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FederigoTozzi



BESTIE





Chepunto sarebbe quello dove s'è fermato l'azzurro? Lo sanno leallodole che prima vi si spaziano e poi vengono a buttarsi come pazzevicino a me? Una mi ha proprio rasentato gli occhicome se avesseavuto piacere d'impaurirsi cosìfuggendo.

Chechiarità tranquille per queste campagneche si mettono steseper stare più comode! Che silenzii là dall'orizzonte edentro di me!

Lastrada per tornare a Siena è là. Vado.

Lecase si facciano un poco a dietroe quel mendicante non mi cadaaddosso. Almeno l'altro è seduto per terra! Dio miotuttequeste case! Più in làpiù in là!Arriverò dove trovare un poco di dolcezza!

Diomioqueste case mi si butteranno addosso! Ma un'allodola èrimasta chiusa dentro l'animae la sento svolazzare per escire. E lasento cantare.

Versoil settentrione; dov'è di notte l'orsadove la luna non vamai!

Orase anche io t'amo cosìo allodolucciavuol dire che tu puoirestare dentro la mia anima quanto tu voglia; e che vi troverai tantalibertà quanta non ne hai vista dentro l'azzurro. E tucertonon te ne andrai mai più.

Nonfai né meno ombra!

Esciamodalle strette delle case e dei tetti. La città si chiudesempre di più; le case sono sempre più vuote; e non vitroveremmo niente per noi.

Lasciamolaquiquesta gente che metterebbe me al manicomio e te dentro unagabbia!

Sonole tue ali che tremano oppure è il mio cuore? Credo che siapassata la mortein cerca non si sa di chi. Ohma la chiuderemodietro qualcuno di questi cancelliin uno di questi vicoli senzasfondoinsieme con la spazzatura! A Sienace ne sono di questicancelli che nessuno apre maiperché non servono più aniente; dalla parte di dietro a qualche orto che nessuno coltiva; difianco a qualche palazzo disabitato.

** *

Neltinaiosotto un vecchio barile che aveva perduto anche i cerchiritrovo una tavola di sorbo. Perdio! Se mi riesce a segarla comevogliomi ci viene un bel tagliere.

Primacon la lima a triangoloarroto i denti della segapoi mi mettoall'opera. È legno così durocheper quanto consumitutta la sugna che tenevo incartata su la cappa del caminonongiungo alla fine. La sega brucia e doventa pavonazza. E poinonriesco ad andare a filo. Allora prendo un accettino e concio latavola alla meglio. Quando ho quasi finitom'accorgo che c'èun buco fatto da un tarlo. Lo voglio trovare! Spacco nel mezzo latavola; e in fondo al bucoche gira quasi come una spiralelotrovo: bianco e tenerocon una puntina rossa. Lo lascio stare: iosono Dioed egli è un solitario dentro una Tebaide.

** *

Daragazzo mi compravano pochi libri. Mio padre voleva ch'io nonleggessi; econ la scusa che mi sarei sciupato gli occhinon cavavamai un soldo di tasca. Quei cinque o sei che avevoli tenevo insiemecon la biancheria; e m'avveniva chequando tiravo il cassetto perprendere una camicia o altrone aprivo uno e leggevo senza muoverlodal suo posto.

Maun capodannola mia donna si decise a comprarmi per regaloavendoio insistito fin da un mese primaquel libro del Verne che si chiamaNel paese delle pellicce. Io cominciai a leggerloma non andavo maiin fondoperché tornavo sempre alle pagine a dietro.

Finalmentedopo un tre mesigiunsi all'ultima pagina come se quelle avventurefossero toccate a me. E più d'ogni altra cosaforsemirimase a mente una figura dov'era un orso che voleva entrare dentrouna capanna.

Tuttele volte che ho visto orsi veriho sempre pensato a quello; e comeguardandoloper un bel pezzo mi scuotevo e mi smuovevo tutto.

** *

Miricorderò sempre degli otto mesi chea Sienaprecedettero ilmio matrimonio: forse perché non mi accadeva mai niente etutti i giornidue voltescrivevo alla mia fidanzata.

Stavoa retta in Via del Refe Neroin fondo alla scesa. La mia padronavendeva il vino e dalla sua fiaschetteria si poteva salire in casa:di lì passava sempre lo sguattero di quella trattoria cheavevo incaricato di mandarmi il pranzo e la cena.

Perpigliare moglie aspettavo che i miei interessiessendomi morto ancheil padrefossero stati sistemati. Parentele non c'erano; ed iovedevo molto di rado anche i miei amici. Andavo a trovarne qualcunola seraquando mi ero sentito troppo solo. Anche con la miafidanzata parlavosì e notre volte il mesedi nascostofuori di cittàperché suo padre non aveva ancoravoluto dare il consensopermettendole nondimeno di ricevere le mielettere e di rispondermi; credo che volesse aspettare la sistemazionedella mia ereditàch'egli supponeva molto al disotto diquanto è stata. C'eranoè veromolti debiti dapagare; ma non abbastanza da sciuparmela!

Ilmio amore sincero per Clementina aveva molto influito su la mia vitae sul mio carattere. Mi ricordo che una voltaper esempioavreipotuto veder nudariflessa dal suo specchiola mia padrona di casache non era né brutta né vecchia ed io invece entrai infretta nella mia camera. Un'altra voltad'estatemi ritrassi dallafinestra perché a un'altra finestradall'altra parte dellastradaa un piano più bassoc'era una ragazza che sispogliava. Ora non lo farei più!

Ognigiorno m'accadeva di vedere e di osservare le stesse cose e le stessepersone. Il calzolaio di facciache faceva invano la corte alla miapadrona: era un ometto piuttosto bassomagrocon i baffetti sottilie gli occhi glauchi: ad ogni momentolavorandoseduto sul suopanchettosi passava il dorso della manoquella liberasopra ibaffetti.

Unaltro vinaio che stava su la porta della sua fiaschetteria a guardaresempre quella della mia padrona: qualche volta faceva anche pochipassinella stradacon le mani incrociate: portava un grembiule conuna gran tasca dove teneva i soldi e le chiaviun berrettino scuro;e aveva i baffi nerialto e sempre serioa capo basso. Quandoentrava un cliente nella sua bottegalo lasciava passare innanzi edava un'occhiata a quella della mia padrona. Sopra la sua insegnac'era una Madonnaad affrescoscalcinata e stinta: tutti i sabatile accendeva il luminotirando giù la fune a cui eraattaccato; riconoscevo perfino il lieve cigolio della carrucolina. Epoi restavodietro i vetria guardare quel lumicino che facevascorgere soltanto le mani e le ginocchia della Madonna.

Nellacasa di faccia alla miaun poco di sghemboperché la via nonè drittac'era un laboratorio di sarta. Una delle ragazzesaranno state quasi una dozzinanon andavanell'ore di riposoamangiare come facevano le altre; ma socchiudeva la finestra dietro laquale prima aveva mangiatoin piediil suo spicchio di pane con ilcompanaticoper fare all'amore con uno studente che aveva lafinestra di fianco alla mia. Il sole batteva tra l'una e le dueproprio su la facciama stava per tutto quel tempo quasi immobile:era biondissimacon una carnagione più rossa che rosea. Nonsorrideva maiforse per nascondere di più agli altri il suomotivo di star lì.

Sopraa meabitava la moglie di un pizzicagnoloe tutti i pomeriggiilvicecurato della nostra parrocchia saliva da lei: ne sparlavanomanon ci credo. Era pallida e con un collo così gonfio che mifaceva pensare a quello di un'anatra quando ha il gozzo pieno.

Qualcheseraio escivo e andavo in Piazza di Provenzano: c'era piùfresco e vedevo la campagna doventar madreperlaceadietro le muradella cittàtutte rosse e più alte o più bassesecondo la forma dei poggi chedi seguitosalgono e poi scendono.In fondoil Monte Amiata che brillava come una seta azzurrognola;mentre gli avvallamenti del terrenoquasi tutto cretasi empivanodi un'ombra violaceae i rialzi s'illuminavano di giallo o dibianco. Poi l'ombra velava ogni cosai colori si confondevano esparivano: e tutta la campagna mi dava un senso di solitudine che miscoraggiava. Quando m'allontanavo dal murellosu cui m'eroappoggiato con il petto e con i gomitii tre lampioni della piazzaerano già stati accesila facciata della Chiesa era piùgrigiala cupola pareva per sparir nel cielo con la sua palla doratache non luccicava più. Via Lucheriniin salitaeraoscurissima: io tornavo a casa toccando uno per volta i colonninidalla parte del mio marciapiede. Qualche voltada un uscettoche èpiù alto della strada due scaliniesciva una meretrice che cistava di casa. Ed ioper guardarlauna voltabuttai giùurtandociuna gabbia con un merlo; che un ciabattino tenevaattaccata ad uno stipite fuor della sua bottega.

** *

Lamia anima è cresciuta nella silenziosa ombra di Sienaindispartesenza amicizieingannata tutte le volte che ha chiestod'esser conosciuta.

Ecosìmolte volteescivo solodi nottescansando anche ilampioni. Per lo più andavo fino alla Piazza dei Servituttapendente dalla scalinata della chiesacon due abeti in mezzo a duepiccoli pratidivisi tra loro dalla imboccatura della strada.Accanto alla Chiesaun conventoquasi di facciaun angolo: di làdal muroSiena con tutta la sua torre. Allora pensavo alla miafidanzata.

Siccomemi riesciva di viverecosìseparato da tuttiogni volta chequalcuno mi guardava con quella sua curiosità acuta chem'offendevaio doventavo più triste; e facevo la strada piùcorta possibilenon passavo mai per Via Cavourche è quellaprincipale; madal Vicolo della Torrerasente il Palazzo Tolomeile cui pietre sono ormai nereattraversavo e scendevo per il Vicolodel Moro: in fondoa sinistrac'era la mia casa.

Bastach'io mi ricordi di quelle mie tristezze perché mi sembricattivo anche il cielo di Siena. Specialmente la sera soffrivotroppoe non accendevo il lume per non vedere le mie mani: latristezza stava sopra la mia anima come una pietra sepolcralesemprepiù greve; e mi sentivo schiacciato sulla sedia. E avreivoluto morire.

Lamattinaquando incominciavano i soliti pettegolezzi e le chiacchiere- la mia padronaMariannanon poteva fare a menomagari con unaparola soladi farmene sentire subito la feroce persecuzione -andavo subito in collera; ed ero certo che sarei stato male tutta lagiornata.

Ostrade che mi parevano chiuse sotto campane di vetro!

Oamicizie sognatee soffocate per forza dentro la mia animacon ira!

Quandoandavo a lavarmi le mani e il viso in cucinasotto la cannellaquasi sempre una lumaca aveva scombiccheratocon il suo inchiostroluccicantetutta la porta.

** *

Egliè tisico: con il viso giallo e incavato. Soltanto la punta delnaso ha pavonazza e con qualche bitorzolo. Porta gli occhiali edentro i suoi occhi pare che cada la cenere. Cammina a lunghi passirigidi; smuovendosecondo il piedele spalle.

Ellasi vergogna di mettersi una rosa! I suoi guanti sgualciti e sfondatila sottana che le resta tra le gambeil cappello ch'era stato dimoda dieci anni primale scarpe con i tacchi storti.

Siconobbero a una birreriaaccanto al pubblico passeggiodi domenica:i tavolini di pietrarotondigli sgabelli di ferro verniciatol'orchestrina stonatadiretta dal maestro calvo.

