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Federigo Tozzi





CONGLI OCCHI CHIUSI









Uscitidalla trattoria i cuochi e i camerieriDomenico Rosiil padronerimase a contare in frettaal lume di una candela che sgocciolavafittoil denaro della giornata. Gli si strinsero le dita toccandodue biglietti da cinquanta lire; eprima di metterli nel portafogliodi cuoio gialloli guardò un'altra voltapiegati; e soffiòsu la fiammella avvicinandosi con la bocca. Se la candela non sifosse consumata troppoavrebbe contato anche l'altro denaro nelcassetto della moglie; ma chiuse la portadandoci poi unaginocchiata forte per essere sicuro che aveva girato bene la chiave.Di casa stava dall'altra parte della stradaquasi dirimpetto.

Ormaierano trent'anni di questa vita; ma ricordava sempre i primiguadagnie gli piaceva alla fine d'ogni giorno sentire in fondoall'anima la carezza del passato: era come un bell'incasso.

Lasua trattoria! Qualche voltaparlandonebatteva su le pareti lemani aperte; per soddisfazione e per vanto.

Restatocontadinobenché avesse presto mutato mestiereera capace dipigliare a pugni uno che non avesse avuto fede alla sua sincerità.E credeva che Dioquasi per accontentarloavesse pensatoinsiemecon luialla sua fortuna. Del restosentiva la necessità diarricchire di più; per paura delle invidie. Quanti avrebberofatto di tutto per rivederlo senza un soldo!

Lesue quattro sorelle e i suoi tre fratelli erano rimasti poveri alloro paese di maremmaa Civitellatra le boscaglie piene dicinghiali; nella casa di pietre scheggiatecon la scala che simoveva sotto i piedifatta con i sassi presi dal fiumecon lefinestre in faccia a una montagna di galestro tanto a ridosso eripida che pareva di rimanerci sottoquasi avesse dovuto un giorno ol'altro precipitare. E il Rosi pensava al suo paese troppo angustocome ad una cosa che non esistesse piùo almeno soltanto pergli altri: i ricordi della giovinezza avevano la stessa importanzadei teatri e delle figure dei giornaliche egli odiava condisprezzo: stupidaggini piacevoli per gli sfaccendatiche avevanosoldi da buttar via. Lo stesso pensava per chi fumava.

Enessunoperciòpoteva dire d'averlo visto mai al teatro; opeggiocon il sigaro in bocca! Egli era troppo astuto!

Apena stabilitosi a Sienaa vent'annisposò Annaunabastarda senza dotepiuttosto bella e più giovane di lui;aprendo un'osteria che con l'andar del tempo divenne una dellemigliori trattorie della città: Il Pesce Azzurro.

Oraavevano un figliolo che ormai terminava tredici anniPietro; maprima di quello n'erano nati sette altrimorti l'uno dopo l'altro apena tolti da balia. Pietromolto tardi per riguardo alla suasalutelo mandavano al seminarioch'era la scuola piùvicina; tra gli alunni chiamati esterni; cioè tra quelli cheprendevano le lezioni con i seminaristie poi tornavano a casa senzaaver l'obbligo però di vestire come loro. Il penultimo partoaveva lasciato le convulsioni ad Anna; chedel restoera statasempre soggetta a qualche sintomo isterico: una malattia che facevaridere Domenicouna specie di facezia ch'egli non capiva.

Ese ne irritava come se l'offendessequando il ridere non portavanessun rimedio; e c'era alla farmacia il conto da pagare.

Annaremissiva e fanatica per luiaccortasialla finedopo tanti annidi matrimonioche la tradivaaveva creduto più di una voltache le tirassero giù il cuore con tutte e due le mani; e sisentiva invecchiare e imbruttire prima del tempo. Quando ci pensavagli occhi le si bagnavano; ma non ne parlava mai con nessuno: perchéper quanto fosse molto buona con tuttinon voleva amicizie. Peròsi sentiva come soffocatacon una bontà quasi rabbiosa; eodorando il suo aceto aromaticole lacrime le andavano fin su lelabbra.

Conil volto un poco rotondodi donna ingrassatanon si capivano le suecollere repentineche rivelavano un fondo nervoso per quantoinnocuo: come certe rivolte di animali tormentati. Si ridein fattiche una gallina scannata annaspi o se un coniglio stride e caval'unghie!

Accantoa Domenicosiccome desideravano un eredei figli morti doventavanoanche per lei simili soltanto a tentativi astratti e dovutiabbandonarecerto a fine di bene; se il destino aveva voluto così.Perciò ella amava Pietro con un affetto superstizioso. Ma eraincapaceper indoledi mostrargli una grande tenerezza; sebbene lepiacesse d'averlo sempre vicino.

Quandole si addormentava sopra una spallanon si sarebbe mai decisa afarlo portare a letto da Rebecca; che era stata la sua balia e orafaceva da serva e da cantiniera.

MaDomenicotutto in faccende ed eccitatosenza smettere di lavoraregridava dalla cucina:

-Tieni codesto peso addosso?

Edellaperché non venisse da sé ad alzarlo con quellesue braccia scamiciatelo svegliava e lo mandava a letto. E la seradopo gli dicevasottovoce e stizzita d'obbedire:

-Mi dài fastidio: non ti avvicinare.

MaPietro non le dava rettae si ficcava tra lei e un bracciale dellapoltrona tenendole una mano; e chiudendo gli occhi con il sonno.Annaallorasvincolava la mano perché aveva da rendere iresti ai camerieri; e anche da salutare gli avventori che entravano euscivano. La trattoria seguitava fino a tardi ad esser piena. Illavoro eccitava anche lei; maverso la mezzanotteerano tuttistanchi e impazienti di riposare. Se restava ancora qualcuno atavolaspengevano l'uno dopo l'altro tutti i lumi delle altrestanze. I camerieri si toglievano le giacche da lavoro; i cuochi sicambiavano le giubbe. In questi momenti di attesa e di sostaAnna neapprofittava per finire tutti i suoi lavori di biancheria e anche perfare qualche ricamo dei più semplici: per non spendere troppoe per non saperli fare meglio.

Ellada ragazzaera stata cameriera; e non aveva avuto tempo d'imparareniente. Sapeva scrivereperò; e ci aveva preso cosìpraticache non sbagliava mai le somme dei conti agli avventori.

Facevatenere bene in ordine tutto: i piatti e le scodelle sopra una vecchiamadiail pane e i fiaschi del vino dentro la dispensa. E sapevatrattare con i fornitori. I limoni se li sceglieva da séperòcon la sorveglianza e l'approvazione di Domenicoe con unameticolosità che la inorgogliva e che faceva piacere. Se ilfruttivendolo era riuscito a dargliene uno di buccia grossa osciupataDomenico se lo faceva cambiare dopo averglielo battutosotto il naso.

Annaper lo piùandava a lettose le era possibilequalchemezz'ora prima di lui. Una notteDomenico afferrò dallasediaportandolo nella stradaun macchinista briaco che s'ostinavaa non uscir di bottega. Quegli allora aprì il coltello e glisi slanciò addosso. Ma Domenico si scansòe icamerieri si misero di mezzo. Annach'era lìcon la testaavvolta in uno scialle di lanacome teneva sempres'impressionòtanto chein seguitole sue convulsioni si fecero piùfrequenti e più forti. Per curarsiil medico le disse distare più che poteva a Poggio a' Melial podere comprato dapoco. Il sabato tornava a Siena perchéessendo giorno dimercatonon avrebbe potuto lasciare la trattoria. Con lei andavanoPietro e Rebecca. Domenico dormiva in città; maogni seraper il giorno dopoportava alla moglie una sporta di vivandenelsuo legnetto a due posti; stringendola con le gambeperchénon cadesse.

Poggioa' Meli si trovava fuori di Porta Camollia per quella stradapiuttosto solitaria che dal Palazzo dei Diavoli va a finire poco piùin là del convento di Poggio al Vento. C'era una vecchiacasetta rintonacata di rossoa un piano solo; e congiunta al tinaioe alle abitazioni degli assalariati fatte sopra le stalle.

Ilrosso pareva molto bello a Domenico; mentre Annacome le aveva anchedetto qualche conoscenteavrebbe voluto scegliere o un celeste o ungiallo canarino.

Sientrava subito nell'aia; con il pozzo da una parte e un pergolato acerchiosotto il quale Domenico tenevaa stagione buonaunadozzina di conche con le piante di limone: il solo lusso invece delgiardino. Egli ne faceva un gran conto peròbenchéfosse stata una spesa che gli rendeva poco. Molte voltesecondol'umorenon voleva né meno che Pietro le toccasse.

Ilpodere era di qualche ettarocon la siepe di marruche e dibiancospini su la strada: un piccolissimo appezzamento pianeggiante ecoltivato bene; il resto a pendicefino al fosso di un'altracollinetta che regge le mura della Porta Camollia.

Lungoi confiniquerci grosse e nerecon qualche noce alto alto; eneifondisalci e ortiperché c'era l'acqua. Dall'aia si vedevaSiena.

Ognidomenicaa fin di mesegli assalariati andavanodopo la messaalla trattoria; e il Rosi li pagavafacendosi fare da ognuno unacrocealla megliosopra le marche da bollo. Allora spiegava le sueintenzioni e discuteva dei lavori. Era sempre poco contento; e liminacciavaimmancabilmentedi mandarli via. Poiripetuti sempre avoce più forte gli ordini da eseguirsi il giorno dopodicevache se ne potevano tornare a casa; ed egliperché era giàl'ora che gli avventori andavano a mangiaresi tirava su subito lemaniche della camicia ed entrava in cucina. Per solitomentrepagavafaceva colazione.

Ilpoderebenché piccolo e con le case in quel modoera bello:ci si trovava una dolcezza che invogliava a starci: cinque cipressiin filadietro il muricciolo dell'aia; e poi tutto pieno d'olivi edi frutti. Qualcunodopo aver due o tre volte girato gli occhiattornodiceva: "se fosse più grandepiacerebbe meno!".L'appezzamento pianeggiante era di una terra scura e rossiccia; ilresto di tufo asciutto e sodoquasi giallo. A primaverameno illavorato con l'aratro e con la vangadiventava di cento verdi; el'autunno ci metteva un bel pezzo a scolorirli.

Perla strada passavanodi solitoa seconda delle orequalchecappuccino la mattinai contadini e i loro carri sempre; tutti igiovedìverso mezzogiornoi mendicanti che andavano amangiare la zuppa del convento. In autunno c'erano anche parecchiefamiglie di villeggiantie i forestieri d'una pensione: e questistavano fuori la sera. Le domenichea tempo belloqualche comitivache cantava; dopo aver bevuto alle trattorie e alle bettole del borgofuori porta.

Lastrada è quasi da per tutto piana e strettacon parecchieville e altri poderi; e poi lecciquercicastagnicancelli dilegnosiepi potate. Mentre si vedono le altre villemolto piùbelleche vanno alla chiesa di Marciano; e un ammasso di collineverso la parte di maremma e il Monte Amiata.

Quandoun podere passa nelle mani di un altro proprietario che non sia unoscioccocomincia presto a modificarsi in un modo visibile agli occhidi coloro che se n'intendono e poi di tutti. E il Rosi cambiòaddirittura Poggio a' Meli. Egli fermava il cavallo quando fin nelmezzo della strada il vento aveva portato i fiori dei peschi e deimandorli nuovifatti piantare da lui. Bestemmiando alzava gli occhialle fronde restate con le foglie sole; e pigliava a frustate Toppache abbaiava e saltava dalla contentezza per il suo arrivo. Per oreintere andava lungo i filaria vedere se c'era entrata la malattia.Qualcuno degli assalariati lo seguiva; e dovevano sempre assicurarloche non era colpa di loro. Se gli pareva che una vite fosse statalegata male o se il suo palo non stava fortesi faceva portare unaltro salcio e lì in presenza sua faceva rifare il lavoro.

Perla potatura degli olivi succedevano discussioni che non finivano più.Metteva da sé la scala dove giudicava meglio; ma non ci salivaperché era troppo grave: giù da terradiceva qualierano i rami che dovevano esser tolti.

Oppureinsegnava anche come dovevano tenere la vangaper arrivare piùa fondo.

Durantele svinaturepuliva e sciacquava da sé le botti e i barili; enon si muoveva mai dalla cannella del tino.

SiccomeAnna s'era affezionata a Rebeccache il suo seduttore non avevavoluto sposare benché l'avesse resa madree a Domenicopiacevaavevano messo tra gli assalariati di Poggio a' Meli i suoivecchi genitori Giacco e Masa. Erano poveri e avevano altre figlioleche se n'erano andate a marito. Dopo qualche annoperciòsiraccomandarono al padrone perché fosse contento di tenereGhìsolauna loro nipote nata a Raddafigliola di una dellesorelle di Rebecca.

Giaccoe Masa non buttavano via né meno un mezzo chiodo arrugginito.Giacco aveva i calzoni di fustagno verde così sparsi di toppeche della prima stoffa rimaneva solamente qualche strisciolina qua elà. Il fazzoletto che Masa portava in capo l'aveva comprato dagiovine.

Siccomeella non riusciva mai a far da mangiare a tempoGiaccos'impazientiva; e cominciava a imprecarla seguendo con gli occhi ognipasso di leiche si confondeva e ci metteva di più.

Bisognavavederla! Versava da un'ampolla di latta un filo d'olioun filo cosìsottile come la punta di un ago. Sgocciolato bene il forellinoprimadi richiudere l'ampolla dentro la madiavi passava sopra la linguapiù di una volta. La padellina bollivaed ella vi buttavaaglio e cipolla tritata. Quando l'aglio era diventato giallo edabbrustolitometteva il soffritto nella pentola piena d'acquasalata; la riaccostava al fuoco ed intanto affettava un paneappoggiandoselo al petto e spingendo il coltello con ambedue le mani.Il cane da guardiaToppafaceva sparire le briciole di mano in manoche cadevano. Masadisperatalo allontanava con un piede: volevaserbarle per le galline!

Apena entratoGiacco si lavava in un catino di rame tuttoammaccature; poi sedevapassandosi le dita corte e callose sulvolto.

Masafinalmentevotava l'acqua sopra il pane affettato; e Ghìsolaportava in tavola i cartocci del sale e del pepefacendosirimproverare perché sfregava troppo le spalle al muro perandare da un punto all'altro della stanza.

Giaccopensando al vitello che gli aveva ficcato il muso sopra la schienamentre gli empiva di erba la mangiatoiasi che lo aveva fattoallontanare dicendogli: "non vedi che m'impeli tutto?"comandava alla moglie:

-Prima di venire a sederemetti al fuoco il beverone per la bestiola.Lo sai; ma fingi sempre di scordartene.

Eglifinita la faticaprovava una gran tenerezza per quelle carezze nellastalla; quando l'alito del vitello era caldo e umido come il suosudore. Ricordandosenemangiava in silenzio.

Annaqualche voltabussava alla loro porta. Allora si alzavano tutti etre:

-É la padrona. Suva ad aprire. Quanto ci metti?

Pertutto un invernoPietro non rivide Poggio a' Meli; udendone soloparlare tra il babbo e gli avventori: viti nuovevivai di fruttisementi più abbondanti; e il vino della prima vendemmia: unvinoperòchiaro chiaro; che sapeva di solfo e bruciava lostomaco.

Qualchevoltaalla trattoriacapitava Ghìsola zitta accanto alla ziaRebecca; ed egli la guardava senza andarle vicino. Ma gli faceva menopiacere; e sembrava che non si fossero parlati mai.

Dopoalcune febbriciattoleverso il giugnotornò con la mamma incampagna. Siccome la casetta stava chiusa parecchi mesi dell'annocitrovavano sempre un odore di calcina e di topi: e le serratureadadoprarleci voleva forza. Chiamavano Giaccola prima voltapernon farsi male alle mani; e Masa era incaricata di levare la polveree le ragnatele che avevano empito le stanze.

AncheGhìsola aiutava; ma non doveva toccare quel che si potevarompere.

Pietroil primo giornoebbe un'agitazione che gli toglieva la coscienza; egli dolevano le glandole ancora gonfie dietro gli orecchi.

Sbarbavacon una stratta tutte le piante che gli capitavano sotto manostrappava i tralci alle viti; o con un palo batteva un albero finchési fosse sbucciato. Staccava le zampe e le ali ai grillie poi liinfilzava con uno spillo. Stava attento quando una nuvola era sopra alui; equand'era trascorsane aspettava un'altra quasi per farsivedere.

Allafine piovvesenza tuonarecon uno sgocciolìo che non finivapiù sotto alle docce. Poidiradatesi le nuvolealcunisprazzi di luce s'indugiarono sopra le colline di là dallapioggiache le velava di tanti fili sottilissimi che il ventoavrebbe potuto romperli tutti. L'arcobaleno si aperse; come se fossestato lì già pronto.

Annadopo cenachiamò in casa Masa e le altre donne degliassalariati; che entrarono inciampando insieme ad ogni passo.

-Mettetevi a sedere.

Risposerocome sempre:

-Masignora padronaincomoderemo troppo.

-Vi dico che vi mettiate a sedere.

Annaci teneva a fare la signora e ad essere rispettatama voleva bene davero a quelle donne.

Ghìsolase ne stette seria e attenta dietro a tutte; e Pietroche dovevastudiaredopo aver guardato la divisa dei suoi capellifiniti comeil refe avvoltolato al rocchettonon fece più caso a lei senon quando la mamma le comandò di prendere un gomitolonell'altra stanza. Ella obbedì rapidamentecome una grandemarionetta; poi si rincantucciòcon gli occhi intenti allatrina della padronacon i piedi su la stecca della sedia.

Annaaccorgendosenesi trasse alquanto indietrosul canapè; alzòle mani e disse:

-Ecco: l'uncinetto si tiene cosìpoi gli si fa pigliare ilfilo... si avvolge da questa parte... si ripiglia. Non c'è dasbagliare.

Orsolail cui naso era rosso di una ectasia venosarispose senza avercapito niente:

-Com'è brava!

Masasi volse alla nipote:

-Quanto saresti contenta se tu potessi imparare?

AlloraOrsolagrattandosi i capelli con un ferro della sua calzadisse:

-Ghìsola è giovinee le dita le si prestano bene. Manoi non possiamo piegarle.

-E non ci vediamo abbastanza.

Aggiunsequella che aveva la vista più deboleAdele.

-Ma che sappiamo fare noi? Un poco di acqua cotta per i nostri uomini.E male anche quella.

Tutteriseroe Masa esclamò:

-Ma guardate che dita delicate ha la padrona! Sembra perfinoimpossibile!

Annalasciò la trina; earrossendomise una mano sopra la tavolaalla luce; facendola vedere da ambedue le parti: era piccola egrassocciacon le unghie corte e gonfie.

Pietroascoltavama gli pareva che le persone intorno a lui agissero comenei sogni; e la mammarivolgendosi a luidoveva ripetere due o trevolte la stessa cosa:

-Ma perché sei così distratto? E pure tu capisci quelche si dice!

Eglicon un'apprensione stranatemeva di rispondere. E dalla sedia andòsul canapèincapace di sottrarsi a una specie di spavento acui s'era abituato; subendo quel fascino di allontanamentochetalvolta gli dava un terribile benessere; finché il sonno nongli fece ciondolare la testa su le ginocchia.

Ghìsolaad un cenno della padronagli si avvicinò e gli bucòappenacon un ferro della calzauna manoperché sismuovesse.

Pietrofinse prima di non sentirlaancora immerso in quel suo abissoschiacciato. Poisenza alzare gli occhila maltrattò. OraGhìsola apparteneva a quella brusca realtà meno fortedelle sue astrazioni. Sentì tale differenzacon pena acre.

-Mi hai fatto male!

Egliera già meno tranquillocon un viso bianco che parevaconsunto; eperché non si mettesse a piangereAnna rimandòvia la contadina prima del solito. Ghìsolaquasi offesa e contimorese l'era svignata subito.

Lapioggiaricominciata dopo il tramontofaceva un crepitìosommesso fra le lucciole che non si diradavano. Qualcuna aderiva aduno stelo di granoe non si moveva più: si vedeva la sua luceimmobilesempre accesasotto i colpi delle gocciole.

Pietrosi fece spogliarecon gli occhi che non stavano apertipieno disogni. La mammaquando fu a lettogli disse guardandolo:

-Sono tre sere che non dici né meno un'avemaria! Ségnati.

Avrebbeobbedito se fosse stato più desto: mosse il braccio ma nonarrivò a toccarsi la frontesentendo il segno della croceaddosso; con un senso delizioso di quel che aveva detto a Ghìsola.

S'addormentòvedendo la mamma che simile a un'ombra girava intorno al letto perbenedirlo.

-Dammi la buona nottealmeno!

Maegli già dormiva da vero quando Anna se ne andòriparando il lume con tutta la persona; dopo avergli messo sotto ilpiumino i calzinotti e le mutande.

Sidestò a mezzanotte. Udì un usignoloforse tra lequerci del podereaccanto all'aia. Le sue note gli parvero undiscorsoa cui rispondeva un'usignola di lontano. Allora li ascoltòambedue a lungoe non avrebbe voluto; e pensò che Ghìsolafosse fuori per prenderli. Ma si chiese perché le cose e lepersone intorno a lui non gli potessero sembrare altro che un incubooscillante e pesante.

Poinei sognisentiva la sua cattiveria; e credeva d'imprecare controquel canto.

Masaessendosi capovolto il suo lume ad olioperché il chiodo eravenuto viaattendeva che le accadesse una disgrazia.

Sisedé sul focolare spentola cui pietra era ancora calda;torcendosi le mani dentro le sottane affondate tra le coscestropicciandosi le cigliatoccandosi lo stomaco dove sentiva ungrande ingombro.

Udendoi passi di Orsolala moglie di Carlola chiamò; quantunquevolesse stare zitta:

-Sapete che cosa ho fatto?

-No. Che cosa avete fatto?

Masamosse le labbrasenza parlare.

-Ditemelo; non mi tenete in apprensione. Perché m'avetechiamata?

-Ho versato l'olio.

-Dite per scherzo?

-Non son mica come voi! Su queste cose non posso scherzare io!

-Né meno iodel resto. Badate!

Masale avrebbe tirato uno schiaffo. Orsola riflettevaa volto in giùquale disgrazia potesse avvenirle.

-Ed io credo di non aver fatto niente di male.

-Ma queste cose non rispettano nessunolo sapete. Vi ricordate diquando la volpe straziò la chioccia che m'ero scordata dichiudere in casa? Alloraio avevo versato l'olio. E il mio marito mivoleva picchiarecome se non bastasse!

Masasi sdrusciò con il palmo di una mano una guancia; Orsola sigrattò il pettosmuovendo con il pugno tutto il giacchettodinanzi. Poi disse:

-Non ve la prendete. Venite a dirmi quello che vi succederà:sono curiosa di saperlo anch'io.

Ela lasciò.

Masaandò incontro a Giacco e a Ghìsolaper assicurarsi chenon erano morti nel campo. Ma a Giaccoper non essere rimproveratanon disse nulla. Ghìsola ne provò un terroresuperstizioso; e non volle entrare in camera al buioa cambiarsi ilgrembiale.

Maavendo presosu un pioppo dove s'era arrampicata da séunnido con cinque passerottise lo mise su le ginocchia; e cominciòa riempire di briciole le loro bocche spalancate. Li voleva farcrescere; ma invece le venne voglia di ucciderlieccitata dal suoterrore. Qualcuno chiudeva gli occhi; un altro all'improvviso alzavale alie invece ricadeva; sottouno pigolava sempre di seguito.

Alloraschiacciò con le dita la testa a tutti; e li cosse dentro ilpadellino del soffritto; mentre Masache non volle assaggiarlicercava invano di distrarsi; raccomandandosi al crocifisso nero difumo. Si sedevascuoteva la testametteva il capo fuori dell'uscio.

Toppaentrò sotto la tavolae fiutò tutte le sedie una pervolta; sbattendo la coda alla tovaglia di canapa; poi uscì.

Checosa significava quel giro dentro la stanza? La nonna e la nipote siguardarono negli occhi.

Mala disgrazia non avvenne; ed Orsoladopo cenadisse a Masa:

-Ora non c'è più pericolo.

Nefu invidiosa; eaccertatasi che l'olio era stato versato da veropensò:

-Tutte le fortune sono le sue!

Ghìsolasi mise alla finestra; tirando sputidi quando in quandosopra unacosa che per l'oscurità non riusciva a distinguere. Poiguardava un poco verso il cielodove era venuta sempre qualche altrastella.

Unastriscia umida di nuvole color della seppia divideva esattamente dalcielo turchino l'orizzonte lucente di raggi serotini. Le chiome degliolivi sembravano un solo velo trattenuto e avvolto ai rami aperti diciascun albero.

Icipressi dell'aia erano neri.

Imoscerini e le farfalle bianche rasentavano la fronte dellagiovinetta; e una fragranza ignota s'avvicendava con il fetore caldodella stalla di sotto.

Unacicala fece uno strido da un pescoi cui fiori erano mollicci eresinosi: come se avesse sognato.

Lafarina! Masa sapeva bene quel che è la farina e quanto lecostasse; la farina che le si attaccava alle ditachiusa nella madiacon un rispetto quasi fanatico.

Mangiavale fette di pane come un ragazzo di montagna si mette in bocca per laprima volta un pezzo di dolce ed ha paura di finirlo troppo presto.Senza toccarlo con le labbratagaliandolo a morsicon un movimentoammodato di tutta la boccalo inghiottiva con gli occhi fermi suquello che stringeva tra le dita; con una gamba sopra l'altra.

Lafarina era lei stessa e tutta la sua famiglia. E Giacco diceva:

-Non siamo fatti di pane anche noi?

Equando ficcava il braccio nudo dentro un sacco di granoperassicurarsi che non fosse riscaldatopareva che tutti i chicchivolessero andarglici attorno. Masa gli chiedeva:

-Ci sono entrati i farfallini?

-Sarebbe meglio che si rompessero le costole a te.

Masaarrossiva; ma era contenta.

Agostinofigliolo di un cavallaio che aveva due poderi a confine con Poggio a'Melinon voleva che Pietro parlasse troppo a Ghìsola; perquell'amor proprio che nell'adolescenza somiglia alla gelosia. E capìche doveva odiare il rispetto ingenuo di Pietro; e compatirlo comeuna debolezza.

Ghìsolainfattidava al suo padroncino un senso di disagio e d'impaccio; maegli voleva essere forte e cercava di convincersi che preferival'amicizia di Agostino; e con lui doventava remissivo ed obbediente;procurando d'indovinare le cose che pensava e non diceva a posta.Talvolta gli raccattava una pietra com'egli comandava soltantoguardandola; per tirarla a pena visto un uccello sopra un ramoaccanto alla strada. E come il vento gonfiava la camicia d'Agostinotutta sbottonata! Perché non aveva i polsi eguali a luilecigliagli orecchila camicia? E perché quando si provava afare come luicon la stessa aria di noncuranzasi trovava persod'animosenza fiatocon la paura di provocare la sua collera che lofaceva tremare? Perché non poteva sostenere il suo sguardocrucciatoimpenetrabile e lucidoquando si provava a non risponderealle sue domande e quando non aveva indovinato? Quello sguardo loimpauriva così come quandosenza essercene avvisti prima cisi trova proprio ai piedi una fonte piena d'acqua.

Agostinoaveva il naso piccolo e cortodi bambinotutto lentigginoso; ma ilsuo collo era come quello di una bella donna; le mani fatte bene. Isuoi colloqui con Ghìsolache consistevano in parole senzasensoconvenzionaliche capivano loro due soltantosuscitavano inPietro sentimenti inaspettati; ai quali da solo non avrebbe maisognato. E il diletto d'ascoltarli era tanto! Anche gli parevad'imparare chi sa che.

Ghìsolaaveva un sorriso piacevole dicendo certe coseche a lei solapotevano venire in mente; e Pietro si struggeva dalla vogliad'impararle come i suoi stornelli. Ma non riusciva né meno acantare; e ne aveva vergogna. Talvolta non volendo che ridesselefaceva qualche dispetto a posta.

Sottoil largo cappello di pagliache le calava sempre sopra un orecchioguarnito con un nastro di raso liso e con due rosette buttate via daAnnail volto di Ghìsola era tranquillamente insignificante esciatto.

Sembravacon la sottana rimendata maletroppo semplice e quasi stupida.

Visono esseri che non chiedono nulla a nessuno e rinunziano a tutto; enon essendo rispettati come gli altripare che di loro se ne possafare quel che si vuole. Perciò quel che riguarda gli altri lotrovano antipatico. Se qualcuno li amanon vogliono cambiarsi;chiedendo che cosa questo bene esiga. E allora lo evitano.

QuandoMasa batteva le nocche su la fronte di Ghìsola dicendole: "checi hai qui?" ella rispondeva quasi con esasperazione:

-Che ne sapete voi? Che ve ne importa?

Talvoltacredevacon piacere e con stizzache il suo viso offendesse. Quandogli altri parlavano si metteva silenziosa; credendoli diffidenti. Nonla interessava niente; obbediva a Masa e ai padroniperché dase stessa non avrebbe pensato né meno alla calza; e sentivamalvolentieri che tutto ciò che esiste non era soltanto inlei.

Talvoltapareva piuttosto che parlasse con lo scalone di casa; quandosecondoil suo solitoci stava seduta.

Nonsi sarebbe arrischiata ad avere qualche idea perché ne avevatroppe che non le si addicevano; come non si arrischiavaquando eraandata alla trattoriaa chiedere le ghiottonerie che vedeva; einvece le avvampavano il visoe la stordivano quanto le stanze caldea cui non era abituata.

Mac'era in lei il presentimento e il senso di una vitache le montavala testa come la ricchezza e il lusso degli altri.

Pietrocon gratitudinesentiva vicino a Ghìsola le sue primeemozioni delicate. Ammirò un fiore quando gli venne voglia dicoglierlo per lei; enon arrischiandosilo buttava via; quando eraancora per non crederciprovando una diminuzione di se stesso. Ecome tutta la natura gli apparve a un tratto misteriosaconviolenza! Qualche cosa da disperarsene!

Erastato bocconi in terrachiudendo tra le braccia un pulcino pertenerlo con sé! Aveva aiutato le formichetogliendo dal lorocammino un bastone che dovevano valicare esitando e poi disperate:tremolando con un chicco troppo grossoche le faceva caderecapovolte! Teneva con tenerezza un indovinello in manoe lorimproverava quando volava via!

Cercavadi superare le sue malinconie; ma non poteva dimenticarle quantoavrebbe voluto. Talvolta ne era distaccato di soprassalto; e alloragli veniva uno stato mentale confuso e torbido che pareva sempre perandarsene. E aveva l'illusione che il suo spirito assumesse cosìenormi proporzioni che i suoi pensieri vi si smarrivano dentroinsieme con i loro echi improvvisicome in una stanza troppo grande.Quante volte non s'era considerato perdutomentre le immaginiesteriori lo invadevano senza tregua! Ora gli pareva di avere lapropria anima; ora diminuiva; mentre questi movimenti gli davano unmalessere come quello delle vertigini.

Talvoltagli pareva di trovarsi a scuola dove tutto a un tratto entrava unagrancassa; e allora si sentiva tanta voglia di ridere che sispaventavasoffocando il grido dell'incubo. Anna credeva che avessemale; e gli metteva una mano su la frontedicendogli:

-Ti viene la febbre?

Egligridavaallora:

-No! No! Lasciami stare!

Eraun anno dalla notte degli usignoliun anno come tutti gli altri: latrattoria e gli avventoriPoggio a' Meli e gli assalariati.

Allanuova primaveraDomenico aveva voluto fare grandi preparativi per leraccolte che aspetteva migliori di prima. E andava di più alpoderequasi per compensarsi dello strapazzo alla trattoria. Esiccome la stagione era buonaportava sempre con sé Pietro.Gli faceva benee forse non si sarebbe più riammalato!

Volevache andasse nel campoper occuparsi anche lui delle viti da potare edi tutte le altre faccende. Ma era come se Pietro non vedesse e nonudisse niente. Domenicoalloralo faceva riaccompagnare finoall'aia da qualcuna delle donneche saliva dal campo con un fasciod'erba fresca o con la gramigna tolta al vangato.

Unavolta Pietro s'era seduto ad attendere il padre su lo scalone diGiaccodove stava sempre Ghìsolaperché senzaavvedersene faceva come lei. Masa finiva di spazzare con una granatainfilata a un vecchio manico d'ombrello; alzando una polvere cosìfitta che ne sentiva il sapore in bocca. Ella si raccomandò:

-Si alzi.

Maegli non si mosse né meno. E la vecchia si fermò.

Traquegli stracci d'ogni colorele matassine di capellile scatolettesfondatec'era una bambola fatta d'un pezzo di stoffa bianca intornoa un mestolo. Pietro ebbe voglia di raccattarlae s'alzò. Mala vecchiapreso tempogettò la spazzatura fuori dell'uscio.E allora quella bambolarimasta supinaparve a Pietro che fosseviva. E non la toccò. Ghìsolasopraggiunta dal campovistala tra la spazzaturastette zitta perché la nonna datanto tempo le aveva detto di buttarla viama fece viso da piangere.Masa le gridò:

-Pensi sempre a queste cose?

Pietroper burlarlaaffondò la bambola a calcagnatenella melma; epoi ci si mise con furorecon il cuore palpitanteimpaurito divederla uscir fuoripallido.

Ghìsolaguardandolo dall'uscioborbottò:

-Stupido!

Pietrosentì rimorsoe tentò tutti i mezzi di riconciliarsi;ma lei gli volse le spallemangiando un pezzo di pane trovato nellamadia. Allora egli aperse un temperino che aveva in tasca e le ferìuna coscia. La giovinettaimpalliditasi sforzò dicontenersi. Eglicredendo di non averle fatto malecon il temperinoin manooffeso e indispettitofece l'atto di slanciarsi un'altravolta; ma ellaalloragli tirò un calcioe corse in camerabuttando via il pane. La vecchiaal rumore delle sedie urtatesmisedi spazzare e tornò in casa; andando a trovare Ghìsolache si sentiva frignare con quel frigno tutto unito e senza stacchiche smette subito.

Pietrosolo in cucinaridendo sommessamente di spaventos'avvicinòpian piano per vedere. Ma in quel mentre Masa uscì e gridòcon collera:

-Perché le ha fatto far sangue? Non deve esser cosìcattivo. Non voglio. Lo dirò al padrone.

-Io non ci ho colpa.

Masafuori di sémancò poco che non gli battesse qualchecosa su la testa.

Pietroconvinto di quel che dicevagiurò perfino con certigiuramenti che gli avevano fatto un grande effetto a impararli; tuttocontento di aver trovato l'occasione di ripeterli.

MaDomenico ed Anna lo picchiarono su le maniin presenza di Masa e diGhìsola; e gli fecero chiedere perdono. Allora Pietroquantunque il castigo gli avesse fatto quasi piaceresi sentìlungo tempo mortificatoquasi che tutti i suoi scherzi lo portasseroa qualche terrore. Gliene venne una superstizione tale che non giocòpiùcredendo anche che una volta o l'altra gli potessesuccedere molto male. E ne aveva avuto la prova due anni prima:scaraventando un sassoaveva ferito un altro ragazzo che si trovavasenza ch'egli lo sapessedietro una siepe. Perciò i suoidiscorsi con Ghìsola presero un tono di gravitàquasiavessero dovuto nascondere un significato nuovo.

Dopoqualche mesetrovatala per caso sola nel campoprima s'allontanòe poi tornò indietroarrischiandosi a chiederle:

-Ti feci male parecchio?

Isuoi piediche affondavano nella terra lavoratagli davano un sensodi sgomento. Ma ella lo guardò sorridendo:

-Quando?

-Quando ti ficcaisenza volereil temperino nella carne.

Giàquel sorrisocontrariandologli aveva fatto perdere il filo.

-Ci pensa sempre?

Eglisi meravigliò di trovare in lei un sentimento che nonsomigliava né meno a quello supposto; e le chiese:

-Te n'eri scordataforse?

-Subito dopo.

Parvea lui che volesse dire: "queste son cose cattive e non ci sipensa".

-Ma devi aver sofferto da vero. Se tu vuoi fare ora lo stesso a me...

-Io?

-Ti giuro... Tu sai che quando giuro io è la verità. Nonfeci male a te?

Ele spiegò che avrebbe dovutocon quel temperinofargli lastessa ferita; ed ellaper dargli a intendere che lo prendeva sulseriorispose:

-Quando vuole...

Mal'acconsentimento diminuì la sua voglia.

-Bisognerebbe che nessuno lo risapesse.

-Dirò che sono stato io.

Eglile prese la manoperché tenesse il temperino; ma ella sidivincolò subitoe fece una smorfia d'incredulità.

