Readme.it in English  home page
Readme.it in Italiano  pagina iniziale
readme.it by logo SoftwareHouse.it

Yoga Roma Parioli Pony Express Raccomandate Roma

Ebook in formato Kindle (mobi) - Kindle File Ebook (mobi)

Formato per Iphone, Ipad e Ebook (epub) - Ipad, Iphone and Ebook reader format (epub)

Versione ebook di Readme.it powered by Softwarehouse.it


GiovambattistaVico



VITADI GIOVAMBATTISTA VICO

SCRITTADA SE MEDESIMO



Ilsignor Giambattista Vico egli è nato in Napoli l'anno 1670 daonesti parentii quali lasciarono assai buona fama di sé. Ilpadre fu di umore allegrola madre di tempra assai malinconica; ecosì entrambi concorsero alla naturalezza di questo lorfigliuolo. Imperciocchéfanciulloegli fu spiritosissimo eimpaziente di riposo; ma in età di sette anniessendo colcapo in giù piombato da alto fuori d'una scala nel pianoonderimase ben cinque ore senza moto e privo di sensoe fiaccatagli laparte destra del cranio senza rompersi la cotennaquindi dallafrattura cagionatogli uno sformato tumoreper gli cui molti eprofondi tagli il fanciullo si dissanguò; talché ilcerusicoosservato rotto il cranio e considerando il lungosfinimentone fe' tal presagio: che egli o ne morrebbe o arebbesopravvivuto stolido. Però il giudizio in niuna delle duepartila Dio mercési avverò; ma dal guarito maloreprovenne che indi in poi e' crescesse di una natura malinconica edacrequal dee essere degli uomini ingegnosi e profondiche perl'ingegno balenino in acutezzeper la riflessione non si dilettinodell'arguzie e del falso.

Quindidopo lunga convalescenza di ben tre annirestituitosi alla scuoladella gramaticaperché egli speditamente eseguiva in casa ciòse gl'imponeva dal maestrotale speditezza credendo il padre chefusse negligenzaun giorno domandò al maestro se 'l suofigliuolo facesse i doveri di buon discepolo; ecoluiaffermandoglieloil priegò che raddoppiasse a lui le fatiche.Ma il maestro scusandosene perché il doveva regolare allamisura degli altri suoi condiscepoliné poteva ordinare unaclasse di un solo e l'altra era molto superiorealloraessendo atal ragionamento presente il fanciullocon grande animo priegòil maestro che permettesse a lui di passare alla superior classeperché esso arebbe da sé supplito a ciò che glirestava in mezzo da impararsi. Il maestropiù perisperimentare ciò che potesse un ingegno fanciullesco cheavesse da riuscire in fattiglielo permisee con sua meravigliasperimentò tra pochi giorni un fanciullo maestro di semedesimo.

Mancatoa lui questo primofu menato ad altro maestroappo 'l quale sitrattenne poco tempoperché il padre fu consigliato mandarloda' padri gesuitida' quali fu ricevuto nella loro seconda scuola.Il cui maestroavendolo osservato di buon ingegnoil diedeavversario successivamente a' tre più valorosi de' suoiscolaride' quali eglicon le "diligenze" che essi padridiconoo sieno straordinarie fatiche scolasticheuno avvilìun altro fe' cadere infermo per emularloil terzoperché benvisto dalla Compagniainnanzi di leggersi la "lista" cheessi diconoper privilegio d'"approfittato" fu fattopassare alla prima scuola. Di checome di un'offesa fatta a essoluiil Giambattista risentitoe intendendo che nel secondo semestre siaveva a ripetere il già fatto nel primoegli si uscìda quella scuola echiusosi in casada sé appresesull'Alvarez ciò che rimaneva da' padri a insegnarsi nellascuola prima e in quella dell'umanitàe passòl'ottobre seguente a studiare la logica. Nel qual tempoessendo diestàegli si poneva al tavolino la serae la buona madrerisvegliatasi dal primo sonno e per pietà comandandogli cheandasse a dormirepiù volte il ritruovò aver luistudiato infino al giorno. Lo che era segno cheavvanzandosi in etàtra gli studi delle lettereegli aveva fortemente a diffendere lasua stima da letterato.

Ebbeegli in sorte per maestro il padre Antonio del Balzo gesuitafilosofo nominale; ed avendo nelle scuole udito che un buonsommolista fosse valente filosofo e che 'l migliore che di sommoleavesse scritto fosse Pietro ispanoegli si diede fortemente astudiarlo. Indifatto accorto dal suo maestro che Paolo veneto erail più acuto di tutti i sommolistiprese anche quello perprofittarvi; ma l'ingegnoancor debole da reggere a quella spezie dilogica crisippeapoco mancò che non vi si perdesseonde consuo gran cordoglio il dovette abbandonare. Da sì fattadisperazione (tanto egli è pericoloso dare a' giovani astudiar scienze che sono sopra la lor età!) fatto disertoredegli studine divagò un anno e mezzo. Non fingerassi qui ciòche astutamente finse Renato Delle Carte d'intorno al metodo de' suoistudiper porre solamente su la sua filosofia e mattematica edatterrare tutti gli altri studi che compiono la divina ed umanaerudizione; macon ingenuità dovuta da istoricosi narreràfil filo e con ischiettezza la serie di tutti gli studi del Vicoperché si conoscano le propie e naturali cagioni della suatale e non altra riuscita di litterato.

Errandoegli così fuori del dritto corso di una ben regolata primagiovanezzacome un generoso cavallo e molto e bene esercitato inguerra e lunga pezza poi lasciato in sua balìa a pascolare perle campagnese egli avviene che oda una tromba guerrierariscuotendosi in lui il militare appetito gestisce d'esser montatodal cavaliere e menato nella battaglia; così il Viconell'occasione di una celebre accademia degl'Infuriatirestituita acapo di moltissimi anni in San Lorenzodove valenti letterati uominierano accomunati co' principali avvocatisenatori e nobili dellacittàegli dal suo genio fu scosso a riprendere l'abbandonatocamminoe si rimise in istrada. Questo bellissimo frutto rendonoalle città le luminose accademieperché i giovanilacui età per lo buon sangue e per la poca sperienza ètutta fiducia e piena di alte speranzes'infiammino a studiare perla via della lode e della gloriaaffinché poivenendo l'etàdel senno e che cura le utilitàesse le si proccurino pervalore e per merito onestamente. Così il Vico si ricevette dibel nuovo alla filosofia sotto il padre Giuseppe Riccipur gesuitauomo di acutissimo ingegnoscotista di setta ma zenonista nel fondoda cui egli sentiva molto piacere nell'intendere che le "sostanzeastratte" avevano più di realità che i "modi"del Balzo nominale; il che era presagio che egli a suo tempo siavesse a dilettare più di tutt'altre della platonicafilosofiaalla quale delle scolastiche niuna più s'avvicinache la scotisticae che egli poi avesse a ragionarecon altrisentimenti che con gli alterati di Aristotilei "punti" diZenonecome egli ha fatto nella sua Metafisica. Maad esso luisembrando il Ricci troppo essersi trattenuto nella spiegazionedell'ente e della sostanza per quanto si distingue per gli gradimetafisiciperché egli era avido di nuove cognizioni; edavendo udito che 'l padre Suarez nella sua Metafisica ragionava ditutto lo scibile in filosofia con una maniera eminentecome ametafisico si convienee con uno stile sommamente chiaro e facilecome infatti egli vi spicca con una incomparabil facondia; lasciòla scuola con miglior uso che l'altra voltae si chiuse un anno incasa a studiare sul Suarez.

Frattantouna sola volta egli si portò nella regia universitàdegli studie dal suo buon genio fu menato entro la scuola di donFelice Aquadiesvaloroso lettor primario di leggisul punto cheegli dava a' suoi discepoli tal giudizio di Ermanno Vulteio: chequesti fosse il migliore di quanti mai scrissero sulle instituzionicivili; la qual parolariposta dal Vico in memoriafu una delleprincipali cagioni di tutto il miglior ordine de' suoi studi e diquello vi profittò. Perchéapplicato poi dal padreagli studi legalitra per la vicinanza e molto più per lacelebrità del lettorefu mandato da don Francesco Verde -appo il quale trattenutosi due soli mesi in lezioni tutte ripiene dicasi della pratica più minuta dell'uno e dell'altro fòroe de' quali il giovanetto non vedeva i princìpisiccomequello che dalla metafisica aveva già incominciato a formarela mente universale e ragionar de' particolari per assiomi o sienmassime- disse al padre che esso non voleva andarvi più adimparareperché dal Verde esso sentiva di nulla apprendere;efacendo allora uso del detto dell'Aquadiesil priegò chechiedesse in prestanza una copia di Ermanno Vulteio ad un dottor dileggi per nome Nicolò Maria Gianattasiooscuro ne' tribunalima assai dotto di buona giurisprudenzail quale con lunga e moltadiligenza aveva raccolta una libreria di libri legali eruditipreziosissimaperché sopra di tale auttore esso da séstudierebbe l'instituzioni civili. Di che il padreingombro dallavolgar fama e grande del lettor Verdeforte maravigliossi: maperché egli era assai discretovolle in ciò compiacereal figliuoloed al Nicolò Maria gliele domandòalquale il padre - mentre il figliuolo il richiedeva del Vulteiocheera di assai difficile incetta in Napoli- siccome quello che eralibraiosi ricordò avergliene tempo indietro dato uno. IlNicolò Maria volendo sapere dal figliuolo medesimo la cagionedella richiestaquesti dicendogliela - che sulle lezioni del Verdeesso non faceva altro che esercitar la memoriae l'intelletto penavadi starvi a spasso- al buon uomo e savio di tai cose piacque tantoil giudizio o più tosto senso dritto non punto giovanile delgiovanettochefacendo perciò al padre certo presagio dellabuona riuscita del figliuolonon che imprestòdonòglinon solo il Vulteioma anche l'Instituzioni canoniche di ErrigoCanisioperché questi a esso Nicolò Maria sembrava ilmigliore che l'avesse scritte tra' canonisti. E sì il bendetto dell'Aquadies e 'l ben fatto di Nicolò Maria avviaronoil Vico per le buone strade dell'una e dell'altra ragione.

Ornel rincontrare particolarmente i luoghi della civileegli sentivaun sommo piacere in due cose: una in riflettere nelle somme delleleggi dagli acuti interpetri astratti in massime generali di giusto iparticolari motivi dell'equità ch'avevano i giureconsulti egl'imperadori avvertiti per la giustizia delle cause: la qual cosal'affezionò agl'interpetri antichi che poi avvertì egiudicò essere i filosofi dell'equità naturale; l'altrain osservare con quanta diligenza i giureconsulti medesimiesaminavano le parole delle leggide' decreti del senato e deglieditti de' pretori che interpetrano: la qual cosa il conciliòagl'interpetri eruditiche poi avvertì ed estimòessere puri storici del dritto civile romano. Ed entrambi questi duepiaceri erano altrettanti segnil'uno di tutto lo studio che avevaegli da porre all'indagamento de' princìpi del drittouniversalel'altro del profitto che egli aveva a fare nella lingualatinaparticolarmente negli usi della giurisprudenza romanala cuipiù difficil parte è il saper diffinire i nomi dilegge.

Studiatoche egli ebbe le une ed altre instituzioni sopra i testi dellaragione così civile come canonicanulla curando queste che sidicon "materie" da insegnarsi dentro il cinquenniodell'erudizione legalevolle applicarsi ai tribunali; e dal signordon Carlo Antonio de Rosasenatore di somma probità eprotettor di sua casafu condotto ad apprendere la pratica del fòrodal signor Fabrizio del Vecchioavvocato onestissimoche poivecchio morì dentro una somma povertà. Eper fargliapprender meglio la tela giudiziariaportò la sorte che pocodipoi fu mossa lite a suo padre nel Sacro Consigliocommessa alsignor don Geronimo Acquavivala quale egli in età di sedicianni da sé la condusse e poi la difese in ruotaconl'assistenza di esso signor Fabrizio del Vecchiocon riportarne lavittoria. La quale dopo aver ragionatane meritò lode dalsignor Pier Antonio Ciavarridottissimo giureconsultoconsiglieredi quella ruotae nell'uscire ne riportò gli abbracci dalsignor Francesco Antonio Aquilantevecchio avvocato di queltribunaleche gli era stato avversario.

Maquindicome da assai molti simili argomentisi puòfacilmente intendere che uomini in altre parti del sapere benavviatiin altre si raggirino in miserevoli errori per difetto chenon sono guidati e condotti da una sapienza intiera e che sicorrisponda in tutte le parti. Imperciocché egligiàdi mente metafisicatutto il cui lavoro è intendere il veroper generi econ esatte divisioni condotte fil filo per le speziede' generiravvisarlo nelle sue ultime differenzespampinava nellemaniere più corrotte del poetare modernoche con altro nondiletta che coi trascorsi e col falso. Nella qual maniera piùfu confermato da ciò: chedal padre Giacomo Lubrano (gesuitad'infinita erudizione e credito a que' tempi nell'eloquenza sacraquasi da per tutto corrotta) portatosi il Vico un giorno perriportarne giudizio se esso aveva profittato in poesiali sottoposeall'emenda una sua canzone sopra la rosala quale sì piacqueal padreper altro generoso e gentilechein età graved'anni ed in somma riputazione salito di grande orator sacroad ungiovanetto che non mai aveva inanzi veduto non ebbe ritegno direcitare vicendevolmente un suo idillio fatto sopra lo stessosoggetto. Ma il Vico aveva appreso una tal sorta di poesia per unesercizio d'ingegno in opere d'argutezzala quale unicamente dilettacol falsomesso in comparsa stravagante che sorprenda la drittaespettazione degli uditori: ondecome farebbe dispiacenza alle gravie severecosì cagiona diletto alle menti ancor deboligiovanili. Ed in vero sì fatto errore potrebbe dirsidivertimento poco meno che necessario per gl'ingegni de' giovaniassottigliati di troppo e irrigiditi nello studio delle metafisichequando dee l'ingegno dare in trascorsi per l'infocato vigor dell'etàperché non si assideri e si dissecchi affattoe con la moltaseverità del giudiziopropia dell'età maturaprocurata innanzi temponon ardisca appresso mai di far nulla.

Andavaegli frattanto a perdere la dilicata complessione in mal d'eticìaed eran a lui in troppe angustie ridotte le famigliari fortuneedaveva un ardente desiderio di ozio per seguitare i suoi studiel'animo abborriva grandemente dallo strepito del fòroquandoportò la buona occasione chedentro una libreriamonsignorGeronimo Rocca vescovo d'Ischiagiureconsulto chiarissimocome lesue opere il dimostranoebbe con essolui un ragionamento d'intornoal buon metodo d'insegnare la giurisprudenza. Di che il monsignorerestò così soddisfatto che il tentò a volerlaandare ad insegnare a' suoi nipoti in un castello del Cilento dibellissimo sito e di perfettissima ariail quale era in signoria diun suo fratellosignor don Domenico Rocca (che poi sperimentògentilissimo suo mecenate e che si dilettava parimente della stessamaniera di poesia)perché l'arebbe dello in tutto pari a'suoi figliuoli trattato (come poi in effetto il trattò)edivi dalla buon'aria del paese sarebbe restituito in salute ed arebbetutto l'agio di studiare.

Cosìegli avvenneperché quivi avendo dimorato ben nove annifeceil maggior corso degli studi suoiprofondando in quello delle leggie de' canonial quale il portava la sua obbligazione. E in graziadella ragion canonica inoltratosi a studiar de' dogmisi ritruovòpoi nel giusto mezzo della dottrina cattolica d'intorno alla materiadella graziaparticolarmente con la lezion del Ricardoteologosorbonico (che per fortuna si aveva seco portato dalla libreria disuo padre)il quale con un metodo geometrico fa vedere la dottrinadi sant'Agostino posta in mezzocome a due estremitra lacalvinistica e la pelagiana e alle altre sentenze che o all'una diqueste due o all'altra si avvicinano. La qual disposizione riuscìa lui efficace a meditar poi un principio di dritto natural dellegentiil quale e fosse comodo a spiegare le origini del drittoromano ed ogni altro civile gentilesco per quel che riguarda lastoriae fosse conforme alla sana dottrina della grazia per quel chene riguarda la morale filosofia. Nel medesimo tempo Lorenzo Vallacon l'occasione che da quello sono ripresi in latina eleganza iromani giureconsultiil guidò a coltivare lo studio dellalingua latinadandovi incominciamento dalle opere di Cicerone.

Mavivendo egli ancora pregiudicato nel poetarefelicemente gli avvenneche in una libreria de' padri minori osservanti di quel castello siprese tra le mani un libronel cui fine era una criticanon ben siricordao apologia di un epigramma di un valentuomocanonico diordineMassa cognominatodove si ragionava dei numeri poeticimaravigliosispezialmente osservati in Virgilio; e fu sorpreso datanta ammirazione che s'invogliò di studiare sui poeti latinida quel principe facendo capo. Quindicominciandogli a dispiacere lasua maniera di poetar modernasi rivolse a coltivare la favellatoscana sopra i di lei prìncipiBoccaccio nella prosaDantee Petrarca nel verso; e per vicende di giornate studiava Cicerone oVirgilio overo Orazioappetto il primo di Boccaccioil secondo diDanteil terzo di Petrarcasu questa curiosità di vedernecon integrità di giudizio le differenze. E ne apprese diquanto in tutti e tre la latina favella avvanzava l'italianaleggendo sempre i più colti scrittori con questo ordine trevolte: la prima per comprenderne l'unità dei componimentilaseconda per veder gli attacchi e 'l séguito delle coselaterzapiù partitamenteper raccôrne le belle forme delconcepire e dello spiegarsile quali esso notava sui libri stessinon portava in luoghi comuni o frasari; la qual pratica stimavacondurre assai per bene usarle ai bisogniove le si ricordava néluoghi loro: che è l'unica ragione del ben concepire e delbene spiegarsi.

Quindileggendo nell'Arte d'Orazio che la suppellettile più doviziosadella poesia ella si proccura con la lezion de' morali filosofiseriosamente applicò alla morale degli antichi grecidandoviprincipio da quella di Aristotiledi cui più soventi fiate suvari princìpi d'instituzioni civili ne aveva letto riferirsile auttorità. E in sì fatto studio avvertì chela giurisprudenza romana era un'arte di equità insegnata coninnumerabili minuti precetti di giusto naturaleindagati da'giureconsulti dentro le ragioni delle leggi e la volontà de'legislatori; ma la scienza del giusto che insegnano i moralifilosofiella procede da poche verità eternedettate inmetafisica da una giustizia idealeche nel lavoro delle cittàtien luogo d'architetta e comanda alle due giustizie particolaricommutativa e distributivacome a due fabre divine che misurino leutilità con due misure eternearitmetica e geometricasìcome quelle che sono due proporzioni in mattematica dimostrate. Ondecominciò a conoscere quanto meno della metà si apprendala disciplina legale con questo metodo di studi comunal che siosserva. Perciò si dovette esso di nuovo portare allametafisica; manon soccorrendolo in ciò quella d'Aristotileche aveva appresa nel Suarezné sapendone veder la cagioneguidato dalla sola fama che Platone era il principe de' divinifilosofisi condusse a studiarla da essolui; emolto dipoi che viaveva profittatointese la cagione perché la metafisicad'Aristotile non lo aveva soccorso per gli studi della moralesiccome di nulla soccorse ad Averroeil cui Comento non fe' piùumani e civili gli arabi di quello che erano stati innanzi. Perchéla metafisica d'Aristotile conduce a un principio fisicoil quale èmateria dalla quale si educono le forme particolari esìfaIddio un vasellaio che lavori le cose fuori di sé. Ma lametafisica di Platone conduce a un principio fisicoche è laidea eterna che da sé educe e crea la materia medesimacomeuno spirito seminale che esso stesso si formi l'uovo: in conformitàdi questa metafisicafonda una morale sopra una virtù ogiustizia ideale o sia architettain conseguenza della quale sidiede a meditare una ideale repubblicaalla quale diede con le sueleggi un dritto pur ideale. Tanto che da quel tempo che il Vico nonsi sentì soddisfatto della metafisica d'Aristotile per beneintendere la morale e si sperimentò addottrinare da quella diPlatoneincominciò in luisenz'avvertirloa destarsi ilpensiero di meditare un diritto ideale eterno che celebrassesi in unacittà universale nell'idea o disegno della providenzasoprala quale idea son poi fondate tutte le repubbliche di tutti i tempidi tutte le nazioni: che era quella repubblica ideale cheinconseguenza della sua metafisicadoveva meditar Platonemaperl'ignoranza del primo uom cadutonol poté fare.