Sisposarono.

Nonescono quasi mai insieme; ed ella è seguita da un canettacciobastardospelacchiato e rattrappitoche dopo ogni trenta metris'arresta per non cadere su le gambe di dietro.

** *

Miricorderò sempre dei bei prati verdi che cominciavano dallamia anima e da' miei piedie finivano quasi all'orizzonte. Parevache tutta la terra stesse zitta per forza! O lunghe ventateche nonmi davano tempo di pensare! Forsenon ero triste quanto oggi; etutte quelle mattine passate in ozio mi facevano bene.

Vedevoi contadini lavoraredi lontanosul terreno a poggetti: e miproponevo di andarci a parlare. Mafatti pochi passinon ne avevopiù voglia. Allora guardavo le case dei poderisempre dietrouna sfilata di cipressicon la strada in salita dove i carri avevanolasciato solchi larghissimisciupandola e portando via qualchestrisciatura dai greppi. Forselo ripetonon ero triste quantooggi; e nel mio cuore i sogni non erano come vipere che si sentonobuone. Allorauna giornata trascorsa non mi pareva un'altra rugadella mia fronte; e non avevo voglia di piangerecome oraanche perpiccola cosa e anche per niente.

Maforsemi pentirei io di piangere?

Iosono soffocato dal mondo; equando parlomi pare che la mia animariesca ad escirne fuora. E perché posso sentire odori cheforse né meno esistono?

Ioavevo in mente di trovare alberied alberi erano da per tutto. Maquel cielotutto turchino ugualeche mi pareva fossesi chiusosoltanto pochi momenti innanzi che io arrivassimi metteva unrimpianto di sogni.

Sui poggi cretacei l'aria splendevai fieni tremavano e luccicavano; edalla stradach'io non vedevosi fermavanoquasi salendo sopra igreppilunghe strisce di polvere dietro le automobili. Quellapolvere pareva gialla; madiradandosi sempre di piùcominciava a brillare proprio nel momento ch'era per sparire affatto.

Dopoaver guardatoscendevo lungo i confini umidi del mio campodovel'erba era sempre più fitta e più alta. Talvoltanascondeva l'acqua traboccata dal fossetto; e mi bagnavo tutte lescarpe. Arrivavo fino ad un pinzodov'era un nocciolo selvatico;fermatomi dinanzi a luia poca distanzanon andavo via senza primaaver troncato un ramicello che mettevo subito in bocca. Risalendo ilconfineverso casami chinavosenza fermarmiper strappare unciuffo di nipitella; e la sfregavo tra le mani.

Sulmio poggiorivedevo i cipressi e le siepi. Allora guardavolungamente il turchinoed ero contento di vedervi un pettirosso cheruzzava con le sue ali.

** *

Ionon so chi fosse il morto. La marcia funebre suonata dallaFilarmonica mi fece balzare da sedere: il carro a cavalli aveva giàvoltato per un'altra stradae le fiamme delle torce mi fecero caldoal viso. Passò la folla degli amici e dei curiosi. Le coronesorrette a manosi comportavano così bene che ciascunas'appoggiava su le braccia dei due uomini come se non avesse potutopiù resistere al pianto della musica. I ceri cercavano dicadere. Lo stendardoverdastro e sporcofaceva di quando in quandoalzare gli occhi incappucciati di bianco; le cui medaglie attaccatealla cintola sbattevano.

Quandotutto il corteo fu passatoio rimasi alla finestra rodendo con identi il legno della persiana. E mi distrassia poco a pocoguardando una zanzara le cui ali parevano infilate a due pezzetti dicapello.

** *

Invidioquel ciabattino che suona così bene la chitarra quando non hapiù voglia di farsi male alle dita con la lesina. Una ventinad'anniuna gamba solae poca voglia di lavorare.

Ledonneche tornano invano più di una volta a riprendersi lescarpestanno con lui sempre a chiacchiera.

Quandoha fatto colazionestende la gamba di legno su la seggiolina delcompagnoil quale va a cucire in fondo alla stanzetta: il suo belviso esprime una contentezzaquasi cattiva e viziosa: ha i capellilunghi e a zazzeragli occhi chiarifurbi ed anche intelligenti. Sepoi si mette a cantarequando ha finito rideseguitando a farequalche accordo più piano che è possibile e pigiandoperciò subito la mano su le corde. Quella sua chitarra ha unavoce che riconoscerei fra cento altre con le corde un poco lenti emollirauca e triste.

Eglidà la baia a tutte le ragazze che passanoalzando il visodall'uscetto. Ma essendo la sua bottegasenza finestrepiùbassa della strada quattro scalinile ragazze lo sentono e nonvedono nessuno. Ho notato che qualcuna trattiene il passo per capireda dove viene quella voce.

Eglidice più bestemmie che non dia punti alle suole. Ha bestemmieinventate da lui e chedagli altriridendosono lodate così:- Me le insegna Fonfo!

Lasua bottega somiglia a quella di tutti i ciabattini; non èdifficile ch'egli ve la faccia ammirarese andate a parlargli.

Nellaparete più largaquella dinanzi alla portaci ha impastatoun calendario tredici anni faquand'era ragazzino. Il suo babboreligiosoteneva una madonna quasi all'altezza del soffittoe soprauna tavola sorretta da due mensoline di gesso le accendeva il lume adolio tutti i sabati. Ora c'è rimasta la madonna e ilbicchierino del lume che invece d'olio è pieno di polverenera.

Manon so definire l'effetto che mi produce Fonfo quando fa saltare incima alla gamba di legnotenendola su più alta del capolagazza spennacchiatasudicia e sempre fradiciaperché entranel catino dove egli bagna il cuoio.

** *

IlMigliorini è un uomo che lavora la terra a un tanto il giorno;cambia padrone quasi tutte le stagionied è bravo a potare leviti.

Eglicompròda un suo amico rigattierela Gerusalemme el'Orlando: dieci volumi di quella carta che pare cencioe con unapiccola figura ogni canto. Quando è l'ora di riposo cava dallasportalasciata a un ramo di qualche piantaun volumee lo leggeagli altri.

L'annoche lo conobbise pioveva entrava dentro una porta vicina al miopoderedove ci potevano stare a pena in dieciseduti sopra pezzi dilegno secco e avanzi di potature.

L'acquasgocciolava da per tutto e colando dal tronco di un pesconato quasia traverso l'imboccofaceva una pozzanghera proprio nel bel mezzo.Ma il Migliorinicon la zappascavando un fossetto e alzando unargine con la terra smossaaveva provveduto in modo che le scarpenon se le bagnavano più. Poiacceso un poco di fuocoarrostiva le fette del paneinfilandole ad una frusta che egligiravatenendo l'Orlando aperto sopra una coscia e stando inginocchio con l'altra gamba.

Iomi ci sarei indolenzito subito.

Adogni ottavafaceva il commento a modo suoe poi:

-State a sentire com'è bella! Non pare vera?

Ebatteva le lunghe dita terrose sul libro. Sapeva dire in poche parolela storia di ogni personaggio; e rispondeva a tutte le domande chegli facevano i compagni. Aveva gli orecchi bucati; ma aspettava chemorisse un suo zio che gli avrebbe lasciato due anelli d'ottone.Portava i capelli lunghi da dietrocome una ragazza a cui stanno perricrescere dopo che le sono stati tagliati. Teneva il cappello sopragli occhied era molto alto. Quando tornava a casainfilava lasporta al braccio fino al gomito: d'inverno aveva un pastranoturchino; e al cappelloin vece del solito nastrouna trina nera dadonna.

Unavoltaveduto un rospoinsegnò come si uccidono: si prese diboccacon un ditola cicca che biascicava emessala in cima alcoltellogliela cacciò dentro la gola. Il rospo cominciòa tremaredoventando quasi giallo; apriva e chiudeva gli occhicheparevano più piccoli e più lucidi. Quando venne ilpadroneperché l'ora del desinare era passatacon un calciotirarono in fondo alla balza la bestia già mortadovefacevano le fosse per le viti. E quandol'anno passatoripulironoun gran frontone putrido e verde che pareva una paludedi fianco aun bosco di querci e di castagnipieno di macigni e di radici nerecavavano fuori dall'acqua i rospi con una rete fatta con il filo diferroper metterli dentro un secchio. Quando il secchio era colmoaprivano una buca con una vanga; e ve li zeppavano dentro. Poi liricoprivano di terra; e sopradopo averci pigiato con i piedilasciavano uno di quei macigni più pesi.

Ioandavo da una pianta all'altra senza dir nienteperchésarebbe stato impossibile farli smettere; con il cuore doventatomencio. Ma come mi s'empì la bocca di saliva che pareva bavaquando vidi una rospa che pareva un grande involto! E poi che ella miguardava con quei suoi occhi di ragazza bruttaforse piùacuti dei mieimi sentii venir male.

Madue anni fadopo il vesproper tornare a casaio dovevo camminarelungo un viottolo fatto sul margine di un torrentescansando a ognipasso i salci e i pioppi. La mia scontentezza cresceva come le ombre;e niente c'era di peggiore della sera diaccia. Le nebbie salivanolungo il torrentei salci sgocciolavanocon le gocciole che sifermavano un poco in punta alle foglie all'ingiùi pioppierano umidi. I poggi s'oscuravanoe le terre lavorate doventavanopiù nere. A qualche podere vedevo una finestra con il lume. Lechiese avevano già suonatoe i loro echi m'erano parsi di unazzurro così cupo e taciturno come erano taciturni gli uscirossi delle capanne chiuse e le aie deserte.

Siccomela strada era lungami si faceva buio presto; ese nessunos'accompagnava con mecamminavo più piano quantunque micrescesse la fretta d'arrivare. Che tristezza desolante e silenziosa!Qualche volta un rovoi cui tralci erano stesi in terrami siattaccava ai calzoni: prima di distrigarmimi approfittavo d'esserstato fermato per sfogare la mia scontentezza guardando l'ombradietro a me. Ma tutto il torrente era pieno di rospi da dove erovenuto a dove andavoanche così lontano che gli ultimi a penas'udivano; e la loro voce che mi pareva tranquillaed èinvece tremulami consolava. Tutti gli altri che avevo veduto mortio agonizzanti ricordavo allora! Quello a cui con una frusta di salcioavevano fatto un nodo scorsoio e l'avevano lasciato lìciondoloni; quello infilatodal ventrea una canna aguzzata: lacanna riesciva dalla boccae il sangue colava più grosso escuro; quello a cui avevano schiacciato con i sassi tutte e quattrole zampe; quello accecato con i tizzi della brace; quello sbudellatocon un colpo di falcino; quello schiacciato dalle ruote del carroaposta; quello lanciato in aria dando un colpo sopra una tavolettamessa in bilico; quello pestato dai due fidanzati; questi sono irospi che ho visto moriresilenziosicon quei loro occhi che dinotte luccicano.

** *

Dietrola mia aia ci sono due pagliai quasi ugualil'uno accanto all'altroche a pena ci passa tra il mezzo un uomo. Sedendomi in cima all'aiadove tira meno ventovedo tra i due stolliun pezzo d'orizzonte.Non c'è mai niente; né meno le stelleperchéstanno più alte; ma non so perché seguito mezze ore atenerci gli occhi pensando tante cose.