-Ho mai detto bugie io? Non sono Agostino!

Magli parve così scontenta di quell'insistenza ch'egli sen'andòbattendo le mani su le spighe dell'avena alta; tuttoconfuso e deciso di non comparirle più dinanzi. E provòuno spiacere disgustoso a stare con lei. "Forse" pensavaegli "ha ricusato per la nonna e per la zia." Ghìsolainvecesi convinse che non parlasse sinceramente: e astiò ilfiglio del padronecon quell'astio istintivo e cattivoche hannoquelli costretti a ubbidire.

Delrestocredette volentieri che non fosse sincero: era una ragione dipiù per volergli male! Quando lo vedeva da lontanoed egliper timore non la guardava né menosi metteva a cantare.

Ascuola Pietro motteggiava i più vicini di banco con la suailarità nervosa; li costringeva a dargli rettali chiamavacon soprannomi facetili offendeva se non gli davano retta. E anchequando tutti tacevanoné meno udiva la voce dell'insegnante;quantunque qualche risposta dei compagni gli arrivasse agli orecchicon un rammarico strano.

Stavaper prendere la licenza elementareed era il più grande e ilmeno bravo; e i seminaristi lo canzonavano.

Qualchevoltadopo aver cercato di comprenderesi sforzava a badare a tuttala lezione rimanente; e sentiva quasi gusto ad aumentare la disistimadi tuttibenché se ne compiangesse. Quando era stato attentousciva con la mente quasi stravoltacon un peso dentro le tempieincapace di mettersi a studiare; stanco sfinito; senza aver fattonulla: lasciava un libro e ne prendeva un altrolasciava anchequesto e non leggeva; non s'accorgeva né meno piùd'averli dinanzi.

Allorasi divertiva al movimento e al vocìo della trattoria.

Delresto avrebbe dovuto imparare le sue lezioni e scrivere dinanzi agliavventori meno ricchi che desinavano a una tavola lungasopra allaquale ciascuno di loro distendeva un piccolo tovagliolo: lungo isolchi delle piegaturesi raccoglievano le briciole del paneePietro le mangiava a pizzichi.

Questiavventoridivenuti amici di Domenico e di Annalo facevano riderecon le loro burlette dicendogli:

-Che vuoi affaticarti gli occhi? Vai a ruzzare.

MaAnna si alzava dalla sua poltrona posta nell'angolo più oscurodella stanzadietro un paravento di legno con un'apertura rotonda dacui poteva sorvegliare i camerieri e la cantiniera per dire:

-Lo lascino stare!

Poirideva anche lei.

D'estatequando tirava un poco di ventosi vedeva uscire dalla finestraaperta tutto il fumo delle pipe e dei sigari; e allora gli avventorisi toglievano la giubba; mentred'invernosi passavano unoscaldino.

Burlavanotra loroportandosi via il pane e le frutta. Quando qualcunobestemmiava troppoAnna impallidiva e lo guardava in faccia. Eglirimaneva con la parola in bocca e tutti gli altri tacevano; e laconversazione era cambiata.

-La bestemmia non sta bene. Avete tempo fuori di qui! Per la strada!

Quegliarrossiva:

-Ieri il rimprovero non toccò a me! Non è veropadrona?

Erauna risata spontanea. Ed Anna pensava subito ad un'altra cosa.

Alloraqualcuno proponeva:

-Venga a darci da bere. Ma non di quello annacquato. Non ci castighi!

Chiaveva ancora un poco di vinovuotava il bicchiere riposandolo congli altri nel mezzo della tavola. Annafattosi portare un fiascodomandava:

-Quanto ne vuole lei?

-Un soldo.

-Io due soldi...

Adamometteva il bicchiere contro l'aria:

-É piovuto in cantina anche oggi!

Quandopassava un avventore delle altre salesi chetavano alla meglio e loseguivano con lo sguardo.

-É il tale.

Qualchevoltacantavano. Ma Domenico usciva dalla cucina tenendo un ramaiolodi brodo. Tutti alzavano le mani:

-Fermo! Fermo! Ce ne andiamo!

Glialterchi erano radi; equando avvenivanol'amicizia era rotta perpoco tempo. Di solitonon s'insultavano direttamente; ma uno allavoltaa vicendasi rivolgevano agli altri esponendo la cosa come unracconto; da prima a bassa vocepoi con veemenza e con bestemmiebattendo i pugnialzandosi da sedere.

Quasile mani dei contendenti si toccavano; allora qualcuno diceva:

-É vergogna; anche per chi ci sente!

Annanon si teneva più; e la sfilata delle bestemmie erainterrottafinalmenteda un grosso boccone inghiottito.

Adamocon piccole nervosità da femmina avvezzata malequando dicevaa Domenico che lo servisse benequasi si raccomandava.

Dopoaverlo guardato in visosi volgeva da una parteaspettandosemprecon la paura che parlassero male di lui in cucina; poiassaggiatadue o tre volte la pietanzase era a modo suo respirava megliosputacchiava e si decideva a mangiare. Etornatagli la gaiezzaeraprimo lui a svegliare Giacominomettendogli una buccia di mela nelcollo. Anzianobasso e corpulentocon i baffi sempre in boccacambiava d'umore come un ragazzo. Anzichiedeva scusadell'inurbanità del momento primabattendo insieme le ditasopra il tovagliolotamburellandolecon la testa in avanti e bassa.Si stropicciava le guance con il dorso della manosilenziosocon ilsigaro in boccabiascicandolo e facendolo girare tra le labbra. Eracapace di mettersi ad ascoltare una lunga conversazione fatta nellastanza accanto; per dirnecon una frase sola o con un sospirolasua opinione. Ese per caso gli avessero rispostosi rifacevapensosofumando a boccate più lunghe.

Giacominoanche mangiandoappoggiava la testa alla manotirandosi con le ditai capelli vicini alla nuca.

Bibemetteva il mento sopra il pugno chiusoin proda alla tavolae stavacosì con gli occhi giùdivertendosi ad ascoltaresenza veder nessuno; e allora alzavauna per volta e pianole puntedei piedibattendole in tempo; finché qualcunopresolo per icapelli ricciutinon gli facesse volger la testa.

-Dio! Mi fate male! Che divertimento c'è?

-Hai sonnobestia?

-Poco no.

Eraccontava perché non aveva avuto tempo di dormire abbastanza.E sorridevatra il sonno.

Volevanosempre gli stessi posti: Adamo in un angoloperché cosìspuntava a piacere; Giacomino sotto la finestra; Bibe il piùgiovinesul canapè: perché ci si tirava in dietro amodo suomagari addormentandosi quando non gli davano fastidio.

Siriabbottonavano i calzonisi riagganciavano gli scheggialisputavanos'urtavanosi scapaccionavanosi tiravano i baffi epagavano il conto andandoa uno per voltadinanzi al bugigattolo diAnna.

EPino? Pinoil vecchio barrocciaio di Poggibonsiera il piùpovero. Gridavaper ridere:

-C'è posto anche per me?

Tuttiglielo facevanonon per cortesiama perché lo credevanopieno di pulci. Egli se ne avvedevama non osava dir niente:brontolava un poco tra sé; esiccome dovunque era trattatocosìnon se la prendeva.

-Mezzo posto mi basta a me. Non sono un signore io! Ahcome midolgono le ossa!

Unocchio non gli voleva stare apertoe le palpebre battevano insiemecome fanno quelle delle civette. Girava quell'altro occhio per tuttala stanzalentamente; ricominciando sempre da capo. Si guardava benele maniper far capire agli altri che aveva pensato a lavarsele; ein fatti se l'era lavate nel secchio del suo cavallo mezzo stroncocome le stanghine del barrocciorinforzate con parecchie avvolte difunicella e di filo di ferro. Quanto tempo gli faceva perdere quellavoro riaccomodato tutti i giorni!

Sistropicciava gli occhi con un ditocon il viso ridente senza sapereperché: la sua boccacon quel sorrisopareva larga ildoppio.

-Ridete voiehboia! Che avete rubato oggi? Si piglia la roba dellecommissioni e poi dice che l'ha persa per la strada.

-Io? Ohpoverino! Una volta lo facevo cosìma ora no.

Strascicavala voce con un accentoche sembrava sincero benché malizioso.E poi:

-Ho due figliolea casada maritare! Son belle da veroa dirvela inun orecchio. Ma la mia moglie è già ridotta come unaballa di cenci untiche non si piglierebbero né meno in mano.Ci ho quelle due figliepovere bambine! O che devo fare io per loro?

Tuttala sua fisionomia pigliava una bontà umile ma ostinata; ecosa stranale sue guancetra il pelo della barba radaeranodelicate come quelle di una donna.

Eglinon ordinavama Domenico gli sceglieva tra la roba del giornoinnanzi e gliene faceva un piatto solo. Lo pigliava per la tesa delcappelloquasi gli ci faceva battere il naso:

-Senti come ti ho servito?

-Sìavete ragioneè stantiama non puzza tanto.

Adamoe Giacomino gli buttavano fette di pane o mezze frutta.

Eglisenza guardarli in facciase le radunava più vicinoquasiavesse voluto metterle sotto il tondo del piattocon ambedue lemani.

-Ohoggi sto meglio!

Salutavacon molto rispetto Annaaspettando che gli rispondesse: ecertonon si sarebbe messo a sedere prima. Tanto che Annaquando se n'eradimenticatadoveva dirgli:

-Mettetevi a sedere!

-Ahmi ci posso mettere? Credevo di dar noia oggi! Sono tanto stanco!

Easpettavatenendo le mani insieme.

DaPietro si faceva rispiegarequasi una volta al meseche cosa eranole due oleografie delle pareti. Pietro saliva in piedi su la pancaper non staccarle. Ma Pino diceva:

-Me le metta più vicino! Se sapessePietrinocome mi brucianogli occhi! Qualche volta ho paura d'accecare.

Unaera la Battaglia di Adua e un'altra I fattori dell'unitàitaliana. E tenendolodopoper una manica:

-Non dia retta al babbo: studi. Me ne intendo!

Pietroallorasenza sapere perchélo accarezzava.

D'invernoquando era tutto infreddolito e bagnatocon il bavero della giubbafino alla cima degli orecchicon il cappello su gli occhiPietrogli si faceva subito incontro; esenza parlargligli metteva ilviso tanto vicinoche Domenico lo tirava in dietro per il collo.

Morìpresto; e nessuno se ne accorse.

Unaltro anno; e s'era alla fine di marzoil giorno di San Giuseppe.

DaPoggio a' Meli s'udivano gli scampaniiche si rimescolavano allarinfusa nel cielo come un suono che crescesse semprequasi immobilecon una romba greve. E a Pietro era venuta un'allegria insolitaun'allegria simile ad un benessere troppo forteche lo faceva piùnervoso.

Vorreiparlare di questi indefinibili turbamenti del marzoa cui èunita quasi sempre una sottile voluttàun desiderio diqualche bellezza.

Questisoli ambiguiquesti cinguettii ancora nascosti e che si dimenticanoprestoqueste nuvole biancheggianti che sembrano venute prima deltempo! E le foglie seccheche sono ancora sopra i grani germogliatimescolando il pallore della morte con il pallore della vita! Questefoglie di tutte le specieche si trovano ancora sopra l'erbe perrinnovarsi; le piante potatee i loro rami e i loro tralcisparsi aterrache saranno portati via per sempre! E questi rami secchitagliati dai fruttiche esitano ancora a fiorire su le rame nuove!La terra un poco umidache s'attacca alla punta delle vanghee icontadini sono costretti a pulirle con i pollici; e le zolle cherimangono agli zoccoli di legno! E quest'amore quasi matrimoniale esconosciuto a noi di tutti gli esseri che s'aiutano; e anche i loroodii! E il vischio che nasce su i rami dei testucchitagliato con uncolpo di pennato! Ma farà subito il ributto. E le gemme deicastagni!

Domenicoandò nel camposeguito dai suoi assalariatiper combinare lefaccende dell'indomani.

Pietroera grassoma pallido e con un'aria di gracilità: entrava inquindici anni. Credeva che fosse ridicola e disadatta alla sua etàla giubba con il bavero alla marinaiatagliata per economia da unaveste vecchia.

Entròsvelto in casa di Giacco; il qualecome il solitogli mise una manosu la spalla:

-Come cresce a fretta! Scommetto che mi ha portato da fumare.

Pietrogli prese i baffi e glieli tirò di qua e di là; Giaccoper non sentir male era pronto a girare il collo.

Ilragazzo riseguardando Masache disse:

-Più forte.

-Nono; ora basta.

Elo allontanò da sé a poco a pocoma risolutamente. Poichiese:

-Dunquené meno una cicca?

Rebeccaspazzando la trattoriametteva in serbo le cicche trovatee loincaricava di portargliele.

Masaintervenne un'altra volta:

-Non fuma mica il padroncino!

Ene rise insieme con lui come di una burla. Dopo avere risostorcevale labbra e se le mordeva. Il vecchio cavò dal taschino unapipa sbocconcellatacon una cannuccia corta quanto il palmo dellamano.

-Grazie a Dioci ho sempre quello che la sua mamma mi dette lasettimana passata. Guardi se non è vero!

Battéla pipa in proda alla tavola: schizzò fuori una specie dipolvere incenerita. Egli la radunò insiemela mescolòe la rimise dentro. Poi presedal focolareun fuscello acceso. Astentogli uscì di bocca un poco di fumoazzurro chiaro. Edegliguardandolodisse:

-Ohc'è poco trinciatooggi!

Indicon il pollice che aveva l'unghia mozzata da un taglio fattosi dagiovinepigiò dentro il pezzetto di brace rimasta nella pipa.

Pietrovide un'altra volta quel fumoedentro di sécome una cosarealeche gli dette un malesserela mamma che andava a un cassettoin casae voleva prendere qualche cosa. Ma tutti s'erano allontanatida lei! E mentr'ella si ostinavail cassetto spariva nel muro.Allora gli parve di sentire sul volto le sue manicome un grandebaciocome se le mani lo baciassero.

Masameravigliata della sua espressione sbigottitagli chiese:

-A che pensa?

Ilvecchio si avvicinò all'uscioe disse:

-Bisogna che vada a governare le vacche. Dammi la fune.

MaMasapreoccupata di vedere il padroncino cosìrispose dimalumore:

-Dove l'hai messa?

EGiacco:

-Cercamela.

-Non sai mai quello che fai. Poi ti ci vuole la moglie intorno perdarti quello che ti manca.

-Quanto chiacchieri! Se tu avessi trovato la funesenza risponderminiente? Non avresti fatto meglio?

-Io chiacchiero quanto mi pare; quanto te.

Poichiese a Pietroper distrarlo; credendo che soffrisse di qualcherimbrotto:

-Ha visto Ghìsola oggi?

Risposeegli sbadatamente:

-Non è qui?

-É voluta andare alla messa a Siena.

DisseGiaccocon l'aria di chi ripiglia un battibecco. Ma Masa la difese:

-Ha fatto bene. Qui a Poggio a' Meli non si vede mai nessuno.

Ea Pietro soggiunse:

-Credevo che l'avesse incontrata!

Idue vecchi divennero pensierosiguardandosi con occhiate che Pietronon comprendeva. Masa esclamò sospirando:

-Sarà quel che Dio vuole!

-Di che cosa?

-chiese Pietro.

-Ditemelo.

Un'acrecuriosità lo invase:

-Ma dov'è? Tornerà tra poco?

Sisentì sbigottito; e si vide subito dai suoi occhi azzurrisempre così buoni che tutti lo sapevano: le palpebre glisembrarono come acqua calda.

Ilcavallo attaccato al calesselegato nel piazzale ad una campanelladi ferrosi ripiegava tutto da una parteriposandosi.

Toppafiniva un seccarello terroso; tenendolo fermo con le zampe perroderlo meglio.

Pietronon era ancora calmo quando scorse Ghìsola.

Eradivenuta una giovinetta. I suoi occhi neri sembravano due olive chesi riconoscono subito nella ramaperché sono le piùbelle; quasi magraaveva le labbra sottili.

Eglisi sentì esaltare: ella camminava adagio smuovendo un poco latestai cui capelli nerissimilisciati con l'olioerano pettinatiin modo diverso da tutte le altre volte.

Cercòdi smettere il suo sorrisoabbassando il volto; ma rallentòil passocome se fosse indecisa a voler dissimulare qualche segreto.Egli ne ebbe un dispiacere vivoe le mosse incontrocome quandoerano più ragazziper farle un dispetto oppure perraccontarle qualche cosacon la voglia d'offenderla.

Comes'era imbellita da che non l'aveva più veduta!

Notòcon gelosiaun nastro rosso tra i suoi capellile scarpe lustre disugna e un vestito bigio quasi nuovo; e fece un sospiro.

Maellacosì risentita che non gli parve né menopossibilegli gridò:

-Vada viac'è suo padre. Non mi s'avvicini.

Egliinvececontinuò ad andarle incontro; ma ella fece unagiravoltarasentandolo senza farsi toccare. Pietro non le disse piùnientenon la guardò né meno: era già offeso emortificato.

Perchési comportava così? Sarebbe andato a trovarla anche in casadov'ella entrò soffermandosi prima con un piede su lo scalone!Si struggeva; era assillato da una cosa che non comprendeva; avevavoglia d'imporlesi.

Maa poco a pocosi sentì rappacifichito e lieto un'altra volta;come se non le dovesse rimproverare nulla; mentre un sentimentodelizioso gli si affermava sempre di più.

Ghìsolariuscì presto di casa: s'era tolto il nastroaveva cambiatole scarpemettendosi un grembiule rosso sbiadito. Alzò gliocchi verso Pietroseria e muta; ed entrò in capannadimenandosi tutta. Pose dentro una cesta il fieno già falciatodal nonno; poi smiseper levarsi una sverza da un dito. Egli sisentì uguale a quella mano. E il silenzio di leiinspiegabilelo imbarazzò; e non sarebbe stato capace aparlarle per primo. Perciò le dette una spintama lieve; edellafingendo d'esser stata per caderelo guardò accigliata.

Eglidisse:

-Quest'altra volta ti butto in terra da vero!

-Ci si provi!

Quand'ellavolevala sua voce diveniva dura e asprastrillava come unagallina. Allora egli la guardò con dispettosentendo chedoveva obbedire.

Persolitomentre parlanon si sente il suono della voce di chi si ama;oalmenonon si potrebbe descrivere.

Ellaaggiunse:

-Vada via.

Egliprovava lo stesso effetto di quando siamo sotto l'acqua e non sipossono tenere gli occhi aperti; ma rispose:

-Ghìsolatu mi dicesti un mese fa che mi volevi bene. Non tene ricordi? Io me ne ricordoe ti voglio bene.

Eriseterminando con un balbettìo. Ghìsola lo guardòcome se ci si divertisse; ein fattile piacque quel ripiegod'inventare una cosa per dirne una vera.

Ellarispose:

-Lo solo so.

Egliinvece di poter seguitarenotò come la tasca del suogrembiule era graziosa. E di lìd'un trattole tolse ilpiccolo fazzoletto orlatoalla megliodi stame celeste.

-Me lo renda.

Eglitemendo di aver fatto una schiocchezzaglielo rese.

-Ti sei bucata codesto dito?

Riuscendoa parlarenon gli parve poco.

-Che cosa le importa? Tanto lei non lavora. Non fa mai niente.

Glirispose con superbia burlesca e sfacciata; ma egli la prese sul serioe disse:

-Ghìsolase vuoiti aiuto.

Ellafinse di canzonarlo come se non fosse stato capace; e lo allontanòdicendogli che non voleva aiutarlama toccarla.

Domenicosopraggiunse dal campo.

Pietroraccolse in fretta un olivastroch'era lì in terra; ecominciò a frustare l'uscio della capanna come per uccidere leformicheche lo attraversavano in fila.

Ghìsolasi chinò a prendere a manciate il fienocon movimenti bruschie rapidi; evoltasi dalla parte del mucchiofinì d'empire lacesta. Poi l'alzò per mettersela in spallama non fu capaceda sé: gli ossi dei bracci pareva che le volessero sfondare igomiti.

AlloraPietro l'aiutò prima che il padre potesse vedere. Ghìsolaassecondando il movimento di luiguardava verso Domenico con i suoiocchi acuti e neriquasi che le palpebre tagliassero come le costoledi certi fili d'erba. Ma Pietro arrossì e tremò perchéellainnanzi di muovere il passogli prese una mano. Rimasesbalorditocon una tale dolcezzache divenne quasi incosciente;pensando: "Così dev'essere!".

Domenicotoccati i finimenti del cavallo se erano ancora affibbiati benegligridò:

-Scioglilo e voltalo tu. Ripiega la coperta e mettila sul sedile.

Labestia non voleva voltare; e lo sterzo delle stanghe restava atraverso. Anche lo sguardo di Toppasempre iratomolestava eimpacciava Pietro.

-Tiralo a te!

Nonaveva più forzanon riesciva ad afferrare bene la briglia; ele dita gli entravano nel morso bagnato di bava verdognola e cattiva.Nondimeno fece di tuttoanche perché sapeva che Ghìsolatornata dalla stalladoveva essere lì. Tremava sempre di più.E le zampe del cavallo lo rasentaronopoi lo pestarono.

AlloraDomenico prese in mano la frustaandò verso Pietro egliel'alzò sul naso.

-Lo so io che hai. Ma ti fo doventare buono a qualche cosa io.

Ghìsolasi avvicinò al calesse e lo aiutò; dopo aversdrusciatoallo spigolo del pozzouno zoccolo a cui s'era attaccatoil concio della stalla.

Domenicosempre con la frusta in manoandò a parlare a Giacco cheascoltava con le braccia penzoloni e i pollici ripiegati tra le ditale cui vene sollevavano la pellecome lombrici lunghi e fermi sottola moticcia.

Pietronon aveva il coraggio di guardare in volto Ghìsolai cuiocchi adesso lo seguivano sempre. Le gambe gli si piegavanocon unasnervatezza nuova; che aumentava la sua confusione simile a unamalattia. Ghìsola lo aiutò ancora; enel prendere lacoperta rossa che era stata stesa sul cavallole sue dita lotoccarono; nel metterla sul sedilele loro nocche batterono insieme;ed ambedue sentirono malema avrebbero avuto voglia di ridere.

Domenicosalì sul calessesbirciò Pietro e gridò ancora:

-Sbrigati! Che cos'hai nel labbro di sotto? Pulisciti.

Egliimpauritorispose:

-Niente.

Poipensò che ci fosse il segno delle parole dette a Ghìsola.Ma subito dopo gli dispiacque di essere così sciocco; mentreil cuore gli balzava come per escire fuori.

Gliassalariati e Giacco salutaronotogliendosi il cappello.

Pietroa pena ebbe tempo di far con l'angolo della bocca un piccolo cenno aGhìsola; ma ella era così attenta al padrone cheaggrottò in fretta le sopracciglia. Allora Pietro guardòla testa del cavalloche già tirava il calesse fuori delpiazzale mettendosi a trotto a pena nella strada.

Laluce del sole tramontato dietro la Montagnolapiù rossa cheroseaera sopra a Siena. Ma i cipressi sparsi da per tuttoa filo oa cerchio in cima alle collinegli dettero il rammarico di staccarsida una cosa immensa.

Domenicoguidandonon parlava mai; rispondendo con il capo a coloro che losalutavano. Sorrideva in vece a qualche ragazza che conosceva; efacendo prima rallentare il cavallola toccava con la punta dellafrusta nel mezzo del grembiule. E Pietrocon gli occhi socchiusisivoltava dalla parte oppostaarrossendo; poi si distraeva guardandole gambe del cavallo; e gli pareva che il loro rumore variasse ditempo a seconda delle arie che gli passavano per la mente. Oppurecercava di non sentire quell'odore particolareche avevano gli abitidel padre.

Pietroera doventato così negligenteche verso il mese di maggio ilrettore non lo volle più alla scuola.

Domenicolo percosse con lo scheggiale dei calzonifino a far piangere ancheAnna. Mail giorno doponessuno gli disse più niente.

Annaspiegò a Rebecca:

-Sono le imprecazioni di quelli che ci vogliono male.

Fecetutti i giorni alcune preghiere ad un santo; ma non trovò maimodo di parlarne sul serio al maritoche le rispondeva sempre:

-Oggi non posso.

Selo tratteneva per la giubbaegli la lasciava con queste parole:

-Pensaci tu a lui. Anche tu ora...

Ellanon osava di piùtemendo che se la rifacesse con Pietro;stordendolo a forza di pugnicon il pretesto di essersi arrabbiatoanche troppo.

Némeno la notte era possibileperché a pena gliene discorrevastringeva i pugni e gridava:

-Lasciami dormire. Ho sonno; è da stamani che lavoro. Riposatianche tu...

Oppurerispondeva:

-Hai contato bene i denari incassati oggi?

Primadi venire a lettodovevi contarli. è necessario.

Seellaper rendergli il cambiostava zittale alzava il capo dalguanciale:

-Rispondi!

Aspettavaun pocotentando di questionare; ma poi si addormentava.

Duranteuna loro contesa in bottegaPietro saltò fuori a dire:

-Imparerò il disegno.

Loscritturale di un notaioche aveva finito allora di mangiarefeceuna enorme risata.

Pietrolo guardò a lungosbigottito dei suoi occhi dolci e contentiche lo compativano.

Eraun uomo grasso; dal volto lucido e purpureosparso di bitorzoli.Aveva un vestito chiaro e una catena d'oro; i capelli biondiccilafronte bassa. Disse a Domenicocon convinzione tranquilla:

-Non gli date retta. Fategli imparare il vostro mestiere. Voi trattoriguadagnate quanto volete.

Tuttiriseroperché alludeva al conto che doveva pagare.

Pietromentre una specie di formicolìo lieve attraversava il suovoltodal mento alla fronteesclamò:

-Che importa a lei?

Costuitrasse da un astuccio di cuoio un bocchino d'ambra cerchiata d'oroev'infilò mezzo sigaro. Poi disse:

-Vai a comprarmi una scatola di fiammiferi.

Egli dette un soldo su la tavola.

Pietroguardò anche suo padre: tutti lo fissavano; i volti e gliocchi bruciava no la sua anima. Il cuore gli batteva.

Domenicodisse:

-Vaidunque!

Egliafferrò la monetae corse dal tabaccaio.

Alloralo scritturale rise tanto che fece il viso congestionato; etra gliscoppi di tosseaggiunse:

-Fatelo ubbidire più che potete.

Annasoffriva di queste domestichezze; maper paura di perdere gliavventorinon ci si metteva a tu per tu. Invece Domenico sen'esaltava; e gli pareva sempre più di aver ragione. E dicevaa Pietro:

-Stai attento a quello che ti dico io. Non hai più bisogno distudiare. Basta che tu sappia fare la moltiplicazione.

Dovrebberoesser abolite le scuolee mandati tutti gli insegnanti a vangare. Laterra è la migliore cosa che Dio ci ha data.

Annascontentarispondeva:

-Codeste sono idee tue.

Domenicochiedevacon scherno:

-Quanto tempo ci sei andata a scuola tu?

Nonci mancava che da contrastare con la moglie! Ella scuoteva la testa.

-Noisenza saper né meno la nostra firmaabbiamo fattofortuna.

Gliavventori rimanevano pensosi; poi esclamavanotanto per nonscontentare di più Anna:

-É ancora giovine. Non c'è da capire quel che ci potretericavare.

-Ma anche quando io avrò sessant'annied egli più diventisarò sempre capace di rompergli la testa.

-Ohgrosso e forte come voi non verrà di certo!

Lamattinaciascuno prendeva la colazione quando ne trovava il tempodopo aver terminato le faccende; ma la seramangiavano tuttiinsieme. Domenico a capo di tavolaPietro tra lui e Rebecca. Infaccia al padroneil cuoco; edall'altra partei due camerieri; losguattero si sedeva a un piccolo tavoloche serviva anche pertenerci sopra i piatti e le posate: di traversoper non voltare lespalle agli altri. Anna restava nella sua poltronaperchécosì poteva vedere se entrasse in quel frattempo qualchecliente.

Ilcuoco era andato su l'uscio di cucina a fumare una ciccaappoggiandosi al muro con le spalle e con la testa; la cantinieraportava i piatti; e lo sguatterosaltando come un ragazzocorse adire allo stalliere che attaccasse il cavallo.

Domenicobevve un altro bicchiere di vino; poi tolsesi la dentiera per pulirlacon la salviettadi nascostotenendo le mani sotto la tavola.

Annaper cucireprese una camicia.

FinalmenteDomenico con un colpo del suo tovagliolo si levò le bricioleda sopra i calzoni; si fece spolverare da Rebecca e untare le scarpeda Tiburzidando nel frattempo qualche ordine.

Inpunta di piedi andò dietro il figlio che tamburellava con ledita sopra un vetroaccompagnando il mugolìo della sua voce abocca chiusa; gli dette una manata sul colloe disse:

-Vieni in campagna con me.

Pietrosenza rispondere nientesaltò sul legno già attaccato;e furono a Poggio a' Meli poco prima del tramonto.

Ghìsolasbucando da una cantonata della capannalo vide solo e fermocon lemani in tascanel mezzo dell'aia; e lo rimproveròseria:

-Che cosa fa qui? Perché non è venuto prima? Una voltanon le pareva vero. Ma non m'importa!

Eaggiunse:

-So quel che vuol dirmi.

Eglipensò: "Sìlo sa. Gli altri sanno tutto di me.Iono".

Quellasua vita interiore che si sovrapponeva sempre! Come si disperava dipoter gustare soltanto dopoe nel silenzio di se stessoquel cheaveva provato e non detto! E si giudicava perciò inferioreagli altri. Parlava bene con Ghìsola soltanto quando se loimmaginavaspecie appena desto.

Edivenne più vergognoso. Il colletto gli dava fastidio almento.

Ghìsolalo guardò come se proprio ci ridesse anche lei; e allora eglisi mise a picchiare calci a un ulivoche era lìperchéella smettesse. Ma quando risollevò gli occhiGhìsolalo guardava ancora più fissocon la bocca ridenteper burla:non c'era più dubbio!

Ilsole tramontò tutto; e un brivido passò sopra Pietroche non poté più sopportare quel sorriso; volendoperfino dimenticare d'averlo visto. Si rimise a testa bassapensandoche avrebbe dovuto capire perché non gli piaceva.

Ghìsolasi riavviava i capellitenendo in mano le forcelle per fargli vedereche erano nuove; eprima di rimetterselecon una alla volta glibucò le mani. Ma egli non si mosse.

Sivedevanofittipiegarsi i fili d'erba in cima ai quali saltavanogli insetti.

MentreGhìsola lo bucavaPietro pensò: "Certo sa quelloche voglio. Ma bisognerebbe che glielo potessi dire: ènecessario".

Lesue calze rosse gli facevano coraggio; manon potendo pronunziarenessuna parolasi avvicinò di più a lei quasitremando.

Tragli olivi ci si vedeva appena; e la terra era già bruna.

-Che vuole? Me lo dica di costì. Non venga in qua troppo.

Ghìsolas'accorse che non distoglieva gli occhi dalle sue calze; ma con lasottana troppo corta non poteva nasconderle.

-Lo sai?

Ilvolto di lei divenne dolce e pudico.

-Lo sai? Dimmelo.

Ellasi coperse di un rossoreche le cambiò la fisionomia.

-Lo so.

Esiccome si faceva sempre più vicinolo allontanò conle mani magre e dure.

Pietroera così ebbro che quasi vacillava. Gli occhi di Ghìsolalo fissavano sempre: vedeva soltanto quegli occhi; e credette chetutta l'ombra dietro a lei e il campo insieme si muovessero secondo isuoi gesti.

-Mi lasciora! Ci parleremo un'altra volta... un'altra voltahodetto!

Gliparve che la sera gli togliesse la carnelo facesse sparire.

Ghìsolasussurrò:

-Le voglio bene.

Escappò dalla parte opposta della capanna: il padrones'incamminava verso l'aiacon le sue scarpe enormirespirando fortee alzando e abbassando un poco il capo. Pietro continuò astarsene lìsbocconcellandocon un sasso che s'era ritrovatoin tascala cantonata della capanna. Si sbucciava le nocchema nonsentiva niente.

Domenicolo guardò; e si mise a ridere con Enricol'assalariato che loseguiva.

-Sei matto oppure no? Che ci fai costìa sciupare il muro?

Epoiall'assalariato:

-Quell'altra cialtronaal menoè scappata a tempo!

-Ohma per ora son tutti e due ragazzi! Io credo che ruzzino sempre.

Lidifendeva supponendo che il padrone ci avesse piacere per Giacco eMasa. Ma Domenicocontento di poterlo contraddire con la suaautoritàrispose:

-Io me ne intendo più di te. Stai zitto.

Enricoconvenneallora:

-Comincerebbero presto!

Einghiottìcome faceva sempre dopo aver parlato.

Pietros'era impaurito del rimprovero; e già aveva dimenticatoGhìsola; sebbene gliene rimanesse un fascino troppo forte perlui.

S'incamminòverso il padreche voltava il cavallo alla stradamenandolo per labriglia.

-Sali su.

Egliobbedìcercando di pulirsi le mani terrose; e non guardandoin volto nessuno.

Ilcavallo non voleva star fermo dinanzi al cancello aperto; e alloraDomenico cominciò a sferzarlo sopra i ginocchi. La bestia sitrasse in dietroalzando le gambe anteriori; il calesse urtòcontro il muro.

-Sta' fermo. Devi imparare. E se non impari...

Egli dette una sferzata.

-Se anche tu non impari a fare il tuo dovere...

Egli dette un'altra sferzata.

-Te lo insegno io. Devi star fermo.

Voltòla frusta e gli batté il manico sulle frogie; il cavalloscosse la testae Pietro fece l'atto di scendere.

-Tu stai al tuo posto. Se scendifrusto anche te.

Tuttigli assalariati guardavano inquieti; ed erano impazienti che ilpadrone se ne andasse perché temevano che se la prendesseanche con lorotrattandoli malepensando magari di poterlibastonare.

Ilcavallo si fermò.

Domenicodette la sferza a Pietroe si riabbottonò la giubba dinanzialla bestia:

-Bada che io voglio essere obbedito! Non vedi che stai fermo? Ora faròtutto il mio comodoe poi salirò.

Eper farne la provasi sbottonava e si riabbottonava la giubbainterrompendosi quando la bestia smuoveva la testa. Affibbiòmeglio una delle redinie salì; fermandosi con un piede sulmontatoio; poiprendendo lo slanciocon le mani attaccate alcalessesi buttò accanto a Pietroa cui gridò:

-Vai più costà.

Pietroera così imbarazzato che non si mosse.

-Ma vai in costàimbecille!

Esubitoagli assalariati:

-Fate il vostro doverealtrimenti vi mando via tutti. Domani quelleprese devono essere vangate.

-Sissignore.

-Non dubiti.

-Se non fossimo capaci a vangarle in quanti siamo e in tutto ilgiorno!

-Almeno che non piova!

Ilpadrone guardò quello che aveva detto cosìcon l'ariadi avventurarglisi addosso; e disse con voce che pareva uno scalpellopercosso sopra una pietra:

-Se piovetramuterete il vino. TuGiaccoconsegnerai le chiavi deltinaio; le hai a posta.

-Sissignore. Come vuole.

Finalmentesi ricordò della trattoria; guardò l'orologio e videche non poteva più indugiarsi. E allora li lasciò.

Iltramonto era stato rapido e pieno di quelle nuvole che portano lapioggia. Pietro teneva le mani in tascapensando che avrebbefischiato se fosse stato solo. Parevanell'oscuritàche legambe del cavallo battessero insieme. Domenico guidavairritandosiperché non aveva imposto ai contadini di aprire le buche pergli olivi. Temendo che i suoi ordini non fossero eseguiti conprecisionecon l'animo ansiosogli pareva di seguire quel chefacevano; e si struggeva di non essere sempre accanto a loro.

Talvoltaper la voglia di sorprenderlidiveniva smanioso e anche piùviolento.

Pensòdi tornare a dietro per assicurarsi che nessuno era rimasto a perdertempo nel mezzo del piazzalemagari a parlare di lui.

Guardòle nuvolee gli venne voglia di frustarleper rimandarle giù.

Intantoun sogno cupo aveva invaso Pietro: il cavallo era trascinatoall'inversocon il calessedentro una spalancatura interminabiledella sua anima.

Adun trattocon un moto improvviso e involontariodopo aver sentitoil sapore della propria boccasospirò; e mosse la testainnanziquasi fosse per cadere.

Domenicogridò:

-Che hai?

Credetteche avesse sonno e gli voleva dare un pugno.

Icipressi di Vico Alto tagliavano l'aria. La Porta Camollia erarossiccia e si vedeva di lontano il primo dei lampioni accesi dentrola città.