Adun medesimo tempo le opere filosofiche di Ciceronedi Aristotile edi Platonetutte lavorate in ordine a ben regolare l'uomo nellacivile societàfecero che egli nulla o assai poco sidilettasse della morale così degli stoici come degli epicureisiccome quelle che entrambe sono una morale di solitari: degliepicureiperché di sfaccendati chiusi ne' loro orticellidegli stoiciperché di meditanti che studiavano non sentirpassione. E 'l saltoche egli aveva dapprima fatto dalla logica allametafisicafece che 'l Vico poco poi curasse la fisica d'Aristotiledi Epicuro ed ultimamente di Renato Delle Carte; onde si ritrovòdisposto a compiacersi della fisica timaica seguita da Platonelaquale vuole il mondo fatto di numerie ad esser rattenuto didisprezzare la fisica stoicache vuole il mondo costar di puntitralle quali due non è nulla di vario in sostanzacome poi siapplicò a ristabilirla nel libro De antiquissima italorumsapientia; e finalmente a non ricevere né per gioco nécon serietà le fisiche meccaniche di Epicuro come di Renatoche sono entrambe di falsa posizione.

Peròosservando il Vico così da Aristotile come da Platone usarsiassai sovente pruove mattematiche per dimostrare le cose cheragionano essi in filosofiaegli in ciò si vide difettoso apoter bene intendergli; onde volle applicarsi alla geometria einoltrarsi fino alla quinta proposizione di Euclide. Eriflettendoche in quella dimostrazione si conteneva insomma una congruenza ditriangoli esaminata partitamente per ciascun lato ed angolo ditriangoloche si dimostra con egual distesa combaciarsi con ciascunlato ed angolo dell'altropruovava in se stesso cosa piùfacile l'intendere quelle minute verità tutte insiemecome inun genere metafisicodi quelle particolari quantitàgeometriche. E a suo costo sperimentò che alle menti giàdalla metafisica fatte universali non riesce agevole quello studiopropio degli ingegni minutie lasciò di seguitarlosiccomequello che poneva in ceppi ed angustie la sua mente già avezzacol molto studio di metafisica a spaziarsi nell'infinito de' generi;e con la spessa lezione di oratoridi storici e di poeti dilettaval'ingegno di osservare tra lontanissime cose nodi che in qualcheragion comune le stringessero insiemeche sono i bei nastridell'eloquenza che fanno dilettevoli l'acutezze.

"Talchécon ragione gli antichi stimarono studio propio da applicarvisi ifanciulli quello della geometria e la giudicarono una logica propiadi quella tenera etàche quanto apprende bene i particolari esa fil filo disporglitanto difficilmente comprende i generi dellecose; ed Aristotile medesimoquantunque esso dal metodo usato dallageometria avesse astratto l'arte sillogisticapur vi conviene oveafferma che a' fanciulli debbano insegnarsi le linguel'istorie e lageometriacome materie più propie da esercitarvi la memoriala fantasia e l'ingegno. Quindi si può facilmente intenderecon quanto guastocon che coltura della gioventùoggi dataluni nel metodo di studiare si usano due perniziosissime pratiche.La primache a fanciulli appena usciti dalla scuola della gramaticasi apre la filosofia sulla logica che si dice "di Arnaldo"tutta ripiena di severissimi giudizi d'intorno a materie riposte discienze superiori e tutte lontane dal comun senso volgare; con che sivengono a convellere ne' giovinetti quelle doti della mentegiovanilele quali dovrebbero essere regolate e promosse ciascuna daun'arte propiacome la memoria con lo studio delle linguelafantasia con la lezione de' poetistorici ed oratoril'ingegno conla geometria lineareche in un certo modo è una pittura laquale invigorisce la memoria col gran numero de' suoi elementiingentilisce la fantasia con le sue delicate figure come con tantidisegni descritti con sottilissime lineee fa spedito l'ingegno indover correrle tuttee tra tutte raccoglier quelle che bisognano perdimostrare la grandezza che si domanda; e tutto ciò perfruttarea tempo di maturo giudiziouna sapienza ben parlantevivaed acuta. Macon tai logichei giovinettitrasportati innanzitempo alla criticache è tanto dire portati a ben giudicareinnanzi di ben apprenderecontro il corso natural dell'ideecheprima apprendonopoi giudicanofinalmente ragionanone diviene lagioventù arida e secca nello spiegarsi esenza far mai nullavuol giudicar d'ogni cosa. Al contrariose eglino nell'etàdell'ingegnoche è la giovanezzas'impiegassero nellatopicache è l'arte di ritrovareche è sol privilegiodell'ingegnosi (come il Vicofatto accorto da Ciceronevi s'impiegònella sua)essi apparecchierebbero la materia per poi ben giudicarepoiché non si giudica bene se non si è conosciuto iltutto della cosae la topica è l'arte in ciascheduna cosa diritrovare tutto quanto in quella è; e sì anderebbonodalla natura stessa i giovani a formarsi e filosofi e ben parlanti.L'altra pratica è che si dànno a' giovanetti glielementi della scienza delle grandezze col metodo algebraicoilquale assidera tutto il più rigoglioso delle indoli giovanililor accieca la fantasiaspossa la memoriainfingardisce l'ingegnorallenta l'intendimentole quali quattro cose sono necessarissimeper la coltura della miglior umanità: la prima per la pitturascolturaarchitetturamusicapoesia ed eloquenza; la seconda perl'erudizione delle lingue e dell'istorie; la terza per le invenzioni;la quarta per la prudenza. E cotesta algebra sembra un ritrovatoarabico di ridurre i segni naturali delle grandezze a certe cifre aplacitoconforme gli arabi i segni de' numeriche appo i greci elatini furono le loro letterele quali appo entrambialmen legrandisono linee geometriche regolariessi ridussero in dieciminutissime cifre. E sì con l'algebra si affligge l'ingegnoperché non vede se non quel solo che li sta innanzi i piedi;sbalordisce la memoriaperchéritruovato il secondo segnonon bada più al primo; abbacina la fantasiaperché nonimmagina affatto nulla; distrugge l'intendimentoperchéprofessa d'indovinare: talché i giovaniche vi hanno spesomolto temponell'uso poi della vita civilecon lor sommo rammaricoe pentimentovi si ritruovano meno atti. Ondeperché recassealcuna utilità e non facesse niuno di sì gran dannil'algebra si dovrebbe apprendere per poco tempo nel fine del corsomattematico ed usarla come facevano i romani de' numeriche nelleimmense somme li descrivevano per punti; cosìdoveperritrovare le grandezze che si domandanosi avesse a durare unadisperata fatica col nostro umano intendimento per la sinteticaallora corressimo all'oracolo dell'analitica. Perchéperquanto appartiene a ben ragionare con questa spezie di metodomeglioè farne l'abito con l'analitica metafisicae in ogniquistione si vada a prendere il vero nell'infinito dell'enteindiper gli generi della sostanza gradatamente si vada rimovendo ciòche la cosa non è per tutte le spezie de' generifinchési giunga all'ultima differenzache costituisca l'essenza della cosache si desidera di sapere."

Oraricevendoci al proposito - scoverto che egli ebbe tutto l'arcano delmetodo geometrico contenersi in ciò: di prima diffinire levoci con le quali s'abbia a ragionare; dipoi stabilire alcune massimecomuninelle quali colui con chi si ragiona vi convenga; finalmentese bisognadimandare discretamente cosa che per natura si possaconcedereaffin di poter uscire i ragionamentiche senza unaqualche posizione non verrebbero a capo; e con questi princìpida verità più semplici dimostrate procedere fil filoalle più compostee le composte non affermare se non prima siesaminino partitamente le parti che le compongono- stimòsoltanto utile aver conosciuto come procedano ne' loro ragionamenti igeometriperchése mai a lui bisognasse alcuna volta quellamaniera di ragionareil sapesse; come poi severamente l'usònell'opera De universi iuris uno principiola quale il signor GiovanClerico ha giudicato "esser tessuta con uno stretto metodomattematico"come a suo luogo si narrerà.

Orper sapere ordinatamente i progressi del Vico nelle filosofiefa quibisogno ritornare alquanto indietro: chenel tempo nel quale eglipartì da Napolisi era cominciata a coltivare la filosofiad'Epicuro sopra Pier Gassendie due anni doppo ebbe novella che lagioventù a tutta voga si era data a celebrarla; onde in lui sidestò voglia d'intenderla sopra Lucrezio. Nella cui lezioneconobbe che Epicuroperché niegava la mente esser d'altrogenere di sostanza che 'l corpoper difetto di buona metafisicarimasto di mente limitatadovette porre principio di filosofia ilcorpo già formato e diviso in parti moltiformi ultime compostedi altre partile qualiper difetto di vuoto interspersovifìnselesi indivisibili: ch'è una filosofia dasoddisfare le menti corte de' fanciulli e le deboli delledonnicciuole. E quantunque egli non sapesse né meno digeometriacon tutto ciò con un buono ordinato séguitodi conseguenze vi fabbrica sopra una fisica meccanicauna metafisicatutta del sensoquale sarebbe appunto quella di Giovanni Lockeeuna morale del piacerebuona per uomini che debbon vivere insolitudinecome in effetto egli ordinò a coloro cheprofessassero la sua setta; eper fargli il suo meritocon quantodiletto il Vico vedeva spiegarsi da quello le forme della naturacorporeacon altrettanto o riso o compatimento il vedeva posto nelladura necessità di dare in mille inezie e sciocchezze perispiegare le guise come operi la mente umana. Onde questo solo servìa lui di gran motivo di confermarsi vie più ne' dogmi diPlatoneil quale da essa forma della nostra mente umanasenzaipotesi alcunastabilisce per principio delle cose tutte l'ideaeternasulla scienza e coscienza che abbiamo di noi medesimi. Chénella nostra mente sono certe eterne verità che non possiamosconoscere o riniegaree in conseguenza che non sono da noi; ma delrimanente sentiamo in noi una libertà di fareintendendotutte le cose che han dipendenza dal corpoe perciò lefacciamo in tempocioè quando vogliamo applicarvie tutte inconoscendo le facciamoe tutte le conteniamo dentro di noi: come leimmagini con la fantasia; le reminiscenze con la memoria; conl'appetito le passioni; gli odorii saporii colorii suoniitatti co' sensi; e tutte queste cose le conteniamo dentro di noi. Maper le verità eterne che non sono da noi e non hannodipendenza dal corpo nostrodobbiamo intendere essere principiodelle cose tutte una idea eterna tutta scevera da corpoche nellasua cognizioneove vogliacrea tutte le cose in tempo e le contienedentro di sé e contenendolele sostiene. Dal qual principiodi filosofia stabiliscein metafisicale sostanze astratte aver piùdi realità che le corpolente; ne deriva una morale tutta bendisposta per la civiltàonde la scuola di Socratee per sée per gli suoi successoridiede i maggiori lumi della Grecia inentrambe le arti della pace e della guerrae applaudisce alla fisicatimaicacioè di Pitagorache vuole il mondo costar dinumeriche sono in un certo modo più astratti de' puntimetafisicine' quali diede Zenone per ispiegarvi sopra le cose dellanaturacome poi il Vico nella sua Metafisica il dimostraper quelche appresso se ne dirà.

Acapo di altro poco tempo seppe egli ch'era salita in pregio la fisicasperimentaleper cui si gridava da per tutto Roberto Boyle; la qualequanto egli giudicava esser profittevole per la medicina e per laspargiricatanto esso la volle da sé lontanatra perchénulla conferiva alla filosofia dell'uomo e perché si dovevaspiegare con maniere barbareed egli principalmente attendeva allostudio delle leggi romanei cui principali fondamenti sono lafilosofia degli umani costumi e la scienza della lingua e del governoromanoche unicamente si apprende sui latini scrittori.

Versoil fine della sua solitudineche ben nove anni duròebbenotizia aver oscurato la fama di tutte le passate la fisica di RenatoDelle Cartetalché s'infiammò di averne contezza;quando per un grazioso inganno egli ne aveva avute di già lenotizieperché esso dalla libreria di suo padre tra gli altrilibri ne portò via seco la Filosofia naturale di Errico Regiosotto la cui maschera il Cartesio l'aveva incominciata a pubblicarein Utrecht. E dopo il Lucrezio avendo preso il Regio a studiarefilosofo di profession medicoche mostrava non aver altra erudizioneche di mattematicail credette uomo non meno ignaro di metafisica diquello ch'era stato Epicuroche di mattematica non volle giàmai sapere. Poiché egli pone in natura un principio pur difalsa posizione - il corpo già formato- che soltantodifferisce da quel di Epicuroche quello ferma la divisibilitàdel corpo negli atomiquesto fa i suoi tre elementi divisibiliall'infinito; quello pone il moto nel vanoquesto nel pieno; quelloincomincia a formare i suoi infiniti mondi da una casuale declinaziondi atomi dal moto allo ingiù del propio lor peso e gravitàquesto incomincia a formare i suoi indefiniti vortici da un impetoimpresso a un pezzo di materia inerte e quindi non divisa ancoralaquale con l'impresso moto la divida in quadrellieimpedita dallasua molemetta in necessità di sforzarsi a muovere a motorettoenon potendo per lo suo pienoincomincine' suoi quadrellidivisaa muoversi circa il suo centro di ciascun quadrello. Ondecome dalla casuale declinazione de' suoi atomi Epicuro permette ilmondo alla discrezione del casocosìdalla necessitàdi sforzarsi al moto retto i primi corpicelli di Renatoal Vicosembrava che tal sistema sarebbe comodo a coloro che soggettano ilmondo al fato. E di tal suo giudizio egli si rallegrò in tempoappressochericevutosi in Napolie risaputo che la fisica delRegio era di Renatosi erano cominciate a coltivare le Meditazionimetafisiche del medesimo. Perché Renatoambiziosissimo digloriasì come - con la sua fisica machinata sopra un disegnosimile a quella di Epicurofatta comparire la prima volta sullecattedre di una celebratissima università di Europaqual èquella di Utrechtda un fisico medico - affettò farsi celebretra professori di medicina; così poi disegnò alquanteprime linee di metafisica alla maniera di Platone - ove s'industriadi stabilire due generi di sostanzeuna distesaaltra intelligenteper dimostrare un agente sopra la materia che materia non siaqualegli è 'l "dio" di Platone - per avere un giorno ilregno anche tra i chiostrine' quali era stata introdotta fin dalsecolo undecimo la metafisica d'Aristotile. Chéquantunqueper quello che questo filosofo vi conferì del suoella avesseservito innanzi agli empi averroistiperòessendone lapianta quella di Platonefacilmente la religion cristiana la piegòa' sensi pii del di lui Maestroondecome ella resse da principiocon la platonica sino all'undecimo secolocosì indi in poi haretto con la metafisica aristotelica. Einfattisul maggior fervoreche si celebrava la fisica cartesianail Vicoricevutosi in Napoliudillo spesse volte dire dal signor Gregorio Calopresogran filosoforenatistaa cui il Vico fu molto caro. Manell'unità dellesue partidi nulla costa in un sistema la filosofia di Renatoperché alla sua fisica converrebbe una metafisica chestabilisse un solo genere di sostanza corporeaoperantecome si èdettoper necessitàcome a quella di Epicuro un sol generedi sostanza corporeaoperante a caso; siccome in ciò benconviene Renato con Epicuroche tutte le infinite varie forme de'corpi sono modificazioni della sostanza corporeache in sostanza sonnulla. Né la sua metafisica fruttò punto alcuna moralecomoda alla cristiana religioneperchénon solo non lacompongono le poche cose che egli sparsamente ne ha scrittoe 'ltrattato delle Passioni più serve alla medicina che allamorale; ma neanche il padre Malebranche vi seppe lavorare sopra unsistema di moral cristianaed i Pensieri del Pascale sono pur lumisparsi. Né dalla sua metafisica esce una logica propiaperchéArnaldo lavora la sua sulla pianta di quella di Aristotile. Némeno serve alla stessa medicinaperché l'uom di Renato daglianatomici non si ritruova in naturatanto chea petto di quella diRenatopiù regge in un sistema la filosofia d'Epicurochenon seppe nulla di mattematica. Per queste ragioni tuttele qualiavvertì il Vicoegli appresso molto godeva con esso seco chequanto con la lezion di Lucrezio si fe' più dalla parte dellametafisica platonicatanto con quella del Regio più vi siconfermò.

Questefisiche erano al Vico come divertimenti dalle meditazioni severesopra i metafisici platonici e servivangli per ispaziarvi la fantasianegli usi di poetarein che si esercitava sovente con lavorarcanzonidurando ancora il primo abito di comporre in italianafavellama sull'avvedimento di derivarvi idee luminose latine con lacondotta de' migliori poeti toscani. Come sul panegirico tessuto aPompeo Magno da Cicerone nell'orazion della legge Maniliadellaquale non vi ha in tal genere orazione più grave in tutta lalingua latinaegliad imitazione delle "tre sorelle" delPetrarcaordì un panegiricodiviso in tre canzoniIn lodedell'elettor Massimiliano di Bavierale quali vanno nella Scelta de'poeti italiani del signor Lippistampata in Lucca l'anno 1709. Ed inquella del signor Acampora de' Poeti napoletanistampata in Napolil'anno 1701va un'altra canzone nelle nozze della signora donnaIppolita Cantelmi de' duchi di Popoli con don Vincenzo Carafa duca diBruzzano ed or principe di Roccella; la quale esso compose sulconfronto del leggiadrissimo carme di Catullo Vesper adestil qualepoi leggé aver imitato innanzi Torquato Tasso con una purcanzone in simigliante subiettoe 'l Vico godé non averneprima avuto contezzatra per la riverenza di un tale e tanto poetae perchéove avesse saputo che era stato giàprevenutonon arebbe osato né goduto di lavorarla. Oltre aquestesull'idea dell'"anno massimo" di Platonesopra laquale aveva steso Virgilio la dottissima ecloga Sicelides musaecompose il Vico un'altra canzone nelle nozze del signor duca diBaviera con Teresa real di Poloniala quale va nel primo tomo dellaScelta de' poeti napoletani del signor Albanostampata in Napolil'anno 1723.