Unasera mi divertivo a veder le nuvole chea brancare fitteuna dietrol'altrapassavano tra quei due legni. Era già più diun'ora; ma il vento tirava sempre eguale facendo un brusio tranquillodietro le mie spallenel bosco di una villa. A volteascoltandopareva che il brusio crescesse sempre di più; ma mi accorgevosubito che era un'illusione.

Dunquele nuvole venivano forse per ruzzarema senza mai urtarsi otrattenersidubitando della strada: talvoltase tenevo il caporiversomi pareva un'enorme nevicata a sguiscioorizzontale: einfattiquelle nuvole parevano immensi fiocchi di neve; ma nontraballavano e non deviavano. Da dietro all'ultima collina facevano apena in tempo ad apparire che già erano sopra i due stolli: diquelle passate dietro di me non me n'occupavoma mi pareva di udirlecorrere cadendo sopra l'altra cerchia di poggi dove tramonta il sole.Ad un trattosi diradarono; il vento cambiòmulinando unpoco e buttandomi su gli occhi la polvere dell'aia. Allora una nuvolasolagrandepiattacandida nel chiaro di lunama soffice eleggera leggerasi fece avanti. Di mano in mano che s'avvicinavasistese di piùperse qualche lembo; si foròma sirichiuse; non molto compattaquasi per cadermi addosso; a penasorretta dal vento che doveva durare fatica a smuoverla. A mezzocielosi fermò. Allora m'accorsi che tutto l'orizzonte ormaine era coperto. La luna che io non potevo vederela illuminava cosìbene di sotto che quasi abbagliava gli occhi; specie la sua punta;mentre il turchino del cielo s'era fatto più nerosenzastelle. Quando smisi di guardarlae girai gli occhi intornomisentii smarrito e per morire subito; ed avrei avuto bisogno diappoggiarmi: ma mentre così aspettavo che mi passasse ilmalessere e di tornare bene in me per andarmenemi rasentòcome se fosse mandato da quella stesa di nebbia così altaunvipistrello.

** *

Dovevai tu ch'io sento parlare e perciò riconosco? Tu non esistima io vedo lo stesso come sei vestita; ti vedo camminareti sentovicina; e scorgo bene il tuo viso. Alloranon mi rimane che mettermia scrivereperché ci sentiamo già d'accordo; ed ioqualche volta suggerisco e finisco i tuoi pensierie qualche voltabisogna che ti ascolti. Tu sparirai come una bolla di sapone; anzibisogna ch'io mi affretti perché tu mi giri intorno con troppafrettarapidamente.

Ese m'avvicinasse una persona di casaecco tuo allucinazionete neandresti dietro la porta; ed è probabile che tu non tornassi.

Potreiraccontare con precisione come sei pettinatacome tieni le mani.

Maecco sento chiacchierare da vero; e un piccionebeccando a un vetrodella finestrati strappa da me.

** *

Perlo più i nomi di quelli che fanno parte d'una famigliaacquistano un'armonia che li riuniscesembrano fatti d'una stessamateriacome i chicchi di un rosario. Già i nomiche sitramandano da avo a nipotecompletano questa fisionomia.

Dellepersone che amiamodei nostri parentinon rimane nel tempo che illoro nome; quand'essi non sono né meno doventati fotografiesbiadite negli angoli meno visibili del nostro salotto.

Siccomela mia zia era morta poveranon avevo mai più apertol'armadio dove stavano ancora i suoi abiti. Soltanto dopo cinqueannidovendo ripulire la casa per prendere moglieuntai con lapenna e con l'olio la serratura prima di ficcarci la chiave piena diruggine.

Dunquedicevo che la mia zia aveva una voce che ricordava le pasticchebiascicate senza che nessuno se ne avveda. Tutte le volte che venivaa cercarmich'io l'avessi chiamata o noteneva le maiuna dietrol'altranel grembo. Quando se ne andavaera certo che le movevaperché aveva intenzione di mettersi a qualche faccenda.

Sichiamava Bettaed aveva cinquant'anni quando morì di malenervoso.

Lasua vita ch'ella non mi confidavail suo modo di parlare pernascondersi di più che fosse possibile; per me non era che unavecchia vestita malecon molte grinzesenza dentisenzasentimentiaffezionatapazientemodesta.

Accendevai fiammiferi soltanto sull'impiantitoa mangiare ci metteva trevolte più di noi e mangiava menovoleva essere l'ultima adandare a lettola prima ad alzarsi; quando non faceva nientes'appoggiava sempre a qualche cosain cucinaalla madia; siconfessava ogni mese; era di stomaco debolenon le piaceval'agnello; non sapeva né leggere né scrivere;canticchiava quand'era sola. Tutte le cose che diceva riguardavanosolo quelli della famiglia. Per solito cominciava così: "Ilmio povero marito...". Aveva tre figliole tutte sposatecheandava a trovare per le feste solenni.

Erainvecchiata tra cinque casupoleche chiamano Ferraiolaa ridossod'una scorciatoia scavata sul galestro e le macchie di ginepro.Questa scorciatoia è l'ultima svoltatadinanzi al lavatoioche si trova per salire a Pari; e portapassando da casalefino aPaganico e poi a Grosseto.

Laprima figliola stava a Pariossia distante meno di mezzo chilometroda Ferraiola; ma la zia non si sarebbe mossa da casa senza mettersiil miglior vestitoe parlava di Pari come di un territoriostranieroa cui non s'appartiene e con il quale non c'èniente da vederedove non si va che di rado e il meno possibile eper qualche ragione speciale. Non importava che dalla sua finestravedesse tutto il cocuzzolo del caseggiato!

L'ultimavolta che la mia zia venne da memi portòdentro unfazzolettodue conigli da razza che le graffiarono le mani.

Bisognòdisinfettargliele; ed ella non voleva e ci pianse.

Neigrandi pratiche mi piacevano anche prima di leggere il Petrarcatorno per vedere i fiori che avrei offertomolti anni faa qualcheragazza che me l'immaginavo come ora la vedo disegnata in qualchelibro. Doveva esser soprattutto buona e sentimentale; e mi dovevaamare sempre lo stesso quantunque l'avessi sposata. Equalche voltarileggendo le nostre letteredovevamo sospirare insieme.

Mai fiori ci sono anche quest'anno e forse di piùperchéil tempo è stato meno secco; e allora mi vien voglia dicorrere verso l'orizzonte per vedere se mi riesce d'abbracciarequesta donna che mi pare più viva di prima.

Mac'è soltanto una rondine che stride.

** *

Lenotti d'estate non dormivo: es'ero andato a letto piuttosto prestomi rialzavo e uscivo.È strano come la notte mi sia impossibilepensare a quel che ho fatto il giorno! È per me un altromattino che comincia. I miei sogniallorasapevano d'aceto od eranovoluttuosi.

Ele strade solitarie dove i lampioni parevano acchiapparsi al muro pernon cadere dalla stanchezzasvegliavano tutti i miei brividiecercavo per l'indomani gli amici e la donna da amareche non avevomai. Quando tirava ventoqualche manifesto staccatosotto un arcosbatteva al muroe anche il mio cuore sbatteva.

Quandoamavo sempre la medesimami piacevano i tetti rossi e i geranei. Diprimavera m'ostinavo a doventar cattolico e d'inverno sognavo didoventar ricco.

Ahnon dimenticherò che ella si faceva togliere le calze da meperché le baciassi i piedisi faceva sbucciare le fruttamibruciava il viso con la sua sigaretta! E perchéquand'ella miteneva abbracciatoio guardavo noi due nello specchio e non sapevose fossimo di qua o di là da esso? E perché dimenticavoperfino il mio nome? Ella mi aveva ingannato semprema ero cosìabituato a lei che l'amavo egualmente. E per la stessa ragione chel'orsa la notte splendevacosì doveva esserci il mio amore; emi pareva che la mia bocca fosse nata soltanto per baciare lei. Ahsì!

Mipiacevano i tetti rossii platani pieni di fogliele acacie quandoavevano messo i loro fiorii muri delle strade e le finestre chiuse!Ma più di tuttolo ripeto un'altra voltami piacevano ledistese dei tetti rossi ch'erano una festa per la pioggia e per ilchiaro di luna che mi faceva stare con la testa ai vetri.

Pensavoin vece a cose che avrebbero dovuto nascere l'indomani e che iostesso dimenticavo. Non so di che mi vergognassi.

Incampagna mi fermavo sotto un albero che aveva i rami tropposchiacciatie gli offrivo di sorreggerli con la mia anima. E primad'entrare in una strada io mi ci affidavo tutto. La stessa cittàmi pareva forse più di cento città; quella di quandoavevo vent'anni non somigliava a quella di venticinque; la moltagenteche conoscevomi faceva lo stesso effetto di un pianoforte sesi pigiassero insieme tutti i suoi tasti.

Rientratoin casadeliberavo di star con la finestra aperta e allora la notteaveva una dolcezza piena di estasi sovrappostecome accordidalsilenzio. Palpavocon le braccia scosse da brividiil mio lettodove m'aspettava il sonno come un compagno. Ma io ero certo di nonaver mai dormito; e mentre la musica della notte entravaquasi dicorsadalla finestraio ascoltavo in piedi nel mezzo della stanza:la mia giovinezza era una cosa sola con il tempoche mi trasportavacon sé. E respingevo da me l'ultima donnala cui nullitàmi faceva un poco ribrezzo.

Maperchédunquequando due briachi cantarono io non chiusi lafinestra? Perché la loro voce mi dava una gioia irrefrenabileuna contentezza che non mi faceva star fermo? Sapevo forse spiegarmiquel che fosse avvenuto? Non potevo io aver ucciso molta gente? Diche cosa temeiall'improvviso? Perché non morii in quelmomento di dolore?

Lavoce dei due briachi divenne come un disperato singhiozzo lungounatristezza che mi faceva raccapriccio. Equandoaffievolitafu persparireio mi sporsi dalla finestra: le stelle mi parvero piùbellee lì ad aspettarmi.

Ecapii perché un gattoaccovacciato su la porta di casa miafosse scappato quando gli fui vicino.

** *

Cheprimavera disperata e terribile! Avevo ancora da pagare il conto delfabbroquello del falegnamequello del carraioquello dellaspazzaturadello zolfodel maniscalcoe i soldi non c'erano. Iltepore dell'aria mi faceva girare la testa.

Andavoper il mio campoda un filare all'altroquasi tutto il giornosenza perchécome un cane che cerca un osso qualunque. Laseraprima di dormiresoffrivo anche di più; e mi sforzavodi non pensare a nientema di sognare subito. Una mattina mi alzaicon la voglia di uccidermi: dalla finestra pareva che anche il miocampo si travolgesse come menel vento; come mi volesse portar viatutti gli olivi. I muri della camera si facevano sempre piùstrettiaccostandosi insiemee il mio respiro si mescolava con illoro; sentivo il sapore della calcina. Sono certo che piangevo! Mipareva di cadere con la testa in giùsenza aver niente a cuisorreggermi.

Untrattoproprio dinanzi alla mia boccaio vidi un ragnolinoquasitrasparenteattaccatocome un pesoal suo filo.

** *

Eradopo mezzanotte. Ogni passo che facevo verso la mia casa pareva chemi troncasse le gambe. E dovevo arrivare a tutti i costi! Io nonamavo più la donna che mi aspettava; e perciòqualchevoltami soffermavo con gli occhi fissi alle stellesentendomidoventar pazzo e cattivo. E già vedevo il tetto della casanell'ombra di otto cipressipiù suoi che miei perchéniente mi pareva mio all'infuori della donna che non amavo.