Glialberi del vialesu la balza della ferroviasi muovevanosilenziosamente con tutte le fronde dinanzi ai monti di un violettolimpidissimo: l'Osservanza era dolce.

Dilà dai tetti della Via Camogliala cima del Mangia erabiancaquasi splendentesu nel cielo; ma la sua campanaconl'armatura di ferropiù nera.

QuandoAnna aveva avuto le convulsionirestava tutto il giorno stesa nellapoltrona; dentro la trattoria. Il suo volto doventava bianco; eRebeccaassistendolale slacciava il busto. Ma siccome i cuochi e icamerieri avevano sempre qualche cosa da chiederleella riapriva gliocchiguardava fisso; e poiscuotendosi tuttarispondeva. Perchéil marito non s'inquietasse di piùnon voleva andare a letto.Ma in quei momenti sentiva una grande angosciaperché eraincapace di badare a Pietro.

Lesembrava di non appartenere più alla vitadi non avere maifatto niente per lui. E allora quella specie di quieteche le daval'agiatezzaera sempre sciupata dal ricordo della sua miseria. Elladiceva:

-É impossibile esser contenti come vorremmo!

Ela stanchezza di esser vissuta era così amara che aveva pauradi non sentirsi più buona. Il sentimento della morte le erasempre presentee non le bastava credere in Dio.

Ellasi metteva a guardare Pietro con questo sentimentoe ne provava unosconforto che le faceva perfino paura.

Isuoi nervi scossi dalla convulsione le prolungavano un sensoindefinibile di dolore desolato; perché era avvezza a doverguarire da sésenza sentire mai che gli altri potevano farlequalche cosa.

Masperava di guarirenon perché credesse al medicoma perchéaveva Pietro.

Ellanon gli sapeva parlare; capiva ch'egli cresceva senza che riuscisse afarselo proprio suoa dirgli almeno una di quelle parole cheavrebbero dovuto consolarla. Anche quando l'aveva vicinorestavanocome due che avessero l'impossibilità d'intendersi.

Pietroevitava sempre di farle sentire che le voleva beneper paura didoventare troppo obbediente; ed ella si disperava troppo e senzaragione di qualche sua scappata. E perciò Pietro temeva quandogli aveva tante cure. Mentre ellanon avendogliele potute farecercava un'altra volta d'imporgliele.

-Tu non rispetti la mamma!

Egliallorasi esasperava; svignandosela senza né meno ascoltarla.

Annaci piangevadicendolo a Rebecca; che le domandavacon un mezzosorriso:

-Ma perché se la prende così?

Esiccome glielo aveva allattato e desiderava che fosse affezionatoanche a leici sentiva quasi piacere. Ma Annamai accortasi diquestorispondeva:

-Non lo devi scusare tu!

-Io?

ERebecca era per offendersi.

Quandopoi Pietro la vedeva piangerecredendo che fosse cattivagli venivavoglia di far peggio.

Annaconsigliava Rebecca e Masa come dovevano educare Ghìsola: eraperòuna bontà da padrona; perché cosìanche lei dipendeva di più dalla sua volontà. Benchéle avesse da vero certi riguardi delicaticome quando diceva a Masache non la facesse lavorare troppo; e come quandoper capo d'annopensava sempre a regalarle un vestituccio nuovocomprato su queibarroccini di merciai che si fermavano all'uscio della trattoria.

Ghìsolaallorale portava un mazzo di fioricheper averliandava magaria rubare; e le faceva gli augurii.

Icompaesani di Domenicoquando andavano a Sienamangiavano semprealla sua trattoria; portandogli i saluti e le notizie dei parentiemagari una fazzolettata di frutta.

Unodi costorovolendo che il suo figliolo Antonino imparasse a fare ilmuratorecome a Civitella non avrebbe potutogli chiese che loaffidasse e lo raccomandasse a qualche bravo capomastro.

Domenicoi giorni di festalo invitava a stare con Pietro; e cosìambedue i giovanettich'erano quasi della stessa etàdovettero doventare amicisebbene non andassero d'accordo; edAgostinoche aveva antipatia per Antoniofu sostituito.

Esiccomeper passeggiatasoliarrivavano quasi semprecome volevail trattorea Poggio a' Melidopo qualche mese Antonio si vantòdi aver parlato di nascosto con Ghìsola. Ed era vero; maPietroda primasuppose che mentissecon una delusione violentacon un dispiacere che pigliava tutto il suo amor proprio. Un amiconon doveva mentire. Che aveva detto a Ghìsola? E perchéle aveva parlato senza avvertirlo?

Qualeumiliazione provava quando gli altri non rispettavano i suoisentimenti e obbligavano la sua anima a disfarsi!

Glialtri facevano di lui quello che volevanoe a lui si stringeva lagola dall'emozione. Arrossivasi sgomentava; sentivasi perso. Enessuna cosa era adatta per lui: le strade troppo faticoseil soletroppo caldogli abiti tagliati malele mani troppo grosse;affannandosi a non riflettere a ciòdi convincersi delcontrario; stordendosi; mentre gli orecchi gli rombavanoe credevadi dover cadere da un momento all'altro.

Glisembrava che la sua faccia non fosse capace a nascondere la lealtàtroppo aperta e ostinata; provandone una violenza che gli dava ilmalessere. Si sentiva debole sotto il suo spirito affannatoche eglistesso voleva cambiare.

Unadomenicatra le altretornò con Antonio a Poggio a' Meli;perché aveva scommesso di farlo passare da bugiardo dinanzi aGhìsola. Ma si vergognava di dirgli quel che soffriva dentrodi sé; e sentivasi così da meno del suo amico che glipareva di statura anche più alta del solito.

Giàcamminandos'erano bisticciatipicchiandosi su la schiena; ed egliaveva piuttosto voglia di smettere e di piangeredisperato chel'altroinvececi si divertisse.

Antonioavvedendosi facilmente del turbamento di Pietrogli gridò:

-Vedrai se non è vero!

Pietronon rispose più: e l'amico soggiunse:

-Le parlai anche l'altro giorno. Ha promesso di voler bene a me e nona te.

Eper troncar cortogli dette un pugno; ma Pietro se lo riparòcon una mano.

Antoniosempre più sicuroseguitava a ripetere:

-Tu non ti avvicinerai a lei.

-Né meno tu.

-Io farò quello che voglio.

Efingendosi risentitosi riaccostò con la saliva bianca chegli usciva di bocca. Anche quando non parlava gli si vedevano tutti identi di soprasanima storti: sembrava che li avesse piantati nellabbro. E aveva il naso piegato da una parte.

Pietrocercando di persuaderlo con la bontàgli disse:

-Ed io mi adirerò con te.

-E che m'importa? Fai quello che vuoi. Io sono amico di tuo padreeverrò quando mi pare. Anzi tuo padrequi al poderemi ciporta più volentieri che te.

Pietrosi sentì combattuto senza riparo: era proprio vero quel cheaveva detto!

Eseguitarono a camminare accanto. Madopo un pocoAntonio lo fermòper guardarlo in faccia; trattenendolo per un braccio. Poi fece unasghignazzata:

-Stai zitto?

Poisputò sull'erbaasciugandosi la bocca con il dorso dellamano.

Pietrodisse:

-Io torno indietro.

-Io no: voglio parlarci. Vattene.

-Torna indietro anche tu.

Volevaevitare che Antonio la vedesse. Ma quegli proseguiva; ealloraPietro dovette fare altrettanto.

Quandogiunsero davanti all'aiaGhìsola usciva di casa proprio inquel mentre; e s'avviava nel campo a chiamare il nonnopassandoaccanto alla bella pianta di ciliegio da capo a un filare di viti.

Antonioper fare il più bravole mosse incontro in fretta. Ma Ghìsolarise di più a Pietro; e dette a capire che si fermava lìper lui.

AlloraAntonio si mosse per cogliersi una piccia di ciliegielasciandolidiscosti; e Pietro le domandò:

-É vero che vuoi bene soltanto a me? Dimmelo. Se non fossevero...

Glirispose con dolcezza:

-Soltanto a lei... PeròAntonio non vorrebbe.

Alloranon si sentì sicuroe guardò il dorso dell'amico.

Ghìsolaaccortaseneaggiunse:

-Non ci crede?

Escosse la testa. Ella parlavaquesta voltacon una tranquillitàcosì profondach'egli fu subito rassicurato.

-Ma non se ne faccia accorgere da lui. Perché ce lo porta?

Glisembrò che lo rimproverasse di non stare a solo con lei ecredette che ne soffrisse.

Mala sua bellezza lo distrasse e gli fece dimenticare quel che Antonioaveva detto.

Antoniointantosi riavvicinò; certo dopo aver progettato qualchecosasputando lontano i noccioli delle ciliegie mangiate tutteinsieme; aiutandosi con un dito per cacciarseli di bocca.

Pietromentre un brivido lo scuotevagliene strappò una picciainfilata alle dita. Antonio esclamò:

-Perché me le levi? Dàlle a Ghìsolapiuttosto.

Pietronon seppe che rispondere; perché avrebbe voluto che quellacosa non gli fosse stata suggerita; e restò con le ciliegie inmano. Ma Ghìsola lo cavò d'impaccio:

-Io le prendo da me.

Quantogli parve buona e intelligente!

MaAntonio non si perse d'animo:

-Se non ci arriviti abbasso il ramo io.

AlloraPietro notò come a lui non sfuggiva mai nulla peringraziarsela; ma Ghìsolaaspettandosi anche questosorrisee disse:

-Non importa.

Macon una insolenzache Pietro sussultò sorpreso. E pensò:"Perché non è venuto a me di dirglielo prima? Oranon c'è più tempo! E quanto piacere ella avrebbe avutose glielo avessi detto io!".

Siguardarono tutti e tre in silenziostando in cerchio; ma sisentirono per un istante amici e senza ostilità. E sentironoanche il bisogno di dirsi più di quello che s'erano detto finoad allora.

Ghìsolasembrava più lietasi mandava in dietro i capelli; toccava illaccio del grembiulecome per invitare a farselo sciogliere. MaPietro credeva che se ne volesse andareperché non riesciva adirle niente.

Ilciliegio aveva il pedano nero e rossiccioaperto da profondescrepolature come spacchiripieni di resina dura e lucente; una filadi formiche salivaed un'altraaccantoscendevabrulicanti;pareva di sentirsele camminare addosso. Vicinosu l'erba acciaccatac'era rimasta una pozzanghera di solfato di rame incalcinato. Sopraun fragolaio pendeva un ficosenza né meno una fogliatuttolisciocon i rami quasi arruffati insieme; e la sua buccia era di unbianco roseo. Qualche rospo s'udiva dai fondi dei borritra i salcipotati e rossi. Pareva che non ci fosse nessun'ombra; ma lenebbiolineche restavano basse come le piantesalivano dalle terrevangate.

Antoniovedendo Pietro assortolo urtò. Quegli per non cadere fece unpasso innanzipresso Ghìsola; ma non fiatò perchéAntonio non volesse picchiarlo proprio lì: gli parve che ellaodorasse moltodi un odore strano; che lo eccitò. Gli parveanche che facesse l'atto di aprirgli le braccia; e ne fu tuttosconvolto: "Se l'avesse aperte da vero?".

MaAntonio disse a Ghìsola:

-É possibile che tu pensi a lui? Non vedi com'è brutto?

Lacontadinaspecie per rispettorispose che non era vero; ma in modoche Antonio non se la prendesse troppo. Poi seguitò adifenderlo:

-Che gliene importa?

AlloraPietro fu quasi sicuro di non essere solo; ma non ebbe la forzad'alzare gli occhibenché Antonio non sapesse più quelche dire. Poi Pietro la guardò; ed ella gli sorrise con uno diquei sorrisi involontariamente dolcissimi.

PerciòAntonionon trovando da proporre di meglioperché quei duenon stessero troppo insiemedisse con tutta la sua cattiveria:

-Io me ne torno a Siena.

Ghìsolasuggerì sottovoce a Pietrosapendo che Antonio avrebbe uditolo stesso:

-Lo lasci andare.

Eallora Antoniosenza aspettarlos'avviò; mavolgendosi concollerachiese:

-E tu non vieni?

Ghìsolanon parlava più: e il suo silenzio non lasciava trapelarnulla. Si capiva bene però che voleva mettere alla provaPietroche le disse con la voce strozzata:

-Bisogna che vada. Mio padre...

Tuttala faccia di lei s'indurì; ed ella si mise a guardare Antoniogià discosto parecchi passi.

Pietrosi raccomandò:

-Non dirgli niente!

Ellaabbassò la testarispondendo:

-Allora vada via!

MaPietro credette d'essere amato. E raggiunse Antonioprendendolo abraccetto. Cominciarono allora a ridacchiare.

PoiAntonio disse sinceramentee anche perché Pietro non pensassepiù a Ghìsola:

-Perché siamo venuti a Poggio a' Meli?

Nonci siamo divertiti.

Unacicala cantò da un olivo. La saggina ondeggiava prima lenta epoi in fretta; talvolta qualche stelo pareva scosso da un brividoaprendo a tratti i suoi fiori chiari.

Antoniocavò di tasca un coltellino con il manico d'osso a coda dipescespingendolo sotto la buccia secca di una cannache avevaraccolta; tagliando anche i cerchietti dei nodia colpi cheassomigliavano al suo riso.

Pietronon si volse indietro a vedere dove fosse Ghìsola perchénon facesse altrettanto Antoniogiacché ora fingeva d'essereattento al suo lavoro di pulitura. Antonio infatti lo spiava; ma erasicuro che non ce ne fosse bisogno.

Giuntialla Porta Camolliasi spolverarono con il fazzoletto le scarpesiasciugarono il sudore e si ravversarono il cappello aiutandosi arifarci la piega nel mezzo.

Primad'entrare nella trattoriasi promisero di non parlare piùnessuno dei due a Ghìsola.

Ghìsolaaveva ripreso la sua strada verso il campocon un'ebrezza che empivadi gioia tutto il suo essere. Il movimento delle gambe assecondavaquesta ebrezza; e le sottane erano così lievi che non lesentiva né meno.

Ellanon si fidava d'Antonio che era capace di ridire tutto al padrone;non faceva nessun conto di Pietro; ed Agostino le piaceva piùdi tutti e tre.

Inquel mentre questicorrendo attraverso i filari delle vitiesaltando le passate del grano nuovole andò incontro comequando con un palo in mano sfondava le zucche. Era in maniche dicamiciacon i polsi tondi e forti e le vene strette dalla carnesoda. Non portava il cappello; e gli occhi verdognolidi unalucentezza di diacciosembravano senza palpebre.

Lesaltò addosso e la gettò a terra; facendola piangere.Allora le chieseper celia:

-Hai sentito male?

-Niente! Niente!

Elestaalzandosilo afferrò a mezza vita; per farealtrettanto a lui. Ma Agostino le tirò giù le braccia.Ella sorrisecon il viso bagnato di lacrime; volle svignarsela; epuntò i piedi serrandoli insieme. Sicuro della sua forzailgiovine le gridava dentro gli orecchi.

-Ti faccio quello che voglio io! Non ruzzo. Tu lo sai!

Ellaalloragli azzannò un braccio. Agostinospingendo ilbracciole piegò la testa indietrocostringendola ad aprirei denti. Poipiuttosto in collerale domandò:

-Ed ora che cosa fai?

Ghìsolarisposedopo aver sputato:

-Son la più debole. Te ne vanti? Com'è salata la tuapelle!

Eglila guardò negli occhiper impaurirla.

-Quant'è che non vedi Pietro?

Ellacavò fuori la punta della lingua.

-Non viene più!

Eglicheda casalo aveva riconosciuto al vestitoed era venuto pervederlole rifece la voce:

-Da vero?

-É quanto mi pare!

-Credevo che volessi venire a mangiare le ciliegie con lui?

Ele andò addosso un'altra voltaper pestarle la punta dellescarpe tutte rotte lungo le ricuciture.

-Perché non mi hai detto la verità? Con gli altri deviesser bugiarda; con me no.

Eseguitava a farla indietreggiare. Ma ambedue caddero; battendo lafronte insieme. Allora egli ebbe il desiderio di litigare da vero: maudì la sonagliera della sua mula:

-É il mio fratello che torna!

Sidrizzò in ginocchioper ascoltare meglio. Poi finìd'alzarsi e se ne andò vociando:

-Se l'ha strapazzata troppo!... Se l'ha strapazzata troppo! Non la saguidare.

Ilciuffo a punta de' suoi capelli sudati gli sbatteva su le ciglia; econ quegli orecchi strettitutta la testarotonda di dietrosembrava una palla.

Ghìsolaera rimasta lìpentita di trovarsi stesa in terra a quelmodo. Si alzò in frettapulendosi e guardandosi i polpaccidelle mani chiuse a pugno; come quando era a tagliare l'erba e siriposava.

Quandoera a tagliare l'erba ficcava la punta del falcino nel tronco di unalberoassettandosi un poco le vesti addossospecie la camicettache si sbottonava sempre; stringendo tra i denti le forcelle che unaper volta ripigliava per mettersele nei capelli unti d'olio. Dopoaver toccato la punta del falcinoumida del legno laceratocome diuna salivacominciava a cantare; interrompendosie stando dritta inpiedi. Poisi sputava nelle mani e si rimetteva giù.

Talvoltale veniva voglia di nascondere tutto il viso; e di restare così;di non essere veduta che dall'aria; di non mangiare piùdimorire senza accorgersene.

Leveniva anche voglia di gridare; e aveva paura.

Quelpoco tempo che Anna stava al poderequando non aveva più dalavorare in casasi faceva empire le brocche da Ghìsola; epoicon un annaffiatoiobagnava le piante dei limoni. La seraGiacco toglievacon una zappal'erba nata attorno alla casa;buttandola ai conigli o alle galline.

Annascendeva fin giù agli ortie qualcuna delle donne le pigliaval'insalata e i cavoli.

Ellaavrebbe voluto tenere i fiorianche perché vicino a Poggio a'Meli c'era un giardino; che andava sempre a vedereper ambire diaverne un altro eguale. Ma dovevano bastarle i geranii e i garofani;quando glieli regalavano da trapiantare. Non osavaperòtenerne moltiperché certo Domenico le avrebbe domandato seandava in campagna per curarsi oppure per starci in villeggiatura.

Delresto ella stessa si contentava d'averne più di quando eraragazza.

Ancheper comprare quei pochi ninnoli che teneva nel suo salotto di cittàera bisognato che glieli avessero venduti quasi per forza. Infatti unebreo robivendolotutte le volte che non aveva da pagare il contoalla trattoriale portava a far vedere ogni specie di oggetti vecchie glieli lasciava sul banco; benché lei non volesse in nessunmodo. E quandopassata una settimanaegli tornavaDomenico edAnnadopo mezz'ora per mettersi d'accordoe avergli detto chesarebbe stata l'ultima voltasi aggiustavano alla meglio. Ilrobivendolo giurava che da qui in avanti avrebbe pagato sempre con isoldi alla mano; e allora bevevano insieme un bicchiere di vinoperché erano doventati anche rochi a forza di vociare e ditrattarsi male.

MaAnna ne era contenta; e così i quadridipinti sul vetrodelle Cinque parti del mondoi portafiori d'alabastro ingiallitoleanfore di vera porcellana entravano in casa sua.

Ilsalottoormainon ne conteneva più. C'era poi addiritturauna parete ricoperta con le fotografie di quasi tutti i conoscenti;esopra un mobile verniciato a nocedue ciociare di gesso chesorridevano. Nel tavolino di mezzoun servito di cristallo celestema incompleto; che aveva attorno cinque lucernine di ottone sempreinfioccate su nel manico perché le mandavanocon un fiascod'olioa tenerle accese quando facevano i Sepolcri.

Elladavaalmeno una volta al meseil cinabro agli impiantiti; eallorabisognava che si pulissero bene le scarpe prima d'entrare.

Quandoin campagnale portavano qualche fiorenon voleva tenerlo in casa;e l'offriva alla Madonna del Convento di Poggio al Vento. Se fossestato già tardi e avevano chiusa la chiesalo metteva infrescoma sopra il tavolo della stanza d'ingresso; e la mattina dopoera la prima faccenda.

Perpararsi il soleche le faceva subito dolere la testaaveva unombrellino rosso con il manico d'avorio; un ombrellino di parecchianni. Ellaquando vedeva le assalariatese ne vergognava; echiudendolostava piuttosto sotto una pianta.

Mentreinveceandando alla messalo portava volentieri; e magari se lofaceva reggere da Ghìsola.

Inchiesa si metteva su una pancaun poco distante dalle contadine;chedel restoper rispettoa farle posto ci pensavano anche da sé.

S'erafatto un vestito nero con una guarnizione di seta gialla al collo; econ una trina cheattaccata alle spalle e alla cinturastava fino amezze maniche. Su la guarnizione teneva una catena d'oro. Inveceperla trattoriaaveva un vestito rosso a palline bianche e celesti.

Elladiceva a Ghìsola che imparasse a scriverealmeno un poco; masiccome non poteva fidarsi che Pietro le insegnasseperché simetteva subito a farle dispettilei stessa ci si dedicava qualcheora del giornoquando stava meglio. E Ghìsola s'era fattol'inchiostro con le more delle siepi. Ma non andò mai avantioltre le prime aste.

Perdire la veritàinveceGhìsola avrebbe imparatovolentieri; ea sapere che Pietro andava a scuolale faceva ungrande effetto. Ella avrebbe voluto almeno leggereperchémolte delle sue amiche dei poderi accanto avevano perfino il libro damessaquello regalato dai cappuccini per la prima comunione; e poiperchéin Piazza del Campole domeniche mattinele venivavoglia di comprare le canzonette stampate che vendevano a un soldocon il racconto di qualche fatto miracolosodove c'era sempre unaMadonna con una gran corona dietro la testa. Le canzonette eranobelle perché anch'esseprima delle rimeci avevano semprequalche figurino. Ella si fermavacon gli altri contadiniasentirle con la chitarra da Cicciosodoquel cantastorie capace dismuovere il cappello a tuba contraendo la pelle della fronterittosopra uno sgabello. C'erano anche le scimmie che sceglievano i numericon la Ruota della Fortuna; c'era chi vendeva certe chicche di tuttii coloriinvoltate in cartocci ritagliati a frange con le forbici.

Quandotornava a Poggio a' Meliaveva già imparato l'aria dellacanzonetta che le era piaciuta di più; ma non si ricordava ditutte le parole. Qualche voltaavendola comprata lo stesso etenendola piegata in tasca perché Masa non gliela vedessesela faceva leggere quando nel campo trovava un'amica. C'erano da verocose belleche la commovevano o la facevano ridere.

Pernon tenere Pietro proprio in ozioAnna lo mise alle belle arti;perché aveva sempre avuto una certa tendenza al disegnoche alei e a qualche avventore era sembrata da non trascurare.

Unamattinain casaricopiando un brutto ritratto a stampaPietro sichiese perché provasse quell'indefinitezza per Ghìsola.

Allungavae piegava il collo per veder meglio gli effetti; ma il disegnoamalgrado de' suoi sforziera incerto e sbagliatoSi stupiva di nonriescirci; e arricciava in giù e in su le labbrafino atoccarsi la punta del naso.

Ilibri di quando andava a scuolasporchi e slegatierano tra i suoipiedi. Urtandoli provò un lieve malessereche lo distrasse.

Ancheil disegno lo irritò.

Unaspecie di struggimento a lui noto assalì il suo cervello comeuna polla diacciache non gli permetteva mai di fare qualche cosa.Anche gli sembrava strano d'esistere; perciò ebbe paura di sestessoe cercò di dimenticarsifissando lungamente le palmedelle mani finché riuscì a non scorgerle più.

Allorapercepì un dolore dietro la scapola sinistra; al quale gliparve ridotto tutto il suo essere.

Edopo un pezzosi avvide che il tavolino sul quale lavoravaessendotroppo bassogli aveva aiutato quell'assopimento.

Sialzò. La matita caddespezzandosi. Raccattò ipezzettini con un vivo dispiacere quasi superstizioso: "Perchéè caduta?".

Esaminòil ritratto e poi la copia; e si sentì tanto scoraggiato chene provò quasi affannocome il culmine dell'indecisione e deldubbio che mai lo lasciavano in pace.

Ein tantoun raggio di soleun raggio pieno di sonnoaveva invasotutto il foglio di carta. E Pietro pensò: "èfinita. Non vado più avanti".

Rebeccache aveva spazzato tutte le camerepassò accanto a lui e glidisse:

-Perché stai costì senza far niente?

Lesaltò addossodietro le spalleallacciando le mani sopra ilvolto. Rebecca rise con la bocca chiusainsalivandogli le dita.

Eglila fece barcollare; poisaltandoandò in un'altra stanza.

Quellastessa mattinaGhìsola s'intestò di non alzarsi.

Masale chiesecon ira:

-Ti senti maleforsedormigliona?

Maquella non rispose; e la vecchiaborbottandoandò in cucinaa mangiare. Dopo un pocoriaprì l'uscio; e affacciatasirichiese:

-Perché non mi rispondi? Vuoi fare i gestristamani?

Ghìsolasgorgugliò e si ravvoltolò sotto le copertecon ilviso dalla parte del muro.

Masanon era capace di avere una lunga collera; eper giustificarsidisse:

-Ho visto che ridevi!

Econtinuò ad ingoiar la zuppa diacciatenendo la scodella inmano.

Ghìsolaera molto stanca; aveva una di quelle stanchezze chelì perlìsi sentono anche moralmente.

MaMasacon una persistenza uggiosale disse ancora:

-Io non ho da sprecare più il fiato. E a star con te noncompiccio niente.

-Smettetedunque! Non posso dormire? Non voglio lavorare. Non devotornare a Radda? Perché state così impalata?

Lepareva di non aver dormito; e si stupì che Masa continuasse:

-E se il padrone non ti vuole più quidoventi impertinente conme?

Efece l'atto di batterle il cucchiaio su la facciama invece lo leccòdi sopra e di sotto. In fondo la compativae le dispiaceva disepararsene. Tornò in cucina.

Ghìsolamessa di buon umore da quelle parolesi alzò. In camiciafece una ghirlanda di fiori finticon certi pezzetti di filo diferro; ai qualil'anno avantiera stata attaccata l'uva.

Poila nascose nel canterano insieme con i suoi ritagli di cartacoloratacon le scatole da saponettecon un mucchio di nastri e distriscioline di stoffa; chetalvoltasi divertiva a sciorinare infila sul davanzale della finestra; dove il piccione e la piccionavolavano battendo il becco ai vetri per chiederle il granturco o lebriciole secche di pane che ella si ritrovava sempre in fondo allatasca del grembiule.

Sipiccò anche di non mangiarequantunque Masa le avessetagliato un pezzo di pane.

-Di che cosa campi? Alle volteinvecet'inghebbi.

Lagiovinetta alzò il coperchio della madia e v'introdusse ilcapofiutando l'odore acre del lievito che s'era aperto secondo lacroce fattavi da Masa con la costola d'un coltello.

Poise ne andò nel campocantando a voce alta; e pensando ai suoinastri e alle sue scatole odorose.

Dovel'erba era foltaci stava di più; dov'era rada e bassafaceva prestocon un colpo di falcinello. Si asciugavadi quando inquandole mani guazzose; sdrusciandosele alla sottana. Ilgranturchettogremitole dava quasi gioia; e metteva le piante piùbelle sopra tutte le altre per darle da sé ai vitelli; che sele mangiavano come una ghiottonerialeccandoledopole mani e ipolsiscuotendo la testa e le catene legate alle corna.

Quelmastichìo nel silenzio della stalla! E poi bevevano cosìbene nelle conche colme! Una sorsata solache faceva abbassaresubito l'acqua! Eda ultimocerti loro succhiismuovendo lalinguarespirando a lungo per i buchi del nasocon il colloallungato in su fino a dovere aprire la bocca; scostandosi dallemangiatoiea traverso.

Questavolta ellaad un trattopianse; e sbattécon tutta la suaforzal'uscio; correndo dalla nonna.

Ghìsolanon aveva più il buon contegno di prima. Ambiziosa e caparbiavoleva fare il comodo suo.

Tuttele domenichedopo pranzofuggiva da casa; e la rivedevano a buio.La nonna andava a cercarla per i poderi: era stata a zonzo per Sienainvece; eper le stradele facevano complimenti osceni e propostedi amorazzi. C'era qualcuno che la riconosceva e la seguiva perfermarla e parlarci. Ella sorridevaun poco stordita e lusingata;perché non eran contadini ma giovini operai vestiti bene.Quando arrivava alla Porta Camolliadoveva far presto; perchéle guardie daziarie se la mettevano in mezzo e le impedivano dipassare.

Equando aveva un fiorenon doveva andare rasente il muro perchéparecchiritti su l'uscio delle loro bottegheallungavano le maniper levarglielo.

Tornataper non udire brontoliipassava dalla finestra di cameraattaccandosi ai sostegni del pollaio; si spogliava ed entrava a lettosenza cenare; arrabbiandosi con il rumore della zuppieradove Giaccoe Masa mangiavano con i loro cucchiai d'ottone; e quando sisbattevano insiemeGiacco dava un'occhiata a Masa.

Allafinela nonna capiva che era in casa; epensando che si sarebbeammalatale portava di nascosto un pezzo di pane; maprima didarglieloglielo batteva sul capo.

Ghìsolamasticavatenendo il capo volto dalla parte del muro;meravigliandosi che il pane fosse bagnato di lacrimeche nonvolevano smettereavendo avutopoco avantipiuttosto voglia diridere. Doveva esser quella la sua vita?

Maal rumore dei nonni quando entravanochiudeva gli occhi; per farcredere che dormisse e per il bisogno di non vederli.

L'ultimogiorno che stette a Poggio a' Melimentr'era per addormentarsi conuna forcella in boccache aveva mangiucchiata con i dentile parvedi cadere da una grande altezza e battere sul tetto della casa aRadda: gemendosi scosse tutta. Il nonnodall'altro lettolegridò:

-Stai zitta! Credi che non mi dispiaccia?

Temetted'esser brontolata. Poi riflettée a lei parve a voce alta:"Non ci pensano più. Bisogna che non russi".

Male dava fastidio l'odore delle lenzuola poco pulite; eper nonsentirlose le avvoltolò al collo.

Isuoi capelliscioltifinivano a punta; esopra il capezzaleassomigliavano a una falce.

Leparve d'entrare in casa: la mamma aveva un vestito nuovole duesorelle erano ingrassate. Una voce le chiese:

-Che cosa ci fai qui?

Edella rispose:

-Non lo so: non ci sono venuta da me. Ma il babbo dov'ènascosto?

-La colpa è tua.

Ripigliavala voce.

Lamamma e le sorelle ascoltavano e guardavanocon un silenzio cosìorribile ch'ella si slanciava addosso a loro; perché andasseronell'altra stanza. Ma le pareva di non poter muovere le bracciae diurtare con il capo in una parete invisibile. Allora sentiva che ilcuore cambiava di postoil ventre faceva lo stessola gola sispellava; e i volti della mamma e delle sorelle doventavanospaventevoli. Ella disse:

-Parlate!

Quellesi volsero ad un uscio; e il babbocon due sacchi pieni su lespallecon il viso grondante di sanguetanto sangue che andava aempire la gora del mulinosalì le scale.

Ellasentendo il peso dei sacchi addossourlò.

Pietroprediligeva i fiori di campoi fiori sbiaditi dagli odori incerti equasi rassomiglianti. Non aveva mai pensato a quelli di giardinosenza arrossire e sentirsi molto confuso. Per abitudinese ne empivale tasche: margherite bianche e rossepisciacani giallivecciesbiancate e roseerosolacciginestrevioletterose di macchiabiancospinifiori di pisello selvatico. Poi li biasciava.

Ghìsolagli aveva insegnato a far l'inchiostro con le more e come sisucchianoper il loro sapore di miele sciapocerti fiori rossiccisimili a gigli selvatici; che si trovano tra gli steli del granopiùbassi delle spighe; equand'eran mature da mangiarsile baccherosse delle siepi. Glielo aveva insegnatoperché smettesse ditirarle le zolle; quando s'era accorto ch'ella girava da una passataall'altra non certo per lavorare.

Ungiornomentre egli faceva colazioneseppe che Ghìsola eratornata a Radda: Rebecca lo diceva ad Adamo. Alzò la testa perascoltare meglioe continuò a mangiare; ma stette quasirincantucciatofino alla serain fondo alla tavolacon la testatra i pugni.

Lapioggia cominciò ad ammollare i vetri della finestra chiusaquasi avesse voluto allagare tutta la stanza. Era una di quellepiogge a vento che battono sopra un muro come per buttarlo giù;eall'improvvisocadono drittetrasparenti e chiare; poi si vedonovoltate alla parte opposta: e poi scompaiono; finchédiquando in quandogiunge al viso soltanto qualche gocciolina come lapunta di un ago diaccio. E tutte le strade cambiano i loro colori;respirano; s'empiono di soleche poi doventa ombra e ridoventa luce.Mentre dalla Montagnolacome da un riparole nuvole vengono dritteverso Sienavanno sopra il Monte Amiata.

Stradeche si dirigono in tutti i sensisi rasentano tra sés'allontananosi ritrovano due o tre voltesi fermano; come se nonsapessero dove andare; con le piazze piccole e sbilencheripideaffondatesenza spazioperché tutti i palazzi antichi stannoaddosso a loro.

Cerchie linee contorte di casequasi mescolandosi come se ogni stradatentasse di andare per conto proprio; pezzi di campagne che appaionodalla fessura di un vicolo visto in tralicedalla scalinata d'unachiesada qualche loggia dimenticata e deserta.

AlloraPietro s'immaginò che Ghìsolaper cattiverial'obbligassero a camminar solatutta molle. Epensando cosìa lungogli venne sonno.

Avevagià perduto un anno di tempoalle belle artisenza cheancora fosse deciso sul suo conto; il che doveva dipendere daidiversi pareri dei più vecchi avventorie da suo padre che sene ricordava soltanto molto di rado e con rabbia. Anna insisteva conpazienzaanche dopo l'infelice prova del disegnopersuasa ch'eglifosse intelligente. Ma era destino che non potesse in alcun modofargli del bene.

Unamattina decise di portarlo dal parrocoperché laconsigliasse. Aveva già preparato il suo più belvestitoe voleva far lesta perché il marito non lo risapesse:ci andava quasi di nascosto. All'improvvisosentì chiudersiil cuore sempre più stretto; ma non poteva gridare. Nons'accorse né meno di cadere.

Futrovata con la testa sul pavimentoverso l'armadio che aveva aperto;tutta stesa in avanti; come quegli animali che hanno avuto unacalcagnata sul capo; con gli occhi mezzo schiusi e pieni ancora divitacon il viso un poco contrattoquasi che le rincrescesse dellasua morte soltanto per gli altrichiedendo di non essernerimproverata; con una preoccupazione indescrivibile e dolorosa.

Rebeccach'era andata a cercarla per ravviarle i capellifu la prima avederla. Ella aprì subito le boccette che servivano quando sitrattava delle convulsionima Anna non respirava più.

-Signora padrona! Padrona!

Spaventatae tremando tuttacorse in cucina e s'affacciò a gridare dallafinestra che rispondeva dinanzi all'uscio della trattoria. La inteseun cameriere:

-Il padrone! Che venga subito!

Ilcamerierecredendo che fosse un attacco di convulsioni piùforte del consuetoposò il cencio che aveva in mano e andòin cucina:

-Dov'è il padrone?

-Non è ancora tornato: è restato a pagare il conto daldroghiere.

-Correte subito a cercarlo! La padrona si sente male!

Losguatteroche aveva rispostoposò il coltello con il qualepuliva il pesce ammonticchiato dentro l'acquaio e tolto allora alloradalla sportasi asciugò le maniravvolse il grembiule su allegacciolo; ed uscì. Ma non poté trovare subitoDomenicoche era andato a fare altre spese.

Quandolo videtornarono ambedue quasi correndo. Per le scaleDomenicosbatté contro il medicosuo amico e avventoreche scendevaad aspettarlo:

-Caro Domenico... Ascoltate un momento!

Iltrattore lo prese per le spalle. Il medico gli allontanò lemanifermandogli i polsi.

-Domenicoquesta volta... Quella povera donna!

Egligridò:

-Mi lasci! è una convulsione.

Masi sentì gelare tuttocon un gelo che gli veniva a ondatedalla cima delle dita e si fermava nel mezzo del capo. Credettelìper lìche si trattasse di un turbamento della suaintelligenza; ma il respiro affannosoa lui che respirava cosìbenegli ricordò che la cosa quasi presentita era ormaivenuta.

Comeaffrontarla? Come vedere Anna morta? Doveva proprio andarci lui?