Conquesta dottrina e con questa erudizione il Vico si ricevé inNapoli come forestiero nella sua patriae vi ritruovò sul piùbello celebrarsi dagli uomini letterati di conto la fisica di Renato.Quella di Aristotilee per sé e molto più per lealterazioni eccessive degli scolasticiera già divenuta unafavola. La metafisica - che nel Cinquecento aveva allogatonell'ordine più sublime della letteratura i Marsili FiciniiPici della Mirandolaamendue gli Augustini e Nifo e SteuchioiGiacopi Mazzonigli Alessandri Piccolominii Mattei AcquaviviiFranceschi Patrizied avea tanto conferito alla poesiaalla storiaall'eloquenzache tutta Grecianel tempo che fu più dotta eben parlantesembrava essere in Italia risurta - era ella riputatadegna da star racchiusa ne' chiostri; e di Platone soltanto siarrecava alcun luogo in uso della poesiao per ostentareun'erudizion da memoria. Si condannava la logica scolasticae siappruovava riporsi in di lei luogo gli Elementi di Euclide. Lamedicinaper le spesse mutazioni de' sistemi di fisicaera decadutanello scetticismoed i medici avevano incominciato a staresull'acatalepsia o sia incomprendevolità del vero circa lanatura dei morbie sospendersi sull'epoca o sia sostentaziondell'assenso a darne i giudizi e adoperarvi efficaci rimedi; e lagalenicala qualecoltivata innanzi con la filosofia greca e con lagreca linguaaveva dato tanti medici incomparabiliper la grandeignoranza dei suoi seguaci di questi tempi era andata in un sommodisprezzo. Gl'interpetri antichi della ragion civile erano cadutidall'alta loro riputazione nell'accademiae salitivi gli eruditimoderni con molto danno del fòro; perché quanto questisono necessari per la critica delle leggi romanealtrettanto quellibisognano per la topica legale nelle cause di dubbia equità.Il dottissimo signor don Carlo Buragna aveva riportata la manieralodevole del poetare; ma l'aveva ristretta in troppe angustie dentrol'imitazione di Giovanni della Casanon derivando nulla o didelicato o di robusto da' fonti greci o latini o da' limpidi ruscellidelle rime del Petrarca o da' gran torrenti delle canzoni di Dante.L'eruditissimo signor Lionardo da Capova aveva rimessa la buonafavella toscana in prosavestita tutta di grazia e di leggiadria; macon queste virtù non udivasi orazione o animata dalla sapienzagreca nel maneggiare i costumi o invigorita dalla grandezza romana incommuover gli affetti. Efinalmenteil latinissimo signor TomasoCornelio co' suoi purissimi Proginnasmi aveva più tostosbigottiti gl'ingegni de' giovani che avvalorati a coltivar la lingualatina in appresso. Talchéper tutte queste coseil Vicobenedisse non aver lui avuto maestro nelle cui parole avesse egligiuratoe ringraziò quelle selvefralle qualidal suo buongenio guidatoaveva fatto il maggior corso dei suoi studi senza niunaffetto di settae non nella cittànella qualecome moda divestisi cangiava ogni due o tre anni gusto di lettere. E dal comunetraccuramento della buona prosa latina si determinò amaggiormente coltivarla. Ed avendo saputo che 'l Cornelio non eravaluto in lingua grecané curato aveva la toscana e nulla opochissimo si era dilettato di critica - forse perchéavvertito aveva che i poliglottiper la moltiplicità dellelingue che sannonon ne usano mai una perfettamentee i critici nonconsieguono le virtù delle lingueperché sempre mai sitrattengono a notare i difetti sopra gli scrittori - il Vico deliberòabbandonare la grecain cui si era avvanzato dai Rudimenti delGresseroche aveva appreso nella seconda de' gesuitie la toscanafavella (per la qual ragione non volle mai pur sapere la francesa)etutto confermarsi nella latina. Ed avendo egli osservato altresìche con uscire alla luce i lessici e i comenti la lingua latina andòin decadenzasi risolvé non prender mai più tal sortadi libri tra le maniriserbandosi il solo Nomenclatore di Giunio perl'intelligenza delle voci delle artie leggere gli auttori latinischietti di notecon una critica filosofica entrando nel di lorospiritosiccome avevan fatto gli scrittori latini del Cinquecentotra' quali ammirava il Giovio per la facondia e 'l Naugero per ladelicatezzada quel poco che ne lasciò eper lo di lui gustotroppo elegantene fa sospirare la gran perdita che si èfatta della sua Storia.

Perqueste ragioni il Vico non solo viveva da straniero nella sua patriama anche sconosciuto. Non per tanto ch'egli era di questi sensidiqueste pratiche solitarienon venerava da lontano come numi dellasapienza gli uomini vecchi accreditati in iscienza di lettere e neinvidiava con onesto cruccio ad altri giovani la ventura diconversarvi. Econ questa disposizioneche è necessaria allagioventù per più profittaree non sul detto de'maestri o maliziosi o ignoranti restare per tutta la vita soddisfattidi un sapere a gusto ed a misura di altruivenne egli primieramentein notizia a due uomini di conto. Il primo fu il padre don Gaetano diAndrea teatinoche poi morì santissimo vescovofratello de'signori Francesco e Gennaioentrambi di immortal nome; il quale inun ragionamento che dentro una libreria con essolui tenne il Vico distoria di collezioni di canonili domandò se esso avessemenato moglie. Erispondendogli il Vico che noquello soggiunse: seegli si volesse far teatino; a cui questo rispondendo che esso nonaveva natali nobiliquello replicò che ciò nullaimporterebbeperché esso ne arebbe ottenuta dispensa da Roma.Quivedendosi il Vico obbligato da tanta onoranza del padreuscìcolà che aveva parenti poveri e vecchiprivi di ogni altrasperanza; e pure replicando il padre che gli uomini di lettere eranopiuttosto di peso che di utilità alle famiglieil Vicoconchiuse che forse in esso avverrebbe il contrario. Allora il padrefinì con dire: - Non è questa la vostra vocazione -.L'altro fu il signor don Giuseppe Lucinauomo di una immensaerudizione grecalatina e toscana in tutte le spezie del sapereumano e divinoil qualeavendo sperimentato il giovine quantovalessesi doleva gentilmente che non se ne facesse alcun buon usonella cittàquando a lui si offerse una bella occasione dipromuoverlo: che 'l signor don Niccolò Caravitaper acutezzad'ingegnoper severità di giudizio e per purità ditoscano stile avvocato primario de' tribunali e gran favoreggiatorede' letterativolle fare una raccolta di componimenti in lode delsignor conte di Santostefanoviceré di Napolinella di luidipartenzala quale fu la prima che uscì in Napoli nellanostra memoriae dentro le angustie di pochi giorni doveva ellaessere già stampata. Qui il Lucinail quale era appo tutti disomma autoritàproposegli il Vico per l'orazione chebisognava andare innanzi agli altri componimentiericevuto daquello l'impiegoil portò a essoluimostrandoglil'opportunità di venire con grado in cognizion di un protettordelle letterecome esso lo sperimentò grandissimo suodellaqual cosa era esso giovane per se stesso desiderosissimo. E sìperché aveva rinnonziato alle cose toscanelavorò perquella raccolta una orazion latina sulle stampe medesime di GiuseppeRosellil'anno 1696. Quindi egli cominciò a salire in gridodi letteratoe tra gli altri il signor Gregorio Calopresosopra danoi con onor mentovatocome fu detto di Epicuroil soleva chiamarel'"autodidascalo" o sia il maestro di se medesimo. Dipoinelle Pompe funerali di donna Caterina d'Aragonamadre del signorduca di Medinaceliviceré di Napolinelle qualil'eruditissimo signor Carlo Rossi la grecadon Emmanuel Cicatellicelebre orator sacrola italianail Vico scrisse l'orazion latinache va con gli altri componimenti in un libro in foglio stampatol'anno 1697.

Pocodopoiessendo vacata la cattedra della rettorica per morte delprofessoredi rendita non più che di cento scudi annuiconl'aggiunta di altra minor incerta somma che si ritragge dai dirittidelle fedi con le quali tal professore abilita gli studenti allostudio legale; detto dal signor Caravita che egli illico viconcorresseed esso ricusando perché un'altra pretenzioneche pochi mesi innanzi esso aveva fattadi segretario della cittàgli era infelicemente riuscita; il signor don Nicolòavendologentilmente ripreso come uomo di poco spirito (sì come infattilo è d'intorno alle cose che riguardano le utilità)lidisse che egli attendesse solamente a farvi la lezioneperchéesso ne farebbe la pretenzione. Così il Vico vi concorse conuna lezione di un'ora sopra le prime righe di Fabio Quintiliano nellunghissimo capo De statibus caussarum contenendosi dentrol'etimologia e la distinzion dello "stato"ripiena digreca e latina erudizione e critica; per la quale meritòottenerla con un numero abbondante di voti.

Frattantoil signor duca di Medinaceli viceré aveva restituito in Napoliil lustro delle buone letterenon mai più veduto fin da'tempi di Alfonso di Aragonacon un'accademia per sua erudizione delfior fiore de' letterati propostagli da don Federico Pappacodacavalliere napoletano di buon gusto di lettere e grande estimatorede' letteratie da don Nicolò Caravita; ondeperchéera cominciata a salire appo l'ordine de' nobili in somma riputazionela più colta letteraturail Vicospintovi di piùdall'onore di essere stato tra tali accademici annoveratotuttoapplicossi a professare umane lettere.

Quindiè che la fortuna si dice esser amica de' giovaniperchéeleggono la lor sorta della vita sopra quelle arti o professioni chefioriscono nella loro gioventù; mail mondo di sua naturad'anni in anni cangiando gustisi ritruovan poivecchivalorosi diquel sapere che non più piace e 'n conseguenza non frutta più.Imperciocché ad un tratto si fa un gran rivolgimento di coseletterarie in Napolichequando si credevano dovervisi per lungaetà ristabilire tutte le lettere migliori del Cinquecentoconla dipartenza del duca viceré vi surse un altro ordine di coseda mandarle tutte in brievissimo tempo in rovina contro ogniaspettazione; ché que' valenti letteratii quali due o treanni avanti dicevano che le metafisiche dovevano star chiuse ne'chiostripresero essi a tutta voga a coltivarlenon giàsopra i Platoni e i Plotini coi Marsilionde nel Cinquecentofruttarono tanti gran letteratima sopra le Meditazioni di RenatoDelle Cartedelle quali è séguito il suo libro Delmetodoin cui egli disappruova gli studi delle linguedeglioratoridegli storici e de' poetie ponendo su solamente la suametafisicafisica e mattematicariduce la letteratura al saperedegli arabii quali in tutte e tre queste parti n'ebbero dottissimicome gli Averroi in metafisica e tanti famosi astronomi e medici chene hanno nell'una e nell'altra scienza lasciate anche le vocinecessarie a spiegarvisi. Quindi ai quantunque dotti e grandiingegniperché si eran prima tutti e lungo tempo occupati infisiche corpuscolariin esperienze ed in macchinedovettero leMeditazioni di Renato sembrar astrusissimeperché potesseroritrar da' sensi le menti per meditarvi; onde l'elogio di granfilosofo era: - Costui intende le Meditazioni di Renato. - E inquesti tempipraticando spesso il Vico e 'l signor don Paolo Doriadal signor Caravitala cui casa era ridotto di uomini di letterequesto egualmente gran cavalliere e filosofo fu il primo con cui ilVico poté cominciare a ragionar di metafisica; e ciòche il Doria ammirava di sublimegrande e nuovo in Renatoil Vicoavvertiva che era vecchio e volgar tra' platonici. Ma da'ragionamenti del Doria egli vi osservava una mente che spessobalenava lumi sfolgoranti di platonica divinitàonde da queltempo restaron congionti in una fida e signorile amicizia.

Finoa questi tempi il Vico ammirava due soli sopra tutti gli altri dottiche furono Platone e Tacito; perché con una mente metafisicaincomparabile Tacito contempla l'uomo qual èPlatone qual deeessere; e come Platone con quella scienza universale si diffonde intutte le parti dell'onestà che compiono l'uom sapiente d'ideacosì Tacito discende a tutti i consigli dell'utilitàperché tra gl'infiniti irregolari eventi della malizia e dellafortuna si conduca a bene l'uom sapiente di pratica. E l'ammirazionecon tal aspetto di questi due grandi auttori era nel Vico un abbozzodi quel disegno sul quale egli poi lavorò una storia idealeeterna sulla quale corresse la storia universale di tutti i tempiconducendovisopra certe eterne propietà delle cose civilisurgimentistatidecadenze di tutte le nazionionde se ne formasseil sapiente insieme e di sapienza ripostaqual è quel diPlatonee di sapienza volgarequal è quello di Tacito.Quando finalmente venne a lui in notizia Francesco Bacone signor diVerulamiouomo ugualmente d'incomparabile sapienza e volgare eripostasiccome quello che fu insieme insieme un uomo universale indottrina ed in praticacome raro filosofo e gran ministro di statodell'Inghilterra. Elasciando da parte stare gli altri suoi librinelle cui materie ebbe forse pari e miglioriin quelli De augumentisscientiarum l'apprese tanto checome Platone è il principedel sapere de' greci e un Tacito non hanno i grecicosì unBacone manca ed a' latini ed a' greci; che un sol uom vedesse quantovi manchi nel mondo delle lettere che si dovrebbe ritruovare epromuovereed in ciò che vi hadi quanti e quali difetti siaegli necessario emendarsi; né per affezione o di particolarprofessione o di propia settaa riserva di poche cose che offendonola cattolica religionefaccia a tutte le scienze giustiziae atutte col consiglio che ciascuna conferisca del suo nella somma checostitovisce l'universal repubblica delle lettere. Epropostisi ilVico questi tre singolari auttori da sempre avergli avanti gli occhinel meditare e nello scriverecosì andò dirozzando isuoi lavori d'ingegnoche poi portarono l'ultima opera De universiiuris uno principioecc.

Imperciocchéegli nelle sue orazioni fatte nell'aperture degli studi nella regiauniversità usò sempre la pratica di proporre universaliargomentiscesi dalla metafisica in uso della civile; e con questoaspetto trattò o de' fini degli studicome nelle prime seiodel metodo di studiarecome nella seconda parte della sesta enell'intiera settima. Le prime tre trattano principalmente de' finiconvenevoli alla natura umanale due altre principalmente de' finipoliticila sesta del fine cristiano.

Laprimarecitata li diciotto di ottobre 1699propone che coltiviamola forza della nostra mente divina in tutte le sue facoltàsuquesto argomento: Suam ipsius cognitionem ad omnem doctrinarum orbembrevi absolvendum maximo cuique esse incitamento. E pruova la menteumana in via di proporzione esser il dio dell'uomocome Iddio èla mente del tutto; dimostra le meraviglie della facoltà dellamente partitamenteo sieno sensi o fantasia o memoria o ingegno oraziociniocome operino con divine forze di speditezzafacilitàed efficacia e ad un medesimo tempo diversissime cose e moltissime;che i fanciullivacui di pravi affetti e di vizidi tre o quattroanni trastullando si ritruovano aver già appresi gl'intierilessici delle loro lingue native; che Socrate non tanto richiamòla morale filosofia dal cieloquanto esso v'innalzò l'animonostroe coloro i quali con le invenzioni furono sollevati in cieltra gli dèiquelli sono l'ingegno di ciascuno di noi; che siameraviglia esservi tanti ignorantiquandocome il fumo agli occhila puzza al nasocosì sia contrario alla mente il non saperel'esser ingannatoil prender erroreonde sia da sommamentevituperarsi la negligenza; che non siamo dottissimi in tuttounicamente perché non vogliamo esserloquandocol sol volereefficacetrasportati da estrofacciamo cose chedopo fattel'ammiriamo come non da noi ma fatte da un dio.

Eperciò conchiude chese in pochi anni un giovanetto non hacorso tutto l'orbe delle scienzesia egli avvenuto o perchéegli non ha volutoose ha volutosia provvenuto per difetto de'maestri o di buon ordine di studiare o di fine degli studialtrovecollocato che di coltivare una specie di divinità dell'animonostro. La seconda orazionerecitata l'anno 1700contiene cheinformiamo l'animo delle virtù in conseguenza delle veritàdella mentesopra questo argomento: Hostem hosti infensioreminfestioremque quam stultum sibi esse neminem. E fa vedere questouniverso una gran cittànella quale con una legge eternaIddio condanna gli stolti a fare una guerra contro di se medesimicosì concepita: "Eius legis tot sunt digito omnipotentiperscripta capitaquot sunt rerum omnium naturae. Caput de hominerecitemus. Homo mortali corporeaeterno animo esto. Ad duas resverum honestumquesive adeo mihi uninascitor. Mens verum falsumquedignoscito. Sensus menti ne imponunto. Ratio vitae auspiciumductumimperiumque habeto. Cupiditates rationi parento... Bonis animiartibus laudem sibi parato. Virtute et constantia humanam felicitatemindipiscitor. Si quis stultussive per malam malitiam sive per luxumsive per ignaviam sive adeo per imprudentiamsecus faxitperduellionis reus ipse secum bellum gerito"e vi descrivetragicamente la guerra. Dal qual luogo si vede apertamente che egliagitava fin da questo tempo nell'animo l'argomentoche poi trattòdel Diritto universale.

L'orazionterzarecitata l'anno 1701è una come appendice praticadelle due innanzisopra questo argomento: A litteraria societateomnem malam fraudem abesse oporteresi vos vera non simulatasolidanon vanaeruditione ornari studeatis. E dimostra che nellarepubblica letteraria bisogna vivere con giustiziae si condannano icritici a compiacenzache esiggono con iniquità i tributi diquesto erariogli ostinati delle sètteche impedisconoaccrescersi l'erariogl'impostoriche fraudano le lorocontribuzioni all'erario delle lettere.

Laquarta orazionerecitata l'anno 1704propone questo argomento: Siquis ex litterarum studiis maximas utilitates easque semper cumhonestate coniunctas percipere velitis gloriae sive communi bonoerudiatur. Ella è contra i falsi dotti che studiano per lasola utilitàper la quale proccurano più di parere chedi esser talieconseguita l'utilità propostasis'infingardiscono ed usano pessime arti per durare in oppinione didotti. Aveva il Vico già recitata la metà di questoragionamentoquando venne il signor don Felice Lanzina Ulloapresidente del Sacro Consiglioil Catone de' ministri spagnuoliinonor di cui egli con molto spirito diede altro torno e piùbrieve al già detto e attaccollo con ciò che restava adire. Per una cui simile vivezza d'ingegnoche usò in linguaitaliana Clemente undecimoquando egli era abatenell'accademiadegli Umoristi in onore del cardinale d'Etrésuo protettorecominciò appo Innocenzo decimosecondo le sue fortuneche ilportarono al sommo ponteficato.

Nellaquinta orazionerecitata l'anno 1705proponsi: Respublicas tummaxime belli gloria inclytas et rerum imperio potentesquum maximelitteris floruerunt. E si pruova vigorosamente con buone ragioniepoi si conferma con questa perpetua successione di esempli.Nell'Assiria sursero i caldeiprimi dotti del mondoe vi si stabilìla prima gran monarchia. Quando sfoggiò la Grecia piùche in tutti i tempi innanzi in saperela monarchia di Persia sirovesciò da Alessandro. Roma stabilì l'imperio delmondo sulle rovine di Cartagine sotto Scipioneche seppe tanto difilosofiadi eloquenza e di poesia quanto il dimostrano leinimitabili commedie di Terenziole quali egli insiem col suo amicoLelio lavoròestimandole indegne di uscire sotto il suogran nomele fece pubblicare sotto quel di cui vannoche vi dovettealcuna cosa contribuire del suo. Certamente la monarchia romana sifermò sotto Augustonel cui tempo risplendé in Romatutta la sapienza di Grecia con lo splendore della lingua romana. Ilpiù luminoso regno d'Italia sfolgorò sotto Teodoricocol consiglio de' Cassiodori. In Carlo Magno risurse l'imperio romanoin Germaniaperché le letteregià affatto morte nellecorti reali d'Occidentericominciarono a surgere nella sua con gliAlcuini. Omero fece Alessandroil quale tutto ardeva di conformarsiin valore all'essemplo di Achillee Giulio Cesare si destòalle grandi imprese sull'essemplo di esso Alessandro; talchéquesti due gran capitanide' quali niuno ardì diffinire lamaggioranzasono scolari d'un eroe d'Omero. Due cardinalientrambigrandissimi filosofi e teologied unodi piùgrande oratorsacroSimenes e Riscegliùquello descrisse la pianta dellamonarchia di Spagnaquesto quella di Francia. Il Turco ha fondato ungrand'imperio sulla barbariema col consiglio di un Sergiodotto edempio monaco cristianoche allo stupido Maometto diede la leggesopra la quale il fondasse; ementre i grecidall'Asiaincominciando e poi dapertuttoerano andati nella barbariegliarabi coltivarono le metafisichele mattematichele astronomielemedicinee con questo sapere di dottiquantunque non della piùcolta umanitàdestarono a una somma gloria di conquiste gliAlmanzorri tutti barbari e fierie servirono a stabilire al Turco unimperio nel quale fossero vietate tutte le lettere; il quale peròse non fosse per gli perfidi cristiani prima greci e poi latinichehan loro somministrato di tempo in tempo le arti e i consigli dellaguerrasarebbe il loro vasto imperio da se medesimo rovinato.