Lamattina dopoavrei avuto la forza di andar viaperché il suopessimo amore non corrompesse più il mio sangue? Per fortunanon l'avevo sposatae non volevo più che la sua animafalsacome due dei suoi dentisebbene non m'avesse mai traditocercassela mia quando sognavo l'amore che devastava tutta la mia anima. Mipareva di durar fatica ad attraversare il chiaro di lunacosìsilenziosotra le ombre delle fronde e quelle delle cancellatedinanzi alle ville.

Quandofui presso un pinosentii un usignolo; io feci un gridoe poi glitirai un sasso. Avessi avuto un fucile!

** *

Unasera d'estate mi sedei a piè d'un greppo e cominciai a fumarsigarette l'una dopo l'altra. Era molto scuroe le stelle parevanocosì piccole che certo avrebbero bucato. Avrei voluto con meun amico per parlare di qualche cosao meglio per ascoltarlo. Quandovoglio bene ad un amicomi piace di più star zitto fumando.

Quasiannoiato e intristito a star lìappuntellai le mani su l'erbae feci per alzarmi. Allora un grillocosì vicino che nonraccapezzavo dovecominciò a cantare. Era tra le mieginocchiaforse? Era dietro di me? Né meno. M'era saltatoaddosso? Mi scossi tutto: no. Dovetti andarmenee mi misi apiangere.

** *

Adiciannove anni mi venne l'idea che sarei morto tra qualche mese. Nonso perchétanto più che non ero ammalato néavevo mai tossito. Ma m'ero convintoe basta.

Conl'ebbrezza della mia adolescenza mi sentivo doventare amico di tuttele coseed io mi preparavo a salutarlequalche seraquando la lucedel tramonto si stendeva sopra i tetti di quella parte della cittàche guardavoseduto su la mia poltrona dove sarei certamente morto.E nel tempo delle vacanzenon mi voltavo né meno verso il mioscaffale pieno zeppo dinanzi alla scrivania inclinata; della qualeavevo contato scrupolosamentecon angosciatutte le macchied'inchiostro.

Mai tetti erano làcominciando dal mio davanzalecome unpendio che volesse precipitare la mia anima nell'oscuritàsilenziosa e diaccia della campagna. Qualche seraescivo e andavofuori di porta fino a Pescaia dove stava un contadino che tenevasette mucche. La mia malinconia aumentava con la sera; e i lumi aolioche vedevo dentro la stalla di quel contadinoperchéper lo più l'uscio lo lasciava apertomi tormentavano comeuna dolcezza che non potevo spegnere con me. Dopo di me avrebberobruciato ancora; e forsequalcuno li avrebbe guardati volentieri. Esiccome non potevo mangiareperché digerivo maledicevo alcontadino che volevo bevere un bicchiere di latte a pena avessemunto. Quando l'avevo bevutosempre con due sorsate che cercavo difare ugualiguardavo le mucche che avevano il muso dentro lamangiatoia.

** *

Qualchemattinaanzi giornosono entrato nella Basilica di San FrancescoaSiena. I colori delle vetrate erano lividicome pezzi di diacciocon i santi e le sante intirizzitidentro e attraverso.

Cercavodi camminare in punta di piedi per non udire il mio passoem'avanzavo fin sotto l'altare maggiore; poitanto a destra che asinistraandavo da una cappella all'altracercando consuperstizione di fermarmidentro ciascunapiù nel mezzo chemi fosse possibile ma senza troppo tempo a mesurare lo spazio con gliocchi e restandoci finché non avessi contato fino a cinquanta.Dopo ogni cappella la mia esaltazione mistica si faceva sempre piùcompletae mi veniva in mente di non escire più dallaBasilica. Tutto il mondoattorno alle sue alte muradiveniva semprepiù dolce e più religioso. Qualcuno faceva segni dicroce che rimandavano indietro le folgori e arrestavano il vento. Gliorgani cantavano insieme con la mia animache fruttificava come unmiracolo fatto sopra una vigna. (Certo il ricordo di qualche leggendamanoscrittaletta alla Biblioteca Comunale).

Lecampane suonavanole ore battevano; e tutto era musica. L'azzurrodel soffitto di una cappella si moveva e si apriva; gli angiolivenivano fuori come se fossero stati sospinti dall'infinito. Gliaffreschi del Lorenzetti si animavano; tutto il medio evo era dinanzia me; io mi sentivo una spada in manoe dovevo per primo cominciarebattaglie che duravano secoli.

Iosorridevo guardando il sagrestano che zoppicando portava la scala daun punto all'altro delle lunghe pareti.

Isacerdoti mi benedicevanoil papa m'invitava a trovarlo.

Scricchiolòin una cappellada un latouna cassapanca antica: corse attraversotutto l'impiantitosparìcome il brivido dalla testa aipiediun topo.

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Gliinteressi tra mio padre e i miei fratelli ci facevano inasprire; eapoco a pococominciammo a odiarci l'un l'altro come se fossimo ipeggiori nemici. Evitavamo di parlarcie quando non era possibilefarne a menoper quanto vivessimo tutti separatile discussionifinivano sempre a pugni e a legnate; anzi una voltaci mancòpoco ch'io non ferissicon una coltellatamio padre. Quando lilasciavomi sentivo arso dall'odio; come se tutto il mio sanguedoventasse veleno per loroe le mie maledizioni attraversavanol'aria come quei lampi che vengono proprio sopra la testa. Un giornoo l'altro avrei minato le case!

Mene tornavouna voltacosì pieno d'ira e d'odio che nesubivoquasi immediatamenteuna stupefazione densamollepaniosache soddisfaceva la mia anima. Alla mia anima appiccavo i mieifratelli e mio padre; e mi sentivo il sangue più arido dellaterra screpolata dall'estate; fermandomi a rompere con i tacchiqualche zolla entro la quale s'eran perfino seccati i fili digramignale cui punte bianche apparivano fuori. Se qualcuno m'avesseraggiunto o m'avesse detto: "sono tutti morti" finalmentela mia anima si sarebbe riavuta. Ma nono; mai!

VogliaDio che l'azzurro che respiratecosì bello e limpidodivengafiele o così duro che moriate subito a bocca aperta con identi troncati in vano per roderlo! Che le vostre case entrino dentrola terra; e sopra ci verrò a ballare con un'intera banda dimusicanti che pagherò quanto vogliano! Cada il veleno dalcieloe stasera sappia che siete affogati in quel fiume che vi fareibere per forza!

Quandofui in cima alla salitavicino a un aratrovidi una lucertolamortacon le gambe aperte all'insùcosì sottile epallida che singhiozzai.

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Conmia madre che mi voleva molto beneandavo da luglio ad ottobreinvilleggiatura. Mangiavo il pane dei contadiniche di nascosto mifacevano bere il loro vino anche a mezzi bicchieri per volta. Iostavo quasi tutto il giorno insieme con i loro ragazzia cuiinsegnavo a rotolarsi giù per le balze del tufo sodoa faregli archi con una frusta o con un laccio delle scarpe. Senza che neavessimo bisognoandavamo a rubare negli altri campi; ecosìmangiavo tante peschela maggior parte acerbeche mi sentivo lapancia più dura di un muro. E noi ci divertivamo a picchiarcivicendevolmentecazzotti sopra. M'ero fatto scuro e grasso:bestemmiavo e cantavo lungo i borri in fondo alle vallatecamminandotra i roghile canne e i pioppi; che si sentivano tremare sotto lenostre mani. Qualche volta andavamo a pesticciare sui seminatiscappando a tempo con le scarpe che non si alzavano più daquanto fango c'era rimasto attaccato. Ma ero contento di non portarepiù il colletto e d'avere una giubba non meno rattoppata diquella dei miei amici. Ci sentivamo con un mezzo fischioci capivamoa volo storcendo a pena la bocca o alzando le sopracciglia eraggrinzando la fronte: certe nostre risate avevano significatiimpossibili agli altri; eormainon c'era più nascondiglidentro i quali non fossimo stati. O zufoli di canne e di buccia dicastagno! O fruste agili e flessibilicon le quali qualche volta cisegnavamo le gambe nude! O ginocchi incrostati di sudiciopiene diferite e di lividi! O dormite fino alla mattinafinché nonm'avevano chiamato due o tre volte! E chi dirà la mia gioiaquandograttandomi i capelli con le unghiela mamma mi disse che miavevano attaccato i pidocchi?

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Ioho sempre avuto poco tempo di voler bene a qualcuno.

Quell'estateera così calda che né meno in cielo c'era posto perlei. Pareva che il sole si levasse sempre più grandeed eraimpossibile farsi un'idea di quando sarebbe tramontato.

Siepipolverosecipressi che parevano per seccarsialberimortisagginee granturcheti doventati bianchifili di ragno così lucentiche parevano di metallo che tagliasse le maniusci screpolatibottisfasciatela terra così dura che non la lavorava piùnessunoi letti dei torrenti senza libellule e con l'erba appassitasalci che non crescevano piùgelsi con la foglia piccolavomeri lucentisassi che scottavanonuvole rosse come fiammestelle cadenti!

Unacicalasopra il nocchio d'un olivocanta: la vedo. Mi ci avvicinoin punta di piedistando in equilibrio dall'una zolla all'altra. Lastringo. Le stacco la testa.

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L'ariadava una sensazione di violenza. Nel cielo c'era una nuvola chepareva una fiamma; e vapori bianchicci e torbidiquasi pigiati datutto l'azzurro grandeun azzurro un poco violaceo e umido. Ma chem'importavase io avevo perfino paura di guardare intorno a me?

Lanotte innanzidestato tra un sonno e l'altroavevo sentito portarvia le stelle e l'obbligo di non arrivare fino alla seradell'indomani. Ed eccoinvecech'io m'ero messo ad aspettare questasera! Ecco che io volevo vivere per forza ed inutilmentequantunquetutte le cose rifuggissero da me. Ecco che per un tempo indefinibileun anno forseio mi esponevo a ritrovare i segni della miasofferenza tutte le volte ch'io avessi voluto aprire gli occhi e ilrespiro. Ma io vi andavo incontro come ad un cadavere che avessidovuto seppellire dopo aver desiderato di assomigliargli. Ecco che lamia tristezza veniva ad oscurare definitivamente la mia anima.

Maora avrei voglia di scrivere una novellai cui personaggi fosseroburattini di legno. Io credo che essi possono meglio di noi goderedella luce e delle altre cose belle. Chi non ha visto quanto piacerehanno quando sono mossi dai loro fili? Essi recitano volentieri; esento tutto il baccano che fanno entro la trama della novella.InoltreRosaura non m'ha ingannato mai; e il vestituccio se locambia pure che voglia io. Tutta la mia tristezza sentimentale noncosta l'occhiata di vernice della mia dolce Rosaura. Vedo che nessunadonna vera è gelosa di lei; ma ha torto.

Oggi(già passato un anno?) il cielo è in un modo che parerosolio; e i calabroni se lo bevono tutto.

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Ahsìella mi ama tanto che mi viene da piangere! Ecome se ionon l'avessi amata maisento tutt'insieme la voglia di vederla e dimettere la testa sopra il suo petto.

Maperché soffro così e non vado a trovarla? Non c'èpiù la mia casai muri si spalancanoed io mi metto fermo;così fermo da sembrare che le cose si muovano.

Ilmio alito fa appannare i vetri della finestrama lo specchio sembraun abisso che divora tutto.