Equando entrò nella camerai muri e le porte traballavano e sispalancavano da sécredette di non vedere niente. Poi toccòil volto già freddo e un po' rigido; e allora chiuse gliocchisi buttò sopra la moglie e cominciò a piangere.

Isuoi gridi stessi lo facevano tremare.

Apoco a poco sentì il suo dolore. Tutta la sua enorme violenzaoragli pareva cambiata in paura; gli pareva che Poggio a' Melifosse trascinato via lontano ed egli non aveva il tempo di farqualche cosa; gli pareva che gli usci della sua trattoria sichiudessero da sé e non volessero esser riaperti; e che Annaavesse tanto sofferto per non poter parlare; e tutto crollava in lui.

Ilsuo dolore era così pieno che tutti avrebbero dovutoconsolarlo! Ora si pentiva di non averle voluto bene abbastanza!

Annas'era raffreddata a poco a poco; eavendole qualcuno stese lepalpebreparve insolitamente estranea per la prima volta a tutta lagente che le era attorno.

Qualcunola prese sotto il mentoe la compianse:

-Chi sa che avrebbe voluto dire! Che passione! Povera donna! Cosìbuona!

Pietrola vide già portata sul lettosenza sapere quel che nedovesse pensare. Domenico gli parlò soltanto quando qualcunoglielo rammentò. Ma senza nessun affetto; quasi con il bisognodi sfuggirlo. E proprio in quel momentosperò ancora di piùdi tenerlo con sé per la trattoria. Continuava intanto agridare che l'udivano anche dalla strada.

-Sembra che stia per scendere da letto! Disse Rebecca.

Aun tratto Domenico le si accostò un'altra voltala toccòsu i capellifece un gesto di disperazione; ed urlò piùforte. Pietrosenza provar nienteall'infuori di una vagainquietudinesi appoggiò ai guanciali e cercò dipiangere: dentro di sé chiedevasi se anche gli altrisentissero così poco e provò una consolazioneindefinibile quando il padre fu allontanato in modo ch'egli non videe non udì il suo dolore; che gli era antipatico come le suecollere.

Rebeccagli disse:

-Povera mammavoleva tanto bene a te!

Alui gliene importava pocoanzi s'ebbe a male di queste parole; e siallontanò per distrarsivergognandosi.

Lamattina dell'esequie s'era dimenticato di tuttoquando intravidedall'uscio mezzo aperto il padre che gli si avvicinava.

Ebbesenza spiegarsi il perchépaura d'esser percosso a sangue.

Domenicogli disse:

-Vestiti; tra poco porteranno via la tua povera mamma.

Pietrosi sforzò d'obbedire. Piuttostoera ora spaventato di qualchesciagura che dovesse capitare a lui!

Discesedal letto; efingendo a se stessosi vestì cercandod'imitare i gesti di dolore che aveva veduti.

Intal modo finì con il sentire una ilarità mutamista aterrore.

Maquando gli fecero baciare la mammaprima che la mettessero dentro lacassapensò: "Perché non c'entro anch'io?Metteteci me".

Poil'assalì uno sgomento inaudito. "Credete che sia morta?

Fingetetutti. Anche questa è una finzione. Lo sapevo che m'avrestedato qualche dispiacere violento; e non lo merito." Singhiozzòinvaso da una cupa disperazione. Perché non gli avevano dettoprima ch'era morta?

Restòtra le persone che mettevano il cadavere dentro la cassa; ma nonavrebbe toccato né meno il lembo della veste. E si meravigliòche gli altri facessero tutto come se si trattasse di una faccendaqualsiasicon le lacrime e con quei segni di affetto che nonsembravano mai finiti: raddrizzare la testa sopra il cuscino sceltocon le cifre ricamateaccostare i piedi insiemeaccomodare suicapelli un fiore scivolato tra una spalla e la cassa.

Egliavrebbe voluto che nessuno fosse stato lì; e gli facevano maletutte quelle maniche si muovevano in fretta. Quelle maniquellemani!

Volevagridare: "Portatela via presto! Perché non l'aveteportata via? Non ce la voglio più in casa". E simeravigliò del padreche non s'impazientivaun poco calmatoda tutte quelle attenzioni.

Volleseguire il trasporto al cimitero in carrozza chiusatirando giùnervosamente le vecchie tendine di seta turchina per non esser vistoda nessuno; mentre Domenico anche per risparmio avrebbe voluto andarea piedi. Ma Pietro si preoccupava della gente ferma a guardare nellastrada e perfino dinanzi all'uscio di casa. Notò che sialzavano in piedi ed allungavano il collo per veder meglio.

Lamorte di Anna era stato un vero danno per Domenico. I sottoposti nonlavoravano più quanto prima; ed eglipreso da uno sconfortoche lo rendeva furiosodoventava più irascibile; e non erainfrequente che se la pigliasse con qualcuno senza nessuna ragione.Si fece anche più economoe dovette rinunciare a moltiprogetti per la trattoria e per il podere. Doveva lavorare di piùe non poteva sopportare la stanchezza. E fu addirittura incapace dipensare per il figliolo come avrebbe dovuto. Lo lasciò quasilibero; ma non di radoquando se ne pentivalo trattava senzariguardi e con una violenza così sproporzionata che ancheRebecca lo difendeva. Eallorasmetteva; maalla prima occasionefaceva peggio come se avesse dovuto vendicarsi.

Annaera morta la seconda settimana di gennaio; etutte le domenicheprima di giornoil trattore andava con due mazzi di fiori alla suatomba. Avrebbe voluto portarne uno lui e darne uno a Pietro; maPietro non l'ubbidiva. Piegando i ginocchi dalle percossemortificatodiceva:

-Ma perché? Non mi devi dare i calci.

Ese lo avessero riconosciuto?

Nelcielo cominciavano quegli immensi chiaroriche vengono dall'albaancora lontana; le strade erano tetre ed umide.

Disolitosoltanto poche persone passavanocamminando in fretta; e siudiva bene quel che dicevano: le voci risuonavano come le scarpe coni chiodi su le pietre. E qualcunoper lo più facchini che sirecavano all'arrivo dei treniaccendeva la pipacoprendo conambedue le mani il fiammifero.

Domenicoquasi a metà della stradaentrava in un bar dov'era unaragazza con una veste così scollacciata che Pietro aveva paurasi aprisse tutta.

Ellarideva agli avventori; e allora le sue gote incipriatesode erotondesi gonfiavano fino a farle socchiudere gli occhi. Dava quelsorriso come le tazzine di porcellana filettate d'oro.

Pietronon voleva entrare. Domenico tornava fuoristrascinandocelo.

Laragazza faceva la sguaiata con Domenico: ma Pietro se ne stava a capochinoimpacciato di leidel suo vezzoe degli specchi grandi comele pareti; non sapendo né meno come prendere il caffè.

Esi bruciava le dita e la bocca.

Escivaprima che il padre avesse avuto il tempo di bevere; edai vetrivelati di vaporeche si scioglieva in sgocciolature lunghe e tortelo vedeva ridere con la ragazza.

Sula Torre del Palazzo Pubblicoa serenobatteva una luce piùlimpidae il cielo era pieno di rondoniche stridevano con stridilunghi come i loro voli. La Piazza del Campo era tutta roseaconalcune strisciate verdi di erba e con i colonnini di pietra bianca.

"Quest'altradomenicaio entrerò senza che egli mi ci sforzi." Mapareva che quella specie di timidezza crescesse da una settimanaall'altra; divenisse come una malattia; esovvenendosenesentiva lafronte coperta di sudore diaccio. Dopole mani gli si irrigidivanoin tascacon la fodera presa tra le dita; e i piedi si rifiutavanodi muoversi.

AncheDomenicodel restocamminava lentamente; e quando era infreddatoper cavare il fazzoletto e soffiarsi il nasosi fermava.

Salendola Via di Città e poi quella di StalloreggiPietro era semprepiù triste.

Giuntial cimiteroDomenico chiacchierava con Braciolail becchino delcolore della sua terragrasso come fosse stato pieno di vermicon ibaffi bianchicci; einfilati i mazzi dentro due lunghi vasi diporcellanadov'era restata un poco d'acqua quasi nerasempre lastessaguardandosi attorno esclamava:

-Come si allarga in fretta! Quando morì la tua mammale tombearrivavano soltanto qui.

Restavafermoe poi chiedeva:

-La vedova non è venuta stamani?

-Prima di noiforse. Andiamoceneè inutile aspettarla.

-É presto. Perché non la vuoi aspettare? Tutte lemattine porta i fiori.

Pensavamale del figlioloche non si curava punto di leila sola personache a quell'ora si trovasse sempre come loro dentro il cimitero!

Mala vedova aveva sentito diminuire l'importanza della sua fedeltàdevota. Perché proprio il Rosi doveva pigliare quella stessaabitudine quando era noto per tutta la città che non avevaadorato la mogliecome ora voleva far credere?

Glidava un'occhiata diffidenterispondendo imbarazzata al suo saluto. Equale effetto le faceva quel ragazzo che non guardava né menole tombecon le mani in tascae un'aria assonnata o impertinente!

Pietroesclamava:

-Io vado via.

Equesto battibecco doventava sempre peggio. Domenicouna voltaormaialla fine dell'invernogl'impose:

-Vattene.

Pietroarrossìma disse:

-Che me ne importa di lei?

Laguazza aveva come appastata la terra delle fosse nuove. Quancheuccello volava di traversotutto inclinato da una parte. Tra icipressi si vedevano le montagneche sembravano soltanto lunghestrisce di colore ancora umido.

Lelapidi erano coperte di chioccioline grigie. La Cattedrale si facevasempre più bianca; e Pietro si accorseguardandolad'esserpieno d'ira.

Incontraronola vedova al cancello; e Domenico la salutò. Ella risposesenza né meno voltarsi; ma badando a Pietro con la codadell'occhio. Domenico si fermòe disse come tutte le altrevolte:

-Ora va alla tomba del marito.

Tuttila conoscevano soltanto di vistae Domenico non ne sapeva piùdegli altri. Tornando dal cimiterodove pregava almeno una mezz'orafaceva la spesa; e nessunofino alla mattina dopo la rivedeva più.

Erabassa e grassa; ecamminandole rimbalzava il seno quasi sorrettodalla sporgenza del ventre. Il suo cappellotroppo piccoloeratenuto fermo con un elastico nero che le girava dietro gli orecchi esotto la gola. Ad ogni passouna sua vecchia piuma verdognola siscuoteva come se ricevesse un colpo. Tra i capelliradi e tirati conforzacon una forcellinasi vedeva la nuca untuosa e rossiccia comepelle d'oca. Era vestitachi sa da quandoallo stesso modo; forsenon per miseria.

Domenicodopo averla seguita con gli occhichiese al figliolo:

-A che pensi?

Pietrosorrisee disse:

-Io? A niente.

-Perchédunquestai con la testa bassa?

-Non me ne accorgolo sai?

-Così tu sei bruttomentre io ti avrei messo al mondosimpatico.

Ea scuola perché ci vuoi tornare? Non ti sei fatto mandar via?

Domenicogli parlava della scuola con risentimento e in quei momenti credutida lui più opportuni a influire sul suo animo.

Ilgiovinetto tacquesentendosi come svenire: il padre non si sarebbemai dimenticato di fargli questo rinfaccioper valersene!

Evedutolo confuso e mortificatoriprese:

-Potresti aiutar mee tra qualche anno prender moglie.

Domenicotrovava conveniente ammogliarlo prestoora che non c'era una padronanella trattoria; e più di una volta gli aveva misurato conun'occhiata l'aspetto e la statura; per convincersi che non erapresto; per quanto avesse soltanto sedici anni.

-Io... non mi sposerò.

-Eallorapensaci bene: sarò costretto a riprenderla io. Tidispiacerebbe?

Pietroesitò; maper non esser distolto dalla voglia di tornare ascuolachiese:

-E chi sarebbe?

Ilpadreper provare il suo vero sentimentorispose:

-Te lo farò sapere presto.

Elo guardò. Ma Pietro ne aveva parlato come di cose altrui; eaggiunse:

-Mi hanno detto quella signora... che ha due figlie. La signora... chevenne a mangiare anche ieri l'altro.

Sitrattava di una ciarlae basta. Domenico riprese:

-Sarebbe meglio che sposassi tu una di quelle.

-Io?

Arrossìun'altra voltaperché gli parve una cosa troppo sopra a sestesso; quantunque lo agitasse un poco.

-T'insegnerò quella che mi piacerebbe per te.

Eglirise:

-Ho capito: la minore.

MaDomenico non rispose piùgià pensando che la seraavanti si era dimenticato di mandare a dire ai suoi assalariati cheportassero alla monta le vacche.

-Se non rispondiperché ne abbiamo parlato?

Siarrischiò a chiedere Pietro. Ma Domenico gridò concollera:

-Tu non sei in grado d'immischiarti in quello che faccio io. Darei damangiare anche alla tua moglie? Se non la finisci! Vedi: dovrestiandare a Poggio a' Meli!

Ecome faceva ad ogni occasionetrasse dal taschino del panciotto unapiccola corona nerache teneva lì con alcune sterline d'oro;e disse la solita frasedopo avergli quasi toccato la fronte con lacroce:

-Vedi? Questo è il ricordo della mia povera mamma Gigella. Iola porto sempre con me. Non mi dette altroquando la lasciai pervenire a Siena. E tu che cos'hai che ti ricordi la tua mamma?

Maaccortosi che oraa sua voltaPietro non lo ascoltava némenos'inquietò; gli pareva impossibile che un figliolofacesse così! E dire che aveva avuto intenzione perfino dimettergli il suo nometanto doveva assomigliargliappartenergli!

Quasil'avrebbe preso con le maniper stroncarlo come un fuscello! Proprioil figlio sfuggiva alla sua volontà? Non doveva obbedire piùdegli altriinvece?

Adun trattocome un'insinuazione a tradimentocapì che ancheegli era come un'altra persona qualunque.

Eallorasarebbe stato meglio che non gli fosse nato. Perchégli era nato? Meglio non parlargli piùsopportando checamminasse accantoin silenziomagari a testa bassafino abatterla sul lastrico.

Pietroportò le chiavi della bottega ai camerieri che lo attendevanonella strada; ed entrò con loro anche lui; masenza la vogliadi restarcicome avrebbe dovutosalì in casa. Domenico gliaveva dato le chiavi evitando che i loro occhi s'incontrassero; efatta tutta la spesalo mandò a chiamare perché avevalasciato i sottoposti soli.

-Tu non saprai mai essere un padrone. Come farai a comandare se tustesso non impari?

Oraparlava con il figliolo per sfogarsi; e il suo rimprovero era pienodi bontà. Poipresi in mano tutti i mazzi degli uccelli dacuocere allo spiedogli disse:

-Questo è un tordoe questa un'allodola: aiutami a pelare.

Esi sedé dinanzi a un gran panieredove andavano le penne. MaPietro era così distratto che canticchiò un pocosottovoce; e poi rispose:

-Se tu sei contentovado a leggere un libro.

Domenicofinì d'infilare in uno spiedo gli uccelli già spennatipose in ordine il girarrosto; poi gli chiese:

-Che libro è?

-Quando te l'ho dettonon capirai lo stesso.

Domenicotenendo una mano alzatasentenziò con la sua aria di padrone:

-Io me ne intendo più di tutti gli scienziatiperchésono tuo padre. Nessuno meglio di me sa quello che ci vuole per te.

Esi mise la mano sul pettocome per confermare che diceva la verità;sul grembiule tutto insanguinato e impennato. Poi andò alfornellospezzò con la paletta la brace grossa; prese per lespalle Tiburzie lo piegò alla buca del carbonegridando:

-Non vedi da te che c'è più fuoco?

Domenicoormainon pensava più a Pietro; maquando lo rivide lìgli s'avventò con il pugno chiuso:

-Vattene!

Pietrostette fermoe abbassò la testa; guardando da sotto in su.

Ilmovimento trafelato dei cuochicontinuamente stimolati e ripresianche con male parole e con spinte da Domenicoche in un'ora volevasempre preparare tutte le pietanzenon riusciva a toglierlo daquelle distrazioni.

Giàla violenza del trattore aveva fatto tacere tutti; e nessuno potevafare a meno d'obbediremagari sbagliando anche di più. Maquando egli entrò in un bugigattolo buio per attaccare da séagli uncini i pezzi di carne che voleva lasciare crudaGuerrino sivolse subito a Pietromettendo la lingua tra i dentiperchési ricordasse di una sua barzelletta raccontata la sera innanzi.

Tuttisorriserosenza smettere di lavorare. E Pietro disse sottovoce:

-Raccontamene un'altra.

Ilcuocosdrucciolando in una fetta di codennagli fece un altro gestoper fargli capire d'aspettare. Tiburzicon la giacca turchinachesopra la legatura del grembiule gli si gonfiava in tante pieghevigilava girando gli occhisenza smuovere la testa; ilare e pestandoi piedi dalla contentezzacon le braccia nell'acqua tiepida dellezangole untuose e piene di piatti da lavare. Egli aveva un gozzo duroe giallastrocome gli ci fosse rimasta una pietra; uno di quei gozzida galline satolle.

MaDomenicoche parecchie volte fingeva appunto di non udire e di nonvedere per conoscere meglio i suoi sottopostirientròdicendo:

-Ghìsola ha avvezzato male anche te!

Pietroimpaurito e sorpresodomandò:

-Perché?

Tuttigli si volserocon allegra curiosità.

Comela incolpava? Qualcuno certo gli aveva fatto bevere cose non vere!Ecco perché l'aveva rimandata a Radda! Ma egli n'ebbe invecesimpatia; contro l'ingiustizia con la quale la dileggiavano; edesiderò di rivederla. Ma perché tutti lo guardavanocon maliziaridendo e divertendocisi? E perché suo padre eracosì convinto di quel che aveva detto? Rimase con i ditiappuntellati sul tavolinoafflitto.

Oraera un giovinetto magro e pallidocon il vizio di tenere una spallapiù su dell'altra. Vestiva malecon un cordoncino rosso alcolletto sempre sgualcito e sporco; i capelli biondigli orecchitroppo larghi e discosti dalla testa; gli occhi di un celeste chiarochiaro e come se egli avesse qualche cosa da difendere. Il volto conun'animosità ingenua e malinconicama sicura e risoluta;quasi imbarazzante e spiacevole.

Talvoltaa giornate interesembrava malcontento; mase gli parlavanodoventava subito tranquillo e affabile. Tartagliava meno.

Quelche provava dinanzi alle cose rimaneva indefinibileed egli nesoffriva. La primavera era come una violenza. Leggerealloraunlibro sotto qualche albero! Interrompeva la lettura a mezze pagineacasoper alzarsi in piedi e tirare fino alla faccia un ramoquasiper farsi accarezzare. Ma avrebbe voluto chiedergli il permesso;guardando dinanzi le colline ricoperte di chiome candide e spioventimandorli e peschiche pendevano da qualche partecome se dovesserospargersi a terra. Eassicuratosi che nessuno lo avesse scortosospirava ricominciando a leggere. Non aveva trovato ancora il libroper la sua anima. Talvolta non leggeva piùperché glipareva di vedere di là dalle pagine che doventavano cometrasparenti e sfondate.

Seun insettosalitogli su per i calzonigiungeva sopra il librosmetteva anche allora.

Qualcheuccello entrava tra le rame in fiorecon il movimento e la forza diun ago infilato; come se le fronde si fossero aperte e poi richiuseper lui.

Ancheprima che Anna morissenon voleva andare in chiesa; ed ella nonriusciva quasi mai a farlo pregare. Ormai si sentiva ateo.

Bestemmiavaperché non voleva avere i pregiudizi dei preti. E Domenico nedava tutta la colpa a quei maledetti libri della scuola.

Domenicofaceva castrare tutte le bestie di Poggio a' Meli; e gli assalariatici si divertivanocon un'ironia che Giacco e Masa credevano per laloro nipote:

-É bene: così non si muoveranno da casa! E poiingrasseranno di più.

Qualchevolta ci erano dieci o dodici galletti accapponatimogichebeccavano di mala vogliacon le penne insanguinate; nella stallaivitelli intontiti dalla castraturaafflitticon gli occhi piùoscuri e tetri.

Ilcane disteso su l'aiai gatti silenziosi e immalignitirincantucciati sotto il carro e dietro le fastellacon gli occhisempre aperti.

Oraad una gattafece scegliere soltanto un maschioper tenerlo allatrattoria. Il castrino lo prese e lo mise con la testa all'ingiùdentro a un sacco stretto tra le sue ginocchia; e con un coltellacciotagliò di colpo. La bestia fu per restare lì dentroarrembata; poimiagolandosaltò e sparì non si sadove.

-Ecco fatto. S'è ricordato tardi di miagolare!

-C'è voluto poco da vero!

Eriseroammirando.

Domenicotenutosi alquanto discostoanche per esagere il ribrezzodisse aquell'uomo:

-Quanto devi avere?

-Una lira. è troppo?

-Una lira?

Midia quello che vuole. Tanto con lei bisogna fare a modo suo.

Gliera rimasta la bocca storta dopo un attacco di paralisi; e i suoiocchi cisposi lagrimavano sempre.

-Ti dò mezza lira; e verrai a mangiare un piatto di spaghettialla trattoria.

Egli contò i soldi.

L'uomoli tenne un momento nel palmo della manoquasi pesandoli; poifacendo una smorfia di scontento maliziosose li cacciò intasca dopo aver guardato che non fosse rotta.

-Almeno che gli spaghetti siano abbondanti!

Egirati gli occhi attorno agli assalariatiche si erano riuniti perfar colazionetoccò il ventre di Domenico; dicendo:

-Ecco come ingrassano i ricchi!

Magli assalariati fecero finta di non udire; e Carlo si mise una manosu le labbra. Pietro chiese:

-Dove sarà andato il gatto?

Vuoiche vada a vedere?

-Lascialo farequando avrà fame tornerà.

-Non morirà mica?

-domandò al castrino.

-É impossibile: si lecca la ferita finché non èrimarginata. Per medicarsi sono più bravi di noi!

Eparlarono delle altre castraturespecie di quella di Toppa; cheabbassava la coda tra le gambe e ringhiava quando gli altri cani glisi avvicinavano. Tutti s'erano voltati verso la bestiaches'allontanò come se avesse capito. Ma tornò subito adietroperché gli assalariati mangiavanochiacchierando dailoro usci aperti l'uno di fronte all'altro sul piazzale; mentre ledonne terminavano le faccende di casa.

-Attingimi una brocca d'acquaAdele!

-disse Carlo avanzandosi da dove era.

Ellaobbedì; e lasciò la brocca sul pozzo mentre la molladella catena oscillava ancora.

Leavevano tenuti gli occhi addosso; e poiad uno per voltabevvero eintinsero le loro fette di pane duro.

Muovendosiper il piazzalesi scambiavano le opinioni relative ai loro lavoricampestri; attenti quando il padroneandato a vedere le vacchetornasse.

Pietrostava in mezzo a lorodivertendosi a vederli masticare: qualcunoper non sprecare le briciolearrovesciava indietro la testae simetteva in bocca il pane con il palmo della mano.

Carloera un uomo grasso e robustoquantunque l'inverno soffrisse didoglie alle gambe. La sua camicia di lino grosso era sempre la piùpulita. Ma puzzava di concio; e il fiato gli sapeva d'aglio e dicipolledi cui era ghiottissimo: ad ogni morsoguardava i segni deidenti nel pane.

Ilcastrinostimandolo da più degli altriprima d'andarsenegli mostrò tutti i soldi riscossi:

-Li vedi? Son come noi uomini: chi è fatto in un modo e chi inun altro. Questo è stato battuto con il martelloe appena siconosce com'è. Quest'altro è piegatocome se uno èzoppo; quest'altro lo volevano bucarecome se tu dài unacoltellata a qualcuno o la dànno a te; e questo èconsumato tanto che pesa metà; è un povero come me; eme lo beverò per il primoperché non mi ci facciapensare. A rivederci.

Sputòe bestemmiò.

Carloa pena gli rispose. Poi dissequando non poteva più essereudito da lui:

-Voleva far colazione con il mio pane. Ma non gli è riuscito.

Eguardò verso la sua casadov'era la madia ancora aperta.

Eranopassati tre anni; e Pietro aveva preso la licenza tecnica.

Infattirimandato a scuoladopo molte difficoltà e non pocadiffidenzas'era impegnato a studiare.

Passavatutte le ore libere con i compagni; e Domenico permetteva perfino cheentrassero a prenderlo dentro la trattoria.

Mafu il tempo ch'egli cominciò a conoscere le donne. Vi andavadi nascosto; eper procurarsi i soldivendeva i libri e qualcheoggetto che riesciva a portare via di casa senza che Domenico se neaccorgesse: un servito di maiolicaalcuni medaglioni di pietre buonee perfino un antico ventaglio d'avorio e di seta. Poi ne rimetteva lechiavi sotto un tondino di lanache faceva da posalume.

Unodei lavoranti a giornatache Domenico teneva a Poggio a' Melis'innamorò di Rebecca; e fece capire che l'avrebbe sposatavolentieri. Il Rosi che da qualche tempo aveva fatto veniresempreda Raddaun'altra nipote di Rebeccacugina di Ghìsolapensòche poteva dare il consenso; facendo prendere alla nipote il postodella zia. Fornì lui la dote e molte altre spese; eper dipiùpigliò cameriere il marito.

Dopola morte di AnnaRebecca aveva seguitato ad essere in buoni rapporticon il padrone; ma questa nipoteRosaural'aveva ben prestosurrogata; e zia e nipotefinché non avvenne il matrimonioleticavano anche dentro la trattoria; con grande paura di Giacco eMasache non volevano compromettere il pane della loro vecchiaia.

Masasi nascondeva perché non la vedessero riposarsi sempre;temendo che l'avrebbero fatta licenziaretanto più che delpadrone si fidava poco anche leiconoscendolo meglio degli altri.

Sedendosialzava la sottanarovesciava in giù le calze di cotonebiancoe grattavasi le gambe dove sentiva continui dolori.

Lealtre donneche guadagnavano lo stessose ne accorgevano; e perciòla invidiavano e le volevano molto malechiamandola perfino ladra;ma per stare nelle sue grazie l'aiutavano invece.

InfattiDomenico continuava a benvolerlaperché lo teneva informatodi tutto quel che facevano al podere.

MaGiacco non chiedeva più le cicche a Pietro; anzicredutoch'egli si fosse fatto cattivoarrivò al punto dimaldolersene con il padronedicendogli che se non fosse stato luipovero vecchio che tutti spregiavanoa Poggio a' Meli avrebberomagari rubato i mattoni dell'aia d'accordo con il suo figliolo.

-Non ha giudizio! Mi permetta di dirglielo... Mi scusianzi! E con meperché ce l'ha presa?

Domenicolo rassicurava alla meglio; ma non tantoper calcolo. Ealloraegli facendo l'offeso che s'addolorae mostrando d'aver parlatocontro la propria volontàtaceva subito.

Qualchevoltatoltosi il cappello e sbattutolo su le ginocchiaper farsicompatirealludendo a Pietrogridava:

-Non ho fortuna io!

Manon lavorava più con gli altrifacendo soltanto quello cheprima toccava alla sua nipote; le gambe gli si erano piegate fino abattersi insieme; e sembravano raccorcitecome talvolta le funi didue campane vicinese s'avvolgono tra sé.

Quandodoveva parlarela sua testa grossa faceva uno sforzo per star drittasu le spalle stremenzite e curve. Aveva un volto indefinibilecon lapelle paralizzatacon le rughesimili a piccoli scheggialibruciate dal sole; tra cui si radunava il sudiciume untuoso. La boccanon si vedeva sotto i baffi arruffati e cascantiche assomigliavanoa pelo di bestia. Le congiuntivedi un colore giallicciogli sierano ispessite.

Primadi eseguire una cosasi grattava la testa dietro gli orecchitenendo con l'altra mano il cappello alzato; come se avesse cercatodi rifletter bene.

Quandoil padroncino gli passava accantolo prendeva per una manica;chiedendogli:

-Non mi parla più?

InfattiPietro lo evitava perché non gli piaceva quel suo modo di faredoppioche lasciava intravederesenza ritegnocome potessestimarsi anche da più di lui.

Rattenendologli diceva con diffidenzache avrebbe voluto sembrare affettuosa:

-E pure io lo conosco fin da bambinoe l'ho tenuto anche sopra leginocchia... è adirato con meforse?

Procuravadi far sorridere Pietroper non convenire di aver parlato a vuoto.Ma ripigliavacupoquasi per convincerecon risentimento:

-Perché non mi vuol bene?

Pietronon sapeva quel che risponderecontento di vederlo quasi supplicare.

-E pure ho fatto sempre il mio dovere; e suo padre lo sa. E lo faròfinché Dio mi terrà in piedi.

Eallora la sua voce doventava quasi arrogante.

Ilgiovinetto aveva una specie di repugnanza per quella sua ostinazionecerto esagerata.

Ilvecchio lo guardava fisso; Pietro gli dava un'occhiata timidadivincolandosi.

Giaccoprocurava di sorridere; mavedendo la fisonomia di Pietronon gliriusciva. Ma Pietro sentivasi liberatoanche perché potevaandarsene senz'altro.

Unavolta gli domandò:

-E Ghìsola?

L'assalariatosi ringalluzzì tuttointuendo quale poteva essere il mezzoper farsi benvolere dal padroncino; esitandonondimenoadapprofittarne.

-Ohera tanto tempo che non ne parlava più!

-Ma dov'è?

Giaccoinvece di farglielo sapere subitoperché avrebbe voluto dirtante cosesi grattò il petto. Da uno strappo della camiciasi vedevano i capezzolonidi sangue nerocon i peli lunghicon ipori gonfi. Un filocon un sacchetto di medagliuzzesporco disudoregli stringeva il collo; facendoglici una recisa.

-É a Raddaio credo.

Risposea voce bassa; e con il falcino indicò le colline del Chianti.

-Scrisse due mesi fa... Vede? Radda è là.

-Avete sempre la lettera?

-La prese la mia donna. Io credo che l'abbia conservata. Credoalmeno! Diaminenon l'avrà buttata via!

Edicendo cosìfaceva capire di no.

Pietrodomandò:

-Perché buttata via? Se le volete benedovete avere questalettera. La voglio vedere.

Egliparlava come se dovesse difendere un diritto. E s'inasprì lasua ostilità con il vecchio; cheincerto e incuriositodissepoi:

-Ha mandato anche un'altra cosa.

Estrizzò un occhio.

-Che cosa? Scommettola sua fotografia?

Giaccochiesemettendogli una mano su la spalla e ritraendola in fretta:

-Chi glielo ha detto?

-Non l'ha mandata? Rispondete.

Giaccotutto allegroappoggiandosi ad un olivo per seguitareesclamò:

-Da vero!

Faceval'effetto di una tartarugache comincia a muoversi quando confida dinon esser molestata più.

Pietrogirò su se stesso; esenza dirgli più nienteandòa casa del vecchiocon una contentezza immensa. Radda gli pareva apochi chilometri di distanza!

Lespighe del granoincurvate dai venti e dalle pioggecome tantiunciniavevano un'indoratura tenue; gli steli erano arruffati ealcuni rotti.

Giaccogli gridò dietro:

-M'ascoltim'ascolti...

Masaasciugava i piattiseduta sopra lo scalino di camera.

-Il vostro marito m'ha detto che avete una lettera di Ghìsola.è vero?

Lavecchiache tante volte aveva pensato di fargliela leggereglirispose la verità; epoichiese:

-Glielo ha detto proprio lui?

-Non volevate?

Esenza aspettare che s'alzasseentrò in camera; scavalcando ladonnache abbassò tutta la schiena.

Masagli era più simpatica; ma con il padrone ella parlava male dilui quanto Giacco.

-Ora vengo io! Non frughi nel canterano... Non la trova.

Eglidisse soltantostizzito:

-Spicciatevi. Siete una stupida.

Noncapite quel che io penso di lei.

Temevache sopraggiungesse Giaccodinanzi al quale sarebbe stato zitto;perché talvolta i suoi sguardi lo facevano diffidentese noncauto.

Masatrovò la lettera; maprima di darglieladissetenendola conla mano aperta contro il petto incavato:

-Non voglio che ne risappia niente il padrone.

-Perché? Chi glielo ridice?

Ellaarrossìe rispose:

-Il perché lo sa meglio di me.

Poimosse le labbracome quando mordicchiava il refe per infilarlonell'ago.

Labustae a lui dispiacqueera stata strappataa pizzicottiintorno; per cavare la lettera dettata certo a qualche parenteperché Ghìsola non sapeva scrivere. Pietroa vocealtala lesse tutta: i suoi genitori avevano avuto il morbillolazia Giuseppa non poteva allattare la bambina.

Allorachiese:

-E la fotografia dov'è?

Masaridevae la sua arroganza se ne compiaceva molto. Si pigiòpiù voltei fianchi con le nocche. Quando ridevasi vedevanoi suoi denti fitti e ancora bianchi.

-É una settimana che m'è caduta dietro il canterano;mentre la volevo spolverare.

Egliscorseinfattisotto una fila di santiattaccati al murolungouna cordicellauna cornice di vecchio velluto turchinoma vuota.Quel vuotocon un foglio biancolo intenerì.

-Non avete pensato prima a raccattarla?

Ormaisi sentiva certo di vederla. E gli pareva di compiere un dovere.

MaMasanon volendo rimproveridisse:

-Saremo a tempo a prenderla! Chi ci pensa? La mattina ci alziamopresto; la sera non abbiamo vogliaperché siamo stracchi.

-Scanserò il canterano io.

Quandoc'era da far valere un rispettolavorava anche lui!

-Non mi faccia inquietare!

Mai suoi occhi non erano cattivi come le altre volte: c'era dolcezzabenché torbida e ambigua.

-Perché?

-Il canterano è pesoe lei potrebbe farsi male. Il padroneincolperebbe me.

Quand'ellaparlava di luia Pietro pareva di doversi infilare in qualche punta.

-Non mi faccia inquietare!

-Aiutatemiinvece!

Sarebberostati pronti a bisticciare; ma ella tolseadagioad uno per voltatutti i ninnoli: un vaso di porcellana sbocconcellatodentro ilquale c'erano stati ritti chi sa quanti fiori; un'imagine di ceradiSanta Caterinasotto una campana di vetro; un pezzo di specchioverdognolo e guasto.

-Abbia pazienza.

Eglitrasse a sé il canterano tarlato; e allora la fotografiarimasta tra quello e il murocadde. La raccolse; esenza smetteredi guardarlaandò verso la finestracon la stessa paura diquando un fulmine è caduto vicino.

-Vede com'è fatta bella? Ora le piacerebbe da vero!

Pietrocompreseistantaneamentequel che volesse dir bella. Il cuore glisi mise a battere in frettacon una felicità dolce. Nonrisposesentendosi le labbra tremolare.

Masanon distolse mai gli occhi da luiincerta di quel che gli avrebbefatto e di quel che provava: le sue palpebre sbattevano.

Cozzatoloin un bracciogli chiese:

-Ed ora che cosa se ne fa?

Temevache la volesse prendere; ma Pietro non avrebbe osato perchéGhìsolaforsenon sarebbe stata contenta. Risposecon vocealterata:

-Tenetela quinella sua cornice. Voglio io: non la fate cadere più.

Masasoddisfattaassentì; e tolse con un cencio i ragnateliattaccati al muro. Pietro mise da sé la fotografia a postoeriaccostò il canterano.

-Conservate anche la lettera.

-Veramentese si fosse comportata meglio con noi... le vorrei piùbene.

Auna mossa brusca di Pietrocome prima non gli aveva veduto fare maiella riprese:

-Ma glielo voglio lo stesso.

-Che vi ha fatto di male? Lo vorrei sapere che male può avervifatto! Inventate!

-Non lo posso dire: riguarda me; e basta.

S'eraoffesa di aver dovuto rimandar via la nipote! Si morsicchiò illabbro di sottoin fretta e molte volte.

-Stia zitto. Non dica a nessunoné meno a Rebeccachegliel'ho fatta vedere. Vada via di casae guai se lo fa anchesospettare!

Egliuscì. Etutto a un trattosi accorse che era innamorato diGhìsola; e non ci trovò niente di strano nè dispiacevole. Anzise ne fosse stato più sicurol'avrebbedetto subito a Masa.

Facendolecapire chesopra a tuttosi trattava di una riparazione socialeper il cui cómpito offriva se stesso volentieri. Perchéanche lei non doveva esser ricca?

Tregiorni dopotornò a Poggio a' Meli.

Sula capanna soleggiata batteva l'ombra lieve di un pero; ed eraimmobile. E pure quelle righe d'ombra gli parevano come segni difebbree pulsanti come le sue vene; come acqua bollente.