Nellaorazion sestarecitata l'anno 1707tratta quest'argomento mescolatodi fine degli studi e di ordine di studiare: Corruptae hominumnaturae cognitio ad universum ingenuarum artium scientiarumqueabsolvendum orbem invitat incitatqueac rectumfacilem ac perpetuumin iis perdiscendis ordinem proponit exponitque. Qui egli fa entrargli uditori in una meditazion di se medesimiche l'uomo in pena delpeccato è diviso dall'uomo con la linguacon la mente e colcuore: con la linguache spesso non soccorre e spesso tradiscel'idee per le quali l'uomo vorrebbe e non può unirsi conl'uomo; con la menteper la varietà delle opinioni nate dalladiversità de' gusti de' sensine' quali uom non conviene conaltr'uomo; e finalmente col cuoreper lo qualecorrottonemmenol'uniformità de' vizi concilia l'uomo con l'uomo. Onde pruovache la pena della nostra corruzione si debba emendare con la virtùcon la scienzacon l'eloquenzaper le quali tre cose unicamentel'uomo sente lo stesso che altr'uomo. E ciòper quellos'attiene al fine degli studi. Per quello riguarda l'ordine distudiarepruova chesiccome le lingue furono il più potentemezzo di fermare l'umana societàcosì dalle linguedeono incominciarsi gli studipoiché elle tutte s'attengonoalla memorianella quale vale mirabilmente la fanciullezza. L'etàde' fanciullidebole di raziocinionon con altro si regola che congli essempliche devono apprendersi con vivezza di fantasia percommuoverenella quale la fanciullezza è meravigliosa; quindii fanciulli si devono trattenere nella lezion della storia cosìfavolosa come vera. È ragionevole la età de' fanciullima non ha materia di ragionare: s'addestrino all'arte del buonraziocinio nelle scienze delle misureche vogliono memoria efantasia einsieme insiemespossan loro la corpolenta facoltàdell'immaginativacherobustaè la madre di tutti i nostrierrori e miserie. Nella prima gioventù prevagliono i sensi ene trascinano la mente pura: si applichino alle fisicheche portanoalla contemplazione dell'universo de' corpi ed han bisogno dellemattematiche per la scienza del sistema mondano. Quindi dalle vasteidee corpolente fisiche e dalle delicate delle linee e de' numeri sidispongano ad intendere l'infinito astratto in metafisica con lascienza dell'ente e dell'unonella quale conoscendo i giovani la lormentesi dispongano a ravvisare il loro animoe in séguitodi eterne verità il vedan corrottoper potersi disporre ademendarlo naturalmente con la morale in età che già hanfatto alcuna sperienza quanto mal conducano le passionile qualisono in fanciullezza violentissime. Ed ove conoscano che naturalmentela morale pagana non basti perché ammansisca e domi lafilautia o sia l'amor propioed avendo in metafisica sperimentatointender essi più certo l'infinito che il finitola mente che'l corpoIddio che l'uomoil quale non sa le guise come esso simuovacome sentacome conoscasi dispongano con l'intellettoumiliato a ricevere la rivelata teologiain conseguenza di cuidiscendano alla cristiana moraleecosì purgatisi portinofinalmente alla cristiana giurisprudenza.

Findal tempo della prima orazione che si è rapportatae perquella e per tutte l'altre seguentie più di tutte perquest'ultimaapertamente si vede che 'l Vico agitava un qualcheargomento e nuovo e grande nell'animoche in un principio unisseegli tutto il sapere umano e divino; ma tutti questi da lui trattatin'eran troppo lontani. Ond'egli godé non aver dato alla lucequeste orazioniperché stimò non doversi gravare dipiù libri la repubblica delle letterela quale per la tantalor mole non reggee solamente dovervi portare in mezzo librid'importanti discoverte e di utilissimi ritrovati. Ma nell'anno 1708avendo la regia università determinato fare un'apertura distudi pubblica solenne e dedicarla al re con un'orazione da dirsialla presenza del cardinal Grimani viceré di Napolie cheperciò si doveva dare alle stampevenne felicemente fatto alVico di meditare un argomento che portasse alcuna nuova scoverta edutile al mondo delle lettereche sarebbe stato un desiderio degno daesser noverato tra gli altri del Bacone nel suo Nuovo organo dellescienze. Egli si raggira d'intorno a' vantaggi e disvantaggi dellamaniera di studiare nostramessa al confronto di quella degliantichi in tutte le spezie del saperee quali svantaggi della nostrae con quali ragioni si potessero schivaree quelli che schivar nonsi possono con quai vantaggi degli antichi si potessero compensaretanto che un'intiera università di oggidì fosseperessemploun solo Platone con tutto il dì più che noigodemo sopra gli antichi; perché tutto il sapere umano edivino reggesse dapertutto con uno spirito e costasse in tutte leparti suesì che si dassero le scienze l'un'all'altra lamanoné alcuna fusse d'impedimento a nessuna. Ladissertazione uscì l'istesso anno in dodicesimo dalle stampedi Felice Mosca. Il quale argomentoin fattiè un abbozzodell'opera che poi lavorò: De universi iuris uno principioecc.di cui è appendice l'altra De constantia iurisprudentis.

Eperché egli il Vico sempre aveva la mira a farsi merito conl'università nella giurisprudenza per altra via che dileggerla a giovinettivi trattò molto dell'arcano delle leggidegli antichi giurisprudenti romanie diede un saggio di un sistemadi giurisprudenza d'interpretare le leggiquantunque privateconl'aspetto della ragione del governo romano. Circa la qual partemonsignor Vincenzo Vidaniaprefetto de' regi studiuomo dottissimodelle antichità romanespecialmente intorno alle leggichein quei tempi era in Barcellonacon una onorevolissima dissertazionegli oppose in ciò che il Vico aveva fermo: che i giureconsultiromani antichi fossero stati tutti patrizi; alla quale il Vico alloraprivatamente rispose e poi soddisfece pubblicamente con l'opera Deuniversi iuris ecc.a' cui piedi si legge la dissertazionedell'illustrissimo Vidania con le risposte del Vico. Ma il signorErrico Brenckmandottissimo giureconsulto olandesemolto sicompiacque delle cose dal Vico meditate circa la giurisprudenza; ementre dimorava in Firenze a rileggere i Pandetti fiorentininetenne onorevoli ragionamenti col signor Antonio di Rinaldoda Napolicolà portato a patrocinarvi una causa di un napoletanomagnate. Questa dissertazione uscita alla luceaccresciuta di ciòche non si poté dire alla presenza del cardinal viceréper non abusarsi del tempoche molto bisogna a' principifu ellacagione che 'l signor Domenico d'Aulisiolettor primario vespertinodi leggiuomo universale delle lingue e delle scienze (il quale finoa quell'ora aveva mal visto il Vico nell'universitànon giàper suo meritoma perché egli era amico di que' letterati iquali erano stati del partito del Capova contro di lui in una grancontesa litterariala quale molto innanzi aveva brucciato in Napoliche qui non fa uopo di riferire)un giorno di pubblica funzione diconcorsi di cattedrea sé chiamò il Vicoinvitandoloa sedere presso lui; a cui disse aver esso letto "quellibricciuolo" (perché egliper contesa di precedenza collettor primario de' canoninon interveniva nelle aperture)"elo stimava di uomo che non voltava indici e del quale ogni paginapotrebbe dare altrui motivo di lavorare ampi volumi". Il qualatto sì cortese e giudizio così benigno di uomo peraltro nel costume anzi aspro che no ed assai parco di lodiappruovòal Vico una singolar grandezza d'animo di quello verso di lui; dalqual giorno vi contrasse una strettissima amiciziala quale eglicontinovò fin che visse questo gran letterato. Frattanto ilVicocon la lezione del più ingegnoso e dotto che verotrattato di Bacone da Verulamio De sapientia veterumsi destòa ricercarne più in là i princìpi che nellefavole de' poetimuovendolo a far ciò l'auttorità diPlatonech'era andato nel Cratilo ad investigargli dentro le originidella lingua greca; epromuovendolo la disposizionenella quale eragià entratoche l'incominciavano a dispiacere l'etimologiede' gramaticis'applicò a rintracciargli dentro le originidelle voci latinequando certamente il sapere della setta italicafiorì assai innanzinella scuola di Pittagorapiùprofondo di quello che poi cominciò nella medesima Grecia. Edalla voce "coelum"che significa egualmente il "bolino"e 'l "gran corpo dell'aria"congetturava non forse gliegizida cui Pittagora aveva appresoavessero oppinato chel'istromentocon cui la natura lavora tuttoegli sia il cuneoeche ciò vollero significare gli egizi con le loro piramidi. Ei latini la "natura" dissero "ingenium"di cui èprincipal propietà l'acutezza; sì che la natura formi esformi ogni forma col bolino dell'aria; e che formileggiermenteincavandola materia; la sformiprofondandovi il suo bolino colquale l'aria depreda tutto; e la mano che muova questo istrumento sial'eterela cui mente fu creduta da tutti Giove. E i latini l'"aria"dissero "anima"come principio onde l'universo abbia ilmoto e la vitasopra cuicome femminaoperi come maschio l'eterecheinsinuato nell'animaleda' latini fu detto "animus";onde è quella volgar differenza di latine propietà:"anima vivimusanimo sentimus"; talché l'animaol'ariainsinuata nel sangue sia nell'uomo principio della vital'etere insinuato ne' nervi sia principio del senso; ed a quellaproporzione che l'etere è più attivo dell'ariacosìgli spiriti animali sieno più mobili e presti che i vitali; ecome sopra l'anima opera l'animocosì sopra l'animo operiquella che da' latini si dice "mens"che tanto vale quanto"pensiero"onde restò a' latini detta "mensanimi"e che 'l pensiero o mente sia agli uomini mandato daGioveche è la mente dell'etere. Ché se egli fossecosìil principio operante di tutte le cose in naturadovrebbero essere corpicelli di figura piramidali; e certamentel'etere unito è fuoco. E su tali princìpi un giornoincasa del signor don Lucio di Sangroil Vico ne tenne ragionamentocol signor Doria: che forse quello che i fisici ammirano stranieffetti nella calamitaeglino non si riflettono che sono assaivolgari nel fuoco; de' fenomeni della calamita tre essere i piùmeravigliosil'attrazione del ferrola comunicazione al ferro dellavirtù magnetica e l'addrizzamento al polo; e niuna cosa esserepiù volgare che 'l fomento in proporzionata distanzaconcepisce il foco ein arruotarsila fiammache ci comunica illumee che la fiamma s'addrizza al vertice del suo cielo: tanto chese la calamita fosse rada come la fiamma e la fiamma spessa come lacalamitaquesta non si addrizzarebbe al polo ma al suo zenite lafiamma si addrizzarebbe al polonon al suo vertice: che sarebbe sela calamita per ciò si addrizzi al polo perché quellasia la più alta parte del cielo verso cui ella possasforzarsi? Come apertamente si osserva nelle calamite poste in puntead aghi alquanto lunghechementre s'addrizzano al poloellenoapertamente si vedono sforzarsi d'ergere verso il zenit; talchéforse la calamita osservata con questo aspettodeterminata daviaggiatori in qualche luogo dove ella più che altrove siergessepotrebbe dare la misura certa delle larghezze delle terreche cotanto si va cercando per portare alla sua perfezione lageografia.

Questopensiero piacque sommamente al signor Doriaonde il Vico si diede aportarlo più inoltre in uso della medicinaperché de'medesimi egizii quali significarono la natura con la piramidefuparticolar medicina meccanica quella del lasco e dello strettoche'l dottissimo Prospero Alpino con somma dottrina ed erudizioneadornò. E vedendo altresì il Vico che niun medico avevafatto uso del caldo e del freddo quali li diffinisce il Cartesio: -che 'l freddo sia moto da fuori in dentroil caldoa roversciomoto da dentro in fuori- fu mosso a fondarvi sopra un sistema dimedicina: non forse le febbri ardenti sieno d'aria nelle vene dalcentro del cuore alla periferiache più di quel che convienea star bene dilarghi i diametri de' vasi sanguigni turati dalla parteopposta al di fuori; ed al contrario le febbri maligne sieno motod'aria ne' vasi sanguigni da fuori in dentroche ne dilarghi oltredi quel che conviene a star bene i diametri de' vasi turati nellaparte opposta al di dentro; ondemancando al cuorech'è 'lcentro del corpo animatol'aria che bisogna tanto muoverlo quantoconvenga a star beneinfievolendosi il moto del cuorese nerappigli il sanguein che principalmente le febbri acute consistono;e questo sia quello "quid divini" che Ippocrate dicevacagionare tai febbri. Vi concorrono da tutta la natura ragionevolicongettureperché egualmente il freddo e 'l caldoconferiscono alla generazion delle cose: il freddo a germogliare lesemenze delle biade e ne' cadaveri alla ingenerazione de' verminine' luoghi umidi e oscuri a quella d'altri animalie l'eccessivofreddo egualmente che 'l foco cagiona delle gangrene ed in Isvezia legangrene si curan col ghiaccio; vi concorrono i segninelle malignedel tatto freddo e de' sudori colliquativiche dànno adivedere un gran dilargamento de' vasi escretòri; nelleardentiil tatto infocato ed asproche con l'asprezza significatroppo al di fuori essersi i vari corrugati e stretti. Che sarebbe sequindi restò a' latiniche riducessero tutti i morbi a questosommo genere: "ruptum"che vi fosse stata una anticamedicina in Italiache stimasse tutti i mali cominciassero da viziodi solidi e che portino finalmente a quello che dicono i medesimilatini "corruptum"?

Quindiper le ragioni arrecate in quel libricciuolo che poi ne diede allaluces'innalzò il Vico a stabilire questa fisica sopra unametafisica propia; e con la stessa condotta delle origini de' latinifavellari ripurgò i punti di Zenone dagli alterati rapporti diAristotilee mostrò che i punti zenonistici sieno l'unicaipotesi da scendere dalle cose astratte alle corpolentesiccome lageometria è l'unica via da portarsi con iscienza dalle cosecorpolente alle cose astrattedi che costano i corpi; - ediffinitoil punto quello che non ha parti (che è tanto dire quantofondare un principio infinito dell'estensione astratta)come ilpuntoche non è distesocon un escorso faccia l'estensiondella lineacosì vi sia una sostanza infinita che con un suocome escorsoche sarebbe la generazionedia forma alle cose finite;- e come Pittagorache vuole per ciò il mondo costar dinumeriche sono in un certo modo delle linee più astrattiperché l'uno non è numero e genera il numero ed in ogninumero dissuguale vi sta dentro indivisibilmente (onde Aristotiledisse l'essenze essere indivisibili siccome i numerich'ètanto dividergli quanto distruggergli)così il puntoche staegualmente sotto linee distese ineguali (onde la diagonale con lalaterale del quadratoper essemploche sono altrimente lineeincommensurabilisi tagliano ne' medesimi punti)sia egliun'ipotesi di una sostanza inestensache sotto corpi disuguali vistia egualmente sotto ed egualmente li sostenga. Alla qual metafisicaanderebbero di séguito così la logica degli stoicinella quale s'addottrinavano a ragionare col soriteche era una lorpropia maniera di argomentare quasi con un metodo geometrico; come lafisicala quale ponga per principio di tutte le forme corporee ilcuneoin quella guisa che la prima figura compostache s'ingenerain geometriaè 'l triangolosiccome la prima semplice è'l cerchiosimbolo del perfettissimo Dio. E così ne uscirebbecomodamente la fisica degli egiziche intesero la natura unapiramideche è un solido di quattro facce triangolarie visi accomoderebbe la medicina egiziana del lasco e dello stretto.Della quale egli un libro di pochi fogli col titolo De aequilibriocorporis animantis ne scrisse al signor Domenico d'Aulisiodottissimo quant'altri mai delle cose di medicina; e ne tenne altresìspessi ragionamenti col signor Lucantonio Porzioonde si conciliòappo questi un sommo credito congionto ad una stretta amicizialaquale coltivò egli infino alla morte di questo ultimo filosofoitaliano della scuola di Galileoil quale soleva dir spesso con gliamici che le cose meditate dal Vicoper usare il suo dettoilponevano in soggezione. Ma la Metafisica sola fu stampata in Napoliin dodicesimo l'anno 1710 presso Felice Moscaindrizzata al signordon Paolo Doriaper primo libro del De antiquissima italorumsapientia ex linguae latinae originibus eruenda. E vi si attaccòla contesa tra' signori giornalisti di Vinegia e l'auttoredi cui nevanno stampate in Napoli in dodicesimo pur dal Mosca una Rispostal'anno 1711 e una Replica l'anno 1712; la qual contesa da ambe leparti e onorevolmente si trattòe con molta buona grazia sicompose. Ma il dispiacimento delle etimologie gramaticheche eraincominciato a farsi sentire nel Vicoera un indizio di ciòonde poinelle opere ultimeritruovò le origini delle linguetratte da un principio di natura comune a tuttesopra il qualestabilisce i princìpi di un etimologico universale da darl'origini a tutte le lingue morte e viventi. E 'l poco compiacimentodel libro del Verulamioove si dà a rintracciare la sapienzadegli antichi dalle favole de' poetifu un altro segno di quelloonde il Vicopur nell'ultime sue opereritruovò altriprincìpi della poesia di quelli che i greci e i latini e glialtri dopoi hanno finor credutosopra cui ne stabilisce altri dimitologiaco' quali le favole unicamente portarono significatistorici delle prime antichissime repubbliche grechee ne spiegatutta la storia favolosa delle repubbliche eroiche.

Pocodopoifu onorevolmente richiesto dal signor don Adriano Caraffa ducadi Traettonella cui erudizione era stato molti anni impiegatocheegli scrivesse la vita del maresciallo Antonio Caraffa suo zio; e 'lVicoche aveva formato l'animo veracericevé il comandoperché ébbene pronta dal duca una sformata copia dibuone e sincere notizieche 'l duca ne conservava. E dal tempo degliesercizi diurni rimanevagli la sola notte per lavorarlae vi spesedue anniuno a disporne da quelle molto sparse e confuse notizie icomentariun altro a tesserne l'istoriain tutto il qual tempo futravagliato da crudelissimi spasimi ippocondriaci nel bracciosinistro. Ecome poteva ogniun vederlola seraper tutto il tempoche la scrisse non ebbe giammai altro innanzi sul tavolino che icomentaricome se scrivesse in lingua nativaed in mezzo aglistrepiti domestici e spesso in conversazion degli amici; e sìlavorolla temprata di onore del subbiettodi riverenza verso iprìncipi e di giustizia che si dee aver per la verità.L'opera uscì magnifica dalle stampe di Felice Mosca in quartofoglio in un giusto volume l'anno 1716e fu il primo libro che congusto di quelle di Olanda uscì dalle stampe di Napoli; emandata dal duca al sommo pontefice Clemente undecimoin un brievecon cui la gradìmeritò l'elogio di "storiaimmortale"e di più conciliò al Vico la stima el'amicizia di un chiarissimo letterato d'Italiasignor GianvincenzoGravinacol quale coltivò stretta corrispondenza infino cheegli morì (1718).

Nell'apparecchiarsia scrivere questa vitail Vico si vide in obbligo di leggere UgonGrozioDe iure belli et pacis. E qui vide il quarto auttore daaggiugnersi agli tre altri che egli si aveva proposti. PerchéPlatone adorna più tosto che ferma la sua sapienza riposta conla volgare di Omero; Tacito sparge la sua metafisicamorale epolitica per gli fatticome da' tempi ad essolui vengono innanzisparsi e confusi senza sistema; Bacone vede tutto il saper umano edivinoche vi eradoversi supplire in ciò che non ha edemendare in ciò che hamaintorno alle leggiegli co' suoicanoni non s'innalzò troppo all'universo delle città edalla scorsa di tutti i tempi né alla distesa di tutte lenazioni. Ma Ugon Grozio pone in sistema di un dritto universale tuttala filosofia e la filologia in entrambe le parti di questa ultimasìdella storia delle cose o favolosa o certasì della storiadelle tre lingueebreagreca e latinache sono le tre lingue dotteantiche che ci son pervenute per mano della cristiana religione. Edegli molto più poi si fe' addentro in quest'opera del Grozioquandoavendosi ella a ristamparefu richiesto che vi scrivessealcune noteche 'l Vico cominciò a scriverepiù cheal Grozioin riprensione di quelle che vi aveva scritte il Gronovioil quale le vi appiccò più per compiacere a' governiliberi che per far merito alla giustizia; e già ne avevascorso il primo libro e la metà del secondodelle quali poisi rimasesulla riflessione che non conveniva ad uom cattolico direligione adornare di note opera di auttore eretico.