Unacanzone che forse canterebbe qualcuno andandosene; il respiro deltempoche io sento lo stesso quantunque tanto lontano che c'èda impazzirne; la mia giovinezza che non è più con me;quelle rose vere chese doventassero grosse e larghe come le voglioione proverei sollievo; e quella mosca che si movesopra iltavolino!

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Nonho mai guardato dentro un pozzo senza pensare alla morte. Quando labroccatirata su dalla contadinala rivedevo dondolare al ganciodella funemi pareva che fosse stata salvata. Eprima di bevercimettendola piegata alla boccalo sguardo a quell'altra acqua dove iriflessi del cielo si spezzavano!

Aprendola finestrala mattinala prima occhiata era al pozzo; la serarientrando in casami allontanavo in fretta dal pozzo. E imendicanti che si fermavano a bere! E le loro lingue molli della suaacqua! E la bella pioggialimpida e allegrache v'andava dentro giùper le grondaie contorteattorno alla mia casa! E l'annaffiatoio chenon ne aveva paura! E la capra chebelandovi s'arrampicava!

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Lastrada dove non sono più stato è quella che m'erapiaciuta tantoforse più delle altre.

Giànon vi passava nessuno! L'erba v'era altacon il muschio cosìverde che pareva una vernice a oliosciolta.

Semprel'ombra del muro altissimoscrostatoscalcinato; un'ombra chepareva più pesa del murofreddasilenziosa.

Edi làa pochi metri di distanzail sole chiaro e caldoe lefarfalle che quando si sono prese in mano bisogna ucciderle!

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Infondo a un cassettoche odora di stantio e di cose andate a malequante bricciche ritrovo! Un pezzetto di cannacon la quale volevofare uno zufoloun giornale illustratoun coltello che non tagliapiùun manico di lesinatre bottoni e poi un cartoccinogiallolegato stretto stretto con un filo bianco.

L'aproper vedere che c'è; semi di papavero. Quando sono per buttarlivia dalla finestraperché ormai non devono nascere piùvedo un piccolo insetto che non conosco: una specie di scarabeo verdee d'oroquasi trasparente come un vetro prezioso. Mi dispiace.

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Volertidimenticare! E i discorsi che ti fo! E i miei sorrisi e la voglia divenirmi a inginocchiaree la luce dei tuoi occhi! E il tempo con ilquale riempio la distanza tra me e te! E qualche tua parola che parviva e sola! E il pensiero chese t'amassisarei felice! E tu chenon mi hai rimproverato mai! E i nostri ricordi! E il tempo che siamostati insiemecosì dolcecosì bello! E il mioostinato silenzio! E le mie strette di manoquando le nostre manisapevano tutto della mia anima! Sei ancora bellao forse di più?Mi piaceresti lo stesso? Potrei tacere ancorase ti rivedessi? Tiaccorgeresti di niente?

Equesta rondine che corre dinanzi al suono della campanaper nonfarsi raggiungere!

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Quantevolte il freddo del mio cadavere fa le veci della mia anima! I montimi paion la terra scavata attorno alla mia fossae il cielo mi fatenere gli occhi chiusi come se fosse lo spruzzo dell'acqua benedettache non potrò sentire. E il mio cuore non batte come lemanciate di terra che mi getteranno addosso?

Omorte che sei bella nei fili alti dell'erbatremolanti nel ventofrescoe rugiadosi! Morte che non mi farai udir più le ranequando è vicino a piovere!

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Unpoco di primavera entro l'acqua della fontana; ma pareva che i fiorile fossero ostili e non ne volessero sapere. Le violette malcontentei peschi sfioriti prestoquasi per far piacere al ventoqualcheusignolo stonato; e il chiù non si sentiva mai. Le mattinateaccosto alle sere come se fossero state legate per una ghirlandaeil mezzogiorno sempre breve e rapidobenché con qualcheraccoglimento abbastanza intenso verso l'ora del pranzo. Ma nessunavera voglia di vivere: piuttosto una specie di scontentezzapiacevolecon la quale stavo bene anche a finestre chiuse. Anzi lecosedi là dalla finestraparevano più bellecome sefossero state troppo lontane o quasi di un passato commemorativo. E isuoni delle campane s'attaccavano e non venivano via più daicampanili; ed ero curioso di sapere perché. Troppa luce etroppo soleche però mi facevano dimenticare meno le miegiornate fredde e tristi quando non si riesce né meno aimaginarlo più il sole!

Mase guardavo l'acqua della fontana di marmoa poligonopiena dialghe che si staccavano dal fondo per andare a galleggiare un pocoalla voltaquasi salissero ad amoreggiare con il tepore del sole checombaciava con la superficie liquidaio vedevo e sentivo laprimavera come forse mai più.

Eallora non comprendevo le violette: ma soltanto il loro odore comeuna serenata alla luce. E la mia anima sopra quell'odore s'ingrandivafino a sentirmela dentro i miei occhi. Ma i miei occhi eranoattaccati all'acquacon l'anima tutta a riverso per prendere un pocodi sole e di luce; e sentivoallorauna primavera pazientetuttadipinta di silenzi casalinghie non volevo convincermi di trovarmisempre solocome se fossi andato a spasso e non avessi piùvoglia di tornare a casa.

Iosentivo che la mia faccia tentava in vano d'invecchiare la mia animae per questo io m'attaccavo all'anima. Ma tutto m'ero arso di mestessocon una cenere che mi faceva lacrimare. Perché quelpesce rossonascondendosi sotto le algheguizzò?

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Laprimavera è proprio da per tuttoanche dove non ce n'èbisogno. Anche tra i sassi del muro franato l'erba è volutacrescere. Per i sentieri più scoscesitra i tronchi deglialberi che furono abbattuti con l'asciacon un'ambizione di farsivedere che pare perfino ingenua. La primavera assomigliaquestavoltaun poco alla stanza che la nostra amicaaspettandocihaadornato di fiori comprati a posta. C'è uno sciupio di gemme euna voglia di fiorire che pare una di quelle accoglienze da segnarepoi nel nostro calendario. La primavera in tutti gli stiliperfinoroccocò; con certe manie di fare effetto per forza. E pensandoa tutto questo lussoci si prova ad essere contenti. Le margheritebianchequelle dei pratifanno di tutto per darvi nell'occhio; egli stessi prati si sono lisciati con la rugiada e il fresco che pareperfino bizzarria e voglia di divertirsi. I pini mettono fuori laloro resina come se volessero regalarvela a tutti i costie ci siavvicina a loro per guardarli meglio; mentre anche l'azzurro rimanelì per lì un poco rintontitoquasi non sapesse chefareeforsevergognoso di non odorare né meno quanto unavioletta. E c'è mododel restoper tutti di far qualchecosa.

Maperchéproprio oraun maggiolino morto?

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Sentirsisolo è un piacere che spaventa.

Un'oradopo la mezzanotte non avevo più sonno né stanchezza; ela conversazione fatta con un amico e un'amicaquantunque di pocheore innanzicominciando da quando avevamo cenato insiememi parevagià sì lontana che pensavo se l'indomani ambedue siricordassero di conoscermi.

Conil chiaro di luna in boccacredevo di masticarloe c'era tutta lastrada che voleva saltarmi addosso.

Primaancora di sapere perchémi viene freddo e poi distinguo lavoce della civetta.

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Oggisono rientrato nella chiesa della mia parrocchia. Lo scialbo bianco èuguale a quindici anni fa: ho creduto riconosceresu una colonnavicino a una pancauna scalcinatura che ogni domenica allargavosempre più con le unghie. E mi son ricordato dei fiori fintia mazzoliniportati al curato dalle due zitelle che andavano sempreinsieme e facevano poca elemosinae tutti dicevano che erano avare.Oggi mi dispiace di averle odiate con feroce avversionequasi sempreinciampando se mi voltavo a perseguitarle con gli occhi.

Etutte quelle ragazzeforse ora madrie non le riconoscodi cui eroun poco innamorato!

Maquanto piansi quando mi confessai per la prima comunione!

Oranon ho più paura quando suonano le campanema mi piace ch'iovolessi mettere al collo di una di quelle ragazze un nastro ugualealla riga ch'era per margine a ogni pagina del libro di preghieredella mamma. La voce di quella ragazza mi faceva lo stesso effetto diquando mi guardava; ed io ridevo che la mamma sapesse a pena leggerema mi pentivo tanto d'aver ficcato pezzetti di cartasuga dentro ilcalamaio.

Riescofuori dalla chiesasicuro che il suo scialbo sia più frescodella primavera che inonda la piazzetta sbilenca di San Donato; escesi gli scalonimi volto a dietroin sua guardar le campane.

Mene vo con meno dispiacereperché vedo che un branco dipasserotti hanno il nido sul tetto.

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Piovetanto che ormai i fichi sono sciapiti. Allora assaggio l'uva econun grappolo in manopiglio attraverso la vigna. Qui c'è unpalo da rialzarelà una vite da buttar via. Ma io sono ilpadrone: mi faccio ubbidire anche dal granoe mi volto alla luce perdire: domani tornerai e seguiterai a maturarmi l'uva. Io assaggeròil mosto.

Comeodiai uno de' miei pavoniche capii più orgoglioso di me!

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Lamia animaper aver dovuto vivere a Sienasarà triste persempre: piangepure ch'io abbia dimenticato le piazze dove il sole èpeggio dell'acqua dentro un pozzoe dove ci si tormenta fino alladisperazione.

Mai miei brividi al tremolio bianco degli olivi! E quando io stavofermoanche più di un'orasenza saper perchéallosvolto di una stradae la gente mi passava accanto e mi pareva dinon vederla né meno!

Cittàdove la mia anima chiedeva l'elemosinama non alla gente! Cittàil cui azzurro mi pareva sangue!

Dalpoderele mie viti scendevano fino a una sua strada; e l'anima diquella che sarà per sempre la mia fidanzata mi tenevacompagnianel silenzio folle; e qualche mia parolache le scrivevoin frettaera stata il mio respiro più di una lungasettimana.

Sienada sotto il mio ciliegiopareva un arco che non si potesse aprire dipiùe le sue casegiù per le sue strade a pendioparevano frane che mi mettevano paura; con i tetti legati dall'ederecresciute su per le mura della cintale mura che non si aprirannomai. Ed io allora andavo a guardare la città da un'altrapartequasi da quella oppostadalla Porta Ovile. E vedevo i suoiorti squadrati entrarecon un angolo più alto degli altritra le case più rade; oppurel'uno appresso all'altrofarsilargo e postoma fermati da una fila di cipressi la cui ombraoscurava il verde dell'erba; e qualche pesco fiorire e maturareaccanto alle campane d'una chiesolae qualche olivo chiamarsi dietrotutta la campagna soaveche impallidiva lontanorasente i montichiarissimitalvolta più luminosa del sole; con una tenerezzache mi commoveva.

Ese guardavo la città da un'altra alturada Vignanonele vocidegli uccelli s'allargavano nell'azzurro come il vento. E tal'altravolta le campane tutte insieme mi parevano un'armonia discordee miveniva voglia di morir subito. Le rose dei giardinisenza colore esenza profumola cingevano tutta: le finestre erano aperte.

Daparecchie miglia lontanoio vedevo in vece le sue torri come tizziritti che si spegnevano ultimi nella cenere del crepuscolo.