Sultetto della paratatutto visibile per la sua inclinatura fin quasi aun metro da terraera cresciutolargo due metriil sopravvivol'una pianta quasi ficcata dentro l'altracon le foglie spinoseconun fiore che il gambo non aveva forza di reggere; vi erano una vestedi fiasco e due falci arrugginite. E Carlo vi tenevaperchépigliasse il soletra due pietreuna boccetta piena di olio con unoscorpione dentroservendosene per medicarsi i tagli.

Pietrosi accorse chenella parte più alta del tettoera rimastouno straccio ormai scolorito dal soleattaccato lì dallepioggie: mezza sottana di Ghìsola.

Andòda Masae le disse:

-Fatemi rivedere la fotografia.

Laguardò in frettaal muroperché la vecchia nons'offendesse e magari non lo scrivesse alla nipote.

IlMonte Amiatadi un aspetto liquidosembrava per appianarsi.

Pietrogracile e sovente malatoaveva sempre fatto a Domenico un sensod'avversione: ora lo consideravamagro e pallidoinutile agliinteressi; come un idiota qualunque!

Toccavail suo collo esilecon un dito sopra le venature troppo visibili elisce; e Pietro abbassava gli occhicredendo di dovergliene chiedereperdono come di una colpa. Ma questa docilitàche sfuggivaalla sua violenzairritava di più Domenico. E gli venivavoglia di canzonarlo.

Queilibri! Li avrebbe schiacciati con il calcagno! Vedendoglieli in manotalvolta non poteva trattenersi e glieli sbatteva in faccia.

Chiscriveva un libro era un truffatorea cui non avrebbe dato damangiare a credito.

Eintanto Pietro gli aveva fatto spendere le tasse tre anni di seguitoper la scuola tecnica!

Dopoaverlo guardatoa lungosu un orecchio o su la nuca debole e vuotafaceva gesti belluinimordendosi il labbro di sottopiantandoall'improvviso un coltello su la tavola e smettendo di mangiare.

Pietrostava zitto e dimesso; ma non gli obbediva. Si tratteneva meno chegli fosse possibile in casa; equando per la scuola aveva bisogno disoldiaspettava che ci fosse qualche avventore di quelli piùragguardevoli; dinanzi al quale Domenico non diceva di no. Avevatrovato modo di resisteresubendo tutto senza mai fiatare. E lascuola allora gli parve più che altro un pretestoper starlontano dalla trattoria.

Trovandonegli occhi del padre un'ostilità ironicanon si provava némeno a chiedergli un poco d'affetto.

Macome avrebbe potuto sottrarsi a lui? Bastava uno sguardo menoimpauritoperché gli mettesse un pugno su la facciaun pugnocapace d'alzare un barile. E siccome alcune volte Pietro sorridevatremando e diceva:

-Ma io sarò forte quanto te!

-Domenico gli gridava con una voceche nessun altro aveva:

-Tu?

Pietropiegando la testaallontanava pian piano quel pugnocon ribrezzo edammirazione.

Daragazzo quella voce lo spaventavagli faceva male; e allora sirincantucciavasenza piangereper essere lasciato solo. Ora neprovava una scontentezza esasperante. Econvinto che non avrebbedovuto soffrire a quel modosi esaltò sempre più nelleparole di riscatto e di giustizia; come trovava scritto in certiopuscoli di propaganda prestatigli dal suo barbiere.

Entrònel partito socialistae fondò perfino un circolo giovanile.Prima di nascostoe poi vantandosene con tutti quelli che capitavanonella trattoria. La sua ambizione doventòalloraquella discrivere articoli in una Lotta di classeche usciva tutte lesettimane. E se la polizia lo avesse fatto arrestaresarebbe statocontento. Sognava processimartiriiconferenze ed anche larivoluzione. Quando un altro lo chiamava "compagno"sisarebbe fatto a pezzi per lui; senza né meno pensarci.

Domenicoinveceera preso sempre di più dal lavoro e dal podere; e nonc'era nessuno che l'aiutasse!

Nelleore di caldo asfissiantequando la trattoria restava vuotalosguattero e il cuoco dormivano con il capo appoggiato sopra il ceppocoprendosi con i loro grembiuli per via delle mosche che volavano sugli strofinacci untuosi; si fermavanotutte accostointorno ad unagoccia di brodo rimasta sopra la tavola; camminavano in su e in giùsopra i pezzi della carnestriscindovisi sopra. La marmittona dirame seguitava a bollire; un gattosotto la tavolarosicchiava. Unacannella d'ottonemal chiusasgocciolava con un sibilo incessante.Le due zangole battevanosopra una paretei riflessi trasparentidella loro acqua; chedi quando in quandoerano attraversatidall'ombra di una mosca.

Segiungeva un clienteil cameriere pigliava il primo piatto dellapilapoi chiamava il cuoco.

-Non dormire più.

Allorail sudore adunato sotto la camicia si raffreddava ad un tratto; e ilcuoco si sdrusciava un orecchio indolenzitoperché gli erarimasto ripiegato tra il braccio e la testa.

Latrattoria riprendeva il suo movimento.

Pietropassava quest'ore di vacanzaleggendo quasi senza avvedersi deltempo. Domenicorientrando in punta di piediriesciva asorprenderlo.

-Perché non sei attento a quello che fanno le persone diservizio?

Eil rimprovero ricominciava.

Unavolta gli gridòproprio dentro a un orecchio:

-Vieni a pesare la paglia.

-Io?

-Tu.

Elo alzò da sedereprendendolo per il colletto. Ma poiavendofrettasi avviò dove erano i pagliaioli. Pietro non si mosserestando con la testa contro uno spigolo del muro; e provando unagrande repugnanza del pianto che lo invadeva.

-Ecco un altro barroccio di pagliapadrone!

Dissel'uno dei due uomini che avevano scaricato quella portata prima.

-É un pagliaio!

Urlòquegli che con la fune aiutava a trarre innanzi il barroccio.

-Dieci quintali!

AggiunsePalloccola che reggeva le stanghe.

Iltrattore sorrise delle loro esagerazioni. Andò al nuovofastello di paglialo toccò e lo annusò. Poisenzarispondereguardò in faccia i due uomini.

Nellapiccola piazzoladove rispondeva la porta della cucinaerano altridue uomini sudati per la fatica; perché avevano scaricato iloro fastelli di pagliaalzandoli fino all'imboccatura dellacapanna. Oraessi si riposavano; stando a coccoloni con le spalleappoggiate al muro. Il sudore della fronte sgocciolava su la puntadelle scarpe polverose; il cui cuoio era gonfio di piegature.

-Quanto volete?

Disseil trattoremettendosi i pollici nelle tasche del panciotto. Avevail dorso d'una mano sgraffiato; e perciòspessovi sisucchiava il sangue.

-Quanto ci dà? Vogliamo mangiare anche noi.

DisposeCeccaccio. E Palloccola:

-Questi contadinacci non ci regalano più niente. Facciamo perstrapazzarci.

Essierano andati da un podere all'altrocapitando nelle ore dellatrebbiatura; in modo che ogni contadinoper levarseli di tornoaveva regalato una forcatella di paglia. I contadini non rifiutavanomaitemendo ch'essi per vendetta ne rubassero molta di più.

Infattivivevano più di furti che di lavoro; e non avevano mai unmestiere fisso.

Domenicofacevasotto prezzograndi provviste di pagliache poi bastavafino all'anno dopo per la stalla addetta alla trattoria.

-Volete fare a peso o a occhio?

Domenicochiesetogliendosi le mani dal panciotto.

-Come vuole. Siamo contenti in tutte le maniere.

Pipie Nossegià contrattatointerruppero:

-Intanto mandi via noi. Ci paghi.

Eranodue giovini. Pipi con una testa enormegonfiacon la fronte ampia.E gli occhi ceruli erano dolcidi una dolcezza infantile. Nosseaveva i baffi nerie i piccoli occhi vivacissimi sembrava potesseromordere.

-Prima aiuterete ad alzare anche questa paglia.

-Se ci dà bevere!

DisseridendoPipi; chepoisputò nel muro.

-Ho la gola piena di polvere!

DisseNosse. E si alzòappoggiandosi un'altra volta al muro.

Domenicosorrisepromettendo.

Passavagià la cinquantina. Le mani gli erano doventate pallide: sivedevano le loro vene di un rosso violaceo; con le unghie lunghe estretteaccartocciate.

Sifaceva ancora più di rado la barbadi un biondo quasi bianco.

Gliocchi gli lustravano come i gusci delle ostriche; ma le estremitàdelle palpebre erano gonfiecon due fili purpurei. I capelli glierano divenuti radiper quanto se li bagnasse con un'acqua di suainvenzionefatta con le coccole di ginepro; i baffiattaccati alleguancesi arruffavano intorno alla bocca; che aveva un senso dibontà.

S'erafatto alquanto curvocon le spalle ingrossate; ma se ne tenevad'esser forte come prima e di pesare più di un quintale.

Glipareva che i suoi polsi e il suo collo fossero quasi indomabili;qualche cosa che egli doveva conservareper servirsene al bisogno.

DomandòCeccaccio:

-Dunque a peso?

Disseil trattore:

-Non sarà cento chili.

UrlòCeccaccio:

-Che cosa dice? Un quintale e mezzo.

AggiunsePalloccola:

-Siamo onesti noi!

Ebestemmiò. Ma corsero a sciogliere le funiper scendere lapaglia dal barroccio. Domenico s'avanzòla prese per lalegatura e la sollevò; aiutandosi con i ginocchi.

-Vi dò quattro lire. è anche troppo.

-L'abbiamo rubataè veroCeccaccio?

Tuttirisero. Poi bestemmiarono e gridaronoconfusamente.

-Dunquepaghi noi; ce ne andremo.

-O non volevate bere?

Domandòlo stalliere annoiatodall'apertura della capanna.

-Nono. Siamo stanchi. Non possiamo aiutare a tirarla su.

-Guarda che muscoli!

DissePipiprendendo un braccio di Domenico; la cui camicia era rimboccatafino ai gomiti.

EsclamòNosse:

-Con quelle braccia!

DisseCeccaccio:

-Fate lestifiglioli.

Dallaporta mezza aperta si vedeva la strada. E passò una giovine.

Ceccacciola chiamòcon un fischio.

DissePipi:

-Bada se viene qua.

-Che cosa si fa qui?

-domandò il trattore.

-Si chiacchiera soltanto?

-O che cosa vuol fare?

Eil compagno di Ceccaccio si sedé su la pagliamettendosi lemani sopra i ginocchi.

-Non avevate furiadianzi?

-É vero. Ci paghi.

-Eccovi sei lire. Levatevi di qui!

Pipie Nosse escironocon il loro barroccio.

-Tocca a noi ora.

-Dunque quanto ci vuole dare?

-Pesiamola.

Idue presero una stangae vi misero l'uncino della stadera; a cuiattaccarono il laccio della fune.

-Pesi benepadrone!

-E tu non appoggiarti con le ginocchia.

-Io? Guardi: c'è un braccio di distanza.

Edavendo su la spalla la stangaPalloccola alzò sopra il capole mani; mentre il corpo gli tremava per lo sforzo.

Lapaglia era un quintale. Fecero il conto; e la legaronoper trarla sucon la carrucola.

-Lavora anche leipadrone?

-Più di teperché le mie braccia sono più forti.

Etutti si afferrarono alla funeche pendeva dalla carrucola alta.Domenico l'avvolse ad uno dei polsi. Come il fastello cominciòa salireil legno della carrucola scricchiolò; mentre lapolvere con le festuche ricadevano su gli uomini. Lo stalliere stavacon la mano tesasporgendosi dall'apertura. Gli alzatori sipiegavano con un solo respiro; e il fastello penzolava su le loroteste; poiafferrato dallo stalliereimboccò nella finestrae disparve nell'ombra.

-É fatta!

DisseCeccacciospolverandosi intorno al collodove le festuche restavanoattaccate. Ma le braccia gli dolevanocome se fossero statestrappate.

Iltrattorevenutogli sospettoandò verso un mucchio di mattonirotti e di ferracci. Disse:

-Qui manca una serratura vecchia. Chi l'ha presa?

Idue pagliaioli si guardaronoe continuarono ad avvolgere le lorofuni.

-Giovinottichi ha preso una serratura?

RidomandòDomenicodoventando bianco.

-Io no di certo.

RisposeCeccaccio con calma.

-Non dico a te. Dico che è stata portata via.

-Che ne facciamo noi?

ChiesePalloccola con odio e risentimento.

-L'avrà presa Pipi! Lui ci mercanta!

DisseridendoCeccaccio.

-Io non lo so. Mase lo sapessime la farei rendere. Non sono coseda lodare.

Idue uomini divennero inquietiperché a vicenda l'uno temevache l'altro fosse stato il ladro. Ma Palloccola gridò:

-Ci fruchi!

-Io non fruco nessuno! Eccovi il denaro. Ma non ricomprerò maipiù la paglia da voi!

-Noi non ne sappiamo niente!

Domenicosi convinse ch'era impossibile trovare il colpevole; e li credettetutti e quattro d'accordo. Efatto un gesto per invitarli adandarsenerientrò nella trattoria. Disse a Pietroriprendendolo per il colletto:

-Se tu stessi attentocom'io ti comandonon ti porterebbero via laroba.

Pietroalzò le spallepensando: hanno rubato perché sonopoveri.

Esi allontanò con quello stato d'ansiache lo invadeva tuttele volte che suo padre era per percuoterlo. InfattiDomenico feceper slanciarsi; ma Rosaura lo trattenne.

Laserratura era stata presa il giorno innanzi da un accattoneforestiero.

Lasera questi uoministorditi dalla faticasfamatisi a qualcheconventosi addormentavano briachi in una bettolae Pipi con lamoglie.

Quandoil Rosi era doventato padrone del Pesce Azzurroc'era un ingressosoloquello da Via dei Rossicon un'insegna di ferroa banderuolaferma al muro e con un pesce dipinto tanto dall'una parte chedall'altra. Sulla portauna Madonna in bassorilievo; delquattrocento. Ci stava ancora il lume attaccatoma la fune pertirarlo giù mancava.

Poifurono aperti anche due ingressi dalla Via Cavour. Ed ad uno diquestidietro il cristallo della portauna vetrina a due pianifoderata con la carta che cambiavano una volta tutte le settimane;piena di polli già pelatidi carni arrostitee d'altredelizie.

Dopol'ingresso da Via dei Rossi una gran portaper entrare in unapiazzola interna sempre ingombra di calessi e d'ogni specie di legni.Accanto a questala stalla; che poteva contenere fino a trentabestie. Sopra la stallala capanna.

Tuttii sabatiDomenico faceva l'elemosina dei pezzi di pane avanzati agliavventori.

Lastretta Via dei Rossial principiodov'era l'uscio vecchio dellatrattoriasi empiva un'ora prima del tempodi mendicanti; fra iquali era anche la moglie di Pipigiovinema così smunta egialla che la sua bocca era come un taglio senza labbra: andava comese non avesse potuto piegare la testa da nessuna parte. Molte voltedalla veste male abbottonata e sudiciasi vedeva il petto vuoto esenza seni.

C'eraanche una vecchiadal naso enorme e pavonazzocon un cappello dacontadinadel quale le trecce di paglia si disfacevano intorno; e nerimaneva sempre un giro di meno. Questa pretendeva d'avere la primaelemosinae non se ne andava finché tutti i pezzi di pane nonfossero stati distribuiti. Talvolta gridava:

-Quella vecchiaccia ne ha avuto più di me.

Edapriva ancora i lembi del fazzoletto pieno di pane durosorreggendosotto l'ascella il bastoncino.

C'erauna mendicantea cui Domenico faceva l'elemosina tre giorni dellasettimana; una donna grandedal volto acceso ed uguale come unamaschera sottileche non si poteva togliereuna maschera di pellerossa. Portavad'estate e d'invernouno scialletto di lana neroannodato dietro il dorso. Teneva sempre incrociate le mani pallidesul petto. La sua figliolaalta e leggiadranon la lasciava maitenendo una mano infilata sotto uno dei suoi bracci; era scema esorrideva sempre; ma di un sorriso dolce ed appassionato.

Camminavanoambedue rasentando i muri; a passi lunghicome se avessero volutofuggire. Nell'attraversare la strada da una parte all'altrasiaffrettavano anche di più.

Quandomangiavano la zuppa a qualche conventola figliola voltava il dorsoa tutti; e ritraendo il cucchiaio dalla boccafaceva grandi risatesilenziose.

Quandola madre morìfu rinchiusa in un manicomio.

C'eraun ciecoche imprecava contro il figlio; che aveva una mano seccacon un dito di meno:

-Sei un mascalzonee non mi aiuti. Se tu stai costì appoggiatoal muronon troverai più pane per noi.

Mascalzone!Mascalzone!

Etendeva un orecchioaccartocciandovi dietro una mano; per capirequanta elemosina ci fosse ancora; mentre la voce era la stessa diquando recitava le devozioni.

Tuttigli altri poveri erano andati incontro a Rosaura come un branco dipolli verso il punto dov'è rimbalzato un chicco di granturco.

Ilgiovinetto del cieco ascoltavascalcinando con le dita le commessuredei mattoni: preferiva esser l'ultimo perchésenza leticareera sicuro che Rosaura avrebbe serbato qualche cosa per lui.

Tuttele mendicanti guardavano il pane avuto; e qualcuna ne riposava unpezzo troppo secco dentro una fenditura del muroche era accantoall'uscio. Allora Rosaurasporgendosi tutta fuoriesclamava:

-Guardatela: viene a chiedere l'elemosinae poi la scrafia!

Unadonna rispondevatenendosi ambedue le mani strette sopra i fianchi:

-Se l'avessi avuto iol'avrei mangiato!

Qualcunaridevaaddentando il pane: dopo averlo un poco rigirato tra le manisudicie. Ad un trattodal mormorio basso e incomprensibilecominciava un alterco:

-Viene a chiedere il paneed è ricca quanto vuole.

-Che importa a te? Sono ricca?... Non le dia retta.

Rosaurainterrompeva:

-State zittaaltrimenti non ve ne daremo più.

Un'altradonnacon il volto guasto da un ezzemabendato con una pezzuolaazzurra annodata dietro la testarispondeva:

-Ha ragione. Ma io non mi sono mai lamentata.

Sivedevano soltanto i suoi occhi infiammaticome piagheche nonpotevano stare aperti; ed era costrettaper guardarea sollevare ilcapo di traverso; mentreparlandola benda seguiva i movimentidella bocca. E che bocca aveva!

Unvecchioche sopravveniva quasi sempre a elemosina finitacercavad'impietosire con quel tono che i mendicanti adoprano:

-Per amor di Dio... anche a me.

-Non c'è più niente. Perché non venite prima?

-Le gambe non mi reggono più!

Ebatteva il suo bastone su lo scalino dell'uscio. Rosaura se ne andavasenza dargli niente; dopo avergli risposto:

-Ma per arrivare ora vi reggono!

Alloraegli aspettava ancora per lungo tempo; con un'ostinazione rabbiosa:

-Signora mianon mi faccia soffrire più!

Avevalavorato tutta la vita; e pensavacome a una magnificenzache se siammalasse avrebbe potuto entrare in un ospedaledove sarebbe statotutto il giorno steso sopra il letto. E a mangiare bene!

Lamoglie almeno gli era morta giovinee non soffriva più! Maegli finì con il credere un obbligo l'elemosinacome trovareuno scalone e mettercisi a sedere senza che lo mandassero via.

Domeniconon riprese mai mogliequantunque vi riflettesse soventegrattandosi forte con le unghie il mento poco rasatostringendo lapelle della gola e poi battendo le nocche su qualche cosama senzafarsi male. Lo annunciava con veemenzadi propositodopo ogni suaarrabbiatura. E credendo che Pietro si sarebbe dato agli interessiper non trovarsi in casa una matrignagli diceva:

-Ora toccherebbe a te! Ma tuimbecillefai il socialista! Non tivergogni?

Compravaun cappello all'annoportandolo tutti i giorni; finché latesache si adagiava su gli orecchirovesciandoli più giùnon fosse untuosa. Gli piaceva di tenere la camicia almeno per duesettimane; e bestemmiava quando doveva decidersi a rifarsele nuove.L'istinto di conservarsi nella condizione guadagnata lo costringevaanche ad inutili economie; chedel restofaceva notare agli altri;anzivolendo che fossero apprezzatedicevaed era vero:

-Io sono un galantuomo: ho fatto i denari con il mio sudore; e me livoglio mantenere.

Inuna ciotola di legnotenevainsieme con le monete di ramepersuperstizioneuna medaglietta trovata mentre gli assalariativangavano. Per guardarla meglioil che gli succedeva tutte le volteche gli veniva in manomettevasi gli occhiali.

Lamedaglietta gli piacevaperché con le unghie riusciva agrattare il metallo; cheallorapareva nuovo. Quando gli avevanoportato gli occhialidopo averglieli cercati da per tuttosedevali puliva con il fazzoletto rossopuzzolente di lezzo:

-Non la vedo bene!

Eusciva fuoriper farla esaminare prima al droghierepoi al mercantee al barbiere; che erano i suoi amici più vicini.

Mané meno loronaturalmentesapevano che medaglietta fosse.

Talvoltasi appoggiavasenza cappelloall'uscio della bottega; salutandoanche chi conosceva a pena.

D'estatevi si faceva portare una sedia; sonnecchiandofinchéqualcunoche passavanon lo destasse con un colpo sopra la coscia.Allora si risentivadicendo:

-Mi ero addormentato un poco.

Eper levarsi il sonnoandava a dare qualche ordine.

Durantela giornatainghiottiva tutte le frutta trapassate; e diceva alcuocoi cui capelli neri toccavano quasi le ciglia:

-Portami un tegame!

Assaggiavae rimandava via il cuocospingendolo sul braccio:

-Ci hai messo poco pepe. Quando imparerai a fare da te?

Ilrimproverato restava male ed alzava a poco a poco una spalla.

-Portami quell'altro tegameora.

Quegliobbedivarestando poi dritto a guardarlo; con una mano sopra latavola.

Domeniconon aspettava di aver ingoiato il bocconeper gridargli:

-Hai fatto bruciare l'aglio.

Sipuliva i baffisdrusciandoseli con il tovagliolo; e concludeva:

-Bisognerà che in cucina non ti lasci più solo o timandi via. Degli uomini non ne nascono più.

Ognimattina mangiava di quel che c'era rimasto il giorno innanzi in fondoai recipienti della dispensa.

Madel vino ne beveva quasi un fiasco; e ruttava sopra il fazzolettovolgendosi verso il muro. I sapori lo esaltavanolo facevanoloquace; e fuori della cucina gli pareva di perder tempoa meno chenon fosse a Poggio a' Meli.

Pietroera riuscito a iscriversi all'istituto tecnico di Firenzedopo averfatto privatamentequasi da séil primo corso a Siena.

Mafu la completa sparizione d'ogni legame tra padre e figliolo.

Sempredi più si trattarono come due estranei costretti a vivereinsieme; e Domenico aveva smesso addirittura di voler su di luiqualunque autorità; credendo checomportandosi a quel modogli facesse rimorso. Maormainon l'avrebbe perdonato mai più.

Durantemagari un meseDomenico era stato capace di prendere tutto inscherzo; e ambedue si dicevano facezieche qualche volta doventavanolitigi.

Pietroera sempre socialistama andava meno con gli operai. Si vergognavad'aver già vent'annie d'essere così a dietro deglistudii: questa cosa l'avviliva.

Presaa Firenze una camera in Via Cimabuemangiava a una trattorialìvicino.

Stavalunghe ore con la testa tra le maniimaginandosi di studiare; conun'ansia attraversata e tagliata in tutti i sensi da malumore e damalinconiacome da linee tirate con una squadra.

Sisforzava d'essere soddisfatto e di affezionarsi alla scuola; ma glipareva che i giorni fossero così staccati e separati l'unodall'altro che sentiva prendersi dallo scoraggiamento. Il giorno doponon era capace più a ricordarsi e a raccapezzarsi del giornoavanti; e provava difficoltà a pensare ai giorni successivi.

Enon riuscendo quanto avrebbe volutoné meno ora che cimetteva tutto il suo impegnostudiava sempre meno!

Sottola sua finestra di camera c'era la cinta di un convento di suore; nelcui giardinoquasi subito dopo mezzogiornoandavano a cantare e aruzzare un centinaio di bambine. Quanta tristezza quel baccano! E poiegli odiava le suore!

Quandole bambine arrivavano all'angolo più vicinosorridevaamaramentesperando che lo avrebbero scorto. Ma non se neaccorgevano né meno; ealloras'infastidiva anche di loro.

Dellacittàinvecenon sentiva né meno il rumore; perchéla cintaperpendicolare al muro della casaera lunga e andava afinire a un fabbricato così grande che gli tappava quasi tuttala Piazza Beccaria; edi qua e di làaltre casequantunquepiù bassequasi in semicerchiochiudevano ogni cosa.

Sitrovava sempre a disagio: ed era come una cosa che non riesciva aspiegarsi. Non si affidava agli amicie ne sentiva la mancanza.

Siannoiava di tutto; e la cupola di Santa Maria del Fiorevelata quasisempre di nebbia in fondo a Via dei Serviche egli vedeva prima dirientrare a scuolaquando andava a prendere cinque minuti di sole inPiazza dell'Annunziatagli dava uno scoraggiamento languidocheingrandiva se qualche campana suonava.

Etra tutti i rumoriverso il tramontoflebili e lontanigli venivavoglia di fuggire; come se l'aria ascoltasse; quell'aria trasparentedella quale aveva quasi timidezza e paura.

Quandoandava a cenarecominciava a farsi buio; esotto gli alberi dellaPiazza Beccariale baracche di un circo equestre abbagliavano con iloro lumi ad acetilenementre un carosello non smetteva piùdi girare con la musica del suo organo.

Eglivedeva la Via Ghibellina e la Via dell'Agnolo così strette chele loro case si chiudono insieme; mentre le altredalla parte dellaBarriera Aretinaterminano dritte dinanzi agli alberi e allacampagna.

Entrandoin casatrovava la padrona a cucire insieme con altre donne; allequali non parlava mai.

Maintantocominciarono ad affittirsi i giorniin cui sentivastanchezza della scuola; una stanchezza che gli faceva lo stessoeffetto di una colpa inspiegabile.

Pensavaanche che non tutti avevano i mezzi per studiare!

Trai compagnisi sentiva un giovane che aveva già troppo vissutopiù di loro. Ecco perchécon simpatia e volentierilichiamava ragazzi. Il loro modo di comportarsi verso gli insegnantigli dava un senso di compatimento. Ma non riesciva a ridere di quelche li divertiva; emolte voltese ne mostrava seccato e lirimproverava.

Stavabene sul lettocon gli occhi chiusi.

Siavvide di aver tentato invano di affezionarsi ai compagni: leindifferenze con alcuni si mutarono in ostilità e inimicizie;per gli altri provava avversionespecie per quelli piùricchiche lo stimavano da poco perché era socialista. I piùlo credevano pazzo; ma gli volevano quasi tutti bene.

Finalmenteconvinto che doveva cedere alla sua stanchezzanon andò piùa scuola; e ai compagniche ne ridevanodisse che suo padre nonaveva più denaro per tenerlo a Firenze.

Gliultimi giorni si era sentitocon angosciama anche con piaceresempre più differente a tutti; e non seppe spiegarsi come glialtri studiassero senza essere costretti a fare come lui. Ed ebbe piùfretta d'allontanarsene.

Dopoquattro mesi soli di scuolainvece di pagare alla padrona di casa lanuova mesata anticipata con il denaro ricevuto dal padretornòa Siena senza né meno avvertirlo.

Furicevuto come se avesse messo giudiziosebbene un poco tardi.

Edegli non osava dire che voleva studiare da sé per fare gliesami lo stesso. Ma saputoper casoda una lettera ricevuta daRebeccache Ghìsola era a Firenze da molto tempoe non piùa Raddaprese senz'altro la decisione.

Domenicoche invece aveva subito sperato troppoavendo apprezzato il suoritorno spontaneo a Sienaspiegandolo come un ravvedimento mandatoda Diocercava d'avere piuttosto buone maniere; e gli chiedeva:

-Perché preferisci stare lontano da meche sono tuo padre? Dioti deve toccare il cuore. Non te ne accorgi?

Mavisto che né meno ora poteva farsi obbedirelo lasciòdi più; sicuro che il tempo l'avrebbe aiutato.

EPietroper scrupolo di coscienza e per sentirsi in diritto di fareil contrario di quello che il padre volevasi dette a studiare conuna soddisfazione prima a lui ignota.

Alseminario si erano sovrapposti i tre anni della scuola tecnicacambiando tutto; si sentiva proprio un altroe sul punto di cambiareancora.

Ilsuo socialismo doventavacome diceva luie com'era di modaintellettuale. Egli non aveva più la fede con la quale unavolta voleva convertire gli altri; ma adoprava la moralitàsocialista per i suoi sentimenti.

Oraquei tre anni gli parevano rapidi come un giorno soloperdevano ogniconsistenzaanche mentale; come se appena gli avessero dato tempo direspirare.

Gliesamianche contro la volontà che voleva averedoventavanosempre più un pretesto; e non gli pareva né lecito néleale. Ma la sua impazienza di rivedere Ghìsola aumentava;perché metteva in Ghìsola tutta la fiducia della suavita.

Stavaa giornate interesoloin casa; guardandocon la faccia su ivetriil sottile rettangolo di azzurro tra i tetti.

Quell'azzurroscioccocosì lontanogli metteva quasi collera; ma non nedistaccava gli occhi. Le rondiniche di lì parevano nerepassavano come attraventate. Soltanto là suall'ultimefinestrequalcuno affacciato che non conosceva né meno! Eallora sentiva il vuoto di quella solitudine rinchiusa in uno dei piùantichi palazzi di Sienatutto disabitatocon la torre mozza soprail tetro Arco dei Rossi; in mezzo alle case oscure e desertel'unastretta all'altra; con stemmi scolpiti che nessuno conosce piùdi famiglie scomparse; case a muri con due metri di spessoreavoltonile stanze quasi senz'aria. I ragnateli larghi come stracci ela polvere su le finestre sempre chiuse e i davanzali sporgenti dallefacciate.

Talvoltaall'improvvisopensava a Firenze e a Ghìsola che forseaspettandologli avrebbe fatto un rimprovero che lo esaltava;all'Arno scrociante; a tutte le colline sempre belle; a quelle nebbieche lasciano i muri bagnatiannerendo le pietre delle strade chesembrano rappezzature.

Ilpadreparlandogli produceva una malinconia invidiosa: e siallontanava per non udirloper non vederlo; con un brivido.

Perchénessuna parola era proprio per lui? Perché lo trattavano comese lo tollerasseroanche ora? Perché tentare invano di esserecome gli altri? Come erano fatti gli altri?

Ripensavaai compagni di Firenzead uno per volta. E perché loroforsenon lo ricordavano né meno?

Daquanto tempo era morta la mamma? Gli parevano cento anni. E tutte lecose s'erano svolte senza bisogno di lui; a sua insaputa.

Isuoi occhiche avevano una mansuetudine misticacontrastavano conle linee magre e sfuggenti del volto; sì che subito se nenotava la differenza.

Avevaquelle indefinitezze profonde e persistentisenza nome e senza mèta;che lasciano una traccia anche quando sono passatecome si vede se èpassata l'acqua su la rena.

Credutosiinferiore ai suoi amici di Sienaora conosceva lo sbaglio acre; chepoteva aver conseguenze anche nell'avvenire simile ad un'espiazionearida.

Maperché aveva sperato di poter doventare un pittore? Chesignificava quel tentativo inutiledinanzi al suo amor proprio?

Potevanon tenerne contoper credere ancora a se stesso?

Siconfortavasognando un'esistenza nuova e insolita. Ma quando?

Talvoltaessa si riperdeva; ed egli non riesciva né meno a capire comel'avesse sognata.

Perquanto di una sincerità fanaticanessuno avrebbe potutorendersene conto. Sentiva di non essere più come una volta perquelli ch'erano stati suoi amici prima che fosse andato a Firenze.

Avrebbevoluto farsi perdonare di non avere più amicizia per loro; masi vergognava e si pentiva di essere stato troppo sincero edespansivo tanto facilmente. Rivedeva quelle sue sottomissioni moralidi cui gli altri s'erano approfittati. A Siena aveva voluto essereamico anche dei più cretini e dei più farabutticredendoli degni di se stesso; come un doverefino a stimarsicattivo ad andare a spasso solosenza qualcuno di loro. Matornatoda Firenzeera riuscito a non parlare più a nessunocon unasmania amara di non vederli più!

Egliera il giovine chesebbene deboleporta impeti di energie; anche sesbaglia.

Moltevoltein sognoprovava come avrebbero dovuto svolgersi i suoisentimenti; svegliandosi quasi soddisfattocome se un'esistenzasuperiore e indefinibile gli avesse dato ragione.

Econ quale gioia stravolta aspettava il giorno dell'incontro conquellache già metteva sottosopra tutto il suo essere!

Nonsapeva le parole che le avrebbe dettoquantunque se le imaginasseluminose di bontà; accorgendosi talvolta di aver pensatoparole senza significatoche gli portavano via la bocca e l'anima!Parole avventate che non si ritolgono piùcome coltelliinfilati troppo fortecon rabbia. Parole che vuotano l'essere conpiacere frenetico: alle quali succedono paure folligiornitemporaleschipiogge calde e asciutte più della stessaaridità che dovrebbero bagnare.

Talvoltaaveva voglia di farsi uccidere; forse da Ghìsolache giàsentiva sua; tornata come una tentazione deliziosa dal tempo scorso.

Toppaera morto di vecchiaia. Lo trovarono una mattina di febbraiosottoil carro; nell'aia. Il gelo lo aveva attaccato mezzo ai mattoni; e lapanciaquando Carlo gli ci picchiò la pala che dovevaadoprare per sotterrarlo a un olivosuonò come un tamburo; efeceperciòridere.

Erastatodopo la castraturapiuttosto cattivo: quando non voleva essertoccatoprima si allontanava; e poise non smettevanosi avventavadigrignando i denti. Era bastardo e alto un mezzo metro. Aveva quelpelo bianco che vicino alla pelle è giallocon una macchianera sopra un orecchio; e perciò gli trovarono quel nome.

Dapiccoloa pena slattatoDomenico lo legò al ferro del pozzo;equando guaivagli assalariati avevano l'ordine di pigliarlo acalci.

Poigli comprò un collare con i chiodi d'ottone; un collare chenon gli levavano mai altro che mentre lo tosavano.

Egliudiva la sonagliera del cavallo di Domenico quando ancora era alborgo fuor di Porta Camollia. Alloraesciva nella strada; ecominciava ad abbaiare. Quando il cavallo appariva ad una svolta pocodistante dal cancello del poderesi metteva a correre da un puntoall'altro della strada. Le persone si tiravano da parte; ma Toppaaveva buttato giù parecchi ragazziche non erano stati intempo.

Quandoaveva mangiatoandava invece a correre per i campie ci lasciava isegni da per tutto; specie dov'era il grano alto ci restava un solcoche si vedeva anche di lontano. Quando seminavanodovevano prenderloa sassate perché dove passava saltando bisognava rifare illavoro. Gli piaceva l'uva matura e i fichi anche di più.

Obbedivasoltanto a Domenico e a Giacco; degli altri aveva soltanto timorequando non gli veniva voglia di mordere; come fece una volta aGhìsola che gli era salita a cavallo.

Nonc'era nessun altro cane che la potesse con lui; e ne fece morire piùd'uno per averli azzannati su la spina dorsale. Due li sbranòperché erano andati a mangiargli la zuppa nel catino.

Tolleravainvece i gattipurché non gli andassero vicino. Ma quandostava al solenon ce li voleva in nessun modo: tenevaalloraunocchio chiuso e un altro aperto: ne apriva uno e ne chiudeva unaltro. All'improvvisofaceva un balzo con un abbaio che stordiva.

Nonebbe voglia di ruzzare né meno da cucciolo. E si comportava aseconda di chi lo avvicinasse: non sbagliava. Non avrebbe obbedito aPietroné mai gli fece una carezza.

Quandolo sotterraronodopo aver avvertito il Rosiche ricordò diaverlo pagato due lire soltantodando l'ordine di serbare ilcollareGiacco pianse. Anch'egli si sentiva vecchio; eguardando ilcadavere della bestiadisse agli altri:

-Noi faremo la stessa fine.

Enricorispose:

-Di più ormai non poteva campare. Che ci fanno i vecchi almondo?

Edette un'occhiata a Carloche rideva.

MaGiacco buttò via la zappae gridò:

-Io camperò più di te: mettitelo bene in mente. Vediquesta povera bestia? Aveva il cuore più buono del tuo!