Conquesti studicon queste cognizionicon questi quattro auttori cheegli ammirava sopra tutt'altricon desiderio di piegargli in usodella cattolica religionefinalmente il Vico intese non esserviancora nel mondo delle lettere un sistemain cui accordasse lamiglior filosofiaqual è la platonica subordinata allacristiana religionecon una filologia che portasse necessitàdi scienza in entrambe le sue partiche sono le due storieunadelle linguel'altra delle cose; e dalla storia delle cose siaccertasse quella delle linguedi tal condotta che sì fattosistema componesse amichevolmente e le massime de' sapientidell'accademie e le pratiche de' sapienti delle repubbliche. Ed inquesto intendimento egli tutto spiccossi dalla mente del Vico quelloche egli era ito nella mente cercando nelle prime orazioni auguralied aveva dirozzato pur grossolanamente nella dissertazione De nostritemporis studiorum ratione econ un poco più di affinamentonella Metafisica. Ed in un'apertura di studi pubblica solennedell'anno 1719 propose questo argomento: Omnis divinae atque humanaeeruditionis elementa tria: nossevelleposse; quorum principiumunum menscuius oculus ratiocui aeterni veri lumen praebet Deus. Epartì l'argomento così: "Nunc haec tria elementaquae tam existere et nostra esse quam nos vivere certo scimusunailia re de qua omnino dubitare non possumusnimirum cogitationeexplicemus. Quod quo facilius faciamushanc tractationem universamdivido in partes tres: in quarum prima omnia scientiarum principia aDeo esse; in secundadivinum lumen sive aeternum verum per haec triaquae proposuimus elementaomnes scientias permeareeasque omnes unaarctissima complexione colligatas alias in alias dirigere et cunctasad Deumipsarum principiumrevocare; in tertiaquicquid usquam dedivinae ac humanae eruditionis principiis scriptum dictumve sit quodcum his principiis congrueritverum; quod dissenseritfalsum essedemonstremus. Atque adeo de divinarum atque humanarum rerum notitiahaec agam tria: de originede circulode constantia; et ostendamorigines omnes a Deo provenirecirculo ad Deum redire omnesconstantia omnes constare in Deo omnesque eas ipsas praeter Deumtenebras esse et errores". E vi ragionò sopra da un'ora epiù.

Sembròa taluni l'argomentoparticolarmente per la terza partepiùmagnifico che efficacedicendo che non di tanto si era compromessoPico della Mirandola quando propose sostenere "conclusiones deomni scibili"perché ne lasciò la grande emaggior parte della filologiala qualeintorno a innumerabili cosedelle religionilingueleggicostumidomìnicommerziimperigoverniordini ed altreè ne' suoi incominciamentimozzaoscurairragionevoleincredibile e disperata affatto dapotersi ridurre a princìpi di scienza. Onde il Vicoper darneinnanzi tempo un'idea che dimostrasse poter un tal sistema uscireall'effettone diede fuora un saggio l'anno 1720che corse per lemani de' letterati d'Italia e d'oltremontisopra il quale alcunidiedero giudizi svantaggiosi; perònon gli avendo poisostenuti quando l'opera uscì adornata di giudizi moltoonorevoli di uomini letterati dottissimico' quali efficacemente lalodarononon sono costoro da essere qui mentovati. Il signor AntonSalvinigran pregio dell'Italiadegnossi fargli contro alcunedifficoltà filologiche (le quali fece a lui giugnere perlettera scritta al signor Francesco Vallettauomo dottissimo e degnoerede della celebre biblioteca vallettiana lasciata dal signorGioseppesuo avo)alle quali gentilmente rispose il Vico nellaConstanza della filologia; altre filosofiche del signor Ulrico Uberoe del signor Cristiano Tomasiouomini di rinomata letteratura dellaGermaniagliene portò il signor Luigi barone di Ghemminghenalle quali egli si ritruovava già aver soddisfatto con l'operaistessacome si può vedere nel fine del libro De constantiaiurisprudentis.

Uscitoil primo libro col titolo De uno universi iuris principio et fine unol'istesso anno 1720dalle stampe pur di Felice Mosca in quartofoglionel quale pruova la prima e la seconda parte delladissertazionegiunsero all'orecchio dell'auttore obbiezioni fatte avoce da sconosciuti ed altre da alcuno fatte pure privatamentedellequali niuna convelleva il sistemama intorno a leggieri particolaricosee la maggior parte in conseguenza delle vecchie oppinionicontro le quali si era meditato il sistema. A' quali opponitoripernon sembrare il Vico che esso s'infingesse i nemici per poi ferirglirisponde senza nominargli nel libro che diede appresso: De constantiaiurisprudentisaccioché così sconosciutise maiavessero in mano l'operatutti soli e secreti intendessero esserloro stato risposto. Uscì poi dalle medesime stampe del Moscapur in quarto fogliol'anno appresso 1721l'altro volume coltitolo: De constantia iurisprudentisnella quale più a minutosi pruova la terza parte della dissertazionela quale in questolibro si divide in due partiuna De constantia philosophiaealtraDe constantia philologiae; e in questa seconda parte dispiacendo ataluni un capitolo così concepito: Nova scientia tentaturdonde s'incomincia la filologia a ridurre a princìpi discienzae ritruovando infatti che la promessa fatta dal Vico nellaterza parte della dissertazione non era punto vana non solo per laparte della filosofiamaquel che era piùné menoper quella della filologiaanzi di più che sopra tal sistemavi si facevano molte ed importanti scoverte di cose tutte nuove etutte lontane dall'oppinione di tutti i dotti di tutti i tempinonudì l'opera altra accusa: che ella non s'intendeva. Maattestarono al mondo che ella s'intendesse benissimo uominidottissimi della cittài quali l'approvarono pubblicamente ela lodarono con gravità e con efficaciai cui elogi sileggono nell'opera medesima.

Traqueste cose una lettera dal signor Giovan Clerico fu scrittaall'auttore del tenore che siegue:

"Accepivir clarissimeante perpaucos dies ab ephoro illustrissimi comitisWildenstein opus tuum de origine iuris et philologiaquodcum essemUltraiectivix leviter evolvere potui. Coactus enim negotiisquibusdam Amstelodamum redirenon satis mihi fuit temporis ut tamlimpido fonte me proluere possem. Festinante tamen oculo vidi multaet egregiatum philosophica tum etiam philologicaquae mihioccasionem praebebunt ostendendi nostris septentrionalibus eruditisacumen atque eruditionem non minus apud italos inveniri quam apudipsos; imo vero doctiora et acutiora dici ab italis quam quae afrigidiorum orarum incolis expectari queant. Cras vero Ultraiectumrediturus sumut illic perpaucas hebdomadas morer utque me opere tuosatiem in illo secessuin quo minus quam Amstelodami interpellor.Cum mentem tuam probe adsequutus fuerotum vero in voluminis XVIII"Bibliotecae antiquae et hodiernae" parte altera ostendamquanti sit faciendum. Valevir clarissimemeque inter egregiae tuaeeruditionis iustos aestimatores numerato. Dabamfestinanti manuAmstelodamiad diem VIII septembris MDCCXXII."

Quantoquesta lettera rallegrò i valenti uomini che avevano giudicatoa pro dell'opera del Vicoaltrettanto dispiacque a coloro che neavevano sentito il contrario. Quindi si lusingavano che questo era unprivato complimento del Clericomaquando egli ne darebbe ilgiudizio pubblico nella Bibliotecaallora ne giudicherebbe conformea essoloro pareva di giustizia; dicendo esser impossibile che conl'occasione di quest'opera del Vico volesse il Clerico cantare lapalinodia di quello che eglipresso a cinquant'anniha sempredetto: che in Italia non si lavoravano opere le quali per ingegno eper dottrina potessero stare a petto di quelle che uscivano daoltramonti. E 'l Vico frattantoper appruovare al mondo che essoamava sì la stima degli uomini eccellentima non giàla faceva fine e mèta de' suoi travaglilesse tutti e due ipoemi d'Omero con l'aspetto de' suoi princìpi di filologiaeper certi canoni mitologici che ne aveva concepitili fa vedere inaltra comparsa di quello con la quale sono stati finora osservatiedivinamente esser tessuti sopra due subbietti due gruppi di grecheistorie dei tempi oscuro ed eroico secondo la division di Varrone. Lequali lezioni omericheinsieme con essi canonidiede fuori purdalle stampe del Mosca in quarto foglio l'anno seguente 1722conquesto titolo: Iohannis Baptistae Vici Notae in duos librosalterumDe universi iuris principioalterum De constantia iurisprudentis.

Pocodipoi vacò la cattedra primaria mattutina di leggiminordella vespertinacon salario di scudi seicento l'anno; e 'l Vicodestato in isperanza di conseguirla da questi meriti che si sononarrati particolarmente in materia di giurisprudenzali quali eglisi aveva perciò apparecchiati inverso la sua universitànella quale esso è il più anziano di tutti per ragionedi possesso di cattedreperché esso solo possiede la sua perintestazione di Carlo secondoe tutti gli altri le possiedono perintestazioni più fresche; ed affidato nella vita che avevamenato nella sua patriadove con le sue opere d'ingegno avevaonorato tuttigiovato a molti e nociuto a nessuno; il giorno avanticome egli è usoaperto il Digesto vecchiosopra del qualedovevan sortire quella volta le leggiegli ebbe in sorte queste tre:una sotto il titolo De rei vindicationeun'altra sotto il titolo Depeculioe la terza fu la legge prima sotto il titolo De praescriptisverbis. E perché tutti e tre erano testi abbondantiil Vicoper mostrare a monsignor Vidaniaprefetto degli studiuna prontafacoltà di fare quel saggioquantunque giammai avesseprofessato giurisprudenzail priegò che avessegli fattol'onore di determinargli l'un de' tre luoghi ove a capo leventiquattro ore doveva fare la lezione. Ma il prefetto scusandoseneesso si elesse l'ultima leggedicendo il perché quella era diPapinianogiureconsulto sopra tutt'altri di altissimi sensied erain materia di diffinizioni di nomi di leggiche è la piùdifficile impresa da ben condursi in giurisprudenza; prevedendo chesarebbe stato audace ignorante colui che l'avesse avuto a calonniareperché si avesse eletto tal leggeperché tanto sarebbestato quanto riprenderlo perché egli si avesse eletto materiacotanto difficile; talché Cuiacioove egli diffinisce nomi dilegges'insuperbisce con merito e dice che vengan tutti ad impararloda luicome fa ne' Paratitli de' Digesti (De codicillis)e non peraltro ei riputa Papiniano principe de' giureconsulti romani cheperché niuno meglio di lui diffinisca e niuno ne abbia portatoin maggior copia migliori diffinizioni in giurisprudenza.

Avevanoi competitori poste in quattro cose loro speranzenelle quali comescogli il Vico dovesse rompere. Tuttimenati dalla interna stima chene avevanocredevan certamente che egli avesse a fare una magnificae lunga prefazion de' suoi meriti inverso l'università. Pochii quali intendevano ciò che egli arebbe potutoauguravano cheegli ragionerebbe sul testo per gli suoi Princìpi del drittouniversaleonde con fremito dell'udienza arebbe rotte le leggistabilite di concorrere in giurisprudenza. Gli piùchestimano solamente maestri della facoltà coloro che l'insegnanoa' giovanisi lusingavano o cheella essendo una legge doveOttomano aveva detto di molta erudizioneegli con Ottomano vifacesse tutta la sua comparsao chesu questa legge avendo Fabbroattaccato tutti i primi lumi degl'interpetri e non essendovi statoalcuno appresso che avesse al Fabbro rispostoil Vico arebbe empiutala lezione di Fabbro e non l'arebbe attaccato. Ma la lezione del Vicoriuscì tutta fuori della loro aspettazioneperché eglivi entrò con una brievegrave e toccante invocazione; recitòimmediatamente il principio della leggesul quale e non negli altrisuoi paragrafi restrinse la sua lezione; edopo ridotta in somma epartitaimmediatamente in una maniera quanto nuova ad udirsi in sìfatti saggi cotanto usata da' romani giureconsultiche da per tuttorisuonano: "Ait lex""Ait senatusconsultum""Ait praetor"con somigliante formola "Aitiurisconsultus" interpetrò le parole della legge una peruna partitamenteper ovviare a quell'accusa che spesse volte in taiconcorsi si odeche egli avesse punto dal testo divagatoperchésarebbe stato affatto ignorante maligno alcuno che avesse volutoscemarne il pregio perché egli l'avesse potuto fare sopra unprincipio di titoloperché non sono già le leggi ne'Pandetti disposte con alcun metodo scolastico d'instituzioniecomeegli fu in quel principio allogato Papinianopoteva ben altrogiureconsulto allogarsiche con altre parole ed altri sentimentiavesse data la diffinizione dell'azione che ivi si tratta. Indi dallainterpretazione delle parole tragge il sentimento della diffinizionepapinianeal'illustra con Cuiacioindi la fa vedere conforme aquella degl'interpetri greci. Immediatamente appresso si fa incontroal Fabbroe dimostra con quanto leggiere o cavillose o vane ragioniegli riprende Accursioindi Paolo di Castropoi gl'interpetrioltramontani antichiappresso Andrea Alciato; ed avendo dinanzinell'ordine de' ripresi da Fabbropreposto Ottomano a Cuiacionelseguirlo si dimenticò di Ottomano edopo AlciatopreseCuiacio a difendere; di che avvertitotrappose queste parole: "Sedmemoria lapsus Cuiacium Othmano praeverti; at moxCuiacio absolutoHotmanum a Fabro vindicabimus". Tanto egli aveva poste speranzedi fare con Ottomano il concorso! Finalmentesul punto che venivaalla difesa di Ottomanol'ora della lezione finì.

Eglila pensò fino alle cinque ore della notte antecedenteinragionando con amici e tra lo strepito de' suoi figliuolicome hauso di sempre o leggere o scrivere o meditare. Ridusse la lezione insommi capiche si chiudevano in una paginae la porse con tantafacilità come se non altro avesse professato tutta la vitacon tanta copia di dire che altri v'arebbe aringato due orecol fiorfiore dell'eleganze legali della giurisprudenza più colta eco' termini dell'arte anche grecied ove ne abbisognava alcunoscolasticopiù tosto il disse greco che barbaro. Una solvoltaper la difficoltà della voce proghegramménonegli si fermò alquanto; ma poi soggiunse: "Ne miremini mesubstitisseipsa enim verbi antitupía me remorata est";tanto che parve a molti fatto a bella posta quel momentaneosbalordimentoperché con un'altra voce greca sì propiaed elegante esso si fosse rimesso. Poi il giorno appresso la stesequale l'aveva recitata e ne diede essemplarifra gli altrialsignor don Domenico Caravitaavvocato primario di questi suppremitribunalidegnissimo figliuolo del signor don Nicolòilquale non vi poté intervenire.

Stimòsoltanto il Vico portare a questa pretensione i suoi meriti e 'lsaggio della lezioneper lo cui universal applauso era stato postoin isperanza di certamente conseguire la cattedra; quando eglifattoaccorto dell'infelice eventoqual in fatti riuscì anche inpersona di coloro che erano immediatamente per tal cattedra graduatiperché non sembrasse delicato o superbo di non andar attornodi non priegare e fare gli altri doveri onesti de' pretensoricolconsiglio ed auttorità di esso signor don Domenico Caravitasapiente uomo e benvoglientissimo suoche gli appruovò che aesso conveniva tirarsenecon grandezza di animo andò aprofessare che si ritraeva dal pretenderla.

Questadissavventura del Vicoper la quale disperò per l'avvenireaver mai più degno luogo nella sua patriafu ella consolatadal giudizio del signor Giovan Clericoil qualecome se avesseudite le accuse fatte da taluni alla di lui operacosì nellaseconda parte del volume XVIII della Biblioteca antica e modernaall'articolo VIIIcon queste parolepuntualmente dal francesetradotteper coloro che dicevano non intendersigiudicageneralmente: che l'opera è "ripiena di materiereconditedi considerazioni assai variescritta in istile moltoserrato"; che infiniti luoghi avrebbono bisogno di ben lunghiestratti; è ordita con "metodo mattematico"che "dapochi princìpi tragge infinità di conseguenze";che bisogna leggersi con attenzionesenza interrompimentoda capo apiedied avvezzarsi alle sue idee ed al suo stile; cosìcolmeditarvi soprai leggitori "vi truoveranno di piùcolmaggiormente innoltrarsimolte scoverte e curiose osservazioni fuordi loro aspettativa". Per quello onde fe' tanto romore la terzaparte della dissertazioneper quanto riguarda la filosofia dicecosì: "Tutto ciò che altre volte è statodetto de' princìpi della divina ed umana erudizioneche sitruova uniforme a quanto è stato scritto nel libro precedenteegli è di necessità vero". Per quanto riguardaalla filologiaegli così ne giudica: "Egli ci dàin accorcio le principali epoche dopo il diluvio infino al tempo cheAnnibale portò la guerra in Italia; perché eglidiscorre in tutto il corpo del libro sopra diverse cose che seguironoin questo spazio di tempoe fa molte osservazioni di filologia sopraun gran numero di materieemendando quantità di errorivulgaria' quali uomini intendentissimi non hanno punto badato".E finalmente conchiude per tutti: "Vi si vede una mescolanzaperpetua di materie filosofichegiuridiche e filologichepoichéil signor Vico si è particolarmente applicato a queste trescienze e le ha ben meditatecome tutti coloro che leggeranno le sueopere converranno in ciò. Tra queste tre scienze vi ha un sìforte ligame che non può uom vantarsi di averne penetrata econosciuta una in tutta la sua distesa senza averne altresìgrandissima cognizione dell'altre. Quindi è che alla fine delvolume vi si veggono gli elogi che i savi italiani han dato aquest'operaper cui si può comprendere che riguardanol'auttore come intendentissimo della metafisicadella legge e dellafilologiae la di lui opera come un originale pieno d'importantidiscoverte".

Manon altronde si può intendere apertamente che 'l Vico ènato per la gloria della patria e in conseguenza dell'Italiaperchéquivi nato e non in Marocco esso riuscì letteratoche daquesto colpo di avversa fortunaonde altri arebbe rinunziato a tuttele letterese non pentito di averle mai coltivateegli non siritrasse punto di lavorare altre opere. Come in effetto ne aveva giàlavorata una divisa in due librich'arebbono occupato due giustivolumi in quarto: nel primo de' quali andava a ritrovare i princìpidel diritto naturale delle genti dentro quegli dell'umanitàdelle nazioniper via d'inverisimiglianzesconcezze edimpossibilità di tutto ciò che ne avevano gli altriinanzi più immaginato che raggionato; in conseguenza delqualenel secondoegli spiegava la generazione de' costumi umanicon una certa cronologia raggionata di tempi oscuro e favoloso de'grecida' quali abbiamo tutto ciò ch'abbiamo delle antichitàgentilesche. E già l'opera era stata riveduta dal signor donGiulio Tornodottissimo teologo della chiesa napoletanaquando esso- riflettendo che tal maniera negativa di dimostrare quanto fa distrepito nella fantasia tanto è insuave all'intendimentopoiché con essa nulla più si spiega la mente umana; edaltronde per un colpo di avversa fortunaessendo stato messo in unanecessità di non poterla dare alle stampee perché purtroppo obbligato dal propio punto di darla fuoriritrovandosi averpromesso di pubblicarla - ristrinse tutto il suo spirito in un'asprameditazione per ritrovarne un metodo positivoe sì piùstretto e quindi più ancora efficace.