Ei temporali con tutto il cielo addosso! Pareva che i lampi ladovessero schiantare; madopol'aria era più fresca e sirespirava meglio; gli uccelli la varcavano a frottee il sole larasciugava.

Perchédunqueio vi soffrivo? Perché la mia anima non vi èmai voluta stare?

Losapevaforsequella mia tartaruga che riuscii a tener chiusa incasa una serae la mattina dopo non la trovai più.

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AVico Alto i vecchi cipressi si fermano all'abside della chiesa dipietre. L'Osservanza non è lontanae si vedono le stradeprima sparire e poi ritornare verso Sienaquasi aspettate. Le stradesciupano i bei verdi simmetricima l'erba riescirà arinascerci un'altra volta sopra. Se di quassù si sentissecrosciare il torrenteche si tiene con sé i salici e i gelsi!Masiccome è domenicala gente passa proprio per il viottoloche lo rasenta; gente vestita bene e che si sofferma di quando inquandoforse incuriositaa guardare attorno. Alcuni merendanoconun giornale steso nel mezzo. Vengonoper quell'altra strada che fail giro lungole sordomute e poi le convittrici.

Uncontadinoappoggiato a un cipressofuma.

Ohanch'io voglio fare all'amore e voglio passare lungo il torrenteperché m'annoio a guardare le salamandre che scendono erisalgono dentro questa fonte dove le alghe mollicce e viscideintasano l'acqua!

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Erauna mattina d'estatecalda e accecante. Camminavo pianoe sempre dipiù la natura mi pareva un sogno immenso della mia anima. Ilcuore mi batteva di contentezza. I cipressiuscenti dalle siepi deipoderiattorno alle case tutte impergolatein Toscanaparevanopiantati lì dall'aria stessa.

Odoridi ginepridi marruchedi sanguinelledi mentastri! Sopra unmuricciolovidi un ramarro. Mi fermaiperché non scappasse.Alloraguardando i suoi occhi paurosi e intelligentiprovai unadelusione dolorosa: e feci il viso rosso di vergogna.

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Chinon ricorda come si trascina una farfalla feritatoccando la terracon le ali tremanti!

Machi può vederene' suoi occhil'espressione del suo doloreviolento e improvviso?

Lafarfalla va presto a rincantucciarsisapendo sparire dalla nostracuriosità. È come qualche cosaallorache riesce anon aver contatto con noiad evitarci.

** *

Eradi settembree l'uva cominciava a maturarema i chicchi parevanotrasparenti quando i raggi del sole entravano tra i pampini. Ero inmezzo a una vallatavicino ai pioppitutti contortidi un borro.Mi pareva che la vallata si sollevasse suattratta dalle due collinepiene di oliveti e di vigne. Le pesche erano maturee pensavo dimangiarne almeno una. Ma esitavo a muovermi. Tra due vitividi unaragnatela: era un poco umidae mi venne voglia di toccarla con lapunta di un ditoma senza romperla. La peluria della prima donnach'io ebbi non era così morbida.

** *

Nonso ancora spiegarmida otto anniperché la mia amanteunavoltadopo aver bevuto la birrachiudesse con il ventaglio apertodentro il suo bicchiereuna vespa che v'era entrata. Prima eraentrata nel mio; ed ella l'aveva guardata sorridendodivertendocisiquasi.

Iocercai di farle muovere il braccioma ellacon tutta la sua forzanon mi dette retta. Mi disse:

-Parliamo d'altro.

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Alpodereche ora ho dovuto venderetenevo molte gallineinsieme conalcuni tacchini e i loci. Quando non avevo voglia di far niente oquando soffrivo troppo non saprei di cheandavo nel pollaio e mimettevo a guardare. Un locioche pesava parecchi chilidondolandositutto per camminaresaliva a ogni momento sopra la sua femmina. Virestavadopo un pococome stordito; e poi cadeva svenutobattendoil dorsocon le gambe per aria e immobilicon gli occhi velati comequando muoiono. Tutte le galline parevano spaventatee non siavvicinavano.

** *

M'eravenuto il tifoe la febbre cresceva sempre. La mamma non potevatenermi compagnia a tutte l'ore e quanto avrebbe voluto: e io dovevorestarmene a letto solo soload aspettarla. Vedevodalla finestrasocchiusacon i vetri non più lavati da quando stavo malepassare le nuvole e la cima d'un ciliegio che rabbrividiva come mequando sentivo la febbre.

Unamattina avevo fame dopo aver preso la solita cucchiaiata di medicina.E non veniva nessuno. Avevo voglia d'alzarmima più dipiangere. Le coperte mi schiacciavano come le montagne; e mi parevache tutte quelle nuvole me le facessero più grevi. C'era acapo del letto il campanello elettricoma non lo suonavo perchéil suo squillo mi faceva peggio. Ero proprio per gridarespaventatodelle coperte alzate dai miei ginocchicon l'illusione che sialzassero fino al soffittoper soffocarmi.

Entròun'ape. Mossi la testa per guardarla meglio. Sbattendo contro ivetricominciò a ronzare; ma con un ronzio così dolceche mi fece subito un effetto di benessere. Allorami ricordai deifichi maturi e di tutte le altre frutta. Chi sa quale odore giùnei campi! Mi parevaperfinodi sentir sapore in bocca!

L'apegirò da un travicello all'altroe poi tornò allafinestra! Non piangevo piùassorto in quel suo rumore ugualeche allora mi pareva una specie di musicaa cui avrei dovuto trovarle parole. Quando venne la mammafacendola fuggiremi dispiacque; eci pensai tutto il giornosorpreso di non pensare ad altro.

** *

Erastato un temporale orribiledopo mezzogiornod'agosto. I lampierano così fitti che non si faceva a tempo a respirare e asegnarsi. La mamma s'era seduta nella sua poltronaio m'ero messo inginocchio con la testa sopra a lei. Le sue mani mi tappavano gliorecchi. Ma non avevo il coraggio di chiudere gli occhiepiangendosenza muovermi da quella posizionemi segnavocominciavol'avemariasenza mai finirla.

Ilboscovicinissimo alla casaquasi sopra il tettocrosciava con ilvento e la grandine. Si era fatto così oscuroche la donnaaveva acceso la lucernina d'ottonemettendola nel mezzo dellatavola.

Dicevala mamma:

-Se avessi un poco d'olivo benedettoper bruciarlo! Fa tanto bene!

Duefulmini caddero nel bosco e io li vidi. La pioggia luccicava; lagrandinesempre più grossaempiva il davanzale dellafinestrae la campagna pareva tutta bianca.

Finalmentei tuoni si fecero sempre più lontani; l'aria tornòserena. Lampeggiava ancora sopra la città; madalla parteoppostaera apparso l'arcobaleno così dolce!

Riaprimmole finestre e poi le porteper escire. Alloraun contadinovenendodalla stradaci fece vedere una rondineancor vivache iltemporale aveva abbattuta. Le sue penne eran bagnate e lucide: parevastorditae stava da sé nel cavo della manopalpitandomaquasi rassegnata.

Provaitanta gioia che battei le mani.

** *

Conla mia moglie era un affar serioogni giorno di più! Bastavaun pretesto qualunque per leticare parecchie ore. Una voltalaminestra mi parve sciocca; anziera certamente. Glielo dissi. Mirispose:

-Perché non vai a trattoria?

-Se fossi più furbo!

-Vai dunque.

-Me lo vorresti proibire tu?

Ela guardai con tutto il mio odio; ed ella altrettanto. Ma io nonglielo volevo permettere. Allorafeci l'atto di darle unoscapaccione. Si alzòrigida come uno stecco; e si mise aguardarmi fisso. Pareva che i suoi occhi si allargassero sempre dipiù; ma mi sentivo tanto più forte di lei che nonpensavo né meno a offenderla. Mi disse:

-Vuoi scommettere che io vado dal procuratore del re?

-E perché no? Potevi esserci andata. Così mi sarei fattofare la minestra più salatase non c'eri in casa!

Sislanciò; io mi riparai con un braccio piegato.

Inquesto mentrevedemmotutti e due insiemenon so comeuna formicache dall'orlo del fiasco stava per scender dentro e cadervi.

Larabbia finì subito. Ella la prese con le dita e la scaraventòlontano. Io dissi:

-Per fortuna l'hai vista! Avremmo dovuto buttar via tutto il vino!

Eil pranzo finì bene quella volta.

** *

Alladottrina cristiana ci sarei andato volentierima da quel pretenoda vero! Quando entravo nel suo studiosiccomeavendo cominciatopiù tardi degli altri comunicandidovevo rimettermi in parisentivo una specie di freddo che m'agguantava l'anima come uno per lagiubba. C'era un tavolino con un tappeto rossoforse rovesciato; ilritratto del papaquattro o cinque seggiole che parevano tutte nerecome le loro spalliere; e un odore tra l'intingolo e l'incenso o lacera bruciata. C'era poca luceperché la finestra dava in unpiccolo orto sotto certe mura antiche ricoperte di edere; e mi venivasempre la voglia di andarmene prima che il prete fosse venuto. Equella zoppa che m'apriva l'uscio! Certi occhi che mi facevanopensare alla panna inacidita!

Matra le tendetutte polverose e sbiaditec'era una gabbia appesacon un canarino così giallo che pensavo fosse colorito con ituorli dell'uova che si davano al prete quando veniva a benedire lecase. Saltellandofaceva oscillare la gabbia e anche un poco letendee a motivo delle quali mi scansavo in fretta; quasi per paura.Io mi vergognavo di luiche mi vedesse con il mio libricciolo sottoil braccio lì ad aspettare. Ed ecco perché l'osservavosemprequando il prete m'interrogavaprima di rispondere!

Ungiorno glielo portai via; epiuttosto che ritrovarlo in quellagabbialo schiacciai con il tacco delle scarpe.

** *

Unmio amico era in agonia. Caduto da una scala aveva battutol'occipitenon riprendendo più i sensi. Siccome non l'avevapotuto comunicareil prete gli lasciò la stola sopra i piedidopo aver detto molte preghiere.

Lamamma del moribondo stava nella stanza accantocon l'uscio apertoapiangere; iostringendo i ferri a piè del lettolo guardavo.Il suo volto acceso dalla febbreavevadi quando in quandounacontrazione lunga e lenta; ma gli occhi restavano chiusisempre piùin dentro.

Unaragazzadall'altra parte della stradacominciò a cantare; iola feci star zitta. Il rantolo diveniva sempre più fortealternandosi con un sibilo così dolce che mi ricordavaconterroretutte le nostre allegrie. La febbre gli aveva seccato lelabbra. Io pensavo come bagnarglielequando entrò una dellesue due tortore. Prima che io facessi in tempo a rimandarla indietroera già volata sul lettoproprio sopra il guancialemolle di sudore. Alloraperché non si mettesse a svolazzarebuttando in terra qualcosaaspettai che tornasse via da sécome credevo che avrebbe fatto.

Glimontò su la fronteche s'increspò; eallungando tuttoil collogli diede una beccata tra le labbra. Egli era uso a farsiprendere di bocca i chicchi di granturco o di granella.

Alloratroppo tardila scacciai. Madal labbro di sottodovetti asciugarecon il cotone idrofilo le gocce di sangueche smisero soltantoall'ultimo respiro.

** *

Soche una vipera ha morso uno che m'odia. Pari e patta.

** *

Ricordosempre queste sensazioni: dopo la scuola attraversare il corridoiodel seminariofresco ed annaffiato allora; l'attesa d'un rimprovero;la prima comunione: parole alla fidanzata; un campo troppo verde;un'ape che esce da un fiore senza che mi fossi avvisto che c'era.

