Capoilnostro caro e buon capoa cui esso appartienesia egli vivo omorto.




Capitolo41


POSTSCRIPTUMDEFINITIVO DI MARK TWAIN


Quandodeposi il manoscritto l'alba era spuntata. La pioggia era quasicessatail mondo era grigio e triste. Andai fino alla camera dellosconosciuto e ascoltai alla porta che era leggermente socchiusa. Udiila sua voce e allora bussai. Non ci fu rispostama sentivo ancora lasua voce. Diedi un'occhiata dentro. L'uomo giaceva supino sul letto eparlava a scattima con animazionedando enfasi alle parole congesti delle bracciache agitava qua e là incessantementecome fanno i malati nel delirio. Entrai dentro pian piano e mi chinaisu di lui. I suoi borbottii e le sue esclamazioni continuavano. Ioparlaisoltanto una parolaper richiamare la sua attenzione. Gliocchi vitrei e il viso pallido si illuminarono istantaneamente dipiaceredi gratitudinedi gioia e di lieta accoglienza:

-OhSandyfinalmente sei venuta. Quanto ardentemente ho desideratola tua presenza! Siedi vicino a menon mi lasciarenon mi lasciaremai piùSandymai più. Dov'è la tua mano?

Dammelacaralascia che io la stringa... Sandy... Sìsei qui.

Misono smarrito e ho creduto che tu fossi andata via... Sono statomalato a lungo? Dev'essere così. Mi sembra per mesi e mesi.

Eche sogni! Dei sogni così strani e spaventosiSandy! Behcredevo che il re fosse mortocredevo che tu fossi in Gallia e nonpotessi tornare in patriache ci fosse la rivoluzione. Nelfantastico farneticare di questi giornicredevo che Clarence ed io eun pugno dei miei cadetti avessimo combattuto e sterminato l'interacavalleria d'Inghilterra! Ma neppure quello è stato il sognopiù strano. Mi sembrava di essere una creatura di un'etàlontanaancora da venirea secoli di distanza. Sìmisembrava di aver fatto un salto indietro da quell'epoca in questanostrae poi avanti in quella di nuovo e di essermi trovatostraniero e derelitto in quella strana Inghilterracon un abisso ditredici secoli spalancato fra me e te! Fra me e la mia casa e i mieiamici! Fra me e tutto quello che mi è carotutto quello chepuò rendere la vita degna di essere vissuta! Era tremendopiùtremendo di quanto tu possa immaginareSandy. Ahveglia vicino ameSandy... rimani vicino a meogni istante... non mi lasciareuscir di senno ancora. La morte non è nullavenga puremanon con quei sogninon con la tortura di quegli orrendi sogninonpotrei sopportare "quello" un'altra volta... Sandy...

Continuòa mormorare incoerentemente per breve tempo. Poi per un po' restòin silenzioevidentemente sprofondato sempre più verso lamorte. Poco dopo le sue dita cominciarono a stringere affannosamentela coperta e da questo segno capii che la fine era prossima. Con ilprimo accenno del rantolo della morte in golaegli si sollevòappenaparve stare in ascoltopoi disse:

-Uno squillo?... E' il re! Il ponte levatoiolà! Uominiaibastioni! Alzate il...

Stavaallestendo il suo ultimo "effetto". Ma non arrivò afinirlo.




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