Enel fine dell'anno 1725 diede fuori in Napolidalle stampe di FeliceMoscaun libro in dodicesimo di dodeci foglinon piùincarattere di testinocon titolo: Princìpi di una Scienzanuova d'intorno alla natura delle nazioniper li quali si ritruovanoaltri princìpi del diritto naturale delle gentie con unoelogio l'indirizza alle università dell'Europa. In quest'operaegli ritruova finalmente tutto spiegato quel principioch'esso ancorconfusamente e non con tutta distinzione aveva inteso nelle sue opereantecedenti. Imperciocché egli appruova una indispensabilenecessitàanche umanadi ripetere le prime origini di talScienza da' princìpi della storia sacraeper unadisperazione dimostrata così da' filosofi come da' filologi diritrovarne i progressi ne' primi auttori delle nazioni gentiliesso- facendo più ampioanzi un vasto uso di uno de' giudizi che'l signor Giovanni Clerico avea dato dell'opera antecedenteche iviegli "per le principali epoche ivi date in accorcio dal diluviouniversale fino alla seconda guerra di Cartaginediscorrendo sopradiverse cose che seguirono in questo spazio di tempofa molteosservazioni di filologia sopra un gran numero di materieemendandoquantità di errori volgaria' quali uomini intendentissiminon hanno punto badato" - discuopre questa nuova Scienza inforza di una nuova arte critica da giudicare il vero negli auttoridelle nazioni medesime dentro le tradizioni volgari delle nazioni cheessi fondaronoappresso i quali doppo migliaia d'anni vennero gliscrittorisopra i quali si ravvoglie questa critica usata; econ lafiaccola di tal nuova arte criticascuopre tutt'altre da quelle chesono state immaginate finora le origini di quasi tutte le disciplinesieno scienze o artiche abbisognano per raggionare con ideeschiarite e con parlari propi del diritto naturale delle nazioni.Quindi egli ne ripartisce i princìpi in due partiuna delleideeun'altra delle lingue. E per quella dell'ideescuopre altriprincìpi storici di cronologia e geografiache sono i dueocchi della storiae quindi i princìpi della storiauniversalec'han mancato finora. Scuopre altri princìpistorici della filosofiae primieramente una metafisica del genereumanocioè una teologia naturale di tutte le nazionicon laquale ciascun popolo naturalmente si finse da se stesso i suoi propridèi per un certo istinto naturale che ha l'uomo delladivinitàcol cui timore i primi auttori delle nazioni siandarono ad unire con certe donne in perpetua compagnia di vitachefu la prima umana società de' matrimoni; e sì scuopreessere stato lo stesso il gran principio della teologia de' gentili equello della poesia de' poeti teologiche furono i primi nel mondo equelli di tutta l'umanità gentilesca. Da cotal metafisicascuopre una morale e quindi una politica commune alle nazionisoprale quali fonda la giurisprudenza del genere umano variante per certesette de' tempisì come esse nazioni vanno tuttavia piùspiegando l'idee della loro naturain conseguenza delle quali piùspiegate vanno variando i governil'ultima forma de' quali dimostraessere la monarchianella quale vanno finalmente per natura ariposare le nazioni. Così supplisce il gran vuoto che ne' suoiprincìpi ne ha lasciato la storia universalela qualeincomincia in Nino dalla monarchia degli assiri. Per la parte dellelinguescuopre altri princìpi della poesia e del canto e de'versie dimostra essere quella e questi nati per necessità dinatura uniforme in tutte le prime nazioni. In seguito di tai princìpiscuopre altre origini dell'imprese eroicheche fu un parlar mutolodi tutte le prime nazioni in tempi diformati di favelle articolate.Quindi scuopre altri princìpi della scienza del blasonecheritruova esser gli stessi che quegli della scienza delle medagliedove osserva eroiche di quattromill'anni di continuata sovranitàle origini delle due case d'Austria e di Francia. Fra gli effettidella discoverta delle origini delle lingue ritruova certi princìpicommuni a tuttee per un saggio scuopre le vere cagioni della lingualatinae al di lei essemplo lascia agli eruditi a farlo delle altretutte; dà un'idea di un etimologico commune a tutte le linguenatieun'altra di altro etimologico delle voci di origine stranieraper ispiegare finalmente un'idea d'un etimologico universale per lascienza della lingua necessaria a raggionare con propietà deldiritto naturale delle genti. Con sì fatti princìpi sìd'idee come di lingueche vuol dire con tal filosofia e filologiadel gener umanospiega una storia ideale eterna sull'idea dellaprovidenzadalla quale per tutta l'opera dimostra il dirittonaturale delle genti ordinato; sulla quale storia eterna corrono intempo tutte le storie particolari delle nazioni ne' loro sorgimentiprogressistatidecadenze e fini. Sì che esso dagli egiziche motteggiavano i greci che non sapessero di antichitàcondir loro che erano sempre fanciulliprende e fa uso di due granrottami di antichità: unoche tutti i tempi scorsi lorodinanzi essi divisero in tre epocheuna dell'età degli dèil'altra dell'età degli eroila terza di quella degli uomini;l'altro che con questo stesso ordine e numero di parti in altrettantadistesa di secoli si parlarono inanziad essoloro tre lingue: unadivinamutaper geroglifici o sieno caratteri sacri; un'altrasimbolica o sia per metaforequal è la favella eroica; laterza epistolica per parlari convenuti negli usi presenti della vita.Quindi dimostra la prima epoca e lingua essere state nel tempo dellefamiglieche certamente furono appo tutte le nazioni inanzi dellecittà e sopra le quali ognun confessa che sorsero le cittàle quali famiglie i padri da sovrani prìncipi reggevano sottoil governo degli dèiordinando tutte le cose umane con gliauspici divinie con una somma naturalezza e semplicità nespiega la storia dentro le favole divine de' greci. Quivi osservandoche gli dèi d'Orienteche poi da' caldei furono innalzatialle stelleportati da' fenici in Grecia (lo che dimostra esseravvenuto dopo i tempi d'Omero)vi ritruovarono acconci i nomi deidèi greci a riceverglisì come poiportati nel Laziovi ritruovarono acconci i nomi dei dèi latini. Quindi dimostracotale stato di cosequantunque in altri dopo altriessere corsoegualmente tra latinigreci ed asiani. Appresso dimostra la secondaepoca con la seconda lingua simbolica essere state nel tempo de'primi governi civiliche dimostra essere stati di certi regni eroicio sia d'ordini regnanti de' nobiliche gli antichissimi grecidissero "razze erculee"riputate di origine divina soprale prime plebitenute da quelli di origine bestiale; la cui storiaegli spiega con somma facilità descrittaci da' greci tutta nelcarattere del loro Ercole tebanoche certamente fu il massimo de'greci eroidella cui razza furono certamente gli Eraclidida' qualisotto due re si governava il regno spartanoche senza contrasto fuaristocratico. Ed avendo egualmente gli egizi e greci osservato inogni nazione un Ercolecome de' latini ben quaranta ne giunse anumerare Varronedimostra dopo degli dèi aver regnato glieroi da per tutte le nazioni gentili eper un gran frantume di grecaantichitàche i cureti uscirono di Grecia in CretainSaturniao sia Italiaed in Asia; scuopre questi essere stati iquiriti latinidi cui furono una spezie i quiriti romanicioèuomini armati d'aste in adunanza; onde il diritto de' quiriti fu ildiritto di tutte le genti eroiche. E dimostra la vanità dellafavola della legge delle XII tavole venuta da Atenescuopre chesopra tre diritti nativi delle genti eroiche del Laziointrodotti edosservati in Roma e poi fissi nelle tavolereggono le cagioni delgovernovirtù e giustizia romana in pace con le leggi e inguerra con le conquiste; altrimenti la romana storia anticalettacon l'idee presentiella sia più incredibile di essa favolosade' greci; co' quali lumi spiega i veri princìpi dellagiurisprudenza romana. Finalmente dimostra la terza epoca dell'etàdegli uomini e delle lingue volgari essere nei tempi dell'idee dellanatura umana tutta spiegata e ravisata quindi uniforme in tutti; ondetal natura si trasse dietro forme di governi umaniche pruova essereil popolare e 'l monarchicodella qual setta de' tempi furono igiureconsulti romani sotto gl'imperadori. Tanto che viene adimostrare le monarchie essere gli ultimi governi in che si fermanfinalmente le nazioni; e che sulla fantasia che i primi re fusserostati monarchi quali sono i presentinon abbiano affatto potutoincominciare le repubbliche; anzi con la froda e con la forzacomesi è finora immaginatonon abbiano potuto affatto cominciarele nazioni. Con queste ed altre discoverte minorifatte in grannumeroegli raggiona del diritto naturale delle gentidimostrando aquali certi tempi e con quali determinate guise nacquero la primavolta i costumi che forniscono tutta l'iconomia di cotal dirittochesono religionilinguedomìnicommerziordiniimperileggiarmigiudizipeneguerrepacialleanzee da tali tempi eguise ne spiega l'eterne propietà che appruovano tale e nonaltra essere la loro natura o sia guisa e tempo di nascere;osservandovi sempre essenziali differenze tra gli ebrei e gentili:che quelli da principio sorsero e stieron fermi sopra pratiche di ungiusto eternoma le pagane nazioniconducendole assolutamente laprovidenza divinavi sieno ite variando con costante uniformitàper tre spezie di diritticorrispondenti alle tre epoche e linguedegli egizi: il primodivinosotto il governo del vero Dio appo gliebrei e di falsi dèi tra' gentili; il secondoeroicoopropio degli eroiposti in mezzo agli dèi e gli uomini; ilterzoumanoo della natura umana tutta spiegata e riconosciutaeguale in tuttidal quale ultimo diritto possono unicamenteprovenire nelle nazioni i filosofii quali sappiano compierlo perraziocini sopra le massime di un giusto eterno. Nello che hannoerrato di concerto GrozioSeldeno e Pufendorfioi quali per difettodi un'arte critica sopra gli auttori delle nazioni medesimecredendogli sapienti di sapienza ripostanon videro che a' gentilila providenza fu la divina maestra della sapienza volgaredallaquale tra loroa capo di secoli uscì la sapienza riposta;onde han confuso il diritto naturale delle nazioniuscito coicostumi delle medesimecol diritto naturale de' filosofiche quellohanno inteso per forza de' raziocinisenza distinguervi con unqualche privilegio un popolo eletto da Dio per lo suo vero cultodatutte le altre nazioni perduto. Il qual difetto della stessa artecritica aveva trattoinanzigl'interpetri eruditi della romanaragione che sulla favola delle leggi venute di Atene intruserocontro il di lei genionella giurisprudenza romana le sèttede' filosofie spezialmente degli stoici ed epicureide' cuiprincìpi non vi è cosa più contraria a quellinon che di essa giurisprudenzadi tutta la civiltà; e nonseppero trattarla per le di lei sètte propieche furonoquelle de' tempicome apertamente professano averla trattata essiromani giureconsulti.

Conla qual opera il Vicocon gloria della cattolica religioneproduceil vantaggio alla nostra Italia di non invidiare all'Olandal'Inghilterra e la Germania protestante i loro tre príncipi diquesta scienzae che in questa nostra età nel grembo dellavera Chiesa si scuoprissero i princìpi di tutta l'umana edivina erudizione gentilesca. Per tutto ciò ha avuto il librola fortuna di meritare dall'eminentissimo cardinale Lorenzo Corsinia cui sta dedicatoil gradimento con questa non ultima lode: "Operaal certoche per antichità di lingua e per solidezza didottrina basta a far conoscere che vive anche oggi negl'italianispiriti non meno la nativa particolarissima attitudine alla toscanaeloquenza che il robusto felice ardimento a nuove produzioni nellepiù difficili discipline; onde io me ne congratulo con cotestasua ornatissima patria".





Aggiuntafatta dal Vico alla sua Autobiografia (1734)

Uscitaalla luce la Scienza nuovatra gli altri ebbe cura l'autore dimandarla al signor Giovanni Clerico ed eleggé via piùsicura per Livornoove l'inviòcon lettera a quelloindirittain un pacchetto al signor Giuseppe Attiascon cui avevacontratto amicizia qui in Napoliil più dotto riputato tragli ebrei di questa età nella scienza della lingua santacomeil dimostra il Testamento vecchio con la di lui lezione stampato inAmsterdamopera fatta celebre nella repubblica delle lettere. Ilquale con la seguente risposta ne ricevé gentilmentel'impiego:

"Nonsaprei esprimere il piacere da me provato nel riceverel'amorevolissima lettera di V.S. illustrissima del 3 novembrelaquale mi ha rinovato la rimembranza del mio felice soggiorno incotesta amenissima città: basta dire che costà mitrovai sempre colmo di favori e di grazie compartitemi da queicelebri letteratie particolarmente dalla gentilissima sua personache mi ha onorato delle sue eccellenti e sublimi opere; vanto ch'iomi son dato con gli amici della mia conversazione e letterati chedoppo ho praticato ne' miei viaggi d'Italia e Francia. Manderòil pacchetto e lettera del signor Clericoper fargliele recapitarein mano propria da un mio amico di Amsterdam; ed allora averòadempito i miei doveri ed eseguito i pregiati comandi di VostraSignoria illustrissimaalla di cui gentilezza rendo infinite grazieper l'essemplare mi donail quale si è letto nella nostraconversazionee ammirato la sublimità della materia e copiadi nuovi pensierichecome dice il signor Clerico [che doveva egliaver letto nell'accennata "Biblioteca"]oltre il diletto eproffitto che se ne ricava da tutte le sue opere lette attentamentedà motivo di pensare a molte cose per rarità esublimità peregrine e grandi. Chiudo pregandola a portar imiei ossequiosi saluti al padre Sostegni."

Maneppure di questa il Vico ebbe alcuno riscontroforse perchéil signor Clerico o fusse morto o per la vecchiezza avesserinnonziato alle lettere ed alle corrispondenze letterarie.

Traquesti studi severi non mancarono al Vico delle occasioni diesercitarsi anco negli ameni; comevenuto in Napoli il re Filippoquintoebbe egli ordine dal signor duca d'Ascalonach'alloragovernava il Regno di Napoliportatogli dal signor SerafinoBiscardiinnanzi sublime avvocatoallora regente di cancellariach'essocome regio lettore d'eloquenzascrivesse una orazione nellavenuta del re; e l'ebbe appena otto giorni avanti di dipartirsitalché dovettela scrivere sulle stampeche va in dodicesimocol titolo: Panegyricus Philippo V Hispaniarum regi inscriptus.

Appressoricevutosi questo Reame al dominio austriacodal signor conteWirrigo di Daunallora governatore dell'armi cesaree in questoRegnocon questa onorevolissima lettera ebbe il seguente ordine:

"Moltomagnifico signor Giovan Battista di Vicocatedratico ne' reali Studidi Napoli. - Avendomi ordinato S.M. cattolica (Dio guardi) di farcelebrare i funerali alli signori don Giuseppe Capece e don Carlo diSangro con pompa proporzionata alla sua reale magnificenza ed alsommo valore de' cavalieri defontisi è commesso al padre donBenedetto Laudatipriore benedettinoche vi componesse l'orazionefunebree dovendosi fare gli altri componimenti per le iscrizionipersuaso dello stile pregiato di Vostra Signoriaho pensato dicommettere al suo approvato ingegno tale materiaassicurandola cheoltre l'onore sarà per conseguire in sì degna operamiresterà viva la memoria delle sue nobili fatiche. Edesiderando d'essergli utile in qualche suo vantaggiogli auguro dalcielo tutto il bene. Di Vostra Signoriamolto magnifico signore

Daquesto Palazzo in Napolia 11 ottobre 1707 (di propia mano)

affezionatoservidore

CONTEDI DAUN"

Cosìesso vi fece l'iscrizionigli emblemi e motti sentenziosi e larelazione di que' funeralie 'l padre prior Laudatiuomo d'aureicostumi e molto dotto di teologia e di canonivi recitòl'orazioneche vanno in un libro figurato in fogliomagnificamentestampato a spese del real erario col titolo: Acta funeris CaroliSangrii et Iosephi Capycii.

Nonpassò lungo tempo cheper onorato comando del signor conteCarlo Borromeo viceréfece l'iscrizioni ne' funerali chenella real cappella si celebrarono per la morte di Giuseppeimperadore.

Quindil'avversa fortuna volle ferirlo nella stima di letterato; maperchénon era cosa di sua ragionetal avversità fruttògli unonoreil qual nemmeno è lecito desiderarsi da suddito sottola monarchia. Dal signor cardinale Wolfango di Scrotembacviceréne' funerali dell'imperadrice Elionora fu comandato di fare leseguenti iscrizionile quali esso concepì con tal condottachesceverateognuna vi reggesse da sé etutte insiemevicomponessero una orazion funerale. Quella che doveva venire sopra laPorta della real cappellaal di fuoricontiene il proemio:

Helionoræaugustæ - e ducum Neoburgensium domo - Leopoldi cæs.uxori lectissimæ - Carolus VI Austrius roman. imperator Hispan.et Neap. rex - parenti optimæ - iusta persolvit - reip.hilaritas princeps - luget - huc - publici luctus officia conferte -cives.

Laprima delle quattro ch'avevano da fissarsi sopra i quattro archidella cappellacontiene le lodi:

Quioculis hunc tumulum inanem spectas - rem mente inanem cogita - namqueinter regiæ fortunae delicias fluxae voluptatis fuga - infastigio muliebris dignitatis sui ad imam usque conditionem demissio- inter generis humani mortales cultus aeternarum rerum diligentia -quae - Helionora augusta defuncta - ubique in terris iacent - heic -supremis honoribus cumulantur.

Laseconda spiega la grandezza della perdita:

Sidigni in terris reges - qui exemplis magis quam legibus - populorumac gentium corruptos emendant mores - et rebuspp. civilem conservantfelicitatem - Helionora - ut augusti coniugii sorte ita virtute -foemina in orbe terrarum vere primaria - quae uxor materque cæsarum- vitæ sanctimonia imperii christiani beatitudini - promuliebri parte quamplurimum contulit - animitus eheu dolenda optimocuique iactura!

Laterza desta il dolore:

Quisummam - ex Carolo caesare principe optimo - capitis voluptatem -cives - ex Helionora eius augusta matre defuncta - aeque tantumcapiatis dolorem - quae felici foecunditate - quod erat optandum - exAustria domo vobis principem dedit - et raris ac praeclaris regiarumvirtutum exemplis - quod erat maxime optandum - vobis optimum dedit.

Laquarta ed ultima porge la consolazione:

Cumlachrymis - nuncupate conceptissima vota - cives - ut - helionorae -recepta coelo mens - qualem ex se dedit Leopoldo - talem exElisabetha augusta Carolo imp. - a summo Numine - impetret sobolem -ne sui desiderium perpetuo amarissimum - christiano terrarum orbi -relinquat.

 

Sìfatte iscrizioni poi non si alzarono. Peròappena era passatoil primo giorno de' funeraliche il signor don Niccolòd'Afflittogentilissimo cavaliere napoletanoprima facondo avvocatoed allora auditor dell'esercito (e privava appo 'l signor cardinalela quale gran confidenzacon le grandi fatigheportògliappresso la morteche fu da tutti i buoni compianta)egli volle inogni conto dal Vico che la sera si facesse ritruovare in casa perfargli esso una visitanella quale gli disse queste parole: - Io holasciato di trattare col signor viceré un affare gravissimoper venir quaed or quindi ritornerò in Palazzo perriattaccarlo; - e tra 'l ragionareche durò molto pocodissegli: - Il signor cardinale mi ha detto che grandemente glidispiaceva questa disgrazia che vi è immeritevolmente accaduta-. Allo che questi rispose che rendeva infinite grazie al signorcardinale di tanta altezza d'animopropia di grandeusata inversod'un sudditola cui maggior gloria è l'ossequio verso delprincipe.

Traqueste molte occasioni luttuose vennegli una lieta nelle nozze delsignor don Giambattista Filomarinocavalliere di pietàdigenerositàdi gravi costumi e di senno ornatissimocon donnaMaria Vittoria Caracciolo de' marchesi di Sant'Eramo; e nellaraccolta de' Componimenti per ciò fattistampata in quartovi compose un epitalamio di nuova ideach'è d'un poemadramatico monodico col titolo di Giunone in danzanel quale la solaGiunonedea delle nozzeparla ed invita gli altri dèimaggiori a danzaree a proposito del subbietto ragiona sui princìpidella mitologia istorica che si è tutta nella Scienza nuovaspiegata.

Suimedesimi princìpi tessé una canzone pindaricaperòin verso scioltodell'Istoria della poesiada che nacque infino a'dì nostriindirizzata alla valorosa e saggia donna MarinaDella Torrenobile genoveseduchessa di Carignano.