** *

Ociliegiesapore del maggio!

Fareiridere se raccontassi quanto le amoora che non ho altro da amare.Ed io per poco non mi crederei sciocco.

Mala mia bocca è cieca; e non è fatta che per mangiare.

Metteteun piatto grande di ciliegie sopra la mia anima: non le lasciatetroppo maturareperché le passere le beccano tutte.

** *

Equella finestra che vedevo dal mio podere scintillare tutte lemattine quando il sole si levava; una finestra che è delleprime case di Porta Camollia.

Nonho mai saputo chi ci sta; del restomi sarebbe stato difficileperché quell'abitazione è dalla parte degli orti tra lemura e la chiesa di Fontegiusta; un orto dopo un altro che nonfiniscono mai.

Aentrar lì dentro bisognava anche attraversare un andito semprebuiocon l'impiantito sempre molle; perchéin fondoc'èun pozzo e le donne vi vanno ad attingere l'acqua con le brocche e lesbattono ai muri troppo stretti.

Lescale da una partetutte a pianerottolisudicie e sciupate.

Hopensato che fosse di quella vecchia che tiene in casa il nipote ciecoche fa l'impagliatore di seggiole; poidi quella fruttivendolasorda; oppure della tabaccaia tisica o di quel maestro impazzito.

Epurequando sento cantaree bisogna che il vento tiri da Sienaspecie la serae non so chi ècredo che sia dentro quellastanza; e allora me la immagino con quei mobili vecchi mariverniciati di verdolino e con le righe attorno alle serrature ealle maniglie di ottonerosse e fatte a mano: più larghe epiù strettebrutte. Ea una parete di fiancoun grancrocifisso doventato leggiero come una galla perché i tarlil'hanno tutto vuotato; einfilato tra i piediun ramicello di olivoche si è seccato e che non si può smovere perchéle fogliecolor tabaccocadrebbero subito e sporcherebbero ilpavimento; che dev'essere spazzato ogni giorno e annaffiato conl'acqua a pisciolofacendoci quei disegni tutti intrecciati che siallargano da sé.

Equesto farfallino grigio scommetto viene di là; perchéha le ali tinte di polvere.

** *

Quelmelo è il più bell'albero del mio campolo salutotutti i giorni dalla finestra.

Soche l'ha piantato il mio zio Pellegro. Ma lo avevo visto la primavolta quando mio padre dovette tagliare i legacci di salcio perchélo stringevano troppo; e il fustoingrossandos'era quasi reciso.

Alloragli cambiarono il palo.

L'annodopo fece tre mele: e mezza mi fu data ad assaggiare.

Peraltri tre o quattro anni non lo vidi più.

Maquando ripassai di lìs'era fatto irriconoscibile: una buccialucida e tenera che veniva via a toccarla con l'unghia; tanti rami ecosì alto che lo guardai rovesciando la testa in dietro.

Vidiche era cresciuto prima di me e che mio padre ne faceva gran conto.Gli avevano zappato la terra attorno come agli olivi; ma siccome eraautunnogli erano rimaste poche foglie sbiadite; e nelle punte deisuoi fuscelli i segni dove stavano le mele: una solaanzigialla egrinzosa. La guardai meglioprima di staccarla con una zollata; maraccattatalam'accorsi che dalla parte di sotto c'era il buco di unbacherozzolo. Allora la tirai lontano.

L'annodopoa primaveralo ritrovai fioritotutto biancocome una granfesta.

L'avevanopotato e i suoi rami facevano una specie di circonferenza un pocovuota nel mezzo.

Mauno dei suoi quattro rami che venivano su dal gambano era gobbo e unpoco più corto perciò.

Quasitutti i contadinipassando sottoci ficcavano la punta della falceper cercar meglio con tutte e due le mani nelle saccocce delpanciotto la cicca e i fiammiferi.

L'annodopo ebbe la prima disgrazia: ogni fronda fu fasciata da centinaia diragnatele piene di bruchiche gli mangiarono in meno di unasettimana i fiori e le foglioline. A maggio era già perseccarsi. E per due anni non fiorì né meno più.

Alloramio padre lo fece scapitozzare e dentro una rigonfiaturaa metàdel gambanolo trovarono pieno di bachi carnosi duri e grossi piùdelle dita; ed avevano capocchie tonde e rosse più del sangue.Furono uccisi con il coltelloa pezzie la pianta si riebbe.

Madi mele ne ha fatte sempre meno. Oracinque o sei soleche se lemangiano gli uccelli e le vespe.

** *

Lamattinata è fresca come le rose umide; ma tuttavia non riescea convincermi che io posso odorarla.

Tuttiquesti tetti attraventati addosso alla collina di Ovile si abituano afarsi guardare di quassùdi sbiecoda questo muricciolo cosìscalcinato che tra mattone e mattone c'entra un dito. Se la primaveraci fosse giàpotrei divertirmi a guardare gli alberi fioriti;ma son venuto troppo prestoin vanoimpaziente. Scommetto chequando la primavera ci sarà da veroio non ci verrò némeno. Ma finalmente capisco perché mi ci prenda questadolcezza con la quale voglio prepararmi a scrivere alla miafidanzata. Làda una parte della piazzadove la ghiaia èpiù consumatac'è la porta del Seminarioverde esbiaditacon l'architrave di marmo doventato quasi giallocontentadi essere accanto a San Francescoquasi sotto il campanile. Mi pareancora di entrarci per andare a scuola. Ma c'entra il solecon unastriscia che va a ritrovarsi con quella di dentro il chiostro.

Edio resto nella piazza. Giù la Porta Ovilepoi campi di olivie viti; esu in altola piccola stazione con i vagoni carichi disacchi e di legname; con una stradaper salirciche gira piùdi un esse fatto per ridere sopra un muro da qualche ragazzo. Èuna dolcezza chese qualche volta pare stancatuttavia si senteanche lontano lontanotra le pieghe verdi dei colli dove non sonostato mai.

Ilcampanile con i grappoli delle campane che fanno escire per la piazzai rondoni!

Edi tetti hanno la pazienza di stare lì e l'abilità dinon lasciarsi andare per riposarsi un poco!

Quipensando alla fidanzataritrovo molta della mia vitaanche quandoandavod'estateall'ombrasotto il muraglione delle Figlie diMaria ad imparare la chitarrae dove m'ebbi un pugno e riescii a nonpiangere; e ricordo il cavallo che scappò dalla caserma deicarabinieri.

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Lasiepeaddiritturatagliava le spiazzate dei campi verdi o aratil'uno accanto all'altrol'uno addosso all'altro. Gli uccellivolavano con un volo sempre più bassotremolando un pocoimpauriti delle quattro nuvolequasi quadrateche avevano copertoil tramonto: le quattro carte da gioco. Nel Pian del Lagoc'eranebbiaa strisce sempre più sovrapposte e larghe; Montemaggioe la Montagnola di un verde più nero della siepee voli dicolombacci che a stento proseguivanorandellonicon le aliappiccicate nel cielo d'un turchino che voleva smettere.

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Pertornare a casaci sono sempre nel mezzo della strada quelle settestelle dell'Orsache me l'hanno buttata là chi sa perché.

Ilventoche batte la facciaviene di lì.

Etutta la bellezza della sera vorrebbe entrare dopo di me e spinge inqua l'usciosì che duro fatica a richiuderlo.

Perchéla gatta miagola e si spenzola dalla grondaia?

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All'ombrail carraio verniciava di cinabro mescolato al minio le ruote deicarri da contadini; e poicon un fusello infilato nel mozzo e tenutotra ambedue le palmele portava al soleappoggiate al muro. Qualchevolta andava a levare con il manico del pennello una mosca che c'erarimasta attaccata. Tutte le mattine passavo il tempo cosìsenza parlar mai al carraiosedendomi sopra un mucchio di brecciache lo stradino teneva già pronta per l'inverno.

Mattinatedolci di solequando cominciavo a sbadigliare di fame; e io neprovavo un senso indefinitoquasi di sonnolenza e di piacere!Pensavoallorache da grande avrei scritto un libro differente atutti quelli che io conoscevo: qualche storia ingenua e tragica chepareva uno di quei pampini che il vento mi faceva cadere tra leginocchia; ecco; come c'è questo pampinoci sarà ilmio libro.

Esentivo un fremito.

Ilcarraio seguitava a verniciare; etalvoltam'illudevo che anch'eglivedesse riempirsi la distanza tra me e luidelle persone che mipareva di vedere.

Egliè buonopensavo; egli non dice niente né a me néa loro perché io non creda che gli si dia noia.

Tuttala strada era piena di personecome un incubo trasparente e leggeroche si movesse anche ad un alitare di vento; come si moveva la miaanima.

Allafine dovevo supplicare questa gente che mi desse un poco di tregua:la sentivo attorno alla mia giovinezza come insetti attorno ad unlume acceso allora allora. Qualcuno mi perseguitava e mi facevavenire i brividi; un altro voleva stare in casa con meed io nonpotevo mandarlo via.

Eccoche il mio libro doventava la vita stessala gente cioè checonoscevo!

Masoffrivo e sentivo una specie di malessere vertiginoso; em'invogliavo di pigliare a sassateper scherzare.

Invecei moscerini m'entravano negli occhi; e mi venivano le lacrime.

** *

Unastrada scendeanche un'altra scende e le viene incontro: si fermanoinsieme. Dalla primaa metàse ne parte un'altra che scendeper un altro verso e ne trova subito un'altrapiù bassa chefa lo stesso.

Sula prima se ne butta un'altra; poi la prima e la secondadopo lafermatase ne vanno giù insieme e a un certo punto incontranoquella più bassa di tutte. Altre strade le tagliano escendono. Le case hanno paura a stare ritte tra questi precipizi e sitoccano con i tetti pendenti. Ma anche i tettia pendere cosìnon potrebbero cadere tutti giù?

Lecaseper fortunasono soltanto a due o tre piani; e la genteallefinestreha l'aria di far loro da contropeso; perché nonseguitino ad andare più in giùtutte insiemeverso laPorta Fontebrandada dove certo non passerebbero essendo cosìstretta. Le vie della città guardano queste quasi per scendereloro addosso; con la Cattedrale nel mezzo e con San Domenico sopra iltufo giallo. Ma la Fontebranda è ficcata giù sottoterrae i Macelli se ne stanno stretti strettirasente la balza cheregge metà di Siena. La vasca natatoria è verdastradietro le punte nere e taglienti del suo cancello; i lavatoi hannol'acqua saponata; gli archi delle conce piene di cuoia ad asciugare.Quanta solitudine e quanto silenzio anche con il vocio delle donne edei ragazzi! Quando le donne di Fontebranda cantanocon quellecadenze d'una stanchezza tanto dolce!

Èun silenzio che sta lì come le case; quasi assurdo. E perchéquel cadere perpetuo dei tetti insieme con le strade?

Nonsi haal contrarioil senso che le strade salgano; si sentesoltanto la discesa fatta in frettacon ansia; edal punto piùbassoanche il meriggio è così lontano che restasoltanto per gli altri rioni di Siena.

Comincianole strida dei porci scannatiognuno basta ad empire di sangue duesecchi.

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Quelche vedo e penso è come se lo leggessi.

Leggeròforsefino a stasera; ma il libro non lo chiuderò; resteràaperto tutta la notte e troverò i sogni su le pagine come sefossero figure.