-Io non ho voluto alludere a te.

-E a chidunque? Il cervello l'ho debole orama la ragione l'hosempre...

Carloalloracominciò a bestemmiare e a pigliarsela con il cane:

-Non poteva campare? La fatica per la buca non ci sarebbe stata; e némeno questa questione. Bada se per una carogna ci si deve offendere!

Eglifingeva d'essere arrabbiato; ma inveceaveva piacere chesenzacompromettersi luiGiacco facesse il viso bianco a quel modo. EGiacco guardava il canestando attento che gli altri non lopestassero per sbadataggine e per dispetto.

Masavenuta a vederlo mettere sotterrasi fermò un poco distantedalla buca; senza smettere di mangiaresebbene si sentisse agitata.Quand'ebbero finitosi picchiò il ventre con un pugnoedisse:

-Se mangio dell'altrole budella mi fanno gomìcciolo in corpo.

Giaccoalzò la testa e la guardò:

-Vorrei ridereallora!

Piuttostova' alle tue faccende. Creperesti prima di smettere! Lo capisci chemi fai rabbia?

Masamise il pane in tascae rispose:

-Sei un gran brontolone!

IlSignore lo sa!

Sospirò;eseguitando a camminare innanzi agli altriaggiunse tra sé:

-Pazienzapazienza!

Ellanon sapeva quel che avevano detto al marito.

Ghìsolaera stata mandata via da Poggio a' Melicon astuta precauzionedaDomenico; chevedendo il contegno poco sicuro di leinon volletrovarsi in impicci.

Ellaera andata a Poggio a' Meli a dodici anni ed era tornata a Radda adiciassette.

Conoscevaquasi soltanto di nome gli altri parenti e non aveva piùveduto le due sorelleche non le erano affezionateperchénon vivevano insieme; ma andarono a prenderla alla diligenzamettendosi le scarpe nuove e gli scialletti delle feste.

Ellaportò loro due anelli d'oro falsoper regalo. La baciarono epoi si trovarono tutte e due impacciate. Non sapevano se la tenevanonel mezzo; ecamminandocambiavano sempre di posto. La minoreanzisi mise dietro; equando Ghìsola la chiamò conséinvece andò lungo la proda sul margine erboso dellastrada; riabbassando la testa tutte le volte che Ghìsola sivoltava a leiperché non voleva far vedere che la guardava.Anche la sorella più grande parlò pocoanzi non disseniente.

Quandogiunsero a casadove l'aspettavano i genitoriGhìsola simise a piangere. Mapoifecero un bel pranzomangiando un conigliofritto e due galline in padella; due galline che avrebbero dovutocampareperché avevano le ovaie grasse e piene.

Ilpane era stato sfornato la mattina stessa.

Boriodi Sandroun vedovo amico della famiglia che aiutava anche con ildenaroaveva portato un fiasco del suo buon vino. Eil primogiornoquella mezza sbornia mise tutti d'accordo.

MaGhìsola non se la sentiva di faticare come le sorelleche lachiamavano tra sé la "signorina delicata". Nonvoleva saperne di starci insieme; equando le era possibileandavanel campo sola.

Nonle volevano malema lei trovava sempre modo di smetter subitoqualunque discorso che volessero incominciare. Anche alla messaandava sola; e ripensava a Poggio a' Meli. Già tornare a Raddaera stato un dispiacere; e Borio soltanto lo capiva. Ella gli dicevasempre che non ci sarebbe rimasta a costo di farsi ammazzare!

Unanno dopola sera di una solenne festa religiosaegli l'avevaaccompagnata alla processione su dentro il paese.

Erastata una processione con i contadini dei dintorni dietro ad unapiccola crocea coppiecon i loro cappelli in mano. Le ragazzetutte insieme dopocantavano leggendo in un libro tenuto aperto conambedue le manisempre a testa bassacome quando si va incontro aun vento impetuoso. Poi un'altra crocegrande e nerapolverosaconuna corona di spine e con i flagelli di corda pendenti. Poi il prete.

Ilvedovo ricondusse a casa Ghìsola che non aveva mai voluto dareretta a nessun giovinottoperché si teneva molto da piùdi tutti.

Sceseroper una strada ripidasempre più buiache porta fuori delpaese; accanto alle file dei cipressi foltientrando poi nei campi.Percorsero un sentiero scoscesoa metà di un grande poggionano e coperto di querci alte.

Ghìsolaa cui Borio piaceva moltocamminava un passo innanziun poco tristecome succedeva sovente dopo l'allegria insolita e quasi involontariadi una festa.

"Perchéella non mi guarda più?" Gettò via il sigaro cheora gli faceva male e gli aumentava la confusione.

Eranosoli! Tutta l'altra gente non si sa dove fosse scomparsa! èvero che qualche volta egli udivaprima di leirumore di passi; mapoi il calpisticcio si allontanava.

Parevache Ghìsola volesse farsi sempre più piccolacamminando quasi senza vedere; e se non ci fossero stato Borioa cuistava vicino ascoltandolo respiraresarebbe andata a battere inqualche proda.

Diquando in quandoinciampava; le sue gambe parevano intirizzite ecosì lunghe che ad ogni passo la facevano rintronare tutta. Eallora pensò di fermarsi. Credeva d'aver bevuto troppo; e sisentiva portar via la testa; senza avvedersenesospirava sollevandolungamente lo stomaco.

L'oscuritàcon la luna palpitante sotto un velo di nuvoleempiva ogni parte diombre fievoli e trasparenti. Allora egli la prese per manoed ellalasciò fare: gli pareva che Ghìsola fosse doventata unessere debolequasi buffa. Ma capì. La baciò; ed ellasi discostòtrasalendo. La baciò ancoraguardandodopo fissamente la sua nuca e il suo dorso solcato tra le spalle. Maforsenon sarebbe riuscito a baciarla un'altra volta! E siccome nonsi voltava a dietrole cinse la vita con il braccio.

Stavazitta! Ella aveva paura di parlarequanto dell'ombre di queicipressi: le qualiall'improvvisosubito fuori del paeseattraversavano la stradarisalendo come se fossero vivecon la cimasu per il muro della parte opposta.

Adun tratto si sedette a metà del viottolo sopra una pietranascondendo la faccia con lo scialletto caduto giù daicapelli; esoprale mani: mani che parevano di ferrocome le puntedel forcone.

Eglivolendole parlarepur non sapendo comedovette abbassarsi tutto.Non gli pareva di essere accanto a quella Ghìsola checonosceva da tanto tempo e che era con lui anche poco fa. Ellastrinse le gambe l'una contro l'altracosì insieme chesomigliavano ad un aratro voltato in sù.

AlloraBoriodopo una lotta silenziosacon le manipoté diresentendo già il rimorsosenza nessuna voluttà:

-Ti dico di sì...

tidico di sì...

Leloro ditasudatesi sguisciavano; egli aveva voglia distorcergliele: si guardavano come quando si sta per leticareperchéormai era impossibile smettere.

Ellaallontanò le gambe. Poi pianse.

Boriopiù anzianole incuteva anche una certa obbedienza. Aveva latesta grossa e con un birignoccoloil viso tutto rasato; e icapellia spazzolache gli coprivano fin giù le tempie: lesopracciglia come lunghe setole nere e attaccate insieme sul naso.

Ellastessa l'indomani andò a ritrovarlo; e ne divenne gelosa.

Adessoi suoi occhi parevano sempre molli; e i capelli più morbidi;con la fronte troppo piccola.

Borioci si era persoe l'avrebbe sposata. Ma anche il suo fattore lapossedette; e ambedueper gelosiane sparlavano con tutti: alloramolti di quei giovinottida lei respintinon la lasciarono piùin pace.

Andavanoa cercarla nel camposotto i fichi e i peschi; l'appostavanoquandotornavaattraverso i ginepri. Si doveva difendere a morsi e con leunghiepiangendo e rifugiandosi a casa di corsa. E allora le venivada ridere; e aspettava che passassero sotto la sua finestra. Qualcunocercava d'arrampicarsi anche su per il muro. Poi facevano lesassaiuole alla porta.

Ilfattore voleva tirare qualche fucilatacome alle lepri.

Maellaper non buscarne tutti i giorni dai suoie per essere piùindipendentetrovò servizio da una signora della Castellinaun altro paese distante da Radda pochi chilometri.

Lastrada da Sienadopo essere discesa fin giù ad un torrentedov'è un mulinosale in mezzo a linee contorte eraggomitolate di colli che s'assomigliano e della stessa dolcezzacon i filari delle viti tra i muriccioli a seccodi sassicon lefattorie dietro i cipressicon qualche campanile così lontanoche dopo una voltata non si vede più. E di mano in mano che lastrada s'aggiraquasi tormentandosi della sua lunghezzaimpazientesi fa sempre più silenziosa; e le campagne più aride esolitarie.

Visono poggi con cime pianelastricate di pietresterpigne: qualchecrocefatta con i pali delle vititalvolta abbattutain proda auna scorciatoia per i contadini e per le bestie.

Boschidi quercima radi; etra il fogliamesi vedono prominenze einsenature di altre collinescoscendimenti ripidi e a un trattopianeggianticon tre o quattro facce che si attaccano a ondulazionidi pratia ripiani di terra rossastraa balze.

DopoFonterutoliun villaggio come un angolo di casecon quattrobotteghela strada si fa ripidissima; e riesce ad esser piùalta che altrove.

Talvoltatutto un pezzo di bosco appare quanto è largoe un uccello vipassa sopra; da un doccioil solo che è per quella stradavecchio e sbocconcellatoscroscia l'acqua dentro un abbeveratoiomassiccio.

Ilsilenzio di quei boschile lunghe ore di seguito! è uguale aquello delle pietre aggavignate dalle radici degli alberi. Ma quandoil vento soffia da dove gli altri monti doventano quasi diafanigliscontorcimenti delle fronde impaurisconostrepitando e sibilando:ogni frondaristrettasi accostando insieme le fogliequando siriapre per tutto il bosco è un tremolio che s'attenuaaccompagnato da qualche suonoche sbalza da un punto all'altroflebile e melodioso. I ramicelli si schiantanole foglie sbattono sule pietraie; gli uccelli volano qua e là come portati dalvento.

Neltemporale tutte le querci si piegano insiemecon sforzoperabbassarsi. Le nuvole si fermano sopraquasi si mettessero aguardare; e par che né meno il vento riesca a smuoverle.

Talvoltasono immobili le quercie allora le nuvole passano.

Lastradadopo il villaggiosi volge a gomitoin salitacome unafetta bianca tra due spianatine di verde; poiall'improvviso edrittaprecipita per più di un chilometrotagliata tra imacigni; e allora si vede giù tutta la Castellina.

Ein quel puntoa destraseguitano altre colline poco piùalte.

Mentrea sinistrasono sempre più basse fino alle pianure della Vald'Elsa; con i paesi che sembrano piccole macie; poi cominciano laMontagnola e Montemaggio; e dietro a loro si stendono altre file dimontiche a vederli di lassù sono uguali alle nuvole lontane.

Cisi imbattequasi semprein un branco di pecoreche attraversano lospazio dove non sono piante e si rimboscano dall'altra partetrotterellando. Oppure scendono giù per una viottolal'unadopo l'altra; come si buttassero con il capo in avanti; e il pesodella prima le traesse dietro tutte.

Quanticarri verniciati di rossocon i bovi; e sopraper lo piùicontadini a coccoloni per stare più comodi!

Qualcheautomobileproprio delle primefaceva affacciare alla finestra eagli usci quelli che erano in tempomeravigliati che passasse traloro come se non ci fossero né meno stati; poi si scambiavanoil solito sguardo e tornavano alle faccende. Che fretta!

Ledonneche avevano i bambini a raspare la terraquasi in mezzo allastradagridavano imprecando.

Qualcunodi quei vecchi fattori arricchitistrettosi al muro più diquanto ce ne fosse bisognoandava a sfogarsi con gli amicisedutosopra uno sgabellocon il bastone di legno sbucciato tra le gambeappoggiando la schiena torta su le segolettele frustele funiattaccate alla bottega che vendeva anche lo zolfole spazzole e lebullette per le scarpe.

Sene stava lì magari due oresputando sempre dalla stessaparte; facendosi comprare il sigaro da qualche ragazzoper nonmuoversi.

-Andrebbero messi in prigionenon è vero? Ai nostri tempiqueste stupidaggini non c'erano.

Erideva spalancando tanto la bocca che si vedeva tutto il solco dellalingua a punta; una lingua aguzzata con il coltello.

Amezzogiornoquando il sole troppo caldo aumentava il silenzioeglicon l'orologio in manoaspettava che le campane suonassero:

-Tu che ora hai?

Lecampane si muovevano; tutti si alzavano come sorpresi: quasi avesserodovuto cambiar di posto anche le muraglie. Le botteghe erano chiusead un tratto. E coloro che abitavano fuori del paese si avviavano amangiare; indugiandosiperòal sole; come i cani chescodinzolavano a tutti.

Lametà superiore della torre era dentro alla lucee parevadovesse consumarsi come una fiamma.

Quandole campane tacevanose ne udiva una lontana sperduta tra leboscaglie; che continuava a cantare per conto propriomescolando ilsuono con i campani dei greggi.

Unaragazzavenuta da un altro paese vicino e conosciutosi portasempre con sé tutti i pregiudizi con le simpatie e le ostilitàche quello ha. Oraa Ghìsolas'erano aggiunte molte dicerie;che facevano ridere.

Ilpreteavvertito certo da quell'altro di Raddarimproverò lasignora che l'aveva presa al servizio. La giovine sentì in luiun persecutore fanatico: lo vedeva bene dalla sua fisonomia alteratae biancastrona quand'egli la guardava torcendo la bocca tutta da unaparte; con gli occhi noccioluti e miopi. Ed ella allora camminòpiù rimpettitapiù lascivacome un'anatra che tienealto il becco.

Comeodiava Raddaora! NoBorio non avrebbe fatto così conun'altra; con una delle sue sorelleper esempio!

Rivedevatutta la processione: anzi si divertiva riconoscendo a uno a unoquegli che cantavano senza badare a leidicendo mentalmente i loronomidietro quel crocifisso nudo e tarlato; con le gocce di vernicerossa come sangue veroche battesse in terraspaccando gli zoccolidi tutta quella calca! Le pareva che la processione entrassevertiginosamentedentro i suoi occhi! Il baldacchino un poco disghemboe la musica riecheggiatacome se suonasse anche la valletortuosaa nicchia: quella musica quasi che parlasse; e il suonodelle campane così forte da farle staccare.

Ghìsolaaveva creduto di trovare alla Castellina gente che s'occupasse menodi lei; ma questa differenza non c'era.

Tuttisapevano qualche cosa; e chi non la sapeva se l'inventava.

Ilsindaco ne era impensieritoperché doventava un veroscandalo; e diceva che certe donne stanno bene nella città enon nei paesi.

Epoialla Castellina! Ma Ghìsola gli piacevae ci facevainvece anche il galante.

Ellabenché ce ne fossero parecchinon trovò né menouno da farci amicizia; perchéappena si parlavanoc'erasempre la persona che li scopriva a andava a dirlo. Così nonavevano più il modo di riavvicinarsi.

Peri signorottipoisi trattava di un divertimento molto allegro; eognuno se la spacciava per sua amante.

Lamezza dozzina di signorinein fondola invidiavano che piacessecosì e che gli uomini la guardassero benché parlandonemale.

PerGhìsola doventava troppo; e bisognava venir via anche dallaCastellina: "Che ci facevalà sutra quelpettegolezzaio?".

Doponé meno un meseper mezzo di alcune amicizied'accordo conuna mezzanafu presa da un commerciante di stoviglie separato dallamoglie; il quale appunto voleva conoscere una ragazza di quel genere.Egliavendola trovata di suo piacimento e dispostala mise in unasua casetta nei dintorni di Badia a Ripoli; dove da tutti erachiamatoalla buonail signor Alberto.

EGhìsolamandando il suo indirizzo ai parentiscrisse d'avertrovato servizio.

Ghìsolaviveva più volentieri cosìquando Pietrovenuto iltempo degli esamiandò a trovarla.

Suonòal piccolo usciola cui vernice celeste s'era screpolata al sole. Lapiastra di porcellanabianchissimacon i numeri della casaluccicava alla luce; e i numeriturchinidanzavano es'aggrovigliavano.

Udìun calpestìo; e poi una voce di donna gli rispose nel momentoche la porta s'apriva. Egli salì in frettarespirando fortecome se il troppo fiato durasse fatica a passargli per le nariciefosse doventato liquido.

-C'è Ghìsola?

Ladonnaincuriosita e sorridendo del suo imbarazzogli rispose comeavesse risposto tutta la stanza:

-La chiamo subito.

Eglis'accorse che la sua prima impressione non aveva corrisposto a quellaaspettata: c'era una specie di ostilità. Non pensò anulla; ma cercò di ricordarecon quel che ne aveva provatola fotografia.

Ladonnastrascicando le ciabatteuscì. Pietro restòtroppo solo nel silenzio improvviso; e non avrebbe voluto esserci:gli pareva che i suoi sentimenti non avessero avuto nessuna relazionené con quel luogo né con Ghìsola. Ci stavaproprio lei?

Unraggio di sole penetrava da uno strappo dello stoino della finestrafino al mezzo della stanza; e dal raggio si diffondeva una chiaritàtranquilla. Ma quel silenzio sembrava un abisso e un agguatoinspiegabili! Nondimenoegli si sentiva lieto. Udì alcunipassi rapidi: era Ghìsola.

Riconosciutolorise e arrossì; poirimase il sorriso soltanto.

Edegli credevaguardandoladi non vedere il suo volto; e non fucapace di salutarla.

Alloraella lo toccò sopra una manolo invitò a sedersi; e siappoggiò alla tavolaaspettando che parlasse.

Lìper lìun poco sconvoltas'era sentita prendere dalla vogliadi piangere; vincendosi perché la vedesse subito imbellita.

Lastriscia della luceessendo su la sottanaaumentava la chiarità.

Lasua buona Ghìsola! L'aveva ritrovata! S'alzò di scatto;eallorapoté chiederleguardando una parete:

-Da quando sei qui?

Ellaglielo disse con una disinvolturache a Pietro dispiacque; etenendo le mani insieme dinanzichiese:

-É fidanzato?

-No.

Maebbe vogliachi sa perchédi dirle una bugia.

-So che è fidanzatoinvece.

Feceun gesto di furbizia; e ripresecome se avesse parlato di una cosache la mettesse di buon umore:

-Crede ch'io non sia informata di lei?

MaPietroper la contentezzaera incapace di parlare.

Ellase n'avvide e le apparvetra gli occhi e la boccaun segno didolcezza. Allora Pietrocredendo giunto il momento opportunodissesenza guardarla:

-Ho pensato sempre a te.

Ghìsolasi volse verso uno degli usci: parve che la striscia di lucemovendosi la sottanavolesse andarsene; e Pietro chiesesottovoce:

-Credi che ci oda quella donna?

InfattiGhìsola aveva sospettato proprio così; ma s'erarallegratapensando alle risate che ne avrebbero fatte insiemepigliandosiper il troppo riderele braccia. Quasi si dimenticavadi rispondergli; mavedendo il suo imbarazzodisse:

-Potrebbe ascoltare. Non importa!

-Chi è? Perché sta con te?

Ellanon si trovò a corto di bugie; edopo aver cavato la linguafuori per dire: "quante ne vuol sapere!" gli rispose:

-É l'amica della mia padrona.

-É sola la tua padrona?

-Sola: tiene questa donna per compagniaperché non fa entraremai nessun uomo.

-E ci stai volentieri? Come ti tiene? Hai da affaticarti troppo?

-Ohmi vuol bene!

Eglipensò: "Si è affezionata ora a leicome prima aGiacco e a Masa!". E disseper timore e per riguardo di lei:

-Penserebbe male di te la tua padrona se mi trovasse qui? Dov'èora?

-Tornerà più tardi del solitooggi. Bisogneràch'io le dica che ci è stato lei.

-Diglielo; non ti rimprovererà. Non devi esser bugiarda.

Eglicosìvoleva alludere ai loro rapporti. E intanto simeravigliò del modo di fare di quella casa e di quella donnadi cui Ghìsola si preoccupava così poco. Ma ancherifletteva che ella doveva lavorare per vivere. Allora uno scrupololo prese: non doveva prometterle a un tratto il suo amoreper nonoffenderla: era stata la sua contadinae avrebbe potuto noncredergli. Mavinto dall'impazienzadomandò:

-E tu hai mai pensato a me?

Sentìche con queste parole s'era riallacciato al suo sentimento; ecredette di chiudere dentro esso anche Ghìsola. Era necessariostrapparla da quella genteche la teneva con sé e che eglinon conosceva!

Divennetaciturnoed ella fece una di quelle mosse che rivelano di scorciotutte le abitudini di una esistenza. Pietro non compresema peròle domandò:

-E nessuno ti ha mai voluto bene?

Ellanon rispose: egli ripeté la domanda. Non rispose lo stesso:credette di aver preteso di sapere troppo per la prima volta.

Avrebbedovutoperòesser subito sincera! Allora si chiese se potevaparlare con la stessa confidenza di prima; e sentì una gransimpatia per quel silenzio improvviso d'agguatoperché perlui era una cosa insolita.

Ellaaspettò che rialzasse la testacon una fisionomia tra bonariae astuta; e gli chiesequasi scherzando:

-Le piaccio adesso?

Eglinon volle rispondereprovando una gran contentezza.

All'infuoridi loro e della stanzanon esisteva più niente!

Ghìsolaproseguì:

-Mi amerebbe ancora?

Allorarispose con sforzocome se avesse parlato con la voce di un altro:

-Se tu non hai amato mai!

C'eraun silenzio tale che ambedue credevano d'udire i movimenti delle lorocongiunture; ed evitarono di guardarsi.

Egliebbe compassione che fosse serva e che la padronarisapendo dellasua visital'avrebbe forse umiliata rimproverandola. Andòverso la finestradiscostò lo stoino verde; e videin unoabbarbagliamento di solealcune aiuole fiorite con bambù nelmezzo. Ghìsola gli si avvicinò in frettacon un passosolo; e lo trasse indietro:

-Non si affacci!

Eglis'intimorì come se stessero per staccarsi tutti i mattonidella finestraper colpa sua. Ma quando Ghìsola lo toccòsi sentì impallidire. Come una volta!

Elladopo essersi subito scostataprima che egli si riavessedisseridendo:

-Mi vuol bene ancora; è vero.

Pietrorise per imitare Ghìsola; sentendosi girare la testa come dopoun pericolo. Ghìsola fece l'incredulaaggiungendo:

-Ma non a me sola!

Egliera incapace di qualunque riflessione; e le sue parole seguivano unacontinuità incosciente.

-Perché mi rispondi così? Se te lo dico io...

Gliparve che anche le sue mani parlassero. Ad un tratto percepìGhìsola lontanafuori d'ogni illusionesentendo come unpresentimento nemico che avrebbe dovuto combattere per chiamarla asé. Il suo sogno d'amore era ancora remoto! Come profondamenteaveva sognato!

Cheera bella non glielo doveva direper non farle un complimento chesembrasse magari equivoco; e poi perché la sua bellezza nonsarebbe valsa a niente se non avesse avuto anche un istinto profondodi onestàproprio come lui.

Volevache avesse la coscienza dell'onestàe che ne fosseorgogliosa. Questo era necessario; per quei principii morali che inlui si fondevano con quelli di redenzione e di giustizia nella vita.Perciò egliper primodoveva dargliene l'esempio. E sipropose di spiegarle tutto in seguito.

Nontrovava più che dirle e gli pareva che qualcuno gli imponessed'andarsene. Si piantò in mezzo alla stanzadette un'occhiataa Ghìsolale stese la manoe uscì lentamente; nonsapendo come uscirebattendo una spalla nell'uscio.

Ellafu contenta che la visita fosse finita così in frettaperchéavrebbe potuto giungere il suo amico.

Lascala era di mattonelle consumateconcave e sottili: guardandolegli pareva che i suoi piedi le sfondassero.

Ungrande tremito lo scuoteva. Richiuso l'uscio con un tonfo che gliparve troppo fortealzò gli occhi e vide Ghìsolaaffacciata ad una loggetta di ferro: lo salutava muovendo il capo. Maegli non ebbe la forza di risponderle: si voltò due voltesempre con il desiderio che fosse lìtutto intenerito per leio pensando che aumentava sempre più l'impossibilità dipoterla salutare. Ed entrò in città senza némeno avvedersene.

Quantunquecamminasse sul marciapiede rasente il muro dell'arginenon guardòl'Arno con poca acqua verdastra dove era qualche strisciaturaturchina. Fermi sopra una specie di penisoletta fatta dal fondo delfiumestavano alcuni barrocci già carichi di rena; e lìattorno l'acquapiù bassa che altroveera tutta guizzi discintillamenti.

Talvoltail rumore della città pareva più distantespostarsiverso un altro puntoper tornare un momento dopo; e siccome Pietrocamminava in frettadi quando in quando doveva soffermarsi per aversbagliato strada.

Giunseal Lungarno degli Archibusieri: il Ponte Vecchio con i due piloni chesorreggono le case degli orefici come picce e insieme con le altreche stanno aggrappate sopra le mensole ad archi e sopra i puntelli dilegno verniciato di rosso: le pareti sono fatte a brandelli dallefinestre troppo larghe e troppo fitte.

Dilà d'Arnocase strette strettegrigiesporchevecchiequasi abbiano paura di essere rovesciate giù; case comestrisce sottilid'ogni coloreattaccate con quelle del ponte;rettangoli di case e rettangoli di acqua: tutti di seguitodiseguali.

L'Arnorasentava gli archi delle mensole: il suo silenzio e quello dellecase faceva udire i brusii lontaniintonati quasi sempre con qualchecampana; e i cipressi di Torre al Gallo su nell'aria con unaimmobilità dolcissima.

Diqua d'Arno le botteghe semichiusearse dal solecon l'ombra troppocalda delle loro tende corte; con le strade che entravanodesertenella città.

Mentredalla chiesa di San Miniatoe dal Belvederegli alberi come unasiepe altasparsa di ville bianche e scendenti dietro i tetti diBorgo San Iacopo.

IlPoggio dell'Incontro aveva una chiarità celestrina.

SulPonte Vecchio il vento sbatteva le tende scolorite degli oreficiportava la polvere delle strade sopra il fiume. Ed ecco le statuecandidecon le ombre gialledel Ponte Santa Trinità; chefinisce tra l'abside della chiesa di San Iacopoa sponda del fiumee tra la chiesa di Cestello. Poi il campanile di Santo Spiritodinanzi alle case più rade e più basse; fino alleciminiere del Pignone. Equasi solitarioil Ponte della Carraia: infondoi primi alberi delle Cascine; nella luce e lontani.

Tornòa casa molto tardi; cambiò di posto ai libri portati da Sienatolse dalla valigia tutta la biancheria. Durante la nottesi svegliòdue o tre volte; eprima di riaddormentarsisi dissesempre congioiaa voce alta:

-A domani c'è poco!

Stetteindeciso tutta la mattinae la sera le scrisse; perchésentiva d'amarla da vero. Di Ghìsola non si ricordava comefosse il volto; ma piuttostosenza vederli chiaramentegli parevache si ripetessero i suoi movimenti intorno a lui. Il colore del suovestito era doventato una luceche di quando in quandosopraggiungeva come un lampo.

Ghìsolasi fece leggere la lettera dal suo amico; a cui aveva giàdettoa modo suodella visitanon fidandosi della lingua diBeatricela donna di servizio veduta da Pietro.

Ilsignor Alberto le domandòridendo:

-Perché ti scrive? Sembra che ti ami da molto tempo. èuna lettera curiosa. Fammela rileggere.

Adogni frasequesta voltasi fermò per guardare Ghìsolache gli stava appoggiata ad una spalla. Riprovavano quei sentimentiche c'erano espressisapendo che non sarebbero stati possibili aloro. Finita la letteraegli baciò l'amante:

-Questo è suo.

Ellastrappò il foglioe si miseper farlo ridere di piùma anche per l'allegrezzaa camminare con i tacchi e a girare su sestessa. Egli ci si divertìma chiese:

-Come fai a volergli bene?

-Così.

Erifece un gerbo sentimentalecon tutta la persona.

-Però tu non mi dici ogni cosa.

Laprese per un orecchio e le domandò sottovoce:

-Anche a lui?

Ellasi rialzò tutta e impallidìrispondendo piùlesta che le fu possibile:

-Te lo giuro. Ma se mi sposaperché non vorresti?

Egliallorasi sarebbe perfino scusato!

-Soltanto voglio esser certoper il bene tuoche ti ama da vero eche è riccocome tante volte hai sognato di trovar qualcuno.

Altrimentimi pare che potresti restare dove sei.

-Se è ricco? Suo padre ha dieci poderi e una grande trattoria.

-Ma il suo consenso?

-Scommetto ce l'ha mandato lui.

Ilsignor Alberto credette a Ghìsolae ne fu contento.

Mentreella prendeva i piatti dalla dispensa per metterli su la tavolapensò che avrebbe potutose gliene fosse venuta la vogliarestarle amico.

Mai suoi affari non andavano bene e bisognava allontanare da séquella vita troppo pacifica e troppo oziosa.

Ghìsolalo spiava quand'eglisenza accorgerseneabbassava la testa;aspettando la sua più intima risoluzionequella forse cheavrebbe nascosta. Temendo che stesse troppo a pensaregli disse:

-Che cosa c'è stasera? Sei tornato con i nervi?

Eglisorrise e rispose:

-Hai ragione; io sono troppo anziano per te; e ti sacrificherei. Sonoio che voglio che tu ti faccia sposare.

-Ma perché ne parli? Ce n'è bisogno? Mi fai rabbia.

-Sei tu che ne parlicara Ghìsola! Ma mi viene una buona idea!

-Dimmela!

-Devi comportarti in modo da potergli far credere dopo che t'ha fattorestare incinta lui! Non ti sarà difficile. Non ti piace?

Ellasi morse le labbrain frettacon le spalle volte al lume.

Poisi mise a girare un dito intorno all'orlo del suo piatto.

Eglile chiese:

-Ebbene?

-Non gli rispondo né meno. Se torna quigli butto un secchiod'acqua addosso.

Esuonò il campanello elettricoper chiamare Beatrice cheportasse la cena. Ma il signor Albertocome se concludesse le sueriflessioniesclamò:

-Tu doventi più ricca di me.

Eaggiunsecon una certa serietà:

-Basta però che tu non lo faccia venire in casa mia...

Ellasentendosi in fallovolse la testa.

-...a fare il comodo vostro.

Ellarise. Allora egli s'intristì:

-E non voglio che tu ti faccia vedere insieme qui dalla gente diBadia. Mi conoscono.

Ementalmente proseguì: "Perdo anche lei. Doveva esserecosìmi pare". Procurò di sorrideresi lisciòi baffiandò a guardarla negli occhile dette un pizzicottoche le fece male.

-Hai inteso?

Ellarise per non piangere. Egli non aveva voglia d'intenerirsi; e chiesecon diffidenza comica:

-Non ti riesce a farti baciare da lui?

Eaggiunse per burletta:

-É più furbo di me; perché tucon mehai fattoquello che hai voluto.

Scoppiaronoin una risata; e siccome la donna entravasi sederono a cenare.

Ghìsolalusingata perché aveva capito subito quanto Pietro l'amavainvece di rispondergli con un'altra letteraandò lei stessa atrovarlo. Non poteva darsi che la sposasse da vero? E allora sarebbetornata a Siena non contadinama padrona.

Quand'ellaarrivòPietro stava in camera con un libro in manoma senzastudiare; arrotolava con le dita i lembi delle pagine.

Invecedi due esami ne aveva dato uno solo; e pensava a Ghìsola.

No;egli non doveva andare agli esami! Doveva fare in quel modo!

Quand'ellaaprì l'uscio senza aver né meno bussatoil cuore glifece un balzo. Ed esclamò:

-Vieni! Ti aspettavo!

Ellaun poco seriasi sedéalzando la veletta fino al cappelloornato di violette finte; ed egli le disse:

-Lèvatelo.

Eglinon aveva mai detto così a nessuna donna!

Ellaquasi che lo sapesse o lo sentisse dalla vocesorrise di buon umore;e dopo aver esaminata con affettata diffidenza tutta la stanzaandòallo specchiosfilò lo spillose lo mise in boccalo posòcon il cappello sul marmo del canterano.

Averlasposata subito! Com'era bella!

Sisederono a facciaprovando egli un piacere impacciato a sorriderleed ella badando a fare come lui. Poi avvicinarono le mani insiemesopra il tavolinoed egli le pigiò ad uno ad uno le ditainsilenzio; come per convincerla che non c'era niente di male.

Ilsole faceva doventare rosse le stecche della persiana chiusa.

Eglisi alzò e la baciò; ed ella socchiuse gli occhi. Manello stesso tempo avrebbe voluto rimproverarla dicendo: "Tipuoi fidare; ma se io non ti amassi così da vero?". E leteneva strette le maniper provarle che l'amava; piacendogli il suoodore di sudore.

Ghìsolaabbassava la palpebre tutte le volte che incontrava il suo sguardo;ma gli sorridevaquasi invitandolo a capire e a smettere di amarla aquel modocon la pretesa di non esser mai stata di nessuno. Poitossì e appoggiò il dorso alla sedia per stare piùdiscosta.

Elladunqueera sua! Ma che le dava in cambio di tanta gioia? E perciòle chiese:

-Puoi amarmi anche tu?

Ghìsolatacquepiegando la testa. Egli insisté per farsi rispondere;con una dolcezza che voleva fosse apprezzata. Allora ella lo baciòper la prima voltacome se non sapesse baciare; strofinandosi poi ilfazzoletto alla boccaquasi fosse pentita; e disse lesta:

-Bisogna che torni a casa.

Pietropensò: "è bene in fatti che non stia molto tempoqui!".

Ele chiese il permesso di ribaciarla. Ghìsola allora finse dirimproverarloperché non glielo aveva chiesto anche prima;mortificandolosenza ch'egli sapesse quel che rispondere: il nerodelle sue pupille aveva quella lavaturache pigliano le cose quandostanno in fondo all'acqua.

Manel mettersi il cappellosi bucò con lo spillo un dita.Poteva farsi male anche se egli era lì! Le afferrò lamanoguardando la stilla di sangue che ingrossava sempre di più;e quando fu per caderela succhiò.

Ellalo lasciò fareincuriosita. E gli sorrise come a un ragazzo;già con una dolcezza ch'era più confidenziale e piùbuona.

Pietroinebriatole disse:

-Me ne ricorderò sempre!

InPiazza Beccariae gli alberi mossi dal vento pareva che non cidovessero entrare piùil fazzoletto le cadde di mano. Egli loraccolsee lo tenne finché non si lasciarono. Il fazzolettoera quasi la stessa cosa con il vestito di lei.

-Quando torni?

Ghìsolanon sapeva se il suo amico le avrebbe fatto far subito da vero quelche voleva.

-Non lo so...

Pietrosi sforzò di capire se ne dovesse pensare bene o male: certogli parve impossibile ch'ella se ne andasse.

-Domani?

Magli dispiacque insisterenon sapendo se sbagliava.

-É troppo presto. Tra cinque giorni.

Ellasorrise soltanto per prendere tempo.

-Pensa che t'aspetto... Non mi credi? Dimmelo che mi credi...

-Lo so.

Esorrise un'altra volta.

-Ti posso scrivere?... Ma sai leggere?

-No.

Eavrebbe invece voluto mentireguardandolo più volentieri conalterigia; ma arrossìabbassando il volto.

-E chi ti leggerà le lettere? Una donnanon è vero?...Bada di fartele leggere soltanto da una donna.

-Da una donna: c'è bisogno che tu me lo dica?

Earricciava con una mano il labbro di sotto; Pietro la guardavarapito; poiper rassicurarsi che non fosse costretta a mentirglichiese:

-Quella che vidi quando venni a trovarti?

MaGhìsola se ne accorse e rise; rispondendo:

-Un'altra. Non venire più oltre.

Eglidisse:

-Torna presto.

Edebbe questa riflessione istantanea: "Perché l'obbedisco?Ma ciò mi procura un senso di piacere e d'orgoglio!".

Ellase ne andòsenza voltarsi mai. Ed egli stette a vederlasparire dietro una piegatadov'era un cipresso ritto sopra un muro;come un'estranea che non sapesse né meno niente del loroamore; mentre quel che aveva provato gli pareva più reale dilei stessa.

Unafogliastaccatasi dall'albero di un giardinogli rasentò ilvolto; se fosse stato a Poggio a' Melil'avrebbe presa.

Ghìsolaa pena distantele parve di aver perso tempo e basta.