Equi lo studio de' buoni scrittori volgari ch'aveva fatto giovinequantunque per tanti anni interrottogli diede la facultàessendo vecchioin tal lingua come di lavorare queste poesie cosìdi tessere due orazionie quindi di scrivere con isplendore di talfavella la Scienza nuova. Delle orazioni la prima fu nella morte diAnna d'Aspromonte contessa di Althanmadre del signor cardinaled'Althanallora viceré; la quale egli scrisse per esser gratoad un beneficio che avevagli fatto il signor don Francesco Santoroallora segretario del Regno. Il qualessendo giudice di Vicariacivile e commessario d'una causa d'un suo generoche vi si trattòa ruote giunteovedue giorni di mercordì l'uno immediatoall'altro (ne' quali la Vicaria criminale si porta nel regioCollateral Consiglio a riferire le cause)il signor don AntonioCaracciolo marchese dell'Amorosaallor regente di Vicaria (il cuigoverno della città per la di lui interezza e prudenza piacquea ben quattro signori viceré)per favorire il Vicoa bellaposta vi si portò; a cui il signor Santoro la riferìtalmente pienachiara ed esattache gli risparmiòl'appuramento de' fattiper lo quale sarebbesi di molto prolungata estrappata dall'avversario la causa. La qual esso Vico ragionòa braccio con tanta copiache contro un istrumento di notaio viventevi ritruovò ben trentasette congetture di falsitàlequali dovette ridurre a certi capi per ragionarla con ordine einforza dell'ordineritenerle tutte a memoria. E la porse cosìtinta di passioneche tutti quei signori giudicanti per loro sommabontà non solo non aprirono bocca per tutto il tempo ch'egliragionava la causama non si guardarono in faccia l'uno con l'altro;e nel fine il signor regente sentissi così commuovere chetemprando l'affetto con la gravità propia di sì granmaestratodiede un segno degnamente mescolato e di compassioneinverso il reo e di disdegno contro l'attore: laonde la Vicarialaqual è alquanto ristretta in render ragionesenza essersipruovata criminalmente la falsitàassolvette il convenuto.

Pertal cagione il Vico scrisse la orazione sudettache va nellaraccolta de' Componimenti che ne fece esso signor Santorostampatain quarto foglio. Dovecon l'occasione di due signori figliuoli disì santa principessa i quali s'impiegarono nella guerra fattaper la successione della monarchia di Spagnavi fa una digressionecon uno stile mezzo tra quello della prosa e quello del verso (qualdee essere lo stile istoricosecondo l'avviso di Cicerone nellabrieve e succosa idea che dà di scriver la storiache deveella adoperare "verba ferme poetarum"forse per mantenersigli storici nell'antichissima loro possessionela quale si èpienamente nella Scienza nuova dimostratache i primi storici dellenazioni furono i poeti); e la vi comprende tutta nelle sue cagioniconsiglioccasionifatti e conseguenzee per tutte queste parti lapone ad esatto confronto della guerra cartaginese secondach'èstata la più grande fatta mai nella memoria de' secolie ladimostra essere stata maggiore. Della qual digressione il principesignor don Giuseppe Caracciolo de' marchesi di Sant'Eramocavalierodi gravi costumi e saviezza e di buon gusto di letterecon moltagrazia diceva voler esso chiuderla in un gran volume di carta biancaintitolato al di fuori: Istoria della guerra fatta per la monarchiadi Spagna.

L'altraorazione fu scritta nella morte di donna Angiola Cimini marchesanadella Petrellala qual valorosa e saggia donnanelle conversazioniche 'n quella casa sono onestissime e 'n buona parte di dotti uominicosì negli atti come ne' ragionamenti insensibilmente spiravaed ispirava gravissime virtù morali e civili; onde coloro chevi conversavano eranosenz'avvederseneportati naturalmente ariverirla con amore ed amarla con riverenza. Laondeper trattare converità e degnità insieme tal privato argomento:"ch'ella con la sua vita insegnò il soave-austero dellavirtù"il Vico vi volle fare sperienza quanto ladilicatezza de' sensi greci potesse comportare in grandedell'espressioni romanee dell'una e dell'altro fusse capacel'italiana favella. Va in una raccolta in quarto foglioingegnosamente magnificadove le prime lettere di ciascun autoresono figurate in ramecon emblemi ritruovati dal Vico ch'alludono alsubietto. Vi scrisse l'introduzione il padre don Roberto Sostegnicanonico lateranense fiorentinouomo che e per le migliori lettere eper gli amabilissimi costumi fu la delizia di questa città;nel quale peccando di troppo l'umor della collera (che fecegli spessomortali infermitàe finalmente d'un ascesso fattogli nelfianco destro cagionògli la mortecon dolore universale ditutti che l'avevano conosciuto)egli l'emendava talmente con lasapienza che sembrava naturalmente esser mansuetissimo. Egli dalchiarissimo abate Anton Maria Salvinidi cui era stato scolaresapeva di lingue orientalidella greca e molto valeva nella latinaparticolarmente ne' versi; nella toscana componeva con uno stileassai robusto alla maniera del Casae delle lingue viventioltrealla franceseora fatta quasi comuneera inteso dell'inghilesetedesca ed anche alquanto della turchesca; nella prosa era assairaziocinativo ed elegante. Portossi in Napoli con l'occasionecomepubblicamente per sua bontà il professavad'aver letto IlDiritto universaleche 'l Vico aveva mandato al Salvini; ondeconobbe ch'in Napoli si coltiva una profonda e severa letteraturae'l Vico fu il primo che volle esso conoscerecon cui contrasse unastretta corrispondenzaper la quale or esso l'ha onorato diquest'elogio.

Circaquesti tempi il signor conte Gianartico di Porcìafratellodel signor cardinale Leandro di Porcìachiaro uomo e perletteratura e per nobiltàavendo disegnato una via daindirizzarvi con più sicurezza la gioventù nel corsodegli studisulla vita letteraria di uomini celebri in erudizione edottrina; egli tra' napoletani che ne stimò degnich'erano alnumero di otto (i quali non si nominano per non offender altritrallasciati dottissimii quali forse non erano venuti alla di luicognizione)degnò d'annoverare il Vicoe con orrevolissimalettera scrittagli da Vinegiatenendo la via di Roma per lo signorabate Giuseppe Luigi Espertimandò al signor LorenzoCiccarelli l'incombenza di proccurarlagli. Il Vicotra per la suamodestia e per la sua fortunapiù volte niegò divolerla scrivere; ma alle replicate gentil'istanze del signorCiccarelli finalmente vi si dispose. Ecome si vedescrissela dafilosofo; imperocché meditò nelle cagioni cosìnaturali come morali e nell'occasioni della fortuna; meditònelle suech'ebbe fin da fanciulloo inclinazioni o avversioni piùad altre spezie di studi ch'ad altre; meditònell'opportunitadi o nelle travversie onde fece o ritardò isuoi progressi; meditòfinalmentein certi suoi sforzi dialcuni suoi sensi dirittii quali poi avevangli a fruttare leriflessioni sulle quali lavorò l'ultima sua opera dellaScienza nuovala qual appruovasse tale e non altra aver dovutoessere la sua vita letteraria.

Frattantola Scienza nuova si era già fatta celebre per l'Italiaeparticolarmente in Veneziail cui signor residente in Napoli di queltempo avevasi ritirato tutti gli esemplari ch'erano rimasti a FeliceMoscache l'aveva stampatacon ingiognergli che quanti ne potessepiù averetutti gli portasse da essoluiper le molterichieste che ne aveva da quella cittàlaonde in tre anni eradivenuta sì rada che un libretto di dodici fogli in dodicesimofu comperato da molti due scudi e ancor di vantaggio; quandofinalmente il Vico riseppe che nella postala qual non soleafrequentareerano lettere a lui indiritte. Di queste una fu delpadre Carlo Lodoli de' Minori osservantiteologo della serenissimarepubblica di Veneziache gli avea scritto in data de' 15 di gennaio1728la qual si era nella posta trattenuta presso a sette ordinari.

Contal lettera egli lo invitava alla ristampa di cotal libro in Venezianel seguente tenore:

"Quiin Venezia con indicibil applauso corre per le mani de' valentuominiil di lei profondissimo libro de' Princìpi di una Scienzanuova d'intorno alla natura delle nazionie più che 'l vanleggendopiù entrano in ammirazione e stima della vostramente che l'ha composto. Con le lodi e col discorso andandosi semprepiù diffondendo la famaviene più ricercatoenontrovandosene per cittàse ne fa venire da Napoliqualch'esemplare; mariuscendo ciò troppo incomodo per lalontananzason entrati in deliberazione alcuni di farla ristampar inVenezia. Concorrendo ancor io con tal pareremi è parsoproprio di prenderne innanzi lingua da Vostra Signoriache èl'autoreprima per sapere se questo le fosse a gradopoi per vederancora se avesse alcuna cosa da aggiungere o da mutaree secompiacer si volesse benignamente comunicarmelo."

Avvaloròil padre cotal sua richiesta con altra acclusa alla sua del signorabate Antonio Conti nobile venetogran metafisico e mattematicoricco di riposta erudizione e per gli viaggi letterari salito in altastima di letteratura appo il Newtonil Leibnizio ed altri primidotti della nostra etàe per la sua tragedia del Cesarefamoso nell'Italianella Francianell'Inghilterra. Il qualeconcortesia eguale a cotanta nobiltàdottrina ed erudizioneindata degli 3 di gennaio 1728 così gli scrisse:

"Nonpoteva Vostra Signoria illustrissima ritrovare un corrispondente piùversato in ogni genere di studi e più autorevole co' libraridi quel che sia il reverendissimo padre Lodoliche le offre di farstampare il libro dei Princìpi di una Scienza nuova. Son iostato un de' primi a leggerloa gustarlo e a farlo gustare agliamici mieii quali concordemente convengono che dell'italianafavella non abbiamo un libro che contenga più cose erudite efilosofichee queste tutte originali della spezie loro. Io ne homandato un picciolo estratto in Francia per far conoscere a' francesiche molto può aggiungersi o molto correggersi sull'idee dellacronologia e mitologianon meno che della morale e dellaiurisprudenzasulla quale hanno tanto studiato. Gl'inglesi sarannoobligati a confessare lo stesso quando vedranno il libro; ma bisognarenderlo più universale con la stampa e con la comoditàdel carattere. Vostra Signoria illustrissima è a tempo diaggiungervi tutto quello stima più a propositosia peraccrescere l'erudizione e la dottrinasia per isviluppare certe ideecompendiosamente accennate. Io consiglierei a mettere alla testa dellibro una prefazione ch'esponesse i vari princìpi delle variematerie che tratta e 'l sistema armonico che da essi risultasino adestendersi alle cose futureche tutte dipendono dalle leggi diquell'istoria eternadella qual è così sublime e cosìfeconda l'idea che ne ha assegnata."

L'altraletterache giaceva pur alla postaera del signor conte Gian Articodi Porcìa da noi sopra lodatoche da' 14 dicembre 1727 liaveva così scritto:

"Miassicura il padre Lodoli (che col signor abate Conti riverisce VostraSignoria e l'un l'altro l'accertano della stima ben grande che fannodella di lei virtù) che ritroverà chi stampi la di leiammirabile opera de' Princìpi della Scienza nuova. Se VostraSignoria volesse aggiungervi qualche cosaè in pienissimalibertà di farlo. Insomma Vostra Signoria ha ora un campo dipoter dilatarsi in tal libroin cui gli uomini scienziati affermanodi capire da esso molto più di quello si vede espresso e 'lconsiderano come capo d'opera. Io me ne congratulo con VostraSignoriae l'assicuro che ne ho un piacer infinitovedendo chefinalmente produzioni di spirito del nerbo e del fondo di che sono lesue vengon a qualche ora conosciutee che ad esse non manca fortunaquando non mancano leggitori di discernimento e di mente."

A'gentil inviti ed autorevoli conforti di tali e tanti uomini sicredette obbligato di acconsentir a cotal ristampa e di scrivervil'annotazioni ed aggiunte. E dentro il tempo stesso che giugnesseroin Venezia le prime risposte del Vicoperchéper la cagionsopra dettaavevano di troppo tardatoil signor abate AntonioContiper una particolar affezione inverso del Vico e le sue cosel'onorò di quest'altra lettera in data de' 10 marzo 1728.

"Scrissidue mesi fa una lettera a Vostra Signoria illustrissimache le saràcapitataunita ad un'altra del reverendissimo padre Lodoli. Nonavendo veduto alcuna rispostaardisco d'incomodarla di nuovopremendomi solamente che Vostra Signoria illustrissima sappia quantoio l'amiro e desidero di profittare de' lumi che Ella abbondantementesparse nel suo Principio d'una Nuova Scienza. Appena ritornato diFranciaio lo lessi con sommo piaceree mi riuscirono le scopertecriticheistoriche e morali non meno nuove che istruttive. Alcunivogliono intraprendere la ristampa del medesimo libro ed imprimerlocon carattere più commodo ed in forma più acconcia. Ilpadre Lodoli aveva questo disegnoe mi disse d'averne a VostraSignoria illustrissima scritto per suplicarla ad aggiungervi altredisertazioni su la stessa materia o illustrazione de' capitoli dellibro stessose per aventura ne avesse fatte. Il signor conte diPorcìa mandò allo stesso padre Lodoli la Vita che Elladi se stessa composee contiene varie erudizioni spettanti alprogresso del sistema istorico e critico stabilito negli altri suoilibri. Quest'edizione è molto desideratae molti francesia'quali ho dato una compendiosa idea del libro istessola chiedono conpremura."

Quindiil Vico tanto più si sentì stimolato a scrivere dellenote e commenti a quest'opera. E nel tempo che vi travagliavachedurò presso a due anniprima avvenne che il signor conte diPorcìain una occasione la qual non fa qui mestieri narraregli scrisse ch'esso voleva stampar un suo Progetto a' signoriletterati d'Italia più distinti o per l'opere date alla lucedelle stampe o più chiari per rinomea d'erudizione e dottrinacome si è sopra pur dettodi scriver essi le loro Viteletterarie sopra una tal sua idea con la quale se ne promuovesse unaltro metodo più accertato e più efficace da profittarenel corso de' suoi studi la gioventùe di volervi aggiugnerela sua per saggioche egli aveva di già mandataperchédelle molte che già glien'eran pervenute in poterequestasembravagli come di getto caduta sulla forma del suo disegno. Quindiil Vicoil qual aveva creduto ch'esso la stampasse con le Vite ditutti ed in mandandogliela aveva professato che si recava a sommoonore d'esser l'ultimo di tutti in sì gloriosa raccoltasidiede a tutto potere a scongiurarlo che nol facesse a niun patto delmondoperché né esso conseguirebbe il suo fine ed ilVico senza sua colpa sarebbe oppresso dall'invidia. Macon tuttociòessendosi il signor conte fermo in tal suo proponimentoil Vicooltre di essersene protestato da Roma per una via del signorabate Giuseppe Luigi Espertise ne protestò altresì daVenezia per altra di esso padre Lodoliil qual aveva egli saputo daesso signor conte che vi promoveva la stampa e del di lui Progetto edella Vita di esso Vico; come il padre Calogeràche l'hastampato nel primo tomo della sua Raccolta degli opuscoli eruditil'ha pubblicato al mondo in una lettera al signor Vallisnieriche vitien luogo di prefazione; il quale quanto in ciò ha favoritoil Vicotanto dispiacer gli ha fatto lo stampatoreil quale contanti errori anco ne' luoghi sostanziali n'ha strappazzato la stampa.Or nel fine del catalogo delle opere del Vicoche va in piedi diessa Vitasi è con le stampe pubblicato: "Princìpid'una Scienza nuova d'intorno alla natura delle nazioniche siristampano con l'Annotazioni dell'autore in Venezia".

Dipiùdentro il medesimo tempo avvenne che d'intorno allaScienza nuova gli fu fatta una vile imposturala quale sta ricevutatra le Novelle letterarie degli Atti di Lipsia del mese di agostodell'anno 1727. La qual tace il titolo del libroch'è ilprincipal dovere de' novellieri letterari (perocché dicesolamente "Scienza nuova"né spiega dintorno a qualmateria); falsa la forma del libroche dice esser in ottavo (la qualè in dodicesimo); mentisce l'autore e dice che un lor amicoitaliano gli accerta che sia un "abate" di casa Vico (ilqual è padre e per figliuoli e figliuole ancor avolo); narrache vi tratta un sistema o piuttosto "favole" del dirittonaturale (né distingue quel delle gentiche ivi ragionadaquel de' filosofi che ragionano i nostri morali teologie come sequesta fusse la materia della Scienza nuovaquando egli n'èun corollario); ragguaglia dedursi da princìpi altri da quellida' quali han soluto finor i filosofi (nello chenon volendoconfessa la veritàperché non sarebbe "scienzanuova" quella dalla quale si deducono tai princìpi); ilnota che sia acconcia al gusto della Chiesa catolica romana (come sel'esser fondato sulla provvedenza divina non fusse di tutta lareligion cristianaanzi di ogni religione: nello che ed egli siaccusa o epicureo o spinosistae'n vece d'un'accusadà lapiù bella lodech'è quella d'esser pioall'autore);osserva che molto vi si travaglia ad impugnare le dottrine di Grozioe di Pufendorfio (e tace il Seldenoche fu il terzo principe di taldottrinaforse perch'egli era dotto di lingua ebrea); giudica checompiaccia più all'ingegno che alla verità (quivi ilVico fa una digressioneove tratta degli più profondiprincìpi dell'ingegnodel riso e de' detti acuti ed arguti:che l'ingegno sempre si ravvolge dintorno al vero ed è 'lpadre de' detti acutie che la fantasia debole è la madredell'argutezzee pruova che la natura dei derisori siapiùche umanadi bestia); racconta che l'autore manca sotto la lungamole delle sue congetture (e nello stesso tempo confessa esser lungala mole delle di lui congetture)e che vi lavora con la sua nuovaarte critica sopra gli autori delle nazioni (tralle quali appena dopoun mille anni provenendovi gli scrittorinon può ella usarnel'autorità); finalmente conchiude che da essi italiani piùcon tedio che con applausi era ricevuta quell'opera (la qual dentrotre anni della sua stampa si era fatta rarissima per l'Italia esealcuna se ne ritruovavacomperavasi a carissimo prezzocome si èsopra narrato; ed un italiano con empia bugia informò isignori letterati protestanti di Lipsia che a tutta la sua nazionedispiaceva un libro che contiene dottrina catolica!). Il Vico con unlibricciuolo in dodicesimointitolato: Notae in Acta lipsiensiavidovette rispondere nel tempo cheper un'ulcera gangrenosa fattaglinella gola (perché in tal tempo n'ebbe la notizia)egliessendo vecchio di sessant'annifu costretto dal signor DomenicoVitolodottissimo e costumatissimo medicod'abbandonarsi alpericoloso rimedio de' fumi del cinabroil qual anco a' giovaniseper disgrazia tocca i nerviporta l'apoplesia. Per molti e rilevantiriguardichiama l'orditore di tale impostura "vagabondosconosciuto". Penetra nel fondo di tal laida calonnia e pruovalui averla così tramata per cinque fini: il primo per far cosache dispiacesse all'autore; il secondo per rendere i letteratilipsiensi neghittosi di ricercare un libro vanofalsocatolicod'un autor sconosciuto; il terzose ne venisse lor il talentocoltacere e falsare il titolola forma e la condizion dell'autoredifficilmente il potessero ritruovare; il quartose pur mai iltruovasseroda tante altre circostanze vere la stimassero operad'altro autore; il quinto per seguitare d'esser creduto buon amico daque' signori tedeschi. Tratta i signori giornalisti di Lipsia conciviltàcome si dee con un ordine di letterati uominid'un'intiera famosa nazionee gli ammonisce che si guardino perl'avvenire di un tal amicoche rovina coloro co' quali celebral'amicizia e gli ha messi dentro due pessime circostanze: unadiaccusarsi che mettono ne' loro Atti i rapporti e i giudizi de' librisenza vedergli; l'altradi giudicare d'un'opera medesima con giudizitra loro affatto contrari. Fa una grave esortazione a costuichepoiché peggio tratta con gli amici che co' nimici ed èfalso infamatore della nazion sua e vil traditore delle nazionistraniereesca dal mondo degli uomini e vada a vivere tralle fierene' diserti dell'Affrica. Aveva destinato mandare in Lipsia unesemplare con la seguente lettera al signor Burcardo Menckeniocapodi quella assembleaprimo ministro del presente re di Polonia:

"Praeclarissimoeruditorum lipsiensium collegio eiusque praefecto excellentissimoviro BURCARDO MENCKENIOIOHANNES BAPTISTA VICUS s.d.