Inveceno. Allora percepisco solo le coseche stanno vicino a me: eperché sono seduto sotto la mia pergolami metto a guardareun pampino: forseuno dei più larghi. Perché noncapisco quel che folo strappo dal tralcio e lo butto dietro di medi là dal pancone verniciato di verde.

Ilsoletra gli altri pampinitaglia gli occhi con i suoi pezzetti divetro.

Unacavalletta mi salta su una mano.

Nelbosco cerco l'albero chetagliato a baraimputridirà sottoterra con me.

Glivoglio tanto bene: forseè quello dove ora c'è sopraun merlo.

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Quandoci sono iotutto ciò che è nella mia casa vive con me.

Iostesso ho insegnato a tutte le cosescegliendolecome dovevano fareper piacermi e perché io le amassi.

Questepareti riconoscono la mia vocee la loro fedeltà èprofonda.

Maguardandodalle mie finestrechiuse o apertela fila degli orfaniche escono a prendere ariacapisco che i miei occhi non vedonotutto. Mentrese guardo lavorare i contadinimi farei aprire ilcuore dai loro vomeriper dar loro la gioia di doventare anch'ioterra da semina.

Ese guardo i cavalli che tirano i barrocciriparo in vano lesferzate.

Sesento cantare i vagabondi e gli ubriachiio mi rattristo; se guardogli orti mi piacciono le campane che fanno finta di annaffiarli; ecambierei di posto volentieri con le stelle.

Mala luce della luna si diverte a farmi sentire le civette.

** *

Iom'ero messo in testa di trovare il violoncello che udivo tra glialberi del bosco: quando tira ventonon sta più zitto niente!Credevo che fosse a pochi passi da me; ealloraandavo làquasi di corsa. Non c'era più; più lontano oramadistante da me quanto prima. Andavo lo stesso. Né meno!

Sempresempre vicino a me; ma non dovevo vederlo né trovarlo mai!Cosìsul fiumeil riflesso del sole camminava sempre avantia me; edove era stato primal'acqua tornava ombra turchinasenzache vi fosse nessuna traccia di quell'incendio finto.

Cosìi monti non erano più azzurri quandodopo mezza giornata distradavi ero giunto; ed allora vedevo altri monti; ma era inutileche io camminassi a posta per questo!

Cosìle onde che il vento faceva sopra il prato: dov'ero ioattorno allemie gambetutto era fermo come me.

Cosìi miei sogni quando mi sono destato.

Néda vicinoho mai potuto guardare la trasparenza violacea che avevaun piccolo padule del fiume: non c'era più.

Cosìda ragazzol'eco della mia voce: un'altra vocema senz'anima.

Cosìi pappi di certi fioriquando volevo portarli in mano.

Ilvioloncello del bosco l'avrei voluto comprareper darmi l'aria diessere ricco. E suonarlo i giorni di festa della mia anima;ammaestrando un liocornocolor di carta biancache prenderei daqualche favola vecchia.

** *

Diecianni che abito nella mia casacomincio soltanto da oggi a sentirnela realtà. Tutto quel che vi avviene è la compilazioned'una storia che riguarda me. Ma quando io stesso non sapròdirlanessuno ci penserà più.

Cosìcome quella fonte che ho ritrovato mortaed io non lo sapevo.

Mortada due mesie nessuno me lo aveva detto.

Mal'ariaoggiè gaia; e mi sento bene. Forsevivròparecchio tempo ancora; ché di me non sento nessun segno dimorte; e tutto quel che vedo fa parte della mia esistenza.

Illimone già tagliatoi bicchieri pulitila tovaglia dibucato; e la voglia di mangiare.

Sonoimpaziente; mi guardo le manimi specchio ai vetri della finestra.Nessuna stanza è bella come questa; e la mia anima èanche più gaia dell'aria: il limonei bicchierii piattisono belli perché miei. Il senso di averli e loro stessi sonouna cosa sola. Ed è una sola realtà.

Maa pena mi sono seduto a tavola per il pranzosento cantareda unragazzouna canzone che io conosco senza averla ancora imparata.

Mivengono i brividi.

Portavagli agnelli a vendere.

Vorreileggere come un ragazzovorrei capire come un ragazzo. Là giùnel bosco fresco di verde e di ombreho lasciato il giocattolo delmio passatoperché si sono rotti i fili. Ma io mi metto aguardare fisso il turchino perché me ne venga un altro; magarifatto come una nuvola. Anche la pioggia è il giocattolo con ilquale ruzzano le fontane del giardino; anche il mio sorriso èun giocattolocome il mio cuore che batte.

Ela mia ombra è il giocattolo del sole; la mia voce èquello della mia anima.

Quandosiamo morti non si parlae allora quel che s'è detto loripetono gli altri.

Anchela bara è il giocattoloche si mette sotto terra.

Es'io fossi un ragazzovorrei chiedere a Dio che questa fresca erbabella la lasciassero in pace; e mi scriverei da me il mio libro dilettura.

Fareidoventar buone anche le vipere.

** *

Eccola seraquando le cose della stanza doventano pugnali che affondanonella mia anima; maniche che mi attendono.

Qualchealtra voltami erano sembrate - libritavolisedietagliacartecuscinilampadepareti - poemi immensi.

Maiin nessun modosono riescito ad essere indipendente dinanzi a loro.

Maquesta sera hanno atteso tutte d'accordo.

Sietesicure di essere sincere? Ormai vi lascio.

Lamia animase qualche volta si ricorderà di voicrederàdi mettersi a suonare un organetto di Barberia per fare ridere leserve e piangere chi non c'è.

Ilcardellino morirà di fame: il pane intinto non glielo daràpiù nessuno.

** *

Ilcielo sta per doventare uno specchio; è già impossibileguardarlo.

Qualcheuccelloche di rado vedo entrare in una boscaglia di pinifacredere che sia disseccato come quelli imbalsamati; e la sua ombraaffonda passando nella polvere della strada.

C'èuna piccola sorgente che a pena è buona ad escire di tra iciuffi dell'erba verdesotto l'ombra di una quercia. L'acquaalbuco della sorgenteun ago che si spezza semprescintilla e poisparisce.

Ingiro c'è nata questi dieci metri quadri di erba che lustraebasta.

Illuogo è così silenzioso che par di udire l'erba. E lafontecon lunghi rigagnoliche non smettono piùva giùper il prato a fare la calligrafia.

Quandoritorno nella stradala polvere scotta; e io cammino adagioper nonsudare.

** *

Anch'ioho avuto due carri verniciati di rossoche mi destavano la mattinaquando i contadini li portavano con i bovi nel campo.Carri di concimeo di uvadi granturco o di granodi saggine o di pomodori.

Liebbi da mio padreed io li vendei perché avevo da pagare undebito.

Ionon avevo mai posseduto nienteche mi fosse durato molto. Mi ci erotanto abituato che anche i miei sentimentiscambiandoli per balocchida pochi centesimili ascoltavo sempre con malevola e giusta ironia.Non eraforsel'unico modo per non ingannarmi più? Impazzitoper aver pensato subito che io potevo finalmente credere; effetto delmio bisogno di credere. Dopo tanto tempoecco che in vece di altrecose innumerevolidi ogni genereio ripenso ai due miei carri. Ealla mia vita quale avrebbe dovuto essere.

Ame non era lecito escire dal mio paese. Ascoltare là lemusiche della domenicapasseggiare con tutti gli altri le mezzegiornate intere per la strada che gira attorno alle caseamarequache ricca fantoccia.

Esopra a tuttoavere ancora i due carri verniciati di rosso.

Ilgallo che la mattina fa tremare il cuore di gioia; le noci mangiatecon il paneancora in maniche di camicia; le cipolle strofinate sulsale tenuto nel palmo della mano. La dolcissima aia costruita bene espazzata!

Fedeltàed amicizia dei campi verdi!

Leprime pesche vendutei vitelli comprati alla fierail vinoassaggiato dai tiniancora caldo e torbido; e il suo afrore! Gliacquazzoni che fanno ridere; la terra che sporca le mani!

Ele feste di campagna con gli organetti briachia singhiozzarelontano tra i campi; e fanno venir voglia di andarci anche noidietro; le feste che restano per sempre nell'anima con i fuochiartificiali e i palloni di carta che vanno a cadere quando piglianofuoco.

Ela cometa che fa paura!

Eil temporale lividocon la grandine bianca bianca; con i lampi cheaccecano! E tutte queste case del paeseche ci sono non si saperché; con le strade lontane per la maremma di Grosseto everso Siena; e si sperdonogiù nelle vallatedopo dieci oquindici chilometri; le strade che aspettano. In vecenon l'ho némeno più visto questo bernoccolo di case! I miei carri non midestano più; e il gallobenché durol'ho mangiato.

** *

Mipiacciono quelle persone che adopranoparlandomodi di diredifferenti a tutti gli altri. Mi sembranole loro conversazioniriconoscibiliamicizie a cui ci si possa affidare di più.

Ecosìho imparato che le cose hanno per ogni persona unafisionomia differente.

Unapersona si distingue più profondamente dal suo modo di parlareche dal suo viso.

Conquale voceper esempiodovrei parlare di un bel prato verde? E conquale altra di questa crocetta d'oro ritrovata per caso e che la miamamma portava?

Edio ho la certezza che sia viva da verola mia mamma!

Sonoventi anni che è morta? No; non è vero. È vivaancora.

Eccoancora le sue vestich'ella si metterà. Ecco il suo armadiole bottiglie dei profumiil suo cappello.

Laporta della mia camera l'ha lasciata aperta lei; stasera non mangeròse non c'è lei insieme con me.

Lefarò trovare un grande piatto di fichi maturi; ne èghiotta.

Ilpane fresco; e lo metterò al suo postosu la tavola. Il suobicchiere alto e scannellatodi vetro un poco verde e con il fondorossiccio di vino che non si può lavare più.

Hoimparato a vivere con la mia anima! Ora devo imparare a vivere con lamia mamma.

Nonabiterò più nessuna casa dove non sia anche lei; io laseguirò con un'obbedienza che i fanciulli non hanno.

Ionon parlerò che alla mia mamma.

Edella mi ricomprerà un paio di piccioni a cui taglieràle aliperché non volino via.

** *

Tuttiquei fiori che ho sognato!

Lamia animadunquesapeva di qualche funerale che io non so. La miaanima è stata a qualche funerale.

Infattitutt'oggi nella mia casavuota e desertac'era un senso di cosetragichenascoste a me. Quand'io aprivo gli occhi avevo paurae lacarta delle pareti aveva un'aria di silenzio quasi timido; noncanzonatore o vispocome altre volte.

Trale stanze c'era un'intesa e un accordo di non dirmi niente; qualcheparola che se la passavano quand'io voltavo le spalle. I miei librifacevano di tutto perché io non li prendessi in mano; lestoviglie nel salottino da pranzo erano mute e così tristi cheio non mi sarei arrischiato ad ado-perarle né meno una; perchémi sarebbero cadute.

Ericordandomi in vecenettamentequalche altra giornata quand'erostato tanto bene in casa miaquando non me n'ero né menoaccorto di esserci!

Iodopo tanto tempodevo domandarmi ancora per chi erano quei fiori. Male tortore hanno fame; e dico che comprino il miglio perchémangino.

** *

Cisi sta così bene a piangere con la faccia su l'erba fresca chearriva fino all'anima!

L'allodola!Piglia la mia anima!