Tuttii giorni Pietro l'attese: la rivedeva lì con le braccia sultavolino. Ma la sensazione d'averla trovata soltanto e di non amarlacresceva. E non andava agli esamiquantunque ci pensassecontinuamente e s'imaginassecome in una allucinazione che lospaventavad'essere interrogato e di non rispondere.

Andòinvece a cercare Ghìsolacon un'impazienza che lo facevaperfino piangere.

Ellastessa aprì l'uscio; e Pietro fu sorpreso di amare proprio leinel momento che le chiese:

-Mi aspettavi?

Ellaper tenerlo a badarispose:

-Forse.

Alloraquantunque provasse una specie di contrarietà anche a parlaregli venne detto:

-Non potremmo stare insieme nella strada? Sei sola?

Ghìsolarifletté; e poi rispose:

-Aspettami dinanzi alla Badia.

Pietronon ne provò nessun piacereperché il senso disagevoled'una menzogna indefinibile l'opprimeva. L'aspettò soltantoper non mancare a ciò che egli stesso le aveva chiesto.

Tiravavento; ma c'era dovunque il sole ardente e di luglio. Per la stradadi Bisarnoalcuni cipressi si movevano in fondo alla svolta. Epareva che la luce fosse continuamente cambiata dal vento. Oliviinfilasporgevano con i rami lungo un muro. E le loro chiomed'unverde tenerovi sbattevano sopra. E anche le loro ombre parevanochiome: a pena si distinguevano da quelle vere.

Ellavenne a passi rapidi. Era senza cappello e portava al collo unacatena con un cuoricino d'oro.

Pietrotemette d'esser ridicolo dicendole che doveva tornare a Siena. Mainfineella gli chiesedopo aver camminato in silenziomentre eglile guardava sempre le mani:

-Quando vai via?

-Domani.

-Non ci vedremo piùdunque!

Eglisorpreso di quella calma un poco scherzosachiese sospirando:

-Penserai sempre a me?

AlloraGhìsola risposecon convinzionequasi con ubbidienza:

-Sempre.

Poilo guardò e vedendo la sua scontentezzarispose:

-Tu pensi ch'io ti ami poco.

Egliquantunque fosse verorispose:

-Mi fido di te.

Ghìsolatenendo la testa bassarisorrise; ma questa volta la bocca s'indugiònell'atto piacevole.

Quellastradadove il vento sollevava qua e là nembi di polverebiancasenza farsi sentireera così solitaria come non cifosse mai passato nessuno. Ghìsola gli pareva bella in unaltro modoe più grassa. "Sìanche così èvestita bene!". Ma egli non poteva levare gli occhi da quelcuoricino: glielo voleva portar viaperché se no l'avrebberoguardata di più proprio nel petto.

Ghìsolase ne accorse e aspettava. Eglialloraquando vide che se n'eraaccortale disse:

-Perché lo tieni?

Ellaarrossì e parve che volesse proteggere il cuoricino.

-L'hai comprato tu o ti è stato regalato?

-Regalato.

-Dimmi chi. Dimmelo subito.

Eglisi soffermò dinanzi a leie l'obbligò a fare lostesso.

-La mia sorella Lucia.

-Quanto tempo è?

-Annoquando venne a trovarmi.

-E ti vuol bene?

-Lei sìma io no.

-Perché?

-Non lo so...

-Perché? Dimmelo. Se non lo dici a me!

-Non lo so. Non ci assomigliamo di carattere.

Eglipensò che potesse esser veroperché eranocompletamente dissimili anche di persona; e ne ebbe piacere. Manondimeno era geloso lo stesso anche della sorella. E le disse:

-Te ne comprerò uno ioe porterai il mio. Ossia il tuoperchéniente è più mio.

Seicontenta?

Ellaaveva voglia da vero di ridere; macertonon era il momento. Invecetornò indietro senza dir nulla. E siccome si mise a camminarelesta lesta come se avesse fatto tardiegli chiese:

-T'aspetta quella donna?

-Sìsiamo stati imprudenti.

-Ma perché dici cosìse io ti amo da vero? Tu non devipreoccupartene.

Ellasorriseed allungò il passo senza rispondergli.

Pietrolasciò che arrivasse sola nella piazza; poifacendo fintad'aspettare qualcunocamminò lì d'intorno. Ma nonc'era nessuno!

Videun cane che scappava con la groppa ossutaad arco.

Perla strada di Grassinaguardò la collinetta d'un verde pallidoe sbiaditotutta oliveti; con cipressi qua e làmescolatisottili.

Arrivatoda quella svolta un tranvaiegli vi salì. Quando alzògli occhi era già dentro Firenzepassato di poco la Barrierasul Lungarno biancheggiantee vide da quel punto tutti i campaniliinsieme.

Pietrosi commoveva fino a pensare: "Se anche fosse disonesta pernecessità di non patire la fameio non potrei approfittarne.

Piangerei.L'aiuterei a fare in modo che si cambiasse. Qualcunoallorapotrebbe stimarla e sposarla. Ma me lo avrebbe detto.

Perchénon me lo dovrebbe dire?"Eper contrasto al dubbioglipareva d'una purità mirabile.

Allorane era geloso e piangeva. "Deve esser mia! Voglio amarla io!Perché non dovrei amarla?" Non era anche il suo doveremorale?

Macome trovare il modo di star meglio che in casa del padre?

Ghìsolagli aveva detto:

-É ricco; dipende tutto da lui. Ma egli non vorrà dicerto.

Domenicoquando Pietrotornato da Firenzegli disse ch'era innamorato diGhìsola e chese fosse stato contentoaveva deciso disposarlanon gli rispose né meno; ma si sentì aizzatocontro di lui come la volpe quando le hanno accesa la paglia dentrola tana.

Degliesami tacquero ambedue. Pietro per non fargli sapere la veritàe Domenico per tentare che non ci pensasse piùma con lavoglia di sbatterlo nel muro come un cuscino.

Pietrotornava solo da lunghissime passeggiate in campagnadopo essersiconsigliato anche con l'aria. Talvolta gli era parso impossibile cheGhìsola avesse amato qualcunoperché sarebbe stato unacontaminazione della sua bellezza. Piuttosto era lui un geloso!

Talvoltasi diceva: "Sono proprio a Siena? Non mi pare la stessa.

Certamenteil suo cielo ora è più azzurro di prima: non era cosìuna volta". Notò che d'estateverso seranella Piazzadel Campo rimane una luce pallida e tepidaun avanzo del meriggio;simile alla luce d'una lanternache illumini soltanto làdentro; mentre le personeche attraversano quello spaziosembranolontane nel tempocon un silenzio indefinibile.

"Quandoci sarà anche Ghìsolale dirò quel che provo."Tutte le mattine si svegliava con un sospiro. E come si ricordavabene dei sogni!

Masenza Ghìsola non poteva vivere; everso la metàd'agostodecise d'andare a prenderlaperché tornasse a Raddaad aspettare il loro matrimonio; un anno forseun anno e mezzo alpiù. Perché non avrebbe avuto il consenso? Intantofacendola stare a Raddasi sentiva più sicura di lei.

DaRebecca si fece prestare il denaro per il viaggio.

Maa Firenzein quelle poche oregli pareva d'esser sempre a Sienaincima alla via di Camporegiodove era andato tutti i giorni quandofaceva la scuola tecnica. è breve la distanza tra la mole rudee rossiccia di San Domenico e le case che s'arrampicano alla rinfusaun'altra voltain ogni direzione attorno al Duomofermandovisisotto a pena che lo toccano; maa guardare di lì laprofondità vuota di Fontebrandaci si sente mozzare ilrespiro.

L'Ospedalealto su le murarosso sanguelo vedeva doventare del colore dellaterra bruciata; il turchino del cielobigio. E poi le prime stellequa e làcosì sparse che gli facevano angoscia.

Ivicolisimili a spaccature e a cretti enormis'anneravano.

Trai giardini e gli ortil'uno più alto dell'altrochiusidentro i muri rettangolariche spesso hanno a comunenelleinsenature o nelle sporgenze delle collinee seguendo i loro pendiidisegualiil barlume della notte gli sembrava che cadesse comequando piove a dirotto.

Unbriaco cominciava a cantare e poi smetteva. La Costaccia come ilparapetto d'un abissoe il Costone quasi a picco; con il suo arcogreve e largo che lo tiene fermo perché sopra ci passiun'altra stradasalgono di squincio verso le case.

Nondue tetti della stessa altezzaanche se accanto. Grumoli piccoli egrandi di case che s'allungano parallelamente obliqui e storti:alcune volte le case stanno a due e tre angoli l'uno dentro l'altroa cerchioa nodiserrate insiememescolateaggrovigliateconcurve rotte o schiacciatesempre con improvvisi cambiamenti;obbedendo alle forme delle collineai pendii e alle svolte delleviealle piazze che dall'alto paiono buche.

Adun trattouno stacco tra due casee poi le altre che s'afferrano esi tengono ancoracon forzapigiandosi e abbassandosi e poirisalendo e girando per sparire leste leste dietro quelle che hannoun movimento affatto diseguale e che vengono incontro dalla parteopposta; salite su; ma anche queste s'interrompono quasi subito perdoventare una raggiera più largairregolaretutta pianaoppure contorta; dentro la quale si mettono e s'avventano casedisghemboa traversocome riescono e possono; spinte da altre chefanno l'effetto di volersi accomodare meglio ed assestarsiciascunaper conto proprio.

Lecasebassissimequasi per affondare nella campagnada Porta Ovileda Fontebrandada Tufisorreggono quelle che hanno a ridossoletrattengono dalla loro voglia di sparpagliarsi più rade; ipunti più alti sono come richiami alle case costrette adobbedire per non restare troppo sole.

Neirialzi sembra che ci sia un parapiglia a mulinellonegliabbassamenti le case precipitano l'una addosso all'altra; come frane.Oppure si possono contare fino a dieci file di tettilunghe lunghesempre più alte; di fiancoaltre file che vanno in sensoperpendicolare alle prime.

LaTorre del Mangia esce fuori placida da tutto quell'arruffio.

Eattorno alla cittàgli olivi e i cipressi si fanno posto trale case; come sevenuti dalla campagnanon volessero piùtornare a dietro.

Magli pareva d'essere inseguito da suo padrepur sentendosirasserenato dal campanile di Giottoda Santa Maria del Fioredaquelle strade che conoscevagià percorse in quella specie diperdizione sempre più accanita. Aveva voglia di riparlare conqualcuno dei suoi compagnidi spiegare a loro l'equivoco avutoecome si fosse perso per una ragione che non sapeva dire; per quantogli dispiacesse tenere segreti anche ora che sentiva la necessitàsquisita d'aver qualche cosa da nascondere; una cosa che forse eracome la sua anima stessa.

Unvenditore di limonisotto un ombrello verde con le stecche di legnoera seduto al principio del Ponte alle Grazie. Qualche facchino equalche persona indefinibile sonnecchiavano appoggiati al muricciolodell'argine.

Un'allodolavolò dagli alberi di San Miniatoverso le Cascinecome unacosa scintillante.

Andandoverso la Piazza della Signoriafresca e annaffiatasi cominciava arivedere la gente: più fitta in Via Calzaioli e nella Piazzadel Duomo. In fondo a Via Cavouril poggio di Fiesole; alto e verde.

ABadiaquando scese dal tranvaiPietro arrossì quantunque nonci fosse nessuno. E scrutò sotto le persianeper scorgerviqualche viso che guardasse nella strada: soltanto piante di geraniipolverosi.

Apertoglil'uscio proprio da Ghìsolache però non lo feceentrareegli subito si dolse che non fosse già andata aRadda; ed ella rispose che aspettava lui e voleva prima esser sicurache i suoi genitori l'avrebbero volentieri ripresa in casa.

Gliera inspiegabile la sensazione di trovarsi con lei già datanto tempo.

-E perché no? Sono cattivi con te?

-Io non ci sto volentieri.

Glifece caso che rispondesse proprio a quel modo e non altrimenti.L'accarezzòpregandola:

-Tu non mi devi rispondere di no; deve aspettare a casa tua. Mi faraipiacere.

Poipensò: "Perché le domando di fare così?".

-Se tu vuoi...

Vistoch'ella era per ubbidirechiese:

-Vieni a Siena con meallora.

Ellasorrise e gli fece cenno di tacere.

Eraconvinto che dovesse provare una gran dolcezza ad ubbidirgli; maGhìsolache aveva voglia di scherzare più che d'altrogli chiese:

-Ti piaccio meno?

-Perché dovresti piacermi meno?

Ele accarezzò tutta la faccia: ella si discostò e gliguardò la punta delle dita.

-Perché non vuoi? Ti aspetto nella stradaverso la Badia.

-Verrò. Ora vattene.

Lebaciò ambedue le manitenendogliele insiemementre ella sitirava a dietroquasi chiudendogli l'uscio in faccia.

Edegli pensavascendendo le scale: "Ha sofferto. Soffre perchédeve stare in una casa che non è sua. I genitoriforsenonle hanno più scritto; i parenti la invidiavano. M'èparsa più sensuale; ma io devo rispettarla lo stessoanzi dipiù; dopola odierei".

Invecenon gli fece caso che potesse venirsene via così a pena gliene aveva parlato.

Ilsignor Alberto s'era impigliato in un processo di fallimento; e dauna quindicina di giorni non si faceva più vedere da nessunoné meno da leiche andava a trovarlodi radoqualchemezz'oranello studio d'uno dei suoi avvocati dove ormai passavatutto il suo tempo. Egli l'aveva pregata di tornare a Raddasoltantofinché il processo non fosse finito; anche perché iparenti della mogliech'erano tra i testimoniinon soffiasseronella brace.

Denarinon li dava più; epiù d'una voltaGhìsolaaveva dovuto cominciare a contentarsi di pane mangiato soltanto conqualche frutta. Manon volendo tornare a casa e non avendo doveandareaspettava prima di decidere qualche cosa.

Cosìnon avevadunquedopo l'arrivo di Pietroche da incaricareBeatrice di salutare il suo amicopregandolo che non ladimenticasse.

Tuttaviaper farle ricordare che Pietro l'aspettavaci vollero le altrepersuasioni di Beatrice; alla qualeevidentementeil padrone avevaricorso anche per questa faccenda.

Ladonna l'abbracciò piangendo; con una tenerezza che la fecesorriderelacrimando.

Pietrolontano dall'uscioad ogni passo che udiva sperava che fosseGhìsola; finalmentela vide.

Nonpronunciarono né meno una parola: c'era tra loro una specied'ostilità rispettosa. Ella volgeva gli occhi attorno; ed egliseguitava sempre i suoi occhi che lo evitavanoquantunque paresseche lo vedessero lo stesso. Tuttaviada poche parole che avevanodovuto dirsisentirono svanire il loro ritegno.

Quandoil tranvai si fermòsalirono.

Ellaaveva un cappello di pagliacon un solo nastro di velluto nero; unaveletta chiara sul voltoi guanti di filo bianco.

Pietros'accorse di quell'eleganza grossolana; e perché se ne sentìcommossole toccò una mano. Eglicertosposatalal'avrebbefatta vestire molto meglio. Ma tutti la guardavano; ed egli ne eracontento per lei.

Andaronoin fretta dalla Piazza del Duomo alla stazioneperché c'erapoco tempo alla partenza del treno. Nelle vie la folla li facevasovvenire di se stessi e della loro decisionecome se trasalissero.Eallorasi guardavano negli occhi. Ma presero lo stesso il trenoper Siena; quasi senza parlarsi mai. Soltanto quando il loroscompartimento fu più vuoto egli le disse:

-Perché non t'alzi la veletta?

Ele soggiunse sottovoce:

-Ti vedrò meglio.

Ellaobbedì; e si sederono l'uno di fronte all'altro.

-Se ti vuoi riposarevengo vicino a te. Vuoi appoggiare la testa sula mia spalla?

-Non importa.

Sisentivano legati dai loro sguardicome dalle loro anime; cheparevano pesanti.

Tuttala campagna correvacorreva troppo! Pareva a Pietro che lo sfuggissee non lo volesse comprendere più; anzilo disapprovasse. Eallora aveva più bisogno d'amare Ghìsola.

Mail giorno veniva meno come la sua esaltazione: la mattinanel solechiarogli era parso che i vagoni fossero per bruciare efiammeggiare; oragli parevaad ogni stazioneche avessero pauradi restare negli altri binariitutti intrecciatidritti e curvi;che luccicavano una triste luce morta portandola con sénell'oscurità delle lontananze diafane. La campagna sicambiava come i suoi stati mentali; ma non gli apparteneva.

APoggibonsiun trenoallontanandosidivenne a poco a poco piùcortofinché non ne restò che l'ultimo vagone visto didietro; e non si sapeva più se stesse fermo o se camminasse;come certe sue illusioni. I vagoni che andavano su e giùtrainaticon le ruote che giravano con movimento eguale l'una dopol'altra su le medesime rotaiee i vagoni di un treno merciverniciati di rossocon le cifre in biancosigillatipazientilofecero quasi piangere. Tutti scuotevano la sua animalaschiacciavano!

Eglisi sentì proprio solo e abbandonato e non si ricordòpiù di Ghìsola cheseduta dinanzilo guardava conacuta curiosità; e allora i suoi occhi avevano una immobilitàaffascinante.

Quand'eglidopo aver sospiratoglieli vide cosìesclamò:

-Oggi mi vuoi più bene!

Ellalo fissò con disprezzo; ma abbassò in fretta lepalpebreper nascondere lo sguardo: se lo sentiva come portare viadall'anima.

Ilgiovinesenza capireattese che parlasse leiora.

AlloraGhìsola lo fece sedere accanto; e si tennero per mano.

Lagente che saliva e scendeva dal trenoi segnali delle stazioni leaumentavano la noia.

ASienaricusò di andare in casa della zia.

-Ma perché non vuoi?

-Vorrà sapere troppe cose da me: io agli altri non voglio dirniente di me.

Ellaci riusciva a vivere come voleva! La sentiva forte e indipendente. Maper assicurarsi che non lo faceva per nascondere qualche cosaledisse:

-Fai male: è la tua zia.

-Se andassi ad un albergo?

-Vedendoti sola penserebbero male di te.

-E tu non sai ch'io sono tua?

Einsisté con tono di voce quasi infantilecon certe moine;battendogli il ventaglio sopra un braccio:

-Sì: accontentami.

Vuoifare sempre a modo tuo. Non è vero che questa seraaccontenterai la tua Ghìsola?

Volevanodecidersiperché la strada fino alla trattoria era corta egià faceva oscuro.

Viderodietro la basilica di San Francescouna sfilata bassa di nuvole comeil fuoco.

Qualcunorallentava il passo per guardarli meglioe allora camminavano piùin fretta.

Allaloro sinistra si scoprì una parte di Sienacon la chiesadella Madonna di Provenzano. Tutte le case sembravano troppo fitte.

Ambeduesenza accorgersenesmisero di parlare. La Via Vallerozzi sembravauna scalinata di tetti larghi fino all'antica rocca dei Salimbeni; ilcui sprone era coperto dall'ombra nera di un abete enorme. Di làda questa roccanon si sa dovela cima della Torre; epiùdiscostola cupola della Madonna di Provenzanoquasi rinchiusadentro un'altra spianata di case. Mentre i tetti delle tre vieches'annodano insieme a Porta Ovilescendevanopendendo tutti da unaparte; come se le case non potessero stare dritte. Un pezzetto d'unadelle vie assomigliava a un baratro pietroso; e una donnafermavisembrava rinchiusa.

Tuttiquei tettiad angolos'appiattivano; e alla casa più bassaall'ultimas'appoggiava tutta la fila delle altre.

Pietrointerrompendo la distrazionela scosse per una mano e riprese:

-Scusami se non voglio... Ma dài retta a me.

Ellas'impazientì e si fermò un'altra volta.

-Ascoltami... ho pensato di portarti a mangiare da mio padre. Io gliho detto che andavo a Poggibonsidove ho un amico; e gli inventeròche ti ho trovata in treno.

Ellaaspettò che uno smettesse di guardarlae poi rispose:

-E crederà a noi?

Giàla curiosità dei passanti li impacciava con molestiacontedio penoso.

-Certamente!

Ghìsolastette molto tempo a testa bassanon per rifletterema persforzarsi a non pensare ad altro: e poi rispose:

-Mi piace poco.

Tacqueroperché si sentirono vicini a bisticciare; poi eglidopo unodi quei silenzii in cui si odono tutte le cosela prese a braccettofino allo scalino della trattoria.

Domenicoquando li vide entraresalutò Ghìsola ma senzaavvicinarsi; e credette lì per lì alla scusa di Pietro;che del resto non aveva mentito mai.

Ilmarito di Rebeccacon un piatto in manosi fermò e le disse:

-A pena che avrò servito questi signoriavvertirò latua zia.

Ghìsolavedendo come la parente le potesse esser di pretesto per esser venutaa Sienalo ringraziò.

Domenicoch'era di buon umoredopo averla guardata sorridendocosìirriconoscibile da quando stava a Poggio a' Meliandò incucina; e come se si fosse trattato di avventoriordinò avoce alta da cena per Pietro e per lei. Ma disse anche per farsiintendere subito:

-Questi non pagano!

Ghìsoladisinvoltasi mise a ridere; e le dispiacque solo per orgoglio cheDomenico la trattasse per quel che era; ma Pietro le fece rabbia. Nonera punto furboe non contava proprio niente in casa sua!

Perfar vedere che non aveva bisogno di mangiare in trattorianon volevasedersi a tavola; ma Pietro la supplicòsottovocedi noninsistere; e le disse che il giorno dopo le cose sarebbero statechiarite.

Domenicoche veniva e andava dalla cucina alla stanza dov'erano essicon lemani in tasca e con la testa bassasenza guardarli maiuscìe andò a sfogarsi dal suo amico droghiere; un figliolo nondoveva portarsi in casa le amantisia pure che facesse bene a fareil comodo suo ora che era giovine. Ma il droghiere rise della suacollera e gli disse che lo lasciasse divertiregiacché sitrattava di una bella ragazza.

Ghìsolamangiandonon alzò mai la testa; e pareva che avesse pocoappetito. Ma Pietro le pestava leggermente i piedi e le dicevaqualche parola perché dissipasse il malumore. Poi la lasciònella trattoria a chiacchierare con la cugina Rosauraaccanto alladispensadov'era meno luce. E Ghìsola accompagnata da leiandò a trovare la ziaraccontandole una filza di abilimenzognecon l'aria più ingenua che ci fosse. Rebecca ledisse:

-Per staseranon ho da darti da dormire qui. Dormirai con la tuacuginase il padrone è contento.

Ghìsolaridiscese ed entrò nella bottegacuriosa di vedere comesarebbe andata a finire!

Giàera prossima la mezzanotte; e le tavole della trattoria sparecchiate.I cuochi sonnecchiavano appoggiati al ceppo del tagliere. I fornellisi spegnevano: come se anche la brace s'addormentasse. Tutti i lumiabbassati; e la trattoria piena di quell'odore ripugnante di tantevivande insieme.

Inun corbello vicino all'acquaiole bucce delle frutta e gli avanzi.

Improvvisamentela notte si fece più oscura e piovve alcuni minuti: una diquelle piogge che fanno notare subito il nostro malumorecome quelleche ribollono l'immondizie ammucchiate in mezzo ai campi.

AGhìsolapresa dalla stanchezza e dal sonnoparve chepiovesse nella sua animama non riesciva a togliere tutte le coseche c'erano. Si sentiva soffocare lo stesso.

Qualchelamposilenziosos'accese tra le nuvole.

Alloraella credette che avrebbe risentito quella pioggia in qualche sogno.Evitava di pensarciper essere attenta a quel che accadeva intorno alei e a quel che le dicevano.

Domenicosvegliatosi dal canapè dove da qualche tempo dormiva almenodue ore prima d'andare a lettoordinò:

-Chiudete le porte.

Eraevidente la sua scontentezza; tanto che Rosaura non gli dissevolentieri:

-Io salgo in casa a trovare le lenzuola per Ghìsola.

Domeniconon disse né sì né no; e si volse dalla parteopposta quando Ghìsola passando rapidamente vicino a luiquasi provocandololo salutò.

Lacamera di Rosaura era così bassa chestando sdraiati su unodi quei lettisi poteva toccare una trave. Una finestrastrettissimanel muro più grosso di un metrodava in unacorte angusta e umida anche d'estate.

Messele lenzuolaGhìsola togliendosi la giacchetta domandò:

-Dove dorme Pietro?

-Nella stanza solita di quando era piccino. Ma vorresti andare avederlo? Che braccia grosse tu hai!

-Senti come sono ingrassata!

Sifece pizzicare un fiancoe poi andò.

Riconoscendobene la casasi avanzò quasi a tastoniattraversando lastanza d'ingresso e poi il salotto meno buio perché c'era laluce elettrica della strada.

L'usciodella camera di Pietro era aperto perché vi doveva passareDomenico per andare nella sua. Ella vide il tavolino con i libriilcanterano con lo specchio che luccicava. E proseguì verso illetto messo ad una parete: Pietro dormiva.

Allorasi chinò e cominciò a baciarlo su la bocca. Eglisenzafinire di destarsisentì un brivido; ed esclamò a vocealta:

-Sei tuGhìsola!

Pietronon sapeva spiegarsi certi odii di Ghìsolache parevancapriccicontro i parenti. E se ne dolse con Rebeccaconsigliandoladi rimproverare la nipote. Le disse anche:

-Bisogna che impari a leggerealmeno; me l'ha promesso.

MaGhìsola sapeva far dimenticare una cosa mettendone fuoriun'altra.

S'imaginòche si fosse offesa di Domenicodella trattoria e di tutto il resto;e che volesse trovare il modo d'allontanarsene subito. Già gliaveva risposto la mattina dopo dell'arrivo:

-E tu credi ch'io voglia stare con tuo padreanche se mi ci vuole?

Pietrosentì che non aveva niente da prometterle e disse:

-Quando egli si sarà convintocome meche tutto quello chehanno detto è falsoti rispetterà. Perché nonti deve rispettareperché non deve permettere che tu sia lamia moglie?

Ela teneva per un braccio; ma ella sapendo che era sempre piùimpossibilerispose:

-Mi odia. E non vuole che ci vogliamo bene.

Nonti ricordi che mi fece mandar via da Poggio a' Meli quando s'accorseche anche allora ci volevamo bene?

Tuttii suoi progetti gli doventavano ridicolicome una volta erano parsiseriil'uno più dell'altro; e Pietro convenne che avrebbedovuto lasciarla andare dove voleva: sentire rimorso di mandarla aRadda! E non osò più né meno tenerle il braccio.

Ghìsolasapendo che non avrebbe potuto trattenersi più di due o tregiorninon prendeva sul serio niente; e fece subito sapere aDomenico che se ne sarebbe andata. Accompagnata da Pietroandòa Poggio a' Melidai nonni; e così non rimise piùpiede nella trattoria.

Gliolivi avevano messo una bella trama biancache s'illuminava dilucciole. Mentresu i poggi neri del Chiantii lampi apparivano esparivano come una luce liquida ma densa.

Ghìsolastava sola sul murello dell'aia. Masa e le altre donne degliassalariatial chiaro di lunaaumentavano la sua collera.

Ele pareva che il chiaro di luna rimanesse attaccato alle loro vesti ese lo trascinassero seco movendosi. Lontana da lorosenza che némeno si ricordassero che vivevaquelle donnucce sporche come erastata anche lei!

Sisdraiò sul murello; con un tremito convulso. Fissò unastella più grande delle altre; e le parve che girasse acerchio e poi saltellasse in qua e là; sentendosia secondadi quel motostrappare le tempie.

Credendod'impazzirescosse vivamente la testa e si stropicciò gliocchi.

Poile donne rientrarono in casa; e allora si rimise a sedere e guardòverso gli usci: nell'ombra stava quasi la metà del piazzalefino al pozzoed una entratura ad arco sotto il quale era un carro;ma le pareva che fossero soltanto colori di altre ombre.

Ilmurello era quello stesso quandocon qualche compagnagiornateinteresi chiappava le mosche su le ginocchia. Che risate insiemeapena nella strada passava qualcuno!

Ilpozzo le fece paura; come se tirasse giùdentro l'acqualeie tutta la luna. Poi pensando che quel lume era anche sopra la suafacciase la nascose entro le mani e rimase così.

Dopopoco udì qualcuno che camminava sull'aia verso di lei: certoera scalzo. Ma ella non si mosse; s'imaginava di non potersi muovere;per quanto sapesse che non era vero. AlloraCarlo le si mise asedere accanto; tossì primae dopo un altro secondo le posòuna mano sul petto.

Ellaalzò la faccia senza guardarlofece una risata ed entròin casa.

Carloebbe l'impressione di aver visto quella risatae non la ragazza.

Pietrogiunse poco dopo al cancello aperto; eprima d'entrare da Giaccosisoffermò a guardare la luna che pareva escita allora alloradalle finestre dalla parte di dietro della casa.

Pensavaanche che gli assalariati avrebbero ammirato il suo amore per unacontadinaper una che era di loro.

Eglie Ghìsola andarono per la strada del campoche dall'aiamenava a quel ciliegio vicino al quale s'erano parlati molti anniinnanzi. Il ricordo pareva ancor lìsotto le fronde.

Ghìsolaera nervosa e pronta a darglisi tutta. Stava per dirgli: "Perchénon te n'accorgi?". Ma Pietro era in un'estasi che aumentava.Quasi parevagli di camminare sognando. Diceva:

-Perché non guardi sempre me?

Infattiella gli si volgeva soltanto di sfuggitae lo avrebbe lasciato lìsolo volentieri. Madominandosi come quando s'era stesa con laschiena sul murellocontraffacendo la voce di luisi fermò aguardare il cielo. Eglicredendoleesclamò:

-Una notte così non la vedremo mai più! Le stellescintillano anche dentro i tuoi occhi. Te le vedo io!

Ela baciò lungamente. Ella scosse il capodiscostandosi. Erapazzo? La faceva soffermare ancora; gridava di gioia. Ghìsolafuori di sé dalla voluttàera come un'anfora che allafine s'apre tutta secondo una sua incrinatura. E non si tenne daldirgli:

-Se tu fossi un uomo!

Pietrole rispose come a se stesso:

-Io ti voglio bene!

Esiccome anche la sua estasi doventava sensualevolle tornare adietro: Ghìsola non doveva accorgersene né meno!

Masaattendeva in cima alla stradacon le mani su i fianchiinquieta pertutte le insinuazioni allegre degli assalariati seduti attornoall'aia. Giacco s'era rincantucciato in casamalcontento di dovertenere acceso troppo il lume ad oliocontro il quale si buttava unafarfalla con un corpo grosso quanto un dito. Il rumore delle sue aliche di quando in quando si dibattevanogli faceva alzare la testa epoi guardare dall'uscio scostato.

Pietroe Ghìsola allentarono il loro abbracciorasentando l'aia;mentre Masa disse sottovoce:

-Non andate lontani.

Gliassalariati si chetarono a posta; anche per riguardo al padroncino; esi vedevano i loro volti che parevano senza linee nel chiaro di luna.

Lostollo del pagliaio era rimasto inclinato verso un tiglio.

APoggio a' Meli ci si divertiva!

Fuoridel cancelloi due giovani si ripresero per mano.

Leluccioleinnumerevoli tra le chiome pallide degli olivisembravanoaumentare continuamente: le lucciole chetalvoltas'appiccicavanoalle mani come se fossero state gommose.

Cominciaronoa baciarsiella appoggiandosi alla cancellata di legnoed eglistringendosi a lei; nascosti nell'ombra della siepe. Maad untrattoPietro s'accorse che faceva movimenti troppo voluttuosi contutte le anche: si discostò e la rimproverò.

Masasempre più intollerantedopo essere stata in mezzo all'aiaturandosi la bocca per non rispondere agli assalariati che ascoltavaa suo malgradochiamò proprio in quel mentre; e Pietro eGhìsola andarono a casa.

Qualcheassalariatoinvaso da una giocondità intrattenibilesigrattava forte la testa. Carlocurvo con le mani su le ginocchiasghignazzava tutte le volte che aveva dato uno sguardo verso Masa; edentro una mano gli pareva di tenere quel che aveva toccato.

Lechiacchiereche se ne fecerodurarono più di un mese.

Carlorimase un po' di tempo a spiare dal suo uscio quando s'avviasseroperché non gli pareva vero d'andare a letto senza aver parlatocon Ghìsola.

MaGhìsola propose alla figliola di un assalariato diriaccompagnare con lei Pietro fino al borgo; cosìdopotornandonon avrebbe dovuto far la strada da sola.

Camminaronoa braccetto; mentre l'altra ragazzanon osando avvicinarsi tropposi teneva a distanza. Mavolgendosila vedevano sorridere attenta eagitata; epoiquasi convulsamente.

Primadi lasciarsisi dettero altri baci. Allora la ragazzache s'eracoperta la faccia con ambedue le maniguardandoli tra le ditasibuttò nel mezzo della strada e si rotolò nella polvere.

Poigridòcome se fosse stata sola:

-Ohohche faccio!

-Vestiti.

Trovatalain camera con le braccia nudevoleva che si affrettasse a rimettersiil giacchetto color rosa; e aspettando per baciarla.

Poile disse:

-Così mi piaci di più. Altrimentinon ti potevobaciare. Lo sai!

Ellasarebbe partita con la diligenza di Radda.

Lecose erano rimaste sempre allo stesso punto: Domenico aveva finto dinon occuparsi di Pietro e di Ghìsolasapendosi dominaresicuro che il tempo lo avrebbe aiutato; e le chiacchiere insinuantinon erano state confutate: Pietro non aveva trovato nessun modod'affrettare il matrimonio.

Masaesciva ed entravadando un'occhiata a loro e una nel piazzale; pervedere se gli assalariati stessero lì a curiosare.

Temevapiù che mai le loro lingue; e non le pareva l'ora che Ghìsolase ne andasseper riguardo al padrone.

Ellanon si sentiva degna che la nipote doventasse la moglie di Pietro:era una cosa che aveva superato ogni sua pretesa! Non s'arrischiavané meno a ringraziarne Dioperché temeva dovessepunirla della sua troppa contentezza; e poiprimane voleva esserpiù sicura! Aveva detto altre volte:

-Non si può chiedere a Dio una cosadi cui non siamo degni.

Pietroporse a Ghìsola il pettinepoi le abbottonò ilgiacchetto lungo le spalle. Elladopo l'ultimo bottonesi volseesi fece baciare un'altra volta.

Esiccome c'era ancora molto temposi distese sul letto dove avevadormito giovinetta. Il suo volto s'indurìsino a prendereun'aria d'angoscia sinistra. Respinse tutte le carezze di Pietro; nonvolle esser più baciatanon gli rispose né meno;qualunque cosa egli tentasse di dire; con gli occhi accigliati etorbidila bocca gonfia di collera.

Masadisse:

-Ti senti male? Che cosa hai?

Ellatirò la testa in dietroquasi il collo s'irrigidisse. Pietrole prese le mani:

-Non è niente. Ti passerà. Ma che cos'hai?

LasciatelafareMasa.

Ghìsolali guardava ambedueora l'uno ora l'altra. Pietro la baciò sui piedi: ella li nascose sotto la sottana. Era il dispiacered'andarsene? Ma somigliava ad altre volte; a quando s'eraaccontentato di toccare qualche cosa che le appartenesse: un nastrouno spillo; e anche il suo braccialetto d'argento. E gli eraimpossibile ammettere che ella avesse potuto scambiare con un'altrapersona uno dei suoi ninnoli!

Ghìsolaavrebbe voluto non muoversi più: credeva di dover stare a quelmodo un tempo indefinibileforse per sempre.

Pietroe Masacosì intorno a leile facevano venire un brivido.

Eli avrebbe presi a pedate.

QuandoPietro la decise ad alzarsidicendole che altrimenti non sarebbe piùstata in tempo alla diligenzaella sentì rientrare la vogliaimmensa di parlare con tenerezza; e la sua bocca fece una smorfiacattiva ma graziosa.

Siquietò di mano in mano che s'avvicinava al luogo da dovedoveva passare la diligenza. Camminava con le gambe che siripiegavanolasciando battere ad ogni passo il suo ombrellino dasole sopra un ginocchio. Appoggiata a Masa e a Pietroprese un'ariadi bambina.

Masapensava ancora agli assalariati e alla casa lasciata aperta; e sivolgeva indietrostorcendosi le labbra.

Ladiligenza tardava. Allora la vecchiatenendo le mani insieme sulventrese ne andòdopo aver detto:

-Badiamo che tutto finisca bene!

MaGhìsola non la salutò né meno. E si discostòda Pietroche non smetteva mai di guardarla.