Satisgraviter quidem indolui quod mea infelicitas vos quoqueclarissimiviriin eam adversam fortunam pertraxissetut a vestro simulatoamico italo decepti omnia vanafalsainiqua de me meoque libro cuititulus Princìpi d'una Scienza nuova dintorno all'umanitàdelle nazioniin vestra eruditorum Acta referretis; sed doloremea mihi consolatio lenivit quod sua naturae sponte ita res nascereturut per vestram ipsorum innocentiammagnanimitatem et bonam fidemistius malitiaminvidiam perfidiamque punirem; et hic perexiguusliberquem ad vos mittouna opera et illius delicta et poenas etipsas vestras civiles virtutes earumque laudes complecteretur. Cumitaque has Notas bona magnaque ex parte vestra eruditi nominis caussaevulgaverimeas nedum nullius offensionis sed multae mihi vobiscumineundae gratiae occasionem esse daturas sperotecumque in primisexcellentissime Burcarde Menckeniqui praestantissimae eruditionismerito in isto praeclarissimo eruditorum collegio principem locumobtines. Bene agite plurimum. Dabam NeapoliXIV kal. novembris annoMDCCXXIX."

Laqual letteraquantunquecome si vedefusse condotta con tuttaonorevolezzaperòriflettendo che pur così avrebbecome di faccia a faccia ripreso que' letterati di grandi mancanze nellor ufizioe che essii quali attendono a far incetta de' librich'escono nell'Europa tuttodì dalle stampedevono sapereprincipalmente quelli che lor appartengonoper propia gentilezza siristò di mandare.

Orper ritornare onde uscì tal ragionamentodovendo il Vicorisponder a' signori giornalisti lipsianiperché nellarisposta gli bisognava far menzione della ristampa che si promovevadi tal suo libro in Veneziane scrisse al padre Lodoli per averne ilpermesso (com'infatti nel riportò); onde nella sua risposta dinuovo con le stampe si pubblicò che i Princìpi dellaScienza nuova con le annotazioni di esso autore erano ristampati inVenezia.

Equivi stampatori veneziani sotto maschere di letteratiper loGessari e 'l Moscal'uno libraiol'altro stampatore napoletanigliavevano fatto richiedere di tutte l'opere suee stampate e ineditedescritte in cotal catalogodi che volevan adornare i loro museicom'essi dicevanoma in fatti per istamparle in un corpocon lasperanza che la Scienza nuova l'arebbe dato facile smaltimento. A'quali per far loro vedere che gli conosceva quali essi eranoil Vicofece intendere che di tutte le deboli opere del suo affannato ingegnoarebbe voluto che sola fusse restata al mondo la Scienza nuovach'essi potevano sapere che si ristampava in Venezia. Anziper unasua generositàvolendo assicurare anco dopo la sua morte lostampatore di cotal ristampaofferì al padre Lodoli un suomanoscritto di presso a cinquecento foglinel qual era il Vicoandato cercando questi Princìpi per via negativadal quale sen'arebbe potuto di molto accrescere il libro della Scienza nuovache'l signor don Giulio Tornocanonico e dottissimo teologo di questachiesa napoletanaper una sua altezza d'animo con cui guarda le cosedel Vicovoleva far qui stampare con alquanti associatima lostesso Vico priegandolo nel rimosseavendo di già truovatiquesti Princìpi per la via positiva.

Finalmentedentro il mese d'ottobre dell'anno 1729 pervenne in Veneziaricapitato al padre Lodoliil compimento delle correzioni al librostampato e dell'annotazioni e commentiche fanno un manoscritto dipresso a trecento fogli.

Orritruovandosi pubblicato con le stampe ben due volte che la Scienzanuova si ristampava con l'aggiunte in Veneziaed essendo colàpervenuto tutto il manoscrittocolui che faceva la mercatanzia dicotal ristampa uscì a trattar col Vico come con uomo chedovesse necessariamente farla ivi stampare. Per la qual cosaentratoil Vico in un punto di propia stimarichiamò indietro tuttoil suo ch'avea colà mandato; la qual restituzione fu fattafinalmente dopo sei mesi ch'era già stampato più dellamettà di quest'opera. E perchéper le testènarrate cagionil'opera non ritruovava stampatore né qui inNapoli né altrove che la stampasse a sue speseil Vico sidie' a meditarne un'altra condottala qual è forse la propiache doveva ella avereche senza questa necessità non arebbealtrimente pensatochecol confronto del libro innanzi stampatoapertamente si scorge esserdall'altra che aveva tenutoa tuttocielo diversa. Ed in questa tutto ciò che nell'Annotazioniper seguire il filo di quell'operadistratto leggevasi e dissipatoora con assai molto di nuovo aggiunto si osserva con uno spiritocomporsi e reggere con uno spiritocon tal forza di ordine (ilqualeoltre all'altra ch'è la propietà dellospiegarsiè una principal cagione della brevità) che'l libro di già stampato e 'l manoscritto non vi sonocresciuti che soli tre altri fogli di più. Dello che si puòfar sperienzacomeper cagion d'esemplosulle propietà deldiritto natural delle gentidelle quali col primo metodo nel capo I§ VII ragionò presso a sei foglied in questa nediscorre con pochi versi.

Mafu dal Vico lasciato intiero il libro prima stampato per tre luoghide' quali si truovò pienamente soddisfattoper gli quali treluoghi principalmente è necessario il libro della Scienzanuova la prima volta stampatodel quale intende parlare allorchécita la "Scienza nuova" o pure "l'opera conl'Annotazioni"a differenza di quando cita "altra operasua"che intende per gli tre libri del Diritto universale.Laonde o essa Scienza nuova primaove si faccia altra ristampa dellasecondadeve stamparlesi appressoo almenoper non farglidisiderarevi si devono stampare detti tre luoghi. Anziacciocchénemmeno si disiderassero i libri del Diritto universalede' qualiassai meno della Scienza nuova primasiccome d'un abbozzo di quellail Vico era contentoe gli stimava solamente necessari per gli dueluoghi: - uno della favola d'intorno alla legge delle XII Tavolevenuta d'Atenel'altro d'intorno alla favola della Legge regia diTriboniano- anco li rapportò in due Ragionamenticon piùunità e maggior nerbo trattati. I quali due sono di quellierrori che 'l signor Giovanni Clericonella Biblioteca antica emodernain rapportando que' libridice che "in un gran numerodi materie vi si emendano quantità d'errori volgaria' qualiuomini intendentissimi non hanno punto avvertito".

Négià questo dee sembrar fasto a taluni: che il Vicononcontento de' vantaggiosi giudizi da tali uomini dati alle sue operedopo le disappruovi e ne faccia rifiutoperché questo èargomento della somma venerazione e stima che egli fa di tali uominianzi che no. Imperciocché i rozzi ed orgogliosi scrittorisostengono le lor opere anche contro le giuste accuse e ragionevoliammende d'altrui; altri cheper avventurasono di cuor picciolos'empiono de' favorevoli giudizi dati alle loro eper quelli stessinon più s'avvanzano a perfezionarle. Ma al Vico le lodi degliuomini grandi ingrandirono l'animo di correggeresupplire ed anco inmiglior forma di cangiar questa sua. Così condanna leAnnotazionile quali per la via niegativa andavano truovando questiPrincìpiperocché quella fa le sue pruove perisconcezzeassurdiimpossibilitàle qualico' loro bruttiaspettiamareggiano piuttosto che pascono l'intendimentoal qualela via positiva si fa sentire soaveché gli rappresental'acconcioil convenevolel'uniformeche fanno la bellezza delverodel quale unicamente si diletta e pasce la mente umana. Glidispiacciono i libri del Diritto universaleperché in quellidalla mente di Platone ed altri chiari filosofi tentava di scenderenelle menti balorde e scempie degli autori della gentilitàquando doveva tener il cammino tutto contrario; onde ivi prese errorein alquante materie. Nella Scienza nuova primase non nelle materieerrò certamente nell'ordineperché trattò de'princìpi dell'idee divisamente da' princìpi dellelinguech'erano per natura tra lor unitie pur divisamente dagliuni e dagli altri ragionò del metodo con cui si conducesserole materie di questa Scienzale qualicon altro metododovevanofil filo uscire da entrambi i detti princìpi: onde viavvennero molti errori nell'ordine.

Tuttociò fu nella Scienza nuova seconda emendato. Ma il brevissimotempodentro il qual il Vico fu costretto di meditar e scriverequasi sotto il torchioquest'operacon un estro quasi fataleilquale lo strascinò a sì prestamente meditarla ed ascrivereche l'incominciò la mattina del santo Natale e finìad ore ventuna della domenica di Pasqua di Resurrezione; - e puredopo essersi stampato più della mettà di quest'operaun ultimo emergenteanco natogli da Venezialo costrinse dicangiare quarantatre fogli dello stampatoche contenevano unaNovella letteraria (dove intiere e fil filo si rapportavano tutte lelettere e del padre Lodoli e sue d'intorno a cotal affare con leriflessioni che vi convenivano)e'n suo luogoproporre ladipintura al frontispizio di quei librie della di lei Spiegazionescrivere altrettanti fogli ch'empiessero il vuoto di quel picciolvolume; - di piùun lungo grave malorecontrattodall'epidemia del catarroch'allora scorse tutta l'Italia; - efinalmente la solitudine nella quale il Vico vive: - tutte questecagioni non gli permisero d'usare la diligenzala qual dee perdersinel lavorare d'intorno ad argomenti c'hanno della grandezzaperocch'ella è una minuta eperché minutaanco tardavirtù. Per tutto ciò non poté avvertire adalcune espressioni che dovevano oturbateordinarsi oabbozzatepolirsi ocortepiù dilungarsi; né ad una gran folladi numeri poeticiche si deon schifar nella prosanéfinalmente ad alquanti trasporti di memoriai quali però nonsono stati ch'errori di vocaboliche di nulla han nuociutoall'intendimento. Quindi nel fine di quei libricon le Annotazioniprimeinsieme con le correzioni degli errori anco della stampa (cheper le suddette cagionidovettero accadervi moltissimi)die' con lelettere M ed A i miglioramenti e l'aggiunte; e sieguitò afarlo con le Annotazioni secondele qualipochi giorni dopo esseruscita alla luce quell'operavi scrisse con l'occasione che 'lsignor don Francesco Spinelli principale di Scaleasublime filosofoe di colta erudizione particolarmente greca adornatolo aveva fattoaccorto di tre errorii quali aveva osservato nello scorrere in tredì tutta l'opera. Del qual benigno avviso il Vico gli professògenerosamente le grazie nella seguente lettera stampataiviaggiuntacon cui tacitamente invitò altri dotti uomini a faril medesimoperché arebbe con grado ricevuto le lor ammende:

"Iodebbo infinite grazie a Vostra Eccellenzaperocchéappenadopo tre giorni che le feci per un mio figliuolo presentar umilmenteun esemplare della Scienza nuova ultimamente stampataEllatolto iltempo che preziosamente spende o in sublimi meditazioni filosofiche oin lezioni di gravissimi scrittori particolarmente grecil'aveva giàtutta letta: che per maravigliosa acutezza del vostro ingegno e perl'alta comprensione del vostro intendimentotanto egli èstato averla quasi ad un fiato scorsa quanto averla fin al midollopenetrata e 'n tutta la sua estensione compresa. Epassando sotto unmodesto silenzio i vantaggiosi giudizi ch'Ella ne diede perun'altezza d'animo propia del vostro alto statoio mi professosommamente dalla vostra bontà favoritoperocché Ellasi degnò anco di mostrarmene i seguenti luoghine' qualiaveva osservato alcuni errori che Vostra Eccellenza mi consolavaessere stati trascorsi di memoriai quali di nulla nuocevano alproposito delle materie che si trattanoove son essi avvenuti.

Ilprimo è a p. 313v. 19ove io fo Briseide propiad'Agamennone e Criseide d'Achillee che quegli avesse comandatorestituirsi la Criseide a Crise di lei padresacerdote di Apolloche perciò faceva scempio del greco esercito con la pesteeche questi non avesse voluto ubidire; il qual fatto da Omero si narratutto contrario. Ma cotal error da noi preso era in fattisenz'avvederceneun'emenda d'Omero nella parte importantissima delcostume: che anzi Achille non avesse voluto ubidiree che Agamennoneper la salvezza dell'esercito l'avesse comandato. Ma Omero in ciòveramente serbò il decorochequale l'aveva fatto saggiotale finse il suo capitano anco fortecheavendo renduto Criseidecome per forza fattagli da Achillee stimando esserglici andato delpunto suoper rimettersi in onore tolse ingiustamente ad Achille lasua Briseidecol qual fatto andò a rovinare un'altra granparte de' greci: talché egli nell'Iliade vien a cantare unostoltissimo capitanolaonde cotal nostro errore ci nuoceva veramentein ciò: che non ci aveva fatto vedere quest'altra gran pruovadella sapienza del finora credutoche ci confermava la discovertadel vero Omero. Né pertanto Achilleche Omero con l'aggiuntoperpetuo d'"irreprensibile" canta a' popoli della Grecia inessemplo dell'eroica virtùegli entra nell'idea dell'eroequale 'l diffiniscono i dottiperché quantunque fusse giustoil dolor d'Achilleperò - dipartendosi con le sue genti dalcampo e con le sue navi dalla comun'armatafa quell'empio voto:ch'Ettore disfacesse il resto de' greci ch'erano dalla peste campatie gode esaudirsi (siccomenel ragionando insieme di queste coseVostra Eccellenza mi soggiunge quel luogo dove Achille con Patroclodesidera che morissero tutti i greci e troiani ed essi solisopravivessero a quella guerra) - era la vendetta scelleratissima.

"Ilsecondo errore è a pag. 314v. 38e pag. 315v. 1ove miavvertisce che 'l Manlioil qual serbò la ròcca delCampidoglio da' Gallifu il Capitolinodopo cui venne l'altro chesi cognominò Torquatoil qual fece decapitar il figliuolo; eche non questi ma quegliper aver voluto introdurre conto nuovo apro della povera plebevenuto in sospetto de' nobili che col favorpopolare volesse farsi tiranno di Romacondennatofunne fattoprecipitare dal monte Tarpeo. Il qual trasporto di memoria sìche ci nuoceva in ciò: che ci aveva tolto questa vigorosapruova dell'uniformità dello stato aristocratico di Romaantica e di Spartaove il valoroso e magnanimo re Agidequal ManlioCapitolino di Lacedemoneper una stessa legge di conto nuovonongià per alcuna legge agrariae per un'altra testamentariafufatto impiccare dagli efori.

"Ilterzo errore è nel fine del libro quintop. 445v. 37ovedeve dir "numantini" (ché tali sono quivi da essoragionamento circoscritti).

Pergli quali vostri benigni avvisi mi son dato a rileggere l'operae viho scritto le correzionimiglioramenti ed aggiunte seconde."

Lequali annotazioni prime e secondecon altre poche maimportantissimech'è ito scrivendo interrottamente come ditempo in tempo ragionava l'opera con amicipotranno incorporarlesine' luoghi ove sono chiamatequando si ristampi la terza volta.

Mentreil Vico scriveva e stampava la Scienza nuova secondafu promosso alsommo pontificato il signor cardinal Corsinial qual era stata laprimaessendo cardinalededicatae sì dovette a Sua Santitàanco questa dedicarsi. Il qualeessendogli stata presentatavollecome gli venne scrittoche 'l signor cardinale Neri Corsini suonipotequando ringraziava l'autore dell'esemplare che questisenzaaccompagnarlo con letteragli aveva mandatogli rispondesse in suonome con la seguente:

"Moltoillustre signore

"L'operadi Vostra Signoria de' Princìpi di una Nuova Scienza aveva giàesatto tutta la lode nella prima sua edizione da Nostro Signoreessendo allora cardinale; ed ora tornata alle stampeaccresciuta dimaggiori lumi ed erudizione dal di lei chiaro ingegnoha incontratonel clementissimo animo di Sua Santità tutto il gradimento. Hovoluto dar a lei la consolazione di questa notizia nell'atto istessoche mi muovo a ringraziarla del libro fattomene presentaredel qualeho tutta la considerazione che meritaed esibendole in ognicongiontura di suo servizio tutta la mia parzialitàprego Dioche la prosperi.

"Roma6 gennaio 1731.

DiVostra Signoria affez. sempre

N.CARD. CORSINI"

Colmatoil Vico di tanto onorenon ebbe cosa al mondo più da sperare;onde per l'avvanzata etàlogora da tante fatigheafflitta datante domestiche cure e tormentata da spasimosi dolori nelle cosce enelle gambe e da uno stravagante male che gli ha divorato quasi tuttociò ch'è al di dentro tra l'osso inferiore della testae 'l palatorinnonziò affatto agli studi. Ed al padreDomenico Lodoviciincomparabile latin poeta elegiaco e dicandidissimi costumidonò il manoscritto delle annotazioniscritte alla Scienza nuova prima con la seguente iscrizione:

AlTibullo cristiano - padre Domenico Lodovici - questi - dell'infeliceScienza Nuova - miseri - e per terra e per mare sbattuti - avvanzi -dalla continova tempestosa fortuna - aggitato ed afflitto - come adultimo sicuro porto - Giambattista Vico - lacero e stanco -finalmente ritragge.

Eglinel professare la sua facultà fu interessatissimo del profittode' giovanieper disingannargli o non fargli cadere negl'ingannide' falsi dottorinulla curò di contrarre l'inimicizie de'dotti di professione. Non ragionò mai delle cosedell'eloquenza se non in séguito della sapienzadicendo chel'eloquenza altro non è che la sapienza che parlae perciòla sua cattedra esser quella che doveva indirizzare gl'ingegni efargli universalie che l'altre attendevano alle partiquestadoveva insegnare l'intiero sapereper cui le parti ben sicorrispondan tra loro e ben s'intendan nel tutto. Onde d'ogniparticolar materia dintorno al ben parlare discorreva talmentech'ella fusse animatacome da uno spiritoda tutte quelle scienzech'avevan con quella rapporto: ch'era ciò ch'aveva scritto nellibro De ratione studiorumch'un Platoneper cagion di chiarissimoessemploappo gli antichi era una nostra intiera universitàdi studi tutta in un sistema accordata. Talché ogni giornoragionava con tal splendore e profondità di varia erudizione edottrinacome se si fussero portati nella sua scuola chiariletterati stranieri ad udirlo. Egli peccò nella colleradellaquale guardossi a tutto poter nello scrivere; ed in ciòconfessava pubblicamente esser difettuoso: che con maniere tropporisentite inveiva contro o gli errori d'ingegno o di dottrina o 'lmal costume de' letterati suoi emoliche doveva con cristiana caritàe da vero filosofo o dissimulare o compatirgli. Però quanto fuacre contro coloro i quali proccuravano di scemarglieletanto fuossequioso inverso quelli che di esso e delle sue opere facevanogiusta stimai quali sempre furono i migliori e gli più dottidella città. De' mezzi o falsie gli uni e gli altri perchécattivi dottila parte più perduta il chiamava pazzoo convocaboli alquanto più civiliil dicevano essere stravagante edi idee singolari od oscuro. La parte più maliziosa l'oppressecon queste lodi: altri dicevano che 'l Vico era buono ad insegnar a'giovani dopo aver fatto tutto il corso de' loro studi cioèquando erano stati da essi già resi appagati del loro saperecome se fusse falso quel voto di Quintilianoil qual desiderava ch'ifigliuoli de' grandicome Alessandro Magnoda bambini fussero messiin grembo agli Aristotili; altri s'avvanzavano ad una lode quanto piùgrande tanto più rovinosa: ch'egli valeva a dar buoniindirizzi ad essi maestri. Ma egli tutte queste avversitàbenediceva come occasioni per le quali essocome a sua altainespugnabil roccasi ritirava al tavolino per meditar e scriveraltre operele quali chiamava "generose vendette de' suoidetrattori"; le quali finalmente il condussero a ritruovare laScienza nuova. Dopo la qualegodendo vitalibertà ed onoresi teneva per più fortunato di Socratedel qualefaccendomenzione il buon Fedrofece quel magnanimo voto:

cuiusnon fugio mortemsi famam assequar

etcedo invidiaedummodo absolvar cinis.