Allefinestre del Palazzo dei Diavoli non c'era nessuno. Prima digiungerviaveva veduto l'aia di un contadino tutta occupata da unamucchia di manne di grano. Ed era parso che dal tetto della casagrondasse giù la luce del sole e rimbalzasse in terra in uncerchio di fiamme.

Mada dove s'erano fermativideroin cima ad una collina altaVicoBello tra i suoi alberi fasciati da un muro: tutta la collina eraverde di granturchetimentre gli olivi sembravano incolori etrasparenti. I filari delle viti ingrossati dalle proprie ombre.

Unmendicante si sedette su gli scalini della Cappella; alla cui meriaerano anch'essi: se lo accennaronosorridendo d'aver avuto lo stessopensiero; e attesero che cominciasse a mangiar il pane che stringevacon tutte e due le mani.

Ladiligenza arrivò. Dentroc'era una donna e un contadino dallafaccia smunta e la barba non rasata: un malato che la moglie avevaripreso dall'ospedale. Egli reggeva accanto a sé un fazzolettorossopieno di medicine; la moglie teneva su le ginocchia unoscialle bigio che gli avrebbe messo la sera. L'uomo aveva gli occhivelatie pareva che si trovasse a disagio; come se avesse voluto chela diligenza non si fermasseaspettandosi una cosa che li avrebbedisturbati.

Letendeabbassate per parare il soleondeggiavano.

Ilcavallo s'era arrestato con un movimento bruscoripiegando le gambedi dietro. Era lungo e magro: uno di quei cavalli dalla testa alta ele mandibole enormi. Tra i finimentisu cui luccicavano le borchied'ottonetutte le sue costole si dilatavano nel respiro. Un filod'avena gli era rimasto tra le labbra grinzoseinfilato sotto ilmorso. Si sorreggevaappoggiandosi agli stanghini. Puzzava disudore.

Pietroaprì lo sportello della carrozzasu la quale era dipinto lostemma postale. Ghìsola salìa capo basso. Poi fececomprendere che voleva essere baciata; e Pietro la baciò; male avrebbe detto: "Non sta bene qui!". Ella sorrisea sestessadi lui; mentre la diligenza si moveva.

Dopoaver dato un'occhiata ai due che le sedevano dinanzicome se primanon se ne fosse né meno accortaabbassò un'altra voltail capo e impallidì: aveva sentito una trafitta dellamaternità.

Pietrocon angoscia quasi mortaleaspettò invano che si volgesse.

Versosettembreandò a trovarla a Radda.

Questopaeseil cui mucchio di case si continua a vedereprima diarrivarciper parecchi chilometri in fondo a un boscoin cima a unacollinettaè così silenzioso che si ode parlare dentrole case dalla via.

Pietroera andatofino alla Castellinacon la vettura di un suo conoscenteche lo avrebbe atteso la sera per riportarlo a Siena.

Dilì a Raddaandò a piedi. Traversò tutto ilbosco: tra i macigni e i cespugli di ginepritra le quercisentivadi quando in quando l'odore lasciatovi da qualche gregge di pecore.

Videil tabernacolo dipinto d'azzurrosul margine della vecchia stradaabbandonata; dietro tre cipressi smilzicon i tronchi pieni dirigonfiature. E su gli avanzi del muroche cominciava da queltabernacolodopo pochi metri tutto cadutol'edere insieme con unenorme biancospino.

Attornoi bei boschi delle altre colline; sempre più chiusi e fittid'un colore che sbiadisce fino a divenire una trasparenza.

IncontròPoggiarofaniun luogo dove si fermano i pecorai quando passano dilassù. Ivi la strada è più alta che altrovetutta contortafatta di risvoltedi salite e discese; tral'Appennino aretino e il Monte di Santa Fiorama così lontaniche paion d'aria come l'orizzonte.

Gliuccellialzandosi all'improvviso dalle valliche si aprono daambedue le partilo rasentavano. Equasi non sapessero poi dovedrizzare il volodopo un tratto a sghemborisparivano nelleprofondità.

Quandogiunse al paesestanco e irritatoaveva un'esaltazione che diquando in quando diminuiva; e allora le cose avverse glis'affacciavano all'anima. Sapeva che il padre l'avrebbe maltrattato eche quasi tutti avrebbero pensato ch'egli andasse a trovare Ghìsolaperché gli si dava.

Dopole prime caselasciò passare avanti una carrozza cosìpolverosa che era doventata bianca.

Aduna donna chescortolonon gli aveva più tolto gli occhi didossomentre la sua broccasotto il rocchio di una fontanatraboccavadomandò di Ghìsola. E seppe che stava incasa di Luciala sorella maggiore che s'era maritata. Si feceindicare l'uscio; etrovatoloentrò; ma ridiscese perbussare.

Giàtre altre donnenella stradicciolas'erano adunate per la curiositàdi saper chi fosse. Ealloraper sottrarsi ai loro sguardisalìsenza attendere che gli fosse risposto.

Luciache l'aveva una volta conosciuto a Poggio a' Meligli andòincontro in cima alle scale. Ed eglisenza né meno salutarladomandò:

-Ghìsola dov'è?

SeLucia non fosse stata la sorellasi sarebbe adirato perchésubitoquasi non sapesse niente del bene che le volevanon glieloaveva già detto.

AlloraLuciavisto il suo desideriorispose:

-É di sopra.

Eglile disse con collera:

-Chiamala... anzila chiamo io.

MaGhìsola si fece innanzi da sédopo aver prima sentitole sue parole.

Inpochi giorni s'era fatta più bruna; e aveva una sottanasdrucita che toccava il pavimento.

Esiccome ambedue se ne stavano in silenzio a guardarsiLucia tornòin cucina a far da mangiare.

-Perché non sei a casa dei tuoi genitori?

Ellalo guardò ancorasenza rispondere. Poi gli chiese con unameraviglia sincera:

-Mi vuoi sempre bene?

Maegli s'inquietò e le disse:

-Perché mi chiedi così? Perché non ti dovreiamare?

Efece l'atto di torcerle un polso: ella con gli occhi fissi a terralo lasciò faresenza curarsene.

-Tu non devi stare con questa veste... Se ti vede qualcuno?

Eripetéper sapere com'ella rispondesse:

-Se ti vede qualcuno?

Esiccome Ghìsola taceva come offesaPietro se ne pentìcome quando s'è percosso un animale e poi ci s'accorge che s'èfatto senza ragione.

-Ti si vedono le gambe... la sottana è anche aperta.

Quelleparole che non avrebbe voluto direlo facevano quasi piangere. E perevitare la tentazione sensualele prese un braccio spingendola nellasua stanza. Ghìsola si trasse indietroperché lalasciasse: allora la veste finì di rompersi; ed egli le videun fianco. Ella arrossì. Egli le nascose il voltoabbracciandolaperché non si vergognasse di lui!

-Ti ho vista... ma non volevo.

Ellachiuse con una mano la sdruciturapronta invece a togliersi tutta laveste; e gli disse:

-Lasciami.

-Perchédunquestai così?

DomandòPietropentito d'averla accarezzata in quel momento.

-Io faccio il comodo mio. Perché sei venuto a Radda? Sei venutoproprio per me? Ci sono altre ragazze! Anche tu l'hai con me?

-Devi tacermi qualche cosa oggi!

-Io ho sempre qualche cosadici tuda tacere.

-Forse non è vero? Ti ho mai rimproverata senza alcuna ragione?

Lagola gli si schiudevaed egli stesso aveva voglia di smettere.

-Ma se non mi vuoi cosìperché...

-Perché ti voglio benenon è vero?

Ellaallorasi mise a rideresempre più lasciva. Egli ripresecon le labbra che doventavano sempre più aride:

-Se non ti volessi benenon ti dispiacerebbe forse?

Esorpreso del suo silenzioaggiunse:

-Ti perdono. Dammi un bacio.

Ellasi volse verso di lui con un atto lento e pudicoquasi avesse temutodi concedere troppo. Poiquando furono per baciarsisi ritrasse.Pietro le alzò il volto piegato in giù con forzacontutta la sua volontà; e le disse:

-Non piangere.

Eglitemeva di vedere quel tremolio interno delle labbraper cui sembrache il pianto giunga come una sorgente profonda. Tenendole ancora lemani sopra le tempiedissepiù remissivoquasiraccomandandosicon disperazione:

-Ascolta.

Ellalo guardò.

-Forse non vuoi esser più la mia sposa?

Ellalo guardò ancora; poicome gli riesciva benefece l'attod'inghiottire le lacrime. E perché non pianse gli parve cosìbuona da commoverlo.

Alloras'abbassò e le baciò tutta la golal'obbligò aguardarloaffascinandosi degli occhi.

-Perché dovresti aver bisogno di tradirmi?

Edisse la frase con la gola strozzata dalla repugnanzacon tutta lasua avversione morale.

Ellaal sospettotacque.

Pietroallora le riprese il volto con ambedue le maniil suo volto rigidocome la selceglielo piegò in modo ch'ella dovette guardarlo:si torceva come il ramarro quando svolta e fugge.

-Tu hai pensato di non farti veder più!

Ellagli disse che aveva indovinato; svincolò le mani dalle suegli volse le spalle.

Eglil'esaminò così a lungoimpacciato.

Maella avendo paura ch'egli fosse capace di vendicaregli si fecedocile; e gli sorrise. Egli l'abbracciò e la baciò. Edella gli disse:

-Ma tu non ami proprio me.

Eglinon comprese; e si abbatté su di leichiedendole:

-Perché dici sempre così?

Glivenne il sudore freddo; ma procurò di calmarsiaccarezzandolae dicendole:

-Non amo tedunque?

Alloraella disse con calmasenza nessun sentimento:

-Tu sposerai un'altra.

Egliimpallidì; ma ebbe la forza di fare alcuni passi versol'uscio. Ghìsolaalloragridòper offenderlo:

-Mi vuoi bene così?

Perprima gli offrì la bocca; egli esitòpoi lasciòvenire a sé tutta quella sensazione che lo ubriacava.

EGhìsolache voleva darglisi per fargli credere poi di essererestata incintagli chiese:

-Perché mi accarezzavi dianzi?

Pietronon glielo voleva dire. Ma Ghìsola esclamò:

-Lo so. Ho indovinato... Ora mi accarezzi in un altro modo! Anche tumi desideri. è impossibile che tu possa farne a meno. Delrestose tu vuoiio son tua.

MaLucia chiamò dalla cucinae mangiarono tutti e tre insieme:il marito della sorella era fuori di Radda.

Dueore dopo mezzogiornoPietro doveva già pensare a tornarsenevia; e lo disse a Ghìsola. Ma ellache se n'era dimenticataesclamò tutta allegra:

-Dormi a casa nostra.

Miopadre m'aspetta. Tu sai che doventerebbe più cattivo anchecontro di te.

Ghìsolainsisté:

-Dormi qui. Io verrò a baciarti come feci l'altra volta aSiena.

Eglitemetteallorache avrebbero anche potuto dormire insieme; erifiutò. Ghìsolaindovinandolochiese:

-Ci stiamo insieme di giornosenza far niente di male?

Econ un'aria innocentedisse:

-Ti giuro che tu mi rispetteraiperché tu non vuoi...

-No; prima devi essere la mia sposa. Sono io stesso che te lo dicoperché ti voglio bene.

Maellacon la carne imbevuta di voluttàcome una spugnad'olioentrò in un'altra stanzachiudendosi l'uscio dietro.Ricomparve quasi subitomentr'egli non sapeva più seaspettarla o andarsene.

Eglile dissecon voce quasi piagnucolosaimitando la sua:

-Staremo insieme in seguito. Ora facciamo questo sacrificio.

Dobbiamo.

Lascossetenendola per la vita:

-Rispondi.

Ghìsolanascose il volto nel grembiulefingendosi di un candore cosìnaturale che avrebbe ingannato chiunque.

-Perché ti nascondi? Non ti nascondere. Non voglio.

Sceserotenendo le mani intrecciate; e siccome ella aveva un'aria timida epudicaegli n'ebbe compassionee gli parve impossibile d'esserestato capace di rimproverarla.

Infondo alle scaleGhìsola si appoggiò alla soglia. Eglimise un piede nella stradaed attese qualche parola; ma siccomesembrava che a lui non ci pensasse ne meno piùnon le dissealtroe s'avviò a passi lenti fuori del paese; e piùd'una volta avrebbe voluto tornare a dietro.

Ghìsolasi riscossee guardò nel posto dov'egli era stato; e con lemaniche teneva insieme appoggiate allo spigolo della sogliaspinseinnanzi tutto il corpodiscostandosi. Poirientrò in casa.

Conla sorella non disse né meno una parola su Pietro.

L'amoredi Pietro era stato per Ghìsola il ritorno della coscienza.Ella sentiva che doveva ingannarloperché egli non laumiliasse. Più grande e folle era quell'amore e piùella si trovava nella necessità di difendersi; non perchélo desiderasse o perché volesse riabilitarsima perchédoveva impedire che Pietro sapesse tutto. Voleva essere la piùfortefacendosi accettare com'era; per sentire anche lui in quellacolpevolezza moraleche ella non aveva saputo respingere.

Sedopo partoritofosse riescita a farsi sposareera sicura di avereun sopravvento assoluto sul suo carattere; era certa di farglicredere quel che voleva!

Main fondosi stimava molto migliore e più desiderabile diquand'era soltanto una contadina sciocca e vestita male. Si sentivaanche più intelligente e più astuta; e l'orgoglio nonle permetteva di riconoscere la delusione dolorosa che avrebbeprovato Pietro.

Ellavoleva approfittarsi di lui soltanto perché era abbastanzaricco e poteva toglierla dalla sua condizione sempre malsicura.

Avevatimore d'invecchiare prima d'aver trovato un vero affetto. E perciòl'ostilità contro l'esigenza di Pietro che si fosse conservataonestadoventava quasi odio; quando aveva paura d'essere scoperta.

Sentivache anche l'ingenuità di lui era un contrasto serio; non unadebolezza di cui potesse sorridere tranquillamente. Ed ogni giornopiù si sentiva mancare il terrenoperché Pietro erasempre lo stesso; pronto con la sua adorazione ad offenderlasenzach'egli se n'avvedesse.

Loconsiderava egoista; giustamente da un certo punto; perché nonl'avrebbe mai scusata se fosse trapelato qualche cosa. Doveva dunquenon esser contenta ch'egli l'amasse in quel modo; maper rifarsidella continua umiliazionenon pensava affatto di cambiare vitafinché non ci fosse costretta. Sentiva solo una specie dirimorsoche le faceva simpatico Pietro.

èveroperòche non pensò mai che avrebbe dovuto findal primo giorno parlargli più chiarofinché avessecapito!

Pensòinveceche non l'aveva ingannato fino al punto da dargli a intenderech'era incinta per colpa sua!

Maaveva anche da vendicarsi con Domenico: far perdere così latesta al suo figliolo era un piacere maligno.

Inoltrela pretesa di Pietro la faceva ridere come un'insipida sciocchezza;che un giovine non avrebbe né meno dovuto avere.

Mache andava cercando? Perchédunqueamava lei e non qualchesignorina di Sienauna signorina della sua condizione?

èveroperòch'ella se ne teneva per i suoi nonni e per tuttigli altri parenti. Era capace di doventare una signorae di viveresenza lavorare; quindidovevano tenerla molto in conto. Epoiellanon aveva fatto niente per piacere in quel modo a Pietro e perchéegli si ricordasse di lei: Domenicodunquedoveva stare zitto. Erapiuttosto il figliolo che s'approfittava di leiperché erastata la loro assalariata; era lei che doveva fidarsi del suofigliolo!

Enello stesso temporicordava molte cose del tempo ch'era stata aPoggio a' Meli. Ci s'era affezionata; etornatacile piaceva disentire i complimenti che le assalariate le facevano; complimentièveroun poco ambigui perché le lasciavano capire che nonavevano per lei la fiducia di Pietro; e né meno quellacompiacente di Giacco e Masa.

ARadda i suoi genitori non avevano osato dirle niente; perchéellala prima seraentrando in casadisse che sarebbe tornata viasubito e che a loro non doveva importare niente delle chiacchieresentite sul suo conto anche perché non erano vere.

Magli stessi suoi genitori se ne tenevano che fosse vestita meglioperfino della figliola del sindacoch'era ricchissimo. Le sorelle nesentivano invidiae dentro di sé dicevano ch'era molto piùfurba di loro. E siccome le volevano benei parenti erano i primi adifenderla.

Borioera morto d'una polmonite; e quel fattore suo rivale s'era fattovecchio anzi tempo; ea Ghìsolaquando la vide due o trevoltedette del lei arrossendo e levandosi il cappello.

Anchein paesenon la giudicarono troppo male; edel restosi sparsesubito la voce che doveva sposare il figliolo del padrone del PesceAzzurro.

Tuttisi ricordavano del tempo passatoma ci ridevano senza cattiveintenzioni; trovando perfino ch'era sempre stata una buona ragazzabenché avesse dato qualche scandalo. Epoiportavanorispetto ai suoi genitori piuttosto poveri.

MaGhìsoladopo che l'amico di Badia a Ripoli l'aveva lasciatasentì una certa paura di se stessa.

Imesi di Badia a Ripoli le tornavano a mente spesso; perché làsi era divertita a esser libera e solae sicura che tutte le sere ilsignor Alberto tornava a casa.

èvero che doveva star fuori di Firenzepiuttosto in campagna; ma nonle mancava mai niente. E a Firenzepurché accompagnatacipoteva andare quando avesse voluto.

Avevala camera che dava in quel giardinodi cui Pietro aveva avuto paura;e la stanza da pranzo su la stradasenza che ci fossero altre casedavanti.

C'erainvece un muricciolo ch'era più basso delle spighe del granoe un cipresso che d'estate si copriva di convolvoli. Sul muricciolocoperto e riempito sopra a calcina solanascevano le primole equell'erba che fa i fiori gialli.

Piùdiscostoun rigagnolo chiaro che luccicavadove lavavano i panni epoi li tendevano sul prato del campo; accanto a un cancello tra duepilastri quadratisopra i quali due cani di terracotta siguardavano.

Ilgrano s'impolveravae i cenci ad asciugare volavano per aria; comegli aquiloni che i ragazzi lasciavano venire dal Campo di Marte.

Daun balcone della cucinas'affacciava per chiamare la fruttivendola;e di là su ordinava quel che volevaperché le cestedelle frutta erano esposte proprio sotto. Un poco più in làc'era un pizzicagnolo che vendeva anche il vino; e quando veniva ilvento da quella partesi sentivano gli odori della sua bottega.Nelle altre case più vicineci stavano famiglie d'impiegatipiuttosto ricchie qualche ortolano. E siccome ella viveva per contosuonessuno aveva pensato a scandalizzarsi.

Oradoveva guadagnare giorno per giorno; mapiù affondava e sicorrompeva nella sua vitae più era in grado d'apprezzarePietro; appunto perché si sentiva addirittura incapace diessere almeno un'ora come voleva lui. Perciò gliene importavasempre meno; e non aveva più quel disagio moraleche le davafastidio i primi mesi.

Eraormaia quel modo; e ogni giorno ci si rassegnava sempre di più;anche perché era inutile smettere.

Lelettere di Pietro le facevano l'effetto ch'egli le pensasse perqualche fidanzata ingenua e buona. E lo compativasorridendo.

Asettembre egli tornò a Firenze con il pretesto degli esami diriparazione; quantunque si dolesse di perdere il tempoinevitabilmentetrovando giustocome un castigodi star lontanodai suoi libridai sui compagni che non lo salutavano né menopiù. Gli faceva l'effetto di nascondersie di compromettersiverso tutti. Ma quella volontà d'inabissarsiche nasceva daun'angosciagli faceva gonfiare il cuore: il cuore gli batteva in unaltro modo!

Dallasua casa di Via Cimabuenon esciva ormai che per mangiare.

Manon gli era possibile altrimentisebbene gliene rincrescesse e fossetentato di vincersi.

Ghìsolagià a Firenze prima di luistava in una di quelle case che sichiamano private; dove guadagnava molto bene. Einformata da unalettera di Pietrorespinta da Raddaandò subito da lui:anche per allontanare qualunque sospetto.

Quandola padronache l'aveva fatta passaresi mosse per chiamarloellafece cenno di no; ecamminando senza farsi udirebatté conla punta delle dita alla porta della camera. Egliindovinando ch'eraleibalzò in piedi ed aprì.

Ghìsolafinse di non voler entrare. Egli la portò dentro: e la baciòtremando tutto. Ella dissesorridendo e schermendosi:

-Non voglio più!

Poisi sedé; dopo essersi tolto il cappelloche mise su leginocchia. Ma egli ebbe un tuffo caldo al cuoree sentìarrossarsi la faccia perché non poté fare a meno dichiederle:

-Perché eri già venuta via da Radda senza avermeloscritto?

Edellacon il suo bel viso che talvolta pigliava una purezza assolutarispose senza badare a quel che diceva:

-Sono arrivata ora. Ha volutoper forzache tornassi la mia padronadi Badia a Ripoli. E a Radda non ho potuto a nessuno dettare lalettera per teperché non volevo far sapere che ci vediamo.Non ho agito bene?

-Tanto. Ti riprende leidunque?

-Sì.

-Allora sono contento. Ma non puoi almeno per oggi restare con me?

-Ho già pensato a chiederle il permesso.

Eglicredendolel'abbracciò in un impeto di riconoscenza.

Escironosubito insieme; e andarono a spasso per Firenze.

Mangiarono;epoisi trattennero a parlare in uno di quei sedili delgiardinetto di Piazza San Marcodove vendono i brigidini e i semi dizucca ai soldati e agli oziosi.

Lasera ella gli disseridendo:

-Devo andarmeneperchése faccio troppo tardiun'altra voltanon mi lascerebbero libera.

Esi lasciarono: egli non pensò né meno di curarsi doveandava.

L'attesetre giorni sempre chiuso in casa; imaginandosi di confidarle tuttodegli esami; e non sapeva se a Ghìsola gliene importasse o no.E questo proposito gli dava un godimento quasi voluttuoso.

Glierano insopportabili i rumorianche lievi; trovando rimedio nellasciarsi assopire sul letto. E allora gli pareva che le tempiebattessero con meno fatica; e che il cuore gli si gonfiasse senzach'egli ne sentisse la gonfiezza. Ma le sue mani fredde gli facevanoun senso di pena e di pauraricordandogli la sua vita a Siena.

Senon avesse temuto di far dispiacere a Ghìsolal'avrebbepregatacon tutta la dolcezza che ne provavaad uccidersi con lui.

Maquando Ghìsola tornò a trovarlotutto cambiò.L'avrebbe trattato da pazzoridendogli in facciacon quel suo risodi cui egli aveva spaventobenché la facesse piùbella!

Stetteroinsieme un altro giorno interocome l'altra volta; epoinon sividero più.

ASienaPietro inventò che gli esami erano andati male.

Eglisi sentiva sempre di più una vittima di quelle ingiustiziecontro le quali tutti avrebbero dovuto insorgere d'accordo.

Domenicogridò:

-Che hai fatto? Se tu avessi studiato... Sei convinto che non sei natoper la scuola?

Lacollera gli parve meritatama gli bastava che egli non facessealcuna allusione a Ghìsola.

Ilsuo malumore e la sua ansia si riaprirono; equesta voltapeggioperché l'amore per Ghìsola cresceva sempre. Tutte lealtre cose non lasciavano tracciacome se non lo riguardassero némeno.

Sentivad'esser caduto dentro un vuotodal quale non sarebbe piùuscito. Ma doveva incolparne Ghìsola? No: soltanto se stesso;anzisi credette perduto dinanzi a lei. Ma pensavaogni mattinadestandosi: "Se non ci fosse Ghìsolaio mi ucciderei!".E vedeva ritrarsi tutta la tranquillità moralea cui s'erasoltanto avvicinato.

Domeniconon manifestò subito l'impazienza che aveva di veder Pietrooccuparsi degli affari. Ma come le conversazioni doventavano diquell'affabilità affettatache cela in sé gli scoppidella colleracosì anche evitarono di parlarsi. Tuttitenevano dalla parte del Rosie si aspettavano una leticata.

Pietrolo capìfingendo di non accorgersi di quello che pensasse suopadre quando lo guardava quasi di sfuggita.

Domenicotalvolta si stimava un uomo semplice e rozzo dinanzi a un raffinatoed un cattivo. E allora temeva d'averne la peggio.

Checosa erano valsi i lunghi sforzidi cui aveva riempito tutta lavita? Morendonon avrebbe consegnato al figliolo ciò cheaveva potuto strappare con il lavoro e l'astuzia? E proprio ilfigliolo non l'apprezzava? Proprio il figliolo voleva mandare inrovina il patrimonio?

Allorasi accorse dell'errore che aveva fattoaccordandogli troppo anche ariguardo di Ghìsola. Egli stesso l'aveva accolta in casa! Edorala disonestaglielo metteva controinsegnandogli ad odiarlo!

Gliparve un tradimento cercato: il seminariol'accademia di belle artila scuola tecnical'istituto tecnicoi maestri privatitutto!

Questipensieri li aveva avuti tante volteche stimava essere il momento dinon lasciarsi sopraffare.

Sedutosu la sedia che gli serviva da più di venti annilo seguivacon lo sguardotenendo le mani in tasca dei calzoni e appoggiando almuro il capo già calvo. Ma non diceva nienteprocurando didistrarsi con i servi e con qualche cliente che andava a salutarlo.

Pietropensava a tutte le cose famigliari che avrebbe voluto possedere persé e per Ghìsola.

Pensavaal lume così quieto e sempre egualecon la campana di latta.Pensava alla poltrona della mammasotto il cui guanciale era unaspecie di cassetto di legnodov'ella aveva tenuto i gomitoli dellelane e i suoi due soli libridue romanzi a dispense illustrate.Pensava ai quattro guanciali a cui ella s'appoggiava; i quali sierano deformati ciascuno in modo riconoscibile. Pensava all'odoredell'acqua di Coloniaalle boccette antisterichead una crocettinad'oro consunto.

Primad'addormentarsi nel suo letto duroricordava tutte le cose piùnote; alle quali portava un'affezione intensa per quanto incosciente.Gli pareva di dover dare un'altra impronta e un altro significato atali cose. Ghìsola sarebbe stata la rinnovatrice. Ed egliprovava la stessa dolcezza che aveva provato stando insieme con lei.

Spentala candelasi voltava dalla parte del muro e dormiva.

Domenicoverso la mezzanotteattraversava la cameracon in mano la lucernad'ottone. E allora Piero si destava e gli veniva voglia d'alzare ilcapo. Ma l'altra porta si richiudeva; ed egli rimaneva con quelloscontento di quando è interrotta una disposizione d'animo.

LamattinaDomenico esciva prestissimo senza dir niente a luiche siprovava a dare un'altra intonazione a quei sogni che si hanno duranteil dormiveglia quando pare che siamo in grado di smettere o dicontinuare il sonno.

Sisedeva al suo tavolinosenza far nientecon i ginocchi appuntatisotto il cassetto. Gli pareva impossibile che tutte le cose sidisinteressassero di lui; mentre la sua memoria sensuale gliproduceva una sovreccitazione inebriante.

Sicommovevadunqued'esser destinato soltanto a soffrire: "Perchéio non posso vedere Ghìsola? Nessuno è costretto comeme a rinunciare a tutto. E nessuno se ne immischia. Non so spiegarmicome agli altri sia possibile avere qualche occupazione ch'io nonavrò mai: il vetturino frusta il cavallo per far piùpresto; gli spazzini annaffiano".

Maevitava d'entrare nella bottegafino all'ora del pranzo. E dovevaaspettare il momento opportunoperché anche il cuoco non glirispondesse male; accontentandosi di quello che gli davanoeprendendo da se stesso il pane e le posate nella dispensa.

Egliche aveva amato idealmente gli altriprovava ora uno struggimentoamaro. Ma c'era caso che suo padre gli dicesse:

-Non stare nel mezzomentre passano i camerieri. Tu non lavori!

Poiesciva di bottegaperché non volesse obbligarlo a lavorare.

"èpossibile ch'io sia costretto a correre dal pizzicagnoloa comprareil formaggio? Oppure a prendere una sporta e farla riempire di pane?Oppure discutere con qualcuno che vuole scemare il conto? Ghìsoladel restonon acconsentirebbe più a sposarmi." Ungiornoricevette una lettera. La calligrafia della busta gli dettesubito il senso di un avvenimento inevitabile. Non voleva aprirla. Elesse: "Ghìsola lo tradisce. Se vuole averne la provavada in via della Pergola...".

Viera il numero della casae un nome di donna; forsefalso.

Gliparve che queste parole risolvessero una cosa inspiegabile.

Eglipensò: "Vi deve essere un vero motivo".

Etutte le avversità dolorose gli comparvero l'una dopo l'altraprovando meraviglia della compassione che una persona ignota avevaavuto di lui.

Poirifletté al modo di trovarsi i denari per andare a sorprendereGhìsola. Rebecca non glieli voleva prestarerimproverandoloche non le avesse restituiti né meno gli altri. Ma Pietroinsisté:

-Come vuoi che possa chiederli a mio padre?

-Se li faccia dare da qualche suo amico.

Intantosi mosse verso il canteranodeterminata di prestarglieli perchéappurasse l'innocenza della nipote. Ma innanzi prese una pezza pulitaper il suo bambinoche teneva in collo. La distese sopra il lettobuttò quella sporca sotto l'armadio; e pareva che il bambinopiangendole facesse dimenticare il denaro.

Tenneancora il capo giùcome per riflettere; se fosse valsosarebbe andata invece di lui da Domenico; ma per quello scopo nonc'era da immischiarsene. Gli disse:

-Non può fare a meno d'andare subito domattina?

Eglirispose:

-É possibile dopo che ho ricevuto questa lettera?

Ellacomprese e sospirò. Egliaspettando un pocodisse:

-Dammeli.

-Quanti gliene occorrono?

-Più dell'altra volta.

-Dio miocome faccio a trovarli! Perché non pensa a metterlida parte un pochi per settimana?

Eglisì rammaricò di non averci mai pensato; e gli parveinspiegabile:

-Farò così da qui innanzi. Questa volta... dammeli tu.

Seavesse dovuto attendere ancoranon avrebbe avuto l'animod'insistere; ma Rebeccacredendo alla sua promessacedette.

Pietrocontò da sé i denari; mentre ellaappoggiandosi alcassetto apertolo guardava in viso.

Lesorrise e la ringraziò.

Rebeccaaccompagnandolo in cima alle scalegli raccomandò ancora:

-Pensi che me li deve restituire.

Eravero che Ghìsola si faceva spedire le lettere a Badia aRipolima non poteva darsi che avesse cambiato dimora soltanto dapochi giorni? Di che cosa poteva trattarsi?

Sisforzò di definire tutte le specie di dubbii; ma poichénon ne teneva nessun contogli fu impossibile rispondersi. Per laprima voltatutto il cumulo delle cose tristi gli parve lontano dasé e che gli fosse possibile distruggerlo. Tutte le sofferenzegli parvero esterioriprovando una piccola felicità che nonsomigliava a nessun'altra. Pensò: "Perché hocreduto subito alla lettera?".

Duranteil viaggiogli sembrò d'essere in uno stato d'incoscienza econ la febbre. Ma aveva fretta di giungere.

Iltreno correva vicino all'Arnola cui acqua luccicava come semigliaia di specchi vi si rompessero insieme; oltrepassava le pinetea piccoacuminateancora sparse d'ombre violaceetra i pioppibianchi e tremulidietro i pali telegrafici; i cipressi a fascicipressi come rinchiusi dagli altri cipressi. Andava verso la cittàsovra la quale si raccoglieva una dolcezza d'azzurrotra le collinel'una più soave dell'altra. Quella bellezza meravigliosal'umiliava. Mentre l'amoreche fino allora aveva portato a Ghìsolagli pareva un'indegnità abominevole senza saper perché:"E possibile che io non la debba amare?".

Entrònell'uscio indicato dalla letterapassando tra alcune donne che nonsi scansarono. La scala era buia e sudiciacon odore di lezzo e dicipria.

Alprimo pianodalla porta aperta un pocoscorsecon una vestagliaroseauna prostituta; che lo guardò quasi ironicamente.

Alsecondo piano era un altro appartamento aperto lo stesso. Si soffermòper ascoltare: udiva alcune voci allegre di donne; una canticchiava.Se ne dette la peggiore spiegazione e poi la migliore. Ma rabbrividì:"è possibile che Ghìsola si trovi in mezzo a talegente?". Ecome per fuggiresalì più in frettagli altri scalini.

Sifermòcon il respiro mozzatoall'ultimo piano. Vi era unsalotto con una tavola ovale in mezzo: la vista gli si offuscò.

Alloraintravideconfusamenteuna donna distesa in un canapècheconversava con un soldato; il cui berretto era distante da lorosopra una sedia.

Questadonna ebbe paura di Pietroche la fissò stravolto. Toccòcon una mano il ginocchio del soldatoed ambedue gli posero gliocchi addosso. Egli fece un altro passoma gli pareva di non averepiù gambe: era come dinanzi ad un incubo improvviso; a cui nonvoleva credere. Balbettò qualche cosama la donna nonrispose. Allora egli si convinse d'averla offesa e stava perandarsene. Ma in quel momentoGhìsola s'avanzò da unuscio aperto. Scorgendolosi arrestò subito; impallidìfino quasi a svenire; ma poi tornò a dietrosorreggendosi conun gomito lungo il murocome torna indietro un topo mezzoschiacciato dal colpo avuto.

Pernon soccombere alla sensazione che Pietro aveva di perderel'equilibriodopo essersi sentito afferrare come da una forzalaseguì a caso in una stanza di cui vide soltanto la finestra.

Ellasi era già tolta la giacchetta troppo sporcaquando eglientrò; ma aveva dovuto sedersiperché fosse menovisibile il profilo della gravidanza.

Eglisi curvò a baciarlaquasi piangendo:

-Perché stai così?

Ellanon sapeva quel che rispondere: "S'è accorto che sonogravida? E quando glielo devo dire? Mi aspettavo che avvenissequesto". Poi parlò:

-Sono tutte donne qui.

Egliistantaneamentenon le credette piùe rispose:

-Ma io non voglio. Rivestiti. Perché hai questo livido nelbraccio?

Ellatemeva d'imbrogliarsima rispose:

-Mi son morsa da me.

Eglipensò che poteva esser vero. Poidopo una pausanella qualesperò che tutto si dissipassele disse:

-Andiamo via di quiti voglio parlare.

-Stiamo qui. Io non esco oggi.

Cifu un'altra pausache gli fece pensare: "Perché non hochiesto di quale specie è il tradimento suo? Così nonmi accerterò mai di niente. Che posso dirle?".

-Non mi piace questa casa. E che cosa è?

-Te lo dirò; non c'è niente di male.

Ellaaveva deliberato più d'una volta di confessargli lagravidanza; ma ora le parve impossibile; e voleva nasconderla propriodavanti alla sorpresa. Egli si decise a parlare più in fretta:

-Alzati.

Entròla padrona dell'abitazione: una donna robusta e tarchiatacon unacintola di cuoio bianco intorno alla vita; una levatrice che teneva aretta le partorienti.

Pietrosi volse a lei intimorito dell'effetto che i suoi sospetti avrebberopotuto produrle. Cercò di spiegarle perché si trovasselì. La donnache sapeva tuttonon vide nessun riparo perGhìsola; e temette ch'egli l'avrebbe uccisa.

Ghìsolaguardava la finestraper buttarvisi; con un impulso istericoresopiù possibile dalla sua gravidanza.

Ladonna s'indugiòaccomodando il lavamanoripiegando unasalviettavigilando Pietro con la coda dell'occhio e cercando dichiedere a Ghìsola quel che dovesse fare.

Pietroaspettava ch'ella se ne andassementre tutti i suoi gesti loimpazientivano. In finecon grande sforzole disse:

-Voglio restare solo con Ghìsola.

EGhìsolaavendo nel frattempo infilata un'altra camicettasenza alzarsi dal canapè e senza che egli vedesse nienterispose:

-Vada pure... Ci penso io.

Mail suo terrore non diminuiva; e le pareva che avrebbe dovutoinginocchiarsi subito.

Ladonna escì con circospezione; e non chiuse l'uscioponendosiad origliare. Pietroaccorgendoseneprima di chiedere qualchespiegazionevolle chiuderlo; ma non riuscì a spingere ilchiavistello. Nondimeno non avrebbe voluto offendere Ghìsolacon le domande che doveva farepiù propenso ad attendereancora.

Ellasi alzò:

-Non chiudere... Non ci ode nessuno.

Alloraeglivoltandosi a lei con uno sguardo pieno di pietà e diaffettovide il suo ventre.

Quandosi riebbe dalla vertigine violenta che l'aveva abbattuto ai piedi diGhìsolaegli non l'amava più.





FINE